1975_FaviniG_Don_Paolo_Albera_Le_petit_d_Bosco


1975_FaviniG_Don_Paolo_Albera_Le_petit_d_Bosco



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U .P.S. -BIBLIOTECA
DON BOSCO
DOPPIO
CONTROLLATO

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f
D. GUIDO FAVINI
DON PAOLO ALBERA
LE PETIT D. BOSCO
Secondo Successore di S. Giovanni Bosco
Primo Visitatore delle Missioni Salesiane in America
nella vita e nella storia della Società Salesiana
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE-TORINO

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Visto per la Società Salesiana
Torino, 6 maggio 1975
D. Sante Garelli
Nulla osta a:lla stampa
Torino, 13 maggio 1975
Sac. Felice Rizzini
Ispettore e Delegato del Rettor Maggiore
Imprimatur
Torino, 9 settembre 1975
Sac. Valentino Scarasso, V.G.
«:) by Società Editrice Internazionale - Torino 1975
Prlnted In ltaly - Officine Grafiche SEI
Settembre 1975 • M.E. 42183

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Al Rev.mo
Don Luigi Ricceri
Rettor Maggiore della Società Salesiana
per la sua
Messa d'Oro

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P resentazione in anteprima
Una hiografia di fondamentale importanza
PAOLO ALBERA: «Le petit Don Bosco»
L'uomo
Chi osa dettare quest'umile omaggio ebbe il privilegio di conoscere per-
sonalmente don Albera entro un quadro di spazio e di tempo del tutto ec-
cezionale: a Torino verso il tramonto del secondo successore di don Bosco,
ai piedi dello svelto monumento a Lui inaugurato di fronte al santuario sale-
siano per eccellenza, all'indomani dell'apoteosi che fondeva in un inno di
lode ogni ricordanza salesiana.
... Una figura esile, minuta, fine, resa ancora maggiormente diafana, se
si può parlare di diafano entro l'esiguo spazio della mortalità fisica, ... capi-
gliatura ancor folta, candida come la neve, ritta a spazzola come a voler con-
ferire un candido volo e risalto a tutta quanta la persona composta entro un
involucro minimo di materialità, fedele cust.ode dello spirito pét:i±lant galli-
co che una così lunga adozione di tempo e di animo in Francia aveva pla-
smato nel quadro delle sue componende. Sembrava volesse elevarsi, quasi
scomparire da ciò che limita, per svettare in regioni di puro spirito.
Luminosità d'animo inconfondibile con quella zigomatica di don Bosco
e con l'altra, eminentemente ascetica, di don Rua. Diceva bene Il corriere
della sera: « Don Albera è di una speciale fisonomia mistica». Realismo,
ascetica e mistica convengono cert4mente nei Tre, ma ognuno ha la propria
voce. Per ciò che si riferisce ad Albera, questa sua singolare voce trova tre
campi che gli sono personafosimi: l'anima del fanciullo (davanti a Dio siamo
sempre tutti fanciulli d'animo) le esigenze del soldato nel gorgo di quella
« inutile strage » che in fondo è ogni guerra, e le pagine sue di diario. Spira
su questi tre campi una voce eminente di predilezione che commuove l'animo
e lo spinge sempre di nuovo alla speranza.
Un autore contemporaneo assegnava, non molti anni or sono, a un suo
romanzo un titolo che, se ancora non fosse stato scovato, bisognerebbe crea-
re: Le ste1le stanno a guardare. Forse è proprio degli astri: far del bene
guardando, a imitazione di Dio, la scienza del Quale dà origine alle cose...
a una certa distanza, come per non contaminare la fonte. Così emerge dalle
opere del figlio di None... un clima di purità, di bontà di pentimento perfino,
anche solo dinnanzi al pensiero di aver potuto offuscare tanti d.oni, e di
un continuo ritorno sopra di sé, mai scrupolo, ma sempre adorante oblazione
perché il domani sia più terso dell'oggi.
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L'iter della Provvidenza
I quadri entro i quali si compose e si svolse quella visione operante pa-
ce sono di una semplicità che stupisce, ma sempre irrorati di una spirituali-
tà robusta, sulla quale non si insisterebbe mai abbastanza.
Uscito dal nido di V aldocco dopo un conveniente periodo quasi decen-
nale di addestramento alla scuola diretta di don Bosco, pure lui a metà con
don Bosco seppure in misura diversa per la giovane età, don Albera è invia-
to a Genova, non per continuare imprese già poste da altri •in cammino, ma
per immettere nelle opere salesiane un corso nuovo.
Dopo altri dieci anni circa (i settori della vita di don Albera, curioso,
si aggirano sempre intorno a un decennio), l'ardente sacerdote che erediterà
sempre in misura più copiosa l'ardimento del suo protettore san Paolo, spic-
ca il volo per la Francia come primo Ispettore della Francia, ma anche del
Belgio.
Espletò quest'altro decennio, costituita ormai sull/J superficie dei due
Paesi una solida rete di Case che formano una grande regione salesiana in
tempi durissimi (basti pensare cosa fosse avvenuto in Francia all'inizio del
secolo con tutta quella valanga di soppressioni di beni ecclesiastici, da Marsi-
glia a Lilla), don Albera è richiamato alla Casa madre giusto giusto per fare
le valigie per lidi assai più lontani, l'America latina che egli perco"erà in
lungo e in largo con vigore indomito.
Il lettore si sente come impigliato in quei panorami immensi ed innu-
meri che ancor oggi non banno nome e misura. Chiedi a un indio delle pam-
pas argentine o del llano venezuelano (tanto per assegnare i due estremi a
quel mondo turgido di p11Ssione e di sole) quale distanza corra tra il pun-
to in cui ti trovi o una determinata località lontana mille chilometri, e con
tanta naturalezza ti sentirai rispondere: « alli mismito », come a dire « a
due passi ». E vedere quell'Uomo immerso nell'immenso, unicamente il sogno
te lo può salvare.
Ma lo guida un'idea così potente che ha ragione di ogni asperità, l'idea
madre di tutto il V angelo, incarnata con un risalto senza uguali nel Precur-
sore: Rendere testimoninza all'Altro, grazie al Quale si è ciò che si è e si ha
ciò che si ha. L'Altro, ossia don Bosco, sta al sommo di ogni suo pensiero,
di ogni parola, di ogni desiderio. Come dirà per l'appunto il precursore: « È
necessario che l'Altro cresca e che io diminuisca», anzi che succeda un feno-
meno di osmosi, per cui io addirittura scompaia.
Quando ormai quel continente illimite non ha nulla più dii inesplorato
dal Visitatore mandato da don Rua, sempre in nome di don Bosco e in virtù
di don Bosco, al grande Reduce da quella più grande avventura può essere
affidata una sola missione, ciò che nella gerarchia di una Casa salesiana vi è
di più delicato: il Catechista. Catechista della Pia Società vuol dire pratica-
mente moderatore di tutta quanta la sua economia spirituale.
Questa missione eminentemente religiosa sfocerà alla morte di don Rua
nel mandato supremo: suo Successore. Ormai però neanche don Albera non
si appartiene più. L'osmosi è consumata. Don Bosco ritorna. Don Bosco, e
Lui solo è presente tra i giovani. Per questo è assicur<Ma l'unità e, fino a
tanto che non saranno permesse incursioni foranee non vi sarà più luogo a
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timori. Le pietre miliari del cammino assegnato al nuovo Rettor Maggiore
saranno i Capitoli generali, le grandi assisi legali per la custodia della Pia
Società solo per garantire la tradizione, nella sostanza. Poiché se il Padre, il
Fondatore è presente, ogni innovazione sostanziale che si pretendesse inserire
suonerebbe e sarebbe praticamente insulto.
La piramide completa
È il grande segreto, ed è anche il grande merito di don Favini nell'aver-
ci dato, nel darci, questo suo nuovo studio. Come rientrando a casa, la sera,
dopo le fatiche della giornata che ci possono avere stancati; dopo gli in-
contri con tanti uomini, che muovevano il lamento dell'Autore del-
l'Imitazione: « Ogni volta che me ne uscii tra gli uomini, me ne rientrai
sempre meno uomo »; dopo tanti esigui trionfi che possono aver posto a
repentaglio la solidità .del nostro sentire, o dopo amare disillusioni che re-
stituiscono così fortemente l'animo alla sua giusta misura, così, consumando
la lettura e la riflessione di quel grande andare di don Favini attraverso
gli orti di don Albera, tanto sconclusionati se visti nel rovescio, un grande
respiro d'unità ci prende e come la reale scoperta di Qualcuno che manc{J)l)a,
che bisognava mettere sul candelabro, proprio per una esigenza intima del
Sistema.
In effetti, uno stupore grande prende tutta la persona del lettore: che
don Favini, in fondo, nelle sue irte peregrinazioni al seguito di don Al-
bera, non abbia descritto la storia di una persona singola, per quanto eletta,
ma di un folto gruppo di anime, anzi di vari gruppi, come di moltitudini
apolittiche convenienti nel gioco di un unico moto incontro al trono o, per
desumere un altro esempio, infinitamente più umile, dall'aia dei Becchi di Ca-
stelnuovo, come di una grossa covata di pulcini intorno alla madre chioccia...
Un colpo d'ala a destra, un colpo d'ala a sinistra... un nugolo di polvere per
ogni dove. .. e dappertutto un acuto e delicato clamore di cibo, di aiuto, di
protezione.
In questo senso l'attenzione fedele verso le opere di don Favini va ri-
stretta verso il vero sostanziale a una trilogia: « Alle fonti della vita salesia-
na», dove tutto è don Bosco; « A metà con don Bosco », dove tutto è don
Rua, la Regola vivente (anche se a metà, i beni spirituali non diminuiscono,
anzi si moltiplicano per divisione), e « Don Paolo Albera», di cui è tanto
festoso affrettare col desiderio la pubblicazione. Festa che non va soltanto al
privilegio di poterla presentare in anteprima e neppure unicamente al valo-
re intrinseco del dolce Ispettore di Marsiglia « Le petit don Bosco», al quale
non poteva convenire appellativo più fine e garbato, ma proprio per la sua
funzione specifica e nuova, complecitiva delle pubblicazioni or ora elencate.
A questo riguardo sarebbe fuori del vero parlare di un'epoca delle fon -
ti o di primi passi o di pionieri. Chi parla così pone mente a una forma di
azione ed evidenzia piuttosto un valore di carattere storico, ma questa terna
di nomi che ci sono tanto cari, nelle vie di Dio, sono come fuori del tempo,
in Dio.
Sulla terra hanno lasciato, nell'ordine dell'essere, un monolite, una pi-
ramide svelta che svett@ in cielo. È per l'appunto un modo di vivere che quei
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tre nomi intrecciano, un modo di essere, un'unità vitale, un solo cuore,
un'unica realtà tributaria delle singole doti, un albero unico e frondoso, radi-
ci a Torino. Ecco perché la grande fatica di don Favini era attesa e sarà be-
nedetta: dal punto di vista biografico la piramide era sempre in attesa di un
debito complemento. Or il monolite sta, ed è chiaro.
Un bel proverbio francese (ne facciamo quasi omaggio di predilezione a
don Albera che tanto si prodigò per la Francia e che tanto bene ricevette in
compenso generoso) dice: « Qui peut avoir des perles, ne se charge pas de co-
quilles ».
Il biografo paziente di don Albera si è voluto incaricare anche delle con-
chiglie e la sua dev'essere stata una fatica dJa Sisifo ma del tutto corrispon-
dente al sacrosanto dovere di storico coscienzioso e leale... a costo perfino di
annoiare qua e là il lettore. Ora rifulgono solo le perle come quando cado-
no i ponti da costruzione e permettono la gaudiosa visione unitaria della
nuova creazione.
Un episodio ubaldiano per terminare, che dice tutto in uno.
Don Paolo Ubaldi insigne salesiano nella virtù e nella scienza il quale,
al pensiero di essere stato trasferito dall'Università di Catania, come profes-
sore ordinario di lingua e letteratura greca, alla Cattolica di Milano (« A Ca-
tania - lamentava sempre - potevo far tanto bene!») quasi ne piangeva,
...una mattinata di luglio, senza che né maestro né discepoli potessero indovi-
nare che sarebbe stata... l'ultima ora, salito in cattedra, dette uno di quei fa-
mosi strappi a una fascia di seta che soleva portare al collo, e protestò:
« Oggi non ho voglia di far lezione. Mi sento stanco. In compenso vi raccon-
terò un episodio: Avevo sei anni. Un giorno mia mamma mi disse di prepa-
rarmi: saremmo andati, a Parma, dal vescovo. (Chissa chi aveva fatto al ve-
scovo il nome di Ubaldi come possibile candidato al seminario). Allora io
frequentavo già l'Oratorio dei Salesiani. Arrivati dinnanzi al vescovo, questi
cominciò a farmi delle interrogazioni. Il finale: "Ti piacerebbe venire con
noi in seminario?"... Pestai un piede per terra e gli dissi: "O con don Bosco
o nulla" ». Scoppiò, sulla cattedra, in pianto. La lezione era finita. E la vita
quaggiù... Qualche settimana dopo, nel calore estivo di Milano, don Ubaldi
se ne partiva solo, dall'altra parte... con don Bosco, coi Tre.
ffi RAFFALE FORNI
« Giornale del Popolo», Lugano, 18 luglio 1975
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Parte I
CON DON BOSCO

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• •r
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I

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I tre
Gesù amava di un amore di predilezione tre fra i suoi Apo-
stoli: Pietro, Giacomo e Grovanni. Fino alla evidenza, basta
leggere il Vangelo.
E tre dei suoi primi fedelissimi amava Don Bosco fino alla
trasparenza della predilezione: Michele, Giovanni, Paolino: Rua,
Cagliero, Albera.
Basta leggere con attenzione la storia della Società Salesiana.
È noto com'egli, nella sua pedagogia dell'amore casto sacer-
dotale, sapesse dare a ciascuno dei suoi giovani l'impressione della
predilezione in tante circostanze dei suoi rapporti personali con
loro, specialmente nell'esercizio del santo ministero. Ed è pure
evidente com'egli seppe affidare, a ciascuno di quelli che si lega-
rono a lui per la vita, la missione che, meglio a lui confacendo,
gli permettesse di prestare alla Congregazione, alla Chiesa, alla
società contemporanea, il servizio adeguato alle sue capacità, alle
sue inclinazioni, abilità e competenze. Fu cosl che strutturò una
Congregazione a giorno, di particolare attualità pei suoi tempi
e per l'avvenire, dotata di un dinamismo intelligente e fedele
che le consenta di superare con la Chiesa le bufere più perfide
e violente, e di godere del privilegio della Chiesa di sopravvi-
vere, di rifarsi, di prosperare sotto tutti i climi e fra tutti i popoli.
Ma le funzioni di maggior responsabilità a raggio interna-
zionale Don Bosco le riserbò a tre che a distanza di tempo sem-
brano proprio scelti con intelligenza e valutazione carismatica: a
Don Michele Rua, a Don Giovanni Cagliero, a Don Paolo Albera.
A Don Rua la formazione e la tutela dell'osservanza reli-
giosa, lo spirito e lo zelo di apostolato salesiano.
A Don Cagliero l'espansione oltre oceano e l'avvio delle
Missioni.
A Don Albera la prima affermazione europea.
Analizzando il suo tratto personale coi singoli, si può con
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facilità evidenziare la totale assoluta fiducia nel suo amore, quasi
alter ego fin dalla giovinezza, di colui con cui fece a metà.
La certezza del successo nella mente, nel cuore, nell'esube-
ranza apostolica del Cagliero.
La tenerezza dell'amore per l'angelica pietà, per la finezza
del tatto, la soavità del tratto, in Don Paolo Albera che la Francia
battezzerà e ricorderà poi sempre con tanta simpatia come « le
petit Don Bosco ».
Ognuno dei tre, col temperamento proprio e le caratteristiche
della terra natla che « simili a sé gli abitator produce », come
cantava un poeta del buon tempo andato: Don Rua, della gentil
Torino; Don Cagliero, della forte terra astigiana, come Don Bo-
sco, e Don Albera, della mite piana di None, sulla strada delle
valli per Saluzzo e Pinerolo.
Nacque il 6 giugno del 1845, mentre la diocesi torinese ce-
lebrava la festa del miracolo eucaristico che meritò a Torino
anche il titolo di Città del SS. Sacramento (1453 ), da Giovanni
Battista Albera e Margherita Dell'Acqua. Genitori d'oro, che la-
voravano la loro campagna (una quindicina di giornate di ter-
reno) e ne cavavano a sufficienza per allevare già sei figliuoli di
cui il secondo, Lodovico, entrò poi tra i Frati Minori col nome
di Padre Telesforo; il quinto, Luigi, tra i Lazzaristi; la sesta,
Francesca, tra le Figlie della Carità col nome di Suor Vincenza,
mentre Giambattista, Gian Francesco e Giuseppe aiutavano i
genitori nei campi.
Paolino, settimo, il più delicato di costituzione, battezzato il
giorno stesso della nascita, manifestò presto una spiccata ten-
denza alla pietà, mentre prestava nel lavoro i suoi premurosi
servizi.
Tutti abbastanza docili, non diedero preoccupazioni ai geni-
tori. La mamma poteva dire, accogliendo confidenze di tribola-
zioni da altre: - I miei non cercano neppure di uscir di casa.
Io metto un tavolino in un angolo ed essi passano là tutta la
sera giocando o facendo i compiti di scuola.
Di giorno, naturalmente, o a scuola o nei campi.
In un ambiente cosl sereno e laborioso, Paolino fu prepa-
rato alla prima Comunione e ricevette la Cresima dal vescovo
di Pinerolo Mons. Lorenzo Renaldi nel 1853, quarto centenario
del miracolo eucaristico torinese, il 1° maggio.
Don Bosco a Torino preparava pel 6 giugno un volumetto
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delle Letture Cattoliche con la descrizione del prodigio e racco-
mandava al eh. Rua di curarne una nuova edizione nell'ottavo
cinquantesimo, 1903.
Dal 1849 era Parroco a None l'intelligente e zelantissimo
teologo Don Matteo Abrate, al quale Paolino serviva spesso vo-
lentieri la S. Messa.
Avuto in parrocchia Don Bosco, che conosceva molto bene
da quando era vicecurato a San Francesco di Assisi in Torino
(dove Don Bosco aveva celebrato la prima Messa nel 1841), e
udendo che egli andava in cerca di buone vocazioni, gli presentò
il piccolo Albera, dicendogli semplicemente: - Prendilo con te.
E Don Bosco l'aveva passato al eh. Rua che lo accompagnava:
- Prenditi questo caro amico e dagli un po' di esame.
Il chierico, dopo avergli fatto alcune domande, ritornò con
Paolino: - Don Bosco, lo può accettar volentieri all'Oratorio.
All'Oratorio di Valdocco
Fu cosl che il 18 ottobre il buon parroco poté condurre Paolo
Albera a Torino ed affidarlo a Don Bosco per sempre. Per sem-
pre, nei disegni di Dio. Perché il teol. Abrate sentl presto la ten-
tazione di riprenderselo in parrocchia appena sacerdote.
Ma in quella occasione, visitando l'Oratorio con Don Bosco,
ne subl un fascino così. forte che, salutando gli allievi esclamò
con entusiasmo: - Un tempo era vanto per molti il poter dire
« Io appartenni alla Grande Armata». Verrà giorno in cui per
ciascuno di voi sarà un vanto ancor più grande poter dire « Io
sono stato allievo di Don Bosco... ».
L'Oratorio nel 1858 era in piena fragranza delle virtù di
Domenico Savio, passato all'eternità il 9 marzo dell'anno prece-
dente 1857. Paolino ne godeva.
Fino al 21 gennaio 1859 ebbe vicino di camera Michele Ma-
gone con cui strinse fraterna amicizia, e non dimenticò più una
delle ultime confidenze fatte a Don Bosco e tosto diffuse fra
i compagni: - La cosa che più mi consola in questo momento
è quel poco che ho fatto in onore di Maria SS. Sl, questa è la
più grande consolazione.
Un senso della vita di famiglia e dello spirito ecclesiale che
vi aleggiava l'ebbe fin dai primi mesi quando Don Bosco, com-
mosso per il voltafaccia di non pochi fedeli sobillati dalle sètte,
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a un decennio dall'elevazione di Pio IX al Sommo Pontificato,
preparò un'affettuosa protesta di amor filiale al Vicario di Cristo
ed invitò i giovani ad aggiungervi la propria firma.
Albera lo fece con particolare trasporto perché seguiva atten-
tamente la istruzioni domenicali del santo educatore che aveva
intrapreso a narrare le vite dei Papi. Depose infatti più tardi al
processo per la beatificazione e canonizzazione del Fondatore :
« Ciò che formava l'argomento dei suoi interessantissimi tratte-
nimenti, era per lo più ricavato dai Bollandisti. Nessuna meravi-
glia perciò che i suoi alunni lo scoltassero così attentamente e
con immenso gusto. Non erano mai sazi di udirlo, benché le sue
prediche durassero quasi un'ora e mezza. Nei dialoghi poi tra i
Martiri e i loro persecutori, il predicatore era veramente insupera-
bile. Conciliava sempre stima e affetto verso la Santa Sede, illustra-
ta dai Papi con azioni esimie e santificata col loro sangue. E non
discendeva mai dal pulpito (il pulpitino della cappella di S. Fran-
cesco di Sales donata dal santo Don Cafasso) senza avere interro-
gato qualche giovane, perché da qualche fatto traesse la morale;
per vari anni interrogò specialmente il eh. Roetti. Ordinariamente,
quando Don Bosco aveva finito di raccontare la vita di un Pon-
tefice o d'altro Santo le cui gesta erano un'illustrazione del Pa-
pato, noi lo vedevamo comparire in un fascicolo delle "Letture
Cattoliche", in cui rileggevamo con immenso piacere le cose udite
nelle sue prediche » (M. B. V, 579).
Erano gli anni - ricordava ancora Don Albera più tardi -
in cui Don Bosco spesso schierava centinaia di giovani in cor-
tile durante le ricreazioni su una sola fila, poi moveva con tutti
in direzioni che sembravano bizzarre ma finivano per comporre
quasi a lettere cubitali viventi le parole « Viva Pio IX ».
Non essendo prudente allora lanciare quel grido alle stelle,
egli otteneva lo stesso effetto strappando ai giovani grida di gioia.
Ne aveva in tale esuberanza, rispetto ai locali di cui dispo-
neva, che ogni tanto inviava studenti anche al Cottolengo, alle
scuole dei Tommasini.
Finiva di ritoccare le Regole concordate con Pio IX nel suo
primo viaggio a Roma, l'anno precedente, col eh. Rua e il santo
Teo!. Leonardo Murialdo, e preparava segretamente la costitu-
zione della Società Salesiana. Ma attese fino alla festa dell'Im-
macolata Concezione del 1859 per rivelare i suoi disegni.
La sera del 18, appena Rua ebbe ricevuto il suddiaconato,
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Don Bosco raccolse tutti gli aderenti nella sua unica cameretta
che gli serviva da studio e da camera da letto, dopo le orazioni
della sera, mentre i compagni erano già nel primo sonno, e in
forma clandestina per l'ostilità dei tempi (si stavano sopprimendo
le Congregazioni che già esistevano), con una semplicissima ceri-
monia da catacombe, i primi diciassette (un prete Don Alaso-
natti, un diacono Don Angelo Savio, il suddiacono Don Michele
Rua, tredici chierici e un giovane studente) si univano ufficial-
mente a lui in « Società o Congregazione religiosa», pregando
lui a fare da Superiore, consentendogli la scelta del Prefetto o
Vicario e del Direttore spirituale o Catechista; poi procedendo
per elezione alla nomina dei Consiglieri del primo Capitolo o
Consiglio direttivo.
Il 1° maggio 1860 fu la volta dell'accettazione del giovane
Paolo Albera con altri volontari che « Don Bosco aveva formato
a sua immagine e somiglianza pel candore, l'attività e la risolu-
tezza dei propositi. Gli irresoluti, gli snervati di volontà - nota
il biografo Don Lemoyne - non facevano per lui.. . ». A sette
anni precisi dal giorno della sua Cresima, Paolino « per inge-
gno, pietà e condotta era tra i primi dell'Oratorio».
Non era stata davvero inefficace la grazia del grande sacra-
mento per l'anima sua. E non fa stupire che Don Bosco gradisse
lui, Paolino, in ginocchio in atto di confessarsi, quando si riuscl
a fare la prima fotografia del Santo. È incantevole, pur nella
semplicità della lastra fotografica .
Ma l'incanto vien dall'anima del piccolo Albera che traspare
dal volto mentre posa per essere ritratto in atto di far la sua
confessione abituale a Don Bosco, suo confessore ordinario fin-
ché gli poté vivere a fianco .
Come novizio salesiano (allora si diceva « ascritto »), l' 11 giu-
gno 1860 appose la sua firma, Albera Paolo, Studente di 1a Re-
torica, insieme con gli altri salesiani, al testo delle Regole ed alla
supplica da inviare all'arcivescovo di Torino, Mons. Luigi Fran-
soni esule a Lione, per ottenerne l'approvazione diocesana e poi
inoltrarle a Roma per quella pontificia. Fece, con gli altri, la s0-
lenne promessa che leggiamo in calce al verbale dell'atto memo-
rando « che se per mala ventura a cagion della tristezza dei tem-
pi», non avessero potuto fare i voti, « ognuno in qualunque luogo
si troverà, fossero anche tutti i nostri compagni dispersi, non esi-
stessero più che due soli, non ce ne fosse più che uno solo, c0-
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2.10 Page 20

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stui si sforzerà di promuovere questa pia società e di osservarne -
sempre, per quanto possibile, le Regole» (M. B. VI, 630).
L'Oratorio aveva appena subìto due invasioni della polizia,
il 26 maggio e il 9 giugno, per perquisizioni domiciliari a Don
Bosco sospettato, come i migliori sacerdoti e laici cattolici, di
mene politiche contro l'unità nazionale. Ci voleva del fegato ad
impegnarsi con tanta abnegazione e decisione.
A testimonianza dei contemporanei - e mi limito a citare
Don Giulio Barberis e Don Francesco Cerruti, coi quali io ebbi
ancora la gioia di trattare - Paolo Albera fu subito « fra i com-
pagni dell'Oratorio un apostolo di bene », non solo uno studente
esemplare: spiegava uno zelo straordinario, fino a correggere una
volta in bel modo un chierico suo compagno il quale non badava
troppo alle parole che gli uscivan di bocca e non rifletteva tutta
la riverenza dovuta a Dio; aborriva in modo speciale la bestem-
mia, non poteva tollerare che si pronunciasse il nome di Dio con
poco rispetto.
Caro a Don Bosco, Paolino era tanto caro anche ai suoi com-
pagni che usavano per lui lo stesso vezzeggiativo.
Tengo con cura un quadernetto, fatto con ritagli di carta della
tipografia cuciti insieme, su cui uno dei più affezionati ad Al-
bera, Costanzo Rinaudo (che io conobbi poi sul tramonto della
sua vita Ordinario di Storia all'Università di Torino e Consigliere
comunale) descrive la grande passeggiata autunnale del 1861 a
Chieri, al Colle Don Bosco per la festa del Rosario, poi a Castel-
nuovo, Mondonio, Piéa, Passerano, Cortanze, Montechiaro, Villa
S. Secondo, Alfiano, Castelletto Merli, Ponzano, Crea, Fornetto,
Ozzano, Casale Monferrato, ospitati dal vescovo Mons. di Cala-
biana in seminario, S. Germano, Occimiano, Mirabello, San Sal-
vatore, Valenza, a piedi, banda in testa, cantori e filodrammatici
che nelle varie soste allietavano città e paesi con recite e concerti;
finalmente in treno per Alessandria, Asti, Villafranca, Torino.
Passeggiata pittoresca di oltre quindici giorni dal 3 al 19 ot-
tobre. La descrizione di Rinaudo concorda perfettamente, pur
nello stile del tempo, con le pagine di Don Lemoyne nelle Me-
morie Biografiche di Don Bosco e conferma lo spirito di famiglia
che ossigenava l'Oratorio in quegli anni.
Costanzo Rinaudo, con alcuni dei migliori, ebbe il permesso
di anticipare la partenza da Torino, fare insieme a piedi la strada
per Pino Torinese e Chieri, per visitare la città, ospiti di un sa-
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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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cerdote di nome Don Calosso. Egli veniva soprannominato il
Cavour della brigata e Alessandro Fabre (ch'io conobbi poi profes-
sore di lettere al Liceo Cavour di Torino) passava pel suo fattore;
a Chieri incontrarono Jarach da loro soprannominato Mazzini e
un altro compagno, Domenico, che tennero loro campagnia fino a
sera quando andarono incontro a Don Bosco e al Cav. Oreglia
di Santo Stefano che, lasciata proseguire la carovana, sostarono
a passar la notte con loro da Don Calosso e dal Cav. Gonella,
benefattore dell'Oratorio. Paolino diresse il rosario e le preghiere
serali e diede la sveglia, al mattino seguente, per proseguire per
Buttigliera e per il colle di Murialdo alla casetta del Santo.
Graziosissimo il racconto, le avventure e le scampagnate fra
i vigneti, esilaranti i concerti e le rappresentazioni che attiravano
le popolazioni in gara per ospitarli, ristorarli e dar loro riposo
magari sui fienili, edificanti le funzioni, Messe in canto, Comu-
nioni, buone notti di Don Bosco... omaggi ai parroci, ai sindaci,
a benefattori... Don Bosco le continuò per vari anni, quando le
brevi vacanze cominciavano nella seconda metà di agosto e fini-
vano dopo la festa dei Santi per lasciar godere la vendemmia
nei vigneti dell'astigiano e del Monferrato. Parecchi preferivano
passarne gran parte con Don Bosco a Torino, e Don Bosco li
sollevava con questi pittoreschi svaghi.
Albera fini l'ottobre al paese, dove il parroco di None, il 29,
gli benedisse la talare ch'egli indossò fra il giubilo dei familiari
e dei compaesani. Don Bosco l'aveva sognato, come accenne-
remo, con lucerna e chitarra nel campo di messi. In un mo-
mento di confidenza, con gli altri rimasti a far vacanza, l'aveva
intrattenuto sui primi tempi dell'Oratorio e aveva conchiuso
accennando anche a qualche motivo di amarezza - Oh, se alcuni
che non si regolano abbastanza bene, si ricordassero sempre dei
primi tempi dell'Oratorio! si renderebbero certamente degni dei
doni singolarissimi che il Signore ci ha fatti.
Un'altra sera, al ritorno dalla città, mentre Albera l'accom-
pagnava in camera e l'aiutava a deporre il cappello e la man-
tellina: - Tu sei giovane - gli disse - ma ne vedrai delle
belle. Due sono insieme nella stessa chiesa a fare la meditazione,
due sono in coro uno a fianco dell'altro che cantano il breviario,
due sono vicini inginocchiati alla stessa balaustra per fare la santa
Comunione: e nello stesso tempo si aborriscono e non possono
19

3.2 Page 22

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soffrirsi a vicenda. E sanno conciliare una cosa con l'altra: odio,
maldicenza, comunione e preghiera... (M. B. VI, 998).
I compagni Luigi Jarach e Costanzo Rinaudo fecero la vesti-
zione all'Oratorio il giorno dell'Immacolata 1861. La sera, Don
Bosco collocava sul frontone dell'ala della sua camera, ch'era stato
colpito da un fulmine, il miglior parafulmine per l'avvenire: una
statua in cemento dell'Immacolata, che spicca tuttora.
Lucerna e chitarra ...
Oggi nessuno stupirebbe di vedere un prete suonare una
chitarra.
Le anime apostolice, veramente apostoliche, hanno un loro
esemplare modello, nel mondo salesiano, in Don Antonio Cojazzi,
che portava abitualmente e dignitosamente la sua talare, povera
ma sempre ordinata, ed era un incanto vederlo in mezzo a
masse di giovani, spesso di chierici, religiosi o seminaristi, seduto
sull'erba, fra le rocce, sulla sabbia in riva al mare, trascinando
tutti con la sua chitarra a chiassosa schiettissima allegria, a spas-
sose risate. Un precursore dello stile ecclesiastico del Concilio
Vaticano II, in perfetta linea con la sua vocazione ecclesiastica,
con lo spirito conciliare, col buon senso di una personalità ge-
niale ed equilibrata.
Quanti Don Cojazzi abbiamo desiderato fin dalla nostra gio-
vinezza! ... Non ci saremmo però mai immaginato il piissimo
Don Albera con la chitarra...
Eppure Don Bosco lo sognò così, la notte tra l'l e il 2 mag-
gio 1861, nell'avvenire dell'appena nata Congregazione o So-
cietà Salesiana (M. B. VI, 910).
Lo vide fra coloro che estirpavano il loglio dal campo di
grano ove i giovani dell'Oratorio mietevano, lo raccoglievano a
parte e l'abbruciavano: « ... e vidi, tra quella moltitudine di gio-
vani, alcuni i quali portavano una lucerna in mano - così narrò
la sera del 3 maggio - per far lume anche in pieno mezzo-
giorno... coloro che saranno di esempio agli altri operai del Van-
gelo e con questo devono illuminare il clero. Fra essi era Albera
Paolo il quale, oltre avere la lucerna, suonava eziandio la chi-
tarra; e ciò significa che mostrerà la via ai sacerdoti e farà loro
coraggio per andare avanti nella loro missione ... ».
20

3.3 Page 23

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Questa interpretazione data da Don Bosco stesso fece pen-
sare anche al giovane Albera, qualche giorno dopo, quando in
intimità di conversazione coi chierici confidò che fra i giovani
visti nel campo di grano sognato ne aveva notato due che sa-
rebbero divenuti vescovi. Diffusa la notizia anche fra i giovani,
molti concordavano ad individuarli nel eh. Giovanni Cagliero e
nel giovane Paolo Albera. Ma dal 12 febbraio 1858 era già fra
loro all'Oratorio il giovane Giacomo Costamagna che fu in ef-
fetti il secondo vescovo salesiano.
Cura dei sacerdoti in raggio ben più ampio di quello che toc-
chi generalmente ad un vescovo nella sua diocesi, riserbava il
Signore a Don Albera come primo Direttore a Sanpierdarena,
primo Ispettore in Francia, Direttore Spirituale di tutta la So-
cietà Salesiana e poi Rettor Maggiore...
Don Albera vi si distinse poi infatti per discernimento, par-
ticolare rigore nell'ammissione agli Ordini sacri, pia formazione
e amabile sostegno delle vere vocazioni.
Offrendo anzitutto l'esempio di una spiccata santità sacerdo-
tale salesiana.
Santità trasparente fin dall'adolescenza e fatta rilevare da
Don Bosco senza equivoci, tra l'altro, la sera del 3 maggio 1867,
secondo la testimonianza resa dal eh. Costamagna e confermata
ancora per iscritto dopo la sua consacrazione episcopale con let-
tera a Don Lemoyne nel 1893:
« La sera del 3 maggio 1867, sul treno, ritornando a Torino,
Don Bosco mi apriva il suo cuore e giubilava per tante gra-
zie che il Signore gli faceva, specialmente col dono di giovani
cooperatori ornati di esimie virtù. Nominava Durando, France-
sia, Cagliero, Cerruti, Bonetti, Albera, Ghivarello, ecc. ecc. E
diceva: Questi è valente grammatico, l'altro letterato, uno musi-
cista, l'altro scrittore, uno teologo, un altro santo... » (M. B.
VIII, 773).
Applicando in ordine le qualifiche ai nomi, quella di santo
tocca proprio a Don Albera.
Passando in seguito a Don Rua, il santo Fondatore soggiunse:
« Guarda, Giacomo, se Dio mi dicesse: Preparati, ché devi mo-
rire, e scegli un tuo successore perché non voglio che l'Opera
da te incominciata venga meno; chiedi per questo tuo successore
quante grazie, virtù, doni, carismi credi necessari perché possa
21

3.4 Page 24

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disimpegnar bene il suo ufficio, ché io tutti glieli darò... ti assi-
curo che non saprei che cosa chiedere al Signore per questo
scopo, perché tutto quanto già lo vedo posseduto da Don Rua ».
Professione religiosa e studi
Nel mese di maggio del 1862 Don Bosco tenne importantis-
sime esortazioni ai giovani ed ai suoi primi salesiani, di cui ab-
biamo documento nella cronaca di Don Bonetti ed in altre.
La sera del 6 parlò con fervore del Papa a tutti e fìnl di-
cendo: - Vorrei che Pio IX avesse in ciascun giovane dell'Ora-
torio uno zelante difensore in qualunque angolo della terra egli
si trovi.
Qualche giorno dopo, ai membri della Congregazione: - Il
cattolicesimo va via via perdendo ogni giorno i mezzi materiali
per far del bene, l'appoggio delle Potenze e molte anime che le
sono strappate dalla perfidia dei suoi nemici. È tempo ormai che
ci stringiamo sempre più intorno a Pio IX e con lui combattiamo,
se d'uopo, fino alla morte. Diranno gli stolti che certe idee sono
un capriccio ostinato di Pio IX; non importa: ci sarà sempre più
caro andare in Paradiso con Pio IX per un tale capriccio, che
andare all'inferno con tutte le speciosità e le grandezze del mondo.
Frattanto, 1'8 maggio, radunati in camera sua quei preti, chie-
rici e giovani che conosceva disposti a rimanere con lui nell'Ora-
torio per far parte della Società Salesiana, dopo aver descritto
quanto fosse nobile, meritoria, divina, la missione di chi è chia-
mato a salvare anime, aveva dimostrato quanto fosse grande
l'amore di Gesù pei fanciulli, e li aveva animati a lavorare inde-
fessamente per la gioventù, notando che la messe era abbondan-
tissima e che la Provvidenza avrebbe benedetto meravigliosa-
mente le loro fatiche. Quindi aveva proposto loro di fare una
prova unendosi al Divin Salvatore con vincoli più stretti di amore,
cioè di promettere a Dio l'osservanza delle Regole, facendo voto
di povertà, castità, obbedienza per tre anni.
Vorrei pregare chi studia la teologia della vita religiosa a so-
stare un momento a valutare la perfezione di precisione nella
semplicità del linguaggio, che era un carisma di Don Bosco.
« Noi per un anno intero ci eravamo preparati - continua
la cronaca di Don Bonetti - a questa grande azione e, non
avendo nessuno fatto difficoltà all'invito di Don Bosco, fu deciso
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3.5 Page 25

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che il mercoledì seguente avremmo emessi nostri voti ». Che
belle anime; senza complessi! ...
Fu così che i confratelli della Società di San Francesco di
Sales, convocati dal Rettore, inginocchiati con lui vestito di cotta
davanti ad un modesto Crocifisso fra due candelieri · nella sua
stessa cameretta, dopo il canto del Veni Creator e le preghiere
di rito, la sera del 14 maggio 1862, emisero per la prima volta
i voti religiosi triennali. Fra essi il eh. Paolo Albera.
Erano in tutti 22: 7 sacerdoti oltre Don Bosco (D. Alasonatti,
D. Rua, D. Savio, D. Rocchietti, D. Cagliero, D. Francesia, D.
Ruffino Domenico); 13 chierici; 2 laici coadiutori. Dopo la morte
di Don Albera vidi ancora posare insieme per un ricordo foto-
grafico il Card. Cagliero e Don Francesia; in piedi Don Rical-
done, che emise poi i voti ai tempi di Don Rua.
Don Bosco conchiuse la memoranda funzione clandestina con
queste parole: « Mentre voi facevate a me questi voti, io li facevo
pure a questo Crocifisso per tutta la mia vita, offrendomi in sa-
crificio al Signore, pronto ad ogni cosa, affine di procurare la sua
maggior gloria e la salute delle anime, specialmente pel bene della
gioventù. Ci aiuti il Signore a mantener fedelmente le nostre pro-
messe... Miei cari, viviamo in tempi torbidi e par quasi una pre-
sunzione in questi malaugurati momenti metterci in una nuova
comunità religiosa, mentre il mondo e l'inferno a tutto potere si
adoprano per schiantare dalla terra quelle che esistono. Ma non
importa: io ho non solo probabili, ma sicuri argomenti, essere
volontà di Dio che la nostra Società incominci e prosegua.. . ».
Per il resto del verbale si può leggere: M. B. VII, 159-164.
Sulla fine dell'anno Don Bosco faceva altre confidenze al suo
Paolino; la sera di un sabato di dicembre, verso le ore 23, men-
tre il chierico gli teneva compagnia alla magra e fredda cena:
Io ho confessato tanto e per verità quasi non so che cosa
abbia detto o fatto, tanto mi preoccupava un'idea che, distraen-
domi, mi traeva irresistibilmente fuori di me. Io pensavo: la
nostra chiesa è troppo piccola, non capisce più tutti i giovani,
oppure vi stanno addossati l'uno all'altro. Quindi ne fabbriche-
. remo un'altra più bella, più grande, che sia magnifica. Le daremo
per titolo: Chiesa di Maria SS. Ausiliatrice. Io non ho un soldo,
non so dove prendere il denaro, ma ciò non importa. Se Dio la
vuole, si farà. Io tenterò la prova; e se non si farà, la vergo-
gna dell'insuccesso sia tutta per Don Bosco. Dica pure la gente:
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3.6 Page 26

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« Coepit aedificare et non potuit consummare... ». Fu la prima
rivelazione. Che spirito di famiglia, che confidenza!... (ibid.,
334-34).
Prima che finisse l'anno, Don Bosco confidò ancora a lui ed
ai suoi intimi che aveva sognato le grandi difficoltà che molti
avrebbero trovato a seguirlo e che la maggior fiducia era pro-
prio in loro (ibid., 336).
Nell'anno scolastico 1862-63 il eh. Albera coi suoi compagni
di corso concluse egregiamente il ginnasio avviando il biennio
filosofico in seminario, mentre Don Francesia e Don Anfossi coi
chierici Cerruti e Durando affrontavano esami alla R. Università
di Torino, nonostante l'opposizione del Rettore Ercole Ricotti
che non voleva riconoscere i titoli di studi del seminario come
equipollenti a quelli di licenza o maturità classica degli esami di
stato. Ma il prof. Priéri, Preside della facoltà di lettere e filoso-
fia, ne ottenne l'autorizzazione dal Ministero della Pubblica Istru-
zione il 3 maggio 1863, e così tutti e quattro furono ammessi
a pieni voti assoluti, Don Francesia e il eh. Cerruti anche con
lode; anzi all'uscita dall'aula furono salutati da una calorosa ova-
zione (M. B. VII, 464 ).
Don Bosco aveva ormai ben capito le mire governative che
tendevano a squalificare gli studi dei seminari e delle scuole reli-
giose private per sottrarre l'istruzione al clero, secondo la parola
d'ordine di Domenico Berti. Era in corso fìn dal 1848 con la
legge che modificava quelle del 1822.
D 'altra parte il governo aveva urgenza di insegnanti idonei
per le nuove scuole che doveva apprestare al popolo col processo
di unificazione nazionale. Autorizzava quindi anche sessioni straor-
dinarie di esami presso l'Università per l'abilitazione all'insegna-
mento nel ginnasio inferiore e superiore e altri corsi. Don Bosco
non avrebbe potuto sostenere scuole senza titoli nelle sue case
e allora non gli rimaneva che lanciare con coraggio i suoi chie-
rici e giovani sacerdoti a titoli statali, mentre sgobbavano di giorno
fra i giovani allievi e studiavano di notte. Non esitò un istante,
studiando bene i soggetti adatti e secondo le necessità che pre-
mevano. Tentò anche di convincere i vescovi a fare altrettanto
per le loro scuole; ma pochi lo ascoltarono e se ne pentirono
troppo tardi.
Nel settembre del 1863 presentò Don Rua, Don Fusero, Don
Domenico Ruffìno, i chierici Bonetti e Ballesio.
24

3.7 Page 27

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A Mirabella Monferrato
Aperse la prima casa fuori Torino, a Mirabello Monferrato, col
titolo di Piccolo Seminario S. Carlo; d'intesa col vescovo Mons.
di Calabiana, ne affidò la direzione a Don Rua e gli diede in
aiuto il eh. Provera Francesco come prefetto ed economo, e il
eh. Bonetti come catechista; i confratelli elessero come consi-
glieri i chierici Cerruti ed Albera, ai quali Don Bosco aggiunse
come assistenti i chierici Dalmazzo e Cuffia, gli aspiranti Bel-
monte, Nasi, Alessio.
Albera, mentre compiva cosl bene la sua parte nel nuovo isti-
tuto, nell'ottobre del 1864 si presentò ad Alessandria e conse-
gui la patente magistrale pel corso elementare superiore; poi il
10 dicembre del 1865 all'Università di Torino l'abilitazione all'in-
segnamento nel ginnasio inferiore.
Lo stesso giorno, Don Francesia, primo fra i salesiani, si pre-
sentava per la laurea in lettere. Aveva appena finito il terzo
corso, ma aveva dato anche tutti gli esami del quarto anno bril-
lantemente perché in precedenza aveva frequentato come uditore.
Non gli si voleva riconoscere il diritto di anticipare così la di-
scussione della tesi ; ma egli, informato che altri aveva ottenuto
quella eccezione, ricorse al Ministero e ottenne di discuterla il
13 seguente, riportando uno splendido successo.
L'anno seguente fu la volta del eh. Cerruti, il quale in aprile
del 1866 si presentava per gli esami del quarto anno e in mag-
gio conseguiva la laurea.
Don Durando, ad un esame straordinario indetto dal Mini-
stro Giuseppe Natòli, ma osteggiatissimo dal prof. Coppino che
tenne apposta tutti i suoi voti bassi, respingendo tutti i candi-
dati in filosofia , riportò, unico in tutta Italia, l'idoneità, grazie
ad una quotazione globale che, secondo la circolare Natòli, sup-
pliva alla eventuale deficienza in qualche materia. Taccio di altre
vicende di quei tempi in cui anticlericalismo, settarismo e beghe
tra ministri della Pubblica Istruzione e professori di Università
facevano pagare i loro contrasti ai privatisti ed agli allievi di isti-
tuti ecclesiastici. Ce ne sarebbe da fare un romanzo, anche col
solo materiale documentario raccolto da Don Lemoyne riguardo
ai nostri.
E taccio anche dei rischi che correva Don Bosco nel man-
dare i suoi chierici all'Università statale dove, al dire del prof.
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3.8 Page 28

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Vallauri, spirava un'aria pestilenziale. Qualcuno, anche fra gli in-
gegni migliori, perdette la vocazione.
Don Bosco non si scoraggiò e i suoi seppero dare anche delle
buone lezioni al settarismo volgare dei docenti. Cerruti, per ci-
tarne uno, immortalatosi poi anche col suo Dizionario della
lingua italiana adottato in tutta Italia, agli esami del quarto
anno superò un insidioso tema datogli dal prof. Levriero, sup-
plente di Coppino, sulla « Lirica amorosa nei tempi antichi di
Roma e di Atene», agli orali poi al prof. Danna, che disprez-
zava i suoi sentimenti cristiani, volse semplicemente le spalle.
Nel 1876 il Municipio di Torino troncò un sussidio per corsi
elementari durante le vacanze negli Oratori di Valdocco, S. Luigi
e S. Giuseppe frequentati da circa seicento ragazzi. Alle prote-
ste di Don Bosco, il sindaco lo mandò dal Prefetto Conte Radi-
cati, e questi gli confidò che il Municipio, formato in maggioranza
da framassoni, non voleva favorire un prete.
Don Bosco lo ringraziò del chiarimento: « Capisco anche trop-
po e non voglio altro. Per altra via conoscevo già questo mo-
tivo, ma desideravo di udirlo da bocca ufficiale. Ciò mi servirà
di regola. Tuttavia, mi fa stupire che un Municipio il quale nella
maggior parte è composto di cattolici ed amministra il denaro
di una popolazione cattolica, non si diporti con un cattolico al-
meno come si diporta coi Valdesi e con gli Ebrei. Giacché danno
sussidi a costoro, non posso intendere come rifiutino di darli ad
un concittadino cattolico». Ma non ottenne nulla (M. B. XII, 360).
Contemporaneamente un ecclesiastico di Torino accusava a
Roma i salesiani come ignoranti. « Si prese allora in mano il regi-
stro - confidò ai suoi Don Bosco senza fare il nome del calun-
niatore - e con documenti autentici e bollati si fece constare
che su circa 200 membri dell'Istituto, 180 avevano subìto rigo-
rosi esami in seminario, all'università di Torino, in licei e collegi
governativi ed avevano ottenuto diplomi di teologia e filosofia,
belle lettere; erano professori o maestri. Quando Roma notificò
all'accusatore questi documenti, l'accusatore rispose che non era da
stupire, perché Don Bosco sceglieva e teneva per sé i giovani
d'ingegno, lasciando gli altri in disparte. Il mondo è tutto mali-
gnità e non tacerebbe nemmeno se gli mettessimo gnocchi in
bocca. Del resto - conchiuse - io non voglio che i miei figli
siano enciclopedici; non voglio che i miei falegnami, fabbri, cal-
zolai siano avvocati, né che i miei tipografi, legatori, librai si
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3.9 Page 29

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mettano a farla da :filosofi e da teologi; tanto meno intendo che
i miei professori e maestri studino De Arte Politica, come se
avessero a diventare ministri o ambasciatori. A me basta che
ognuno sappia bene quello che lo riguarda, e quando un artigiano
possiede le cognizioni utili ed opportune per bene esercitare la
sua arte; quando un professore è fornito della scienza che gli
appartiene per istruire adeguatamente i suoi allievi; quando un
sacerdote, mediante i dovuti esami, è giudicato idoneo per eser-
citare il sacro ministero e lo esercita di fatto con vantaggio delle
anime: costoro, dico, sono dotti quanto è necessario per ren-
dersi benemeriti della società e della religione ed han diritto
quanto gli altri di essere rispettati. Regoliamoci dunque bene e
non curiamoci né delle male lingue, né delle cattive penne »
(M. B. XV, 179).
A Mirabello Albera mise tutta la sua bell'anima a servizio
dei giovani, prodigandosi nell'assistenza e nell'insegnamento, nel
far vivere loro il clima di Torino e far respirare l'aria dell'Ora-
torio, specie durante le ricreazioni, felice anche lui quando vedeva
apparire Don Bosco che, potendo anche più di una volta all'anno,
passava ad allietare i salesiani, ad infervorare i giovani.
Gelosia d'amore
Mi si lasci usare questa espressione. La usò Don Bosco. Ve-
dremo in che delicata circostanza. La bonarietà del suo tratto, la
sua castità trasparente gli consentivano di usare in tutta la loro
innocenza termini che il mondo abitualmente profana, e neppur
tutti i sacerdoti sanno sempre usare senza turbar qualcuno.
Un bel quinquennio trascorse il eh. Albera a Mirabello, brac-
cio destro del eh. Cerruti Francesco nella cura degli studi e della
disciplina scolastica generale, e compiendo nello stesso tempo i
suoi corsi di :filosofia e teologia, grazie alla vicinanza del semi-
nario di Casale Monferrato.
Pei titoli di insegnamento, oltre alla patente di maestro nelle
elementari superiori, si accontentò dell'abilitazione all'insegna-
mento nel ginnasio inferiore e pregò Don Bosco di dispensarlo
dal continuare l'Università. All'Università di Torino spirava pur-
troppo un'aria pessima e Albera rimase toccato quando uno
dei suoi compagni tra i migliori d'ingegno lasciò la via intrapresa.
27

3.10 Page 30

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Gli rimase però sempre amico, mentre Don Bosco non lo abban-
donava, sicché egli raggiunse, a suo tempo, una splendida laurea
e tenne con onore una cattedra all'ateneo torinese. Allora ritornò
anche a buoni sentimenti religiosi e noi ragazzi lo vedevamo vo-
lentieri a fianco di Don Albera rettor maggiore, alla distribuzione
dei premi nei nostri anni di ginnasio.
Albera fu subito aggregato al Capitolo (Consiglio) direttivo
della casa come braccio destro di Cerruti che aveva poca salute,
e sosteneva egregiamente anche l'organizzazione delle ricreazioni
e dei divertimenti nel modesto teatrino. Fin da Mirabello fu
sempre sana ambizione di famiglia riprodurre il meglio possi-
bile in ogni nuova casa, specialmente nelle sedi che divennero
poi ispettoriali, l'ideale della Casa-madre di Torino.
Don Bosco ogni anno si recava a Mirabello almeno per la
chiusura del mese della Madonna, che si rimandava a sua como-
dità, e per la festa titolare di San Carlo. Vi si trovava di solito
anche il Vescovo di Casale e l'élite ecclesiastica della diocesi.
Nel 1865 il eh . Albera ebbe il fegato di mettere in scena a Mi-
rabello un drammone in latino dal titolo Phasmatonfces (il
vincitore delle fantasime) che riuscl stupendamente e diede varia-
zione alla solenne distribuzione dei premi in religione e buona
condotta che allora venivano conferiti a votazione segreta, secondo
le designazioni di tutti i compagni di classe, non dagli insegnanti,
come all'Oratorio.
Alla fine dell'anno scolastico 1864-65 il eh. Cerruti, sfinito
dall'insegnamento in IV e V ginnasiale, andò in fin di vita, e
Don Rua scongiurava Don Bosco a sollevarlo per l'anno seguente
da quella fatica. Ma Don Bosco: « Cerruti continui a far scuo-
la». Fatta poi una scappata a Mirabello, disse all'infermo chia-
ramente: « Non è giunta ancora la tua ora: sta' tranquillo; hai
ancora da lavorare prima di guadagnarti il Paradiso».
La malattia precipitò al punto che il medico lo diede spedito.
Don Rua corse a Torino da Don Bosco, ma ne ritornò con la
stessa risposta, che non era ancora l'ora per Cerruti; più l'ag-
giunta: che il medico non se ne intendeva.
Il fatto sta che Cerruti l'indomani riprese a far scuola e il
giorno seguente era del tutto guarito (M. B. VIII, 145-46).
Altre sorprese invece alla vigilia dell'apertura del nuovo anno
scolastico 1865-66: ecco improvvisamente a Mirabello Don Pro-
vera che dice a Don Rua: Don Bosco ti aspetta a Torino. E
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4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Don Rua prende il suo breviario e parte senz'altro per Torino
ove prende il posto di Prefetto, o Vicario di Don Bosco, che
terrà fìno alla morte del Santo. In ottobre, ecco Don Bosco stesso
a Mirabello a presentare il nuovo Direttore nella persona di Don
Giovanni Bonetti.
Quando passò a salutar Don Rua, questi gli disse: - Dun-
que tu vai a Mirabello? Salutami i giovani. Amali anche per
me: son buoni, sai! Verso i confratelli régolati come un fra-
tello maggiore.
Gli occhi gli luccicavano di lagrime.
Nel 1866 Don Bosco non andò a Mirabello solo per la pre-
miazione dei sei migliori designati dai compagni. Vi ritornò il
21 giugno per la festa di San Luigi preparata accuratamente dal
eh. Albera. Vi trovò un giovane moribondo e si affrettò a bene-
dirlo e a confortarlo.
Siccome la camera in cui avrebbe dovuto dormire Don Bosco
era presso quella del moribondo, la famiglia Provera si fece pre-
mura di ospitare il Santo. E quando tutti salirono pel riposo, fu
chiusa a chiave anche la sua camera e la porta d'uscita sulla via.
L'indomani la signora Provera si alzò per tempissimo per aprire
le porte, in punta di piedi per non disturbare Don Bosco. Ma
verso le ore 6 ecco uno del collegio passare ad avvertire che
Don Bosco era già all'altare in collegio e stava celebrando la
S. Messa: se volessero assistere...
Dopo Messa il Santo sall dall'infermo, il giovane Francesco
Rapetti, il migliore di V ginnasiale. Prima di benedirlo, gli chiese
se desiderasse guarire sull'istante: - No - rispose Rapetti -
desidero di fare la volontà di Dio.
Don Bosco lo benedisse e lo lasciò volare in Paradiso il giorno
stesso.
Prodigi riservati alla retta applicazione del sistema educativo
di Don Bosco (M. B. VIII, 410-12). Ve n'erano altri che pote-
vano attirare le compiacenze del santo educatore. Uno partico-
larmente coltivato dal eh. Albera, il giovane Luigi Lasagna, man-
dato da Don Bosco a Mirabella nel 1864 perché fosse più vicino
alla sua famiglia e beneficiasse dell'aria dei paesi suoi. Di lui, ter-
zo vescovo salesiano e martire dell'apostolato missionario, Albera
avrebbe avuto, da direttore spirituale della Congregazione, la con-
solazione di scrivere la biografia, dopo aver visitato il campo del
suo lavoro tra le missioni di America.
29

4.2 Page 32

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Prima che Don Rua lasciasse Mirabella, Albera aveva rinno-
vato nella sue mani i suoi voti temporanei; ormai si preparava
per gli Ordini sacri.
E maturava così bene spiritualmente che, il 3 maggio 1867,
Don Bosco, intrattenendosi col eh. Costamagna sulle virtù dei
suoi migliori collaboratori, qualificava Albera - ricordiamo -
come «santo» (M. B. VIII, 773).
Dal gennaio 1867 Don Bosco aveva incominciato a trattare
a Roma interessi vitali della Chiesa nei rapporti col nuovo regno
d'Italia, dietro preghiera del presidente del Consiglio dei Mini-
stri, il barone Bettino Ricasoli.
Il più vitale era quello delle scelte e delle nomine dei Ve-
scovi alle sedi vacanti d'Italia, circa un centinaio. La fiducia del
Papa Pio IX giunse al punto da valutare le proposte di Don
Bosco e nominarne un bel numero su sua designazione, graditi
anche al governo. Fra i tanti, i nuovi arcivescovi di Milano,
Torino, Genova, il Vescovo di Casale Monferrato, quello di Sa-
luzzo, ecc.
Recatosi a Mirabella, il 9 luglio 1867, mentre giocava fami-
liarmente coi giovani che gli presentavano il palmo della mano
per farsi predire l'avvenire, sopraggiunse Mons. di Calabiana,
preconizzato arcivescovo a Milano e lo affrontò esclamando: -
Oh! è lei Don Bosco che mi manda a Milano... Eppure stavo
così bene a Casale! ...
Dopo pranzo si avvicinò anche lui al Santo che scherzava con
gli alunni e gli presentò la mano aperta. Don Bosco gli prese
la mano, vi stampò un bel bacio, poi salirono insieme in camera.
Il nuovo vescovo di Casale, Mons. Ferré, amava altrettanto
Don Bosco. Il nuovo Arcivescovo di Torino, Mons. Alessandro
Ottaviano Riccardi dei Conti di Netro, contava sul suo valido
aiuto anche per sistemare la povera archidiocesi priva di vescovo
dal 1862 e coi seminari desolati. Dall'Oratorio uscivano già buo-
ne vocazioni anche per la diocesi. A C;isale, quando si aperse il
collegio di Mirabella, il seminario diocesano contava una ven-
tina di chierici tra filosofi e teologi, ed erano aumentati a circa
120, col concorso dei giovani di Don Bosco.
Conferì quindi volentieri ai chierici Albera, Costamagna e
Dalmazzo, il 25 marzo, la Tonsura e i quattro Ordini Minori, il
28 il Suddiaconato, e il 6 giugno 1868 il Diaconato.
Il 9 giugno, consacrò personalmente il tempio di Maria Au-
30

4.3 Page 33

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siliatrice e l'altare maggiore a cui subito Don Bosco celebrò la
prima Messa servita da Don Francesia e da Don Lemoyne. Ma
quando si trattò del Sacerdozio, tentò di tutto perché questi pas-
sassero alla diocesi. Poiché Don Albera « era di Don Bosco più
di Don Bosco stesso », come diceva, ci sofferse tanto da non
sentirsi di ordinarlo per Don Bosco.
La consacrazione del tempio di Maria Ausiliatrice tuttavia
suscitò tale gioia ed entusiasmo nei Mirabellesi che vi parteci-
parono, superiori e giovani, con quelli del collegio di Lanzo, pre-
stando servizio di clero e di canto anche per vari giorni dell'ot-
tavario, che il piccolo mondo salesiano d'allora era tutto in festa
e molte e molte pene rimanevano quasi solo a provare il cuore
di Don Bosco.
Il Diacono Albera tornò a Mirabello a continuare il suo uffi-
cio, con l'invito di Don Bosco a prepararsi all'Ordinazione sacer-
dotale, che ricevette a Casale dal Vescovo Mons. Ferré il 2 ago-
sto seguente.
Recatosi a Torino, la vigilia, a chiedere un ricordo particolare,
Don Bosco gli disse: - Quando avrai la felicità di dire la prima
Messa, chiedi a Dio la grazia di non scoraggiarti mai.
« Solo più tardi - lasciò scritto Don Albera - ne com-
presi tutto il valore ».
Si può immaginare la festa di Mirabello alla sua Ordinazione
e poi alla celebrazione della prima Messa. Festa della casa e fe-
sta del paese; poi festa di Torino, quando egli poté recarsi ad
effondere ai piedi di Maria Ausiliatrice la piena del suo cuore e
rivivere accanto a Don Bosco la storia della sua vocazione. Non
ho particolari a portata di mano. Don Garneri riporta appunti
da alcuni quadernetti, ma riguardano gli Esercizi spirituali pel
suddiaconato e pel diaconato. Piissime sono le preghiere che egli
rivolse al Signore per far bene il sacro ritiro e per essere sem-
pre fedele alla santa volontà di Dio, e le invocazioni al SS. Cuore
di Gesù, in italiano ed in francese. Che Don Bosco lo avesse già
esortato ad esercitarsi in questa lingua? ...
Al diaconato Don Bosco gli raccomandò: la meditazione al
mattino, la visita al SS. Sacramento lungo il giorno, la lettura
spirituale verso sera anche brevissima ma costante.
Tanto il parroco quanto l'arcivescovo stentarono a rassegnarsi
a lasciarlo a Don Bosco...
Il primo si quietò solo quando il vicario generale Can. Mons.
31

4.4 Page 34

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Zappata, in termini non tanto eleganti ma in buon piemontese
gli pose la domanda: - Chi ha mantenuto Albera nei suoi col-
legi? ... Orbene, se Don Bosco ha dato il fieno alla capra, è giu-
sto che ne goda il latte.
L'Arcivescovo non seppe celare quanto contasse su di lui, an-
cora sul finir di aprile recandosi a None per amministrare la
Cresima. Fra i sacerdoti, il parroco Teol. Abrate aveva invitato
anche Don Albera, il quale, per far piacere al priore, lesse una
poesia a Mons. Riccardi. Questi non gli volse neppur lo sguardo.
Alla fine del pranzo, alla presentazione ufficiale, lo prese per ma-
no, lo attrasse a sé e avvolgendogli il braccio attorno al collo
si strinse il suo capo al petto e si sfogò: - Voi non sapete chi
sia il vostro Arcivescovo, voi non lo amate, voi amate solamente
Don Bosco: per voi Don Bosco è tutto e non pensate che a lui...
Don Albera si sforzò di dominare l'emozione e rispose: - Io
amo il mio Arcivescovo, ma se io sono prete, lo debbo ...
- Tacete, tacete! - rispose Mons. Riccardi - Non so spie-
garmi come abbiate tanta affezione a Don Bosco...
E continuò concitato su questo tono, troncando ogni tenta-
tivo di giustificazione: - Tacete, tacete! Seppi da Roma che han-
no approvata la vostra, cosiddetta, Congregazione; ma che cos'è
questa vostra Congregazione? è una miseria ed io sono certo
che di qui a dieci anni non se ne parlerà più: non può essere
altrimenti! Vedremo, vedremo!. ..
Lo tenne in queste strette, finché, giunta la vettura, non ri-
partì, salutando tutti, mentre il cuore di Don Albera stava per
scoppiare.
Tornato a Torino, corse da Don Bosco piangendo a raccon-
targli tutto.
E il santo, senza turbarsi: - Mons. Riccardi non ha malanimo
contro Don Bosco e i suoi: ciò che lo muove talvolta a parlare
è, direi, gelosia d'amore troppo spinto alla sua diocesi o effetto
di un rapporto malevolo di qualcuno che ci osteggia.
E qui è anche la vera chiave del decennio di sofferenze che
segui con Mons. Gastaldi, il quale, per di più, era coetaneo di
Don Bosco, in libera confidenza di parole, e conoscendo bene
l'Oratorio ne notava anche le deficienze che egli era convinto di
poter superare più facilmente se avesse avuto alle sue dipendenze
la Congregazione, come l'Opera del santo Cottolengo. Ma la So-
cietà Salesiana era già di diritto pontificio quando egli fu fatto
32

4.5 Page 35

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arcivescovo di Torino. E Don Bosco era un prudente temporeg-
giatore nelle esigenze disciplinari. Il tempo gli diede ragione.
Tutti e due però si trovavano di fronte alla necessità di rior-
ganizzare l'efficienza della Archidiocesi che aveva tanto sofferto
durante i più che tre lustri dell'assenza dell'Arcivescovo. Non
si dimentichi che Mons. Franzoni passò un decennio in depor-
tazione e in esilio. E alla sua morte la sede rimase vacante per
un buon quinquennio.
Seminari chiusi e depredati di risorse per la vita...
Quanto bisogno di sacerdoti! E di riordinamento!
Mons. Riccardi fu una prima benedizione per la ripresa. E
Mons. Gastaldi, una provvidenza per il riassetto di tutta l'Archi-
diocesi fino all'efficienza...
Il resto ha carattere puramente umano, servì a santificare
Don Bosco ed a portare la Società Salesiana a mirabile incremento.
Nella trama del tempo bisogna saper rintracciare i disegni
di Dio.
A metà con Don Rua
Quando ebbe questa prova, ben forte pel suo cuore sensibi-
lissimo, Don Albera era già a Torino da quasi sette mesi, richia-
matovi da Don Bosco nell'ottobre 1868 a fianco di Don Rua,
per condividerne il peso della responsabilità. La salute di Don
Rua era molto deperita dopo le fatiche per la consacrazione e
le feste del tempio di Maria Ausiliatrice: era andato in fin di
vita e parve a tutti un miracolo la sua ripresa. Don Bosco pensò
genialmente ad alleviarlo costituendo la Prefettura esterna e
preponendovi Don Albera per le accettazioni degli alunni, i rap-
porti coi loro genitori e parenti, e tante pratiche con le persone
di fuori. A Don Rua, suo vicario per la nascente Congregazione
e Prefetto interno della casa di Valdocco, restavano la cura della
disciplina religiosa, della formazione in gran parte dei salesiani
e di tutti i rapporti legali e canonici con le autorità civili ed ec-
clesiastiche, più tutta la responsabilità amministrativa, senza con-
tare le incombenze occasionali che Don Bosco gli addossava.
Alla partenza di Don Francesia per la casa di Cherasco, di
cui Don Bosco l'aveva fatto direttore, Don Albera fu aggregato
al Capitolo Superiore in sua sostituzione.
Ebbe allora agio di comprendere anche meglio le preoccupa-
33
G. F.ivini

4.6 Page 36

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zioni dei Vescovi che raggiungevano le diocesi desolate dalle de-
vastazioni economiche, finanziarie e morali, dalle dispersioni dei
chierici e dalle depredazioni dei seminari... E poté apprezzare
ancor di più gli sforzi di Don Bosco per coltivare nelle sue case
anche tante vocazioni che poi alimentavano il clero diocesano.
A Torino egli aveva piena comodità di godere della direzione
spirituale personale del santo fondatore e dell'esempio eroico della
perfezione di vita di Don Rua: la Regola vivente. Quando si
preparava agli Ordini maggiori, Don Bosco gli aveva solo racco-
mandato: la cura delle piccole cose. Ne prese impegno scritto nei
quadernetti degli esercizi pel diaconato:
« Incomincierò i miei esercizi con l'imprimere bene nella mente quanto
mi venne detto in confessione dal mio spirituale direttore. È necessario
che mi guardi ben bene dalle piccole cose, come quelle che sono già gra-
vissime mancanze rispetto alla bontà di Dio e ci privano di grandi grazie; e
poi anche perché sogliono condurre a gravi falli. Ciò, con l'aiuto del Si-
gnore, osserverò sempre e in tutto; ma ai!Jora specialmente che trattasi de11a
modestia. Fuggirò ogni relazione troppo stretta, ogni sguardo, scritto, tratto
di mano che possa offendere questa bellissima virtù. Cuor del mio Gesù, il
più ,puro di tutti i cuori, rendetemi simile a voi. Vergine purissima, Re-
gina dei vergini, che tanto faceste e più avreste fatto per conservarvi casta,
eccovi ai piedi uno sciagurato che desidererebbe pur d'imitarvi ma nol
può : aiutatemi voi in tutto. Auxilium Christianorum, ora pro nobis ».
Al suo ritorno a Torino scrisse con esultanza: « L'anno della
consacrazione del Santuario di Maria Ausiliatrice ritornai qui e
per altri quattro anni potei godere dell'intimità di Don Bosco e
attingere dal suo gran cuore quei preziosi ammaestramenti che
erano tanto più efficaci su di noi, quanto meglio li vedevamo
già messi in pratica da lui nella sua condotta giornaliera» .
Naturalmente Don Albera fu subito a suo agio. Faceva a metà
con Don Rua per i rapporti coi giovani e con gli esterni, e con-
divideva con lui anche i servizi più confidenziali a Don Bosco.
Senza dire del sacro ministero.
Venne subito impegnato a prepararsi per predicare la novena
della Madonna del Rosario ai Becchi, presso la casetta del colle
che ora si chiama « Colle Don Bosco», pel 1870.
Festa senza banda e con pochi cantori. Don Bosco volle con-
tenerla in limiti di intimità devozionale, dati i tempi difficili che
stava attraversando la Chiesa. Poi per altre predicazioni in casa
e fuori, per confessioni ai giovani, servizi in santuario e in case
religiose ...
34

4.7 Page 37

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Per l'apertura del I Concilio Ecumenico Vaticano, 8 dicem-
bre, festeggiata con filiale tripudio in tutte quelle prime case
salesiane, Don Albera compose l'inno ufficiale, musicato da Don
Giovanni Cagliero e cantato dai giovani per tutta la durata del
Concilio. Si ricantò all'Oratorio di Valdocco nel 1916 quando
Mons. Cagliero giunse da Roma Cardinale accompagnato da Don
Albera Rettor Maggiore. Lo dirigeva il caro M.° Cav. Giuseppe
Dogliani, succeduto al Cagliero come maestro della corale della
basilica di Maria Ausiliatrice, direttore della Banda di Valdocco,
della scuola di canto degli artigiani e degli studenti; più tardi
insegnante di musica nel Seminario Metropolitano di Torino, nelle
Scuole Normali di Valsalice ed in vari istituti religiosi: un vero
e grande maestro nel pieno senso della parola; e squisita anima
sacerdotale sotto i modesti abiti laici dei Coadiutori salesiani.
Al Concilio Ecumenico Vaticano I non poterono intervenire
i Vescovi cattolici russi per divieto del Governo zarista... Ma
l'Oratorio, all'apertura, diede una consolazione alla Chiesa: la
leale e decisa conversione di un povero sacerdote sbandato affi-
dato a Don Bosco dal Vescovo di Cremona. Egli stesso descrisse
la sua crisi e pubblicò la sua ritrattazione in un opuscolo delle Let-
ture Cattoliche del 1870 col titolo Un ritorno nell'arca santa.
Particolarmente apprezzata nel 1869-70 la parte di Don Al-
bera in una delle missioni più delicate del Santo, che nel gen-
naio del 1870 volle scendere a Roma a incoraggiare vescovi e
padri conciliari, e lo stesso Pio IX, alla proclamazione dogma-
tica dell'Infallibilità pontificia.
Don Bosco seguiva con zelo pastorale in quegli anni le vicende
dei cattolici del Canton Ticino e di altre regioni della Svizzera
dove i dissidenti premevano con la persecuzione diradando le
file del clero. Don Albera con la sua nitida calligrafia e col suo
tatto garbato curava la corrispondenza specialmente col cappuc-
cino P. Arnaboldi del convento di Locarno e con Don Modini
parroco di Losone per l'aiuto di buoni sacerdoti italiani special-
mente lombardi e piemontesi che accettavano volentieri di an-
dare a sostituire il clero che veniva a mancare a quelle popolazioni.
Messo ad uno dei posti chiave per la cura del buon anda-
mento della Casa-Madre della Congregazione e condividendo tan-
ta responsabilità con Don Bosco stesso e con gli altri superiori
maggiori, Don Albera visse con loro le vicende del Concilio, del-
l'unificazione del Regno d'Italia, delle guerre che misero a ferro
35

4.8 Page 38

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e fuoco tanta parte d'Europa nel 1870 ed i fermenti delle rivo-
luzioni che tentavano di esplodere anche fuori d'Europa, pur
nella limitazione dei mezzi di comunicazione di cui disponeva la
civiltà del tempo.
Godette per un buon biennio anche delle confidenze dei gran-
di ideali che fermentavano nella mente di Don Bosco, palpita-
vano nel suo cuore e si chiarivano e decidevano nella preghiera.
In particolare, l'attività di Don Bosco per salvare il prestigio in-
ternazionale d'Italia di fronte al mondo cattolico concorrendo a
trattenere il Papa in Roma all'occupazione della città eterna, nel
provvedere alle urgenze delle diocesi italiane, alle sorti dei ve-
scovi e di tanti sacerdoti, nella ripresa della vita religiosa nelle
parrocchie, nella riapertura e riorganizzazione dei seminari. Quanti
provvedimenti poté mitigare! Per poco non ci lasciò la salute, che
fece trepidare tutti sul finir del 1871 fin oltre l'inverno del '72.
Don Albera partecipò quindi con la preghiera e il voto alla
fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, decisa
nel mese della Madonna del 1871 e concretata poi nel 1872. Sic-
ché venne preparato dalla Divina Provvidenza anche a sostenere
più tardi le Suore quando la Santa Sede regolò con nuove norme
i rapporti canonici fra le congregazioni femminili e quelle ma-
schili da cui erano emanate, e poi ad assumerne l'alta direzione
spirituale quando il Rettor Maggiore dei Salesiani « pro tempore »
venne fatto Delegato Apostolico della Santa Sede per la seconda
famiglia salesiana.
Primo direttore dell'Opera Salesiana a Genova
Sul finire di agosto del 1871 Don Rua ricevette da Roma una
lettera di Don Bosco datata al 27, in cui tra l'altro si leggeva:
« Fu conchiusa la Casa per Genova, perciò Don Albera facciasi
il fagotto ».
Come si dava l'obbedienza in quei primi anni di vita salesiana!
E com'erano disponibili i primi salesiani! Proprio come alle-
gramente scriveva Don Lemoyne ai suoi di famiglia nella sua
prima lettera, appena· entrato, giovane sacerdote, all'Oratorio di
Valdocco nel tardo ottobre 1864: « La nostra volontà l'ha in
tasca Don Bosco » che già ai primi giovani invitati amabilmente
a « star con lui e ad aiutarlo nelle imprese dell'Oratorio » chie-
36

4.9 Page 39

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deva una sola cosa che valeva tutto: « Avrei bisogno di disporre
di voi come di questo mio fazzoletto» ...
Con questo spirito e con questo stile egli formò la Congrega-
zione e riuscl a lanciarla a grandi imprese. Soleva invero dire che
senza ubbidienza ilare e generosa era impossible abbracciare gran-
di opere.
A Don Bosco premeva molto di avere un piede a terra a
Genova perché vi contava già tanti amici, benefattori e Coopera-
tori; poi perché pensava alla comodità che ne avrebbe avuto se
avesse potuto intraprendere le Missioni, come infatti avvenne.
Aveva preso contatti personali sul finire del 1856, approfit-
tando di un miglioramento del fratello Giuseppe che, venuto al-
l'Oratorio pochi giorni prima ad aiutarlo, si era buscata una vio-
lenta polmonite da cui, per grazia di Dio., poi g'uarl.
Accolto ed ospitato nel palazzo del marchese Antonio Bri-
gnole-Sale, aveva fatto visita all'Arcivescovo e si era affrettato
a recarsi da Don Montebruno che teneva un modesto ma provvi-
denziale istituto per Artigianelli e ne aveva allora una quarantina,
ad udire e vedere le sue esperienze fra quella gioventù che anche
a lui stava molto a cuore.
Visitava poi l'Economo del seminario arcivescovile Don An-
gelo Fulle il quale con Don Bartolomeo Moriconi curava la dif-
fusione delle Letture Cattoliche, e il Priore di Santa Sabina,
Don Giuseppe Frassinetti, dotto, santo ed equilibrato moralista,
per pregarlo a comporgli alcuni fascicoli delle Letture Cattoliche,
stringendo con lui cordiale amicizia. Poi passava anche dal sig.
Giuseppe Canale, sostegno di tante opere buone e ossequiava il
fratello Don Giovan Battista, Canonico della collegiata di N. S.
delle Vigne; s'intratteneva col Can. Melchiorre Fantini, con Don
Gerolamo Campanella parroco del Carmine e con altri ecclesia-
stici e laici distinti della nobiltà e della borghesia benefica, che
lo aiutavano con soccorsi per le sue opere e con la diffusione
delle care sue pubblicazioni mensili. Venne invitato anche da un
amico ed ammiratore Lazzarista, il sig. Pirotti, al loro seminario
per le vocazioni a Fassolo, ma, non pratico della città, si perdette
e vi giunse solo all'ora di pranzo. Non ci fu verso che il portiere
lo annunciasse, e Don Bosco, che aveva il tempo misurato, per-
dette l'incontro ed il pranzo. Quando il sig. Pirotti lo seppe, ne
provò immensa pena, ma non ci fu verso di far capire al con-
fratello portiere il suo torto.
37

4.10 Page 40

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Il sig Pirotti sfogò la sua pena, anni dopo, con Don Al-
bera, che giunto alla nuova sua destinazione ebbe cura di pren-
dere contatto con le conoscenze di Don Bosco e dei benefattori e
Cooperatori (M. B. V, 604-606).
Don Bosco aveva sostato a Genova anche nell'andare a Roma
nel 1858 col eh. Rua, e aveva trovato ospitalità dal Padre Tom-
maso Cottolengo, fratello di S. Giuseppe Benedetto, a Santa Ma-
ria di Castello. Aveva fatto un'altra cara visita agli Artigianelli
di Don Montebruno venendo a conoscere Don Luigi Sturla, l'apo-
stolo della redenzione degli schiavi in Africa: due dei suoi gio-
vani accompagnarono Don Bosco e il eh. Rua in barca fino al
piroscafo per Civitavecchia, remando con tanta abilità da rassi-
curarli anche sulle acque poco quiete.
Vi era ripassato con tutta la brigata dei suoi giovani migliori,
cantori e filodrammatici nella lunga passeggiata autunnale del
1864, durata più di due settimane, ospiti del seminario con tutto
l'affetto dall'Arcivescovo Mons. Charvaz e la cordialità del Ret-
tore Don G . B. De Bernardis, passando nel ritorno da Mornese
dopo aver incontrato a Gavi il Can. Alimonda che doveva dive-
nire Cardinale e poi Arcivescovo di Torino nel 1883 e conso-
larlo con affettuosa amicizia fino alla morte. A Mornese ebbe col-
loqui con Don Lemoyne che affascinò fino ad averlo pochi giorni
dopo all'Oratorio, affezionatissimo salesiano, secondo direttore
del collegio di Lanzo Torinese, direttore delle Figlie di Maria
Ausiliatrice e nel 1884 suo segretario particolare, poi segretario
del Capitolo o Consiglio Superiore, direttore del Bollettino Sa-
lesiano e suo primo grande biografo. Altra vocazione da Mornese:
il maestro Bodrato che fu poi il primo ispettore delle case e mis-
sioni salesiane in Argentina. Passeggiata romantica colmata di be-
nedizioni da Dio (M. B. V, 809-923; VII, 752; VIII, 853).
Altri preziosi e cordiali rapporti aveva stretto in diversi tempi
con le famiglie dei marchesi Cattaneo, Spinola, Doria, Pallavi-
cini, Negrotto, Durazzo... che gli erano legati come benefattori.
Nel 1870 aveva ricevuto preghiera, da Don Giacomo Grillo
da Varazze, di fa r visita, passando da Genova, alla marchesa Giu-
lia Centurione nata Doria-Sforza, ed invito a gradire qualche sog-
giorno di vacanza nella villeggiatura dei Marchesi d'Invrea in
quel di Varazze. Contemporaneamente il prevosto di Varazze Can.
Cav. Paolo Bonora gli aveva fatto invito, a nome del Municipio,
di accettare la direzione del Collegio Municipale della città e Don
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5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Bosco l'aveva accettata appena in tempo per trasferirvi Don Fran-
cesia con vari allievi dal collegio di Cherasco e passarvi poi egli
stesso un paio di mesi e più, durante la grave sua malattia del-
l'inverno 1871-72.
Proprio in quell'anno 1871 era riuscito ad ottenere dalla San-
ta Sede la nomina di Mons. Magnasco a successore del defunto
arcivescovo Mons. Charvaz, ed aveva in lui il più grande bene-
fattore che lo favorì per l'approvazione delle Costituzioni della
Società Salesiana, la stampa del Bollettino Salesiano, l'organizza-
zione dei Cooperatori Salesiani, la fondazione canonica della Pia
Unione e la sua diffusione, la fondazione e la diffusione dell'Opera
dei Figli di Maria nella cura delle vocazioni adulte, come vedre-
mo negli anni del trasferimento dell'Istituto dalla sede provvi-
soria di Marassi a Genova-Sampierdarena.
Altri cordiali benefattori contava a Genova, come la nobile
famiglia dell'architetto Maurizio Dufour e nel 1869 con la gene-
rosa nobile famiglia Cataldi che gli offerse come prima residenza
la sua villa di Marassi a qualche chilometro da Genova. Don Al-
bera con la mitezza del suo animo e l'amabilità del suo tratto,
con la sua pietà trasparente ed il suo zelo intelligente e gene-
roso seppe conservarsi amici tutti i benefattori e farsene ancora
tanti altri.
Don Albera partiva da Torino il 26 ottobre 1871 in compa-
gnia dei chierici Branda e Colli, di tre capi laboratorio: coad. Br~
via Carlo, Lanteri Antonio e Fasani Cesare, e il cuoco.
Mentre faceva il suo fagotto con quel po' di biancheria, il
breviario e qualche libro e consegnava il suo ufficio a Don Rua,
era arrivato Don Bosco ed essi salirono alla sua cameretta a pren-
derne la benedizione avidi di un'ultima buona parola.
Don Bosco li accolse affettuosamente: - Dunque andate a
Genova ad aprire un ospizio per i giovanetti più poveri ed ab-
bandonati! ...
- Ma con quali mezzi? - domandò uno dei partenti.
- Non datevi pensiero di niente, il Santo Padre vi manda
la sua benedizione, ponete tutta la vostra fiducia nel Signore: Egli
provvederà. Al vostro arrivo troverete chi vi ha cercato l'allog-
gio, dove comincerete la vostra missione.
Don Albera, che era prefetto esterno nell'Oratorio, si era
messo da parte un po' di denaro per le prime necessità. Don
Bosco gli chiese se avesse bisogno di qualche cosa.
39

5.2 Page 42

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- No, signor Don Bosco, la ringrazio: ho già con me cin-
quecento lire.
- Oh, mio caro! non è mica necessario tanto denaro. Non
vi sarà la Divina Provvidenza a Genova? Va' tranquillo, la ·Prov-
videnza penserà a te, non temere.
E tratte da un cassetto poche lire, il puro necessario per il
viaggio, gliele diede ritirando le cinquecento.
Don Albera partl coi compagni recando in una sacca il suo
e il loro corredo.
A Genova li attendevano allo scalo alcuni signori della Con-
ferenza di San Vincenzo de' Paoli che erano stati a Torino a
trattare con Don Bosco offrendogli la villa del Sen. Cataldi a Ma-
rassi, che gliela cedeva per lire cinquecento di affitto finché non
trovasse di meglio. Il presidente Prefumo Giuseppe e Varetti
Domenico della parrocchia dei Diecimila Crocifissi vollero che
prendessero subito un po' di ristoro, poi li condussero alla villa
Cataldi. Cosl nelle Memorie Biografiche, vol. X, 190. Ma il nu-
mero unico stampato a Sampierdarena pel centenario 1971 afferma
che non c'era nessuno, neppure il sig. Prefumo. Ad una guardia
che domandò loro chi fossero, risposero che erano di Don Bo-
sco. E la guardia li lasciò andare per conto loro. Che fossero
stati indicati alla guardia come « salesiani » e che la guardia
non li abbia identificati? ...1
Fatto sta che i primi giorni furono assai duri. Sprovvisti di
tutto, passarono più di una notte su una sedia di legno, non tro-
vandovi neppure un letto. Il contadino, udito chi fossero, esclamò:
- Ah, siete voi quelli dei discoli? Bene, bene, venite pure.
E li introdusse. Don Albera con i coraggiosi suoi compagni
non si smarrì. Mandò Carlo Brovio a provvedere pane e com-
panatico. Per istrada, Brovio incontrò il sig. Varetti con una
colonna di muli carichi di suppellettili diverse, diretti all'ospizio.
Nei giorni seguenti la colonna continuò a portare, sinché quei
primi salesiani furono provvisti del necessario.
Per quindici giorni anche i primi giovani non ebbero che pa-
gliericci sprovvisti perfin di guanciale, mentre i salesiani si aggiu-
stavano con sedie.
1 Il contrasto fra le due relazioni si spiega con la delicatezza di don Al-
bera che nella cronaca della casa ,sorvolò sui disagi dei confratelli e suoi, do-
vuti a qualche equivoco, non a trascuratezza dei promotori dell'opera.
40

5.3 Page 43

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Dopo poche settimane giunse da Torino Don Francesco Cer-
ruti, direttore generale delle scuole salesiane, a fare una visita.
Non disponendo neppure di un cuscino, gliene improvvisarono
uno col sedile di una sedia di paglia avvolto in un po' di bian-
cheria. Al mattino seguente Don Cerruti aveva tutto il capo e il
collo indolenziti.
Quanto al vitto, frugalità assoluta. Pane solo nelle feste e
scarso. Polenta e patate con un po' di minestra supplivano a tutto.
La Conferenza si sforzava di trovare e provvedere il neces-
sario, ma disponeva di pochi mezzi. I benefattori stavano a guar-
dare ancora con un po' di diffidenza, anche quelli che avevano
promesso molto.
Ma nella seconda metà di novembre i giovani ebbero vitto
regolare, vestiti, letti. Funzionavano, sia pur molto modestamente,
i primi laboratori.
Da Marassi a Sampierdarena
A Marassi Don Albera sostò poco più di un anno, come aveva
predetto Don Bosco nella sua prima visita il 2 dicembre ai soci
della Conferenza di S. Vincenzo : la mèta doveva essere la grande
Genova, secondo una raccomandazione fattagli da Pio IX di non
aprir case in piccoli centri con pericolo di suscitare invidie e
gelosie, ma in grandi centri dove c'è posto per tutti.
In quell'anno, con l'aiuto dei cari Coadiutori datigli da Don
Bosco a Torino insieme al cuoco, Don Albera allestì i primi la-
boratori per sarti, calzolai, falegnami e vi avviò quella prima
quarantina di allievi.
Il eh. Branda faceva da economo e il eh. Colli da catechista.
Egli poi, unico sacerdote, svolgeva tutto il sacro ministero, con-
fessava, predicava, celebrava la S. Messa, ecc., prestandosi quan-
do poteva anche in paese e in Genova, a richiesta.
La popolazione aveva appioppato ai ragazzi la qualifica di di-
scoli, perché poco distante c'era già un piccolo riformatorio per
minorenni; ma i suoi eran tutt'altro che discoli.
Un ragazzo che lavorava un terreno accanto alla casa Cataldo
in servizio a uno zio, lasciò scritte le sue impressioni: « Ri-
cordo quando Don Albera e i suoi compagni giunsero a Marassi.
Noi guardavamo con una certa diffidenza i nuovi venuti. Forse
a cagione del vicino Istituto dei discoli nella vallata del Bisagno,
41

5.4 Page 44

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si appioppò tale qualifica anche a loro che venivano raccoman-
dati dalla Conferenza: ciascuno però si convinse ben presto che
tale nomignolo non conveniva punto. Con viva meraviglia e con
piacere si osservava la familiarità che correva fra superiori ed
alunni: conversavano, giocavano insieme, e alla sera sulla ter-
razza cantavano bellissime lodi alla Madonna, che piacevano im-
mensamente agli abitanti del vicinato; l'eco saliva gradita fino
al santuario della Madonna del Monte che sorgeva quasi in fac-
cia all'Ospizio. La nostra meraviglia più grande era specialmente
veder quei giovani giocare o passeggiare in mezzo ai filari, senza
che provassero la tentazione di staccare qualcuno dei magnifici
grappoli di uva; per quante osservazioni facessimo non riuscim-
mo mai a coglierli in questa debolezza » (Don Domenico Canepa,
lettera 25-VI-1925).
Gli ortolani dei dintorni vedendoli cosl educati, andavano a
gara nel regalar loro il necessario pel sostentamento.
Il giovinetto, caro orfanello, verso la fin dell'anno, quando
il direttore riuscl a trovare la provvidenza per Sampierdarena,
una sera che stava scalzo, in maniche di camicia, appoggiato alla
porta dell'Ospizio, si sentl improvvisamente prendere da Don Al-
bera che gli disse: - Vuoi venire con me?
- Sissignore! - rispose. E senz'altro segul Don Albera, che
poi trattò con lo zio, se lo condusse a Sampierdarena e ne fece
un ottimo salesiano : Don Domenico Canepa, uno dei sacerdoti
cari a Don Bosco negli ultimi anni della sua vita e zelante Mae-
stro di Noviziato in Italia e in Francia. Io l'ebbi maestro a Fo-
glizzo Canavese nel 1915-16 e ricordo che il Card. Cagliero quan-
do ci fece visita accompagnato da Don Albera, appena lo vide,
esclamò : « Ecce canis fidelis ». Era la sua caratteristica: la fe-
deltà a Don Bosco, alla sua Regola, al suo spirito. Lo ricordo
con venerazione.
Don Bosco nella sua prima visita si fermò a Marassi tutto il
3 dicembre; il 4 prosegui per Varazze, accolto con tanto affetto
da Don Francesia, direttore, coi confratelli e i giovani. La mat-
tina del 6 si recava con Don Francesia al castello d'Invrea ad
ossequiare la marchesa Giulia Centurione, sua benefattrice e, di-
sceso al collegio, proseguiva nel pomeriggio per Albissola a rin-
graziare la signora Susanna Prato ved. Saettone, grande apostolo
delle Letture Cattoliche, che aveva attirato fra le Cooperatrici Sa-
lesiane anche la Beata Maria Giuseppa Rossello, fondatrice delle
42

