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LE METAMORFOSI DELL’ORATORIO SALESIANO
TRA IL SECONDO DOPOGUERRA
E IL POSTCONCILIO VATICANO II (1944-1984)
Pietro Braido *
Introduzione: la “rivoluzione oratoriana” in decenni di impetuosi cambi
sociali ed ecclesiali
Il periodo delle vicende degli oratori o, come si vedrà, soprattutto del-
l’idea dell’oratorio visto alla luce di più ampi sviluppi degli interessi salesiani
per l’educazione dei giovani – la pastorale, la catechesi –, abbracciato in
questo contributo conclusivo (1944-1984) riporta la ricostruzione storica a
livelli differenti dalla considerazione essenzialmente “italiana” delle puntate
precedenti.
Inizia con i tragici anni della soluzione finale dell’immane conflitto
mondiale e del confuso primo dopoguerra per spingersi fino a poco più di un
decennio dalla fine del secolo. Per il biennio 1944-1945, si pensi anche solo
per l’Italia, sede del governo centrale salesiano, allo sfacelo morale e politico
seguito alla caduta di Mussolini il 25 luglio 1943, all’occupazione tedesca
conseguente all’armistizio stipulato tra il precario e screditato governo ita-
liano, dislocato a Salerno, e gli angloamericani, al costituirsi della repubblica
fascista di Salò, alle deportazioni ed eccidi di massa, alla duplice guerra
esterna ed interna.
La fine della guerra significava semplicemente pace tra i belligeranti,
che si trovavano dinanzi a giganteschi problemi morali, sociali, economici.
Già impressionante risultava il tributo di morti dato alla guerra dalle grandi
parti del globo direttamente interessate: Europa e Stati Uniti, Asia e regioni
del Pacifico. I morti sono calcolati sui 55.500.000, cifra nella quale i civili su-
perano di 10.000.000 i militari. Immani furono anche le devastazioni mate-
riali e, eccetto in Gran Bretagna e Stati Uniti, rilevanti le distruzioni di comu-
nità civili e politiche.
Mutava profondamente anche l’assetto internazionale, con la spartizione
su vasti territori dell’antitetica egemonia dell’URSS e degli USA espressa dalla
* Salesiano, professore emerito dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, già diret-
tore dell’ISS.

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296 Pietro Braido
costituzione dei due grandi blocchi della NATO e del COMECON e dalla conse-
guente pluridecennale “guerra fredda”, in qualche modo mitigata dalla na-
scita, tra il 1945 e il 1946, della grande coalizione dei popoli nell’ONU.
Il mondo è sulla via di un riassesto politico, economico, sociale: fine dei
colonialismi, stati indipendenti, espansione del comunismo con forte connota-
zione atea e persecutoria dall’URSS e i paesi europei satelliti alla Cina, alla
Corea del Nord, al Vietnam, al Laos, alla Cambogia, a Cuba; in Italia con un
partito comunista sempre più forte e combattivo seppure entro il quadro isti-
tuzionale democratico. Esso vive anche lo straordinario fenomeno dell’emer-
gere di tre uomini differentemente innovatori in sotterranea sintonia nella ri-
cerca della pace: Kruscëv, Giovanni XXIII con preludi di disgelo, John Ken-
nedy (assassinato il 22 nov. 1963). Vi si affianca la magica stagione del Vati-
cano II (11 ottobre 1962 - 8 dicembre 1965), mentre l’Europa si arricchisce
sempre più con organismi di unificazione: la CED, il MEC, l’EURATOM.
Il Concilio Vaticano II veniva a produrre, non senza profondi interni
contrasti tra i protagonisti, una inimmaginabile svolta nella vita della Chiesa.
Tuttavia esso era celebrato, con prevalenti smisurate speranze, in anni fonda-
mentalmente propizi: straordinario sviluppo economico, prima distensione in-
ternazionale nel quadro della guerra fredda. Ma, finito il Concilio, il contesto
storico mutava rapidamente, indotto anche dall’affermarsi di benessere e di
prosperità, con il corollario – positivo e negativo – dell’urbanizzazione e
della società di massa. Si accentuavano fenomeni dalle radici secolari. Una
estesa secolarizzazione, le cui avvisaglie erano già nettamente percepibili
negli anni Cinquanta, e un più rapido processo di scristianizzazione investi-
vano massicciamente molti paesi di antica e declinante cristianità. Il mondo
di cultura occidentale tra gli ultimi anni ’60 e gli anni ’70 è attraversato, con
uno iato profondo rispetto ai primi anni ’60, da rapide trasformazioni di na-
tura economica, politica, sociale, culturale. In un decennio si passa dal boom
economico alla recessione economica degli anni ’70. Si ha un vero trapasso di
civiltà. Ne fu espressione significativa la “contestazione globale” degli anni
1968-1969. In Italia si passava dalla “strategia della tensione” (1969) all’ir-
rompere del terrorismo, che si prolungherà fino agli inizi degli anni ’90.
L’impetuosa secolarizzazione deludeva le fervide speranze di una effettiva
nuova evangelizzazione1.
1 Cf N. BUONASORTE, Tra Roma e Lefebvre. Il fondamentalismo cattolico italiano e il
Concillio Vaticano II. Roma, Edizioni Studium 2003, Prefazione del prof. Roberto Morozzo
della Rocca, pp. 18-20. Vengono citati noti studi di G. Verucci, D. Menozzi, G. Miccoli, É.
Poulat, R. Rémond.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 297
Ma era anche per cause endogene che nella Chiesa e nelle sue articola-
zioni, quali gli ordini e le congregazioni religiose, il post-concilio si presen-
tava altamente problematico. Infatti, già in esso si era determinata una recisa
opposizione alle innovazioni da parte di una minoranza, in alcune frange, tra-
dizionalista, quando non addirittura fondamentalista. Anche per questo l’ap-
plicazione dei dettati conciliari si trovava a dover fare i conti con due antite-
tici fenomeni: le indisciplinate fughe in avanti dei più irrequieti innovatori e
le tenaci resistenze degli irriducibili resistenti.
Nel 1978 si succedono a pochi mesi di distanza il rapimento e l’ucci-
sione di Aldo Moro (15 marzo - 9 maggio), la morte di Paolo VI (6 agosto), il
breve papato di Giovanni Paolo I (26 agosto - 28 settembre), e l’elezione di
Giovanni Paolo II (16 ottobre 1978). In Italia, dopo la legge del divorzio con-
fermata dal referendum (1974) si ha la legge sull’aborto (1978). Il papato di
Giovanni Paolo II dava inizio ad un periodo di “stabilizzazione” della vita
ecclesiale, già debolmente accennato con eccezionale equilibrio e sapienza
da Paolo VI. Esso era orientato ad armonizzare nella vita ecclesiale le inno-
vazioni indotte quasi all’unanimità dalla grande assemblea conciliare con
l’organico sviluppo secolare della Tradizione.
La Società salesiana non resta estranea a tali processi, con una sempre
più accentuata internazionalizzazione delle mentalità, del governo, delle strut-
ture, delle prospettive nel valutare e decidere le forme e i metodi dell’eser-
cizio della propria missione. Per quanto riguarda, però, gli oratori e l’istru-
zione catechistica al loro interno negli anni 1944-1965 non ci sono sostanziali
variazioni rispetto alla linea tradizionale ricaldoniana. Dei cambi avvenuti a
partire dal Concilio Vaticano II, invece, risentirà in misure elevate la stessa
concezione dell’oratorio e dei circoli giovanili e delle attività in essi prefigu-
rate nelle diverse dimensioni: pastorale, catechistica, ricreativa, sociale. Sa-
rebbe impresa impossibile ed anche poco ragionevole pretendere di curarsi
ancora di cronache di singoli oratori, che tra l’altro dovrebbero abbracciare
non più solo l’Italia ma l’intera ecumene salesiana. Si ripiegherà, invece,
sulla ricostruzione dell’evolversi dell’idea dell’oratorio, quale risulta essen-
zialmente dalle riflessioni e decisioni dei due massimi organi direttivi della
Società salesiana: i Capitoli generali quanto agli orientamenti e alle delibera-
zioni normative di portata universale e gli Atti del Capitolo Superiore, detto
successivamente Consiglio Superiore e Consiglio Generale, non per ragioni
puramente lessicali.

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298 Pietro Braido
1. Un biennio bifronte: tra operosa attesa della pace e inizio della rico-
struzione
Dal numero 104 di aprile-marzo 1941 al n. 133 del gennaio del 1946 gli
Atti del Capitolo Superiore diventano monopolio di don Ricaldone. Forse, per
la tragicità degli eventi il Superiore volle avocare a sé le comunicazioni ai
confratelli raggiungibili. Ma sembra lecito pensare che lo avesse indotto
anche o soprattutto la volontà di controllare al massimo le informazioni in
modo da evitare qualsiasi pur minimo slittamento, che potesse tradire prefe-
renza per l’uno o per l’altro schieramento.
1.1. Speranze di pace dopo lo sbarco ad Anzio e l’entrata a Roma degli
Alleati (22 gennaio - 4 giugno 1944)
All’inizio del 1944 don Ricaldone raccomandava “grande rispetto per
tutte le autorità”, di non occuparsi di politica e di permettere che se ne par-
lasse negli istituti salesiani. Cauto, aggiungeva: “Mai la prudenza è stata tanto
necessaria: badate alle persone che entrano in casa: siate molto guardinghi
prima di parlare e di agire”2. Ciò si rivelava ancor più doveroso nel biennio
1944-1945, quando l’atmosfera si era arroventata e le forze occupanti, esa-
sperate per le aggressioni e man mano consapevoli della disfatta, conduce-
vano azioni di rappresaglia sempre più frequenti e atroci. È comprensibile che
gli stessi avvertimenti si ripetessero a brevi intervalli. In aprile dava come
“Ricordo” dei prossimi Esercizi spirituali “Prudenza nel giudicare, nel parlare
e nell’agire” e commentava: “Sono tanti i pericoli di essere fraintesi, sorpresi
e d’incappare nei lacci tesi ovunque; che forse mai come oggi si rende neces-
saria una circospezione, una vigilanza, un controllo di ogni nostra parola ed
azione, tali da metterci al riparo da ogni sospetto o da ogni interpretazione
meno benigna: E se ciò è necessario in questo momento può esserlo ancor di
più in un prossimo avvenire”. “Si evitino le conversazioni di cose anche lon-
tanamente politiche” aveva anticipato poche righe prima3. Nel presentare
come strenna per il 1945 la “Massima prudenza nelle parole e nelle opere”,
precisava: “Essa è intonata alle circostanze in cui viviamo, e l’esperienza di
ogni giorno ci dice quanto sia, più che opportuna, necessaria”4.
La prudenza “politica”, però, non era un fine, bensì la condizione perché
la Congregazione potesse svolgere al massimo grado possibile e nella gamma
2 Cf ACS 24 (1944) n. 121, gennaio-febbraio, p. 318.
3 Cf ibid., n. 122, marzo-aprile, pp. 327-328.
4 Cf ibid., n. 126, novembre-dicembre, p. 356.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 299
più ampia le proprie attività assistenziali, educative, catechistiche, anzitutto in
favore dei giovani dei collegi e degli oratori e del popolo, specialmente della
classe operaia. Esse trovano pressanti motivazioni e forti condizionamenti
dalle vicende belliche, nelle quali si intrecciano le quotidiane operazioni del-
l’esercito di occupazione, le azioni di difesa e offesa dei numerosi gruppi di
resistenti e partigiani, le diurne e notturne azioni delle aeronautiche degli Al-
leati e la lenta avanzata dei loro eserciti dal Sud al Nord Italia. Non si contano
i bombardamenti, le distruzioni, le vittime, gli sfollamenti.
Don Ricaldone governa con mano ferma queste situazioni, intensifi-
cando insieme le espressioni già iniziate della “Crociata Catechistica”, anche
grazie al gruppo dinamico del Centro Catechistico da lui animato, ed arric-
chendo di nuove forme l’azione pastorale tra gli adulti e le famiglie. Alla rac-
comandazione di prudenza “politica” seguiva l’esortazione all’impegno bene-
fico, catechistico e pastorale: “Per ultimo vi esorto a prestarvi generosamente
per il lavoro in favore degli operai, del popolo, dei poveri. Diffondete le
buone letture, e in particolare la collana Lux e quella Veritas che speriamo
iniziare presto per le persone colte”. La dedizione generosa, insieme al
“tremendo lavacro di sacrifici e di sangue”, dovunque in atto, avrebbe reso
“feconde le prossime iniziative di ricostruzione”5.
Per le due collane egli si affannava a coinvolgere nella composizione di
libri appropriati a destinatari culturalmente esigenti varie categorie di esperti,
tra cui i docenti del Pontificio Ateneo Salesiano. Il 24 giugno destinava ad
essi una lunga lettera6, che desiderava fosse “letta e presa in considerazione
da tutti, specialmente dai Professori” degli “Studentati Teologici e Filosofici”
e dei “Licei e Ginnasi” e di quanti si sentissero predisposti “all’apostolato
della penna”7. Sollecitando l’adesione, precisava i compiti partendo dalla de-
nuncia del male capitale da curare, l’ignoranza religiosa. “Ora – diceva –,
volgendo l’attenzione ai tempi nostri, è forse questo il momento opportuno di
rilevare che uno degli insegnamenti più dolorosi della presente guerra è la
rinnovata e sempre più sconfortante constatazione di una ignoranza religiosa
così supina tra le masse operaie e a volte tra le stesse persone colte (…); igno-
ranza che in troppi casi conduce alla conculcazione dei più alti valori morali e
talvolta degli stessi principi più elementari del diritto e dell’onestà naturale.
Né dobbiamo stupirci che si bestemmi e, ciò che più duole, praticamente si
conculchi, ciò che s’ignora”. Restava ancora “da trattare tutta una serie di
punti e problemi importantissimi che interessa[va]no il Dogma, la Morale, la
5 Cf ibid., n. 121, gennaio-febbraio, p. 318.
6 Cf ibid., n. 123, maggio-giugno, pp. 334-342.
7 Cf ibid., n. 124, luglio-agosto, p. 348.

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300 Pietro Braido
Sacra Scrittura, il Diritto Ecclesiastico e Civile, la Storia nelle sue differenti
forme, la Filosofia, la Sociologia, la Pedagogia, la Psicologia e altre scienze”.
Non precisava oltre, ma affidava a ciascuno il compito di individuare i temi
connessi con la propria specializzazione, che rispondessero ai bisogni più at-
tuali e urgenti e riuscissero funzionali al ricupero alla fede dei destinatari.
Concludeva appassionato: “Sorga quanto prima, anche per opera nostra, cri-
stianamente ricostruita quella società rinnovellata, nella quale Gesù Cristo
vinca, regni, imperi”8.
Si presenta di forza alla ribalta anche l’oratorio festivo e quotidiano. Av-
viene in modo paradigmatico a Roma, dove, in previsione di un isolamento
del Capitolo superiore a seguito di una probabile divisione dell’Italia tra i due
fronti dei belligeranti, verso la fine di ottobre 1943 vi si era trasferito il pre-
fetto generale don Pietro Berruti, affiancato dal direttore spirituale generale
don Tirone e dal consigliere delle scuole professionali don Candela. Avreb-
bero costituito a Roma una sezione distaccata del Capitolo di Torino, con a
capo don Berruti a cui il Rettor Maggiore aveva conferito i suoi stessi poteri,
rimanendovi fino agli ultimi giorni del maggio 19459. Con l’arrivo degli al-
leati, la capitale si trovava invasa da un’enorme massa di giovani totalmente
“abbandonati”, senza disciplina e regole di vita, creando l’incontrollabile
esercito dei “ragazzi di strada”. Don Berruti sentì acuto il problema e me-
diante circolari, realistiche e coraggiose, moltiplicò i contatti con gli ispettori
salesiani d’America e dell’Europa libera per far fronte alle rilevanti spese, ne-
cessarie per “apprestare strutture idonee a giovani orfani, privi di casa, di ali-
mento, di vestito, di tutto”, “lustrascarpe, venditorelli di sigarette, portaba-
gagli, guide”, tra cui molti “avviati precocemente al vizio (…), al furto”, al-
l’ozio e al vagabondaggio. In primo piano, ovviamente, balzava l’Oratorio,
luogo privilegiato di raccolta, di sussistenza, di ricreazione e, lentamente, di
ricupero umano, morale e religioso. Ne scriveva nella terza delle sei circolari
diramate dal 16 giugno 1944 al 1° maggio 1945, perfezionando il riferimento
all’oratorio festivo nella successiva10. Oltre gli indispensabili orfanotrofi, per
i “ragazzi di strada” si rivelava provvidenziale l’Oratorio festivo, natural-
mente adattato alle loro “particolari condizioni”. Era necessario limitarsi ad
un programma minimo, riuscendo “almeno a far conoscere le verità fonda-
mentali della Religione”: programma minimo quanto alla permanenza dei
8 Ibid., n. 123, maggio-giugno, pp. 334, 338, 342.
9 Per una visione sintetica dell’intensa attività di “governo” irraggiata da Roma da don
Berruti, cf Don Pietro Berruti. Luminosa figura di Salesiano. Testimonianze raccolte dal sac.
Pietro Zerbino. Torino, SEI 1964, pp. 436-503.
10 Circolare N. 3, 4 novembre 1944, p. 4.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 301
giovani, quanto a ciò che si pretende e a ciò che si fa; “non dobbiamo fare di
quei poveri ragazzi degli Aspiranti di A.C. o dei Domenico Savio”, osservava.
A poco a poco si sarebbero raggiunti traguardi più alti; infatti, urgeva pure
“un lavoro di preservazione per gli altri giovani che fortunatamente non si
trova[va]no nei pericoli dei ragazzi della strada”11. Completava volutamente
il discorso con sorprendente vigore nella circolare susseguente. Era soprat-
tutto rivolto ai direttori di convitti e di esternati con oratorio annesso. Essi do-
vevano favorire ciò che era assolutamente necessario: personale, mezzi, lo-
cali. Seguiva un franco e austero appunto critico: “Molti si sono adagiati alla
scuola: l’orientamento preferito è l’internato e l’esternato. Sono più facili e
più incomodi (…). Ma i tempi sono cambiati. Oggi molti debbono lasciare la
scuola per andare nelle vie e nelle piazze in cerca dei ragazzi cenciosi e male-
ducati; bisogna abbandonare la camera e la biblioteca per giocare coi monelli
e far loro il catechismo; dobbiamo ridurre le spese e dimezzare la refezione
per sfamare gli orfani e per riuscire ad avere i mezzi coi quali attirare i ra-
gazzi della strada. Perciò dobbiamo affiancare ad ogni collegio un fiorente
oratorio, non come servo pedissequo, ma come fratello, partecipe degli stessi
diritti, delle stesse cure affettuose del personale, della stessa predilezione dei
superiori”. Il Direttore doveva preoccuparsi soprattutto devolvendovi il perso-
nale salesiano sufficiente, senza cui non erano possibili le Compagnie, il Pic-
colo Clero, l’A.C., la Filodrammatica, la Schola Cantorum, le Conferenze di
S. Vincenzo; e mobilitando gli ex-allievi e l’A.C.12. Segnalava, infine, un gran
numero di forme inedite di oratori, anche tre annessi alla stessa casa, messi
in opera da salesiani generosi e intraprendenti a Messina, a Hoboken,
nel Belgio, a Macerata, nel Quarticciolo a Roma, a Ravenna, e, su tutti, nel-
l’Ospizio del S. Cuore a Roma13.
1.2. Estensioni e diramazioni della Crociata Catechistica dal crepuscolo al
sorgere di un giorno nuovo
L’oratorio o meglio l’Oratorio aveva ancora il primato nell’attenzione
del Rettor Maggiore agli inizi del 1945. Con un anticipo di un anno annun-
ciava la ricorrenza del 12 aprile 1946, che segnava il compimento dei
cent’anni dell’impianto a Torino Valdocco del primo oratorio di don Bosco,
“la culla e la Casa Madre di tutte le Opere Salesiane”, base duratura
11 Circolare N. 4, 24 gennaio 1945, pp. 5-6, 10.
12 Circolare N. 5, 24 marzo 1945, pp. 7-11.
13 Circolare N. 6, 1° maggio 1945, pp. 3-7.

