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RECENSIONI
BARZAGHI Gioachino, Don Bosco e la chiesa lombarda. L’origine di un progetto.
«Studi e memorie del Seminario di Bergamo», 8. Bergamo, Edizioni Glossa
2004, 937 p.
Titolo e sottotitolo indicano il tema o teorema di fondo che l’A. intende dimo-
strare con un’estesa erudita compilazione o collezione di nomi, libri e documenti, che
va dal 1500 al 1800. Non è cosa del tutto nuova, poiché essa ripresenta riuniti, in
parte rielaborati, i contenuti di tre precedenti volumi: Tre secoli di storia e pastorale
degli oratori milanesi (1985), “rilettura” di Don Bosco nel quadro culturale della Re-
staurazione (1989), le radici del sistema preventivo di don Bosco (1990). Vi sono ag-
giunti nuovi riferimenti a persone e istituzioni. Il lavoro ricostruisce un’affollata ge-
nealogia che ha i suoi capostipiti a Roma, qualificati dalla medesima formula di “cul-
tura filippina”, prosegue in forza di questa a Milano, che, diventata la “città più filip-
pina d’Italia”, si prolunga in una folta schiera di istituzioni, nomi, libri nella fertile
area lombarda e trasmette il suo ricco patrimonio di idee e di ispirazioni al benefi-
ciario, Don Bosco, vivente e operante in una regione talmente sterile da rendere prov-
videnziale tale insperata eredità. È l’utilizzazione di questo inesauribile scrigno, igno-
rato perfino dai suoi studiosi, più presuntuosi che validi, che gli avrebbe permesso di
dare consistenza e forma al suo «progetto». Questo abbraccia più realtà: anzitutto,
l’oratorio nelle sue strutture e nel suo spirito animatore; ma anche l’indissolubile si-
stema preventivo; ancora, l’orientamento pastorale; infine, la stessa spiritualità, di
prete degli oratori – spiritualità giovanile – e di fondatore di istituti religiosi e del-
l’Unione dei cooperatori e cooperatrici.
La genealogia avrebbe, dunque, i suoi capostipiti in Filippo Neri, Carlo Bor-
romeo e Silvio Antoniano, a nostro parere tre personalità, che sebbene accomunati
dalla stessa denominazione “filippina”, risultano dalla storia profondamente differenti
per temperamento, origini culturali, forme e stili di vita e di azione. Tra l’altro, l’A.
non si chiede se per caso non avessero avuto essi stessi in tempi più o meno remoti –
come è stato più volte dimostrato – ascendenti che marcarono l’educazione preven-
tiva ebraico-cristiana di millenni e continuarono ad influire, con caratteri irriducibili
alla “cultura filippina”, su operatori pastorali, istituzioni educative ed educatori, tra
cui don Bosco stesso. Prima delle “pastorali” e delle “pedagogie”, altre previe espres-
sioni culturali determinarono il costituirsi nella Chiesa di mentalità e indirizzi opera-
tivi di segno prevalentemente repressivo o prevalentemente preventivo: sono a livello
di antropologia, teologia dogmatica e morale, spesso popolarizzate dai tanti cate-
chismi piccoli e grandi che hanno attraversato i secoli. La diade amore e timore
[spesso, inteso come paura], con la prevalenza dell’uno o dell’altro termine, fu forse
la più decisiva discriminante tra i due “sistemi”. Gli studiosi della “storia vissuta del
proprio cristiano” hanno condotto sul tema non poche fruibili ricerche.

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488 Recensioni
Per amore di concretezza si trascrivono i titoli dei venti capitoli nei quali è arti-
colato il volume: I. L’oratorio filippino; II. S. Carlo e Federico Borromeo: pastorale,
cultura filippina e orsolina; III. La pedagogia di Silvio Antoniano per la diocesi di
Milano; IV. Le Congregazioni filippine di Milano e di Brescia; V. La scuola pubblica
dell’obbligo della Lombardia austriaca e nel Lombardo Veneto; VI. Un nuovo mo-
dello di oratorio: il S. Carlo di Milano; VII. Don Giuseppe Spreafico, sacerdote di
scuola e di oratorio; VIII. Suggestioni oratoriane lombarde nella redazione di alcuni
documenti e nella prassi di don Bosco; IX. La stagione oratoriana della Restaura-
zione a Milano; X. Il ruolo di Rosmini nel dibattito pedagogico-pastorale in Lom-
bardia e in Piemonte; XI. In F. Aporti don Bosco legge il sogno restaurativo scola-
stico del Regno Lombardo-Veneto; XII. Antonio Riccardi: proposta restaurativa di un
piano onnicomprensivo di pastorale giovanile; XIII. L’unità dell’educazione in al-
cuni contenuti della scuola, della cultura popolare e devozionale secondo Riccardi;
XIV. La formazione spirituale di don Bosco e la spiritualità trasmessa alla congrega-
zione salesiana: fonte riccardiana per una lettura più appropriata; XV. La metodica
di J. Peitl in rapporto a don Bosco; XVII. Alcune fonti del “sistema preventivo” di
don Bosco; XVIII. Antonio Fontana: pedagogia, scuola e pastorale giovanile della
Lombardia Austriaca; XIX. Le istituzioni dorotee e la loro cultura: L. Passi, A. Ric-
cardi, A. Fontana e L. Guala; XX. Epilogo della fondazione dell’Istituto delle Figlie
di Maria Ausiliatrice.
Come si può arguire dai titoli, ma viene confermato da un’attenta lettura, la ge-
nealogia è piuttosto complessa e le effettive dipendenze di don Bosco, storicamente
dimostrate, sono nulle anche perché i personaggi suoi contemporanei, più diretta-
mente chiamati in causa (es. Riccardi, Fontana, Peitl, Passi) non furono mai incontrati
da lui e le loro opere non passarono nelle sue mani, se si eccettua il Giannetto, uno
dei presumibili sussidi nella composizione della Storia d’Italia, non però il pedago-
gico Manuale; con Rosmini, si sa, si è incontrato, ma non risulta che l’abbia fatto per
discutere di filosofia, di pastorale o di pedagogia: erano piuttosto in gioco investi-
menti, prestiti ed eventuali elemosine. Quanto all’incontro con l’Aporti nel 1844, se
ne conoscono – e se n’è scritto – la problematicità, i condizionamenti e i limiti, ma
anche gli ipotetici guadagni da parte del don Bosco “preventivo”. La sua cultura teo-
logica e pastorale, però, è tutta viennese, acquisita nel corso del triennio di perfezio-
namento (1816-1819) al Theresianum, istituto superiore di studi ecclesiastici della
capitale asburgica.
Ma la mole di lavoro fatto dall’A. e gli scopi che si prefigge meritano un di-
scorso previo sul metodo della ricerca. Esso potrebbe essere utile, al di là di diver-
genze interpretative, per una corretta utilizzazione dei ricchi materiali. Dovrebbe por-
tarsi sui precisi concetti di “radici” e di dipendenza. Si possono, infatti, ipotizzare in
luogo di dipendenze altri tipi di relazione: coincidenze, convergenze, frammentari pa-
rallelismi lessicali. Sono queste le relazioni che prevalgono e non meraviglia che
esse, pur con diversi accenti e “stili” – e linguaggi! -, siano individuabili tanto in don
Bosco quanto nei suoi presunti referenti. Prevedono, infatti, la condivisa apparte-
nenza alla Chiesa e, generalmente, l’identico stato religioso e sacerdotale e, quindi,
un comune sentire cattolico in un segmento storico ben caratterizzato: gli anni che ri-

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Recensioni 489
sentono dell’eredità culturale lasciata dalla rivoluzione francese e dal dominio napo-
leonico e vivono direttamente il fenomeno della Restaurazione e della nascente età
del liberalismo. Nella condivisione dei problemi posti alla Chiesa è naturale che per
la loro soluzione propongano o adottino mezzi e metodi simili, effetto di uguali sensi-
bilità e analoghe reazioni. Paradossalmente si potrebbe affermare con tutta tranquil-
lità, salvo prove ben definite, nessuno “dipende” realmente da qualcuno.
Nel caso di don Bosco questa precisazione è stata tenuta più volte presente so-
prattutto in rapporto al sistema educativo da lui praticato e poi formulato per iscritto.
Il “sistema preventivo” è etichetta che si può attribuire a più forme e accentuazioni
educative che hanno attraversato i secoli. Non l’ha inventato don Bosco e la sua ver-
sione è una delle tante che furono attuate anche nell’Ottocento, un secolo che si è
detto preventivo, a tutti i livelli: politico, sociale, giuridico, poliziesco, demografico,
pastorale, educativo. Niente di strano che esistano esperienze, libri, regolamenti che
esibiscono un lessico simile con rapporti non tanto di dipendenza, ma di coincidenza,
convergenza, parallelismo.
Analogamente si potrebbe parlare di convergenze e di somiglianze, che non
comportano alcuna dipendenza, sia nella definizione che nell’attuazione dell’oratorio.
Altrettanto ci sembra si possa dire della varietà delle esperienze pastorali, spirituali,
religiose e dei relativi documenti. Con tante istituzioni confrontatesi con i medesimi
problemi, in situazioni non dissimili, nella stessa temperie culturale, con le stesse
paure e preoccupazioni, sembra logico che ricorra un lessico per tanti aspetti identico.
Le differenze sono altrove. Pare si possano considerare tali la ricchezza dell’in-
sieme, la congruità agli ambienti e ai tempi, la varietà e l’originalità delle attuazioni,
la fecondità, le risonanze, l’irraggiamento, il “significato storico”. Si dice che don
Bosco non fu un teorizzatore, ma un assimilatore. Lo afferma anche il presentatore
del volume. Per la prima attribuzione non ci sono problemi. Farne uno speculativo sa-
rebbe sminuirlo. La sua grandezza sta soprattutto nella rapida intuizione dei problemi
e nella tempestiva soluzione pragmatica, associata a non comune capacità creativa.
Ciò avviene, però, all’interno di quel sistema di idee che ha assimilato attraverso la
formazione catechistica, classica, filosofica, teologica, con particolare accentuazione
della morale. Quanto ad “assimilatore” bisognerà distinguere. Non è certo un passivo
imitatore, né un operatore che cerca nei libri specializzati della pastorale o della peda-
gogia o in casa altrui, conferme al suo operare. È ciò che lo spinse ad organizzare
anche concettualmente progetti, proposte, regolamentazioni e, quando occorreva, uti-
lizzare strumenti e autori idonei a facilitargliene la più adeguata verbalizzazione. Non
è tipo da lasciarsi rimorchiare, ma piuttosto incline a strumentalizzare. Siamo con-
vinti che se le presunte dipendenze di cui si parla e se don Bosco avesse letto tutte
le opere di cui si dice o avesse prestato attenzione a tante “culture” aliene dal suo
mondo reale e mentale (l’A. scrive addirittura di “cultura dorotea” disattesa), non
avrebbe trovato né tempo né spazio per fare quel che fece e tanta erudizione avrebbe
finito col soffocare la sua nativa creatività. Le sue convinzioni di fede e di ragione fu-
rono più forti della sua stessa povertà e del logorio della salute che lo portò sull’orlo
della tomba. Libri ne ha letti, certo, non certamente quelli presunti all’origine del suo
“progetto”, ma quelli che gli servirono a compilare i suoi.

