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NOTE
I SALESIANI A LITTORIA TRA ACCORDO E CONSENSO
AL REGIME FASCISTA.
CONTRIBUTI DA UNA RICERCA IN CORSO
Clemente Ciammaruconi *
«Sull’esempio del nostro Beato Fondatore contribuisca ognuno di noi alla
grandezza della Patria e al miglioramento della Società, consacrando le
proprie energie all’educazione della gioventù, plasmando cristiani ferventi
e cittadini intemerati. Fedeli alle sue direttive, rispettiamo le Autorità co-
stituite ed evitiamo apprezzamenti e discussioni che possano financo com-
promettere le opere che ci sono affidate»1.
Così, in una lettera circolare del marzo 1933, il Rettor maggiore don
Pietro Ricaldone richiamava i salesiani a tener fede all’impegno più volte rei-
terato negli anni precedenti «a non interessarsi mai di politica»2.
Di lì a pochi mesi, l’affidamento ai salesiani della parrocchia della «città
nuova» di Littoria nell’Agro Pontino bonificato dal fascismo – un affida-
mento fortemente voluto dallo stesso Pio XI, le cui vicende sto ricostruendo
in una ricerca in corso – invitò tuttavia la Congregazione a confrontarsi diret-
tamente con l’operato del regime. L’accoglimento dell’invito formulato dal
pontefice aprì quindi una sorta di contraddizione rispetto alle precedenti diret-
tive interne in materia di politica, che finì per essere in qualche misura miti-
gata modulandone gli esiti su stilemi tipici della coscienza salesiana. In
queste brevi note mi propongo di evidenziare alcuni degli aspetti che ritengo
maggiormente significativi in tal senso.
* Professore di Materie Letterarie a Latina, autore di studi di storia locale.
1 Pensar bene di tutti. Parlar bene di tutti. Far del bene a tutti. Lettera del Rettor Mag-
giore don Ricaldone, in Atti del Capitolo superiore della Società salesiana, a. XIV, 24 marzo
1933, n. 61 bis, p. 63.
2 La questione venne più volte affrontata tra il 1924 ed il 1925, anni in cui si manifesta-
rono con maggior forza i contrasti tra ambienti del movimento cattolico e fascisti e che, in al-
cuni casi, non mancarono di coinvolgere anche membri della famiglia salesiana. A riguardo, si
vedano i ripetuti pronunciamenti pubblicati negli Atti del Capitolo superiore della Società sale-
siana, a. V, 24 marzo 1924, n. 24, pp. 286-287; ivi, a. VI, 24 febbraio 1925, n. 28, p. 350; ivi,
a. VI, 24 novembre 1925, n. 32, pp. 418-419.

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Per la storia salesiana, gli anni tra 1929 ed il 1934 rivestono un ruolo di
fondamentale importanza, segnati come sono da eventi straordinari quali la
beatificazione e quindi la canonizzazione di don Bosco. È tuttavia impossibile
non considerare quanto tali avvenimenti siano da collocare anche nel più ge-
nerale contesto dei rapporti tra Chiesa e fascismo, il cui reciproco, interessato
avvicinamento, proprio in quegli anni si andava traducendo in una sostanziale
adesione della gran parte del mondo cattolico alle scelte politiche del regime,
che si protrasse almeno fino all’entrata in guerra dell’Italia al fianco della
Germania nazista3. È anzi al raggiungimento di questa intesa, sapientemente
alimentata da continue dichiarazioni e manifestazioni di rispetto da parte fa-
scista, che – come ha efficacemente evidenziato Pietro Stella – vanno legati
«i tentativi che il regime fece per la massima saldatura possibile dei salesiani
al fascismo»4.
Una componente importante di tale saldatura è certamente da cogliere
nell’interpretazione del ruolo di don Bosco proposta nel corso delle cerimonie
tributate in occasione della sua canonizzazione dallo Stato fascista5. All’indo-
mani del solenne rito in S. Pietro, celebrandone ufficialmente la figura in
Campidoglio alla presenza del «duce» e delle più importanti autorità civili ed
ecclesiastiche, il quadrunviro Cesare Maria De Vecchi lo esaltava infatti come
«un Santo italiano ed il più italiano dei Santi»6.
3 La bibliografia sull’argomento è alquanto vasta; per un primo orientamento si vedano
le indicazioni fornite in appendice a G. DE ROSA (a cura di), Storia dell’Italia religiosa. III.
L’età contemporanea. Roma-Bari, Laterza 1995, pp. 570-572.
4 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. III. La canonizzazione
(1888-1934). Studi Storici, 5. Roma, LAS 1988, p. 254. Oltre a quello già citato (in particolare,
le pp. 254-268), lo studio dei rapporti tra salesiani e regime fascista è affidato essenzialmente
ai seguenti, altri lavori dell’autore: ID., La canonizzazione di don Bosco tra fascismo e univer-
salismo, in F. TRANIELLO (a cura di), Don Bosco nella storia della cultura popolare. Torino,
SEI 1987, pp. 359-382; ID., Don Bosco. L’identità italiana, 27. Bologna 2001, soprattutto alle
pp. 9-22.
5 «Dopo la gloria della Canonizzazione nella Basilica di San Pietro – scriveva entusiasti-
camente il «Bollettino salesiano» – Don Bosco Santo, per esplicita volontà del Duce, ha avuto
anche gli onori del Campidoglio. Magnifico gesto, squisitamente romano, del Capo del Go-
verno! Il Papa aveva appena proposto il nuovo Santo alla venerazione dei fedeli, e l’Italia gli
tributava solennemente i sommi onori civili, il trionfo del Campidoglio!» (Gli onori del Cam-
pidoglio, in «Bollettino salesiano», a. LVIII (giugno-luglio 1934) pp. 184-186: 185). Ricco di
spunti è anche il resoconto che di quel 2 aprile 1934 diede E. CERIA, Memorie biografiche di
san Giovanni Bosco, vol. XIX. La glorificazione (1888-1938). Torino, SEI 1939, pp. 285-289;
un tono più asettico ha invece l’articolo San Giovanni Bosco celebrato in Campidoglio, in
«L’Osservatore romano» del 4 aprile 1934, p. 5.
6 Il testo del discorso, riportato da tutti i principali quotidiani italiani, è riprodotto a
stampa in maniera integrale in C. M. DE VECCHI DI VAL CISMON, Don Bosco Santo italiano.
Commemorazione tenuta in Campidoglio il 2 aprile 1934-XII alla presenza di S. E. Benito
Mussolini, Capo del Governo e Duce del Fascismo, di Eminentissimi Cardinali e delle massime
Gerarchie della Chiesa e dello Stato, in «Torino», n. 4, aprile 1934-XII. Un esempio della for-

