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STUDI
LA CRISI DELLA MISSIONE TRA I BORORO
E L'APERTURA AL NUOVO CAMPO DI APOSTOLATO
NEL SUD DEL MATO GROSSO (1918-1931)
Antonio da Silva Ferreira
Introduzione:
Oggi le terre delle colonie indigene, nella regione del Rio das Mortes, nella
parte orientale del Mato Grosso, sono di proprietà delle comunità Bororo e
Chavante che in esse dimorano. Non si è arrivati pacificamente a questa
soluzione. Nel 1976 il sacerdote salesiano Rudolf Lunkenbein1 e il Bororo Simão
furono uccisi insieme in un attacco alla missione, fatto dai civili che volevano
impedire ad ogni costo la demarcazione delle terre indigene. Quelli che li hanno
uccisi sono tuttora in libertà; sono stati assolti in regolare processo perché,
secondo la giuria, avevano agito in difesa del proprio patrimonio.
La pubblicazione di questa nota vuol portare un piccolo contributo alla
storia delle missioni tra le nazioni indigene del Brasile e anche ricordare tanti
salesiani e indi che, nel loro anonimato, concorsero a che si arrivasse all'attuale
situazione. Accompagna la presente nota una raccolta di lettere d'archivio. La
scelta di tale documentazione non è stata fatta a caso. Quelle lettere riassumono
la problematica della crisi della missione tra i Bororo attorno agli anni ’20, come
fu vissuta dai salesiani. Peccato che non ci sia stato possibile avere tra le mani le
testimonianze dei Bororo che quei momenti hanno vissuto con passione, — divisi
tra il rimanere con i missionari o disperdersi in mezzo ai civili —, come avevano
fatto tanti dei loro fratelli. Sarebbe stato bello poter presentare in queste righe il
loro dramma e la loro scelta finale, che premiò le sofferenze di chi in essi aveva
creduto contro ogni speranza.
1 Rudolf LUNKENBEIN (1939-1976) n. a Döringstadt, Bamberg, Germania. Fatti gli studi
secondari, fu inviato in Brasile nel 1958. Salesiano nel 1959, tornò in patria per gli studi
teologici. Sac. nel 1969 va al Meruri, dove fu direttore negli ultimi tre anni della sua vita.

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Antonio da Silva Ferreira
Un poco di storia della missione salesiana tra i bororo
L’ideale di Mons. Lasagna
Nonostante gli sforzi fatti personalmente dall’Imperatore Pietro II, che
chiamò i cappuccini perché continuassero le missioni tra gli indigeni del Brasile,
nel 1892 esse si erano praticamente ridotte allo sforzo isolato di qualche generoso
missionario. La Santa Sede, allora, pensò di ordinare vescovo l’ispettore salesia-
no dell’Uruguay e del Brasile, Luigi Lasagna, e di inviarlo in Brasile con il com-
pito di studiare le misure più idonee per dare nuova vita a quelle missioni e di
scegliersi poi un posto dove stabilire un Vicariato Apostolico.2
Fatto vescovo nel 1893, Lasagna si convinse che il posto più adatto a quello
scopo erano le foreste del Mato Grosso. Così nel 1894, coronando le trattative
che da anni aveva portato avanti col vescovo di Cuiabà, partì per il Mato Grosso,
portando con sé un gruppo di confratelli per dare inizio all’opera salesiana in
quello Stato. Si accettò la parrocchia di S. Gonzalo, a Cuiabá, e si fondò il colle-
gio omonimo. Nel 1895, una seconda spedizione vi portava non solo i salesiani
ma anche le Figlie di Maria Ausiliatrice, e si assumeva la direzione della colonia
Teresa Cristina tra gli indi Bororo.
Dalla lettera circolare pubblicata allora si possono conoscere i piani che La-
sagna aveva per il futuro della missione. Essa doveva essere una grande azienda
agricola, dove si lavorasse non più con i rudimentali metodi conosciuti
nell’interno del paese, ma con ogni sorta di utensili, macchine e strumenti portati
dal progresso in quel settore; la missione doveva arrivare a vivere del frutto del
proprio lavoro. Una banda di musica doveva rallegrare la vita della comunità che
si creava. Alle FMA si sarebbe affidata l’educazione della donna, la cura dei
bambini, dell’igiene nella comunità e l’avviamento di quegli indigeni a una vita
di famiglia secondo i principi cristiani. Gli ideali di Lasagna ebbero tale impatto
sull'animo delle autorità, che alla fine del secolo il governo centrale voleva affi-
dare ai salesiani la missione del Pirara, negli Amazzoni, «perché i salesiani inse-
gnavano agli indigeni non solo la religione, ma anche il come guadagnarsi la
vita».
La morte del vescovo di Tripoli (1895) e la successiva divisione
dell’ispettoria fecero sì che i suoi ideali non diventassero realtà. Per motivi che
non è il caso di analizzare in questa sede, i salesiani abbandonarono la colo-
2 Cf. A.S. FERREIRA, Essere ispettore-vescovo agli inizi delle missioni salesiane in Uruguay,
Paraguay e Brasile: Mons. Luigi Lasagna, in RSS 10 (1991) 2, pp. 219-223.

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La crisi della missione tra i Bororo
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nia Teresa Cristina e fondarono poi una missione in proprio nella regione orienta-
le dello Stato, sulle sponde di un affluente del Rio das Mortes.3
La Missione Salesiana del Mato Grosso
L’opera salesiana nel Mato Grosso era nata in funzione delle missioni tra gli
indigeni. Nel 1909 Carlo Peretto,4 facendone la visita straordinaria, afferma:
«L’Ispettoria non è grande pel numero delle case perché sono appena 2 Collegi:
Cuyabà e Corumbà[;] 4 Colonie: S. Cuore - Immacolata S. Giuseppe e Coxipò-
Noviziato - perciò 7 Case». Dei collegi di Cuiabá e Corumbá si era già occupato
Lasagna nel suo viaggio del 1894. Nel 1909, di opere nuove, si aveva il noviziato
e le tre colonie indigene tra i Bororo. L’ispettoria conservava così il carattere
eminentemente missionario della sua fondazione.5
A Coxipò si stabilì un deposito per servire le missioni di quanto servisse per
il loro fabbisogno quotidiano. Nel 1918 così ne parla Giuseppe Galbusera:6 «Fra
pochi giorni deve arrivare dalle nostre Colonie il treno merci di questi luoghi,
voglio dire dei carri[,] tirati da 10 a 12 giunte di buoi ogni carro[,] per prendere
ciò che fa di bisogno per le Colonie, ferramenta, vestiti, coperte, sale, etc.. Sig. D.
Gusmano, vedesse il Memorandum di ciascun
3 Cf. Missão salesiana entre os indios do Matto Grosso Carta circular do Exmo e Re-
vmo Senhor D. Luiz Lasagna bispo titular de Tripoli, S. Paulo, Officinas Salesianas 1895; ASC
F 087 Relatório da Obra Salesiana de Dom Bosco nas Missões do Matto Grosso Est [ad]
os Unfidjos do Brasil - 1894-1900 [...]; ASC A 451 lettera Rua-Rampolla 26.02.96; A.
COLBACCHINI, UKE’-WAGÚU - racconto storico, Torino, SEI 1931.
4 Carlo PERETTO (1860-1923) n. a Carignano, Torino. Salesiano nel 1878, fu inviato in
Uruguay. Sacerdote nel 1883. Fece parte del primo gruppo di salesiani che andò in Brasile, a
Niterói. Primo direttore del collegio S. Gioacchino di Lorena. Alla morte di Lasagna, fu fatto
ispettore del sudest del Brasile e per qualche tempo anche del Mato Grosso. Nel 1908 fu diret-
tore a Braga, Portogallo. Poi ritornò in Brasile, dove fu direttore di diversi collegi. Mori a Ouro
Preto, Minas Gerais.
5 Cf. ASC F 086 31 BRASILE CAMPO GRANDE (Mato Grosso), Cenni sull’ispettoria,
dati dall’ispettore nel suo rendiconto, f2r.
- In quei tempi in cui per andare nel Mato Grosso bisognava passare da Buenos Aires e
Asunción del Paraguay, Corumbá era una tappa obbligata per chiunque volesse portarsi nelle
missioni. Il collegio di Cuiabá, poi, sin dall’inizio era stato concepito come una base di appog-
gio ai missionari, come si può vedere dalla circolare di Lasagna e da tutta la documentazione di
archivio.
6 ASC F 085 lettera Galbusera-Gusmano 19.09.18.
- Giuseppe GALBUSERA (1873-1961) n. a Terno d’Isola, Bergamo. Entrò nel seminario in
diocesi. Salesiano nel 1897, fu inviato in Brasile. Sac. nel 1898. Direttore al Coxipò e al Lada-
rio, ci sono diverse lettere di Rua scritte a lui. Dal 1923 andò nella prelatura dell’Araguaia.
Morì al Merari.

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Antonio da Silva Ferreira
Direttore! e dire che domandano solamente il necessario! Se volta per volta si
dovesse comperare il necessario Mons. [Malan] si troverebbe in serii fastidi,
specialmente nell’epoca attuale in cui ogni cosa di giorno in giorno va aumentan-
do di prezzo».
Quando si trattò di ottenere la personalità giuridica dell’ispettoria, l’ente mo-
rale che ne risultò prese il nome di Missão Salesiana do Mato Grosso, nome che
conserva fino ai nostri giorni. L’ambiguità contenuta in quella denominazione
non si è manifestata subito all’inizio, ma solo dopo che, nel 1914, si arrivò alla
costituzione della Prelatura di Registro do Araguaia, che comprendeva tutta la
regione orientale dello Stato, con le colonie tra gli indigeni.
Alla fine dell’anno 1918 i due collegi erano ridotti a uno stato tale che si
propose venissero uniti all’ispettoria del Brasile sud e nord, lasciando le colonie
alla prelatura di Registro do Araguaia.7 Concorrevano a tale decadenza da una
parte la stanchezza del personale, — che non aveva ricevuto dei rinforzi durante
la prima guerra mondiale —, dall’altra il conflitto — alle volte armato — tra i due
partiti politici dominanti nello Stato che aggravava gli effetti della crisi economi-
ca prodotta dalla guerra. L’arrivo del salesiano Mons. Francisco D’Aquino Corre-
a8 alla presidenza dello Stato, — dopo che il governo centrale aveva ottenuto il
consenso dei due partiti rivali —, portò un po’ di pace nello Stato, ma non fu di
grande aiuto ai collegi di Corumbá e di Cuiabà: «Don D’Aquino mi scrive che le
due principali case di Corumbá e Cuiabá sono proprio giù, giù e tanto che non si
sente neppur animo di aiutarle officialmente, con qualche elargizione del Gover-
no dello Stato, affinché non gli si rinfacci dagli avversari politici che aiuta Collegi
che gli stessi Salesiani sembrano abbandonare». Come diceva l’ispettore, «erano
arrivati a una insufficienza estrema».9
I superiori di Torino conservarono l’ispettoria così come era, affidandola a
Pietro Massa, che si era dimostrato uomo abile nel trattare le questioni della mis-
sione presso il governo di Rio de Janeiro e presso la Nunziatura.
7 Cf. ASC F 085 lettera Massa-Gusmano 28.12.18.
8 Mons. Francisco D’AQUINO CORREA (1885-1956) n. a Cuiabà. Salesiano nel 1904. Lau-
reato in filosofia e teologia all’Università Gregoriana. Sac. nel 1909. Direttore a Cuiabà. Ve-
scovo ausiliare di Cuiabà (1914-1921), arcivescovo di quella città dal 1921. Presidente dello
Stato di Mato Grosso (1917-1921). Membro dell’Accademia Brasiliana di Lettere e di parec-
chie associazioni scientifiche. Fece costruire chiese, scuole e collegi. Costruì il nuovo semina-
rio e la residenza episcopale. Ottenne che nella sua vasta diocesi si fondassero due prelature
nullius. Morì a S. Paolo del Brasile e fu sepolto nella cattedrale di Cuiabà.
9 ASC F 085 lettera Massa-Albera 08.02.19; 28.02.19.

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La catechesi laica
Col decreto 119-A del 1890 lo Stato si era separato dalla Chiesa, nel rispetto
della piena libertà di tutte le confessioni religiose esistenti in Brasile. La costitu-
zione del 1893 propose un modello laico di società; la pertinace azione dei catto-
lici riuscì a far tornare progressivamente la vita pubblica del paese allo spirito del
decreto 119-A.
Sul versante laico della società brasiliana Candido Mariano da Silva Rondón
che, giovane ancora, aveva incontrato Lasagna di ritorno dal viaggio nel Mato
Grosso, si distinse per i suoi ideali di integrazione nazionale. Esplorò personal-
mente una grande parte dell’altipiano nella parte sud dell’Amazzonia. Nel campo
delle comunicazioni riuscì a estendere la rete del telegrafo nazionale collegando il
sud del paese con quelle lontane regioni. Fu, nel governo centrale, Direttore Ge-
nerale degli Indi e uno dei più strenui difensori di quella che si chiamò la cate-
chesi laica, dalla quale presero ispirazione quasi tutte le iniziative governative in
favore degli indigeni e che attualmente si esprimono nella FUNAI (Fondazione
Nazionale dell’Indio). Il nome di Rondón è oggi ricordato dallo Stato di Rondo-
nia, la cui capitale è Porto Velho, sul fiume Madeira.
La grande realizzazione della corrente laica di azione tra gli indigeni fu la
creazione del grande Parco Nazionale del Xingù, nel nord del Mato Grosso, vasto
come la Lombardia e il Veneto messi insieme. Era una iniziativa alla quale ave-
vano già pensato i salesiani dal 1928: il loro scopo era riunire gli indigeni affini
per razza e lingua dispersi nella regione e avere un luogo dal clima sano e grade-
vole nel quale collocare anche altri indigeni che vivevano in regioni malsane
vicino all’Araguaya. A questi scopi la catechesi laica aggiunse a poco a poco gli
ideali naturisti ed ecologici che ispirarono la gestione del parco fino alla costru-
zione della Transamazzonica e della Cuiabà-Santarém.10
Catechesi laica e missione salesiana si fronteggiarono per quasi mezzo seco-
lo.11 Quando, però, la creazione di Brasilia, in pieno altipiano centrale, rese pos-
sibile per il Brasile la messa in pratica della strategia della seconda costa,
servendosi dei principali porti del bacino degli Amazzoni —, l’avanzata della
colonizzazione bianca fece sì che esse unissero i propri sforzi per tentare di sal-
vare il salvabile delle nazioni indigene.
10 Cf ASC A 884 lettera Couturon-Beatissimo Padre 15.11.28.
11 Per avere un’idea della tensione esistente tra le due istituzioni, si vedano, per es., in
ASC F 085 le lettere Doroszewski-Albera 20.02.13; Massa-Albera 26.05.13; Carrà-Ricaldone
06.11.24.

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Antonio da Silva Ferreira
La crisi della missione salesiana tra i bororo
Eppure la missione salesiana tra i bororo non entrò in crisi a causa della concor-
renza della catechesi laica. La sua fu una crisi che rientrava nel quadro più generale
della crisi delle missioni salesiane dell’America Latina subito dopo il primo conflitto
mondiale e che presentava alcune caratteristiche proprie della situazione nel Mato
Grosso.
Conflitto di competenze tra Prelato e Ispettore
Con la documentazione d’archivio possiamo datare il manifestarsi della crisi nella
missione dal momento in cui, nel 1918, si separarono l’ispettoria e la prelatura di Re-
gistro do Araguaia, rimanendo Mons. Malan12 a capo della prelatura e mettendo
Massa a capo dell’ispettoria: «Le cose vengono già da lontano, Sig. D. Rinaldi, vengo-
no dal tempo di Mons. Malan. Si formarono partiti pro e contro di Monsig. Malan e di
D. Massa e poi di Don Carrà, e si introdusse per forza la discordia e la divisione[...]».
Massa aveva colto al volo le conseguenze di quella separazione: alla propria ine-
sperienza di lavoro nelle missioni, si aggiungeva l’incompatibilità personale esistente tra
lui e il prelato. Chiese al Rettor Maggiore che si potesse avere un modus vivendi, che
sarebbe stato «un sicuro criterio ed una norma direttiva di inestimabile vantaggio».13
Purtroppo, per circostanze varie, a questo modus vivendi si pensò nel 1922. Siccome il
nuovo Codice di
12 ASC F 085 lettera Fraga-Rinaldi 15.06.25. Cf. anche ASC F 085 lettere Massa-Albera
20.05.19; Massa-Gusmano 12.07.19; Carrà-Rinaldi 22.05.24.
- Mons. Antonio MALAN (1862-1931) n. a San Pietro di Cuneo da una famiglia emigrata
in Francia. Salesiano a Marseille, Francia, nel 1885, partì nel 1889 per l’Uruguay, dove fu
ordinato sacerdote. Nel 1894 Lasagna lo fece Direttore della nuova casa che si fondava a Cuia-
bá. Alla morte del vescovo di Tripoli fu nominato vice-ispettore del Mato Grosso. Già ispetto-
re, guidò la spedizione che fondò la missione tra i bororo della parte orientale dello Stato. Nel
1914 la Santa Sede lo fece vescovo titolare di Amiso e prelato di Registro do Araguaia, conti-
nuando a essere ispettore del Mato Grosso fino al 1917. Vescovo di Petrolina, Pernambuco
(1924-1931), morì a S. Paolo.
- Mons. Pietro MASSA (1880-1968) n. a Cornigliano Ligure, Genova. Salesiano nel 1900,
andò in Brasile. Sac. nel 1905. Procuratore generale dei salesiani a Rio de Janeiro (1909-1917).
Ispettore del Mato Grosso (1918-1919). Nel 1920 fu nominato prefetto apostolico del Rio
Negro. Nel 1925 riusciva a trasformare la prefettura apostolica in prelatura. Gli fu poi affidata
anche la prelatura del Rio Madeira. Vescovo titolare di Ebron (1941-1968). Fu anche ammini-
stratore apostolico della diocesi di Corumbá e i superiori di Torino gli chiesero di occuparsi
dell’amministrazione temporale dell’ispettoria del Mato Grosso durante il tempo dell’ispettore
Dalla Via. Membro dell’Arcadia Romana e dell’Istituto Araldico Pontificio, fu insignito con
diverse decorazioni dal governo brasiliano e da quello dello Stato di Amazonas.
13 ASC F 085 lettera Massa-Albera 08.02.19.

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Diritto Canonico non era ancora ben conosciuto, l’ispettore si lasciò guidare dal
«criterio che mi sono fatto individualmente su questo punto e credo che il fatto
me lo confermerà». E a novembre scriveva ancora a Torino: «Bisognerebbe
dunque che Mons. Malan, avendo con che occuparsi come Vescovo, si addattasse
a far causa comune coi Salesiani sotto la direzione dell’ispettore, ricevendo aiuti
dall’Ispettoria e mettendosi in relazione col Superiore della stessa: credo che sia
appunto questa l’idea dei Superiori, che mi pare anzi venga confermata dall’avere
essi collocata la prelatura dentro dell’Ispettoria. Monsignore si addatterà a questo
modus vivendi? Tutto è possibile; ma se debbo giudicare dagli antecedenti dello
stesso, mi pare di dover rispondere di no».14
La posizione delle colonie non migliorò quando Massa fu fatto prelato del
Rio Negro. Al suo posto venne Ermenegildo Carrà, ammalato, che non si sentiva
di visitare le colonie colla frequenza che era necessaria; era inoltre interamente
favorevole all’espandersi dell’opera salesiana nel sud dello Stato. A Carrà seguì
Dalla Via, il quale considerava la visita alle Missioni «un vero martirio» e ne
provava «ribrezzo»; però la faceva abbastanza regolarmente sia per le migliorate
condizioni di viaggio, sia perché la considerava un dovere al quale non si poteva
sottrarre.15
Malan pure fu trasferito alla diocesi di Petrolina, nel Pernambuco, e per
qualche tempo la prelatura rimase anche senza prelato.
— Prima di proseguire ci sia permessa a questo punto una piccola
digressione: ai tempi dei primi missionari venuti in America si nota nei loro
superiori la preoccupazione di conoscere l’ambiente in cui si lavorava e il suo
movimento culturale. Si acquistavano dei libri da inviare a don Bosco, si cercava
di essere informati sui problemi del giorno, per poter poi dare ad essi una risposta
da salesiani.
14 ASC F 085 lettere Massa-Gusmano 03.04.19; 24.11.19.
15 Cf. ASC F 085 lettere Carrà-Gusmano 14.08.24; Carrà-Ricaldone 20.08.24; ASC F
087 circolare n° 4, 19.03.28; ASC F 084 lettere Dalla Via-Rinaldi 28.03.28; Dalla Via-Gusmano
21.06.30.
- Ermenegildo CARRÀ (1888-1969) n. a Quargnento, Alessandria. Salesiano nel 1905,
conseguì la laurea in filosofia e in diritto canonico all’Università Gregoriana. Sac. nel 1913,
partì per il Mato Grosso, dove fu ispettore (1920-1926). Direttore a Lorena. Primo direttore
dell’Istituto Teologico Pio XI di S. Paolo. Ispettore nel Portogallo per quindici anni dal 1935.
Ritornando in Italia fu direttore dell’Oratorio di Valdocco e di altre case.
- Antonio DALLA VIA (1873-1956) n. a Thiene, Vicenza. Salesiano nel 1893, fu inviato in
Belgio. Sac. nel 1898. In Brasile fu direttore a Lorena, Niteroi e S. Paolo-Bom-Retiro, dove
iniziò la costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice. Ispettore del Mato Grosso (1927-1932),
i superiori chiesero a Mons. Massa di aiutarlo nell’amministrazione delle cose temporali
dell’ispettoria. Nel nord del Brasile fu direttore di diverse case.