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490 Recensioni
Se lo si vuol conoscere realmente non si può prescindere dal ripercorrere stori-
camente, non per ipotesi estrinseche, le tappe della sua formazione spirituale e cultu-
rale, a cominciare dall’infanzia. Ci si renderebbe conto che essa l’ha più che prepa-
rato per il futuro, abilitandolo anche a selezionare ed elaborare in prima persona gli
eventuali sussidi offerti o, meglio, ricercati. Non aveva bisogno di dotti supplementi.
L’”arretrato” Piemonte ha dato a don Bosco tutto ciò che era necessario per diventare
quello che è diventato, compresi taluni modelli che incisero, nelle misure volute, sul
suo essere e sul suo operare: s. Filippo, s. Francesco di Sales, s. Vincenzo de’ Paoli, s.
Alfonso M. de’ Liguori, s. Giuseppe Cafasso, P. Alfonso Rodriguez, oltre quelli appa-
rentemente minori, ma più direttamente responsabili della sua formazione. Su tutto
ciò hanno percorso e additato piste del tutto attendibili più ricercatori specializzati, a
cominciare da Pietro Stella e Francis Desramaut, preceduti o seguiti da molti altri,
autori di non spregevoli monografie particolari.
I natali non li ebbe a Milano né in Lombardia, ma nella campagne vicine a Ca-
stelnuovo d’Asti, in Piemonte. Né la famiglia, in particolare la madre, né il suo mae-
stro privato che egli considerò padre, non furono sfiorati dalla presunta dominante
“cultura filippina”, di Carlo Borromeo, dell’Antoniano o di Federico Borromeo. O,
meglio, lo furono nella misura in cui essi si trovarono, eventualmente, inseriti nel
mondo della pietà, della pratica religiosa, della pastorale e della spiritualità tridentina,
a cui il primo Borromeo non è certo estraneo.
Egli dispone fin dall’infanzia della guida di una madre forte e saggia, risoluta e
di larghe vedute, una maestra pratica di sistema preventivo: più d’uno ne ha scritto,
non per ipotesi, ma documentando. Essa non impedisce al figlio fanciullo e adole-
scente di sviluppare le sue eccezionali doti di intelligenza e le spiccate risorse relazio-
nali – e fisiche – e per quanto può favorisce le possibilità della sua formazione cultu-
rale. Lo stesso ambiente contadino l’assecondava con le proverbiali abitudini subal-
pine di lavoro, disciplina, pazienza e tenacia (ad una sua biografia è stato dato il titolo
Il testardo di Dio). Non è un signorino di città e quando metterà piede in una scuola
è un giovane di sedici anni, maturato in una famiglia per nulla agiata, conciliando il
lavoro dei campi con qualche scampolo di risoluto studio personale.
Il “sogno restaurativo” l’ha certamente toccato. Don Bosco, studente, semina-
rista, convittore è più che marcato dalla cultura del suo tempo, tra ancien régime e af-
facciarsi del liberalismo, asceso a stabile potere, primo degli stati italiani, nel regno
sardo-piemontese. Sia pastoralmente che pedagogicamente la vive e rinforza nel col-
legio di Chieri regolato dal Regolamento di Carlo Felice del 1822 di matrice gesui-
tica: ne è talmente marcato che quasi sessantenne ne trascrive dei tratti nelle Memorie
dell’Oratorio.
Per l’utilizzazione di alcuni aspetti significativi della vita di S. Filippo e del suo
Oratorio, da lui interpretato a propria immagine e somiglianza, a don Bosco sono più
che sufficienti il proprio temperamento, la biografia del Bacci, le esperienze chieresi,
nel collegio e nel seminario. Del resto, anche per essere “salesiano” già da prete
diocesano non gli è necessario leggere il Teotimo o le Conferenze spirituali e altro
ancora. Come fondatore, poi, non andrà molto oltre.
I suoi insegnanti non gli trasmisero nulla più di una filosofia tra sensistica e spi-

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Recensioni 491
ritualistica del tipo di p. Soave e una teologia fondamentalmente veteroscolastica: ma
gli autori di riferimento non furono il filosofo-pedagogista somasco, ma gravitavano
intorno all’università di Torino.
Al Convitto non ebbe in mano i libri di Riccardi (l’A. vorrebbe, invece, dimo-
strare il contrario in base al legame Riccardi, ”Memorie” di Modena, Guala, Convitto
ecclesiastico). La sua formazione teologica, pastorale, spirituale è passata attraverso
l’Alasia, filtrato poi dal Cafasso, grazie al prediletto S. Alfonso. È il Cafasso il vero
maestro di don Bosco e degli altri suoi colleghi, che con lui condividevano l’espe-
rienza delle carceri e di ministeri saltuari in scuole e istituti della città. Le prediche
redatte da don Bosco nel triennio non evidenziano significative particolarità rispetto a
ciò che era stata la predicazione praticata tra Settecento e Ottocento dal Segneri, Pi-
namonti, Rosignoli, Cattaneo, Biamonti, dei due ultimi, uno gesuita (1645-1705),
l’altro prete diocesano ligure, instancabile predicatore di “missioni popolari”.
Protratti e significativi furono i contatti con i Fratelli delle Scuole cristiane, i
cappellani del Rifugio della Barolo, il correzionale della Generala e la collegata asso-
ciazione per l’assistenza ai dimessi.
Quanto al soggiorno aperturista di Ferrante Aporti nel 1844 a Torino, è noto che
l’educatore mantovano-cremonese si è formato pedagogicamente al ricordato There-
sianum di Vienna, venendo contemporaneamente a conoscere, tramite l’amico
Wertheimer, l’Infant School di matrice inglese.
Per associazione di idee, si potrebbe anche osservare che andrebbero ricentrate
le pagine dedicate dall’A. alle riforme, volute nel 1874 da Maria Teresa, dell’istru-
zione primaria a opera del canonico lateranense Felbiger e degli studi teologici ad
opera del benedettino Rautenstrauch, e, quindi, alla nascita della Pastorale ed in essa
della Catechetica, diventata presto, per ragioni che vanno chiarite meglio, prima di-
sciplina insegnata nelle Scuole normali e poi materia distinta nel curricolo teologico
degli ecclesiastici.
A partire dall’insediamento al Rifugio nel 1844 e a Valdocco nel 1846, è più che
evidente il duro lavoro di don Bosco per dare consistenza e legittimazione all’ora-
torio, con fatiche condivise dal teol. Borel e da altri sacerdoti diocesani, ugualmente
sensibili ai problemi incontrati dai giovani in una città dalle crescenti opportunità la-
vorative e, quindi, in rapida espansione demografica. Lo documentano lettere a mons.
Fransoni, a Michele Cavour, al Borel stesso, mentre le sue letture sono tutte finaliz-
zate alla composizione di libri di storia ecclesiastica e sacra, devozionali, ecc. È da
notare, infine, che il primo oratorio nasce e si sviluppa in una difficile periferia di To-
rino, mentre nel regno sardo si affermano sempre più decisamente le spinte verso il
regime costituzionale fino alla netta prevalenza del liberalismo non senza più radicali
frange democratiche.
Anche da questo punto di vista l’oratorio di don Bosco, dotato di una Compa-
gnia di S. Luigi e affiancato presto da un ospizio e da un altro; e poi un altro in altre
zone, trova a Torino e nel Piemonte il clima di libertà, ideale per i suoi sviluppi. È
ben diverso da quello burocratizzato dell’asburgico Lombardo Veneto. La simpatia
verso la sua opera è costantemente in crescita. È generoso il concorso di sacerdoti,
collaboratori volontari, e di benefattori. L’appoggia una notevole parte della stampa

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492 Recensioni
periodica. La favoriscono amministratori della cosa pubblica e politica, parlamentari
dalle opposte tendenze e membri dell’esecutivo.
In due memorie del 1854 e del 1862, rimaste nell’ambito di Valdocco, prece-
dute peraltro da lettere personali e circolari estremamente significative, don Bosco
stesso precisa con molta chiarezza le tre fondamentali ragioni dell’impegno orato-
riano. La prima di alto contenuto storico-teologico è proclamata nell’Introduzione,
mai da lui pubblicata a stampa, del regolamento dell’Oratorio. Il tema è costituito
dalle parole di Gv. 11, 52: Ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum: la
Chiesa sempre in stato di rinnovamento e di adattamento ha inventato per tempi
nuovi gli oratori e quelli di Torino sono pronti a rispondere ai problemi di generazioni
con esigenze inedite in situazioni nuove. Nel Cenno storico del 1854 parte da un’in-
dicazione molto concreta (don Cafasso è ancora vivo): “Quest’Oratorio, ovvero adu-
nanza di giorni ne’ giorni festivi cominciò nella chiesa di S. Francesco di Assisi. Il
Sig. D. Caffasso da parecchi anni in tempo estivo faceva ogni Domenica un cate-
chismo a’ garzoni muratori in una stanzetta annessa alla sacrestia di detta chiesa. La
gravezza delle occupazioni di questo Sacerdote gli fecero interrompere questo eser-
cizio a lui tanto gradito. Io lo ripigliai sul finire del 1841, e cominciai col radunare
nel medesimo luogo due giovani adulti, gravemente bisognosi di religiosa istru-
zione”. Nel 1862 (don Cafasso era deceduto due anni prima) scrive in una memoria
simile: “L’idea degli Oratori nacque dalla frequenza delle carceri di questa città”. Lo
stato, materialmente e moralmente miserevole dei giovani ivi incontrati e le ricche
potenzialità scoperte in loro lo indussero a riunirli a san Francesco di Assisi, come
mezzo di ricupero degli uni e di prevenzione di quelli che in carcere non erano en-
trati, ma erano a rischio per gli altri. “Quindi – scrive – si diede principio alle radu-
nanze festive. Ivi erano invitati quelli che uscivano dalle carceri e quelli che lungo la
settimana si andavano qua e là sulle piazze, nelle vie ed anche nelle officine racco-
gliendo”.
Non si può, infine, dimenticare che il compimento del primo ventennio da sa-
cerdote diocesano lo trova in possesso di un “sistema preventivo” sostanzialmente
compiuto nei principali risvolti: assistenziale, educativo, pastorale e nelle caratteri-
stiche metodologiche proprie. Esso nasce da fonti del tutto endogene assimilate nel
periodo della formazione iniziale, dal collegio di Chieri al Convitto, arricchite dalle
esperienze dell’oratorio stesso, dalle svariate attività pastorali, tra cui importantissime
la stessa produzione libraria, di proposito “preventiva”, un “oratorio allargato” (cf Il
sistema preventivo di don Bosco alle origini, 1841-1862. Il cammino del preventivo
nella realtà e nei documenti, RSS [1995] 255-320; e Don Bosco prete dei giovani nel
secolo delle libertà [2003] I 109-232).
Evidentemente, con ciò che si è detto, non si è voluto sminuire il valore delle
tante cose positive che il volume offre a livello di informazione, anche se non tutte
sono oro colato. Si è inteso con motivata franchezza mettere in luce l’infondatezza di
una tesi del tutto insostenibile, che ignora e falsa don Bosco. Un lettore che di lui –
uomo, prete, operaio evangelico nel campo caritativo e sociale – volesse sapere qual-
cosa di serio nulla vi troverà che lo possa illuminare, anzi ne sarà fuorviato. Tuttavia,
il lavoro è enorme e contiene molti materiali di grande interesse. Forse, sarebbero