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302 Pietro Braido
dell’”Opera degli Oratori Festivi” e delle scuole, ospizi, internati, che da essi
trassero gli inizi. Ne sottolineava l’eccezionale significato per il patrimonio di
idee e di opere della Famiglia Salesiana. L’Oratorio – scriveva –, era per i
“Salesiani il più insigne reliquiario delle virtù, degli esempi, degl’insegna-
menti, delle opere, dello spirito, del sistema educativo” del Fondatore e “l’a-
spirazione, lo sforzo indefesso, la soddisfazione e la gioia più pura” dei sale-
siani che si erano sparsi per il mondo a fondare nuove opere “fu sempre
quella di riprodurre e vivere in tutto e soprattutto la vita dell’Oratorio”. “Tutte
le Case salesiane sono sorte a immagine e somiglianza dell’Oratorio e si sono
sforzate in ogni tempo di rendersi sempre e in tutto il più conformi possibile
al primo modello elaborato dalla mente e dal cuore di Don Bosco”14. Si po-
trebbe dire che quanto affermava don Ricaldone era il preludio di altre ana-
loghe espressioni, che ritroveremo più avanti: l’Oratorio paradigma, criterio
oratoriano, cuore oratoriano. “Don Bosco l’ha fatto il cuore delle sue istitu-
zioni; ed i successori gli hanno mantenuto questa funzione vitale”, scriveva
il redattore del Bollettino, introducendo la cronaca della commemorazione
ufficiale del 16 giugno 194615.
In certo senso rispondeva anche alla realtà, dal momento che l’impulso
“oratoriano” ampliava e differenziava sempre più la gamma dei destinatari e
le modalità degli interventi. Se ne trovano frequenti informazioni nel Bollet-
tino, in mesi sempre più travagliati, soprattutto a partire dall’occupazione del-
l’Italia da parte delle truppe tedesche e dagli sbarchi alleati nella penisola in
Sicilia e in Calabria. Si infittiscono e aggravano i bombardamenti indiscrimi-
nati, le distruzioni, gli sfollamenti, le difficoltà degli approvvigionamenti, il
moltiplicarsi dei profughi e, insieme, affiora sempre più vigoroso il proseli-
tismo tra le masse operaie e degli indigenti delle idee socialiste e comuniste,
con commistioni di anticlericalismo, di irreligiosità ed ateismo. Urgeva, se-
condo don Ricaldone, “ricondurre a Dio con la parola, con l’apostolato, con
la preghiera, soprattutto con l’esempio, i fratelli disorientati e sconvolti”. Era
l’imprescindibile fondamento di ogni “ricostruzione finanziaria, agricola, in-
dustriale, assicurativa, sociale”. Proponeva per il nuovo anno di lavorare “per
diffondere nel popolo, e in modo speciale tra gli operai delle industrie e dei
campi, le verità della Fede”, e far conoscere le sollecitudini di Pio XII “a soc-
corso di tutti coloro che soffrono”, adoperandosi “a tale scopo con la parola e
con la diffusione di foglietti e libretti speciali”. Vi faceva subito eco il Bollet-
tino scrivendo del Successo di una iniziativa, la collana Lux, già con i primi
14 Cf ACS 25 (1945) n. 127, gennaio-febbraio, pp. 358-364.
15 BS 70 (1946) n. 8, 1° agosto, p. 121.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 303
16 libretti e 15 foglietti, e di Cristo in mezzo agli operai, le più svariate forme
di apostolato svolte anche dai salesiani16.
Gli editoriali del Bollettino erano annuncio di vittoria, ma insieme di
precisi programmi di ricostruzione morale, religiosa e civile: Campane so-
nate!, Ripresa, Rieducazione, Riabilitazione17. Facevano eco al Pax vobis!,
con il quale il Rettor Maggiore apriva le prime due circolari inviate ai sale-
siani dopo la fine della guerra. Erano indicate le inderogabili condizioni per
collaborare alla ricostruzione: il ritorno “alla vita normale”, “una aspirazione
ardente di perfezione” spirituale, “santo e sereno entusiasmo” nel ricomin-
ciare, l’attività “ponderata, serena, prudente”, “ma al tempo stesso risolu-
tezza, costanza, fiducia illimitata e prestazione generosa”18. La breve circo-
lare successiva era diretta a indicare i mezzi da mettere in opera dai salesiani
per garantire forte interiorità a tali impegni19. Concludeva l’anno fornendo un
provvisorio bilancio dei salesiani caduti in guerra o feriti (complessivamente
più di 700) e del rilevante numero delle Case e delle Chiese totalmente di-
strutte o gravemente danneggiate20.
Ma più avanti non mancava di informare anche su cose positive. Toc-
cava il tema a lui più caro: il movimento catechistico attuato attraverso l’Uf-
ficio Catechistico Centrale e la Libreria della Dottrina Cristiana. La rivista
Catechesi usciva “in due edizioni: la prima per gli Oratori Festivi e le Scuole
parrocchiali ed elementari, la seconda per le Scuole medie”. Con intenti cate-
chistici, educativi e ricreativi era stata pure lanciata dalla medesima editrice
“la rivista Voci Bianche, di pratico aiuto ai maestri di musica e agli incaricati
del teatrino” degli Istituti e Oratori salesiani. Soprattutto raccomandava la dif-
fusione tra le masse operaie e le persone colte delle Collane Lux, Fides, Ful-
gens, ecc., efficaci strumenti – ribadiva – per “dissipare l’ignoranza religiosa,
che fa strage e propaga la corruzione tra la gioventù e ogni ceto sociale”. Poi,
a imitazione di tutti sottolineava il forte impegno dei componenti l’Ufficio
Catechistico Centrale, che nel corso dell’anno si erano “prodigati nel fare
conferenze di pedagogia e didattica catechistica, nel tenere corsi speciali di
catechetica, nel partecipare a Congressi e nel far conoscere gli abbondanti
sussidi didattici” editi dalla Libreria della Dottrina Cristiana a profitto “dei
16 BS 68 (1944) n. 1, gennaio, pp. 4-9; per alcune iniziative analoghe, cf BS 68 (1944)
n. 3, marzo, p. 29; n. 5, maggio, p. 54; n. 6, giugno, p. 65; n. 9, settembre, pp. 81-82; n. 12,
dicembre, p. 90; BS 69 (1945) n. 1, gennaio, pp. 1-2; n. 3, marzo, pp. 9-10.
17 Cf rispettivamente BS 69 (1945) n. 4, aprile-maggio-giugno, pp. 15-19; n. 5, luglio-
agosto, p. 25; n. 6, settembre-ottobre, p. 33; n. 7, novembre-dicembre, p. 45.
18 Cf ACS 25 (1945) n. 129, maggio-giugno, pp. 374-380.
19 Cf ibid., n. 130, luglio-agosto, pp. 382-384.
20 Cf ibid., n. 132, novembre-dicembre, p. 398.

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304 Pietro Braido
Sacerdoti, dei catechisti, delle scuole di Catechismo e degli Oratori festivi”.
Sottolineava, infine, il bisogno che in ogni Ispettoria sorgesse “un gruppo di
scelti conferenzieri, esperti nella pedagogia, nella didattica, nell’insegna-
mento catechistico, nel modo di organizzare praticamente gli Oratori Festivi
e, in questi, le Scuole della Dottrina Cristiana”21.
2. Il meriggio operoso di don Ricaldone nel consolidamento della “Cro-
ciata Catechistica”
Il protagonista della grande “Crociata” verso la fine del 1946 vedeva fi-
nalmente debellata l’atroce malattia al trigemino, iniziata nel 1930, proseguita
saltuaria negli anni ‘30, ripresa con particolare veemenza e senza interruzione
dal 1941 al 1946, e vissuta con sovrumano autodominio, illimitata dedizione
alle proprie responsabilità di governante, nobile riserbo e totale conformità al
Cristo. E fu, certo, anche ciò sorgente di rinnovate energie nell’ultimo quin-
quennio di vita, intensamente operoso, pur segnato da altri disturbi di salute,
soprattutto cardiaci, che l’accompagnarono fino alla morte.
2.1. Continua la Crociata Catechistica in anni di urgenze sociali e pastorali
La “Crociata” non era stata una meteora, ma continuava a ritmo veloce
con crescente qualificazione. Né poteva essere diversamente con un simile
promotore, che consolida e incoraggia. Anzi dilata la cerchia degli interessi,
continuando con tenacia l’opera di animazione attraverso le strenne e i
sempre più corposi commenti, la redazione di libri sulle virtù religiose e i
voti, concludendo alle soglie della morte con i due volumi su Don Bosco edu-
catore (1951-1952). Era ciò che almeno in parte gli aveva permesso di ov-
viare con intensa operosità al parziale isolamento causato dalla seconda
guerra mondiale. Egli concluse l’esistenza il 25 novembre 1951 come un
paterfamilias e patriarca ritenuto pressoché insostituibile. Il gran lavoro di
promozione vocazionale, nonostante i molti morti in guerra, aveva portato i
professi della Società salesiana a 15.182.
L’aveva assillato nell’ultimo quinquennio l’affermarsi in Italia del co-
munismo ateo e forze anticattoliche tese a intaccare l’integrità della persona
di Pio XII, sminuendo e falsando la sua azione pastorale nel corso del con-
flitto. Perciò rivolgeva ai salesiani pressante invito “a spiegare, a mezzo di
21 Cf ACS 26 (1946) n. 136, luglio-agosto, pp. 35-37.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 305
predicazioni, conferenze, congressini, accademie, scritti, foglietti, proiezioni,
le benemerenze dei Papi nel corso dei secoli e, in particolare, l’opera sa-
piente, caritatevole, paterna svolta verso tutti e dappertutto” da Pio XII du-
rante e dopo la guerra. Allo scopo stabiliva per tutte “le Case e Oratori Sale-
siani” “una giornata di preghiere secondo le intenzioni del Papa con predica
appropriata” e, nel pomeriggio un’apposita tornata accademica22. Poco avanti,
a tutta la Società salesiana, impegnata anche nel corso della guerra nella Cro-
ciata Catechistica proponeva “come modello e protettore nell’impartire ai
giovani e ai fedeli l’istruzione religiosa” il beato Giuseppe Cafasso che il 22
giugno sarebbe stato canonizzato. Era uno stimolo a sforzarsi al massimo per
adottare nelle parole e negli scritti “la massima chiarezza e semplicità” nel
“far conoscere e praticare le verità della Dottrina Cristiana, soprattutto fra la
gioventù e le masse operaie”23.
2.2. La prevalenza sull’oratorio dell’istruzione catechistica nel CG XVI
(1947)
Il capitolo generale XVI fu convocato a Torino Valsalice con circolare
del 3 novembre 1946. “L’orrenda guerra” ne aveva impedito la celebrazione
nel 1944 e la Congregazione dei Religiosi autorizzava a rimandarlo a tempi
più tranquilli24. Era nominato Regolatore ancora don Ziggiotti. Lo scopo prin-
cipale era l’elezione dell’intero capitolo superiore. Il tema principale da trat-
tare era così formulato: “Come adeguare praticamente alle esigenze dell’ora
presente le nostre attività di figli di san Giovanni Bosco”. Sarebbe stato di-
viso in cinque punti: 1° Istruzione catechistica; 2° Pratiche religiose; 3° Be-
neficenza; 4° Modestia cristiana; 5° Divertimento. Seguivano le consuete
Proposte varie. Per ogni titolo era fornita una breve traccia per la discus-
sione25. Dell’importante assise salesiana postbellica – la decima a cui don Ri-
caldone partecipava – il Superiore presentava un resoconto ufficiale con let-
tera del 24 ottobre 1947, Breve cronistoria. Deliberazioni e raccomandazioni
del XVI capitolo generale26. Vi parteciparono 110 membri e i lavori con 28
sessioni deliberative durarono dal 24 agosto all’11 settembre. Le elezioni con-
fermarono tutti i membri del precedente capitolo. Per ciascun tema si vollero
22 Cf ACS 27 (1947) n. 139, gennaio-febbraio, pp. 3-4.
23 Cf ibid., n. 140, marzo-aprile, pp. 7-9.
24 Cf ACS 26 (1946) n. 135, maggio-giugno, p. 22.
25 Ibid., n. 137, settembre-ottobre, pp. 47-51.
26 Ibid., n. 143, settembre-ottobre 1947, 87 p. Degli Atti furono mandate due copie a tutte
le case, ASC 28 (1948), n. 145, gennaio-febbraio, p. 3.

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306 Pietro Braido
differenziati tre ordini di conclusioni operative: 1° le deliberazioni definitiva-
mente prese; 2° le più rilevanti particolarità (constatazioni e dati di fatto)
emerse nel corso delle varie discussioni; 3° le osservazioni d’indole generale
desunte dai brevi discorsi, con i quali don Ricaldone soleva conchiudere le
sedute o interloquiva nelle discussioni, spesso con ricorso autorevole a prin-
cipi enunciati da don Bosco o con personali direttive di azione. Quanto alle
pratiche di pietà, al seguito di ragioni pro e contro in rapporto alla “mentalità
spesso contraria dei ragazzi”, si manteneva per gli interni l’obbligo delle due
messe festive, di “comunità” e la “seconda Messa” o “cantata o letta con
l’Ufficio della Madonna, o dialogata, o con la spiegazione liturgica durante la
Messa stessa, come si crederà meglio”, e veniva generalizzato l’obbligo della
messa quotidiana anche per gli esterni, che anche don Ricaldone aveva soste-
nuto con molta energia: “Noi non siamo obbligati a ricevere nelle nostre
scuole tutti i ragazzi”, giustificava, “al posto di quelli” che non verranno,
“siatene certi, ne verranno altri, perché il nostro insegnamento è molto ap-
prezzato”27. Drastiche erano le prese di posizione contro le forme di immode-
stia, compresi “il nudismo e l’immodestia dell’abbigliamento tra le associa-
zioni ginnastiche, sportive, ricreative, scoutistiche”. Rigide sono le delibera-
zioni sul vestiario, i bagni e le piscine [sui bagni si è aggiunta un’appendice
con norme molto particolareggiate28, sulla “piaga dei giornali, giornalini, ri-
viste e altre pubblicazioni immorali o solamente troppo libere”, che don Ri-
caldone aveva appoggiato con particolare vigore]29. Analoghe erano le delibe-
razioni relative alle forme e tendenze nuove riguardo ai divertimenti: il tea-
trino, le accademie, il cinema, la radio, le vacanze, i giochi, con invito a mo-
derazione per gli sports e in particolare per il gioco del calcio e i relativi
tornei, riserve sul cinema. Don Ricaldone ribadiva le deliberazioni prese, ini-
ziando col dire che il tema dei divertimenti non era “inferiore al tema stesso
della modestia cristiana, perché disgraziatamente il demonio si serve del di-
vertimento per corrompere i cuori e contaminare i costumi”, soprattutto del
cinema definito “il nemico numero uno della moralità” con la sua “influenza
satanicamente malefica”: “le rovine che va accumulando dappertutto – di-
chiarava –, sono tali, da farci seriamente temere per la vita morale e cristiana
delle generazioni presenti”30. Si era anche deliberato circa il direttore degli
oratori annessi a Case che avevano anche la parrocchia: il capo dell’oratorio
doveva essere il direttore della Casa, non il parroco; quanto alla parrocchialità
27 Cf ibid., pp. 37-38 e 42-45.
28 Cf ibid., n. 143, p. 85.
29 Cf ibid., pp. 48-54.
30 Cf ibid., pp. 55-65.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 307
si ammetteva che il parroco potesse esercitare la sua influenza intervenendo
nei momenti più importanti della vita dell’Oratorio31. Alla conclusione del ca-
pitolo don Ricaldone osservava che esso aveva lasciato in tutti i membri una
graditissima impressione per tre motivi: perché vi era stata dal principio alla
fine la più assoluta libertà di parola, e tutti ne avevano avuta la sensazione
precisa; perché non si era rivelata mai alcuna animosità nelle lunghe discus-
sioni, benché a volte vi fossero diversità di parere; perché con ammirabile
spontaneità ogni dubbio si chiariva e ogni divergenza si armonizzava nel
nome di Don Bosco32.
2.3. Oratorio e catechesi secondo tradizione e i bisogni dei tempi (1948-
1951)
L’inaugurazione del nuovo oratorio a Mogliano Veneto rappresenta al
vivo il nuovo ordine democratico, già colla varietà dei locali: aule della Dot-
trina Cristiana, altre della Scuola Superiore di Religione, sale delle A.C.L.I.,
del Segretariato del popolo, del Circolo Comunale Lavoratori, sede dell’A.C.,
dell’A.S.C.I., locali per la Scuola di Banda, per il Centro Sportivo, il Teatro33.
È l’Oratorio nuovo, che in analoghe versioni si rinnova largamente in Italia.
La questione giovanile ed operaia era più viva che mai anche in opposizione
all’attivissimo “fronte popolare” socialcomunista34. Ne era fattiva espressione
anche il grande sviluppo dato nelle ispettorie italiane alle colonie estive con
scopi ricreativi, pedagogici e morali35. L’anno seguente, don Ziggiotti, chia-
mato il 24 maggio 1950 ad assumere l’ufficio di prefetto generale, presentan-
dosi ai salesiani, a nome del Rettor Maggiore trasmetteva “un caldo appello a
tutti i Direttori delle Case e in particolare degli Oratori festivi” perché si oc-
cupassero “in tutti i modi per organizzare colonie estive” preservando tanti
giovanetti – scriveva – dal “cadere nelle reti dei nemici della nostra santa re-
ligione”36.
Evidente specchio del clima mutato era stata nel 1948 anche l’istanza
del Rettor Maggiore perché gli alunni delle Scuole professionali e agricole
“fossero oggetto di una formazione religiosa e sociale consone alle esigenze
dei tempi e all’evolversi delle masse operaie”. Vi impegnava anche gli Istituti
31 Cf ibid., n. 143, p. 72.
32 Cf ibid., pp. 67-83.
33 Cf BS 72 (1948) n. 3, febbraio, p. 25.
34 Cf Don Bosco tra gli operai, BS 73 (1949) n. 5, 1° marzo, pp. 49-50.
35 Cf Colonie alpine, marine e… di fortuna: BS 73 (1949), n. 9, 1° maggio, pp. 101-103.
36 Cf ACS 30 (1950) n. 158, marzo-aprile-maggio, p. 8.

2.4 Page 14

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308 Pietro Braido
medi e superiori. “Con più forte ragione” questa formazione doveva “prati-
carsi per i giovani più grandicelli” degli “Oratori festivi e per i gruppi di ex
allievi e Padri di famiglia”. Tanto più era pressante dal momento – scriveva –
che “tutti assistiamo con pena non disgiunta da terrore agli sforzi che stanno
compiendo i nemici di Dio e della sua Chiesa per conquistare i giovani, ser-
vendosi all’uopo di qualsiasi mezzo, ma soprattutto facendo brillare ai loro
occhi lo specchietto delle cosiddette rivendicazioni sociali. E le loro con-
quiste purtroppo si accrescono in proporzioni allarmanti (…). Tutti poi sono
persuasi che, senza trascurare altre benefiche attività, il lavoro più urgente da
compiersi è appunto questo di riconquistare, formandole religiosamente e so-
cialmente, le masse giovanili”, garantendo assolutamente “una solida base
d’istruzione catechistica e di vita religiosa”37. Non si doveva dimenticare –
aggiungeva il Consigliere Generale in un diffuso intervento sugli oratori –
che la loro finalità era “l’insegnamento del Catechismo”, dando norme per il
miglior profitto degli alunni. Era anche bene che ci si occupasse di Azione
Cattolica, ma si doveva ricordare che essa era “una preparazione per formare
Uomini di A.C.” e che ad essa si doveva curare il passaggio degli Effettivi.
Enunciava, infine, un principio che nella sostanza coincideva col pensiero di
autorevoli salesiani del passato e si sarebbe protratto ancora nel futuro: se-
condo don Bosco, l’oratorio era “opera soprannaturale”; “per noi aggiornarci,
significa tornare alle sorgenti delle tradizioni di don Bosco”38. Che all’Azione
Cattolica si continuasse a dare sincero appoggio lo dimostravano l’adesione
di don Ricaldone all’invito da Roma di creare in Italia la Gioventù Salesiana
di Azione Cattolica e lo Schema di Convenzione tra la Gioventù Italiana di
Azione Cattolica e il Rettor Maggiore della Società Salesiana, firmato il 24
maggio 1949 da lui e da Carlo Carretto. Venivano coinvolti anche i Circoli
degli oratori, da sempre organicamente inseriti nell’Associazione nazionale
senza la qualifica salesiana, ora in forza del 1° articolo formalmente inclusi,
come quelli delle altre Case, collegi, parrocchie, nell’Associazione della Gio-
ventù Salesiana di Azione Cattolica. Il 2° articolo stabiliva come cosa paci-
fica che nelle medesime opere avrebbero continuato a svolgere le loro attività
le quattro tradizionali Compagnie, “«le più preziose ausiliarie dell’Azione
Cattolica» (Pio XI) e il vivaio dei suoi migliori elementi”. Associazioni e
Compagnie avrebbero seguito “lo spirito e il metodo educativo di don Bosco”
37 ACS 28 (1948) n. 148, luglio-agosto, pp. 4 e 6. Sembra farvi eco il Bollettino, con l’e-
ditoriale sull’Educazione dei lavoratori: cf BS 72 (1948) n. 5, marzo, p. 42.
38 Ibid., pp. 13-14. Intanto, con la pubblicità data alla collana Lux il Bollettino attestava
che la Crociata Catechistica era sempre realtà viva e operante: Cf BS 72 (1948) n. 22, 15 no-
vembre, p. 207.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 309
e assunto “come ideale apostolico Domenico Savio” (art. 3°)39. Don Rical-
done ne preveniva la beatificazione, avvenuta il 5 marzo 1950, con una lunga
lettera che ne delineava la figura spirituale, additandolo soprattutto modello
di purezza e legittimando il titolo del commento alla Strenna Santità è pu-
rezza, che aveva suscitato talune perplessità40. La devozione al novello beato
doveva essere “programma e stendardo di educazione cristiana e salesiana”
tanto più urgente “mentre la lava devastatrice della pedagogia naturalistica,
materialistica e atea avanza[va] minacciosa per travolgere e incenerire in fiore
la civile società”41. Più avanti riteneva che la beatificazione dell’alunno di
don Bosco dovesse essere considerata “come un invito, anzi come un
espresso comando di Dio” a praticare sempre meglio il Sistema Preventivo
consegnato dal Fondatore. Lo confermava nella Strenna per il 1951: “Il Beato
Domenico Savio c’incoraggia a praticare fedelmente il sistema educativo di
San Giovanni Bosco42.
Ricordava più avanti il decennale della fondazione della Libreria della
Dottrina Cristiana e rinviava alla relazione, pubblicata dal Bollettino Sale-
siano, sullo straordinario lavoro compiuto in collaborazione con l’Ufficio Ca-
techistico Centrale Salesiano43. Una recente espressione, vivamente lodata da
tutti, era stata la valida collaborazione prestata alla Congregazione del Con-
cilio da sacerdoti e coadiutori dell’Ufficio Catechistico nella preparazione del
Congresso Catechistico Internazionale, svoltosi a Roma dal 10 al 14 ottobre,
e nell’allestimento della Mostra, arricchita anche da significativo materiale,
frutto di collaudate e pratiche esperienze salesiane44. Ultimo originale docu-
mento del decennio era la Vetrina Catechistica, che raccoglieva ordinata-
mente un campione di tutto ciò che era stato prodotto in aiuto ai catechisti,
“sia per l’istruzione che per la piacevole ricreazione ai catechizzandi”. Di una
sua speciale e artistica versione don Ricaldone aveva fatto omaggio a Pio XII
nella seconda delle due udienze che gli aveva concesso alla fine di giugno.
39 Cf ACS 29 (1949) n. 155, settembre-ottobre, pp. 3-7. Per l’attuazione pratica don Rical-
done dava informazioni e direttive negli ACS 29 (1949) n. 156, novembre-dicembre, pp. 5-6.
40 Cf ACS 30 (1950) n. 157, gennaio-febbraio, pp. 2-16.
41 Cf ibid. n. 158, marzo-aprile-maggio, p. 5. Dei “pericoli dei moderni sistemi pedago-
gici, che dilaga[va]no propagando il positivismo e l’ateismo, e corrompendo in fiore le spe-
ranze della società e della Chiesa” scriveva ancora negli ACS 31 (1951) n. 162, gennaio-feb-
braio, p. 5.
42 Cf ACS 30 (1950) n. 159, giugno, luglio, agosto, pp. 4 e 9. Vi faceva eco con abbon-
danza di informazioni e di valutazioni, nonché sintesi sulla figura e il messaggio umano e spi-
rituale dell’“angelico giovane”, il BS 74 (1950) n. 3, 1° febbraio, pp. 41-45; n. 5, 1° marzo, pp.
81-95; n. 7, 1° aprile, pp. 121-142; n. 11, 1° giugno, pp. 201-205; n. 13, 1° luglio, pp. 245-252.
43 Cf ACS 31 (1951) n. 162, gennaio-febbraio, p. 4; BS 75 (1951) n. 3, febbraio, pp. 41-43.
44 Cf ACS 30 (1950) n. 161, novembre-dicembre, pp. 8-9.

