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TRA I « DOCUMENTI » DELLA STORIA:
L'ESPERIENZA VISSUTA
Pietro Braido
A differenza di uomini e di istituzioni prevalentemente rivolti ad
attività scientifiche, Don Bosco e la Società Salesiana si caratterizzano
per uno spiccato orientamento all'azione, alla carità educativa in atto.
Vi è inclusa, certo, l'indispensabile riflessione; in certi casi la ricer-
ca sistematica; in alcune strutture è coltivato anche lo studio propria-
mente scientifico.
Ma il primato di attenzione, di impegno e di sviluppo compete al-
l'aspetto pratico e operativo.
1. Don Bosco « un santo di azione »1
Ciò vale, in primo luogo, per la storia di Don Bosco, uomo labo-
riosissimo, la cui santità, come attesta uno dei primi alunni, Giacinto
Ballesio, si traduce in « un continuo esercizio di carità cristiana verso
il prossimo »;2 nelle varie espressioni e qualifiche: prete, educatore, fon-
datore, scrittore, organizzatore di istituzioni formative, scolastiche, pro-
fessionali, ricreative, realizzatore di imprese editoriali e civilizzatrici.3
Ma, al di là dell'evidente attivismo di fatto, va sottolineata inoltre
la mentalità pratica, la propensione pragmatica che ispira e contrassegna
1 « Chi ha studiato Don Bosco solo a traverso la sua intensa attività, lo ha de-
finito un santo di azione; e veramente egli fu tale » (C. SALOTTI, Il Santo Giovan-
ni Bosco. SEI, Torino 19343, p. 497).
2 Cit. da A. AMADEI, Don Bosco e il suo apostolato, vol. I (SEI, Torino
19402), p. 398 (cfr. pp. 398-405: Enorme lavoro quotidiano).
3 A. Caviglia scrive della « supervocazione » di Don Bosco, « l'apostolato del-
le anime nell'esercizio della carità educativa e redimente tra gli umili e i poveri
della gioventù e del popolo » (A. CAVIGLIA, « Don Bosco ». Profilo storico. SEI,
Torino 19342, pp. 99-100).

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TRA I « DOCUMENTI » DELLA STORIA: L'ESPERIENZA VISSUTA
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tutte le attività, comprese quelle in qualche modo « riflesse ». Tutte,
senza distinzione, si rivelano nelle intenzioni e nelle modalità eminente-
mente funzionali. « E' l'impegno d'un uomo positivo, un ingegno che
vuole il concreto e il reale, e rifugge da tutto ciò ch'è pura parola. Il
senso del reale apparisce nel suo parlare come nel suo agire, come per-
fino nell'ascoltare altrui (...). L'Uomo è ispirato e condotto da Dio, e gli
obbedisce e si confida in Lui: ma è pure uno spirito pratico e realisti-
co, che non va dietro a fantasie, e misura i suoi passi, sia pure col me-
tro di Dio ».4
Uno dei primi studiosi del sistema di educazione praticato e pro-
posto da Don Bosco, Bartolomeo Fascie, trovava in lui una « mente so-
stanziata di praticità e di buon senso, aliena dalle astrattezze, dalla teo-
ricità e dall'intellettualità pura »,5 concludendo che « questa sobria pra-
ticità era poi uno dei suoi distintivi più spiccati».6 Don Bosco stesso,
del resto, sembra quasi tracciare l'autoritratto quando, vicino ai sessantan-
ni, racconta del passaggio dagli studi di teologia nel seminario di Chieri
al Convitto ecclesiastico di Torino e dà di questo la seguente non im-
parziale caratterizzazione: « Il Convitto Ecclesiastico si può chiamare un
complemento dello studio teologico, perciocché ne' nostri seminarii si
studia soltanto la dommatica, la speculativa; di morale si studia soltanto
le proposizioni controverse. Qui si impara ad essere preti ».7 « Egli è
tutto vita e vita straripante da ogni parte », scrive un altro autore che
ha tentato un profilo della sua spiritualità di uomo di azione.8
4 A. CAVIGLIA, O.C., pp. 96-97. Anche J. Aubry sottolinea in Don Bosco il rea-
lismo del costruttore (in G. Bosco, Scritti spirituali. Introduzione, scelta dei testi
e note a cura di J. Aubry. Città Nuova editrice, Roma 1976, vol. I, pp. 35-38).
