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FONTI
I BOMBARDAMENTI SU BOLOGNA (1943-1945)
E L’OPERA SALESIANA: DISTRUZIONI E RICOSTRUZIONE
Alessandro Ferioli *
“Negli assedi e bombardamenti devono essere presi tutti i provvedimenti neces-
sari per risparmiare, quanto è possibile, gli edifici consacrati al culto, alle arti,
alle scienze, alla beneficenza, i monumenti storici, gli ospedali ed i luoghi ove
trovansi riuniti gli ammalati e i feriti, a condizione che essi non siano adoperati
in pari tempo a scopo militare” (dalla Convenzione dell’Aja, 1907, Art. 27).
Bombe su Bologna: perché? 1
Il moderno uso dell’arma aerea è stato per lungo tempo largamente in-
fluenzato (e fondamentalmente lo è ancora oggi) dalle teorie del generale ita-
liano Giulio Douhet (1869-1930), il quale nella sua vasta produzione teorica
– e specialmente nel saggio Il dominio dell’aria (1921) – sostenne, fra le
tante altre cose, che l’impiego bellico dell’aviazione deve rivolgersi con la
massima violenza ed energia verso il nemico colpendone le città, le industrie,
le strade ferrate, le infrastrutture, i palazzi governativi, i servizi logistici, gli
aeroporti, le sedi delle radio e delle telecomunicazioni e nondimeno la popo-
lazione civile, poiché per effetto dei bombardamenti,
“necessariamente un dissolvimento deve prodursi: un dissolvimento profondo
di tutto l’organismo, e non può mancare di giungere rapidamente il momento in cui,
per sfuggire all’angoscia, le popolazioni, sospinte unicamente dall’istinto della con-
servazione, richiederanno, a qualunque condizione, la cessazione della lotta”2.
* Insegnante e dirigente presso l’ITC Giacomo Leopardi di Bologna.
1 Il presente contributo scaturisce dalla rielaborazione ampliata della conferenza storica
tenuta dall’autore presso il Cinema Galliera in Bologna il giorno 24 settembre 2005, nell’am-
bito della seconda cerimonia annuale patrocinata dal Comune di Bologna e dalla Provincia di
Bologna per commemorare le vittime dei bombardamenti sul territorio bolognese.
2 Giulio DOUHET, Il dominio dell’aria: Saggio sull’arte della guerra aerea. Roma, Stabi-
limento poligrafico per l’Amministrazione della Guerra 1921, p. 59. Per i lineamenti biografici
del personaggio cf: Dizionario Biografico degli Italiani. Roma, istituto dell’Enciclopedia Ita-
liana 1992, Vol. XLI, s.v. “Douhet, Giulio” a firma di Giorgio Rochat. Per quanto riguarda il

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358 Alessandro Ferioli
Tale teoria (accettata dal generale statunitense William Mitchell (1879-
1936), e come tale fatta propria dagli americani, già allora proiettati verso un
celere progresso tecnologico che li avrebbe portati, nel volgere di un de-
cennio, a vantare una netta supremazia rispetto agli europei) non postulava
necessariamente massacri di civili (come i detrattori di Douhet sostengono),
ma muoveva piuttosto dal presupposto secondo cui, “siccome dall’alto non
solo si vede bene, ma si colpisce anche facilmente”3, l’arma aerea si sarebbe
imposta come arma offensiva per eccellenza, stante la possibilità per i bom-
bardieri di distruggere agevolmente gli obiettivi vitali dell’avversario e di
provocare effetti psicologici dirompenti sul morale della popolazione nemica.
Tali effetti, in termini di paura e di “terrore”, indubbiamente esistono,
sono importanti e nuocciono gravemente alla stabilità interna del paese ne-
mico, come già ai tempi di Douhet avevano dato sufficiente testimonianza le
prime azioni di bombardamento da parte dell’aviazione italiana nella guerra
contro la Turchia 1911/1912 (con risultati psicologici di panico tra gli arabi),
o i primi bombardamenti “terroristici”, come quello effettuato su Liegi nel
1914 da un dirigibile tedesco per fiaccare l’inaspettata resistenza dei belgi:
tredici bombe sganciate, nove morti fra i civili, con risonanza e stupore in
tutto il mondo.
“Il fatto brutale, ma innegabile, che deve imporsi alla nostra mente e scuoterla, è
questo: il più forte Esercito schierato sulle Alpi e la più forte Marina incrociante
sui nostri mari, allo stato attuale della tecnica aeronautica, non potrebbero far
nulla di effettivamente pratico per impedire, dato un conflitto, che un nemico,
convenientemente preparato, ci distrugga, se tale è il suo beneplacito, Roma, Mi-
lano, Venezia, od una qualunque delle nostre cento città”4.
pensiero di Douhet, cf anche: Gherardo PANTANO, Le profezie di Cassandra: Raccolta di scritti
del gen. Giulio Douhet. Genova, Lang & Pagano 1931, e AA.VV., La figura e l’opera di Giulio
Douhet. Atti del congresso internazionale di studi, Caserta-Pozzuoli 12-14 aprile 1987. Napoli,
Società di Storia patria di Terra di lavoro, 1988.
3 DOUHET, Il dominio dell’aria…, p. 1.
4 Ibid., p. 8. Se i presupposti douhettiani erano corretti, non fosse altro perché risultavano
dall’osservazione della realtà, sbagliate dovevano invece rivelarsi – nell’immediato e anche nel
lungo termine – le conclusioni, laddove Douhet riteneva che una popolazione sottoposta al
bombardamento sarebbe stata in grado di indurre i propri governanti alla resa. In effetti la so-
cietà civile contemporanea non è in grado di condizionare i propri governi nelle scelte in ma-
teria di guerra – e specialmente quando la guerra è in corso di svolgimento – né nel caso di go-
verni democratici, per quanto maturi, né soprattutto nel caso di governi dittatoriali. In questa
ultima fattispecie la popolazione sarà sempre maggiormente spaventata dalla censura e dal
controllo poliziesco interno che dagli ordigni del nemico, e non avrà né il coraggio né la possi-
bilità materiale di opporsi alle scelte del governo; nel primo caso invece, godendo già della li-
bertà, nella paura di mutare sconvenientemente la propria condizione sarà indotta semmai a
una maggiore condivisione delle decisioni dei propri governanti, disponendosi a una più acca-
nita resistenza contro il nemico, magari accettando anche a tale fine una diminuzione della li-

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 359
Resta il fatto che l’Italia, a causa della sua posizione geografica e del ri-
tardo tecnologico in cui era stata colpevolmente lasciata la Regia Aeronau-
tica, allo scoppio della guerra era particolarmente vulnerabile agli attacchi
aerei, e non era pronta a subirne. Di ciò era da tempo consapevole il Governo
italiano, dal momento che già nel 1932 alla conferenza per il disarmo di Gi-
nevra il capo della delegazione italiana, Italo Balbo (1896-1940), aveva pro-
posto l’abolizione della specialità Bombardamento aereo dalle aviazioni mili-
tari di tutti gli Stati aderenti. Successivamente con il Regio Decreto Legge n.
1415 del 8 luglio 1938 (“Legge di guerra e legge di neutralità”) erano stati
proibiti i bombardamenti indiscriminati sulle città5.
Questo, in estrema sintesi, il quadro teorico che presiedette anche ai
bombardamenti strategici effettuati sulle città italiane nel periodo 1943-1945,
mentre sulle città tedesche (Colonia, Amburgo, Berlino, Norimberga, Dresda)
furono applicate senza limiti le teorie del “bombardamento a tappeto” (area
bombing) del Maresciallo dell’Aria Sir Arthur Harris (1892-1984), allievo del
teorico Sir Hugh Trenchard (1873-1956) e Comandante in capo del Bomber
Command (Comando Bombardieri) della Royal Air Force.
Logicamente, però, va osservato come la separazione netta tra le parti
contendenti, data per scontata nell’impianto teoretico douhettiano, risultasse
nella fattispecie italiana un po’ inquinata dall’ambiguità del quadro politico-
istituzionale in atto.
Difatti la posizione delle popolazioni dell’Italia del nord era già segnata,
nell’estate del 1943, da alcuni eventi capitali, che non attenuano certamente
le responsabilità iniziali del governo italiano fascista nell’alleanza con il
nazismo e nella condivisione della guerra hitleriana, ma che vanno tuttavia
tenuti in considerazione. In primo luogo quello del 25 luglio 1943, ovvero
la sostituzione da parte del re Vittorio Emanuele III di Benito Mussolini con
il Maresciallo Pietro Badoglio nella carica di presidente del Consiglio dei
bertà di espressione, o per lo meno della possibilità di disporre di una molteplicità di opinioni e
punti di vista sulla situazione, stante la generale tendenza della stampa a fare fronte comune as-
sieme al governo di turno contro il nemico. In entrambi i casi l’uso delle bombe alimenta in
maniera direttamente proporzionale l’odio della popolazione verso il nemico che le usa, ed at-
tira spesse volte su quest’ultimo la riprovazione dell’opinione pubblica internazionale, nono-
stante i tentativi di giustificazione morale che si tenta di dare all’impiego dei bombardieri. Ciò
è avvenuto a Liegi nel 1914, ma anche a Coventry e a Londra, nelle città tedesche, a Tokyo, in
Corea, in Vietnam ecc., per non citare l’uso delle bombe atomiche sul Giappone e i bombarda-
menti sulle città italiane durante la seconda guerra mondiale, di utilità non sempre evidente nel
contesto della strategia Alleata. Una sintesi di questi concetti generali è in: Alessandro FERIOLI,
Quale bombardamento strategico?, in “Rivista Militare della Svizzera Italiana”, A. LXXIV, n.
3 (giugno 2003), pp. 17-19.
5 Antonio PELLICCIA, Il dibattito dottrinale sulla Guerra del Golfo, in “Rivista Storica”,
A. VIII, n. 9 (1995), pp. 18-26.

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360 Alessandro Ferioli
Ministri, in un nuovo gabinetto che, nonostante le dichiarazioni formali di
voler proseguire la guerra, non era già più “fascista”, e quindi di fatto con la
sua stessa esistenza minava alla base l’alleanza con la Germania, che era
un’alleanza politico-diplomatica basata essenzialmente sull’amicizia perso-
nale dei due dittatori e sulla condivisione, da parte dei gruppi dirigenti delle
due nazioni, di elementi delle rispettive ideologie. Talché, per dirla con
Giorgio Bonacina,
“mentre era logico, scontato, fatale, sebbene tragico e terribile per noi, che i tede-
schi subito si preparassero a invaderci in forze e pensassero anzi a ricostituire alla
prima occasione un fascismo-fantoccio, non era logico e scontato, e tanto meno
fatale, che proprio dopo la caduta di Mussolini, sapendo delle immediate, e vera-
mente “oceaniche” stavolta, manifestazioni di giubilo in tutta Italia, gli Alleati
s’accingessero a colpirci ancora nel modo più gratuito, come mai avevano fatto
prima” 6.
In secondo luogo, a distanza di poche settimane, si verificarono gli
eventi – ancora più importanti – dell’8 settembre 1943, ovvero l’annuncio
dell’armistizio richiesto dal governo italiano agli anglo-americani, e da questi
accettato, e l’immediata operatività del piano “Achse”, che prevedeva la
pronta occupazione dei centri vitali italiani e il disarmo delle truppe italiane
da parte delle forze armate germaniche. Appena tre giorni più tardi, in data 11
settembre, la direttiva dello Stato Maggiore dell’Esercito Italiano (per quanto
tardiva, e priva di valenza giuridica) prescriveva ai militari dipendenti di con-
siderare i tedeschi come nemici, ad integrazione della generica indicazione
contenuta nel famoso proclama di Badoglio diffuso la sera dell’8 settembre,
in cui si ordinava che le forze armate italiane, cessato ogni atto d’ostilità
contro le forze alleate anglo-americane, “però reagiranno ad eventuali at-
tacchi da qualsiasi altra provenienza” 7. Da ultimo va tenuta in considera-
zione, ai fini del nostro discorso, la dichiarazione di guerra alla Germania,
presentata finalmente in data 13 ottobre dalla legittima autorità dell’unico le-
gittimo stato sovrano italiano, ovvero il Regno d’Italia.
Nella sostanza dei fatti, insomma, l’Italia che allo scoppio della seconda
grande guerra aveva proclamato lo stato di “non belligeranza”, era poi passata
prima a una situazione di “cobelligeranza” al fianco della Germania hitle-
riana, in applicazione dell’alleanza voluta da Benito Mussolini, e successiva-
6 Giorgio BONACINA, Obiettivo Italia: I bombardamenti aerei delle città italiane dal
1940 al 1945. Milano, Mursia 1970, p. 217.
7 Per le implicazioni della direttiva dell’11 settembre, cf: Mario TORSIELLO, Le opera-
zioni delle unità italiane nel settembre-ottobre 1943. Roma, Stato Maggiore dell’Esercito-Uf-
ficio Storico 1975, p. 51.

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 361
mente – dopo una breve quanto deleteria parentesi armistiziale – alla situa-
zione di “cobelligeranza” al fianco degli Alleati occidentali, con la complica-
zione che nelle settimane immediatamente successive all’armistizio si costituì
una sedicente autorità statale sovrana (la Repubblica Sociale Italiana), fian-
cheggiatrice del nazismo, che nelle regioni settentrionali del paese raccolse
attorno a sé unità militari italiane e militanti fascisti per la ripresa della lotta
accanto alle forze armate germaniche, mentre proprio nelle medesime regioni
prendeva corpo un forte movimento patriottico antifascista che si proponeva
di liberare il paese attraverso la lotta armata.
In tali circostanze storiche, venate di sottili ambiguità giuridiche, aggra-
vate dall’esistenza della Repubblica Sociale Italiana, è legittimo ritenere che
difficilmente le teorie del bombardamento strategico del Generale Douhet po-
tessero applicarsi con indubbio automatismo alla situazione italiana, ove vi-
veva una popolazione che in larga parte non si considerava ormai già più “ne-
mica” degli anglo-americani, ma semmai stava subendo – nell’immaginario
collettivo oltre che nei fatti – un’occupazione violenta e sanguinaria da parte
delle truppe germaniche. Ammesso che sia condivisibile l’affermazione di
Giorgio Bonacina secondo cui anche dopo l’8 settembre “le bombe continue-
ranno a cadere dal cielo fino all’ultimo, ma […] non indiscriminatamente
come prima dell’armistizio”8, ciò non valse per la città di Bologna.
Perciò i bombardamenti delle città italiane del nord, con il coinvolgi-
mento di luoghi eminentemente civili, addirittura di culto o d’ospedalità, per
lo meno dopo l’8 settembre 1943 appaiono non sempre giustificabili alla luce
delle esigenze della guerra, e non sempre spiegabili nel quadro strategico di
allora. È sufficiente un elenco sommario – e forse incompleto – degli edifici
religiosi gravemente colpiti per rendere conto dell’intensità e della distrutti-
vità delle incursioni che la Provincia di Bologna nel suo complesso subì9.
8 G. BONACINA, Obiettivo Italia…, p. 253.
9 Tra questi rimangono oggi i ruderi di: chiesa della Sacra Famiglia a Pian di Venola, fra-
zione di Marzabotto; Monastero di Sant’Ansano a Brento, frazione di Monzuno; chiesa di
Santa Maria Assunta a Riosto, frazione di Pianoro; chiesa di Santa Maria a Settefonti, frazione
di Ozzano dell’Emilia. Furono invece restaurate nel dopoguerra – e spesso con forti ritardi – le
seguenti chiese: chiesa di San Lorenzo a Panico, frazione di Marzabotto; Abbazia di Santa
Maria di Monte Armato, presso Ozzano; chiesa di San Lorenzo a Varignana, frazione di Castel
San Pietro Terme; chiesa di San Barnaba a Fantuzza, presso Castel Guelfo; chiesa parrocchiale
di Quarto Inferiore; chiesa parrocchiale di San Martino in Argine, frazione di Molinella. Rico-
struite praticamente ex-novo furono: chiesa parrocchiale di Ponzano, frazione di Castello di
Serravalle; chiesa parrocchiale di Castel d’Aiano; santuario di Santa Maria a Brasa, frazione di
Castel d’Aiano; chiesa parrocchiale di Badolo, frazione di Sasso Marconi; chiesa parrocchiale
di Vergato; chiesa parrocchiale di Vado; chiesa parrocchiale di Monghidoro; Abbazia di San
Bartolomeo di Musiano, frazione di Pianoro; santuario di Santa Maria di Zena, frazione di Pia-
noro; chiesa parrocchiale di Vedriano, frazione di Castel San Pietro Terme; chiesa parrocchiale

