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NOTE
COME SI SCRIVE LA STORIA OGGI (*)
Francis Desramaut
Come lavorano gli storici oggi?
Nel maggio scorso, su richiesta dell'Istituto Storico Salesiano, ho accettato,
senza molto riflettere, di trattare il tema: Orientamenti storiografici attuali in
ambito laico ed in ambito ecclesiale, con eventuale riferimento all'ambito sale-
siano. Una frase di spiegazione del progetto mi informava che orientamenti sto-
riografici doveva essere inteso: Come lavorano gli storici oggi?
Ho subito chiesto di restringere la questione. Innanzitutto, almeno nelle no-
stre regioni, in storia non c'è più oggi — al contrario di ieri, quando bisognava
essere teologi per penetrare a pieno diritto nel mondo del sacro — non c'è più
oggi, dicevo, differenza fra ambito laico e ambito ecclesiale. L'ambiente storico
si è omogeneizzato. L'espressione in ambito laico ed in ambito ecclesiale non
aveva dunque ragion d'essere. In secondo luogo, siccome il metodo storico cam-
bia abbastanza quando si passa dal periodo antico al periodo contemporaneo —
ed è a quest'ultimo che si riferisce, come è ovvio, la storia salesiana — ho chiesto
di poter ridurre il campo di esplorazione alla sola storiografia contemporanea che
comprende gli anni 17891992. Infine, costituendo oggi la storiografia religiosa
una specialità riconosciuta, mi è parso giusto riformulare la domanda nei seguenti
termini: Come lavorano oggi gli storici specialisti della storia religiosa contem-
poranea? Aggiungo ancora che, volendo dire esclusivamente ciò che conosco, ho
ridotto le mie ambizioni al solo ambiente francofono.
Il terreno rimaneva grande. La ragione forse vi sorprenderà. Il fatto si è che
l'università francese, che prima del 1960 rifiutava, salvo illustri eccezioni come
Gabriel Le Bras e Augustin Fliche, di interessarsi di religione, e quindi di storia
religiosa, supposta folcloristica e indegna di studio scientifico, ha da allora cam-
biato direzione di centottanta gradi. Oggi si assiste ad
(*) Contributo presentato in occasione del seminario di studio tenutosi nella sede dell'ISS
dal 7 al 9 gennaio 1993: vedi Cronaca.

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376 Francis Desramaut
una esplosione. Dalla sua fondazione nel 1974, io faccio parte dell’Association
française d'histoire religieuse contemporaine. (Tra parentesi, il tema della prima
giornata di studio dell’Association fu giustamente nel 1974: Problemi e metodi
della storia religiosa contemporanea.) Ora, per comporre questa relazione, ho
lungamente interrogato l'8 luglio scorso Jean-Dominique Durand, professore di
storia all'università di Lione III e attuale presidente dell'associazione. Mi diceva
allora che stava preparando un bollettino sulle tesi e memorie di storia religiosa in
corso nelle differenti università francesi. Constatava così che quasi in ciascuna di
esse vi era ormai uno specialista di storia religiosa. Le eccezioni si riducevano a
quattro o cinque università. Gli storici di storia religiosa contemporanea, oggi
numerosi in Francia, sono nella maggior parte dei laici nel pieno vigore degli
anni, dai trentacinque ai cinquantacinque anni, mi diceva. E i loro lavori, a segui-
to di quelli di André Latreille e di Henri-Irénée Marrou, i pionieri oggi scomparsi,
sono apprezzati ed accolti, anche in Italia, credo, quando sono firmati da René
Rémond o Jean-Marie Mayeur.
È a loro che mi riferirò qui per rispondere alla domanda che mi è stata posta.
Gli storici dell'età contemporanea conoscono ormai la tesi molto dotta di Jean-
Dominique Durand — il professore che ho interrogato — edita sotto il titolo:
L'Eglise catholique dans la crise de l'Italie (1943-1948) (Ecole française de Ro-
ma, Palais Farnèse, 1991, 879 p.). Parecchi storici religiosi tra i più rinomati del-
l'esagono francese hanno contribuito in questi ultimi anni a uno studio esemplare
su un caso che mette in gioco parecchi ecclesiastici. René Rémond è stato il prin-
cipale realizzatore di questo lavoro collettivo pubblicato col titolo: Paul Touvier
et l'Eglise e sottotitolato: Rapport de la Commission historique instituée par le
cardinal Decourtray (Paris, Fayard, 1992, 418 p.) (Jean-Dominique Durand era
uno dei collaboratori.) A questi specialisti sperimentati ho chiesto come procedo-
no, lasciando da parte gli innumerevoli amatori, sovente giornalisti, che lavorano
in fretta e così accumulano errori. Così, ultimamente, Robert Serrou, addetto alle
questioni religiose di Paris-Match, nel libro Pie XII, le pape roi (Paris, Perrin,
1992, 336 p.), ha fatto del generale Lamoricière un difensore di Roma nel 1870,
quando questo ufficiale, eroe di Castelfidardo (18 settembre 1860), era morto nel
1865.
Le tappe dell'opera storica
Quando vogliono fare un'opera durevole, gli specialisti hanno bisogno di
tempo. Jean-Dominique Durand mi ha detto che due reporters del gior-