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Antonio da Silva Ferreira
Nel periodo che ora studiamo, pur non attribuendo eccessivo valore alle ana-
lisi di Johannes Fuchs,16 dobbiamo ammettere che la documentazione di archivio
ci mostra una posizione del tutto diversa. Avvezzi a un fare piuttosto empirico,
esisteva nella gran parte dei responsabili della missione una vera impossibilità di
entrare in dialogo col diverso e perfino di muoversi verso quello che era sempli-
cemente al di là della propria cerchia di pensiero. Anche quando era il Superiore
Generale della congregazione a protestare e a esigere un aggiornamento delle
posizioni, i suoi appelli e le misure per aiutare veramente le missioni cadevano
nel vuoto non, a quanto ci sembra, per cattiva volontà, ma per incapacità, nei
superiori intermedi, di capire quanto stava avvenendo.17
Abbandono del sistema educativo di don Bosco
Quando i missionari partirono per la prima volta da Torino, don Bosco diede
ad essi una serie di ricordi che li guidassero nell’agire. Insistette poi
nell’applicazione del suo sistema educativo nelle case di America. Quando Lasa-
gna aprì la missione del Mato Grosso, aveva un vero programma di azione, fatto
in base alle conoscenze che aveva acquisito sulla realtà della regione. Scrivendo a
Balzola, dopo la fondazione delle missioni fra i bororo, Rua aveva tracciato sagge
norme di azione missionaria. A quanto sembra, salvo qualche rara eccezione, i
direttori delle Colonie ignoravano tutto questo.
Ognuno aveva il suo sistema di governare gli indi: ci fu chi volle perfino
trattarli colle regole del sistema militare, facendo della colonia indigena una spe-
cie di colonia militare; i risultati non si fecero attendere e la colonia fallì.
In generale il regime di vita delle colonie era un regime di lavoro intensivo.
Si voleva che gli indi, passando dalla vita nomade alla vita sedentaria, imparasse-
ro a guadagnare da sé la propria vita. Oltrecché da questa ragione educativa, dopo
il 1918 i direttori vennero pressati dal bisogno della soprav-
16 Johannes FUCHS (1880-1934) n. a Pfaffnau, Svizzera. Salesiano nel 1902. Nel 1906 par-
tì per il Brasile. Sac. nel 1912. Nel 1920 andò missionario nella colonia del S. Cuore, Mato
Grosso. Gli anni 1932-1934 furono dedicati alla ricerca degli indi Chavante. Insieme a Pedro
Sacilotti organizzò a questo scopo una nuova residenza a Santa Teresina. I due missionari
furono uccisi dai Chavante nel 1934.
- Per le analisi di Fuchs cf. ASC F 085 lettere Fuchs-Albera 06.08.21; Fuchs-Capitolo
Superiore 23.12.21; Fuchs-Ricaldone 22.04.23.
17 Quanto agli interventi del Rettor Maggiore si vedano in ASC A 378 lettere Rinaldi-
Massa 21.12.25; 08.11.27; 06.12.27

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La crisi della missione tra i Bororo
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vivenza. Fino a quel momento, a quanto sembra, la situazione economica delle
colonie era buona, grazie anche ad aiuti venuti da benefattori di Rio e di S. Pao-
lo.18 Poi incominciarono a mancare i sussidi per le colonie e la carovana che an-
dava a Coxipò per portare quanto necessario per la loro vita tornava con pochis-
simo materiale. L’impegno nel lavoro produttivo sostituì la stessa preoccupazio-
ne per l’evangelizzazione.19 La situazione si fece ancora più grave dal fatto che,
non arrivando alle missioni i fondi stanziati a loro favore dai diversi governi, non
si poteva retribuire degnamente il lavoro degli indigeni, suscitando il loro malu-
more.
Le conseguenze di tutto questo non tardarono: «Gli indi vanno perdendo il
rispetto pei salesiani: non obbediscono più ed arrivano ad essere persino un po’
sfacciati coi missionari. Sembra non sia più confidenza fra salesiani ed indii, ciò
che può portare sgradevoli conseguenze».20 E per giunta i fazendeiros e i cercatori
di oro e diamanti, venuti a insediarsi nella regione dopo la pacificazione dei boro-
ro, li sobillavano, incitandoli a ribellarsi contro i salesiani.
Nel 1924, al Sangradouro, una mossa poco accorta del Direttore, Heinrich Luthe,21
provocò una ribellione dei bororo. Per fortuna fu solo un episodio di violenza che subi-
to si risolse, ma che attestava in forma inequivocabile che non si stava sulla giusta stra-
da. Couturon così descrive quell’episodio: «No[n] so se avrà saputo che nella nostra
Colonia di S. Giuseppe ci fu nel 23 di Dicembre una scena poco agradabile. Fidelis,
bororo di 16 anni, senz’altro penetrando nella stanza del Sig. Direttore armato di un
coltel[l]accio l’assaltò improv[v]isamente. La lotta fu violenta. Intervenne D. Decleene.
Nel[lo] stesso tempo un compagno dell’aggressore correva al[l]’aldea (villaggio) di-
cendo che Pe. Luthe ammazzava Fidelis. Il Capitano Amadeo padre di Fidelis, insieme
con la sua turma di Bororo, arrivò furioso a la nostra casa attacando anche lui,
senz’altro tutto il n/ personale. Il pugilato — corpo a corpo — durò un bel tempo, dopo
i preti pervennero a far capire al capitano che l’aggressore, già sfuggito, era andato ad
at[t]taccare P. Henri-
18 Cf. ASC F 085 lettere Massa-Albera 28.03.19; Vallarino-Gusmano 13.08.16.
19 Non per niente Rondon notava che, mancando, nelle missioni salesiane, la gradualità
nel passaggio dalla vita nomade a quella sedentaria, i salesiani per forza si mettevano nella
condizione di dover sostenere gli indi e che, non essendo questo possibile, tagliavano le gambe
alla propria azione missionaria.
20 ASC F 085 lettera Fraga-Rinaldi 15.06.25.
21 Heinrich LUTHE (1870-1957) n. a Meclinghaven, Münster, Germania. Salesiano nel
1907. Sac. nel 1913, va in Mato Grosso. Con qualche interruzione, lavorò nelle colonie indige-
ne fino al 1932 quando passò a Coxipò da Ponte.

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Antonio da Silva Ferreira
que nella stanza. Il cap. domandò scusa e pare che [le] cose siano aggiustate. Di
ogni modo bisogna essere premunito. La causa fu che avendo Fidelis rubato la
donna di un altro indio, P. Luthe dovette ammonire la moglie adultera e Fidelis,
facendola restituire al legittimo marito».22
In Europa con tutto ciò la fama della missione ne soffriva e i salesiani non si
sentivano più di fare domanda per andare missionari in quella regione.23
Impegno dei salesiani per superare la crisi
I missionari mandano un loro rappresentante a Torino
I salesiani che lavoravano nelle colonie si sentirono abbandonati dai loro
confratelli; era naturale che lo scoraggiamento si manifestasse tra di essi. Un
gruppo di missionari si rivolse allora ad Antonio Colbacchini, direttore della
colonia del Sacro Cuore al Barreiro, per tentare di superare quel momento di
crisi.
Nella propria azione missionaria Colbacchini era partito dal sistema educati-
vo di don Bosco. Seguendo l’esempio dato dal missionario Giuseppe Pessina,24 si
era impadronito della lingua degli indigeni e, attraverso la lingua, era arrivato alla
conoscenza della loro indole, delle usanze, delle credenze, del sistema educativo,
del loro cuore, a tal punto che dagli stessi bororo fu fatto loro cacico.
Era convinto che quel brusco passaggio dalla vita nomade alla vita sedenta-
ria non era il miglior metodo di trattare gli indigeni, i quali numericamente erano
in diminuzione e non davano speranza di andar oltre quel grado di progresso e di
civiltà a cui erano arrivati «tanto riguardo alle cose di fede, quanto alla morale ed
alla vita pratica». Grande era infatti la loro resistenza nell’adottare gli usi e co-
stumi della vita civile, come la maniera di vestirsi, la diversa distinzione dei lavo-
ri propri dell’uomo e della donna, l’estensione della proprietà a una serie di beni
che nella loro cultura erano
22 ASC F 085 lettera Couturon-Rinaldi 02.01.25; vedi anche ASC F 085 lettera FragaRi-
naldi 14.04.25.
23 Cf. ASC F 085 lettera Rinaldi-Massa 25.09.24.
24 Giuseppe PESSINA (1883-1916) n. a Castelletto Merli (Guazzolo), Alessandria. Dal se-
minario diocesano venne in noviziato nel 1903 e poi partì per il Mato Grosso. Lo troviamo
nella colonia del S. Cuore nel 1904. Si distinse nello studio della lingua bororo. Salesiano nel
1907. Sac. nel 1914, ritornò fra i bororo, morendo due anni dopo.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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La crisi della missione tra i Bororo 179
di uso comune, il bisogno di accumulare ricchezza, l’organizzazione della fami-
glia sulla base dell’indissolubilità e fedeltà matrimoniale.
C’erano «degli studii da fare sullo stato morale e fisico dell’indigena... su
ciò che esige la loro costituzione[...]»; i missionari li trovavano «robusti e snelli
— ed ecco che ridotti alla vita nostra, civilizzata —, diventano stentati, tubercolo-
si, snervati [...]». Nella loro evangelizzazione «forse ci vorrebbe proprio in tutti
una più ampia paternità nell’indovinare tutti i mezzi di guadagnare la volontà, la
corrispondenza, e quindi ispirare fede, amore alla S.ta Religione, e poi lasciarli
un po’ più liberi... seguendoli, accompagnandoli fin dove è possibile».
Perfino Rondon gli aveva tributato fervidi elogi per la maniera con cui trat-
tava i bororo. Dei frutti che produsse questa maniera di trattare gli indigeni parla-
va già la madre Giussani nel 1915: «Io mi limito soltanto a parteciparLe che ogni
volta che posso recarmi sin là posso constatare di anno in anno il grandissimo
progresso che fanno in tutti i sensi quelle nostre Colonie. Quella poi del Sacro
Cuore, come la prima che fu fondata, è dove si vede più patentemente il progre-
dimento [sic], tanto che già le educande delle nostre Suore fanno la S. Comunio-
ne parecchie volte nella settimana e fra le donne indigene ve ne sono 12 che co-
municano giornalmente». Nel 1918 l’ispettore Pietro Massa, in un resoconto al
governo dello Stato, considerava la colonia indigena del Sacro Cuore la migliore
di quelle colonie e ne elogiava alcuni risultati: la banda di musica, la scuola ele-
mentare per ragazzi e ragazze, la condotta degli indigeni. Nel 1931, qualche anno
dopo l’allontanamento di Colbacchini da quella colonia, si continuavano a racco-
gliere i frutti di quella maniera di agire: «I Bororos di questa colonia sono 150 di
cui (cosa consolante), una ottantina di bambini, giovani e ragazze; mentre questi
sono ben pochi (18 o 20) a Sangradouro [...]. Questi coloni sembrano migliori di
quei di Sangradouro, più educati e civili[...].25
A questo missionario i compagni di missione affidarono il compito di
25 Cf. ASC F 085 Vespignani: Osservazioni fatte e raccolte nella visita al Matto Grosso (Cu-
rumbà 2 Ott. Cuyabà 13 Ott. 1925 e segg.); ASC F 085 lettere Fuchs-Albera 06.08.21: Giussa-
ni-Albera 20.09.15; ASC F 087 RELATÓRIO sobre o serviço da Missão Salesiana em Matto-
Grosso, durante o anno de 1918 apresentado ao Ex.mo e Rev.mo Sr. D. Francisco de Aquino
Correa, DD. Presidente do Estado, pelo Rev.mo Sr. Pe. Pedro Massa, Inspector da mesma mis-
são, Nictheroy, Escola Typ. Salesiana 1919, p. 11; ASC F 084 lettera ColbacchiniRicaldone
08.04.26; ASC F 086 Brasile M. Gr. Relazione del visit, sir. D. P. Tirane 19311X29; p. 17; A.
COLBACCHINI, I bororos orientali «orarimugudoge» del Matto Grosso (Brasile), Torino, SEI
[1925], pp. 171-172, 164-165; A. COLBACCHINI, ‘A luz do Cruzeiro do Sul’ - Os Indios Bororos-Orari
do planalto oriental de Mato Grosso e a Missão Salesiana, S. Paulo, Escolas Profissionais
Salesianas 1939, pp. 58-60.

2.2 Page 12

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180
Antonio da Silva Ferreira
presentare ai superiori di Torino la loro situazione e le loro proposte. Prima di
tutte quella della nomina di un superiore che vivesse nelle Missioni, accompa-
gnando da vicino il lavoro dei missionari.
La prima opportunità che si ebbe fu quella del capitolo ispettoriale, in prepa-
razione al capitolo generale del 1922. Ma Colbacchini non risultò eletto delegato
ispettoriale, anzi, al capitolo generale andò il solo ispettore, senza farsi accompa-
gnare da nessun delegato. E tornando da Torino, non destinò alle colonie nessun
personale nuovo.
Nel 1923 Colbacchini andò in Europa e allora presentò ai superiori un rias-
sunto delle diverse proposte e giudizi dei confratelli, insieme a un memorandum
sul personale nuovo che era necessario nelle colonie. Il memorandum fu ben ac-
colto dai superiori, che diedero a Colbacchini alcuni salesiani perché aiutassero
nelle colonie, ma arrivato al Mato Grosso, l’ispettore giudicò opportuno dare a
quel personale un’altra destinazione.
Nomina di un Amministratore Apostolico per la Prelatura di Registro do Ara-
guaia
Quando Malan fu trasferito a Petrolina, si sentì il bisogno di nominare subi-
to un sostituto. Ma ognuno faceva da sé in un argomento così delicato, rendendo
difficile ai superiori di Torino la scelta di un candidato da proporre alla Santa
Sede.
Si era proposto alla Santa Sede la divisione in due della prelatura, costituen-
do una nuova prelatura a Santa Rita do Araguaya,26 la quale si occupasse del
territorio abitato in prevalenza da non indigeni e affidandola ai benedettini. Ai
salesiani sarebbe rimasta la prelatura di Registro do Araguaia con i territori a
maggioranza indigena.27
Quanto al sostituto di Malan, nel medesimo giorno in cui questo si insediava
nella sua nuova diocesi di Petrolina, l’arcivescovo metropolitano di Cuyabà, con-
sigliato in ciò dal nunzio apostolico Gasparri, nominava governatore ecclesiastico
della prelatura Ezequiel Fraga, che era stato sempre accanto all’antico prelato, ma
non era ben visto dall’ispettore dei salesiani. Il governatore cercò subito di andare
a visitare i missionari, predicando loro gli Esercizi Spirituali e confrontandoli nei
loro dubbi e difficoltà.28 Intanto
26 Oggi Alto Araguaia.
27 Cf. ASC A 844 lettera De Lai-Munerati 01.02.24; ASC F 085 lettera Fraga-Rinaldi
20.03.25.
28 Cf. ASC F 085 lettere Fraga-Rinaldi 29.10.24; Carrà-Rinaldi 31.12.24.
- Ezequiel FRAGA (1875-1930) n. a Paysandù. Uruguay. Salesiano nel 1891, partì con la
seconda spedizione missionaria per il Mato Grosso. Sacerdote nel 1898. Tornato in Uruguay,

2.3 Page 13

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La crisi della missione tra i Bororo
181
erano già stati presentati alla Santa Sede i nomi di Antonio de Almeida Lustosa e di Teo-
filo Tworz, quali possibili candidati a sostituire Mons. Malan.
Finalmente Rinaldi riuscì a ottenere che tutti lasciassero l’iniziativa alla Santa Sede.
La prelatura non fu divisa in due e Jean Baptiste Couturon fu fatto Amministratore
Apostolico di Registro do Araguaya.29
Con la nomina del nuovo Amministratore non si risolsero le difficoltà delle mis-
sioni. Ciò nonostante si diede ad esse un nuovo impulso, cercando di correggere alcuni
difetti del passato. Si tentò di chiarire i rapporti di natura economica tra la prelatura e
l’ispettoria. Furono nominati quattro consultori diocesani. Prelato, ispettore e consul-
tori diocesani si riunirono per uno scambio di idee sullo stato e l’orientamento da dare
alle colonie indigene. In quella riunione si stabilì ben chiaro che «la responsabilità, cura,
organizzazione e sviluppo delle Missioni» spettavano direttamente all’Amministratore
Apostolico.
I risultati non si fecero aspettare. Dalla Santa Sede si ottenne per i vicari foranei
la facoltà di amministrare la cresima. Couturon riuscì a organizzare uno schema di
assistenza alla popolazione non indigena che aumentava di anno in anno. La costruzione
di alcune strade nella parte meridiona-
era nella casa di Bagé, Rio Grande do Sul, quando questa passò all’ispettoria di S. Paolo del
Brasile. Lavorò in alcune case di questa ispettoria fino al 1916, quando Malan lo invitò a anda-
re all’Araguaia. Quando Malan partì per Petrolina, governò la prelatura fino alla nomina del
nuovo amministratore apostolico. Nel 1926 andò a Petrolina in qualità di segretario di Malan.
Morì a S. Paolo.
- Mons. Antonio de Almeida LUSTOSA (1886-1974) n. a S. João del Rei. Salesiano nel
1906. Sac. nel 1912, la sua vita fu interamente dedicata alle case di formazione. Vescovo di
Uberaba (1924-1928) e di Corumbà (1928-1931). Arcivescovo di Belém do Parà (1931-1941) e
di Fortaleza (1941-1963). Arc. tit. di Velebusdo (1963-1971). Morì a Carpina, Pernambuco.
Pubblicò diversi libri di ascetica e altri in cui descriveva le sue visite pastorali. Per alcuni anni
diresse la rivista «Santa Cruz». Di lui è introdotta la causa di beatificazione e canonizzazione.
- Teofilo TWORZ (1870-1965) n. a Saleuzer-Halder, Katowice, Polonia. Salesiano nel
1895, andò in Brasile. Sac. nel 1900. Fu direttore a Recife e in diverse case del Mato Grosso e
del sud del paese. Economo e consigliere ispettoriale a S. Paolo.
29 Cf. ASC A 884 lettera Gasparri-De Lai 03.09.24 in lettera De Lai-Tomasetti 04.02.25;
ASC F 085 lettera Carrà-Gusmano 14.08.24; ASC A 378 lettera Rinaldi-Colbacchini 06.02.25.
- Filippo RINALDI (1856-1931) n. a Lu, Monferrato. Salesiano nel 1880. Sac. nell’82.
Direttore dei Figli di Maria nel 1883. Direttore di Barcelona-Sarrià nel 1889; primo ispettore in
Spagna (1892-1901). Prefetto Generale della congregazione salesiana dal 1901 al 1922. Nel
1917 fondò le Volontarie di Don Bosco. Rettor Maggiore dal 1922 al 1931. Beatificato nel
1990.
- Jean Baptiste COUTURON (1881-1963) n. a Cluniat, Francia. Fece il seminario dioce-
sano fino al terzo corso di teologia. Poi partì missionario per il Brasile, facendo l’aspirantato a
Lorena. Salesiano nel 1909. Sac. nel 1912. Diresse la casa di Cuiabà fino al 1926, quando fu
nominato amministratore apostolico di Registro do Araguaia (1926-1936). Del suo lavoro si
parla in questa nota. Peggiorando il suo stato di salute, dovette lasciare la prelatura e tornò in
Francia. Direttore della casa di Thonon (1940-1942).

