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NOTE
SCRIVERE «MEMORIE» DEL FUTURO
di Pietro Braido
La recente edizione critica delle Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales di
don Bosco1 induce a proporre alcune riflessioni a quanti intendessero leggere il libro
entro un'ottica il più possibile vicina a quella adottata dall'Autore nello scriverlo.2 In
tante pagine esso appare chiaramente «racconto ameno», che ha per protagonista un
ragazzo precoce, saltimbanco, narratore, studente intelligente e sveglio, che diventa
sacerdote altrettanto «sognatore», coinvolto nelle vicende drammatiche e a lieto fine del
suo Oratorio. Per altri aspetti lo scritto vuol essere in qualche modo rievocazione narra-
tiva del passato intenta a vedere nello svolgersi dei fatti una Provvidenza benevola e
tempestiva. Più evidente, poi, appare la preoccupazione di descrivere, sia pure «poeti-
camente»,3 l'origine, il divenire e il costituirsi di un'esperienza spirituale e pedagogica
tipica, che sotto la formula «oratoriana» è presentata come l'approccio più funzionale e
produttivo ai giovani dei tempi nuovi.
Quest'ultimo ci sembra essere il punto di vista adottato in forma assolutamente
preminente dall'Autore, intenzionato a trasmettere tale esperienza vissuta come pro-
gramma di vita e di azione ai continuatori. Con questa operazione egli anticiperebbe in
modo più flessibile e variopinto, vivacemente «narrativo», le scarne formulazioni delle
pagine del Sistema preventivo nella educazione della gioventù del 1877, più vicine allo
stile «collegiale».4
1 Cfr. G. Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855. Introduzione,
note e testo critico a cura di Antonio da Silva Ferreira. Roma, LAS 1991; G. Bosco, Memorie... Intro-
duzione e note a cura di Antonio da Silva Ferreira. Roma, LAS 1992.
2 Qualche fugace accenno è già stato fatto in due scritti precedenti: cfr. S. G. Bosco, Scritti sul
sistema preventivo nell'educazione della gioventù. Introduzione, presentazione... a cura di P. Braido.
Brescia, La Scuola 1965, p. 4; P. BRAIDO, in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986), pp. 169-170.
3 Si veda più avanti a p. 105 e 106.
4 Si vedrà più avanti, a p. 106, come don Bosco stesso dichiari che «molte cose vi sono che pos-
sono essere di grande istruzione per noi». Si è già scritto nel 1965 che le Memorie dell'Oratorio voglio-
no essere anzitutto e soprattutto una storia edificante lasciata da un fonda-

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Pietro Braido
Ciò riesce ancor più convincente se si tien presente che don Bosco, contraddicendo se
stesso,5 mette in condizione don Bonetti di riversare quasi tutto il contenuto delle Me-
morie dal 1841 al 1854, nei trentadue capitoli della Storia dell'oratorio di S. Francesco
di Sales, pubblicati nel «Bollettino Salesiano» dal gennaio 1879 al gennaio 1882. Grazie
ad essi il «sistema» di azione benefica, pastorale, educativa in favore dei giovani finisce
di essere esclusivo patrimonio della Società salesiana e diventa esperienza comunitaria e
raccomandata alle famiglie cristiane, a istituti di educazione pubblici e privati, maschili
e femminili.6 Bonetti lo dichiara apertamente, dopo aver offerto ai lettori il classico
scritto sul sistema preventivo, che egli vede idealmente collegato con le Memorie del-
l'Oratorio. Infatti, introducendolo lo aveva presentato come sintesi dell'esperienza vis-
suta «raccontata» nei capitoli precedenti: «Da queste e da molte altre industrie, che
abbiamo accennato qua e colà nei capitoli precedenti, i nostri lettori avranno già potuto
scoprire quale fosse e qual sia tuttora il sistema tenuto da D. Bosco nella educazione
della gioventù. Il suo non è il così detto sistema repressivo, ma il sistema preventivo.
Questo sistema D. Bosco lo aveva sperimentato di sì felice riuscita pel benessere morale
dei giovanetti, che cercava d'instillarne la pratica a tutti i suoi aiutanti, catechisti, mae-
stri ed assistenti».7
1. I tempi dei «cenni storici» e delle «memorie»
Due appaiono soprattutto i tempi nei quali don Bosco concentra il suo «narrare» i
magnolia Dei in favore dell'opera educativa originaria, l’Oratorio, e della Società di san
Francesco di Sales, che doveva dare garanzia di continuità e vitalità. O per lo meno due
sono i tempi dei quali esistono più copiose, esplicite e convincenti documentazioni.
tore ai membri della Società di apostoli e di educatori, che dovevano perpetuarne l'opera e lo stile,
seguendone le direttive, gli orientamenti e le lezioni»: S. G. Bosco, Scritti sul sistema preventivo nell'e-
ducazione della gioventù..., p. 4.
5 Nel 1879 non è più ritenuto obbligante quanto era stato fissato nel 1873 e ricompariva immuta-
to nella copia — rivista e corretta — di don Berto del 1877: «Debbo anzitutto premettere che io scrivo
pe' miei carissimi figli Salesiani con proibizione di dare pubblicità a queste cose sìa prima sia dopo la
mia morte»: MO (1991) 30. È vero, tuttavia, che Bonetti utilizza largamente il materiale delle Memo-
rie senza fare il minimo cenno alla loro esistenza e all'Autore, preferendo attribuirlo ad altre fonti:
«antichi allievi dell'Oratorio», qualche testimonianza verbale di don Bosco, «nostri più antichi compa-
gni», l'apporto comune di molti in grado di fornire dati, di precisarli e di accrescerli.
6 Cfr. Storia dell'oratorio di S. Francesco di Sales, capo XXI, nel «Bollettino Salesiano» 4 (1880) n.
9, sett., p. 9.
7 Ibid., p. 6.

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«Memorie» del futuro
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Il primo va dal 1854 al 1864 e coincide con l'ideazione e la prima strutturazione
della società religiosa dei salesiani: del 23 luglio 1864 è il decretum laudis. Il secondo,
dal 1873 al 1878, è tempo di stabilizzazione giuridica, organizzativa, disciplinare, peda-
gogica.
Nel primo periodo si collocano documenti rimasti tutti inediti durante la vita di don
Bosco: un'Introduzione a un Piano di regolamento per l'Oratorio maschile di S. Fran-
cesco di Sales in Torino nella regione di Valdocco (1854), un Cenno storico dell'Orato-
rio di S. Francesco di Sales (1854), Cenni storici intorno all'Oratorio di S. Francesco
di Sales (1862);8 alcune Cronache redatte dal 1860 al 1864 da due giovani collaboratori
di don Bosco: Domenico Ruffino (sacerdote nel 1863) e Giovanni Bonetti (sacerdote
nel 1864). Essi riflettono l'evidente preoccupazione del «fondatore» di «informare»,
«formare» e animare il gruppo dei giovani collaboratori che avevano aderito al suo pro-
getto di azione religiosa e sociale tra i giovani.
Nel secondo periodo spiccano Il sistema preventivo nella educazione della gioven-
tù, edito da don Bosco nel 1877; un altro testo dal medesimo titolo e dai contenuti diffe-
renti del 1878;9 una memoria su Le perquisizioni, redatta da don Bosco nel 1875;10 e,
infine, le Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855.u Intanto nel
settembre-ottobre del 1877 era stato celebrato il I Capitolo generale della Società sale-
siana, mentre nel mese precedente, in agosto, aveva avuto inizio la pubblicazione del
Bollettino Salesiano, anch'esso strumento di propaganda e di animazione salesiana in
cerchie più vaste. Tra documenti e eventi di questo periodo le Memorie dell'Oratorio
sembrano assumere un'importanza peculiare sia per l'oggetto che per la destinazione.
Non è casuale che la composizione si sia protratta per alcuni anni (la prima stesura dal
1873 al 1875), che l'Autore l'abbia sottoposta a una puntigliosa opera di revisione, con
innumerevoli correzioni e aggiunte, e che ne abbia dichiarati apertamente l'oggetto (l'O-
ratorio) e i fini.12
8 I testi sono raccolti in edizione critica nel volume curato da P. BRAIDO, Don Bosco per i giovani:
l'«oratorio» - una «congregazione degli oratori». Documenti. Roma, LAS 1988, pp. 7-77.
9 Ambedue si trovano ora in edizione critica nel volume G. (s.) Bosco, Il sistema preventivo nel-
la educazione della gioventù. Introduzione e testi critici a cura di P. Braido. Roma, LAS 1985.
10 Cfr. P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda nella memoria su «Le perquisizio-
ni», in «Ricerche Storiche Salesiane» 8 (1989) 111-200.
11 L'edizione critica di Antonio da Silva Ferreira era stata preceduta dall'edizione a cura di Euge-
nio Ceria del 1946 (Torino, SEI). Nelle edizioni curate da A. Ferreira da Silva sono anche indicate le
traduzioni in francese (nel 1951 di A. Auffray; nel 1978 di A. Barucq), portoghese (1982), spagnolo
(1987), inglese (1989): cfr. MO (1991) 22, n. 58.
12 Diverso stile evidenziano documenti rivolti a autorità, soprattutto ecclesiastiche,

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Pietro Braido
2. L'occasione di «narrare»
Non c'è motivo di dubitare che alla redazione delle Memorie dell'Oratorio di S.
Francesco di Sales abbia spinto anche «il comando di persona di somma autorità».13 Ma
non è certamente il movente unico e, si direbbe, nemmeno quello principale. Due righe
più avanti don Bosco ne esplicita gli obiettivi, riassumendoli, in definitiva, nell'«utilità»
per l'Oratorio e per la Congregazione, in un momento cruciale di assestamento giuridico
e spirituale.
In sostanza, anche questo documento nasce da motivazioni realistiche e funzionali,
così come altri, che vengono introdotti da espressioni analoghe, quasi a proteggere
l'Autore da un'ipotetica accusa di vanagloria e ancor più per accreditare lo scritto come
rispondente alle «esigenze» o ai «bisogni dei tempi».
Più volte fui esortato di mandare agli scritti le memorie concernenti l'Oratorio
di S. Francesco di Sales, e sebbene non potessi rifiutarmi all'autorità di chi mi
consigliava, tuttavia non ho mai potuto risolvermi ad occuparmene
specialmente perché doveva troppo sovente parlare di me stesso.14
Analogo imbarazzo don Bosco aveva manifestato nel 1854 mentre stendeva quella
che, nelle intenzioni, sarebbe dovuta diventare l’Introduzione al testo del regolamento
dell'oratorio, che in realtà egli aveva già incominciato a redigere due anni prima.
Più volte ho cominciato, ed ho sempre desistito per le innumerabili difficoltà
che eransi a superare. Ora e perché si conservi unità di spirito e conformità di
disciplina, e per appagare parecchie autorevoli persone,
quando sui medesimi temi (origini e finalità dell'oratorio e della congregazione salesiana) don Bosco
scrive per ottenere riconoscimenti e approvazioni ufficiali. Allora egli intende fare soprattutto «storia»,
naturalmente pilotata, talora, almeno in parte, manipolata, intesa a dimostrare l'antichità, la consistenza
e l'affidabilità di certe idee e delle relative realizzazioni: cfr. P. BRAIDO, L'idea della Società Salesiana
nel «Cenno storico» di don Bosco del 1873/74, nel volume P. BRAIDO, Don Bosco per i giovani..., pp.
90-96. Non poche perplessità potrebbe riservare l'analisi rigorosa di informazioni «storiche» fornite a
Roma per ottenere l'approvazione della Società salesiana e delle Costituzioni, a cominciare dalla breve
notizia sull'Origine di questa congregazione che dal 1858 al 1874 introduceva il testo delle
Costituzioni: cfr. G. Bosco, Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales [1858] - 1875. Testi
critici a cura di F. Motto. Roma, LAS 1982, pp. 62-71.
13 MO (1991) 29.
14 MO (1991) 29. Le sottolineature in questo e nei testi successivi sono nostre.