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310 Pietro Braido
Ne scriveva con evidente compiacimento nell’ultima circolare45. Nel mede-
simo fascicolo degli Atti del Capitolo Superiore il Direttore Spirituale Gene-
rale, persuaso dei “mali morali e religiosi del cinematografo” e della “corru-
zione” da esso indotta, che continuava ad estendersi e ad “insozzare” le popo-
lazioni, richiamava e faceva ristampare le Deliberazioni del CG XVI (1947)
mirate a fronteggiare “questa nuova peste” rendendo responsabili i Direttori
sia degli Istituti che degli Oratori della loro esatta osservanza46. Sarà pro-
blema assillante anche negli anni successivi.
3. Oratorio e catechesi nei due sessenni di rettorato del don Renato Zig-
giotti (1952-1965)
Rettor Maggiore dal 1° agosto 1952 al 27 aprile 1965, don Renato Zig-
giotti (1892-1983) operò quando la cattedra pontificia era occupata da Pio
XII, fino al 1958; da Giovanni XXIII dal 28 ottobre 1958 al 1963: da Paolo
VI dal 1963.
Egli non era piemontese come tutti i suoi predecessori, ma proveniva
dal Veneto, regione con una storia tutta propria, con una popolazione che si
specchiava perfettamente nel suo dialetto, semplice, colloquiale, alla mano, e
che poteva concedersi gesti di irruenza aggressiva, soltanto quando si fosse
abusato della sua arrendevolezza. Egli non fu né volle essere un condottiero o
un maestro di salesianità in possesso di una nobile eredità diretta; egli ricor-
dava la grande emozione provata quando diciottenne si era trovato ad assi-
stere don Rua negli ultimi giorni di vita47. Non elaborò documenti e com-
menti di grande portata, ma preferì esercitare il suo ufficio di guida attra-
verso i consueti interventi sugli Atti del capitolo superiore, ispirandosi a ri-
correnze ritenute importantti – beatificazioni, canonizzazioni, celebrazioni
giubilari – e ai problemi via via emergenti dal procedere normale della
Congregazione, con assidui riferimenti alla vita della Chiesa e alle situazioni
sociali italiane e dei Paesi visitati. In riferimento all’Italia, che aveva il più
forte e pugnace partito comunista d’Europa, egli manifestò più volte vive
preoccupazioni per l’ateismo strisciante e conclamato, che si tentava di infon-
45 Cf ACS 31 (1951) n. 165, giugno, luglio, agosto, p. 5: datata 15 agosto 1951. Della
superiore personalità di don Ricaldone il direttore del Bollettino tracciava un profilo di grande
efficacia, che dovrebbe essere letto ancor oggi dai tanti incautamente ignari: cf BS 76 (1952)
n. 1, gennaio, pp. 18-32; una densa pagina è dedicata alla Crociata Catechistica, ibid., p. 31.
46 Cf ibid., pp. 9-12.
47 Cf L. CASTANO (a cura di), Un veneto per il mondo. Note biografiche su Don Renato
Ziggiotti 5° successore di Don Bosco. Venezia-Mestre, SGS “S. Giorgio” 1992.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 311
dere tra l’età in crescita, con iniziative disparate, un’organizzazione e una
stampa specifiche. Gran parte dei suoi interventi sugli Atti del Capitolo Su-
periore erano più vicini alle Lettere edificanti che don Rua e don Albera
usavano intercalare in modesta misura con le più impegnative e obbliganti
Circolari di indirizzo disciplinare e di governo. Del resto, al seguito dell’im-
pianto congregazionale garantito dal predecessore con cui si sentiva, pur con
diverso temperamento, in perfetta sintonia, don Ziggiotti non temeva gravi
deviazioni e incontrollabili sconfinamenti ideologici o pratici della Famiglia
religiosa di cui era Superiore. Una certa inquietudine sorgerà di fronte ad
alcuni problemi di carattere locale e particolare e a talune insofferenze
emergenti nell’immediato periodo preconciliare e nel corso del Concilio Vati-
cano II, specialmente pochi mesi prima della conclusione del suo mandato.
Un fatto, però, lo distinse dai predecessori, eccetto don Rua, al quale amò
ispirarsi: in luogo di governare dal centro egli fece la cosa più indovinata e
apprezzata dai salesiani di tutto il mondo. Anche per l’insinuazione dell’ispet-
tore di Francia don Amiehl, com’egli stesso confessa48, scelse di percorrere
in lungo e in largo il mondo salesiano, portando con la prestante figura fisica
avvolta da cordiale affabilità e spontanea comunicativa la più accattivante
immagine del Fondatore, verso cui, come i predecessori, intese mantenersi
incondizionatamente fedele. Il fenomeno intracongregazionale, che merite-
rebbe uno studio attento, è costituito dall’evoluzione concettuale ed organiz-
zativa – che sembra una vera ridefinizione rispetto alle varietà di accezioni
proposte da don Bosco – della realtà del “Cooperatore salesiano”, di cui è
protagonista don Luigi Ricceri e che don Ziggiotti, estimatore delle associa-
zioni di apostolato dei laici, sembra aver accolto di buon grado. Non sono
mancati nel corso del suo rettorato anniversari, beatificazioni e canonizza-
zioni di interesse salesiano su cui ha attirato l’attenzione dei soci, però senza
mai avventurarsi in documenti di un certo spessore teorico. “A noi – scriveva
nella prima lettera ai Cooperatori datata al 1° ottobre – non resta che calcare
le sue orme, guardare i suoi esempi, eseguire i suoi desideri, interpretarne il
pensiero nel succedersi dei nuovi eventi storici e dilatare la cerchia dell’a-
zione mirabile sotto il suo impulso animatore, irresistibile. Chiaramente ap-
pare come S. Giovanni Bosco oggi è un Maestro di vita sacerdotale, un edu-
catore suscitato da Dio pei tempi nostri, un precursore del movimento e dei
problemi dell’artigianato e del lavoro professionale, un divinatore dei mezzi
d’apostolato che nel secolo scorso parvero novità ed oggi sono adottati su
48 Cf ACS 38 (1957) n. 199, agosto-ottobre: “ringrazio il Signore – soggiungeva – di
avermi concesso questa grande scuola di salesianità, unica invero e oggettiva” (p. 4).

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312 Pietro Braido
vasta scala, producendo frutti ubertosi di bene e rendendo simpatico e popo-
lare chiunque sa approfittarne”49.
Nel corso dei tredici anni di governo avevano luogo due capitoli gene-
rali. Nel corso del primo sessennio (1952-1958) il Consiglio superiore rappre-
sentava in maggioranza la tradizione: era formato da don Albino Fedrigotti,
don Fedele Giraudi, don Iñigo Modesto Bellido, don Georges Serié, don An-
tonio Candela, e dai nuovi entrati don János Antal, don Secondo Manione,
don Joâo Rezende Costa, nel dicembre del 1953 eletto vescovo di Ilheus in
Brasile, sostituito da don Luigi Ricceri. Nel secondo capitolo generale, in-
vece, entravano nel capitolo superiore uomini che apparivano “nuovi” – don
Archimede Pianazzi, don Ernesto Giovannini, don Guido Borra –, con don
Ricceri, in certo senso, più vicini alla mentalità del Rettor Maggiore, un rical-
doniano, che per il temperamento, il metodo di governo e la scelta itinerante
tendeva a lasciar più ampi spazi ai collaboratori capitolari e agli uffici esecu-
tivi, che facevano capo in gran parte ai capitolari nella cura delle sempre più
differenziate sezioni e organi operativi della Famiglia salesiana: i Cooperatori
e il Bollettino Salesiano, gli ex allievi con relativo periodico, le missioni e la
rivista Gioventù Missionaria, le Compagnie e il loro periodico, gli oratori, i
circoli giovanili autonomi o di A.C., le organizzazioni sportive e teatrali, il
Centro Cinematografico Centrale, l’Ufficio Catechistico Centrale e la rivista
Catechesi.
3.1. Il capitolo generale XVII (1952)
L’ultima circolare di don Ricaldone era datata al 15 agosto 1951. Il 25
novembre 1951 il Superiore moriva e il 6 gennaio 1952 il prefetto generale
convocava nella Casa Madre il capitolo generale per il 24 luglio alle ore
18.30. Premessi gli esercizi spirituali le adunanze avrebbero avuto inizio il 1°
agosto. Scopo precipuo era l’elezione del Rettor Maggiore e dei membri del
capitolo superiore. Sarebbe seguita la trattazione di tre temi: 1° Le nostre
scuole Professionali ed Agricole; 2° Le nostre Missioni e i nostri Missionari;
3° I Regolamenti delle case di formazione emanati ad experimentum dal capi-
tolo XV per addivenire alla loro approvazione definitiva. Come era consueto
ci sarebbe stata anche la discussione delle “Proposte varie”50.
Interessanti per sondare la temperie disciplinare e spirituale della Con-
49 BS 76 (1952) n. 19, 1° ottobre, p. 361. Ma come prefetto-vicario, sulla scia di don Ri-
caldone, invitava i salesiani ad acquisire seria conoscenza dello spirito e degli orientamenti di
don Bosco ricorrendo alle fonti e alla letteratura esistente: ACS 32 (1952) n. 168, marzo, pp. 4-7.
50 Cf ibid., n. 167, gennaio, pp. 1-6.

2.9 Page 19

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 313
gregazione incarnata nei suoi rappresentanti ufficiali, in quel momento sto-
rico, appaiono le conclusioni riguardanti il tema 4° Rilievi e suggerimenti
sulla vita e disciplina religiosa, che non introducevano intenzionalmente
“nuove disposizioni”, ma “richiami a disposizioni già esistenti ed avverti-
menti utili a mantenere l’esatta osservanza religiosa e il «buono spirito» nelle
case”. Dinanzi alle imponenti rivoluzioni culturali incombenti, più o meno
sotterranee e che sarebbero presto esplose, sembra che la maggioranza dei ca-
pitolari si schieri per un ulteriore irrigidimento dell’attaccamento al passato,
rivolto più alla prevenzione protettiva e difensiva dell’esistente che alla reali-
stica visione dei cambi in atto e all’adozione di misure positivamente “pre-
ventive” e precorritrici. Ne sono dimostrazione i “suggerimenti” o norme di-
rettive date a proposito di Spirito religioso, Vita delle case, Oratori, Cinema,
Formazione religiosa51. Dalle Proposte varie scaturivano soltanto quattro irri-
levanti modifiche al testo dei Regolamenti. Veniva pure approvata all’una-
nimità la proposta del Rettor Maggiore di aggiungere pro tempore, dopo la
lettura spirituale e a seguito della prece al S. Cuore per le vocazioni, l’invo-
cazione Oremus pro afflictis et captivis. Salvos fac servos tuos, Domine, et
libera eos ex omnibus tribulationibus suis52.
Quanto agli oratori erano elencate alcune “deviazioni” che ne avrebbero
reso vana l’attività: la trascuratezza nelle pratiche religiose, la scarsezza
quantitativa e qualitativa dell’insegnamento catechistico, l’esagerazione nello
sport, gli spettacoli cinematografici non adatti ai giovani, la ricerca di mezzi
finanziari con mezzi inopportuni. Si raccomandavano provvedimenti specu-
lari: dare il posto d’onore alle pratiche di pietà, buona organizzazione dei
corsi annuali di catechismo, metter freno alle esagerazioni dello sport, non far
diventare “pubblico” il cinema riservato con criteri salesiani agli oratoriani,
finanziamento assicurato dalla casa e da benefattori e cooperatori; inoltre,
“mantenere in fiore le Compagnie, abituando i Soci ad una vera attività apo-
stolica fra i compagni e fuori dell’Oratorio”.
Seguivano al capitolo generale le grandi visite del Rettor Maggiore al-
l’ecumene salesiana, a cominciare dalle case di formazione salesiane in
Italia53. Ciò, mentre riuscì a creare più stretti legami affettivi con il centro,
non gli permise di esercitare in modo significativo il tradizionale compito di
“leader” all’interno del capitolo superiore. I membri erano stati eletti prima di
essere sufficientemente conosciuti dai loro elettori e, forse, non seppero rap-
presentare sufficientemente il disagio e le richieste di frange della nuova ge-
51 Cf ibid., n. 170, pp. 28-36.
52 Cf ibid., p. 36.
53 ACS 34 (1953) n. 173, marzo-aprile, pp. 168-171.

2.10 Page 20

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314 Pietro Braido
nerazioni e dei diretti “addetti ai lavori”: catechisti, consiglieri scolastici e
professionali, direttori e incaricati di oratori, a contatto con adolescenti maturi
e giovani adulti con problemi, insofferenze e richieste nuove. Gli elettori ave-
vano creduto nel CG 17 di aver innovato, internazionalizzando il capitolo su-
periore con membri provenienti dagli Stati Uniti, dall’Ungheria, dalla Spagna
o da istituzioni presumibilmente “aperte”, quali l’ex preside del liceo d’avan-
guardia di Valsalice, o da attività estroverse come la stampa, i quali in realtà
erano in gran parte piuttosto tradizionali e, forse, meno sensibili all’evolversi
della condizione giovanile e dell’aumento tra i salesiani educatori di forze
nuove, mentre sempre più numerose affluivano le giovani vocazioni alla So-
cietà salesiana.
3.2. Nell’esperienza oratoriano-catechistica vissuta (1952-1958)
La prima parola del nuovo Rettor Maggiore sull’azione tra i giovani era
riservata alle Compagnie religiose giovanili. Vi approdava nella prima lettera
ai salesiani, proponendo come prioritaria la cura del personale in formazione:
moltiplicare le vocazioni e “mantenerle fedeli e rinvigorirle, renderle esperte,
abili, generose nei vari generi d’apostolato”. Anche su questo punto si doveva
far propria la parola del Papa “è l’ora dell’azione”, “esseri audaci nel bene e,
senza falsi acquiescenti riduzionismi, promuovere nei giovani le grandi virtù
necessarie nella vita: la giustizia, la fortezza, la carità, il dominio di sé, l’emu-
lazione nel bene”. Non si doveva dimenticare “questa sovrana educazione
morale che forma la dignità e la serietà dell’uomo”. Ora – precisava – “pale-
stre di tale ginnastica morale” erano le Compagnie religiose fiorenti, associa-
zioni preziose “per rendere serena e fruttuosa la vita degli internati e degli
Oratori” e far maturare nei soci la successiva militanza nell’A.C.54 Intanto
dall’11 al 13 settembre si era svolto a Roma il sontuoso Convegno Internazio-
nale dei Cooperatori, che certamente rappresentava una svolta nel modo di
concepire la figura dei membri della terza famiglia fondata da don Bosco e di
attuarne l’organizzazione sia a livello locale che diocesano. Le relazioni fu-
rono tenute da personalità di grande spicco. Tre avevano come tema la Coo-
perazione alle Opere Salesiane, Il sistema educativo di don Bosco e Coopera-
zione all’Apostolato Universale della Chiesa, ma non vi si riscontra alcun
cenno alle singole opere. Vi dedicava un interessante riferimento nel suo di-
scorso Pio XII, in relazione ai doverosi rapporti dell’impegno salesiano con
quanto era promosso dal laicato cattolico in aiuto alla Gerarchia. “L’Azione
54 Cf ACS 32 (1952), n. 169, agosto, pp. 5-8.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 315
Cattolica – ne inferiva – ha diritto di aspettarsi molto da voi nel campo della
carità, della beneficenza, della buona stampa, delle vocazioni, dei catechismi,
degli Oratori festivi, delle Missioni, della educazione della gioventù povera e
pericolante”55.
Fattivo simpatizzante dell’A.C. don Ziggiotti perorò più volte la causa
delle Compagnie religiose giovanili. Però, demandava agli ispettori d’Italia il
compito di concordare con la G.I.A.C., tramite il vice-Procuratore don Eva-
risto Marcoaldi, la conferma, ancora ad experimentum per un triennio, della
Convenzione con la Società salesiana relativa alla Gioventù Salesiana di
Azione Cattolica, concordata ad experimentum per un triennio nel 194956. Nel
medesimo numero degli Atti del Capitolo Superiore don Ziggiotti aveva an-
nunciato la costituzione della Confederazione Internazionale delle Compa-
gnie e la nomina a Presidente di un laico, l’avv. Giuseppe Angeli Brusa, che
ne promuoverà e animerà la vita con sincera passione e singolare abilità57. Un
forte invito a riflettere sull’”importanza e necessità educativa” delle Compa-
gnie in tutte le case, oratori, parrocchie, missioni, era rivolto da don Ziggiotti
ai confratelli in occasione del Congresso delle Compagnie, promosso dai sa-
lesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, in coincidenza con il Congresso
Eucaristico Nazionale, celebrato a Torino58.
Sebbene le Compagnie religiose fossero pensate soprattutto per gli inter-
nati, non ignoravano gli oratori, come del resto era previsto dalla Conven-
zione sia nel 1949 che nel 1952. Il Rettor Maggiore, pur proveniente da pre-
valenti esperienze collegiali li tiene ben presenti. Dalla prima visita delle
Case di formazione d’Italia con i tanti incontri con personalità religiose e ci-
vili – “Vescovi e Parroci, Prefetti di provincia e Sindaci di grandi città, con
Senatori e Deputati, industriali e commercianti, tutti preoccupati del problema
dell’educazione della gioventù” – aveva ricavato primo tra i “moniti salutari”
55 Cf G. FAVINI, Cooperatori salesiani a Roma nel 75° della Pia Unione. Atti del solenne
Convegno Internazionale [1953], p. 82; BS 76 (1952) n. 21, 1° novembre, p. 402. Nessuna
eco di tale passo si trova nel rapido cenno che il Rettor Maggiore faceva del Convegno e del-
l’udienza privata di Pio XII: cf ACS 32 (1952) n. 170, pp. 3-6.
56 Cf ACS 34 (1953) n. 172, pp. 13-14. Nello stesso numero viene riportato il documento
sui Rapporti fra i Salesiani e la G.I.A.C. riguardo all’apostolato dei giovani, firmato dal presi-
dente Mario Rossi e da don Marcoaldi l’8 dicembre 1952, preceduto e seguito rispettivamente
da altri due documenti per uso interno: Rapporti tra le nostre Compagnie religiose e la Gio-
ventù Italiana di Azione Cattolica e Commento alla Dichiarazione e all’Intesa che gli Ispettori
d’Italia inviano alle Case. La Dichiarazione d’Intesa e il Commento erano “stati comunicati”
all’Ufficio Internazionale delle Compagnie e “fatti conoscere” al Rettor Maggiore, che for-
mulava auspici e benediceva. Un nuovo stile di governo centrale! (pp. 24-29).
57 Cf ibid., p. 14.
58 Cf ACS 34 (1953) n. 176, settembre-ottobre, pp. 5-7.

3.2 Page 22

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316 Pietro Braido
quello relativo agli oratori. “L’Opera Salesiana più caratteristica – scriveva –
e che ci attira le maggiori benedizioni di Dio e degli uomini è l’Oratorio quo-
tidiano” e citava come modello di efficacia l’oratorio salesiano della parroc-
chia de La Salette a Catania59. Più avanti egli sollecitava ad opporre all’inin-
terrotto indottrinamento della gioventù da parte del comunismo: “a) un «ad-
dottrinamento» più intenso” dei salesiani e dei giovani; b) “una maggior
cura” degli oratori quotidiani e festivi. Sviluppava ambedue gli enunciati,
chiarendo anzitutto che l’”addottrinamento” era il secolare insegnamento del
catechismo e per gli oratori metteva sull’avviso circa le novità nei metodi
educativi e nei mezzi di attrazione, che in nome della modernità si stavano in-
troducendo a cominciare dal cinema “messo alla base della vita oratoriana”60.
Curiamo gli Oratori festivi e quotidiani era anche l’incipit, con particolare ri-
ferimento al suo Mentore, don Rua, apostolo dell’oratorio, e già noti concetti,
di una circolare datata dal Belgio al 24 marzo 1954. Don Ziggiotti richiamava
di nuovo in termini forti all’attualità del problema della gioventù povera e ab-
bandonata da soccorrere. “Oggi – faceva notare – si può dire che la gioventù
povera è insidiata e ricercata con tutte le arti, più che mai dai nemici di Dio”.
Informava anche che nel convegno a Torino degli ispettori d’Italia dal 18 al
24 gennaio uno degli argomenti trattati era stato l’oratorio festivo e quoti-
diano. Era, però, rimasta la convinzione che il soggetto necessitava di un ap-
profondimento. Si prevedeva allo scopo di “riunire in due gruppi i direttori
degli Oratori festivi dell’Alta Italia e dell’Italia meridionale” per lo studio di
temi ben definiti61. Il progetto avrebbe avuto sviluppi maggiori. Intanto l’au-
stero prefetto generale non mancava di dare in termini piuttosto veristici un
preoccupato allarme sull’uso della televisione62.
3.3. Il Convegno Nazionale dei direttori e incaricati degli oratori festivi
d’Italia (1954)
Per facilitare la partecipazione e rendere più agili le discussioni il Con-
vegno fu tenuto in settembre in tre diverse sedi, in tutte con la presidenza del
Rettor Maggiore affiancato da tre o quattro capitolari: a Torino dal 15 al 18
con la presenza di 4 ispettori, 42 direttori di Case, 31 incaricati d’oratorio e 8
parroci; dal 20 al 23 a Bologna con 3 ispettori, 51 direttori di Case, 34 incari-
cati d’oratorio e 14 parroci; a Roma 3 ispettori, 72 direttori di Case, 47 incari-
59 Cf ibid., n. 173, marzo-aprile, p. 7.
60 Cf ibid., n. 174, maggio-giugno, pp. 7-13.
61 Cf ACS 35 (1954) n. 179, marzo-aprile, pp. 2-6.
62 Cf ibid, n. 181, luglio-agosto, pp. 7-8.

3.3 Page 23

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 317
cati d’oratorio e 7 parroci. Per raggiungere una certa omogeneità tra i diversi
incontri si era assegnato ai relatori (ovviamente, tre per ogni tema) l’argo-
mento da trattare con uno schema o traccia comune di base: Attualità dell’O-
ratorio e modo di valorizzarlo. Come attirare i giovani. Scuola e doposcuola
- Rapporti tra Ispettore, Direttore della Casa, Parroco e Direttore dell’Ora-
torio Festivo - Il personale salesiano. Formazione dei Catechisti. Personale
esterno - Istruzione catechistica - Formazione cristiana. Compagnie reli-
giose, Azione Cattolica, Gruppi e Circoli vari - Attività ricreative. Filodram-
matica. Giuochi, Radio, Televisione - Colonie estive al mare e ai monti.
Esploratori - Cooperatori. Padri di Famiglia. Ex allievi. Patronesse. Mezzi
finanziari. Lotterie. Sussidi. È impossibile fare un resoconto delle franche di-
scussioni da parte di uomini ben inseriti nel lavoro oratoriano, chi più rivolto
all’innovazione e chi soprattutto preoccupato della fedeltà alla tradizione63.
Nel primo turno, tenuto a Torino, don Nervi parroco da Sampierdarena aveva
esortato “tutti a parlare liberamente delle difficoltà e delle necessità della vita
oratoriana, senza alcun timore (rassicurato subito al riguardo dallo stesso
Rettor Maggiore)”64. Il clima perdurava a Bologna e a Roma, nonostante l’in-
tervento di qualche capitolare, in particolare don Ricceri, tendenzialmente di-
rigista. Gli Atti non offrono una sintesi dei risultati dei tre distinti incontri. Se
ne evidenzia qualche elemento dall’uno o dall’altro. Largamente condivisa
era la constatazione che in quegli anni la gioventù era contesa alla Chiesa da
“forze laiche e soprattutto materialistiche (Attività A.P.I.)” [era l’associazione
dei bambini e delle bambine comuniste, denominati Pionieri Italiani]. C’era
pure ampio accordo nella esigenza che dall’oratorio fosse bandito tutto che
sapeva di politica: il Rettor Maggiore, però, precisava che essa non andava
confusa con l’azione sociale e non doveva essere ignorata; non si era più ai
tempi dell’expedit65. Nel volume degli Atti si trovano elencate quindici Con-
clusioni e desiderata dei Direttori, in gran parte in linea con quanto già più
volte raccomandato e con l’esistente. Varie istanze di innovazioni proposte
dalle relazioni ed emerse dalle discussioni sono del tutto ignorate, in partico-
lare della più volte ricordata propaganda atea. Si ringrazia, però, il Rettor
Maggiore delle “iniziative proposte per valorizzare, aggiornare e adeguare ai
63 Cf Atti del Convegno Nazionale dei Direttori ed Incaricati degli Oratori Festivi
d’Italia. Torino, Ufficio Centrale Capitolare degli Oratori Festivi [1955], pp. 12-15; cf anche
BS 79 (1955) n. 1, gennaio, p. 2.
64 Cf Atti del Convegno Nazionale…, p. 29.
65 Cf ibid., pp. 30, 93, 133. All’A.P.I. il Bollettino Salesiano aveva dedicato un lungo do-
cumentato articolo l’anno precedente: cf Corruzione organizzata della fanciullezza, BS 77
(1953) n. 11, giugno, pp. 204-208.

