1995_ViganoE_Interiorita_apostolica


1995_ViganoE_Interiorita_apostolica



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LINTERIORITÀ APOSTOLICA
Riflessioni sulla «grazia di unità»
come sorgente di carità pastorale
Questo corso di «Esercizi spirituali» è stato dettato dal Rettor
Maggiore dei Salesiani, don Egidio Viganò1,'¿¡'Salesiani del-
l’Argentina convenuti a Fortin Mercedes dal 21 al 27 feb­
braio 1988, anno centenario della morte di Don Bosco.
Sono centrati sulla «interiorità apostolica» e sulla «grazia di
unità» come elementi essenziali per religiosi di vita attiva. I
temi: La presenza unificatrice dello Spirito Santo; La profes­
sione religiosa come progetto unitario; L’alleanza come sor­
gente della grazia di unità; La missione apostolica come fi­
sionomia globale: La comunità fraterna come stile di vita e
di azione; La pratica dei consigli evangelici come totale do­
nazione di sé; L’ascesi, compagna indispensabile della pro­
fessione; Alcune sfide alla grazia di unità; Guidati da Maria,
Madre della Chiesa e Ausiliatrice.
Don E. Viganò si avvale della sua lunga esperienza e della
personale conoscenza di tutto il mondo salesiano per indi­
care le linee costitutive di un’autentica vita religiosa, e non
teme di denunciare le deviazioni e le defezioni derivate dal­
la loro inosservanza.
Queste pagine, che escono a pochi mesi dalla morte del-
l’Autore (23 giugno 1995) costituiscono un ottimo testo di me­
ditazione non solo per i Salesiani e le Figlie di Maria Ausilia­
trice, ma anche per i religiosi di altre Congregazioni di vita
apostolica.
ISBN 88-01-00006-5
L. 13.000
9 788801 000061

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Collana RITIRI ED ESERCIZI

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Nella stessa collana:
2. Joseph Aubry, La verginità è amore
6. Anastasio Ballestrero, Vita consacrata dono di redenzione
7. Anastasio Ballestrero, Le Beatitudini
8. Anastasio Ballestrero, A misura di Dio
9. Anastasio Ballestrero, Amati da Dio
10. Anastasio Ballestrero, Messaggeri di speranza
11. Anastasio Ballestrero, Sia che viviamo sia che moriamo siamo del
Signore
12. Anastasio Ballestrero, Chiamati a essere apostoli
13. Anastasio Ballestrero, L’incarnazione del Verbo
14. Divo Barsotti, Alla scuola dell’amore
15. Divo Barsotti, Alla scuola di Maria
16. Divo Barsotti, Sacerdoti per la salvezza del mondo
17. Carlo Chiomento, Al servizio di Dio e dell’uomo
18. Anastasio Ballestrero, Servi con Cristo servo
19. Anastasio Ballestrero, Mistero di amore
20. Carlo Maria Martini, Salvatore De Giorgi, Alberto Giglio!!, Sandro Mag­
giolini, Tempo dello Spirito anima della Nuova Evangelizzazione
21. Anastasio Ballestrero, Consacrati a Dio e alla Chiesa

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DON EGIDIO VIGANO
LINTERIORITÀ
APOSTOLICA
Riflessioni sulla «grazia di unità»
come sorgente di carità pastorale
EDITRICE ELLE DI CI
10096 LEUMANN (TORINO)

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© 1995 Editrice Elle Di Ci - 10096 Leumann (Torino)
ISBN 88-01-00006-5

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Presentazione
La notizia della morte di don Egidio Viganò, Ret-
tor Maggiore dei Salesiani e successore di don Bo­
sco, ha recato a quanti lo conoscevano un profondo do­
lore; per i Confratelli dellIspettoria Lombardo-Emiliana
è stato un invito a ripercorrere con lui la lunga strada
di perfezione religiosa di cui aveva indicato i traguar­
di. Avendo tra mano questo testo degli esercizi spiri­
tuali da lui predicati in Argentina nel centenario della
morte di don Bosco (1988), i Salesiani di Lombardia
hanno pensato di tradurlo e offrirlo non solo alla Fa­
miglia Salesiana, ma anche a un pubblico più vasto di
consacrati che in tante forme vivono i problemi della
vita apostolica attiva.
Sono pagine di un «amico, maestro e testimone» del­
la vita religiosa. P. Pier Giordano Cabra di lui dice:
«Uomo di grandi prospettive e grande realismo. Pos­
sedeva una sintesi invidiabile che rendeva i suoi inter­
venti concreti senza essere empirici, colti senza sfuggi­
re alle dure esigenze della realtà. Ecco perché il suo ap­
proccio ai problemi è stato apprezzato particolarmente
in questi anni di tumultuoso rinnovamento postconci­
liare: le sue erano indicazioni che infondevano corag­
gio, perché provenienti da una fede illuminata, che sa­
peva confrontarsi con loggi, ma erano anche piste per­
corribili, lontane da ogni tentazione utopica. Don Egi­
dio è stato in questi anni di incertezza un difensore del­
la dignità della vita apostolica, dellimpegno nei campi
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della carità, della vita attiva, del confronto con tutte
le sfide più impegnative», sempre alla luce e nella fe­
deltà ai carismi specifici.
Queste pagine offrono una sintesi ampia e profon­
da del Magistero della Chiesa, e di don Egidio in parti­
colare, alla luce del rinnovamento postconciliare.
In diverse circostanze egli ha parlato di carisma, di
grazia di unità, di interiorità apostolica, lasciando in
chi lo ascoltava il desiderio di saperne e capirne di più.
Il volume viene a soddisfare questa necessità, aiu­
tando così a rileggere le diverse espressioni della vita
salesiana come vita di consacrazione apostolica.
Il testo, pubblicato in edizione non-commerciale nel
1989 dalle Ediciones Don Bosco Argentina, è stato tra­
dotto da p. José Gambirasio e don Ennio Ronchi e vo­
luto dalla Ispettoria salesiana Lombardo-Emiliana-
Elvetica come segno di riconoscenza a don Egidio Vi­
gano per la guida preziosa offerta in questi anni di non
sempre facile rinnovamento. Vivamente li ringraziamo.
Possano queste riflessioni circa la grazia di unità es­
sere per molti fonte di quella carità pastorale che l’Au­
tore tanto desiderava e di cui la vita consacrata ha gran­
de bisogno.
L’Editore
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Introduzione
Ci siamo riuniti per meditare e pregare.
Gli Esercizi Spirituali sono un tempo forte per far
crescere lintelligenza della fede sulla nostra stessa espe­
rienza di vita e di tutto ciò che si muove attorno a noi.
Contro il pericolo della superficialità spirituale
Viviamo in un tempo che ama l’effimero, che im­
portanza alle mode ideologiche, che ammira lefficien­
tismo, che si lascia incantare dalle meraviglie della tec­
nica. Il pluriforme divenire quotidiano occupa conti­
nuamente la mente, lasciando poco spazio alla rifles­
sione di fede.
Osservando le cose e gli eventi (anche con la serietà
dellosservazione scientifica) non si considera come ve­
ro elemento della realtà la presenza dello Spirito Santo
nella storia, gli effetti concreti della sua iniziativa
e della sua potenza.
Si pensa e si vive prescindendo dalla componente di­
vina della storia umana. Ma dopo la nascita di Cristo,
dopo la sua Pasqua e la Pentecoste, è un atteggiamen­
to superficiale e antistorico considerare luomo soltan­
to con un’ottica orizzontale.
La Pentecoste ha portato, per opera di Cristo, una
realtà di presenza e di iniziative divine che entrano a
far parte, inseparabilmente, dello stesso spessore della
7

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2.1 Page 11

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vita dell’umanità, influendo oggettivamente sul corso
del suo divenire.
Noi, discepoli del Signore Gesù, siamo testimoni di
questa dimensione superiore, percepita direttamente per
la fede. Dobbiamo essere per gli altri «segni e portato­
ri» della presenza reale e della potenza dello Spirito del
Signore nella vita. A questo fine è necessario che ci eser­
citiamo quotidianamente a guardare in profondità. Tut­
ta la vita consacrata è vivificata da una penetrante di­
mensione contemplativa, di diverso tipo, secondo la mo­
dalità propria della vocazione ricevuta.
La vita consacrata apostolica svolge una missione
di continua attività al servizio degli uomini: le corrispon­
de un tipo particolare di contemplazione che permette
di trasformare le attività in una espressione di interio­
rità. Si tratta dell’«estasi dellazione» di cui parlava san
Francesco di Sales, per cui l’ardore apostolico diventa
la misura dellautenticità e profondità della contempla­
zione.
Fu così per gli apostoli; fu così per i grandi santi
e sante fondatori di Istituti di vita attiva (pensiamo a
san Camillo deLellis, che andava in estasi portando
sulle spalle un infermo «ripugnante»); così fu in san Gio­
vanni Bosco, che è diventato un testimone e un mae­
stro particolarmente attuale di interiorità apostolica.
Ma una spiritualità di vita attiva non è cosa facile;
richiede una speciale iniziazione e una adeguata forma­
zione permanente. La contrastano particolari pericoli,
il più radicale dei quali è la superficialità spirituale:
lasciarsi guidare dall’ottica ofizzontalistica cor­
rente;
accettare linflusso delle mode ideologiche;
immergersi nellazione per se stessa;
esaurirsi nella considerazione di tanti problemi;
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concentrarsi esclusivamente sugli aspetti organiz­
zativi, culturali, economici, politici, ecc.;
lasciarsi prendere dagli affetti umani;
cercare giustificazioni razionali, distorcendo af­
fermazioni di santi che hanno il loro senso vero solo
in una vita di unione con Dio,
è un attentato contro lessenza della vita nello Spirito.
Sappiamo per esperienza che qui, nella interiorità
apostolica, si trova il punto strategico della nostra au­
tenticità spirituale.
Cerchiamo di approfondire i suoi contenuti alla lu­
ce della testimonianza di Don Bosco e di scoprire così
il segreto di una genuina spiritualità di vita attiva.
Il nome proprio di questo segreto è GRAZIA DI
UNITÀ, come sorgente’di carità apostolica.
Sviluppando la «grazia di unità» si allontana il gra­
ve pericolo della superficialità spirituale.
9

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1. La grazia di unità
Il centro propulsore di ogni consacrazione di vita
attiva è la carità pastorale. Per essa partecipiamo alla
missione degli apostoli e collaboriamo al loro ministe­
ro di pastori per la salvezza degli uomini.
La carità pastorale si caratterizza per la sua tensio­
ne di «sintesi vitale» sia verso Dio che verso gli uomi­
ni: i due poli inseparabili del suo dinamismo costitutivo.
Di più: in questa tensione di sintesi vitale la forza
unitiva procede da Dio, dato che nella carità lamore
di Dio è causa dell’amore per gli uomini, ma in una for­
ma così concreta che come afferma san Giovanni
lamore di Dio non è vero se non si concretizza nella­
more per gli uomini. «Da questo abbiamo conosciuto
lamore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche
noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha
ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in
necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in
lui lamore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole
con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (/ Gv 3,16-18).
Perciò con lespressione «grazia di unità» si vuole
indicare un’energia di mutua e dinamica correlazione
di inseparabilità tra i due poli della carità pastorale: Dio
e il prossimo. Dalla meditazione dei suoi ricchissimi con­
tenuti deriva lassoluta necessità di unificare i valori dellà
nostra spiritualità apostolica in una cosciente e perma­
nente sintesi vitale. Sentiamo lurgenza di una unità or­
li

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ganica nella vita spirituale di coloro che si dedicano al­
lapostolato.
Quando nei noviziati si è imparato a vivere la <<gra-
zia di unità», possiamo affermare che liniziazione re­
ligiosa di vita attiva avrà crescita sicura. Ma lo stesso
tema della «grazia di unità» non è argomento solo per
novizi: abbraccia tutta la vita di consacrazione aposto­
lica e costituisce la condizione della sua vitalità ed effi­
cacia.
1.1. Perché usiamo questa terminologia?
Dopo il Concilio Vaticano II, la Congregazione sa­
lesiana, riunita nel Capitolo Generale Speciale (CGS)
per ridefinire lidentità del suo carisma apostolico di
fronte ai tempi nuovi, ha sentito la necessità di indivi­
duare la fonte dellunità organica della propria spiri­
tualità: vivere in unità vitale, nonostante la molteplici­
delle attività, culture e situazioni.
Chi si mette in molteplici attività diventa superfi-
ciale, anche se competentejn settori specifici, perché
divehtaframmentàrio.
~~
Dessere capaci di concentrare il molto in una sinte­
si vitale è il segreto dell’interioritàapostolica.
«Lo Spirito Santo leggiamo negli atti del CGS
chiama il Salesiano a una scelta di vita cristiana che
è insieme apostolica e religiosa.
Pertanto, lo arricchisce della grazia di unità per vi­
vere il dinamismo dell’azione apostolica e la pienezza
della vita religiosa, in un solo slancio di carità verso Dio
e verso iLprossirno . Questo tipo di vita non è qualcosa
di statico e prefabbricato, ma un progetto in permanente
evoluzione. Non è ununità statica, anzi è una unità di
12

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tensione con una continua necessità di equilibrio, di re­
visione, di conversione e adattamento».
Questa è stata una indicazione decisiva e provviden­
ziale per la rielaborazione della nostra «carta di identi­
tà»: le Costituzioni.
Questa stessa terminologia la troviamo più tardi usa­
ta dal Magistero della Chiesa. Nella Congregazione dei
Religiosi e Istituti Secolari, quando era prefetto il card.
Eduardo Pironio, furono elaborati alcuni documenti im­
portanti per il rinnovamento conciliare della vita reli­
giosa. Uno di questi documenti aveva come titolo La
dimensione contemplativa di tutta la vita consacrata
(1980). In esso, parlando della mutua compenetrazio­
ne tra «azione e contemplazione», si afferma: «La ca­
ratteristica propria dell’azione apostolica è lardore della
carità, coltivato nel cuore del religioso (di vita attiva);
cuore considerato come il santuario più intimo della sua
persona, nella quale vibra la grazia di unità tra interio­
rità e operosità...».
Dalla riflessione fatta fino qui, possiamo già capire
che significato ha lespressione «grazia di unità». Sap­
piamo che si colloca al centro del cuore del religioso apo­
stolo, fa che in lui vivere lunione con Dio ed essere
dinamico nellapostolato sia una sintesi unitaria, fonte
di una particolare spiritualità.
Certo, ci sono altre spiritualità con aspetti e mani­
festazioni differenti; ma per noi la «grazia di unità» sta
alla radice stessa della nostra identità e della conseguente
differenziazione da altre vocazioni nella Chiesa.
Vedremo i meccanismi che muovono questa «gra­
zia di unità» e cercheremo di indicare anche come i re­
sponsabili potranno svolgere opera di animazione tra
i confratelli e nelle comunità, per far créscere il livello
della loro profondità spirituale.
13

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1.2. Molteplicità di valori
che possono portare a una dispersione
Credo utile soffermarci brevemente sulla moltepli­
cità di cose e valori che possono disperdere la sintesi
vitale della nostra persona, rendendola a poco a poco,
quasi senza accorgersi, superficiale.
~
Non si tratta, di per sé, di cose cattive, anzi, gene-
ralmentè^siffatta di valori che dobbiamo apprezzare,
ma inserendoli nella sintesi organica della nostra spiri­
tualità, che risulterà arricchita esistenzialmente da es­
si. Ma se non sappiamo incorporarli nell’unità della no-
stra spiritualità, essi riusciranno a dissipare il nostro spi­
rito con una molteplicità di interessi e attività che dan-
neggeranno linteriorità: non ci sarà mai la profondità
dellestasi dellazione, ma una semplice evasione di su­
perficialità nellattivismo.
Consideriamo alcuni di questi aspetti che possono
trasformarsi in un pericolo di superficialità.
Il pluralismo culturale è segno della ricchezza della
natura umana e degli apporti differenti che provengo­
no dalla storia e dalla geografia nei gruppi umani. È
bello constatare questa pluriformità, ed è importante
arricchire con i suoi valori lunità della Chiesa, della
Congregazione e della stessa persona consacrata. Ma
se li consideriamo solo in se stessi, come valori supe­
riori alla stessa identità vocazionale, allora, invece di
arricchire e abbellire l’interiorità, possono diventare una
pericolosa distrazione. Non dimentichiamo che molti
scismi sono stati frutto di differenti culture sopravva-
Ìutate nel confronto con la fede o con lidentità del pro­
prio carisma.
La molteplicità delle scienze è aumentata sempre
di più dimostrando così la forza e l’acutezza dellintel­
14

2.8 Page 18

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ligenza umana. Tutti noi siamo esperti in qualche scien­
za, e conosciamo tanti specialisti in varie discipline.
Ogni scienza, quanto più è matura e progredita, tan­
to più diventa settoriale: si dedica a conoscere frammenti
della realtà. Lo scienziato specialista corre il pericolo
di volere giudicare tutta la realtà dal suo punto di vi­
sta. Non a caso si parla di deformazioni professionali.
Si può avere una grande erudizione in una disciplina
assieme a un vero analfabetismo in altre e, soprattut­
to, nella visione globale della storia umana. In partico­
lare può risultare delicato, sotto questo aspetto, il pro­
blema delle scienze storiche, perché dovrebbero riferir­
si in qualche modo alla vita globale dell’uomo; ma la
loro metodologia scientifica non può misurare e valo­
rizzare la presenza e gli interventi dello Spirito Santo;
pertanto lo storico corre il pericolo di non captare la­
nima della storia della Chiesa o del suo carisma, che
sono manifestazioni della vitalità «storica» dello Spirito.
E così, nonostante il patrimonio interessante e in­
dispensabile di documenti e di correlazioni tra tanti fatti
(realmente indispensabili per giudicare il passato), cè
il pericolo di incorrere in una dotta superficialità, per­
ché non si coglie lelemento decisivo della Storia della
Salvezza come «mistero». E, a volte, gli studi di questi
scienziati creano nei lettori una mentalità interpretati­
va che si crede oggettiva, mentre emargina la massiccia
presenza dello Spirito del Signore, rendendo in defini­
tiva superficiali i loro giudizi.
9 Gli strepitosi progressi della comunicazione sociale
hanno fatto del mondo un villaggio dove ci conoscia­
mo e comunichiamo gli uni con gli altri. Inoltre, ci of­
frono una possibilità di conoscenze qualificate e sva­
riate. Ma può succedere che spingano la gente a occu­
15

2.9 Page 19

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pare molto tempo in cose effimere, al piacere di certe
mode, al plagio di giudiziTa rinunciare al proprio com­
pito critico. La televisione, i giornali, le riviste, il cine­
ma, la musica, linsieme dei massmedia, trattano di tutto
e abituano a una pluralità di cose che occupano in con-
tinuità la mente, ma sempre superficialmente; sono gra­
dite alla fantasia, ai sensi, alle persone, giorno dopo
giorno, senza un ulteriore approfondimento. Ci tengo­
no occupati in curiosità, ma non impegnati in interiorità.
La spìnta rinnovatrice del Concilio Vaticano II è
stata straordinariamente benefica, un grande evento ec­
clesiale di presenza dello Spirito. Ci ha risvegliati e ci
ha obbligati a misurare la nostra identità di fronte ai
nuovi tempi. Ma c’è stata anche molta arbitrarietà nel­
la sua lettura, e un pìuralismo relativista nella interpre-
tazione dei suoi documenti. Se leggiamo la relazione fi-
ifaleclel Sinodo straordinario del 1985, vedremo come,
dopo, vent’anni dall’evento conciliare, si sia constatata
una rnancanza di conoscenza organica dei suoi conte­
nuti, ùhà-pèncolosa ignoranza di alcuni dei suoi docu­
menti più fondamejitali (per esempio della Cóstituzio-
ne «Dei Verbum»),vda manipolazione di alcuni suoi
orientamenti e non poche deviazioni pratiche in rela­
zione allajiturgia, allecumenismo, alla dimensione del
«popolo di Dio», ai ministeri, al ruolo del Magistero,
ecc.
Si è notato che alcuni hanno letto i documenti con­
ciliari solo attraverso la presentazione giornalistica dei
mezzi di comunicazione soèiàle. r)iù sensazibnalistìci che
e'ccrésiàIi. Per questo la relazione finale del Sinodo del
I985Tia affermato con chiarezza che è indispensabile
dare la massima importanza alle quattro Costituzioni
del Concilio, perché gli altri documenti sono in relazione
16

2.10 Page 20

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ad esse; e delle quattro la «Lumen Gentium» occupa
il posto fondamentale. Inoltre esorta a una lettura or­
ganica dei documenti conciliari, per non cadere nellar­
bitrarietà.
Uno dei documenti che aiuta a fare una lettura or­
ganica è la costituzione «Dei Verbum», per il ruolo che
spetta alla Parola di Dio, e per il vincolo che la Parola
di Dio ha con la Tradizione viva e con il Magistero del­
la Chiesa.
Senza questo sforzo di fedeltà al Concilio si corre
il pericolo di cadere, anche citandolo, in interpretazio­
ni erronee,,che danno adito a criteri pastorali superfi­
ciali, di fatto dissonanti con quello che ha voluto lo Spi­
rito nel Concilio.
La valorizzazione della coscienza morale è, per sé,
una crescita di maturazione umana che aiuta a tradur­
re la verità del Vangelo in testimonianza di vita. Ma se
in questo campo si prescinde dal Magistero vivo della
Chiesa, si può scatenare un relativismo etico in campi
molto delicati della condotta cristiana.
E, disgraziatamente, così è successo perfino nell’am­
bito del clero, dove dovrebbero abbondare i veri diret­
tori di coscienza.
Si è detto, ad alto livello e con conoscenza di causa,
che uno dei settori di maggior crisi nella riflessione teo­
logica oggi è precisamente la morale.
È questo un aspetto molto delicato, sul quale la su­
perficialità può fare disastri.
Per ultimo, le urgenze pastorali sono una sfida,
che viene dalle situazioni concrete della gente, per la mis­
sione della Chiesa; È un bene che si prenda coscienza
delle sue necessità e dell’urgenza di un migliore inter­
vento pastorale. In particolare per noi, la situazione gio­
17

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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vanile interpella la capacità pastorale di determinare
priorità, di progettare presenze.
La pastorale giovanile comporta molteplici attivi­
tà, perché esige di evangelizzare educando; ossia di af­
frontare con molta serietà anche i diversi aspetti della
promozione umana.
Le urgenze fanno pensare, come è naturale, ai de­
stinatari privilegiati, i giovani poveri e più bisognosi.
È un bene che tutto ciò rivoluzioni la possibile tranquil­
lità apostolica interiore. Ma questa sfida interpella in
profondità, non in superficie. Se si procede superficial­
mente, si può cedere a mode e ideologie, si pone lat­
tenzione su di un aspetto (certamente reale), ma non
si confronta con altri (ugualmente o anche più impor­
tanti), che insieme costituiscono le componenti indispen­
sabili di un vero intervento pastorale. Si può entrare così
in una specie di visione unilaterale a favore di un parti­
colare aspetto, dimenticando o prescindendo pratica-
mente dagli altri.
Infine, invece di evangelizzare educando, a volte si
fa semplicemente promozione umana, lasciandosi stru­
mentalizzare da un progetto storico di tipo sociopoliti­
co. Tutto ciò risulterebbe anche frutto di superficialità.
Potremmo continuare con altri esempi, ma sono suf­
ficienti quelli che abbiamo indicato per renderci conto
che cè una grande quantidi cose buone e di valori
di per arricchenti, che possono tramutarsi in elementi
che portano alla dispersione, se non si ha una interiori-
tà~ capace di mserirli in una sintesi vitale.
Disgraziatamente, la nuova cultura porta facilmen­
te a_perdere il senso dellinsieme, del globale umano,
del totale storico, per lasciarci in qualche area settoria­
le, di per anche importante, ma parziale, che non ri­
18

3.2 Page 22

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sponde alle esigenze integrali del mistero di Cristo. A
noi interessa qui, soprattutto, il senso organico della in­
teriorità apostolica.
1.3. Dove cercare la sorgente dellunità
Il senso organico dell’interiorità apostolica non de­
riva semplicemente da ùn concetto umano, si trova
nella sola riflessione sullessere.
È posto più in alto. Se vogliamo penetrare la sua
vera natura, dobbiamó partire dalla realtà ultima della
vita di Dio.
Lì, nel mistero supremo, lessere è amore e lunità
è comunione.
Se la filosofia dice «distinguere per unire», la fede
parla di «amare nella distinzione».
Nella Trinità delle Persone è il mutuoamore che le
fa distinte e che costituisce lunità diun solo Dio. Uni-
che, così, è comunione: dono totale di di ognuna
délIéTersoneAche si distinguono nel modo di comuni-
carsi reciprocamente nella pienezza, di un solo amore.
In Dio lamore è la forza suprema che fonde in uni­
i distinti.
Ed è questa suprema forza dellamore divino che
origine alla Creazioiie (una molteplicità organicamen­
te «ordinata»), allincarnazione del Verbo (una duali­
di natura «unita» nella persona), alla storia della Chie­
sa Corpo di Cristo (una pluralità di persone unite in un
Corpo mistico dallo Spirito). Soltanto con lo sguardo
della fede si trascendono i settorialismi delle conside­
razioni parziali; con esso si partecipa alla visione divi-
na, che dall’alto richiede capacità di sintesi, giudizio di
totalità, senso di organicità.
La somma energia increata dellamore di Dio è par­
19

3.3 Page 23

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tecipata, attraverso il mistero di Cristo, alluomo con
un dono creato, partecipazione dell’amore divino, che
si chiama «carità». Gli apostoli e i loro collaboratori,
per mantenere nella Chiesa il mistero dell’unità o co­
munione, hanno ricevuto, in modo particolarmente ab­
bondante, un dono di amore divino che si chiama «ca­
rità pastorale».
Questo dono divino è in essi sorgente di unità a due
livelli: in ogni persona, per la sua interiorità apostoli­
ca, e nel suo ministero sacerdotale, per l’edificazione
della Chiesa.
Per meglio meditare questa sublime considerazione
dellamore divino come sorgente di unità, conviene sof­
fermarci su alcune affermazioni del Nuovo Testamen­
to. Il quarto Vangelo dice che Cristo e il Padre sono
una cosa sola (cf Gv 8,14ss); che noi in Cristo entria­
mo in unità col Padre~(cf Gv 14,20ss); che Cristo ha
pregato il Padre perché tuttisiamo una cosa sola (cf Gv
17,11). E nella prima lettera di Giovanni leggiamo che
cfiTnon ama non ha conosciuto Dio, e che l’amore di
Dio si manifesta nell’amore del prossimo (cf Gy 3 e 4).
Basterebbe inoltre rileggere linno alla carità di san
Paolo (cf 1 Cor 13).
1.4. H segreto della sintesi vitale
Ci troviamo, quindi, in una sfera superiore alles­
sere e alle nostre forze umane: nella sfera della supre­
ma realtà che èJunità vitale nell’amore.
L’energia^chè esce da Dio verso limmensità della
Creazione è Kamorje: non il nostro amore di concupi­
scenza, ma lamore di Dìo, creatore del bene/cheèal-
lorigine délle cose, e di questa grande dignità di essere
stati creati a vivere come immagine di Dio.
20

3.4 Page 24

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Attraverso il mistero di Cristo, la carità pastorale
che è in noi è partecipazione viva dello stesso amore di
Dio, e porta con quell’energia fontale per la quale
la carità è, in se stessa, «grazia di unità». Infatti la­
more di Dio che cè in essa è causa dellamore verso il
prossimo, che procede da essa come frutto indispensa-
bile della sua autenticità divina.
Bisogna notare, tuttavia, che sebbene lamore al
prossimo proceda dall’amore di Dio, ciò nonostante è
altrettanto vero che non è veramente amore di Dio quello
che prescinde dall’amare gli uomini. Ci sono priorità
fra i due poli: una priorità di interiorità, e una priorità
di azione.
Se nel cuore non cè prima l’amore di Dio, come può
esserci in esso vera carità? Ma se l’apostolo non scopre
il voltodiDìònelprossimo, comesipuòdirecheama
Dio? È ¡¡ Vangelo stesso elic si fa questa domanda. Cc
una mutua relazione circolare tra i due poli: i due sono
tra loro indispensabili, da punti di vista diversi. Sono
però sostanzialmente importanti entrambi. Se si servis­
se il prossimo prescindendo dall’amore di Dio,questo
non sarebbe carità pastorale. E se si amasse Dio pre-
scindendo dal prossimo, anche questo non sarebbe ca-
rita^astorale^ -----
Il vero Dio è inconcepibile senza il suo ineffabile
amore per luomo, e il vero prossimo è inconcepibile
se non come immagine di Dio. Se consideriamo la vita
dei santi ricchi di carità pastorale, troviamo in essi la
testimonianza viva di questa comunione e partecipazione
alla forza dell’amore divino.
Se noi fissiamo lo sguardo in Don Bosco, riscon­
triamo nella sua vita il significato e i frutti dellabbon­
danza della «grazia di unità» che procede dalla sua gran­
de carità pastorale. Occupato in mille cose, dedicato con
21

3.5 Page 25

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generosità ai giovani, impegnato in molteplici e gravi
problemi ecclesiali, ha mostrato sempre di avere un pro-
getto di vita unitario, dimostrandosi, nello stesso tem-
po e con/uguale intensità, uomo di Dio e uomo della
sua gente: «Profondamente uomo, ricco delle virtù della
sua gente, egli era aperto allerealtà terrestri; profon­
damente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito
Santo, viveva come se vedesse linvisibile. Questi due
aspetti si sono fusi in un progetto di vita fortemente uni­
tario: il servizio dei giovani. Lo realizzò con fermezza
e costanza, fra ostacoli e fatiche, con la sensibilità di
un cuore generoso» (C. 21).
Il segreto in lui di questà sintesi vitale è tutto nelle­
sercizio di un «unico movimento di carità verso Dio e
i fratelli» (C. 3).
Per approfondire questunico movimento di carità,
abbiamo unulteriore spiegazione nello spirito salesia­
no vissuto e lasciato in eredità da Don Bosco.
La carità pastorale sta al centro del nostro spirito:
«è uno slancio apostolico che ci fa cercare le anime e
servire solo Dio» (C. 10).
Il motto cììe sintetizza in una forma intuitiva ogni
caratteristica della spiritualità apostolica, è il Da mihi
animas cetera tolle. Esso esprime lunità tra i due poli:
Dio e le opere. Sono due poli di tensione che si richia­
mano lun l’altro.
La dimensione interiore di questa mutua esigenza è
linterrelazione circolare di causalità a diversi livelli a
cui abbiamo accennato brevemente. Importante è verifi­
care la testimonianza viva di questa interrelazione che di
per sembra un paradosso. Lo notiamo chiaramente nel
mistero di Cristo: sta il segreto di questa sintesi vitale.
Egli è il buon pastòrei per fare pastorale si è fatto
uomo; égli eia fonte di ogni carità pastorale. Ha dovu-
22

3.6 Page 26

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to abitare tra noi, farsi uomo, per inventare la pastora­
le. Da lui nasce la «grazia di-unità». Non cè carità pa-
stofaleche non vengada jui. Perciò la nostra interiori­
apostolica discende da lui ed è radicata in lui, dal pria
mo istante fino allultimo.
~
È importante insistere su questa verità fondamen­
tale: tutto, tutto nella carità pastorale viene da Gesù Cri­
sto e tutto conduce a lui. Altre motivazioni, che non
siano li «Da mihi animas», portano a deviazioni. Il gior­
no in cui i giovani, i poveri, tutti i nostri destinatari,
avranno coscienza che noi stiamo con loro per Cristo,
ci apprezzeranno e ci ascolteranno di più. Essi hanno
fame della Parola di Dio, anche se inconsciamente, e
desiderano vederci indipendenti da ideologie e progetti
sociopolitici.
Essere «segni e portatori dell’amore di Dio» deve
essere !’uhicà àùtentica carta di presentazione. Gesù Cri-
sfoTBuoiTPastore, ci aiuta a riuscirci, e ci ha dato l’e­
sempio; viene da Dio e sta tra gli uomini. Con la sua
carità pastorale si proclama contemporaneamente Dio
e prossimo: «In verità, in verità vi dico: prima che Àbra­
mo fosse, io sono» (Gv 8,58); ma anche: «Ho avuto fa­
me e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete
dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato; ero nudo
e mi avete vestito; malato e mi avete visitato; carcerato
e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,34ss).
Cristo è linventoredella pastorale della Chiesa. §olo
da lui e con lui è possibile vivere lunità della carità pa-
storale. Solo da lui e con lui si ha, si conserva e si fa
créscere -«grazia unità».
~
1.5. Cristo forma il cuore dei pastori
In particolare, Cristo arricchisce di carità pastorale
gli apostoli e i presbiteri, i quali, mediante il sacramen­
23

3.7 Page 27

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to dellOrdine, sono consacrati per il compito ecclesia­
le di Pastori nel ministero della Parola di Dio, della san­
tificazione, del coordinamento e animazione della co­
munità. Per gli impegni sacerdotali, infatti, Cristo ha
voluto infondere in essi una speciale «grazia di unità».
Da essa procede una tipica spiritualità ministeriale,
che è interiorità apostolica per eccellenza. Il presbitefcr
come sintesi vitale, nella sua configurazione a Cristo,
coltiva una costante unione con Dio, che genera quoti­
dianamente la disponibilità operosa di servizio al pros­
simo. Questo si è visto negli Apostoli, in san Paolo, nei
Vescovi e Presbiteri santi, che hanno continuato nei se­
coli la missione di Cristo, e hanno orientato e animato
spiritualmente tante persone e gruppi che, senza essere
consacrati dal sacramento dellOrdine, hanno parteci­
pato della stessa spiritualità, per collaborare allopera
salvifica del Signore.
1.6. Carità pastorale di Don Bosco
Tra i santi di spiritualità apostolica, spicca nei tem­
pi moderni Don Bosco. Il suo spirito e la sua santità
sono radicati nella sua ordinazione ministeriale; e la sua
consacrazione religiosalialrróBustito, in lui, il suo spe-
cialeTninistero.
Tutta la sua formazione e tutta la sua vita interiore
sono state orientate a fare di lui un generoso ministro
di Dio. Chi volesse scoprire in profondità il segreto della
sua santità, dovrà far riferimento con molta attenzio­
ne a questo aspetto.
Veramente è stato sempre sacerdote: allaltare, nel
confèssionalèTnéTcortile, ncOavoròcIieducazione, nei
rapporti con la gente, con i politici, con i ricchi, con
i poveri, a Torino, a Firenze, ecc. (Ricordare l’incon­
tro con il ministro Bettino Ricasoli a Firenze, 1866).
24

3.8 Page 28

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La «grazia di unità», in lui, era intimamente vinco­
lata alla consacrazione dellOrdine, e si comunicava agli
altri come un ardente anelito pastorale che li sollecita­
va a collaborare alla missione specifica data da Cristo
agli Apostoli. Qui si comprende perché Don Bosco ha
voluto che nella sua Congregazione la spiritualità mi­
nisteriale fosse lanima dello svolgersi delle attività, e
la carità pastorale fosse realmente il centro vivo del suo
spirito (cf C. 10); e per questo volle anche che i servizi
propri dellanimazione e del governo della comunità sa­
lesiana fossero esercitati da sacerdoti scelti per il loro
zelo pastorale. È un particolare servizio istituzionale che
assicura lautenticità c lidentità del suo carisma. nella
Chiesa e fa crescere la peculiare identità apostolica di
tutta la sua grande Famiglia.
Ecco la ragione della speciale responsabilità spiri­
tuale e apostolica dei servizi dell«autorità» nelle no­
stre comunità (cf C 121). Rettor Maggiore, gli Ispet­
tori e i Direttori devono avere cura e saper promuovere
la «grazia di unità» in tutti i loròlfatelli (e nei membri
della Famiglia Salesiana), profondamente convinti che
se lo spirito salesiano non avesse chiara coscienza e con­
tinui stimoli sacerdotali, alla lunga non potrebbe rima­
nere fedele a Don Bosco.
Una delle cause della superficialità spirituale tra noi1
è precisamentejl deterioramento dell’autenticità sacer­
dotale: soprattutto tra quelli che sono designati a fare
fruttificare i caratteristici valori pastorali del sacramento
dell) Ordì ne nell’animazione e nel governo dei loro fra-
tellli. Non è quindi un capriccio o un anacronismo che
lesercizio dell’autorità tra noi sia imbevuto di carismi
sacerdotali: c’è una ragione a livello di interiorità apo­
stolica, cè una ragione di missione, e una ragione di
carisma pastorale.
25