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362 Alessandro Ferioli
Le incursioni sulla città di Bologna furono 94, delle quali 32 possono
considerarsi bombardamenti effettuati da unità da Bombardamento in forma-
zione10. Grazie alle ricerche di Gastone Mazzanti11, condotte negli archivi
statunitensi e britannici, possiamo oggi disporre delle riproduzioni fotogra-
fiche degli ordini di missione dei bombardieri che fecero le loro incursioni su
Bologna, e dei relativi rapporti a consuntivo dei comandanti di reparto. Da un
esame sommario di tali documenti si ricava che gli obiettivi erano sempre per
lo più i seguenti: lo scalo ferroviario di Bologna – il più importante dell’Italia
settentrionale – e i magazzini adiacenti, le installazioni ferroviarie di San
Ruffillo e di Castel Maggiore, l’aeroporto di Borgo Panigale, l’area dell’offi-
cina del gas (a ridosso del ponte della Mascarella, angolo via Berti-Pichat), le
linee tranviarie (in particolare quella che portava da piazza XX Settembre a
piazza dell’Unità restò polverizzata il 5 giugno) e le vetture tranviarie (delle
163 esistenti all’inizio del conflitto ne rimasero al termine 89), i ponti (spe-
cialmente quello di Casalecchio di Reno), i ponti ferroviari, i depositi di mu-
nizioni e di carburante e gli acquartieramenti di truppe, nonché i complessi
industriali in genere (nella consapevolezza che in essi si produce materiale
bellico o componenti per gli armamenti, e che comunque in tutte le fabbriche
del Nord Italia la produzione era controllata dai tedeschi, e quindi era funzio-
nale all’economia del paese nemico).
Proprio a causa dell’importanza del nodo ferroviario felsineo, il coman-
dante del Bomber Command britannico, Sir Arthur Harris, avrebbe pensato
seriamente a un “bombardamento a tappeto” della città:
di San Lazzaro di Savena; chiesa parrocchiale di Calderara di Reno; chiesa parrocchiale di Ma-
lalbergo. Completamente distrutte la chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo di Monte
Armato, e le Chiese di Mongiorgio e di Zappolino (l’elenco è in: Paola MONARI, La protezione
antiaerea: Restauri e ricostruzioni delle chiese della provincia di Bologna, in “Il Carrobbio”,
A. XV, (1989), pp. 223-241.
10 Fonte: Franco Manaresi. Tralasciando per brevità i diversi articoli rievocativi apparsi
nel dopoguerra sulla stampa bolognese, e specialmente sul “Resto del Carlino”, la cui enfasi
propagandistica non sempre aiuta ai fini di una ricostruzione storica obiettiva, tra le ricerche
più importanti condotte su fonti locali e i repertori fotografici ricordiamo: Franco MANARESI,
Le incursioni aeree su Bologna, in “Strenna Storica Bolognese”, A. XXIII, (1973), pp. 167-
205; ID., Le incursioni aeree su Bologna alla luce di nuovi documenti, “Atti e Memorie della
Deputazione di Storia Patria per le Province di Romagna”, n.s., Vol. XXXIII (1982), pp. 229-
254; Filippo D’AJUTOLO, Bologna ferita: Fotografie inedite 1943-1945. Bologna, Pendragon
1999. Va inoltre menzionato il catalogo della Mostra fotografica inaugurata il 29 gennaio 1994
presso la Biblioteca dell’Archiginnasio in Bologna: Delenda Bononia: Immagini dei bombar-
damenti 1943-1945, a cura di Cristina Bersani e Valeria Roncuzzi Roversi Monaco. Bologna,
Patron 1995. Una visione di quegli anni attraverso l’azione amministrativa dell’allora podestà è
nel libro di memorie di Mario AGNOLI, Bologna “città aperta”. Bologna, Tamari 1975.
11 Gastone MAZZANTI, Obiettivo Bologna: “Open the doors: bombs away!”. Bologna,
Costa Editore 2001.

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 363
“Un area-bombing in grande stile su Bologna contemplava senza dubbio la
distruzione integrale della città, ma c’erano 90 probabilità su 100 di riuscita ai
fini voluti”12.
Lo stesso Harris dovette poi desistere a causa dell’eccessiva lontananza
di Bologna dalle basi della R.A.F., giusto al limite dell’autonomia dei bom-
bardieri inglesi. Sicché il bombardamento a tappeto previsto per Bologna fu
poi rivolto sulla città di Torino il 13 luglio.
Restano ancora ignoti – in quanto alieni da spiegazioni ufficiali – i mo-
tivi che indussero taluni piloti Alleati ai mitragliamenti su vetture e su per-
sone in bicicletta, e allo sganciamento delle bombe in così gran copia su
luoghi di culto e d’ospitalità, su edifici adibiti ad abitazioni private, nonché su
edifici di grande valore artistico-architettonico13. Possiamo addurre, a titolo di
mera spiegazione e comprensione degli “errori”: lo stato della tecnologia del-
l’epoca, che non consentiva una buona precisione delle operazioni di bombar-
damento; la pericolosità delle condizioni in cui avveniva il bombardamento,
sotto la contraerea tedesca e in condizioni di fitta nuvolosità, che non di rado
costringeva i piloti a deviare dall’obiettivo sganciando le bombe altrove, o a
cominciare lo sganciamento prima di essere giunti esattamente sull’obiettivo,
per avere più possibilità di colpirlo; infine gli errori umani commessi da piloti
in stato di fortissima eccitazione emotiva a causa del logorio psicofisico al
quale erano da tempo sottoposti. È da escludere, comunque, l’impiego delibe-
rato del “bombardamento terroristico” sulla città di Bologna, checché ancora
oggi tale dizione riemerga periodicamente in scritti commemorativi e in inter-
venti pubblici14.
Rimane il fatto che i danni al patrimonio storico-artistico della città fu-
rono sommamente ingenti, e tanto più gravi se si tiene conto, per dirla con le
parole del Sovrintendente ai Beni artistici e culturali dell’Emilia dell’epoca,
12 G. BONACINA, Obiettivo Italia…, p. 203.
13 Si trattò di una sapiente menzogna escogitata dal governo fascista, invece, quella ri-
guardante le cosiddette “penne esplosive”, ovvero quei presunti ordigni atti ad offendere soprat-
tutto i bambini che, dopo averli raccolti, restavano mutilati dallo scoppio (così, a titolo esempli-
ficativo, in: Attenti alle penne esplosive, in “Avvenire d’Italia”, 4 luglio 1944, p. 2). Secondo
un’accurata inchiesta del ministero della Difesa, conclusasi nel 1950, se qualche incidente av-
venne, si dovette a spezzoni o spolette di proiettili, che la suggestione popolare o la malafede
dei detentori di armi non denunciate scambiarono per “penne esplosive” (cf Le penne esplosive
non sono mai esistite, in “Corriere dell’Emilia”, 9 maggio 1950). Un esemplare di “penna esplo-
siva”, è conservato presso il Museo delle Armi “Pietro Comito” di Bologna.
14 Per “bombardamento terroristico” intendiamo generalmente una “azione di bombarda-
mento effettuata di solito con le tecniche di bombardamento livellato, diretta contro agglome-
rati urbani al fine di ottenere una resa delle autorità politiche e/o militari del Paese” (cf Ric-
cardo BUSETTO, Il Dizionario militare: Dizionario enciclopedico del lessico militare. Bologna,
Zanichelli 2004, s.v. specifica).

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364 Alessandro Ferioli
“che i centri antichi vanno considerati un’unica opera d’arte, e che il carattere di
una città non è dato soltanto dai pochi monumenti illustri, ma anche e soprattutto
dal loro tessuto connettivo formato dall’architettura minore e dalle relative com-
posizioni ambientali”15.
Eccezion fatta per l’uso degli aggressivi chimici (intenzionalmente
escluso dalle nazioni in lotta per scongiurarne la reciprocità), veniva così a
concretarsi la terribile premonizione – meglio: previsione sulla base di dati
certi – di Giulio Douhet:
“Io desidero solamente insistere su di un punto, e cioè sulla grandezza degli ef-
fetti morali che una simile azione aerea può conseguire: effetti morali che pos-
sono avere una influenza ancora maggiore che non gli stessi effetti materiali.
Su di un centro abitato anche assai vasto, l’azione di una sola unità da bombarda-
mento, inserendovi la propria superfice distruggibile, ad esempio di 500 metri di
diametro, non può mancare di produrre un effetto enorme. Immaginiamoci una
grande città che, in pochi minuti, veda la sua parte centrale, per un raggio di 250
metri all’incirca, colpita da una massa di proiettili del peso complessivo di una
ventina di tonnellate; qualche esplosione, qualche principio d’incendio, gas vene-
fici che uccidono ed impediscono di avvicinarsi alla zona colpita; poi gli incendi
che si sviluppano, il veleno che permane; passano le ore, passa la notte, sempre
più divampano gli incendi mentre il veleno filtra ed allarga la sua azione. La vita
della città è sospesa; se attraverso ad essa passa qualche grossa arteria stradale, il
passaggio è sospeso; se la stazione è colpita il traffico ferroviario è sospeso. […]
Qual forza d’imperio può riuscire a mantenere l’ordine in centri così minacciati;
come far funzionare regolarmente i servizi, come produrre nelle officine? E se
pure una parvenza di ordine può mantenersi ed un qualche lavoro può eseguirsi,
non basterà la vista anche di un solo aeroplano nemico per indurre panici formi-
dabili: la vita normale non può svolgersi sotto l’incubo perenne della morte e
della distruzione imminente.
E, se, nella seconda giornata, altri 10, 20, 50 centri vengono colpiti, chi potrà an-
cora tenere le popolazioni smarrite dal non gettarsi alle campagne per sottrarsi dai
centri che costituiscono i bersagli del nemico?”16.
Obiettivo costante delle incursioni sulla città di Bologna era comune-
mente rappresentato dalla stazione ferroviaria17, allo scopo di interrompere i
traffici di truppe, di materiali e d’armamenti che dal nodo bolognese muove-
15 Alfredo BARBACCI, I monumenti di Bologna: Distruzioni e restauri. Bologna, Cappelli
1977, p. 8.
16 G. DOUHET, Il dominio dell’aria…, pp. 58-59. Per quanto riguarda l’esclusione del-
l’uso dei “gas venefici”, il generale Eisenhower ricorda nelle sue memorie che le sue forze ar-
mate erano costrette a portarsi sempre appresso aggressivi chimici (iprite allo stato liquido), a
scopo dissuasivo, “nell’incertezza delle intenzioni tedesche sull’uso di quest’arma” (Dwight
EISENHOWER, Crociata in Europa. Milano, Mondadori 1949, p. 263).
17 Nei documenti militari statunitensi indicata come Bologna Main Marshalling Yards
(scalo ferroviario principale).

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 365
vano verso tutte le direzioni, specialmente per rifornire le truppe sul fronte
meridionale e per trasferire in Germania materiali e prodotti utili all’eco-
nomia del Reich.
La casa salesiana di Bologna e la chiesa-santuario del Sacro Cuore di Gesù
La stazione di Bologna era molto vicina al centro storico della città; ma
era particolarmente prossima all’istituto Salesiano di Bologna, ubicato in via
Jacopo della Quercia al numero civico 1, e alla contigua chiesa-santuario del
Sacro Cuore di Gesù, sita nell’odierna via Matteotti (allora via Italo Balbo) al
numero civico 2718.
Il santuario, voluto dal card. arcivescovo Domenico Svampa (1851-
1907), fu progettato dall’architetto Edoardo Collamarini (1864-1928), molto
attivo a Bologna nell’architettura sacra, e realizzato dall’ingegner Luigi Reg-
giani, che ne diresse i lavori. Il 14 giugno 1901 lo stesso card. Svampa bene-
diceva la prima pietra, e il 15 ottobre 1912 l’arcivescovo Monsignor Giacomo
della chiesa (1854-1921), che gli era succeduto, consacrava il nuovo Tempio.
Il santuario, eretto a parrocchia, fu affidato dapprima al clero secolare, e il
primo parroco a prenderne possesso fu, in data 13 giugno 1915, il dottor don
Riccardo Zucchi. Don Zucchi morì il 19 aprile 1929, e il giorno 21 novembre
successivo, nel pomeriggio, crollò la cupola, abbattendo tetto, fianchi e dan-
neggiando gravemente gran parte dell’edificio.
Nell’aprile del 1930 la parrocchia e la chiesa passarono alla congrega-
zione salesiana, e il 10 maggio 1930 fu nominato parroco il salesiano don An-
tonio Gavinelli. È assai importante, anche per meglio comprendere alcune os-
servazioni che dovremo fare in seguito su don Gavinelli, precisare che la chiesa
del Sacro Cuore e l’istituto Salesiano erano inseriti appieno in un rione popo-
lare della “rossa” Bologna, abitato da operai e da gente inurbata dalla cam-
pagna vicina, pronta alle rivendicazioni salariali e al vagheggiamento di un più
decoroso tenore di vita, da conseguirsi anche attraverso la messa in pratica del
socialismo o, addirittura, attraverso l’imitazione dell’esperienza bolscevica.
18 Riguardo alle vicende della casa salesiana di Bologna e della sua opera scolastica, for-
mativa ed educativa, cf: La casa della comunità salesiana “B. V. di San Luca” di Bologna:
istituto “Salesiani”. Bologna, Scuola Grafica Salesiana 1981. Per quanto riguarda le vicende
del santuario del Sacro Cuore in Bologna cf: AA.VV., L’inaugurazione del Tempio al Sacro
Cuore di Gesù e le onoranze al Card. Svampa. Bologna, Tip. Arcivescovile 1912; Santuario
Parrocchiale del S. Cuore. Prima Decennale Eucaristica. Num. unico, Bologna, 3 luglio 1927;
Angelo RAULE, Il santuario del S. Cuore in Bologna. Bologna, Scuola Grafica Salesiana 1958;
AA.VV., Parrocchia santuario Sacro Cuore: VII Decennale Eucaristica. Bologna, Scuola
Grafica Salesiana 1987; Parrocchia Santuario Sacro Cuore: VIII Decennale, a c. di Gianni
VINCENTI e Guido ZANONI. Bologna, Grafiche Salesiane 1997.