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Come si scrive la storia oggi
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nale Le Monde (Laurent Greilsamer et Daniel Schneidermann, Un certain Mon-
sieur Paul, Paris, Fayard, 1989), hanno impiegato sei mesi per redigere la propria
versione dell'affare Touvier. La commissione di René Rémond ha aspettato due
anni e mezzo per redigere il rapporto sulla stessa questione.
Se fanno il loro mestiere gli storici seguono rigorosamente un cammino per-
corso già da più o meno tre secoli (dal tempo di Jean Mabillon) e meglio illumi-
nato oggi grazie soprattutto ai discepoli di Lucien Febvre e Marc Bloch. È neces-
sario seguire il seguente ordine: 1) Determinare il problema; 2) Raccogliere la
documentazione; 3) Analizzare, confrontare e valutare i documenti; 4) Comporre,
sulla loro base, una risposta in ordine al problema posto. Noi li accompagneremo
su questa strada, permettendoci ogni tanto, come ci è stato raccomandato, un'in-
cursione nella storia salesiana che costituisce lo sfondo del quadro delle nostre
presenti riflessioni.
1. Determinare il problema
Ho letto un giorno in uno scritto di uno dei maestri della «Nouvelle histoire»
(degli anni 60) che, se bisognava definirla in una parola, avrebbe scelto «storia-
problema». Si tratta di un progresso rispetto al 19° secolo.
All'inizio della composizione storica contemporanea c'è un problema più o
meno complesso. Questo problema può dare origine sia ad un'opera di parecchi
volumi, come La Méditerranée et le monde méditerranéen à l'époque de Philippe
II di Fernand Braudel (Paris, A. Colin, 1966, 2 voll.), sia a una tesi di novecento
pagine come quella di Jean-Dominique Durand, sia anche a un semplice articolo
di rivista di una quarantina di pagine. Senza un problema iniziale più o meno
correttamente definito, avrete, col pretesto di fare storia, una cronaca inarticolata,
una serie di informazioni sconnesse, un ammasso penoso e piuttosto privo di
interesse. Invece una volta posto il problema come si deve, se il lavoro è condotto
abilmente, la risposta suscitata dal problema gli conferisce l'indispensabile unità e
omogeneità.
La tesi di Jean-Dominique Durand tratta della Chiesa in Italia dalla caduta di
Mussolini il 25 luglio 1943 alla vittoria elettorale del partito democratico cristia-
no (Democrazia cristiana) il 18 aprile 1948. Il titolo dell'opera L'Eglise catholi-
que dans la crise de l'Italie (1943-1948) determina sin dall'inizio il tempo, il
luogo e l'azione della storia. Da qui l'autore si premura di enunciare chiaramente
nell'introduzione del libro alcune questioni fondamentali, che costituiscono le
articolazioni del problema: «Quale era il posto della Chiesa nella società italiana,
quali erano i suoi mezzi di influenza?

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Francis Desramaut
Quale fu il comportamento del papa, dei vescovi e del clero dinnanzi ai drammi
del tempo, e qual era il loro progetto di società?» Questo «progetto di società» è
formulato nella seguente domanda dell'introduzione: «Che cosa era questa 'civi-
lizzazione cristiana' che si voleva difendere con tutte le forze?» Infine, ultima
domanda che prova come l'autore non riduca la Chiesa soltanto al clero: «Quale
ruolo era affidato ai laici e più particolarmente al partito dei cattolici?» Andando
di questo passo Jean-Dominique Durand non correva il rischio di infliggere al
lettore una sfilza di interventi pontifici e vescovili dal 1943 al 1948, come avreb-
be fatto un apprendista. Fedele al suo progetto, egli avrebbe presentato una socie-
tà — la Chiesa cattolica — alle prese con una crisi politica, sociale e morale ben
delimitata.
Per quanto riguarda il rapporto di René Rémond, la quarta pagina di coperti-
na definisce il problema solo suggerito dal titolo: Paul Touvier et l'Eglise. L'ope-
ra parte da una constatazione. Il 3 settembre 1944, alla liberazione di Lione, il
capo della Milizia Paul Touvier (la milizia era una polizia francese infeudata
all'occupante tedesco) sparisce. Il 24 maggio 1989, è arrestato in un convento
integrista a Nizza. Fra queste due date una lunga fuga punteggiata da due con-
danne a morte, da un arresto e da un'evasione, da anni divisi fra la reclusione
volontaria e il vagabondaggio, da innumerevoli passi fatti con l'aiuto di una co-
stellazione di prelati, di sacerdoti, di religiosi, il tutto concluso con una grazia
presidenziale, subito seguita da uno scandalo pubblico e da un'accusa per crimini
contro l'umanità. Ed ecco il problema propriamente detto: «Onde fare luce su
questo sostegno dato da molti ambienti di Chiesa, il cardinale (Decourtray) ha
incaricato una commissione di storici, presieduta da René Rémond, perché proce-
desse ad una investigazione profonda, allo scopo di capire come e perché Paul
Touvier abbia beneficiato per un così lungo periodo di tempo di tanto supporto
ecclesiastico». L'essenziale del problema è nell'ultima proposizione: «Come e
perché abbia beneficiato di tanto supporto ecclesiastico». Gli storici erano stati
sollecitati a cercare una spiegazione del comportamento degli ecclesiastici impli-
cati in questa complessa vicenda. Tutto ciò che poteva contribuire a risolvere tale
questione fondamentale meritava di essere preso in considerazione. Ma era altresì
necessario mettere da parte tutte le informazioni parallele, divertenti, interessanti,
anche drammatiche..., che erano state raccolte sulla Chiesa francese durante que-
sti quarantacinque anni.
2. Riunire la documentazione
Circoscritto il problema — nel tempo, nello spazio e nell'oggetto — lo sto-
rico passa logicamente alla seconda tappa. (Qui logicamente ricorda che

