142 Francesco Motto
stabile, che ogni sera dovevano affidarsi alla sorte, non acqua né per bere, né per
lavarsi, mentre l’insufficiente vitto era raccolto e consumato in vecchi barattoli da
loro raccolti nell’immondezzaio.
Tali condizioni di vita, anche solo accennate, fanno agevolmente ritenere,
come conseguenza ineliminabile, l’alta mortalità subita. In proposito i sopravvis-
suti non hanno, anche per il rigoroso distacco in cui erano tenuti i vari gruppi,
dati precisi. Ma qualche particolare può essere tragicamente significativo. Il ser-
gente Vimercati Carlo di Cremano sul Naviglio (Milano) ed il caporale Manto-
vani Silvano di Mantova, mi asseriscono che dei 14 componenti del loro Ko-
mandos solo essi due sono oggi superstiti. Da varie risultanze, che sarebbe troppo
lungo riferire, può ritenersi che – specie fra i lavoratori adibiti alla perforazione –
la percentuale dei decessi abbia superato il 50%.
Praticamente essendo nulla ogni assistenza sanitaria, i lavoratori dovevano
portarsi al posto di lavoro anche se ammalati. Quando non erano più in grado di
muoversi, venivano portati dai compagni al luogo dell’infermeria, che però abi-
tualmente li rifiutava, accusandoli, senza neppure visitarli, di simulazione.
E intanto ogni giorno morivano sul giaciglio di fortuna, ed al vicino incom-
beva portare fuori, al mattino, la spoglia del compagno e così, centinaia di corpi
denudati si accatastavano ogni giorno nelle gallerie e uscivano solo morti alla
luce del sole per venire portati a bruciare nel crematorio.
Tale vita era resa più angosciosa dall’ignoranza della lingua e dalla man-
canza di interpreti, dalla promiscuità di elementi di altre nazionalità, nei cui con-
fronti i tedeschi ostentavano un trattamento meno astioso che per gli italiani, e
specialmente dall’assoluta privazione di qualsiasi assistenza spirituale e religiosa
e di qualsiasi collegamento epistolare con la famiglia e la Patria. Per tutti i venti
mesi questi esseri banditi dalla legge e dal mondo hanno solo faticato e penato
senza neppure avere la parola di conforto di un sacerdote, dei riti della fede,
senza conoscere cosa fosse qualsiasi interessamento di un Ente di assistenza ita-
liano e internazionale, senza potere inviare una sola riga alla famiglia, che igno-
rava ancora la loro sorte. È facile pensare come i sepolti vivi di Dora ad altro non
anelino che di tornare, quanto prima è possibile, alle loro case, alla loro Patria,
per rinascere ad una nuova vita.
Postilla: per ovvie ragioni, ma particolarmente, dato il carattere eterogeneo
degli individui e specialmente per le condizioni fisiche precarie e per gli esacer-
bati animi, la assistenza spirituale, mentre si imponeva senza indugio, trovava
particolari difficoltà.
Ad ogni modo essa è stata subito iniziata anche in questo settore da Padre
Crosara, Cappuccino, e colla piena collaborazione del Comando. Nel locale adi-
bito a Cappella all’uopo approntata con la massima rapidità fu celebrata la festi-
vità dell’Ascensione con il confortante concorso di circa l’80%. Merita particolare
segnalazione la presenza di un certo numero di ex-carcerati per delitti comuni che
hanno seguito le sorti degli altri internati, con i quali fanno tutto oggi vita comune.