3.9 Page 29

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Non si tratta di una carenza di parità giuridica, ma
di una esigenza di bene comune apostolico. Il «supe­
riore» tra noi è stato concepito come un sacerdote co­
sciente del suo ministero ecclesiale, animato da dna con­
creta carità pastorale, profondamente unito a un Dio
che si agli uomini, ricco pertanto di zelo apostolico,
capace di proiettare pedagogicamente lazione evange­
lizzatrice comune, competente per questo anche nei va­
lori umani soprattutto dei giovani in vista di una
educazione personale e sociale ispirata al niinistero di
Cristo.
Oggi si usa molto la-parola «pastorale», ma rimane
il dubbio se venga intesa nel suo vero significato. Ad
ogni modo, resta chiaro che il «Superiore salesiano» non
può ridursi semplicemente ad essere organizzatore o
orientatore culturale, o costruttore, liia deve far con­
vergere tutte le attività e capacità nel vertice supremo
e unificante di una visione pastorale.
É la visione pastorale, considerando le responsabi­
lità del ministero sacerdotale, si concretizza in tre grandi
aspetti complementari che sono: levangelizzazione, la
crescita nella conversione e la partecipazione alla co­
munione ecclesiale. ~
Poco tempo fa, in una circolare del 1982 (cf ACS *
n. 306) ho cercato di riflettere sulla dimensione sacer­
dotale, sui doveri del Direttore, che deve saper promuo­
vere questi tre aspetti pastorali in maniera unitaria se­
condo la gradualità richiesta da una sana pedagogia.
Mi convinco ógni giorno sempre più che, in Con­
gregazione, il servizio dellautorità aiuterà efficacemente
asconfiggerela superficialitàspirituale se sarà eserci­
* ACS = Atti del Consìglio Superiore della Congregazione Salesiana.
Dal 1984, n. 311: Atti del Consiglio Generale (ACG).
26

3.10 Page 30

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tato veramente con cuore sacerdotale, con la finalità
prioritaria di promuovere la carità pastorale e la «gra­
zia di unità» nella quale è radicata tutta la nostra inte-
fiòntfrapostolica.
«Il dono più prezioso che possiamo offrire ai gio­
vani» (C. 25) scaturisce da questa fonte di amore che
ha origine dal cuore di Cristo. sta la grazia unità
che esplica e rende feconda la carità pastorale.
27

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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4.2 Page 32

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2. La presenza unificatrice
dello Spirito Santo
La «grazia di unità» procede dal vivo amore di Dio.
È importante evitare il pericolo di considerare la «gra­
zia di unità» come una «cosa», come qualcosa di stati­
co dentro di noi, come un regalo in un pacchetto chiu­
so. Non è neppure un dono limitato e settoriale, messo
in un angolo della coscienza, ma è la sorgente di sintesi
vitale.
' Essa è un’energia che fluisce continuamente da una
persona divina, k> Spirito Santo. La «grazia di unità»
è amore che ci pervade dallalto e costruisce in noi una
sintesi organica di molti elementi che accompagnano la
carità pastorale. Non possiamo riflettere sulla «grazia
di unità» senza pensare, anzitutto, alla persona dello
Spirito Santo che vive in noi, e che è presente e attiva
nella storia, come lanima della Chiesa.
2.1. La potenza dello Spirito Santo
L’espressione «potenza dello Spirito Santo» è pro­
pria della liturgia, che suole presentarci i dati rivelati
con un linguaggio vivo. Se cè uno stile teologico che
ci avvicina a una visione di sintesi, è proprio quello dei
testi liturgici. Invece di farci camminare attraverso er­
meneutiche frammentarie, che possono far perdere il
significato organico della Rivelazione, essa ci presenta in
forma viva i dati centrali della storia dell’amore di Dio.
29

4.3 Page 33

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La liturgia ci parla, quindi, della «potenza» dello
Spirito Santo: potenzanel sensodi presenza efficacee
vittoriosa. È soave, penetrante, non è sensazionale. Toc­
ca la persona, attraversa i cuòri, rifugge dalla violenza
e dalla spettacolarità; ma è efficace e vincitrice.
Il Magistero della Chiesa ci assicura che questo no­
stro tempo porta in una presenza speciale dello Spi­
rito Santo. Si tratta di tanti dati e fatti (incominciando
dal Conciho Vaticano II) che la Chiesa constata con am­
mirazione. Il mondo con il suo potere vorrebbe impe­
dire la crescita del bene, e cnonostante la presenza
dèlio Spiritò si muove soavemente ed efficacemente, e
cresce con più forza del potere delle armi, del denaro
e delle agenzie di opinione del mondo. È curioso notare '
come certi governi imperialisti temano i popoli radicati
nei valori religiosi. Hanno proclamato per decenni che
la fede è qualcosa di esteriore, una sovrastruttura inuti­
le, e poi hanno un gran timore di un popolo che esprime
la sua unità con manifestazioni animate dalla religione.
Nella «Evangelii Nuntiandi», la bella lettera aposto­
lica di Paolo VI, si ricorda che la Chiesa vive oggi un’ora
speciale dello Spirito Santo. Per questo dobbiamo pen­
sare che la «grazia di unità» è diventata un tema di at­
tualità, soprattutto per i portatori di un carisma comu­
nitario allinterno del Popolo di Dio.
«Si cerca dappertutto di conoscere meglio lo Spiri­
to Santo leggiamo nella EN , quale è rivelato dal­
le Sacre Scritture. Si è felici di mettersi sotto (a sua mo­
zione. Ci si raccoglie attorno a lui, e ci si lascia guidare
da lui» (EN 75).
Orbene, la «grazia di unità», che vorremmo àppro-
fondire, esige precisamente di conoscere meglioloSpi-
rito Santo, di lasciarci guidare daìui, di rilanciare il ca­
risma comunitario consegnato da lui al Fondatore.
30

4.4 Page 34

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Conosciamo oggi vari movimenti carismatici che cre­
diamo siano frutto dello Spirito Santo. È vero che con
il termine «carismatico» si sono introdotti anche con­
tenuti e atteggiamenti che non sembrano procedere da
Lui. Il buon senso, o il sano criterio di fede, ci devono
aiutare a discernere, a non concedere spazi asfravagan-
ze. Ma non sarebbe buon senso e buon criterio della fede
nascondersi dietro questa scusa, per starsene tranquilli
e ùìerti, come se non fosse lora dello Spirito Santo.
Unoraidinamica e rinnovatrice; un’ora nella quale
la fedeltà al Fondatore e la docilità allo Spirito diven­
tano creative. Infatti, la potenza dello Spirito unisce e
vivifica cose antiche e cose nuove in sintesi vitali per
il futuro. Ricordiamo che lo Spirito Santo è il protago­
nista della «comunione», «la sorgente viva defluhita».
La liturgia ci parla della «grazia dj Nostro Signore Ge­
Cristo», dell«amore del Padre» e della «comunio­
ne dello Spirito Santo».
Sappiamo che nel mistero della Trinità lo Spirito
Santo è il vincolo di unità tra il Padre e il Figlio. E que­
sto suo ruolo lo Spirito lo ha sempre manifestato attra­
verso la storia della Salvezza: è Lui che in Maria co-
struisce l’unità tra la natura umana e la natura divina
nell’incarnazione del Verbo, che è il fondamento di tutta
lopera di unificazione nella storia.
Quanto dobbiamo meditare sul significato della co­
siddetta «unione ipostatica», non tanto in termini filo­
sofici, quanto in una contemplazione vitale della inse­
parabilità tra luomo e Dio per mezzo di Cristo! E un
oTizzbhfe magnifico e rìccolli conseguenze incredibili.
Ma, inoltre, in Maria stessa lo Spirito Santo ha rea­
lizzato lineffabile unità tra la sua maternità e la sua
verginità,tralasuapiccolezza di figlia di Sion e il suo
aiuto universale di Assunta in cielo; nella Chiesa rea­
31

4.5 Page 35

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lizza continuamente ledificazione della comunione tra
la molteplicità delle persone e l’organicità del Corpo mi­
stico di Cristo; Egli è lanima dellammirabile dinami­
smo unificatore dei Sacramenti; Egli è colui che conti-
miamentearricchisce la Chiesa con nuovi carismi, per
mezzo dei quali è causa di unità e di comunione in due
sensi: anzitutto nellinteriorità di ogni persona, in or­
dine alla sua struttura spirituale, secondo lindole pro­
pria del carisma, e poi tra i vari membri del gruppo che
vivono lo stesso carisma, perché cresca in essa una co­
munione organica atta a formare la crescita e l’effica­
cia apostolica della missione specifica del proprio cari­
sma.
La «grazia di unità», allora, non è una cosa-statica,
un dono settoriale, ma una energia che coinvolge,
che siesprimenella sintesi vissuta dei molti elementi che
compongono !’mdòlé^pròpfià~di un carisma: procede
costantemente dalla potenza dello Spirito, sempre pre­
sente nella Chiesa e in noi.
È il succo vitale che alimenta e fa crescere quella ca­
rità pastorale che garantisce la fisionomia propria del­
la missione, e al nostro volto spirituale il colore di
buona salute. La «grazia di unità» è in noi, in definiti­
va, il frutto e la presenza permanente delia^onsàcra-
zione religiosa.
2.2. La consacrazione religiosa
come presenza unificante dello Spirito
L’azione unificante dello Spirito Santo ha il suo ini­
zio generatore (per la nostra vita salesiana) nel momento
della professione religiosa quando il Padre ci consacra
con una speciale effusione del suo Spirito (cf C. 3). Ab­
biamo riflettuto abbastanza in questi anni sul senso pro­
32

4.6 Page 36

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priamente teologale di questa «consacrazione» religio­
sa; la «Lumen gentium» ce lha ricordato con una bre­
vissima ma eloquente espressione: il-v-ed>Q_«consecra-
tur» in forma passiva, suppone infatti lazione diretta
di Dio Padre Jcf LG 44).
La donazione totale di noi stessi a Dio per mezzo
della professione dei consigli evangelici è ratificata da
una presenza operante dello Spirito Santo, che ci av­
volge con il suo amore unificante e ci vitalizza con la
sua potenza trasformatrice, perché possiamo realizza­
re con generosa fedeltà il giuramento fatto. Questa pre­
senza particolare dello Spirito diventa la sorgente viva
di quella carità pastorale che è descritta nel testo delle
Costituzioni come il centro e l’anima del progetto evan­
gelico del carisma dellistituto.
La «grazia di unità», come abbiamo visto, è quel-
lenergià di amore che vm^La indissblubilinehfé i due
poli della carità (Dio e il prossimo), ma va più in di
questo ruolo generatore, per unificare i vari elementi
dell«indole propria» perché siano espressione conna­
turale della carità pastorale che vivifica il carisma.
Lo Spirito Santo è presente in noi, e ci accompagna
ogni giorno, perché possiamo essere davvero, in que­
stora di rinnovamento ecclesiale, testimoni «carisma­
tici» dell’eredità del Fondatore; ossia, dei consacrati che
dimostrano a tutto il Popolo di Dio in che cosa consi­
ste e come opera la potenza dello Spirito Santo oggi,
in risposta alle sfide dei tempi, e a beneficio dei desti­
natari della missione.
Il senso con cui usiamo qui il termine «carismati­
co» è quello di una interiorità apostolica molto cosciente
dellopera dello Spirito Santo nel cuore dei consacrati,
della centralità della carità pastorale in tutto il proget­
to di vita, e della forza organica della «grazia di unità»
33

4.7 Page 37

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che va strutturando vitalmente lindole propria, ogget­
to della professione religiosa.
2.3. Lo Spirito organicità all«indole propria»
La cosiddetta «indole propria» comporta vari ele­
menti diversi tra di loro, che si possono trovare, di fat­
to, anche in altre vocazioni.
La «grazia di unità» propria della carità pastorale
che specifica la nostra vocazione capacità di unire
in sintesi vissuta organicamente questi vari elementi. È
lopera unificante dello Spirito, comunicata attraverso
la consacrazione nella professione religiosa.
La molteplicità degli elementi è descritta nelle Co­
stituzioni. Vivere la loro organicità è frutto della grazia.
Come leggiamo negli Atti del CGS, questo tipo di
organicità «non è qualcosa di fisso e prefabbricato, ma
è un progetto in continua costruzione. La sua unità non
è statica; è piuttosto ununità in tensione con una con­
tinua necessità di equilibrio, di revisione, di conversio­
ne e di adattamento».
E qual è la molteplicità di elementi che il Salesiano
unisce in sintesi vitale con la presenza dinamica dello
Spirito Santo?
Ce la propongono le Costituzioni.
Non si tratta semplicemente di norme ascetiche, per
una corrispondente «osservanza». Sono indicazioni che
appartengono al dinamismo della vita.
Per esempio le seguenti:
il tipo di missione ecclesiale,
le sue diverse componenti,
la modalità apostolica nella pratica dei Consigli
evangelici,
il progetto comunitari^ di vita e di azione,
34

4.8 Page 38

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le differenti finalità a cui tende listituto (cf C. 6),
la responsabilità nellanimazione e nella cresci­
ta della Famiglia Salesiana,
gli obiettivi propri della formazione,
gli aspetti istituzionali fondamentali a servizio
del carisma,
larmonia tra diversi aspetti dello spirito del Fon­
datore,
la metodologia dell’azione, in cui urge saper unire
evangelizzazione e promozione umana,
quella particolare spiritualità che rinnega se stes­
si, facendosi amare,
una sintonia intrinseca tra contemplazione e azio­
ne, ecc.
La «grazia di unità» della nostra Consacrazione
muove e unisce tutti questi elementi in una sintesi or­
ganica che costituisce lindole propria della nostra te­
stimonianza nella Chiesa. Qui sta il «carisma» salesia­
no di Don Bosco: unorganicità di clementi differenti,
vissuti come espressione della potenza unificante dello
Spirito Santo. Tra noi sarà genuinamente «carismati­
co» chi sa vivere testimoniando questo tipo di Congre­
gazione apostolica!
È un piacere scoprire, meditando i cento anni di sto­
ria e viaggiando per il mondo salesiano, quanto affer­
ma il primo articolo delle Costituzioni: che il progetto
evangelico della nostra vita non è il programma genia­
le di un uomo, ma frutto dell’iniziativa di Dio, autenti­
co dono dello Spirito Santo, e non si riesce a capire co­
rnerei siano confratelli disattenti a simile iniziativa di­
vina, e che fuggono di Casa per cercare il carismatico
solo in altri gruppi.
Anche questa è una superficialità spirituale, tanto
più pericolosa in quanto denuncia una forma incoerente
35

4.9 Page 39

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di docilità allo Spirito: l’appartenenza formale a un’as­
sociazione che protegge le spalle per vivere (ignorando
di fatto i vincoli della propria Consacrazione con la sua
ricchezza carismatica), e lappartenenza vitale a un al­
tro movimento scelto soggettivamente perché moda ca-
rishiatica di attualità, come se liniziativa dello Spirito
avesse già terminato di vivificare leredità lasciata dal
proprio Fondatore.
Lindole propria è continuamente arricchita dallo
Spirito anche con il dono costante di nuove vocazioni.
Ogni persona che professa apporta al carismacòmuhe
vari doni di provenienza divina.
Evidentemente bisogna saperli scoprire, ma le pro­
fessioni sono una porta aperta, per la quale passa la­
more dello Spirito. Le Costituzioni lo affermano mol-
tevolte.
~~
Vediamo alcuni esempi:
Fanno vedere che Dio arricchisce ogni nuovo so­
cio con doti e grazie personali per la realizzazione del
comune carisma (cf C. 22).
Ricordano che ognuno partecipa alla responsa­
bilità della missione comune con la ricchezza dei suoi
doni (cf C. 45).
Indicano che la comunità favorisce e attende lo
sviluppo delle doti di natura e di grazia di ognuno (cf
C. 52).
Sottolineano che lubbidienza richiede l’uso in­
telligente e generoso della propria libertà, arricchita dei
doni del Signore (cf C. 67).
Insistono che ognuno, docile allo Spirito Santo,
sviluppi «le sue attitudini e i doni della grazia in uno
sforzo costante di conversione» a favore del patrimo­
nio spirituale e apostolico lasciato dal Fondatore (C. 99).
Lindole propria, allora, è una realtà viva, sempre
36

4.10 Page 40

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nuova, perché carisméilica, c, per ciò stesso, sempre fe­
dele alle origini. Veramente, la potenza unificatrice dello
Spirito Santo è sorgente di una carità pastorale che, at­
traverso la «grazia di unità», va strutturando il carisma
proprio della nostra vocazione nella Chiesa.
2.4. La dimensione «carismatica» delle origini
Lo Spirito Santo unisce e vivifica continuamente i
vari elementi della nostra vocazione; ma lora del suo
intervento più significativo è quella della fondazione.
È momento di confronto per ogni tempo successivo; in
Don Bosco ha costruito il modello permanente di un
nuovo carisma nella Chiesa.
Sappiamo che i documenti del Magistero hanno chia­
mato «carisma» una esperienza viva dello Spirito San­
to, e «carisma del Fondatore» un’esperienza viva dello
Spirito Santo che è stata suscitata per essere trasmessa,
sviluppata, difesa e accresciuta conforme alla crescita
del Corpo di Cristo che è la Chiesa (cf «Mutuae rela-
tiones» 11).
Il carisma di Don Bosco è precisamente leredità spi­
rituale e apostolica che abbiamo ricevuto da lui, come
frutto della presenza e della iniziativa dello Spirito San­
to. È sorgente di gioia interiore e di caratterizzazione
ecclesiale considerare in Don Bosco linizio stesso di que­
sta «grazia di unità» che va strutturando da più di un
secolo lindole propria della nostra vocazione.
Ci aiuterà la lettura di alcune affermazioni delle Co­
stituzioni, che chiariscono il senso della nostra vera di­
mensione carismatica.
«Con senso di umile gratitudine si legge
crediamo che la Società di San Francesco di Sales è na­
ta non da solo progetto umano, ma per iniziativa di Dio.
37

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Per contribuire alla salvezza della gioventù, questa por­
zione la più delicata e la più preziosa dellumana socie­
, lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno
di Maria, san Giovanni Bosco... Da questa presenza at­
tiva dello Spirito attingiamo lenergia per la nostra fe­
deltà e il sostegno della nostra speranza» (C. 1).
Don Bosco è presentato come padre e maestro,
nostro modello formato dallo Spirito Santo (cf C. 21).
Perciò «docili alla voce dello Spirito, intendia­
mo realizzare, in una specifica forma di vita religiosa,
il progetto apostolico del Fondatore: essere nella Chie­
sa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, spe­
cialmente ai più poveri» (C. 2).
Le Costituzioni definiscono la nostra attività apo­
stolica come una iniziativa «del Padre che ci consacra
col dono del suo Spirito, e ci invia ad essere apostoli
dei giovani» così come ha fatto con Don Bosco (C. 3).
Parlano dellinteriorità, dellunione con Dio, per
la quale il Salesiano «attento alla presenza dello Spiri­
to e compiendo tutto per amore di Dio, diventa, come
Don Bosco, contemplativo nellazione» (C. 12).
Trattando della radicalità nella pratica dei con­
sigli evangelici, assicurano che così, imitando Don Bo­
sco, «seguiamo Gesù Cristo,... e partecipiamo più stret­
tamente al mistero della sua Pasqua, al suo annienta­
mento e alla sua vita nello Spirito» (C. 60).
Fanno notare che la consacrazione è sorgente per­
manente della grazia: la fedeltà e la perseveranza sono
frutto dello Spirito Santo (cf C. 95).
Invitano ad essere «attenti ai segni che lo Spiri­
to Santo ci attraverso gli eventi», precisamente co­
me soleva fare Don Bosco (C. 64).
Ricordano la capacità di discernimento di Don
Bosco, affermano che il salesiano scopre «i frutti dello
38

5.2 Page 42

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Spirito nella vita degli uomini, specialmente dei giova­
ni» (C. 95).
La «grazia di unità» ha la sua esplosione iniziale nella
carità pastorale di Don Bosco, come scintilla prima e
molto intensa di una missione giovanile e popolare.
Qui dobbiamo saper trovare la ricchezza e l’attuali­
del nostro carisma.
2.5. La dimora dello Spirito è il cuore
Lo Spirito è amore, e la sede dellamorec il cuore.
È lì, nellinteriorità, che risiede la «grazia di unità».
Da procedono tutti i dinamismi della carità pastora­
le. E la carità pastorale è fuoco.
Nella Pentecoste,To Spirito discese sugli Apostoli e
Maria in forma di lingue di fuoco. L’amore, infatti, è co­
me fuoco che fonde in ununica realtà i diversi, e che svi­
luppa una energia così potente da trasformare il mondo.
Sant’Agostino, così amante dell’interiorità e della
contemplazione, affermò che «ogni amore è dotato di
un’energia sua propria, e quando sitrova inun cuore in-
namorato, non può rimanere senza operare: spinge: neces­
sariamente allazione» (In Ps. 121, 1;PL37, 1618-1619).
Loperosità apostolica è, innanzitutto, interiorità.
Non possiamo distrarci o sottrarci a questa verità
fondamentale di ogni vita consacrata. Lo Spirito abita
nel cuore; vibra la carità pastorale, da proviene tutta
la forza della «grazia di unità». È dentro per uscire fuori.
Ma può essere fuori senza essere uscita da dentro: que­
sta è la tragedia della superficialità.
Lamore di carità ritorna alla persona organicamente
attiva; ma non ogni attività fa crescere organicamente
la persona: può essere un’esteriorità dispersiva.
La riflessione sulla presenza unificante dello Spirito
39

5.3 Page 43

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ci obbliga a preoccuparci della formazione del cuore.
Già abbiamo intuito che per la «grazia di unità» non
cè il dualismo antitetico tra interiorità c operosità, ma
tutto il segreto della potenza dello Spirito sta precisa-
mente nella carità pastorale, che con il suo fuoco di amo­
re fonde le due dimensioni (Dio e il prossimo) nella «in­
teriorità apostolica», che produce lestasi dellazione.
2.6. La responsabilità attuale nella docilità allo Spirito
Chi ha responsabilità di animazione e di governo nel­
la Congregazione dovrà ripensare il proprio ministero e
i propri ruoli alla luce delle riflessioni che abbiamo fatto.
Se siamo «carisma» nella Chiesa, quali saranno le
conclusioni di questo fatto? Se viviamo un’ora specia­
le dello Spirito Santo, con fenomeni nuovi della sua pre­
senza e potenza, possiamo essere visitati e rinnovati da
Lui, senza che nessuno se ne renda conto? Come fac­
ciamo, non tanto perché se ne rendano conto, quanto
per testimoniare un vero carisma attuale?
Io vorrei contribuire a risvegliare oggi questa respon­
sabilità.
La «grazia di unità» indissolubile armonia tra in­
teriorità e operosità , il fervore e linventiva della ca­
rità pastorale, non sono realtà statiche e senza creativi­
tà. Rinnovano lidentità della nostra indole propria, co­
struiscono la comunione di un solo cuore e di un’ani­
ma sola nella Congregazione, con stile di famiglia. Ci
configurano nella Chiesa come un nuovo dono di Dio, |
un carisma rinnovato dello Spirito.
Nel Sinodo dell87, quando si parlò dei «movimen­
ti», qualcuno fece osservare che ci sono movimenti
«nuovi» e movimenti «rinnovati».
Alcuni nascono oggi, altri sono nati già prima, e oggi
40

5.4 Page 44

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sono rilanciati dal Concilio e dai segni dei tempi. In que­
sto senso anche lopera di rinnovamento religioso può
suscitare veri «movimenti».
Larticolo quinto delle nostre Costituzioni parla di
un «vasto movimento»; ma li questa parola non ha lo
stesso significato. Vuole indicare semplicemente che, ol­
tre ai gruppi della Famiglia Salesiana, esistono altre nu­
merose persone che hanno simpatia per Don Bqsco, che
ammirano la sua missione, che aiutano in qualche mo­
do senza entrare a far parte ufficiale della cosiddetta
Famiglia Salesiana. Ma qui, con questo termine, non
snnteride solo indicare una maggior estensione quanti­
tativa: si vuole indicare una novità qualitativa, alla quale
alludeva il Sinodo parlando di movimento ecclesiale.
Cosa si intende allora per «movimento ecclesiale»?
Si vuole indicare la comunione di molte persone, mos­
sela uno stesso ideate, entusiaste per una comune mis­
sione, animate da idee-forza che danno loro uno spes­
sori spirituale e una capacità di testimonianza cristia­
na nella società e nella Chiesa.
Se è così, perché non si applica a noi questo senso?
Perché come consacrati non possiamo essere un nucleo
animatore di molte altre persone: di laici, di educatori,
di giovani?
Abbiamo molto chiare alcune idee forza che non solo
muovono noi ma che attirano attorno a noi molte altre
persone. In molte parti del mondo si è lanciato un «Mo­
vimento Giovanite Salesjano»; va bene e sta crescendo^
Màpéfchésiaautentico occorreche te comunità di con-
sacrati trabocchinò di duesto rinnovamento «carisma-^
tico>»che abbiamo descritto prima, e che è vera docili­
allo Spirito Santo.
Quanto costa far partire tra noi un autentico movi­
mento ecclesiale di giovani, di laici, di educatori!
41

5.5 Page 45

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Ebbene, il ministero di animazione e di governo deve
tendere verso questa meta, per testimoniare che crediamo
nello Spirito Santo; che la «grazia di unità» che ci ha da­
to è energia di comunione ecclesiale. Daltronde, ciò-do-
vrà verificarsi prima nella crescita della nostra Famiglia.
Larticolo 5 delle Costituzioni assegna alle nostre co­
munità responsabilità di animazione e coordinamento
dinamico dei gruppi che la formano. Abbiamo il vantag­
gio che ci sono gruppi consacrati già docili allo Spirito
Santo e laicich prima categoria che, più di una volta, ci,
stimolanò ad essere autentici discepoli dc! Signore, mossi
da unaspeciale presenza creatrice dello Spirito Santo.
Il Papa insiste sullimportanza cristiana di una da­
ta che si avvicina: il 2000, linizio del terzo millennio.
Lo Spirito Santo va preparando i fedeli ad esso, non
come a una data apocalittica, con cataclisma del mon­
do, ma come a un nuovo inizio che ci sproni a una mag­
giore autenticità evangelica soprattutto con i giovani.
La nuova cultura sta cambiando il modo di essere uo­
mo, e quale sarà il nuovo modo di essere cristiano? Per
saper dare una risposta, nói dobbiamo, anzitutto curare
linteriorità apostolica, che ci rende attcnlamcntc: docili
allo Spirito del Signore. Questo è indispensabile: lenergia
della «grazia di unità» viene, infatti da una Persona che
è in noi e con la quale dobbiamo dialogare in amicizia.
Ma siccome la «grazia di unità» viene da un Dio che
ci jnvia_aglijromini, dobbiamo sapere distinguere che
cosa ci va suggerendo lo Spirito Santo oggi. Io penso
che per il rinnovamento della nostra azione abbiamo
già una risposta dello Spirito nelle Costituzioni rinno­
vate: il «criterio oratoriàno».
È un criterio che ci rilancia tra la gioventù nella sua
esigente realtà, come ha fatto Don Bosco nella città di
Torino del secolo scorso. Loratorio è la prima inizia­
42

5.6 Page 46

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tiva, da cui hanno origine le istituzioni della nostra ope-
XQsità. Dobbiamo incominciare a ripensare le cose par­
tendo dalla gioventù bisognosa. Viviamo tempi nuovi,
diversi da quelli di Don Bosco, ma il criterio di inter­
vento è lo stesso: avere un cuore oratoriano.
A questa carità oratoriana dobbiamo aggiungere, im­
mediatamente dopo, il criterio apostolico della colla­
borazione col maggior numero possibile di laici, soprat­
tutto gli appartenenti ai gruppi della Famiglia Salesia­
na. Ci sono luoghi dove gli oratori sono diretti dai Coo­
peratori, perché sono cresciuti e si sono formati con il
genuino spirito di Don Bosco.
Mossi da questi due criteri di rinnovamento, pos­
siamo creare un movimento ecclesiale per la gioventù,
che mostri l’attualità e lincisività del carisma di Don
Bosco, rinnovato dalla presenza vivificante dello Spiri­
to. Lo Spirito del Signore ci invita fortemente a rinno­
vare loriginalità del carisma di Don Bosco. È indispen­
sabile per questo che i responsabili dellanimazione e
del governo prendano più sul serio, con attenzione as­
solutamente prioritaria, la cura dell’interiorità aposto-
lica, védendo nella «grazia di unità» lenergia che ci sti­
mola a una convocazione dei fedeli laici formati nella
spiritualità del nostro Fondatore.
Ci auguriamo che anche le Figlie di Maria Ausilia-
trice lavorino con noi e si sforzino di aumentare il nu­
mero di laici che seguono lo Spirito Santo come Don
Bosco. Allora crescerà, a partire dalla nostra Famiglia,
un vero movimento ecclésiale per e della gioventù.
La lettera che il Papa ci ha scritto il 31 gennaio 1988
richiede una forte capacità comunicativa del carisma.
È come se ci dicesse: «Spiegate ai genitori, agli altri edu­
catori e ai tanti fedeli laici perché Don Bosco ha avuto
una vera efficacia nell’educazione della gioventù».
43

5.7 Page 47

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5.8 Page 48

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3. La professione religiosa
come progetto unitario
Continuiamo a riflettere sulla «grazia di unità» co­
me energia vitale che ci viene dallo Spirito Santo.
Abbiamo visto che liniziativa creatrice dello Spiri­
to Santo è cominciata nel Fondatore, in cui la «grazia
di unità» è andata strutturando uno speciale progetto
unitario di vita evangelica. Abbiamo constatato così li­
nizio di un«indole propria» che manifesta i contenuti
particolari dello speciale carisma del Fondatore.
Continuando su questa linea di riflessione, passia­
mo ora ad analizzare l’atto personale con il quale ci in­
seriamo in questo carisma, per continuare a testimoniare
e a sviluppare le sue ricchezze nella Chiesa. Questo at­
to è lemissione della Professione religiosa.
3.1. Professione e «indole propria»
La Professione religiosa è latto libero, cosciente,
con il quale, conoscendo il progetto evangelico struttu­
rato dalla «grazia di unità» donata a Don Bosco, ognu­
no di noi si impegna a viverlo confidando nella poten­
za dello Spirito Santo, che infonde la forza per testi­
moniarlo con integrità.
Qui non si tratta di meditare sulla Professione reli­
giosa in forma generica. Vogliamo approfondire pro­
prio la Professione «salesiana» analizzando i suoi con­
tenuti specifici. Così percepiremo come lenergia della
45

5.9 Page 49

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«grazia di unità» unisce nella nostra coscienza e nella
nostra vita vari elementi, per distinti, ma che in noi
si manifestano in un’armonica sintesi vitale.
La nostra Professione non si identifica semplicemen­
te con lemissione dei tre voti, ma comporta esplicita­
mente lassunzione del progetto unitario di vita evan­
gelica, che è descritto con autenticità nelle Costituzio­
ni. Lo dice la stessa formula della Professione: «Fac­
cio voto di vivere obbediente, povero e casto, secondo
la via evangelica tracciata nelle Costituzioni salesiane»
(C. 24).
Lindole propria del nostro carisma ha un legame
molto profondo con la nostra Professione religiosa. Non
per nulla prima di fare la Professione abbiamo studia­
to con attenzione e praticato con somma cura «le Co­
stituzioni della Società di san Francesco di Sales», e non
per nulla ogni Professione religiosa richiede una spe­
ciale pedagogia ascetica descritta in una determinata Re­
gola di vita.
La superficialità spirituale può intaccare anche l’atto
centrale della nostra esistenza cristiana: la Professione
religiosa. Chi non ha udito frasi riduttive come queste:
«Io ho fatto voto di castità e non voto di comunità»;
«Io ho fatto voto di obbedienza e non voto di assisten­
za»; «Io ho fatto voto di povertà e non voto di chiede­
re permesso», ecc. O anche lespressione imprecisa, ma
comune, «rinnovazione dei voti», invece di dire, con
più proprietà, «rinnovazione della Professione».
In verità è necessario meditare meglio, e in relazio­
ne al progetto di vita formulato dal Fondatore, il signi­
ficato «carismatico» dell’atto così concreto della nostra
Professione religiosa.
Anche il benedettino, il francescano, il domenica­
no, il gesuita, ecc., promettono con voto di praticare
46

5.10 Page 50

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i Consigli evangelici; ma non fanno una Professione
identicaalla nostra. Infatti, nel loro Istituto non vivo­
no fa nostra stessa indole propria.
Tra Professione e indole propria cè, quindi, una in­
separabile opzione evangelica.
3.2. La significativa data del 14 maggio
Prima di individuare gli elementi fondamentali che
costituiscono lindole propria del nostro carisma, vale
la pena ricordare il contesto storico della prima Pro­
fessione salesiana, che tutti i Soci sono chiamati a riat-
tualizzafe con solennità e fervore spirituale in questo
centenario della morte di Don Bosco.
Il giorno della prima Professione salesiana fu il 14
maggio 1862 e la fecero 22 giovani insieme al Fondato­
re (MB 17,161).
La fecero a Torino, capitale di uno Stato che stava
diventando laicista e combattivamente anticlericale: per­
seguitava ed espelleva gli Ordini religiosi, considerati
inutili alla società.
Ebbene, questi giovani, che daltra parte sentivano
linflusso culturale della loro epoca (poca simpatia per
«i frati», tantè vero che Giovanni Caglierò si decise a
fare la Professione esclamando: «Frate o non frate, io
rimango con Don Bosco!»), hanno il coraggio di ini­
ziare una nuova Congregazione religiosa e fanno la lo­
ro Professione con un entusiasmo straordinario.
Una opzione di vita che voleva dire stare con Don
Bosco superando le gravi difficoltà dellambiente sociale
e anche diocesanói inìziavano così un cammino evan-
geTiconuovo,caratterizzato da unindole propria, che
non coincideva con la modalità generale delle Profes­
sioni religiose allora conosciute.
47

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Iniziavamo la vita di un carisma inedito. La teolo­
gia della Vita religiosa ci insegna che sul fondamento
di valori comuni si sviluppano le indoli proprie dei mol­
teplici carismi di Vita consacrata. Possiamo dire che,
di fatto, ciò che esiste concretamente non è tanto la vi­
ta religiosa, quanto i carismi dei differenti Istituti (an­
che se ci sono valori comuni sui quali si può fare una
teologia comune).
Quindi, in quella congiuntura storica non favore­
vole, quando sembrava che tutto ciò che sapeva di ec­
clesiastico stesse crollando insieme agli Stati Pontifici,
quei giovani pieni di fede e di speranza, accettano co­
scientemente, coraggiosamente, la proposta di Don Bo­
sco presentata come progetto che veniva da Dio.
Questa Professione segna storicamente linizio di una
originalità carismatica di carità pastorale a favore del­
la gioventù. Essi erano convinti di poterlo realizzare bene
e di essere perseveranti fino alla fine, nonostante le gravi
circostanze avverse.
3.3. Un atto definitivo di libertà
Quel 14 maggio ci fa comprendere la grandezza cri­
stiana della Professione religiosa. Non cè atto più elo­
quente per un progetto di vita di discepoli del Signore.
Le Costituzioni ci dicono che è un atto supremo di
libertà: «È una scelta tra le più alte per la coscienza di
un credente, un atto che riprende e riconferma il miste­
ro dell’alleanza battesimale per una sua espressione più
intima e piena» (C. 23).
È la scelta fondamentale ner Cristo, determinata dal­
lindole propria del carisma del Fondatore, che un
orientamento definitivo alle iniziative future della pro­
pria libertà. È come il lancio in un’orbita spaziale.: im­
48

