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LINEE PEDAGOGICHE DELLA SOCIETÀ SALESIANA
NEL PERIODO 1880-1922.
APPROCCIO AI DOCUMENTI
José Manuel Prellezo*
La preparazione del contributo affidatomi ha comportato l’utilizzo privile-
giato delle seguenti fonti: 1) Verbali delle riunioni del Capitolo Superiore; 2) Co-
stituzioni e Regolamenti delle case salesiane; 3) Deliberazioni dei Capitoli Ge-
nerali [= CG]; 4) Lettere circolari mensili agli ispettori e Atti del Capitolo Supe-
riore [= ACS]; 5) Lettere circolari e lettere personali dei singoli membri di detto
organismo di governo, in particolare, quelle di don Michele Rua (Rettor Mag-
giore: 1888-1910), di don Paolo Albera (Rettor Maggiore: 1910-1921) e di don
Francesco Cerruti (Consigliere scolastico generale: 1885-1917); 6) Atti del
Primo Capitolo Americano della Pia Società Salesiana; 7) Atti dei Convegni
degli ispettori dell’Europa (1907-1915); 8) Scritti di don Bosco e degli autori la
cui lettura veniva raccomandata in particolare nelle case di formazione e/o nel
programma del triennio di esercizio pratico1. Per completare la ricerca, si è presa
in considerazione inoltre la bibliografia che ha centrato direttamente l’attenzione
sul tema dello studio e della formazione dei Salesiani in prospettiva storica.
Le scelte operate nell’impostazione, stesura e presentazione del contributo
vogliono essere funzionali al prossimo congresso dell’ACSSA: a) presentare un
panorama tematico vasto, aperto a nuove prospettive; b) lasciar parlare i prota-
gonisti, cioè dare ampio spazio ai testi inediti (non sempre facilmente reperibili
o fruibili).
Lo schema del lavoro tiene presente la traccia offerta dagli organizzatori
del Seminario («mezzi e contenuti»). Si aggiungono due punti introduttivi che
emergono da un primo esame dei materiali consultati e che costituiscono le coor-
dinate di riferimento in cui le riflessioni che seguiranno acquistano maggior
senso e concretezza. Le pagine conclusive offrono la sintesi delle «linee pedago-
giche» più significative individuate nell’approccio ai documenti e alcune «consi-
derazioni» che mirano a stimolare ulteriori ricerche e verifiche.
* Salesiano, docente presso la Pontificia Università Salesiana di Roma.
1 Ringrazio i responsabili dell’Archivio Salesiano Centrale [= ASC] per la loro dispo-
nibilità ed efficace collaborazione.

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100 José Manuel Prellezo
1. La Società Salesiana: una Congregazione per l’educazione della gioventù
Il Rettor Maggiore dei Salesiani, l’anno 1921 – negli ultimi mesi del pe-
riodo che studieremo nel nostro Seminario –, scriveva negli ACS:
«A motivo della nostra condizione speciale di educatori dobbiamo pure col-
tivare le scienze profane naturali […]. Ma anche qui diamo la preferenza
allo studio di quelle scienze, che più direttamente concorrono a farci meglio
raggiungere il fine che Don Bosco ebbe nel fondare la Pia Società»2.
Don Paolo Albera accennava chiaramente, in quell’occasione, alla «condi-
zione speciale di educatori». Un cenno ancora più esplicito al tema si trova già nei
materiali elaborati dal secondo Capitolo Generale del 1880, cioè nell’anno che
apre il periodo che vogliamo esaminare. Nella bozza di uno dei documenti pre-
paratori si diceva: «Se a tutti è necessario il sapere, quanto più è necessario a noi
che per nostra vocazione siamo preposti all’insegnamento e all’educazione?»3.
Tra le due date – 1880-1921 –, il discorso riguardante la Società Salesiana
come «congregazione per l’educazione della gioventù» diviene sempre più espli-
cito e consapevole. È ribadito soprattutto a più riprese dal Consigliere scolastico
generale, don Cerruti, nelle sue numerose circolari.
Potrebbe, tuttavia, sembrare quasi scontato che il responsabile degli studi e
delle scuole salesiane dovesse affermare che don Bosco volle fondare una «Con-
gregazione di educazione e d’insegnamento»4. Ma riportano affermazioni so-
stanzialmente identiche i documenti elaborati da altri superiori e dagli organismi
di governo:
– Don Rua, nel 1902, pensando ai giovani chierici salesiani del triennio
pratico, osserva: «anche non essendo ancora sacerdoti noi possiamo già adem-
piere la missione affidataci dal Signore di occuparci della educazione dei gio-
vanetti» 5.
– Nel 1907, dopo aver riportato i diversi pareri del Capitolo Superiore
sugli obblighi che comporta per i Salesiani il Programma di studi approvato da
Pio X per i seminari italiani, il verbale delle riunioni capitolari annota: «Tutti
però convergono nel riconoscere la gran convenienza che noi vi ci adattiamo per
quanto è possibile». E se ne aggiunge la ragione: «siamo una Congregazione per
l’educazione della gioventù – gioventù ch’educhiamo non per noi soli, ma anche
pel Clero secolare»6.
2 ACS 2 (1921) 143.
3 ASC 0592 – secondo CG del 1880.
4 ASC E233 Consiglio Generale Circolari Durando-Cerruti (24.04.1910).
5 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani, Torino, Tipografia S.A.I.D. «Buona
Stampa», 1910, p. 276 (19.03.1902).
6 ASC D270 Verbali (11.11.1907).

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 101
– I membri del Capitolo Superiore e gli ispettori dell’Europa, riuniti a To-
rino nel 1912, riaffermano, dal canto loro, il «carattere particolare educativo
della P. Società», aggiungendo: «I parroci e vice-parroci salesiani non dimenti-
chino che, appunto perché salesiani di D. Bosco, l’educazione della gioventù
deve esser in cima ad ogni loro pensiero»7.
– Don Arturo Conelli, nuovo Consigliere scolastico generale alla morte di
don Cerruti, scriveva nel 1919:
«A rinnovarci tutti fervidamente nello spirito della nostra missione di edu-
catori, in quest’ora di trepidazione mondiale, valga eziandio la recente com-
mossa esortazione del Vicario di G. C.: “… la società futura, come quella
che sarà formata dai fanciulli dell’oggi, avrà solo quel tanto di bontà che
sarà rappresentata dall’educazione che avranno avuto i fanciulli d’oggi”»8.
Fin dal 1901, i futuri salesiani leggevano nel Vade mecum preparato dal
maestro dei novizi, don Barberis:
«Anche l’esperienza ci fa vedere, e tutti i grandi pensatori lo notano, che,
riformata la gioventù, è cambiata la faccia al mondo […] Perciò nessun’o-
pera è più importante, ed in conseguenza più cara al Signore e più meritoria
di questa […]. Imprimiti profondamente nel tuo cuore, che occupandoti,
secondo richiedono le nostre regole, dell’educazione della gioventù, sei
chiamato a fare un bene immenso»9.
2. Con un proprio sistema educativo: «il sistema preventivo sia proprio
di noi»
Le convinzioni manifestate sono collegate con una persuasione che si va
radicando progressivamente nei seguaci di don Bosco: la Società salesiana ha un
proprio sistema educativo.
A questo riguardo, sono ben note le lettere inviate ai Salesiani dell’Argen-
tina nel 1885. In quella diretta a don Giacomo Costamagna, don Bosco asseriva
senza esitazione: «il sistema preventivo sia proprio di noi. Non mai castighi pe-
nali, non mai parole umilianti, non rimproveri severi in presenza altrui. Nelle
classi suoni la parola dolcezza, carità, pazienza…»10.
7 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.
8 ASC E277 Consiglio Generale Circolari (24.03.1919).
9 Giulio BARBERIS, Vade mecum degli ascritti salesiani. Ammaestramenti e consigli…,
Parte 1ª, S. Benigno Canavese, Scuola Tipografica Salesiana, 1901, pp. 20-21.
10 Giovanni BOSCO, Scritti pedagogici e spirituali, a cura di Jesús Borrego, Pietro
Braido, Antonio da Silva Ferreira, Francesco Motto, José Manule Prellezo, Roma, LAS, 1987,
p. 365.

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102 José Manuel Prellezo
2.1. Il Sistema preventivo: punto di arrivo
Tali scritti si inserivano in una circostanza precisa e anche ben conosciuta.
L’anno 1883, i Salesiani di Valdocco, cercando di trovare «il perché, che i gio-
vani ci temono più di quello che ci amano», aggiungevano questa riflessione:
«Ciò è contrario al nostro spirito o almeno allo spirito di D. Bosco»11. Lo stesso
don Bosco nelle lettere da Roma, scritte un anno dopo – 10 maggio 1884 – e re-
datte dal segretario, ma ispirate da lui stesso, aveva rivolto un pressante invito ad
un «ritorno all’antico oratorio», ai giorni della familiarità e dell’amore. Rientrato
poi a Torino, parlò apertamente della «riforma dell’Oratorio». Qualche mese più
tardi, nell’adunanza del Capitolo Superiore del 12 settembre 1884, esordiva:
«Un’altra cosa raccomando. Studio e sforzo per introdurre e praticare il Si-
stema preventivo nelle nostre case. I Direttori facciano conferenze su
questo importantissimo punto, i vantaggi sono incalcolabili per la salute
delle anime e la gloria di Dio»12.
Pare che non tutti i Salesiani abbiano dato subito ascolto a quell’appello.
Don Rua dovette scrivere nel 1889, in una delle prime lettere circolari come
Rettor Maggiore:
«In questi ultimi anni si scorgeva qualche disaccordo intorno agli studi, in-
torno alle materie scolastiche, intorno al sistema d’insegnamento. Affinché
questo non dia occasione a conseguenze dispiacenti, dobbiamo mettervi ri-
medio» 13.
Analizzando più in dettaglio il terzo punto enunciato, il primo successore
di don Bosco aggiungeva: «Sia impegno del maestro seguire le norme del me-
todo preventivo».
Qualche anno prima, don Cerruti aveva scritto a don Giulio Barberis, pre-
gandolo di leggere il manoscritto di un suo breve saggio: «Che vuoi? Sarà fissa-
zione, debolezza ecc., ma ho fermo che l’insegnamento nostro, o meglio in gene-
rale, non corrisponde a’ bisogni de’ tempi, né alle vedute di D. Bosco»14.
In tale contesto, s’intende che don Rua, in conclusione allo scritto, sia
tornato a ribadire:
«Noi abbiamo un sistema lasciatoci da Don Bosco: procuriamo di conser-
varlo, come fanno altre religiose associazioni che diedero alla Chiesa ed
alla Società uomini dottissimi in ogni ramo di scienza e letteratura. Non si
11 Si può consultare l’edizione critica dei verbali delle adunanze in José Manuel PRE-
LLEZO, Valdocco nell’Ottocento. Tra reale e ideale. Documenti e testimonianze, Roma, LAS,
1992, p. 258.
12 ASC D269 Verbali (micr. 1881 B6).
13 Lettere circ. di don M. Rua, 35 (27.12.1889).
14 ASC B521 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (06.10.1885).

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 103
parli di riformare il sistema, bensì ciascuno riformi il proprio metodo e la
propria condotta, se non sono conformi ai nostri regolamenti. Ricorderete
pur voi quanto il nostro caro Don Bosco ci inculcasse di guardarci dal tic-
chio delle riforme»15.
L’esigenza di unità attorno al metodo o sistema preventivo viene messa in
risalto specialmente nei momenti di difficoltà. Dopo i fatti dolorosi di Varazze
del 1907, don Rua scrive ai Salesiani:
«Spero eziandio che essi varranno meglio che la più eloquente esortazione
a farci praticare d’or innanzi scrupolosamente il sistema preventivo, unico
mezzo che noi abbiamo per esercitare una efficace influenza sul cuore dei
nostri alunni»16.
2.2. Il Sistema preventivo di don Bosco: piattaforma di lancio
Sulla stessa lunghezza d’onda si collocano i membri più autorevoli del
Capitolo Superiore nei loro svariati interventi. Considerano senza riserve che il
Sistema educativo di don Bosco è la piattaforma che garantisce lo sviluppo e
l’esito della missione salesiana.
Il Consigliere scolastico generale raccomanda agli ispettori e direttori di
«praticare interamente il sistema nostro preventivo nell’educazione»17. L’invito
poggia sulla convinzione del valore del sistema stesso. Nel 1910 scrive:
«Voi conoscete tutti, ne son certo, le poche, ma sugose pagine del nostro
buon Padre, che questo sistema, intuito e insegnato da’ più grandi pedago-
gisti, fece suo, mise in più bella e soave luce, lumeggiò con le parole e col-
l’esempio e abbellì di quelle grazie che derivano dal Vangelo»18.
Talvolta, le affermazioni di don Cerruti hanno un certo tono celebrativo.
Nella circolare del 1914 proclamava:
«Don Bosco, nostro indimenticabile Padre, vivrà immortale nella mente e
nel cuore de’ suoi figli non solo pel suo eroico spirito di fede, di carità, di
operosità che gli valse dalla Chiesa l’aureola della Venerabilità, ma ancora
pel suo sistema e pel suo metodo educativo, che gli meritò da’ contempo-
ranei il titolo di educatore-modello e gli acquistò un posto onorato nella
Storia della pedagogia. Pedagogista ed educatore, giacché di Pedagogia
scrisse e prima di scrivere fece, provando, praticando, applicando egli pel
primo quel che poi pubblicò per gli altri, seppe della Pedagogia valersi al-
l’adempimento della missione affidatagli da Dio per la salvezza della gio-
15 Lettere circ. di don M. Rua, p. 43 (27.12.1889).
16 Ibid., p. 391 (31.01.1908).
17 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.03.1908).
18 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1910).

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104 José Manuel Prellezo
ventù e il sistema educativo elevò a strumento nobilissimo per informare a
fede, morale e civiltà la più bella e più importante porzione del genere
umano» 19.
Nel 1915, rivolgendosi ai direttori, ma aprendo poi il discorso ad ognuno
dei Salesiani, don Albera, dal canto suo, consigliava:
«Sia sua cura di conservare gli usi e le tradizioni della famiglia salesiana.
Ritenga come cosa nostra il sistema preventivo, e si faccia coscienza di pra-
ticarlo sempre e dappertutto, dovesse pure costargli gravi sacrifici. È questo
che deve formare la nota caratteristica della nostra maniera di educare e
istruire la gioventù. Fugga ogni novità nelle nostre pratiche religiose, ogni
mutamento nell’orario della giornata, ogni massima, ogni detto, ogni modo
di fare che D. Bosco e D. Rua non avrebbero approvato»20.
In uno degli ultimi interventi pubblicati sugli ACS del 1921, lo stesso
Rettor Maggiore, dopo aver sottolineato ancora una volta il carattere educativo
della Congregazione, concludeva:
«Penetriamo quindi con cura affettuosa il pensiero educativo del nostro
Ven. Padre, e procuriamo di approfondire le nostre cognizioni pedagogico-
didattiche, ispirandole sempre ai concetti e alle direttive, che costituiscono
la base del nostro sistema di educazione»21.
3. Un’eredità pedagogica da conservare e comunicare: i mezzi e i sussidi
Il «disaccordo» segnalato da don Rua e don Cerruti non costituì un epi-
sodio isolato nella storia della Società salesiana. Lungo il periodo preso in esame
incontreremo discussioni e contrasti di fronte a determinate opere o valutazioni
non condivise. Tuttavia, anche nei momenti più tesi, sembra che non sia stata
messa in questione la fedeltà a don Bosco; le divergenze riguardavano la scelta
delle strade più adeguate per rimanere fedeli a lui, tenendo anche presenti i bi-
sogni dei tempi. Nei documenti elaborati a Torino si scopre una convinzione
sempre più radicata nei Salesiani: «il sistema preventivo di don Bosco sia – è –
proprio di noi». Come conseguenza, ne segue l’imperativo di conservare e di tra-
smettere tale patrimonio.
Anzi, i membri della Società salesiana – in sintonia con il Fondatore –
giunsero alla persuasione del «valore universale» del sistema educativo eredi-
tato: valido anche fuori della cerchia salesiana. Don Michele Rua, ormai anziano
e provato dai ricordati «fatti di Varazze», riteneva – giova ripetere le sue parole
19 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (02.03.1914).
20 [Paolo ALBERA], Manuale del direttore, San Benigno Canavese, Scuola Tipografica
Don Bosco, [1915], pp. 57-58.
21 ACS 1 (1921) 143.

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 105
– il sistema preventivo come l’«unico mezzo che noi abbiamo per esercitare una
efficace influenza sul cuore dei nostri alunni», e aggiungeva: «unico metodo
educativo che convenga a religiosi e che sia in perfetta armonia con la legisla-
zione attuale»22.
In questi nostri incontri, però, dobbiamo fare un discorso di carattere «in-
terno»: cercheremo anzitutto d’individuare i mezzi e i sussidi – i canali – me-
diante i quali, «dal Centro» della Congregazione, erano comunicati gli orienta-
menti o «linee pedagogiche» ai Salesiani, impegnati nella realizzazione della
loro missione di educatori secondo il sistema preventivo. Ne enuncio e docu-
mento i più rilevanti, aggiungendo qualche cenno di chiarificazione.
3.1. La vita, le parole e gli scritti di don Bosco
Gli studi più recenti e attendibili evidenziano un fatto importante:
«Su tutti i canali di formazione dei religiosi educatori, in stile salesiano, do-
minava il costante coinvolgimento nel lavoro comune sia a livello locale
che generale, effettivamente o idealmente in sintonia con il Fondatore e
superiore generale, don Bosco. Il suo essere e il suo agire costituivano il
riferimento e il modello più attendibile, nella reinterpretazione vissuta
della salesianità boschiana, in ottica assistenziale, educativa, religiosa […].
Da don Bosco gli educatori e superiori, apprendisti o già provetti, impara-
vano quasi per osmosi quale dovesse essere il tratto fondamentale della loro
professione» 23.
I primi mezzi o canali di comunicazione dell’eredità pedagogica salesiana
sono senz’altro la vita, le parole e gli scritti di don Bosco.
3.1.1. Vita e parole
Vissuti e formati in tale clima e persuasi dell’efficacia formativa dell’espe-
rienza, i massimi responsabili della Società salesiana ritengono di prioritaria im-
portanza l’incontro con le vicende delle origini, in particolare con la vita di don
Bosco, il racconto e la proposta della propria testimonianza. E così lo manife-
stano ai confratelli. Già nel 1886, il Consigliere scolastico generale, riferendosi
al senso religioso dell’insegnante, faceva riferimento alle «massime, che
abbiamo felicemente apprese dalle parole e dagli scritti dell’amatissimo nostro
D. Bosco e sono la norma della nostra vita educativo-didattica, non saranno mai
abbastanza inculcate e ripetute» 24.
22 Lettere circ. di don M. Rua, 391 (31.01.1908).
23 Pietro BRAIDO, Don Bosco prete dei giovani nel secolo delle libertà, vol. II, Roma,
LAS, 2003, pp. 234-235.
24 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (06.10.1886).

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106 José Manuel Prellezo
Don Barberis, maestro dei novizi, riferendosi al sistema preventivo, inse-
gnava ai futuri salesiani: «Don Bosco non lo scrisse che nelle linee generali; ma
già anche da questo poco escono tali sprazzi da non lasciarci camminare all’o-
scuro in fatto di educazione. Lo applicò poi intieramente sotto i nostri occhi; ed
io quanto dissi fin qui dell’educazione, e specialmente quanto dirò in seguito,
tutto cerco di modellare sopra quello, e tutti questi appunti non sono che applica-
zione di quanto egli insegnò a praticare secondo il metodo tracciato»25.
Nel Manuale del direttore (1915), don Albera, Rettor Maggiore, asseriva:
«Per acquistare il vero spirito salesiano nella direzione dei giovani il diret-
tore legga attentamente, rilegga ancora e sempre la vita e gli scritti del Ve-
nerabile Padre, particolarmente le auree pagine sul suo Sistema Preventivo
che precedono la II parte del Regolamento per le nostre case. Veda di assi-
milare gli insegnamenti, di impregnarsi delle sue massime per riprodurre e
perpetuare in sé la nobile figura paterna e così comunicarne lo spirito ai
suoi collaboratori. Ma questi mirabili insegnamenti letti e riletti mille volte,
seriamente meditati ed anche applicati, serviranno ben poco se non hanno
per base l’autorità dell’esempio. Il gran successo di D. Bosco nell’educa-
zione della gioventù lo si deve ripetere più dalla santità della sua vita che
dalla sapienza dei suoi insegnamenti»26.
Don Barberis, come Direttore spirituale, segnalava nel 1920 una strada da
percorrere: «Chi pertanto vuole praticare convenientemente lo spirito di D. Bosco
nell’educazione della gioventù (e noi tutti, certo, lo vogliamo) deve modellarsi
sopra di lui»27. «Del resto – ripeteva don Albera dal canto suo – l’intera sua vita
non è altro, si può dire, che una continua, mirabile applicazione di tali norme»28.
Il confronto con la sorgente si avvertì sempre più indispensabile e vitale
con il passare del tempo. Negli ultimi anni del periodo che esaminiamo, il Rettor
Maggiore, mentre avvertiva con preoccupazione i fatti, tracciava una direttiva:
«Vi sono tanti, anche fra noi, che parlano di D. Bosco solo per quel che ne
sentono dire; donde la necessità vera e urgente che con grande amore se ne
legga la vita, con vivo interesse se ne seguano gl’insegnamenti, con affetto
filiale s’imitino i suoi esempi»29.
3.1.2. Lettura e diffusione degli scritti
La lettura della vita di don Bosco si doveva completare, dunque, con la co-
noscenza e l’approfondimento dei suoi «insegnamenti»; in particolare, quelli
raccolti negli scritti.
25 Giulio BARBERIS, Appunti di pedagogia sacra esposti agli ascritti della Società di
S. Francesco di Sales, [Torino], Litografia Salesiana, 1897, p. 277.
26 [P. ALBERA], Manuale, pp. 289-290.
27 ACS 1 (1920) 37.
28 Lettere circ. di don P. Albera, p. 312.
29 Ibid., 324 (24.06.1920).