3.4 Page 24

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318 Pietro Braido
tempi presenti l’Oratorio Festivo”66. Interessante la divinazione del futuro
“cuore oratoriano” affiorante dal desideratum che si fomentasse “in tutti i Sa-
lesiani l’amore all’Oratorio Festivo, creando la cosiddetta «mentalità orato-
riana», secondo il concetto di Don Bosco e delle Costituzioni”. La formula
era stata introdotta sia a Bologna che a Roma. Don Ricceri aveva parlato di
“coscienza oratoriana”, associandola ad un’idea profondamente radicata e più
volte espressa nel Congresso: “Bisogna educare la mentalità dei nostri confra-
telli, fare una campagna metodica per far comprendere che la scuola non può
essere l’unica attività di un sacerdote”67. Si auspicava, pure, che come si pre-
paravano insegnanti per le scuole e maestri d’arte, si preparassero “elementi
specializzati” anche per l’ “Opera sociale a favore della gioventù che era l’o-
ratorio”. Si sarebbe anche dovuto “pubblicare sul Bollettino Salesiano rela-
zioni interessanti e statistiche del bene realizzato negli Oratori Festivi”. Si
sentiva pure la necessità “di una pubblicazione mensile di collegamento, di
formazione e informazione” per gli addetti agli oratori e di “un Manuale pra-
tico delle attività religiose, catechistiche, culturali, artistiche e ricreative”. Si
raccomandava, infine, che il direttore dell’oratorio si cambiasse il meno pos-
sibile, poiché “la stabilità del Direttore dell’Oratorio Festivo [era] un fattore
di perseveranza dei giovani, degli Ex-Allievi e dei Padri di famiglia”68.
Dall’insieme dei lavori si può anche notare una certa preoccupazione per
l’incipiente diminuzione degli oratoriani, che un anno dopo il Consigliere ge-
nerale degli oratori documentava in base grazie ai dati statistici inviatigli dai
Direttori e Incaricati degli Oratori Festivi d’Italia. Dai 50.019 frequentanti del
1954 si era scesi a 42.869 nel 1955. Nelle Compagnie c’era stato un movi-
mento contrastante, mentre erano sensibilmente aumentati gli iscritti all’A-
zione Cattolica, gli Ex allievi oratoriani, i Padri di Famiglia; inoltre, si era re-
gistrato un notevole aumento delle vocazioni provenienti dagli oratori, sia per
la Congregazione Salesiana che per i Seminari e vari Istituti di vita consa-
crata. Il Consigliere finiva con la presentazione del volume degli Atti del Con-
vegno del 1954, e a stimolo a sempre più intensi impegni negli oratori ricor-
dava la geniale definizione «missione in patria» che era stata data all’opera69.
Al Convegno, le più ampie discussioni sul cinema si erano verificate a
Torino, con risolute prese di posizione da parte dei Superiori presenti, del
66 Cf Atti del Convegno Nazionale…, p. 16.
67 Cf ibid., pp. 16, 54, 75, 77.
68 Cf ibid., pp. 16-17.
69 Cf ACS 36 (1955) n. 188, settembre-novembre, pp. 17-19; l’annuncio degli Atti anche
in ACS 36 (1955) n. 189, novembre-dicembre, p. 10. A Torino don Ziggiotti aveva parlato
dell’oratorio come “missione della gioventù”: cf Atti del Convegno Nazionale…, p. 29.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 319
resto reiterate a Bologna, di fronte a più obiezioni dei presenti, rappresentanti
di una base inquieta, concluse da un duro richiamo di don Ziggiotti all’obbe-
dienza, e a Roma quasi surclassate da ripetuti interventi di don Ricceri70. Non
meno accese furono quelle sullo sport e in particolare sul calcio. A proposito
dello sport il Rettor Maggiore usciva in una delle sue dichiarazioni spontanee,
che rispondeva anche alle sue esperienze di atleta dilettante: “Lo sport dob-
biamo accettarlo non come necessità, ma come programma”71. Particolar-
mente approfondita in senso positivo fu a Bologna la trattazione del tema
della funzione delle Compagnie e dell’Azione Cattolica e dei loro reciproci
rapporti72.
Sul Controllo del cinema e sul Controllo della radio il prefetto generale
richiama ancora i confratelli al maggior impegno, a salvaguardia dello spirito
salesiano, “sempre insidiato dal nemico delle anime”73. Altra volta il Direttore
Spirituale Generale informa che erano stati inviati ad ogni ispettore salesiano
un diploma firmato dal Rettor Maggiore ed una medaglia recante il motto
Vincentibus corona, da conferire alla Casa o al giovane che si era maggior-
mente distinto nella gara catechistica ispettoriale74. Il prefetto generale denun-
ciava il pericolo di un cedimento ad una “falsa modernità”, allo “spirito mon-
dano”, allo “spirito laicista” indotto da vari fattori: tra essi, l’uso incontrollato
della radio e della televisione, la presenza di personale esterno nelle Case, “lo
sportismo, colle relative nudità e il «tifo»”; facendo seguire poi, a profitto dei
confratelli, la pubblicazione e la presentazione del testo Lettera ai Superiori
Generali degli Istituti di Perfezione circa l’uso della radiotelevisione del 6
agosto 1957, riguardante le comunità religiose75.
3.4. Il capitolo generale XVIII (1958)
Il capitolo generale XVIII non sembra sentire in profondità le trasforma-
zioni verificatesi del sessennio che lo precede. Per quanto riguarda gli oratori
festivi e l’uso dei mezzi di comunicazione sociale e di intrattenimento ed
ancor più gli internati si sentono discorsi quasi identici a quelli del prece-
dente, a sua volta eco delle risoluzioni e disposizioni normative degli anni
’20 e successivi.
70 Cf Atti del Convegno Nazionale…, pp. 36-38 (a Torino), 60-62 (a Bologna), 84-86.
71 Cf ibid., p. 58.
72 Cf ibid., pp. 56-57.
73 Cf ACS 37 (1956) n. 191, marzo-aprile, p. 4.
74 Cf ACS 38 (1957) n. 196, gennaio-febbraio, p. 11.
75 Cf ibid., n. 200, novembre-dicembre, pp. 13-17.

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320 Pietro Braido
Ne era Regolatore don Albino Fedrigotti. Le sedute avevano inizio nella
Casa Madre dal 27 luglio al 9 agosto con 18 sedute plenarie. Oltre l’elezione
dei membri del Capitolo superiore, allo studio dei partecipanti erano stati pro-
posti i seguenti temi: 1° La vita e disciplina religiosa: pratica dei santi voti –
pratiche di pietà – speciali doveri dei Superiori; 2° Applicazione della Costi-
tuzione Apostolica Sedes Sapientiae per gli studi filosofici – il tirocinio – gli
studi teologici – la scuola di pastorale ai neo-sacerdoti – il magistero profes-
sionale ai coadiutori; 3° Le Parrocchie e gli Oratori festivi – esigenze mo-
derne – personale qualificato – rapporti con la Casa a cui sono annessi; 4°
Culto a S. Domenico Savio – Cooperatori – Ex allievi – stampa salesiana –
proposte varie76. Rispetto al precedente, il capitolo XVIII in qualche misura
innovò, come riteneva il Rettor Maggiore quando nella conclusione lo indi-
cava come “prova di maturità” della Congregazione, “maturità che si rivelava
nell’ampia libertà di parola, nell’atmosfera di edificante serenità nelle discus-
sioni, pur nelle inevitabili diversità di pareri, nella saggezza e sana modernità
degli interventi, nell’ammirabile spontaneità con cui ogni dubbio si chiariva e
ogni divergenza si armonizzava nel nome e nello spirito del nostro Padre Don
Bosco, per i supremi interessi della Congregazione”77. In realtà, non fu un
grande e significativo capitolo generale come dimostra il pur corposo docu-
mento approvato78. L’articolazione dei temi risultò alquanto differente portan-
doli nel documento finale a 8 punti79. Un’aria parzialmente rinnovata si nota
già nell’entrata nel capitolo superiore di tre nuovi nomi: don Giovannini dagli
Stati Uniti, don Borra dal Brasile, don Ricceri, che dopo sette anni sarebbe
succeduto a don Ziggiotti. Può essere interessante accennare ad alcune sotto-
lineature entrate nei singoli temi. 1° Osservanza religiosa – Pratiche di pietà –
Norme disciplinari – Compagnie: il direttore è tenuto anzitutto a “governare
spiritualmente la comunità, sia vero Magister spiritus”; è richiesta una “pru-
dente selezione delle vocazioni”: “la Sedes sapientiae richiede pure, prima
dell’ammissione [al noviziato], l’esame e il parere motivato di uno psichiatra
di fiducia”80. Quanto alle Pratiche di pietà per i giovani “si è creduto oppor-
tuno introdurre alcune semplificazioni” e varianti: “per venire incontro al mo-
vimento liturgico voluto dal Sommo Pontefice e caldeggiato dai Vescovi”, il
capitolo generale “raccomanda che in tutti i nostri Istituti – e preferibilmente
nelle domeniche e feste – vi sia una Messa dialogata o liturgica”, e con i gio-
76 Cf ibid., pp. 11-12.
77 Cf ACS 39 (1958) n. 203, luglio-ottobre, pp. 20-21.
78 Cf ibid., pp. 723-724 e 726-792.
79 Cf ibid., pp. 21-72.
80 Cf ibid., pp. 23-25.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 321
vani delle classi superiori anche in altri giorni della settimana, tralasciando la
recita del Rosario. Quanto alla seconda messa festiva si riservò “al Capitolo
Superiore la facoltà di concedere il permesso di abolirla, per ogni singolo
caso”, conservandola possibilmente cantata nelle feste di maggior solennità81.
Si caldeggia una “migliore formazione cristiana e apostolica” mediante le
Compagnie, “parte vitale del Sistema Preventivo”, chiamate a preparare i gio-
vani all’apostolato, favorendo l’inserimento nelle organizzazioni dell’aposto-
lato dei laici, ed in modo particolare nella Federazione degli Ex allievi e nella
Pia Unione dei Cooperatori Salesiani”82. In relazione alla Sedes Sapientiae si
ascolta anche una relazione del Rettor Magnifico sul PAS e si ribadisce la du-
rata del tirocinio a non più di tre anni83. Si è unanimi nell’insistere che la pre-
parazione dei maestri d’arte è il problema più assillante e però si raccomanda
ad ogni ispettoria ad aprire aspirantati per Coadiutori e altre iniziative per il
perfezionamento formativo e didattico delle scuole professionali e agricole a
tutti i livell i84. Per l’accettazione di parrocchie occorre ancora il permesso del
capitolo superiore e si ricorda che l’Oratorio è per i salesiani “parte integrante
della parrocchia”, essendo “il mezzo più atto per rigenerare una parrocchia
religiosamente decaduta”; quanto poi alla soluzione del problema dei rapporti
tra direttore della casa, direttore dell’oratorio e parroco, si ritiene che essa
“dipende soprattutto dalla buona volontà, dal buono spirito e dalla compren-
sione reciproca delle persone”; si ricorda, inoltre, che “l’oratorio festivo non è
fatto solo per i piccoli, ma specialmente per i giovani” e che “Don Bosco
chiamava l’Oratorio festivo la parrocchia dei giovani”85. Sugli ex allievi il di-
scorso era sommario. Più esteso è quello riguardante le Missioni, basato sullo
schema delle deliberazioni e raccomandazioni del capitolo generale del
195286. Approfondito è lo studio circa la Pia Unione dei Cooperatori Sale-
siani, ponendo alla base la distinzione tra Cooperatori, Benefattori, Ex allievi,
Divoti di Maria Ausiliatrice e Dame Patronesse. Il testo risente molto delle
idee e dell’azione del presidente della Commissione, don Ricceri, già dal
1952 chiamato a far parte del Capitolo superiore con l’incarico dei Coopera-
tori e della stampa, sottolineando delle varie accezioni presenti in don Bosco
quella che dell’Unione fa in senso stretto «la Terza Famiglia spirituale fon-
data da San Giovanni Bosco con un programma di vita cristiana e di aposto-
81 Cf ibid., pp. 31-32.
82 Cf ACS 39 (1958) n. 203, p. 34; cf Regolamenti della Società Salesiana, art. 135.
83 Cf ibid., pp. 38-39.
84 Cf ibid., pp. 40-44.
85 Cf ibid., pp. 44-46.
86 Cf ibid., pp. 50-57.

3.8 Page 28

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322 Pietro Braido
lato»; perciò, si prescrive tra l’altro: “si accentui la missione cattolica della
Pia Unione a servizio della Chiesa e la si illustri bene al Clero”. Nel paragrafo
Particolarità si possono notare perplessità nell’accettare una definizione ri-
gida del cooperatore. “È dovere di tutti – si osserva – darsi conto di questa
realtà per non continuare a sviare la vera e genuina figura del Cooperatore,
secondo la mente di Don Bosco. Si vorrebbe da qualche capitolare che il
compito del Cooperatore fosse soprattutto quello di far conoscere e praticare
nei rispettivi ambienti il nostro sistema educativo. Si risponde che bisogna
mantenersi fedeli alle finalità e ai compiti della Pia Unione, molto più vasti,
contemplati dal Regolamento. Non possiamo ridurli ad una prevalente fun-
zione pedagogica, anche se salesiana. Si accoglie il suggerimento nel senso di
dare del nostro Sistema educativo una più adeguata conoscenza ai nostri Coo-
peratori (…). Ad alcune osservazioni sulla definizione di Cooperatore sale-
siano contenuta nell’art. 406 dei Regolamenti [“Secondo il pensiero di Don
Bosco, per essere Cooperatori basta che in qualunque modo, o con preghiere,
o con offerte, o con opere personali, si contribuisca allo sviluppo dell’azione
salesiana” Rg 1924], il Regolatore e il Consigliere Capitolare rispondono am-
mettendo che la redazione di tale articolo non è esatta e che a suo tempo oc-
correrà rivederla. Nella nuova formulazione si terrà certamente presente il
pensiero di Don Bosco e dei Papi”. A conclusione della discussione il Rettor
Maggiore “insiste poi che gli Ispettori e i Direttori sentano la loro responsabi-
lità anche in questo settore. Unire attorno a noi anime buone e dar loro la pos-
sibilità di esercitare l’apostolato cristiano è cosa grande. A poco a poco dob-
biamo fare sì che si realizzi l’intuizione profetica di Don Bosco: «Verrà un
tempo in cui il nome Cooperatore vorrà dire vero cristiano»”87. Quanto alla
Stampa si afferma essa “è uno dei fini principali della nostra Congregazione”;
perciò si riconosce “la necessità di dedicare a questo settore, specialmente a
quello della stampa periodica, un personale adeguato per numero, capacità e
preparazione”, mirando “ad una larga diffusione tra le classi popolari e giova-
nili”, per la quale sono indispensabili “Solidarietà, collaborazione, coordina-
mento delle iniziative singole sul piano ispettoriale, nazionale ed internazio-
nale”. Si propugna anche una vasta oculata utilizzazione del cinema, della
Radio e della TV88. Nella seduta conclusiva un ispettore sudamericano ringra-
ziava il Rettor Maggiore “per l’immenso conforto portato ai confratelli con la
sua visita”; vi si associavano altri. Si faceva quindi voto che “nelle Ispettorie
di tutti i Paesi si studi la lingua italiana come mezzo di unione fraterna, come
87 Cf ibid., pp. 59-63.
88 Cf ibid., pp. 63-69.

3.9 Page 29

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 323
prova di attaccamento a Don Bosco, e perché tutti siano in grado di leggere i
documenti ufficiali della Congregazione e il ricco patrimonio delle Memorie
Biografiche89.
4. Rigide difese e inquietudini innovative nel preconcilio e negli anni del
concilio (1958-1965)
Il CG XVIII aveva operato qualche cauta sorvegliata correzione di rotta,
ma nessuna apprezzabile innovazione, “secondo i bisogni dei tempi”, nel re-
gime religioso ed educativo della Congregazione. Gli allarmi di fronte a serie
richieste, che non erano pericolo o latenti deviazioni, non avevano permesso
illuminate percezioni del critico momento storico, ma sospinto piuttosto a mi-
sure di difesa. È atteggiamento che è dato rilevare anche negli anni successivi
nelle varie e preoccupate prese di posizione da parte di membri del capitolo
superiore nei confronti di quanti operando sul campo – oratori, istituti, par-
rocchie – rilevano più in concreto i problemi e si muovono in favore di mi-
sure di adeguamento e di rinnovamento.
Immediatamente dopo il Direttore Spirituale cercava di equilibrare se-
condo tradizione le aperture circa le relazioni tra pratiche di pietà dei giovani
con il movimento liturgico in atto e allo scopo si facevano, a Roma e a Gaz-
zada (Varese) due raduni regionali dei Catechisti delle Case, senza specifica
attenzione agli oratori, estranei ai loro inquadramenti. La medesima ottica
ispirava i lavori dell’Incontro a Roma dei Presidenti delle Compagnie reli-
giose d’Italia90. Al termine del 1959 il Direttore Spirituale poteva annunciare
che le Compagnie erano entrate nella Consulta Generale dell’Apostolato dei
Laici, alla pari dell’A.C., le Congregazioni Mariane, la Legio Mariae, ecc91.
Secondo il Direttore Spirituale questo fatto era un incitamento a valorizzarle,
dal momento che diventavano sempre più importanti e attuali, data la posi-
zione di primo piano che l’apostolato dei laici stava acquistando nella Chiesa,
in pieno clima conciliare92. Particolarmente interessante era quanto comuni-
cava don Guido Borra, Consigliere capitolare per gli Oratori e le Parrocchie
agli inizi del 1962. Nell’ultimo trimestre del 1961 si erano tenuti in tutte le
Ispettorie d’Italia Convegni di Direttori di Oratori e di Parroci per trattare del-
89 Cf ibid., p. 72.
90 Cf ACS 39 (1958) n. 206, novembre-dicembre, pp. 18-19; 40 (1959) n. 205, gennaio-
febbraio, pp. 18-23; n. 206, marzo-aprile, pp. 19-21.
91 Cf ACS 41 (1960) n. 216, novembre-dicembre, pp. 12-13.
92 Cf ACS 43 (1962) n. 228, novembre-dicembre, pp. 14-15.

3.10 Page 30

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324 Pietro Braido
l’oratorio, “opera tipicamente salesiana, base e fondamento della Congrega-
zione”. Una richiesta immediata fu che cominciasse a funzionare seriamente
un Centro Oratori e che ci fosse personale specializzato soprattutto nel set-
tore Dirigenti e settore Giovani. Don Borra traeva dalle varie appassionate as-
semblee alcune conclusioni di immediata operatività. La rapida trasforma-
zione sociale, soprattutto nei centri industriali, aveva portato a rendere gli
oratori festivi anche quotidiani, in modo da dare conveniente spazio alle asso-
ciazioni in crescita: le Compagnie, l’A.C., i Circoli, l’Unione ex allievi, ecc.
Era, perciò, richiesto il coinvolgimento del maggior numero degli operatori,
salesiani e non salesiani. Vigilanza particolare era richiesta sulle sempre più
indispensabili attività sportive e in particolare sul “costume sportivo”, che
trova soprattutto “indecoroso e offensivo” nel giuoco della pallacanestro, e
sugli spogliatoi. Grande sviluppo doveva pure essere dato al doposcuola, ai
corsi culturali diurni o serali, “o di attività terziarie”, in analogia, sia pure in
forme ridotte, con quanto era avvenuto all’Agnelli, al Monterosa, al S. Paolo
a Torino, al Borgo ragazzi don Bosco a Roma e al don Bosco di Napoli, dove
accanto all’oratorio erano stati creati “imponenti centri professionali e indu-
striali” 93. Dalle relazioni ricevute, però, constatava che in certe nazioni l’Ora-
torio era “ancora un’appendice secondaria” e che alcuni oratori erano “più
nominali che reali”. Si doveva, quindi, “far opera di persuasione”, entusia-
smando soprattutto i confratelli giovani sospingendoli a lavorare in un’opera
che si rivelava “il mezzo più pacifico e sicuro per risanare le masse perife-
riche delle città”. Citava come pubblicazione stimolante il recente opuscolo di
don Guido Favini sull’Attualità dell’opera degli Oratori 94. Nell’ultimo suo
intervento del 1° gennaio, a pochi mesi del Capitolo generale XIX ricordava
quanto si era raccomandato riguardo agli oratori negli anni precedenti e come
numerosi convegni di Direttori avessero lavorato per sviluppare sempre più le
Compagnie e soprattutto a dar vita al “Circolo” degli adolescenti oltre i 15
anni. Per essi era nato tre anni prima il periodico di formazione Dimensioni,
che caldeggiava presso quanti operavano negli oratori insieme Ragazzi in
azione per i più giovani e Dirigenti per i grandi con responsabilità direttiva.
Inoltre annunciava che alle Case con oratorio annesso sarebbe stato inviato il
fascicolo litografato degli Atti dei convegni tenuti in Italia da settembre a no-
93 Cf ibid., n. 223, gennaio-febbraio, pp. 19-22.
94 Cf ACS 44 (1963) n. 229, p. 18; i concetti espressi qui e nei numeri precedenti, sono
ripresi in parte nel n. 233, settembre-ottobre, p. 17; in vista dell’imminente Capitolo generale,
negli ACS 45 (1964) n. 234, gennaio-febbraio, p. 21; in rapido riferimento a un discorso del
papa al Consiglio Direttivo Oratori e Circoli Giovanili, ASC 45 (1964) n. 238, settembre-ot-
tobre, pp. 18-19.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 325
vembre 1964 95. Ne era stato fervido animatore un esperto di oratori e loro
Delegato per l’Italia del Centro Oratori. Vi erano state trattate, con viva ade-
renza alle complesse situazioni sociali, tre fondamentali tematiche: L’Ora-
torio Salesiano oggi: nella pastorale della Chiesa, nel contesto sociologico,
nella storia e nella vita della Congregazione; L’Oratorio salesiano: le sue ca-
ratteristiche essenziali, la sua struttura organizzativa, il personale oratoriano
e i rapporti con la Casa Salesiana e la Parrocchia; La catechesi oratoriana:
ragioni di validità e rinnovamento metodologico96.
Quella del 1° gennaio era l’ultima parola espressa da don Borra quale
Consigliere per gli oratori e delle parrocchie. Finiva anche l’Ufficio ricoperto.
Infatti, in seguito al Capitolo Generale le cariche di Consigliere Scolastico
Generale, di Consigliere Professionale, di Consigliere per gli Oratori e per
le Parrocchie e le attività da loro curate confluivano in un unico titolare, il
Consigliere per la pastorale giovanile e parrocchiale.
5. La svolta pastorale del CG XIX (1965)
Il capitolo generale XIX fu tenuto con un anno di ritardo al fine di cele-
brarlo nel 1965 nella nuova sede del PAS, con un’autorizzazione chiesta alla
S. Sede e da essa concessa. Ne fu nominato Regolatore don Archimede Pia-
nazzi e i temi furono inviati in fascicolo a parte97. Durò, compresi gli esercizi,
dall’8 aprile al 10 giugno; i lavori veri e propri ebbero inizio il lunedì di
Pasqua 19 aprile. I partecipanti furono 151 assistiti da un numero eccezionale
di “esperti”, tra cui un buon numero dell’Istituto Superiore di pedagogia e
di altre facoltà del PAS.
5.1. Proiezioni al futuro e inviti alla moderazione
Il Rettor Maggiore introduceva il fascicolo dei temi con una circolare
del 24 aprile 1964 che rivelava e tendeva a creare per il nuovo capitolo, già
“conciliare”, un clima sensibilmente diverso da quello dei due precedenti.
Esso era favorito dalla sua partecipazione non solo fisica ma anche emotiva
95 Cf 46 (1965) n. 240, gennaio-febbraio, pp. 11-12.
96 Cf L’Oratorio salesiano e la parrocchia salesiana. Atti dei Convegni Ispettoriali Ora-
torî e dei Convegni Parroci Salesiani d’Italia 1964. Torino, Centro Oratori 1964. All’Oratorio
sono dedicate le pp. 3-84.
97 ACS 45 (1964) n. 234, gennaio-febbraio, pp. 13-14; n. 235, marzo aprile, p. 3; 236,
maggio-giugno, p. 2.

