8_anno5 num1 - 0165-0172


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RECENSIONI
BARZAGHI Gioachino, Tre secoli di storia e pastorale degli Oratori milanesi. Leumann-
Torino, LDC 1985, 461 p.
Il volume è frutto di « una lunga ricerca condotta con rigore e impegno »
(Presentazione, p. 13) su una notevole massa di documenti, raccolti in parecchie cen-
tinaia di cartelle dattiloscritte (Prefazione, p. 15).
La vicenda storica è particolareggiatamente descritta, a partire dalle « origini
remote », già prima del Concilio di Trento, fino alla « modernizzazione dell’Oratorio »
nei primi anni del 1900. La rievocazione degli eventi è articolata in quattro parti,
corrispondenti ad altrettante epoche: la genesi e gli sviluppi dell’opera (confraternita
e scuole) della dottrina cristiana (Parte prima: Dottrina cristiana e oratori); gli svi-
luppi degli Oratori nel Settecento fino alla soppressione giuseppinista e napoleonica
(Parte seconda); il rinnovamento programmatico dell’Ottocento (titolo della terza
parte); gli Oratori tra tradizione e rinnovamento, con il Card. Ferrari, i Congressi
nazionali di Faenza e di Milano (1907 e 1909) e il Convegno diocesano di Monza
(1907) (Parte quarta).
E’ ovviamente lavoro ricco di informazioni, di acquisizioni, di prospettive e di
problemi, suscettibili di più approfondita e critica comprensione nell’ambito di una
più coraggiosa e coerente storia religiosa e sociale.
Pare utile allo scopo esprimere qualche perplessità su due « tesi », che sem-
brano emergere troppo spesso dall’intera ricerca: 1) la dipendenza dell’oratorio di
Don Bosco dall’esperienza milanese degli Oratori; 2) la parallela derivazione ambro-
siana di motivi caratteristici del « sistema preventivo » quale fu attuato e proposto
da Don Bosco.
Persuade una dipendenza del primo tipo quanto al « Regolamento » : non, però,
nel senso che il Regolamento dell’Oratorio di S. Luigi e simili sia « una delle fonti
più assimilate da Don Bosco e più usate » (Barzaghi, p. 176); esso fu piuttosto « traco-
piato », trascritto, mai seriamente e integralmente praticato (cfr. E. CERTA, Annali
della Società Salesiana, voi. IV, 1910-1921. Torino, SEI 1951, p. 7; condiviso nel
volume S. G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell' educazione della gioventù, a
cura di P. Braido. Brescia, La Scuola 1965, p. 357). Ma l’esperienza reale dell’oratorio
è vissuta e largamente attuata da Don Bosco autonomamente e anteriormente ad ogni
contatto con gli oratori milanesi (e i relativi regolamenti), ed è insieme torinese e
personale. Quanto poi alle convergenze ideali e storiche dell'iniziativa di Don Bosco
con Milano è chiaro che esse non coinvolgono soltanto gli Oratori propriamente detti,
ma l’intera secolare tradizione della Dottrina Cristiana e quanto vi si connette (cfr.
Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, a cura di Pietro Braido, vol. II. Roma,
LAS 1981, pp. 308-309).
Analogo, e in prospettiva molto più vasta, sembra dover essere il discorso sul
« sistema preventivo »: esso è aspetto essenziale della tradizione educativa universale,
dall’Oriente antico a Roma, al Cristianesimo con espressioni variamente configurate
nella Patristica, nel Medio Evo, nell'Umanesimo, nell’età moderna e contemporanea.
Esso presenta caratteri più spiccati nelle diverse esperienze di pedagogia cristiana
dal ’500 in poi e, infine, nell’Ottocento con significative affinità di ispirazioni e di

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Recensioni
formule, tra le quali si possono collocare anche « le intuizioni accumulate in due secoli
di pastorale giovanile a Milano » (Barzaghi, p. 258).