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Come si scrive la storia oggi
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le tappe possono interferire l'una coll'altra, che spesso il problema andrà ridefini-
to di fronte ad una documentazione imprevista...). Riunisce i documenti. La si-
tuazione dello storico differisce da quella dello specialista che lavora sul presen-
te. Lo storico non è un chirurgo che riduce la frattura di un membro che ha sotto
gli occhi, né un astrofisico che studia la composizione chimica di una stella me-
diante il telescopio. L'oggetto della ricerca è sparito irrimediabilmente: egli deve
sottomettersi a delle mediazioni che gli offrono degli echi del passato. Secondo
l'opinione corrente, il lavoro storico si riduce alla redazione. Lui sa che, prima di
redigere il suo studio, dovrà dedicare un lungo tempo a riunire, classificare ed
analizzare la sua documentazione.
I documenti sono di un'estrema varietà nella storia contemporanea: certa-
mente i documenti scritti, siano essi manoscritti o stampati, ma anche documenti
orali, documenti di architettura, iconografici, fotografici, sonori... Don Giuseppe
Solda ci ha offerto nel 1987 un bel libro su don Bosco nella fotografia (e nella
pittura) del suo secolo, che è una raccolta critica di documenti iconografici che lo
riguardano direttamente. La nostra conoscenza di don Bosco nel 1861, a quaran-
tasei anni, nel 1872, dopo la malattia di Varazze, e nel 1886, durante il viaggio di
Barcellona, ci ha guadagnato. Il rapporto Rémond è fondato in gran parte su do-
cumenti orali. Il libro riproduce alla fine una lista di settanta nomi di personaggi,
che furono interrogati durante l'inchiesta, con la data precisa delle interviste ac-
cordate. (Ci sono anche i nomi di quelli che si rifiutarono di parlare.) Fra gli in-
terrogati, vi è un salesiano, don François Cartier, della comunità di Chambéry,
che fu interrogato il 4 luglio 1990.
A questo punto dell'opera storica, il documento è raccolto tale e quale, con
le sue ingenuità, i suoi eccessi e i suoi errori manifesti. Lo si vedrà più tardi. Lo
storico sa che il testimonio accomoda a suo vantaggio il racconto in cui è impli-
cato, che si sbaglia facilmente sulle date, che le sue passioni lo inducono ad accu-
sare gli uni e a discolpare gli altri. Jean-Dominique Durand mi diceva che i «col-
loqui» nei quali i testimoni intervengono sono spesso dei cattivi colloqui. Rego-
larmente storici e testimoni vengono a trovarsi su posizioni opposte. Capita così
che i testimoni pretendono — ordinariamente a torto — di avere una veduta più
esatta, perché più immediata, delle questioni in discussione. Di fronte a loro, gli
altri (gli storici), impressionati dalle loro disgrazie, rimangono in rispettoso silen-
zio...
La documentazione storica, anche per il periodo contemporaneo, è general-
mente scritta. Lo storico finisce il più spesso nei depositi degli archivi e fra le
collezioni dei giornali. È qui una delle grandi difficoltà dei «contemporaneisti»:
in questo ambito la documentazione lo sommerge, la ricerca si

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Francis Desramaut
fa opprimente. Negli archivi dell'Azione Cattolica Italiana il fondo generale della
Gioventù Femminile — mi diceva Jean-Dominique Durand — costituisce da solo
una massa di parecchie centinaie di scatole. Lo storico, obbligato necessariamen-
te a scegliere, non può consultare che alcuni dossier di interesse più generale. A
meno che l'oggetto della sua ricerca sia una sola persona o un fatto isolato...
Non parlo della registrazione di questa documentazione, oggi facilitata dai
diversi mezzi di riproduzione. Ma guai alle copie approssimative e ai riferimenti
insufficienti! Lo storico deve essere estremamente rigoroso nella descrizione dei
pezzi che utilizza; la bibliografia e la codicologia hanno le loro regole, che non
bisogna mai assolutamente trasgredire.
3. Analizzare la documentazione
I documenti riuniti dovranno essere analizzati. In un primo tempo, la loro
classificazione e la loro interpretazione saranno facilitate da un quadro cronologi-
co molto spesso indispensabile. Gli storici del rapporto Rémond, mi diceva Jean-
Dominique Durand — insospettiti dalle contraddizioni delle date degli avveni-
menti — decisero subito di stabilire una cronologia. Essa venne a costituire una
trentina di pagine dattiloscritte.
L'analisi stessa dei documenti sarà spesso sommaria. Dopo un breve sguardo
d'insieme essa concluderà per esempio: «Il tal bollettino parrocchiale di Bari ha
dato questa notizia nel numero del 9 dicembre 1943», e potrà restarsene lì. Ma lo
storico serio conserva sempre nella sua mente una griglia di analisi affinata dal-
l'esperienza dei predecessori. Parliamo solo dei documenti scritti. (La storia delle
fotografie truccate dei cosiddetti massacri di Timisoara, in Romania, alla fine del
1989, fa riflettere coloro che si appoggiano sopra documenti fotografici e filmici.)
La griglia di analisi del documento scritto è triplice: testuale, letteraria, interpreta-
tiva. Infatti il testo di cui non ho che una riproduzione può essere stato mal regi-
strato, mal ricopiato o mal pubblicato. Colui che lo verifica ne fa la critica testua-
le, a livello di parole e di frasi. E poi il senso di questo testo non è necessariamen-
te di una perfetta evidenza. Chi vi è interessato ne fa la critica cosiddetta lettera-
ria, che è già per se stessa complessa perché scruta il discorso nella sua elabora-
zione. Infine, se questo testo è preso in considerazione per il mio lavoro, che cosa
mi apporta? Mi dice, forse molto chiaramente, delle cose completamente false. Io
entro allora in una critica cosiddetta di interpretazione. Accettare senza controllo
tutte le frasi stampate è un'ingenuità. Interpretare un testo falso o compreso di
traverso è una sciocchezza in sé