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 107
Benché solo abbozzata nelle circolari mensili, non è priva d’interesse l’in-
dicazione che per conoscere adeguatamente il pensiero educativo di don Bosco,
si consideri necessario conoscere le sue opere – tutte le opere –, soprattutto,
«quelle indirizzate a promuovere la pietà ed il buon costume e a far cono-
scere ed amare la Chiesa e i Papi. Ciò gioverà assai a mantenere viva in noi
la memoria, l’affetto e lo spirito di Don Bosco e a perseverare nella nostra
vocazione» 30.
Nella sua circolare del 2 marzo 1914, il riferimento di don Cerruti agli in-
segnamenti del Fondatore è molto più evidente: intende
«richiamare alla nostra mente non solo le pubblicazioni sue strettamente pe-
dagogiche, quali sono il Sistema preventivo nell’educazione e i Regola-
menti pe’ maestri, assistenti ed alunni, ma ancora que’ principii, quelle mas-
sime educative che sono largamente sparse nelle sue opere, segnatamente
nelle Vite de’ Papi, preziosa e troppo poco conosciuta miniera di erudi-
zione, nella Storia d’Italia, nelle vite di Savio Domenico, Magone, Besucco
e di altri eletti fiori di Paradiso».
Spiegabilmente, le due operette più citate sono i Ricordi confidenziali e Il
Sistema preventivo nell’educazione della gioventù.
a) Ricordi confidenziali ai direttori. Inviato nel 1863 a don Rua, novello di-
rettore a Mirabello, lo scritto costituiva una semplice lettera di carattere privato.
In seguito – dal 1871 – con modifiche e integrazioni consigliate da nuove espe-
rienze e considerazioni, don Bosco lo presenterà come «Ricordi confidenziali ai
Direttori delle case particolari della società salesiana» e anche «Testamento che
indirizzo ai Direttori delle case particolari»31.
Le pagine del fascicolo furono oggetto di riflessione nel settimo CG del
1895. I verbali della seduta IV registrano: «Si comincia colla lettura e commento
dei Ricordi confidenziali di D. Bosco ai Direttori». Seduta V: «Dopo che il
Rettor Maggiore ebbe continuato a leggere altri Ricordi confidenziali di D.
Bosco ai Direttori»32. Don Rua finì di «leggere e commentare» lo scritto nella
seduta VI.
I Ricordi confidenziali furono letti ugualmente nel Primo Capitolo Ameri-
cano Salesiano del 1901. E nelle riunioni degli Ispettori europei del 1907 venne
formulato questo orientamento: «I Direttori farebbero ottima cosa se nel giorno
dell’esercizio di buona morte rileggessero attentamente i Ricordi confidenziali di
D. Bosco che racchiudono tanta sapienza pedagogica»33.
30 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (30.06.1904).
31 Si può consultare l’edizione critica dello scritto, a cura di F. Motto, in G. BOSCO,
Scritti pedagogici..., pp. 71-86.
32 Atti del settimo CG, pp. 58, 79.
33 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.

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108 José Manuel Prellezo
b) Il Sistema preventivo nell’educazione della gioventù. È risaputo che l’at-
tenzione si centrò, in modo speciale, sempre e dappertutto (anche fuori degli am-
bienti salesiani) sullo scritto del 1877: Il Sistema preventivo nell’educazione
della gioventù, più volte edito, prima nel Regolamento per le case e poi in pub-
blicazione autonoma.
Le citazioni a questo proposito potrebbero essere particolarmente nume-
rose. Soprattutto quelle tratte dalle lettere mensili. Mi limito a riportare qui solo
le testimonianze dei rettori maggiori: «Perché non rimanga lettera morta il si-
stema preventivo, [il direttore] – scrive don Rua il 24 agosto del 1894 – faccia
leggere sovente le auree pagine che ne scrisse Don Bosco»34. Dette pagine fu-
rono definite dal Rettor Maggiore e proposte ai Salesiani come «La Magna
Charta de’ nostri Istituti»35.
Negli ACS del 1920, don Albera invitava i Salesiani a meditare seriamente
e ad analizzare minutamente lo scritto sul sistema preventivo, insistendo che
esso era da considerare la «Magna Carta della nostra Congregazione»36. Nel
1915, il Rettor Maggiore aveva scritto:
«Per acquistare il vero spirito salesiano nella direzione dei giovani il diret-
tore legga attentamente e rilegga ancora e sempre la vita e gli scritti del Ve-
nerabile Padre, particolarmente le auree pagine sul suo Sistema Preventivo
che precedono la II parte del Regolamento per le nostre case»37.
3.2. I documenti normativi
Nel periodo considerato sono reiterati e forti i richiami ai documenti di ca-
rattere strettamente vincolante e normativo.
3.2.1. Costituzioni e Regolamenti
Il richiamo a tali documenti appare strettamente connesso con il tema della
formazione e della preparazione per l’insegnamento. Infatti, il secondo CG del
1880 stabilì: «Gli studi della Società Salesiana sono regolati secondo il capo do-
dicesimo delle nostre Costituzioni». E ancora: «Nessun maestro sia messo in
classe ad insegnare, se prima non ha letto e compreso il regolamento della casa
nella parte che lo riguarda»38.
Nella circolari mensili, gl’ispettori e direttori delle case del Nuovo Conti-
nente sono invitati, in sintonia con le Deliberazioni dei CG, a «far rileggere e ri-
34 Lettere circ. di don M. Rua, p. 117 (24.08.1894).
35 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.01.1915).
36 ACS 1 (1920) 66.
37 [P. ALBERA], Manuale, pp. 289-290.
38 Deliberazioni del secondo Capitolo Generale della Pia Società Salesiana. Tenuto in
Lanzo Torinese nel settembre 1880, Torino, Tipografia Salesiana, 1882, p. 72.

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 109
spiegare attentamente a’ maestri e assistenti le massime pedagogiche così impor-
tanti del nostro buon padre D. Bosco, contenute ne’ capitoli del Regolamento
delle case, che li riguardano»39.
L’invito si ripete sistematicamente all’inizio dell’anno scolastico nelle case
dell’Antico Continente.
È eloquente, a questo proposito, l’intervento dello stesso don Bosco in una
delle adunanze capitolari del 1884. Riferiscono i verbali:
«D. Bosco entra a parlare della riforma della casa dell’Oratorio. Ho esami-
nato il Regolamento che si praticava ai tempi antichi e dico essere persuaso
che devesi praticare eziandio a’ giorni nostri lo stesso poiché provvede e
antivede tutti i bisogni. Bisogna che il direttore comandi. Che sappia bene il
suo regolamento e sappia bene il regolamento degli altri e tutto quello che
debbono fare»40.
Don Rua esprimeva con chiarezza il suo pensiero, due anni dopo la morte
di don Bosco, scrivendo ai Salesiani, come già ricordato:
«Non si parli di riformare il sistema, bensì ciascuno riformi il proprio me-
todo e la propria condotta, se non sono conformi ai nostri regolamenti. Ri-
corderete pur voi quanto il nostro caro Don Bosco ci inculcasse di guardarci
dal ticchio delle riforme»41.
Gli ispettori europei riuniti attorno al Capitolo Superiore, nel 1907, dichia-
ravano: «si dia la dovuta importanza a quanto è prescritto dalle Costituzioni, dai
Regolamenti e dalle varie lettere dei Superiori»42. Il cenno alla prescrizione dei
Regolamenti presentava speciale rilevanza, perché, pochi mesi prima, aveva
visto la luce una nuova edizione del Regolamento per le case, approvata dal de-
cimo CG del 1904. Nella seconda parte – intitolata «Sistema educativo salesiano
e ufficii particolari» –, accanto alle tradizionali pagine su «Il sistema preventivo
nella educazione della gioventù», viene introdotto un capitolo – con il titolo
«Educazione» –, in cui gli ottantatré brevi articoli che lo integrano sono organiz-
zati seguendo uno schema vicino a quello usato nei manuali dell’epoca: a) edu-
cazione morale, b) educazione religiosa, c) vocazione, d) educazione intellet-
tuale, e) educazione fisica43.
39 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (30.01.1900).
40 ASC D269 Verbali (04.07.1884).
41 Lettere circ. di don M. Rua, p. 43 (27.12.1889).
42 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.
43 Regolamento per le case della Pia Società di S. Francesco di Sales, Torino, Tipografia
Salesiana, 1906, pp. 85-99. Non si avvertono varianti di rilievo nell’edizione del 1920. Va sot-
tolineata l’istanza «vocazionale». Si dice tra l’altro: «Si facciano sovente delle conferenze a
quelli delle classi Superiori parlando della convenienza di scegliersi uno stato, non inculcando
la necessità della vita religiosa o ecclesiastica, ma facendo conoscere tanto i beni di queste,
quanto i beni di altre strade e come in tutte si servi Dio» (art. 351). Nell’edizione del 1924

2.2 Page 12

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110 José Manuel Prellezo
Il riferimento a tali documenti sarà spesso riaffermato da parte dei Supe-
riori di Torino, in contesti diversi, in modo particolare accennando al tema che ci
riguarda. Nelle circolari mensili, il Consigliere scolastico richiama sovente
«le norme educative, didattiche e disciplinari contenute ne’ nostri Regola-
menti e svolte ripetutamente da’ Superiori a voce e per iscritto, ed osserva
che esse debbono essere oggetto particolare di studio e di attuazione negli
ultimi mesi dell’anno scolastico, sicché i nostri giovani e riescano feli-
cemente negli esami, e conseguiscano un’educazione cristiana, soda ed
intera» 44.
3.2.2. Deliberazioni dei Capitoli Generali
Tali raccomandazioni sono spesso completate con i riferimenti alle deci-
sioni prese dal supremo organismo legislativo della Società Salesiana. Don Rua
scrive nel 1894: «Dalle sante nostre Costituzioni e dalle Deliberazioni dei Capi-
toli Generali prendete le norme sul modo di trattare coi confratelli, cogli allievi
e cogli estranei» 45. L’autorevolezza delle Deliberazioni dei CG poggia sugli
interventi dello stesso don Bosco. Nella adunanza del Capitolo Superiore del
5 giugno 1884, egli prende la parola e, alludendo a un momento delicato della
sua prima istituzione, avverte: «Si tratta di vedere e di studiare ciò che debba
farsi e ciò che debba evitarsi per assicurare la moralità fra i giovani e per colti-
vare le vocazioni. Già si stabilirono varie norme nel Capitolo generale che sono
stampate» 46.
In sintonia con detto orientamento, i documenti capitolari erano inviati ai
responsabili nei vari settori, con l’invito a rispettare le decisioni riguardanti i
propri ambiti di competenza. Il Consigliere scolastico generale scriveva nel
1887, vivente ancora don Bosco, agli ispettori e direttori:
«Ti mando le qui unite Deliberazioni [del terzo e quarto CG]. Come ve-
drai, esse trattano un punto della massima importanza pel decoro e la pro-
sperità stessa della nostra Pia Società, qual è quello degli studi teologici.
Ne raccomando quindi, per la parte che riguarda ciascuno, la più fedele
esecuzione» 47.
scompaiono gli articoli riguardanti la «vocazione»; gli altri articoli (in parte rielaborati) sono
organizzati in quattro capitoli: I. Educazione morale, II. Educazione religiosa, III. Educazione
intellettuale e professionale, IV. Educazione fisica e igiene – Regolamenti della Società Sale-
siana, Torino, SEI, 1924, pp. 58-68 (art. 112-151). Cf ASC D585-587 Capitolo Generale X
1904. Membri della commissione incaricata del «riordino delle deliberazioni ecc.»: Rocca
Luigi (pres.), Manassero Emanuele (relat.), Bologna Giuseppe, Scaloni Francesco, Vespignani
Giuseppe, Ercolini Domenico, Farina Carlo.
44 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.05.1910).
45 Lettere circ. di don M. Rua, 113 (24.08.1894).
46 ASC D269 Verbali (05.06.1884).
47 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (18.04.1887).

2.3 Page 13

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 111
Alla forza vincolante delle Deliberazioni capitolari si rifà il Capitolo Supe-
riore e ognuno dei singoli membri, specialmente i consiglieri scolastico e profes-
sionale generali nell’ambito delle materie di loro competenza: programmi d’in-
segnamento, orientamenti didattici, pubblicazioni scolastiche, libri di testo,
grado d’istruzione richiesta ai futuri membri della Società salesiana, fondazione
di studentati filosofici e teologici.
Una raccomandazione si ripete: prendere in considerazione e mettere in
pratica quanto «stabilito dalle nostre deliberazioni»48.
3.2.3. Atti dei Convegni degli Ispettori dell’Europa
Documenti meno diffusi e noti, ma di indubbio interesse, sono quelli pro-
dotti dalle conferenze o convegni tenuti dagli ispettori europei, nel 1907 e 1912,
assieme ai membri del Capitolo Superiore.
Il 18 gennaio 1912, don Albera si riferiva in una sua circolare all’origine e
al significato dell’iniziativa. Uno degli ultimi desideri di don Rua era stato pre-
cisamente quello di radunare, di tanto in tanto, gli ispettori attorno al Capitolo
Superiore, per dar principio a una serie di conferenze, in cui
«ciascuno esponesse le proprie idee, ed apportasse il contributo della pro-
pria esperienza, di modo che tutti insieme, animati dallo spirito del Ven. D.
Bosco e sotto lo sguardo della Vergine Ausiliatrice, esaminassero bene i bi-
sogni delle case da loro dipendenti, e di comune accordo cercassero quei
mezzi che sembrassero più atti a far fiorire nella loro potente vitalità le
opere salesiane».
«A me pare – continuava il Rettor Maggiore – che in queste conferenze ba-
sterebbe ricordare gl’insegnamenti di D. Bosco sul sistema preventivo, i
suoi ricordi confidenziali ai direttori e le varie disposizioni emanate dai
Capitoli Generali per venire a pratiche conclusioni utilissime per la buona
direzione delle case salesiane»49.
Ma in più d’un caso, gli obiettivi proposti furono superati positivamente.
Finiti i lavori del 1912, don Albera inviò i verbali delle adunanze anche
agli ispettori dell’America. Nella lettera di presentazione scriveva, tra l’altro:
«Vorrei adunque che leggeste anzitutto voi in privato questi verbali, appro-
vati seduta per seduta dai convenuti, e che ne faceste poi argomento di
studio coi vostri consigli e, se fosse possibile, con un prossimo Capitolo di
tutti i direttori della vostra ispettoria in modo che ogni casa, ogni confra-
tello abbia ad sperimentare i benefici effetti di queste adunanze. Riceverò
poi con gratitudine quelle osservazioni che una attenta lettura e studio e
soprattutto la pratica attuazione di queste raccomandazioni abbia potuto
suggerirvi» 50.
48 ASC D270 Verbali (16.01.1905).
49 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (18.01.1912); ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.
50 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.

2.4 Page 14

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112 José Manuel Prellezo
3.2.4. Atti del Primo Capitolo Americano della Pia Società Salesiana
(1902)
Altro documento, mi pare, poco noto. Il Primo Capitolo Americano – cele-
brato nel 1901 – fu presieduto da mons. Cagliero, da mons. Costamagna e da
don Paolo Albera, Direttore spirituale generale. Vi presero parte gli ispettori e
direttori dell’America Latina. Gli Atti, pubblicati in edizione litografica, furono
inviati alle diverse case. Nella presentazione, don Albera specificava: Il
«lavoro del 1º Capitolo Americano si può compendiare in una parola: appli-
care alle speciali condizioni ed ai bisogni delle case e missioni d’America
le Costituzioni, le Deliberazioni dei Capitoli Generali e le usanze e tradi-
zioni Salesiane»51.
Presentano speciale importanza due temi: Formazione e assistenza del perso-
nale salesiano (cap. III), Sistema preventivo. Studio e pratica del sistema (cap. V).
3.3. I documenti di animazione e di governo
All’interno di questo gruppo ho inserito, per ragioni pratiche, documenti
con caratteristiche diverse. Alcuni di essi, rimasti finora inediti, non sono arrivati
direttamente ai confratelli; ma la loro consultazione risulta oggi di estremo inte-
resse per capire il contesto, la genesi e la portata di direttive importanti veicolate
attraverso altri canali. Mi riferisco in concreto ai volumi che contengono i ver-
bali delle riunioni del Capitolo Superiore, oggi Consiglio Generale.
3.3.1. Verbali delle riunioni del Capitolo Superiore
Per quanto spesso schematici, sono di speciale interesse i vivaci scambi di
pareri all’apertura di case e opere. Nei verbali del primo volume don Bosco
stesso esprime il suo punto di vista riguardo a determinati argomenti, e non
sempre trova il pieno consenso di tutti i membri del Capitolo. Negli anni se-
guenti non sono casi isolati quelli in cui emergono pareri differenziati e anche
dissensi tra i capitolari di fronte a determinate opere o situazioni. È obbligata
dunque la lettura dei Verbali delle riunioni capitolari se si vogliono capire le mo-
tivazioni delle diverse posizioni.
Vi si riscontrano inoltre dati e indicazioni riguardanti altri documenti nor-
mativi e di animazione e di governo.
51 Atti del Primo Capitolo Americano, pp. iii-iv.

2.5 Page 15

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 113
3.3.2. Le «Circolari mensili» agli ispettori e gli «Atti del Capitolo Su-
periore»
Nella adunanza capitolare del 20 aprile 1920, don Filippo Rinaldi volle
chiarire l’origine e la natura degli antichi mezzi di comunicazione all’interno
della Congregazione: in un primo momento si riducevano ad «un bigliettino che
si mandava ai direttori – poi si è ampliato e venne la circolare – il prefetto co-
municava questi bigliettini e firmava la circolare o lettera mensile».
Detti «bigliettini» – autografi di don Rua o copiati da vari amanuensi – ve-
nivano inviati ai Salesiani già negli ultimi anni della vita di don Bosco. Dal 1887
fino al 1920, le circolari mensili furono firmate dai successivi prefetti generali.
Nella circolare del mese di ottobre del 1887, don Rua fa altre precisazioni sul-
l’importanza e sui cambiamenti introdotti in tali mezzi di comunicazione e di
governo:
«Ripigliando – scrive – la nostra corrispondenza mensuale comincerò dal
raccomandare l’esattezza nel rispondere alle Circolari che ogni mese sa-
ranno spedite sia da me, sia dagli altri membri del Capitolo Superiore. Ti
annunzio intanto che d’accordo con tutto il Capitolo stesso per dare mag-
giore facilità a tale corrispondenza per evitare duplicazioni, in via di esperi-
mento d’ora avanti io raccoglierò per regola ordinaria le dimande e disposi-
zioni degli altri membri del Capitolo e le comunicherò direttamente agli
Ispettori, i quali soddisferanno ai diversi quesiti in fogli distinti diretti a chi
di ragione» 52.
Nella ricerca riguardante le linee pedagogiche della Congregazione biso-
gnerà tenere presenti le «dimande e disposizioni» comunicate dal Rettor Mag-
giore e dal Direttore spirituale, ma soprattutto quelle che i consiglieri scolastici e
professionale consegnavano al Prefetto generale da inserire nella circolare men-
sile. Nei loro contributi troviamo informazioni di natura scolastica, richiami al
pensiero pedagogico di don Bosco e alla normativa salesiana, orientamenti educa-
tivo-didattici, massime pedagogiche ricavate da pedagogisti classici e moderni.
Lo sviluppo della Società salesiana nelle prime decadi del secolo XX com-
portò, però, più adeguati mezzi di comunicazione e di governo. Il tema fu messo
all’ordine del giorno nell’adunanza capitolare del 16 aprile 1920:
«Si discute molto se debbano uscire gli Atti del Capitolo Superiore invece
della solita circolare mensile. Si dice che omai la Congregazione è tanto
estesa che si hanno molte cose a comunicare – che le stesse circolari an-
nuali e anche più frequenti possono avere posto negli atti con meno possibi-
lità di smarrirle. D. Ricaldone osserva che la lettera ha un carattere più di
famiglia e serve meglio all’unione – alla paternità – gli Atti diventeranno
lunghi, non si leggeranno, non servono a fomentare la famigliarità»53.
52 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (26.10.1887).
53 ASC D272 Verbali (18.04.1920).

2.6 Page 16

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114 José Manuel Prellezo
Si ritornò sull’argomento nei giorni successivi, giungendo alla conclusione
di chiudere la pur importante esperienza delle Circolari mensili. Nel rendere
pubblica la decisione, il Rettor Maggiore ne presentava i motivi:
«Avviene […] facilmente che tali Circolari, non avendo alcun legame tra
loro, vadano talora smarrite, rendendo così incompleta la collezione; per lo
stesso motivo esse non riescono facili a consultarsi in pratica, riducendo
perciò assai il bene, che da esse si ripromettono i Superiori. Di più, special-
mente riguardo alle Circolari mensili, la loro invariabile periodicità può
scemare quell’interesse, che dovrebbero suscitare, secondo il noto principio
“ab assuetis non fit passio”».
Per
«ovviare a questi inconvenienti – aggiunge don Albera –, e per rendere più
diretti e saldi i rapporti che stringono tutte le Case col centro della Pia So-
cietà, il Capitolo Superiore ha deliberato di comunicare i suoi Atti ai Con-
fratelli in un Fascicolo intitolato “Atti del Capitolo Superiore della Pia So-
cietà Salesiana”, che, d’ordinario, si pubblicherà ogni due mesi […]. Nella
prima parte si riporteranno i varii Atti che emanano o direttamente da tutto
il Capitolo Superiore o dai singoli membri del medesimo, per quello che ri-
guarda l’ufficio proprio di ciascuno di loro. Essa costituisce quindi la parte
principale e, direi, ufficiale di questa pubblicazione. Il Capitolo Superiore
confida che anche questo nuovo mezzo sia per giovare al bene di tutta la
Pia Società, stringendo sempre più i vincoli che uniscono i Confratelli ai
Superiori Maggiori, e ravvivando di continuo quello spirito di Don Bosco,
che deve animare tutte le nostre opere»54.
3.3.3. Circolari particolari dei membri del Capitolo Superiore
Gli ACS non erano chiamati, tuttavia, a sostituire del tutto le Circolari par-
ticolari che i singoli membri del Consiglio pubblicavano. Anzi, se ne ribadiva
esplicitamente l’importante funzione (1920):
«Per favorire e agevolare lo sviluppo organico della nostra Pia Società, e
per avvivare negli animi e nei cuori lo spirito del nostro padre, i Superiori
Maggiori hanno sempre usato di rivolgere, di tempo in tempo, o a tutti i
Confratelli, o ai Superiori delle Case e delle Ispettorie, le loro deliberazioni
e i loro consigli mediante Lettere Circolari. La raccolta di tali Lettere, di
vario genere, forma già una collezione voluminosa, e costituisce una fonte
preziosissima di norme piene di saggezza, a cui dovremmo attingere
sempre con riverenza e con amore»55.
Convinto della rilevanza di quei mezzi di comunicazione dell’eredità sale-
siana, don Rua aveva dichiarato venti anni prima: il Rettor Maggiore «desidera
54 ACS 1 (1920) 1-2.
55 ACS 1 (1920) 1.

2.7 Page 17

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 115
vivamente che si faccia in modo che le circolari particolari sue e dei membri
del Capitolo Superiore siano portate sollecitamente a conoscenza di tutti i con-
fratelli» 56.
Ed era questo un argomento sul quale il Consigliere scolastico generale ri-
tornava ugualmente sovente. Ad esempio, nella circolare del mese di novembre
del 1915:
«Prego intanto i direttori che nella prima adunanza di maestri e assistenti
leggano e spieghino questa circolare e ne curino con amore l’esecuzione.
Mi sta a cuore che la serie di compiti, di cui si parla, rispecchi bene l’anda-
mento scolastico delle singole case nell’anno corr. 1914-15»57.
Si conservano più di un centinaio di circolari personali, in cui Cerruti, Di-
rettore generale degli studi e delle scuole salesiane, tocca temi educativi e didat-
tici. Esse costituiscono senz’altro «una fonte preziosissima» per la ricerca sulle
linee pedagogiche della Congregazione salesiana nel periodo studiato.
3.3.4. Programmi d’insegnamento
Accanto al contributo dato alle Circolari mensili e alle proprie circolari, il
Consigliere scolastico generale assumeva il compito di elaborare i programmi
scolastici. Egli, d’accordo con le Deliberazioni del primo e secondo CG del
1877 e 1880, in quanto Direttore generale degli studi e delle scuole, predispo-
neva, anno per anno, i Programmi d’insegnamento relativi ai diversi livelli d’i-
struzione: dal grado elementare allo studio della filosofia e teologia dei Sale-
siani. Si riteneva questa pratica un mezzo efficace per la promozione dei centri
di studio ed un prezioso aiuto per la maturazione personale degli insegnanti e
educatori.
Nel periodo considerato, occupa un posto importante ancora don Cerruti.
Egli rimase in carica dal 1885 al 1917. Lo precedette don Celestino Durando e
gli succedette alla morte, don Arturo Conelli.
Il Consigliere scolastico non si limitò a compilare e inviare puntualmente il
programma e a ricordare l’importanza e l’obbligo di seguirlo, segnalava anche i
testi, proponeva i temi d’esame, esigeva il rendiconto scolastico semestrale. E
chiedeva agli ispettori di «raccomandare ai tuoi direttori, che diano a ciascuno
insegnante una copia dei programmi scolastici e che vi si attengano»58.
In questo lavoro contò sempre sull’appoggio del Rettor Maggiore. Dopo la
morte di don Bosco, scriveva infatti don Rua ai Salesiani:
56 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.03.1905).
57 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (15.11.1915).
58 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (25.10.1888). Una raccolta dei Programmi di teologia
in ASC E318.