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Recensioni 493
meglio utilizzati se, invece di essere piegati a dimostrare una tesi, un cattivo servizio
alla ricerca storica, fossero finalizzati a ricostruire una storia obiettiva e critica degli
oratori a partire da san Filippo Neri fino a don Bosco o, meglio, oltre. Tra l’ultimo
decennio dell’Ottocento e l’avvento del fascismo gli Oratori vissero in Italia una sta-
gione particolarmente vivace, non con la contrapposizione tra i vari tipi – filippino,
lombardo, salesiano –, ma nel rispetto della loro distinta originalità e in atteggia-
mento cooperativo rivolto al loro aggiornamento fortemente richiesto dal mutare dei
tempi e dalle trasformazioni emergenti nella condizione giovanile.
Un’operazione analoga sarebbe augurabile, valida e proficua, se avesse per og-
getto il più sterminato campo della “prevenzione”. Non si può dimenticare che, come
si dice e ridice da decenni, don Bosco non monopolizza il sistema preventivo, ma
che esso è fenomeno storico connesso alle millenarie modalità di educazione, come
del resto afferma egli stesso: “Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell’educazione
della gioventù, repressivo e preventivo”. Prevenire non reprimere non è una tesi, ma
solo il titolo di un libro; senza plagi e latrocini può essere assunto – e lo è stato – da
qualunque altro, che tratti del preventivo in qualsiasi versione, più o meno completa,
più o meno capace di permanente rigenerazione, vitalità e fecondità.
Pietro Braido
RUFFINATTO Piera, La relazione educativa. Orientamenti ed esperienze nell’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Collana, “Il Prisma”. Roma, LAS 2004, 614 p.
Il volume che la professoressa Piera Ruffinatto presenta nella collana universi-
taria “Il Prisma” è una di quelle opere monumentali di sintesi che sistematizzano una
mole di materiale storico e pedagogico. Mette ordine in quel settore sociale-popolare
legato alla prassi educativa salesiana nelle Opere gestite dalle FMA, dispersa su oltre
un secolo di azione educativa al femminile. Piera Ruffinatto con questa fatica mette
un passaggio obbligato per il quale dovranno passare tutti gli studiosi che affronte-
ranno in qualche modo il settore.
Il volume è rivolto agli studenti di pedagogia, agli studiosi in genere, e a quanti
sono interessati a comprendere il modo di educare i figli del popolo (“i ragazzi poveri
e abbandonati”), che prese il via da Don Bosco (al maschile), ma tradotto presto al
femminile in modo egregio da Maria Domenica Mazzarello.
Non è un’opera di facile lettura: è quasi un’enciclopedia di consultazione, uno
“svincolo obbligatorio” per quanti intraprendessero studi o ricerche sulla pedagogia
salesiana in particolare e sulla pedagogia cattolica del secolo appena trascorso. Docu-
mentatissima e ben congegnata: ha molti pregi e pochi difetti. Raccoglie e ordina in-
nanzitutto un’ampia bibliografia secondo un criterio ben preciso: fonti inedite sale-
siane (tratte dagli archivi SDB e FMA), fonti edite salesiane e non salesiane, studi
sopra i primi Autori che hanno scritto del Sistema Preventivo e riflessioni di Autori,
antiche e recenti sull’argomento. La bibliografia esaustiva e vagliata viene offerta
come un regalo agli studiosi che dovranno, o semplicemente vorranno, inoltrarsi nel

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mondo pedagogico che parte dalle stimolazioni carismatiche di D. Bosco e Maria
Mazzarello.
Il libro della Ruffinatto si può definire a ragione un lavoro “scientifico” ma non
rivolto solo agli “addetti ai lavori”: imposta una riflessione critica delle fonti, mira a
ricostruire – sopra documenti scritti e testimonianze orali – la prassi dell’attività peda-
gogica che per oltre un secolo e mezzo si svolse umilmente negli Istituti delle opere
femminili salesiane, e ne rileva le modalità, i principi e la routine quotidiana. Mostra
come è stato praticato agli inizi nel mondo salesiano al femminile, e come viene prati-
cato a tutt’oggi, il metodo educativo di Don Bosco, il così detto sistema preventivo.
Attesta (dimostrandolo dalle fonti ufficiali e dalle testimonianze vive delle allieve di
allora) che la prassi educativa delle FMA fu sempre in trasformazione, quasi una
“sfida” che comportò il continuo adattamento del carisma salesiano ai tempi.
Con sforzo immane l’Autrice passa in rassegna le numerose fonti edite, inedite
e i documenti ufficiali della Congregazione, e raccoglie con senso critico il lavoro
concreto delle FMA lungo i decenni, orientato e guidato dalle stimolazioni autorevoli
di grandi figure di educatrici (ai profani quasi sconosciute). Nella sua ricchezza il vo-
lume mette le basi per ulteriori piste di studio sopra la personalità e l’opera di donne
di notevole statura pedagogica, che hanno speso la vita nella Congregazione delle
FMA tra consacrazione (identità religiosa) e lavoro professionale (identità educativa).
Figure che “rodarono” la pratica del sistema preventivo al femminile, cogliendo nelle
premesse di don Bosco risonanze e potenzialità vastissime, forse non del tutto com-
prese dal modello maschile dei Salesiani. Donne della prima ora come Maddalena
Morano, Emilia Mosca, e poi – dopo la grande svolta del 1929 data dell’allora Rettor
Maggiore dei Salesiani D. Filippo Rinaldi – Marina Coppa, Elisa Roncallo (per l’edu-
cazione negli Oratori), Linda Lucotti, Angela Vespa, Ersilia Canta, Marinella Ca-
stagno ecc. che ricoprirono anche ruoli istituzionali e guidarono la Congregazione tra
le tensioni pedagogiche dei decenni difficili del Fascismo, della guerra, nei decenni
contrastati del dopoguerra, e poi nel momento cruciale della contestazione, quando
avvenne lo scioglimento del “luogo dell’educazione” per eccellenza, “l’internato-col-
legio” che sostituì gli “ospizi” della prima ora.
Scrive in proposito l’Autrice: “Dalle fonti esaminate risulta, infatti, che le
FMA, fedeli alla prospettiva dell’umanesimo pedagogico, ora in modo dialettico, ora
assumendo un atteggiamento più conciliante, si collocano tra il modello relazionale
del sistema preventivo e le diverse prospettive educative emergenti lungo la storia.
Come si è costatato dalle fonti esaminate le religiose salesiane si sono confrontate sia
con le prospettive del regime fascista, sia con le visioni dell’idealismo, dell’attivismo,
delle correnti non direttive e dell’autogoverno, ed infine dell’antropologia della reci-
procità” (535).
Interessante è notare come in ogni epoca nel mondo delle FMA fossero “messi
appunto” modelli educativi che (come si rileva dai documenti ufficiali delle Madri
Consigliere) sostennero e orientarono l’azione pedagogica negli Istituti con l’intento
di salvare lo specifico dell’educazione “preventiva”.
L’Autrice giustamente rileva come le FMA sono sempre state in tensione crea-
tiva tra la fedeltà al modello carismatico delle origini e i diktat emergenti delle teorie

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Recensioni 495
pedagogiche di moda, legate a nomi illustri del momento. Si muove molto bene nel
mondo della Pedagogia così detta “scientifica” insegnata in quegli anni nelle varie
università, ma coglie e sottolinea egregiamente le diffidenze e le critiche che la Con-
gregazione, come tale, fece sempre agli Autori che non avevano in considerazione
sufficientemente la persona umana, sulla quale Don Bosco e Madre Mazzarello ave-
vano incentrato il loro carisma educativo. La persona doveva essere educata per dive-
nire e rimanere, allo stesso tempo e allo stesso modo “umana” (crescita completa con
inserimento nella vita) e “cristiana” (rivolta cioè ai valori della salvezza). Furono uti-
lizzati nel corso dei decenni – in consonanza con il sentire pedagogico emergente al-
lora sul “mercato” della pedagogica internazionale e nazionale – nomi diversi per
esprimere la fedeltà al carisma: comunità famiglia, protagonismo educativo, edu-
cande in autoformazione, formazione globale o integrale della personalità, maternità
educativa nelle educatrici, comunità educante, relazione interpersonale ecc. fino ai
modelli attuali incentrati sulla relazione di aiuto e (in modo un poco più fumoso)
sulla reciprocità pedagogica…
Le note numerosissime e dotte affermano la conoscenza piena che l’Autrice ha
della pedagogia accademica del secolo appena trascorso e visualizzano bene le scelte
storiche fatte dalla Congregazione a favore di quelle teorie che presentano almeno
apertura ai valori cristiani.
A ragione Serenella Macchietti scrive nella prefazione che “questo volume offre
una testimonianza dell’importanza della cultura pedagogica agli effetti della ri-com-
prensione del passato dell’educazione e del contributo che essa può offrire alla pro-
gettualità educativa” (Prefazione, 6). Direi che tale “testimonianza” nei confronti
della cultura pedagogia relazionale è proprio lo specifico salesiano, che proviene
dalla tradizione di fedeltà al carisma: su questa dimensione infatti la Congregazione
delle FMA costruisce al presente la ri-scoperta e la ri-comprensione delle modalità
educative, in consonanza con il sistema preventivo come insegnato da Don Bosco e
da Madre Mazzarello.
Il salto pedagogico sollecitato dalle istanze del Concilio Vaticano II ha chiamato
“carità pastorale” la dimensione educativa e ha codificato nelle Costituzioni e Regola-
menti (aggiornati nel 1982) che “la natura educativa… caratterizza l’Istituto e lo col-
loca nella Chiesa e nella società con una specifica identità e missione. Utilizzando il
significato di natura nell’accezione seguente: ciò che costituisce una realtà nella sua
ragione d’essere e le conferisce tratti singolari e caratteristici, l’Istituto delle FMA
identifica nell’educazione la sua peculiare vocazione. A livello operativo tale identità
si esplicita nel sistema preventivo, considerato come sintesi unitaria del carisma edu-
cativo salesiano nelle dimensioni complementari di spiritualità e metodo…” (442).
Per rimanere su questa direttrice le FMA di oggi – sempre cogliendo le espres-
sioni dai documenti ufficiali – hanno chiamato la loro azione educativa in vari modi:
progetto educativo unitario, comunità educante che fa dell’allieva una protagonista,
educazione alla solidarietà, relazione educativa nello “spirito di Mornese” (il luogo
di origine di Maria Mazzarello), animazione come modalità relazionale, relazione
educativa come linea portante di ogni intervento aperto ormai alla mondialità e alla
interculturalità, accompagnamento nella crescita ecc.

