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VALDOCCO (1866-1888)
Problemi organizzativi e tensioni ideali nelle «conferenze» dei primi salesiani
José Manuel Prellezo
Nel Piano di Regolamento, elaborato nel '52/53, dieci anni dopo aver inizia-
to la sua opera assistenziale-educativa a favore dei giovani, il futuro fondatore
della Società salesiana notava: «Premetto che io non intendo di dare né leggi né
precetti; il mio scopo è di esporre le cose che si fanno nell'Oratorio maschile di S.
Francesco di Sales in Valdocco; e il modo con cui queste cose sono fatte».1
Gli studiosi più attenti e informati hanno messo in risalto giustamente il ca-
rattere «esperienziale, non dottrinario, della intiera vicenda di don Bosco».2 An-
che per capire il pensiero pedagogico di questi sarebbe insufficiente accostarsi
alla sua produzione letteraria. Lo studio puntuale degli scritti, in particolare di
quelli sul «sistema preventivo», deve venire integrato dal riferimento alla sua
esperienza dr educatore, alla personalità dei suoi collaboratori e «alla realtà viva
delle istituzioni in cui il sistema è stato pensato e attuato».3
1. Obiettivi e limiti del presente contributo
In un recente saggio ho avuto occasione di presentare la personalità e l'opera
di due dei primi e più autorevoli collaboratori di don Bosco: Francesco Cerruti e
Giulio Barberis.4 Nel presente contributo il punto di riferi-
1 G. Bosco, Scritti pedagogici e spirituali, a cura di J. Borrego, P. Braido, A. Ferreira da
Silva, F. Motto, J.M. Prellezo. Roma, LAS 1988, p. 43.
2 P. BRAIDO, L'esperienza pedagogica di don Bosco nel suo «divenire», in «Orientamenti
Pedagogici» 36 (1989) 11-39; cf. P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica,
voi. II: Mentalità religiosa e spiritualità. Roma, LAS 1981, p. 441-445.
3 P. BRAIDO, L'esperienza preventiva nel sec. XIX, in: ID. (ed.), Esperienze di pedagogia cri-
stiana nella storia, voi. II. Roma, LAS 1981, p. 199. Cf. B. FASCIE, Del metodo educativo di don
Bosco. Torino, SEI 1927, p. 19-27.
4 Cf. J.M. PRELLEZO, Il sistema preventivo riletto dai primi salesiani, in «Orientamenti Pe-
dagogici» 36 (1989) 40-61. È la seconda parte della comunicazione presentata al seminario di
studio: «Don Bosco e la sua esperienza pedagogica» (Venezia 3-5 ottobre 1988). Gli atti sono
stati pubblicati pure come volume autonomo: C. NANNI (ed.), Don Bosco e la sua esperienza
pedagogica: eredità, contesti, sviluppi, risonanze. Roma, LAS 1989. La prima parte — amplia-
ta e in parte rielaborata — di quella comunicazione invece è presentata ora in queste pagine.

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José Manuel Prellezo
mento scelto è invece quello della «realtà viva» di una istituzione concreta: quella
dell'Oratorio di San Francesco di Sales di Valdocco negli anni dal 1866 al 1888.
Rivolgo il mio studio alle «cose che si fanno» in detta istituzione e al «mo-
do» in cui «sono fatte», con l'intento di cogliere alcuni temi e momenti del dive-
nire della esperienza pedagogica sviluppatasi lungo il periodo considerato. Si
cercherà così di rispondere a questioni e interrogativi non privi di interesse. Tra
gli altri: Come matura operativamente nella coscienza dei salesiani di Valdocco
la consapevolezza di un «sistema educativo» in grado di essere condiviso da tutti,
compreso don Bosco? In quale misura esso coincide o non coincide con quello
che il fondatore della Società salesiana, a un certo punto, formulerà e «divulghe-
rà» come «sistema preventivo»?
1.1. LA SCELTA DELL'ORATORIO DI VALDOCCO
La scelta di Valdocco non è arbitraria. È la prima opera fondata da don Bo-
sco e l'unica diretta personalmente da lui. Sappiamo che la casa dell'Oratorio di
Valdocco costituì per i salesiani un po' come il paradigma o il modello ideale che
cercavano di «ricopiare» in altri contesti (...«a Valdocco si faceva così»). Nel
verbale del secondo Capitolo generale (1880), supremo organo legislativo della
Società salesiana, troviamo un testo significativo a questo riguardo: «Don Bosco
a proposito dell'osservanza delle deliberazioni dice le seguenti parole: 'Quando si
tratta di mettere il Direttore in qualche casa si osservi che sia stato educato nel-
l'Oratorio. Lo stesso si osservi per i Superiori primari da eleggere per le case
particolari. Qualora non si possano avere fra quelli educati all'Oratorio, si cerchi
almeno che sia stato educato da qualcuno che abbia avuto nell'Oratorio la sua
educazione'».5
La mia analisi sarà circoscritta al periodo 1866-1888. La prima data, meno
agevolmente giustificabile, è stata determinata — ma solo in parte — dal materia-
le che ho potuto esaminare. Si può anche dire però che si tratta di un periodo
significativo: gli alunni di don Bosco, diventati suoi collaboratori, intervengono
ormai attivamente nell'organizzazione e nell'andamento della complessa opera
che, chiamata per un certo tempo «casa annessa
5 Archivio Salesiano Centrale, Roma ( = ASC) 04 Capitolo generale II 1880 (conf. 11
sett. 1880). Nel 1878, in una conversazione con don Bosco, anche don Francesia, «in modo
tutto speciale fece osservare com'era importante tener molta unione tra l'Oratorio e le singole
case. Ora il vincolo intrinseco che ci univa va un po' scemando. Finché saranno direttori dei
collegi coloro che furono al tutto educata [sic] da D. Bosco le cose andranno avanti bene»
(ASC 110 Barberìs Cronachette 1878 [microschedatura del «Fondo don Bosco»: 846E8]).

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
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all'Oratorio di San Francesco di Sales», fu poi denominata abitualmente con il
nome familiare di «l'Oratorio» o, semplicemente, «Valdocco». Alcuni dei nomi
che troveremo più frequentemente in queste pagine (Rua, Cagliero, Francesia,
Ghivarello, Lemoyne, Durando) si trovano pure negli elenchi di quelli che emise-
ro nel corso del '65 i voti perpetui, come membri della Società salesiana. Impe-
gnato precisamente nell'impresa dell'approvazione definitiva e dello sviluppo
della sua congregazione religiosa, e anche nella ricerca di mezzi per la realizza-
zione delle sue opere, don Bosco cominciò a moltiplicare in questi anni i suoi
viaggi fuori Torino, rimanendo lunghi periodi lontano dall'Oratorio.
1.2. LE «CONFERENZE» DI VALDOCCO
Per quanto riguarda la situazione reale di Valdocco, in questa ricerca ci si
fonda, in modo più puntuale, su tre manoscritti significativi che, pur non consen-
tendo di formulare conclusioni definitive, contengono «spunti vivi che lumeggia-
no la vita dell'oratorio». Così avverte precisamente una nota di archivio scritta
nella prima pagina di uno dei documenti: Oratorio S. Fr. di Sales Adunanze del
capitolo della casa Ottobre 1877 - Genn. 1884.6 Il quaderno, redatto da don Giu-
seppe Lazzero, direttore della casa, contiene anche i verbali di alcune riunioni o
«conferenze» tenute da tutto il personale salesiano (sacerdoti, chierici, maestri,
assistenti) responsabile dell'educazione e istruzione dei ragazzi studenti. Redatti,
in parte, dallo stesso don Lazzero, troviamo inoltre nell'ASC i verbali delle Con-
ferenze mensili tenute fra ì sacerdoti e chierici che fanno parte all'assistenza
degli artigiani (1871-1878 e 1884).7 Nel quaderno, sicuramente incompleto, sono
stati inseriti alcuni fogli staccati contenenti verbali di qualche «conferenza agli
assistenti degli studenti». Riferendomi a questi due documenti, parlerò ordina-
riamente nelle presenti note di «conferenze mensili».
Un manoscritto precedente, e forse più importante, stilato da don Michele
Rua, prefetto generale, copre il periodo 1866-1877. Nel primo quaderno della
copia originale si legge: Capitolo Deliberazioni prese dal 1866 al 18
6 In: ASC 38 Torino Oratorio S. Fr. di Sales (microschede del «Fondo Don Bosco»:
227B3-228C11). Quaderno di 82 pagine (17,50 x 13 cm). Riferimenti a questo documento inedi-
to in: J.M. PRELLEZO, Fonti letterarie della circolare «Dei castighi da infliggersi nelle case sale-
siane», in «Orientamenti Pedagogici» 27 (1980) 627-628; P. BRAIDO, La lettera di don Bosco da
Roma del 10 maggio 1884, in RSS 3 (1984) 371-374.
7 In: ASC 110 Conferenze del personale e del Capitolo dell'Oratorio. (Questo titolo è stato
scritto in un secondo momento a macchina dall'archivista che ha fatto pure l'indice del docu-
mento [micr. 944C6-944C7]). Quaderno di 25 pagine 22 x 17 cm.

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José Manuel Prellezo
Die. 1870. Negli altri quattro quaderni, lo stesso don Rua scrive, come titolo:
Conferenze capitolari dell'oratorio di S. Francesco di Sales, aggiungendo poi le
date del periodo coperto da ognuno di detti quaderni.8
Parlando molto probabilmente di queste conferenze, don Giulio Barberis
nota nelle sue Cronichette: «Quivi specialmente si vede la parte vera
dell'Oratorio = cioè: 1o Quali sono i disordini che avvengono. 2° Quanti sforzi
richiedono per essere superati. Ma si vede pure 1o quanto invigilino, sieno oculati
e s'affatichino i superiori per togliergli; oh non si dorme no. 2° Non si
dissimulano i disordini; anzi qui si mettono in piena mostra, anzi si esagerano per
potervi rimediar bene. 3° Si vedrà più che tutto, e questo per lo scopo di questa
misera cronichetta, secondo che a me pare, deve essere la cosa principalissima,
quali mezzi si prendano ordinariamente dai superiori per rimediare ai singoli
disordini».9
L'iniziativa dei salesiani di Valdocco si inseriva tra le proposte di carattere
pedagogico molto diffuse nelle istituzioni educative del loro tempo. Il gesuita
padre De Damas, trattando della «forme des conférences», scriveva in un'opera
conosciuta a Valdocco, Le surveillant dans un collège catholique: «Il y a au
moins une fois par semaine une conférence à la quelle assistent tous les
Surveillants; on commence par lire quelque chose des règlements ou d'un livre
qui traite de la conduite des enfants».10
Alle riunioni o «conferenze capitolari», chiamate pure «conferenze
domenicali», prendevano parte i membri del capitolo dell'Oratorio «ed anche
quegli altri superiori che non son nel capitolo particolare ma nel Superiore; e poi
— precisa ancora don Barberis — quando si ha da trattare qualche cosa che
interessi qualcuno in particolare o che vi sia chi si intenda molto di quella cosa o
possa dare schiarimento, lo si invita».11
8 Sono i seguenti: «dal 9 Nov. del 71 al 1 Nov. del 1873»; «Dal 9 Nov. 1873 al 14 Marzo
1875»; «dal 28 Marzo 1875 al 4 Giugno 1876»; «dal Giugno del 76 al Maggio 1877»). In: ASC
9. 132 Rua Capìtolo. Sono cinque quadernetti di 200 pagine complessive non numerate (15 x
11 cm). Esiste una copia in: ASC 0592 Deliberazioni del Capitolo [altra mano: Superiore] dal
1866-1877 (micr. 1.874A9-1.875B9).
9 ASC 110 Barberis Cronachette 1876 [micr. 873B]. Probabilmente anche don A. Amadei
si riferisce ai verbali delle conferenze domenicali quando afferma che «gli appunti» lasciati da
don Rua «ci offrirebbero argomento per un lungo capitolo che riuscirebbe assai importante per i
Salesiani, ma poco interessante per la maggior parte degli altri lettori» (A. AMADEI, Il servo di
Dio Michele Rua successore di D. Bosco, vol. I. Torino, SEI 1931, p. 225).
10 P. DE DAMAS, Le surveillant dans un collège catholique. Paris, Librairie Adrien Le
Clere et Cie. 1857, p. 290. Sull'influsso di quest'opera negli scritti dei salesiani di Valdocco, cf.
PRELLEZO, Il sistema preventivo, p. 52.
11 Ibid. Don Barberis dà altre notizie su queste conferenze, utili anche per identificarne i
verbali: si radunano «regolarmente tutte le domeniche a sera ad eccezione solo di quando per
qualche motivo la maggioranza dei soci ne è impedita come avviene sempre in quelle dome-

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
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In sintesi: Si tratta di tre documenti significativi e autorevoli. Viene presen-
tato in essi il resoconto «ufficiale» delle decisioni prese dall'organo di governo
della prima istituzione educativa fondata da don Bosco e, anche se schematica-
mente, l'andamento delle riunioni o conferenze in cui il personale della medesima
affronta problemi di carattere disciplinare, scolastico ed educativo. Il carattere
«ufficiale» dei documenti comporta ovvi limiti. Vanno fatti però almeno questi
rilievi: 1) gli estensori non sembrano preoccupati di curare «l'immagine» dell'o-
pera: mettono in risalto senza difficoltà aspetti negativi e problematici; 2) le riu-
nioni capitolari e le «conferenze» erano presiedute da don Rua o da don Lazzero;
3) dal testo di molti interventi sembra potersi dedurre che don Bosco non prende-
va parte, ordinariamente, a tali incontri; 4) la frequenza con cui i primi salesiani
intervengono personalmente può offrire piste e dati per misurare il loro eventuale
apporto nella prima elaborazione di una prassi pedagogica a Valdocco, e anche
per capire se e come, in un secondo momento, essi hanno «riletto» il «sistema
preventivo», incarnandolo nella vita concreta e reale della prima casa salesiana.
Ovviamente, si sono tenuti in conto nella ricerca i dati riscontrati in altre fonti
disponibili: verbali del Capitolo superiore della Società salesiana, resoconti delle
conferenze generali tenute ogni anno in occasione della festa di San Francesco di
Sales, lettere, cronache e diari dei primi salesiani, testimonianze coeve, bibliogra-
fia critica.12
2. La «realtà viva» di Valdocco
Nell'adunanza o conferenza mensile del 9 di marzo 1883 fu messo all'ordine
del giorno questo punto: «Trovare il perché, che i giovani ci temano più di quello
che ci amano. Ciò è contrario al nostro spirito o almeno allo spirito di D. Bosco
etc.». Il resoconto della discussione è purtroppo molto scarno: «Su questo impor-
tante argomento si disputò circa due ore, senza però trovare la vera causa».13 In
ogni caso, sembra che il problema accennato avesse radici abbastanza lontane.
niche d'inverno in cui c'è teatro; in molte domeniche lungo le vacanze autunnali in cui o per
ragion d'Esercizi Spirituali o d'altro la maggioranza dei superiori non è a Torino». Vi interven-
gono «da 8 a 12 persone anche più».
12 Specificatamente sull'Oratorio di Valdocco, presenta particolare interesse l'ampia e
documentata monografia di P. STELLA, Don Bosco nella storia economica e sociale (1815-
1870). Roma, LAS 1980. Benché centrata sul periodo precedente (fino al 1870), essa offre dati
e orientamenti utili riguardanti anche il periodo fissato nella presente ricerca.
13 ASC 38 Torino Oratorio, p. 77.