2.8 Page 18

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116 José Manuel Prellezo
«Allontaniamo ogni smania di cambiamento. Il nostro Consigliere scola-
stico pubblica ogni anno il nostro programma; uniformiamoci a questo. In
esso si cerca di conciliare il nostro insegnamento ed il bene dei giovani
colle esigenze governative; e questo deve bastarci»59.
Data l’impostazione dell’organizzazione centrale, in un primo momento,
anche i programmi per le scuole elementari e medie e i saggi per gli esami erano
inviati a tutte le case; poi, alle sole scuole italiane.
3.3.5. Manuale del direttore (1915)
Rispondendo al «desiderio espresso dai capitoli generali che si preparas-
sero cioè manuali per le varie cariche», don Albera pubblicò, il Manuale del
direttore (già citato).
Al comunicare la notizia ai Salesiani, il Rettor Maggiore commentava:
«Scopo di questo manuale […] si è quello di conservare integro, in ogni
casa della nostra Pia Società lo spirito del Venerabile Padre e Fondatore
D. Bosco. Esso contiene le norme con cui il Direttore deve diportarsi e
quanto deve fare per lavorare efficacemente a conservare lo spirito di D.
Bosco nella Casa alle sue cure affidata. Norme desunte da quanto ci hanno
lasciato scritto D. Bosco e D. Rua»60.
Nell’Introduzione al volume, si precisava:
«questo Manuale è nient’altro che la raccolta ordinata, ma genuina, di
quanto don Bosco e D. Rua ci lasciarono scritto per norma dei direttori
[…]. Perché poi il Manuale riuscisse completo e corrispondente al fine cui
è destinato, si sono introdotti alcuni tratti delle Circolari che io stesso aveva
inviato a tutti i salesiani nella mia qualità di Rettor Maggiore e aggiunte
altre raccomandazioni che la necessità dei tempi e le nuove condizioni dei
nostri istituti sembravano richiedere»61.
Pochi mesi dopo la pubblicazione, anche il Direttore spirituale della Con-
gregazione sottolineava il valore del sussidio, raccomandando «grandemente che
in questo cominciare dell’anno ciascun direttore si faccia un preciso dovere di
rileggere molto attentamente e posatamente il Manuale del Direttore […] una
guida sapiente, pratica e sicura»62.
59 Lettere circ. di don M. Rua, 43 (27.12.1889).
60 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.04.1915).
61 [P. ALBERA], Manuale, p. 5.
62 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (25.10.1915).

2.9 Page 19

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 117
3.4. Altri mezzi e sussidi
L’elenco dei documenti di animazione e di governo che hanno costituito
mezzi e canali di comunicazione delle linee pedagogiche salesiane andrebbe an-
cora prolungato: lettere personali, edite e inedite, dei diversi membri del Consi-
glio; Atti dei Convegni dei Cooperatori, Atti degli Oratori festivi, Bollettino Sa-
lesiano... (a questo riguardo, rimando al contributo di don Biancardi in questo
Seminario).
Mi limito qui a fare un cenno alle Biografie esemplari dei salesiani defunti.
Si tratta di un mezzo particolarmente indicativo. Il rapporto inestricabile tra
teoria e pratica, idee ed esperienza quotidiana viene, ancora una volta, messo
in risalto.
Don Albera, presentando le circolari di don Rua, nel 1910, mette l’accento
su tale rapporto: «La vita di D. Rua fu un continuo studio d’imitare il Venerabile
D. Bosco […] D. Rua poté dirsi un altro D. Bosco»63.
Il Direttore spirituale della Congregazione, da parte sua:
«Per animare sempre più i confratelli alla pratica del Sistema preventivo
suggerisce di far leggere nel refettorio dei Superiori i Ricordi biografici di
D. Salvatore Gusmano (Un educatore apostolo) così ben tratteggiati dal
caro D. Anzini, editi dalla SAID. Questa biografia deve servire in modo spe-
ciale di modello agli assistenti, affinché capiscano sempre meglio l’impor-
tanza di un’assistenza dolce ma continua, se si vuole ottenere buon risultato
nella educazione dei giovani e specialmente grande pietà e moralità. A
questo scopo se ne invia copia a tutte le case»64.
E un anno dopo, viene presentata la vita di Salvatore Gusmano come «un
trattato di formazione salesiana»65.
Il tema delle Biografie dei salesiani defunti fu sentito già alle origini. Un
volumetto del 1881 (Torino, Tipografia Salesiana, 1882) porta una breve intro-
duzione, in cui don Bosco indica la finalità dei cenni biografici presentati: utili
«specialmente più a noi, che ci potremo sentire eccitati ad imitarne gli esempi
che ci hanno lasciato ed a seguirne le norme». Ho citato già Il vade mecum degli
ascritti salesiani: ammaestramenti e consigli esposti agli ascritti della Pia So-
cietà di S. Francesco di Sales (1901). Lo conosciamo tutti e alcuni lo abbiamo
letto nel noviziato. Il volume, presentato da don Rua, portava un NB.: «Tutti gli
Ascritti abbiano una copia di questo manualetto: procurino nell’anno di novi-
ziato, di leggerlo più volte, e di praticarlo con una esattezza assoluta. Esso dovrà
servir loro anche negli anni seguenti»66. Don Barberis chiude quasi tutti i capi-
63 Lettere circ. di don M. Rua, p. v.
64 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.10.1917). Si riferisce a Un educatore apostolo, «Don
Salvatore Gusmano» (1875-1907): ricordi biografici raccolti dal Sac. –, Torino, SEI, 1917.
65 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.10.1918).
66 G. BARBERIS, Vade mecum... I, p. x.

2.10 Page 20

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118 José Manuel Prellezo
toli del volume con un breve profilo di salesiani defunti, più o meno noti: Vit-
torio Alasonatti, Giuseppe Buzzetti, Giovanni Bonetti, Camilo Ortúzar: «Questi
esempi di operosità straordinaria, di abnegazione e di spirito di preghiera, sono
quelli che devono guidare te, mio buon novizio, se vuoi un giorno riuscire un
degno figlio di d. Bosco, un degno confratello salesiano»67.
Non si trova un capitolo sul sistema preventivo; ma, nella lettura 2, «D.
Bosco fonda la Pia Società Salesiana», offre un suggestivo racconto del lavoro
di don Bosco per la «salvezza della gioventù»68.
4. Eredità pedagogica da comunicare e mettere in pratica secondo i bisogni
dei tempi: i contenuti
Nella recente opera, Don Bosco, prete dei giovani nel secolo delle libertà
(2003), don Braido fa una affermazione che sintetizza felicemente un dato ormai
acquisito dalla storiografia donboschiana: «Il don Bosco più reale e vero […] si
rivela prima e anzitutto nella molteplicità del fare […]. I fatti, le opere, sono il
suo essere e il suo messaggio»69.
Direi che qualche cosa di analogo si debba affermare parlando dei collabo-
ratori e primi continuatori. I contenuti dell’eredità pedagogica comunicata e da
comunicare (norme, decisioni, direttive, orientamenti…) vanno riscontrati anzi-
tutto nelle scelte fatte riguardo ai destinatari che intendono raggiungere, le opere
e istituzioni intraprese, l’organizzazione e messa in pratica delle diverse tappe
formative.
Partendo da tali scelte e realizzazioni, riuscirà più agevole tracciare un
quadro generale degli elementi e tratti essenziali.
4.1. I destinatari delle opere: i giovani del «ceto medio e della classe povera»
In apertura dell’esposizione ho documentato una convinzione che si andò
radicando sempre più nel periodo da noi considerato: la «Società salesiana è una
congregazione per l’educazione». Altrettanto radicato appare il convincimento
che i destinatari dell’opera salesiana sono i «giovani». Anche se qualche volta si
usava il termine «giovanetti» o «ragazzi», la sostanza non cambia. Invece, se si
vuole precisare il tipo di giovani di cui si fa parola, la puntualizzazione riesce al-
quanto più ardua. Infatti, nel Regolamento per le case (1877), più volte ristam-
pato, la formulazione è piuttosto aperta:
67 G. BARBERIS, Vade mecum..., p. 75.
68 Ibid., pp. 25-37.
69 P. BRAIDO, Don Bosco prete dei giovani... I, p. 17.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 119
«Scopo generale delle Case della Congregazione è soccorrere, beneficare il
prossimo, specialmente coll’educazione della gioventù […]. La congrega-
zione non si rifiuta per qualsiasi ceto di persone, ma preferisce di occuparsi
del ceto medio e della classe povera, come quelle che maggiormente abbi-
sognano di soccorso e assistenza» (cap. I).
Emerge dunque l’esigenza di una chiarificazione e di un confronto con altri
documenti.
4.1.1. Variazioni di una formula tradizionale: «la gioventù specialmente
povera e abbandonata»
Le successive edizioni delle Costituzioni pubblicate nel periodo 1880-1920
riproducono testualmente i primi articoli: ogni opera deve rivolgersi «verso i
giovani, specialmente poveri» (art. 1); il «primo esercizio di carità sarà di racco-
gliere giovanetti poveri ed abbandonati» (art. 3)70.
Ai «giovani abbandonati» si accenna nella conferenza ottava del secondo
CG del 1880. Nelle Deliberazioni dei capitolari generali sistemate «organica-
mente» nel 1905, si ribadisce l’impegno salesiano «verso la gioventù special-
mente povera ed abbandonata»; ma si riceve l’impressione che nella prima metà
del secolo XX le direttive che partono da Torino, pur non dimenticando la
«classe povera», sono attente a regolare la situazione abbastanza generalizzata
dei ragazzi del «ceto popolare» che gremiscono i numerosi collegi.
Nella circolare mensile del mese di luglio del 1902, don Rinaldi ricorda
«una volta di più che nell’ammissione degli alunni i direttori dei collegi si atten-
gano alle condizioni del programma, indirizzando agli Ospizi coloro che non
possono ottemperare alle medesime»71.
E lo stesso don Rinaldi nella circolare personale, del mese di dicembre del
1910, ai direttori delle case d’Italia chiede informazioni su due punti: 1) «Quale
sia il massimo e quale il minimo di retta per i convittori o ricoverati e quale si
presume dovesse essere per coprire tutte le spese e per averne oltrecciò qualche
lucro». 2) «Se tengano piazze gratuite o semi-gratuite e in quale proporzione
rispetto al numero totale degli alunni».
Colpisce che si domandi semplicemente «se tengono piazze gratuite» e si
chieda poi unicamente di informare sulla «proporzione».
4.1.2. «Il ritorno alla beneficenza»
Certamente, i Superiori di Valdocco non avevano dimenticato la lezione del
70 Per la contestualizzazione di questo tema, cf. P. BRAIDO, «Poveri e abbandonati, peri-
colanti e pericolosi»: pedagogia, assistenza, socialità nell’«esperienza preventiva» di don
Bosco, in «Annali di Storia dell’Educazione e delle Istituzioni Scolastiche» 3 (1996) 183-236.
71 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (31.07.1902).

3.2 Page 22

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120 José Manuel Prellezo
Fondatore. Il Consigliere scolastico generale, in una circolare del 1914, faceva
riferimento al modello:
«Don Bosco, l’uomo dei suoi tempi, consacra tutto se stesso alla gioventù
del così detto basso popolo, al proletariato giovanile, a’ birichini com’egli
li chiamava, e questi tratta quali figli, salva dal vizio, conserva nella virtù,
rimette all’onore della società»72.
Precisamente i tempi («tristi» e «travagliati») del periodo bellico e post-
bellico contribuirono a scoprire con maggior chiarezza l’importanza e urgenza
della missione salesiana tra i «giovani più poveri». Nelle circolari mensili ricorre
il tema degli «orfani di guerra»73, e il problema costituì più volte argomento di
esame nelle sedute del Capitolo superiore. Nella riunione del mese di marzo:
«Si discute molto – leggiamo nei Verbali capitolari – sulla convenienza che
anche la Congregazione faccia qualche cosa di più concreto verso gli orfani
della guerra di quanto s’è fatto negli Oratorii festivi e doposcuola, e si
scambiano diverse idee, rimandando ogni decisione ad altra seduta»74.
Negli anni seguenti la questione è messa più volte all’ordine del giorno; e i
membri del Capitolo manifestano unanimemente la disponibilità a «fare qualche
cosa per gli orfani dei morti in guerra»; a accettare «un’opera a favore degli or-
fani della guerra a Lisbona, nel Portogallo»; a entrare nei comitati di assistenza
dell’Opera Nazionale per l’assistenza degli orfani di guerra75.
Nella seconda decade del XX secolo, non si parla di una questione «di-
scussa», ma di un orientamento ormai condiviso. Nella riunione capitolare del
mese di ottobre del 1920:
«Si ricorda che la base dell’opera nostra deve essere la beneficenza non i
collegi e s’insiste perché ogni ispettoria abbia almeno una casa di benefi-
cenza come voleva D. Bosco, quindi si insista per il ritorno (la sottolinea-
tura è mia) alla beneficenza»76,
cioè alla cura dei ragazzi e dei giovani «specialmente poveri».
L’insistenza si traduce quindi in criterio di scelta delle opere da privile-
giare. Tuttavia la traduzione pratica di tale criterio si presentò talvolta laboriosa.
Gli stessi termini utilizzati in momenti diversi acquistano significati non sempre
identici.
72 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (02.03.1914).
73 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.06.1915).
74 ASC D271 Verbali (09.03.1916).
75 ASC D271 Verbali (02.04.1917; 09.04.1917; 19.04.1917).
76 ASC D272 Verbali (01.10.1920).

3.3 Page 23

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 121
4.2. Le opere: istituzioni educative volute da don Bosco e nuovi «bisogni dei
tempi»
Nel secondo CG del 1880 fu ribadito che lo «scopo principale» dei Sale-
siani si raggiunge mediante i «collegi od ospizi di artigianelli», gli «Oratori» e le
«scuole pel popolo o per poveri giovani abbandonati».
Ho citato il Verbale del Capitolo superiore del 1920 («la beneficenza non i
collegi»). Si tratta di incoerenze o contraddizioni? Di semplici sottolineature?
Oppure di un cambio di prospettiva?
4.2.1. Continuità e sviluppi
Anche qui risulta opportuno mettere a confronto documenti di epoche di-
verse. In una «breve notizia» del 1885, don Bosco sintetizzava così le opere por-
tate avanti dalla Società di san Francesco di Sales: oratori o giardini di ricrea-
zione per i «fanciulli più abbandonati»; scuole serali per giovani operai; scuole
diurne per giovanetti che «essendo male vestiti ed alquanto indisciplinati non
osano o non possono frequentare le scuole pubbliche»; ospizi, nei quali gli al-
lievi, specialmente orfani, sono applicati «alle arti ed ai mestieri» o agli studi
classici (collegi); colonie agricole che preparano giovani «per la coltivazione
della terra».
L’elenco venne ripreso con qualche ampliamento nelle Deliberazioni del 1905:
«Per esercitare le opere di carità verso la gioventù specialmente povera ed
abbandonata i Salesiani attenderanno: a) agli oratorii festivi; b) agli ospizi
per artigianelli: scuole professionali ed agricole; c) alle case per aspiranti al
sacerdozio; d) all’istruzione religiosa per mezzo delle missioni; predica-
zione e stampa; e) a promuovere associazioni religiose; agli Istituti di in-
terni ed esterni per studenti di scuole primarie o secondarie; g) alla educa-
zione del giovane clero; alle missioni estere, ed in via eccezionale ad altre
opere di beneficenza»77.
a) L’Oratorio festivo: opera «prima» e caratteristica. L’opera dell’Oratorio
occupa il primo posto anche nei documenti più autorevoli. Nel terzo CG del
1883 viene ricordato che, secondo le nostre costituzioni, «il primo esercizio di
carità della Pia Società di s. Francesco di Sales è di raccogliere giovanetti poveri
ed abbandonati, per istruirli nella santa cattolica religione, particolarmente nei
giorni festivi»78.
77 Deliberazioni dei capitoli generali della Pia Società Salesiana «da ritenersi come
organiche», Torino, Tipografia Salesiana, [1905], p. 7.
78 Deliberazioni del terzo e quarto capitolo generale della Pia Società Salesiana, tenuti
in Valsalice nel settembre 1883-86, S. Benigno Canavese, Tipografia e Libreria Salesiana,
1887, p. 22.

3.4 Page 24

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122 José Manuel Prellezo
In base a questo fatto, è deliberato che ogni direttore «si dia sollecitudine»
per impiantare un Oratorio nella sua casa o istituzione, se ancora non esiste, e di
dargli sviluppo, se è stato già fondato. E deve considerarlo come un dei compiti
«più importanti». Anzi, tutti i Salesiani, così ecclesiastici come laici, devono
sentirsi
«fortunati di prestarvi l’opera loro, persuadendosi essere questo un aposto-
lato di somma importanza, perché nel tempo presente l’Oratorio festivo è
per molti giovanetti, specialmente nelle città e nelle borgate, l’unica tavola
di salvamento».
Negli ACS del 1920, don Barberis, Direttore spirituale, riprendendo il tema
della cura diligente e assidua dell’Oratorio Festivo, affermava senza esitazione:
«D. Bosco fu certamente ispirato da Dio quando iniziò quest’opera, che, senza
dubbio, è la prima e la più importante di tutte quelle a cui pose mano».
Lo stesso convincimento manifestava il Rettor Maggiore, don Albera, nelle
sue lettere circolari ai Salesiani79.
Intanto, nel settimo CG del 1895, erano maturate alcune decisioni e pro-
poste di non poco conto: 1) scelta di un membro del capitolo superiore «in parti-
colar modo incaricato degli oratorii festivi»; 2) apertura di Oratorii separati dalle
Case Salesiane, «con Scuole diurne e serali»; 3) organizzazione in essi di «una
scuola di religione»; 4) auspicabile apertura degli Oratorii tutta la giornata; 5)
cura della «dovuta assistenza».
L’insistenza sul tema e, in particolare, i richiami e precisazioni circa taluni
aspetti, muove a pensare che l’accoglienza degli orientamenti segnalati non
sempre sia stata unanime. Nel 1919, don Albera sentì il bisogno di ribadire la
«salesianità» della scelta oratoriana:
«Tutti quelli che s’interessano sul serio degli oratorii festivi e dell’educa-
zione della gioventù che vi accorre hanno l’approvazione piena ed intera
del nostro Rettor Maggiore. Si parla tanto in questi giorni delle opere del
dopo guerra: orbene, l’opera prima e fondamentale del Ven. Fondatore
sembra creata appositamente per le circostanze attuali: attendiamo dunque
ad essa con zelo e amore»80.
L’anno seguente, don Barberis, Direttore spirituale, completava:
«Mi si permetta però di manifestare un timore, che qualche volta mi con-
turba, pensando ad un pericolo che potrebbe sovrastare ai nostri Oratori
Festivi. Se non si sta più che attenti c’è tutta la possibilità di trasformare
l’Oratorio Festivo in un Ricreatorio qualunque, sviluppando in esso, più che
l’istruzione religiosa, gli allettativi e i divertimenti, che ne costituiscono il
movimento e la vita esterna»81.
79 Cf Lettere circ. di don P. Albera, pp. 110-122.
80 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.02.1919).
81 ACS 1 (1920) 38.

3.5 Page 25

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 123
b) Dai laboratori di «arti e mestieri» alle «scuole professionali». Dopo gli
oratori, occupano un luogo privilegiato gli «ospizi per artigianelli». Anzi, nel se-
condo CG del 1880, si dice che gli «ospizi di artigianelli» costituiscono lo
«scopo speciale» dei Salesiani. Nel terzo CG del 1883, uno dei temi studiati è
stato questo: Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane e mezzi di
sviluppare la vocazione dei giovani artigiani. La decisione di affrontare per la
prima volta l’argomento si collocava in un contesto storico particolarmente sen-
sibile alla questione. Basti ricordare che nel 1882, il Partito Operaio milanese in-
cludeva nel proprio programma le «scuole Professionali di arti e mestieri, inte-
grali, laiche e obbligatorie».
Il tema, Indirizzo da darsi alla parte operaia, fu ripreso nel quarto CG del
1886. Le Deliberazioni, pubblicate nel 1887, attestano:
«Il fine, che si propone la pia società Salesiana nell’accogliere ed educare
questi giovanetti, si è d’allevarli in modo che, uscendo dalle nostre case
compiuto il loro tirocinio, abbiano un mestiere onde guadagnarsi onorata-
mente il pane della vita, siano ben istruiti nella religione ed abbiano le co-
gnizioni scientifiche opportune al loro stato». Da tali premesse, deriva il tri-
plice indirizzo da darsi alla loro formazione: «religioso-morale, intellettuale
e professionale».
Un nuovo incarico, «consigliere professionale generale» (stabilito nel
1883), doveva facilitare il coordinamento e la cura di quanto spettava «all’inse-
gnamento delle arti e mestieri». Di fatto, i consiglieri professionali generali con-
tribuirono in grande misura al decisivo sviluppo dei laboratori salesiani nel pe-
riodo che ci occupa.
Riconoscendo l’insufficienza del bagaglio culturale offerto ai giovani arti-
giani (un’ora di scuola al giorno), il CG del 1886 prese la decisione di elaborare
un nuovo «programma scolastico». Alcuni anni più tardi, in una circolare del
1895, don Rua, lamentando che in qualche casa fossero «meno curati gli arti-
giani», aggiungeva: «Vi raccomando che, sia per evitare gravi disturbi, sia per
dar loro il vero nome, i nostri laboratorii devono denominarsi Scuole professio-
nali»82. Il Rettor Maggiore non accennava a una semplice questione di nomi.
Egli constatava il cammino percorso, nonostante le carenze, e additava un tra-
guardo, spingendo a continuare nello sforzo di organizzazione e di sviluppo.
L’adattamento si rendeva indispensabile nella formazione intellettuale.
Nel 1898, l’ottavo CG, accogliendo le proposte pervenute dai confratelli, fu
d’accordo nel provvedere in modo speciale alle lacune in tale settore, «poiché il
bisogno di elevare l’istruzione professionale a maggior cultura [era] dappertutto
sentito più che vivamente: che i laboratori non siano solo per avere lavoro, ma
per educare e formare buoni e valenti operai».
82 Lettere circ. di don M. Rua, p. 126 (01.01.1895); cf nota 170.