1.10 Page 10

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366 Alessandro Ferioli
Così si spiega la nomina di don Gavinelli, espertissimo “pastore d’a-
nime”, abituato a fronteggiare situazioni difficili. Nato a Bellinzago (NO) il
27 novembre 188519 e sacerdote salesiano dal 1908 – già direttore dell’istituto
di Rimini nel periodo 1919-1925 e primo parroco salesiano nella chiesa di
Maria Ausiliatrice della stessa città; primo parroco salesiano nella chiesa
della Sacra Famiglia ad Ancona nel periodo 1926-1930, e finalmente primo
parroco salesiano del santuario del Sacro Cuore a Bologna dal maggio 1930
–, egli era noto per le sue non comuni capacità organizzative, che gli avevano
consentito di realizzare importanti opere materiali e pastorali, guadagnandogli
la fama di “vero costruttore di chiese”. L’opera di ricostruzione di don Gavi-
nelli, in senso materiale non meno che morale, fu costante e indefessa, e forse
si dovette in parte anche ad alcuni accorgimenti usati nel corso dei lavori di
ricostruzione se la chiesa non subì danni ancor maggiori nel corso del bom-
bardamento del 25 settembre 1943. Infatti,
“La ricostruzione, dopo il crollo della cupola, importò tre ordini di lavori: demo-
lizione delle parti pericolanti, rafforzamento delle fondamenta e ricostruzione
delle pareti crollate o demolite.
Sotto le vecchie fondamenta fu gettato un poderoso anello di cemento armato, e
su di esso poggia tutto l’edificio. Di cemento armato sono pure tutti gli elementi
portanti, i quattro poderosi piloni e i grandi archi che reggono la cupola, con
anelli di collegamento, in un unico organismo costruttivo”20.
Già il 19 maggio 1935 il santuario poteva essere riaperto al culto, in oc-
casione della festa di canonizzazione di San Giovanni Bosco. A provocare
altri e ben più gravi danni, tuttavia, avrebbero in seguito provveduto i bom-
bardamenti Alleati.
L’incursione aerea del 25 settembre 1943
Il mattino del sabato, a Bologna, è giorno di piazzola; ovvero, nelle tradi-
zioni dei petroniani, è dedicato agli acquisti nel più popolare mercato citta-
dino, che ha sede in Piazza VIII Agosto 1848, in pieno centro storico. I mar-
ciapiedi sono più affollati, e la gente è più serena nell’attesa del giorno festivo.
Il 25 settembre era un sabato, appunto, con un cielo coperto di nuvole
intense. La consegna di colpire lo scalo ferroviario del capoluogo emiliano fu
affidata ai B-17 del 5° Stormo (Wing) Bombardieri della U.S. Air Force. E di-
19 Deceduto a Bologna il 24 maggio 1968, riposa nella cripta del santuario del Sacro
Cuore di Gesù, dove è sepolto anche il card. Svampa.
20 A. RAULE, Il santuario del S. Cuore in Bologna..., p. 23.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 367
fatti alle ore 10.56 suonò improvviso l’allarme antiaereo, senza il preavviso
consueto, provocando gran confusione di persone, biciclette e veicoli. Con-
temporaneamente al segnale d’allarme fecero la loro triste apparizione sul ter-
ritorio bolognese, in sequenza: il 97° Gruppo Bombardieri (Bombardment
Group), che avrebbe dovuto sganciare nella parte centrale dello scalo e che
invece, a causa della scarsa visibilità, dovette liberarsi del suo carico altrove,
in parte lungo la strada fra Bologna e Imola; poi il 2° Gruppo, al quale toc-
cava la distruzione della parte occidentale della stazione, e che in soli sei mi-
nuti, fra le 11.19 e le 11.25, sganciò in piena città 432 bombe da 500 libbre; e
infine il 99° Gruppo, che alle 11.30 lasciò cadere 408 bombe da 500 libbre21.
L’incursione ebbe successo, poiché le bombe raggiunsero appieno i loro
obiettivi programmati: in primo luogo lo scalo ferroviario, la centrale del gas
e, con danni minori, anche lo zuccherificio. Purtroppo erano colpiti anche in-
teri quartieri residenziali e il centro storico: via dell’Indipendenza, via Riz-
zoli, via Zamboni, Piazza Aldrovandi, via Irnerio, piazza Umberto I (oggi dei
Martiri). Tra gli edifici d’interesse religioso colpiti, anche il Seminario regio-
nale (allora in Piazza Umberto I), la chiesa di S. Giorgio in Poggiale, la
chiesa di S. Maria della Purificazione e di S. Domenico, la chiesa di San
Francesco e la casa salesiana in via Jacopo della Quercia assieme alla chiesa
del Sacro Cuore.
Lo stesso giorno furono colpiti molto pesantemente anche gli scali ferro-
viari di Verona e Bolzano22. Secondo i calcoli di Franco Manaresi, a Bologna
“il numero delle vittime accertate risultò di 1033 morti e oltre 300 feriti ma
tra queste non figurano le numerose persone scomparse, letteralmente “polve-
rizzate” dalle esplosioni”23. È appena il caso di osservare che danni ben mag-
giori e un numero di vittime ben più alto si sarebbero avuti se anche il 97°
Gruppo fosse riuscito a sganciare il proprio carico sull’obiettivo prestabilito.
In via Jacopo della Quercia, sede dell’istituto salesiano, quel giorno
c’era anche Gloria Carloni, classe 1932, di ritorno a casa in bicicletta con un
mazzo di fiori acquistati per il compleanno della mamma. Figlia di un ferro-
viere, la ragazzina sentì improvvisamente suonare l’allarme e, contempora-
neamente, gli schianti delle bombe: non capiva però come mai non fosse suo-
nato preventivamente il pre-allarme negli uffici delle Ferrovie, in quanto i
figli dei ferrovieri come lei erano abituati a ricevere dagli stessi ferrovieri
21 Le consegne e i rapporti finali sono in G. MAZZANTI, Obiettivo Bologna…, pp. 57-61.
In particolare nel rapporto del 99° Gruppo si legge: “Results: M/Y believed to be damaged.
City hit”.
22 G. BONACINA, Obiettivo Italia…, p. 254.
23 Franco MANARESI, “I bombardamenti aerei di Bologna”, in: C. BERSANI e V. RON-
CUZZI ROVERSI MONACO (a cura di), Delenda Bononia…, p. 49.

2.2 Page 12

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368 Alessandro Ferioli
l’avvertimento a ripararsi in cantina. Mentre già le prime bombe cadevano,
nel passare davanti al portone del numero civico 3 – sede del collegio dei Sa-
lesiani – la Carloni notò due sacerdoti che fermavano le persone e le manda-
vano dentro al rifugio dei Salesiani (segnalato anche sull’esterno dell’edi-
ficio). La Carloni però non entrò e con la bicicletta raggiunse la propria abita-
zione, ubicata in un edificio dotato di cantine bene attrezzate a rifugio24.
Via Jacopo della Quercia fu raggiunta complessivamente da un buon nu-
mero di bombe, che si riversarono anche nei cortili interni dell’istituto e sulla
parrocchia. A dare la notizia al rettor maggiore don Pietro Ricaldone fu lo
stesso Ispettore dei Salesiani per la Lombardia-Emilia, don Francesco Ra-
stello, a Bologna proprio il giorno del bombardamento, con una breve lettera
autografa corredata anche di uno schizzo indicante i punti dell’edificio col-
piti. Complessivamente erano cadute ed esplose nella casa salesiana ben nove
bombe, facendo sprofondare completamente i locali della tipografia. Per
quanto riguardava la chiesa del Sacro Cuore di Gesù, la facciata, secondo il
rapporto di don Rastello, “è a terra per oltre 1/4; l’altra parte in piedi non è
tutta in buon stato”25.
È indicativa – per l’ampiezza della visione che doveva avere dei danni
subiti dagli Istituti salesiani sottoposti alla sua ispettoria – la concisa annota-
zione dell’Ispettore: “Danni superiori a quelli subiti a Milano”. Vale la pena
di ricordare a tal proposito, anche per una migliore interpretazione della frase,
che l’istituto S. Ambrogio di Milano aveva avuto il “battesimo del fuoco” per
la prima volta nel corso dell’incursione aerea del 14 febbraio 1943 – rice-
vendo parecchi spezzoni incendiari –, ed era stato colpito una seconda volta,
in maniera ben più grave, nella notte fra il 12 e il 13 agosto successivo, su-
bendo in quell’occasione parecchi danni anche nella chiesa parrocchiale di
S. Agostino26.
I danni al plesso di Bologna – come riferì il direttore don Vincenzo Bo-
logna al rettor maggiore in una sintetica relazione stilata il giorno successivo,
26 settembre – furono “gravissimi”: la facciata della chiesa del S. Cuore era
crollata, e l’organo era bruciato completamente; tutti i vetri dell’istituto e tutti
gli infissi erano stati divelti e frantumati; tutte le camere e le camerette erano
24 Testimonianza orale rilasciata dalla signora Gloria Carloni il 10 ottobre 2005 (la con-
versazione registrata è conservata presso l’Archivio privato Alessandro Ferioli, Bologna).
25 Lettera dell’ispettore don Francesco Rastello al rettor maggiore don Pietro Ricaldone
in data 25 settembre 1943, riprodotta nell’Allegato n. 1 di questo contributo (ASC in Roma,
per la cortesia di don Luigi Cei, che ringrazio una volta per tutte).
26 Per le vicende dell’istituto salesiano S. Ambrogio negli anni 1943-1945, e special-
mente per i bombardamenti, cf: Francesco MOTTO, Storia di un proclama: Milano 25 aprile
1945: Appuntamento dai Salesiani. Roma, LAS 1995, pp. 59-92.

2.3 Page 13

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 369
del tutto inagibili; parecchie volte e muri di divisione erano crollati insieme a
qualche pavimento; l’oratorio risultava devastato in tutto il tratto delle aule
scolastiche destinate al catechismo. Nel complesso l’intera Casa aveva subito
danni ingenti – al punto da poterla definire “in uno stato che fa pietà e sforza
al pianto” –, ma per fortuna non vi erano state vittime tra i salesiani, che tut-
tavia dovettero rimanere a lungo a lavorare fra le macerie, divisi per squadre,
e nel continuo timore di crolli o cedimenti improvvisi27. La signora Gloria
Carloni, all’epoca ragazzina, ricorda ancora le macerie accumulate sul mar-
ciapiede di via Jacopo della Quercia28.
Nella medesima lettera del 26 settembre colpisce, per la laconicità del-
l’espressione, la frase di don Bologna: “Il Parroco è ancora fuori di Bologna”.
Vale la pena di soffermarsi su questa laconica comunicazione al rettor mag-
giore, poiché il parroco doveva evidentemente essere ritenuto, per concorde
“intesa” fra l’Ispettore e il rettor maggiore, “assente giustificato”. Difatti don
Antonio Gavinelli aveva in quel periodo seri problemi con le autorità fasciste
locali; per la precisione
“A causa di un volantino, “di critica al governo”, di contenuto e tono chiaramente
antifascisti, diffuso pubblicamente in chiesa il 24.4.43, venne arrestato, proces-
sato e, nonostante gli autorevoli interventi in suo favore, condannato a 3 anni di
confino. Liberato il 30.7.1943 rientrò a Bologna, ma venne consigliato di non ri-
manervi durante l’occupazione nazista. Vi fece definitivamente ritorno nel
maggio 1945”29.
Don Gavinelli era stato anche minacciato per aver scritto, in uno dei fo-
glietti domenicali stampati che era solito distribuire, al termine di una lunga
trattazione sui problemi e le vicende storico-sociali dell’Italia presente: “Né il
fascismo né il comunismo salveranno l’Italia, ma piuttosto la Fede…”. Il fo-
27 Lettera del direttore dell’istituto di Bologna, don Vincenzo Bologna, al rettor maggiore
don Pietro Ricaldone in data 26 settembre 1943, riprodotta nell’Allegato n. 2 (Archivio Sale-
siano Centrale). Don Vincenzo Bologna fu direttore nel periodo 1939-1945; fu sostituito poi da
don Antonio Gavinelli, che ricoprì la carica di direttore per il periodo 1945-1946. Per la preci-
sione, l’organo distrutto in occasione del bombardamento era stato inaugurato nel novembre
1935; il nuovo organo fu benedetto dall’arciv. card. Giacomo Lercaro il 19 giugno 1955 (A.
RAULE, Il santuario del S. Cuore in Bologna…, p. 26, nota 1).
28 Testimonianza della signora Gloria Carloni, citata.
29 Alessandro ALBERTAZZI-Luigi ARBIZZANI-Nazario Sauro ONOFRI, Gli antifascisti, i
partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945). Volume III. Bologna, Dizio-
nario Biografico, Comune di Bologna-istituto per la Storia di Bologna 1986, voce “Gavinelli
Antonio”, p. 329. Cf anche: Nazario Sauro ONOFRI, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del
fascismo nel bolognese (1919-1945). Volume I: Bologna dall’antifascismo alla Resistenza. Bo-
logna, istituto per la Storia della Resistenza e della società contemporanea nella Provincia di
Bologna “L. Bergonzini”-Comune di Bologna 2005, p. 363. Per l’intera durata del periodo di
confino don Gavinelli rimase a Castelvecchio Subequo in provincia dell’Aquila; a sostituirlo
provvide don Emidio Farolfi.

2.4 Page 14

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370 Alessandro Ferioli
glietto era stato portato al gruppo rionale fascista Nannini, la cui sede era pro-
prio di fronte alla parrocchia, procurandogli le già menzionate conseguenze
giudiziarie30.
Mons. Gaetano Bortolotti – allora cappellano nella chiesa dei Ss. Angeli
Custodi, in via Alfonso Lombardi, a pochi chilometri di distanza dai Salesiani
– ha ricordato più volte, nella sua testimonianza, l’atteggiamento di neutralità,
e qualche volta d’ostilità, dei Parroci bolognesi riguardo alla guerra. È difatti
vero – come spiega Giovanni Miccoli – che di fronte alla seconda guerra
mondiale la Santa Sede si mantenne generalmente neutrale e imparziale, po-
nendosi nella condizione di “non sentirsi coinvolta nei mali e nelle sofferenze
dell’umanità se non come giudice, maestra e consolatrice”31. Tuttavia va detto
che l’arcivescovo di Bologna card. Nasalli Rocca si era sempre dimostrato
molto prudente nei rapporti con il fascismo, e talora anche apertamente cri-
tico, specialmente in occasione dello scioglimento delle associazioni giovanili
cattoliche, nel 1931, e in occasione dell’elaborazione delle teorie razziali nel
1938: in particolare nella pastorale del 1932 il prelato aveva posto una distin-
zione fra il governo paterno della chiesa e quello di genere tirannico, impo-
stando un’incrinatura nel rapporto col regime. Per dieci anni le pastorali del
card. di Bologna furono contraddistinte dall’assoluto silenzio sulla politica
del governo fascista; poi, nella pastorale nel 1943, si legge una condanna
esplicita del regime, con la messa all’indice delle “tendenze al potere e al pre-
potere”. Negli anni della guerra, l’impegno dell’arcivescovo aveva avuto so-
stanzialmente una duplice finalità: da un lato si proponeva di agire, nel fran-
gente dominato dalla disperazione e dallo smarrimento, attraverso una medi-
tazione sull’importanza di “salvare l’anima”, con l’azione, la preghiera e il
sacrificio; dall’altro propugnava il novus ordo tracciato da Pio XII nell’o-
melia del Natale 1940: pace, vita, libertà, amore, armoniosa convivenza di
popoli. Cosicché il cardinale, che aveva apertamente proclamato “la banca-
rotta della civiltà”, condannando con ciò una società che nonostante tutto an-
cora non si decideva ad aprirsi a Gesù Cristo e al Vangelo, aveva esplicita-
mente indicato ai suoi parroci una linea di condotta, alla quale peraltro, stante
i sentimenti diffusi tra la popolazione bolognese, non fu difficile attenersi32.
30 Informazioni desunte dalla testimonianza orale rilasciata il 17 ottobre 2005 da mons.
Gaetano Bortolotti, nato a Bologna il 24 aprile 1919, già parroco della chiesa dei Ss. Angeli
Custodi, attualmente canonico onorario del Capitolo Metropolitano di Bologna (la conversa-
zione registrata è conservata presso l’Archivio privato Alessandro Ferioli di Bologna).
31 Giovanni MICCOLI, chiesa e società in Italia tra Ottocento e Novecento: Il mito della
“cristianità” in Chiese nella società. Torino, Marietti 1980, pp. 230-231.
32 Sulla posizione del cardinale di Bologna cf: Maria Teresa TOSCHI, La chiesa bolognese
durante il periodo fascista attraverso le lettere pastorali del cardinale Giovanni Battista Na-

2.5 Page 15

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 371
All’episodio di don Gavinelli fa riferimento anche lo storico dell’arte
don Angelo Raule, ma in maniera – chissà perché – ermetica: dopo aver elen-
cato sommariamente i danni riportati dal santuario, scrive che “Anche il pa-
store fu tolto a forza dal suo gregge”33. La signora Gloria Carloni, “storica”
residente del rione, riferisce che allora tutti sapevano che don Gavinelli aveva
avuto delle “storie” (ovvero delle “grane”) con il partito fascista: taluni voci-
feravano che si fosse nascosto a Milano, altri che fosse in galera, altri ancora
che fosse già stato mandato al confino34.
Così invece furono sinteticamente descritti i danni alla chiesa del Sacro
Cuore da Alfredo Barbacci, Soprintendente per i Beni Ambientali ed Architet-
tonici dell’Emilia dal 1° luglio 1943, in una delle schede formanti l’importan-
tissimo catalogo dei danni di guerra da lui compilato:
“CHIESA DEL SACRO CUORE DI GESÙ
Via Galliera 127
- Crollo di parte della facciata e del fianco destro
- Primi provvedimenti: puntellamenti e consolidamenti alle strutture pericolanti.
Osservazioni: la chiesa potrà ripristinarsi dopo la guerra”35.
Così lo stesso Barbacci descriveva i danni alla chiesa del Sacro Cuore in
un saggio da lui pubblicato nel dopoguerra a consuntivo dell’opera di prote-
zione e restauro dei monumenti:
“chiesa del Sacro Cuore di Gesù
Eretta dal 1901 al 1912 da Edoardo Collamarini in eclettico stile medioevale, con
ossatura interna di cemento armato e ornatissimo esterno di terracotta. Nell’incur-
sione aerea del 25 settembre 1943, le bombe colpirono l’edificio all’incrocio
della facciata col fianco destro, per cui caddero circa la metà del muro di facciata
e un buon tratto di quello del fianco. Inoltre una parte corrispondente dell’interno,
restando fortunosamente in piedi la robusta intelaiatura di cemento armato della
nave maggiore, il che ha forse contribuito ad evitare la caduta della cupola. I
danni furono riparati dopo la guerra”36.
Leggendo la relazione che il direttore dell’istituto salesiano di Bologna
inviò al rettor maggiore si avverte, pur nella concisione del resoconto, un
salli Rocca di Corneliano. Tesi di laurea. Università degli Studi di Bologna, a.a. 1981/’82,
spec. pp. 64-71; 84-91 (una copia è conservata presso la Biblioteca del Dipartimento di Disci-
pline Storiche dell’Università degli Studi di Bologna).
33 A. RAULE, Il santuario del S. Cuore in Bologna…, p. 15.
34 Testimonianza della signora Gloria Carloni, citata.
35 “Il catalogo dei danni di guerra di Alfredo Barbacci (agosto 1944)”, in: C. BERSANI e
V. RONCUZZI ROVERSI MONACO (a cura di), Delenda Bononia…, p. 112.
36 A. BARBACCI, I monumenti di Bologna…, p. 38. Una fotografia della facciata del san-
tuario del Sacro Cuore di Gesù è a p. 150, fig. n. 102.