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I salesiani a Littoria tra accordo e consenso al regime fascista 473
Il tema dell’«italianità» di don Bosco finiva così per esemplarsi sull’im-
magine «patriottica» già costruita intorno alla figura di Francesco d’Assisi in
occasione della lunga serie di centenari commemorativi che culminarono nel
cosiddetto «anno francescano» (4 ottobre 1926 - 4 ottobre 1927)7. L’anniver-
sario dei settecento anni dalla sua morte fu difatti attraversato da una serie di
manifestazioni dai toni mistico-patriottici cui diede un impulso diretto lo
stesso Mussolini – per il quale Francesco divenne «il più italiano dei santi, il
più santo degli italiani» –, e che finirono per assimilare la memoria dell’Assi-
siate ad una simbologia di regime di stampo nazionalista8.
Soprattutto attraverso un’ampia pubblicistica, la cui rilettura della bio-
grafia francescana non maschera chiari intenti strumentali, il fascismo mirò
ad accreditare principalmente la natura patriottica ed eroica del Santo, cam-
pione delle virtù esemplari di una razza italiana chiamata a progetti di do-
minio universale; analogamente, approfittò delle celebrazioni centenarie svol-
tesi sotto l’egida del governo «per rompere con quella artificiosa barriera for-
matasi tra lo spirito religioso e lo spirito civile del popolo italiano»9.
Per il mondo cattolico è infatti innegabile che il momento culminante
dell’«anno francescano» sia stato rappresentato dal cosiddetto «incontro di
Assisi» del 4 ottobre 1926, nel corso del quale il legato a latere del pontefice,
il cardinale Rafael Merry del Val, rivolse la benedizione pontificia all’Italia.
L’episodio segnò un ulteriore avvicinamento della Chiesa al governo fascista
– non a caso sarebbe stato più tardi individuato come un importante preludio
tuna del tema dell’«italianità» di don Bosco è costituito dal «proclama trasmesso da Roma per
radio a tutta Italia […] nelle “Cronache del Regime”» di R. FORGES DAVANZATI, Tipico Santo
italiano, in A. COJAZZI (a cura di), Don Bosco Santo. Pasqua 1934. Torino, 1934, pp. 13-14.
7 Ho già affrontato questa tematica in C. CIAMMARUCONI, Aspetti dell’episcopato eugu-
bino di mons. Pio Leonardo Navarra (1921-1932), in corso di stampa. Sui centenari france-
scani cf L. DI FONZO, Crescite numero. Sviluppi e progressi statistici dell’Ordine, in Rinascita
Serafica. I Frati Minori Conventuali nell’ultimo cinquantennio (1900-1950). Roma 1951, pp.
47-69: 63-65. Va sottolineato come, in quegli anni, venne riletta in una prospettiva dichiarata-
mente patriottica anche la vicenda di altri santi italiani: Benedetto da Norcia divenne così una
sorta di antesignano dell’autarchia, mentre Caterina da Siena finì per essere ritenuta una pre-
corritrice del processo d’unificazione politica della penisola.
8 Su questi aspetti S. MIGLIORE, Mistica povertà. Riscritture francescane tra Otto e No-
vecento. Bibliotheca seraphico-capuccina, 64. Roma, 2001, pp. 211-232. Per le ricadute propa-
gandistiche che il centenario francescano ebbe tra il clero cf M. FRANZINELLI, Il clero fascista,
in A. DEL BOCA - M. LEGNANI - M. G. ROSSI (a cura di), Il regime fascista. Storia e storio-
grafia. Roma-Bari 1995, pp. 182-202: 187-188.
9 Così si espresse, in un suo fortunato libello, lo storico Arnaldo Fortini, divenuto con il
fascismo podestà di Assisi (A. FORTINI, Il ritorno di San Francesco, cit. in S. MIGLIORE, Mi-
stica povertà, p. 223 nota 174); un quadro della vasta pubblicistica tesa ad esaltare la «santità
nazionale» di Francesco d’Assisi – e che ebbe fra i suoi più illustri artefici proprio il Fortini – è
offerta da S. MIGLIORE (a cura di), Francesco tra due secoli: 1882-1926. Sussidio bibliogra-
fico. Quaderni di bibliografia francescana, 2. Roma 2000, pp. 249-268.

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474 Clemente Ciammaruconi
alla Conciliazione – e contribuì certamente ad accrescere le simpatie per il
«duce» delle diverse famiglie francescane che, contestualmente, beneficia-
rono di importanti riconoscimenti quali il recupero del Sacro convento di As-
sisi dopo le soppressioni del 1866.
Con tutta evidenza, rispetto ad un tale precedente, nel 1934 la prospet-
tiva storica appariva profondamente cambiata: la presentazione di don Bosco
quale nuovo campione della «santità italiana» risentiva infatti dell’ormai rin-
novata collaborazione tra Chiesa e Stato, in un clima solo in minima parte al-
terato dai dissidi sorti con il regime nella primavera del 1931 riguardo al
ruolo svolto dall’Azione cattolica nell’educazione della gioventù.
Nel suo discorso ufficiale, De Vecchi poté quindi dare una lettura di don
Bosco in chiave apertamente «concordataria», spingendosi addirittura a pro-
porlo tra gli artefici dell’unità nazionale e come «santo del risorgimento»10.
Del resto, se nelle parole dell’allora ambasciatore presso la Santa Sede «il
senso della Sua duplice missione, per la Chiesa e per l’Italia che si dovevano
riunire non lo abbandonò mai»11, nel marzo 1929 lo stesso pontefice – il
quale, da giovane sacerdote, aveva avuto modo di conoscere personalmente
don Bosco – aveva ribadito che la «composizione del deplorato dissidio stava
veramente in cima ai pensieri ed agli affetti del suo cuore, ma come poteva es-
serlo in un servo veramente sensato e fedele; non col desiderio di una conci-
liazione come che fosse, così come molti erano andati per molto tempo alma-
naccando, arruffando e confondendo le cose; ma in modo tale che innanzi
tutto si assicurasse l’onore di Dio, l’onore della Chiesa, il bene delle anime»12.
È in questo contesto che si inserisce il riferimento ad un nuovo impegno
da poco accolto dai salesiani: l’affidamento della parrocchia della neonata città
di Littoria, nell’Agro Pontino appena bonificato dal regime13. Dopo aver invi-
tato l’auditorio a seguirlo in un’immaginaria visita alla casa natale del Santo ai
10 Malgrado le oggettive difficoltà a dissentire dalla vulgata ufficiale, va rilevato come le
autorevoli voci di Benedetto Croce e Giovanni Gentile non abbiano mancato di manifestare
tutta la loro disapprovazione nei confronti di una tale «interpretazione ufficiale» dell’ideologia
politica di don Bosco e della stessa importanza del suo pensiero filosofico (P. STELLA, Don
Bosco, pp. 15-18).
11 C. M. DE VECCHI DI VAL CISMON, Don Bosco Santo italiano, p. 15.
12 Discorso tenuto da Pio XI il 19 marzo 1929 in occasione dell’approvazione dei mira-
coli operati per intercessione di don Bosco e compendiato da «L’Osservatore romano» del
20-21 marzo 1929, p. 1. A dimostrazione di quanto il sacerdote piemontese fosse ormai univer-
salmente visto come «il Santo che auspicò la pace religiosa dell’Italia», si veda – tra i molti
altri – l’articolo che ne presentava la prossima canonizzazione in «L’Avvenire d’Italia» del
28 marzo 1934.
13 Inaugurata il 18 dicembre 1932, nel dopoguerra la città ha assunto l’attuale nome di
Latina. Nell’Agro Pontino vennero fondate anche le «città nuove» di Sabaudia (1934), Pontinia
(1935), Aprilia (1937) e Pomezia (1939), oltre ad una quindicina di borgate rurali.