1.10 Page 10

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496 Recensioni
Il Capitolo Generale XIX (1990) ha trattato l’argomento nel modo più autore-
vole e ha definito l’educazione nuova evangelizzazione che “catechizza” recuperando
innanzitutto nei vari contesti sociali l’identità della donna “che si attua e si approfon-
disce anche grazie alle numerose sollecitazioni provenienti dal contesto ecclesiale e
dalla svolta antropologica contemporanea. Di conseguenza anche la relazione educa-
tiva si arricchisce di nuovi approcci interpretativi” (477).
L’approccio interpretativo attuale (forse il più completo ma anche il più am-
biguo) è quello nell’orizzonte antropologico della reciprocità. Nella letteratura psico-
pedagogica odierna non esiste ancora una chiara linea di pensiero che definisca il
concetto di “reciprocità”. Il concetto è usato in varie accezioni nelle scienze sociali e
nelle relazioni psicologiche, ma come usato nei documenti pedagogici delle FMA ri-
mane ambiguo perché sembra presentare una relazione tra educatrice ed educanda/o
che ha tutte le caratteristiche di essere “simmetrica”, cioè alla pari, mentre – si sa –
nell’educazione non può esserci simmetria pedagogica in quanto l’educando, come
tale, non è sullo stesso piano dell’educatore adulto.
L’Autrice sente l’ambiguità del termine che esprime oggi il modello pedagogico
ufficiale e scrive: “In questa dinamica di comunicazione nello stile della reciprocità
vi è armonia tra il dare e il ricevere, la gratuità e la gratitudine, in quanto ci si dispone
a far spazio all’altro nella coscienza del proprio limite e l’accoglienza del suo dono
irrepetibile. Al tempo stesso si è pronti a mettere a disposizione le proprie risorse,
consapevoli che dallo scambio ne deriva un ulteriore arricchimento reciproco” (506).
Ciò dovrebbe portare alla ridifinizione del Sé sia nell’educatrice che nella educanda.
“I percorsi di ridifinizione del Sé attraverso la reciprocità dell’amore si attuano all’in-
terno della «comunità educante», luogo ideale per rivivere quella che è chiamata la
«profezia dell’insieme». In essa si può realizzare pazientemente, ma tenacemente il
passaggio dall’io al noi, valorizzando le persone nelle dimensioni di socialità, rela-
zione, ascolto, comunicazione, prossimità, responsabilità…[…] Le relazioni educa-
tive centrate sull’amorevolezza sono germe fecondo di una nuova solidarietà nel
senso che le sollecitudini amorevoli e provenienti dalle educatrici nei confronti dei
giovani e delle giovani sono una via metodologica quanto mai opportuna per prepa-
rarli alla vita adulta e ad un futuro solidale. Le ambiguità dei rapporti interpersonali,
continuamente insidiati dai pregiudizi e dalle logiche di superiorità e di dominio, pos-
sono essere sanate ponendo al centro del progetto educativo la relazione di gratuità e
di reciprocità che rispetta la ricchezza della differenza vista come risorsa e che contri-
buisce alla rielaborazione dell’identità di ciascuno aprendo la strada alla più matura
consapevolezza di sé come persona e come popolo. L’Istituto delle FMA che sempre
più si caratterizza per la sua composizione internazionale, raccoglie la sfida dell’unità
nella diversità anche a livello educativo…” (505-506).
La struttura del volume è complessa: consta di una introduzione, tre parti divise
in capitoli, una lunga conclusione e una ricca bibliografia, per un totale di 615 pa-
gine. Potrebbero essere tranquillamente tre libri veri e propri.
Nella Introduzione l’Autrice espone lo scopo e la metodologia della “ricerca”
puntualizzando il tema della sua fatica: “L’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice
… (che) possiede una ricca tradizione pedagogica scaturita dalle intuizioni dalla

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Recensioni 497
prassi educativa del Fondatore, e dalla Confondatrice Maria Domenica Mazzarello”
(13). L’Autrice si ripropone di organizzare le fonti di informazione della ormai seco-
lare attività pedagogica delle FMA, di scoprire le modalità con cui fu applicato lo
stile educativo detto sistema preventivo nei decenni che separano dalla fondazione, e
si propone di cogliere nella prassi del passato “le potenzialità sempre da scoprire, in-
culturare e tradurre con nuove categorie antropologiche e pedagogiche” (ivi).
Descrive quindi in modo preciso le fonti pedinandole secondo categorie: fonti
scritte, epistolari, fonti normative ufficiali della Congregazione ecc.; presenta poi e
descrive le scelte metodologiche in prospettiva storico-pedagogica. La documenta-
zione è esaustiva, per non dire completa.
La parte I (47-170) esplora le relazioni pedagogiche nell’esperienza della prima
ora – dalla Fondazione (1872) alla riflessione ufficiale del 1908 raccolta nel Manuale
delle Figlie di Maria Ausiliatrice fondate nell’anno 1872 ecc. – indagando attenta-
mente le fonti salesiane scritte edite e inedite. Questa parte è divisa in tre capitoli che
descrivono la relazione educativa come la intese Don Bosco, come fu colta e tradotta
al femminile da Domenica Mazzarello, e come venne attuata nella prassi educativa
dalle FMA della prima ora.
L’Autrice si sofferma in modo originale sull’attività educativa “al femminile per
il femminile” (chiamata in seguito “spirito di Mornese”) come si svolse a Mornese.
Evidenzia come si raccolsero allora le risonanze del sistema preventivo nel femmi-
nile, come furono rielaborate da donne creative della prima ora, e come furono com-
prese e sottolineate le potenzialità ricchissime che ben presto vennero a completare
(pur senza rendersene conto) l’equazione pedagogica salesiana: sistema preventivo =
relazione (materna/paterna).
È la parte più fresca e più interessante di tutto il volume, ricca di ricordi storici,
di stimolazioni e germi per la futura prassi pedagogica salesiana. La documentazione
riportata in nota e nel testo è presso che completa.
La Parte II (182-269) esplora l’attività pedagogica che le FMA iniziarono sia
nella scuola che nell’oratorio e nei convitti per operaie in modo più autonomo ri-
spetto al mondo salesiano maschile. In questo periodo, sotto lo sguardo protettivo del
Rettor Maggiore D. Filippo Rinaldi (che può essere considerato colui che tra i sale-
siani meglio comprese il femminile) furono poste le basi teoriche del sistema preven-
tivo al femminile, sottolineando le risonanze materne e amicali. Lo spirito di famiglia
tanto caro a Don Bosco e a Madre Mazzarello venne configurato e incentrato sulla fi-
gura della Direttrice di Istituto, madre di ragazze che dovevano entrare nella vita in
modo cristiano, e formatrice di suore consacrate all’educazione, che le dovevano gui-
dare amorevolmente. La ricerca storica incontra le grandi figure di FMA che “struttu-
rarono” la modalità pedagogica “salesiana” femminile. Donne capaci e creative come
le sopra accennate Caterina Daghero, Emilia Mosca, Marina Coppa, Ermelinda Lu-
cotti, Angela Vespa, Elisa Roncallo…
L’Autrice raccoglie nei quattro capitoli che costituiscono questa unità i principi
pedagogici elaborati da esse nella sfida con i cambiamenti sociali e culturali, ri-
espressi in termini nuovi, e con forza sottolineati per mantenere fedeltà alla trilogia di
Don Bosco ragione, religione, amorevolezza. Tali principi confluirono nella prassi e

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498 Recensioni
vennero ad arricchire il patrimonio storico della prima ora: sono tuttora validi e in vi-
gore. L’Autrice li sintetizza con queste categorie: personalità dell’insegnante vista
come perno di relazione, attenzione alla crescita corretta di ogni allieva, sforzo di col-
laborazione con le famiglie per ottenere risonanza pedagogica positiva, apertura
verso i modelli pedagogici emergenti, ma accoglienza di essi solo se in sintonia con il
Magistero della Chiesa e con la tradizione salesiana. Questo argomento è l’oggetto
specialmente del capitolo IV. Anche questa parte è fresca e avvincente.
Macchinoso risulta però (e un poco frenante) l’apparato di note che raccontano
le biografie e l’operato di figure di donne sconosciute, che possono interessare solo
gli “addetti ai lavori”. Nella scelta metodologica (forse meno felice) dell’Autrice pro-
prio queste “testimonianze” dovrebbero esprimere però il clima di ambiente pedago-
gico gradito e partecipato delle allieve della prima ora.
La Parte III (377-518) raccoglie – ancora in tre robusti capitoli – le novità pe-
dagogiche apportate al sistema preventivo nella seconda parte del secolo XX. In se-
guito alla grande svolta antropologica operata dal Concilio Vaticano II, nella società
italiana (e prima ancora all’estero) intervennero notevoli cambiamenti culturali che
costrinsero il sistema salesiano a modifiche significative sul settore educativo. L’a-
zione pedagogica negli Istituti delle FMA dovette fare i conti, dagli anni sessanta in
avanti, con il crollo dei “collegi-internati” fino allora luogo privilegiato dell’educa-
zione, con la conseguente crisi dello “spirito di famiglia” tradizionale, legato alla fi-
gura della Direttrice (madre, ma anche autorità suprema di tutte); con la dialettica che
si venne a creare in tutto il settore dell’educazione tra istanze di autonomia e libertà
in contrasto con l’autorità costituita; con le difficoltà di “dialogo” tra generazioni, che
caricarono improvvisamente di conflittualità intensa le relazioni…
Da qui la necessità improrogabile di rielaborare il concetto salesiano di “assi-
stenza” tanto caro al clima educativo del primo novecento: bisognò includere in
qualche modo le nuove categorie pedagogiche di autonomia personale, ritmi di cre-
scita, fasce di età, autogestione, coeducazione tra ragazzi e ragazze, apertura al so-
ciale, nuovi contenuti veicolati dai media ecc.
Le FMA si adattarono ancora una volta ai tempi, con sforzo immane, ma
sempre nel rispetto della tradizione, fedeli al sistema preventivo e al Magistero della
Chiesa.
Interessante è notare che la Congregazione come tale interviene ora nel Capitolo
Generale XVII (che rielaborò le Costituzioni e Regolamenti [1982] secondo le prescri-
zioni del Concilio Vaticano II) a definire il concetto di missione e di consacrazione:
identificò lo sforzo storico di adattamento ai tempi con la “missione pedagogica”, la
consacrazione delle Suore con l’attività professionale di carità (“carità pastorale”). Si
aprirono nuove prospettive pedagogiche che presero il nome di “animazione” e con-
fluirono negli Istituti scolastici rinnovati e negli Oratori sulla linea educativa della
relazione e, più tardi, come detto sopra su quella non chiara della reciprocità.
Per garantire la fedeltà al carisma rielaborarono sotto il denominatore comune
di “carità pastorale” altre categorie pedagogiche: apertura al sociale, relazione edu-
cativa, dimensione progettuale personale di ogni allieva, accompagnamento, apertura
al mondiale ecc…