5 B. FASCIE, Del metodo educativo di Don Bosco. Fonti e commenti. SEI,
Torino 1927, p. 20.
6 B. FASCIE, O.C., p. 22.
7 MO 121.
8 P. CRAS, La spiritualité d'un homme d'action: saint Jean Bosco, in « Vie
Spirituelle» 20 (1938), t. LIV, janvier-mars, pp. 278-292; sul primato dell'azione
scrive pure E. VALENTINI, La spiritualità di Don Bosco, in « Salesianum » 14 (1952)
132-133; sul Service de Dieu par l'action, sulla sainteté par l'action, quale nota
caratteristica della personalità e della spiritualità di Don Bosco, pone l'accento F. Des-
ramaut in una pregevole monografia su Don Bosco et la vie spirituelle (Beauchesne,
Paris 1967, pp. 236-244, 265-266), concludendo: « ... à coup sûr, Don Bosco n'a
jamais éprouvé la moindre tentation de quiétisme » (p. 266); e P. Brocardo elabora
un attendibile saggio su Don Bosco « profeta di santità » per la nuova cultura del-
la prassi, dell'azione, del lavoro (nel vol. Spiritualità dell'azione, a cura di Mario
Midali. LAS, Roma 1977, pp. 179-206).

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76 PIETRO BRAIDO
2. Attivismo istituzionale
La storia salesiana doveva necessariamente collocarsi al medesimo
livello. Non è un segreto che i Salesiani furono generalmente visti e
si percepirono come uomini di azione, pratici, immersi nella quoti-
diana vita di lavoro in favore dei giovani: assistenti, organizzatori, edu-
catori, insegnanti, maestri d'arte, missionari. Li incoraggiava in questa
direzione un'interpretazione pratica, spesso irriflessa, di un articolo, non
originale ma derivato, delle Costituzioni: « Gesù Cristo cominciò a fare
e insegnare, così i congregati comincieranno a perfezionare se stessi colla
pratica delle interne ed esterne virtù, coll'acquisto della scienza, dipoi
si adopreranno a benefizio del prossimo » (redazione ms. del 1858-59).
Tra le virtù da acquistare, e poi da praticare, la prima era naturalmente
la carità spirituale e materiale verso il prossimo, in particolare verso i
giovani. In sostanza i « salesiani si sarebbero santificati mediante la loro
carità attiva ».9 Ed è talmente chiara la coscienza di una « vita actuosa »,
di intensissima « vita attiva », che attraverso le varie redazioni, nel ca-
pitolo relativo alle « pratiche di pietà », si raccomanda di supplire alla
prevedibile difficoltà di compierne molte in comune « col vicendevole
buon esempio e col perfetto adempimento dei doveri generali del cristiano ».