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I salesiani a Littoria tra accordo e consenso al regime fascista 475
Becchi, De Vecchi indicò infatti «un’altra visita ideale ad un’altra terra ricon-
quistata oggi col prodigioso sudore del popolo per la volontà di un uomo: a
Littoria. In quella chiesa degna del Fascismo, troverete ancora Don Bosco ed i
suoi salesiani che vi benediranno nel nome del Padre, presente sempre dove è
presente la Patria operante. A Littoria è l’essenza morale dell’Italia nuova vati-
cinata e sognata da Don Bosco, dell’Italia costruita da Mussolini»14.
Dunque, nel momento stesso in cui si celebrava l’apogeo del fondatore,
l’accordo ed il consenso della famiglia salesiana nei confronti del regime finì
per trovare un’ulteriore convalida nella concessione di particolari benefici da
parte del fascismo «redentore di terre» e «costruttore di città»15. Unitamente
alla deferenza ed alla stima ovunque tributate a don Bosco – che non manca-
rono di esprimersi nelle numerose manifestazioni ufficiali in suo onore, come
pure nelle molteplici intitolazioni di strade e pubblici edifici –, si può pertanto
dire che la presenza a Littoria abbia in qualche modo suggellato la crescente
saldatura di fasce di salesiani con la politica di governo.
Come già era accaduto per le diverse famiglie francescane in occasione
delle celebrazioni centenarie di Francesco d’Assisi, si trattò di una conso-
nanza che – per quanto contingente ad una determinata fase storica e, alla
lunga, dimostratasi «parziale, temporanea e ipotetica»16 – fu indubbiamente
accolta con partecipato interesse17. A rinsaldare tale adesione non mancarono
14 C. M. DE VECCHI DI VAL CISMON, Don Bosco Santo italiano, p. 16. Non è forse fuor di
luogo ricordare che il De Vecchi, da sempre in ottime relazioni con don Ricaldone, fu da questi
protetto nel momento della condanna a morte decretatagli nel processo di Verona del 10 gen-
naio 1944: cf F. MOTTO, Dal Piemonte alla Valle d’Aosta, da Roma a Buenos Aires.La clande-
stinità del quadrunviro Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon in una memoria di don Fran-
cesco Làconi in RSS 39 (2001) pp. 309-348.
15 Va ricordato che, dopo Littoria, e per interessamento dello stesso «duce», nel 1936
venne affidata ai salesiani anche la parrocchia di Mussolinia (oggi Arborea), un’altra «città
nuova» fondata dal regime in Sardegna. In questo caso, però, la prospettiva storica appare
ormai mutata: «S. E. il Capo del Governo – scriveva infatti, in maniera assai significativa, il
Rettor maggiore all’Ispettore romano don Carlo Festini – mi ha interessato direttamente per
mezzo di S. E. De Vecchi, dicendomi che, pur conoscendo la negativa già data e la scarsità del
nostro personale, tuttavia chiedeva a me come personale favore di compiacerlo, accettando la
Parrocchia di Mussolinia. Come vedi, in queste condizioni e soprattutto nell’ora attuale, è im-
possibile dire di no. Così la pensa il Capitolo, che ha già dato il voto affermativo per l’accetta-
zione» (ASC, E 944, lettera di don Ricaldone a don Festini, Torino 4 novembre 1935).
16 P. STELLA, La canonizzazione di don Bosco, p. 379, una valutazione riproposta ora
anche in ID., Don Bosco, p. 131.
17 In un clima di diffuso e largo consenso al regime da parte del mondo cattolico, persino
don Eugenio Ceria – «nonostante il proprio istintivo senso di distacco» (P. STELLA, Don Bosco
nella storia, p. 265 nota 69) – nell’ultimo volume delle Memorie biografiche di don Bosco finì
per indulgere ad atteggiamenti scopertamente filo-fascisti. Si veda, ad esempio, quanta gratitu-
dine vi emerga nei riguardi del fascismo che, stroncando «la politica irreligiosa o antireligiosa
d’un tempo» (E. CERIA, Memorie biografiche, vol. XIX, p. 201), aveva avuto il merito di recu-
perare l’Italia alla «sua unità spirituale, vera anima della sua unità politica» (ivi, pp. 285-286).

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476 Clemente Ciammaruconi
anche contributi ad intra, intimamente connaturati alla stessa coscienza sale-
siana: è quindi in questa prospettiva che l’affidamento della parrocchia di Lit-
toria venne letto alla luce di una delle tante «visioni profetiche» che caratte-
rizzarono la complessa figura di Giovanni Bosco.
Dal punto di vista storico, il primo incontro del sacerdote piemontese
con quella che era la dura realtà dell’Agro pontino alla metà del XIX secolo è
raccontata da don Giovanni Battista Lemoyne nelle sue Memorie biografiche
di Don Giovanni Bosco18.
A dispetto della sua vicinanza a Roma, da secoli questa vasta pianura
boschiva di oltre cinquantamila ettari, che particolari condizioni idrogeolo-
giche contribuivano a lasciare parzialmente sommersa dalle acque, costituiva
un ambiente inospitale, nel quale ogni attività umana era resa oltremodo pre-
caria dalle mortifere infezioni malariche che colpivano inesorabilmente i suoi
scarsi abitanti. Per lo più dediti ad un’economia a carattere silvo-pastorale,
soprattutto nell’area più settentrionale della regione essi trovavano la loro
principale occupazione nell’allevamento del bestiame di proprietà degli affit-
tuari delle aziende o «tenute» in cui si ripartiva il territorio.
Don Lemoyne racconta appunto che, nel corso della sua prima visita a
Roma nel 185819, don Bosco ebbe occasione di incontrare alcuni bovari pro-
venienti dalla Campagna romana, i quali, seguendo un’ormai secolare tradi-
zione, avevano condotto nell’Urbe le mandrie allevate nelle «tenute» in cui
lavoravano per vendere capi di bestiame al Campo Vaccino20.
La sua vivace curiosità l’aveva spinto ad instaurare un breve dialogo con
quegli uomini che si riparavano da un violento acquazzone sotto il portico
della chiesa di S. Maria in Cosmedin, approfittandone per un pranzo frugale:
un pezzo di merluzzo crudo «da cui ciascuno strappava un brano di mano in
mano che gliene occorreva», pagnottelle di segala e di meliga e, quale be-
vanda, della semplice acqua. Come riferirono essi stessi, provenivano da una
località posta a quaranta miglia da Roma (all’incirca sessanta chilometri) e
che – con buona probabilità – può essere identificata con l’importante «te-
nuta» di Le Ferriere di Conca21.
18 G. B. LEMOYNE, Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco, vol. V. S. Benigno Ca-
navese, Scuola Tipografica e Libraria Salesiana 1905, pp. 847-848.
19 Cf Appendice, 1. Riguardo a quella prima permanenza romana di don Bosco, docu-
mentata da un manoscritto del suo accompagnatore, don Rua, cf P. BRAIDO, Don Bosco prete
dei giovani nel secolo delle libertà, 2 voll. ISS, Studi, 20-21. Roma, LAS 2003, I, pp. 375-390.
20 Una fonte privilegiata sulle dure condizioni di vita di questi «butteri» è E. METALLI,
Usi e costumi della Campagna romana. Roma 19242.
21 Per la realtà socio-economica della regione e, in particolare, di Le Ferriere di Conca
(località oggi compresa nel territorio comunale di Latina) nel XIX secolo si veda G. ROSSI,
L’Agro romano-pontino tra ’800 e ’900: identità territoriale, socialità, coscientizzazione, in