3.6 Page 26

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124 José Manuel Prellezo
E la dichiarata richiesta di «maggior cultura» si situava sullo sfondo di un
crescente sviluppo industriale, con una nuova sensibilità per il mondo del lavoro.
L’enc. Rerum Novarum (1891) di Leone XIII aveva reso i cattolici più consape-
voli della «questione operaia».
In tale contesto, i membri del citato CG decisero di dare immediata esecu-
zione a ciò che era stato stabilito nel 1886: «pubblicare cioè programmi, orari,
suggerimenti ed indicare libri di testo da usarsi nelle varie Case di artigiani ed
agricoltori». Nel 1902, don Michele Rua invitava ad «assecondare il nuovo e sa-
lutare risveglio di ritorno ai campi»83. Nello stesso anno, don Giuseppe Bertello,
nuovo Consigliere professionale generale, consultati previamente i direttori, ela-
borò un «programma ad experimentum» per le scuole professionali, sulla base di
quelli già in uso nelle case84.
L’edizione definitiva dei Programmi vide la luce nel 191085; lo scritto si
apre con una affermazione che costituisce un orientamento di notevole portata:
«Con i tempi e con Don Bosco». Il piano delineato è ambizioso: le
«Scuole professionali […] debbono essere palestre di coscienza e di carat-
tere, e scuole fornite di quanto le moderne invenzioni hanno di meglio negli
utensili e nei meccanismi, perché ai giovani alunni nulla manchi di quella
cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria».
Sulla medesima scia si collocano in seguito le direttive proposte nelle cir-
colari mensili, sollecitando al superamento di impostazioni obsolete. Nel 1917,
don Ricaldone, ricordando «il grande fervore di studi e di opere ovunque desta-
tosi a favore delle Scuole Professionali» nella temperie contemporanea, avver-
tiva la necessità che «questo salutare risveglio sia secondato anche da noi»86.
D’altra parte, riteneva suo preciso «dovere»:
«mettere sull’avviso qualche Casa che, sbigottita forse dalle difficoltà del
momento, sembra propensa a ridurre e persino a cambiare affatto il suo pro-
gramma, trasformandosi gradatamente da Ospizio o Istituto Professionale
e Agricolo in convitto o Collegio con pensione fissa. È questo un male –
aggiunge – già lamentato altre volte, e che non arginato e combattuto ener-
gicamente, ora soprattutto che la nostra Pia Società è agl’inizi, potrebbe
intaccare e persino snaturare i fini della medesima»87.
83 Lettere del R.mo D. Michele Rua, in «Bollettino Salesiano» 26 (1902) 6; José Manuel
PRELLEZO, La risposta salesiana alla «Rerum Novarum». Approccio a documenti e iniziative
(1891-1910), in A. MARTINELLI - G. CHERUBIN (edd.), Educazione alla fede e dottrina sociale
della Chiesa. Atti XV Settimana di Spiritualità per la Famiglia Salesiana, Roma, Editrice SDB,
1992, pp. 39-91.
84 Programma scolastico per le scuole di artigiani della Pia società di S. Francesco di
Sales, Torino, Tipografia Salesiana, 1903.
85 PIA SOCIETÀ SALESIANA DI D. BOSCO, Le scuole professionali. Programmi didattici e
professionali, Torino, Scuola Tipografica Salesiana, 1910.
86 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.06.1917).
87 Ibid. (24.07.1917).

3.7 Page 27

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 125
In sintesi: «l’istruzione professionale, impartita a giovani poveri o co-
munque bisognosi di assistenza, è una delle caratteristiche più geniali dell’opera
di Don Bosco, e sarebbe colpa non promuoverla adattandola all’indole de’
tempi».
c) La «scuola come missione». Mentre sottolineava la funzione e l’impor-
tanza degli istituti per i giovani artigiani, don Ricaldone faceva una constata-
zione che era, allo stesso tempo, un orientamento condiviso: «da ognuno di noi
si riconosce e promuove l’alta missione dei nostri collegi che – colla fisionomia
caratteristica data loro dal Ven. D. Bosco – sono parte integrante dell’opera Sa-
lesiana» 88.
Ma è stato don Cerruti a dare un decisivo impulso di promozione e sistema-
zione dei collegi e scuole salesiane nel periodo studiato, mettendone in partico-
lare risalto un tratto della «fisionomia caratteristica»: l’attenzione alla dimen-
sione classico-umanistica, in totale sintonia con il pensiero di don Bosco, don
Rua e don Albera.
Il nucleo della proposta del Consigliere scolastico generale era espresso
così: «fare della scuola una missione»89. Suggerita in una delle prime circolari,
l’idea si andò chiarendo, e diventò sempre più consapevole e articolata.
Nell’ultima pubblicazione del 1916, si mostra preoccupato di fronte a de-
terminati orientamenti che metterebbero a repentaglio la fedeltà alla genuina
missione salesiana, e in lettera personale a don Albera, deplorava la
«tendenza, che va spaventosamente crescendo e minaccia travisare l’opera
di D. Bosco, a tralasciare l’educazione della gioventù, da lasciarsi in mano
a’ chierici e preti novelli, per darsi agli adulti con azioni sociali, parrocchie,
predicazioni ecc.»90.
Ma lo aveva scritto anche a chiare lettere nella circolare ai Salesiani datata
nella festa di San Francesco di Sales del 1910: «Trascurar la scuola, l’assistenza
per cose geniali, fosse anche la predicazione, potrà soddisfare all’amor proprio,
all’egoismo in ispecie, ma non certo a farsi de’ meriti presso Dio»91.
d) La stampa popolare/giovanile: un aspetto qualificante della missione
educativa salesiana. Mi limito a qualche sottolineatura. L’art. 7 delle Costitu-
88 Ibid. (24.07.1917).
89 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (06.10.1886).
90 ASC B521 Cerruti; ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (16.03.1916); cf tra
le altre circolari: (02.03.2914), (15.11.1914), (24.12.1915).
91 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1910). Don Cerruti aveva accen-
nato al problema nel decimo CG del 1904: «v’è un numero non indifferente di quelli che più
non vogliono far scuola che, disdegnando la vita umile e faticosa della scuola o della assi-
stenza, aspirano a vita più comoda nella nostra società. Questo è un danno gravissimo alla
Società nostra» (ASC D585 Capitolo Generale, seduta del 09.09.1904).

3.8 Page 28

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126 José Manuel Prellezo
zioni recitava: «La buona stampa forma oggetto delle nostre sollecitazioni». Ri-
proponendo questa norma, il secondo CG del 1882 stabiliva in conseguenza:
«Ognuno si adoperi per la diffusione dei buoni libri già pubblicati».
L’indicazione veniva completata nelle Deliberazioni capitolari del 1894: i
Salesiani «si adopereranno a diffondere buoni libri del popolo, usando tutti quei
mezzi che la carità cristiana ispira». Con analoga forza e frequenza si invita al-
l’elaborazione di proprie pubblicazioni: collane di saggi, riviste, libri di lettura e
di testo per la scuola.
Allorché era in allestimento una esposizione educativo-didattica in occa-
sione del centenario della nascita di don Bosco (1815-1915), il Consigliere sco-
lastico generale raccomandava:
«Speciale attenzione si abbia nel redigere un elenco a parte delle pubblica-
zioni fatte da Salesiani residenti attualmente o defunti in ciascuna casa. A
questo scopo ogni direttore inviti i confratelli che hanno fatto pubblicazioni
a consegnare l’elenco delle medesime con indicazione di titolo preciso, ti-
pografia, editore, anno, edizione e prezzo. Per pubblicazioni s’intendono
libri di qualsiasi genere, opuscoli, periodici educativi, articoli di qualche
importanza, numeri unici, ecc.»92.
Pochi mesi dopo, nelle circolari mensili, si precisavano i destinatari princi-
pali della stampa salesiana e i tratti essenziali che dovevano distinguerla:
«nel concetto di D. Bosco, le nostre tipografie e librerie debbono avere per
ideale primo, per l’oggetto principale la gioventù. Perciò le pubblicazioni
nostre, le pubblicazioni salesiane, debbono essere aliene dalla politica e pla-
smate sempre di una grande riservatezza morale. Fuggite come la peste, dis-
se un giorno D. Bosco ad uno de’ superiori anziani, le massime di coloro che
pretendono dire, stampare, insegnare alla gioventù qualunque cosa, senza ri-
guardo all’età. Ed aveva ragione. Non si insegna, ad es., il greco ad un anal-
fabeta, né si educa la forza visiva di un bambino col tenerlo esposto a’ raggi
cocenti del sole, che pure è così bello e buono. La natura opera per gradi non
a salti. Procuriamo, cari confratelli di offrire al nostro buon padre, nella ri-
correnza centenaria della sua nascita, l’assicurazione costante della massima
purezza nelle pubblicazioni, ne’ testi scolastici, nell’insegnamento; faremo
cosa graditissima a lui ed eminentemente salutare a’ nostri giovani»93.
In questa cornice si inserisce la preferenza per i libri pubblicati dai Sale-
siani e la cernita dei testi letterari «purgati» sul solco della tradizione gesuita, e
non solo.
Toccando di nuovo l’argomento della scuola e della stampa nel suo ultimo
saggio, don Cerruti concludeva: «La delicatezza morale sia sempre la caratteri-
stica de’ seguaci di Don Bosco in tutto e per tutto».
92 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (02.03.1914).
93 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.01.1915).

3.9 Page 29

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 127
4.2.2. Riserve e contrasti attorno ad alcune opere e proposte
L’invito alla fedeltà al Fondatore non venne mai meno. In qualche caso si
avvertono però modi diversi di intendere tale fedeltà in tempi ormai cambiati.
Posizioni differenziate si costatano già durante la vita di don Bosco.
a) Riserve e precisazioni riguardo alle «case di corrigendi». Nel mese di
settembre del 1885, i responsabili della Commissione promotrice di una «casa di
corrigendi» a Madrid (la Escuela de reforma para jóvenes y asilo de corrección
penal sotto il patronato di Santa Rita) offrì ai Salesiani la direzione della mede-
sima. La proposta, caldeggiata da due noti politici spagnoli (Silvela e Lastres)
era anche appoggiata dal nunzio pontificio mons. Rampolla. Fu trattata la que-
stione a Torino. Nel corso della discussione tra i membri del Capitolo superiore
si profilarono pareri differenziati: necessità di frenare le fondazioni (Durando);
invito a riflettere sulla compatibilità dell’opera e della sua impostazione con il
«nostro sistema» (Cerruti). Don Bosco invitava, invece, a «studiare la possibilità
dell’esecuzione», dopo aver inviato qualcuno sul posto per potersi informare e
decidere di conseguenza. Le trattative si prolungarono per diversi mesi. Le ri-
serve dei Salesiani riguardavano il titolo di «correzionale» e la rigida organizza-
zione che si intendeva dare all’istituto. Il 17 marzo 1886, don Bosco inviava a
Madrid una lettera concordata con don Cerruti. Vi si diceva tra l’altro:
«A parte la scarsezza di personale per gli impegni già esistenti, la qualità di
codesto istituto e la forma sua disciplinare non mi permette di secondare
questo desiderio reciproco. Malgrado tutta la volontà di far il bene, noi non
potremmo discostarci nella pratica da quanto stabilisce il nostro Regola-
mento, di cui ho mandato copia nel settembre u.s.».
Non si chiudeva la porta a nuovi sviluppi. Anzi, nell’adunanza capitolare
del 25 di giugno 1886, presieduta da don Bosco, si decise di accettare l’opera
madrilena, con la condizione che fosse riconosciuto il principio dell’autonomia
dei Salesiani nella direzione e nell’amministrazione. Furono poi approvate altre
condizioni da fissare in una bozza di «convenzione»94. In una lettera alla Com-
missione spagnola (dell’8 luglio 1886), don Bosco ne sottolineava alcuni aspetti
caratterizzanti:
«Noi desideriamo che sia tolta ogni traccia che potesse nel pubblico lasciar
credere che sia una casa di correzione. A tal fine siamo di parere che porti il
nome di Ospizio o Istituto, e non quello di Riformatorio o Patronato ecc.;
desideriamo pure che almeno per cinque anni non siavi ammesso nessuno
colpito da condanna. […] Questo si desidera pure per avere maggior como-
dità a procurare un buon fondo di giovani ben avviati, che serviranno ad
istradare più facilmente al lavoro ed alla virtù gli altri che entreranno in se-
94 Cf MB XVII, 830-831.

3.10 Page 30

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128 José Manuel Prellezo
guito. Dopo il primo quinquennio speriamo poter anche ammettere poco
alla volta giovani già colpiti da condanna; ma converrà che anche allora si
faccia il possibile affinché la cosa non trapeli nel pubblico».
La lettera non ebbe riscontro. Ma offre degli elementi di indiscutibile inte-
resse per capire gli orientamenti del Fondatore e dei primi collaboratori di fronte
a questo tipo di opere95.
Anni più tardi, il 22 aprile 1918, altro organismo spagnolo, la Junta de
Guipúzcoa, avrebbe voluto che i Salesiani assumessero «una casa di corrigendi».
Esaminata la proposta, i membri del Consiglio si dicono d’accordo a dare una
risposta negativa. I verbali ne raccolgono schematicamente la motivazione: «Le
condizioni non si presentano bene – il locale non è adatto»96.
Ancora più scarno è il resoconto della discussione di una proposta analoga
nel 1920: «Santander – ci offrono un’opera pei corrigendi – pare che per essi ci
siano i cappuccini-terziari – noi procuriamo di completare l’opera che abbiamo
tra mani»97. Terziari: i religiosi che avevano accettato il riformatorio di Santa
Rita a Madrid.
b) Contrasti attorno alle «scuole tecniche». Nella cornice del decollo indu-
striale in Europa, all’inizio del XX secolo, l’istruzione tecnica trovò nuovi con-
sensi. I membri del Capitolo superiore salesiano captarono l’urgenza di «deci-
dere se o no si debba cedere a questa tendenza». Il tema fu discusso in diverse
riunioni. Nel mese di novembre del 1907:
«Si viene a parlare delle scuole tecniche e il Sig. D. Rua ricorda che D.
Bosco interne non le voleva e cita i collegi di Alassio e di Varazze ove le
tolse – si replica che D. Bosco in ciò aveva allora principalmente di mira le
vocazioni ecclesiastiche che scarseggiavano – ora non è più così e se si po-
tessero educare cristianamente i giovanetti di oggi, che saranno i reggitori
della cosa pubblica domani sarebbe certo un gran beneficio – un’opera di
carità grande alla quale neanco D. Bosco si sarebbe rifiutato. Dopo lunga
discussione si viene a questa conclusione che cioè: che si concede in via ec-
cezionale l’apertura di convitti-pensionati per scuole tecniche – i singoli
casi però debbono essere sottoposti al Capitolo superiore che li esaminerà
volta per volta»98.
Il problema non aveva trovato una soluzione soddisfacente. Nell’adunanza
capitolare del 4 maggio 1911, i membri del Capitolo adottarono una posizione
più risoluta:
95 Rimando su questo argomento a P. BRAIDO, Don Bosco prete dei giovani... II, pp. 586-
591 («Fondazione mancata a Madrid»); María F. NÚÑEZ, San Juan Bosco y la educación de
los jóvenes descarriados, en España. Un episodio (1885-1887), in «Educadores» (Madrid)
(1982) 119, 501-515.
96 ASC D271 Verbali (22.04.1918).
97 ASC D272 Verbali (09.04.1920).
98 ASC D270 Verbali (11.11.1907).

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4.1 Page 31

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 129
«In ossequio al volere del Ven. D. Bosco e del compianto D. Rua – contrarii
all’introduzione delle scuole tecniche interne nei nostri collegi, – gli attuali
Superiori confermano il principio e dichiarano che anch’essi non intendono
ammettere il tecnico interno»99.
Il testo fu riproposto quasi letteralmente dal Rettor Maggiore nella circo-
lare del 15 maggio 1911:
«In ossequio al volere del Ven. D. Bosco e del compianto Sig. D. Rua, con-
trarii all’introduzione delle scuole tecniche interne nei nostri Collegi, gli
attuali Superiori confermano il principio e dichiarano che anch’essi non
intendono ammettere il corso tecnico interno»100.
La misura adottata suscitò però forti resistenze tra i responsabili della de-
cina di scuole tecniche esistenti in Italia. Tra le voci discordanti più autorevoli,
fu quella di don Munerati, per il quale risultava incomprensibile che, tra le nu-
merose opere salesiane, «si vogliono soltanto escludere le Scuole Tecniche, che
in sostanza sono scuole di arti e mestieri, di agricoltura, e di contabilità per i mi-
nori impieghi, per le faccende commerciali e industriali»101. Negli scritti arrivati
a Torino si manifestava il timore che l’abolizione del «tecnico» significasse
l’abbandono dei giovani provenienti dai ceti popolari.
Pur consentendo qualche eccezione in speciali circostanze, i membri del
Capitolo continuarono, fino ai primi anni venti, a mantenere la decisione presa,
ritenendo, sulla scia di don Bosco, tali istituzioni meno feconde che il ginnasio
dal punto di vista educativo e vocazionale. Alle «scuole tecniche», create dalla
legge Casati (1859) (e integrate nell’insegnamento secondario dal successivo
Regolamento del 1870), era stato assegnato il fine «di dare ai giovani che inten-
dono dedicarsi a determinate carriere del pubblico servizio, alle industrie, ai
commerci ed alla condotta delle cose agrarie, la conveniente cultura generale e
speciale» (art. 272).
L’opposizione di don Bosco e del primo successore non costituiva un fatto
isolato. Negli ultimi anni del sec. XIX era ancora viva la polemica sulla capacità
di tali scuole a «dare un mestiere»102. Altre riserve riguardavano il valore forma-
99 Ibid. (03 e 04.05.1911).
100 Lettere circ. di don P. Albera, pp. 41-42 (15.05.1911).
101 ASC E482 Scuole Professionali.
102 Simonetta SOLDANI, L’istruzione tecnica nell’Italia liberale, in «Studi Storici» 22
(1981) 1, 110. L’autrice riporta una opinione diffusa negli ultimi anni dell’Ottocento: «dopo
averle frequentate, al massimo si poteva fare «il fattorino in un’agenzia delle poste»; José
Manuel PRELLEZO, Dai laboratori di Valdocco alle scuole tecnico-professionali salesiane. Un
impegno educativo verso la gioventù operaia, in Luc VAN LOOY – Guglielmo MALIZIA (edd.),
Formazione professionale salesiana: memoria e attualità per un confronto. Indagine sul
campo, Roma, LAS, 1997, pp. 19-51.

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130 José Manuel Prellezo
tivo, considerata l’assenza delle materie umanistiche (in particolare, le lingue
classiche) nel programma. Dopo un progressivo allargamento della base culturale,
la Riforma Gentile (1923) riconobbe la «secondarietà» dell’istruzione tecnica103.
4.3. Le persone: formazione intellettuale e pedagogica del salesiano educatore
Nei verbali delle riunioni del secondo CG, è registrata la seguente osserva-
zione citata sopra: «Se a tutti è necessario il sapere, quanto più è necessario a noi
che per nostra vocazione siamo preposti all’insegnamento e all’educazione?».
Nelle Deliberazioni, pubblicate nel 1882, non si riporta il menzionato cenno; si
dice semplicemente che gli «studi della Società Salesiana sono regolati secondo
il capo dodicesimo delle nostre Costituzioni»; nelle quali si precisa che «lo
studio principale» – oltre le materie del corso filosofico e teologico – riguarda
«quei libri e trattati, che parlano di proposito dell’istruzione della gioventù nelle
cose religiose»104.
Alcuni mesi dopo la scomparsa di don Bosco, nelle adunanze del Capitolo
Superiore, era emersa la necessità di maggior attenzione alla cura degli studi.
Leggiamo nei Verbali: il
«Papa avea già detto a D. Bosco e in questi giorni ripete al vescovo di Fos-
sano mons. Manacorda come desideri vedere risvegliarsi la nostra Congre-
gazione col cercare di formare anche uomini [che] siano eccellenti negli
studi speculativi»105.
4.3.1. La formazione del personale: una «questione di vita o morte»
Negli ultimi anni del secolo XIX e nella prima decade del XX il tema degli
studi viene percepito a Valdocco e presentato ai Salesiani come una questione
fondamentale e urgente. Don Rua segnala il rischio che l’espansione della Con-
gregazione possa andare a scapito della formazione dei membri. Nel 1894 de-
nuncia appunto la «troppa facilità nel fondar nuove Case e di ampliare le già esi-
stenti. […] Bisogna arrestarci, ché camminando di tal passo – conclude il Rettor
Maggiore – noi andremo alla rovina»106.
La cura della «formazione ed assistenza del personale salesiano» occupò
ugualmente un posto centrale nel Primo Capitolo Americano del 1901 (56 pa-
gine delle 107 che comprendono gli Atti). Tra gli orientamenti condivisi: «Stia a
103 Sulle perplessità riguardo agli istituti per sordomuti, cf Francesco CASELLA, I sale-
siani e la «Pia casa arcivescovile» per i sordomuti di Napoli (1909-1975), Roma, LAS, 2002.
104 Costituzioni XII, 2.
105 ASC D269 Verbali (21.08.1888).
106 Lettere circ. di don M. Rua, 116 (24.08.1894).

4.3 Page 33

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 131
cuore ad ogni Direttore (più ancora di quella degli allievi) la formazione dei soci
della sua Casa, perché più specialmente a lui affidati, e perché potranno aiutarlo
assai nella sua missione di educare la gioventù»107.
Anche il decimo CG del 1904 dedicò speciale attenzione alla materia. Nel
1905, affrontando più distesamente l’argomento della «formazione intellettuale e
morale dei chierici», il Rettor Maggiore invitava gli ispettori ad assumere tale
problema e di conseguenza: «Non proporre al Capitolo Superiore, almeno per un
quinquennio, l’apertura di nuove Case o fondazioni, né l’allargamento di quelle
esistenti. Non possiamo: ecco tutto»108.
Da parte sua, il Consigliere scolastico generale pensava: «È meglio rinun-
ziare a nuove case, a nuove opere, a nuove scuole, piuttosto che trascurare o so-
verchiamente aggravare i confratelli»109.
Negli incontri degli Ispettori europei del 1907, si giunse ad una decisione
tassativa: «per qualche tempo», gli ispettori
«non pensino a nuove opere o all’ampliamento delle già esistenti – si cerchi
anzi di ridurre le opere che si hanno tra mano e di chiudere anche qualche
casa. […] Procurino che le singole case abbiano la necessaria assistenza ed
assistenza secondo il sistema preventivo»110.
Nelle circolari mensili si ribadiva: «Non dimentichiamo che la cura intel-
lettuale, morale e religiosa de’ confratelli, soprattutto dei più bisognosi di atten-
zioni, costituisce il primo fra i doveri di un ispettore e di un direttore»111.
I membri del Capitolo superiore erano consapevoli delle difficoltà che l’at-
tuazione della proposta comportava. Tuttavia insistevano perché «si tratta di una
questione di vita o di morte»112 per la Congregazione.
Quando negli ultimi mesi del 1920, la materia fu oggetto di riflessione
nelle riunioni capitolari, il segretario registrò questo orientamento unanime: «La
mira principale dev’essere quella di formare personale e buon personale»113.
4.3.2. Sviluppo di un piano formativo: tappe e orientamenti
La priorità da dare alla formazione delle persone comportava provvedi-
menti e orientamenti operativi. Ma ancora nel 1905, il Rettor Maggiore notava:
107 Atti del Primo Capitolo Americano, p. 21.
108 Lettere circ. di don M. Rua, 336 (21.11.1905). Nel decimo CG del 1904 era stata for-
mulata questa deliberazione: «Gli Ispettori non propongano al Cap. Sup. l’apertura di nuove
case, se prima non hanno pronto il conveniente personale salesiano» (ASC D585 Capitolo
Generale X – 07.09.1904).
109 ASC E227 E233 Cons. Gen. Circ. (20.08.1906).
110 ASC D270 Verbali (23.08.1907).
111 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.04.1910).
112 Ibid. (24.10.1913).
113 ASC D272 Verbali (26.11.1920).