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Figlie di N. S. della Misericordia. Nel ritorno, alla stazione di
Varazze aveva appena tempo per scendere, che colto da un tra-
vaso di sangue al cuore, veniva portato di peso al collegio ove,
messo a letto, ne aveva per quasi tre mesi. Tra i primi, accorse
Don Albera. Quando guad, il 15 febbraio 1872, fu ancora Don
Albera ad accorrere a Varazze e ad accompagnarlo col buon infer-
miere Enria a Torino, ove si cantò il Te Deum di ringraziamento.
Un altro Te Deum si cantava a Genova e in tutta la diocesi
qualche mese dopo per l'ingresso del nuovo arcivescovo Mons.
Salvatore Magnasco, al quale il Santo si affrettò a rendere ossequio.
Mons. Magnasco, che gli voleva un gran bene, lo esortò a
riscattare la chiesa di S. Giovanni Battista con l'annesso convento
dei Teatini confiscato durante la soppressione dei religiosi dal Go-
verno durante il periodo del Risorgimento.
Il convento e la chiesa, che il popolo chiamava di S. Gae-
tano, per riconoscenza ai Teatini, sorgeva in Sampierdarena, a
poca distanza dallo scalo ferroviario.
Don Bosco non solo s'affrettò ad acquistarlo, ma con l'aiuto di
persone generose acquistò anche una proprietà attigua perché ci
fosse spazio per cortile di ricreazione ai giovani. Là si trasferl
Don Albera con il collegio di Marassi nel mese di novembre 1872.
Egli ebbe subito di mira di svilupparlo sul modello della Casa-
madre di Torino : tutto il fascino alla chiesa con i debiti restauri e
miglioramenti, comodità per la S. Messa e la frequenza dei Sa-
cramenti, solennità delle funzioni, abbondante dispensazione della
parola di Dio con attraenti istruzioni religiose...; pieno program-
ma alle scuole professionali per tutte le arti e mestieri; affian-
camento delle scuole classiche e cura delle vocazioni; massima
efficienza all'Oratorio festivo con le associazioni giovanili; cura
dei Cooperatori e, col tempo, anche degli Exallievi... Don Bosco
gli affidò pure appena poté il Bollettino Salesiano e l'Opera dei
Figli di Maria per le vocazioni adulte, che a Torino non trovava
adeguata comprensione.
L'acquisto della chiesa fatiscente e del convento in condizioni
poco più allegre non fu senza interventi straordinari della Prov-
videnza di Dio. Don Bosco, avvertito del desiderio del proprie-
tario di venderla all'Arcivescovo e da questi, che non aveva i
mezzi disponibili, consigliato ad acquistarlo lui, era partito per
Genova con trenta lire in tasca. Dietro altri buoni consigli dello
stesso Arcivescovo, era quindi corso a Sestri dalla baronessa
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5.6 Page 46

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Cataldi-Parodi, la quale aveva subito autorizzato suo figlio a ver-
sargli 30 mila lire. Delle sette che mancavano al contratto, cin-
que gliele diede Mons. Magnasco e due le raccolse da benefattori,
sicché l'ebbe tosto a disposizione. E tutto si affrettò. Ma Don
Albera aveva appena messo in moto il trasloco, quando si sca-
tenò uno spaventoso nubifragio: solo un salesiano con cinque
giovani osarono avventurarsi e vi giunsero, si può immaginare
in che stato, a consumare quel po' di pane e companatico por-
tato da Marassi. Verso sera gli stimoli della fame non si cal-
mavano certo perlustrando quello stabile che era in una desola-
zione. Se ne accorse un bravo vicino di casa che portò loro al-
cune provviste; e fu il primo benefattore ricordato nella cro-
naca dell'Istituto col vezzeggiativo di « Barba Stefanino ». Era
1'11 novembre 1872, tre anni avanti la prima spedizione mis-
sionaria.
Rasserenatosi il tempo, il 15 si mosse Don Albera col resto
della carovana e quel po' di mobilio di cui disponevano.
Mobili tutt'altro che sufficienti, perché quei pochi che ave-
vano a !vfarassi, affittati o presi a prestito, li avevano restituiti.
Duri furono anche a Sampierdarena i primi giorni. Qualche
volta venne a mancare perfino il pane. Don Albera, sensibilissimo,
non poteva sopportare quello strazio; ed allora egli usciva per
Genova in cerca di aiuto mentre i giovani si alternavano attorno
al SS. Sacramento a pregare, come avevano visto fare da Don Bo-
sco a Torino. I buoni genovesi all'aspetto cosl angosciato di Don
Albera non resistevano e, udendo trattarsi di poveri fanciulli,
quasi tutti i primi raccomandati perché derelitti, s'intenerivano
e davano. Fecero presto ad aumentare anche i benefattori che
il buon « Barba Stefanino » ed altri si facevano premura di in-
dicare al direttore.
E quando Don Bosco fece la prima visita, a cose avviate, si
sentl incoraggiato a far intraprendere i lavori anche per i re-
stauri della chiesa con piano conveniente. - Ecché? - disse -
lavoriamo tanto per costruire chiese nuove e non dovremmo cu-
rarci di conservare al culto quelle già fabbricate?
Gli alunni superarono presto la cinquantina. Tornato a Tori-
no pel Natale del 1872 Don Bosco diede una buona notte memo-
randa: « Cari ragazzi - tra l'altro disse - la settimana passata
fui a Sampierdarena. Ho visitato il nuovo collegio che abbiamo
là stabilito. Vi si vedono cose meravigliose ».
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5.7 Page 47

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Ma le più meravigliose forse i giovani neppur le pensavano:
erano l'eroismo dei confratelli e degli alunni che affrontavano con
fede e allegria tanti disagi, superandoli coraggiosamente uno dopo
l'altro, e la bontà del caro direttore che si legava i cuori, la sua
santità che conquistava benefattori ed amici fra il popolo e nel-
l'ambiente agiato e benefico di cui Genova abbondava in tempi
di fervido cristianesimo.
Umanamente parlando, poi, dire che la casa di Sampierda-
rena diventava sempre più la « casa del cuore » di Don Bosco,
mentre nella sua mente apostolica fervevano disegni grandiosi,
come le prime fondazioni in Francia e le Missioni, non sarebbe
affatto esagerare.
Sampierdarena allora era in promettente ordinato sviluppo.
Da un buon ventennio le Officine Ansaldo facevano uscire loco-
motive ed altro materiale ferroviario . Verso ponente, nella lingua
di terra ristretta tra la collina e il mare, sorgevano, quasi conten-
dendosi lo scarso spazio, stabilimenti meccanici, metallurgici e
chimici.
Donde, naturalmente, l'incremento del movimento demogra-
fico segnato dai censimenti nelle seguenti cifre: 14.008 nel 1862;
22.028 nel 1881; 34.000 nel 1901; 58.176 nel 1931...
Col crescere del numero degli abitanti anche l'edilizia faceva
i suoi progressi fino a cambiare il volto della zona. S'imponeva
pure la forte immigrazione operaia da altre regioni: gli operai
afHuivano numerosi in cerca di lavoro per la famiglia e tendevano
anche a una comoda sistemazione il più presto possibile.
Portavano con sé la loro buona volontà di lavorare, la forza
dei loro muscoli, la loro varia intelligenza, generalmente mode-
sta cultura elementare, suppure; talvolta anche abilitazioni e doti
speciali; ma, ordinariamente, ben poca istruzione religiosa e molta
miseria morale. Tutt'altro che rari i poveri analfabeti. Per istrada
già si incontrava tanta propaganda, apparentemente anticlericale,
ma sostanzialmente antireligiosa ed immorale.
Unico centro religioso la parrocchia; clero zelantissimo, ma
insufficiente.
In tale ambiente e in tali condizioni sociali si pensi quale
provvidenza una buona autentica casa salesiana con Oratorio e
Scuole Professionali in primo piano, col metodo educativo di
Don Bosco!
Don Paolo Albera la impostò con questo spirito su basi ge-
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5.8 Page 48

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nuinamente salesiane, e le impresse il suo dinamismo proprio,
a somiglianza della casa-madre di Torino, in evidente graduale
progresso.
Confratelli buoni e generosi, disposti come lui anche ai sacri-
fici, collaboravano alacremente.
L'Istituto era sorto sotto gli auspici della Madonna, come
desiderava Don Bosco: acquistato con regolare contratto il 16 lu-
glio, festa della Madonna del Carmine e inaugurato ufficialmente
1'8 dicembre 1872 nella festa di Maria SS. Immacolata, con la
S. Messa celebrata dall'Arcivescovo Mons. Magnasco, il quale ave-
va raccomandato caldamente alla folla che gremiva la chiesa di
S. Gaetano di sostenere i Salesiani con cuore genovese.
Il numero unico, a cui attingiamo, corre subito al 1876 per
citare una profezia di Don Bosco che noi poi seguiremo un po'
più lentamente.
In un giorno del mese di luglio di quell'anno Don Bosco
sedeva a mensa con vari benefattori che gli alunni artigiani al-
lietavano dall'esterno con una allegra marcia della loro banda or-
mai in buona fama . Un sacerdote diocesano ad un tratto esclamò:
- Oh, Don Bosco, chi avrebbe mai immaginato che l'Ospizio
avrebbe preso tanto incremento? I quaranta giovani si son mol-
tiplicati. Ora è una vita: saranno un duecento.
E Don Bosco: - Sono esattamente duecento, ma cresceranno
ancora.
- Eppure mi par già un numero assai rilevante - rispose
il sacerdote.
- Cresceranno, e un giorno se ne conteranno trecento, quat-
trocento e più ancora. Questa casa di Sampierdarena per numero
e per importanza non sarà inferiore a quella dell'Oratorio di To-
rino! - concluse Don Bosco.
E noi abbiamo visto l'avveramento progressivo oltre ogni
aspettativa.
Per fissar subito qualche dato, nel 1873 Don Albera, con
l'arrivo di altro personale, inaugurò anche le Scuole Ginnasiali,
prendendo tra gli stessi artigiani i primi allievi che promette-
vano buona riuscita.
Nel 1874 presero ad affluire più numerose le domande di am-
missione e Don Bosco incoraggiò Don Albera ad iniziare nel-
l'anno seguente un piano di ampliamento che venne condotto
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5.9 Page 49

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innanzi rapidamente insieme ai restauri della chiesa curati diret-
tamente dall'architetto Maurizio Dufour.
L'aiutò pure nella questua pel finanziamento, chiedendo egli
stesso soccorsi a Pio IX e a varie personalità, mentre Don Albera
mendicava fra gli abbienti della città di Genova. L'Arcivescovo
Mons. Magnasco benedisse e pose la pietra angolare includendovi
una pergamena ritoccata da Don Bosco che affermava: « Si pose
mano a questi lavori senza alcuna risorsa, confidando unicamente
nella Divina Provvidenza e nella carità delle pie persone. Si
hanno tutti i motivi di credere che quest'opera sarà da Dio bene-
detta e condotta a fine, avendola benedetta il suo Vicario in terra ».
Pio IX infatti, con la sua offerta, aveva inviato un'affettuosa
benedizione.
L'ampliamento permise di completare tutto il ginnasio e ag-
giungervi le classi elementari superiori con sezioni anche per
esterni.
Il Can. Alimonda, dopo aver predicato una missione per le
Società Operaie Cattoliche in San Gaetano, disse a Don Dome-
nico Canepa, ormai salesiano e sacerdote: « Voi salesiani siete
fortunati di aver questa perla di sacerdote ». Alludeva al diret-
tore Don Albera, di cui il citato numero unico centenario narra:
Il Direttore era sempre Don Paolo Albera, uomo che edificava
tutti per la sua semplicità di modi e santità di vita, a tutti
di esempio per il lavoro e la dedizione di se stesso agli altri.
Nemmen l'ombra dell'esagerazione; possiamo subito aggiungere.
Dietro al suo esempio, i salesiani Javoravano da veri salesiani
e i Cooperatori, da buoni genovesi, apprezzavano e gareggiavano
nell'aiutarli. Don Bosco fece ben assegnamento su questa situa-
zione quando, di fronte alle difficoltà di Torino, affidò a Sam-
pierdarena anche le due grandi sue geniali iniziative dei Coope-
ratori Salesiani e dell'Opera dei Figli di Maria per le vocazioni
ecclesiastiche di adulti che trovarono la loro più adeguata for-
mazione, anche per l'apostolato delle Missioni, nella perizia del
direttore, nella comprensione e l'affettuosa collaborazione dei
confratelli, un'autentica comunità educativa col vero spirito di
famiglia salesiano.
Tant'è che Don Rua, dandone relazione ai direttori nella con-
ferenza annuale del febbraio 1877, esordl quasi con enfasi: « Io
debbo parlare con un poco di invidia di quest'ospizio, perché,
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5.10 Page 50

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grazie al suo direttore, minaccia di sopraffare l'Oratorio di
Valdocco ».
Don Albera, dal canto suo, attribuiva tutto il merito a Don
Bosco, di cui il 16 novembre 1912 in un'accademia a Sam-
pierdarena, ormai Rettor Maggiore, affermava: « Il fondatore
di quest'Ospizio non sono io, ma è Don Bosco. Quando, qua-
rant'anni fa, Don Bosco mi affidava la direzione di questa casa,
si mancava di tutto... Furono le preghiere di lui che fecero pio-
vere le benedizioni della divina Provvidenza su questa casa e
su tutti i benefattori ».
Verissimo, anzi qualche cosa di più, come vedremo. Ma si sa
anche che i genovesi sono positivi; e, se non avessero visto di-
rettore e salesiani cosl virtuosi e laboriosi, non avrebbero lar-
gheggiato tanto.
Don Bosco, dal canto suo, s'era tanto affezionato che (oltre
per la comodità di soste nei suoi viaggi a Roma e in Francia) vi
soggiornò quarantasei volte tra il 1871 e il 1887, talora di pas-
saggio, spesso per vari giorni.
Durante la direzione di Don Albera, l'ultima volta fu nel 1881.
E come lo assisteva anche di lontano! Ci sono tante lettere
a Don Rua in cui Don Bosco, magari in tono di celia, racco-
mandava: « Hai danaro? .. . Don Albera e Rossi (il provveditore
generale) ne attendono... Se non sai dove mettere i soldi, mandali
a Don Albera, mandali a Rossi... ».
Continuò a fare di queste raccomandazioni anche quando
mandò Don Albera a Marsiglia.
Non parliamo nelle lettere a benefattori... Il Santo tenne due
volte a Sampierdarena il suo Capitolo Superiore, convocandovi
tutto il suo Consiglio di Torino. Tre volte presiedette gli Eser-
cizi spirituali dei salesiani; di là congedò personalmente varie spe-
dizioni missionarie a cominciare dalla prima nel 1875. In com-
plesso la cronaca registra ben centosessantanove giorni di sosta
nella casa di Sampierdarena, nel corso della sua vita.
L'Istituto conserva tuttora la cameretta che Don Albera gli ri-
servava, con l'altarino a cui celebrava quando non poteva più
scendere in chiesa; dove dava udienze, benediceva, confortava
tanta gente che si affollava come a Torino quando sapeva che
c'era Don Bosco. In quella cameretta cadde infermo di febbri
maligne nel 1878 e tenne più giorni in pena direttore, confra-
telli, giovani e benefattori: più d'uno offrl in quella prova la
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6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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propria vita al Signore per ottenere che egli riprendesse tutta
la sua salute.
Quelle pareti ricordano anche prodigi: prodigi di carità da
parte di tanti benefattori, prodigi di celesti interventi a pro di
sofferenti e bisognosi.
Salendo le scale, un giorno egli confidava ad uno di quei più af-
fezionati benefattori : « Per me, io vivrei anche di un po' di me-
liga; ma ho tanti figli (piemontesismo facile sulle sue labbra, per
ragazzi) sicché ho bisogno di tutti>>.
E Don Albera bussava come lui alla porta di tutti. Una la-
pide ricorda i soggiorni del Padre con questa scritta: « In que-
st'umile stanza il Beato Don Bosco più volte soggiornò, alter-
nando al breve riposo l'assiduo lavoro e la fervida prece ». Se un
giorno tacessero gli uomini, parlerebbero anche di lui le pietre.
Un decennio di direzione
Nell'ottobre del 1873 era giunto a Don Albera da Roma, in
data 12, un diploma che gli recava la nomina fra i membri del-
l'Accademia dell'Arcadia col titolo di Vatilio Diotréo. Sorrise bo-
nariamente e continuò il suo lavoro. Qualche poesiola la com-
poneva ancora in occasione di qualche festa di famiglia e la
dava a leggere ai giovani. Ma la miglior sua composizione è la
struttura dell'Istituto.
Alla conferenza generale annuale, che concludeva quelle dei
singoli direttori con l'assistenza anche dei confratelli e degli ascritti
(novizi), alla fine di gennaio del 1875 Don Bosco, dolente di
non aver potuto presiedere quelle dei soli direttori, parlò dei
privilegi che si stavano chiedendo a Roma, sull'esempio delle al-
tre famiglie religiose, secondo le disposizioni del diritto cano-
nico. Poi comunicò una letterina del Cardinale Antonelli giunta-
gli quel mattino con un vaglia di lire mille del Santo Padre
Pio IX per la casa di Sampierdarena. E fece notare che era rile-
vante, perché in casi simili il Papa riusciva a far pervenire, a
quei tempi, al massimo cinquecento lire. Raccomandava ai col-
legi che potevano, di ricambiare col promuovere l'Obolo di
San Pietro.
Don Albera, prendendo la parola al suo turno per la rela-
zione che faceva ogni casa da un decennio in quella occasione,
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6.2 Page 52

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fece notare che alla casa di Sampierdarena erano già giunte poco
tempo prima altre duemile lire dal Santo Padre. Motivo di
grande riconoscenza.
Poi diede consolanti notizie della nuova costruzione che era
per finire ed avrebbe permesso di raddoppiare il numero degli
allievi. Gli attuali erano una settantina fra artigiani e studenti,
tutti di buona condotta: non potersi proprio desiderare di più,
la frequenza ai Sacramenti grandissima. I confratelli si occupa-
vano anche moltissimo degli esterni, specialmente con l'Oratorio
festivo; i giovani frequentavano in buon numero le scuole elemen-
tari, molti l'Oratorio. La città vedeva tanto bene l'istituto.
Un'unica pena ebbe Don Albera nel corso dell'anno: la morte
del babbo, che spirava cristianamente a None 1'8 agosto. Egli ebbe
appena il tempo di giungere ai funerali, ma recò gran conforto
alla mamma, che lo aveva carissimo, e a tutti i familiari.
Per 1'11 novembre preparò le accoglienze a Don Bosco ed ai
primi missionari che s'imbarcarono a Genova. Coi confratelli si
prodigò fraternamente, mentre i giovani, cooperatori e benefat-
tori li circondavano affettuosamente, ammirati e commossi, fa-
cendo loro festa e soccorrendoli anche pel viaggio.
Don Albera sentl con Don Bosco e condivise le emozioni di
quelle ore e soprattutto dell'addio sul piroscafo. Adorava, col
Padre, i disegni di Dio e misurava la generosità e l'eroismo dei
missionari, abbracciandoli uno per uno.
Ai missionari Don Bosco legava se stesso paternamente con-
segnando copia delle Costituzioni della Società Salesiana andate
in stampa dopo la festa dell'Assunta di quell'anno ed uscite a
tempo per assicurare il fervore della vita salesiana anche nelle
terre lontane.
Alla stampa tempestiva aveva concorso tanto Don Albera in-
sistendo con Don Bosco per la prima edizione.
Don Bosco l'aveva assecondato, vegliando di notte a stendere
il proemio, perché voleva che non uscissero senza quella presen-
tazione e paterne raccomandazioni. Gli premeva troppo assicu-
. rare anche ai posteri la precisazione del suo ideale. Sapeva troppo
bene che, col passar degli anni', avrebbero subito delle modifica-
zioni da parte della Santa Sede e dei Capitoli Generali: che al-
meno i salesiani non perdessero la bussola e non uscissero fuor
di strada. Perciò dispose che anche nelle edizioni successive si
riportasse sempre il suo proemio.
50

6.3 Page 53

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Don Albera, in giugno, erasi recato a Mornese accompagnato
da Don Luigi Guanella (oggi Beato) a far conoscenza delle Figlie
di Maria Ausiliatrice e della loro santa confondatrice, Santa Ma-
ria Domenica Mazzarello. Con Don Guanella si era alternato per
parecchi giorni a predicare sul Cuore SS. di Gesù e ad impartire
la benedizione durante il corso degli Esercizi spirituali, predi-
cati da un Padre Carmelitano, da Don Cagliero Giov. e da Don
Costamagna, allietati poi dalla comparsa di Don Rua mandato
da Don Bosco per seguire il corso e rendersi conto dell'anda-
mento della casa. Egli giunse per la vestizione e le prime pro-
fessioni perpetue di otto suore, con la santa Madre.
Quanti santi nella casa, tutti in una volta!... Don Albera
stava bene fra loro...
Alle conferenze annuali torinesi del gennaio 1876 Don Al-
bera poté dare altre notizie consolanti a Don Bosco ed ai con-
fratelli: i giovani erano ormai 120; i Figli di Maria una tren-
tina, e alcuni confratelli andavano già a fare il Catechismo do-
menicale in parrocchie della città.
Don Bosco non aveva atteso il Concilio Ecumenico Vaticano II
per lanciare i suoi salesiani a servizio delle chiese locali. L'aveva
infuso loro nel sangue fìn dall'inizio della Società Salesiana.
Con l'ampliamento dell'edificio, l'Ospizio di Sampierdarena
avrebbe potuto raddoppiare per l'anno seguente anche i 120 al-
lievi. Molti esterni accorrevano all'Oratorio: ogni. domenica ave-
vano catechismo nelle aule dell'Istituto e benedizione col SS. Sa-
cramento in chiesa.
Don Bosco ripassò per Sampierdarena nel ritorno da un suo
viaggio a Roma, il 15 maggio 1876, atteso a Genova da Don Al-
bera, l'avv. Scala direttore del quotidiano cattolico « Il Cittadino»
e dal sig. Varetto che condusse tutti a pranzo a casa sua. A sera
era all'Istituto ove i giovani se lo disputavano e cominciava fra
loro la novena per la festa di Maria SS. Ausiliatrice fermandosi
fìno al 17.
Gli si fece un po' di festicciola con lettura di poesie e di un
dialoghetto nel quale i giovani presentarono le croci da cavaliere
a due benefattori, sigg. Conte e Borgo appositamente invitati.
Don Bosco stesso, commosso dall'affetto dei giovani, raccontò poi
a Torino: « Non potevo distaccarmi da loro. Andavo in chiesa,
ed eccoli in chiesa a pregare con me. Andavo a far colazione, ed
eccoli dietro a me in refettorio; andavo in camera, ed essi in
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6.4 Page 54

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camera con me: non facevo un passo, che essi non mi seguis-
sero. Ma anch'io devo dirvi che non potevo star diviso da loro,
e che se essi non fossero. venuti a cercar me, sarei andato io in
cerca di loro. Avevo molte cose da dir loro, ma anch'essi ave-
vano tanto desiderio di ascoltarne e di dirne a me. Sembrava
proprio che dovesse riuscire impossibile la separazione».
Era quello che succedeva ancora ai miei tempi all'Oratorio di
Torino tra noi giovani e Don Albera e gli altri superiori maggiori.
In luglio Don Bosco ritornò per sollecitare l'impianto della
tipografia e vi si trattenne quattro giorni che furono una bene-
dizione per la casa e un gran conforto per Don Albera, carico
di debiti.
Alle conferenze torinesi annuali del 5 febbraio 1877 Don Rua,
che suppliva Don Bosco per la prima, mise in evidenza l'ottima
stoffa dei chierici che si formavano in casa: riflessivi, studiosi,
ferventi nelle pratiche di pietà e pronti a far di tutto appena
indovinassero un desiderio dei superiori. I direttori fecero voti
che se ne potesse perpetuare la generazione.
Don Albera prospettò l'idea che per non intralciare l'anda-
mento delle scuole, le accettazioni si chiudessero dopo le prime
settimane. Ma Don Rua fece notare che Don Bosco era di altro
parere e voleva che nessun giovane venisse respinto in nessun
tempo dell'anno purché avesse le qualità richieste. E allora i di-
rettori convennero di chieder loro l'adattamento a un program-
ma preparatorio fino alla fine dell'anno e l'applicazione anche a
lavori manuali domestici.
Così si avrebbe avuto modo di valutarli per l'ammissione ai
corsi regolari per l'anno seguente. Tutti poi si impegnarono a
cominciare da quell'anno il corso scolastico professionale con un
triduo di introduzione, buona predicazione per ben disporre l'ani-
mo al compimento del proprio dovere (M. B. XIII, 65-66 ).
Don Bosco passò ancora da Sampierdarena nell'andare e tor-
nare dalla Francia, sul finir di febbraio e il 23 marzo; poi ai pri-
mi di giugno per andarvi a incontrare l'Arcivescovo di Buenos
Aires Mons. Federico Aneyros e Mons. Ceccarelli che erano ve-
nuti in Italia con un pellegrinaggio argentino per 1il giubileo epi-
scopale di Pio IX. S'incontrarono la mattina del 3 giugno nella
chiesa di S. Gaetano, e Don Albera che era andato a incontrare
l'Arcivescovo e l'aveva condotto all'istituto, fece per andar su-
bito ad avvertire Don Bosco che aveva da poco terminato di
52

6.5 Page 55

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celebrare. Ma Mons. Aneyros lo trattenne: « Non disturbiamo
un Santo mentre sta con Dio dopo la Santa Messa».
Attese in chiesa che finisse il suo ringraziamento e, quando
Don Bosco apparve dalla sagrestia, gli si fece incontro proten-
dendo le braccia e si abbracciarono con le lagrime agli occhi.
Poi si guardarono un istante in silenzio e :finirono ancor uno nelle
braccia dell'altro. Quante cose rivivevano in quell'abbraccio do-
po due anni dalla realizzazione della prima spedizione missiona-
ria tanto desiderata da ambedue!
Mons. Aneyros fu ancora ospite dell'istituto il 30 giugno,
al termine del pellegrinaggio, e Don Albera lo accompagnò ad
Alassio. Quivi attese Don Bosco con Mons. Ceccarelli; indi in-
sieme proseguirono fino a Marsiglia dove si lasciarono con vivis-
sima emozione.
Il 22 luglio Don Bosco era di ritorno a Sampierdarena, ma
in pessime condizioni di salute. Le cure di tutti lo aiutarono a
riprendersi, ma soprattutto il conforto di veder ormai in fun-
zione la tipografia che fece uscire anzitutto un volumetto delle
Letture Cattoliche. Il 10 agosto, pubblicava il primo numero del
Bollettino Salesiano.
Quest'attività della tipografia coinvolse anche Don Albera in
una lunga controversia fra Don Bosco e l'Ordinario di Torino.
Noie ebbe anche l'Arcivescovo di Genova, per le sue condi-
scendenze.
Don Albera seppe condividere in silenzio le pene del Padre,
chiarire a Mons. Magnasco le varie situazioni e appianare diffi-
coltà. Nel frattempo conduceva a termine una lotteria che Don
Bosco aveva lanciato col permesso del Prefetto di Genova per
sostenere le spese dei miglioramenti edilizi e dell'impianto della
tipografia.
Il 5 settembre era a Lanzo Torinese ove Don Bosco aveva
convocato il I Capitolo Generale canonico, richiesto dalle Costi-
tuzioni: la massima assemblea legislativa di una Congregazione
religiosa.
Il Capitolo Generale durò un mese preciso. Don Bosco aveva
raccomandato che non si avesse fretta: desiderava che il Capi-
tolo facesse epoca nella storia della Congregazione e valesse di
esempio ai successivi.
Oltre ai membri del Capitolo Superiore e ai direttori delle
case, di cui alcuni si condussero insieme un confratello, vi assi-
.53

6.6 Page 56

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stettero il Prefetto del Collegio di Borgo San Martino, Don Giu-
seppe Leveratto, il Direttore spirituale del Seminario di Ma-
gliano Sabino, il Provveditore generale delle varie case Coad. Giu-
seppe Rossi, il conte Carlo Cays ormai salesiano e avviato id sa-
cerdozio, dottore in ambo le leggi e già Presidente del Consiglio
Superiore delle Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli della pro-
vincia di Torino, già Deputato al Parlamento Subalpino, ed al-
cuni altri.
Don Albera faceva parte di tre Commissioni: della III (Vita
comune) sotto la presidenza di Don Rua; VI, Ispettorie e uffici
dell'Ispettore; VII, per le Figlie di Maria Ausiliatrice, con Don
Costamagna, Don Bonetti e Don Cerruti.
Don Ceria nel vol. XIII delle Memorie Biografiche di Don
Bosco non riporta alcun intervento particolare di Don Albera,
ed anche noi ce ne dispenseremo. Ma notiamo che nel mese di
novembre ebbe l'occasione di rivedere ed accogliere la santa Ma-
dre Maria Domenica Mazzarello che accompagnava le sue prime
suore missionarie dirette all'Argentina e all'Uruguay con la terza
spedizione dei missionari salesiani, che salparono da Genova il
14 novembre, lasciando Don Bosco in preda a vivissima emozione.
Nel ritorno a Torino il Santo sostò a Borgo San Martino ove
si era ritardata la festa di San Carlo proprio per avere il buon
Padre. Vi intervenne anche il Vescovo di Casale Monferrato Mons.
Ferré e il direttore vi aveva invitato il giovane ventenne Filippo
Rinaldi che stava studiando la sua vocazione.
Fu in questa circostanza che egli, sedendo a tavola a poca
distanza da Don Bosco, ebbe occasione di seguire una conversa-
zione tra il Vescovo e Don Bosco sulle virtù di Don Albera e
sulle difficoltà che aveva avuto dal clero della sua parrocchia e
dall'Arcivescovo di Torino Mons. Riccardi per la sua vocazione.
Alla domanda del Vescovo, se Don Albera avesse vinto quelle dif-
ficoltà, Don Bosco aveva risposto con vivacità: « Certamente!
Egli è il mio secondo... », e non era andato più in là, come preoc-
cupato di non dir troppo.
Rinaldi, colpito, ci ragionò poi sopra, riflettendo che non era
stato il secondo ad entrare in congregazione, non era il secondo
in dignità perché non era neppur ancora membro del Capitolo
Superiore, neppure il secondo ad essere nominato direttore; pen-
sò che potesse essere il secondo successore di Don Bosco.
Tenne per sé il suo segreto, finché il 27 febbraio 1910 ve-
54

6.7 Page 57

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dendo Don Rua in pericolo di vita, lo affidò ad uno scritto in
busta sigillata che aperse solo quando si giunse all'elezione del
successore di Don Rua, quasi a conferma della buona scelta.
Partito Don Bosco per Torino, Don Albera aveva ripreso le
pratiche presso l'Arcivescovo di Genova per un documento che
dichiarasse canonicamente e per iscritto quanto egli aveva già fatto
a voce appena saputo dell'organizzazione della Pia Unione dei
Coperatori Salesiani e della benedizione e commendatizia che il
Papa Pio IX aveva accordato con apposito « Breve » del 9 mag-
gio 1876.
Mons . Magnasco consolò Don Bosco col decreto formale di
erezione canonica diocesana della Pia Unione fissandone come
sede l'Istituto salesiano di Sampierdarena. Il che favorl la diffo.
sione in altre diocesi e le consentl di propagarsi rapidamente
nelle varie parti del mondo. Il decreto arcivescovile porta la data
del 15 dicembre 1877.
Gran parte del mese di gennaio, tutto febbraio e buona parte
di marzo del 1878 Don Bosco lo passò a Roma trepidante con
tutti i cattolici per la salute del Santo Padre Pio IX e la dolo-
rosa sorpresa della rapida malattia e morte del re Vittorio Ema-
nuele II che il Papa aveva raccomandato alle sue attenzioni per-
ché non morisse senza i santi sacramenti, ma riconciliato con la
Chiesa, dandogli tutte le facoltà. Don Bosco non riusd ad avvi-
cinare il Re, ma il Signore provvide perché morisse cristiana-
mente come egli stesso insistentemene aveva richiesto negli ultimi
momenti. Non fu neppur possibile a Don Bosco avvicinarsi al
Papa, che lo attendeva ansiosamente, quando egli venne da Dio
chiamato all'eternità. E fu una gran pena da ambo le parti. Sfogò
tutto il suo dolore baciandone la salma nella basilica di S. Pietro
e accompagnandone i solenni suffragi.
Incaricato poi di chiedere al Governo la sicurezza neces-
saria per il normale svolgimento del Conclave per l'elezione del
nuovo Papa, l'ottenne direttamente da Francesco Crispi. Poté
partecipare alle feste per l'elezione del nuovo Papa Card. Gioa-
chino Pecci, che prese il nome di Leone XIII, e n'ebbe un'affet-
tuosa udienza.
Nel ritorno si fermò a Sampierdarena dove convocò tutti i
superiori del suo Capitolo per alcune adunanze, desiderando pro-
seguire per la Francia.
Don Albera fece onore a tutte le esigenze di ospitalità e di
55

6.8 Page 58

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cure del caso. Pei confratelli e giovani, giornate di gioia di
famiglia.
Don Bosco si fermò anche al ritorno il 17 aprile, ma in uno
stato di salute da gettar tutti in allarme, con febbre e vomiti per
vari giorni. Provvidenzialmente a Sampierdarena era infermiere il
caro Coadiutore Pietro Enria che lo aveva curato con tanto af-
fetto a Varazze sei anni prima. Erano i giorni della settimana
santa. Accorse anche Don Lemoyne che vegliò accanto a lui pa-
recchie ore la notte del venerdi santo poi si ritirò a riposare in
una stanza attigua lasciando il posto a Enria e cosi udi · le grida
di Don Bosco al sogno angustiante sulle sorti di un ragazzo del-
l'Oratorio di Torino. Glielo confidò, ancor tutto affannato, l'in-
domani mattina. Don Rua era venuto subito da La Spezia dove
era andato per la Pasqua. Appena superata la crisi volle ripartire
per Torino contro il parere di tutti e le insistenze di Enria: « Sta'
tranquillo - gli aveva risposto - mi sento forte abbastanza:
io sono di bosco (legno) e di quel duro. Il Signore e la Beata
Vergine mi aiuteranno. Ti ringrazio delle tue affettuose cure: io
non ti dimenticherò mai».
Avviatosi alla stazione con Don Rua e Don Albera, mentre
Enria l'aveva preceduto per i biglietti, ecco il treno arrivare, che
essi erano ancora per istrada. Enria supplicò il capostazione a
trattenere il treno qualche minuto di più. Ed il capo seppe ot-
tenere il consenso anche dei viaggiatori i quali, udendo che si
trattava di Don Bosco in quelle condizioni, si affacciarono com-
mossi ai finestrini, mentre il Santo arrivava qualche minuto do-
po scortato dal capostazione e dai suoi figli .
Giunse a Torino la sera di quel giorno 23 aprile. Confratelli
e giovani erano alla portieria con la banda, in preda tutti a viva
emozione; il cortile appariva graziosamente illuminato. Reso omag-
gio al SS. Sacramento e ringraziata anche la Madonna, fu subito
accompagnato in camera, mentre con gesti affettuosi e lagrime
agli occhi esprimeva la sua riconoscenza a tutti.
Don Albera al ritorno poté tranquillizzare anche la sua casa.
La prova dolorosa non era stata senza benedizioni. Durante
la degenza erano infatti accorsi molti benefattori e non con le
mani vuote. E il Santo diceva al buon Enria: « Come ci vuol bene
la Madonna! Eravamo in gravi strettezze, era difficile aver denaro
a sufficienza, e a poco a poco la Provvidenza provvide a tutto... ».
Belle pagine ci sarebbero da scrivere sulla vita intima del-
56

6.9 Page 59

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l'Istituto che imitava con cura quella dell'Oratorio di Torino. Ma
basta sostituire il nome di Don Albera a quello di Don Bosco
per comprenderne lo spirito.
Aveva in suo aiuto ottimi salesiani, e i giovani vi si sentivano
in famiglia. Tutti avevano in lui tanta confidenza, ed egli era di
un'amabilità soavissima pur nell'osservanza fedele delle Costitu-
zioni, del Regolamento e delle tradizioni, che otteneva senza diffi-
coltà anche pel suo costante esempio.
Un giorno, vedendolo stanchissimo e giù di salute, il con-
fratello incaricato ritardò a bussare alla sua camera per la sve-
glia. Appena se ne accorse, se ne lagnò con tanto accoramento
che il confratello rimase imbarazzato a ripetere il delicato ri-
guardo, pur vedendone spesso la necessità.
Fu cosi fino all'ultimo, e lo vidi ancor io cascar dal sonno alla
prima meditazione alle cinque antimeridiane, quando era già sul
declino e soffriva di vari incomodi.
Altre pagine di valore, se si potesse disporre della corrispon-
denza con cui egli dirigeva anime anche privilegiate sulla via della
perfezione, mentre era assiduo al confessionale a servizio della
popolazione, di istituti religiosi e di educazione giovanile, come
dei confratelli e degli allievi; erano ancor lontane le limitazioni
fissate poi dal Diritto Canonico.
Sceglieremo qualcosa di quanto abbiamo a portata di mano,
per darne almeno qualche saggio.
Il salesiano Don Raffaele Crippa (che divenne poi un grande
apostolo dei lebbrosi nei lazzaretti di Agua de Dios, di Contra-
taci6n e Caiio de Loro), lasciò care testimonianze, oltre a quella
della sveglia al mattino cui abbiamo accennato sopra. Egli era
entrato nell'Ospizio di Sampierdarena il 16 marzo 1879.
« Fin dal primo giorno mi colpi - lasciò scritto - il tratto
nobile, la parola dolce e persuasiva del Direttore. Io ero fale-
gname di professione e gli manifestai perciò il desiderio di con-
tinuare nel mio mestiere: egli mi disse in bel modo che in cu-
cina vi era bisogno di un aiutante, che vi sarei rimasto per poco
tempo e poi mi avrebbe fatto riprendere il mio mestiere. Li per
n non mi andò a genio la sua decisione ma, riflettendo al tratto
paterno ed alla bontà dimostratami, accondiscesi. Venute poco
dopo le Suore di Maria Ausiliatrice a dirigere la cucina, egli mi
avviò agli studi; e se oggi sono prete, lo debbo a lui ». Come
faceva Don Bosco, in quella breve prova Don Albera aveva stu-
57

6.10 Page 60

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diato l'indole e la capacità di Crippa e non si sbagliò: ordinato
sacerdote a 38 anni, il buon giovane nel 1892 partì per la Co-
lombia e si prodigò fìno all'ultimo respiro pei suoi cari lebbrosi.
Lo stesso Don Crippa segnalò un intervento singolare della
Provvidenza, non isolato nella vita di Don Albera. Un giorno, al
termine del pranzo egli usciva dal refettorio, ed ecco alla porta
un chierico in attesa del Direttore per consegnargli una lettera
lasciata in portineria da uno sconosciuto.
- Se vuole - disse Crippa - gliela porto io.
Sapeva che il chierico aveva giovani da assistere in cortile,
già impegnati nel gioco a cui gli assistenti partecipavano sem-
pre, come voleva Don Bosco.
- No - rispose garbatamente il chierico - desidero con-
segnargliela io stesso, perché ho la speranza di procurargli una
consolazione: benché il latore non abbia detto nulla e sulla bu-
sta non vi sia indicazione speciale, credo che contenga denari.
So che Don Albera stamane è andato a visitare vari benefattori,
ma non è riuscito a mettere insieme più di 300 lire di offerte, e
ha da pagare in giornata 1300 lire (com'erano al corrente anche
i chierichetti, in quel tempo, delle cose di casa. Sistema di Don
Bosco!). Ho già veduto altre volte, in casi urgenti come que-
sto, che la Provvidenza non lascia Don Albera negli imbrogli.
In quel momento usciva Don Albera e il chierico gli porse
la lettera, poi lo seguì nel suo ufficio. Poco dopo ne usciva e
riferiva a Crippa: - Vedi? non mi sono ingannato. La lettera
conteneva un bel biglietto da mille lire.
Faceva cosi la cifra precisa. Don Albera aveva tanta fede!
E sapeva meritarsi la Provvidenza vivendo con naturalezza,
ma concretamente, lo spirito della vera povertà salesiana fondato
sull'amore al lavoro e sulla massima economia.
Ecco un episodio di cui fu testimone lo stesso Crippa:
« Una mattina venne a colazione prima degli altri e, non es-
sendovi ancora il refettoriere, mi disposi a servirlo io (ero aiu-
tante di cucina). Mentre gli apparecchiavo il posto, sbadatamente
feci cadere per terra un pezzettino di pane; egli me ne avvertì
e, quando l'ebbi raccolto, mi pregò di darglielo. lo esitavo, ma
egli insistette dicendomi che mangiava più volentieri i pezzet-
tini perché gli risparmiavano un po' di fatica; e con un bel sor-
riso soggiunse: - E poi... siamo poveri e non dobbiamo disde-
gnare nulla! Queste ultime parole mi persuasero; una conferenza
58

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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spirituale non mi avrebbe fatto più impressione di quella che esse
mi fecero, e non ho mai dimenticato quella piccola lezione ».
Cosl si educavano allora nelle case di Don Bosco salesiani e gio-
vani. E i miracoli della Provvidenza si toccavano con mano.
Per questo fiorivano le vocazioni. Nel periodo della sua dire-
zione fiorirono numerose e splendide vocazioni a Sampierdarena,
che gareggiava anche in questo con Torino, e portava innanzi
magnificamente quelle degli adulti tanto per la Congregazione,
quanto per le diocesi.
L'Arcivescovo Mons. Magnasco diceva il 10 giugno 1880 al
eh. Canepa: « Ossequiate tanto Don Albera da parte mia e di-
tegli che mi mandi molti salesiani da ordinare: sarebbe per me
una grande consolazione poterne ordinare un gran numero... La
mia maggior consolazione è sempre quando posso fare un piacere
al vostro santo Fondatore e a Don Albera». Mons. Magnasco
riteneva santo Don Bosco fin d'allora. Del resto, Vittorio Ema-
nuele II diceva la stessa cosa al suo predecessore Mons. Charvaz,
già suo precettore: « Credetelo, Monsignore: Don Bosco è ve-
ramente un santo». Eppure Don Bosco era stato franco anche
nel predirgli i tragici funerali a corte, quando egli lasciò varare
la legge di soppressione degli Ordini religiosi, 1854-55.
« Lo zelo di Don Albera - scrive, a sua volta, Don Garneri
nella biografia da cui attingiamo - era tutto diretto a far vi-
vere le anime dei suoi dipendenti nella santa grazia di Dio; a
questo fine mirava col ministero pastorale, con la predicazione
intonata a serietà e a praticità; con le esortazioni quotidiane e
specialmente coi sermoncini efficaci della sera che andavano di-
ritti al cuore di tutti ed erano il suo segreto, il mezzo per reg-
gere la casa nella via dell'osservanza e della disciplina. Aveva poi
il dono di saper infervorare alle divozioni che erano tanto care
a Don Bosco: la divozione a Maria Ausiliatrice, a Gesù Sacra-
mentato e al suo Sacro Cuore».
A lui anzi si deve l'avvio dei salesiani alla pratica della divo-
zione al Sacro Cuore di Gesù: lo affermò un giorno il grande
propagatore dott. Don Francesco Cerruti, direttore generale delle
scuole salesiane, complimentato come promotore: « Non è a me
che va data questa lode, avendo io imparato da altri ad ono-
rare il Sacro Cuore di Gesù. Prima ancora che si cominciasse a
festeggiare solennemente questo Cuore divino nel nostro colle-
gio di Alassio, giungendo io una notte a Sampierdarena, trovai
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7.2 Page 62

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il nuovo fabbricato dell'Ospizio tutto in silenzio, ma ancora illu-
minato da cento e cento fiammelle. Naturalmente ne restai me-
ravigliato non sapendo quale fosse la cagione dell'insolita gioia
e seppi che Don Albera in quel giorno aveva solennemente festeg-
giato con i suoi alunni il Sacro Cuore di Gesù. Poiché da Don
Albera io appresi ad amare e a zelare questa divozione, a lui
e non a me spetta il vanto di averla promossa».
Audace nelle intraprese, sull'esempio di Don Bosco, Don Al-
bera condivideva la sua fede anche mentre si caricava di debiti;
e come lui poteva giustificarsi a chi lo giudicasse temerario, con
la risposta che il Santo diede un giorno ad un caro amico bar-
nabita, P. Luigi Zoja: « Io non faccio mai debiti, se non son
sicuro di poterli pagare : i debiti non lasciano dormire ».
Spesso il buon direttore fu sorpreso nel silenzio della notte
inginocchiato davanti all'immagine di Maria Ausiliatrice, in atto
di supplicare la Madre celeste a ottenergli la grazia e la forza
di provvedere ai suoi ragazzi il pane per l'indomani. E la Prov-
videnza gli veniva incontro, come a Don Rua.
Dobbiamo aggiungere che egli aveva anche tanta fiducia nella
bontà degli uomini. Sapeva poi conquistarsi i cuori col suo can-
dore, con la sua semplicità e con quel coraggio che viene dalla
coscienza che non stendeva mai la mano per sé, sempre per gli
altri e proprio per i giovani più poveri e pericolanti che l'isti-
tuto di Sampierdarena continuò a beneficare anche dopo di lui
largamente. Continuava quindi a mendicare, come Don Bosco e
come Don Rua, mortificando se stesso e ritenendo per sé le umi-
liazioni che qualche volta anch'egli riceveva. Meno forse che Don
Bosco e Don Rua, perché veramente i genovesi si sentivano per
lo più commossi dalla modestia ed amabilità del suo tratto e
dalla ben nota povertà della sua vita e dei confratelli della casa
e facevano quanto potevano, dalle buone famiglie del popolo
alle autorità e all'alta nobiltà.
È facile così immaginare quanto gli si venissero affezionando
e quanto anch'egli legasse loro il suo cuore sensibilissimo e tur-
gido di riconoscenza.
Tanto era anche amato in casa, per le delicatezze che aveva
per confratelli e giovani, che collaboravano volentieri con lui.
Egli era, come voleva Don Bosco e come ha richiesto con
particolare insistenza anche il più recente Capitolo Generale Spe-
ciale dei Salesiani, il XX, l'anima della casa. L'animava con la sua
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7.3 Page 63

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fede, la sua pietà, la sua dedizione al lavoro ed il suo spmto di
sacrificio, e fascinava tutti a vivere secondo il cuore di Dio e le
direttive del Fondatore.
Non parliamo delle finezze coi missionari, con gli ospiti, coi
confratelli di passaggio, con gli infermi e i sofferenti. Ma cogliamo
la testimonianza di un salesiano tanto caro, direttore modello
degli Oratori festivi dei quartieri più poveri e popolani: Don Na-
tale Brusasca, la semplicità in persona.
Nel 1878 egli, studente all'Oratorio di Torino, dotato di una
voce argentina era stato scelto ad accompagnare Don Lazzero,
il M0 Dogliani e il Coad. Pelazza, prima ad Alassio e poi a San
Remo, solista ai funerali di suffragio che quelle città liguri face-
vano per l'anima santa di Papa Pio IX.
In viaggio ebbe comodità di udire gli elogi che i salesiani face-
vano del direttore di Sampierdarena, la casa che li avrebbe ospi-
tati nel passaggio.
Vi giunsero ad ora assai tarda: gli alunni già riposavano, ma
ad attenderli rimase il direttore, il quale, con gesto largo, affet-
tuoso, umile, berretta in mano, accolse cordialmente i suoi con-
fratelli e « diede un benevolo sguardo anche a me domandando
se anch'io andavo a cantare. Ci condusse quindi in refettorio, e
a me che ero peritoso ad entrarvi: - Non hai viaggiato con
loro? - E mi fece sedere alla stessa tavola dei superiori». Ri-
portiamo alla lettera la deposizione dello stesso ragazzo, Brusasca,
stupito di vedere un alunno trattato come i superiori, cosa che
allora non si usava in altri istituti.
Fa meraviglia che di fronte a un uomo cosl stimato e cosl
amato in casa e fuori, si manifestasse tanta pena quando si dif-
fuse per Genova la notizia che Don Bosco lo destinava ad altro
ufficio e fuori patria, in Francia, primo Ispettore, cioè superiore
di tutte le case salesiane di quella nazione?
Nessuno se l'aspettava. Don Albera conosceva da tempo le
intenzioni di Don Bosco, che lo andò preparando con delicatezza
perché conosceva fino in fondo la sensibilità dell'animo suo e lo
sapeva umanamente affezionatissimo alla casa di Sampietdarena
ed a Genova. Naturalmente piovvero lamenti e lettere anche a
Torino con la speranza di scongiurare il cambiamento. Ma Don
Bosco faceva il sordo. Non valsero le intercessioni di autorità,
personalità e insigni benefattori. Ai primi di ottobre del 1881
arrivò a Sampierdarena il suo successore Don Belmonte, e Don
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7.4 Page 64

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Albera fece le consegne sorridendo dal volto, ma soffrendo in cuo-
re. Poi cedette alla pressioni di personaggi influenti e delle pa-
tronesse e si recò a Torino, a tentare personalmente con Don
Bosco, se fosse ancora possibile, un cambiamento. Incontrò il
buon Padre in cortile, che non gli lasciò neppure aprir bocca:
- Come? - gli domandò stupito - Non sei ancora a Mar-
siglia? Parti subito!
A Don Albera venne meno il fiato. Baciò la mano a Don Bo-
sco, andò in chiesa a piangere le sue lagrime ai piedi della Ma-
donna, tornò a Genova a prendere la sua sacca da viaggio... e partl.
Primo Ispettore delle case salesiane di Francia e Belgio
Se Don Albera soffriva a lasciare Sampierdarena, i Coopera-
tori di Marsiglia l'accoglievano con qualche trepidazione pel ti-
more di perdere il Direttore Don Giuseppe Bologna. Ma Don
Bologna si fece invece subito premura di interpretare la rico-
noscenza dei salesiani, scrivendo 1'11 ottobre 1881 a Don Bosco:
« La sua esperienza, la sua bontà e la sua virtù ci fanno deside-
rare il momento di averlo tra noi».
Don Bosco, d'altra parte, non sognava neppure di privare
la Francia di un uomo come Don Bologna che aveva avviato
cosi bene la casa di Marsiglia e che ne poteva avviare altre di
grande avvenire. Tant'è che poi Don Rua, quando Don Albera
fu eletto dal Capitolo Generale del 1892 a succedere a Don Bo-
netti come Direttore Spirituale di tutta la Società Salesiana, la-
sciando la Francia in tale fioritura da potervi dividere le Case
salesiane in due lspettorie, affidò a Don Bologna l'lspettoria del
Sud, e poi, al cambiamento di turno degli ispettori, quella del
Nord.
Prima che finisse il mese della Madonna del Rosario, Don
Albera era già a Marsiglia in piena attività, suscitando di giorno
in giorno sempre maggior credito e religioso apprezzamento nel
clero e tra i Cooperatori e le Patronesse. L'amabilità del suo
aspetto dolcemente sorridente e la finezza del suo tratto gli cat-
tivarono subito il cuore dei giovani, la fiducia e l'affetto dei Sale-
siani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che si trovavano là dal
1877, a Nizza Mare, dal 1880 a St. Cyr, a Marsiglia da qual-
che mese.
62

7.5 Page 65

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Se vi arrivò con qualche trepidazione, oltre alla pena di la-
sciare Sampierdarena, anch'egli non tardò a rassicurarsi che vi
trovava un ambiente turgido di venerazione per Don Bosco e così
carico di simpatia per l'Opera salesiana che faceva presto ad affe-
zionarsi anche a lui. Ne fece tosto esperienza e si sentì incorag-
giare ogni giorno di più.
Lo stesso abate Guiol, che aveva chiesto a Don Bosco la fon-
dazione di Marsiglia e che seguiva personalmente la sistemazione
e lo sviluppo nella sua parrocchia, si riservò la presentazione al
Comitato delle Patronesse, il 28 ottobre. J.l 4 novembre, ne pre-
cisò la qualifica di Ispettore, mentre Don Bologna continuava
ad essere il direttore della Casa, che portava il titolo di Orato-
rio S. Leone ed aveva carattere popolare, con missione partico-
lare di beneficenza per giovani orfani ed abbandonati, come l'Ora-
torio S. Francesco di Sales, casa-madre, di Torino Valdocco.
Spiegò anche come i Salesiani, analogamente agli Ordini ed
alle altre Congregazioni religiose, ma con senso unitario molto
moderno, dal 1878 avessero circoscritte le loro Case in lspet-
torie, esprimendo col termine laicale la differenza dalle Province
monastiche, perché gli Ispettori hanno come funzione propria
quella di rappresentare il Rettor Maggiore nelle singole circoscri-
zioni e l'ufficio di coordinarvi l'unità di spirito, di direzione, di
amministrazione, considerandosi nel loro ambito altrettanti padri,
tra i confratelli, che aiutano i loro figlioli a far andar bene le cose,
consigliandoli, aiutandoli e guidandoli a trarsi d'imbarazzo nelle
circostanze critiche e complicate (v. Conferenza 17 al I Capitolo
Generale del 1877).
Così in forma semplice e linguaggio familiare e domestico, il
santo Fondatore aveva dato la prima idea di quello che egli in-
tendeva con la suddivisione delle zone di giurisdizione e la costi-
tuzione delle lspettorie. Precisò poi in termini canonici la loro
missione in edizioni posteriori delle Costituzioni, secondo i sug-
gerimenti dei Capitoli Generali successivi; il resto lo fecero i suoi
successori. Ma, ben prevedendo le evoluzioni di concetti e conse-
guenti variazioni della disciplina canonica, precisò la sua inten-
zione e il suo ideale in varie conferenze ai Salesiani lungo il
decennio che ancor visse fra loro dopo il I Capitolo Generale.
Quando staccò le case di Francia dall'lspettoria Ligure per
costituire la prima in Francia, la Società Salesiana aveva già quat-
tro lspettorie: quella del Piemonte, quella della Liguria, quella
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7.6 Page 66

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di Roma e quella d'America. L'esperienza del 1878 era stata po-
sitiva e quindi incoraggiante, consigliando graduali perfeziona-
menti di confine e di funzionamento. Tutto procedeva senza la
minima scossa alla compagine unitaria costituzionale voluta da
Dio proprio per il suo servizio nella primavera marxista dell'800
che univa le forze del lavoro in lotta di classe e con programma
di scristianizzazione di masse, mentre Don Bosco aveva da Dio
la chiara provvidenziale missione, vorrei dire il carisma speci-
fico , di unire le masse popolari per la collaborazione di classe in
pieno fervore di fermento cristiano. Non per nulla Don Bosco
nacque tre anni prima e morl tre anni dopo Marx.
L'abate Guiol fu quanto mai felice nella presentazione di
Don Bosco.
Ma fu Don Albera stesso a cattivarsi subito la stima delle
Patronesse con la mitezza del suo tratto e la finezza dei suoi modi,
la sua amabilità così aperta e cordiale, la sua elevata spiritualità.
Don Albera si trovò subito a suo agio anche nelle altre case:
di Nizza Mare, aperta per prima nel 1875 proprio a favore dei
giovani poveri, dei figli del popolo, con Oratorio, Scuole Profes-
sionali, chiesa pubblica, servizio agli emigrati; di La Navarre,
Orfanotrofio aperto come l'Oratorio S. Leone di Marsiglia nel
1878.
Nel decennio di servizio in Francia come primo Ispettore, egli
non poté lanciarsi a grandi imprese, anche perché l'Opera sale-
siana era agli inizi; ma quelle che realizzò hanno tutte impronta
e finalità squisitamente salesiana, per gioventù povera o abban-
donata o pericolante.
Possiamo indicarle subito: nel 1883, ottenuta dal III Capi-
tolo Generale dell'anno precedente l'approvazione di un novi-
ziato proprio per gli aspiranti francesi nella loro patria, vi de-
stinò la villa che una grande benefattrice gli donava nei din-
torni di Marsigli'a, a Santa Margherita; nel 1884 piantò le ten-
de a Parigi, con l'avvio dell'Oratorio a Ménilmontant, assumendo
il Patronage St. Pierre che l'abate Pisani aveva aperto quando
era ancora seminarista e che nel 1883 lasciava nelle sue mani
per entrare nella Congregazione dei Lazzaristi di S. Vincenzo de'
Paoli; nel 1888 l'Oratorio di Gévigney; nel 1889 l'Orfanotrofio
di Le Rossigno!; nel 1890, trasferiva il noviziato a Saint Pierre
de Canon e lasciava la villa di Santa Margherita alle Figlie di
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7.7 Page 67

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Maria Ausiliatrice pel loro noviziato; nel 1891, una Colonia
Scuola Agraria a Ruitz poco lontano da Lilla.
Don Bosco lo seguiva passo passo da Torino. Ma fin dal mese
di gennaio del 1882 lo confortò con visite e soggiorni quasi an-
nualmente, sostando con piacere nella casa ispettoriale di Marsi-
glia per aiutarlo a compiere la sua missione, a superare le diffi-
coltà e ad animare salesiani e alunni a corrispondere alle sue cure
ed alle grazie del Signore.
Gliene scrisse il 7 gennaio: <~ ••• Spero trovarmi con voi a
fare S. Francesco di Sales, purché questo nostro protettore possa
rompere le corna a una schiera di diavoli che non ci lasciano
pace: pregate e fate pregare. Ne ho veramente bisogno... ».
Parti infatti da Torino il 16 gennaio e fece una prima tappa
a Lione, atteso e ospitato cordialmente dal fratello dell'abate
Guiol, Mons. Luigi, rettore della locale Università Cattolica, il
quale lo presentò alla direzione dell'Opera della Propagazione
della Fede con cui trattò per avere qualche aiuto per le Mis-
sioni di Argentina e tenne tre conferenze, una anche all'Opera
Apostolica, ed una ai dirigenti di varie opere cattoliche cittadine.
Il 21 prosegul per Valenza ove si trattenne quattro giorni
parlando in cattedrale a una folla di fedeli ansiosi di cono-
scerlo, e poi si diresse a Marsiglia sostando a Tain e Tournon
per conferenze e raccolta di offerte.
Giunse a Marsiglia la sera del 27 gennaio. Don Albera col
direttore Don Bologna, superiori, giovani e Cooperatori l'accol-
sero con affettuosa venerazione. Si trattenne a Marsiglia fino al
20 febbraio e Don Albera non lo abbandonò un istante, ansioso
che non si stancasse troppo e la sua salute non ne avesse a sof-
frire. Ogni giorno infatti era un affollarsi di persone desiderose
di un colloquio, di una benedizione. Cosl fu testimonio di straor-
dinari interventi della Divina Provvidenza e di guarigioni pro-
digiose, di cui mandò anche relazione a Roma, al Card. Nina,
Protettore della Società Salesiana. Grazie alla presenza di Don
Bosco, egli poté conchiudere la compera di due stabili per l'am-
pliamento dell'istituto. La parola di Don Bosco poi recava tanto
conforto ai salesiani e scendeva tanto al cuore dei giovani che ne
traevano luce pel loro avvenire, incoraggiamento al bene e sempre
maggior orrore al peccato. Le Patronesse poterono averlo fra
loro alla seduta del 3 febbraio, dopo una lunga attesa perché la
ressa dei visitatori pei corridoi e per le scale gli contendeva il
6.5
3 G. Fur,ìni

7.8 Page 68

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passaggio. Ma la sua sosta fu una benedizione, non solo per le
ispirate parole che egli diresse al Comitato sull'unione con Dio
e fra loro nel fare il bene, ma anche per l'affrettamento della
sistemazione della residenza delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
giunte la vigilia della festa d'Ognissanti. Occorreva salvare le
cautele canoniche vigenti allora per gli istituti religiosi nei rap-
porti con persone di altro sesso. Fu in questa occasione che Don
Bosco, esigente nei riguardi fra le due comunità e con le colla-
boratrici esterne, pronunciò « avec l'expression d'un sentiment
profond », nota il verbale, il forte scongiuro: « Se le case sale-
siane non dovesero essere quali bisogna che siano, io amerei me-
glio che cessassero di esistere» (M. B. XV, 487). Dando le indi-
cazioni opportune, Don Bosco citò come modello la casa di To-
rino, dove le Suore avevano la loro abitazione al di là della via
Cottolengo, sulla stessa piazza, con una sala per le signore e signo-
rine che andavano a prestare gratuitamente aiuto per la cura della
biancheria e degli indumenti dei giovani più poveri.
Viveva a Marsiglia l'esemplare famiglia Olive in cui fiorivano
splendide vocazioni, e la signora chiese a Don Bosco chi potesse
scegliere per suo direttore spirituale, essendole mancato il sa-
cerdote che la dirigeva. Don Bosco, dopo essersi raccolto qualche
istante in preghiera, le rispose: - Prendete per direttore Don
Albera: è un uomo che nella direzione delle anime fa miracoli.
Effettivamente, sembrava un suo carisma l'arte difficile della
direzione delle anime secondo lo spirito di San Francesco di Sales.
Molte anime, anche di vocazione a perfezione elevata, ne appro-
fittarono in Francia e a Torino, e la loro corrispondenza consen-
tirebbe di valutare la tempra e il tatto di Don Albera. La sua
cultura ascetica e una sensibile assistenza dall'alto ne fecero un
vero specialista. Il Signore lo affinò in Francia per farne un grande
direttore spirituale della Congregazione e poi un ottimo Rettor
Maggiore.
Provvidenziale fu il soggiorno di Don Bosco a Marsiglia an-
che per un conforto particolare a Don Albera: 1'11 febbraio
moriva sua sorella suor Vincenza, delle Figlie della Carità. Gli
comunicò la notizia il fratello P. Telesforo, dei Frati Minori,
descrivendogli il pio transito edifìcantissimo: era un'anima tutta
di Dio che aveva speso la sua vita servendo i malati negli ospedali.
Don Bosco celebrò con la comunità la festa di San France-
sco di Sales, ritardata apposta perché egli potesse dire la sua
66

7.9 Page 69

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buona parola anche alla conferenza dei Cooperatori, che fu pre-
sieduta dal Vescovo. Molto prima dell'ora, in cappella non c'era
più un palmo libero. Il Santo mise in rilievo lo sviluppo del-
l'Opera salesiana al 1881, chiedendo la carità dei Cooperatori
con la semplicità di cui « i santi hanno il segreto » e che il Ve-
scovo mise in evidenza aggiungendo la sua raccomandazione al
termine dell'adunanza. L'istituto ebbe tosto un'altra prova della
generosità dei marsigliesi.
Don Albera non segul Don Bosco nelle tappe che fece per
la Francia meridionale, ma lo raggiunse a La Navarre dove, il
1° marzo, il Santo benedisse e pose la pietra angolare di un altro
fabbricato nell'Orfanotrofio salesiano.
A Tolone, ove la sosta del Santo era stata messa in mag-
gior rilievo per la conferenza tenuta in cattedrale a una folla
enorme, scusandosi perché gli mancava il tempo per tenere una
adunanza speciale ai Cooperatori, precisò che: « Bisogna ben
comprendere lo scopo della P. Unione: I Cooperatori Salesiani
non debbono solamente raccogliere limosine per i nostri ospizi,
ma anche adoperarsi con ogni mezzo possibile per cooperare alla
salve:zza dei loro fratelli e in particolar modo della gioventù. Cer-
chino pertanto di mandare i ragazzi al catechismo, aiutino perso-
nalmente i parroci a farlo, preparino i fanciulli alla comtmione
e vedano che abbiano anche gli abiti convenienti, diffondano buoni
libri e si oppongano energicamente alla lettura della stampa irre-
ligiosa e immorale... » (M. B. XV, 500).
Proseguendo pel ritorno in Italia, Don Bosco sostò ancora
a Nizza Mare, donde il giorno della festa di San Giuseppe inviò
a Don Bologna una lettera per specificargli i rapporti fra l'Ispet-
tore, che allora era anche Direttore della casa ispettoriale, e il
Vicedirettore che sostituiva l'ispettore nella funzione di direttore
quando l'ispettore si assentava. In quei primi tempi di organiz-
zazione delle ispettorie egli aveva creduto bene che si facesse
così, non disponendo di personale sufficiente e non dando an-
cora le ispettorie tanto lavoro all'ispettore da non consentirgli di
essere nella casa ispettoriale ispettore e direttore. Salvava il cri-
terio unitario che Don Bosco riteneva indispensabile nella Con-
gregazione. La riportiamo integralmente perché è un segno dei
tempi di transizione:
« Car.mo don Bologna, sono le prime parole che mi riesce di scrivere
dopo due mesi... Non abbiamo potuto parlare delle cose della casa e della
67

7.10 Page 70

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Congregazione. Pazienza! Ti dirò qui in breve alcune cose che tu puoi an-
che comunicare a Don Albera: 1) L'Ispettore, quando dimora in una casa,
ha l'autorità di Direttore che può esercitare quando non è assente. (Si noti
il può, perché 1ascia bene intendere che, se crede, può invece lasciare al
Vicedirettore). Il Vicedirettore ne fa le veci, come ad Alassio; anzi farà tutto
(praticamente) ma sempre d'intelligenza con l'Ispettore. 2) La cura morale,
religiosa, scientifica, scolastica, sanitaria dei confratelli Salesiani è in modo
speciale confidata all.'lspettore. Perciò egli deve tenere I.e conferenze morali,
ricevere i rendiconti mensili, ascoltarli in confessione, e simili. 3) La cura
delle Suore è pure affidata all'Ispettore. 4) Ridotte le cose in questo senso,
riuscirà più facile al Direttore ordinario (pur col titolo di vice Direttore)
disimpegnare fa gestione complicata delle altre cose appartenenti all'Orato-
rio S. Leone. 5) La base di ogni cosa è che il Direttore con pazienza e ca-
rità parli sovente con Tlspettore e riferisca sulle cose da farsi. Non ho tem-
po di scrivere a Don Albera; ma tu puoi dargli comunicazione di quanto ti
scrivo, e dopo che avrete esaminate bene le cose, mi scriverai notandomi
tutte le osservazioni che convengono o che vi sembrano opportune pel buon
andamento di codesta casa che deve divenire un modello delle altre case
salesiane... Dio benedica te, D. Albera, i nostri confratelli, Borghi e tutti gli
allievi. Amen... ».
Don Bosco procedeva allora con tanta bonarietà, perché i sale-
siani si amavano fraternamente ed ogni desiderio del Padre era
accolto con venerazione, anche perché egli rimetteva poi alla loro
esperienza e alle loro osservazioni la regolazione duratura.
Comica è la chiusa di un'altra lettera a Don Bologna, de]
16 luglio 1882:
« ... Mi dicono che D. Albera ha una so=a che non sa come spendere.
Don Rua ne gode assai e ci spera. Dio ci benedica tutri... ».
Molta altra corrispondenza di Don Bosco a Don Albera non
si trova negli archivi capitolari della direzione generale dei Sale-
siani. Don Ceria lo deplora amaramente. Forse i confratelli, o
i cooperatori che tenevano con loro maggior contatto, se la dispu-
tarono alla partenza di Don Albera dalla Francia, perché egli
deve averla lasciata nell'archivio dell'ispettoria, interessando di-
rettamente, come era abitudine di Don Bosco, la casa di Marsi-
glia e l'ispettoria stessa.
Ce n'è una del 26 novembre 1882 che può dare l'idea, con
incombenze e direttive:
« Ti mando lettere da leggere e poi distribuire a ciascun indirizw; rice-
verai tutte le altre usque ad complementum. Un saluto cordialissimo a Don
Bologna, a tutti i confratelli, a tutti i nostri cari figliuoli e a tutti i nostri
benefattor,i. Da D. Cagliero avrai norme come regolarti riguardo a quattro o
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8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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sei salesiani viaggianti per .Ja Spagna. (D. Cagliero li accompagnava ad Utrera
per rinforzare il ,personale della casa). Dio ci benedica tutti, e credetemi sem-
pre in G. C. aff.mo amico Sac. Gio. Bosco».
È singolare come la chiusa passi dal singolare al plurale. Co-
me teneva Don Bosco al contatto con tutti! Vero Padre di tutti.
Ed eccone un'altra, documento del suo stile, del 4 dicembre:
« Ti do facoltà di ritenere i 1000 fs di Madame Fabre a condizione che
tu sii buono e che tu sii sempre un grande amico di D. Bosco. Farai però
bene dire, data occasione, che di qui, nelle nostre gravissime strettezze, ve-
niamo anche in aiuto pecuniario alle case di Marsiglia. Tu poi, quanto ti è
possibile, aiuta la casa di St. Cyr. Ho scritto e ricevuto risposta da Mad.
Jacques. Procura di vederla, ringraziarla, assicurarla che preghiamo tanto per
lei e che D. Cagliero nel partire spera di farle una visita. Dà l'unito bigliet-
to a Mad.ile Dugaz. Ringrazia M.me Rocca Fabre e dirai foro che qui pre-
ghiamo a loro intenzione e che al giorno della Immacolata Concezione dire-
mo per loro una Messa all'altare di Maria Ausiliatrice. Dio ci benedica, por-
ta i nostri rispetti, saluti e preghiere al sig. Curato e a tutti i confratelli,
etc. etc. Aff.mo amico S. G. Bosco ».
Si legge tra le righe che doveva intercorrere altra corrispon-
denza. E si vede come i salesiani confidavano tutto a Don Bosco
e come questi rispondeva alla loro fiducia, seguendoli passo passo
in quei primi tempi, finché poté.
In febbraio del 1883 Don Bosco era già in viaggio per il
suo gran soggiorno in Francia. Il 5 febbraio del 1883 scriveva
a Don Bologna da Varazze:
« Va bene quanto mi scrivi... dirai a Don Albera che prepari visite e
danari; io gli porterò un sacco di complimenti di tanti suoi amici...».
La sera del 16 marzo era a Marsiglia, accolto a gran festa
dalla casa e dai Cooperatori.
Fu subito un andirivieni di gente. Si portavano ammalati, si
chiedevano benedizioni e preghiere, si confidavano problemi di
coscienza e di interessi familiari. Don Bosco vi celebrò la festa
di S. Giuseppe, e il 29 fu la giornata dei Cooperatori. Dopo la
Messa, in cui tenne un fervorino elogiando la fede che trovava
in Francia anche negli uomini e la frequenza esemplare ai Sacra-
menti, benedisse una bella statua di Maria Ausiliatrice dello scul-
tore Gallard, alta 2 metri.
Nel pomeriggio tenne la Conferenza ai Cooperatori, presie-
duta dal Vescovo, raccomandando l'Oratorio che aveva quasi
duecentomila franchi di debiti, somma ben grave allora. Le of-
69

8.2 Page 72

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ferte raccolte da Don Bosco nelle due settimane che passò a
Marsiglia recarono sollievo a Don Albera. Ma non bastarono.
D'altra parte Marsiglia attraversava in quell'anno un periodo di
depressione economica e finanziaria, sicché anche le famiglie più
caritatevoli stentavano ad aver margine per donare alle opere
benefiche. Don Bosco fu pure in Seminario per far visita ad
uno dei figli del sig. Olive, accompagnato dal padre; ma, in as-
senza del Rettore, il vicerettore, che non lo conosceva, non
voleva saperne di chiamare il chierico in parlatorio fuori orario.
Quando però il sig. Olive pronunciò il nome di Don Bosco, si
buttò in ginocchio a chiedere scusa, poi si attaccò alla campana
e fece uscire tutti i chierici. Rientrò in quel mentre il rettore, il
quale volle che Don Bosco rivolgesse loro una parola e il Santo
parlò : Voi tutti un giorno non molto lontano sarete preti; ora
non dimenticate mai quello che sto per dirvi. Un prete, o in pa-
radiso o all'inferno, non va mai solo: vanno sempre con lui in
gran numero anime o salvate col suo santo ministero e col suo
buon esempio, o perdute con la negligenza nell'adempimento dei
propri doveri e col suo cattivo esempio. Ricordatevelo bene».
Questa famiglia Olive, non è quella del salesiano Don Lodo-
vico, morto poi nel 1919 missionario in Cina.
Dalla famiglia del futuro missionario Don Bosco accettò l'in-
vito a pranzo e fu proprio dopo il pranzo che, passando in rivi-
sta i tredici figliuoli disse a ciascuno una buona parola e arri-
vato a Lodovico esclamò: « Questo sarà per Don Bosco». Fu
profeta. Don Albera stesso lo accompagnò, tre anni dopo, a To-
rino perché facesse il suo noviziato nella povera incipiente casa
di San Benigno Canavese.
La cronaca specifica che, quando Don Bosco era a Marsiglia,
Don Albera scompariva con la sua personalità e si preoccupava
solo che il buon Padre fosse tutto a tutti. Il 2 aprile lo accom-
pagnò alla stazione, donde il Santo partl con Don De Barruel per
Parigi sostando ad Avignone e a Lione. Quasi trecento pagine
del volume XVI delle Memorie Biografiche (57-281) sono dedi-
cate a questo viaggio veramente trionfale. Nulla di trionfalistico:
tutto vero trionfo.
Da Lione, il 16 aprile, scriveva a Don Albera:
« Partiamo per Parigi, ma con la fermata cli un giorno a Moulins. Rice-
verai dal sig. Duros cli Avignone f. cinquemila cli cui metà per voi, metà
per S. Isidoro (titolo dell'Orfanotrofio agrario) o St. Cyr. Nostro indirizzo
70

8.3 Page 73

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a Parigi: Contessa de Combaud, Avenue de Messine 34. Continuate a pre-
gare. Affari vanno bene. Salutate e ringraziate amici e benefattori. Dio vi
benedica tutti... ».
L'illustre famiglia De Combaud aveva messo a disposizione
di Don Bosco un appartamento del suo palazzo.
Noi torniamo a Don Albera.
L'aiuto della Madonna
Pur cosl disputato dal pubblico da non lasciargli quasi tempo
pei salesiani e giovani della casa, Don Bosco aveva capito che
Don Albera a Marsiglia edificava, come lasciò scritto di lui uno
zelante salesiano, allora alunno al S. Leone:
« Fui grandemente edificato dal contegno modesto ed umile del no-
stro Superiore, del suo costante sorriso che incoraggiava, e delle sue ma-
niere dolci, amabili che attiravano. Non vi era ricreazione in cui non com-
parisse fra noi; ma anche negli altri luoghi veniva a visitarci, specialmente
in refettorio e in cappella. Parlava poco, ma la sua presenza bastava a ren-
derci rispettosi. Don Albera fu mio confessore per tutto il tempo in cui
stetti all'Oratorio S. Leone: egli mi condusse innanzi nella via religiosa e
sacerdotale con buoni consigli, con patemi incoraggiamenti, aiutandomi a
superare fo inevitabili difficoltà. I membri della Compagnia di S. Luigi e
del SS. Sacramento 1o ebbero frequentemente alle loro riunioni settimanali
e dalla sua parola trassero incitamento alla pietà ed alla virtù» (Garneri,
pagg. 80-81).
Un altro venerando confratello, il P. Siméon, ci scrive da
Marsiglia che egli era alunno all'Oratorio S. Leone nel 1898...
e che ebbe occasione di veder Don Albera quando, già come
Direttore spirituale di tutta la Congregazione tornava in Francia
e prendeva qualche giorno di riposo per la sua salute cagione-
vole presso le Suore Figlie di Maria Ausiliatrice a villa Pastré,
Santa Margherita.
I superiori conducevano volentieri i giovani in passeggiata a
villa Pastré, quando lo desideravano, nei giorni settimanali di
vacanza.
Don Albera, quando era là, li accoglieva affettuosamente a
squadre ed anche individualmente; diceva loro qualche buona
parola, ascoltava le loro confidenze e dava loro i consigli oppor-
tuni, li congedava con qualche immaginetta o qualche altro ricordo.
Proprio secondo la tradizione vigente ancora ai miei tempi, come
facevano tutti i superiori del Capitolo quando passavano per le
71

8.4 Page 74

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case salesiane. Ed era pei giovani un regalo avvicinarli perso-
nalmente, scambiare qualche parola, ascoltare qualche conferenza,
assistere alla loro Messa... Caratteristica di uno stile, dello spi-
rito di famiglia salesiano.
La statua di Maria Ausiliatrice, ricordando in forma gra-
ziosa la cara immagine della Madre celeste, aiutò a celebrare il
mese mariano mentre Don Albera infervorava i cuori, sera per
sera, con la sua calda pietà. Ma egli desiderava anche una sta-
tua del Sacro Cuore di Gesù, ed una buona cooperatrice pensò
a provvederla. La benedisse egli stesso il 22 luglio.
Nel periodo delle vacanze Don Albera curò lo svolgimento
degli Esercizi spirituali dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice, favorendo la partecipazione ai corsi che si tenevano a
Torino e a Nizza Monferrato a quanti vi andavano volentieri;
poi si recò egli personalmente a Torino pel III Capitolo Gene-
rale che si tenne a Valsalice dal 1° al 7 settembre sotto la presi-
denza di Don Bosco.
In Capitolo Don Albera seppe esporre cosl bene le difficoltà
che trovavano i francesi a venire a fare il noviziato in Italia, un
po' per la diversità di lingua, un po' per altre ragioni, che
il Capitolo approvò la proposta di un noviziato in Francia e
Don Bosco aggiunse che si sarebbe aperto nelle vicinanze di Mar-
siglia, con un altro per le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Egli aveva già previsto in sogno la villa Pastré, offerta a
Don Albera. Al suo ritorno dalla visita da una pia cooperatrice,
a Santa Margherita, ne autorizzò infatti l'accettazione quando si
fu assicurato che la villa Pastré corrispondeva proprio a quella
da lui vista in sogno (M. B. XVI, 414 ).
Le Figlie di Maria Ausiliatrice furono sempre tanto grate a
Don Albera per le sollecitudini che egli ebbe per loro durante
il suo periodo di ispettorato in Francia e, per parte loro, furono
anche tanto sollecite delle cure di cui aveva bisogno la sua salute;
e gli usavano mille riguardi quando poteva recarsi a riposare un
poco, come ci ha confidato il P. Siméon, a villa Pastré.
Marsiglia er:1 porto d'imbarco per spedizioni missionarie che
ottenevano posto su navi in partenza di là. Sicché quasi ogni anno
l'Oratorio S. Leone aveva anche questa bella incombenza: di
offrire o procurare ospitalità di transito a missionari salesiani e
Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Albera amava dar loro un affet-
tuoso omaggio, non solo accogliendoli a festa , ma indicendo una
72

8.5 Page 75

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funzione di addio, a somiglianza di quella che si usava a Torino,
e convocando anche i Cooperatori e le Cooperatrici.
Iniziò cosl con i venti Salesiani e le dodici Figlie di Maria
Ausiliatrice che giunsero il 13 novembre 1883, e ne fece una
delle più commoventi tradizioni.
Un'altra tradizione, ma meno gradita, instaurò in casa per le
feste natalizie, trattenendo i giovani, che solevano recarsi in fami-
glia in quei santi giorni. Lo fece d'intesa con Don Bosco per imi-
tare l'Oratorio di Valdocco dove, dal 1868, dopo la consacrazione
del santuario di Maria Ausiliatrice, il Santo aveva abolito le
vacanze natalizie e pasquali per dare fascino alle sacre funzioni
e conservare i giovani in piena letizia spirituale con la santa Gra-
zia di Dio. Però anch'egli, come Don Bosco, curò la pienezza
della gioia non solo con funzioni solenni, ma con allegria a ta-
vola e speciali trattenimenti ricreativi. Col tempo la tradizione
cadde, come a Torino e in tutte le altre case; ma chi visse quelle
feste di famiglia nello stile e nel programma dei tempi ne serba
grata e carissima memoria. Ben pochi a casa loro a quei tempi
le avrebbero trascorse meglio.
Don Albera col concorso di tutti i salesiani, seppe spiegare
bene alle Patronesse le ragioni della innovazione e n'ebbe cor-
diale collaborazione per rendere cari agli alunni quei santi giorni.
Il 1884 fu un anno di grandi prove per la casa di Marsiglia.
Ma sentirono la presenza e la protezione di Maria SS. Salesiani,
giovani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Cooperatori e Patronesse.
Prove maggiori stimolarono la fede e la confidenza nella Ma-
donna in tutta la Congregazione: la salute di Don Bosco ebbe
tale scossa che gettò tutti in allarme.
La prima prova fu tutta per Don Albera, che fece appena in
tempo ad accorrere ai funerali della sua mamma. Aveva circa
ottant'anni e lasciava in paese tanto caro ricordo e largo rim-
pianto. Don Albera si tenne in cuore il suo umano vivissimo
dolore filiale. L'll gennaio assumeva ufficialmente l'Orfanotrofio
di S. Gabriele a Lilla, retto da un decennio dalle Suore della Ca-
rità di San Vincenzo de' Paoli, e lo affidava alla direzione di Don
Bologna nel quale gli orfanelli trovarono un gran papà. Erano
una sessantina e si preparavano ad affrontare la vita addestran-
dosi in vari mestieri, lungo il giorno, in città. Don Bologna si
affrettò ad allestire in casa un laboratorio per falegnami. Don
Bosco ne provò consolazione perché aveva trattato egli stesso di
73

8.6 Page 76

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un'opera salesiana nella grande città industriale, il 5 maggio del
1883, mentre era di passaggio, ospite del barone di Montigny,
per i buoni uffici dell'avv. Michel di Nizza Mare.
Appena convalescente da una bronchite da cui era guarito
inaspettatamente, il 3 febbraio (mentre un buon chierico, Luigi
Gamerro, che aveva offerto la sua vita per quella del Santo, ren-
deva la sua bell'anima a Dio), Don Bosco decideva di partire
per la Francia in cerca di soccorsi nell'urgenza di saldar debiti,
che si accumulavano specialmente a Roma per la costruzione della
chiesa del Sacro Cuore.
il medico curante, né i salesiani, né il Card. Alimonda,
arcivescovo di Torino, riuscirono a dissuaderlo. Umanamente par-
lando, giocava la vita. Fece testamento, consegnò a Don Cagliero
in una scatoletta l'ultimo ricordo di famiglia che conservava,
l'anello nuziale dr suo papà, e il 1° marzo partl, accompagnato
da Don Giulio Barberis. Il 5, giunse a Nizza, e dal 15 al 25
marzo si trattenne a Marsiglia, dove Don Albera aveva predi-
sposto tutte le attenzioni perché riposasse agevolmente a Santa
Margherita fra i cari novizi. Le Patronesse si prodigarono nelle
cure e nel promuovere offerte. Don Albera invitò addirittura una
celebrità medica, il prof. Combal dell'Università di Montpellier,
a fargli una visita minutissima. Il dottore accorse e si trovò di
fronte ad un organismo affranto dal lavoro: era come un abito
logoro perché portato tutti i giorni; l'unico e più urgente rime-
dio sarebbe stato il riposo. Ma Don Bosco, ringraziando di gran
cuore, si scusò dicendo che era l'unico rimedio a cui non poteva
assoggettarsi. Il dottore non accettò nulla pel suo grave disturbo;
gli lasciò anzi un'offerta generosa per le opere salesiane, dichia-
rando che doveva a lui la guarigione della propria figlia (M. B.
XVII, 56-58).
Il 26, Don Bosco partl per Tolone e fu sequestrato dai conti
Colle, i suoi grandi benefattori, i quali lo accompagnarono poi
a La Navarre, dove il giorno dopo benedisse la nuova chiesa di
Maria Ausiliatrice. Quivi lo raggiunse Don Albera. Rientrando
in Italia, per tappe, a Nizza, ad Alassio e a Sampierdarena, Don
Bosco confidò che i debiti delle case di Francia erano saldati. La
Provvidenza divina aveva benedetto largamente i sacrifici e le
sofferenze di quel suo viaggio. Da Sampierdarena prosegul per
Roma accompagnato da Don Lemoyne e di là spedl la celebre let-
74

8.7 Page 77

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tera, richiamo alla pedagogia salesiana, dopo il sogno sul cam-
biamento di metodo all'Oratorio, casa madre, di Torino.
Da Roma, via Firenze, riuscl a giungere a Torino, dopo mille
peripezie, il 17 maggio. Non tardarono a scoppiare altri allarmi
per un'epidemia di colèra, manifestatasi anche in Francia: a To-
lone, il 4 giugno; verso la metà di luglio a Marsiglia. Don Bosco
ai primi di luglio rassicurava Don Ronchail e Don Albera:
« Antidoto sicuro contro il colèra: fa mettere in collo ai ,tuoi giovani
una medaglietta di Maria Ausiliatrice con la giaculatoria Maria Auxilium
Christianorum, ora pro nobis. Frequente Comunione. Comunica questa ri-
cetta a chi tu giudichi opportuno... Noi preghiamo. Pregate anche voi per
noi... ».
Cessata l'epidemia, Don Albera poté assicurare Don Bosco:
« Nel nostro Oratorio, grazie alla protezione di Maria Ausiliatrice che
lei ci ha promesso e grazie alle precauzioni prese in tempo per evitare il
contagio, noi non abbiamo avuto neppure un caso. Dirò meglio: quattro
volte ci è accaduto di vedere su qualche giovane tutti i sintomi del colèra,
ma per nostra consolazione questi sintomi sono scomparsi completamente
nel giro di qualche ora... È un miracolo della Madonna. In casa abbiamo
oltre 150 giovani che non saranno ritirati, sia perché sono della città stessa
di Marsiglia, sia perché i parenti non possono ritirarli. Anche di quelli
che partirono per le loro case, lo stato di sanità è ottimo e nessuno fu an-
cora colpito dal terribile morbo... Un'altra consolante notizia: nessuno dei
nostri benefattori ed runici, finora cadde ammalato».
E dire che in città ne morivano un centinaio al giorno; p1u
di centomila abitanti erano sfollati. Il morbo lasciò molti orfani,
e Don Albera ne accettò in casa un buon numero ricorrendo alla
pubblica beneficenza con un appello sul Bollettino francese. La
Provvidenza intervenne sensibilmente. Un solo esempio: aveva
appena spedito una lettera a Don Bosco dicendogli che non po-
teva più andare avanti (gli urgevano 1000 franchi) e nello stesso
giorno una signora, che aveva ottenuto una grazia per un figlio
religioso, gli mandava 1000 franchi.
Prese quindi coraggio e sul finir dell'anno stabiliva l'Opera
salesiana in Parigi, assumendo il Patronage St. Pierre a Ménil-
montant, fondato dall'abate Pisani quand'era ancora solo semi-
narista, poi da lui incrementato quando fu fatto vicario della
parrocchia, ma che, volendosi far Vincenzino, egli - come abbia-
mo già notato - non poteva più accudire. Don Bologna, dal
canto suo, allestiva altri sei laboratori: nella casa di Lilla e aveva
75

8.8 Page 78

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g1a m piena funzione la banda di musica strumentale. Eppure
nella seconda metà di novembre Don Albera aveva ricevuto una
lettera di Don Bosco, datata al 15, che ammoniva:
« ... Mi farai ,piacere di salutare caramente i nostri confratelli e in mo-
do particolare ,i nostri giovanetti. Dirai a tutti che quest'anno lo abbiamo
passato bene e dobbiamo ben di cuore ringraziare il Signore. Io temo che
l'anno venturo siamo di nuovo visitati dallo stesso flagello ; ma io non mi
sento di promettere che il colèra non venga a molestarli, salvo che voi mi
veniate in aiuto. Ma come? Mi veniate in aiuto con la buona condotta, con
la frequente comunione e particolarmente col fuggire rigorosamente fo cose
che sono contro la modestia... ».
Sulla fine di febbraio poi del 1885, ecco correre la triste no-
tizia che Don Bosco era morto. Figurarsi l'angoscia anche in Fran-
cia!... Ma Don Albera poté presto tranquillizzare tutti: l'inco-
scienza della frettolosa informazione dei giornalisti si era pre-
stata, come al solito, a qualche voce incontrollata.
Don Bosco stesso, a dissipare la dolorosa impressione, dopo
aver letto la notizia nei giornali italiani, si era affrettato a pro-
testare che era ancora in vita e si sarebbe presto rimesso in viag-
gio per la Francia.
Il 24 marzo infatti si rimetteva in viaggio e Don Albera l'ebbe
a Marsiglia dal 2 al 20 aprile. Fu doppio conforto, anche fisico;
perché si era appena rimesso di un forte attacco di grippe.
La Pasqua, con Don Bosco in casa, fu la più cara Pasqua pas-
sata dalla casa di Marsiglia.
Don Albera l'accompagnò al noviziato, dov'egli confermò che
anche nel 1885 sarebbe scoppiata una nuova ondata di colèra e
ripeté ai chierici la sua ricetta di preservazione.
A pranzo in casa Olive, 1'8 aprile, Don Bosco si vide sparire
il suo vecchio cappello e sostituirlo con uno nuovo, dando colpa
a Don Albera che era uscito poco prima. Ma era stata una con-
giura di Madame Olive.
Il 13, Don Albera andò incontro ad un desiderio del Santo
invitando a pranzo in casa i più insigni benefattori. Uno di que-
sti, il sig. Bergasse, fece l'elogio di quella casa modello: « Que-
sti giovani - disse - questi cari giovani, sono amati ed ammi-
rati da tutti. Il Parroco di S. Giuseppe li loda pubblicamente
dal pulpito... E ben si meritano di essere amati! ... hanno in gran
pregio il canto gregoriano che preferiscono perfino alla musica.
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8.9 Page 79