2.6 Page 16

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372 Alessandro Ferioli
senso d’angoscia e di disperazione (perfettamente compendiate in quella frase
iniziale della lettera del 26 settembre: “Ho tanta voglia di piangere”) che ri-
flettono appieno lo stato d’animo dei bolognesi dopo quell’incursione. Per
quanto non fosse la prima in ordine assoluto, si trattò in effetti del primo bom-
bardamento che gli Alleati effettuarono dopo l’8 settembre 1943: il che signi-
ficava da un lato che la cittadinanza si sentiva generalmente più tranquilla in
ragione dell’armistizio concluso e già operante (per quanto la guerra civile
fosse già alle porte), e più propensa a ben sperare in ordine agli attacchi aerei;
e dall’altro che in quei giorni era venuta meno l’organizzazione militare ita-
liana preposta alla difesa e agli interventi di salvataggio e di neutralizzazione
(con disinnesco e rimozione o brillamento in sede) delle bombe inesplose, con
quell’aggravamento degli effetti dell’incursione che si può immaginare.
La giornata del 25 settembre è ancora impressa vividamente nella me-
moria della signora Luisa Rigon, ancor oggi attiva parrocchiana e animatrice
della segreteria del parroco:
“Di quel 25 settembre 1943 ho ricordi abbastanza chiari – nonostante i miei at-
tuali 84 anni – e ricordo l’improvviso bombardamento… le sirene d’allarme che
suonavano mentre già cadevano abbondanti bombe…
Io mi trovavo in P.zza Malpighi poiché ero impiegata all’Ufficio del Registro e
cercai di raggiungere il rifugio di una scuola vicina, che dicevano sicuro... ma
non feci in tempo e ritornai nei locali dell’ufficio in attesa che finisse quel fini-
mondo…
La mia più grande preoccupazione era poter raggiungere la mia famiglia alla Bo-
lognina. Ricordo che appena possibile mi misi in cammino e dovetti scavalcare in
via Roma prima, poi in via Galliera mucchi di macerie che spesso nascondevano
cadaveri…
Arrivata sul Ponte della ferrovia vidi un enorme e profondo squarcio… i binari
del tram, come braccia imploranti, si erano alzati verso il cielo…
Proseguii col cuore in gola e, giunta nei pressi della chiesa del S. Cuore, vidi
tanto fumo (stava bruciando l’organo…). Mi accorsi che era crollata parte della
facciata e della fiancata destra… e col cuore dolente – pensando al nostro Parroco
ritornato da poco dal confino fascista e poi ripartito dopo l’8 settembre – mi av-
viai verso casa.
Il vecchio fabbricato di via Ferrarese risalente all’Ottocento, già segnato dalla ve-
tustà, era rimasto in piedi… tanti calcinacci continuavano a cadere dalle pareti
esterne ed interne… ricordo la mia mamma e altre donne che, con la scopa, cer-
cavano di radunare le macerie…
Mi accorsi di tante case crollate all’interno, via Algardi rasa al suolo… e i giorni
proseguivano tutti uguali tra allarmi e bombardamenti anche se non gravi come
quel 25 settembre”37.
37 Testimonianza scritta rilasciata dalla signora Luisa Rigon il 20 ottobre 2005 (il testo
scritto è conservato presso l’Archivio privato Alessandro Ferioli, Bologna). La signora Rigon è
nata a Bologna il 9 maggio 1921, e tuttora risiede a Bologna.

2.7 Page 17

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 373
I danni all’edificio dell’istituto e alla chiesa del Sacro Cuore lasciarono
il loro triste segno su tutte le molteplici attività dei salesiani di Bologna. A di-
stanza di quasi tre mesi, in una lettera del 20 dicembre successivo, contenente
gli auguri natalizi, il direttore don Bologna scriveva che l’opera bolognese,
“stroncata dalle incursioni”, aveva “dovuto di molto limitare la sua attività”:
la scuola professionale non si era potuta aprire; il Ginnasio superiore e una
sezione della Scuola Media erano stati trasferiti nella sede salesiana di Castel
de’ Britti; l’oratorio era ancora chiuso, più a causa dello sfollamento delle fa-
miglie dalla città che per la gravità – che pure persisteva – dei danni. Soltanto
alcuni coadiutori, “coll’aiuto di qualche allievo coraggioso”, continuavano a
“fare qualche cosa” nei settori della sartoria, legatoria, falegnameria, tipo-
grafia e calzoleria (per introitare quel poco denaro che si poteva ricavare dal
lavoro artigianale, si presume)38. Lo stesso don Bologna in data 5 febbraio
1944 dalla sede di Castel de’ Britti inviò una nota a Provveditore agli studi di
Bologna quantificando i danni subiti in tre milioni di Lire39.
L’incursione aerea del 29 gennaio 1944
La testimonianza di mons. Gaetano Bortolotti, allora cappellano della
chiesa dei Ss. Angeli Custodi, ci aiuta a comprendere il disagio e le difficoltà
dei religiosi nel difficile periodo delle incursioni aeree:
“[Le incursioni] iniziarono nel luglio 1943 e in breve tempo la parrocchia si spo-
polò; chi poteva si portava in campagna o montagna, in luoghi che sembravano
meno risentire del pericolo. Anche il gruppo dei ragazzi [della parrocchia] si di-
sperse. Il Parroco Don Magnico, allarmato per la situazione, volle che mi recassi
a dormire in canonica per essere pronto a intervenire in caso di pericolo. Pren-
demmo la consuetudine di conservare il SS. Sacramento nelle teche della Comu-
nione degli Infermi, e al momento dell’allarme aereo lo prendevamo con noi an-
dando nei rifugi. Di solito andavamo nelle cantine del vicinato, attrezzate preca-
riamente da rifugi. A volte andai con Don Magnico nel rifugio delle officine di
Casaralta che era stato allestito per la famiglia Regazzoni e parenti. Avevamo la
facoltà di dare l’assoluzione generale ai presenti, valevole sacramentalmente; fa-
coltà di cui mi sono servito quando iniziava il bombardamento. E oltre al rumore
sinistro degli aerei si sentivano i contraccolpi dal suolo, specie quando il bombar-
damento colpiva zone a noi vicine. […]
Un’altra incursione [in data imprecisata dal mons.] colpì la zona, a noi vicina, di
38 Lettera di don Vincenzo Bologna al rettor maggiore don Pietro Ricaldone in data 20
dicembre 1943, riprodotta nell’Allegato n. 3 (Archivio Salesiano Centrale).
39 Lettera di don Vincenzo Bologna al Provveditore agli Studi di Bologna in data 5 feb-
braio 1944 (Archivio Stato Bologna, serie Provveditorato agli Studi di Bologna 1888-1962,
fasc. 180, C15, 1944).

2.8 Page 18

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374 Alessandro Ferioli
via Saliceto, ove distrusse le Case Cangini (n. 25, 29) e anche via Lombardi
verso via Corticella. Finito l’allarme accorsi in aiuto dei soccorritori. In mezzo
alle macerie coperte dalla polvere giacevano morti, si lamentavano feriti: una
donna con una gamba tagliata fu caricata su un camion; un uomo col naso squar-
ciato era rimasto intrappolato in cantina. Era una desolazione: sopportavo la si-
tuazione con animo: avevo messo persa la vita e questo mi rendeva più sicuro e
tranquillo […]” 40.
Quando, alle ore 8.31 del 29 gennaio 1944 (ancora un sabato), i 41 bom-
bardieri del 301° Gruppo Bombardieri statunitense decollarono dall’aeroporto
di Cerignola – in Puglia – l’ordine operativo prevedeva, per i diversi Gruppi
del 5° Stormo, l’attacco e la distruzione degli scali ferroviari di Prato (affi-
dato al 301° Gruppo), Pontassieve (al 97° Gruppo), Certaldo e Poggibonsi (al
99° Gruppo), con inizio dell’attacco a S. Casciano per il 301° Gruppo; in al-
ternativa, qualora non fosse stato possibile portare a termine la missione pro-
grammata, si sarebbe dovuto sferrare l’attacco su qualunque linea di comuni-
cazione nella zona dell’Italia centrale (“Alternate targets: Any lines of Com-
munication in the Central ITALY Area”, recitava l’ordine operativo n. 292 in
data 28 gennaio). Ad ogni buon conto, agli equipaggi era stato fornito, prima
del decollo, uno schizzo dello scalo ferroviario bolognese41.
A salvare Prato dalle bombe del 301° Gruppo furono quel giorno le con-
dizioni climatiche avverse, caratterizzate da un intenso strato di nuvole che
impediva qualsiasi tentativo di localizzazione del bersaglio. “Unable to bomb
Prato due to cloud cover – così recita il rapporto del 301° Gruppo in data 30
gennaio –, bombed Bologna”. Talché il 301° fece rotta alternativa su Bologna,
dove a partire dalle ore 12 i potenti quadrimotori fecero cadere 468 bombe da
500 libbre. Forse proprio a causa della repentina sostituzione dell’obiettivo
generale, e della genericità delle indicazioni fornite ai piloti, fu posta minor
cura nell’individuazione d’obiettivi particolari, cosicché ne risultò particolar-
mente colpito proprio il centro storico, con i suoi monumenti e i suoi tesori,
mentre la stazione fu relativamente poco danneggiata. Nonostante ciò Radio
Londra comunicò che in quella giornata erano stati bombardati gli scali ferro-
viari di Bologna e Rimini42.
40 Testimonianza rilasciata da mons. Gaetano Bortolotti, citata. Dall’anagrafe par-
rocchiale, redatta durante le benedizioni pasquali, risulta che la parrocchia dei Ss. Angeli
Custodi anche a causa degli sfollamenti si era ridotta nel 1944 a 1000 abitanti, rispetto ai 5200
registrati nel 1938 (AA.VV., Santi Angeli Custodi: Una parrocchia a Casaralta. Bologna,
s.e. 1991, p. 14).
41 L’ordine operativo del 5° Stormo n. 292 e i rapporti finali del comando del 301°
Gruppo sono riprodotti in G. MAZZANTI, Obiettivo Bologna…, p. 104-110.
42 I “liberatori” sono tornati, in “Il Resto del Carlino”, 2 febbraio 1944.

2.9 Page 19

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 375
I danni furono ingenti, specialmente al patrimonio edilizio e storico-arti-
stico cittadino: tra gli edifici civili fu distrutto completamente il teatro del
Corso, e risultarono particolarmente danneggiati l’Archiginnasio, l’albergo
Baglioni e la sede del comando di Corpo d’Armata; fra quelli religiosi il se-
minario, la chiesa di San Giovanni in Monte, la chiesa di San Carlo, l’Ora-
torio di San Filippo Neri e, in maniera più lieve, la cattedrale di San Pietro.
Per quanto riguarda i danni alle persone, invece, “vi furono solo 31 morti e 47
feriti tra persone che non si erano riparate nei rifugi”43.
Il direttore don Bologna scriveva immediatamente al rettor maggiore per
comunicare gli esiti del bombardamento: alcune bombe erano difatti cadute
anche a meno di 500 metri dall’istituto di via Jacopo della Quercia, provo-
cando “alcuni vetri frantumati e […] una discreta dose di spavento”44. Nessun
intervento risulta effettuato, quel giorno, dal personale del 14° Corpo dei Vi-
gili del Fuoco.
La situazione, in quelle condizioni, non era facile né per i civili né per i
religiosi. Così ricorda mons. Gaetano Bortolotti:
“Le incursioni aeree che avevano colpito la città avevano anche centrato gli stessi
rifugi, che si erano dimostrati inadeguati alla bisogna. Anche il Seminario di
Piazza Umberto era stato colpito, e nel sotterraneo era morto il padre spirituale,
monsignor Balestrazzi, per lo spostamento d’aria. Un grande rifugio collocato
circa all’incrocio di via Roma con via Riva Reno era stato centrato dalle bombe,
con grande strage di persone. Così era successo alla Zucca, in un rifugio collocato
in un giardino di villa Lisi. Perciò nell’opinione pubblica si fece strada l’opinione
che era meglio scappare alla campagna più che chiudersi nei rifugi. Avveniva così
che al suono delle sirene le strade si riempivano di gente, che correva fuori della
città con tutti i mezzi (cioè… biciclette!). Questo durò per un po’ di tempo. A
volte ci si fermava lungo la strada, se non si sentivano rumori sospetti. Quante ore
anche di notte passate così, all’aperto, anche d’inverno con la neve, in attesa che
cessasse l’allarme, per tornare a letto quando non avveniva di dover uscire poco
dopo per il replicato allarme. Si può immaginare lo stress che ci prendeva tutti,
con il razionamento alimentare, i bombardamenti, e tutte le vicende dovute alla
lotta fra partigiani e fascisti: si vedevano alle volte al margine delle strade persone
uccise durante la notte; altre già morte, impiccate in piazza Maggiore o Piazza Ve-
nezia, contro il muro del Municipio ore era stata scritta la frase ironica “luogo di
ristoro per i gappisti” [membri dei Gruppi d’Azione Patriottica]”45.
43 F. MANARESI, “I bombardamenti aerei di Bologna”, in: C. BERSANI e V. RONCUZZI
ROVERSI MONACO (a cura di), Delenda Bononia…, p. 50.
44 Lettera del direttore dell’istituto di Bologna, don Vincenzo Bologna, al rettor maggiore
don Pietro Ricaldone in data 29 gennaio 1944, riprodotta nell’Allegato n. 4 (Archivio Sale-
siano Centrale). Sull’originale compare un’annotazione a matita: “Risp. 8-2”; ma purtroppo
non esiste nell’Archivio Salesiano Centrale alcuna risposta di don Ricaldone in tale data, am-
messo e non concesso che sia mai esistita.
45 Testimonianza di Monsignor Gaetano Bortolotti, citata.