4.4 Page 34

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132 José Manuel Prellezo
«è necessario che regolarizziamo ogni giorno più le cose nostre»114. Per ciò che
riguarda l’ambito intellettuale-pedagogico, i documenti non offrono un piano
organico completo. Tuttavia, vi si scoprono in filigrana dei nodi e delle linee
portanti essenziali.
a) «L’Aspirantato» e il «Corso regolare di Figli di Maria». Nel 1901, tra i
provvedimenti urgenti da prendere, il Capitolo superiore segnala: usare «mag-
gior rigore» nella «accettazione degli Aspiranti»115. Nello stesso anno, il Primo
Capitolo Americano conferma la pratica introdotta in America, d’accordo con il
Rettor Maggiore, di «separare gli Aspiranti dagli altri collegiali» ed elabora un
«Regolamento Programma» per loro, in cui si stabilisce che non siano proposti
«per l’aspirantato se non giovani veramente buoni, che diano fondate speranze di
ottima riuscita»116. Inoltre, che «Si metta ogni impegno affinché questi aspiranti
si formino fin da giovinetti nello spirito salesiano, mediante una speciale confi-
denza coi loro superiori, il fervore della pietà, l’amore al lavoro». Savio, Ma-
gone e Besucco vengono presentati come «veri modelli di Aspiranti Salesiani».
Nelle Deliberazioni capitolari «organiche» del 1905, si ribadisce che la So-
cietà di San Francesco di Sales deve attendere «alle case per aspiranti al sacer-
dozio» (art. 5), il cui programma sarà ordinato, in generale, a coltivare la «voca-
zione ecclesiastica» dei giovanetti che «non hanno mezzi per fare studi altrove».
Da quel momento il tema dell’aspirantato sembra rimanere alquanto nell’ombra.
Ricorre però spesso quello del «corso regolare dei figli di Maria». Ormai non si
tratta della cosiddetta «scuola di fuoco». Le prime misure organizzative sono del
1895. Il Consigliere scolastico generale le comunica agli ispettori e direttori in
questi termini:
«Avrai veduto tra i nostri nuovi programmi scolastici anche quello dei Figli
di Maria. Mi parve bene regolarizzare con un programma distinto ed appro-
priato un’istituzione che fu tanto cara a D. Bosco e che è destinata nelle sue
svariate ramificazioni a far molto bene. […] Quel che soprattutto importa è
che i Figli di Maria abbiano anch’essi modo e tempo di compiere bene la
loro istruzione classica, sicché, entrando in Filosofia, poi in Teologia, siano
in grado di fornirsi essi pure di quell’istruzione scientifica che è richiesta
dalla dignità di sacerdote e dai bisogni dei tempi»117.
La norma, riproposta più volte negli anni seguenti, non venne sempre se-
guita. Nel 1906 i membri del Capitolo superiore vedevano nella «poca prepara-
zione in fatto di studii di coloro che si accettano come novizi», una ragione del
trovarsi «spesso con personale non atto agli uffici della Congregazione». Per
114 Lettere circ. di don M. Rua, 335 (21.11.1905).
115 ASC D269 Verbali (09.07.1901).
116 Atti del Primo Capitolo Americano, p. 40.
117 ASC E233 Cerruti (30.10.1895).

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 133
ovviare a tale situazione indicarono, come prima misura: «che i Figli di Maria
attendano per lo spazio di tre anni completi agli studii ginnasiali prima di essere
proposti al noviziato»118.
L’anno seguente, decisero «di conformare le loro classi a quanto prescri-
vono i programmi governativi», e di «vedere se non sia il caso di restringere le
accettazioni solo a coloro che hanno desiderio di farsi salesiani»119.
Nei documenti salesiani stilati nel 1910 e negli anni successivi – cioè dopo
la pubblicazione delle Declarationes della Congregazione dei Vescovi e Rego-
lari (7.09.1909) – si percepisce una più desta attenzione alle «disposizioni pre-
cise e perentorie» della Chiesa riguardanti gli studi dei candidati al sacerdozio.
Non solo si riferisce ad esse il Consigliere scolastico generale, ma anche il Diret-
tore spirituale le richiama, parlando dell’Opera dei Figli di Maria, e fa notare che
«non bastano più gli studii privati che alle volte si facevano nelle varie
case: son necessarii studii regolari e perciò conviene che detti giovani ab-
biano tutte le scuole ed il tempo necessario per raggiungere quel grado di
coltura richiesta dalle ultime disposizioni pontificie»120.
b) Formazione intellettuale e pedagogica degli ascritti/novizi. Nel CG del
1880 appare, come una prassi, la scuola di pedagogia iniziata nel 1874: «Nella
scuola di Pedagogia Sacra, stabilita per tutti i chierici di prima filosofia, si fac-
ciano leggere più volte e si spieghino le norme da seguirsi dai maestri e dagli as-
sistenti»121. Tuttavia i primi cenni ad un programma scolastico da seguire nei no-
viziati sono degli ultimi anni del secolo XIX. All’inizio dell’anno scolastico
1897-1898, il Consigliere scolastico «spedisce a tutte le Case di noviziato e stu-
dentato il Programma scolastico delle Case Capitolari di Foglizzo, Ivrea, Valsa-
lice»122; con la raccomandazione: «procurino uniformarsi».
Di fatto, nell’orario prospettato per le scuole, sono segnalate due ore setti-
manali di «pedagogia». Ciononostante, il contenuto del programma svolto non
dovette essere ampio. Nel CG del 1904 si solleva «la questione se convenga in-
segnar Pedagogia durante il noviziato»; e il regolatore, don Cerruti, «dice che
detta materia non ha che fare nel noviziato e che essa si insegna nello studen-
tato». Don Albera invece si dichiara «favorevole a tale insegnamento, trattan-
dosi: non di pedagogia propriamente detta, ma di una serie di istruzioni aventi
per iscopo di far capire il sistema educativo salesiano»123. Dello stesso parere si
dichiarano don Perrot, don Ercolini, don Piscetta, don Bertello e alti capitolari.
118 ASC D270 Verbali (12.05.1906).
119 Ibid. (11.11.1907).
120 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.08.1912).
121 Deliberazioni, p. 72.
122 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (29.10.1897).
123 ASC D585 Capitolo Generale X (12.09.1904).

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134 José Manuel Prellezo
Nel Convegno degli Ispettori dell’Europa nel 1912, la posizione del Consi-
gliere scolastico si esprime in forma meno drastica: che
«per i Novizi la scuola di pedagogia si limitasse a qualche lezione di ciò
che è educazione e istruzione ed a insegnare il modo di fare il catechismo,
insegnare la storia sacra, di mettere in pratica il sistema preventivo e la
parte dei regolamenti che riguarda i maestri e gli assistenti»124.
Una proposta metodologica, maturata in detti incontri si presenta, però,
tutt’altro che carente d’interesse:
«Si raccomanda che per quanto si può i Noviziati abbiano annesso un Ora-
torio Festivo, ove tutti i novizi si esercitino per turno, come in una palestra,
a trattare coi giovani, a istruirli nella dottrina. I coadiutori soprattutto siano
avviati a divenire buoni catechisti, così potranno essere utilmente occupati
nelle Case durante i giorni festivi»125.
Pochi giorni dopo, informando i confratelli sulle decisioni prese, don Cer-
ruti rammentava
«che, qual programma pratico pedagogico nelle case degli ascritti», durante
l’anno scolastico seguente, si dovevano leggere e spiegare «i due primi ca-
pitoli [precisamente sul tema dell’educazione istruzione], comprese le note,
del Ricordino educativo-didattico, completati con la lettura per intero del
Sistema preventivo nell’educazione del nostro indimenticabile D. Bosco»126.
Nel corso 1914-1915 è prescritto, ancora come «testo di pedagogia nelle
Case degli Ascritti», un altro volumetto cerrutiano: Dei principii pedagogico-so-
ciali di S. Tommaso; del quale invia «un numero sufficiente di copie della nuova
edizione, perché ciascuno ne sia provveduto, con viva raccomandazione che la
detta operetta sia letta e debitamente commentata»127.
Alle direttive e orientamenti finora suggeriti, si aggiunsero poi le norme
della Santa Sede accolte dal Capitolo superiore e proposte dal responsabile gene-
rale degli studi e delle scuole:
«1° – i novizi debbano dare un’ora al giorno allo studio, eccetto i giorni fe-
stivi, ed avere tre ore settimanali di scuola, non di più; scuola che sarà te-
nuta dal maestro o vicemaestro, forniti della necessaria scienza, o meglio,
da un professore di Lettere, che dimori in casa o presso casa; 2° – a questa
scuola debbano essi applicarsi con ogni diligenza e ricavarne vero profitto.
124 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.
125 Ibid.
126 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (27.09.1912); cf Francesco CERRUTI, Ricordino educa-
tivo-didattico, Torino, Tipografia S.A.I.D. «Buona Stampa», 1910.
127 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.12.1914); cf. Francesco CERRUTI, De’ principii peda-
gogico-sociali di S. Tommaso. Seconda edizione riveduta e ampliata, Torino, Tipografia Sale-
siana, 1893 (2ª ed.: 1915). Nella circ. del 12 settembre 1915, Cerruti ricorda che «la Costitu-
zione Pontificia del 27 agosto 1910 prescrive che ne’ noviziati sia fatto posto anche agli studi».

4.7 Page 37

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 135
Perciò i maestri regolino con buon metodo gli studi loro, si formino un giu-
dizio sicuro sull’ingegno o la laboriosità di ciascun novizio e ne curino il
profitto; 3°- il genere di studi corrisponda alla qualità dell’ordine o della
congregazione a cui si aspira. Ed è naturale, giacché altro è lo scopo degli
ordini contemplativi, ospitalieri ecc. ed altro quello delle congregazioni in-
segnanti» 128.
c) Programma e orientamenti per la formazione degli studenti di filosofia e
teologia: «buoni educatori per la gioventù». Nel secondo CG era stato stabilito:
«Gli studenti di filosofia restino tutti, per quanto è possibile, nelle case di stu-
dentato […]. In ogni ispettoria vi sarà uno studentato per gli studi teologici».
Queste deliberazioni furono rese pubbliche nel 1882. Ma gli studentati filosofici
si organizzarono negli ultimi anni del secolo XIX e i primi studentati teologici
aprirono le porte nel 1904. Ebbe invece una più attenta attuazione il compito at-
tribuito nel 1880 al Consigliere scolastico generale: «Sarà sua cura stabilire ogni
anno il programma per le scuole di teologia e di filosofia; e di ricevere i voti
conseguiti dai chierici negli esami».
La puntuale pubblicazione del programma annuale e l’indicazione dei testi
da seguire nelle lezioni erano accompagnate da orientamenti e norme didattiche
da tener presenti nello svolgimento delle lezioni. Temi ricorrenti delle circolari
mensili e di quelle personali del Consigliere scolastico erano i voti scolastici, gli
esami, i rendiconti scolastici; la cura particolare che, a tali questioni, dovevano
dedicare gli ispettori e i direttori, offrendo ai chierici il tempo e i mezzi necessari.
I successivi CG ripresero l’argomento, talvolta con espliciti riferimenti alla
formazione pedagogica. Ad esempio, il CG del 1898 stabilì:
«Negli Studentati vi sia una scuola di magistero, nella quale i chierici ven-
gano esercitati praticamente nella spiegazione della grammatica e degli au-
tori, nella scelta dei temi e nella correzione dei compiti. Le norme didattiche
insegnate in queste, colla indicazione delle opere giovevoli all’insegna-
mento, saranno raccolte in un manuale ad uso di tutti i nostri insegnanti».
Ma nel 1910 il Consigliere scolastico generale, costatando una situazione
ancora negativa, fece un pressante appello perché
«i confratelli, uscenti gli uni dallo studentato filosofico pel tirocinio pratico,
gli altri dallo studentato teologico per lavorare definitivamente nelle nostre
Case di educazione siano convenientemente preparati a bene insegnare ed a
bene assistere, soprattutto nelle scuole più umili, elementari e ginnasiali in-
feriori. Son troppo frequenti – osserva – i lamenti che pervengono di chie-
rici, talora anche di preti, che, destinati alle case, poco sanno applicare pra-
ticamente le istruzioni contenute nei due capitoli del nostro Regolamento
sui maestri e gli assistenti, digiuni anzi, talvolta, delle norme didattiche più
elementari teorico-pratiche. Eppure la nostra Pia Società è anzi tutto, come
128 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (12.09.1915).

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136 José Manuel Prellezo
apparisce fin dal 1° articolo delle Costituzioni, una Congregazione religiosa
per l’educazione della gioventù. Mentre dunque si raccomanda caldamente
agl’ispettori e direttori di guidare con affetto come paterno i nuovi inse-
gnanti ed assistenti, istruirli con pazienza, incoraggiarli, rialzarli negli
sbagli pressoché inevitabili ne’ primordi della loro carriera educativo-didat-
tica, si raccomanda non meno caldamente agl’Ispettori e Direttori degli stu-
dentati di filosofia e teologia di adoperarsi intensamente perché i confratelli
passino ai Collegi, Istituti, Ospizi ecc. ben preparati e ben disposti all’uf-
fizio di maestri e di assistenti»129.
Nei singoli programmi per il corso teologico degli anni 1912 a 1916, don
Cerruti introduce una nota, insistendo con vigore su concetti analoghi:
«Si sente ognor più il bisogno che i nostri chierici e preti escano dagli stu-
dentati filosofici e teologici ben agguerriti alla vita pratica dell’educazione
della gioventù, che costituisce lo scopo specifico della nostra Pia Società, e
quindi ben preparati ad essere abili assistenti e docenti nei molteplici rami
dell’insegnamento, a cui saranno destinati. Questo bisogno fu pure ricono-
sciuto nelle adunanze di marzo u.s. degli ispettori dell’Antico Continente
col Capitolo Superiore e ne sorse il desiderio che, a formar soprattutto dei
buoni insegnanti, vi fosse nei detti studentati almeno un’ora settimanale di
didattica pratica, applicata alle principali materie, cioè latino e greco, lingua
nazionale locale, storia e geografia, matematica e scienze fisiche e naturali,
che essi dovranno poi insegnare nelle scuole elementari o popolari, medie o
secondarie delle varie case, od in queste ultime soltanto. Così non andrà
perduto quanto si è imparato negli anni antecedenti e si acquisterà con eser-
cizi pratici il metodo di far con profitto la scuola»130.
Nelle accennate riunioni degli ispettori europei del 1912, l’accento della re-
sponsabilità va messo anche sulla responsabilità dei professori degli studentati:
«In modo speciale gl’insegnanti dei chierici abbiano presenti che gli studii
cui attendono i loro allievi mirano a formare di essi non solo dei buoni
preti, ma ancora dei buoni educatori della gioventù, sull’esempio e a se-
conda degl’insegnamenti di D. Bosco e soprattutto dei buoni maestri ed as-
sistenti sia per gli studenti come per gli artigiani, giacché anch’essi entrano
nel nostro programma, e vi entrano prima ancora degli studenti, perché ad
essi D. Bosco anzitutto rivolse le sue sollecitudini».
E allo scopo di raggiungere tali obiettivi, si decise di introdurre «nell’orario
degli studentati filosofici e teologici almeno un’ora alla settimana di didattica pra-
tica, applicata alle principali materie che si dovranno insegnare nelle Case»131.
129 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.04.1910). Nella sua circolare del 15.01.1909, accen-
nando alla formazione dei giovani salesiani, don Cerruti invitava gli ispettori del Brasile a un
«maggior impegno perché essi si formino bene, pii, abili e istruiti. Il Latino, la Filosofia e la
Teologia, congiunte ad una santa e volonterosa arte di educare, ecco quello che noi dobbiamo
soprattutto coltivare ne’ nostri chierici e preti».
130 ASC E318 Studi filosofici e teologici.
131 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 137
Il discorso della propria formazione pedagogica viene rivolto pure ai gio-
vani salesiani. Questi, approfondendo la filosofia
«non debbono trascurare lo studio delle altre materie, per così dire profane,
perché esse gioveranno a quella cultura ormai indispensabile all’ecclesia-
stico e lo renderanno più atto a disimpegnare l’ufficio di educatore della
gioventù».
E nello
«studentato teologico, dove attendono esclusivamente allo studio delle ma-
terie ecclesiastiche, i nostri chierici siano applicati a quella didattica pratica,
in modo che non abbiano a perdere l’amore a quel genere di vita che do-
vranno attendere, usciti dallo studentato teologico»132.
Analogo orientamento era proposto dal Consigliere scolastico generale, a
Foglizzo nel 1914, raccomandando, nell’incontro con il personale della casa,
«che si inculchi agli Alunni lo spirito salesiano e si insinui loro che gli studi
teologici si fanno non solo per il ministero sacerdotale, ma anche per il di-
simpegno dei doveri salesiani. Ed il dovere primo dei salesiani è l’educa-
zione della gioventù, specialmente mediante la scuola e l’assistenza»133.
Nelle circolari mensili si suggerisce la lettura e commento, negli studentati
filosofici e teologici, del volumetto già proposto ai novizi, Dei principii pedago-
gico-sociali di S. Tommaso, e se ne motiva la ragione: importa «assai che in una
Congregazione religiosa, data all’insegnamento, qual’è la nostra, S. Tommaso
sia conosciuto e seguito anche come pedagogista»134.
Riferendosi in generale agli studi ecclesiastici, scriveva don Albera nel 1921:
«Questo nostro studio inoltre va fatto con programma, e con metodo, secondo un
piano prestabilito e ben circoscritto, nel quale sia assegnato a ciascuna materia il
posto che per la sua importanza e dignità le compete»135.
d) Formazione sul campo: triennio/tirocinio di esercizio pratico. La pro-
posta del triennio o tirocinio di esercizio pratico dopo il biennio filosofico si col-
locava in sintonia con una prassi formativa ormai consolidata nel clima pedago-
gico europeo: l’esigenza di formazione del maestro-educatore in contatto con la
realtà136. Ma l’iniziativa salesiana nasceva anzitutto da una esigenza interna alla
Congregazione: sostituire nelle case i chierici che dovevano andare agli studen-
tati teologici. Se ne comprese poi l’importanza dal punto di vista della forma-
zione dei giovani salesiani.
132 Ibid.
133 ASC F444 Foglizzo Verbali-Riunioni Anno Scol. 1914-1915.
134 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.10.1914; 24.12.1914); cf anche F. CERRUTI, De’ prin-
cipii pedagogico-sociali di S. Tommaso...
135 ACS 2 (1921) 139.

4.10 Page 40

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138 José Manuel Prellezo
Il quinto CG aveva stabilito nel 1889:
«Terminato lo studio della filosofia, si procurerà che i chierici passino un
anno intiero nell’Oratorio di Torino, od in una casa Ispettoriale, oppure in
un’altra casa designata dal Rettore Maggiore, durante il quale anno si abili-
tino praticamente agli uffici di maestro o di assistente»137.
Presa, nel 1901, la misura ormai imprescindibile di creare i primi studentati
teologici, e in stretto rapporto con essa, il nono CG stabilì:
«Dopo i due anni di filosofia, dovranno fare tre anni di vita pratica nelle
varie Case della Società.– I chierici durante il detto triennio d’intervallo si
eserciteranno nella lettura e nel componimento di uno o più autori latini e
nella lettura e studio di qualche opera d’indole filosofica o religiosa a
norma di quanto stabilirà ogni anno il Consigliere scolastico della nostra
Pia Società» 138.
Nella presentazione del resoconto di detto Capitolo, Don Rua metteva in lu-
ce l’importanza della deliberazione e tracciava i grandi orientamenti formativi: i
«Direttori delle Case veglino attentamente ed usino i mezzi necessari af-
finché i tre anni di tirocinio pratico che i chierici devono passare nelle Case
dopo lo studentato filosofico, siano ben regolati, si eseguisca quanto di pra-
tico venne e verrà ordinato sul modo di occupare il tempo; ed i Direttori, in
questi tre anni specialmente, facciano proprio da padri e tengano una cura
affatto speciale di questi novelli figliuoli che loro vengono consegnati, e
che più degli altri abbisognano delle loro attenzioni non essendo ancora del
tutto formati. Questa cura speciale nei detti tre anni è d’una importanza al
tutto eccezionale […] essendo in questo tempo specialmente che si formano
i nostri chierici alla vera vita salesiana»139.
A questo riguardo si costatano, tuttavia, resistenze e perplessità. Nel se-
guente CG del 1904, il regolatore, don Cerruti, osserva che non si è messo an-
cora in pratica quanto fu stabilito nel 1901, e «pone la pregiudiziale se convenga
sottoporre ad un nuovo esame le decisioni prese tre anni fa circa il triennio di
vita pratica e lo studentato teologico»140. Dopo «una lunga e animata discus-
sione», viene stabilita una Commissione con il compito di
«esaminare le varie osservazioni e proposte che pervennero o perverranno
intorno al triennio di vita pratica quale fu stabilito dall’ultimo Capitolo Ge-
136 R. GENTILI, L’insegnamento della pedagogia nelle scuole normali italiane fino alla
riforma del ministro Gianturco, in «Studi di Storia dell’Educazione» 4 (1984) 1, 11; L. LUZU-
RIAGA, La preparación de los maestros, Madrid, Cosano, 1918.
137 Deliberazioni dei capitoli generali, 33.
138 IX Capitolo Generale (1-5 settembre 1901), Torino, Tipografia Salesiana, 1901, p. 7.
139 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (19.04.1902).
140 ASC D585 Capitolo Generale X (26.08.1904).