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Basta sentirli cantare come cantano, basta vederli in chiesa... per
dire: Ecco i figli di Don Bosco... ».
Don Albera infatti, fervido asceta e finissimo liturgista, fa-
ceva di tutto per educarli alla vera pietà. Il più autentico mae-
stro salesiano di canto gregoriano, Don G. B. Grosso, lasciò scritto
di lui: « Uno dei contrassegni del suo spirito di pietà era il
grande impegno che egli si faceva di promuovere il decoro delle
sacre funzioni; godeva quando, accuratamente preparate, queste
riuscivano solenni e devote. Assisteva volentieri nelle solennità
agli uffici della parrocchia di S. Giuseppe, nella quale i giovani
dell'Oratorio di Marsiglia prestavano servizio pel canto e per
le sacre cerimonie; ed era largo di incoraggiamenti e di lodi ad
allievi e a insegnanti. Mostrava tutto il suo entusiasmo e la
sua soddisfazione nell'udire le melodie gregoriane che, proprio
in quegli anni, venivano richiamate alla loro antica purezza ed
espressione dal benedettino Dom Pothier e dai suoi confratelli
di Solesmes ... » (Garneri, p. 91).
Il conte Colle si trattenne anche a cena con la comunità,
ma disgrazia volle che, servendogli uova, quattro eran andate
a male, il quinto appena passabile. A Don Albera mortificatis-
simo, il mattino seguente, il conte, invitandolo a casa sua, mise
in mano cento franchi, dicendo: « Questi sono per il primo
uovo.. . E questi per il secondo - dandogliene altre cento - ,
questi per il terzo... questi per il quarto... questi per il quinto... ».
Don Albera, commosso, come si può immaginare, li portò a Don
Bosco, che glieli fece tenere per la casa.. .
Don Bosco fu anche tanto confortato all'udire che Mons. Ca-
gliero (consacrato vescovo nel santuario di Maria Ausiliatrice il
7 dicembre del 1884 ), nel passare da Marsiglia in febbraio coi
missionari dell'annata, aveva lasciato tanto caro ricordo e susci-
tato tanto fervore per le missioni con la sua calda parola piena
di entusiasmo.
Il 20 aprile scoccò l'ora della partenza, e tutti i giovani si
prostrarono in cortile coi salesiani a chiedere la benedizione. Don
Albera piangeva come un bambino.
Forse presentiva che non avrebbe più potuto godere del Santo
in casa con tanto agio. Ma questi gli disse che desiderava una
sua visita a Torino almeno ogni due mesi. Purtroppo nell'estate
la casa fu funestata da un'epidemia di vaiolo che colpl una tren-
tina di ragazzi. Però tutti guarirono appena Don Bosco ebbe in-
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viato da Torino una benedizione che arrestò il morbo. Poco dopo,
ecco il colèra. E Don Albera si affrettò a ricorrere di nuovo a
Don Bosco, mentre scriveva a Don Bonetti: « Ti assicuro che io
non ne posso più... Non mi sento di continuare fino a settem-
bre di questo passo... Ma sia fatta la volontà di Dio! ».
Ad aggravare la situazione si scoperse che uno scroccone, tra-
vestitosi da prete, passava per le case dei benefattori spacciandosi
per economo dell'Oratorio col nome di P. Lorette e intascava
le offerte che questi credevano di affidargli pei bisogni della casa.
Fu una patronessa a scoprirlo e a consegnarlo alla polizia. Don
Bosco lo consolò con una lunga lettera il 9 agosto:
« Caro Don Albera, pare non manchino le tribolazioni ne=eno per
queste nostre case di Marsiglia que1le dei Salesiani e quelle delle Suore. Dio
però quando passa fa certamente giustizia; ma dopo di sé fascia sempre la
sua misericordia e fa sua benedizione. La prima fu il vaiuolo; ora comincia
il choléra. Confidiamo in foi, Dio, che è nostro Padre, preghiamolo, ma te-
niamo la via retta: buona condotta e frequente comunione; e la Santa Ver-
gine compirà l'ufficio di madre e non ne abbiamo timore. Non so se negli
esercizi spirituali potremo parlarci; ma intanto comincia a mandare a D.
Rua una nota di quanto -ti occorre e poi fra tutti provvederemo a tutto...
Offriti a ricevere gli orfani del choléra come l'anno scorso: Dio ci aiuterà.
La mia sanità da qualche tempo andava peggiorando ogni giorno, ma ora
mentre scrivo mi ,pare di essere perfettamente in salute. Credo che questo
sia effetto del gran piacere con cui ti scrivo. Dirai ai nostri amici e bene-
fattori che ogni giorno facciamo per foro preghiere speciali nella Messa e
negli esercizi di pietà che facciamo mattino e sera all'altare di Maria. Mi
farai gran piacere di darmene particolari notizie e raccomandarmi alle
particolari loro preghiere. Dio benedica te, la tua famiglia, i novizi, suore
e vi conservi tutti nella sua santa grazia. Tutti ti salutano in G.C. e ti sono
aff.mo amico Sac. G. Bosco».
Gli accennava anche alla buona offerta a La Navarre perché
curasse il trasferimento del noviziato per dare la casa di Santa
Margherita alla suore. E chiedeva notizie di Don Barruel col-
pito da un forte esaurimento che purtroppo si aggravò e lo rese
inabile al ministero. In nota gli accennava al desiderio di molti
salesiani di andare a Torino per gli esercizi, ma gli dava facoltà
di provvedere in Francia, se la situazione non lo permettesse.
Al tramonto della vita di Don Bosco
Quanto trepidare a Torino negli ultimi due anni della vita
di Don Bosco! Si pensi che cosa dovesse soffrire Don Albera lon-
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9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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tano. L'epistolario non registra più lettere personali a lui. Saluti,
in altre corrispondenze a salesiani e benefattori, redatte perso-
nalmente o dettate a Don Rua e segretari. Lettere di Don Rua,
stile telegrafico, dopo la sua nomina a Vicario generale di Don
Bosco.
È naturale quindi che Don Albera si facesse premura di an-
dare a Torino ad ogni possibile occasione.
Forse in una di queste scappate a Torino egli domandò a
Don Bosco che ne pensasse del frequente intervento della Ma-
donna nel corso della sua vita e delle sue opere. Don Bosco ri-
spose: « Tutti erano contro Don Bosco, bisognava bene che la
Madonna lo aiutasse» (M. B. XVI, 101).
Don Albera non aveva avversari personali, ma venne a tro-
varsi in situazioni complesse. E la Madonna aiutò sempre sensi-
bilmente anche lui, specialmente a Sampierdarena e in Francia;
più tardi nei pericolosi viaggi per la visita alle case e alle Mis-
sioni salesiane di America, e poi come Rettor Maggiore fra le
bufere delle guerre libica e mondiale.
L'anno 1886 si annunciò con nuove angustie per Don Albera.
Dovette scrivere a Don Bosco per saldare un debito urgente di
tremila lire. Don Bosco cercò subito di mettere insieme tutto
quello che aveva pel suo caro Don Albera, come raccontò poi
nella sua visita a Marsiglia; ma arrivava appena a metà della
somma necessaria. Gli giunse la posta con corrispondenza ed of-
ferte dall'Austria, dalla Russia e perfino dalla Tartaria. Mise in-
sime le offerte e si trovò precisa la somma mancante, 1500 lire,
che si affrettò a spedire con le altre a Don Albera. Da notare
che tutte erano in ringraziamento a Maria Ausiliatrice per gra-
zie ricevute.
Appena sollevato dall'angustia finanziaria, ecco un'altra tri-
bolazione: voci maligne misero in allarme tutta Marsiglia, denun-
ciando uno scoppio di vaiolo nell'Istituto S. Leone e molti col-
piti per le deplorevoli condizioni sanitarie. Tutto inventato. Il
Can. Guiol s'affrettò a smentire le calunnie confermando invece,
grazie a Dio, l'ottimo stato di salute e l'accurata situazione igie-
nico-sanitaria.
A consolazione di tutti apparve Don Bosco in persona a tra-
scorrere alcuni giorni a Marsiglia e nelle altre case francesi pri-
ma di proseguire per la Spagna, come narreremo.
Nel 1885 la Società Geografica di Roma, ricordando una
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9.2 Page 82

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conferenza sulla Patagonia tenuta da Don Bosco nel 1883, aveva
deciso di conferirgli una medaglia di argento per le sue bene-
merenze nel campo della scienza geografica « quale la si intende
ai nostri giorni », cioè « come contributo allo studio degli uo-
mini e delle cose nei paesi stranieri». Aveva fissato anche la data
solenne di conferimento il 19 dicembre 1885, nell'aula dell'uni-
versità, e aveva invitato il Santo a riceverla ufficialmente. Da
Torino venne mandato Don Barberis che accompagnò Don Al-
bera a far le parti di Don Bosco. La medaglia si conserva tut-
tora nel museo delle camerette di Don Bosco a Torino.
Don Bosco invece riprese il viaggio per Francia e Spagna il
12 marzo del 1886 col suo segretario Don Viglietti, Don Cer-
ruti e Don Sala, con soste a Sampierdarena e ad Alassio. Il 20
era a Nizza Mare col segretario e Don Cerruti; quivi andò ad
ìncontrarlo Don Albera; ma il Santo non riuscl a giungere al-
l'Oratorio S. Leone che alla fine di marzo, costretto a sostare a
Cannes e a Tolone presso insigni benefattori e la famiglia del
conte Colle. Quando finalmente fu in casa, fra un tripudio di
cuori, i giovani gli fecero una graziosa accademia e presentarono
un'offerta di mille fr. raccolti fra loro e i loro compagni di Pa-
rigi, Lilla e La Navarre per la chiesa del Sacro Cuore a Roma.
Il Santo ricambiò poi il 13 maggio, dalla Spagna, con diecimila
a Don Albera per l'Ispettoria.
A Marsiglia Don Bosco attese Don Rua, che arrivò il 2 aprile
e fissò con lui il proseguimento per la Spagna al 7 seguente. Nel
frattempo Don Rua studiava spagnuolo e il Santo dava udienze.
Celebrò con la casa la festa di San Giuseppe ritardata anche
per avere il Vescovo della diocesi, e ricevette le Patronesse invi-
tandole a Torino per la Messa d'Oro nel 1891: « Si prevedono
per quella festa - disse loro - cose dell'altro mondo. Ci sa-
ranno duemila cantori, verrà Mons. Cagliero, primo vescovo sa-
lesiano, a capo di un coro di Patagoni». Ma i verbali precisano
che Don Bosco lasciò capire che aveva forti dubbi di potersi tro-
vare ancora quaggiù. Era infatti in uno stato da far pietà e quan-
do riprese il treno per Barcellona, Don Albera non poté tratte-
nere più la pena. Grosse lagrime gli scorrevano dagli occhi. L'ul-
tima parola che Don Bosco disse ai salesiani fu: « Rammenta-
tevi che siete fratelli ». E le disse in italiano. Tutti allora lo
intendevano. Don Bosco non ritornò più in Francia.
Ma la sua benedizione fu feconda e la cronaca registra l'inau-
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9.3 Page 83

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gurazione dei laboratori a Parigi (prima quello dei falegnami,
poi quelli dei sarti e dei calzolai) e quella di nuovi edifizi a
Lilla benedetti il 5 luglio dall'Arcivescovo di Cambrai. Il 17 ago-
sto Don Albera invitava cooperatori, benefattori ed amici alla
premiazione degli alunni e i cari giovani artigiani offrivano una
esposizione · dei loro lavori che dimostrava l'aggiornamento di
quei primi laboratori artigiani al progresso tecnico dei tempi.
Poi Don Albera si recava a Torino per gli esercizi spirituali
e la partecipazione al IV Capitolo Generale della Congregazione,
l'ultimo presenziato da Don Bosco. Praticamente si svolse sotto
la presidenza di Don Rua, suo vicario generale. Don Bosco ne
ebbe grande consolazione, non solo per la pratica trattazione dei
temi proposti, ma per il commovente spettacolo di cordiale fra-
ternità offertogli dai giorni degli esercizi, quando tutti circon-
davano il buon Padre nei brevi momenti di ricreazione che po-
teva passare con loro: « In questo vi riconosco tutti miei figli
- esclamò un giorno - . Siate sempre senza gare di preferenze.
Qui vedo direttori, predicatori degli esercizi, membri del Capi-
tolo: ma tutti riuniti come in una sola famiglia. Vorrei dirvi tante
cose, ma i miei polmoni non vogliono più soffiare. Le dirò a
Don Rua ed egli ve le ripeterà. Intanto pregate per Don Bosco...
Se mi volete parlare dell'anima, venite (a colloquio, oppure in
confessione) e troverete sempre Don Bosco pronto ad ascoltarvi.
Ho più poco fiato e lo adopero volentieri a benefizio dei miei
figli» (M. B. XVIII, 177). Fu il Capitolo più numeroso, vivente
il santo: tre ispettori, ventinove direttori, con egual numero di
soci eletti nelle singole case, più alcuni sacerdoti estranei al Ca-
pitolo Generale invitati per competenze speciali. Predicarono Don
Bertello che teneva meditazioni « veramente classiche » (Don Al-
bera ne conservò appunti) e Don Lasagna, il futuro vescovo mar-
tire, che teneva le istruzioni « con zelo missionario e spirito ve-
ramente salesiano». Alla scarna cronaca redatta nei verbali da
Don Marenco (il futuro arcivescovo) e da Don Lemoyne, sup-
plisce Don Albera con questo rilievo: Ciascuno esponeva con
calma e delicatezza il proprio modo di vedere e, finita la discus-
sione, si aspettava che Don Bosco sciogliesse le difficoltà, deci-
desse le questioni e con sicurezza e precisione indicasse la via da
tenere. Quelle assemblee erano altrettante scuole, ove il vene-
rato Maestro, sentendo vicino il giorno in cui avrebbe dovuto
lasciare i suoi amati discepoli, pareva volesse condensare in po-
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9.4 Page 84

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che parole i suoi insegnamenti e t1'tta la sua lunga esperienza...
Fin dall'inizio Don Bosco aveva raccomandato: « Non si cer-
chi di rendere troppo prolissi e specificati i nostri Regolamenti,
quand'anche sembrino un po' concisi. Ove non sia necessità di
regola, si proceda con bontà paterna e i sudditi aiutino il supe-
riore pel buon andamento della casa ». Aurea norma di vero spi-
rito salesiano, di famiglia, che sottrae a tante logorree di esi-
bizionisti.
Di ritorno da Torino, Don Albera si prendeva a cuore la vo-
cazione del giovane Lodovico Olive, assicurava la mamma sulla
discreta salute di Don Bosco e la incoraggiava a fare l'offerta
del figlio al Signore:
« ... fa salute di Don Bosco non metterà alcun impedimento alla voca-
zione di Lodovico. So che forse questa parola vi darà assai pena, ma so pu-
re che la vostra virtù trionferà sull'affetto materno. La mia salute, grazie
a Dio, è molto buona. Vicino a1 buon ;padre Don Bosco non vi è affanno e
ci si riposa: perciò son tornato a Marsiglia con la salute migliore di quella
che avevo nel_ partire... ».
La buona signora aveva già dato il suo consenso rispon-
dendo ad una lettera di Don Bosco, e Don Albera stesso condusse
Lodovico a Torino, poi al noviziato di Foglizzo, scrivendo subito
al papà, il 24 ottobre da Torino:
« Ieri ho lasciato a San Benigno (la stazione da cui si procedeva a
piedi per Foglizzo, allora) e sono tornato a Torino. Nel momento in cui
ci siamo -separati, ha pianto un poco ma poi si è -subito tranquillizzato...
Egli dovrà fare certamente dei sacrifici assai gravi ma, con l'aiuto di Dio,
supererà ogni difficoltà. Don Bosco, nostro venerato superiore, l'ha accolto
con gran gioia: ha raccomandato a tutto il personale di aver gran cura della
salute del caro novizio. Dio benedirà il sacrificio di Lodovico e farà scende-
re ogni benedizione sui genitori tanto cristiani che han fatto così gene-
rosamente il sacrificio di un sì caro figliuolo... ».
Purtroppo la povertà e i disagi che abbondavano in quella
casa incipiente (oggi inimmaginabili) influirono subito sulla sua
delicata salute e Don Albera doveva accorrere già in dicembre ad
accertarsi della gravità e a provvedere. Lo fece trasportare a To-
rino perché fosse meglio curato, e Don Bosco trattenne lui fin-
ché potesse portare in Francia notizie più confortanti, dando con
varie lettere notizie alla famiglia, deciso a ricondurlo in Fran-
cia qualora si rendesse necessario. Ma nella notte dal 4 al 5 gen-
naio 1887 Don Bosco ebbe un sogno in cui gli parve di vedere
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9.5 Page 85

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la SS. Vergine che gli disse in latino: « lo sono l'umile Ancella,
mandata dal Signore a sanare il tuo Lodovico infermo. Egli era
già chiamato a morire ed ora, perché si manifesti in lui la glo-
ria di Dio, continuerà ad aver cura dell'anima· sua e di quella dei
suoi. lo sono l'Ancella a cui fece cose grandi l'Onnipotente di
cui santo è il nome... ». Al buon chierico poi, una notte in cui
stava malissimo, parve di vedere Don Bosco e di udire da lui:
« Non ti inquietare, fra dieci giorni verrai tu stesso a trovarmi
in camera... ». E fu così. Lodovico guarl bene, divenne sacer-
dote, partì missionario in Cina con il futuro vescovo martire
Mons. Luigi Versiglia e visse fino al 1919.
In febbraio Don Albera, pur trovandosi in estreme strettezze
finanziarie, accolse in casa un povero orfanello che correva peri-
colo di finire fra i protestanti; la Provvidenza lo premiò subito
offrendogli la possibilità dell'acquisto di un terreno su cui co-
struire e trasportarvi i laboratori dei falegnami e dei fabbri che
tiravano avanti in due baracche cadenti.
In ottobre poi ebbe la grazia tanto desiderata di poter alle-
stire la tipografia. Nel frattempo era andato a Parigi ad assistere
alla benedizione e al collocamento di una statua di Maria Ausi-
liatrice sull'altare della cappella dell'Orfanotrofio: era stata bene-
detta da Don Bosco a Torino e compiva la funzione Mons. Gay,
vescovo di Anthédon (Boll. Sal. fr. nov. 1877).
Ma il precipitare della salute di Don Bosco lo fece accorrere
al suo capezzale subito dopo le feste natalizie. Credette di con-
fortare il Santo facendosi forte e ricordandogli: È la terza volta
che lei giunge alle porte dell'eternità, e poi torna indietro per le
preghiere dei suoi figli. Sono certo che accadrà cosi anche questa
volta. Il Santo scosse la testa : - Questa volta non ritorno più...
Infatti sull'imbrunire del 29 dicembre fece chiamare Don Rua
e Mons. Cagliero e disse loro: « Aggiustate tutti i vostri affari.
Vogliatevi tutti bene come fratelli: amatevi, aiutatevi e soppor-
tatevi a vicenda come fratelli. L'aiuto di Dio e di Maria Ausilia-
trice non vi mancherà. Raccomandate a tutti la mia salvezza
eterna e pregate. Alter alterius onera portate... Exemplum bo-
norum operum... Benedico le case di America, Don Costamagna,
Don Lasagna, Don Fagnano, Don Tomatis, Don Rabagliati, Mons.
Lacerda e Mons. Espinosa; Quito, Londra e Trento . Benedico
S. Nicolas e tutti i nostri buoni Cooperatori italiani e le loro
famiglie; mi ricorderq sempre del bene che hanno fatto alle no-
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9.6 Page 86

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stre Missioni... Promettetemi di amarvi come fratelli... Racco-
mandate la· frequente Comunione e la divozione a Maria SS. Au-
siliatrice ».
Don Rua propose: - Questo potrebbe servire per strenna
del nuovo anno a tutte le case... Don Bosco conchiuse: - Que-
sto sia per tutta la vita.. .
Don Albera, tornato a Parigi al letto del conte Colle per
l'aggravarsi della sua malattia, fu di nuovo a Torino il 12 gen-
naio 1888, e fu l'ultimo incontro col Santo. Ne lasciò egli stesso
relazione alcuni mesi dopo il transito del Padre, propriamente
il 1° maggio. Gli espose la trepidazione dei marsigliesi per la
sua salute, le preghiere che si facevano in casa e fuori dai con-
fratelli, dai giovani, dai cooperatori e dalle patronesse, in modo
speciale nelle famiglie più affezionate al Santo; ed egli, frenando
a stento la commozione, rispose : « Lo so che a Marsiglia si
vuol tanto bene a Don Bosco e che si prega per me, e quanto
la famiglia Olive è buona verso di me; ma... ma... ».
Non si illudeva più sulla sua prossima fine. « Tu dirai alla
famiglia Olive che io vado al cielo per preparare un posto per
essi e per tutti i loro figli ... ».
Il giorno dopo, Don Albera gli presentò una preziosa col-
lana di perle che la signora Olive gli offriva per trarne aiuto
per le sue opere. Ma Don Bosco, che sapeva qual caro ricordo
essa fosse per tutta la famiglia Olive, dopo averla tenuta a lungo
in mano e fatta osservare anche a Don Viglietti, la restitul di-
cendo: « Dirai alla signora Olive che Maria Ausiliatrice ha gra-
dito il sacrificio ch'ella ha fatto. Intanto la collana mi appartiene
ed io posso disporne come mi piace. Ne faccio quindi un regalo
alla signora Olive... ».
Preoccupazioni gravi l'assillavano per la sua ispettoria e Don
Albera non sapeva che cosa decidere, se tornare o rimanere. Don
Cerruti l'incoraggiò a partire, assicurandolo che in caso di peg-
gioramento gli avrebbe telegrafato. Allora egli si risolse a salu-
tare il Santo, facendogli i migliori auguri. Don Bosco, pur sof-
frendone fino a versare lagrime, gli disse che avrebbe voluto dargli
un po' di denaro pel noviziato, ma che la Provvidenza non
gliene aveva mandato.
« Però - soggiunse - voglio almeno pagarti il viaggio:
eccoti cinquanta lire in oro, è tutto quello che ho... ». Poi, guar-
dandolo con tanto affetto: « Anche tu sei per partire! Mi abban-
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9.7 Page 87

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donano tutti. So che Don Bonetti partirà stassera. Don Rua se
ne andrà anche lui. Mi lasciano qui solo... Don Bosco ha ancora
tante cose da dire ai suoi figli e non avrà più il tempo di dirle! ... ».
Don Albera non poté trattenere le lagrime. Ed egli: « Non
ti faccio rimprovero: tu fai il tuo dovere partendo. Dio ti ac-
compagni! Pregherò per te. Ti benedico di tutto cuore... ».
Le cose purtroppo precipitarono quasi d'improvviso e quan-
do Don Albera ricevette il telegramma di Don Cerruti, il Santo
era già spirato. Fece appena in tempo a vedere la salma e par-
tecipare ai funerali...
Dopo la morte di Don Bosco
Il lutto dei Salesiani, delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dei
Cooperatori e degli Exallievi, si sa, fu lutto in più parti del
mondo. La Francia lo manifestò con larga partecipazione, so-
lenni funzioni funebri, a cui per lo più Don Albera cercò di
partecipare, e vasta eco di stampa. Il Bollettino Salesiano fran-
cese fece bene anche la sua parte. Allora lo si redigeva a Torino
e il redattore D. Roussin era tanto affezionato a Don Bosco.
L'assistenza del Santo dal cielo continuò con sensibili bene-
dizioni.
Don Albera cominciò a prendersi particolarmente a cuore gli
Emigranti italiani in Francia. Appena il parroco di uno dei più
popolosi sobborghi di Marsiglia, l'abate Mendre, gliene fece in-
vito, non si limitò ad incaricare uno dei sacerdoti italiani che
poteva abitualmente distogliere nei giorni festivi, ma accorreva
egli stesso malgrado la sua precaria salute, ogni volta che il so-
lito incaricato ne fosse impedito o non bastasse. Si addossò pure
la predicazione di missioni pasquali agli operai italiani di miniere
carbonifere nella zona di Valdonne. Vi si recava ogni sabato a sera
e confessava fino a tarda ora; la domenica mattina alle quattro
era già in piedi per confessare altri; alle cinque, mentre qualche
pia persona guidava le preghiere, celebrava la S. Messa, tene-
va un brevissimo fervorino di occasione e distribuiva la santa
Comunione, poi impartiva la benedizione col SS. Sacramento,
favorendo la loro retta pietà eucaristica. Incontrò, sulle prime,
qualche diffidenza - tanto si scristianizzava :6n d'allora il mondo
operaio per influssi ideologici - ; ma quando si sparse la voce
che quel sacerdote era italiano e salesiano di Don Bosco, gli
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9.8 Page 88

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operai affluivano numerosi con mogli e figliuoli. Il giorno com-
memorativo della risurrezione del Signore accorrevano con vera
gioia pasquale nel cuore. E quanta confidenza con Don Albera
e quanta affettuosa riconoscenza, pur non conoscendo, come il
parroco, quanti incomodi di viaggio, di orari, di salute, gli co-
stasse quel servizio! Si prese inoltre a cuore tanti sacerdoti ita-
liani, specie dell'Italia meridionale, che emigravano in Fran-
cia a cercarsi un pezzo di pane, prestando aiuto ai parroci pel
sacro ministero nelle parrocchie più scarse di clero. Don Albera
predicò loro più volte corsi di esercizi spirituali in italiano e fu
largo con loro di consigli, conforto ed aiuto anche materiale. La
fama della sua spiritualità si era poi già tanto diffusa che nume-
rosi sacerdoti francesi, benefattori e cooperatori, se lo scelsero
come guida spirituale, affidando alla sua direzione le loro anime
desiderose di perfezione. Questo aggravio di ministero non ral-
lentò i suoi impegni di ispettore. Nonostante la decisione del
Capitolo Superiore di limitare le autorizzazioni a nuove fonda-
zioni per un periodo di rassodamento, ottenne da Don Rua la
facoltà di aprire in febbraio del 1889 un ospizio (lo chiamavano
Oratorio) agricolo per orfani a Gevigney e, senza lasciarsi ab-
battete da un violento incendio che distrusse pochi giorni dopo
i laboratori della casa di Lilla, continuava le pratiche a Torino
per una scuola agraria a Rossigno! che, fin dal primo anno, diede
cinque ottime vocazioni.
Era ripassato anche in quell'anno da Marsiglia Mons. Ca-
gliero in visita alle case di Francia ed egli stesso l'aveva accom-
pagnato a La Navarre, a Marsiglia e a Santa Margherita, entu-
siasmando sempre più i Cooperatori con varie conferenze inte-
ressantissime. Don Rua aveva frattanto ricevuto la signora Olive
di passaggio a Torino per Roma e in aprile aveva chiamato a sé
Don Albera per trattare confidenzialmente problemi di cui non
è traccia nelle cronache.
A Marsiglia si temette addirittura che Don Albera fosse chia-
mato a Torino per ricevere altri incarichi ma il nuovo direttore
Don Giovanni Battista Grosso seppe dissipare i timori delle pa-
tronesse e degli amici. Difatti il 31 maggio poté presiedere egli
stesso l'adunanza del Comitato il quale volle si mettesse a ver-
bale che: « La presenza e l'esperienza di Don Albera sono indi-
spensabili in mezzo alle difficoltà sempre nuove nel momento
presente. Mandato da Don Bosco egli continua e rappresenta al-
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9.9 Page 89

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l'Oratorio S. Leone la paterna sollecitudine di lui e sembra me-
glio di ogni altro attirare la sua speciale protezione ».
Si sapeva infatti che, perfino la notte della festa di S. Fran-
cesco di Sales, Don Bosco aveva ancora lanciato un grido: « Pao-
lino, Paolino, dove sei? Perché non vieni? ». E tutti avevano
pensato che Don Bosco chiamasse Don Albera. Tanto gli voleva
bene! D'altra parte era già passato anche a Marsiglia Don Rua
che, tra febbraio e maggio 1889, accompagnato da Don Albera,
aveva visitato come Rettor Maggiore le case di Francia e aveva
potuto constatare che l'Oratorio S. Leone non riusciva ad acco-
gliere che minima parte delle domande per l'accettazione di gio-
vani orfani, poveri e bisognosi. Il noviziato, diretto egregiamente
da Don Francesco Binelli, contava 26 novizi, e sul tavolo del-
l'ispettore premevano varie domande e proposte d'apertura di
altre case. Fu a Marsiglia che l'entusiasmo per Don Rua raggiunse
lo zenit fino a proclamarlo « un altro Don Bosco». Al che il san-
t 'uomo protestò: « Mais de Don Bosco il n'y en a qu'un ».
La benedizione di Don Rua incoraggiò Don Albera a rinno-
vare i laboratori di Marsiglia, mentre infervorava i salesiani alla
pratica del Regolamento delle case aggiornato nel V Capitolo
Generale tenuto a Valsalice nel mese di settembre. Relatore per
le case di noviziato, meditò a suo agio il trasferimento di quella
di Santa Margherita in sede più adatta per offrire la villa Pa-
stré alle Figlie di Maria Ausiliatrice; aperse un altro Oratorio
festivo in città e promosse l'opera dei Figli di Maria per le
vocazioni degli adulti. La tipografia di Lilla frattanto veniva im-
pegnata in importanti pubblicazioni e i laboratori di Parigi con-
seguivano distinti premi all'Esposizione. L'Arcivescovo di Parigi,
Richard ormai cardinale, era entusiasta del Patronato di S. Pie-
tro e Paolo, e la buona fama delle case salesiane s'andava diffon-
dendo in tutta la nazione, nonostante che un altro filibustiere
in sottana passasse di città in città a scroccare offerte frodan-
done i salesiani. Anche questo falso missionario fu scoperto e
messo al sicuro.
Quando Don Rua ripassò da Nizza Mare nel 1891, Don Al-
bera ottenne il permesso di trasferire i novizi salesiani da San-
ta Margherita in un vecchio convento (lasciato dai benedettini
alla diocesi nel 1887) a St. Pierre de Canon. Zelanti Coopera-
tori di Aix l'avevano ottenuto dal vescovo diocesano.
87

9.10 Page 90

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Il 13 aprile 1891 Don Albera piangeva la morte del grande
amico dott. D'Espiney che aveva scritto la prima biografia di
Don Bosco in francese tanto bene da attirare numerosi e qua-
lificati amici all'Opera salesiana; ma in maggio veniva confor-
tato da un intervento prodigioso della Madonna nel cedimento
di un'impalcatura carica di tavole mentre il capo del laboratorio
passava sotto: ce n'era da schiacciarlo, invece ne uscì illeso e corse
in chiesa a rendere grazie.
Altro dolore assai sentito da Don Albera, la morte di Don
Giovanni Bonetti, direttore spirituale della Società Salesiana, av-
venuta a Torino il 5 giugno 1891.
La Provvidenza lo consolava con la posa della prima pietra
dei nuovi edifizi all'Oratorio di Ménilmontant, cui assistette il
15 agosto. Ma ritornava sollecitamente a Marsiglia per dare so-
lennemente l'addio ai primi salesiani destinati alla fondazione
dell'opera di Don Bosco in Algeria, nel continente africano e pre-
cisamente a Orano: erano appena tre, ma tutti cresciuti e for-
mati all'Oratorio S. Leone, fra le sue cure spirituali.
Nel 1892 ebbe ancora la gioia di accogliere Don Rua, il quale
il 6 aprile inaugurava a Nizza Mare la prima Esposizione Profes-
sionale delle scuole salesiane che ebbe eco internazionale, e un
nuovo Oratorio festivo.
Egli poi diede personalmente il velo alle prime tre postu-
lanti Figlie di Maria Ausiliatrice entrate al noviziato di villa
Pastré proprio il 24 maggio. Una delle tre era Clara Olive, so-
rella di Lodovico.
Grande partecipazione di cooperatori, benefattori ed amici
alla sua festa onomastica e commoventi testimonianze di stima
e di affetto. Sembrava presentissero inconsciamente la prossima
sua chiamata a Torino.
In realtà egli partl in agosto per gli esercizi spirituali e la
partecipazione al VI Capitolo Generale, con la serenità di chi
risponde a un dovere di ufficio. Ma la sera del 29 agosto,
veniva eletto a succedere a Don Bonetti come Catechista gene-
rale, cioè Direttore spirituale dell'intera Società Salesiana. Non
descriviamo la sua sorpresa, né quella dei Marsigliesi, che si
espressero senza eufemismi negli addio. Adeguata valutazione del-
la fiducia di tutta la Congregazione, ma quanto rimpianto! Quan-
to sincero e quanto affettuoso! ...
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10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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Parte II
DIRETTORE SPIRITUALE GENERALE
DELLA SOCIETÀ SALESIANA

10.2 Page 92

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10.3 Page 93

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Obbedienza
Quanto a sé, egli era spiritualmente troppo autodisciplinato
da sollevare la minima opposizione. Ma, se dicessimo che non
ne abbia umanamente sofferto, mentiremmo. Ne abbiamo docu-
mento in una lettera del 10 settembre alla signora Olive, ripor-
tata anche da Don Garneri a pag. 124-25, e in altre successive.
« So che siete molto afflitta a causa della mia nomina... Le parole di
consolazione non hanno certamente presa in questa circostanza.... Mi limi-
to solamente a dirvi, signora, che il buon Dio non sarà molto soddisfatto se
voi agite in questa circostanza come una giovane che non ha una pietà ben
formata e una virtù ben solida. Voi siete giunta a una certa età, siete ma-
dre di numerosa famiglia che con la grazia di Dio avete allevata nella pietà
e nella virtù, siete sposa di un grande cristiano... Voi dovete dimostrare a
tutti tale virtù, sottomettendovi coraggiosamente alla volontà di Dio. Bi-
sogna che il vostro spirito la vinca sul cuore... Del resto soffro anch'io a
dover presto o tardi separarmi da tante persone che la Divina Provvidenza
ha messo su1la mia strada per aiutarmi a fare un po' di bene. Il sacrificio
è dunque reciproco e bisogna che noi lo compiamo in maniera cristiana e
meritoria. Per la direzione dell'anima vostra Dio non vi lascerà nell'imba-
razzo. Ogni buon prete vi può dirigere tanto bene quanto il povero Don
Albera... Vi occorre una pietà calma e fiduciosa : un abbandono totale alla
volontà del confessore che vi dirige in nome di Dio. Io verrò ben presto (a
farvi visita) e discorreremo con agio: ma desidero ... trovarvi calma e rasse-
gnata. Pregate... ».
Quando qualcuno vorrà studiare la spiritualità di Don Albera e
il suo tatto nella saggia direzione delle anime, retta, discreta, soave
e ferma nello stesso tempo, darà ragione a Don Bosco che, pro-
prio quando suggerì alla signora Olive di affidare l'anima sua
a Don Albera, disse che in questo egli faceva «miracoli». Se poi
troverà molte testimonianze di anime elette, soprattutto del mon-
do francese , tanto più esigente di fronte a direttore italiano, non
stenterà a consentire in quello che noi riteniamo: che la Società
Salesiana ebbe in lui uno dei suoi migliori direttori spirituali...
Sistemate le cose sue e fatte le consegne al nuovo Ispettore
91

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della Francia sud (la Francia nord aveva già come primo ispet-
tore di fatto Don Bologna), per la novena di Natale del 1892
Don Albera era a Torino a capo del suo nuovo ufficio.
Da Torino scriveva ancora alla stessa signora :
« Capisco che voi siate in pena per aver dovuto cambiare direttore;
ma non so perché vi abbandoniate a tanti lamenti per non aver approfittato
dei consigli del direttore antico... Voi siete ancora in tempo per mettere in
pratica parecchi di quei consigli che vi ho dato. Vi raccomando di soppor-
tare la separazione ben dolorosa che Dio ci ha imposta, in maniera merito-
ria. Siate rassegnata e calma, specialmente in seno alla vostra famiglia...
Sono arrivato a Torino durante le belle feste (natalizie). Questo non po-
trà certamente farmi dimenticare Marsiglia; mi sembra anzi che, come al-
tre volte, io non mi trovi qui che di passaggio e che debba ripartire da un
momento all'altro per Marsiglia. Illusione dolce, ma la disillusione che se-
gue è, alle volte, crudele. Qui per altro vivo dei ricordi di Marsiglia ... Mi
rallegro per le notizie dei vostri esercizi di pietà: continuateli con molta
esaHezza e raccoglimento. Se la vostra immaginazione se ne va sovente, fate
la meditazione su un libro: è il metodo degli imperfetti, ma è il più utile
e anch'io la faccio come quelli. Per la comunione vi occorre molta libertà
di spirito: andando alla Messa, comunicatevi; e se non vi potete andare, spe-
cialmente per la salute, non inquietatevi, obbedite senza agitazione. .. Be-
nedico il Signore per aver disposto che possiate andare spesso a Santa Mar-
gherita; ma siate capace di privarvi di questa consolazione se vostro ma-
rito ne avesse anche la minima pena. Voi farete piacere alle Suore, voi con-
solerete suor Clara (fa figlia, novim.a) e incoraggerete un po' la signorina
Giulia (altra figlia, ammalata). A proposito di quest'ultima attendiamo una
risposta... Vi è molto a sperare che tutto sarà regolato. Intanto è bene che
Giulia non si lasci troppo abbattere e che profitti di questa prova per con-
seguire molti meriti per avanzare nella virtù e nella scienza, e per curare
la sua salute. La prova non riguarda solo vostra figlia, ma tutta la vostra
famiglia ... ».
Ci si consenta ancora di spigolare altri particolari dall'ultimo
capitolo di Don Garneri su Don Albera in Francia, perché sono
documenti preziosi dell'equilibrio della direzione spirituale che
egli dava alle anime e delle care impressioni che lasciò in quel
periodo nel suo servizio di ispettore.
« Quando partl per Torino - scrisse Don G. B. Grosso di-
rettore della casa di Marsiglia - chi l'accompagnò alla stazione
fu testimonio dello schianto che ne provò il suo cuore e delle
lagrime che egli non poté trattenere varcando la soglia dell'Ora-
torio S. Leone, dove da tanti anni era da tutti venerato e tene-
ramente amato».
Il Bollettino Salesiano francese (aprile 1891) metteva in evi-
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10.5 Page 95

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denza la doppia sua caratteristica notata dai giornali: uno zelo
infaticabile e una calma inalterabile, a imitazione di Don Bosco.
Parve a tutti che l'Oratorio S. Leone avesse il suo Don Bosco.
Questo spiegava i mirabili progressi di cui erano fortunati testi-
moni.
« Amato dai nostri giovani allievi, venerato dai nostri cari
Cooperatori, illuminato consigliere di tutti i nostri Confratelli di
Francia, questo figlio di Don Bosco è l'anima di tutto: grazie
a lui tutto procede pianamente senza incertezze (pur essendo
tanto grandi gli ostacoli e le difficoltà che si rinnovano continua-
mene) ma sicuramente o, per dirla con parole dello Spirito Santo,
soavemente e fortemente ... ».
Uno dei più benemeriti salesiani di Francia, Don Cartier,
stagliò molto bene Don Albera nel numero di dicembre 1921,
dopo la morte, nel periodico Adoption. « Don Albera fu un
uomo di azione, soprattutto di azione interiore. La formazione
spirituale e soprannaturale dei suoi confratelli e della gioventù
fu indubbiamente la sua più forte preoccupazione. Di buon'ora
egli si diede allo studio degli autori ascetici e si formò sui mi-
gliori di essi. Era avido di conoscere tutte le opere ascetiche
pubblicate dai migliori ingegni e non solo leggeva ma annotava,
stralciava appunti che gli servivano utilmente per le conferenze
mensili ai confratelli e alle varie compagnie religiose. Nelle sue
conferenze sode e frequenti, egli esponeva ai confratelli la bel-
lezza, la grandezza e la dignità della loro vocazione e confortava
la sua parola con l'esempio personale, trovando tempo, in mezzo
alle molteplici occupazioni, per attendere scrupolosamente ai
doveri della vita religiosa. Custode vigilante della disciplina reli-
giosa, visitava frequentemente le varie case e vi faceva regnare lo
spirito di pietà, di carità e di sacrificio del Fondatore: la Regola e
il regolamento erano per lui qualcosa di sacro. Ci teneva che fos-
sero osservati con amore e con gioia. Sapeva all'occorrenza com-
patire l'umana debolezza e scusare tante piccole cose inevitabili ».
Sul metodo di predicazione ai giovani e al popolo abbiamo una
testimonianza di Don Giulio Barberis, per tanti anni maestro
dei novizi e poi successore di Don Albera come Direttore spiri-
tuale di tutta la Congregazione: « Udii a Marsiglia più volte la
predicazione di Don Albera e fui edificato ed ammirato per la
praticità delle cose che diceva, per lo zelo che dimostrava nello
spronare i giovani alla virtù. Il gran punto su cui tornava sovente
93

10.6 Page 96

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nelle prediche e nei sermoncini della sera era la fuga del pec-
cato: ne parlava con energia, dando rilievo al contrasto che vi è
tra il peccato e l'infinita bontà di Dio, alla mostruosa ingratitu-
dine... servivasi anche del pensiero della morte che presentava
come un grande preservativo... ».
« Aveva un ascendente grandissimo sui giovani - continua
Don Grosso - frutto non solo della sua virtù, ma anche della
forza persuasiva e della nobiltà della sua parola, che rispec-
chiava molto bene il suo carattere di calma e di fortezza a un
tempo».
Le vocazioni, notavano i salesiani, le coltivava « scegliendo i
migliori tra gli studenti delle classi superiori che davano affida-
mento di buona riuscita: assegnava loro un dormitorio speciale,
li riuniva spesso in conferenza, li ammetteva agli esercizi spirituali
coi confratelli, li aiutava e consigliava paternamente come soleva
fare Don Bosco all'Oratorio di Torino.
Favorì anche le vocazioni per le Figlie di Maria Ausiliatrice.
Le suore andate a Marsiglia nel 1881 non avevano avuto per
qualche anno la comodità di aprire nella loro residenza provvi-
soria l'Oratorio festivo, Don Albera provvide anche a quest'opera.
Coadiuvato da Don Angelo Savio, economo generale della Con-
gregazione, mise mano a fabbricare alla destra della casa: fece sca-
vare nella viva roccia la cucina e vi allestl una casa sufficiente-
mente spaziosa perché le suore potessero aprire l'Oratorio fe-
stivo che, divenuto assai fiorente, fu un vivaio di eccellenti voca-
zioni religiose ».
I Cooperatori gli volevano un gran bene, come a Sampierda-
rena così a Marsiglia : erano come affascinati dalle doti di cui era
egregiamente fornito, soprattutto dalla sua squisita affabilità sem-
pre sorridente; desideravano le sue visite e gradivano tanto la
sua amabile conversazione che, pur svolgendosi nel suo naturale
riserbo, « non mancava di rilievo né di buon umore all'occasione:
sempre edificante perché aveva il segreto di elevare i cuori a Dio »
(Adoption, dicembre 1921).
Vedendolo poi così caro a Don Bosco quando accompagnava
il buon padre fra loro, condividevano per lui la venerazione che
li rapiva pel Santo.
Chi l'accompagnava ammirava il brio e la delicatezza con cui
sosteneva la conversazione sollevandone abilmente Don Bosco,
mentre i suoi occhi, apparentemente semiaperti, scrutavano l'animo
94

10.7 Page 97

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degli interlocutori e scoprivano anche intenzioni meno rette o
addirittura di speculazione in qualche offerente che tentava otte-
nere fondazioni dove poteva trarre vantaggio pei suoi terreni circo-
stanti. Una volta salvò Don Bosco anche da un abile tranello di
questo genere. Abitualmente riflessivo, Don Albera era anche
molto accorto.
Quanti dei salesiani che si affidarono alla sua guida spirituale
possono sottoscrivere di aver fatto l'esperienza dell'accortezza e
dello zelo di Don Albera, come ne attesta il Servo di Dio Don
Filippo Rinaldi che ne godette a Sampierdarena, prima di stare
al suo fianco come Prefetto Generale di Don Rua, durante il
suo rettorato.
Don Rinaldi - come confidò più tardi ai salesiani e lo pub-
blicò anche Don Franco - lasciò scritto: « Una delle grazie più
segnalate della mia vita fu l'aver avuto Don Albera come prima
guida dell'anima mia. Passai giorni di grandi ansie quando entrai
nella casa di Sampierdarena a continuare i miei studi come Fi-
glio di Maria: dubbi e difficoltà sulla mia vocazione mi tortu-
ravano senza lasciarmi pace. Ma una sua parola, un solo sguardo
di Don Albera talvolta bastavano a ridonarmi calma, confidenza,
fiducia. Ricordo che in una particolare occasione gli dissi can-
didamente quanto io temessi, presto o tardi, di scappar via:
"Filippo - egli mi rispose - puoi fare a meno di allarmarti
riguardo a questo, perché io tì rincorrerei e ti riporterei in casa".
Me lo disse con tanta serenità e con tanta calma che io non
perdetti più la mia fiducia per l'avvenire... ».
E fu salesiano fino al governo della Congregazione ed alla
santità ...
A Torino
A Torino, come direttore spirituale della Società Salesiana,
la vita di Don Albera veniva sacrificata ai servizi del nuovo uffi-
cio. Condivideva con Don Rua e gli altri superiori maggiori le
preoccupazioni, le sollecitudini e le responsabilità della direzione
generale, soprattutto nelle cure della formazione religiosa e della
vita spirituale dei salesiani, e dell'educazione cristiana dei giovani;
ma per questo le sue giornate passavano in casa fra la parteci-
pazione alle sedute di Capitolo (del Consiglio Superiore), la cor-
rispondenza e le udienze, conferenze e sacro ministero.
95

10.8 Page 98

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Questo gli consigliava un metodico autocontrollo della sua
spiritualità personale.
Sempre in occasione di parlare alle anime, di dirigerne tante
consacrate con impegni di regola religiosa, tra salesiani, Figlie di
Maria Ausiliatrice ed altre comunità, sentiva il bisogno di es-
sere egli per primo coerente a se stesso e di esigere da sé anche
più di quello che chiedeva alle altre anime. È cosl che, primo
fra i superiori antichi, curava un diario spirituale dal quale ri-
sulta che non era mai soddisfatto della sua vita intima. E questo
gli cagionava affanni ed angustie che agli altri sfuggivano, ma
che furono un vero abituale tormento per lui negli anni trascorsi
a Torino.
Don Rua lo distraeva spesso con incarichi di predicazione,
specialmente per esercizi spirituali, giornate di ritiro nelle case
di formazione, o chiedendogli la preparazione di lettere circolari
o di studio di problemi di direzione spirituale. Quasi ogni anno
lo mandò con questi incarichi in Francia o in Belgio. Quando si
accorgeva che la salute era un po' scossa, lo mandava, anche per
rimettersi, fra le cure delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Santa
Margherita donde aveva il conforto di rivedere la cara casa di
Marsiglia, cooperatori, benefattori ed amici. Conforti umani che
potevano giovare pel sollievo fisico e che i superiori fin d'al-
lora intuivano e prodigavano con delicatezze familiari.
Emergono nella monotonia della vita ordinaria di ufficio, in-
carichi eccezionali straordinari come quello di accompagnare Don
Rua in visite fuori d'Italia, perfino in Terrasanta, e la visita alle
Missioni Salesiane del Sud America. Ne parleremo a suo tempo.
Intanto sostiamo qualche poco sull'anima di Don Albera che
si analizza cosl severamente quasi giorno per giorno e ci lascia
traccia in copiose pagine di diario. Don Garneri che le ha pas-
sate accuratamente con le confidenze di Don Abbondio Anzini
(precedentemente incaricato della biografia che poi rimise al con-
fratello quando l'età e gli acciacchi gli impedirono di prosegui-
re), nota subito che « in quelle pagine... è tracciata la sua
vita spirituale con le sue insufficienze e coi suoi slanci, coi suoi
propositi e con le sue infedeltà, con le pratiche e le osservanze
relative. La pietà, l'umiltà, lo sforzo sincero per una più alta per-
fezione, l'affetto pei suoi confrateHi, il rispetto pei superiori, lo
spirito di mortificazione balzano fuori in una luce che irradia in-
96

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Don Albera .1.. . Conobbi da ragazzo Don Albera: frequentavo le prime classi
ginnasiali a Caltagirone quando Egli venne a visitare l'Istituto di quella città . Ri-
cordo due particolari di quella visita che mi lasciarono, per motivi diversi , grande
impressione , anche se io non mi incontrai personalmente con Lui . La profonda im-
pressione che si trattava di un'Anima di Dio: la Sua immagine mite, ascetica mi è
rimasta dopo tanti anni negli occhi insieme con l'impressione di un uomo stanco.
Lo ricordo a dormire durante uno spettacolo teatrale dato in suo onore; ma si
trattava di un drammone, « Il Figliuol Prodigo » dei fratelli Reffo, se non erro : un
dramma di quelli che mettevano alla prova le fibre più robuste, e Don Albera era
delicato e debole.
L'altro ricordo è assai triste . Durante il pranzo ufficiale in suo onore con la par-
tecipazione di tutte le autorità, fra cui Don Luigi Sturzo, allora Pro-Sindaco di Cal-
tagirone, un sacerdote fu colpito da malore mortale . Si può immaginare l'impressio-
ne in tutti, e più ancora in noi ragazzi.
Ricordi di ragazzo, quasi bambino, niente altro; ma, ripeto l'immagine di D.
Albera quale piccolo Don Bosco, non si è più cancellata dalla mia memoria.

10.10 Page 100

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- Don Bosco posa in atto di ascoltare le
confessioni dei giovani ascoltando Paolo A lbera
- Il centro s tori co dell 'Oratorio fin o al 191 2
Antichi s uperiori : D. Bosco - D. Be lmonte -
D. Rua - Mons. Cagliero - D. Bon etti -
D. Albera - Mons. Lasagna - D. Lemoyne -
D. Du ra nd o - D . Ce rruti - D. Sala -
D. Lazzero - D. Barberis - D. Minguzzi

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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- Nizza Mare. La prima Casa di Francia (1875) - D. Albera fra Superiori ed Alunn i
- Genova Sampierdarena. L'antico campani le di S. Gaetano tra il vecchi o e nuovo comp lesso
dell'Opera Salesian a

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- La prima Casa di Vienna con Don Albera - D. Ricaldone - D. Hlond , il futuro Cardinale
Primate di Polonia - l'Ispettore D. Tirone - Giovani aspiranti e novizi
- La Casa di Liegi (Belgio) - Al centro Don Albera e l' Abate Pothier - A sinistra:
D. Merten s - 4° D. Scaloni - fra i dirigenti salesian i

11.3 Page 103

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- Don Albera fra diri genti e giovani della Casa di Farnoborough (Inghilterra)
- Messi co - D. Albera co n D. Grandis e D. Gusm ano fra dirigenti e giovani

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Brasile - Don Albera in visita fra le Missioni del Matogrosso con D. Gusmano e
primi missionari
- Don Albe ra con capi Bororos fra D. Mala n e D. Balzola

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- Pagine di un quadernetto del prof. Costanzo Rin audo con descri zione della passeggiata
autunn ale del 1861 - ( 17 giorni per lo più a pi edi con banda e filodrammatica, per Chieri -
Becchi - paesi del Monferrato)

11.6 Page 106

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- Mo,ges (Svi zzera) - L' ultima visita di Don Albera con l' Ispettore di Francia D. Beissière,
6 marzo 1921
- L'ultima messa di D. Albera all'Oratorio S. Pao lo d i Torino, 3 lu gli o 1921

11.7 Page 107

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torno a Don Albera un fulgore spirituale da molti ignorato».
Spigolando, cogliamo il proposito pel mese di S. Giuseppe:
« Mi propongo di imitare questo gran Santo nell'unione con
Dio... Lettura spirituale sull'unione con Gesù Cristo del P. Oli-
vaint: ciò che mi ha più colpito fu la paura che egli aveva di
non essere un vero Gesuita... ».
Gli pareva di essere facile alla dissipazione e di non applicarsi
abbastanza alla riflessione. Il 23 febbraio 1893: « Ho promesso
di fare solamente la volontà di Dio per mezzo dei miei superiori.
Gli altri nel loro cammino non incontrano soltanto rose... la
virtù e la pazienza degli altri mi devono servire di incoraggia-
mento ... ».
Il 9 marzo scrivendo alla signora Olive, che lo pregava del
suo parere riguardo al matrimonio della figlia Eugenia, rispon-
deva: « Voi siete in errore se credete che io possa esservi utile
nel grave affare del matrimonio... io non me ne intendo... Abbiate
fiducia in Maria Ausiliatrice e nel nostro buon Padre (Don Bo-
sco): essi non permetteranno che una delle signorine Olive non
sia felice quanto può esserlo nel matrimonio». Eppure era sta-
to il suo direttore spirituale e conosceva bene tutta la famiglia.
Prudenza dei sacerdoti santi che si fidano molto di più dell'aiuto
della Vergine e dei Santi ed ottengono con la preghiera quello
che non saprebbero prestare essi stessi in casi delicati.
Gran gioia per lui la consacrazione episcopale di Mons. Luigi
Lasagna, avvenuta il 12 marzo nella Basilica del Sacro Cuore
in Roma. Festeggiato al ritorno anche nel Collegio di Borgo S.
Martino (dove aveva avuto professore Don Albera), il Vescovo
gli scriveva che l'omaggio più gradito era stato la presentazione
del1a pagina del registro scolastico che riportava il successo della
sua licenza ginnasiale col nome del professore e dei condiscepoli.
All'Oratorio di Torino si fece anche un'accademia a Mons.
Lasagna, e Don Albera scrisse commosso : « Monsignore ha ri-
sposto ai complimenti con un bel discorso e con umiltà: ne sono
stato edificato ... ». Soggiungeva: « Mi sono sentito commosso nel
dargli l'addio: egli fa un gran sacrificio nell'andare in America
come vescovo, ed io sono incapace di sacrificarmi.. . ».
Incominciò la predicazione degli esercizi spirituali nelle case
di formazione a Foglizzo, Ivrea, Valsalice e San Benigno Cana-
vese proprio nel 1893: deplorava poca attitudine prima, e qual-
97
4 G. Favini

11.8 Page 108

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che soddisfazione poi, per la buona riuscita. Ma questa fu tale
negli altri, che quasi tutti gli anni seguenti, tolti quelli di visita
alle Missioni, venne abitualmente incaricato soprattutto dei corsi
per candidati agli Ordini sacri. E con qual frutto! ...
Egli era piuttosto rigoroso nell'ammettere agli Ordini sacri.
Gliene pervennero anche rimostranze. Ma in coscienza non si
senti mai di attenuare le esigenze per assicurare alla Congrega-
zione sacerdoti decisi e ben preparati. Qualche sorpresa fin dai
primi corsi lo indusse a perseverare in questo suo rigore. Tor-
nando nel 1894 da predicazioni in Francia, in Algeria e in Si-
cilia, dopo le ordinazioni del 22 giugno scrisse: « Saranno la con-
solazione della Pia Società? Ho lavorato per prepararli... Qual-
cuno, appena ordinato, mi ha domandato di essere dispensato
dalla recita del Breviario... Mi sono sentito cascare le braccia... ».
Avveniva qualche volta in passato che lo si faceva per appli-
carsi più intensamente allo studio, alla scuola o ad esami per
conseguimento di titoli d'insegnamento; mai per leggerezza o
per scarso apprezzamento o per libera interpretazione dell'onere
liturgico canonico.
E il pensiero corre a tempi ancora anteriori, quando un giorno
Don Barberis pregò Don Bosco a ritardare l'ordinazione ad alcuni
suddiaconi perché non avessero a perder tempo nella recita del
Breviario. Don Bosco: « Che dici mai - esclamò - Fa per-
der tempo la recita del Breviario?... Anzi ne fa guadagnare. I
chierici, recitandolo, compiono l'ufficio divino di pregare con tutta
la Chiesa; vi si istruiscono con la parola ispirata alla Sacra Scrit-
tura, con le lezioni dei Santi Padri, con le vite e gli esempi dei
Santi (allora); pregano con i salmi e i cantici del popolo di Dio
e con gli inni liturgici. Il Breviario procurerà a questi chierici
più cognizioni che non tanti libri e maestri e li ispirerà nell'in-
segnare ai loro allievi la scienza di Dio e del!'anima. Dunque
facciamo capir bene ai nostri chierici quanto sia importante l'or-
dine del Suddiaconato (ora soppresso) e il gran mezzo che avranno
nel Breviario per la loro istruzione religiosa e per la loro san-
tificazione. Vedrai che ne ricaveranno profitto sotto ogni aspetto! ...
Non è vero - soggiunse poi, rivolgendosi a Don Vespignani
che assisteva alla conversazione - non è vero che questo è il
più bel tesoro del chierico in sacris? » (M. B. Xl, 293 ).
Delle sue cautele, che talvolta parvero eccessive, qualcuno sof-
ferse pel prolungamento dell'attesa, ma in generale il tempo gli
98

11.9 Page 109

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diede ragione. D'altra parte valeva allora come oggi la grande
raccomandazione ai Vescovi : « Vai lento ad imporre le mani,
non aver fretta», che già faceva S. Paolo a Timoteo (1 lett.
V, 22). Per parte sua, Don Albera coglieva ogni occasione di
riflessione per tener all'erta la sua coscienza.
Alla morte del principe Don Augusto Czartoryski, egli pre-
siedette l'ufficio, cantò la Messa funebre; poi annotò nel suo dia-
rio: « Ho meditato un poco sul grande sacrificio che egli ha fatto
per essere salesiano: e tu? Quali sono i tuoi sacrifici per Dio e
per la salute delle anime? Pensa sovente alla morte. Il Principe
mi ha edificato molto per la sua semplicità: come faceva poco
caso del suo rango, della sua nobiltà (era erede del trono di Po-
lonia, esiliato). Quale lezione al tuo orgoglio! ».
Alla morte di Don Angelo Savio, il primo Economo della
Congregazione: « Un'altra occasione per riflettere su me stesso.
Mio Dio! La morte si appressa anche per me. Avrò fatto un po'
di bene? Sarò tranquillo in quel momento? ».
Qualche giorno dopo presenziò alla benedizione del sepol-
creto per i Salesiani nel cimitero principale di Torino e al tra-
sferimento della salma di Don Bonetti suo predecessore; ed egli
annotava: « Là vi è un loculo per me ».
Le scosse alla salute di cui in quel periodo soffriva gli davano
motivo a queste gravi riflessioni. All'inizio del 1894 fu colto
dall'influenza, sentl insorgere altri disturbi per cui dovette, anni
appresso, sottoporsi ad intervento chirurgico e non ne fu mai
completamente liberato; quindi si sentiva richiamare facilmente
il pensiero della fugacità della vita. Ma non per questo si dispen-
sava dagli impegni della vita comune e tanto meno dai doveri
di ufficio.
Che sentisse poi intimamente il distacco da Marsiglia, ne
abbiamo prova in una certa malinconia che sovente gli si no-
tava sul volto e negli appunti del diario: « Oggi ho meditato
sulla morte del cattivo prete: ne ho provato spavento. Mio Dio,
avrò io la disgrazia di trovarmi cosi male in quel terribile mo-
mento? Pregherò molto il buon Dio di preservarmene. Oggi
sento molta malinconia - siamo ancora al 6 maggio 1893 -
non ho respinto qualche pensiero di orgoglio che ne è stato la
causa. Ho pensato troppo a Marsiglia».
Ci doveva andare sulla fin del mese; ma prima si recò a Val-
salice ad invocare l'aiuto di Don Bosco per poter fare un po' di
99

11.10 Page 110

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bene. Per mortificarsi, arrivato a Marsiglia, non passò subito al-
l'Oratorio S. Leone, ma si diresse dove doveva, a Santa Mar-
gherita. Eppure scrisse: « Ho contentato un po' troppo il mio
cuore, ho sentito un po' troppo di gioia: l'affetto a questa casa
deve diventare più puro». Rivide con piacere il Vescovo che
presiedette la funzione per la benedizione del velo ad un'altra
figlia di casa Olive, presenti tutti i familiari. Alle suore fece
molta impressione una sua meditazione in cui non esitò ad affer-
mare che « è più giovevole all'anima la meditazione che la stessa
Comunione, perché vi sono anime che fanno la Comunione e
possono trovarsi in stato di peccato, mentre non si trova una
anima che faccia bene la sua meditazione e possa vivere in stato
di peccato mortale».
Tra un corso e l'altro di esercizi alle suore fece una capa-
tina al San Leone e poi visitò le varie case di Francia.
Passò una settimana delle vacanze estive a Rivalta Torinese
a mettere in bella copia le deliberazioni del Capitolo precedente;
poi a Torino stese una circolare ai salesiani per promuovere il
maggior frutto degli esercizi spirituali e cominciò a leggere le
conferenze del Cafasso, finché prese a predicare la prima muta
di esercizi per soli sacerdoti che fu di soddisfazione a tutti, e ne
fece desiderare altre per gli anni seguenti. Predicò pure agli or-
dinandi e riparti per la Francia.
Il 12 ottobre con Mons. Cagliero, Don Rua e Don Bar-
beris raggiungeva Londra per la consacrazione della chiesa del Sa-
cro Cuore. Sentl il bisogno di studiar meglio l'inglese; perciò
chiese a Don Federico Barni un catechismo in inglese, facendosi
aiutare a pronunciarlo correttamente. Nel ritorno sostò in Belgio
e poi a Lilla a predicare gli esercizi ai confratelli. Rientrato in
Italia con la pena della morte dell'abate Guiol, parroco e pri-
mo benefattore della casa di Marsiglia, eccolo di nuovo in viag-
gio per accompagnare Mons. Cagliero a Foglizzo, San Benigno,
Ivrea ove si trattennero col vescovo Mons. Richelmy. Don Al-
bera lo ricordava cosl : « Che bell'anima! Quale edificazione ve-
derlo cosl umile, cosl pio e nel tempo stesso cosl affezionato a
noi! ». Aveva offerto ai Salesiani gli ampi locali del santuario di
Piova per le vacanze dei chierici di Valsalice, mentre la mam-
ma donava tutta la sua tenuta alla periferia della città, che di-
venne nel 1922 l'Istituto Missionario Card. Cagliero.
100

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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Quasi tanto lavoro di ufficio e di ministero non fosse nulla,
nelle sue condizioni di salute, al termine dell'anno si giudicava
severamente: « Sono stato poco fedele alla mia vocazione. Ecco un
anno che avrei dovuto occupare meglio. Tutte le mie occupazioni
dovevano portarmi alla pietà, all'unione con Gesù Cristo. Tutto
quello che ho visto in quest'anno, soprattutto in Don Rua, era
fatto per edificarmi e incoraggiarmi... Qui, meno preoccupazioni
del materiale che assorbiva tutta l'energia del mio spirito: dun-
que avrei dovuto fare molto più progresso spirituale. Perché mai
non l'ho fatto? .. . Anche per la mia carica non son contento:
pavento troppo la sofferenza, non ho ancora interamente vinta
la mia timidità. Quanta tendenza a scoraggiarmi, a veder tutto
male ciò che faccio e (cosa inaudita) con tanto d'orgoglio! Qual
mistero è il mio povero cuore! .. . non è ancora veramente libero,
non uguale nelle sue affezioni: ha ancora troppe simpatie ed
antipatie... Miserere mei Deus! ... Non son contento di me stesso ».
Provvidenziali distrazioni a codeste analisi impietose di sé
stesso furono gli incarichi che Don Rua gli affidò negli anni
seguenti.
Appena convalescente dall'influenza del 1894, la visita alle
case di Francia e di Algeria predicando corsi di esercizi a sale-
siani e suore (qualcuno anche ai giovani) e, nel ritorno, alle
case di Sicilia.
La salute non ne beneficò e dovette poi sottoporsi a diverse
cure; ma nel settembre riprendeva già gli esercizi agli Ordi-
nandi. Ci metteva l'anima in queste predicazioni, conscio della
responsabilità di formare buoni sacerdoti.
Il 16 febbraio del 1895 parti con Don Rua e il marchese
di Villeneuve dal porto di Marsiglia per la Terra Santa, facendo
la prima sosta ad Alessandria d'Egitto.
Fin dal piroscafo cominciò a mandar relazioni del viaggio al
Prefetto Generale Don Belmonte, che le faceva pubblicare in
gran parte sul Bollettino.
Il bastimento non offriva molte comodità, ma dopo il terzo
giorno, il viaggio procedette calmo e confortante: « Noi siamo
come in famiglia - scriveva - e possiamo far bene le pratiche
di pietà insieme. Don Rua non perde un minuto e ha già scritto
un mucchio di lettere che imposteremo appena arrivati ad Ales-
sandria. Egli assicura di non aver mai potuto godere tanta tran-
quillità... Anzi volle perfino approfittare degli ultimi tre giorni
101

12.2 Page 112

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di navigazione per fare un po' di esercizi spirituali. Come sono
fortunato di poter fare tutti gli esercizi di pietà con lui! Ci assi-
stiamo vicendevolmente la Messa, diciamo insieme alle debite ore
il Breviario, facciamo insieme la meditazione e la lettura spiri-
tuale... e ci troviamo a sera che neppur ce ne avvediamo».
Ad Alessandria trovarono cordiale ospitalità dai Padri Gesuiti.
Il Delegato Apostolico ne approfittò per chiedere l'apertura ad
Alessandria di una Scuola Professionale Salesiana che fu poi por-
tata al più moderno sviluppo.
A Giaffa trovarono Don Carlo Gatti, benemerito direttore
e poi ispettore e apprezzatissimo cultore di lingua araba, che li
accompagnò alle case di Betlemme, Gerusalemme, Cremisan, Beit-
gemal. Ebbero la consolazione di celebrare sui luoghi santi, com-
preso il Santo Sepolcro, e dedicare a confratelli e giovani le cure
più affettuose.
Don Gatti poté aprire tutto il suo cuore a Don Albera anche
con la vivacità del suo temperamento, prospettandogli le varie
situazioni e si sentl cosl bene che continuò con lui la più cor-
diale corrispondenza. « Quante volte la confidenza in Don Albera
e nella sua bontà furono il mio conforto, la mia salvezza! Don
Albera possedeva l'intuito che manca a chi non è stato all'estero
per qualche tempo: capiva perché mi fossi dedicato allo studio
delle lingue e non me ne faceva un addebito, anzi mi incorag-
giava a servirmene per far del bene».
Frutto di questo studio a servizio degli altri resta il voca-
bolario arabo-italiano che Don Gatti lasciò quasi finito all'ora
del suo transito.
Nel ritorno Don Albera sostò in Francia a dettare gli eser-
cizi ai novizi; poi si trovò a Torino per la consacrazione epi-
scopale di Mons. Giacomo Costamagna.
Altri corsi alle Figlie di Maria Ausiliatrice lo richiamarono
in Francia nella seconda metà di luglio. Fece ancora una capa-
tina al noviziato di St. Pierre de Canon e rientrò in Italia pel
corso ai sacerdoti e il VII Capitolo Generale in cui, come pre-
sidente di Commissione, determinò le proposte « per rendere
l'istruzione religiosa nelle scuole salesiane sempre più rispondente
ai bisogni dei tempi ed ai doveri attuali di un giovane cattolico ».
Sarebbero di piena attualità anche ai nostri giorni le sagge
direttive, ben sostanziate e aderenti alla realtà, come le norme
del Manuale dei Direttori, che Don Rua gli affidò nel 1896 ed
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12.3 Page 113

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il Manuale delle pratiche di pietà, che Don Albera curo m se-
guito con tanta discrezione e squisito criterio ascetico. Don Al-
bera resta, anche per la storia, nella Società Salesiana, uno dei
più esperti maestri di ascetica se non il migliore. Fu un suo
carisma. Basta rileggere le sue pubblicazioni e i suoi appunti di
predicazione e di conferenze spirituali che offrirebbero un buon
tesoro di ortodossia conciliare e di salesianità: di autentico spi-
rito ecclesiale e salesiano.
Don Albera ringiovaniva ed arricchiva di anno in anno que-
sto suo carisma ascetico con una decina di predicazioni di eser-
cizi spirituali, in media, a salesiani e suore, e con particolare
predilezione a candidati al sacerdozio, accettando volentieri an-
che per giovani e giovinette di tanti istituti quando poteva. Se
si pensa poi che la sua salute era in continue oscillazioni con
notti insonni e affannose oppressioni pomeridiane, si comprende
anche più la sua tendenza al concentramento, alla riflessione ed
alla maturazione di forti pensieri. Non dimentichiamo il costante
aggiornamento della sua cultura in materie sacre e specialmente
in campo ascetico-pedagogico-religioso.
Fra l'una e l'altra di queste incombenze di formazione spiri-
tuale, era sempre in servizio nel suo ufficio, condividendo con
gli altri membri del Capitolo Superiore gioie e pene, ansietà, tre-
pidazioni e prove dell'intera Congregazione.
Un gran colpo per lui fu l'improvvisa notizia della tragica
morte di Mons. Luigi Lasagna, dei salesiani e delle suore che
erano con lui sul treno deviato (o fatto deviare?) a Juiz de
Fora nel novembre del 1895. Nell'orazione funebre che egli tenne
al funerale di trigesima nel santuario di Maria Ausiliatrice egli
effuse il dolore del suo cuore che lo aveva curato come pupilla
dell'occhio fin da adolescente nel collegio di Borgo S. Martino
(Alessandria). E lo si sente ancora vibrare nella biografia che
cominciò subito a stendere per incarico di Don Rua. Fu per lui
una vera « desolazione », scrisse nel diario. E nella biografia:
« Sulle prime non si voleva prestarvi fede. Quell'intrepido mis-
sionario che a passi di gigante percorreva l'America, seminando
istituti ed opere di religione e di civiltà; quel missionario che
non diceva mai basta, vagheggiando nella mente tanti altri mera-
vigliosi disegni per guadagnare anime a Dio, per salvare la gio-
ventù povera ed abbandonata; quel vescovo sul cui apostolato il
Vegliardo stesso del Vaticano (Leone XIII) aveva fondato tante
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belle speranze; quell'apostolo che era nella pienezza delle sue
forze e della sua operosità, sembrava non dovesse, non potesse
morire. Ma infine fu giocoforza riconoscere la realtà dell'immensa
sciagura... ». Quanti seguivano il dinamismo di Mons. Lasagna
non trovarono nulla di esagerato, né nella orazione né nella bio-
grafia. Il casto intenso affetto non aveva fatto velo al suo antico
insegnante.
Alla morte dell'eroico apostolo dei lebbrosi Don Michele Unia,
Don Albera non sofferse solo per la privazione di un missionario
di prim'ordine, ma per l'angustia di averne in qualche modo re-
sponsabilità. Leggiamo infatti nel diario: « Un altro lutto... Mio
Dio, che cos'è che vi dispiace in casa nostra? Aiutatemi a toglierlo!
Forse la mia freddezza, la mia indifferenza, l'amor proprio, che
attirano questi flagelli? .. . Ho promesso maggior generosità nel
rigettare tutto ciò che dispiace a Dio... ».
Scontento si sentì anche della predicazione degli esercizi agli
Ordinandi di quel Natale: « ... ho compreso come sia ancor ben
lontano dall'essere un buon direttore di esercizi. Voglio meglio
lavorarmi per rendermi idoneo ad un ufficio così importante.. . ».
Ma Don Lodovico Costa, che era fra i candidati, ne uscì entu-
siasta (e non era uomo facile agli entusiasmi): « .. . ammirammo
oltre lo zelo nel dettare la lunga muta da solo, anche la cara
familiarità e piacevolezza con cui si trattenne con noi in quei
dieci giorni, facendo quanto faceva Don Bosco nei primi anni
dell'Oratorio coi suoi primi chierici. E con pena ed ammirazione
eravamo testimoni della serena disinvoltura, con cui dissimulava
i disagi del freddo, del vitto e della fatica (in quella misera casa
di Avigliana) mentre era attentissimo perché nulla venisse a man-
care a noi ».
Don Costa era stato assistente dei chierici a Foglizzo e a
Valsalice e ricordava pure l'impressione favorevole che faceva
sempre la parola « edificante, dotta, profonda del Catechista gene-
rale, che tutti ascoltavano con desiderio e visibile piacere. Tutti
unanimemente lodavano la densità dei concetti, la rara compe-
tenza e l'umiltà con cui rievocava chi l'aveva preceduto (Don
Bonetti), trovando osservazioni delicate e :finissime per metterne
in evidenza meriti e virtù» . Parecchi dei superiori commentavano
con simpatia le conferenze che Don Albera teneva alla comunità
e le conversazioni personali nelle udienze private.
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12.5 Page 115

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« Quel suo tratto finemente e squisitamente educato e gar-
bato, quella sua modestia e umiltà, non disgiunta da correttezza
e decoro signorile, imponevano rispetto mentre guadagnavano l'af-
fetto e la confidenza di quanti lo avvicinavano».
Nel correggere abusi ed inosservanze, nel richiamare qual-
che confratello al dovere, destava ammirazione e consenso anche
la sua energia che sorprendeva in lui, cosl fine e delicato, e si
giustificava fino all'evidenza da sé.
E la sua discrezione nelle visite alla casa di noviziato per
riguardo a Don Barberis, benemerito Maestro di noviziato dai
tempi di Don Bosco? « Siete tanto buoni - rispondeva ai no-
vizi che desideravano vederlo più spesso - ed avete tanti buoni
superiori: che cosa vengo a fare io? ». E persuadeva con un bel
sorriso.
Ma egli non si appagava mai dell'anima sua. Quasi spietato
nella pagina di fine d'anno 1895: « Il 1895 si getta nell'eter-
nità. Per me è stato ricco di gioie e di dolori. Ho potuto rive-
dere la casa di Marsiglia, dove ho lasciato in gran parte il mio
cuore. Di là sono andato in Terra Santa e sono stato edificato
dalla compagnia di Don Rua. Quale pietà, quale spirito di sacri-
ficio e di mortificazione! Quale zelo per la salute delle anime e
soprattutto quale uguaglianza di umore! ... Ho veduto Betlemme...
quali dolci ricordi! Ho potuto prender parte al Congresso di Bo-
logna (il primo grande Congresso dei Cooperatori Salesiani a rag-
gio internazionale, di cui egli rivide anche gli "Atti" per la stam-
pa). Ne conservo un ricordo inobliabile. Ho potuto predicare eser-
cizi... Ho scritto qualche pagina su Mons. Lasagna... Ma anche
l'anno 1895 finl senza che mi sia corretto dei miei difetti più
gravi. Il mio orgoglio è tuttora al più alto grado. Il mio carat-
tere è tuttora difficile anche con lo stesso Don Rua. La mia pietà
è sempre superficiale e non esercita una grande influenza sulla
condotta, sulle mie azioni che sono tutte ancora umane (non so-
prannaturalizzate) e indegne di un religioso. La mia carità è capric-
ciosa e piena di parzialità. Non sono mortificato negli occhi, nel
gusto, nelle parole... (Si risente il rigorismo delle più esigenti
scuole francesi). Le malattie sono assai aumentate (e questo spie-
ga il pessimismo nella sua autocritica). Potrei morire da un mo-
mento all'altro, nello stato in cui sono: non è un'idea; è la realtà,
e ne sono consapevole. Non lo sanno (gli altri superiori), non
lo sospettano; ma è cosl. Voglio mettermi a viver megliQ per
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morir meglio. Mi ricordo di aver diretto i miei confratelli che
si sono offerti per mezzo di voti come "Schiavi di Maria". Mi
hanno edificato col loro zelo, con la loro devozione. Il loro san-
gue ha suggellato il loro impegno, ed io che ho avuto l'aria di
essere il loro maestro e direttore in tutto questo, mentre non
sono nulla, non sento affetto per Maria, Madre mia, non per-
mettete che io abbia l'onta di riconoscermi inferiore in virtù! ...
Datemi un grande amore per voi. Domina mea, numquam quie-
scam, donec obtinuero verum amorem erga te... ».
All'inizio del 1896 propose quindi: « ... Voglio a tutti i costi
progredire nella pietà, nell'umiltà e nello spirito di sacrificio ».
Andò a visitare il fratello P . Telesforo, francescano, e sentl una
grande attrattiva della pace del convento. Era la salute che peggio-
rava. Se ne aperse finalmente con Don Rua e si rasserenò fino a
sostenere in pace il verdetto del medico: « Bisogna rassegnarsi:
non posso più fare come per il passato: è inutile tentare una
operazione ... ».
Prosegul il suo servizio, celando agli altri i dolori che conti-
nuavano a torturarlo giorno e notte, pregando: « Iddio mi ac-
cordi la grazia di soffrire volentieri e senza cessare dal lavoro ».
A Valsalice aveva l'esempio del ven. Don Andrea Beltrami.
Verso il IX Capitolo Generale
Come se nulla fosse, continuò a prodigarsi in predicazioni
in Italia e in Francia, prestandosi anche a sostituire il direttore
della casa di Foglizzo, finché questi non superò una malattia di
stagione nell'inverno rigidissimo del 1897, preoccupandosi solo
della comunità e specialmente dei giovani chierici. Passò quasi
tutto il mese di maggio in Francia, ma la sua salute n'ebbe ben
poco vantaggio, ed al ritorno lo stesso Don Rua lo consigliò a
lasciarsi operare. Subl l'intervento il 3 giugno a Chieri con esito
tanto soddisfacente da poter riprendere in luglio la via della Fran-
cia a confortare un infermo molto sofferente. Vi fece ritorno in
ottobre per gli esercizi ai salesiani e alle suore, esortando le
une e gli altri a infervorarsi di buona volontà per evitare il
peccato, corrispondere più generosamente alle grazie di Dio, pro-
gredire seriamente nella perfezione, e servire meglio la Congre-
gazione, praticandone lo spirito e prendendo a cuore gli inte-
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12.7 Page 117

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ressi di questa cara madre nel lavorare con zelo alla salute delle
anime.
Questi impegni se li appuntò poi per sé nel suo diario, sti-
molandosi con l'esempio di Don Rua che sosteneva quotidiana-
mente il « noioso » lavoro di ufficio sbrigando cumuli di corri-
spondenza e dando innumerevoli udienze. L'aggettivo «noioso»
conferma quanto a lui ripugnasse il servizio di ufficio.. Tanto è
vero che si accusa di cogliere volentieri le occasioni di evasione
per il sacro ministero. Particolarmente cara gli fu la partecipazione
alle feste pel giubileo di argento della Casa di Sampierdarena
dove ebbe dimostrazioni di affettuosa riconoscenza da exallievi,
autorità e benefattori, e immenso conforto in casa nella fiori-
tura dell'Opera che aveva formato oltre 5000 giovani e dato alla
Chiesa e alla Congregazione più di 300 sacerdoti. In novembre
fu ancora in Francia a benedire a nome di Don Rua la nuova
cappella delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Etequac. E chiu-
deva l'anno 1897 predicando gli esercizi agli Ordinandi ad Avi-
gliana. « Che bei giorni furono per noi! - scrisse uno degli eser-
citandi, Don Terrone - Don Albera presiedeva, predicava tre
volte al giorno, passava con noi tutte le ricreazioni trattandoci
con grande affabilità e rallegrandoci col racconto di piacevoli
aneddoti per lo più di vita salesiana. Era un inverno rigidissimo,
ma non si poteva pensare a riscaldamento: Don Albera ne aveva
pena per noi, ci commiserava, ci interrogava se eravamo suffi-
cientemente coperti, se abbisognavamo di qualche cosa, proprio
come farebbe la più tenera delle madri. Durante un'istruzione
pomeridiana si verificò in tutti noi una tendenza invincibile al
sonno: parecchi si eran già appisolati, quasi tutti gli altri son-
necchiavano. La predicazione di Don Albera, preparata, elevata,
sempre densa di pensiero, talora riusciva pesante per mancanza
di forma retorica. Forse per questa ragione o perché il discorso
fosse più lungo, o perché noi, costretti a difenderci dal freddo
intenso, ce ne stavamo imbacuccati nel mantello, fatto è che le
cose erano nelle condizioni descritte. Don Albera non tardò ad
accorgersene e, dopo aver fatto una pausa discreta, se ne lagnò
dolcemente: "Fa pena assai vedere che tutti dormono. So che
siete molto stanchi, che il freddo è intenso e che le mie noiose
prediche conciliano egregiamente il sonno; tuttavia devo pregarvi
a fare un po' di sforzo per rimanere svegli". Naturalmente, tutti
reagirono. Nella ricreazione successiva Don Albera fu il primo
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12.8 Page 118

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a ricordare l'incidente e a riderci saporitamente, ma nessuno si
lasciò più vincere dal sonno... Egli voleva che fossimo trattati
bene senza contravvenire alla povertà religiosa; perciò dava or-
dini e sorvegliava che tutto riuscisse bene».
Nel suo diario però non vi è cenno dell'episodio, mentre tutti
i momenti egli appunta i buoni esempi che gli diedero edifica-
zione - e ne trova dappertutto e da tutti - per umiliare se
stesso e mettere in rilievo le sue fragilità. Questo, si direbbe,
spiega la sua severità con se stesso: umiliarsi, umiliarsi, umi-
liarsi... magari esagerando; dagli altri cogliere ogni sorta di bene,
anche quando fosse piuttosto appare~te... Ci limitiamo a malin-
cuore a spigolare. Al ritorno dalla visita ai noviziati: « Queste
visite ai vari noviziati fanno del bene anche a me. Lo slancio
di pietà e lo spirito di sacrificio di questi novizi mi impressiona
santamente. Ed io, che dovrei essere il loro maestro, che sono
mai paragonandomi ad essi? »... « Per il nuovo anno vorrei otte-
nere da Maria Ausiliatrice più coraggio ed energia... Mio Dio,
come sopportate voi un servitore sl stupido (sic!), sl negligente?
Ho onta di parlare agli altri dello zelo per salvare le anime, io
che passo la mia vita senza far nulla per la salute delle anime.
Dunque, Maria, mia buona e dolce Mamma, donami un po' di
zelo ».
Godeva quando poteva prestarsi per il ministero delle Con-
fessioni perché ne traeva sempre impulso a migliorare se stesso:
« Quanto mi fa bene confessare! ... Oh! se almeno mi rendessi
capace di compiere un po' meglio il mio ministero sacerdotale...
conosco cosi poco la dignità del prete... e sono cosl lontano
dal possederne le virtù! ». Don Rua invece, al corrente del bene
che faceva nella guida spirituale delle anime, alle fine di mag-
gio del 1898 gli affidò il suo stesso confessionale nel santuario
di Maria Ausiliatrice. Confratelli e giovani ne approfittavano
volentieri.
Delegato da Don Rua a far parte del Comitato organizzativo
del Congresso Mariano che la Diocesi di Torino promuoveva per
l'incremento della vera divozione alla Madonna, a raggio nazio-
nale, trovò occasione di umiliarsi della sua « freddezza - scrisse
- e indifferenza verso la Madonna » sentendo « cose tanto utili
per incoraggiarci ad amare e a fare amare questa buona Madre.
Quando sarà che anch'io amerò la Santa Vergine con tutto il
cuore, come tanti preti e semplici fedeli? ... ».
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12.9 Page 119

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Però, all'avvicinarsi del IX Capitolo Generale e delle elezioni
dei membri del Capitolo Superiore, pur affermando di non desi-
derare alcuna carica, dovette ammettere nel suo diario: « Non
desidero nessuna carica... Non trovo da rimproverarmi, fuorché
una certa mancanza di energia e di iniziativa. Il rigore per le
ordinazioni credo doverlo usare ognora, se i confratelli crede-
ranno bene di eleggermi ancora Catechista». Fu rieletto con due-
cento voti: un plebiscito.
Purtroppo i suoi dolori allo stomaco ripresero lancinanti tan-
to che, dopo l'inaugurazione del monumento a Don Bosco a
Castelnuovo d'Asti, Don Rua lo rimandò in Francia a riposare a
Santa Margherita e ve lo fece rimanere fin quasi a Natale, quando
le Figlie di Maria Ausiliatrice l'assicurarono di un vero miglio-
ramento. Don Albera ne approfittò per fare otto giorni di eser-
cizi spirituali e tornò deciso anche a maggiori sforzi ascetici,
mentre riprendeva a stendere la biografia di Mons. Lasagna e
a predicare esercizi ai salesiani e alle suore. L'impegno di que-
ste predicazioni gli impedl di accorrere ai funerali del sig. Olive;
dovette limitarsi a consolare la signora e i figli per iscritto. Nel
ritorno dal corso di Foglizzo, il 5 ottobre 1899, fu villanamente
insultato per istrada a Torino da giovinastri esaltati, in una delle
periodiche ondate anticlericali del tempo, con vomiti di bestem-
mie e di ingiurie oscene.
Altre ingiurie raccolse nell'esorcizzare una povera ossessa di
cui l'aveva incaricato Don Rua poco dopo. Ma non ebbe mi-
glior esito nemmanco il santo superiore. In compenso, col finir
dell'anno, finiva anche la stesura della vita di Mons. Lasagna.
Ringraziandone il Signore, scriveva nel suo diario: « Riconosco
che è facile criticare (prove per le quali anche il dinamico ve-
scovo tanto benemerito era passato), ma è difficile far meglio
degli altri ».
Il 1900 spuntò con un'alba spirituale splendida nel fervore
della consacrazione del mondo cattolico al Cuore Sacratissimo di
Gesù indetta da Papa Leone XIII. Don Albera ebbe il suo da
fare per promuovere e partecipare alle pie manifestazioni che
si compivano nelle varie diocesi ove esistevano case salesiane che
concorrevano con lo slancio dei giovani, soprattutto di quelli in
corsi di formazione religiosa e sacerdotale. Ma era anche il XXV
delle Missioni Salesiane.
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12.10 Page 120

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XXV delle Missioni Salesiane • Visitatore delle Case d'America
I Salesiani d'America desideravano Don Rua alla celebrazione
del Giubileo d'argento delle Missioni. Ed era ben comprensi-
bile. Non si trattava semplicemente di manifestazioni di sale-
sianità. La Congregazione aveva ormai il suo bel credito e fioc-
cavano le domande di Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice non
solo nelle repubbliche e stati del Sudamerica, una anche del cen-
tro e del nord.
Era una consolazione che Salesiani e Suore ben meritavano.
Fra i Cooperatori e gli Exallievi era un vivissimo desiderio di
aver fra loro, almeno per qualche mese, il successore di Don
Bosco. Ed anche i giovani accarezzavano la visita come un bel
sogno. Non diciamo delle autorità ecclesiastiche e statali alle quali
l'eco della santità di Don Rua giungeva e ne potevano sentire il
riflesso nella vita, nell'attività e nell'eroismo di tanti missionari.
Don Rua l'annunciò ai Cooperatori con la lettera circolare di
capodanno, come anno di ringraziamento a Dio per tutte le bene-
dizioni date in quei cinque lustri ai Salesiani ed alle Figlie di
Maria Ausiliatrice. Li invitava ad associarsi spiritualmente, ma
senza far cenno ad alcuna prospettiva di una sua andata in America.
Dall'America, invece, era giunta a Papa Leone XIII una peti-
zione collettiva perché inducesse Don Rua ad accondiscendere
alle vive istanze dei missionari.
Leone XIII mandò al Rettor Maggiore, con una lettera del
Segretario di Stato Card. Rampolla, i suoi rallegramenti e la sua
benedizione, ma eluse la loro supplica, non aggiungendo alcuna
esortazione in proposito.
Allora Don Rua pensò a mandare un suo rappresentante o
in Don Barberis o in Don Giovanni Marenco. Sennonché il primo
si ammalò ed il secondo fu dovuto mandare a Roma come Pro-
curatore generale in sostituzione di Don Cesare Cagliero dece-
duto per tifo il 31 ottobre 1899. E il Rettor Maggiore designò
Don Albera (Boll. Sal., nov. 1900, pag. 303 ), proprio nella no-
vena di Pentecoste.
Lasciando l'Oratorio pel « nuovo mondo » tanto Don Albera,
quanto, qualche giorno appresso, il suo segretario Don Calogero
Gusmano, versarono più di una lagrima; ma si capì presto che
Don Rua era stato ispirato dallo Spirito Santo nella scelta. Men-
tre Don Gusmano andava ad imbarcarsi a Genova col eh. Ber-
110

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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nasconi, Don Albera prese il treno per Marsiglia diretto a Bar-
cellona per presiedere il primo Capitolo lspettoriale dei Sale-
siani, che riusd molto bene.
Nella breve sosta a Marsiglia gli venne presentata una suora
che andava in consunzione ed era ormai rassegnata alla morte.
La buona suor Mourier sarebbe andata subito volentieri in
Paradiso, ma la superiora le aveva imposto per obbedienza di
chiedere al Signore la guarigione.
Don Albera la incoraggiò: « Ebbene, suor Maria, abbiate
fiducia. Ora vi darò la benedizione di Maria Ausiliatrice... Voi
non morrete di questa malattia, vi rimetterete e lavorerete per
qualche anno ; poi farete un'altra malattia più grave dopo la
quale lavorerete ancora; ma avrete sempre da soffrire... ».
All'istante cessarono le emotisi; l'indomani la suora ripren-
deva il lavoro e molti anni dopo poteva dare questa testimonianza.
Giunto il segretario, Don Albera si imbarcò con lui e proce-
dettero insieme per Montevideo, servendosi la Messa a vicenda
ogni domenica sopra coperta per tutti i passeggeri; le altre pra-
tiche di pietà le facevano insieme.
Il comandante non tardò a capire il valore del sacerdote,
venerando anche all'aspetto, e fu ben lieto che il maestro di ca-
mera si affrettasse a fargli mutare cabina, assegnandogli la mi-
gliore della nave.
Allo sbarco, con l'ispettore Don Gamba, direttori e confratelli,
trovò anche Mons. Fagnano, di passaggio in Uruguay.
Presentato dai giornali non solo come rappresentante di
Don Rua, ma come biografo di Mons. Lasagna, ebbe cordiali
dimostrazioni anche da autorità, cooperatori salesiani e benefat.'
tori; fece visita a Villa Colon, residenza ordinaria di Mons. La-
sagna, al noviziato di Las Piedras e ad altre case più vicine.
I novizi, egregiamente formati da Don Gugliemo Piani, par-
lavano correntemente anche l'italiano, sicché i cuori giungevano
alla sintonia perfetta ed era gran gioia per tutti.
Telegrammi dei direttori delle case dell'Uruguay e dell'Ar-
gentina gli recarono il benvenuto, in grande attesa da tutte le
case e missioni; salesiani e giovani lo salutavano col Benedic-
tus qui venit in nomine Domini, e ringraziavano il Signore col
canto del « Te Deum ». Il vescovo Mons. Soler lo accolse a brac-
cia aperte. La sosta acul il desiderio della visita ufficiale.
111

13.2 Page 122

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Al pranzo di addio a Montevideo fu invitato anche il grande
poeta uruguayano dott. Zorilla di San Martin. L'accompagna-
mento alla nave per Buenos Aires risuonò di fervidi arrivederci.
Alla capitale argentina erano ad attenderlo allo sbarco tutti
gli alunni del collegio Santa Caterina, con l'Ispettore Don Giu-
seppe Vespignani, molti direttori e i salesiani di cinque case
della città. Condussero il visitatore a celebrare la S. Messa nella
prima chiesa offerta nel 1875 ai salesiani Mater misericordiae
e di là al gran collegio S. Carlo che accoglieva già oltre 500 gio-
vani fra artigiani e studenti. Accoglienze entusiaste con banda,
evviva e canti, che si ripeterono poi in ogni casa, man mano che
Don Albera passava a visitarle. Ci dovremo limitare al rilievo
di qualche particolarità.
Il « mondo salesiano » accorreva ai ricevimenti, alle acca-
demie e rappresentazioni; Vescovi, autorità civili e statali, fino
alle supreme, rendevano omaggio al rappresentante del succes-
sore di Don Bosco e ne riportavano un senso di venerazione che
esprimevano con acclamazioni sincere e cordiali: « Che uomo
di Dio! ».
Egli rispondeva con quel garbo che lo distingueva, cattivan-
dosi i cuori al primo incontro, felicissimo nelle sue allocuzioni
e perfino nelle improvvisazioni.
Alle sacre funzioni non solo presiedeva, ma incantava con
la sua pietà e andava dritto al cuore sia che parlasse ai gio-
vani e al popolo, sia ad anime religiose e consacrate, in ambiente
di famiglia, in solenni celebrazioni e manifestazioni.
Si prestava senza risparmio in udienze e pel sacro ministero
delle Confessioni, celando disturbi, incomodi e disagi.
Confratelli, suore, giovani, anime ansiose di conforto spiri-
tuale gli si aprivano con confidenza e ne traevano tanta conso-
lazione, orientamenti di vita, fervore e dedizione generosa. Fin
dai primi incontri Don Gusmano scrisse a Don Rua le impres-
sioni delle comunità: « Ho ammirato una grande omogeneità nel
personale, vera carità gli uni verso gli altri: preti, chierici, coa-
diutori si trattano da veri fratelli, si aiutano e si stimano for-
tunati quando possono scambiarsi dei servizi. Non è che tutta
l'America sia così e che qui i salesiani non abbiano pure le
loro miserie; scompaiono però di fronte al gran bene che ope-
rano ... ».
Don Albera non fa mistero di speciale predilezione per gli
112

