1995_VecchiJE_Lettera_funebre_ViganoE


1995_VecchiJE_Lettera_funebre_ViganoE



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Don Egidio VIGANO'
Settimo Successore di Don Bosco
(1"1'2lJ-(99S)
'

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Direzione Generale Opere Don Bosco
Via della Pisana, 1111 - 00163 Roma

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Roma, 8 settembre 1995.
Cari confratelli,
«per il salesiano - ci dicono le Costituzioni - la morte è illuminata
dalla speranza di entrare nella gioia del suo Signore» (art. 54 ).
Nella luce di questa speranza, radicata nella Pasqua di Cristo, noi
ricordiamo con affetto e gratitudine
Don Egidio VIGANÒ
Settimo Successore di Don Bosco
Egli per 17 anni ha guidato, con sapienza e intuito apostolico,
la Congregazione e la Famiglia Salesiana, in fedeltà al Fondatore e
ai tempi nuovi. La sua scomparsa ha suscitato sentimenti di cordo-
glio, uniti ad espressioni di stima e di riconoscenza, non solo nel
mondo salesiano, ma anche negli ambienti più rappresentativi
della Chiesa e della società civile.
La morte di don Egidio è sopravvenuta dopo un cammino di
sofferenza, che aveva avuto i primi sintomi all'incirca un anno pri-
ma, quando ai membri del Consiglio generale rivelò che gli era
stata diagnosticata una forma di neoplasia. La situazione sembrava
sotto controllo, a parere dei medici, sì da nutrire speranza che l'e-
voluzione fosse lenta e protratta nel tempo. Egli si sottopose alle
cure prescrittegli e continuò nei suoi impegni principali di guida
e di animazione: nell'ottobre 1994 partecipò con la sua solita viva-
cità ai lavori del Sinodo dei Vescovi e in novembre fece alcuni dei
viaggi programmati. Nel dicembre, iniziata la sessione plenaria
del Consiglio generale, si manifestarono dolori alla colonna verte-
brale, che gli procurarono nuove acute sofferenze. Si resero ne-
cessari successivi ricoveri ospedalieri. Fu un alternarsi di speran-
ze, per i segni di miglioramento, attestati dai bollettini medici,
specie dopo l'intervento chirurgico cui fu sottoposto, ma anche di
timori, per il protrarsi della situazione critica.
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Dopo più di due mesi, passati in clinica, essendosi rilevati se-
gni di ripresa, fu portato all'infermeria dell'UPS, per un periodo
di convalescenza. D'improvviso il male si manifestò con violenza,
con danni a vari organi vitali e con un forte aggravamento delle
condizioni generali. Riportato in clinica, a nulla valsero le cure
'mediche. Dal Vicario don Juan Vecchi gli fu amministrato il Sacra-
mento dell'Unzione degli Infermi, presente il Consiglio generale.
Il 21 giugno faceva ritorno alla Casa Generalizia dove, assistito dai
suoi fratelli salesiani, don Angelo e don Francesco, e dai confratel-
li del Consiglio e della Casa, confortato dalla visita di molti mem-
bri della Famiglia Salesiana, spirava serenamente nelle primissi-
me ore del 23 giugno, solennità del Sacro Cuore. La sera del 21
aveva ricevuto il saluto e la benedizione del Santo Padre, che l'a-
veva chiamato e gli aveva parlato per telefono.
La vocazione sbocciata nella famiglia e nell'oratorio
Don Egidio Viganò nacque il 26 luglio 1920 a Sondrio, nella
Valtellina, una terra di montagna, di gente laboriosa e volitiva. Era
l'ottavo di dieci figli di Francesco e Maria Enrichetta Cattaneo, che
dalla nativa Brianza si erano trasferiti a Sondrio nel 1906.
La sua vocazione è da collegarsi, anzitutto, all'educazione fa-
miliare. I genitori facevano costante riferimento al Vangelo e alla
tradizione cristiana, ma con una caratteristica non comune: la ca-
pacità di adattarsi ai tempi e all'indole dei 10 figli, tutti diversi l'u-
no dall'altro: «Un figlio - si dicevano - è come una pianticella: non
la si tira per le foglie per farla crescere più in fretta». «Educare
vuol dire: voler bene 24 ore su 24; ma a voler bene davvero si im-
para solo da Dio» (cf. A. Viganò, Storia di umile gente).
Quando da bambino Egidio si ammala, la mamma, che ha già
perso cinque figli per una grave epidemia (la cosiddetta «spagno-
la»), prega così il Signore: «Fammelo guarire: non sarà per me ma
per Te». E Dio ascoltò quella preghiera: oltre ad Egidio, saranno
salesiani i due fratelli Angelo e Francesco; la sorella Dina, suora
nell'Istituto delle Canossiane, morirà giovanissima (21 anni) in
concetto di santità.
Di Egidio ragazzo la mamma conserverà alcune immagini:
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«Era irrequieto e vivace. Bisognava usare con lui, così pensava-
mo, le maniere forti. Nel gioco era spericolato, sul ghiaccio si è
rotto una gamba, stuzzicando un cane è stato aggredito, a scuola la
maestra Pasini lamentava la sua scarsa applicazione, allora il papà
ricorreva alla minaccia della cinghia per farlo studiare».
All'educazione familiare si unì, nella genesi della sua vocazio-
ne, l'attrazione di don Bosco e dei Salesiani, che erano giunti a
Sondrio nel 1897. È significativo l'episodio raccontato dalla mam-
ma che, partecipando ad un pellegrinaggio a Torino nel 1929 per
la beatificazione di don Bosco, mentre visita le camerette del Beato
si sente fortemente richiamata dal suo sguardo: «Che occhi don
Bosco! Sembrava che mi dicesse: I tuoi figli li darai tutti a me».
È soprattutto nell'ambiente vivace dell'oratorio salesiano che
matura la vocazione di Egidio. Per i ragazzi della frazione un po'
fuori Sondrio, la domenica era il giorno più atteso e si identificava
con l'oratorio, dove la giornata era varia: la Messa, con tante con-
fessioni e comunioni e una liturgia festosa, il catechismo pomeri-
diano con il racconto della storia sacra o dei sogni di don Bosco, e
lo spettacolo teatrale a sera. Questa esperienza dell'oratorio, pa-
tria del carisma salesiano, rimarrà indelebile nella sua memoria,
nel suo pensiero e persino nel suo linguaggio, dandogli quel
«cuore oratoriano», cui spesso si richiamerà.
Don Egidio ricordava il direttore dell'oratorio, don Luigi Bor-
ghino. «Don Borghino - scriverà- non era una pitturina dolciastra,
ma un uomo in carne ed ossa, con le rughe e i calli della sua terra,
ma con un caratteristico sapore di cielo. Figlio del popolo, con la
scorza del contadino piemontese, ma con il cuore del carpentiere
di Nazareth. L'influsso vocazionale di don Borghino sulla gioventù
non avviene attraverso le parole, ma con la sua presenza tra ira-
gazzi nel cortile, nel campo sportivo, in teatro, nelle gite in monta-
gna, in confessione, in chiesa e anche attraverso il catechismo e
la predicazione. I ragazzi sentono don Borghino come un uomo
di Dio».
Così, dopo aver frequentato le scuole elementari a Sondrio,
Egidio, a 11 anni, viene indirizzato all'aspirantato di Chiari (Bre-
scia). Sono anni di studio intenso e di crescita personale. Il giova-
ne studente si distingue per l'impegno: compie il corso ginnasiale
in quattro anni, anziché in cinque. Ma la sua vivacità, ancora non
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dominata, suscita degli interrogativi. Quando, in terza ginnasio, il
direttore esita a riammetterlo perché qualche assistente lo giudica
indisciplinato, la mamma dice: «So che don Bosco lo vuole: questa
è la sua strada».
Degli anni di Chiari don Egidio conserverà sempre il ricordo
della visita del beato don Filippo Rinaldi, ai cui piedi siede lui ra-
gazzo, per la fotografia di gruppo. Appare oggi come una fotogra-
fia storica, che collega il quarto al settimo Successore! «Passeg-
giando con noi - racconterà - alto, paterno, affascinante nei chio-
stri della casa di San Bernardino a Chiari, disse, forse così per di-
re, che uno di noi sarebbe diventato Rettor Maggiore; e noi giù a
ridere». A don Rinaldi rimarrà anche legato affettivamente: nella
serie di Successori di don Bosco costituirà il suo riferimento più
caro e frequente. A lui si ispirerà come a testimone, cultore ed
eminente interprete dello spirito salesiano. Ne ammirerà la creati-
vità pastorale e la profondità interiore. Sottolineerà spesso la sua
paternità, il suo senso sacerdotale, la sua capacità di orientare
verso la santità (ACG 332, 1989; ACS 295, 1979).
La formazione e la chiamata missionaria
Al quarto anno del ginnasio, Egidio fa domanda di essere am-
messo al noviziato salesiano dell'Ispettoria Lombardo-Emiliana, si-
tuato a Montodine, piccolo paese nella pianura cremonese. Ebbe
come maestro don Luigi Viecieli, un formatore dallo spirito genui-
namente salesiano, che lasciò una duratura traccia nell'Ispettoria.
Di quell'anno don Egidio ricorderà i numerosi compagni, alcuni
dei quali incontrerà in varie nazioni nei suoi viaggi.
Emessa la prima professione il 16 agosto 1936, fu mandato al-
l'Istituto Rebaudengo di Torino per gli studi filosofici. Qui poneva
le basi di quell'impegno culturale, che lo caratterizzerà poi come
formatore e animatore in tutta la sua vita.
Al termine del corso di filosofia gli viene fatta la proposta mis-
sionaria. Egli stesso raccontava di non aver chiesto di andare in
missione. Sovente scherzava accennando a una confusione di per-
sone dovuta al cognome. Forse era più attratto dall'impegno intel-
lettuale. Ma quando don Pietro Berruti, a nome del Rettor Maggio-
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re, gli rivolse l'invito, egli, dopo essersi consultato con don Bor-
ghino che gli consigliò: «Chi ubbidisce non sbaglia mai», accolse
l'invito e partì. Questo «sì» missionario segnerà la sua vita, portan-
dolo in Cile, che egli considererà da quel momento la sua secon-
da patria.
In Cile il giovane chierico Egidio arrivò, insieme ad altri sale-
siani e novizi, il 28 dicembre 1939 e fu mandato a Macul (Santiago)
per la sua prima esperienza apostolica (1940-1942). Macul era il
cuore dell'Ispettoria: sede dell'aspirantato, del noviziato, dello
studentato filosofico e teologico; casa di grandi tradizioni salesia-
ne, dove avevano lavorato Mons. Giacomo Costamagna, Mons.
Abraham Aguilera, don Pietro Berruti. Il giovane Viganò vi inse-
gna latino e greco; tra gli allievi c'è Giovenale Dho, che sarà in fu-
turo Consigliere per la Pastorale giovanile prima e in seguito per
la Formazione.
Dal 1943 al 1948 Egidio - ora professo perpetuo (1.9.1942) - è
nella casa denominata "La Gratitud Nacional" a Santiago e fre-
quenta la facoltà di Teologia della Pontificia Università Cattolica.
Allo stesso tempo presta la sua opera per i giovani della scuola
professionale e per i liceisti. Corona gli studi conseguendo il Dot-
torato in Teologia, con la tesi di laurea dal titolo: Solidarietà del
Corpo Mistico, secondo la "Summa Theologica" di San Tommaso
d'Aquino.
Il 31 maggio 1947 a Santiago viene ordinato presbitero dal
Card. José Maria Caro Rodriguez, Arcivescovo di Santiago. In una
lettera al papà, don Egidio esprime così i suoi sentimenti sul sa-
cerdozio ministeriale, che egli vede nella sua realtà umana e divi-
na: «Caro papà, presto il tuo Egidio sarà sacerdote dell'Altissimo:
mediatore con Cristo per tutti gli uomini. Un tuo atto d'amore pro-
lungato nella sua esistenza ridonderà in bene di tutta l'umanità... »
(lettera da Santiago, 14.5.1947). E alla mamma aggiunge: «Ecco la
tua grandezza. La Madonna è madre del Sacerdote; tu la madre di
un sacerdote. Cristo e il tuo Egidio offrono la stessa Ostia allo stes-
so Iddio, perché due madri hanno detto con giubilo il sì creatore
delle loro esistenze» (lettera del 14.5.1947). La spiritualità sacer-
dotale e l'esercizio del ministero saranno una delle caratteristiche
della sua vita e del suo governo. Considererà il sacerdozio come
il dono più grande per il suo servizio ai giovani e ai confratelli.
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L'esperienza cilena: formatore e superiore
Raggiunta la meta del sacerdozio, don Egidio viene destinato
dai superiori al compito di docente e formatore, cui si era prepa-
rato negli anni di studio e per cui dimostrava particolare attitudi-
ne. Nel 1949 l'obbedienza lo assegna al Teologato di La Cisterna
(Santiago), in qualità di «Consigliere e Insegnante».
La Cisterna è uno studentato internazionale: vi si formano i fu-
turi sacerdoti salesiani delle Ispettorie del Cile, del Perù, dell'U-
ruguay, dell'Ecuador e della Bolivia. La comunità formativa è un
centro di scambio e di riflessione sulla realtà politico-sociale, sulla
vita della Chiesa e della Congregazione nell'America Latina. Don
Egidio, nell'insegnamento della teologia e nell'animazione intel-
lettuale dei giovani studenti, impegna le sue doti culturali e le ca-
pacità organizzative, mentre acquista una conoscenza sempre più
viva di ciò che va maturando nella società latinoamericana.
Di questo periodo si ricorda la collaborazione, la stima e
l'amicizia tra don Viganò e il futuro Card. Raul Silva Henriquez,
che dal 1951 è direttore del teologato di La Cisterna. È lui che
vuole don Viganò come consigliere. Lavoreranno insieme per
l'intero sessennio. E in seguito, comprovata la sua profondità teo-
logica e l'apertura ecclesiale, lo richiederà come perito al Conci-
lio Vaticano II.
Nel 1953 un avvenimento tragico, che resterà impresso nella
memoria di don Egidio, porta il lutto nell'Ispettoria cilena. Il gio-
vane sacerdote don Livio Morra, amico e compagno di ordinazio-
ne sacerdotale, insieme con un insegnante e 21 giovani del Liceo
Don Bosco di Santiago vengono sepolti da una valanga di neve
nella Cordigliera. Don Viganò, amante della montagna, non aveva
potuto partecipare a quella gita risultata fatale per un divieto del
suo direttore, don Raul Silva. Salirà però egli stesso verso il vulca-
no alla ricerca dei corpi dell'amico e dei giovani.
Nel 1957, concluso il periodo di «Consigliere scolastico», don
Egidio continua a La Cisterna come docente di Teologia. È un
periodo fecondo per l'impegno intellettuale e per il ministero
pastorale: come direttore spirituale e confessore accompagna
vari chierici nel processo di maturazione vocazionale. Molti sale-
siani ricorderanno questo suo prezioso servizio sacerdotale. Dava
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un aiuto anche nel noviziato delle Figlie di Maria Ausiliatrice, vici-
no a La Cisterna, influendo beneficamente sulla formazione delle
Suore.
Nel 1962 viene nominato direttore dell'Istituto Teologico In-
ternazionale, che proprio in quell'anno si trasferisce nella nuova
sede di Lo Cafias, alla periferia di Santiago. La Cisterna era diven-
tato un grande centro suburbano che reclamava un sempre mag-
gior servizio educativo e pastorale dei Salesiani. Il teologato, af-
fiancato da una grande parrocchia e da una frequentatissima scuo-
la, non favoriva più il clima di studio e di riflessione richiesto dalla
formazione teologica. Già don Raul Silva aveva pensato ad un po-
sto più adatto. Questo fu inaugurato dal direttore don Egidio Viga-
nò che provvide alla sistemazione delle cose ancora mancanti, do-
tando poi la struttura, con grande sensibilità, di giardini, di campi
da gioco e di pitture artistiche.
Il Cile, e analogamente le altre regioni dell'America Latina,
vivevano un momento storico ricco di fermenti. Si prendeva co-
scienza di una situazione sociale e l'utopia di un cambiamento ra-
pido entusiasmava molti giovani. La via rivoluzionaria destava non
poche simpatie. Il soffio della giustizia sociale e della partecipa-
