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l’autore esclama: “È l’ottobre del 1870. Troppo si è scritto, con l’attenzione tutta ri-
volta alla organizzazione della scuola, ai rapporti tra i Salesiani e le Autorità Munici-
pali e Ecclesiastiche, alla preoccupazione economica. E l’isola della Gallinara che
splende al sole non la ricordiamo più? E Solva... E la dolcezza del clima...” (pp. 51-
52). Nella parte terza, dopo che ha parlato sull’uso dei castighi nel collegio, ag-
giunge: “Abbiamo fatto un’esposizione alla buona, dettata dalla esperienza personale.
Ci sono al riguardo studi approfonditi e precisi, documentati scientificamente... Noi li
abbiamo letti. Ma siamo ricorsi a quello che abbiamo vissuto, anche nel collegio di
Alassio. Ricordo...” (p. 314). Nell’iniziare la parte quinta l’autore premette questa av-
vertenza: “Da questa parte in avanti la Memoria del Don Bosco di Alassio farà riferi-
mento in modo particolare e familiare alla cronaca degli anni vissuti dalla Comunità
salesiana...” (p. 497). Infine a conclusione dell’opera l’autore professa: “Ho raccon-
tato la vita. Non mi interessa affatto la storia come scienza. Mi interessa la storia
come vita, dato per concesso che io abbia lavorato con tutta la serietà di cui sono ca-
pace, senza alcuna riserva ed eccezione, e con grande fedeltà alla verità e appassio-
nata ricerca delle notizie” (p. 761).
Non v’è dubbio, quindi, che il libro è da leggere come una “Memoria”, più che
come “Storia”. Una “Memoria” che fa balenare per un attimo, davanti agli occhi del
lettore, personaggi di rilievo, di grande spessore culturale, molto significativi soprat-
tutto quelli tra fine ottocento e inizio novecento, alla cui narrazione l’autore partecipa
intensamente: “La gioia mia più grande, come un atto di amore, è stata quella di poter
far balzare davanti agli occhi di chi legge la figura di centinaia di Salesiani, i cui
nomi sono scomparsi dalla memoria, vivi solo alcuni, ma che furono Salesiani labo-
riosi, forti, validi, degni d’essere risuscitati...” (p. XXVI). Lasciando al lettore i con-
tinui segnali di partecipazione emotiva che l’autore pone lungo il libro, citiamo la
conclusione: “Termino questo mio lavoro che ho condotto con l’intento di far cono-
scere la vita che si è svolta nel collegio dal 1870, raccontando, compendiando, talora
commentando i fatti accaduti, con viva partecipazione, con molto amore... le figure di
tanti Salesiani che hanno lavorato ad Alassio. Il modo di esprimere è volutamente
tale, che induca alla lettura e a chi legga piaccia” (p. 761).
Le “fonti” e il loro utilizzo. La stesura del libro è stata preceduta da un intenso
lavoro di ricerca archivistica e documentaria, che possiamo schematicamente indicare
in questo modo: Archivio Salesiano Centrale; del collegio di Alassio; del comune di
Alassio; della collegiata di S. Ambrogio. Opere di Antonio Carossino sulla storia di
Alassio; opere pubblicate dai salesiani vissuti ad Alassio. Memorie Biografiche. An-
nali della Società Salesiana. Bollettino Salesiano. Testi di viaggiatori e vedutisti sulla
riviera. Testimonianze orali.
Bisogna dar credito all’autore circa la documentazione reperita, anche se sor-
gono delle perplessità sull’utilizzo della stessa. Ci limitiamo a qualche osservazione
ed evidenziamo alcune lacune che si impongono oggettivamente.
In linea generale si può osservare che circa i personaggi più rappresentativi
della storia salesiana l’autore preferisce citare fonti difficilmente reperibili, invece di
far riferimento, per una prima informazione, al Dizionario biografico dei Salesiani,
che riporta anche una discreta bibliografia a cui ha attinto l’autore per i suoi riferi-
menti in nota; che gli archivi del collegio, del comune, della collegiata sono citati