6.2 Page 52

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mensa possibilità di navigazione, ma in un progetto ec­
clesiale ispirato da Dio.
Con la Professione si rinnova e si determina la por­
tata esistenziale del sacramento della fede, come se si
dicesse: il mio Battesimo io lo voglio vivere secondo que­
sto progetto evangelico; il mio modo di essere discepo­
lo di Gesù Cristo è vivere lindole propria di quel cari­
sma.
La Professione religiosa comporta un atto coscien­
te e programmatico di futuro per la collocazione della
propria esistenza nel divenire della società e della Chie­
sa: quello di avere trovato il significato della propria
vita nella storia, secondo uno speciale cammino di se­
quela di Gesù Cristo.
La parola «professione» può avere per noi un dop­
pio significato.
Uno, derivato dal verbo «profiteor», come dichia­
razione pubblica della testimonianza vissuta della pro­
pria scelta di fede. Un altro, in consonanza con una certa
mentalità comune (quantunque non sia il suo significa­
to autentico) è quello di pensare che con quell’atto li­
turgico i religiosi scelgano una specie di «professione»
sociale che li distingua dalle altre numerose professioni
umane. Ciò fa loro pensare che si abilitano per una pro­
fessionalità che esige competenza^nelle còse di GCsùCri-
sto e nella missione del Fondatore.
In ognuno dei due significati si tratta di una specia-
le testimonianza di fede, in cui la «grazia di ùhità» pro-
pria della carità infonde la capacità di organizzare in
sintesi vitale i vari elementi di un carisma.
Anche qui la riflessione ci porta ad affermare che
la Professione religiosa ci rende «carismatici», in fedeltà
a una determinata indole propria. Il documento «Mu­
tate Relationes» ricorda alcune note caratteristiche di
49

6.3 Page 53

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un carisma nella Chiesa: fedeltà al Signore, intelligente
attenzione pastorale alla realtà e ai segni dei tempi, co­
munione con la Chiesa, audacia creativa, costanza nel­
la donazione, umiltà nei contrattempi ed esperienza del
mistero della Croce; afferma inoltre, che le doti perso­
nali servono per arricchire e ringiovanire la Congrega­
zione in cui uno si inserisce, vivendole in armonia con
il progetto del Fondatore.
3.4. L’originalità e i contenuti
della nostra consacrazione religiosa
Quali sono gli elementi fondamentali dellindole pro­
pria del progetto salesiano? Dopo tre lunghi Capitoli
Generali (15 anni di lavoro) abbiamo una risposta chiara
contenuta nell’articolo 3 del nuovo testo delle Costitu­
zioni: «La nostra consacrazione apostolica».
Quante discussioni nel CGS tra i difensori del pri­
mato della «consacrazione» e quelli che preferivano lin­
cisività esistenziale della «missione».
Alcuni avevano unidea di consacrazione veramen­
te preconciliare e impropria: lidentificazione con lat­
to soggettivo di colui che emette i voti (si consacra a
Dio), o con la pratica stessa dei consigli evangelici (i voti
sono la consacrazione). In questa interpretazione, oggi
superata, escludiamo sia la missione che la vita comu­
nitaria. Come si vede, era una visione pericolosamente
riduttiya, che suscitava un’infinità di discussinniTeììha
strutturazione non unitaria nella rielaborazione del te­
sto costituzionale.
Finalmente si riuscì ad approfondire la famosa af-
fermaziqne della «Lumen gentium»: «consecratur>» (n.
44) e si potè parlare di «consacrazione apostolica!» che
è costituitainfonnnofganicàjarcausa dellenergia dèl-
50

6.4 Page 54

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laj<grazia dell’unità» che la fermenta) da quattro ele­
menti fondamentali: lalleanza di Dio (come fonte del­
uda «grazia di unità»), la missione apostolica (come fi­
sionomia globale), la comunità fraterna (come stile di
vita e di azione) e la pratica dei Consigli evangelici
me struttura radicale di donazione di sé).
Questi quattro elementi fondamentali sono vissuti
in un unico movimento di carità.
“Leggiamo l’articolo: «La nostra vita di discepoli del
Signore è una grazia del Padre che ci consacra col do­
no del suo Spirito e ci invia ad essere apostoli dei giovani.
Con la Professione religiosa offriamo a Dio noi stessi
per camminare al seguito di Cristo e lavorare con lui
alla costruzione del Regno. La missione apostolica, la
comunità fraterna e la pratica dei Consigli^ evangelici
sono gli elementi inseparabili della nostra consacrazio­
ne, vissuti in un unico movimento di carità verso Dio
e i fratelli.
La missione a tutta la nostra esistenza il suo to­
no concreto, specifica il compito che abbiamo nella
Chiesa, e determina il posto che occupiamo tra le fa­
miglie religiose» (C. 3).
Mi pare molto illuminante citare qui il commento
che ha fatto il cardinale Anastasio Ballestrero, arcive­
scovo di Torino, ed ex Superiore Generale dell’Ordine
Carmelitano, predicando agli Ispettori d’Italia. È risa­
puto che il card. Ballestrero partecipò personalmente
ai lavori del Concilio Vaticano II; in modo particolare,
ai testi relativi della Vita consacrata.
«Siamo (in questo vostro articolo 3) in una prospet­
tiva pienamente evangelica. Questa vita però è qui pre-
seihatn^on come unà sceltà che abbiamo fatto noi, ma
come un dono che ci è stato dato, che vi è stato dato.
È una grazia del Padre: convocati intorno al Figlio dal
51

6.5 Page 55

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Padre che ci consacra con il dono del suo Spirito e ci
invia ad essere apostoli dei giovani. Un solo_periodo-
grammaticale. Cè una continuità, una compaginazio­
ne mtenonTche è veramente indivisibile, sebbene il te­
sto sia riccamente complesso, e riccamente traboccan­
te di realtà, di rapporti, di fecondità. È il Padre che con­
sacra.
Qui entriamo nella teologia della consacrazione.Su-
bito dopo la pubblicazione dei documenti conciliari, a
cominciare dalla Lumen gentiumper andare al Per-
fectae caritatis, intorno a quel consecrantursono
nate le interpretazioni: era un riflessivo o era un passi­
vo? Si consacrano i religiosi, o sono consacrati? A leg­
gere attentamente irtèstóL a leggere anche le note del
testo, dopo le discussioni in aula, risultava chiarissimo
che il consecranturvoleva essere un passivo: a Deo
consecrantur. Ma nonostante una nota esplicita che
è nel testo, e che riportava una nota della Commissio­
ne in cui si dichiarava che è sottinteso (a Deo) conse­
crantur”, la teologia è andata per i fatti suoi e ha con­
tinuato a estenuare il passivo del “consecranturcon
il riflessivo, sminuendo la forza così trascendente del
consecrantur” perché se mi consacro io è una cosa,
ma se mi consacra Dio è un’altra.
Qui è detto chiaramente: cè una grazia del Padre
che ci consacra, cè una consacrazione che si riceve, e
si riceve da Dio, il Padre del Signore. Ma cè di più.
Nell’art. 3, con una esplicitazione^del testo conciliare
particolarmente significativa è detto ancora: con il do­
no del suo Spirito. E ancora: E ci invia ad essere apo­
stoli dei giovani. Consacrati con il dono dello Spirito
e inviati. La consacrazione è comprensiva del dono dello
_Spirihxe_ddPì^io^gioyaÌHÌ^à7cbntestuàIitàrdÌìiuesto-
testo di tre righe è veramentemolto espressiva e molto
52

6.6 Page 56

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significativa. Credo che valga la pena di non diluirla
con troppi commenti. È lì, stringente, indivisibile vor­
rei dire. Ed è la sua forza...
Non abbiamo scelto noi, ma ha scelto il Padre per
noi. Ci ha scelti'lui e Lòh iLdono deÌ suo Spìrìto ci ha
consacrati e ìnviati ad essere apostoli dei giovani.
Questintimò legame traJa^on^acraHònFèTìnvio
ai giovani è un altro elemento molto significativo della
vostra identità spirituale e della vostra vocazione.
Questa duplice polarizzazione a livello di incarna­
zione in un’unica grazia: quella che mi porta a Dio nel­
la fedeltà della consacrazione, e quella che mi porta ai
giovani, non come cosa diversa da tale fedeltà, ma coe­
renza a tale fedeltà.
Non cè un movimento alternativo: un po’ ai gio-
vani, un poa Dio, e così via, attraverso unaltalena
di preoccupazioni interiori e di impegni spirituali; ma
c’è la capacità, cè la grazia di renderci conto che il modo
concreto di andare a Dio, per voi, è andare ai giovani".
Essere fedeli alla missione che proprio nellincontro còn
Dio vi viene continuamente ribadita, continuamenfe ri­
cordata, e anche continuamente caricata di grazia, per­
ché non ci andate a nome vostro, ma ci andate perché-
Qualcuno vi manda..
Questo senso della missione, essere mandati ai gio­
vani, è molto bello. Quando poi il vostro testo ripren­
de: Offriamo a Dio noi stessi per camminare al segui­
to di Cristo...”, si esplicita la prima parola: la nostra
vita di discepoli del Signore. La professione religiosa
fonda questo discepolato, ed è consacrante. Consacrante
perché deriva da una grazia del Signore. Non è soltan­
to un generoso e coraggioso proposito, ma anche un
dono misterioso e gratuito'che ñón si può separare, evi­
dentemente, dal proposito e dall’impegno, ma che tùt-
53

6.7 Page 57

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tavia precede, nella dinamica della grazia e della santi­
tà, il proposito. Camminare al seguito di Cristo. Una
consacrazione, quindi, che non vi costituisce, non vìsì-
stemainuna-nicchia,.mavimette in uncammino.Cam-
minare al seguito di Cristo. Questo del camminare, co­
me immagine del seguire Cristo... Siamo ancora in unal­
tra terminologia dinamica: iljeguire, passo dopo pas­
so, Cristo. È qualcosa che caratterizza la consapevo­
lezza della funzione della consacrazione, che non con­
clude qualcosa, ma che inizio a qualcosa: cammina­
re, andare, muoversi. Questo seguire Cristo, la sequela
Christi, termine classico nella consacrazione religiosa.’?
■'C’epoi, sempre in questo articolo 3, un altro capo­
verso: La missione apostolica, la comunità fraterna
e la pratica dei consigli evangelici sono gli elementi in­
separabili della nostra consacrazione, vissuti in un uni­
co movimento di carità verso Dio e verso i fratelli.
Io vorrei fare unosservazione, a proposito di que­
sto testo. Nei discorsi correnti, anche postconciliari, si
parla di consacrazione attraverso i Consigli evangelici,
e poi viene tutto il resto. Qui assistiamo invece a un ri­
baltamento di prospettive: la consacrazione mette al pri­
mo posto, come contenutola missione apostolicàTIà
carità fraterna e poi la pratica dei consigli evangelici.
Mi pare particolarmente illuminante e significativa que­
sta originale collocazione di tali componenti della con­
sacrazione. Laconsacrazione, che, prima di tutto, ¿mis­
sione ap_ostQhca,--è comunità_fratema, è pratica dei Con-
sigli evangelici.
Trovo che questo è estremamente ricco di conseguen­
ze nel caratterizzare una vocazione, un tipo di vita reli­
giosa, e anche, fondamentalmente, una spiritualità» (A.
Ballestrero, Don Bosco, un prete per i giovani, Elle
Di Ci, 1987, pp. 39-43).
54

6.8 Page 58

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' Questa riflessione del card. Ballestrero tocca diret­
tamente il nostro tema della «grazia di unità».
E interessante notare che quello che propongono le
Costituzioni nellarticolo 3, in forma descrittiva-affer-
mativa dei contenuti della nostra consacrazione aposto­
lica, lo presentano anche nell’articolo 24, ma in un modo
di offerta orante da parte di ogni membro della Con­
gregazione. Si tratta della,formula della Professione re­
ligiosa.
«Dio Padre, Tu mi hai consacrato a Te nel giorno
del Battesimo. In risposta allamore del Signore Gesù
tuo Figlio, che mi chiama a seguirlo più da vicino, e
condotto dallo Spirito Santo che è luce e forza ( = Dio
mi consacra) io in piena libertà mi offro totalmente a
Te, impegnandomi a donare tutte le mie forze a quelli
a cui mi manderai, specialmente ai giovani più poveri
( = missione)', a vivere nella Società salesiana in frater­
na comunione di spirito e di azione ( = comunità fra­
terna)...
Per questo, alla presenza dei miei fratelli, faccio voto
di vivere obbediente, povero e casto secondo la via evan­
gelica tracciata nelle Costituzioni salesiane ( = pratica
dei consigli evangelici)» (C. 24).
Possiamo leggere anche un altro articolo che, men­
tre indica quali sono i vincoli di unità nella comunione
fraterna, ritorna ad insistere sugli stessi elementi: «Dio
ci chiama a vivere in comunità affidandoci fratelli da
amare. La carità fraterna, la missione apostolica e la
pratica dei Consigli evangelici sono i vincoli che pla­
smano la nostra unità e rinsaldano continuamente la no­
stra comunione.
Formiamo così un cuor solo e un’anima sola per
amare e servire Dio e per aiutarci gli uni gli altri» (C. 50).
È lenergia della «grazia di unità», che attraverso
55

6.9 Page 59

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lindole propria continua ad allargare l’influsso della
potenza unificatrice dello Spirito Santo.
Cè un altro argomento molto forte a favore di que­
sta riflessione circa i contenuti fondamentali della no­
stra indole propria ed è la considerazione della stessa
nella prima parte del «Commento» alle Costituzioni.
La forma con cui è stato strutturato il testo costitu­
zionale mette in risalto in modo mirabile lorganicità
della nostra indole propria. Se voi paragonate la strut­
tura delle attuali Costituzioni con quelle di Don Bosco,
o con quelle del 1921, o con quelle del CGS, troverete
una differenza di qualità.
Nel CG 22 .(1984) si studiò, si discusse e si votò con
serietà e somma curala struttura stessa deÌìe Costitu-
zioni, dàta_rimportanza non piccola aìicrpresentàziò-
nè^deiternostra ìdentita.TSi si vide che si doveva dare
un ordiñe¡nuòvo ai capitoli c alle siugole parti.
Unà«prima parte», sintetica, presenta in forma ger­
minale la nostra identità nella Chiesa. In questa parte
abbiamo l’articolo 3 e larticolo 24. Si afferma chiara­
mente chi siamo nella Chiesa, qual è l’energia vitale che
ci anima, in che consiste la nostra consacrazione apo­
stolica, il nostro spirito peculiare, e come ognuno per­
sonalmente assume lindole propria in piena libertà at­
traverso la Professione religiosa. È una prima parte che
costituisce la descrizione globale del nostro carisma.
Poi c’è la «seconda parte», che per la sua ampiezza
fu chiamata (dai capitolari) «maxiparte», e lo dimostra
la complessità del suo titolo: «Inviati ai giovani, in co­
munità al seguito di Cristo». Non si è voluto dividere
in varie parti gli elementi costitùtivTdèlIaliostralndoìe^
propria, perché non è solodalñissionériíé solamente
la comunità, solo i consigli checLidentificano, ma
sempre i tre elementi insieme: ognuno allinterno^èglr~
56

6.10 Page 60

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altri due. Si è voluto sottolineare così la famosa ener­
gia della «grazìà^drdnità»?
J
A volte ascoltiamo prediche negli Esercizi spirituali
sulla castità, o sulla missione, o sulla comunità, come
se fossero elementi «a sé», che potrebbero essere pre­
dicati indifferentemente da un gesuita o da un benedet­
tino. Anche questo può essere utile, però in questo ca­
so non si insiste sullindole propria del nostro carisma
ma su valori comuni ad ogni vita consacrata.
Infine vengono nel testo le altre due «parti» che, a
loro modo, confermano tutto questo.
3.5. La dinamica interna ai quattro elementi segnalati
Considerando ciò che affermano le Costituzioni (art.
3) a riguardo della nostra Consacrazione apostolica e
della nostra indole propria, possiamo scoprire una di­
namica allinterno di esse che gira attorno a due poli.
La coscienza di questa dinamica aiuta ad approfondire
la «grazia di unità», e a far crescere i sudi frutti nella
vita consacrata.
Il primo polo è costituito dallalleanza speciale con,
Dio. Esso comporta due azioni che convergono in sin­
tesi vitale: lazione di Dio Padre che consacra infon­
dendo la potenza trasformatrice dello Spirito Santo, e
lazione del professo che si offre totalmente a Dio, per
seguire Cristo e lavorare per il Regno. È un dinamismo
di amicizia che ha bisogno dixoscìenza D£rmanente.__dia-
logo quotidiano e atteggiamento personale damore. Da
questo ’polo di intima alleanza procede lunico movi­
mento in cui si vive quella carità pastorale che è al cen­
tro di tutto il nostro spirito.
Il secondo polo è costituito dallamissione apostoli-
ca che «specificaìl compito che abbiamo nella Chiesa
57

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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e determina il posto che occupiamo tra le Famiglie reli­
giose» (C. 3). Se il primo polo riguarda lunità, questo
secondo polo definisce lidentità. Sono due poli in mu­
tua tensione, che si completano in forma inseparabile
e si vivificano l’un laltro a diversi livelli.
Nel polo dellalleanza si coglie liniziativa di Dio in
una visione teologale rinnovata del concetto di consa­
crazione.
Nel polo della missione si scopre lapporto della real­
in divenire con le continue sfide giovanili che inter­
pellano linventiva pastorale.
L’attenzione a uno solo dei due poli romperebbe li­
dentità della nostra «indole propria».
L’alleanza e la missione non escludono gli altri due
elementi (comunione e Consigli) , anzi li illuminano con
luce specifica, e li dinamizzano con la novità creatrice
dello Spirito Santo e con levoluzione innovativa dei se­
gni dei tempi.
Certamente lapprofondimento di questa dinamica
sarà sommamente benefico nella formazione delle per­
sone: sia nella formazione iniziale, sia nella formazio­
ne permanente.
Io credo che non ci sia vera formazione se non si
percepiscehlsegretdorganico dellanostra«graziadi uni-
tà»:lFprocederemateriaÌmenteassommando gli elemen-
ti, per prezioso che sia ognuno di essi, non è intelligen­
za di fede, e non assicura, in definitiva, il superamento
del pericolo della nostra superficialità personale.
3.6. Urgenza di una rilettura salesiana della Professione
Già da diversi anni, e per vari altri nel prossimo fu­
turo, il delicato compito di animazione e governo esige
ed esigerà dai responsabili un’attenta rilettura salesiana
58

7.2 Page 62

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della Professione religiosa. È urgente dedicarsi ad ap­
profondire la suanatura, la sua originalità, la sua «gra­
zia di unità», i suoi dinamismi spirituali.
I responsabili devono riflettere, leggere, studiare e
pregare. Si tratta di portare i fratelli verso un vero cam­
bio di mentalità, a valorizzare lopzione fondamentale
della Professione,- a immettere nei canali della medita­
zione comunitaria una sapienza teologica che illumina
la nostra specifica consacrazione religiosa. .
Non mancano sussidi particolari di casa: gli Atti degli
ultimi tre Capitoli Generali, varie lettere circolari del
Rettore Maggiore, la «Ratio institutionis», il Commento
alle Costituzioni, ecc.
Non a caso parlo di sussidi «di casa», non solo per­
ché si tratta di riflettere sullanostfàìndole propria, ma
anche perché lo Spirito del Signore e la Vergine ci han­
no privilegiato con attenzioni e doni in questi anni po­
stconciliari.
È una vera ricchezza di grazia. Normalmente, per
imparare qualcosa di nuovo bisogna uscire di casa; qui
cè da entrare.
Vi invito ad apprezzare le belle e profonde realtà che
abbiamo. Questo ci fa sentire riconoscenti,ecidàspe-
ranzFefidùcia. Lo Spirito del Signore ci ha visitato e
ci ha dimostrato il suo amore. Sarebbe ingratitudine non
saperne approfittare. E sarebbe negligenza nel ministe­
ro sacerdotale dei responsabili il non approfondire e il
non comunicare la verità della Parola di Dio sulla no­
stra vita consacrata.
59

7.3 Page 63

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7.4 Page 64

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4. Lalleanza
come sorgente della grazia di unità
«La nostra vita di discepoli del Signore è una gra­
zia del Padre che ci consacra col dono del suo Spirito»
(C. 3).
Il Concilio Vaticano II, con una. sola parola resti­
tuita alla sua profondità teologale il termine «con­
sacrazione» ha rivoluzionato limpostazione della
Professione religiosa, e ci ha restituito il segreto della
«grazia di unità».
Incominciamo quindi a riflettere sui quattro elementi
costitutivi della nostra «indole propria». Cominciamo
con il primo elemento: lalleanza, come sorgente della
vita consacrata.
4.1. Liniziativa di Dio
Lazione consacratoria del Padre è la fonte della
«grazia di unità», perché è la sorgente prima dellamo­
re. La sua iniziativa comporta la presenza dello Spirito
Santo, che, con la sua potenza trasformante e unificante,
stabilisce una particolare alleanza con Don Bosco e con
ognuno dei suoi seguaci.
La prima considerazione che dobbiamo fare è che
il progetto di vita che testimoniamo non è una iniziati­
va nostra, ma un dono e una chiamata che sono inizia­
tiva di Dio, del suo amore di gratuita predilezione. Que-
61

7.5 Page 65

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sta sua iniziativa senso e muove il nostro speciale ge­
nere di vita.
Leggiamo alcuni testi biblici che sono stati messi co­
me ispirazione introduttiva ai capitoli delle Costituzio­
ni. Sono stati scelti molto bene e offrono momenti di
riflessione e meditazione molto efficaci.
Per esempio, il Salmo che introduce la visione con­
clusiva e sintetica delle Costituzioni come cammino che
conduce allAmore, dice: «Corro per la via dei tuoi co-
mandamenti, perché tu haijdilatato il mio cuore» (Sai
119,32: C. «Conclusione»).
Il nostro stile di vita, la nostra grazia di unità, il pro­
getto della nostra indole propria, gli elementi costituti­
vi della nostra Professione religiosa devono essere guar­
dati come radicati nelliniziativa di Dio: non sono io
che ho incominciato a correre, ma è il Signore che ha
dilatato il mio cuore, ha risanato i miei polmoni e irro­
bustito i muscoli delle mie gambe, perché io potessi cor­
rere per questa strada.
Un altro testo, messo alla fine della famosa «maxi­
parte», ricorda l’indispensabilità del dialogo con Cri­
sto. È una citazione della lettera ai Colossesi: «La pa­
rola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammae­
stratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio
di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spiritua­
li. E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si
compia nel nome del Signore Gesù» (Col 3,16-17). In­
dica il clima che rende possibile la vita salesiana, come
vita di unione con Dio, in costante dialogo con Gesù
Cristo, come quotidiano esercizio di fede, di speranza
e di carità. Liniziativa di Dio chiama ognuno per no­
me, e ci invita a stabilire personalmente una forte ami­
cizia con Lui.
--
£e Costituzioni, inoltre, insistono sull’iniziativa di­
62

7.6 Page 66

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vina nella nostra vita consacrata. «La professione reli­
giosa dice larticolo 23 è un segno dellincontro
di amore tra il Signore che chiama e il discepolo che
risponde donandosi totalmente a Lui e ai fratelli» (C.
<23).
Descrivendo lo spirito salesiano, le Costituzioni in­
dicano come caratteristica fondamentale lunione con
Dio. «Operando per la salvezza della gioventù dice
larticolo 12 il salesiano fa esperienza della paterni­
di Dio e ravviva continuamente la dimensione divi­
na della sua attività: Senza di me non potete far nul­
la’. Coltiva lunione con Dio, avvertendo lesigenza di
pregaresenza sosta in dialogo semplice e cordiale con
il Cristo vivo e con il Padre che sente vicino. Attento
alla presenza dello Spirito e compiendo tutto per amo­
re di Dio, diventa, come Don Bosco, contemplativo nel­
lazione» (C. 12).
Parlando esplicitamente della nostra preghiera co­
munitaria come dialogo con il Signore, affermano: «La
comunità esprime in forma visibile il mistero della Chie­
sa, che non nasce da volontà umana, ma è frutto della
Pasqua del Signore. Allo stesso modo Dio raduna la
nostra comunità e la tiene unita con il suo invito, la sua
Parola, il suo amore.
Quando prega, la comunità salesiana risponde a que­
sto invito, ravviva la coscienza della sua intima e vitale
relazione con Dio e della sua missione di salvezza, fa­
cendo propria linvocazione di Don Bosco: Da mihi ani-
mas, cetera folle» (C. 85).
Credo che sia beh chiaro anche se le citazioni so­
no poche che sorgente della nostra «grazia di unità»
è l’iniziativa di Dio. È inutile girare intorno alle paro-
le: questa è la fonte, la radice, questa è la sorgente di
ogni vocazione salesiana. Da qui nasce il nostro cari­
i
63

7.7 Page 67

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sma, e la nostra ragione di essere segno dell’amore di
Cristo per i giovani. Se il salesiano non è testimone della
sua amicizia speciale con Gesù Cristo, non sarà nulla
nella Chiesa. Sarà facile diagnosticare in lui il cancro
della superficialità. È curioso: una delle accuse che si
sono tornate a ripetere in questi mesi su Don Bosco (co­
me durante; il suo processo di canonizzazione) è que­
sta: «Tanto lavoro, tanto movimento, tante preoccu­
pazioni, e la preghiera? E la sua unione con Dio?».
Noi sappiamo invece che egli fu modello ecceziona­
le di un modo peculiare di essere unito a Dio. Di ciò
si rendevano perfettamente conto tutti quelli che vive­
vano con lui, o gli si avvicinavano con preoccupazioni
spirituali.
Don Achille Ratti, che passò tre giorni con lui, da
Papa risolse la famosa obiezione nel suo processo di ca­
nonizzazione: «Provate voi a dimostrare quando Don
Bosco non pregava».
Sappiamo che il nostro Fondatore voleva che si fa­
cessero bene le pratiche di pietà; ma non è questa la stra­
da principale per scoprire la sua profonda unione con
Dio, bensì l’atteggiamento permanente della sua vita,
che non si misura semplicemente con losservanza di al­
cune pratiche.
Il famoso libro di don Eugenio Ceria: Don Bosco
con Dio, è uno studio classico in questo campo, anche
se risale a oltre sessant’anni fa (SEI, Torino 1929). È
difficile trovare un libro che penetri con così profonda
intuizione e verità nell’interiorità apostolica di Don Bo­
sco.
Il nostro Fondatore è stato un esempio di perma-
nente unione con Dio nella sua vita quotidiana, nei suoi
atteggiamenti e nei suoi comportamenti, nel suò stile
di lavoro c nelle sue relazioni.
64

7.8 Page 68

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Tutto ciò che succedeva in lui e intorno a lui fu in­
terpretato sempre alla luce della fede; giunse a dire, a
riguardo della sua attività apostolica che, se avesse^avuto
più fede, avrebbe potuto fare molto dLpiù.
Spesso parlava dellintervento della Vergine, come
di una presenza che lo guidava e lo muoveva..
Il sistema educativo di Don Bosco fu, sènza dub­
bio, l’espressione più rivelatrice della sua personalità.
Ebbene, la sua pedagogia al servizio della gioventù po­
polare, povera e in pericolo, è, in definitiva, una peda­
gogia di santità giovanile. Ditemi voi come avrebbe po­
tuto inventare un sistema educativo alla santità chi non
fosse pieno di essa.
Tutto il suo «Sistema preventivo» è frutto di una
forte «grazia di unità», non solo nella sintesi vitale del­
la sua personalità di santo, ma anche nella sua meto­
dologia pastorale. Infatti, mette in funzione contempo­
raneamente i valori umani, gli apporti del.cuore nella
convivenza familiare e i grandi principi religiosi. Le co­
lonne della sua pedagogia sono Cristo e Maria: Cristo
nei sacramenti dellEucaristia e della Riconciliazione,
e Maria in una devozione filiale molto concretai '
Un altro aspetto che manifesta la sua unione con
Dio è il senso di Chiesa. Non era semplicemente una­
desione al Magistero del Papa e dei Pastori, ma un af­
fetto che caratterizzava la sua interiorità apostolica.
Quando Leone XIII gli chiese di costruire il tempio
del Sacro Cuore a Roma, Don Bosco aveva debiti da
pagare; non poteva viaggiare, perché stava male di sa­
lute, invecchiato e quasi consumato, e tuttavia accetta,
perché è il Papa che glielo chiede. I suoi gli dicono: «Ma
no, questo non è possibile». E Don Bosco li convince
del contrario.
Che vantaggio ne ricavava? Era lo spirito di fede
65

7.9 Page 69

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che lo muoveva; girò, mosse mezza Europa e portò a
termine la costruzione. Questo fatto è prova di una
straordinaria interiorità. (Che cosa vaìeva di piuTdìre
àl Papay<<IòhfeghercT molto perché qualcuno lo costruì- ,
sca» o impegnarsi personalmente nonostante tutte le dif­
ficoltà?). Ho ricordato qui molto rapidamente questo
bell’esempio del suo amore alla Chiesa, ma sarebbe bene
analizzare quanto gli costò di fatto nella sua anzianità
sofferente.
Un altro atteggiamento che c( parla della sua unio­
ne con Dio è la sua fortezza di spirito. Ne abbiamo molti
esempi nella sua vita: la tranquillità che sapeva conser­
vare in mezzo a contrarietà, opposizioni e persecuzioni.
A questo possiamo aggiungere anche una intensa
pratica dellumiltà', viveva con vera semplicità,,anche
in mezzo ai miracoli. Voi ne conoscete numerosi esem­
pi veramente eroici.
Un altro atteggiamento, frutto di interiorità, è la sua
lotta contro ilpeccato. Possiamo ricordare come esem­
pio la sua predica ai seminaristi di Bergamo: si sedette,
disse che avrebbe parlato del peccato, e cominciò a pian­
gere senza poter dire una parola. Fu una testimonianza
più efficace di una predica. Nella sua missione con i gio­
vani fece di tutto per inculcare il sensodèTpeccato-e
laTòttacontro di esso.
~
Anche la sua bontà sacerdotale è una manifestazio­
ne di interiorità. Don Bosco non era nato con un carat­
tere facile e tranquillo. Lo sappiamo per sua stessa am­
missione. Ma se c’è una cosa che risalta in lui, e che
tutti quelli che lhanno conosciuto riconoscono, è que­
sta sua capacità di essere buono e di farsi amare. Dob­
biamo meditare che cosa vuoi dire nella spiritualità sa­
lesiana «farsi amare»: è frutto di una lunga ascesi e per
questo si richiede una profonda interiori
~
i
66

7.10 Page 70

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Mentre lavorava era sempre unito a Dio. si vede
perfettamente che la quotidiana attiviera per lui «esta­
si dellazione». È interessante ricordare le sue espres­
sioni alle Figlie di Maria Ausiliatrice: «Non solo . Mar­
ta, non solo Maria, ma le due insieme, come insegnava
anche Santa Teresa la grande».
Una irrefutabile prova di interiorità è stata la sua ac­
cettazione delle sofferenze fisiche e morali. Delle sue sof­
ferenze morali ricordiamo, come esempio, il famoso
conflitto con monsignor Gastaldi: il suo cuore fu ferito
nel più profondo, fino alle lacrime, quando lArcivesco­
vo lo sospese «a divinis». Dovette andarsene da Tòfino,
per non far vedere che non poteva confessare, perché
il sacramento della Riconciliazione era uno dei suoi modi
quotidiani di realizzare la sua pedagogia di formazione
cristiana. Non dimentichiamo che durante il Primo Ca-
pitolo Generale Don Bosco confessava sei ore al giórno.
Delle sue sofferenze fisiche dobbiamo dire che so­
no state la manifestazione quasi sacramentale della pre­
senza di Cristo in lui. Questo impressiona soprattutto
quando si considerano gli ultimi anni e specialmente i
giorni della sua ultima malattia, in cui si intuiscono, an­
che in forma evidente, le molte sofferenze che soppor-
nella vita, Esiste, nell’Archivio centrale, un opusco­
lo scritto a macchina da un medico. In 150 pagine esa-
mina le varie malattie di Don Bosco. In tutte queste si­
tuazioni di dolore, e nonostante il da fare enorme che
aveva tra le mani, Don Bosco non ha mai chiesto di gua­
rire. Vi furono persone che offersero la loro vita per
lui. Ma Don Bosco affermò con umiltà: «Se io sapessi
che con una giaculatòria potrei ottenere che passasse
questo male, non la direi, perché Gesù Cristo ha sof­
ferto molto di più, ha sofferto per me, ha sofferto per
i peccati degli uomini».
67

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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Aveva una totale adesione al piano di Dio. Noi sia­
mo soliti pensare a Don Bosco come se sempre avesse
avuto una salute vigorosa; ma dovremmo considerare,
per esempio, gli ultimi quattro anni della sua vita per
sapere fino a che punto era arrivata la sua interiorità.
Naturalmente questo aspetto è per gli adulti. Non
possiamo presentarlo così senzaltro ai giovani. Un no­
stro storico (don Francis Desramaut) sta scrivendo la
vita di Don Bosco cominciando proprio dai suoi ultimi
anni (pubblicata in francese in fascicoli successivi,
n.d. T.). Penso che questo metodo permetta di scoprire
in profondità la vera personalità di Don Bosco, perché
parte dallapice al quale è arrivata la sua maturità.
A tutto questo bisogna aggiungere il suo sejiso-di -,
mortificazione, che, come sappiamo, è stato costante
fin dai suoi anni giovanili.
In una parola, il suo modo di vivere appare come
un continuo dialogo con il Signore, con Gesù e Maria.
Pensiamo al fervore con cui partecipava e amministra­
va i Sacramenti. Se ci sono due sacramenti che Don Bo­
sco privilegiava diciamo così come luogo prefe­
renziale per intrattenersi a conversare con Dio, sono
l’Eucaristia e la Riconciliazione, che hanno fatto di lui
unoj.eiministri più competenti, più ardenti e ferventi
della Chiesa.
È di questo tipo di interiorità apostolica che dob­
biamo parlare.
~
La nostra alleanza con Dio sta anche nella fedeltà
ad alcune pratiche, perciò è necessaria una pedagogia;
soprattutto quando si tratta della comunità. Ma io non
mi trattengo su questo: la mia non è una conversazione
per esortare allosservanza (che è importante), ma su
convinzioni vitali, perché gli animatori sappiano quali
sono i valori dellinteriorità che dobbiamo fare funzio­
i
68

8.2 Page 72

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nare tra i confratelli. Altrimenti, tutto il resto non fun­
ziona, perché sta la radice della nostra vita apostolica.
4.2. La liturgia della vita
Le espressioni dellinteriorità apostolica che abbia­
mo messo in evidenza in Don Bosco ci fanno pensare
spontaneamente a ciò che si è soliti chiamare «liturgia
della vita». Con profonda intuizione e come espressio­
ne della sua esperienza nello Spirito, lapostolo Paolo
ci parla di questa liturgia di vita: «Vi esorto scrive
ai Romani a offrire i vostri corpi come sacrificio vi­
vente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto
spirituale» (firn 12,1); e ai Colossesi: «Tutto quello che
fate, in parole ed opere, tutto si compia nel nome del
Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio
Padre» (Col 3,17).
Si tratta dellofferta di se stesso al Padre, dell’ap­
porto di partecipazione personale alla celebrazione del
mistero eucaristico, come dice lo stesso testo liturgico:
«Egli faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito»
(Pregh. euc. III). È ciò che sottolineano esplicitamente
le Costituzioni. Ogni confratello perché consacrato apo­
stolo «attinge alla carità del Buon Pastore, di cui vuole
essere il testimone... Il bisogno di Dio, avvertito nel­
limpegno apostolico, lo porta a celebrare la liturgia della
vita, raggiungendo quelloperosità instancabile, san­
tificata dalla preghiera e dallunione con Dio, che de­
vessere la caratteristica dei figli di san Giovanni Bo--
sco» (C. 95).
Solo in questa prospettiva si percepisce e si irrobu­
stisce quella «grazia di unità» che nel vero apostolo co­
niuga indissolubilmente il lavoro e la preghiera. Così
si può capire la famosa espressione di don E. Ceria: «La
69