zione politica accendeva attese e speranze. Il progetto continenta-
le di integrazione culturale ed economica sembrava aprire nuove
strade di futuro. Molti Pastori invitavano ad una coerente solida-
rietà e davano esempio di vicinanza e di condivisione, rinuncian-
do a privilegi e stili di vita comodi. La Chiesa stessa intendeva
partecipare a questo processo di promozione con il suo contributo
specifico di evangelizzazione ed educazione. Nel quadro del bi-
polarismo mondiale si scontravano visioni sociali e vie pratiche di
attuazione diverse.
Tutto questo fermento di novità non era indifferente per i gio-
vani salesiani di Lo Cafi.as, anzi toccava il vivo della loro vita e vo-
cazione salesiana. Don Viganò si manifestò attento a questi fatti, fu
convinto assertore delle legittime speranze dei popoli latino-
americani, seppe infondere nei giovani salesiani di Lo Cafias l'at-
tenzione dovuta al fenomeno e guidare il discernimento necessa-
rio per l'impegno che il carisma salesiano poteva offrire a questo
momento storico. Nutrì simpatia verso le correnti socio-politiche
che intendevano ispirarsi all'insegnamento sociale della Chiesa.
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Il suo periodo come direttore dello studentato coincise in
gran parte con lo svolgimento del Concilio Vaticano II. A Lo Cafias
si viveva il clima del preconcilio e del Concilio con particolare in-
tensità. Don Viganò, al ritorno da ogni sessione conciliare, tra-
smetteva la sua esperienza di testimone privilegiato. Anche se as-
sente da Lo Cafias per lunghi periodi, orientava con sicurezza la
formazione sacerdotale degli studenti di teologia. Diede impulso
alla qualità degli studi accademici, sviluppò in forma sostanziale la
biblioteca, animò il gruppo dei professori salesiani a lanciarsi in
vari servizi teologici a livello nazionale e apportò alla comunità la
sua ricca sintesi ecclesiologica. Non mancava il lavoro più delicato
che è quello di accompagnare i giovani confratelli nel loro pro-
cesso spirituale di conformazione a Cristo Pastore per il servizio
dei fratelli.
La sua solida preparazione intellettuale, la sua saggezza spiri-
tuale, la disponibilità al dialogo e all'amicizia e la sua apertura ai
tempi di Dio lo hanno reso guida autorevole e consigliere ricerca-
to ed apprezzato, anche oltre gli ambienti salesiani. Per un venten-
nio, infatti, fu professore alla Facoltà Teologica dell'Università Cat-
tolica del Cile: fu scelto come decano della Facoltà e nel 1967, in
piena crisi universitaria, gli fu proposto di essere Pro-Rettore del-
la stessa Università.
Il suo influsso nella vita della Chiesa del Cile e dell'America
Latina è indubbio e continuò anche dopo la sua venuta a Roma. Lo
rileva bene Mons. Oscar Rodriguez Maradiaga SDB, Presidente
del CELAM (Conferenza Episcopale Latino Americana). «Don Egi-
dio Viganò - scrive - ha avuto una importanza enorme nella vita
pastorale dell'America Latina... Amava intensamente il Concilio e
lo diffuse con tutta la forza evangelizzatrice che esso possiede,
non solo nella Congregazione Salesiana, ma in tutti gli ambiti ec-
clesiali a cui ha partecipato ... Per sottolineare questo influsso nella
pastorale del nostro continente, voglio riferirmi alla partecipazio-
ne che ebbe nelle Conferenze di Medellin (1968), Puebla (1979) e
Santo Domingo (1992), nelle quali la sua ampia esperienza, la sua
profonda conoscenza teologica e la sua vita di fede arricchirono le
discussioni e i documenti finali. Parti importanti di questi furono
redatti da lui. In momenti in cui la presenza dei religiosi nell'edu-
cazione era messa in questione e fortemente discussa, con il con-
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seguente abbandono di molti, l'Educazione Liberatrice, l'Educa-
zione Evangelizzatrice e la Nuova Educazione nella Nuova Evan-
gelizzazione furono alcuni degli apporti che trovarono in don Vi-
ganò l'autore che non semplicemente aggiunge delle pagine ad
un libro, ma accompagna nella crescita e aiuta a maturare».
Ricco di questa esperienza, il 13 gennaio 1968 fu nominato
Ispettore dell'Ispettoria cilena: una nomina attesa e desiderata,
che fu motivo di gioia e di speranza per i confratelli.
L'Ispettoria salesiana rifletteva la situazione, viveva le speran-
ze e soffriva le stesse crisi della società cilena: "rivoluzione nella
libertà", "cammino cileno al socialismo". Le preoccupazioni socia-
li, politiche e religiose toccavano nel vivo il carisma salesiano e
coinvolgevano intensamente i salesiani stessi. Anche il rinnova-
mento conciliare, non sempre compreso da tutti allo stesso modo,
portava non pochi scompensi e perturbazioni.
In questa situazione, l'Ispettoria ha avuto il privilegio di poter
contare su un Ispettore amico dei confratelli: un'amicizia maturata
nell'insegnamento teologico, ma specialmente nella vita di fami-
glia della comunità del teologato. Si mostrò maestro chiaroveg-
gente e sicuro, orientando a visioni di ampio respiro, ad orizzonti
di spiritualità, alla comprensione della missione salesiana nella
Chiesa e nella società. Fu soprattutto credente, ottimista ed entu-
siasta, nella presenza dello Spirito Santo che guida la storia verso
la pienezza del Regno, nell'attualità della vocazione salesiana e
nell'efficacia della missione di don Bosco al servizio dei giovani
d'oggi e dei ceti popolari.
A conclusione di queste note sull'esperienza cilena e latino-
americana di don Viganò è interessante ascoltare l'espressione di
elogio pronunciata durante la commemorazione ufficiale nel Sena-
to della Repubblica cilena 1'8 agosto 1995: «Pochi uomini sono pas-
sati per il Cile e hanno brillato per la loro influenza spirituale e
morale in tante parti del mondo come P. Egidio Viganò ... Fu senza
dubbio il pensatore cattolico che più ha influito dopo il Concilio
sulla mentalità cilena, negli anni di adattamento della dottrina con-
cilare alla realtà del nostro paese ... ».
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Consigliere generale per la Formazione
Don Egidio Viganò era solo al quarto anno del suo mandato di
Ispettore quando venne convocato il Capitolo Generale 20°, il
"Capitolo Generale Speciale" voluto dalla Ecclesiae Sanctae, per
l'attuazione del Concilio Vaticano II.
Era logico che, per la conoscenza acquisita e per la sua ricca
esperienza conciliare, fosse chiamato a collaborare nella prepara-
zione del Capitolo. Al lavoro della Commissione precapitolare,
nella quale non mancarono accesi confronti, caratteristici di quel-
l'epoca, partecipò con passione e speranza, dando il suo valido
apporto di teologo della vita consacrata, ma anche di formatore e
di pastore.
Nel Capitolo Generale Speciale, che per oltre sei mesi si de-
dicò a rileggere il carisma e la missione salesiana alla luce del
Concilio per adeguarli alle condizioni odierne, don Egidio Viganò
fu uno dei "protagonisti": con i suoi interventi profondi e mirati,
con le intuizioni vivaci, con la concretezza degli orientamenti.
Così, il 9 dicembre 1971 veniva eletto Consigliere per la For-
mazione, un compito in linea con il suo preminente impegno nell'I-
spettoria cilena, che trovava in lui un uomo capace di rispondere
alle sfide della formazione, diventate più gravi.
Gli toccò prendere atto della crisi del sistema formativo pre-
cedente e valutare le nuove esperienze in corso: in altre parole,
orientare e accompagnare nei primi passi il processo di decentra-
mento della formazione voluto dal CGS, con la preoccupazione di
conservare la sostanziale unità nello spirito e nei criteri formativi.
Per questo organizzò il Dicastero con una équipe di riflessio-
ne, visitò le comunità formatrici e i centri di studio, diede orienta-
menti e direttive, che poi raccolse, lavorando personalmente, in
un primo abbozzo di futura "Ratio".
Con speciale attenzione seguì l'elaborazione dei Direttorii
ispettoriali nel settore formativo e stimolò la preparazione e quali-
ficazione dei formatori.
Il sessennio coincise anche con il lancio della formazione per-
manente. Era un aspetto nuovo. Bisognava creare mentalità offren-
do motivazioni, ma soprattutto attrarre attraverso iniziative con-
vincenti. Ebbero così inizio i Corsi alla Casa Generalizia e, in se-
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guito, la loro diffusione nelle Regioni. Sulla stessa linea erano pen-
sate le Settimane di spiritualità per la Famiglia Salesiana.
Questo sforzo fece sì che, a richiesta delle Ispettorie, nel CG
21 venisse incluso il tema della formazione, che non era stato pre-
visto al momento della convocazione, e che si precisassero ed
esplicitassero gli orientamenti e le norme date sei anni prima.
Un interesse particolare dedicò all'Università Pontificia Sale-
siana, che voleva brillasse come un centro di cultura e di forma-
zione non solo per la Congregazione Salesiana ma per la Chiesa.
Pose le basi per una verifica e un rinnovamento degli Statuti del-
l'Università, impegno che - dopo il CG21 - continuerà come Ret-
tor Maggiore, in qualità di Gran Cancelliere dell'Università. Scri-
ve al riguardo don Raffaele Farina, attuale Rettor Magnifico dell'U-
niversità: «È stato il secondo fondatore dell'Università, che ha gui-
dato con mano sicura, con intelligenza, con scelte di intuito che si
sono dimostrate efficaci, con un'apertura mentale e una spinta
promozionale della ricerca scientifica, del dialogo interdisciplina-
re, che hanno dato fisionomia e sicurezza alla nostra Istituzione ac-
cademica. Sotto la sua guida l'Università è cresciuta non solo in
numero, ma soprattutto in qualità e, conservando l'ideale e lo stile
salesiano, è passata ad una missione più universale e più cattolica
di servizio alla Chiesa e alla società».
.Alla guida della Congregazione
Il 15 dicembre 1977 il Capitolo Generale 21 lo elesse Rettor
Maggiore dei Salesiani, Settimo Successore di don Bosco. Come
già nel Capitolo Generale Speciale egli si era distinto per la
capacità di sintesi e per la sua visione del cammino della Congre-
gazione.
Al momento dell'accettazione ricordò una frase che suo padre
gli ripeteva: «Quel che Dio vuole non è mai troppo». E nella prima
Buona notte disse di sentire «i suoi polmoni pieni dell'aria dello
Spirito Santo». Davvero il Signore donava alla Congregazione e
alla Famiglia Salesiana un padre ricco dello spirito di don Bosco e
una guida tutta protesa al futuro.
Si era nel pieno del processo di rinnovamento promosso dal
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Concilio Vaticano II e dal Capitolo Generale Speciale, processo
che già il suo predecessore, don Luigi Ricceri, aveva ben avviato,
tra non poche difficoltà. Quello di proseguire il rinnovamento fu
certamente l'impegno primario del nuovo Rettor Maggiore, co-
stantemente ribadito lungo tutti questi anni. Scrive il cardinale sa-
lesiano Antonio M. Javierre Ortas: «Se dovessi sintetizzare in bre-
ve il mio giudizio spontaneo, potrei riassumerlo in una sola paro-
la: rinnovamento... Un rinnovamento che poggiava sul dinamismo
nella fedeltà: sottolineava la novità che è una dimensione dell'au-
tentico rinnovamento, ma faceva notare giustamente che la novità
autentica è Cristo». Era convinto di essere stato eletto Rettor Mag-
giore col compito di «fare da ponte fra una tradizione ed una pro-
spettiva di futuro», fra una storia salesiana in parte ancora legata
alla sua cultura italiana ed europea e i fermenti nuovi che germi-
nano nel grembo della mondialità.
Un orientamento autorevole
Per raggiungere questo traguardo il primo e fondamentale
obiettivo fu aiutare i confratelli a riscoprire, alla luce del Concilio,
le ricchezze della vocazione salesiana e del carisma trasmesso a
noi dal Fondatore, ancorandole alle loro sorgenti genuine: l'azio-
ne dello Spirito Santo, la carità di Cristo Buon Pastore. Il maggior
numero delle sue sessantaquattro lettere circolari ai Salesiani ap-
profondisce questo argomento. Spaziano sui principali aspetti del-
la vita e del lavoro salesiano, senza perdere mai di vista una sinte-
si di riferimento nella quale essi acquistano la loro reale dimensio-
ne. Insieme ai testi dei CG20, 21, 22, 23 queste lettere costituisco-
no documenti imprescindibili di un'epoca della Congregazione,
segnata dallo sforzo di ripensamento della nostra tradizione. Rap-
presentano un arricchimento sostanziale del nostro patrimonio ca-
rismatico e ci consegnano un vero compendio aggiornato di spiri-
tualità salesiana.
Oltre alla fondazione dottrinale, di riconosciuta solidità e ispi-
razione, vi si trovano indicazioni spirituali e linee concrete per l'a-
zione. Rivisitano sempre con riletture sintetiche e prospettive nuo-
ve l'esperienza originale e gli intenti di Don Bosco Fondatore e le
caratt~ristiche della santità di alcuni dei suoi figli e figlie (Madre
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Mazzarello, don Rinaldi, don Rua, Mons. Versiglia e don Carava-
rio). Ripropongono esposizioni sistematiche dello spirito salesia-
no, come il commento al sogno dei diamanti. Chiariscono aspetti
venuti a mano a mano definendosi nella temperie conciliare, come
la consacrazione religiosa. Approfondiscono non poche dimensio-
ni particolari della nostra vita, come la povertà, la disciplina reli-
giosa. Scavano nella ricchezza delle figure vocazionali come il sa-
cerdote e il salesiano laico. Arrivano a una riflessione sui ruoli di
autorità (il direttore) e ad aspetti operativi della nostra missione
(scuola, catechesi, pastorale vocazionale).
Don Viganò preparava queste lettere scegliendo accurata-
mente il tema, accumulando annotazioni e chiedendo materiale ai
più stretti collaboratori, quando il caso lo richiedeva; organizzava
l'argomento e consegnava poi il testo ad alcuni suoi Consiglieri
per correzioni, suggerimenti e contributi.
Si proponeva di comunicare ma senza rinunciare alla ricchez-
za del soggetto. Seguiva il criterio enunciato nella prima delle sue
lettere: «Vorrei avere lo stile piano e penetrante di don Bosco e
l'immediatezza di comunione che possedevano altri suoi successo-
ri, ma in difetto di piacevolezza e di semplicità, ci sia almeno sin-
cerità e sodezza» (ACS 289, 1978, p. 3).
Alle lettere bisogna aggiungere i commenti annuali alle Stren-
ne e i cosiddetti manuali dell'ispettore e del direttore, alla stesura
dei quali contribuì in forma sostanziale. E ancora, il servizio della
parola, documentato nei numerosi libri che riproducono gli eser-
cizi spirituali predicati nei diversi continenti, specialmente a diret-
tori e direttrici FMA.
Don Egidio parlava con facilità e volentieri. Comunicava con
efficacia ad ogni livello, dal clero (Curia Pontificia, Cile, Cuba) ai
ragazzi. Alcune delle sue giornate, durante i viaggi, contemplaro-
no fino a nove interventi brevi, medi o lunghi. E anche quando
sembrava improvvisare prendeva dal suo fornito patrimonio teo-
logico, salesiano e pratico, spunti originali che condiva con vivaci
battute e rapidi dialoghi. Amava poi il dibattito. Rispondere a do-
mande era il suo forte e il suo gusto. Vi sentiva l'interesse e la par-
tecipazione dei suoi ascoltatori. E nel cuore della conversazione,
nel midollo delle risposte c'era sempre lo stesso tema: l'esperien-
za di Cristo, la Chiesa, la vocazione salesiana.
15