4.2 Page 32

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326 Pietro Braido
alle prime due sessioni o periodi del Concilio del 1962 e 196398. “Nello spi-
rito del Concilio Vaticano II – scriveva – abbiamo creduto bene di dare
grande importanza ad un aggiornamento di strutture nella Congregazione,
che le permetta di adempiere sempre meglio la missione affidatale da Dio
nella situazione grandemente cambiata del mondo presente. Confidiamo che
questo aggiornamento, fedele allo spirito delle Regole e di Don Bosco, e
ormai necessario per il poderoso sviluppo che la nostra Famiglia ha cono-
sciuto negli ultimi decenni, sia la premessa più fondamentale anche di quel
rinnovamento e rilancio dello spirito religioso e salesiano che tutti auspi-
chiamo. È questo rinnovamento l’unica vera condizione di una continuata
fruttuosità del nostro apostolato”. Ma non mancava un avvertimento di cau-
tela: “Ciascuno, nel proporre aggiornamenti e riforme, sappia che deve con-
correre a migliorare ciò che fosse difettoso nella pratica dei santi voti o nelle
tradizioni locali, non già a deteriorare il pensiero di Don Bosco o l’impegno
di perfezione, che debbono essere lo scopo delle nostre riunioni consigliari e
capitolari. Dalle correnti secolaresche, innovatrici, che porterebbero all’indif-
ferenza religiosa e alla perdita delle anime, ci liberi il Signore”99. Tali cautele
erano già state formulate altre volte. La Strenna per il 1962 era Giuriamo fe-
deltà al programma che ci ha dato Don Bosco100 e per il 1964 l’unione di
mente, di cuore e di opere, anzitutto con i Superiori101. Alle preoccupazioni
del Superiore faceva eco il prefetto generale102. L’eco risuonava più preoccu-
pata e restrittiva man mano che il Capitolo generale si avvicinava. “Si direbbe
– scriveva – che alcuni si attendano da esso chissà quali riforme o decisioni:
c’è chi parla di revisione delle Regole e dei Regolamenti, di aggiornamento
del sistema preventivo, di «ridimensionamenti» ecc., come se la Congrega-
zione fosse venuta avanti zoppicando, in passato, per chissà quali storpia-
ture”. Al Capitolo, invece, bisognava prepararsi “col proposito di assecondare
il pensiero e il desiderio della Chiesa, la quale, per mezzo del Concilio, desi-
dera[va] avviare tutti i suoi figli verso maggior perfezione cristiana, pur
preoccupandosi anche di aggiornarsi secondo i bisogni dei tempi. Anche noi
vogliamo andare «con i tempi», ma con don Bosco”103. Un attacco più a
98 Cf ACS 43 (1962) n. 227, settembre-ottobre, p. 3: 44 (1963) n. 229, gennaio-febbraio,
pp. 5-10.
99 Proposte per il Capitolo Generale XIX, ASC D 625, pp. 1-2. Le sottolineature
sono nostre.
100 Cf ACS 42 (1961) n. 221, settembre-ottobre, pp. 8-10; 43 (1962) n. 226, luglio-
agosto, p. 4.
101 Cf ACS 44 (1963) n. 233, settembre-ottobre, pp. 6-8.
102 Cf ibid., pp. 15-16.
103 Cf Il vero scopo del prossimo Capitolo Generale, ACS 45 (1964) n. 236, maggio-
giugno, pp. 12-16.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 327
fondo contro lo spirito di “innovazione” piuttosto che di “rinnovamento”, che
egli equiparava rispettivamente ad “allontanamento dai sani principi” – “ri-
torno ai sani principi”, egli portava, a intenzionale integrazione dell’inter-
vento quasi a ridosso del Capitolo. Parlava di diffusa “febbre di novità”, di
“interpreti quasi sempre affrettati e incompetenti” del Concilio, che volevano
“imporre idee nuove, semplicemente perché nuove”. Intanto si notava un af-
fievolimento della vita religiosa. Era “lo spirito del mondo, il naturalismo”,
che tentava di “penetrare nei cuori dei fedeli, dei religiosi, dei sacerdoti”.
Se si fosse voluto ascoltare la voce di don Bosco Maestro e Padre tale “spirito
di innovazione e di pericolosa libertà” avrebbe minacciato anche le comunità
salesiane. Il naturalismo, il relativismo, il permissivismo morale avrebbero
potuto far sì che “il desiderio apostolico di avvicinare ambienti profani o di
farsi accogliere dagli animi moderni, da quelli giovanili specialmente” si tra-
ducesse in uno svuotamento delle forme proprie della vita cristiana, privando
l’azione educativa del suo senso e del suo vigore104.
All’indizione del Capitolo era seguito l’invio del fascicolo delle Pro-
poste per il Capitolo Generale XIX, sembrate opportune per una prima tratta-
zione nei Capitoli ispettoriali: 1. Capitolo Superiore. 2. Ispettorie e Consiglio
Ispettoriale. 3. Il Direttore e il suo Capitolo. 4. Le Case e le Opere. 5. La for-
mazione dei Chierici (1. Le case di formazione, 2. Il tirocinio). 6. Pratiche di
pietà ed Esercizio di Buona Morte. 7. Apostolato (1. Apostolato giovanile ex-
trascolastico, 2. Scuole, 3. Pensionati, 4. Case per Esercizi, 5. Parrocchie, 6.
Missioni, 7. Cooperatori, 8. Ex allievi). 8. Scuole professionali (1. Scopi e tipi
di opere, 2. Il personale, 3. Quadri organizzativi). 9. Regolamenti. Furono sta-
bilite le seguenti commissioni: I. Strutture – II. Apostolato giovanile – III.
Apostolato non giovanile – IV. Coadiutori e Scuole professionali – V. Forma-
zione dei giovani – VI. Formazione Salesiana – VII. Costituzioni e Regola-
menti – VIII. Regolamento del Capitolo Superiore – IX. Commissione
Stampa del Capitolo.
5.2. Lo svolgimento del Capitolo
In sede di Capitolo l’elaborazione dei documenti da discutere nelle se-
dute plenarie fu affidata a sette Commissioni suddivise in quattordici sotto-
commissioni. Soffiava forte il vento del Concilio, che avrebbe tenuta l’ultima
Sessione da fine ottobre alla prima decade di dicembre. Alta era la tensione
104 Cf ACS 45 (1964) n. 239, novembre-dicembre, pp. 8-9.

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328 Pietro Braido
tra i partecipanti al Capitolo e molte le speranze di rinnovamento, ma anche
forte delusione tra un buon numero di essi quando ebbero tra mano gli schemi
preparati dalle Commissioni precapitolari. La laboriosa e cavillosa redazione
del Regolamento del capitolo generale consentì l’elezione del Rettor Mag-
giore il 27 aprile. Per l’usura della salute, don Ziggiotti si era dichiarato indi-
sponibile a un secondo dodicennio di governo, il suo probabile candidato, il
Regolatore don Pianazzi, si era alienato subito l’assemblea per il modo disin-
volto e sbrigativo nel guidare i lavori, il prefetto generale don Fedrigotti era
ritenuto più vicino alla conservazione che all’innovazione. L’alternativa era
don Ricceri, che, infatti, prevalse nettamente nella seconda votazione. L’ele-
zione dei membri del capitolo superiore del 3 maggio portava ai seguenti ri-
sultati, espressione dell’antico e del nuovo esistente nell’assemblea: Fedri-
gotti, prefetto, Bellido, direttore spirituale, Pilla, economo, seguiti nel pome-
riggio dai cinque consiglieri: Borra, Garnero, Giovannini, Pianazzi, Tohill. Le
discussioni non furono sempre ireniche, com’era inevitabile in una Congrega-
zione ad estensione mondiale, rimasta ancorata per più decenni ad una fedeltà
al Fondatore, esemplare per le intenzioni, i tanti valori conservati e promossi
e gli innumerevoli esiti positivi, ma non sempre aperta alle esigenze di cam-
biamento emergenti nelle comunità educative sia in rapporto ai giovani che ai
loro educatori, soprattutto quelli di nuova generazione in crescita. A riportare
i dibattiti dallo scontro al confronto costruttivo contribuì molto l’accorato e
incisivo discorso del Rettor Maggiore del 7 maggio, incline più a creare situa-
zioni positive e a prevenire quelle negative piuttosto che subirle e rispondervi
dialetticamente. Era necessario – faceva notare – ricreare un “clima vivo, vi-
goroso, ardente, pratico di carità”, che comportava “comprensione” sforzo di
“capire il mio «avversario» di idee”: “occorreva comprendere ed essere com-
presi!”. In concreto significava “comprendere che le generazioni nuove (e
nuove significa Confratelli anche sui 40-50 anni) hanno necessariamente, e
spesso fortunatamente, visioni, problemi, soluzioni, sensibilità diverse da
quelle dell’età più adulta”. Era chiesto a tutti “un lavoro volenteroso, consa-
pevole, intelligente, amoroso di osmosi”: “la gioventù – concludeva – si in-
nesti nell’esperienza, e questa non abbia paura di fare dei passi in avanti, po-
stulati dalla realtà attuale che i giovani spesso sentono più di noi, prima di
noi”105. È l’inaugurazione di quel “magistero”, testimoniato anche dagli inter-
venti, spesso acclamati, nelle discussioni successive e dalle “buone notti”, di
cui don Ricceri crederà di essere titolare, nel corso dell’intero rettorato, in
105 Atti del Capitolo Generale XIX [CG XIX], Roma, 8 aprile – 10 giugno 1965, ACS 47
(1966) n. 244, gennaio, pp. 315-317.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 329
virtù della qualifica di “successore di don Bosco”106. Nella presentazione
degli Atti egli mostra di condividere la netta sensazione dei capitolari “che la
Congregazione è a una svolta”, beninteso – avverte – che per svolta non
“s’intende entrare in un’altra via”, ma “camminare sulla stessa via pur con
orientamenti, impulsi e strumenti nuovi”, guardare al futuro con “sagace ade-
renza ai bisogni dei tempi” (Paolo VI ai capitolari)107.
I lavori proseguirono intensi approdando in un tempo relativamente
breve all’approvazione di ventidue documenti, di cui vari di carattere giuri-
dico o non attinenti al nostro tema. Segnaliamo quelli più vicini ad esso: Le
strutture della Congregazione - Pastorale delle vocazioni -Il Salesiano Coa-
diutore - Vita liturgica e di pietà - Apostolato giovanile - Scuole professionali
- Parrocchie e Oratori - Altre forme di apostolato sociale - Cooperatori Sale-
siani - Exallievi Salesiani - Gli strumenti di comunicazione sociale - Le mis-
sioni - Formazione dei giovani.
Ci sembra che sui pur notevoli elementi innovativi abbiano il soprav-
vento le ragioni della tradizione.
Quanto alle strutture, a iniziare dal “Consiglio superiore” (nuova deno-
minazione approvata dal capitolo generale insieme a quelle di “Consiglio
Ispettoriale” e “Consiglio della casa”)108 si approvava ad experimentum che,
confermate le tre cariche istituzionali del Prefetto, del Direttore spirituale e
dell’Economo, il numero dei consiglieri fosse portato da 5 a 9 con incarichi
attribuiti dal Rettor Maggiore: tre per la Formazione salesiana, la Pastorale
giovanile e parrocchiale, l’Apostolato tra gli adulti e sei con l’incarico di al-
trettanti gruppi di Ispettorie, da stabilire dal Rettor Maggiore109; l’incaricato
avrebbe presieduto pure le istituende “Conferenze Ispettoriali”110. Tra estate
e autunno sarebbero stati comunicati i nomi dei due nuovi consiglieri titolari
dei nuovi dicasteri della Pastorale giovanile e per gli Apostolati sociali e l’e-
lenco completo dei titolari dei sei gruppi di ispettorie111. Non era un semplice
cambio negli elementi di un organigramma, ma il sopravvento di una conce-
zione della missione della Congregazione e del suo governo non più definita
primariamente dalle opere, ma dalle funzioni e dalle modalità di azione.
106 Le buone notti furono raccolte in un fascicolo a parte, mentre gli interventi in as-
semblea più significativi compaiono tra gli Allegati al volume degli Atti capitolari (CG XIX
314-344).
107 CG XIX 6.
108 CG XIX 17, nota e 22. La denominazione “Atti del Consiglio Superiore” decorrerà
dal n. 244 del gennaio 1966.
109 CG XIX 23-26.
110 CG XIX 23-29.
111 Cf ACS 46 (1963) n. 242, agosto, pp. 5-6; n. 243, ottobre, pp. 8-7.

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330 Pietro Braido
Scomparivano di colpo i titolari dei quattro settori: Scuole, Istituti professio-
nali, Oratori ed ex-allievi, Cooperatori e stampa. I settori confluivano in uno
o l’altro dei tre dicasteri della Formazione, della Pastorale giovanile e parroc-
chiale, degli Apostolati sociali.
Il breve documento su Vita liturgica e di pietà naturalmente aderiva in-
condizionatamente alla Costituzione conciliare sulla Sacra Liturgia e insieme
intendeva salvaguardare la vitalità e l’autenticità della pietà salesiana, propo-
nendo orientamenti pratici ad una triplice fedeltà: “alla lettera ed allo spirito
della riforma liturgica della Chiesa, alle caratteristiche essenziali della pietà
salesiana, alle aspirazioni legittime e nuove dell’uomo contemporaneo”, “la
valorizzazione della Liturgia non intacca l’importanza dei ‘pii esercizi’” e “la
fedeltà ai valori della pietà salesiana esige che vengano accuratamente con-
servati e debitamente valorizzati gli elementi essenziali della nostra spiritua-
lità, e cioè: il suo contenuto sacramentale (SS. Eucaristia, Confessione), ma-
riano, ecclesiale (devozione al Papa e alla Chiesa); i suoi esercizi tradizionali
(santo Rosario, Visita al SS. Sacramento, ecc.); le sue forme (semplicità,
spontaneità, dignità, letizia interiore, ecc.)”112.
L’Apostolato giovanile (doc. IX) e le opere nelle quali si svolge (Con-
vitti, Semiconvitti ed Esternati, doc. IX; Scuole professionali, Oratorio,
Ospizio-pensionato, doc. X; Parrocchie e Oratori, doc. XI) costituirono l’ar-
chitrave dell’intero edificio capitolare. Sulla falsariga del Concilio Vaticano
II, si intendeva conferire un’innovatrice impronta pastorale alla tradizionale
azione educativa salesiana, introducendo nella letteratura salesiana, di forza e
stabilmente, un termine fino allora estraneo. Per quasi un secolo il termine
dominante era stato fissato nel titolo delle pagine sul Sistema Preventivo nel-
l’educazione [ovviamente cristiana, come mostrano i contenuti] della gio-
ventù. Pastorale non era una pura sostituzione terminologica, anche se si di-
chiarava che per l’efficacia dell’azione salesiana, la Congregazione doveva
“ispirarsi profondamente alle direttive pastorali della Chiesa”, “mantenersi fe-
dele allo spirito e alle direttive fondamentali del sistema educativo di Don
Bosco e insieme utilizzare con equilibrio ogni apporto valido delle scienze
pastorali, pedagogiche e sociologiche, promuovere studi ed esperienze ten-
denti ad individuare con sufficiente precisione e tempestività i problemi, le
esigenze e le attese della gioventù nei vari ambienti di vita e secondo le di-
verse condizioni storiche e sociali”113. Si deliberava, tra l’altro: “Si creino
centri permanenti di ricerca, di consulenza, di studio, a livello centrale e peri-
112 CG XIX 92-93.
113 Ibid., 101-102.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 331
ferico, collegati con il PAS per rilevazioni e iniziative in campo giovanile, cui
contribuisca anche l’esperienza dei Confratelli impegnati nel lavoro educa-
tivo”. In continuazione per una scuola salesiana integralmente educativa ad
alto livello qualitativo si deliberava pure di valorizzare l’Istituto Superiore di
pedagogia del PAS114. Erano anche decise aperture, impensabili fino allora,
per i convitti, che peraltro in non poche nazioni avrebbero avuto presto vita
breve115. Era scontata l’insistenza sulla sollecitudine verso i giovani lavoratori
soprattutto appartenenti alle categorie sociali più bisognose e povere e “la ri-
spondenza del giovane lavoratore” oggi116. Quanto alla parrocchia si innovava
alquanto rispetto alla disciplina precedente, riconoscendo che essa consentiva
“un contatto più autentico e una conoscenza più concreta della gioventù di
oggi nel suo ambiente e nelle sue relazioni naturali”, “una educazione cri-
stiana integrale” mediante i sacramenti, la catechesi, l’azione delle famiglie,
la collaborazione educativa con i laici, l’avvicinamento di tutte le categorie,
ma soprattutto “la conservazione e lo sviluppo delle proprie opere giovanili,
in particolare dell’Oratorio”, “la possibilità di un’attività formativa specifica-
mente salesiana nella preparazione di laici militanti per l’apostolato”. Però –
si precisava –, “la Congregazione, per rimanere fedele a se stessa, farà sì che
il numero e la qualità delle Parrocchie accettate non la sviino dalle sue attività
principali, che sono le opere direttamente giovanili”117. È interessante la deli-
berazione che fosse fondato “un Istituto Salesiano di Pastorale collegato con
il PAS” e che si istituisse il Centro organi di informazione e di diffusione di
sussidi pastorali, collegati con la Libreria della Dottrina Cristiana, con il
Centro Catechistico Salesiano, con l’Istituto di Pastorale e di Catechesi del
PAS” 118.
Il documento sulle Altre forme di apostolato sociale apriva spazi pres-
soché ignoti o limitati della precedente azione salesiana: la catechesi agli
adulti, l’apostolato familiare, tra gli insegnanti, tra i lavoratori119. “Il docu-
mento sui Cooperatori salesiani fu approvato per acclamazione senza discus-
sione in omaggio al sig. Don Ricceri, già Consigliere Generale dei Coopera-
tori stessi”120. La figura del Cooperatore, però, era collegata con quanto pro-
clamato dal Concilio Vaticano II su “il diritto e il dovere dei Laici all’aposto-
lato” e con la supposta idea di don Bosco di una “mobilitazione del laicato
114 Ibid., 104 e 107.
115 Ibid., 107-108.
116 Ibid., 113-129.
117 Ibid., 131.
118 Ibid., 130-134.
119 Ibid., 141-153.
120 Ibid., 355.

4.8 Page 38

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332 Pietro Braido
contro l’azione del mondo, nemico della Chiesa”: “lo zelo lungimirante pre-
conizzava, sotto i segni dell’Istituzione Salesiana, un nuovo provvidenziale
movimento del Laicato Cattolico”121. Il Capitolo generale demandava al
Rettor Maggiore lo studio relativo alla loro organizzazione122. Al seguito del
Decreto conciliare Inter mirifica del 4 dicembre 1963, per la prima volta un
capitolo tratta degli impegni positivi sugli Strumenti di comunicazione so-
ciale. Alle antiche diffidenze e ai ripetuti divieti sottentra l’affermazione tratta
dal documento conciliare: “Gli strumenti di comunicazione sociale hanno una
enorme importanza per la formazione dell’opinione pubblica e della co-
scienza cristiana e per la catechesi, la pastorale, la vita stessa umana e reli-
giosa” e il primo “orientamento” è: “Si istituisca presso il Consiglio Supe-
riore, alle dipendenze di un Consigliere Superiore, un Ufficio Centrale per gli
strumenti di comunicazione sociale, per promuovere, coordinare, sostenere le
iniziative in questo campo, diviso in varie sezioni: stampa, spettacolo (spe-
cialmente cinema), radio, televisione e altre forme di comunicazione sociale”,
studiando “in concreto la possibilità, dove le circostanze lo permettono, di
istituire, come già in alcuni posti si è fatto, stazioni trasmittenti radiotelevi-
sive per la diffusione di programmi di sano divertimento e di informazione e
formazione cristiana”123. Era, invece, ambizioso nelle prospettive e nelle at-
tese il documento sulla Formazione dei giovani, saldato ai classici insegna-
menti pontifici da Pio XI a Giovanni XXIII e agganciato a una più avanzata
“rispettosa” diagnosi delle “esigenze della gioventù oggi”: “vivo senso della
libertà”, “vivo senso sociale”, “vivo senso di aderenza al mondo di oggi”, pur
con la “presenza del peccato e sintomi di debolezza”. Ne sorgeva da parte del
salesiano educatore l’adeguazione alle differenze delle mentalità e dei livelli
evolutivi e culturali. Si affermava energicamente la catechesi giovanile come
“la prima attività dell’apostolato salesiano”, si ribadiva l’insostituibilità della
messa quotidiana, resa più elastica negli esternati, per i giorni festivi si propo-
neva la messa unica, si faceva l’elenco delle usuali preghiere quotidiane. Si
raccomandavano “il ritiro mensile per l’Esercizio della Buona Morte” e “gli
esercizi spirituali”, si tracciavano linee circa la “direzione spirituale dei gio-
vani”, l’”educazione all’amore e alla purezza”, l’educazione al positivo uso
del tempo libero e delle vacanze, “le Associazioni della gioventù salesiana e
l’apostolato dei laici”. Si demandava a una Commissione postcapitolare la re-
dazione di un “Direttorio pastorale giovanile”124.
121 Ibid., 154-155.
122 Ibid., 160-163.
123 Ibid., 170-177.
124 Ibid., 182-201.