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I salesiani a Littoria tra accordo e consenso al regime fascista 477
Dal tono generale dell’episodio, sembra che le loro misere abitudini di
vita avessero finito per impressionare pure un uomo come don Bosco, di per
sé abituato alle durezze proprie del mondo contadino; ciononostante, un mi-
nimo conforto gli era derivato dalla «buona indole di quei paesani, i quali vi-
vono contenti della loro povertà e lieti del loro stato, purché possano adem-
pire i doveri di buon cristiano e disimpegnare ciò che riguarda l’umile loro
mestiere»22.
In ogni modo, ciò che qui più preme sottolineare è quanto afferma don
Lemoyne a conclusione della narrazione, prefigurando l’interesse del fonda-
tore verso l’opera d’apostolato che si sarebbe potuta intraprendere in quelle
terre: «Mentre essi parlavano – riferisce infatti l’agiografo-compilatore – D.
Bosco pensava al gran bene che avrebbero fatto continuate missioni aposto-
liche nella vastità dell’agro Romano, pensiero che non lo abbandonò più nel
corso intero della sua vita»23.
Nel 1934, quel mondo con la sua dolente umanità era tuttavia sul punto
di essere definitivamente cancellato e le Paludi pontine si avviavano ormai a
diventare uno sbiadito ricordo, cui contrapporre l’esaltante affermazione
dell’«esperimento agricolo e sociale» propugnato dal governo fascista24.
F. GUERRA (a cura di), Maria Goretti fra passato e presente. Atti del Convegno di studi. La-
tina, 11-13 ottobre 1991. Roma 1991, pp. 17-36; A. SPINA, Aspetti e problemi dell’Agro Ro-
mano (1860-1902). Ricerche per la storia civile e religiosa della Campagna Romana e della
diocesi d’Albano, Albano 1988, in particolare pp. 67-104; M. C. PAGLIARO, La Tenuta e Le
Ferriere di Conca nella Valle dell’Astura. Aspetti e problemi (secoli XVIII-XIX), [Roma] 1991.
Va ricordato come alla località sia tristemente legato il ricordo del martirio di Maria Goretti,
il 5 luglio 1902.
22 G. B. LEMOYNE, Memorie biografiche, vol. V, p. 848. Dal dialogo, emerge un interes-
sante quadro dell’assistenza religiosa alle popolazioni della Campagna romana, al quale può for-
nire una più ampia contestualizzazione M. C. PAGLIARO, Le Ferriere di Conca nella Valle del-
l’Astura. Storia di un borgo antico. [Albano 1990], pp. 139-169, ed anche ID., La Tenuta, pp.
93-110. In proposito, così si esprimeva il Metalli agli inizi del Novecento: «Il sentimento reli-
gioso è profondamente radicato negli abitanti della Campagna, perciò il prete gode fra di essi di
un certo rispetto e di un certo ascendente, anche quando per la sua condotta o per la sua scarsa
coltura non ne sarebbe meritevole» (E. METALLI, Usi e costumi della Campagna, p. 195).
23 G. B. LEMOYNE, Memorie biografiche, vol. V, p. 848. In realtà, la Congregazione ebbe
una prima occasione per svolgere il proprio apostolato tra la popolazione di quella regione nel
1889, durante il rettorato di don Michele Rua, allorché la municipalità di Terracina affidò ai sa-
lesiani la conduzione di un collegio-convitto con scuole elementari e ginnasiali; tuttavia, già
nel 1893 la convenzione venne rescissa e l’opera chiusa in maniera definitiva (la documenta-
zione relativa è conservata in ASC, F 729, Case soppresse).
24 Malgrado una fiorente bibliografia, sono pochi gli studi che affrontino la bonifica
pontina con appropriata metodologia storica; tra questi si segnalano comunque R. MARIANI,
Fascismo e «città nuove». Milano 1976; E. FRANZINA - A. PARISELLA (a cura di), La Merica in
Piscinara. Emigrazione, bonifiche e colonizzazione veneta nell’Agro Romano e Pontino tra
fascismo e post-fascismo. Abano Terme, 1986; A. FOLCHI, Littoria. Storia di una provincia,
Roma 1992; ID., L’Agro Pontino 1900-1934. Roma 1994.

