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STUDI STORICI
LA FIGURA DEL SUPERIORE SALESIANO
NELLE COSTITUZIONI DELLA SOCIETÀ
DI S. FRANCESCO DI SALES DEL 1860
Testi - Fonti - Interpretazione
Francesco Motto
Il perché del presente studio
A tutt'oggi il tema che intendiamo affrontare non è stato illustrato
da nessuno studio particolare, anche per l'effettiva mancanza di un testo
'critico' delle costituzioni della società di S. Francesco di Sales che desse
garanzie di autenticità e di fedeltà.1 Alcuni autori hanno sì dedicato pagine
al ruolo del superiore d'una comunità salesiana, ma lo hanno fatto per lopiù in
particolari contesti, sulla base di riscontri relativi all'intera vita
ed azione di Don Bosco e, quasi sempre, in connessione con gli sviluppi
teorico-pratici successivi alla morte del fondatore della congregazione
salesiana.2
Il nostro tentativo di chiarire il senso letterale di alcuni articoli
costituzionali configuranti la natura, il ruolo ed i compiti del superiore3
1 E' recentissima la pubblicazione di Bosco Giovanni, Costituzioni della società
di S. Francesco di Sales [1858]-1875. Testi critici a cura di Motto Francesco (= Isti-
tuto storico salesiano - Roma Fonti - Serie prima, 1). Roma, LAS 1982, 272 p.
( = Cost. SDB).
2 Si veda la bibliografia al termine della ricerca, ed in particolare gli studi
di P. Albera, J. Aubry, P. Brocardo, N. Camilleri. L'anno scorso (1982) è pure stato
pubblicato, a cura della Direzione Generale Opere Don Bosco - Roma, il volumetto:
11 direttore salesiano. Un ministero per l'animazione e il governo della comunità locale.
3 Precisiamo subito che nel nostro studio per superiore intenderemo sempre
il superiore locale, ossia il direttore della singola comunità salesiana. Evidentemente

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4 Francesco Motto
e di precisare, nei limiti del possibile, il pensiero di Don Bosco circa
l'autorità religiosa — pensiero espresso in un fondamentale documento
della congregazione salesiana — si colloca pure in quel ricorso alla sto-
ria che, in modo esplicito, è richiesto dalla revisione delle costituzioni
voluta dal Concilio Vaticano II come mezzo di rinnovamento della vita
religiosa.4
Si aggiunga poi il fatto che il rapporto autorità-obbedienza è ancor
oggi particolarmente sentito in ogni ambito e che la cosiddetta «conte-
stazione» dell'autorità ha senza dubbio alla sua base ragioni storiche.
Non possono infatti essere misconosciuti gli abusi di autorità verifica-
tisi in un passato anche non troppo lontano ad opera di superiori non
sempre illuminati, l'eccessivo giuridismo che talvolta ha accompagnato
l'esercizio dell'autorità, il fatto che il superiorato sia stato in più occa-
sioni utilizzato come mezzo per estendere maggiormente il potere perso-
nale di chi lo esercitava, la pesante pressione fatta sulle coscienze con
la pretesa di dirigerle anche nelle scelte più intime.5
Ci si domanderà perché nel nostro studio ci siamo riferiti ad un
testo costituzionale «primitivo» (quello del 1860) e non a quello uffi-
cialmente approvato dalla S. Sede nel 1874, oppure a quello più antico
conservatoci [1858]. Rispondiamo. La scelta d'una redazione primitiva
è stata fatta in base alla considerazione che la figura del superiore della
quanto si riferisce all'autorità locale può applicarsi, mutatis mutandis, alla suprema
autorità, cioè al Rettor Maggiore. Assente invece risulta nel testo costituzionale la
figura dell'autorità intermedia, quella dell'«Ispettore» che verrà creata solo dopo
l'approvazione delle costituzioni.
4 Perfectae caritatis, n. 3. Il motu proprio Ecclesiae Sanctae nn. 11-14 deter-
mina i criteri per la revisione delle costituzioni. Fruttuosa può essere la consulta-
zione di G. LESAGE, Concilio e Costituzioni. Alba, Edizioni Paoline 1967. La nuova
concezione dell'autorità, le trasformazioni avvenute nel modo di pensare, di agire,
di concepire il rapporto interpersonale fra il superiore ed i confratelli, hanno tro-
vato spazio nelle costituzioni «rinnovate» dei vari istituti religiosi. Basti osservare
l'inserimento, in esse, accanto ai termini «obbedienza», «superiore», dei termini
«autonomia», «cooperazione», «consultazione», «corresponsabilità», «animatore»,
«moderatore», «responsabile»; basti pensare alla sostituzione del vocabolo «sud-
dito» con «socio», «fratello», «confratello», «collaboratore».
5 Cfr. *** L'autorità nella Chiesa, in «La Civiltà Cattolica» 1o marzo 1969,
a. 120, q. 2849, pp. 417-423; J. COURTNEY MURRAY, Crisi del potere nella Chiesa
e risveglio comunitario. Milano, Mondadori 1969; G. MARCHISIO, Autorità, Pater-
nità e Governo nel direttore salesiano, [litografato] Muzzano 1968, pp. 1-43. Il feno-
meno della contestazione nella Chiesa è ampiamente trattato in «Concilium» a. VII,
f. 8 (1971) 17-157.

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La figura del superiore salesiano 5
comunità salesiana, al termine del lungo iter elaborativo delle costitu-
zioni — iter dovuto agli interventi dei vari consultori, vescovi, commis-
sioni romane, nonché alle successive esperienze di Don Bosco stesso6
ha assunto, almeno in parte,7 un volto diverso da quello antico. E' stato
invece nostro intento mettere in evidenza i tratti originari, primigenii,
anteriori a tali influenze ed esperienze.
In secondo luogo, il testo da noi scelto, vale a dire quello firmato.
da Don Bosco, sottoscritto da altri 23 «salesiani» ed inviato a mons.
Fransoni in vista di una sua approvazione8 conserva, come tale, un valore
d'ufficialità che non può certo rivendicare il pur importantissimo mano-
scritto del 1858, da ritenersi, a ragion veduta, una trascrizione calligra-
fica più di un semplice abbozzo che di una vera, prima redazione delle
regole dell'incipiente congregazione salesiana.9
Difficoltà e limiti
Nel condurre in porto la nostra ricerca, abbiamo dovuto superare
una difficoltà in particolare. L'interpretazione «letterale» degli articoli
concernenti la figura del superiore si presentava abbastanza facile, grazie
anche alle abbondanti fonti dirette ed indirette rintracciate. Ma l'inter-
pretazione più attendibile e rassicurante di essi, lo spirito che li animava,
al di là dell'inquadramento giuridico in cui si inserivano, nonché il modo
concreto ed effettivo di esercitare l'autorità e di praticare l'obbedienza,
difficilmente potevano trasparire dal testo, piuttosto laconico ed ancor
poco preciso nell'indicazione delle singole competenze. Tanto più che gli
stessi articoli costituzionali, trascritti talvolta quasi letteralmente dalle
regole di altre famiglie religiose, avevano ispirato in queste ultime com-
portamenti ed abitudini ben diverse da quelle che sappiamo essere state
proprie della comunità salesiana dei primi tempi. Ecco perché abbiamo
ritenuto legittimo e doveroso fare ricorso ad altre testimonianze, per
lo più coeve o anteriori alla redazione del nostro documento.10
Del resto le costituzioni non contengono che il puro necessario;
6 Cost. SDB, 16-20.
7 Difatti l'aggiunta o soppressione di alcuni articoli, l'emendamento o la cor-
rezione di altri, hanno notevolmente trasformato e precisato la modalità d'esercizio
dell'autorità, l'ambito di intervento del superiore, le competenze dei singoli confra-
telli e del capitolo della casa inizialmente non previsto, ecc.
8 Cost. SDB, 17.
9 Loc. cit.
10 Si veda il punto II.

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6 Francesco Motto
la materia non la si può codificare tutta, nonostante la pur possibile
attenzione del legislatore. L'applicazione, il commento, l'interpretazione
della legislazione, camminando con la vita della comunità per la quale è
stata promulgata, sorpassa la materialità del testo, per cui è giocoforza
ricorrere alla tradizione viva.
Evidentemente il nostro studio, che si limita a ritrarre i lineamenti
del superiore salesiano nei suoi rapporti coi confratelli quali emergono
dal testo costituzionale del 1860, richiederà altri complementi. Ci augu-
riamo solo di poter portare un po' di luce nel modesto ambito scelto.
I. IL TESTO COSTITUZIONALE DEL 1860
E LE SUE FONTI
Il primo punto della ricerca viene così strutturato: precede una
breve presentazione complessiva del documento preso in considerazione,
ed al cui interno si situano gli articoli costituzionali che delineano i tratti
distintivi e caratteristici del superiore; segue l'analisi puntuale, ma per
ora limitata all'interpretazione strettamente letterale, senza ulteriore
commento, degli stessi articoli. Di essi sono trascritte per disteso le fonti
rinvenute.
1. Il manoscritto del 1860
Don Bosco, dopo i primi timidi tentativi di vita associativa,11 mosso
11 «Scorgendo poi la necessità di avere qualcheduno che mi venisse in aiuto
nelle cose domestiche e scolastiche nell'Oratorio, cominciai a condurre meco alcuni
in campagna, altri per villeggiare a Castelnuovo, mia patria, taluni meco a pranzo,
altri alla sera venivano per leggere e scrivere alcun che [...]. Ciò fu fatto con mag-
giore o minore frequenza dal 1841 al 1848. Io adoperava tutti i mezzi per conse-
guire eziandio uno scopo mio particolare, che era studiare, conoscere, scegliere alcuni
individui che avessero attitudine e propensione alla vita comune e riceverli meco
in casa» (S. Giovanni Bosco, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Dal
1815 al 1855, a cura di E. Ceria. Torino, SEI 1946, pp. 206-207). Fin dal 1844 esi-
steva «una specie di società o congregazione» di ecclesiastici che, occupati nel-
l'istruzione dei giovani e nel sacro ministero «riconoscevano il loro Superiore nel
Sac. Bosco Giovanni» pur non avendo fatto nessun voto (Cost. SDB, 70). Dal gen-
naio 1854 aveva proposto ai suoi collaboratori di fare «una prova di esercizio pra-

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La figura del superiore salesiano 7
da esigenze di organizzare fedeli12 collaboratori e continuatori della sua
opera,13 pensò ben presto di redigere delle regole o, come egli le chiamò
per lungo tempo, un «piano di regolamento» ovvero «un progetto».14
Nella sua stesura subì ovviamente l'influsso di modelli presenti al suo
tempo,15 ma cercò pure di codificare la sua esperienza di educatore-
sacerdote, oltre che di redattore di due precedenti regolamenti: quello
dell'Oratorio16 e quello della casa annessa.17 Pertanto le sue regole si pos-
sono considerare a buon diritto frutto dello studio delle costituzioni di
tico della carità verso il prossimo per venirne poi ad una promessa, e quindi, se
parrà possibile e conveniente di farne un voto al Signore» (ASC 9.132 Rua). Nel-
l'anno seguente il chierico Rua Michele ed il sacerdote Alasonatti Vittorio pronun-
ciavano i voti, seguiti immediatamente da quelli di Francesia Giovanni Battista. In
quegli stessi anni D. Bosco aveva incrementato all'interno delle sue opere varie compa-
gnie (1847: S. Luigi; 1855: Immacolata; 1857: S. Giuseppe) e aveva mantenuto
stretti vincoli con i suoi futuri collaboratori mediante le cosiddette conferenze, nel
corso delle quali li preparava gradualmente ad un impegno sempre più esplicito in
seno alla congregazione. Ciascuno di essi «prometteva semplicemente di obbedire
a Don Bosco e di compiere quegli uffizi, che erano a lui compatibili» (Cfr. Storia
dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, parte 2, capitolo 11, in «Bollettino Salesiano»
7 (1883) 98s. Si veda inoltre P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale
(1815-1870). Roma, LAS 1980, pp. 480-481; M. WIRTH, Bon Bosco e i Salesiani.
Cinquant’anni di storia. Torino, LDC 1970, pp. 63-72.
12 Sull'amara esperienza delle defezioni e di soggetti inadatti tra i suoi colla-
boratori, cfr. Le Memorie biografiche di Don Giovanni Bosco raccolte dal sac. sale-
siano Giovanni Batt. Lemoyne (S. Benigno Canavese) vol. III (1903) 412, 416, 427;
vol. IV (1904) 347, 372; vol. V (1905) 404, 407. Si veda inoltre Memorie del-
l'Oratorio, 206.
13 Dirà Don Bosco in una importantissima conferenza di S. Francesco di Sales
del 1876: «Vedo realizzato quell'ideale che io mi prefiggeva, quando si trattava
di radunare individui che mi aiutassero a lavorare per la maggior gloria di Dio»
(MB XII 77-78).
14 Fino alla vigilia dell'approvazione delle costituzioni Don Bosco usò indiffe-
rentemente i termini regole, regolamento, statuti, piano di regolamento. Pure noi
useremo senza distinzione i due termini regole e costituzioni, che nel linguaggio
comune si identificano.
15 Don Bosco lo ripeté più volte. Cfr. ad es. MB V 881; VII 563, 622; IX 506,
995; Cost. SDB, 229.
16 ASC 026 (1...) Regolamento dell'Oratorio. Edito in MB III 86-92. Il testo
«ufficiale» del 1877 è pubblicato da P. BRAIDO, Scritti sul sistema preventivo nel-
l'educazione della gioventù. Brescia, La Scuola 1965, pp. 363-399.
17 ASC 026 (20...) Regolamento per le case della società di S. Francesco di Sales.
Edito in MB IV 735-755, e P. BRAIDO, Scritti, 400-457. Il regolamento della casa
annessa, a differenza di quello dell'Oratorio, ha avuto una storia assai tormentata,
avendo subito, lungo gli anni, molte variazioni.

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8 Francesco Motto
altre famiglie religiose e conseguenza di meditazione sulla quotidiana
attività educativa di Valdocco. «E' questo un progetto da me molto me-
ditato e lungo tempo desiderato» dirà Don Bosco nel 1864.18
Un profondo e singolare spirito di carità pervade le prime stesure;19
il loro tono ascetico le avvicina più alle antiche Regulae che non alle
Constitutiones delle moderne famiglie religiose (Chierici Regolari, Con-
gregazioni).20 Ben presto però tutto ciò sarà smorzato dalla serie di nor-
me giuridiche, volute ed imposte dagli interventi delle autorità, dioce-
sane e pontificie, per le quali le costituzioni di una società religiosa
devono anzitutto essere conformi alla legislazione canonica.21
La parte giuridica poco sviluppata nel nostro testo ha una sua spie-
gazione. I membri della nascente società, nel 1860, sono ancora pochis-
simi e di conseguenza il regime è tutto o quasi accentrato nelle mani
del superiore maggiore. Alla mancanza di norme statutarie precise ed
inappuntabili circa i rapporti fra le singole autorità della congregazione,
circa le competenze dei futuri direttori,22 suppliva l'afflato spirituale
18 Cost. SDB, 228; MB VII 621.
19 Si veda la descrizione dei documenti siglati A B C D e l'apparato critico sot-
tostante al testo Do in Cost. rispettivamente pp. 22-26 e 58-210. Il documento costi-
tuzionale del 1860, su cui si svolge il nostro studio, in Cost. SDB è contrassegnato
dalla sigla Do, cui faremo sempre riferimento anche quando la sigla non verrà indicata.
20 Supponiamo qui nota la distinzione fra Regulae e Constitutiones.
21 Nelle costituzioni delle congregazioni moderne, diversamente da quelle degli
Ordini antichi e sul modello dei Chierici Regolari e soprattutto Gesuiti — che ave-
vano introdotto in esse fondamentali innovazioni — prevalse una generale unifor-
mità, conseguenza d'una precisa volontà della S. Sede di dare un'accurata forma cano-
nica a numerose congregazioni che erano sorte e che continuavano a sorgere un po'
ovunque nella Chiesa. Se fino al 1863 Roma lasciò ad ogni congregazione una certa
qual libertà d'elaborazione delle proprie regole, col 1863 il Methodus (quae a Sacra
Congregatione Episcoporum et Regularium servatur in approbandis novis institutis
votorum simplicium, pubblicato in «Collectanea in usum secretariae Sacrae Congre-
ga tionis Episcoporum et Regularium, cura A. BIZZARRI» Romae), fornirà alcune
norme comuni. Cfr. R. LEMOINE, Le droit des religieux du concile de Trente aux
Instituts séculiers. Bruges [1956], pp. 273-298. Il Methodus è pubblicato in appen-
dice a Cost. SDB, 228. Per le animadversiones alle costituzioni salesiane, vedasi nella
medesima appendice i documenti nn. 4, 6, 16, 17.
22 La mancanza d'uno specifico capitolo sulle «case particolari» e la non sem-
pre chiara distinzione fra i ruoli del superiore generale e del superiore locale — ovvia
conseguenza dell'affidamento delle due cariche alla persona di Don Bosco nell'unica
casa salesiana dell'epoca — ha talvolta potuto costituire un handicap ai fini della
accurata ricostruzione della fisionomia del superiore locale. L’handicap è stato pos-
sibile superarlo grazie ad alcuni articoli del capitolo «forma», «povertà», «castità»,

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La figura del superiore salesiano 9
determinato dal costante tipico riferimento all'esperienza «carismatica»
di Valdocco.23
Non è poi da trascurare il fatto che Don Bosco non aveva ricevuto
una spiccata formazione giuridica e che tale realtà giuridica non entrava
nel suo ritmo di lavoro se non come modo ordinato di essere nella chiesa
e mezzo di godere di vantaggi spirituali e materiali. «Questo fatto
— scriverà Don Bosco nella Introduzione alle costituzioni a proposito
della loro approvazione da parte della S. Sede — deve essere da noi
salutato come uno dei più gloriosi per la nostra Congregazione, come
quello che ci assicura che nell'osservanza delle nostre regole noi ci appog-
giamo a basi stabili, sicure, e possiamo dire, infallibili, essendo infalli-
bile il giudizio del Capo Supremo della Chiesa che le ha sanzionate».24
Il testo da noi preso in considerazione comprende, se si escludono
il proemio, la breve storia della congregazione (capitoli 1 e 2) e la for-
mula dei voti (ultimo capitolo), undici capitoletti per un totale di 87 arti-
coli: 25 scopo della società, forma della società, del voto di obbedienza,
del voto di povertà, del voto di castità, governo interno della società,
degli altri superiori, accettazione, pratiche di pietà, abito, esterni.
Pur ancora carente decisamente sia sotto l'aspetto della estensione
che della completezza, ad un occhio attento rivela in nuce già quello che
è l'ideale apostolico di Don Bosco, la sua dottrina spirituale, la sua
visione della comunità, lo scopo della vita dei suoi religiosi, il senso della
loro formazione, la ragion d'essere della congregazione, il senso della castità
e della povertà salesiana, le motivazioni e l'esercizio dell'obbedienza ecc.
2. Gli articoli concernenti la figura del superiore. Le loro fonti
Senza alcun dubbio la fisionomia o l'identità del superiore nelle
costituzioni salesiane del 1860 è messa in chiara luce dal capitolo
«altri superiori» e soprattutto all'intero capitolo sul «voto di obbedienza». Giova
qui ricordare che la società salesiana era sorta pochi mesi prima dell'invio del
nostro documento a Mons. Fransoni, e precisamente il 18 dicembre 1859 (ASC
Verbali del Capitolo Superiore 0.592). La prima casa aperta dopo Torino-Valdocco
fu quella di Mirabello nel 1863, se si esclude il fallito tentativo d'insediare i sale-
siani nel piccolo seminario di Giaveno nel 1860.
23 Vedi più avanti il punto II.
24 Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il decreto
di approvazione del 3 aprile 1874. Torino 1875, V.
25 Cfr. Cost. SDB, 17.