4.9 Page 39

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 333
Nel documento Centri e sussidi di formazione si affermava: “La Congre-
gazione Salesiana dà il suo contributo originale all’apostolato generale della
Chiesa e alla educazione della gioventù in particolare, per procedere con più
sicurezza ed efficienza”. Si proponeva quindi di compilare una silloge di tutti
i tesori educativi ereditati da Don Bosco e dai primi Salesiani, mediante l’isti-
tuzione di un Centro di studi storici salesiani, che illustrasse sempre meglio
l’opera educativa di San Giovanni Bosco, ed esprimesse con precisione i li-
neamenti del suo metodo e del suo spirito. Si proponeva pure l’istituzione di
un Centro Salesiano di Pastorale della Gioventù, che tra altri compiti, doveva
avere quello di un’aggiornata informazione circa la situazione concreta e i bi-
sogni della gioventù attuale in rapida evoluzione e l’elaborazione di un pic-
colo Trattato dell’Educazione Salesiana del nostro tempo, al quale il Consi-
glio Superiore avrebbe potuto dare la sua approvazione ufficiale125. Era il do-
cumento conclusivo, un vertice, nel quale con l’aiuto di esperti nel settore
delle scienze dell’educazione si delineava una specie di sintesi di “innova-
tiva” pastorale pedagogica giovanile salesiana per una “nuova educazione” e
di un’aggiornata riedizione del sistema preventivo. Ma probabilmente non
dovette avere una grande risonanza, lontana com’era dalle abitudini e dalla
cultura complessiva della Congregazione e dalla carenza di personale prepa-
rato soprattutto in periferia. Sopravvenne insieme la crisi postconciliare nelle
varie forme, tra cui l’arresto improvviso del precedente grande afflusso di vo-
cazioni e il graduale declino numerico della Congregazione.
Inoltre, sul piano dei successivi indirizzi nel settore della formazione
giovanile sembra aver avuto un impatto negativo il fatto che nel Capitolo ge-
nerale XIX non pare sia stato presente uno specifico impegno per precisare
concettualmente la realtà della Pastorale, favorendo una successiva dico-
tomia tra essa e la Pedagogia, quindi tra “pastoralisti” in crescente maggio-
ranza e il numero meno cospicuo dei “pedagogisti”, una dicotomia che sarà
superata tra gli anni ’70 e ’80 grazie all’opera del Consigliere per la Pastorale
giovanile, Juan Edmundo Vecchi, e del Rettor Maggiore Egidio Viganò.
Invece, il pedagogico in senso lato aveva trovato ampia cittadinanza nel
discorso sull’Oratorio. “È un dato di fatto – si dice nel paragrafo Constata-
zioni della seconda parte del documento su Parrocchie e Oratori – che in
molte nazioni gli Oratori festivi non si sono sviluppati, e in altre, dove tale
sviluppo fu realizzato, non hanno tuttavia raggiunto quell’ampiezza che si è
invece verificata per altre opere educative, quali i Collegi”: ragioni econo-
miche e sociali, la mutata mentalità dei giovani, una certa crisi dell’associa-
125 Ibid., 201.

4.10 Page 40

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334 Pietro Braido
zionismo, la rivalutazione della parrocchia, ragioni congregazionali, con il
prevalente sviluppo del settore scolastico e la mancata preparazione di perso-
nale specializzato, “la vita dura e difficile dell’apostolato oratoriano”, l’isola-
mento dei confratelli addetti, la “penuria di mezzi”126.
Generosi in speranze e proposte e talora utopistici risultavano gli Orien-
tamenti operativi, preceduti da una categorica affermazione di principio: “Il
CG XIX afferma solennemente che, pur nelle mutate situazioni sociali, l’Ora-
torio, come centro di vita giovanile, conserva la sua validità ed è più attuale
che mai, soprattutto nella presente situazione di abbandono morale della gio-
ventù”. Ne seguivano direttive di ampio respiro: “L’Oratorio non deve limi-
tarsi alla massa giovanile che lo frequenta, ma deve diventare lo strumento
pastorale per l’avvicinamento di tutta la gioventù, aprendosi con spirito di
dialogo e missionario a tutti i giovani della Parrocchia, della zona, della città,
ossia dei lontani”. Esso doveva avere “un preciso programma educativo” ri-
spondente alla mutata psicologia dei giovani e “aderente alle fasi dell’età evo-
lutiva”. Le attività culturali e di svago andavano riqualificate, diventando
oltre che mezzi di attrazione e di svago anche forme concrete per lo sviluppo
della più ampia gamma degli interessi giovanili. Per l’uno e l’altro motivo
l’Oratorio doveva “completarsi con iniziative nuove: centri giovanili, centri
sociali, centri culturali, centri universitari, attività scolastiche e parascola-
stiche (scuole serali e doposcuola), centri di addestramento professionale,
scuole per apprendisti, centri di consulenza morale e religiosa per i giovani,
centri di orientamento”. Quanto ai ‘principi’ ispiratori dell’azione educativa e
pastorale nell’Oratorio il Capitolo rimandava al documento sulla Formazione
giovanile127. Nel diffuso documento, però, non si trova nemmeno il termine
“oratorio”, confluito ormai nell’indifferenziato contenitore della Pastorale
giovanile, senza particolare attenzione alle età e alle variegate condizioni so-
ciali e culturali e alle esigenze degli utenti e alle risorse proprie all’originale
creazione di don Bosco128. Incisive, in compenso, erano state le idee esposte
da don Ricceri il 18 maggio al termine delle discussioni sugli oratori. Esse
chiamavano a un grande senso di responsabilità di fronte alle nuove condi-
zioni giovanili. La gioventù, diceva, stava “diventando il «quarto stato» della
società” e – quasi divinando la non lontana “contestazione giovanile” – po-
teva “dare una svolta alla storia”; non era sufficiente a soddisfarne le do-
mande il puro fatto scolastico né si potevano ignorare le “migrazioni interne”
126 Ibid., 135-137.
127 Ibid., 134-140.
128 Cf ibid., 182-201.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 335
e le periferie delle grandi città. La tradizione e i regolamenti volevano che
ogni casa avesse accanto un oratorio, “Don Bosco – insisteva – non riesce a
pensare ad una Casa che non abbia questo polmone. Occorreva creare oratori
pilota impostati secondo formule nuove per esigenze nuove”129.
Tuttavia, perché l’Oratorio fosse effettivamente la prima opera della Con-
gregazione, ci si affidava all’organizzazione. Perciò, si proponevano orga-
nismi centrali di promozione a livello mondiale, di conferenze ispettoriali, di
ispettorie e di case. In particolare un effettivo “Centro Oratori” e una “Con-
sulta Centrale”, situati nella Direzione Generale, erano chiamati a impegnarsi
in uno “studio accurato della situazione attuale degli Oratori, delle possibilità
di sviluppo, delle esigenze della Chiesa e della Società, dell’inserimento del-
l’Oratorio nella pastorale parrocchiale”. Ad essi era pure affidata “la stesura
del nuovo Regolamento Generale degli Oratori, la cura di una stampa organiz-
zativa e lo scambio di studi e di esperienze intorno alla pastorale giovanile e
alla vita oratoriana”130. Ancora, l’art. 46 dei regolamenti era integrato dall’ob-
bligo dei sacerdoti che si preparavano all’esame per il conseguimento della pa-
tente di confessione, di esercitarsi in tale ministero, “ordinariamente solo per
i giovani dei nostri Istituti e Oratori”; e l’art. 61 ribadiva e allargava l’obbligo
di seriamente istruire ed esercitare anche i coadiutori a lavorare “negli Oratori
festivi e in altre opere di apostolato dei laici soprattutto tra i giovani”131.
6. Luigi Ricceri alle prese con l’immediato postconcilio tra profonde
crisi: sociali, ecclesiali, congregazionali
Don Luigi Ricceri è Rettor Maggiore dal 27 aprile 1965 al 15 dicembre
1977, un periodo che ricopre quasi l’intero papato di Paolo VI (1963-1978). Il
suo rettorato è drammatico, caratterizzato dall’esplosione di eventi negativi
da molti attribuiti al concilio, tra cui il calo delle vocazioni, le richieste di
riduzione allo stato laicale di preti e coadiutori, le inquietudini di elementi
particolarmente dotati nel campo sociale e politico.
Le radici salesiane di don Ricceri sono del tutto tradizionali sia per la
formazione sia gli uffici esercitati nella Congregazione prima di entrare nel
Capitolo Superiore come Consigliere per i cooperatori e la stampa. Ma il suo
temperamento e poi l’incarico capitolare specifico lo portano a una notevole
apertura sia ai problemi di Chiesa che a quelli della società civile, dimostran-
129 Cf ibid., 333-334.
130 Ibid., 137-140.
131 Ibid., 251 e 254.

5.2 Page 42

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336 Pietro Braido
dosi il meno “clericale” della dirigenza salesiana del tempo. A lui toccherà il
grave compito di essere il moderno moderatore della prima fase, la più diffi-
cile, della “rivoluzione” postconciliare. La “navigazione” si presenterà diffi-
cile. Anche la Società salesiana, estranea sostanzialmente alle grandi dispute
teologiche, sul piano pratico subisce fenomeni praticamente generalizzati, in
primo piano la forte flessione delle nuove vocazioni e l’emorragia dei pro-
fessi triennali e perpetui, ecclesiastici e laici: dai 21.614 membri effettivi del
1967 la Società salesiana nel 1977 contava 16.733 professi.
Iniziando il suo governo nel postcapitolo don Ricceri era consapevole
dell’arduo compito a cui era stato chiamato. Era già impressionante la va-
rietà e la mole dei documenti, con la molteplicità dei compiti che erano stati
demandati al Consiglio Superiore. Tra manuali e direttòri da far comporre,
Commissioni permanenti da istituire, Centri e Uffici da organizzare presso
la direzione generale, di Istituti da erigere e di studi su particolari problemi
da curare, si arrivava a quasi trenta unità. Naturalmente, molto più impegna-
tivo era ciò che egli stesso, non certo a malincuore, segnalava: la Congrega-
zione era ad una svolta, un termine questo dalle prevedibili discordanti inter-
pretazioni132.
Fin dai primi anni del dodicennio, ma soprattutto in quelli a ridosso del
CGS, sarà tenace l’insistenza su una impegnata attuazione di quanto disposto
dal CG XIX, causa dell’insoddisfazione di tanti confratelli desiderosi della
più o meno “accomodata renovatio”. Anche se l’attuazione delle deliberazioni
capitolari era stata demandata al Consiglio Superiore coadiuvato da una Com-
missione postcapitolare, le più gravi responsabilità ricadevano su di lui, del
resto profondamente consapevole della non delegabile unicità e autorevo-
lezza, nella Congregazione del “Magistero” del Superiore Maggiore, pur ri-
flesso anche in quello di ispettori e direttori. “Voi non ignorate certamente –
precisava – che uno dei principali doveri di un superiore religioso, a qualsiasi
livello, sempre, ma soprattutto oggi, sia quello che possiamo chiamare del
«magistero». Quello cioè di dirigere, orientare, animare, e quindi di indicare
la retta via, correggere tempestivamente le deviazioni, denunciare gli abusi,
definire in alcuni momenti le giuste posizioni, in modo che tutti possano co-
noscere a un determinato momento con la necessaria chiarezza la via da se-
guire in Congregazione”133. Identico fervore lo caratterizzerà ancor più nel-
l’attuazione del più tumultuoso e innovatore CGS XX, riprendendo anche i
temi da lui sottolineati nella presentazione dei documenti, tra cui capitale
132 Cf ibid., 4-6.
133 La funzione del magistero nella Congregazione, ACS 54 (1973) n. 269, gennaio-
marzo, pp. 1767-1771; cf anche A proposito di magistero, n. 270, aprile-giugno, p. 1865.

5.3 Page 43

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 337
quello del coordinamento di “unità e decentramento”134. Furono anni di pro-
gressiva usura delle sue pur vivaci energie. La fine del dodicennio costituì per
lui una liberazione, che gli permise di trascorre gli ultimi anni di vita in sere-
nità pur sempre in vigile attenzione agli eventi della Congregazione, della
Chiesa, della società con speciale riferimento alle Missioni estere, di cui nel
1975 si era celebrato il Centenario135.
L’oratorio gli era stato presente fin dalla presentazione degli Atti del Ca-
pitolo Generale XIV. Nella gerarchia delle opere egli poneva nell’ordine della
priorità e della preminenza – non dell’esclusività – l’oratorio e l’istruzione
professionale. Egli pensava, però ad un oratorio che rispondesse tempestiva-
mente ai problemi imposti “dal tempo libero, con tutti gli strumenti e gli ac-
corgimenti della tecnica e dell’arte moderna”. Un oratorio che si facesse
“«centro giovanile» nel senso più completo, più moderno, più dinamico della
parola”, nel quale la Catechesi fosse “realizzata con i metodi e le tecniche più
adatte” al tempo presente”136. Anch’esso, ovviamente, era compreso tra le co-
munità educative di cui era corresponsabile l’intera comunità137. Però, altri
più generali e gravi problemi avrebbero assorbito in questi anni il Rettor
Maggiore: il ridimensionamento e la semplificazione delle opere, la ricerca
dell’equilibrio tra unità e decentramento nelle strutture e nell’azione, la crea-
zione di un comune sentire sul “rinnovamento” – l’accomodata renovatio –
nell’adeguazione ai tempi e, insieme, nella inderogabile fedeltà a don Bosco,
la promozione di una sincera mentalità e tecnica del dialogo, le contromisure
alla profonda crisi delle vocazioni. La tradizionale attenzione alle singole isti-
tuzioni, in antecedenza propria dei membri del Consiglio Superiore ad esse
deputati era “decentrata” e distribuita tra più responsabili, al centro e alla pe-
riferia: il nuovo dicastero della Pastorale giovanile, gli Uffici dipendenti o in-
tegrativi, le Conferenze ispettoriali, le singole ispettorie e i loro organi tecnici
e di animazione. Ciò vale sia per l’oratorio che per l’attività catechistica, suo
fine principale. La “Crociata” centralizzata era finita o prendeva un nuovo
volto, secondo una tendenza già iniziata nel corso del rettorato precedente.
Tuttavia non mancano taluni interventi del Rettor Maggiore ed altri di
diverse provenienze che vengono da lui sottolineati, anche se si avvertiva che
non era facile seguire le tante iniziative per lo studio condotto da molte ispet-
134 Cf Il decentramento e l’unità nella Congregazione, ACS 54 (1973) n. 272, ottobre-di-
cembre, pp. 2007-2045.
135 Cf Le Missioni, strada al rinnovamento, ACS 53 (1972) n. 267, luglio, pp. 1547-
1575; Nel centenario delle missioni salesiane, ACS 56 (1975) n. 277, gennaio-marzo, pp.
2403-2434.
136 CG XIX 11-12.
137 Cf ACS 46 (1965) n. 245, marzo, p. 10.

5.4 Page 44

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338 Pietro Braido
torie per l’aggiornamento delle attività pastorali138. Del 1967 è segnalato uno
studio, di iniziativa del Consigliere per la Pastorale giovanile, del problema
degli oratori, con inchieste nelle case e nelle ispettorie, i cui risultati, rielabo-
rati da una Commissione presieduta dallo stesso titolare del dicastero, ave-
vano consentito di definire direttive generali, che dovevano “servire come
norma alle Conferenze ispettoriali per la riorganizzazione di questo importan-
tissimo settore dell’apostolato salesiano”139. Per l’Anno della Fede, il 1968,
indetto per tutta la Chiesa da Paolo VI, don Ricceri poneva il problema del
“come celebrarlo”, premettendo valutazioni sul grado di religiosità dentro e
fuori il mondo cattolico e proponeva ai salesiani un piano dottrinale e opera-
tivo, incominciando dalla catechesi, “preciso compito della Congregazione”.
Essa richiedeva un’alta qualificazione, dichiarandosi peraltro soddisfatto del
lavoro di istituzioni quali l’”Istituto di Catechetica del PAS e il Centro Cate-
chistico di Torino”, senza dimenticare altre analoghe iniziative140. Il 1968 era
per i salesiani anche Anno Mariano, indetto per fare memoria del primo cen-
tenario della consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice. Vari erano i
modi proposti per celebrarlo in forme durature. Tra essi don Ricceri indicava
il vivere a ritmo più intenso l’impegno apostolico e proponeva in particolare
tre iniziative: l’adesione ad una nuova inedita spedizione missionaria, l’attua-
zione di un Centro Giovanile per ogni Ispettoria, l’apertura ancora a livello
ispettoriale di una Casa di Esercizi Spirituali. Quanto al Centro giovanile vo-
leva che rispondesse pienamente alla figura che ne era stata tracciata e delibe-
rata dal Capitolo Generale XIX. Non chiedeva “un’opera nuova, ma la tra-
sformazione o sostituzione o l’opportuno adattamento di un’opera già esi-
stente alle nuove esigenze dei giovani” e rispondente alle giuste attese della
Chiesa dalla Congregazione141.
Più attenti all’oratorio e al centro giovanile nell’ambito di una pastorale
per l’età in crescita si dimostravano i partecipanti ai tre Convegni interconti-
nentali degli Ispettori, presieduti da don Ricceri, tenuti nei giorni 20-26 feb-
braio, 16-23 aprile, 5-12 maggio 1968, rispettivamente a Bangalore per
l’Asia, a Como per l’Europa, il Medio Oriente, l’Africa e l’Australia, a Ca-
racas per l’America Latina. Don Ricceri li aveva preannunciati poco prima
della partenza per Bangalore142 e al termine delle vivaci e fruttuose riunioni
ne faceva un breve commento e rendeva pubbliche le Conclusioni ivi appro-
138 Cf ACS 48 (1967) n. 248, maggio, p. 30.
139 Cf ibid., n. 247, gennaio, p. 47.
140 Cf ibid., n. 250, dicembre, pp. 19-21.
141 Cf ibid., pp. 44-51.
142 Cf ACS 49 (1968) n. 251, febbraio, pp. 3-5.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 339
vate143. All’oratorio speciale attenzione prestò il Convegno di Bangalore. Si
richiamavano le parole di don Ricceri del 18 maggio al Capitolo Generale
XIX e si formulava una lunga serie di riflessioni e di impegni per il settore
oratoriano. Anzitutto, mentre si riaffermava che l’oratorio era l’opera sale-
siana primaria, ma anche “la formula più felice ed efficace di apostolato tra i
giovani”, si constatava che nella pratica era “trattato come opera secondaria e
marginale”. Seguivano proposte di misure perché l’oratorio affiancasse ogni
casa ed ogni parrocchia, disponesse di personale preparato e zelante e di lo-
cali congruenti. Inoltre, l’oratorio non doveva limitarsi ai fanciulli, ma essere
in grado di attrarre anche gli adolescenti, i giovani e gli adulti. Infine, nel
caso non si potesse mettere in piedi un oratorio stabile, si prendesse in consi-
derazione la possibilità di oratori volanti o di analoghe forme di irradiazione
apostolica144. Invece, a Como si prestava rapida attenzione ai Centri giovanili,
sottolineando alcune motivazioni: il Rettor Maggiore ne aveva caldeggiata
l’attuazione a tutte le ispettorie; era una tipica risposta salesiana alle attese ed
esigenze della gioventù; le attuazioni in corso in varie nazioni dimostravano
che era una formula valida e adattabile alla diversità dei luoghi e dei destina-
tari145. A Caracas sembra si sia preferito trattare più ampiamente di Pastorale
giovanile, senza analizzarne i luoghi di esercizio. Si concludeva sottolineando
l’urgenza di qualificare pastoralmente il personale salesiano. Allo scopo l’As-
semblea degli Ispettori decideva di proporre al Consiglio Superiore la crea-
zione dell’Istituto Latino-Americano di Pastorale Giovanile e si impegnava
ad iniziare immediatamente la preparazione dei futuri professori e ad elabo-
rare un progetto da sottoporre all’approvazione del Consiglio146.
Dell’oratorio il Rettor Maggiore tornava a parlare a ridosso del Capitolo
Generale Speciale, toccando, non per la prima volta, il tasto dolente dell’in-
sufficienza da parte dei confratelli della conoscenza e dell’attuazione degli
Atti del CG XIX circa materie di estrema importanza per l’innovazione e il
vigore di taluni importanti luoghi dell’azione tra la gioventù. Stavolta ne ci-
tava tre: la scuola, l’oratorio e la pastorale delle vocazioni. I titoli erano in-
quietanti: Un problema aperto: l’apostolato della scuola, La pastoralizza-
zione della scuola, I giovani chiedono una scuola formativa; Un altro pro-
blema: l’Oratorio; La pastorale delle vocazioni a che punto?147.
143 Cf ibid., n. 252, luglio, pp. 9-22 e 31-86.
144 Cf ibid., pp. 58-60.
145 Cf ibid., p. 67.
146 Cf ibid., p. 86. L’Istituto Latino-Americano di Pastorale Giovanile iniziava le sue atti-
vità nel marzo 1970 a Bogotá in Colombia; in aprile un altro analogo s’inaugurava a Buenos
Aires: cf ACS 51 (1970) n. 260, marzo, pp. 51-52.
147 Cf ACS 50 (1969) n. 258, settembre, pp. 26-37.

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340 Pietro Braido
Per l’oratorio disegnava chiaroscuri: moderne iniziative per il rilancio,
diffuso disimpegno, discrepanza tra le solenni affermazioni di principio e i
provvedimenti studiati e programmati, la carenza di “un preciso programma
educativo per le diverse età dei giovani, perfezionando la Catechesi, la Li-
turgia, l’iniziazione dei migliori ad impegni apostolici, l’impegno degli orato-
riani nella società e nella Chiesa, anche attraverso il lavoro dei vari tipi di as-
sociazione”. Naturalmente – riconosceva – comportava difficoltà e sacrifici di
ogni genere. Ma l’oratorio era opera “di così capitale importanza” che esi-
geva, nell’ottica del CG XIX, “una coraggiosa e decisa azione” per il suo ri-
lancio e una nuova fioritura. C’era invece da temere che la crisi si aggravasse
nello sviluppo sia quantitativo, diventando opera “vecchia, anacronistica, su-
perata”148. A Capitolo speciale iniziato, don Ricceri riservava un indicativo
riferimento all’oratorio all’interno di numerose pagine dedicate al “dramma-
tico problema del «sottosviluppo»”. Di fronte ad esso la Congregazione do-
veva ispirarsi a don Bosco, che aveva iniziato l’Oratorio proprio in seguito al-
l’esperienza del sottosviluppo vissuta nell’incontro con i giovani detenuti
delle carceri di Torino. Erano quelli – faceva notare don Ricceri – che in una
lettera al prefetto della provincia del 3 gennaio 1873 don Bosco definiva “la
porzione forse più degna della società quali sono i figli del basso popolo”
(Em IV 38)149.
7. Fedeltà ed utopie nel CG XX, “speciale” (1971-1972)
Il capitolo generale XX, “speciale”, risultò e resta il più lungo e contra-
stato dei capitoli generali salesiani. Ne uscirono due volumi, presentati dal
Rettor Maggiore, don Ricceri, il 31 gennaio 1972: il primo, con gli Orienta-
menti dottrinali-pastorali e quelli operativi e, il secondo, con i testi rinnovati
delle Costituzioni e dei Regolamenti. Il Capitolo aveva il compito di ridefi-
nire l’essere e l’operare della Congregazione salesiana di fronte alle esigenze
e alle richieste del Concilio Vaticano II e soprattutto alle necessità storiche,
come illustrava don Ricceri in un numero a parte degli Atti del Consiglio Su-
periore. I temi proposti per la discussione erano quattro: I. Natura e fine della
Congregazione Salesiana. II. La vita consacrata a Dio nella Congregazione
Salesiana. III. La formazione alla vita consacrata nella Congregazione Sale-
siana. IV. Strutture e governo della Congregazione150. Intanto, preoccupato di
148 Cf ibid., pp. 32-34.
149 Cf ACS 51 (1970) n. 261, luglio, pp. 18-20.
150 Cf ACS 49 (1968), n. 254, novembre, numero speciale, IV-23 p.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 341
diffuse inquietudini, di dissidi e molteplicità di opinioni, don Ricceri non
mancava di svolgere opera di animazione con non occulta “direttività”. Nella
circolare di maggio 1969, richiamandosi allo scopo di “rinnovamento” della
Congregazione attribuito al CGS, citava p. Congar e la Perfectae caritatis e
precisava che “l’accomodata renovatio di cui parlava il Decreto invitava in-
sieme alla fedeltà allo spirito primitivo degli Istituti e nello stesso tempo al
loro adattamento alle mutate condizioni storiche”, sottolineando che i due
poli erano “ugualmente essenziali e necessari”: “la nostra fedeltà, perché sia
autentica e feconda, deve essere rivolta insieme al passato e al presente”.
Chiariva poi i due poli: Ritorno alle fonti, Conoscere Don Bosco e Aprirsi ai
segni dei tempi: Studio ed esperienza, forze complementari151. Nella lettera
successiva, come si è visto a proposito dell’oratorio, lamentava la troppo
lenta attuazione del CG XIX152. “Un responsabile impegno per il Capitolo
Generale” chiedeva ancora alla fine dell’anno, immaginando che don Bosco e
i Salesiani della prima ora ripetessero ai salesiani di oggi: “Impegnatevi, col-
laborate per dare alla Chiesa non un’altra Congregazione, ma una Congrega-
zione rinnovata nello spirito autentico del Padre per i bisogni dei nuovi
tempi”: “Collaborare con ottimismo costruttivo”, “lasciamoci condurre dal-
l’amore”, esortava ansioso153.
Nell’ottobre 1970 si aveva, finalmente, la convocazione del Capitolo
Generale Speciale a Roma, nella nuova Casa Generalizia, per le ore 10 del 10
maggio 1971154. Ma, per ragioni logistiche, la seduta di apertura del CG XX
Speciale si ebbe il 10 giugno 1971, presidente don Ricceri, regolatore don
Scrivo. Nel discorso inaugurale il Superiore affermava che lo scopo del CGS
era “promuovere una accomodata renovatio” della vita religiosa della Con-
gregazione. “Noi non siamo qui per fare una nuova Congregazione (…). È la
stessa identica Congregazione che è chiamata a rinnovarsi, rimanendo sostan-
zialmente quella che don Bosco ha voluto per ispirazione del Cielo e come si
è sviluppata nell’alveo della sana tradizione. Si tratta di una operazione deli-
cata di ringiovanimento”. Due dovevano essere i punti di riferimento: il magi-
stero della Chiesa e in particolare i documenti conciliari e postconciliari; e
come Capitolari Salesiani, “un sussidio indispensabile” si cercherà “nella let-
teratura salesiana”155. Le quattro Commissioni previste furono suddivise in
Sottocommissioni e ad esse, su richiesta dei Capitolari si aggiunsero altre sot-
151 CfACS 50 (1969) n. 257, maggio, pp. 5-14.
152 Cf ibid., n. 258, settembre, pp. 36-37.
153 Cf ibid., n. 259, dic., pp. 5-6, 11-12.
154 Cf ACS 51 (1970) n. 262, ottobre, pp. 8-10.1225-1226.
155 Cf Capitolo Generale Speciale XX [ = CGS XX], pp. 552-554.