13.3 Page 123

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alunni art1g1ani: ancora chierico era stato addetto agli artigiani;
a Sampierdarena e a Marsiglia aveva sempre a~uto da fare con
artigiani e a Valdocco al ritorno da Mirabello e Borgo San Mar-
tino fino all'andata a Sampierdarena, gli era stata affidata in modo
particolare la cura dei Coadiutori. Quasi sempre nei suoi di-
scorsi ricordava la Madonna, e le sue parole cadevano in buon
terreno perché i salesiani e le suore avevano diffuso la divozione
alla Vergine Immacolata e Ausiliatrice ovunque eran giunti con
qualche attività di apostolato, specialmente negli istituti e nelle
missioni. Il Collegio San Carlo della capitale riproduceva in modo
meraviglioso l'Oratorio di Torino-Valdocco, la Casa-madre. Cor-
reva spesso la voce che giustificava: « All'Oratorio si fa così... ».
Nelle relazioni del Bollettino Salesiano Don Gusmano docu-
mentava gli avvenimenti e descriveva splendidamente il loro
svolgimento.
Mons. Cagliero mandò Don Borghino a Buenos Aires a por-
tare il suo saluto e l'omaggio del Vicariato Apostolico.
In una delle prime celebrazioni dalle Figlie di Maria Ausi-
liatrice, Don Albera si congratulò del loro spirito salesiano:
« Finché voi amerete Don Bosco, finché voi sarete attaccate al-
lo spirito di lui e del suo successore che tutto lo ha ereditato,
il vostro Istituto progredirà. Parlate sempre di Don Bosco, por-
tate alta la bandiera che egli vi ha dato, nelle cui pieghe sta
scritto "Riconoscenza e amore": riconoscenza e amore a Dio, a
Maria, all'Istituto, a Don Rua che instancabile continua la vita di
sacrificio, di amore, di carità di Don Bosco. Don Bosco, oh! co-
me questo nome deve risuonare caro sulle labbra e nel cuore di
noi suoi figli! ... Anche voi mie buone giovinette - proseguì ri-
volto alle alunne - che senza di lui forse non avreste mai rice-
vuto tanto bene alle anime vostre» (Boll. Sal., gennaio 1901).
In attesa dei festeggiamenti, dopo aver visitato le case della
capitale e delle adiacenze, fece una corsa in Patagonia a salu-
tare Mons. Cagliero, visitando le case del Vicariato Apostolico.
Ebbe le prime solenni accoglienze a Bahia Blanca dove costituì
la Unione Exallievi che si stringevano attorno a lui con la confi-
denza e familiarità dei giovani e ascoltavano avidamente la sua
parola.
Per raggiungere Patag6nes provò le delizie della diligenza pri-
mitiva tirata da sedici cavalli (una delle famose galére dei tempi)
che batteva strada e campagna fra traballamenti e scossoni da
113

13.4 Page 124

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provare anche i nervi più robusti e fìni in una laguna, donde ci
vollero ore ed ore per trarla a riva, mentre i viaggiatori veni-
vano trasbordati su una barchetta. Don Albera divise coi condu-
centi le provviste di cibo che il segretario portava provviden-
zialmente abbondanti in previsione di ogni sorpresa.
Possiamo immaginare le feste di Mons. Cagliero, dei sale-
siani e delle suore, anche se la relazione mandata da Don Gu-
smano a Don Rua andò smarrita.
A Buenos Aires pel II Congresso dei Cooperatori Salesiani
Vescovo e visitatore tornarono insieme a Buenos Aires con
rappresentanze pel secondo Congresso Salesiano incastonato nel
programma a chiusura delle celebrazioni giubilari.
Le funzioni religiose si svolsero nella Cattedrale, aperte dal
primo pontificale del nuovo Arcivescovo cui il Nunzio Aposto-
lico impose il Sacro Pallio in nome del Santo Padre. Partecipa-
rono altri due arcivescovi e sei vescovi e aderl tutto l'episcopato
sudamericano. Giunse a tempo anche Mons. Costamagna dal-
l'altro versante della Cordigliera, cavandosela ancora bene da
un pauroso incidente nella traversata. Le scuole di canto di Las
Piedras, Berna! e San Carlos eseguirono egregiamente il pro-
gramma liturgico musicale. In successivi pontificali, interessantis-
simo il discorso di Mons. Cagliero che fece risalire l'origine delle
missioni al 1854, quando Don Bosco gli predisse la guarigione
dalla grave malattia e il suo avvenire. La lettera del Card. Ram-
polla con la benedizione del Santo Padre Leone XIII aveva toc-
canti espressioni non solo per i missionari ma anche per tutti i
Cooperatori ai quali il Papa indicava le grandi linee dell'apo-
stolato nello spirito di Don Bosco richiesto dai tempi.
Oltre alle folte e qualificate rappresentanze dell'Uruguay die-
dero al Congresso carattere internazionale, quasi prosecuzione del
primo Congresso del 1895 a Bologna, rappresentanze del Brasile,
del Cile e della Bolivia. Fecero splendido servizio le bande musi-
cali del collegio S. Carlos, dell'Oratorio di San Francesco di
Sales, quelle di Montevideo, di Rosario e di Viedma di Patago-
nia formata in parte da autentici simpaticissimi indietti. Oratori
di alta fama trattarono i temi principali al Congresso, che ebbe
degna sede nella gran sala del Club Cattolico, messa gentilmente
a disposizione. Salutato da cordiali scroscianti applausi il mes-
114

13.5 Page 125

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saggio di Don Rua. Il dott. avv. Emilio Lamarca presentò con
travolgente eloquenza Don Bosco e l'Opera sua. L'ispettore Don
Vespignani, la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani e l'urgenza
della cooperazione alle varie opere della Chiesa .e della Congre-
gazione. Gli altri distinti oratori trattarono degli Oratori festivi,
delle Scuole di Religione, dell'educazione della Gioventù ope-
raia, delle Scuole professionali ed agricole, delle Missioni, degli
Emigranti e dei loro problemi della stampa popolare e scolastica.
Concluse l'Arcivescovo di Montevideo Mons. Soler e Don Al-
bera fece i ringraziamenti a nome di Don Rua, aggiungendo i
suoi rallegramenti, incoraggiando alla cooperazione e raccoman-
dando di non meravigliarsi se Don Rua stendeva spesso la mano
per invocare soccorso. L'assemblea sorrise amabilmente, ma si
sciolse col proposito di un'unione sempre più stretta ai sale-
siani, ritenendo la circolare del successore di Don Bosco come
consegna e parola d'ordine pel programma annuale di apostolato.
Coronarono i festaggiamenti: un imponente pellegrinaggio dei
giovani guidato da Mons. Cagliero e un altro delle alunne delle
Figlie di Maria Ausiliatrice guidato da Mons. Costamagna al
Santuario della Madonna di Lujan, come già il 1° Congresso di
Bologna a quello della Beata Vergine di San Luca. Una gran-
diosa accademia si svolse nell'ampio cortile del S. Carlo aperta
dalla Marcia giubilare del maestro dell'Istituto, M.0 Barderi, il
quale cedette poi la direzione al M.0 Giuseppe Dogliani, man-
dato apposta da Don Rua a presentare la Passione del Perosi, la
Battaglia di Lepanto e il Saepe dum Christi del Cagliero. I pro-
fessori di orchestra e il coro di 150 voci mandò in visibilio tutto
l'uditorio. Don Albera avrebbe desiderato anche il segretario ge-
nerale Don Stefano Trione; ma questi, non possedendo bene la
lingua castellana, collaborò da Torino dando prima tutte le indi-
cazioni per la programmazione, l'organizzazione e lo svolgimento,
e sollecitando l'adesione di quasi tutto l'Episcopato italiano, sic-
ché tutto procedette magnificamente.
Nell'albo del Santuario di Lujan, dove intonò il Te Deum e
impartì la benedizione eucaristica finale, Don Albera lasciò scritto:
« Vorrei farmi anch'io tutto lingua, o Vergine di Lujan, per rin-
graziarti della tua veramente materna protezione ai miei confra-
telli di Argentina e della stupenda riuscita del Congresso dei
Cooperatori Salesiani. Deh, continua a sostenerci nella lotta con-
115

13.6 Page 126

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tro il peccato e non ci abbandonare finché potremo farti corona
con Don Bosco su nel bel Paradiso. 26 novembre 1900 ».
Chi desiderasse più ampi particolari potrebbe leggere la rela-
zione di Don Albera a Don Rua (Boli. Sal., febbraio 1901) o gli
Atti del Congresso.
Frutto concreto del Congresso fu la decisione di aprire un
Orfanotrofio maschile e uno femminile nel quartiere Palermo
ed un Oratorio in altra zona di periferia, fra le più bisognose,
depresse materialmente e spiritualmente, dove lavoravano già i pro-
testanti finanziati mensilmente dal Congresso Nazionale. L'ispet-
tore condusse Don Albera e Mons. Cagliero a vedere i terreni che
si prestavano veramente; si trattava -di trovare i fondi per costruire
e mantenere. La buona volontà non mancava, occorrevano mezzi
e personale.
Terminate le feste, Don Albera riprese le visite alle case, cele-
brando l'Immacolata a San Nicolas de los Arr6yos, fra immigrati
liguri ben sistemati e ormai proprietari di terre, che lo vollero
nelle loro casette, parlando in italiano.
Tornato a Buenos Aires, riprese la via dell'Uruguay e in tre
settimane trascorse per tutte le case dell'ispettoria, predicando,
confessando, parlando con tutti i confratelli e rendendosi conto
di ogni cosa, fino a tarda notte.
Questo, più o meno, il programma ordinario, confortato dalla
cordialità con cui gli animi si aprivano e si confidavano. Da
S. Nicolas aveva potuto scrivere a Don Grosso a Marsiglia: « Qui
mi sento quasi meglio, benché il genere di vita sia cosl diffe-
rente da quello dell'Europa. Sono quasi sempre in viaggio e non
ho tempo di scrivere... Sono sempre accompagnato dal mio segre-
tario che mi rende preziosi servizi: posso lasciarmi condurre da
lui ad occhi chiusi. I confratelli mi ricolmano delle più delicate
attenzioni... qualcuno di qui si è incaricato di far venire dei vini
dal Piemonte; ma io ne ho fatto regalo a Mons. Cagliero che li
gradl assai. Qui sono le stagioni che devono dirigermi: convien
passar l'estate nella Terra del Fuoco e l'inverno nel Brasile; il mio
viaggio al Cile dipenderà dalla traversata della Cordigliera, che è
impossibile nell'inverno a causa della neve».
Cosl fece. E Don Gusmano osservava nella sua relazione:
« La sua parola vien sempre opportuna quale l'ambiente e le
circostanze particolari la richiedono, riuscendo, come in una melo-
dia cara, l'ultima nota armoniosissima le cui vibrazioni oscillano
116

13.7 Page 127

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lente lente all'orecchie e nel cuore finché si perdono in un pen-
siero soave, in un proposito forte che migliora l'anima.
Ma la vibrazione nella emissione vocale talora prolungata e a
breve distanza stanca la sua fibra non molto robusta e lo costringe
al riposo che egli fa consistere in un cambiamento di occupa-
zione: riceve allora i confratelli, consiglia, anima, consola ... ».
Ecco descritto il servizio di Don Albera « visitatore » nelle
sue soste casa per casa, incontri, celebrazioni liturgiche, ricevi-
menti e accademie, esercizio del sacro ministero ovunque si pre-
sentasse l'occasione, conferenze alle comunità, associazioni, soprat-
tutto nelle case di formazione (aspirantati, noviziati, studentati,
ecc.) dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice per quasi
tre anni, da una repubblica all'altra dell'America. Ci dispense-
remo dal ripeterci.
Le minute interessanti relazioni di Don Gusmano documen-
tano anche i successi, i sacrifici e gli eroismi, ma questi ci por-
terebbero a fare un volumone a sé che troverebbe miglior sede
nella storia delle Missioni e dell'Opera salesiana in generale
nel sud e centro America. Qualche particolare, scegliendo dalla
cronaca.
Alla Boca, Don Bourlot aveva fatto a Don Albera la sorpresa
di brani di Messa in perfetto gregoriano dai ragazzi dell'Ora-
torio. Dopo la visita a Santa Catalina, in un pranzo fra benefat-
tori argentini, italiani e spagnoli, uno di questi, interrogato di
che nazione fosse, rispose: « Sono Cooperatore Salesiano».
A La Plata, Don Albera fece il suo primo discorso in castel-
lano, buona prova per quelli che tenne poi al Congresso e in se-
guito un po' dappertutto.
A proposito del Congresso Cooperatori, quando Don Albera
ritornò a Montevideo per la visita regolare alle case dell'Uru-
guay, trovò già una bella statua di Maria Ausiliatrice scolpita
in marmo a Lavagno, benedicente in cortile con la scritta su
lastra in ottone: « A Maria, in rendimento di grazie pel felice
esito del 2° Congresso dei Cooperatori Salesiani». L'impressione
che lasciò nell'Uruguay fu stagliata dal dott. Zorilla: « È Don
Bosco che passa».
Don Riccardo Pittini la riprese al termine degli esercizi a
Villa Colon ringraziando Don Albera per tutti i salesiani: « ... In
questi giorni il tuo volto, il tuo sorriso, la tua benedetta parola...
applicata alle nostre anime nel sacramento della confessione, ha
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13.8 Page 128

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lasciato in esse l'impronta di un padre che pur non si vedeva
con l'occhio materiale, ma che tutto palpitava in te, l'impronta
di Don Bosco... Ci parlasti di Don Rua e dei nostri fratelli d'Eu-
ropa che ci vogliono tanto bene, che pregano tanto per noi; io
credo, Padre, di non mentire assicurandoti che tutti i presenti,
che tutti i confratelli d'America fanno altrettanto... Tu non passi,
ma resti con noi anche quando sarai partito e varcherai le Ande
e visiterai i fratelli del Messico e risolcherai l'Oceano : il ringra-
ziamento e l'unica promessa che ti facciamo è che sempre e do-
vunque procureremo di non renderci indegni del ritratto e del
modello che ci hai donato» (Boli. Sal., settembre 1901).
Prima di varcare le Ande, Don Albera scese ancora a Buenos
Aires per presiedere il Capitolo Sud-Americano dei Direttori
salesiani: 44 Direttori, due Vescovi, quattro Ispettori. Lingua,
l'italiano, molto ben parlata anche dai confratelli d'America.
All'inizio di ogni seduta, lettura dei ricordi confidenziali di Don
Bosco. Nota caratteristica: piena apertura di cuore nello scam-
biarsi le esperienze di quei primi 25 anni di Missione per pro-
muovere sempre meglio la gloria di Dio, il bene delle anime,
la cura degli emigrati, l'educazione civile e cristiana della gio-
ventù. L'Internunzio apostolico Mons. Sabatucci, di passaggio,
confidò che il Santo Padre si sentiva tranquillo quando poteva
affidare una Missione ai salesiani, e a nome del Papa ringraziò
e benedisse tutti.
Il Capitolo si chiudeva con l'Ordinazione di 15 nuovi sacer-
doti che, con altri sei, avevano celebrato la prima Messa a mez-
zanotte dal 1900 al 1901, quando Don Rua consacrava al Sacro
Cuore di Gesù tutta la triplice Famiglia Salesiana.
Alla Terra del Fuoco e per gli altri Stati fino al Nord America
Due buoni anni ci vollero ancora perché Don Albera potesse
passare all'estremo sud, e dall'estremo sud risalire di repubblica
in repubblica fino al Nord America. L'itinerario segul quest'or-
dine: Terra del Fuoco - Mato Grosso - Brasile del Nord e del
Sud - per Montevideo al valico delle Ande - Cile - Perù - Boli-
via - Equatore - Colombia - fra i lebbrosi - Venezuela - Mes-
sico - Stati Uniti - Torino.
Per non interromperlo, pregò Don Rua di dispensarlo dalla
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13.9 Page 129

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partecipazione al IX Capitolo Generale che si doveva tenere nel
mese di settembre del 1901 a Torino.
E presentò perfino le sue dimissioni da Direttore Spirituale
della Società affinché Don Barberis, che durante la visita lo sup-
pliva nel suo ufficio a Torino potesse avere piena rappresen-
tanza con voce attiva e non solo passiva o consultiva nella grande
assemblea legislativa. Nella lettera di spiegazione a Don Rua, il
10 luglio, egli espresse anche la sua gioia perché il Rettor Mag-
giore avesse frattanto chiamato dalla Spagna l'ispettore Don Fi-
lippo Rinaldi a prendere il posto di Don Belmonte come Pre-
fetto Generale, non potendo lasciare vacante un ufficio così im-
portante per tanti mesi: « Sono veramente contento dell'elezione
di Don Filippo Rinaldi a Prefetto della Congregazione. Non si
poteva far miglior scelta. Io temevo che non lo si potesse sosti-
tuire in Spagna», scrisse letteralmente Don Albera, accettando
poi naturalmente che, nonostante le sue buone disposizioni di
rinuncia, i superiori avessero preferito ammettere Don Barberis
in semplice rappresentanza del titolare.
Ma torniamo al viaggio per la Terra del Fuoco. Sul piroscafo
Yorkshire poco pulito ma tanto robusto da sostenere una tre-
menda burrasca di tre giorni, prima dell'ingresso nello stretto di
Magellano. Il fatto pose in trepidazione i salesiani di Puntarenas in
ansiosa attesa. I passeggeri che solevano far spesso quel tragitto
dicevano di non aver mai visto una tempesta simile. Arriva-
rono con due giorni di ritardo, e le accoglienze furono più che
mai commoventi. Don Albera attribuiva carattere provvidenziale
anche a quell'incidente perché aveva potuto grazie al corag-
gioso intervento di una cugina del santo salesiano Don Ca-
millo Ortuzar, celebrare la S. Messa pei passeggeri, la domenica
di sessagesima.
La chiesa di Puntarenas, l'unico edificio in pietra voluto da
Mons. Fagnano dopo l'ultimo incendio di quella di legno, sor-
geva già bella come l'aveva architettata il salesiano Don Barnabé
e come l'avevano costruita valenti confratelli muratori. Quan-
tunque non ancora consacrata, Don Albera volle celebrarvi la
santa Messa a cui accorsero numerosi coloni inglesi, tedeschi,
francesi, austriaci, italiani, confusi con la scarsa popolazione ci-
lena, di cui era parroco Don Borgatello. La sera del 14 febbraio
proseguiva per l'isola Dawson su un piccolo vapore che ammas-
sava passeggeri e bestiame e giungeva alla baia Harros dove era
119

13.10 Page 130

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la Missione S. Raffaele con otto ore di ritardo, grazie a quin-
dici ore di un'altra spaventosa tempesta nel cuor della notte.
Don Albera pianse di commozione all'affettuosa accoglienza
degli Indi. La breve sosta passò in una sintonia di cuori ineffa-
bile specialmente alla santa Messa durante la quale egli parlò
proprio col cuore, intenerendosi al fervore della loro fede e del-
1'amore a Gesù Sacramentato, trasparente mentre si accostavano
all'Eucaristia.
Dall'isola Dawson Don Albera passò all'isola Grande per rag-
giungere la Missione della Candelara. Ma dovette di nuovo at-
traversare lo stretto di Magellano e piegare a destra, dando il
giro a quasi metà dell'isola, donde in 27 ore riusd a sbarcare
sull'isola Grande. Ventisette ore d'inferno! « Fu la prima volta
che il mare non ci lasciò dire la Messa - scrisse il segretario -
e, non contento, ci ha prostrati all'eccesso... Qui in America la
Quaresima quasi non esiste, ma viaggiando in quei mari si di-
giuna e ci si astiene dalle carni e si evita la promiscuità... lo
sa il mio stomaco che per trentasei ore non assaggiò nemmeno
l'acqua ... ».
Dallo sbarco occorsero ancora dieci chilometri a cavallo per
arrivare alla Candelara presso il capo Sunday. Ma la visione
di quel prodigio dei missionari e dell'audacia di Mons. Fagnano
confortò anche della seconda tempesta passata in mare, la più
terribile: a fianco della chiesa, il collegio dei Salesiani e quello
delle Figlie di Maria Ausiliatrice; tutt'intorno una sessantina di
case di Indi. Collegi e case risorti sulle ceneri di un violento in-
cendio che in poche ore aveva distrutto tutto insieme alla chiesa.
Se si pensa che per ogni importazione bisognava affrontare il peri-
colosissimo trasporto fra quelle ordinarie tempeste, ci si può fare
un'idea della fede, del coraggio e dei sacrifici sostenuti. Don Al-
bera doveva fermarsi pochi giorni perché Don Malan sarebbe
venuto incontro per accompagnarlo al Mato Grosso. Ma il vapore
dovette ritardare altri quindici giorni: Don Gusmano ne appro-
fittò per fare escursioni a cavallo. Don Albera, sofferente al freddo
intenso, si trattenne fra i cari indietti Alacalufes che gli si strin-
gevano attorno intrecciando dialoghi affettuosi e giocando con
lui, mentre offrivano poi spettacoli commoventi, coi loro parenti,
alle sacre funzioni.
L'amabilità di Don Albera e le cure di Mons. Fagnano, che
essi chiamavano il « Padre grande», aprivano i loro cuori a
120

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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filiale confidenza. In uno di quei giorni pellegrinarono al san-
tuario eretto al Santissimo Redentore sulla punta più alta della
Terra del Fuoco nel capo Sunday a ricordo della consacrazione al
Sacro Cuore fatta dal Papa Leone XIII al passare dal XIX al
XX secolo. Santuarietto modesto, ma per la Missione tanto caro.
Quando finalmente poté partire per Montevideo, vi giunse
troppo tardi: il vapore che pel rio Paraguay l'avrebbe dovuto
portare a Cuyaba, capitale del Mato Grosso, era già partito. Ma
egli non si turbò. Approfittò della sosta per visitare i collegi di
Mercedes e Paysandu prestandosi a confessare, la settimana santa,
fino a sette ore al giorno. Settimana che si svolge solennissima
a Paysandu, dove il collegio dei Salesiani e quello delle Figlie di
Maria Ausiliatrice educano centinaia di giovani, quasi tutti figli
di italiani, e la popolazione affolla la chiesa anche abitualmente.
Il giovedl santo, il visitatore impiegò lui solo più di mezz'ora
a distribuir Comunioni pur essendo aiutato da altri.
Le consolazioni spirituali furono turbate dalla triste notizia
inviata da Torino della morte di Don Belmonte, vicario di Don
Rua e già successore di Don Albera nella direzione della casa di
Sampierdarena. Don Albera la sentl vivissima e per l'affetto fra-
terno che lo stringeva al defunto e per la perdita che faceva la
Congregazione e per il dolore di Don Rua. Trovò sfogo e con-
forto solo nella preghiera intensa e prolungata per l'anima cara.
Con Don Malan e col suo segretario arrivò a Cuyaba alle
2,30 di notte del 7 maggio. Una barca elegante e tutta imban-
dierata lo prelevò dalla nave e lo portò alla spiaggia dove l'at-
tendevano oltre cinquecento fra ragazzi e ragazze dei collegi e
una folla di popolo entusiasta, al suono della banda salesiana
e di quella della marina che eseguirono la marcia reale e l'inno
nazionale. Un giovinetto della Compagnia di San Luigi gli diede
il benvenuto a nome degli alunni, del popolo e di tutto il Bra-
sile. Venne quindi accompagnato al collegio fra ali di popolo
plaudente, dove il Vescovo e il Presidente dello Stato, già rap-
presentati allo sbarco, si affrettarono a fargli visita, insieme ad
autorità, personalità e parlamentari che vedevano in lui il rap-
presentante del successore di Don Bosco e il biografo del com-
pianto Mons. Lasagna.
Al collegio, Don Albera poté far riposare le sue povere ossa
da notti passate su panche in vapori più mercantili che da
viaggiatori, prima di intraprendere la visita alle varie case. Nota
121

14.2 Page 132

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caratteristica generale in queste visite, che sottolineiamo una volta
per sempre, è la partecipazione delle autorità e popolazioni ai
ricevimenti, alle funzioni più solenni, agli addii, come se la
visita non riguardasse solo i Salesiani e le Figlie di Maria Ausi-
liatrice, l'andamento delle case e il funzionamento delle opere. Le
sentivano come un onore che il successore di Don Bosco faceva
a tutte le popolazioni. Frutto dello spirito di famiglia trasfuso
da Don Bosco che mette tutte le sue istituzioni a servizio comune
suscitando una grande cordialità di rapporti in mirabile simbiosi
sociale. Dovremmo sfogliare la corrispondenza personale di Don
Albera a Don Rua e ad altri superiori maggiori per cogliere l'in-
timità del fervore di vita religiosa, nella dinamica apostolica,
pedagogica e didattica, nell'attività evangelizzatrice. Ci limitiamo
a quella dell'intelligente e solerte segretario Don Calogero Gu-
smano al Bollettino Salesiano e alle pagine diligentemente rias-
suntive della biografia di Don Garneri.
In Brasile
I viaggi furono facilitati dal Ministro del Lavoro che favorl
a Don Albera e al segretario un biglietto gratuito di prima clas-
se pei percorsi in ferrovia e in nave. Al noviziato di Coxip6
ebbe la consolazione di accogliere la professione religiosa di sette
salesiani e di benedire l'abito per la vestizione di cinque aspi-
ranti. Altre quattro vestizioni benedisse nel noviziato delle Fi-
glie di Maria Ausiliatrice. A Corumbéz, fiorente esternato, gli
stessi superiori dormivano in reti sospese nelle scuole, non solo
pel caldo, ma anche perché mancavano camere da letto. Vera
sorpresa fu il comparire a Cuyaba di una Commissione di Indi
Bororos quasi completamente nudi (dieci uomini e tre donne)
per chiedere al Presidente dello Stato la liberazione dall'assogget-
tamento a militari e l'affidamento ai salesiani. Vennero ricoperti
alla meglio prima che ossequiassero Don Albera.
All'improvviso giunse l'invito a partire: il vaporino anticipava,
e non ne sarebbe passato altro per un buon mese da Cuyaba. Ma
i soci della Compagnia di S. Luigi (180 exallievi dai 18 ai 20
anni) che erano l'anima di tutte le manifestazioni cittadine, fe-
cero presto ad avvertire Don Albera che era fuori casa, ed aiu-
tare i superiori a organizzare un solenne addio al suono mesto
122

14.3 Page 133

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della banda, mentre il Presidente, il Generale comandante e le
autorità accorrevano alla stazione di imbarco per ossequiarlo.
In compenso, durante una sosta del vaporino per carico di
legna, Don Albera abbe occasione di battezzare quattro bim-
betti. Per raggiungere il porto di Santos e quindi la città di San
Paolo, dov'era atteso, Don Albera dovette tornare in Paraguay,
ripassare per l'Argentina e l'Uruguay onde prendere il largo sul-
l'oceano.
Sbarcato a Santos, entrò subito nella prima chiesa che in-
contrò e si raccolse in fervida preghiera, finché non giunse l'ispet-
tore Don Peretto a condurlo a San Paolo, ove l'attendeva una
accoglienza grandiosa e il benvenuto ufficiale a suon di banda,
da Salesiani e giovani con Mons. Neri ed altre personalità, dal più
illustre oratore l'avv. dott. Machado e dal senatore Duarte de
Azevedo, più volte Ministro di Giustizia. La visita alle case della
città ve lo trattenne da metà luglio a tutto agosto. Il Liceo Sa-
cro Cuore presentava già allora una massa di giovani e edifici
imponenti attorno al bel tempio del Sacro Cuore, capolavoro del-
1'architetto salesiano Coad. Delpiano, che il primo Direttore
Don Giordano aveva portato a imponente efficienza.
Il Presidente Federale lo ricevette con squisita cortesia ed il
Nunzio Apostolico lo volle a pranzo attestandogli la stima in cui
eran tenute le scuole salesiane.
Nel bel tempio del Sacro Cuore Don Albera cantò Messa
solenne la festa della Natività di Maria SS. e il 9 settembre partl
per Lorena lasciando a San Paolo Don Giordano per la festa degli
Exallievi che lo rivedevano dopo sette anni di assenza.
L'afa della stagione e il disagio di carrozzoni surriscaldati
furono compensati dalla gioia dei salesiani e dei giovani, delle suore
e delle loro alunne che con una folla di popolo eran ad attenderlo
alla stazione.
La casa ispettoriale ospitava allora anche il noviziato e la
sezione dei Figli di Maria (vocazioni adulte). Egli fu ben lieto
di predicare gli esercizi spirituali ai novizi che intendevano bene
la lingua italiana perché la studiavano volentieri come lingua di
Don Bosco.
La società tramviaria offrl un servizio speciale perché egli
potesse far visita ai collegi di Guarantingueta. Di là si recò a
Juiz de Fora rievocando il tragico viaggio di Mons. Lasagna e
volle pregare sul luogo dello scontro passando poi dai Padri Re-
123

14.4 Page 134

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dentoristi per ringraziare il P. Mattia che si era preso cura delle
salme delle vittime (il vescovo, un salesiano e una suora) men-
tre altri soccorrevano i feriti. Alla stazione di Enrique Hargreaves
attendeva il Coadiutore Domenico Minguzzi e un altro confra-
tello coi cavalli per condurlo alla scuola agraria di Ouro Preto,
donde prosegul poi per Cachoeira do Campo e Pontenova. Qui
egli tenne anche un corso di istruzioni particolari alle Normaliste
dell'unica scuola normale dello stato di Minas Gerais, che le
Figlie di Maria Ausiliatrice tenevano con gran cura e competenza.
Ad Araras l'arrivo di Don Albera fu festa cittadina: la popola-
zione, formata in gran maggioranza di veneti, andava in delirio;
tutti lo avrebbero voluto anche nelle proprie case.
Egli aderl volentieri al desiderio di costituire fra loro il Cir-
colo di Gioventù Cattolica, animandoli a un fervido aposto-
lato di vita cristiana e di mutua assistenza. A Campinas la società
tramviaria mise un convoglio a disposizione dei salesiani che por-
tarono alla stazione tutti gli alunni delle scuole professionali e
gli studenti, con la banda in testa. E così condussero Don Albera
attraverso tutta la città, attirando tanta gente con ottime ese-
cuzioni. L'Opera di Don Bosco non vi poteva fiorire più rapi-
damente e con migliori promesse : Don Albera non fece che
incoraggiare cooperatori e benefattori ad ampliare i locali. Ul-
tima sosta nel sud del Brasile fu a Nictheroy, la prima casa aperta
dai salesiani quando Don Cagliero coi primi missionari mise pie-
de in America.
Salesiani ed alunni avevano scritto a Don Rua per aver l'onore
della prima visita di Don Albera in terra brasiliana; ma la loro
lettera giunse a Torino quando egli era già in viaggio. Lo atte-
sero fino a notte inoltrata: la casa illuminata a luce elettrica fino
all'imponente monumento a Maria Ausiliatrice che dalla collina
splende come faro ai naviganti, slanciato per 38 metri da una
salda base di granito. Al benvenuto e alla marcia trionfale della
banda Don Albera rispose con poche ma tanto affettuose parole,
essendo l'ora tarda. Al mattino seguente fece coi quasi cinque-
cento giovani, la salita al monumento per 1200 metri di viale,
che venne battezzato « Passeggio Don Albera». Là segul la gra-
ziosa accademia alla Madonna e iniziò ufficialmente la visita
aprendo il suo cuore a tutti. Gli alunni solevano rendere quel-
1'omaggio a Maria ogni mattina prima di andare a scuola : pas-
seggiata igienica veramente, come la chiamavano i giovani, fìsi-
124

14.5 Page 135

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camente e spiritualmente. Di là indicarono la baia di Rio de Ja-
neiro: un incanto, che offerse a Don Albera lo spunto di buoni
pensieri pei salesiani e pei giovani. Nei giorni di permanenza a
Nictheroy lo rivide poi col segretario e l'ispettore per raggiun-
gere la funicolare di Petropolis ad ossequiare il Nunzio Apo-
stolico e il Vescovo diocesano.
Il 15 agosto ebbe la gioia spirituale di accogliere un nume-
roso pellegrinaggio di soci delle Conferenze di San Vincenzo de'
Paoli pei quali celebrò la Messa presso il monumento, distribuendo
circa trecento Comunioni. Nel fervorino ricordò i rapporti di
Don Bosco coi primi soci delle Conferenze e la cura con cui le
adattò e fece fiorire nei suoi Oratori. Una provvidenza fu, più
tardi, la visita del Ministro dei lavori pubblici che capl subito
l'importanza e il valore del monumento, e chiese al direttore il
permesso di far costruire un ascensore a conto dello stato per
favorire la salita a visitatori e pellegrini. Venne infatti costruito
celermente e continua a funzionare con vantaggio e soddisfazione
di tutti. Il 25 settembre (1901) l'ispettore delle case del nord, im-
paziente da vari giorni, riusd a strappare Don Albera a Nictheroy
per la sua ispettoria. Addio commovente, sotto una pioggia im-
placabile. Una povera barca lo traghettava in un mare in bur-
rasca per raggiungere la nave Bresil impiegando più di un'ora
per un tragitto da dieci minuti e minacciando ad ogni momento
di farli finir tutti in acqua. Momenti terribili! Giunsero alla nave
inzuppati da far pietà e di là salutarono i confratelli che ritor-
navano a Nictheroy col vaporetto di servizio.
Il secondo anno in America
Con le visite alle case del nord del Brasile Don Albera iniziò
il suo secondo anno di vita in largo senso missionaria, in America.
Il viaggio fu assai disturbato dal mare in burrasca che inondò
con ondate capricciose perfino le cabine col finestrino sul ponte.
La vista di Bahia, coi suoi numerosi campanili rallegrò tutti.
E l'accoglienza, al suono della banda dei cari allievi negri del
collegio salesiano aperto da poco inondò i cuori di commozione.
Al trattenimento di onore intervennero l'Arcivescovo, che colse
l'occasione per chiedere a Don Albera le dimissorie delle sacre
ordinazioni a vari chierici in quegli stessi giorni, il Governatore
125

14.6 Page 136

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dello Stato, il Prefetto, il Sindaco, autorità e personalità eccle-
siastiche e civili.
Durante il soggiorno Don Albera defìnl anche il personale per
l'apertura di una colonia agricola già accettata dai superiori nel
vicino Stato di Sergipe.
I giovani artigiani gli presentarono i loro lavori, cominciando
dai tipografi che diffondevano pubblicazioni su Don Bosco e
una buona collana di letture amene cui collaboravano le mi-
gliori penne dello Stato.
Col passaggio del primo vapore il visitatore prosegul quindi
per Pernambuco, con breve sosta di transito ad Alagoas, per osse-
quiare il vescovo giunto da poco da Roma ove aveva conosciuto
Don Rua in occasione del Concilio Latino-Americano.
Il collegio di Pernambuco con le due sezioni di artigiani e
studenti era affollato di autorità, personalità e cooperatori che
diedero all'accoglienza e al trattenimento un tono cittadino e du-
rante la visita offersero a Don Albera la consolazione di bene-
dire un'artistica statua del Sacro Cuore ordinata a Parigi e di
collocarla in cortile su un'agile colonna per attestare la sempre
viva gratitudine a chi aveva scampato salesiani ed allievi da tanti
ostacoli e prove, compresa la malaria e gli allagamenti fìn dal-
l'inizio dell'Opera.
Dopo una visita commovente, Don Albera decise anche l'ac-
cettazione di un secondo collegio, tutto di orfani e poveri che
vivacchiava con personale instabile come opera pia della Santa
Casa, chiedendo rinforzi a Torino. Il cuore sanguinava di fronte
alla impossibilità di soccorrere altri vescovi, i quali si trovavano
in enormi difficoltà per provvedere alla salvezza di tanta povera
gioventù derelitta e premevano da altre diocesi. Questa è la ra-
gione per cui Don Albera rinunziò a visitare il Para: non gli
bastava l'animo di andare a constatare tante necessità, senza po-
tervi provvedere. Ed ecco il Vescovo di Maranhao, che aveva cono-
sciuto Don Bosco mentre studiava a Parigi al San Sulpizio, a pro-
spettare la tragica situazione della sua. Pochi mesi prima gli Indi,
esasperati dai maltrattamenti di coloni sfruttatori, si erano sfo-
gati sui missionari, facendo strage dei Cappuccini e delle suore,
dei loro alunni e delle loro alunne: duecento vittime in un ecci-
dio orrendo. Fu uno strazio per Don Albera che non vedeva nes-
suna possibilità di aiutarlo.
Intanto i giovani di Pernambuco chiudevano i loro esercizi
126

14.7 Page 137

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spirituali, e Don Albera li accompagnò alla Colonia Agricola di
Jaboati.io passando una giornata di svago. Colse l'occasione per
vedere i confratelli e i primi alunni che fra molti sacrifìzi pre-
paravano anche l'ambiente per il noviziato dell'ispettoria.
Il 25 ottobre prendeva congedo e sull'« Alagoas » iniziava il
ritorno a Rio de Janeiro, sostando alcune ore a Vitoria, capitale
dello Stato di Spirito Santo, dove il Governatore ecclesiastico,
sardo lo volle a pranzo ed il suo coadiutore, pure italiano ed
exallievo salesiano, non finiva di chiedere notizie dei suoi antichi
superiori. La notte dell'ultimo tratto fu pessima per Don Albera
che, preso da violenti dolori ribelli a ogni calmante e a tutte le
cure del medico, arrivò a Nictheroy in uno stato pietoso, dovette
mettersi a letto e rinunziare ad andare a San Paolo dov'era atteso,
per la benedizione della monumentale statua del Sacro Cuore, da
molti vescovi, confratelli, giovani e cooperatori...
Dall'Atlantico al Pacifico
Rimesso in stato da poter sostenere il resto del viaggio, Don
Albera diede l'addio a Nictheroy con l'animo pieno di tante emo-
zioni, e con tre giorni di navigazione sull'Orellana per Rio de Ja-
neiro raggiunse Montevideo, obbligato a sostare all'isola di Flores
(lo scoglio più brullo della zona) per la quarantena imposta a tutti
i vapori provenienti dal Brasile dov'era stata denunciata la feb-
bre gialla. Per fortuna l'ispettore dell'Uruguay Don Gamba ot-
tenne di esservi condotto anche lui in quarantena e tenne com-
pagnia in quella sosta forzata, trattando con Don Albera vari
problemi riguardanti le Missioni, mentre questi ogni giorno ri-
volgeva qualche buona parola e celebrava la Messa agli altri navi-
ganti, quasi tutti emigrati spagnuoli. Superata la quarantena e
salutati i confratelli nel passaggio a Montevideo, scesero a Bue-
nos Aires. Scambiati altri saluti affrettatamente, proseguirono in
ferrovia (32 ore di treno) per Mendoza, dov'era già ad atten-
derlo Mons. Costamagna per accompagnarlo attraverso la Cordi-
gliera alle case del Cile.
A Mendoza Don Albera trovò due fiorenti collegi dei Sale-
siani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice con una discreta cap-
pella, che i fedeli affollavano a tutte le funzioni, e due Oratori
festivi. Egli stesso predicò più volte nel corso del mese mariano
che là si concluse con la festa dell'Immacolata e presiedette la
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14.8 Page 138

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conferenza annuale dei Cooperatori lasciando la parola a Mons.
Costamagna, suo compagno di collegio, di studi, di ordinazione
sacerdotale ed intimo amico. Prima di partire per la Cordigliera
fecero una capatina a Rodeo del Medio, dove vennero ospitati
nella villa di una signora che, rimasta vedova in giovane età con
due :figlioletti, aveva regalato ai salesiani e alle suore vari ettari
di terreno e infine la sua stessa villa, impegnandosi a sostenere
la spesa per la costruzione della chiesa, perché gli abitanti di quella
zona vinicola, in gran parte veneti, piemontesi e liguri, avessero
le cure spirituali, mentre, coltivando le vigne, facevano la loro
fortuna materiale. Don Albera raccomandò di affrettare anche la
apertura di scuole per esterni; e la pia signora diede valido
aiuto, sicché l'anno seguente tutto era un fatto compiuto.
La traversata della Cordigliera fu dura per Don Albera, già
anziano di età, malandato in salute, non avvezzo al cavallo. Ma
ce la fece, grazie soprattutto alle attenzioni di Mons. Costama-
gna che la conosceva a palmo a palmo e l'aveva fatta perfino sfi-
dando metri di neve tre mesi prima, aprendosi il passaggio a
forza di braccia. Ne parlarono i giornali con grande ammira-
zione. Don Albera ebbe la pelle della faccia bruciata in parte dal
gelo. Gran sollievo, quando giunsero a Los Andes, poter ospi-
tarsi dal parroco, pulirsi e rifocillarsi e poi prendere il treno per
Santiago del Cile. Dall'altezza di quattromila metri poterono dare
uno sguardo alla lunga striscia che corre dal Perù allo stretto di
Magellano fra le Cordigliere e il Pacifico. Alla stazione di San-
tiago era ad attenderli anche il veterano dei missionari, Don
Tomatis, partito da Torino con la prima spedizione nel 1875.
Alla casa ispettoriale, collegio La Gratitud Nacional, eran con-
venuti superiori ed alunni dell'altro collegio « Patrocinio di S.
Giuseppe» e rappresentanze dei quattro Oratori festivi per l'ac-
coglienza nell'ampio cortile trasformato in salone, con una so-
lenne accademia, dopo la funzione nel tempio del Sacro Cuore
di Gesù. Don Albera passò poi nei giorni seguenti a visitare
ogni casa, comprese quelle delle Figlie di Maria Ausiliatrice, svi-
luppatesi con tanta rapidità grazie alla generosità del popolo
cileno .
Da Santiago fecero una capatina alla promettente scuola agra-
ria di Melipilla su cui contavano tanto l'Arcivescovo ed il Go-
verno: 150 ettari di terreno e 120 alunni esterni. A Mons. Costa-
magna premeva condurre Don Albera a Talca e negli altri col-
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14.9 Page 139

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legi prima che finisse l'anno scolastico. Sicché l'indomani parti-
rono per queste città dove fioriva una apprezzatissima scuola
professionale e funzionava una chiesa delle più frequentate, spe-
cialmente pei Sacramenti. Oltre agli alunni con la banda, auto-
rità e cooperatori, attendevano anche vari religiosi che vollero
formare il coro pel canto del Te Deum nella chiesa affollata.
La casa era stata aperta proprio il giorno in cui moriva Don
Bosco, 31 gennaio 1888, da Don Tomatis, ricordatissimo sempre.
Mentre visitava le case d'America Don Albera non dimen-
ticava né l'Italia né la Francia. Fra tanta corrispondenza è meri-
tamente ricordata una lettera a Don G . Battista Grosso, che in-
segnava il canto specialmente sacro nella casa salesiana di Lom-
briasco, dov'era direttore. Don Albera lo spronò a propagan-
dare sempre più il canto gregoriano di cui era veramente uno
dei migliori maestri della Chiesa: « Voi siete stato (gli scriveva
abitualmente in francese) sempre un po' avaro di questo tesoro
ai vostri confratelli, non saprei se per timidezza o per altre ra-
gioni. Ve ne scongiuro, date generosamente agli altri quel che
Dio vi ha accordato con tanta abbondanza... ».
Da Talea raggiunsero Concepci6n, la prima casa aperta dai
salesiani nel Cile. I primi dodici orfanelli in due mesi arriva-
rono a 35 interni e 150 esterni. Crescendo le richieste, il nuovo
direttore aveva azzardato ampie costruzioni, ma si era ingolfato
nei debiti fino ad irritare i creditori che minacciarono lo sfratto
e l'appropriazione. Don Rua aveva dovuto mobilitare tutte le case
al concorso finanziario per salvarla, e fu provvidenza. Don Albera
si trovò di fronte a una fioritura meravigliosa. Erano a riceverlo,
coi giovani, il presidente e quattro ministri della Corte suprema,
il corpo diplomatico e un'ottantina delle più alte personalità del
clero e del laicato che avevano fatto allestire un pranzo uffi-
ciale nel collegio stesso insieme agli alunni, e non finivano di
lodare l'ottima educazione e formazione scolastica e professionale
di quei figli del popolo. Il direttore ne approfittò per chiedere
a quei signori non solo aiuti materiali di cui già largheggiavano,
ma anche collaborazione di consiglio e di indicazioni pel conti-
nuo aggiornamento dell'opera benefica. L'indomani Don Albera
benedisse un grazioso monumento alla Vergine per ricordare an-
che l'audace direttore che, ottenuta la salvezza della casa, si era
votato alla cura dei lebbrosi ed era partito per la Colombia.
Celebrata solennemente, col concorso di tutto il popolo, la festa
5 C. Favini
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14.10 Page 140

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della Madonna, Don Albera con Monsignore riprese la via pel nord,
sostando a Valparaiso per l'inaugurazione del nuovo collegio di
arti e mestieri. Dall'eloquenza dei migliori oratori Don Albera
poté avere nuove conferme dell'alta stima in cui erano tenute le
scuole professionali salesiane. Il dott. Dario Urzùa giunse a di-
chiarare: « Il cristianesimo già salvò la civiltà europea dalle inva-
sioni della barbarie; Don Bosco salverà la società attuale dalla
distruzione anarchica da cui è minacciata».
Don Albera ne godette di cuore animandosi sempre più a
favorire, come fece, l'aggiornamento tecnico delle Scuole profes-
sionali, affidandole poi, durante il suo rettorato, a un uomo come
Don Pietro Ricaldone, ottimo successore di Don Bertello.
Più tardi s'indugiò a descrivere come Don Bosco amasse
i giovani e incoraggiasse a curare gli Oratori festivi. I salesiani,
dopo la benedizione ai locali e ai laboratori impartita da Mons.
Costamagna, ebbero la gioia di vedere accorrere tanti giovani che
alla terza domenica ne poterono contare circa ottocento... Nella
casa di La Serena, aperta con tre confratelli tolti a quella di
Sucre in Bolivia, Don Albera trovò in efficienza due laboratori,
e all'Oratorio un'ottantina di esterni. Ad Iquique, cittadina indu-
striale cosmopolita, bonificata religiosamente da Don Camillo Or-
tuzar, che sfuggi all'episcopato facendosi salesiano, tenne confe-
renza anche ai Cooperatori e constatò lo sviluppo dei collegi dei
Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, tanto da poter far
loro considerare : « Lo spirito caritatevole di Don Bosco qui si
riflette in tutto: è l'istruzione popolare che si svolge; è gio-
ventù felice e contenta che si raduna negli Oratori festivi; idee
religiose suscitate e coltivate; sacerdoti che dal pulpito propa-
gano il bene; confessionali ricercati, mensa eucaristica frequen-
tata; il nome di Maria Ausiliatrice erompe dalle labbra dei gio-
vani, Gesù regna nei cuori : ecco quello che voi venite a vedere».
Da lquique Don Albera venne accompagnato al noviziato di
Macul, tanto promettente per buone vocazioni. I novizi lo ave-
vano atteso imponendosi perfino gravi mortificazioni perché il
Signore benedicesse il suo viaggio. Ed egli dettò loro gli eser-
cizi spirituali, benedisse l'abito religioso ed accettò quindici pro-
fessioni. Don Gusmano, chiudendo le relazioni sulla visita alle
case salesiane del Cile, rilevava le consolazioni provate da Don
Albera nella predicazione di esercizi spirituali anche ai confra-
telli e nel pellegrinaggio al santuario della Vergine di Andacollo
130

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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in occasione dell'incoronazione della immagine miracolosa: qua-
rantamila pellegrini, cinque vescovi e 107 sacerdoti.
Commovente spettacolo di fede e di pietà mariana; santuario
capace di diecimila fedeli, a 1090 m. sul mare, in posizione incan-
tevole. Compl la funzione il Vescovo diocesano di La Serena. Il
Vescovo di Ancud, Mons. Angelo Jara, bruciò in omaggio alla
Vergine il discorso che aveva scritto e si abbandonò alla elo-
quenza del cuore, suscitando tante emozioni.
Edificante impressione si godeva anche in tutte le chiese dove
le donne andavano vestite con esemplare modestia e senza distin-
zione di popolane e di benestanti, perché tutte avvolte nel manto
oscuro rituale: « Sarebbe cosa vana - scrisse il fine osservatore
- voler distinguere una donna nobile dalla plebea, la ricca dalla
povera nelle chiese cattoliche, anche le più frequentate: un manto
nero che scende dalla testa, si annoda con vari giri al collo e
giunge fino a due terzi della persona... non un ornamento, un
fiore, un nastro... il lusso non è ancora entrato nelle chiese ci-
lene. Si voleva introdurre in occasione di sposalizi, ma l'Arci-
vescovo permise solo che la sposa cambiasse il colore del velo,
da nero in bianco, niente altro ». Una buona lezione anche per
i nostri tempi.
Edi:6.cantissimo il fervore con cui gli uomini fanno annual-
mente corsi di esercizi spirituali con un impegno da superare
quello di tanti religiosi... La statistica del tempo ha dato che
in 58 case salesiane dell'Argentina si educavano allora 17 .645
tra fanciulli e fanciulle, di cui 3.673 mantenuti gratuitamente
o quasi. Nel Cile le cifre, in proporzione alle case, variavano di
poco (Boll. Sal., novembre 1903, pagg. 331 e segg.).
A Valparaiso l'addio al Cile e l'imbarco pel Perù: mare cal-
mo fino al porto di sbarco, a Mollendo, donde si raggiungeva la
stazione ferroviaria per gli altipiani incantevoli. Ma per sbar-
care che acrobazie! ... A ragione il porto era lo spavento dei pas-
seggeri: sempre agitato da onde furiose che s'infrangono rabbio-
samente una dopo l'altra contro gli scogli e le rocce che si
scoprono e scompaiono rapidamente senza dare un minuto di
tregua. Aggrappandosi saldamente alla scala, grazie a Dio, Don
Albera e Don Gusmano riuscirono a mettere piede a terra sani e
salvi. Li attendevano il direttore del collegio di Arequipa e Don
Quaini che si affrettarono a condurli al treno pronto per partire.
A metà percorso, durante una sosta lunghetta, il babbo di
131

15.2 Page 142

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due convittori se li condusse in casa ove aveva preparato una
cordiale ed abbondante refezione che li mise tutti in forma per
proseguire l'ascesa ai 2500 m. dove domina Arequipa. Erano ad
accoglierli il direttore del collegio del Callao, in convalescenza
ad Arequipa, con una deputazione di convittori che li accompa-
gnarono alla stazione dove, nonostante la pioggia, un mondo di
gente con le massime autorità porsero i primi ossequi e fecero
corteo fino all'istituto fiorente, con scuole e laboratori in piena
efficienza come l'Oratorio festivo; in costruzione una grandiosa
chiesa a Maria Ausiliatrice. Durante la visita Don Albera cele-
brò una messa di ringraziamento chiesta dalle cooperatrici e be-
nefattrici più insigni che vi parteciparono con devozione e ascol-
tarono le calde esortazioni ad affrettare l'ultimazione del sacro
edificio, in cui erano impegnate a qualsiasi sacrificio. Don Al-
bera si compiacque soprattutto della scuola teorico-pratica di
agricoltura che applicava scientificamente gli alunni formando
ottimi agronomi ed agenti rurali. Era molto cara alle autorità:
l'avevano dotata di un magnifico gabinetto di chimica e anda-
vano fiere dell'Osservatorio meteorologico molto apprezzato an-
che all'estero, dove allacciava i migliori corrispondenti.
Da Arequipa Don Albera si allontanò alcuni giorni per visi-
tare le case salesiane di La Paz dove altra gioventù l'attendeva.
Ma dovette salire in ferrovia fino ai 4000 m. e, giunto a Puno,
imbarcarsi su un vaporino che impiegò dodici ore ad attraversare
il lago Titicaca ove le sofferenze per l'aria rarefatta di quell'al-
topiano furono aggravate dalle acque agitatissime del lago. A
Chilihaya erano ad attenderlo i direttori di La Paz, capitale della
Bolivia, e di Sucre, per accompagnarlo sull'omnibus fino a La Paz.
Ma prima di giungere alla capitale, ecco il Rettore dell'Univer-
sità con distinti Cooperatori a incontrarlo e a fargli scorta di
onore. Al collegio erano i membri del Governo, il Corpo diplo-
matico e le autorità cittadine. Don Albera abbracciò ad uno ad
uno i salesiani e si trattenne tutta la settimana santa celebran-
dovi le funzioni liturgiche, commuovendosi e commuovendo, con
le sue parole, giovani e popolo. Il Presidente della Repubblica
vi portava la più alta edificazione accompagnando, coi Ministri
e le Autorità dello Stato, il SS. Sacramento e facendo devotamente
i suoi turni di adorazione. La fatica della respirazione gli impedì
di recarsi anche a Sucre.
Tutta la casa condivise il dolore che l'aveva colpito negli af-
132

15.3 Page 143

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fetti familiari: la not121a della morte del fratello P. Telesforo,
comunicatagli con delicatezza da Don Gusmano a Puno per inca-
rico di Don Rua. La comunità elevò a Dio fervidi suffragi, cui
si unirono anche confratelli e giovani di Sucre.
Questo gli rese più sensibile la pena di non poter far loro
visita, dovendo affrettare il suo ritorno al Mollendo per imbar-
carsi alla volta di Callao. Ma i cavalli dell'omnibus nel con-
durlo alla stazione ferroviaria tentarono più volte, chissà per qual
capriccio, di dare indietro. I giovani, che lo vollero seguire per
buon tratto, insistevano perché egli vi vedesse un segno della
provvidenza e si trattenesse ancora in Bolivia.
Al Mollendo fu un nuovo rischio raggiungere il vaporino
anche se il capitano aveva mandato la sua barca personale a
prelevare Don Albera. Un'ondata violenta la staccò dal porto
prima che vi potesse salire Don Gusmano che dovette attendere
una buon'ora aggrappato alla ringhiera del porto prima di po-
ter essere portato al bastimento. Come Dio volle, poterono ritor-
nare ad Arequipa, dove intanto si era ultimato un ampio padi-
glione per i laboratori: Don Albera li benedisse di cuore rivol-
gendo a salesiani e giovani rallegramenti e incoraggiamenti a col-
tivare le arti professionali con tecnica ben aggiornata.
Finita la funzione, si scambiarono i saluti e in una ventina
di minuti di ferrovia Don Albera fu al Callao dove tutta la
famiglia salesiana era in lutto per la morte del direttore Don
Sani, che in tre anni di intenso lavoro si era accorciato la vita,
a .B anni. Inteneriva i cuori vedere quanto tutta la città lo sti-
masse e lo amasse. I salesiani, oltre la cura delle scuole che edu-
cavano 250 allievi, ufficiavano una chiesa vicina al porto e da-
vano missioni alle carceri e all'ospedale detto dei « Cinesi »
perché serviva in gran parte ai cinesi immigrati allora già in
ventimila tra Lima e Callao. Le Figlie di Maria Ausiliatrice
oltre al loro noviziato, vi tenevano un educandato di circa due-
cento allieve.
In mezz'ora dal Callao giunsero alla capitale, Lima, dove Don
Bosco era stato fatto conoscere da un pio francescano che era
stato sorpreso da una violenta burrasca mentre ritornava al suo
convento. Sentendosi perduto con tutti i passeggeri, s'era buttato
in ginocchio sulla nave in scompiglio invocando l'aiuto di Dio
per intercessione di Maria Ausiliatrice e promettendo di far pub-
blicare e diffondere la « Vita di Don Bosco». Ebbe appena tem-
133

15.4 Page 144

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po a finir la preghiera che le acque si calmarono e tutti furono
salvi. Egli divenne l'apostolo di Don Bosco.
A Lima Don Albera sperava di potersela cavare in pochi giorni
nella visita ai due collegi, ai salesiani e alle suore, perché gli
premeva partire il 26 aprile per l'Equatore. Ma, mentre egli si
affrettava anche ad ossequiare l'Arcivescovo, il Delegato Apo-
stolico, il Ministro d'Italia, che avevano aiutato tanto i salesiani
espulsi dall'Equatore nelle tragiche vicende e poi nell'esilio, otte-
nendo loro ospitalità nel Perù, ecco un telegramma dall'Ispettore
e poi una lettera dal direttore di Quito a scongiurarlo di non
mettersi in viaggio perché le vie erano impraticabili per piog-
ge torrenziali, e a non deludere ·i confratelli, proseguendo per
la Colombia e toccando solo Guayaquil. Da anni non vedevano
un superiore: Mons. Costamagna aveva divieto di metter piede
nel suo vicariato e il nuovo ispettore non s'era ancora fatto ve-
dere; in Colombia poi infuriava la guerra civile: attendesse quin-
di quanto fosse necessario. Fu provvidenza per imporre a Don
Albera un po' di riposo di cui aveva bisogno.
Egli ne approfittò per fare i suoi esercizi spirituali, poi bene-
disse la nuova cappella predicandovi prima un triduo prolungato
per preparare alcune postulanti a ricevere l'abito religioso e le
novizie alla professione. Fece egli anche queste care funzioni in-
fervorando poi con la sua frequente parola il mese mariano ora
in uno ora nell'altro dei due collegi. Cosl anche i confratelli e
le suore ebbero la consolazione di poter conferire personalmente
con lui. Ebbe modo di venerare Santa Rosa, la santa vergine
di Lima, la prima del nuovo mondo elevata all'onor degli altari,
celebrando nel suo santuario e al suo altare. La società inglese
che faceva funzionare la ferrovia per salire al celebre monte
Meiggs, ad oltre cinquemila metri sul mare, gli favorl la escur-
sione con tre biglietti gratuiti. Anche al Callao si recò più volte
a parlare nella frequentatissima chiesa pubblica. Prima della fe-
sta della Madonna giunse a Lima Mons. Costamagna che tenne
la conferenza ai Cooperatori nell'ampia chiesa dei PP. Gesuiti,
alla presenza del Delegato Apostolico, che pontificò poi la festa,
dell'Arcivescovo e da Mons. Caceres. Mons. Costamagna sollecitò
l'apertura di un Oratorio festivo di cui si sentiva tanta necessità.
Il 26 maggio i collegi di Lima si riunirono per partecipare
insieme alla Messa di Don Albera e porgergli il saluto, il rin-
graziamento e l'augurio per un felice proseguimento. Mons. Co-
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15.5 Page 145

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stamagna li accompagnò con vari salesiani fino al Callao, dove
centinaia di giovani dei due collegi rinnovarono le scene di ad-
dio da Lima, facendo salire la loro banda fino a bordo del basti-
mento a dar loro l'ultimo saluto.
Il 29 maggio cadeva la festa del Corpus Domini. La nave
sostò alcune ore a Payta e Don Albera, dopo aver celebrato la
Messa nel salone di prima classe pei passeggeri, scese con Don
Gusmano per fare almeno una visita al SS. Sacramento. S'im-
batterono nella processione e un sacerdote offerse loro una tor-
cia perché potessero accompagnare Gesù Sacramentato.
Dai Bororos ai Jibaros
Ripresa la navigazione, ecco ad un tratto apparire una vege-
tazione lussureggiante: era l'Equatore. Sbarcarono a Guayaquil,
ma sostarono al collegio in stretto incognito solo per due giorni,
trattati con cordialità dal personale laico che ancora lo gestiva
in attesa dei salesiani ai quali era stato affidato da poco. Prose-
guendo per l'oriente in ferrovia, pernottarono a Huigra, gola
di due monti con misere capanne di tenda al di qua e al di là
di un torrente, ove li ospitò un buon cooperatore e vennero ben
trattati anche dal capitano di polizia, exallievo della casa di Quito,
affezionatissimo ai salesiani: li aveva visti quando erano stati man-
dati in esilio con tanta crudeltà e ne sentiva ancora vivissima
pena. A Don Albera toccò una tenda con un buco, e l'indomani
si alzò con un molestissimo torcicollo. Tuttavia, gradito una spe-
cie di brodo e un bicchier di birra, con Don Gusmano si mise
in forma per cavalcare e prosegui a cavallo, con la guida di al-
cuni indi fino a Guatagsf ove fu ospite di un altro cooperatore al
quale l'ispettore aveva telegrafato che li trattenesse fino al suo
arrivo. Don Fusarini li accompagnò poi per un buon tratto attra-
verso le foreste, bellissime ma popolate di serpenti, per monti
scoscesi, passando sull'orlo di orrendi precipizi, per guadi di fiu-
mi profondi e di pantani che li inzuppavano fino al ginocchio.
Dovette però lasciarli presto per ritornare sulla sua via verso
l'occidente. Più di una volta, giungendo ai tambo (luoghi di sosta
pei missionari) Don Albera lo si doveva toglier di peso da cavallo
e deporre su una sedia o qualcosa di simile perché le gambe
non lo reggevano. Dove l'indio di stanza era stato preavvisato
vi trovavano un po' di acqua calda salata e al più impoltigliata
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15.6 Page 146

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di farina di meliga, di patate o di yucca. Spesso l'unico piatto
che trovavano era un po' di granturco, neppur sufficientemente
salato. Era l'epoca delle piogge, quindi con disagi tali da dissua-
dere chiunque dal proseguire. Eppure dovettero proseguire finché
il cavallo, nella salita all'Auzy, non scivolò sbalzando Don Albera
di sella sulla roccia con un piede impigliato nella staffa. Per gra-
zia di Dio, si fermò, l'indio accorse a tenerlo fermo e Don Gu-
smano gli poté liberare il piede dalla staffa. Poteva essere un'av-
ventura fatale!
A Cafiar vennero ad incontrarlo distinte persone, col fra-
tello dell'ex-Presidente della Repubblica, decano dei canonici di
Cuenca, e l'eroico missionario dei Jivaros Don Mattana. Du-
rante la sosta fu un susseguirsi di visite e di insistenze perché
il visitatore decidesse la costruzione di una casa di arti e me-
stieri per sarti, calzolai e cappellai, e una scuola di musica stru-
mentale. L'indomani Don Albera poté proseguire per Cuenca,
dove i salesiani si stavano sistemando con una dozzina di orfa-
nelli in una povera casa, rimpiangendo il collegio requisito dai
persecutori e poi lasciato andare in rovina. Qui vennero ad
incontrarlo una cinquantina di uomini a cavallo che gli consi-
gliarono di cambiare il suo per trovarsi meglio; ma appena pre-
se le mosse, il visitatore cadde malamente con la gamba sini-
stra sotto il ventre dell'animale. Gli gonfiò talmente da doversi
rassegnare ad assoluto riposo per tre giorni nella casa dei Pa-
dri Redentoristi che l'ospitarono con tanta cordialità usando-
gli ogni attenzione. L'l 1 giugno riprese il viaggio per giunge-
re a Sigsig a pernottare prima di addentrarsi in piena foresta.
A qualche ora di cammino, prima di raggiungere la meta, cento-
cinquanta tra i maggiorenti, con a capo il clero, lo attendevano
per scortarlo fino alla città illuminata a festa. Sennonché le grida
e le acclamazioni degli abitanti destarono l'allarme in un distac-
camento di soldati già ubriachi in quella notte, ed uno di essi si
lanciò a fermare il cavallo del primo che gli capitò. Questi, un
ex-colonnello, gli sferrò un pugno che lo mandò a ruzzolare. Ne
nacque un parapiglia con spari di fucilate all'impazzata: per gra-
zia di Dio, non colpirono né le persone né le bestie. Don Albera
veniva ospitato dal parroco ed una delegazione volava a Cuenca
a denunciare il fatto alle autorità. Ma i soldati, passata la sbor-
nia, eran già lungo la strada a rendere onore a Don Albera che
proseguiva, chiedendogli la benedizione. Altri tre giorni per la
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15.7 Page 147

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foresta, incontrando solo ranchos e tambos, portarono finalmente
il visitatore a Gualaquiza, dove i confratelli gli si gettarono fra
le braccia, con le lagrime agli occhi, gridando evviva come fuori
di sé: non pareva loro vero di avere fra loro uno dei più cari
superiori da Torino. Gualaquiza non era allora che una vallata
fra due fiumi confluenti nel titolare, e tutta foreste con una
decina di case di bianchi; le choze dei Jivaros erano disseminate
fra il verde. I missionari macilenti e logori dalle fatiche, dalle
prove e dai sacrifici, cantarono il Te Deum nella misera cappella,
accompagnandosi con un harmonium malandato, mentre il cuore
di Don Albera, gonfio di emozione, pregava per loro. I Jivaros
intanto ailluivano recando doni di yucca e banane per averne in
cambio aghi, filo, specchi, medaglie ...
Nel Bollettino Salesiano di agosto 1904 (pagg. 232-37) se-
gue una minuta descrizione dei Jivaros di quei tempi accurata-
mentre trasmessa da Don Gusmano, che saremmo tentati di ripro-
durre, tanto è pittoresca. Ma Don Albera soffriva nell'intimo per
lo stato pietoso dei poveri missionari che stentavano a reggersi
in piedi e si prodigavano con lui per ristorarlo e metterlo in
efficienza pel resto del viaggio.
Don Albera preparò i Jivaros alla festa di Maria Ausiliatrice,
ritardata al 22 giugno, alternandosi con Don Gusmano nella pre-
dicazione del triduo e poi nelle sacre funzioni coronate dalla
processione attorno alla collina ove sorge la missione. L'indomani
bisognava partire.
Con qual pena da ambo le parti, è facile immaginare! Come
pure con quanta trepidazione per il percorso che occorreva ri-
prendere e che gli uni e gli altri ormai ben conoscevano. I con-
fratelli a cavallo e i Jivaros, che occompagnarono Don Albera e
Don Gusmano per un buon tratto della via del ritorno non
finivano di indicar loro le cautele, le precauzioni e i riguardi da
avere. Il percorso era anche più ostacolato dagli alberi schian-
tati dal diluvio dei giorni precedenti. Impiegarono ugualmente
tre giorni per tornare a Cuenca, ove si fermarono il puro ne-
cessario per ricambiare visite di dovere; quindi presero la dire-
zione di Riobamba e vi giunsero in quindici giorni, valicando
il terribile Azuay. La guida non seppe poi imbroccare la dire-
zione verso la casa di un cooperatore e dovettero girare per
precipizi spaventosi finché giunsero a una casa abbandonata do-
ve passarono il resto della notte accovacciati su un assito, co-
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15.8 Page 148

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prendosi con quanto avevano sul dorso dei cavalli, per cu-
scino le selle. Al far del giorno, la guida era sparita e do-
vettero cercarsi un altro indio nei dintorni che si adattò a ma-
lincuore, perché si dovevano affrontare tratti ancor più perico-
losi per lastre di pietra appena scheggiate, su cui i cavalli sdruc-
ciolavano e si rialzavano a stento. La mula di Don Gusmano
tentò tre o quattro volte un'arrampicata con le ginocchia san-
guinanti, finché scivolò e il segretario fece appena in tempo a
svincolarsi dalle staffe e lanciarsi a terra.
Come Dio volle, il 5 luglio 1902 erano a Riobamba fra le
braccia dei confratelli e una settantina di giovinetti delle scuole
salesiane, venuti ad incontrarli, che poi si disposero in due file
per l'ingresso di Don Albera in città.
Riobamba era sede dell'ispettore: si presentava già linda e
rifatta dalla rivoluzione di cui tutti avevano sofferto, su un alto-
piano a 2798 m. sul mare, con circa 16.000 abitanti. Durante
la visita Don Albera presiedette al saggio finale dei 200 alunni,
gustando in modo speciale il dialogo di tre Jivaros di Gualaquiza
che al battesimo avevano assunto il nome di Giovanni Bosco,
Michele Rua, Giovanni Cagliero. Assistette pure alla conferenza
dei Cooperatori tenuta da un Gesuita, il P. Cangas, ben al cor-
rente delle cose salesiane. Don Albera disse la sua parola di rico-
noscenza e di compiacimento ai Cooperatori, benedicendo in
modo speciale la popolazione che concorreva àlla costruzione del-
la chiesa accanto al nuovo collegio, dedicando perfino parte della
festa ogni domenica a portar pietre e altro materiale. Ossequiato
il Vescovo infermo, da poco tornato dall'esilio, e le comunità
religiose alle quali i salesiani prestavano il ministero dell'istru-
zione religiosa, della predicazione, della celebrazione eucaristica,
e dei sacramenti, visitatore e segretario presero commiato.
In un giorno a cavallo giunsero ad Atocha dove si prepa-
rava una vasta casa pei salesiani riattando un antico seminario.
Nella vicina cittadina di Ambata li attendeva il direttore di Quito,
il quale li accompagnò dai Padri Domenicani che li ospitarono
con fraterna cordialità. L'indomani proseguirono in diligenza ver-
so la capitale, incontrati a una buona ora di distanza dalle auto-
rità cittadine e rappresentanze delle associazioni religiose che poi
cantarono coi giovani il Te Deum nella nuova chiesa salesiana
già gremita di popolo. Don Albera la benedisse col modesto col-
legio allestito dopo la rivoluzione.
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15.9 Page 149

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Numerose le comunità religiose e benemerite della Repub-
blica a cui prodigarono generosamente il loro ministero appena
poterono ritornare dopo aver pagato il loro tributo alla perse-
cuzione. Ancora vivissima la memoria di Garda Moreno che
aveva portato l'Equatore a grande prosperità e le Missioni a pro-
mettente avvenire, finché la massoneria antireligiosa non ne stron-
cò la vita per mano di un sicario, mentre usciva dalla catte-
drale dopo la visita a Gesù Sacramentato per recarsi al senato.
Egli aveva consacrato la sua Patria al SS. Cuore di Gesù e venne
martirizzato proprio il 6 agosto 1875, primo venerdl del mese.
Aveva per programma « Libertà per tutti e per tutto, tranne
pel male e per i malfattori»; spirò al grido di « Dio non muo-
re ». Nell'ultimo suo scritto a Pio IX si era limitato a un
cenno alla campagna di ingiurie e di calunnie di cui era oggetto,
ritenendola una grande ventura e soggiungendo: « Qual più
grande ventura se la benedizione di Vostra Santità mi ottenesse
di versare il mio sangue per Colui che, essendo Dio, volle ver-
sare il suo per noi sulla Croce». Sembrava la presentisse!
Don Albera fu condotto anche a veder l'edificio che era una
volta il miglior Istituto di Arti e Mestieri, il « Protectorado »
portato dai salesiani alla massima efficienza. Don Albera lo trovò
nella desolazione a cui l'avevano ridotto i confiscatori della rivo-
luzione; ma i salesiani di Riobamba, al loro ritorno, avevano
aperto un Oratorio e un modesto collegio che accoglieva già
un duecento allievi quando Don Albera lo benedisse, passando
pei vari laboratori compreso il nuovo di conceria. Alle autorità
e cooperatori presenti egli rivolse toccanti parole, raccomandando
i cari orfani che la casa accoglieva e preparava alla vita: « Si-
gnori, abbiamo assistito ad un grande atto, dico grande perché
tutto è grande ciò che la religione benedice e che la carità ispira.
E qual più alto ideale che soccorrere i giovani poveri e abban-
donati, lasciati in balia di se stessi, spesso senza tetto? Questi
giovani che portano in sé il germe delle future generazioni, il
segreto dell'avvenire sociale, la consolazione o il terrore della
Patria e della Chiesa, orfani ed abbandonati! Chi non sente tutta
la tristezza di queste qualifiche, specie pensando alla dolcezza di
godere una madre tenera e tutta sollecitudine per noi? Attorno
al derelitto non c'è che vuoto, deserto, tristezza. Chi supplirà
questa mancanza? Voi, miei buoni Cooperatori, che amate appas-
sionatamente questi poveretti; voi sarete larghi di affetto e bene-
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15.10 Page 150

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volenza; voi, che con la carità disinteressata farete da padri e
da madri, voi procurerete loro un avvenire tranquillo e ono-
rato, l'avvenire del lavoro che irrobustisce, dello studio che no-
bilita, della religione che consola, santifica ed assicura la feli-
cità eterna a queste creature d'oggi... ».
Mentre riporto queste calde espressioni di Don Albera, io
penso all'attuale direttore dell'Oratorio di Quito, Don Carlo Izu-
rieta, mio compagno di ordinazione e di assistenza qui a Val-
docco, che da 50 e più anni cura l'Oratorio di La Tola fiorente
di un migliaio di giovani, e tocca con mano ogni giorno la prov-
videnza affettuosa dei Cooperatori Salesiani della sua Patria.. .
Abbiamo ricevuto tutti e due la veste talare da Don Albera e
a lui abbiam fatto tutti e due la nostra prima professione reli-
giosa ...
Impaziente di raggiungere la Colombia col piroscafo che sa-
rebbe partito da Guayaquil il 30 luglio, Don Albera passò ad
ossequiare il Vescovo, il San Francesco di Sales dell'Equatore,
vero padre pei salesiani specie durante la persecuzione e l'esilio,
il Presidente della Repubblica, il figlio di Garda Moreno, ed
altre distinte personalità che in gran parte intervennero poi alla
accademia musico-letteraria di addio al collegio. Fu anche invi-
tato a celebrare la Messa ai 1300 alunni del collegio dei Fra-
telli delle Scuole Cristiane, che lo ringraziarono del servizio reli-
gioso prestato loro fraternamente dai salesiani.
A cavallo, in compagnia del direttore del collegio, in poche
ore fu a Sangolqui, l'antico noviziato che al momento dell'esilio
contava una trentina di novizi, e la sera stessa tornò a Quito
donde col segretario proseguì per Guayaquil. Con tutti i mezzi
di trasporto, diligenza, cavallo, treno, giunsero a tempo per im-
barcarsi sul piroscafo desiderato. Il segretario ricorda negli ap-
punti due squisiti atti di carità: un uomo dall'aspetto fiero, ma
dal cuor d'oro, con una barba veneranda, che li dissetò in piena
foresta con una fresca gazosa, e una buona signora che a Hui-
gra, scorgendoli dal balcone di casa in abito talare in vagoni
caldi come forni, mandò al treno una sua figliola con due tazze
di brodo caldo che fu un gran ristoro. A Guayaquil Don Al-
bera ebbe la gioia di dare la prima Comunione ad un bel numero
di giovani preparati con cura nella sua attesa. Sul « Colombia »
fecero l'ultimo tratto del Pacifico, incerti se la guerra civile
avrebbe permesso loro di visitare le case, le Missioni salesiane
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16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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e i lazzaretti dei lebbrosi, dove confratelli e suore veramente eroici
consacravano la loro vita a servizio dei sofferenti, sull'esempio del
caro Don Unia, primo grande apostolo salesiano dei lebbrosi.
Da sei mesi erano senza notizie della situazione. Rinunziarono
tuttavia a scendere a Panama, come li consigliava il Console ge-
nerale del Cile presso il governo panamense, che viaggiava con
loro, perché allora in città serpeggiava la febbre gialla e corre-
vano almeno il pericolo di dover star poi in quarantena, con per-
dita di tanto tempo. Affidarono invece al console la corrispon-
denza da imbucare a Colon, affrettandosi, su una carrozzella, a
raggiungere il porto per imbarcarsi sul vapore « Versailles » in
partenza per Cartagena. Presero i biglietti a bordo. Scesi durante
la sosta della nave ad ossequiare l'Arcivescovo, questi li scon-
sigliò dal proseguire per Calamar perché i guerriglieri assalivano,
depredavano ed uccidevano senza riguardi. Quindi, celebrata la
Messa, risalirono a bordo e scesero poi a Barranquilla incon-
trando i primi quattro salesiani che curavano la parrocchia e una
scuola, cercando di organizzare al più presto l'Oratorio festivo.
Fra i Lebbrosi
Terminata la visita, nonostante che Don Albera soffrisse assai di
disfunzionamenti aggravati dal caldo opprimente, proseguirono per
Ronda, sul fiume Maddalena, il più grande della Colombia, infe-
stato da rabbiose zanzare, con un vaporino a legna che impiegò
18 giorni perché ogni tanto si doveva fermare a contrattar com-
bustibile. Al tredicesimo giorno di navigazione a Puerto Bar-
rio ecco duemila soldati in attesa di trasporto, e il loro gene-
rale a tentare di requisire il vaporino. Si accontentò al fine di
requisire quasi tutti i viveri. Nel frattempo Don Albera e Don
Gusmano scesero a confortare alcuni soldati che morivano di
febbre gialla sulla pubblica strada.
Don Gusmano riuscl a trattenere il visitatore dal recarsi su
un'altra nave ospedale che caricava un'ottantina di infetti e sall
lui solo a fare quanto fu possibile. Ad Ronda, un vero forno
fra le gole di diverse montagne, furono ospitati per la notte dai
Padri Agostiniani; poi a cavallo in tre giorni giunsero a due ore
da Bogotà ove trovarono confratelli e giovani con un treno spe-
ciale gentilmente concesso dal Governo che li trasportò meno
disagiatamente alla capitale. Alla testa era Don Evasio Rabagliati,
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16.2 Page 152

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l'organizzatore dei lazzaretti statali per la cura dei lebbrosi. Il
collegio di Bogota, parte vecchia caserma, il resto costruito mo-
dernamente, ospitava un ·duecento alunni fra studenti e artigiani
divisi nei laboratori, di cui il più apprezzato era quello dei fab-
bro-ferrai. I Salesiani avevano anche cura dell'Opera della Santa
Infanzia e raccoglievano alla sera i giovani senza parenti e senza
tetto, che lungo il giorno si guadagnavano da vivere come lustra-
scarpe, spazzacamini, distributori di giornali, e la sera al colle-
gio venivano rassettati, nutriti e ospitati per la notte. Ben fre-
quentata era la chiesa del Carmen.
Don Albera dovette predicare due domeniche per soddisfare
i fedeli che la chiesa non poteva contenere in una volta. Le
Figlie di Maria Ausiliatrice facevano tutto quel che potevano
per la gioventù femminile, ma in una casetta troppo angusta,
raccogliendo tante buone vocazioni. Don Albera le animò ad am-
pliarla.
Da Bogota fecero visita a Fontibon dove altri confratelli reg-
gevano la parrocchia, facevano scuola e tenevano un fiorente Ora-
torio festivo. Le stesse opere curavano a Bosa con l'aiuto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice che stavano costruendo il loro novi-
ziato. Quello salesiano funzionava ancora in Fontibon, ma in at-
tesa di essere trasferito, per la scarsità di acqua, a Mosquera dove
un buon cooperatore offriva ampio locale. I confratelli di Villa-
vicencio risparmiarono al visitatore il viaggio, accorrendo essi a
Bogota. Don Albera chiuse la visita insistendo sull'apertura di
un'altra casa a Medellin, terra feconda di vocazioni. Quattro anni
dopo era un fatto compiuto; ora è sede ispettoriale con altre
quattro case nella sola città. Una delle più belle vocazioni è stata
quella di Don Rodolfo Fierro, spirato nel 1974 in Spagna come
un patriarca, a 9.5 anni, lasciando un tesoro di pubblicazioni sale-
siane, pedagogiche e sociologiche apprezzatissime, e meritata fama
in Patria, in Italia, nel Venezuela, in Spagna ove profuse la sua
cultura e la sua esperienza, con tanto successo, meritandosi cari-
che e onorificenze anche governative.
A Don Albera premeva passare ai Lazzaretti di Contrataci6n
e Agua de Dios. In pianura i cavalli si fecero onore: egli poteva
sostare di notte in qualche stazione, celebrar Messa alle quat-
tro del mattino e poi rimontare a cavallo per tutta la giornata
senza perdere un minuto di tempo. Una volta forzarono la resi-
stenza e giunsero a notte avanzata; ma la stanchezza e il disagio
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16.3 Page 153

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sconsigliò di ripetere l'esperienza. Quando poi affrontarono le ter-
ribili montagne, i cavalli, messi a dura prova anche da difficoltà di
respiro, non ce la fecero e ne dovettero abbandonare cinque per
strada, facendo a piedi gran parte del resto del cammino.
Ai Lazzaretti li attendevano centinaia di sofferenti, schierati
all'ingresso del visitatore, primi i bimbi che giocavano e ride-
vano quasi ignari del male di cui erano già evidenti le tracce.
Di sorridere e acclamare si sforzavano anche gli anziani; ma non
potevano tradire gli spasimi del progresso della lebbra, che solo
l'uomo contrae. Che strazio quelli che si trascinavano sulle gi-
nocchia, quelli che giungevano i moncherini implorando la bene-
dizione di Don Albera! ... altri che sembravano cadaveri ambu-
lanti, altri che non avevano più né naso, né occhi, né orecchie.
Queste, spesso ingrossate, pendevano a brandelli perdendo ogni
forma ...
La lebbra non si trasmette, per fortuna, per generazione, ma
solo per contagio e i salesiani si prendevano anche cura a parte
dei sani, fino ad organizzare gli svaghi da Oratorio, la filodram-
matica, il teatro... Un confratello divise la sua capanna di paglia
con Don Gusmano; a Don Albera fu riservata una capanna da solo.
Le cinque Figlie di Maria Ausiliatrice, in un locale tanto
ristretto che la stanza d'entrata si cambiava di notte in camera
da letto, attendevano all'ospedale, visitavano quelle sparse che
più soffrivano e facevano da madri alle bambine orfane di mam-
ma. Nei giorni di permanenza si diede una missione, e Don Al-
bera, aiutava i missionari nella predicazione e nelle confessioni,
sopportando l'orribile fetore cui non era preparato. Infine portò
il SS . Sacramento nella processione di chiusura benedicendo
tutti col cuore sanguinante. Tutti pare abbiano approfittato dei
Sacramenti. Ad Agua de Dios predicò addirittura tutta la mis-
sione con Don Rabagliati e la chiuse con la processione in onore
di Maria Ausiliatrice. Per tutti i giorni che passarono in quei
due lazzaretti i malati disputavano ai sani il conforto di stare
attorno a loro e sentire qualche buona parola. Ad Agua de Dios
giunsero a nascondere le mule del visitatore per trattenerlo più
che potessero e fargli un'accademia di omaggio dicendogli tutta
la loro riconoscenza. Indescrivibile la scena dell'addio! Infermi,
sani, salesiani e suore avrebbero voluto trattenerlo per sempre.
Tre mesi in complesso passarono in Colombia. Don Albera
ossequiato in modo speciale anche dalle autorità, benefattori e
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16.4 Page 154

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cooperatori d'ogni ceto. Il Delegato Apostolico li volle a pranzo
con l'Arcivescovo e partecipò poi in collegio a quello offerto dal
superiore ai principali benefattori. Il Presidente della Repub-
blica non volle mancare all'accademia di commiato, protestando
che voleva pubblicamente ringraziare i salesiani soprattutto per
la cura dei lazzaretti.
Durante la permanenza le autorità civili e militari si mo-
strarono tutte cortesissime, facilitando più volte i viaggi con corse
speciali di treni nei tratti ferroviari. Nel partire, Don Albera
portava in cuore tante care emozioni, ma vivo soprattutto il ri-
cordo dei lebbrosi i quali avevano aderito in massa alla sua esor-
tazione: « Soffrite tanto nel corpo, lasciate almeno di soffrire
nell'anima, riconciliandovi col Signore, poiché questo dipende da
voi. Noi siamo incapaci di guarirvi dalla lebbra materiale, per-
mettete che vi togliamo quella spirituale». Solo in Agua de Dios
aveva distribuito oltre un migliaio di Comunioni; si era recato a
confessare anche i lebbrosi isolati nei dintorni del lazzaretto.
Il più restlo, che aveva protestato di disporsi a fare la sua
confessione solo da Don Albera, non finiva più di baciargli le
mani e inondargliele di lagrime. Poté lasciare Bogota il 29 ot-
tobre 1902. Dopo due ore di treno, dovette rinforcare il cavallo
sotto un sole torrido e fra i pericoli della guerriglia.
Arrivato ad Ronda si lasciò cadere sulla prima sedia che gli
capitò, nell'ospedale delle Figlie della Carità: non ne poteva più.
Nel viaggio tanto egli come il segretario avevano perduto il cap-
pello da prete e dovettero adattarsi ai locali cappelli di paglia;
un po' buffi con la veste nera. Dopo cinque giorni di attesa si
decise a imbarcarsi su di una nave requisita dai guerriglieri per
ospedale, scarsa perfino del necessario: per 20 passeggeri di prima
classe disponeva solo di tre bicchieri... Vi erano morti tanti e
non era neppure stata disinfettata.
Sbarcato il 12 novembre a Barranquilla, passò alcune ore fra
i confratelli, poi si imbarcò sul «Montevideo» per raggiungere
il V enezuela. Al porto di Calafar un altro vaporetto custodiva il
caporione dell'infausta rivoluzione; la guerriglia si poteva dire
cessata. Però ne scoppiava quasi subito un'altra nel Venezuela,
che impedì la visita ai confratelli di San Rafael. Pernottarono a La
Guayra, presero il treno e in quattro ore si trovarono a Cara-
cas scortati dal direttore dei Cooperatori dott. Arteaga, ch'era
salito qualche stazione prima per accompagnarli.
144

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Alla capitale Don Albera ricevette i primi omaggi dai Coo-
peratori e benefattori alla stazione; poi, all'Istituto salesiano, dai
200 giovani che avevano preparato una graziosa accademia. Don
Albera si rallegrò di vedere già ultimato un padiglione capace
di un centinaio di interni ed incoraggiò a proseguire con tutto
il progetto della costruzione che ospitò poi convenientemente la
sede ispettoriale con le sezioni per artigiani e studenti ed un
buon Oratorio festivo.
Bastarono pochi giorni per la visita. L'ispettore Don Foglino
lo accompagnò a Valencia ov'era pure preparato un solenne rice-
vimento e la chiesa già gremita pel canto del Te Deum. In casa,
canonici, parroci, rettore di seminario ed altre distinte persona-
lità avevano provveduto al pranzo in comune per aver agio di
passare una buona ora col rappresentante del Rettor Maggiore.
I salesiani erano cari a tutti perché si prestavano anche per la
parrocchia e per l'ospedale cittadino. Durante il soggiorno Don
Albera ebbe la consolazione di riuscire a persuadere un ottimo
sacerdote, torturato da scrupoli, a riprendere la celebrazione della
Santa Messa e gliela assistette lui stesso. Terminati i colloqui
coi singoli confratelli, come in ogni visita, le conferenze ai sale-
siani e le funzioni ai giovani, non poté andare a Puerto Cabello
per raggiungere più celermente S. Rafael, ma dovette tornare
a Caracas e poi alla Guayra per raggiungere Maracaibo. La tra-
versata del lago, di notte, su una barcaccia senza coperte, tra la
furia del vento gelido, fece passare a Don Albera una delle notti
peggiori.
In compenso riuscl a trattenere un frate laico cappuccino,
caduto malamente sulla sponda. Gioia immensa pei confratelli
che temevano non potesse arrivare. I 40 allievi delle scuole,
clero e cooperatori, felici di vedere il visitatore, l'accolsero con
la più affettuosa dimostrazione.
Nel ritorno a La Guayra poterono ammirare il forte di S.
Carlos e il villaggio dove Don Soleri che li accompagnava scese
per predicarvi l'indomani, festa dell'Immacolata. Don Albera e il
segretario passarono 1'8 dicembre a Curaçao ove il vapore sostò
due giorni dando loro tempo di celebrare, far visita al Vescovo
domenicano olandese che li trattenne a mensa, al Parroco olan-
dese egli pure, e trattenersi coi salesiani chiamati da lui a diri-
gere un Ospizio di arti e mestieri zeppo di giovani distribuiti in
sette laboratori.
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Nella ripresa del viaggio trovarono il porto di La Guayra
bloccato da varie navi di diverse nazioni ancorate per proteg-
gere i loro connazionali dai pericoli della rivoluzione. Ci vol-
lero più giorni per ottenere di prendere un'altra nave; ma que-
sta andava in direzione opposta e finirono a Portorico dove fu-
rono trattenuti per cinque giorni in quarantena. Il 27 dicembre
transitava il vapore Leone XIII che trasportava anche uno stuolo
di Missionari Salesiani e di Figlie di Maria Ausiliatrice. Ne appro-
fittarono come di vera provvidenza e con quella cara compagnia,
consolandosi del triste Natale passato a Portorico, navigarono
fino a Cuba, quel giorno in festa per l'arrivo del Visitatore Apo-
stolico accolto dal Vescovo diocesano, dal clero, autorità e po-
polo in massa.
Dal Messico agli Stati Uniti
Missionari e missionarie si stringevano attorno a Don Albera
a dargli notizie delle loro case di provenienza e preoccupati delle
sue condizioni di salute che facevano pietà: dimagrito, soffe-
rente, estenuato dalle fatiche. A Cuba alcuni confratelli avreb-
bero dovuto scendere, ed uno di essi che non aveva potuto ancora
emettere la professione religiosa, ma portava con sé le carte in
regola, pregò Don Albera di volerla accogliere là « sul mar delle
Antille», presso quell'isola dove tre anni prima una guerra spie-
tata aveva fatto tante vittime (Boll. Sai., marzo 1905, p. 76).
La funzione inteneriva i cuori e Don Albera la commentò tanto
fervorosamente. Fu poi festa di famiglia per tutti. La nave gettò le
ancore nel porto dell'Avana e Don Albera trasbordò alla nave Ciu-
dad de Cadiz, dove nei tre giorni di sosta il Presidente delle con-
ferenze di S. Vincenzo de' Paoli era salito a conferire con lui. Don
Albera approfittò anche per far visita alle comunità religiose della
città che l'accolsero molto cordialmente. La ripresa verso Vera
Cruz dovette affrontare un mare tanto agitato che nel giorno del-
l'Epifania non consenti di celebrare la Messa. Le leggi antireligiose
del Messico vietavano la veste talare e gli abiti religiosi, sicché sa-
lesiani e suore si dovevano adattare agli abiti borghesi: un po'
di farsa che destò buon umore, mentre il superiore delle case
del Messico saliva a bordo con altri confratelli per far loro com-
pagnia fino allo sbarco e condurli alla casa salesiana. Incante-
vole il tragitto dal porto alla capitale: salita in treno a 2300 m.
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fra la lussureggiante magnificenza della vegetazione; sull'altipiano,
campi di zucchero, di caffè, di banane... E quante ricchezze an-
che nelle viscere dei monti! Ma, frequente flagello, guerre e guer-
riglie, dittature e repubbliche ora unitarie, ora federali; di più
l'aspirazione fanatica, a quei tempi negli Stati Uniti, di associarsi
tutto il Messico come uno dei loro stati. La popolazione sof-
ferse di una instabilità che teneva in allarme. All'arrivo del visi-
tatore reggeva il Messico Porfirio Diaz da 26 anni e l'aveva por-
tato a tranquillità e prosperità. La descrive bene Don Gusmano
nel Bollettino Salesiano del maggio 1905, pagg. 137-41, non celan-
do le difficoltà che incontrava la pratica del cattolicesimo con le sue
istituzioni, mentre la popolazione conservava una fede capace di
sostenere il martirio. Alla stazione di Messico, Cooperatori e be-
nefattori, personalità, che con le loro vetture portarono tutti al
collegio che sorge nella vasta pianura detta Colonia di Santa Giu-
lia. Il collegio era già tutto ultimato, uno dei più belli che Don
Albera avesse visto fino allora.
Mancava solo la chiesa in costruzione al centro del fronte.
I musici diedero fiato ai loro strumenti e dopo il primo benve-
nuto tutti si raccolsero in cappella con i duecento e più allievi
a cantare il Te Deum. Metà dell'edificio l'occupavano allora le
Figlie di Maria Ausiliatrice con scuole e laboratori e oratorio
per le ragazze, in attesa di un istituto proprio che i generosi
cooperatori del Messico non tardarono a metter loro a disposi-
zione. Don Albera, come aveva fatto negli altri istituti, volle visi-
tare scuole e laboratori interrogando insegnanti ed alunni con
grande soddisfazione. Messico contava allora circa 350.000 abi-
tanti ed era una fra le più belle città del mondo. Don Albera
fu pure condotto al grande santuario di N. S. di Guadalupe ove
celebrò la S. Messa· all'altare della Vergine. L'ispettore Don Gran-
dis e Don Gusmano, ad altari laterali. Quanto fervore di vera
pietà e devozione nel tempio sempre molto frequentato da fedeli
di ogni ceto! A quattro ore dalla capitale è la città di Puebla de
los Angeles, pure fra le più belle e le più ricche. Il collegio
salesiano contava allora 150 allievi con la miglior scuola di lito-
grafia e tutti gli altri laboratori assai stimati, pur in locali insuf-
fidenti; ma era già in costruzione un ampio nuovo fabbricato che
avrebbe favorito un magnifico sviluppo. Don Grandis toccava
con mano l'aiuto straordinario, spesso prodigioso, della Provvi-
denza divina.
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16.8 Page 158