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José Manuel Prellezo
2.1. IL FATICOSO CAMMINO VERSO L'ORGANIZZAZIONE
Come sguardo d'insieme, un capitolo importante della storia del primo quar-
to di secolo di Valdocco (1846-1870) è stato sintetizzato con una espressione
felice: «L'Oratorio tra spontaneità e organizzazione».14
Lungo la seconda metà degli anni '60, l'accento si spostò sensibilmente sul
secondo termine del binomio: l'organizzazione della casa in chiara prospettiva
collegiale. È questa la netta impressione che si ricava dalla lettura dei documenti
presentati sopra. Don Rua, tra le prime deliberazioni prese dal consiglio della
casa nell'anno 1866, ricorda esplicitamente le seguenti: «Far mandare i giovani in
ordine in chiesa al mattino e mandare invigilatori per l'ordine nelle camerate»;
«che gli studenti si recassero nelle proprie scuole in ordine accompagnati da un
assistente». Diverse altre deliberazioni si riferiscono a punti in stretto rapporto
con i precedenti. Per esempio, si determinò: «Invigilare molto sulla pulizia e
trovato alcuno a far immondezze tenerne nota per leggerlo in pubblico».15
Il tema dell'ordine, con variazioni e sfumature diverse, ricorre spesso nelle
adunanze dei responsabili di Valdocco. In questo contesto, e fin dagli inizi del
periodo che stiamo considerando (8.7.1866), fu introdotta una misura che doveva
avere una lunga vita nella prassi disciplinare ed educativa delle case salesiane: la
lettura dei voti settimanali di condotta. Altre misure approvate dai primi salesiani
per porre rimedio a determinati problemi disciplinari o a disordini, potevano in-
vece apparire non in completa sintonia con lo «spirito di D. Bosco».
a) Più di una parola sui castighi: Nella conferenza capitolare tenuta nel me-
se di luglio del citato anno 1866, si «parlò dei castighi e si determinò di far osser-
vare l'articolo 6° del regolamento dei maestri che dice di castigare solo in iscuola
lasciando al Direttore delle scuole l'incarico di farlo eseguire procurando pure che
i castighi che si danno in iscuola siano solo gli ordinarii, riserbando a dare gli
straordinarii col consenso dei Superiori».16 Un mese dopo «ritornò il discorso sui
castighi e se ne fece una gradazione: 1o Correzioni 2° Varii gradi di tavola di pu-
nizione: privar della pietanza - privar del vino - far mangiar in mezzo al refettorio
- alla porta del refettorio in ginocchio - sotto i portici - privar della ricreazione
obbligando il reo a
14 STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 231-269.
15 ASC 9.132 Rua Capitolo (nella prima pagina del manoscritto don Rua raccoglie le de-
liberazioni approvate nelle sedute «tenute prima di Marzo 66»).
16 ASC 9.132 Rua Capitolo (8.7.1866).

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starsene in un angolo custodito a vista da qualche assistente - stabilire due o tre
prigioni ed il posto più adatto parve il vano che trovasi presso il refettorio degli
artigiani fabbricando qualche muriccio e tenendole pulite. Riguardo al modo di
chiudere si lasciò a D. Ghivarello di pensarvi. Si stabilì che quando alcuno si
trovi dentro, ci vada qualche superiore a fargli visita per vedere con belle maniere
di ridurlo a migliori pensieri».17
L'incarico lasciato a don Ghivarello sembra che, per il momento, sia rimasto
solo sulla carta. Tre anni più tardi, in due sedute fu esaminato il tema dei castighi
più gravi, e si decise di fare una o più «camere di riflessione». La proposta fu
presentata a don Bosco, il quale — non sappiamo con quanta convinzione —
diede parere favorevole. Leggiamo nel verbale della seduta del mese di aprile
1869: «2° Si parlò di provvedere una camera di riflessione pei discoli e si deter-
minò di fare servire a tal uopo la prima camera delle antiche scuole dietro la casa.
Se ne parlò a D. Bosco ed approvò; solo che si trattava di dividere la detta camera
in due, e D. Bosco dispose di lasciarne una sola».18
Fu attuata, questa volta, la severa deliberazione? Nessun riferimento preciso
troviamo nei documenti segnalati. Tenendo presenti altre fonti, la risposta po-
trebbe essere forse affermativa. Angelo Amadei, riferendosi probabilmente a
questa epoca di Valdocco, scrisse nella biografia di don Rua: «Abbiamo accenna-
to a certi alunni, consegnati all'Oratorio dalla questura e da altre pubbliche autori-
tà, spesso refrattari ad ogni avviso e ad ogni miglioramento. [...] Per tentare ogni
mezzo di correggerli e non venir all'espulsione, col consenso di Don Bosco si
stabilirono alcune camere di riflessione, dove cotesti pubblici refrattari ad ogni
disposizione del Regolamento, che parevano irreducibili, venivano segregati
durante la scuola e la ricreazione, perché, senza tornar di danno ai compagni,
potessero rimanere nell'Oratorio ancora qualche giorno, comprendere l'imminente
pericolo ond'erano minacciati, prendere una generosa risoluzione ed emendarsi.
A poco alla volta, non tanto per il diminuir di tali accettazioni, per quanto l'ampio
fiorire della disciplina e del buon esempio generale, siffatto provvedimento venne
abolito».19
Nello scritto Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane (1883), attribui-
to a don Bosco, ma redatto sicuramente da uno dei collaboratori (pro-
17 ASC 9.132 Rua Capitolo (12.8.1866).
18 ASC 9.132 Rua Capitolo (24.4.1869).
19 AMADEI, // servo di Dio Michele Rua, vol. I, p. 224. L'autore non cita testimonianza
alcuna. Probabilmente si è basato sui verbali delle «conferenze domenicali». Infatti nella pagi-
na seguente accenna agli «appunti lasciati dal Servo di Dio circa gli argomenti delle frequenti
conferenze che si tenevano, sotto la sua presidenza» (p. 225).

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José Manuel Prellezo
babilmente don G.B. Francesia), troviamo questa nota di pie' di pagina: «Nel
timore che in qualche collegio per rara eccezione ed assoluta necessità si credesse
dover usare il camerino, ecco le precauzioni che vorrei adoperare: Il catechista od
altro superiore vada sovente a visitare il povero colpevole, e con parole di carità e
di compassione si cerchi di versar olio in quel cuore tanto esacerbato. Si com-
pianga il suo stato, e si industrii a fargli capire come tutti i superiori siano dolenti
di aver dovuto usare un castigo così estremo, e si capaciti a domandare perdono,
a far atti di sottomissione, ed a chiamare che si faccia di lui un'altra prova della
sua emendazione».20
I salesiani in quel momento non si discostavano dagli usi a loro contempo-
ranei. Per convincersene basti sfogliare il «Regolamento per i convitti nazionali
approvato con R. Decreto (N° 4292) 25 agosto 1860». Nell'articolo 53, nella
lunga lista delle «pene» che possono essere applicate, troviamo, tra le altre: «pri-
vazione di parte o dell'intera ricreazione», «pasto separato dagli altri», «ammoni-
zione del rettore», «9° camera di riflessione, dove il convittore deve aver sempre
da occuparsi in lavoro allo studio attinente, e dove può essere guardato e vigilato
dal di fuori».21
La misura disciplinare «estrema» accolta allora dai membri del capitolo di
Valdocco non si trovava però in perfetta sintonia con l'esigenza della «amorevo-
lezza» e con il testo di «una parola sui castighi», che il fondatore della casa aveva
proposto nel fascicolo // sistema preventivo nell'educazione della gioventù. È
vero che il «trattatello» doveva essere pubblicato solo otto anni più tardi da don
Bosco. Questi però apriva lo scritto — come si è ricordato —, dicendo che voleva
parlare del «così detto sistema preventivo che si suole usare nelle nostre case».22
20 Bosco, Scritti pedagogici, p. 258. Secondo qualche ex allievo di Alassio, in questo
collegio sarebbe esistita una «camera di riflessione» (testimonianza orale raccolta da don G.
Favaro).
21 Casalis, nel suo Dizionario (voi. XXI, 1851, p. 179), parlando però della «Generala»,
scrive che basta «la punizione di tre o quattro giorni di cella solitaria per reprimere questa sorta
di delitti».
22 Bosco, Scritti pedagogici, p. 165. Già in bozze queste pagine, ho potuto avere tra le
mani, per gentile indicazione di F. Motto, la minuta autografa di una lettera inedita di don
Bosco, indirizzata al «Pretore Urbano della città di Torino». Lo scritto non è datato, ma fu
stilato sicuramente nella seconda metà degli anni '60. Affrontando il problema di un giovane
«discolo» che aveva avuto «l'audacia di citar avanti le autorità» il eh. Mazzarello, «assistente
nel Laboratorio de' legatori», don Bosco fa pure alcune considerazioni generali sui problemi
disciplinari e sul tipo di ragazzi ricoverati a Valdocco. Ne riporto qualche paragrafo: «Inoltre
per tenere in freno certi giovanetti per lo più inviati dall'autorità governativa, si ebbe facoltà di
usar tutti que' mezzi che si fossero giudicati opportuni, e in casi estremi dimandare il braccio
della pubblica sicurezza siccome si è fatto più volte. Venendo ora al fatto del Boglietti Carlo [...]
asserire che egli fu più volte paternamente e inutilmente avvisato che egli si dimostrò non solo
in-

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Sarà necessario tornare su tale argomento. Mi limito a ricordare qui che i
temi accennati (castighi, voti di condotta, misure disciplinari) hanno un quadro di
riferimento più ampio. La «casa annessa all'Oratorio» di Valdocco, nella seconda
parte degli anni '60, non è più l'ospizio, d'impronta familiare, che offre, come nei
primi anni '50, alloggio e vitto a un ridotto gruppo di giovani poveri e abbandona-
ti che vanno a ricevere lezioni da qualche professore privato della città di Torino
o a imparare un mestiere nella bottega di qualche onesto padrone. Ormai erano
stati aperti da don Bosco, pur in mezzo a ristrettezze economiche e di personale,
diversi laboratori interni: calzolai e sarti (1853), legatori (1854), falegnami
(1856), tipografi (1861), fabbri (1862). Contemporaneamente, oltre alle scuole
serali, erano state pure istituite le classi ginnasiali, completate nel 1859. Gli alun-
ni aumentarono notevolmente. Stando ai dati offerti dal registro «Anagrafe gio-
vani», nell'anno 1851 furono accettati a Valdocco 3 giovani nuovi; nell'anno
1866: 410.23
D'altra parte, e in rapporto più o meno stretto con le attività scolastiche o di
lavoro dei giovani artigiani, altre iniziative trovarono sede all'Oratorio: la pubbli-
cazione delle «Letture Cattoliche» (1853), il progetto di «Biblioteca degli scrittori
latini» (1865), le attività sviluppatesi rapidamente attorno alla Basilica di Maria
Ausiliatrice, la cui costruzione fu iniziata nel 1863.
b) Si «va maggiormente sistemando l'ordine in tutte le cose»: La modesta
opera iniziata negli anni '40 era diventata dunque molto complessa. Don Bosco
accennò a questo fatto nel suo intervento alla conferenza generale del 1869. Udite
le relazioni delle diverse case, disse: «Noi qui è molto più diffìcile, il dare un
giudizio sull'andamento della casa, essendo qui un numero stragrande ed avendo
fra gli studenti, gli operai».24 Nel 1871, egli tornò ancora sull'argomento, con
sfumature significative. Dopo aver ascoltato la relazione delle «case particolari»,
osservò: «Noi qui nella casa di Valdocco non possiamo anche avere quell'ordine
di unità che si ha nelle altre case perché, oltre all'esservi in numero maggior, ab-
biamo ancor sempre un numero di individui che non appartengono alla congrega-
zione».
correggibile, ma insultò, minacciò ed imprecò il suo assistente, eh. Mazzarello in faccia a' suoi
compagni [...] Intanto i suoi compagni continuarono lo scandalo dato e fu mestieri ammonire
alcuni dello stabilimento, altri con dolore consegnarli alle autorità della pubblica sicurezza che
li condussero in prigione» (ASC 131.01 Lettere originali di don Bosco micr. 4B2-3).
23 Cf. STELLA, Don Bosco nella storia economica, p. 175: «Giovani e adulti convittori a
Valdocco (1847-1870)».
24 ASC 04 Conferenze generali («Nella Festa di S. Francesco di Sales - 69»).

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Nonostante tale situazione, don Bosco si dichiarò in quel momento soddi-
sfatto nel vedere il «miglioramento notabile» osservato negli ultimi mesi. E ag-
giunse esplicitamente: «Vedo che si va maggiormente sistemando l'ordine in tutte
le cose. Sono anche contento del gran miglioramento introdottosi negli artigiani,
che gli altri anni erano un vero flagello per la casa».25
Gli sforzi indirizzati, negli anni '70, al «miglioramento» dei giovani appren-
disti e alla sistemazione dell'«ordine in tutte le cose» non trovarono però una
strada facile nella «casa madre» di Torino. Questa espressione — «casa madre»
— fu utilizzata da don Bosco, nel citato intervento del 1871, riferendosi all'Orato-
rio di Valdocco. Essa esprimeva ormai una realtà che va tenuta presente per indi-
viduare alcuni dei fatti che stanno alla base di quelle difficoltà sorte nel cammino
verso l'organizzazione della prima istituzione educativa creata da don Bosco.
Questi, nel 1869, aveva ottenuto la approvazione pontificia della Società salesia-
na, sorta come associazione religiosa privata dieci anni prima. Valdocco ormai
non era solo un grosso «ospizio», ma assumeva anche il ruolo di casa generalizia
di una congregazione religiosa in crescita, i cui membri nel 1875 varcano l'oceano
verso terre americane. Negli ambienti della casa, non molto ampi per la verità,
trovavano accoglienza: giovani e adulti delle scuole serali, alunni del ginnasio,
artigiani e impiegati dei laboratori, novizi e giovani salesiani studenti di filosofia
e di teologia, chierici, coadiutori e sacerdoti impegnati nelle attività particolari di
Valdocco e i responsabili delle diverse mansioni a livello generale di tutta la
Congregazione.
Nel 1878, don Barberis registrava questa osservazione nelle sue croni chette:
«Ora, come diceva qui sopra, l'oratorio è pieno tanto che trabocca; ma D. Bosco
desidera che si accettino sempre ancora dei nuovi giovani e questo sia perché
vede l'immenso bisogno di togliere un numero ognora maggiore dalle strade e dai
pericoli; sia anche perché la povertà nostra e i disagi in casa non sieno cosa solo
nominale ma reale».26
Le note di Barberis sul numero di ricoverati rilevavano un problema reale a
Valdocco. E vi era anche una reale ristrettezza di spazio in cui svolgere le diverse
attività. Va notato inoltre che si trattava di attività con prospettive ed esigenze
molto diverse che non potevano trovare agevole armonizzazione. Di fatto, gli
aspetti problematici individuati anni prima non accennarono a scomparire, anzi
presero proporzioni più rilevanti nel decennio successivo. Salesiani autorevoli e
«ragionevoli» parlavano, nel 1879, di «inconvenienti» e di «disordini», e persino
di mancanza di una «vera e assolu-
25 ASC 04 Conferenze generali (30.1.1871).
26 ASC 110 Barberis Cronachette 1878 [micr. 846E6].

