Missione italiana nella Lorena: la prima fondazione salesiana “tedesca” … 325
e del centro Italia, ossia le province degli emigrati, con cui egli aveva contatti: Parma,
Pesaro, Mantova, Casale, Udine, Milano, Vicenza (2 dicembre 1908); Siena, Firenze,
Modena, Novara, Reggio Emilia, Verona, Cremona, L’Aquila (10 dicembre 1908);
Novara, L’Aquila, Reggio Emilia, Modena, Pesaro (13 dicembre 1908); Verona (22
dicembre 1908); Ancona, Verona, Belluno, Mantova, Como, Firenze, Arezzo (8 gen-
naio 1909).
L’ispettore don Scaloni visitò la nuova istituzione il 22 aprile 1909. Anzitutto
vide i problemi che Branda e Pfandner incontravano, notò il loro grande zelo e pro-
pose di intensificare l’impegno salesiano nella Lorena. Negativamente riscontrò la
mancanza di una propria cappella, l’ignoranza religiosa e l’immoralità degli italiani
provenienti per la maggior parte dalla Romagna e dall’Abruzzo (il fatto che Scaloni
nominasse qui donne e uomini, può essere così interpretato che egli avesse in mente
le convivenze). In più c’era la mancanza di conoscenza del tedesco da parte di
Branda come il rapporto troppo teso tra lui e Pfandner. Quest’ultimo si sarebbe la-
mentato dello stile e del modo con cui veniva trattato da don Branda, il quale per
altro era molto zelante per il bene spirituale degli italiani, tanto da essere riconosciuto
e apprezzato dalla direzione diocesana e dai parroci.
Scaloni constatò che il lavoro a Diedenhofen superava le forze di un solo uomo,
per cui si rendeva necessario un prete salesiano dell’età dai 40 ai 50 anni. Ma ci sa-
rebbero stati problemi finanziari, poiché Branda disponeva in tutto di una somma an-
nuale da 2.500 a 3.000 marchi, e ciò era sufficiente per il mantenimento di due con-
fratelli, ma assolutamente non per tre. Nell’insieme ci sarebbero stati nella Lorena
quattro missioni salesiane. Mentre a Metz, Groß-Moyeuvre e Hayingen operavano sa-
cerdoti dell’“Opera di assistenza”, i Salesiani erano presenti a Diedenhofen. Per i tre
sacerdoti di Bonomelli, la direzione diocesana era propensa a sostituirli con i sale-
siani. Se mons. Bonomelli fosse stato d’accordo che con i salesiani sarebbe andata
meglio la pastorale tra gli italiani, la direzione diocesana era pronta a trattare sia con
mons. Bonomelli che con il cardinale Andrea Ferrari (1850-1921) di Milano. Scaloni
avvertì che i tre sacerdoti secolari erano esposti a molti pericoli, mentre se al loro
posto fossero entrati i salesiani, le missioni italiane avrebbero avuto un orientamento
unitario. Propose di cercare tre sacerdoti già di una certa età, ossia “Figli di Maria”,
che sarebbero stati guidati da don Branda ed eventualmente avrebbero potuto anche
vivere insieme.
Il 5 giugno 1909 don Branda mandò al Rettor maggiore il 5 giugno 1909 una
relazione dettagliata sulla sua attività, descrivendone pure il metodo pastorale.
Dapprima attirò tuttavia l’attenzione sul fatto che a suo giudizio nella fonda-
zione dell’opera si erano compiuti due errori. Anzitutto il luogo della missione non
era stato scelto opportunamente. Nella città di Diedenhofen non c’era nessun italiano.
Gli altri pastori degli italiani nella Lorena vivevano in mezzo a grandi colonie della
loro gente, così che di domenica avevano da celebrare una sola Messa e anche la
scuola di catechismo incontrava poche difficoltà. Nel circondario di Diedenhofen
invece la popolazione italiana era molto più fluttuante.
In secondo luogo l’ambiente della missione era troppo grande e assai sterile.
Egli celebrava messe domenicali in otto paesi, rispettivamente due ogni domenica. I