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Don Albera decise su due piedi il trasferimento del modesto
istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice in luogo più ampio e
più adatto al massimo sviluppo delle loro opere educative. Tor-
nati a Messico, s'affrettarono a raggiungere Morella a 18 ore di
treno. I cooperatori fecero loro la sorpresa di un pranzo collet-
tivo coi giovani; e questi di una graziosa accademia musico-
letteraria.
Spronando gli altri membri della terza famiglia spirituale di
Don Bosco a continuare ogni aiuto ai salesiani, un insigne coo-
peratore ne spiegò a Don Albera le comuni intenzioni: « Affin-
ché i nostri Indi e i nostri operai siano educati nel santo timor
di Dio, nell'amore dei propri simili, nell'ideale della santità del
lavoro e del rispetto alle autorità: allora gli splendori del secolo
non serviranno a offuscare la vista a questo nostro diletto po-
polo, bensì ad illuminare i suoi passi e guidarlo sano e salvo al
vero progresso ». Accanto all'istituto, tutto per scuole professio-
nali, si stava organizzando un'ottima scuola agraria. Qui le suore
avevano uno dei loro migliori istituti con oltre 400 educande
ed un asilo modernissimo che era la simpatia di tutta la città.
Mentre visitava accuratamente e con crescente emozione le
sette fiorentissime case salesiane, giungevano a Don Albera ben
22 domande di altre fondazioni, per le quali i cooperatori assi-
curavano tutti i mezzi fino al completo sviluppo e al più effi-
ciente funzionamento. Stralciamo da una di esse, di un oriundo
italiano: « Venga, venga a vedere quanto c'è da fare qui!. .. scelga
quanto terreno vuole; mi diano il disegno che loro piacerà, io
lo farò eseguire; ma mi dicano che accetteranno. Qui siamo limi-
trofi al colosso degli Stati Uniti, ove so che anche per loro è
preparato un immenso campo di lavoro: avranno comodità di stu-
diare la lingua e il carattere dei Nord-Americani... ». Mancava
il personale! E il santo ispettore se ne doleva con Don Albera
che non sapeva come consolarlo. Caro Don Grandis! Che poi si
esaurì fino a non potere per anni celebrare la S. Messa...
Commoveva vederlo, nella casa di Ivrea, accostarsi ogni mat-
tina alla santa Comunione come un angelo e poi lavorare ugual-
mente quanto poteva nella cura della allora fiorentissima casa di
vocazioni, poi Istituto Card. Cagliero. Chi scrive non potrà mai
dimenticare la gioia che gli procurò quando lo condusse al colle
natio di Don Bosco e, obbedendo alla parola d'ordine del Servo
di Dio Don Filippo Rinaldi, informato dall'allora direttore di
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Ivrea Don Ambrogio Rossi, lo chiuse nella cappelletta del Ro-
sario e gli fece riprendere la celebrazione assistendolo affettuo-
samente. Caro Don Grandis! Servi poi la mia Messa spargendo
lagrime di consolazione. La stessa sorpresa gli feci l'indomani
conducendolo alla sua antica casa di Penango zeppa di Figli di
Maria e lo ricondussi ad Ivrea dove, tolto un giorno o due d'in-
certezza, là continuò a celebrare fino al termine della vita, chia-
mato al premio nella festa dell'Immacolata. Don Albera perorò
la causa delle vocazioni, rivolgendo più volte la sua parola ai
cooperatori messicani: « Padri, madri, conoscenti ed amici, laici
ed ecclesiastici, siate generosi soprattutto col promuovere o al-
meno col non impedire le vocazioni al sacro apostolato... », esor-
tava con voce che andava al cuore perché partiva dal cuore...
E quante splendide vocazioni diede il Messico alla Chiesa, ai
religiosi ed alla Società Salesiana, all'Istituto delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice! A me conferi l'Ordinazione sacerdotale nel 1922
un altro dei grandi ispettori delle case del Messico, l'arcivescovo
Mons. Guglielmo Piani, poco dopo la sua consacrazione episco-
pale, Delegato Apostolico alle Filippine e poi, tanto desiderato,
Delegato Apostolico al Messico. È in corso la causa per la sua
beatificazione... Mi si perdoni la digressione.
Il 18 marzo 1903 visitatore e segretario partirono per gli
Stati Uniti con i confratelli di Londra e il 25 erano già a
San Francisco di California a far la festa dell'Annunziata. Poi,
con dieci giorni di treno, a New York. Lungo il percorso alla
città di Passo furono accolti con squisita cordialità dai Padri Ge-
suiti, sempre tanto fraterni coi salesiani di passaggio. A Los An-
geles incontrarono invece l'ispettore Don Borghino e Don Re-
dahan giunti per predicare una missione agli italiani, che si do-
vette differire per un contrattempo. Alla stazione erano anche
parecchi italiani che li accompagnarono a visitare la città. Verso
sera presero il direttissimo per S. Francisco e l'indomani erano
tra i confratelli che curavano gli immigrati officiando la chiesa dei
santi Pietro e Paolo: erano 15.000 solo gli italiani. I salesiani
stavano costruendo un'altra chiesa al lato opposto della città ove
lavoravano altri connazionali; fu poi dedicata al Corpus Domini.
Millequattrocento tra fanciulli e fanciulle popolavano i due Ora-
tori festivi ove i tre sacerdoti salesiani prodigavano la cate-
chesi e l'educazione cristiana, con l'aiuto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice.
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16.10 Page 160

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Don Albera diede anch'egli mano predicando e confessando
fin dalle prime ore del mattino. Bene organizzate erano le com-
pagnie religiose formate da giovani e giovinetti bene addestrati
per i catechismi e per le varie opere di assistenza sociale. Il
22 febbraio, s'inaugurava un ampio salone per ricordare il de-
cennio di fondazione della Compagnia delle Figlie di Maria: do-
veva servire per l'istruzione catechistica nelle feste, sala di lavo-
ro, adunanze di compagnie nei giorni della settimana, come acca-
demie e manifestazioni. Si volle offrire la prima in onore di
Don Albera. Nella mattinata egli aveva distribuito la prima Co-
munione a una settantina di figli di italiani e nei giorni prece-
denti aveva tenuto conferenzine a tutte le compagnie. Coronò
quindi l'accademia con la sua parola di rallegramento e di inco-
raggiamento all'apostolato, dove il concorso dei laici era indi-
spensabile allo scarso clero. La graziosa manifestazione si orga-
nizzò il giovedl seguente nella parrocchia del Corpus Christi.
Don Albera approfittò dei pochi giorni che gli rimanevano
per far visita anche ai salesiani di Oakland, dove prestavano ser-
vizio religioso a una colonia portoghese a venti minuti di va-
porino, e fece visita a vari emigrati che erano accorsi a rice-
verlo al suo arrivo. Interessantissima la visita alla fattoria agri-
cola di uno di essi nella principale colonia italiana che portava il
nome di Asti, a tre ore di treno da San Francisco. Di là furono
accompagnati anche a un paesello vicino a vedere una espo-
sizione agricola veramente bella.
Proseguendo per New York, dopo cinque giorni di treno
sostarono a Chicago, accolti dai Servi di Maria che usarono loro
ogni cortesia e fecero visitare tutta la città fin d'allora affollata
di quasi due milioni di abitanti, la seconda dopo New York. Don
Coppo, direttore della casa salesiana di New York, li attendeva
a Cleveland dove il Vescovo desiderava strappare a Don Albera
la promessa dell'invio di salesiani per una scuola professionale,
troppo necessaria per tanti figli di immigrati. Ma a Torino Don
Albera trovò poi grande penuria di personale. Viaggiando di
notte con breve sosta alla stazione di Buffalo, alle nove del mat-
tino giunsero a New York, che sembrava avvolta in una coltre
di fittissima nebbia. Il tratto dalla stazione alla chiesa salesiana
della Trasfigurazione bastò perché la nebbia si sciogliesse in piog-
gia. Ciononostante la chiesa riversava una folla enorme per ac-
coglierne un'altra: i nostri immigrati non avevano rispetto urna-
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17.1 Page 161

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no e in tutti i giorni festivi era uno spettacolo vedere la loro
affiuenza alle sacre funzioni. Don Albera celebrò subito la S. Messa,
poi ricevette gli omaggi di tutte le compagnie parrocchiali. Ri-
spose con cordiali parole di ringraziamento, di felicitazioni e di
augurio.
L'indomani, visitarono le scuole parrocchiali frequentate dai
:figli dei nostri connazionali, in gran parte liguri e meridionali,
che formavano quella grande colonia italiana. Don Albera ag-
giunse le sue insistenze per incoraggiare a scoprire un luogo adatto
fuori città per una casa di vocazioni. Non poté sottrarsi dal far
visita all'Arcivescovo, tanto affabile coi salesiani, alle famiglie
religiose e ad insigni cooperatori. Infine, fu accompagnato a
Brooklyn, impiegando più di tre ore solo per attraversare New
York valicando il ponte che è una meraviglia del mondo. Là
si offriva ampio terreno per una casa di vocazioni adulte, Figli
di Maria.
A metà marzo conchiudeva cosl la sua visita alle case sale-
siane d'America, con l'unico rammarico di non aver potuto recarsi
a Giamaica pel complicarsi delle guerriglie rivoluzionarie cui ab-
biamo accennato, a confortare quei confratelli tanto sacrificati.
Il 18, a bordo del San Paulo, riprendeva la navigazione per l'Eu-
ropa ed il 26 Don Albera era a Londra dove l'ispettore Don Ma-
cey lo tratteneva a visitare le sette case vicine, perché consta-
tasse lo sviluppo dell'opera salesiana in Gran Bretagna. Non
descriviamo le accoglienze cordiali e imponenti, come le quali-
fica Don Gusmano. In sette ore di viaggio, attraversata la Ma-
nica, giunsero a Parigi e si affrettarono a tornare a Torino con
una grande stretta al cuore per la desolazione in cui la recente
persecuzione religiosa aveva ridotto le case dei salesiani e delle
suore in Francia, tanto care a Don Albera. Giunsero proprio la
vigilia di Pasqua del 1903, 11 aprile, a cantare il Te Deum con
l'Alleluja, abbracciando Don Rua, superiori e confratelli, fra gli
evviva dei gi'ovani studenti ed artigiani.
A Torino - Incoronazione di Maria Ausiliatrice
e Corona di Don Rua
Passate nella casa-madre le feste pasquali, Don Albera ebbe
tutto l'agio di fare le sue relazioni a Don Rua, ai superiori, e
di parlarne ai confratelli e ai giovani che l'attendevano con tanto
151

17.2 Page 162

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desiderio. A poco a poco, si rifece anche in salute continuando
il suo servizio ordinario accanto al Rettor Maggiore come Cate-
chista Generale. Riprese presto le visite alle altre case d'Italia
e d'Europa, secondo le disposizioni del superiore e gli accordi
con gli ispettori.
A Don Rua intanto giungevano relazioni della sua visita in
America. Al solo leggerle la commozione si traduce in ammi-
razione. Solo un'assistenza speciale di Dio, della Vergine Ausi-
liatrice e di Don Bosco può spiegare la resistenza fisica di Don
Albera in quei tre anni di disagi e di sacrifici di ogni genere. Le
note caratteristiche sono quelle trasmesse anche da Don Gar-
neri: « Non si poteva scegliere uno che rappresentasse meglio
Don Bosco... Dappertutto la sua visita suscitò immenso entu-
siasmo anche fra le autorità ecclesiastiche e civili, famiglie reli-
giose ed enti pubblici, cooperatori, exallievi, popolazioni... ».
« In ogni parte Don Albera si acquistò la venerazione di tutti.
Non si può calcolare il bene che egli fece ai confratelli, agli
Exallievi, e specialmente ai Cooperatori: tutti rimasero ammi-
rati ed edificati, e la nostra Congregazione accrebbe di stima
presso i vescovi diocesani, clero, autorità e benefattori... » (Don
Giusepe Vespignani, ispettore in Argentina). « I Cooperatori e le
persone che lo avvicinavano non sapevano più staccarsi da lui,
tanto li avvinceva il suo aspetto amabile, la finezza del suo
tratto, l'incanto della sua umiltà, la sua parola che andava al
cuore... ». « La benedizione di Maria Ausiliatrice dalle sue lab-
bra e per le sue mani scendeva in grazie e prodigi, a volte straor-
dinari, alle anime che la ricevevano piamente... ». « Incredibile
la sua dedizione ai lebbrosi nei lazzaretti. Non vi fu opera di
cui non si interessasse. Volle visitare tutti gli ammalati che non
potevano lasciare il letto, ascoltando con affettuosa compassione
la storia delle loro sofferenze, delle vicende della loro vita, con-
fortandoli con delicatezza ed efficacia meravigliosa... Nella visita
alle case arrivava a tutto e a tutti... con materna bontà confor-
tandoli e incoraggiandoli a soffrire con rassegnazione cristiana... ».
Descrivendo quindi i sacrifici delle visite aUe case, Don Gu-
smano nota che Don Albera lasciava ad ogni confratello la più
ampia libertà di esporgli quanto egli credesse bene per l'anima
sua e pel buon andamento della casa stessa, secondo la norma
delle costituzioni che disponevano il rendiconto (oggi, con ter-
minologia scolastica, colloquio) non solo a servizio spirituale del
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17.3 Page 163

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confratello, ma a collaborazione solidale per la piena e retta effi-
cienza di ogni opera salesiana. Quando non bastava il giorno
vi dedicava anche parte della notte, purché tutti ne uscissero sod-
disfatti. « Non si viene dall'Italia - diceva - affrontando tanti
disagi, per non lasciare pienamente soddisfatti i confratelli ».
Don Gusmano conchiude attribuendo a particolare assistenza
divina, a quella materna di Maria Ausiliatrice, se Don Albera,
di salute così delicata, poté sostenere per tre anni tante fatiche,
senza ammalarsi seriamente: giornate intere a cavallo; viaggi sot-
to piogge torrenziali per dieci, quindici giorni continui; dormire
sulla paglia o sopra una stuoia sollevata un metro da terra; nu-
trirsi malamente di sole pannocchie di ·granturco bollito; soffrire
il freddo fino a trovarsi con le gambe irrigidite, quasi assiderate
sull'alta Cordigliera... Quanti confratelli potevano rendere testi-
monianza e confermare, conoscendo per esperienza quanto costas-
sero quei disagi!
Interessanti per i salesiani e i religiosi in genere, che ten-
dono sul serio alla perfezione, sarebbero le lettere personali che
Don Albera spedì direttamente a Don Rua con i rendiconti
periodici e con le relazioni confidenziali sull'andamento delle sin-
gole case. Ma troverebbero miglior riporto in uno studio sulla
spiritualità di Don Albera che ci si augura venga presto curato
secondo il merito. Rimandiamo quindi a questa pubblicazione che
di cuore anche noi auspichiamo.
Ci affrettiamo a superare gli ultimi anni che egli trascorre
ancora a fianco di Don Rua, suo braccio destro nella direzione
spirituale dei salesiani, prima di assumere la piena responsabi-
lità del governo di tutta la Congregazione.
Il tempo che egli trascorreva in sede era ordinariamente di-
viso dalla corrispondenza, dalle udienze e dagli impegni che lo
legavano alla collaborazione capitolare col superiore e con gli al-
tri membri del consiglio, specialmente per la cura della prepara-
zione alla consacrazione religiosa e agli Ordini sacri dei candi-
dati, dal noviziato alla teologia.
In questo egli continuò ad essere piuttosto esigente e qual-
cuno non seppe comprendere quanta ragione avesse. Mons. Luigi
Olivares, di cui è in corso la causa di beatificazione, l'ammirava
e riconosceva appieno. « I suoi critici - spiegava - non si ac-
corgono che il bene delle anime a volte richiede una certa seve-
rità che, ben lontana dal non essere equa, è illuminata fermezza.
153

17.4 Page 164

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Don Albera batteva la via tracciata dal santo Pio X, il quale
soleva dire che la ragione di tante ombre nella vita della Chiesa
stava nel fatto che troppi sacerdoti avevano cessato di essere sale
della terra ».
La preoccupazione di non ammettere candidati indegni lo ren-
deva anche incontentabile di se stesso. Donde, nel suo diario,
la persistente insoddisfazione del suo lento progresso personale.
Il Signore lo affinava nell'arte cosl difficile e delicata della dire-
zione delle anime chiamate a servizio speciale nel ministero della
Redenzione, nel mistero della salvezza, facendogli esperimentare
più al vivo le resistenza e i capricci della natura nel rispondere
alle esigenze della Grazia.
Con logica, perfino impietosa qualche volta, egli ne traeva sti-
molo a pretendere anche dal suo corpo, pur malconcio dalla pre-
carietà della salute e dei disagi dei viaggi missionari, una disci-
plina che umanamente meritava moderazione.
È l'impressione che si prova rileggendo il diario delle visite
che egli riprese alle case d'Europa e della costa africana, dopo
pochi giorni di riposo; nel confortare Don Giuseppe Lazzero,
Consigliere emerito degente a Mathi Torinese; nell'accompagnare
Don Rua alla casa di formazione di Foglizzo Canavese, a Nizza
Monferrato, dov'era allora la casa generalizia delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, per dar notizie delle sue visite alle loro case e
missioni d'America, alla Superiora Generale e alle Madri del
Consiglio, nonché alle suore ed alle alunne di quel fiorente isti-
tuto magistrale, ringraziando tutte pel sostegno sentito dalle loro
preghiere.
In maggio e giugno però prestò il suo servizio in casa pel
Congresso dei Cooperatori Salesiani, ai quali fece fin dalla prima
assemblea generale, il 14 maggio, un'esposizione condensata della
sua visita alle Missioni d'America, portando il saluto dei Coope-
ratori americani, e le funzioni liturgiche delle feste d'Incoro-
nazione di Maria Ausiliatrice.
« Gran giorno! - lasciò scritto nei suoi appunti - Fu vera-
mente il trionfo della divozione a Maria Ausiliatrice. Ho assistito
alle funzioni ed ho passato momenti veramente deliziosi ». Si recò
in seguito a decorare ed infervorare con la sua pietà e la sua
parola le feste mariane nelle case viciniori di Lombriasco e di Lan-
zo... Durante le vacanze presiedette, quando non predicò, anche
vari corsi di esercizi spirituali e vi si prodigò tanto che Don Rua
154

17.5 Page 165

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lo dovette obbligare a un buon periodo di sosta e di cura a Mathi.
Presiedere non era allora una semplice funzione decorativa: vo-
leva dire mettersi a disposizione di ogni confratello pei rendi-
conti spirituali, dare almeno la « buona notte » tutte le sere,
seguire predicazioni e pratiche di pietà, curare il buon anda-
mento anche nei particolari, spesso districar matasse di coscienze
complicate e sciogliere tante difficoltà per far tutti contenti e
metterli a loro agio non solo spiritualmente.
Si riebbe verso la metà di gennaio del 1904. Nel mese di feb-
braio poté intraprendere le visite in varie case del novarese e il
4 aprile partire per Roma-Sicilia-Tunisia. A Roma poté assistere
ad una Messa celebrata da S. Pio X in San Pietro e il 26 essere
ricevuto in udienza dal Papa che s'interessò paternamente delle
Missioni salesiane. Proseguendo sostò a Caserta e a Napoli pri-
ma di raggiungere Messina. Visitò tutte le case dell'isola, no-
nostante un dolorosissimo reuma che aggravava gli altri incomodi.
A Catania ebbe agio di ammirare la venerazione del popolo pel
compianto arcivescovo Cardinale Dusmet di cui si commemorava
in quei giorni il decennio del piissimo transito. Benedisse la pie-
tra angolare della nuova chiesa del noviziato di San Gregorio,
oggi parrocchia; sostò a Bronte, Randazzo, Siracusa, Palermo, San
Giuseppe Jato, suscitando ovunque fervore di pietà e rispondenza
d'affetto, finché da Messina salpò per Tunisi.
Nel ritorno prese la via di Francia per Marsiglia e rientrò
in Torino il 1° luglio, con l'amara sorpresa di non trovarvi Don
Rua, in visita anch'egli per altre case. Il biografo coglie la sua
pena dal diario: « Da tre mesi non vedo più Don Rua ». Ebbe
poi tempo di scambiare le confidenze della sua missione, perché
Don Rua tornò piuttosto malandato e dovette starsene in casa
inviando Don Albera a Sampierdarena ad incontrare Mons. Ca-
gliero che tornava a Torino.
Il X Capitolo Generale
Il 23 agosto tanto Monsignore come Don Albera si trovarono
con gli altri superiori e delegati a Valsalice pel X Capitolo Ge-
nerale, in cui per la prima volta è rilevata la presenza di un
salesiano laico, il coadiutore Antonio Tarable, che suppliva il dele-
gato Don Bernabé per l'Ispettoria della Terra del Fuoco, am-
messo con la clausola « salve disposizioni del diritto canonico ».
155

17.6 Page 166

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Il primo atto fu l'elezione di cinque membri del Capitolo
Superiore che scadevano. Don Albera vi fu rieletto con 66 voti
su 73 votanti. « Io sono stato rieletto Direttore Spirituale - si
legge nel suo diario - come prima. Ma non posso godere.. . anzi
ne provo pena perché sento tutta la mia incapacità».
Con Mons . Cagliero parteciparono anche Mons. Costamagna
e Mons. Fagnano. Una delle prime deliberazioni fu quella che
rimise al Rettor Maggiore, col consenso del suo Consiglio, la no-
mina dei maestri dei novizi, che prima era di elezione capitolare.
Il Capitolo decise invece che il Segretario Capitolare avesse
diritto di voto nel Capitolo Generale (70 voti su 72) e il caro
Don Lemoyne fu invitato a entrare nell'aula per parteciparvi con
voce attiva. Venne pure accolta la proposta di Don Bellamy, che
il Direttore della Casa-Madre fosse membro nato dei Capitoli
generali. Il Capitolo X è fra i più importanti presieduti ancora
da Don Rua. Don Albera godette in modo particolare delle deli-
berazioni prese per l'assistenza agli emigranti e l'incremento delle
Missioni: egli aveva più al vivo presente il quadro delle parti-
colari necessità dei due grandi problemi.
Terminato il Capitolo, Don Albera venne mandato d'urgenza
in Francia dove il governo stava per incamerare varie case sale-
siane, per aiutare i confratelli a salvare il salvabile . A stento si
riusd a salvare quella di Nizza Mare. Subito dopo, da Torino
riprese il treno per Verona, Gorizia; sostò in Austria e poi pro-
segui per la Polonia, ove si trattenne in visita fino al 10 di
dicembre. La sua salute subl altre scosse che consigliarono Don
Rua a mandarlo a riposarsi in Francia subito dopo la festa di
San Francesco di Sales del 1905. Da Marsiglia raggiunse Santa
Margherita ove le cure delle suore lo rimisero in forma suffi-
cientemente verso la metà di marzo. Ma in agosto i medici consi-
gliarono le acque di Recoaro: egli approfittò della cura anche
per visitare alcune case dell'lspettoria Veneta, allora unita con
la Lombardia. Il giovamento fu troppo relativo, sicché da Torino
dovette presto rifugiarsi di nuovo a Mathi, dove passò gli ultimi
mesi dell'anno.
Il 1906 segna la data delle prime spedizioni missionarie per
la Cina e per l'India. Don Albera ebbe il dolce incarico di accom-
pagnare al porto di Genova i missionari che con Don Luigi Ver-
siglia dovevano imbarcarsi per raggiungere Macao. C'era Don Lo-
dovico Olive di cui egli aveva curato lo sboccio della straordi-
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17.7 Page 167

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natia vocazione; e Don Rua aveva pensato anche al conforto
della famiglia che ne aveva fatto generoso sacrificio. L'altro sa-
cerdote era Don Giovanni Fergnani; con loro, due coadiutori tanto
benemeriti Carmagnola e Rota.
A Genova era accorsa la famiglia Olive a dar l'addio al co-
raggioso figliuolo. Don Albera la riaccompagnò poi in Francia
con la consegna di Don Rua di trattenersi più a lungo possi-
bile. A metà marzo egli anticipò il suo ritorno a Torino per
la grave malattia del suo segretario Don Calogero Gusmano. Ebbe
il conforto di vederlo riprendersi abbastanza rapidamente. Ma
quante grane in quel mese e nei seguenti! Infieriva nella Chiesa
l'epidemia del modernismo. I Salesiani ebbero le loro prove, ma
Don Albera riusd ad arginarle, con grande conforto di Don Rua.
A Milano l'Opera salesiana era nella sua prima affermazione,
in pieno fervore di sviluppo. Don Albera lo poté constatare accom-
pagnandovi prima Mons. Cagliero per la conferenza ai Cooperatori,
attivissimi e larghi di benefica collaborazione, poi lo stesso Don
Rua per incontrare l'Arcivescovo di New York. Le cure di Mon-
tecatini durante le vacanze gli consentirono di attendere come al
solito agli Esercizi spirituali in agosto e settembre. In seguito
Don Rua l'inviò di nuovo d'urgenza a Parigi per sciogliere una
penosa situazione e di là fece una capatina in Belgio. Gli ultimi
mesi dell'anno li dedicò alle case più vicine, traendo non poche
consolazioni dal suo ministero in mezzo ai giovani.
Condivise poi in modo tutto particolare le grandi prove degli
anni seguenti con Don Rua e i superiori e tutta la Congrega-
zione per le persecuzioni settarie contro le case salesiane, comin-
ciando da Varazze.
Pene più intime sostenne fin dal mese di gennaio che egli
aveva iniziato col presentimento della sua prossima fine, dispo-
nendosi ad accettare « quella specie di morte che il Signore vorrà
mandarmi e tutte le sofferenze che Egli crederà utili per me»
(Garneri, Vita, pagg. 233-34).
Il Signore chiamava invece al Premio due altri confratelli
a lui carissimi: Don Giuseppe Bologna, primo direttore della
casa di Marsiglia, che aveva emesso i voti triennali insieme a
Don Lasagna, chierici ambedue, il 19 settembre 1868, mentre
Don Albera emetteva i voti perpetui, e il prof. Don Celestino
Durando, direttore generale delle Scuole salesiane con cui aveva
vissuto gli anni della giovinezza accanto a Don Bosco.
157

17.8 Page 168

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In memoria del primo egli scrisse nel suo diario: « Ho sof-
ferto moltissimo perché ho amato moltissimo questo confratello
col quale passai molti anni in Francia». La morte del secondo
gli acul il presentimento dell'incalzare della sua morte. Nel frat-
tempo, un funerale in casa Olive, una figliuola sposata Lautanne;
due in casa del suo segretario Don Calogero Gusmano: a di-
stanza di 24 ore la morte del fratello Pasquale e del fratello
Don Salvatore, direttore del collegio salesiano di Messina. Don
Albera si sentl « terrificato » e supplicava Maria Ausiliatrice a
confortare il segretario e i genitori cui le due tristi notizie fu-
rono poi date a distanza con la massima delicatezza.
Provvidenzialmente giunse da Roma la notizia che la S. Con-
gregazione dei Riti aveva deciso di assumere la Causa della Bea-
tificazione di Don Bosco e che il Santo Padre Pio X era dispo-
sto a firmare il relativo decreto di introduzione che, secondo la
prassi di allora, conferiva già ai Servi di Dio il titolo di vene-
rabile. Don Rua affidò a Don Albera la cura delle pratiche ine-
renti e questi vi si dedicò con tutta l'anima, distogliendosi dal pen-
siero di tanti lutti e confortandosi con la grande speranza: « Spe-
ro - scriveva il 14 aprile - di vivere fino al giorno in cui
Don Bosco sarà dichiarato venerabile, e prego il Signore di glo-
rificare il suo Servo, le cui virtù ho ammirato per trent'anni... ».
Come gli altri superiori - rileviamo anche noi seguendo
Don Garneri - che avevano vissuto a lungo con Don Bosco,
anch'egli si era fino allora imposto prudente discrezione nel par-
lare del Padre, per non ostacolare il procedimento del processo
informativo dell'Ordinario, contravvenendo sia pure lontanamente
alle disposizioni ecclesiastiche. Ma ora che la Chiesa assumeva
formalmente la Causa dopo l'attento esame del voluminoso incar-
tamento degli Atti inviato a Roma dalla Curia Diocesana Tori-
nese (562 adunanze dal 4 giugno 1890 al 1° aprile 1897), anche
Don Albera snodò la lingua a raccontare quanto aveva visto coi
propri occhi, udito con le sue orecchie, a gloria del Padre cui
sembrava associarsi il Cielo con la guarigione miracolosa di una
Figlia di Maria Ausiliatrice da turbe nervose che facevano so-
spettare affezioni meningee di natura tubercolare, proprio nel
giorno della dichiarazione della venerabilità di Don Bosco. L'in-
domani la suora, fra lo stupore di medici e conoscenti, si recava
a Valsalice a ringraziare Don Bosco sulla sua tomba.
11 25 luglio gli Exallievi si davano convegno a Valdocco per
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una solenne espressione della loro g101a, facendo voti pel solle-
cito proseguimento della procedura fino alla glorificazione.
Quattro giorni dopo, la setta scatenava la bufera di Varl!zze
le cui vicende, grazie a Dio, dimostrarono ancora una volta l'in-
famia di certe trame anticlericali e l'innocenza dei salesiani. Don
Albera ebbe il delicato incarico di comunicare agli Ispettori le
deliberazioni e le disposizioni del Capitolo Superiore perché si
evitasse in avvenire in ogni casa fin l'ombra di ogni appiglio ad
insidie del genere. E intanto egli insisteva nei corsi1 di esercizi
estivi spirituali per accentuare le esigenze di riserbo nel trat-
tare coi giovani, su cui Don Bosco non transrgeva, pur nel tratto
salesiano di confidenza, familiarità ed allegria proprio del sistema
educativo salesiano.
In quei mesi Don Albera suppliva anche Don Carlo Baratta,
ispettore dell'ispettoria subalpina, che si era ammalato. Aveva
quindi gran parte nell'organizzazione e nello svolgimento del-
l'imponente protesta degli Exallievi che il 29 settembre, onoma-
stico di Don Rua, convenivano a centinaia a Valsalice per testimo-
niare la stima e l'affetto al loro venerando Padre.
Distinti oratori esaltarono Don Bosco e le sue Opere, men-
tre alla riapertura delle scuole affluivano alunni in tal copia, co-
minciando dal collegio di Varazze, da dare la più concreta smen-
tita alle calunnie e dimostrare la loro fiducia a un sistema edu-
cativo rispettoso quanto altri mai della riverenza, che già gli
antichi esigevano verso la fanciullezza, l'adolescenza e la gioventù.
La cura degli esercizi spirituali e le dimostrazioni per l'in-
troduzione della Causa di Don Bosco impegnarono Don Albera
nell'autunno in Francia e in Spagna. Da Torino assolveva poi altri
incarichi particolari di Don Rua che indiceva una visita straordi-
naria di Delegati speciali del Rettor Maggiore a tutte le case.
Non poteva naturalmente mancare Don Albera alle feste dei sale-
si'ani di Nizza Mare che si erano ritardate alla fine di gennaio
del 1908. Procedendo poi alla visita delle case dell'Alessandrino,
Parma, Bologna e Pisa, si incontrò qui con l'arcivescovo primate
Card. Pietro Maffi invitato a Torino per la indimenticabile cele-
brazione dello storico evento, cur l'illustre e caro Porporato de-
dicò lo splendido discorso sul testo « Ut palma fiorebit », che
poi completò al transito di Don Rua col resto « Sicut cedrus
Libani multiplicabitur » (Salmo 91, vers. 3 ).
Alla festa di Maria Ausiliatrice mancò a Torino la presenza
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17.10 Page 170

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del marchese di Villeneuve, che annualmente soleva accorrere
dalla Francia. Gravemente infermo, cessò di vivere poco dopo,
e Don Albera andò personalmente a portare, con le sue, le con-
doglianze di Don Rua e dei superiori alla figlia religiosa bene-
dettina nel convento di Avigliana. Il 18 ottobre si compivano
50 anni dal suo ingresso all'Oratorio di Torino, ma le prime
serie preoccupazioni per la salute di Don Rua non consentirono
di commemorare esternamente la cara data. Don Albera ne pren-
deva nota nel suo diario, lamentando il poco profitto spirituale
che ne aveva tratto, poi soggiungeva: « Don Rua è ammalato.
Prego molto il buon Dio perché gli dia miglior salute per il
bene della nostra Pia Società». E Don Rua si riprendeva tanto
da poter ancora recarsi a Roma nel mese di novembre. Don Al-
bera ne approfittava per fare visita ai suoi fratelli a None.
Tutto dava buone speranze, quando come un fulmine si dif-
fuse la notizia del violento terremoto di Messina che quasi di-
strusse la città mietendo, fra le vittime, nove confratelli e tren-
tanove alunni dell'Istituto Salesiano. Accorsero da Torino Don
Bertello e Don Gusmano a confortare e provvedere ai superstiti.
Anche i primi mesi del 1909 trascorsero fra trepidazioni per
le oscillazioni della salute di Don Rua, di cui tuttavia il Bol-
lettino diede l'annuncio dell'inizio dell'anno giubilare: il 50°
della sua ordinazione sacerdotale (29 luglio 1860) e dell'organiz-
zazione di varie celebrazioni per la sua Messa d'Oro.
Incoraggiato, Don Albera il 21 aprile partl per Roma, con
Don Rua e Don Francesia che lo accompagnava, partecipò all'in-
gresso del parroco di Santa Maria Liberatrice, Don Luigi
Olivares, il futuro santo vescovo di Nepi: e Sutri, e al Conci-
storo del 29 in cui fu preconizzato vescovo di Massa il procu-
ratore generale della Congregazione Mons. Marenco.
Dopo l'udienza del Santo Padre (1° maggio) proseguì per Na-
poli e per alcune case della Sicilia, imbarcandosi infine a Pa-
lermo per la Tunisia dove sr trattenne fino al 9 giugno. Ritornò
via Marsiglia, per visitare altre case di Francia e trovarsi a To-
rino nell'annuale festa al successore di Don Bosco, il 23 giugno.
Intima festa seguì il 29 luglio per l'entrata di Don Rua nel-
l'anno giubilare.
Prima che incominciassero i corsi annuali degli esercizi spi-
rituali, Don Albera accorse a None al letto del fratello Giovanni
seriamente infermo, e a quello del parroco, agli estremi.
160

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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Al declinare dell'anno anche la salute di Don Rua mise tutti
in allarme. Riaccompagnandolo a Torino, dopo le adunanze del
Capitolo Superiore a San Benigno, Don Albera notò il progres-
sivo peggioramento che a metà dicembre 1909 lo costrinse a
letto. Ne seguì poi le fasi, coi superiori, mentre tutta la Con-
gregazione veniva periodicamente informata dell'andamento della
malattia e tutti pregavano nelle case salesiane, in quelle delle
Figlie di Maria Ausili~trice, dovunque fossero cooperatori ed ex-
allievi, ed anche fuori nell'ambiente di famiglia dove egli era
conosciuto, stimato e tanto amato.
Durò oltre tre mesi l'alterna vicenda della malattia del caro
superiore con effimeri sprazzj, di miglioramento. Nella corrispon-
denza che s'infittiva, Don Albera rilevava: « Don Rua è calmo
e sereno. Il suo contegno è quello di un santo... ».
Il 7 marzo 1910, intanto, moriva Don Giuseppe Lazzero,
Consigliere emerito del Capitolo Superiore. Don Albera giunse
a Mathi che egli era appena spirato. Al ritorno a Torino, Don
Rua lo pregò di prepararsi a tenere le conferenze che avrebbe
dovuto tener lui ai membri del prossimo Capitolo Generale, ed
egli vi si dispose confidando in Dio. Poi si recò a San Benigno
per la chiusura degli esercizi spirituali e tornò a Torino il giovedì
santo. Don Rinaldi aveva già recato il Viatico all'infermo. Cin-
que giorni dopo. Don Albera gli amministrava l'Estrema Un-
zione, come si chiamava allora il Sacramento degli infermi. Fu
proprio « estrema » per Don Rua. Non fece infatti che precipi-
tare, e i superiori si alternavano al suo letto mentre l'infermiere
e il fido suo segretario particolare Coad. Giuseppe Balestra non
l'abbandonavano un istante. Quante lezioni dr santità salesiana in
quei giorni, fino all'ultimo respiro! E quanta serenità di spirito!
A Don Albera giunse a chiedere: « Dopo morte dove mi
metterete? ».
« Oh, signor Don Rua! - gli rispose rompendo in sin-
ghiozzi - noi non pensiamo a queste cose. Anzi speriamo che
lei possa guarire e fare ancora tanto bene... ».
« Sai - riprendeva Don Rua per distrarlo dalla sua pena -
ti facevo questa domanda perché non vorrei, il giorno del giu-
dizio universale, cercare le mie povere ossa in un luogo mentre
sono in un altro e dover girar molto per trovarle... ».
Più tardi gli confidava: « Se per morire bisogna soffrire di
più, come farò io? ».
161
6 G. F,1villi

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« Il Signore - lo confortava Don Albera - che dà la neve
secondo la lana, darà a lei anche la forza: abbia fiducia nella sua
misericordia... ».
Il 6 aprile, alle 9,30, Don Albera con tutti i superiori e vari
confratelli ne raccoglieva l'ultimo respiro...
162

18.3 Page 173

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Parte III
RETTOR MAGGIORE
DELLA SOCIETÀ SALESIANA

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L'XI Capitolo Generale L'elezione
Per quanto preparati dal processo della malattia, la morte di
Don Rua fu un gran colpo per i salesiani e specialmente per
Don Rinaldi e per Don Albera che ne condividevano le più gravi
responsabilità. Negli appunti del suo diario e nelle lettere per-
sonali ad ispettori e direttori, a confidenti cooperatori, Don Al-
bera lascia comprendere il suo dolore e qualche senso di smar-
rimento.
Trepidazione per la successione, non direi. Egli e non pochi
confratelli pensavano che gli dovesse succedere senz'altro il Pre-
fetto Generale, Don Filippo Rinaldi, come Don Rua era succe-
duto a Don Bosco. A qualcuno, che nell'inviargli le sue condo-
glianze si era preso la libertà di predire invece a lui la succes-
sione, non esitò a rispondere : « La vostra fantasia è senza freno,
ne date prove in varie circostanze, come per esempio in questa
della morte di Don Rua. Bella opinione avete di Don Albera
per poter supporre che egli, soprattutto in momenti come que-
sti, pensi... ambisca ... Dio mi guardi dall'avere tali sentimenti
Sarei ben disgraziato! E per ora non aggiungo altro... ».
Don Rinaldi dal canto suo, pur sentendo anche in casa voci
a suo favore, era più tranquillo di lui, perché teneva in una
busta sigillata una parola di Don Bosco che a suo tempo citeremo.
Qui, per descrivere la pena di Don Albera, anticipiamo un
brano della prima lettera circolare che egli, fatto Rettor Mag-
giore, scrisse il 25 gennaio 1911:
« Scrivo queste pagine in quella stessa umile cameretta che
per più di ventidue anni fu testimone delle sue virtù (di Don
Rua). Qui tutto· mi parla di lui. Ad ogni momento si para di-
nanzi alla mia mente la sua dolce e paterna figura. Sembra che
ad ogni istante risuoni al mio orecchio la sua soave e consolan-
tissima voce. Ora mi par di vederlo tutto intento a leggere la sua
immensa corrispondenza, ora a scrivere quelle numerose lettere
165

18.6 Page 176

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che versavano balsamo sulle piaghe, richiamavano sul retto cam-
mino i traviati e spingevano le anime alle più alte cime della
perfezione. Altre volte lo contemplo calmo e sorridente acco-
gliere un numero sterminato di visitatori che, come si legge di
Santa Teresa, nell'uscire dal colloquio si sentivano migliorati.
Fra le nudi pareti di questa cella formò chissà quanti gran-
diosi disegni, prese molte generose decisioni, escogitò nuovi mezzi
di salvare la gioventù, di moltiplicare le missioni, di estendere
il regno di Gesù Cristo. Attorno a me dappertutto trovo le
tracce del suo instancabile zelo, della incredibile sua attività e
di quell'ordine inappuntabile che regolava la sua vita. Qui l'ab-
biam visto dolorare per lunghi mesi con pazienza esemplare e
con una completa sottomissione ai voleri divini... Quanto per-
demmo alla sua morte! Quanti nel!'entrare in questa camera e
più non trovandovi Don Rua proruppero in pianto! Il suo nome
è ricordato con affetto e venerazione. Molti già lo pregano come
santo. Ma noi salesiani non dovremmo essere inferiori ad alcun
altro nell'amarlo e onorarlo. E ciò noi faremo praticando i suoi
insegnamenti, imitando le sue virtù. Sotto il suo ritratto scriviamo
le parole di Sant'Ambrogio: hinc sumatis licet exempla vivendi:
da lui possiamo apprendere come dobbiamo vivere. Spero che
la memoria di Don Rua sia per me, e per voi tutti, un risve-
glio alla pietà, un ritorno allo spirito di zelo e sacrificio, uno
sprone a più perfetta osservanza... » (pagg. 8-9 della raccolta
delle sue circolari).
Aveva viva nel cuore l'ultima udienza avuta dal santo Pio X,
con Don Rinaldi, mentre si trovava a Roma, il 10 giugno, ad
implorare la benedizione del Papa sul prossimo Capitolo Gene-
rale, indetto da Don Rinaldi pel 4 agosto nell'Istituto di Val-
salice. Don Albera fu incaricato della predicazione degli Esercizi
spirituali, che prepararono alle elezioni proprio il 16 agosto 1910
(95° anniversario della nascita di Don Bosco).
Al primo scrutinio fu un alternarsi dei nomi di Don Albera
e di Don Rinaldi, finché non prevalse quello di Don Albera che
raggiunse la maggioranza assoluta. All'applauso scrosciante che
salutò la sua elezione egli si limitò a rispondere ringraziando
con un senso di sgomento e lamentando: « ... temo che presto
dovrete fare un'altra elezione... ».
La Divina Provvidenza dispose che quel presto si prolungasse
all'autunno del 1921: undici anni. Era proprio volontà di Dio.
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18.7 Page 177

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E Don Rinaldi lo svelò al termine della seduta, aprendo in pre-
senza di tutti la lettera che aveva affidato a Don Lemoyne il
27 febbraio, prima che Don Rua morisse. Sulla busta stava
scritto: « Da aprirsi dopo le elezioni che avverrebbero alla morte
del caro Don Rua ». E Don Rinaldi vi lesse: « Il sig. Don Rua
è gravemente ammalato ed io mi 'credo in dovere di consegnare
per iscritto quanto conservasi nel mio cuore al suo successore.
Il 22 novembre 1877 si celebrava a Borgo San Martino la solita
festa di S. Carlo. Alla tavola presieduta dal ven. Giovanni Bosco
e da Mons. Ferré sedeva io pure a fianco di Don Belmonte. Ad
un certo punto la conversazione cadde su Don Albera, raccon-
tando Don Bosco le difficoltà che gli mosse il clero del suo paese.
Fu allora che Mons . Ferré volle sapere se Don Albera avesse
superato quelle difficoltà: "Certamente - rispose Don Bosco -
Egli è il mio secondo... ". E passandosi la mano sulla fronte,
sospese la frase. Ma io calcolai subito che egli non era il secondo
entrato, né il secondo in dignità, non essendo del Capitolo Supe-
riore, né il secondo Direttore e arguii che fosse il secondo suc-
cessore; ma conservai queste cose nel mio cuore aspettando gli
eventi. Torino 27 febbraio 1910 ».
Gli elettori - commenta Don Ceria - compresero allora il
perché del suo contegno e si sentirono allargare il cuore: ave-
vano dunque eletto colui che da Don Bosco era stato preconiz-
zato trentatré anni prima (Annali Soc. Sal., IV, 3).
Don Albera rispondeva al voto espresso dal Card. Rampolla,
Protettore della Società Salesiana, che auspicava « un degno suc-
cessore di Don Bosco e di Don Rua, che sapesse sapientemente
conservare l'opera loro, anzi accrescerla con nuovi incrementi... ».
Incontrò il consenso di tutti. Tra i giornali che in Italia mi-
sero in rilievo l'esultanza generale possiamo anche noi ricordare
il Corriere della Sera che scrisse: « Don Albera è di una spe-
ciale fisionomia mistica; l'opera però da lui spiegata in Francia
e in America sono li a dimostrare che egli saprà, con uguale com-
petenza, serenità e larghezza di vedute, guidare la grande fami-
glia salesiana sull'orme lasciate da Don Bosco e da Don Rua... ».
L'Italia Reale con criterio di fede mise in evidenza: « L'ele-
zione è riuscita così spontanea e così concorde da dimostrare
luminosamente che l'eletto è proprio quello predestinato dalla
Divina Provvidenza». Altri sottolinearono i suoi valori umani e
le doti eccellenti di intelligenza, di operosità, di cuore, l'apertura
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18.8 Page 178

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della mente ai bisogni, oggi diremmo « ai segni » dei tempi.
Don Rinaldi pregò Don Bertello di telegrafare la nomina al
S. Padre e al Card. Protettore. Al Papa venne telegrafato:
« Don Paolo Albera, nuovo Rettor Maggiore Pia Società Sale-
siana e Capitolo Generale, che con massima concordia di animi,
oggi 95° anniversario nascita ven. Don Bosco, lo elesse e col
massimo giubilo lo festeggia eletto, ringraziano Vostra Santità
preziosi consigli e preghiere e protestano profondo ossequio, illi-
mitata obbedienza ».
Procedendo nelle elezioni, Don Rinaldi venne confermato Pre-
fetto Generale e Don Bertello Economo; eletti Don Giulio Bar-
beris a Catechista, Direttore Spirituale; Don Luigi Piscetta, Don
Francesco Cerruti e Don Giuseppe Vespignani a Consiglieri.
Don Rinaldi si affrettò a comunicare l'esito delle elezioni a
tutta la Congregazione ricordando .che nel sogno della « Ruota »
Don Bosco l'aveva visto con una lucerna in mano, predestinato
a far luce a tutti. E conchiuse: « Miei cari confratelli, risuonino
ancora una volta alle vostre orecchie le parole di Don Bosco nella
lettera-testamento: Il vostro Rettor Maggiore è morto, ma ve
ne sarà eletto un altro che avrà cura di voi e della vostra eterna
salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui come
avete fatto per me ».
Bollettino Salesiano, giornali, periodici di famiglia e corri-
spondenza gareggiarono nell'esaltare virtù e doti accrescendo la
spontanea esultanza di tanti cuori. Unica nota discorde, quella
dell'eletto, che nel suo diario scrisse: « Questo è un giorno di
grande sfortuna per me. Sono stato eletto Rettor Maggiore della
Pia Società di San Francesco di Sales. Quale responsabilità sulle
mie spalle! Ora più che mai debbo gridare: Deus in adiutorium
meum intende! ».
Nel suo portafoglio si trovò un biglietto ingiallito con questo
suo programma personale, di cui non saprei precisare la data:
« Avrò sempre Dio in vista, Gesù Cristo qual modello, l'Ausi-
liatrice in aiuto, me stesso in sacrificio ».
Nella prima circolare già citata: « Mi parve di essere schiac-
ciato sotto il peso di tanta responsabilità. Avrei voluto sottrarmi
a un incarico che io conoscevo di gran lunga superiore alle mie
debolissime forze fisiche, intellettuali e morali. Mi vedevo attorno
molti altri meglio preparati ad assumere il governo della nostra
Pia Società... ma per timore di resistere alla volontà di Dio che
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18.9 Page 179

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in quell'istante mi sembrava manifestarsi, sebbene con immenso
sacrificio, piegai la fronte e mi sottomisi. Però Iddio sa quale
angoscia abbia' torturato il mio cuore... quante lagrime abbia ver-
sate, quale senso di scoraggiamento mi abbia assalito! Appena
mi fu permesso, corsi a gettarmi ai piedi del nostro venerando
Padre, lamentandomi fortemente con lui perché avesse lasciato
cadere in sl misere mani il timone della navicella salesiana. A
lui, più col pianto che con le parole, esposi le mie ansie, i miei
timori, la mia estrema debolezza, e poiché mi era giocoforza por-
tare la pesantissima croce... lo pregai con tutto il fervore perché
mi venisse in aiuto. Mi alzai da quel sacro avello di Valsalice,
se non del tutto rassicurato, almeno più fidente e rassegnato.
Non occorre aggiunga che promisi a Don Bosco e a Don Rua
che nulla avrei risparmiato per conservare alla nostra umile Congre-
gazi:one lo spirito e le tradizioni che da loro abbiamo appreso... ».
Mentre si svolgeva il Capitolo Generale, fra tante felicitazioni
ed auguri, gli giunse il conforto più augusto del Santo Padre
Pio X che si congratulava con lui per l'alto e delicato ufficio a
cui era stato chiamato e gli i:nvocava da Dio ogni grazia ed aiuto
perché potesse degnamente rispondere all'ardua missione seguendo
le orme gloriose dei grandi predecessori Don Bosco e Don Rua,
che con ammirabile zelo e santità diedero alla benemerita So-
cietà Salesiana vita e incremento, a gloria di Dio e a vantaggio
civile, religioso, morale della gioventù. In casa e fuori di casa si
sentiva che era stato eletto, come esortava gli elettori il Card.
Rampolla: « colui che per santità di vita vi sia esempio, per
bontà di cuore padre amoroso, per prudenza e saggezza guida
sicura, per zelo e fermezza vigile custode della disciplina, della
religiosa osservanza e dello spirito del venerabile Fondatore »
(Lettera ai Capitolari prima dell'elezione).
Alle Figlie di Maria Ausiliatrice Don Albera preferl dare egli
stesso i ringraziamenti per le preghiere e gli auguri che riceveva,
scrivendo: « Spero che Iddio esaudirà i vostri voti e che non
permetterà che la mia incertezza abbia ad essere di nocumento a
quelle opere a cui hl ven. Don Bosco e l'indimenticabile Don Rua
consacrarono tutta la loro vita». Chiudeva auspicando che fra i
due rami della famiglia di Don Bosco fiorisse una santa gara
nel conservare lo spirito di carità e di zelo lasciato in eredità dal
fondatore.
Vedremo che i1 Signore si servirà di lui per rinnovare anche
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18.10 Page 180

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canonicamente l'armonia di direzione spirituale tra Salesiani e Fi-
glie di Maria Ausiliatrice, affidandogli l'ufficio di Delegato Apo-
stolico per tutto l'Istituto che verrà poi trasmesso ai successori
« pro tempore ».
Il Capitolo XI continuò i lavori programmati discutendo e
poi rimettendo ai superiori del Consiglio Generalizio la revi-
sione e il coordinamento dei:- regolamenti approvati ad experi-
mentum nel Capitolo precedente (X) per gli Ispettori, per le
Case salesiane, per i Noviziati, le Parrocchie, gli Oratori festivi
e la Pia Unione der Cooperatori.
Notevole l'insistenza con cui Don Rinaldi sostenne la neces-
~ità di non alterare nulla del regolamento di Don Bosco, special-
mente per gli Oratori festivi (che non erano un plagio degli Ora-
tori lombardi, ma ne differivano sostanzialmente), altrimenti avreb-
bero perso ogni autorità. Ed il richiamo ai Direttori che ripren-
dessero la direzione spirituale delle case, anche se non erano più
confessori ordinari delle loro comunità, e non si snaturassero in
factotum impegnandosi personalmente nelle cure materiali, disci-
plinari e scolastiche a cui molti tendevano. Don Bertello lo so-
stenne: « Speriamo - disse - che sia stata cosa momentanea.
Bisogna tornare all'ideale di Don Bosco, descritto nel regola-
mento. Si leggano quegli articoli, si meditino, si pratichino ».
Don Albera conchiuse: « È questione essenziale per la vita
della nostra Società, che si conservi lo spirito del Direttore se-
condo l'ideale di Don Bosco; altrimenti cambiamo il modo di
educare e non saremmo più salesiani. Dobbiamo fare di tutto per
conservare lo spirito di paternità, praticando i ricordi che Don
Bosco ci lasciò: essi ci diranno come bisogna fare. Specialmente
nei rendiconti noi potremo conoscere i nostri e dirigerli. Quanto
ai giovani, la paternità non importa carezze o concessioni illimitate,
ma l'interessarsi di loro, il dar loro facoltà di venirci a trovare.
Non dimentichiamo poi l'importanza del discorsino della sera. Sia-
no fatte bene e con cuore le prediche. Facciamo vedere che ci sta
a cuore la salvezza delle anime e lasciamo ad altri le parti odiose.
Così sarà conservata al Direttore l'aureola di cui lo voleva cir-
condato Don Bosco ».
Il linguaggio familiare oggi potrebbe essere tradotto in ter-
mini aggiornati, ma non tradito da stile ermetico che permetta
arbitrarie interpretazioni.
Un'accurata Esposizione delle Scuole Professionali ed Agri-
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cole, alla quale parteciparono 203 scuole salesiane dell'uno e del-
l'altro continente, coronò il Capitolo Generale, interessando nu-
merosi visitatori, autorità, competend e popolo. Fu allestita nel
nuovo padiglione costruito a Valdocco per la sezione studenti,
a cui noi passammo nella primavera del 1911 per le scuole dalle
antiche aule e studio dei tempi di Don Bosco.
Fra croci anticlericali e flagelli internazionali
Chiuso il Capitolo, Don Albera si affrettò a partire per Roma,
far visita al Santo Padre e ringraziarlo delle benedizioni e del
prezioso autografo inviatogli. Il Papa sembrava impaziente di
vederlo. Lo ricevette in udienza privata il 3 settembre e gli
disse la consolazione che egli provava nell'apprendere il bene che
operavano i Salesiani specialmente nelle terre di missione: « Siete
nati ieri - aggiunse - è vero, ma siete sparsi in tutto il mondo
e dappertutto lavorate molto». Rallegrandosi poi per lo smasche-
ramento delle trame settarie ordite contro il collegio di Varazze,
l'ammonl: « Vigilate perché altri colpi vi preparano i vostri ne-
mici » e, accondiscendendo alla preghiera di Don Albera, di qual-
che norma pratica pel governo della Società, raccomandò: « Non
vi scostate dagli usi e dalle tradizioni introdotte da Don Bosco
e da Don Rua ».
Don Albera ne usd col cuore commosso, e nel dare notizia
dell'udienza ai Salesiani e ai Cooperatori, confidò: « Inutile dirvi
che fui accolto con la più squisita bontà e con quella cordialità
che rapisce il cuore di tutti coloro che hanno la sorte di avvici-
narsi al Santo Padre... ».
Nel ritorno passò per Milano dove si teneva un Congresso
catechistico nel programma dei festeggiamenti pel terzo centena-
rio della canonizzazione di S. Carlo. Cardinali, vescovi e congres-
sisti lo salutarono con calorosi applausi; e l'arcivescovo Card.
Ferrari volle che anch'egli rivolgesse la sua buona parola in no-
me di Don Bosco.
A Torino fu subito assediato per le udienze, mentre gli ur-
geva trattare coi membri del Capitolo Superiore problemi indi-
lazionabili e conferire con gli Ispettori rimasti in Italia ad atten-
derlo. Si stava inoltre allestendo la prima spedizione missiona-
ria del suo rettorato (più di cento missionari), ai quali diede l'ab-
braccio 1'11 ottobre. Ed ecco subito il suo cuore in ansia per la
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rivoluzione settaria scoppiata in Portogallo, che nel 1911 fini
per espellere anche i Salesiani. In casa, il primo lutto del suo
rettorato: l'improvvisa morte dell'Economo generale Don Giu-
seppe Bertello, colto da sincope cardiaca mentre a tavolino at-
tendeva con la sua ben nota alacrità e diligenza al suo ufficio.
Fu il primo funerale cui io assistetti, alunno di prima ginnasiale
entrato il 1° ottobre all'Oratorio, e me ne ricordo come fosse ieri.
Provvide alla successione nominando Don Clemente Bretto
fino al prossimo Capitolo Generale, mentre teneva a bada il.
Consigliere Don Giuseppe Vespignani che anelava di ritornare
alla sua Ispettoria Argentina per tante ragioni anche molto plau-
sibili. Aveva bisogno di orientarsi sulla sostituzione per la cura
delle scuole professionali.
Come dal Portogallo, dopo sacrileghe profanazioni di chiese
e perfino dell'Eucaristia, confisca o devastazione delle case, labo-
ratori e scuole, i Salesiani dovettero allontanarsi anche dalle co-
lonie portoghesi di Macao in Cina e del Madagascar. Ma i rivo-
luzionari non tardarono a constatare che avevano commesso uno
dei più gravi spropositi, privando il popolo di educatori e mae-
stri di arti e mestieri di cui il popolo aveva immenso bisogno.
Don Albera ne traeva motivo per incoraggiare i Salesiani alla
fedeltà e allo spirito di Don Bosco, sfuggendo alle insidiose no-
vità di quell'emporio di eresie che teologi ammorbati insinua-
vano allora sotto la maschera del modernismo. Don Albera con-
divideva col Papa, in quei tempi previstr dalle leggendarie pro-
fezie attribuite a S. Malachia col motto Crux de Cruce, l'orrore. La
tipografia dell'Oratorio intanto conduceva a termine l'edizione del-
le circolari di Don Rua che Don Albera faceva spedire alle case
con la sua prima circolare.
Il successore di Don Rua si trovava di fronte tre grandi nuovi
impegni che egli riusci a curare con l'aiuto dei suoi validi colla-
boratori: l'assunzione di nuove difficili Missioni affidate dalla S.
Sede alla Società Salesiana; il riallacciamento delle relazioni cano-
niche tra le due Famiglie di Don Bosco, Salesiani e Figlie di
Maria Ausiliatrice; l'organizzazione federale degli Exallievi e l'in-
cremento dei Cooperatori Salesiani (nota Don Ceria nell'intro-
duzione al vol. IV degli Annali della Società Salesiana).
E questo mentre l'Italia sferrava la guerra per la Libia e la
Cirenaica e fermentava la guerra mondiale che travolse gran parte
d'Europa e d'America.
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Don Albera intratteneva sugli avvenimenti portoghesi i con-
fratelli nella sua prima circolare, dopo aver ringraziato pubbli-
camente Don Rinaldi mettendo in evidenza il bene da lui fatto
alla Società Salesiana come Prefetto Generale e reggente della
Congregazione dopo la morte di Don Rua: « Alla sua specchiata
prudenza, al suo tatto finissimo e al suo spirito di iniziativa
andiamo debitori se durante la malattia di Don Rua, se special-
mente alla morte di lui, la nostra Congregazione non ebbe a patire
alcuna di quelle terribili scosse che minacciarono l'esistenza di
floridissime Comunità religiose al perdere il loro fondatore o al-
tro superiore dotato di preclare qualità. Durante il governo di
Don Rinaldi tutto procedette con ordine e regolarità sia nel-
l'interno, sia nelle relazioni con gli esterni. A lui si deve se non
fu peggiorata la condizione finanziaria della nostra Società, mal-
grado la tristizia dei tempi che traversiamo. In lui parimenti tro-
varono un buon superiore, un fratello affettuoso tutti gli ispet-
tori e delegati che convennero dai più lontani lidi al nostro Ca-
pitolo Generale XI ».
Nel presentare le circolari di Don Rua, che egli aveva curato,
affermava di assolvere a un desiderio espressogli da lui sul letto
di morte. Nella lettera di presentazione che porta la data del-
1'8 dicembre 1910, festa dell'Immacolata, lo consolava il pen-
siero che la lettura e la meditazione di quella cara eredità di
famiglia avrebbe preservato la Congregazione dalla decadenza che
egli temeva di provocare con le sue deficienze. Quanto al suo
programma gli pareva di dover far di tutto per conservare lo
sviluppo raggiunto: Tene quod habes gli pareva di aver sen-
tito quando aveva aperto il suo cuore presso la tomba di Don
Bosco dopo l'elezione. Le guerre lo costrinsero non solo a questo
principio di limitazione, ma a gravissimi sacrifici di personale
e di case che solo la virtù di confratelli fedeli e laboriosi per-
misero di superare in Europa ed anche in parte all'estero. Molti
fra i risparmiati dal servizio militare si sobbarcarono al lavoro
degli altri supplendo con la loro dedizione ed . abnegazione co-
loro che servivano la loro Patria spesso fino al sangue.
Sicché l'attivo del rettorato di Don Albera è rilevante nella
storia e avvalorato dall'eroismo di tanti salesiani.
Aveva appena scritto la circolare, che dovette accorrere al
letto del fratello Giovanni Battista ottantaquattrenne il quale,
confortato dalla sua visita e dalla sua ultima benedizione,
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spirava a None come un patriarca in perfetta lucidità di mente,
nella viva fede in cui era vissuto esemplarmente.
Offrendo a Dio le sue sofferenze intime, egli prese lezione
anche dal fratello prodigandosi nel servizio della Congregazione,
come il fratello aveva sempre fatto per la sua famiglia. Consi-
gliandosi coi suoi collaboratori, specialmente con Don Rinaldi,
sollevò Don Vespignani dal nuovo ufficio cui era stato eletto
e chiamò a Torino per le Scuole Professionali ed agricole l'uo-
mo fatto su misura, l'Ispettore di Andalusia (Spagna) Don Pie-
tro Ricaldone. Felicissima scelta, come confermò la storia: ap-
passionato ai grandi problemi del mondo del lavoro, alle nuove
tecniche professionali ed agrarie, brillante di doti organizzative
e di governo, simpaticissimo soprattutto ai giovani.
Nel comunicare la scelta di Don Vespignani che era già tor-
nato a Buenos Aires per l'urgenza della sua presenza nell'ispet-
toria in rigogliosa primavera di apostolato, Don Albera accet-
tava di dargli del « tu » come egli desiderava e non gli nascon-
deva il rammarico di tutti i superiori nel dover accettare la sua
rinunzia.
Nella casa madre di Torino si stava intanto organizzando il
V Congresso Nazionale degli Oratori festivi e delle Scuole di Re-
ligione già incluso nel programma di festeggiamenti predisposto
per la Messa d'Oro di Don Rua, che cosl diede il lancio pubblico
al Rettorato di Don Albera. Era il terzo organizzato dai salesiani
a raggio nazionale (il 1° nel 1902 a Torino, il 2° a Faenza nel
1906). Ma l'iniziativa spettava ai Padri Filippini che avevano
aperto la serie a Brescia nel 1895, mentre i Salesiani tenevano
il primo Congresso dei Cooperatori Salesiani a Bologna; il
l'aveva celebrato l'archidiocesi di Milano nel 1909 nella capitale
lombarda per impulso del Card. Ferrari. I Salesiani intendevano
anche di fare omaggio al Card. Richelmy, Arcivescovo di To-
rino, nel suo 25° di Episcopato e gliene offersero la presidenza
onoraria, mentre Don Albera ne assumeva quella effettiva. Il Car-
dinale a sua volta delegava Don Albera a immettere nel possesso
parrocchiale il primo parroco di Maria Ausiliatrice don Roberto
Riccardi. Pochi giorni dopo, il 20 aprile, un'altra consolazione:
nella Curia di Novara si iniziava il Processo detto dell'Ordinario
per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione del Servo di Dio,
ora venerabile, Don Andrea Beltrami.
Il 6 maggio i Milanesi vollero dargli una dimostrazione di
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omaggio come Rettor Maggiore, e Don Albera fece una scappata,
accolto ufficialmente alla stazione dal principe Gonzaga alla testa
dei Cooperatori e condotto al vicino Istituto Sant'Ambrogio ove
una folla di personalità con gli alunni e i loro educatori lo fe-
steggiava solennemente. In un giornale cittadino scrisse un antico
allievo che aveva ricevuto la prima Comunione dalle mani di Don
Bosco all'Oratorio di Torino e in un momento dolorosissimo della
sua vita aveva trovato conforto da Don Rua: « Ossequiandolo
poche ore fa, ci è parso di veder rivivere dinanzi a noi le figure
venerande dei suoi predecessori... Larghezza elevata di vedute,
grande senno pratico e fermezza meravigliosa di propositi s'al-
leano in lui a pietà profonda e modestia esemplare; ... s'intuisce,
si sente il vero uomo di Dio. La sua grandezza è fatta di umiltà
cristiana. Nessun gesto, nesuna posa, non parole altisonanti...
un'aura di santità che vi avvince, una parola serena, senza pre-
tese, che va a ricercarvi le più recondite fibre del cuore... ».
Chi ha conosciuto Don Albera vi riscontra il vero ritratto.
La prima biografia accenna ancora quasi di sfuggita a una
visita a Sampierdarena, dove tanti cuori gli erano legati dagli inizi
dell'Opera, e poi si affretta a presentarci la sua seconda circolare
sullo Spirito di pietà, che è forse il suo capolavoro come dire-
zione spirituale.
Il Congresso programmato si aperse nella Casa Madre il 17
maggio. Anima, l'impareggiabile Don Stefano Trione, specialista
in questo campo, come in non pochi altri. Aveva il genio orga-
nizzativo dei convegni, facilità di parola capace di adeguarsi al
pubblico più svariato e di trascinare alte intelligenze e popolo mi-
nuto, adulti e giovani: incantava ed elettrizzava; tratto finissimo,
abilità giornalistica e propagandistica, viva fede e vera pietà che
si associavano a svariata cultura religiosa e sociale.
Mandarono la loro adesione i cinque Cardinali Arcivescovi
e quasi tutti i Vescovi d'Italia. Parecchi intervennero col Card.
Richelmy. Furono due giorni, 17 e 18 maggio, di intenso lavoro.
Studi, relazioni, discussioni portarono a conclusioni cosl con-
crete che Don Albera sostenne la spesa di una decorosa edizione
degli Atti e ne mandò copia non solo alle case, ma a tutti i ve-
scovi e parroci d'Italia. Sette titoli presentavano i vari problemi:
1) Organizzazione interna e formazione del personale . 2) Spirito,
pratiche di pietà, funzioni religiose - 3) Insegnamento del Cate-
chismo o Catechési, gare catechistiche, predicazione . 4) Sport,
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musica, drammatica - 5) Educazione sociale, risparmio, previ-
denza - 6) Oratori femminili - 7) Scuole di Religione.
La pubblicazione si completava con notizie e statuti degli
Oratori Filippini, degli Oratori milanesi, delle Congregazioni Ma-
riane dei PP. Gesuiti e delle direttive catechetiche date da S. Fran-
cesco di Sales. Una panoramica che da sé qualificava il valore
del Congresso. Don Albera non si limitò a rilevare l'intelligente
interpretazione delle esortazioni e dell'attesa del Santo Padre, pre-
sentando il telegramma con la benedizione pontificia ed il pre-
zioso autografo di Pio X. Riprese gli argomenti nella sua circo-
lare del 31 maggio 1913 a cui rimandiamo perché una lettura
meditata farebbe rivalutare tante indicazioni e decisioni che gio-
verebbero pure oggi.
Segul la solennità annuale di Maria Ausiliatrice con funzioni
pontificali a corona del mese di predicazione, eccellenti esecu-
zioni in canto gregoriano e polifonia, la tradizionale processione.
Poi Don Albera intraprendeva, col nuovo economo generale Don
Bretto, la visita alle case del Veneto: a Trieste, Gorizia, Mo-
gliano, Schio. Breve sosta a Torino, e poi alle case di Spagna
col nuovo Consigliere Professionale Don Pietro Ricaldone. Il
17 giugno assisteva alla benedizione della cripta del santuario del
Sacro Cuore di Gesù sul Tibidabo, al sommo del colle donato
a Don Bosco nel 1886 dal Municipio di Barcellona, e l'indomani
vi celebrava la prima Messa. Il 23 mattino era a Torino per
l'annuale commemorazione di Don Bosco e la festa tradizionale
al suo successore.
Noi la godevamo per la prima volta e la ricordiamo con esal-
tante commozione, dall'esecuzione dell'inno ufficiale che il nostro
Maestro Cav. Giuseppe Dogliani musicava, e il compositore (Don
Lemoyne o Don Francesia alternativamente) leggeva in prece-
denza, fino alle paterne parole di Don Albera che chiudeva
l'accademia. Solenne era pure quella della nostra premiazione an-
nuale, circa un mese dopo, che il Rettor Maggiore presiedeva
abitualmente.
All'accademia onomastica giunse l'annuncio che il Santo Padre
Pio X elevava il Santuario di Maria Ausiliatrice a Basilica mi-
nore. Più tardi giunse il « Breve » pontificio che recava la data
del 13 luglio.
Durante le vacanze Don Albera si fece impegno di dare i
« ricordi » ai vari corsi di Esercizi spirituali dei Salesiani e delle
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Figlie di Maria Ausiliatrice, mettendosi a disposizione degli eser-
citandi, se appena poteva, almeno la vigilia e il mattino stesso
della chiusura.
Il 1° Congresso degli Exallievi
Ma un avvenimento storico di prim'ordine egli ebbe la gioia
di presiedere dall'8 al 10 settembre 1911: il I Congresso Inter-
nazionale degli Exallievi Salesiani o di Don Bosco, come si pre-
ferl denominarli in seguito. Preparato bene, soprattutto a cura del
circolo Don Bosco di Torino. Costituitosi nel 1908 con gli Exal-
lievi dimoranti in chtà, per impulso del Servo di Dio Don Rinal-
di e l'assistenza di Don Giovanni Minguzzi e Don Ugo Lunati,
aveva già federato un centinaio di Unioni delle varie parti del
mondo alle quali aveva proposto fì.n dal 1909 uno statuto confede-
rale, ed ebbe pieno successo.
Uno dei più quotati giornali cittadini lo presentò come « un
fatto nuovo nella storia della pedagogia» perché non era solo
una manifestazione di gratitudine agli educatori. Svolgendosi a
Torino « ove Don Bosco iniziò con umiltà di cuore, ma con
immenso fervore di fede, con infinita ansietà di speranza, l'opera
sua meravigliosamente civile», era affermazione dello spirito di
« un'immensa falange di coloro che, in tutto il mondo, nelle
contrade civili e nelle contrade barbare, da quest'opera tras-
sero i benefici inestimabili d'una coscienza morale, d'una cultura
pratica, di un'operosità fattiva» (La Stampa, 16-Vll-1911).
Don Rua l'aveva appoggiato in pieno, appena sorta l'idea,
perché considerava l'associazione come un organismo mondiale
in cui i Salesiani continuavano fra gli exallievi il provvido apo-
stolato prestato loro nell'adolescenza.
Il programma si sviluppò su tre temi: unione - spirito di Don
Bosco - azione.
Il Congresso appoggiò la supplica della federazione argentina
che chiedeva alla Santa Sede l'autorizzazione di avviare la Causa
di beatificazione di Zefirino Namuncurà, la postulatoria proposta
da Don Trione per sollecitare l'introduzione della Causa di Do-
menico Savio, quella di Mons. Morganti per l'estensione della
festa di Maria Ausiliatrice alla Chiesa universale, e la erezione
di un monumento a Don Bosco nella piazza del santuario.
Fu onorato della visita del Card. Arcivescovo Agostino Ri-
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chelmy e della presenza di illustri prelati e personalità; oratori
eccellenti, tra cui il cremonese On. Miglioli. Mancò l'On. Micheli
di Parma per l'epidemia di colèra che allora infestava la città.
I congressisti iniziarono con la benedizione del Santo Padre
ed ebbero un solenne ricevimento in Municipio. Don Albera con-
divise con loro anche l'agape fraterna al ristorante Gambrinus,
poi offerse il pranzo sociale in un cortile dell'Oratorio di Val-
docco presso il teatro in cui si svolgevano le adunanze: più di
800 commensali rallegrati dalla banda degli allievi artigiani di-
retta dal M. Dogliani. H «Momento», quotidiano cattolico cit-
tadino, mise in evidenza che prestavano servizio a tavola i Mae-
stri d'Arte dell'Oratorio, felici di trovare nella massa tanti loro
allievi d'anni addietro. Le memorande giornate si conchiusero
con la benedizione Eucaristica impartita da Don Albera e col pel-
legrinaggio a Valsalice alle tombe di Don Bosco e di Don Rua.
Merita che riportiamo il brano del « Momento » sul servizio dei
Salesiani Coadiutori, che riflette mirabilmente lo spirito di Don
Bosco:
« Sono quasi tutti maestri d'arte, quelli stessi che a gran parte degli
exallievi presenti hanno insegnato i primi rudimenti dell'arte, hanno dato
loro il mezzo di guadagnarsi il pane per l'esistenza e che ora sono felici di
trovarsi nuovamente a contatto con gli allievi di ieri. E che camerieri ideali!
Passano dall'uno all'altro tavolo con l'agilità dei camerieri provetti. Infati-
cabili soddisfano tutte le richieste, prevengono ogni desiderio, faticano per
giungere a tutto, per appagare tutti. Come non ricordarli? Nel prestarsi per
la funzione umile hanno dato prova di tanta bontà e di tanta abnegazione
che ad uno ad uno si dovrebbe nominarli. Schiera preziosa di librai, fabbri,
sarti, falegnami, scultori, compositori, stampatori, fonditori, calzolai, soste-
gni saldi, coadiutori indispensabili della mirabile Opera Salesiana. Schiera
grandiosa che ha svolto la sua missione nell'ombra, e che delle due grandi
iniziative di Don Bosco, Oratori festivi e Scuole professionali, non poten-
do essere fa mente direttiva, è stata il braccio che tutto muove. Schiera glo-
riosa, che pur non avendo ,le soddisfazioni intime che dà l'esercizio del sa-
cro ministero, per amore di Don Bosco e i,l desiderio di raggiungere [a perfe-
zione cristiana, tutte ha sacrificato Je gioie della vita» . (Il Momento,
11-IX-1911).
Noi li abbiamo conosciuti e possiamo sottoscrivere a credito.
Aggiungiamo però che essi erano in gran parte anche Catechisti
nell'Oratorio festivo, dove svolgevano l'apostolato dell'insegna-
mento religioso, della guida alle pratiche di pietà, ai sacramenti,
alle prime Comunioni, erano l'anima delle Compagnie religiose e
dei Circoli giovanili, dell'Azione Cattolica, nello sport e nella fìlo-
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drammatica, condividendo anche tante gioie spirituali del sacer-
dozio dei laici.
Don Albera aperse il Congresso con la sua amabile parola,
ringraziando gli ExaHievi di « quel!'abbraccio della gratitudine con
la beneficenza » e della loro affettuosa venerazione per Don Bo-
sco e per Don Rua. Intervenne con discrezione in vari momenti
delle trattazioni e sottolineò nella chiusa la consolazione e la
gioia che gli Exallievi davano a tutta la Società Salesiana coi sen-
timenti espressi, le proposte fatte, i propositi di vita cristiana
esemplare nelle famiglie e nella società dove potevano far fer-
mentare a beneficio di tutti lo spirito di Don Bosco e il suo
sistema educativo: « sistema - scrisse ancora La Stampa -
esperimentato ottimo in tutte le parti del mondo, nonostante di-
versità di lingua, di usi, di razza», che aveva ben diritto di essere
segnalato alla debita valutazione.
Nel mese di ottobre, dato l'abbraccio ai missionari dell'an-
nuale spedizione (una cinquantina) destinati specialmente alla Cina
ed al Congo Belga, egli parti per l'Austria e la Polonia sostando
anche in un paesino della Carniola dove in un romito convento
di certosini si era consacrato a Dio un figlio della famiglia Olive.
Lo trovò felice della sua vocazione.
L'accompagnava Don Pietro Ricaldone. Celebrò ad Oswieçim
coi confratelli il decennio della fondazione, assistette alla bene-
dizione di nuovi edifici a Przemysl, quindi passò a Tarnow, a
Cracovia, a Leopoli, a Daszawa. Il 28 ottobre era a Vienna ove
i Cooperatori gli diedero una dimostrazione cittadina movendo
prelati, nobiltà e popolo, ufficiali e magistrati; sostò a Lubiana.
Rientrato a Torino ricevette il rescritto con cui la Sacra Con-
gregazione dei Riti autorizzava la commemorazione mensile di
Maria Ausiliatrice concedendo la celebrazione della Messa della
festa all'altare della Madonna nel Santuario.
Con tante care emozioni nel cuore, egli stese per la fine del-
l'anno la circolare ai Salesiani sulla Disciplina religiosa e preparò
quella ai Cooperatori pel Bollettino di gennaio 1912 mettendoli
al corrente dell'apertura di tredici nuove case, l'inaugurazione di
sei nuove chiese, della spedizione missionaria, e proponendo in
particolare la cura delle vocazioni e degli Oratori festivi, l'aiuto
agli emigrati, raccomandando la devozione al Papa e l'aiuto alle
chiese parrocchiali in costruzione a Firenze e a Milano, dedi-
cate alla Sacra Famiglia e a Sant'Agostino.
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Agli inizi del nuovo anno invitò a Torino gli Ispettori delle
case salesiane d'Europa e in marzo tenne con loro una serie di
riunioni per concordare il decentramento di vari servizi dal Ca-
pitolo Superiore che, al rapido espandersi della Congregazione,
non era più in grado di curare da Torino.
Il 24 era ad Omegna a partecipare a una solenne comme-
morazione di Don Andrea Beltrami. Rivolse la sua parola alla
popolazione presso la salma del Servo di Dio ancora inumata
al cimitero.
In Inghilterra e in Belgio
Il 9 aprile partiva per Londra, via Parigi ospite delle
Dame Benedettine di Rue Monsieur. Il IV volume degli An-
nali della Società Salesiana presenta nel IV capitolo l'elenco
delle fondazioni in Austria-Ungheria e Germania prima e dopo
la guerra mondiale: Szentkereszt - Nyergesujfalu - Buda - Pest -
Wersee - Unterwaltersdorf - Vienna XIII - Fulpmes - Wiirtz-
burg - Freyung - Bamberga - Passavia - Burghausen - Endorf -
Essen. Dà i particolari di alcune, descrive la sistemazione dopo
la guerra, ricordando anche alcune vicende. Noi intanto seguiamo
Don Albera da Parigi, dove sentl ancora stringersi il cuore di
fronte alla paralizzazione dell'apostolato salesiano, mentre tanti
affezionati Cooperatori non chiedevano che « di secondare il loro
zelo per il maggior bene della gioventù e della società».
Il 13 aprile raggiunse l'isola di Guernesey sostando all'istituto
di La Chaumière; ma la domenica in Albis celebrò in una delle
tre parrocchie affidate ai salesiani, dedicata a S. Francesco. Il 17
era a Londra, accolto festosamente alla casa di Battersea dove l'in-
domani aveva la consolazione di dare la prima Comunione ad
un bel numero di alunni. Visitò pure le altre due case salesiane
trattenendosi due giorni nel noviziato di Burwash, poi passò in
quella di Farnoborough e alle scuole di Chertsey dirette dalle
Figlie di Maria Ausiliatrice. Cordialissimi gli incontri col Card.
Bourne, che l'aveva prevenuto inviandogli il benvenuto per mezzo
di Mons. Carton, e col Vescovo di Southwark, Mons. Amigo.
Benedisse la cappella interna della casa di Battersea e s'intrat-
tenne a convegno con gli Exallievi. I dieci giorni di permanenza
passarono troppo presto per tutti. Ma era atteso anche nel Belgio
ove sostò dapprima a Tournai, poi a Melles, ad Antoing, a Bru-
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xelles, ossequiandovi il Card. Mercier, il Nunzio pontificio, i Mi-
nistri degli Esteri e delle Colonie. Procedendo per lxelles, Grand-
Bigard, St. Denis Westrem, festeggiò a Liegi il venticinquesimo
di fondazione del fiorente orfanotrofio ove era· allestita una inte-
ressantissima Mostra Professionale e venne incoronata la statua
di Maria Ausiliatrice dal Vescovo diocesano circondato da dignità
ecclesiastiche, autorità civili e politiche, cooperatori e benefattori
che si congedarono con le più soavi impressioni dell'amabilità
del Rettor Maggiore e del fascino delle parole rivolte a loro e
ai giovani con familiare cordialità.
Egli godette tanto del buono spirito della casa e dell'entu-
siasta venerazione che Exallievi e Cooperatori, personalità di vario
ceto, dimostravano per Don Bosco. Scriveva poi alla nipote Ma-
dre Eulalia Bosco: « Ne godo non meno di quello che godreste
voi che siete della sua famiglia, perché se a voi è zio, per me
Don Bosco è padre: a lui devo tutto... ».
Il Bollettino Salesiano francese del 1912, a pagg. 233-38, de-
scrisse assai bene queste feste. Don Albera arrivò all'Istituto San
Giovanni Berchmans il 1O maggio 1912 nel pomeriggio e fu ac-
colto nell'ampio cortile dell'Orfanotrofio dall'Ispettore Don Sca-
loni, dai giovani artigiani e studenti, da rappresentanze delle altre
case viciniori, Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, Exallie-
vi, Cooperatori e Cooperatrici, personalità... a suon di banda,
fra scroscianti applausi ed alti evviva, con affettuosi benvenuto e
canti dei giovani. Egli rispose che era là per « deliziarsi alla vi-
sta dei prodigi fatti a Liegi dalla carità cristiana pel maggior bene
della classe operaia laboriosa e rallegrarsi delle testimonianze di
cordiale affetto per la Congregazione Salesiana». Completò l'omag-
gio una graziosa accademia con discorsi in latino, italiano e fran-
cese. Il giorno 12, Don Albera presiedette l'inaugurazione del-
l'Esposizione Professionale che documentava i progressi fatti dalle
Scuole nei 25 anni trascorsi dalla fondazione. Anche le Figlie di
Maria Ausiliatrice avevano la loro buona sezione, molto interes-
sante. Visitò poi l'Oratorio e il Circolo Don Bosco.
All'agape fraterna, che raccolse attorno a lui benefattori ed
amici, il Servo di Dio Don Luigi Mertens, direttore e poi par-
roco esemplare della parrocchia S. Francesco di Sales, dove si
stava per incoronare la statua di Maria Ausiliatrice, mise in ri-
lievo l'incremento della divozione al SS. Sacramento ed alla
Madonna, e la fede ardente dei parrocchiani che gli davano la
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consolazione di oltre 130.000 Comunioni all'anno. Il presidente
del Consiglio di fabbrica, avv. Thisquen, ringraziò i Figli di Don
Bosco per le opere religiose e sociali che avevano fatto fiorir
la vita in quella zona di periferia organizzando la gioventù, spe-
cialmente lavoratrice. Don Albera disse la sua grande soddisfa-
zione di quel magnifico spettacolo che dava gloria a Don Bosco
e realizzava, col miglioramento economico e civile, le previsioni
del grande vescovo Mons. Doutreloux, che aveva ottenuto l'in-
vio dei Salesiani in Belgio trattandone con Don Bosco stesso.
« Qui regna proprio lo spirito di Don Bosco - rilevò conclu-
dendo - spirito di famiglia a lui tanto caro. Io faccio ardenti
voti che si conservi fra voi e si sviluppi. L'avvenire mi pare
brillante, pieno di promesse, se voi continuerete a seguire gli
insegnamenti di Don Bosco» . Nel pomeriggio un « Match di
foot-ball » presentò in gara interessante giovani inglesi e giovani
belgi, e si concluse 4 a 2. Don Albera premiò la squadra vit-
toriosa e distribul a tutti una medaglia commemorativa del 25°.
Il 16 maggio, solenne « Incoronazione di Maria Ausiliatrice» per
le mani del Vescovo di Liegi, dopo il pontificale dell'Abate di
Solesmes Dom Pothier, grande apostolo del canto gregoriano, cir-
condato dai vari vescovi e prelati, abati mitrati, dignità e clero.
Presenti le autorità, ministri, senatori, deputati... La Schola can-
torum dell'Orfanotrofio, con le corali di San Gregorio e Santa Ce-
cilia, eseguirono egregiamente la Messa Giovanna d'Arco a 4 voci
e soli di Charles Gounod. Un'imponente processione, nonostante
i capricci della pioggia, coronò degnamente la grande giornata.
E fu l'inizio anche dei pellegrinaggi che fanno ormai tradizione.
Don Albera, ringraziando, espresse particolare riconoscenza al
Vescovo della diocesi, esprimendo le incancellabili impressioni
che riportava della pietà dei fedeli, dell'edificazione del clero, del-
l'incoraggiamento che tutti davano all'Opera salesiana. Invocò
su tutti la benedizione di Maria Ausiliatrice, assicurò il suo affet-
tuoso ricordo al santuario di Torino e la certezza che il Belgio
sarebbe stato sempre modello al popolo cristiano...
Da Liegi egli passò poi alle altre case, fra manifestazioni cor-
dialissime di affettuosa esultanza.
Visitato infine l'istituto di Hechtel, riprese il viaggio per To-
rmo soffermandosi a Verviers, Aywalle e a Losanna.
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20.3 Page 193