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
299
Numero di studenti e di artigiani accettati a Valdocco nel corso di
ciascun anno solare (1870-1879)
Anno
Studenti
Artigiani
Totale
1870
207
130
337
1871
225
124
349
1872
218
89
307
1873
225
114
339
1874
189
122
311
1875
234
127
361
1876
197
147
344
1877
268
170
438
1878
118
151
269
1879
113
221
334
Fonte: ASC Torino Valdocco Anagrafe giovani
ta amministrazione» a Valdocco. Don Giulio Barberis, dopo aver raccolto questo
giudizio severo nei verbali del Capitolo superiore, aggiungeva: «le cose vanno
avanti 'alla buona'. Ma in una questione grande dire 'si va avanti alla buona' suona
quanto dire 'si va avanti male'».27
Cercando una spiegazione a quei disordini e inconvenienti lamentati da più
parti, è individuato un fattore rilevante, precisamente, nelle interferenze dei re-
sponsabili della Congregazione nell'andamento normale di Valdocco: «Essendo il
Capitolo superiore in casa ed il personale affatto insufficiente all'uopo quando si
vede un disordine od occorre qualche bisogno qualche membro del capitolo
provvede. Ma queste cose fatte un po' dall'uno un po' dall'altro recano l'inconve-
niente che a varie cose provvedono tra due e in due diversi modi ed a qualche
altra provvede nessuno».
L'argomento, in prospettiva più ampia, fu oggetto di studio prolungato da
parte di don Bosco e dei suoi collaboratori. Sintetizzando il parere generale, don
Barberis scriveva: «Si vede da tutti che è tempo di sistemare meglio le cose [...].
A prima vista comparve che fonte precipua di tutti i disordini è di mancare un
centro attivo attorno a cui si aggirino assolutamente i centri secondari. Non può
più essere, com'era una volta, D. Bosco alla testa di tutto il movimento perché
troppo oppresso da altre cure gravissime. Non lo può assolutamente essere D.
Rua perché ingolfato nelle cose della Congregazione in generale».28
27 ASC 0592 Verbali del Capitolo superiore (8.5.1879).
28 ASC 0592 Verbali del Capitolo superiore (8.5.1879); cf. ASC 110 Barberis Cronachette
1878 [micr. 846E8].

2.2 Page 12

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300
José Manuel Prellezo
Nominata «una commissione incaricata di formulare un progetto tendente a
sistemare ordinatamente tutte le cose», si arrivò, non senza qualche vivace «di-
scussione», a prendere alcuni provvedimenti: 1o Separare il Capitolo superiore
della Congregazione dalla direzione dell'Oratorio. 2° Nominare un direttore (don
Giuseppe Lazzero), il quale, pur procedendo d'intelligenza con don Bosco, «non
sia legato e possa agire come gli altri direttori delle case». 3° Stabilire un «ammi-
nistratore centrale» o «prefetto posto a capo dell'azienda artigiana, economica,
industriale, commerciale».29
L'ordinamento delineato voleva rispondere a bisogni reali, ed era chiamato
ad avere ovvie ripercussioni nell'organizzazione della casa. Don Lazzero annota-
va nel suo diario, il 16 maggio 1879: «Si stabilì di mancipare il Capitolo Superio-
re da qualunque ingerenza particolare nell'Oratorio, cioè che l'Oratorio come casa
sia come un'altra qualunque della Congregazione».30
Le decisioni prese non trovarono una agevole traduzione pratica nella vita
quotidiana di Valdocco. Alcuni anni più tardi si lamentano ancora, come si vedrà,
interferenze e mancanza di «unità di direzione». Ugualmente, si continua a insi-
stere sulla necessità di fare osservare le norme riguardanti una più netta separa-
zione tra studenti e artigiani, già stabilite nei primi anni '70.31
2.2. ALCUNI TEMI E ORIENTAMENTI FONDAMENTALI
Le ripetute lagnanze riguardo alla mancanza di «unità di direzione» non era-
no disgiunte dall'insistenza su proposte e fatti da cui sembrano emergere temi e
orientamenti fondamentali, progressivamente condivisi, pur con qualche contra-
sto, dai salesiani di Valdocco. In questa sede ci interessa cogliere quelli di carat-
tere più specificamente pedagogico.
Faccio un primo rilievo. Pare che l'espressione «sistema preventivo» sia ap-
parsa «per la prima volta nell'opuscolo sul Patronato di Nizza»,32 cioè nel noto
fascicolo del 1877. Questo fatto può spiegare che nelle deliberazioni
29 ASC 0592 Verbali del Capitolo superiore (16.5.1879).
30 Cf. ASC 110 Lazzero Diario dell'Oratorio (maggio 1879).
31 Su questo argomento, rimando alla mia comunicazione al «Io Congresso Internazionale
di Studi su Don Bosco» sul tema: «Don Bosco e le scuole professionali» (gli atti sono in corso
di stampa). Sul problema della chiusura delle scuole di Valdocco (mese di giugno del 1879)
con decreto del ministro della P.I., Coppino, cf.: Le scuole di beneficenza dell'Oratorio di S.
Francesco di Sales in Torino davanti al Consiglio di Stato pel sacerdote Giovanni Bosco. Torino,
Tipografia Salesiana 1879; cf. anche: MB XIV, 87-97, 149-215, 721-756; P. BRAIDO-F. MOTTO,
Don Bosco tra storia e leggenda, in RSS 8 (1989) 132-134.
32 STELLA, Don Bosco II, p. 460.

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
301
del capitolo di Valdocco (1866-1877), nei verbali delle conferenze o nei docu-
menti di tale periodo non venga utilizzata tale terminologia: appare solo in qual-
che rara occasione il termine «sistema», ma parlando del «sistema di contabilità»
o di un determinato accorgimento disciplinare (nella seduta del mese di ottobre
1870 si trattò, per esempio, «del sistema dei banchi per gli assistenti e si determi-
nò di adottare il sistema che gli assistenti trovinsi di fianco ai loro assistiti»).33
Una tale assenza può suggerire l'ipotesi che il riferimento al «così detto si-
stema preventivo» dovette essere, prima del 1877, poco frequente o del tutto
assente non solo negli scritti ma anche nella parola di don Bosco.
Tuttavia, al di là e al di sotto di determinati termini o formulazioni, si pos-
sono identificare nei documenti esaminati temi ed orientamenti che avrebbero
occupato poi un posto centrale nel testo del 1877 e, già prima, nella prassi delle
case salesiane. Ne sottolineo alcuni che mi sembrano particolarmente significati-
vi nel divenire dell'esperienza pedagogica di Valdocco.
a) L'assistenza: Direi che è questo il tema più sottolineato e presente nei do-
cumenti a cui ho accennato nei paragrafi introduttivi. Nei primi anni (1866-
1871), assieme al ripetuto termine «assistenti» vengono utilizzati quelli di «invi-
gilatori» o «sorvegliatori» (almeno 13 volte), riferiti, in particolare, ai responsabi-
li della «sorveglianza» nelle camerate. I membri del capitolo di Valdocco fanno
frequenti appelli alla osservanza del Regolamento su questo punto, si preoccupa-
no di nominare regolarmente assistenti per i diversi ambienti e momenti della vita
collegiale; insistono sulla necessità di non lasciare soli i ragazzi. Nella seduta del
29.10.67 si deliberò che «un assistente supremo (D. Dongiovanni) invigili affin-
ché gli assistenti si trovino e a tempo al loro posto». E dieci anni più tardi, si
«parlò dell'assistenza, e si combinò di raccomandare caldamente agli assistenti di
sorvegliare in ricreazione e dappertutto i giovani».34
Non sono utilizzati i termini «prevenire», «prevenzione». Si mette l'accento
sulla «vigilanza». Anche quando si formula il proposito di «migliorare la condot-
ta» dei giovani, direi che emerge come prima preoccupazione quella di evitare
che possano allontanarsi dalla presenza degli educatori. Nella seduta del 27.7.73:
«Si trattò di migliorare la condizione morale degli artigiani e si suggerirono varie
cose che possono ridursi a tre:
1. Vigilanza da parte degli assistenti.
33 ASC 9.132 Rua Capitolo (22.10.1870).
34 ASC 9.132 Rua Capitolo (9.1.1876).

2.4 Page 14

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302
José Manuel Prellezo
2. Procurare che stiano tutti nel loro cortile in tempo di ricreazione e
stabilire uno che invigili all'uopo [...].
3. Gli assistenti dei laboratorii guardino di regolare l'uscita dei giovani
dei rispettivi laboratorii, non permettendo che escano senza dimandare licenza».
Anche qui bisognerebbe dire che i salesiani, ormai avviati sulla strada dei
collegi, non si discostavano da usi allora abbastanza generalizzati: nel real
collegio di Moncalieri (diretto dai padri barnabiti), il prefetto aveva l'obbligo di
«prestar grande attenzione ai 'pericoli... di riprovevoli inclinazioni, alle 'maniere
che hanno troppo di familiare, l'appartarsi coi compagni».35 Il padre De Damas,
dal canto suo, suggeriva questa norma disciplinare da osservarsi in un collegio
cattolico: «Vigilance continuelle. Ils ne font rien non plus qui puisse les détourner
de la vigilance continuelle qu'ils doivent exercer sur les élèves, soit dans les
classes, soit dans les salles d'études, les dortoirs, les récréations, les promenades,
etc. Ils ne seront pas même dispensés de cette surveillance pendant les heures
destinées au repos de la nuit».36 L'opera del gesuita, come sappiamo, non era
sconosciuta a Valdocco.
b) «Amore e timore»: In tali coordinate acquista significato quello che si
legge nel verbale della conferenza del mese di febbraio del 1872, tra le «cose
raccomandate»: «Farsi amare insieme ed anche temere dai giovani». I due termini
del noto binomio vengono messi sullo stesso livello. Non è sottolineato qui il
primato dell'amore. E il fatto non è privo di significato se si tiene in conto che
dieci anni prima (1863), don Bosco, nei suoi ricordi confidenziali a don Rua
(allora novello direttore di Mirabello e adesso prefetto della Società salesiana e
presidente della conferenza del 1872), aveva scritto: «5° Studia di farti amare
prima di farti temere». E nell'ultima edizione pubblicata nel 1886: «Studia di farti
amare piuttosto che farti temere».37
È vero che, tra queste due date, la formula acquistò nella penna dello stesso
don Bosco sfumature diverse; ma sempre meno rigorose di quella usata dai suoi
collaboratori nel 1872. Per esempio, nell'edizione dell'anno
35 S. TABBONI, Il real collegio Carlo Alberto di Moncalieri. Milano, Franco Angeli 1884,
p. 99.
36 DE DAMAS, Le surveillant dans un collège catholique, p. 280. Nel 1875 fu pubblicata,
nella «Biblioteca della Gioventù Italiana», l'opera di C. GRAS, L'istitutore nei convitti ossia
norme per formare buoni istitutori. Torino, Tip. dell'Oratorio di S. Francesco di Sales 1875.
L'autore insiste sulla «assidua vigilanza», considerata come «la chiave di volta dell'edifizio
educativo» (p. 12). Gras avverte nella presentazione del volumetto di aver tratto la materia
specialmente dal citato libro di De Damas.
37 Bosco, Scritti pedagogici, p. 79.

2.5 Page 15

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
303
prima (1871) leggiamo: «Studia di farti amare se vuoi farti temere». E in un
contesto prettamente pedagogico, nell'opuscolo del 1877: «L'educatore tra gli
allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere».38
Nei primi anni '70, a Valdocco, si sottolinea invece con la stessa enfasi
l’amore e il timore nell'educazione. E si considera che il conseguimento di essi «è
cosa facile»: «Allorché i giovani vedono che un assistente è tutto solecitudine pel
loro bene non possono fare a meno che amarlo. Quando vedono che l'assistente
non lascia passar cosa alcuna, ben inteso, che non vadano bene, ma di tutte le
mancanze li avvisa, non possono fare a meno che aver di lui un certo timore, cioè
quel timore riverenziale che si deve avere verso i loro superiori».39
Probabilmente, le cose si presentavano nella realtà, anche a Torino, molto
più complesse. Abbiamo ricordato che, anni dopo, i partecipanti ad un'altra
conferenza del personale non riuscirono a spiegarsi perché i giovani «ci temono
più che ci amano».
La ricerca di una soluzione e di un equilibrio non fu senza un certo
travaglio. Alcuni dei primi e più stretti collaboratori di don Bosco erano
consapevoli del rischio che comportava l'introduzione di certe misure. Nel 1878
si cominciò a dare anche agli ascritti, cioè ai novizi salesiani, i voti settimanali di
condotta e a «mettere a tavola di punizione chi ne riceva dei cattivi». Don
Barberis, responsabile della formazione delle giovani leve, osservava: «Certo che
il dare i voti settimanalmente è mezzo quantomai utile per ottenere ordine e
disciplina; ma è anche certo che si impara ad andare avanti con timore più che
con amore». Pur riconoscendo questo pericolo, e senza prendere una decisione
definitiva, don Barberis concludeva: «Tuttavia finora pare che questo produca
buoni risultati. La tavola di punizione poi è anche mezzo coercitivo ed è da
persuadersi per [molti del] alcuni essere necessaria perché non sono affatto cattivi
ma disturbatori e spensierati ed a parole non la capiscono: la tavola di punizione
se non altro serve a farli riflettere sul serio. Io sto studiando la cosa e vedendo i
pro ed i contro con ogni mia forza».40
38 Bosco, Scritti pedagogici, p. 199; cf. anche Ibid., p. 79, 209-211; P. BRAIDO, Il «sistema
preventivo» in un «decalogo» per educatori, in «Ricerche Storiche Salesiane» 4 (1985) 131-148
(soprattutto p. 138-142: «Amore e timore nel processo educativo»).
39 ASC 110 Conferenze del personale. Negli «Articoli generali» del Regolamento del
1877: «2. Ognuno procuri di farsi amare se vuole farsi temere. Egli conseguirà questo grande
fine se colle parole, e più ancora coi fatti, farà conoscere che le sue sollecitudini sono dirette
esclusivamente al vantaggio spirituale e temporale de' suoi allievi» (Regolamento per le case
della Società di S. Francesco di Sales, Torino, Tipografia Salesiana 1877, p. 15).
40 ASC 110 Barberis Cronachette (domenica 17 marzo 1878 micr. 845B4-5).