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«Memorie» del futuro 101
che a ciò mi consigliano, mi sono deciso di compiere questo lavoro comunque
siasi per riuscire.15
Un testo quasi parallelo si trova nelle pagine introduttive alla memoria su Le per-
quisizioni (stilate sicuramente nel 1875), aggiunto al termine dell'intera composizione.
Esso è particolarmente vicino alle Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales anche
nell'indicazione degli obiettivi prefissi, come si sottolineerà più avanti.
Ragione di questo scritto. Per appagare le molte richieste, che mi vennero fatte; e
per conservare memoria di alcuni fatti del 1860, ho giudicato opportuno di scri-
vere le principali cose che succedettero nelle perquisizioni che le autorità go-
vernative fecero alla casa di Valdocco.16
Infine è nota l'introduzione alle pagine sul sistema preventivo.
Più volte fui richiesto di esprimere verbalmente o per iscritto alcuni pensieri in-
torno al così detto sistema preventivo che si suole usare nelle nostre case. Per
mancanza di tempo non ho potuto finora appagare questo desiderio, e pre-
sentemente ne do qui un cenno (...).17
Oltre una probabile richiesta del ministro, non è da escludere una prevalente inizia-
tiva di don Bosco nel proporre nel corso del 1878 — prima al ministro degli Interni
Francesco Crispi e poi al successore Giuseppe Zanardelli — il suo progetto preventivo
per giovani pericolanti. Alcuni spunti di lettere potrebbero giustificare ambedue le mo-
tivazioni.
Ho l'onore di presentare a V. E. le basi sopra cui si può regolare il sistema pre-
ventivo applicato tra i giovanetti pericolanti nelle pubbliche vie o nelle case ed
ospizi di educazione. Nel tempo stesso, ansioso di assecondare il buon volere e-
spresso da V. E., mi fo ardito di nominare alcune località di Roma che possono
servire a tale scopo e che sono dipendenti dal medesimo governo.18
(...) Lo stesso dico sul progetto preventivo di aprire case per accogliere fan-
ciulli pericolanti; siccome ne era stato formalmente incaricato da quello
stesso Ministro.19
15 P. BRAIDO, Don Bosco per i giovani..., p. 33. Più avanti si trova pure una franca professione di
totale disinteresse: «Forse taluno troverà espressioni le quali pajano dimostrare che io vada cercando
gloria od onore, noi creda» (p. 33).
16 P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda..., p. 143.
17 G. (s.) Bosco, Il sistema preventivo..., p. 82.
18 Lett, a F. Crispi del 21 febbr. 1878, E III 298-299.
19 Lett, al comm. G.B. Aluffi del 25 apr. 1878, E III 335.

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Pietro Braido
Nel mese di febbraio ultimo decorso il Signor Ministro dell'Interno chiedevami
di esprimere il mio pensiero intorno al sistema preventivo e sulla possibilità di
provvedere ai fanciulli che non sono perversi, ma solamente abbandonati e
perciò pericolanti, nelle varie città d'Italia e specialmente di Roma.20
3. «Memorie dell'Oratorio» fino al 1854
Don Bosco era consapevole che scrivendo «memorie dell'Oratorio» avrebbe dovu-
to «troppo sovente» parlare di se stesso.21 Tuttavia accettava di correre questo rischio,
proprio perché gli appariva lontana una intenzione autobiografica. Il titolo è inequivo-
cabile e non consente altre versioni, come Memorie [personali] dell'Autore, Memorie
autobiografiche e simili.
Certo, don Bosco coltiva idee tali dell'Oratorio, che lo portano inevitabilmente a
presentarlo vitalmente intrecciato con la sua persona. Ma ciò non significa che le due
realtà si confondano e siano intercambiabili; né che la storia dell'opera s'identifichi con
la storia personale dell'artista (del resto né unico né principale di fronte all'Artefice di-
vino); né che il tema centrale della sua missione sia decentrato a fatto personale. Signi-
ficherebbe oltre tutto confondere la storia di un «sogno», di una «forma ideale», che
assume progressivi contorni reali, con la storia di un persona concreta, la persona stessa
del sognatore, dell'ideatore.
Come scrive nell’Introduzione al Piano di regolamento, l'oratorio è da intendersi
come istituzione sacra, «provvidenziale» in senso proprio: è lo strumento con il quale in
nuove contingenze storiche la «santa religione del Figliuolo di Dio» adempie alla sua
missione salvifica in favore della gioventù.22 Per questa fondamentale ragione di esso
don Bosco scrive e parla liberamente, pur dovendo coinvolgere tanti momenti e aspetti
della propria vita, in quanto consacrati a questo inedito modo provvidenziale — luogo,
istituzione, qualità pastorale e educativa — di operare tra i giovani «secondo i bisogni
dei tempi».
È un discorso antico, affidato a scritti e parole, che direttamente o indirettamente
preparano i materiali delle future Memorie: il Cenno storico del 1854, i Cenni storici
del 1862, i frequenti discorsi familiari e le conferenze dei primi anni '60, diretti all'ani-
mazione e coesione del primo giovane grup-
20 Lett. a G. Zanardelli del 23 luglio 1878, E III 367.
21 MO (1991) 29.
22 P. BRAIDO, Don Bosco per i giovani..., pp. 30-31.

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«Memorie» del futuro 103
po di collaboratori. Può costituire una sufficiente documentazione anche solo la rapida
indicazione di alcuni titoli tramandati dalle Cronache di Ruffino e di Bonetti: Origine
dell'Oratorio;23 di nuovo, Origine dell'oratorio. Cose tutte raccontate da D. Bosco stes-
so e Primordiì dell'Oratorio24. Inoltre il discorso ha come alone le convinzioni che la
Commissione costituitasi a Valdocco nel marzo del 1861 palesava già nelle prime battu-
te della propria raccolta di testimonianze su don Bosco.
Le doti grandi e luminose che risplendono in D. Bosco, i fatti straordinari che
avvennero di lui e che tuttodì ammiriamo, il suo modo singolare di condurre la
gioventù per le vie ardue della virtù, i grandi disegni che egli mostra di rav-
volgere in capo intorno all'avvenire; ci rivelano in lui qualche cosa di sovran-
naturale, e ci fanno presagire giorni più gloriosi per lui e per l'oratorio. Questo
impone a noi uno stretto dovere di gratitudine, un obbligo di impedire che
nulla di quel che s'appartiene a D. Bosco cada in oblio, e di fare quanto è in
nostro potere per conservarne memoria, affinché risplendano un dì quali lumi-
nose faci ad illuminare tutto il mondo a pro della gioventù.25
È anzi un discorso che si radica nelle convinzioni della religiosità popolare collet-
tiva, senz'altro incline a vedere negli eventi piccoli e grandi (la caduta di Napoleone, il
ritorno di Pio VII a Roma; per il don Bosco de Le perquisizioni le disgrazie o punizioni
toccate al ministro Farini, al Gatti ecc.) la mano potente di Dio, la realizzazione di un
disegno divino anche contro le previsioni umane. Il modo di pensare che regge le Me-
morie dell'Oratorio non è anomalo rispetto alla mentalità in cui si colloca.
La divisione in decadi (reminiscenze scolastiche di Tito Livio?...) fa coincidere
avvenimenti significativi della biografia di don Bosco con momenti cruciali dello svi-
luppo dell'oratorio. Essi, infatti, hanno rilevanza storica e teologica solo e in quanto
costituiscono tappe decisive della vicenda oratoriana, al centro dell'interesse del memo-
rialista. È detto senza possibilità di equivoci: «Io espongo queste memorie ripartite in
decadi ossia in periodi di dieci anni, perché in ogni tale spazio succedette un notabile e
sensibile sviluppo della nostra istituzione».26 Lo spartiacque, infatti, è rappresentato
23 D. RUFFINO, Cronache dell'Oratorio di S. Francesco di Sales N" Io 1860, pp. 28-30 (30 di-
cembre).
24 Ibid., pp. 35-36 e 38-40.
25 D. RUFFINO, Cronaca del 1861 1862 1863 1864 Le doti grandi e luminose, p. 1. In particolare,
nella seduta dell'8 aprile «si determinò di raccomandarsi al teol. Borelli per avere notizie di D. Bosco
riguardo ai primordi dell'Oratorio» (Ibid., p. 3).
26 MO (1991) 30.

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Pietro Braido
da eventi reali o simbolici che, pur appartenendo alle vicende personali dell'autore, se-
gnano soprattutto un significativo sviluppo dell'idea e della realtà dell'oratorio.
Verso il termine dei «dieci anni d'infanzia»27 apre alla prima decade il sogno, che,
nelle intenzioni dell'Autore, costituisce quasi l'investitura divina alla missione oratoria-
na,28 subito messa in atto con «i primi trattenimenti coi fanciulli».29 Sia pure anacroni-
sticamente don Bosco vi aggancia immediatamente l'incontro con don Calosso, «una
guida stabile», «un fedele amico dell'anima», che garantisce con i primi studi gli inizi
del suo cammino vocazionale specifico.
La seconda decade si inaugura con la «vestizione chericale», che porta a un più al-
to livello l'impegno «oratoriano» del memorialista, già vissuto nelle vacanze estive pre-
cedenti: «cessai di fare il ciarlatano»; «ho però continuato ad occuparmi dei giovanetti,
trattenendoli in racconti, in piacevole ricreazione, in canti di laudi sacre (...). Era quella
una specie di oratorio».30 È il preludio all'acme dell'investitura che si realizza con l'or-
dinazione sacerdotale del 5 giugno 184131e l'inizio dell'oratorio «reale», che don Bosco
assegna all'inverno 1841-1842, dopo l’incontro simbolico dell'8 dicembre: «Questo è il
primordio del nostro Oratorio».32
La terza decade comporta il graduale avviamento all'irrevocabile decisione voca-
zionale in favore dei giovani, nell'oratorio: la radicale «consacrazione» personale coin-
cide con l'impianto definitivo di questo nella chiesa torinese e universale. Ne appare
garanzia il visibile intervento della «mano del Signore»,33 che assicura la temporanea
stabilità al Rifugio con «la prima chiesa dell'Oratorio» dedicata a S. Francesco di Sa-
les,34 e protegge nelle varie peregrinazioni da S. Pietro in Vincoli ai Mulini Dora e poi
a Casa
27 MO (1991) 30-34.
28 MO (1991) 34-37.
29 MO (1991) 38-42.
30 MO (1991) 86, 87-90.
31 La sera del giovedì successivo, 10 giugno, festa del Corpus Domini, vicino a casa, rive-
dendo il luogo del primo sogno — scrive don Bosco — «non potei frenare le lagrime e dire:
Quanto mai sono maravigliosi i disegni della Divina Provvidenza!»: MO (1991) 111.
32 MO (1991) 123.
33 MO (1991) 134-140. È persuasione da don Bosco costantemente coltivata. Il 14 mag-
gio 1862, dopo la prima professione dei voti religiosi, egli assicurava i neo-consacrati in questi
termini: «Non la finirei di questa sera se vi volessi poi raccontare gli atti speciali di protezione
che avemmo dal cielo dacché ebbe principio il nostro oratorio. Tutto ci fa argomentare che con
noi abbiamo Iddio: possiamo nelle nostre imprese andare innanzi con fidanza sapendo di fare la
sua santa volontà»: G. BONETTI, Annali III, p. 4.
34 MO (1991) 132-133.