2.10 Page 20

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376 Alessandro Ferioli
L’incursione aerea del 24-25 agosto 1944
A partire dal marzo 1944, le sortite aeree Alleate alle vie di comunica-
zione divennero più intense. Il 7, il 10 e il 14 marzo furono attaccate pesante-
mente le linee ferroviarie romane, e l’11 lo scalo di Padova. L’importanza
degli attacchi sugli scali di Padova e di Bologna consisteva nell’isolare la ca-
pitale dal Nord Italia impedendo il traffico pesante, in funzione della sua con-
quista (che avvenne il 4 giugno). Soltanto nel corso del mese di aprile furono
attaccati ben 438 centri italiani: il 7, in particolare, per motivi non ben chiariti
e di dubbia utilità strategica, toccò alla città di Treviso subire gravissime di-
struzioni da parte dei bombardieri pesanti statunitensi, che provocarono 1600
morti. Nel corso del mese di maggio i centri italiani colpiti furono complessi-
vamente 66146.
Al tempo stesso verso la metà del 1944,
“la difesa aerea del nostro territorio era ormai alla fine delle sue possibilità: quasi
tutti i reparti aerei tedeschi erano stati concentrati in Germania per difendere il
proprio paese e in Italia erano rimasti solo pochi reparti da caccia dell’ANR e la
difesa contraerea, affidata alla Flak tedesca o all’Ar.Co. (Artiglieria Contraerea)
della RSI. Questi reparti a volte coglievano qualche successo e abbattevano al-
cuni aerei, ma i risultati erano decisamente insufficienti: gli stessi piloti alleati
giudicavano più pericolose le missioni sull’Austria e sulla Germania, più “ripo-
santi” quelle sul territorio italiano”47.
Per quanto non devastante, anche il bombardamento su Bologna del 22
giugno 1944 procurò danni al santuario: a causa dello spostamento d’aria pro-
vocato dalle bombe, quasi tutte le coperture provvisorie si sollevarono e crol-
larono parte dei muri innalzati per chiudere temporaneamente le brecce aperte
dal crollo della facciata48.
Bologna subì il primo bombardamento notturno nel corso dell’incur-
sione che si svolse la notte tra il giovedì 24 e il venerdì 25 agosto 1944.
Mentre gli statunitensi si ostinavano a non voler bombardare di notte, certa-
mente anche per motivazioni umanitarie (i bombardamenti diurni, benché più
rischiosi per gli equipaggi, consentivano maggiore precisione e quindi, teori-
camente, minor dispendio inutile di vite umane tra la popolazione), i britan-
46 G. BONACINA, Obiettivo Italia…, p. 259 passim.
47 Achille RASTELLI, Il bombardamento di Gorla, in “Storia Militare”, A. II, n. 13 (ot-
tobre 1994), p. 53. Cf anche, dello stesso, I bombardamenti aerei nella seconda guerra mon-
diale: Milano e la provincia, in “Italia contemporanea”, n. 195 (1994). Con la sigla ANR si
vuole indicare l’Aeronautica Nazionale Repubblicana, inquadrata nelle Forze Armate della
Repubblica Sociale Italiana.
48 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVI, n. 1 (gennaio-febbraio 1945).

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 377
nici e i sudafricani assunsero invece sempre assai volentieri tale compito. La
rinunzia definitiva al bombardamento diurno da parte degli inglesi, anzi, ri-
sale al dicembre del 1939, allorquando, nel corso di uno dei numerosi attacchi
diurni sulla flotta germanica al largo di Helgoland, i caccia tedeschi riusci-
rono ad abbattere metà dei bombardieri inglesi: cosicché il timore di subire
ulteriori perdite in modo così massiccio provocò la “conversione” al bombar-
damento notturno49.
Il reparto che compì l’incursione aerea su Bologna nella tarda serata del
24 agosto era costituito da unità dell’aviazione sudafricana (SAAF) e dell’a-
viazione inglese (RAF), su apparecchi Wellington, Liberator e Halifax (questi
ultimi col compito di illuminare lo scenario con i bengala)50.
Il preoccupante spettacolo che si mostrò ai petroniani vide in sequenza
l’entrata in azione dei velivoli con la funzione di lanciare i bengala illumi-
nanti (blind illuminators), poi di quelli incaricati di lasciare cadere i contras-
segni colorati verdi e rossi per segnalare i bersagli (visual markers), e subito
di seguito i bombardieri. L’allarme suonò alle 23.50. Ricorda un testimone:
“Una notte suonò l’allarme. Era il tempo che si scappava fuori in campagna:
quando però mettevamo il naso fuori dalla porta, uno spettacolo fenomenale ci
colpì: la notte era illuminata a pieno giorno: tanti lumi appesi a un piccolo para-
cadute (i bengala) volteggiavano nel cielo. Sembrava che sopra di noi ci fosse un
occhio possente che ci spiava. Non ci azzardammo ad uscire. Era già avvenuto
varie volte che gli americani, scendendo con gli apparecchi, avevano mitragliato
la popolazione in fuga. Era pericoloso esporsi. Nello stesso periodo (estate del
’44) un piccolo aereo, denominato dalla popolazione “Pippo”, faceva incursioni
notturne, colpendo con bombette singole i luoghi, specie dove si vedevano luci
accese (bisogna tener presente che vigeva il più assoluto oscuramento)”51.
L’attacco colpì in modo particolarmente duro il quartiere Bolognina (oggi
conglobato nel quartiere Navile) e la Clinica universitaria dell’Ospedale S. Or-
sola: “circa cento furono le case colpite, in cui si ebbero 71 morti e 59 feriti”52.
Così scriveva il direttore don Bologna al rettor maggiore, in una lettera
in cui gli errori di battitura, la sincope in alcune parole e l’incertezza persino
nel battere i tasti sulla macchina per scrivere denotano ancora oggi lo stato
d’animo del sacerdote:
49 Per quanto riguarda l’orientamento strategico degli inglesi, cf David ESHEL,
“Bomber” Harris e l’offensiva strategica contro la Germania, in “Rivista Storica”, A. VIII,
n. 2 (febbraio 1995), pp. 12-23.
50 G. MAZZANTI, Obiettivo Bologna…, pp. 185-186.
51 Testimonianza di mons. Gaetano Bortolotti, citata.
52 F. MANARESI, “I bombardamenti aerei di Bologna”, in: C. BERSANI e V. RONCUZZI
ROVERSI MONACO (a cura di), Delenda Bononia…, cit., p. 50.

3.2 Page 22

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378 Alessandro Ferioli
“Ancora una volta il Signore ha provato dolorosamente Bologna e il nostro po-
vero istituto; nell’incursione terroristica avvenuta la notte scorsa verso le ore
23,15, ci siamo improvvisamente trovati in mezzo ad una pioggia di bombe
d’ogni calibro che ci ha terrorizzati tutti ed ha prodotto danni rilevantissimi anche
in Casa nostra”53.
Lo stesso don Bologna scriveva, nella medesima lettera, di aver contato
“oltre 14 bombe” cadute nelle vicinanze dell’edificio sede della casa sale-
siana, la cui parte nuova fu colpita da almeno tre o quattro ordigni. Era stato
colpito e distrutto completamente l’ultimo tratto del nuovo plesso; un’altra
bomba aveva colpito l’edificio distruggendo parte dei muri perimetrali, la
scala d’accesso e tutte le camere. Nessun salesiano ferito, per fortuna, ma se i
sacerdoti non fossero stati lesti nel precipitarsi giù, sarebbero stati sicura-
mente travolti dal crollo della scala interna.
Proprio la mattina del 25 in tutto l’istituto rimanevano soltanto due
stanze abitabili, che i sacerdoti si apprestavano ad allestire per dormirvi. Al
tempo stesso nella mattina del 25, dalle ore 7.30, a fronte di un incendio fu
compiuto un intervento da parte di personale del 14° Corpo Vigili del Fuoco
di Bologna, che si protrasse sino alle ore 9.10:
“Trattavasi di incendio di masserizie in un appartamento posto al 1° piano di via
Jacopo Della Quercia N. 2 spento con una mezza autobotte di acqua”54.
Le condizioni dell’edificio, al momento in cui don Bologna scriveva,
erano quelle di “un cumulo immenso di macerie, di rovine d’ogni genere e di
polvere, che ci mozza il respiro”. Era stato distrutto anche quasi del tutto il
teatro dell’oratorio, ed erano state danneggiate in modo serio Casa Boni, adia-
cente alla parrocchia55, e Casa Bancolini, ubicata a poche centinaia di metri,
in via Sebastiano Serlio 22, e destinata alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Al-
meno questa volta la chiesa del S. Cuore non aveva subito danni importanti,
53 Lettera di don Vincenzo Bologna al rettor maggiore don Pietro Ricaldone in data 25
agosto 1944, riprodotta nell’Allegato n. 5 (Archivio Salesiano Centrale).
54 Rapporto d’Incendio per incursione aerea, 25 agosto 1944 (Archivio Comando Pro-
vinciale Vigili del Fuoco di Bologna, serie “Interventi”, fasc. 1944, agosto). Si tratta dell’unico
intervento documentato dei Vigili del Fuoco presso la casa salesiana di Bologna: ciò non deve
stupire, in quanto nell’evadere le numerose richieste di intervento i Capi-Posto davano la pre-
cedenza a quelle in cui venivano segnalati cittadini sepolti dalle macerie e/o incendi. In man-
canza di tali condizioni era raro che i Vigili del Fuoco intervenissero, stante anche la scarsa
disponibilità di mezzi di trasporto, oltre che di personale.
55 Casa Boni era stata acquistata da don Gavinelli “per liberare la casa parrocchiale dal-
l’ufficio di propaganda ed avere locali per la Biblioteca, le Associazioni miste (ACLI, Univer-
sitari)…” (Gabriella Pizzi Vincenzi, “Il Tempio del Sacro Cuore in Bologna”, in: parrocchia
santuario Sacro Cuore: VII Decennale Eucaristica…, pp. 45-46).

3.3 Page 23

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 379
ma tuttavia il bombardamento aveva fatto crollare il soffitto della Cappella di
S. Pio V, i cui pesanti blocchi avrebbero ostruito la cripta sottostante se in
precedenza non fosse stata collocata un’apposita impalcatura56.
Dalla lettura della relazione al rettor maggiore si comprende come il mo-
rale dei salesiani – al pari degli altri cittadini bolognesi – fosse giunto ormai
al limite della sopportazione:
“Siamo come istupiditi davanti allo spettacolo angoscioso che ci circonda.
Avremo ancora altre prove e altri danni? Lo prevedo e lo temo perché oggi di con-
tinuo Recognitori nemici e Caccia bombardieri anglo-americani hanno ronzato sul
nostro Cielo. Il Bombardamento avvenne, come Le dissi, quasi improvvisamente
e col cielo illuminato a giorno da migliaia di luci bengala. Il nostro stato d’animo?
è un pò giù, ci guardiamo in faccia con tanta tristezza e con tanta pena”.
In data 4 settembre 1944, nell’ambito delle iniziative diplomatiche con-
dotte dal podestà di Bologna Mario Agnoli e dalla diocesi di Bologna volte a
fare ottenere alla città lo status di “città aperta”, il card. arciv. Giovanni Bat-
tista Nasalli Rocca scriveva al pontefice Pio XII per inviargli alcune relazioni,
ricordando, tra le altre cose, i più recenti danni subiti dagli edifici religiosi
cittadini. In un passaggio il cardinale faceva riferimento anche all’incursione
del 24-25 agosto:
“Nel tempo stesso debbo dolorosamente segnalare che nella notte dal 24 al 25
agosto e in quella dal 1° al 2 settembre si ebbero due grosse incursioni anglo
americane, che hanno colpito varie zone della periferia, ma anche d’altre parti
della città; causando non molte vittime per gli allarmi dati tempestivamente ma
molte rovine di edifizi e di case specialmente popolari. Notevoli nella prima
quelle dell’istituto Salesiano, del Sem. Regionale e della chiesa parrocchiale di
San Bartolomeo della Beverara, già colpite più volte nelle passate incursioni; e
nella seconda quelle della bella chiesa parrocchiale di Santa Maria della Carità,
che aveva avuto la sventura di perdere il suo amatissimo parroco Mons. Guiz-
zardi, mio vescovo Ausiliare, come comunicai alla Santità Vostra con la mia let-
tera del 13 agosto: morto il 27 luglio dopo breve malattia.
Purtroppo queste gravi incursioni hanno assai scosso il morale della popolazione
che nutriva speranza di poter essere alquanto ora risparmiata nei disastri di questa
immane tragedia, avendone già incontrati tanti!”57.
Vicenda analoga a quella descritta subì, in quella circostanza, la chiesa
dei Ss. Angeli Custodi, a poca distanza. Così ricorda mons. Gaetano Bortolotti:
56 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVI, n. 1 (gennaio-febbraio 1945).
57 Archivio del Comune di Bologna, Titolo IX, Busta 123, anno 1944, “Pratica per la di-
chiarazione di Bologna “città aperta””, doc. n. 70 (“Lettera 4 settembre di S. E. il card. Arci-
vescovo, con la quale trasmette al Santo Padre un pro memoria del Podestà circa la città aperta
di Bologna”).

3.4 Page 24

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380 Alessandro Ferioli
“In questo periodo trovo che un buon numero di offerte per Sante Messe mi fu-
rono date dal card. e dalla carità del Papa, per venire incontro alla scarsità degli
offerenti, perché non c’era più gente, non c’era più nessuno. Il 5 giugno, incur-
sione aerea: ci giunge notizia che Roma è stata occupata dagli Alleati. Altra in-
cursione aerea il 22 giugno. Il 25 agosto ci fu un’incursione notturna: all’allarme
non fu possibile scappare in rifugio; presa quindi la pisside dell’eucarestia, restai
con Don Magnico e la Medea (che era la donna di servizio) nella piccola sacre-
stia. Mentre le bombe fioccavano all’intorno, i vetri della chiesa andarono tutti in
frantumi con grande fragore. Non ci successe nulla di grave”58.
Il santuario del Sacro Cuore non rimase indenne neppure dal bombarda-
mento del 1° settembre, che
“colpì in pieno e fece crollare uno spigolo del secondo finestrone a destra dell’ab-
side della chiesa ed anziché entrare per la breccia aperta e scoppiare contro l’al-
tare del Sacro Cuore, verso del quale era diretta, deviò a sinistra andando a
sprofondarsi esternamente al centro dell’abside, quasi a contatto con la tomba
dello Svampa, che certamente sarebbe saltata se quella non fosse rimasta fortuno-
samente inesplosa”59.
La ricostruzione
I danni al patrimonio edilizio e storico-artistico della città di Bologna,
per effetto dei bombardamenti anglo-americani, furono ingenti: al termine
della guerra l’Amministrazione comunale calcolò che su 280000 vani della
città il 23,6% era stato gravemente danneggiato, il 5,6% semidistrutto e il
13,7% completamente distrutto o raso al suolo.
Il libro di Alfredo Barbacci, Monumenti di Bologna: Distruzioni e re-
stauri, più volte citato in questo contributo, rende conto delle difficoltà incon-
trate dall’allora Sovrintendente ai Beni Artistici e Architettonici nel tentativo
di gestire e controllare i lavori di ristrutturazione degli edifici d’interesse sto-
rico-architettonico colpiti. Come spiega Paola Monari, le chiese
“furono tra i primi edifici ad usufruire dei fondi elargiti dallo Stato per la ripara-
zione dei danni di guerra, anche in funzione del fatto che, pur essendo sottoposte
all’autorità ecclesiastica per le questioni religiose, dipendevano, invece dallo
Stato stesso per il loro aspetto artistico”60.
Ciò era conforme al dettato della Legge 1° giugno 1939, n. 1089, che
prescriveva l’obbligo di sottoporre alla Soprintendenza competente, ai fini
58 Testimonianza di Monsignor Gaetano Bortolotti, citata.
59 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVI, n. 1 (gennaio-febbraio 1945).
60 P. MONARI, La protezione antiaerea…, p. 229.