Più marginalmente sia consentito manifestare un certo fastidio per uno stile
talora eccessivamente disinvolto, inadatto, pare, all’intenzionale serietà della ricerca
(corredata tra l’altro da impegnative indicazioni bibliografiche e scrupolose indicazioni
di fonti archivistiche). Ricorrono con frequenza enunciati del tipo: « Castellino vuole
che la compagnia non sia un supermarket di vendita di nozioni sacre » (p. 47); « era
così santamente compiaciuto di questo fiore all’occhiello della diocesi da non disde-
gnare un po’ di pubblicità » (il riferimento è al card. Fed. Borromeo e alla Dottrina
Cristiana) (p. 65); « per i giovani della Madonna » l’idonea « mano d’opera qualificata
venne trovata sul mercato eterogeneo dei religiosi » (p. 74); D. Guardi per il suo
oratorio « dopo varie ricerche, al lume della lanterna di Diogene, trovò un soggetto
adatto » (p. 170), ecc.
Sembra di dover segnalare pure talune ridondanze e inesattezze, che si possono
meglio registrare con l’aiuto di un buon testo di storia della catechesi e della Chiesa:
« Catechesi per tutti, ma soprattutto per i ragazzi. S. Carlo è un punto d’arrivo: tenta-
tivi di realizzazione in questo senso pullulano nella seconda metà del Quattrocento in
tutta la penisola » (pp. 42-43); Lutero « nel 1518 aveva pubblicato un catechismo per
fanciulli e, nel 1527, due per adulti, e anche Calvino, attorno allo stesso periodo
pubblicava il proprio: una vera guerra di catechismi» (p. 45); Federico Borromeo,
« il trentenne cardinale veniva eletto nel 1602 alla Cattedra di S. Ambrogio e di S.
Carlo(...). Eletto il 24 aprile 1595 Pastore della Chiesa Milanese, ne prese possesso il
27 agosto dello stesso anno » (p. 64); « il primo stimolo all’azione potrebbe essere
venuto al Cardinale dalla pubblicazione del catechismo del Bellarmino, che aveva
visto la luce nel 1603 col titolo "Dichiarazioni più copiose della Dottrina Cristiana" »
(p. 69).
P. BRAIDO
CASTANO Luigi, Laura la ragazza delle Ande patagoniche. Leumann-Torino, LDC 1983,
175 p.
E’ la seconda edizione di « Laura Vicuña – L’eroica Figlia di Maria delle Ande
patagoniche, Torino, SEI 1958, pp. 275 », che è la prima completa ricostruzione
storico-agiografica della figura di Laura, dopo i processi informativi di Viedma e
Torino degli anni 1955-57.
Questa seconda edizione, tranne un’indicazione delle fonti posta all’inizio (pp.
5-7), ed il primo capitoletto sulla « Attualità di Laura Vicuna » (pp. 11-16), riproduce
sostanzialmente la prima.
Dato lo scopo divulgativo che si propone l’Autore, anche questa, come la pre-
cedente, non l’ha voluta « arricchire — o appesantire che dir si voglia — di note e
richiami a pie di pagina ». Tuttavia egli garantisce che ogni passo e affermazione ha
« la sua convalida in prove attendibili e sicure » e « che tutto ha riscontro nelle fonti
qui presentate in maniera globale e schematica » (p. 5).
La competenza dell’Autore e la sua conoscenza delle fonti come Postulatore
Generale per le Cause dei Santi della Famiglia Salesiana assicurano la serietà del lavoro.
C. COLLI

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Don Bosco nella Bassa Bergamasca. Appunti e Documenti sugli inizi dell’Opera Sale-
siana a Treviglio. Calvenzano (BG), Grafiche Signorelli 1985, 362 p.
Il volume, molto sobrio come illustrazione e ben curato graficamente, si colloca
nell’ambito di quei lavori evocativi editi in particolari occasioni. Qui si trattava di
ricordare i 90 anni dell’Opera salesiana di Treviglio [1892-1982] e di prepararsi al-
l’ormai prossimo centenario della morte di D. Bosco (1988). In simili occasioni è
piuttosto facile cadere nella tentazione di un ripensamento storiografico improntato
ad irritante trionfalismo e ad un ingigantimento della figura dei protagonisti. Merito
del coordinatore del saggio, D. Felice Rizzini — fra l’altro direttore dell’istituto
salesiano di Treviglio — è di essere riuscito a far superare alla ventina di collaboratori
il rischio di un’apologetica per facili palati e di mantenerli fedeli, tra la cronaca e la
ricerca critica, ad una narrazione familiare, ma non per questo meno documentata.