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«Memorie» del futuro 105
Moretta e al prato Filippi,35 fino all'approdo a casa Pinardi a Valdocco, «un Oratorio più
stabile del passato».36 Varie sono le decisioni nel biennio 1844-1846. Ma la più signifi-
cativa per l'inizio della terza decade è, probabilmente, per don Bosco la scelta «giovani-
le» esclusiva e irrevocabile espressa alla marchesa Barolo, da cui per due anni aveva
avuto lavoro e stipendio: «Cesserò dall'impiego regolare e mi darò di proposito alla cura
dei fanciulli abbandonati (...). La mia vita è consacrata al bene della gioventù. La rin-
grazio delle profferte che mi fa, ma non posso allontanarmi dalla via che la divina Prov-
videnza mi ha tracciato».37 Sugli stessi mesi, nei quali cadde seriamente ammalato, egli
proietta la convinzione che, se doveva morire, «era contento che terminava i miei giorni
dopo aver dato una forma stabile all'Oratorio».38
Gli anni successivi sono anni di sviluppo e di consolidamento. Le Memorie dell'O-
ratorio si fermano al 1854, quando — secondo l'esplicita testimonianza di don Bosco —
ha inizio una nuova storia. Pur intrecciata ancora con momenti salienti della sua vita,
essa pure non avrebbe dato luogo a una «autobiografia», ma, a volerle dare un titolo non
del tutto arbitrario, di nuovo, a Memorie della Società di S. Francesco di Sales. Accen-
nando ai suoi precoci tentativi di saggiare la possibilità di «studiare, conoscere, sceglie-
re alcuni individui che avessero attitudine e propensione alla vita comune» e a collabo-
rare all'opera dell'Oratorio, don Bosco osserva: «Di questa materia si parlerà a parte
nella storia della Società salesiana».39 Si hanno conferme da documentazioni cronologi-
camente prossime.
In questa sera il Signor D. Bosco ebbe poco da confessare (...). Dopo la cena
ebbe tempo a discorrere di molte cose riguardanti l'oratorio antico (...). «Ve-
ramente nei principii degli oratorii ci furon cose tanto importanti e tanto poeti-
che insieme che desidererei io stesso di poter radunare vari e raccontarle loro.
Ora varie cose le ho scritte e bisognerà che ci raduniamo poi qualche volta noi e
vediam bene quel che stia bene che si dica in pubblico e quel che più sia con-
veniente tacere; poiché molte cose vi sono che possono essere di grande istru-
zione per noi; ma che non si possono pubblicare, almeno per ora (...). Ora poi le
cose principali le ho scritte fino al 1854. Circa questi anni l'oratorio si siste-
mò, prese poco per volta l'aspetto ordinato che ha ora; e si può dire che allora
finiva la
35 MO (1991) 134-144.
36 MO (1991) 156.
37 MO (1991) 151. Non sembra un caso che questa pagina delle Memorie si trovi tra due diversi
inizi della terza decade: 1845-1855 e 1846-1855, MO (1991) 134 e 157.
38 MO (1991) 172.
39 MO (1991) 189-190.

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106 Pietro Braido
parte poetica e cominciava la parte positiva».40
In questi giorni D. Bosco è attorniato sempre dai direttori e da noi. Un po' ci siamo tutti
attorno e si chiacchiera di questo o di quello (...). Tra le altre cose chiacchierando dopo
cena, essendo circondato da quasi tutti i direttori e da varii di noi si proposero queste
cose. Si fece vedere l'importanza che la nostra congregazione abbia uno storiografo.
«Quel che è più pressante per ora e che sarà bene di fare al più presto che si può, si è
questo che ogni direttore sommariamente scrivesse la storia del proprio collegio dalla
sua fondazione fino al giorno d'oggi (...). Anno per anno poi ciascun direttore fa
riportare questa cronaca in un altro gran libro, cioè lo fa copiare in bella copia, la quale
starà sempre negli archivi di quel collegio e la prima copia, man mano che un quaderno
è finito, si manda a Torino affinché anche qui si sappiano le cose di tutti i collegi e
possano servir di norma ad una storia di tutta la congregazione» (...). «Io poi, riprendeva
D. Bosco, ho già scritto sommariamente varie cose che riguardano l'oratorio da principio
fin d'ora, ed anzi fino al 54 molte cose le ho scritte in disteso; lì nel cinquantaquattro
entriamo a parlar della congregazione e le cose si allargano immensamente e prendono
un altro aspetto. Tuttavia ho pensato che è cosa che servirà poi molto a quei che
verranno e a dar maggior gloria a Dio e perciò procurerò di scrivere. Qui non è più da
aver riguardo né a D. Bosco né ad altro; vedo che la vita di D. Bosco è al tutto confusa
nella vita della Congregazione e perciò parliamone; c'è bisogno per la maggior gloria di
Dio e per la salvezza delle anime, pel maggior incremento della Congregazione che
molte cose sian conosciute (...)».41
Si deve, però, osservare che questa rigida delimitazione di date — che appare senz'altro la più
attendibile dal punto di vista della storia reale — non è rispettata con altrettanto rigore dalla metastoria
emergente nella elaborazione delle Memorie dell'Oratorio. In esse, infatti, si trovano introdotte
intuizioni e iniziative, che tendono, con evidenti forzature cronologiche, ad anticipare i tempi
dell'origine della Società salesiana. Ne sono esempi tipici il racconto del sogno del 184442 e il
riferimento ad esperienze di aggregazione di futuri collaboratori stabili riportate addirittura agli anni
1841-1848.43
Ma questo è un problema particolare che deriva dalla più generale impostazione delle Memorie
dell'Oratorio, che pone problemi di «qualità» storica ben più radicali e impegnativi.
40 G. BARBERIS, Cronìchetta, quad. 3° A, pp. 46-47 (sabato Io gennaio 1876).
41 G. BARBERIS, Cronichetta, quad. 4° A, pp. 38-41 (mercoledì 2 febbraio 1876).
42 MO (1991) 129-130.
43 MO (1991) 188-189.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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«Memorie» del futuro 107
4. Fragilità documentaria di una rievocazione pragmatica, provvidenzialista,
«amena»
In linea generale si potrebbe legittimamente affermare che l'intera attività di don Bo-
sco «storico», biografo, narratore si ispira alla triplice preoccupazione, che egli più a-
pertamente rivela all'inizio delle Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, quan-
do risponde alla domanda «a che cosa potrà servire questo lavoro»: «servirà di norma a
superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato; servirà a far conoscere come
Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di ameno
trattenimento, quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre (...): un
padre affezionato, il quale prima di abbandonare il mondo ha lasciate queste memorie
come pegno della paterna affezione».44
È ovvio che i tre aspetti si trovino in rapporti problemaici già negli scritti di «me-
morie», come il Cenno storico del 1854, i Cenni storici del 1862 e altri analoghi.
Ma essi presentano tonalità del tutto eccezionali, con accresciuto scadimento della
dimensione narrativa degli eventi, nelle Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales,
redatte in un momento cruciale della vita della Società salesiana: la sperata e poi rag-
giunta acquisizione della fisionomia caratteristica definitiva con l'approvazione delle
Costituzioni (nel 1874); e l'agognata, ma poi non conseguita, autonomia operativa con
la concessione dei «privilegi» (fallita nel 1875). Contemporaneamente si profila con
crescente consapevolezza la prospettata proiezione continentale e intercontinentale del-
l'azione dei salesiani (nel 1875). Si può facilmente arguire nel fondatore la preoccupa-
zione di dare all'istituzione insieme ad un assetto stabile, sicurezza, slancio e un più
marcato orientamento «ideale».45 Non per nulla don Bosco elabora il documento con
particolare applicazione di tempo e di impegno redazionale, facendone uno dei più tor-
mentati tra le sue composizioni (come del resto si può rilevare dall'apparato delle va-
rianti dell'edizione critica).
44 MO (1991) 30.
45 Forse, converrà anche tener presente che don Bosco e la sua congregazione si trovano coinvolti
in prodromi di lacerazioni e dissidi a livello di Chiesa locale. Probabilmente non è per semplice dimenti-
canza che nelle Memorie dell'Oratorio don Bosco non fa parola di uno dei suoi più caldi ammiratori,
benefattore e collaboratore dell'incipiente Oratorio di Valdocco, il can. Lorenzo Gastaldi: cfr. G.
TUNINETTI, Lorenzo Gastaldi 1815-1853, vol. I Teologo, pubblicista, rosminiano, vescovo di Saluzzo:
1815-1871. Roma, Edizioni Piemme 1983, pp. 132-135. Nelle Memorie è ricordata la madre di Ga-
staldi, sollecita a prestare la sua concreta attività benefica nell'Oratorio stabilito a Valdocco: «Ogni
cosa passò per mano di madama Margherita Gastaldi, che fin d'allora prendeva parte ai bisogni dell'O-
ratorio»: MO (1991) 175.

2.2 Page 12

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108
Pietro Braido
a) La parabola e il messaggio al di sopra della storia
Lo scopo chiaramente dominante è, perciò, morale, «edificante», addirittura
programmatico se si tien conto degli indirizzi spirituali e pedagogici che il memorialista
intenzionalmente vi profonde.
Esso appare ancor più insistito e più ampio, nelle intenzioni e nell'esecuzione, di
quanto venga espresso nella memoria su Le perquisizioni, redatta in contemporanea in
funzione di analoghi fini utilitari e funzionali.
Ho scritto pe' miei figli Salesiani e spero che loro serviranno di norma e di
ammonimento. Di norma qualora la Divina provvidenza permettesse che talun
nostro socio dovesse trovarsi in casi somiglianti. Egli cerchi di poter parlare
colle prime autorità (...). In secondo luogo servano di ammonimento a tenersi
strettamente alieni dalla politica anche quando si presenta con ispecie di
bene.46
È facile intuire quale cumulo di problemi potrebbe crearsi se si volesse considerare
il documento secondo un'ottica propriamente storica nei diversi momenti della ricerca:
l'accertamento delle informazioni, la collocazione e successione cronologica dei dati, il
significato originario e la loro interpretazione. A parte gli annebbiamenti di memoria
(non poche date sono errate) e gli evidenti «eccessi» e le «forzature» emergenti da tanti
episodi e situazioni, riuscirebbe arduo negare la problematicità delle scelte di fondo
operate dall'Autore soprattutto preoccupato, secondo uno stile preferito dalla narrativa
orale e popolare, di comunicare, tragicomicamente, sicurezza, fiducia e coraggio ai
propri figli. Si possono ricordare alcuni più rilevanti e ricorrenti stereotipi: Don Bosco
presunto «rivoluzionario», «eretico», «pazzo», osteggiato e perseguitato; Don Bosco
uomo solo; Don Bosco promotore del vero bene religioso e sociale tra i «pervertimenti»
della politica; Don Bosco all'avanguardia.
A parte le ragionevoli ripetute obiezioni dei parroci contro l'autonoma pastorale
oratoriana,47 campeggia — ricavata dal Cenno storico del 1854 — la dura opposizione
del Vicario di città, marchese Michele di Cavour.48 Essa appare già meno credibile da
parte di un rigido tutore dell'ordine costituito nei confronti di un prete catechista, che
opera in accordo con un arcivescovo affidabile qual è Luigi Fransoni, con il re Carlo
Alberto, con uomini e
46 P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda..., pp. 143-144. Le sottolineature sono
nostre.
47 Cfr. MO (1991) 142, 143, 190.
48 Cfr. Cenno storico..., p. 42 e MO (1991) 141-142.