3.5 Page 25

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 381
dell’approvazione preventiva, un progetto d’intervento, e che si applicava alle
chiese costruite da più di cinquant’anni e quelle il cui costruttore risultasse
già deceduto61. Tante chiese, della città e della provincia, dovettero attendere
anni per poter cominciare o terminare i lavori di restauro.
Il caso del santuario del Sacro Cuore rientrava in tale fattispecie, es-
sendo deceduto il costruttore, mentre l’edificio dell’istituto no. Nonostante
ciò, anche i lavori di ricostruzione della chiesa, minacciando comunque di an-
dare per le lunghe, unitamente a quelli dell’istituto, dovettero essere sostenuti
dai parrocchiani e dai benefattori. Di tale opera di ricostruzione – nella quale
le vicende dell’istituto e quelle del santuario sono intimamente legate, anche
per il fatto che la malattia del direttore costrinse don Gavinelli ad assumere
temporaneamente su di sé anche la direzione dell’istituto con le relative
Scuole – rendono conto il bollettino parrocchiale Il santuario del Sacro Cuore
e il foglio a stampa che don Gavinelli distribuiva abitualmente in occasione
della Messa domenicale62.
I lavori nell’istituto cominciarono nel luglio 1945, per metterlo in grado
di ospitare i superiori (sino allora alloggiati presso il collegio San Luigi dei
padri Barnabiti) ed accogliere “almeno un centinaio di giovinetti per il pros-
simo anno scolastico”: le scuole – limitate alle Medie e al Ginnasio – dal-
l’anno entrante potevano essere frequentate anche dagli esterni. L’Oratorio
aveva già ripreso vita, “tra le molte macerie”, per l’opera di don Gioachin, e
in piena estate 1945 continuava la sua attività sotto la direzione di don Bal-
ducci; l’obiettivo del direttore era di aprire entro la fine dell’anno anche l’O-
ratorio femminile. Per quanto riguarda specialmente il santuario, al momento
si presentavano “mille difficoltà da superare che con l’aiuto del Signore non
mancheremo di superare”: la speranza era di vedere la chiesa coperta prima
del sopraggiungere dell’inverno, e terminata per la Decennale del 194763.
Alla fine del mese di settembre risultavano già “a buon punto” le ripara-
zioni e la ricostruzione dell’istituto, a causa evidentemente dell’impulso dato
61 Il Decreto del Ministero dei Lavori Pubblici 27 giugno 1946, n. 35, stabiliva le norme
per la riparazione e la ricostruzione di edifici di culto, o di enti pubblici di beneficenza distrutti
o danneggiati dalla guerra. L’articolo 4 del Decreto prescriveva che l’esecuzione dei lavori
delle chiese parrocchiali fosse subordinato alla richiesta e al consenso dell’autorità diocesana.
62 La raccolta dei bollettini parrocchiali e dei fogli domenicali, rilegata in volume, è cu-
stodita presso l’archivio dell’Opera Sacro Cuore di Bologna, la cui consultazione debbo alla ge-
nerosa disponibilità del direttore dell’Opera stessa, nella persona di don Angelo Viganò. Il bol-
lettino parrocchiale fu voluto da don Gavinelli già poco dopo il suo arrivo a Bologna come stru-
mento di formazione alla devozione al Sacro Cuore di Gesù, assieme all’Opera di Propaganda
per la Devozione al Sacro Cuore e assieme strumento per la raccolta delle offerte: testimonia la
signora Luisa Rigon che gli abbonati erano prima della guerra “parecchie decine di migliaia”.
63 Foglio del 19 agosto 1945.

3.6 Page 26

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382 Alessandro Ferioli
ai lavori prioritari in vista dell’inizio delle lezioni. Più preoccupanti i lavori al
santuario, soprattutto per la crescita dei preventivi di spesa, per i quali “non si
parla più di migliaia di lire, ma di milioni e milioni”. Comunque – continuava
il parroco – “non ci spaventiamo. Verranno, soltanto che ciascuno dia quello
che può dare”64.
Le lezioni scolastiche cominciarono il 15 dicembre, con frequenza tutte
le mattine dalle 8 alle 12.30, e Messa alle 8.30: i ragazzi erano oltre un centi-
naio (quanti ne poteva accogliere il collegio). L’istituto, ancora fermo con i
corsi professionali, in orario pomeridiano ospitava in quel periodo anche dieci
classi delle scuole comunali già-Federzoni, con tre aule messe a disposizione
dalle ragazze della Scuola di lavoro. Ancora ai primi di dicembre si attendeva
la conclusione degli studi tecnici che fornissero indicazioni sulla possibilità di
conservare la parte di facciata del santuario ancora in piedi65.
A questo punto emerge in tutto il suo valore la straordinaria capacità or-
ganizzativa di don Antonio Gavinelli, costituita da forza d’animo e fede in-
crollabile in Dio, ma anche da una speciale abilità nel raccogliere fondi, nel
mobilitare risorse umane e spirituali, nell’impiantare e gestire una rudimen-
tale macchina orientata al marketing parrocchiale, basata sulla buona volontà
di pochi collaboratori.
Nei primi giorni del nuovo anno 1946 don Gavinelli tracciava il consun-
tivo dei primi sei mesi di lavoro: un centinaio d’interni e 130 esterni a fre-
quentare le scuole; parte dei laboratori professionali riavviati all’attività for-
mativa; i lavori alla casa delle Figlie di Maria Ausiliatrice già iniziati. Il piano
regolatore generale di tutta l’Opera salesiana bolognese era gestito dall’eco-
nomato generale nella persona di don Fedele Giraudi: alla vista dei disegni
fu subito chiaro che “per tradurli in atto non bastano davvero pochi mesi, ma
ci vorranno parecchi anni”. Comunque don Gavinelli non disperò mai né si
allontanò mai da una determinazione che veniva da lontano:
Rovine, rovine, rovine!
Non mi meravigliai e non mi spaventai. Lo dico francamente, temevo peggio. La
mia decisione era già presa prima di arrivare: accingermi subito al lavoro per ri-
prendere al più presto tutte le nostre attività di bene a gloria del S. Cuore, al bene
di tante anime.
La Provvidenza ci avrebbe senza dubbio assistiti, i benefattori ci avrebbero dati i
mezzi necessari. Ed ora con somma mia gioia posso constatare dopo sei mesi di
lavoro che le speranze non andarono deluse”66.
64 Foglio del 30 settembre 1945.
65 Foglio del 2 dicembre 1945.
66 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVI, n. 1 (gennaio 1946), p. 3.

3.7 Page 27

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 383
La lettera circolare in data 24 giugno 1945, con la quale il parroco aveva
aperto la sottoscrizione di fondi67, fu ripubblicata più e più volte sul bollettino
parrocchiale. Furono approntati oggetti di propaganda per la distribuzione in
cambio delle offerte (“qualche immaginetta, qualche stampato da distribuire o
qualche oggettino”): santini del Sacro Cuore, di Maria Ausiliatrice, di don
Bosco, immagini artistiche, cartoline, stampe sociali (Lire 5 al volumetto), e i
libretti La S. Messa e Vita di S. Giovanni Bosco (L. 10 ciascuno). Furono
create categorie speciali di benefattori: “benefattori insigni” (coloro che aves-
sero offerto almeno Lire 1000), “benefattori distinti” (per Lire 500) e “soste-
nitori” (per almeno Lire 300)68. In aprile cominciò anche la pubblicazione
delle grazie ricevute dal Sacro Cuore, “per invogliare i nostri lettori a ricor-
rere al Sacro Cuore in tutte le loro necessità”69. Ad ogni evento o ricorrenza di
rilievo, don Gavinelli invitava a solennizzare o festeggiare attraverso un’of-
ferta per la ricostruzione del tempio o dell’istituto: in giugno era la volta della
Crociata d’espiazione indetta dal Papa70, e dell’onomastico del parroco71;
nello stesso mese s’inaugurava il “prestito a don Bosco Santo”, pari a una sot-
toscrizione di 100 lire; in luglio si tiene un concerto pro-tempio72; in ottobre,
mese della Madonna, sollecitava un fioretto quotidiano e l’acquisto di un
blocchetto d’immagini dietro offerta di almeno 50 lire; in novembre, mese dei
morti, invitava a “suffragare le loro anime con le preghiere e con le opere
buone”, iscrivendoli all’Opera salesiana tra i soci ricostruttori, o acquistando
gli “speciali cartelli funebri” dietro offerta di almeno 50 lire73.
Quella di don Gavinelli fu una vera e propria “campagna di guerra” per
la raccolta di fondi; una battaglia che non conobbe tregue né armistizi: l’intra-
prendente parroco sollecitava a ricercare benefattori tra i fautori della causa
salesiana presso i parrocchiani delle altre Parrocchie; a segnalare nominativi
di persone che potessero contribuire per contattarle personalmente (“Se voi
non osate chiedere, chiederemo noi”); a conservare sempre il bollettino di
conto corrente postale perché, se anche al momento non si fossero avute le
possibilità economiche per contribuire, queste si sarebbero potute manifestare
67 Riprodotta nell’allegato n. 6.
68 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVI, n. 3 (marzo 1946). Successivamente le categorie
furono modificate in “ricostruttori insigni” (con un’offerta di almeno Lire 10000), “ricostruttori
benemeriti” (con un’offerta di almeno Lire 5000) e semplici “ricostruttori” tutti gli altri; inoltre
fu prevista la possibilità di iscrivere anche i defunti (cf Il santuario del Sacro Cuore, A. XVII,
n. 6 [1 settembre 1946]).
69 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVI, n. 4 (aprile 1946).
70 Ibid., A. XVII, n. 1 (giugno 1946).
71 Foglio del 23 giugno 1946.
72 Foglio del 21 luglio 1946.
73 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVII, n. 8 (1 ottobre 1946).

3.8 Page 28

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384 Alessandro Ferioli
poi; infine, a non aversene a male per l’insistenza con cui si chiedeva74. La
battaglia fu così convincente che molti che si erano impegnati a un’offerta
mensile continuativa, e avevano dovuto sospenderla a causa delle ristrettezze
della guerra, alla prima occasione avevano fatto pervenire anche quelle dei
mesi non riscossi75.
Al tempo stesso don Gavinelli giocò la carta dell’utilità sociale dei la-
vori di ricostruzione, giacché quelle spese profuse nella ricostruzione della
casa del Signore – cosa che per molti abitanti del rione popolare non rappre-
sentava affatto una buona causa – servivano tuttavia a dar lavoro a tanti
operai e a sfamare le loro famiglie: il che sarebbe dovuto bastare a tacitare le
critiche provenienti dagli ambienti di una sinistra nella quale si riconoscevano
tanti proletari della zona76.
Nel mese di giugno 1946 i lavori all’istituto furono sospesi per man-
canza di mezzi finanziari, e quelli al santuario subirono un forte rallenta-
mento (e nel periodo estivo anche una sospensione)77. Già da Pasqua le fun-
zioni religiose erano state riportate dalla cripta al Tempio; l’abside e le due
cappelle laterali erano state restaurate:
“Ma qui – scriveva Don Gavinelli nel bollettino di luglio – urgono i lavori per-
ché il tempio possa essere coperto e chiuso interamente prima del prossimo
inverno. Per questo è indispensabile mettere mano ai lavori della facciata tanto
rovinata”78.
Appare del tutto evidente il personale approccio di don Gavinelli al pro-
blema della ricostruzione e della relativa raccolta dei fondi: una progettualità
“per obiettivi”. Infatti egli definisce le priorità, e anziché esplicitarle subito, le
svela sul bollettino una dopo l’altra, così da raggiungere il duplice risultato di
rendere conto concretamente ai parrocchiani e ai benefattori del denaro speso
(anche mediante la pubblicazione sistematica degli elenchi nominativi degli
offerenti), e al contempo di fissare nuovi traguardi da perseguire sollecitando
proprio in ragione di questi a ulteriori offerte. In settembre ripresero i lavori
per la ricostruzione della facciata, e il parroco invitava ogni lettore del bollet-
tino a offrire “almeno un mattone al mese e se non può lui trovi chi lo offra”79.
Un’altra battaglia fu quella per la ricostruzione delle vetrate del san-
74 Ibid., n. 3 (1 agosto 1946).
75 Ibid., n. 1 (giugno 1946).
76 Ibid. Il Foglio di Pasqua 1946 riferisce e contesta le critiche di coloro che sostenevano
che si sarebbe dovuto provvedere alle case prima che alla chiesa.
77 Ibid. e n. 6 (1 settembre 1946).
78 “Dopo un anno di lavoro”, in: Ibid., n. 2 (luglio 1946).
79 Ibid., n. 6 (1 settembre 1946).

3.9 Page 29

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 385
tuario andate distrutte. Quelle dell’abside, quelle delle cappelle laterali del-
l’altare maggiore, e quelle delle cappelle di San Giovanni Bosco e della Ma-
donna del Rosario si erano salvate, e nel 1946 erano già quasi tutte a posto; le
altre erano finite polverizzate per effetto dei bombardamenti e occorreva ri-
farle. L’artista era disponibile a rifabbricarle utilizzando i cartoni ancora in
suo possesso, e don Gavinelli, da pragmatico qual era, si disse pronto anche
a… sostituire i santi delle vetrate:
“Abbiamo chiesto all’artista quanto ci vorrà per ogni vetrata. Egli possiede an-
cora i cartoni. Ci rispose: Circa 35.000 lire l’una. Credevo assai di più. Bisognerà
aggiungere qualche cosa per la messa in opera. Tutto compreso per fare cifra
tonda credo ci vorranno quaranta mila lire ciascuna. Non è una cifra oggi spro-
porzionata.
Si tratta ora di rifare le vetrate che sono sopra i portali laterali della chiesa che
rappresentavano: Maria Ausiliatrice, S. Giuseppe, S. Rita da Cascia, S. Enrico,
S. Angela Merici, S. Agostino, S. Elena, S. Sebastiano, S. Rosa da Lima, B.N.
Albergati, S. Gaetano, S. Paolo della Croce.
Qualche anima generosa, qualche devoto della Madonna o di qualcuno di questi
santi che voglia offrire la vetrata? Il suo nome sarà scritto sulla vetrata medesima
come si legge su quelle rimaste. […]
Se qualcuno volesse poi una vetrata con la figura di un altro santo che non sia
uno di quelli qui numerati ce lo faccia sapere e potrebbe darsi che lo si possa
accontentare”80.
Nel frattempo don Gavinelli chiedeva offerte anche per l’acquisto di
candelieri, banchi, calici, biancheria, e proponeva di rifare qualche altare81.
Col nuovo anno scolastico 1946/1947 l’istituto, anche in virtù dei lavori
di ricostruzione, poté incrementare il numero degli alunni e delle classi: all’i-
nizio delle lezioni si prevedeva di aprire le classi quarta e quinta elementare,
il corso Medio completo, le classi quarta e quinta Ginnasio, l’avviamento pro-
fessionale e industriale e, presso le suore, l’asilo e il corso elementare com-
pleto82. Nel frattempo il 2 dicembre si apriva nell’ex casa Boni il Segretariato
del Popolo, “ufficio di assistenza morale e sociale”83.
Fino a dicembre i lavori procedettero alacremente, al punto che si confi-
dava di completare il tetto prima della fine dell’anno, ma la neve e il freddo
fecero sospendere i lavori: il bollettino del nuovo anno 1947 si apre difatti
con la fotografia del santuario con le impalcature alte, scattata a metà di-
80 Ibid., n. 6 (1 settembre 1946). Dopo l’acquisto di una vetrata raffigurante S. Rosa da
Lima, da parte dei conti Francesco e Maria Roberti di Castelvero in memoria della mamma
Rosa, l’appello fu ripetuto sul n. 8 (1 ottobre 1946).
81 Foglio del 21 luglio 1946.
82 Foglio del 22 settembre 1946.
83 Foglio del 1° dicembre 1946.

3.10 Page 30

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386 Alessandro Ferioli
cembre, per rendere conto dello stato dei lavori della facciata; pochi giorni
più tardi però “una nevicata sopraggiunta, accompagnata da un freddo sibe-
riano”, costrinse alla sospensione dei lavori. Anche all’interno del tempio
erano stati innalzati ponteggi con tubi Innocenti per consentire il restauro
della cupola. I lavori nell’istituto proseguivano, mentre i locali dell’Oratorio,
“rasi al suolo”, ancora non erano stati ricostruiti. Don Gavinelli ancora una
volta ricordava nel bollettino l’appuntamento con la Decennale eucaristica in
programma per il successivo 22 giugno84.
Alla fine di febbraio il parroco, restaurata la cappella di S. Giovanni
Bosco, dava corso al restauro del relativo altare (“gravissimamente danneg-
giato”), del costo di circa mezzo milione. Inoltre dava avvio alla “campagna”
per la raccolta delle offerte per le vetrate della facciata, del valore di circa
50000 lire ciascuna:
“È urgente preparare le vetrate della facciata: sono sette rettangolari, due rosoni
piccoli e uno assai grande nel centro. Le figure rappresentate sono: Cristo Re al
centro, la Madonna del Carmine, S. Cristoforo, S. Anna, S. Gioacchino, la Mad-
dalena e S. Mattia. Nei rosoni erano rappresentati degli angeli.
Se qualcuno volesse poi una vetrata con la figura di un altro santo che non sia
uno di quelli qui numerati ce lo faccia sapere e potrebbe darsi che lo si possa ac-
contentare” 85.
Il 27 marzo i muratori misero a posto gli ultimi coppi del tetto, dopo due
mesi di sospensione, e don Gavinelli poté scrivere sul bollettino: “Da domani
potremo dire: in chiesa non piove più”86. La cupola era interamente restau-
rata, e nei bollettini successivi poterono essere pubblicate altre foto col pon-
teggio esterno abbassato di circa metà dell’altezza della facciata87, coi pon-
teggi quasi a zero88, e finalmente senza più ponteggi89.
E vennero i giorni della Decennale, nei quali il santuario poté presentarsi
in tutta la sua maestosità:
“Moltissimo si è fatto – scriveva Don Gavinelli – e Domenica 22 giugno cele-
brandosi da noi la solenne festa parrocchiale della Decennale Eucaristica si poté
finalmente passare processionalmente per il portone centrale con il SS. Sacra-
mento che venne portato per tutte le vie della vasta parrocchia”90.
84 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVIII, n. 1 (1 gennaio 1947).
85 Ibid., n. 5 (1 marzo 1947).
86 Ibid., n. 7 (1 aprile 1947).
87 Ibid., A. XVIII, n. 9 (1 maggio 1947).
88 Ibid., n. 11 (1 giugno 1947).
89 Ibid., n. 15 (1 agosto 1947).
90 Ibid., n. 13 (1 luglio 1947).