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Come si scrive la storia oggi
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imperdonabile da parte di uno storico di mestiere. Questo deve dunque seguire
rigorosamente il seguente ordine: 1) Il testo. 2) Il senso del testo. 3) La portata
del testo.
Bisogna insistere su questa tappa dell'opera storica perché gli storici salesia-
ni del primo secolo non ebbero alcuna preoccupazione di critica testuale o lettera-
ria. Accettavano tutte le testimonianze sulla base della sola onestà dei testimoni.
Il processo d'analisi era però ben conosciuto alla loro epoca. Aggiungiamo che
alcuni autori di libri di storia, spesso sociologi, come Michel Foucault (Surveiller
et punir, Gallimard, 1975) continuano ad ignorarlo sotto i nostri occhi. Le loro
intuizioni possono essere interessanti, ma le loro conclusioni a partire dai testi
non dovrebbero essere prese sul serio.
Innanzitutto il testo. Gli storici salesiani, che si basano ancora sulle Memorie
Biografiche, hanno motivi di essere vigilanti. Cosa vale il testo della lettera che
figura nella mia documentazione? La sua formulazione è veramente esatta? Se,
per una ragione o un'altra, voi vi mettete a dubitare, riferitevi all'originale. In
effetti, la sola cattiva lettura della cifra di una data può comportare o incoraggiare
una cascata di errori. L'epistolario di don Bosco edito (bene, il più sovente) da
don Ceria contiene una lettera di don Bosco, che era allora a Roma, a don Rua,
che stava a Torino, una lettera chiaramente datata da «Roma, 13 febb. 70» (Epi-
stolario II, p. 77-78). Ricordate il numero 13. Dal momento che vi si legge: «Ieri
fui all'udienza del S. Padre», la lettera conforta l'ipotesi, sostenuta da don Lemo-
yne, di un'udienza pontificia nella giornata del 12 febbraio, udienza che, lo dico
subito, non è mai esistita. Ma guardate la nota dell'editore E. Ceria dopo la data:
«3. Data ricavata dal contesto («ieri fui all'udienza»). «Questa data è dunque una
costruzione «ricavata dal contesto». Vediamo le copie anteriori del documento.
Nelle MB IX 824, che datano il pezzo senza commento: «Roma, 14 febbraio
1870», non si parla di ricostruzione; ma le MB non concordano neanche con la
data presunta dell'udienza pontifìcia, poiché si passa dal 13 al 14. I Documenti
XII, 27, composti negli ultimi anni di don Bosco, sono ancora di diverso parere:
optano per «Roma 17 febbraio 1870». In questi casi si impone il ricorso all'origi-
nale. Ci permetterà forse di scegliere fra il 13, il 14 e il 17. Ora su questo don
Bosco non ha datato la sua lettera al solito modo: «Roma, ... febbraio». Ha sem-
plicemente scritto in alto, alla sinistra del foglio: «17 febb. 70», data che la critica
esterna ci dice che fu non della redazione ma della spedizione della lettera. Infatti
fu scritta il 16, l'indomani d'una udienza pontificia collettiva del 15 febbraio (Si
veda F. DESRAMAUT, Le récit de l'audience pontificale du 12 février 1870 dans
les Memorie Biografiche de don Bosco, RSS 6 [1987] 81-104). Bisogna sempre
inter-

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Francis Desramaut
rogarsi sull'esattezza testuale dei documenti ricopiati o editi, a meno di dare fidu-
cia a editori sicuri come don F. Motto o don P. Stella. Soprattutto perché don
Lemoyne, che accomodava le memorie di don Bosco alle necessità del proprio
racconto, non si preoccupava affatto dell'esattezza testuale dei documenti che
produceva, anche se inquadrati da virgolette.
La critica, detta qui letteraria, fa seguito alla critica testuale. L'analisi verte
sul senso del testo attraverso lo studio della sua elaborazione nella mente e sotto
la mano dell'autore prima, attraverso lo studio delle sue parole e delle sue frasi
poi. La testologia ha preso oggi un grande sviluppo, da quando alcuni specialisti
si sono messi a studiare i manoscritti di scrittori rinomati del XIX e XX secolo.
Gli storici religiosi vi fanno talvolta ricorso quando esaminano scritti famosi
come quelli di S. Teresa di Lisieux, all'origine della Storia di un'anima.
La critica letteraria è indispensabile allo storico salesiano innanzitutto per
ben capire gli scritti dei protagonisti: rettori maggiori, pionieri; poi e soprattutto
per servirsi correttamente delle Memorie Biografiche e delle opere di don Bosco.
Don Pietro Stella ha cominciato a far vedere ciò che può essere ricavato dalla
critica delle fonti degli scritti di don Bosco. Il campo di studio è quasi infinito.
Tra mille esempi possibili, osservo che il senso della riflessione attribuita —
senza serio fondamento del resto — a don Cafasso: «Don Bosco è un mistero»,
non può essere determinato senza aver ricostruito la frase in un articolo del Bulle-
tin salésien del settembre 1888.
In questa tappa bisogna definire il genere letterario e, all'occasione, identifi-
care le figure retoriche dei diversi testi che entrano nella documentazione. Per
esempio, nella nuova edizione critica delle Memorie dell'Oratorio, avrei gradito
un breve commento alla riflessione della nonna a proposito del sogno dei nove
anni. L'esperienza mostra che don Bosco ha fatto troppo affidamento sull'acutez-
za dei suoi lettori. Nella frase: «Ma la nonna che sapeva assai di teologia, era del
tutto analfabeta, diede sentenza definitiva dicendo: Non bisogna badare ai so-
gni», «che sapeva assai di teologia» non significa assolutamente che la nonna era
dotta in teologia. Al contrario, la figura stilistica qui usata da don Bosco, l'ironia,
sottolineata dalla formula che segue immediatamente: «era del tutto analfabeta»,
ci fa capire che ella era totalmente ignorante in scienza religiosa. Un minimo di
critica letteraria avrebbe evitato a don Lemoyne nelle Memorie Biografiche («Ma
la nonna, che sapeva assai di teologia ed era del tutto analfabeta») e a don Ago-
stino Auffray nella sua traduzione francese delle Memorie dell'Oratorio («Mais
grand'mère qui possédait beaucoup de religion, tout en ne sachant ni lire ni écri-
re») un controsenso imperdonabile sul significato dell'osservazione di don Bosco.
Un giorno sono stato incuriosito dalla conclusione a sorpresa di