Ne è sorto un volume molto composito, ma di gradevole lettura, specie per chi
vive nell’ambiente della bergamasca e del milanese. Vi hanno collaborato, con pas-
sione ed impegno, un po’ tutti i rappresentanti della « Famiglia salesiana »: confratelli,
Figlie di Maria Ausiliatrice, Volontarie di D. Bosco, Cooperatori e soprattutto Ex allievi.
Vi è chi ha lunga esperienza di scrittura e di ricerca archivistica, come lo storico
locale Tullio Santagiuliana e lo studioso di mons. Portaluppi, Don Piero Perego
— ambedue ex allievi — e v’è pure chi è alle prime armi nel campo storiografico.
Cinque le parti in cui si suddivide il testo: alla ricerca delle profonde radici;
i protagonisti; in cordata dietro D. Bosco; ricordi; alcuni documenti. La prefazione è
dell’ispettore D. Giovanni Battista Bosco.
Punto focale rimane, com’è logico, la figura di D. Bosco, anche se sono poche
le pagine che espressamente ne parlano. E’ un D. Bosco quotidiano, « feriale », che
va a trovare il vescovo di Bergamo, che scrive e chiede aiuti ad amici e benefattori,
che cerca collaboratori... Sembra quasi d’incrociarlo per strada, mentre approfittando
della sosta forzata alla stazione ferroviaria fa quattro passi per Treviglio, volendo
conoscere di persona quella industriosa borgata, alle porte di Milano, che nel 1892
avrebbe accolto i suoi « figli ». E ciò dopo che le reiterate insistenze del clero locale,
del duca Melzi d’Eril e della popolazione avevano vinto le titubanze di D. Bosco e
dei Superiori salesiani, assediati da numerosissime richieste di fondazioni in ogni parte
d’Italia e del mondo. In brevissimi tempi la povertà della sede primitiva si sarebbe
trasformata in un maestoso edificio scolastico con la fattiva collaborazione di grandi
e piccoli benefattori. Una vera gara da parte di persone umili, ma non meno gene-
rose, avrebbe portato all’unificazione dell’Oratorio di S. Carlo con il collegio, all’acqui-
sizione di aree che ne avrebbe favorito ulteriormente lo sviluppo ed una certa auto-
nomia nonché sicurezza economica. In pochi anni, anche al di là degli intendimenti
dei protagonisti, l’Opera salesiana uscì dalla tutela del clero locale, pur mantenendosi
ad esso ossequiente, ed allargava il raggio della propria azione educativo-pastorale
a tutta la zona ed alle province confinanti. Operazione certo non indolore, come si
precisa più volte nel corso del volume. Se ne cercò la colpa nelle persone del tempo,
in piccoli episodi spiacevoli, nelle circostanze. In realtà si andava operando una radi-
cale trasformazione: da opera parrocchiale diventata rapidamente opera «salesiana»,
autonoma, con stile e modalità diverse da quelle perseguite dalla chiesa locale. Essa
dava una decisa prevalenza di impegni e di mezzi più per la scuola che per l’oratorio
e prendeva le distanze dagli interessi locali. E mentre i salesiani si radicavano sempre
più nel contesto trevigliese, D. Bosco divenne uno dei santi più popolari della zona.

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Recensioni
Se la storia è maestra della vita, se la storia non appartiene allo storico, ma è
patrimonio di tutti, allora varie potrebbero essere le lezioni del volume: l’importanza,
anzi l’indispensabilità dell’azione dei cooperatori, la meravigliosa fecondità, per dirla
in termini teologico-spirituali, del « carisma » salesiano, il pericolo che l’istituzione
prevalga sulla creatività e sul coraggio delle origini, il rischio della perdita della
collaborazione con la chiesa locale...
L’obiettivo di evocare gli inizi dell’Opera salesiana di Treviglio, con qualche
rapido richiamo ai tempi successivi, specialmente nella parte terza, in cordata, e nel-
l’appendice documentaria, è più che lodevole in se stessa, considerando che è stata
realizzata con le sole « forze » residenti nella cittadina. Non mancano però difetti e
limiti, riguardo ai quali per altro il coordinatore ha voluto premunirsi mettendo come
sottotitolo « appunti e documenti ». Ci permettiamo di segnalarne alcuni, soprattutto
in funzione didattica per lavori consimili che si preannunciano copiosi per le celebra-
zioni centenarie della morte di D. Bosco.
