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ta, pena il cadere nell'agiografico stantio o nell'inutile devozionalismo, privi entrambi di sicura base
storica. L'unica strada da percorrere era quella degli archivi salesiani, di quelli ecclesiastici e soprattut-
to di quelli delle aristocratiche famiglie fiorentine. Ricerca piuttosto ardua, specialmente quest'ultima,
perché alle fonti «morte», quali sono in un certo senso gli archivi privati, si poteva arrivare solo attra-
verso quelle fonti «vive» che sono i discendenti, e questi, supposto che esistano, non sempre sono
reperibili a distanza di cento e più anni. Pur nei ristretti spazi di una documentazione incompleta e non
sempre all'altezza delle esigenze di studiosi seri, l'indagine è stata coronata da un successo superiore ad
ogni previsione. E così i cultori di storia salesiana e gli appassionati di Firenze hanno un altro libro da
porre sugli scaffali della loro libreria.
Il Miscio, nelle fitte pagine del suo volume, sa farci sentire come la «piccola» storia dei rapporti
personali ed epistolari di don Bosco con personaggi della Firenze ottocentesca si inserisca nello svi-
luppo storico della città che in un ventennio passa da una meravigliosa stagione di gloria (gli anni
1865-1870 di Firenze capitale d'Italia) ai tristissimi momenti di crisi e di bancarotta degli anni ottanta.
L'umile vicenda di don Bosco e di una «certa Firenze» viene a costituire così una goccia nella vita
della «grande» città toscana, centro di cultura e di politica, attrattiva per tutti, meta di quanti sono
sensibili all'arte ed al gusto estetico. Goccia sì l'avventura fiorentina di don Bosco, ma non meno im-
portante perché vera, di quella verità che non ha paura di essere svelata a tutti.
L'autore non cede alla tentazione del racconto edificante, oleografico, anzi spesso ha il coraggio
di farci sentire la nuda realtà, anche se dolorosa da ammettere: gli errori di valutazione dell'ambiente
cittadino da parte di don Bosco e dei salesiani, la scarsa generosità dei fiorentini per un'opera che non
sentivano come propria, l'ostilità preconcetta fra protestanti e cattolici, Don Bosco in prima fila, i
risvolti — non sempre positivi per tutte le classi sociali — della politica nazionale, regionale e cittadi-
na, la grave situazione economica-scolastica-sociale di molti, di troppi abitanti in una Firenze popolata
di nobili e di ricchi borghesi, ecc.
Spigolare a caso fra le letterariamente scintillanti pagine del Miscio alla ricerca di interessanti e-
pisodi, di avvenimenti significativi, di figure importanti della storia di Firenze e d'Italia sarebbe facile,
ma toglieremmo al lettore il gusto della scoperta, della novità, del particolare inedito. Meglio poi
lasciare integro il delizioso fascino di diligenti analisi con cui l'autore ha dato corpo a quanto emerge
dalle fonti e testimonianze a sua disposizione. Certo, non tutte le letture che l'autore ci propone riesco-
no, per così dire, persuasive; talvolta le supposizioni non godono di sufficiente attendibilità. Ma questo
voluto attardarsi dell'autore per riflettere su fatti e persone, su atteggiamenti e abitudini, che costituisce
il limite «storico» del volume, è anche il suo pregio «stilistico»: quello di un'avvincente narrazione,
snodantesi analisticamente fra cronaca e storia, fra progetti di alto respiro nazionale e progetti di umile
ospizio per ragazzi poveri, impreziosita e ingentilita da sapide puntualizzazioni, da incisive afferma-
zioni, da considerazioni tanto attente quanto stimolanti.
Un grazie dunque all'autore per aver brillantemente rinfrescato la memoria di una vicenda semi-
sconosciuta, ricca di luci e ombre; un grazie pure all'editrice sale-