8.3 Page 73

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differenza specifica della pietà salesiana (in quanto apo­
stolica) sta nel saper fare del lavoro preghiera».
Un aiuto speciale per conseguirla loffre la propria
comunità orante.
La comunità di vita consacrata apostolica è un in­
sieme di persone che hanno gli stessi ideali e che condi­
vidono una comune pedagogia di preghiera. Chi evita
di stare in preghiera con la comunità, difficilmente ar-
riverà alla liturgia della vita. ~
r'
~ Ma non basta la comunità. Se lindividuo non fun­
ziona, non funzionerà la comunità. «Potremo formare
comunità che pregano solo se diventiamo personalmente
uomini di preghiera» (C. 93). Qui nessuno può sottrar­
si gettando la colpa sugli altri: qui sono io. «Ciascuno
di noi ha bisogno di esprimere nellintimo il suo modo
personale di essere figlio di Dio, manifestargli la sua
gratitudine, confidargli i desideri e le preoccupazioni
apostoliche» (C. 93).
Quando un confratello dice: «Ilo fatto le pratiche
di pietà in comune, e ciò basta», mi offre una osser­
vanza di cui ho paura.
Non bastano le pratiche comunitarie: ci vuole un im­
pegno personale di preghiera; non necessariamente in
cappella, in qualunque luogo; ma lattività della perso­
na, la coscienza di ognuno deve percepire vitalmente la
sua alleanza con Dio, che lha chiamato, gli la po­
tenza del suo Spirito per vivere nellunità di amore. Sen­
za persone di preghiera non si costruisce una comunità
di preghiera.
Una fórma indispensabile di preghiera personale è
la preghiera mentale. Essa non si identifica semplice-
mente con la mezzora di meditazione ogni giornoCche
è, senza dubbio, particolarmente formatrice, ma(è lat-\\
teggiamento di ogni individuo che si abitua a conteni-
-
:-
70

8.4 Page 74

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piare e a discernere gli eventi alla luce della fede, .alla
quale aggiunge espressioni di amore, frutto della carità
pastorale.
Questo modo personale «rafforza la nostra intimi­
con Dio, salva dallabitudine, conserva il cuore libe­
ro, alimenta la dedizione verso il prossimo. Per Don
Bosco è garanzia di gioiosa perseveranza nella vocazio­
ne» (C. 93). È in questo stile di interiorità, personale
e comunitaria allo stesso tempo, che la stessa attività
apostolica diventa preghiera.
Qui vorrei insistere sullinteriorità di ognuno. Le
macchine (c una vòlta i muli) lavorano tutto il giorno;
ma il loro lavoro non è preghiera; disgraziatamente,
quanto lavoro degli uomini non è preghiera! Anche noi
possiamo essere «facchini» della Chiesa, ma non .testi-
rrioni di Dio. Dio non ha bisogno di muscoli e di sudo­
re: guarda il cuore. Il lavoro dell’uomo è un’azione; le
azioni appartengono alla persona, e sono rivestite delle
sue intenzioni e qualità; il lavoro di una persona sarà
apostolicamente efficace e sarà preghicrà, se quella per­
sona vive in intimità con Dio. Linteriorità apostolica
non è autentica se non tende intrinsecamente all’azio­
ne; ma lazione dellapostolo non è preghiera, se non
procede dalla sua alleanza cosciente con Dio.
Un salesiano che prega molto e lavora poco non ha
linteriorità del «Da mihi animas». Però un salesiano
che si logora nel lavoro e prega poco, trascura lunione
conDio, non ha interiorità apostolica, e debilita la sua
alleanza con Dio. Non si tratta di fare antitesi, ma di
assicurare la «grazia di unità».
TPmteriorita apostolica è una liturgia della vita che
porta simultaneamente a Dio e all’azione. Lo faceva no­
tare il cardinale Balestrerò parlando della nostra con­
sacrazione apostolica: Dio mentre ci consacra, ci invia.
71

8.5 Page 75

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Sono realtà inseparabili perché intrinseche alla costitu­
zione stessa della nostra consacrazione.
4.3. Il centro motore dellEucaristia
La fonte e lalimento della liturgia della vita è, sen­
za dubbio, il mistero pasquale dell’Eucaristia. Nella
Messa abbiamo la riattualizzazione dell’ora suprema di
Cristo, il contributo dellamore dei credenti al suo sa­
crificio e lirruzione dellenergia della sua risurrezione
nella storia.
L’amore di Cristo, Buon Pastore, ha raggiunto
la sua massima intensità nella passione, morte e risur­
rezione; è la Pasqua! Quello che Cristo ha pensato, ha
realizzato e perpetuato è l’amore redentore della cro­
ce. Questo atteggiamento di ineffabile solidarietà umana
resta definitivo in Lui, che, risuscitato, è presente da­
vanti al Padre per intercedere continuamente a favore
degli uomini. sta la_ verapsicologia del cuore del Si-
gnore. si sa in che consiste la carità pastorale, e
si impara ad amare. La Messa rende presente qui e ora
quella sorgente di salvezza.
Non solo la rende presente, ma aggiunge ad es­
sa (incorporando tutto nellunico vero sacrificio della
Nuova Alleanza) le azioni, le iniziative o le espressioni
di amore dei suoi discepoli lungo i secoli, come ostia
spirituale.
Inoltre, con la comunione sacramentale, la Messa
lancia lenergia della risurrezione di Cristo nella mis­
sione ecclesiale tra gli uomini: la Carne e il Sangue del
Signore costruiscono il suo Corpo Mistico, che, come
Popolo di Dio (costituito da tutte le razze) diventa fer­
mento e sacramento di salvezza del genere umano.
Dobbiamo in realtà riconoscere che l’Eucaristia è il
72

8.6 Page 76

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centro motore di tutta la vita cristiana, sorgente e cul­
mine delle sue inesauribili ricchezze. Perciò oggi dob­
biamo saper ricuperare con tutte le forze i valori del suo
mistero.
Però, ripeto, non tanto come preoccupazione di os­
servanza, ma propriamente come costitutivo centrale
della mentalità apostolica, della interiorità, dellunio­
ne con Dio, della centralità dellalleanza e delle sue con­
seguenze pedagogiche.
Non per nulla, allinizio di questo famoso anno 1988
(e per richiesta di vari confratelli), ho scritto una circo­
lare Sull’Eucaristia, convinto che toccavaunpuntocen-
fràledeilanostra profondità. Gli animatori ei predica­
tori trovano in essa un abbondante e ricco materiale per
conferenze e ritiri.
L’Eucaristia è un mistero formidabile: era necessa-
rio un Dio fatto Uomo per inventare una realtà tanto
ineffabile: unire il più semplice con il più sublime. È
il testamento che cijia lasciato Gesù Cristo . Egli stesso
lha proposto alla nostra fede come una novità di pre­
senza salvifica; chi la vive, arriva alla maggiore profon­
dità. Basti pensare che con lEucaristia noi diventiamo
«Corpo di Cristo», che siamo sue membra, che conti-
nuiamo la sua missione nella storia, che costruiamo con
LuFùnmondo nuovo?chesiamo portatori di escatolo­
gia per ringiovanire il mondo, che facciamo della sto­
ria la civiltà dellamore; ossia, che la facciamo liturgia
a lode del Padre e per una convivenza di amore.
Il vivere questo mistero parte dallinteriorità di ogni
persona, nasce nel cuore dei nostri ragazzi. Come si può
difendere tra i cristiani una pedagogia che non tiene con­
to di questo centro motore? Non si sarà perduta, in que-
sta famosa crisi culturale, limpórìànza dell’Éucaristia
péFlinteriorità dei consacrati, il suo sìgnificato fonda­
73

8.7 Page 77

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mentale per il discernimento dei segni dei tempi e la sua
proiezione pedagogica nelleducazione dei giovani?
Vi voglio esortare a vivere tutti i giorni di Cristo,-,
anche perché i nostri giovani si rendano conto che sem_
za Eucaristia non possono essere veri cristiani e uomini
autentici; perché in essa sta la spiegazione e la fonte di
tutto il mistero delìaNuova Alleanza. La Chiesa nasce
lì, nell’Eucaristia, non nasce dal basso, secondo cate­
gorie sociologiche: la Chiesa nasce ogni giorno da Cri-
sto, realmente, attraverso lEucaristia. Per questo è il
tesoro più grande della Chiesa. Il mangiare e il bere il
Corpo e il Sangue di Cristo costruisce una comunione
organica e gerarchica, animata dallo Spirito Santo.
È nell’Eucaristia che troviamo tutti i grandi elementi
delledificazione della Chiesa e la capacità di dialogo
diretto e personale con Gesù Cristo; soprattutto per gli
apostoli consacrati, che sono discepoli «radicali» di Gesù
Cristo per il bene degli altri. I presbiteri sono chiamati,
per uno speciale servizio sacramentale, a far funziona­
re il sacerdozio comune di tutti i cristiani, ossia a fare
della vita una Eucaristia.
L’interiorità apostolica realizza il suo dialogo con
Cristo.
i È urgente, è urgente, è urgente, amici tutti, ricon­
quistare terreno a favore dell’Eucaristia, sia nella no-
stra vita personale e comunitaria, sia nel nostro apo­
stolato, per costrùire convinzioni di vita: «Senza di me
dice il Signore non potete.far nulla» (Gv 15,17).
4.4. La sapienza e la pedagogia della conversione
Linteriorità apostolica è insidiata continuamente
dalle nostre debolezze e dal peccato. L’intelligenza del­
la fede porta a dialogare di questo personalmente con
74

8.8 Page 78

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Cristo. Tutti abbiamo bisogno di riconciliazione e pe­
nitenza.
Il mistero della riconciliazione ci porta a contem­
plare linfinita misericordia del Padre: «Chi è in Cristo
dice san Paolo è una creatura nuova; le cose vec­
chie sono passate, tutto è diventato nuovo. E questo
viene da Dio, che ci ha riconciliati con per mezzo di
Cristo, e ha dato a noi lincarico di portare gli altri alla
riconciliazione con lui» (2 Cor 5,17-18).
Si tratta di concentrare l’attenzione anzitutto in Dio
stesso, ricco di misericordia. I testi liturgici ci ricorda­
no infatti che il Padre manifesta la sua grandezza e la
sua onnipotenza «soprattutto con la misericordia e il
^ér<róho>> CDom. XXVI). Nella Bibbia il tema dellal­
leanza è una realtà guastata e dimenticata dall’uomo,
però continuamente cercata e ricostruita da Dio.
Linteriorità richiede una concentrazione più fre­
quente su questo mistero. Anche perché in un mondo
che ha perso il senso del peccato, è urgente rilanciare
la profezia della misericordia, nella catechesi e nella pe­
dagogia. Dovrebbe essere familiare te riflessione sulla
gravità e te perversità del peccato, se te misericordia in-
finitadel Padre ha voluto ristabilire lalleanza delluo­
mo con Lui per mezzo della passione e te morte in cro­
ce del suo stesso Figlio. Questo mistero di riconcilia­
zione esige da parte dell’uomo tutto un processo di con-
versione, che si chiama anche penitenza.
~ E qui bisogna riscoprire te dignità cristiana del «pe­
nitente». Che significa essere «penitente»? Lanalisi del
cuore penitente mette in evidenza due elementi che si
compenetrano mutuamente: gli atti del penitente (do­
lore, confessione, proposito e riparazione), e te grazia
sanante di Cristo che te forza di partecipare perso­
nalmente agli eventi pasquali. La Parola di Dio ci chia­
75

8.9 Page 79

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ma a una continua conversione. Ogni interiorità apo­
stolica è imbevuta di psicologia di conversione.
«Consapevoli della nostra debolezza dicono le
Costituzioni , rispondiamo con la vigilanza e il pen­
timento sincero, la correzione fraterna, il perdono re­
ciproco e laccettazione serena della croce di ogni gior­
no» (C. 90).
Come si vede, la conversione ha proiezioni sociali
che si traducono nella vita comunitaria e apostolica. Gli
elementi che abbiamo indicato richiedono un vero pro­
gramma spirituale nel nostro stile concreto di vita. E
il sacramento della Riconciliazione porta a compimen­
to questo programma di conversione: «Ci dona la gioia
del perdono del Padre, ricostruisce la comunione fra­
terna e purifica le intenzioni apostoliche» (C. 90).
Uscendo da se stesso per convertirsi, l’apostolo con­
sacrato non solo ricupera e irrobustisce la sua alleanza
con Dio, ma un aspetto più autentico a ogni attività
apostolica,
I tempi forti della vita comunitaria offrono una con­
creta opportunità di intensificare l’alleanza: «Questi mo­
menti di grazia ridonano al nostro spirito profonda unità
nel Signore Gesù e tengono viva lattesa del suo ritor­
no» (C. 91).
Se si vuole che lindole propria della nostra «grazia
di unità» mantenga vivo il suo vigore caratteristico, è
necessario assicurare un cammino quotidiano di con­
versione che sbocchi nella frequenza del sacramento del­
la Riconciliazione.
4.5. La partecipazione convinta
alla preghiera della Chiesa
La Chiesa, sposa di Cristo, ha espressioni ufficiali
di lode e di supplica al Padre: tutto ìn Cristo, con Cri­
sto e per Cristo.
76

8.10 Page 80

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Partecipare con gusto ad esse ed essere fedeli alle
sue esigenze è un altro modo di vivere e alimentare lal­
leanza, come sorgente di «grazia di unità». Si tratta di
vivere il mistero di Cristo nel tempo con lo stesso ritmo
della Chiesa.
Nella circolare SullEucaristia ho indicato il legame
della Liturgia delle Ore con il mistero eucaristico. Che
valore di alleanza haper ognuno di noi la recita del bre-
viario? Le razionalizzazioni con cui si cerca di giustifi­
care la facilità di ometterlo non sono certamente espres­
sioni di profondità e di interiorità. «La liturgia delle ore
ricordano le Costituzioni estende alle diverse ore
del giorno la grazia del mistero eucaristico»; e aggiun­
gono: «Lungo lanno liturgico, la commemorazione dei
misteri del Signore fa della nostra vita un tempo di sal­
vezza nella speranza» (C. 89).
Se i sacerdoti, in modo particolare, non prendono
sul serio questo ministero di preghiera ecclesiale, alimen­
tano il dubbio che la loro superficialità spirituale sia una
delle cause del degrado dellinteriorità apostolica. Essi
sono i servitori dellalleanza, e, a volte, si dedicano ad
altre cose, lasciando ciò che è più incisivo nella pasto­
rale. «Non è giusto che noi leggiamo negli Atti degli
Apostoli trascuriamo la predicazione della Parola di
Dio per occuparci della distribuzione dei viveri... Noi
impegneremo tutto il nostro tempo a pregare e ad an­
nunziare la Parola di Dio» (At 6,2.4).
Quanta responsabilità comunitaria_per_Lpreshiteri
che lasciano il proprio dovere per svolgere altre funzioni!
Sarebbe una disgrazia storica nella Congregazione se i
sacerdòti ministeriali non si dedicassero, prima di tut­
tofa fare funzionare per tutti lalleanza. Una delle cause
dfquésta incoscienza di tanti presbiteri (soprattutto di
quelli che sono superiori) è quella di non pfestarstcoiT
77

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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somma cura al ministero delle confessioni: perdono la
capacità di penetrare nel cuore dei destinatari .TDonBo-
sco fu confessore precisamente in quanto~educatore e
superiore. Don Filippo Rinaldi, che fu suo discepolo
fedele, ha ricordato spesso che il luogodovesidmpara
la vera «paternità spirituale» è il confessionale, dove
il sacerdote si fa concretamente ministro della miseri­
cordia del Padre, dispensatore delle grazie risanatrici,
e guida nella crescita della fede e nel discernimento vo­
cazionale.
Trascurando lesercizio di questo ministero, si fa­
vorisce pericolosamente nellambiente la malattia della
superficialità.
Perché è diventato famoso il santo Curato d’Ars?
Perché Don Bosco seppe elaborate una pedagogia del­
la santità giovanile?
Il significato di «paternità spirituale» si può perce­
pire, per esempio, nell’atteggiamento di un vero supe­
riore salesiano: se si limita ad affrontare un confratel­
lo scandaloso solo nellambito della Regola, con fedel­
giuridica alle sue esigenze, prenderà decisioni (a vol­
te indispensabili), però legali, senza toccare il cuore di
un fratello, anzi esasperandolo; ma se lo avesse ascol­
tato in confidenza (Padre chiedo perdono al Signore,
ho mancato gravemente, eccetera. Che devo fare ora?),
certamente latteggiamento e la decisione da prendere
avrebbero una dimensione «paterna», ed egli decidereb­
be partendo dal di dentro dei due cuori. Da dove deri­
va questo atteggiamento diverso? Dallesercizio del mi­
nistero della misericordia! Rappresenta la bontà di Dio
Padre, ed esperimenta la dignità del penitente, cresciu­
ta nel suo fratello per una speciale grazia del Signore.
Don Bosco ha sempre unito la pàternità del supe-
riore^napatermtàdel confessore;unsuperiore che non
78

9.2 Page 82

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confessa mai (e cè tanta genteche chiede) corre il peri­
colo di snaturare la sua funzione ecclesialedianimato-
re e guida dellalleanza personale con Dior
4.6. Lintimità personale
Io mi sono convinto, ogni anno di più, che bisogna
insistere molto sulla preghiera personale. Ho già accen­
nato a questo.
'
Lindividuo è la fonte prima dellamore. Ogni co­
munione parte daihiziati vedelle persone. Questo è par­
ticolarmente vero nellambito dellalleanza con Dio. La
potenza dello Spirito del Signore passa attraverso ogni
cuore: il mio, il tuo. Ogni processo di rinnovamento spi­
rituale trova lì il suo segreto.Tl servizio di animazione
teTideprecisamente a muovere e a stimolare le persone.
La Professione religiosa la fa liberamente ogni persona.
La preghiera, anche quella comunitaria e liturgica,
è impensabile senza linteresse e il contributo delle per­
sone. Tutta la fede della Nuova Alleanza è fondata su
un caratteristico personalismo spirituale. «Potremo for-
mare comunità che pregano riconoscono le Costitu­
zioni solo se diventiamo personalmente uomini di pre­
ghiera. Ciascuno di noi ha bisogno di esprimere nellin­
timo il suo modo personale di essere figlio di Dio, ma­
nifestargli la sua gratitudine, confidargli i desideri e le
preoccupazioni apostoliche» (C. 93).
Gesù indica nellinteriorità personale un rimedio fon­
damentale all’ipocrisia: «Tu, invece, quando vuoi pre­
gare, entra in camera tua e chiudi la porta. Poi, prega
il Padre, presente anche in quel luogo nascosto, e Dio
tuo Padre, che vede anche ciò che è nascosto ti darà
la ricompensa» (Mt 6,6).
Lasciare la preghiera personale significa debilitare
79

9.3 Page 83

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la grazia di unità che sostiene e alimenta la carità pa­
storale. Al contrario, nella cura della preghiera perso­
nale si trova il primo e più potente rimedio alla super­
ficialità spirituale, ^alleanza della Professione religiosa
esige un continuo esercizio di preghiera personale, che
esprima ogni giorno lamicizia di figliolanza e lacoscien-
za del proprio impegno di missione.
Come si potrebbe parlare dellunione con Dio di Don
Bosco se non si tenesse conto del costante atteggiamento
personale del suo cuore?
4.7. Gli ostacoli alla «grazia di unità»
Possiamo usare la parola «mistica» alludendo allin­
teriorità apostolica di Don Bosco. Sì, è vera mistica,
perché si tratta di vita profonda nello Spirito che porta
all’estasi dellazione.
Sarà, se si vuole, una mistica semplice, realista, mi­
nisteriale; ma è una vera piénezza di fede, di speranza
erlicarità. Don Ceria la descrive citando uno studioso
francese, De Montmorand: «I veri mistici sono perso-
ne di pratica e di azione, non di ragionamento^ di teo-
riaTHanno il senso dellorganizzazione, il dono delco-
mando e si rivelano forniti di ottime doti per gli affari.
Le òperecra^essifondatesonovitali e durevoli; nel con­
cepire e dirigere le loro imprese danno prova di prudenza
e di ardimento e di quella giusta idea delle possibilità
che è il carattere del buon sensm E infatti sembra pro­
prio che il buon senso sia la toro qualità predominan-
te: un buon senso non turbato né. da esaltazioni mor-
~bose, da immaginazioni disordinate, e unito a una
molto rara facoltà di discernimento» (E. Ceria, Don
BoscocorTDio, Torino 19297to221).
Secondo questa descrizione, possiamo dire che Don
80

9.4 Page 84

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Bosco è un «mistico dellapostolato». Guardando la sua
figura storica, e considerando gli aspetti che lattuale
crisi religiosa contrappone alla sua mistica, possiamo
individuare come gravi ostacoli all’interiorità dellallean­
za i seguenti:
■>
la dimenticanza delliniziativa di Dio e della po­
tenza dello Spirito nella nostra vita;
la dimenticanza pratica quotidiana del mistero
della Chiesa proclamato nel Concilio;
la trascuratezza della centralità dell’Eucaristia;
la perdita del senso del peccato e dellindispen­
sabilità della conversione;
il degrado della preghiera personale;
e, infine, lignoranza della natura stessa della
Professione religiosa, come progetto unitario di incon­
tro di alleanza.
Tutto questo fa che si perda, di fatto, il tesoro
fondaìnehthle^elI^Tturgia^dellàVirà^ch^layOTp^di-
ventiorizzontale, lontano dalla sua intrinseca dimen­
sione apostolica.
Non è cosa da poco.
A ciò porta la superficialità spirituale. È urgente ri­
lanciare tutta la ricchezza dellalleanza, come sorgente
feconda della nostra grazia di unità.
81

9.5 Page 85

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9.6 Page 86

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5. La missione apostolica
come fisionomia globale
Parliamo della missione partendo dall’ottica della
«grazia di unità». Consideriamo la missione come il se­
condo polo della nostra consacrazione apostolica che
«dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, spe­
cifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina
il posto che occupiamo tra le famiglie religiose» (C. 3).
Come dicevamo, se il polo dellalleanza è il versan-
te dell’unità, questaltro definisce lidentità.
Ci manterremo nella brevità di una conversazione
cronometrata, perché per questo tema richiederebbe
una settimana di riflessione.
5.1. Dimensione teologale della missione
La prima osservazione di fondo che ci interessa qui
è che la missione è un elemento intrinseco della consa-
crazione apostolica. Lazione divina con la quale il Pa­
dre ci consacra contiene in se stessa linvio apostolico
ai destinatari.
Siamo consacrati per essere apqstolp non cè anti­
tesi mutua limitazione, per noi, tra essere religioso
ed essere missionario dei giovani. Anzi, al contrario,
i dùe àspetti si arricchiscono e si irrobustiscono recipro­
camente. Non più dualismo tra consacrazione e missio­
ne. Non si può considerare la prima solo a livello teo-
logico, e la seconda solo a livello sociologico; una in-
83

9.7 Page 87

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terna ed ecclesiale, laltra esterna esodale: una di con­
templazione, l’altra di azione; unaprincipalé,Taltrasc-
condaria.
~
No, no! Si tratta della stessa «grazia di unità» che
ci fa apostoli perché siamo religiosi, o che ci fa religio-
si perché Dio ci vuole apostoli. È una dualità di tensio­
ne in un’unica grazia. Le Costituanni preconciliari par­
lavano, riguardo alla nostra vita salesiana, di «fine pri­
mario» e di «fine secondario». Con il CGS si lasciò for­
tunatamente quella terminologia piuttosto filosofica, so­
stituendola con le terminologie bibliche di «missione»
e di «consacrazione».
Così si arrivò, dopo molta riflessione e discussioni,
su il «consecratur» della «Lumen gentium» e sul n. 8
del «Perfectae Caritatis», alla visione organica e alla
nomenclatura vitalmente sintetica dellespressione «con­
sacrazione apostolica».
La nostra missione, infatti, è partecipazione coscien­
te e responsabile al mìstdOTMl^ehrèsajndla^toria, ri­
salendo niente menòcheallemissionidelVerboe-dello
Spirito Santo, proprie del mistero trinitario. Solo par­
tendo da si può capire la sua natura genuina ed eccle­
siale. Cristo ci ha detto: «Come il Padre ha mandato
me, così anchio mando voi» (Gv 20,21). La missione
dipende tutta dalEiniziatiya del Padre, ha la sua espres­
sione tipica nell’opera salvatrice dTCristo, è animata
e incarnata tra gli uomini dalla vitalità pentecostale dello
Spirito, ed è realizzata nella Chiesa e con la Chiesa co­
me Sacramento universale, che collabora alledificazio­
ne, attraverso i secoli, del Regno di Dio.
Pertanto la missione «non può mai consistere solo
in una attività di vita esteriore, perché limpegno apo­
stolico non si può assolutamente ridurresalta Seìnplice,
anehe se vaìidh7 pròmòzione umana, per la ragione che
84

9.8 Page 88

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ogni iniziativa pastorale e missionaria è radicalmente
fondata nella partecipazione del mistero della Chiesa,
La missióne della Chiesa infatti, per natura sua, non
è altro che la missione di Cristo stesso continuata nella
storia del mondo; e pertanto essa consiste principalmente
nella compartecipazione allobbedienza di Colui che (cf
Eb 5,8) offrì se stesso al Padre per la vita del mondo»
(«Mutuae relationes» 15).
Deriva da ciò uninteriorità apostolica, che porta con
la coscienza esplicita e permanente della presenza del
Padre che consacra e invia, e la disponibilità operativa
ad essere docili portatori del progetto del suo amore ai
destinatari.
La missione, nel suo aspetto operativo, riempie di
concretezza storica la dimensione contemplatiyadel con-
sacrato. Questa unione con Dio porta con lardore
del «Da mihi animas», secondo lo stile instancabile di
Don Bosco.
Come dicono le Costituzioni: «Nella lettura del Van­
gelo siamo più sensibili a certi lineamenti della figura
del Signore: la gratitudine al Padre per il dono della vo­
cazione divina a tutti gli uomini; la predilezione per i
piccoli e i poveri; la sollecitudine nel predicare, guari­
re, salvare sotto l’urgenza del Regno che viene; l’atteg­
giamento del Buon Pastore che conquista con la mitez­
za e il dono di sé; il desiderio di radunare i discepoli
nellunità della comunione fraterna» (C. 11).
Così la «grazia di unità» acquista la forma viva della
«carità pastorale».
5.2. Missione e pastorale
La missione continua, in Cristo e con Cristo, la leg­
ge dellincarnazione; si rende presente nella moltitudi­
ne dei popoli e nella varietà delle culture. Non cambia
85

9.9 Page 89

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mai natura, ma si riveste di modalità pratiche diverse,
secondo la geografia e la storia.
Qui appare immediatamente limportante distinzione
che è indispensabile saper cogliere tra «missione» e «pa­
storale», in quanto la «pastorale»^ la concretizzazio­
ne pratica della missione. Lamissione è una sola. Im­
mutabile nel tempo e nelle situazioni. La pastorale è mol­
teplice, adattata alle culture e alle necessità concrete.
Si dà, così, una vera unicità di missione, anche se rea­
lizzata in una molteplicità di modalità pastorali. Ciò che
impòrta è che la missione si incarni, e che le differenti
pastorali traducano veramente nella pratica tutta liden­
tità della missione.
È un lavoro molto delicato, che misura la vitalità
della «grazia di unità». Di conseguenza diventa indi­
spensabile soprattutto in un periodo di rapida tra­
sformazione socio culturale come il nostro una at­
tenta sensibilità ai segni dei tempi, al rinnovamento con­
ciliare, agli orientamenti dei Pastori.
L’ardore della carità pastorale suppone e richiede
inventiva apostolica, docilità allo Spirito creatore, com­
prensione delle necessità e urgenze, discernimento del­
la realtà, revisione di criteri, coraggio di decisione e umil­
di revisioni.
L’azione consacratoria del Padre, mentre ci arric­
chisce con tanti doni dello Spirito, tiene conto e assu­
me anche le doti della nostra persona: lintelligenza, la
fantasia, il coraggio, l’intuizione, lequilibrio, lauda-
cià,irsénsól:òmune;ossia,tienecontodellanostra con-
'cretarespoKsabilità^torica.
"
Qui si aprelih pahòfàma stimolante di spiritualità
apostolica che, per conservarsi nell’autenticità della con­
sacrazione, ha bisogno di sentirsi radicata continuamen­
te nella «grazia di unità» dell’indole propria.
86

9.10 Page 90

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5.3. Molteplicità di aspetti dellindole propria
La missione dei salesiani è chiara e ben definita; non
si possono mettere in discussione i contenuti: prima di
elencare i vari aspetti che la compongono, conviene ca­
pire bene la loro portata globale.
Dio ci invia «ad essere apostoli dei giovani» (C. 3),
ad «essere nella Chiesa segni e portatori dellamore di
Dio ai giovani» (C. 2); «fedeli agli impegni che Don Bo-
scocihatrasmesso siamo evangelizzatori dei giovani,
specialmente dei più poveri» (C. 6). Infatti, «per con­
tribuire alla salvezza della gioventù, la porzione più de­
licata e la più preziosa dell’umana società, lo Spirito
Santo suscitò, con lintervento materno di Maria, san
Giovanni Bosco» (C. 1).
Ogni salesiano nella sua professione religiosa s’im­
pegna a donare tutte le sue forze a quelli a cui Dio lo
manderà, specialmente ai giovani più poveri, (cf C. 24).
La potenza dello Spirito che coinvolge il salesiano
nella sua consacrazione apostolica, la sequela radicale
di Cristo e la sua dedizione storica alledificazione del
Regno, sono inglobati operativamente in questa missio­
ne. È in essa che Don Bosco, «ispirandosi alla bontà
e allo zelo di san Francesco di Sales, ci ha dato il nome
di Salesiani e ci ha indicato un programma di vita nella
massima Da mihi animas, cetera folle» (C. 4).
Negli Atti del CGS ci sono vari numeri dedicati al
tema della missione, che mettono in rilievo la sua den­
sità teologale: la sua natura, i suoi obiettivi, la sua spi­
ritualità e il suo senso ecclesiale (cf CGS nn. 24, 25, 26,
27, 28).
Ma questo aspetto teologale della missione, che sot­
tolinea il suo radicamento nella «grazia di unità», è ne­
cessariamente vincolato con la sua prassi operativa, così
87

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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come è stato anche nella missione del Verbo incarnato.
Di conseguenza, nella massima «grazia di unità» di Cri­
sto (chiamata «unione ipostatica») non si puolsepàrare
laz missione divina da una prassi storica; non si tratta
di antropocentrismo, ma di una originale novità antro­
pologica nella operosità apostolica di Cristo. È infatti
una missione che si riveste necessariamente di una di­
mensione di praticità umana che ha i suoi destinatari,
il suo compito specifico e i suoi criteri di azione.
Per questo nella missione salesiana ci sono molte­
plici aspetti che bisogna conoscere e promuovere, evi­
tando ogni tentazione di riduttivismo, di considerazio­
ni unilaterali, di esagerazione di alcune delle sue com­
ponenti a danno delle altre.
Leggendo le Costituzioni, vediamo quali sono gli
aspetti principali: sono noti, e sono stati messi in prati­
ca per più di un secolo, senza troppi esami anatomici.
Anche nella vita di ognijionio-andiamo-avanti-coslL,
poveri noi se prima di fare qualcosa-dovessimo esami­
nare il funzionamento di tutti gli organi del corpo! La
vita non ha bisogno di un continuo esame; invece la me­
dicina necessita di attente conoscenze, non solo anato­
miche, ma anche delle funzioni e della costituzione pro­
pria di tutti gli organi.
Anche in un tempo forte dello spirito come questo
risulta utile analizzare più a fondo la missione, per sta­
re attenti a non imboccare un cammino di cadute e di
infedeltà.
Incomincio con la lettura del CG 21.
La missione «non si caratterizza soltanto a partire
dai destinatari e per il tipico modo comunitario nel quale
viene operata, ma anche per la particolare organizza­
zione dei suoi contenuti e obiettivi, e per lo stile con
il quale si fa presente tra i giovani» (CG 21, n. 80). È
88

10.2 Page 92

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una affermazione altamente valida e di particolare at­
tualità, perché sono sorte interpretazioni che hanno ac­
centuato alcuni aspetti, lasciando in ombra gli altri, sfi­
gurando così l’identità stessa della missione.
Quali sono, dunque, gli aspetti sui quali concentra­
re i nostri sguardi, perché funzionino armonicamente
nelle nostre pastorali?
Le Costituzioni indicano i seguenti:
I destinatari (C. 26-30). È evidente come il sole
che sono i giovani, con priorità preferenziale per i più
bisognosi, degli ambienti popolari, del mondo del la­
voro, di quelli che offrono possibilità vocazionali.
È chiaro quindi ripeto che i nostri destinatari
sono i «giovani». Non li possiamo, pertanto, sostituire
con «il popolo»; questa parola oggi si ripete con accento
'messianico in alcuni ambienti: il popolo protagonista
della storia; il progetto popolare, la popolarizzazione
di tutto...
Alcuni vorrebbero_Dresentare .iLDQDolo_c_ome l_o£-_
getto primario della nostra missione. Da qui nascono
facirmente^e'spressioni drtipo ideologico che portano ad
altra cosa, e allontanano la missione salesiana da quel­
lo che è la sua autenticità specifica. Il nostro amore pre-
ferenziale vasempre aigÌQyani;aigiovani più bisogno­
si, ai giovani del mondo dellaypro, ai giovani con pos-
sibilità vocazionali.
Voi capite che mettendo in evidenza soprattutto que­
sto ultimo aspetto, si allarga lorizzonte della gioventù
con la quale dobbiamo lavorare. È compito importan­
te per noi scoprire e formare vocazioni cristiane di sa­
cerdoti ministeriali, di religiosi, di religiose, di fedeli laici
lavoratori, di padri di famiglia, di politici che lavorino
per i poveri, ecc.
89

10.3 Page 93

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È importante dedicarsi ai poveri evitando una certa
moda pauperista, che diventa demagogia senza concreti
effetti sociali per il futuro.
Un altro aspetto della nostra missione è il com­
pito di evangelizzazione attraverso un concreto impe­
gno educativo (C. 31-37).
«Educare evangelizzando, evangelizzare educando»:
se stessimo tra i destinatari senza evangelizzare educan-
do, non compiremmo la missione-salesiana-.
Le Costituzioni ci indicano le varie sfaccettature di
questo aspetto: la formazione integrale, la promozione
personale, la dimensione sociale, la responsabilità e co­
scienza ecclesiale, l’iniziazione alla vita liturgica, l’orien­
tamento vocazionale.
Tra questi articoli vale la pena ricordare il 33, per­
ché esprime un atteggiamento di coraggio e di equili­
brio che non è facile, soprattutto, in certe situazioni:
si riferisce alla dimensione sociale. Dobbiamo tenere se-
riamcntc in conto lattuale processo di libcrazione (so­
prattutto in determinate regioni), perché è uno dei grandi
segni dei tempi attualmente in crescita accelerata.
T segni dei tempi costituiscono anche una specie di
invito dello Spirito Santo, che ci sprona a svegliarci e
a cercare una risposta a tante sfide urgenti.
Il processo di liberazione, per esempio, ha portato
a Medelh'n e a Puebla una opzione preferenziale da parte
dellEpiscopato latino-americano a favore di una pa­
storale profondamente rinnovata, ossia tutta un’azio­
ne della Chiesa a favore dei poveri, per aprire loro oriz­
zonti di dignità e per aiutarli a cambiare le situazioni
di ingiustizia, guidati da criteri cristiani.
Parallelamente a questo rinnovamento pastorale, è
nata una ricerca interpretativa ad opera di alcuni pen­
90

10.4 Page 94

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satori, che si chiama «teologia della liberazione». È une­
spressione che si applica a differenti studiZalcuni dei
_quali (forse i più conosciuti e 'seguiti) hanno provocato
deviazioni realmente pericolosepertutta la missione del-
la Chiesa. Questo ha creato una situazione molto deli­
cata,sulla quale ha dovuto intervenire il Magistero della
Chiesa.
Naturalmente, larticolo delle Costituzioni non en­
tra in questo dibattito; ma sottolinea alcuni aspetti molto
illuminanti, che caratterizzano la dimensione sociale del
nostro tipo di attività apostolica.
Don Bosco ha visto con chiarezza la portata sociale
dellasuaopera; ci ha fondato, niente meno, per aiuta­
re a migliorare la società civile; ci chiede di non aver
paura di aprirci ai valori temporali, alla laicità, al so­
ciale; questa_aperturaè chiarissima in lui. È interessan­
te vedere oggi come gli stessi laicisti, quelli che vedono
i Santi con unottica piuttosto mondana, si entusiasma­
no di Don Bosco, gli organizzano manifestazioni e co­
niano perfino medaglie, come per dire: «Questo Santo
ha capito le cose».
Il nostro articolo afferma esplicitamente: «Lavoria­
mo in ambienti popolari e per i giovani. Li educhiamo
alle respbnsabilità morali, professionali c sociali, col-
labófando con loro, e contribuiamo alla promozione del
gruppo e dellambiente. Partecipiamo in qualità di re­
ligiosi alla testimonianza e allimpegno della Chiesa per
la giustizia e la pace. Rimanendo indipendenti da ogni
ideologico politica di partito. rifiutiàmo~futto~cìo~che
favorisce la miseria e la violenza, e cooperiamo con
quanti costruiscono una società più degna dell’uomo.
La promozione, a cui ci dedichiamo in spirito evange­
lico, realizza l’amore liberatore di Cristo e costituisce
un segno della presenza del Regno di Dio» (C. 33).
91