1.8 Page 8

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10 Francesco Motto
Del voto di obbedienza e, più precisamente, dai suoi primi otto articoli.
Invece applicazioni pratiche di quanto in essi affermato possono essere
considerati l'articolo 9 del medesimo capitolo ed alcuni articoli inseriti
all'interno di altri capitoli. Pertanto, in questa parte del nostro lavoro,
limitiamo l'analisi del contenuto normativo-letterale ai soli otto articoli
suddetti,26 anche se crediamo utile presentare in nota tutti gli altri testi
26 Cost. SDB Do, 92-98. Aggiungiamo qui gli altri articoli relativi alla fun-
zione del superiore della casa. «Al medesimo superiore ogni sacerdote consegnerà
eziandio la limosina delle messe; per gli altri poi o chierici o laici gli consegneranno
ogni sorta di denaro che in qualsiasi modo loro possa pervenire, affinché serva a
bene comune». (Cost., 84). «La società provvederà a ciascuno tutto quello che è
necessario al vitto, agli abiti e a quanto può occorrere nelle varie vicende della vita
sia nello stato di sanità, sia in caso di malattia. Anzi occorrendo ragionevole motivo
il Superiore può mettere a disposizione di qualche socio quel denaro, o quegli oggetti
che egli giudicherà bene impiegati a maggior gloria di Dio» (ivi, 86). «Ognuno fac-
cia di perseverare nella sua vocazione fino alla morte; che se taluno uscisse dalla
congregazione non potrà pretendere corrispettivo pel tempo che ivi è rimasto, né
portar seco altre cose se non quelle che il Superiore della casa giudicherà a propo-
sito. Potrà però portar seco quegli stabili di cui conservò la proprietà entrando in
congregazione, ma non potrà dimandare conto dei frutti e dell'amministrazione dei
medesimi pel tempo che egli passò nella società» (ivi, 88). «I socii che vanno ad
aprire una nuova casa non devono essere meno di due, di cui almeno uno sacerdote.
Ogni casa sarà arbitra nell'amministrazione de' beni donati o portati in congrega-
zione per quella casa determinata; ma sempre nè limiti fissati dal Superiore Gene-
rale» (ivi, 90). «Il Superiore Generale ammetterà i novizi, li accetterà alla profes-
sione oppure li rimanderà secondo che gli sembrerà meglio nel Signore. Ma osser-
verà quanto è prescritto nell'articolo dell'accettazione, ed avrà cura di non licenziare
alcuno senza aver prima consultato il Superiore di quella casa cui egli appartiene»
(loc. cit.). «Niuno mandi lettera fuori di casa senza permesso del Superiore della
medesima, o di un altro da lui delegato. Ricevendosi lettere si consegneranno prima
al Superiore, che le leggerà qualora lo giudicherà a proposito» {ivi, 98). «In caso di
viaggio o in caso che il Superiore mandi ad aprire o ad amministrare qualche casa
di beneficienza; o a compiere qualche parte del sacro ministero o v'intervenga qual-
che bisogno particolare, allora il Superiore darà le disposizioni secondo le esigenze
dei tempi, de' luoghi e delle persone» (ivi, 166). «Il dare a mutuo o ricevere, o
dispensare quelle cose che sono presso di sé o nella casa, non solamente è proibito
di farlo cogli esterni, ma nemmeno con quelli della casa senza licenza del Superiore»
(loc. cit.). «Se a taluno fosse data qualche limosina, egli tosto la porti al Superiore
che la darà al procuratore della casa affinché la riponga nella cassa della congrega-
zione» (loc. cit.). «Niuno si rechi a casa di conoscenti od amici senza espressa
licenza del Superiore, il qual se può gli destinerà sempre un compagno» (ivi, 110).
«Quando un congregato va alla direzione di qualche casa prende il nome di Diret-
tore, ma la sua autorità è limitata nella casa a lui affidata. Alla morte del Rettore
è anch'egli invitato ad intervenire per l'elezione del futuro Rettor e se l'elezione
non è ancora fatta, darà anch'egli il suo voto» (ivi, 154).

1.9 Page 9

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La figura del superiore salesiano 11
che si riferiscono al ruolo ed alla funzione esercitata dal superiore in una
comunità salesiana.
Il pensiero e l'orientamento di Don Bosco nel delineare la figura
del superiore verrà ancor meglio illuminata dall'indicazione delle fonti
utilizzate, tenute presenti o quanto meno conosciute da lui e dai suoi
collaboratori nel biennio redazionale 1858-1860.27 A tale riguardo, è viva
la coscienza da parte nostra che i problemi delle ascendenze sono sempre
delicati e che, quindi, laddove diremo che il redattore ha quasi letteral-
mente trascritto espressioni altrui e da un preciso testo, potrebbe, in
realtà, trattarsi di semplice ispirazione o rieccheggiamento di quella fonte,
di collimazione o affinità di pensiero, se non di suggestione della pub-
blicistica del tempo. Ciò nonostante, a nostro giudizio, oggettivamente
riscontrabili saranno certe «citazioni» o espliciti riferimenti; invece un
inevitabile margine soggettivo di interpretazione si potrà riscontrare a
proposito di allusioni e consonanze.
Giova inoltre qui notare che il capitolo «Del voto di obbedienza»
in realtà comporta una serie di importanti considerazioni sulla «virtù»
dell'obbedienza. Ma nella nostra analisi non entreremo, se non marginal-
mente, in merito alla distinzione fra virtù e voto. Infatti supponiamo
già noto che l'oggetto del voto è l'esecuzione esteriore del comando e
che la virtù vi aggiunge solo la sottomissione interiore (per cui la virtù
si estende al di là del voto), che tutto ciò che va contro il voto, di per
se stesso va contro la virtù (e non viceversa), che obbedendo material-
mente ad un ordine si può disobbedire formalmente per la resistenza
della volontà, e che non si può avere il merito della virtù senza avere
il merito del voto.
Ecco intanto gli otto articoli-base del capitolo sull'obbedienza, che
poi analizzeremo secondo il seguente schema: A. Significato biblico e con-
siderazioni morali-religiose dell'obbedienza (art. 1, 4); B. Aspetti cano-
nici del voto d'obbedienza (art. 2, 3); C. Modalità dell'esercizio dell'obbe-
dienza (art. 5, 6, 7, 8).
27 Utilissimo al riguardo ci è stato lo studio di F. DESRAMAUT, Les constitu-
tions salésiennes de 1966. Commentaire historique, 2 vol., [litografato]. Roma, PAS
1969-1970. Precisiamo che la nostra ricerca è stata effettuata sui testi a stampa di
costituzioni conservate nell'Archivio storico salesiano e nelle edizioni particolari ivi
custodite.

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12 Francesco Motto
1. Il profeta Davide pregava Iddio che lo illuminasse per fare la sua santa
volontà. Il Divin Salvatore ci assicurò che egli non è venuto per fare la sua
volontà, ma quella del suo celeste padre. Egli è per assicurarci di fare la
santa volontà di Dio che si fa il voto di obbedienza.
2. Questo voto obbliga a non occuparci se non in quelle cose che il rispettivo
Superiore giudicherà di maggior gloria di Dio e vantaggio dell'anima propria.
3. L'osservanza di questo voto non s'intende obbligare sotto pena di colpa se
non in quelle cose che sono contrarie ai comandamenti di Dio e di Santa
Madre Chiesa od alle disposizioni de' Superiori con obbligo speciale di ubbi-
dienza.
4. La virtù dell'ubbidienza è quella che ci assicura di fare la divina volontà:
chi ascolta voi, dice il Salvatore, ascolta me e chi disprezza voi disprezza me.
5. Ciascuno adunque abbia il Superiore in luogo di padre, a lui obbedisca
interamente, prontamente, con animo ilare e con umiltà.
6. Niuno diasi sollecitudine di domandare cosa alcuna, neppure di ricusarla.
Se però alcuno giudicasse qualche cosa essergli nocevole o necessaria la
esponga rispettosamente al Superiore, e si rassegni nel Signore qualunque
ne sia per essere la risposta.
7. Ognuno abbia grande confidenza col Superiore, niun segreto del cuore si
conservi verso di lui. Gli tenga sempre la sua coscienza aperta ogni qual-
volta ne sia richiesto od egli stesso ne conosca il bisogno.
8. Ognuno obbedisca senza alcuna resistenza né col fatto né colle parole, né
col cuore. Quanto più una cosa sarà ripugnante a chi la fa, tanto più accre-
scerà il merito dinanzi a Dio facendola.
A. Significato biblico e considerazioni morali-religiose dell'obbedienza:
art. 1, 4
L'articolo 1 del capitolo sull'obbedienza intende presentare, sul
fondamento dell'obbedienza veterotestamentaria di Davide28 e neotesta-
mentaria di Cristo,29 il senso profondo del voto d'obbedienza, le sue
motivazioni, e quindi, in parallelo, il significato dell'autorità nella vita
religiosa.30
Il contenuto del voto (e pure il concetto) è assai semplice: obbe-
dire è fare la volontà del superiore, da ritenersi per fede mediatore con-
creto ed immediato della volontà di Dio e, quindi, strumento di prov-
videnza nei riguardi dei confratelli in ordine a tale volere. Il voto d'obbe-
28 Ps. 118, 27.34.73.125.135.
29 Giov. 4,34; 5,30; 6,38.
30 II termine «vita religiosa» non appare mai nel testo e in realtà la visuale
di Don Bosco pare più quella di fondare una comunità fraterna ed apostolica che
quella di dare origine ad una congregazione con intenti di perfezione, dalla vita
religiosa propriamente detta.

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La figura del superiore salesiano 13
dienza al superiore è il mezzo più sicuro per accertarsi di essere fedele
alla volontà di Dio e raggiungere così la salvezza e la perfezione.31
L'articolo 4 esprime l'identica posizione teologica in ordine alla virtù
dell'obbedienza. In tal modo Don Bosco non distingue fra il fondamento
della virtù e il fondamento del voto. Entrambi, voto e virtù, assicurano
di fare la volontà di Dio. Si potrebbe anzi dire che quella che è la dot-
trina soggiacente all'articolo 1 (identificazione della volontà del superiore
con quella di Dio) viene esplicitata, nell'articolo 4, dalle parole della Scrit-
tura: «Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me .32
Il perentorio, articolo 1 riecheggia, forse, parzialmente il corrispon-
dente articolo delle costituzioni della congregazione dei sacerdoti seco-
lari delle Scuole di carità di Venezia. Ecco i due testi.
Scuole di carità
Dicente Christo Domino Salvatore Nostro:
non veni facere voluntatem meam: etc
libenter omnes sinceram obedientiam pro
ejus amore profiteantur, quae quidem (teste
D. Gregorio) virtutes coeteras menti inserit
atque insertas custodit.33
Società S. F. di Sales
Il profeta Davide pregava Iddio che lo illu-
minasse per fare la sua santa volontà. Il Divin
Salvatore ci assicurò che egli non è venuto
per fare la sua volontà, ma quella del suo
celeste padre. Egli è per assicurarci di fare
la santa volontà di Dio che si fa il voto di
obbedienza.
Letto il modello, Don Bosco pare ne riprenda l'espressione impron-
tata al Vangelo di Giovanni e completi l'articolo con altre espressioni
di propria fattura, le medesime che vengono poi a costituire l'inizio del-
31 Sui concetti di volontà di Dio, perfezione, santità e salvezza, vedi più avanti
il punto II.
32 Il riferimento all'identificazione del superiore con Dio (Chi ascolta voi...)
sarà abolito pochi anni dopo da Don Bosco stesso. Cost. SDB, 94. La prima parte
dell'articolo invece (La virtù dell'obbedienza...) scomparirà solo alla vigilia dell'appro-
vazione per mano di Mons. Vitelleschi, a nome della sacra congregazione competente.
Cost. SDB, 95.
33 Constitutione s congregationis sacerdotum soecularium Scholarum charitatis.
Venetiis, Ex tipis Francisci Andreola MDCCCXXXVII, p. 28. Tale testo costituzio-
nale della congregazione fondata dai fratelli Antonio Angelo e Marco Antonio Cavanis
riprendeva però un testo ancor più antico: quello delle Constitutiones S. Josephi
Calasanctii del 1622: «Dicente Christo Domino Salvatore Nostro: Non veni facere
voluntatem meam etc. genus maximae stultitiae videbitur, si quis in nostra Congre-
gatione voluntatem propriam facere praesumpserit, sed omnes unanimi consensu
sinceram obedientiam complectantur: quae sola (teste Divo Gregorio) virtutes caeteras
menti inserit, atque insertas custodit» (Constitutiones religionis clericorum regula-
rium pauperum matris Dei Scholarum Piarum... Romae, Typis Lini Contedini
MDCCCXXVI, p. 77).

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14 Francesco Motto
l'articolo 4. In tal modo l'articolo 4 rimane composto dalla fusione del-
l'affermazione di principio, propria di Don Bosco, e con la citazione evan-
gelica tratta dalla medesima fonte dei fratelli Cavanis.
Scuole di carità
Idque facile exequentur si Christum Domi-
num in quolibet Superiore respiciant, cum
ipse Superioribus dixerit: qui vos audit me
audit, et qui vos spernit me spernit.34
Società S. F. di Sales
La virtù dell'ubbidienza è quella che ci assi-
cura di fare la divina volontà: chi ascolta
voi, dice il Salvatore, ascolta me e chi disprez-
za voi disprezza me.
Non corrisponderebbe allora a verità quanto Don Bosco scriveva in
un memorandum del 1864 a Pio IX: «I Capitoli 5°, 6°, 7° che riguar-
dano la materia dei voti, furono quasi interamente ricavati dalle costitu-
zioni de' Redentoristi».35 Pare invece che tutti gli articoli del voto di
obbedienza, ad eccezione del 2 e 3 trovino fortissime consonanze con
le costituzioni delle Scuole di carità, così come gli articoli del voto di
povertà. (Difficile invece rimane la determinazione, sulla base del testo
costituzionale, della fonte per il voto di castità).
B. Aspetti canonici del voto d'obbedienza: art. 2, 3
Collegato strettamente all'articolo 1 che costituisce la ragion d'essere,
l'asse portante del voto d'obbedienza, è l'articolo 2 che invece intende
definire l'oggetto del voto d'obbedienza e, di conseguenza, l'ambito in
cui il legittimo superiore esercita la sua autorità.
Questo voto obbliga a non occuparci se non in quelle cose che il rispettivo
Superiore giudicherà di maggior gloria di Dio e vantaggio dell'anima propria.36
Il socio, secondo il dettato costituzionale, è tenuto ad occuparsi
solo in quelle attività che il superiore crederà bene di affidargli. In altri
termini, deve obbedire in tutto e per tutto ad ogni ordine del supe-
34 Constitutiones congregationis..., p. 28. Pure in tale caso è facilmente ricono-
scibile la fonte del testo dei Cavanis: «Idque facile exequentur, si Christum Domi-
num in quolibet Superiore cognoscere curabunt, licet difficilia, et sensui repugnantia
jubeat; cum ipse Superioribus dixerit: Qui vos audit, me audit; et qui vos spernit,
me spernit» (Constitutiones religionis clericorum, 77-78).
35 ASC 023-1-1864, Costituzioni Approvazione. Pubblicato in MB VII 622 e
Cost. SDB, 229. Nel medesimo documento Don Bosco accenna ad altre fonti, quali
le costituzioni delle Scuole di carità dei fratelli Cavanis, quelle dei Rosminiani, degli
Oblati di Maria Vergine, dei Gesuiti. In altri contesti pure ai Lazzaristi, Barnabiti,
Fratelli delle Scuole Cristiane, Scolopi, ecc.
36 Cost. SDB, 92. Nessuna differenza con la. stesura più antica, ad eccezione
della soppressione delle parole «in altre cose» dopo «occuparci».