2.6 Page 16

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Lo sforzo di ripensamento sulla vita salesiana, incominciato
col CGS 20, ebbe la sua conclusione nell'elaborazione definitiva
delle Costituzioni, portata a termine dal CG22, e nella loro succes-
siva approvazione avvenuta nel dicembre del 1984. Oltre ai con-
tributi sostanziali di contenuto e di espressione, dati durante le di-
scussioni, don Viganò offrì alla Congregazione una lettera che
chiarisce il significato, dà i criteri di lettura e staglia le linee por-
tanti del testo costituzionale. È un documento unico. Ad essa seguì
un commento ampio, fatto preparare da un gruppo di collaborato-
ri, ma letto in ogni sua parte e approvato personalmente da lui
stesso. Così assicurava l'unità della interpretazione.
Penso di non essere azzardato nell'affermare che la caratteri-
stica emergente del suo rettorato è stato un insegnamento conti-
nuo e autorevole (non voleva che si usasse la parola magistero),
teso a costruire comunione, a proporre motivazioni e a risvegliare
energie.
La spinta pastorale
Contemporaneamente alla presa di coscienza del carisma si
sviluppavano proposte di impegno pastorale ispirate all'audacia
apostolica: nuovi orizzonti di lavoro educativo, nuove frontiere
geografiche, nuove prospettive culturali. La missione era infatti
al centro della sua attenzione, l'elemento dominante della sua co-
scienza salesiana e delle sue scelte di govèrno, lo stimolo agli
approfondimenti pedagogici e pastorali. Era convinto che fosse
anche la leva del rinnovamento del carisma salesiano e la propo-
sta vocazionale più convincente, così come era stata il luogo dina-
scita della sua spiritualità e della sua prassi pastorale, il sistema
preventivo.
Più in là degli aspetti esterni e operativi, vedeva nella missio-
ne la forza dello Spirito nella storia umana, la manifestazione della
volontà di palvezza che sta alla radice delle cose in quanto espres-
sione della Paternità di Dio, il pulsare della vita della Chiesa e del-
la Congregazione.
Vedeva d'istinto le grandi sfide che venivano alla Congrega-
zione e alla Famiglia Salesiana dalla novità dei tempi e dalla condi-
zione giovanile e popolare.
16