2.6 Page 16

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304
José Manuel Prellezo
c) «Divertire e istruire»: le feste e il teatrino: Le ultime considerazioni van-
no lette alla luce di altri fatti che scandiscono la vita collegiale: feste, giochi,
passeggiate, rappresentazioni teatrali. Sono questi pure elementi indispensabili
per ricostruire l'atmosfera della prima casa salesiana. A Valdocco si celebrano
con solennità le feste di San Luigi, dell'Immacolata, di Santa Cecilia, di San
Francesco di Sales, di San Giovanni, la novena e festa del Santo Natale, di San
Giuseppe, di Maria Ausiliatrice.
Con particolare cura era preparata la festa di Maria Ausiliatrice il 24 di mag-
gio di ogni anno. Nei verbali delle conferenze capitolari sono registrate minuta-
mente le diverse attività prospettate con i nomi dei responsabili, e vi si fa pure un
breve bilancio dell'andamento delle cose. Per esempio, nel 1869, don Durando è
incaricato della accoglienza degli ospiti; Rossi di «pensare a provvedere a far
vendere confetti, caramelle e bibite pei giovani» e di «fare alcuni fuochi»; Enria
di «pensare a provvedere il palco pel teatro»; don Merlone di organizzare «la
corsa al sacco»; Villanis di preparare «qualche saggio di ginnastica». Nella riu-
nione tenuta il giorno seguente — 25 di maggio —, si «passò a rassegna la festa e
si trovò — scrive don Rua — che riuscì bene con soddisfazione di tutti». E ag-
giunge poi i rilievi formulati dai partecipanti: «Si osservò in 1o luogo che sarebbe
conveniente cominciare il mese di Maria 6 o 7 giorni prima e far la chiusa nel
giorno di Maria Ausiliatrice. Già se ne parlò a D. Bosco che fu d'accordo. 2° Si
osservò che sarebbe stato conveniente stabilire altri giuochi oltre a quelli che si
fecero nel 5 ore di ricreazione del dopo mezzodì, oppure far qualche poco di stu-
dio. Andò bene però che D. Francesia fece fare il giuoco delle pignatte, che servì
a far passare porzione di tal tempo. 3° Si osservò che è necessario stabilire un
prete o chierico che si prenda la responsabilità della disciplina fra i musici tanto
di canto quanto di suono» [...] 4° Si osservò pure che è necessario di circoscrivere
lo spazio che deve essere occupato dai giovani e far in modo che gli esteri non
vadano in tale spazio [...] 5° Si osservò finalmente che la vendita di bibite ha
troppo l'aspetto di caffè o birreria, e che sarà meglio vendere la birra a bichieri da
una finestra o sopra un banchetto».
Tra gli artigiani acquistarono anche particolare rilievo la novena e festa di
san Giuseppe. Prima delle vacanze estive, artigiani e studenti, celebravano ancora
altre ricorrenze festive: l'onomastico di don Bosco, il giorno di San Giovanni
Battista, e la «festa della premiazione». In queste occasioni, accanto alle funzioni
religiose in chiesa e ai giochi e ai trattenimenti in cortile, occupavano un posto
privilegiato le «accademie» e le «recite» teatrali. Diverse testimonianze sottoline-
ano che esse erano preparate anche dai giovani alunni dei laboratori. Don Barbe-
ris, commentando una «accademia religiosa» fatta nel 1876 dagli artigiani in ono-
re del loro patrono San Giuseppe e per festeggiare don Giuseppe Lazzero, vice-
direttore dell'Oratorio,

2.7 Page 17

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
305
commenta: «Mi persuasi di due cose: Io Che queste specie di accademie religiose
ben preparate possono essere bellissime, istruttive, e produrre un bene immenso
dal lato morale nei giovani. 2° Che indica[no] un vero sensibilissimo progresso
negli artigiani dell'Oratorio».41
Sul carattere morale e istruttivo delle accademie e delle recite o «teatrino»
aveva insistito a più riprese don Bosco, manifestando, in qualche momento, il suo
disaccordo nei confronti di quello che vedeva fare a Valdocco. Infatti nella confe-
renza generale del 1871 egli disse: «In ogni casa di educazione o bene o male
bisogna che si reciti, perché questo è anche un mezzo per imparar a declamare,
per imparar a leggere con senso e poi se non c'è questo par che non si possa vive-
re. Veggo però che fra noi non è più come dovrebbe essere, e come era nei primi
anni. Non è più teatrino ma è un vero teatro. Pertanto io intendo che i teatrini
abbiano questo per base: di divertire e istruire. E non s'abbiano a vedere di quelle
scene che indurir possono il cuor dei giovani o far cattiva impressione sui delicati
loro sensi. Si diano pure commedie ma cose semplici, che abbiano una moralità.
Si canti, perché questo oltre che ricrear è anche una parte di istruzione in questi
tempi tanto voluta».42
d) Il criterio dell'azione: riferimento a don Bosco: Le considerazioni accen-
nate meritano di essere sottolineate, giacché negli anni che precedono la pubbli-
cazione del fascicolo sul sistema preventivo (1866-1877), i salesiani torinesi si
mostrano attenti ad affrontare problemi disciplinari o di organizzazione (silenzio,
ordine nei diversi ambienti, impegno nello studio e nel lavoro, pulizia dei ragaz-
zi...) e meno a riflettere e a motivare, in prospettiva pedagogica, il proprio compi-
to.
Anche parlando dei primi collaboratori di don Bosco, si potrebbe dire che, di
fatto, in principio non c'è il «sistema», ma l'azione. Non sfugge loro, è vero, l'esi-
genza di una preparazione pedagogica per le giovani leve: nella seduta del 18 di
agosto del 1872, fissando l'orario per i chierici, «si stabilì di fare un po' di scuola
di metodo»; e nel 1874 (seduta del 25 di ottobre) fu deciso che «gli studenti del Io
filosofia ascritti abbiano una scuola di pedagogia sacra».43
41 ASC 110 Barberis Cronachette [micr. 839E8-9].
42 ASC 04 Conferenze generali (30.1.1871). Alcuni anni più tardi, nel Regolamento del
1877: «A vostro divertimento e piacevole istruzione sono concesse rappresentazioni teatrali,
ma il teatrino, che è destinato a coltivare il cuore, non mai sia causa della più piccola offesa del
Signore». Nelle Regole del teatrino, pubblicate e inviate alle case salesiane nel 1871: «Scopo del
Teatrino è di rallegrare, educare, istruire i giovani più che si può, moralmente».
43 Non rimase sulla carta. Nel 1876, don Barberis scrive nella sua cronaca: «Giovedì
scorso stette qui il prof. Melanotte a dar l'esame di pedagogia ai chierici» [micr. 839B2].

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306
José Manuel Prellezo
Ma quelli che erano ormai impegnati nell'attività scolastica ed educativa nel
periodo indicato non sembrano particolarmente preoccupati di ancorare la loro
opera a un quadro concettuale articolato. Trovano abbastanza rassicurante il rife-
rimento a norme contenute nel Regolamento della casa (se ne parla almeno 32
volte), o al giudizio favorevole di don Bosco su quelle deliberazioni, prevalente-
mente di carattere pratico e organizzativo, che gli propongono per l'approvazione.
Talvolta a Valdocco sono prese misure esigenti che non trovano tale approvazio-
ne. Il 13 marzo 1875, si trattò «se fosse conveniente separare i laboratorii; parve
che vi fosse bisogno di tal separazione per ottenere più facilmente la disciplina,
parlatosene però a D. Bosco non credette conveniente».44
In altre occasioni don Bosco accoglie le proposte, ma non senza reticenze,
perché esse potevano ostacolare il raggiungimento di altri valori per lui più cen-
trali. Nel mese di dicembre del 1875, cercando, precisamente, «il modo di miglio-
rare la condotta degli artigiani si cominciò a stabilire di togliere per quanto è
possibile ogni nascondiglio, e primieramente di tener chiuso il cancello che con-
duce sotto la chiesa, come pure la scala che mette nei sotterranei della casa nuo-
va: lasciando a D. Sala l'incarico di provvedere all'uopo. Essendosi proposto a D.
Bosco lo spediente surriferito per impedire le corrispondenze tra i nostri e gli
esteri, il Sig. D. Bosco, parve inclinare all'approvazione; trova però un po' spiace-
vole che si tolga loro alquanto la comodità di accostarsi alla sacra Mensa e alla
sacristia».45
Nelle conferenze del personale si vuole ugualmente una «assistenza conti-
nua» (21.11.1873). In particolare, si avverte negli interventi la preoccupazione di
garantire che «l'assistente possa conservare la sua autorità ed essere dai giovani
rispettato, ubbidito». Per ottenere tale finalità, si danno alcune norme che potreb-
bero sembrare, anche in questo caso, in dissonanza con certi modi di fare voluti
da don Bosco. Si dice, per esempio: «è necessario che [l'assistente] non si abbassi
mai ad atti troppo grossolani; nel giocar coi giovani deve sempre tener un conte-
gno da superiore, massime quando si tratta d'impedire quei battibecchi o risse un
po' troppo calorose che avvengono fra i giuochi» (agosto 1871). L'anno seguente
tornando il tema del cortile, si invita l'assistente a partecipare nelle conversazioni
e nei giochi dei ragazzi, però con questa raccomandazione: «deve prendere parte
in tutto, ma nello stesso tempo tenere un'aria di gravità, far vedere col suo conte-
gno d'essere a loro superiore».46
44 ASC 9.132 Rua Capitolo (13.3.1875).
45 ASC 2.132 Rita Capitolo (16.12.1875).
46 ASC 110 Conferenze del personale (febbraio 1872).

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
307
Dietro questi orientamenti, non c'era solo l'influsso dell'austera presidenza di
don Rua o della letteratura pedagogica del tempo, ma c'erano anche, probabil-
mente, le critiche di alcuni ecclesiastici riguardo ai chierici salesiani mescolati
coi ragazzi partecipando, tumultuosamente, ai loro giochi.47
Il confronto con la persona del fondatore è chiaramente presente. Ma pare
che, prima del 1877, al centro dell'interesse ci sia, ancora una volta, l'azione.
Infatti, nel quinquennio 1872-1877, per ben sei volte nelle sedute del capitolo
ritorna il discorso sulla decisione presa di «raccogliere le memorie riguardanti la
vita di D. Bosco» (1872). L'accento è messo sulla necessità di registrare i «fatti
particolari». Viene preparata pure una «traccia» di indice, perché serva di norma
per la raccolta della documentazione; e in tale «traccia» (della cui prima stesura
fu incaricato don Rua) occupa la maggior parte dello spazio (10 righe delle 12
che comprende) un elenco cronologico delle opere realizzate: primi momenti
dell'Oratorio di San Francesco di Sales, apertura di altri oratori a Torino, fabbrica
delle diverse chiese, delle case per artigiani e studenti, apertura di nuovi collegi...
Non vi si fa alcun cenno esplicito agli scritti o alle idee pedagogiche di don
Bosco. Questi appare tuttavia come un punto di riferimento autorevole nell'orga-
nizzazione della complessa opera di Valdocco. E qualche volta, già prima della
pubblicazione dello scritto sul sistema preventivo, l'invito alla fedeltà si esprime
con formule che possono apparire rigide. Tra i temi proposti per la discussione
nelle «conferenze capitolari dell'Oratorio di S. Francesco di Sales dal giugno
1876 al maggio 1877», si trova il seguente: «Non introdurre novità senza permes-
so di D.B.».48
Si tratta di una affermazione forte che va letta tenendone presente un'altra
formulata a continuazione: I «Programmi siano fatti insieme e presentati a D.
Bosco». L'esigenza del consenso da parte del fondatore non significava, dunque,
per i proponenti, soffocamento di un lavoro di aperta collaborazione da parte dei
membri della sua istituzione educativa. Mi pare illuminante, a questo riguardo, la
testimonianza di don Barberis. Dopo aver sottolineato la rilevanza, per l'anda-
mento dell'Oratorio, delle conferenze capitolari, scriveva: «Intanto ora mi occorre
ancora di dire che le deliberazioni prese in queste conf. per molte cose si esegui-
scono subito, e nella conferenza stessa si assegna che il tale faccia eseguire; se
sono cose economiche
47 «Dans les récréations ils se mêlent avec les élèves qui ne jouent pas [...] Il se font tour à
tour, enfants avec les enfants, sans pourtant se dépouiller de cette dignité qui attire le respect,
ni descendre à cette imprudente familiarité que suit ordinairement le mépris» (DE DAMAS, Le
surveillant, p. 288); cf. anche GRAS, L'istitutore nei convitti, p. 126.
48 ASC 2.132 Rua Capitolo (trascritta prima del verbale della seduta del 19.6.76).