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La figura del superiore salesiano 15
riore, il quale, come unico criterio d'intervento, farà in modo che venga
rispettata e promossa la maggior gloria di Dio e la salvezza dell'anima
del confratello. Nella redazione più antica, l'articolo era immediatamente
precisato dal seguente, cassato poi nel 1860:
In particolare poi si estende all'osservanza delle regole contenute nel piano di
regolamento della casa: siccome da più [anni] si pratica nella casa annessa al-
l'oratorio di s. Francesco di Sales.37
Sembrerebbe in tal modo che Don Bosco abbia eliminato ciò che
invece era e resta sostanziale, vale a dire che il superiore è tenuto a dare
ordini solo nell'ambito delle costituzioni, sia pure implicitamente. Un
analogo intervento correttivo è da Don Bosco effettuato rispetto al suo
dichiarato modello nella Formola dei Voti. Là dove le Regole della Com-
pagnia di Gesù recitavano: «prometto d'entrare per vivere e morire in
quella [Compagnia], il tutto intendendo conforme alle Costituzioni di
essa Compagnia»,38 Don Bosco si esprimeva in termini più ampi: «pre-
gandovi [il Superiore] umilmente di volermi senza riserbo comandare
quelle cose che sembreranno di maggior gloria di Dio e vantaggio delle
anime».39
In realtà, tale situazione statutaria è transitoria: forse nel mede-
simo anno dell'eliminazione del succitato articolo, Don Bosco reinserirà
nel testo l'essenziale riferimento alle costituzioni, mediante l'aggiunta,
al termine dell'articolo 2 «e del prossimo secondo il regolamento di que-
sta società».40 Del resto, pure il consultore romano e la Sacra Congre-
gazione dei vescovi e regolari inviteranno Don Bosco a sopprimere le
parole «senza riserbo» ed a sostituirle con «a tenore delle Nostre
Costituzioni».41
L'ambito istituzionale d'intervento del superiore rimane comunque
sempre molto ampio. Ulteriore conferma nell'articolo 1 del capitolo
Degli altri superiori:
Gli uffizi degli altri superiori della casa saranno dal Rettore ripartiti secondo
il bisogno 42
37 Cost. SDB, 94.
38 Regole della Compagnia di Gesù. Roma, Tipografia Salviucci 1834, p. 172.
39 Cost. SDB, 204 [Il corsivo è nostro].
40 Ivi, 92.
41 Ivi, 231.
42 Nel manoscritto più antico, quello calligrafico di D. Rua, anziché «secondo
il bisogno» si leggeva «secondo il piano di regolamento pei giovani ricoverati»
(Cost. SDB, 146).

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16 Francesco Motto
laddove, secondo la mens del legislatore, giudice unico del «bisogno»
è il Rettore e, mutatis mutandis, il direttore d'ogni singola comunità.
Comunque non va dimenticato che l'esperienza di Don Bosco si
era venuta attuando in tale senso. Lo afferma lui stesso nel capitoletto
introduttorio al documento costituzionale più antico [1858], in cui il
riferimento al superiore-giudice unico è chiaramente espresso, a differenza
dei testi più «democratici» consecutivi.43
[1858]
Essi non fecero alcun voto
propriamente detto; tutto si
limitò di fare una semplice
promessa di non occuparsi se
non in quelle cose che il loro
superiore giudicasse di maggior
gloria di Dio e vantaggio del-
l'anima propria. Riconosceva-
no il loro superiore nella per-
sona del sac. Bosco Gioanni.
1860
Essi non facevano alcun voto
e si limitavano ad una sem-
plice promessa di occuparsi
nell'istruzione dei giovani ed
in altre parti del sacro mini-
stero che loro sembrasse di
maggior gloria di Dio e van-
taggio dell'anima propria.
Riconoscevano il loro supe-
riore nel Sac. Bosco Giovanni.
1864.
Essi non fecero alcun voto
e si limitavano ad una sem-
plice promessa di occuparsi
in quelle cose che sembras-
sero di maggior gloria di Dio
e vantaggio dell'anima pro-
pria. Riconoscevano il loro
superiore nel Sac. Bosco
Gioanni.
Nelle nostre ricerche non ci è stato possibile reperire la fonte diretta
del citato articolo 2. Potrebbe essere dovuto unicamente a Don Bosco.
Comunque vi si scorgono convergenze significative con articoli delle
costituzioni dei Lazzaristi, della congregazione delle Scuole di carità, dei
Redentoristi, degli Oblati di Maria. Ci limitiamo qui a due esempi.
«Esatta ubbidienza presteranno parimenti prima a tutte le loro Regole
e Costituzioni, delle quali saranno fedelissimi osservatori; e di più a tutti
gli ordini e disposizioni de' loro Superiori, in modo che di loro possa
dirsi, che niente abbiano di volontà, ma tutta sia di mano di coloro, che
li governano».44 «Il Fratello [...] promette a Dio e a tutta la Società di
esser indifferente a tutti gli uffici di carità che i Superiori gli coman-
deranno di esercitare, gravi o lievi che paiano o siano, in guisa che sia
disposto colla divina grazia a spendere anche la propria vita (ove il
richiedesse la maggior gloria di Dio e il servigio del prossimo) ad imita-
zione di Gesù Cristo».45
43 Ivi, 70 [I corsivi sono nostri].
44 Costituzioni e Regole della congregazione degli Oblati di Maria Vergine.
Torino, Tipografia Eredi Botta 1851, pp. 31-32. Questo e moltissimi altri articoli
delle medesime costituzioni sono riprodotti alla lettera dalle costituzioni e Regole
della congregazione dei sacerdoti sotto il titolo del Santissimo Redentore (Vedi
nota 47).
45 Lettere Apostoliche colle quali il sommo pontefice Gregorio XVI approva
l'istituto della Carità e la sua Regola. Torino, Unione tipografico-editrice 1894, p. 45.

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La figura del superiore salesiano 17
Per altro, l'oggetto del voto d'obbedienza può anche essere visto
in prospettiva di obbligo «sotto pena di colpa». Ecco allora Don Bosco
redigere l'articolo 3 che nel documento precedente per mano di Don
Bosco nel 1859, ed ancor più nella primitiva trascrizione calligrafica di
Don Rua nel 1858, tradisce la probabile fonte: quella delle costituzioni
dei fratelli Cavanis.
1860
L'osservanza di questo voto non s'intende
obbligare sotto pena di colpa se non in
quelle cose che sono contrarie ai comanda-
menti di Dio e di Santa Madre Chiesa od
alle disposizioni de' Superiori con obbligo
speciale di ubbidienza
1859
L'osservanza di questo voto non si intende
obbligare sub gravi se non in quelle cose
che sono contrarie al diritto divino, natu-
rale, ecclesiastico o sono ordinate dal Supe-
riore in virtù di sant'ubbidienza..
1858
Le obbligazioni che ogni aggregato si assu-
me nella emissione de' voti non obbligano
sotto pena di peccato se non quando fosse
violato il diritto naturale, divino o ecclesia-
stico, o fosse espressamente ordinato da[l]
superior[e] in virtù di santa obbedienza.
Scuole di carità
11. Postremo admonendum est, quod etiam
ea quae in Notis sunt vim legis habent;
quae quidem leges tam in Constitutionibus
quam in notis expressae, non existimentur
impositae sub obligatione peccati, nisi quando
violetur in eis quod naturali, Divino, aut
Ecclesiastico praecepto statutum est, aut in
virtute S. Obedientiae a Superioribus ali-
quando expresse injungatur. Iis casibus
exceptis, transgressores ad paenam tantum
obnoxii erunt qua illi a Superiore punientur.46
Don Bosco non si accontenta, a quanto risulta dai testi, di tradurre
in lingua italiana il supposto modello latino: ne elimina la conclusione,
piuttosto estranea al suo spirito e rende il sub obligatione peccati del-
l'esemplare, prima con la traduzione semiletterale, poi con l'obbligare
sub gravi ed infine, nel 1860, con l'obbligare sotto pena di colpa. Così
che egli fa scomparire la distinzione, precedentemente espressa, fra colpa
grave e colpa leggera.47 Pertanto, di fronte ad ogni ordine del superiore,
46 Constitutiones congregationis..., p. 20.
47 I canonisti distinguevano quando si trattava di peccato grave e di peccato
leggero. Un esempio in Constitutiones et Regulae congregationis sacerdotum sub
titulo Sanctissimi Redemptoris (Romae). Ex typographia pacis Ph. Cuggiani 1895,
pp. 141-145. Le stesse Lettere Apostoliche, citate nella nota 45, dichiaravano a
pag. 11, che «eccettuato il voto col quale la Società è legata al Sommo Pontefice
esistente pro tempore, e i tre voti essenziali, di povertà, di castità e di obbedienza,
ed altri voti semplici e tutte le promesse fatte, se nella Regola o in qualche ordine
del vivere havvi cosa che abbia ragione di precetto positivo e non sia già compresa

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18 Francesco Motto
il suddito è passibile di colpa unicamente nel caso in cui l'eventuale disob-
bedienza si riferisca ai comandamenti di Dio, ai precetti della Chiesa,
ovvero l'ordine sia stato impartito con obbligo speciale di ubbidienza. 48
C. Modalità dell'esercizio dell'obbedienza: art. 5, 6, 7, 8
Posti i principi di fede fondanti l'obbedienza religiosa, e presen-
tati gli aspetti «di diritto» del voto d'obbedienza, seguono ora le con-
crete modalità con cui si esprimono le relazioni superiori-sudditi. Quat-
tro gli articoli che indicano lo stile di tali relazioni. Anzitutto l'articolo 5.
Ciascuno adunque abbia il Superiore in luogo di padre, a lui obbedisca inte-
ramente, prontamente, con animo ilare e con umiltà.
L'obbedienza religiosa nella mente di Don Bosco legislatore deve
essere:
filiale: ai sentimenti «filiali» dei soci corrisponde la vocazione
«paterna» del superiore;
completa: senza distinzione fra ciò che è semplicemente racco-
mandato e ciò che è strettamente comandato; indifferente in ordine al
tempo, al luogo, alle circostanze, all'insieme ed ai dettagli del comando;
pronta: ogni indugio renderebbe meno perfetta l'obbedienza;
ilare: avente cioè la sua origine nel cuore, nella generosità. In
caso contrario, come potrebbe essere accetta a Dio?;49
nella legge di Dio, essa non possa indurre obbligazione veruna sotto pena di pec-
cato mortale o veniale, se il Superiore non lo comandi in nome di Gesù Cristo Signor
Nostro o in virtù di obbedienza».
48 Ben presto l'espressione generica «con obbligo speciale di ubbidienza»
verrà sostituita con quella classica «Vi comando in virtù di S. Obbedienza» (Cost.
SDB, 94). L'intero articolo comunque, pur con modifiche, a dire il vero, limitate,
sopravvisse fino al 1874, allorché mons. Vitelleschi, segretario della Sacra Congre-
gazione dei vescovi e regolari, lo sostituì con la seguente Conclusio dell'intero testo
costituzionale: «Praesentes Constitutiones declarat Societas pro animarum quiete
non obligare per se sub peccato nec mortali nec veniali; ideoque si quis illas transgre-
diendo sit reus coram Deo, id non ex ipsis Constitutionibus directe provenire, sed,
vel ex praeceptis Dei aut Ecclesiae, vel ex votis, vel denique ex circumstantiis quae
huic violationi adiungerentur, scilicet scandalo, contemptu, et similibus» (Cost.
SDB 209).
49 Immediato il riferimento all'«hilarem enim datorem» di 2a Cor. 9,7, citato
da Don Bosco nella Introduzione alle Regole o Costituzioni della Società di S. Fran-
cesco di Sales secondo il decreto di approvazione del 3 aprile 1874. Torino 1875,
p. XXII.

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La figura del superiore salesiano 19
umile: propria cioè di chi ha rinunciato a fare la sua volontà,
scegliendo quella di Dio.50
Il contenuto dell'articolo è tradizionale, diffuso nei testi ascetici e
costituzionali del tempo.51 La formulazione di Don Bosco non è che la
traduzione quasi alla lettera dell'articolo 2 sull'obbedienza delle costitu-
zioni delle Scuole di carità, che a loro volta manifestano una notevo-
lissima coincidenza con le ben più antiche Regole della Compagnia di Gesù.
Società S. F. di Sales
Ciascuno adunque abbia il
Superiore in luogo di padre,
a lui obbedisca interamente,
prontamente, con animo ilare
e con umiltà.
Scuole di carità
Superiorem itaque, quicum-
que sit, veluti Patrem reve-
reantur, eique integre, prom-
pte, hilariter, et cum humi-
litate debita obediant.52
Compagnia di Gesù
[...] e portandogli interna
riverenza ed amore: e non so-
lo nell'esecuzione esterna del-
le cose da esso ingiunte ubbi-
discano interamente, pronta-
mente, animosamente, e colla
dovuta umiltà.53
Nessun dubbio però che quanto enunciato nell'articolo della società
salesiana trovi risonanza e corrispondenza allo spirito ed alla prassi di
Don Bosco.54
L'atteggiamento ed il comportamento del socio di fronte, in parti-
colare, a decisioni del superiore di carattere nocivo o non adeguato alle
necessità è illustrato dall'articolo 6.
Niuno diasi sollecitudine di domandare cosa alcuna, neppure di ricusarla. Se
però alcuno giudicasse qualche cosa essergli nocevole o necessaria la esponga
rispettosamente al Superiore, e si rassegni nel Signore qualunque ne sia per
essere la risposta.
Anzitutto un principio lapidario: nulla chiedere, nulla rifiutare. Poi,
immediatamente, l'eccezione: di fronte ad un possibile danno o ad una
50 Verso il 1862 Don Bosco aggiungerà, dopo il termine umiltà: «come a colui
che in quell'azione rappresenta il volere di Dio medesimo», (Cost. SDB, 94) sottoli-
neando ancora una volta l'identificazione fra volontà di Dio e quella del superiore.
51 Cfr. G. AUDISIO, Educazione morale e civile del clero... Torino, Stamperia
reale 1846.
52 Constitutiones congregationis..., p. 28.
53 Regole della Compagnia di Gesù..., p. 16. Notiamo qui che pure le costi-
tuzioni degli Scolopi contengono espressioni quanto mai simili: «Quocirca Supe-
riorem, quicumque ille sit, ut Patrem revereantur, eique integre, prompte, fortiter,
et cum humilitate debita, sine legitima excusatione, aut obmurmurationibus obediant»
(Constitutiones religionis..., p. 77).
54 Vedi più avanti, punto II.

2.8 Page 18

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20 Francesco Motto
necessità da soddisfare, fra il superiore ed il socio si chiede un dialogo
chiarificatore, fermo restando la sottomissione finale del primo al secondo;
sottomissione, dice il legislatore, da attuarsi «nel Signore».55
Don Bosco non ha inventato il suo articolo. Esisteva già quando
decise che era opportuno proporlo ai suoi discepoli. Così avevano ad
esempio scritto nelle loro costituzioni i fratelli Cavanis ed i Lazzaristi.
Società S. F. di Sales
Niuno diasi sollecitudine di
domandare cosa alcuna, nep-
pure di ricusarla. Se però
alcuno giudicasse qualche co-
sa essergli nocevole o neces-
saria la esponga rispettosa-
mente al Superiore, e si ras-
segni nel Signore qualunque
ne sia per essere la risposta.
Scuole di carità
Firma semper pia consuetu-
dine nihil petendi nihilque
recusandi, si forte tamen quis
arbitretur aliquid sibi esse
vel nocivum vel necessarium,
prius recogitet coram Domino
utrum de hac re debeat cum
Superiore sermonem facere
an non, et se indifferentem
habeat quoad responsum futu-
rum, sicque dispositus rem
Superiori declarabit, tenebit-
que pro certo voluntatem
Dei sibi per voluntatem Supe-
rioris significari, qua cognita,
statim acquiescet.56
Congregazione della Missione
E affinché la Congregazione
più facilmente e più presto
faccia progresso in questa
virtù, farà ogni sforzo; accioc-
ché appresso di noi si man-
tenga sempre in vigore quel-
la pia usanza di nulla chie-
dere, e nulla ricusare: non
però quando alcuno cono-
scerà, che qualche cosa gli
sia o nociva o necessaria; esa-
minerà innanzi a Dio, se deb-
ba proporla al Superiore o
no; e si terrà indifferente
per la risposta, che gli sarà
fatta: e così disposto la pro-
porrà al Superiore; e terrà
per certo, che la volontà di
Dio gli sarà da quella del
Superiore significata; la qual
conosciuta subito s'acquie-
terà.57
La prima affermazione: nulla chiedere, nulla rifiutare, pare possa tro-
vare un'ancor più lontana ascendenza, almeno nella sua semplice formu-
lazione letterale, in S. Francesco di Sales.58 Per il resto, Don Bosco sem-
plifica i suoi modelli, per la verità non molto teneri. La differenza sta
proprio nella soppressione, non certo trascurabile o insignificante, del
preventivo «esame di coscienza» se il confratello debba o no avanzare
55 Esplicito il richiamo alla concezione teologale dell'obbedienza religiosa. Cfr.,
più avanti, al punto II.
56 Constitutiones congregationis..., p. 29.
57 Regole ovvero Costituzioni comuni della congregazione della Missione.
1658, p. 50.
58 Oeuvres de Saint François de Sales, Tome sixième, Les vrays entretiens
spirituels. Annecy, Imprimerie J. Niérat MDCCCXCV, pp. 383-389, 427. Si veda al
riguardo F. DESRAMAUT, Les constitutions..., p. 150.