2.7 Page 17

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La sua preoccupazione riguardava in primo luogo l'identità
della missione salesiana, il cui campo sono la gioventù e il popolo,
le cui finalità sono pastorali e la cui via privilegiata è l'educazione.
Su questo insistette di continuo, reagendo con vigore sia al gene-
ricismo sia alla ideologizzazione. Soffriva per lo svuotamento pa-
storale, grave o parziale. Era per lui il segno della nostra caduta
di tensione spirituale.
Dell'educativo affermava la dignità, la necessità nelle condi-
zioni attuali dell'evangelizzazione e il carattere profondamente
apostolico. Al tempo stesso voleva che Cristo Risorto fosse l'ispi-
ratore dei cammini educativi e l'approdo dei cuori e dei pensieri
di educatori e giovani, realizzato attraverso l'ascolto della parola,
la vita sacramentale e il servizio volontario ai fratelli.
La seconda delle sue lettere fu sul Progetto Educativo Pastora-
le Salesiano (ACS 290, 1978). È il Sistema Preventivo ripensato di
fronte alla condizione giovanile odierna, che diventa per noi allo
stesso tempo spiritualità, pedagogia e pastorale. Con questa lette-
ra cominciò un'epoca di riprogettazione delle nostre opere in ciò
che riguarda proposte e metodologie. Il commento all'ultima sua
Strenna parla di "nuovo sistema preventivo" correlato a "nuova
evangelizzazione" e a "nuova educazione". Il linguaggio è signifi-
cativo e ben sottolinea i due binari su cui correva il suo impegno
di animazione della missione: la fedeltà alla tradizione e l'ascolto
della contemporaneità.
Il suo frequente invito ad una rinnovata metodologia pedagogica
esprimeva il desiderio - mai abbastanza appagato - di far tornare i
conti fra i bisogni dei giovani d'oggi e la prassi salesiana.
L'entusiasmo per la missione si rendeva vibrante quando ri-
volgeva lo sguardo alle nuove frontiere dell'evangelizzazione.
Nella missione ad gentes si congiungevano felicemente il senso
ecclesiale e l'originalità salesiana, il primo annuncio ed i cammini
educativi, la dimensione popolare e quella giovanile, l'evangeliz-
zazione e la promozione umana, la cura pastorale di una comunità
cristiana che cresce e il dialogo culturale e interreligioso.
Don Egidio amava dire che le missioni sono l'avamposto delle
opere salesiane e che la spiritualità salesiana raggiunge il culmine
nella sua espressione missionaria. Per cui tutti e in qualsiasi parte
lavoriamo con spirito missionario.
17

2.8 Page 18

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La storia gli renderà certamente merito per l'impulso vigoro-
so dato al «Progetto Africa», grazie al quale i Salesiani sono oggi
presenti in quaranta paesi di quel continente, con 140 presenze e
circa novecento confratelli, mentre si prevede già un futuro afri-
cano della Congregazione nei numerosi giovani in formazione.
Il progetto era stato voluto dal CG2 l (1977). I tempi della Con-
gregazione e dell'Africa lo richiedevano. La Chiesa rivolgeva
verso questo continente la sua attenzione preferenziale a motivo
della rapida crescita delle comunità cristiane e della diffusione di
altre forme religiose. Don Viganò assunse e spinse il progetto con
entusiasmo in un tempo in cui la diminuzione delle vocazioni in
Europa poteva portare a concentrarsi su se stessi. Motivò e convo-
cò a riprendere il sogno missionario di don Bosco. Mise a frutto
l'abbondanza vocazionale ~on cui il Signore benedice alcune
Ispettorie; raccolse e valorizzò anche le briciole offerte generosa-
mente da altre. America e Asia diventarono missionarie. Applicò
il sistema di corresponsabilità paritaria tra Ispettorie e Consiglio
Generale. La sensibilità missionaria passò a tutte le Ispettorie e ai
confratelli.
In seguito apparvero nuove prospettive nei paesi del postco-
munismo dove i Salesiani erano stati espulsi, avevano dovuto vive-
re in clandestinità, o lavorare con possibilità ridotte di esprimere
il carisma. Si apriva una nuova frontiera, quando ancora le prece-
denti non potevano considerarsi del tutto consolidate; e occorreva
fare nuove richieste alle Ispettorie, quando esse ansimavano per
la strettezza del personale. La medesima risposta da parte della
Congregazione consentì di estendersi a nuovi paesi e costituire
nel 1994 la circoscrizione dell'Europa Est.
Viaggiando sulle orme di don Bosco, don Egidio dimostrò an-
che un interesse profetico per la Cina, cui volse attenzione in tem-
pi ancora proibitivi. Vi fece un viaggio che ebbe carattere di pel-
legrinaggio. Visitò il territorio della missione dei Beati Versiglia e
Caravario. Sostò sul ponte del sogno. Affidò la gioventù cinese a
Maria Ausiliatrice nella cattedrale di Pechino, evocando la basilica
a lei dedicata a Shanghai sulla collina di Zo-sé ricordata da don
Bosco. Scrisse poi una lettera per sensibilizzare la Congregazione
(ACG 323, 1988). Appoggiò il susseguirsi di piccoli passi consenti-
ti dalla situazione attuale e ne valorizzò i risultati significativi. Egli
18

2.9 Page 19

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lascia nelle nostre mani questo progetto incompiuto alle soglie del
terzo millennio.
Molti dei suoi viaggi (e oggi dobbiamo dire anche molta della
sua salute) vennero spesi per incoraggiare i confratelli e le conso-
relle impegnate su queste frontiere. Al ritorno ne parlava con vi-
vacità e ammirazione. Ancora negli ultimi giorni lamentava di non
aver potuto far visita ad alcuni posti di missione. Coltivò fino all'ul-
timo il desiderio di essere presente alle due visite d'insieme di
Abidjan e Nairobi, destinate a fare il punto sul Progetto Africa. Il
declino della salute glielo impedì. Fu uno dei sacrifici che egli of-
ferse al tramonto della sua vita.
Ogni proposta missionaria ardita incontrava in lui un interlo-
cutore intuitivo ed entusiasta. Gli era più congeniale avanzare che
retrocedere e non ignorava le riserve che alcuni vi ponevano. Co-
minciare era seminare nello Spirito: «Cosa fatta capo ha», ripeteva
sovente. Riteneva che le situazioni stagnanti del presente si potes-
sero superare con nuove sfide, capaci di scavalcare in positivo
difficoltà che sembravano insormontabili.
Aspetto non secondario che don Egidio curò con entusiasmo
fu quello del "carattere popolare" della missione salesiana. In pri-
mo luogo come stile di presenza, come tipo di messaggio vicino
alla comprensione della gente umile, e come criterio di azione ri-
spondente alle preoccupazioni del popolo.
Alla pietà popolare, oltre che a motivi di fede e di carisma sa-
lesiano, si ricollega il rilancio della devozione a Maria Ausiliatrice
che diventa una costante della nostra pastorale ed educazione. Lo
stimolo a erigere santuari nelle diverse zone, la consegna data
alle Figlie di Maria Ausiliatrice di farsi nella Famiglia Salesiana se-
gno e memoria dell'amore alla Madonna (ACS 289, 1978, p. 12),
l'affidamento della Congregazione (1984), il richiamo a rinnovare
secondo le direttive di Paolo VI (Marialis cultus) la predicazione e
la prassi pastorale mariana (ACS 289, 1978), il riconoscimento del-
l'Associazione dei devoti di Maria Ausiliatrice come parte della
Famiglia Salesiana sono alcune prove di questo indirizzo. La Basi-
lica di Valdocco fu al centro delle sue preoccupazioni. Costituì
una commissione per aggiornare il suo servizio e appoggiò vigo-
rosamente il rilancio della sua significatività per la Congregazio-
ne. Volle il santuario di Maria Ausiliatrice a Nairobi, quasi come
19

2.10 Page 20

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ringraziamento del compimento della prima fase del Progetto
Africa. Pur sentendo già gli effetti della malattia, si recò alla sua
benedizione con evidente sofferenza.
La popolarità abbisogna di uno specifico e qualificato stru-
mento di servizio, che era già stato segno della chiaroveggenza
apostolica di don Bosco: la comunicazione sociale. Ci rimane una
riflessione di don Viganò sull'urgenza di questa dimensione e sul-
le finalità che gli si attribuiscono nella missione salesiana (ACS
302, 1981). Ma soprattutto esprimono questa sensibilità la sua de-
terminazione nel dare origine a un Istituto Salesiano della Comuni-
cazipne Sociale nella nostra Università, nel sostegno morale ed
economico alle editrici e alle iniziative nei nuovi settori della co-
municazione particolarmente nei paesi poveri.
Anche il discorso dei laici va letto sotto il segno di una pre-
senza popolare, che deve diventare sempre più diffusa e capilla-
re. Exallievi, amici, collaboratori, simpatizzanti sono portatori del-
la sensibilità cristiana sulle frontiere del civile, specialmente lad-
dove si elabora la politica giovanile, si genera la cultura, si pro-
getta l'educazione, si mobilita la carità.
La solida impostazione della sua ecclesiologia lo apriva ad un
apprezzamento profondo e cordiale della identità e del ruolo dei
laici che voleva promuovere nella comunione e condivisione del-
lo spirito e della missione di don Bosco. Su questo argomento par-
lò nel Sinodo sulla Vita consacrata (1994) e verso un approfondi-
mento in merito ha orientato il CG24.
Come intendesse il collegamento interno tra queste diverse
realizzazioni della missione lo spiegò nel libro intervista Don Bo-
sco ritorna. Alla domanda sulle nuove frontiere della Congrega-
zione, risponde: «Se per nuove frontiere si intende guardare all'e-
spansione geografica, dirò che sono: il grande progetto Africa e
Madagascar, le missioni dette "delle altezze" in America Latina
(oltre quota tremila in Ecuador, Perù e Bolivia), l'entrata in Ocea-
nia (Papua Nuova Guinea e Samoa) e in Indonesia (Timor Est e Ja-
karta). Se invece si pensa alla qualità della nuova evangelizzazio-
ne, le frontiere sono il rinnovamento pedagogico e pastorale per
educare i giovani alla fede, l'opzione preferenziale per i più biso-
gnosi e il ricupero dinamico della dimensione comunitaria».
20