2.3 Page 13

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«Memorie» del futuro 109
sacerdoti gravitanti intorno a Casa Reale, come il conte Provana di Collegno, il Cafasso,
il Borei e il Pacchiotti, due sacerdoti quest'ultimi direttamente coinvolti nell'opera del-
l'Oratorio dei primi anni.49 La rievocazione diventa ancora più discutibile dopo la recen-
te scoperta di una lettera eccezionalmente significativa che in data 13 marzo 1846 don
Bosco dirige al marchese.50
Ancor più radicalmente discutibile appare la drammatizzata immagine del don Bosco so-
lo.51 Se questo può aver una qualche verità rispetto a normali difficoltà d'impianto dell'oratorio
e, più tardi, a dissidi con alcuni collaboratori, come Pietro Ponte, in momenti di minor chiarez-
za e di qualche tensione nella gestione degli oratori, risolti in favore di don Bosco dal decreto
arcivescovile del 31 marzo 1852, non sembra potersi generalizzare. Per l'intero primo quindi-
cennio dell'oratorio risultano documentati la ininterrotta presenza di persone fidate, ecclesiasti-
che e laiche, concretamente cooperanti, il largo sostegno morale ed economico, il generoso
supporto — chiesto e ottenuto — a spese ordinarie e straordinarie (compresa la costruzione
della chiesa di S. Francesco di Sales), la variegata collaborazione nella conduzione dei tre
oratori.52 «Un dato che è apparso subito (...) è che don Bosco non è mai solo».53 E tuttavia,
osserva il medesimo Autore, per don Bosco «tutte le cose erano difficili»: una probabile «pe-
dagogia» per coinvol-
49 Cfr. G. BRACCO, Don Bosco e le istituzioni, nel vol. Torino e Don Bosco, vol. I Saggi. Torino
1989, pp. 123-126 (Don Bosco e Don Borei); F. MOTTO, L'«oratorio» di don Bosco presso il cimitero di
S. Pietro in Vincoli in Torino. Una documentata ricostruzione del noto episodio, in «Ricerche Storiche
Salesiane» 5 (1986), pp. 212-215.
50 Cfr. G. BRACCO, Don Bosco e le istituzioni, pp. 126-128 (testo della lettera) e 128-130 (osserva-
zioni dell'Autore).
51 Di riflesso si hanno motivi per interrogarsi sul profilo che don Bosco dà al negativo del fratel-
lastro Antonio.
52 Oltre i citati Cenno storico del 1854 e Cenni storici del 1862, si vedano altri documenti di archi-
vio relativi agli anni '40 pubblicati da P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-
1870). Roma, LAS 1980, pp. 414-420: Libro delle messe (1841-1866), Memorie degli oblatori per la
costruzione della nuova chiesa per l'Oratorio (1851), Nota delle somme esatte in conto della costruzione
della chiesa di S. Francesco di Sales (1852); e pp. 545-571: Memoriale dell'Oratorio di S. Francesco di
Sales (1844-1849) (ms Borei), Repertorio domestico (1847-1850) (ms Don Bosco).
Si dovrebbero citare riviste e giornali che tra gli anni 1845-1852 parlano con simpatia di don Bo-
sco, di suoi scritti, del suo oratorio: le Letture di famiglia, L'Educatore primario (poi L'Educatore), il
Giornale della Società d'istruzione e d'educazione, il Conciliatore Torinese, L'Armonia.
53 G. BRACCO, Don Bosco e la società civile, nel vol. Don Bosco nella storia. Atti del 1o Congresso
Internazionale di Studi su Don Bosco, Roma, 16-20 gennaio 1989, a cura di M. Midali. Roma, LAS
1990, p. 233. Del resto, in taluni contesti, don Bosco finisce con l'ammetterlo nelle stesse Memorie: cfr.
MO (1991) 123, 124-125, 158, 165-166, 176, 202.

2.4 Page 14

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110
Pietro Braido
gere il maggior numero di persone e suscitare il massimo livello di solidarietà; «coin-
volgimento che comporta la solidarietà e che alla fine porta alla costruzione della co-
munità».54
Il presunto «rivoluzionario» è visto come «prete intollerante» negli anni della «ri-
voluzione», tra il 1848 e il 1850.55 Il fine «pedagogico» delle pagine ad essi dedicate è
trasparente. Le parole rivolte al marchese Roberto d'Azeglio sono chiaramente destinate
ai salesiani degli anni '70 (come nella memoria coeva su Le perquisizioni): «È mio fer-
mo sistema tenermi estraneo ad ogni cosa che si riferisca alla politica. Non mai pro, non
mai contro (...). Invitatemi a qualunque cosa, dove il prete eserciti la carità, e voi mi
vedrete pronto a sacrificare vita e sostanze, ma io voglio essere ora e sempre estraneo
alla politica».56
Non è così limpida, invece, la reale posizione di fronte alla politica in atto: né quel-
la effettivamente vissuta o «giudicata» negli anni 1848-1850 né quella condivisa nel
1874-75. Non gli tornano senz'altro simpatici il lessico della «rivoluzione» (emancipa-
zione, libertà...) e i suoi «principi», giudicati «di funeste conseguenze», indici di «per-
vertimento di idee e di pensieri», anzi «di idee e di azioni».57 Don Bosco sembra pensa-
re che gli avvenimenti del '48 abbiano in qualche modo finito col «mutare l'aspetto della
politica d'Italia e forse del mondo». Una soluzione, immediata ed esemplare, sembra
esserci: la «politica» delle opere a vantaggio della gioventù. Esse non consistono soltan-
to nel catechismo,58 ma anche nell'esercizio della carità, spirituale e corporale. In que-
sto, egli vuol essere all'avanguardia, sia pure forzando dati e date, come fa, evidente-
mente interessato, a proposito delle scuole serali e della scuola di canto e dei relativi
«metodi».59
54 Cfr. G. BRACCO, Don Bosco e la società civile, pp. 234-235.
55 Il giornale liberale L'Opinione, e chi vi si ispira parlando di «libertà, emancipazione, indipen-
denza», è presentato come «immorale»: MO (1991) 200 e 201; dove don Bosco dà al termine un'am-
piezza di significato che normalmente non usa, quando invece più frequentemente connette «moralità»
con castità.
56 MO (1991) 199-200.
57 MO (1991) 185, 186, 187, 188, 199.
58 MO (1991) 148.
59 Cfr. MO (1991) 141, 164, 165, 168-169, 182. Quanto alla problematica priorità cronologica del-
le scuole serali, don Bosco sembra aver del tutto dimenticato le più realistiche affermazioni e datazioni
del Cenno storico (p. 47, 48 e 49) e dei Cenni storici (p. 68). Eppure le «priorità» di tale iniziativa sono
affermate con particolare insistenza nelle aggiunte e correzioni alla prima stesura delle Memorie: cfr. p.
165 (Lf 121), 168 (Lf 122v), 169 (Lf 123v). Nella Storia dell'oratorio, pubblicata a puntate nel Bolletti-
no Salesiano, don Bonetti è ancor più perentorio. Non sembra assente una sotterranea polemica nei
confronti dell'amministrazione comunale di Torino, ritenuta nel 1878 meno favorevole all'opera carita-
tiva di Valdocco di quanto fosse stata precedentemente: cfr. MO (1991) 164, 168-169, 192.

2.5 Page 15

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«Memorie» del futuro 111
Non meno criticamente vagliati andrebbero gli episodi disseminati nelle ultime
pagine delle Memorie dell'Oratorio relative alle «ire dei protestanti», alla «rabbia» per
il successo delle Letture Cattoliche, alla «trama personale segreta (...) ordita dai
protestanti o dalla massoneria», tradotta in minacce, ricatti, «attentati», «aggressioni».60
b) «Storia» provvidenziale rassicurante
Se radicalmente l'intera «memoria» orienta al futuro, il passato, la rievocazione
storica intende esserne segno e garanzia. È una persuasione che sorge dal concetto di
storia che fin dalle origini culturali don Bosco si è formato grazie a una letteratura
ispirata ad Agostino e a Bossuet. La storia dell'umanità è storia di uomini «governata» e
«giudicata» in ultima istanza da Dio. «Dio domina i fatti umani, anche se l'uomo ne è
protagonista. Prova evidente e incontrovertibile sono gl'interventi straordinari: la
rivelazione, le predizioni, i miracoli (...). Nonostante le insidie e le lotte, il bene riesce
sempre a trionfare».61
Malgrado l'apparente professione di «oggettività» è analogo il punto di vista dello
scritto su Le perquisizioni: «La mia intenzione è di tessere un fedele racconto dei fatti
avvenuti in quei momenti di prova; li esporrò letteralmente secondo verità, senza
pretendere né di assolvere né di accusare qualcuno».62 Non è vero, poiché l'intera
memoria è «giudizio» persistente; confermato nelle ultime pagine, dove incombe la
temibile o rassicurante presenza di Dio che «rovescia i potenti dai troni e innalza gli
umili»: Conseguenze di queste persecuzioni (perquisizioni e ispezioni sono diventate
persecuzioni); Fine di alcuni nostri perquisitori.61. Del resto la neutralità di giudizio e
l'obiettività scientifica dovevano apparire del tutto inconcepibili «in questo mondo, che,
come dice il Vangelo, è tutto posto nella malignità: Mundus in maligno positus est
totus».64
È ciò che don Bosco intende inoculare nei suoi potenziali lettori salesiani
attraverso ogni pagina delle Memorie dell'Oratorio. Il susseguirsi drammatico di
vicende liete e tristi è soprattutto garanzia, comprovata da una storia cinquantennale,
che il progetto dell'oratorio — e poi della società
60 Cfr. MO (1991) 220-227.
61 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II Mentalità religiosa e
spiritualità. Roma, LAS 1981 (II ediz.), p. 67: cfr. il cap. IV Storia e salvezza, pp. 59-100.
62 P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda..., p. 143.
63 P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda..., pp. 187-188, 188-192.
64 P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda..., p. 144.