Appare feconda anche per la ricerca storica la costatazione che « l'espe-
rienza salesiana nella vita della Chiesa e nella storia della cultura è unita-
riamente e inscindibilmente realtà attuata, riflessione consapevole, tradi-
zione scritta. I tre aspetti non si possono disgiungere; l'uno spiega e illu-
mina gli altri. Perciò non è possibile adeguato accostamento agli elementi
9 F. DESRAMAUT, Una « nuova » congregazione al servizio dei giovani del XIX
secolo, nel vol. Il servizio salesiano ai giovani, Barcellona, 1-4 settembre 1970 (LDC,
Leumann-Torino 1971), p. 51. Cfr. F. DESRAMAUT, Lo scopo della Società nelle Co-
stituzioni Salesiane, nel vol. La missione dei Salesiani nella Chiesa. Contributi (LDC,
Leumann-Torino 1970), pp. 65-85; P. STELLA, Le Costituzioni salesiane fino al 1888,
nel vol. Fedeltà e rinnovamento. Studi sulle Costituzioni salesiane (LAS, Roma 1974),
pp. 15-54. Una tipica interpretazione « salesiana » del rapporto fare-insegnare si può
trovare in un contributo di B. BELLERATE, Il significato storico del sistema educa-
tivo di Don Bosco nel sec. XIX e in prospettiva futura, nel vol. Il sistema educa-
tivo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova (LDC, Leumann-Torino 1973): « Don
Bosco era certamente in linea con quello che è stato scritto di Gesù quando se ne
è segnalata la priorità del fare sull'insegnare (Atti, 1,1). Anche il nostro Padre ha
cominciato con l'agire, con l'intervento e poi, a poco a poco, ha tentato varie enun-
ciazioni e codificazioni, se non proprio teorizzazioni di questo suo modo di agire »
(p. 35).

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teorici e alla documentazione scritta delle varie forme di attività di Don
Bosco, delle sue istituzioni, di quanti a lui si ispirano, senza un permanente
sostanziale riferimento ai fattori personali, biografici, esperienziali ».10
3. La « verbalizzazione » al di qua della vita
Don Bosco, dunque, è apparso universalmente uomo di azione, più
uomo di azione che teorico; in ogni caso, un attore le cui intenzioni ope-
rative e attività trasbordano ampiamente ciò che egli ha voluto o potuto
teorizzare. Avviene, più o meno in tutti i settori, quanto osserva Bartolo-
meo Fascie circa l'universo pedagogico: « Ecco dunque che se è mancato il
libro scritto, non manca però l'opera viva, piena e continuativa, nella quale
il sistema educativo si appalesa nella sua piena efficienza e integrità, tanto
nella parte direttiva, come in quella pratica ».11
Partono sostanzialmente da questo presupposto, che sembra storica-
mente ovvio, i moltissimi che hanno sottolineato la necessità di non fer-
marsi, nella rievocazione della figura di Don Bosco e della vita salesiana
in genere, alle sole documentazioni riflesse, in certo senso « teoriche »: o
giuridiche o regolamentari o orientative. Afferma giustamente R. Farina:
« Il vero Don Bosco è quello che risulta da una considerazione globale,
unitaria e vitale, di tutti i suoi scritti, di tutte le sue realizzazioni e scelte
operative e di tutta la sua vita ».12
Che l'esperienza vissuta superasse la effettiva possibilità di trascrizio-
ni verbali fu presentito o intuito da quanti parlarono nel passato di « tra-
dizioni » donboschiane e salesiane, da raccogliere e da trasmettere, senza
l'illusione tuttavia di riprodurne l'integrale ricchezza, comunicabile, in de-
10 P. BRAIDO, Prefazione al vol. di P. STELLA, Gli scritti a stampa di S. Gio-
vanni Bosco. LAS, Roma 1977, p. 10.
11 B. FASCIE, Del metodo educativo di Don Bosco, p. 24.
12 R. FARINA, Leggere Don Bosco oggi. Note e suggestioni metodologiche, nel
vol. La formazione permanente interpella gli Istituti religiosi (LDC, Leumann-Tori-
no 1976), p. 351. Si è tornati più volte su questo tema, e soprattutto nell'introdu-
zione al vol. S. Giov. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell'educazione della gio-
ventù. Introduzione, presentazione e indici alfabetico e sistematico a cura di Pietro
Braido (La Scuola, Brescia 1965), pp. XXXIV-XLIII, e nello Estudio introductorio
a San Juan Bosco, Obras fundamentales. Edición dirigida por Juan Canals Pujol
y Antonio Martínez Azcona (BAC, Madrid 1978), pp. XVI-XIX.