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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La Famiglia Salesiana
Tutto ciò realizzato non da soli, ma con la Famiglia e nella Fa-
miglia Salesiana. Uno dei punti qualificanti del Rettorato di don Vi-
ganò è stato certamente lo sviluppo della Famiglia Salesiana che,
nata per volontà del Fondatore e rilanciata con vigore dal CGS20,
è stata via via accolta nella mentalità dei confratelli, ha plasmato la
nostra comunione, ha integrato i progetti apostolici e impegnato le
strutture di animazione.
Madre Marinella Castagno, Superiora generale delle FMA,
nella celebrazione di congedo dava voce a un sentimento genera-
le quando ringraziava don Egidio «per i semi di santa audacia,
speranza e profezia, che per mezzo suo, il Signore ha fatto germo-
gliare nella Famiglia Salesiana e nella Chiesa».
Della Famiglia si sentiva Padre e responsabile carismatico. Ne
vedeva la ricchezza di doni che si potevano scambiare: quelli che
provengono dal ministero sacerdotale, dall'esperienza laicale,
dalla consacrazione religiosa, dalla secolarità consacrata, dalla
condizione maschile o femminile, dalle individualità originali. La
incoraggiò dunque come corpo mistico di credenti, che vivono
nell'unità del carisma e possono collaborare sulle molte frontiere
della missione con tutta l'originalità delle singole componenti. A
ciascuno dei gruppi principali dedicò una lettera. Una lunga ri-
flessione portò a chiarire i criteri di identità e appartenenza alla
Famiglia col conseguente inserimento di nuovi rami. Ai Salesiani
ricordò costantemente che non è possibile capire la nostra voca-
zione se non la si colloca in questo vasto movimento di forze di-
verse che noi siamo chiamati ad animare. In occasione del cente-
nario della morte di don Bosco aprì una riflessione sistematica su
don Bosco Fondatore di una vasta corrente di spiritualità, ancora
in sviluppo, suscettibile di essere espressa in diversi stati di vita e
da innumerevoli associazioni.
L'ultimo traguardo è l'elaborazione della Carta di comunione
«frutto del lavoro di collaborazione tra vari gruppi - secondo
quanto scrive egli stesso - per arrivare alla testimonianza di que-
gli elementi fondamentali che costruiscono l'unità dello spirito di
don Bosco».
21

3.2 Page 22

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La vita spirituale
Rinnovamento di mentalità, capacità di collocarsi pastoral-
mente nella cultura e nella Chiesa di oggi, prassi educativa rinno-
vata, animazione della Famiglia Salesiana hanno il loro motore e
comportano una realtà più radicale: la vita spirituale delle comuni-
tà e delle persone, la santità. Ne parlò sovente: in negativo, invi-
tando a superare la superficialità; in positivo, riproponendo l'inte-
riorità apostolica, la carità pastorale, il senso della consacrazione
religiosa, il significato della professione perpetua, la contempla-
zione attiva, la dimestichezza con Cristo Buon Pastore, il "da mihi
animas". È stato il tema ricorrente, fino alle ultime righe vergate
dalla sua mano, di tutto il suo servizio. Che egli parlasse di meto-
do della bontà o di cuore oratoriano, appariva chiaro il suo sforzo
di fondare tutto nella carità teologale, riportando il carisma alla
sua sorgente più profonda.
Ritornava volentieri e assaporava gli articoli 10 e 11 delle Co-
stituzioni, i due articoli fondanti lo spirito salesiano. E quando rile-
vava rischi che potevano rendere sterile il lavoro salesiano, era in
un ricupero di interiorità e carità che egli vedeva la terapia. La
stessa missione, di cui abbiamo parlato, la pensava prima che
come un attivismo logorante, come un proposito di carità per por-
tare i giovani alla pienezza della vita in Cristo.
Le celebrazioni dell'88 sono state certamente il punto alto del
secondo sessennio di Rettorato di don Viganò. Annunciato dall'84
e preparato nelle sue molteplici manifestazioni, il centenario ri-
svegliò le potenzialità pastorali e la forza aggregante della voca-
zione salesiana. Coloro che hanno lavorato con don Egidio per
pensare, orientare e realizzare tale celebrazione ricordano che
non la voleva come un festeggiamento, ma come una missione cri-
stiana, educativa e giovanile. Doveva servire a diffondere l'imma-
gine della santità anche come valore secolare, a far riflettere sul-
l'influsso che la carità impegnata nell'educazione dei giovani può
avere nello sviluppo dei popoli, a coinvolgere in imprese genero-
se i giovani alla ricerca di senso e gli adulti aperti agli impegni
ecclesiali.
In tal senso i primi da interessare erano i Salesiani e lo spazio
dove convocarli era la sequela di Cristo secondo lo spirito di don
22

3.3 Page 23

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Bosco. Ecco, perciò, le due lettere Don Bosco Santo (ACS 310,
1983), e la successiva L'88 ci invita a una speciale rinnovazione
della professione (ACG 319, 1986), in cui, dopo la rilettura della
santità di don Bosco, si propone una rinnovazione non solo rituale,
ma interna e vitale della propria professione: «A livello di Con-
gregazione - leggiamo - ci siamo posti, soprattutto dopo l'appro-
vazione del nuovo testo costituzionale e dei Regolamenti, in una
specie di stato di noviziato per un prolungato e intenso lavoro di
formazione permanente. Vogliamo nell'88 fare la solenne rinnova-
zione della nostra professione religiosa, come espressione vissuta
della consacrazione apostolica che il testo delle Costituzioni nel-
1' orbita del Concilio ci ha insegnato a conoscere e a testimoniare
con più autentica profondità e profetica attualità. Solo intensifican-
do la nostra carità pastorale potremo dimostrare al mondo la vita-
lità del carisma salesiano». Quella rinnovazione infatti si fece dap-
pertutto. Fu un segno comunitario, quasi un sentire di nuovo l'al-
leanza che il Signore ha voluto fare con noi e riaffermare la nostra
risposta adulta.
Si potrebbero, in uno sforzo più analitico, enunciare altre at-
tenzioni che segnano il lungo periodo di governo di don Egidio.
Era sua caratteristica abbordare tutte le linee simultaneamente. Si
cercava infatti un rinnovamento totale: dottrinale, spirituale, pasto-
rale che doveva coinvolgere tutti e diventare continuo perché
l'accelerazione dei tempi non consentiva lentezze e ripetitività. I
progetti di riflessione e di azione in cantiere erano, dunque, sem-
pre più numerosi di quelli che si potevano realizzare.
Tentando una verifica, egli stesso, nell'ultima sua lettera com-
pleta, dal titolo Come rileggere oggi il carisma del Fondatore,
scrive: «Senz'altro abbiamo avuto delle lentezze, dei residui pre-
conciliari, delle miopie e dei timori... forse sono rimaste qua e là
ancora delle zone oscure da illuminare in armonia con il tutto ...
Però, guardando indietro, rileggendo le Costituzioni rinnovate, os-
servando lo sviluppo della vita dell'Istituto, le sue trasformazioni e
la sua vitalità in tutti i continenti, noi crediamo che lo Spirito Santo,
con l'intervento materno di Maria, ci ha regalato delle lenti appro-
priate e limpide per rileggere bene le nostre origini e rilanciarci
in avanti... Lo Spirito del Signore ci ha illuminati e accompagnati;
ci ha indicato la nostra strada maestra; ci ha arricchiti con un teso-
23

3.4 Page 24

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ro di vita; ci ha tolti dalle pene delle insicurezze e delle deviazioni
e ci ha assicurato la nostra identità nel Popolo di Dio; ma ci ha,
proprio per questo, aperto un immenso campo di lavoro, dove c'è
da ricercare, da faticare, da creare, da profetizzare con quello
spirito di iniziativa e di originalità che hanno caratterizzato le ori-
gini apostoliche della nostra missione» (ACG 352, 1995, p. 32-33).
Uno stile di animazione e govemo
I più di trent'anni trascorsi nel servizio di animazione, orienta-
mento e governo, hanno plasmato la personalità di don Egidio e
ne hanno scolpito l'immagine. Impossibile pensarlo in altra veste.
Perciò gli atteggiamenti che vi emergono sono quelli che delinea-
no pure meglio la sua figura di salesiano e di sacerdote.
In ascolto dello Spirito
Nell'ottobre del 1981, a conclusione di un incontro degli Ispet-
tori e Consigli ispettoriali dell'Italia e Medio Oriente, don Viganò
propose un decalogo del Superiore animatore. Il tema dell'anima-
zione era recente, sistematizzato qualche anno prima dal CG21.
Don Viganò offrì non tanto il risultato di un faticoso studio, ma le
conclusioni tratte dalla vita, più presenti alla sua coscienza.
«La condizione senz'altro più fondamentale dell'animatore, di-
ceva, è il convincimento intimo e inoppugnabile della realtà vitale
della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa, nella storia, nella
nostra vita personale». «Convinzione, non nozione accettata con
astrattezza cerebrale» (ACG 303, 1982, p. 57).
Era convinto, e lo ripeteva, che «noi stiamo vivendo un'ora
privilegiata dello Spirito» (Paolo VI). Si percepiva una vibrazione
speciale nella sua voce quando, nella preghiera Eucaristica terza,
pronunciava l'espressione «nella potenza dello Spirito Santo fai vi-
vere e santifichi l'universo». E infatti dello Spirito, insieme all'azio-
ne intima nella coscienza, sottolineava la potenza capace di modifi-
care il corso della storia, di rovesciare situazioni di inerzia, di ab-
battere condizionamenti.
24

3.5 Page 25

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La potenza dello Spirito era sovente il tema della prima medi-
tazione dei suoi esercizi e attraversa anche quelli predicati al Papa
e alla Curia romana, pubblicati poi con il titolo Mistero e storia.
Allo Spirito si affidava come sorgente di inattese novità. Ve-
deva la sua azione nei carismi, nei grandi movimenti e avveni-
menti ecclesiali, e soprattutto nella santità. Qualche volta ironizza-
va sui «ragionieri» della storia che si affidano solo ai calcoli umani,
così come diffidava degli ideologi ai quali attribuiva la pretesa di
rinchiudere la realtà in uno schema interpretativo fisso e pensare
il suo evolvere secondo leggi rigide.
In un incontro di missionari a Dakar (12 febbraio 1982) si di-
scusse se per fondare le nostre missioni dovevamo privilegiare la
mistica o piuttosto la preparazione "tecnica" delle persone e l'or-
ganizzazione. Don Viganò, riferendosi a questi aspetti contrappo-
sti, spiegava: «Tutte e due, ben calibrate. Ma se si deve enunciare
una priorità, dico che con la mistica riusciremo a usare bene la
tecnica per la missione, non il contrario».
Tale fiducia non era solo un atteggiamento di fede, ma un cri-
terio di governo che poteva anche provocare riserve in coloro
che sono più portati ai calcoli.
In comunione con la Chiesa
La Chiesa era lo spazio privilegiato della vita nello Spirito.
Don Viganò ne seguiva le vicende con gioia e con fede, senza di-
videre e meno ancora opporre gli aspetti della sua mediazione:
carisma-istituzione, popolo-gerarchia, consapevole dei suoi limiti
umani, ma anche della sua dimensione divina, punto di congiun-
zione tra il mistero di Dio e la storia dell'uomo.
Alla vita della Chiesa contribuì anche come membro e consul-
tore di vari organismi e commissioni: del Pontificio Consiglio per
la famiglia (1982), del Pontificio Consiglio per i laici (1985), della
Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli (1989), della
Congregazione·per la Vita consacrata (in due successive riprese).
Sul suo tavolo c'erano dunque sovente documenti ecclesiali in
preparazione e si faceva obbligo di dare contributi sostanziali,
chiedendo anche aiuto a qualche esperto. Non considerava ciò
25