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Per Case d'Italia
A Torino fu informato delle condizioni degli Italiani espulsi
dalla Turchia e concordò col suo Consiglio il soccorso ai gio-
vani loro figliuoli, offrendo ospitalità nei vari istituti d'Italia fino
a loro conveniente sistemazione e cura del loro avvenire agli
orfani nelle scuole professionali salesiane. Ne fece telegrafare al
Presidente della Commissione di soccorso, mettendo a dispo-
sizione l'Ispettore di Roma Don Arturo Conelli per le oppor-
tune intese.
Dopo la festa di Maria Ausiliatrice riprese le visite alle case
d'Italia, Emilia e Romagne, soffermandosi in modo particolare
a Bologna, dov'ebbe un cordiale colloquio con l'Arcivescovo Mons.
Della Chiesa (poi Papa Benedetto XV); a Faenza, dove l'atten-
devano anche i cooperatori faentini affezionatissimi ai salesiani,
per l'annuale conferenza, la benedizione del monumentino a Ma-
ria Ausiliatrice, l'inaugurazione della fiera di beneficenza orga-
nizzata dalle Dame Cooperatrici, e gli Exallievi pel loro conve-
gno annuale; a Lugo, Ravenna, Ferrara, Modena. L'Arcivescovo
di Ravenna Card. Boschi lo invitò a tenere una conferenza al
clero e ai cooperatori nel palazzo arcivescovile. A Modena passò
a confortare il conte Filippo Bentivoglio, insigne cooperatore gra-
vemente infermo. Interruppe le visite per essere a Torino in tem-
po a presenziare alle feste giubilari di Don Francesia e di Don
Lemoyne in occasione del loro 50° di sacerdozio. Doveva tro-
varsi con loro anche Mons. Cagliero, Internunzio Apostolico in
Centro America, ma non poté abbandonare il suo posto e cele-
brò la sua Messa d'Oro laggiù. A Torino fu una gran giornata:
Don Lemoyne celebrò la Messa di comunità e Don Francesia
cantò la Messa solenne, assistito da Don Albera che parlò an-
che all'accademia conclusiva. Noi del Piccolo Clero o della Scuola
di Canto prestammo servizio all'altare e dall'orchestra, poi al-
l'accademia.
Don Albera partl subito per Parma, Firenze, Pisa, Livorno, La
Spezia a soddisfare confratelli e giovani delle case della Toscana
e parte della Liguria, rimandando quelle di Sampierdarena e
della costiera di ponente verso la fine di autunno per trovarsi
a Torino alla festa di San Giovanni, seguire quindi gli Esercizi
spirituali dei salesiani durante le vacanze e dare i ricordi. A Pisa
il Card. Mafli lo aveva voluto a colazione per trattenersi a suo
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agio con lui su tanti cari ricordi salesiani. A Livorno anche le
Figlie di Maria Ausiliatrice e le Associazioni Cattoliche gareg-
giarono coi Cooperatori e gli Exallievi in pubbliche dimostrazioni
al secondo successore di Don Bosco. In agosto presiedette il Con-
vegno dei Direttori e Decurioni dei Cooperatori Salesiani a Val-
salice, onorato dalla parola e dalla benedizione dell'Arcivescovo
di Torino Card. Richelmy.
A Torino stese una circolare agli Ispettori con norme sagge e
prudenti su temi scottanti del tempo e sulla discrezione per le
vacanze e le pubblicazioni dei salesiani. In ottobre presiedette la
giornata missionaria, dando l'abbraccio ai partenti per quella spe-
dizione annuale. A metà novembre era a Sampierdarena per con-
tinuare la visita alle case della costa ligure, sostando a Varazze,
Savona, Alassio, Vallecrosia.
Forse oggi non si comprende il conforto e la gioia che re-
cava il Rettor Maggiore (e, proporzion fatta, gli altri superiori)
nelle case quando facevano la visita o passavano almeno gli ul-
timi giorni degli Esercizi coi confratelli, celebravano la Messa di
Comunità e davano i «Ricordi».
Perché il superiore poteva mettersi a contatto con tutti, cu-
rava l'andamento di ogni casa, i servizi che rendevano i confra-
telli tra i giovani e il pubblico della chiesa locale che gravitava
attorno a loro, riceveva le confidenze di ciascuno, consolava, am-
moniva, incoraggiava, prendeva i provvedimenti opportuni per
quanto si dovesse eliminare o si potesse migliorare, parlava in
pubblico a tutti almeno nel sermoncino della « buona notte » e
trattava tutti ed ognuno con familiare cordialità. Era una festa
di famiglia, spesso condivisa in alcune ore dai Cooperatori e dagli
Exallievi: una vera e sentita benedizione.
Don Albera, sensibilissimo di cuore e affabilissimo di trat-
to, come abbiamo già notato, formato come Don Rua e poi Don
Rinaldi alla scuola diretta di Don Bosco, gelosissimo dell'osser-
vanza delle regole e tradizioni lasciate dal Fondatore, si catti-
vava facilmente i cuori, leniva le pene e animava fino all'entu-
siasmo l'apostolato.
Disse bene di lui il Card. Richelmy, parlando ai Direttori e
Decurioni dei Cooperatori a Valsalice: « Vi dico il vero che mi
venne spesso questo pensiero in mente: ove non ci fosse altra
prova della santità di Don Bosco, questa dell'entusiastico affetto
con cui è accolta la sua istituzione a me sembra una prova ben
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singolare. E questo non solo quando vivevano Don Bosco e Don
Rua, che erano santi, ma anche ora che trovasi alla testa dell'Opera
di Don Bosco uno degli ultimi suoi figli ... ». La tradizione con-
tinua felicemente mentre risponde a tante esigenze nuove.
Nell'intimità delle confidenze coi confratelli che, secondo lo
spirito di Don Bosco, condividevano familiarmente la cura e le
responsabilità dell'andamento di ogni casa, il superiore raccoglieva
cosl i dati migliori per dirigere la Società e stimolare alla per-
fezione la vita religiosa di ognuno.
Non si parlava allora né di dialogo né di colloquio, ma di
rendiconto e di collaborazione solidale in coscienza, davanti a Dio,
e si proponeva, si discuteva, si risolveva con libera cordialità, pel
bene comune. Il progresso ascetico, pedagogico ed apostolico mis-
sionario erano il suo assillo, sulle tracce della massima aderenza e
fedeltà allo spirito di Don Bosco.
Di qui l'ispirazione delle sue circolari che sono vero tesoro
per la formazione dei Salesiani autentici. Ci limitiamo a elencai-le:
1) Programma del suo rettorato, dopo la elezione, e suo motto: Tene quod
habes
2) Sullo spirito di pietà (già segnalata) (15 maggio 1911)
3) Sulla disciplina religiosa (25 dicembre 1911)
4) Sulla vita di fede (21 novembre 1912)
5) Oratori festivi - Missioni - Vocazioni (31 maggio 1913)
6) Sull'obbedienza (31 gennaio 1914)
7) Motivi di conforto fra gli orrori della guerra: un'ora col Papa Benedet-
to XV - i resti mortali di Domenico Savio tra&lati in apposita tomba nel
santuario di Maria Ausiliatrice - salutare risveglio negli Oratori festivi -
incremento delle Missioni (29 gennaio 1915).
8) Il primo Cardinale salesiano - XII Capitolo Generale (21 novembre
1915)
9) Cure per i salesiani militari (25 marzo 1916)
10) Sulla castità (14 aprile 1916)
11) Conservare lo spirito di Don Bosco (23 aprile 1917)
12) Contro la legalità nella vita religiosa (25 giugno 1917)
13) Mazzetto di notizie care (22 febbraio 1918)
14) Pel 500 della consacrazione del santuario di Maria Ausiliatrice (31 marzo
1918)
15) Per ia cronistoria della Congregazione (15 ottobre 1918)
16) Sulla dolcezza (20 aprile 1919)
17) Appello agli Ispettori d'Europa per le Missioni (19 marzo 1920)
18) Per l'inaugurazione del monumento a Don Bosco (24 marzo 1920) - An-
nunzio della pubblicazione degli « Atti del Capitolo Superiore,. (24
giugno 1920)
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19) Il monumento a Don Bosco « simbolo dell'amore-sintesi ddl'Opera
sua» (24 giugno 1920)
20) Don Bosco modello di perfezione salesiana (18 ottobre 1920) - Norme
per la visita alle case (4 dicembre 1920) - Strenne pel 1921 (24 dicem-
bre 1920)
21) Memorabile Udienza Pontificia (10 febbraio 1921)
22) Norme per la Direzione spiritude delle Figlie di Maria Ausiliatrice
(26 febbraio 1921)
23) Don Bosco modello del sacerdote salesiano (19 marzo 1921)
24) L'Ave Maria per gli Exallievi (24 apr.ile 1921)
25) Sulle vocazioni (15 maggio 1921)
26) Convocazione del XII Capitolo Generale (21 settembre 1921).
Non abbiamo incluso le circolari di circostanza: Deliberazioni Capito-
lari sul Corso tecnico, convitti e pensionati, vacanze durante l'anno (15
maggio 1911) - Disposizioni della S. Sede sulla lettura dei giornali pei chie-
rici (24 maggio 1911) - Contro l'abuso di vacanze presso parenti (9 luglio
1911) - Limitare le vacanze e autorizzazione alle pubblicazioni (19 luglio
1912) - Pel monumento a Don Bosco (22 novembre 1912) - Facilitazioni
governative per esami ai militari (4 giugno 1915) - Incoraggiamento a tene-
re aperte le case anche con la scarsezza di personale che si sentiva nelle nazio-
ni in guerra (10 ,luglio 1916) - Cura dei profughi e degli esuli (9 novembre
1917) - Sul disimpegno di1igente dei propr,i doveri (24 agosto 1920).
Don Albera teneva bene il polso spirituale della Congrega-
zione e non lesinava richiami anche energici quando occorreva.
Pel resto riposava tranquillo sulla competenza e l'intelligente so-
lerzia di dirigenti qualicati come Don Cerruti per gli studi clas-
sici e sacri, Don Ricaldone per le scuole professionali ed agrarie.
La Congregazione aveva ormai un'équipe di professori di valore
per le lettere, le scienze, la filosofia e la teologia, e un libero
docente, Don Paolo Ubaldi, all'Università di Torino.
Era la tempra religiosa ascetica che abbisognava soprattutto
delle sue cure. I militari poi trovavano conforto e sostegno spi-
rituale nelle sue circolari periodiche. Egli si sforzava di stimo-
lare ispettori e direttori ad aiutarli anche materialmente e per i
corsi di studi che dovevano interrompere. Certo le sofferenze di
quel primo flagello mondiale furono molteplici e spesso strazianti.
Don Rinaldi faceva fronte di cuore quanto poteva ad altrui defi-
cienze, secondo le disponibilità della Provvidenza.
Don Angelo Franco, che gli fece anche da segretario parti-
colare per qualche tempo, mentre Don Gusmano suppliva e poi
succedeva a Don Lemoyne come segretario del Capitolo, ricorda
quanto erano ricercate anche da altre comunità religiose, e da
varie associazioni, le lettere ascetiche di Don Albera, considerate
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come « gemme di letteratura ascetica». Un venerando salesiano
gli aveva confidato la sua emozione nel trovarle in lettura a Roma
in una distinta comunità, ed altamente apprezzate. La circolare
sulla Fede e lo spirito di Fede venne definita « l'aroma dell'anima
di Don Albera».
Anche le circolari annuali ai Cooperatori, che si possono leg-
gere nei Bollettini salesiani del tempo, pur interessando alle ne-
cessità delle opere e missioni di Don Bosco, sensibilizzavano
soprattutto la terza famiglia spirituale al fervore della vita cri-
stiana ed all'apostolato della carità e della istruzione religiosa, a
lenire le sofferenze e i disagi esasperati dalle calamità e dalle
guerre. Egli dava l'esempio, disponendo soccorsi e mobilitando
salesiani e cooperatori a prodigarsi per le vittime dei vari paesi.
L'attenzione poi alle necessità spirituali dei giovani e delle po-
polazioni più bisognose è evidente anche nei criteri delle nuove
fondazioni .
A Torino, nel 1910, opera di particolare rilievo fu la siste-
mazione della SAID Buona Stampa, oggi SEI, avviata nel 1909
ancora dal Beato Don Rua col suo Consiglio in cui era Don Paolo
Albera come Direttore Spirituale Generale. Era stata ideata e
proposta dal Servo di Dio Don Filippo Rinaldi che contava sul-
1'abile collaborazione del Comm Giuseppe Caccia, un salesiano
fra i più competenti delle Scuole Grafiche di San Benigno Cana-
vese e di Torino Valdocco, morto il 16 aprile 1963, e sul con-
corso delle due già tanto stimate Librerie.
Nonostante la guerra mondiale, durante il rettorato di Don
Albera, raggiunse la sua piena affermazione a credito internazio-
nale fino all'evoluzione in Società Editrice Internazionale.
Cinque mesi nella Spagna
Meriterebbe ampia descrizione la vzszta alle case di Spagna
che lo trattenne per cinque buoni mesi del 1913. Egli pensava
di sostare solo per compiere il suo servizio di responsabile della
vita religiosa ed apostolica dei Salesiani, delle Figlie di Maria
Ausiliatrice nei limiti assegnatigli dalla Santa Sede, e dei Coope-
ratori, ma si trovò di fronte a un concorso entusiasta delle
popolazioni con a capo le autorità, mosse soprattutto dallo zelo
e dall'affetto degli Exallievi, che fa pensare al viaggio trionfale
di Don Bosco in Francia nel 1883. Non esageriamo. Basta leg-
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20.8 Page 198

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gere le cronache del Bollettino Salesiano italiano e specialmente
spagnuolo, la biografia ufficiale di Don Garneri, giornali e perio-
dici locali.
Al suo ritorno il Bollettino italiano ne fece la sintesi .quali-
ficandolo « Un trionfo grandioso e solenne, di proporzioni quasi
favolose che in più luoghi emulò l'entusiasmo di Parigi (1883)
e di Barcellona (1886) per Don Bosco». La stampa si interessò
del suo passaggio come di un importantissimo avvenimento e,
pubblicando i suoi cenni biografici e il suo ritratto, faceva eco
alle visite compiute e annunziava le imminenti; mentre solerti
comitati di benefattori lavoravano alacremente per rendere onore
al Successore di Don Bosco. Autorevoli deputazioni gli muove-
vano incontro una, due tre stazioni prima della mèta e l'accom-
pagnavano per altrettante allorché partiva. Nelle stazioni dove
discendeva, migliaia e migliaia di persone l'ossequiavano all'arrivo
e alla partenza, e per tutto il tempo del suo soggiorno era un
continuo affollarsi di personalità e popolani all'istituto salesiano,
con a capo autorità ecclesiastiche, civili e militari. Erano sacer-
doti venerandi, interi Capitoli di Collegiate e di Cattedrali, Ve-
scovi, Arcivescovi, Senatori e Deputati, Sindaci e Prefetti, Giunte
e Consigli municipali in corpo, militari di ogni grado, titolari di
pubblici uffici, rappresentanti delle più rinomate industrie locali
e della stampa che, quasi un sol uomo, correvano a rendergli con-
corde, devoto, entusiastico omaggio... Interi paesi si videro afHuire
alle stazioni per cui transitava, avidi di vederlo, di ricevere la
benedizione ch'egli impartiva invocando l'intercessione di Maria
Ausiliatrice. In più luoghi fu costretto ad attraversare le vie in
macchine scoperte, al suono delle campane, spari di mortaretti e
manifestazioni popolari commoventi, tanto era il desiderio di
averlo qualche giorno fra loro. Nelle case si dovettero organizzare
turni di ammissione per categorie, cooperatori, exallievi, benefat-
tori, che facevano ressa per assistere alla sua Messa, ricevere da
lui la santa Comunione... Don Albera non ci si poteva sottrarre,
anche se gli faceva pena di vedersi ridurre il tempo che egli
bramava dedicare ai confratelli, alle suore, ai giovani. Indubbia-
mente era la fama di Don Bosco e di Don Rua che rendeva loro
cara la presenza di Don Albera, ma bastava la vista per com-
prendere quanto egli ne incarnava l'amabilità e lo spirito, ne
condivideva il prestigio con la sua pietà trasparente e le sue virtù
personali.
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D'altra parte aveva sulle labbra abitualmente il richiamo a
Maria Ausiliatrice ed al Fondatore soprattutto, sicché traspor-
tava subito il loro pensiero al Santo che egli umilmente ma non
indegnamente impersonava. Salesiani e Figlie di Maria Ausilia-
trice, Cooperatori ed Exallievi ne sentivano il fascino con cuore
di familiari. Per i giovani poi era una festa.
Don Albera aveva preso per accompagnarlo l'Economo gene-
rale Don Bretto e, con una comprensibile sosta a Marsiglia, era
giunto a Barcellona 1'11 gennaio.
Il 16 s'imbarcò per l'isola di Minorca e raggiunse Ciudadela.
Tornato a Barcellona, si recò poi a Alicante, a Campello, a
Valencia. Cortei pittoreschi con bande e canti lo accompagna-
rono all'Istituto per vie addobbate e splendidamente illuminate.
Qui, alla sua Messa del 9 febbraio non bastarono le pissidi ri-
colme di sacre particole per la Comunione dei fedeli.
Dal 10 febbraio a tutto marzo passò per Cordoba, Mon-
tilla, Malaga, Ronda, Ecija, Utrera, Siviglia, Cadice, Jerez, San
José del Valle, Carmona, Madrid, Carabanchel Alto. Ai primi
di aprile, nei dieci giorni che si trattenne a Salamanca, i Coope-
ratori gli procurarono una breve visita ad Avila per venerare le
reliquie di Santa Teresa e gli favorirono così il proseguimento
a Bejar a passare qualche ora con quei confratelli. Il conte Ro-
manones, allora Ministro dell'Interno, aveva ordinato al Gover-
natore di Salamanca di disporre un buon servizio di guardie ci-
vili per garantire l'ordine; ma, grazie a Dio, tutto andò bene, e
le guardie conferirono solennità decorativa al passaggio di Don
Albera dalla stazione all'Istituto salesiano. Il 13 aprile proseguì
per Orense e Vigo fra dimostrazioni che Don Bretto non riuscì
a descrivere, tanto grandiose e travolgenti.
Da Pontevedra raggiunse quindi San Giacomo di Compo-
stella dove le autorità gli mandarono incontro più di quattro-
cento giovani i quali attirarono in corteo una massa di popolo.
Ebbe l'agio di celebrare la santa Messa sulla tomba dell'Apo-
stolo e il Cardinale Arcivescovo gli confidò il progetto di una
scuola agraria che da tempo coltivava. A La Corufia gli vennero
offerte le Scuole Popolari Cattoliche. Ventitré ore di treno lo
portarono a Santander donde proseguì poi per Baracaldo, Bilbao,
Huesca, Saragoza e Gerona, riprendendo la via del ritorno. Ul-
time emozioni canssune al suo cuore furono quelle che provò
nella visita al santuario di Monserrat e del celebre monastero
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20.10 Page 200

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benedettino dove un benefattore lo condusse in macchina. Dalla
mistica oasi della spiritualità cenobitica l'anima sua trasse tan-
ta dolcezza e consolazione spirituale da rifarsi pel mese ma-
riano iniziato in tutta la Spagna col tradizionale fervore della
divozione a Maria. L'eco delle gioie che gli procurarono sale-
siani, suore, cooperatori ed exallievi di Spagna vibrò poi a Torino
in occasione delle feste di Maria Ausiliatrice, nelle parlate ai
giovani, nelle conferenze ai cooperatori, nelle lettere circolari e
nei viaggi che riprese per Roma e per altre case d'Italia. Noi
raccogliamo invece l'impressione che lasciò lui in Spagna, dalle
labbra di un sacerdote, il quale, dopo aver ascoltata la sua con-
ferenza ai cooperatori nella chiesa di S. Gil a Saragoza, disse ai
salesiani che l'accompagnavano: «Malo facciano vedere alla gente:
non c'è bisogno che parli, basta vederlo per sentirsi migliori.... ».
Quel sacerdote aveva gli occhi pieni di lagrime, scrisse Don Man-
fredini nel trasmettere i suoi appunti di quella visita.
L'eco dell'intimo del suo cuore è invece nella lettera edifi-
cante che egli scrisse ai salesiani il 31 maggio seguente:
« Sono appena tornato dalla visita alle nostre case di Spagna,
dove, per ben quattro mesi e mezzo, potei toccare con mano di
quanto grande entusiasmo e vivissimo affetto sia dappertutto cir-
condata l'Opera del ven. nostro Padre Don Bosco e dei suoi
figli , anche nelle città e nei paesi nei quali non abbiamo ancora
alcuna fondazione . L'animo mio sente prepotente il bisogno di
comunicarvi tutti i sentimenti della mia gioia e gratitudine pro-
fonda per i tanti e cosi segnalati benefizi della Divina Provvi-
denza verso l'amata nostra Congregazione. Sono qui nella came-
retta santificata dal venerabile Padre e dall'indimenticabile Don
Rua, seduto alla stessa modesta scrivania su la quale sono stati
scritti i tanti documenti di vita religiosa e salesiana sgorgati dal-
l'apostolico loro cuore per la comune nostra edificazione, e mai
come stavolta ho sentito la necessità di una parola calda ed effì-
cace per invitarvi tutti, o carissimi, a magnificare con me il Si-
gnore e la Vergine Ausiliatrice perché ha operato e opera tuttora
così grandi meraviglie nel nome del nostro buon Padre e Mae-
stro.. . Non intendo tuttavia dirvi della mia visita alle case di
Spagna, nelle quali tutte trovai vivo e puro lo spirito del Padre,
né della benevolenza squisitamente cavalleresca che quei nostri
affezionati Cooperatori e Cooperatrici vollero testimoniarmi in que-
sta occasione: ne troverete a suo tempo il resoconto nel Bollet-
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21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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tino Salesiano. Mi sia permesso notare solo che, per quanto si
dica, si dirà sempre poco di fronte alla realtà. Piuttosto in que-
sta mia desidero parlarvi dell'origine prima di questo vivo entu-
siasmo e verace simpatia universale per l'Opera di Don Bosco
da parte di ogni ceto di persone, incominciando dalle Autorità
religiose, civili e militari, perché cosl si riaccenderà nel cuore di
noi tutti una più viva fiamma di zelo per la pietra angolare della
nostra Società. Questa pietra angolare su cui poggia l'Opera no-
stra è formata dagli Oratori festivi, dalle Missioni e dalle Voca-
:doni ecclesiastiche, i tre fini primari e nobilissimi che prefisse al-
l'opera sua il venerabile Fondatore e che armonizzano talmente
fra di loro da divenire quasi inseparabili per la vita della nostra
Congregazione... ».
Prima di rimettersi in viaggio, Don Albera ricevette alcune
Figlie di Maria Ausiliatrice provenienti dall'Albania, che gli
esposero le vicende passate durante l'assedio di Scutari negli
ultimi eventi bellici {prodromi del flagello mondiale} e della be-
nevolenza di Essad Pascià. Don Albera vi vide la protezione
speciale del Fondatore che operava per mezzo loro e le animò
a confidare per altro lavoro: « Continuate a vivere alla presenza
di Dio, ad operare unicamente per la sua gloria: ecco il grande
segreto per ottenere gli aiuti celesti ».
A Roma egli era vivamente atteso per le feste del giubi-
leo d'argento della chiesa del Sacro Cuore di Gesù. Si fece ac-
compagnare dal suo successore nell'ufficio di Direttore Spirituale,
Don Giulio Barberis, e si trattenne una quindicina di giorni par-
tecipando a tutte le manifestazioni. Il 9 giugno fu ricevuto in
affettuosissima udienza dal Santo Padre Pio X, il quale lo trat-
tenne a lungo, chiedendo informazioni di tutto l'andamento delle
case e delle missioni, e incoraggiandolo con tanta benevolenza.
Don Albera manifestò la sua commossa gratitudine in casa
all'accademia offertagli all'Istituto Sacro Cuore il 12 giugno: « Il
pensiero di avere l'approvazione e la benevolenza del Santo Pa-
dre supera ogni premio, perché è arra della benedizione del
Signore ». Passando pei dicasteri di Curia trattò anche della fa-
coltà teologica per l'Istituto Teologico Internazionale di Foglizzo,
col Card. Cassetta; delle Missioni, in particolare col Card. Gotti,
Prefetto di Propaganda Fide. Don Barberis raccolse gli alti elogi
del Rettor Maggiore anche dai Cardinali Vico, Merry del Val e
Pietro Gasparri.
191

21.2 Page 202

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Subito dopo le feste Don Albera continuò le visite alle case
dell'Ispettoria Romana e Napoletana, da Frascati a Genzano, a
Macerata, a Trevi, a Gualdo Tadino, Caserta, Napoli, Castellam-
mare, ecc. trattenendosi con i Salesiani, le Figlie di Maria Ausi-
liatrice, Cooperatori ed Exallievi, celebrando la Messa di comuni-
tà, parlando ai giovani, rendendo omaggio alle principali autorità.
Conclusa la visita a Castellammare di Stabia, prese la via del
ritorno sostando a Milano dove si erano organizzate dimostra-
zioni ufficiali con affluenza di autorità, personalità e benefattori
che l'incoraggiarono a far continuare i lavori pel tempio di San-
t 'Agostino. Ivi celebrò la Messa pei Cooperatori; presiedette
quindi il convegno dei sacerdoti exallievi e lasciò in tutti l'im-
pressione rilevata da un giornale di Macerata: « Sembrava di
aver vicina la dolce figura del ven. Don Bosco... Quanti lo acco-
starono sentirono tutti l'influsso del ven. Don Bosco attraverso
questo suo figlio che ne rispecchia le virtù, specie quelle di una
grande dolcezza, di una tenera soavità e di una umiltà senza
pari. Si rimaneva presi, affascinati dalla dolce figura ... ed egli,
sempre sorridente, aveva per tutti parole buone che scendevano
al cuore e vi tracciavano un solco... ».
Giunse a tempo a Torino per la sua festa onomastica che si
svolse solenne e cara nello stile ormai tradizionale.
Assecondando un vivo desiderio del Santo Padre, dopo es-
sersi consultato col suo Consiglio, decise l'invio del Segretario
del Comitato Salesiano per l'Emigrazione, Don Stefano Trione,
per una visita particolare ai centri più numerosi degli emigrati
in Argentina, raccomandando ai salesiani di studiare con lui i
piani più adeguati di assistenza secondo le norme della Santa
Sede. Il 9 luglio presiedette all'adunanza del Comitato esecutivo
per la scelta definitiva del bozzetto preferito pel monumento a
Don Bosco sulla piazza di Maria Ausiliatrice, che fu poi quello
dello scultore Gaetano Cellini.
Tra le Figlie di Maria Ausiliatrice
Conchiusi i principali corsi di Esercizi spirituali, si recò a
Nizza Monferrato pel VII Capitolo Generale delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, che egli, per la prima volta, presiedette come
Delegato della Santa Sede.
I verbali hanno conservato accuratamente tutti i suoi inter-
192

21.3 Page 203

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- Il Card . Cag li ero e D . Albera dopo la Messa d 'Oro -
In pi ed i D. Ri ca ld o ne
- I mi ss io nari pe r la Cin a capeggi ati d a D. Ga re lli ,
be ned etti dal Ca rd . Cag lie ro e D. Alb era (19 I8)
- La pi ane ta più prez iosa
lasci ata d a Leo ne Xlll a
Pi o X - Do nata da S. Pio X
a Mo n s. Cag li e ro e da questi
a D. A lbe ra pe r la Messa
d 'Oro . ( Di eci anni di lavoro
de ll e Be nede ttin e di
Eins ied e ln - S vizze ra)

21.4 Page 204

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- Promemoria autografo di D. Filippo Rin aldi per la successione
di Don Rua come Rettor Maggiore dei Salesiani , predetta
da D. Bosco

21.5 Page 205

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21.6 Page 206

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- Spagna - D. Albera tra giovani fil armonici
- Parte di una lettera autografa di D . Albera da Lilla a D. Rua.

21.7 Page 207

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- Torino. S. Paolo - li tempio a Gesù Adolescente di cui Don Albera voleva benedire
la pietra angolare il 30 ottobre _1921 (Morì il giorno prima, 29 ottobre)
(Arch. Giulio Valotti, salesiano)

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- Torin o. Oratorio S. Paolo - Don Rinaldi benedice il vessillo della sezione Aspiranti di A.C.
fra le pareti del tempio in costruzione nel 1924
- Giovani de ll a Compagnia di S. Luigi e Piccolo Clero che passarono fra gli Aspiranti nel 1925
- Giovani effe ttivi ed As piranti di A.C. dopo la consacrazione del tempio a Gesù Adolescente
(ot tobre 1925)

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- Solenne co rt eo fun ebre - La salm a di Don Albera in corso Regina Margherita
- I Vescovi Mons. Perlo e Mons. Masera co l clero - (Nell 'occhiello: la Salma)

21.10 Page 210

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Il Santu ari o a Mari a Aus ili atri ce s ul Coll e D. Bosco d i cui Do n Albera benedi s se
la prim a pi et ra e ch e ora cus todi sce la s ua salma
- Prim o pell eg rin agg io dei Padri d i Fami gli a d ell 'Orato ri o S. Paol o di Torin o - Do n Rin aldi
sedut o co i giova ni cicl isti n el prato dei sog ni

22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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venti, dalle parole di apertura in cui confidò di aver partecipato
all'adunanza del Capitolo Superiore ove Don Bosco, alla vi-
gilia dell'inizio del mese di Maria Ausiliatrice del 1871, aveva
esposto il suo progetto di dar vita alla loro Congregazione e dopo
la festa della Madonna, col consenso di tutti i capitolari, ne aveva
deciso l'attuazione. Poi suggiunse:
« ... come ho udito dalle sue labbra, ho potuto in seguito constatare
che realmente il vostro Istituto è opera voluta da Dio e da Maria Ausilia-
trice; ho potuto poi persuadermene nelle visite alle vostre case ed ora ho
la fortuna di poterlo affermare a ciascuna cli voi qui adunate quali rappre-
sentanti della Congregazione intera... Voi avreste potuto trovare anche fra
i salesiani persone più di me addentro nella conoscenza del vostro Istituto,
più di me capaci di darvi consiglio ed aiuto; ma forse non un altro che più
di me voglia bene e apprezzi l'opera vostra. Vi ringrazio di avermi chiama-
to a sl grande incarico. Mediante il divino aiuto faremo tutto il pos,sibi!le
perché quanto si opererà nel Capitolo sia realmente a gloria di Dio ed a
bene delle anime, come vuole Maria S. Ausiliatrice... ».
Alle elezioni venne rieletta Madre Caterina Daghero, che era
successa immediatamente alla confondatrice S. Maria Mazzarello.
In precedenza essa aveva chiesto consiglio a Don Albera se, in
caso di rielezione, avrebbe dovuto accettare o rinunziare. E il
Rettor Maggiore le aveva risposto, il 4 settembre:
« Mia buona Madre Generale, dopo averci molto pensato e special-
mente molto .pregato, mi sono deciso di risponderle che, se il Signore dispo-
ne che sia di nuovo eletta superiora, abbracci la croce con generosità e si
disponga a ,por,tarla con merito per se stessa e col maggiore profitto che sia
possibile per le sue consorelle. Sia fatta i.n tutto la volontà di Dio. Aff.mo
in G. e M. Sac. Paolo Albera» (Arch. Gen. delle F.M.A.).
Nella sua brevità la letterina rivela il senso di responsabilità
di Don Albera che chiede lui prima consiglio a Dio, poi guida
con sicurezza a fare la divina volontà. È la caratteristica dei veri
direttori spirituali. Illuminata è pure la norma che diede alle
capitolari riguardo alle confessioni:
« Quanto alle confessioni -tenetevi con tutta esattezza al decreto ema-
nato dalla Sacra Congregazione. La Chiesa vuole protetta ad ogni costo la li-
bertà di coscienza. Quando vedete l'opportunità di indirizzare una suora,
bisognosa di particolare aiuto, ad un salesiano, fatelo pure; ma con molta
delicatezza, in modo da lasciare piena libertà. Se si ha da sbagliare in questo,
si sbagli piuttosto nel concedere che nel negare... » (Arch. gen. Cor,r.).
Anche per la devozione al Papa e la pratica del Sistema Pre-
ventivo lasciò sagge raccomandazioni:
7 G. Favjni
193

22.2 Page 212

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« Il Papa è il centro della Religione e noi dobbiamo mirare a lui sem-
pre. Diceva Don Bosco: Se mi toccano nella persona del Papa, mi feriscono
nella pupilla degli occhi. Nulla al mondo lo poteva far soffrire di più. Io
lo ringraziai, nell'ultima udienza, della sua predilezione verso i salesiani e
verso di voi... in modo speciale per quello che fa per le opere vostre. Ma egli
mi disse: "Non mi ringrazi, vorrei far di più". Il Papa ci ama, ha fiducia nel-
l'opera nostra; noi non potremo mai fare abbastanza per mostrargli la nostra
riconoscenza e tutto il nostro attaccamento ».
Riguardo alla pratica del Sistema preventivo:
« Il sistema preventivo fu lodatissimo dai migliori pedagogisti, anche
protestanti, per il suo lato altamente educativo, per la sua grandissima ef-
ficacia nell'educazione morale. Noi però dobbiamo ammirarlo specialmente
dal suo lato religioso.
Il sistema preventivo impedisce l'offesa di Dio. Che si guadagna a pu-
nire il male dopo che fu co=esso? dopo che il Cuor di Gesù fu trafitto? Se
invece lo si impedisce, tutto è guadagnato per l'anima, per il corpo, per la
famiglia, per la società. Vigilanza dunque, assistenza materna, non mHitare,
sollecita e piena di affezione. Altra caratteristica, incarnata nel suo sistema
è quella che gli guadagnò tanti cuori e tanta venerazione. I suoi primi alun-
ni fatti uomini ed ora in posti importantissimi nehla società, dopo 55 an-
ni, conservano di lui un ricordo che co=uove. I numerosi exallievi e le
exallieve sono una prova eloquente dei miracoli ottenuti dal Sistema di Don
Bosco. Egli ha divinizzato la pedagogia - fu detto - ed è vero, perché egli
mirò sempre a Dio; questo cercava soprattutto: condurre le anime a Dio... ».
Verso il termine, il Capitolo votò all'unanimità la proposta
di ricorrere a suo tempo alla Santa Sede per avere un Superiore
o nella persona del Rettor Maggiore o di un suo Delegato. Don
Albera assicurò che i Salesiani non avrebbero respinto una peti-
zione cosi unanime, ed egli li avrebbe animati ad impegnarsi e
occuparsi sempre meglio delle Figlie di Maria Ausiliatrice e delle
loro opere.
Il tramonto dell'anno segnò in particolare la spedizione mis-
sionaria di oltre 50 tra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice.
La funzione di addio si svolse nel santuario il 4 ottobre con la
benedizione del Card. Arcivescovo Agostino Richelmy. Le diffi-
coltà dell'ora e l'aumento delle necessità consigliarono a Don Albe-
ra un appello speciale ai Cooperatori nella festa dell'Immacolata:
« Noi ci guardiamo bene - protestò prevenendo una naturale obiezione
- dal gettarci ad occhi chiusi in nuove imprese; anzi, umanamente parlando,
aggravati dal cumulo delle obbligazioni e degli impegni già assunti, vorrem-
mo porre un freno ad ogni attività per restringerci nel già troppo vasto cam-
po d'azione. Ma quando, di fronte al male che dilaga e al bene che urge
194

22.3 Page 213

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compiere, ci vien chiaro dall'alto l'invito a nuove opere per la gloria di Dio e
la salvezza delle anime, non esitiamo sull'esempio, di Don Bosco, ad essere
anche un po' santamente audaci. Per questo i nostri Ospizi, benché sprovvi-
sti di qualunque reddito, vanno sempre affollandosi di giovanetti, matti dei
quali totalmente poveri e abbandonati... ».
Completava cosl il suo appello alla collaborazione per le Mis-
sioni, su cui aveva insistito coi Salesiani nella circolare citata
del 31 maggio precedente:
« Non vi sarà difficile, o carissimi confratelli, comprendere il grave peso
che incombe al vostro Rettor Maggiore di provvedere di personale sicuro e
zelante e di mezzi materiali queste Missioni. Anzi, i bisogni di personale
come di mezzi si fanno sempre più sensibili, ed io sento la necessità di fare
appel.lo ail vostro cuore, o buO!l!i. confratelli, per aiuto. Si, vogliate anche voi
condividere con me tanto peso, prendendo grandemente a cuore le nostre
Missioni, primieramente con la preghiera e poi con l'opera. La preghiera che
è la potenza di Dio nelle nostre mani, salga ad impetrare incessantemen-
te la grazia della vocazione all'apostolato noi e i giovani affidati alle nostre
cure. Preghiamo con intensftà di fede e di affetto per questo fine interpo-
nendo fa mediazione potentissima della nostra cara Madonna e del venerabile
Padre... ».
Qualche giorno prima, per la festa onomastica aveva scritto
a Madre Caterina Daghero:
« ... Voglia il Signore esaudirci e fare in modo che ciascuna deLle sue
buone figliuole sia un Cireneo che l'aiuti a ,portare la croce della sua carica,
e ciò con la preghiera, con la condotta degna di una Figlia di Maria Ausilia-
trice. Possa Don Bosco, nostro venerabHe Padre e Fondatore mirando dal
Cielo Ie sue Figlie sparse ormai su tutta ,la .terra, occu,pate in tante e si sva-
riate opere, riconoscerle quali vere spose di Gesù e indefesse imitatrici del
suo zelo e del suo spirito... ».
Questi appelli cosl accorati ci fanno oggi capire il senso di
debilitazione in cui egli sentiva se stesso mentre nascondeva ai con-
fratelli le sue sofferenze fisiche che in autunno si acuirono al
punto da doversi rimettere ai medici. Lo fece, ma con scarsa
fiducia e forte senso di responsabilità : « Il medico mi tien su
con iniezioni; - scriveva a persona di confidenza - sono molto
tribolato: come si può star bene in questo posto? Aiutatemi con
le vostre orazioni ».
Nella bufera della prima guerra mondiale
Per ottenere la più intensa ed efficace collaborazione Don Al-
bera prospettava ai Cooperatori nella circolare di Capodanno del
195

22.4 Page 214

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1914 celebrazioni e realizzazioni che avrebbero allietato la Fa-
miglia salesiana. Ai Salesiani inviava invece la circolare sull'ob-
bedienza religiosa. Era assioma di Don Bosco che solo la cor-
diale unità di mente e di cuore, di spirito, di direzione e di am-
ministrazione poteva consentire il potenziamento della Congrega-
zione fino a permettere di darsi a grandi imprese apostoliche.
Ed è la virtù della obbedienza religiosa che unisce docilmente,
per amore, soci e collaboratori ai dirigenti, con l'occhio a Dio,
illuminandosi di Fede e riscaldando il cuore di santo fervore.
Il santo Fondatore incoraggiava ai sacrifici necessari ricordando
che « Il premio riservato ai religiosi obbedienti, sulla terra, è
quello di salvare molte anime ».
Rosea sorgeva l'aurora del nuovo anno nell'intimità della
famiglia. Ci si preparava al centenario della nascita di Don Bo-
sco (16 agosto 1815) con un programma a lungo studiato e
ormai definito: l'inaugurazione del monumento a Don Bosco in
piazza Maria Ausiliatrice e la costruzione di un modesto ma
grazioso santuario sullo spiazzo del colle natio, di fronte all'umile
casetta in cui egli era cresciuto, oltre ai progetti di espansione delle
opere e delle missioni che si sarebbero concretati. Il Signore
sembrava gradire e benedire le iniziative coi riflessi della santità
dei figli che erano la gloria del Padre. Mentre faceva la sua
strada la Causa di beatificazione di Don Bosco, ecco proprio il
giorno anniversario delle apparizioni dell'Immacolata a Lourdes,
11 febbraio 1914, Pio X firmare il decreto di introduzione di quel-
la di Domenico Savio presso la S. Congregazione dei Riti. L'av-
venimento consentiva, fino al 1912, il titolo di venerabile al
Servo di Dio. Un decreto del 26 agosto 1913 lo ritardava in-
vece alla proclamazione delle virtù eroiche.
Ciò non impedl che l'esultanza di famiglia e di tanti gio-
vani esplodesse in pubbliche manifestazioni. A Torino si predi-
spose una solenne commemorazione che Don Albera annunciava
pel 16 aprile con apposita circolare.
La presiedette l'Arcivescovo Card. Richelmy circondato dai
principi, il Duca e la Duchessa di Genova coi figli Bona e Adal-
berto, i Vescovi di Mondovl e di Asti, prelati e autorità citta-
dine, illustri personalità, rappresentanti degli Ordini e Congre-
gazioni religiose, chierici del Seminario Metropolitano, delle Mis-
sioni della Consolata, giovani di tutti gli istituti cittadini sale-
siani e viciniori...
196

22.5 Page 215

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Accompagnava l'oratore, S. E. Mons. Radini-Tedeschi, Ve-
scovo di Bergamo, il suo segretario Don Angelo Giuseppe Ron-
calli, che nel 1958 sarebbe diventato Papa Giovanni XXIII. Gli
ricordai la cara giornata qualche mese prima che venisse elevato
al soglio pontificio, quando Cardinale Patriarca di Venezia inau-
gurava a Bolzano il risorto Istituto Rainerum affidato ai sale-
siani e se ne commosse: « Fu il miglior discorso su Domenico
Savio ch'io abbia udito», mi disse e dimostrò il desiderio di
riaverne una copia. Tornato a Torino, la trovai e gliela inviai.
N'ebbi un ringraziamento autografo cordialissimo.
Don Albera aveva affidati i preparativi all'esperto più qua-
lificato, Don Stefano Trione, vicepostulatore zelantissimo di tutte
le Cause salesiane di beatificazione, specialmente di questa di
Domenico Savio. Le segui anche da lontano, visitando le case
della Sicilia e delle Calabrie, accompagnato dall'ex Ispettore del-
le case degli Stati Uniti e del Venezuela, Don Michele Borghino,
il quale chiuse la relazione di quei viaggi notando che le gior-
nate del Rettor Maggiore « erano giornate piene di attività, per-
ché il lavoro più importante di Don Albera, che non appare,
è il rendersi conto degli istituti e visitare i suoi fì.gli, i giovani
delle nostre case... lavoro intenso ed efficace che si svolge nel
silenzio della famiglia. Egli ha per tutti una parola buona, un con-
forto, un incoraggiamento, e cosl ricevono nuova vita tutte le
energie per continuare ed aumentare il bene a favore della gio-
ventù». Non parliamo delle accoglienze e delle feste che gli fe-
cero autorità e popolazioni e dell'avidità con cui Cooperatori e
Cooperatrici accorrevano alle conferenze in gara con gli Exallievi
e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Il Governatore di Malta gli
espresse tutta la riconoscenza dell'isola pel concorso che i sale-
siani davano nell'educazione dei giovani. Don Albera le sintetizzò
in una lettera al maestro dei novizi Don Eugenio Bianchi: « In
questi paesi trovai accoglienze molto somiglianti a quelle della
Spagna».
Nel ritorno sostò a Roma dove ebbe l'ultima udienza dal
Santo Padre Pio X, che lo trattenne a lungo tanto affettuosa-
mente, parlando delle Cause dei Servi di Dio in corso ed espri-
mendo il suo desiderio che quella di Domenico Savio proce-
desse rapidamente per dare ai giovani un modello adatto ai
tempi attuali. Richiesto di un ricordo per la gioventù delle case
salesiane e di quelle di Maria Ausiliatrice: « Dite che vivano
197

22.6 Page 216

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sempre alla presenza di Dio », rispose. Era lo stesso che Pio IX
aveva dato a Don Bosco nella prima udienza, nel 1858.
Tornato a Torino non trovò più il fido Don Gioachino Berto,
l'Archivista della Congregazione e segretario particolare di Don
Bosco, né Don Angelo Lago della segreteria generale, mancati
rispettivamente il 21 febbraio e il 14 marzo fra il compianto
unanime, tanto cari tutti e due a Don Bosco e a Don Rua. Ne
sofferse immensamente anche Don Albera, perché anime candide,
fedelissime e sante. A più di cinquant'anni dall'inumazione, la
salma di Don Berto fu ritrovata fresca, intatta, come fosse ap-
pena spirato. Riesumata per raccoglierne i resti in un'urna più pic-
cola si dovette rimettere integra nel suo loculo.
Alla festa di Maria Ausiliatrice aveva fatto invitare il Servo
di Dio Card. Andrea Carlo Ferrati, Arcivescovo di Milano, che
tenne anche un magnifico discorso sulla Madonna. Noi l'acco-
gliemmo con entusiasmo pieno di venerazione.
L'affiusso dei pellegrini da varie parti d'Italia e dall'estero
era in notevole aumento, nonostante il maltempo di quei giorni
di maggio.
Don Albera ne traeva motivo per stimolare salesiani, suore
e cooperatori all'associazione fra i divoti di Maria Ausiliatrice e
alla cura dell'Opera dei « Figli di Maria », per l'aumento delle vo-
cazioni tardive che davano religiosi maturi, coraggiosi fino al
sacrificio, specialmente per gli Oratori, per le Missioni e i ser-
vizi più umili del sacro ministero.
Intanto il Comune di Castelnuovo d'Asti gli conferiva la cit-
tadinanza onoraria, come aveva già fatto a Don Rua, mentre dal-
la Santa Sede gli giungeva notizia della elevazione all'Episco-
pato di Don Francesco de Aquino Correa, nominato ausiliare
dell'Arcivescovo di Cuyaba, e di Don Antonio Malan, prelato di
Registro di Araguaya in Brasile. Da Novara lo confortava la
notizia della felice chiusura presso la Curia del processo detto
dell'Ordinario per la beatificazione del Servo di Dio Don An-
drea Beltrami. Consolazioni per sostenersi e sostenere tutti i suoi
gravi dolori: il terremoto siculo che fece vittime e danni da
Messina a Catania, e l'incendio che distrusse in Cile la casa di
Valdivia, risparmiando tuttavia le persone. Prodromi di altre prove
fra cui, orrenda, la prima guerra mondiale, il « guerrone » come
l'aveva definita Pio X fin dalla previsione. Fu infatti la morte del
Papa, che lasciava nel lutto tutta la Chiesa il 20 agosto 1914.
198

22.7 Page 217

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Don Albera invitava tutta la Famiglia salesiana a cop1os1
suffragi e celebrava egli stesso la solenne liturgia funebre nel
santuario di Maria Ausiliatrice. In tutti i corsi di Esercizi spiri-
tuali che presiedette o conchiuse fra l'estate e l'autunno continuò
a chiedere preghiere per le popolazioni d'Europa già travolte dal-
la guerra e pei salesiani militari e per tutta la Chiesa che, il
3 settembre, riprendeva fiducia con l'elezione del nuovo Papa, il
Card. Giacomo Della Chiesa, Benedetto XV. Don Albera poté
scendere a Roma ed averne udienza il 14 ottobre: un'ora col
nuovo Vicario di Cristo, che aperse a Don Albera l'animo suo
di exallievo dell'Oratorio festivo di Savona. Si oppose dapprima
al suo prostrarsi per il bacio rituale di ossequio, poi cedette di-
cendo: « Ve lo permetto solo per questa volta» e tosto lo fece
sedere accanto a sé. Aveva affidato la sua prima benedizione pei
salesiani al Card. Maffi; al Rettor Maggiore disse la sua soddi-
sfazione pel lavoro che compivano nelle varie mansioni già in
gran parte del mondo e gli confidò disegni e progetti per l'avve-
nire. Aveva raccolto buone testimonianze da tanti vescovi fin dalle
prime udienze e nutriva tanta fiducia anche fra l'angoscia del tur-
binoso periodo di vita internazionale. L'aveva confortato l'inizia-
tiva della Messa periodica per la pace nel mondo e secondo le
sue intenzioni celebrata nel santuario di Torino il 24 settembre,
e ringraziò Don Albera quando gli precisò che si sarebbe ripe-
tuta il 24 di ogni mese. « Si, si, continuate - gli disse - sono
funzioni che fanno del bene, stimolano alla frequenza dei Sa-
cramenti. V'incarico di impartire a nome mio la benedizione apo-
stolica tutti i mesi a quanti vi parteciperanno ». Passò quindi a
parlare delle Missioni, gli concesse i favori spirituali che chie-
deva, la benedizione per tutta la Famiglia salesiana, per tutta la
gioventù delle varie case; poi, ammessi anche il segretario e il
procuratore generale Don Dante Munerati, chiuse l'udienza a mez-
zodì. recitando insieme l'Angelus . Con l'animo pieno di care emo-
zioni, Don Albera si affrettò a Torino per assistere alla ricogni-
zione della salma di Domenico Savio che Don Trione era final-
mente riuscito a trafugare da Mondonio per una più degna tu-
mulazione nel santuario di Maria Ausiliatrice. Il verbo trafugare
vuol ricordare l'opposizione della popolazione. Accortisi del pro-
getto, al primo tentativo i buoni contadini di Mondonio avevano
preso le loro armi, bastoni e tridenti, e montato la guardia tutta
la notte costringendo i torinesi a battere in ritirata. Ma questi
199

22.8 Page 218

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riuscirono poi di sorpresa a portarsela a Torino di notte, pochi
giorni dopo.
La ricognizione si compl il 29, alla presenza dell'Arcivescovo
Card. Richelmy, della Commissione Diocesana, di Don Albera
con tutto il Capitolo Superiore e di una sorella del pio giovi-
netto. Fu presto allestito un conveniente monumentino mar-
moreo per ornare la tomba, la quale, dalla parete fra le colonne
che reggono la cupola a destra di chi guarda l'attuale altare di
Don Bosco, fu più tardi trasportata nella cappella allora dedi-
cata a S. Francesco di Sales, in attesa della gloria dell'altare,
quando l'intera cappella prese titolo da lui e le sue ossa furono
sistemate provvisoriamente in una artistica urna dorata, opera del-
la sezione di scultura della suola di falegnameria dell'Istituto di
San Benigno, su progetto del salesiano M.° Concas. Da qualche
anno è scomparso il bellissimo cranio, asportato da ignoti pro-
fanatori.
L'anno volse al termine accrescendo angustie e trepidazioni
sotto la furia della guerra che stava per travolgere l'Italia ed
altri paesi, nonostante gli sforzi del Papa per arginarla e farla
cessare.
Don Albera, preso consiglio, stabill di rimandare le com-
memorazioni del centenario della nascita di Don Bosco e l'inau-
gurazione del monumento a data da fissare, dopo la tempesta.
Intanto fece spedire alle case salesiane una edizione del Necro-
logio salesiano per ricordare i confratelli defunti nei rispettivi
anniversari alla pietà di tutta la famiglia. Tradizione squisita-
mente familiare che fino al XX Capitolo Generale trovava degna
ora alla refezione vespertina della comunità e commuoveva pro-
fondamente anche gli estranei invitati a mensa. Più di un vescovo,
a solo mio ricordo, ne propose l'imitazione alle comunità reli-
giose della propria diocesi. Religiosi e religiose ci furono gratis-
simi del buon esempio.
Dal 1915 al 1918
Tre anni di martirio per tanti militari, torrenti di sangue e
di lagrime, lutti, angosce, disagi e sofferenze incredibili... oggi,
dopo l'aggravamento ed il peggioramento della seconda guerra
mondiale, quasi passati in leggenda. Mentre noi li abbiamo vis-
suti... Che triste cosa la perdita del senso religioso e civile di giu-
200

22.9 Page 219

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stizia, l'anarchia delle umane passioni, la dialettica della violenza
fino alla barbarie spietata!
Il 28 luglio 1914 l'Austria aveva dichiarato guerra alla Ser-
bia per vendicare l'assassinio dell'Arciduca ereditario Francesco
Ferdinando e della consorte. Ben presto entrarono in campo schie-
randosi dall'una o dall'altra parte: la Germania dichiarando guerra
alla Russia e alla Francia, e con loro l'Inghilterra; poi il Bel-
gio, il Giappone, il Portogallo, la Romania, gli Stati Uniti, il
Brasile, la Cina, le tre repubbliche del Centro America (Guate-
mala, Nicaragua, Costarica), la Serbia, il Montenegro, la Tur-
chia, la Bulgaria. L'Italia si trattenne fino al 23 maggio quan-
do, illudendosi di aver l'occasione di riconquistare a poco prezzo
i territori che deteneva ancora l'Austria, dichiarò guerra all'Au-
stria-Ungheria, rompendo il patto di alleanza che aveva con la
Germania e l'Austria. Quanto caro le costò!... E quali con-
seguenze! ...
Sconquasso mondiale anche per le case salesiane che fiorivano
nelle diverse nazioni: chiamate alle armi di coadiutori, chierici e
sacerdoti, requisizione di case, paralisi di opere, sfollamenti, deva-
stazioni e anche distruzioni con aggravi di spese e diminuzione
di beneficenze, privazioni e disagi, caduti ai fronti e nelle retro-
vie, deportazioni e prigionie, qualche scoraggiamento anche fino
alla defezione... In complesso i salesiani chiamati in servizio, e
buona parte sacrificati fino all'olocausto, furono duemila... Tut-
ti figli per il cuore del padre, del Rettor Maggiore, anche se
costretti sui vari fronti a scontrarsi gli uni gli altri... Orrori
della politica della violenza! ...
Il cuore di Don Albera n'aveva da schiantarsi.
Nella circolare del 29 gennaio 1915 cercava di far coraggio
a tutti, ma egli stesso sentiva il bisogno di sostegno dall'amore
di tutti. È un bisogno del cuore umano, specialmente sentito
dove si cresce e si vive in spirito di famiglia. Non lo disse an-
che Paolo VI in questi anni di tumultuose vicende del mondo
e della Chiesa?: « La forza del Papa è l'amore dei suoi figli ».
È commovente rileggere l'esordio di questa circolare di Don
Albera:
« Fin da quando la Divina Provvidenza ha voluto, nonostante la mia
pochezza, prepormi al govemo dell'amata nostra Congregazione, v'ho ab-
bracciato tutti nella carità di N.S. Gesù Gristo, non solo quali confratelli
carissimi, ma come figli che da quel momento dovevo amare con la pienez-
201

22.10 Page 220

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za di affetto con cui il ven. Padre Don Bosco e l'indimenticabile Don Rua
amarono quaggiù ciascuno di noi.
E Iddio misericordioso, abbassando fo ,sguardo sopra l.a mia miseria, s'è
degnato dilatare la capacità del mio cuore e comunicarmi (non credo presun-
zione dirvelo, perché Jo sento) alcunché di quella vera paternità che procede
dal suo Cuore SS. e che egli dispensa -liberamente in vario modo e misura
nelle sue creature...
Perciò rivolsi tosto ogni mio pensiero e sollecitudine aJ bene non solo
della Congregazione in generale, ma di ciascuno in particolare, non rispar-
miando né preghiere, né industrie, né fatiche, perché ognuno potesse nel
miglior modo ,raggiungere con sicurezza il fine della propria vocazione reli-
giosa. In ogni consiglio dato, in ogni deliberazione presa, specie quando
questa poteva recare amarezza ad alcuno, non vi fu mai, ne è testimonio
Iddio, altro movente che l'amore del padre unicamente desideroso del vero
bene dei suoi carissimi figli.
Mi consola il pensiero che anche voi amate il vostro Rettor Maggiore
qual padre: perciò, mentre ,sapete compatire alla sua debolezza, siete inti-
mamente convinti che egli non si risparmierà mai in nulla per aiutarvi in
ciò che può tornar vantaggioso all'arnma vostra ed al vostro corpo. Questo
mi dicono tutte le lettere che mi scrivete... ».
E fatti i ringraziamenti anche a quelle di augurio di buon
anno alle quali gli riusciva impossibile rispondere individualmente,
apriva subito il suo cuore sulle angustie e sofferenze della guerra,
facendo coraggio e assicurando che egli le condivideva tutte
con loro:
« IJ flagello di Dio segue il suo corso implacabile e la nostra Bia Società
ne risente le inevitabili conseguenze. Pensate un po', carissimi, alle tante no-
stre case che fiorivano presso le nazioni dove al presente ferve fa guerra:
o spopolate di giovani, o ridotte a vita miserrima; ai numerosi confratelli
chiamati sotto le armi dei qua-li parecchi pagarono già il loro tributo alla
patria col sacrificio della vita e altri sono in pericolo di doverlo fare quando
che sia; alla paralizzata vitalità di tanti popoli neutrali dove pure abbiamo
confratelli ca-rissimi e numerose case; alla falainge di Cooperatori zelanti che
erano il sostegno nostro con le loro beneficenze e che ora non possono più
venirci in aiuto, per le interrotte comunicazioni e soprattutto perché co-
stretti a ,profondere i loro averi in soccorso di altre miserie più urgenti causa-
te dalla guerra; alle varie Missioni che ripongono la foro possibilità di vita
nelle offerte che loro si mandavano in determinate epoche, e potrete forse
farvi un'idea del mio presente stato d'animo e di quello degli altri superiori
maggiori... È vero che molti fra voi, o carissimi, provano da vicino una par-
te di queste immani tristezze, ma non mi negherete che il cuore del padre,
pensando a tutti i suoi figli e a tutto, è immensamente più provato. Ag-
giungete ancora a questo altri dolori e amarezze che sono inevitabili in una
Congregazione numerosa ed estesa come la nostra, e non vi sarà difficile
comprendere quale peso graviti sopra il vostro Rettor Maggiore. Dico que-
sto non per mendicare il vostro compatimento, ma per eccitarvi a fare la
202

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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massima economia e a pregare con più fervore per me e per la nostra Con-
gregazione... ».
Scendendo quindi al pratico, consigliava pratiche di pietà spe-
ciali, tra cui l'imitazione della funzione mariana, il 24 d'ogni
mese, come nel santuario di Maria Ausiliatrice, per la pace e
per il Santo Padre; poi ricordava l'udienza di Benedetto XV e
il procedimento delle cause di beatificazione in corso, rievocando
la grande parola d'ordine di Don Rua: « La santità dei figli sia
prova della santità del Padre», esortando pure a proporre ai
giovani la vita esemplare di Domenico Savio, la cura degli Ora-
tori e delle Missioni e raccomandando ai confratelli non chia-
mati al servizio militare di prodigarsi per supplire e tenere ad
ogni costo le posizioni finché forze maggiori non l'impedissero.
Seguirono altre circolari con disposizioni per militari e provve-
dimenti vari.
Intanto egli si era già offerto al Comitato di soccorso per
ospitare gli orfani del terremoto che il 13 gennaio aveva devastato
la Marsica. A Gioia de' Marsi due Figlie di Maria Ausiliatrice
avevan perso la vita; i Salesiani addetti alla parrocchia erano
stati estratti vivi dalle macerie, ma in tale stato da far trepidare
per parecchio tempo. « Sia fatta la volontà di Dio! - scriveva
all'Ispettrice a Roma - che con questi disastri ci avvisa di te-
nerci pronti a partire ad ogni momento. Del resto quelle due
buone suore venivano dalla chiesa dove avevano ricevuto Gesù
in Sacramento; e alcuni istanti dopo la Comunione si unirono a
lui per tutta l'eternità. Fatevi coraggio! Abbandoniamoci nelle
mani della Provvidenza: ciò gioverà nel tempo stesso all'anima
e al corpo ... ».
La Santa Sede non tardò ad approfittare delle buone dispo-
sizioni di Don Albera. Il Papa confidava all'ispettore di Roma
Don Conelli l'intenzione di affidare ai Salesiani tutti gli orfa-
nelli della Marsica che il Comitato avrebbe raccolto, e Don Al-
bera pregava l'ispettore di mettere le case più adatte a disposi-
zione. A quelli già raccolti se ne aggiunsero cosl altri 172 distri-
buiti in varie case d'Italia.
Quasi non bastassero tante cure e preoccupazioni ad assor-
birgli le forze e godesse ottima salute, il Rettor Maggiore sod-
disfaceva i voti di vari Capitoli Generali raccogliendo e ordi-
nando norme e direttive di Don Bosco e di Don Rua e compi-
203

23.2 Page 222

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lando Il manuale del Direttore, che il 25 marzo veniva spe-
dito a tutte le case. Autorevoli confratelli avevano voluto anche
l'inserzione di tratti delle raccomandazioni in parte già affidate
alle sue circolari. Nella presentazione e in lettere a vari direttori
egli se ne scusava: « Confesso candidamente che il frammischiare
i miei poveri consigli agli ammaestramenti di Don Bosco e di
Don Rua mi pareva quasi una profanazione». A Don Mana-
chino, direttore di Viedma di Patagonia, notava: « Tutto il buon
andamento di una casa dipende dal Direttore. Se alcune case non
vanno bene è perché il direttore non ha la calma, la carità, la
dolcezza e la pazienza dei nostri padri».
Nonostante lo sfinimento che sentiva e i disagi che preve-
deva, il 6 aprile riprendeva le visite per le case del Piemonte,
della Lombardia, del Veneto. « Queste visite - scriveva da Mi-
lano ad una superiora delle Figlie di Maria Ausiliatrice - que-
ste feste mi stancano molto. Dappertutto mi si fa parlare in
privato e in pubblico. Qualche volta non ne posso proprio più.
Sostenetemi voi con le vostre preghiere». E ce la fece, tornan-
done estenuato ma confortato dal buono spirito e dal lavoro dei
confratelli, dalla corrispondenza degli alunni fra cui fiorivano pro-
mettenti vocazioni, e dall'affetto di Cooperatori ed Exallievi che
gli dimostravano il loro attaccamento a Don Bosco e la confidenza
in Maria Ausiliatrice. Incombeva su tutti lo spettro della guerra
che stava trascinando anche l'Italia. Venne dichiarata contro l'Au-
stria-Ungheria il 24 maggio! ...
Chi non ha vissuto quegli avvenimenti, difficilmente può farsi
un'idea delle situazioni che improvvisamente suscitarono un'in-
finità di problemi anche per le famiglie religiose. Naturalmente
egli si preoccupò subito dei confratelli chiamati alle armi, di cui
direttamente si occupavano ispettori e direttori: a loro indi-
rizzò una circolare, il 1° giugno 1915, in cui, dopo essersi fatto
eco delle esortazioni del Papa a tre giorni di austero digiuno,
in tutta la Chiesa, per propiziare la misericordia di Dio, fissava
tre venerdl dall'll giugno festa del Sacro Cuore, per la peni-
tenza, raccomandando di tenersi in frequente corrispondenza
coi militari e di aiutarli moralmente e materialmente. Li pre-
gava inoltre di facilitare anche a lui ed ai superiori del Capi-
tolo i rapporti necessari con ciascuno, inviando al superiore de-
legato Teol. Don Luigi Piscetta i dati e le informazioni utili
e tenere corrispondenza, con indirizzi sempre aggiornati. Appena
204

23.3 Page 223

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organizzato questo serv1z10 di assistenza, inviò subito parole di
conforto e una lettera di presentazione e raccomandazione per
le autorità ecclesiastiche con cui avrebbero potuto trattare. Al-
tre esortazioni inviava ancora agli ispettori e direttori il 4 giu-
gno per sostenere l'insegnamento nelle scuole e superare le dif-
ficoltà di apertura e funzionamento a tempo normale.
Il Centenario della nascita di Don Bosco
Il 6 giugno egli compiva i 70 anni e le felicitazioni che giun-
gevano per corrispondenza, e che gli si presentavano in occa-
sione del suo onomastico, l'assicuravano della sintonia dei cuori
che avvaloravano gli auguri con cordiali promesse di preghiere
e di impegno per compiere ciascuno il proprio dovere con gene-
rosità pari alle esigenze dei tempi e dei sacrifici dei fratelli chia-
mati al servizio della propria patria. Alcuni giorni di riposo nella
casa di Oulx non giovarono quasi alla sua salute nuovamente
scossa; ma egli non rinunziò ad accorrere ai corsi degli Esercizi
spirituali annuali e a presiedere al Convegno degli Ispettori
Salesiani d'Europa che si tenne a Valsalice dal 20 al 24 luglio
per affrontare concordemente i problemi principali dell'ora, tra
cui l'assistenza ai soci militari, la cura dei Cooperatori e l'orga-
nizzazione delle opere di soccorso alle vittime del flagello mon-
diale ovunque fosse possibile.
La commemorazione del centenario della nascita di Don Bo-
sco venne ridotta: a Valsalice con la celebrazione della santa
Messa nell'ampio cortile, durante la quale egli stesso distribul
numerose Comunioni e rivolse la sua parola a una folla di Coo-
peratori ed Exallievi ai quali raccomandò di intensificare la de-
vozione a Gesù Sacramentato e a Maria Ausiliatrice. Nel pome-
riggio presiedette all'omaggio degli Exallievi. Il presidente del-
l'Unione Cav. Arturo Poesio rievocò la cara immagine paterna e
l'Avv. Saverio Fino, Consigliere comunale, portò il saluto del
Sindaco di Torino e l'adesione della città. Don Albera chiuse con
la Benedizione Eucaristica. L'indomani si recò al colle di Castel-
nuovo d'Asti: celebrò ancora la Messa solenne all'aperto, bene-
disse e collocò la prima pietra del tempio votivo a Maria Ausi-
liatrice, che oggi custodisce la sua salma, poi scese alla chiesa
parrocchiale per inaugurare una lapide a ricordo del battesimo
205

23.4 Page 224

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di Don Bosco e, dopo il canto del Te Deum, impartl la Bene-
dizione Eucaristica.
La giornata si chiuse più tardi nel cortile dell'Istituto Pa-
terno con la commemorazione civile alla presenza delle auto-
rità civili ed ecclesiastiche di Castelnuovo e di Torino. La posta
recava alla direzione generale adesioni innumerevoli dall'Italia e
dall'estero : massime autorità, personalità d'ogni grado, associa-
zioni e istituti. Carissima fra tutte quella del Papa con lette-
ra del Card. Pietro Gasparri, in cui si rallegrava del plebiscito
internazionale e inviava la benedizione apostolica. L'America fa-
ceva eco anche più grandioso con un Congresso di Exallievi di
Argentina a Buenos Aires e uno Internazionale di Cooperatori
Salesiani, il VII, a San Paolo del Brasile: quest'ultimo pur-
troppo funestato da una grave disgrazia, la morte di 27 giovani
e un salesiano nel naufragio del battello che trasportava i 300
alunni dell'Istituto di Nictheroy coi loro superiori.
La sciagura colmava di angoscia il cuore di Don Albera, il
quale nella circolare del 21 novembre aveva già dato sfogo alle
altre pene e poi aveva sentito il bisogno di sostenere quello dei
confratelli con richiami di fede e di confidenza nel patrocinio di
Maria Ausiliatrice, inculcando di vivere più intensamente la vita
di pietà e di abbandono in Dio. Infine traeva qualche conforto
dalla stima e dalla fiducia che il Papa manifestava alla Congre-
gazione con l'annuncio della elevazione di Mons. Cagliero alla
Sacra Porpora e della nomina di Don Felice Guerra alla ammi-
nistrazione apostolica dell'archidiocesi di Santiago di Cuba. Il
Concistoro si sarebbe tenuto il 6 dicembre. Mons. Cagliero arri-
vava a Genova e trovava Don Albera allo sbarco per accompa-
gnarlo a Roma.
Là si trattenne col primo Cardinale salesiano fino alla presa
di possesso del suo titolo « San Bernardo alle Terme», parte-
cipando alle varie cerimonie e godendo infine di una affabile
udienza del Santo Padre che lo trattenne a lungo informandosi
della situazione in cui si trovava la Famiglia Salesiana e lo con-
fortava affettuosamente rallegrandosi del fervore dei salesiani che
continuavano in pochi l'attività che prima impegnava molti, men-
tre i fratelli chiamati alle armi davano, già in parecchi, la vita
sui campi di battaglia.
Tornò a Torino con la benedizione apostolica e la consola-
zione del procedimento della Causa di Don Bosco di cui si era
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23.5 Page 225

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fatta la seconda perorazione proprio nel Concistoro donde era
uscito Cardinale il capo della prima spedizione missionaria. Tra-
smettendo gli incoraggiamenti del Papa, intensificava le sue cure
ai chiamati alle armi, agli orfani di guerra, ai più bisognosi tra
i suoi figli che spronava a più elevato spirito soprannaturale fra
tanto lavoro.
Il cuore di Don Albera pulsa attraverso la corrispondenza
personale, le circolari ai salesiani ed ai cooperatori. L'opera sua
è ben sintetizzata da Don Ceria nel capo V del voi. IV degli
Annali della Società Salesiana. Il maggior numero dei sale-
siani chiamati sotto le armi si ebbe naturalmente con l'entrata
dell'Italia in guerra. Dei duemila militarizzati (quasi metà dei
salesiani di allora) 903 erano gli italiani, di cui 261 sacerdoti
con 43 cappellani militari: ne morirono 24, feriti 38, altri tor-
narono malconci da prigionia; più di 60 gli edifici requisiti dalle
autorità militari.
In proporzione al totale, altre nazioni ebbero perdite anche
più sensibili. La Francia vide tornare pel servizio i confratelli
che avevano dovuto prendere la via dell'esilio a causa delle per-
secuzioni religiose, con un senso del dovere e dell'amor di patria
che determinarono poi ragionevole comprensione e rispetto nelle
legislazioni del dopoguerra. Fu provvidenza che la Congrega-
zione avesse allora ispettori di fine tatto diplomatico, come Don
Conelli a Roma e Don Hlond (il futuro Cardinale Primate di
Polonia) a Vienna. Don Albera poté confortarsi di non pochi
riguardi ottenuti per salvare situazioni estremamente delicate.
Si dovette sospendere la pubblicazione delle edizioni francese,
inglese, tedesca, polacca, ungherese, del Bollettino Salesiano.
Nell'ultimo numero Don Albera se ne scusava coi Cooperatori
delle varie nazioni, assicurandoli che si sarebbero però intensifi-
cate le preghiere specialmente nel santuario di Maria Ausilia-
trice per loro e tutti i loro cari e supplicandoli a continuare la
loro benefica assistenza per concorrere coi Salesiani e le Figlie di
Maria Ausiliatrice al sollievo delle necessità locali e, se possibile,
anche alle lontane Missioni più bisognose. Al santuario di Maria
Ausiliatrice accorrevano infatti numerosissimi i fedeli, special-
mente per la funzione mariana del 24 d'ogni mese e ad altre
particolari che si promuovevano, a iniziativa di pie associazioni,
rispondendo alle esortazioni dei Vescovi e del Papa man mano
che la guerra si protraeva e si faceva più spietata e crudele. Nel
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23.6 Page 226

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mese di marzo 1916 Don Albera iniziò l'invio di una circolare
mensile collettiva ai militari, che continuò fino al dicembre 1918.
Già però nel 1915 egli aveva tenuto ad informare tutti i
salesiani dell'edificante comportamento e della generosità di sa-
crificio dei militari nelle caserme, negli ospedali e sui vari fronti.
Ne aveva dato incarico al Prefetto Generale Don Rinaldi, il quale
compilò la circolare periodica del 24 agosto.
In questa, fatto cenno alla commovente e solenne riuscita
delle commemorazioni del centenario della nascita del Fondatore
a Valsalice e al colle di Castelnuovo, durante le quali il Ret-
tor Maggiore più volte non aveva potuto frenare le lagrime rivi-
vendo prodigi di cui era stato testimonio accanto al Santo, Don
Rinaldi proseguiva:
« Un altro pensiero gli stava sempre fisso in mente: quello dei tanti
confratelli sparsi pei vari campi di battaglia, che forse in quel medesimo
momento combattevano, versavano il loro sangue, mentre egli avrebbe voluto
vederli presenti a quell'intima festa di famiglia. Una preghiera più fervoro-
sa che mai - una preghiera che compendiasse tutte quelle innalzate ogni
giorno in tutte le case e da tutti i confratelli - elevava al Cielo per strappa-
re la sospirata pace, per ottenere che tutti i figli tornassero alla Madre Con-
gregazione con rinnovato affetto. La pace non sappiamo quando lddio vorrà
accordarcela, ma l'affetto alla Congregazione, l'affetto ben inteso a Don
Bosco, appare da ogni lettera che egli e gli altri superiori ricevono dai ca-
rissimi confratelli chiamati alle armi. Non sa trattenersi dal riportare in
appendice, tali quali sono sgorgati dal cuore e dalla penna di quei caris-
simi confratelli, alcuni brani di lettere ricevute in questi giorni, tacendo i
nomi per non far torto a nessuno, essendo molti i quali esprimono uguali
sentimenti... ».
Toccanti, fra le scelte, quelle di Don Rinaldo Ruffini, g1a
professore a Valsalice, il quale da Tai di Cadore dava anche
notizia dell'ap~stolato che faceva in grigioverde con l'organiz-
zazione dell'Oratorio festivo pei ragazzi sulla piazzetta della par-
rocchia, attirandoli tutti al gioco e poi guidandoli in chiesa alle
sacre funzioni, educandoli a devozione esemplare; e quella di
Don Carlo Braga, poi missionario ed ispettore in Cina e nelle
Filippine.
Da questa, scritta in un ospedale da campo il 19 agosto 1915,
stralciamo qualche periodo, per dare un'idea di quella corrispon-
denza che si conserva ancora nelle cartelle di Don Albera:
« Tra l'eco straziante di tante voci che a lei si levano per
implorare aiuto, conforto, consiglio, non le sia discaro tendere
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23.7 Page 227

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l'orecchio alla mia voce. Il Signore ci visita con grazie sì segna-
late, opportune, efficaci, da renderci ogni sacrificio assai lieve.
Per ora mi rassegno completamente, mi affido inconsciamente
alla Divina Provvidenza. Ho trovato un parroco di gran cuore...
S'interessa di trovarmi elemosine per la S. Messa; ogni mattina
vuole che accetti il caffè... la sera vuole che l'andiamo a visitare...
Mi fa predicare alla domenica al popolo. Creda che godo proprio
un mezzo paradiso... Gli ufficiali mi amano assai, tutti indistinta-
mente... Godo di una grande stima e simpatia da parte dei sol-
dati e dei paesani. Ho un gran da fare nel rispondere a quelli
che mi salutano e fanno tanto di cappello a questo povero sol-
dato senza galloni e senza fiocchi, ma salesiano e sacerdote. (Chi
conobbe Don Braga, non se ne stupisce: era un vero salesiano,
amabilissimo). Ho trovato fino tra queste rocce degli entusiasti
ammiratori dell'Opera nostra. Deo gratias! Fra le tante conso-
lanti notizie che solleverebbero il suo cuore paterno e teneris-
simo, non so negarle la seguente: una domenica, mentre predi-
cavo, una subitanea ispirazione mi suggeri di promettere al po-
polo grandi festeggiamenti per l'Assunta e per S. Rocco. Fu
presto detto, ma... Non mi perdetti d'animo: avevo dato pa-
rola alla nostra Mamma ed ella mi aiutò. Scovai in una casa
tedesca un armonium, credo del '70, senza mantici e stonato
come il sottoscritto. Lo riattai come meglio seppi, lo condussi
con un somarello sino alla parrocchia e cominciai la sera stessa
un po' di scuola di musica. Quanto spolmonarmi! Dài, dài, da-
gli, misi su la messa terza di Haller. Il 14 a sera, la vigi-
lia della gran festa, prove generali in sagrestia. In un bale-
no fu piena zeppa di soldati, fanciulli, uomini. Cambiai subito
battuta e musica e insegnai il « Benediteci, o Signore », spiegai
la poesia, s'imparò la melodia. Colsi l'occasione al volo, indossai
i paramenti e diedi la S. Benedizione. Creda, io piangevo, quan-
do innalzai il buon Gesù a benedire. Si cantarono altre lodi: mi
pareva un lembo di terra nostra, un Oratorio nostro. Che entu-
siasmo, che fede! Vennero numerosissimi i fedeli per udire la
musica; molte e confortanti le Comunioni e le preghiere. Scelsi
alcuni fanciulli e fanno ora la mia Schola cantorum. Vidi e con-
statai che la Vergine mi benediceva. I miei ufficiali erano entu-
siasti... Viva Don Bosco! ».
Don Albera versava lagrime di consolazione nel leggere le
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23.8 Page 228

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lettere dei militari e sapeva quanto fossero desiderate ed attese
le sue risposte che cercava di fare con sollecitudine.
Don Ruffini sembra si faccia eco di tutte:
« Mi co=uove la delicatezza di lei e degli altri superiori nello studio
di mantenere la corrispondenza coi confratelli militari. È un bisogno ben
forte questo, tanto che si vorrebbe essere ricercati ogni qual volta si vede il
postino con la borsa a tracolla. Si vive di affetto da tutti i rkhiamati. Da noi
salesiani poi, se giudico gli altri da me, si sente la mancanza della nostra aria
e si va alla caccia di un tubolino per quanto sobtile che ce ne trasmetta in-
quanto ».
Di qui la richiesta di pubblicazioni salesiane, dal Bollettino
alla « Vita di Don Bosco » riassunta da Don Lemoyne in due vo-
lumi e uscita da poco: « È aspettatissima - attestava Don Ruf-
fini apprendendo che i superiori si preoccupavano di mandarne
copia a tutti i militari - e passerà per molte mani. Specialmente
quest'inverno molti fanno calcolo di passar molto tempo con
quella. E cosi Don Bosco predicherà... ».
Incoraggiava anche Don Albera a trattare argomenti ascetici
per il fervore della vita religiosa e salesiana, perché, spiegava:
« Sarebbe il mio orgoglio se -la mia ,presenza e il mio ricordo in seguito
servisse a rendere un po' più buoni quelli che mi avvicinano e ingenerare
in loro una stima più grande pel salesiano e il sacerdote in generale. In questo
ambiente le parole valgono poco più di nulla, quando non servono a meno,
tanti sono i pregiudizi, le passioni e le false mentalità. La parola qui, più
che in tanti altri ambienti, vale in quanto sottolinea fesempio; e l.'esempio,
anche nelle cose più :insignificanti, purché manifesti spirito di fede e spirito
di sacrificio nell'adattamento alle circostanze, nel lavoro, nella carità; nella
carità, vorrei dire, fino alfa bonomia. Anche i più lontani da noi per sentii-
menti e abitudini, anche quelli che a ,parole ci vorrebbero come foro, in pra-
nica ci vogliono previ, nel senso più religioso della pardla. Questo è essenziail-
mentre il mio ,progra=a coi commilitoni; come contorno aggiungo, a titolo
di inv,ito, una larga comodità per le pratiche di pietà... ».
·
Don Albera seppe corrispondere a queste attese dei suoi fi-
gli migliori fin dalla prima circolare, del 19 marzo 1915, festa
di San Giuseppe:
« Carissimi, le lettere che mi giungono dai confratelli mi son
tutte gradite, però quelle che provengono da voi, attualmente
chiamati alle armi, mi son care in modo particolare anche per
l'espressione di caldo affetto, di nobili e delicati sentimenti...
manifestano tutta la generosità del vostro animo e il vostro in-
defettibile attaccamento alla famiglia di cui fate parte, dove vi
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23.9 Page 229

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formaste la mente a tanta nobiltà di pensieri e il cuore a tanta
purezza di affetti. Io vorrei poter scrivere a ciascuno di voi, e
mi sforzo di farlo ogni giorno per quanto posso. Ognuno per
altro comprende che, per quanto grande sia la mia buona vo-
lontà, non mi sarà mai possibile corrispondere con tutti. È per
questo che son venuto nella decisione di rivolgermi a voi men-
silmente in particolare con apposita lettera circolare, onde comu-
nicarvi quanto il desiderio del vostro bene e il mio affetto mi
suggeriranno, e tenervi nello stesso tempo informati di ciò che di
più importante avviene nella nostra Congregazione... Io che cono-
sco il vostro cuore, posso dire con quale entusiasmo vi preparaste
alla nobile impresa (dell'educazione della gioventù), con quali
sacrifìzi cercaste di raggiungere lo scopo prefisso... gli infaticati
studi per ornarvi la mente di sapere, di qui la nobile gara nella
pietà e nell'amore alla religione per arricchire il cuore di virtù.
Nelle sante e pacifiche battaglie dell'insegnamento delle scienze
e delle arti voi foste instancabili; e così, mentre davate alla Pa-
tria le primizie delle vostre energie intellettuali e morali, rac-
coglievate per voi larga messe di meriti e di benedizioni celesti.
Ora la Patria vi chiede anche le energie fisiche e voi avete rispo-
sto con slancio... siete disposti a -qualunque sacrificio... Procu-
rate, figli carissimi, di santificare tutte le vostre azioni vivendo
in unione con Dio... ».
« Risplenda in tutti i vostri atti la bontà e la dolcezza dell'animo vo-
stro. Questo dev'essere .il vostro carattere abituale... il segno che vi fa co-
noscere per figli di Don Bosco. Quindi, continuando la tradizione della vo-
stra vita, siate sempre pronci a qualunque servizio verso dei vostri camerati,
siate sempre i primi a soccorrerli... Le occasioni non vi mancheranno... Nes-
sun senso di scoraggiamento pensando che viviamo sotto .il potente pa-
trocinio di Maria SS. Ausiliatrice. Oh, sia costante e piena di fiducia la de-
vozione vostra verso questa tenera madre... ».
Su questo piano si sviluppano più o meno le altre circolari,
che poi danno le principali notizie di famiglia e, ogni volta
che a lui giungeva l'annuncio del transito di qualche combat-
tente, una breve ma tanto affettuosa rievocazione del caduto.
La seconda circolare, per es., comunica la concessione dell'Indul-
genza plenaria toties quoties pel santuario di Maria Ausiliatrice
nel giorno della festa, 24 maggio, decorata nel 1916 dalla pre-
senza del Card. Cagliero e di Mons. Marenco. L'ultimo cenno
necrologico riguarda un mio caro compagno di noviziato, il eh.
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23.10 Page 230

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Colombino Efisio, colto da malaria in Albania e deceduto a Lecce
nell'ospedale militare.
Le lettere non hanno nulla di burocratico, sono scritte cuore
a cuore nello spirito di famiglia squisitamente salesiano.
Il 13 aprile Don Albera inaugurava a Valsalice l'artistico
sarcofago di Don Rua e celebrava una Messa di suffragio presso
la tomba alla presenza degli intimi di famiglia, dell'ing. conte
Galateri, modellatore dell'altorilievo, del Sindaco di Torino On.
Teofilo Rossi, del prof. Bettazzi... rivolgendo la sua paterna pa-
rola in commossa rievocazione. Il Sindaco, ringraziando poi per
iscritto, definiva Don Albera « un angelo di bontà, degno suc-
cessore dei due gloriosi operai della carità». L'indomani egli
inviava a tutti i salesiani la memoranda circolare sulla castità.
Aveva ricevuto notizie delle sofferenze imposte alle Figlie di
Maria Ausiliatrice della casa di Scutari in Albania, internate in
Austria, e ringraziava l'Ispettore di Vienna Don Augusto IDond
per la sua premura nel visitarle e confortarle. Poi accompagnava
il Card. Cagliero a Nizza Monferrato per consolare anche le
Madri del Consiglio generalizio e di là scriveva all'Ispettrice
delle case di Francia: « Il Cardinale volle che io lo accompa-
gnassi, non pensando forse a quanto ho da fare a Torino: egli
mi dimostra un'affezione straordinaria... Consacrò volentieri il
calice da voi regalato ».
Ai militari confidava che quasi ogni giorno qualche militare
era a mensa a Torino col Cardinale e coi superiori, e cosl tutti
erano ogni giorno ben ricordati e rappresentati. Fra le vicende
della guerra che accrescevano ogni giorno preoccupazioni, disagi
ed angosce, in settembre si aggiunsero anche la morte di Don Giov.
Battista Lemoyne, il primo grande biografo di Don Bosco, e di
Mons. Giuseppe Fagnano, intrepido e impareggiabile apostolo della
Terra del Fuoco, ambedue a lui carissimi e nella Congregazione
fra i più benemeriti. Egli stesso assistette Don Lemoyne nel-
l'agonia recandogli anche il santo Viatico. Nella lettera necrolo-
gica ai confratelli cosl scriveva: « Mi sento talmente commosso
che non trovo parole per manifestare tutta l'ambascia dell'animo
mio e degli altri superiori, sia perché noi tutti consideravamo il ca-
ro estinto quale una vivente reliquia del venerabile Fondatore, sia
per la gravissima perdita che viene a fare l'amata nostra Società
cotanto provata in questi calamitosi tempi... ». L'8 novembre spi-
rava Don Viglietti.
212

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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Conforto spirituale egli aveva provato in agosto ad Oropa
ove aveva accompagnato il Card. Cagliero per le feste cente-
narie del celebre santuario ed aveva presieduto il Convegno na-
·1.ionale degli Oratori festivi. Altri gliene diede il Santo Padre
con la nomina del parroco di Santa Maria Liberatrice al Testac-
cio di Roma, Mons. Luigi Olivares, a Vescovo di Nepi e Sutri.
Dopo la Messa di trigesima per Mons. Fagnano, pontificata da
Mons. Morganti, scese a Roma per la consacrazione compiuta dal
Card. Cagliero con l'assistenza di Mons. Morganti e di Mons.
Marenco destinato alla Delegazione Apostolica del Centro Ame-
rica. Al termine delle feste ebbe un'altra affettuosa udienza da
Papa Benedetto XV.
« Un'ora di grandi consolazioni scriveva ai militari - Per altre
udienze particolari conoscevo già bene tutta la paterna bontà del Santo Pa-
dre Benedetto XV verso l'opera di Don Bosco; ma vi posso assicurare che
quest'uJtima udienza mi ha rivelato nuove e più intime meraviglie del suo
gran cuore, per noi pi~ che paterno... Si parlò a lungo di più cose: tutto vol-
le sapere, di tutto volle interessarsi prendendo parte alle presenti nostre
tribolazioni... e confortandoci a continuare alacremente nehle molteplici ope-
re che abbiamo tra le mani. Ma quello che più vi deve confotitare, o miei
caiii figli soldati, è che il Santo Padre s'è degnato di interessarsi minutamen-
te di voi: quanti siete sotto le armi, quanti sono già caduti nei vari com-
battimenti; dei pericoli a cui siete esposti e del buono spirito che conser-
vate... e volle riservare a ciascuno di voi una particolarissima benedizione...
Vi apporti questa benedizione del Vicario di Cristo forza e coraggio nei ci-
menti cui andate incontro... vi isptti un filiale amore e una profonda divo-
zione al comun Padre di tutti i figli della Santa Chiesa, eccitandovi a resta-
re attaccati a foi mente e cuore, e a pregare perché gli sia dato di poter in
mezzo alla presenti procelle condurre a salvamento la mistica navicella affi-
data alle sue cure.. . ».
A Roma Don Albera assistette anche all'inaugurazione della
Scuola pratica di Agricoltura per gli Orfani di guerra al Man-
drione, presieduta dalla Regina Madre Margherita di Savoia e dal
Card. Cagliero...
Al ritorno passava alle stampe il Manuale per le « Pratiche di
pietà » nelle case salesiane, che salvava la conformità in questo
settore così vitale della vita religiosa. La Santa Sede frattanto
lo consolava con l'erezione a Vicariato Apostolico della zona
cilena della Prefettura di Mons. Fagnano, affidandolo a un santo
salesiano cileno, Mons. Abramo Aguilera, e creava la Prefettura
del Rio Negro preponendovi Mons. Lorenzo Giordano, apostolo
dalla tempra eroica.
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24.2 Page 232

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L'anno si chiuse a Valdocco con il triplice Giubileo d'oro di
Don Francesco Cerruti (di sacerdozio, di professione e laurea in
lettere, 50 anni). Don Albera lo assistette alla Messa solenne e
condivise tutta la festa con questo degnissimo salesiano, ordi-
natore delle scuole salesiane che portò al credito ufficiale e al
prestigio statale col miglior sviluppo per l'avvenire.
Due giubilei d'oro
La guerra col suo crescendo di orrori, di crudeltà, di soffe-
renze e di odio non impedì che nel 1917 si mettessero a fuoco
due giubilei d'oro che cadevano nel 1918 e che il mondo sale-
siano (si scusi la qualifica, per non elencare tutti gli elementi
della Famiglia spirituale di Don Bosco e delle associazioni che
nelle varie case fiorivano) vi si preparasse adeguatamente il me-
glio possibile. Vogliamo dire il 50° della consacrazione del san-
tuario di Maria Ausiliatrice (9 giugno 1868) e quello dell'Ordi-
nazione sacerdotale e prima Messa di Don Albera (2-3 agosto 1868)
nonché della sua professione religiosa perpetua ( 19 settembre a
Trofarello durante gli esercizi spirituali).
Pel suo Giubileo sacerdotale Don Albera lasciò che faces-
sero gli altri, mobilitati da Don Rinaldi; ma di quello di Maria
Ausiliatrice si interessò quanto poté personalmente, scrivendone
ai confratelli in apposite circolari, e ai Cooperatori nel Bol-
lettino Salesiano. Si organizzarono intelligenti ed attivi comitati
che pensarono al programma e ne curarono lo svolgimento.
Egli frattanto il 28 febbraio si recò in Liguria per salutare
all'imbarco di Genova S. E. Mons. Marenco successore del Card.
Cagliero come Internunzio Apostolico nel Centro America, in
partenza per la sua sede. Di là proseguì per Alassio a visitare
Don Cerruti il quale nonostante la benefica aria del clima che
generalmente giovava alla sua sempre delicata salute, lentamente
declinava.
Ritornò al suo capezzale con Don Giulio Barberis negli ul-
timi giorni e non lo abbandonò più finché il 25 marzo rese la
sua bell'anima a Dio. Fu la perdita più sentita per lui dall'inizio
del suo rettorato, perché erano stati compagni di lavoro fin dai
primi anni del suo ingresso all'Oratorio e dell'apostolato sale-
siano, chierici nella casa di Mirabella Monferrato.
Come scrisse il Bollettino Salesiano, fu la più gran perdita an-
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24.3 Page 233

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che della Società Salesiana dopo quelle di Don Bosco e di Don
Rua. Ebbe infatti un plebiscito di cordoglio specialmente in Ita-
lia, dove in campo scolastico egli godeva del più alto prestigio.
Don Albera presiedette ai funerali, poi prosegul per Roma per
partecipare alla Beatificazione del Cottolengo e alla celebrazione
del triduo nella Basilica del Sacro Cuore che i salesiani mettevano
ben volentieri a disposizione, con senso di viva gratitudine per
tutta la carità che anch'essi incontravano sempre nella Piccola Casa
della Divina Provvidenza a Torino.
Confidò poi la sua consolazione specialmente ai militari, scri-
vendo loro anche di una nuova udienza pontificia in cui Bene-
detto XV lo accolse con ineffabile benevolenza interessandosi « di
tutto e di tutti, ma specialmente di voi che vestite la divisa
militare... ». A Torino l'attendevano affanni e preoccupazioni facili
ad immaginare; ma egli incoraggiò allo svolgimento normale del
mese di Maria Ausiliatrice, della vigilia e della festa che attrasse
giovani e fedeli in folla a pregare nello sgomento della durata e
delle angosce della guerra che costava sempre più anche all'Italia
complicandosi con fermenti interni sfociati poi fatalmente in di-
sordini sanguinosi quando cessarono le operazioni ai fronti.
Il mese mariano, infervorato dalle Quarantore e da due
notti di veglia santa propiziatrice, si chiuse coi festeggiamenti
torinesi al novello Beato Can. Giuseppe Benedetto Cottolengo,
che rialzarono i cuori a maggior fiducia ed abbandono nella
pietà divina. Dopo le feste, invocato fervorosamente lo Spi-
rito Santo e preso consiglio dai suoi immediati collaboratori,
sceglieva a succedere al compianto Don Cerruti, nella direzione
generale delle scuole salesiane, l'Ispettore di Roma Don Arturo
Conelli e inviava ai salesiani una circolare per scuotere i tiepidi
a fuggire la legalità nella vita religiosa dandosi tutti con fervore
al compimento del proprio dovere e supplendo generosamente
nelle case anche i militari che versavano sangue per la patria.
Il Signore sembrava benedire la sua grande preoccupazione di
far crescere i salesiani nel loro buono spirito come voleva Don
Bosco, perché proprio nel mese del Sacro Cuore il Santo Padre
affidava di nuovo al Rettor Maggiore tutta la cura spirituale
dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice rallentata e in
gran parte ridotta nel decennio precedente dai criteri di se-
parazione degli istituti femminili da quelli maschili dello stesso
Fondatore anche per la direzione spirituale.
215

24.4 Page 234

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Con decreto del 19 giugno 1917 Don Albera veniva nominato
Delegato Apostolico per tutto l'Istituto delle Figlie di Maria Au-
siliatrice per un quinquennio. Il provvedimento era stato richiesto
dal Card. Cagliero. E Don Albera, nel darne notizia confidenziale
al Capitolo Superiore, sottolineava il fine del provvedimento
pontificio :
« di ottenere che nei due Istituti (dei Salesiani e delle Figlie di Maria
Ausiliatrice fondati entrambi dal ven. Giovanni Bosco, fossero meglio im-
pressi e mantenuti in vigore il carattere e fa forma che ad essi diede Io
stesso fondatore. . II Rettor Maggiore della Società Salesiana è nominato,
per un quinquennio, Delegato .Apostolico... perché ogni due anni con ani-
mo patemo visiti, o personalmente o ,per mezzo di un suo Delegato, le loro
Case, continuando però queste a conservarsi autonome e indipendenti quan-
to all'amministrazione. Unico suo scopo sarà di promuovervi il vero spirito
del fondatore e di curarne il progresso spkituale, morale e scientifico, come
pure, se farà d'uopo, e senza inttomettersi nell'amministrazione, di sorve-
gliare e tutelare il retto investimento dei capitali e la sicurezza delle doti
versate dalle suore... ».
La delegazione, da temporanea, rinnovata in seguito a carat-
tere quinquennale, venne resa perpetua sotto il rettorato di
Don Ricaldone.
Era indubbiamente un aggravio per Don Albera, la cui sa-
lute era assai malandata, anche se nessuno se ne accorgeva, nep-
pure il suo attento segretario; ma egli l'accettò di buon animo
per l'affetto che portava all'Istituto visto sorgere e dilatarsi così
provvidenzialmente, e pel desiderio di conservarlo nel genuino
spirito di Don Bosco.
Le superiore delle Figlie di Maria Ausiliatrice, appena ne
ebbero comunicazione, ringraziarono di cuore il Santo Padre ed
espressero anche personalmente a Don Albera la loro gioia: l'at-
tendevano da tempo e pregavano tanto a questo scopo.
Abbiamo a portata di mano la risposta di Don Albera alla
pronipote di Don Bosco, Madre Eulalia: « ... Essa mi fa cono-
scere sempre meglio quanto sinceramente siete affezionate al su-
periore dei salesiani comunque si chiami... siete persuasa dei
grandi vantaggi che vengono a tutta la vostra Congregazione dal-
l'intima unione con il superiore dei salesiani. Altre suore per
pensarlo ebbero bisogno di far l'esperienza la quale non fu sem-
pre felice ... ».
Il decreto garantiva loro piena tranquillità di spirito perché
stabiliva che il superiore intervenisse sempre paterno consilio,
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24.5 Page 235

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con paterni consigli, senza alcuna responsabilità disciplinare stret-
tamente giuridica. Proprio come voleva Don Bosco fin dalla fon-
dazione. E Don Albera ci tenne a farlo ben capire agli Ispettori
ed agli altri salesiani, delegandoli a fare, quando e dove occor-
resse, le sue veci: la delegazione non conferiva alcuna -giurisdi-
zione propriamente detta sulla comunità, perciò anche i cappel-
lani locali fossero sempre a disposizione delle suore pei servizi
religiosi e i buoni consigli che richiedessero, con la massima
generosità e discrezione. Pubblicamente egli ne parlò alle diret-
trici delle suore nel mese di settembre, quando si recò a Nizza
Monferrato per i loro esercizi spirituali, mettendo bene in evi-
denza la parte fatta dal Card. Cagliero:
« Dalla nomina del Card. Cagliero noi ci aspettavamo molti
benefici e non nego che uno dei principali, atteso specialmente
dal Rettor Maggiore, era quello di veder sistemata la vostra Con-
gregazione... Ora voi potete considerare il Superiore Salesiano
come vostro superiore diretto. Il Cardinale solo merita i ringra-
ziamenti, Don Albera non c'entra per nulla. Ma io son stato
ben contento quando ho letto il decreto... ». E le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice furono davvero tanto riconoscenti al Cardinale.
Chi scrive faceva da cerimoniere a Nizza nel 1922 per le feste
cinquantenarie dell'Istituto e serviva anche i giornali con la cro-
naca. Ora, mentre nella cameretta dov'era spirata la Santa Madre
Maria Mazzarello, stendeva la cronaca conclusiva specificando le
autorità e personalità presenti, qualificava il nuovo Rettor Mag-
giore Servo di Dio Don Filippo Rinaldi, Delegato Apostolico per
l'Istituto. Madri e Suore presenti esclamarono ad una voce : « Met-
ta Rettor Maggiore anche per noi, Padre, metta Rettor Maggiore».
Io, naturalmente, non mutai il titolo canonico; ma mi confortò
tanto quella protesta spontanea ed unanime... Quanto buono spi-
rito nell'animo loro! ...
La vacanze del 1917 erano state funestate all'inizio dal ter-
remoto del Centro America che abbatteva le quattro case (due
salesiane e due delle suore) in San Salvador e in Sancta Tecla;
ma, grazie a Dio, senza vittime umane, che purtroppo nelle
due città furono innumerevoli. Don Albera l'attribul a una spe-
ciale protezione dell'Ausiliatrice di cui stava programmando le
feste giubilari, chiedendo concorso a tutti anche per l'allesti-
mente di un Museo del Culto a Maria Ausiliatrice che si al-
lestl poi nella cripta del santuario e disgraziatamente durò meno
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24.6 Page 236