2.3 Page 13

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Recensioni 499
Le Osservazioni conclusive sono una sintesi interessante di tutta l’opera. Questo
capitolo potrebbe essere un nucleo a sé stante che descrive adeguatamente l’azione
pedagogica delle FMA come attualmente dovrebbe venire impostata negli Istituti
scolastici, negli Oratori e nelle altre opere sociali sparse nel mondo.
La Bibliografia e (l’Indice degli Autori) è ricchissima e costituisce un pregio
notevole del volume in quanto presenta in modo critico le fonti salesiane, gli studi
fatti sopra di esse e il panorama di studi pedagogici principali del secolo.
Poche parole per concludere. I pregi sono enormi e, come detto sopra, mettono
il volume della Ruffinatto tra i testi fondamentali per ogni ricerca ulteriore sulla
storia della pedagogia salesiana. Lo stile italiano è chiaro e scorrevole, non si lascia
andare a forme giornalistiche divulgative e tanto meno ad espressioni laudative o
trionfalistiche: manifesta piuttosto una sobrietà scientifica – spesso eccessiva – che
potrebbe allontanare subito il lettore impreparato o superficiale.
Dobbiamo essere grati allo sforzo di questa giovane professoressa che ha “siste-
mato” una congerie di materiale salesiano fino ad oggi inutilizzato (e inutilizzabile) e
ce lo ha messo a disposizione in forma scientifica ed elegante. Il volume può essere
utilizzato sia da studenti che hanno bisogno di visualizzare un secolo e mezzo di atti-
vità e di teorie pedagogiche, come da studiosi che abbisognano di materiale sicuro e
“pulito” dal quale partire per riflessioni nuove. Unico difetto, se così si può chiamare,
è la mole del volume che risulta poco maneggevole. L’esuberanza delle citazioni e di
“testimonianza” sul clima educativo nei collegi di primo novecento e degli anni ses-
santa (riportate per pagine e pagine con relative note biografiche tratte dai documenti
Facciamo memoria dell’Archivio FMA) risulta poco utile all’impostazione dell’o-
pera, inceppa il ragionamento pedagogico e danno al volume un carattere frammen-
tario (un poco “provinciale”). Le note a piè di pagina sono spesso troppo “dotte” e
non necessarie alla comprensione del testo.
Umberto Fontana
GRAZIANO Rodolfo, Don Bosco a Salerno. Faticoso cammino preparatorio 1872-
1954. Salerno, Unione Ex allievi di don Bosco, “A. Rinaldi” 2004, 351 p.
Fra le circa 2000 case salesiane attualmente aperte in 128 paesi del mondo e le
altrettante case soppresse lungo i 145 anni che si separano dalla fondazione della so-
cietà salesiana, credo che nessuna abbia il privilegio di disporre una ampia mono-
grafia sulla propria “preistoria”, così come, ora, la casa di Salerno. Solitamente anche
gli storici più avvertiti dedicano ai precedenti di un’Opera salesiana poche pagine o al
massimo il primo capitolo dei loro volumi, vuoi per mantenere in essi un equilibrio
fra le parti, vuoi, molto più spesso, per mancanza dell’oggetto di studio. Così invece
non è avvenuto per il “Don Bosco di Salerno”, le cui radici sommerse sono più ampie
della stessa parte esposta alla luce del sole, che proprio quest’anno celebra il 50°.
In attesa dunque dei tempi canonici per poter scrivere la storia dell’Opera –
senza una sufficiente prospettiva storica e senza avere a disposizione la maggior parte

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500 Recensioni
dei documenti gelosamente conservati negli archivi pubblici e privati si ridurrebbe,
come si sa, a una sorta di cronaca – l’A. si è cimentato nell’impresa di offrire alla
città e alla diocesi di Salerno la storia, praticamente inedita, dei precedenti della fon-
dazione della locale Opera salesiana.
Al centro dello studio stanno infatti non tanto i salesiani che ovviamente ven-
gono ricordati, quanto una serie infinita di personaggi della città, di cui l’autore con
lunghe e pazienti indagini condotte con grande intuito euristico (non è mancato l’uti-
lizzo di internet) è riuscito nella non facile impresa di indicare sia l’intervento in fa-
vore dell’Opera salesiana, sia il profilo biografico, senza del quale spesso non si
riesce a valutare il significato e il valore dell’intervento stesso. Non sfugga dunque
al lettore la ricchezza documentaria delle note in calce, indice di una ricerca seria ed
approfondita, che la rendono qualitativamente diversa dai tanti volumi e fascicoli
commemorativi delle case salesiane d’Italia e dell’estero.
Sullo sfondo dell’opera in questione sta la città di Salerno, nelle congiunture
politiche, economiche, sociali, culturali, ecclesiali che ne hanno caratterizzato la vita
dal 1872 al 1954; congiunture liete e tristi, talora tristissime, che però non hanno mai
fatto obliare ad una parte sensibile della cittadinanza, per lo più di sentimenti catto-
lici, la necessità di provvedere all’educazione della gioventù specialmente quella più
in difficoltà, e all’assistenza religiosa alla popolazione.
Lontani punti di partenza sono stati la stima, l’affetto e la consonanza di idee
che mons. Guadalupi e con lui vari sacerdoti diocesani e numerosissimi laici ebbero
modo di coltivare con don Bosco fin dagli anni settanta e ottanta del secolo XIX at-
traverso la conoscenza personale, la corrispondenza privata e soprattutto il “Bollet-
tino Salesiano”. Successivamente per oltre mezzo secolo altri quattro arcivescovi fe-
cero la loro parte; il dottor Arturo Rinaldi per tanti anni non si tirò indietro, nono-
stante difficoltà e umiliazioni; il dr. Paolo Sansone e la baronessa Elvira Luciani fu-
rono i generosissimi benefattori; ma con loro decine e decine di Cooperatori, Exal-
lievi e benefattori, laici ed ecclesiastici, diedero il loro appoggio materiale e morale,
con accelerazioni e rallentamenti, pause e riprese, entusiasmi e delusioni, finché “il
sogno divenne realtà” il 1° ottobre 1954.
Con tutto ciò, anzi proprio in forza di tutto ciò, non si può sfuggire ad una do-
manda, quella che immediatamente sorge dallo stesso sottotitolo del volume: perché
furono necessari ben 57 anni per fondare l’opera salesiana di Salerno? La risposta va
rintracciata qua e là lungo le pagine del libro e, dato l’ampio arco di tempo conside-
rato, non può che essere articolata: eccesso di domande di apertura di opere salesiane
pervenute da ogni parte d’Italia al Consiglio Superiore di Torino, carenza di personale
disponibile, insufficienza di dotazione economica, inadeguatezza della località per
una augurabile futura espansione salesiana, posizione forse non ottimale del quar-
tiere, e, last but not least, la priorità data a fondazioni in città più importanti. Evi-
dente nel nostro caso la preferenza data al capoluogo, Napoli, già capitale dell’omo-
nimo regno, anche a costo di stornare, con qualche libertà forse eccessiva, il denaro
offerto espressamente per l’opera di Salerno. Vi si aggiungano qualche gelosia e
preoccupazione di troppo, qualche giudizio affrettato sulle persone e magari sulle
loro intenzioni, qualche incomprensione fra le parti, qualche eccesso diplomatico e

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Recensioni 501
burocratico, qualche opposizione locale o da parte salesiana, senza dimenticare le non
lievi difficoltà persino nell’attuazione del progetto edilizio ancorché dotato di tutte
le approvazioni.
“Non la fantasia, ma il cuore guidato dalla fredda ragione dopo disquisizioni,
corrispondenza, confronti, dettò queste pagine”, scrive di sé l’A., ex allievo di Sa-
lerno, citando il primo compilatore delle Memorie Biografiche di don Bosco, don G.
B. Lemoyne. È vero: da ogni pagina qui riprodotta traspare l’appassionata duplice
matrice dell’autore, il suo affetto e il suo entusiasmo per la città natale, per i suoi cit-
tadini di un tempo, così come l’amore e la stima per don Bosco, per quelli che erano i
suoi autorevoli rappresentanti di un tempo a Torino, Roma, Napoli, e soprattutto per i
suoi “figli” traslocati al “Don Bosco di Salerno”.
Francesco Motto
(dalla “Presentazione”)
ARLEGUI SUESCUN José, Los salesianos en Huesca. 100 años de puertas abiertas.
Huesca, Colegio Salesiano de San Bernardo 2003, 351 págs.
El 25 de abril de 1903, don Felipe Rinaldi, que ejercía de vicario del Rector
Mayor de los salesianos, don Miguel Rua, y de administrador general de la Congre-
gación, aceptaba la invitación de que los salesianos fueran a Huesca a hacerse cargo
de un establecimiento que ofrecían los herederos testamentario de don Bernardo
Monreal y Ascaso (1824-1894).
Aunque los salesianos tardaron todavía tres años en establecerse en aquella ca-
pital, a la Familia Salesiana le ha parecido bien celebrar el centenario de su presencia
partiendo del momento en que el padre Rinaldi accedió a dar su consentimiento, es
decir, en el año 2003. En el encuadre de los actos conmemorativos tuvo lugar la pre-
sentación de un libro que queremos reseñar ahora en estas páginas de Ricerche Sto-
riche Salesiane porque, tanto por su contenido como por su ropaje artístico, merece
nuestra felicitación y aplauso.
A lo largo de los últimos 25 años, desde que don José Luis Bastarrica se pro-
puso roturar la tierra de la historiografía, la España Salesiana ha ido enriqueciéndose
continuamente con una serie de libros que nos han traído en sus páginas –textos y fo-
tografías– retazos de una historia henchida de experiencias carismáticas. A veces, in-
cluso los antiguos alumnos se han lanzado a la aventura. Hace pocos días que ha en-
trado en el Seminari de Salesianitat del Centro Salesiano de Estudios Teológicos
Martí-Codolar (Barcelona) una obra escrita por dos de ellos, don Miguel Fernando
Gómez Vozmediano y Herminio Sobrino López, y que lleva como título Los Sale-
sianos en Puertollano (1953-2003). Cincuenta años de historia. Es un trabajo bien
construido: se ve que autores y editores no han dispuesto de muchos recursos econó-
micos para cuidar mejor el aparato ilustrativo y artístico del libro, pero han volcado
lo mejor de su fervor salesiano y todo el rigor de la técnica historiográfica.
Decimos todo esto para situar ahora la obra que estamos reseñando: en ella
tanto el fondo como la forma alcanzan una gran calidad. Se trata de una monografía

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502 Recensioni
fuera de serie, al menos porque los salesianos de España nunca habían producido una
cosa semejante.
El autor ha añadido al esfuerzo de investigación histórica la riqueza de sus pro-
pias experiencias y de su amplia cultura y, además, el primor un estilo literario ágil y
elegante. Si ha podido llevar a buen término la empresa ha sido porque se ha sentido
impulsado por su amor a la Congregación Salesiana y a la ciudad de Huesca: “Amigo
lector –escribe–, emprendí este difícil trabajo llevado por el corazón y el cariño hacia
esta tierra” (pág.14). Por otra parte, fotógrafos, cartógrafos, diseñadores, composi-
tores e impresores han hecho gala de una gran sensibilidad artística y de un dominio
absoluto de las técnicas modernas. Por tanto, los miembros de la Comisión del Libro
del Centenario y sus colaboradores pueden estar satisfechos. Cuando llegó a nuestras
manos el libro del doctor Arlegui, tuvimos la impresión de que también los salesianos
se atrevían a imitar, y a superar incluso, las grandes monografías que, por ejemplo
aquí, en Barcelona, han sacado recientemente a luz pública jesuitas y escolapios.
Toda la monografía está construida sobre el cimiento de un primer capítulo –
Preparando el camino (págs. 21-61) – que ofrece una doble vertiente: el estudio de la
personalidad del Fundador, don Bernardo Monreal y Ascaso, y del comportamiento
de sus herederos de confianza. Resulta un capítulo imprescindible para calibrar la in-
serción de esta presencia salesiana en todo el conjunto dinámico del llamado Catoli-
cismo Social de finales del XIX e inicios del XX. Es una nota común a todas las fun-
daciones salesianas de ese tiempo. El retrato que el autor hace de cada uno de los al-
baceas es muy significativo. Éstos andaban preocupados pensando cómo podrían
llevar a cabo la voluntad del testador, que deseaba en Huesca una Escuela de Artes y
Oficios para niños pobres, de una manera segura y dentro de los parámetros de una
educación cristiana... Uno de ellos conectó en Madrid con el padre salesiano Ernesto
Oberti, quien entonces estaba estudiando el modo de establecer la Obra de Don
Bosco en la capital del reino. Los demás albaceas y el obispo de Huesca estuvieron
de acuerdo en que la Congregación de los Talleres Salesianos se hiciera cargo de la
nueva fundación. De esta forma se abrió en Huesca el surco que debía acoger la se-
milla del carisma de Don Bosco.
Después de un capítulo que sirve de unión entre los orígenes y el futuro (págs.
63-93), el autor acomete el estudio de la parte más destacada del conjunto institu-
cional: el colegio. Le dedica más de cien páginas (desde la 95 hasta la 205), poniendo
en movimiento todos los agentes de la vida escolar en sus diversas dimensiones: for-
mación intelectual, formación moral y religiosa, y formación física y artística, sin ol-
vidar las organizaciones asociativas. Puede que la exposición resulte un tanto prolija
y pesada, pero en cualquier caso está animada por múltiples referencias documen-
tales, culturales, legales, costumbristas y sociales, las cuales le confieren una gran ri-
queza informativa. Siguiendo la pauta de los grandes períodos de la historia de
España –antes, durante y después de la guerra civil del 1936 al 1939, antes y después
de la celebración del Concilio Vaticano II (1962-1965), antes y después de la transi-
ción democrática (1975-1978)–, Arlegui no se cansa de explicar, razonar y valorar.
Tiene a su favor esa apoyatura, cálida y cercana, de la historia oral, que él usa con
discreción y lucidez.