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478 Clemente Ciammaruconi
Benché fossero iniziati già negli anni Venti, i lavori di bonificazione erano in-
fatti andati progressivamente incrementandosi nel corso della prima metà del
decennio successivo, durante il quale assorbirono una parte notevole delle ri-
sorse finanziarie dello Stato: in Mussolini era infatti maturata la consapevo-
lezza che l’opera di risanamento idraulico e quindi il popolamento della re-
gione potesse costituire una risposta alla forte disoccupazione italiana post-
bellica, ulteriormente acuita dalla contemporanea, grave crisi economica
mondiale. Tuttavia, con il procedere della bonifica e l’arrivo delle famiglie
coloniche chiamate a stabilirvisi, la nascita delle «città nuove» e dei borghi
rurali, l’istituzione della provincia di Littoria, apparve in maniera sempre più
chiara anche l’intenzione del regime di sfruttare in chiave propagandistica
l’«impresa» pontina. Quella terra alle porte di Roma finalmente «redenta»
dalla volontà del fascismo dopo i ripetuti, falliti tentativi da parte dei ponte-
fici e dei governi liberali, costituiva ora una prova inoppugnabile del successo
della politica mussoliniana25.
Soprattutto una volta evidenziato il ruolo svolto dalle gerarchie del re-
gime nell’assegnazione della parrocchia di Littoria ai salesiani nell’ottobre
del 193326 – dunque in un momento di grande importanza per i figli di don
Bosco, visto che di lì a pochi giorni si sarebbe concluso il processo di cano-
nizzazione del fondatore (la lettura del relativo decreto avverrà, infatti, il 19
novembre), appare evidente come proprio nell’Agro pontino si sia pensato di
consolidare ulteriormente il consenso del mondo cattolico italiano e della fa-
miglia salesiana in particolare, nei confronti del fascismo.
Nell’ottica del regime, mi pare che vada comunque considerato anche un
altro aspetto, del quale rende conto un interessantissimo articolo di Giuseppe
De Mori pubblicato nel dicembre 1935 su «L’Avvenire d’Italia»27. Uomo di
25 Esempio di questa strumentale interpretazione storica della bonificazione pontina è il
volume di V. ORSOLINI CENCELLI, Le Paludi pontine. Nella preistoria, nel mito, nella leggenda,
nella storia, nella letteratura, nell’arte e nella scienza. Roma 1934.
26 Il Bollettino salesiano riportò in questi termini la notizia dell’affidamento alla Società
della parrocchia di Littoria: «Nell’Agro Romano, per diretto interessamento del S. Padre, che
si degnò appoggiare l’invito delle competenti Autorità, accettammo la Parrocchia di Littoria,
ove il Capo del Governo ha compiuto quella imponente opera di bonifica che ha suscitato l’u-
niversale ammirazione. Il campo che qui si presenta al nostro zelo è quanto mai consolante»
(Le fondazioni del 1933, in «Bollettino salesiano», a. LVIII, (gennaio 1934), p. 3). Le articolate
modalità attraverso le quali si giunse infine ad assegnare ai salesiani – dopo il rifiuto espresso
da diverse altre Congregazioni – l’assistenza religiosa della nuova città saranno oggetto di
un mio specifico studio di prossima pubblicazione; sulla questione si veda intanto la parziale
ricostruzione fornita da F. DE MEI, La Chiesa e Parrocchia di S. Marco in Latina (1933-1983).
Latina 1983.
27 Sulla figura di Giuseppe De Mori si veda E. REATO - A. MARCHIORI, Clero, Azione
Cattolica e fascismo a Vicenza (1922-1939), in P. PECORARI (a cura di), Chiesa, Azione Catto-

1.9 Page 9

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I salesiani a Littoria tra accordo e consenso al regime fascista 479
sentimenti tutt’altro che filo-fascisti, «nell’atto in cui tutta Italia e il mondo
intero rimangono ammirati di quest’opera gigantesca della bonifica dell’Agro
Pontino», egli invitava a «riguardare alla bonifica spirituale che l’ha accom-
pagnata. Aspetto del problema meno appariscente e meno avvertito, ma per
questo non meno importante, che sta anzi, come problema spirituale, alla ra-
dice del problema tecnico ed economico». Ebbene, nella sua accorta analisi
De Mori rilevava che «le Autorità e le Gerarchie dell’Agro Pontino [...] ve-
dono nel fattore religioso la base per mantenere in disciplinata efficienza quei
lavoratori dei campi per prepararli con la disciplina, la parsimonia e il ri-
sparmio a divenire i padroni dei poderi loro affidati»28. Una questione che ri-
manda al ruolo svolto dal clero nell’assecondare la politica di «attaccamento
alla terra» propugnata dal regime nell’Agro «redento» e, specialmente, alla
scelta di affidare questo compito a Congregazioni religiose come i salesiani a
Littoria ed i Frati Minori Conventuali a Sabaudia che – sulla base, peraltro, di
analoghe motivazioni – apparivano in quegli anni particolarmente sensibili
ad accogliere le istanze del governo29.
Su un piano complementare, è innegabile che l’iniziativa di legare il
nome dei figli di don Bosco ai successi della bonifica «umana e materiale»
che una martellante propaganda aveva contribuito a far conoscere ben al di
fuori dei confini nazionali, avesse finito per riscuotere non pochi consensi al-
l’interno degli ambienti salesiani: pressoché cancellati i precedenti contrasti
con il fascismo, anche assai duri negli anni tra il 1922 ed il 192430, la pre-
senza a Littoria ne segnò pertanto l’ormai raggiunto allineamento nei con-
fronti del regime.
In questo senso, credo comunque che possa rivelarsi interessante osser-
vare come una tale adesione sia stata elaborata in seno alla stessa Congrega-
zione secondo una prospettiva propria della più profonda identità salesiana,
investendo direttamente la figura del fondatore. Il ricorso ad una delle più
lica e fascismo nell’Italia settentrionale durante il pontificato di Pio XI (1922-1939). Atti del
quinto Convegno di Storia della Chiesa. Torreglia, 25-27 marzo 1977. Milano 1979, p. 819.
28 G. DE MORI, Bonifica spirituale nella redenta Pontinia, in «L’Avvenire d’Italia» del
18 dicembre 1935. Riguardo all’insediamento colonico nell’Agro Pontino si segnalano i buoni
studi di O. GASPARI, L’emigrazione veneta nell’Agro Pontino durante il periodo fascista. Bre-
scia 1986; C. ROSSETTI, I ferraresi nella colonizzazione dell’Agro pontino. Roma 1994; A.
FOLCHI, I contadini del duce. Agro Pontino 1932-1941. Roma 2000.
29 Il tema necessita di ulteriori verifiche ed approfondimenti; per un primo inquadramento
problematico rimando a C. CIAMMARUCONI, Chiesa locale e bonifica dell’Agro Pontino. L’ere-
zione della parrocchia di Sabaudia, in «Miscellanea Francescana» 96 (1996), pp. 297-329.
30 P. STELLA, Don Bosco nella storia, pp. 256-258, il quale sottolinea come un grande
contributo «pacificatorio» dopo gli attriti degli anni precedenti, fu indubbiamente dato dai
grandiosi festeggiamenti del giugno del 1929 in occasione della beatificazione di don Bosco.