Anzitutto lo spazio dedicato ai dati, alle persone, alle cose più varie pare ecces-
sivo, e talora a scapito di ciò che più conta, vale a dire dell’analisi e della riflessione
su di essi. Non ci si deve dimenticare che la storia viene depauperata, se non uccisa,
quando i dati, pur completi e precisi, sono staticamente ridotti ad elenchi cronachi-
stici, sia pur collegati da un accenno di racconto. Occorre una visione più ampia che
collochi il proprio oggetto di studio dinamicamente nel suo contesto politico, sociale,
economico, religioso... La storia più vera non è quella événementielle ma quella intesa
come scienza sociale: non la storia semplice narrazione di fatti, ma analisi di problemi.
I dati sottoposti al vaglio di una rigorosa critica diventano storia quando ci si sforza
di penetrarne il significato, d’inserirli in un quadro più vasto che li renda intelligibili.
Ora quale è lo scopo delle 80 pagine (un quarto dell’intero volume) dedicate al sem-
plice elenco dei confratelli tratto dal catalogo generale della congregazione? Inoltre
i rapporti con la comunità civile, gli influssi sociali sia della scuola che dell’Oratorio,
l’apporto dello « spirito », del metodo e dell’azione salesiana nella zona non potevano
forse essere maggiormente evidenziati infondendo vita ai dati e rivivendone le testi-
monianze?
In secondo luogo si dovrebbe prendere in attenta considerazione il fatto che un
soverchio numero di collaboratori può essere causa oltre che di continue ripetizioni
anche di una struttura del volume estremamente segmentata e troppo sottilmente
articolata. Gli inevitabili ristretti orizzonti di ciascun contributo, le metodologie d’inve-
stigazione oltremodo diversificate, la notomizzazione di contenuti e fatti inseparabili
fra loro, la tirannia dello spazio che impedisce di stabilire connessioni e di inquadrare
situazioni ecc. (si veda ad es. la prima parte del volume in questione) pregiudicano
quella sintesi che sola fa sì che la storia anche locale diventi motore di rinnovamento
della vita vissuta e valido strumento di più ampia sintesi, la cui utilità è di tutta
evidenza.
Infine se è vero che le memorie personali i « ricordi » sono elementi preziosi per
la storia in quanto fonti di informazioni che altrimenti andrebbero perse per sempre,
non è men vero che al di là del proposito evidente di mantenersi estranei ad ogni
passione di parte, è facile che la commozione, la simpatia o l’antipatia giochino un
ruolo non indifferente. Le testimonianze « in diretta » dovendo accontentarsi di sin-
gole sparse notazioni, certo illuminanti ma insufficienti ad inquadrarle in un tutto
più organico, possono sollevare perplessità nel lettore meno provveduto ed indurlo
a trarne indebite conclusioni.

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Nonostante tali limiti « intellettuali », comunque comprensibili in chi non fa
della ricerca storica l’unica ragione di vita, non possiamo non condividere con D. Gio-
vanni Battista Bosco l’augurio che da queste pagine di memoria storica « scaturisca
un seguito corale ».
F. MOTTO
GIOVANNI (S.) BOSCO, Memorie. Trascrizione in lingua corrente. Leumann-Torino,
Elle Di Ci 1985, 239 p.
Non so quanto sia saggia, seppure avveduta, questa operazione ideata da Teresio
Bosco e avallata dall’LDC. Resta solo da sperare che questa inattesa « trascrizione in
lingua corrente », dalle fragili basi storiche e filologiche, venga letta e meditata con
i medesimi criteri, che hanno motivato e guidato l’originaria redazione, non così
arcaica da riuscire incomprensibile oggi. Essi sono chiaramente enunciati da Don Bo-
sco stesso nel significativo proemio, che fortunatamente non è in lingua corrente,
appare del tutto decifrabile e conserva il sapore delle cose non sofisticate. « A che
dunque potrà servire questo lavoro? Servirà di norma a superare le difficoltà del
futuro, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come Dio abbia egli
stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di ameno trattenimento,
quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre, e le leggeranno assai
più volentieri quando, chiamato da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò
più tra loro » (MO 16). L'intento narrativo-rievocativo risulta, quindi, nettamente
soverchiato dalla primaria preoccupazione di definire il senso di un’esperienza edu-
cativa globale (« l’Oratorio » - Memorie dell’Oratorio, non per sé « autobiografia »)
e la formulazione di un « programma di azione » affidato, allora, alla « Società di S.