2.10 Page 20

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308
José Manuel Prellezo
da D. Sala; se cose di prefettura da D. Chiala; cose scolastiche da D. Durando e
via via. Alcune volte D. Rua si riserva esso ad avvertire, ad accertarsi di certe
cose un po' dubbie e poi dare gli ordini opportuni. Nelle cose di maggior impor-
tanza la decisione si riserva sempre al Sig. D. Bosco. Da noi si vedono i mezzi, si
propone; si fa il progetto; ma a lui si appartiene il decidere e non si fa mai cosa di
grave importanza senza che sia cosa intesa con lui».49
2.3. SISTEMA PREVENTIVO E LETTURE PEDAGOGICHE
Pochi mesi dopo che i salesiani ebbero espresso le convinzioni appena ac-
cennate ebbe luogo il fatto nuovo della pubblicazione del «trattatello» sul Siste-
ma preventivo.
a) Lettura del Sistema preventivo: Il primo cenno esplicito allo scritto di don
Bosco appare solo nella 4a conferenza mensile del 1881. Ad essa presero parte
«tutti i maestri regolari» coi rispettivi assistenti. Dopo aver letto i Regolamenti di
alcuni uffici, si «aggiunse in fine lettura del Sistema preventivo. Non si fecero —
precisa l'autore del verbale — che poche osservazioni trovandosi la materia chia-
ra per se stessa».50
Erano passati ormai quattro anni dalla pubblicazione dell'operetta di don
Bosco. L'anno prima, in una occasione particolarmente significativa, nel secondo
Capitolo generale della Società salesiana (1880), lo stesso don Bosco aveva fatto
un richiamo forte: «Un'altra cosa che bisognerà studiare insieme di promuovere si
è lo spirito di carità e di dolcezza di S. Francesco di Sales. Esso va diminuendo
tra noi e da quanto ho potuto osservare nelle varie case, va diminuendo special-
mente nelle scuole. Alcuni giovani non sono ben visti e non ben trattati da' mae-
stri».51
Dai testi disponibili, non sembra potersi dedurre che l'ammonimento di don
Bosco si dovesse applicare in particolare a Valdocco. È stato però sufficiente-
mente documentato che Valdocco attraversò, negli anni successivi, momenti tesi
e difficili dal punto di vista disciplinare. E in quel contesto, a più riprese, furono
lette pubblicamente anche le pagine del Sistema preventivo. Non si aggiungono
speciali commenti sopra punti che si potrebbero ritenere rilevanti come, per e-
sempio, il noto trinomio «ragione, religione,
49 ASC 110 Barberis Cronachette 1876 [micr. 837B10].
50 ASC 38 Torino Oratorio, p. 35.
51 ASC 04 Capitolo generale II1880.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
309
amorevolezza». L'autore del verbale si limita a ripetere che si trova la materia
«chiara per se stessa».
La pratica presentava invece aspetti oscuri o per lo meno problematici. Nella
conferenza mensile del 27 giugno 1882, si «disse che i giovani non hanno buono
spirito, sono insubordinati».52 La «ragione» fu individuata nel fatto «che non v'ha
unità di direzione; tutti fan centro a sé in vece di fare centro solo nel Direttore
costituito». Nella conferenza seguente, del 31 luglio, di nuovo «venne la questio-
ne di Direzione», e secondo l'estensore del verbale, don Lazzero, si arrivò a que-
sta conclusione: «In genere tutti conobbero che unità di Direzione non vi è nel-
l'Oratorio». Il presidente invitò «tutti i membri del capitolo, meno il Prefetto che
si assentò, a studiare la questione e a riferire nella prossima conferenza».53
Non è possibile documentare se e in quale misura fosse accolto l'invito, e
quali siano stati gli eventuali risultati dello studio. Stando ai verbali tramandati, la
conferenza seguente ebbe luogo il 19 ottobre. Essa era la «Conf. 1a» dell'anno
scolastico 1882-1883. Il resoconto della medesima è particolarmente scarno: sei
righe. Dopo il cenno al fatto che si «raccomandò la puntualità nell'intervenire», si
legge: «Questa essendo la prima conf. ci limitammo a dire che ciascuno legga il
proprio regolamento e quello degli altri per conoscere il da farsi».
Il discorso non verte esplicitamente sul tema dell'«unità di Direzione», ma si
colloca in un ambito assai vicino: quello del coordinamento delle diverse autorità
all'interno dell'Oratorio. Infatti nella riunione seguente, si cerca come «evitare gli
urti circa la pratica del proprio regolamento in quelli che hanno gli uffici princi-
pali». Ed è indicato in quel momento, come mezzo più adeguato allo scopo, «l'e-
sercizio della prudenza», con l'invito a che nessuno si offenda se vede entrar nel
proprio campo, «pensando sempre che lo faccia in fin di bene»: il che non vuol
dire però rinunciare a «far sentire, e correggere il piccolo errore», a tempo e luo-
go debito e «in bel modo».54
Le differenti mansioni e competenze, più o meno diversificate, trovavano un
punto di incontro comune: l'impegno educativo, esercitato in forma privilegiata
attraverso l'assistenza in tutti gli ambienti, specialmente nel cortile. Lo ribadì, il
direttore della casa, don Lazzero, poco tempo dopo, nella «gran conferenza»
dell'82. Egli vi espose i punti seguenti:
«1o Assistenti chi sono? Siam tutti.
52 ASC 38 Torino Oratorio, p. 53.
53 Ibid. Cf. anche ASC Verbali delle riunioni capitolari (5.6.1884).
54 ASC 38 Torino Oratorio, p. 60.

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310
José Manuel Prellezo
2° Non solo non si deve far distinzione di classe, ma neppur tra artigiani e
studenti.
3° Non far ricreazione fra noi ma coi giovani.
4° L'ordine nei giovani e nelle persone addette a qualche servizio deve
formar l'oggetto delle nostre premure in tutti i siti della casa».55
Entrato don Bosco nell'adunanza, fu informato «in succinto» di quanto era
stato esposto, e «approvò e confermò il tutto», facendo pure alcuni rilievi che don
Lazzero sintetizzò in questi termini: «Soggiunse di star bene attenti, che un mae-
stro, assistente quando è in carica allora egli coi giovani è superiore, cessato d'es-
sere in carica, deve coi giovani essere amico, padre. Fece più altre utili osserva-
zioni che tralascio per brevità».
Al lettore non può non rincrescere che siano state tralasciate quelle «altre
osservazioni», che probabilmente sarebbero state «utili» per capire le precedenti
affermazioni di don Bosco, specialmente la distinzione da lui fatta tra mae-
stro/assistente, come superiore (quando è in carica) e maestro/ assistente, come
amico e padre (una volta cessato d'essere in carica). Tale distinzione (supposto
che la trascrizione sia stata fedele) ridimensionerebbe il principio ribadito prece-
dentemente: «Assistenti... Siam tutti». E metterebbe una certa enfasi sul «superio-
re». Ma la base è troppo esigua per voler azzardare ipotesi interpretative.
b) Altre letture pedagogiche: Mi sembra più interessante ricordare qui che in
quella riunione dopo l'intervento di don Bosco e alla sua presenza, fu letto un
capitolo («Disciplina tra gli educatori») del volumetto del marianista padre A.
Monfat, Pratica della educazione cristiana.56 La lettura delle pagine del pedago-
gista francese diede luogo a più osservazioni «specialmente a quella d'essere uni-
ti, andare d'accordo, e che questo nostro accordo trapeli nei giovani da noi educa-
ti». In una prospettiva più ampia, e pedagogicamente più rilevante, si riproponeva
la discussa questione dell'«unità di direzione». Ed il richiamo era quanto mai
pertinente, se si tengono in conto i problemi disciplinari ed educativi già accenna-
ti in precedenza e forse più sentiti nei mesi seguenti.
In quei momenti di disagio, il personale di Valdocco sentì il bisogno di tro-
vare orientamenti e risposte nella lettura di altri scritti pedagogici anche fuori
della cerchia salesiana. La conferenza mensile dell'8.3.1883 «si raggirò», ancora
una volta, sul tema dei «castighi». Furono lette le parole scritte
55 ASC 38 Torino Oratorio, p. 65-66.
56 P. MONFAT, Pratica della educazione cristiana prima versione libera del sac. Francesco
Bricolo. Roma, Tipografia dei Fratelli Monaldi 1879.

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
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sull'argomento da don Bosco nel Regolamento e «il capo che tratta dei castighi»
del volume del P. Teppa: Avvertimenti per gli educatori ecclesiastici della
gioventù.57 La riunione (alla quale avevano partecipato «tutti i chierici e preti che
hanno qualche parte pel buon andamento della casa») «si conchiuse con vive
esortazioni, attenersi allo spirito di questi uomini, modelli sperimentati
nell'educazione della gioventù».
Qualche giorno dopo, i responsabili della casa dovettero fare l'amara
costatazione già citata all'inizio del mio lavoro: «che i giovani ci temono più di
quello che ci amano». Non seppero trovarne una ragione soddisfacente. Venne
allora in mente «d'aver qualche libretto da servire come di guida». Fu deciso di
provvedere per ciascuno un esemplare dei citati Avvertimenti di Teppa. Il volume
fu distribuito nella conferenza del mese di aprile.
Sul tema dei castighi, don Bosco nell'ultima riunione del terzo Capitolo
generale della Società salesiana (1883) aveva fatto una lunga raccomandazione:
«5. Riguardo ai castighi, importune ed opportune si insista perché sia praticato il
Sistema preventivo. Avviene che alcuni danno schiaffi, si fanno stare i giov. in
tavola di puniz. per una intera settimana. Si ricordi — il maestro potrà riprendere,
rimproverare, ma mai castighi corporali. Esso riferisca al Direttore, il quale
metterà in pratica il sistema preventivo. Avviene spesso che i giovani sono meno
colpevoli di ciò che si crede, come dimostra l'esperienza. Porta un fatto
particolare in prova. Se vi sono di quelli che desiderino di castig. ecc. ecc., il
Direttore avvisi, ma giammai in pubblico, mai in faccia ai giovani. A tu per tu è
facilissimo ottenere che si pieghino alla volontà del Sup. e al sistema preventivo.
Frutti 1. Si avrà la confidenza dei giovani.
2. Quando escano si avranno amici se no dei nemici.
3. Non diventeranno mai peggiori».58
Penso che non sia azzardato sostenere che in questa occasione il dito di don
Bosco puntava anche sulla situazione di Valdocco. Oltre agli accenni fatti sopra
riguardo alle tensioni esistenti tra giovani ed educatori, è ben nota la lettera del
10 maggio 1884: «Ma ora i Superiori sono considerati come Superiori e non più
come padri, fratelli ed amici; quindi sono temuti e poco amati»... «Perché si
vuole sostituire all'amore la freddezza di un regolamento?».39
57 A. TEPPA. Avvertimenti per gli educatori della gioventù. Roma/Torino, Marietti 1868.
58 ASC 046 Capitolo Generale III 1883 (riunione del 6.9.1883).
59 Bosco, Scritti pedagogici, p. 296, 298. Il testo critico delle «due lettere da Roma» (ai
giovani e alla comunità salesiana dell'Oratorio) è preceduto da una interessante introduzione in
cui il curatore, P. Braido, mette a fuoco alcuni problemi importanti: «Il redattore e l'ispi-

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312
José Manuel Prellezo
2.4. RITORNINO «I GIORNI FELICI DELL'ANTICO ORATORIO»
Non si trattava di un problema sorto negli ultimi mesi. Pur lette con il dovu-
to senso critico, non sono prive di interesse, a questo riguardo, le precisazioni
fatte il 19 di agosto del 1885 da don Antonio Riccardi, segretario di mons. Ca-
gliero, in una lettera scritta dall'Argentina a don Lazzero: «Torino: non Torino
moderno, quale conobbi in questi ultimi anni, ma Torino antico, di 20 e più anni
fa almeno; quando l'Oratorio era la Casa, non il Collegio; e D. Bosco, il padre
non il Rettore o Direttore de' suoi figli».60
In tale cornice hanno una particolare risonanza le affermazioni che troviamo
nel citato scritto dell'84: «fatte le debite proporzioni ritornino i giorni felici del-
l'antico oratorio. I giorni dell'amore e della confidenza Cristiana tra i giovani ed i
Superiori».61
a) Una relazione sull'Oratorio: L'invito formulato non rimase solo sulla car-
ta. Nei mesi seguenti i problemi disciplinari ed educativi furono studiati con par-
ticolare attenzione nelle riunioni del Capitolo superiore. In quella del 19 maggio
1884, dopo aver ascoltato le informazioni sull'andata di don Bosco a Roma, don
Bonetti propose di «tenere un'altra conferenza pel buon andamento della casa».62
La proposta fu approvata e la conferenza ebbe luogo il 5 giugno successivo. In
essa don Bosco precisò in questi termini il suo punto di vista: «Si tratta di vedere
e di studiare ciò che debba farsi e ciò che debba evitarsi per assicurare la moralità
fra i giovani e per coltivare le vocazioni».63 E si riferiva in concreto ai giovani di
Valdocco. Infatti, poco dopo, comunicò la sua decisione di stabilire una «com-
missione» che studiasse le «disposizioni da seguirsi per promuovere la moralità
nell'Oratorio». Ne furono eletti membri: don Rua, don Bonetti, don Lazzero, don
Durando, don Cagliero. Don Giovanni Bonetti fu incaricato poi «di chiedere
privatamente i pareri dei membri del Capitolo della Casa e dei singoli maestri e
farne relazione alla Commissione».
Prima di chiudere l'adunanza, don Bosco insistette ancora sull'«urgenza di
tutelare la moralità», e sintetizzò i diversi interventi, indicando gli accorgimenti
che dovevano «portare a risultato pratico»: «Regolando l'accettazione. 2. Purgan-
do la casa. 3. Dividendo, distribuendo, regolarizzando uffici, giovani, cortile
etc.».
ratore», «vicende redazionali e tradizione dei testi». Cf. anche P. BRAIDO, La lettera di don
Bosco da Roma del 10 maggio 1884, in RSS 3 (1984) 295-374.
60 ASC 275 Riccardi (cf. ASC 38 Torino Oratorio, p. 61).
61 Bosco, Scritti pedagogici, p. 301.
62 ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari (19.5.1884).
63 Ibid. (5.6.1884).

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
313
Sentiti i principali «incaricati della istruzione e dell'assistenza dei giovani»,
don Bonetti stilò dopo pochi giorni, come gli era stato chiesto, una «Relazione
sui rimedii da adottarsi pel benessere morale e religioso dei giovani studenti del-
l'Oratorio».64
Il primo rimedio considerato «necessario» veniva formulato testualmente
così: «Che il direttore della casa possa fare e faccia da direttore vale a dire estrin-
sechi la sua autorità in modo che i giovani sappiano che egli è il loro Superiore, e
che tutti gli altri incaricati o della scuola, o della disciplina o dell'assistenza non
sono altro che le dita della sua mano, o le braccia del suo corpo».
Il suggerimento non dovette certamente apparire nuovo. Più volte e in tempi
diversi si era parlato dell'importanza dell'«unità di direzione» o se ne era lamenta-
ta la mancanza. Colpisce però la forza con cui il tema si ribadisce in questo mo-
mento. Non solo nel Io punto trascritto, ma anche in altri cinque, degli otto punti
che comprende la breve relazione, le considerazioni muovono attorno alla figura
e all'opera del direttore («presenza tra i giovani», specialmente in ricreazione,
visite alle scuole, contatti frequenti con i collaboratori, brevi «parlatine» ogni sera
a fine di «educare alla virtù e dirigere alla pietà», rendiconto ai chierici). Agendo
in questo modo, si potrà far «rifiorire l'antico sistema, quello cioè che usava D.
Bosco e i primi superiori di quei tempi felici, che passavano la loro ricreazione
coi giovani o discorrendo, o giuocando, o cantando, formando dell'Oratorio come
una famiglia».
Il riferimento alla lettera da Roma risulta abbastanza palese. Ma il ritorno ai
«tempi felici» comportava, paradossalmente, in quel momento prendere qualche
misura severa. E questo perché la «mala intelligenza» nei rapporti con il direttore
e certi malintesi nell'interpretazione e nell'esercizio pratico della sua autorità
sarebbero stati precisamente, negli ultimi anni, alla base di un fatto considerato
grave: «si tollerarono in casa dei giovani, che guastarono altri». Come rimedio
indispensabile, si «suggerisce di allontanare quelli, che per l'anno prossimo po-
trebbero essere tuttora pericolosi, se non vuoisi continuato il contaggio».
Un cenno a questo serio problema si era potuto cogliere già nel rimedio sug-
gerito precedentemente da don Bosco: «purgando la casa». E più tardi egli stesso
si sarebbe occupato di nuovo dell'argomento. Per completare ora il quadro dei
«rimedii da adottare» proposti nello scritto di Bonetti, è
64 Ibid. Il testo della relazione e i documenti relativi all'inchiesta di don Bonetti (conserva-
ti in: ASC 38 Torino Oratorio) sono stati pubblicati da P. Braido in appendice a La ¡citera di
don Bosco da Roma del 10 maggio 1884, 356-374.