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 387
Tre bollettini91 sono occupati per larga parte dalle fotografie della De-
cennale eucaristica, dove il santuario appare spoglio da ponteggi. Tuttavia re-
stava ancora un forte debito con la ditta costruttrice, e don Gavinelli solleci-
tava ogni lettore del bollettino ad offrire la somma di 100 lire “per la facciata”
(“e quelli che non possono fare il versamento di tasca loro, perché non po-
trebbero raccogliere tra conoscenti e amici la modesta somma?”). Ancora
verso la fine dell’anno il santuario era ancora lontano dall’essere completa-
mente restaurato: per quanto fossero state terminate le cappelle del S. Rosario
e di S. Giuseppe mancavano ancora venti vetrate istoriate sopra i portali late-
rali (14 grandi rettangolari, del costo preventivato di 40000 lire, e 6 più pic-
cole rotonde, del costo di 20000 lire); dovevano ancora essere rifatti i due al-
tari; doveva essere rifatto il pavimento, “per due terzi rovinato”, e mancava
l’organo92. Ma già alla fine del mese di novembre i sei rosoni sopra i portoni
laterali erano completamente finiti, e il parroco si era provvisto di
“un buon organo che farà sentire la sua voce in quest’ultima domenica dell’anno
ecclesiastico. Non è l’organo di prima, ma via, sebbene più minuscolo saprà di-
simpegnarsi bene lo stesso. Lo sentirete”93.
Ancora nei primi mesi del 1948 i lavori non erano terminati (seppur,
considerati i danni subiti e la vastità degli edifici da ricostruire, si era proce-
duti senz’altro con gran rapidità): restava ancora completamente rovinato, in
particolare, l’Oratorio festivo. I lavori per l’Oratorio iniziarono verso la fine
di marzo, e il rettor maggiore inviò attraverso don Gavinelli una benedizione
a tutti quelli che avessero aiutato nella ricostruzione di quella che, come scri-
veva lo stesso don Ricaldone, era “l’opera più cara al cuore di S. Giovanni
Bosco e al suo povero successore)”94. I numeri successivi del bollettino insi-
stono ancora con le testimonianze delle grazie ricevute95 e pubblicano foto-
grafie dei lavori di ricostruzione dell’Oratorio e dei laboratori96. Benché an-
cora in fase di assestamento l’Oratorio già da giugno aveva già ripreso il suo
funzionamento, in forma regolare, con orario dalle 9 alle 12; dalle 16 alle 20;
e dalle 20.30 alle 23.3097.
91 Ibid., dal n. 15 (1 agosto 1947) al n. 17 (1 settembre 1947).
92 Ibid., n. 21 (1 novembre 1947). Quelle venti vetrate erano rimaste distrutte nel corso
dei bombardamenti: “erano state tolte e si credeva fossero al sicuro invece una bomba cadde a
poca distanza dal rifugio, si sprofondò, scoppiò e le vetrate andarono in frantumi” (ibid.).
93 Foglio del 23 novembre 1947.
94 Il santuario del Sacro Cuore, A. XVIII, n. 7 (1 aprile 1948).
95 Ibid., n. 11 (1 giugno 1948).
96 Ibid., dal n. 15 (1 agosto 1948) al n. 21 (1 novembre 1948).
97 Foglio del 20 giugno 1948. L’Oratorio maschile e femminile aveva sede nella ex-Car-
taria Binda, acquistata nel 1936 da don Gavinelli; tutto il fabbricato, situato in via Jacopo della

4.2 Page 32

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388 Alessandro Ferioli
Dalla documentazione esaminata emergono chiaramente almeno due cir-
costanze. In primo luogo che la presenza di don Antonio Gavinelli fu determi-
nante per la ricostruzione non soltanto del santuario, ma piuttosto dell’intera
Opera salesiana bolognese: egli fu uno straordinario suscitatore d’energie mo-
rali e materiali, instancabile nel raccogliere fondi, nell’escogitare nuove mo-
dalità per chiedere, perspicace nel proporsi gli obiettivi da perseguire e rag-
giungere di volta in volta, inesauribile infine nella sua fede nella Provvidenza
e nell’aiuto di don Bosco Santo e del Sacro Cuore di Gesù. Inoltre emerge
che la comunità parrocchiale, e direi l’intero rione, contribuì nella misura più
larga alla ricostruzione dell’Opera salesiana, evidentemente riconoscendo in
ciò non soltanto la valenza religiosa della chiesa-santuario, ma anche la fun-
zione sociale ed educativa dell’istituto, dell’Oratorio e delle molteplici atti-
vità dei Salesiani di Bologna.
La memoria delle vittime
Nel corso della seconda grande guerra, secondo Giorgio Rochat soltanto
sotto i bombardamenti anglo-americani – ed escludendo quindi le incursioni
germaniche – nell’intera penisola italiana le vittime, tra civili e militari, fu-
rono almeno 40000, in larga parte donne98. Secondo uno studio pubblicato
dall’istituto Centrale di Statistica nel 1957 i morti a causa dei bombardamenti
furono 64354, cifra che Giorgio Bonacina ritiene in difetto “per più del dieci
per cento” (talché si arriverebbe a circa 70000 morti)99. Il che giustifica le pa-
role scritte dal poeta Salvatore Quasimodo davanti ai bombardamenti sulla
città di Milano: “la città è morta, è morta”100.
La città di Bologna ricorda le sue vittime dei bombardamenti con una la-
pide murata in via Leopardi, all’angolo con la “centralissima” via Marconi n.
47, proprio nel luogo in cui avevano trovato la morte centinaia di bolognesi
(soprattutto donne e bambini) nel tentativo disperato di cercare riparo nel cu-
Quercia n. 5, fu distrutto durante la guerra e fu praticamente ricostruito ex-novo. Oggi è sede
della Scuola Maria Ausiliatrice e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, trasferitesi dalla ex-casa
Bancolini situata in via Sebastiano Serlio n. 22 (AA.VV., parrocchia santuario Sacro Cuore:
VII Decennale Eucaristica…, p. 45).
98 Giorgio ROCHAT, Le perdite italiane nella seconda guerra mondiale, in “Storia Mili-
tare”, A. III, n. 27 (dicembre 1995), p. 55.
99 G. BONACINA, Obiettivo Italia…, p. 265.
100 Salvatore QUASIMODO, “Milano, agosto 1943”, in: Tutte le poesie. Milano, Monda-
dori 1961.

4.3 Page 33

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 389
nicolo in cemento armato messo a copertura del “Cavaticcio”101. Altre due la-
pidi sono collocate rispettivamente in via G. F. Barbieri al numero civico
111102, e nell’area interna dell’edificio al civico 41 di via Raimondi (entrambe
le vie sono comprese nell’ex-quartiere Bolognina, oggi Navile). Inoltre nella
già menzionata chiesa di S. Maria e S. Domenico della Mascarella – comple-
tamente ricostruita nel dopoguerra secondo un nuovo disegno – fu dedicata
una Cappella della Pietà (la prima cappella a sinistra) “in memoria dei caduti
nei bombardamenti aerei della Guerra 1940-1945”, nella quale è presente un
altare con scultura di Bruno Boari e, alle pareti laterali, lapidi con gli elenchi
nominativi parziali delle vittime.
Soltanto a partire dal settembre 2004, inoltre, per iniziativa della Se-
zione “Bolognina” dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.)
e del Comitato Unitario Democratico Antifascista della Bolognina viene
svolta una celebrazione civile proprio presso la chiesa del Sacro Cuore di
Gesù, con una Santa Messa officiata dal parroco (attualmente don Guido
Zanoni, SDB) e una commemorazione che vede la partecipazione di storici e
autorità civili locali.
A differenza di Bologna, altre città duramente colpite dai bombardamenti
anglo-americani portano il ricordo delle vittime civili e inermi nella motiva-
zione della Medaglia d’oro al Valore Militare ad esse conferita. È il caso della
città di Treviso, centro nevralgico della Resistenza al nazi-fascismo, bombar-
data dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, che nella motivazione della mas-
sima ricompensa al Valore Militare ha saputo fondere, in un’unica ideale sof-
ferenza comune e condivisa, il sacrificio dei partigiani, degli internati militari,
dei deportati politici e dei civili inermi periti nel corso dei bombardamenti103;
101 Il “Cavaticcio” era un canale che diramava dal canale di Reno e si dirigeva verso il
canale del Porto. Il tunnel sotterraneo, ribassato di circa quindici metri rispetto alla via Mar-
coni (allora via Roma), veniva utilizzato come rifugio antiaereo. Nel corso del bombardamento
del 25 settembre, appunto, una delle bombe sganciate centrò una apertura del tunnel scop-
piando proprio dentro al rifugio, uccidendo tutti i presenti sul colpo. Il testo della lapide recita:
LAVORI DI RICOSTRUZIONE RIMUOVEVANO DA QUESTO LUOGO UNA LAPIDE CHE LA PIETÀ DEI
BOLOGNESI AVEVA POSTO PER RICORDARE LORRIBILE SCEMPIO DI CENTINAIA DINERMI CITTADINI IN
PREVALENZA DONNE E BAMBINI VITTIME IL 25 SETTEMBRE 1943 DI DURISSIMO BOMBARDAMENTO
AEREO. IL COMUNE DI BOLOGNA VUOLE TRAMANDARE IL RICORDO DI QUELLA TRAGICA IMMOLA-
ZIONE IN AUSPICIO DI UN AVVENIRE NON PIÙ INSANGUINATO DA LOTTE FRA I POPOLI. – 25 SET-
TEMBRE 1962.
102 Testo della lapide in via G. F. Barbieri, n. 111:
QUI IL SETTEMBRE 1944 LA BARBARIE DELLA GUERRA SI ABBATTÉ DAL CIELO SULLA PO-
POLAZIONE INERME MIETENDO 25 VITTIME PERIRONO … omissis … AD IMPERITURA MEMORIA DEI
CADUTI QUALE IMPEGNO DI PACE PER I VIVI I CITTADINI DEL RIONE POSERO.
103 Motivazione della Medaglia d’oro al Valore Militare: “Fiera delle sue tradizioni di li-
bertà che già ne fecero centro attivissimo del Risorgimento Nazionale; supremo baluardo della

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390 Alessandro Ferioli
ed è il caso anche della città di Palermo (che per tutto il 1943 fu sottoposta a
terribili attacchi aerei dagli anglo-americani desiderosi di conquistare celer-
mente la Sicilia dopo averne annientate le difese), i cui caduti sono ricordati
nella motivazione della Medaglia d’Oro al Valore Militare104.
Ci è sembrato importante ricordare, in conclusione, questa “memoria
collettiva” sulla quale si sono già instradate altre città, nella consapevolezza
dell’opportunità di “ricordare” il sacrificio e le sofferenze che accomunano le
variegate esperienze degli italiani di quel periodo (lotta partigiana, resistenza
militare nei campi di prigionia, deportazione politica, e appunto vittime dei
bombardamenti), poiché – seppur secondo modalità diverse, pulsioni ideali
diverse e percorsi differenti – “il dolore è eterno, / ha una voce e non
varia”105.
Questa è la strada eticamente giusta da percorrere. Le nostre “memorie”
non sono soltanto quelle ricche di valori, degne perché illuminate dalla luce
della giustizia, dell’eroismo, dell’amore di patria e della fede in qualcosa di
nobile. Le nostre memorie sono anche quelle – per troppo tempo rimosse –
pervase d’umane miserie, di povertà, di delusioni, di cattiverie inutili e
inique. Rinunciare ad esse, o marginalizzarle rispetto ad altre, significa rinun-
ciare alle nostre radici.
Patria sulle rive del Piave nella guerra 1915-1918; sollevò sulle sventure dell’8 settembre 1943
la fiaccola della Resistenza; eccitò alla lotta contro il tedesco invasore; organizzò le prime
schiere armate della pianura e della montagna; fu per tutto il periodo della dominazione stra-
niera, l’anima di una resistenza indomabile di popolo e di brigate partigiane, spiegando energie
combattive e capacità direttive in tutta la regione veneta. Dilaniata nelle carni dei suoi figli ca-
duti davanti ai plotoni di esecuzione nemici; distrutta nei suoi edifizi; bagnata nelle sue piazze
dal sangue delle vittime innocenti, lasciò alla storia d’Italia 248 caduti e 144 feriti partigiani;
10261 internati e deportati politici; 1600 uccisi e 350 feriti per bombardamenti; e il ricordo
delle epiche gesta della sua insurrezione, allorché il popolo accorso tra le rovine di 3783 case
distrutte, combatté al fianco dei partigiani, unito ad essi in un unico slancio di fede e di libertà.
– Settembre 1943-Aprile 1945”.
104 Motivazione della Medaglia d’oro al Valore Militare: “Fedele alla sua tradizione plu-
risecolare di patriottismo e di valore, riaffermatasi nelle gloriose gesta del 1848 e nei fasti del
Risorgimento italiano, sorretta da incrollabile fede nei destini della Patria, resistette impavida,
per oltre tre anni, in condizioni drammatiche, spesso disperate, al succedersi pervicace e spie-
tato di massicci bombardamenti aerei nemici, tendenti ad abbattere il morale e la tenace resi-
stenza della popolazione civile. L’inesorabile azione aerea nemica si abbatté sempre più vio-
lenta e indiscriminata su edifici, impianti pubblici, templi, causando perdite gravissime tra la
popolazione e danni incalcolabili. Oltre 3000 morti, circa 30000 mutilati e feriti, in gran parte
vecchi, donne e bambini, e la perdita di ingente patrimonio culturale, artistico e religioso, se-
gnarono il calvario dell’olocausto glorioso. – 10 giugno 1940-8 settembre 1943”.
105 Umberto SABA, “La capra”, in: Il Canzoniere. Torino, Einaudi 1961.