1.10 Page 10

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480 Clemente Ciammaruconi
straordinarie – e discusse – caratteristiche di don Bosco, ovvero le sue capa-
cità predittive, mi pare che abbiano infatti costituito una sorta di legittima-
zione della compartecipazione dei salesiani alle direttive mussoliniane nel-
l’Agro Pontino. Ecco, allora, che l’accorato invito di Pio XI perché fosse ac-
colta l’offerta avanzata dalle autorità fasciste per Littoria31 non mancò d’es-
sere correlato ad una “profezia” riportata nelle Memorie biografiche del
Ceria32 e poi ad altri eventi «misteriosi» esemplati su modelli tipici dell’im-
maginario salesiano, che ebbero senz’altro il loro peso nel far meglio accet-
tare la contestuale «saldatura» con la linea politica del governo.
Una traccia eloquente di questo processo ci viene offerta da un’intervista
concessa il 24 novembre 1933 dall’allora Rettor maggiore, don Pietro Rical-
done33, al corrispondente romano de «La Stampa». Nell’articolo, alle ipotesi
intorno alla possibile data di canonizzazione di don Bosco, fa seguito il rac-
conto di un singolare episodio che riconnette la «guarigione istantanea di un
morente» all’affidamento della parrocchia di Littoria ai salesiani, già vatici-
nato dall’ormai prossimo Santo34. Una «profezia» di cui – come precisava al
giornalista don Ricaldone – «se ne ebbe una dimostrazione che non chiamerò
miracolosa, ma certo ha del misterioso», ed alla quale non manca di dare un
31 In proposito, così si esprimeva il Procuratore generale della Congregazione presso la
Santa Sede, don Francesco Tomasetti, in una sua lettera al Rettor maggiore del 5 ottobre 1933:
«Questa mattina sono stato da mons. Pizzardo. Egli, col più vivo interesse, a nome del S.
Padre, mi ha parlato della desiderata opera salesiana nella città di Littoria, dicendo che essa è
necessaria e urgente. Il S. Padre ha ricevuto lettera dai ragazzi avanguardisti che invocano l’as-
sistenza religiosa salesiana. Il Capo del Governo ha fatto sapere che, per mancanza di istru-
zione religiosa, i giovani crescono male e la popolazione vive tutt’altro che cristianamente,
tanto che gli furono segnalati oltre cento concubinati. La popolazione – soggiunge il Capo del
Governo – per sé è buona, anche religiosa, ma ha bisogno di chi la guidi e la sorregga moral-
mente e religiosamente. L’On. Cencelli, il quale rappresenta il Fascismo in tutta quella plaga,
a giorni sarà ricevuto dal S. Padre per ottenere che i salesiani siano inviati colà quanto prima.
Il S. Padre sa che il Sig. Don Ricaldone ha chiesto che gli sia data una buona estensione di
terreno. Ebbene, gli scriva – soggiunge S. E. Pizzardo – che gli sarà dato quanto desidera,
ma tolga dal cuore del S. Padre questa spina pungentissima. Gliene sarà riconoscente, come
riconoscente gli sarà il Capo del Governo» (ASC, D 533, Tomasetti a Ricaldone, Roma 5 ot-
tobre 1933).
32 Cf Appendice, 2. Si trattava di un legame già colto dallo stesso Tomasetti nella citata
lettera al Rettor maggiore: «Sentendo ciò che Mons. Pizzardo diceva, mi veniva a mente un
sogno del Beato Don Bosco, quello in cui vedeva i suoi figliuoli evangelizzare i dintorni di
Roma, come se fossero in luoghi di missione. Don Ceria e D. Amadei devono ricordarlo. Che
sia venuto il vero [sic] della sua attuazione?» (ibidem).
33 Eletto Rettor maggiore il 17 maggio 1932, don Pietro Ricaldone ricoprì quest’incarico
per circa un ventennio fino alla sua morte, nel 1951 (F. RASTELLO, Ricaldone sac. Pietro, rettor
maggiore, in E. VALENTINI – A. RODINÒ (a cura di), Dizionario biografico dei salesiani. Torino,
Scuola Grafica Salesiana 1969, pp. 236-237).
34 Quando sarà canonizzato Don Bosco?, in «La Stampa della sera» del 24 novembre
1933-XII.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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I salesiani a Littoria tra accordo e consenso al regime fascista 481
qualche sapiente avallo la stessa considerazione che «se ne parla in privato
negli ambienti religiosi e lo si può perciò ormai dire anche in pubblico».
Dopo aver evidenziato che la parrocchia di Littoria doveva essere ini-
zialmente assegnata ai religiosi di don Orione35, il Rettor maggiore passò a
raccontare come un sacerdote di quella Congregazione si fosse recato nella
cittadina appena fondata «per assistere religiosamente un buon signore ch’era
in gravissime condizioni e stava per morire». Viste le sue condizioni, il sacer-
dote gli aveva impartito il viatico, ma quando il mattino seguente si presentò
di nuovo al suo capezzale, sorprendentemente il moribondo gli apparve in-
vece del tutto guarito. Così continua la narrazione:
«Alla meraviglia del sacerdote il malato rispose:
– Stanotte credevo morire, quando vidi Don Bosco venirmi incontro di-
cendomi: si alzi, ch’è guarito; e dica al sacerdote che viene da lei, che la
chiesa di Littoria non sarà affidata ai preti di Don Orione, perché è scritto
ch’essa venga assegnata ai miei salesiani che dovranno svolgere opera di
salute spirituale per l’Agro romano. Io credevo di sognare, ma poi ho ten-
tato di alzarmi e di vestirmi, l’ho fatto e, come vede, sono guarito.
In verità – quello stesso giorno la Procura generale dei salesiani di Roma
era stata così insistentemente pressata ad accettare la cura della parrocchia
di Littoria che il Procuratore Don Tomasetti ne informò d’urgenza il Supe-
riore generale in Torino, il quale, convocato il Capitolo superiore, accettò
la proposta ed i salesiani, com’è noto, sono già a Littoria».
L’articolo prosegue poi mettendo in relazione il prodigioso evento con
un ben noto episodio riportato dal Ceria e di cui era stato protagonista diretto
mons. Giovanni Marenco36.
Il 5 aprile 1880, dopo aver accolto la proposta del pontefice di costruire
una casa salesiana in Roma37, don Bosco si era rivolto al suo accompagnatore
– all’epoca, appena ordinato sacerdote – confidandogli una «misteriosa pa-
35 In realtà, in base alla documentazione disponibile, gli unici religiosi ad essere contat-
tati dalla diocesi di Velletri – nel cui territorio si veniva a trovare la «città nuova» di Littoria –
furono i Giuseppini del Murialdo, i Poveri Servi della Divina Provvidenza di don Calabria ed i
Frati Minori Cappuccini della Provincia veneta; non è quindi improbabile che il riferimento sia
piuttosto ad un sacerdote della Società di S. Giuseppe che, peraltro, con la Congregazione di
don Orione condivideva una comune matrice salesiana.
36 E. CERIA, Memorie biografiche del Beato Giovanni Bosco 1879-1880. vol. XIV. To-
rino, SEI 1933, pp. 591-592. Riguardo alla figura di mons. Giovanni Marenco si veda la voce
Marenco sac. Giovanni, vescovo, in E. VALENTINI – A. RODINÒ (a cura di), Dizionario biogra-
fico dei salesiani, p. 177.
37 Sulla chiesa del S. Cuore e le vicende che portarono alla sua costruzione cf C. CONI-
GLIONE, Presenza salesiana nel quartiere romano di Castro Pretorio (1880-1915), in «Ricerche
storiche salesiane» 3 (1984), pp. 3-91, ed anche P. BRAIDO, Don Bosco prete dei giovani, vol.
II, pp. 477-490.