2.9 Page 19

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La figura del superiore salesiano 21
la sua richiesta. Il salesiano, nel clima di confidenza e paternità che
deve regnare fra superiore e confratello,59 liberamente e direttamente si
esprime col suo superiore, senza grandi indagini interiori sull'opportu-
nità o meno del suo intervento; nel medesimo tempo però, dato il clima
di fede in cui si inserisce la sua obbedienza religiosa, è pronto ad acco-
gliere comunque la risposta del superiore.60
Clima di confidenza abbiamo detto. E tale confidenza «assoluta»
viene esigita dall'articolo 7, articolo fondamentalissimo per le primitive
costituzioni salesiane.
Ognuno abbia grande confidenza col Superiore, niun segreto del cuore si con-
servi verso di lui. Gli tenga sempre la sua coscienza aperta ogni qualvolta ne
sia richiesto od egli stesso ne conosca il bisogno.
Nella vita del socio, tutto, anche i più intimi segreti di coscienza,
devono essere manifestati al superiore, non solo ogniqualvolta il confra-
tello lo desidera, ma anche quando il superiore da parte sua lo richiede.
L'immagine del cuore può forse far respingere l'idea di 'violenza' all'inte-
riorità del socio,61 sottesa al testo costituzionale, ma agli occhi dei con-
sultori e della congregazione romana si trattava di un diritto esorbitante.62
59 Vedi, più avanti, al punto II.
60 Cfr., nel riassunto del novizio Cesare Chiala (MB X 1090) la conferenza
tenuta da Don Bosco il 2 dicembre 1872. Gli stessi concetti sono sviluppati da Don
Bosco nella Introduzione alle Regole o Costituzioni, pp. XX-XXII. Dopo il 1860 Don
Bosco alle parole «si rassegni nel Signore qualunque ne sia per essere la risposta»
sostituirà di proprio pugno «[Superiore] che si darà sollecitudine di provvedere al
bisogno» (Cost. SDB, 96) mettendo così più l'accento sul dovere di provvedere del
superiore che sul diritto di essere ubbidito dal confratello (diritto che si viene pro-
gressivamente assopendo). Noteremo ancora in seguito che Don Bosco sarà più discreto
nella prassi che nella formulazione teorica.
61 Vedi punto II, nota 152.
62 «La manifestazione di coscienza prescritta non si ammette, tutto al più può
ammettersi facoltativa ma ristretta soltanto alla esterna osservanza delle Costituzioni
ed al progresso nelle virtù» (Cost. SDB, 244). Così la Sacra Congregazione, ed in
termini analoghi il consultore romano Bianchi (Cost. SDB, 243). La prassi del ren-
diconto di coscienza al superiore per riceverne la direzione spirituale era quanto mai
diffusa nelle congregazioni religiose. La giurisprudenza romana però, come risulta
dalle animadversiones del triennio 1858-1861 pubblicate in Collectanea, a cura del
segretario della Sacra Congregazione dei vescovi e regolari (pp. 830-858), si orien-
tava in senso decisamente contrario sia per la pretesa del superiore di invadere la
sfera riservata al confessore, sia per una sempre possibile falsa direzione, sia per
evitare pene e gravi fastidi, specie nelle congregazioni femminili, o coi superiori
laici. Don Bosco, che su primi documenti in lingua italiana sembrava incline ad
accogliere le disposizioni pontificie allorché abolì l'obbligo costituzionale del socio

2.10 Page 20

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22 Francesco Motto
Don Bosco comunque era perfettamente convinto di quanto scriveva e,
d'altronde, non faceva che riprodurre articoli quanto mai simili di altre
congregazioni. Così ad esempio le costituzioni delle Scuole di carità, quelle
della congregazione fondata da S. Vincenzo de' Paoli e quelle ancor più
antiche dei Gesuiti:
Scuole di carità
Liberam quisque sui ipsius,
rerumque quibus concessum
fuerit utendi dispositionem,
prompto ac laeto corde Supe-
riori relinquat, nihil ei clau-
sum, nec conscientiam qui-
dem propriam tenendo, sed
de ea saepe rationem red-
dat[...].63
Congregazione della Missione
Perciò Tutti, e Ciascuno con
ogni sincerità, e divozione
renderanno conto della pro-
pria coscienza nella maniera
usata in Congregazione al Su-
periore, o ad altro da lui per
ciò deputato, almeno ogni tre
mesi, specialmente nel tempo
degli Esercizi Spirituali, e
ogni qualvolta parerà al Supe-
riore64
Compagnia di Gesù
Ciascuno lasci la libera dispo-
sizione di sé stesso e del-
le cose sue al Superiore
con vera ubbidienza, non
tenendogli alcuna cosa cela-
ta, neppure la propria co-
scienza [...].65
L'articolo 8 infine, l'ultimo del capitolo sull'obbedienza se si esclude
quello relativo al controllo della corrispondenza, è collegato evidente-
mente coi precedenti articoli 7 (sulla confidenza), 6 (sulla rassegnazione)
e 5 (sul modo d'obbedire). Consta di due paragrafi: il primo che descrive
e specifica ancora più le caratteristiche dell'obbedienza salesiana; il se-
condo che enuncia un principio teologico circa il merito dell'obbedienza
in materia «ripugnante». Ecco l'articolo, accostato a quella che potrebbe
essere stata la sua fonte immediata:
Società S. F. di Sales
Ognuno obbedisca senza alcuna resistenza
né col fatto, né colle parole, né col cuore.
Quanto più una cosa sarà ripugnante a chi
la fa, tanto più accrescerà il merito dinanzi
a Dio facendola.
Scuole di carità
[...] nulloque modo ei repugnet nec opere,
nec mente, nec corde, ut quanto magis in
sui abnegatione exercetur, plus etiam puritas
intentionis ac fervor pietatis in Divino ser-
vitio augeantur.66
di manifestare l'intimo della sua coscienza su semplice richiesta del superiore (vedi
Cost. SDB, 96), in realtà sui documenti latini seguenti riaffermò tenacemente la sua
posizione fino alla vigilia dell'approvazione (1873-1874). Cfr. F. DESRAMAUT, Les
constitutions..., 152-154.
63 Constitutiones congregationis..., p. 29.
64 Regole ovvero Costituzioni..., p. 92.
65 Regole della Compagnia di Gesù..., p. 17.
66 Constitutiones congregationis..., pp. 29-30. Ma pure le regole di S. Ignazio
ed il prologo di S. Benedetto avevano espresso i medesimi concetti. Cfr. Regole della
Compagnia di Gesù..., pp. 17-19 e SS. Patriarchae Benedicti Regula ex vetustissimis

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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La figura del superiore salesiano 23
Immediatamente si nota come il legislatore salesiano riprende
ad litteram quello che presumiamo sia stato il suo modello in ciò che
riguarda l'invito ad evitare soverchi ragionamenti sulla natura, sul mo-
tivo e sull'opportunità di un comando del superiore. L'obbedienza deve
essere completa: di fatto, di parole, di cuore. La considerazione teolo-
gica però di Don Bosco si differenzia da quella del suo esemplare: la
ripugnanza ad eseguire un certo ordine, anziché far crescere la purezza
dell'intenzione ed il fervore della pietà nel servizio di Dio (come avevano
scritto i fratelli Cavanis), per Don Bosco ne aumenta il merito. Don
Bosco non parla, nel testo costituzionale, di obbedienza perinde ac cadaver;67
al di là però dello spirito che può animarlo, il contenuto dell'articolo,
risulta identico a quello della Compagnia di Gesù.
Chiunque sia, il superiore è il rappresentante di Dio per i suoi
confratelli e ciò costituisce l'unico fondamento della sua autorità e della
loro obbedienza. I soci, in ogni momento, devono essere disposti ad obbe-
dire prontamente e senza riserve, nonostante la sempre possibile alte-
rigia, poca paternità e scarsa saggezza del superiore. La corresponsabi-
lità nelle decisioni è del tutto inesistente nel testo. Domina in esso la
tendenza ad agire da solo: il superiore prende tutte le decisioni, natu-
ralmente sempre nell'ambito costituzionale, con una sostanziale autono-
mia nei confronti della comunità dei soci, magari trincerandosi dietro il
segreto sui motivi di esse. I membri della comunità sono statutariamente
«inferiori», tenuti all'obbedienza al superiore, invitato unicamente a
mitigare il suo effettivo potere con un modo paterno di intervento.
II. L'ESERCIZIO DELL'AUTORITA' DEL SUPERIORE
Abbiamo analizzato, anche se brevemente, il contenuto dei singoli
articoli costituzionali utili a definire il volto del superiore salesiano. Abbia-
mo presentato la loro dipendenza da fonti letterarie preesistenti, che ci
67 L'espressione «perinde ac cadaver» che la Compagnia di Gesù ha reso
celebre, in realtà non è stata inventata da S. Ignazio, poiché già S. Francesco d'Assisi
paragonava il vero obbediente ad un cadavere. Cfr. J. LECLERQ, La vocazione religiosa.
Morcelliana, Brescia 1962, p. 199; A.G. MATANIC, Autorità e Obbedienza nella vita
e nella spiritualità dei religiosi da S. Francesco d'Assisi a S. Ignazio di Loyola, in
C. KOSER et al., Autorità e Obbedienza nella vita religiosa. Milano, Editrice Ancora
1978, p. 131. Per quanto concerne l'obbedienza nella Compagnia di Gesù, secondo
S. Ignazio, cfr. pure Christus 7 (1955) 332-348.

3.2 Page 22

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24 Francesco Motto
hanno permesso di scoprire, con l'inevitabile margine soggettivo di
riscontro, le novità apportate da Don Bosco, insieme con la continuità
rispetto al passato. Siamo così in grado di approdare ad una sintesi inter-
pretativa della figura del superiore e del ruolo da lui giocato nella comu-
nità salesiana quale è configurata nel documento costituzionale del 1860.
In altri termini, presentati i testi, ora ci chiediamo: in quale con-
testo si collocano? perché il superiore comanda? che cosa il superiore
comanda? come il superiore comanda? Rispondiamo con ordine alle quat-
tro domande.
1. I criteri di lettura del testo costituzionale
Nel documento da noi preso in esame, la relazione superiore-
confratello, autorità-obbedienza,68 sembra intrecciarsi decisamente in senso
verticale. Dal dettato costituzionale circa l'autorità profluisce, più che
altro, il dovere del socio di ubbidire al superiore. Questi ha il monopolio
del pensiero e delle decisioni, di cui i soci sarebbero fedeli esecutori,
quali strumenti animati dalla volontà del superiore, il quale cercherà di
influire sul loro animo affinché l'osservanza delle regole — o del do-
vere, per dirla in termini cari a Don Bosco — diventi vera accettazione
e disciplina interna voluta. La vicinanza fisica fra autorità e soggetti raf-
forza inoltre la sottomissione di questi e la pressione di quella, che non
esita ad entrare nei dettagli della vita privata. Ma qui si impongono
alcuni precisazioni.
Indubbiamente le costituzioni del 1860 non configurano una società
che abbia sembianza di democrazia; semmai rispecchiano la posizione di
una monarchia costituzionale.69 La concezione dell'autorità è quella che
68 Ovviamente è inutile sottolineare che autorità ed obbedienza, prospettate
come momento di unità e di verifica all'interno di una comunità religiosa sono stret-
tamente legate assieme, quali aspetti d'una medesima realtà e quali mezzi per il rag-
giungimento dell'unico fine.
69 I termini «monarchia costituzionale» e «democrazia» di per sè non potreb-
bero applicarsi alla realtà della società ecclesiale e religiosa nel senso pieno nel quale
vengono adottati per la società civile. La Chiesa non è una società d'ordine naturale,
ma d'ordine e origine soprannaturale, la cui «costituzione» non può essere mutata
«democraticamente» dagli uomini, in quanto stabilita una volta per sempre da
Cristo. Cfr. *** L'autorità nella Chiesa, in «La Civiltà Cattolica» 1o marzo 1969,
a. 120, q. 2849, pp. 417-423. Inoltre J.L. MCKENZIE, L'autorità nella Chiesa. Esame
critico e nuove prospettive. Torino, Piero Gribaudi Editore 1969; Democratizzazione
nella Chiesa, in «Concilium» 7 (1971), fasc. 3.

3.3 Page 23

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La figura del superiore salesiano. 25
si impone dall'alto, che governa la vita sforzandosi di esigere dai mem-
bri la sottomissione dello spirito oltre che dei fatti; l'autorità si carat-
terizza per l'accentramento delle competenze, per l'ampiezza del con-
trollo, per la possibilità d'intervento nell'operato e nelle coscienze dei
propri confratelli, il cui unico dovere è di obbedire.
Don Bosco, nel suo disegno di concentrare tutto il potere nelle
mani del superiore, viene certamente favorito, a livello strutturale, dal-
la concezione diffusa nell'ambiente socio-politico-religioso dell'ottocento,
in cui la sottomissione pare costituire un fatto tipico della civiltà del
tempo, un predicato della mentalità religiosa e dell'insegnamento asce-
tico ereditato dall'era assolutistica.70 Ma un altro fatto occorre qui sot-
tolineare, e cioè che tale forma di governo rispecchia comprensibilmente
lo stato del personale salesiano del tempo in cui Don Bosco redige le sue
prime regole. Pochissimi sono i suoi collaboratori, tutti giovanissimi,
tutti suoi «ragazzi», non adeguatamente preparati alla difficile missione
educativa da lui ideata. Tutto pesa sulle sue spalle: «Tutte le altre con-
gregazioni nel loro cominciare ebbero ajuti di persone dotte e inten-
denti, che entravano a farne parte e così ajutavano, o meglio, s'associa-
vano col fondatore. Tra noi no. Tutti allievi di Don Bosco».71
Pur ammettendo collaboratori, questi tuttavia sembrano agire in piena
e totale dipendenza e stare nell'ambito dell'azione da lui programmata.
Man mano però che il numero e la capacità dei soci cresceranno — in
esecuzione per altro delle direttive delle autorità pontificie 72 — si postu-
70 II paternalismo come concezione di governo sorto in seguito a particolari
contingenze storiche, si era imposto a poco a poco dopo i secoli XVI e XVII; l'in-
fluenza di Pio IX aveva contribuito poi a generalizzarlo. Cfr. J. COURNEY MURRAY,
Liberté, autorité, communauté, in «Vie consacrée» 6 (1967) 323.
71 ACS 110 Barberis Cronachetta 2, q. 7, p. 57. Cfr. MB XIII 221.
72 L'ampiezza del potere del superiore, tuttavia, non è concepita unicamente
all'inizio, alla fondazione della congregazione, se poi nel verbale del capitolo gene-
rale del 1877 leggiamo: «Don Bosco tende sempre ad allargare i poteri del R(ettor)
M{aggiore), affinché esso possa disporre le cose in modo, che proprio tutto l'anda-
mento generale della Congregazione dipenda da lui e non si trovi ad ogni piè sospinto
impacciato da privilegi e autorità altrui, di modo che debba avere mille riguardi
prima di stabilire qualcosa». ASC 046 Quaderno Barberis, II 204-205 citato da
E. VALENTINI, La vita di comunità nella tradizione salesiana dei primi tempi, in
La comunità salesiana (= Colloqui sulla vita salesiana 4). Torino, LDC 1973, p. 44.
Ed ancora nel capitolo generale seguente, 1880: «ed il Sig. Don Bosco insiste assai
su questo punto che badino bene i direttori e gli stessi ispettori che la giurisdizione
deve partire da uno solo, e si deve ciascuno sforzare di sostenere detto principio
di autorità e tenere legata bene ogni cosa al Sup. Maggiore» (loc. cit. ASC 046

3.4 Page 24

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26 Francesco Motto
lerà un governo più collegiale, dove il potere del superiore, sia locale
che generale, non risulterà più così ampio, bensì temperato dal diritto
del capitolo di dare il voto per gli atti di maggior importanza.73 Comun-
que anche allora la responsabilità della comunità e dei singoli confratelli
graverà sul superiore, perché è lui che davanti a Dio risponde degli
atti dei soci, posto il fatto che questi siano docili ed obbedienti in tutto.
Pertanto risulterebbe evidente che proprio sulla concreta esperienza
personale di Don Bosco, sulla sua prassi oratoriana, debba essere com-
presa la figura del superiore e l'esercizio della sua autorità, pena il dedurre,
per statuto, la progettazione di gravi forme di autoritarismo e di pater-
nalismo, quali in realtà potrebbe avallare il dettato costituzionale scarno,
conciso e, per forza di cose, incompleto. Parlando di ermeneutica d'un
testo costituzionale, non si deve sottovalutare il problema della peda-
gogia della sua lettura, che contempla riflessione su di esso, studio della
sua formazione storico-genetica, ma pure coinvolgimento nella sua dina-
mica interna.74
Ciò è tanto più vero in quanto le costituzioni di Don Bosco, nate
dall'esperienza oltre che dall'elaborazione letteraria di fonti anteriori, por-
tano in sè un fortissimo richiamo alla vita concreta. Tra il sorgere della
congregazione e l'esperienza di Torino-Valdocco, fra i regolamenti del-
l'Oratorio, della casa annessa e le primitive costituzioni non si trova solu-
zione di continuità evidente. Don Bosco nel delineare la figura del supe-
riore salesiano, sul finire del decennio 1858-1860, si ispirava direttamente
alla sua esperienza precedente di educatore dotato di forte personalità,
di padre in mezzo ad una gioventù sovente privata della figura paterna.
Egli non faceva che descrivere se stesso, la sua attività considerata in
ciò che presentava di più suo e di più caratterizzante i primi tempi del-
l'Oratorio. Lo stile in cui si era cristallizzata la sua figura all'Oratorio
si doveva trasmettere, per osmosi, per contagio, ai futuri superiori della
sua congregazione. L'esempio della sua vita valeva più della sua teologia.75
Quaderno Barberis, I, 10). Nel pensiero di Don Bosco, quanto riferito al Rettor
Maggiore, fatte le debite proporzioni, è applicabile pure al superiore della comunità
locale.
73 Cost. SDB, 153, 165, 167.
74 Cfr. R. FARINA, Leggere Don Bosco oggi. Note e suggestioni metodologiche,
in La formazione permanente interpella gli Istituti religiosi, a cura di P. Brocardo.
Leumann (Torino), LDC 1976, pp. 349-404. L'autore nel suo saggio sottolinea l'indi-
spensabilità d'una considerazione globale della figura di D. Bosco, evidenziando
alcune possibili piste interpretative dei suoi scritti.
75 P. BROCARDO, Direzione spirituale e rendiconto. Roma, LES 1965, p. 150.