4.5 Page 35

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 391
ALLEGATI
1.
Don Francesco Rastello a don Pietro Ricaldone
Istituto Salesiano
Via Jacopo della Quercia n. 1 - Tel. 27-043
Bologna
-------
Direzione
-------
Rev.mo Sig. D. Ricaldone,
Bologna 25.IX.943
Stamattina abbiamo avuto incursione americana di una 60na di quadrimotori; si ve-
devano bene e si potevano contare le formazioni.
Grazie a Dio tra i Salesiani nessuna vittima.
Dallo schizzo unito potrà vedere i punti colpiti del fabbricato e della chiesa del S.
Cuore, chiusa al culto. Sono 9 bombe cadute ed esplose. Danni superiori a quelli subiti a
Milano. La tipogr. è sprofondata colle macchine.
La facciata della chiesa del S.C. è a terra per oltre 1/4; l’altra parte in piedi non è
tutta in buon stato.
Ora si lavora tra le macerie.
Preghi per noi.
In C. J.
D. Fr. Rastello
2.
Don Vincenzo Bologna a don Pietro Ricaldone
Istituto Salesiano
Via Jacopo della Quercia n. 1 - Tel. 27-043
Bologna
-------
Direzione
-------
Amatissimo Padre,
26 Settembre 1943
ho tanta voglia di piangere; nell’incursione nemica di ieri tutta l’Opera nostra fio-
rentissima fu gravemente colpita. Nove grosse bombe caddero in Via Iacopo della
Quercia, nei nostri cortili interni e dinnanzi alla parrocchia . I danni sono gravissimi.
Crollata la facciata del nostro santuario “S. Cuore” e bruciato completamente l’Or-
gano; Tutti i vetri dell’istituto e tutti gli infissi divelti e frantumati; tutte le camere e came-
rette rese inabitabili; parecchie volte e muri di divisione crollati insieme a qualche pavi-

4.6 Page 36

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392 Alessandro Ferioli
mento; la Casa ridotta in uno stato che fa pietà e sforza al pianto; l’Oratorio distrutto in
tutto il tratto delle aule scolastiche catechistiche.
Le vite dei Confratelli tutte salve. Che immensa sciagura s’è abbattuta su quest’O-
pera salesiana così bella e così fiorente, Padre mio! Fiat, fiat voluntas Dei. Mentre dattilo-
grafo la presente tutti i miei buoni Confratelli, divisi in squadre, lavora[n]o per mettere un
pò di ordine nel caos che abbiamo in casa e per ricuperare il salvabile. Il Parroco è ancora
fuori di Bologna. Preghi per noi, amatissimo Padre, che siamo stati così dolorosamente
provati dal Signore.
Voglia gradire il mio filiale ossequio.
Dev.mo Figliolo in D. Bosco Santo
D. Vincenzo Bologna
Mi ossequi tutti i Superiori
3.
Don Vincenzo Bologna a don Pietro Ricaldone
Istituto Salesiano
Bologna
Via J. della Quercia n. 1
Telef. 27-043
20 dicembre 1943
Amatissimo Padre,
Voglia gradire dai suoi poveri Figliuoli di Bologna e da me, tutti gravemente sini-
strati e dolorosamente provati dal Signore, auguri filiali e devoti di santo Natale ricolmo
delle più elette e desiderabili benedizioni del Bambinello Gesù. Faccio voti e innalzo pre-
ghiere per la sua preziosa salute e per la sua conservazione a bene dell’amata Congrega-
zione in questi tempi così tristi e così saturi di dolorose incognite.
La nostra gloriosa opera di Bologna, stroncata dalle incursioni, ha dovuto di molto
limitare la sua attività. La Scuola professionale non si è potuta aprire, neppure per soli
esterni; però i nostri Coadiutori Capi d’arte, Sarto, Legatore, Falegname, Tipografo, Cal-
zolaio, s’industriano e fanno qualche cosa coll’aiuto di qualche allievo coraggioso; le offi-
cine-scuola dei Meccanici e degli Elettromeccanici, completamente chiuse; Colussi, Capo
meccanico, è rimasto quì a Bologna e studia Matematica; Sarni, Capo elettromeccanico,
fu mandato dall’Ispettore a Montechiarucolo dove lavora. La Parrocchia si è ricoverata
nella Cripta dove si svolgono tutte le funzioni religiose. A Castel De’ Britti abbiamo
aperto il Ginnasio superiore e una Sezione completa della Scuola media; abbiamo colà 45
allievi interni e 34 esterni; siamo pigiati in maniera incredibile, anche perché la soluzione
delle Famiglie sfollate non fu risolta come doveva essere risolta (due famiglie di sei per-
sone occupano due stanze a pianterreno e tutte le altre, 14 persone, andarono in soffitta.)
Ho cercato però di limitare al massimo ogni contatto coi giovani e coi Confratelli, pi-
gliando tutte le precauzioni del caso. L’Oratorio festivo di Bologna, gravemente sinistrato,
non si è potuto riaprire, neppure in forma ridottissima, per mancanza di giovanetti sfollati,
essendo quì gli allarmi in continuo aumento.

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 393
Padre mio ricordi nelle sue sante e fervorose preghiere noi tutti suoi figliuoli di Bo-
logna e ci invii, tutti i giorni, una sua amplissima, paterna benedizione perché il Signore ci
aiuti e ci assista in questi brutti momenti.
Gradisca il nostro filiale ossequio.
Dev.mo Figliuolo in D. Bosco Santo
Sac. Vincenzo Bologna
4.
Don Vincenzo Bologna a don Pietro Ricaldone
Istituto Salesiano
Via Jacopo della Quercia n. 1 - Tel. 27-043
Bologna
-------
Direzione
-------
Amatissimo Padre,
Bologna 29 gennaio 1944
Stamane Bologna è stata nuovamente bombardata dalle ore 11,40 alle ore 12.
I danni sono assai gravi!
La furia nemica si è abbattuta specialmente sul centro della Città; la periferia non
è stata risparmiata e bombe caddero anche a meno di 500 metri da Casa nostra.
Noi tutti salvi! Maria SS. Ausiliatrice e S. Giovanni Bosco ci hanno ancora una volta
assistiti e protetti. Ce la siamo cavata con alcuni vetri frantumati e con una discreta dose di
spavento. La vita quì diviene sempre più penosa e difficile per i continui allarmi diurni e
notturni e pei bombardamenti delle Città viciniori e dei paesi della Provincia; viviamo in
continua ansia e come se ad ogni allarme dovessimo presentarci al Tribunale di Dio!
Padre mio, ci ricordi tutti nelle sue preghiere e ci mandi una sua speciale Bene-
dizione.
Il mio e il nostro filiale ossequio per Lei e pei Superiori. Dev.mo figliuolo in
D. Bosco Santo
Sac. Vincenzo Bologna
5.
Don Vincenzo Bologna a don Pietro Ricaldone
Istituto Salesiano
Bologna
Via Jacopo della Quercia n. 1
Telefono 27-043
Amatissimo Padre,
Bolgna, 25 agosto 1944
Ancora una volta il Signore ha provato dolorosamente Bologna e il nostro povero
istituto ; nell’incursione terroristica avvenuta la notte scorsa verso le ore 23,15, ci siamo

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394 Alessandro Ferioli
improvvisamente trovati in mezzo ad una pioggia di bombe d’ogni calibro che ci ha terro-
rizzati tutti ed ha prodotto danni rilevantissimi anche in Casa nostra; oltre 14 bombe ci
sono cadute attorno e tre o quattro hanno centrato in pieno la parte nuova dell’istituto. Un
grappolo di due o tre bombe colpì in pieno e distrusse completamente l’ultimo tratto del
nuovo edifizio (nello schizzo che le accludo è segnato col N. 1); un’altra bomba colpì l’E-
difizio al N. 2 distruggendo parte dei muri perimetrali, la scala di accesso e tutte le camere
dall’alto in basso. Che terrore, Padre Mio! Noi erav[am]o quasi tutti ne[l] rifugio che tro-
vasi tra le due parti colpite, e siamo tutti rimasti incolumi per visibile protezione di Maria
SS. Ausiliatrice e di S. Giovanni Bosco.
Se tardavamo ancora pochi secondi a precipitarci giù, saremmo stati travolti dal
crollo rumoroso della scala interna. Ci troviamo ora in mezzo a un cumulo immenso di
macerie, di rovine d’ogni genere e di polvere, che ci mozza il respiro.
Fiat voluntas Dei! Coll’aiuto delle squadre del Genio civile oggi stesso si è comin-
ciato il lavoro di sgombro e di ordine; che pena! ormai in tutto l’istituto rimangono sol-
tanto due stanze abitabili e questi buoni Confratelli si aggiusteranno alla meglio questa
sera per dormire.
La parrocchia S. Cuore non ebbe danni di rilievo, salvo gli inevitabili, dovuti allo spo-
stamento dell’aria. L’Oratorio Festivo, colpito da quat[t]ro bombe, ebbe distrutto quasi com-
pletamente il Teatrino; le due nuove case, comperate da D. Gavinelli, Casa Boni, attigua al-
la parrocchia, e Casa Bancolini, che doveva servire per le Figlie di Maria Ausiliatrice e che
Lei visitò nell’ultima visita che ci fece, sinistrate in malo modo. Siamo come istupiditi da-
vanti allo spettacolo angoscioso che ci circonda. Avremo ancora altre prove e altri danni? Lo
prevedo e lo temo perché oggi di continuo Recognitori nemici e Caccia bombardieri anglo-
americani hanno ronzato sul nostro Cielo. Il Bombardamento avvenne, come Le dissi, quasi
improvvisamente e col cielo illuminato a giorno da migliaia di luci bengala.
Il nostro stato d’animo? è un pò giù, ci guardiamo in faccia con tanta tristezza e con
tanta pena. Appena mi sarà possibile le farò avere le fotografie dei nuovi disastri. Tra di
noi, neppure uno leggermente ferito!
Padre mio, sono queste le tristi e penose notizie che posso darle!
Ci raccomandi vivamente a Maria SS. Ausiliatrice e al nostro Santo Fondatore e
Padre, perché ci continuino la loro efficace assistenza in questi momenti così tr[a]gici e
spaventosi per noi e per tutta questa povera Città.
Gradisca gli ossequi filiali miei e di questi eroici Confratelli e ci benedica tutti e me
in particolare. Ci ossequi anche i Superiori del Capitolo e dica a D. Giraudi che l’incur-
sione de[l] 5 Ottobre scorso, impallidisce di fronte a questa ultima della notte scorsa.
Dev. Figliuolo in D. Bosco Santo
D. Vincenzo Bologna
6.
Lettera “circolare” di don Antonio Gavinelli
Santuario - parrocchia del Sacro Cuore
Salesiani - Bologna
Per la ricostruzione del Tempio del S. Cuore e dell’istituto Salesiano

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I bombardamenti su Bologna (1943-1945) e l’opera salesiana 395
Bologna, 24 giugno 1945
A tutti i nostri amici e benefattori, a tutti i devoti del S. Cuore,
Siamo usciti finalmente dal pelago alla riva e dobbiamo davvero ringraziare il Sacro
Cuore quia non sumus consumpti, perché non siamo stati consumati.
Ed anch’io devo rendere grazie particolari al Sacro Cuore e a tanti buoni che hanno
pregato per me se oggi, dopo mesi di forzata assenza, sono ancora qui al mio tavolino di
lavoro e posso riprendere l’opera che ho dovuto interrompere il giorno undici aprile – Do-
menica di Passione – del 1943 quando venni arrestato e condannato a tre anni di confino,
per avere osato stampare la verità.
Ma lasciamo al Signore giudicare il recente e terribile passato tanto brutto e funesto,
consideriamo il presente.
Sono qui in mezzo alle rovine. Il nostro bel Tempio del S. Cuore, con tanti sacrifici
e lunghi anni di lavoro splendidamente ricostruito, colpito da una grossa bomba in uno dei
pilastroni della facciata, è tutto sconquassato. Intatta è rimasta la cupola che continua a
lanciarsi ardita verso il cielo quasi per dire agli uomini tutti “in alto i vostri sguardi!”, in-
tatta è rimasta la grande statua del S. Cuore che dall’alto del suo altare continua a bene-
dire, intatta la cripta che già si affolla di gente a tutte le funzioni. Il grandioso edificio del
collegio che raccoglieva più di quattrocento giovani studenti e artigiani, colpito da due
grappoli di bombe nella parte nuova, terribilmente scosso da altre bombe scoppiate all’in-
torno, è inabitabile; rasi al suolo possiamo dire quasi tutti i laboratori e i locali del vasto
Oratorio che nei giorni festivi raccoglieva nelle sue aule di dottrina quasi quattrocento
giovanetti.
Danni ingentissimi!
È proprio il caso di dire con Giobbe: Iddio ha dato, Iddio ha tolto! Sia benedetto il
suo Santo Nome, e continuare a confidare in Lui. E come Giobbe riavremo tutto, più bello
di prima. Siamo sicuri. Deve risorgere il bel tempio perché deve continuare a cantare
gloria al Signore, deve risorgere tutta l’opera perché deve continuare a diffondere quel
fuoco di carità che Gesù Cristo è venuto a portare in terra e ardentemente desidera che si
accenda ed arda in tutti i cuori. Ed è questo fuoco che noi ci proponiamo di diffondere con
la nostra propaganda. Ve n’è oggi estremo bisogno. Vorremmo che prima del prossimo in-
verno il tempio fosse interamente coperto perché non fosse per una terza volta esposto
alle intemperie invernali, vorremmo che per ottobre fosse restaurata almeno una parte del-
l’istituto per raccogliere il primo centinaio dei tanti giovanetti orfani e sinistrati che nume-
rosi incominciano a battere alle nostre porte.
Dove trovare i mezzi?
Quando il 22 febbraio del 1897 S. Eminenza l’indimenticabile card. Domenico
Svampa solennemente poneva la prima pietra dell’istituto nel suo discorso diceva:
“Forse alcuno domanderà se prima di gettare la pietra fondamentale, noi ci siamo as-
sisi in consiglio, ed abbiamo verificato se siano in pronto i mezzi necessari per la non facile
impresa. A chi ne rivolgesse tale domanda, francamente rispondiamo che noi invece di as-
siderci a consiglio, ci siamo inginocchiati davanti a Dio. Lo abbiamo pregato con tutta l’u-
miltà del nostro cuore: abbiamo confidato nella sua provvidenza, in quella provvidenza che
è tanto più larga quanto più urge il bisogno e quanto è più fiduciosa la speranza che in lei si
pone. A noi, dopo aver pregato, parve certo che Iddio era con noi, e che non ci avrebbe ab-

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396 Alessandro Ferioli
bandonati a metà dell’opera. Con questa fede ci accingeremo coraggiosamente all’impresa.
I buoni saranno i ministri visibili della provvidenza divina alla quale ci appoggiamo...”.
E l’anno seguente l’istituto, la Casa del miracolo, come lo chiamarono i bolognesi,
raccoglieva i primi giovanetti.
Noi seguiamo l’esempio del grande card., il padre di questa opera salesiana. Il pas-
sato ci è caparra dell’avvenire. Nessuno dei nostri numerosi amici e benefattori vorrà la-
sciarci mancare il suo aiuto nell’estremo bisogno in cui ci troviamo. – Penserà il Sacro
Cuore a ricompensare, Egli che è sempre generosissimo con chi è generoso verso di lui. –
Non a noi donate, ma a Lui.
La Vergine Ausiliatrice, il nostro Santo Padre fondatore, S. Giovanni Bosco interce-
deranno per voi presso il Signore e vi otterranno le grazie per voi necessarie. – Noi fin
d’ora vi facciamo giungere i nostri più sentiti ringraziamenti e la sicurezza delle nostre
povere preghiere. – Con auguri di ogni bene
Obb.mo in Corde Jesu
Sac. Gavinelli Antonio - Salesiano
1. – Per l’invio delle offerte servitevi del nostro conto corrente. È il mezzo più si-
curo, più facile e più pratico. Porta il numero 8-637 ed è intestato al parroco del Sacro
Cuore – Salesiani – Bologna.
2. – Appena sarà possibile ricominceremo la pubblicazione del nostro Bollettino “Il
santuario del S. Cuore” vincolo di unione fra noi e i nostri amici.
3. – Date le fortissime spese di carta, stampa, spedizione non ci sarà possibile
largheggiare come nel passato. Faremo come meglio ci sarà possibile, in attesa di tempi
migliori.
4. – Una proposta: se tutti i nostri abbonati si proponessero di fare al Sacro Cuore
un’offerta di almeno lire mille noi avremmo bello e risolto il problema finanziario. Che
cosa sono ora mille lire? E poi non è detto che si debbano dare subito tutte, basterebbe che
si impegnassero a versarle nel periodo di tre anni. I nomi di questi benefattori saranno rac-
colti in un albo d’oro e deposto ai piedi del Sacro Cuore.
5. – Fate le vostre offerte al S. Cuore in ringraziamento degli scampati pericoli, in
suffragio dei vostri cari defunti, in occasione di matrimoni, battesimi, ecc. ecc. Il denaro
meglio speso è quello dato per opere di bene. Frutta per questa vita e per la eterna.
6. – Un grande favore vi chiediamo. Aggiornate il vostro indirizzo. Se sapete di no-
stri abbonati che hanno cambiato indirizzo, fatecelo sapere. Così se sapeste che qualcuno
è deceduto, avvertiteci. – Che i nominativi e gli indirizzi siano sempre chiaramente scritti.
7. – Fate leggere questa nostra lettera ai nostri amici della vostra parrocchia, racco-
gliete tra di loro offerte, fatevi centro di propaganda. Dobbiamo cercare di fare capo a
poche persone a fine di evitare tante spese.
Tip. Luigi, Parma-Bologna. Nihil obstat: Mons. Serracchioli – Imprimatur: F. Gam-
bucci, Vic. Gen.