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Come si scrive la storia oggi
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un incontro fra don Bosco e il ministro Lanza a Firenze il 22 giugno 1871, pro-
prio come le MB X 428 ce lo riportano: «Lanza in fine gli disse (a don Bosco, a
seguito di un incontro vespertino con numerose peripezie): Don Bosco, partiamo
per Roma? — Partiamo, rispose. — E Lanza in carrozza con alcuni signori, e
Don Bosco, a piedi e da solo, si avviarono alla stazione, dove i primi salirono in
vagone di prima classe, egli in uno di seconda, e partirono». Come era possibile?
Senza preavviso, in piena notte o di mattino presto? Ma tutto si chiarisce alla luce
dell'origine del brano, che è un frammento del racconto romanzato dell'azione
mediatrice di don Bosco tra il governo italiano e la Santa Sede sulle nomine dei
vescovi nelle diocesi vacanti dopo la presa di Roma del 20 settembre 1870. L'au-
tore delle MB X lo trovava e lo ricopiava senza sospetto nei Documenti XII (cfr
F. DESRAMAUT, L'audience imaginaire du ministre Lanza, Florence, 22 juin
1871, RSS 11 [1992] 9-34). La critica letteraria ci obbliga a constatare che c'è del
romanzato anche nelle fonti della storia del nostro don Bosco, così come nelle
passioni dei martiri dell'alto medio evo.
Dalla comprensione del testo siamo passati alla sua interpretazione, dal suo
significato alla sua portata. Le frasi di un romanzo, infatti, non possono essere
tenute per vere come quelle di un racconto debitamente controllato.
Gli storici non cessano di interpretare le testimonianze. Più che mai sono al-
lora dei giudici. Ma se vi capita di seguire affari portati ai tribunali, voi sapete
quanto sia difficile valutare la veridicità delle testimonianze, misurare il grado di
credibilità dei testimoni, l'esattezza del loro dire, ecc. Persone ben informate
possono dare in perfetta buona fede delle false testimonianze.
Il filosofo Gabriel Marcel, di cui forse avete inteso il nome, scriveva il 17
novembre 1970 al presidente della repubblica francese Georges Pompidou: «Si-
gnor Presidente. Permettete a un filosofo che durante la guerra non soltanto non
ha mai voluto avere il minimo rapporto col governo di Vichy, ma che è stato
costantemente sorretto dall'idea di una vittoria alleata di cui non ha mai dubitato,
di fare appello al vostro spirito di giustizia in favore di M. Touvier, che un pa-
triottismo fuorviato ha condotto a impegnarsi nella milizia della zona sud, e che
per il resto non ha risparmiato niente per combattere ciò che, in una parte della
milizia, gli appariva come un crimine contro l'umanità. Per esempio la terribile
esecuzione di Victor Basch e sua moglie. Io credo anche che non è rimasto nella
milizia che per combatterne gli eccessi...» Etc. (lettera pubblicata in Paul Touvier
et l'Eglise, p. 374). Sì, ma un mese dopo Gabriel Marcel richiedeva questa lettera
a monsignor Julien Gouet, segretario dell'episcopato francese, che raccoglieva le
testimo-

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384 Francis Desramaut
nianze in favore di M. Touvier: «Monsignore. — Io mi vedo oggi nel terribile
obbligo di pregarvi di rinviarmi il più presto possibile la lettera che avevo scritto
in favore di Paul Touvier. — Messo in guardia da certe condizioni i cui dettagli
non interessano, ho fatto procedere a Lione, dove ho famiglia, un'inchiesta i cui
risultati mi sono stati appena comunicati. Non lasciano malauguratamente posto a
nessun dubbio. Quest'uomo è uno scellerato che mi ha mentito su tutta la linea.
Se voi mi dite che ha espiato e che ha pagato, io vi risponderò che la sola contri-
zione che valga si traduce attraverso il bisogno imperioso di dire la verità, di
riconoscere i suoi crimini. Ora quest'uomo è stato spinto dall'impudenza, lui che
aveva partecipato all'assassinio di Victor Basch e di sua moglie, fino a pretendere
che questo crimine lo aveva indignato al punto che era andato a denunciarlo alle
autorità di Vichy...». Gabriel Marcel poneva allora a mons. Gouet il problema che
gli storici della commissione Rémond sarebbero stati chiamati a risolvere: «Io
non sono il solo a stupirmi, Monsignore, che tante personalità appartenenti al
mondo ecclesiastico vengano a testimoniare in favore di questo individuo, e voi
mi obblighereste dandomi la chiave di quest'enigma...» (lettera pubblicata in Paul
Touvier et l'Eglise, p. 376).
Io non posso trattenermi qui di dirvi che gli atti dei processi di canonizza-
zione e altri documenti ufficiali costituiscono altresì delle testimonianze e devono
essere trattati come tali. Mi ha sempre sorpreso il semplicismo degli storici sale-
siani, che hanno creduto di doversi inchinare davanti a tutte le deposizioni pre-
sentate agli inquirenti in occasione dei processi di canonizzazione di don Bosco o
di Domenico Savio. Quanto alle carte d'identità... Per quanto concerne don Bo-
sco, il caso più problematico è quello della data della nascita. Essa ci pone difatti
dinanzi ad una doppia serie di testimonianze, le une che optano per il 16 agosto,
le altre per il 15 agosto 1815. Riflettiamo qualche minuto.
Non c'era l'atto di nascita negli stati sardi del tempo. L'atto di battesimo (fo-
tografato nelle Memorie dell'Oratorio curate da don Ceria, tavola fuori testo, p.
8) con la data del 17 agosto 1815 e firmato dall'ecclesiastico Sismondo, recitava:
«Bosco Joannes Melchior, filius Francisci Aloysi», come «heri vespere natus»,
dunque come nato la sera del 16 agosto. Secondo le copie di Secondo Caselle
{Giovanni Bosco studente..., Torino, Acclaim, 1988, p. 140, 145, 182), gli atti
ufficiali della sua giovinezza hanno seguito: lo stato di famiglia all'epoca della
sua vestizione clericale (28 agosto 1835), il registro di leva di Castelnuovo per la
classe 1835 (ottobre 1835), la lista delle date di nascita dei chierici del primo
anno di teologia nel 1837-1838 (estratta dai Registri del Seminario Arcivescovile
di Torino). Ciascuno di questi documenti, che supponevano un ricorso diretto o
indiretto al registro