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314
José Manuel Prellezo
utile rilevare che, pur mettendosi un forte accento sull'autorità centrale della casa,
viene pure chiesto esplicitamente che il direttore abbia frequenti incontri con il
prefetto, con il consigliere scolastico, con il catechista e con i maestri «per udire
da ciascuno di loro come vanno le cose sulla disciplina e sulla condotta dei gio-
vani». E, in particolare, dalla consultazione fatta, emerse la «necessità di un cate-
chista sodo, che sappia istruire bensì, ma colla dovuta prudenza, soprattutto sap-
pia conciliarsi la stima e benevolenza dei giovani».
Don Bonetti chiudeva la sua esposizione osservando che, oltre quegli indi-
cati, erano stati proposti altri suggerimenti «i quali però potrebbero mettersi in
pratica con utilità, quando il direttore di questa casa sia collocato in quella stessa
condizione, nella quale sono per lo più i direttori degli altri Collegi».
Non ci è stato possibile documentare l'andamento della discussione dello
scritto, che molto probabilmente ebbe luogo all'interno della commissione incari-
cata di «promuovere la moralità nell'Oratorio». Neppure si trovano riferimenti
espliciti ad esso nelle successive sedute del Capitolo superiore. I temi centrali
però furono più volte oggetto di esame in esse. L'autore dei verbali, don Lemo-
yne, riferisce più diffusamente le parole di don Bosco, del quale sono particolar-
mente accorati gli inviti a dare nuovo vigore alle antiche usanze. Nella riunione
capitolare del 4 luglio 1884, don Bosco parlò della «riforma dell'Oratorio», e
disse: «Ho esaminato il Regolamento che si praticava ai tempi antichi e dico
essere persuaso che devesi praticare eziandio ai giorni nostri lo stesso poiché
provvede e antivede tutti i bisogni. Bisogna che il Direttore comandi. Che sappia
bene il regolamento degli altri e tutto quello che debbono fare».65
Sulla situazione presente, il giudizio dell'anziano fondatore, espresso in
quella stessa riunione, appare, dalla trascrizione che ne fece don Lemoyne, assai
negativo: «Adesso vi è in cominciamento un rilassamento in questa unità. Uno
dice non è mia la responsabilità; l'altro la rifiuta. Tutti comandano e quindi ne
viene sconcerto. Uno dà un'ordine l'altro non lo eseguisce. Gli assistenti pur vo-
gliono avere la loro autorità e guai se si tocca questa. Si stabilisca adunque questo
principio d'autorità. Come era prima sia uno solo il responsabile».
Per garantire questa «unità di comando» a Valdocco, don Bosco ribadisce
che il «Capitolo Superiore non ha altre ingerenze all'Oratorio che
65 ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari (4.7.1884). Dopo altre considerazioni, don
Bosco insiste: «Torno a dire che in questi giorni ho letto il Regolamento delle case e trovo
nulla da modificare».

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
315
quella che deve avere verso un'altra casa qualunque. E il Direttore dell'Oratorio
deve aver quivi quella libertà che hanno i Direttori». Su questo punto sicuramente
i capitolari erano d'accordo (si trattava di una misura già presa, come sappiamo,
nel 1879, con lo scopo di evitare certi «inconvenienti» e «disordini» — si diceva
allora —, che pur tuttavia non erano stati superati completamente nel 1884).
b) La sezione studenti: per i candidati alla vita salesiana. Non tutti si mo-
strarono invece favorevoli, in un primo momento, alle «disposizioni» che don
Bosco intendeva prendere «verso la 4a e la 5a Ginnasiale per assicurare la morali-
tà», cioè: «far avvertire i giovani che l'anno venturo non saran ricevuti nelle due
classi superiori se non quelli che vogliono abbracciare lo stato Ecclesiastico e che
l'oratorio non assicura agli allievi gli esami di licenza liceale».
Le riserve e le lamentele nei confronti della condotta dei giovani delle classi
citate erano abbastanza generali nei primi anni '80. Tuttavia a qualcuno non sem-
brò pertinente la misura proposta. Don Celestino Durando motivò così il suo
disaccordo: «questa misura farà sì che più non vengano i giovani d'impegno e che
invece resteranno i mediocri; che certuni che si vogliono esclusi non mancheran-
no di venire; che è solo studio e l'aiuto a questo che alletta i giovani ad essere
buoni».
Certamente le osservazioni dell'allora consigliere scolastico generale indivi-
duavano rischi reali. Tuttavia don Bosco preferì troncare la discussione. Leggia-
mo nel verbale: «D. Bosco risponde che non vuole essere contrariato in questo
suo disegno e che vuole essere coadiuvato in questo progetto che ritiene essere il
migliore per raggiungere il fine suo. — D. Durando ritira le sue osservazioni».66
Tre giorni dopo, il 7 luglio, si tenne un nuovo capitolo su proposta di don
Bosco, il quale, parlando allora «sull'Ordinamento dell'Oratorio», ripetè concetti
già sottolineati nelle sedute precedenti sull'«unità di comando» nella casa; ma
mettendo pure in risalto tratti suggestivi della figura del direttore nei confronti dei
collaboratori più giovani e inesperti: li accolga «sempre benignamente, li provo-
chi a parlare, tolga i mali umori, sopporti anche qualche vivacità o miseria uma-
na, sia tollerante, non aspro, sia anello di unione nella carità».67 Sulla accettazio-
ne dei giovani, egli formulò il suo punto di vista in termini più generali: «Si ac-
cettino fra gli studenti solamente coloro che hanno volontà di abbracciare lo stato
Ecclesiastico e preferi-
66 ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari (4.7.1884).
67 ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari (7.7.1884).

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316
José Manuel Prellezo
bilmente coloro che danno qualche indirizzo di farsi Salesiani». Non c'è un ac-
cenno esplicito alle classi superiori. Riguardo al tema delicato dei giovani «peri-
colosi», nei verbali sono attribuite a don Bosco espressioni più forti di quanto non
lo fossero quelle usate nella relazione di Bonetti: «Siano severamente allontanati
coloro che dicessero, insinuassero o facessero cose biasimevoli contro la morali-
tà. Non si tema usare in ciò troppo rigore».68
Erano direttive e orientamenti che precisavano più chiaramente un «dise-
gno» che puntava su obiettivi abbastanza precisi: la sezione studenti di Valdocco
concepita come un vero seminario o casa di formazione per la preparazione di
futuri sacerdoti salesiani. In questa ottica può forse sembrare meno sconcertante
quello che, secondo Lemoyne, don Bosco avrebbe detto nella citata riunione del 7
luglio: «Chi non frequenta la Santa Comunione ed è trascurato nelle pratiche di
pietà si metta ad un mestiere; non mai allo studio».
Va precisato però che, anche se le ultime affermazioni riportate sono parti-
colarmente enfatiche, esse non significano, di fatto, un radicale cambiamento di
impostazione a Valdocco. Già nella citata adunanza del 5 giugno, don Bosco,
trattando del modo di assicurare la moralità e di coltivare le vocazioni, aveva
detto: «È cosa dolorosa vedere come tanti giovanetti dei quali le cose van bene
sul principio, giunti alla quinta ginnasiale sono tutti mutati. Si è già osservato che
molti della IV e della V invece di consacrarsi per lo stato Ecclesiastico si decido-
no per l'Università e per gli impieghi».69
Lo «stato ecclesiastico» veniva dunque considerato come uno sbocco auspi-
cato per i giovani studenti di Valdocco. In quell'occasione, don Bosco esplicito
pure la ragione per cui gli risultava «non sopportabile» la situazione che si era
venuta a creare all'Oratorio, e che contrastava, almeno in pratica, con l'orienta-
mento segnalato. Si riferì, in concreto, al fatto che la stragrande maggioranza dei
giovani delle classi superiori erano stati accettati gratuitamente e, tra cento, non
più di due o tre pagavano «pensione regolare». Stando così le cose, risulta —
osserva don Bosco — che noi «diamo la carità altrui a chi vuol riuscire avvocato,
medico, giornalista. E [che] questa sia la riuscita dei giovani educati negli altri
nostri Collegi nulla ho da dire, ma ciò — osserva sempre don Bosco — non è
sopportabile nella nostra casa di Torino dove i giovani vivono di carità pubbli-
ca».70
Il contesto più ampio è noto. Le costituzioni della Società salesiana
68 Ibid. Cf. GRAS, L'istitutore nei convitti, p. 123.
69 ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari (5.6.1884); cf. ASC 110 Conferenze del
personale, p. 25.
70 ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari (5.6.1884).

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
317
erano state approvate definitivamente da Roma nel 1874. L'orientamento del
fondatore e dei primi collaboratori verso istituzioni educative collegiali si era
fatto sempre più chiaro nel corso degli anni '60. Oltre la «casa annessa» di
Valdocco erano stati aperti i collegi di Lanzo (1864), Cherasco (1869), Alassio
(1870), Valsalice (1872). Dal 1875 erano stati fondati nuovi collegi anche fuori di
Italia: in Argentina, Spagna, Brasile... Tutte queste opere esigevano salesiani
capaci di assolvere ai non facili compiti di una casa di educazione. D'altra parte,
le richieste di aperture di nuovi istituti si facevano sempre più frequenti e
pressanti. E, pur con rincrescimento, i responsabili della Società salesiana
dovevano dare una risposta negativa per «insufficienza di personale».
Precisamente per trovare una soluzione al problema fu iniziata nel '76,
l'esperienza delle cosiddette «scuole di fuoco». Don Barberis le definisce un
«nuovo gran progetto sempre basato su ciò di accrescere in fretta il numero dei
soci e specialmente i chierici».71 E registra nelle sue cronachette la presentazione
che ne fece lo stesso don Bosco: «Circa il mese di marzo, subito dopo l'esame
semestrale aprire una nuova scuola, radunare cioè tutti quelli che son già d'età e
che desidererebbero di far presto a metter l'abito da chierico, quantunque facciano
solo la 3a ginnasiale; unire con essi quei che si può dei figli di Maria Ausil.;
metter loro un maestro il quale li occupi solo nel latino e nell'Italiano e li conduca
al punto che ai Santi possano mettere la veste da chierico».
La proposta poteva suscitare più d'una riserva dal punto di vista della serietà
del programma culturale offerto ai futuri salesiani. È spiegabile perciò che don
Bosco, introducendo la proposta, sentisse il bisogno di avvertire di aver parlato
prima con don Durando, dal quale si «aspettava maggior opposizione». Ma in
quell'occasione il consigliere scolastico generale non ebbe «nulla a ridire». Le
«scuole di fuoco» cominciarono, nell'Oratorio, il 13 marzo di quell'anno, 1876.72
Penso che non sia questa la sede per fare una ricostruzione delle vicende di
una proposta che, con modalità e regolarità diverse, fu attuata anche fuori di
Valdocco (e non solo negli ambienti salesiani). Basti ricordare che il tema si
ricollegava con quello dell'istituzione dell'«Opera di Maria Ausiliatrice» (1875)
per le vocazioni adulte, e che entrambe le iniziative nascevano
71 ASC 110 Barberis Cronachette 1876 [micr. 837C4]. «D. Bosco espose come si abbia un
bisogno straordinario di preti nelle varie case aperte e da aprirsi»... (ASC Verbali del Capitolo
Superiore [15.5.1878]). «Esso [don Bosco] prevede che volere o non volere le nostre scuole
dovranno mettersi sul piede di quelle dette Apostoliche» (ASC 0592 Verbali delle riunioni
capitolari [19.8.1884]).
72 ASC 110 Barberis Cronachette 1876 [micr. 839A7].