2.6 Page 16

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112
Pietro Braido
salesiana — è voluto, incrementato, sorretto da Dio. Un decennio prima egli aveva con-
fidato ai suoi primi collaboratori: «Con questo progetto manifestatoci dal Signore io
sono sempre andato avanti e questo fu l'unico scopo di quanto io feci. Questo è il moti-
vo per cui nelle avversità, nelle persecuzioni, in mezzo ai più grandi ostacoli non mi
sono mai lasciato intimorire ed il Signore fu sempre con noi».65
Di questa assistenza straordinaria di Dio all'opera degli oratori vengono fatti emer-
gere soprattutto tre aspetti: Don Bosco è «ammaestrato» dall'alto nei sogni; Don Bosco
è visibilmente difeso con la punizione degli oppositori; Don Bosco appare «veggente»
realista nel suo progetto oratoriano e congregazionale.
È evidentemente «pedagogica» la funzione del sogno intorno ai nove o dieci anni,
«altre ["più", nella prima redazione] volte rinnovato in modo assai più chiaro»:66 esso
pei suoi contenuti potrà servire di norma ai salesiani nell'azione pastorale e educativa;
inoltre, ne conferma la fede in una vocazione dalle radici indiscutibilmente soprannatu-
rali.
Ma non è facile definirne la consistenza storica.67 Anche per don Bosco esso sem-
bra assumere i contorni di una «rivelazione», di cui tuttavia non esprime sempre con
chiarezza la qualità, il seguito e l'incidenza nelle proprie decisioni. Il primo sogno gli
«rimase profondamente impresso», eppure è la prima volta che ne scrive (prima non ne
ha mai parlato nemmeno nelle numerose rievocazioni della sua fanciullezza). Egli dice
di aver condiviso il parere della nonna («non bisogna badare ai sogni») e tuttavia scrive:
«non mi fu mai possibile di togliermi quel sogno dalla mente»;68 più avanti aggiunge
che gli «stava sempre impresso», anzi che si era «rinnovato in modo assai più chiaro» e
che «volendoci prestar fede», avrebbe dovuto portarlo a optare per lo stato ecclesiastico;
ma «non volendo credere ai sogni»69 si sentiva obbligato a sospendere quella delibera-
zione.70 Analoghe perplessità manifesta riguardo alla credibilità del sogno del 1844:
«allora ne compresi poco il significato perché poca fede ci prestava», concludendo però
a una fede pro-
65 D. RUFFINO, Cronaca 1861 1862 1863 1864 Le doti grandi e luminose, p. 53: Conferenza ge-
nerale di tutti i membri della società di S. Francesco di Sales, 8 maggio 1864, pp. 38-53; quasi identica è
la versione tramandata da G. BONETTI, Cronaca dell'anno 1864, pp. 9-22.
66 MO (1991) 84.
67 Nel rievocarlo don Bosco rivede la prima stesura introducendo varianti di un certo rilievo che
inducono a riflettere.
68 MO (1991) 34-35, 37.
69 La prima redazione era più vicina alla «fede»: «per allora non volendo credere ai sogni». La
sottolineatura è nostra.
70 MO (1991) 84.

2.7 Page 17

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«Memorie» del futuro 113
gressivamente crescente e operativa: «Perché poca fede ci prestava, ma capii le cose di
mano in mano avevano il loro effetto. Anzi più tardi congiuntamente ad altro sogno, mi
servì di programma nelle mie deliberazioni».71
Quanto a interventi straordinari di Dio o «segni» della sua presenza protettrice e
punitrice la memoria sull'Oratorio non è così tragica come quella sulle perquisizioni-
persecuzioni. Però non manca di sottolinearne alcuni esempi. La fine del «segretario» ai
Mulini Dora, del cappellano di S. Pietro in Vincoli, della sua domestica, in misura meno
evidente del medesimo marchese Michele Cavour, non manca di ammonire gli
oppositori e soprattutto di rincuorare i fedelissimi, sicuri che l'oratorio è opera di Dio.72
Soccorre persino la presenza di un «cane», fedele agli appuntamenti importanti,
«una vera provvidenza». Don Bosco sembra crederci: per questo intende concludere le
sue Memorie esponendo su di esso «quanto è pura verità».73 Si verificano pure scambi
di piani tra il profetico e il reale, come avviene quando normali progetti relativi
all'oratorio vengono da lui presentati come presagi e pre-«visioni» di carattere più che
umano: «Non occorre aspettare altra opportunità, il sito è preparato, vi è un cortile
spazioso, una casa con molti fanciulli, porticato, Chiesa, preti, cherici, tutto ai nostri
cenni. — Ma dove sono queste cose, interruppe il T. Borrelli. — Io non so dire dove
siano, ma esistono certamente e sono per noi».74
c) Ricreare, rallegrare per confortare e confermare
A problematizzare la «storia» delle Memorie contribuisce ulteriormente la libertà
apparentemente disinibita, si potrebbe dire la disinvoltura, con cui don Bosco narra,
intento com'è a incoraggiare, a commuovere e a muovere. Dio non delude i suoi figli.75 I
destinatari dello scritto leggeranno con sentimenti di affetto, di gioiosa speranza e di
rassicurante fiducia. Non saranno semmai tranquillizzati quanto alla verità storica. Non
è questo l'interesse di don Bosco. In fondo, a questo livello, le invenzioni caricaturali
sulla Maga
71 MO (1991) 130. «Poca fede ci prestava»; la prima redazione era più recisa: «non ci voleva
badare».
72 MO (1991) 138, 139-140, 163-164.
73 MO (1991) 227-230.
74 MO (1991) 149.
75 Si è rilevato come il contrasto dei colori, tragici e comici, risulti particolarmente disorientante
nella memoria su Le perquisizioni: cfr. P. BRAIDO - F. MOTTO, Don Bosco tra storia e leggenda..., pp.
127-129. Ma forse non si è pensato che, in fondo, sia per lo scrittore che per il lettore il castigo del
persecutore poteva apparire una buona notizia.

2.8 Page 18

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114
Pietro Braido
Lili,16 sul canonico Burzio,77 sul malcapitato saltimbanco,78 sulla sceneggiata della do-
mestica di don Tesio,79 sulla scaltra pazzia di don Bosco80 e altro, risultano meno preoc-
cupanti. Basta ricordare che le Memorie vogliono essere anche «racconto ameno», gio-
co, burla paterna affettuosa e lieta.
5. Preludio narrativo al sistema preventivo
In compenso ciò che problematizza la storia potenzia e dilata il valore ideale del
«messaggio» che don Bosco intende trasmettere. Tanto che le Memorie dell'Oratorio
finiscono col diventare forse il libro più ricco di contenuti e di orientamenti «preventi-
vi» — in evidente chiave restaurativa — che don Bosco abbia scritto: un manuale di
pedagogia e di spiritualità «raccontata», in chiara prospettiva «oratoriana»; il collegio-
internato vi compare in modo molto fugace.81
È una pedagogia fantasiosa, brillante, ben lontana dalle laconiche enunciazioni
«collegiali» delle pagine sul Sistema preventivo nella educazione della gioventù o degli
Articoli generali del Regolamento per le case.
A titolo di saggio si tenta di raccoglierla intorno a nove nuclei principali.
1. Il compito dell'educare cristiano è originaria vocazione divina, che comporta in-
sieme innata propensione e inclinazione a dedicarsi ai giovani, soprattutto meno assisti-
ti. Nel caso di don Bosco esso è definito sotto il simbolo di un sogno-visione, esplode in
virtù di capacità non comuni all'età di dieci anni,82 si rafforza nei primordi del sacerdo-
zio: «la mia delizia era fare catechismo ai fanciulli»,83 e poi nel 1844: «la mia propen-
sione è di occuparmi per la gioventù».84
76 MO (1991) 74-75. Bella Pavia non doveva superare i 45 anni ed essere tanto repellente, se a-
veva generato un figlio, che — con linguaggio veramente inconsueto — don Bosco descrive «sui
diciotto anni, di bellissimo aspetto; cantava con una voce rara fra le più belle»: MO (1991) 73.
77 MO (1991) 78-79.
78 MO (1991) 80-82.
79 MO (1991) 139.
80 MO (1991) 152-153.
81 Si può, tra l'altro, notare che l'intenzione «pedagogica» appare nettamente decrescente man ma-
no che la tensione oratoriana si allenta e le Memorie si avviano fiaccamente al termine; essa risulta
pressoché nulla a partire dal 14° capitoletto della terza decade.
82 MO (1991) 34-41.
83 MO (1991) 112.
84 MO (1991) 127.

2.9 Page 19

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«Memorie» del futuro 115
2. Il cardine della presenza benefica e educativa tra i giovani è l’oratorio, istitu-
zione giovanile onnicomprensiva, attraente «mescolanza di divozione, di trastulli, di
passeggiate».85 Esso si rivela più come esperienza che come istituzione attraverso la
descrizione di un giorno festivo dal primo mattino alla tarda sera.86 Pastoralmente è
parrocchia dei giovani senza parrocchia,87 ma contemporaneamente è scuola, palestra di
tempo libero, centro di assistenza sul lavoro durante la settimana.88
3. È anche motivato e descritto il sorgere di una seconda presenza educativa:
l’ospizio, pensionato oppure internato con laboratori e scuole propri.89 Esso dà luogo a
una versione più ristretta del sistema «preventivo», accentuandone il carattere protetti-
vo, difensivo, immunizzante, oltre che assistenziale e promozionale. «Molti giovanetti
Torinesi e forestieri [erano] pieni di buon volere di darsi ad una vita morale e laboriosa;
ma invitati a cominciarla solevano rispondere non avere né pane né vestito né alloggio
ove ricoverarsi almeno per qualche tempo».90 Nei tempi poi del «pervertimento di idee e
di pensieri» viene ospitato a protezione un accresciuto numero di artigiani, «tutti dei più
abbandonati e pericolanti». Ciò non toglie del tutto i pericoli di contagio: «non avendosi
ancora i laboratorii nell'istituto, i nostri allievi andavano a lavorare e a scuola in Torino,
con grande scapito della moralità perciocché i compagni che incontravano, i discorsi
che udivano, e quello che vedevano, facevano tornare frustraneo quanto loro si faceva e
si diceva nell'Oratorio»; nasce così quel «brevissimo sermoncino alla sera dopo le ora-
zioni collo scopo di esporre o confermare qualche verità che per avventura fosse stata
contraddetta nel corso della giornata».91 Analoga era la situazione degli studenti, i quali
frequentavano ottime scuole private, le quali, tuttavia, «per Mandata e pel ritorno erano
piene di pericoli. L'anno 1856 con gran vantaggio furono definitivamente
58 MO (1991) 146. «Il sito stabile, i segni d'approvazione dell'Arcivescovo, le solenni funzioni, la
musica, il rumore di un giardino di ricreazione, attraevano fanciulli da tutte le parti»: MO (1991) 157-
158.
86 MO (1991) 158-161.
87 MO (1991) 132, 141-143.
88 MO (1991) 130, 136, 141, 145, 150, 164-165, 182, 191, 202.
89 MO (1991) 180-182, 185-188, 198-200.
90 MO (1991) 180. «Accorgendomi che per molti fanciulli tornerebbe inutile ogni fatica se loro
non si dà ricovero, mi sono dato premura di prendere altre e poi altre camere a pigione sebbene a
prezzo esorbitante. Così oltre all'Ospizio si poté pure iniziare la scuola di canto fermo e di musica
vocale»: MO (1991) 182.
91 MO (1991) 187.