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2.1 Page 11

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Come si scrive la storia oggi
385
dei battesimi di Castelnuovo, faceva nascere Giovanni Melchiorre Bosco il 16
agosto 1815.
Ma lui stesso scrisse nelle sue Memorie dell'Oratorio (nel 1873 verosimil-
mente) che «il giorno consacrato a Maria Assunta in Cielo fu quello della mia
nascita, l'anno 1815» (MO, ed. Ceria, p. 17). Almeno negli ultimi anni della vita
si festeggiò l'anniversario della sua nascita il 15 agosto. E, dopo la sua morte,
esattamente I'll agosto 1889, fu messa dagli exallievi su una casa dei Becchi una
lapide che cominciava: «Nato qui presso in una casa ora demolita — addì XV
agosto MDCCCXV — Qui passò in modesta ed esemplare povertà i primi suoi
anni — Don Giovanni Bosco...» (Cfr il fascicolo Alla venerata memoria dì D.
Giovanni Bosco e all'amato D. Michele Rua, li antichi allievi del Salesiano Ora-
torio, Torino, tip. salesiana, 1889, p. 24). Eccoci dunque davanti ad una doppia
serie di testimonianze che discordano.
Io non credo a chi le mette d'accordo traducendo nelle Memorie dell'Orato-
rio la formula «il giorno consacrato a Maria Assunta» con «alla Madonna d'Ago-
sto», che durava parecchi giorni. Ma si può anche sottolineare la fragilità sia delle
une sia delle altre per favorire la soluzione opposta. Di una parte, i favorevoli del
16 possono supporre che don Bosco abbia retrocesso consapevolmente la sua
nascita di ventiquattro ore per farla coincidere con la festa della Madonna. Nel
caso l'ipotesi è plausibile. E dell'altra parte, i favorevoli del 15 possono sottoline-
are la debolezza dell'heri vesper e natus dell'atto di battesimo. Ricostruiamo la
scena di Castelnuovo il 17 agosto, quando, interrogato sul giorno della nascita del
bambino, il padre o il padrino risposero nel loro dialetto e in un modo più o meno
chiaro Iér seira (come fu inteso), ma forse anche Abt iér sera o lerdlà seira (co-
me don Bosco supporrà quando dirà di essere nato il giorno dell'Assunta). E il
prete fece scrivere: heri vespere. Tale precisione aveva qualche importanza per
lui? Senza dubbio no, a confronto della data del battesimo stesso. Pesiamo le
testimonianze. Da un lato il battezzato e il suo tempo in favore del 15; dall'altro
una formula cronologica così come un prete l'ha capita il giorno del battesimo. Mi
sembra che, se si continuerà ad optare per il 16 agosto, giorno ufficiale della na-
scita di Giovanni Melchiorre Bosco, sarà sempre con qualche esitazione: non
sarebbe piuttosto il 15, come lui stesso affermava?
4. La composizione storica
Stabilito il problema, raccolti i documenti e analizzati nella misura necessa-
ria, lo storico può comporre la sua narrazione. Supposto serio, non lo farà più o
meno alla buona. Il suo articolo o il suo libro non sarà una som-

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386
Francis Desramaut
ma di documenti significativi interrotti da riflessioni morali o politiche, come
capita a dei neofiti maldestri. (Tra parentesi i neofiti possono avere sessant'anni.)
Non s'accontenterà neanche di una cronaca degli avvenimenti. No, egli redigerà
una risposta ordinata al problema più o meno complesso che ha l'intenzione di
risolvere al meglio, per offrirla alla comprensione del suo lettore.
Entriamo nella narrazione storica. Ben condotta, la narrazione si sottomette
ad alcune regole, che sono state esaminate, sezionate, discusse attentamente da
Paul Ricoeur in un'opera importante intitolata Temps et récit (Paris, Seuil, 1983-
1985, 3 voli). Sfrutterò qui il vocabolario di questo filosofo. Il semplice ordina-
mento cronologico degli avvenimenti al modo di don Lemoyne nelle sue Memo-
rie Biografiche I-IX non è soddisfacente per lo spirito. Il disordine più o meno
fantasioso di don Amadei nel volume X della stessa opera lo è ancor di meno.
Mentre le narrazioni mal condotte stancano, esigono uno sforzo per non respin-
gerle ed alla fine ci si chiede che cosa abbiano voluto dire, le buone composizioni
trascinano il lettore e lo convincono. Gli antichi retori sapevano il perché.
Le buone composizioni sono assimilabili dallo spirito. (Si dice che sono
chiare.) Esse sono unificate da uno stesso argomento, che in storia è la risposta a
un problema in una narrazione che l'autore ha formalmente organizzato. La nar-
razione formale ha un inizio, uno sviluppo e una fine. La narrazione, comunque
essa sia, di storia o di fantasia, espone — scrive Paul Ricoeur — un'intrigue (in-
treccio), cioè un'azione ordinata e perciò resa intelligibile. L'intreccio o la trama è
il nodo della narrazione. L'intelligibilità della storia non risulta dalla determina-
zione delle «cause», come talvolta si dice ancora, ma dall'organizzazione stessa
del racconto.
Il piano delle due opere che mi servono qui di riferimento dimostra come gli
autori abbiano saputo organizzare le loro risposte alle questioni di partenza. In un
ambiente italiano quello di Jean-Dominique Durand è più facile da capire. Le sue
quasi novecento pagine trattano, ve lo ricordate, della questione: la Chiesa catto-
lica nella crisi dell'Italia tra 1943 e 1948, questione accuratamente articolata dal-
l'introduzione del libro. L'opera stessa è distribuita in quattro libri, che ci fanno
passare dall'Italia desolata del 1943-1944 al trionfo della Democrazia cristiana nel
1948. Un primo libro mostra «l'Eglise italienne face à l'épreuve (1943-1945)» (la
Chiesa italiana di fronte alla prova, 1943-1945), innanzitutto davanti alla caduta
del fascismo, un fascismo che essa condanna; poi, con il governo Badoglio, che
essa appoggia; chiesa diventata al tempo dell'armistizio firmato l’8 settembre
1943 «sola autorità nella tempesta»; infine, dinnanzi alle autorità civili e militari
al tempo della repubblica di Salò e della liberazione del paese nel 1944-1945.