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182
Antonio da Silva Ferreira
le della prelatura permise l’uso di auto-cappelle, che facilitarono assai le visite
dei missionari ai piccoli centri della regione. Le rivoluzioni del 1930 e del ’32
portarono qualche disturbo nel lavoro di evangelizzazione, ma senza arrivare agli
estremi di quella del 1924 e della colonna Prestes, di cui si parlerà subito avanti.
Quanto agli indigeni, i bororo incominciarono a rispettare di più i missionari
e quelli più ribelli si ritirarono spontaneamente dalle colonie. Si cercò di insistere
perché anche le FMA imparassero la lingua bororo per potere comunicare meglio
con gli indigeni. Ebbero inizio le escursioni sul fiume Araguaya per mettersi in
contatto anche con gli indi carajà.30
La rivoluzione del 1924 e la colonna Prestes
Intanto dal 1925 la vita della missione veniva turbata da episodii di singola-
re violenza. Nel Mato Grosso, passato il breve periodo di pace portato dal gover-
no di Mons. D’Aquino Correa, la politica era tornata agli antichi metodi. Dopo la
ribellione del generale Izidoro a S. Paolo, anche nel Mato Grosso scoppiava la
rivoluzione, che durò dal dicembre del 1924 fino al gennaio del 1926. Più di una
volta si combattè a S. Rita do Araguaya e dintorni. I Salesiani ne subirono danni
materiali ma — come era già capitato in Mato Grosso nel 1916 e a S. Paolo nel
luglio del 1924 — furono rispettati dalle parti in lotta poiché notoriamente non si
lasciavano coinvolgere dai contrasti politici; a S. Rita il prelato poté attraversare
le linee per visitare e confortare le famiglie disperse nella prelatura.
Alla fine del 1926, però, arrivò nel Mato Grosso la colonna Prestes, un
gruppo di uomini che tentava di fare in Brasile quello che poi fece Mao Tse Tung
in Cina con la grande marcia. Luiz Carlos Prestes31 veniva dalla valla-
30 Cf. ASC A 884 lettera Couturon-Ricaldone 27.12.25; ASC F 084 verbale della riunio-
ne straordinaria del 14.10.26; lettera Colbacchini-Rinaldi 24.10.26.
31 Gli anni ’20 portarono dei grandi cambiamenti nei rapporti tra Chiesa e Stato in Brasi-
le. Nel 1921 il governo aveva messo fuori legge il movimento anarchista, forte specialmente
tra gli immigrati di Rio e S. Paolo. Per contenere l’agitazione sociale creata da questa misura il
governo cercò di appoggiarsi alle forze vive della società e, in modo speciale, alla Chiesa.
Inoltre Epitacio Pessoa nominò ministri civili per i dicasteri militari. Fu il motivo perché
si desse nel 1922 la ribellione del forte di Copacabana, prontamente dominata dalle forze fedeli
al governo, ma che fu l’inizio del movimento tenentista, sfociato poi nella rivoluzione del 1930,
che portò Getulio Vargas al potere.
Luiz Carlos Prestes, nato nel 1898, tenentista, riuscì a organizzare un gruppo armato, da
lui ben allenato alla guerriglia, e che per diversi anni tenne a bada le forze dell’ordine: la co-
lonna Prestes. Con l’avvento di Vargas, Prestes si avvicinò al Partito Comunista Brasiliano
(PCB), portando con sé altri ex-tenenti. Si produsse allora quel mixage tra stalinismo e tenenti-
smo che caratterizzò l’azione del PCB per tantissimi anni.

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La crisi della missione tra i Bororo 183
ta del S. Francisco e, passando per S. Rita, si diresse verso le colonie. Il 18 no-
vembre si incontrava con il prelato, a cui i suoi uomini avevano sequestrato gli
animali e le provvigioni di viaggio. Il 20 dicembre arrivava alla colonia Sacro
Cuore e il 24 al Sangradouro. Nelle colonie indigene, come a Santa Rita do Ara-
guaia, non mancarono i saccheggi e le violenze. In particolare ne soffrì la colonia
del Sangradouro, che fu totalmente distrutta.32 Passata la tempesta, si ricostruì la
colonia del Sangradouro e quella del Sacro Cuore fu trasferita in un posto miglio-
re, il Meruri. Prelatura e Ispettoria di comune accordo misero in atto un piano per
estendere l’opera dei missionari ad altre tribù indigene, specialmente ai carajá.
Dal 1932 si cercò di insistere più efficacemente nell’avvicinamento dei terribili
chavante. Per quasi vent’anni non si ottenne nessun frutto, anzi, nel 1934 questo
lavoro costò la vita a due missionari, Johannes Fuchs e Pedro Sacilotti.33 Ma a
lungo andare, quando i chavante si presentarono spontaneamente ai missionari
Dopo la propria adesione al PCB, Prestes andò a Mosca, dove fu eletto membro della
commissione esecutiva della Internazionale comunista. Tornò in Brasile per organizzare la
ribellione del novembre 1935, di cui Vargas si approfittò per instaurare in Brasile lo Stato
Nuovo, di matrice fascista (1936-1945). Prestes era ancora in prigione quando fu eletto segreta-
rio del PCB nel 1943. Partecipò liberamente alle elezioni del 1946. Di nuovo messi fuori legge, i
comunisti si infiltrarono in tutti i campi della vita della nazione: cultura, arti, scuola, stampa,
sindacati, movimento studentesco, riuscendo con pochi elementi a creare nell’opinione pubbli-
ca un vasto movimento in favore dell’interpretazione marxista della realtà brasiliana.
Alla fine della sua vita Prestes godette i benefici dell’amnistia concessa dal governo al
momento della transizione dal regime militare all’attuale regime civile. Il PCB, però, aveva
ormai dei forti concorrenti: nel campo politico il piccolo ma attivo Partito Comunista del Brasi-
le (PC do B) — che negli anni ’70 portò avanti sia la guerriglia urbana che quella
dell’Araguaia — e il Partito dei Lavoratori (PT), di linea riformista e estremamente attivo nel
campo sindacale. Nel campo dell’organizzazione della società, la teologia della liberazione si
era diffusa negli ambienti popolari e aveva portato le classi meno agiate a riunirsi nelle comu-
nità ecclesiali di base.
Espulso dai suoi commilitoni, Luiz Carlos Prestes finì i suoi giorni fuori del PCB, come
tutti i fondatori e tutti i segretari generali del partito.
32 Tra le ragioni che fecero fallire il tentativo della colonna Prestes, si indica appunto il
mancato rispetto per le popolazioni dell’interno del paese. Quanto alla ripercussione delle
attività della colonna Prestes nel nordest del paese, al tentativo di mediazione fatto nel febbraio
di quell’anno da P. Cicero Romão Batista, l’anziano patriarca del Juazeiro, e al tentativo del
governo centrale di coinvolgere nella lotta il celebre cangaceiro Virgulino Ferreira da Silva,
detto Lampeão, si veda Antenor de ANDRADE SILVA, Pe. Cicero, Prestes e Lampião, in A. DE
ANDRADE SILVA, Cartas do Pe. Cicero [1877-1934], Salvador-Bahia, Escolas Profissionais Sale-
sianas 1982, pp. 374-381. Cf. anche L. MARCIGAGLIA, Férias de Julho. Aspectos da Revolta ao
redor do Lyceu Salesiano, S. Paulo, Escolas Profissionais do Lyceu Coração de Jesus 1924;
ASC A 376 lettera Rinaldi-Colbacchini 11.08.27; ASC A 884 lettere Couturon-Van Rossum
05.05.27; 01.09.26; Couturon-De Lai 28.09.26; Rinaldi-Van Rossum 15.08.27; ASC F 084
lettera Dalla Via-Rinaldi 28.03.28.
33 Pedro SACILOTTI (1898-1934) n. a Lorena, Brasile. Salesiano nel 1917. Studiò teologia a
Torino. Sac. nel 1925, tornò in ispettoria. Nel 1928, andò missionario a Registro do Araguaia.
Dal 1933 aiutava Fuchs nel lavoro di avvicinamento dei Chavante.

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184
Antonio da Silva Ferreira
nel 1950, fu questa la strada che portò le colonie indigene della regione orientale
del Mato Grosso a raggiungere la relativa sicurezza che si cercava.
Colbacchini si allontana dalle colonie indigene
Mentre la missione sembrava risuscitare, Colbacchini entrava in crisi. Come
era già accaduto con altri missionari, attraversò un periodo di crepuscolo, nel
quale sembra che non riuscisse a vedere quello che esisteva di buono attorno a
lui; rimaneva ancorato ai ricordi del lontano passato e diventava estremamente
sensibile a quanto di spiacevole accadeva nella sua vita e nel suo ambiente. Egli
stesso affermava: «Tanti anni passati tra questi selvaggi in un continuo lavoro ed
incessante sacrifìcio, tra mille privazioni, disgusti e sofferenze, specialmente in
quest’ultimo sessennio, hanno in vero fiaccata la mia già debole fibbra; e mi sen-
to, sia fisicamente come moralmente, molto stanco e sfinito». Forse la consape-
volezza del fatto che ormai la missione tra i bororo aveva compiuto il suo mo-
mento storico — e il timore che non le restasse altro destino che quello di tante
altre missioni indigene che si erano chiuse — gli impediva di aprirsi a nuovi oriz-
zonti.
In un momento di scoraggiamento chiese a Massa di riceverlo nella nuova
prelatura del Madeira, per lavorare sull’altipiano dei Pareci. Poi si dimenticò di
averlo fatto e lo negò perentoriamente. Fatto vicario generale della prelatura,
invece di andare subito a Registro do Araguaya, continuò fra gli indigeni. Si at-
taccava in maniera poco sana alla colonia del Sacro Cuore e sentiva di «essere in
qualsiasi forma causa di una certa qual tensione di animo, disarmonia», rompen-
do così l’unione e la solidarietà che necessariamente dovevano legare fraterna-
mente i missionari tra di loro. A poco a poco perse gli appoggi che aveva non
solo nella missione e nella Ispettoria, ma anche a Torino.34
Rinaldi lo sostenne paternamente, specialmente nel duro momento in cui il
missionario dovette allontanarsi dalla sua cara missione e tornare in Italia. Lavo-
rando con pazienza e tenacia, il Rettor Maggiore riuscì a togliere gli ostacoli che
si opponevano al ritorno del missionario nel Mato Gros-
34 Cf. ASC F 084 lettere Colbacchini-Massa 24.07.26; Colbacchini-Ricaldone 06.04.26;
Colbacchini-Dalla Via 06.01.28; Dalla Via-Rinaldi 08.04.28; Colbacchini-Vespignani 24.04.28,
(in testa alla lettera, flr, Vespignani scrive: «Vedere se interessa: Ecco una lettera come tutte le
altre: Videant cónsules. Sono tutte cose dette e ridette fino dalla visita del 1926»); Colbacchini-
Rinaldi 24.10.29; Colbacchini-Rinaldi 08.06.30 - in questa lettera si veda l’annotazione a mati-
ta messa da Gusmano sul margine di f2r; ASC F 086 lettere Colbacchini-Rinaldi 29.04.31;
Couturon-Rinaldi 10.05.30; 10.10.30.

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La crisi della missione tra i Bororo 185
so, ma allo stesso tempo lo portava a analizzare con sincerità la propria posizione
e a capire la vera natura di quell’attaccamento alla colonia del Sacro Cuore. Otte-
nuto da Colbacchini l’assenso per essere da essa trasferito, lo rimandò in Brasile.
Lo spirito, che ispirò l’agire del superiore in tutto questo episodio, si può ben
riassumere in quanto detto nella cartolina del 13.08.31: a Colbacchini che aveva
presentato una lunga difesa del proprio operato, Rinaldi rispose soltanto: «Fare-
mo tutto come Dio vuole; stia tranquillo».35 Colbacchini tornò nell’Araguaya,
dove rimase fino al 1936. Poi un nuovo distacco e dovette andare a Campo Gran-
de e Corumbá. Nel 1941 ritornava tra i suoi bororo. Li lasciò per unirsi al gruppo
governativo che costruiva una strada proprio nel territorio dei Chavante. Il suo
sacrificio non fu vano: nel 1950 godeva di ricevere tra le sue braccia i Chavante
che finalmente si arrendevano all’amore del missionario.
L’ispettoria del Mato Grosso privilegia un nuovo campo di lavoro
L’opera salesiana nel Mato Grosso, però, aveva preso un orientamento inte-
ramente diverso, sull’onda dei cambiamenti che si operavano nella realtà socio-
economica dello Stato.
Nuovo contesto socio-economico del Mato Grosso
Anche nel Mato Grosso incominciava a estendersi il progresso che da tempo
si notava nel vicino Stato di S. Paolo. Le ferrovie di quello Stato, partendo dalla
capitale e irraggiandosi in tutte le direzioni, si dirigevano verso i fiumi Grande,
Paranà e Paranapanema. In particolare la ferrovia Itapura, oggi Nordovest del
Brasile, aveva attraversato il fiume Parana e raggiunto Tres Lagoas, Campo
Grande e le città del Pantanal fino a Porto Esperança, sul fiume Paraguay, non
lontano da Corumbà. Per l’ispettoria si apriva un nuovo campo di apostolato. Il
Visitatore Apostolico, Padre Marcel Rénaud S.I., che aveva visitato le diocesi e
le missioni del Mato Grosso, approvò l’espansione dell’opera salesiana nel sud
dello Stato.36 Il vescovo di
35 Cf. ASC A 376 lettere Rinaldi-Colbacchini 15.08.27; 01.02.29; 21.12.29; 30.04.30;
05.06.30; 22.12.30; 03.02.31; 29.04.31; 13.08.31; ASC A 380 Rinaldi-Tirone 07.02.31; 20.08.31.
36 Cf. ASC F 086 lettera Vespignani-Rinaldi 04.10.25; ASC F 084 lettere Lustosa-
Ricaldone 06.05.29; 16.11.30.
- Marcel RENAUD (1870-1955) n. a Métabief, Doubs, Francia. Fattosi gesuita in Spagna
nel 1892 e sacerdote nel 1903, fece il quarto voto nel 1908. Dal 1905 lavorava nel Messico,

2.8 Page 18

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186
Antonio da Silva Ferreira
Corumbà, il salesiano Mons. Antonio de Almeida Lustosa, incoraggiava la pre-
senza dei salesiani in diocesi.
La marcia verso S. Paolo
Nel contesto di questi cambiamenti si propose la divisione dell’ispettoria,
costituendosi una nuova ispettoria con le colonie e altre case della parte orientale
del Mato Grosso e con lo Stato di Goiás, dove i salesiani incominciavano la casa
di Bonfim (oggi Silvania) nella diocesi di Mons. Emanuel Gomes de Oliveira.37
I superiori promisero di tener conto delle ragioni presentate, considerandole di
molto peso, ma non si arrivò a tale divisione, considerata ancora immatura.
Sull’argomento scriveva Rinaldi a Massa: «Anche D. Dalla Via si recherà al
suo posto e speriamo poco alla volta di riordinare coteste missioni alle quali por-
tiamo tanto affetto.
Nel mio programma, se Iddio vuole, io vorrei fare tre parti giuste per ora
sotto un solo ispettore.
1) Cuiabá e dintorni.
2) Corumbá e sud del Mato G[rosso].
3) Missioni.
Comprendo che ci vuole molto personale, ma Iddio se noi siamo perseveran-
ti e pazienti ce lo manderà».38
L’ispettoria cambiava volto e destinazione. Per più di venti anni si era occu-
pata di qualche centinaio di bororo. Adesso si credeva essere molto più vantag-
gioso per le anime uno spostamento dell’azione dei salesiani, accettando «il mag-
ggior numero possibile di Parrocchie con personale adatto e
dove fu poi Provinciale (1913-1920). Superiore delle missioni dell’America Centrale (1925-
1929). Vice-provinciale del Brasile centrale (1929-1939). Dal 1920 al 1923 fece la visita canoni-
ca a tre missioni nel Brasile. Nel 1924-25, insieme ad altri due visitatori, fece la visita apostolica
alle diocesi dello stesso paese. Rettore del Collegio Pio Brasiliano dal 1939 al 1947, morì a
Roma.
37 Mons. Emanuel GOMES DE OLIVEIRA (1874-1955) n. a Anchieta, Espirito Santo, Brasi-
le. Salesiano nel 1896. Sac. nel 1901. Direttore in diverse case, segretario di Mons. D’Aquino
Correa, fu vescovo di Goiás (1922-1932) e arcivescovo della stessa città (1932-1955). Preparò
il trasferimento dell’archidiocesi alla nuova capitale, Goiania, trasferimento che si operò solo
nel 1956. Molto fece per l’organizzazione della sua diocesi e per dare allo Stato di Goiás una
buona rete di scuole.
38 ASC A 378 lettera Rinaldi-Massa 08.11.27; cf. anche ASC F 084 1.a proposta Coutu-
ron-Dalla Via al Capitolo Superiore, giugno 1929; lettere Dalla Via-Gusmano 21.06.30; Dalla
Via-Rinaldi 23.06.30.

2.9 Page 19

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La crisi della missione tra i Bororo 187
sufficiente per avere anche buone scuole parrocchiali ed Oratori Festivi».39 Nel
1931 il nuovo Visitatore salesiano Pietro Tirone non solo incoraggiava questa
tesi, ma la rendeva più ampia ancora: «Per dare maggior vita a questa ispettoria
che ne ha veramente bisogno, siccome per ora e per molto altro tempo in seguito
non è possibile pensare a un ingrandimento nel Mato Grosso stesso perché vi
sono troppo pochi centri abitati, ed è grande la povertà, propongo di incaricare
l’ispettore di questa ispettoria a pensare alla fondazione di una o due case-
collegio negli Stati limitrofi di S. Paolo e di Minas Geraes, le quali case sieno di
tal natura che ciascuna porti anche un buon contributo pecunario. Ciò è facilmen-
te fattibile. Con questi mezzi l’ispettoria del Mato Grosso non ha più bisogno di
invidiare nulla a quella di Maria Ausiliatrice».
Quei salesiani venivano così incoraggiati nella loro marcia verso S. Paolo
che, passando per Aquidauana (parrocchia trasferita poi a Ponta Porã), Campo
Grande, Tres Lagoas sarebbe arrivata fino a Lins, Tupã, Lucelia e Araçatuba.40
39 Cf. ASC F 085 lettera Alves Correa-Membri del Capitolo Superiore 24.09.20. Si veda
anche la corrispondenza degli ispettori Pietro Massa e Ermenegildo Carrà passim. La lettera
Rinaldi-Massa citata sopra riprende, aggiornandolo, il piano di Francisco Alves Correa.
- Francisco Alves CORREA (n. 1888) n. a Miranda, Mato Grosso do Sul. Salesiano nel
1905. Sacerdote a Roma nel 1913, dove ha studiato alla Gregoriana. Direttore ad Aquidauana
(1925-1931) ha dovuto ritirarsi per problemi con i suoi famigliari. Incardinato nella archidio-
cesi di Marianna dal 1932.
40 Cf. ASC F 084 2.a proposta Couturon-Dalla Via al Capitolo Superiore, giugno 1929;
ASC F 086 Brasile M. Gr. Relazione del visit, str. D. P. Tirone 1931IX 29 osservazioni generali
sopra l’ispettoria del Matto Grosso S. Alfonso Maria De Liguori, p. 6.