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 139
nerale e di vedere se sia da ritornare sulla deliberazione del Capitolo pre-
cedente o se no, di suggerire i mezzi più opportuni perché il triennio dia
migliori risultati e studiare inoltre quali siano le ragioni per cui tali risultati
finora non si ottennero»141.
Completato il lavoro, la Commissione delibera «in favore del triennio». Ma
prima di passare alla discussione dei «mezzi per l’applicazione pratica di questa
deliberazione», il regolatore mette a votazione segreta il seguente quesito: «Si ha
da mantenere il triennio di esercizio pratico quale fu votato dall’ultimo Capitolo
Generale?». Il verbale della seduta plenaria riporta i risultati: su 72 votanti, 56 sì,
14 no e 3 astenuti142.
Tra i «mezzi» esaminati inseguito, trova ampi consensi la proposta di «un
programma unico» per tutta la Congregazione, data però «facoltà agli Ispettori di
modificarlo secondo i bisogni dei propri chierici e dei vari paesi». In continuità
con quanto stabilito precedentemente, detto programma doveva comprendere in
linea di massima: «lo studio delle lettere latine e lingue moderne, letture di ge-
nere filosofico e pedagogico, storia ecclesiastica ed anche di storia civica per
quelli che ne avessero bisogno»143.
Un autorevole membro del CG, don Giuseppe Vespignani, raccontava così
ai salesiani argentini il risultato della discussione:
«Il Capitolo Generale X pronunciò l’ultima parola ed ottenne un vero
trionfo, stabilendo il triennio di esercizio pratico tra lo studentato di filo-
sofia e quello di teologia. – Con ciò diede un carattere speciale al Chierico
Salesiano, esercitandolo pienamente nella sua missione verso la gioventù,
formandolo praticamente nella scienza pedagogica e nell’ammirabile si-
stema preventivo di Don Bosco, e maturandolo così, cogli esercizi della
vita religiosa, per la sublime vocazione alla vita Sacerdotale»144.
D’accordo con tali orientamenti capitolari, il Direttore generale degli studi
fa pervenire alle case un elenco di
«opere sode, istruttive, adatte – si diceva – allo stato loro e alle condizioni
sociali in cui viviamo, capaci ad un tempo di rafforzarli nella vocazione, di
agguerrirli contro gli errori del giorno e di prepararli convenientemente alla
vita pratica salesiana»;
pregando i direttori allo stesso tempo
141 Ibid.
142 Ibid. Il verbale della discussione si apre con queste parole: «Ha la parola il Rdo. Don
Bellamy il quale adduce varie ragioni per l’abolizione, o per lo meno modificazione del
triennio di vita pratica».
143 ASC D585 Capitolo Generale X (03.09.1904).
144 Giuseppe VESPIGNANI, Ai confratelli salesiani dell’America. Impressioni del viaggio
sul X Capitolo Generale. Agosto – settembre – 1904 (per uso privato dei soci), Buenos Aires,
Escuela Tipográfica del Colegio Pío IX, 1906.

5.2 Page 42

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140 José Manuel Prellezo
«di scegliere nell’unito elenco le opere che vi paiono più adatte ai chierici
delle vostre case, di provvederle e di darle loro a leggere e a meditare, invi-
tandoli a riassumere sinteticamente quanto avranno letto e meditato»145.
Tra le opere suggerite si trovano: Antoniano (Dell’educazione cristiana e
politica de’ figliuoli, 1821); Cerruti (Dei principii pedagogico-sociali di S. Tom-
maso, 1893 e 1915, I concetti pedagogici di Leone XIII, 1902); I Morali di
Leone Magno a educazione del clero giovine (pubblicato dalla Libreria Sale-
siana, 1895).
Lo stesso don Cerruti prepara e invia regolarmente «il programma di studi
pe’ chierici del tirocinio pratico». E sovente insiste sull’importanza di seguirlo
dopo aver denunciato che alcuni dei chierici «dichiarano di non conoscerlo
neppure» e «parecchi lamentano di non aver aiuti, né modo di poterlo praticare.
Eppure – aggiunge il Consigliere scolastico generale – si tratta di un dovere,
richiesto sì da’ nostri Regolamenti, come dalla necessità di entrare nel corso teo-
logico intellettualmente ben preparati»146.
Nell’undicesimo CG 1910, tra gli obblighi dell’ispettore, si segnala ancora
una volta:
«Deve provvedere affinché la formazione religiosa, intellettuale e pedago-
gica di ciascun giovane confratello, che esce dalle case di formazione si
continui efficacemente nelle case dove è inviato a fare il tirocinio»147.
Nello stesso Capitolo si era data anche importanza, in generale, alla prepa-
razione dei formatori:
«Sappia con pazienza e forza dotare le case di formazione di personale
scelto e procuri di non cambiarlo con frequenza. Procuri che ogni inse-
gnante non sia solo atto ad insegnare bene la propria materia, ma che sia
anche impegnato a dar buon esempio nell’adempimento di ogni suo dovere
e trasfondere negli alunni gli esempi pratici della vita salesiana».
e) Proposte di «formazione continua». La esigenza di formazione del sale-
siano educatore andava oltre i periodi segnalati e voleva raggiungere in qualche
modo tutti i responsabili della casa salesiana. Il problema non è stato affrontato
sistematicamente. Ma vi si allude a questioni e norme attinenti. Ad alcune ab-
biamo fatto già riferimento: circolari, programmi… Mi riferisco ancora a tre a
cui si dà speciale importanza.
1) Le «conferenze» del direttore. Nel secondo CG del 1880 viene stabilito:
«Tenga regolarmente le due prescritte conferenze ogni mese»; nelle delibera-
zioni del terzo e quarto CG, pubblicate nel 1887:
145 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (08.03.1902).
146 Ibid. (24.04.1912).
147 ASC D592 Atti del CG XI.

5.3 Page 43

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 141
«Il direttore ogni due mesi tenga una conferenza agli assistenti e ai capi di
laboratorio, per udire le osservazioni che avessero a fare, e dar loro le
norme e le istruzioni opportune pel buon andamento dei laboratorii; e
quando occorresse s’invitino anche i capi esterni, se ve ne sono».
Il termine conferenza va considerato nel contesto delle esperienze pedago-
giche del tempo e, ovviamente, alla luce delle tradizionali adunanze mensili di
Valdocco. Dalle decisioni dei CG e dai numerosi interventi che troviamo nelle
circolari si desumono l’importanza che veniva attribuita alla proposta e la va-
lenza formativa della proposta stessa. Le conferenze stabilite non erano semplici
discorsi o conversazioni su determinati argomenti religioso-ascetici.
Dette conferenze avevano una esplicita finalità pedagogica più volte riba-
dita: leggere e spiegare accuratamente «gli uffizi dei maestri ed assistenti, come
pure di far conoscere il sistema preventivo da adoperarsi per l’educazione della
gioventù» 148;
«richiamar loro alla memoria il sistema preventivo di D. Bosco nell’educa-
zione, spiegarne i punti fondamentali, e inculcare il dovere che abbiamo
tutti, ciascheduno per la parte nostra, di applicarlo nell’educazione dei
nostri giovani» 149;
illustrare il «modo di ben insegnare ed educare, richiamando e spiegando al tal
uopo le norme sul sistema preventivo nell’educazione, rettamente inteso e co-
scienziosamente applicato»150; ricordare le deliberazioni capitolari; far cono-
scere e commentare i documenti inviati da Torino: le lettere mensili e lettere cir-
colari, i programmi scolastici. Qualche volta si suggeriscono nelle conferenze
puntuali indicazioni didattiche: «raccomandare ai maestri che si ripartiscano fin
d’ora, mese per mese, settimana per settimana, il programma annuale delle ma-
terie che debbono insegnare»151.
Le conferenze erano inoltre incontri in cui anche i partecipanti erano invi-
tati a esporre le difficoltà e «quello che l’esperienza ha loro suggerito». Nel
1893, il Consigliere scolastico chiede agli ispettori «di inculcare ai Direttori le
Conferenze col personale insegnante ed assistente, sì individualmente come col-
lettivamente per avere così mezzo di conoscere, aiutare ed incoraggiare»152.
148 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (28.02.1886).
149 Ibid. (31.10.1900).
150 Ibid. (24.10.1908).
151 Ibid. (31.10.1900).
152 Ibid. (13.04.1893). L’insistenza con cui si parla delle «conferenze» mette in evi-
denza l’importanza data all’argomento; ma, allo stesso tempo, fa capire l’esistenza di situazioni
poco soddisfacenti. Don Pietro Cogliolo, dopo aver compiuto la «Visita straordinaria»
all’Ispettoria Transpadana, scriveva nel 1909: «pochi sono i direttori che si curano di far le
Conferenze prescritte, di leggere e far conoscere la circolare mensile» (ASC E915 Visita
straordinaria).

5.4 Page 44

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142 José Manuel Prellezo
2) Esercizi spirituali. Convegno degli Ispettori europei nel 1912:
«D. Albera raccomanda che nei nostri esercizi spirituali, specie dal predica-
tore delle istruzioni si tratti diffusamente della nobile e importante missione
che è affidata ai maestri e agli assistenti, qual è quella dell’istruzione della
mente, dell’educazione del cuore dei giovani, del formarli cristiani e a quel
sensum Christi, di cui parla S. Paolo. Vi sono dei libri che trattano ex-pro-
fesso di questi argomenti. Si rileggano i regolamenti dove è detto come
debba fare il maestro per rendere cristiana la scuola quando si presenta il
destro».
I partecipanti condividono questa raccomandazione: «Si parli con zelo del
carattere particolare educativo della nostra Pia Società, nei colloqui privati, nel
sermoncino della sera, nelle conferenze mensili, negli esercizi spirituali»153.
Il tema si ripropone nelle circolari mensili:
«Gli Esercizi Spirituali in una famiglia religiosa, quale la nostra, dedita
principalmente alla educazione dei giovani, domandano a ciascuno di noi
un diligente esame sull’adempimento dei doveri di educatore, e di educa-
tore secondo lo spirito del Ven. D. Bosco. Questi doveri debbono formare
argomento di riflessioni e propositi, prima che incominci il nuovo anno sco-
lastico. E ciò tanto più perché, secondo un canone fisso di buona peda-
gogia, nessuno possiede tutte le qualità che si richiedono a educar bene, e
ciascuno di noi sbaglia: sia per ignoranza e inesatta applicazione di regole
pedagogiche, e sia per le imperfezioni intellettuali e morali della propria
persona» 154.
3) Letture pedagogiche e saggi sul sistema preventivo. Tra i libri letti e
commentati a Valdocco negli anni ’80 spiccano il volumetto del barnabita A.
Teppa: Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della gioventù (1868) e
quello, tradotto in italiano, del padre marista francese A. Montfat: Pratica dell’e-
ducazione cristiana (1879). La lettura del primo era stata raccomandata dallo
stesso don Bosco fin dagli anni ’60. Il Consigliere scolastico generale segnala
nelle circolari ai Salesiani i saggi riguardanti il sistema preventivo; in particolare,
quelli da lui composti allo scopo di «continuar l’attuazione de’ disegni dell’ama-
tissimo nostro Superiore sull’educazione e sull’insegnamento»155. Ne elenco al-
cuni titoli significativi, con qualche commento tratto dalle medesime circolari.
– Nel 1887:
«Unitamente a questa lettera circolare riceverai alcune copie d’una nuova
opera, indirizzata ancor essa a continuar l’attuazione de’ disegni dell’ama-
153 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.
154 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.08.1918).
155 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (06.02.1887).

5.5 Page 45

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 143
tissimo nostro Superiore sull’educazione e sull’insegnamento. Le Due let-
tere sulle idee di D. Bosco miravano a far meglio conoscere gli scrittori la-
tini cristiani, a segnalare la necessità di unirne convenientemente lo studio e
la spiegazione a quella degli scrittori latini profani, e a suggerir il modo,
con cui questi ultimi vanno interpretati sotto il rispetto religioso, morale e
letterario. Il presente Disegno s’indirizza agli scrittori italiani, e mentre
provvede alle esigenze degli esami di licenza liceale, indica il modo, con
cui deve essere insegnata la Storia letteraria, e come e con qual criterio i
classici della nostra letteratura, specie quelli proposti per le scuole, debbano
essere letti e studiati, a fine di ottenere ad un tempo il profitto religioso-mo-
rale e scientifico-letterario della gioventù italiana. A quest’effetto racco-
mando ai direttori ed insegnanti particolarmente la lettura della prefazione
che precede il Disegno» 156.
– Nel 1908:
«Amerebbe che l’Éducateur-Apôtre, del Guibert, di cui la nostra Libreria
Editrice di Roma pubblicò or ora un’eccellente versione italiana, fosse co-
nosciuto e letto in tutte le nostre case per l’alta importanza educativo-cri-
stiana» 157.
Nello stesso anno:
«Invia ai confratelli d’America un opuscolo d’indole storico-pedagogica, ad
essi particolarmente dedicato, dove troveranno in raffronto nobili ammoni-
menti educativo-didattici di Quintiliano, Vittorino da Feltre e D. Bosco, con
calda esortazione che quegli ammonimenti siano conosciuti e praticati»158.
– All’inizio del 1910: citando un testo tratto da una recente pubblicazione
del salesiano don F. Scaloni, Manuel des jeunes confrères qui debutent dans l’A-
postolat salésien, don Cerruti aggiunge: si tratta di un’operetta «che dovrebbe
essere maggiormente conosciuta e diffusa»159.
Nove mesi dopo:
«Co’ programmi sopra accennati inviò pure, pe’ direttori, insegnanti ed assi-
stenti, un Ricordino educativo-didattico qual’affettuosa fraterna memoria
del suo 25° di Consigliere scolastico generale. Si stimerà ben felice se
156 Ibid. Don Cerruti si riferisce ai suoi scritti: Le idee di D. Bosco sull’educazione e sul-
l’insegnamento e la missione attuale della scuola. Lettere due, S. Benigno Canavese, Tipo-
grafia e Libreria Salesiana, 1886; Disegno di storia della letteratura italiana ad uso de’ licei,
Torino, Tipografia Salesiana, 1887.
157 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.09. 1908). Si riferisce a J. GUIBERT, L’educatore
apostolo; versione libera del prof. D. Dall’Osso. Trilogia del prof. Francesco Cerruti, Roma,
Libreria Salesiana, 1909.
158 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.10.1908). Don Cerruti allude al suo scritto: Una tri-
logia pedagogica ossia Quintiliano, Vittorino da Feltre e don Bosco. Appendice alla versione
italiana dell’Éducateur-apötre del Guibert del prof. Domenico Dall’Osso, Roma, Scuola Tipo-
grafica Salesiana, 1908.
159 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1910).

5.6 Page 46

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144 José Manuel Prellezo
saprà che saranno intese e praticate le idee in esso svolte, che son le idee di
D. Bosco, mentre si raccomanda, a titolo di compenso, alle comuni pre-
ghiere» 160.
– In occasione del cinquantesimo di professione religiosa e sacerdozio,
l’anno 1916, don Cerruti diede alla luce un saggio: Il problema morale nell’edu-
cazione. Intendeva esaminare in esso la «questione gravissima» agitata in quel
momento storico, sotto «varie denominazioni (questione sessuale, problema ses-
suale, educazione sessuale, educazione nuova et similia161. Dopo un rapido
confronto, non esente da un certo tono apologetico, tra la pratica di don Bosco
riguardo a tale questione e le opinioni di alcuni autori classici (Seneca, Quinti-
liano, Giovenale), egli conclude che il Fondatore dei Salesiani «si trova in buona
compagnia» e si può dire che le sue idee «in fatto di educazione della gioventù»
poggia «su basi razionali, scientifiche»162.
– Qualche anno prima, nel 1912, nel Convegno degli Ispettori dell’Europa
era formulata questa raccomandazione:
«I Direttori spieghino il sistema preventivo, lo facciano capire bene, non si
creda che consista solo nel non battere. Si legga quel prezioso libricino di
D. Cerruti – Un Ricordino educativo-didattico; si radunino ogni settimana
maestri e assistenti per dare i voti di condotta e se ne approfitti per correg-
gere alcune idee, inspirarne altre»163.
4.4. La proposta pedagogica nell’orizzonte del sistema preventivo: nuclei fon-
damentali
La validità del sistema preventivo è affermata nella sua integrità e in ma-
niera convinta. Due testimonianze per tutte:
Il Consigliere scolastico generale scriveva con enfasi nel 1910:
«Ogni giorno, che passa, mi persuado ognor più della necessità, che per noi
è dovere, di stare attaccatissimi, mordicus, agli insegnamenti di don Bosco,
anche in fatto d’istruzione e di educazione e da questi insegnamenti non di-
partirci mai, neppure d’un punto, nec transversum quidem unguem. Lungi
da noi i novatori» 164.
Nel 1920, il Rettor Maggiore asseriva da parte sua:
«Il sistema educativo di don Bosco – per noi che siamo persuasi del divino
intervento nella creazione e nello sviluppo della sua opera – è pedagogia
160 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.10.1910).
161 Francesco CERRUTI, Il problema morale nell’educazione, Torino, Tipografia S.A.I.D.
«Buona Stampa», 1916, p. 5.
162 F. CERRUTI, Il problema morale..., pp. 21-32.
163 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.
164 F. CERRUTI, Un ricordino educativo-didattico..., p. 7.

5.7 Page 47

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 145
celeste. E invero, non furono dati già al pastorello dei Becchi, nel sogno
ch’egli ebbe a nove anni, i principii fondamentali del sistema preventivo,
quando gli fu detto dal misterioso e venerando personaggio: “Non colle
percosse, ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi
tuoi amici?”» 165.
Accanto a queste prese di posizione, si trovano affermazioni più sfumate e
chiari inviti a seguire con sano criterio «il movimento delle idee del nostro
tempo». Avremo occasione di documentarli.
Nei volumi proposti e nei documenti normativi e di governo elaborati a To-
rino non si giunse, però, ad una esposizione sistematica o ad una proposta orga-
nica completa. Tuttavia vi si riscontrano dei nuclei tematici che sono evocati so-
vente e messi in particolare risalto. Costituiscono «linee pedagogiche» essen-
ziali. Ne documento quelle più rilevanti.
4.4.1. Lo scopo: formare «cristiani e cittadini sodi ed aperti»
Nei documenti troviamo diverse espressioni che intendono sintetizzare il
nucleo centrale e unificante della proposta pedagogica salesiana: preparare «alla
vita, e vita davvero cristiana-cattolica, formando ad un tempo di lui l’uomo e il
cittadino o meglio tutto l’uomo»166; «formare ad un tempo la mente e il cuore
dell’alunno», preparandolo «alla vita individuale e sociale, temporanea ed eterna»
167; formare «il carattere sodamente cristiano, religioso e morale, de’ giovani»168;
«D. Bosco fondò i suoi istituti per la cristiana educazione della gioventù»169; e
con particolare attenzione alla «formazione cristiana della gioventù operaia»170.
Le formule più pregnanti, però, riecheggiano, pur con variazioni significa-
tive, quella ben nota, e ripetuta spesso da don Bosco. Ad esempio, Cerruti parla
di formare «bravi cittadini e de’ buoni cristiani»171; e invita i confratelli a «lavo-
rare, faticare in ogni modo» per restituire i giovani alle famiglie «muniti di buoni
diplomi sì, ma altresì ottimi cittadini, credenti, sinceri, franchi ed operosi»172. Al
salesiano insegnante/educatore si fa il richiamo: «Ricordi che i suoi alunni deve
165 Lettere circ. di don P. Albera, 312. Invita a comprendere «tutta la bellezza della pe-
dagogia celeste di don Bosco» (ASC 1 [1920] 64).
166 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (06.10.1886).
167 Ibid. (29.01.1910).
168 Ibid. (20.12.1913).
169 [P. ALBERA], Manuale, p. 114.
170 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.02.1919). Nel terzo e quarto CG del 1883-86 si di-
chiara che «triplice deve essere l’indirizzo che deve darsi alla loro educazione: religioso-mo-
rale, intellettuale e professionale» (Deliberazioni, p. 18); cf José Manuel PRELLEZO, La «parte
operaia» nelle case salesiane. Documenti e testimonianze sulla formazione professionale
(1883-1886), in «Ricerche Storiche Salesiane» 16 (1997) 353-391.
171 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (24.01.1910).
172 Ibid. (29.01.1910).

5.8 Page 48

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146 José Manuel Prellezo
formarli anzitutto costumati, rispettosi, socievoli, pii, religiosi, cristiani e citta-
dini sodi ed aperti»173; a «questo soprattutto deve mirare il direttore a formare
dei suoi allievi dei buoni cristiani, degli onesti cittadini»174.
L’accento viene messo in particolare sul cristiano. Riprendendo letteral-
mente le parole di don Bosco, il Consigliere scolastico generale asserisce: «la
frequente confessione, la frequente comunione, la messa quotidiana sono […] le
colonne che devono reggere un edificio educativo»175. E qualche mese dopo:
«La pedagogia di Don Bosco è tutta ed interamente cristiano-cattolica; per
lui scuola e chiesa sono due idee che si compiono a vicenda; il maestro
deve coadiuvare il sacerdote ed esserne alla sua volta da lui sostenuto, gui-
dato. Nel pensiero di Don Bosco fra chiesa e scuola corre la relazione che è
fra la fede e la ragione, fra il dogma e la scienza»176.
Il Rettor Maggiore, don Albera, va più lontano:
«Procuriamo dunque, o carissimi, che la nostra missione educativa sia emi-
nentemente soprannaturale, come quella di Don Bosco, e troveremo il si-
stema preventivo molto facile e fruttuoso anche nelle sue più minute parti-
colarità» 177.
La forte sottolineatura della dimensione religiosa e trascendente – il cri-
stiano – non lascia, tuttavia, nell’ombra la dimensione umana e sociale – il citta-
dino –. Nella decade 1910-1920 si avverte una crescente attenzione a tale
aspetto, particolarmente nei documenti elaborati dai consiglieri professionali ge-
nerali: don Bertello e don Ricaldone. Quest’ultimo, dopo aver accennato, nel
1919, agli «attuali avvenimenti di ordine sociale» – cioè «l’agitarsi quasi gene-
rale delle masse popolari, la loro corsa al potere, le profonde modificazioni che
si delineano nei rapporti fra capitale e lavoro» – aggiunge:
«Ricordiamo ancora una volta che oggi all’operaio, all’agricoltore non
basta più la sola formazione religiosa e tecnica, ma gli è indispensabile la
formazione sociale. Anzi, pei nostri alunni detta formazione dev’essere in
modo speciale accurata […]. A tale scopo la scuola di sociologia sia fatta
con criteri di somma praticità agli alunni degli ultimi corsi: siano ben
173 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (20.12.1913).
174 [P. ALBERA], Manuale, p. 114.
175 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1910).
176 Ibid. (02.03.1910). Nella circolare del 24.11.1911, Cerruti richiama «quello che tanto
e così spesso inculcava il nostro Ven. D. Bosco ed abbiamo ne’ nostri Regolamenti, segnata-
mente agli articoli 298, 302 e 328, che cioè l’insegnamento nostro deve essere essenzialmente,
cristianamente educativo». L’ultimo art. citato recita: «Sulla dottrina di Gesù Cristo e sui mezzi
da Lui lasciatici per la santificazione delle anime nei SS. Sacramenti basò D. Bosco la educa-
zione religiosa. Sia adunque nostra cura principale perché si mantenga nelle nostre case la bella
frequenza ai Sacramenti della Confessione e della Comunione da parte dei socii e dei giova-
netti» (Regolamento per le case [1906], p. 90).
177 ACS 1 (1920) 68.