10.5 Page 95

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Evidentemente, è molto poco limitarsi a leggere l’ar­
ticolo; oggi lenciclica «Sollicitudo rei socialis» (1987)
ci offre una descrizione molto concreta della dottrina
sociale della Chiesa; è una parte della teologia morale
e, pertanto, è uno dei settori indispensabili della nostra
evangelizzazione educativa.
Don Bosco studiò molto la morale, pentortare la
fedeàlIaTprassifnelcompito educativo, la morale oc­
cupa una partédi straordinaria importanza.-Disgrazia-
tamente, oggi la morale è in crisi; ma noi.dobbiamo ac-
quisiféunà^retta^còmpetenza, per arrivare ad essere va-
lidi educatori di domani.
La nostra missione richiede anche un altro ele­
mento: un metodo educativo speciale (C. 38 e 39). Con
la lettera del 31 gennaio 1988 il Santo Padre ci ha fatto
un regalo inestimabile, approfondendo precisamente
questo aspetto. Allinterno del Sistema Preventivo vi­
bra anche la «grazia di unità». Infatti, si presenta sem­
pre e il Papa lo dice molto bene con i tre poli che
ha individuato Don Bosco: la ragione, la religione, l’a­
morevolezza. Sono tre poli che entrano in tensione «in­
sieme» e non ognuno per conto suo.
Non semplici valori umani (orizzontalismo); neppure
solo valori religiosi (spiritualismo); solo valori di amo­
revolezza (sentimentalismo); ma i tre poli insieme, in
un clima di bontà, di lavoro, di allegnaedi sincerità
che assicura il funzionamento della «grazia^UTumtaF
neir’aziònéeducativa.
Un altro aspetto è il criterio di rinnovamento per­
manente. un criterio prezioso nel momento di transizio­
ne culturale e sociale come il presente. Si tratta del «cuo­
re oratoriano», come criterio pastorale permanente per
i sldesiam (C. 4Ó). Ne parleremo dòpo più accuratamente.
92

10.6 Page 96

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Un altro aspetto è lapluralità diforme nella no­
stra azione (C. 41 e 43).
Noi non siamo nemici di nessuna struttura; però,
questo sì, non dobbiamo conservare le struttureche non
servono più per la missione-Quello chc interessa è che
la struttura qualunque sia, secondo le possibilità
serva realmente alla missione. Gli articoli citati offro­
no differenti possibilità. Le attuali Costituzioni hanno
evitato di riportare quello che c’era nel testo preceden­
te, ossia la lista delle opere, proprio perché stiamo cam­
biando, e perché certe opere non hanno più il valore
apostolico di prima; inoltre, si dovrebbe catalogarle se­
condo un ordine di priorità missionaria. Per questo so­
no state passate nei Regolamenti, suscettibili di adatta­
mento e aggiustamento in ogni Capitolo Generale.
Ma qui, in questi articoli, è importante sottolineare
che la nostra azione apostolica si realizza in pluralità
di forme.
Così, elaborare un progetto che si incarni in una sola
forma sarebbe riduttivo (a meno che si debba sottosta-
re a qualche violenza politica): solo parrocchie, o solo
centri giovanili, o solo scuole, o sòló«pfesenza» geo-
gràficà, o soloideali senza opere (quéstultima sarebbe
un vero cancro della missione, perché sopprime lim­
pegno concreto): è non prendere sul serio la pluralità
delle forme. Esse debbono essere determinate in primo
luogo dalle necessità di quelli a cui siamo inviati.
Un altro aspetto delicato è il progetto comuni­
tario (C. 44 e 47). «Il mandato apostolico, che la Chie­
sa ci affida, viene assunto e attuato in primo luogo dalle
comunità ispettoriali e locali, i cui membri hanno fun­
zioni complementari con compiti tutti importanti. Essi
ne prendono coscienza: la coesione e la corresponsabi-
93

10.7 Page 97

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lità fraterna permettono di raggiungere gli obiettivi pa­
storali» (C. 44). Noi salesiani realizziamo la missione
con stile comunitario. È vero che si debbono evitare il
mito della comunità e il democraticismo prescindendo
dalFautorltà, ma per noi la comunità (guidata dal su-
periore"edinamizzata dalla corresponsabilità) èìTsòg-
getto primo della missione. Ciò esige contempòfanea-
menteconvergenza coniunitaria e iniziativa personale.
Un pocome abbiamo detto per la preghiera: la comu­
nità orante è fondamentale, ma, la preghiera personale
è assolutamente indispensabile. "
Si richiede, quindi, nella missione il progetto comune
e linventiva e la dedizione di ognuno: stimolare lo spi­
rito comunitario, e saper usare la fantasia, la creativi­
tà. La comunità non può diventare la prigione delle per-
sone: Don Bosco, comesi e detto, lasciava molto spa­
zio attorno al voto di obbedienza. Ma è evidente che '
ci deve esserelma convergenza di comunione operativa
e la elaborazione comune di un progetto, poiché for­
miamo questa comunità per essere corresponsabili nel­
la sua finalità pastorale concreta.
Il progetto esige una certa pianificazione pastorale,
specificazione cliòbiettivi, tempi di revisioneT valufa-
zione; un insieme di intelligenti preoccupazioni pasto-
rali che riunìscano i membri della comunità a riflettere
msieme e apostolicamentc su ciò che si deve fare in ogni
luogo c situazione.
Lesperienza insegna che questo impegno risulta mol­
to fecondo, sia per la realizzazione della missione, sia
per il rinnovamento della comunità. Infatti, pretende­
re di fare comunità prescindendo dalla missionè'e’uh
ingehuo^ftìfiHcTcheìnvita a ripeterelafamosaespì'es-
sióne: «Mca maxima poenitentia vita communis».
Certamente, la nostra vita di comunità ha le sue esi­
■94

10.8 Page 98

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genze ascetiche; ma il suo centro è la missione, e ia sua.
bellezza è sentirsi membri diunafamiglia che vive e rea-,
lizza lo stesso ideale apostolico.
Per ultimo, c’è un altro aspetto importante nel­
la nostra missione, che consiste nell’avere e nellappli-
care all’azione una chiara «coscienza di Chiesa»'. «La
Chiesa particolare è il luogo in cui la comunità vive ed
esprime il suo impegno apostolico. Ci inseriamo nella
sua pastorale che ha nel vescovo il primo responsabile,
e nelle direttive delle conferenze episcopali un princi­
pio di azione a più largo raggio. Offriamo ad essa il con­
tributo dellopera e della pedagogia salesiana e ne rice­
viamo orientamenti e sostegno» (C. 48).
È un aspetto che porta con molte esigenze prati­
che, come già si percepisce nelle parole dellarticolo.
Non entriamo ora nei suoi contenuti. Qui ci inte­
ressa far vedere quali sono i vari aspetti che dobbiamo
considerare nella missione, se vogliamo viverla secon­
do la «grazia di unità» della nostra indole propria. Lat­
tenzione organica dei vari aspetti fa evitare i pericoli
del riduzionismo che alla lunga (con il pretesto di esse­
re più autentici nella missione) rovina lidentità della
nostra interiorità apostolica e lequilibrio della sua
azione.
5.4. Il criterio oratoriano
Tra gli aspetti della nostra missione che abbiamo
enumerati c’è 1’«oratorio», come stile originale di rea­
lizzazione pastorale.
È così importante la sua priorità storica che è di­
ventato per quello che contiene di iniziativa aposto­
lica a favore dei giovani criterio permanente di di­
scernimento e rinnovamento della pastorale salesiana
95

10.9 Page 99

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(cf C. 40). Più che alla struttura stessa di qualunque ora­
torio (anche alle origini), si mira al «cuore oratoriano»
di Don Bosco; ossia, ai suoi criteri pastorali, alla sua
opzioneperi giovani, al suo realismo, nella considera­
zione delle loro concrete necessità, alla sua metodolo­
gia chiamata «preventiva», alla sua spiritualità e ascesi
del «farsi amare», alla sua quotidiana preoccupazione
di educazione integrale. Oggi, dopo più di un secolo,
questo criterio esige di rivedere molte presenze e tutto
uno stile di impegno apostolico.
Non si tratta di chiudere òpere, ma di ripensarle;
ci obbliga inoltre a nuove iniziative e, più di una volta,
a una necessaria ricollocazione sociale.
Possiamo dire cKHTprimo oratorio di Valdocco è
come il «luogo teologico» del nostro carisma: da è
nata tutta la pastorale giovanile di Don Bosco. Nonri-
flettèfèmomai sufficientemente sul significato e la pro­
spettiva profetica della prima scintilla pastorale della
Famiglia apostolica di Don Bosco; è che saccese il
grande incendio ed è che si deve stabilire il punto di
vista di tutta la sua ottica apostolica.
Questo oratorio non è antiistituzionale, anche se esi­
ge una revisione delle attuali istituzioni; è piuttosto la
fonte e la misura di qualunque istituzione a favore deì-
la gioventù. Quando, in una presenzaqualsiasi, quelmo-
dello non abbia più possibilità di applicazione,.saràcon­
veniente lasciare o ripensare quel 1 opera radicalmente.
A più di cento anni di esistenza non cè da meravi­
gliarsi se dobbiamo fare quello che è successo nella storia
ad altre Congregazioni e Ordini. Noi siamo chiamati
a farlo nella luce del criterio oratoriano.
È una prospettiva pastorale che secondo le Co­
stituzioni comprende quattro poh di valutazione: «ca­
sa», con spirito di famiglia; «parrocchia», per la ma­
96

10.10 Page 100

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turazione della fede; «scuola», per la promozione cul­
turale, e «cortile», ossia luogo spazioso per i giochi, per
l’allegria, l’amicizia e la creatività giovanile. I valori sim­
bolici di questi quattro poli debbono essere considerati
insieme, e non separatamente.
Fino arrivano le conseguenze della nostra «grazia
di unità».
Una presenza salesiana che sia solo «casa» di con­
vivenza non realizza il criterio oratoriano; così pure quel­
la che sia solo «parrocchia» o solo «scuola», o solo «cor­
tile». Disgraziatamente si danno vari casi di pericolosa
incoerenza pastorale salesiana.
Può essere utile anche far notare che, in questo cri­
terio, tre dei quattro poli indicano aspetti di valori pu­
ramente umani (casa, scuola, cortile), e uno solo è cen-
tfatcTdirettamente sul compito più caratterizzante del­
la missione, che è la trascendenza della fede (parrocchia).
Questo mi sembra voglia significare due cose: la pri­
ma, che in ognuno di questi poli di valore deve essere
presente la visione deila fede neir apprezzamento e nel­
lo sviluppo dei_valori umani legati alleducazione dei
giovanif la seconda, che la presenza e limportanza del­
l’evangelizzazione non si valutano materialmente per la
quantità delle pratiche di pietà, per le ore di religione
o catechesi, e per altre iniziative di tipo spirituale e apo­
stolico, ma per la loro qualità, per il loro influsso, per
la loro incisività nella formazione delle convinzioni cri­
stiane. È evidente che se si sommano le attività che ri­
guardano i poli «casa, scuola, cortile», si ha una quan­
tità di cose materialmente maggiore a quelle della «par­
rocchia»; ma queste ultime devono avere una qualità
così vitale e permanente dare il loro senso qualifica-
to e globale a tuttoilpròcesso, trasformando in «pa­
storale» ogni attività oratoriana.
97

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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Considero urgente, oggi, applicare questo criterio
di rinnovamento a tutte le nostre opere apostoliche, per­
ché siano veramente realizzazione della missione di Don
Bosco.
5.5. H Vangelo dal di dentro
Questa modalità qualitativa e permanente della fe­
de nellattività apostolica oratoriana è descritta in una
bella pagina della lettera che ha scritto il Santo Padre
per il centenario di Don Bosco; possiamo vedere in es­
sa anche unallusione a quella «grazia di unità» che è
al centro delle nostre riflessioni. Il Santo Padre affer­
ma che Don Bosco è riuscito a donarsi ai giovani in ma­
niera così elevata e feconda «grazie a una singolare e
intensa carità, ossia in forza di unenergia interiore, che
unisce inseparabilmente inlui lìamore di Dio e lamore
del prossimo. Egli riesce così a stabilire una sintesi trà
attività evangelizzatrice e attività educativa.
La sua preoccupazione di evangelizzare i giovani non
si riduce alla sola catechesi, o alla sola liturgia, o a quegli
atti religiosi che domandano un esplicito esercizio del­
la fede e ad essa conducono, ma spazia in tutto il vasto.
settore della condizione giovanile.
Si situa, dunque, al di dentro del processo di for­
mazione umana, consapevole delle deficienze, ma an-
cheóttimistacifca la progressiva maturazione, nella con­
vinzione che la parola del Vangelo deve essere semina­
ta nella realtà del vivere quotidiano, per portare i gio- <
vani a impegnarsi generosamente nella vita. Poiché es­
si vivono unetà peculiare per la loro educazione, il mes­
saggio salvifico del Vangelo li dovrà sostenere lungo il
processo educativo, e la fede divenire elemento unifi­
cante e illuminante della loro personalità...
98

11.2 Page 102

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(L’educatore) si preoccuperà inoltre di ordinare tutto
il processo educativo al fine religioso della salvezza. Tut­
to questo richiede ben più che linserimento nel cam­
mino educativo di alcuni momenti riservati allistruzione
religiosa e allespressione culturale; comporta limpe­
gno assai più profondo di aiutare gli educandi ad aprirsi
ai valori assoluti e ad interpretare la vita e la storia se­
condo le profondità e le ricchezze del Mistero» (n. 15).
Questa bella pagina è più che sufficiente per illumi­
nare un aspetto così caratteristico della pastorale gio­
vanile di Don Bosco. D’altro lato è precisamente con­
naturale alla pedagogia «preventiva» la volontà educa­
tiva di concentrare gli sforzi nel far crescere il bene. Il
criterio oratoriano privilegia larte di educare in positi­
vo proponendo e dando rilievo a valori che attraggono
lattenzione e gli ideali dei giovani; ossia l’arte di far
crescere nei giovani il Vangelo «dal di dentro», stimo­
lando la loro libertà, illuminando la loro intelligenza
ed entusiasmando il loro cuore.
5.6. Sfide pastorali e discernimento di identità
La nostra missione è comunione e partecipazione alla
più ampia missione della Chiesa.
Di conseguenza anche la nostra pastorale dovrà es­
sere comunione e partecipazione alla pastorale delle
Chiese particolari nelle quali operiamo.
Questo vorrà dire che, di fatto, la pastorale della
Chiesa in ogni territorio avrà un orizzonte globale am­
pio, nel quale dovrà inserirsi la pastorale giovanile del­
le nostre presenze.
Tutto ciò esige una costante attenzione alle sfide pa­
storali che nascono nel proprio territorio, seguendo gli
orientamenti e tenendo conto delle priorità indicate dai
99

11.3 Page 103

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Pastori responsabili, e allo stesso tempo con la capaci­
di un intelligente discernimento per rispondere alle
sfide secondo le esigenze del proprio carisma rinnova­
to, in questi anni postconciliari, con la riflessione mon­
diale di tutto l’istituto".
A volte alcuni interferiscono senza essere qualifica­
ti per questo, o, anche, ci sono gruppi interni di pres­
sione che si lasciano guidare più da interpretazioni di
moda che da competenza circa lindole propria.
Qui io elenco solo alcune sfide pastorali per ricor­
dare che ci interpellano, e che dobbiamo saper affron­
tare salesianamente (anche se non posso dilungarmi al
riguardo) per risvegliare la responsabilità di un serio di­
scernimento di identità (non mancano, grazie a Dio, i
sussidi per esso), ed evitare così di impigliarci ingenua-
mente in mode devianti.
Ecco, per esempio, quattro temi di sfida pastorale:
«opzione per i poveri», «inseriménto», «inculturazio-
ne», «popolarità». Di fatto ognuno può contenere an­
che gli altri tre, cambiando di prospettiva, ma conser­
vando la stessa visione ermeneutica di fondo.
La missione salesiana è certamente chiamata a dare
una risposta opportuna a queste urgenze pastorali, ma
non necessariamente nel modo presentato da alcuni pen­
satori affrettati e non liberi da ideologie.
Quello che Puebla chiamò «l’opzione preferenziale
per i poveri» è presentata da alcuni come una lettura
sociologica vincolata con quel tipo di «teologia della li­
berazione» che è stato criticato e rettificato nienteme­
no che da due Istruzioni della Congregazione della Dot­
trina della Fede.
A sua volta, la cosiddetta «inserzione» tra le popo­
lazioni marginali viene descritta in forma riduttiva e ge­
nerica, tanto da diventare il modo per decodificare lat­
100

11.4 Page 104

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tuale stile di vita religiosa, e la condizione indispensa­
bile di un nuovo modo di formazione alla vita consa­
crata. Non tanto come iniziativa di ricollocazione so­
ciale, ma come una nuova ottica per interpretare in al­
tro modo la consacrazione e la missione.
Anche la «inculturazione» è presentata con un con­
cetto di cultura non obiettivo, che fa dimenticare come
Cristo, pur incarnandosi e inculturandosi, ha dovuto
contrastare tanti aspetti culturali del suo tempo,Tino
aincludere nel suo processo di incarnazione addirittu­
ra la persecuzione, la passione e la morte.
Infine, per quanto riguarda la «popolarità», alcuni
sono soliti parlare del «popolo» come protagonista della
storia, con un progetto proprio di liberazione e con una
visione messianica del suo avvenire. È una visione ne-
bulosa e ideologica che non tiene confo3èIFattuaIé com­
plessità della società, e della necessità di una mutua col-
laborazipne di tutte le classi sociali che costituiscono,
in realtà, il popolo di un Paese.
Qui non stiamo trattando di queste sfide pastorali
(che sono complesse ed esigenti, e che dobbiamo tene­
re in gran conto), ma, svolgendo il tema della «grazia
di unità», stiamo riflettendo sull’apporto della missio­
ne nella sintesi viva della nostra consacrazione aposto­
lica.
Abbiamo voluto indicare alcuni pericoli attuali per
insistere sul rilievo che deve avere oggi il costante di­
scernimento della nostra identità. Ma sarebbe falsare
la sua natura se questo discernimento si facesse solo per
criticare i pericoli e non per rispondere alle sfide, an­
che se si presentano, alle volte, con aspetti discutibili.
Certamente la missione salesiana è caratterizzata fin
dalla nascita da una opzione preferenziale per i poveri,
con una preoccupazione di collocamento sociale tra loro,
101

11.5 Page 105

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con una duttilità culturale di profonda cpnsonanza e
con una dimensione popolare che ci distingue nella Chie­
sa da altre vocazioni, in qualche modo, aristocratiche:
la nostra estrazione, le nostre presenze e la nostra azio­
ne sono sempre state caratterizzate dall’inserimento fra
i ceti giovanili e popolari in un modo molto concreto,
non colorato da ideologie.
5.7. La luce e la guida dei Pastori
La missione si traduce in pastorale. La pastorale è
diretta dai Pastori. Gesù Cristo è l’inventore dellapa-
storale; Egli ha istituito i Pastori e li accompagna con­
tinuamente con il suo Spirito di verità.
Nell’attuale accelerazione dei cambiamenti culturali
cè bisogno più che mai dellorientamento e della gui­
da dei Pastori. Infatti, assistiamo a un disorientamen­
to intellettuale e morale (personale e sociale) veramen­
te preoccupante.
Per questo il Magistero dei Pastori si è intensificato
dal Concilio ai Sinodi, dalle Conferenze alle Lettere pa­
storali, dalle allocuzioni papali ai viaggi pastorali del
Santo Padre in tutto il mondo. Cè ricchezza e concre­
tezza di orientamenti. DisgraziatamènteThbnsemprecè
sùfficiente attenzione e sintonia in vari operatori della
pastorale.
Don Bosco ci insegna, invece, a lasciarci guidare co­
stantemente dalle direttive qualificate dei Pastori: è que­
sta una caratteristica indispensabile del nostro modo di
realizzare la missione. Non dimentichiamo mai che la
«grazia di unità» è costitutivamente vincolata alla di-
mensÌoneesplicita e concreta dell«ecclesialità» nella rea-
lizzaHonebehanostramissione: un solo Corpo fonda­
to su Pietro e gli Apostoli e sui loro successori.
102

11.6 Page 106

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6. La comunità fraterna
come stile di vita e di azione
Considerato dall’ottica della «grazia di unità», il mo­
do di riflettere sulla comunità fraterna cambia: non tan­
to circa i temi classici (che conservano il loro valore ed
esigono sempre attenta considerazione), ma in vista della
ricerca dei dinamismi che debbono costruire e raffor­
zare la comunione in tutto quello che si riferisce al pro­
prio carisma. La comunità, da noi, non è pensata in se
stessa come quella di un monastero, ma è considerata
come una componente della sintesi vitale dell’indole pro­
pria; ossia, come un aspetto vivo di una realtà organi-
ca più ampia, che incide in molteplici modi sulla dimen­
sione comunitaria (e anche viceversa).
Raccogliamo alcune osservazioni al riguardo: la co­
munità vista come frutto e difesa della «grazia di unità».
6.1. Uno stile di convivenza e di attività
Noi viviamo l’alleanza e la missione in comunità fra­
terna. La «grazia di unità» proietta le sue energie nel
costruire un ambiente favorevole a condividere nella co­
munione i valori dell’alleanza e della missione. Secon­
do la nostra consacrazione apostolica, si misura lau-
tenticitareligiosa della comunità dalla capacità di met­
tere e di viverFin comune gli elementi che procedono
dai due poli che dinamizzano dallinterno la nostra in­
dole propria: lamicizia dellalleanza e la pastorale co­
103

11.7 Page 107

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me determinazione concreta della missione. La frater­
nità cresce respirando insieme questi valori. La comu­
nione si vive, si manifesta e si trasmette nella comuni­
tà, forma concreta di aggregazione, costruita con rap­
porti visibili e stabili.
Partendo dal polo dellalleanza, si percepisce su­
bito l’assoluta centralità della carità: formiamo un cuor
solo e un’anima sola, non per la carne e il sangue, ma
per la potenza dello Spirito del Signore. Per questo, sen­
za un continuo riferimento a Dio da parte di tutti, si cor­
re il pericolo (più di una volta constatato) di prescindere
dalla comunione fraterna. San Paolo lo ricorda esplicita­
mente: «La parola di Cristo dimori tra voi abbondante­
mente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza,
cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e
cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole ed ope­
re, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, renden­
do per mezzo di lui grazie a Dio Padre» (Col 3,16-17).
Quando sijrascura la comunità orante, diminuisce
di conseguenza la comunione fraterna. Infatti, tutto il
dinamismo della «grazia di unità» ha inizio da un co­
sciente e crescente amor di Dio. sta la vera fonte di
quello spirito di famiglia, così caratteristico nella scuo­
la di Don Bosco, che costruisce, alla luce della fede vis­
suta in uno stile popolare, lunione spontanea dei cuo­
ri: «In clima di mutua confidenza e di quotidiano per­
dono si prova il bisogno e la gioia di condividere tutto
e i rapporti vengono regolati non tanto dal ricorso alle
leggi, quanto dal movimento del cuore e dalla fede. l’ale
testimonianza suscita nei giovani il desiderio di cono­
scere e seguire la vocazione salesiana» (C. 16).
E partendo dal polo della missione, si capisce su­
bito di quale modalità deve rivestirsi la comunità: non
104

11.8 Page 108

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un monastero o un convento (per quanto validi siano
per gli altri Istituti di vita consacrata); ma una comuni­
apostolicacaratterizzata dal suo impegno in una mis-
sìone giovanile e popolare. «Vivere e lavorare insieme
è per noi salesiani una esigenza fondamentale e una via
sicura per realizzare la nostra vocazione. Per questo ci
riuniamo in comunità, nelle quali ci amiamo fino a con­
dividere tutto in spirito di famiglia e costruiamo la co­
munione delle persone» (C. 49).
Il rinnovamento della nostra coscienza nella missione
e della nostra creatività pastorale è uno dei segreti del­
la riuscita, precisamente nel rivitalizzare la nostra di­
mensione comunitaria a livello di profondità nellallean­
za e a livello di responsabilità pastorale nella missione.
Ma laspetto comunitario va in profondità e in­
cide vitalmente anche nella pratica dei Consigli evan­
gelici. I tre voti sono dinamismi vivi e quotidiani della
nostra comunióne fraterna e sono caratterizzati esisten­
zialmente daUostile proprio del carisma di Don Bosco.
Questo significa che sono vincolati in forma peculiare
con i due poli dellalleanza e della missione, che muo­
vono interiormente la consacrazione apostolica. La
«grazia di unità» tocca anchessi, dando loro un volto
tipicamente salesiano.
Lo stesso ordine con cui le Costituzioni e la Profes­
sione si riferiscono ai tre Consigli, dando priorità al­
lubbidienza (differenziandosi in questo dall’ènùmera-
zione corrente) non è soltanto un dettaglio di fedeltà
alluso seguito dallo stesso Don Bosco, m*indajimca-
zione profonda dello speciale spirito apostolico proprio
della nostra Congregazione: lobbedienza sottolinea, in­
fatti,lintensità dellunióne col Padre nellalleanza, e
la concreta e totale disponibilità alla missione, così co- '
105

11.9 Page 109

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me in Gesù Cristo, apostolo del Padre, al punto cen­
trale vi è l’intimità della sua filiazione e la docilità al
progetto di salvezza del Padre.
Tutta la nostra consacrazione è, anzitutto, interio­
rità di alleanza e generosa attività e responsabile crea­
tività di figli ubbidienti.
Evidentemente questa caratteristica della nostra ra­
dicalità si manifesta in una forma peculiare di vita co­
munitaria, propria di apostoli consacrati: valorizza la
corresponsabilità nel progetto pastorale, e riconosce
l’importanza del servizio di autorità, in un clima di spi­
rito di famiglia. Così, nella nostra comunità «il servi­
zio dellautorità e la disponibilità nell’obbedienza so­
no principi di coesione e garanzia di continuità» (C. 65).
Tutti obbediscono anche il superiore disimpegnan­
do funzioni distinte, poiché tutti cercano insieme, con
spirito religioso, la realizzazione più efficace della mis­
sione.
«Ognuno mette capacità e doni al servizio della mis­
sione comune. Il superiore, aiutato dalla comunità, ha
una speciale responsabilità nel discernere questi doni,
nel favorirne lo sviluppo e il retto esercizio» (C. 69).
Si vede, quindi, limportanza che ha per la comunione
fraterna un atteggiamento radicale di filiazione obbe­
diente.
Anche la povertà e la castità sono concepite nella
consacrazione come potenti dinamismi di vita comuni­
taria apostolica.
La povertà è voluta dallalleanza e dalla missione
«come distacco del cuore» in rapporto ai beni terreni,
per partecipare «con intraprendenza alla missione» (C.
73). Testimoniamo così il genuino spirito del vangelo:
«Sullesempio dei primi cristiani mettiamo in comunione
i beni materiali...; nella comunità il bene di ciascuno
106

11.10 Page 110

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diventa il bene di tutti» (C. 76). E tutto questo, non per
godersela, ma per dedicarci più generosamente alla gio-
ventù^bisognosa: «Lo spirito di povertà ci porta ad es­
sere solidali con i poveri e ad amarli in Cristo» (C. 79).
Infine, la castità il tono di simpatia e di attrazio­
ne a un amore familiare e pedagogico, che ci deve di­
stinguere come fratelli che vivono in allegria, e come
amici e padri dei giovani senza concessioni alle mille in­
sinuazioni della concupiscenza: «La nostra tradizione
ha sempre considerato la castità una virtù irradiante,
portatrice di uno speciale messaggio per leducazione
della gioventù» (C. 81).
La comunità è considerata come il focolare dove
ognuno concentra il suo affetto di alterità e dove mol­
tiplica il suo ardore apostolico per lanciare da essa il
suo amore (vivificato dalla «grazia di unità») in un ti­
po di apostolato pedagogico nel quale è necessario «farsi
amare» per fare crescere Cristo negli altri: «La castità
consacrata, segno e stimolo della carità, libera e poten­
zia la nostra capacità di farci tutto a tutti. Sviluppa in
nói il senso crisìiano dei rapporti personali, favorisce
vere amicizie e contribuisce a fare della comunità una
famiglia» (C. 83).
Così l’autenticità della dimensione comunitaria di­
venta, di fatto, la misura della vita di castità, la quale
richiede evangelicamente una vera crescita nella capa­
cità di amare: l’amore dell’apostolo è un amore puro.
«La casa salesiana diventa una famighaquando l’afC
fetto è ricambiato e tutti, confratelli e giovani, si sen­
tono accolti e responsabili del bene comune. In clima
di mutua confidenza e di quotidiano perdono si prova
il bisogno e la gioia di condividere tutto» (C. 16).
La pratica dei Consigli evangelici, allora, aiuta for-.
temente a vivere lalleanza e la missione in profonda
107

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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comunione fraterna allinterno di una comunità quoti­
dianamente orante e creativamente pastorale. Si trat­
ta, quindi, di un originale stile di convivenza e di azio­
ne, che assicura e moltiplica linteriorità apostolica, con
un’attenta preoccupazione di saper rispondere evange­
licamente, con Don Bosco, alle continue sfide dei tempi.
6.2. Complementarità di comunione
La comunità è composta di membri diversi per dati
personali (cf C. 22 e 69) e funzioni (cf C. 55, direttore;
178, consiglio della comunità), per caratteristiche vo­
cazionali (presbitero o coadiutore: cf C. 44 e 45), per
diversità di età (cf C. 46), di sensibilità e di formazione.
Essere giovane o anziano, essere direttore o incari­
cato dell’economia, essere tirocinante, presbitero o coa­
diutore, ecc., costituisce una caratteristica importante
e uña situazione che ha bisogno di «complementarità».
Le differenze si interpretano preoccupandosi delia
comunione. Da questo punto di vista non sono un pe­
ricolo di individualismo, ma un arricchimento della co­
munità, e perciò di tutti. Persona e comunità, iniziati-
va e obbedienza, responsabilità individuale e progetto
comune, ministero sacerdotale e sacerdozio battesima­
le, spiritualità sacerdotale e spiritualità laicale, si com­
penetrano mutuamente nello «spirito salesiano» come
dima c mentalità condivisi da tutta la comunità. Evi­
dèntemente, questo non si produce magicamente, richie­
de lintelligenza, lo sforzo e la costanza di ognuno, del­
lanimatore e di tutti, senza scoraggiarsi per gli sbagli
o per la resistenza di qualcuno.
La comunità non è mai fatta: è sempre in costru­
zione. Ci vuole una formazione fondamentale di inizia­
zione molto sensibile alla dimensione comunitaria, e an­
108

12.2 Page 112

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che una adeguata formazione permanente che insista su
questo. Abbiamo oggi tutta una ecclesiologia concilia­
re ¿he ha rilanciato questo aspetto di «comunione». È
urgente insistere su di esso, soprattutto nelle comunità
di consacrati, che dovrebbero dimostrarsi al Popolo di
Dio come esperti di «comunione». La nostra «grazia
di unità» fiorisce nella comunità: «La carità fraterna,
la missione apostolica e la pratica dei consigli evangeli­
ci sono i vincoli che plasmano la nostra unità e rinsal­
dano continuamente la nostra comunione. Formiamo
così un cuor solo e un’anima sola per amare e servire
Dio e per aiutarci gli uni gli altri» (C. 50).
L’espressione biblica «un cuor solo e un’anima so­
la» ha un’applicazione speciale nella complementarità
fra i soci sacerdoti, coadiutori o salesiani laici e tiroci­
nanti.
L’importanza e il valore specifico dei coadiutori non
consistono solo nel fatto che in qualunque comunità re­
ligiosa ci sono molti compiti di ordine temporale che
possono essere eseguiti da soci laici, ma nella caratteri­
stica stessa della missione salesiana, che è simultanea­
mente promozione umana ed evangelizzazione, educa­
zione e crescita nella fede, inserimento nel mondo del
lavoro e corresponsabilità ecclesiale. La pastorale sale­
siana, infatti, deve far crescere il Vangelo dal di dentro
della maturazione personale e sociale.
Il soggetto che deve realizzare questa pastorale è la
comunità, e perciò in essa ci devono essere differenze
di competenze, e mentalità laiche e sacerdotali che si
completano nel cuore stesso e nellanima di ogni socio,
in vista di unazione specificamente «pastorale». Il sa­
lesiano sacerdote deve avere una connaturale sintonia
con la competenza e la mentalità del suo collega coa­
diutore; e questi, a sua volta, deve sapersi armonizzare
109

12.3 Page 113

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interiormente con la competenza e la mentalità del suo
confratello sacerdote. Cresce così, in uno stesso spiri­
to, quella criteriologia pastorale unitaria («evangeliz­
zare educando») che è la caratteristica dellapostolato
salesiano.
Tutto questo ha particolare incisività nella forma­
zione iniziale della dimensione comunitaria, anche se
implica una formazione differente, di competenze spe­
cifiche e di sensibilità spirituale propria. Il presbitero,
essendo membro di una comunità con una peculiare mis­
sione, deve sentire e coltivare in se stesso la dimensione
laicale del coadiutore, come aspetto proprio anche del
suo essere salesiano; e viceversa, il coadiutore deve sen­
tire e coltivare in se stesso la preoccupazione pastorale
come aspetto complementare della sua competenza di
lavoro salesiano.
Ripeto: non è che tutto questo si possa ottenere in
modo perfetto; è un ideale in continuo perfezionamen­
to. Mi sembra che questo si stia realizzando; quanto più
ci sarà in ognuno spirito di semplicità, di fraternità, di
corresponsabilità nella stessa missione, tanto maggiore
sarà la comunione.
Allora, in ogni comunità ci sono differenze voca­
zionali, personali e funzionali: la comunione consiste
nel rendere complementari tutte le differenze. La com-
pléssitiTvita^
di un organismo che è
tanto più perfetto quanto più è diifcren/.iato: perciò stes-
so resta abilitato a fare molte cose. .
La comunionenonefattaperschiacciare e rendere
unidimensionale, ma per far circolare il maggior numero
di valori. Questo è il grande compito: mettere in circo­
lazione le doti, le funzioni e le vocazioni, in particolare
gli indispensabili valori dellalleanza con Dio: ecco qui
la comunità in dialogo con Cristo. Inoltre, bisogna met­
110

12.4 Page 114

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tere continuamente in circolazione i valori della missio­
ne, concretizzati nel progetto pastorale e sperimentati
nelle vicende quotidiane.
Sappiamo che lazione apostolica il tono a tut­
to, e perciò la comunione deve concentrarsi soprattut­
to in quello che la costituisce e la sviluppa.
Conosco comunità che si radunano una volta alla
settimana per realizzare il lavoro pastorale in comunio­
ne. La preparazione c la buona conduzione di queste
nunioni vitalità alla dimensione comunitaria. Ère-
ccntc questa iniziativa così feconda, econviene Intensi­
ficarla e perfezionarla.
6.3. La dimensione comunitaria,
sintesi viva della consacrazione
In virtù della «grazia di unità», ognuno degli ele­
menti che compongono la consacrazione religiosa con­
tiene, nel suo ambito, gli altri tre: così la speciale al­
leanza, così la peculiare missione, così la pratica carat­
teristica dei Consigli evangelici, e così, in particolare,
la comunità fraterna.
In questa luce, la dimensione.comunitaria si presen-
ta, per la nostra vita apostolica, come la sintesi viva e
globale della consacrazione. Non è autentica se non è
a sua volta espressione dellalleanza, della missione, e
della pratica dei Consigli.
È una visione di insieme che misura la genuinità sa­
lesiana di ogni elemento della nostra Professione: da
si giudica lorazione, la pastorale, il metodo pedago­
gico, la pratica dei singoli voti, la sincerità salesiana di
ogni vocazione, lefficacia della formazione, il rinno­
vamento del carisma: una testimonianza concreta della
carità pastorale che «riflette il mistero della Trinità» (C.
Ili