5.8 Page 48

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342 Pietro Braido
tocommissioni su Evangelizzazione e Catechesi, L’Oratorio paradigma di
rinnovamento dell’Azione Salesiana e Il PAS, con altre Commissioni Speciali,
tra cui quelle per le Costituzioni e Regolamenti e per l’Iter postcapitolare.
Il Capitolo fu dichiarato chiuso il 5 gennaio 1972 con la 140a sessione
plenaria. Nella lettera di presentazione degli Atti il Rettor Maggiore non nega-
va “le deficienze, le debolezze e gli errori, frutti dei limiti umani” emerse nel
corso dei lavori capitolari; non negava nemmeno la disparità o eterogeneità
dei documenti approvati, ma ne sosteneva la sostanziale organicità: il CGS
“con l’insieme dei suoi Documenti è un corpus armonico inscindibile, anche
se non tutti hanno lo stesso valore normativo e se per forza di cose i Docu-
menti e gli Orientamenti hanno spesso una stesura stilistica diversa, un’ango-
lazione dei problemi e una presentazione redazionale varia l’una dall’altra:
ma, anche se talvolta può mancare l’omogeneità, c’è sempre l’organicità glo-
bale tra i singoli Documenti. Non viene meno per questo la loro validità”156. I
documenti furono 22 (articolati in più capitoli) raccolti in sei sezioni. Il più
direttamente interessato ai problemi dell’oratorio e, in esso, della catechesi fu
il primo: La nostra missione apostolica 1. I Salesiani di don Bosco nella
Chiesa, 2. Don Bosco nell’Oratorio, 3. Evangelizzazione e Catechesi, 4. Rin-
novamento pastorale dell’azione salesiana tra i giovani, 5. L’azione salesiana
nelle Parrocchie, 6. Le comunicazioni sociali nella pastorale salesiana, 7. L’a-
zione missionaria salesiana. Ovviamente vi sono strettamente collegati gli ar-
ticoli relativi delle Costituzioni approvate ad experimentum. Nella loro elabo-
razione il capitolo aveva sostanzialmente seguito i criteri proposti dalla V
Commissione precapitolare (San Tarcisio, 20 giugno 1971): le Costituzioni
dovevano essere “rinnovate”, non semplicemente “ritoccate”, salvaguardando
“la profonda continuità e la sostanziale fedeltà” riguardo alle Costituzioni del
1966. Particolarmente “fondanti” e innovativi appaiono i titoli della prima
parte centrati sul “fine specifico”: I salesiani di don Bosco nella Chiesa, I de-
stinatari della nostra missione, Il servizio reso con la nostra missione, Le no-
stre attività e opere, I corresponsabili della missione, Lo spirito salesiano.
Senza dubbio il secondo documento sul tema Don Bosco nell’Oratorio cri-
terio permanente di rinnovamento dell’azione salesiana subordinava all’ap-
tatio “alle mutate condizioni dei tempi” il reditus alle fonti, la fedeltà alle ra-
dici. Essa comportava il riferimento non al concetto di oratorio, oratorio fe-
stivo, poi anche quotidiano, incarnato nella più che secolare esperienza sto-
rica salesiana, ma alla persona di don Bosco che aveva svolto la sua “azione
pastorale” nel ben cronologicamente definito oratorio di Valdocco, prima
156 Cf CGS XX, pp. X-XI.

5.9 Page 49

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 343
semplice oratorio festivo, poi Oratorio, “l’Oratorio”, nella sua completezza e
cioè anche internato con scuole classiche e professionali e luoghi annessi per
le attività di tempo libero, culturali e ricreative. Il criterio che si dichiarava
non poteva essere semplicemente lo spirito, troppo soggettivo, né le opere,
esposte a idealizzazioni e deformazioni. Il “criterio ideale” era rappresentato
da Don Bosco nell’Oratorio, inteso non “come un’opera concreta, contrap-
posta ad altre opere da lui istituite, ma piuttosto come la matrice, la sintesi,
la cifra riassuntiva delle geniali creazioni apostoliche del Santo Fondatore”,
“fedele e dinamico, docile e creativo, fermo e flessibile a un tempo”, che
“rimane un modello di comportamento per tutti i suoi figli”. “Riandando
all’Oratorio, però – era precisato –, ciò che noi cerchiamo non è tanto la
successione storica degli avvenimenti, quanto l’idea che Don Bosco si era
formato della sua missione e le formule escogitate per realizzarla”157.
L’evoluzione aveva avuto inizio nel CG XIX con la centralità della pa-
storale rispetto alle singole istituzioni, che aveva trovato la traduzione giuri-
dica e operativa nell’unico Consigliere della Pastorale giovanile. Non man-
cava in seconda istanza anche il riferimento all’oratorio, come avveniva col
capitolo quinto, Principali strutture di attuazione, del documento quarto, Rin-
novamento pastorale dell’azione salesiana tra i giovani. Tra esse, infatti, ve-
niva elencato al primo posto l’Oratorio-Centro Giovanile, seguito dalla
Scuola, dai Pensionati e Convitti e dai Servizi fuori delle Opere salesiane,
tutte “strutture che per la riaffermazione della loro attualità o per la maggior
risposta che danno alle esigenze locali, sono più diffuse”. Nel Capitolo – si
dichiara – “i confratelli quasi all’unanimità hanno confermato la priorità e
l’attualità di quest’opera. Si accusa la precaria situazione generale dell’ora-
torio e se ne propone un rilancio effettivo. Ciò comportava un aggiornamento
metodologico, un’apertura a tutta la gioventù alla cui formazione venivano
impegnati i Salesiani con una sensibilità viva dell’ambiente in cui operano”.
Si citava quanto era stato affermato dal CG XIX e da don Ricceri nella Rela-
zione generale sullo stato della Congregazione158.
“Una delle manifestazioni più genuine di come viene assimilato il pen-
siero di Don Bosco nella Congregazione” – si dichiarava –, l’Oratorio, per la
sua “grande plasticità”, “ha portato a una grande versatilità e a una grande di-
versità di maniere di organizzarla”, con alcuni “tratti comuni” caratterizzanti:
“– esistenza di gruppi numerosi di fanciulli e di giovani, principalmente biso-
gnosi, con diverse organizzazione o attività proprie” – differenti gradi di ma-
157 Ibid., 234-237.
158 Cf Relazione generale sullo stato della Congregazione, pp. 105-107.

5.10 Page 50

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344 Pietro Braido
turità dei singoli o gruppi e gradualità di inserimento nella vita dell’Oratorio-
Centro Giovanile – attività svariate sviluppate in “un impiego formativo del
tempo libero” – “un clima di spontaneità e di famiglia” tra Salesiani, collabo-
ratori e giovani, costituenti una vera Comunità educativa, con varietà di nomi:
“Oratorio, Centro Giovanile, Club dei Giovani, Club Don Bosco…”: in defi-
nitiva, “un luogo di integrale formazione umana e cristiana”, dove più che
preoccuparsi “delle cose che «attirano» i giovani” si deve “svegliare in loro i
grandi problemi e gli ideali latenti”. “I diversi gruppi trovano le più svariate
possibilità di coltivare le loro attitudini, di sviluppare il senso sociale me-
diante la convivenza e la collaborazione, di sensibilizzarsi ai valori spirituali
e di partecipare al processo di evangelizzazione liberatrice”. Dovendo,
inoltre, la formazione cristiana dei giovani “innestarsi nella loro vita”, si am-
metteva la partecipazione delle ragazze in quelle attività in cui, secondo le
esigenze concrete di diversi luoghi, era conveniente la loro presenza. Inoltre,
non avendo i gruppi giovanili “lo stesso grado di maturità umano-cristiana”,
“un’organizzazione flessibile deve permettere l’esistenza di gruppi con im-
pegno sempre più serio, sia in campo religioso che in quello sociale”. Infine:
1° “Come cambia continuamente la situazione socio-geografica della città,
così si deve rivedere e ridimensionare continuamente la vita dell’Oratorio-
Centro Giovanile nelle sue diverse forme, adeguandola alle nuove richieste”;
2° “Le attività dell’Oratorio-Centro Giovanile siano inserite entro la Pastorale
d’insieme della Chiesa locale”, con “uno speciale rapporto con la parrocchia
salesiana se è nel suo territorio”, 3° Prendere “accordi opportuni per i neces-
sari collegamenti e le organizzazioni apostoliche laiche e con le argomenta-
zioni [istanze? strutture?] civili che si interessano della gioventù”159. Il CGS
discuteva e proponeva ulteriori indicazioni sui Gruppi misti trattando delle
Caratteristiche del nostro servizio pastorale. Erano giustificate – si diceva –
dal “concetto sociologico dei giovani d’oggi” e dalle “necessità di un’educa-
zione integrale”. Le attività conseguenti potevano costituire “un’ottima occa-
sione perché il giovane impari a prendere atteggiamenti di rispetto e di delica-
tezza verso la donna”. Erano pure chiamati in causa “sia la maturità e la pre-
parazione dei confratelli, sia la collaborazione di laici qualificati, sia la dispo-
sizione di locali idonei”160. Le nuove Costituzioni sperimentali, promulgate il
5 gennaio 1972 rispecchiavano perfettamente tutte queste istanze161.
159 CGS XX 234-237.
160 Ibid., 219-220.
161 Cf Costituzioni e Regolamenti della Società di S. Francesco di Sales, IV. Le nostre at-
tività e opere, art. 26-29; Regolamenti generali, II. La pastorale giovanile, art., 5-7 (L’ora-
torio-centro giovanile).

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 345
8. Un difficile sessennio tra stasi e fughe in avanti (1972-1977)
L’insieme dei documenti, secondo la lettera di presentazione di don Ric-
ceri, dava una solida base giuridica a quelle che il Superiore indicava come
“le grandi strutture portanti del Rinnovamento” e, perciò, le “cinque grandi
linee” del lavoro successivo: Senso vivo della presenza attiva di Dio, Mis-
sione Giovanile e Popolare quale proprium della Società salesiana di don
Bosco da attuarsi lungo tre direttrici: dei poveri, della catechesi, delle Mis-
sioni, la Costruzione delle comunità in base al “vincolo della carità e della co-
mune consacrazione e missione” e concretata nello sforzo “corresponsabilità
e partecipazione”, la Valorizzazione e il rilancio della “Famiglia Salesiana”,
la Cura dell’unità nel decentramento162.
Più avanti avrebbe fatto ancora più esplicito oggetto del suo “magistero”
il tema della missione, della pastorale, della catechesi e l’Oratorio. Vi dedi-
cava una circolare dal titolo Noi missionari dei giovani, inviata alla Congre-
gazione di ritorno da un incontro con gli ispettori dell’America Latina col-
l’approfondimento di tre linee operative: l’evangelizzazione della gioventù,
l’ispettoria come comunità formatrice, l’unità e il decentramento. Si fermava
sulla prima. L’essere Missionari dei giovani implicava “il mandato dell’evan-
gelizzazione”, “attraverso la catechesi più varia e più originale”. Anche la
“vecchia Europa” era diventata “una vera e propria «terra di missione»”,
«terra di evangelizzzazione» e la “situazione negli altri continenti” non era
“di molto migliore”: si poteva dire terra bisognosa di una nuova “catechesi”
comprensiva “d’evangelizzazione e rievangelizzazione”. Del resto – scriveva
– “la Chiesa è una grande catechesi”, come lo era stato il Concilio stesso. Il
quadro religioso non era confortante, i giovani, in particolare, si trovavano in
una “situazione di fede minacciata” soprattutto dal secolarismo e dall’a-
teismo, ma anche dall’indifferentismo indotto dal “pluralismo ideologico” e
da una malintesa “libertà di coscienza”. La risposta salesiana era già stata de-
finita dagli “«orientamenti operativi» precisi e concreti, coraggiosi e attuali”,
elaborati e proposti dal CGS, anche ad eco del CG XIX, sottoposti a continua
verifica nei Capitoli Ispettoriali del 1975 e dagli Incontri Continentali degli
Ispettori in corso. Sottolineava tre impegni principali che coinvolgevano i
salesiani come singoli e comunità nell’azione evangelizzatrice e catechistica:
1° Operare un cambio di mentalità, nella “rifusione e reimpostazione radicale
dei propri parametri di concezione e di azione pastorale”; 2° Adottare un
nuovo stile comunitario perché l’insegnamento catechistico trovasse un ri-
162 Cf CGS XX, pp. VIII-XXII.

6.2 Page 52

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346 Pietro Braido
scontro, una conferma e un consolidamento nella testimonianza nell’”intera
comunità educativa salesiana”; 3° Farsi presenti nel mondo in modo nuovo,
attuando un “rapporto stretto fra impegno evangelizzatore e atteggiamento di
servizio nei confronti del mondo”, “«l’agire per la giustizia e il partecipare
alla trasformazione del mondo»” (CGS). Passava quindi a tracciare rapide
linee di pedagogia catechistica relativa sia ai contenuti e ai metodi della cate-
chesi che alla formazione accurata dei salesiani catechisti, ricorrendo anche
alla collaborazione dell’Istituto di Catechetica dell’Università salesiana.
Quanto ai “luoghi” della catechesi ne sottolineava cinque: le celebrazioni li-
turgiche, la “presenza amica” tra i giovani, l’associazionismo, l’Oratorio e il
Centro giovanile, la scuola163.
Il discorso sull’Oratorio e il Centro giovanile, o come scrive don Ricceri
“oratorio o centro giovanile” è piuttosto sbrigativo. In essi (o in esso!) –
scrive – “la catechesi si presenta nel suo aspetto primario di evangelizzazione
e di annuncio di salvezza, per il fatto che i giovani lo frequentano spontanea-
mente, in un’esperienza di Chiesa e di integrale promozione umana efficacis-
sima e preziosissima”. “Senza formalizzarsi sui nomi che questa idea «bo-
schiana» può prendere in paesi, situazioni e tempi diversi, l’oratorio con la
flessibilità e la gamma infinita di possibilità delle più svariate iniziative, con
strutture ridotte all’essenziale, con l’apertura a tanti ragazzi senza condiziona-
menti economici, disciplinari, strutturali, con l’aria di libertà, spontaneità e
amicizia che in essa il ragazzo respira a pieni polmoni, rappresenta un ser-
vizio veramente popolare di evangelizzazione efficace e semplice, special-
mente per i preadolescenti, ma non solo per questi”. Bastano pochi salesiani,
“generosi ed entusiasti, ricchi di zelo apostolico, con la collaborazione di laici
guadagnati all’idea (…) possono realizzare un’opera capace di cambiare il
volto di un quartiere, arrivando attraverso i ragazzi, ai genitori, agli adulti”164.
9. Il lavoro di sintesi educativo-pastorale del capitolo generale XXI
Il capitolo generale XXI non poteva che portare a maturazione alcune
delle linee di azione indicate nel CGS. Veniva convocato alla Casa Genera-
lizia per il 31 ottobre 1977, preceduto dai consueti esercizi spirituali. Termi-
nava il 12 febbraio 1978. Erano previsti cinque scopi: “1. Studio e approfon-
dimento della «Relazione del RM sullo stato della Congregazione». 2. Revi-
163 ACS 56 (1975) n. 279, luglio-settembre, Noi missionari dei giovani, pp. 6-44.
164 Ibid., pp. 34-35.

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 347
sione delle Costituzioni e dei Regolamenti approvati dal CGS ad experi-
mentum fino al Capitolo generale XXI. 3. Studio del tema generale: Testimo-
niare e annunciare il Vangelo: due esigenze della vita salesiana tra i giovani.
4. Trattazione di altri temi di particolare attualità. 5. Elezione del Rettor Mag-
giore e del suo Consiglio per il sessennio 1977-1983. La Commisione pre-
capitolare deputata a redigere, sotto la responsabilità del Consiglio Superiore,
le relazioni o gli schemi da inviare ai partecipanti e da discutere al CG si di-
videva in quattro sottocommissioni: 1. Per le Costituzioni e i Regolamenti,
2. Per il Tema generale di studio. 3. Per il Salesiano Coadiutore. 4. Per la
Formazione.
Centrale e fondamentale era certamente il documento 1° I salesiani
evangelizzatori dei giovani, che trovava l’espressione più diffusa e significa-
tiva nelle parti terza e quarta: Il progetto educativo e la fecondità vocazionale
e Alcuni ambienti e vie di evangelizzazione, che portarono decisive acquisi-
zioni per l’azione tra i giovani della Società salesiana nei decenni successivi.
Nel presentare ufficialmente i Documenti capitolari il nuovo Rettor Maggiore
riconduceva a tre i grandi obiettivi a cui puntare per il rilancio: “– divenire
evangelizzatori specializzati dei giovani; – vivere da autentici religiosi in mis-
sione; – curare la Formazione Permanente attraverso una rinnovata anima-
zione salesiana165.
Di grande interesse sono le pagine dedicate a L’Oratorio e il Centro gio-
vanile ambienti di evangelizzazione. Le ispiravano anzitutto le affermazioni
del CGS XX circa “la priorità e attualità di quest’opera”, ma anche “la grande
plasticità”, e quindi la “grande versatilità e una grande diversità di maniere di
organizzarla”166. L’Oratorio era “opera prima e tipica della Congregazione”,
faceva eco il CG 21; ma “uno sguardo alla realtà pastorale della Congrega-
zione” – si aggiungeva – mette in evidenza che con i termini “Oratorio” e
“Centro Giovanile” si indicano realtà differenti nelle diverse regioni, realtà
che derivano “dalla stessa intuizione pedagogica e dallo stesso spirito”, ma
che si differenziano nella scelta dei destinatari, degli obiettivi immediati e
della metodologia. Ne risultavano, più precisamente tre forme: l’Oratorio,
“un ambiente indirizzato ai ragazzi, con prevalente apertura alla massa”; il
Centro giovanile, “un ambiente destinato ai giovani, attento alle loro esi-
genze, dove prevale[va] il rapporto di gruppo” e “l’impegno umano e cri-
stiano assume[va] un peso decisivo su altre attività (sportive, ricreative,
ecc.)”; l’Oratorio festivo-Centro giovanile, ambiente complessivo, i cui desti-
165 CG XXI 8.
166 Cf CGS XX 234; CG XXI 92.

6.4 Page 54

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348 Pietro Braido
natari erano sia i ragazzi che i giovani e gli obiettivi e i metodi erano diffe-
renziati secondo le fasce di età. A tutte e tre le forme erano assegnate le pri-
marie finalità e attività dell’evangelizzazione e della catechesi, attuate nel
contesto delle “attività del tempo libero organizzate in forme aperte”, che co-
munque non dovevano diventare prevalenti. Ma identiche dovevano essere le
caratteristiche derivate dalle intuizioni originarie di don Bosco: Un ambiente,
un programma, uno stile!, è il titolo di un paragrafo. Quanto alla presenza
anche delle ragazze, i capitolari si mostrano reticenti, ricordando che “il con-
cetto di Oratorio misto” era “fuori della prospettiva dei nostri testi capitolari
e normativi”. Caute aperture venivano ammesse per i Centri giovanili, rifa-
cendosi a quanto affermato dal CGS XX circa i Gruppi misti e stabilito dal-
l’articolo 7 dei Regolamenti: “Il Centro Giovanile può ammettere la presenza
delle giovani in quelle attività in cui, secondo le norme ispettoriali e la pasto-
rale diocesana, essa è conveniente”. Le linee di orientamento erano centrate
sulla necessità di assicurare agli Oratori e ai Centri giovanili “il personale ne-
cessario, preparato, unito alla comunità”, ispettoriale e locale, solidali nel so-
stegno, nelle programmazioni e nelle verifiche. Esse approdavano ad un
grave monito: “Ma il motore di tutto questo lavoro è «il Salesiano». Il Sale-
siano nell’Oratorio e nel Centro giovanile è il buon pastore, l’evangelizzatore
dei giovani. Non si appartiene: è per loro, sta con loro, è il segno dell’amore
di Dio in mezzo a loro”167.
Era l’estensione dell’idea dell’ “oratorio”, paradigma e criterio per qual-
siasi attività del salesiano, ereditata dal CGS XX168, che suggeriva al Rettor
Maggiore di enunciare nel discorso di chiusura del CG XXI la formula “cuore
oratoriano”, che non finirà di proporre fino al termine della vita quasi come
sintesi dell’essere e dell’operare del salesiano: non solo nell’Oratorio-strut-
tura, ma anche in tutte le opere, di cui l’Oratorio era considerato da più anni
l’esemplare. Dei tre grandi obiettivi di azione risultanti dal CG XXI don Vi-
ganò indicava per primo la missione, Il Vangelo ai giovani. Lo illustrava in
stretta relazione con il tema che il papa Paolo VI nella lettera fatta pervenire
tramite il Segretario di Stato, card. Jean Villot aveva considerato come carat-
tere fondamentale dell’identità salesiana: “Testimoniare e annunciare il Van-
gelo, due esigenze della vita salesiana tra i giovani”. Degli elementi dell’iden-
tità originaria salesiana don Viganò sottolineava, un “cuore oratoriano”, il Si-
stema Preventivo, lo spirito d’iniziativa. Il primo elemento egli lo trovava tra-
smesso da don Bosco tramite le Costituzioni, altri scritti e in particolare le pa-
167 CG XXI 92-96.
168 Cf Don Bosco nell’Oratorio criterio permanente di rinnovamento dell’azione sale-
siana CGS XX, doc. 2, pp. 139-141.

