146 Eugenio Valentini
la sua dilettevole voce, e dopo la funzione andai ad aspettarlo in piazza.
Intanto stavo osservando quella gente tutta nuova per me, perché erano
quasi tutti pastorelli, ma di bell'aspetto e ben portanti della persona.
Il professore fu il primo a vedermi, mi venne incontro, mi prese pel-
la mano, mi baciò quasi lacrimando e tante cose voleva dirmi; ma non poteva
profferir parola, vinto dalla contentezza che provava. Io ero egualmente com-
mosso. Calmato quel primo sussulto del cuore, incominciammo con somma
gioia a ragionare su varii argomenti e andammo intanto alla sua casa. Ivi
fui ricevuto colla più grande cortesia e vi dimorai due giorni. Come io sia
stato, non si può esprimere; soltanto dico che passai due giorni di paradiso.
Dovunque andavamo a spasso o per qualche affare, tutti ci invitavano alle
loro case, e se dicevamo di non voler andare, ci prendevano per mano e ci
conducevano alle loro abitazioni con infiniti atti di cortesia. Fummo dal
vicario e dal prefetto delle scuole, dal sindaco, dal vicesindaco e dall'alber-
gatore Balbiano, parente di questo che è qui a Chieri. Fummo da tutti lauta-
mente ricevuti.
Passati quei due giorni, deliberai di partire. Il mio professore voleva
a tutti i costi ritenermi ancora, e mi nascose il paracqua; ma vedendomi riso-
luto, si rassegnò, accompagnandomi per cinque miglia e mezzo. A questo
punto della via, messici a sedere sopra una ripa, discorremmo alquanto lieta-
mente; ma allorché accennai di volermi congedare, egli si mise a piangere
e non parlava. Io volevo parlare e non poteva. Calmatici alquanto, dopo aver
discorso di qualche cosa confidenziale che doveva rimaner fra noi due soli3
ci alzammo e ci dividemmo con una muta stretta di mano. Affrettando il
passo, io giunsi a Pinerolo. Quivi ebbi nuovi complimenti e nuove dimande
intorno al viaggio e al professore Banaudi.
In questi ragionamenti io ed Annibale stabilimmo di fare una passeg-
giata verso Fenestrelle. Per fare questo viaggio domandammo la carrozzella
dell'illustre Alberto Nota, il più famoso scrittore di commedia ai nostri tempi.
Egli ce la imprestò molto volentieri e ce la fece allestire e fornire di ogni
cosa. Noi, poste sopra la carrozzella alcune provviste, salimmo e lentamente
uscimmo da Pinerolo.
Il primo paese, che incontrammo, si chiama Porte, paese annidato fra
le rupi, poi Floé, sempre sulla strada regia che costeggia il Chisone. Questo
fiume raddoppia le acque del Po. Dall'altro lato della via si innalzava una
catena di monti. Finalmente da lungi scoprimmo un'altissima montagna, che
si chiama Malanagi o Malandaggio,4 la quale ci sembrava coperta di neve,
ma non era; imperciocché, fattoci più da vicino, conoscemmo che era un
monte di pietra bianca, alle falde del quale vi erano circa mille cinquecento
uomini che lavoravano in quelle pietre.
Attaccate alla vetta, penzolavano lunghissime corde fino al fondo, poiché
le rupi sono così liscie e a picco, che neppure i gatti potrebbero arrampi-
carvisi. Gli operai si aggrappano a queste grosse funi e salgono fin dove si
vuol fare una mina. Là giunti, piantano due ferri accuminati nella pietra
viva, perché sostengano un asse, e su questo seduti fanno il loro foro per
la mina e lo riempiono di polvere e lo muniscono di miccia che scende fino
a terra. Preparata una mina, il suono della tromba avvisa tutti gli operai,
perché scendano e si allontanino e si dà fuoco. Sono enormi i massi che
3 Forse al degno professore parlò della sua vocazione, il cui pensiero gli occupava
la mente.
4 II Malanaggio, che ha vaste cave di gneiss granitico.