3.6 Page 26

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come un compito collaterale o aggiunto al suo ministero di Rettor
Maggiore.
Nell'orbita ecclesiale inserì stabilmente la Congregazione e la
Famiglia Salesiana. Ognuno dei Sinodi e delle grandi assise conti-
nentali ebbe la sua lettera di commento per i confratelli. Infatti ri-
teneva la sua partecipazione non un privilegio personale ma un
dono per la Congregazione.
Dovette anche prendere posizione per sé e per i Salesiani di
fronte a determinate concezioni della vita religiosa o della prassi
pastorale, in particolare nel contesto latinoamericano ed europeo.
«Era fermo nella ortodossia ecclesiale e nell'ortoprassi salesiana -
nota don Scrivo - e prendeva posizione con chiarezza. Salvando
sempre il rispetto per la dignità della persona, interveniva o face-
va intervenire con la decisione più opportuna, meditata ma tem-
pestiva. Era poi pieno di comprensione, di paziente attesa, di spe-
ranza; nei casi di fragilità umana non spegneva mai il lucignolo fu-
migante».
Coltivava la comunione col Successore di Pietro e tentava
ogni strada per rispondere alle richieste di personale e di aiuto.
Sull'esempio di don Bosco seppe trasformare questa amorosa fe-
deltà in vera amicizia, che venne premiata dagli squisiti tratti di
gentilezza che Giovanni Paolo II gli dimostrò sino alla fine.
Questo suo atteggiamento era conosciuto e si riversava sul-
l'immagine della Congregazione. La lettera La nostra fedeltà al
Successore di Pietro» (ACG 315, 1985) ebbe larga diffusione e ri-
sonanza fuori della Congregazione. Per la preparazione di due
importanti visite del Papa - Torino (1980) e Napoli (1991) - fu invi-
tato dai rispettivi Pastori a tenere conferenze che furono frequen-
tatissime. In occasione delle condoglianze, scriveva il Card. Salda-
rini di Torino: «Mi erano note le mirabili doti di intelligenza e di
cuore di don Egidio Viganò, la sua competenza teologica, la gran-
de saggezza nel governo della Congregazione, ma soprattutto co-
noscevo la sua pronta e generosa disponibilità al servizio della
Chiesa in ogni parte del mondo, l'amore e la fedeltà al Papa nel
genuino spirito di don Bosco».
Per questa sua fede nella mediazione obiettiva della Chiesa
scherzava su coloro che pensano di avere un filo diretto con lo
Spirito e si preoccupò di spiegare il senso della nostra dimensio-
, 26

3.7 Page 27

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ne profetica (ACG 316, 1986).
La partecipazione all'Unione dei Superiori Generali gli offriva
elementi validi per sintonizzarsi con l'insieme della vita consacra-
ta. Ne fu presidente per un periodo e vi intervenne sempre con
interesse e convinzione. Furono i suoi colleghi Superiori Generali
a eleggerlo quattro volte successive come membro dei Sinodi.
Padre P. Giordano Cabra, profondo conoscitore dei cammini
percorsi dalla vita consacrata negli anni recenti, ha testimoniato
che «don Egidio ha avuto un grande influsso anche fuori della sua
Congregazione» e che «attraverso la divulgazione creativa della
teologia del carisma, ha aiutato anche numerose Congregazioni
moderne a riprendere fiducia nella propria missione». Era ap-
prezzato il modo con cui don Viganò affrontava i problemi. Esso
esprimeva «una sintesi felicissima fra teologia e pratica, maturata
in lunghi anni di impegno culturale, ma anche di responsabilità di
governo e di contatto con gli uomini». Praticità era la parola che
gli piaceva e tornava spesso sulle sue labbra: rappresentava il suo
sforzo di uscire continuamente dalla riflessione e dalla elaborazio-
ne teorica, per andare incontro alla vita, trovando la metodologia,
gli strumenti di governo, gli ambiti di progettazione, che riuscis-
sero ad incarnare la verità che la teologia investigava. Per questo
i suoi interventi erano ricercati negli ambiti più diversi ed apprez-
zati, perché «concreti, senza essere empirici, colti, senza sfuggire
le dure esigenze della realtà».
E anche quando non si concordava con le sue posizioni se
ne ammirava la fondatezza e schiettezza e si ringraziava per la sin-
cerità.
Attento alla vita
«Il cuore di don Viganò - testimonia don Gaetano Scrivo - fu
stabilmente segnato dalle situazioni di vita. Egli non le subiva pas-
sivamente, ma le sapeva leggere come annunci dello Spirito e vi-
sitazioni di Maria, cui rispondere con generosa e gioiosa disponi-
bilità. La lettura degli avvenimenti - personali, ecclesiali, salesia-
ni, sociali - in prospettiva di fede fu certamente una costante inte-
riore di don Viganò». Fu anche un criterio di governo. Le pro-
grammazioni troppo fisse e anticipate non gli andavano a genio.
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3.8 Page 28

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Gli avvenimenti e le voci ecclesiali lo trovavano invece sempre
pronto a una reazione di fede e di disponibilità.
Una delle ultime righe scritte di suo pugno, nel "frammento di
lettera" rimasto sul suo tavolo, riprendeva proprio questo tema:
«Non dimentichiamo mai che la fede cristiana ci concentra sempre
nella storia; ci lega ad una realtà vissuta, che preesiste alle elabo-
razioni concettuali, e anche alle stesse strutture sacramentali».
La rilettura della sua propria vita - così misteriosamente se-
gnata dalla grazia, che si era manifestata nella «storia di umile
gente» della sua famiglia, nella inattesa chiamata alla missione in
Cile, nella provvida partecipazione al Concilio - contribuì certa-
mente ad illuminare il suo sguardo per scoprire le orme di Dio sui
sentieri della storia.
In questo contesto si devono collocare i numerosi suoi viaggi
per incontrare, ascoltare e animare i suoi fratelli e sorelle di ogni
continente. Diceva sempre di sì ad ogni richiesta proveniente dal-
le Ispettorie e anche dalle comunità locali. In tali viaggi, partico-
larmente in occasione di avvenimenti di rilievo (centenari, cin-
quantenari, inaugurazioni, ricorrenze) sperimentava il pulsare
della vita della Congregazione nei diversi contesti.
Dalle cronache, apparse puntualmente sugli Atti del Consiglio
Generale, si vede la molteplicità degli incontri (con giovani, auto-
rità civili ed ecclesiastiche, Famiglia Salesiana, popolo), il caratte-
re festoso delle manifestazioni, a cui si prestava vestendo abiti fol-
kloristici o montando su insolite cavalcature. Nel suo ufficio giace
una collezione di cittadinanze onorarie, tra le quali emerge quella
di Betlemme, e si conservano alcune lauree "honoris causa",
come quelle conferitagli dalle Università di Parma e di Siviglia.
In dialogo con la cultura
Ripercorrendo mentalmente la lunga stagione del servizio di
animazione di Don Viganò, un'altra caratteristica si impone per la
sua continua presenza, l'attenzione alle correnti culturali e l'indi-
spensabile ascesi che ogni seria riflessione su di esse richiede: i
diritti civili, la promozione della donna, la secolarizzazione, la di-
scussione etica, il declino del marxismo, la nuova religiosità.
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3.9 Page 29

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Volle essere lettore dei segni dei tempi, che hanno nei dati
della cultura la loro manifestazione più evidente, prima di essere
annunciatore delle cose da fare.
Desta stupore la sua capacità di mantenersi aggiornato, di
continuare lo studio antropologico e teologico, di rinnovare eco-
municare la freschezza di una visione della realtà che nessuno tro-
vò, nella sostanza, vecchia o sorpassata.
Nel dialogo con avvenimenti e tendenze culturali la sua atten-
zione era rivolta principalmente alla illuminazione che viene dal
Vangelo. «La fede - scrisse in una lettera - dev'essere presente
nel travaglio intellettuale, nella ricerca scientifica, nella discussio-
ne sui problemi accademici».
Ebbe costantemente la preoccupazione di lavorare per rag-
giungere una triplice sintesi. In primo luogo fra Vangelo e cultura:
chiarezza di Vangelo e senso di attualità danno ai suoi interventi
fondamento e modernità.
Anche la prassi e la mentalità salesiane venivano confrontate
con la cultura, particolarmente in quegli aspetti che toccavano l'e-
ducazione. Il termine "nuovo" ricorre sotto la sua penna come un
ritornello: "nuova evangelizzazione", "nuova educazione", "nuo-
vo sistema preventivo". Qualche volta sentì il bisogno di chiari-
re che non si trattava né di uno slogan né di un motivo per irre-
tire gli incauti, ma della ricerca di un incontro fecondo tra la vi-
sione ereditata e le invocazioni dei giovani di oggi (cf. ACG
334, 1990, p. 7).
Non meno elaborata fu la sintesi tra momento ecclesiale e ca-
risma salesiano. Di quest'ultimo sottolineava gli elementi di eccle-
sialità più caratteristici, che i suoi legami e servizi ecclesiali gli
permettevano di cogliere. Al tempo stesso arricchiva la sua rifles-
sione sulla Chiesa con la molteplicità di suggestioni, invocazioni,
messaggi di futuro, che egli raccoglieva dal mondo giovanile e da
coloro che coi giovani più intensamente operavano.
Come segno della volontà di dialogo con la cultura va consi-
derato anche l'Istituto Storico Salesiano, che egli volle con perse-
veranza e tenacia, come realizzazione di un orientamento del
CG2 l. Suo scopo era certamente quello di promuovere indagini e
ricerche su don Bosco, conforme alle possibilità attuali delle
scienze storiche, sul «don Bosco del passato» e anche sul «don
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3.10 Page 30

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Bosco di oggi» che, attraverso i suoi figli e le sue figlie, ha fatto
del mondo la sua casa. Era sua convinzione che non è possibile
comprendere a fondo don Bosco senza collocarlo nello spazio del-
lo Spirito, nel suo tempo e nell'attuale orizzonte mondiale, in cui
egli è vivo.
Questo è stato per lui un programma, derivante dalla con-
vinzione che i pensieri ben calibrati, i libri ben scritti, i valori ben
comunicati fossero una parte sostanziale del suo lavoro di anima-
zione.
Mediatore del Concilio
Strumento di tale sintesi, atmosfera in cui essa avveniva, me-
tro di valutazione delle sue varie componenti era il Concilio Vati-
cano II. Il primo passo nell'elaborare le sue lettere ed i suoi inter-
venti più significativi era sempre il confronto col Concilio, coi suc-
cessivi documenti che lo attualizzavano, coi teologi che vi erano
intervenuti e quelli che dimostravano una più penetrante com-
prensione.
Da testimone di prima mano quale egli era stato, don Egidio si
era fatto un punto d'onore di difenderlo e diffonderlo. Riconosce-
va in esso - come ebbe spesso occasione di affermare - uno spe-
ciale dono fatto dallo Spirito alla Chiesa, per fronteggiare la «svol-
ta epocale» di fine millennio e per fondare le speranze future.
Spesso affermava che per lui era stato una vera conversione
teologica, pastorale, culturale e spirituale. Perciò la sua colloca-
zione era sempre, secondo una espressione che gli era abituale,
«nell'orbita del Concilio».
Se si dovesse riassumere in una parola il compito a lui affidato
dalla divina Provvidenza, si potrebbe dire - senza sminuire altri
meriti del suo servizio - che era quello di far incontrare lo spirito
del Concilio con lo spirito di don Bosco.
Nell'immediato post-concilio affrontò le polarizzazioni e tenne
salde le redini del processo di applicazioni. Assicurò la realizza-
zione del suo nucleo più sostanzioso, guardando con diffidenza le
sperimentazioni avventate e le interpretazioni arbitrarie.
30