2.7 Page 17

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Recensioni 503
Estas páginas dedicadas a la vida colegial forman sin duda el eje central del
libro. Pero la misión salesiana no se agota, ni mucho menos, en la labor escolar. Por
eso, ya desde un comienzo, desde 1904, los dos primeros salesianos que se presen-
taron en Huesca abrieron un Oratorio Festivo. El autor describe sus múltiples activi-
dades de todo tipo y, teniendo en cuenta las pautas históricas que acabamos de re-
cordar, señala las modalidades y las derivaciones que suele ir asumiendo esta dimen-
sión, tan típica, del apostolado salesiano (págs. 207-223). En los domingos y fiestas
se encontraban en ella tanto los alumnos del colegio como los niños de todos los lu-
gares de la ciudad. La colaboración de los seglares –antiguos alumnos, circulistas
(Círculo de Domingo Savio), bienhechores, padres de familia y monitores– ha sido y
sigue siendo uno de los rasgos más hermosos.
Se puede decir que en todos los lugares en que se han establecido los salesianos
ha florecido la devoción a María Auxiliadora. Pero algunos han sido particularmente
sensibles a la misma. Uno de éstos es, sin duda, la ciudad de Huesca, donde dicha de-
voción despuntó ya en 1903, antes de que llegaron los primeros salesianos. El libro
dedica un capítulo al tema (págs. 225-249) y en él se explaya el autor analizando las
diversas manifestaciones marianas. Al detenerse en la práctica del Rosario de la Au-
rora, que comenzó en 1950 con gran éxito, apunta a esta motivación: “Responde a la
psicología de los oscenses y al amor serio y profundo que profesan a la Virgen Auxi-
liadora” (pág. 239). Pero esta historia devocional alcanza su cumbre en la construc-
ción de una nueva iglesia –el santuario–: se inauguró en 1940 y cuarenta años más
tarde, ante la expansión urbanística y demográfica de la ciudad, quedó erigida en par-
roquia. Los salesianos asumieron responsablemente las nuevas tareas pastorales.
El capítulo que sigue –el sexto de la serie (págs. 251-267)– trata de los Anti-
guos Alumnos. Y está más que justificado, porque, asociados o no, han tenido un
peso enorme en el apostolado salesiano. Precisamente una de las secciones lleva
como título Los Antiguos Alumnos actúan como otros tantos salesianos (pág. 255).
Ya está dicho, y muy bien dicho. El autor, a quien le gusta insistir en las causas de los
hechos y de los cambios, señala que niños y salesianos entraban fácilmente en sin-
tonía, porque la mayoría de éstos “han sido jóvenes, muy jóvenes... Y jóvenes quiere
decir carcanos a los niños. Con ellos pasaban las horas de clase, rezaban, jugaban y se
divertían, ensayaban las obritas de teatro o los cantos de iglesia”. “En el colegio
–añade– se fraguaban amistades para toda la vida” (pág. 252). En esta perspectiva,
todo el capítulo resulta amable y sugerente.
A continuación se destinan unas cuantas páginas al teatro salesiano, que real-
mente ha sido todo un personaje en esta casa (págs. 269-293). El autor lo estudia en
sus tres dimensiones más importantes: como medio pedagógico en la vida colegial,
como recurso para atraer a los niños del Oratorio Festivo y como actividad artístico-
cultural. En los últimos cuarenta años ha convivido con el cine. Arlegui hace bien
cuando pone de relieve la “función social” que desempeñaba el teatro de los sale-
sianos en Huesca, “una población de 13.000 habitantes sin ninguna oferta de diver-
sión para los niños y jóvenes en los domingos y días festivos” (pág. 279), y cumple
con un deber de gratitud hacia varios Antiguos Alumnos que han desarrollado un
auténtico apostolado desde las tablas del escenario (págs. 291-293).

2.8 Page 18

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504 Recensioni
El doctor Arlegui ha dejado para el final de su estudio el capítulo referente a los
mismos salesianos (págs. 295-327). Es un tema que encierra su dificultad. Porque, en
las monografías de nuestras casas, ¿le interesa al público la vida interna de la comu-
nidad? Si le interesa, ¿cómo tratar su estudio? Por supuesto, la comunidad forma el
centro motor de todas las actividades que se despliegan en la Obra. Su acción exterior
se trasluce en el quehacer de cada día. Pero ¿vale de pena de introducirse en esa otra
parte, reservada, de la misma? El autor centra el contenido del capítulo en la presen-
tación de los padres directores y de otros salesianos de mayor relieve. No deja de lado
las vocaciones religiosas y salesianas que germinaron en las aulas y patios, ni a los
que coronaron su vida con el martirio en la persecución religiosa del año 1936. Pero
donde, tal vez, se hace más original es cuando desciende a ciertos detalles: habita-
ciones personales, régimen alimenticio, explotación de la huerta y de la pequeña
granja, penuria de la posguerra, la edad media y el progresivo envejecimiento, el
dolor de las defunciones, los momentos de distensión... Nos han parecido unos ele-
mentos valiosos que no deberían faltar en nuestros trabajos del género.
En fin, las secciones que se refieren a la celebración del centenario, las notas,
las fuentes y bibliografía, y el sumario (págs. 328-351) coronan el edificio.
Como se ve, la obra que han llevado a cabo el doctor Arlegui, sus colaboradores
y técnicos es sencillamente colosal. Supera a todo lo que hasta ahora conocíamos en
el ámbito literario del género en España. El asesoramiento de Ediciones Don Bosco y
de la Escuela Gráfica Salesiana de Barcelona-Sarrià ha sido altamente eficaz. Lo que
entre unos y otros han producido no es simplemente un libro-libro sino un libro-
espectáculo, sólido, macizo y bello. Por eso, permitirá el lector que la presente recen-
sión sea más larga que de costumbre.
Las observaciones negativas, o menos positivas, que podríamos hacer al fina-
lizar nuestra lectura carecen de especial relieve. Es verdad que nos gustaría más que,
en lugar de una exposición temática, el autor hubiera seguido una exposición por
períodos históricos; pero la opción que ha tomado es perfectamente válida. Nos hu-
biera agradado que, además del sumario, nos hubiera preparado un índice de materias
propiamente dicho y, sobre todo, un índice onomástico –cosa que facilita el manejo
de los trabajos de envergadura, como es este libro–.
En todo caso opinamos que el afán estético no ha de sobreponerse a la claridad
expositiva, sino que, más bien, ha de ponerse al servicio de ésta. Parece que también
se sacrifica al mismo criterio el modo de introducir algunas citaciones: a veces faltan,
cuando sería conveniente o necesario que estuvieran; no se hace nunca uso del cf ce-
diendo a la comodidad o a un uniformismo metodológicamente injustificable; no se
señalan bien las citas extraídas de otros autores, ni se emplea correctamente la abre-
viatura Ibid. Aunque siempre hay que tener en cuenta que el autor es el que mejor
conoce las apetencias y capacidades del público al cual se dirige.
Se nota alguna leve inexactitud al tocar la historia primitiva de la España Sale-
siana. Por ejemplo, no es cierto que en 1895 don Felipe Rinaldi fuera “Director de la
Casa de Sarrià en Barcelona e Inspector de las Casas de España” (pág. 50), porque ya
había dejado el primer cargo en 1892. El segundo nombre del conocido salesiano don
Manuel B. Hermida, no es Bautista (pág.53), sino Benito.

2.9 Page 19

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Recensioni 505
En fin, estas observaciones no significan nada al lado de tantos valores posi-
tivos como hemos tenido el gusto de señalar en esta reseña.
Ramón Alberdi
BORREGO ARRUZ Jesús, Los hombres de nuestra historia centenaria. Semblanzas de
los salesianos fallecidos en la Inspectoría Bética “María Auxiliadora. 1881-
2002. Sevilla, Gandulfo Impresores S.L. 2002, Tomo I (1881-1954), 360 págs.
Tomo II (1954-2002), 566 págs.
La Inspectoría María Auxiliadora de Sevilla ha querido incluir, como uno de los
eventos más importantes de las celebraciones centenarias de su fundación, la publica-
ción de un libro-memoria de todos los salesianos que formaron parte de ella durante
los cien años transcurridos, y que ya hoy gozan del merecido descanso en brazos del
Padre. Realizada la iniciativa inspectorial, el resultado ha sido el libro que recensio-
namos, del que es autor el historiador salesiano don Jesús Borrego Arruz.
Las obra se presenta en dos tomos, que remiten a los dos períodos históricos de
la presencia salesiana en la Inspectoría andaluza. El primero, que abarca los años
1902-1954 corresponde a la llamada Inspectoría Bética, que comprendía las Casas
ubicadas en las regiones españolas de Andalucía, Extremadura y Canarias, cuyo
primer inspector fue don Pedro Ricaldone. El segundo tomo parte de 1954, año en el
que la Inspectoría Bética se dividió en dos: la inspectoría Santo Domingo Savio, con
sede en Córdoba, que comprende Canarias y las provincias de la Andalucía Oriental:
Córdoba, Granada, Málaga, Jaén y Almería, y la Inspectoría María Auxiliadora, con
sede inspectorial en Sevilla, que abarca las dos provincias de Extremadura y las tres
que forman la Andalucía occidental: Sevilla, Cádiz y Huelva. El tomo termina en la
fecha centenaria del 2002.
La estructura del libro es idéntica en ambos tomos, salvo algún pequeño cambio
en los anexos, que se enriquecen en el segundo tomo, con el recuerdo de los sale-
sianos fallecidos fuera de las Casas de la Inspectoría de Sevilla, “pero que en ella
nacieron para don Bosco y por años en ella vivieron y trabajaron con dedicación y
entrega” como escribe el autor.
Las semblanzas biográficas, 132 en el primer tomo y 143 en el segundo, se
agrupan por años de fallecimiento, encabezadas unas y otras por una Palabras pre-
vias del autor y la Presentación que en el primer tomo hace de la obra el inspector
de Sevilla don Juan Carlos Pérez Godoy.
Cabe destacar la dedicatoria con la que el autor abre el tomo segundo de su
obra, dirigida a todos los salesianos fallecidos en la inspectoría María Auxiliadora,
que con su entrega hicieron posible la realidad presente de la misma, representados
en las fotografías de los doce inspectores ya difuntos, que la rigieron en el transcurso
de sus cien años de vida.
La principal fuente documental utilizada por el autor para redactar sus sem-
blanzas, ha sido, según lo declara él mismo, la carta mortuoria, “con frecuencia ano-
dina o reducida a mera nota necrológica”, por lo que se vio obligado a recurrir a