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di quanto si pensava, per sostituirlo con altro, cui non si riuscì
a dare sede più adeguata.
Nel mese di ottobre era fissata la ricognizione canonica della
salma del venerabile Don Bosco a chiusura del processo aposto-
lico sulle virtù e fama di santità. La cara cerimonia si compì a
Valsalice tra il 13 e 15 del mese dal competente Tribunale Ec-
clesiastico e fu presieduta da Don Albera col Card. Cagliero e
i Superiori del Capitolo, fra pochi intimi. Fu sospesa la dome-
nica 14 per dar modo a Don Albera di recarsi a Pinerolo Monte
Oliveto per la premiazione annuale degli orfani di guerra e la
benedizione dello stendardo offerto dalle Dame Patronesse.
Don Albera volle darne egli stesso i particolari ai militari
scrivendo:
« ... ha suscitato nell'animo mio un mondo di affetti e di ricordi. L'a-
vevo veduta l'ultima volta il 3 settembre 1904, tutta integra e tendente a
mummificarsi con i lineamenti paterni assai ben conservati... Mentre dal fon-
do del cuore innalzavo una fervida preghiera per tutti i miei figli lontani, oh!
come avrei desiderato avervi vicini e dirvi: Ecco il tesoro più prezioso che
ancora ci resta di chi fu tanta parte della nostra vita e al quale voi pure
dovete la felicità della vostra vocazione religiosa alla vita salesiana. La sal-
ma, rivestita ancora degli abiti sacerdotali, è ora in stato di progredita mum-
mificazione, ma conserva tutti i lineamenti del buon Padre, che pare dorma
il sonno del giusto... la sua destra assai ben conservata, e distesa com'è, sem-
bra che abbia a sollevarsi da un momento all'altro per compiere l'atto so-
lenne che -le era tutto proprio (di benedire). Quante volte mi aveva bene-
detto quella santa mano posandosi paternamente sul mio capo! E spero fer-
mamente che mi avrà ribenedetto insieme con tutti voi quella mattina, nel-
l'ora memoranda in cui piegava e ripiegava il mio capo dentro l'uma prezio-
sa, quasi per farmela ritoccare un'altra volta. Oh, la cara illusione confinan-
te con la realtà... ».
Il 27 ottobre faceva visita anche agli orfani di guerra rac-
colti dalle Figlie di Maria Ausiliatrice nel loro istituto di Gru-
gliasco, mentre sulla Patria si abbatteva la sciagura di Caporetto...
Centinaia di profughi, abbandonando i paesi invasi, si spar-
gevano pel resto d'Italia. Don Albera si affrettava ad incorag-
giare i direttori delle case a prodigarsi nell'ospitare quanti pote-
vano; e questi rispondevano sollecitamente e con tanta genero-
sità. Fu una gara che commosse il cuore di Dio e benedisse la
eroica ripresa dei cari soldati. L'Oratorio di Valdocco improvvi-
sava 50 letti che metteva a disposizione del Prefetto di Torino:
il 30 novembre erano tutti occupati.
Una sorpresa giungeva dal Brasile dove il salesiano Mons.
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24.7 Page 237

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D'Aquino, ausiliare dell'Arcivescovo di Cuyaba, veniva eletto
Presidente dello Stato di Mato Grosso, pacificando cosl i vari
partiti che nella scelta di un Vescovo di eccezionali doti e grande
virtù concordavano per il bene di tutta la popolazione. Fu di
fatto rieletto sempre con largo consenso e generale soddisfazione
(tolto l'anarchico eccidio, deprecato da tutti, del santo missio-
nario Don Tannhuber) finché fu fatto Arcivescovo di Cuyaba.
La Messa d'Oro nel Giubileo della Basilica di Maria Ausiliatrice
Il 1918, col precipitar degli eventi internazionali, assorbiva
i cuori nell'esultanza della Messa d'Oro di Don Albera e del Giu-
bileo del Santuario-Basilica di Maria Ausiliatrice, che non si era
creduto di dover sacrificare, anche perché si presentiva la fine,
volere o non volere, della guerra e dove non infuriava la bufera
le case salesiane rigurgitavano di giovani, in piena fioritura.
Don Albera lo confermava anche ai Cooperatori nella circo-
lare di capodanno:
« Nelle ckcostanze anormali in cru c1 troviamo, tanto gli Oratori fe-
stivi quanto i collegi e gli altri istituti -salesiani fioriscono e rigurgitano di
giovinetti. Se ciò potrebbe dirsi mirabile in paesi neutrali, deve dirsi ad-
dirittura prodigioso in paesi dove si combatte... A un ,tratto cosl amorevole
della Divina Provvidenza è da accoppiare Ja stima ~n cui sono universal-
mente tenuti la memoria del venerabile Don Bosco e il suo apostolato... Non
vi è casa dell'Opera di Don Bosco che non abbia aperto lè sue ,porte ai figli
dei richiamati o dei morti in guerra o dei profughi, o agli stessi soldati...».
Anzi per questi si erano organizzati ritrovi di sollievo, di
conforto (Case del Soldato) e corsi di cultura, fra modesti sva-
ghi, secondo le possibilità.
Nel programma dei festeggiamenti giubilari Don Albera volle
che si inserisse un gran « Convegno nella Casa-Madre di sale-
siani ed exallievi sacerdoti militari » coi quali condividere, alle
funzioni, a mensa e per le ore possibili, la santa letizia della sua
Messa d'Oro. Pel resto facesse pure il comitato.
A festeggiarlo cominciarono gli oratoriani del primo Oratorio
festivo di Valdocco il 26 gennaio; poi, il 29, le oratoriane delle
Figlie di Maria Ausiliatrice.
Don Albera gradì immensamente l'offerta delle loro preghiere
e delle loro Comunioni. Si commosse quando seppe che i sale-
siani dell'Ispettoria Subalpina intendevano offrirgli il calice per
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la sua Messa d'oro. Nel ringraziarli con una lettera particolare
confidò che la sua maggiore consolazione veniva dalla fedeltà allo
spirito di Don Bosco e li scongiurava a non allontanarsene mai.
« Come l'acqua - spiegava - più si allontana dalla sorgente più perde
della sua naturale limpidezza per divenire onda limacciosa, cosi lo spiritò di
un Istituto ,religioso più si allontana dal Fondatore e da quelli che ebbero
la fortuna di convivergli accanto per lunghi anni, più perde della sua pri-
miera integrità, assorbendo insensibilmente elementi eterogenei disgregatori
della mirabile compagine primitiva. Quante cose strane, se non stiamo at-
tenti, vanno un po' per volta infiltrandosi tra noi, e quante proprie dello
spirito del ven. Don Bosco, si lasciano cadere qua e là in disuso! Avendo
avuto la grande ventura di convivere tanti anni col venerabile nostro Padre,
e di godere della sua confidente ,intimità, posso dire che ebbi opportunità
di penetrare bene lo spirito che l'animava, spirito che in seguito vidi rivi-
vere inalterato nell'indimenticabile Don Rua. Orbene, conviene che si sap-
pia: a certe cose che taluno crede d'importanza trascurabile, Don Bosco ne
dava moltissima. Don Bosco tolse a patrono dell'opera sua il Salesio perché
volle che i suoi figli ne ricopiassero in ogni tempo la grande attività nel
bene, l'ardente amor di Dio e l'inalterabHe dolcezza col prossimo. E a ren-
dere più efficace questo modello, lo ricopiò anzitutto in sé, donandogli tutta
la modernità richiesta dai nostri tempi. Se vogliamo poter dire di essere ve-
ramente Salesiani, non solo dobbiamo cercare di possedere questi tre ele-
menti costitutivi dello spirito di Don Bosco - attività, amor di Dio, dol-
cezza col prossimo - ma anche di possederli congiunti armonicamente in
lui... ».
Alla Madonna, pel giubileo della consacrazione del suo tem-
pio, venivano intanto annunciati omaggi straordinari, fra i quali:
l'offerta di uno scettro d'oro donato dalla principessa Isabella
Camposagrado-Czartoryski; cartegloria miniate in pergamena e
un prezioso calice, dalla Duchessa di Genova con la figlia princi-
pessa Bona; un crocefisso d'argento dalla regina Elena ; un cuore
votivo dai soldati del Presidio... Il tabernacolo dell'altar mag-
giore, a cura di pie persone, veniva internamente rivestito di
lamine d'oro con gemme e con la pietra preziosa di un anello
pastorale dell'Arcivescovo Mons. Lorenzo Gastaldi, offerto dalla
nipote Lorenzina Mazé de la Roche ...
La serie delle celebrazioni registra al 25 aprile una confe-
renza inaugurale nel teatro dell'Oratorio. Presenti, la Duchessa
di Genova, autorità cittadine e personalità qualificate. Il mar-
chese Filippo Crispolti esordl protestando che Torino non con-
siderava il giubileo di Don Albera come un'appendice o come
accidentale coincidenza del giubileo del santuario, « ma come
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un provvido spirituale compimento», perché per i Torinesi il
nome di Don Albera era sempre congiunto « all'immedesima-
zione di Don Bosco con l'Ausiliatrice». Poi, presentando feli-
citazioni ed auguri, illustrò il progetto del « Museo del culto
dell'Ausiliatrice». Don Albera rispose umilmente ringraziando ed
esortando alla più fervida devozione alla Madonna sotto il titolo
di Ausiliatrice per implorare la costante sua assistenza materna
alla Chiesa e al Vicario di Cristo.
Verso la fine del mese l'afflusso della corrispondenza por-
tava le felicitazioni più auguste del Santo Padre, di Cardinali,
Vescovi, prelati e autorità di varie nazioni. Benedetto XV in-
viava una pisside e una pianeta che Don Albera avrebbe poi
indossata per la Messa d'Oro. Oggi riveste la salma gloriosa di
San Giovanni Bosco composta nell'artistica urna al suo altare.
Il Papa giustificava la sua premura nell'inviare i doni con la
Benedizione Apostolica, scrivendo: « Ci piace assai precedere co-
testo quasi coro di felicitazioni, sia perché vogliamo noi stessi
raccomandati in modo speciale con tutta la Chiesa ali'aiuto poten-
tissimo della Madre di Dio, sia perché abbiamo meritamente cara
la Società Salesiana. Ch'essa abbia ancora per molti anni e in
buona salute te Rettore è ardente nostro voto! ... ».
Il mese mariano assurse a grande solennità con valenti pre-
dicatori, devote funzioni ed eccellenti esecuzioni in canto grego-
riano e in polifonia, con un concorso straordinario di pellegri-
naggi, soprattutto di giovani e cooperatori, exallievi e associa-
zioni cattoliche. Imponente il pellegrinaggio della Gioventù Cat-
tolica Piemontese con vessilli e bande. Don Albera con 5 sacer-
doti impiegò tre quarti d'ora a distribuire oltre 4000 Comunioni.
Nel pomeriggio i giovani tennero congresso: l'avv. Torriani pre-
sentò a Don Albera l'obolo della Gioventù Cattolica e il Comm.
Paolo Pericoli portò da Roma i saluti e gli auguri di tutta la
Gioventù Cattolica d'Italia, di cui era Presidente.
Il 30 aprile, festa intima. Don Albera celebrò per tutti 1
suoi parenti nelle camerette di Don Bosco, poi li volle con sé
a colazione ed essi gli offersero il loro dono di famiglia: un
bel quadro ad olio di S. Paolo, in elegante cornice dorata. Nel
pomeriggio Don Albera scese nella cripta del santuario col Card.
Cagliero a inaugurare il « Museo del culto a Maria Ausiliatrice ».
La Messa d'Oro venne anticipata al 9 giugno facendola coin-
cidere col cinquantenario della consacrazione del tempio.
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24.10 Page 240

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A preparare giovani e fedeli fin dal 2 giugno predicarono il
Vescovo salesiano Mons. Luigi Olivares, di Nepi e Sutri, e Mons.
Domenico Pasi, ausiliare di Ferrara.
Le Dame Patronesse vollero che Don Albera benedicesse an-
che I'« Esposizione di arredi sacri », in cui avevano pure dispo-
sto i recenti doni del Papa, delle regine e principesse, di Em.mi
Cardinali ... (v. Boli. Sal., giugno-luglio 1918, p. 203). Ricordiamo
solo quelli non ancora elencati: dell'Arcivescovo di Milano Card.
Ferrari (due reliquie insigni di S. Carlo Borromeo), del Card.
Gasparri (un camice con merletto di gran valore) e del Card. Ca-
gliero (il calice a lui offerto dalla Patagonia per la sua Messa
d'Oro, un pastorale e servizio completo per pontificale, varie pia-
nete tra cui una di inestimabile valore, con ricamo a mano della
morte di Gesù in croce, paziente e artistico lavoro delle Bene-
dettine di Einsiedeln, offerta a Leone XIII e da Pio X donata
a Mons. Cagliero ).
Commovente l'omaggio dei soldati del Presidio, che pellegrina-
rono il 5 giugno al santuario. Intervenne la duchessa Isabella di
Genova, i figli, superiori, autorità e rappresentanze di tutte le armi.
Il principino Eugenio presentò il dono dei soldati, un cuore votivo,
che il Card. Richelmy passò a Don Albera. Il Rettor Maggiore
ringraziò, offrendo a sua volta al principino una medaglia d'oro,
di Maria Ausiliatrice. Un soldato presentò l'artistico ostensorio
della Regina Madre, con cui l'arcivescovo imparti poi la Benedi-
zione con il SS. Sacramento. Altre medaglie vennero infine distri-
buite alle autorità e personalità, ai soldati...
Il 6 giugno, 73° compleanno di Don Albera, fu riservato al-
l'addio ai Missionari in partenza per ·1a Cina. Il Governo ita-
liano aveva facilitato la spedizione anticipando il congedo a pa-
recchi militari. Presiedette la funzione il Card. Cagliero che tenne
loro un vibrante discorso e imparti la Benedizione Eucaristica.
Don Albera dette ad ognuno l'abbraccio paterno all'altare, con
un ricordo personale d'incoraggiamento e di guida. Al capo della
spedizione, Don Sante Garelli, al momento della partenza, affidò
poi il calice della sua Messa d'Oro da portare a Mons. Versiglia.
Ricevendolo il 12 ottobre 1918, questi scriveva a Don Albera:
« Ella, amatissimo Padre, ha voluto anche ricordarsi di me in
un modo tutto particolare. Mi ha inviato un calice che è il ca-
lice suo; il calice è l'emblema del Sacerdozio... Oh, sl! Possa
esso essere per me di eccitamento ed emulare lo zelo sacerdo-
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25.1 Page 241

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tale del mio buon Padre che me l'ha offerto!... Il Venerabile
nostro Padre Don Bosco, quando sognò della Cina, vide due
calici pieni di sudore e di sangue dei suoi figli... Faccia il Si-
gnore che io possa restituire ai miei Superiori e alla nostra Pia
Società il calice offertami, ma che sia ripieno, se non del mio
sangue, almeno del mio sudore! ... ».1
Il 7 cominciò il triduo privilegiato concesso dalla S. Sede.
Il giorno 8, nel teatro gremitissimo di giovani, personalità
e autorità, di Cooperatori ed Exallievi, si svolse l'accademia uffi-
ciale. Parlarono: Don Conelli per i Salesiani, Mons. Comino pel
Collegio dei Parroci e il Clero torinese, il Comm. prof. Costanzo
Rinaudo (compagno di Don Albera) per i condiscepoli e gli Exal-
lievi, la contessina Camerana per le Dame Patronesse, Don
Trione per le Figlie di Maria Ausiliatrice e i Cooperatori, il cav.
Macciotta per la Giunta Diocesana, Don Luchelli per i confra-
telli militari. Applauditissimi gli Orfani di guerra di Monteoli-
veto nella loro simpatica divisa di alpini. Nobilissimi i sentimenti
e carissimi i ricordi rievocati dai vari oratori. Ma il discorso più
eloquente lo faceva Don Albera, ascoltando umilmente come se
si trattasse di un altro. Commoventi infine i suoi ringraziamenti,
turgidi di emozioni intime all'onda dei ricordi che gli facevano
1 H sacrificio, che quel giorno era lontano presagio di dedizione eroica, do-
dici anni dopo, il 25 febbraio 1930, diveniva gloriosa realtà. Mentre J'au-
reola dei Beati coronava la fronte di Don Bosco, iil calice da lui veduto
traboccava del sangue di due dei suoi figli, che col ma11tirio raggiungevano
il Padre nella gloria, Mons. Versiglia e Don Caravario. (Don Garelli)
Il sogno al quale si riferisce Don Versiglia non esiste nella tradizione
scritta salesiana, che gli storici della Congtegazione Don Giovanni Lemoyne
e Don Eugenio Cer.ia hanno raccolto nei diciannove volumi del!le Memorie
Biografiche e nei quattro degli Annali. Don Versiglia d'aveva raccolto dalla
tradizione orale, viva a Foglizw, dove egli era stato novizio e poi assistente
e insegnante, e della quale abbiamo sicure testimonianze.
Don Ceria, da me interpellato in proposito, rispose in data 6 febbraio
1944: « Sogni sulla Cina non esistono. Vi sono accenni nei sogni missiona-
ri... Dei due calici ricordo che si parlava; ma non c'è nulla di scritto. Il di-
scorrere della Cina cominciò a San Benigno e si propagò a Foglizzo, per via
di Don Conelli, che pareva designato.
Don Eugenio Ceria fece il noviziato a San Benigno Canavese nell'anno
scolastico 1885-1886 e vi rimase come professo l'anno seguente. Il 14 set-
tembre 1886, i novizi chier,ici furono trasferiti nella nuova Casa di Foglizzo.
Tra di essi erano Andrea Beltrami, e Lodovico Olive. Quest'ultimo fu poi
compagno di missione di Don Versiglia.
223

25.2 Page 242

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sentire pm vivo - come disse - la bontà di Dio, la materna
assistenza di Maria Ausiliatrice, l'affetto a Don Bosco cui do-
veva tutto. Allietata dalla banda degli alunni artigiani e dai cori
degli studenti diretti dal caro M.0 Dogliani, si aperse e si chiuse
con l'inno d'occasione di cui Don Francesia aveva declamati i
versi composti con sua vena familiare che faceva rivivere anche
gli anni della loro giovinezza. Con gli altri oratori, egli aveva
rappresentato tutti i giovani. Il « Bollettino » citato tramanda
la cronaca minutamente, discorsi e versi.
La sera, dopo le orazioni, essendo già ultimata l'impalcatura
con la scala per l'apposizione dello scettro d'oro nella destra
della Madonna, più d'uno di noi salesiani sall fino al sommo, a
dare un bacio alla Madre celeste su quel volto che rapiva i cuori.
Il giorno 9 « la chiesa di Maria Ausiliatrice - come scrive
Don Ceria - sembrava un atrio del paradiso». Nulla di esage-
rato. Noi eravamo di servizio, chiamati apposta dalla casa di
Penango Monferrato, dove già insegnavamo. Guidando il cor-
teo dei vescovi con gli altri cerimonieri, ne sentivamo il fascino
fino alle midolla. Don Albera incedeva fra Don Rinaldi e Don
Barberis che fungevano da diacono e da suddiacono. Il Cardinal
Cagliero faceva l'assistenza pontificale fra una corona di vescovi, _
alcuni exallievi come Mons. Tasso di Aosta, Mons. Spandre di
Asti e Mons. Gamba di Novara (dei tempi di Don Bosco); Mons.
Pinardi, ausiliare del Card. Richelmy; Mons. Olivares, salesiano.
In posti speciali la Duchessa di Genova e quella di Aosta, auto-
rità e dignitari del clero, prelati e superiori di ordini e congre-
gazioni religiose, rappresentanze della triplice Famiglia salesiana
e uno stuolo di fedeli.
« Don Albera aveva assunto l'aspetto di un'anima assorta nella
contemplazione di una visione celeste - scrisse "Il Momento",
quotidiano cattolico torinese - . Era quella per lui la Messa
delle ricordanze. Cinquant'anni prima, allo stesso altare, nella
medesima ora, Don Bosco celebrava la Messa inaugurale della
Basilica... Tutta la persona di Don Albera pareva vibrare di un
tremito; sembrava un'ombra in procinto di cadere sotto il peso
della commozione e di sollevarsi nell'estasi di un rapimento di
paradiso. La luce a riflessi d'oro sprigionantesi dall'altare intorno
a lui pareva un riflesso della gloria di Maria Ausiliatrice, un
sorriso di Don Bosco e di Don Rua come benedizione sul loro
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25.3 Page 243

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successore. La voce di Don Albera risuonava come il sospiro di
un'anima che pregusta le dolcezze del Paradiso... ».
E la folla che gremiva il tempio protendeva occhi e cuore
verso di lui, insaziabile di quella veneranda visione di un auten-
tico sacerdote di Cristo. La Schola cantorum eseguiva la Messa
solenne « Auxilium Christianorum », l'antica Messa di Santa Ce-
cilia del Card. Cagliero, adattata dal M.0 Dogliani, alle norme
di S. Pio X, al termine il Cardinale impartiva la Benedizione
papale per speciale mandato di Benedetto XV. Benediceva quindi
lo scettro e con Don Albera saliva ad imporlo nella mano de-
stra della Madonna nel quadro ispirato del Lorenzoni. Dall'alto
egli lesse la cara invocazione composta da Don Bosco nel 1885
ed inviata a Mons. Cagliero che si imbarcava a Marsiglia per
raggiungere la sede vicariale di Veidma, perché la musicasse e
l'insegnasse a un coro di Patagoni da condurre a Torino per
quella Messa d'Oro che il santo fondatore era invece andato a
celebrare in Cielo:
« O Maria, Virgo potens, Tu magnum et rpraeclarum in Ecclesia prae-
sidium, Tu singulare Auxilium Christianorum, Tu terribilis ut castrorum
acies ordinata, Tu cunctas haereses sola interemistii. in universo mundo: Tu
in angustiis, Tu in bello, Tu in necessitatibus nos ab hoste ,protege atque
in aeterna gaudia in hora mortis suooiipe ».
Noi l'abbiamo cantata anche più tardi nella composizione mi-
rabile del Cardinale, il quale, sceso dal podio, tenne una memo-
randa Omelia vibrante delle sue esperienze apostoliche e dell'in-
tercessione di Maria SS. Ricordò la profezia udita da Don Bo-
sco: « Propagate la divozione a Gesù Sacramentato e a Maria
Ausiliatrice, e voi vedrete cosa sono i miracoli». E come se tutti
li rivivesse, esclamò : « E noi li abbiamo visti i miracoli! ». Poi
commentando l'antifona « Sancta Maria, succurre miseris », da
lui musicata allora, rievocò in sintesi le principali glorie dell'Au-
siliatrice del Popolo Cristiano. Il coro conchiuse la indimentica-
bile celebrazione proprio col canto di questa antifona mentre il cor-
teo liturgico riaccompagnava Don Albera, al colmo delle emozioni.
La folla, che in chiesa era esplosa in una calorosa ovazione
all'imposizione dello scettro, attendeva Don Albera nel cortile
dell'Oratorio per acclamare in lui ancora Don Bosco cosl redivivo.
La funzione era finita con la consacrazione a Maria Ausilia-
trice composta appositamente da Don Albera e da lui guidata
dopo l'omelia del Cardinale. Nel pomeriggio, nello stesso cortile,
G. Patini
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25.4 Page 244

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gli orfani di guerra di Monteoliveto, guidati dal direttore Don
Lorenzo Nigra, davano un saggio dell'educazione morale e fisica,
che strappava cordialissime commosse acclamazioni.
Il santuario si era frattanto riaffollato e Don Francesia e
Don Trione si succedevano sul pulpito a infervorare ancora i
cuori, finché comparve all'altare Mons. Olivares per i vespri pon-
tificali, mentre arrivava l'Arcivescovo Card. Richelmy. Salito sul
pulpito per coronare la grande giornata con la sua autorevole ed
amabile parola, egli esaltava la potenza misericordiosa di Maria
Ausiliatrice, il prodigio dell'Opera di Don Bosco, la fedeltà di
discepolo e di compagno superstite, con la quale Don Paolo Al-
bera promuoveva il culto salesiano a Maria Ausiliatrice con la
fede operosa di Don Bosco. E ricordò:
« Era fanciullo, anzi bambino di cinque o sei anni Paolo Al-
bera, di cui oggi festeggiamo il Giubileo Sacerdotale, quando i
suoi sguardi dovettero incontrarsi per la prima volta in colui che
vi parla, allorché egli pure bamboletta trascorse un anno nel pio
e tidente paese di None. Ma il piccolo Paolo certo non pensò
che in seguito noi ci saremmo incontrati molte volte, come oggi,
dopo 67 anni, per assistere insieme a questa giocondissima festa.
Pochi anni dopo egli entrava nell'Oratorio salesiano. Domenico
Savio era già volato al Cielo, ove lo seguiva un altro giovinetto,
Michele Magone; e Paolo prese a rinnovare i loro virtuosi esempi
così da parere un altro Domenico Savio. Le liete speranze an-
darono sempre crescendo. Studente di ginnasio e chierico qui nel-
l'Oratorio, poi insegnante nel collegio di Mirabella, al venera-
bile Don Bosco e al venerato Don Rua ei fu sempre carissimo.
Dell'ingegno suo e della sua attività era splendido pegno il di-
ploma di professore di belle lettere che, ventenne appena e in-
tento ad altre mansioni, conseguiva nella R. Università di To-
rino; come della sua pietà era chiaro indizio il fervore con cui
a ventitré anni si preparò al sacerdozio... ». Esposto quindi il cur-
riculum della sua ascesa nel servizio della Congregazione, il Car-
dinale proseguiva:
« Questi è il sacerdote che ha celebrato oggi la sua Messa
d'Oro. Il bene da lui compiuto e le molte e rare virtù ond'è
adorno, gli hanno procacciato auguri e rallegramenti cordiali da
ogni ceto di persone: cosicché il suo giubileo manda vivi raggi
di luce in ogni parte. Ma poiché il fastigio al quale è giunto
Don Albera ripete il suo fondamento e il suo sviluppo dall'essersi
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25.5 Page 245

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egli aggregato alla Società Salesiana - come Samuele era debi-
tore dell'eccelsa sua vocazione all'essersi ascritto al Nazarenato -
pare a me che il Giubileo di Don Albera venga a .fondersi col
Giubileo della Società Salesiana. Chi anche per poco si faccia
a considerare la diffusione della Congregazione fondata dal ven.
Don Bosco, la molteplicità delle Opere cui essa attende e il
bene che procura alla Chiesa e alla civile società, resta mera-
vigliato; e cresce il suo stupore allorché rifl,etta che sono appena
cinquant'anni dacché la Congregazione Salesiana venne approvata
dalla 5. Sede. Come non scorgervi la protezione di Dio? ... ».
Dopo la Benedizione Eucaristica impartita dal Card. Cagliero,
i due Cardinali con Don Albera e il clero uscirono nell'ampio
cortile Don Bosco, già zeppo di associazioni coi loro vessilli, di
giovani e di popolo. Il Card. Richelmy benedisse e impose un
altro scettro d'oro in mano alla statua della Madonna che si so-
leva portare in processione, e impartì anche a quella immensa
folla la Benedizione Eucaristica. Applausi, acclamazioni e canto
di lodi mariane accompagnate dalle bande musicali coronarono la
grandiosa e cara cerimonia.
A notte, nel cortile illuminato da centinaia di :fiaccole e pal-
loncini alla veneziana, vescovi e superiori si raccolsero insieme
ai giovani artigiani e studenti presso la statua a recitare le pre-
ghiere della sera: Don Albera ringraziò tutti lasciando il buon
pensiero tradizionale per la buona notte, elevando al Signore, a
Maria· Ausiliatrice e a Don Bosco i cuori ricolmi di tante care
emozioni.
Fra le migliaia di lettere, telegrammi, messaggi recati dalla
posta, commovente in particolare l'omaggio di Mons. Serafino,
ospite al Cottolengo, che aveva fatto i primi studi nell'Ospizio
di Sampierdarena accolto e guidato dal direttore Don Albera, ed
ebbe poi la gioia di accogliere lui, Vescovo a Biella per la sua
visita alla casa salesiana nel 1915 e l'anno dopo ad Oropa con
il Card. Cagliero per le feste centenarie di quel santuario. Il
Vescovo ricordava il passato e poi presentava a Don Albera, co-
me omaggio pel suo giubileo sacerdotale, il suo stesso cuore:
« L'omaggio mio è semplice, il mio stesso cuore sacerdotale! - scriveva
- Don Albera ne senti i primi palpiti, ne senta ora gli ultimi. Oso dire di
aver amato quello che egli ama, di non aver lasciata disseccare la buona se-
mente da lui gettata nel mio cuore con la provvida mano di Don Bosco e
con l'apostolico e dolce sguardo del Salesio. I giovani, in mezzo ai quali
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25.6 Page 246

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passai gli anni miei migliori, furono sempre il mio affetto, le anime il mio
pensiero... Li gradisca oggi Don Albera. Sono come cosa sua. È il miglior
omaggio mio, l'omaggio che solo pos,so donare al successore di Don Bosco
e per mezzo suo a Maria Ausiliatrrice. Non badi Don Albera alla pochezza
del dono, ma al cuore che fo dona... e all'umido ciglio che in lui si fissa ...
Angelico Padre! ... ».
Don Albera rispose personalmente alla maggior parte. Ripeté
l'espressione della gratitudine nelle circolari e ricambiò il dono
ai salesiani con l'invio a tutte le case del Manuale delle prati-
che di Pietà che egli aveva finito di compilare l'anno precedente.
Quanto buono spirito religioso ha così salvato!
Preso un po' di riposo nella casa di Oulx e ritemprate le
sue forze, il 1° agosto Don Albera partecipava alla benedi-
zione del santuario votivo a Maria Ausiliatrice impartita dall'Ar-
civescovo di Ravenna Mons. Morganti sul colle Don Bosco ed
alla consacrazione del doppio altare di marmo, al quale sali il
giorno dopo per celebrare la S. Messa: era proprio l'anniversa-
rio della sua Ordinazione sacerdotale (2 agosto 1868). Vi assi-
stevano tutti i Superiori del Capitolo, il Consiglio Generalizio
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, gli orfani di guerra dei vari
istituti, alunni, salesiani e suore da varie parti con rappresen-
tanze dei cooperatori e degli exallievi. L'll fu al paese natio,
None, a festeggiarla coi parroci della vicaria, parenti e compae-
sani, autorità e popolo.
Si avvicinava intanto la fine della guerra e, mentre egli esul-
tava coi vittoriosi e gli smobilitati delle nazioni coinvolte che
ritornavano alle loro ispettorie, si preoccupava dei prigionieri,
dei feriti e dei mutilati, esortando tutti i direttori ad accoglierli
affettuosamente, a prodigare le cure necessarie; e disponeva corsi
di Esercizi spirituali anche per il conforto religioso in cordiale
fraternità di cui tutti sentivano tanto bisogno. Man mano poi che
si rimettevano in grado di riprendere le loro mansioni, disponeva
il rinvio dei giovani confratelli, che li avevano suppliti durante
il servizio, nelle case di formazione a terminare i loro studi. Ad
alcuni reduci che si sentivano attratti ad altra via scriveva per-
sonalmente raccomandando attenta riflessione e aprendo a cia-
scuno il suo cuore paterno con la massima comprensione, dispo-
nibile in tutto pel bene dell'anima loro. Altre vittime purtroppo
continuò a mietere in diverse regioni un'epidemia di grippe qua-
lificata « influenza spagnola » e, mentre si ringraziava il Signore
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25.7 Page 247

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pel cessato flagello e si cantavano Te Deum per la vittoria, Don
Albera invitava anche i Cooperatori, con la circolare di capo-
danno del 1919, a pregare per una pace « giusta e duratura »
secondo le intenzioni del Santo Padre, per assicurare un migliore
avvenire. Incoraggiava a riparare i danni, a sollevare le infinite
miserie e a scongiurare le minacce che gravavano sull'orizzonte.
Lo sguardo a Don Bosco
Come valido stimolo a superare le diflìcoltà del dopoguerra
e a darsi a una buona ripresa parve subito conveniente pen-
sare alla rimandata commemorazione del centenario della nascita
di Don Bosco, e all'inaugurazione del monumento sulla piazza di
Maria Ausiliatrice. Don Albera si affrettò ad orientarvi i cuori.
Consentl subito agli Exallievi la ripresa della pubblicazione del
loro periodico Federazione che poi mutò titolo in Voci Frater-
ne, per dar loro modo di rianimare e incrementare le Unioni,
programmare e organizzare una degna celebrazione.
Come parola d'ordine egli dava loro: « Vera e cordiale unione
di tutti i membri verso il proprio circolo e di tutti i circoli fra
loro ». Cosl solamente - aggiungeva - gli antichi allievi di Don
Bosco eserciteranno sul prossimo una benefica influenza. Ma essi
non avevano bisogno di insistenza su questa raccomandazione
paterna. In quei mesi scoppiava la furia dei rivolgimenti so-
ciali, provocando una rivoluzione anche in Argentina, special-
mente in Buenos Aires. Violenze di ogni genere e sopraffazioni,
devastazioni, incendi, saccheggi come al solito. Anche i Salesiani
furono presi d'assalto nei loro istituti. Ma gli Exallievi erano
accorsi a tempo a difenderli, presidiando casa per casa, e riusci-
rono a salvarli. Passata la bufera ripresero tutti coraggio fidando
in Dio commossi dalla spontanea dimostrazione data loro dai gio-
vani che essi avevano educato.
Don Albera ricevette queste notizie a Roma dove, facendo vi-
sita alle case, studiava pure i più urgenti problemi prendendo
consigli in alto, e riceveva una speciale benedizione del Santo
Padre. Intanto si riaprivano le frontiere anche pei viaggi all'estero
ed egli, tornato a Torino per la festa di San Francesco di Sales,
inviava Don Filippo Rinaldi a visitare le case di Spagna.
Approfittò poi della Conferenza ai Cooperatori, che allora si
teneva nella chiesa più centrale di San Giovanni Evangelista, per
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25.8 Page 248

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ringraziare anche loro di quanto avevano fatto per i due giubilei
e di tutta l'assistenza prodigata negli anni di guerra: « Non ai
salesiani né al loro superiore... ma a voi cari Cooperatori e ze-
lanti Cooperatrici » va la lode e il merito di quanto si è potuto
fare per alleviare tante sventure. Ricordando poi alcuni partico-
lari, si soffermava su due opere sociali avviate proprio quasi a
monumento perenne di quelle celebrazioni e di ampia modernis-
sima portata sociale: l'Oratorio di Borgo San Paolo e l'Oratorio
di Monterosa, ora « Michele Rua », nelle zone omonime delle
estreme periferie della città dove il sovversivismo del dopoguerra
aveva fatto più scempio e altro ne minacciava.
Don Albera stesso era andato ad inaugurare quello di Borgo
San Paolo, 1'8 dicembre 1918, celebrando la Messa dell'Immaco-
lata nell'antica stalla della tenuta, adattata a cappella, e aveva
toccato con mano la provvidenza di quell'opera a cui accorrevano
già ragazzi e giovanotti in gran numero assistiti da buoni padri
di famiglia e dai giovani -più maturi. Don Rinaldi era andato per
la stessa festa alla borgata di Monterosa. Quest'ultimo funzio-
nava già durante la guerra col titolo modesto di « Ricreatorio
Margherita Bosco » per l'apostolato di un benemerito Consi-
gliere comunale, il Comm. Luigi Grassi, coadiuvato da alcuni
maestri. Ne prese la prima direzione un sacerdote salesiano ad-
detto agli uffici del Bollettino, Don Ugo Lunati, aiutato dal coa-
diutore Bartolomeo Ferrero.
Per l'Oratorio San Paolo, dedicato a questo Santo non tanto
pel titolo del borgo quanto proprio in omaggio a Don Albera nel-
l'occasione della sua Messa d'oro, aveva dato la somma neces-
saria all'acquisto del terreno la contessa Rebaudengo Ceriana: la
tenuta di una villa di campagna; e si era firmato il contratto il
3 aprile. I tre pionieri indicati da Don Rinaldi e inviati da
Don Albera non potevano essere più adatti: Direttore Don Luigi
Varisco, che aveva già fatto ottima prova in altri Oratori, tutto
per gli altri, pronto a tutti i servizi, dalla pulizia dei cortili alla
scuola di musica, alla formazione spirituale popolare. Aiutanti
Don Ignazio Bonvicino, ancora fragrante dell'ordinazione sacer-
dotale, fatto apposta per la gioventù; e il Coad. Serafino Pro-
verbio, proveniente dalla Tunisia ove aveva fatto servizio in di-
verse case cattivandosi la simpatia generale, sempre disposto a
tutto, dalla cucina alla filodrammatica. Improvvisava rappresen-
tazioni sull'antico fienile trasformato in teatro.
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25.9 Page 249

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Essi seppero attirarsi la gioventù e le famiglie, organizzare
catechismi e squadre sportive, associazioni giovanili e di benefi-
cenza... Fu un successo che assicurò l'avvenire. Quando il sotto-
scritto fu mandato a collaborare per i giovani di Azione Catto-
lica e la sezione Aspiranti, cui demmo il nome di Don Filippo
Rinaldi, allora Rettor Maggiore (1923-24) (che la benedi!.se e la
inaugurò con una indimenticabile funzione fra le pareti della
nuova chiesa « Gesù adolescente» in costruzione), trovò l'Ora-
torio rigurgitante di giovani, già bene organizzati: la Compagnia
di S. Luigi, il Piccolo Clero, le scuole di canto e musica stru-
mentale, undici squadre sportive, Azione Giovanile Cattolica in
pieno sviluppo, Unioni Padre di famiglia con quasi duemila
iscritti, Dame Patronesse, filodrammatica ... e col carattere di fami-
glia, papà e mamme, fratelli e sorelle, Esploratori cattolici, Con-
ferenze di S. Vincenzo, catechisti e catechiste, Segretariato del
popolo e Ufficio collocamento ...
Ogni sezione diretta da salesiani intelligenti e generosi, il po-
polo così affezionato che le mamme venivano perfino spontanea-
mente a far la pulizia a tutta la casa, a tener in ordine la chiesa
e le sale, in gran parte costruite con un salone provvisorio che
fungeva da teatro, lavavano le maglie degli sportivi e dei gin-
nasti... i papà, elettricisti, falegnami .. . nelle ore di riposo dal la-
voro, riparavano e miglioravano mobili e strumenti.. . tutto gra-
tuitamente, come a casa loro. Cordialità di rapporti, fusione
di animi e di cuori, serena letizia, fervore spirituale, apostolico,
caritativo meraviglioso!. .. E quante belle vocazioni religiose, sa-
cerdotali, missionarie fiorirono, e si accrebbero quando le Figlie
di Maria Ausiliatrice poterono affiancarvi le loro opere spe-
cializzate!. ..
Don Albera prediligeva tanto questi due Oratori a carattere
sociale e l'Orfanotrofio di Sassi (altro borgo di Torino) che fin
nelle ultime vacanze (1921) trovava respiro e sollievo al lavoro
facendo nel pomeriggio una passeggiata a piedi o in tram, col
suo segretario Don Gusmano o con qualche confratello con cui
dovesse parlare, all'una o all'altra di queste mete. Mi si perdo-
nino questi ricordi di tempi di fioritura ormai lontani. Il resto
è storia contemporanea.
Tornando al 1919, il 25 febbraio moriva all'Oratorio l'Eco-
nomo generale Don Clemente Bretto e Don Albera ne sofferse
tanto che, mentre officiava la Messa di trigesima, si sentì male
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25.10 Page 250

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all'altare ed ebbe appena il tempo di esclamare: « Sorreggetemi,
sorreggetemi! », per non cadere. Il medico notò il primo attacco
del male insidioso che tre anni dopo ne avrebbe stroncato la pre-
ziosa esistenza.
Per un po' di tempo si rassegnò a protrarre il riposo al mat-
tino; ma appena si sentl meglio riprese subito la sua fedeltà alla
levata comune alle ore 5 del mattino; spesso, come facevano
allora vari superiori, alle 4,30. Nessuno si meravigliava poi di
vederlo talora cadere dal sonno anche durante le prime pratiche
di pietà e reagire di soprassalto... Il fisico non resisteva più come
una volta. Alle 6, di solito, celebrava la S. Messa. Alle 7 era già
in ufficio a sbrigare la corrispondenza fino alle 9, quando dava
udienze. Era la quotidiana fatica dei primi succesori di Don Bo-
sco ai quali accorrevano ogni giorno tanti non salesiani di ogni
ceto, a confidarsi, chiedere consiglio e direzione spirituale, rac-
comandazioni, aiuti, conforto, benedizioni...
Una sua lettera del 22 marzo spiegava a una benefattrice
francese la ragione della chiusura di una casa: in due sacerdoti
non curavano neppure un po' di oratorio festivo. E le benedi-
zioni di Dio erano cessate.
Il 15 aprile, rimessosi abbastanza bene, dava nella basilica di
Maria Ausiliatrice il paterno commiato ad altri missionari in par-
tenza per la Cina.
La benedizione di Dio fu ben sensibile, perché con l'aiuto dei
nuovi missionari la Missione cinese poteva intensificare il suo apo-
stolato a fare rapidi consolanti progressi nel piano e col metodo
indicato da Don Bosco fin dal 1884, nella sua lettera testamento:
« A suo tempo le nostre Missioni si porteranno nella Cina e pre-
cisamente a Pechino. Ma non si dimentichi che noi andiamo pei
fanciulli poveri e abbandonati. Là fra popoli sconosciuti e igno-
ranti del vero Dio si vedranno meraviglie finora non credute, ma
che Iddio potente farà palesi al mondo ».
In quegli stessi giorni Don Albera approfittava della prepa-
razione all'inaugurazione del monumento a Don Bosco per far
sentire sempre più al vivo il grande modello di vita cristiana e
religiosa che il Signore aveva dato alla Famiglia salesiana richia-
mando specialmente i salesiani alle virtù caratteristiche del fon-
datore; e con la data del 20 aprile inviava a tutte le case
un'altra circolare sulla Dolcezza. È un gioiello, anche per l'ama-
bilissimo stile con cui è scritta. In essa deplorava che i ma-
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26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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nuali di pedagogia laica non facessero rilevare, nel definirla, gli
sforzi « necessari per dominare la vivacità di carattere, per repri-
mere ogni movimento di impazienza e anche di quello sdegno
che sembra talora santo, giustificato dallo zelo e dalla gravità
della colpa ». Preferiva quindi l'espressione di un santo che defi-
niva la dolcezza « quella disposizione per cui lo spirito rimane
sempre uguale». Esortava i superiori a mettersi nei panni dei
loro dipendenti, ricordando che è il superiore che deve ottenere
con la sua paterna e inesuaribile bontà « che i vantaggi della
vita religiosa » non abbiano da parere pie esagerazioni, sedu-
centi inganni tesi alle anime semplici e candide: « Persuadia-
moci che i religiosi, sebbene abbiano con la più grande genero-
sità lasciato genitori e parenti,... sentono anch'essi il bisogno di
essere amati. E se disgraziatamente non venga fatto loro di trovare
nei superiori quella tenera affezione di cui godevano in seno alle
loro famiglie cederanno con facilità alla tentazione di cercarla fuori
della loro casa, stringendo di nuovo relazioni con le persone del
mondo, e finiranno forse per calpestare i loro voti e perdere la
vocazione... ». Additando quindi il divino modello che era « mite
ed umile di cuore», e San Francesco di Sales, proposto a patrono
della Società, nei quali Don Bosco si specchiava « per trovare
la via dei cuori», egli ricordava che per avvicinarlo non occorreva
scegliere il momento più propizio, né era necessario ricorrere a
qualche persona influente per farsi presentare; ascoltava tutti
con pazienza, senza interrompere e senza dimostrare fretta o
noia, tanto da far credere a molti che non avesse altro da fare ...
incoraggiava i superiori ad essere più padri che superiori, anche
quando occorresse arginare qualche abuso o correggere qualche
difetto, con energia soave, conquistatrice.
Altre circolari fece seguire nei due anni success1v1, prima e
dopo l'inaugurazione del monumento, sviluppando l'argomento e
mettendo bene a fuoco il segreto pedagogico salesiano per con-
vertire le anime e conquistare i cuori all'amore di Dio nell'apo-
stolato missionario e nell'educazione della gioventù, nella cura
delle vocazioni. Anche al tramonto della sua vita i temi prediletti
erano gli Oratori festivi, le vocazioni, in particolare quelle degli
adulti « Figli di Maria », le Missioni. Magistrale la circolare del
19 marzo 1921 in cui proponeva « Don Bosco modello del sa-
cerdote salesiano » (vol. cit., p. 424 ...). Ma non corriamo...
Il 7 maggio 1919 riprese la visita alle case di Firenze e Faen-
233

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za, ritornando a Torino per la festa liturgica di Maria Ausilia-
trice. Nella solennità consueta delle sacre funzioni, un gruppo
di ufficiali alla Messa della sezione studenti, celebrata da Mons.
Castrale, recava all'altare due grossi mazzi di rose bianche e
rosse e poi saliva alla predella a ricevere la Comunione dal Ve-
scovo Vicario generale dell'Archidiocesi. La cronaca del santua-
rio registrava fra il triduo e la festa oltre 22.000 Comunioni
di giovani e di fedeli.
Don Albera, che aveva celebrato per la sezione artigiani
alle ore 6 e assistito alle funzioni solenni, aveva in precedenza
parlato alle Dame Patronesse, inaugurando la loro annuale espo-
sizione di arredi sacri per le Missioni. Parlò poi anche ai Coo-
peratori nella chiesa di S. Francesco di Sales.
Le feste pel suo onomastico, in_giugno, lo stancarono assai,
pur riuscendo tanto bene e tanto care a tutti.
Dovette quindi adattarsi a un regime di cure e di riposo
in casa e poi a rinfrancarsi con alcuni giorni di aria più mite
nel collegio di Cuorgnè Canavese. Stentava a trascinare una gam-
ba e non riusciva neppure a disporre agevolmente della penna : la
lenta parèsi dei due arti dava segno di occulta attività. Per gra-
zia di Dio essa fu bloccata ancora tanto da consentirgli in agosto
di presiedere alla premiazione degli Orfani di Guerra a Monteoli-
veto di Pinerolo e agli Esercizi spirituali delle superiore e diret-
trici delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Nizza Monferrato. Ma
poi il dott. Battistini gli dovette imporre quattro settimane di
assoluto riposo a Cuorgnè.
Egli si limitava a due, dopo di che ritornava al suo posto
di lavoro a Torino e alla fine di settembre trovava ancora for-
ze per assistere anche agli Esercizi delle Suore a Nizza Mon-
ferrato, edificando e confortando tutte con la sua parola e la sua
pietà. Là gli giunse la dolorosa notizia della morte di uno dei
primi missionari della Cina, Don Ludovico Olive, che egli aveva
seguito con tanto affetto fin dallo sboccio della sua vocazione. Un
gran dolore per lui, e lutto per la Congregazione. Il Card. Ca-
gliero lo invitò a tenergli compagnia almeno per qualche giorno
a Castelnuovo, ove passava un po' di estate a godere l'aria nativa.
Ma egli non ne trasse il sollievo sperato, anzi sentl farsi più grave
l'irrigidimento del braccio colpito. Il Cardinale pensò allora di
rendergli meno crudo l'inverno e, tornato a Roma, insistette
perché Don Albera scendesse per passare alcune settimane con
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lui nel clima più mite. Finl per arrendersi anche in vista delle
molte cose che la Congregazione aveva da trattare a Roma. Giun-
to il 22-XI, scriveva: « ... Sono arrivato a Roma sabato sera:
il Cardinale mi aspettava già con qualche impazienza. La mia
salute è discreta e spero potermi occupare un poco degli affari
della Pia Società... Don Gusmano è una vera benedizione per
me : arriva a tante cure che tanto non farebbe un fratello, un
figlio affezionatissimo. Qui a Roma fa meno freddo che a To-
rino. La compagnia del Cardinale mi è di molto sollievo. Egli
mi tratta da vero fratello». Sperava di tornare a Torino per
Natale; gli affari della Congregazione ve lo trattennero fino a
tutto gennaio dell'anno seguente. A Torino lo suppliva in tutto
egregiamente Don Filippo Rinaldi, tornato dalla visita alle case
di Spagna.
Il 30 novembre ebbe udienza dal Santo Padre Benedetto XV.
Ebbe cosi occasione di anticipargli personalmente gli auguri nata-
lizi e di ringraziarlo per tutti gli atti di benevolenza datigli nella
ricorrenza delle sue feste giubilari. Il Papa si confortò tanto quando
apprese che, prima ancora che Egli lanciasse il suo appello pei
fanciulli poveri dell'Europa centrale che pativano la fame, i sa-
lesiani avevano già aperto in quelle nazioni nuovi e capaci isti-
tuti proprio per i più indigenti e bisognosi, mentre in Italia si
preparava la casa di Perosa Argentina per accoglierne altri nel-
l'anno che stava per cominciare. A Roma fu quanto mai gradita
la presenza del Rettor Maggiore alle feste indette all'istituto Sa-
cro Cuore quando, 1'8 dicembre, il Card. Cagliero celebrò il
35' della sua consacrazione episcopale nella basilica eretta da
Don Bosco. Egli approfittò poi dei giorni seguenti per le vi-
site d'augurio ai Cardinali, ai prelati e agli alti ufficiali dei mi-
nisteri che l'aiutavano a smaltire pratiche e formalità per le case
più bisognose e per le Missioni. Parecchi però lo prevenivano
portandosi essi stessi al Sacro Cuore con benefattori, Coopera-
tori ed Exallievi. Frattanto stendeva la circolare di Capodanno
pel 1920, annunciando la data di inaugurazione del monumento
a Torino fissata pel 23 maggio.
Contemporaneamente, stendeva e mandava alle stampe un'al-
tra circolare per gli Ispettori, che fu spedita con la data del 1° gen-
naio 1920, annunciando il rinvio del Capitolo Generale all'ago-
sto del 1922. Aveva preso consiglio da persone eminenti e
ne aveva ottenuta l'autorizzazione dalla Santa Sede. Sentiva vivo
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il bisogno di averli attorno a sé dopo gli sconvolgimenti della
guerra:
« ... per incoraggiarci a vicenda - scriveva - nel Javoro incessante di
rigenerazione cristiana della gioventù; per pensare a nuovi mezzi che renda-
no più vigorosa la nostra Società nell'opera sana e fattiva da svolgere in
mezzo alla società presente; per .ispirarci (presso le tombe di Don Bosco
e di Don Rua) ... a pensieri di azione sempre intensa nei vari campi dell'at-
tività salesiana, di intimità sempre più profonda nell'interno della nosbra vita,
di carità salesiana; sempre più feconda, per alleviare in qualche modo i bi-
sogni numerosi e gravi creati ovunque dagli eventi stiraordinari che per più
anni agitarono l'umana società... È dal 1910 che non ci raduniamo più per
il Capitolo Generale, e in questo tempo quante nuove situazioni si crearono
nel mondo, che hanno un diretto influsso sulla vitalità e sullo sviluppo del-
la nostra Congregazione ... Basta accennare all'attività soJ.1prendente della
Santa Sede... E ne1la società civile quante cose son mutate. ... Molte barrie-
re sono cadute; molte concezioni sono passate; nuove forze si agitano; ener-
gie sane si manifestano dappertutto... Lo spirito di Don Bosco, vivente e
palpitante nella nost,ra Pia Società, non può stare assente in questo susci-
tarsi di vita nuova fra gli uomini.... ».
L'inaugurazione del monumento a Don Bosco sarebbe stata
infervorata da tre congressi : il 2° degli Exallievi, il 2° delle
Exallieve, l'VIII dei Cooperatori Salesiani.
Monumento di bronzo - Tripudio di cuori
Pochi monumenti nel mondo son sorti per plebiscito di cuori.
E fra questi è il monumento a Don Bosco, sulla piazza Maria
Ausiliatrice di Torino, di fronte al santuario mariano lanciato e
lasciato da Don Bosco, cenacolo di devozione a Maria, aiuto del
popolo cristiano, cuore di tutta la Società Salesiana.
Lo si è sentito vivo quel 23 maggio 1920 nella piazza gre-
mita fino agli imbocchi della via Cottolengo (oggi via Maria Au-
siliatrice) e a un buon tratto del corso Regina Margherita. Era
la domenica di Pentecoste, vigilia della festa liturgica di Maria
Ausiliatrice. Non si poteva scegliere giorno più intonato a quel-
l'omaggio di cuori, omaggio internazionale, con prevalenza di
allievi, Exallievi e Cooperatori, ufficialmente omaggio speciale degli
Exallievi che avevano promosso quella testimonianza di affetto e
riconoscenza al loro grande Padre e Maestro di vita, come aveva
già precisato a Don Albera, nella lettera di benedizione del Santo
Padre, il Card. Gasparri: « ... Fatto al tutto nuovo e glorioso nella
storia della pedagogia, prova luminosa della potenza che la Reli-
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gione nostra sa infondere nei suoi apostoli, sono le numerose asso-
ciazioni e federazioni degli Exallievi Salesiani e delle Exallieve
delle Figlie di Maria Ausiliatrice... » (Lett. 5 maggio 1920).
Nei tre mesi di preparazione e organizzazione dei tre congressi
che avrebbero concretato l'impegno dei cuori al fervore di vita
cristiana, salesiana, apostolica auspicatissimo frutto dell'inaugura-
zione, Don Albera, fra le pene, ricevette speciali consolazioni an-
che da Benedetto XV: la scelta di Mons. Domenico Comin a
succedere al compianto Mons. Costamagna come vescovo Vicario
Apostolico di Mendez e Gualaquiza nell'Equatore; la nomina di
Don Luigi Versiglia a vescovo pel nuovo Vicariato Apostolico
di Shiu Chow in Cina; la concessione della Indulgenza plenaria
per le pie pratiche del 1° venerdì ad onore del Sacro Cuore di
Gesù, e del 24 di ogni mese per la commemorazione mensile
di Maria Ausiliatrice, con facoltà di celebrare la Messa propria
in tutte le chiese ed oratori dove fosse eretta l'Associazione dei
suoi divoti.
Don Albera, dal canto suo, facendo eco all'appello del Santo
Padre per le Missioni Cattoliche del 30 novembre 1919, nella
festa di San Giuseppe, 19 marzo 1920, lanciava un appello spe-
ciale agli Ispettori per il sostegno particolare delle missioni sale-
siane, la cura delle vocazioni missionarie e specialmente di quelle
di adulti « Figli di Maria». E ben conoscendo le strettezze di
personale in cui anch'essi si trovavano, li incoraggiava rimem-
brando quello che assicurava Don Bosco: « Sta di buon animo.
Per ogni missionario il Signore ci manderà certo due buone voca-
zioni e anche di più ». Indicava poi i criteri di scelta fra quelli
che ne facevano domanda e raccomandava la massima cautela nel-
1'ammettere alla professione religiosa ed agli Ordini sacri.
Con altra circolare del 24 marzo seguente li invitava a parte-
cipare con buone rappresentanze ai Congressi e personalmente, se
potevano, all'inaugurazione del monumento: dopo di questa desi-
derava che si trovassero insieme a tutti i superiori del Capitolo per
un breve corso di esercizi spirituali a Torino. A tutti i sale-
siani ne estendeva una terza, il 6 aprile, X anniversario della
morte di Don Rua, per incoraggiarli ad erigere ciascuno nel pro-
prio cuore un altro monumento imperituro, aere perennius, un
Don Bosco redivivo, cioè le sue virtù, il suo sistema educativo,
il suo spirito, per poter poi tutto tramandare efficacemente agli
altri. Si indugiava infine a rievocare le esortazioni di Don Bosco
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all'amore dei giovani, « quell'amore, quell'affettuoso interessa-
mento per i giovani che fu il segreto del suo meraviglioso ascen-
dente su di essi». E citava gran parte del famoso sogno del
1884 a Roma, e inviato per lettera a Torino da Don Lemoyne
a nome suo. Chiudeva annunciando la nomina di Don Arturo
Conelli a succedere al compianto Don Bretto come Economo
generale, e di Don Bartolomeo Fascie a prendere il posto di
Don Conelli per la direzione generale degli studi dei salesiani e
degli studenti.
· Il mese di maggio fu tutto preso dai Congressi e dai festeg-
giamenti. Il 16, inaugurò la Mostra Professionale delle Scuole
Salesiane Professionali ed Agricole, allestita nel braccio estremo
dell'Oratorio di Valdocco, sull'attuale piazza Sassari. Dal cortile
ai saloni ed alle aule del nuovo edificio, attrezzi e macchine, gra-
fici, fotografie, disegni e pubblicazioni illustravano e documen-
tavano il progresso, l'aggiornamento e i metodi, tecnico, scienti-
fico, pedagogico e didattico delle scuole, i successi e l'aggiorna-
mento, che Don Albera presentò alle autorità ed agli invitati con
opportune parole di benedizione e di augurio. Il resto lo fece
l'oratore ufficiale. Dirigenti e maestri delle varie arti con valenti
giovani allievi prestavano servizio ai visitatori durante il periodo
dell'esposizione. Il cortile sembrava un campo sperimentale con
graziosi orticelli, saggi di agricoltura e di giardinaggio.
Cordiali elogi dei principali giornali cittadini ne misero in
rilievo il valore e l'importanza. « Questa è reale - affermava
"Il Momento" - e perciò ci compiacciamo con gli intelligenti
e moderni organizzatori, specialmente con Don Ricaldone, anima
e mens di quest'utile e simpatica manifestazione» (22-V-1920).
Anche i Congressi riuscirono molto bene. Il 20 maggio, nel
pomeriggio, l'ampio e antico salone-teatro costruito da Don Rua,
era gremito fino a non poter più entrare, da Cooperatori e Coo-
peratrici per l'assemblea inaugurale con gli Exallievi e le Exal-
lieve cui era riservata la prima galleria; i giovani artigiani e stu-
denti della casa (oltre settecento) stavano ammassati nella se-
conda, quasi doppia per capacità. Sul palco, il Comitato generale,
le presidenze delle tre associazioni e degli oratori. Davanti, nelle
prime file della platea, personalità e rappresentanze di ventitré
Stati esteri. Quando Don Trione, coadiuvato dal propagandista
della P.U., Don Antonio Fasulo, ormai congedato dal servi-
zio militare, ebbe avviato i lavori precisando gli obiettivi da rag-
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giungere nelle trattazioni dei problemi proposti, fece l'ingresso
il Cardinale Arcivescovo Agostino Richelmy, che Don Albera coi
superiori accompagnò al palco, mentre l'assemblea in piedi ac-
clamava con venerazione. La parola e la benedizione dell'Arcive-
scovo toccarono i cuori già frementi di entusiasmo salesiano.
Nel secondo giorno, le Exallieve tennero le loro sedute spe-
cializzate nell'istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice attorno
alla presidente prof. Maria Vittoria Chiora, rallegrate dalla pre-
senza di varie Madri del Consiglio Generalizio venute da Nizza
Monferrato. Gli Exallievi nell'Oratorio per eccellenza, la Casa-
Madre dei Salesiani, attorno al presidente prof. Piero Gribaudi.
Dalle Exallieve trasse le conclusioni il Prefetto generale Don
Filippo Rinaldi, constatando il progresso ottenuto dall'inizio del-
la Federazione: da 74 Unioni con 7.942 socie, erano ormai 255
Unioni con 66.487 socie. Le esortò quindi a lavorare concordi fra
le altre exallieve per il bene dell'Unione Internazionale in modo
da farla conoscere, fiorire e dar frutti di buone opere, al sole del-
l'amore cristiano e secondo i principi della cristiana fraternità,
a cui erano state educate nei collegi, negli oratori e nei convitti,
« di quell'amore che più avvicina a Dio quanto più dona al pros-
simo, pensiero, parola, opera, con affettuosa dedizione, anche se
questa costa talora sacrificio ».
Don Albera si trovò fra gli Exallievi per l'ultima discussione
e ne trasse tanto conforto da esclamare: « Mai vedemmo tanti
Exallievi raccolti da ogni parte del mondo. Vi ringrazio dell'af-
fezione, con la quale parlate dei vostri antichi superiori. Quanto
a noi, saremmo ben dispiacenti se vi avessimo amati solo per i
brevi anni che foste con noi: vi amiamo ancora e desideriamo
amarvi sempre. Diffondete lo spirito di Don Bosco nel mondo... ».
Un mese dopo egli diramava una circolare a tutti i salesiani
infervorandoli a prestare sempre volentieri le loro cure alle Unio-
ni nelle singole case per portarle al massimo incremento e alla
benefica efficienza di servizio nella società del loro tempo.
All'ultima assemblea generale degli Exallievi e delle Exallieve
portarono la loro parola esponenti qualificati come l'on. Cesare
Nava sull'Opera di Don Bosco a favore degli Emigranti, il prof.
Rodolfo Bettazzi sull'Opera di Don Bosco per la cristiana edu-
cazione della gioventù, l'on. Federico Marconcini sull'opera di
Don Bosco fra la gioventù operaia. Interventi dei rappresentanti
dell'estero, come avevano portato il saluto dai loro paesi nelle
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26.8 Page 258

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varie lingue, cosl espressero la loro soddisfazione, i loro propo-
siti e i loro auguri. L'Arcivescovo di Vercelli, Mons. Gambe-
roni, exallievo, invitò a benedire il Signore.
l Cooperatori e le Coperatrici tennero le loro tre adunanze
celebrando I'VIII Congresso della loro Pia Unione, confortati dal
messaggio e da speciale benedizione del Santo Padre che indi-
cava in quel trepido dopoguerra« l'ora di richiamare da ogni parte
a raccolta tutte le migliori energie dei fedeli per ridestarle al mas-
simo rendimento a pro della buona causa e soprattutto al rag-
giungimento di quel nobile fine in cui si impernia il programma
del ven. Don Bosco, cioè la salvezza della gioventù... » ed auspi-
cava che « come dai precedenti Congressi così dalla nuova as-
semblea ne uscisse rinsaldata la coesione e riacceso lo zelo dei
Cooperatori. In pari tempo nuovo impulso trarrebbero e nuova
fo rza di adattamento le molteplici opere nelle quali come albero
gigantesco , la Pia Unione Salesiana dirama la sua attività nelle
diocesi e nelle parrocchie di quasi tutto il mondo. Il nobile pro-
gramma che la sapienza e santità del Fondatore tracciarono ai
Cooperatori Salesiani nell'istruirli, non può non apportare - con-
cludeva - in mezzo al popolo cristiano i più tangibili e preziosi
frutti di eterna vita. Ond'è che noi ben di cuore facciamo l'au-
gurio che tale programma sia... oggetto di utili deliberazioni in
armonia con i bisogni di questi tristissimi tempi, e abbiamo fer-
ma fiducia che la mistica figura di Don Bosco, come si ergerà nel
bronzo dinanzi alla basilica di Maria Ausiliatrice, così vi fomenti
ognor più la divozione alla Vergine Madre di Dio e la frequenza
alla SS. Eucaristia, fonte di carità e di vita... ».
I voti del Papa - nota Don Ceria - non caddero a vuoto.
Infatti i Cooperatori misero bene a fuoco la loro carta di iden-
tità e presero adeguate risoluzioni per i loro impegni: « Non
sono i Cooperatori come i Terziari, che dipendono dalle direzioni
locali; Don Bosco volle che individui e gruppi facessero capo al
Superiore dell'Opera salesiana. In questo senso venne elaborato
un complesso di norme atte a perfezionare l'organismo. Quanto
poi all'azione, chiarito il concetto che la cooperazione salesiana
non ha limiti nel modo e nella estensione, il Congresso precisò
le forme con le quali raggiungere il duplice scopo prefissosi da
Don Bosco nell'istituire l'Unione dei Cooperatori, di avere cioè
~ J.
sostenitori delle sue Opere e di formare con essi uomini di azione,
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secondo il suo spirito di apostolato, a servizio della Chiesa e della
civile Società... » (op. cit., pag. 404).
Il Congresso si chiuse, come si suol dire, in «gloria»: con
un fraterno banchetto di ottocento coperti nello stesso teatro,
trasformato tra la notte e il giorno in immenso refettorio. Era
la sera del 22 maggio. Presiedette il Card. Almaraz y Santos, Arci-
vescovo di Siviglia, giunto dalla Spagna la sera precedente con una
delegazione per l'inaugurazione del monumento e la festa di Ma-
ria Ausiliatrice. Con lui, Don Albera, il conte Eugenio Rebau-
dengo, lo scultore Cellini ed altri illustri personaggi. Fra i brin-
disi poliglotti, la delegazione spagnuola degli Exallievi chiese
a Don Albera che nelle quotidiane preghiere di famiglia, i sale-
siani e i giovani aggiungessero qualche invocazione speciale per
gli Exallievi. E Don Albera, senz'altro, promise che avrebbe
fatto subito inserire « un'Ave Maria» per gli Exallievi nelle pra-
tiche di pietà proprio fra le domestiche orazioni della sera. Ap-
presa la notizia, la Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice, Madre Caterina Daghero, dispose altrettanto per le Suore
e le loro alunne.
All'agape fraterna segul l'assemblea generale ampliatasi fino
a tremila partecipanti. Il predicatore del mese mariano, il geno-
vese Don Zerollo, colta al balzo l'idea che correva allora per la
costituzione di quella che fu definita « Società delle Nazioni »,
rilevò con soddisfazione che nella Famiglia salesiana era già un
bel fatto compiuto, come lo provava il riuscitissimo Congresso
che in nome dell'amore cristiano aveva raccolto i rappresentanti
di 23 nazioni all'indomani del primo sanguinoso conflitto mon-
diale, prodigiosa opera di un umile prete che, al di fuori di
ogni politica, tutto costruiva nella generosità dell'amore. Fu un
subisso di applausi. Acclamatissimo pure il grande pedagogista
prof. Habrich di Colonia che rappresentava col prof. Goettler
dell'Università di Monaco, presidente dell'Unione per la scien-
za educativa cristiana, l'« Associazione dei Maestri Cattolici di
Germania ».
« La pedagogia teorica - affermò coraggiosamente - ha per-
duto purtroppo di vista una gran cosa: la potenza stragrande del
buon esempio. A Don Bosco il mondo deve riconoscenza per le
parole auree da lui scritte sul sistema preventivo, ma ancor più
per l'esempio ammirevole che egli ha lasciato dell'amore educa-
tivo. Non vi è cosa che così profondamente e così immediata-
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26.10 Page 260

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mente agisca sull'anima come la vista immediata del bene nel-
l'esempio vivente». E citava il prof. Schnecker dell'Università
di Colonia, che sosteneva la deplorazione di cosl grave deficienza
nell'educazione contemporanea.
Prima che il Card. di Siviglia coronasse con la sua benedi-
zione, Don Albera si levò a ringraziare tutti e singoli, i parte-
cipanti e i rappresentanti, ricordando che quando a Valsalice si
era fatta l'ultima ricognizione della salma di Don Bosco, il dott.
prof. Tommaso Bestente, richiesto di precisare altri titoli acca-
demici da segnar nel verbale, aveva risposto: Figlio di Don
Bosco. Cosl ora egli traeva l'esortazione paterna di affermare
tutti con la vita la fedeltà a questo titolo che a tutti competeva.
Il Presidente generale conte Eugenio Rebaudengo dichiarò
chiuso il Congresso e il Card. di Siviglia, felice di avere nella
sua archidiocesi sette Case salesiane, espresse la sua ammirazione
e soddisfazione, augurandosi che i Congressisti partissero da To-
rino col proposito di lavorare intensamente alla restaurazione cri-
stiana della Società, con Don Bosco, come gli Apostoli che, uscen-
do dal Cenacolo dopo la Pentecoste, si erano diviso il mondo per
conquistarlo a Cristo. Con questa intenzione impartl la Benedi-
zione Apostolica di cui l'aveva fatto latore Benedetto XV.
Dai Congressi alle Feste
In questo tripudio di cuori, più che decuplicato dal concorso
di giovani e pellegrini d'ogni dove, l'indomani in un'atmosfera
di Pentecoste venne inaugurato il monumento. Il velario cadde
all'arrivo dei Duchi di Genova rappresentanti del Re, e fu un
erompere di applausi, di evviva, di acclamazioni, mentre le bande
accompagnavano l'Inno a Don Bosco e l'Internazionale degli Ex-
allievi. Oratore ufficiale l'on. Filippo Crispolti che fece rivivere
da pari suo Don Bosco artisticamente ritratto nel monumento
nel suo sembiante, incarnazione fedele della sua eccezionale per-
sonalità di padre, mentre eloquenti altorilievi in bronzo tra-
mandavano ai posteri la varietà delle sue principali istituzioni.
Al termine della cerimonia, i Duchi, con autorità e rappresen-
tanze, passavano nel tempio per la Messa solenne. Su un alto
palco si celebrava altra Messa all'aperto per l'immensa folla, allo
sventolio di un centinaio e più di vessilli della Gioventù Cat-
tolica, stendardi di associazioni, fiamme di Esploratori Cattolici.. .
242

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27.1 Page 261

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Dopo una giornata di tanto incandescente entusiasmo è fa-
cile immaginare il successo della festa di Maria Ausiliatrice con
la veglia della notte santa e la pittoresca processione.
Don Albera resse a tutti gli impegni, parlando a più riprese
nelle varie manifestazioni, accoglienze, udienze e ringraziamenti.
L'indomani 25 maggio dovette andare a Milano per la consacra-
zione del tempio di Sant'Agostino.
Si trattenne un paio di giorni, ma non ebbe un'ora per ripo-
sarsi, assediato da visite e udienze. Poi, affrontando i rischi dei
continui scioperi ferroviari e manifestazioni di piazza, prosegui
per Verona e altre case del Veneto. Per la sua festa annuale era
a Torino, grazie a Dio, senza incidenti. Per l'occasione un tele-
gramma del Presidente del Consiglio, on. Giolitti gli comunicava
l'onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine Mauriziano, con-
feritagli motu proprio dal Re. All'accademia gli fu particolar-
mente caro il saluto del prof. Costanzo Rinaudo che gli ricordò
i giorni della giovinezza trascorsi insieme, compagni di studi, a
fianco di Don Bosco. E poi, l'omaggio di un bimbo viennese a
nome dei compagni più bisognosi dell'Europa Centrale pei quali
Don Albera aveva fotto disporre la casa prealpina di Perosa Ar-
gentina dove, a scaglioni di cinquanta al mese, in turni ordinati,
venivano a respirare aria buona e a rinfrancare la salute e le
forze. Quel 28 giugno si incontrarono a Torino un centinaio,
proprio pel cambio dei turni. Don Albera posò paternamente
fra loro perché portassero a Vienna un ricordo fotografico.
Fra le altre consolazioni possiamo ricordare la stampa del
primo numero degli Atti del Capitolo (oggi Atti del Consiglio
Superiore) che sostituivano felicemente le circolari periodiche dei
Superiori.
Per conto suo, egli spediva con la data del 24 giugno, un'al-
tra circolare ai confratelli, descrivendo le emozioni delle grandi
celebrazioni per l'inaugurazione del monumento, simbolo del-
l'amore che Don Bosco portava alle anime e cercando di infer-
vorarlo nel cuore di tutti. Un'altra ne faceva seguire il 24 ago-
sto inculcando la diligenza nel compimento del proprio dovere e
precisando i compiti dei vari superiori del Capitolo. Finalmente
il 18 ottobre ne stendeva una magistrale, mettendo bene a fuoco
Don Bosco come « modello di perfezione religiosa» nell'educare
e santificare la gioventù, nel trattare col prossimo e nel far del
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27.2 Page 262

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bene a tutti. Pagine d'oro, tutt'altro che superate, che merite-
rebbero la più attenta meditazione.
Durante le vacanze scolastiche però egli non era rimasto solo
nel suo ufficio a ricevere, dare udienze e scrivere. Aveva parte-
cipato anche a corsi di Esercizi spirituali dando i « ricordi » a
salesiani e suore e cooperatrici, specialmente nel nord d'Italia.
A Novara era andato specialmente per confortare suore malme-
nate da anticlericali a Ottobiano e a Lomello nelle sanguinose
giornate di anarchia sociale che chi le visse non può dimenti-
care: lotte fratricide esasperate dalla guerra e dalla campagna di
odio che eccitava ormai le masse contro la Chiesa e le sue più
benefiche istituzioni.
Il 28 luglio il telegrafo portava da Roma a Torino la notizia
che il Santo Padre aveva fumato il decreto di introduzione della
Causa di Beatificazione di Don Andrea Beltrami, il giovanissimo
sacerdote salesiano che nell'esercizio della carità aveva contratto
« il mal che non perdona», come si diceva allora, e che si con-
sunse in olocausto di sofferenza apostolica a Valsalice, nella luce
di un eroico ideale: Né guarire, né morire; ma vivere per patire.
Ai primi di settembre il Padre si era pure trattenuto in casa
per salutare uno scaglione di bimbi viennesi che ritornavano in
patria dopo il soggiorno ristoratore a Perosa, e il 4 ottobre aveva
accompagnato il Card. Cagliero, con Mons. Felice Guerra e il
Vescovo di Asti Mons. Luigi Spandre a Mondonio per l'inaugu-
razione del monumentino a Domenico Savio. Di qui tutte le
ispirazioni alla circolare ricordata. Una bella risposta alle sue
sollecitudini missionarie gli consentiva di dar l'addio a 32 nuovi
missionari che la domenica 24 ottobre ricevevano il crocefisso e
la benedizione con parole infocate di zelo dal Card. Cagliero nel
santuario di Maria Ausiliatrice.
Il Cardinale, ripartendo per Roma, il giorno seguente, gli
diede l'arrivederci alla città eterna, al più presto possibile. Ma
Don Albera non vi poté scendere che dopo l'Immacolata e do-
vette trattenersi più del previsto per accompagnare il Cardinale
al possesso della diocesi suburbicaria di Frascati, alla quale il
Papa l'aveva designato nel Concistoro del 16 dicembre. L'in-
gresso fu fissato al 16 gennaio 1921. Il Cardinale fu accolto a
trionfo di popolo. Ringraziando tutti e spronando i giovani alla
azione cattolica per la pace che, dopo cinque anni dalla conclu-
sione della guerra, tardava ancora nella patria inquieta, protestò:
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27.3 Page 263

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« Noi abbiam bisogno di arditi del pensiero e dell'azione per far
del bene.. . senza pugnale, con la medaglia di Maria, Madre di
Dio.. . Nei miei lunghi anni di apostolato cristiano ho lavorato
per molti popoli civili e per tribù di infedeli. Li ho amati. Ma,
credetemi miei cari frascatani, nel mio cuore c'è posto anche per
voi. Nelle mie missioni per le lontane terre di America ho avuto
tante soddisfazioni; ma voi, cari figliuoli, oggi avete preso tutto
il mio cuore ».
Don Albera aveva sacrificato la gioia di trovarsi a Torino a
fianco del suo successore come Catechista generale Don Giulio
Barberis per la sua Messa d'oro, il 19 dicembre; ma il sacrifi-
cio veniva compensato dalla riuscita di diverse pratiche coi dica-
steri ecclesiastici romani e dall'udienza pontificia che Benedet-
to XV gli aveva dato proprio alla vigilia, 18 dicembre. Udienza
affettuosissima in cui il Papa gli manifestò la sua consolazione
per le celebrazioni torinesi, per l'attività dei Salesiani e delle
Figlie di Maria Ausiliatrice nei vari campi di apostolato e spe-
cialmente nelle Missioni, per l'incremento dei Cooperatori e l'or-
ganizzazione degli Exallievi, per le opere caritative fra le vittime
più innocenti della guerra, e per la freschezza di zelo del Card.
Cagliero alla sua bella età di 83 anni. Gli confidò che aveva molte
insistenze per affidare ai salesiani altre missioni, ma non voleva
essere indiscreto nel chiedere troppi sacrifici di personale, men-
tre le case d'Europa scarseggiavano. Gradl assai l'omaggio della
Vita di Don Bosco in due volumi, del benemerito Don G. B.
Lemoyne, appena uscita in nuova edizione curata da Don Ama-
dei presso la SEI di Torino.
Sulla breccia fino alla chiamata del Padre
Siamo all'ultimo anno della vita di Don Albera. Il Bollettino
Salesiano si apre con la circolare di Capodanno da lui compilata
a Roma e mandata a Torino per tempo. Nell'onda dei ricordi del-
l'attivissimo passato, ancor oggi vi possiamo leggere, fra l'altro :
« Quando penso al giomo, i.n cui, fanciullo di 13 anni, venni carita1:evol-
mente accolto da Don Bosco nell'Oratorio, m'invade un fremito di commo-
zione, e a una a una si fanno alla mente le grazie pressoché innumerevoli che
il Signore mi riserbava alla scuola di questo dolcissimo Padre. Ma con me
quanti debbono ripetere: Di tutto siamo debitori al ven. Don Bosco. La no-
stra educazione, la nostra istruzione e la vocazione al sacerdozio, la dob-
24.5

27.4 Page 264

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biamo alle paterne sollecitudini di quest'uomo di Dio, che nutriva per i suoi
figli spirituali santo ed insuperabile affetto. È per questo che, al disopra di
ogni altra cara persona sta i-n noi il ricordo di lui, congiunto alla più alta am-
mirazione per la sua straordinaria santità e per la grand=a della sua mis-
sione, alla quale egli venne chiamato da Dio. Ogni anno che passa, la sua
immagine paterna in luogo di perdere alcunché della luce incantevdle che
ce la rendeva cosl venerata, ci appare più ,luminosa e si fa più vivo in noi il
ricordo delle sue eroiche vfrtù, mentre l'opera sua, consolidandosi e am-
pliandosi con l'appoggio di tutti gli onesti, ci fo ripetere dall'intimo del
cuore: qui c'è :i!l dito di Dio!. .. ».
La sua corrispondenza personale ripete la raccomandazione
di curare le vocazioni e di implorarne molte e buone e perseve-
ranti, per le pressioni che riceveva di accettare nuove fonda-
zioni e non poteva soddisfare per la scarsità di personale
Circolari speciali aveva scritto agli Ispettori su questo tema il
4 dicembre precedente dando anche norme per la visita canonica
alle case e per la scelta dei confessori; mentre ne preparava una
sulla direzione spirituale delle Figlie di Maria Ausiliatrice che
finì poi per uscire il 20 febbraio.
Ai Salesiani aveva scritto il 24 dicembre con una calda esor-
tazione generale e la strenna pel 1921:
« ... l'anno prossimo sia un anno in cui tutti lavoriamo con
impegno e concordia a far rivivere Don Bosco in noi e nell'in-
tera opera salesiana: nella nostra vita di religiosi, nella nostra
attività di insegnanti, di educatori, di pastori d'anime; nei giovi-
netti che il Signore ci affida, nei nostri Exallievi e Cooperatori,
in tutte le persone di cui dobbiamo in qualunque modo occuparci ».
Quindi, in particolare, pei Salesiani: Persuasi che l'umiltà è
il fondamento della perfezione, ci studieremo di praticarla me-
glio che ci sia possibile, nei pensieri, nelle parole, nel portamento.
Pei giovani: Non dimenticare mai che Dio trova la sua deli-
zia in un'anima adorna della sua Grazia... ».
Ne preparò un'altra che spedi il 10 febbraio con notizie e
particolari più ampi sull'udienza pontificia, annunciando altre In-
dulgenze concesse per la recita della preghiera a Maria Ausilia-
trice assegnata al termine della meditazione quotidiana e caldeg-
giando una degna celebrazione del 50° della proclamazione di
S. Giuseppe « Patrono della Chiesa universale».
Il 24 gennaio era disponibile per soddisfare gli inviti delle
Case di Francia che lo desideravano per celebrare con lui le date
giubilari. Don Gusmano lo accompagnò a Nizza Mare dove si
246

27.5 Page 265

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trattenne fino alla fine del mese, festeggiatissimo da salesiani, suo-
re, Cooperatori, Exallievi e giovani, benefattori e clero locale. Il
31 proseguiva per La Navarre e il 3 febbraio era a St. Cyr,
dove la cronaca registra anche la guarigione di una giovinetta che
soffriva di un ascesso in gola ed attendeva l'operazione. Don Al-
bera · 1a benedisse: la giovinetta sentì sollievo, dorml tutta la
notte, si alzò sfebbrata (da vari giorni era oltre i 40°) e il
medico poté constatare che non occorreva più l'operazione.
Don Albera invece fu preso da un fortissimo dolore a una
mano che né alcool, né cotone in cui l'avvolsero per riscaldarla
attenuarono in modo da lasciarlo riposare. L'indomani riusci a
celebrare, ma non a dare la Comunione. Era un altro attacco
del male che diminul lentamente, ma lo incomodò a lungo. Il
cotone applicato alla sua mano, fu invece applicato in seguito ad
una suora affetta da ulcera cronica: l'ulcera si chiuse e la suora
in breve guarl. A Marsiglia, come si poteva prevedere, le feste
assursero a tale concorso di persone care, oltre a quelli di fami-
glia, da farne una vera solennità. Egli sentl ancora una volta
quanto i Marsigliesi gli volessero bene. Don Albera - affer-
mò senza eufemismi l'abate Mendre - da tempo aveva rubato il
cuore di lui e di tutti i Marsigliesi. Ridimensioniamo quanto vo-
gliamo: resta l'essenza della realtà, il carisma salesiano è nel cuore.
Sui festeggiamenti pel Giubileo d'Oro sacerdotale di Don Al-
bera in Francia, l'Ispettore Don Beissière ha diramato poi una
circolare a tutti i confratelli dell'Ispettoria.
Stralciamo qualche particolare. Il 24 gennaio 1921 lo stesso
Ispettore con Don Cartier lo riceveva alla stazione di Ventimi-
glia e lo accompagnava a Nizza Mare. AI Patronage St. Pierre la
Famiglia salesiana lo accoglieva a suon di banda fra cordiali ac-
clamazioni, gli dava il benvenuto e, nei giorni seguenti, svolgeva
un denso programma di celebrazioni. Don Albera ebbe agio di
confortarsi nel riscontrarvi il fervore del « più puro spirito sa-
lesiano » e nella festa di S. Francesco di Sales ebbe prove non
meno consolanti dell'affetto che Cooperatori ed Exallievi serba-
vano a Don Bosco e alla prima Casa salesiana di Francia.
A La Navarre Don Albera benedisse lo sviluppo che vi pren-
deva l'Opera salesiana.
A Marsiglia l'entusiasmo esplose in pieno per una settimana:
la domenica 6 febbraio, fervorosa celebrazione eucaristica al-
l'Oratorio San Leone e omaggio ufficiale, nell'aula magna, dagli
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27.6 Page 266

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Exallievi e Cooperatori, che alla sera in assemblea generale die-
dero modo all'eloquenza del Parroco di S. Giuseppe, l'abate
Mendre, di « lasciar parlare il suo cuore » nell'esaltazione di
Don Bosco, Don Rua, Don Albera e dell'Opera salesiana.
A Montpellier il Card. de Cabrières lo volle prima alla sua
mensa e poi si invitò da sé a quella della Famiglia salesiana co-
ronando la festa.
A Romans, gli Exallievi e gli amici del Patronage gareggia-
rono coi giovani nell'espressione della loro gioia e del loro attac-
camento all'Opera salesiana.
A Lione, dov'era ormai trasferita la sede ispettoriale delle
Case della Francia-Sud, Don Albera notò la grande simpatia e
la viva affezione di tutti gli amici di Don Bosco e la benevo-
lenza del Card. Maurin. Poi, grazie ad insigni benefattori, passò
a visitare le nuove case di Caluire e Bonnans. Si riposò quindi per
una buona settimana fra i novizi di Chateaux d'Aix, godendovi
« la fraicheur des àmes, la limpidité des coeurs ... en douce har-
monie avec la belle nature... ». Si sarebbe trattenuto di più a
soddisfare altre case, ma venne richiamato a Torino per problemi
urgenti, e ritornò sostando alla Casa francese della Svizzera,
Morges, dove era ancora tanto viva e cara la memoria di Don
Bellamy, e per qualche ora a Losanna, dove le Dame Trinitarie
gli dimostrarono la loro generosa carità.
La circolare si conclude con la raccomandazione dell'Ispettore
ai salesiani di aiutare il nuovo direttore del Bollettino francese
a Torino, Don A. Auffray, inviandogli frequenti relazioni.
Scorriamo a volo la cronaca degli ultimi giorni trascorsi da
Don Albera in Francia, sufficientemente riassunta da Don Gar-
neri. A Savigny le suore ebbero l'impressione anche di qual-
cosa di soprannaturale o perlomeno di straordinario, perché una
bimba di cinque anni affetta da un grave ascesso che prendeva
cattiva piega, ad una spalla, ebbe conforto da una sua parola:
« Guarirà, guarirà » assicurò i suoi cari sorridendo, dopo averle
tracciato un segno di croce. Egli però sentiva mancare le forze,
tantoché rinunziò ad andare a Parigi dov'era attesissimo, e con-
chiuse il suo soggiorno a Morges, donde ripartiva il 27 marzo
per Torino. Non ne poteva proprio più. Ai francesi aveva avuto
agio tuttavia di dar prova del suo grande affetto e del grato
ricordo serbato fedelmente per tutta la vita. Fu lieto di dar pure
un attestato di riconoscenza della Congregazione, comunicando
248

27.7 Page 267

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che 1'11 febbraio, nell'anniversario delle apparizioni di Lourdes,
il Santo Padre aveva elevato a Basilica Pontificia la chiesa del
Sacro Cuore di Gesù in Roma, eretta da Don Bosco con largo
concorso della beneficenza francese.
Un celebre medico, pregato dai salesiani e dalle suore di far-
gli una visita accurata, non aveva purtroppo potuto che confer-
mare la diagnosi del dott. Battistini di Torino: « La circola-
zione del sangue nelle arterie del cervello non si compie bene.
È un'arteriosclerosi cerebrale, che ha finora risparmiato le fa-
coltà mentali ... Memoria, intelligenza, lucidità di spirito sono ri-
maste quelle di prima; è anzi sorprendente notare come egli
ricordi cose di trent'anni fa! ... ». Il Signore continuò a rispar-
miargli l'alterazione di queste preziose facoltà, sicché Don Albera
poté attendere al suo ufficio fino alla fine.
La resistenza generale del logoro organismo però anche a
Torino non fece che affievolirsi accelerando il declino. Ma ba-
stava che si sentisse un po' meglio perché accettasse ancora qual-
che invito. Si fece rappresentare ad Omegna per la traslazione
della salma del Servo di Dio Don Andrea Beltrami dal cimitero
alla Chiesa collegiata, ma si recò a Fossano, più vicino, per le
feste della Madonna di Cussanio e la traslazione della salma di
Mons. Manacorda nel caro santuario diocesano, per affettuosa ri-
conoscenza al vescovo amico di Don Bosco, e al successore di
allora Mons. Travaini, fratello di un benemerito salesiano.
Il 20 maggio celebrò ancora nel vicino Istituto delle Figlie di
Maria Ausiliatrice, dando una prima Comunione. Segul le fun-
zioni serali della novena di Maria Ausiliatrice nel santuario, ove
lungo il giorno prolungava le sue visite intime pregando fervo-
rosamente; il 22 benedisse una piccola mostra delle Missioni
della Patagonia e della Terra del Fuoco. Volle essere presente al-
le funzioni principali della festa lirurgica, commuovendosi pro-
fondamente all'afflusso e alla pietà dei fedeli che accorrevano
anche da fuori Torino, specialmente dalla Lombardia, oltreché
dal Piemonte e dalla Liguria. Il 26 accontentò le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice e le loro alunne recandosi a celebrare nella cap-
pella del loro vicino Istituto, ma diede solo una prima Comu-
nione a una nipote di Madre Marina, mentre altri sacerdoti la
dispensavano alla comunità. Il 31 andò allo studentato interna-
zionale di Foglizzo a far la festa della Madonna e chiudere il
mese mariano fra rappresentanti di 17 nazioni, i quali diedero
249

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una filiale dimostrazione di affetto anche con un toccante trat-
tenimento; ma scoppiò a piangere dirottamente di fronte a re-
duci della orrenda guerra e si dovette ritirare prima che finisse.
Celebrò tuttavia per loro la messa di comunità e si trattenne a
pranzo; poi raggiunse in fretta Torino per accogliere l'arcive-
scovo di Firenze, il Card. Mistrangelo, il quale veniva a com-
memorare Don Andrea Beltrami nella celebrazione dell'introdu-
zione delia Causa di Beatificazione a Roma. Vi intervenne l'arci-
vescovo di Torino Card. Richelmy circondato da altri vescovi,
principi, prelati ed autorità e una folla di Cooperatori ed Exal-
lievi con Salesiani, Suore e giovani allievi.
Il 2 giugno si lasciò trascinare dagli Exallievi di Modena che
lo desideravano fra loro pel 25° della Casa salesiana. Fece una
sosta a Parma ove tenne conferenza ai confratelli e alle Dame
Patronesse; il 5 prosegul per Modena ove l'indomani fu doppia
festa perché era il suo 76° compleanno. Don Albera non ne po-
teva più, ma ce la fece, sorridendo, fino alla fine, rallegrando
una folla di Cooperatori e benefattori accorsi con gli Exallievi
all'Istituto S. Giuseppe da tutta la città e anche da fuori. Fu l'ul-
tima vera visita alle case. L'Ispettore Don Lodovico Costa lasciò
memoria scrivendo fra l'altro:
« Quel giomo, mentre noi, preoccupati della sua salute, cercavamo di far-
lo riposare, allontanando dalla anticamera parecchi che desideravano confe-
rire con lui, Don Albera ci sfuggl varie volte e volle anche tenere confe-
renza alle Suore. S'intrattenne a lungo con me sulle case della ispettoria,
rispondendo alle mie preghiere di aversi riguardo col dire: - È appunto
perché mi accorgo di non aver più che poco tempo: bisogna che ne ap-
profitti per lavorare, per far qualche cosa. - Durante ,H pranzo si trovò fra
due colonnelli,1 comandanti del Jocale Collegio Militare. Essendosi egli ad-
dormentato, i due ufficiali lo assistettero con attenzioni di affettuosa rive-
renza, dicendo a me che avrei voluto scusare quel piccolo incomodo: - Oh,
noi siamo fieri di montar la guardia a questo venerando e simpatico ve-
gliardo perché si riposi sicuro, egli che ha tanto lavorato! - Dopo pranzo eb-
be per parecchie ore forti dolori e crampi. Tenendo una mano sul petto, mi
ripeté: - È tanto tempo che sento frequenti e quasi abituali questi forti
dolori. - E quando si arrese a prendere una pastiglia che nelle nostre
intenzioni avrebbe dovuto calmare le sue sofferenze, sorridendo ci disse: -
Queste medicine fanno più bene a voi che a me; [e prendo volentieri perché
vedo che sollevano voiailtri. - Prima di rimettersi in viaggio pel ritorno, ri-
peté più volte a chi gli augurava buon viaggio: - Eh! ho un altro viaggio più
1 Uno dei due colonnelli era il Generale Antonio Rocco-Viscontini morto
nel 1974 a Torino. Me lo ricordava la sua signora, ancora qualche mese fa.
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lungo da fare. Pregate per me. - E allorché, discendendo io a Parma, lo pre-
gai di benedirmi, mi ripeté con accento accorato che mi impressionò vivamen-
te: - E tu ,prega per me che son molto vicino al mio ultimo viaggio... Non lo
dico ad altri, perché non vorrei impressionare e addolorare i Confratelli ».
(Lett. 7 febbr. 1925).
Egli sostò a Milano, dove cominciava a funzionare la parroc-
chia Sant'Agostino, e ripartl il 12 per Torino, giusto in tempo per
assistere da una finestra allo spettacolo di oltre diecimila gio-
vani cattolici della diocesi, che scendevano a Valdocco, svento-
lando fra cento bandiere il loro vessillo federale benedetto in
mattinata dal Cardinale arcivescovo Agostino Richelmy, a ren-
dere omaggio a Don Bosco, l'apostolo della gioventù dei nuovi
tempi. Si godette tutto lo spettacolo da una finestra dell'Orato-
rio: fu riconosciuto dai giovani che si volsero a lui acclaman-
dolo affettuosamente. Ne fu estremamente commosso tanto che
dopo il pranzo volle essere accompagnato in teatro, dove i diri-
genti sedevano a banchetto, per ringraziarli e far loro i suoi
paterni auguri. Ma nel suo diario appuntava: « Sono molto de-
bole.. . Don Gusmano continua sempre ad assistermi e aiutarmi
come un figliuolo... Dio lo ricompensi! ».
La domenica seguente si sentì ringiovanire assistendo alla
benedizione della prima pietra della nuova chiesa dell'Oratorio
di Monterosa impartita dall'Arcivescovo Card. Richelmy e provò
tanta consolazione di fronte alla massa di giovani e delle fami-
glie esultanti, che non finiva di raccomandare anche nei giorni
seguenti: « Moltiplichiamo gli Oratori festivi . L'Oratorio è l'Ope-
ra salesiana per eccellenza: Don Bosco e Don Rua continueranno
a benedire i Salesiani finché essi lavoreranno con zelo negli
Oratori».
L'indomani fu accompagnato al collegio di Lanzo Torinese
per una settimana di riposo, ma non ne ebbe sollievo. Tornò
pel suo onomastico. I medici fecero di tutto per trattenerlo a
letto, ma egli volle alzarsi per l'accademia, e quando apparve in
teatro la sua candida figura, fu un delirio di applausi, di evviva,
di acclamazioni. Lo possiamo confermare perché eravamo pre-
senti, frementi di gioia e di commozione coi nostri allievi. Pal-
lido e curvo, rispondeva col suo sorriso, alzando le mani verso
di noi ammassati nelle gallerie, mentre il pubblico premeva verso
il centro in platea per vederlo passare. Non ebbe però la forza di
parlare e pregò Don Rinaldi a ringraziare in sua vece. Il 29 egli
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27.10 Page 270