12.5 Page 115

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49); «anima tutti i momenti della vita: il lavoro e la pre­
ghiera, le refezioni e i tempi di distensione, gli incontri
e le riunioni» (C. 51).
È per questo che sarà compito prioritario e molto
proficuo dedicarsi a incrementare ogni giorno questa
dimensione: ogni «confratello siimpegna acostruire.la
comunità-inxuLSye, e la am anche se imperfetta: sa
di trovare in essa la presenza di Cristo» (C. 52). Anche
se è certo che la missione le un suo tono peculiare,
la comunità non si può ridurre a un semplice «gruppo
di lavoro»: così non comprenderebbe il valore degli al­
tri grandi aspetti della nostra consacrazione.
Domandai una volta a un confratello: «Quanti sie­
tenella tua comunità?». «Siamo sette; però alcuni_molto
vecchi; non fanno niente». Sentite che risposta! Come
se fossero un peso! Toccherà anche a te!
Le sofferenze degli anziani e degli ammalati devo­
no diventare una ricchezza apostolica. Certamente, sia-
moincomunità per lavorare,-perché si tratta di una co­
munità in missione. Ma è, anzitutto, comunione di ca­
rità; è una famiglia, composta di sani e di ammalati,
di giovani e di anziani: quelli che collaborano con la
lóro inabilità allazione immediata, danno un contributo
alla pastorale che non ha prezzo. Sappiamo che la sof­
ferenza è stata in Cristo lespressione massimadella re­
denzione.
È importante non ridurre la comunità a una «équi-
pe» di lavoro. Ci deve essere in essa allegria, fraterni-
ta7 comprensione, aiuto reciproco, squisita sensibilità
verso gli ammalati: di essi Don Bosco diceva che sono
la benedizione delle nostre Case. Lintelligenza del Di­
rettore e dei confratelli che lavorano saprà coinvolgere
nello stesso lavoro apostolico i confratelli che ormai non
possono lavorare direttamente.
112

12.6 Page 116

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È questa una testimonianza di grande efficacia pa­
storale. Del resto, l’essenza della nostra comunità è la
comunione apostolica. Su questa devono convenire, in
forma differenziata, tutti i suoi membri. L’opzione co­
munitaria è una nota carismatica propria della nostra
identità nella Chiesa.
6.4. Nucleo creatore di pastorale
Abbiamo già considerato la distinzione tra «missio­
ne» e «pastorale». La pluriformità pastorale èTégata
direttamente alle comunità locali: la comunità ispetto-
riale (o provinciale), che è locale, nel senso che raggrup­
pa un insieme di presenze apostoliche in una stessa re­
gione o Paese, e la comunità delle singole Case, ubica­
te in un territorio definito, con una finalità pastorale
specifica (oratorio, centro giovanile, scuola, parrocchia,
ecc.). Sono le comunitàJspettoriale e locale che costi­
tuiscono (in reciproca armonia) il nucleo generatore di
adattamenti pastorali in risposta alle sfide concrete di
oghTtefritorio.
^L’Ispettore con il suo Consiglio e il Direttore con
i confratelli della sua Casa sono chiamati a formulare
un progetto educativo-pastorale, che traduca la missione
in una prassi apostolica adeguata al luogo e ai destina­
tari concreti, alla loro cultura e alla loro situazione so­
ciopolitica. Qui si misura l’interiorità apostolica e lau­
tenticità dello spirito di Don Bosco. Infatti, la comuni­
locale è stata inviata in un determinato territorio, con
un tipo particolare di presenza apostolica, per diventa­
re un nucleo dinamico capace di creare pastorale.
I suoi membri devono esercitarsi, per effetto della
loro consacrazione, in un costante e qualificato discer­
nimento pastorale. Questo implica far funzionare apo­
113

12.7 Page 117

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stolicamente la dimensione comunitaria, mettendo in
comune le forze dell’intelligenza e della fede, le analisi
pastorali della realtà, la conoscenza delle sfide, delle ur­
genze e delle priorità, le possibilità concrete e le capa­
cità del personale secondo la finalità propria della pre­
senza, lelaborazione di un progetto educativo-pastorale
come proiezione metodologica della missione.
Come si vede, il discernimento pastorale richiede
acutezza di osservazione apostolica, inventiva per pro­
grammare risposte, slancio di alleanza ed entusiasmo
operativo nella fedeltà alla propria missione.
Dinamizzare così la nostra dimensione comunitaria
è fare opera fondamentale di rinnovamento. Certe co­
munità si erano sedute, con un atteggiamento di ripeti­
zione, di routine, che non rispondeva adeguatamente
alle richieste della gioventù. L’urgenza di una nuova
evangelizzazione viene a svegliare ogni comunità apo­
stolica, per dare un nuovo senso evangelizzatore alla loro
comunione fraterna, come rivitalizzazione della loro
Professione religiosa.
6.5. Comunità aperta e animatrice
Il rinnovamento missionario della comunità porta con
per i membri tutto un fecondo lavoro di animazione,
che apre la comunità ad orizzonti apostolici più ampi.
Lessere nucleo creatore di pastorale comporta per
la comunità, come conseguenza naturale, la necessità
di farsi «animatrice». Animatrice di chi? Di altri, che
non sono solo i suoi membri.
Basta pensare alla «comunità educante», che inclu­
de tanti collaboratori nei differenziati compiti educativo-
pastorali; non sembra che questo aspètto sia arrivato
a un funzionamento soddisfacente.
114

12.8 Page 118

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Pensiamo ai gruppi della Famiglia salesiana (cf C.
5), verso i quali la comunità ha speciali responsabilità:
qualcosa si muove, ma il lavoro da fare soprattutto
rispetto ai fedeli laici (se è vero che si muovono) è
solo agli inizi (e questo, disgraziatamente, non dapper­
tutto). Stiamo aspettando il documento pontificio sul
tema dellultimo Sinodo dei Vescovi (1987): ci aiuterà
a migliorare e a intensificare lanimazione [uscirà il
30.12.1988: «Christifideles laici», ndT\\.
Qui quello che importa recepire è che questa ani­
mazione è parte vitale della nostra comunione aposto­
lica; ossia, che senza di essa la comunità non fa frutti­
ficare la sua «grazia di unità» nella realizzazione della
missione. Non si tratta semplicemente di un articolo dei
Regolamenti o delle Costituzioni, ma di un aspetto vi­
tale della consacrazione salesiana.
La nostra dimensione comunitaria non è chiusa in
casa, perché deriva da una «grazia di unità» che ci ar­
ricchisce di una carità pastorale che è capacità di con­
vocare, di comunicare, di coinvolgere altri. È sempre
stato così, fin dai tempi di Don Bosco. È sopraggiunto
un periodo di troppa istituzionalizzazione scolastica o
di genericismo parrocchiale, che ha ridotto il significa­
to di comunione (in una stessa alleanza e in una stessa
missione), e ha frenato la corresponsabilità apostolica
nella missione giovanile e popolare, lasciando illangui­
dire le Associazioni dei Cooperatori e degli Exallievi.
E pensare che la missione salesiana è così grande da
diventare impossibile senza un numero illimitato di col­
laboratori. Don Bosco si è sentito come investhxrdal
Signore di una missione universale per tutta la gioven­
bisognosa. Era magnanimo, sognatore, ricercatore
instancabile di vocazioni e di collaboratori. ,
N5npo?siamoltàre tranquilli,comesecomunità re­
115

12.9 Page 119

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ligiosa volesse dire per noi prescindere dalla concreta
animazione della comunità educante della Famiglia sa­
lesiana, di molti fedeli laici. Dobbiamo saper contagia­
re spiritualmente e offrire prospettive apostoliche a tanta
gente che ha buona volontà c attende che qualcuno la
inviti a lavorarè e indichi campi concreti di azione.
Cè chi si oppone a questo stimolo grave e urgente
pur lamentandosi che manca personale. Non c’è dubbio
che il personale oggi è insufficienti; ma quello che man­
ca, in realtà, è linteriorità apostolica e lardore inventi­
vo della carità pastorale. Io non direi come qualcuno
ha avuto il coraggio di dire che oggi la mancanza di
personale è una grazia di Dio per svegliare i consacrati
addormentati (per qualcuno può anche essere che lo sia),
ma che è un richiamo del Signore a prendere sul serio
lecclesiologia del Concilio, secondo la quale i fedeli laici
non sono l’arma segreta in caso di mancanza di clero
e di religiosi, ma protagonisti insieme ad essi per la rea­
lizzazione nel mondo della missione del Popolo di Dio.
Perciò la comunità animatrice deve rinnovare il suo
ritmo di vita, fare una revisione delle sue capacità pa­
storali, acquisire e approfondire competenze di forma­
zione spirituale e apostolica peritanti operatori che lo
spirito del Signore mette a disposizione come un nuo­
vo vasto settore vocazionale di sequela di Cristo e di
corresponsabilità apostolica. È urgente rielaborare in
questo senso il progetto educativo-pastorale.
Le ristrutturazioni delle opere (a livello provinciale
e locale), hanno preso in considerazione questo appel­
lo? Ci sono tante e assai chiare indicazioni da parte dei
Capitoli Generali e del Rettor Maggiore (p. es. ACG
317, 318, 321). Chi si è soliti delegare per l’animazione
dei Cooperatori? E chi per gli Exallievi? I due gruppi
hanno, in verità, da percorrere orbite diverse. Abbiamo
116

12.10 Page 120

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quasi mille parrocchie nel mondo, ma andate a vedere
che tipo di associazioni hanno; non si è saputo rivita­
lizzare gli aspetti carismatici del nostro stile. E dove ci
sono delegati validi, che partecipazione e sostegno ri­
cevono dalla stessa comunità? E tuttavia è essa il sog­
getto primo della nostra alleanza e della nostra missio­
ne. Qui ci troviamo di fronte a una vera provocazione
per lidentità della nostra comunità apostolica.
Dunque, una comunità salesiana «aperta», aperta
ai collaboratori, alla Famiglia salesiana, ai fedeli laici,
aperta anche ai segni dei tempi e alla società. In parti-
colarc, ogni comunità locale devessere aperta alla co­
munità ispettoriale,. dove risiede la prima responsabili-
diretta della pastorale. In ogni Ispettoria sta il pro­
gettò globale di ognuna delle opere nella loro pluralità
di interventi; così, in ogni opera è necessario il vincolo
con il progetto globale per poterlo realizzare e adegua­
re continuamente alle mutabili situazioni. Del resto, la
nostra comunità dierigine è precisamente lIspettoria.
CÒìTlaTprofessione religiosa noi ci incorporiamo alla
Congregazione (Io diciamo al Rettor Maggiore nella for­
mula) attraverso, di fatto, una comunità ispettoriale.
Conversavo una volta con un Padre benedettino, e
mi diceva: «Noi abbiamo il voto di stabilità, siamo vin­
colati definitivamente a un monastero; per cambiare mo­
nastero abbiamo bisogno del permesso della Sede Apo­
stolica». «Noi invece gli rispondevo sorridendo
abbiamo piuttosto una specie di voto di mobilità; la no­
stra obbedienza è così: non entriamo in una casa loca­
le, ma in una comunità più ampia, la Provincia, e
così a far parte della comunità mondiale; il Provinciale
pùcTcambiare da uña casa allaltràrè~ÌFSuperiore Ge­
nerale da una provincia allaltra; lobbedienza ci rende
disponibili alla missione con duttilità di destinazione».
117

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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Questa disponibilità non è da poco^ed è molto in­
teressante; esige una interioritàchèdia un senso molto
concreto afta comunione fraterna.
6.6. Organicità ed ecclesialità
della dimensione comunitaria
La comunione fraterna comporta una uguale dignità,
e una mutua stima e comprensione tra ognuno dei suoi
membri; la base di questa uguaglianza è la comune pro­
fessione religiosa. Lo spirito di famiglia un senso di
focolare e di mutua cordialità alla convivenza e a tutte
le espressioni di comunione.
Questa bella e allegra fraterninon si tramuta in
un falso democraticismcTcIie disconosce le mediazioni
organiche necessarie alla vita di comunità. Quanto ab­
biamo riflettuto sulla complementarità delle funzioni
ha qui la sua applicazione. In particolare, svolge una
parte veramente vitale (di interpretazione concreta del­
la «grazia di unità» e delle esigenze della carità pasto­
rale) il primo animatore della comunità, che è il Diret­
tore: anima e governa! Nella sua missione di servizio
sta il segreto principale della crescita nella comunione
fraterna.
Egli deve possedere cuore pastorale, competenza ani­
matrice, senso acuto della missione concreta dellope­
ra, conoscenza e amicizia con ciascuno dei suoi confra­
telli, preoccupazione della comunità educante, per la Fa­
miglia salesiana, per la promozione dei Cooperatori e
degli Exallievi, sensibilità costantemente rinnovata in
base alla realtà pastorale della Chiesa locale. Deve sa­
per stimolare e promuovere la comunionefraterna in
tutte le direzioni; soprattutto deve eccellere nella carat­
teristica dellecclesialità, perché sia vissuta da tutti i con­
118

13.2 Page 122

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fratelli come la visse Don Bosco. Infatti, la comunità
deve essere aperta specialmente alla Chiesa locale, do­
ve si elabora la pastorale concreta di un territorio. La
nostra missione è, j>e£definizione, partecipazione alla
stessa missione della Chiesa. Di conseguenza, ogni no­
stra presenza apostolica deve essere pensata come una
maniera salesiana di partecipare al lavoro pastorale della
Chiesa particolare nella quale è inserita, come porta­
trice del carisma di Don Bosco.
E poiché nella Chiesa laspetto di «particolarità» è
inseparabile da quello di «universalità» (sonodue aspetti
sempre uniti in qualunque porzione della Chiesa: non
esiste è mai esistita una Chiesa universale che non
fosse anche particolare, e viceversa), ci tocca testimo­
niare in ogni luogo alcunfelementi specifici, che sotto­
lineano luniversalità della Chiesa: in particolare, il fon­
damentale ministero petrino, e la comunione mondiale
al di delle culture locali.
Tutto questo non è astratto, si incarna in determi­
nati aspetti pastorali che sono caratteristici della metodo­
logia apostolica di Don Bosco, come ladesione convinta
al successore di Pietro, limportanza ofientatrice dataal
magisterodèiPastori, laspetto ecclesiale della devozione
a~Maria, la disponibilità alle iniziative interculturali.
Sono tutte note che indicano lapertura di una co­
munità salesiana, nella quale lanimazione della comu­
nione fraterna deve acquisire caratteristiche sempre più
autenticamente ecclesiali, in piena sintonia con i due
aspetti di Chiesa particolare e di Chiesa universale.
6.7. Il Direttore della comunità
Riflettere sul servizio del Direttore dall’ottica della
comunità fraterna è centrare con esattezza la sua fun­
119

13.3 Page 123

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zione pastorale. La «grazia di unità» richiede, a livello
comunitario, questòservizio.perfàrcircolare nella co­
munità fraterna i valori dellalleanza, della missione e
dei consigli evangelici.
La pastorale dovrebbe essere il risultato di questa
comunione, in risposta alle sfide della realtà. Il Diret­
tore «è padre, maestro e guida spirituale»; è dedito ad
animare una comunità apostolica; segue ogni confra­
tello nel suo impegno vocazionale e pastorale; «rappre­
senta Cristo, che unisce i suoi... Estende la sua solleci­
tudine ai giovani e ai collaboratori, perché crescano nella
corresponsabilità della missione comune» (C. 55).
L’aiuta e lo sostiene nella sua funzione l’Ispettore
coljuo Consiglio. Le Costituzioni affermano con chia­
rezza che «l’ispettore e il direttore come animatori del
dialogo e della partecipazione, guidano il discernimento
pasfórale dèllà comunità, àffinché essa proceda unita
e fedele nellattuazione del progetto apostolico» (C. 44).
È quindi una funzione molto importante quella del
primo animatore della comunità; è radicata nella costi­
tuzione stessa dellindole propria, perché è al servizio
di uno degli aspetti costitutivi della stessa consacrazio­
ne apostolica: la vitalità della comunione fraterna. 11^
Direttore è uno speciale servitore della «grazia di uni-
tà» al suo livello di pratica pastorale^ Non può essere
un«fàctotum»dèllacomunità, immerso in tutte lefac-
cende (anche se è im servitore), ma deve avere lintelli­
genza di far funzionare pastoralmente i suoi confratel-
li, svegliare in tutti il «cuore oratoriano», e guidarirneHa
collaborazione e nella realizzazione del progetto edu­
cati vo-past orale. Perciò deve anche riflettere e studia­
re, conóscere gli orientamenti vivi del Magistero e del­
la Congregazione, partecipare a determinate riunioni di
preoccupazione pastorale.
120

13.4 Page 124

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In particolare, tra noi, deve coltivare e sviluppare
una vera interiorità pastorale. Infatti, Don Bosco (co­
me abbiamo visto) ha voluto che tra noi la comunità
apostolica fosse animata e guidata da chi vive con in­
tensità la grazia e i carismi dellordinazione sacerdota­
le. «L’autorità nella Congregazione dicono le Co­
stituzioni è esercitata a nome e ad imitazione di Cri­
sto... Le comunità sono guidate da un socio sacerdote
che, per la grazia del ministero presbiterale e lesperienza
pastorale, sostiene e orienta lo spirito e lazione dei fra­
telli» (C. 121).
Così entra nella funzione del primo animatore la tri­
plice preoccupazione pastorale del «ministero della Pa­
rola», della «cura della santificazione» e della «respon­
sabilità di guidare», perché la comunione dei confra­
telli diventi davvero un nucleo generatore di pastorale
giovanile e popolare.
Maria, che guidò Don Bosco nel suo peculiare mo­
do pastorale di realizzare la missione, ottenga luce ed
energia per rinnovare la funzione del Direttore nelle co­
munità salesiane. Solo così la comunione fraterna sarà
espressione vera della nostra professione. La comunità
è, infatti, elemento costitutivo della nostra consacrazio­
ne: non è semplicemente un obiettivo pedagogico di os­
servanza. La sua caratteristica è la comunione che fa
circolare i grandi valori della nostra indole propria; è
il «focolare» in cui si inserisce, vive e si sviluppa la «gra­
zia di unità».
121

13.5 Page 125

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13.6 Page 126

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7. La pratica dei consigli evangelici
come totale donazione di
Siamo arrivati alla considerazione del quarto elemen­
to della nostra consacrazione apostolica: la pratica dei
Consigli evangelici (C. 3). È improprio dire che occupa
lultimo posto; è importante tanto come gli altri elemen­
ti, e deve essere vissuto in sintonia con essi: non in mo­
do generico, ma come lo visse Don Bosco.
La pratica dei Consigliconsiste nella donazione to­
tale di a Cristo per mezzo di una radicale ohbedieh-
za, povertà e castità. secondo il progetto evangelico di
DottBosco.
Consideriamo questa pratica come la struttura por­
tante che forza, sostiene e difende la «grazia di uni­
tà» con i suoi frutti. È elemento costitutivo della stessa
consacrazione.
Naturalmente qui non ci soffermiamo a riflettere su '
ognuno dei voti in particolare, ma cercheremo di dare
di essi una visione dinsieme nel quadro globale della
nostra interiorità apostolica.
Incominciamo ricordando le parole dell’apostolo
Paolo ai Filippesi: «Ho rifiutato tutte queste cose (in­
dipendenza, ricchezza, matrimonio) per guadagnare Cri­
sto, perché io stesso sono stato conquistato da Lui» (cf
FU 3,8-12).
Questa espressione esplosiva ci fa toccare il punto
centrale della nostra scelta di vita: abbiamo optato ra­
dicalmente per Cristo. La pratica dei Consigli ci porta
123

13.7 Page 127

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con sicurezza per la strada della sequela del Signore.
Questo cammino labbiamo incominciato nel Battesi­
mo e l’abbiamo portato alla sua espressione totale nel­
la Professione religiosa. Lemissione dei voti, secondo
le Costituzioni, assicura la crescita della «grazia di uni­
tà», rimuovendo gli ostacoli che possono frenare la per­
fezione della carità. Noi vogliamo fare tutto «a partire
da Cristo».
7.1. Limmenso apporto della pratica dei Consigli
La prima osservazione che nasce spontanea dalla
considerazione di questo elemento è che in esso vivono
e crescono gli altri (elementi della consacrazione). È un
frutto molto benefico della grazia di unità. Questa gra­
zia fa che ognuno dei quattro elementi sia contenuto
negli altri, ognuno rafforzi e caratterizzi gli altri con
la sua specificità, che ognuno abbia senso concreto nel-
lintercomunicazione con gli altri.
In questo senso la pratica dei Consigli vitalità e
ricchezza speciali. È inf^ttTlatesdmonianzaesis
lepérmanente, visibile e radicale, della opzione per Cri­
sto. Comporta uno stile di vita che non si spiega che
per il suo mistero. un tono speciale, ossia molto ori­
ginale e distinto da ogni altra motivazione umana (di
parentela, affettiva, culturale, politica, umanitaria,
ecc.), perché giudica, progetta e agisce partendo sem­
pre da Cristo, assimilando la sua verità, condividendo
la sua missione e imitando la sua metodologia di inter­
vento.
La pratica dei Consigli arricchisce immensamente
tutto lambito deW alleanza: l’ubbidienza approfondi-
sce lintimità della filiazione, la povertà sviluppa il senso
della trascendenza, della fiducia e della disponibilità,
124

13.8 Page 128

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la castità assicura lautenticità dellamore e la genero­
sità del cuore. Così lunione con Dio, frutto dellallean-
za, si fa esistenzialmente continua,^ faripéterejaQn,con-
vmzione al consacrato: «Io sono persuaso che mor-
vfta, angeli principati, presente avve­
nire, potenze altezza, profondità, alcunal-
tra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, in
Cristo Gesù nostro Signore» (Rm 8,38-39).
La pratica dei Consigli arricchisce anche la mis­
sione'. l’obbedienza stabilisce lambito dell’azione apo­
stolica, impegnando le iniziative di una libertà totalmen­
te dedicata ad esso; la povertà orienta al servizio dei po­
veri e sviluppa la solidarietà con loro, e la castità rive-
ste di attrattiva e di simpatia il metodo pedagogico-
pastoralc della bontà.
Così la pastorale, frutto della missione, diventa per
i destinatari dedizione generosa e creativa, preoccupa­
zione concreta per i più bisognosi, e convivenza fami­
liare di dialogo che salva: «I consigli evangelici, favo­
rendo la purificazione del cuore e la libertà spirituale,
rendono sollecita e feconda la nostra carità pastorale:
il salesiano obbediente, povero e casto è pronto ad amare
e servire quelli a cui il Signore lo manda, soprattutto
i giovani poveri» (C. 61).
Infine, la pratica dei Consigli arricchisce vital­
mente la comunità fraterna', l’obbedienza sostiene lor-
ganizzazione apostolica e crea un clima di condivisione
neHarreatizzazione del progetto educativo pastorale; la
povertà facilitarla totale comunione dei beni e la gioia
dèir’uguagÌianza, e la castità elimina gli individualismi
e porta a formare una famiglia con un cuor solo e un’a-
nimà solarCosì còhvivenza familiare, frutto della co­
munióne fraterna, e la coesione comunitaria nellazione
125

13.9 Page 129

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pastorale si irrobustiscono molto. «La professione dei
consigli evangelici assicurano le Costituzioni ci
aiuta a vivere la comunione con i fratelli della comuni­
religiosa, come in una famiglia che gode della pre­
senza del Signore» (C. 61).
Le Costituzioni precisano più dettagliatamente l’ap­
porto inestimabile della pratica deb Consigli. Essa co­
stituisce una peculiare partecipazione allevento pasquale
di Cristo, che è centro della storia della salvezza: «Par­
tecipiamo più strettamente al mistero della sua Pasqua,
al suo annientamento e alla sua vita nello Spirito» (C.
60).
Rende più convincente e incisiva lopera di evange­
lizzazione: «In un mondo tentato dall’ateismo e dalli­
dolatria del piacere, del possesso e del potere, il nostro
modo di vivere testimonia, specialmente ai giovani, che
Dio esiste e il suo amore può colmare una vita; e che
il bisogno di amare, la spinta a possedere e la libertà
di decidere della propria esistenza acquistano il loro sen­
so supremo in Cristo salvatore» (C. 62).
La pratica dei Consigli, inoltre, fa che il consa­
crato diventi un «segno della forza della risurrezione»
(C. 63); ossia, un testimone e un fermento della escato­
logia cristiana, che muove la speranza a migliorare e
a trasformare continuamente le condizioni dell’ordine
temporale con limpegno e l’orizzonte di un dinamismo
cristiano che tende al Regno definitivo di Dio: «I con­
sigli evangelici, configurando il suo cuore tutto per il
Regno, lo aiutano a discernere e ad accogliere l’azione
di Dio nella storia; e, nella semplicità e laboriosità del­
la vita quotidiana lo trasformano in un educatore che
annuncia ai giovani “cieli nuovi e terra nuòvae in que­
sto modo stimola in loro gli impegni e la gioia della spe­
ranza» (C. 63).
126

13.10 Page 130

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7.2. Contestazione evangelica di attualità
La pratica dei Consigli evangelici infonde nella con­
sacrazione i valori di una testimonianza esistenziale che
interpella il mondo circostante. Considerando il tipo di
vita e la qualità dell’azione di una comunità consacra­
ta, qualunque osservatore è come obbligato a cercare
la spiegazione di un fatto così poco in consonanza con
gli istinti umani; e i destinatari, con i quali la comunità
convive, dovranno, presto o tardi, porsi il problema del
mistero di Cristo.
La «grazia di unità» fiorisce così in una consacra­
zione apostolica che diventa provocazione ,e fermento
nélla vita degli uomini, nella loro cultura, nelle loro vi­
cissitudini, nel discernimento di valori e disvalori che
accompagnano i segni dei tempi; e i Consigli evangelici
diventano come una pacifica e formidabile contestazione
di quelle inclinazioni umane che favoriscono i disvalo­
ri in circolazione.
E se non fossero contestazione evangelica i tre voti
dei consacrati (che si contano a centinaia e centinaia di
migliaia), che altro sarcbbc contestazione nel cristiane^
simo? Orbene, la «grazia di unità», per mezzo di que-
Lsta pratica, infonde il coraggio di una saggia e terapeu­
tica contestazione di fronte alle deviazioni e a certe mode
peccaminose negli ambienti della società attuale, soprat­
tutto in relazione ai giovani.
Gli attuali processi socioculturali portano molti pro­
blemi nuovi. Sono provocati dai segni dei tempi, i qua­
li hanno bisogno di un attento discernimento, perché
portano, di fatto, valori e disvalori. Ognuno di essi, es­
sendo ambivalenti, comporta nella pratica, per la vita
socioculturale, non poche deviazioni.
Possiamo passare in rassegna le principali.
127

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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Il processo di secolarizzazione sviluppa maturità cri­
tica e capacità scientifica, ma cade in un sécolarismo
molto dannoso e cieco, perché non riconosce laprèseììza
e l’intervento dello Spirito Santo nella storia; in defini­
tiva, nega l’importanza di Gesù Cristo. Ne consegue un
cumulo di deviazioni che esigono niente meno che tut­
ta una nuova evangelizzazione. In Questo clima i Con­
siglievangelici sono per il mondo una contestazione mol­
to concreta.
Il processo di personalizzazione, sostenuto dal pro­
gresso delle scienze antropologiche, mette in rilievo tanti
fattori positivi: limportanza della persona, lio profon­
do, le molle della libertà, la metodologia della matura­
zione,' ecc.; ma favorisce una crescita di antropocentri­
smo che fa dellapéfsbna umana un «assoluto»; così si
devia dalla interpretazione cristiana della natura dell’uo­
mo e della sua libertà; la realizzazione della persona è
vista solo nella linea orizzontale delle sue inclinazioni;
e così non si può capire Gesù Cristo quando dice: «Non
si faccia la mia volontà, ma la tua». Al contrario, è pre­
cisamente questo atteggiamento di libertà che sta al cen-
tro~della<pfàtica dei Consigir È rnolto imporfante ri-
cbrdàre questo, soprattutto negli anni della formazio­
ne: far capire ai nostri giovani, influenzati dal clima che
li circonda, che la contestazione evangelica dei voti no­
bilita la libertà, sviluppa la persona nell’amore e la apre
al servizio per il bene degli altri.
Il processo di socializzazione ci parla di partecipa­
zione, di comunione, di corresponsabilità, di protago­
nismo: sia benedetto Dio, perché è arrivato questo pro-
cesso dilnaggioFpartecipazione e comunione. Ma bi­
sogna stare attenti alle interpretazioni di tipo democra-
ticista o collettivista, ossiadHìpoideoIògicoTBastaguaf-
dare i due poli oppostTdèllèTdeoio^ie-che guidano le
128

14.2 Page 132

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grandi società di oggi: cresce la conflittualità e si estin­
gue il mistero.
La comunità religiosa può diventare una corpora­
zione o una piccola democrazia orizzontale, senza fun­
zioni complementari, senza gerarchizzazione, senza or­
ganicità. Questo non è in sintonia con il mistero della
Chiesa. Non interpreta, in particolare, quella cellula di
mistero della Chiesa che è la nostra comunità religiosa,
centrata tutta sullobbedienza della fede. I Consigli evan­
gelici sono una contestazione a simile mentalità ideolo­
gica, mentre esaltano in altra maniera, più profonda,
più duratura e più incisiva, la comunione e la parteci­
pazione.
Il processo di liberazione sveglia i popoli che sono
in situazioni di dipendenza, di ingiustizia, per portarli
a un livello di fraternità mondiale e di partecipazione
ai beni che Dio ha creato per tutti. Vediamo, però, che
ci sono interpretazioni di tipo non cristiano e di marca
atea, che escludono Dio e disprezzano la metodologia
del Vangelo; il motore della storia sarebbe l’opposto di
quello insegnato da Gesù Cristo: non lamore, ma l’o­
dio, la lotta violenta, la guerra. Inoltre, quello politico-
economico sarebbe il valore supremo per giudicare le
attivifa e le opzioni. La pratica dei Consigli, mentre pro­
muòve tanti valori di questo processo, contesta evan­
gelicamente le sue pericolose deviazioni.
Il processo di inculturazione apre grandi .orizzonti
positivi a favore dellautenticàmente umano nella tra­
dizione di ogni popolo; ma corre il pericolo di assolu-
tizzare le culture così come sono. La cultura non è un
assoluto: è frutto dellattività degli uomini e, evidente-
mente, quanto più è antica, meno ha Vangelo, e an-
che~mého~di serisìbìlttalm~segnraei tempi. Non esiste
nessuna cultura senza difetti e senza errorifassolutiz-
129
5

14.3 Page 133

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zarla vuol dire adeguarvisi in tutto senza discernimen­
to, chiudendosi in essa come in una gabbia. Non può
essere questa la vera inculturazione. Se uno pratica i
Consigli evangelici, si rende conto che, nella cultura in
cui vive, deve disceimcrc; assumere tutto ciò che è posi-
tivo^ma anche portare la luce di Gesù Cristo per puri­
ficare, seminare, sviluppare. . '
È importante e attuale, allora, il coraggio della con­
testazione evangelica dei Consigli di fronte all’accetta­
zione indiscriminata dei segni dei tempi, e di una criti­
ca alle deviazioni che li accompagnano.
Come abbiamo visto, la pratica dei Consigli è se­
gno della potenza della risurrezione, frutto della Pasqua
in noi: con essi possiamo proclamare la presenza dello
Spirito Santo e costruire concrete profezie di rinnova­
mento per i giovani.
7.3. Struttura portante e discreta
La pratica dei Consigli evangelici è inerente a ogni
vita religiosa come sequela radicale di Cristo. Comporta
tutta una metodologia ascetica, che caratterizza le co­
munità di consacrati; esse sono centrate totalmente in
Dio, «amato sopra ogni cosa» con limpegno di assu­
mere «una forma di vita che si fonda interamente sui
valori del Vangelo» (C. 60).
Lasciano tutto per amore di Cristo (cf Me 10,28).
Lo seguono come l’unico maestro indispensabile (cf Mt
19,21; Le 10,42); ascoltano attentamente la sua parola
(cf Le 10,39) e si dedicano generosamente alle opere del
Signore (cf 1 Cor 7,32).
Tutto questo rafforza il primato dellinteriorità apo­
stolica che scaturisce dalla «grazia di unità». Evidente­
mente, l’aspetto ascetico di rinuncia, per voto, ha uno
130

14.4 Page 134

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spessore non indifferente in questo tipo di vita; ma di
esso parleremo a parte.
Il Concilio Vaticano II afferma esplicitamente che
«la professione dei Consigli evangelici, quantunque
comporti la rinuncia di beni certamente molto apprezza­
bili, non si oppone al vero progresso della persona uma­
na, ma per sua natura gli è di grandissimo aiuto. Infat­
ti, i Consigli abbracciati secondo la personale vocazio­
ne di ognuno, aiutano non poco alla purificazione del
cuore e alla libertà spirituale, tengono continuamente
acceso il fervore della carità e... hanno soprattutto la
forza di maggiormente conformare il cristiano al gene­
re di vita verginale e povera che Cristo Signore scelse
per e che la Vergine Madre sua abbracciò. pensi
alcuno che i religiosi con la loro consacrazione diventino
estranei agli uomini o inutili nella città terrena» (LG 46).
L’aspetto di rinunci^ è senza dubbio effettivo ed esi­
gente; ma è animato da qualcosa di molto positivo, che
è loggetto proprio di una testimonianza così radicale.
E qui cè da fare una riflessione particolarmente in­
teressante che ci offre Don Bosco stesso. La «grazia di
unità» esige nella nostra indole propria che la pratica
dei voti sia veramente una forte struttura portante del­
la nostra consacrazione; una struttura non di facciata,
ma di sostegno, quasi nascosta, come lo scheletro che
sostiene il nostro organismo. Noi non facciamo osten­
tazione di rinuncia, ma la pratichiamo. Siamo chiama-
ti à dare prova di fede, di speranza e di carità, di lavo­
ro e di temperanza. Nella commemorazione centenaria
del sogno dei dieci diamanti (MB 15,183-186) ho predi­
cato al Capitolo Generale della FMA; mi chiesero di
commentare il sogno: ne è uscito un libro e credo sia
utile per tutti noi (E. Viganò, Un progetto evangelico
di vita attiva, Elle Di Ci, 1982).
131

14.5 Page 135

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Sappiamo che tra i sogni di Don Bosco bisogna fa­
re più di un discernimento; ma non pochi di essi han­
no, in verità, messaggi illuminanti e profetici. Per esem­
pio, j sogni missionari; io Hei pótuto^onstàtare laJpro
misteriosa validità viaggiando per il mondo. Non ba­
stano le interpretazioni dei sogni date da Freud o da
qualche studioso; pensiamo al significato dei sogni della
Bibbia.
Di questo sogno in particolare, dico che possiede un
valore speciale per linterpretazione del nostro spirito;
Don Bosco ne era convinto e con questo ci dice come
dobbiamo considerare la nostra vita spirituale. Se in­
vece di essere un sogno fosse una semplice conferenza
sarebbe ugualmente importante; ma è un «sogno» di
Don Bosco, che interessò molto a lui e alle prime gene­
razioni.
Don Rinaldi ne ha dato una spiegazione profonda,
con speciari indicàziom per la nostra interiorità. La pfa-
ticadèiCònsiglievangelici (nel loro aspetto di rinun­
cia), non sta, diciamo così, sul frontespizio della no­
stra vita consacrata perché tutti la guardino; Sul fron­
tespizio delle nostre Case dovrebbe essere scritto: qui
vìve gente buona, generosa, amica dei giovani, lavora­
trice; qui vivegentededita allamoree alservizio. Da­
vanti al mondo devono brillare i diamanti che sono sul
petto del personaggio del sogno: «Fede, speranza e ca­
rità», insieme a molto «lavoro e temperanza». I .a strut­
tura portante dei voti deve soprattutto far brillare il dia­
mante della carità posto sul cuore; la luce che illumina
e attraé deve essere proiettata dalla carità pastorale.
È bella questa visione: in essa si descrive il nostro
volto «sociale». La nostra testimonianzaapòstòlicaha
bisogno cheTgiòvani e la gente ci vedano come perso­
ne normali, attraenti, piene di amore e incantate per Cri­
132