2.10 Page 20

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506 Recensioni
fuentes testimoniales, algunas de las cuales aparecen consignadas en las notas a pie de
página. Estas fuentes testimoniales son más ricas y abundantes en el segundo tomo,
por haber vivido en tiempos más cercanos a nuestros días los salesianos biografiados.
Destaca también el autor el servicio que, como fuente de información, le ha prestado
el Boletín Salesiano, que publica en una de sus sesiones un breve perfil biográfico de
los salesianos, bienhechores y miembros de la Familia Salesiana que fallecen.
El contenido de la obra viene definido por el propio título: Los hombres de nue-
stra historia centenaria. Semblanzas... El autor indica en las Palabras previas su ver-
dadero sentido: “El libro que tienes entre las manos no pretende ser una historia o
narración ordenada de la obra de las inspectorías andaluzas en su primer siglo de exi-
stencia. Es sencillamente una compilación biográfica de todos los salesianos falle-
cidos durante estos 120 años, en algunas de las casas ubicadas dentro de los límites
geográficos que hoy abarca la Inspectoría salesiana de Andalucía”.
La diversidad de procedencias de los 275 salesianos elencados, tanto españoles:
andaluces, catalanes, castellanos y gallegos, como como extranjeros: franceses, yugo-
slavos, argentinos y, sobre todo, italianos en los inicios, pone de manifiesto la riqueza
que subyace en la inspectoría andaluza, donde la diversidad de culturas, unificadas
por un mismo carisma, ha dado como fruto un testimonio secular de santidad sencilla
y silenciosa.
A la valiosa aportación que supone esta obra para la historia ya centenaria de la
Inspectoría María Auxiliadora de Sevilla, se añade también el constituir un acto de
justicia, porque introduce en la misma, no sólo a aquellos salesianos que por sus pue-
stos de responsabilidad fueron protagonistas de los hechos más relevantes de sus cien
años de vida, sino que rescata del olvido a todos los otros salesianos que desde la hu-
mildad y el anonimato, fecundaron apostólicamente la presencia salesiana en tierras
andaluzas, extremeñas y canarias, por lo que el inspector don Juan Carlos Pérez
Godoy no duda en afirmar en la Presentación, que estas semblanzas son, ante todo,
“un homenaje de reconocimiento por cuanto ellas significan en riqueza de personas y
obras y que, sin pretenderlo, se truecan en estímulo agradecido para nosotros”.
También este libro se convierte en un homenaje para su propio autor, el Dr.
Jesús Borrego Arruz, historiador benemérito, que ha escrito cada una de las sem-
blanzas con la delicadeza y cariño de un hermano salesiano.
María F. Núñez Muñoz
BOSCO Juan (san), Memorias del Oratorio de San Francisco de Sales de 1815 a 1855.
Traducción y notas histórico-bibliográficas de José Manuel Prellezo García;
estudio introductorio de Aldo Giraudo, con la colaboraciòn de José Luis Moral
de la Parte. “Colección Don Bosco”, 23. Madrid, Editorial CCS 2003, pp. XL+
238, 2ª edición revisada.
Le Memorie dell’Oratorio sono e continueranno ad essere una fonte narrativa
di particolare importanza per il patrimonio storico, pedagogico e spirituale salesiano.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Recensioni 507
Certamente l’edizione critica realizzata da Antonio da Silva Ferreira [Giovanni
BOSCO, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Introdu-
zione e note a cura di –, Roma, LAS,1992], è uno studio autorevole che rappresenta
anche un punto di riferimento per ulteriori lavori di carattere interpretativo. Inoltre,
questa edizione critica italiana favorisce la possibilità di traduzioni in altre lingue
avendo ormai come parametro il testo originale nella sua integrità.
La traduzione è sempre un’operazione estremamente delicata e ovviamente
rischiosa. Tale operazione è stata realizzata, in lingua castigliana, da José Manuel
Prellezo García, noto studioso e docente di Storia della Pedagogia. Nella delicata
revisione del testo castigliano ha collaborato José Luis Moral de la Parte.
La fedeltà all’edizione critica delle Memorie, nonché all’originale autografo di
don Bosco, il rigore metodologico, l’ampia conoscenza del contesto storico e pedago-
gico e la profonda assimilazione della “mens” di don Bosco, caratterizzano questa
traduzione delle Memorie in lingua castigliana. La scelta fatta da Prellezo di voler
adottare un linguaggio agile e di facile lettura avrebbe potuto sacrificare la fedeltà al
testo, ma la ponderazione di tale scelta ha portato a preferire il criterio della fedeltà
testuale anche in casi in cui risultava difficile la coniugazione tra l’originale e l’adat-
tamento linguistico.
Le note di carattere storico-critico e bibliografico, di cui è corredata l’edizione,
offrono riferimenti integrativi oppure spiegativi, che arricchiscono la comprensione
del testo, pur evitando la prolissità di dati e di interpretazioni. Il quadro sincronico,
gli indici e la documentazione iconografica aggiungono interesse ma anche valore
alla nuova pubblicazione.
Infine, ma non perché sia un ultimo riferimento, merita particolare attenzione lo
Estudio Introductorio all’edizione, pregevole lavoro di carattere storico critico, rea-
lizzato da Aldo Giraudo. A partire dalla storia e dalla “fortuna” che sempre ha riscon-
trato il testo, Giraudo ci fa vedere la costante attenzione e insieme l’evoluzione avve-
nuta nella comprensione del medesimo che, da una lettura quasi simbolica ed edifi-
cante, approda ad una fase interpretativo-critica mantenendo sempre il suo fondamen-
tale significato di “manuale di pedagogia e di spiritualità narrative”. L’indole auto-
biografica dello scritto, la sua architettura, la finalità, lo stile e le modalità proprie di
don Bosco nello scrivere, permettono al lettore di avviarsi ad una lettura oggettiva,
più illuminata e saporosa della narrazione.
Una breve annotazione riguarda il disegno di copertina, certamente di carattere
spiccatamente salesiano. A nostro parere, esso induce a pensare ad un libro di carat-
tere divulgativo, giovanile e popolare. È vero che don Bosco ha privilegiato tale ca-
ratteristica per la sua opera e per i suoi scritti, ma non ci sembra del tutto adatto a
questa edizione, che in realtà si colloca su un altro livello, quello dello studio di un
“eccezionale documento” autobiografico, pedagogico, spirituale.
La nuova traduzione in lingua castigliana realizzata da Prellezo – con le corri-
spondenti note storico-critiche –, il serio contributo di Giraudo costituiscono un
lavoro significativo nella storia del testo di don Bosco che Pietro Braido ha voluto
chiamare Memorie di futuro.
María Esther Posada

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508 Recensioni
BOSCO Juan (san), El sistema preventivo en la educación. Memorias y ensayos. Edi-
ción y estudio introductorio de José Manuel Prellezo García. “Serie Clásicos de
la Educación”. Madrid, Biblioteca Nueva 2004, 270 p.
L’editrice madrilena Biblioteca Nueva, con la collaborazione scientifica della
Sociedad Española de Pedagogía ha lanciato un’interessante collana “Memoria y Crí-
tica de la Educación”, diretta dal prof. Agustín Escolano Benito. All’interno della me-
desima si colloca la serie “Clásicos de la Educación” (curata dalla prof.ssa Gabriela
Ossenbach Sauter), il cui scopo è “facilitare la lettura dei libri che ci aiuteranno a ca-
pire chi siamo e fin dove siamo arrivati. Mediante il dialogo con essi, i docenti e pe-
dagogisti del nostro tempo si inseriranno criticamente nella tradizione di una cultura
educativa ancora viva, di cui non è possibile né ragionevole prescindere”. Tra gli
autori presentati, spagnoli e non, si collocamo Lorenzo Luzuriaga, Paul Natorp, Fray
Martín Sarmiento, María Montessori, José María Blanco White, John Dewey.
Il volume su don Bosco, ben curato dal punto di vista tipografico, è il primo di
un insieme di opere dei fondatori delle principali congregazioni e istituti religiosi
dedicati all’educazione e all’insegnamento, che l’editrice e i curatori della collana in-
tendono pubblicare nei prossimi anni nella suddetta serie “Clásicos de la Educación”.
Dell’educatore di Torino il prof. José Manuel Prellezo, docente di storia del-
l’educazione all’università Pontificia salesiana di Roma, raccoglie gli scritti “peda-
gogici”, suddividendoli in due sezioni: la prima (pp. 73-248) costituita dal Cenno sto-
rico dell’Oratorio (1854), dai Cenni storici dell’Oratorio (1862) e dalle Memorie
dell’ Oratorio (1879), ossia gli scritti in cui don Bosco racconta, “a suo modo”, le ori-
gini della propria opera assistenziale-educativa; la seconda sezione (pp. 249-270)
offre il trattatello sul Sistema preventivo (compresa la versione per i giovani perico-
lanti) e la Lettera da Roma del 1884, brevissimi testi nei quali don Bosco sintetizza il
suo pensiero sull’educazione giovanile.
I documenti, riprodotti con totale fedeltà all’originale, grazie anche ad una tra-
duzione in collaborazione, sono corredati da abbondanti informazioni biografiche, bi-
bliografiche ed esplicativo-terminologiche. Al contesto religioso, storico ed educativo
in cui si inseriscono è invece dedicata soprattutto l’ampia introduzione (pp. 13-63),
completata da ricche indicazioni di fonti archivistiche e bibliografiche (pp. 65-70),
particolarmente di lingua spagnola.
Non mancano ovviamente, dato il target del volume, significativi cenni all’am-
biente spagnolo in cui iniziò e si sviluppò l’opera salesiana nell’ultimo periodo della
vita di don Bosco. Non è certo una controindicazione per quanti, comprendendo la
lingua spagnola sotto qualunque cielo si trovino, desiderino leggere, comprendere e
“gustare” l’esperienza pedagogica di don Bosco attraverso questo libro e a quello, in
parte analogo, qui sopra presentato, curati dallo stesso studioso.
Francesco Motto