Francesco di Sales », che includeva in concreto anche le opere e le attività dell’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice (non la « famiglia salesiana », come appare « tra-
scritto » in lingua corrente). Prima di essere libro di storia del passato (arricchito di
tutta l'esperienza accumulata in quasi trentacinque anni di impegno educativo sacer-
dotale) le Memorie sono il risultato di una coerente riflessione, che approda a una spi-
ritualità e a una pedagogia: il « sistema preventivo » vi è espresso nella forma più dif-
fusa e completa. Sembra opportuno per maggior chiarezza e a beneficio di potenziali
lettori del fondamentale documento donboschiano, trascrivere quanto si riteneva
valido già vent’anni or sono. « Gli avvenimenti descritti e le cose narrate sono realtà
vissute; ma, con tutta probabilità, non con quella pienezza di significati e quella visione
organica, che conferisce loro l'attuale consapevolezza dell’Autore, giunto alla maturità
dei progetti e delle realizzazioni. Quando scriveva Don Bosco era giù sui 58-60 anni
e riesumava esperienze passate alla luce di positivi traguardi raggiunti e in funzione
di orientamenti e direttive per il futuro. E’ naturale che nel rifare la cronaca delle sue
prime esperienze pastorali e educative interferiscano tra loro e si sovrappongano con-
tinuamente tre piani cronologici e psicologici: i fatti e le intuizioni di allora e la ma-
tura coscienza del loro significato in un presente che li vede precisati, ingranditi e
arricchiti attraverso i difficili, più chiari e compiuti sviluppi successivi, e in un futuro
da garantire e organizzare. Da un punto di vista puramente storico ciò potrà creare
problemi. Ma dal punto di vista di una ricostruzione fedele e complessiva del “sistema”
di azione religiosa, sociale e educativa, nei suoi elementi definitivi, costituisce addi-

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Recensioni
rittura un enorme vantaggio. Le Memorie si distinguono più nettamente da una
“cronaca familiare” per farsi documento riflesso, riassuntivo e programmatico » (Cfr.
S. G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell'educazione della gioventù, a cura di
P. Braido. Brescia, La Scuola 1965, p. 4).
Andrebbe, tra l’altro, rettificato quanto affiora qua e là nella Presentazione. Non
è vero — né sostanzialmente né formalmente — che « don Bosco si mise a scrivere
la storia dei primi anni della sua vita »: raccolse delle Memorie relative all’Oratorio
di S. Francesco di Sales, raggruppandole in tre «decadi» (1825-1835, 1835-1845,
1846-1856), facendole precedere da brevi notizie sulla prima infanzia e dal racconto
del fatidico sogno inaugurale. Non corrisponde a verità che l'edizione, curata da E.
Ceria nel 1946 « rimase riservata agli ambienti salesiani »: fu edita dalla SEI senza
restrizione di destinatari e di acquirenti. E’ ovvio il dissenso su quanto viene affer-
mato circa il testo ora offerto a nuove masse di lettori: in realtà non « viene messo
a disposizione di tutti nella sua assoluta integrità », a meno che con questa formula
non ci si voglia riferire esclusivamente ai contenuti puramente materiali. Non « è stata
solo ritoccata la lingua », ma è radicalmente ritradotto, con l’eliminazione dei « som-
mari » posti da Don Bosco all’inizio dei capitoli, manca talvolta l’esatta corrispondenza
di significato di non pochi termini. L’A. finisce per contraddirsi: non è, forse, il suo,
più che quello di altri, un Don Bosco « filtrato », « censurato » (v. Presentazione)?
P. BRAIDO
GRAS SIANO M. Domenica, La montagna solitaria. Roma, Istituto FMA 1984, 142 p.
Come vien detto nella presentazione di Madre Rosetta il libro vuole essere il
racconto del « come nacque, si sviluppò e crebbe » l’Opera delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice in Giappone.