2.10 Page 20

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116
Pietro Braido
stabilite le scuole ed i laboratorii nella casa dell'Oratorio».92
Senza esplicito riferimento al proprio ospizio don Bosco anticipa lungo le
Memorie dell'Oratorio elementi tipici della attenta vigilanza che ispira la sua pedagogia
di internato: la diffidenza nei confronti dei compagni pericolosi («peste pei buoni e pei
cattivi»)93 e dei discorsi cattivi;94 la valutazione piuttosto negativa delle vacanze;95 i
classici motivi di espulsione: bestemmia, scandalo con azioni e discorsi immorali,
irreligiosità, grave indisciplina.96
4. L'azione benefica globale si riassume nell’assistenza. È termine diffuso
nell'intera memoria e prelude alla formula «sistema preventivo» che don Bosco ben
presto (nel 1877) adotterà per indicare il suo stile educativo.97 È un'equivalenza; con un
duplice fondamentale significato: a livello anzitutto di fini e di contenuti (offerta al
giovane di tutto ciò che gli è necessario per l'anima e per il corpo) e poi di metodo e di
mezzo disciplinare (la «vigilanza», la «presenza»). Nell'accompagnamento religioso del
figlio fanciullo — scrive don Bosco — la madre «continuò a prestarmi tale assistenza
fino a tanto che mi giudicò capace di fare degnamente da solo la confessione»;98 in
occasione della prima comunione «mia madre studiò di assistermi più giorni».99 Più
avanti, riferendosi agli studi chieresi, egli scrive: «da tutte parti io era cercato per dare
trattenimenti, assistere allievi nelle case private ed anche per fare scuola o ripetizione a
domicilio».100
Ma il «sistema» è visto e presentato soprattutto come il più adatto ai giovani
«nuovi» di cui pullula la città in un momento di particolari trasformazioni economiche e
sociali. Inevitabilmente il primo impatto coi giovani a Torino tra il 1841 e il 1842 si
traduce in «assistenza», intesa in senso pregnante. «Abbandonati a se stessi» essi hanno
bisogno di sacerdoti «amici», che non si interessino solo di «cura d'anime».101 «Fu
allora che io toccai con
92 MO (1991) 187-188. Il processo si svolse in un arco di tempo di dieci anni (1853-1862).
93 MO (1991) 92.
94 MO (1991) 41, 43, 54-55, 61, 65, 86, 89, 92, 178.
95 MO (1991) 96, 98.
96 MO (1991) 41, 61, 63.
97 L'unica volta in cui il «prevenire» assume una connotazione educativa nelle Memorie è quando
don Bosco fa dire a Carlo Alberto deciso a proteggere l'oratorio: «È mia intenzione che queste
radunanze festive siano promosse e protette; se avvi pericolo di disordine si studi modo di prevenirli e
di impedirli»: MO (1991) 163.
98 MO (1991) 34.
99 MO (1991) 43. Anche Lucia Matta, «vedova con un solo figlio», si recava a Chieri «per
assisterlo e vegliarlo»: MO (1991) 56.
100 MO (1991) 61.
101 Cfr. MO (1991) 119, 120-121, 122-123, 124, 128, 142, 150, 151, 175.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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«Memorie» del futuro 117
mano, che i giovanetti usciti dal luogo di punizione, se trovano una mano benevola, che
di loro si prenda cura, li assista nei giorni festivi, studi di collocarli a lavorare presso di
qualche onesto padrone, e andandoli qualche volta a visitare lungo la settimana, questi
giovanetti si davano ad una vita onorata, dimenticavano il passato, divenivano buoni
cristiani ed onesti cittadini».102 L'intuizione iniziale nella presentazione di don Bosco
diventa realtà effettiva. «La festa era tutta consacrata ad assistere i miei giovanetti; lun-
go la settimana andava a visitarli in mezzo ai loro lavori nelle officine, nelle fabbriche.
Tal cosa produceva grande consolazione ai giovanetti, che vedevano un amico prendersi
cura di loro; faceva piacere ai padroni, che tenevano volentieri sotto la loro disciplina
giovanetti assistiti lungo la settimana e più nei giorni festivi che sono giorni di maggior
pericolo».103
Ci sono anche frammenti che integrano l'idea di assistenza con l'ovvio significato
di protezione, di vigilanza e di presenza educativa.104 Riandando a una situazione di
emergenza che obbligò don Bosco e la madre a dedicarsi totalmente e in prima persona
a ogni incombenza verso i giovani il memorialista scrive: «Ma queste cose tornavano
assai vantaggiose moralmente, perché io poteva comodamente indirizzare ai giovani un
consiglio od una parola amica, mentre loro somministrava pane, minestra od altro».105
La Società di mutuo soccorso (1849) e taluni scritti, quali gli Avvisi ai cattolici e le
stesse Letture Cattoliche tendono alla preservazione, alla prevenzione e alla difesa atti-
va.106 Particolarissimo rilievo è dato al Giovane Provveduto, creatura prediletta che don
Bosco reinterpreta, non senza forzature, in chiave apologetica e difensiva: «vedendo
come l'eresia insidiosa si andava ogni giorno più insinuando ho procurato di compilare
un libro adatto alla gioventù, opportuno per le loro idee religiose, appoggiato sulla Bib-
bia, il quale esponesse i fondamenti della religione cattolica colla massima brevità e
chiarezza».107
102 MO (1991) 122-123.
103 MO (1991) 125.
104 Cfr. ad esempio, MO (1991) 154, 158.
105 MO (1991) 188.
106 «Il primo di giugno dell'anno stesso si die' principio alla Società di mutuo soccorso per impe-
dire che i nostri giovani andassero ad ascriversi colla Società detta degli Operai, che fin dal suo princi-
pio manifestò principii tutt'altro che religiosi. Servi a maraviglia al nostro scopo»: MO (1991) 212.
«Nel 1847 quando ebbe luogo l'emancipazione degli ebrei e dei protestanti divenne necessario qualche
antidoto da porre in mano dei fedeli cristiani in genere, specialmente della gioventù»: MO (1991) 217;
cfr. ancora MO (1991) 219-220.
107 MO (1991) 169. Don Bosco si riferisce alla seconda edizione, del 1851, nella quale aveva in-
trodotto le pagine di un opuscolo pubblicato l'anno antecedente, Fondamenti della cattolica religione
(pp. 322-332).

3.2 Page 22

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118
Pietro Braido
5. Idealmente e, in qualche misura, effettivamente, dalle Memorie dell'Oratorio
risulta con evidenza che per don Bosco la cura dei giovani «abbandonati» vuol essere
una risposta a tutti i loro bisogni: vitto, vestito, alloggio, possibilità di lavoro, opportu-
nità di studio, piena occupazione del «tempo libero»;108 e al vertice, la moralità109 e la
religione. È il modo per costruire giovani maturi in grado di incarnare la formula tante
volte proclamata: «buoni cristiani ed onesti cittadini»;110 fare il bene possibile «ai gio-
vanetti abbandonati», adoperandosi «con tutte le forze affinché diventino buoni cristiani
in faccia alla religione, onesti cittadini in mezzo alla civile società».111 «Si raccoglieva-
no giovanetti e si avevano opportunità di insinuare colla massima prudenza lo spirito di
moralità, di rispetto alle autorità, e la frequenza dei santi sacramenti».112
Con questa prospettiva di ricca «umanizzazione», in due circostanze analoghe, don
Bosco ammette l'equivalenza tra oratorio e missioni estere, attribuendone la paternità
prima a Carlo Alberto e poi ad Antonio Rosmini.113
6. Nella pratica, che diventa sistema idealizzato, è fortemente affermato il fonda-
mento: la religione. Riferendosi al regime educativo e disciplinare vigente nella scuola
pubblica di Chieri, in base al retrivo Regolamento del 1822, don Bosco scrive con evi-
dente condivisione: «la religione faceva parte fondamentale dell'educazione».114 Nel
termine sono inclusi gli svariati contenuti di osservanze e di pratiche cristiane (preghie-
re, divozioni, prediche, istruzioni), che in larga misura saranno poi presenti nelle sue
istituzioni."115
108 La formula «tempo libero» ricorre almeno quattro volte nel testo: MO (1991) 71, 93, 159,
153.
109 È compito che si svolge sotto l'impulso dell'originaria ingiunzione: «Mettiti adunque imme-
diatamente a fare loro un'istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù»: MO
(1991) 35.
110 MO (1991) 123.
111 MO (1991) 200.
112 MO (1991) 192. Don Bosco ne scriveva in termini simili al marchese Michele Cavour nella ci-
tata lettera del 13 marzo 1846: «L'insegnamento si riduce precisamente a questo: 1o Amore al lavoro -
2° Frequenza dei Santi Sacramenti - 3° Rispetto ad ogni superiorità 4° Fuga dai cattivi compagni»:
Cfr. G. BRACCO, Don Bosco e le istituzioni..., p. 127.
113 Ma è più credibile che sia prima di tutto idea di don Bosco stesso. Comunque egli scrive:
«Questo principe (...) mi ha più volte fatto dire che egli molto stimava questa parte di ecclesiastico
ministero, paragonandolo al lavoro delle missioni straniere, esprimendo vivo desiderio che in tutte le
città e paesi del suo stato fossero attivate simili istituzioni»: MO (1991) 163. «L'Abate Rosmini ebbe a
paragonarle [le nostre adunanze] con quelle che si fanno nei paesi e nelle chiese delle missioni stranie-
re»: MO (1991) 179-180.
114 MO (1991) 63.
115 Per le pratiche religiose nei giorni festivi all'oratorio, cfr. MO 158-159; per i preludi

3.3 Page 23

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«Memorie» del futuro 119
Occupano un posto centrale i «santi sacramenti», e cioè, oltre la messa, la confessione e
la comunione,116 «che è l'elemento fondamentale della nostra istituzione».117
Nell'orizzonte della pietà e della vita don Bosco intende dare un posto privilegiato
a Maria Santissima, che egli vede presente nelle principali tappe del suo oratorio: il
proprio giorno natale (da lui celebrato il 15 agosto), il primo sogno, l'incontro con Ga-
relli, ecc.118
Ancora, nell'universo religioso e pedagogico spirituale «oratoriano» don Bosco ri-
serva un posto centrale al «catechismo», ragione primaria del sorgere delle sue istitu-
zioni giovanili. Il termine può indicare sia l'insieme dell'educazione cristiana ivi dispen-
sata sia l'istruzione religiosa strettamente intesa con l'ausilio dei soliti manuali e, in
particolare, della Storia sacra.119
È pure esplicitamente ricordata l'istituzione della compagnia di san Luigi, il proto-
tipo delle successive associazioni religiose giovanili, e talune espressioni della divozio-
ne al santo.120
Le pratiche di pietà e soprattutto la frequenza dei sacramenti sono viste strettamen-
te collegate con la vita quotidiana, «l'esatto adempimento dei doveri» o «la puntualità
nei doveri del proprio stato»,121 e con la «moralità», intesa non solo come buon costu-
me, castità,122 ma anche come obbedienza e disciplina.123 Per essere iscritti alla compa-
gnia di s. Luigi — scrive don Bosco — «erano necessarie due condizioni: Buon esem-
pio in chiesa e fuori di chiesa; evitare i cattivi discorsi e frequentare i santi sacramenti.
Quindi si vide un notabilissimo miglioramento nella moralità».124
7. Il metodo, lo stile prima di essere enunciato in formule, attraversa in forma in-
tenzionale e sostanziale l'intera composizione. È senza dubbio «si-
nella borgata natale e in tempi successivi, cfr. MO 40-41, 47, 70, 166. Più avanti nell'attività oratoriana
vengono anche coltivate diffusissime forme della pietà popolare: le visite del giovedì santo, la lavanda
dei piedi, la via crucis, pellegrinaggi, processioni con l'esecuzione di cantici penitenziali: cfr. MO
(1991) 193.
116 Cfr. MO (1991) 109, 122, 124, 137, 158, 160, 171, 178, 179; per la cresima, MO (1991) 157,
178, 179, 190.
117 MO (1991) 137.
118 Cfr. MO (1991) 36, 37, 87, 89-90, 92, 111, 129-130, 133, 191-192.
119 Cfr. MO (1991) 42, 44, 52, 62, 74, 112, 122, 123, 134, 148, 149, 159, 160, 164, 165, 166, 202.
120 MO (1991) 177-179, 211.
121 Cfr.(1991)61,91,95,160.
122 Cfr. MO (1991) 61, 89, 100.
123 Cfr.MO(1991)34,36,44,55,60,126,137,146,160,162,202.
124 MO (1991) 177-178.