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Portatore di speranza
«Il Progetto apostolico del nostro Fondatore - afferma don
Egidio - è tutto rivolto ai giovani e permeato costitutivamente dal-
la virtù della speranza». Chi ha avuto occasione di ascoltarlo molte
volte ha potuto cogliere l'intenzione sottesa ai suoi interventi di
animazione e di governo.
Egli si era fatto un proposito di essere portatore di speranza,
in tempi in cui la seconda virtù teologale è, di nuovo, diventata ar-
dua. E questo nella convinzione che animare significa, in sostanza,
risvegliare energie e costruire un'atmosfera positiva, dentro la
quale sia possibile chiedere ragionevolmente un impegno. Pro-
gettare la speranza fu il tema di una riflessione negli esercizi spiri-
tuali dettati ai direttori del Messico (1993): non solo sostenerla ma
seminarla, anzi prepararle un terreno adatto perché possa cre-
scere.
Egli tornava di continuo alla sorgente della speranza, procla-
mando con convinzione la Risurrezione e l'energia pasquale che
ne deriva. Meditava con attenzione gli interventi, andando in cer-
ca, per così dire, dei semi di speranza. Li coglieva con cura e li
gettava a piene mani nel cuore dei suoi ascoltatori.
Per farli accogliere sceglieva un linguaggio adatto. Coniava
espressioni felici: "cuore oratoriano", "interiorità apostolica",
"grazia di unità", "pedagogia della bontà", "svolta epocale". Le
riproponeva frequentemente per suscitare uno stato d'animo che
gli permetteva di collocare nella giusta luce altri elementi della
vocazione salesiana. L'esito era la soddisfazione dei suoi ascoltato-
ri, giovani o anziani, colti o appena alfabetizzati, che erano in gra-
do di capire il messaggio che egli intendeva donare.
Mentre invitava a levare lo sguardo in avanti - poiché "il futu-
ro" era la dimensione temporale che gli era più congeniale e nel-
la quale più volentieri abitava («c'è più futuro che passato») - non
dimenticava di tenere d'occhio la sanità e robustezza delle radici.
Il suo era un equilibrio, continuamente conquistato e riproposto,
fra memoria e profezia, fra una preziosa eredità da non disperde-
re ed invocazioni di attualità, cui bisognava porgere ascolto.
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4.2 Page 32

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Non solo maestro, ma testimone
Non ultimo elemento di efficacia era la carica di convinzione e
di testimonianza personale, che egli poneva in ciò che diceva. At-
traverso le sue parole si poteva giungere direttamente al suo cuo-
re, con una immediatezza che permetteva una spontanea sintoniz-
zazione.
Don Bosco, la vocazione, la storia e il carisma salesiano più
che temi di studio furono la passione della sua vita.
Come sottolineavo nell'omelia della celebrazione liturgica,
per don Viganò, senza pretesa di paragoni, le cose salesiane ed i
salesiani erano sempre il meglio, come lo sono i figli per i genito-
ri. Era una classificazione di appartenenza, di affetto e di deside-
rio. I suoi confratelli bravi li pensava e bravi li voleva, cultural-
mente e pastoralmente, in particolare in mezzo ai giovani. E rin-
graziava il Signore di averlo fatto padre di una tale Famiglia.
Era convinto di essere di fronte ad una miniera capace di con-
segnare sempre nuove ricchezze. Vi applicava dunque la serietà
del pensiero, le vibrazioni del cuore, la capacità di comunicazione
e lo sforzo di traduzione pratica. Il carisma lo amò. Anzi, ne fu fie-
ro. Del futuro non ebbe dubbi. Delle sue realizzazioni fu giovanil-
mente entusiasta.
Mi piace confermare questa valutazione con la testimonianza
di chi gli fu vicino per molti anni: «Credeva nella forza e nell'at-
tualità del carisma salesiano, la scelta dei giovani, la scelta educa-
tiva, la spiritualità del sistema preventivo. Egli avrebbe voluto
esportarlo in tutto il mondo, non per senso di trionfalismo, ma per
amore ai giovani, per desiderio della loro salvezza, per il trionfo
della Chiesa» (don Gaetano Scrivo).
Tutto il suo sforzo di penetrazione e di aggiornamento salesia-
no, dunque, non aveva i caratteri di una elaborazione mentale o di
un approfondimento accademico, ma la ricchezza, il calore e la
forza di persuasione di una testimonianza vitale.
Bisogna riconoscere che egli praticò ciò che andava predi-
cando: essere il ministero affidato dall'obbedienza luogo della no-
stra santificazione. Per questo, tutta la sua vita appare assorbita
dal ministero di animazione della Congregazione, in cui si gettò
totalmente, fino a consumarsi dentro.
32

4.3 Page 33

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Visto da vicino
In occasione dei funerali sono arrivati alla Casa Generalizia
numerosi telegrammi e lettere. Molti esprimono un'impressione o
un commento sintetico sulla personalità di don Egidio. L'insieme
rende bene l'immagine che si formavano coloro che lo avvicina-
vano in momenti singolari del suo ministero e nell'esercizio della
sua competenza di teologo: raduni, visite, incontri programmati,
celebrazioni, conferenze.
Ci si può chiedere come egli manifestasse il suo mondo inte-
riore e la sua carica apostolica nello scorrere normale della vita
quotidiana.
Don Egidio esprimeva una personalità ricca e briosa, sostenu-
ta da una robusta salute (che andò logorandosi negli ultimi anni),
dotata di una acuta intelligenza degli uomini e delle cose e di buo-
ne capacità comunicative.
Dominava in lui la fedeltà al ministero di governo e di anima-
zione che gli era stato affidato dall'obbedienza. In esso realizzò
quel "dono di sé", quella "carità pastorale", quello stile del "Buon
Pastore che dà la vita", che egli commentava come tratti salienti
della vita e dello spirito di don Bosco. "Dire di sì" era il suo atteg-
giamento di fondo in tutto ciò che, in qualche modo, si ricollegava
a questa sua missione primaria.
Il ritmo del suo lavoro era serrato e rigoroso; severa l'ascesi
epistolare, che si era imposto, nel leggere le lettere dei confratelli
e nel rispondervi; flessibile la sua gestione dei frammenti di tem-
po per preparare i suoi interventi e scrivere le impegnative lette-
re ai Salesiani, preparate da lontano con questo sistema di formi-
ca: mille frasi rotte a metà da mille interruzioni di lavoro. Quando
era alla Casa Generalizia già prima della colazione, dopo la Messa
di buon'ora, aveva fatto un tempo di lavoro. Erano ore preziose
che, quando non era pressato da impegni urgenti, dedicava alla
lettura e allo studio.
«Fu l'aspetto ascetico più forte della sua personalità salesiana.
Affrontava i tanti problemi con una simpatica vivacità di parole e
di azione, ma con serena e, talora, umoristica imperturbabilità.
Uscendo da certe riunioni del Consiglio o da colloqui fortemente
impegnativi, nei quali erano stati affrontati problemi né facili, né
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4.4 Page 34

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indolori, riprendeva la sua vita con una per me sbalorditiva sere-
nità. Nessuno avvertiva preoccupazioni o cadute di tensione spiri-
tuale». Così testimonia ancora don Scrivo, che, forse più di ogni
altro, potè apprezzarlo sotto questo profilo.
La sua natura riflessiva, il gusto dell'approfondimento cultura-
le, l'equilibrio del criterio e del giudizio ne facevano, nella sem-
plicità, un uomo di consiglio. Scrive P. Kolvenbach SJ: «Senza dub-
bio egli era più vicino a San Giovanni Bosco che a Sant'Antonio l'e-
remita, ma aveva ricevuto dalla tradizione dei Padri del deserto il
dono di arricchire, di incoraggiare o di illuminare l'altro con una
"parola", ricca della sua esperienza unica della vita consacrata,
della sua fede forte, realista, eppure ottimista, del suo amore sen-
za riserve o ambiguità per Cristo e la sua Chiesa».
Temperamento primario e immediato, aveva il gusto della
battuta arguta, ed era pronto alla replica, anche vigorosa. Ma non
teneva bronci. Era sollecito alla riconciliazione ed a riprendere il
dialogo, dopo discussioni anche accese. Su alcuni criteri e pro-
spettive, sui quali aveva maturato convinzioni sicure attraverso
la riflessione e l'esperienza, poteva dare, a chi stava ancora alla
ricerca, l'impressione di poca disponibilità a rivederle. Ma era
capace anche in questo caso di provare il confronto e lasciava
sempre che le persone arrivassero con calma alle proprie conclu-
sioni.
Viveva con semplicità i tratti dell'allegria salesiana, che aveva
conosciuto e assimilato da ragazzo. Aveva il senso dell'umorismo,
amava stare in compagnia e sapeva apprezzare, quand'era possi-
bile, il gusto di una merenda casereccia o di un bicchiere di buon
vino, bevuto in compagnia, o di una "cantata", dove i ritmi e le to-
nalità che contano sono quelli del cuore ... Abituato fin da giovane
al gioco e allo sport per temperamento e sensibilità educativa, fa-
ceva, finché gli fu possibile, lunghe camminate settimanali. Ogni
anno, quando tornava nella terra natia, riprovava le sue forze in
escursioni montane, ma amava anche incontrarsi con confratelli e
amici e riservava sempre un po' di tempo per dialogare con la
gente, riascoltando storie della propria terra e comunicando noti-
zie della Congregazione. Anche il "tifo", sempre aggiornato e te-
nace, per il suo Milan, va letto come un segno della sua voglia di
restare «giovane fra i giovani». Gli piaceva esprimere tutto questo
34