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Come si scrive la storia oggi
387
Il secondo libro, «une Eglise puissante» (una Chiesa potente), abbandona
provvisoriamente la serie cronologica degli avvenimenti per passare all'esame
della struttura. La trama del racconto, risposta alla questione primordiale della
tesi, è l'immensa offensiva religiosa che porterà alla vittoria del 1948. L'opera è
ora concepita come un racconto di guerra. Questo libro descrive l'esercito e ne
valuta le forze. Jean-Dominique Durand consacra un capitolo al papa, ai vescovi
e ai sacerdoti; un altro al popolo cattolico, alla sua fede e alle sue pratiche; un
terzo all'azione cattolica definita come «l'esercito dei laici»; e conclude sotto il
titolo: «Una Chiesa potente con dei forti contrasti regionali».
Il terzo libro descrive esplicitamente «la mobilisation catholique» (la mobili-
tazione cattolica), titolo generale, con un primo capitolo su «le grandi linee d'a-
zione», un secondo su «il clero in prima linea», un terzo su «i laici in lotta» e una
conclusione prevedibile su «la santa battaglia». Le truppe sono pronte. La guerra
stessa costituirà l'oggetto del quarto ed ultimo libro intitolato per stuzzicare l'at-
tenzione (e per condensare la risposta principale al problema della tesi): «Fonder
un Etat chrétien» (Fondare uno stato cristiano). Vi sono cinque capitoli. Gli scopi
della guerra sono esposti minuziosamente nel primo di questi: Quo vadis? Biso-
gna lottare per il rispetto della persona umana, per la difesa della famiglia cristia-
na, per la libertà della scuola, per l'organizzazione delle relazioni fra la Chiesa e
lo Stato sulla base del concordato del 1929 e per la giustizia sociale che implica
la dignità dell'operaio e il diritto di proprietà. Il secondo capitolo è dedicato alla
mobilitazione del 1946, che, con l'appoggio e dietro le esortazioni dell'apparato
ecclesiastico, spinse clero, laici e donne (altrettanti articoli) nell'ardua battaglia.
Un terzo capitolo studia la questione particolare della scelta fra la monarchia
tradizionale e la repubblica. Un quarto descrive, fra il 1944 ed il 1948, la forma-
zione, lo sviluppo e l'affermazione del partito democratico cristiano, di cui l'auto-
re si domanda — poiché mette qui un punto interrogativo — se costituiva un
«braccio secolare della Chiesa». Il quinto capitolo può essere intitolato «la vitto-
ria del 18 aprile 1948». L'autore non si accontenta di enumerare e di classificare
le voci in campo al momento delle elezioni di questo grande giorno. Egli mostra
nella lotta politica, di cui è il risultato, un gesto di «crociata», diretto da «un'or-
ganizzazione eccezionale» che cerca di fare l'unità di tutti i cattolici; e un'azione
ben condotta: lotta contro l'astensione, invito a scegliere tra gli Stati Uniti e l'U-
nione Sovietica e concentramento di forze attorno alla Democrazia Cristiana. Si
capisce allora perché «la vittoria del 18 aprile 1948» sia stata così «folgorante» e
in che senso la conclusione del libro possa definirla come «una conquista della
democrazia».

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388 Francis Desramaut
Perché riuscita, la tesi di Jean-Dominique Durand illustra l'idea difesa da
Paul Ricoeur che ogni narrazione storica correttamente costruita suppone una
«messa in intreccio» {mise en intrigue in francese, emplotment per anglosassoni)
e la conclusione di questo intreccio. L'intreccio è qui l'azione molteplice della
Chiesa che giunge a rimettere in piedi un'Italia in crisi. È una narrazione comple-
ta con un inizio, uno sviluppo e una fine, narrazione ben delimitata dalle due date
che la rinserrano. Il racconto risponde alle questioni classiche del topos narrativo:
quis, quid, ubi, cur, quomodo, quando, quibus auxiliis... Costituisce un tutto (ho-
los) diretto verso una fine (teleios), secondo le osservazioni di Aristotele a propo-
sito del mythos, il termine che Paul Ricoeur traduce con intrigue. Nell'Italia del
1943, egli presenta gli attori del dramma: un paese disfatto e disorientato da una
parte, una Chiesa «potente» di clero e laici dall'altra. I moventi essenziali dell'a-
zione sono definiti: si tratta di fondare uno Stato cristiano. E l'azione stessa è
correttamente ordinata attorno all'istituzione organizzatrice, che misura le forze,
le incita alla lotta, crea dei corpi compatti, definisce gli obiettivi particolari, lan-
cia l'esercito alla battaglia delle elezioni, lo nutre moralmente e infine, con la
Democrazia Cristiana come punta di lancia, conduce l'intero popolo alla vittoria.
Quest'opera storica, che arriva a rispondere in modo chiaro, intelligibile e sostan-
zioso, alla questione primordiale della Chiesa nella crisi dell'Italia tra il 1943 e il
1948, può dirsi felicemente condotta.
5. La redazione dei capitoli e dei paragrafi
Quanto detto sopra non è stato che il sorvolo della composizione storica. Poiché lo
storico compone, oltre all'insieme, ciascuno dei suoi capitoli; e, in ciascun capitolo,
ciascuno dei suoi paragrafi. Occorre dunque, per concludere, ridiscendere al dettaglio
delle parole, delle frasi e dei capoversi.
L'opera di storia è interamente costruita sui suoi documenti. Tutte le sue asserzio-
ni sono provate, in ogni modo provabili, normalmente con dei riferimenti in nota.
I cattivi storici costruiscono i loro capitoli semplicemente a partire da questa do-
cumentazione, che, ricopiata o riassunta, decide della forma di ognuno di essi. Gli e-
sempi sarebbero desolanti. Ma non era altro che il caso degli storici diplomatici o poli-
tici «positivisti» di ieri. Al contrario, quando l'opera è ben costruita, il piano di ogni
capitolo dipende da una domanda particolare, ordinariamente esplicitata all'inizio dagli
elementi che lo riguardano. E i paragrafi sono costruiti allo stesso modo. In questo atto
configurativo, le parti della risposta sono disposte secondo un ordine per niente fanta-
sioso e talvolta denominato «quasi causale». A chiama B, che chiama