2.10 Page 20

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188
Antonio da Silva Ferreira
DOCUMENTI
-1-
A Don Michele Rua
Botucatù, 9 settembre 1893
Amatissimo Padre
Dopo tanto viaggiare, dopo infiniti giri e rigiri per mare, per terra, su pei fiumi
eccomi giunto finalmente a Botucatù. Credevo che dovesse essere questo il campo
più importante delle nostre fatiche apostoliche a favore dei selvaggi, ma veggo ora
che non potrà essere per noi se non un luogo di esercizio e occasione, per così dire
di scaramucce.
Il campo delle grandi battaglie che dovremo dare al Demonio per strappargli
tante infelici tribù è ben più lontano ancora, più addentro, giù, giù in fondo alle
sterminate foreste vergini. Anzi per arrivarvi meglio, dovremo rifare il cammino,
ritornare a Montevideo, risalire il fiume Paranà, entrare nel Paraguay e di là spinger-
ci fino al Matto Grosso e colà collocare il centro delle operazioni nostre. È quello
indiscutibilmente il punto più strategico per l’azione efficace del Missionario.
È quello il centro, il cuore della vita selvaggia di tutte le orde di Indigeni. Par-
tendo di là dovunque uno si rivolga s’imbatte in numerose tribù di poveri barbari.
All’Est vi sono le foreste inesplorate, le valle del Tocantins, del Arara; più al
Nord le vallate sconfinate del Madeira, Solimoes, ed Amazzoni; più all’Ovest ed al
Sud tutti territori selvaggi dell’Equatore, del Perù, della Bolivia e del Paraguay. Chi
può dire le moltitudini d’infelici che menano colà tra quelle fitte boscaglie la vita
stessa delle fiere?
Orbene io aspetto unicamente gli aiuti che Ella mi ha promesso per l’anno nuo-
vo, affin d’intraprendere questa difficile ed importante spedizione. Vi metterò mano
nel Mese dedicato a Maria SS. Ausiliatrice per assicurare a quell’arrischiata impresa
la protezione della Vergine benedetta, di Colei che schiacciò la cervice all’infernal
dragone. Senza di Lei non si potrebbe dare un passo avanti; ed in quel Mese sono
tante le preghiere, tante le suppliche che da ogni parte s’innalzano alla nostra carissi-
ma Madre Ausiliatrice nel suo tempio di Torino ed in cento e mille Chiese e Cappel-
le sparse per l’Italia e pel mondo intiero, che noi, affidati alla sua materna prote-
zione sfideremo i pericoli e porteremo innanzi lo stendardo della Croce.
Ho preso all’uopo gli opportuni accordi col Governatore di quei territorii, che
risiede in Cuyabà e con quel santo Vescovo che è l’Eccell.mo Carlos D’Amour, il
quale in quella città non ha seco che una quindicina di Sacerdoti, i quali a mala pena
lo aiutano nei luoghi civilizzati.
È da molto tempo che egli ci aspetta con ansietà. Quante lettere mi ha già scrit-
to, quante preghiere mi ha rivolto! Ci andremo dunque col cuore pieno di coraggio e
di santa speranza e Dio voglia che possiamo almeno in qualche luogo far risorgere
per la Chiesa di Cristo le splendide glorie che le conquistarono su vastissima scala
gl’intrepidi Missionari della Compagnia di Gesù.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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La crisi della missione tra i Bororo
189
Ma per ottenere qualche buon risultato di che aiuti, di che mezzi avremo biso-
gno! Anzitutto ci vorranno dei robusti e santi Sacerdoti, se dovranno reggere a quei
climi, a quei cibi ed a quelle intemperie! Se dovranno trattare per mesi e per anni con
quelle creature abbrutite dall’ubbriachezza e dalle guerre sanguinose, ripugnanti per
la lor nudità ed ignoranza spaventosa. Con loro non c’è da sfoggiarsi di eloquenza,
sibbene di carità paziente ed eroica, faticando senza scoraggiamenti per lunghi anni
prima di raccogliere qualche frutto.
Oltracciò bisognerà lavorare la terra, seminare, sarchiare bene spesso, se si vor-
rà avere qualche alimento. Ed è per questo che noi avremmo immenso bisogno di
buoni laici che ci accompagnino e ci sostengano.
Come si sa i selvaggi sono d’indole pigra ed infingarda assai, riottosi al lavoro
di qualsiasi genere. Ogni loro esercizio si riduce tutto alla corsa, alla caccia ed alla
guerra, cose tutte nelle quali acquistano agilità e forza incredibile. I servizi necessari
nei trasporti, nel raccogliere frutta, nel prepararla li prestano le lor donne, che per
loro sono più che schiave, vere bestie da soma.
I territori della Patagonia e della Terra del Fuoco hanno sui nostri vantaggi
enormi; essi offrono immense praterie, dove la Missione può mantenere numerose
mandre di buoi e di pecore. E così i nostri confratelli hanno in abbondanza e con
poca fatica carne e lana per sé e pei loro neofiti; ma qui la cosa è ben distinta. Tutto
è coperto di foreste secolari, di alberi giganteschi. Il sole è così potente, e le pioggie
così copiose che a vista d’occhio crescono gli arbusti e le piante, che sorgono ad
ingombrare affatto il terreno. Quindi per ottenere qualche frutto, bisogna incendia-
re prima le foreste, poscia cavare la terra per seminare, e poi sarchiare ben spesso i
seminati se no in poco tempo ricrescono fitte le boscaglie che soffocano ogni semente.
Erbe fine per pascoli qui non nascono punto; bisogna formare dei prati artificiali,
a forza di zappa, d’irrigazione, concimi e cure d’ogni genere.
Da ciò si può congetturare quanti sacrifici verrebbero a costare qualche vacca-
rella pel latte e qualche pecora.
Laonde si fa sempre più evidente che per avviare queste genti al lavoro della
terra ci vorrà l’opera di buoni Coadiutori secolari, che possano stare sul lavoro con
assiduità e con certo amore per insegnare praticamente ai selvaggi e procurare il
vitto necessario alla Missione.
In questi paesi tropicali non possiamo avere frumento, ma c’è la mandioca che
vi supplisce ed il grano turco ed i faggiuoli danno tre e fin quattro prodotti all’anno
ed abbondantissimi.
Le lattughe, cavoli e rape crescono mirabilmente ed il riso si produce con gran-
de abbondanza senza bisogno di irrigazione artificiale, essendo sufficienti quelle che
piovono dal cielo.
Oh! se molti bravi contadini dei nostri paeselli del Piemonte, della Lombardia e
del Veneto potessero mai sospettare che anche loro potrebbero essere Missionari
non solo, ma ausiliari indispensabili all’esito delle Missioni, quanti di loro correreb-
bero ad associarsi all’impresa nostra! Quanti verrebbero ad apportare il soccorso del
loro braccio robusto per far trionfare la Croce in questi luoghi deserti d’ogni bene e
d’ogni luce!
E giacché da qualche tempo si è tanto propagato l’uso di predicare conferenze
ai Cooperatori Salesiani delle città e dei villaggi, io pregherei ardentemente i Confe-
renzisti a voler accennare a quesito enorme bisogno delle Missioni affidatemi.
La grazia del Signore susciterà qualcuno fra i nostri religiosissimi contadini d’I-

3.2 Page 22

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190
Antonio da Silva Ferreira
talia, che si risolva a raggiungere i Missionari e così contribuire potentemente anche
loro a piantare la Croce e la Civiltà in queste terre scoperte dal grande nostro
compatriota Cristoforo Colombo, gloria della Patria nostra e fulgida gemma della
nostra S. Religione.
10 insisto su questo punto, o caro Padre, perché son persuaso che senza l’aiuto
di buoni catechisti e coadiutori le Missioni tra i selvaggi del Brasile e del Paraguay
non potranno dare frutti durevoli e sicuri.
È di qui, dal luogo stesso dove vedo e palpo le difficoltà della situazione, che
mi rivolgo a Lei per tempo affinché mi provveda di quanto occorre all’esito
dell’impresa affidatami.
Qui sulle colline di Botucatù, poc’anzi rincorse da orde di fieri selvaggi, ora
sorgono numerose e prospere fattorie dove si coltiva su grande scala il caffé. S’è
trovato che questo suolo è prodigiosamente fertile, quindi senza badare alla distanza
ci corre la gente, ed io mi stupii di trovare qui già [da] più di dieci anni mila emigrati
Italiani, quasi tutti della Diocesi di Treviso e di Rovigo.
Vi predicai varie volte, me li feci amicissimi, ed essi riconoscenti mi elessero ad
unanimità Presidente Onorario della loro Società di Mutuo Soccorso. Ben volentieri
accettai questa prova del loro affetto e riconoscenza, li incoraggiai ad essere buoni
Cristiani e promettendo di fondare presto tra loro scuole e Missioni fisse, mi dipartii
lasciandoli intristiti fino al pianto.
Il Parroco che ha cura di quella sterminata zona è Italiano pure, ottimo
Cooperatore Salesiano di Massa Carrara, certo D. Pasquale Ferrari, ed è chi radunò
i ricchi proprietari e li animò ad aiutare la fondazione di un collegio nostro in
queste lontane regioni.
Di qui i Missionari potranno facilmente andare in traccia de’ selvaggi che si
sono rinselvati più addentro alla distanza di ottanta o cento chilometri, e che sempre
più si sprofondano nelle foreste inesplorate a misura che la civiltà avanza, recata
generalmente colà dai nostri poveri coloni scortati da picchetti di soldati.
Ma basta per ora.
Ringrazi per me tutti i bostri buoni Cooperatori della carità e benevolenza verso
le Missioni nostre, e dica loro che prego Iddio li benedica e li ricompensi
abbondantemente prima in questa vita e poi nella patria celeste.
E Lei, caro Padre, ci abbia tutti presenti ai piedi della cara Vergine Ausiliatrice
ed implori da Lei tante benedizioni a questi suoi figli che tanto lo amano.
Suo aff.mo figlio in Gesù Cristo
¬ Luigi Lasagna
Vescovo di Tripoli

3.3 Page 23

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La crisi della missione ira i Bororo 191
-2-
Ai Membri del Capitolo Superiore
¬ Torino, Oratorio, il 22 Settembre 1920
Ai Rmi. e Ventmi. Membri del Capitolo Superiore.
Il sottoscritto, avendo saputo per comunicazione del Rev.mo Sig. D. Albera,
che il Revmo. Sig. D. Pietro Massa, Superiore dell’Ispettoria di Matto Grosso, si
trova in viaggio verso questa Casa Madre di Torino, domanda umilmente che gli sia
permesso di sottoporre alla considerazione di VV.RR., il suo pensiero riguardo allo
svolgimento dell’Opera Salesiana in codesta lontana Ispettoria di Matto Grosso,
avendo in vista unicamente la maggior Gloria di Dio, ed il vero bene delle anime.
Ed in primo luogo ricorda che lo Stato (e l’Ispettoria) di Matto Grosso si trova
attualmente diviso in quattro giurisdizioni ecclesiastiche: — un’Archidiocesi con
sede a Cuiabà, città Capitale dello Stato; due Diocesi, con sede nelle città di Corum-
bá e di S. Luiz de Caceres rispettivamente; e la Prelazia de Araguaya.
La popolazione conosciuta dello Stato, secondo calcoli approssimativi, si può
così distribuire per queste quattro giurisdizioni: l’Archidiocesi, con 150.000 (cento-
cinquanta mila) anime; Corumbà, con 200.000 (duecento mila); Caceres, con 50.000
(cinquanta mila); e la Prelazia con 6.000 (sei mila).
Come si sa, i figli di D. Bosco sono quasi gli unici lavoratori evangelici in tre di
queste regioni; essendo, però, la loro localizzazione attualmente in evidente spropor-
zione coi bisogni spirituali delle regioni stesse. Così che nella Prelazia si trovano ben
13 sacerdoti ed altret[t]tanti coadiutori; nell’Archidiocesi vi sono 11 sacerdoti e 9
coadiutori; ed a Corumbá, 7 sacerdoti e forse ancora 1 coadiutore.
A Cáceres il Vescovo è di Congregazione Religiosa, ed anche tutto il suo Clero;
a Cuiabá ci sono 2 sacerdoti secolari ed alcuni frati della Congregazione di quei di
Cáceres; a Corumbá due sacerdoti secolari.
Donde risulta che riguardo alle nostre Opere, per addesso almeno a Caceres
non c’è da pensare; a Cuiabà, come i miei Veneratissimi Superiori devono essere
informati, siamo semplicemente tol[l]lerati dall’Ordinario; a Corumbá invece la popo-
lazione viene da più di vent’anni domandando, supplicando, offrendo tutte le agevo-
lazioni per avere i salesiani, ed almeno — come si espressavano nell’occasione della
visita di Mons. Nunzio Apostolico nell’anno scorso — almeno uno per ciascuno
dei centri più popolati. (E di questi centri si possono contare già ben undici di una
importanza innegabile: — Corumbà e Ladario, 12.000 abit.; Campo Grande, 5.000;
Aquidauana, 4.000; Bella Vista, 4.000; Ponta Pora, 4.000; Tres Lagoas, 3.000; Porto
Murtinho, 3.000; Miranda, 2.000; Nioac, 1.500; Sant’Anna, 1.000; Coxim, 800
circa).
Queste cose considerate, mi permetto di domandare: — Non è molto più ragio-
nevole che si trasporti il massimo sforzo dell’azione nostra a Corumbá, dove c’è un
campo vastissimo e desiderosissimo di ricevere l’influsso di quest’azione medesima?
— e dove il Vescovo non sa a che partito pigliarsi, trovandosi quasi solo in mezzo a
tanto lavoro da fare? — e dove i protestanti incominciano a guastare le anime, e
la massoneria ha già arruolato dolosamente quasi tutta la gioventù sotto la capa di
società beneficiente?

3.4 Page 24

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192
Antonio da Silva Ferreira
— Ma bisogna pensare alle Missioni dell’Araguaya...
— Sì, miei veneratissimi Superiori, nelPAraguaya abbiamo le Missioni, ma for-
se—e sto per dire senza forse — i miei Rev.mi Superiori non si formano un’idea
abbastanza esatta di quel che sono in realtà queste Missioni.
Tutta la tribù dei Bororos non arriva al numero di 2.000 (due mila) anime. Di
queste, un’ottocento si trovano localizzate nella Colonia Teresa Cristina, da dove i
Salesiani furono cacciati dal Governo nell’anno 1898. Altre trecento circa vagolano
senza tetto. E nelle nostre Colonie non si sono riunite mai, più di 500 (cinquecento)
anime, sommati insieme i tre centri, per vivere stabilmente. Questo quanto al
numero.
Quanto poi al profitto reale, dirò:
a) che i Bororos non danno speranza di sorpassare quel grado di progresso e di
civilizzazione in cui si trovano attualmente, tanto riguardo alle cose di fede, quanto
alla morale ed alla vita pratica;
b) che i Bororós non vogliono vivere riuniti stabilmente nelle Colonie. E non
solo non vogliono, ma non possono farlo: — i vestiti li intisichiscono [e tanto nelle
roças (campi coltivati) quanto nell’interno delle loro capanne, si spogliano degli
incommodi e noiosissimi arnesi]; li accascia il lavoro sostenuto; non acquistano le
nozioni di proprietà, di ricchezza, di indissolubilità e fedeltà matrimoniale, ecc.;
e) che i salesiani delle Colonie sono stanchi ed anche scoraggiati di una lotta
così meschina pel numero di anime da attendere, e così ingrata pel risultato ottenu-
to;
d) che molti dei nostri confratelli sono ridotti quasi a servi dei bororos, doven-
do spesso tranguggiare bei bocconi amarissimi causa le insolenze, le beffe ed alle
volte anche le minaccie più o meno palesi a loro indirizzate;
e) che per adesso almeno e con lo stesso personale sarebbe, se non impossibile,
certo molto poco prudente incominciare la catechese di qualsiasi altra tribù;
Considerati tutti questi punti, credo che sia di molto più vantaggio alle anime
uno spostamento della nostra azione, secondo questo disegno:
I — Nella Prelazia di Araguaya —
a) conservare a Registro do Araguaya il personale necessario ad attendere alla
Parrocchia ed Scuole parroc[c]hiali (non casa regolare);
b) dare il più grande incremento possibile alla Colonia di S. Giuseppe (Sangra-
douro) come uno dei punti di più grande svolgimento futuro;
e) Caso Mons. Malan intendesse cambiare la sede della Prelazia per S. Rita,
fondare la Casa regolare in questa promettente località;
d) provvedere di Parroci e scuole parrocchiali i piccoli centri di Capim Branco,
Rio Vermelho e Correntes. E basta.
Chiudere pertanto la Colonia dell’Immacolata Concezione (già adesso chiusa di
fatto); ed anche quella del S. Cuore (attualmente spostata, cioè trasportata ad altro
luogo, e decimata) invitando i Bororos là degenti a riunirsi alla Colonia di S. José,
oppure lasciandoli vivere liberamente e visitandoli ogni tanto per dar loro comodità
di accostarsi ai S. Sacramenti ed anche per tutelare i loro eventuali diritti presso i
fazendeiros di quella zona.
Al posto della Colonia del S. Cuore si lascierebbe una piccola residenza per la

3.5 Page 25

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La crisi della missione tra i Bororo
193
cura del bestiame là ancora esistente.
II — Nell’Archidiocesi: —
a) conservare il Lyceu Salesiano di Cuiabà cercando di sviluppare le Scuole
Professionali;
b) A Coxipò stabilire una vera e propria Scuola Agricola, che lo sia anche di
fatto;
c) Provvedere la Parrocchia di S. Gonçalo di più sacerdoti, affinché possano
attendere con vera serietà e profitto alle sue tre cappelle filiali e rispettivi Oratorii
Festivi. (Adesso c’è un solo prete... e l’Oratorio Festivo aspeta chi lo possa inco-
minciare);
d) Chiudere la Casa di Palmeiras approfit[t]andone il materiale a Coxipò ed a
Sangradouro.
III — Nella Diocesi di Corumbà —
a) provvedere il maggior numero possibile di Parrocchie con personale adatto
e sufficiente per avere anche buone scuole parrocchiali ed Oratorii Festivi;
b) cercar di ottenere da Mons. Vescovo la cessione alla Congregazione delle
migliori parrocchie
Note
Tutte le scuole parocchiali potrebbero senza inconvenienti essere anche scuole
pubbliche governative.
Non accenno a fondazione di Collegi, perché non abbiamo personale addatto
all’insegnamento secondario e specialmente alla direzione di istituti.
E su questo punto di direzione, come su quelli di organizzazione delle nostre as-
sociazioni: — Cooperatori, Antichi allievi, Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice,
ecc., avrei molto da osservare a base di fatti purtroppo niente edificanti.
Causa pure grande ramarico il nessun impegno riguardo al coltivo delle voca-
zioni (opera che ha pagato con usura le cure di un Mons. Helvecio e di un D. Pap-
palardo), e la tanto diffusa pratica di mettere a confessori unici ed obbligati di co-
munità di quei preti ignoranti, imprudenti, bisbetici e quasi rimbambiti... è un guaio
gravissimo questo, causa di sacrilegi innumerabili specie tra i giovani - e non sola-
mente tra questi...
Credo che in questa esposizione mi ha guidato unicamente il desiderio di veder
ben distribuito il lavoro e ben impiegate le fatiche di quei poveri martiri chiusi nel
Matto Grosso.
Quanto a me, come sanno i miei Revmi. Superiori, ho abbandonato la patria
coll’animo di non metterci più i piedi, e continuo ancora nelle stesse disposizioni.
E se, piegandomi alla voce dei Superiori ai quali esposi colla più grande fedeltà
e semplicità a me possibile le mie difficoltà ed i miei guai, non mi sono ancora inclau-
surato nella vita contemplativa come era mio divisamente, ciò nonostante, protesto
che, se riuscissi a dominarmi coll’aiuto del Signore e sotto la guida del Rmo. Sig.
D. Barberis, sarei pronto ad andare dovunque fossi mandato, sia in Cina, sia tra i
lebbrosi, sia al Matto Grosso od altrove.