2.2 Page 12

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482 Clemente Ciammaruconi
rola, che il tempo non deve coprire di oblio»: nella sua visione, l’accettazione
dell’invito rivolto da Leone XIII era stata infatti determinata dal motivo che
«quando il Papa sarà quello che ora non è e come deve essere, metteremo
nella nostra casa la stazione centrale per evangelizzare l’agro romano. Sarà
opera non meno importante che quella di evangelizzare la Patagonia. Allora i
salesiani saranno conosciuti e risplenderà la loro gloria»38.
Ebbene, di fronte all’avvenuta Conciliazione tra Stato e Chiesa che
aveva posto fine all’annosa «questione romana» ed ora anche al più recente
affidamento ai salesiani della parrocchia di Littoria nell’Agro bonificato dal
regime e dunque pronto ad essere «evangelizzato», la «misteriosa parola» di
don Bosco trovava finalmente una sua piena intelligibilità.
Non è peraltro un caso – mi pare importante sottolinearlo – che tale pa-
rallelismo tra i due avvenimenti venga per la prima volta instaurato proprio
nel contesto di un articolo che intendeva promuovere quale data della pros-
sima canonizzazione di don Bosco l’11 febbraio 1934, quinto anniversario
della firma dei Patti lateranensi39.
In seguito, questa interpretazione venne ripresa da più parti40, in qualche
circostanza non senza consonanze con i temi propri della propaganda fascista
e le suggestioni dettate dalla politica «ruralizzatrice» del regime41. È il caso
38 È interessante rilevare come ancora nel 1933 – anno in cui veniva stampato questo
XIV volume delle Memorie – per il Ceria le asserzioni di don Bosco rimanessero almeno in
parte oscure: «Contenevano queste parole un vaticinio? Oggi intanto il Papa non è più quello
che era allora, ma è come dev’essere. Quanto al resto, il tempo darà la risposta. Ma, o vaticinio
o no, splende qui se non altro un lampo dello zelo che ardeva perenne in cuore al nostro Beato
Padre, che, mentre a talune imprese metteva mano, altre ne vagheggiava» (E. CERIA, Memorie
biografiche, vol. XIV, p. 592). Non è certo il caso di affrontare qui il problema del valore
“storico” delle “Memorie Biografiche”.
39 Così, infatti, si concludeva l’intervista a don Ricaldone: «Ora si è verificata la condi-
zione preposta da Don Bosco: oggi il Papa è libero e rispettato in Roma, nel suo Stato minu-
scolo ma indipendente, appunto in seguito alla conciliazione da lui sognata e assecondata. Non
sarebbe un atto veramente adeguato agli avvenimenti se la sua glorificazione avvenisse in
questo fausto anniversario della conclusione dei Patti Lateranensi e perciò l’11 febbraio? Quel
giorno, festivo, lo sarebbe doppiamente e la cerimonia della canonizzazione assumerebbe un
ancor più alto significato» (Quando sarà canonizzato Don Bosco?, in «La Stampa della sera»
del 24 novembre 1933-XII).
40 Si veda, ad esempio, la lettera scritta da don Stefano Trione il 28 novembre 1933 ai di-
rettori delle diverse edizioni del Bollettino salesiano che invita appunto a riprendere la «previ-
sione» collegandola all’accettazione della parrocchia di Littoria (ASC, F 467, Il Beato Don
Bosco e l’Agro Romano, Torino 28 novembre 1933), o anche il discorso tenuto in occasione
dell’insediamento del primo parroco di Littoria, don Carlo Torello, dall’Ispettore salesiano di
Roma don Carlo Festini (P. PASOTTI, Il parroco salesiano di Littoria s’insedia inneggiando al-
l’opera del Duce, in «La Stampa» dell’11 dicembre 1933).
41 Riguardo a tali sintonie cf E. FRANZINA, Una emigrazione nazional-popolare: i coloni
veneti nell’Agro Pontino, in E. FRANZINA - A. PARISELLA (a cura di), La Merica in Piscinara,
pp. 31-119: 64-74.

2.3 Page 13

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I salesiani a Littoria tra accordo e consenso al regime fascista 483
del periodico «L’Opera salesiana» di Novara, un cui anonimo articoletto dal
titolo Il Beato D. Bosco a Littoria, si chiudeva in modo significativo con le
seguenti parole: «Dove prima regnava la palude e la malaria, grazie al volere
del Capo del Governo cresce il grano, e i figli del Beato Don Bosco spargono
tesori spirituali fra tanti lavoratori chiamati a redimere le terre incolte della
Patria»42. Oppure del vicentino «L’Operaio Cattolico» per il quale, grazie al-
l’impegno profuso dai salesiani nell’impresa vaticinata dal fondatore, «dalla
terra bonificata sprigiona non solo il canto del lavoro che nobilita ed è fe-
condo di benessere, ma sgorga anche l’inno ad esaltare la Redenzione divina,
che sublima le conquiste dell’ardimento e le rende mezzi adatti di elevazione
spirituale»43.
In altre occasioni, si preferì indugiare sulla funzione apostolica di quella
«visione profetica» di don Bosco: «Egli che spesso volgeva il suo sguardo
sulla carta geografica, egli che in numerose visioni contemplò l’attività mis-
sionaria dei suoi figli sparsi nelle varie parti del mondo, fissò la sua benevola
attenzione anche sulla nuova provincia prevedendone la feconda bonifica spi-
rituale che vi avrebbero compiuto i suoi discepoli»44. In questo senso pote-
vano precisarsi ulteriori particolari della «misteriosa parola» del fondatore: «I
salesiani, come il loro Padre aveva predetto, furono chiamati alla nobile,
benché non facile, missione. E l’Istituto, per volere di Don Bosco sorto ac-
canto alla basilica del S. Cuore, è veramente diventato “la stazione centrale
per evangelizzare l’Agro romano”. Di lì infatti sono partiti i primi sacerdoti
inviati a Littoria, di lì ogni festa vengono inviati due preti in aiuto ai loro con-
fratelli dell’Agro, di lì sono impartite le direttive e procurati i soccorsi per la
grande impresa»45.
Nel breve volgere di pochi anni, mentre andavano progressivamente
spegnendosi i riflettori della propaganda fascista sull’Agro Pontino, quella
«grande impresa» si era ormai trasformata in un duro servizio quotidiano, che
la comunità salesiana di Littoria venne chiamata ad assolvere spesso al di là
delle proprie forze. Su un piano più generale, passato l’entusiasmo suscitato
soprattutto dalla canonizzazione del fondatore – ma va comunque ricordato
che proprio nella prima metà degli anni Trenta l’intero Paese espresse il mas-
simo consenso nei confronti del regime –, sarà invece la storia successiva a
42 Il Beato D. Bosco a Littoria, in «L’Opera salesiana in Novara», a. XII, n. 3, marzo
1934, p. 10.
43 La provincia di Littoria e una profezia di Don Bosco, in «L’Operaio Cattolico» del 30
dicembre 1934.
44 G. LUZI, La nuova provincia d’Italia nella parola profetica di Don Bosco, in «L’Osser-
vatore Romano» del 19 dicembre 1934, p. 3.
45 Ibidem.