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Recensioni 509
ŻUREK Waldemar Witold, Salezjańscy męczennicy Wschodu (Martiri salesiani del-
l’Oriente). Lublin, Wydawnictwo Jedność 2003, 286 p. + 96 p. di fotografie.
Con questo studio la ricerca sui salesiani polacchi che persero la loro vita op-
pure furono perseguitati durante gli anni dell’occupazione della Polonia da parte della
Germania nazista e dell’Unione Sovietica, trova il suo proseguimento. L’Autore Wal-
demar Żurek lavora nell’Università Cattolica di Lublin e insegna storia ecclesiastica
presso lo studentato teologico salesiano di Cracovia. Di lui abbiamo già recensito al-
cuni volumi al riguardo su RSS; a modo d’esempio ricordiamo: “Jeńcy na
wolności”. Salezjanie na terenach byłego ZSRR po drugiej wojnie światowej. (“Pri-
gionieri in libertà”. Salesiani nei territori dell’ex Unione Sovietica dopo la II guerra
mondiale), uscito nel 1998, [37 (2000) 416-423] e Salezjański męczennik z
Berezwecza. Ksiądz Władysław Wieczorek (1903-1942) (Martire salesiano di
Berezwecz. Don Władysław Wieczorek), pubblicato nel 2002 [42 (2003) 187-189].
Lo Żurek, grazie ai suoi numerosi viaggi di studio nelle repubbliche dell’ex
Unione Sovietica, è riuscito a raccogliere le “briciole” della documentazione, arric-
chita dalle testimonianze di coloro che conobbero questi martiri: i familiari, gli amici
e i salesiani. Ad esempio, si è recato a Suliszów, la località d’origine di don Mikołaj
Kapuściński, dove ha incontrato, oramai in età molto avanzata la sorella di lui,
Marta Kurzawa; durante il colloquio con l’Autore la signora Marta disse che ancora
possedeva la foto di suo fratello, che portava nella borsetta dal momento della morte
(settembre 1939), precisamente da 63 anni. Questa foto, come prezioso documento, è
stata aggiunta al volume che presentiamo.
Nello studio l’Autore si limita ad indagare sugli undici salesiani che furono tru-
cidati o maltrattati dai russi, dagli ucraini e dai bielorussi nelle varie repubbliche del-
l’ex Unione Sovietica. Eccone la lista: chierico Stefan Fabiański (1912-1939), chie-
rico Mikołaj Kapuściński (1913-1939), coadiutore Antoni Leniartek (1915-1941),
chierico Józef Maj (1919-1942), don Izydor Marciniak (1898-1942), don Roman
Niewitecki (1891-1942), don Jan Pawelec (1904-1942), chierico Edward J. Pohl
(1919 - data di morte incerta -1940?), coadiutore Piotr Robakowski (1917- data di
morte incerta - 1939?), coadiutore Stanisław F. Sikora (1911-?) e coadiutore Józef
Sulik (1917-1941). A questi “martiri” egli aggiunge note biografiche su due salesiani
che non appartengono al gruppo degli undici. Sono il chierico Emmanuel Bujar
(1893-1918) e il chierico Wojciech A. Gancek (1885-1904).
L’indagine, preceduta da una prefazione di mons. Antoni Dziemianko, vescovo
della diocesi di Grodno (Bielorussia), è composta da due parti. La prima (pp. 19-40)
costituisce una specie di spiegazione o d’introduzione al fine di facilitare la lettura.
In essa vengono, in linea di massima, illuminati gli anni dell’occupazione sovietica
nei territori polacchi orientali e la successiva deportazione di milioni di cittadini po-
lacchi nelle profonde terre russe. Migliaia di loro furono chiusi nei gulag o lager di
lavoro forzato, dove molti morirono a causa delle precarie condizioni di vita e dei
trattamenti disumani. L’autore presenta l’elenco di questi luoghi orribili, dislocati
nella parte europea e in quella asiatica della Russia; tratteggia poi le terribili con-
dizioni in cui si viveva; infine, accenna alla posizione politica in cui si trovarono le

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510 Recensioni
presenze salesiane dopo lo scoppio del secondo conflitto mondiale. La maggior parte
dei gulag subirono gravi danni (cambio di proprietario, chiusura o addirittura la di-
struzione della casa), fino alla sospensione o riduzione al minimo dell’attività educa-
tivo-apostolica.
La seconda parte è il corpo principale della ricerca (pp. 41-249): contiene i tre-
dici profili biografici dei salesiani. Il lavoro viene arricchito da un riassunto in due
lingue straniere (italiano e bielorusso), dalla bibliografia, dagli indici delle persone
e dei luoghi; e da novantasei pagine di fotografie (bianco-nero e a colori), ordinate
secondo l’ordine cronologico dei profili.
La ricerca dimostra quanto è stato faticoso, talvolta addirittura impossibile, pre-
cisare alcuni importanti dati della vita di questi tredici salesiani, di cui dieci trucidati
e altri che subirono gravi danni morali e fisici in “tempi disumani”. Non solo le date,
ma anche i luoghi e le circostanze della loro morte sono rimasti sconosciuti nei det-
tagli, ad eccezione dei due chierici Stefan Fabiański e Mikołaj Kapuściński (trucidati
dai nazionalisti ucraini il 25 settembre 1939) e di don Roman Niewitecki, morto il 4
gennaio 1942 nel gulag sovietico. Di questo gruppo di salesiani, sei (coadiutore An-
toni Leniartek, chierico Józef Maj, don Izydor Marciniak, don Roman Niewitecki,
don Jan Pawelec, coadiutore Józef Sulik) persero la loro vita nel territorio dell’U-
nione Sovietica, tre (coadiutore Leniartek, chierico Maj, don Niewitecki) furono mar-
tirizzati nei gulag sovietici; il coadiutore Sulik, arruolato nell’armata rossa, fu accol-
tellato dai compagni. I due sacerdoti, Marciniak e Pawelec, ordinati a Vilnius durante
la guerra, risposero come volontari all’appello dell’arcivescovo Romuald
Jałbrzykowski di andare nei “territori russi” a dedicarsi al lavoro pastorale. Ambedue
morirono sulla breccia, ma non si sa per opera di chi: forse dei tedeschi (nel 1941 il
fronte nazista era passato in direzione orientale), forse di qualcuno dell’armata rossa,
ma non sono da escludere banditi o partigiani di varia appartenenza ideologica o
addirittura nazionalisti bielorussi. È cosa che ancora oggi non si riesce a chiarire.
Un esito singolare del lavoro è che nel corso della ricerca si è riusciti a preci-
sare un importante dettaglio, cioè che il coadiutore Stanisław Franciszek Sikora, rite-
nuto dai salesiani come scomparso nelle vicissitudini belliche, era ancora in vita in
Inghilterra al momento della ricerca.
L’indagine è resa più personale ed interessante per il fatto che i quattro ritratti
sono accompagnati dalla relativa corrispondenza (Leniartek, Marciniak, Pohl, Sulik).
In essa troviamo una ricca informazione sulla vita quotidiana dei salesiani in un
gulag, situato nella Siberia (Leniartek) e le relazioni che descrivono il viaggio verso
un luogo di stazionamento di una unità militare sovietica e lo stesso servizio militare
(Sulik). Nel volume vengono incorporati anche i giudizi di coloro che conobbero i
biografati (Fabiański, Kapuściński, Marciniak, Niewitecki); esse evidenziano alcuni
lati del loro comportamento come religiosi e pastori: la ferma decisione di restare con
il loro gregge, l’atteggiamento d’amicizia verso la gente loro affidata, la confessione
gioiosa di appartenenza alla Congregazione salesiana.
La lettura dei profili biografici, il cui spessore ovviamente è condizionato dalla
qualità e quantità del materiale archivistico, mostra come l’Autore spazi non solo nel-
l’ambito salesiano, ma talvolta allarghi molto l’orizzonte, inserendo il biografato

3.5 Page 25

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Recensioni 511
nella vita sociale e culturale dei posti di nascita e del lavoro, e aggiunga vari partico-
lari sulla storia delle loro rispettive famiglie; con ciò si ottiene una maggior compren-
sione dell’ambiente in cui maturarono e agirono i salesiani. Alcuni di loro, di fatto,
possono vantarsi di essere membri di famiglie che trovano posto nella storia della
società polacca.
Permane una cosa discutibile, anche se nobile: l’Autore ha voluto fare un cenno
modesto a due salesiani (chierico Emmanuel Bujar, morto nel 1918, e chierico Woj-
ciech Atanazy Gancek, deceduto nel 1904), includendoli nel gruppo degli undici,
anche se questi morirono molto prima: quindi non entrano dal punto di vista cronolo-
gico nel periodo studiato in questo volume. Forse il fine di recuperare due figure to-
talmente sconosciute alla memoria dei salesiani d’oggi, giustifica la scelta.
Qua e là ci si imbatte in qualche imprecisione o data erronea, come quella della
decapitazione dei cinque “oratoriani” di Poznań (Polonia), avvenuta il 24 agosto
1942 a Dresda (Germania) e non nel luglio (vedi la pagina 14). Alla bibliografia,
anche se assai abbondante, si sarebbero potuti indicare gli indirizzi dell’internet, dove
vengono forniti i dati attendibili relativi alle persecuzioni dei polacchi da parte dei
sovietici.
Lo Żurek, nei riassunti collocati in fondo al testo, esprime l’augurio che venga
aperto il processo per la beatificazione delle vittime del “Golgota Polacco d’Oriente”,
nel quale, secondo lui, hanno il loro posto gli undici salesiani da lui presentati, “figli
spirituali” di don Bosco. Indipendentemente dal fatto che tale processo prenda corpo
o meno, il presente lavoro costituisce un contributo valido per allargare le nostre co-
noscenze sulle vicende dolorose dei salesiani, la cui memoria sarebbe caduta in oblio
per ordine di una ideologia atea; invece con questa indagine essi vengono riportati e
collocati nella storia, non solo della Società salesiana ed ecclesiastica in Polonia, ma
anche in quella civile.
Stanisław Zimniak
DOTTA Giovenale, Problemi di critica testuale nell’epistolario del Murialdo. Roma,
Libreria Editrice Murialdo 2004, 143 p.
A quanti si interrogano sulla legittimità di continuare a dedicarsi ad un opera-
zione culturale complessa quale è l’edizione critica di fonti – con tanto di apparati
delle varianti, dei loci paralleli, delle note storico-illustrative – risponde il saggio di
Giovenale Dotta che sulla base di una serie di dati oggettivi, documentati e pratica-
mente incontestabili, rivela che ben ventidue lettere indirizzate dal Murialdo a vari
suoi confratelli e collaboratori (anni 1847-1899) – e come tali edite nell’epistolario
del santo nonché utilizzate per la monumentale biografia – in realtà non sono state
scritte da lui. Non si può che ammirare il coraggio del giovane studioso murialdino (e
dei suoi Superiori religiosi) di affrontare la situazione con estrema libertà scientifica,
senza paura di correggere quanto nel passato era dato per acquisito e che ora invece
non si rivela più tale. Ne nasce l’ovvia conseguenza che se ne dovrà tener in debito
conto nei futuri studi sul Murialdo, ed in particolare nella composizione dell’auspi-
cata biografia critica del santo.

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512 Recensioni
Merita però di osservare che proprio il fatto stesso che i testi in questione siano
stati attribuiti erroneamente al Murialdo sta a significare che non si discostano ecces-
sivamente dai contenuti delle altre lettere del santo, per cui la loro pubblicazione
in questo contesto, con ricco corredo di note, può servire per lo studio della società
ottocentesca dell’epoca, vale a dire del tempo di don Bosco.
Il volumetto è arricchito delle ampie schede biografiche di alcuni destinatari
delle suddette lettere attribuite al Murialdo (pp. 26-31), di alcune lettere di don Gio-
vanni Rovelli e don Paolo Rossi al Murialdo (pp. 87-114), e da un’appendice, con ri-
produzioni di lettere, aggiornata bibliografia e indici (pp. 123-141), tutti di notevole
utilità per gli studiosi. Non mancano voci salesiane: don Bosco, don Rua, Oratorio di
S. Francesco di Sales… Si giustifica pertanto la segnalazione su RSS dell’edizione
del volumetto, così come della ormai nutrita serie di volumi pubblicati dal Centro
Storico del Murialdo, in particolare delle due collane: “Fonti” e “Studi”, giunte ormai
a 9 volumi e “Sussidi” che nel marzo scorso ha raggiunto il numero 8 con la “Biblio-
grafia Murialdina” (1982-2002).
Francesco Motto