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PIETRO BRAIDO
finitiva, soltanto mediante l'esperienza convinta e riappropriata di singoli e di
comunità.13
Dopo Paolo Albera, che sfiora appena il problema,14 vi si riferiscono
con particolare insistenza Filippo Rinaldi e Pietro Ricaldone. D. Rinaldi,
anzitutto, pur apprezzando il sapere, la scienza («è il sale della terra »),
vede nei salesiani più e oltre che « scienziati, sapienti e professionisti »,
degli operatori, impegnati nell'esercizio concreto del loro « originario apo-
stolato educativo ».15 In esso non sarà importante la fedeltà alle regole
scritte, ma l'assimilazione delle tradizioni, che « danno il colore e impri-
mono il carattere della (...) società e missione » salesiana, perché sono il
« libro vivente, scritto dall'amore del Padre ».16 E sullo stesso concetto
ritorna con scontato vigore D. Pietro Ricaldone.17
4. Una « bibliografia » parzialmente inedita
La storia e l'Istituto Storico Salesiano dovranno, pertanto, tener conto di una
più valida e significativa « bibliografia »: la documentazione, la
lettura e lo studio dell'esperienza il più possibile immediata e sinottica del-
l'azione salesiana come sintesi di progetto, proposta, offerta e di doman-
da ed esigenze provenienti dalla realtà giovanile e popolare tra cui essa
si svolge.
Ne derivano conseguenze non irrilevanti per il « fare storia » in que-
sto contesto del tutto caratteristico nei vari indispensabili momenti: 1) la
raccolta e la pubblicazione dei « documenti » sotto forma di fonti e di studi;
2) la lettura di ciascuno di essi non come un tutto autosufficiente e signi-
ficativo, ma come frammento di un'esperienza globale; 3) l'interpretazione
storica, in parte almeno necessariamente diacronica e contestuale, senza
ignorare l'inevitabile sincronia, la ripetitività e i determinismi strutturali;
4) la valutazione critica.
13 Cfr. P. STELLA, Don Bosco e le trasformazioni sociali e religiose del suo
tempo, nel vol. La famiglia salesiana riflette sulla sua vocazione nella Chiesa di oggi
(LDC, Torino 1973), pp. 168-170.
14 Lettere circolari di D. Paolo Albera ai Salesiani (SEI, Torino 1922), p. 20.
15 F. RINALDI, in «Atti del Capitolo Superiore» 11 (1930), 21 dicembre,
pp. 922-923.
16 F. RINALDI, Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni, in « Atti del
Capitolo Superiore» 12 (1931), 26 aprile, n. 56, pp. 935-936.
17 P. RICALDONE, Fedeltà a Don Bosco santo (SEI, Torino 1936), pp. 66-71
(Tradizioni salesiane).

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TRA I « DOCUMENTI » DELLA STORIA: L'ESPERIENZA VISSUTA
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E' necessario che nulla di quanto aiuta a cogliere, comprendere e va-
lutare l'esperienza globale venga trascurato e disatteso; è importante che
non ci si fermi ai documenti giuridicamente o scientificamente rilevanti e
che in ogni momento si tenga ben presente la qualità, il livello, il signi-
ficato della documentazione disponibile, in grado di dare consistenza alle
varie fasi del precario lavoro storico.
E', certo, importante che l'esperienza donboschiana e salesiana non ri-
manga sepolta negli archivi, ma è pure indispensabile che essa non venga
identificata con i documenti di archivio. E' decisivo che la ricerca sappia
cogliere nella sua concretezza una presenza, spesso umile, raramente « dot-
ta », solo sporadicamente teorizzata e scientificamente giustificata, nel mon-
do giovanile, ecclesiale e civile con limiti ed eventuali pregi, non sempre
messaggio, più frequentemente testimonianza, semplice, popolana, ammire-
vole e criticabile.