5.9 Page 49

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 147
istruiti circa i principi sociali-cristiani che formano il fondamento di tutta
l’azione stessa; conoscano l’esistenza, il funzionamento dei Sindacati cri-
stiani e gli organi regionali e locali che li rappresentano; sappiano della
cooperazione, mutualità, assicurazione, buona stampa ecc. Per mezzo di
conferenze tenute da buoni propagandisti si mettano a contatto coi più sani
elementi della regione, si preparino insomma alla vita pratica, e in modo
che gli alunni dall’uscire dall’Istituto sappiano con sicurezza ove dirigere i
loro passi» 178.
Anche nelle circolari del Consigliere scolastico generale, si avverte l’at-
tenzione al contesto culturale e alle diversificate situazioni geografiche in cui
operavano ormai i Salesiani. Egli sottolinea il nucleo essenziale, ma non si
chiude ai necessari adattamenti. Allorché si preparava la esposizione educativo-
didattica in occasione del centenario della nascita di don Bosco (1915), invitò a
verificare come, nei «paesi di religione mista, dove si accettano nelle scuole gio-
vani acattolici», si cerca di provvedere «perché per una parte non si usi mai vio-
lenza o coazione, e per l’altra si mantenga sempre integra ed apprezzata la fede
cattolica» 179.
4.4.2. Un «sistema basato interamente sulla carità»
L’art. 298 del Regolamento per le case, del 1906, recitava: «L’educazione
salesiana dev’essere basata sul timor di Dio e sull’adempimento dei proprii do-
veri». Nelle circolari mensili si trova qualche volta l’invito esplicito del Consi-
gliere scolastico alla rilettura di detto articolo. Don Albera, nella seconda circo-
lare come Rettor Maggiore, precisava nel 1911: «Tutto il sistema d’educazione
insegnato da D. Bosco si poggia sulla pietà»180. Negli scritti successivi non
sembra che tale asserto sia stato ripreso. Anzi, nel 1915 si puntualizza che «tutto
questo sistema si può dire consista nell’usare grande carità e dolcezza di modi
nel trattare i giovani»181, e si ripete che il sistema è «basato interamente sulla ca-
rità». Lo stesso don Albera, accennando alla esperienza di don Bosco, com-
menta: «questo sistema – com’egli stesso dichiarava negli ultimi anni della vita
mortale – non era altro che la carità». L’orientamento più condiviso era stato già
proposto nelle circolari mensili del 1906: «Ci tornino spesse volte alla mente le
parole di San Paolo: Caritas patiens est, benigna est… Omnia suffert, omnia
sperat, omnia sustinet. Esse sono la base del sistema preventivo cotanto racco-
mandato da D. Bosco»182.
178 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.11.1919).
179 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (02.03.1914).
180 Lettere circ. di don P. Albera, 32 (15.05.1911).
181 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.03.1915).
182 Ibid. (24.04.1906).

5.10 Page 50

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148 José Manuel Prellezo
Si riportava letteralmente la nota affermazione tratta dallo scritto di don
Bosco: «la pratica del sistema preventivo è tutta appoggiata sulla carità, che è
paziente e benigna e tutto spera e tutto soffre».
Sull’argomento accennato si ritorna spesso. Invece, è quasi assente nei do-
cumenti l’altra nota asserzione destinata ad avere in seguito notevole diffusione:
«Questo sistema si poggia tutto sopra la ragione, la religione, e sopra l’amorevo-
lezza». Don Albera avverte, nel 1920, che il sistema preventivo fa «appello alla
ragione, alla religione e all’amorevolezza»183. È la prima (l’unica?) volta che si è
trovato nei principali documenti normativi e di governo (deliberazioni, circolari,
verbali, atti…) una allusione al trinomio che doveva diventare classico nelle trat-
tazioni sul sistema preventivo. Non si è riscontrata neppure una citazione lette-
rale nei saggi di Barberis e Cerruti. Il trinomio è enunciato, però, nella seconda
edizione della Vita del venerabile servo di Dio Giovanni Bosco (1920) di G. B.
Lemoyne. Questi (o il curatore dell’edizione) rielabora il cap. VIII, organizzando
i materiali (norme e mezzi per mettere in pratica il sistema preventivo) attorno a
quel trinomio che doveva diventare «classico» (l’opera fu consigliata dal Diret-
tore spirituale negli ACS)184.
Curiosamente, sembra che sia stato raramente utilizzato nei documenti nor-
mativi e di governo il termine «amorevolezza». Si parla spesso di «religione» e
anche, sebbene meno frequentemente, di «ragione» («la ragione preceda l’azio-
ne»), ma non di «amorevolezza». I Superiori e gli studiosi salesiani di pedagogia
preferiscono usare – come del resto faceva don Bosco negli ultimi anni della vita
185 – altri termini: «dolcezza», «saper amare i giovani», «familiarità e confiden-
za», «bontà», «mansuetudine», «amore», «affetto»; e, in particolare, «carità».
Da questa realtà basilare – la carità – doveva scaturire un atteggiamento ot-
timista e positivo nei confronti dei giovani e delle loro possibilità di raggiungere
le mete dell’educazione. Il Consigliere scolastico generale scriveva nel 1910 ai
Salesiani:
«Lungi quindi da noi la teoria falsa, esiziale e contraria al sistema preven-
tivo, la teoria de’ delinquenti nati: sono ineducabili, si dice, refrattari natu-
ralmente a qualsiasi forma di educazione; dunque abbandoniamoli. Questa
è la teoria dell’orgoglio disposato alla pigrizia. Per D. Bosco, come in gene-
rale pe’ pedagogisti ed educatori assennati, da Quintiliano a’ giorni nostri,
non esiste delinquenza originaria, refrattaria assolutamente ed intrinseca-
mente all’educazione, presa questa nel suo largo, ma vero significato»186.
183 ACS 1 (1920) 66.
184 ACS 1 (1920) 37.
185 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità... II, p. 465.
186 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando Cerruti (29.01.1910). Nella circolare mensile
del 24.09.1914, insisteva: «Bando al pessimismo, nell’educazione, bando alle idee di inedu-
cabilità ingenita o atavica, idee le quali non suonano altro, nel più dei casi, che imperizia o
pigrizia da parte del maestro» (ASC E277 Cons. Gen. Circ.).

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 149
Il rifiuto delle posizioni del criminologo Cesare Lombroso non significava,
per Cerruti, ingenuo ottimismo rousseauiano, ma atteggiamento positivo e rea-
lista:
«Esistono, purtroppo, degli individui, de’ giovanetti, che, per un cumulo di
circostanze, per lo più non imputabili ad essi, ci appaiono restii, quasi in-
correggibilmente resistenti all’opera dell’educatore. Ma se questi, armatosi
per prima cosa di spirito di sacrifizio e di una grande dose di pazienza,
saprà pigliarli con cristiano affetto, senza antipatie come senza parzialità,
scrutarli con benevolenza, intuirne le tendenze, studiarne a fondo il carat-
tere e, a seconda di questo, regolar la sua azione, ora frenando, or incitando,
gli uni scuotendo, gli altri temperando, tutti poi animando, nessuno mai
scoraggiando, da tutti, dico da tutti senza eccezioni, egli potrà ricavare un
risultato educativo sufficiente; non ne faremo sempre de’ diplomati, ma
certo de’ bravi cittadini e de’ buoni cristiani»187.
4.4.3. L’annosa questione dei castighi: invito ad un faticoso equilibrio
Ricordiamo la lettera di don Bosco ai Salesiani dell’Argentina nel 1885:
«Non mai castighi penali, non mai parole umilianti...».
Quattro anni dopo, il primo successore estendeva l’invito a tutta la Congre-
gazione:
«Sia impegno del maestro seguire le norme del metodo preventivo; per con-
seguenza non mai s’impongano castighi gravi o violenti, neppure si umi-
liino mai i giovani con termini di disprezzo; se vi sarà necessità d’infliggere
qualche castigo, si miri sempre all’emendamento del colpevole, e non mai a
sfogare la collera» 188.
Sempre don Rua insisteva nel 1894: il direttore
«invigili perché siano banditi i castighi troppo lunghi, penosi ed umilianti, e
perché nessun Superiore, maestro od assistente trascorra fino a battere i gio-
vani, il che oltre l’essere condannato altamente da Don Bosco, è ancor con-
trario alle leggi vigenti in qualsiasi Stato, le quali hanno sancito severissime
pene contro queste inconsulte punizioni»189.
Nel settimo CG del 1895, la commissione IV elaborò questa norma: «La
mansuetudine e la clemenza debbono informare tutta la vita salesiana; ma con
questa – puntualizzavano i redattori – pare non debba escludersi una ragionevole
severità necessaria a mantenere il vigore delle leggi».
In seguito saranno frequenti gli appelli a conservare un equilibrio che si di-
mostrò sovente faticoso (e non solo per quelli che avevano fatto l’esperienza
187 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (24.01.1910).
188 Lettere circ. di don M. Rua, 42 (27.12.1889).
189 Ibid., 117 (24.08.1894).

6.2 Page 52

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150 José Manuel Prellezo
della prima guerra europea). Nel 1902, don Rua raccomanda «caldamente ai Di-
rettori di usare e far usare il metodo preventivo per mantenere la disciplina, la
diligenza degli allievi nei propri doveri, evitando i castighi severi e gravosi»190.
Il Consigliere scolastico generale, nel 1908, dal canto suo, raccomandava:
«Osserva che senza ordine e regolarità non vi può essere disciplina, e senza
disciplina non si dà moralità. Ma osserva pure che la disciplina educativa
non è la disciplina militare, e che ordine e regolarità non sono sinonimi di
militarizzazione. Si stia dunque dappertutto a quanto insegnò D. Bosco, e
con lui i migliori pedagogisti, eliminando eccessi e travisamenti. A ciò gio-
verà efficacemente la lettura e spiegazione un po’ più frequente de’ punti
del Regolamento delle Case concernenti il sistema preventivo nell’educa-
zione e l’ufficio del maestro e dell’assistente»191.
Nel 1913, la denuncia di una situazione negativa diventava, allo stesso
tempo, proposta di cambiamento: «il sistema preventivo educativo di D. Bosco
non è dappertutto, né come si deve applicato, peccando gli uni per soverchia in-
dulgenza, altri per rigorismo, che è ben altra cosa da una giusta severità»192.
In termini più incalzanti e turbati si esprimeva il Direttore spirituale nelle
circolari mensili del 1915:
«si osservi in tutte le case, e con vero spirito salesiano il Sistema preven-
tivo, lasciatoci come eredità dal nostro impareggiabile fondatore […]; e gli
reca gran pena, come reca gran pena a tutti i superiori, specie al Ven. Rettor
Maggiore, il sapere che in qualche casa va introducendosi il sistema repres-
sivo dandosi per ogni mancanza punizione, e castighi. Questa non è l’edu-
cazione voluta dai superiori: coloro che così si diportano certo non possono
ambire il nome di figli di Don Bosco. E ciò che anche preoccupa si è che il
sistema dei castighi e delle penitenze comincia ad essere sostenuto eziandio
da qualche superiore delle Case. Certi direttori poi, deboli, si credono obbli-
gati per evitare maggiori mali, a tollerare questi metodi. No, non si continui
per carità, in questo abuso. Il Sistema Preventivo è una gloria del nostro
Ven. Padre e d’essere nostro vanto»193.
4.4.4. Prevenire e provvedere: «assistenza attiva»
Il frequente appello alla fedeltà al sistema preventivo non è accompagnato
da un approfondimento del concetto di prevenzione. Il Consigliere scolastico ge-
nerale, in una delle circolari più lunghe e articolate sul tema, si limita a illustrare
rapidamente il termine:
«prevenire non vuol dire indulgere bonariamente, né lasciar correre le cose
per la loro china, pur di non incomodarci od attirarci odiosità, né, soprat-
190 Ibid. (25.12.1902).
191 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (24.11.1908).
192 Ibid. (24.10. 1913).
193 Ibid. (24.03.1915).

6.3 Page 53

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 151
tutto, lasciar i giovani abbandonati a se stessi. Questa è pigrizia, non già ap-
plicazione delle massime educative di D. Bosco. Egli, il buon Padre, lasciò
scritto che, informati gli allievi delle prescrizioni e de’ regolamenti dell’isti-
tuto, occorre sorvegliare in guisa che essi abbiano sempre sopra di sé l’oc-
chio vigile del direttore e degli assistenti, che, come padri amorosi, parlino,
servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed amorevolmente correg-
gano; che è quanto dire, mettere gli allievi nell’impossibilità di commettere
mancanze» 194.
All’assistenza invece si dedica maggior considerazione in questa ed in altre
circolari ai Salesiani. Gli assistenti, specialmente gli «assistenti di studio», sono
sollecitati a
«non dimenticare mai che l’opera loro non deve essere solo passiva, non
deve cioè limitarsi soltanto a che gli alunni facciano silenzio e stiano ben
composti, ma deve essere attiva, debbono cioè essi adoperarsi efficace-
mente, deposto ogni interesse personale, perché questi siano occupati, fac-
ciano bene i loro compiti, studino le lezioni e il rimanente del tempo impie-
ghino in utili e sane letture». «Tutto il nostro impegno sia a prevenire ed
impedire il male, e a formare secondo la legge di Dio le coscienze e il cri-
terio cristiano nella gioventù a noi affidata»195.
A dir il vero, le idee espresse non erano completamente nuove nel clima
pedagogico del tempo. È interessante, a questo proposito, costatare che il ca-
pitolo sull’ «Assistente» inserito da don Barberis negli Appunti di pedagogia
sacra196 studiati dai giovani salesiani nel noviziato, riproduceva quasi material-
mente diverse pagine sull’ufficio del «prefetto», tratte – pur senza citare la fonte
– da un opera di A. M. Micheletti197.
D’altra parte, quando i documenti e i saggi pedagogici elaborati a Valdocco
parlavano di «assistenza continua» o dei «pericoli delle vacanze», non si disco-
stavano da un orientamento comune ad altre istituzioni educative religiose del
tempo.
Tuttavia, l’esigenza d’impegno sorge, secondo il Consigliere scolastico ge-
nerale salesiano, da un presupposto: «la scuola e l’assistenza […] sono le due
principali forme di vita della nostra Pia Società, la quale è anzitutto una Congre-
gazione di educazione e d’insegnamento»198.
194 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1910).
195 Regolamento per le case (1906), p. 85.
196 Per un esame dettagliato di questi Appunti rimando ai miei saggi precedenti, special-
mente: G. A. Rayneri negli scritti pedagogici salesiani, in «Orientamenti Pedagogici» 40
(1993) 1039-1063; Giuseppe Allievo negli scritti pedagogici salesiani, in «Orientamenti Peda-
gogici» 45 (1998) 302-311.
197 A. MICHELETTI, Della educazione cristiana note ed appunti pratici d’ordinamento
d’una casa di educazione…, vol. I, Roma, Tipografia Desclée, Lefebvre 1897.
198 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (15.01.1909).

6.4 Page 54

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152 José Manuel Prellezo
Non si trattava solo di una convinzione di don Cerruti. Nel Convegno degli
Ispettori dell’Europa del 1912 era condiviso lo stesso orientamento:
«si richiami spesso alla mente il 1º art. delle nostre Costituzioni e si fac-
cia rilevare che la nostra santificazione deve effettuarsi mediante l’esercizio
di quelle opere che vi sono indicate, principalissime la scuola e l’assi-
stenza» 199.
Da tale punto di partenza derivava una conclusione di dichiarata ispira-
zione donboschiana:
«Tutti poi, dal direttore all’ultimo degli assistenti, considerino come cosa
propria il bene intellettuale e morale de’ loro allievi, questi facciano oggetto
di tutte le loro cure ed attenzioni, e nel ben insegnare, assistere, vigilare,
incoraggiare ripongano il mezzo migliore e più sicuro, sia pure umile e
penoso, di piacere a Dio e giovare all’anima propria. Trascurar la scuola,
l’assistenza per cose geniali, fosse anche la predicazione, potrà soddisfare
all’amor proprio, all’egoismo in ispecie, ma non certo a farsi de’ meriti
presso Dio» 200.
E non era la prima volta che il responsabile degli Studi si occupava della
spinosa questione. Aveva scritto nel 1907: «E qui permettetemi che vi manifesti
la pena che provo nel vedere non pochi nostri preti» rifuggire dall’impegno
«dell’insegnamento e dell’educazione. Assistenza e scuola spettano ai chie-
rici; i preti son fatti soltanto pel sacro ministero e per gli uffizi più degni:
ecco la massima modernista, omai troppo penetrata e che si va diffondendo.
Or lo sapete anche voi, cari confratelli, che non è questo quel che c’insegnò
D. Bosco, né è questo che si praticava una volta e che, bisogna dirlo ad onor
del vero, si pratica tuttora da parecchi nostri preti, che la scuola considerano
come missione e nella scuola concentrano coscienziosamente tutta la loro
attività, la loro vita, senza punto venir meno ai doveri del sacerdozio»201.
Il Rettor Maggiore completava poi il discorso: dopo aver notato «che in
qualche Casa si sono esclusi i coadiutori dall’assistere», aggiungeva: «No, an-
ch’essi sono Salesiani e debbono esercitarsi nell’assistere, nel far scuola, negli
Oratori festivi»202.
4.4.5. Unità di direzione e partecipazione dei membri della «comunità-fa-
miglia»
Nel 1894, don Rua scriveva agli ispettori e ai direttori di America: «La vo-
stra comunità è una famiglia di cui voi siete il capo. Cotesti buoni Confratelli
199 ASC E171 Convegni Ispettori 1907-1915.
200 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1910).
201 Ibid. (09.07.1907).
202 [P. ALBERA], Manuale, p. 18.

6.5 Page 55

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 153
condividono con voi il non lieve peso dell’istruzione e dell’educazione de’ vostri
alunni» 203.
La suggestiva affermazione del Rettor Maggiore si collocava in linea di
continuità con i Ricordi confidenziali ai direttori e con le norme codificate nel
secondo CG del 1880:
«I Direttori trattino in Capitolo sul buon andamento delle scuole ed invi-
tino gli stessi maestri ad esporre quello che l’esperienza loro ha suggerito.
A tale uopo si facciano non meno di tre conferenze all’anno coi medesimi
maestri».
D’altra parte, l’indicazione di don Rua troverà una conferma in documenti
posteriori. Nel regolamento particolare del direttore – compilato da una apposita
commissione durante il Capitolo Generale del 1904 – si dava il seguente orienta-
mento di governo: «Si ricordi che le deliberazioni prese in comune sono più vo-
lentieri messe in pratica da coloro che lo devono aiutare»204.
Accennavo sopra all’importanza attribuita alle conferenze come mezzo di
«formazione continua» dei Salesiani. Aggiungo ora un’altra sottolineatura: la ri-
levanza attribuita a tali incontri come mezzo per favorire l’unità e la collabora-
zione nell’andamento delle singole case in conformità con il sistema preventivo.
Don Barberis, nelle sue cronache, riferendosi a quelle di Valdocco annotava, tra
gli altri, il seguente vantaggio: «i superiori si metton d’accordo tra di loro ed
operano tutti unanimemente con uguale spirito»205.
Nelle conferenze gli insegnanti dovevano essere invitati «a riferire come e
quanto abbiano esaurito del programma scolastico che li riguarda; tutti poi ad
esporre liberamente i bisogni loro, le difficoltà che hanno incontrato nell’esercizio
del loro uffizio, i mezzi per arrivarvi ecc.»206; poiché «l’armonia ed unità d’inten-
dimenti fra direttori, insegnanti ed assistenti è nelle Case uno de’ migliori e de’
più efficaci mezzi per la felice riuscita degli alunni negli studi e nella loro for-
mazione cristiana»207. Gli stessi ispettori sono richiamati
«a mettersi direttamente in comunicazione co’ singoli membri del personale
non solo dirigente, ma insegnante ed assistente, conoscer bene le occu-
pazioni ad essi assegnate, sentirne le condizioni, i bisogni, le difficoltà, la
sanità ecc.» 208.
L’esigenza di unità e di collaborazione viene proposta e richiesta ugual-
mente in campo didattico. Nel 1889, don Rua – lo abbiamo ricordato – consta-
203 Lettere circ. di don M. Rua, p. 114 (24.08.1894).
204 Regolamento per le case (1906), p. 103 (art. 394).
205 ASC Fondo Don Bosco. Microschedatura e descrizione a cura di Alfonso Torras,
Roma, 1980, micr. 837B7-B11.
206 ASC E277 Cons. Gen. Circ. (18.02.1891).
207 Ibid. (24.12. 1913).
208 Ibid. (24.05.1909).

6.6 Page 56

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154 José Manuel Prellezo
tava «qualche disaccordo nel metodo di insegnare»; e accennava, come punto di
riferimento comune, le idee di don Bosco (scomparso solo pochi mesi prima):
«Prendersi cura di tutti, interrogare tutti sovente, e non solamente alcuni; e nel
dare spiegazione aver sempre di mira che intendano coloro che sono indietro di
studii o di men felice ingegno».
Queste norme furono mille volte ribadite nei diversi documenti. Sul tema
dell’uniformità del metodo dell’insegnamento ritornarono pure i partecipanti al
settimo CG del 1895. Vi fu approvata la proposta: «Che si istituisca un periodico
didattico mensuale, in aiuto ai maestri delle classi primarie e secondarie, il quale
sia ad un tempo come il Bollettino ufficiale delle nostre scuole per tutta la Con-
gregazione».
Doveva pubblicarsi sotto l’ispirazione e direzione del Consigliere scola-
stico della Pia Società.
Nel 1901 vide la luce la rivista «Gymnasium» (pubblicata dalla Tipografia
Salesiana di Roma). Riguardo al tema delle disposizioni governative sull’inse-
gnamento, il periodico è dichiarato «l’organo ufficiale del Consigliere scolastico
generale». Ma ancora nel 1907, don Cerruti – autore della dichiarazione – sentì
il bisogno di stilare una lunga lettera circolare allo scopo di contribuire «a for-
mare quell’unità di metodo didattico, di cui sentiamo – scriveva ai direttori e
ispettori – ogni dì più il bisogno e che per una congregazione insegnante è ne-
cessità imperiosa». Subito dopo, chiarisce però che «unità fondamentale […]
non si oppone punto a quella varietà di particolari, determinata da diversità di
luogo, di lingua e di nazionalità»209.
Alla ricerca delle norme e degli orientamenti da proporre ai Salesiani, il Di-
rettore degli studi e delle scuole dedicò varie pagine in diversi saggi. Il punto di
partenza è sempre l’eredità pedagogica di don Bosco. Oltre le «idee» riproposte
da don Rua nel 1889, egli mette in risalto altre istanze donboschiane: dimensione
educativa della scuola e dell’insegnamento, cura particolare delle materie umani-
stiche, attenzione agli autori classici cristiani, le esposizioni educativo-didattiche.
In molti casi la proposta di unità e di collaborazione, di fatto, supera l’am-
bito prettamente didattico e trova elementi ricavati da autori non appartenenti alla
cerchia salesiana, in sintonia con il sistema preventivo. Nei solchi della tradi-
zione gesuitica della Ratio studiorum, viene sottolineata l’importanza dell’emula-
zione (e su questo punto insisteva anche il Primo Capitolo Americano del 1901).
Pur non citandoli esplicitamente, Cerruti invita con Rayneri e Lambru-
schini a mettere in pratica le «due grandi leggi pedagogiche della gradazione e
209 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1907). «Per l’occupazione dei
chierici durante il triennio pratico, e per coltivare in esso la loro mente, fu stabilito un pro-
gramma unico per tutte le case della congregazione data licenza agli Ispettori di modificarlo
secondo i bisogni dei propri chierici e dei varii paesi» (Regolamento per le case [1906], p. 35).