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Come si scrive la storia oggi
389
C e D; ma D e C non fanno appello ad A. L'attore precede l'azione, il fisico pre-
cede il morale, gli scopi della guerra precedono la guerra stessa, ecc. Ne nascono
racconti successivi ordinati che hanno ciascuno, come si deve, un inizio, uno svi-
luppo e una fine. E tutte le parti sono proporzionate alle dimensioni dell'edificio.
Il buon libro di storia è un castello gradevole a visitare.
Mons. Charles Duquaire, segretario del cardinal Gerlier a Lione, in seguito
del cardinal segretario di Stato Jean Villot a Roma, oggi defunto, fu il grande
artista della difesa di Paul Touvier. La «trama» del rapporto Paul Touvier et l'E-
glise è l'insieme degli avvenimenti che, dalle origini della famiglia Touvier, mise-
ro Paul in rapporto con le persone di Chiesa. Nell'azione, lungo il libro, bisogna-
va curare l'immagine del protagonista mons. Duquaire. Lo si è infatti corretta-
mente tratteggiato verso il centro dell'opera (p. 152-167) in una narrazione com-
prendente un inizio, una metà e una fine. Un capitolo precedente ci ha informato
che Paul Touvier incontrò mons. Charles Duquaire per la prima volta il 27 otto-
bre 1957 (p. 142). Due paragrafi (p. 152-153) sulle prime iniziative del nuovo
protettore Duquaire presso il governo del generale De Gaulle nel 1958-1959 ser-
vono di introduzione al ritratto stesso del personaggio. Questo inizia con una de-
scrizione d'insieme del fisico e dell'attività di mons. Duquaire a servizio di Paul
Touvier tra il 1959 ed il 1973 (p. 153-154). La vita di Charles Duquaire a partire
dal suo ambiente familiare è in seguito accuratamente raccontata (p. 154-157). Il
rapporto fa poi il suo ritratto morale (p. 157-166), che gli elementi precedenti del
racconto hanno preparato a capire. Dice la forma particolare del suo cattolicesi-
mo, la sua generosità, la sua tenacia, la sua passione della carità e infine l'idea che
si era formato del personaggio Touvier: un patriota, un uomo che si era riscattato
e un uomo di fede, un vero cattolico. In conclusione il paragrafo chiede come mai
questo sacerdote abbia potuto lasciarsi circuire da un uomo che non si era mai
pentito dei suoi crimini (p. 166-167). L'insieme del ritratto è rinforzato da cin-
quantacinque riferimenti in nota, sia a testimonianze datate, sia a note personali
di mons. Duquaire anch'esse molto spesso datate, sia a scritti autobiografici di
Paul Touvier. L'impressione generale che si ricava dal paragrafo e che ne costi-
tuisce il nerbo è che mons. Duquaire fu un ingenuo dal cuore grande. Il buon nar-
ratore ha sempre conservato la padronanza del racconto. Egli si è proibito le lun-
ghe citazioni che fanno deviare l'attenzione del lettore. Tuttavia, per non perdere i
frutti della sua ricerca, ha messo in appendice i testi che giudicava particolarmen-
te significativi. (Si vedano gli allegati di Paul Touvier et l'Eglise, p. 331-381).

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390
Francis Desramaut
Conclusione
Mi si chiedeva come lavorano gli storici religiosi contemporanei, probabil-
mente per trasmettere idee a storici salesiani destinati a compiti paralleli. Si può
rispondere che oggi i migliori lavorano «bene». Non fabbricano libri per dimo-
strare la validità di pretese leggi della storia. La storia degli uomini non obbedi-
sce a delle leggi. Essi non forzano le conclusioni per provare che l'economia de-
cide della forma delle sovrastrutture e che le persone sono i giocattoli delle cose.
Per rispondere all'attesa presunta dei suoi lettori, lo storico pone una determinata
domanda ad un mondo passato e la articola meglio che può. Poi riunisce una
documentazione sufficiente, che controlla nella sua materialità (critica testuale),
nel suo senso e nella sua portata (critica letteraria ed interpretativa). In seguito
ordina la sua risposta in un «intreccio», che comporta un inizio, uno sviluppo e
una fine. È lui stesso che redige un racconto sufficientemente ordinato, nel senso
cioè che non si lascia mai trasportare dai suoi documenti.
Lo storico valido rifiuta di essere ingenuo e prende le sue misure per difen-
dersi. Il compilatore non è uno storico.