3.5 Page 25

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La figura del superiore salesiano 27
Ma a questo criterio «personale» se ne deve aggiungere un altro:
quello, vorremmo dire, «istituzionale». Abbiamo sopra accennato che
l'identità del superiore può essere compresa solo se inserita nel parti-
colare ambiente in cui si era venuta specificando ed adattando. Inten-
diamo riferirci all'Oratorio di Valdocco. Per quel tanto che categorie
fenomeniche potevano essere circoscritte in brevissimi testi a sfondo
giuridico-morale, le esperienze di Valdocco verranno codificate o quan-
tomeno tenute presenti nelle costituzioni della società di S. Francesco
di Sales. Il rapporto esplicito all'Oratorio di Valdocco, lungi dal costi-
tuire un motivo aprioristico, un postulato gratuito, è esigito expressis
verbis più volte dal testo stesso76 ed è decisamente affermato da Don
Bosco.77
L'Oratorio delle origini — momento unico ed irrepetibile — piena-
mente sottomesso alla personale direzione del fondatore, è da Don Bosco
stesso presentato come modello, esperienza valida di apostolato, spirito
suo fatto prassi palpitante e criterio illuminante per le future fonda-
zioni salesiane. Proprio il sigillo delle origini, lo stile di vita «primitivo»
è ciò che dà spessore, significato e valore ad espressioni costituzionali
non dissonanti nella loro materialità a quelle di altre famiglie religiose.
Si giustifica quindi il nostro ricorso a motivi di carattere perso-
nale ed a fattori di ordine istituzionale per tentare di orientare in una
direzione non unilaterale la comprensione dell'identità del superiore sale-
siano nei primi documenti costituzionali.
2. Motivi teologici dell'autorità del superiore
Negli articoli costituzionali brevemente presentati, appare certa, in
primo piano, la concezione gerarchica dell'autorità. Se però concentriamo
la nostra attenzione unicamente su tale aspetto, dimenticando quella che
ne costituisce una dimensione fondamentale, quella «pneumatica», se
fissiamo lo sguardo solo sul «diritto all'obbedienza» reclamato dalla
funzione, sottacendo l'aspetto spirituale, allora perdiamo di vista la
76 Cost. SDB, 60-70.
77 «Se poi si considera in se stessa [la società] ha per iscopo la continuazione
di quanto da circa 20 anni si fa nell'Oratorio di S. Francesco di Sales» (Cost. SDB,
229, doc. N. 3). Sul significato del primo Oratorio si veda CAPITOLO GENERALE
SPECIALE (a cura di), L'Oratorio paradigma di rinnovamento dell'azione salesiana,
[litografato] Roma 1971, p. 3.

3.6 Page 26

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28 Francesco Motto
caratteristica propria dell'autorità religiosa, ed abbiamo un tipo di auto-
rità laica o profana. Ne sorgerà una figura di superiore come un incon-
tro, più o meno ibrido, di un economo, di un distributore di permessi,
di un organizzatore, di un consigliere spirituale. Il superiore verrà con-
cepito come despota che regna sovrano su un pugno di persone che egli
guida ad arbitrio della propria volontà.
Invece l'elemento giuridico nell'esercizio del potere è decisamente
inserito in una specie di aureola soprannaturale di libera, consapevole
adesione alla volontà di Dio, manifestata direttamente nei suoi rappre-
sentanti. Il potere giuridico negli istituti di vita consacrata — di per se
stesso già fatto religioso in quanto riferito a comunità di fede — vuole
concretizzare il potere spirituale; l'organizzazione visibile ed umana
intende incarnare l'elemento invisibile ed interiore.
Autorità-obbedienza come elemento spirituale, di servizio alla fede
abbiamo detto, e non semplicemente, di efficacia sociologica quale
sarebbe concepire l'obbedienza come dovuta solo alla necessità d'una
autorità per la vita delle comunità, quale sarebbe praticare l'obbedienza
come sottomissione ad un regolamento in vista del bene comune. E’ bensì
vero che la fedeltà allo spirito non può prescindere dalla fedeltà alle
regole: ma ciò dicendo, si viene ad affermare che la regola deve essere
interpretata alla luce dello spirito, pena la degradazione delle regole ad
una semplice raccolta di direttive e di precisazioni, buone in sè, se si
vuole, ma prive di quell'afflato spirituale, di quella visione di fede che
ne costituisce la struttura portante ed il necessario fondamento.
Tale visione di fede, tale teologia della vita religiosa però non la
potevano delineare per intero i semplicissimi accenni di fondamento dot-
trinale, per di più secondo modulazioni ascetico-spirituali, inseriti nel
testo costituzionale. Si aggiunga inoltre il fatto che nella coscienza di
Don Bosco simili problemi teoretici apparivano abbastanza attenuati già
di per se stessi.78 E’ pertanto comprensibile che la nostra analisi della
natura dell'autorità-obbedienza secondo Don Bosco ed i motivi che la
giustificano, non vogliono essere esaurite con i brevi accenni che seguono
e neppure è nostra intenzione o presunzione esaurirli.79
78 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II. Roma,
LAS 19812, p. 383.
79 I concetti teologici ed i motivi spirituali, presenti nel documento costitu-
zionale, richiederebbero per una loro comprensione più rassicurante l'apporto di
molti testi significativi di Don Bosco, nonché il loro inquadramento nel contesto
della vita spirituale dell'ottocento. Da parte nostra, ci limitiamo a rilevare la pre-

3.7 Page 27

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La figura del superiore salesiano 29
A. Dimensione teocentrica
La magna charta che Don Bosco intendeva lasciare ai suoi figli non
poteva che essere vigorosamente innervata da ciò che stava a fondamento
della sua spiritualità: la gloria di Dio e la salvezza delle anime.80 Si com-
prende allora come nel testo costituzionale si rincorrano di capitolo in
capitolo, di articolo in articolo, staremmo per dire, motivi teologici quali
maggior gloria di Dio, salvezza dell'anima propria ed altrui, secondo
Iddio, nel Signore e simili, che danno un senso più compiuto ad altre
espressioni quali perfezionare se medesimi,81 perfetto adempimento dei
doveri generali del cristiano,82 santità di costumi,83 santità della vita con-
giunta con un edificante contegno in tutte le nostre operazioni.84 In tal
modo la dimensione teocentrica percorre come in filigrana le varie pagi-
nette del testo costituzionale ed, evidentemente, sorregge quelle relazioni
superiore-socio che ne costituiscono un ganglio vitale.
Si dirà che motivi quali la gloria di Dio e la salvezza delle anime,
molto spesso abbinati, potevano talora assumere la forma dello stereotipo;85
ma chi può negare che inseriti a più riprese in un testo normativo acqui-
stino di per se stesso un significato pregnante e preciso? Il ripetersi con-
tinuo di quelle espressioni di fede, anziché segno di pie esagerazioni o
forme vuote di contenuto, pare costituire invece un permanente appello
a quella fede, a quello spirito di fede che è l'anima della vita religiosa,
la forza soprannaturale capace di muovere il corpo amministrativo e gerar-
chico dell'intera società.
Del resto già fin dal primo fondamentale articolo del capitolo
«forma della società» si afferma che, priva della sua ispirazione teolo-
gica, la vita religiosa perde la ragion d'essere.
Tutti i congregati tengono vita comune stretti solamente dal vincolo della fra-
terna carità e dei voti semplici che li unisce a formare un cuor solo ed un'ani-
ma sola per amare e servire Iddio colla virtù della ubbidienza, della povertà e
santità di costumi.86
senza di tali direttrici di fondo nelle costituzioni del 1860. Per l'approfondimento
rimandiamo a P. STELLA, Don Bosco..., e F. DESRAMAUT, Don Bosco nella vita spi-
rituale. Torino, LDC 1969.
80 P. STELLA, Don Bosco..., p. 13.
81 Cost. SDB, 72.
82 Ivi, 182.
83 Ivi, 82.
84 Ivi, 178.
85 P. STELLA, Don Bosco…, p. 14.
86 Cost. SDB, 82.

3.8 Page 28

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30 Francesco Motto
La significativa espressione «per amare e servire Iddio», interpo-
lata di proprio pugno da Don Bosco nel modello latino che aveva sotto
mano,87 richiama alla mente che all'inizio della vita religiosa dei soci,
come preludio e fondamento di essa, si pone una finalità specifica: l'amore
ed il servizio di Dio.88 Chi abbraccia simile vita deve mettere al primo
posto la gloria di Dio, la salvezza dell'anima sua ed altrui, non la ricerca
di interessi personali od un proprio tornaconto.89
Ma non soltanto alle pur ripetute espressioni cui abbiamo appena
accennato è affidato l'orientamento religioso-teocentrico delle costituzioni.
I primi due articoli del 1o capitolo (scopo della società) lo codificano
immediatamente.
1. Lo scopo di questa società si è di riunire insieme i suoi membri ecclesiastici,
chierici ed anche laici a fine di perfezionare se medesimi imitando le virtù del
nostro Divin Salvatore specialmente nella carità verso i giovani poveri.90
2. Gesù Cristo cominciò fare ed insegnare, così i congregati comincieranno a
perfezionare se medesimi colla pratica delle interne ed esterne virtù, col-
l'acquisto della scienza, di poi si adopreranno a benefizio del prossimo.91
Dunque il salesiano, come tutti gli altri religiosi pienamente rife-
rito a Dio, cerca la perfezione imitando le virtù del Cristo, special-
mente la carità verso i giovani poveri. Nella mente di Don Bosco il
cammino della perfezione pare sia sentito come conformità alla volontà
di Dio, come imitazione delle virtù del Cristo, come perfezione di tutte
le virtù, come distacco dalle creature per meglio servirle.92
87 Constitutiones congregationis..., p. 16.
88 Il servizio di Dio trova un antichissimo ‘modello’ nel prologo della Regola
di S. Benedetto, laddove sta scritto che il cenobio è «Dominici schola servitii»
(SS. Patriarchae Benedicti Regula..., p. 6).
89 La linea da Don Bosco seguita è quella diffusa al suo tempo. Testi costi-
tuzionali di altre congregazioni e commentari vari esprimevano i medesimi concetti,
quand'anche non formulavano le identiche espressioni. Cfr. ad es. Costituzioni e
Regole della congregazione degli Oblati..., pp. 5-6; Lettere Apostoliche..., p. 17; Regola
dei novizi della congregazione del SS. Redentore. Roma, Tip. della S.C. De propa-
ganda fide 1868, p. 5; Costituzioni dei fratelli Ospedalieri sotto il titolo dell'Imma-
colata Concezione del terzo Ordine di S. Francesco d'Assisi. Roma, Tip. di Giuseppe
Gentili 1875, p. 3.
90 Cost. SDB, 72.
91 Loc. cit.
92 Si veda l'intero capitolo X La santità come ideale dei giovani, pp. 205-225
e pp. 435-439 in P. STELLA, Don Bosco. Così pure F. DESRAMAUT, Don Bosco...,
pp. 59-61, 196-203. Qui ricordiamo solamente che Don Bosco non pone una vera
distinzione fra santità e perfezione, così come nella loro sostanza mezzi e modi di

3.9 Page 29

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La figura del superiore salesiano 31
Uomo della passi, forte delle sue convinzioni che l'amor di Dio e
l'amor del prossimo fossero solidali,93 Don Bosco mirava soprattutto alla
creazione, all'interno delle sue istituzioni, di un vero spirito di carità,
così da poter essere disponibili al servizio della gioventù,94 sia con una
carità temporale che, come fondamento e conseguenza, spirituale. Per lui
il cuore della comunità è l'ideale evangelico dell'amor fraterno, un amore
sostanziato di fede e di dedizione al servizio di Dio, fatto di semplicità,
di calore umano, di comprensione e bontà, che favorisce la comunione
delle gioie e dei dolori e sostiene anche nei momenti difficili.95 Il modello
preciso è quello della prima chiesa di Gerusalemme, in cui tutti costitui-
vano «un cuor solo ed un'anima sola».95
Don Bosco non può e non intende entrare nel merito dei problemi
speculativi della carità teologicamente intesa come amor di Dio in vari
gradi, come unione col nostro unico fine, come unica via alla riprodu-
zione in se stessi dell'immagine di Cristo. Egli non si sofferma sulla con-
cezione d'una vita religiosa vista come esercizio delle varie virtù, teolo-
gali e cardinali, soprannaturali e naturali, individuali e sociali.97 Supposti
conseguire la salvezza e la santità si equivalevano, in quanti entrambi proponevano
l'esatto compimento della legge di Dio, dei propri doveri, delle virtù cristiane, e
specialmente della carità «vincolo di ogni perfezione» (Col 3,14) che unifica e
vivifica tutte le altre. Pure fra perfezione e santità non c'era grande differenza. La
santità implicava solo una maggiore prontezza, un più alto grado di esercizio delle
virtù. Siamo evidentemente di fronte ad una concezione della perfezione in chiave
ascetico-morale, e precisamente in quella che aveva il suo punto di riferimento espli-
cito in S. Giuseppe Cafasso, ma che appariva pure in altri manuali del tempo.
93 Sono innumerevoli le citazioni al riguardo. Rimandiamo all'indice analitico
delle MB. Si veda pure l'intero paragrafo sulla carità fraterna nella Introduzione
alle Regole o Costituzioni della società di S, Francesco di Sales... (S. Benigno Cana-
vese 1885), pp. 30-34.
94 Nel testo costituzionale, la disponibilità è evidenziata pure dall'articolo 11 del
capitolo sull'accettazione: «guardarsi attentamente dal contrarre abitudini di qualsiasi
genere anche di cose indifferenti» {Cost. SDB, 178) e dall'articolo successivo: «dispo-
sto di soffrire, se occorre, caldo, freddo, sete, fame, stenti e disprezzo» (loc. cit.).
95 «Oh se i nostri fratelli entreranno in Società con queste disposizioni, le
nostre case diventeranno certamente un vero paradiso terrestre [...]. Si avrà insomma
una famiglia di fratelli raccolti attorno al padre per promuovere la gloria di Dio
sopra la terra e per andare poi un giorno ad amarlo e lodarlo nell'immensa gloria
dei beati in cielo» (E I 475).
96 L'immagine caratterizzante la vita dei primi cristiani era comune nel voca-
bolario di Don Bosco. Cfr. P. STELLA, Don Bosco..., pp. 431-433; F. DESRAMAUT,
Don Bosco..., p. 212.
97 D. Bosco accenna solamente a virtù interne ed esterne. Se ne veda la spe-
cificazione in F. DESRAMAUT, Les constitutions..., pp. 24-26.

3.10 Page 30

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32 Francesco Motto
risolti questi problemi, immediatamente codifica in termini di semplici
esercizi di carità il fine generale della sua congregazione.
B. Dimensione cristologica
Nelle «primitive» costituzioni della società di S. Francesco di Sales
l'esplicito, seppur brevissimo richiamo a Gesù Cristo, quale modello di
virtù da imitare,98 come colui che cominciò a fare ed insegnare,99che
diede prova di amore verso i fanciulli,100 che ci assicurò di essere venuto
sulla terra per fare la volontà del suo celeste Padre,101 inserisce in un nuovo
orizzonte di comprensione il concetto, che abbiamo appena esaminato,
di perfezione e di progresso spirituale del socio salesiano.
Secondo il dettato costituzionale, il movente primo ad abbracciare
la vita religiosa, caratterizzata dalla professione dei consigli evangelici e
dalla fraterna carità all'interno ed all'esterno, è la più assimilativa imita-
zione di Cristo. Per raggiungere la perfezione richiesta dal Vangelo:
«siate perfetti come è perfetto il padre celeste» (Mt 5,48), non c'è altra
via, altro mezzo che la sequela di Gesù: «Se vuoi essere perfetto va',
vendi i tuoi beni e dalli ai poveri [...] poi vieni e seguimi» (Mt. 19,21).
Imitando Gesù, modello incarnato di santità, il professo salesiano sa di
camminare verso la perfezione: «Vi ho dato l'esempio, perché facciate
anche voi come io ho fatto» (Giov. 15,13).
Coerentemente con l'orientamento ascetico-morale più consono alla
sua mentalità, e con l'applicazione pratica da lui preferita, — ma pure
in perfetta sintonia con molti testi costituzionali di altre congregazioni,
privi di espliciti riferimenti teologici — Don Bosco non si appella ai
«misteri di Cristo» o al loro sviluppo dottrinale. Per S. Paolo imitare
Cristo non vuol dire tanto riprodurre materialmente le azioni di Cristo,
quanto piuttosto unirsi intimamente a Lui, essere vivificati dal suo spi-
rito. Per l'apostolo delle genti, Gesù Cristo è anzitutto colui che pla-
sma la nostra conformità e garantisce la nostra somiglianza al Padre. Così
col crescere dell'unione e della conformazione a Cristo, si perfeziona
sempre più l'autentica sua imitazione. Solo da questa profonda realtà
ontologica, sgorga come naturale conseguenza l'imitazione morale delle
virtù del Cristo.
98 Cost. SDB, 72.
99 Loc. cit.
100 Cost. SDB, 58.
101 Ivi, 92.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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La figura del superiore salesiano 33
Il testo costituzionale di Don Bosco invece 102 traduce e riduce il
«mistero di Cristo», in rapporto all'uomo, alla sola sfera dell'esempla-
rità delle sue virtù, vale a dire imitazione delle sue azioni. Il carattere
specifico della vita religiosa salesiana consiste quindi nel riprodurre
sulla terra, in modo proprio, Gesù Cristo, in quanto, come Lui, il sale-
siano ha lasciato ogni altra preoccupazione per vivere totalmente e pie-
namente la volontà di Dio.
Prima che una forma giuridica codificata in una regola, pur peda-
gogicamente necessario, lo stato religioso è un'espressione di vita «cri-
stiana» realizzata in una maniera unica mediante la vita comune, il vin-
colo della carità, i tre voti. Don Bosco, ancora una volta, si inserisce in
un comune sentire diffuso al suo tempo 103 ma risalente altresì ad epoche
ancor più antiche.104
C. Dimensione ecclesiale
Amare e servire Iddio, ricercare e fare la sua volontà, significa, come
abbiamo detto, imitare le virtù del Cristo. Ma tale compito di orientarsi
a Dio, di mettersi alla sequela di Cristo è lasciato in modo responsabile
alla singola persona, che deve discernere in ogni frangente della vita
ciò che viene da Dio o dalle forze a Lui ostili. Di fronte all'azione del
maligno o semplicemente alle illusioni della natura, non è sufficiente la
prudenza personale. E' necessaria una guida sperimentata, una «auto-
rità» che faccia opera di mediazione fra la volontà di Dio, non sempre
facilmente riconoscibile, e, quella dei semplici soggetti: un'autorità che
102 Ma non solo. Don Bosco nei colloqui coi ragazzi, negli scritti a stampa e
nei discorsi ai salesiani presenta la figura di Gesù Cristo molto sovente in termini
di modello da imitare. Si veda F. DESRAMAUT, Don Bosco..., pp. 76-82 e P. STELLA,
Don Bosco..., pp. 101-117. Ovviamente lo sguardo di Don Bosco su Cristo si allar-
gherà pure sul Gesù Eucaristia, Gesù Giudice, Gesù Salvatore, ecc.
103 Le costituzioni dei fratelli Cavanis, dei Lazzaristi, degli Oblati di Maria
Vergine e di altri sono state la fonte ispiratrice di Don Bosco, se non i modelli tra-
scritti talvolta quasi alla lettera. Vedi sopra, nota 15.
104 Due soli esempi. La Regola dei Novizi..., p. 7: «Sant'Alfonso si propose di
fondare un Istituto, i cui membri imitassero, nel modo più perfetto consentito dal-
l'umana fragilità, non solo le virtù e gli esempi del Divin Redentore, ma anche la
sua maniera di agire e di vivere in questo mondo». Le Regole della Compagnia
di Gesù..., p. 9: «per desiderio di assomigliarsi e d'imitare in qualche modo il nostro
Creatore e Signore Gesù Cristo, e vestirsi delle sue vesti e divise, poiché per nostro
profitto spirituale, egli stesso si vestì di quelle, e ci diede esempio, che in ogni cosa,
quanto si potrà con la divina grazia, lo vogliamo seguire ed imitare».