3.6 Page 26

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194
Antonio da Silva Ferreira
Implorando dai miei veneratissimi Superiori il valido aiuto delle preghiere
affinché si verifichi presto la mia ricostituzione e rigenerazione morale, ed ottenga
dalla Madonna la mercede della mia liberazione dei miei vizi e peccati, mi
professo,
Delle loro Sig. Revmi. e Veneratmi.
Affino, in C.J.
D. Francesco Alves Correa
- 3 A Don Antonio Colbacchini
Li 10 Nov. 1922
Caro D. Colbacchini,
Don Carrà ritorna pieno di buona volontà, porta qualche confratello ed aiuto e
spera, come lo desideriamo anche noi, che l’anno pros[simo] avrà altri rinforzi.
Mentre io ti saluto, colgo l’occasione per raccomandarti d’assecondare quanto puoi
la sua ottima volontà. Come consigliere colla parola e coll’opera poniti al suo fianco
affinché possiamo dare un indirizzo nuovo e pieno di vita a cotesto paese che il
Signore ha affidato ai Salesiani.
Prega per me tuo in Corde I.
Sac. F. Rinaldi
-4-
A Don Antonio Colbacchini
Catania 7 Marzo 1923
Caro D. Colbacchini,
Qui ricevo la tua preg[iatissima] del 6 Dic. 1922, cioè di tre mesi fa. Non ti
ricambio gli auguri, ma ho pregato molto per te e pei missionarii nelle feste del S.
Natale e del nuovo anno. Colla preghiera vi accompagno tutti i giorni nel vostro
lavoro.
Quando possa venire in Italia ti vedrò tanto volentieri e credo che l’Ispettore ti
avrà portato anche il mio pensiero. Noi soffriamo per voi e per la vostra missione
che vorremmo vedere prosperare. Non trascureremo nessun mezzo per aumentare
le vocazioni e venire in vostro sosccorso.
Sono lieto delle buone notizie che mi dai della tua missione; la prosperi sempre
più il Signore!
— Durante il mese di Dic. u.s. ho visto tuo fratello ad Este e lo trovai bene di
salute e sempre il medesimo buon cristiano tutto d’un pezzo.
Salutami i tuoi cari confratelli e le suore di M. Aus. Dì loro che si facciano santi
nel compimento del loro dovere per amore del Signore. Abbiano pazienza nel soffri-

3.7 Page 27

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La crisi della missione tra i Bororo
195
re come i Santi le tribolazioni di questa povera vita. Il Signore darà loro una ricom-
pensa infinita in paradiso.
Ricordati sempre di me tuo in C.I.
Sac. F. Rinaldi
-5-
A Don Filippo Rinaldi
¬ Torino 15 Luglio 1923
Rev.mo Signor D. Rinaldi,
Trascorsi quasi venti anni nella Missione tra i selvaggi Bororos nel Matto
Grosso. Provai tutta la vita di Missione, fino nelle sue più piccole particolarità; ho
vista crescere e crescere la Missione ed ora ritornato in Italia sento imperioso il do-
vere di presentare ai Venerati Superiori una relazione esatta dello stato della nostra
Missione.
Prima di tutto espongo la cosa che mi dà maggior pena e non solo a me, ma a
tutti i confratelli della Missione, dei cui sentimenti e desideri mi sento in questo mo-
mento interprete e rap[p]resentante. Maggior pena e causa di morale abbatimento è
il sentire che la nostra Missione non deve più continuare e che si lascierà morire. Di
fatto da un po’ di tempo si nota un sensibile abbandono in tutto, non si ha più per la
Missione amore, affetto, simpatia, si lascia che vada avanti e che trascini più che
può, pare proprio che si voglia lasciarla morire di inedia; è una prolungata agonia.
Si dice che la Missione è finita, che non vi è più ragione di essere, che i Bororos stan-
no per estinguersi, che non corrispondono, che è meglio farla finita, abbandonar
tutto, ritirarsi ed andar altrove tra’ civilizzati, con scuole, parrocchie etc. Tutto
questo non è vero come è falsa l’opinione che non vi sia possibilità più di andar
avanti in una Missione tra’ selvaggi. Pensare ed ammetter questo è un assurdo, per-
ché selvaggi ve ne sono ancora tanti che stringe il cuore pensarlo.
Non ho mai pensato e creduto che questa sia l’idea dei Superiori cioè, di lasciar
morire la Missione e ritirarci da questo campo che ha costati tanti sudori, dolori e
sacrificii. Non posso negare però che grosse dicerie sparse in Matto Grosso ed altro-
ve, fanno male specie a noi delle Missioni. Da tutto l’insieme, lasciando il nostro
passato e solo considerando il presente devo dire che le cose nostre bene non vanno.
Mi prendo la libertà di esporre le cause che giudico siano i fattori principali
della nostra situazione precaria.
1.a causa - È riconosciuto da tutti che una delle cause è la mancanza di un Su-
periore che possa attendere come si deve ai bisogni della Missione, che risieda in essa,
che conosca per propria esperienza cosa e come sia la vita di Missione, chi siano i
selvaggi e per ciò compenetrato del loro stato psicologico, morale e fisico, per poter
dirigere con criterio pratico e con prudenza. Conoscendo bene la vita di Missione,
conoscerà anche bene i bisogni e capirà ed intuirà bene le difficoltà che i confratelli
incontrano nella loro opera. La Missione quale essa è attualmente e quale si spera

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196
Antonio da Silva Ferreira
sarà[,] allargando la sua azione tra altri poveri selvaggi limitrofi e pel progresso che
avrà tra breve, piacendo a Dio, ha bisogno di un Superiore locale, che viva della vita
dei confratelli, che divida con loro le fatiche, le noie, le privazioni, i dolori[,] tutto
insomma che è proprio della vita di Missionari fra’ selvaggi. La vita di Missione
qual è la nostra non ha somiglianza alcuna colla vita delle nostre case di Collegi
della nostra Congregazione, ma è affatto diversa in tutto; fuori dello spirito che deve
informare ogni salesiano.
Geograficamente anche siamo in condizioni del tutto singolari. Il Matto Gros-
so, questa immensa provincia del Brasile, con Cuiabà per capitale, come è nel con-
cetto di tutti nel Brasile, si divide in due grandi zone; il Nord ed il Sud. La zona del
Sud è la zona della civiltà e del progresso ed à per suo limite estremo Nord la città
di Cuiabà.
Per il sud del Matto Grosso vi sono le grandi linee di navigazione, la ferrovia
che lega Matto Grosso con S. Paolo e Rio de Janeiro, vi sono strade per automobili,
la vita corre nel suo pieno sviluppo di progresso e civiltà. La zona del Nord è invece
l’opposto, priva di tutto che si possa chiamar civiltà e progresso. Senza strade, senza
ponti, senza mezzi di viaggiare. In questa zona deserta e selvaggia è che si trova la
nostra Missione. Basta il dire che per raggiungere le nostre Colonie indigene bisogna
viaggiare giorni e giorni a cavallo in mezzo a mille difficoltà ed incomodi, senza tro-
vare una casa, un’anima viva in mezzo al vero e proprio deserto.
Nella zona del Sud le comunicazioni [sono] rapide[,] il servizio postale regolare
e l’immensa distanza da Rio de Janeiro a Corumbà e Cuiabà è superata in otto gior-
ni! Nella zona del Nord e per specificare, nella zona della nostra Missione che si
spinge a 500 e più chilometri da Cuiabà, è tutt’altra cosa. Comunicazioni difficilis-
sime senza strade vere e proprie, col servizio postale che è irregolarissimo e che esiste
solo di nome, in media ogni due mesi, dovendo nei viaggi superare difficoltà senza
numero, ci troviamo come fuori e separati dal restante del mondo civile. La nostra
Prelazia è quasi tutta in questa zona.
Passando ora in rassegna le Case e Colonie della Missione credo opportuno
esporre le distanze in chilometri ed il tempo necessario per percorrerli. Da Cuiabá a
Registro più di 650 Kil., dai 20 ai 25 giorni a cavallo. Da Cuiabá alla Colonia del
Sacro Cuore che è la centrale 500 Kil, dai 15 ai 20 giorni di viaggio a cavallo. È
bene notare che in tempo delle pioggie, cioè da Ottobre-Novembre a Marzo-Aprile, è
quasi impossibile questo viaggio ed una temerità ed assurdo volerlo tentare, specie
da persone non pratiche ed accostumate, per le grandi difficoltà ed ostacoli che si
troverebbero nei fiumi in piena, nei torrenti, nei pantani e lagune che si deve attra-
versare. Solo chi ha dovuto provarli può dire cosa sieno questi viaggi!
Per le difficoltà di viaggio e la sua lunghezza, le colonie sono veramente lontane
da Cuiabà. Oltre a questo vi è l’irregolarissimo servizio postale, se si può dire questo
nome. Il postino fa il viaggio, quando lo fa, ogni due mesi e passa per Colonie. Di
modo che ogni due mesi si può aver agio di mandar corrispondenza. Per mandar e
ricever risposta di una lettera inviata a Cuiabà ci vogliono due mesi almeno, lo
staesso tempo più o meno che da Cuiabà a Torino. Ora ammesso che l’Ispettore
risieda in Cuiabá, cosa che in realtà è poco tempo nell’anno, per poter egli ricever una
nostra lettera e darne risposta, anche di cosa urgente, passano almeno due mesi;
quando poi l’Ispettore non si trova in Cuiabà, allora non si calcola più il tempo, per
noi nella Missione è come se l’Ispettore stesse a Torino.
Certamente tutte queste difficoltà, queste nostre condizioni portano come natu-

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La crisi della missione tra i Bororo 197
rale conseguenza disgusti, dissesti, malintesi, contratempi, irregolarità nel governo
della Missione, tanto più come già dissi la vita delle Colonie indigene è vita che si di-
stacca essenzialmente dalla vita dei Collegi ed altre case. La nostra vita in Missione
è una vita sui generis che credo non abbia eguale ed è sempre irta di incerti e difficol-
tà ed ha bisogno sempre di una mano pratica e sicura pel buon governo di essa.
È vero che le case son poche e che vi sono i Direttori, ma questo non basta,
come non basta in ogni altra Ispettoria. La Missione deve avere una mano sola che
la governi e dia l’indirizzo. Se ogni Direttore potesse mettere in pratica il suo siste-
ma, diverrebbe subito una confusione e disordine, come ne ho provato l’esperienza.
‘Di fati i selvaggi sono sempre gli stessi in ogni Colonia, istesso è l’ambiente in cui si
vive, eguale la vita, l’incognita del domani pesa egualmente in tutta la Missione, che
del selvaggio non si può saper o prevedere ciò che sarà dalla sera al mattino e non
si sa oggi quello che sarà domani, perché la vita è così fatta in Missione.
Negli altri campi di azione della nostra Congregazione, la vita è molto cono-
sciuta; i casi in cui il Superiore sia necessario ed a cui il Direttore deve ricorrere sono
rari. Nella Missione non è così ed il bisogno di comunicare col Superiore viene di
frequente ed i Direttori sono i primi a sentire questo bisogno. Non avendolo questo
Superiore, non avendo neppur comodità di scrivere[,] o scrivendo solo potendo rice-
ver risposta dopo mesi, chiaro ne viene che le conseguenze sono disastrose per tutti.
Da tutto il personale della Missione, del quale mi sento fedele interprete, è profon-
damente sentita questa necessità e tutti vivamente desiderano ed umilmente pregano
i Rev.mi Superiori a voler prender in considerazione e soddisfare ai bisogni della
Missione.
Conseguenza di quanto sopra esposto è lo stato di disanimo in cui si trova il
personale della Missione. Naturalmente un Ispettore che non abbia vissuta la vita di
Missione e che mostri per essa ripugnanza, che non viva in quell’ambiente così satu-
ro di elementi eterogenei, nel quale devono vivere i suoi confratelli, un Ispettore che
fa il suo viaggio o visita alle Colonie con grande sacrificio ed in media solo unsa volta
ogni due anni, anche perché soffre molto nel viaggio che le è un vero martirio,
come da lui stesso fu detto e ripetuto, un Ispettore che non può anche volendolo
tenersi in relazioni frequenti coi Direttori e confratelli, i quali molte volte per sei,
otto e più mesi dell’anno neppur sanno dove l’Ispettore sia e per dove vada, mi par
logico che un Ispetore in condizioni simili, per quanto buona volontà abbia, non
potrà soddisfare ai bisogni della Missione e dei confratelli.
2° - Altra causa di esaurimento morale e materiale della Missione e per conse-
guenza disanimo e malumore dei confratelli è la continua crescente scarsezza di
mezzi ed aiuti materiali per sup[p]lire ai bisogni della Missione. Fin da quando la
Missione ebbe principio fu sempre e solo l’Ispettore che sempre tenne per se tutti
i soccorsi e mezzi materiali che vennero assegnati alla Missione. L’Ispettore dava
mano a mano quello che credeva poter dare. Da questo che i Direttori delle singole
Colonie dovevano volta per volta ricorrere all’Ispettore per aver il necessario.
Da questo principio administrativo riservato al solo Ispettore, colle difficoltà di
comunicazioni così grandi, ne venne di conseguenza un cumulo di inconvenienti e
disgusti. Da un po’ di tempo i mezzi [sono] sempre più scarsi e sempre più ridotti.
Appena si ha lo stretto necessario. L’Ispettore alle nostre richieste ripete sempre che
non può, che non dispone di mezzi, che è carico di debiti.

3.10 Page 30

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198
Antonio da Silva Ferreira
Bisogna però che l’opera nostra, la Missione, vada avanti e perciò i Direttori
devono esigere dal personale un aumento di lavoro ed un consumo maggiore di
energie, già ridotte al minimo dopo tanti anni di lavoro incessante. Da ciò si è co-
stretti a retribuire il lavoro del selvaggio il meno possibile e solamente dare a lui il
più necessario, facendo le più grandi economie. Questo è causa di un continuo malu-
more dell’indigeno, che pretende quello che pur avrebbe diritto, ma che non si può
dare, perché non si ha; di qui parole e disgusti da parte a parte. Questa la situazione
finanziaria avanti a noi della Missione.
Ma la cosa più seria e grave è, che è noto a tutti e principalmente conosciuto
dalle persone esterne, che in questi anni dal 1919 al 1922 il Governo Federale del
Brasile e quello dello Stato di Matto Grosso diedero annualmente non piccoli sussidi
per la Missione fra i Bororós ed a lor beneficio. Da quanto si trova pub[b]licato nella
Gazetta Ufficiale della Repub[b]lica del Brasile appare che dal 1919 al 1922 il
Governo del Brasile diede in beneficio delle Colonie indigene della Missione Salesia-
na in Matto Grosso più o meno la somma di 280:000$ cioè 280 contos che di cam-
bio attuale sarebbero il su per giù circa 600 mila lire. Il Governo dello Stato di Matto
Grosso diede anche press’a poco 200 mila lire. Vi furono poi altri sussidi da altre
fonti, come le scuole elementari che le Colonie hanno e che il Governo sovvenziona,
una stazione metereologica nella Colonia S. Cuore retribuita dal Governo ed altre
cosette. Non esagero dire che in questi quattro ultimi anni la Missione ebbe l’entrata
di un milione. Ora di tutte queste somme, che non sono indifferenti, solo una minima
parte venne ap[p]licata alla Missione propriamente detta, non più forse di 50 contos
che sarebbero 100 mila lire.
Di tutto il resto non nulla, non si sa qual uso abbiano fatto di questo denaro i
successivi Ispettori. Quello che so certo è che quando Sua Ecc. Mons. Malan lasciò
l’Ispettoria non vi era un centesimo di debito, anzi molti crediti. Ora l’Ispettore
attuale dice d’aver ricevuto l’Ispettoria dal Rev.mo Mons. Massa con enormi debiti
e che attualmente pesano ancora sulle finanze dell’Ispettoria. Sia quello che sia,
nulla io posso dire solamente asserire che alla Missione assai poco fu dato. Il peggio è
che tutto questo è noto a tutti, tutti parlano perché tutti sanno quello che il Gover-
no diede per la Missione.
Essendo dunque in dominio del pub[b]lico tutto questo e non vedendolo usare
ed ap[p]licare in beneficio della Missione, ed infelicemente non considerando tutto
l’insieme dell’organismo dell’Ispettoria e della Congregazione e le ingenti spese che
questo organismo deve avere e soffrire per mantenere la Missione, dicono esser tutto
dei selvaggi per i quali fu dato. Molto si parla contro i Salesiani e ci accusano chia-
ramente di fraudatori del pub[b]lico denaro, a danno del fine ed a vantaggio nostro
personale. Si sente dire e ripetere da tutti ed in ogni tono che noi Salesiani col prete-
sto dei selvaggi e delle Colonie facciamo denari e ci tacciano di finti e subdoli emi-
granti, che per far denaro inganiamo e sfruttiamo il Governo facendoci dare denaro
e denaro per i selvaggi che poi mettiamo nelle nostre tasche e mandiamo alla nostra
terra. Ci accusano di far lavorare il selvaggio per sfruttarlo e così ap[p]rofittare a
nostro vantaggio del denaro del Governo e del lavoro del selvaggio, senza che ci
prendiamo pensiero di retribuirlo come conviene.
Il più grave ancora [è] che i civilizzati che così parlano non lasciano di metterlo
pure nella testa dei selvaggi e ci fanno passare come sfuttatori del loro lavoro e inci-
tarli per richieder e pretender da noi quello che vien dato a loro, ché non è nostro,
ma loro, perché il Governo ha dato per loro.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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La crisi della missione tra i Bororo 199
Le dicerie su questo argomento sono molte ed umilianti. Infelicemente lo stato
attuale della Missione è una continua patente conferma, questo tutti vedono e notano
che non ostante l’aiuto del Governo la Missione è in decadenza e che i selvaggi non
sono ufficialmente retribuiti. Questo produce attorno a noi e l’opera nostra
un’atmosfera pesante che si aggrava vie più, le simpatie poco a poco svaniscono e si
cambiano in diffidenza ed anche in una certa qual latente antipatia.
Questo non è immaginazione, ma pura verità, anzi devo aggiungere che, conti-
nuando di questo passo, assai temo non si vada cadendo sul precipizio. Per la strada
ci siamo e l’esperienza me lo dice e potrei citar fatti. Da un momento all’altro può
scatenarsi sopra la Missione una furiosa tempesta. Guai se il selvaggio si irritasse
contro di noi! e come è facile al presente, per le maligne insinuazioni del civilizzato.
Guai se il civilizzato perverso e satanico si unisse al selvaggio! La storia di altre Mis-
sioni, anche in Brasile ce lo dice. Lo sterminio completo dei Frati e Suore Francescane
nella Stato di Maranhão, dove, come noi, vivevano da molti anni coi selvaggi, for-
mando prospera Colonia, ci mette sull’attenti; noi in Matto Grosso siamo oramai
nelle stesse condizioni, eguale la situazione.
Ci sia maestra la storia e l’esperienza! Mi pare fu nel 1900 che si ebbe il massa-
cro e la distruzione della Missione dei Francescani, appunto perché il selvaggio irrita-
to e mal contento si unì col civilizzato e così uniti fecero il complotto e consumaro-
no il delitto. Ho fatti e prove che si cerca indisporre l’indio contro di noi, anzi fu
offerto al selvaggio l’appoggio e l’aiuto. Intanto quello stesso civilizzato che deve
all’opera nostra la pacificazione della tribù terribile e feroce dei Bororós, procura in
ogni mezzo ed insinuazione distaccar il selvaggio da noi e dal nostro affetto e studia
poco a poco di spingerlo alla rivolta. Lentamente si avvelena il selvaggio special-
mente per la maledetta ragione del denaro. Bisogna sentire quello che il civilizzato
dice e quello che insegna all’indio, per farsi un’idea esatta della situazione nostra!
Forte ed imperioso sento il dovere, per tranquillità di coscienza ed a scanso di ri-
morsi per qualunque cosa possa succedere, di sup[p]licare i Rev.mi Superiori, a scusa-
re e provvedere seriamente fin che ancor vi è tempo.
Dissi che potrei portare fatti ed in vero se non fosse troppo lungo per iscritto lo
farei, a voce però son pronto dare ogni ispiegazione ed ogni det[t]aglio. Solamente
ora dico che più di una volta da cattivi civilizzati venne fatta la proposta al selvaggio
di rivoltarsi e farla finita con noi. Fortunatamente per l’amicizia sincera e
l’ascendente che godo fra i selvaggi potei conoscere e far svanire tutto, ma resta il
fatto.
Grazie a Dio ancora nella maggioranza dei selvagi godiamo simpatia ed amici-
zia, ma vi è già una parte che non lo è tanto, appunto per l’influenza venefica del
civilizzato. Non ci può contare colla simpatia ed amicizia del selvaggio; oggi è, e
domani non è più. Ho vissuto tanti anni coi selvaggi[,] ne ho provate e viste di tutti
i colori e so e conosco chi sieno i selvaggi e quanto pur troppo essi sieno ingrati e
quanto sia deleteria l’opera ed il contatto, oramai inevitabile, del civilizzato. Voglia
Dio proteggere la nostra Missione, ma certo Dio vuole anche che da parte nostra si
faccia quello che si può e si deve.
Di fatti si deve riflettere che ora abbiamo da una parte il civilizzato che poco a
poc penetra in quelle regioni deserte, ma ricche di oro e diamanti. In generale questo
elemento è il peggiore[,] sovversivo, avventuriero, senza principi religiosi, senza
coscienza, senza morale, pronto a tutto colla massima indifferenza. Dall’altra parte
abbiamo il selvaggio, ignorante, diffidente, circostante, orgoglioso, con una natura

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200
Antonio da Silva Ferreira
selvaggia suscettibile all’estremo, pronto sempre a tradire col bacio di Giuda per
qualunque futile motivo. Questi due fattori rendono la situazione nostra ognor più
delicata e difficile. Una piccola imprudenza da parte nostra sarebbe sufficiente per
metter tutto sossopra — è il caso della piccola scintilla per il grande incendio.
Il selvaggio di oggi non è più quello di 15 o 10 anni fa. Oggi bisogna aver vero
potere morale e pieno ascendente su di esso. Il selvaggio, la colpa è nostra, oggi è
evoluto, frutto dell’opera nostra, perché bisognava elevarlo dal suo abrutimento; ma
intanto oggi non si accontenta più di un piccolo regaluccio per retribuirlo del
lavoro, oggi vuol essere pagato a moneta, lamentandosi di continuo che lo paghiamo
poco, che il civilizzato paga di più. Oggi non è più sufficiente un faz[z]oletto rosso,
od un po’ di filo colorato per calmarlo nelle sue ire e farlo amico, le cose son
cambiate. Ora vi è bisogno di una forza morale, vi è bisogno della parola efficace e
persuasiva, bisogna elevar il sentimento religioso, diffenderlo e prevenirlo da ogni
insinuazione del male, bisogna convincerlo il selvaggio, per poterlo vincere e
conservare buono e nostro amico.
L’esperienza ci insegnò chiaramente che fattore principale e potente per questo
è il possedere la lingua indigena. La lingua è sempre la chiave per penetrare nei
reconditi dell’animo. Pel selvaggio[,] per natura chiuso e diffidente, la lingua è una
necessità per aver su di esso[,] anche nei momenti più critici, vera forza morale
ed ascendente.
Ancor una volta, per tutto l’insieme delle cose sopra esposte, mi prendo la
libertà di ripetere che nella Missione è ognor più necessario risieda una persona che
abbia in qualunque modo o titolo l’autorità di Superiore. Superiore che possa,
senza grande perdita di tempo e lunghi viaggi e grandi incomodi, fare dei frequenti
sopra luogo, che possa stare al corrente di tutto ed a cui tutti possano ricorrere senza
grandi difficoltà e senza dover aspettare mesi e mesi per ricevere una parola di
consiglio e di conforto, per rimuovere un ostacolo.
3° Altra causa di male è la scarsità di personale e quel poco che vi è assai stanco
ed esausto. Quasi tutto il personale che attualmente si trova in Missione vi si trova
da 15 e 20 più anni, sempre sotto un lavoro duro e pesante in un clima che se, grazie
a Dio, non è pestifero[,] è snervante pel continuo calore. Il numero sempre più
ridotto, alcuni morti, altri lontani per malattia. Fu sempre promesso un aiuto e
rinforzo, ma di fatto mai si vide.
Questa continua tensione di lavoro tra i selvaggi, così penoso e per tanti anni,
senza un giorno di sollievo, una vacanza, un diversivo, coll’illusione di vane
promesse che mai si compiono, finisce, per quanto buona volontà si abbia, di
esaurire le fibbre più forti. Nella Missione vi è estremo bisogno di aiuto e di
rinforzo. I poveri confratelli che là stanno fanno compassione e da braccia tese, per
mio mezzo, invocano sup[p]lichevoli la carità dei Superiori, perché abbiano pietà di
loro e della Missione.
4° Ancora ad un’altra causa di male devo, sebben che a malincuore, accennare.
Intendo riferirmi alle relazioni sempre un po’ tese tra Sua Ecc.za Monsignor Malan
e l’Ispettore. Le ragioni ed i perché del passato sono troppo noti e non intendo
entrare in particolari. Ovunque però sia il torto e la ragione, il fatto sta che questo
stato di tensione stanca, fa male e disanima. Sempre si spera e si desidera
vivamente