5. Ipotesi per una documentazione e ricostruzione dell'ineffabile
Quando D. Filippo Rinaldi parla delle tradizioni, si riferisce a docu-
menti ben configurabili, taluni dovuti, come si è visto, ai discepoli della
prima ora. « Questi, prima ancora che avessero le Regole scritte da Lui e
approvate dalla Chiesa, mentre si assimilavano i suoi preziosi ammaestra-
menti ed esempi, si fecero premura di raccogliere nelle loro Memorie e
Cronache, gli orari, le disposizioni, le norme, gli ordini, i fervorini, le
Buone Notti e quant'altro venisse fatto da D. Bosco e che lor sembrasse
degno di nota, perché presentivano che la loro opera sarebbe stata utile
nell'avvenire ».18
Molto materiale corrisponde in sostanza a quel libro dell'esperien-
za, che Don Bosco raccomandava di compilare e che qualcuno effetti-
vamente ha redatto.19 Ma questo contributo pur essenziale per la rico-
struzione dell'esperienza salesiana, non la esaurisce. Essa, infatti, è co-
stituita da un più, in parte inesprimibile: è uno stile, un clima, un at-
teggiarsi di persone e di comunità, che andrebbe percepito « visivamen-
18 F. RINALDI, Conserviamo e pratichiamo le nostre tradizioni, p. 936; cfr. an-
che MB 7, 523.
19 Domenico Ruffino ( + 1865) ne ha lasciati due relativi al 1864 e al 1865
(ASC 110).

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te », colto al vivo. « Nessun libro d'arte potrà sostituire la visione del
capolavoro artistico e la sua esperienza intuitiva e comprensiva ».20
Potranno servire allo scopo i più minuti documenti quotidiani e
i sussidi più vari. Tra essi si potrebbero elencare: 1) i programmi di
istituzioni e di gruppi; i manifesti e i fogli volanti relativi ad attività
scolastiche, ricreative, catechistiche, religiose; 2) i disegni, le fotografie,
le riprese cinematografiche di persone, di gruppi, di istituzioni; carte,
immagini, chiese, lapidi, monumenti, strumenti; 3) diari, testimonianze,
ricordi, memorie; 4) l'eterogenea produzione letteraria, artistica (teatro,
musica, poesia), scolastica, pedagogica, didattica, ricreativa in chiave gio-
vanile e popolare.
Nella lettura, nell'edizione e nell'interpretazione dell'intera docu-
mentazione sarà indispensabile più che in qualsiasi altra situazione scien-
tifica non dedurre dalla parte il tutto, né lasciarsi fuorviare dalla ine-
vitabile parzialità, dall'angustia di contenuto e di significato dei singoli
frammenti, spesso contratti dalle particolari condizioni in cui sono sorti.
Si possono indicare tra i più usuali limiti, spesso obbligati: l'insuffi-
cienza delle giustificazioni teoriche, dovute talora a un ostentato anti-
intellettualismo; la praticità, la funzionalità immediata delle motivazio-
ni; il tendenziale empirismo, lo sforzo di aderire alle situazioni con-
crete, l'assenza di quadri concettuali; la difficoltà di prospettive e di
grandi previsioni; il vivere alla giornata con evidenti fenomeni di pre-
sbitia o di miopia; l'improvvisazione, il genio individuale, l'inventività
del singolo o del gruppo.
Più che mai occorrerà adottare, oltre i canoni metodologici comuni
alla storia, una visione in tempi lunghi, evitando di fissarsi nei detta-
gli o di generalizzarli con fretta eccessiva.
Altri criteri dovrebbero essere tenuti presenti a livello di valuta-
zioni teoriche. Ma queste esulano dall'ambito delle attuali avvertenze,
volutamente limitate ad alcuni parziali aspetti del lavoro storico, ad
orientamento di eventuali operatori e fruitori.
20 P. BRAIDO, Il sistema preventivo di Don Bosco (PAS-Verlag, Zürich 19642),
p. 73 (cfr. l'intero capitolo su L'« arte » educativa di Don Bosco, pp. 59-73).