Poiché tale nascita e sviluppo erano intimamente connessi con colei che fu la
« pioniera » di questa impresa, il lavoro risulta pure una biografia di Sr Letizia Begliatti
anche se, per essere veramente tale, dovrebbero esser colmate lacune (ad es. la parte
che precede la sua partenza per il Giappone) e chiarite con una più precisa documen-
tazione situazioni appena accennate. Dato il carattere divulgativo del libro però non
era questo lo scopo perseguito dall’Autrice.
Pur non avendo pretese scientifiche il lavoro si raccomanda per la serietà con
cui è stata raccolta la documentazione. Difatti leggendolo non è difficile in trasparenza
scorgere le fonti di cui Sr Grassiano si è servita per attingere le sue notizie: mano-
scritti e lettere di Sr Letizia o a Sr Letizia, cronache delle Case, interviste a testimoni
oculari delle persone e dei fatti. Il tutto condito con uno stile che rende piacevole
e stimolante la lettura.
C. COLLI

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Recensioni
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MARTINA Giacomo S.J., Pio IX (1851-1866). Roma, Editrice Pontificia Università
Gregoriana 1986, XIV-760 p.
In questa sede ci si limita semplicemente a segnalare il recente magistrale lavoro
di P. Martina per le molteplici connessioni che esso presenta con la storia salesiana.
Infatti, da Don Bosco e dalla tradizione della sua Famiglia religiosa Pio IX è consi-
derato quasi un confondatore; inoltre, nel periodo considerato (1851-1866), il Santo
piemontese entra più direttamente nell’orbita romana e pontificia; infine, compaiono
numerosi personaggi con i quali egli si incontrerà con esiti contrastanti: i cardinali
Antonelli, Altieri, Barnabò, Berardi, Bilio, Bizzarri, De Luca, Ferrieri, Franchi, Um-
berti, Morichini, Patrizi e altri; si aggiungano mons. Macchi e in particolare l’intran-
sigente mons. Nardi futuro severo critico dell’azione diplomatica di Don Bosco (cfr.
p. 122, n. 58). A Don Bosco rimarrà pure affettuosamente legato per tutta la vita il
settenne protagonista del « caso Mortara » (pp. 31-35), che diventerà più tardi P. Pio
Mortara dei canonici lateranensi, incontrato a S. Pietro in Vincoli nel 1867.
Quanto ai rapporti di Don Bosco con Pio IX in questi anni si accenna alla prima
udienza nel 1858 (p. 55, n. 7), al labile tentativo di mediazione tra S. Sede e Cavour
(p. 60), di cui scrive F. Motto in questo stesso numero della rivista, al possibile con-
fronto di idee a proposito di talune ipotetiche caratteristiche della nascente Società
Salesiana (pp. 239-240), ad altra mediazione del prete di Torino tra S. Sede e Governo
italiano nel 1866 (p. 673).
Ma la fondamentale monografia è importante soprattutto perché aiuta a compren-
dere la complessa figura di Pio IX e, quindi, anche le eventuali convergenze e diver-
genze con l’educatore subalpino nella visione e soluzione dei molteplici intricati pro-
blemi religiosi, politici, sociali.
P. BRAIDO
ROGARI Sandro, Ruralismo e anti-industrialismo di fine secolo. Neofisiocrazia e movi-
mento cooperativo cattolico (Quaderni di storia diretti da Giovanni Spadolini.
Sezione documenti LXVII/10). Firenze, Le Monnier 1984, 272 p.
Come annunzia il titolo, il saggio del R. analizza quel fatto atipico della storia
sociale e politica italiana che fu la cosiddetta neofisiocrazia progettata e promossa
da Stanislao Solari tra fine ’800 e primo ’900. Per quanto riguarda una lettura storica
attinente Don Bosco e le sue opere, gli elementi rilevanti che vi si riscontrano sono il
ruolo saliente in cui sono visti dal R. don Carlo Maria Baratta e l’istituto salesiano
S. Benedetto di Parma tra il 1890 e il 1910, nonché gli accenni al coadiutore Andrea
Accatino, a don Dante Munerati e a don Pietro Ricaldone tra gli epigoni solariani.