6.5 Page 55

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 349
gine delle Memorie dell’Oratorio. “L’Oratorio di Valdocco – chiariva – non è
tanto da concepirsi come l’inizio di questa o quella istituzione (anche se non
la esclude), ma come l’espressione più chiara e la concrezione primigenia
della carità pastorale di Don Bosco. Ci dovremo rifare, dunque, come criterio
primo di rinnovamento, al cuore del nostro Fondatore, che è un «cuore orato-
riano» non nel senso di dedicarsi a istituire un determinato tipo di opere, ma
nel senso di vivere ed esprimere un caratteristico atteggiamento pastorale
che deve qualificare ogni presenza salesiana in qualsiasi opera. Questa è la
prima scelta operativa da sottolineare: urge dare la priorità alla «pastorale
giovanile», riempiendo il cuore di «nostalgia oratoriana»”, mettendo “alla ra-
dice di tutto il nostro operare un criterio di «predilezione verso i giovani»,
ossia una tipica ricerca dei ragazzi e dei giovani sintetizzata nel motto «da
mihi animas»”169. Era, infine, una formulazione verbalmente diversa del-
l’altra, identica nella sostanza, a lungo adottata nella tradizione salesiana:
“spirito di don Bosco”, per don Ricaldone don Bosco stesso, “nella vita e
nelle opere”, secondo il titolo dell’eccellente biografia di don Ceria. Don Vi-
ganò si poneva su identica linea, quando passando a parlare del secondo ele-
mento distintivo dell’identità salesiana, affermava che il Sistema Preventivo
riportava “direttamente al cuore oratoriano di Don Bosco” e aggiungeva che
il progetto e lo stile di Don Bosco si concretizzano realisticamente in «am-
bienti» ed «opere»170. Vi si connetteva in più stretta relazione con le formule
usate nel CG XXI, in una successiva circolare sui Gruppi e Movimenti giova-
nili. “L’impegno in essi – osservava – richiede certamente uno speciale ade-
guamento alla odierna condizione giovanile”, ma anche il ricupero della du-
plice caratteristica salesiana delle origini: “innanzitutto, il «il cuore orato-
riano»” e insieme “la messa in pratica della «novità di presenza salesiana»,
ossia dello spirito di iniziativa o inventiva pastorale”; era, quindi, urgente im-
pegnarsi “nella promozione e animazione dei Gruppi e Movimenti giovanili,
con genuino cuore oratoriano e con metodologia di attualità”171. Si ripeteva in
una vicina circolare sul Progetto Africa. “Ricordo a tutti – ammoniva – che la
dimensione missionaria è parte viva e irrinunciabile di quel «cuore orato-
riano» che palpita in ogni buon Salesiano”172. Le origini storiche le additava
ancora in don Bosco. “Nel principio c’era, nel cuore di Don Bosco, la carità
pastorale con il dono di predilezione verso i giovani (…). Lì, in quel cuore di
169 CG XXI 329-330.
170 Ibid., 328-331.
171 ACS 60 (1979) n. 294, ottobre-dicembre, pp. 4-7.
172 ACS 61 (1980) n. 297, luglio-settembre, p. 28.

6.6 Page 56

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350 Pietro Braido
prete, si trova la sorgente prima e cristallina di tutta la Famiglia Salesiana”, in
particolare, “l’aspetto di donazione totale di sé a Dio in una missione giova-
nile”. La prima scintilla – continua – fu da lui concretizzata nell’Opera degli
Oratori, ciò che “noi oggi chiamiamo «pastorale giovanile» – interessante
l’identificazione e la generalizzazione! – (…). Nel principio c’era, dunque, un
cuore oratoriano!”173. “Avere un cuore oratoriano era la consegna che dava ai
Salesiani scrivendo di «Don Bosco Santo»”, “il segreto di tutto il cuore di
Don Bosco che ha palpitato sempre all’impulso del «da mihi animas»174.
10. Il rettorato di don Egidio Viganò (1977-1995) tra azione di governo
e innovazione costituzionale dal 1977 al 1984
Rettor Maggiore dal 15 dicembre 1977, don Viganò governerà durante i
residui 9 mesi di papato di Paolo VI, per 34 giorni di quello di Giovanni
Paolo I, per 17 anni nel corso di gran parte del pontificato di Giovanni Paolo
II. Quella di don Viganò è figura poliedrica, una personalità dalla lucida, pe-
netrante intelligenza, una forte passionalità disciplinata, governante lungimi-
rante e legislatore illuminato – e fantasioso! – e fermo. Un uomo dall’ada-
mantina fede teologale, ottimista, attivo, che crede fermamente che il vero
protagonista della storia è lo Spirito. “Noi siamo radicati nella potenza dello
Spirito Santo” – scriveva a proposito di Spiritualità salesiana per la nuova
evangelizzazione175 , che l’uomo doveva assecondare con carità operosa,
sempre proteso in avanti. In un lampo di genialità, per sospingere i suoi a
questa visione per nulla quietistica sembrava – inconsapevolmente – far pro-
prie le idee del neo-marxista Ernst Bloch, per il quale costitutivamente
l’uomo è il suo futuro, in forma originaria vive unicamente teso al futuro, co-
stantemente mosso dal principio speranza. “Si può dire – scriveva, temerario
– che il concetto di «storia» – è da pensare che si trattasse della storia reale
non della scienza storica – che oggi piace si riferisce di più al futuro che al
passato: più che memoria (la quale rimarrebbe pur sempre utile come ammae-
stramento), si considera la storia progetto da elaborare e da realizzare; ci si
vuol sentire protagonisti di un avvenire più umano e superiore. Cresce la ne-
cessità di un continuo rinnovamento. Si dà molta importanza alla concretezza
d’impegno e alla capacità operativa; si approfondisce e si sviluppa, così, un
173 ACS 63 (1982) n. 304, aprile-giugno, pp. 11-12.
174 ACS 64 (1983) n. 310, ottobre-dicembre, p. 10.
175 ACG 71 (1990) n. 334, ottobre-dicembre, pp. 19-23.

6.7 Page 57

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 351
nuovo rapporto tra teoria e prassi. Infatti il primato del futuro è connesso con
la centralità della prassi”176. Per questo il Superiore nel CG XXI aveva arric-
chito le qualità del governante salesiano con quella dell’”animatore”. Era una
prospettiva che con determinazione e tenacia era riuscito a far condividere, in
modo convinto, all’assemblea capitolare e a rendere norma di governo sale-
siano. Essa entrava significativamente nel nuovo sottotitolo degli Atti del Ca-
pitolo Superiore, già diventati con don Ricceri Atti del Consiglio Superiore
della Società Salesiana ed ora Atti del Consiglio Superiore (presto Generale).
Organo ufficiale di animazione e di comunicazione per la congregazione
salesiana. Fu sua massima cura con le lunghe circolari trimestrali, con
le strenne, i libri, prevalentemente eco di predicazioni di esercizi spirituali,
trasferire nella Società salesiana lo spirito e gli orientamenti del Concilio Va-
ticano II, un’azione animatrice parallela alla fedeltà stabilizzatrice conciliare
determinata dall’avvento al pontificato di Giovanni Paolo II. L’immissione
del patrimonio conciliare nella salesianità fu compiuto con prevalente taglio
teologico sapienziale. Anche se fu meno visibile la simpatia per la ricerca sto-
rica scientifica egli basò il continuo e intenso riferimento al fondatore su una
cospicua conoscenza esperienziale della storia reale salesiana, già assimilata
negli anni della formazione e via via accresciuta da conoscenze sempre più
vaste del mondo salesiano, per di più assistito da una penetrante intuizione
della figura di don Bosco, vita ed opere, e delle idee portanti del suo agire,
trasmettendo in coerente continuità il suo messaggio spirituale, pastorale, pe-
dagogico preventivo.
È naturale che a partire dal 1978 le sue circolari ai salesiani fossero fina-
lizzate “ad approfondire ed applicare il CG XXI” nelle sue diverse tematiche:
l’animazione, la laicità religiosa del coadiutore, la disciplina religiosa e mini-
sterialità sacerdotale del governante salesiano, la formazione dei candidati e
dei professi della Congregazione, il progetto educativo e pastorale. Sarà que-
st’ultimo, soprattutto sul versante educativo, oggetto di particolare attenzione
in stretta connessione con il riferimento al Sistema Preventivo. Ne trattava la
seconda circolare – la prima era dedicata a Maria Ausiliatrice177 –, Il Progetto
educativo salesiano, che già nel titolo indicava come, secondo don Viganò,
“l’intelligenza pedagogica” fosse l’elemento specifico della “carità pastorale”
di don Bosco e dei suoi discepoli. Traduceva il suo pensiero nella formula
a lui cara “Evangelizzare «educando», Educare «evangelizzando»”178. Ad
176 La nuova evangelizzazione, ACS 70 (1989) n. 331, ottobre-dicembre, pp. 8-9.
177 Maria rinnova la Famiglia salesiana di don Bosco, ACS 59 (1978) n. 289, gennaio-
giugno, pp. 3-35.
178 Ibid., n. 290, luglio-dicembre, pp. 4-5.

6.8 Page 58

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352 Pietro Braido
Alcune conseguenze per il nostro impegno pastorale educativo richiamava
in relazione all’importanza della famiglia oggetto del Sinodo del 1980179.
Arrivava intanto il tempo nel quale avrebbe portato a compimento il suo
capolavoro, che ne metteva in luce anche straordinarie capacità di legislatore,
evidenziate nel corso del CG XXII, destinato a dare assetto definitivo alla rie-
laborazione o nuova creazione delle Costituzioni salesiane. Ne metteva in
moto la preparazione prossima con la convocazione ufficiale del capitolo del
1° maggio 1982. Era “una importante ora della storia” salesiana – scriveva –
Lo studio del testo rinnovato delle Costituzioni e dei Regolamenti per la sua
approvazione conclusiva da parte della S. Sede”: un evento, che avrebbe dato
“la misura del livello della nostra maturità spirituale, della nostra genuinità
apostolica, della capacità di riprogettare insieme la nostra peculiare santità, in
risposta ai cambiamenti culturali e alle nuove esigenze dei giovani”180. Al ca-
pitolo c’erano riferimenti anche in una circolare destinata a commemorare la
vicina data del cinquantenario della canonizzazione di don Bosco. Alcune pa-
gine erano dedicate a illustrare I grandi valori della santità salesiana, che ri-
conduceva al Servire il Signore in allegria, Avere un cuore oratoriano, Saper
farsi amare181. Nel capitolo generale il Rettor Maggiore avrebbe contribuito
in modo determinante a dare a questa terminologia una consistenza contenuti-
stica e normativa molto più solida. Il “cuore oratoriano” ricorreva due volte
nel suo discorso di chiusura182, lasciando spazio ai concetti molto più ricchi
e significativi di “spirito salesiano” e di “criterio oratoriano”. Rispondeva
all’esigenza di proprietà di linguaggio, precisione e pregnanza.
11. L’approdo normativo del CG XXII (1984): il “criterio oratoriano”
nelle Costituzioni
Aperto sabato 14 gennaio, dopo alcuni giorni di esercizi spirituali, il ca-
pitolo era chiuso il 12 maggio. Aveva come Regolatore don Juan Edmundo
Vecchi, che sarebbe stato il successore di don Viganò. Grande organizzatore
egli guidò con mano ferma sia il razionale lavoro delle Commissioni che le
adunanze assembleari. Ma su tutti fu decisivo l’apporto del Presidente, il
Rettor Maggiore. Fu lui il nocchiero dell’ardua navigazione, pronto nel ri-
chiamare il capitolo alla straordinarietà del compito e alle esigenze di studio,
di approfondimento, di traduzione normativa che comportava quanto a essen-
179 ACS 62 (1981) n. 299, gennaio-marzo, pp. 15-25.
180 Il capitolo generale XXII, ACS 63 (1982) n. 305, luglio-settembre, pp. 6-7.
181 Cf Don Bosco Santo, 64 (1983) n. 310, ottobre-dicembre, pp. 8-12.
182 Cf CG XXII, Documenti [= CG XXII], pp. 72 e 74.

6.9 Page 59

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 353
zialità di concetti e a chiarezza di termini, associate all’assoluta fedeltà alle
origini e alla attualità e leggibilità dei testi. Tra i tempestivi interventi in as-
semblea, due, sostanziali, furono di particolare impatto sui decisivi passaggi
del 16 marzo e del 17 aprile183.
Nelle Costituzioni rinnovate si passava dalle cinque parti del testo del
1972 – La nostra missione apostolica – La nostra vita di comunione – La
nostra consacrazione – Formazione e fedeltà – Organizzazione della nostra
Società – a quattro: 1) I Salesiani di don Bosco nella Chiesa; 2) Inviati ai
giovani – in comunità – al seguito di Cristo; 3) Formati per la missione di
educatori pastori; 4) Il servizio dell’autorità nella nostra Società184.
Per l’assimilazione di testi nuovi e avanzati veniva tracciato un artico-
lato Iter postcapitolare: si demandava al Rettor Maggiore di studiare l’oppor-
tunità di preparare di esse un Commento, che usciva due anni dopo185; si rac-
comandava di intensificare l’Azione pastorale giovanile; si invitavano tutti ad
approfondire “la ricchezza dell’identità vocazionale del salesiano laico e il
suo significato essenziale per la vita e la missione della Congregazione”.
Le Costituzioni e i Regolamenti generali, promulgati l’8 dicembre 1984,
erano specchio fedele delle rilevanti svolte impresse al concetto e alla realtà
dell’oratorio e, in esso, della catechesi nell’iter iniziato nel CG XIX. Ne sono
spia già il numero degli articoli riservati alle due realtà: 1) all’oratorio si rife-
riscono 4 articoli di cui 2 costituzionali; 2) quattro riguardano la catechesi,
uno costituzionale, tre regolamentari: si rimanda, però, a evangelizzazione,
con ventuno articoli, 14 costituzionali, 7 regolamentari, con ulteriore rimando
a educazione alla fede con 9 articoli, di cui 6 costituzionali; evidentemente
non sono voci correlate solo con l’oratorio, ma al complesso delle opere gio-
vanili salesiane, tra cui all’oratorio186.
Dell’oratorio si dà una rappresentazione anzitutto ideale, ispirata a Val-
docco (evidentemente oratorio festivo e Oratorio-Convitto e Casa madre!).
“Don Bosco – si enuncia – visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo
oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza,
scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in alle-
gria”; “Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane
183 Cf ibid., 33-47.
184 Cf Atti del Capitolo Generale [ACG: nuova denominazione] n. 311, dicembre 1984,
156 p.
185 Cf Il progetto di vita dei Salesiani di don Bosco. Guida alla lettura delle Costituzioni
salesiane. Roma, Edizioni S.D.B. 1986, 965 p.
186 Cf Costituzioni della Società di san Farncesco di Sales e Regolamenti generali, pro-
mulgati l’8 dicembre 1984. Sugli stessi argomenti non si notano variazioni nell’ultima edizione
del 2003.

6.10 Page 60

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354 Pietro Braido
criterio permanente di discernimento di ogni attività e opera” (art. 40), ag-
giungendo che l’”azione apostolica si realizza con pluralità di forme, determi-
nate in primo luogo dalle esigenze di coloro a cui ci dedichiamo” (art. 41).
Sul piano concreto, delle “attività e opere” in cui si realizza “principalmente”
la missione salesiana vengono esplicitati: “l’oratorio e il centro giovanile, la
scuola e i centro professionali, i convitti le case per giovani in difficoltà”;
oltre le parrocchie e le residenze missionarie (art. 42). Quanto all’Oratorio,
per renderlo “ambiente educativo che si apre, con slancio missionario, ai ra-
gazzi e ai giovani” un articolo regolamentare stabilisce che “sia organizzato
come un servizio comunitario che avendo di mira l’evangelizzazione offre ai
singoli e ai gruppi la possibilità di sviluppare i propri interessi secondo modi
e metodi differenziati. Le attività si propongano sempre finalità educative e
guidino ad un sano uso del tempo libero” (Rg., art. 11); d’altra parte, il centro
giovanile, “ambiente destinato ai giovani” – viene precisato –, “conserva le
caratteristiche dell’oratorio, ma privilegia il rapporto di gruppo e facilita i
contatti personali” (Rg., art. 12). In più si prescrive che la parrocchia “consi-
deri l’oratorio e il centro giovanile parte integrante del suo progetto pasto-
rale” (Rg., art. 26). Nulla è detto dell’oratorio extra parrocchiale, quale fu agli
inizi e nella lunga storia salesiana, del suo carattere eminentemente popolare
e dei destinatari privilegiati, i giovani realmente e mentalmente “senza par-
rocchia”, estranei o allergici ad essa.
A tali idee si conformavano le norme date circa la catechesi e l’evange-
lizzazione, introdotte, come motivo ispiratore, con il richiamo di don Bosco:
“«Questa Società nel suo principio era un semplice catechismo». Anche per
noi l’evangelizzazione e la catechesi sono la dimensione fondamentale della
nostra missione. Come Don Bosco, siamo chiamati tutti e in ogni occasione a
essere educatori alla fede” (art. 34); e si era dei salesiani come “evangelizza-
tori dei giovani, specialmente dei più poveri” ed “educatori negli ambienti
popolari” (art. 6): “l’educazione e l’evangelizzazione di molti giovani, soprat-
tutto fra i più poveri – si diceva –, ci muovono a raggiungerli nel loro am-
biente e a incontrarli nel loro stile di vita con adeguate forme di servizio”
(41). Nel discorso di chiusura del Capitolo il Rettor Maggiore passava in ras-
segna in una rapida attenta carrellata i temi qualificanti le innovazioni capito-
lari, riferendosi alla “carità pastorale”, di cui era “aspetto fontale” lo “spirito
di Valdocco”; quindi, illustrando la definizione dei salesiani “Missionari dei
giovani”, la identificava con la formula “cuore oratoriano”: “missionarietà”
significava “cuore oratoriano”187. Ma in discorsi normativamente più precisi
187 CG XXII 64, 72, 74.

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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La metamorfosi dell’oratorio salesiano… e il Postconcilio Vaticano II (1944-1984) 355
era chiaro che era privilegiato il termine costituzionale “criterio oratoriano”.
Negli anni successivi don Viganò avrebbe prodotto i massimi sforzi per
promuoverne lo studio e l’assimilazione a tutti i livelli della Congregazione.
Lo fa, anzitutto nella presentazione sommaria dei contenuti, delle novità di
prospettive del testo rinnovato della regola. Tra essi veniva illustrato il senso
esplicito e vivo del Fondatore, il “suo stile di santificazione e di apostolato”,
“l’ardore della carità pastorale”. “Lo sguardo sul Fondatore – scriveva –
dovrà farci entrare nel suo cuore”; ed il “cuore vivo” del Padre era presentato
nel “capitolo su «lo spirito salesiano» collocato nella prima Parte come valore
costitutivo della nostra identità”. Più avanti sottolineava ancora Il criterio
oratoriano come uno dei principi ispiratori della terza parte, Formati per la
missione di educatori pastori e riscriveva precisazioni ormai di lunga data:
“L’Oratorio delle origini viene considerato un modello apostolico di riferi-
mento. Tale modello non si identifica con una determinata struttura o istitu-
zione, senza peraltro escludere nessuna di quelle che la situazione concreta
potrà suggerire”. E ripeteva la formula affettivamente prediletta: “Al centro di
questo «cuore oratoriano» c’è «la predilezione per i giovani, che dà signifi-
cato a tutta la nostra vita» (Cost. 14)”188. Vi ritornava molto presto, parlando
di Don Bosco, apostolo dell’Oratorio. “Don Bosco – affermava –, discepolo
di Gesù, spicca soprattutto per il «cuore oratoriano»”. Il riferimento era al-
l’art. 40 delle Costituzioni, nel quale, come è noto, si definisce “l’esperienza
di Valdocco criterio permanente”, e la medesima formula era richiamata nella
stessa pagina e poco più avanti189.
188 Cf Il testo rinnovato della nostra regola di vita, ACS 66 (1985) n. 312, gennaio-
marzo, pp. 9-11 e 25-26.
189 Cf «Don Bosco – 88», ACS 66 (1985) n. 313, aprile-giugno, pp. 15 e 8.

7.2 Page 62

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356 Pietro Braido
Sommario
LE METAMORFOSI DELL’ORATORIO SALESIANO TRA IL SECONDO
DOPOGUERRA E IL POSTCONCILIO VATICANO II (1944-1984)
Introduzione: la “rivoluzione oratoriana” in decenni di impetuosi cambi sociali
ed ecclesiali
1. Un biennio bifronte tra operosa attesa della pace e inizio della ricostruzione
1.1 Speranze di pace dopo lo sbarco ad Anzio e l’entrata a Roma degli Alleati
(22 genn. - 4 giugno 1944)
1.2 Estensioni e diramazioni della Crociata Catechistica dal crepuscolo al sor-
gere di un giorno nuovo
2. Il meriggio operoso di don Ricaldone nel consolidamento della “Crociata
Catechistica”
2.1 Continua la Crociata Catechistica in anni di urgenze sociali e pastorali
2.2 La prevalenza sull’oratorio dell’istruzione catechistica nel CG XVI (1947)
2.3 Oratorio e catechesi secondo tradizione e bisogni dei tempi (1948-1951)
3. Oratorio e catechesi nei due sessenni del rettorato di don Renato Ziggiotti
(1952-1965)
3.1 Il capitolo generale XVII (1952)
3.2 Nell’esperienza oratoriano-catechistica vissuta (1952-1958)
3.3 Il Convegno Nazionale dei direttori e incaricati degli oratori festivi d’Italia
(1954)
3.4 Il capitolo generale XVIII (1958)
4. Rigide difese e inquietudini innovative nel preconcilio e negli anni del con-
cilio (1958-1965)
5. La svolta pastorale del CG XIX (1965)
5.1 Proiezioni al futuro e inviti alla moderazione
5.2 Lo svolgimento del Capitolo
6. Luigi Ricceri alle prese con l’immediato postconcilio tra profonde crisi:
sociali, ecclesiali, congregazionali
7. Fedeltà ed utopie nel CG XX, “speciale” (1971-1972)
8. Un difficile sessennio tra stasi e fughe in avanti (1972-1977)
9. Il lavoro di sintesi educativo-pastorale del capitolo generale XXI
10. Il rettorato di don Egidio Viganò (1977-1995) tra azione di governo e inno-
vazione costituzionale dal 1977 al 1984
11. L’approdo normativo del CG XXII (1984): il “criterio oratoriano” nelle
Costituzioni