3.4 Page 24

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120
Pietro Braido
stema» di carità, di amore, effettivo e affettivo. Evidenti ragioni ideali inducono don
Bosco a mettere a capo dell'intera memoria il sogno dei nove anni. Più che presagio è
già sintesi di un'esperienza che egli ritiene matura per essere esplicitamente comunicata
ai collaboratori: «Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità dovrai gua-
dagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un'istruzione
sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù».125 Le due formule, plurisecola-
ri, iniziano così un cammino nuovo, dando origine a una ringiovanita versione — la più
vistosa e divulgata — del millenario «sistema preventivo».
Fin dagli inizi — nei prati dei Becchi — il disagio giovanile (la solitudine, la noia)
si incontra con la bontà accogliente e gioiosa; l'esperienza si ripete a Chieri e poi a To-
rino. Nella preistoria e nella storia l'oratorio è individuato in questo tipo di incontro.
Il termine «amorevolezza» ricorre una sola volta.126 In armonia con lo stile delle
Memorie dell'Oratorio don Bosco preferisce esprimere le sue idee incarnandole in fatti
e persone; e in riferimento ad essi il lessico affettivo risulta addirittura esuberante fino a
rischiare il formalismo e il convenzionalismo; indubbiamente alieno dal linguaggio
comunemente usato con collaboratori e allievi.
Vi sono coinvolte differenti categorie di persone. Vengono prima la madre e gli
«amici», più giovani di età o coetanei. «Mia madre mi voleva molto bene; ed io le ave-
va confidenza illimitata».127 A 10 anni: «i compagni poi mi amavano assai, affinché in
caso di rissa prendessi di loro difesa».128 A Chieri — scrive — «io potei con facilità
farmi una scelta di amici, che mi amavano e mi ubbidivano come quelli di Murial-
do».129 Paolo Braje è detto «caro ed intimo amico».130 A proposito del giovane ebreo
Giona scrive: io «gli portava grande affetto, egli poi era folle per amicizia verso di
me»;131 e alla madre del giovane dice: «Siamo divenuti amici senza saperne la cagione.
Egli porta molta affezione a me; io l'amo assai, e da vero amico desidero che egli si
salvi l'anima».132 Degli intrattenimenti con i giovani amici della borgata natale durante
le vacanze del 1835 scrive: «era quella una specie di
125 MO (1991) 35.
126 MO (1991) 121.
127 MO (1991) 42. «Mia madre mi vuole molto bene», dice a compagni che lo invitano a rubare:
MO (1991) 55.
128 MO (1991) 38.
129 MO (1991) 55.
130 MO (1991) 67.
131 MO (1991) 73.
132 MO (1991) 75.

3.5 Page 25

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«Memorie» del futuro 121
oratorio, cui intervenivano circa cinquanta fanciulli, che mi amavano e mi ubbidivano,
come se fossi stato loro padre».133 Quanto a Comollo scrive di averlo avuto «sempre per
intimo amico»134 e aggiunge: «ci fui sempre in intima relazione (...) lo amava per le sue
rare virtù; egli amava me perché l'aiutava negli studi scolastici»;135 e più avanti ne
sottolinea ancora «l'amicizia, la confidenza illimitata».136
In due tempi don Bosco nota con rammarico di aver sofferto di mancanza di
relazioni affettuose con persone ecclesiastiche da cui si sarebbe atteso altro
comportamento: da ragazzo e da seminarista. «Io vedeva buoni preti che lavoravano nel
sacro ministero, ma non poteva con loro contrarre alcuna famigliarità»; parroco e
viceparroco dimostravano gravità e cortesia, ma nulla più.137 Altrettanto distacco
ostentavano i superiori del seminario: «Io amava molto i miei superiori, ed essi mi
hanno sempre usato molta bontà; ma il mio cuore non era soddisfatto (...). Ciò
accendeva sempre di più il mio cuore di essere presto prete per trattenermi in mezzo ai
giovanetti, per assisterli, ed appagarli ad ogni loro occorrenza».138 Il seguito, tuttavia,
appare diverso e ancor più il momento del congedo. «Nel seminario io sono stato assai
fortunato ed ho sempre goduto l'affezione de' miei compagni e quella di tutti i miei
superiori».139 «Ma un giorno di vera costernazione era quello in cui doveva uscire
definitivamente dal Seminario. I superiori mi amavano e mi diedero continui segni di
benevolenza. I miei compagni mi erano affezionatissimi. Si può dire che io viveva per
loro, essi vivevano per me».140
Di quanto amore debba irradiare l'educatore e di quale amore a sua volta finisca
con l'essere ricambiato (si vis amari ama) don Bosco parla senza formule, ma con più
persuasiva efficacia plastica attraverso la descrizione particolarmente intensa ed
emotiva della ripetuta «buona sera» che concludeva l'oratorio festivo.141
8. «Vivere per loro», per i giovani, secondo don Bosco, significa non solo offrire
cose serie per la vita, ma con uguale impegno rispondere all'in-
133 MO (1991) 86.
134 MO (1991) 69.
135 MO (1991) 100.
136 MO (1991) 103.
137 MO (1991) 53.
138 MO (1991) 91-92.
139 MO (1991) 104-105.
140 MO (1991) 110.
141 MO (1991) 161.

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122
Pietro Braido
nato bisogno di gioia. Nell'oratorio migrante due serie di strumenti sono sempre abbina-
ti: «gli attrezzi di chiesa e di ricreazione».142 Di fatto, ciò è espresso meglio sul piano
delle descrizioni della realtà effettiva che delle formule: l'oratorio è catechismo, ma a
pari titolo è «giardino di ricreazione».143 Le funzioni di chiesa vengono costantemente
abbinate ai «trattenimenti» ricreativi. Don Bosco lo fa emergere intenzionalmente, rie-
vocando le fasi di sviluppo dell'oratorio nell'intero arco di tempo incluso nelle Memo-
rie.144
Iniziare l'oratorio vuol dire «fare festa»: e ciò comporta indivisibilmente celebra-
zioni religiose, trattenimenti vari e — per un pubblico povero e di buon appetito —
l'immancabile «colazione».145
Allegria, allegrezza, gioia, ilarità, allietare, ridere sono di casa, sostanzialmente più
ancora che lessicalmente, nelle Memorie dell'Oratorio.146
Ne è espressione universale l'«amena» o «piacevole e onesta ricreazione» che
riempie di sé l'intero racconto oratoriano a tesi.147 Soprattutto per essa i giovani trovano
nell'oratorio «il loro paradiso terrestre».148 Vengono profusi i verbi più sbrigliati per
indicare la libera attività giovanile dentro e fuori di esso, soprattutto nelle «camminate»
o escursioni. Qui non viene citato a giustificazione Filippo Neri come nelle pagine sul
Sistema preventivo nella educazione della gioventù. «Fin d'allora mi accorsi che senza
la diffusione di libri di canto e di amena lettura le radunanze festive sarebbero state
come un corpo senza spirito».149 «Quando loro dissi che colà ci attendeva vasto locale,
tutto per noi, per cantare, correre, saltare e ricrearci ne ebbero piacere, ed ognuno atten-
deva impaziente la seguente domenica per vedere le novità che si andavano immagi-
nando».150 «I mugnai, i garzoni, i com-
142 MO (1991) 156; cfr. già p. 140. Di «attrezzi da chiesa e da ricreazione» don Bosco aveva già
scritto vent'anni prima: cfr. Cenno storico..., p. 40. Ma l'abbinamento è già volutamente esplicitato da
don Bosco quando scrive dei primi trattenimenti coi fanciulli, di lui ancora fanciullo: MO (1991) 38-41.
143 MO (1991) 157.
144 MO (1991) 38-41, 48, 61,76-77, 112, 123-125, 133, 134, 137, 141, 144-146, 157-161 (la «società
dell'allegria» ne è anche una versione). Don Bosco addirittura rievoca se stesso dodicenne (o quindi-
cenne) mentre difende di fronte al rigido ventenne studente di teologia Giuseppe Cafasso la legittima
coesistenza nella festa di religione e divertimenti: «v'è tempo per tutto; tempo di andare in chiesa e
tempo per ricrearci»: MO (1991) 52.
145 MO (1991) 123-125, 145, 146 (a Superga il teol. Audisio «fece la graziosa spesa di una minestra
colla pietanza a tutti gli ospitati»), 192 (gli Oblati di Maria alla Consolata improvvisano «una stupenda
colazione»).
146 Cfr. MO (1991) 38, 39, 61, 65, 80, 81, 82, 90, 111, 121, 145, 146, 159, 179, 193, 217.
147 MO (1991) 61, 62, 70, 80, 94, 134, 135, 137, 155, 156, 157, 158, 159, 164, 165.
148 MO (1991) 144.
149 MO (1991) 123.
150 MO (1991) 131.