4.2 Page 32

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34 Francesco Motto
così compie una missione d'integrazione della umana insufficienza e di-
venta un aiuto in ordine alla salvezza personale.
Per Don Bosco, dominato da preoccupazioni pedagogico-pastorali più
che dottrinali, non insensibile a istanze tradizionalistiche ottocentesche
che danno un'interpretazione pessimistica della capacità umana di sco-
prire ed aderire a verità essenziali, tale autorità, per disposizione di Dio
stesso, risiede nella Chiesa cattolica. Chiesa cattolica, offerta all'uma-
nità, già costituita e gerarchicamente organizzata, dal suo fondatore, Gesù
Cristo.105 La gloria di Dio e la salvezza delle anime, in tal modo, acqui-
stano una nuova esplicita dimensione: quella ecclesiale.
La teologia sottesa al progetto costituzionale di Don Bosco conce-
pisce la Chiesa come struttura sociale e visibile, centro d'unità e sal-
vezza; ne sottolinea unilateralmente l'aspetto giuridico-istituzionale. E'
significativo il fatto che le uniche due volte in cui appare il termine
«Chiesa», esso sia posto accanto alle parole «ministri»106 e «comanda-
menti».107 Ma la concezione della Chiesa come autorità gerarchica si
evince pure dai continui riferimenti ai titolari, in essa, della sacra potestà:
al vicario di Gesù Cristo che dà esempio di zelo apostolico a favore della
gioventù e contro l'eresia e l'empietà,108 ai vescovi che concedono privi-
legi alla nascente istituzione di Valdocco,109 che diffondono anche altrove
il regolamento ivi in uso,110 che concordano col superiore della società
l'apertura di nuove case,111 che approvano l'elezione del Rettor Maggiore
della congregazione.112
La preoccupazione apologetica antiprotestante è evidente: «La tra-
scuratezza di molti genitori, l'abuso della stampa, gli sforzi degli eretici
per farsi dei seguaci mostrano la necessità di unirci insieme a combattere
la causa del Signore sotto allo stendardo del Vicario di Gesù Cristo per
conservare la fede ed il buon costume soprattutto in quella classe di gio-
105 Cfr. Il cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di
famiglia... epilogati dal sac. Bosco Giovanni. Torino, Tip. diretta da P. De Agostini
1853. Vedi pure in OE IV [195]-[646]. Per il quadro completo della concezione
di Chiesa in D. Bosco, rimandiamo a P. STELLA, Don Bosco..., pp. 119-145 e F.
DESRAMAUT, Don Bosco..., pp. 89-95.
106 Cost. SDB, 58.
107 Ivi, 94.
108 Ivi, 60.
109 Ivi, 62, 64, 66.
110 Ivi, 66.
111 Ivi, 90.
112 Ivi, 134.

4.3 Page 33

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La figura del superiore salesiano 35
vani che per essere poveri sono esposti a maggior pericolo di loro eterna
salute».113 Ma altresì evidente è la certezza che il detentore dell'autorità
suprema della Chiesa, il Papa, si pone al culmine d'una catena che pro-
viene da Dio stesso. «I nostri pastori ci uniscono al Papa: il Papa ci unisce
con Dio» aveva scritto sul frontespizio di Avvisi ai Cattolici114 nel 1850.
D. Conclusione
Che cosa giustifica dunque, dal punto di vista teologico, l'autorità
del superiore sul confratello e, di conseguenza, la sottomissione di que-
sti a quello?
Se, come detto, il mezzo di santificazione più adeguato è la per-
fetta conformità alla volontà di Dio, allora la sottomissione alla volontà
del superiore — da ritenersi per fede come diretta ed autentica inter-
prete della volontà di Dio — ne è la logica conseguenza. Più che sapere
se il volere del superiore e quello di Dio sono identici, al socio salesiano
interessa sapere che, ubbidendo, il proprio volere concorda con quello
di Dio. L'obbedienza è in tal modo il mezzo sicuro, infallibile per met-
tere la propria volontà in armonia con quella divina, senza che alcun
errore del superiore possa creare ostacoli. Ne segue che l'obbedienza non
si caratterizza per l'adesione alle cose comandate — come accade, ad
esempio, nell'adesione alle verità rivelate che il Magistero propone in
modo definitivo — ma unicamente per l'adesione all'autorità di colui
che la possiede.
La ricerca e l'esercizio della volontà di Dio non potrà pertanto che
essere ricerca ed esercizio della volontà del superiore. Il legame fra
queste due idee è quanto mai limpido e, d'altronde, la spiegazione è per-
fettamente coerente con la convinzione di Don Bosco che ogni autorità
vien da Dio (Rom. 13, 1-2) e che nessuno potrebbe esercitarla se non
l'avesse ricevuta dall'alto (Giov. 19,11).115
113 Ivi, 60.
114 Avvisi ai cattolici. Torino, Tip. dir. da P. De Agostini 1853. Cfr. OE IV
[165]-[193]. Vedi pure quanto Don Bosco scrive nella Introduzione alle Costitu-
zioni pubblicate nel 1875 (cfr. nota 24).
115 Innumerevoli passi delle MB testimoniano questa posizione teologica di
Don Bosco. Se ne veda l'Indice analitico. Ci limitiamo qui alle parole rivolte da
Don Bosco ai salesiani l'11 marzo 1869, subito dopo l'approvazione della congrega-
zione da parte delle autorità romane: «La nostra Congregazione è approvata: siamo
vincolati gli uni cogli altri. Io sono legato a voi, voi siete legati a me, e tutti insieme
siamo legati a Dio [...]. Si abbia sempre presente che il Superiore è il rappresen-

4.4 Page 34

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36 Francesco Motto
II fondamento ed il termine ultimo dell'obbedienza non sta allora
nelle qualità del superiore o nel volere delle norme, bensì in Dio, ori-
gine d'ogni autorità. L'obbedienza, l'autorità rientra così, esplicitamente,
in un ambito di fede: il loro esercizio è esercizio di fede. Vedere Dio
nel superiore è principio fondamentale dell'ubbidienza religiosa. Vedere
un'anima da salvare e che deve salvare altre è il principio fondamentale
dell'autorità religiosa, principio che non si può mai perdere di vista,
se non si vuole distruggere l'obbedienza e l'autorità alla loro radice.
Solo nella fede il confratello apprende che ogni ordine emesso dal supe-
riore entra nell'economia divina, e che eseguire il comando del supe-
riore — forse anche meno dotato di lui, ma rivestito d'autorità — è
obbedire alla volontà di Dio, è avviarsi sulla via della salvezza e della
santità.
In secondo luogo, l'imitazione di Cristo motiva ulteriormente, in
sede biblico-teologica, l'obbedienza religiosa. Questa non ha soltanto per
il socio una ragione di attuazione della volontà del Padre o una ragione
«funzionale» in ordine alla realizzazione del bene comune e del fine
della congregazione, ma è una nota distintiva del Cristo, perfetto sud-
dito, in comunione con la volontà del Padre. Come l'obbedienza del
Cristo «fino alla morte» fu espressione della sottomissione al Padre,
così il religioso, ad imitazione di Lui, deve vivere come Lui è vissuto.116
tante di Dio, e chi ubbidisce a Lui, ubbidisce a Dio medesimo» (MB IX, 572, 575).
Non pare pertanto che Don Bosco rifletta sul fatto che la volontà di Dio e quella
del superiore non necessariamente coincidono in maniera diretta ed univoca. Per altro
Don Bosco segue le convinzioni diffuse al suo tempo. La figura del superiore come
«vicario di Dio», che «tiene il luogo del Signore» è quanto mai comune nei diret-
tòri, nei commenti ai testi costituzionali, e nei testi medesimi. «I nostri superiori
sono riguardo a noi i vicari di Dio, ai quali Dio ci vuole sottoposti, per essere da
loro diretti e custoditi. Dunque dobbiamo rimirarli e riconoscerli come interpreti
della divina volontà: dunque obbedendo ai medesimi, noi faremo senza punto di
dubbio [il corsivo è nostro] la volontà di Dio», si leggeva nelle Istruzioni pra-
tiche..., a p. 8. L'intento dell'ascetica tradizionale del tempo in realtà pare quello
di sottolineare l'aspetto soprannaturale dell'obbedienza, più che di darne un'inter-
pretazione troppo letterale. Infatti questa condurrebbe a pericolose esagerazioni. Se
infatti l'ordine del superiore è la trasmissione diretta, quasi automatica, del pensiero
stesso di Dio, si avrebbe per conseguenza che le decisioni dell'autorità avrebbero
il privilegio dell'infallibilità e dell'inerranza.
116 Don Bosco, ed altri con lui, non si poneva il problema circa la diversità
fra l'obbedienza di Cristo al Padre e quella del religioso al superiore. Egli trova
logica l'immediata imitazione del Cristo, senza alcuna aggiunta o specificazione. Come
detto, il reale problema dell'obbedienza religiosa sta proprio nel passaggio da
un'obbedienza alla volontà salvifica di Dio all'obbedienza ad un uomo concreto.

4.5 Page 35

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La figura del superiore salesiano 37
Pure la figura biblica dei discepoli, che tutto lasciano per obbe-
dire alla voce del Signore, diventa fonte d'ispirazione, così come la tra-
dizione cristiana, che ha sempre applicato ad ogni legittima autorità le
parole di Gesù ai discepoli: «Chi ascolta voi, ascolta me, e chi disprezza
voi, disprezza me», si riversa con maggior forza all'interno della vita
religiosa.117
Infine la Chiesa, che da Cristo ha ricevuto la struttura ed i mini-
steri gerarchici, da Lui continua a ricevere, per diretta trasmissione apo-
stolica, i titolari della sacra potestà. Il potere nella Chiesa, istituita dalla
volontà salvifica di Dio in Cristo, esige radicale sintonia con le direttive
emanate dalle proprie competenti autorità: il Papa, i vescovi, e nel caso
dei religiosi, i superiori, legittimamente eletti secondo le costituzioni
approvate dalla S. Sede.118
3. I contenuti dell'autorità del superiore
A. Superiore: centro d'unità in ordine alla santificazione personale ed
alla missione apostolica della comunità
La figura del superiore, quale risulta da un'attenta considerazione
del dettato costituzionale, si pone indubbiamente al vertice della comu-
nità religiosa. Preoccupato di assicurare l'unità di intenti, di spirito e di
metodo, convinto che l'efficacia del lavoro apostolico e la fedeltà alle
indicazioni dall'alto119 sono inscindibilmente legate a questo spirito di
unità, ecco che Don Bosco delinea una figura di superiore quale vertice,
o anche, centro catalizzatore di unità.120 Attraverso l'ampiezza del suo man-
117 Lc. 10,16. Nel contesto il versetto fa chiaro riferimento alla proclamazione
del Vangelo, e Luca lo colloca nel discorso di Gesù ai 72 discepoli. L'identità della
Chiesa con Cristo invero non può essere ristretta ad una parte della Chiesa, alla
gerarchia. Tradizionalmente, in disarmonia col Nuovo Testamento, si è sempre appli-
cato il versetto all'autorità e non a tutti i membri della Chiesa. Cfr. J.L. MCKENZIE,
L'autorità nella Chiesa, Esame critico e nuove prospettive. Torino, P. Gribaudi 1969,
pp. 151-152. L'identificazione del superiore con Cristo è affermata in tutte le costi-
tuzioni degli Istituti Religiosi, che abbiamo citato, dai Benedettini ai Gesuiti, dagli
Oblati di Maria ai Lazzaristi ecc.
118 Vedi nota 114.
119 Cfr. Il sogno della benda (MB II, 299).
120 Cfr. J. AUBRY, Il direttore salesiano secondo la nostra tradizione, in CAPI-
TOLO GENERALE XXI DELLA SOCIETÀ SALESIANA, Contributo di studio allo schema III
[litografato]. Roma 1977, pp. 59-126. L'autore sulla base di molteplici fonti sia di

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38 Francesco Motto
dato — «tra noi il Superiore sia tutto» dirà Don Bosco121 — mediante
l'osservanza stretta, uniforme ed obbligatoria delle regole, di cui il supe-
riore è custode, nel mantenimento e trasmissione delle tradizioni e del
modo d'interpretare e praticare le stesse regole, il superiore svolge la
specifica funzione d'unificare attorno a sé, e fra loro, i membri e di
orientare gli sforzi comuni verso il raggiungimento del duplice fine
comune: la salvezza dell'anima propria ed il compimento della missione
della comunità.
Come abbiamo accennato, fattori di carattere personale e sociale,
di ordine psicologico e spirituale, stanno alla base d'una simile impo-
stazione costituzionale. L'unità è sentita come esigenza prioritaria già nei
primissimi e difficili tempi dell'Oratorio nel 1848-1849: «A me biso-
gnano due cose: mano libera e individui da me interamente dipendenti»;122
«[...] egli intendeva che ogni cosa procedesse da un solo principio d'auto-
rità e che si ottemperasse fedelmente a' suoi ordini».123 L'unità viene
vigorosamente richiamata al momento dell'approvazione della congrega-
zione: «Noi abbiamo scelto di habitare in unum. Che cosa vuol dire
questo abitare in unum? Eccolo in poche parole. Dobbiamo prima di
tutto abitare in unum ài corpo [...]. In secondo luogo vi deve essere
unità ài spirito [...] finalmente vi deve essere unità ài ubbidienza [...]»,124
Quasi poi a voler sottolineare la continuità della sua linea di pensiero,
l'unità verrà richiamata ancora negli ultimi anni della vita: «Ma è neces-
sario che il Direttore comandi: che sappia bene il suo regolamento e sappia
bene il regolamento degli altri e tutto quello che debbono fare, che tutto
Don Bosco che dell'intera tradizione salesiana, traccia un ampio profilo della figura
del direttore salesiano, quale risulterebbe dall'esperienza di Don Bosco, vissuta da
lui e dai vari direttori ed orientata da costituzioni, regolamenti, capitoli generali,
superiori maggiori. Una sintesi dello studio è stata pubblicata in J. AUBRY, Rinno-
vare la nostra vita salesiana oggi, 2. Torino, LDC 1981, pp. 32-51.
121 MB XII 81. All'ampiezza dell'autorità del superiore corrisponde la duttilità,
disponibilità, versatilità dell'obbedienza chiesta da Don Bosco al ragazzo, al sale-
siano, alla suora, e rappresentata dal famoso gesto del fazzoletto (MB III 550; IV
224; VI 11; XIII 210) e dall'espressione «farsi tagliare la testa». Si veda P. STELLA,
Don Bosco..., p. 406.
122 E. CERIA, Annali della società salesiana dalle origini alla morte di S. Gio-
vanni Bosco (1841-1888), I. Torino, SEI 1961, p. 9.
123 MB III 414.
124 ASC 112 Prediche 12-III-1869. Cfr. MB IX 573. Si veda inoltre MB X 1098;
XII 81; XVII 894s, 266s.

4.7 Page 37

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La figura del superiore salesiano 39
parta da un solo principio [...]. Si stabilisca adunque questo principio d'auto-
rità come era prima: sia un solo il responsabile».125
L'unità, nata originariamente dall'omogeneità spirituale di Don
Bosco e dei suoi collaboratori,126 trova poi la sua giustificazione nel creare
le condizioni di docilità alla volontà di Dio e nel garantire l'efficacia del-
l'attività comunitaria. Quanto alla prima finalità, ci siamo soffermati
già precedentemente. Spendiamo qui solo qualche parola circa il valore
dell'ubbidienza quale mezzo efficace di personale perfezione cristiana. A
tal proposito è indubbio che le espressioni costituzionali: «nulla chie-
dere, nulla rifiutare», «ognuno obbedisca senza alcuna resistenza»,
«quanto più una cosa sarà ripugnante a chi la fa, tanto più sarà meri-
toria innanzi a Dio facendola» ecc. depongono a favore di un'autorità
del superiore quale strumento ascetico che perfeziona e purifica l'inten-
zione del religioso di darsi a Dio.127 Ma ciò non pare sufficiente per soste-
nere che in Don Bosco l'obbedienza sia fine a se stessa, quasi un «obbe-
dire per obbedire». Certamente il valore di un atto fatto per obbedienza
è di continuo affermato da Don Bosco;128 ma le sue esplicite e ripetute
dichiarazioni nonché la sua prassi improntata ad immensa discrezione
non permettono di vedere in Don Bosco (e nel direttore salesiano) un
agire austero verso i confratelli, tale da distruggere in loro l'uomo per
costruire il consacrato.
Quanto mai estranei allo spirito di Don Bosco, che pure dalle
costituzioni di altri istituti trascrive interi articoli o per lo meno ha con
esse consonanze non irrilevanti, risultano sia i capitoli delle colpe129 che
la disciplina domestica sancita nei medesimi istituti. Tre semplici esempi
125 MB XVII 189. Inoltre XVII 267.
126 E. CERIA, Annali I, pp. 311-312. L'omogeneità spirituale, dato di fatto al-
l'Oratorio e nei primi tempi della congregazione salesiana, è da Don Bosco difesa
con forza quale fattore di crescita e d'unità delle famiglie religiose (MB XIII 221-222).
127 Lo sforzo ascetico era prioritario nella visione dell'obbedienza già in S.
Basilio, S. Benedetto, S. Francesco d'Assisi. Cfr. SS. Patriarchae Benedicti Regula,
pp. 23-25. Significativo che nella stessa Regula il secondo, terzo e quarto grado di
umiltà trattino dell'obbedienza.
128 Vedi l'Indice analitico delle MB alla voce obbedienza.
129 Vedi ad es. «De Capitulo culparum et de mortificatione exercenda», in
Constitutione s congregationis..., pp. 48-50; oppure «De Correctione, quae Superiorum
est», in Constitutiones clericorum regularium S. Pauli decollati. Neapoli, Ex typo-
graphia Tizzano 1829, pp. 64-68; ovvero «Des exercices d'humiliation et de morti-
fication qui se pratiquent dans cet Institut», in Règles et Constitutions de l'institut
des frères des écoles chrétiennes, approuvées par N.S.P. le pape Benoît XIII. Versailles,
De l'Imprimerie de beau jeune 1852, pp. 10-13.