2.4 Page 14

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484 Clemente Ciammaruconi
dimostrare quanto «parziale e precaria» fosse stata l’adesione dei salesiani
verso il fascismo e la politica di Mussolini46.
In conclusione di queste brevi note, mi pare importante riflettere su
un’interessante affermazione di Pietro Stella; in un suo recente scritto che sin-
tetizza i risultati di una ben più ampia ricerca sulla figura del fondatore, egli
ha evidenziato che «alla coscienza salesiana, così come a certe aree della reli-
giosità cattolica, don Bosco appariva (e appare) come chi aveva il dono di-
vino dello spirito profetico. In una visione storica più larga le sue predizioni
si collocavano (e si collocano) nella costellazione di mariofanie e di altre ana-
loghe manifestazioni che hanno segnato (e segnano) il cattolicesimo europeo
dalla rivoluzione francese ai nostri giorni»47.
Ebbene, la lettura di quanto pubblicato in ambito più o meno diretta-
mente salesiano rispetto all’assegnazione della parrocchia di Littoria, mi pare
che possa collocarsi proprio nel segno di un «profetismo» veicolato ad intra
per meglio leggere la realtà contingente della Congregazione applicando quel
procedimento già proprio dello stesso don Bosco, ma ripreso anche da altri,
che mirava a ricollegare a posteriori dei fatti specifici alle allusioni pur sfu-
mate e vaghe ad eventi futuri tipiche delle sue predizioni48.
In questo senso, anche quella «nuova conferma dell’abbondanza di doni
soprannaturali nel Santo»49, corrispondeva all’interpretazione ufficiale all’e-
poca conferita alle sue «misteriose parole» e ne accreditava l’esclusiva natura
di «visioni e vaticini celesti», senza lasciar spazio a letture meno semplifica-
trici, in grado invece di scorgervi auspici e speranze, magari espressi a livello
inconscio50.
Ma questo è un ambito di ricerca che rimanda a settori di studio diversi
da quelli qui praticati.
46 Esempi eloquenti in questo senso sono offerti da F. MOTTO, «Non abbiamo fatto che il
nostro dovere». Salesiani di Roma e del Lazio durante l’occupazione tedesca (1943-1944).
ISS, Studi, 12. Roma, LAS 2000.
47 P. STELLA, Don Bosco, p. 120.
48 P. STELLA, Don Bosco nella storia, p. 78.
49 G. LUZI, La nuova provincia d’Italia.
50 Per questa lettura si rimanda a P. STELLA, Don Bosco nella storia, pp. 199-200, con il
quale va rilevato che di tale chiave interpretativa si era fatto interprete lo stesso biografo di don
Bosco; cf E. CERIA, Don Bosco con Dio. Torino, SEI 1929.

2.5 Page 15

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I salesiani a Littoria tra accordo e consenso al regime fascista 485
APPENDICE
1) G. B. Don Lemoyne, Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco. V, Torino
1905, pp. 847-848.
«Ripassato il Tevere al ponte rotto, D. Bosco e gli altri dovettero ricoverarsi
sotto il vestibolo della chiesa di S. Maria in Cosmedin, ove si conserva la cattedra
sulla quale S. Agostino insegnò la rettorica. Quivi attesero che si calmasse un acquaz-
zone che inondava tutte le vie, e osservavano in una piazza, detta della bocca della
verità, molti buoi aggiogati che riposavano nel fango, esposti al vento e alla pioggia.
I bovari erano venuti sotto al medesimo vestibolo e si posero a pranzare con un appe-
tito invidiabile. Invece di minestra o pietanza avevano un pezzo di merluzzo crudo,
da cui ciascuno strappava un brano di mano in mano che gliene occorreva. Le loro
pagnotelle erano di segala e di meliga. Acqua la bevanda. Scorgendo in loro un’aria
di semplicità e di bontà, D. Bosco si avvicinò:
– Eh! avete buon appetito?
– Molto! – rispose uno di essi.
– Vi basta quel cibo a togliervi la fame e a sostentarvi?
– Ci basta; e grazie a Dio quando si può averne, giacché essendo poveri non
possiamo pretendere di più.
– Perché non conducete quei buoi nella stalla?
– Perché non ne abbiamo.
– Li lasciate sempre esposti al vento e alla pioggia, giorno e notte?
– Sempre, sempre.
– Fate lo stesso ai vostri paesi?
– Sì, facciamo lo stesso, perché abbiamo poche stalle; perciò o piova, o faccia
vento, o nevichi, giorno e notte stanno sempre all’aperto.
– E le vacche e i vitelli piccoli sono anch’essi esposti a tali intemperie?
– Egualmente. Tra noi si usa che gli animali di stalla stanno sempre in stalla, e
quelli che cominciano a stare fuori, se ne stanno sempre fuori.
– State molto lontano di qui?
– Quaranta miglia.
– Nei giorni festivi potete assistere alle sacre funzioni?
– Oh! chi ne dubita? Ci abbiamo la nostra cappella, ci abbiamo il prete che ci
dice messa, fa la predica e il catechismo, e tutti comunque lontani si danno premura
d’intervenire.
– Andate anche qualche volta a confessarvi?
– Oh! senza dubbio. Ci sono forse cristiani che non adempiono questi santi do-
veri? Adesso ci è il giubileo e noi tutti ci daremo sollecitudine di farlo bene.
Da questi discorsi appariva la buona indole di quei paesani, i quali vivono con-
tenti della loro povertà e lieti del loro stato, purché possano adempire i doveri di buon
cristiano e disimpegnare ciò che riguarda l’umile loro mestiere. Mentre essi parla-
vano, D. Bosco pensava al gran bene che avrebbero fatto continuate missioni apo-
stoliche nella vastità dell’agro Romano, pensiero che non lo abbandonò più nel corso
intero della sua vita».
[6 marzo 1858]

2.6 Page 16

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486 Clemente Ciammaruconi
2) E. CERIA, Memorie biografiche del Beato Giovanni Bosco 1879-1880. XIV,
Torino 1933, pp. 591-592.
«Ma Don Bosco mirava lontano. Il nostro monsignor Giovanni Marenco ricor-
dava una sua misteriosa parola, che il tempo non deve coprire di oblio. Nel giorno
stesso in cui accettò quell’onerosissima offerta, il Beato gli domandò:
– Sai perché abbiamo accettato la casa di Roma?
– Io no, rispose quegli.
– Ebbene, sta attento. L’abbiamo accettata perché quando il Papa sarà quello
che ora non è e come deve essere, metteremo nella nostra casa la stazione centrale per
evangelizzare l’agro romano. Sarà opera non meno importante che quella di evange-
lizzare la Patagonia. Allora i salesiani saranno conosciuti e risplenderà la loro gloria.
Contenevano queste parole un vaticinio? Oggi intanto il Papa non è più quello
che era allora, ma è come dev’essere. Quanto al resto, il tempo darà la risposta. Ma,
o vaticinio o no, splende qui se non altro un lampo dello zelo che ardeva perenne
in cuore al nostro Beato Padre, che, mentre a talune imprese metteva mano, altre ne
vagheggiava».
[5 aprile 1880]