3.10 Page 30

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318
José Manuel Prellezo
nel periodo in cui in Italia era venuta meno la situazione politica che aveva
mortificato lo sviluppo degli ordini e delle congregazioni religiose. «Dalle "leggi
repressive del 1855 fino alle guarentigie del 1871 si era infatti assistito a un
arresto e a un travaso di vocazioni».73 La decompressione prodotta dalla legge
delle guarentigie creò invece circostanze più favorevoli per il fiorire delle
vocazioni ecclesiastiche. Questi semplici dati costituiscono, mi pare, elementi
significativi che illuminano la realtà concreta di Valdocco e aiutano a capire
motivazioni e provvedimenti che sembrerebbero oggi piuttosto severi e
problematici. Riguardo alle misure sopra ricordate nei confronti delle ultime
classi, non si sentirono altre voci discordanti dopo che don Durando ritirò le
osservazioni che in quell'occasione aveva fatto. Anzi, il Capitolo superiore
«approva unanime» l'invio, durante le vacanze, di una lettera ai giovani della 4a e
della 5a ginnasiale «che non si vogliono più».
Il numero di studenti accettati ogni anno a Valdocco mantenne un ritmo
abbastanza omogeneo, con un primo forte sbalzo precisamente nell'85.
Numero di studenti e artigiani accettati a Valdocco
nel corso di ciascun anno solare (1880-1887)
Anno
1880
1881
1882
1883
1884
1885
1886
1887
Studenti
239
232
217
203
170
270
193
365
Artigiani
90
73
96
150
116
126
144
195
Fonte: ASC Torino Valdocco Anagrafe giovani
Totale
329
305
313
353
286
396
337
560
Un altro tema si trovava all'ordine del giorno, e doveva suscitare qualche
perplessità: quello dell'esame di alcuni aspetti dell'organizzazione interna
dell'Oratorio.
e) Partecipazione e responsabilità personale. Nella riunione capitolare del
mese di luglio 1884, don Cagliero e don Lazzero osservarono che erano
73 P. STELLA, Le ricerche su don Bosco nel venticinquesimo 1960-1985: bilancio, problemi,
prospettive, in: P. BRAIDO (ed.), Don Bosco nella Chiesa a servìzio dell'umanità. Studi e
testimonianze Roma, LAS 1987, p. 395.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
319
«troppe» le «attribuzioni del Direttore e degli altri del Capitolo della casa». Don
Bosco, nella sua replica, mise l'accento sulla responsabilità personale e sulla ne-
cessità di rispettare le competenze altrui: «che ciascuno faccia solo ciò che deve
fare [...] che ciascuno faccia la parte sua».74
D'altronde non erano solo alcuni membri del Capitolo superiore a nutrire
certe riserve di fronte alle «troppe» attribuzioni dei principali responsabili di
Valdocco. Nell'ambito più specificamente educativo, il problema era stato trattato
mesi prima nelle conferenze mensili, auspicandosi una maggiore partecipazione
delle responsabilità. Benché in prospettiva diversa, emerse pure, in quell'occasio-
ne, l'istanza di riprendere l'«antico» modo di organizzare l'attività di Valdocco. Si
studiò il tema nella 2a conferenza mensile dell'83, cui «era presente tutto il capito-
lo particolare della casa». Il direttore, don Lazzero, sintetizzò gli orientamenti
fondamentali nel verbale della medesima: «Si trattò del sistema d'educazione
introdotto da pochi anni nell'Oratorio, che cioè tutta l'educazione ossia il peso di
essa, cade tutto sul consigliere scolastico. Or si vorrebbe ripigliare il sistema anti-
co, che cioè buona parte, per non dir tutta la responsabilità versi sul maestro;
l'assistente sia come un aiuto, e come una cosa sola col Profess. Esaminate alcune
delle conseguenze si conchiuse di provare».75 Alla conferenza seguente,
(30.10.83) erano presenti anche i maestri e assistenti degli studenti. Fu annunziata
la deliberazione presa «relativa al nuovo sistema da introdursi. Dopo qualche
difficoltà venne ad unanime accettata dagli uni e dagli altri».
Pur nella sua schematicità, il racconto offre elementi interessanti. Rimane
aperto l'argomento dei risultati della «prova». I verbali stilati da don Lazzero si
chiudono con alcune righe in più sulle ultime conferenze del 1883 e la prima del
1884, senza ulteriori riferimenti al «nuovo sistema» introdotto. Neppure il Diario
dell'Oratorio, scritto dallo stesso don Lazzero ci consente di avanzare qualche
ipotesi sufficientemente attendibile. Dopo le due pagine dedicate ai fatti del 1884,
leggiamo: «Nell'anno 1885 nulla si trova di notato, perché il solito a prendere
queste memorie viveva una vita allora malinconica, scoraggiata, perché contrasta-
ta in tanti modi, che in verità non sapeva cosa notare».76
Probabilmente il ritorno al «sistema antico» trovò più d'un ostacolo. E
74 ASC 0592 Verbali delle riunioni capitolari (7.7.1884). E sembrano pronunciate anche
da don Bosco le parole che Lemoyne trascrive a continuazione nei verbali: «D. Bosco poi al
punto che si trova di stanchezza fisica e mentale, non può più andare avanti. Ha bisogno che D.
Rua gli stia al fianco per rimpiazzarlo in tante cose, che lo aiuti in ciò che esso da solo stenta a
sbrigare».
75 ASC 38 Torino Oratorio, p. 80.
76 ASC 110 Lazzero Diario dell'Oratorio.

4.2 Page 32

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320
José Manuel Prellezo
questo non soltanto a causa della situazione che lasciano intravedere le note scrit-
te da Lazzero. Nei documenti riguardanti la consultazione e relazione di Bonetti,
si trova qualche cenno al tema del ruolo del consigliere scolastico e anche a un
certo contrasto tra la prassi vigente a Valdocco e le norme stabilite dal Regola-
mento. Secondo don Canepa, allora catechista degli studenti, quest'ultimo fatto
sarebbe all'origine dei problemi disciplinari affrontati nel 1884. Egli scrive, tra
l'altro, nella sua relazione: «Si lamenta che non vi è disciplina? Il regolamento
l'assegna al prefetto. All'Oratorio fu sempre in mano al consigliere Scolasi. A chi
dei due tocca? Schiarito questo, si potrà sapere chi deve pensare alla discipli-
na».77
Gli articoli del Regolamento su questa materia (che potevano generare qual-
che incertezza nell'applicazione pratica) rimasero invariati negli ultimi anni della
vita di don Bosco.78
3. Entro e oltre le mura di Valdocco
I problemi non erano solo di delimitazione di competenze né solo torinesi.
Qualche rapido cenno ad altri ambienti salesiani (italiani ed esteri) può aiutare a
capire meglio la situazione dell'«antico Oratorio» e il contesto di riferimento più
ampio in cui ormai si collocava la «casa madre» della Congregazione salesiana.
3.1. IL «SISTEMA PREVENTIVO SIA PROPRIO DI NOI»
Nella adunanza del Capitolo superiore tenuta il 12.9.1884, don Bosco fece
questa accorata raccomandazione: «Studio e sforzo per introdurre e praticare il
Sistema preventivo nelle nostre case».
77 ASC 38 Torino Oratorio (relazione di don Canepa del 8.6.84); cf. nota 64.
78 L'art. 18 del cap. II («Del prefetto») recitava: «Mentre invigila che i giovani siano
puntuali ai loro doveri, d'accordo col Consigliere scolastico e col Catechista con bella maniera
procuri che i maestri, i capi d'arte e gli assistenti si trovino ad occupare il loro posto all'arrivo
dei giovani nella chiesa, nello studio, nelle scuole, nel laboratorio e ne' dormitori, e così impe-
discano i disordini che generalmente sogliono in quei momenti accadere» (Regolamento per le
case della Società di S. Francesco di Sales. Torino, Tipografia Salesiana 1877, p. 24). L'art. 10
del capo V («Consigliere scolastico») stabiliva però: «Accolga dai maestri e dagli assistenti i
riflessi intorno alla disciplina e moralità degli allievi, per dare loro quelle norme e consigli che
egli ravvisasse necessarie» (p. 32). D'altra parte nell'art. 7 del capo VI («Dei maestri di scuo-
la») si dava questa norma: «Avvenendo il caso di dover infliggere castighi fuori di scuola, o
prendere deliberazioni di grande importanza, si riferiscano e rimettano ogni cosa al Consigliere
scolastico, od al Direttore della casa» (p. 34). Il testo di questi articoli è riprodotto letteralmente
nell'edizione seguente del '93.

4.3 Page 33

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
321
Sono, d'altra parte, abbastanza note le lettere inviate ai salesiani in Argenti-
na. Il 10 agosto 1885, don Bosco scriveva a don Costamagna: «Il sistema preven-
tivo sia proprio di noi. Non mai castighi penali, non mai parole umilianti, non
rimproveri severi in presenza altrui. Ma nelle classi suoni la parola dolcezza,
carità e pazienza. Non mai parole mordaci, non mai uno schiaffo grave o leggero.
Si faccia uso dei castighi negativi, e sempre in modo che coloro che siano avvisa-
ti, diventino amici nostri più di prima, e non partano mai avviliti da noi».79
Il senso e la portata della lettera vanno chiariti da un altro scritto precedente
(6.8.1885) di don Bosco a mons. Cagliero: «Preparo una lettera per D. Costama-
gna, e per tua norma io toccherò in particolare lo Spirito Salesiano che vogliamo
introdurre nelle case di America.
Carità, pazienza, dolcezza, non mai rimproveri umilianti, non mai castighi,
fare del bene a chi si può, del male a nessuno. Ciò valga pei Salesiani tra loro, fra
gli allievi, ed altri, esterni od interni».80
Prima di questa lettera, mons. Cagliero ne aveva ricevuto un'altra da don
Rua: «Nel tuo rendiconto morale favorisci pure se cotesti direttori nel loro modo
di trattare e di operare conservano lo spirito di S. Francesco di Sales, cioè quella
carità, dolcezza, longanimità che sempre raccomanda il nostro amat.mo Padre
Don Bosco e che produce sì buoni effetti in tutti sia interni che esterni. Abbiamo
inteso che costì i collegi e le case salesiane non sono tutte dirette colla dolcezza e
col sistema preventivo, ma in alcuni si fa piuttosto uso del sistema repressivo. Tu
sul luogo potrai esaminare meglio le cose ed apportare il necessario rimedio,
dove ce ne fosse bisogno».81
Anche in questo caso, l'intervento rispondeva dunque a una situazione con-
creta negativa. Dall'Argentina erano arrivate voci preoccupanti riguardo alla di-
sciplina severa e ai rigidi metodi educativi in vigore nelle case salesiane, e parti-
colarmente in quella di Almagro. Le «accuse» più dure e precise erano contenute
in altre lettere di don Antonio Riccardi ad alcuni membri del Capitolo superiore.
Scriveva, tra le altre cose, a don Rua, il 6 giugno 1885: «Gli assistenti senza ap-
poggio, e sgraziatamente con sotto gli occhi il carattere secco e tal volta rozzo del
Direttore, inesperti, per ottenere un poco di ordine e di disciplina non conoscono
altro metodo che il battere sicché ogni giorno, ad ogni ora, non sentesi che grida-
re l'ahi in ogni angolo della casa [...] Monsignore parlò prima privatamente, fece
già tre conferenze a tutti i confratelli riuniti inculcando la pratica del sistema pre-
ventivo [...]
79 Bosco, Scritti pedagogici, p. 365-366.
80 Bosco, Scritti pedagogici, p. 363.
81 ASC 9.132 Rua lettere.

4.4 Page 34

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322
José Manuel Prellezo
ma tutto quanto finora è senza effetto. Dicono che se don Bosco fosse qui, fareb-
be come loro!».
Don Riccardi terminava il suo lungo scritto, accennando alla convenienza di
inviare una lettera a tutti i salesiani di America, invitandoli: «Io A considerarsi
come fratelli, figli di un solo Padre don Bosco [...] 2° A praticare e non leggere
solamente il metodo preventivo [...] 3° A non allontanarsi dalle usanze dell'Orato-
rio in fatto di pratiche di pietà e frequenza dei Santi Sacramenti. 4° A considerare
che non basta il nome per essere Salesiani, se non si pratica la dolcezza, la pa-
zienza e la carità di San Francesco di Sales».82
Già prima di ricevere lo scritto di don Bosco, mons. Cagliero aveva comin-
ciato a insistere sulla necessità di tornare a una disciplina più d'accordo con la
primitiva tradizione salesiana. Era stato accennato da don Riccardi nella sua lette-
ra. E ci sono altre testimonianze. Il 25 maggio 1885, infatti, don Giuseppe Vespi-
gnani scriveva a don Barberis: «Sa che Mons.r Cagliero mi notò che non anda-
vamo proprio sulle pedate di Torino rispetto al Sistema-Preventivo? che si castiga
un po' troppo!...»
Don Vespignani, cercava di spiegare la situazione indicando alcuni fatti:
«indolenza» dei giovani sud-americani, gioventù e inesperienza dei maestri («tutti
novizi»); ma aggiunge che si sta facendo «l'impossibile» per assecondare gli o-
rientamenti di mons. Cagliero.
In Argentina non tutti erano del parere di mons. Cagliero, né tutti manifesta-
vano la stessa disponibilità di don Vespignani. Il 27 ottobre 1885, don Riccardi
confidava a don Durando: «Credo, caro Sig. d. Durando, che non scrissi mai cosa
alcuna per passione, né sotto l'impressione di essa, anzi ben poca cosa fu quello
che scrissi in paragone di quel moltissimo di più che avrei potuto e forse dovuto
scrivere. Le basti saper che vi fu (prima del nostro arrivo) chi non si peritò di
sentenziare pubblicamente che in fatto di educazione di giovani, don Bosco e
quanti sono seco lui in Torino, non s'intendono un fico... Ma basta».83
Ad un certo «disaccordo» nell'impostazione della scuola aveva fatto, proba-
bilmente, allusione anche don Cerruti nell'opuscolo: Le idee di D. Bosco sull'edu-
cazione e sull'insegnamento e la missione attuale della scuola, pubblicato nel
1886. In esso, sono riportate queste parole dello stesso don Bosco: «Ed ora vec-
chio e cadente me ne muoio col dolore, rassegnato sì, ma pur sempre dolore, di
non essere stato abbastanza compreso, di non ve-
82 Copia fotografica in ASC 9.116 Rua lettere (cf. F. MOTTO, Tre lettere a salesiani in
America, in: Bosco, Scritti pedagogici, p. 358).
83 ASC 275 Riccardi.

4.5 Page 35

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
323
der pienamente avviata quell'opera di riforma nell'educazione e nell'insegnamen-
to, a cui ho consacrato tutte le mie forze e senza cui non potremo giammai, lo
ripeto, aver una gioventù studiosa schiettamente ed interamente cattolica».84
Il santo educatore si riferiva in questo momento all'introduzione dei classici
cristiani nella scuola, perché questa potesse divenire genuinamente cristiana. E
non era il solo a lamentarsi di non essere stato abbastanza compreso. Don Cerruti,
ormai nominato consigliere scolastico generale, presentando a don Barberis la
prima stesura dell'opuscolo, scriveva: «Mando a te il mio povero manoscritto [...],
giacché D. Rua non troverà tempo ad occuparsene ed alcuni non sono emancipati
abbastanza da comprendere l'importanza della riforma».85 E indicava le ragioni
che l'avevano mosso a preparare il saggio: «Che vuoi? Sarà fissazione, debolezza
ecc. ma ho fermo che l'insegnamento nostro, o meglio in generale, non corrispon-
de a' bisogni de' tempi, né alle vedute di D. Bosco».
3.2. «Noi ABBIAMO UN SISTEMA LASCIATOCI DA DON BOSCO»
Altre testimonianze permettono di allargare la portata delle ultime afferma-
zioni. La situazione denunciata non si poteva dire solo argentina né toccava solo
difficoltà scolastiche o disciplinari. Già durante gli ultimi anni della vita di don
Bosco si cominciarono a sentire voci di disaccordo su altri punti della esperienza
pedagogica salesiana, intesa in un senso più ampio che il semplice riferimento ai
contenuti e agli orientamenti del «trattatello» del 1877. Infatti, l'anno seguente
alla morte di don Bosco (1889), il suo primo successore scrisse testualmente in
una lettera circolare ai Salesiani: «In questi ultimi anni si scorgeva qualche disac-
cordo intorno agli studi, intorno alle materie scolastiche, intorno al sistema d'in-
segnamento».86
Ultimi anni... Dunque il nuovo Rettor maggiore faceva riferimento a fatti
conosciuti e accaduti già durante la vita del Fondatore.
Il «primo punto di disaccordo» era intorno allo studio dei classici latini. Don
Rua afferma che «D. Bosco fino dai primi tempi dell'Oratorio dimostrò sempre
vivo desiderio che si studiassero anche i classici cristiani»; e conclude: «Non mi
dilungo ulteriormente su questo punto, che trovasi più diffusamente trattato nel-
l'opuscolo del nostro Consigliere scolastico Don Cerruti, intitolato: Idee di Don
Bosco sull'educazione ecc. In quello voi tro-
84 CERRUTI, Le idee, p. 5.
85 ASC 272 Cerruti.
86 RUA, Lettere circolari, p. 34.