4.8 Page 38

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40 Francesco Motto
al riguardo, tratti dalle costituzioni dei preti secolari delle Scuole di
carità, dei Redentoristi e degli Ospedalieri.
Si forte aliquem Superior vocaverit de aliquo suo defectu admonendum, ille
statim genibus flexis cum humilitate et silentio, et fideliter adimpleat [...].
A Novitiis vero usque ad Sacerdotium semper allöquendus erit Superior flexis
genibus.130
Loquen te illo [Superiore] silebunt, nee coram illo disceptabunt; et aliquid
illi offerendo, vel ab illo accipiendo, caput quasi inclinabunt; ipsum adeuntes,
vel ab eo acciti, detecto capite, illum salutabunt; ac deinde exponent, cujus
rei gratia veniant, eiusque mandata accipient. Foras exituri, aut domum reversi,
unum genu flectendo, benedictionem ab eo petent, his verbis: Benedicite,
Pater [...] Cum ab illo [Superiore] in communi aut in particulari, publice
aut privatim, corripiuntur aut castigantur, statim in genua procumbent;
ita ut audire malint: Surge, quam: Genua flecte. Correctiones, ac castigationes
ab illo, summa cum humilitate animique submissione accipient, quin, vel
ullo verbulo, sese purgare conentur, etiamsi justissimam sese excusandi
haberent causam. Quod si quandoque, ex justa sanctaque causa, hujusmodi
excusatio necessaria foret, post aliquod temporis intervallum, apud ipsum sese
excusare poterunt [...].131
Quegli però che non ascoltasse umilmente la correzione, o non ricevesse con
rassegnazione la penitenza impostagli dal Superiore, e molto più se osasse rifiu-
tarvisi, tantoché si rendesse incorreggibile, se Novizio, udito il Consiglio di
Famiglia, sia tosto licenziato, ma, se fosse Professo, si procederà alla di lui
espulsione dall'Istituto [...].132
Riguardo poi alle pene da imporsi, [...] ma perché la punizione produca quei
salutari effetti, cui è ordinata, si deve sempre proporzionare la pena alla colpa,
per modo che quanto più grave è la colpa, tanto più sia severo e pesante il
castigo [...]. Si presenta ora un elenco di colpe e pene, il quale debbe servire
come di regola penale con cui dovrà governarsi l'intiero Istituto dei Fratelli
Ospedalieri.133
Una simile concezione dell'obbedienza come mezzo ascetico della
morte di sé, del rintuzzamento dell'orgoglio e dell'annullamento del pro-
prio io non è certo patrimonio mentale e morale di Don Bosco che ai
direttori delle sue prime case scrive:
Procura di non mai comandare cose superiori alle forze dei subalterni. Né
mai si diano comandi ripugnanti; anzi abbi massima cura di secondare le incli-
nazioni di ciascuno affidando di preferenza le cose che si conoscono di maggior
gradimento [...]. Nel comandare si usino sempre modi e parole di carità e di
mansuetudine. Le minacce, le ire, tanto meno le violenze siano sempre lungi
dalle tue parole e dalle tue azioni [...]. In caso di dover comandare cose dif-
130 Constitutione s congregationis..., p. 52.
131 Constitutione s et Regulae..., p. 148.
132 Costituzioni dei fratelli ospedalieri..., p. 77.
133 Ivi, 77-78.

4.9 Page 39

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La figura del superiore salesiano 41
ficili o ripugnanti, al subalterno si dica per es.: potresti fare questa o quel-
l'altra cosa? Oppure: ho cosa importante, che non vorrei addossarti, perché
difficile, ma non ho
non ti impedisce altra
cohcci uaplazpiaorni ed?i1t3e4
possa
compierla.
Avresti
tempo,
sanità;
Si aggiungano poi, la sua proverbiale dolcezza e affabilità, le sue
doti di concretezza e di praticità ed allora si comprenderà il rischio di
indulgere ad un'interpretazione letterale degli articoli costituzionali.
Lo sforzo ascetico, pur in essi configurato, assume in realtà carat-
tere di necessità sociale, perché assicura l'efficacia nelle attività, la coe-
renza e l'efficienza richieste da una casa salesiana. In questo sta la fina-
lità più evidente dell'unità 'monolitica' di direzione, finalità leggibile in
trasparenza già nell'antico documento di Don Rua sopra citato: «Ci
venne proposto di fare coll'ajuto del Signore e di S. Francesco di Sales
una prova di esercizio pratico della carità verso il prossimo».135 Quella
che era la necessità imperiosa, la condizione di esistenza dell'Oratorio:
distribuire bene le cariche ed autorità, scegliere bene i titolari, aiutarli
a compierle bene, vigilare che tutti disimpegnassero i rispettivi doveri,
correggere ed anche rimuovere dal loro posto gli impiegati qualora ne
fosse il caso136 non verrà mai da Don Bosco modificata lungo il corso
dell'opera salesiana che dall'Oratorio prese avvio.137
Nel metodo, nello spirito, nella prassi vissuta, il superiore è susci-
tatore di energie, più che dominatore di persone. Solo la capacità di
capire, di non cancellare, anzi di valorizzare l'uomo che ha davanti, solo
la sana pedagogia di armonizzare nel lavoro le doti di persone diverse
per temperamento, sensibilità, attitudini, solo la tattica di trovare ad
ognuno un settore d'attività in cui si trovi a suo agio, permette al supe-
riore salesiano di garantire all'istituzione quella efficacia alla quale non
134 ASC 131.02, Ricordi confidenziali. Cit. MB X 1046 e P. BRAIDO, Scritti...,
pp. 289-290. Nel «Testamento spirituale» Don Bosco esprimerà i medesimi con-
cetti. Si veda MB XVII 260-265. In tale ottica quanto mai significative risultano
le espressioni della lettera circolare sui castighi: «Riguardiamo come nostri figli,
quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro ser-
vizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare, vergognandoci di ciò
che potesse avere l'aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli
con maggior piacere» (Epistolario IV 204-205).
135 ASC 9.132 Rua.
130 ASC 026 Regolamento dell'Oratorio. Vedi MB III 98 e P. BRAIDO, Scritti...,
p. 365.
137 Testimonianze varie in Epistolario II 319-321; III 158; in MB XI 352;
XIII 258; XIV 44; XVII 189-192.

4.10 Page 40

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42 Francesco Motto
potrebbero giungere sforzi isolati ed individuali. «Ora il bene che deve
aspettarsi dagli Ordini religiosi avviene appunto da ciò, che lavorano
collettivamente; se così non fosse, sarebbe impossibile gettarsi in qual-
che grande impresa».138
B. Superiore: primo obbediente a Dio ed alle regole
Nel testo delle regole, e particolarmente nel capitolo considerato,
non si parla che di obbedienza del confratello al superiore. Tutto è indi-
rizzato ad ottenere da quegli un maggior impegno nello spirito di fede,
in modo che riconosca Dio nella persona del proprio superiore e sappia
leggere la volontà di Dio in ciò che gli viene comandato. In altri ter-
mini: si tende solamente a disporre il socio ad essere pronto ad abban-
donare il proprio punto di vista, per aderire quanto più è possibile a
ciò che il superiore, rappresentante di Dio, ha deciso per lui.
Ma ad un esame più approfondito del testo, anche il superiore,
nella sua «funzione» di capo non fa che obbedire a Qualcuno ed a
Qualcosa dai quali, come colui a cui egli comanda, dipende. Intendiamo
dire che il superiore non è libero, secondo il legislatore, di comandare o
meno. Se le circostanze lo richiedono, se il bene spirituale dei confra-
telli, la gloria di Dio, la salvezza delle anime lo postulano, il comando
è per lui un dovere. La docilità che egli chiede dai sudditi alla sua
volontà deve essere identica alla propria fedeltà alla puntuale esecu-
zione della volontà di Dio, alla cui assidua ricerca egli è tenuto ad
andare.139 Ma non solo.
E' vero che le costituzioni affidano al superiore — perno attorno
cui ruota la comunità religiosa ed educativa — tutti i poteri. Ma da un
altro punto di vista il superiore ha solo i poteri che la regola gli dà. E'
questo, come si è visto, il senso delle espressioni «secondo il regolamento»
ovvero «come attualmente si fa» o ancora «come da anni si fa a Val-
docco».140 Le competenze del superiore sono definite dalle regole o, me-
glio ancora, per i primi tempi, dalla tradizione viva, carica di fascino, di
Don Bosco e dell'Oratorio. E quando la situazione dell'Oratorio sarà
138 MB XII 80.
139 P. ALBERA, secondo successore di Don Bosco alla guida della società di
S. Francesco di Sales, nel Manuale del direttore (Colle Don Bosco 19492), così rias-
sume i doveri del direttore: primo: acquisto della perfezione (p. 19); secondo: lo stu-
dio e l'osservanza delle Costituzioni (p. 51); terzo: il direttore è figlio di obbe-
dienza (p. 59).
140 Cost. SDB, 70, 94.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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La figura del superiore salesiano 43
passata in secondo ordine,141 quando la S. Sede avrà approvato definiti-
vamente le regole, Don Bosco non esiterà ad identificare il Rettor Mag-
giore ed il direttore con le regole medesime.
A queste [costituzioni] si dia tutta l'autorità e quella autorità suprema che
realmente hanno. E' la maestà delle leggi! [...] In ogni circostanza invece di
appellarsi ad altre autorità, si porti quella delle Regole [...]. Bisogna che nel
Rettor Maggiore quasi s'incarnino le Regole, che le Regole ed il Rettor Mag-
giore siano come la stessa cosa. Ciò che avviene pel Rettor Maggiore riguardo
a tutta la Società, bisogna che avvenga pel Direttore in ciascuna casa. Esso
deve fare una cosa sola col Rettor Maggiore e tutti i membri della sua casa
devono fare una cosa sola con lui. In lui ancora devono essere come incarnate
le Regole [...] si metta sempre sotto lo scudo della Regola, e mai operi di sua
propria volontà.142
Sempre Don Bosco insisterà sul concetto di direttore come primo
obbediente, impegnato ad adeguare se stesso sia alle disposizioni delle
costituzioni che del superiore maggiore, per dare coU'esempio vita e forza
alle proprie parole.143
Il vero superiore poi non è colui che riesce a far osservare mate-
rialmente la regola, ma colui che fa sì che i soci stabiliscano un legame
autentico e vissuto fra le regole e la vita, vale a dire, l'osservanza dello
spirito della regola. Cariche di significato pertanto risultano le parole
di Don Bosco nella circolare a stampa del 1885: «pensai di eleggermi
un Vicario [...] che abbia questo per uffizio speciale, che le tradizioni
finora da noi osservate si mantengano intatte e tali siano conservate
dopo di me da quelli che ci seguiranno. Parlo di quelle tradizioni che
sono le norme pratiche per intendere, spiegare e praticare fedelmente le
regole [...] che formano lo spirito e la vita della nostra Pia Società».144
Di fronte alla legge di Dio — primum ontologicum assoluto —, di
141 Le autorità romane chiederanno a Don Bosco di eliminare l'elogio storico
della congregazione, laddove si evidenziava il valore «carismatico» dell'esperienza
di Valdocco. Cost. SDB, 244.
142 MB XII 80-81. L'osservanza delle Regole e l'obbedienza al superiore è uno
dei motivi principali nei discorsi ai salesiani, una volta approvata la congregazione
(MB IX 571-576) e le sue costituzioni (MB XII 80-81). Si veda l'Indice delle MB
alla voce obbedienza, ma pure carità, critica, mormorazione e simili.
143 Lo aveva imparato alla scuola di Don Cafasso: «Il più efficace comando
di un superiore è il buon esempio» (MB II 54). Lo aveva scritto nel regolamento
dell'Oratorio: «Egli [il direttore] deve precedere tutti gli altri incaricati nella pietà,
nella carità e nella pazienza» (ASC 026 [1] Regolamento dell'Oratorio). E lo ricor-
derà infinite altre volte: MB X 1045; XIII 248; XIV 124, ecc.
144 MB XVII 281.

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44 Francesco Motto
fronte alle esplicite norme costituzionali, di fronte alle vive tradizioni
quindi non esiste superiore ed inferiore: da tutti si esige osservanza ed
obbedienza. Ed il superiore obbedisce alla legge quando l'osserva, ma
anche quando, anziché l'obbedienza, esercita l'autorità, nel momento cioè
in cui discerne e manifesta, in vista del bene del singolo e dell'insieme
della comunità che presiede, la volontà di Dio nelle concrete circostanze
e situazioni di vita.
4. Stile dell'autorità del superiore
A. Autorità in spirito di famiglia
Figlio del suo tempo, erede d'una particolare concezione dell'auto-
rità diffusa nell'ottocento, Don Bosco nel redigere i suoi articoli costi-
tuzionali non si discosta molto dai modelli che gli offrivano le altre
famiglie religiose. Ma i rapporti fra autorità e soci, stabiliti dalle regole
— rapporti invero piuttosto rigidi, formali e funzionali — acquistano
una fisionomia e una connotazione tutta nuova se inseriti in quella
speciale atmosfera, in quel particolare clima, in quell'originale stile di
vita, tradizionalmente definito spirito di famiglia145 che caratterizzava
l'Oratorio. Proprio tale spirito di famiglia di Valdocco costituisce, a no-
stro avviso, la chiave interpretativa dello stile d'autorità e d'obbedienza
della nascente congregazione salesiana, che di quell'ambiente è, per volere
di Don Bosco, il naturale prolungamento. Del resto, è risaputo come
Don Bosco si sia sempre mosso in base al presupposto di non formu-
lare regole senza averle prima sperimentate e quindi senza poter con-
tare su esperienze sicure e collaudate.
Le squillanti testimonianze del futuro cardinale Giovanni Cagliero
e del biografo G. Battista Lemoyne ci assicurano che nella «casa»l46 di
Torino si viveva in una vera famiglia: «La sua vita comune, che faceva
145 Non è nostro intento qui sviscerare tutti gli elementi che costituiscono il
cosiddetto «spirito di famiglia» delle case salesiane. Rimandiamo a specifiche trat-
tazioni sul sistema preventivo di Don Bosco e sullo spirito salesiano.
146 Dirà D. Caviglia: «"Casa" perché questa fu sempre la parola usata da Don
Bosco, annettendo alla parola un senso di convivenza familiare, quasi d'intimità quale
intendiamo noi quando parliamo di casa nostra». A. CAVIGLIA, Opere e scritti editi ed
inediti di «Don Bosco» nuovamente pubblicati e riveduti secondo le edizioni ori-
ginali e manoscritti superstiti. Vol. IV. Savio Domenico e Don Bosco. Studio. Torino,
SEI 1943, p. 68.

5.3 Page 43

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La figura del superiore salesiano 45
con noi, ci persuadeva che noi più che in un ospizio o collegio, ci trova-
vamo come in famiglia, sotto la direzione di un padre amorosissimo e
di niente altro sollecito fuorché del nostro bene spirituale e temporale».147
«Fino al 1858 Don Bosco governò e diresse l'Oratorio come un padre
regola la propria famiglia, e i giovani non sentivano che vi fosse diffe-
renza fra l'Oratorio e la loro casa paterna».148
I sentimenti, gli atteggiamenti che regnavano fra i membri erano
quelli di ogni famiglia: fiducia reciproca, affetto filiale e paterno, fra-
ternità vivamente sentita e manifestata, dolcezza e gioia. Particolarmente
significative risultano le affermazioni di due allievi della prima ora, Gia-
cinto Ballesio e Giovanni Turchi:
«Una delle qualità caratteristiche di Don Bosco fu quella di guadagnarsi
l'affezione dei giovani, la quale era un felice insieme di affetto, di ricono-
scenza e di fiducia, come di figli verso il padre, verso un uomo che per noi
era l'autorità, il tipo di bontà e della cristiana perfezione. In quegli anni
dal 1857 fino al 1860 [...] nell'Oratorio si viveva la vita di famiglia, nella quale
l'amore a Don Bosco, il desiderio di contentarlo, l'ascendente che si può ricor-
dare, ma non descrivere, facevano fiorire tra noi le più belle virtù»,149
«Don Bosco educava i giovani e li portava al bene colla persuasione, e quelli
lo facevano con trasporto di gioia. Egli procedeva sempre con dolcezza; dando
ordini quasi ci pregava e noi ci saremmo assoggettati a qualunque sacrifizio
per contentarlo».150
La familiarità è il frutto dello stile educativo chiamato sistema pre-
ventivo, dove l'educatore cerca di farsi amare prima di farsi temere,151
e dove l'elemento connettivo è la bontà dell'educatore che fa affidamento
sul cuore più che sull'autorità: «Or bene, io aspetto da tutti questa
parola: Don Bosco! le do la chiave del mio cuore»,152
L'affetto richiede reciprocità; la mutua confidenza si esprime in
atteggiamento di dialogo, di condivisione, di preghiera. Tratti eloquenti
sono allora quelli del primo regolamento dell'Oratorio:
[Il direttore deve] sempre incoraggiare ciascuno all'adempimento de' propri
[doveri] in modo di preghiera, non mai di comando [...]. Nel nominare qual-
cuno a carica dimanderà il parere degli altri impiegati [...]. Una volta al mese
147 MB IV 292.
148 MB IV 679.
149 MB V 737.
150 MB IV 288. Si veda pure X 1048.
151 ASC 131.01. Rua. Lettere originali di Don Bosco.
152 MB VI 445. Non è il caso qui di sottolineare le infinite espressioni di bontà,
affetto, generosità dimostrate da Don Bosco. Ci limitiamo a semplici indicazioni delle
MB: VI 15, 320, 322, 362; VII 524; XII 340; XIII 750.