14.6 Page 136

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sto, che si danno agli altri, che lavorano tutto il gior­
no, persone che sanno dominare le loro passioni, entu­
siaste per levangelizzazione e l’educazione dei giovani.
Abbiamo visto che la «grazia di unità» è intimamente
vincolata, dia carità pastorale. Ciò che questo sogno
mette, per così dire in vetrina, sono i diamanti delle virtù
teologali, accompagnate da molta attività apostolica e
di dominio di sé. Certamente gli altri diamanti sono an-
ch’essijissolutamente indispensabili; se uno crede che
siano secondari perché non si mostrano davanti, si sba­
glia. Senza di essi, infatti, non esiste o non'è duratura
la luce dell’amore; sono struttura portante, e anche se
disimpegnano la loro parte indispensabile in modo di­
screto, sono pienamente evangelici ed efficaci.
È una originalità del sógno di Don Bosco. Nella di­
sposizione dei diamanti, messi nella parte posteriore,
si vede un quadrilatero che sembra una fortezza: assi-
cura e difèndeTadotalità della visione. Un quadrilatero
che ha al centro, come diamante principale verso il quale
convergono i raggi degli altri, quello dellubbidienza.
Si disse che Don Bosco aveva l’ossessione della castità;
si noti, invece, come Don Bosco metta al centro della
struttura portante lobbedienza.
In una recente e poderósa opera di von Balthasar
sugli stati della vita cristiana, si trova una valida giusti­
ficazione dottrinale della centralità dellobbedienza in
Cristo, spiegazione di tutta la sua psicologia filiale.
Nel'quadrilatero del sogno, lobbedienza è accom­
pagnata dalla castità e dalla povertà, insieme alla mor­
tificazione e al digiuno; ossia, tutta una condotta asce­
tica che implica attenzione quotidiana e pratica della­
more; un insieme di rinunzie e iniziative di dominio delle
passioni che assicurano laspetto vitale delle virtù teo­
logali.
133

14.7 Page 137

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Inoltre, nel sogno, si aggiunge a questi aspetti la co­
scienza quotidiana del premio; sappiamo che anche nella
pedagogia di Don Bosco la visione escatologica del Pa­
radiso era particolarmente familiare in ima mentalità
di fede capace di trascendere la realtà terrena.
Voglio regalare ad ognuno una copia di questo li­
bro. Frattantó;_veheleggo una paginetta per fare capi­
re meglio in che senso parliamo dei voti come struttura
portante e discreta:
«Noi siamo nati nella Chiesa, non per apparire co­
me frati o monache (nel senso della mentalità corren­
te), ma per essere un gruppo di consacrati pubblicamente
nella Chiesa, con caratteristiche accettabili in una so­
cietà ormai in processo di secolarizzazione. Consideria­
mo le parole che Pio IX ha detto a Don Bosco, quando
10 guidava nellopera di fondazione della nostra comu­
ne Società Salesiana; si trovano nel volume XIII delle
Memorie Biografiche, pp. 82-83: Io credo di svelarvi
un mistero! disse il Papa . Io sono certo che que­
sta Congregazione sia stata suscitata in questi tempi dalla
Divina Provvidenza, per mostrare la potenza di Dio:
sono certo che Dio ha voluto tenere nascosto fino al pre­
sente un importante segreto, sconosciuto a tanti secoli
ed a tante altre Congregazioni passate. La vostra Con­
gregazione è la prima nella Chiesa, di genere nuovo, fat-
ta sorgere in questi tempi in maniera che possa essere
Órdine religioso e seco7«re, cheji®ialvòtòzdt5oveftà^-
ed insieme possedere, che partecipi del mondo e del chio-
stro, i cui membri siano religiosi e secolari e claustralL-
e liberi cittadini...Fu istituita perché si vegga e vi sia
11 modo di dare a Dio quello che è di Dio e a Cesare
quello che è di Cesare» (E. Vigano, o.c., p. 46).
Si tratta di espressióni dette nel secolo scorso e che
devono essere rilette oggi dentro la nuova orbita conci­
134

14.8 Page 138

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liare, ma che esprimono lindispensabilità della pratica
dei Consigli evangelici, e insieme una vera novità di stile
nella maniera di testimoniarli nell’attuale divenire so­
cioculturale.
7.4. Una radicalità
totalmente imbevuta di carità pastorale
La nostra maniera peculiare di praticare i Consigli
evangelici non è di per facile: esige una concreta e
costante tnetodologia di-fedeltà, che va unita a una ro­
busta interiorità.
~ Le riflessioni che stiamo facendo sulla «grazia di uni­
tà» ci portano precisamente a sottolineare la feconda
ricircolazione interiore tra la carità pastorale che una
dinamica positiva ai voti e losservanza di essi che irro­
bustisce e concretizza la carità pastorale e la concentra
vitalmente nel mistero di Cristo. Senza la carità pasto­
rale i nostri voti non sono espressione di consacrazione
apostolica; e senza i voti non è autentica perseverante
in noi la carità pastorale.
' Non si possono separare tra di loro (come abbiamo
già detto) i vari aspetti della nostra consacrazione; ma
lazione dello Spirito, che è la fonte permanente della
«grazia di unità», ha una peculiare manifestazione nel­
la mutua compenetrazione tra alleanza e pratica dei Con­
sigli, tra missione e pratica dei Consigli, tra comunio­
ne fraterna e pratica dei Consigli. L’amore di carità è
lanima di tutto: motiva 1’emissione dei voti; la messa
in pratica porta allintensificazione dellamore (cf LG
44).
L’amore è la pienezza della legge (cf Rm 13,10) e
il vincolo della perfezione (cf Col 3,14); per l’amore noi
passiamo dalla morte aliavita (cf 7 Gv 3,14). Il decreto
135

14.9 Page 139

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conciliare sul rinnovamento della vita religiosa affer­
ma che «il raggiungimento della carità perfetta per mez­
zo dei Consigli evangelici trae origine dalla dottrina e
dagli esempi del Divino Maestro, ed appare come una
splendida caratteristica del Regno dei Cieli» (PC 1).
Cosa si deduce da questo? Dato che la pratica dei
Consigli è una cosa molto concreta e quotidiana, si de­
duce che possiamo misurare l’intensità della nostra ca­
rità pastorale con lautenticità della nostra pratica evan­
gelica dellubbidienza, della povertà e della castità. Se
la verità del nostro amore sta nella sequela di Cristo,
è evidente che la radicalità dei Consigli misura il cam­
mino che si va percorrendo con Lui giorno dopo giorno.
Ed è paradossale l’espressione massima dellamore
proclamata dalla lettera ai Filippesi: Cristo «umiliò se
stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla mor­
te di croce» (FU 2,8).
La spiegazione dei voti come rinuncia e svuotamento
di sée Tamassimaaffermazione del vero amore cristia-
no:Eobbedierfzaèamore filiale, la povertà è amore fra­
terno, la castità è amore di cuore indiviso< La pratica
dei Consigli evangelici è la massima manifestazione della
carità pastorale: quanto più si intensifica la coscienza
di questa carità, tanto più risulta coerente la consacra­
zione apostolica. Qui sta il vero segreto di quello svuo­
tamento di che il mondo non comprende: lalleanza
è tanto più profonda quanto maggior amore filiale espri­
me; la missione è tanto più generosa quanto più è ani­
mata da amore obbediente; la comunità fraterna tanto
più favorisce la comunione quanto più prescinde dalla
carne e dal sangue.
Francamente la pratica dei Consigli evangelici testi­
monia, nella maniera più eccelsa dopo il martirio, «il
prezioso dono della grazia divina, dato dal Padre ad
136

14.10 Page 140

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alcuni (cf Mt 19,11; 1 Cor 1,1) perché più facilmente
con cuore indiviso (cf 1 Cor 7,32-34) si consacrino solo
a Dio nella verginità o nel celibato» (LG 42). Si tratta
quindi di amore; e più specificatamente di quella carità
pastorale che Don Bosco sintetizzava in quella frase così
espressiva e tanto ripetuta da san Francesco di Sales:
Da mihi animas, cetera folle.
7.5. Pericoli di indebolimento nella pratica dei .Consigli
Viviamo in un’epoca di grandi mutamenti cultura­
li, che incidono profondamente sullo stile di vita. Tra
le cose che cambiano, cè anche la metodologia asceti­
ca dei consacrati; ma i discepoli di Cristo non potran­
no mai prescindere, in nessuna nuova visione antropo­
logica, dal mistero centrale della Croce. Lo svuotamento
di per amore non ha altra via.
C’è stata una crisi, e nonmochi hanno considerato
obsolete molte pratiche di mortificazione e di rinuncia.
Certo, cè da rivedere questo aspetto della prassi cri­
stiana. Ma tutto ciò che debilita, di fatto, lautenticità
della pratica dei Consigli evangelici, va a detrimento del­
l’amore e frena e danneggia la fecondità della carità pa­
storale. Quelli che sono chiamati ad animare gli altri
nella consacrazione apostolica devono assicurare una
visione sicura della pratica dei Consigli: il venir meno
dell’obbedienza, della povertà e della castità ferisce al­
la radice la «grazia di unità».
Credo che sia urgente oggi affrontare con più co­
raggio i pericoli di indebolimento in questo aspetto, per­
ché se non funziona la pratica dei Consigli, si resiste
alla «grazia di unità», si cade nella superficialità. Po­
tranno rimanere alcuni elementi a prima vista più
appariscenti ma il carisma di Don Bosco non sarà
137

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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fecondo duraturo. L’indebolimento e la non auten­
ticità nella pratica dei voti colpiscono gravemente la ca­
rità pastorale e recano un danno mortale alla consacra­
zione. Quali sono questi pericoli? Ne segnalo alcuni che
ho visto e sui quali ho riflettuto.
Anzitutto il non dare importanza alla disciplina re­
ligiosa. La vita religiosa non comporta una disciplina
di caserma, ma certo una disciplina di convinzione nel­
la sequela di Cristo. Saranno possibili una obbedienza
senza disciplina, nna povertà senza disciplina, una ca­
stità senza disciplina? Non facciamoci illusioni.
Altro pericolo è il miraggio di certe mode ideologi­
che-. si maggior importanza a certi valori umani che
emergono, offuscando il panorama dei Consigli evan­
gelici, come se fossero qualcosa di obsoleto. Per esem­
pio, quando si parla di giustizia e di liberazione, esi­
genza di tanta povera gente, qualcunó afferma: «Che
vantaggio cè nellosservare lobbedienza e la castità di
fronte alla gravità della sfida sociale?». Le mode ideo­
logiche portano, senza che ce ne accorgiamo, a dare im­
portanza ai problemi orizzontali che guidano lopinio­
ne pubblica o l’opinione di gruppo, e. non a ciò a cui
ha dato importanza Gesù Cristo, che si è incarnato e
ci ha insegnato quali sono i valori permanenti per tutti
i secoli. Così non si pensa seriamente alla prassi della
Chiesa, per la quale la Vita consacrata è sempre stata
una forma di ascesi alla sequela di Cristo, non per cam­
biarci discepoli in fachiri, ma per insegnare loro a vi­
vere di vero amore.
Un altro pericolo attuale è linterpretazione demo-
craticista della fraternità religiosa.
La comunione fratèrnàTpfèscihderebbe dall’autori­
religiosa, e di conseguenza dalla particolare obbedien­
za della Vita religiosa. Questo ha arrecato danno a vari
138

15.2 Page 142

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Istituti, fino ad arrivare a dire che è inutile la presenza
del Superiore in una comunità locale. E questo, sia da
partedeiconfràtelli, che prescindono di fatto dalla sua
funzioheTsiadà~plrte dello stesso Supgriore che consi­
dera se stesso come uno qualunque tra gli altri. Ma, e
la responsabilità della sua funzione?
Si corre il pericolo di perdere lorganicità pastorale
della comunità e lintensità spirituale della comunione.
Con simile criterio il Diret tore non si preoccuperà più
di studiare, di discernere, non pregherà nella maniera
'particolàre della sua carica, non approfondirà i proble­
mi, non cercherà quali sono i modi di far crescere la
comunità nella carità pastorale, non animerà la forma­
zione permanente, non darà importanza alla elabora­
zione, alla messa in pratica e alla revisione del progetto
^educativo pastorale.
Un pericolo speciale io lo trovo in una specie di su­
perbia intellettuale. Per seguire Cristo con la pratica dei
Consigli evangelici è necessario vivere di umiltà, per­
ché i Consigli evangelici portano sulla strada dello svuo­
tamento di sé, in relazione a certi atteggiamenti di fon­
do delle inciinazioni umane. Chi, anche se inconscia­
mente, coltiva atteggiamenti di superbia intellettuale,
chiuso nel suo modo di vedere (che chiama coscienza);
chi fa della cosiddetta «obiezione di coscienza» la leg­
ge e la norma di tutto il suo agire, senza sospettare che
la coscienza deve essere retta nellambito della propria
Regola di vita; chi prescinde dal Magistero vivo della
Chiesa e persinoio disprezza, esclude a poco a poco il
concetto stesso di consacrazione religiosa (cf CGS
640-641).
Un altro pericolo sono le concessioni alla concupi­
scenze. Certo tutti abbiamo difetti in questo campo, e
per questo'ci confessiamo; ma quando le concessioni
139

15.3 Page 143

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diventano abitudini e crescono, quando la concupiscenza
si fa forte per la superbiàThtellettuale (sommando così
la concupiscenza della carne alla concupiscenza dello
spirito}, quando non cè una seria revisione personale,
e si lasciano correre le cose, e il Direttore è così inge­
nuo che non si preoccupa, non si rende conto di nulla,
e non è capace, come amico e fratello, di richiamare
lattenzione, allore la carne fa stragi. Considerando il
quadro delle defezioni nella grande crisi degli ultimi de­
cenni, possiamo trovare varie motivazioni; ma le usci­
te che continuano oggi passano quasi tutte per làstessa
strada delle concessioni alla concupiscenza della carne.
La caduta della? custodia del cuore in questo campo è
allorigine dei dolorosi tradimenti.
AltTO^graveTJerixrold^77~pr^SHrfe/;e della preghie­
ra, la perdita dellentusiasmo mistico, la tràscQratezza
dell’alleanza con DioTè càusa ed effetto insieme di tante
crisi irreparabili.
Infine, la comodità, limborghesimento e la fiacchez­
za (ossia la dimenticanza della temperaiiza e del lavo­
ro) sono un vero cancro che colpisce la «grazia di uni­
tà» rNòTsaléHani crediamo di essere nella Chiesa gran­
di lavoratori, ma quando guardiamo come lavorano
molti laici, ci rendiamo conto che ai ioro conffonto ri-
mahiàmo-piccoli. Non crediamoci i grandi eroi del la­
vóro, anche se dobbiamo esserlo. C’è gente che lavora
più di noi. Riteniamo sempre imprescindibili quei due
famosi diamanti del sogno di Don Bosco: il lavoro e
la temperanza; senza di essi cade il manto con tutti gli
altri diamanti.
~
Come si vede la trascuratezza nella pratica dei Con­
sigli evangelici rovina tutta la nostra consacrazione apo­
stolica. Tutti conosciamo lobiezione che si suole fare
oggi nei confronti della Vita religiosa attiva: le attività
140

15.4 Page 144

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che essa realizza possono essere compiute senza una spe­
ciale consacrazionè; per dedicarsi ai giovani, pemedu--
care, perdifendèfela fede del popolo, eccetera, non c’è
bisogno della radicalità dei voti. È falso!, Certamente
i fedeli laici hanno un’enorme importanza nella missione
della Chiesa; più ancora, è giunta oggi la loro ora e dob­
biamo promuovere il loro dinamismo. Ma limportan­
za ecclesk]e_ddlajyjtareligiosa„aitiya, il significatoe
la~poftata profonda della sua missione, non si giudica­
no semplicemente daiìa materialità esterna della loro
azione, ma dalla loro interiorità apostolica. Essa è un
verojesoro-per la Chiesa. Senza di essa decade il livello '
di autenticità della carità apostolica e si apre, a poco
à póciT, il cammino verso una superficialità secolarista. ~~
Così per esempio, come potrebbgro conservarsi au- -
tentici lo spirito di.Don Bosco e il livello apostolico di
tutti i gruppi della Famiglia salesiana senza un nutrito
nucleo animatore e dinamico di persone consacràfeche
fermentano tutto linsieme e lorientano nella genuina
missione giovanile e popolare assegnata dallo Spirito al
Fondatore?
Benedetta sia la pratica dei Consigli evangelici dei,
consacrati, che assicurano a tutta la Famiglia di Don
Bosco i tesori dellalleanza, della missione e della co­
munione! In verità, i Consigli evangelici, favorendo la
purificazione del cuore e la libertà di spirito, rendono
sollecita e feconda la carità pastorale di tutti.
7.6. Una prassi testimoniata con mezzi adeguati
La pratica dei Consigli evangelici è impossibile sen­
za una speciale metodologia quotidiana di vita. È ne­
cessario formare abitudini e atteggiamenti, e usare i mez­
zi che assicurino il loro retto sviluppo nella persona.
141

15.5 Page 145

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Possiamo applicare ai tre Consigli, considerati uni­
tariamente, quanto le Costituzioni dicono riguardo al­
la castità: «nonjLuna conquistafatta una volta persem-
pre. Ha i suoi momenti di pace e i momenti di prova.
Èuri dono che, a causa dellumana debolezza, esige un
quotidiano impegno di fedeltà» (C. 84). Sono, quindi,
una realtà viva, in continuo sviluppo, vincolata con la
cronistoria della persona,.condizionata dalla sua età,
dalla situazione in cui vive, dalle circostanze che cam­
biano, dalla carica che occupa, dai destinatari con i quali
ha da trattare, dalle difficoltà che vanno sorgendo, dalle
inclinazioni permanenti e dalle debolezze, dagli ostacoli
che intervengono, ecc. È un «tesoro che portiamo in
vasi di creta» (2 Cor 4,7), che comporta un lavoro mai
fimTb. Non sono una specie di pacchetto chiüso nel gior-
no della Professione, ma un lavoro che dura tutta la
vita. Solo la carità pastorale la può spiegare; infatti, la
pratica dei voti è «una via che conduce' allamore».
«La fedeltà allimpegno preso con la professione re­
ligiosa è una risposta sempre rinnovata alla speciale al­
leanza che il Signore ha sancito con noi. La nostra per­
severanza si appoggia totalmente sulla fedeltà di Dio,
che ci ha amati per primo, ed è alimentata dalla grazia
della sua consacrazione. Essa viene pure sostenuta dal­
lamore ai giovani ai quali siamo mandati, e si esprime
nella gratitudine al Signore per i doni che la vita sale­
siana ci offre» (C. 195).
Queste affermazioni costituzionali ci indicano, in
forma densa e sintetica, la metodologia da seguire. Qui
è bene ricordare, anche se rapidamente, quali aspetti
curare, per assicurare il nostro stile di vita di apostoli
consacrati.
Innanzitutto, lunione con Cristo, come fonte viva
della carità pastorale e alimento quotidiano della «gra­
142

15.6 Page 146

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zia di unità». Questo atteggiamento cresce con lascol­
to della Parola di Dio, con la partecipazione quotidia­
na al mistero dellEucaristia, con la purificazione fre­
quente nel sacramento della Riconciliazione, con lo­
razione personale e comunitaria.
Inoltre, la preoccupazione costante per la problema­
tica giovanile, il contatto diretto con i giovani poveri
e la loro promozione umana e cristiana; lo sforzo per
formare in essi una coscienza retta alla luce del senso
del peccato secondo il Vangelo; la donazione pratica di
se stessi e delle proprie doti e competenze, in un costante
atteggiamento di lavoro e temperanza, che non lascia
spazio allimborghesimento; il discernimento persona­
le e comunitario delle sfide che provengono concreta­
mente dal territorio in cui si vive; la revisione costante
dellaspetto pastorale della propria attività; il sistema
preventivo come modo di vivere e di agire; lo sguardo
costantemente fisso in Don Bosco, che, «non diede pas­
so, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa
che non avesse di mira la salvezza della gioventù» (C.
21).
Anche la cura costante della comunione fraterna as­
sicura giorno dopo giorno la dinamica dellamore ri­
guardo agli affetti e alle relazioni; il contributo alla fra­
ternità con servizi e attenzioni concrete, lintelligenza
della comprensione, la capacità del perdono, il mettere
in comune i valori vocazionali, il dialogo pastorale al­
largato ai vari operatori apostolici, il colloquio con il
Direttore, la direzione spirituale comunitaria, linteresse
quotidiano per il bene comune, sono tutti mezzi pratici
che incidono sullo stile di vita del consacrato.
Ad esso si devono aggiungere deliberazioni specifi­
che della disciplina religiosa esplicitamente indicate nella
Regola di vita: losservanza non è lanima della consa-
143

15.7 Page 147

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orazione, ma è un mezzo efficace, intimamentelegato
ad essa, secondo lo spirito del proprio-istituto.
Le Costituzioni parlano inoltre della pratica della
mortificazione (non èjpassata dijnoda, cari fratelli!),
della custodia dei sensi, della discrezione e della pru-
denzanelluso dei mezzi di comunicazione sociale e del­
lattenzione ai mezzi naturali che giovano alla salute fi­
sica e mentale.
Il nostro Fondatore insisteva poi che si coltivasse una
forte devozione mariana. canace di stabilire con la Ma­
dre di Dio uno stile di relazioni intense come con una
persona viva e presente. Il Salesiano, infatti, «ricorre
con filiale fiducia a Maria Immacolata e Ausiliatrice,
che lo aiuta ad amare coinè Don Bosco amava» (C. 84).
7.7. Il compito degli animatori
Gli animatori della Comunità religiosa apostolica
in modo particolare i Direttori sono chiamati ad ap­
profondire continuamente i grandi valori dei Consigli
evangelici e a combattere con coraggio i pericoli che mi­
nacciano la loro osservanza.
Quali saranno oggi le urgenze a cui dovranno dedi­
care con maggior cura i loro servizi di orientamento e
guida dei fratelli?
Ricordo le più fondamentali.
Primo. È urgente rinnovare le cognizioni dottrinali
del Consigli evangelici. Dopo il Concilio Vaticano II si
sono fatti interessanti progressi in questo campo. Uno
dei settori della dottrina spirituale che ha fatto più pro­
gressi nella teologia della Vita religiosa è quello della
consacrazione apostolica. Cè una nuova bibliografia
e scritti molto buoni al riguardo; alcuni di interesse ge­
nerale, in quanto trattano della realtà fondamentale del­
144

15.8 Page 148

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la sequela di Cristo, e altri specifici, che approfondi­
scono lo stile proprio del Fondatore. Orbene, è neces­
sario meditare, è necessario entrare neÌÌ’orbita conci-
liareTQualcunoTia già ricordatoinsistentemente che nes-
sunDirettore può prescindere da un tavolino di studio
e da un inginocchiatoio di preghiera. Capisco che nel­
l’apostolato cè molto da fare; ma questa riflessione è
necessaria allAnimatore per poter lavorare di più e me­
glio, stimolando i fratelli all’attenzione dei punti vitali
della «grazia di unità».
Secondo. Il Direttore deve avere una chiara coscienza
che il suo primo dovere è di promuovere la direzione
spirituale comunitaria, ossia di esercitare il ministero"
della Parola nella Comunità. Questo non significa fare
conferenze tutti i giorni, cosa impossibile. Però esige
saper creare un clima dove ci sia ricchezza di valori spi­
rituali e dove i confratelli mettano in comune tanti orien­
tamenti ecclesiali, congregazionali e comunitari dello
Spirito del Signore.
Gli tocca anche privilegiare nella comunità linten­
sità dei dinamismi dellalleanza; in particolare, la pre­
ghiera comunitaria, lEucaristia, la Riconciliazione.
Ci sono Comunità i cui membri non possono tro-
varsi tutti i giorni insieme per celebrare lEucaristia (non
parlo delle Comunità di formazione); però devono cer­
care una maniera di farla centro della loro vita comu­
ne; per esempio, fissando un giorno alla settimana che
privilegi la dimensione eucaristica e fraterna del loro vi­
vere insieme.
È anche molto importante il buon uso dei «tempi
forti» per una revisione di vita sullalleanza, o sulla mis­
sione o sulla comunione fraterna o sui voti o sull’os­
servanza della nostra Regola di vita.
Terzo. Lesperienza insegna che è concretamente
145

15.9 Page 149

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molto utile concentrare lattenzione della comunità sul­
laspetto specificamente pastorale del progetto educa-
tivo-pastorale:. la sua elaborazione, applicazione, revi­
sione. L’ottica autenticamente pastorale obbliga a un
approfondimento di sintesi concreta e vissuta della pro­
pria identità religiosa apostolica, assicurando così la vi­
talità della «grazia di unità».
Lideale di ogni animatore è quello di saper promuo­
vere e di dare più dinamismo alla nostra consacrazione
apostolica!
146

15.10 Page 150

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8. Lascesi
compagna indispensabile della professione
Una consacrazione religiosa senza ascesi è un’uto­
pia. Non cè radicalità evangelica senza la croce: «Chi
ini vuol seguire dice il Signore , rinneghi stesso,
prenda la sua croce e mi segua» (Me 8,34). San Paolo
afferma: «Perciò sono lieto delle sofferenze che sop­
porto per voi e completo nella mia carne quello che man­
ca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che
è la Chiesa» (Col 1,24).
Don Bosco ci dice: «Ci siamo fatti religiosi non per
attaccarci alle creature, ma per praticare la carità verso
il prossimo, mossi dal solo amor di Dio; non per fare
una vita agiata, ma per essere poveri con Gesù Cristo,
patire con lui sulla terra per farci degni della sua gloria
in cielo» (MB 17,17); «Quando cominceranno tra noi
le comodità e le agiatezze, la nostra Pia Società avrà
cambiato il suo corso» (MB 10,652, nota 1).
Sono parole severe: un ammonimento per assicura­
re il futuro. Anche se avremo vocazioni, se prescindia­
mo dalla Croce, non ci sarà futuro. Non è un’afferma­
zione masochista, ma profondamente evangelica. È il
paradosso del mistero proclamato dallapostolo: «Noi
predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stol­
tezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati,
sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio
e sapienza dLDio. Poiché ciò che è stoltezza di Dio è
147

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio
è più forte degli uomini» (1 Cor 1,23-25).
8.1. Il dono del martirio
La «grazia di unità» è amore; lamore fiorisce in te­
stimonianza, e la testimonianza ha la piena espressione
nel martirio.
C’è una continuità di fondo tra testimonianza e mar­
tirio. E per parlare di autentico martirio, ci si deve ri­
ferire sempre a Cristo: Egli è «causa e modello di ogni
martirio» (Liturgia).
In Lui e con Lui il martirio è la massima prova del­
lamore di carità.
Il Concilio afferma che il martirio è ùn dono ecce­
zionale, e non una programmazione personale (cf LG
42), ma che in ogni battezzato nasce come un istinto
di martirio inerente allimpegno di proclamare la sua
fede. Si ha così un tipo di testimonianza'che si è soliti
chiamare «martirio incruento»; Don Bosco lo chiama­
va «martirio di carità e di sacrificio per il bene degli al­
tri».
Nel suo testamento spirituale il nostro Padre scris­
se una frase che è diventata famosa: «Quando avvenga
che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando
per le anime, allora potrete dire che la nostra Congre­
gazione ha ottenuto un grande trionfo,, e su essa scen­
deranno abbondanti le benedizioni del cielo» (MB
17,273).
Quello che risalta nel martirio non è «lazione», ma
la «passione». Si percepisce così con chiarezza che
hotàchelnégiio caratterizza la testimonianza non è so­
lo lintensità del lavoro apostolico, ma il suo radicarsi
in una cosciente disponibilità interiore ai disegni del Pa­
148

16.2 Page 152

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dre; perciò, insieme allazione, alla creatività, alla con­
tinua attività, avranno il loro posto importante anche
la sofferenza, le incomprensioni, le malattie, le situa­
zioni di inattività, di mortificazione e di passione. Don
Bosco accettò coscientemente e visse ampiamente an­
che questo secondo misterioso aspetto.
Poiché la «grazia di unità» è radicata nella carità
pastorale, e la carità pastorale comporta lo svuotamento
di per realizzare con autenticità la missione salesia­
na, è indispensabile un lungo cammino di ascesi per riu-
scireaFìhunziaFeàse stessi. Se guardiamo af martirio,
per esempio, dei nostri confratelli monsignor Versiglia
e don Caravario come espressione suprema della carità
pastorale, vedremo con assoluta chiarezza che l’amore
del prossimo richiede un dono di che porta fino al
dono totale della vita.
È bene ricordare che lopzione del Battesimo, inizio
sacramentale della fede, è unopzione per Cristo che in
noi matura in radicalità. Dal Battesimo nasce nel cristia­
no una inclinazione connaturale verso il martirio. Arri­
va ad essere un dono straordinario per alcuni, e per gli
altri diventa uno stile di testimonianza che dura per tutta
la vita. I santi «confessori» sono di fatto martiri incruen-
ti. Infatti, vivere il Battesimo, secondo le parole di san
Paolo, vuol dire rinnegare se stessi, fino a quando viva
in noi Cristo: «Mihi vivere Christus est!». Non si tratta,
ripeto, di una specie di masochismo, al contrario: si trat­
ta di avere un entusiasmo e un amore così grande verso
la personlTd'FCnsto’chelanostra viene dimenticata.
ÌÌ siccomeFion è tanto semplice arrivare a dimenti­
carla, bisogna avere metodo e fare esercizio perché sia
così. Questo si chiama ascesi: unintelligente metodo­
logia o un adeguato Allenamento per essere fedeli alla
carità pastorale.
149

16.3 Page 153

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Alcuni hanno accusato Don Bosco di non aver te­
stimoniato a fondo il mistero della Croce; ma risulta
che costoro non conoscono veramente la sua vita la
sua esigente spiritualità: per vivere con i giovani in al­
legria e simpatia sono necessarie ogni giorno molte ri­
nunzie nascoste e difficili virtù sociali opposte allegoi­
smo.
La sua affermazione, così severa: «Quando comin-
ceranno tra noi le comodità e le agiatezze, la nostra So­
cietà avrà compiuto il suo corso» (MB 17;272), in pra­
tica indica che allora starà morendo la «grazia di uni­
tà». Don Bosco ha individuato nellatteggiamento asce­
tico il metodo pratico li fedeltà alla nostra vocazione^
Vuole che siamo martiri incruenti nella permanente
testimonianza del carisma che ci ha donato lo Spirito
del Signore.
8.2. Lavoro e temperanza
Unprimo aspetto dellascesi salesiana è espresso (co­
me già abbiamoindicato)neìmotto «lavoro e tempe­
ranza»: un binomio inseparabile per noi, che accom­
pagna, difende e traduce nella pratica la vitalità della
«grazia di unità».
È una forma di ascesi originale, particolarmente vin­
colata alla vita attiva; diventa espressione di carità pa­
storale, inerente alla nostra consacrazione apostolica.
Don Bosco ne ha dato testimonianza in forma eroica:
non si può parlare della sua santità prescindendo da que­
sto aspetto. Egli stesso era convinto che quando in un
confratello o in una comunità decade questo elemento,
finisce la vitalità dell’alleanza, della missione, della co­
munione e della pratica dei Consigli.
Torniamo a considerare il sogno dei dieci diamanti
150

16.4 Page 154

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(MB 15,183-186). Don Rinaldi fa notare il posto privi­
legiato dei diamanti del lavoro e della temperanza. Gli
altri diamanti sono incastonati sul manto sotto questi
due, come per dire che se finisce tra noi lascesi del la­
voro e della temperanza, finisce tutto.
Il lavoro
Abbiamo detto, parlando della preghiera, che il la-
voro è preghiera, perché dipende dalla interiorità druna
persona unita a Dio. Il che significa che si tratta di un
lavoro ordinato al compimento della missione. Don Bo­
sco diceva ai giovani che volevano rimanere con lui: «Si
entra nella Congregazione salesiana per lavorare: i fan­
nulloni non sono per i nostri noviziati». Questo è testi-
móniatomoltochiaramente da tutta la nostra tradizio­
ne, ed è uno degli elementi che ci ha evitato (in questi
anni di crisi) di diventare ideologi e di dividerci in gruppi
di fanatismo polemico. Se si lavora molto e apostolic
mente, non dico che non rimane tempo per pensare, ma
che non rimane tempo per inventare ideologie, o entu­
siasmarsi per^qualcuna di esse.
Il nostro lavoro non ha limiti, o, se si vuole, ha il
limite derbuon senso ardentemente apostolico; un la-
voro che nòn si riduce a un orario burocratico. In par­
ticolare, per un salesiano il sabatoeladomcnica (ossia
il famoso fine settiihanàl iono giorni di speciale inten­
sità apostolica, perchéla pastorale ha specifiche esigenze
in quei giorni. Lo stesso a proposito delle vacanze; Don
Bolcodicevache noi le faremo in Paradiso,,eche- siri-
posa cambiando^Ìavoro. E quello che egli diceva ai ra­
gazzi, purtroppo oggi si può applicare anche ai religio­
si: «Le vacanze sono la vendemmia del diavolo».. Chi
non conosce qualche «furbo», che in estate scompare
dalla sua comunità e che, se può avere fina macchina
a disposizione, viaggia fin dovè arriva il continente?
151

16.5 Page 155

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Allora, anzitutto una ascesi di lavoro apostolico in-
tenso, ordinato al compimento della missione e a cose
utili per lavitadeTla comunità e dell’opera. Questa ascesi
continua richiede la formazione della persona allo spi­
rito di sacrificio, al dono di agli altri in maniera pra­
tica e quotidiana, labilitazione a possibilità concrete di
servizio.
La temperanza
Si tratta di un permanente dominio di sé, non ridotto
semplicemente al bere poco o al mangiare misurato (evi­
dentemente senza escluderli). La temperanza è una vir­
cardinale che riguarda soprattutto la custodia del cuo­
re, il dominio sulle proprie passioni, inclinazionieistmti,
che tuttrabbiamo.
ÉTTnpañicolare, dominio della concupiscenza e ca­
pacità di equilibrio nellerelazioni, ossia un tipo di ascesi
che aiuta vitalmente le attività della carità pastorale in
maniera continua. Non è facile dominare l’amor pro­
prio in mezzo a una gioventù che può far perdere facil­
mente la pazienza, senza reazioni incontrollate, ed es­
sendo capaci, in ogni caso, di tornare indietro confes­
sando umilmente gli eccessi.
La temperanza esige molte virtù che incidono co-
stantemente smlla condotta, per offrire ai destinatari una
personalità che si fa amare; assicura l’osservanza nella
vita di preghiera comunitaria e personale; accompagna
sempre l’attività come espressione di equilibrio aposto­
lico; rafforza la fraternità nella vita di comunità; eser­
cita un continuo dominio sulle passioni nella pratica dei
voti. Aiuta in particolare a rinnovate quotidianamente
lautenticità della fraternità, perché ci sia realmente nella
comunità un cuor solo e unanima sola, perché favori­
sce lapporto di tutto un «clima di mutua confidenza
152

16.6 Page 156

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e di perdono», promovendo quello spirito di famiglia
che «suscita nei giovani il desiderio di conoscere e se­
guire la vocazione salesiana» (C. 16).
Abbiamo detto che la comunità non è «la nostra
massima penitenza»; però sappiamo che qualunque con­
vivenza prolungata con persone di diverso temperamen­
to, età e formazione, esige unintelligente e virtuosa cura
dei rapporti quotidiani.
La temperanza è intimamente collegata_con lumil­
e fàdicata inhssa; è un dominio di che guida il quo­
tidiano cammino di vittoria sull’egoismo e sulle reazio-
nidellasuperbia.
«Lavoro e temperanza», quindi, che «faranno fio­
rire la Congregazione» (MB 12,466), e che, come ha in­
segnato Don Bosco, fanno che il salesiano sia «pron­
to a sopportare il caldo e il freddo, la sete e la fame,
le fatiche e il disprezzo, ogni volta che si tratti della gloria
di Dio e della salvezza delle anime» (C. 18). Il segreto
diogniascesi è lamore che si manifesta nellestasi apo-
stolica della vita attiva, «La vita salesiana considerata
rièllàsua attività afferma don Rinaldi è lavoro
e temperanza vivificati dalla carità del cuore». Non bi­
sogna mai dimenticare che il salesiano «mandato ai gio-
vani da Dio, che è tutto carità, è aperto e cordiale, pron-
to a fare il primo passo c ad accogliere sempre con bon­
tà, rispetto e pazienza... capace di creare corrispondenza
di amicizia» (C. 15).
8.3. La mortificazione dei sensi
Noi siamo nella Chiesa degli educatori, ossia reli­
giosi esperti in metodologia.JLo dobbiamo essere non
solo nei compiti educativo-pastorali, ma anche nella no­
stra crescita spirituale. La cura e lo sviluppo della «grazia
153