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partecipò alle funzioni solenni nel santuario e scese pure a pran-
zo nel refettorio dell'Oratorio ov'erano radunati tutti i salesiani
della casa con le rappresentanze: si commosse e pianse a più
riprese, appassionandosi a volgere i suoi occhi velati di lagrime
qua e là quasi alla ricerca degli occhi di ognuno per dirgli l'af-
fetto che gli sgorgava dal cuore. Rifece a stento le scale per
risalire in camera, sorretto dai superiori e confratelli, dopo aver
attraversato il cortile fra i giovani che gli si assiepavano al pas-
saggio acclamando e beneaugurando.
Non comparve la sera per la commemorazione di Don Bosco.
Lo supplì Don Rinaldi mettendo in rilievo tante sue virtù assi-
milate alla scuola e nell'intimità dell'affetto del buon Padre
Fondatore.
La divozione a Gesù Adolescente
Un'altra grande consolazione provò la domenica seguente, con-
dotto all'Oratorio San Paolo il 2 e 3 luglio per la solennità tito-
lare ritardata. Riusci a celebrare e a parlare, promettendo di
tornar presto per l'inizio della costruzione del tempio che egli
desiderava cenacolo di educazione e formazione cristiana della
gioventù con la devozione di Gesù Adolescente nella Sacra Fa-
miglia. Dopo le funzioni inaugurò il banco di beneficenza sorteg-
giando il primo numero che gli mise in mano una borsetta: egli
la diede senz'altro alla giovinetta che stava più vicino, beneau-
gurando al suo avvenire. Non poteva scegliere meglio: era la
giovane Giulia Mia, la cui mamma faceva già da mamma, con
altre generose, all'Oratorio, provvedendo settimanalmente alla
pulizia e al riordino degli ambienti primitivi. Giulia con la so-
rella Onorina senti la vocazione all'Istituto delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, dove svolse anche le funzioni di Direttrice ed
Ispettrice, attualmente nell'Istituto Domenico Savio in Torino-
Sassi. La mamma, più che novantenne, conserva la fotografia di
quella giornata che riproduciamo tanto volentieri per l'affetto che
lega anche noi a quell'Oratorio ove cogliemmo tante gioie della
nostra giovinezza sacerdotale: tempi indimenticabili, giovani d'oro,
splendide vocazioni.
Quanto gli stesse a cuore la divozione a Gesù Adolescente
252

28 Pages 271-280

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28.1 Page 271

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in funzione pedagogica, lo manifestò in questa occasione conver-
sando sul terrazzo della cascina che serve tuttora di abitazione
ai salesiani: anteponessero sempre Gesù Adolescente a qualsiasi
altro modello nel parlare ai giovani, perché esemplare di ogni per-
fezione. Deplorava che si alterasse facilmente, nella enunciazione
dei misteri del Rosario, il testo evangelico dello smarrimento di
Gesù nel tempio: «Visi dice ben chiaro che la Madonna e S. Giu-
seppe lo trovarono che ascoltava i dottori e li interrogava, non
disputava con loro... » (Test. di Don Lodovico Costa).
Nel 1924, poco lungi dall'Oratorio San Paolo, cominciò a
funzionare, in via Cumiana-corso Peschiera, anche l'Oratorio
femminile « Madre Mazzarello », a cui affluirono subito le giovani
che frequentavano quello di San Paolo in via Luserna. Il 14 set-
tembre l'Ispettrice, Madre Rosalia Dolza, vi accompagnò altre cin-
que suore in aiuto a suor Margherita Martelli, anima dell'Ora-
torio, con suor Crosio e suor Ferrari, costituendo cosl casa regolare
sotto la direzione provvisoria di suor Angiolina Gabodi e poi di
suor Ebe Clerici, finché nell'ottobre del 1925 giunse alla completa
sistemazione con la Direttrice suor Giuseppina Ciotti che la por-
tò allo sviluppo programmato: Scuole di taglio e confezione,
Centro di formazione professionale, Catechesi parrocchiale, opere
assistenziali di periferia, ecc. Nel cinquantenario ha al suo attivo
quasi un centinaio di ottime vocazioni, fra cui tante missionarie,
ed Exallieve affezionatissime.
Il giorno prima di questa cara festa, 2 luglio, aveva steso la
prefazione all'opuscolo per l'Esame di coscienza delle Figlie di
Maria Ausiliatrice che dal 13 al 16 avrebbero avuto un corso
di Esercizi spirituali a Villa De Luca (Torino-Cavoretto) per le
Madri del Consiglio Generalizio e le Ispettrici. Fu tra loro a più
riprese in quei santi giorni e fece anche a loro l'esortazione a
rilevare la condotta di Gesù Adolescente fra i dottori nel tempio
di Gerusalemme, come modello della gioventù di fronte al ma-
gistero della Chiesa e ai loro educatori. Il Signore lo avrebbe
chiamato a sé proprio la vigilia del giomo fissato per porre la
prima pietra del tempio a Gesù Adolescente, che egli aveva
voluto come Centro di devozione al divino modello della gio-
ventù adolescente, fervente nel santuario salesiano di Nazareth,
per la esemplare educazione alla docilità e all'amore dei genitori
253

28.2 Page 272

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e degli educatori, al magistero autentico della Chiesa, soprat-
tutto per gli aspiranti al sacerdozio e alla vita religiosa.1
I grandi calori estivi non lo convincevano a prendersi sol-
lievo fuori Torino. Preferl far due passi ogni sera sul vespero,
magari fino alle case di periferia: San Paolo, Monterosa, Sassi.. .
Si fece anche accompagnare all'Asilo delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice al Lingotto e a Grugliasco tra le orfane di guerra. Al
Lingotto un'exallieva chiese una particolare benedizione perché
soffriva da un anno di un male incurabile. Don Albera la con-
1 Compì poi il sacro rito il Card. Cagliero qualche giorno dopo, confer-
mando autorevolmente la predilezione che Don Albera aveva per tale
opera che egli, col Servo di Dio Don Filippo Rinaldi e Don Pietro Ricaldo-
ne, vagheggiavano come tipo e modello di bonifica spirituale-sociale per le
periferie delle grandi città. Il tempio sorse fra il 1921 ed il 1925. E venne
consacrato dal nuovo Arcivescovo di Torino Giuseppe Gamba, poi Cardinale
di Santa Chiesa, per la festa di Cristo Re: 50 anni fa ...
La sezione Aspiranti era stata benedetta da Don Filippo Rinaldi, l'an-
no prima della consacrazione del tempio, per la festa di San Paolo del
1924, quando benedisse anche il vessillo che portava in ric=o un bel serto
di rose e di gigli, dono di un'altra delle prime patronesse, la signora Madda-
lena Rigardetto. E i giovani cantavano:
« Un buon Padre, Don filnaldi - fo baciava con amor...
Su, compagni, avanti, avanti: - di Don Bosco siam l'onor!
Siamo intrepidi Aspiranti - alle glorie del Signor... ».
Musica del carissimo Don Aristide Manfrina, assistente ecclesiastico dei
Giovani Effettivi... e delle Sezioni sportive.
Il Servo di Dio continui a benedire anche gli altri Exallievi che il Si-
gnore mi aveva affidato, prima di S. Paolo nel 1° Oratorio Festivo di Val-
docco, nell'Oratorio Parrocchiale di Saluggia, a Penango Monferrato (Figli
di Maria), studenti della Casa-Madre di Torino, nella Scuola Agraria di
Lombriasco, nel Collegio Morgando di Cuorgnè Canavese, nell'Istituto Pa-
terno di Castelnuovo d'Asti (oggi Don Bosco). E quelli che mi affidava in
seguito, dall'Oratorio S. Paolo all'Oratorio vescovile S. Giuseppe d'Ivrea, al-
l'Istituto torinese del Martinetto (oggi Card Richelmy) artigiani e studenti...
Quanti cari giovani!... Oggi esemplari, zelanti apostoli anche nelle Missioni
dell'Assam (India) con Mons. Oreste Marengo... in Thailandia con Don Al-
bino Ponchione e Don Silvio Provera (dell'Oratorio S. Paolo di Torino)... in
America, Egitto e Medio Oriente... in Case d'Italù~ e d'Europa, in varie Dio-
cesi, Parroci, educatori, missionari. Due lasciarono particolare memoria
di sé: Don Ezio Polla morto il 18 giugno del 1939, Direttore dell'Istituto
Salesiano di Recife in Brasile, giovanissimo; Don Giuseppe Luigi Giacotto
morto l'll aprile 1965, Delegato Nazionale per gli Exallievi e Cooperatori a
San Paolo del Brasile: gli è stata dedicata una bella via di quella grande
città ...
254

28.3 Page 273

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fortò: « Vi manca un po' di fede: pregate di nuovo la Madonna
Ausiliatrice e avrete la grazia. Anch'io pregherò per voi». E
la benedisse. L'inferma fece un'altra novena e guarl. Non volle
mancare agli Esercizi delle Figlie di Maria Ausiliatrice a Nizza
Monferrato e a quelli dei Salesiani a Valsalice. Ma non riusd
a parlare alle suore durante la Messa, perché si commosse troppo
alla recita di una preghiera per le anime del Purgatorio, né ai
Salesiani, neppure a mensa perché, inteneritosi fino alle lagrime
dovette uscire prima che finisse il pranzo.
Ai primi di settembre fece una capatina a Torino Bertoulla
dove le suore avevano avviato un nuovo Oratorio di periferia,
e a Sassi a rivedere gli orfani di guerra, incoraggiando le suore
e benedicendo tutti: « Questi piccini meritano tutte le vostre
sollecitudini; custoditeli bene; poi continueremo noi la loro edu-
cazione a costo di qualunque sacrifuio. Tutti vedono di buon oc-
chio questa beneficenza».
Il Card. Cagliero, venuto in Piemonte a trascorrere il torrido
dell'estate, lo suppll in diversi corsi di Esercizi, specialmente nel
dare i ricordi che quell'anno sintetizzò quasi ovunque con una
parola d'ordine: « Guardiamoci dal mettere l'io al posto di Dio.
Guai al religioso che mette l'io al posto di Dio ». Don Albera
con Don Francesia, 1'8 settembre, l'accompagnarono a Borgo Cor-
nalese a far visita di condoglianze al barone Carlo Ricci per la
morte della consorte baronessa Azelia di casa Passati. Indugiò
a lungo presso le tombe dell'estinta e dei familiari defunti, poi
si trattenne ancora coi grandi benefattori di Don Bosco sui pri-
mi tempi dell'Oratorio, ripetendo anche a loro : « Gli Oratori
festivi sono l'Opera salesiana per eccellenza e i Salesiani non
possono meglio meritarsi le compiacenze di Don Bosco e le be-
nedizioni di Maria Ausiliatrice che lavorando generosamente ne-
gli Oratori». Il 14 settembre volle infine accompagnare il Card.
Cagliero a Castelnuovo Don Bosco dove convenivano centinaia di
Cooperatori ed Exallievi da una quarantina di paesi circonvicini,
molti con sindaci e autorità, per un omaggio a Don Bosco presso
il suo monumento, donde poi proseguivano in pellegrinaggio al
santuario e alla casetta sul colle natio. Ma Don Albera non li
poté seguire e non poté neppur dire una parola all'agape fra-
terna di oltre 500 coperti per la commozione.
Frattanto era giunta a Torino la notizia della morte di Mons.
Costamagna nello studentato di Berna! presso Buenos Aires. Il
255

28.4 Page 274

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28 settembre arrivò Mons. Marenco, da cinque anni Inter-
nunzio Apostolico in Centro America, ridotto ombra di se stesso
per l'estenuazione, eppure già designato ad Arcivescovo di Ge-
nova. Don Albera ne sofferse indicibilmente.
« Delle tante perdite della Congregazione - confidò all'an-
nuncio del transito di Mons. Costamagna - in questi anni del
mio rettorato, questa mi afHigge in modo particolare, perché con
Mons. Costamagna scompare uno dei più cari compagni della
mia vita dì studente qui all'Oratorio, quindi anche uno degli
ormai carissimi confratelli che hanno più a lungo e più intima-
mente avvicinato e praticato il nostro venerabile Padre... ». Il
Card. Cagliero si affrettò a deviare il discorso, riproponendo
il progetto di accelerare il rinnovamento del concerto di cam-
pane della basilica e suggerendo che una delle maggiori delle
attuali fosse destinata al santuario dei Becchi, distribuendo poi
le altre all'erigenda chiesa di Borgo San Paolo e a quella della
Madonna del Rosario a Monterosa, disposto a concorrere alla
spesa. Don Albera fini per acconsentire, conchiudendo: « Fate
presto perché il Card. Cagliero possa benedire le nuove l'anno
prossimo per la sua Messa di diamante ».
Mons. Marenco parve avere un po' di beneficio dall'aria del-
la patria e per parecchi giorni scese a mensa con Don Albera
e i superiori, godendo la compagnia del Card. Cagliero al quale
poté confidare quanto avrebbe dovuto e tanto desiderato dire al
Santo Padre. Il Cardinale, partendo per Roma il 5 ottobre, l'as-
sicurò che avrebbe fatto tutte le sue confidenze a Benedetto XV.
Abbracciò poi anche Don Albera, invitandolo a Roma al più
presto. Ma il Rettor Maggiore gli rispose con un mesto sorriso,
alzando gli occhi al cielo. Ben presto Mons. Marenco non poté
uscir di camera. Il male galoppava tanto che il 18 ottobre Don
Albera gli recò il Santo Viatico. Tornato in camera, scrisse al-
l'Ispettore di Buenos Aires Don Giuseppe Vespignani:
« Ti ringrazio deHa lunga lettera sul nostro compianto Mons. Costama-
gna... Grazie anche dei giornali. Lessi ogni cosa con grande co=ozione. Ma
sia sempre adorata e benedetta la santa volontà del Signore! Quest'anno sem-
bra che Egli ci voglia dolorosamente provare: ci ha tolto il nostro caris-
simo Don Aime (Ispettore in Colombia), poi Mons. Costamagna; e stamane
ho portato il Viiatico a Mons. Marenco, reduce da pochi giorni dall'America
in condizioni di salute assai gravi: solo un miracolo di Maria SS. fo potreb-
be salvare... ».
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28.5 Page 275

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Troppo tardi era stato richiamato in patria dalla Santa Sede.
Diffusasi la notizia del precipitar degli eventi, il Card. Richelmy
si affrettò all'Oratorio a confortarlo e fu anche l'ultimo incontro
con Don Albera. Il 21, Monsignore ricevette con fervore l'Estre-
ma Unzione e il 22 piamente spirava. « Questa morte - scri-
veva Don Albera a una Superiora delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice in Francia - mi ha profondamente addolorato. Ho pianto
assai... Sia fatta la volontà di Dio! » Fu forse la sua ultima
lettera.
Era intanto giunto a Torino Don Luigi Mathias, direttore
della Casa di Pedara in Sicilia, scelto da Don Albera come capo
della prima spedizione di Missionari salesiani per la Prefettura
Apostolica di Shillong nell'Assam (India), con altri cinque sacer-
doti e cinque coadiutori: ebbero modo di parlargli personal-
mente e riceverne paterni consigli.
Pel 23 ottobre era fissata la solenne funzione di addio nella
basilica di Maria Ausiliatrice, con altri missionari destinati ad
altre missioni. Non si poteva dilazionare. E così, mentre la salma
di Mons. Marenco riceveva l'omaggio di preghiere nella cappella
ardente, Don Albera trovò ancora la forza di assistere in presbi-
tero alla commovente funzione presieduta da Mons. Castrale, Ve-
scovo ausiliare di Torino in rappresentanza dell'Arcivescovo.
Don Mathias, che si era ben preparato, parlò per circa un'ora
dell'Assam, incantando l'uditorio. Ma Don Albera si commosse
tanto che dovette essere condotto in sagrestia. Ritornò all'altare
per l'abbraccio di addio e disse a ciascuno la sua ultima parola.
L'indomani volle presenziare alle solenni esequie ed al con-
gedo della salma di Mons. Marenco. Ne uscl sfinito. Umana-
mente quel povero cuore non poteva più reggere a tante prove,
a così vive emozioni.
Fra gli ultimi conforti, l'arrivo di 15 giovani chierici uru-
guayani inviati dall'Ispettore a frequentare il corso teologico in
Italia nello studentato di Foglizzo che stava per trovar miglior
sede in Torino-Crocetta. E la notizia dalla Spagna che il Go-
verno aveva scelto gli istituti salesiani per l'assegnazione di 49
posti di istruzione gratuita, messi a disposizione da un munifico
benefattore.
Il 25 e il 26, nonostante tutto lo sfinimento che sentiva,
Don Albera volle trovarsi in ufficio per gli impegni ordinari,
ma un collasso improvviso, il 26 mattino, non gli permise di
9 G. Favini
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28.6 Page 276

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celebrare e si accontentò della Santa Comunione, raccomandando
che non si allarmasse la comunità. Il 27, volle assistere all'Uffi-
cio funebre per Mons. Costamagna nella basilica di Maria Ausi-
liatrice, ma quanto piangere! ... Nel pomeriggio si lasciò condurre
in carrozza da Don Gusmano alla Madonna di Campagna: per
istrada incontrò le orfanelle delle suore che lo riconobbero e
gli corsero incontro. Non ebbe forza di parlare: le salutò con
ripetuto gesto delle mani. Celebrò invece la mattina del 28 e
diede udienze :6.no a mezzogiorno: per ultimo al Superiore Ge-
nerale della Congregazione del SS. Sacramento accompagnato dal
P. Cesarini. Ebbe frattanto notizia dal Cile dell'ampliamento della
casa di formazione e portò il discorso sull'urgenza di trovare
una soluzione adeguata per la sistemazione dello Studentato Teo-
logico Internazionale da Foglizzo a Torino.
« Putroppo le offerte sono andate da alcuni mesi scemando
sensibilmente - insisteva con l'Economo Generale Don Conelli
- tuttavia teniamo fermo ... se ci viene qualche offerta gene-
rosa, vediamo di consacrarla a questo scopo». A Don Rinaldi
poi espresse la sua gioia di poter collocare la prima pietra del
tempio a Gesù Adolescente all'Oratorio S. Paolo due giorni do-
po, il 30 ottobre; poi trattò con lui della celebrazione del III Cen-
tenario della morte di San Francesco di Sales, proponendogli di
invitare gli allievi di tutte le case salesiane di Torino per le so-
lenni funzioni del 28 dicembre 1921. Don Rinaldi rispose che
pensava di offrire a tutti la colazione all'uscita dalla Messa. « Oh,
diamo a tutti anche il pranzo! - consigliò Don Albera - Sa-
remo nella brutta stagione; e poi è bene che quel giorno fra-
ternizzino insieme sotto i portici delle camerette di Don Bosco
e di Don Rua, presso il Santuario... ». Continuando il colloquio
Don Rinaldi gli confidò di non essere riuscito a trovare una casa
che potesse accogliere due giovinetti pericolanti nella fede, per-
ché nessuna aveva posto. « Accettali ugualmente - l'incoraggiò
Don Albera - in qualche modo ti aggiusterai: bisogna salvarli
ad ogni costo ».
Si sentì in euforia :6.no alla sera e faceziò perfino con Don
Barberis sulla sua abitudine di fare un po' di ginnastica pas-
seggiando da solo nel corridoio dopo i pasti. Gli ricordava pure
che il predicatore della quaresima di quell'anno, un sacerdote di
Piacenza, nel salire una sera in camera per riposare, l'aveva giu-
dicato nevrastenico confidandogli, il giorno dopo, le sue preoccu-
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28.7 Page 277

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pazioni: si trattava di un superiore maggiore! ... Fecero insieme
una bella risata.
A cena, Don Gusmano lo esortò ad accogliere l'invito del Card.
Cagliero e a prepararsi per scendere presto a Roma, perché la
stagione ormai rincrudiva. Don Albera non rispose, ma poi, sa-
lendo in camera, gli osservò: « Mons. Costamagna è morto, Mons.
Marenco è morto... Chi di noi li seguirà per primo? ».... Ciono-
nostante riposò tranquillo fin verso le quattro. Poi lo colse im-
provviso e violento l'affanno. Si alzò, chiamò Don Gusmano che
dormiva nella camera attigua.. . Questi capi, passò la voce ai supe-
riori nelle camere vicine, telefonò ai medici... Purtroppo non
c'era più nulla da fare. Don Rinaldi si affrettò ad amministrargli
l'Estrema Unzione e ad impartirgli la benedizione papale, assol-
vendolo in articulo mortis.. , Fece appena a tempo. Mentre tutti
si tringevano attorno pregando, egli reclinava il capo da un lato
e spirava ...
La notizia si diffuse velocemente. Telegrafo e telefono la
portarono anche lontano... Il quotidiano cattolico « Il Momento »,
mise rapidamente insieme una seconda edizione a lutto. I supe-
riori scesero a celebrare per l'anima sua.
Gli alunni artigiani si unirono al cordoglio dei superiori con
la loro mattiniera Messa di comunità. Gli studenti che vi pre-
mettevano una buona mezz'ora di studio, videro comparire il
direttore Don Bernardo Savarè, con gli occhi gonfi di lagrime.
Salito sulla cattedra dell'assistente, annunciò: « L'Angelo della
morte è venuto a visitare improvvisamente... l'Oratorio... È morto
il Rettor Maggiore... ». E, dopo altre brevi parole, intonò il
De profundis, a cui i ragazzi piangendo risposero...
In mattinata, la salma, rivestita della talare, della cotta e
della stola violacea, venne piamente composta e trasportata nella
cappella succursale del santuario di Maria Ausiliatrice parata a
lutto. Nel pomeriggio la piazza brulicava di una folla crescente
d'ora in ora, che si accalcava per entrare a visitarla, a pregare;
molti, piangendo apertamente, baciavano le mani che tenevano
ancora la corona del Rosario. Accorsero il Cardinale Arcivescovo,
vari Vescovi residenti in Torino, il Prefetto, il Sindaco, autorità
ecclesiastiche, civili e militari, autorità municipali e consolari...
La massa del popolo, tra il pomeriggio del 29 e la mattina del
30, fino all'ora della chiusura del feretro , si accalcava a vene-
rare la salma. Tutta la città condivideva il lutto della Famiglia
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28.8 Page 278

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salesiana. Da Nizza accorreva subito la Madre Generale con le
superiore maggiori... E nel rimpianto unanime, molti accostavano
alla salma oggetti di devozione... I missionari dell'Assam chie-
devano l'onore di vegliarne la salma tutta la notte...
Quanto di Don Bosco viveva in lui!. ..
(On. Paolo Boselli, Senatore, più volte Ministro e Presidente del Consiglio
1916-1917).
La morte di Don Albera fu sentita nel mondo quasi come
quella di Don Rua. Lo attestarono i funerali che assunsero le
stesse proporzioni. Pur nella diversità del prestigio specifico del-
l'uno e dell'altro.
« Don Rua e Don Albera non devono essere considerati come
semplici successori di Don Bosco - scriveva subito Don Ri-
naldi nella lettera necrologica - ma come i continuatori della
sua vita, la quale in loro prosegue e si svolge e giunge fino al
suo compimento ».
E l'Ispettore Don Vespignani ai salesiani della sua ispettoria
sudamericana: « Don Albera fu la continuazione della vita, del-
lo spirito e dell'azione di Don Bosco e di Don Rua. Tutti e tre
formano una triade splendida, sommamente provvidenziale e
ammirabile nella nostra Congregazione... ».
Furono questi alti concetti che determinarono la tumulazione
della salma a Valsalice presso quelle di Don Bosco e di Don Rua.
Per i funerali fece tempo a giungere da Roma anche il Card.
Cagliero che pontificò la Messa funebre nella basilica di Maria
Ausiliatrice, il 31 ottobre, con l'assistenza pontificale di quat-
tro vescovi. Ai lati della bara erano il Capitolo Superiore dei
Salesiani col Prefetto Generale Don Rinaldi, e il Consiglio Ge-
neralizio delle Figlie di Maria Ausiliatrice con Madre Daghero,
Superiora Generale.
Ma il corteo funebre per le onoranze si svolse la stessa do-
menica 30 nel pomeriggio, partendo dalla chiesa succursale per
via Cottolengo, Corso Principe Oddone, Corso Regina Margherita,
Piazza Emanuele Filiberto, via Cottolengo, Basilica di Maria Au-
siliatrice.
I giornali davano la partecipazione di oltre centomila per-
sone. Le nostre cronache, comprese quella delle Figlie di Maria
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28.9 Page 279

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Ausiliatrice che ho consultato per una precisazione, accennano
a molte di più. Le associazioni si incolonnavano nei cortili; la
piazza era tutta della folla, e il corso Regina, fin dalle prime
ore del pomeriggio appariva fiancheggiato da siepi di popolo lun-
go i due viali.
Al carro funebre, semplicissimo, reggevano i cordoni i Sin-
daci di Torino e di None, il Vice-Prefetto, il Grand'U.ff. Go-
nella per la Magistratura, il Vice-Questore, Mons. Maffei pel
Clero, il Senatore conte Rebaudengo e l'On. Avv. Fino pei Coo-
peratori, l'Avv. Masera per gli Exallievi, il Procuratore Gene-
rale Don Dante Munerati per la Società Salesiana. Scortavano
quattro valletti del Municipio in alta uniforme e un drappello
di Guardie civiche; dietro il carro, 40 orfanelli dell'Istituto di
Pinerolo nella loro divisa di piccoli alpini. Precedeva il clero coi
Parroci e i Canonici, i due Vescovi Mons. Perlo delle Missioni
della Consolata; Mons. Masera e i Superiori del Capitolo con
Don Rinaldi; compagni dell'estinto coi parenti venuti da No-
ne, Vigone e Pinerolo, rappresentanti della principessa Laetitia
e dei Duchi di Aosta, Autorità.. . Distribuite fra le masse dei
giovani degli Oratori ed Istituti Salesiani, delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, delle associazioni di Azione Cattolica, degli
Universitari e di altri istituti, con centinaia di vessilli, stendardi
e bandiere, le bande degli allievi artigiani, del primo Oratorio
festivo , dell'Oratorio di Monterosa, con la banda « Card. Ca-
gliero », alternavano preghiere e canti con le meste note di deli-
cate marce funebri. La sfilata durò due ore e mezzo.
In basilica, alle esequie, impartì l'assoluzione il Card. Cagliero.
La salma vi rimase per tutta la notte vegliata dai missionari
destinati all'Assam. L'indomani per tempo i superiori si succe-
dettero a celebrare all'altar maggiore, mentre altri sacerdoti ce-
lebravano ai vari altari.
Alla Messa pontificata dal Card. Cagliero, assistevano il Vesco-
vo ausiliare del Cardinale Arcivescovo di Torino, Mons. Masera,
vescovo di Colle Val d'Elsa, Mons. Perlo Vicario Apostolico del
Kenya, delle Missioni della Consolata, e Mons. Scapardini arci-
vescovo-vescovo di Vigevano. Il tempio era stipato di gente.
Nel pomeriggio la salma venne scoperta per appagare il Card.
Cagliero, i Vescovi e tanti salesiani e suore desiderosi di vedere
ancora una volta le care sembianze. « Rare volte - aveva scritto
Il Momento fin dall'esposizione della salma nella cappella ardente
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28.10 Page 280

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- una salma di vegliardo ci si offrì così augusta e così vene-
randa. La morte pareva veramente bella nel venerato viso mar-
moreo. La bocca sottile, non contratta dallo strazio, pareva semi-
aperta al sorriso e alla preghiera: gli occhi, quei piccoli occhi
scrutatori e limpidi, si indovinavano sotto le palpebre; la fronte,
tutta segnata dalle rughe del pensiero, nel candore della canizie,
aveva una maestà da statua. Il corpo invece, sotto l'umile talare
e la stola, non si indovinava più. Ai nostri sguardi Don Albera
era già quasi incorporeo, tutto spirituale.. . Le mani, le care mani
incrociate e circondate dal Rosario eran diventate più bianche,
più lievi, più pietose. Tutti le guardavano quelle piccole mani
delicate e inerti, che sicure avevano retto per tanti anni diffi-
cili e sanguigni il timone della Congregazione. Non sapevamo
pensarle inerti per sempre... Le mani di Don Albera benedi-
centi fino alla fine, non le dimenticheremo più ». Erano ancora
cosl quel pomeriggio del 31 .
Prima di richiudere il feretro, si depose nell'urna una perga-
mena con le fume del Cardinale, dei Superiori, dei Vescovi, delle
autorità ecclesiastiche e civili presenti alla cerimonia. Quando
giunse a Valsalice, in un'umile corteo di quattro carrozze, il cor-
tile era già tutto affollato. Tra i superiori e i chierici del Semi-
nario delle Missioni Estere, si distinguevano il prof. Don Paolo
Ubaldi con vari professori dell'Università, e rappresentanze di
varie nazioni, studenti di teologia dello studentato salesiano di
Foglizzo.
Al canto dell'antifona Beati mortui qui in Domino moriun-
tur, si ordinò il corteo che portò il feretro nella cappella del-
l'Istituto, ove il Card. Cagliero presiedette le esequie e impartl
l'assoluzione rituale. Poi rivolse la sua parola, calda di affetto e
di fervore missionario salesiano, ricordando la morte di Don Bo-
sco, le sue ultime raccomandazioni e l'assicurazione che la So-
cietà Salesiana, essendo opera di Dio e non dell'uomo, avrebbe
continuato il suo cammino. E rilevò la sua espansione nel mondo
sotto il rettorato di Don Rua e di Don Albera, traendone argo-
mento di fiducia in Dio con l'impegno di fedeltà al programma
« lavoro e preghiera », confidenza nella protezione di Maria Au-
siliatrice. Le spoglie mortali vennero quindi riportate sotto il
portico del cortile e tumulate nella cappellina a sinistra di chi
sale alla tomba di Don Bosco. La seconda guerra mondiale consi-
gliò poi di trasferirle al colle natio di Don Bosco ove tuttora
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29 Pages 281-290

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29.1 Page 281

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stanno nella sagrestia della cappella votiva della Madonna di cui
egli aveva benedetto e collocato la prima pietra il 16 agosto 1915,
centenario della nascita del santo Fondatore.
Ci piace conchiudere con le commosse espressioni dell'On.
Boselli, da cui abbiamo già stralciato il titolo di questo capitolo:
« È perdita immensa per quanti credono che gli uomini che
più sentono il Cielo sono i migliori sulla terra. Don Albera aveva
nelle sembianze e nell'anima la misticità ispiratrice: aveva nelle
opere l'umanità che insegna e consola. Quanto di Don Bosco vi-
veva in lui! A questo lutto io partecipo con tm compianto che
è ammirazione verso l'estinto e fede nel proseguimento di quella
istituzione che egli tanto amò, edificò, benedisse, con l'esempio,
col lavoro, con la preghiera. Egli fu uno di quegli uomini che
passano sulla via della santità e lasciano luce ed amore».
Tra i Cardinali, il Vicario di Sua Santità, Em.mo Pompily, an-
dava ancora più in là:
« Era un santo!... e il Signore lo ha voluto nella sua gloria
al posto che meritava. Quanti lo conobbero e ammirarono in
vita, ne ricorderanno con gran desiderio la virtù dolce e forte,
l'attività instancabile, la carità senza limiti. Fu veramente degno
successore di Don Bosco e di Don Rua... ».
Conclusione
Ci piace conchiudere con la pagina 440 del volume IV degli
Annali della Società Salesiana:
« Il timore che Don Albera manifestò all'inizio del suo go-
verno, che il vasto campo dissodato da Don Bosco ed irrigato
con tanti sudori da Don Rua venisse a isterilirsi per incapacità
sua nel coltivarlo, fu ben lungi dall'avverarsi. Nonostante i vuoti
e i disastri causati dalla guerra, egli vide aumentato di 705 il
numero dei soci e di 103 quello delle case. Prova eloquente di
rigogliosa vitalità furono le cinque nuove Missioni da lui aggiunte
alle antiche in varie parti del mondo: in Africa nel Congo Belga,
in Asia nella Cina e nell'Assam, in America nel Rio Negro del
Brasile e nel Chaco Paraguayo. Fondò nuove case per la forma-
zione del personale e non pochi Oratori festivi, alcuni dei quali
fiorentissimi. Vide i suoi confratelli variamente onorati dalla
Santa Sede: il Card. Cagliero con la porpora cardinalizia, cin-
que con la dignità di vescovi residenziali, tre con quella di Vi-
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29.2 Page 282

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cari Apostolici, uno di Prelato Nullius e due di Prefetti Apo-
stolici, uno infine con la designazione a Internunzio. Vide orga-
nizzate come mai per l'addietro la Pia Unione dei Cooperatori
Salesiani e l'associazione degli Exallievi. Vide la Congregazione
onorata anche dal mondo civile, da parte di accademie, di so-
cietà, di città, di associazioni e dal Governo d'Italia che nel
1920 insignl lui della Croce di Grand'Uflìciale dell'Ordine Mau-
riziano. Né fu piccola consolazione per Don Albera vedere la
Società Salesiana superare l'ardua prova della guerra in modo da
poter ripigliare il ritmo della sua vita. Il Signore infine gli ri-
serbò la gioia di arrivare alla celebrazione del giubileo d'oro sa-
cerdotale, non concessa né a Don Bosco né a Don Rua.
Il suo rettorato passò dunque benefico sulla Congregazione... ».
E noi ne offriamo dati positivi, elencando in appendice le
fondazioni e gli ampliamenti registrati nel decennio del suo
rettorato.
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29.3 Page 283

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Appendice
Fondazioni durante il Rettorato di Don Albera
Prima dello scoppio della guerra mondiale, completando il numero di
quelle già approvate da Don Rua, Don Albera poté annunciare:
nel 1910 l'apertura di un secondo Oratorio a Trieste, un altro a Vienna,
il servizio dei salesiani all'Oratorio vescovile S. Giuseppe di Ivrea voluto dal
vescovo Mons. Fili,pello e affidato al primo direttore Don Luigi Castellotti,
mentre i salesiani del teologato di Foglizzo venivano impegnati per quello di
San Giorgio Canavese; altri tre in Sicilia, a Messina sulle rovine de1l'is,tituto
San Luigi distrutto dal terremoto del 1908, a Taormina e a Caltagirone; tre
residenze di servizio pastorale a Castel de' Britti (Bologna), a Ixelle nel Bel-
gio, a Jahuel nel Cile; la direzione del piccolo Seminario di Pontebosio chie-
sta dal vescovo di Massa Carrara Mons. Marenco, e quella del Seminario in-
terdiocesano di Sassari; la consacrazione del tempio salesiano parrocchiale
di S. Carlo a Buenos Aires-Almagro, l'inaugurazione del funzionamento di
istituti a La Serena (Chili) e a Panamà, a Pernambuco nel Brasile, a Santia-
go del Cile e a Bernal nell'Argentina; la costruzione di un altro, in sede
migliore a Cape Town (Sud Africa).
Nel 1911: a Venezia l'assunzione della direzione dell'Istituto-Patronato
dei ragazzi-vagabondi di Castello; a Cagliari un Oratorio festivo; a Cracovia
in Polonia la direzione dell'Orfanotrofio Lubomirski; a Bruxelles e a la
Chaussée de Boendael nel Belgio due scuole parrocchiai1i. (S. Filippo Ne11i e
Santa Croce); a Jacarehy nel Brasile ia Colonia Agricola S. Michele; a Pa-
terson negli Stati Uniti la cura di una parrocchia e di un cappellania per la
cura degli Emigrati; a Comayagiiela nell'Honduras una nuova casa. Sei chie-
se in costruzione (Maria Ausiliatrice in Trieste; Sacro Cuore sul Tibi-
dabo di Barcellona e a Napoli-Vomero; S. Antonio di Padova a Soverato in
Calabria; S. Michele Arcangelo in Punta Arenas; l'apertura della chiesa
parrocchiale a Maria Ausiliatrice ,in New York).
Confortante poi la fioritura di nuove opere nelle Missioni: il collegio
Michele Rua a Puerto Madryn nel Chubut (Argentina); nuova residenza a
Cabo S. foés nella Terra del Fuoco, a Puerto S. Julian nel territorio di Santa
Cruz di Patagonia; nuova missione nella Cina a Heung Shan e una scuola di
arti e mestieri a Manila nelle Filippine. I Salesiani del Belgio diedero l'addio
ai loro primi sei missionari pel Katanga ,nel Congo Belga.
Nel 1912: Oratorio festivo e chiesa pamocchiale a Vercelli, Oratorio
festivo a Saluggia, a Vemsee nella Stiria il trasferimento del Collegio germa-
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29.4 Page 284

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nico di Penango Monferrato; a Port Chester negli Stati Uniti una parrocchia
per Emigrati italiani e polacchi; a Granada nel Nicaragua una scuola pub-
blica e l'avvio di un istituto per Scuole Professionali; ritorno dei Salesiani
a Macao per l'Orfanotrofio I=acolata; nuovo Oratorio festivo « Andrea
Beltrami» a Talea nel Cile; apertura al culto delle chiese « I=acolata » di
Puntarenas, « S. Giuseppe» a Manga nell'Uruguay, « Maria Ausiliatrice» a
Londra.
Nel 1913: in Italia, l'Oratorio festivo a Finale Emilia e a Varazze, re-
so quotidiano quello di Borgo S. Donnino; in Ungheria apertura della casa
di Szentkerest per Je vocazioni ungheresi che venivano coltivate a Cavaglià
Biellese in Italia, un istituto a Torre Annunziata con Oratorio quotidiano;
altri Oratori a Rovigno e nel Golfo di Trieste; residenza e scuole ad Adalia
nella Turchia asiatica; nuove fondazioni ad Alicante e Triana in Spagna. Al-
le chiese già in costruzione si aggiunsero altre a Casale Monferrato, a Bahia
Bianca in Argentina, a Linares nel Cile, a Lima nel Perù, a Montevideo nel-
l'Uruguay, a Nictheroy nel Brasile, a Messico città, a Przemysl in Galizia,
a Barcellona in Spagna.
Nel 1914: per l'Italia Don Albera non può segnal.are che le nuove par-
rocchie di Sant'Agostino in Milano e quella della S. Famiglia a Fkenze, or-
mai in funzione; all'estero due piccoli seminari « carissimi al mio cuore»
- scrisse - fistituto di Unter Waltersdorf presso Vienna e quello di Tala-
vera presso Toledo nella Spagna, più la fondazione di Filadelfìa nel Nord
America -pei figli degli Emigrati Italiani; !le residenze missionarie a Com-
modoro Rivadavia in Patagonia e quella di Indanza fra i Jivaros dell'E-
quatore, fo sviluppo della Missione del Heung Shan rn Cina e fa Prefettura
del Rio Negro in Brasile.
A titolo di curiosità 'registriamo che nella circolare di gennaio del 1915
egli confidava pure le enormi spese in cui si trovava allora la Congregazione
che già negli ultimi anni della vita di Don Rua abbisognava di più di due mi-
lioni di lire solo pel mantenimento dei giovani orfani od abbandonati ogni
giorno, senza contare le « enormi so=e occorrenti per le Missioni fra i po-
poli selvaggi e le altre opere di civiltà e di religione ». Oggi che si gioca
a miliardi ,si può anche sorridere; ma allora che si tkava la cinghia, eran
preoccupazioni che solo zelanti e generosi Cooperatori aiutavano ad af-
frontare.
Nel furore della guerra era già miracolo conservare in efficienza le ope-
re che •sfuggivano alle operazioni belliche ed ai bombardamenti nelle nazio-
ni travolte t-ra sacrifici di ogni genere. Tuttavia qualche segnalazione l'ab-
biamo dalle circolari annuali del Rettor Maggiore, mentre compensava l'in-
cremento delle Missioni dove i selvaggi di un giorno maturavano per inse-
gnare nell'avvenire la civiltà cristiana ai belligeranti che sempre più spregiu-
dicatamente vi rinunziavano in questo mondo di gaudenti della società del
benessere. Ora uccidono, anche in tempo di pace relativa, migliaia di esseri
innocenti.
II Bollettino Salesiano di gennaio del 1916 ricordava nel 1915 J'inaugura-
zione della grandiosa cripta del tempio parrocchiale per gli italiani a San
Francisco di California e di quella del santuario di Maria Ausiliatrice a Mon-
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29.5 Page 285

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tevideo; la consacrazione del santuario a Maria Ausiliatrice ad Arequipa
nel Perù; dei restauri alla Pia Casa Sordomuti di Napoli; dell'ultimazione
del collegio ed oratorio S. Francesco di Sales in Buenos Aires .Mm.agro; l'as-
sunzione della ,parrocchia di Tanjore neLl'India; dell'assetto definitivo del-
l'Ospedale S. Giuseppe e della Colonia Agricola S. faidoro a Viedma di Pa-
tagonia; di due nuove ,residenze missionarie a Guatraohé nella Pampa e a
San Catfos di Bariloche nel Neuquen; una nuova fondazione con scuole po-
polari ed oratorio a Medellin in Colombia; un istituto a Tariba nel Vene-
zuela; un collegio per figli di Emigrati ,polacchi a Ramsey negli Stati Uniti.
Don Albera sottolineò pure il miglioramento dell'insegna-
mento catechistico con nuovi metodi didattici in parecchi Ora-
tori. A favorire il ministero pastorale il Bollettino italiano del
1916 iniziò la pubblicazione di un supplemento periodico pei
Cooperatori sacerdoti, che durò per quasi un triennio.
Del 1916 è fapertura dell'Istituto Don Bosco per Orfani di guerra
sulla dolce collina di Monteoliveto in Pinerolo e della Scuola pratica di agri-
coltura al Mandriane in Roma, che provvidero alle innocenti vittime della
guerra in Italia. Le operazioni militari e ile requisizioni governative obbli-
garono a trasferire temporaneamente i conv•itti di Alessandria, Fossano, Mo-
gliano Veneto ecc. Il Patronato di Venezia Castello sfollò a Trevignano, l'I-
stituto di Macerata a Genzano di Roma, quello di San Francesco di Sales da
Catania a San Gregorio.
A Tucuman in Argentina si aperse un istituto per figli di Emigrati ita-
liani; un altro fu iniziato a Camaguey nell'isola di Cuba per la gioventù
cubana; le Miss-ioni apersero una nuova residenza a Santiago di Mendez,
un'altra a Registro di .&raguaya nel Mato Grosso. Una sistemazione ecclesia-
stica eresse in vicariato apostolico la regione cilena dalla Prefettura della
Terra del Fuoco e J'affidò ad un vescovo salesiano cileno con sede a Punta-
renas. I primi sales1ani destinati alla Prefettura del Rio Negro nel Brasile af-
fidata a Don Lorenzo Giordano fissarono I.e prime tende a San Gabriel con
Don Balzola. Le cristianità del Heung Shan nella Cina da tre salirono a
quindici.
Nel 1917: il più cruento per tante nazfoni di Europa, si mise il collegio
di Cavaglià in Italia a disposizione dei figli dei richiamati sotto le armi, le
Figlie di Maria Ausiliatrice apersero asili per bambini e bambine orfani di
guerra in Alessandria, Chieri, Sassi, Grugliasco. Presso altre case d'Italia
e di America si apersero scuole serali e case del soldato per l'assistenza ai
militari, altre opere di assistenza ai figli dei richiamati rimpatriati per ser-
vizio. Nuove opere: l'assunzione dell'Istituto Elvetico a Lugano nel Canton
Ticino (Svizzera); nuove fondazioni ad Ayagualo nel Salvador e a Port Che-
ster negli Stati Uniti; una parrocchia a Biella, due nel Brasile ad Ascurra e
Luis Alves, tre nel Cile a Santiago, VaiLparaiso e Talea soprattutto per !.'as-
sistenza agli Emigrati, una a Cafio de Loro pei Lebbrosi in Colombia. Le
Figlie di Maria Ausiliatrice inauguravano sette nuovi Convitti operaie a Mi-
lano, Ponte di Nossa, Mathi Torinese, Varallo Sesia, Casino Boario, l'asilo
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Savoia a Roma, Oratori scuole e laboratori a Bosio cli Parodi Ligure, Rio-
maggiore, Remondò Lomellina, Biumo di Varese, Castelgrande cli Potenza,
Bova Marina. All'estero un colleg.io a Llnares nel Messico, un rutto a San
José di Costa ili.ca, una casa cli missione a Chauchamayo nel Perù, a Regi-
stro di Araguaya nel Brasile. Nuovo grandioso edificio a Valencia nella
Spagna e apertura parziale al culto del santuario di Lima nel Perù.
Il Bollettino del 1919 riportava l'elenco delle opere del 1918. Don Albera
ricordava anzitutto che ,tra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice &i erano po-
tuti accogliere circa trecento nuovi orfani di guerra nei vari istituti ed aiuta-
re più di cinquecento piccoli profughi dalle terre invase; poi la benedizione
ed inaugurazione del santuarietto a Maria Ausiliatrice sul colle Don Bosco
di fronte alla casetta di Don Bosco, soddisfacendo al voto fatto per la cessa-
zione della guerra. Metteva quindi in l:'ilievo l'avviamento dei due Oratori
torinesi a Borgo San Paolo ed al Borgo Monterosa, destinati alle zone più
periferiche con il progetto di ampio modemo sviluppo a servizio sociale oltre
alla cura dei giovani; J'u:ltimazione dell'istituto del Mandrione a Roma e del
complesso salesiano a Livorno e l'apertura di un Oratorio a Fiume. In Polo-
nia: un orfanotrofio a Kielce e una nuova casa a Cracovia. Negli Stati Uniti,
una casa di formazione a Cold Spring e il trasferimento dell'Orfanotrofio di
Hawthorne a Willamsbl:'idge. Le Figlie di Maria Ausiliatrice, oltre ad am-
pliamenti di sezioni in varie case d'Italia, a Salamanca in Spagna ed a Lima
Prado nel Perù, avevano assunto servizio di cucine economiche presso il
Dinamitifìcio Nobel di Avigliana (Tor.i.no), un nuovo convitto operaie ad
Aulla, servizio di ospedali militari a Casalmonferrato e a San Giorgio Lomel-
lina, una casa per giovanette profughe a Genova ed un'altra a Sant'Olcese di
Polcevera; a1ll'estero, Scuole con Oratorio festivo a Braz e Ribeirao Preto
nel Brasile per figlie di emigrati italiani, a Mahwah negli Stati Uniti per ii fi-
gli di operai addetti ad un grande stabilimento, a Lima nel Perù il servizio
in un lazzaretto ai colpiti da peste bubbonica.
Nel 1919, i Salesiani aperaero un Oratorio festivo a Roma presso la
chiesa di San Saba, a Venezia il Patronato Leone XII, a Palermo l'Istituto
Santa Chiara, ad Asti l'Oratorio della Vittoria, un istituto a Rimini, una
Colonia Agricola a Montechiarugolo; in Polonia, sei fondazioni a Rozany-
stok, una parrocchia con grande istituto per scuole professionali ed agricole,
ad Aleksandrow altra parrocchia con ginnasio, a Varsavia chiesa pubblica
con scuole popolari per esterni e scuole professionali, a Przemysl un ospi-
zio per giovani poveri ed abbandonati, a Glecza Ddlna una casa di formazio-
ne, in Baviera a Wiirzburg Casa ,pensione con Oratorio per artigiani; a
Freyung, a Passavia, a Graz e a Bamberga; come quella aperta a Wiirzburg;
nell'Austria assunsero un pensionato per giovani profughi dalla Venezia Giu-
lia e Tridentina, un altro per corrigendi a Vienna XVIII e un Oratorio con
chiesa pubblica a Vienna-Stadlau, nell'Ungheria un Oratorio festivo con
ginnasio a NyergensnjfaJn, in Jugoslavia un Oratorio a Lubiana Moste, in
Irilanda una Colonia Agrkola a Copsewood-Pahleshenry, in Brasile un Ora-
torio a Cruzeiro presso Lavrinhas ed uno studentato pei giovani confratelli
a New Rochelle negli Stati Uniti. La più notevole è quella di undici resi-
denze stabili in Cina nel nord del Cuantung.
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Le Figlie di Maria Ausiliatrice a Roma hanno allestito una scuola pro-
fessionale per operaie al Testaccio ed avviato un oratorio nel quartiere di
San Saba; una scuola professionale con giardino d'infanzia e oratorio a No-
vara Cittadella, a Tornaco, a San Nicolò di Ferrara, a Robbiate ed a Co-
merio, altre opere per l'educazione delle Figlie del popolo ad Alba, Piedi-
monte Etneo, S. Giovanni la Punta e a Senise, un convitto operaie a Maglio
di Sopra, orfanotrofi a Bova, Cammarata, Palermo, Tremestieri, Pegli e a To-
rino presso il Joro istituto prinoipale per orfani di guerra; una casa di cura
ad Asti e una colonia marina ad Ancona; un Patronato a Torrente ed una
casa ad Aiella nella Spagna; un esternato con scuole e oratorio a Ensena-
da nell'Argentina e una Scuola Normale a Bahia Blanca.
Nel 1920: in Italia, una parrocchia a Rimini ed un pensionato a Tra-
pani; una scuola italiana a Kaifa in Palestina, un convitto a Budapest in
Ungheria, un altro convitto per giovani desiderosi di abbracciare lo stato
ecclesiastico a Burghausen e un aspirantato salesiano a Ensdorf in Germania,
una casa di formazione ad Oxford in Inghilterra, una parrocchia con ora-
torio ·e progetto di scuole professionali a Salto nell'Uruguay, parrocchia ed
oratorio a El Pan nell'Equatore; assunsero poi la nuova Missione del Cha-
co Paraguayo con residenza a Fuerte Olimpo. La missione del Cuantung in
Cina venne eretta in Vicariato e Mons. Luigi Versiglia nominato vescovo vi-
cario apostolico.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice assunsero convitti operaie a Chieri, Oulx,
accolsero un centinaio di orfanelli nell'ex convitto Rotondi e apersero
un Orfanotrofio a VoltrJ per figli di marinai, nuovi as•ili con oratorio e
scuole di lavoro a Livorno, a Passalacqua, a Zoagli, a Ravenna e a Roma
presso l'orfanotrofio Gesù Nazareno, ampliarono e diedero nuovo assetto ai
quattro che già facevano funzionare a Torino per orfani di guerra; in Spa-
gna scuola diurna serale e domenicale per operaie ad Alicante e a Bellas
Vistas di Madrid; iin Belgio assunsero la direzione della scuola parrocchiale
a Liegi St. Gilles; in li,landa una scuola professionale e di economia dome-
stica a Limerik, in Brm,ile una casa di fomiazione a Ypiranga.
La circolare di capodanno del 1922 è a firma del Prefetto Generale Don
Filippo Rinaldi, che sarebbe succeduto a Don Albera pochi mesi dopo nel-
le elezioni del Capitolo Generale; ma, fedele alla tradizione, enumera le fon-
dazioni e variazioni degli ultimi mesi di vita di Don Albera. La principale
è l'assunzione della Missione dell'Assam: i missionari con a capo Don Luigi
Mathias ebbero ancora la benedizione e .l'abbraccio di Don Albera. Del
1921 è pure l'assunzione del vicarfato apostolico di Shiu-Chow con la con-
sacrazione del primo vescovo salesiano in Cina Mons. Luigi Versiglia e la
collaborazione di nuovi missionari a rinforzare il concorso di quelli del
Heung Shan. Dei cento, ,partiti nel 1921, parecchi rinforzarono la Missione
del Rio Negro con l'apertura di una casa a Manaos. In Italia si affidò una
sezione di formazione del personale alla casa di Castel de' Britti ed all'Ora-
torio di Schio. Un altro Oratorio venne aperto a Modena. Da rilevare lo
sviluppo delle opere di Essen e dell'Oratorio di Monaco di Baviera, oltre
l'apertura di una scuola popolare presso l'istituto di Tournay in Betlgio; la
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fondazione di una Scuola Agraria a Watsonville negli Stati Uniti e a Ge-
nera! Piran in Argentina.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice assunsero la direzione di una casa
per la protezione della Giovane presso iJ santuario della Consolata in To-
rino, un Giardino d'infanzia ad Asti, un Oratorio con laboratorio e dopo-
scuola ad Oulx, una scuola parrocchiale con asilo, laboratorio e oratorio ad
Arma di Taggia, un pensionato per Normaliste ad Alessandria, un Collegio
con oratorio festivo a General Piran, una ·scuola parrocchiale con oratorio
festivo ad Ascurra nel Brasile, una scuola gratuita per fanciulli a Jaquil nel
Cile, una casa climatica a Yauja nel Perù ed educandato per fanciulli della
Colonia Ltaliana a Puebla nel Messico. H Bollettino segnala anche l'assun-
zione di cura di guardaroba, laboratorio, cucina presso vari istituti sa[esiani
a Torino, Frascati, Chertsey e San Brancisco di California....
Sensibile lo ·sforzo di rispondere a particolari esigenze specialmente in
Europa dopo ,l'uragano della prima guerra mondiale.
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Dalla corrispondenza di Don Albera e di vari Salesiani
In una lettera a Don Rua, 3 giugno 1885, Don Albera si lamenta della
lungaggine di una pratica con il sig. Willemot, ex presidente della Corte di
Bésançon: « Io piuttosto lascerei andare la cosa e imparerei a trattare in
modo più deciso. Le mezze parole ci fanno disonore in Francia. Bisogna che
consideriamo fin dove possono arrivare la nostre forze e arrestarci là... ».
Il 4 luglio 1885 espone a Don Bonetti le note dolenti della casa (il co-
lèra, il vaiolo, un confratello quasi consunto dalla tubercolosi, altri ammalati,
compresi cinque giovani con febbre alta... e fastidi d'altro genere)... « Ti assi-
curo che non ne ,posso più. Non scrivo a Don Bosco perché 1o contristerei
troppo. lo non mi ,sento di continuare fino a settembre (scadenza del suo
primo triennio) di questo passo. Prega il Signore che mi mandi piuttosto
una malattia, ma che .cii tolga da questo stato e se fosse ,possibile... Ma sia
fatta la volontà di Dio! ... ».
11 18 luglio 1885 dà notizie a Don Bosco del miglioramento generale di
salute e gli manda fa domanda di un aspirante alla professione: poi gli
presenta ,le ,scuse per il poco rispetto del portiere ad una benefattrice bene•
merita, pregandolo di scrivere anche lui due buone parole; e aggiunge:
« Quanto mi pare lungo quest'anno! Mi aiuti, caro Don Bosco! I giovani
sono assai bene avviati e pregano molto per lei. Dei confratelli, alcuni si
ammazzano per fare andar bene le cose, altri sono sempre gli stessi e fanno
soffrire... Mi benedica e preghi per me... ».
Il 21 dello stesso mese, postillando i particolari dell'offerta di una per-
sona degna di fiducia (sig. Mingardon) aggiunge qualche spiegazione per Don
Durando: « Secondo il mio povero giudizio non bisognerebbe lasciare sfug-
gire questa occasione: i vantaggi sono considerevoli e i pesi sono di tal
natura da poterli sopportare, malgrado la debolezza delle nostre forze. Del
resto noi sfamo interamente sottomessi ai nostri superiori, a cui solo tocca di
decidere questa grave questione. Certamente l'esempio di Torino ci deve
far riflettere seriamente. Ma noi siamo ben lungi dal fare le cose come
costl. Restiamo sbalorditi quando si visita la stamperia e altri laboratorii
dell'Oratorio. Noi cercheremo il vantaggio materiale più che fa bellezza
esteriore...». (Don Bosco deplorava perfìn del lusso nell'ufficio del capo
della tipografia - V. M. B.).
A Don Rua, ,il 17 novembre 1887, manda copia delle convenzione col
sig. Willemot ed aggiunge: « U mio viaggio a Parigi e quindi a Lilla fu tran-
quillo, forse più di quella della S. V. ad Ambérieu, Fui molto in pena a Bé-
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sançon nel vederla partire in terza classe in sì poco gradevole compagnia.
Veramente bisognerebbe che qualcheduno le facesse comandare da Don Bo-
sco di non far più così. I confratelli tutti, se sapessero le cose non potreb-
bero a meno di averne molto dispiacere. Arrivato a Parigi, trovai già 1'itor-
nato il nostro caro Don Ronchail, perciò mi fermai colà tutto il giorno
della domenica e i due giorni seguenti. Profittai dell'occasione per legge-
re la convenzione che ella fece col sig. Willemot... Don Ronchail è assai con-
tento e fa camminare assai bene la -sua casa. A Parigi si fa quakhe poco di
bene. A Lilla non c'è male: pare che i confratelli siano bene animati, e do-
po la :paDtenza dri quelli che non si ,regolavano guari bene, pare che vi sia
unione fra di ,loro... Tutti quelli che noi vediamo ci domandano delle
nuove di Don Bosco... Bisogna ben che i nostri superiori sappiano le cose
e ci aiutino, specialmente che noi ci troviamo in questo stato per cagione del
noviziato che urgeva •sistemare in Francia. La prego di ,presentare i. miei os-
sequi a D. Bosco e di ricordarsi di me nelle efficaci sue preghiere. Suo um.mo
servitore P . Albera».
In una del 16 giugno 1888 (dopo Ja mor.te di Don Bosco), Don Afbera
si giustifica dall'accusa di qualcuno che ricorreva direttamente a dar noie
ai superiori di TorJno perché « Don Albera non scriveva mai ai Direttori»...
Cose di questo mondo...
Una lettera interessantissima del chierico Scaloni Francesco, del 3 marzo
1887 a Don Rua in cui dà ampie notizie della Casa di Mar-siglia:
« Qui 1'Esercizio della Buona morte ilo si fa bene per davvero. Non
potendo tutti in una medesima giornata, lo si fa in due, in una gli assisten-
ti, nell'altra i maestri. Al mattino, finita la Messa degli ADtigiani, si va
nella cappella, e qui confessioni e Messa pei confratelli; si sta quindi ad as-
sistere alla Messa degli studenti, come per ringraziamento. Alle 9 e mezza,
si ,rientra nella cappella e, dopo tre quarti d'ora di meditazione, comincia il
super.iore a proporre vari punti intorno a cui esaminare la nostra coscienza:
cosl fatto l'esercizio torna di grande vantaggio: si esce alle 10 e mezzo e vi
si ritorna alle 11 e mezzo per la lettura spirituale (cosa di tutti i giomi alla
medesima ora).
Alla sera poi, conferenza dove per lo più 1,i svolge qualche punto asce-
tico, con grande consolazione e profitto delle anime nostre. E questo per
tutti due i giorni, nei quali si usa pure fare da tutti i confratelli il. rendi-
conto. La pietà e 1a puntualità dei confratelli nel trovarsi a queste pratiche
dà loro un carattere -sommamente pio : ah, se ,in tutti i collegi fosse la mede-
sima cosa!
Il sig. Don Albera è infanticabile: egli fa la scuola di filosofia (ché non
tutti i chierici sono ammessi alla teologia) e di latino alle quali classi tutti,
preti e non :preti, vi ci si devono trovare, tolte ben inteso 1e culminanze.
Per me resto meravigliato che possa durare a tanto (Don Albera): solo, fa per
tire; altrove ove sono meglio di tre non fan per uno. O tempora o mores!...
Di musica, di canto nulla [e dico: è la casa modello, senza offendere alcuno:
intendo canto religioso.
Qui si dice che i giovani Marsigliesi sono troppo vispi; sarà, ma quello
che è certo son molto buoni, hanno un gran cuore. La si figuri che non
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30.1 Page 291

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meno cli 15 ·studenti si accostano tutte le mattine alla S. Comunione, e non
sono più cli 70 (in tutto)...
Io credo che questo sia il miglior criterfo per giudicare, e lo prova la
loro condotta esterna, nella quale, fatta qualche rara eccezione, sono cli mo-
de11.o a molti. Quante vocazioni, (parlo sempre cli studenti), quante vocazioni
verranno fuori cli qui! Certo è che non tutto è oro e c'è qurucuno che stona...
Si lamentano dei giovani, ma io credo che :H male vien da loro che non H
sanno tenere... A proposito c'è Ramella, il capo ferraio, che fa marcher i suoi
giovani come tante gioie: ne awà sotto cli sé un 18, ma degli artigiani sono
i più disciplinati; li vedesse in fila non osano parlare, e sono artigiani! ... Al-
la domenica ,poi quasi tutti, insieme col loro capo, si accostano alla santa
Comunione, formando cosi l'edificazione dei compagni.
Di qualcuno che viene da S. Benigno pare farebbe bene a ritornarsene:
giorni sono si fece la vestizione di un tale che fu tosto mandato a Nizza do-
ve pare che il numero dei chierici conti poco; ma lei saprà meglio cli me
quello che avviene là entro. Mi dimenticavo cli parlarle cli Mora: il pove-
retto è qui che lavora e lavora molto; a=alatosi il cuciniere, si è offerto ad
aiuto, senza inttalasciare i suoi ordinari lavori che comprendono la spedizione
dei Bollettini francesi e la contabilità di tutta la casa. Mi parla spesso del
passato: è sfortunato, non traviato: qualche volta non è ,padrone di sé, ecco
tutto. Attende Don Bosco, io faccio voti perché sia esauruto. Mossetto mi ha
scritto; nella lettera ad Urbano ne parla a lungo: favorisca Jeggere là so-
pra quello che egli pensa... di me stesso: sanità ,perfetta, studio quasi nulla...;
lavoro cli indoratura...; nell'animo, tranquillo; la memoria della casa e dei pa-
renti, poco mi disturba; all'avvenire ,poco ci penso, riposando sulla sua pa-
rola di galantuomo... giuoco molto ed è bello vedermi in mezzo ai giovani
correre come un disperato (qui sono un gran corridore) e alle vdlte parlare
un po' italiano, francese, piemontese per farmi intendere... i giovani ci pren-
don gusto e mi vogliono far giocare anche con mia... poco buona voglia. Non
c'è più posto per la chiusa: gliela ,spedirò quando sarà arrivato Don Bosco... ».
N.B. Questa lettera del giovane chierico, che fu poi ordinato sacerdote
in dicembre, conferma quanto scdveva già il. 16 novembre 1884 Don Bella-
my: « Don Albera fa esercizio esemplare di buona morte per tutti in casa
a Mars-iglia specie agli ascdtti... » ... In quest'anno il numero dei giovani
studenti ed ar-tigiani era già cresciuto, nel 1881 erano 130, 86 interni e 44
esterni. Gli artigiani erano tutti interni (da una relazione stampata presso
la tipografia Mario Olive e redatta dall'abate Mendre, quando arrivò Don
Albera). Opera cli Don Bologna.
In una lettera del 3 ottobre 1881, Don Fasani scriveva a Don Savio, a
Torino: « P.S. Ora abbiamo qui a Marsiglia il caro Don Paolo Albera ispet-
tore e le cose della casa sembra che prendano più buona piega».
Nelle « memorie » di Don Rivière: « ... y on dit que a Marseilile on a
feté Don P. Albera en 1887 et 1890 » (pag. 29)...
« Don Albera laissa à Marseille la reputation d'un saint. A sa foi en la
Providence et à son initiative est du la construction des ateliers actuels dont
la inauguration coincida avec son trasfert au Chapitre Superieur. Il fot très
aimé, on dirait presque adoré des enfants et de tous ceux qui furent avec
lui en relations intimes » (pag. 22).
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« ... sur désir du rev.me Don P. Albera» è stata trasferita la sede ispet-
toriale delle Case della Francia-sud da Marsiglia a Lione, nel 1921 (pag. 35).
« ... Il lavoro definitivo circa l'Oratoire St. Léon, come desiderò il com-
pianto Don Albera avrà anche la storia in sintesi della persecuzione religiosa
in Francia» (pag. 40).
« Nel 1922, ,i.!l 5 febbraio, ci fu a Marsiglia una grandiosa manifesta-
zione alla memoria del compianto Don P. Albera... e sl che egli a Marsi-
glia era stato nel 1911 in incognito; nel 1913 dn pubblico, come nel 1921 »
(circ. pag. 14).
Da lettere di Don Bellamy. Da Ascona (Svizzera) il 3 maggio 1902: « lei
votre absence... sembra lunga, troppo lunga, lunghissima; i confratelli e tutti
la desiderano: tutti si aspettano che lei tornerà al più tardi per l'epoca de-
gli esercizi spirituali. Sarà vero? ... Chissà quanti e quali benefici ai confra-
telli di America con la sua visita... In Francia lei non è dimenticato, anzi...
la mia lunghissima lettera le darà occasione di pensare un po' di più alla
sua cara Francia... » (pag. 14).
In una lettera del 16 febbraio 1906 Don Virion pregava Don Gusmano
di dire a Don Rinaldi, che Don Albera non credeva bene di rinviare un con-
fratello in famiglia, perché non si sarebbe fermato e sua zia era troppo po-
vera per provvedere anche a lui.
Il 13 febbraio 1921 fo stesso assicurava Don Gusmano sulle condizioni
della salute di Don Albera, festeggiato in Francia pel suo Giubileo d'Oro
sacerdotale: « Le bon père a pu supporter ,les seances, visites à faire ou rece-
voir dans les differents maison où il s'est déjà arreté, à Nice, à La Navarre,
à St. Cyr, à Marseille enfin; pour Je moment, à St. Margherite. Partout le
vénéré Supérieur a été reçu par les enfants, les jeunes gens de nos Pa-
tronages, les anciens, les confrères, les Coopérateurs et Coopératrices com-
me le successeur du venerable D. Bosco. Plusieur,s familles de nos dévoués
Coopérateurs se sont présentées, dans les differentes maisons, au complet,
père, mère, enfants, pour obtenir la benediction du successeur de D. Bosco.
Les anciens élèves, a Marseille surtout, sont venus au grand complet, malgré
une pluie buttante... Jusqu'à ce jour, bon voyage, assez bonne santé, fatigues
bien supportées, receptions enthousiastes... Deo gratias!... ».
Ancora Don Béissière, il 14 maggio 1921, scl.'iveva a Don Gusmano che
in Francia tutti facevano voti ed innalzavano preghiere a Dio per la conser-
vazione della salute di Don Albera « qui nous est si precieuse... ». Si dichiara-
va poi disposto a fare quello che Don Albera avrebbe deciso « pel suo bre-
viatio »; egli non si sentiva ancor ben rimesso in salute ed H lavoro che ave-
va era opprimente.
In una lettera di auguri pel suo onomastico (21 giugno 1921) l'Ispet-
tore Don Béissière faceva gli auguri dei Francesi: « ... Mon Père, on le re-
specte, on le vénère, mais surtout on 1'aime... Vos fils de France vous re-
spectent, vous vénèrent, mais surtout vous aiment du premier au dernier...
tous, sans exception. Je n'insiste pas, Père, car tout cela vous le savez. Nous,
vous redisons toute notte bonne volonté pour devenir toujours de plus en
plus fideles à nos saintes regles, dociles enfants du venerable D. Bosco et de
son digne successeur... ».
274

30.3 Page 293

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***
Nessuna nota discordante? ... Due lettere abbiamo trovato: una di un
ex-salesiano che si fece agostiniano. Egli confidava che da ,principio aveva avu-
to l'impressione « che Don Albera non capisse la mentalità francese; ma poi,
un colloquio con lui lo aveva pienamente soddisfatto »... Era lui che aveva
un'altra vocazione...
Un'altra lettera ci fa sentire il lamento di qualcuno che Don Albera
amasse comandare e scegliesse solo italiani per la direzione delle Case... Nes-
suna meravig1ia: egli agiva secondo direttive di Don Bosco, il quale, anche
per l'Italia faceva direttori i salesiani che gli erano a fianco da più tempo,
perché riteneva che « finché le Case avessero direttori salesiani vissuti a l.un-
go al suo fianco, le cose sarebbero andate abbastanza bene... »; dopo, soleva
ripetere, « rimettiamo tutto nelle mani di Dio... ».
Cosi all'estero è anche umana prudenza preporre superiori che abbiano
assimilato lo spirito dei fondatori, perché ogni Famiglia religiosa ha il pro-
prio spirito: altro è lo spirito degli apostoli di élites, ed altro lo spirito degli
apostoli di massa. Don Bosco è di quest'ultimi. Contemporaneo di Cado
Marx, organizzatore di masse, Don Bosco (nato tre anni prima e morto tre
anni dopo) è apostolo delle masse operaie fin dall'adolescenza, per educarle
alla cristiana collaborazione di classe, non di lotta... Tant'è che, quando Don
Albera cominciò a far nominare Ispettori e Direttori francesi, fece ottime
scelte che assicurarono la ,prosperità dell'Opera salesiana ed il progressivo svi-
luppo fino ad istituti imponenti, ad una magnifica fioritura di vocazioni e
di missionari di gran valore... Se non ci fossero state tante persecuzioni anti-
clericali, ancor oggi ne vedremmo...
Gli italiani, del resto, che furono mandati in Francia, si affezionarono
tutti cosi fortemente e cordialmente, che li abbiamo sentiti noi stessi parlar-
ne con fervido entusiasmo... In tutte le cose ci vuole il tempo adatto...
Don Bellamy, 18 marzo 1884, scriveva a Don Barberis: « La prego anco-
ra di rinnovare presso Don .Albera, i. miei sentimenti rispettosi; non posso di-
menticare che questo buonissimo superiore fu il primo salesiano verso cui la
Provvidenza divina mi ha condotto forse da altra casa, S. Benigno? ... quando
Don Barberis si preparava ad andare in Francia...?)».
Nel 1928 all'accademia commemorativa del 50° dell'Oratorio S. Leone
di Marsiglia: « Don Albera... resterà toujours notre honneur. On l'appelait
ici le petit Don Bosco, tant était grande sa piété et tant il émanait de sainteté
de toute sa pe.rsonne ».
275

30.4 Page 294

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Ricordi e confidenze
Come erano belli!... Ad Ancona, nell'attesa cli un Convegno di Direttori
Diocesani e Decurioni cli Cooperatori Salesiani, ~tavo ossequiando i Vescovi
che onoravano l'adunanza. Ad un tratto l'Arcivescovo cli Fermo Ecc.mo Mons.
Norberto Ferini, prendendomi a braccetto, esclamò: - Com'eran belli, ca-
ro Don Favini, gli antichi salesiani dei tempi cli Don Bosco: Don Rua, Don
Albera, Don Francesia!...
Me ne ricordo come fosse ieri...
Non eran solo buoni, nella più alta e più ampia espressione del termine.
Traspariva dal loro aspetto, dal loro tratto, dalle loro parole, una bellezza
interiore, il candore cli un'anima cosi pura, da farci quasi sentire il profumo
del crisma battesimale. Riflessi - forse anche fisiologici? - cli quell'assoluta
innocenza di pensiero (che inculcava anche il Manzoni per attendere con pro-
fitto agli studi). Favorisce l'innocenza del cuore. Non rari neppure ai nostri
giorni, e non ,solo nelle persone consacrate a Dio nell'amore totale, ma an-
che in tanti buoni cristiani che vivono rettamente in famiglia l'amore fedele
sublimato dalla grazia sacramentale del matrimonio.
Don Albera, fra i tanti, che io conobbi all'inizio del suo rettorato, nel
1910, affascinava anche con la soave mitezza del suo sguardo, con la tene-
rezza della sua pietà.
La fotografia ne ha fissato i lineamenti nel fervore dell'adolescenza con
la presa del 1861, quando lo ritrasse nell'atto cli confessarsi da Don Bosco
con altri allievi cli allora. Don Bosco gli aveva detto: « Vieni qui, mettiti
in ginocchio e appoggia la tua testa alla mia, cosi non ci muoveremo ». (Si
noti che era solo una posa per [a fotografia. Voleva dare un modello ai con-
fessori, come accostare i giovani pel sacramento).
E vien da pensare alla gioia che provava Don Bosco, e che manifestò
più volte descrivendo il candore angelico cli un bel numero di quei giovani,
umili figli del popolo che nobili persona1ità del tempo additavano ai loro fi-
gliuoli conducendoli a Valdocco nella cappella cli S. Francesco cli Sales a
vederli pregare.
Era la sua più grande consolazione protrarre l'incanto dell'innocenza,
tra gli allievi dei suoi Oratori e delle sue scuole. Quante volte lo disse!...
L'innocenza, la purezza conservata o riconquistata decisamente, è la
virtù che garantisce lo sviluppo normale dell'amore che esige la totale e de-
cisa donazione cli un'anima al servizio di Dio e dei fratelli, specialmente nel
sacerdozio e nella vita religiosa consacrata.
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30.5 Page 295

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~ fa virtù che condiziona le vere vocazioni. A questa autentica fioritura
di gigli si deve soprattutto, dopo la grazia di Dio e la materna assistenza di
Maria SS., lo sviluppo e la benefica missione di apostolato educativo e pa-
storale delle Famiglie Salesiane.
Altra virt ù caratteristica dn Don Albera era l'amabilità della genuina pe-
dagogia della scuola di Don Bosco.
I cari ,superiori, che noi abbiamo ancora conosciuto, la incarnavano.
Vederli e correre loro incontro e disputarci la familiare confidenza con loro,
ci venivano istintivi anche nella foga delle più animate ricreazioni, alle qua-
li essi amabilmente ci rinviavano dopo una buona parola, uno sguardo af-
fettuoso che a noi davano la sensazione di trovarci, non in un collegio, ma
in una seconda famiglia, spesso migliore della nostra famiglia naturale.
Cosi sentii io Don Albera fin dal primo incontro. E ne provai la dedi-
zione paterna, quando, alunno di prima ginnasiale, salii al suo studio, lo
stesso studiolo di Don Bosco e di Don Rua, a raccomandargli il mio babbo,
semplice caposquadra cantonieri delle ferrovie dello Stato, che si presentava
ad esami per un avanzamento. Don Albera me lo raccomandò al Capo Com-
partimento, che rispose con una lettera gentilissima anche se non fo poté
favorire, perché troppo scarsi i suoi studi. Povero papà, aveva fatto solo
le prime tre classi elementari e poi, a quarant'anni, le scuole tecniche serali,
dopo giornate di lavoro estenuante, mentre io le frequentavo di giorno con
tutta comodità... sugli stessi banchi! ... a Nizza Monferrato, dove ci eravamo
trasferiti nel 1908.
Abitualmente noi ci sentivamo a nostro agio. All'Oratorio si respirava
aria di famiglia, non di una semplice comunità di religiosi; ma - come ben
scrisse Don Valentini nel numero di maggio-agosto 1974 di Rivista di
Scienze dell'Educazione - fra « educatori che formano con gli educandi
un'unica comunità educativa, un'unica famiglia» (op . cit., p. 196).
Egli mi accolse in Congregazione. Egli mi benedisse e mi diede la ta-
lare, nel noviziato di Foglizzo Canavese, Torino, il 28 novembre 1915.
E inculcò a me ed agli altri miei compagni di vestizione, di porre dei
buoni principi, farci un metodo di vita e ['abitudine della virtù. Il Maestro
di noviziato, un uomo di Dio, Don Domenico Canepa, ci distribul u,n ricor-
dino con la fotografia di Don Albera e queste sue direttive a tutti i sale-
siani: « Vuoi sapere se hai veramente lo spirito di Don Bosco? Esaminati
bene: 1) Se il tuo carattere è costantemente uguale e santamente allegro;
2) Se la tua carità verso il prossimo è veramente dolce e paziente; 3) Se vivi
come una vittima ognor disposta al sacrificio.
Quando ricevette la nostra prima professione religiosa, il 21 ottobre
1916, dopo un bel corso di Esercizi spirituali predicatoci da Don Luigi Ver-
siglia, poi vescovo martire di Shiu Chow (Cina) e un altro missionario, Don
Quaini, mi suggeri all'orecchio: Considera sempre la tua vocazione come una
grazia di Dio. Il giorno prima, al termine di un colloquio personale: « Massi-
ma confidenza nei superiori e coraggio ». Ricordi preziosi, indimenticabili...
Nell'autu,nno del 1918, dopo un violento attacco dell'influenza detta
popolarmente «spagnuola», che fece tante vittime anche in Italia, fui tra-
sferito dalla Casa salesiana di Penango Monferra,to (ove avevo trascorso il mio
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30.6 Page 296

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primo anno cli triennio pratico assistendo oltre un buon centinaio cli ottimi
« Figli cli Maria », vocazioni adulte, e facendo da quattro a cinque ore cli
scuola quasi ogni giorno), alla Casa-Madre cli Valdocco, dov'ero cresciuto,
in Torino, per sostituire come assistente ·in quarta ginnasiale il caro Don
Ignazio Bonvicino inviato con il Coacliutore Serafino Proverbio e il Diretto-
re Don Luigi Va11isco, ad iniziare l'opera dell'Oratorio S. Paolo nel sobborgo
cittadino che porta il nome del grande Apostolo.
L'Ispettore mi presentò al Direttore Don Bernardo Savarè con un sem-
plice biglietto da visita. Ma questi non mi volle ricevere senza la formale
Lettera di Obbedienza perché gli premeva trattenere Don Bonvicino.
Mi diressi quindi a Fog1izzo dove si era recato 'l'Ispettore per fa ve-
stizione dei novizi cli quell'anno a richiedere il documento ufficiale.
All'uscita di refettorio, dopo l'orclinaria refezione cli mezzogiorno, in-
contrai Don Gusmano che doveva accompagnarvi Don Albera a compiervi
la funzione religiosa. Appena udl il mio caso: - Bravo! - mi clisse - co-
si accompagnerai tu il Rettor Maggiore. E mi fece dare il denaro di viaggio.
Io ben contento, attesi Don Afbera, l'accompagnai a piecli alla stazione cli
Porta Susa, donde partiva la ferrovia canavesana, e presi il biglietto di
prima classe. Don Albera, quando vide quel biglietto si rabbuiò tutto rattri-
stato: - Ma cos'hai fatto? Sprecar cosl i denari per un viaggio tanto
breve! ... Ebbi un bel protestare che la Canavesana aveva solo due classi,
non tre come allora nelle Ferrovie della Stato, e non mi ,pareva conve-
niente un sedile di legno per lui già avanzato ,in età, ecc. Stentò a rassegnarsi
ed a salire in quella prima che era ben poca cosa anche in confronto delle
seconde classi di oggi.
L'Ispettore invece andò sulle furie per la pretesa della lettera di obbe-
dienza da parte del direttore di Valdocco: mi trattenne a Foglizzo per tutta
la festa, mi ricondusse a Torino riaccompagnandovi anche Don Albera e a
Torino mi stese il documento che decise la mia accoglienza regolare nella
casa, fra giovani carissimi.
Nel settembre del 1921, eccomi l'Obbedienza per il Collegio Morgando
di Cuorgnè Canavese, dove urgeva personale. Un giorno, attesi che Don Al-
bera uscisse dal santuario dopo la visita quotidiana del pomeriggio, per salu-
tarlo.
Egli ci sofferse: - Ma perché ti mandano via?... Proprio adesso che
stai per prendere Messa! ... Ma il tuo posto è qui! - mi ripeté, come altre
volte ...
Poi, mentre io gli davo le spiegazioni, tentò di consolare me, che pure
ci soffrivo ad allontanarmi da Valdocco: - Ebbene, guarda: fanno venturo
non ascolterò più nessuno. I superiori mi mandano sempre a passare qualche
giorno di sollievo d'estate nella Casa di Lanzo Torinese. E non vogliono ca-
pire che quell'aria è troppo forte per me... L'anno venturo vengo a Cuorgnè
dove l'aria è più mite, a passare quei giorni con te.
E mi beneclisse affettuosamente... Caro Don Albera! Verso la fine di
ottobre, egli volava in Paradiso... ed io non potevo neppure accorrere ai
suoi funerali, ·impegnato nella scuola... Ricorcli ineffabili!... Ne lascio altri
anche più confidenziali.
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A tutti i salesiani
per il Centenario clelJa nascita di Don Bosco
1815 - 16 agosto - 1915
Vuoi sapere se ,possiedi lo spirito del Ven. D. Bosco.
Esaminati bene:
1. Se il tuo carattere è costantemente uguale e santamente allegro.
2. Se fa tua carità verso il prossimo è veramente dolce e paziente.
3. Se vivi come una vittima ognor disposto al sacrificio.
Ti auguro che fa tua coscienza possa rispondere affermativamente a
queste domande.
1° Gennaio 1915
Sac. P. Albera
Il suo programma personale:
Avrò sempre Dio ,in vista
Gesù Cristo qual modeHo
L'Ausiliatrice in aiuto
Me ,stesso dn sacrificio
Me stesso dn sacrificio
(v. pag. 168)
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30.8 Page 298

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Un saggio agli Inni ufficiali che aprivano e chiudevano
l'Accademia neJl'annuale festa onomastica al Rettor Maggiore
A Don Alhera 1914
Versi di don Lemoyne
Musica del M° Cav. Dogliani - A pieno coro e banda
Non chieggo alle aurore - incanti novelli,
Ai monti e alle valli - profumi di fiori,
Non chieggo alle cetre - i suoni più belli,
Ai figli non chieggo - l'omaggio dei cuori
Nel giorno a Te sacro, - o caro DON ALBERA,
Che atteso con ansia - alfi.ne spuntò.
È al Ciel che abbiam chiesto - coi voti più ardenti
Un dono, un trionfo - di gloria immortale,
Modello di eccelse - virtudi alle genti
Del mistico Agnello - a mensa regale:
Un dono che solo - coll'inno di un t1lflgelo
Sovr'arpa divina - cantare si può.
Arcana una nube - si avanza e m'investe,
Ogni atomo vibra - diversa armonia;
Si svela al mio sguardo - la Reggia celeste
E assisa tra' gigli - appare MARIA:
Oh! come quell'aura - che è pregna di balsami
Ravviva nell'alma - la gioia e l'amor.
Accanto a quel soglio - qual raggio d'aurora
di SAVIO DOMENICO - risplende il sembiante:
Bi l'atrio ed il tempio - vicino alla Dora
Contempla commosso - saluta festante :
E vòlto alla V ergine - invoca con giubilo
Su Te e su' tuoi figli - di grazie i tesar.
E a Te... un chirografo - la Madre di Dio
Protende, o DON PAOLO, - qual pegno di affetto;
Sta scritto su quello - il nome di PIO,
Annunzio di aureola - pel suo prediletto:
Avrà dei suoi santi - la Chiesa nel numero
Chi in cielo beato - al fianco Le sta.
« È questo » proclama - la dolce Regina,
« L'evento che un giorno - predisse GIOVANNI:
È questo l'Allievo - cui luce divina
E gloria è serbata - nel corso degli anni:
Bi guida ad immensa - falange di giovani
Sarà verso il Regno - che fine non ha... ».
280

30.9 Page 299

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Ed ecco una turba - vestita di luce
Discende in trionfo - dai troni di gloria:
DON BOSCO: precede - _lor padre, lor duce
Nell'aspra sul mondo - sudata vittoria...
È selva le palme - che stringon le destre!
Sorride il gran Padre - sorride il Discepolo...
E un canto ineffabile - allieta l'Empir!
Amato DON ALBERA, - quel cantico dice
Che già del Tuo nome - risonan le sfere...
L'Ausilio Materno - ti arride felice;
T'avanza! Ti seguano - a mille le schiere,
Gli amori di SAVIO - in esse rivivano:
E sotto tal egida - nessun dei discepoli,
Nessun dei tuoi figli - potrà mai perir!
Don G10v. BATT. LEMOYNE
**
Con particolare riconoscenza a Dio che mi ha consendto di condurre a
termine anche questa biografia e completare cosl la trilogia: Vita di S.
Giovanni Bosco (SEI-Torino); A metà con Don Bosco (LDC-Leumann To-
rino); Don Paolo Albera « Le Petit Don Bosco» (SEI-Torino). Sotto un'an-
golatura ,speciale di famiglia « nella vita e nella •storia della Società Sale-
siana ».
Ringrazio di gran cuore S.E. Mons. Raffaele Forni che mi ha stimolarto,
incoraggiato ed aiutato fino all'edizione con una presentazione in anteprima
sul « Giornale del Popolo» di Lugano, riportata, in gran ,parte, come prefa-
zione; poi i Superiori, specialmente il Segretario del Consiglio Generalizio,
con l'équipe del suo dicastero, specialmente Don Luigi Tavano, che mi ha
perfin tradotto la bel:lissima edizione inglese della vita di Don Albera scritta
dal carissimo Don Angelo Franco e pubblicata dai Salesiani degli Stati Uniti;
il rev.mo Don Sante Garelli che mi rivide pazientemente il manoscritto; Don
Angelo Garbarino, che mi rivide Ja parte dalla casa di Genova-Sampierdarena;
il Direttore della Casa Salesiana di Nice (Francia) e Don Giuseppe Manguet-
te della Casa Salesiana di Liégi che mi hanno favorito fotografie dei tempi di
D. Albera; la Scuola Grafica di Valdocco è la SEI; i carissimi Exallievi e be-
nefattori che concorsero a spese di stampa e collaborano per la diffusione.
281

30.10 Page 300

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Fonti biografiche
Memorie biografiche di Don Bosco, D, G. B. Lemoyne, D. A. Amadei,
D. Eugenio Ceria, SEI, Torino.
Annali della Società Salesiana, D. E. Ceria: specialmente il volume IV,
SEI, Torino.
Don Paolo Albera, D. D. Garneri, SEI, Torino 1939.
A lamp resplendent. D. Angelo Franco: versione di D. Luigi Tavano.
Bollettino Salesiano, Edizioni italiana e francese.
Lettere circolari di Don Albera ai Sruesiani, SEI, Torino.
Lettere circolari ai Salesiani militari nelJa guer,ra 1914-1918, SEI, Torino.
Epistolario di S. G. Bosco, D. E. Ceria, 4 volumi, SEI, Torino.
Profili di Capitolari Salesiani, D. E. Ceria, LDC, Torino-Leumann 1951.
Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana, prime annate, SEI, Torino.
Don Bosco a Genova. Numero unico commemorativo del Centenario dell'O-
pera Salesiana da Marassi a Sampierdarena 1871-1971.
Altre pubblicazioni minori, occasionali, commemorative...
282

31 Pages 301-310

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31.1 Page 301

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INDICE

31.2 Page 302

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31.3 Page 303

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Presentazione in « anteprima »
7
PARTE I - CON DON BOSCO
11
I tre
13
All'Oratorio di Valdocco
15
Lucerna e chitarra
20
Professione religiosa e studi
22
A Mirabella Monferrato
25
Gelosia d'amore
27
A metà con Don Rua
33
Primo Direttore dell'Opera Salesiana a Genova-Sampier-
darena
36
Da Marassi a Sampierdarena
41
Un decennio di direzione
49
Primo Ispettore delle Case Salesiane di Francia e Belgio 62
L'aiuto della Madonna
71
Al tramonto della vita di Don Bosco
78
Dopo la morte di Don Bosco
85
PARTE II - DIRETTORE SPIRITUALE GENERALE
DELLA SOCIETÀ SALESIANA
89
Obbedienza
91
A Torino
95
285

31.4 Page 304

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Verso il IX Capitolo Generale
106
XXV delle Missioni Salesiane - Visitatore delle Case
d'America
110
A Buenos Aires pel II Congresso Cooperatori Salesiani
114
Alla Terra del Fuoco e per gli altri Stati fino al Nord
America
118
In Brasile
122
Il secondo anno in America
125
Dall'Atlantico al Pacifico
127
Dai Bororos ai Jibaros
135
Fra i Lebbrosi
141
Dal Messico agli Stati Uniti
146
A Torino. Incoronazione di Maria Ausiliatrice e Corona di
Don Rua
151
Il X Capitolo Generale
155
PARTE III - RETTOR MAGGIORE DELLA SOCIETÀ
SALESIANA
163
L'XI Capitolo Generale - L'elezione
165
Fra croci anticlericali e flagelli internazionali
171
Il 1° Congresso degli Exallievi
177
In Inghilterra e in Belgio
180
Per Case d'Italia
183
Cinque mesi nella Spagna
187
Tra le Figlie di Maria Ausiliatrice
192
Nella bufera della prima guerra mondiale
195
Dal 1915 al 1918
200
Il Centenario della nascita di Don Bosco
205
Due Giubilei d'Oro
214
La Messa d'Oro nel Giubileo della Basilica di Maria
Ausiliatrice
219
Lo sguardo a Don Bosco
229
Monumento di bronzo - Tripudio di cuori
236
Dai Congressi alle Feste
242
Sulla breccia fino alla chiamata del Padre
245
La divozione a Gesù Adolescente
252
286

31.5 Page 305

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Quanto di Don Bosco viveva in lui
260
Conclusione
263
Appendice
265
Fondazioni ed opere nuove durante il Rettorato di Don
Albera
265
Dalla corrispondenza di Don Albera e di vari salesiani 271
Ricordi e confìdenze
27 6
A tutti i salesiani per il Centenario della nascita di Don
Bosco
279
Un saggio degli Inni ufficiali che aprivano e chiudevano
l'Accademia nell'annuale festa onomastica al Rettor Mag-
giore - A Don Albera nel 1914
280
Bibliografia
282
287

31.6 Page 306

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lire 3000
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