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46 Francesco Motto
radunerà tutti gli impiegati dell'Oratorio per sentire e proporre quanto può
occorrere pel bene dei giovani [...]. Egli deve essere come un padre in mezzo
ai propri figli.153
L'austerità, la rigidità, l'antipatia altrove diffuse erano ben lungi
dall'essere presente nell'ambiente di Valdocco. Una viva testimonianza
di un osservatore esterno all'Oratorio, Don Orioli è indicativa del clima
di serenità, ottimismo e attrazione che vi pregnava:
«In questa Casa non spirano che modi insinuanti a fare il bene. E v'ha
un'aria di dolcezza, di allegria sui volti di tutti che ne resti sorpreso [...]. Nella
Casa di Don Bosco non è quell'aria greve di autorità che spira in certi col-
legi [...]».m
Si potrebbe forse obiettare che tale libertà era propria solo degli
inizi dell'Oratorio, così come informa il biografo: «I giovani in que'
tempi memorabili godevano moltissima libertà essendo come in famiglia.
Ma di mano in mano che sorgeva un bisogno, Don Bosco gradatamente
restringeva la libertà».155 E' vero: il regolamento, le norme disciplinari
poterono eliminare le libertà dei primi tempi, ma certo non poterono
annullare gli elementi costitutivi del sistema educativo di Don Bosco:
ragione, religione, amorevolezza. Si trattò allora di fare appello alle con-
vinzioni interiori della persona, di trovare quella comunione di intenti
e di mete fra educatori ed educandi che conservasse il profondo senso
di famiglia, creato dall'affetto dato e ricambiato, senza vanificare od este-
nuare il rigore dell'osservanza delle norme. Con ragione quindi Alberto
Caviglia scrive: «Un Regolamento c'era [...] ma il tono paterno ed esor-
tativo delle regole stesse, e la loro evidente praticità e ragionevolezza,
allontanava ogni idea di costrizione e d'imperio»,156
Si comprende allora il «grido d'angoscia»157 della straordinaria
lettera da Roma del 10 maggio 1884: «L'affetto era quello che ci ser-
viva da regola [...]. Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori
e non più come padri, fratelli, ed amici: quindi sono temuti e poco
amati [...] bisogna che si rompa quella fatale barriera della diffidenza e
153 ASC 026 (1) Regolamento dell'Oratorio. Cfr. MB III 98; P. BRAIDO, Scritti...,
pp. 364-365.
154 MB XV 562-563.
155 MB IV 339. Inoltre si veda ASC 026 (1...) Regolamento dell'Oratorio e
delle case della società di S. Francesco di Sales; MB VII 524-526; VII 445-446.
156 A. CAVIGLIA, Opere e scritti. Savio Domenico. Studio, p. 70.
157 A. CAVIGLIA, Conferenze sullo spirito salesiano [litografato]. Torino, Pon-
tificio Ateneo Salesiano 1949, p. 65.

5.5 Page 45

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La figura del superiore salesiano 47
sottentri a questa la confidenza. Perché si vuole sostituire alla carità la
freddezza di un regolamento?»,158 Si giustifica la nostalgia del «para-
diso terrestre» del primo Oratorio: «Fonte prima della sua concezione
[...] era il ricordo, e, diciamo pure, la nostalgia della vita di quei tempi».159
Se pertanto tale era il rapporto instaurato fra superiore e ragazzo,
a fortiori lo si sarebbe dovuto mantenere fra superiore e confratello,
tanto più che quel confratello per la quasi generalità dei casi era stato
fino al giorno prima un giovane della casa di Don Bosco. L'ambiente
educativo non distinto da quello religioso vero e proprio, la struttura
dell'Oratorio e della casa annessa completamente inserita nella struttura
della congregazione avrebbero dovuto indubbiamente conservare il mede-
simo clima, lo stesso calore umano e gli stessi rapporti vitali. Come si
può pensare che il sistema preventivo, applicato coi giovani educandi,
non fosse da applicarsi per i giovani confratelli?
I testi costituzionali perciò, intesi alla lettera, possono dare motivo
ad un'interpretazione dell'obbedienza come passiva sottomissione alla de-
cisione altrui, come rigida esecuzione di atti di cui a volte non si cono-
scono neppure le motivazioni, come abdicazione psicologica alla volontà
dell'autorità. Ma l'esplicito riferimento alla prassi oratoriana, e, aggiun-
giamo, la controprova della nutrita schiera di vigorose personalità gio-
vanili sorte a Valdocco, da Domenico Savio a Michele Magone, nonché
di valorosi pionieri missionari quali mons. G. Cagliero, mons. G. Fagnano,
ed altri, stanno a dimostrare come Don Bosco abbia superato quella
spersonalizzazione e quell'infantilismo che il testo costituzionale nel suo
rigore terminologico poteva suggerire. Se i risultati sono stati quelli che
tutti conosciamo, allora l'obbedienza pronta, umile, gioiosa, già chiesta
nella vita di Comollo,160 in quella di Besucco,161 di Domenico Savio162 prima
ancora che nelle costituzioni salesiane, non necessariamente avrebbe do-
vuto essere passiva, al punto da eludere ogni invito a prendere inizia-
158 MB XVII 110-111; Epistolario IV 264-266; P. BRAIDO, Scritti..., pp. 321-323.
159 A. CAVIGLIA, Opere e scritti. Savio Domenico. Studio, p. 69.
160 Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo... scritti da un suo collega.
Torino, Tip. Speirani e Ferrerò 1844. Cap. I e II. In OE I [l]-[84].
161 II pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argenterà
pel sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tip. dell'Orai, di S. Francesco di Sales 1864.
Cfr. in OE XV [242]-[435].
162 Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di S. Francesco
di Sales per cura del sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tip. G. B. Paravia e comp.
1859. In OE XI [150]-[292].

5.6 Page 46

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48 Francesco Motto
tive ed a esprimere il proprio punto di vista quasi fosse elemento di
disturbo.
B. Autorità paterna, amichevole, fraterna
Lo spirito di famiglia che fa dei superiori dei confidenti e amici
che hanno come ideale non certo di essere temuti e neppure di essere
in qualche modo obbediti, ma l'amare ed essere amati, trova il suo cen-
tro propulsore nella figura del direttore.
Lo spirito di famiglia che anima i confratelli ad unirsi fra loro e
con i superiori in un clima il più intenso possibile di reciproche confi-
denze, di effettiva corresponsabilità, di sincerità, di fiducia e che fa sen-
tire a tutti gli impegni ed i problemi di ciascuno come propri — così
come avviene in una famiglia naturale — ha il suo motore nella per-
sona del superiore inteso come padre, amico, compagno, fratello. Con
simili espressioni Don Bosco nel regolamento dell'Oratorio definiva il
ruolo del direttore: «Egli deve precedere tutti gli altri incaricati nella
pietà, nella carità, e nella pazienza, mostrarsi costantemente amico, com-
pagno, fratello di tutti»,163 I medesimi termini, con la sostituzione di
«compagno» con «padre», ritornano nella famosa lettera da Roma
del 1884, trent'anni dopo: «ma ora i Superiori sono considerati come
Superiori, e non più come padri, fratelli, amici, e quindi sono temuti e
poco amati».164 E così ancora lasciava scritto nel «Testamento spirituale»
per i suoi figli: «Non dimentichi mai il rendiconto mensile per quanto
è possibile; ed in quell'occasione ogni Direttore diventi l'amico, il fra-
tello, il padre de' suoi dipendenti».l65
Il proprium dell'autorità del superiore salesiano sembra dato dal-
l'interferenza nella paternità dell'amicizia e della fraternità. L'eventuale
tentazione dell'autoritarismo e del paternalismo è vinta dal suddetto tri-
nomio, che, pur non espresso letteralmente nel testo costituzionale, tut-
tavia si direbbe ad esso sotteso. Quella amicizia che Don Bosco dava
ai suoi giovani: «Io non voglio che mi consideriate tanto come vostro
Superiore, quanto vostro amico. Perciò non abbiate nessun timore di
me, nessuna paura, ma invece molta confidenza, che è quella che io
desidero, che vi domando, come mi aspetto da veri amici»;166 quella
163 ASC 026 (1) Regolamento dell'Oratorio. MB III 89; P. BRAIDO, Scritti...,
p. 364.
164 Epistolario IV 264-265; MB XVII 111; P. BRAIDO, Scritti..., p. 322.
165 MB XVII 266.
165 MB VII 503.

5.7 Page 47

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La figura del superiore salesiano 49
amicizia che legava assieme tutti al «nostro comune amico» Michele
Magone,167 e che costituiva un contratto con Giuseppe Roggeri,168 non
avrebbe potuto che regnare continuamente pure fra il superiore ed il
socio salesiano. E proprio dall'esperienza pluriennale dell'Oratorio nasce
quella splendida sintesi di paternità, amicizia e fraternità costituita dai
ricordi confidenziali a Don Rua, ricordi vergati da Don Bosco solo tre anni
dopo la redazione delle regole da noi prese ad oggetto di studio.169
Se la finalità della società è la salvezza dell'anima dei soci e di
quelle altrui, la prima e più importante occupazione del superiore di
tale società è la vita spirituale del confratello. Il «da mihi animas, coetera
tolle» vale prima di tutto per i soci.170 Della sua famiglia votata alla per-
fezione, egli, il superiore, è il generatore spirituale. Le incombenze orga-
nizzative (regolamentazione della vita, relazioni con gli esterni, ammi-
nistrazione dei beni ecc.) non escludono che l'azione primaria del supe-
riore sia la direzione delle anime.
Tale paternità spirituale poi trova tempo ed modo d'esercizio nel
colloquio previsto dalle regole, dove si scambiano reciproche confidenze,
basate sulla schietta e totale apertura di coscienza da parte del confratello
e sulla personale direzione da parte del superiore.
Per Don Bosco — e per tanti suoi contemporanei171 — rientrava
nella natura delle cose l'apertura di coscienza, dal codice di diritto cano-
nico invece esclusa tassativamente;172 ciò che il codice esprime sotto for-
ma di possibile desiderio,173 nel suo spirito costituiva una basilare realtà.
La «violazione di coscienza» potrebbe forse essere evocata da qual-
cuno che fosse particolarmente sensibile alle implicanze d'una interpre-
tazione eccessivamente letterale degli articoli costituzionali. Ma ciò fa-
cendo, forse, rischierebbe di non comprendere appieno la lezione di Don
167 Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell'Oratorio di
S. Francesco di Sales per cura del sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tip. G. B.
Paravia e comp. 1861, 4. In OE XIII [155]-[250].
168 Epistolario I 138.
169 ASC 131.01. Rua. Lettere originali di Don Bosco. Cfr. MB VII 524-526.
Le doti in positivo ed in negativo d'un direttore, sulla base di citazioni dalle MB,
sono in sintesi raccolte da P. BROCARDO, Direzione spirituale e rendiconto. Roma,
LES 1965, pp. 205-213, riprese da P. BONGIOVANNI, La vita religiosa nella luce delle
virtù teologali e della prudenza [litografato]. Torino 1969, pp. 153-154.
170 MB VII 524; X 1041, 1078.
171 Vedi nota 62.
172 CJC Can. 530 (1).
173 Ivi, Can. 530 (2).

5.8 Page 48

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50 Francesco Motto
Bosco, che alla base di tale rendiconto aveva posto quell'humus spiri-
tuale, quel clima di libertà, spontaneità, confidenza che a Valdocco pare
permettesse a lui, proprio vero superiore salesiano, di scendere al livello
più profondo di coscienza dei suoi «figli», giovani o confratelli, senza
con ciò sollevare particolari difficoltà in alcuno di essi.174
Lo studio termina qui. L'identità del superiore salesiano emerge
con sufficiente chiarezza dalle costituzioni della società di S. Francesco
di Sales del 1860, lette alla luce della prassi dell'Oratorio di Valdocco e
della comunittà salesiana dei primi tempi. Ma la ricerca continua. Ulte-
riori ed ancor più approfondite indagini sono auspicabili.
174 Molte volte Don Bosco sottolineerà l'importanza del rendiconto quale chiave
della moralità (MB II 354), norma fondamentale della casa salesiana (MB X 1052),
necessario per tutti (MB IX 995; XI 346; XVII 266-267). Non tutto comunque,
anche con Don Bosco in qualità di superiore, era perfetto (MB XVII 665).

5.9 Page 49

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La figura del superiore salesiano 51
BIBLIOGRAFIA
Fonte principale
Bosco Giovanni, Costituzioni della società di S. Francesco di Sales [18581-1875.
Testi critici a cura di Motto Francesco {= Istituto storico salesiano - Roma-Fonti -
Serie prima, 1). Roma, LAS 1982, 272 p.
Fonti manoscritte: Archivio Salesiano Centrale (ASC)
026(1...) Regolamento dell'Oratorio di S. Francesco di Sales.
026(20...) Regolamento per le case della società di S. Francesco di Sales.
023-1-1864 Costituzioni. Approvazione.
0.592
Verbali del Capitolo Superiore.
131.01 Rua. Lettere originali di Don Bosco.
110
Barberis. Cronachetta.
112
Prediche.
9.132
Rua. Scritti autografi.
Fonti a cura di Don Bosco o a lui attinenti.
Associazione di buone opere. Torino, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1875.
Avvisi ai cattolici. Torino, Tip. dir. da P. De Agostini 1853.
Il cattolico istruito nella sua religione. Trattenimenti di un padre di famiglia co'
suoi figliuoli secondo i bisogni del tempo epilogati dal sac. Bosco Giovanni.
Torino, Tip. dir. da P. De Agostini 1853
Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morto nel seminario di Chieri,
ammirato da tutti per le sue singolari virtù scritti da un suo collega. Torino,
Tip. Speirani e Ferrerò vicino alla chiesa di s. Rocco 1844.
Cenno biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell'Oratorio di S. Fran-
cesco di Sales per cura del sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tip. G.B. Paravia
e comp. 1861.
Cenno istorico sulla congregazione di S. Francesco di Sales e relativi schiarimenti.
Roma, Tip. Poliglotta della S.C. di Propaganda 1874.
Epistolario di san Giovanni Bosco, a cura di Ceria Eugenio. 4 vol. Torino, SEI 1955,
1956, 1958, 1959.
Il giovane provveduto per la pratica de' suoi doveri degli Esercizi di cristiana pietà
per la recita dell'uffizio della beata Vergine e de' principali vespri dell'anno
coll'aggiunta di una scelta di laudi sacre ecc. Torino, Paravia e comp. 1847.
Memorie biografiche di Don (del Beato...di San) Giovanni Bosco. 19 vol. (= dall'1
al 9: a cura di Lemoyne G.B.; 10: a cura di Amadei A.; dall'11 al 19: a cura
di Ceria E.) + 1 voi. di Indici, a cura di Foglio E.
Memorie dell'Oratorio di San Francesco di Sales. Dal 1815 al 1855, a cura di Ceria
Eugenio. Torino, SEI 1946.
Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata ad uso del popolo per cura
del sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Paravia 1858.
Opere edite. Prima serie: Libri e opuscoli, 37 vol. [ristampa anastatica] Roma,
LAS 1977-1978.
Il pastorello delle Alpi ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera pel
sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tip. dell'Orat. di S. Francesco di Sales 1864.
Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il decreto di
approvazione del 3 aprile 1874. Torino 1875.

5.10 Page 50

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52 Francesco Motto
Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales secondo il decreto di
approvazione del 3 aprile 1874. S. Benigno Canavese 1885.
Scritti sul sistema preventivo nell'educazione della gioventù, a cura di Braido Pietro.
Brescia, La Scuola Editrice 1965.
Storia dell'Oratorio di S. Francesco di Sales, in «Bollettino Salesiano» 7 (1883).
Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales
per cura del sacerdote Bosco Giovanni. Torino, Tip. Paravia e comp. 1859.
Fonti non salesiane
Constitutiones clericorum regularium S. Pauli decollati. Neapoli, Ex typographia
Paschalis Tizzano 1829.
Constitutiones congregationis Sacerdotum soecularium Scholarum charitatis. Venetiis,
Ex tipis Francisci Andreola MDCCCXXXVII.
Constitutiones et Regulae congre gationis sacerdotum sub titulo Sanctissimi Redemptoris.
Romae, Ex typographia pacis Ph. Cuggiani 1895.
Constitutiones presbyterorum societatis Mariàe. Lugduni, Apud J.B. Pelagaud 1873.
Constitutiones religionis clericorum regularium pauperum matris Dei Scholarum
Piarum. Romae, Typis Lini Contedini MDCCCXXVÏ.
Costituzioni dei fratelli Ospedalieri sotto il titolo dell'Immacolata Concezione del terzo
Ordine di S. Francesco d'Assisi. Roma, Tip. di Giuseppe Gentili 1875.
Costituzioni e Regole della congregazione degli Oblati di Maria Vergine. Torino,
Tipografia eredi Botta 1851.
Istruzioni pratiche intorno ai principali doveri degli ordini religiosi. Milano, Tip.
Costantino Banfi 1837.
Lettere Apostoliche colle quali il sommo pontefice Gregorio XVI approva l'istituto
della Carità e la stia Regola. Torino, Unione tipografica editrice 1894.
Methodus quae a Sacra Congregatone Episcoporum et Regularium servatur in appro-
bandis novis institutis votorum simplicium, in Collectanea in usum secretariae
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