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La crisi della missione tra i Bororo
201
che sia finita ed invece non mai veniamo alla fine, ad ogni momento, per piccole
cosette siamo sempre da capo.
Vorrei esporre fatti, ma al caso lo farò a voce. Monsignor Malan intende ave-
lie sue ragioni ed i suoi diritti ai quali giudica non dover cedere. Altrettanto l'Ispetto-
re. Monsignore vorrebbe che da parte dell'Ispettore si mostrasse verso di Lui una
certa qual deferenza specialmente, per tanti titoli, in riguardo alla Missione e Prela-
zia. L'Ispettore pensa ed intende che come Ispettore deve star libero e non lasciarsi
legare da Monsignore mani e piedi. Dice che verso Monsignore ogni rispetto, ma
nulla più, perché nulla ha da vedere nelle cose dell'Ispettoria. La situazione specie
per noi della Missione è assai critica. Si cerca anche con sacrificio di accontentar
uno e si scontenta l'altro. È facile capire come anche questo sia causa di malumore,
disanimo e assai poco bene faccia a tutti.
5° Come conseguenze di tutte queste diverse cause è che lo spirito religioso, per
quanto si faccia[,] sempre se ne risente. Questo mi pare venga come naturale conse-
guenza, quando si pensi che la vita è così penosa e piena di tanti pericoli di ogni gene-
re[;] che non si può avere il Superiore che rarissime volte, sia in persona sia per corri-
spondenza epistolare];] che i pochi giorni di Esercizi spirituali sono fatti come si può,
ma non certo come, almeno di tanto in tanto, vi sarebbe bisogno. Ben si sa che se vi
è luogo che si debba zelare, perché alto ci conservi in tutti lo spirito religioso è
appunto la Missione fra i selvaggi, ove si è in continuo contatto e si vive in un am-
biente saturo di materialità e di paganesimo che l'immaginazione e la fantasia di chi
non ha provato non può concepire. —
Presentando ai miei venerati Superiori questa mia relazione attesto che ho scrit-
to col fine unico di compier ad un mio dovere pel bene della Missione, facendo
astrazione di tutto che potesse esser personale. Ho scritto colla convinzione più pro-
fonda di dire la verità in base a tutto quello che ho visto, sentito e provato e che
l'esperienza di tanti anni mi insegnò. Ho cercato, fuori da ogni umano sentimento,
far conoscere ai miei Superiori i bisogni della Missione. L'ho fatto in nome dei miei
confratelli, dei quali mi sento fedele interprete, ed ora che ho compiuto con questo
mio sacro dovere, non mi resta altro che pregar il buon Dio perché benedica questa
mia relazione, i gemiti ed i sospiri della nostra amata Missione e che ispiri i Venerati
Superiori e faccia, per l'intercessione della nostra Madre Maria SS. Ausiliatrice, sor-
ger per la nostra Missione indigena del Matto Grosso nuovi giorni e nuova vita.
Chiedendo umile venia di questa mia che pongo nelle mani Paterne dei miei
Venerati Superiori mi professo umilmente devot.mo ed obb.mo figlio
Sac. Antonio Colbacchini
Memorandum de[l] Personale che la Missione del Matto Grosso avrebbe assoluto
bisogno —
Per dare un aiuto efficace ed un incremento alla Missione indigena, colla possibi-
lità anche di estendersi, il personale che sarebbe strettamente necessario sarebbe:
1o Due Sacerdoti, animati di vero spirito Missionario e di una certa qual capaci-
tà ed intelligenza per imp[a]rare la lingua indigena e rendersi più utili alla Missione,
perché posseder la lingua è un fattore essenziale. Che siano disposti alla vera vita di
Missione e che si sappiano adattare facilmente all'ambiente in cui si deve vivere.

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202
Antonio da Silva Ferreira
Un confratello od un sacerdote che potesse servire per maestro di musica, che
sapesse suonare l'armonium[,] far un po’ di scuola di canto e di musica istrumentale.
Da tempo si sente immensamente questa mancanza. La banda di Musica dei Boro-
rós non poté continuare causa la morte del maestro, che non fu sostituito. Aver chi
potesse suonare ed insegnare il canto sarebbe una vera necessità, anche per le fun-
zioni religiose. Si ha proprio bisogno di rialzare il culto e le cerimonie di Chiesa per
mezzo della musica che altamente influisce nell'animo dei selvaggi, propensi, corno
sono per natura, alla musica ed al canto.
Un confratello che potesse servire da falegname per i varii lavori di casa. Un
falegname è una vera necessità per una Missione ove tutto bisogna farsi in casa
coll’opera nostra ed ove non è possibile aver altri mezzi. Meglio ancora se questo
confratello sapesse anche fare un po' di fabbro. Così si potrebbe anche coprire colla
realtà, quello che si pub[b]licò tante volte, che nelle Colonie esistono laboratorii,
officine e si insegnano le arti e mestieri.
Due confratelli che servissero specialmente per i lavori rustici e di campagna.
Attualmente in questo ufficio, e già da molti anni, sono due sacerdoti che passano la
lor vita nel campo lavorando la terra coi selvaggi. Sono sacerdoti e fanno, fuori la
Messa ed il breviario, da veri contadini.
Questo sarebbe il numero di personale che coprirebbe alle più urgenti necessità
e solleverebbe un po' la stanchezza dei confratelli che invocano un soccorso. Ho
esposto il solo e più stretto necessario e spero e confido nella bontà e carità dei Ve-
nerati Superiori perché abbiano pietà della nostra Missione e dei confratelli che in
essa lavorano e si sacrificano da tanti anni.
D. Antonio Colbacchini
- 6 A Don Filippo Rinaldi
Colonia S. Cuore, 3 Dicembre 1924
Rev.mo Signor D. Rinaldi,
Mi è caro porger a Lei, Rev. Superiore, il mio rispettoso ossequio, oggi che mi
ricorda il giorno in cui l'anno scorso inginocchiato ai suoi piedi, Le chiedevo la be-
nedizione prima di partire per questa Missione! — È passato un anno! Il tempo corre
veloce. Mi sembra ieri la mia partenza ed invece è già passato un anno! Vorrei
dirle tante cose di questa Missione, Rev.mo Padre, ma già io ne ho parlato tanto
l'anno scorso ed altri ne avranno parlato e scritto, di modo che mi astengo da parti-
colari. —
Aspettiamo sempre fiduciosi che il buon Dio manifesti la sua Volontà. Stiamo
qui aspettando e sospirando che i Rev.mi Superiori provvedano ai nostri bisogni.
Il nostro Rev. Ispettore quest'anno giudicò di non venire a visitare queste case e
questa Missione. Avrà avuti i suoi giusti e gravi motivi, però si avrebbe tanto deside-
rato fosse venuto! — La distanza del Superiore, le difficoltà di corrispondenza e
comunicazioni, sono già di per sé gravi e portano difficoltà e disagio; la mancata
sua

4.5 Page 35

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La crisi della missione tra i Bororo
203
visita ora ag[g]rava sempre di più la nostra sistuazione.
Nuovamente ripeto[,] in questa mia, ciò che tanto dissi a viva voce e per iscritto
a Lei, Rev.mo Padre e Superiore; noi abbiamo estremo bisogno di un Superiore che
risieda e viva in questa Missione, che possa facilmente e senza tanti e gravi incomodi
visitar queste poche case ed attender ai bisogni dei confratelli. Così come siamo, ci
vediamo e sentiamo come che abbandonati e questo fa male a tutti ed a tutto. La
nostra situazione è veramente precaria sotto ogni aspetto. Preghiamo e supplichia-
mo il Signore voler risolver quanto prima questo così penoso stato di cose.
Non so se Lei avrà ricevute le mie passate lettere. La rivoluzione che perturbò
ogni cosa, son certo avrà trastornato la regolare corrispondenza postale. Ad ogni
modo Rev.mo Signor D. Rinaldi qui si sta lavorando e si fa sempre un po’ di bene
anche in mezzo a tante miserie e difficoltà. Mi conforta pensare che appunto lottan-
do contro tanti ostacoli è che il bene sorge e trionfa. Se tutto progredisse a gonfie
vele, forse sarebbe male e assai poco bene si farebbe; almeno così avendo da soffrire
e da vincere tanti ostacoli e difficoltà teniamo sempre il nostro spirito teso e vivo e
se non altro, speriamo di farci dei meriti pel Paradiso.
Il personale è assai poco ed esausto. I pochi che la bontà dei Superiori mi diedero
e che vennero con me il Signor Ispettore non giudicò bene mandarli alla Missione;
di modo che fin ora non si ebbe qui alcun aiuto e rinforzo. I poveri confratelli che
qui da tanti anni lavorano e soffrono, sentono estremo il bisogno di un aiuto. Certo
è che non è possibile poter più continuar per molto tempo. Facciamo ora sforzi e-
nergici per sostener l’opera e cose nostre, ma ognor più il lavoro aumenta e le for-
ze diminuiscono, di modo che faccio appello nuovamente alla di Lei carità.
È mio dovere prima che termini quat’anno di presentar a Lei, Rev.mo Superio-
re, i miei e nostri più sinceri e figliali auguri di ogni bene e grazia celeste pel nuovo
anno. Questi suoi figli così lontani, isolati dal mondo e dalla società, sempre in mez-
zo a queste lande deserte ed a questi poveri selvaggi, ricordano sempre con tutto
l’affetto il loro Padre e Superiore e per Lei[,] amato Padre[,] sempre pregano. È la
preghiera che ora più che mai ci unisce in Dio al nostro Superiore e sentiamo il con-
forto di esser e star così uniti al nostro Padre. Invochiamo la sua Paterna benedizione
e la scongiuriamo, Rev.mo Signor D. Rinaldi, ad aver pietà di noi ed attender ai
bisogni di questa Missione.
Ho avuto da Lei direttamente le sue formali promesse, le ho trasmesse ai miei
cari confratelli, ora speriamo ed aspettiamo fiduciosi e fidenti che si manifesti presto
la Volontà di Dio e che si risolva questo stato di cose così penoso e triste.
Ora in questa Colonia abbiamo un buon numero di selvaggi e se ci danno da
fare, pur sempre son anime che si incamminano a Dio; anche in riguardo ai selvaggi
abbiamo ora maggiori difficoltà che pel passato dovuto alla deleteria influenza dei
civilizzati cercatori di diamanti che percorrono questa zona.
Preghi per noi, Rev.mo Padre e lo sup[p]lico di ricordar particolarmente questo
suo figlio che La prega di una parola di conforto... Mi benedica e mi abbia sempre
come suo umile ed ubb.mo figlio e
servo in X.to
Sac. Antonio Colbacchini

4.6 Page 36

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204
Antonio da Silva Ferreira
-7-
A Don Antonio Colbacchini
Li 6 Febb. 1925
Caro D. Colbacchini,
ho ricevuto oggi la tua del 3 Dic. coll’altra che descriveva il disastro
sofferto(l).
Io l’aspettava da molto perché non sapevamo nulla di positivo. Pare che la
disgrazia non sia stata quale apparve da principio e speriamo che poco a poco
andranno le cose a posto.
Ciò che ora più ci preoccupa è che nulla è determinato nella regolarizzazione di
cotesta colonia. Sono intervenute tante persone nell’affare che si direbbe che a
Roma non sanno più che via prendere. Vi prego se volete l'ordino di non ricorrere
a tante autorità. Per parte mia io non farò un passo di più. Aspetto che da Roma
comandino.
Sarà questione di tardare qualche mese, ma se nessuno scrive, prenderanno
decisioni. Così non si può andare avanti.
Noi non sappiamo più chi sia responsabile.
Intanto voi siate buoni figliuoli, lavorate; salvate anime che questo è quanto
importa.
Coraggio. Speriamo presto di cominciar una vita nuova.
Salutali i confratelli, le Suore, i tuoi catecumeni e fedeli.
Tuo in C.I.
Sac. F. Rinaldi
-8-
A Don Filippo Rinaldi
Colonia S. Cuore — Barreiro — 12 Giugno 1925
Rev.mo Sig. D. Rinaldi,
Mio venerato Superiore, vengo a Lei nuovamente con tutto il mio cuore a
perorare’ la causa di questa nostra Missione. I mesi passano, la situazione si
aggrava giorno per giorno e si rende ognor più precaria e difficile. Credo sia ben
difficile a Lei Rev.mo Superiore farsi un’esatta idea od immaginare le nostre
difficoltà e la situazione nostra.
(1) Si tratta dell’incendio che aveva devastato molte case della colonia S. Cuore.

4.7 Page 37

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La crisi della missione tra i Bororo
205
Avevamo la speranza della visita del di Lei rappresentante e Visitatore straordi-
nario, ma anche questa svanì. Il Rev.mo Ispettore ci scrisse che il Visitatore, Rev.mo
Signor D. Vespignani, non avrebbe potuto visitar la Missione e che perciò i confra-
telli, desiderando, ricorressero a Lui per scritto, ché non avrebbero potuto farlo di-
versamente. Questa notizia non fu certo molto soddisfacente, ma Dio così vuole e
così sia.
Io La prego Rev.mo Superiore[,] a nome pure dei confratelli di questa Missione
che da tanti anni qui lavorano e si sacrificano[,] a voler volger il suo Cuore ed i[l]
suo pensiero a noi poveri derelitti suoi figli, e porre la sua valida parola di Padre
e Superiore nostro, presso la Suprema Autorità, perché sia concesso a questa mis-
sione quello di cui più urgentemente ha bisogno: del suo Capo, della sua Guida,
del suo Pastore. Oramai qui siamo membra sparse che lavorano[,] si sacrificano e
soffrono, ma senza una testa che possa reggerle[,] guidarle e render il loro lavoro
utile e proficuo. —
Siamo in condizioni precarie all'estremo. Dopo due anni e più avremo forse la
visita dell'Ispettore, ma cosa potrà mai fare lui poverino che vive sempre lontano da
qui, che di tutto questo complesso di cose, dell'organismo di questa Missione, non
ha pratica alcuna, non esperienza né sufficiente idea di questo congiunto di cose
per cui egli stesso ebbe a dire, che viene solo perché costretto dal suo ufficio?
Veda[,] per carità, Rev.mo Padre e Superiore di pensar a questa povera Missio-
ne; credo pure che non è esagerazione o pessimismo il dire che siamo in pessime con-
dizioni e stiamo male. Dio non voglia e permetta un disastro che può venire da un
giorno all'altro. Non sono ancora passati i ricordi funesti di ciò che successe ad una
colonia indigena tenuta dai Missionari Francescani, distrutta e massacrati tutti i
Missoionari e le Suore dai selvaggi e questo or sono pochi anni. Le cause che provo-
carono tal disastro e lo consumarono, sono quelle stesse che pur oggi rendono la
situazione nostra difficile e penosa e che così altamente indispongono i selvaggi
contro di noi. Battiamo oramai per la stessa strada, Dio non permetta che si arrivi
allo stesso fine.
Le insinuazioni di cattivi civilizzati[,] le perfide idee e sentimenti che detti mal-
vagi civilizzati cercano in tutti i modi di inoculare nei poveri ignoranti selvaggi è un
veleno funesto che essi bevono, le cui tristi conseguenze pesano già sopra questa
Missione.
Già in una lettera anteriore ho giudicato mio dovere chiamar l'attenzione dei
Rev. Superiori su questo punto così grave e delicato. Forse nessuno come me può
avvalorare e sondare la situazione nostra. Son più di venti anni che mi trovo tra
questi selvaggi in questa Missione, ebbi con loro le più intime relazioni e forse come
nessuno potei penetrare nell'animo loro e conoscerne i segreti e le più profonde
vibrazioni. Conosco l'indio e so a quanto lo può condurre la sua natura selvaggia,
tanto più quando corrotta e perfidamente stimolata. Per questo mi prendo la libertà,
Rev.mo Signor D. Rinaldi, di scriverle così chiaramente ed apertamente; non vorrei
che il pensiero o la fiducia che nulla accada di male e che le mie sieno mere supposi-
zioni, fosser anche infondate, e che tutto si accomoderà e si risolverà pacificamente,
sia un pensiero che ci porti ad un agire ed ad un insieme di cose suggerite più dall'i-
nesperienza e dalla bontà delle nostre intenzioni, che dalla prudenza. —
Vi è ancor forse tempo di salvare la situazione nostra ed il congiunto di questa
Missione, ma il tempo urge e vi è estremo bisogno di una mano esperta, di una gui-

4.8 Page 38

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206
Antonio da Silva Ferreira
da patria e sicura, di un timoniere accorto e vigile che conosca a fondo i meandri e
scogli di questa Missione. È questa la preghiera umile e fidente che porgiamo a Lei,
Rev.mo Superiore, ed intanto con viva fede eleviamo le nostre supliche al Cuore SS.
di Gesù, perché si degni illuminare i Superiori, manifestare la Sua Volontà e risolver
questa nostra penosa situazione. Ce[r]chiamo noi qui di far tutto ciò che possiamo e
ci sostiene la speranza che il buon Dio non lascierà di benedire i nostri sforzi e venire
in nostro soccorso.
Voglia Rev.mo Signor D. Rinaldi accettare i nostri rispettosi ossequi. Ricordi
questi suoi lontani figli e di cuore benedica tutti noi e preghi la nostra Madre Maria
Ausiliatrice perché sia sempre il nostro più valido aiuto ed il nostro conforto.
Riverente, baciandole la sacra mano, mi professo di V.S.Rev.ma
umile servo in X.to
Sac. Antonio Colbacchini
Colonia Sacro Cuore — Barreiro — 12 Giugno 1925
-9-
A Don Filippo Rinaldi
Colonia S. Cuore 20 Giugno 1925
P.S.
Rev.mo Padre!
Ricevo in questo ultimo momento, che arriva e parte la posta, la notizie che il il
Rev.mo nostro Ispettore è in viaggio da Cuiabà per questa Missione, entro un 15
o più giorni lo aspettiamo qui. Ricevo pure notizia che dalla parte opposta, cioè
Goiaz, è partito il Visitatore Apostolico che in qualità di inviato speciale del Santo
Padre verrà visitare non solo la sede della Prelazia, ma anche queste Colonie. Voglia
il buon Dio benedire queste visite e far sì che tutto volga pel bene, Sua Gloria ed
onore della nostra Congregazione.
Qui noi preghiamo e pregheremo ancor di più, perché Dio benedica tutto e tutti.
La venuta del Visitatore Apostolico per tutto un insieme di cose è di grande e grave
importanza per questa Missione e son contento che coincida colla venuta dell'Ispet-
tore. Dio voglia che sia questa visita fattore principale per risolvere la nostra paurosa
e critica situazione. Preghi anche Lei, Rev.mo Padre, per noi e ci ottenga dalla
Potente nostra Madre Maria Ausiliatrice ogni grazia e benedizione.
In C.I.
Sac. Antonio Colbacchini