R. non si limita ad analizzare — come aveva già fatto precedentemente Francesco
Canali — la neofisiocrazia nei suoi difficili rapporti con il movimento cattolico, ma
estende la sua attenzione ai fattori culturali, economici e politici che determinarono
prima il momentaneo successo e poi il declino della proposta solariana. Tra i fattori
sociali del successo R., oltre che la ben nota arcadica idealizzazione della civilità agri-
cola in contrapposizione agli abbrutimenti delinquenziali che si attribuivano alla fab-
brica e alla città, indica il favore o l’interesse che poterono prestare a questioni tec-
niche e sociali aree del mondo agrario prevalentemente padronale e conservatore. Uti-

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Recensioni
lizzando minutissimamente la corrispondenza epistolare e altre carte di don Baratta
conservate presso l’ACS vede buona parte del successo solariano come il frutto delle
doti educative, organizzatrici e divulgatrici di don Baratta nell’ambito di un’istituzione
religiosa — quella educativa salesiana — ch’era allora in fase espansiva in Italia e
altrove. Merito del R. è l’avere sottolineato nel pensiero e nel programma del Solari
la matrice non intimamente (o quanto meno, non profondamente e maturamente) cat-
tolica. Il sistema o programma di Stanislao Solari, per quanto valido in alcune indi-
cazioni di tecnica agraria (circa la rifertilizzazione del terreno), era in realtà frutto
di scientismo pseudoscientifico allargato a fumoso programma di ricivilizzazione che
doveva operarsi nel libero gioco del mercato agricolo dagli uomini di buona volontà.
Per quanto brillantemente ordinato e divulgato dal Baratta e da altri, questo « sistema »
avrebbe rivelato la sua farraginosità e fragilità ideologica ai primi attacchi mossi da
personaggi di non primissima rilevanza teorizzatrice nell'ambito del movimento cattolico.
A mia volta sulle pagine di questa rivista (RSS II, 1983, 223-251) ho avuto
modo di mettere in rilievo il precario connubio non solo con il movimento cattolico,
ma anche con il quadro istituzionale della Chiesa italiana di allora e in particolare
con quello della congregazione dei salesiani di don Bosco. Gli oratori, opera educa-
tiva emblematica di don Bosco e dei suoi figli, come polarizzazione spontanea di masse
giovanili avevano sede ottimale nelle periferie della città in quel periodo di inurba-
mento operaio; la gravitazione dell’esperienza salesiana era pertanto più nella città
che nella campagna. A ben guardare le proposte solariane del Baratta non scendono
in contrasto con il programma pratico e con la vocazione salesiana, quale veniva allora
sentita. Il ruralismo ch’egli propone è più che altro in funzione di un riequilibrio
ideale della società. Il liberismo che don Baratta ottimisticamente sostiene richia-
mandosi a Stanislao Solari, riflette in parte l’euforia e l’umanesimo dell’istituzione
salesiana che, non contrastata dall’Italia « legale », sperimentava il sostegno della
carità privata, cioè in un certo senso, di forme d’intervento che apparivano allora
come il prodotto del modello sociale e politico liberale. Ma don Baratta si rivela
anzitutto educatore di giovani all’interno della vocazione di « figlio di don Bosco ».
A ben riflettere, lui, il più brillante ed efficace divulgatore della dottrina solariana,
si rivela alla radice forse non fino in fondo solariano ortodosso. In altre parole a mio
avviso l’appoggio dell’istituzione salesiana alla neofisiocrazia fu esterno, limitato e con
riserva. Il programma solariano, grazie soprattutto a don Baratta, divenne piuttosto
suggerimento e occasione scatenante per l’inserimento anche delle scuole agricole nel
programma educativo salesiano.
R. svolge la sua indagine prestando attenzione all’ambiente italiano e rivelandosi
sul solco storiografico del suo maestro Giovanni Spadolini. Un’impostazione inter-
pretativa attenta alle connessioni europee e mondiali potrà ulteriormente dar risalto
a strutture economiche abbastanza omogenee e comunque tra loro connesse delle aree
mediterranee e dell’America latina. In tal modo è possibile dare un senso più com-
piuto alle iniziative di don Pietro Ricaldone nella penisola iberica e di altri che in
Palestina, in Argentina e altrove richiamandosi alla « scuola solariana » promossero
pubblicazioni e diedero vita a notevoli aziende agricole educative.
PIETRO STELLA