6.7 Page 57

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 155
della convenienza [che oggi diremmo personalizzazione]»210. Nell’ultimo saggio
del 1916, ritiene la prassi di don Bosco riguardo alla «gravissima questione»
dell’«istruzione sessuale» in pieno accordo con la citata legge della gradualità211.
Tra i nomi di pedagogisti e educatori più volti citati nei suoi scritti, notiamo:
Quintiliano, Seneca, Gregorio Magno, san Tommaso, Antoniano, Arnauld,
Fröbel, Locke, Fénelon, Spencer, Girard, Richter, D’Azeglio, Allievo.
Inoltre si scoprono elementi di sintonia con il clima pedagogico coevo della
«scuola del lavoro» o del movimento delle «scuole nuove» nella proposta «col-
laborativa» e «attiva» che il Consigliere scolastico generale prospetta in una
delle sue circolari del 1914:
«L’educazione è un’opera collettiva del maestro e dello scolaro. Non è buon
maestro chi fa tutto lui, come non è buon maestro chi se ne sta inerte a con-
templar gli alunni che lavorano, pago che non disturbino. Buon maestro è
invece colui che lavora egli e fa lavorar gli altri. La scuola è una missione,
la quale, perché dia frutto, richiede il lavoro ad un tempo del maestro e
dello scolaro» 212.
A questo punto la ricerca si apre ad un interessante e impegnativo lavoro di
confronto e di verifica che esula, però, dagli obiettivi del nostro Seminario.
5. Sintesi e considerazioni conclusive
I SDB: una congregazione religiosa per l’educazione. Superato qualche
disaccordo sul metodo d’insegnamento e sulle materie da privilegiare nella
scuola, verificatosi, secondo don Rua e don Cerruti, ancora negli ultimi anni
della vita di don Bosco, le testimonianze più autorevoli del periodo considerato
(1880-1922) rilevano un consenso sempre più radicato attorno a tre punti fonda-
mentali: il carattere educativo della Congregazione salesiana; la consapevolezza
del valore dell’eredità pedagogica ricevuta; l’impegno di conservare e comuni-
care tale patrimonio.
L’incondizionata adesione a questi assunti comporta aspetti senz’altro posi-
tivi che favoriscono l’opera di diffusione e di rivalutazione delle idee sull’educa-
210 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (29.01.1892).
211 F. CERRUTI, Il problema morale..., p. 25. La pubblicazione in diverse lingue delle
opere di S. Stall (Quel che il ragazzo deve sapere, versione dall’inglese di E. Codignola; con
una introduzione di P. Foà, Torino, Società Tipografico-Editrice Nazionale, 1913) e di M.
Wood Allen (Quel che la fanciulla deve sapere, versione dall’inglese di L. Caico; con una
introduzione di P. Foà, ibid., 1913) suscitò reazioni negative negli ambienti cattolici.
212 ASC E233 Cons. Gen. Circ. Durando-Cerruti (15.11.1914). L’opera di G. Kerschen-
steiner (Begriff der Arbeitsschule: Concetto della scuola del lavoro), fu tradotta, dopo il 1910,
in varie lingue.

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156 José Manuel Prellezo
zione e sull’insegnamento ritenute caratteristiche del patrimonio pedagogico
ricevuto; ma comporta allo stesso tempo dei rischi che i Salesiani non sempre
riuscirono a superare completamente.
I mezzi e i sussidi: centralità della vita e degli scritti di don Bosco. Vis-
suti e formati, «quasi per osmosi», in contatto con il Fondatore, i suoi più stretti
collaboratori e continuatori nell’ambito pedagogico – come don Giulio Barberis,
maestro dei novizi e primo professore di pedagogia – hanno sperimentato ed in-
segnano alle nuove leve salesiane che, nelle pagine riguardanti il Sistema pre-
ventivo, don Bosco «non scrisse se non le linee generali». Ma essi sottolineano
soprattutto un punto: «lo applicò interamente sotto i nostri occhi». In coerenza
con tale orientamento, i responsabili della Congregazione ritengono che il mezzo
o canale principale per comunicare l’eredità ricevuta e, in particolare, per acqui-
sire i tratti caratteristici dell’educatore salesiano è lo studio della vita, delle pa-
role e degli scritti di don Bosco.
Il naturale distacco cronologico dalle origini non comportò un graduale calo
d’interesse o l’erosione della valutazione positiva dei contenuti dell’eredità peda-
gogica salesiana. Al contrario, nella seconda decade del XX secolo, lo scritto che
don Bosco stesso presenta come l’indice di un’opera che ha in mente di comporre
(ma che non vide mai la luce), viene chiamato spesso «trattattello» e definito più
volte «Magna Carta della Congregazione salesiana». Tali ampliamenti e il forte
accento messo dal biografo, don G. B. Lemoyne, e dal Rettor Maggiore, don P.
Albera, sulla prospettiva soprannaturale – presentando il sistema preventivo come
qualche cosa di compiuto e rivelato da Dio («pedagogia celeste») nel noto sogno
dei nove anni – non poté non favorire una sottolineatura «perennialista» e talvolta
una lettura «spiritualistica» meno attenta all’adattamento ai concreti bisogni dei
tempi, che don Bosco stesso aveva suggerito nel CG del 1883.
Altri mezzi e i sussidi di comunicazione. Nell’opera di diffusione del pa-
trimonio pedagogico viene attivata inoltre progressivamente una rete di mezzi e
sussidi a diversi livelli d’impegno e di normatività o autorevolezza: Costituzioni
e Regolamenti, Deliberazioni dei CG, Convegni degli Ispettori dell’Europa,
Primo Capitolo degli Ispettori e Direttori dell’America Latina (presieduto da don
Albera, allora Direttore spirituale generale), Circolari mensili e successivi Atti
del Capitolo Superiore, Circolari personali dei membri del Capitolo superiore,
Manuale del direttore, Programmi d’insegnamento, Rendiconti scolastici, bio-
grafie esemplari, segnalazioni di libri su temi educativi e didattici.
I contenuti. L’approccio alle fonti documentarie e bibliografiche esami-
nate nel presente contributo permette di far emergere alcune «linee pedago-
giche» che si snodano attorno a temi di non poco conto: i destinatari della mis-

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 157
sione salesiana, le istituzioni educative privilegiate, la formazione di persone im-
pegnate nel compito educativo, i tratti più rilevanti della proposta pedagogica.
a) I destinatari. La scelta dei destinatari appare riproposta e indiscussa: «la
gioventù»/«i giovani» (qualche volta si accenna «ai giovanetti»). È ugualmente
condivisa la norma costituzionale: preferire di «occuparsi del ceto medio e della
classe povera». Negli ultimi anni del secolo XIX e nella prima decade del XX
pare che, di fatto, le porte dei collegi e delle scuole salesiane siano state aperte
piuttosto a ragazzi e giovani del «ceto medio» popolare (soprattutto delle scuole
elementari e ginnasiali).
Nel periodo bellico e postbellico (1914-1920), invece, si avverte, special-
mente nelle discussioni del Capitolo superiore attorno alla nuova realtà degli
«orfani di guerra», un approfondimento del significato e urgenza della missione
assistenziale-educativa dei Salesiani tra la «classe povera». Infatti, in una riu-
nione capitolare del 1920, i responsabili della Congregazione giunsero ad un
orientamento unanime: «la base dell’opera nostra deve essere la beneficenza non
i collegi […] quindi si insista per il ritorno alla beneficenza», cioè ai ragazzi e
giovani della «classe povera».
b) Le istituzioni educative privilegiate si collocano in linea di continuità
con quelle volute da don Bosco, sebbene con sviluppi non privi di significato.
L’Oratorio viene sempre ricordato come l’opera «prima» e caratteristica e oc-
cupa un ampio spazio nei documenti, poiché si ritiene che per molti giovani
nelle città e nelle borgate è «l’unica tavola di salvamento». Ciononostante, don
Albera, negli ultimi anni del suo rettorato sentì il bisogno di ribadire la piena
«salesianità» della scelta oratoriana.
Il cambiamento più rilevante si registra, però, negli istituti per giovani
operai. Nel periodo 1880-1922, essi hanno un progressivo sviluppo: da modesti
laboratori artigianali a vere scuole professionali «all’avanguardia fra le analoghe
scuole religiose e non»213. Già nel 1895 – come si è detto – don Rua scrive in
una circolare: i «nostri laboratori devono denominarsi scuole professionali». Nel
clima di nuova sensibilità per il mondo operaio – suscitato dalla Rerum Novarum
(1891) –, l’ottavo CG del 1898 si occupa dell’argomento, e sotto la guida del
Consigliere professionale generale, G. Bertello, sono elaborati e sperimentati
«nuovi programmi» (1907-1910), «perché ai giovani alunni non nulla manchi di
quella cultura, di cui vantasi giustamente la moderna industria». Un nuovo im-
pulso è dato alle scuole professionali e agricole da don P. Ricaldone, nel nuovo
contesto sociale della seconda decade del XX secolo, perché, secondo lui, l’ab-
bandono di queste opere significherebbe «snaturare i fini» della Congregazione.
213 R. S. DI POL, L’istruzione professionale popolare a Torino nella prima industrializza-
zione, in Scuole, professioni e studenti a Torino. Momenti di storia dell’istruzione, Torino,
Centro Studi sul Giornalismo Piemontese, 1984, p. 81.

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158 José Manuel Prellezo
Nel 1901, don Rua aveva invitato ad assecondare «il nuovo e salutare risveglio
di ritorno ai campi».
Con convinzione e tenacia, il Consigliere scolastico generale, don Cerruti,
promuove e organizza la scuola umanistica, presentata e sollecitata come «vera
missione» dei Salesiani. Ritiene che «trascurar la scuola […] per cose geniali,
fosse anche la predicazione», può soddisfare l’egoismo «ma non certo a farsi de’
meriti presso Dio».
In tale scenario si inseriscono le divergenze riscontrate tra i membri del
Capitolo superiore e poi l’opposizione che suscitarono in Italia talune loro deci-
sioni sulla «abolizione delle scuole tecniche» nelle case salesiane (1907-1911). Il
motivo della misura non era, certo, la minor attenzione per i «giovani dei ceti
popolari», come suggeriva allora qualcuno; ma le riserve, nutrite già da don
Bosco e don Rua (e non soltanto da loro), riguardo al valore formativo degli isti-
tuti, in cui erano assenti le lingue classiche.
c) Le persone: formazione del salesiano educatore. Nell’esame delle fonti
documentarie emerge che fin dall’inizio del periodo esaminato – nel secondo
CG del 1880 – si afferma la necessità dello studio specialmente per quelli «che
per vocazione siamo preposti all’insegnamento e all’educazione». Dal 1888 al
1910, il tema della formazione del personale viene considerata in quattro dei sei
Capitoli Generali celebrati. Ed è richiamato più sovente, nei diversi documenti,
l’articolo XII delle Costituzioni riguardante gli studi nella Congregazione.
Pochi mesi dopo la morte di don Bosco, i membri del Capitolo superiore si
richiamano ad un nuovo invito del Papa (trasmesso dal vescovo amico, mons.
Manacorda), che desidera «vedere risvegliarsi» la Società salesiana, cercando di
formare «uomini eccellenti» anche negli «studi speculativi». Le parole di Leone
XIII non rimangono inascoltate. Tuttavia, il forte sviluppo della Congregazione
nell’ultimo decennio del secolo XIX e nella prima decade del secolo XX pro-
voca un più sensibile scollamento o distacco tra l’espansione delle opere e la di-
sponibilità di personale formato. I Salesiani più sensibili prendono coscienza dei
rischi che il fatto comporta per l’avvenire della Congregazione. Il Rettor Mag-
giore e il Consigliere scolastico generale considerano la cura del personale come
una «questione di vita o morte» per la Società Salesiana.
Tale consapevolezza spinge i membri del nono CG del 1901 e i Superiori di
Torino – ormai in un nuovo contesto culturale ed ecclesiale – a promuovere l’at-
tuazione d’iniziative e proposte più volte enunciate. Si scoprono così in filigrana
le grandi linee di una sorta di «piano formativo»: 1ª organizzazione dell’aspiran-
tato e del corso triennale dei Figli di Maria; 2ª arricchimento del programma pe-
dagogico nei noviziati e studentati filosofici; 3ª creazione del tirocinio di eser-
cizio pratico e preparazione dei chierici alla missione educativa salesiana; 4ª
fondazione dei primi studentati teologici, in cui si doveva formare non solo il sa-
lesiano prete, ma il salesiano «prete educatore»; 5ª sono attivate contemporanea-

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 159
mente iniziative e proposte che potremmo dire di formazione «continua»: in-
contri e conferenze, indicazione di temi riguardanti l’educazione dei giovani
negli esercizi spirituali, letture pedagogiche…
Vale la pena ripetere testualmente due affermazioni che esprimono bene
l’orientamento auspicato: «la cura intellettuale, morale e religiosa de’ confratelli,
soprattutto dei più bisognosi di attenzione costituisce – si legge in una circolare
del 1910 – il primo fra i doveri di un ispettore e di un direttore». Nel 1920, il se-
gretario del Capitolo superiore registra nei verbali questo orientamento generale:
«La mira principale dev’essere quella di formare personale e buon personale».
Più d’una volta, l’affermazione della proposta va accompagnata dalla denuncia
di situazioni negative al riguardo, che andrebbero puntualmente verificate (ma
questo è un altro tema).
La proposta pedagogica. I documenti normativi e di governo elaborati
nel Centro della Congregazione non offrono una presentazione organica di
questo piano formativo, abbozzato nelle diverse tappe. Nemmeno negli studi e
nei saggi più autorevoli raccomandati ai Salesiani si giunge a una esposizione
critica e completa del «sistema» o «metodo» preventivo. Gli autori si mostrano
piuttosto attenti a mettere in risalto la validità e i punti d’incontro con opinioni
(«massime educativo-didattiche») di pedagogisti e educatori classici e moderni.
Specialmente, nell’esame di alcuni temi di attualità nel momento storico (1910-
1922), come l’educazione della volontà, o discussi come «l’istruzione sessuale»,
appare il tentativo di mostrare che le idee e soprattutto la prassi di don Bosco
hanno «basi razionali, scientifiche»; o che «don Bosco è in buona compagnia»,
come dice Cerruti altre volte. Nei documenti esaminati è agevole, tuttavia, indi-
viduare alcuni tratti o nuclei tematici. Ognuno di essi si inserisce dichiarata-
mente nella cornice del sistema preventivo, che si allarga oltre lo scritto del
1877. Ne elenco quelli messi in maggior risalto dalle fonti.
a) Cristiani e cittadini sodi e aperti. Anzitutto, benché con espressioni di-
versificate, viene fortemente sottolineata l’integralità dei fini dell’educazione
(«preparare alla vita individuale e sociale, temporale e eterna»). Nel Regola-
mento per le case, del 1906, si precisano le note dell’educazione salesiana all’in-
terno di uno schema ricorrente nei manuali dell’epoca (educazione morale, reli-
giosa, intellettuale e fisica) con una sottolineatura particolare: l’attenzione alla
scelta vocazionale. L’istanza centrale si esprime soprattutto mediante la cono-
sciuta espressione di don Bosco, ripetuta talvolta con variazioni tutt’altro che ir-
rilevanti: formare «cristiani e cittadini sodi e aperti»; formare «l’uomo e il citta-
dino o meglio tutto l’uomo». Don Albera, pur alludendo a tale formula, sotto-
linea la dimensione soprannaturale e religiosa. Contemporaneamente (1911-
1922), in altri documenti salesiani, in particolare quelli elaborati da don Rical-
done, Consigliere professionale generale, si avverte una maggior attenzione al
«cittadino» con un espresso riferimento agli «attuali avvenimenti di ordine so-

7.2 Page 62

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160 José Manuel Prellezo
ciale» (1917). Ed è stato ricordato sopra che il Consigliere scolastico generale,
nel 1916, si sforza di evidenziare le basi «razionali, scientifiche» delle idee e
della prassi educativa di don Bosco. Sono prospettive e sottolineature da tener
presenti nella lettura e valutazione dei documenti.
b) «Sistema fondato sulla carità». All’inizio del suo rettorato, don Albera
invita a considerare che tutto il Sistema preventivo «poggia sulla pietà» (1911).
Sembra che non abbia ripetuto l’invito negli scritti successivi. Anzi, nel 1920,
egli stesso scrive che il sistema preventivo «non era altro che la carità». Ad ogni
modo, la convinzione più condivisa si trova già espressa nelle circolari mensili
del 1906 – riportando le parole di san Paolo citate da don Bosco – e ripetuta in
seguito più volte: «sistema basato interamente nella carità». Partendo da questo
presupposto, si fanno scaturire considerazioni di densa valenza pedagogica,
come l’ottimismo dell’educatore riguardo alle possibilità dell’azione educativa e
il rifiuto della teoria del «delinquente nato».
Invece, nei documenti salesiani e negli scritti dei primi studiosi salesiani di
pedagogia, si trovano poche allusioni al trinomio «ragione, religione, amorevo-
lezza». Anzi, è utilizzata sovente la parola «religione»; meno frequentemente,
«ragione» («la ragione preceda l’azione»); solo qualche volta il termine «amore-
volezza». I responsabili della Congregazione, per definire la qualità della rela-
zione con i giovani, preferiscono parlare (come del resto, lo stesso don Bosco
nell’ultima tappa della vita) di «dolcezza», «familiarità e confidenza», «mansue-
tudine», «affetto»…
c) «Non mai castighi penali». Può colpire, soprattutto se accostato al di-
scorso appena accennato, la frequenza con cui nelle fonti salesiane affiora il
tema dei castighi. Ricordiamo bene la lettera di don Bosco a don Costamagna
(1885): «non mai castighi penali». Tre anni dopo, il primo successore ribadiva:
«non mai s’impongano castighi gravi o violenti». In questo punto, c’è solo l’im-
barazzo della scelta delle testimonianze. E si scopre la fatica di un ragionevole
equilibrio. La proposta delle norme da seguire viene talvolta accompagnata dal
rifiuto di non isolate posizioni estreme da evitare: la «soverchia indulgenza» e il
«rigorismo». Ancora negli ultimi anni del rettorato di don Albera viene denun-
ciato con preoccupazione e senza riserve «che il sistema dei castighi» è soste-
nuto anche da qualche direttore delle case.
d) Assistenza attiva. Dal punto di vista metodologico, è sottolineata la cen-
tralità dell’assistenza e si puntualizza con particolare attenzione che essa «deve
essere attiva». L’assistente è impegnato ad «adoperarsi efficacemente» nell’edu-
cazione dei ragazzi. In realtà, non erano idee completamente nuove nel contesto
pedagogico del tempo214; e non costituivano istanze isolate quelle che segnalano
214 Cf G. BARBERIS, Appunti di pedagogia sacra..., pp. 257-325 e A. MICHELETTI, Della
educazione cristiana, pp. 258-266.

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Linee pedagogiche della Società Salesiana nel periodo 1880-1922. … 161
i documenti salesiani allorché parlano di «assistenza continua». Essi assumono
invece una posizione più originale nell’affermare: «assistenti siamo tutti». Il
Consigliere scolastico generale confessa, nel 1907, di provare pena di fronte alla
«massima modernista» che sostiene che l’assistenza dei ragazzi spetta ai giovani
salesiani, non ai preti, aggiungendo che si tratta di una opinione «troppo pene-
trata e che si va diffondendo».
e) Ambiente di famiglia e collaborazione. Il tema dell’assistenza, come
compito di tutti, è strettamente collegato con un altro tratto della proposta peda-
gogica che conserva, mi pare, notevole potenzialità. La sintetizza in forma felice
don Rua, nel 1894, in una circolare ai direttori dell’America: «La vostra comu-
nità è una famiglia di cui siete il capo… [i] Confratelli condividono con voi il
non lieve peso dell’istruzione e dell’educazione de’ vostri alunni». Il rilievo pro-
grammatico del Rettor Maggiore affonda le radici nei Ricordi confidenziali e
nelle Deliberazioni capitolari del 1882; trova poi una strada di attuazione nelle
«conferenze» o incontri che il direttore doveva tenere regolarmente con il perso-
nale (anche esterno) in ogni casa salesiana. Nel clima di rinnovamento pedago-
gico delle prime decadi del secolo XX, l’orientamento – unità di direzione e par-
tecipazione – è rilanciato dal Consigliere scolastico, ricordando ai Salesiani che
«l’educazione è opera collettiva», la quale «richiede il lavoro a un tempo del
maestro e scolaro».
Fedeltà a don Bosco e attenzione al «movimento delle idee del nostro
tempo». L’elenco fatto finora non è esauriente. Sono stati documentati e sareb-
bero da documentare altri tratti e nuclei tematici non privi di significato: influsso
dell’esempio del maestro-educatore, pedagogia della gioia e della festa, «compa-
gnie» o associazioni giovanili, teatro educativo, educazione e impegno politico,
riserve nei confronti delle «vacanze in famiglia» ecc.; ma, pur tenendoli presenti,
non si giunge a costituire, nell’insieme, un «sistema» pedagogico completo nel
senso rigoroso dei termini. Di fatto, nel 1926, superato ormai il periodo preso
qui in esame, il nuovo Rettor Maggiore, don Rinaldi, riconosce appunto che non
esiste ancora un vero testo di «pedagogia salesiana», cioè una esposizione del
«metodo educativo di don Bosco tutto intero»215.
Sembra, invece, che sia legittimo parlare di «linee pedagogiche della So-
cietà Salesiana nel periodo 1880-1922», coerenti e aperte a nuovi contributi teo-
215 ACS 7 (1926) 497. Nel 1941, don P. Ricaldone, il nuovo Rettor Maggiore, annun-
ciando l’inizio di una Facoltà di Pedagogia, presso il Pontificio Ateneo Salesiano, commen-
tava: «È una necessità per noi, l’erezione di questa nuova Facoltà: è una necessità per la Pia
Società Salesiana, società religiosa di educatori. Fin’adesso i nostri studi pedagogici si sono
fatti come si è potuto; continuando la tradizione di don Bosco i nostri ricevevano praticamente
la loro formazione. È tempo di sistemare, di organizzar meglio questi studi» (Arch. FSE, Cro-
naca dell’Ist. di Ped. dal 1940 al 1946. Verbali…).

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162 José Manuel Prellezo
rici e/o scaturiti dall’esperienza. Nei documenti di animazione e di governo e
negli scritti pedagogici raccomandati ai Salesiani si riscontrano, infatti, cenni a
sviluppi ed adattamenti – spesso indefiniti – nei mutati contesti culturali. Tali
cenni, benché meno frequenti e forti di quelli riguardanti l’attaccamento a don
Bosco, sono certamente stimolanti.
All’inizio del secolo XX, i membri del Primo Capitolo Salesiano Ameri-
cano concordano nell’asserire: «Si riconoscano pure e si adottino, in ciò che è
compatibile col nostro metodo fondamentale e le idee di Don Bosco, certi pro-
gressi fatti dalla scuola dei nostri tempi». E quando il Consigliere scolastico ge-
nerale postula «l’unità di metodo didattico» come «necessità imperiosa» per una
Congregazione insegnante, precisa che si tratta di «unità fondamentale che non
si oppone punto a quella varietà di particolari, determinata da diversità di luogo,
di lingua e di nazionalità» (1907).
Pochi mesi prima della conclusione del periodo preso in considerazione,
don Albera esorta, questa volta negli ACS:
«Seguiamo, con sano criterio e sapiente indirizzo il movimento delle idee
del nostro tempo, le scoperte nel mondo delle scienze, la tattica attuale de’
nemici della Chiesa […], procuriamo approfondire le nostre cognizioni
pedagogico-didattiche, ispirandole sempre ai concetti e alle direttive, che
costituiscono la base del nostro sistema di educazione».
Don Giuseppe Bertello, consigliere professionale generale, sintetizzava, nel
1910, le istanze di fedeltà e innovazione nel motto: «Con i tempi e con don
Bosco».