4.9 Page 39

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La crisi della missione tra i Bororo 207
- 10 -
A Don Filippo Rinaldi
Corumbà, 4 Ottobre 1925
I.M.I.
Rev.mo ed amat.mo Sig. Don Rinaldi Rettor Maggiore:
Eccomi qua in mezzo ai suoi car.mi figli del Matto Grosso, che per trovarsi qua
in queste missioni così lontane e così bisognose di aiuti spirituali sono di un modo
particolare care al suo paterno cuore. —
Partimmo da S. Paulo il 20 Settembre e la prima stazione fu a Baurù, dove per-
not[t]ammo in un Hotel, celebrai messa presso i PP. Olandesi che hanno quella dila-
tata e fiorente città (potendo ossequiare Mons. Vescovo che era in visita pastorale).
Il giorno dopo 22 eravamo ad Araçatuba, dove trovammo D. Ippolito Chevelon
Dirett. di questa Casa di Corumbà che era venuto ad incontrarci: celebrammo presso
i RR. PP. Cappuccini, che reggono quella Parrocchia. Da Araçatuba a Tres Lagoas,
la prima città del Matto Grosso, situata sul margine del Rio Paranà, il viaggio è più
difficile ed incomodo, specialmente per non esservi orario fisso di arrivo, cosicché
invece di arrivare alle 5 p.m. si arrivò appena alle 10 e più di notte — e fu gran for-
tuna che non passammo la notte sulle sponde del gran fiume, perché la balza su cui
dovevamo passare il Parana non aveva forza per sostenerci e non arrivava mai... Il
caro Lipinski che era uscito da S. Paulo con sintomi di bronchite, peggiorò, e fu
gran fortuna il poter alloggiare presso quel tal Casimiro Onkonski (suo compaesa-
no) che ne ebbe proprio amorevole cura e così potemmo seguire il viaggio il 25 Sett,
per Campo Grande.
Quello che più mi diede pena in Tres Lagoas fu l'assenza veramente inesplicabile
di Don Giardelli (che io aveva visto, parlato e consigliato in S. Paulo, potendo capire
che era uomo incompetente per quella Parroc[c]hia e sommamente indipendente ed
imprudente). Egli si è messo a fare una nuova Chiesina (poco più grande dell'attua-
le... isolata o senza Casa attigua, come sgraziatamente lo sono quasi tutte, eccetto
quelle fatte da Religiosi, come Baurù, Araçatuba, ecc.): entrò in lotta col Près.te
della Commissione per questione delle tegole, che andò a provvedere in altro paese,
avendo fabbrica lo stesso Sindaco e Pres.te della Commissione: ottenne una lettera
dal Vescovo, nella quale questi gli dava un po' di ragione e la volle pubblicare (con
commentarii), mentre il Sindaco pubblicava altra lettera in cui M.or Vescovo sem-
brava stesse dalla sua parte... Buone persone della località s'interposero perché si fa-
cesse la pace; il Sindaco volle dimenticare tutto, ma il più intransigente fu proprio
D. Giardelli (che pretendeva e pretende una pubblica soddisfazione, promessagli dai
contrarii al Sindaco ecc. ecc.). — Egli dunque sa che io mi trovo qua, ma non si fa
vivo con me (e non so se col suo Ispettore). Quindi io trovo che questi Parroci, di
Tres Lagoas, Aquidauana, Campo Grande, e così tutte le altre del Matto Grosso,
sono troppo indipendenti: sarà questo il punto che tratteremo in Cuyabà, per dove
domani m'imbarcherò. —
Io debbo lasciar qui il caro Lipinski, che per [gl]i strapazzi si trova realmente in
cattiva condizione di salute. Il medico (Maggiore dell'Eserc.) che lo visitò in Campo
Grande lo trovò già con polmonia ed appena permise che seguisse il viaggio (con 39

4.10 Page 40

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208
Antonio da Silva Ferreira
e 40 gradi di febbre). Qui lo visitò altro bravo medico dell'Ospedale e dichiarò che il
polmone sinistro è rovinato (ora pare che ci sia più speranza per un miglioramento):
si tratta di salvare l'altro. Preghiamo tanto e lo raccomandiamo al V. D. Bosco, che
in questi giorni ha operato una gran guarigione, proprio miracolosa, in una Suora
paralitica delle Colonie. Il Visitatore Apost.co che è qui ne dà testimonio ed ha
raccomandato che se ne faccia la relazione colle prove e testimonii del fatto. —
È stato provvidenziale l'incontro nostro, col Visitatore Apost.co (P. Gesuita
Reinold(?)[)]: così in due giorni, ieri ed oggi, ho potuto sentire le sue impressioni
riguardo alla nostra Missione di Matto Grosso, molto più perché egli fu Visitatore
prima della C.ia di Gesù o delle loro Case ed ora lo è di tutte le Diocesi (come
Visit.re Apost.co). Egli riconosce il gran bene che si fa, e che si è fatto, in queste
Missioni: vede la necessità di un Collegio di Salesiani ed altro di Suore in Campo
Grande (luogo di grande avvenire per l'ottimo clima, commercio, prodotti, ecc. e poi
assai centrale per servire a molte Città nascenti ed alle molte «fazendas»). —
Dunque sto per imbarcarmi con questo Direttore, D. Ippolito, alla volta di
Cuiabá, dove mi fermerò il tempo necessario (ma là sono in vacanza), cercando però
di non perdere il vapore... per poter arrivare al Paraguay mentre vi sono i ragazzi.
Speriamo che Lipinski migliori... e poi prenderemo un po' di riposo nell'Argentina,
prima di andare a Rio Grande ed a S.ta Caterina (Brasile).
Preghi per noi e faccia pregare per la nostra missione: ci benedica e mentre con
Lei riverisco tutti i car.mi Superiori, mi dichiaro
Ubb.mo aff.mo figlio in G.C.
Sac. Giuseppe Vespignani
5 Ott. Oggi il medico ha trovato il caso Lipinski assai migliorato, ma non in
condizione di accompagnarmi a Cuiabà (con grande suo rincrescimento): Maria
Aus.ce e D. Bosco me lo conserveranno. Così le chiedo e lo spero: egli è per me un
vero Angelo Custode.
- 11 -
Osservazioni fatte e raccolte nella visita al Matto Grosso
(Corumbà 2 ott. Cuyabà 13 ott. e segg. 1925)
Il caro D. Colbacchini manifestò in lunghe conversazioni durante un 12 o 15
giorni (anche mentre facevamo i SS. Esercizi) queste sue idee alquanto pessimiste. In
sostanza sono due le difficoltà:
1o Che il lavoro tra i Bororos non dà quel risultato che si vorrebbe, perché
alcuni dopo essere stati con noi non perseverano e se ne tornano alla vita libera ed
anche selvaggia (questo succede anche fra i giovani da noi educati, di famiglie
ottime, ecc…). —
Tanto nel Matto Grosso, come nel Chaco Paraguayo e nel Rio Negro del
Brasile, non si può formare la «Riduzione» o la Colonia cristiana, come si legge dei
Gesuiti fra i Guarani del Paraguay... Ben si potrebbe dire che gli Indii della
Patagonia (ed

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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La crisi della missione tra i Bororo
209
anche quelli della Terra del Fuoco) non hanno dato miglior risultato: non si è potu-
to rin[n]ovare la natura... —
Solo ci sarebbe da studiare sul metodo di vita, non costringendoli in certo modo
a quell'orario, sistema di alimentazione, di lavoro, ecc. Al trattare coi Missionari i,
che hanno ereditato un metodo o sistema dai primi fondatori della missione, ci oc-
corre il pensiero o l'osservazione = se realmente avre[m]mo interpretato ed applicato
il sistema di D. Bosco anche rispetto agli indii, come sogliamo dirlo di certi collegi
troppo disciplinati e troppo pesanti... = forse ci vorrebbe proprio in tutti una più
ampia paternità nell'indovinare tutti i mezzzi di guadagnare la volontà, la corrispon-
denza, e quindi ispirare fede, amore alla S.ta Religione, e poi lasciarli un po' liberi...
seguendoli, accompagnandoli fin dove è possibile. —
Ci sono degli studi da fare sullo stato morale e fisico dell'indigena... su ciò che
si esige la loro costituzione: p. e. noi li troviamo robusti e snelli, ed ecco che ridotti
alla vita nostra, civilizzata, diventano stentati, tubercolosi, snervati ecc. ecc. Non
sarà che noi abbiamo voluto indurli ad un metodo di vita, che è troppo violento,
troppo contrario alle loro abitudini?... Quando un ragazzo scappa dal collegio nei
primi giorni della vita dell'internato, se si osserva bene o si studia la trasformazione
che si pretendeva fare nei suoi abiti, nell'orario del lavoro, studio, chiesa ecc., si
trova che il poverino era op[p]resso da un peso, da un giogo troppo grave, in-
sop[p]ortabile... (ci sarebbe voluto una buona preparazione... una dolce persuasio-
ne... e poi tutta la possibile condiscendenza...) —
È un problema da risolvere, ed è uno studio da raccomandare a tutti i capi di
Missione... Vediamo infatti che tutte le Congregazioni che hanno missioni stanno
facendo i loro esperimenti, studi, prove... credo che dobbiamo fare altrettanto. Anzi lo
stesso D. Colbacchini mi diceva appunto che, trovando altre tribù da ridurre a vita
cristiana, si pensava modificare un po’ il sistema, — introducendo i tempi di caccia,
di pesca, la vita campestre ecc., come perfino vediamo che ora si fa nelle escursioni,
campamenti, scutistici ecc. ecc. Bisogna togliersi dalla vita monotona, troppo pe-
sante, sempre uguale, senza espansione... senza interessamento... (Capisco che si fa
presto a dirlo: ma anche qui chantas omnia vincit...)
2° L'altra difficoltà è quella di trovare delle nuove tribù, che pare siano disposte
ad accettare la civilizzazione e la fede... M.or Couturon pareva s'incaricasse lui di
andare a visitare quelle tribù più prossime e colle quali si iniziò qualche relazione.
D. Colbacchini diceva anch'egli che sarebbe andato: meglio ancora se vanno da due
parti...
Ma mi sia permesso ricordare ciò che Mons.r Cagliero mi diceva riguardo al si-
stema di Mons.r Fagnano per la Terra del Fuoco (erano due Missionarii abilissimi
pieni dello spirito di D. Bosco, ma andavano per due differenti vie, o almeno aveva-
no un concetto distinto... sarà stato anche per le circostanze dei luoghi e l'indole
degli indigeni): = Ma se io, diceva M.r Cagliero, dovessi sostenere una Missione,
incaricandomi di dar da mangiare a tutta una popolazione... come fa D. Fagnano...
non me la caverei... non lo credo possibile, né vedo che sia il nostro sistema = (e
poi alludeva all'impresa delle pecore, dei terreni da pascolo, ai confratelli intenti a
provvedere il mangiare quotidiano ecc. poi al vapore «Torino», alla goletta «Ma-
ria Aus.ce» che importavano spese enormi). —
Attualmente nel Chaco Paraguayo ho visto che si tiene un sistema medio (per dir

5.2 Page 42

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210
Antonio da Silva Ferreira
così) tra quello di Mons.r Cagliero, che generalm. faceva le escursioni fra gli indii,
catechizzava, dava regali in vitto e vestito, ma non formava riduzioni, né = obrajes
= luoghi di lavoro, imprese ecc. come quelle di M.or Fagnano: questi aveva le ridu-
zioni o Colonie come quelle di Matto Grosso (Candelaria - Isola Dawson ecc.) —
D. Pittini ha fatto come un luogo di rifugio, diremmo una colonia aperta, dove
gl'Indi vanno e vengono, adattandosi alla vita cristiana... che poi si procura conser-
vino anche fuori nella loro vita randaggia... Chissà che non ci sia ancora da studiare
su questo metodo misionario salesiano, e così vedere di ottenere maggiori risultati,
con più soddisfazione dei cari nostri Missionarii, che si vedono invecchiare... (Aiu-
ta molto per questo leggere la storia delle Missioni e le vite di tanti Missionari). Ma
basta... Ho scritto solo per commentare questa lettera di D. Colbacchini.
D. Vespignani
- 12 -
A Don Filippo Rinaldi
Registro de Araguaya, 26 di Ottobre 1925
Preg.mo e R.mo Sig. D. Rinaldi,
Chiamato dal R.mo Visitatore Apostolico, andai a Cuiabà. Cercai di esporre
con tutta sincerità, lo stato attuale della Missione, che, grazie al Signore, è abbastan-
za tranquilliz[z]ante. Mi pare che si fece un'idea esatta dei sacrificii e lavori dei no-
stri missionarii. A quest'ora il Sig. Ispetore avrà già scritto a V.R. a questo riguardo.
Proprio in quei giorni arrivò la nomina del R.mo P. Baptista Couturon per
Amministratore della Prelatura. Io venni un po' prima, per comunicare la nuova e
preparare gli animi a riceverlo, perché qui sentiranno un poco la mia uscita. Fra
tanto, d’accordo col Sig. Ispettore, rimarrò qualche tempo col P. Baptista per aiu-
tarlo in quel che mi sarà possibile.
Causò un po’ di meraviglia a Cuiabà, anche al Sig. Arcivescovo, che non fosse-
ro consultati né Lui né il Sig. Ispettore, per l’indicazione dell’Amministratore Apo-
stolico.
Passando nelle Colonie, trovai tutto in pace: anche questa casa va bene. Di S.ta
Rita anche le notizie sono buone. Non continuai a mandare qualche notizia nel
bollettino perché V. R.ma non mi rispose niente a questo rispetto.
Bacio con figliale affetto la Sua paterna mano e mi dichiaro con venerazione.
Dev.mo figlio in J.C.
Sac. Fraga Ezechiello
Governatore della Prelatura

5.3 Page 43

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La crisi della missione tra i Bororo
211
- 13 -
A Don Pietro Ricaldone
Cuiabà, 29 Ottobre 1925
Car.mo Sig. D. Pietro Ricaldone,
Sono più o meno 3 settimane che ho scritto al[l]a S. Paternità ed ora vengo nuo-
vamente ad insistere sul[l]o stesso argomento.
Abbiamo parlato lungamente c/ D. Vespignani, D. Carrà, D. Aquino, D. Col-
bacchini e la conclusione è quella: personale nuovo, aprire nuovi centri di Missione,
rimontare il morale e fare rivivere l'entusiasmo di altri tempi, perché si possa fare
un po' di bene.
Nelle missioni come n/ colonie del[l’]Araguya dove il personale passa molto
tempo, lontano dai Superiori, lottando c/ gran difficoltà e facendo sacrifici abba-
stanza, quando l'entusiasmo si raffred[d]a, cadono le forze e subito viene certo quale
discoraggiamento. Lo stesso mi diceva la Sig. Ispettrice, loro anche no[n] trovano
personale che voglia venire a M. Grosso. Vuole dire che anche fra di loro c'è anche
quella contropropaganda nefasta fatta da elementi che no[n] potettero resistere nella
Missione... bisogna dunque fare scomparire quella indifferenza con una propaganda
ben organizzata, mandarci urgentemente elementi ben preparati di spirito e lavorare
per questo ideale così sublime di aiutare quei poveri selvaggi a salvare la propria
anima - sogno di D. Bosco.
Per potere fare qualche cosettina penso passare 2 anni almeno senza muovermi
dal[l]a prelazia; così avremo tempo per organizzare la catechese e incam[m]inare le
nostre cose.
Lei, carissimo D. Ricaldone, faccia tutto quanto potrà per mandarci almeno,
almeno mezza dozzina di bravi sacerdoti e confratelli per l'Araguaya e anche vogliano
i n/ cari Superiori raccomandare ai n/ benefattori Matto Grosso. È vero che bisogna
pensare a tutte le nostre Missioni ma M. Grosso ha diritti di precedenza antichi per i
Bororó e nuovi per la tribù che sarà visitata in Aprile o Maggio.
Sarà favore anche farne parola alla buona Madre Generale perché anche loro
si preparino un poco di personale.
Se fosse possibile avere alcune suore infermiere sarebbe una gran cosa per quei
posti lontani dal mondo civilizzato.
La visita del n/ carissimo D. Vespignani è stata per noi tutti una vera grazia e
ne ringraziamo tanto Maria Ausiliatrice ed i nostri ottimi Superiori.
Dunque siamo così intesi, carissimo D. Ricaldone, lei è costituito il nostro pro-
tettore speciale [presso] il Capitolo per tutti gli interessi del[l]a Prelazia in quanto ne
avrò cura. No[n] intendo dire che i nostri superiori maggiori dimentichino M. Gros-
so, neppure passa per l'idea questo pensiero, ma sa bene, bisogna anche aiutare un
poco da lontano, e come le nostre forze no[n] arrivano fin lì dobbiamo scegliere un
protettore tra i nostri protettori. Adesso la Congregazione deve pensare a tanti
centri di Missione che quando c'è un poco di personale i più lontani volere o vo-
lare sono in pericolo.
Scusi tanto le mie impertinenze e nelle sue preghiere ricordi sempre del
Suo Devot.mo e Obblig.mo Servitore
G.B. Couturon

5.4 Page 44

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212
Antonio da Silva Ferreira
Domani parte D. Vespignani per B. Ayres e la settimana entrante e/ D. Colbac-
chini rumo colonie.
La prego di mandare al Registro le mie notizie ed anche i consigli ed am[m]oni
menti che giudicasse opportuno per me e per la Missione.
G.B.C.
- 14 -
Al Card. Guglielmo Van Rossum
Prefetto della S.C. de Propaganda Fide
¬ Registro di Araguaia, 1o Settembre 1926
Eminenza Rev.ma,
L.J.C.
Ho l'onore di inviare a V. Em. la relazione di questa Prelatura di Registro di
Araguaya corrispondente all'anno 1925 p.p.
Dalla sua lettura vedrà V. Em. l'epoca difficile che si attraversò. Questa vasta
zona fu flagellata per più di un anno dalla rivoluzione o guerra civile che principata
in 24 Dicembre 1924 con l'orribile morticinio nel villaggio «Pombas», solo termina-
va il 26 Gennaio del corrente anno con il cambiamento del Governo dello Stato.
Non si possono immaginare tutti gli atti di barbarie perpetrati in questo perio-
do di tempo.
Il quadro delle miserie fisiche e morali già desolante nei tempi ordinari diventò
dav[v]ero spaventevole durante la rivoluzione — gli abitanti fuggiaschi davanti all[e]
orde, il saccheggio, centinaia e centinaia di orfani nel più completo abbandono, centi-
naia di vedove nella dura contingenza di sacrificare il proprio onore e quello delle
figlie per non morire di fame.
E che dire de’ danni portati alle nostre opere? Che pena pel cuore del missiona-
rio non poter soccorrere e salvare tante anime dalla vergogna e dalla fame!
Permetta che diriga a V. Em. questo doloroso appello chiedendo un aiuto spe-
ciale della benemerita opera di Propaganda Fede.
Tanto più che non ci è pervenuta nessuna risposta all'appello che accompagna-
va la relazione del 1924[,] spedita da Cuiabà nel maggio 1925.
Grazie a Dio posso però, tra tante amarezze, dare qualche notizia consolante.
Le colonie degli indi bororós continuano normalmente, ottenendo buoni risultati.
Così notifico a V.Em.za che ho fatto una fruttuosa escursione di due mesi tra
gli indi Carajàs che abitano la parte Nord della nostra Prelatura. Nel prossimo anno
stabiliremo una vera missione tra que' poveri indi.
Questo ci porterà naturalmente molte spese e sacrifizi ma collochiamo la nostra
fiducia nell'amorosa Divina Provvidenza.
Umiliato al bacio della Sacra porpora mi professo
Obb.mo e dev.mo S.
Mons. J. Baptiste Couturon
Am[m]. Apost.

