L’avv. Felice Masera - 1º Presidente Naz. ex-allievi salesiani d’Italia 403
— perché mi pareva che nell’esercizio dell’avvocatura potessi di più affermare le idee di
democratico cristiano, dar sfogo alla mia passione politica, allo spirito popolare insito
nella mia natura, per grazia di Dio, un po’ sanamente contadina.
Andai alla mia professione per sentimento, non per calcolo; l’esercito con senti-
mento e forse con eccessivo disinteresse; dico “forse eccessivo disinteresse”, perché, po-
vero, devo pur provvedere alla mia famiglia, alle mie bambine, a mia moglie che fortuna-
tamente scelsi non ricca, ma veramente buona.
Perché scelta senza criterio di calcolo, la professione mi è ricca di soddisfazioni e di
dolori grandissimi: ad esempio mentre le mie qualità naturali mi porterebbero maggior-
mente a fare il penalista, devo attendere il meno possibile alla difesa penale, poichè
soffro, sino a risentirne danno fisico, se il mio difeso, della cui onestà e innocenza io
abbia la certezza, non riesce assolto.
Consigliare, assistere, disingannare, sconsigliare, correggere maniaci litigiosi, fare
ogni sforzo per ridare consistenza morale a famiglie sconquassate, compatire colpe, fa-
cendo sì che la vergogna segreta non diventi scandalo e scherno al pubblico in genere,
sentire che attraverso il nostro ministero altri trovano calma, conforto, equilibrio, tutela, è
gioia da non potersi dire, attenuata solo dalla dolorosa necessità di richiederne la mercede
tangibile, il prezzo in moneta sonante.
Troppe volte, però, dopo meditazioni, ricerche, scrupolosi studi, se la causa è vinta e
il parere risulta buono, si sente mortificare la nostra intima soddisfazione con un «eh,
vorrei vedere se avesse perso questa causa!»; per contro, se nella dubbia e difficile contro-
versia si ottiene sentenza sfavorevole studi pazienti, diligenze accurate, dottrina ecc. nulla
contano per il cliente, che, feroce, esce in un «non mi doveva perdere questa causa»: per
la clientela ogni vittoria è quasi sempre merito della causa; ogni sconfitta, sempre colpa
dell’avvocato.
La storia dolorosa è comune a tutte le professioni, perciò con il tempo ci si fa un po’
il callo. Quel che più rattrista è l’allontanamento di clienti offesi dal consiglio amico, dalla
verità schietta, perché contraria ai loro pregiudizi, perché non pieghevole a mezzi da essi
ritenuti, forse in buona fede, leciti e onesti: per tale rifiuto, che è dovere, il cliente si muta
in detrattore.
E quante volte, soprattutto nei piccoli centri, l’interesse professionale viene a coz-
zare gravemente contro il dovere della fermezza nelle proprie idealità politiche! Troppo
spesso i clienti pretendono che il loro avvocato sia anche il loro compagno di fede; ne
seguono, quindi, vendette, talvolta ricatti per vincere i quali occorre forte energia, e nel
superamento dei quali si lascian brandelli di anima. Ai clienti tutto dare, eccettuata la
coscienza.
In troppi casi l’avvocato può essere la rovina o la fortuna morale ed economica delle
famiglie, perciò più d’ogni altro professionista deve avere in sè un criterio infallibile di
moralità assoluta, dei limiti del bene e del lecito, dev’essere profondamente cristiano.
Ogni giorno ha modo, nell’esercizio della sua missione di consigliere, di mostrarsi con
se stesso e con gli altri cristiano: se in sè porta questa luce di fede, in se stesso avrà la
sorgente di profonde gioie professionali; guai se tali soddisfazioni s’illude di trovare nel
favore popolare, nella fama tra i clienti, cui bisogna con umiltà e dignità servire senza
tramutarsi in servi!
E dovrei ancora dire due parole sui vantaggi economici della professione: temo che
la Rivista, per essere molto diffusa cada sott’occhio al fisco, che ne trarrà deduzioni fasti-
diose. La prudenza non è mai troppa...
Ma che utilità porterebbe il discorrere di “vantaggi economici” dell’avvocatura?
Come in ogni altra professione il vantaggio economico è la risultante di questi tre fattori