3.7 Page 27

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«Memorie» del futuro 123
messi, non potendo tollerare i salti, i canti e talvolta gli schiamazzi dei nostri allievi, si
allarmarono».151 «Usciti di chiesa cominciava il tempo libero (...). Chi continuava la
classe di catechismo, altri del canto, o di lettura, ma la maggior parte se la passava sal-
tando, correndo e godendosela in varii giuochi e trastulli. Tutti i ritrovati per i salti,
corse, bussolotti, corde, bastoni, siccome anticamente aveva appreso dai saltimbanchi,
erano messi in opera sotto alla mia disciplina».152 E così nelle camminate di cui viene
presentata come esempio una escursione a Superga: «Si osservava silenzio sin fuori
delle abitazioni della città, di poi cominciavano gli schiamazzi, canti e grida ma sempre
in fila e ordinati»; «tutti (...) si posero a fare applausi ed ovazioni gridando, schiamaz-
zando e cantando»; «stanchi dal ridere, scherzare, cantare e direi urlare, giungemmo al
luogo stabilito»; «il medesimo cantare, ridere, correre e talvolta pregare occupò la no-
stra via» (del ritorno).153
Don Bosco tende ad esagerare lo stesso suo coinvolgimento di giovane studente in
simili «trattenimenti» «come sono canto, suono, declamazione teatrino», oltre i giuochi
di carte, di abilità e di destrezza: «carte, tarocchi, pallottole, piastrelle, stampelle, salti,
corse»; «talora cantava, talora suonava o componeva versi».154
9. Affettività e gioia, forma di partecipazione alla tipica vita giovanile, l'«amena
ricreazione» creano l'elemento connettivo del rapporto educativo. L’educatore assume
iniziative e responsabilità; i giovani rispondono con spontanea affezione che li porta a
condividere nell'obbedienza i valori proposti e comunicati. «Affezionati a questa me-
scolanza di divozione, di trastulli, di passeggiate ognuno mi diveniva affezionatissimo a
segno, che non solamente erano ubbidientissimi a' miei comandi, ma erano ansiosi che
loro affidassi qualche incumbenza da compiere (...). E veramente l'ubbidienza e l'affe-
zione dei miei allievi andava alla follia».155 Integra il concetto la famosa «parolina all'o-
recchio», segno di prossimità, di famigliarità, di amicizia: «Io mi serviva di quella smo-
data ricreazione per insinuare ai miei allievi pensieri di religione e di frequenza ai santi
sacramenti. Agli uni con una parola nell'orecchio raccomandava maggior ubbidienza,
maggior puntualità
151 MO (1991) 137.
152 MO (1991) 159. Abbondano termini quali divertimenti, giochi, spettacoli, trattenimenti, tra-
stulli: MO (1991) 38, 39, 40, 41, 48, 52, 60, 61, 63, 76, 77, 83, 100, 101, 159, 160, 161.
153 MO (1991) 145-146.
154 MO (1991) 76-77.
155 MO (1991) 146.

3.8 Page 28

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124
Pietro Braido
nei doveri del proprio stato; ad altri di frequentare il catechismo, di venirsi a
confessare e simili».156
Sono due citazioni che, senza che don Bosco ne faccia un'analisi riflessa,
ipotizzano un tipo di rapporto educativo in cui si incontrano, in un ricco teso
equilibrio, fattori personali, contenutistici e metodologici: gli irrinunciabili valo-
ri o fini, temporali ed eterni, da raggiungere; la persona dell''educatore che ne è
il portatore; la «famiglia» oratoriana, ricca di gioia e di affettività; il giovane
insieme obbediente e partecipe.
Dell'educatore, primo artefice di questo dinamismo educativo, don Bosco
propone o costruisce dei modelli.
Due sembrano soprattutto rappresentare l'immagine dell'educatorepadre:
don Calosso e il prof, don Pietro Banaudi.157 Di don Calosso mette in particolare
evidenza l'opera più che paterna di sostegno morale e materiale e di guida spiri-
tuale, secondo la promessa: «vieni con me ed avrai un padre amoroso».158 Don
Bosco poi presenta se stesso come il tipo del discepolo aperto e fiducioso, quale
avrebbe voluto incarnato dai suoi giovani. «Gli feci conoscere tutto me stesso.
Ogni parola, ogni pensiero, ogni azione eragli prontamente manifestata (...).
Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, di un fedele amico del-
l'anima, di cui fino a quel tempo era stato privo».159 E più avanti: «D. Calosso
per me era divenuto un idolo. L'amava più che padre, pregava per lui, lo serviva
in tutte le cose (...). Quell'uomo di Dio mi portava tanta affezione che più volte
ebbe a dirmi: Non darti pena pel tuo avvenire (...)».160
Il prof, don Pietro Banaudi (ancor vivente quando don Bosco ne scrive) è,
invece, presentato come modello di insegnante secondo il più perfetto paradig-
ma preventivo. «Il professore Banaudi era un vero modello degli insegnanti.
Senza mai infliggere alcun castigo era riuscito a farsi temere ed amare da tutti i
suoi allievi. Egli li amava tutti quai figli, ed essi l'amavano qual tenero padre
(...). Tra professore ed allievi era vi un cuor solo, ed ognuno studiava modi per
esprimere la gioia dell'animo».161
156 MO (1991) 160.
157 Oltre il «venerando» padre Giusiana, domenicano, di cui ricorda il «paterno affetto»:
MO (1991) 66, 111.
158 MO (1991) 50.
159 MO (1991) 47.
160 MO (1991) 50.
161 MO (1991) 71-72. Non è l'unica volta che nelle Memorie dell'Oratorio ricorre il bi-
nomio amore-timore. Giovannino ai Becchi «era molto amato e molto temuto», i compagni lo
«amavano assai» e insieme egli «aveva forza e coraggio da incutere timore ai compagni di assai
maggiore età»: MO (1991) 38. «Con insolita affabilità» è capace di esprimersi anche il prof.

3.9 Page 29

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«Memorie» del futuro 125
A livello di lavoro più segreto nell'intimo delle coscienze don Bosco segnala altre due figure
esemplari di confessori e direttori spirituali:162 il giovane teol. Maioria163 e il consigliere e
benefattore san Giuseppe Cafasso.164
Figura «esemplare», introdotta nelle Memorie dell'Oratorio a pochi giorni dalla morte
(9 settembre 1873) e scolpita in grande rilievo, è quella del sacerdote Giovanni Borei,
cogestore e collaboratore nel primo oratorio,165 solidale nell'attività pastorale e educativa
giovanile, partecipe del medesimo stile cordiale e popolare di approccio umano e apostolico.166
Così delineato al primo incontro in seminario: «Egli apparve in sacristia con aria ilare, con
parole celianti, ma sempre condite di pensieri morali (...). Quando poi cominciò la sua
predicazione e se ne ammirò la popolarità, la vivacità, la chiarezza, e il fuoco di carità che
appariva in tutte le parole, ognuno andava ripetendo che egli era un santo».167 Don Bosco ce lo
fa reincontrare al Rifugio, presentandolo come «un santo sacerdote un modello degno di
ammirazione e di essere imitato», un autentico maestro di azione pastorale.168 Inoltre, anche se
don Bosco è piuttosto reticente nel mettere in luce il reale protagonismo del Borei nei primi
anni dell'opera dell'oratorio, non manca almeno in due occasioni di sottolinearne l'effettivo
coinvolgimento nei suoi sviluppi: l'affitto di tre stanze nella casa di don Moretta169 e l'apertura
dell'oratorio di S. Luigi.170
Cima «uomo severo per la disciplina»: MO (1991) 57-58. E Giovanni stesso, che pure si attirava «la
benevolenza e l'affezione dei compagni», tuttavia «era temuto pel (...) coraggio e per la (...) forza
gagliarda»: MO (1991) 60-61 e 69.
162 Nelle Memorie dell'Oratorio vengono introdotte consolidate persuasioni di don Bosco circa il
confessore stabile e l'importanza del direttore spirituale, in particolare in rapporto alla decisione
vocazionale: cfr. MO (1991) 64-65, 109, 116, 119, 127.
163 MO (1991) 64-65; il quale però, con grande rincrescimento di don Bosco, non volle mai
mischiarsi in tema di vocazione: MO (1991) 84, 85.
164 MO (1991) 109, 116, 119, 127-128. Don Bosco ritiene decisivo per la sua scelta dei giovani il
discreto intervento di don Cafasso.
165 Però, don Bosco non mette in completa luce il reale coprotagonismo del Borei nei primi anni
dell'Oratorio.
166 Cfr. MO (1991) 131-132 (nell'oratorio al Rifugio), 136 (nell'oratorio ai Mulini Dora), 145
(responsabile logistico nella escursione a Superga), 152 (vicino, ma reticente, nella «pazzia» di don
Bosco), 170 (fraternamente sollecito della salute di don Bosco nella malattia del 1846), 187 (coinvolto
negli attentati).
167 MO (1991) 105. Anche la «popolarità» di stile nel predicare e scrivere sembra essere
presentata nelle Memorie dell'Oratorio come caratteristica «preventiva»: cfr. MO (1991) 97-98, 112,
136, 158, 166, 167.
168 MO (1991) 128.
169 «D'accordo col T. Borrelli abbiamo preso a pigione tre camere della casa di D. Moretta»: MO
(1991) 141.
170 «Allora sempre d'accordo col T. Borrelli a fine di provvedere a quel crescente bisogno venne
aperto un novello Oratorio in altro quartiere della citta»: MO (1991) 183.

3.10 Page 30

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126
Pietro Braido
In sostanza più degli altri collaboratori don Borei è volutamente presentato come il
sacerdote educatore che al pari di don Calosso, di don Banaudi e di don Bosco stesso
incarna la figura dell'amico e padre, richiesta dalla pedagogia preventiva dell'amore. Già
nelle prime pagine don Bosco si definisce «padre», «padre affezionato», e parla di
«paterna affezione»;171 ricorrono poi le espressioni «padre amoroso», «cura paterna»,
«paterno consiglio», «paterno affetto».172
Diventa quasi inevitabile che, essendosi trovato, più o meno casualmente, in un
contesto storico e ambientale propizio, egli finisse col scegliere, come modello
dell'educatore e protettore dell'opera, san Francesco di Sales, motivando con una
ragione forse maturata più tardi: «la parte di quel nostro ministero esigendo grande
calma e mansuetudine» si chiedeva al santo «la grazia di poterlo imitare nella sua
straordinaria mansuetudine e nel guadagno delle anime».173
Conclusione
Si è tentato di ipotizzare una lettura delle Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di
Sales, che ne faccia emergere i contenuti e i significati nella forma più autentica e ricca.
Vi si è rintracciata la presenza di una chiara intenzionalità «pedagogica». Visto in
profondità lo scritto ha come oggetto l'oratorio, la rinnovata opera princeps di don
Bosco in favore dei giovani, e il metodo educativo che vi si pratica. Per questo, accanto
agli interessanti ingredienti narrativi, essi stessi vivace pedagogia, e ad elementi
eventualmente utilizzabili per la storia, si ritrovano soverchianti, per quantità e qualità, i
contributi che permettono di ricostruire i lineamenti fondamentali della mentalità, della
spiritualità e dello stile educativo di don Bosco. In sostanza vi si sono rintracciati i
contenuti e i metodi, che verranno riformulati e tramandati negli scritti successivi e nella
prassi come componenti essenziali del «sistema preventivo».
Le Memorie hanno il merito e il vantaggio di offrirne la versione più imprevedibile
e simpatica, presentata senza sussiego accademico tramite una miriade di situazioni, di
fatti, di persone, sovraccarichi di intuizioni e di
171 MO (1991) 30.
172 MO (1991) 50, 76, 98, 111. S8 Si succedono ancora i termini affetto, bontà, dolcezza, cortesia,
benevolenza, carità: MO (1991) 35, 36, 60-61, 65, 70, 88, 95, 109, 110, 113.
173 MO (1991) 133.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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«Memorie» del futuro 127
significati, che la rendono straordinariamente disponibile al variare delle condizioni
storiche e alle cangianti esigenze della condizione giovanile.
È il «sistema dell'oratorio» nella sua espressione originaria: insieme impegnativa
«casa giocosa» — palestra di solide virtù umane e cristiane, di sviluppo personale e
sociale, civile ed ecclesiale — e «casa zoiosa» nel senso più limpido e dilatante, che
nessuna «normalizzazione» riuscirà a mortificare.