5.5 Page 45

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La crisi della missione tra i Bororo
213
- 15 -
Al Card. Gaetano De Lai
Registro dell'Araguaya, 28 Settembre 1926
Em.mo Sgr. Cardinale Prefetto del[l]a S. C. Concistoriale, (1)
Ossequente alla volontà della S. sede e desideroso di corrispondere alla fiducia
posta in quest'umile persona nell'affidarmi la reggenza della Prelatura di Registro
dell'Araguaya, non appena mi fu possibile ne assunsi l'ufficio il 20 Dicembre p.p.
Le disastrose conseguenze della rivoluzione civile scoppiata il 24 Dicembre
1924, terminata il 26 Gennaio 1926, veniva ad acrescere le difficoltà d'ogni genere
già esistenti nei tempi normali, lasciando nel più doloroso abbandono la ricca zona
diamantífera e costringendo i suoi abitanti a rifugiarsi nelle foreste e negli stati
limitrofi.
Vedendo che sarebbe riuscita infruttuosa la mia visita in quella zona, approfit-
tai del tempo per visitare Mons. Vescovo di Goiaz ed i RR. PP. Domenicani coi
quali corrono comuni interessi spirituali affine di studiare insieme i mezzi più oppor-
tuni pel bene delle anime che la D. Provvidenza mi affidava.
Terminata questa visita mi diressi verso S. Rita per portar conforto e coraggio
ai miei confratelli, colà residenti, ancor sotto l'infuriar di un'accanita lotta civile e
ben per tre volte stretti nel cerchio d'un feroce assedio.
Il 26 Gennaio 1926 gli animi si calmarono e nuovamente spuntava l'aurora di
pace. M'affrettai a visitare i luoghi dove più aveva infuriato la lotta, la zona dia-
mantífera e le fazende vicine.
In seguito, ritornai a Registro dell'Araguaya per organizzare una escursione
missionaria che partiva il 15 Maggio p.p. per la prima visita tra gli indigeni Carajás
che abitano lungo le sponde dell'Araguaya nella parte più al Nord della Prelatura.
La Prelatura può essere divisa in tre parti ben distinte comprendendo le fazen-
das, la zona diamantífera e le Missioni.
Scopo e risultato delle mie escursioni fu vedere da vicino le necessità della Prela-
tura e farmene un'idea esatta.
Giudico mio dovere sottomettere al giudizio di V. Em. il piccolo programma
che con l'aiuto di Dio, mi sono proposto di svolgere.
Le fazendas, disseminate qua e là su una vasta zona, comprendono nuclei isolati
e distinti di proprietari di vaste estensioni di terreno dedicandosi alla cultura dei
bovini e all'industria dell'agricoltura.
In generale posseggono sentimenti di fede sincera che non si spense malgrado
l'abbandono involontario per vari anni del sacerdote e dei sacramenti. Cercheremo
[di] far loro due o tre visite all'anno, in epoche determinate e organizzare centri
per le pratiche religiose con a capo un catechista.
Nella zona diamantifera o dei «garimpi» affluisce continuamente una vera cor-
(1) Secondo l’ Annuario Pontifìcio il Prefetto della S.C.Concistoriale era lo stesso Ponte-
fice Pio XI. Il card. De Lai ne era soltanto il segretario.

5.6 Page 46

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214
Antonio da Silva Ferreira
rente migratoria attratta dalla fertilità del terreno e in modo speciale dalla scoperta
dei diamanti nelle acque dei fiumi.
Pel continuo affluire di cercatori di fortuna a così buon mercato si formano veri
villaggi di un popolo nomade e cosmopolita con manifesto detrimento della fede e
dei buoni costumi.
Procureremo mantenere costantemente due preti in questa zona fissando lor di-
mora nel centro più popolato che attualmente è un villaggio denominato Lageado,
che pel missionario sarà punto strategico.
Procureremo pure provvedere d’una scuola i centri più popolati con maestri di
nostra fiducia per strappare la gioventù dall’atmosfera pestilenziale dei «garimpi».
In alcuni punti già abbiamo conseguito il funzionamento regolare di una scuola pel
sesso mascolino. Tra esse meritano una parola di rilievo le scuole maschili e femmini-
li di Registro e S. Rita dell’Araguaya dirette dai Salesiani e dalle benemerite Figlie
di Maria Ausiliatrice.
La Missione abbraccia due tribù distinte, quella dei Bororos riuniti sotto tre
fiorenti residenze missionarie e la nuova dei Carajàs.
La prima missione che si estende sulle sponde e affluenti del S. Lorenzo, sull’alto
corso dell’Araguaya fino al Rio das Mortes, sulla linea dei displuvi tra il Nord ed il
Sud, fra il 13° e 18° di Lat. Sud e fra il 52° e 57° di Long. Ovest di Greenwich com-
prende anche le tribù dei Bororos vaganti nelle foreste.
Noi procureremo visitar questi indi rivolgendo le nostre cure in modo speciale
verso i bambini riconducendoli alle nostre residenze per educarli.
La Missione centrale è la colonia S. Cuore di Gesù con una superficie di 1.540
kmq. Non si esclude la libertà individuale e l’indio per indole refrattario al lavoro
ed alla civiltà, vien emancipato ricevendo e consolidando ad un tempo l’educazione
religiosa e civile.
La nuova Missione sulle sponde dell’Araguaya, comprende la tribù nomade de-
gli indi Carajás che, per adesso, potranno essere visitati solo ad epoche fisse rima-
nendo tra loro per alcun tempo catechizzandoli e studiando ad un tempo il progetto
ed il luogo per raccogliere i bambini ed educarli.
È indispensabile guadagnarne prima di tutto l’amicizia e la fiducia; proteggerli
contro le insidie degli esploratori che passano, porgere miglioramento alla loro tribù
organizzando una sistematica pesca, che costitu[isc]e la naturale professione ricam-
biandone l’industria con oggetti di prima necessità.
Non sarà possibile aprire una residenza fissa per causa delle forti febbri malari-
che che desolano le rive dell’Araguaya.
La febbre malarica sarà piuttosto il nostro più terribile e forte nemico come
pure dovremo resistere agli sforzi diabolici della propaganda protestante.
Alle sorgenti del Xingù vagano pure altre tribù indigene tra esse quella de’ terri-
bili «Chavantes» che per tanto tempo formarono l’oggetto delle mie riflessioni. Ho
dovuto rassegnarmi per non potermi assumere la responsabilità di avventurare i
miei compagni di viaggio attraverso quelle inospiti e vergini foreste ed esporli forse
alle freccie di quei selvaggi, alle febbri o alle velenose punture degli insetti.
Con l’aiuto di Dio riprenderò la nuova tentativa l’anno venturo.
Questo è il programma che mi propongo di svolgere desiderando sottoporlo
prima a S. Em. chiedendo ad un tempo istruzioni opportune pel bene di questa
Prelatura.

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La crisi della missione tra i Bororo
215
Voglia S. Em. benedire i nostri confratelli Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatri-
ce, questa nostra Prelatura e sue associazioni religiose ed in speciale modo la nuova
missione tra i Carajàs.
Benedica pure questo suo figlio affinché possa impegnar tutte le sue forze pel
bene di tante anime che aspettano la luce della fede.
Obbligm. in C.J.
Mr. Couturon Giov. Battista
Am[m]. Apost.
- 16 -
Al Card. Guglielmo Van Rossum
Registro do Araguaya, 5 Maggio 1927
Eminenza Reverendissima,
Nel presentare la relazione di questa Prelatura di Registro do Araguaya a
V.E.Revma., corrispondente all'anno 1925, non avrei mai pensato che le difficoltà
dell'anno scorso dovessero essere il preludio di sinistri avvenimenti che, dall'Ottobre
a tutto Dicembre del 1926, piombarono sulla nostra Prelatura, sconquassando e
riducendo all'espressione minima le opere esistenti.
Le scene degradanti e gli atti abbominevoli, cinicamente perpetrati dalla sfrena-
ta e rivoluzionaria soldatesca, sono indescrivibili. I danni materiali sono ingenti, ma
il male morale li supera; e molte povere famiglie, spogliate dei loro averi, piangono
dolorosamente la perdita irrimediabile dell'onore. Dai nuovi vandali niente fu
risparmiato.
Il 20 Dicembre u.s. i ribelli arrivarono alla nostra Colonia «S. Coração de Je-
sus». La resistenza che incontrarono da un piccolo contingente legale fu motivo per
farla finita colla Colonia e col personale. Il Direttore, D. Antonio Colbacchini,
vedendo a mal partito la comunità dei confratelli, delle Figlie di Maria Ausiliatrice ed
i suoi cari indigeni, armatosi di eroico coraggio, andò ad incontrare la ciurma che già
invadeva la casa, e presentandosi al comandante, domandò e supplicò che non per-
mettesse il saccheggio della Colonia. Il comandante promise. Così stesso in forni-
menti, animali, ecc., la colonia ebbe un danno di 70 contos di reis (4.280.000 [lire]).
La Colonia «S. José» riceveva la visita dei vandali il 24 Dicembre. Verso le dieci ore le
sentinelle governative davano l'avviso che il nemico si avvicinava. D. Albisetti diede subito
ordine che tutto il personale — lasciato il pranzo — trattasse di fuggire per il bosco. La
confusione ed il panico fecero dimenticare di portarsi qualche cosa da mangiare e da
coprirsi. Sorpresi dalla notte, dovettero sostare la fuga e trattare di riposare. Sforzo inutile...
le zanzare e il rumore delle scariche tornarono impossibile ogni riposo. All’indomani i fug-
gitivi si internarono sempre più. Frattanto le forze legali si ritirarono lasciando morti, mi-
tragliatrici, munizioni, ecc.; i rivoluzionari, finito il combattimento, come furie di inferno,
invasero le case della missione mettendo tutto sottosopra: viveri, bestiame, vestiti, gli stessi
utensili di cucine e refettorio,

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216
Antonio da Silva Ferreira
tutto fu distrutto. Della fiorente colonia «S. José» rimasero solamente i muri.
Io pure, stando in visita, ebbi l'infelicità di incontrarmi con loro, che si impa-
dronirono degli animali di sella e carica della comitiva. Con non pochi sacrifizi
abbiamo potuto raggiungere un punto di rifornimento.
11 totale dei danni della missione è di 41:200.000.
Nella dolorosa attuale situazione mi rivolgo fiducioso alla Benemerita Opera
della Propagazione della Fede per un sussidio straordinario. Siamo proprio per
terra.
Sono lieto di comunicare all'E.V.Revma. che, grazie alla Vergine Ausiliatrice, i
frutti spirituali raccolti nei primi sette mesi della mia visita furono consolanti: 467
Battesimi, 989 Cresime, 92 Matrimoni, 630 prediche, 298 rosari recitati col popolo,
29 cimiteri benedetti, erette 5 croci di missione, applicate 285 Messe, visitati 175
centri di cristianità, percorso a cavallo 2.262 Km. Non è compreso in questi numeri
il lavoro delle colonie e delle sedi parrocchiali, cosicché abbiamo solo motivo di
ringraziare la Divina Provvidenza.
[A] metà Luglio partiremo per visitare gli indii Carajá del nord della Prelatura.
Baciando il sacro anello sono di V.E.Revma. Ubb.e e Obblig.
figlio in CJ.
Mons. Couturon G. Battista
Amm. Apost.
- 17 -
Al Papa Pio XI
15 Novembre 1928
BEATISSIMO PADRE,
Il sottoscritto, Amministratore Apostolico della Prelatura di Registro do Ara-
guaya nel Brasile, umilmente espone quanto segue:
I confini della Prelatura al nord avoest non sono stati finora ben fissati per il
fatto che il corso del fiume Xingù, dato come limite, era poco noto. Detto fiume al
punto della sua ramificazione perde il nome e si divide in cinque rami, tutti con
nome differente e tutti importanti, di modo che è ben difficile determinare quale sia
da tenersi come corso principale. Il terreno che giace tra questi rami fluviali è abitato
da otto tribù di indii, affini di razza e di lingua cogli indii che abitano a oriente
del fiume Xingù, che facilmente si muovono e passano da una parte all'altra di detta
regione. Sarebbe conveniente che fosse dato come limite della Prelatura non il primo
braccio del fiume, il Kuluene, e neppure il secondo, il fiume Kuriseu, ma il terzo,
cioè il Batovy o Tamitatoala, come nell'unita carta si vede segnato con linea rossa. E
ciò per queste ragioni:
1) - Per evitare in seguito ogni questione di confini.
2) - Per stabilire bene i centri di catechesi senza che gli indii escano dal territo-
rio della Prelatura.
3) - Per avere una regione di clima sano e gradevole, dove riunire poco a poco

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La crisi della missione tra i Bororo
217
gli indii che vivono nella regione malsana dell'Araguaya.
4) - Per le maggiori facilità di comunicazione e viabilità.
Il sottoscritto, prostrato al bacio del S. Piede, supplica umilmente la Santità
Vostra perché si degni fissare i confini della Prelatura come sopra si espone.
Che della grazia ecc.
[Mons. Couturon G. Battista
Amm. Apost.]
- 18 -
A Don Antonio Colbacchini
Torino, 1 Febbr. 1929
Caro D. Colbacchini,
mi giunse oggi la tua preg. dell'8 Dic. Grazie delle notizie e dello sfogo alle
tue pene che io condivdo pienamente con te. Tu e voi non potete imaginarvi
quanto grande sia la pena mia di vedere cotesta missione arrestata nella sua marcia
trionfale.
Ora noi vogliamo seriamente la ripresa, vogliamo vedervi animati, vogliamo
salvate le anime.
Tutti scrivono, ma non espongono il medesimo concetto. M. Massa, D. E. Ca-
rra, D. Dalla Via, Mons. Coutouron, tu, carissimo, scrivete tante belle cose, ma
abbiamo bisogno d'unità d'indirizzo. Sentiamo tutti e durante il pros[simo] Cap.
G. vogliamo che siano tutti d'accordo con D. Ricaldone e il Cap. Sup. nel come si
lavorerà in questa ripresa. Siete tutti animati da tanta buona volontà, pregate anche
perché colla grazia di Dio riusciamo a qualche cosa buona e durevole.
Il Brasile è il grande paese dell'avvenire e delle nostre missioni.
Non ho inteso o compreso perché tu non sia andato [a] sostituire Monsignore
nella sua residenza. Di colà avresti potuto dirigere meglio la opera ed illuminare di
più noi. In cotesta missione non potrebbero bastare due preti per ora almeno?
Di qualunque modo conviene che io sappia qual’è la causa della tua ripu-
gnanza.
Salutami i tuoi; incoraggiali a divenire buoni religiosi e missionarii guardante il
V. D. Bosco e cercando di ricopiarne il suo spirito.
Iddio ti benedica. Tuo in Corde I.
Sac. F:. Rinaldi

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Antonio da Silva Ferreira
- 19 -
A Don Antonio Colbacchini
Torino, 21 Dic. 1929
Caro D. Colbacchini,
alla tua preg. del 24 Ott. ricevuta oggi rispondo cogli auguri del prossimo Nata-
le. Quantunque ti arriveranno tardi pregherò il S. Bambino che te li mandi subito e
ti benedica e consoli.
M'interesserò subito perché veda D. Dalla Via di concederti il riposo che chiedi.
Ci vorrà il tempo opportuno per provvedere ma tutto si può fare con un po' di
pazienza. Del resto egli te l'ha offerto.
Mi spiace che tuo fratello mi scriva coll'impressione che tu abbia costì dispiaceri,
contrarietà, disillusioni, sacrifizi. Gli rispondo come mi scrivi tu che hai difficoltà,
responsabilità, sofferenze che non si possono evitare nel missionario e nel religioso.
Qui vult post me venire, abneget... tollat crucem suam... Ti pare che ho risposto bene?
Anzi gli ho detto che quando non ti sei sentito d'andare a S. Rita sostituire M.
Couturon nessuno ti ha fatto rimproveri. A me rincresce che il Dott. Ing. s'immagini
che non ti vogliamo bene: mentre ci sei un caro figliuolo.
Intanto prega perché la missione vada bene; prega pei poveri selvicoli, prega pei
confratelli e le Suore: prega perché tu ti faccia santo. Da parte mia pregherò molto
per te. Iddio ti benedica.
Scusa la fretta. Scrivo nella festa del S. Natale. Felice 1930.
Tuo in Corde I.
Sac. F. Rinaldi
- 20 -
A Don Antonio Colbacchini
Torino, 5 Giugno 930
Mio caro D. Colbacchini,
ho letto la tua lettera del febbraio s. e spero che a quest'ora la presenza di
Mo[n]s. e del Sig. Ispettore ti abbia già rimesso in perfetta tranquillità su quello che
ti è stato in quest'ultimo periodo motivo di pena e di ansie; è il Signore che ha per-
messo così per aumentare il numero dei tuoi meriti in cotesta missione che deve for-
mare la tua grande corona in Cielo. Ma però da parte mia ti dico subito che non c'era
motivo al minimo timore perché non ho mai avuto il minor dubbio sul tuo buono
spirito e sulla tua docilità; se anche qui le cose non ci sono giunte ben chiare, non
per questo ho diminuito la mia confidenza in te; anzi ciò mi ha valso per raccoman-
darti al Signore con maggior frequenza perché comprendevo il tuo maggior bisogno.
Sta pure tranquillo perché l'unica pena che abbiamo è di non poter aiutarvi come
desideremmo ben conoscendo le vostre necessità. Intanto se qualche cosa c'è di nuo-

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La crisi della missione tra i Bororo
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vo, spero che presto ti verrà notificato in una visita del Ispettore o di Mons. che tu
puoi attendere tranquillamente.
Quello che succede credilo pure non ha altro movente che la santa Volontà del
Signore, che, come sembra, vuole ancora dei sacrifici per cotesta cara missione; e
non dubito che Egli ha in te il servo buono e fedele che a tutto è disposto per le sue
pecorelle. Ti animi il pensiero che noi tutti ed io in modo particolarissimo ti siamo
presenti col cuore e col pensiero e desideriamo tanto di essere partecipi delle tue
pene come lo vorremmo essere dei tuoi meriti. Ma non potendo altro preghiamo
pianto, affinché il Signore accertti i tuoi sudori per la redenzione di coteste care ani-
me. Qui ai piedi della nostra Ausiliatrice e del Beato Padre faccio per te un ricordo
continuo affinché Egli ti aiuti e renda meno pesante e spiacevole il tuo isolamento.
Preghiamo perciò tanto per cotesta cara missione e tu prega anche per l’anima mia.
Scrivimi sempre dandomi anche notizie della tua salute che spero vada bene.
Ti invio di cuore la mia paterna benedizione.
Tuo af.mo in C.I.
Sac. F. Rinaldi
- 21 -
A Don Pietro Tirone
Torino, 7 del 1931
Caro D. Tirone,
ti pensiamo già nel nuovo mondo quantunque nulla sappiamo del tuo viaggio
che speriamo sia stato felice.
Io ti scrivo solo per mandarti un saluto e dirti che durante le feste natalizie non
ti ho dimenticato in nessuna occasione; mai ti ho sentito più vicino nelle mie pre-
ghiere e più unito nell'apostolato.
Legatione fungimur. Rappresentiamo il B. D. Bosco insieme. Ti assista questo
buon Padre.
Dal Brasile ricevo lettere sopra tutto dal Matto Grosso. Arrivò Don Congiu,
vuol venire D. Crippa, sono titubanti quelli che dovrebbero ritornare. D. Colbacchini
fu posto dall'Ispettore fuori dalla Missione, anzi dal Matto Grosso.
Il Cap. non si è sentito di dimenticarlo; l'ha lasciato nel Consiglio Isp. e si pensa
di lasciarlo anche Vicario del Prelato il quale se non ha scritto favorevolmente,
nemanco ha dichiarato che non lo vuole più Vicario. Questo per sua norma.
Le questioni noi ora non le vogliamo risolte che dopo il tuo consiglio pondera-
to, cioè quando conosca le cose de visu. D. Colbacchini avrebbe voluto ritornare, ma
io lo consigliai [a] fermarsi ancora qui.
La morte di D. Marto ci ha dolorosamente impressionati; fa a Don Dalla Via
presente il mio sentimento di viva condoglianza.
Il Cap. è un po' impressionato sui giudizi spiatellati con tanta sicurezza dall'isp.
sui suoi dipendenti.
Io scrissi confidenzialmente in foglio a parte a M. Massa che ha lasciato cattiva
impressione sui confratelli del R. Negro le sgridate ed il contegno risentito che ha

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Antonio da Silva Ferreira
conservato con loro nell'ultima sua visita. Così gli dissi che a Roma nella
Propaganda si ha l'impressione che sia troppo affarista. Credetti di dirgli chiaro,
forse con troppo poche parole (perché non istava bene) e mi pare che non gli abbia
fatto piacere. Egli non mi ha risposto (1).
Il resto ad altre volte.
Qui così così. D. Ricaldone è ancora a Cumiana ed il medico minaccia lasciarlo
fino a Marzo. D. Candela è partito pel Belgio e pel Congo.
Io sto abbastanza bene.
Conoscerai già l'arciv. di Torino Mons. Fossati arciv. di Sassari ci conosce
abbastanza.
Il Signore ti guidi nella tua grande missione; ricordati di noi ed in particolare
del tuo in C.I.
attento alla salute!
Sac. F. Rinaldi
Hai portato con te delle piccole Reliquie del B. D. Bosco? Se ne hai bisogno
te ne faremo mandare in quantità.
- 22 -
A Don Antonio Colbacchini
Torino, 3 Feb. 1931
Caro D. A. Colbacchini,
È sempre mia intenzione che ritorni alle Missioni, ma oggi che hanno posto
un altro Dir. alla Col. del S. Cuore, io credo conveniente che disegnino bene la tua
situazione.
Noi ti abbiamo lasciato cons[igliere] ispettoriale ciò che assicura la nostra
volontà: ma solo con pazienza D. P. Tirone ci scriverà il resto.
Abbi pazienza. Tu non puoi imaginare quanto soffra di vederti inquieto chi ti
ama come un benemerito delle Missioni ed un figlio carissimo nel B. D. Bosco.
Tuo in C.I.
S[ac]. F. Rinaldi
(1) Qualche mese dopo, ricevutane la risposta, scriverà Rinaldi: «Mons. Massa scrisse
molto bene con umiltà e sottomissione dimostrando buono spirito». (ASC A 380 lettera
Rinaldi-Tirone 03.05.31).