4.6 Page 36

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324
José Manuel Prellezo
verete le precise idee di don Bosco su questo argomento; io le volli rileggere
ultimamente con attenzione, e dovetti constatare che realmente vi erano con tutta
fedeltà esposte quelle idee, che più e più volte aveva io stesso udite ripetere e
inculcare dal labbro del nostro caro padre. Leggetele adunque e mettetele in pra-
tica».87
Al di là della autorevolezza che si dà allo scritto di Cerruti, importa rilevare
il criterio di riferimento per superare le «divergenze»: le idee udite dal labbro di
don Bosco.
Esaminato il «secondo punto di disaccordo» riguardante il problema degli
autori italiani (classici e moderni), don Rua si sofferma su un argomento più vici-
no al nostro tema: il «disaccordo sul modo di insegnare». Di nuovo, il riferimento
al fondatore: «Le idee di Don Bosco intorno a ciò sono chiaramente espresse
nelle regole della Casa». Tra le più comuni e conosciute si ricordano: interrogare
tutti, attenzione a quelli che sono più indietro, correggere gli esercizi, mai impor-
re castighi gravi e violenti...
Dopo aver esortato a «lasciare da parte l'amore di novità», don Rua conclu-
deva: «Noi abbiamo un sistema lasciatoci da Don Bosco: procuriamo di conser-
varlo, come fanno altre religiose associazioni che diedero alla Chiesa ed alla So-
cietà uomini dottissimi in ogni ramo di scienza e letteratura. Non si parli di rifor-
mare il sistema, bensì ciascuno riformi il proprio metodo e la propria condotta, se
non sono conformi ai nostri regolamenti».
Nella conclusione del quinto Capitolo generale della Congregazione, cele-
brato nello stesso anno (1889), il nuovo Rettor maggiore aveva detto: «Vi racco-
mando caldamente d'impedire che si usino mezzi violenti. Se nel collegio vi fosse
alcuno di parere contrario, s'impedisca assolutamente. A tal fine si aiutino sugge-
rendo loro come ottenere la disciplina con carità [...] Se però raccomando di aste-
nersi da mezzi violenti, tanto più vi raccomando d'impedire a qualunque costo le
sdolcinature e le carezze. Vi sono tali che sono buoni in tutto, ma non in que-
sto».88
L'istanza di «conservare» le caratteristiche essenziali non si presentava in
contrasto con l'esigenza di approfondimento e di «compimento e spiegazione». Il
carattere di «opera incompiuta» del Sistema preventivo era stato riconosciuto
dallo stesso don Bosco: le pagine scritte nel 1877 dovevano essere come «un
indice» di un'opera che si proponeva di scrivere. Tra le carte del IV Capitolo ge-
nerale (1886), l'ultimo presieduto da don Bosco, si conserva una proposta auto-
grafa di don Cerruti: «Manca nelle Deliberazioni qualche cosa di determinato o di
particolare riguardo al sistema preventivo
87 RUA, Lettere circolari, p. 38.
88 Cit. da CERIA, Annali II, p. 45.

4.7 Page 37

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
325
nell'educazione. Si propone di inserirvi qualche raccomandazione».89 La proposta
fu accolta nella «relazione finale» del Capitolo («13a Mancano alle Deliberazioni
le opportune raccomandazioni del sistema preventivo»). E don Bosco —
leggiamo nei verbali — «ricorda che aveva cominciato un opuscolo su questo
argomento. Spera di poterlo o per sé o per altri condurre a termine».90
Il fondatore della Società salesiana morì senza portare a termine «per sé» il
lavoro progettato. E per altri? I primi «tentativi», furono fatti da G. Barberis e da
F. Cerruti.91 Ed essi poterono essere incoraggiati, probabilmente, dalle richieste
pervenute da altri salesiani, i quali, pur nella fedeltà al Sistema preventivo,
sentivano il bisogno di collocare «l'eredità» ricevuta in un quadro pedagogico-
didattico più ampio e organico. Ancora durante la vita di don Bosco, nel 1885,
don Giuseppe Vespignani scriveva dall'Argentina a don Barberis: E «quando
avremo una specie di ratio studiorum una vera pedagogia salesiana? I nostri
chierici tutto ad un tratto hanno da imparare a tener disciplina, insegnare tutte le
materie che si riferiscono alle elementari (che essi fecero con differenti metodi)
con discapito delle scuole nostre, dei lor studi e della loro salute. [...] Per ora,
mosso dal bel lavoro del Dott. D. Fran. Cerruti, mi sono ingegnato a tracciare
alcune idee di sistema d'insegnanza elementare ai chierici, anche d'accordo con
gli usi del Paese, che sembrano razionali e utili: ne scriverò anche al Sig.r D.
Durando».92
4. Sintesi e considerazioni finali
Volutamente, e con una ricostruzione che potrà forse sembrare
eccessivamente analitica, si è cercato nel presente lavoro di mettere in risalto
elementi di approccio alla realtà viva di Valdocco. Dopo questo lungo percorso
fatto, e le numerose testimonianze raccolte, penso utile prospettare una visione
d'insieme, evidenziandone pure alcuni degli aspetti più significativi.
I dati riscontrabili nei documenti esaminati sulla vita interna di Valdocco
consentono di affermare che, nel periodo considerato (tra il 1866 e il 1888), la
prima istituzione salesiana percorse un cammino a tratti piuttosto laborioso. In un
momento in cui viene privilegiata la formula collegiale, possono trovare qualche
spiegazione le scelte di determinati mezzi discipli-
89 ASC 04 Capitolo generale IV 1886.
90 ASC 04 Capitolo generale IV 1886.
91 PRELLEZO, Il sistema preventivo, p. 40-61.
92 ASC 275 Vespignani (25.5.1885).

4.8 Page 38

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326
José Manuel Pr e Hez o
nari, come «le camere di riflessione» o le «tavole di punizione»; i non infrequenti
richiami al «buon ordine», alP«aria di gravità» nel comportamento e al «timore
riverenziale», considerati come condizioni necessarie per l'efficacia dell'opera
scolastica ed educativa in un internato numeroso (ca. 800 ragazzi: studenti e arti-
giani). Le tensioni ideali non sempre riuscirono a superare concreti problemi
disciplinari e organizzativi. Don Bosco stesso nei primi anni '70 manifestò la
difficoltà di esprimere un giudizio preciso sull'andamento della complessa comu-
nità della «casa madre». Non deve meravigliare perciò che, pensando a un «mo-
dello» da proporre alle «case particolari», negli anni '80, si evocasse l'«antico
Oratorio», «Torino antico».
Inoltre, i fatti che diedero motivo alle note lettere inviate da don Bosco in
Argentina nell'85; le precisazioni di don Rua e di don Cerruti su certi «punti di
disaccordo», e i numerosi interventi, talvolta polemici di alcuni dei primi collabo-
ratori di don Bosco nei confronti di determinate situazioni e abusi, fanno pensare
che i problemi accennati non erano solo torinesi, né ristretti soltanto all'arco di
tempo considerato. Tuttavia, in generale e al di là di momenti di particolare ten-
sione, emerge la preferenza ideale per metodi improntati a bontà e dolcezza. Pro-
babilmente non era una voce isolata quella ascoltata nella conferenza del persona-
le di Valdocco l'8 gennaio 1878: «usar carità non castighi». D'altra parte, le feste,
i giochi nel cortile con la partecipazione dei salesiani maestri e assistenti, le pas-
seggiate, le accademie religiose e scolastiche, e le rappresentazioni teatrali, che
scandivano la vita collegiale, erano elementi voluti e «programmati» con esplicita
preoccupazione di svago e di educazione.
Come è comprensibile, nell'ultima tappa della sua vita, il fondatore della So-
cietà salesiana, ribadì insistentemente l'esigenza dell'unità di direzione dell'Orato-
rio di Torino, e sottolineò con forza alcuni tratti considerati caratteristici dello
spirito salesiano che si voleva introdurre in tutte le case. L'insistenza sul «nostro
sistema» non era peraltro in contrasto con una certa apertura alla pedagogia con-
temporanea di schietta ispirazione cristiana. Le testimonianze sopra la vita di
Valdocco negli anni '80 portano a fare alcuni rilievi a questo riguardo: i respon-
sabili dell'educazione dei ragazzi leggono le pagine pubblicate nel 1877 da don
Bosco, ma anche quelle scritte dal barnabita Teppa, e ascoltano l'invito ad «atte-
nersi allo spirito di questi uomini, modelli sperimentati nell'educazione della
gioventù». La persuasione di avere un proprio sistema educativo maturò lenta-
mente negli ultimi anni del periodo considerato.
Contrariamente a ciò che si potrebbe forse ipotizzare, il trinomio ragione-
religione-amorevolezza non è stato fatto oggetto di approfondimenti particolari
da parte dei primi salesiani. Non ne viene sottolineata la rilevan-

4.9 Page 39

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Valdocco (1866-1888) - Problemi organizzativi...
327
za e significato globale. E pare che non si tratti soltanto di una mancata presenza
di tale espressione. Il termine «amorevolezza» non appare — non
10 ho trovato mai — nei documenti stilati dai responsabili di Valdocco nel perio-
do tra il 1866 e il 1888, anche se tale termine era riscontrabile nelle opere peda-
gogiche contemporanee che essi ebbero tra le mani.93 Vi appaiono, anche se non
molto ripetuti, altri termini come amore, bontà, dolcezza.
11 primo elemento del trinomio — «ragione» —, pur presente («avvertire ragio-
nevolmente», «dare sempre ragione ai giovani quando loro si danno voti scaden-
ti»), non è particolarmente ricorrente. Invece era abbastanza frequente quello di
«religione», o quelli, più vicini alla vita collegiale, di «pietà», «devozione», «pra-
tiche di pietà».
Se si dovesse individuare un tema centrale negli scritti e nei documenti presi
in considerazione nella presente ricerca, senza esitazione bisognerebbe segnalare
quello dell'«assistenza». E se si considera poi la reiterazione con cui ritorna il
discorso sull'argomento nei verbali delle «conferenze» di Valdocco (almeno 30
volte ricorre il termine «assistenza» e 141 quello di «assistente/i» nei 200 fogli
che comprendono i quaderni), è difficile sottrarsi all'impressione che, nell'ambien-
te collegiale di Valdocco, il tema fosse vissuto con convinzione non esente forse
da qualche accentuazione ansiosa degli aspetti negativi: conservare la disciplina,
evitare i pericoli morali. Ho detto forse, perché la stessa insistenza fa pensare che,
nella pratica, la situazione non era così rigida come i termini ripetuti potrebbero
suggerire. E non mancano testimonianze che appoggerebbero tale ipotesi. Qual-
che volta si invita a «vigilare sempre», e si decide di prendere misure severe nei
confronti dei giovani «discoli» o colpevoli di mancanze contro la «moralità».
Va ricordato però che in quel momento, soprattutto nella seconda parte degli
anni '80, don Bosco e i suoi collaboratori pensavano alla sezione studenti quale
vivaio di vocazioni ecclesiastiche, soprattutto salesiane. D'altra parte, la sezione
artigiani sentì il bisogno di organizzarsi in modo sempre più autonomo con per-
sonale proprio e amministrazione indipendente. Come casa generalizia di una
congregazione religiosa in progressiva e rapi-
93 La stessa considerazione è stata fatta riguardo alle pubblicazioni dei primi studiosi sale-
siani di pedagogia (cf. PRELLEZO, Il sistema preventivo, p. 55). Volendo trovare una spiegazione
all'assenza segnalata, bisognerebbe ricordare che l'espressione «che può sembrare più suggestiva
e personale, quella della amorevolezza, in realtà non sembra sia divenuta dominante nel modo
di esprimersi di Don Bosco [...] Teme che per amorevolezza s'intenda libertà di fomentare
amicizie particolari e morbose tra educatore ed educando [..]. Sembrerebbe perciò che Don
Bosco preferisca ad amorevolezza altri termini che gli erano già familiari e che alla mente dei
suoi Salesiani potevano ugualmente evocare il modo come egli educava. Invita alla dolcezza,
alla mansuetudine nel trattare con i giovani, alla carità, alla pazienza» (STELLA, Don Bosco II,
p. 465-466).

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José Manuel Prellezo
da espansione, Valdocco dovette offrire inoltre ambienti di lavoro ai responsabili
del governo centrale e dei diversi settori di iniziative generali, sempre più artico-
late e impegnative. Questa convivenza, all'interno di Valdocco — nonostante le
«ristrettezze dei locali»,94 — di una popolazione numerosa e varia, dedita a im-
pegni e attività con peculiarità ed esigenze assai differenti non poté trovare una
facile armonizzazione. Ne sono indizi abbastanza chiari le ripetute insistenze
sulla separazione tra studenti e artigiani, i rilievi sulle interferenze dei membri del
Capitolo superiore nell'andamento della casa particolare dell'Oratorio.
L'indispensabile riferimento alle caratteristiche specifiche della complessa
«istituzione educativa» dell'Oratorio di Torino non va disgiunto, infine, dalla
considerazione del contesto culturale. Quando i membri del consiglio della casa
parlano, per esempio, di «assistenza continua» non fanno un discorso estraneo
alla letteratura pedagogica del loro tempo. In realtà, si limitano a trascrivere, e
talvolta letteralmente, suggerimenti e norme proposte da autori (Rayneri, Dupan-
loup, Damas, Rollin, tra gli altri) ascoltati con attenzione da quanti allora, in
campo cattolico, erano impegnati nell'educazione collegiale. Qualche autore in
particolare (per esempio Monfat) era stato «molto raccomandato» dallo stesso
don Bosco ai suoi collaboratori. Ma questi pedagogisti che parlavano di «vigilan-
za non interrotta» (Monfat) o di «timore riverenziale» (Rayneri) erano pure con-
vinti — come don Bosco e i primi salesiani — che solo l'amore dell'educatore
può guadagnare il cuore dell'educando.
94 F. GIRAUDI, L'Oratorio di don Bosco. Inizio e progressivo sviluppo edilizio della casa
madre dei salesiani in Torino. Torino, SEI 1935, p. 225.