4.5 Page 35

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specialmente in mezzo ai giovani salesiani, fors'anche evocando
interiormente una giovinezza che si faceva sempre più lontana...
Era riservato nel manifestare sentimenti o esperienze interio-
ri, mentre si esprimeva facilmente su avvenimenti e problemi, co-
sì come valorizzava con schiettezza i diversi passaggi della pro-
pria vita: la fanciullezza oratoriana, la vocazione missionaria, l'e-
sperienza cilena, gli studi universitari, la partecipazione agli av-
venimenti della Chiesa, l'amicizia con persone significative.
Così nel tratto con le persone poteva ad alcuni dare l'impres-
sione di essere asciutto e persino sbrigativo. Tagliava corto quan-
do la conversazione non aveva importanza o gusto e più ancora
quando scorgeva l'intenzione di aggirare. Ma era notevole lavo-
lontà di dimostrare attenzione e virile affetto alle persone che gli
stavano vicine ed, entrati in confidenza, si poteva sviluppare con
lui un'amicizia ricca di interscambi profondi.
Di questa sua particolarità era consapevole. Alla Maestra e
alle novizie del noviziato vicino alla clinica dove passò gli ultimi
giorni, che l'accudirono con assiduità e tenerezza, confidò di aver
«in molte occasioni sofferto per incomprensioni; e come per il suo
carattere un po' forte non sia stato sempre capito». Scherzando di-
ceva, riferisce ancora la Maestra: «Molti provano soggezione di
me, pensano che sia freddo; voi non vi siete spaventate e avete
sfondato». Si riferiva alla confidenza che si era stabilita con loro.
Infatti una cosa appariva chiara: il suo buon cuore, la sua ge-
nerosità magnanima e la sua capacità di compassione, dalla quale,
in certe occasioni, qualcuno avrebbe voluto proteggerlo.
Ai suoi collaboratori lasciava ampio spazio di iniziativa nelle
proposte e nei movimenti e appoggiava ogni suggerimento utile.
Apprezzava e valorizzava ciò che ciascuno riusciva a fare. Non la-
sciava passare occasione senza ricordare le loro feste e gli anni-
versari. Qualche segno di riconoscenza lo faceva sempre: un brin-
disi, un biglietto con alcune parole appropriate, qualche volta una
menzione durante la riunione del Consiglio. In queste occasioni si
poteva vedere la sua stima e il senso di gratitudine per il lavoro
compiuto.
Ancora negli ultimi giorni ripeteva di avere un «buon Consi-
glio», che i Consiglieri erano molto generosi, che lavoravano mol-
to, «fin troppo», senza concedersi pause, che nel Consiglio si lavo-
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4.6 Page 36

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rava bene e, sulle grandi questioni, ci si trovava sempre d'accor-
do. Infatti era portato a guardare soprattutto il bene e non ci stava
con quelli portati a sottolineare i difetti o i limiti. «Fa più rumore
un albero che cade che un bosco che cresce», aveva detto - citan-
do un proverbio - in un intervento nel Sinodo straordinario del
1985 e lo ripeteva sovente.
Su tutto emergeva una grande fede, consistente e schietta.
«Siamo figli di grandi credenti», disse in un intervento durante il
CG21. La si percepiva nell'atteggiamento di fronte alle persone,
nella visione della storia, nelle valutazioni, nelle imprese, nei mes-
saggi. Lo sguardo di fede si estendeva a tutta la realtà: Dio, la sto-
ria, la Congregazione, ogni singola persona.
Via Crucis, Via Lucis
L'ultimo anno di vita del Rettor Maggiore è stato segnato dalla
sofferenza, una "Via Crucis" ·che lo ha condotto gradatamente al-
l'incontro definitivo con il Signore, alla "Via Lucis".
Un capitolo insolito nella vita di don Egidio Viganò. Come per
ogni salesiano, come per don Bosco, la sofferenza non mette fine
ai progetti e all'ansia apostolica. Quando arriva, egli cerca quasi
di addomesticarla, tornando sempre ai suoi pensieri, agli impegni
che lo attendono, per il servizio dei confratelli, dei giovani. Don
Bosco, mettendo a tacere le sue sofferenze fisiche, diceva: «Fin
che il Signore mi lascia in vita io sto volentieri. Lavoro fin quando
posso ... fo progetti, cerco di eseguirli... aspettando l'ora della
partenza. Quando la campana col suo dan-dan-dan mi darà il se-
gnale di partire, partiremo ... Ma finché non oda il dan-dan-dan
non mi arresto» (MB XII, 39).
Così fu per don Viganò. Affrontò la malattia con una grande
speranza di poter guarire e riprendere a pieno ritmo il suo lavo-
ro, fiducioso nell'intercessione dei Santi Salesiani, in particolare
del Beato Michele Rua, a cui si era affidato da quando era Rettor
Maggiore; i confratelli, le consorelle, tutti i membri della Famiglia
Salesiana pregavano per lui. Fino all'ultimo non rinunciò agli im-
pegni presi, almeno nel limite del possibile. Soprattutto continuò a
guidare e orientare - anche dal letto dell'ospedale - la Congrega-
36

4.7 Page 37

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zione. Le preoccupazioni e le responsabilità del suo ruolo di Ret-
tor Maggiore avevano zittito, in certo modo, la sofferenza, in alcu-
ni momenti assai acuta.
Tuttavia, pur nella ferma speranza della guarigione, egli an-
dava dicendo il suo ultimo «sì», quello che è rimasto più nascosto
dietro il suo temperamento determinato e intrapredente: l'accetta-
zione della malattia, dell'immobilità, e in seguito della morte. Più
volte, confidandosi con qualcuno dei confratelli più vicini, diceva:
«Mi sto chiedendo che cosa il Signore vuole da me, per il bene
della Congregazione». E rifletteva e pregava, rileggendo le pagi-
ne sull'ultimo periodo di vita di don Bosco, sulle sue sofferenze e
sulla sua morte. Ai fratelli don Angelo e don Francesco, ai confra-
telli e consorelle salesiani che numerosi lo visitavano non nascon-
deva il suo desiderio di guarire, ma anche le sue preoccupazioni.
Il commovente messaggio del Venerdì Santo mostra dove si
ancorava la sua fede e la sua speranza: «È da settimane che sono
in clinica e mai avevo provato l'esperienza del Venerdì Santo
come un giorno straordinario del carisma di don Bosco. Sommer-
gersi nel mistero dell'amore di Cristo, sopraffatti dalle sofferenze
della carne: non si scopre un momento più proprio per stare con i
giovani, per animare confratelli e consorelle, per intensificare la
Famiglia Salesiana. Ciò che vi posso offrire è assai poco, ma lo of-
fro in questo clima di Venerdì di missione e di passione».
Aveva incominciato a scrivere una lettera circolare per i Sale-
siani sulla sofferenza e sulla malattia, come grande momento della
carità pastorale in cui il soffrire diventa agire per le anime. È riu-
scito a stendere solo alcuni fogli, quasi come introduzione, dove
tuttavia emergono chiaramente i motivi che gli erano più cari e
che avrebbe sviluppato per illuminare la sofferenza del salesiano:
Gesù Buon Pastore che dà la vita per i suoi e perciò viene da Dio
risuscitato, la carità pastorale, la grazia di unità, il "da mihi ani-
mas ", la contemplazione salesiana.
Lo sguardo è rivolto soprattutto a don Bosco nei suoi anni di
anzianità e malattia: «Ciò che più colpisce nella maniera (di don
Bosco) di affrontare la sofferenza - scrive - è senz'altro il dono di
sé... In lui malato appare radioso il motto scelto per identificarne il
segreto: da mihi animas. È un dono di sé per la salvezza dei giova-
ni che vivifica tutta l'esistenza: quella dell'attività e quella della pa-
37

4.8 Page 38

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zienza. È il vero respiro dell'anima salesiana, come ha lasciato
scritto Don Rinaldi. Nell'impotenza fisica del nostro Padre emerge
potente e chiaro l'atteggiamento permanente e totalizzante del da
mihi animas: «io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per
voi sono disposto anche a dare la vita» (ACG 353, 1995, p. 6-7).
Gli ultimi dieci giorni di vita, quando le condizioni si erano
aggravate ed i medici non nascondevano la loro preoccupazione,
furono una preparazione più immediata all'incontro con il Signore.
Sempre con serenità e fiducia, anche con la battuta scherzosa, fino
all'ultimo. Al Santo Padre che gli esprimeva telefonicamente la sua
vicinanza e gli dava la sua benedizione, parla di «cammino verso
il Paradiso».
La solenne Liturgia funebre si è svolta nella Basilica di San
Giovanni Bosco in Roma nel pomeriggio del lunedì 26 giugno.
Nella mattinata vi era stata trasferita la salma, già meta di numero-
se visite di singoli e di gruppi alla Casa Generalizia. La Messa ese-
quiale, presieduta dal Vicario del Rettor Maggiore, con a fianco i
due fratelli salesiani, i membri del Consiglio Generale e alcuni
Vescovi salesiani, è stata concelebrata da circa cinquecento sacer-
doti. Assistevano alla celebrazione 8 cardinali (i tre cardinali sale-
siani a Roma, Rosalio Castillo Lara, Antonio Javierre Ortas e Alfons
Stickler, ed inoltre i cardinali Eduardo Martinez Somalo, Pio Laghi,
Eduardo F. Pironio, Achille Silvestrini, Adrianus Simonis), una
trentina di Vescovi, la Madre Generale delle FMA con il suo Con-
siglio, rappresentanti di tutti i gruppi della Famiglia Salesiana in-
sieme con numerosi giovani e tanta gente venuti a pregare per il
7° Successore di Don Bosco. Tra le autorità civili, il Segretario
generale alla Presidenza della Repubblica Italiana in rappresen-
tanza del Presidente, On.le Oscar Luigi Scalfaro, impedito a parte-
cipare.
All'inizio della celebrazione il card. Rosalio Castillo Lara lesse
lo speciale messaggio inviato dal Papa Giovanni Paolo II. Alla fine
don Giuseppe Nicolussi, a nome del Consiglio Generale e dell'in-
tera Famiglia Salesiana, rivolse un pensiero di ringraziamento ai
presenti e a quanti si erano uniti al lutto e alla preghiera. Anche la
Madre Generale espresse il grazie a don Egidio Viganò, a nome
dell'Istituto delle FMA.
Un lungo applauso salutò la bara mentre veniva portata fuori
38

4.9 Page 39

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dal Tempio. Con uno squillo di tromba la banda dei ragazzi dell'I-
stituto Don Bosco di Napoli intonò il canto Giù dai colli, che coin-
volse tutti nel commosso saluto: «Don Bosco ritorna».
Dal Tempio di Don Bosco la salma venne accompagnata al Ci-
mitero salesiano alle Catacombe di San Callisto, dove è sepolta ac-
canto al sesto Successore di Don Bosco, don Luigi Ricceri.
Commemorazioni si sono svolte in ogni parte del mondo, nei
numerosi luoghi dove sono presenti i Salesiani, con la partecipa-
zione di autorità e popolo.
Cari confratelli, ringraziamo il Signore per il dono che ha dato
a noi e a tutta la Famiglia Salesiana in don Egidio Viganò, Rettor
Maggiore, testimone fedele ed entusiasta dello spirito di don Bo-
sco, che ci ha guidati con saggezza e ci ha lanciati con coraggio a
portare la ricchezza della missione salesiana alla Chiesa e alla gio-
ventù del terzo millennio.
Mentre continuiamo ad offrire per lui la nostra preghiera di
suffragio, chiediamogli di intercedere presso il Signore per il feli-
ce esito del prossimo Capitolo Generale, soprattutto per ottenere
che la Congregazione e la Famiglia Salesiana crescano in tutti i
continenti e nazioni nella conoscenza, nell'amore e nella realizza-
zione fedele della vocazione salesiana di don Bosco.
Vi saluto cordialmente. insieme con il Consiglio Generale, e
vi auguro ogni bene nel Signore
don Juan E. Vecchi
Vicario del Rettor Maggiore
39

4.10 Page 40

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PER IL NECROLOGIO
Viganò Egidio
Nato a Sondrio (Italia) il 26 luglio 1920, morì a Roma il 23 giugno 1995, a 74
anni di età, 58 di professione salesiana e 48 di sacerdozio.
Fu per 4 anni Ispettore, per 6 Consigliere generale per la Formazione e per
17 Rettor Maggiore.