16.7 Page 157

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di unità» ci chiede di seguire un metodo speciale di vita
consacrata. Per questo Don Bosco, oltre che del lavo­
ro e della temperanza, ci parla e ci esempi di esplici­
ta mortificazione dei sensi.
La mortificazione differisce dalla temperanza. in
quanto aggiunge al dominio di sé, allequilibrio e alla
maturazione sociale, tutto un esercizio di rinunzie e sa­
crifici in un modo ragionevole, che non solo li rende
possibili e li irrobustisce, ma Ti pìóietta più in nella
generosità di un amore che vuole partecipare sempre più
alla passione salvifica di Cristo, ossia nel cammino del
martirio. Sappiamo che lo stesso Gesù Cristo, prima di
iniziare la sua vita pubblica, fece un lungo digiuno.
Si tratta, in questo campo, soprattutto di iniziative­
personali, intelligenti, piuttosto occulte, che compor-
tanó la privazione di alcune cose o la sopportazione di
altre, senza f'arc«propaganda» o meglio, come dice il
Vangelo, «profumandosi».
È vero che il nostro Padre consigliò una certa pru­
denza a favore della salute; ma nel suo famoso sogno
che abbiamo ricordato importanza a un diamante
speciale chiamato «digiuno».
Sono mortificazioni pedagogiche, al servizio della
spiritualità di chi si fa amare; accompagnano l’affeg1
giamehtòdiunaposfolo che «è sempreallegro», per-
ché annuhcia la Buona Novella, diffonde questà gioia
e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso
della festa: «Serviamo il Signore in santa allegria» (C.
17). Non bisogna dimenticare nessuno dei due aspetti:
dobbiamo testimoniare la gioia della fede, ma lo fac­
ciamo con un costante allenamento nellautentico spi­
rito di mortificazione.
La vita di Don Bosco e la tradizione salesiana pre­
sentano una ricchezza enorme in questo campo: nessun
154

16.8 Page 158

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cambio culturale la può ridurre o mettere al margine,
sotto pena di una superficialità spirituale che fa un dan­
no pericoloso alla metodologia dellinteriorità. Cono­
sciamo confratelli molto simpatici e benemeriti (missio­
nari e superiori), che hanno lasciato una testimonianza
straordinaria in questo campo'. Posso, per esempio, ri­
cordarne due: monsignor Versiglia missionario mar­
tire che portava il cilicio in certe situazioni e diffi­
coltà della sua giornata; don Fascie colto sùpefibfè^
lo portava anche lui. Ho partecipato ai suoi funerali
studente di filosofia al Rebaudengo: don Alberto Ca­
viglia fece nella basilica di Valdocco un discorso fune-
bre molto solenne; ad un certo punto, con meraviglia
di tutti, rivelò questo nascosto spirito di mortificazio­
ne di don Fascie.
Don Bosco nel marzo del 1874 chiese a tutti i con­
fratelli, per la famosa approvazione della nostra Rego­
la, tre giorni di «rigoroso digiuno», e «quelle mortifi­
cazioni che ognuno giudicherà compatibili con le pro­
prie forze e con i doveri del proprio stato» (MB 10,763).
Il diamante del digiuno si estende, secondo linterpre-
tazióhe dr don Rinaldi, a tutto, il settore della mortifi-
cazioncTdci sensi. E osservando che questo diamante è
postAsòttoquelìo della castità (la quale nel nostro spi­
rito brilla con una luce tutta particolare, che attrae lo
sguardo dei giovani come la calamita attrae il ferro),
fa pensare che il genere di mortificazione più necessa­
rio è quello che riguarda i pericoli della concupiscenza.
La nostra ascesi, quindi, come quella di ogni persona
consacrata, non potrà prescindere da costanti iniziati­
ve al riguardo.
155

16.9 Page 159

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8.4. La disciplina della Regola di vita
La vita religiosa è sempre stata una prassi concreta
di sequela di Cristo: si tratta di una condotta quotidia­
na assunta liberamente, ma professata con serietà e con
limpegno personale proclamato pubblicamente. Sareb­
be una contraddizione professare diyoler essere «disce­
polo» di un Fondatore, e poi prescindere, nella prati­
ca, da una «disciplina» che indica la modalità indivi­
duale e comunitaria di vivere, in pratica, la metodolo­
gia proposta autenticamente nella Regola per raggiun­
gere il proposito professato.
Il progetto evangelico di un Istituto religioso si chia­
ma giustamente «Regola di vita», perché contiene non
solo la descrizione della propria identità spirituale e apo­
stolica, ma anche la normativa pratica'della^condotta
religiosa, ossia un metodbcóficreto di disciplina di vita
per seguire il Signore nella pratica di ogni giorno.
Nella crisi che si è verificata in questi ultimi decen-
ni è andato perdendo valore, nella coscienza di non po-
chi religiosi, il significato chiaramente evangelico e lin­
dispensabilità pedagogica di una prassi di vita concre-
tamente guidata da una disciplina imbevuta di tradizione
cristiana. Cè stata una supervalutazione dei valori del
processo di personalizzazione, senza valutare e prendere
attentamente in considerazione le ambiguità che l’ac­
compagnano o le deviazioni secolariste che sogliono se­
guire, emarginando praticamente il mistero della Croce.
La nostra ascesi esige, evidentemente, di prendere
sul serio la Regola di vita. Già ne ho parlato in alcune
circolari. Qui basti ricordare, anzitutto, le affermazio­
ni di quattro successori di Pietro, che insistono sui va­
lori vitali di una razionale disciplina ecclesiale e religiosa.
Il papa Pio XI, parlando della corresponsabilità
156

16.10 Page 160

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e della collaborazione, afferma che lunione fa la for­
za, ma la disciplina fa Funipne»;
Paolo VI diceva ai membri di un Capitolo Ge­
nerale: «Lamore alla diseiplina, -che un concetto svia­
to vorrebbe far apparire oggi come limitazione, e non,
al contrario, una garanzia e un sostegno dellapostola­
to, sostiene, come roccia che non crolla, gli ideali del­
lorazione, della Vita religiosa e dellattività del mini­
stero e della formazione»;
Giovanni Paolo I, nella sua allocuzione ai Car-
»
dinali, e anche in un discorso al clero di Roma, parlò
non di una «piccola disciplina» fatta di formalità, ma
della «grande disciplina» ecclesiale: «essa esiste soltan­
to se losservanza esterna è frutto di comunicazioni pro­
fonde, e se è proiezione libera e gioiosa di una vita vis­
suta in continua unione con Dio. Simile grande disci­
plina richiede uri clima adatto».
E lattuale papa Giovanni Paolo II, nel suo pri­
mo messaggio per radio, insiste su questo stesso con­
cetto: «La fedeltà significa, anche oggi, cura della gran-
de disciplina della Chiesa. Essa, infatti, non tende a ri­
durre, ina a garantire il retto ordinamento proprio del
Corpo Mistico, e così assicurare larticolazione regolare
e fisiologica tra i membri che lo compongono» (cf ACG
«La disciplina religiosa», n. 293, luglio-settembre 1979).
Nella mia circolare: «Riprogettiamo insieme la san-
tità» ricordavo lo stile di Don Bosco e la tradizione vis-
Inita costantemente nella storia salesiana, indicando i
principali articoli delle Costituzioni e dei Regolamenti
Generali che ci chiedono determinate osservanze (cf
ACG n. 303, gennaio-marzo 1982, pp. 25-26).
Si tratta di una disciplina concreta, riveduta negli
ultimi Capitoli GeneràinTperciò evidentemente valida
per questi tempi nuovi.
157

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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Si richiede un processo di interiorizzazione che ac­
compagni la sincerità della nostra Professione. Prescin­
dere da esso sarebbe smantellare le difese ascetiche del­
la «grazia di unità». Il nostro amore alla Regola di .vita
non può rimanere a livello puramente affettivo; deve
sfòcìare in una condotTa pratica di tutti i giornilQue-
sta sincerità di condottaTòrma parte deHo stessò patto
di alleanza della Professione; è manifestazione vissuta
dellofferta totale di secondo il progetto costituzio­
nale, che ci fa veri discepoli di Cristo secondo la nostra
indole propria.
Le Costituzioni affermano esplicitamente che «la vita
e lazione^delle^comunie dei confratelli sono regolate
dal diritto universale della Chiesa e dal diritto proprio
della Società.
Questultimo viene espresso nelle Costituzioni, che
rappresentano il nostro codice fondamentale, nei Re­
golamenti Generali, nelle Deliberazioni del Capitolo Ge­
nerale, nei Direttori Generali e Ispettoriali e in altre de­
cisioni delle competenti autorità» (C. 191).
Questo articolo non va letto solo con lottica giuri­
dica, per determinare qual è il nostro «diritto proprio»,
ma va meditato spiritualmente per saper guidare me­
glio la nostra condotta.
8.5. Una nuova antropologia?
Certamente una retta ascesi non deve prescindere da­
gli autentici progressi dellantropologia. Certe forme di
mortificazione e di rinuncia sono diventate obsolete e
noìTfispòndono al nostro spirito.
Però il mistero della Croce rimane centrale e sarà
sempre ispiratore di ogni vita consacrata. Girando per
il mondo e ascoltando tanti confratelli, soprattutto nelle
158

17.2 Page 162

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«Visite dinsieme», ho percepito a volte perdite molto
dolorose in questo campo. La crisi della vita religiosa
ha demolito in questi anni le difese dellascesi., In parte
si può accettare una certa qual giustificazione: è cam­
biata la visione dell’uomo; è evidente che in una antro­
pologia di tipo platonico, nella quale si considera il cor­
po, diciamo così, come il carcere dellanima, lascesi po­
trebbe suggerire di bastonare il corpo. Ma chi pensa an­
cora così oggi? Non si danno più bastonate. Ma la ca­
duta dellascesi è un regresso. Cambia lantropologia,
cambia la visione delluomo, ma non cambia il mistero
della Croce, non cambia lassoluta necessità dellascesi
per qualsiasi battezzato, e neppure cambia la discipli­
na religiosa, perché ciò che caratterizza sempre un Isti­
tuto di Vita consacrata nella storia della santità è pre­
cisamente offrire una metodologia ascetica ai propri
soci.
La prima volta che lessi la Regola di san Benedetto,
pensando di trovare riflessioni teologiche molto subli­
mi, mi accorsi che si tratteneva anche su norme con­
crete di condotta, precisando piccole cose proposte co­
me metodologia dellosservanza. La disintegrazione di
questa disciplina concreta di vita, con la scusa che si
tratta di inezie secondarie, porta apatia spirituale e un
decadimento della Professione. Non fiorirà mai un Isti-
tuto religioso i cui soci si abituino a prescindere da una
metodologia ascetica. Una antropologia nuova può esi­
gere un cambio di modalità, mai però una soppressio-
ne dellascesi.
8.6. La professione dei Consigli
Lascesi svolge un ruolo molto peculiare nella pra­
tica dei voti. I Consigli sono, come abbiamo visto, una
159

17.3 Page 163

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testimonianza di contestazione evangelica che supera le
inclinazioni naturali ed esige tutta una metodologia spe­
ciale. Vediamo brevemente alcune esigenze della nostra
Regola di Vita al riguardo.
Obbedienza-. «Invece di fare opere di penitenza
ci dice Don Bosco fate quelle dell’obbedienza».
Obbedienza non è solo quando il Superiore ci assegna,
ogni tanto, una destinazione. L’obbedienza è una con-
dotta di tutti i giorni. Mi hanno dato questa funzione:
devo essere creativo in essa, perché è un mio dovere con­
creto.invece di mettere fagioli (crudi!) nelle scarpe, ve­
drò come posso adempiere meglio questo mio dovere
«A volte lobbedienza contrasta con la nostra incli­
nazione allindipendenza e all’egoismo o può esigere dif­
ficili prove di amore. È il momento di guardare a Cri­
sto obbediente fino alla morte: Padre mio, se questo
calice non può passare da me senza che io lo beva, sia
fatta la tua volontà’. Il mistero della sua morte e ri­
surrezione cinsegna come sia fecondo per noi obbedi­
re: il grano che muore nell’oscurità della terra porta mol­
to frutto» (C. 71).
I Regolamenti ricordano, al riguardo, il colloquio
frequente con il Superiore in vista della crescita della
propria vita spirituale e del miglioramento del lavoro
pastorale (R. 49); e anche la norma di chiedere i dovuti
permessi in casi concreti (R. 50).
Povertà-. «Ciascuno di noi è il primo responsa­
bile della sua povertà, per cui quotidianamente vive il
distacco promesso con un tenore di vita povera. Accet­
ta di dipendere dal Superiore e dalla comunità nell’uso
dei beni temporali, ma sa che il permesso ricevuto non
lo dispensa dallessere povero in realtà e nello spirito»
160

17.4 Page 164

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(C. 75). La virtù non consiste semplicemente nel chie­
dere il perinèssoTanche se è già un buon antecedente;
ma non basta questo. Il salesiano «vigila per non cede­
re a poco a poco al desiderio del benessere e alle como­
dità, che sono una minaccia diretta alla fedeltà e alla
generosità apostolica. E quando il suo stato di povertà
gli è causa di qualche incomodo e sofferenza, si ralle­
gra di poter partecipare alla beatitudine promessa dal
Signore ai poveri in spirito» (ivi).
Tra le indicazioni dei Regolamenti richiamo l’atten-
i
zione, a modo di esempio, sulle seguenti: «Ogni sale­
siano pratica la sua povertà con la sobrietà nel cibo e
nelle bevande, con la semplicità degli abiti e luso mo­
derato delle vacanze e dei divertimenti. Arreda la sua
camera modestamente, evitando di farne un rifugio, che
lo tiene lontano dalla comunità e dai giovani» (R. 55).
Questa determinazione divenne famosa nel Capitolo Ge­
nerale per un membro (che oggi è Vescovo) il quale era
preoccupato perché in qualche camera si tenevano uc­
celli, gattini, televisione, ecc. È disciplina concreta avere
una camera che non alimenti il desiderio di rifugiarsi
in essa come un piccolo borghese.
E i Regolamenti aggiungono: «Il salesiano vigila per
non lasciarsi legare da nessuna abitudine contraria allo
spirito di povertà. Fedele a una costante tradizione, si
astiene dal fumare, come forma di temperanza salesia­
na e di testimonianza nel proprio lavoro educativo» (R.
. 55).
Il non fumare è un segno che conserva un partico­
lare valore spirituale e pedagogico nella nostra tradi­
zione. Oggi anche la medicina e i medici raccomanda-
no di astenersi dal fumare; come buoni educatori e fe­
deli a una costante tradizione ascetica, dobbiamo con­
servare questa testimonianza.
161
6

17.5 Page 165

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Anche riguardo alluso del denaro i Regolamenti
danno disposizioni concrete (R. 56), e così per quanto
riguarda i mezzi di trasporto (R. 63).
Inoltre ricordano che «per un senso di risparmio e
nello spirito di famiglia, i lavori e i servizi della Casa
siano compiuti, per quanto è possibile, dai confratelli.
Essi cercheranno di prenderne pratica, soprattutto du­
rante il periodo della formazione iniziale» (R. 64).
Castità: la sua pratica, come abbiamo già visto,
«non è una-conquista fatta una volta per sempre. Ha
i suoi momenti di pace e i momenti di prova. È un do­
no che, a causa della umana debolezza, esige un quoti­
diano impegno di fedeltà. Perciò il salesiano, fedele al­
le Costituzioni, vive nel lavoro e nella temperanza, pra­
tica la mortificazione e la custodia dei sensi, fa uso di­
screto e prudente degli strumenti di comunicazione so­
ciale, e non trascura quei mezzi naturali che giovano
alla salute fisica e mentale» (C. 84).
I Regolamenti parlano di prudenza nel fare visite e
nel partecipare a spettacoli (R. 66), nellimpiego del per­
sonale femminile (R. 67), nei rapporti con persone ester­
ne (R. 68).
«Sull’esempio del nostro Fondatore e consapevoli
dell’austerità che comportano la vita religiosa e gli im­
pegni di lavoro, il superiore e ogni membro della co­
munità mantengono vigile la coscienza dei propri do­
veri morali nella scelta delle letture, degli spettacoli e
nelluso dei mezzi di comunicazione sociale» (R. 44).
Questo articolo non pub rimanere senza conseguen­
ze: deve essere oggetto di riflessione personale e della
comunità. Mi consta, purtroppo, che ci sono abusi. È
un campo dei più delicati per la nostra perseveranza.
Ci sono anche altri articoli che non cito ora, ma il cui
162

17.6 Page 166

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spirito rimane sufficientemente chiarito con quello che
è stato detto fin qui.
8.7. Contemplazione e ascesi
Credo che sia molto importante nel compito di ani­
mazione dei confratelli e delle comunità insistere sul mi­
stero della Passione di Cristo.
Si deve approfittare di tutte le occasioni per insiste­
re sui motivi profondi dellosservanza, trasformandoci
in contemplativi del paradosso della Croce: lAvvento,
la (Quaresima (la pratìcaTfadizionale della Via Crucis:
cf R. 73), la Settimana:Santa, i tempi forti della litur­
gia della Chiesa.
La Settimana Santa, per esempio, in alcuni luoghi
è diventata una settimana di vacanze, mentre per tutta
Chiesa è la settimana di maggior intensità di parteci­
pazione al mistero di Cristo. Una comunità salesiana
non può perdere questa straordinaria opportunità di
contemplazione. Dovrebbe vivere in profondità la litur­
gia, e soprattutto dovrebbe viverla insieme ai suoi de­
stinatari. È lunica Settimana che si chiama «Santa» nel
tempo liturgico; ci offre un insieme di elementi spiri­
tuali pedagogici che ci immergono vitalmente nella pas­
sione e morte di Gesù Cristo.
Una pratica della Quaresima è, nella nostra tradi­
zione di pietà, lesercizio della Via Crucis: è valida pe­
dagogia prepararsi a farlo bene; non in maniera abitu­
dinaria, ma riflettendo con molta attenzione che Dio,
per perdonarci, ha dovuto percorrere questa strada.
Questo ci fa pensare come la misericordia infinita
del Padre è così grande che ha voluto perdonarci per
giustizia, anche se può sembrare una contraddizione:
ha-voluto un uomo nostro fratello solidale con noi, con
163

17.7 Page 167

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personalità divina, che valore infinito alla espiazio­
ne, e così il Padre ci perdona anche per giustizia.
Questo ha voluto Dio nella sua infinita misericor­
dia. È una pratica che aiuta a riflettere sul peccato: i
peccati di oggi, della nostra società, dei nostri destina­
tari.
Abbiamo visto come si sta perdendo con la nuova
cultura il senso del peccato; ma se si esaurisce il senso
del peccato, rimane annullato il mistero di Cristo, ne­
cessario per la salvezza.
Cè anche un altro momento in cui le comunità so­
no invitate a pensare alla morte di Cristo: sono i lutti
per la morte di un confratello o di una persona molto
vicina; sono ore di grazia di Dio, che viene a bussare
ai nostri cuori e chiede di ricordarsi dellimmenso si­
gnificato della Croce.
Se ci familiarizziamo sempre più con gli eventi del­
la Passione di Cristo, si capirà sempre meglio che la­
scesi non è solo «scudo» della nostra consacrazione, ma
anche suo «stimolo», che ha come vera finalità il capi­
re a fondo che cosè la carità pastorale, per viverla sem­
pre più intensamente.
Non è una mutilazione riduttiva, una fuga dai
valori, ma opzione per il meglio, fonte di energia e di
luce per lo sviluppo della «grazia di unità», per una te­
stimonianza sempre più chiara dello spirito salesiano,
che «rivela il valore unico delle beatitudini, ed è il do­
no più prezioso che possiamo offrire ai giovani» (C. 25).
!
8.8. Promozione delle convinzioni del discepolo
Credo molto importante oggi insistere sui valori del-
lascesi e favorire iniziative pratiche per la sua realizza­
zione.
164

17.8 Page 168

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Tra i compiti degli Animatori, questo dovrebbe es­
sere intelligentemente privilegiato: organizzare la vita
della comunità al riguardo, sapere scegliere determina­
te letture, insistere su alcune pratiche, assicurare la co­
scienza personale e comunitaria.
Tutto ciò che riguarda il mistero della Penitenza deve
occupare un posto importante nella nostra vita spiri­
tuale; non cè infatti interiorità apostolica efficacia
pastorale senza una adeguata partecipazione al miste-
ro della Croce. Non siamo discepoli senza una conti­
nua conversione. Don Bosco diceva che il demonio tenta
di preferenza gli intemperanti e fa stragi tra quelliche
perdono il senso del peccato.
Elemento indispensabile nellanimazione di tutto
questo vasto settore è la cura costante della celebrazio­
ne (personale e comunitaria) del sacramento della Pe­
nitenza, come espressione suprema di tutta una pratica
convergente di fniziative e di coscientizzazione, che tor­
nino a dare alla condotta quotidiana una rivalutazione
convinta della virtù della Penitenza. Il creare un simile
clima dipende molto dall’animazione di ognuno dei re­
sponsabili.
Non si dimentichi mai nelle comunità quello che pro­
clamava lApostolo: «Ora quelli che sono di Cristo han­
no crocifisso la loro carne con Ìe sue passioni e i suoi
desideri. Se pertanto viviamo dello Spirito, camminiamo
anche secondo lo Spirito» {Gal 5,24-25). Ogni véra con­
versione in fondo non è primariamente unespressione di
una decisione umana, ma un atto di obbedienza, di fede.
Si tratta, in verità, di una capacità di risposta alla chia­
mata di Dio, accogliendo l’offerta della sua iniziativa.
Sarà, quindi, indispensabile far risuonare con ab­
bondanza e opportunamente la Parola di Dio che chia­
ma alla Penitenza: «Convertitevi e credete al Vangelo».
165

17.9 Page 169

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17.10 Page 170

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9. Alcune sfide alla grazia di unità
Stiamo per concludere le nostre riflessioni sullinte­
riorità apostolica, fondata sulla «grazia di unità». Con
quello che abbiamo detto fin qui, abbiamo un quadro
concreto di riferimento per rispondere ai molteplici pe­
ricoli della «superficialità spirituale».
9.1. Il nostro quadro di riferimento
La risposta alle attuali sfide è relativa al suo radica­
mento nel Mistero.
Il quadro di riferimento di questo radicamento si ap­
poggia su tre pilastri: il mistero di Cristo, la sacramen-
talità della Chiesa"e la santità di Don Bosco.
Cristo è il capolavoro di Dio nella storia: in Lui brilla
la pienezza della «grazia di unità», elevata alla grazia
increata del Verbo Eterno che si fa uomo.
Per 1’«unione ipostatica», uno di noi, Gesù, discen­
dente di Abramo e solidale con tutto il genere umano,
può giudicare, amare, sorridere, piangere, soffrire e mo­
rire come Dio. La «grazia di unità», in Lui, conserva
la pienezza della natura divina, potenzia le possibilità
della natura umana, fa scoprire la bontà di tutto il crea­
to, prepara la trasformazione del mondo in una nuova
creazione. Rivela all’uomo il suo mistero, i suoi limiti
e il peccato, il suo protagonismo nella storia della sal­
vezza, proclamando la profonda inseparabilità tra lu­
167

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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mano e il divino, tra il temporale e l’eterno, tra la cul­
turale il Vangelo.
/ La Chiesa è nella storia la sposa mistica di Cristo:
e^endej^r secoli il mistero di unità iniziato con lIn-
carnazione del Verbo. È una comunione organica di di­
scepoli che diventa, in tutte le generazioni, «sacramen­
to universale» di salvezza. A partire dallEucaristia si
costruisce un vero «Corpo di Cristo» di portata cosmi­
ca. Unisce il divino e l’umano; supera il peccato, incar­
na la santità; trasforma in segno e mezzo efficace di co­
munione con il divino tutto quello che è positivamente
umano. Incorpora i battezzati, le loro attività di bene
e tutto il loro vero amore nella propria sacramentalità.
In essa e con essa, noi stessi diventiamo segni e porta­
tori dellamore di Cristo agli uomini, specialmente ai
giovani. Basta che pensiamo all’Eucaristia (cf ACG n.
324), per misurare lo spessore e la grandezza di questa
sacramentalità con la sua ineffabile costruzione di unità.
Don Bosco, con la sua particolare esperienza dello
Spirito Santó, ci ha lasciato un carisma ecclesiale, germi­
nato su una speciale «grazia di unità» che deriva da Cri­
sto e dalla Chiesa, a favore, soprattutto, della gioventù.
Testimonia una «grazia di unità» lanciata nell’attività
apostolica con una caratteristica dimensione pedagogica.
Da essa nasce lo stile proprio della nostra identità di con­
sacrazione nel Popolo di Dio, come abbiamo riflettuto.
In questo quadro di riferimento dobbiamo concen­
trare i nostri sforzi per sconfiggere la superficialità spi­
rituale, sapendo dare ragione della nostra interiorità
apostolica, sia nellambito dellalleanza, che in quelli
della missione, della comunione, della radicalità e del-
lascesi. Sono questi gli elementi inseparabili della no­
stra indole propria. Dobbiamo saper curare la loro mu­
tua e quotidiana intercomunione.
168

18.2 Page 172

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Più che sviluppare a fondo ogni punto, sarà un lungo
«compito a casa». È indispensabile intensificare la co­
scienza della loro simultaneità, nella «sintesi vitale» della
nostra interiorità.
Qui sta la grande sfida globale, radicata in quella
carità pastorale che costituisce «il centro» e la «sinte­
si» dello spirito salesiano di Don Bosco (cf C. 11).
Ciò che abbiamo meditato finora ci offrirà argomen­
ti per illuminare le varie sfide in ognuno degli ambiti
della nostra indole propria.
9.2. Sfide all’alleanza
Entrando nellambito dell’alleanza, vediamo subi­
to la possibilità di varie sfide, che procedono dalla dua­
lità dei due poli della carità: Dio e il prossimo. Una inop­
portuna equilibrata polarizzazione può deviare verso
un dualismo di rottura, che, valorizzando unilateraimen-
tc un polo, Tascia nellombra e debilita l’altro. Un con­
cetto di Dio che facilita un intimismo passivo non fa­
vorisce linteriorità apostolica. E una dedizione al pros­
simo che si esaurisce in un attivismo temporalista, ren­
de infeconda la vera carità pastorale.
Alla radice di quesia_p_olarizzazione sta la negazio­
ne pratica dellamore del prossimo comeT'futto^delTa-
móré di Dio, in continua e mutua intercomunione.
Le sfide che nascono da qui non hanno solo un appet­
to pratico, ma nascondono anche una confusione dot­
trinale. Basta pensare ad alcune alternative presentate
'qiTasi come dilemmi discutibili, per optare a favore di
uno a scapito dell’altro:'
contemplazione e azione,
preghiera e lavoro,
interiorità e operosità,
169

18.3 Page 173

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consacrazione a Dio e dono di sé,
verità salvifica (Parola di Dio, Tradizione-Ma­
gistero) e visione della realtà; eccetera.
In pratica, chi si mette dalla parte di un certo inti­
mismo giustifica il suo atteggiamento con argomenti
piuttosto astratti e una considerazione piuttosto atem­
porale del suo patto di alleanza, dimenticando con fa­
cilità lindispensabile vincolo dellunione con Dio e gli
altri elementi esistenziali dell’indole propria. Chi, in­
vece, si polarizza sull’aspetto dellattività a favore del
prossimo, privilegia una opzione di partecipazione im­
mediata ai progetti storici che favoriscono una menta­
lità secolarista.
9.3. Sfide alla missione
La missione comporta necessariamente una dimen­
sione storica con i pluralismi mutevoli della storicità.
Qui la «grazia di unità» si muove ai differenti livelli pro­
pri della sacramentalità della Chiesa. Come si fa a in­
nalzare una realtà umana a livello di segno e di media­
zione? Rimane sempre possibile lambiguità: la realtà
creata è soltanto oggetto di conoscenza e di possesso,
o anche di intercomunicazione tra persone ed espres­
sione di amore?
Linviato è sempre portatore del piano di salvezza
di Cristo, che lo Spirito adatta continuamente alle ne­
cessità dei tempi e dei luoghi. È troppo facile spogliare
lelemento sacramentale del suo indispensabile valore
di «segno» e della sua funzione di «mediazione». Dal­
tra parte, è anche possibile impoverire il livello proprio
del segno, non adeguandolo alle varianti culturali, neu­
tralizzandone così la funzione propria con anacronismi
che rendono obsoleta la pastorale. Il Vaticano II è ve-
170

18.4 Page 174

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ñuto a rinnovare precisamente lattualità pastorale della
missione della Chiesa. Sorgono così, anche qui, sfide
di tipo dottrinale e di portata pratica. Possiamo indi­
carne alcune in cui si deve chiarire la distinzione per una
reciproca unione :
piano di salvezza e progetti storici,
apostolato e attività temporale,
eyangelizzazione ed educazione,
pastorale e politica,
opzione evangelica per i poveri e impegno sociale,
identità carismatica e inserimento,
santità e promozione umana,
conservazione e rinnovamento,
fede e religiosità,
ortodossia e prassi; eccetera.
la mentalità integrista la mentalità progressi­
sta aiutano a chiarire le distinzioni tra i due aspettijper
irrobustire lequilibrio dell’unità.
La missione, che appartiene al mistero della Chie­
sa, vive incarnata nelle vicende umane, non per con­
fondersi con esse, ma per fermentarle con l’amore di
Cristo. Senza linteriorità apostolica è facile lasciarsi
prendere prioritariamente da progetti storici di attuali- v
(formulati, più di una volta, alla luce di qualche ideo­
logia presentata alla meglio come scientifica), o dalla
complessità e dalle urgenze delle situazioni umane, di­
menticando il nucleo vitale del mandato ricevuto da Cri­
sto con la sua ottica e la sua metodologia.
9.4. Sfide alla comunione
Il Concilio ha approfondito il concetto di «comu­
nione» come valore sostanziale della Chiesa-Sacra­
mento.
171

18.5 Page 175

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Questo ha un particolare rapporto, oggi, con due
segni dei tempi: il processo di personalizzazione e il pro-
cesso di socializzaziónerDa questo punto di vista, l
spetto di comunione comporta modalità di rinnovamen­
to nella Chiesa che esigono speciale attenzione e inte­
riorità. È facile non solo prescindere da queste novità
culturali, ma anche considerarle a parte, come se espri­
messero valori contrapposti. Così, privilegiando il pro­
cesso di personalizzazione, si può cadere in una visione
unilaterale della soggettività, favorendo una vita di co­
munione solo formale; o, privilegiando il processo di
socializzazione, aprirsi a una pseudofraternità la quale
introduce nella Chiesa e nella vita religiosa una specie
di democratizzazione che sopprime i ruoli della orgàni-
cità mistica.
Certamente, come abbiamo visto, la comunione
chiede partecipazione e corresponsabilità; ma non in-
diyidualismo collettivismo. Inoltre esige, per i reli­
giosi, una comunità aperta e orizzonti più ampi: quello
della Chiesa locale, dei laici e della famiglia spirituale,
che si ispira allo stesso Fondatore.
La comunione apre, in verità, nuovi orizzonti, ed
esige cambio di mentalità e un certo stile di vita. Perciò
ne scaturiscono varie sfide che richiedono una revisio­
ne profonda della propria identità sia come visione del­
lalleanza, sia come pratica della missione. Ne indico
alcune:
persona e comunità;
servizio di autorità e corresponsabilità;
sacerdozio ministeriale e laicalità;
iniziative e complementarità;
capacità individuali e progetto pastorale comune;
nucleo di consacrati e comunità educativa;
comunità religiosa e famiglia spirituale;
172

18.6 Page 176

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carisma del Fondatore e territorio;
Congregazione e Chiesa locale;
testimonianza evangelica dei consacrati e loro
ruolo di fermento sociale; eccetera.
La «grazia di unità» esige che lalleanza e la missio­
ne siano testimoniate da esperti in comunione.
9.5. Sfide alla radicalità evangelica
La pratica dei Consigli acquista straordinario valo­
re profetico in una società secolarizzata, che va dimen­
ticando con atteggiamenti sempre più mondani lindi­
spensabilità del mistero di Cristo e della Chiesa.
Gli attuali cambiamenti sociali, così profondi e ac­
celerati, portano con la delicata e complessa urgen­
za di una nuova inculturazione, illuminata da una teo­
logia rinnovata.
Ma nella formazione della cultura emergente eser­
citano un influsso preponderante i progressi della scienze
umane, e una concezione antropocentrica della storia.
D’altra parte, le riflessioni teologiche che dovrebbero
illuminare il processo di inculturazione si concentrano
soprattutto su aspetti generali, comuni a tutti gli Istitu­
ti di vita consacrata, o alla stessa vita della Chiesa nel
suo fondamento globale.
Questo può portare a deviazioni nella considerazione
della propria indole, cadendo nel riduttivismo di tipo
antropocentrico o in genericismi che non riconoscono
il proprio carisma. Il nuovo riduttivismo culturale guasta
lavatura evangelica dei voti, e il genericismo teologico
può offuscare lidentità della peculiare esperienza del­
lo Spirito Santo trasmessa dal Fondatore.
Nascono, quindi, varie sfide che obbligano a non
essere superficiali plagiati dalla moda nella coscien­
za e nella testimonianza del carisma del proprio Istituto.
173

18.7 Page 177

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Tutto il lavoro postconciliare dei Capitoli Generali
si è concentrato precisamente nel dare risposte adegua­
te alle molteplici domande circa la pratica dei tre voti.
Ricordiamo alcune sfide di particolare significato:
libertà e rinunzia;
iniziativa personale e obbedienza;
magnanimità e povertà;
amore e castità;
servizio agli uomini e fuga dal mondo;
esigenze apostoliche e moderazione della radi­
calità;
. Voti e Regola di vita; eccetera.
Queste sfide debbono essere chiarite alla luce simul­
tanea della propria alleanza, missione e comunionte.
9.6. Sfide all’ascesi
Oltre a riflettere sui quattro elementi costitutivi della
nostra peculiare consacrazione, secondo la descrizione
dellimportante articolo 3 delle Costituzioni, abbiamo
ritenuto indispensabile soffermarci anche sulla meto­
dologia dellascesi che accompagna ognuno di quegli ele­
menti.
Si tratta di una pedagogia della consacrazione as­
solutamente indispensabile. Però, come abbiamo osser­
vato, questa metodologia di vita deve accettare ciò che
cè di positivo nella maturazione umana dei segni dei
tempi, non per sopprimerla come antiquata in quanto
ascesi, ma per adeguarla seriamente a una concezione
delluomo più adulta e più solidale. Non è un compito
facile. Resta chiaro che senza ascesi non cè perseve­
ranza nèila consacrazione; ma rimane aperta la ricerca
concreta diun modo più appropriato alla stessa cresci^
ta delluomo nella sua dimensione personale c sociale.
174

18.8 Page 178

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In questo processo di maturazione umana l’ascesi di­
venta più esigente, più autentica, più attuale e signifi­
cativa. Senza di essa può crollare quella contestazione
evangelica che è centrale nellopera salvifica di Cristo.
Qui le sfide che sorgono si collocano alla base stessa
del rinnovamento della Vita religiosa.
Vediamone alcune:
personalizzazione e dono di sé;
valori antropologici e croce;
senso del peccato e redenzione;
contesto umano e potenza dello Spirito;
grandi ideali e metodologia per conseguirli;
azione e passione;
amore umano e carità creatrice;
sincerità di ideali e fedeltà di metodo;
luomo nuovo e la sequela di Cristo;
la liberazione evangelica e la contestazioné allo
spirito del mondo; eccetera.
Non passeranno mai nei secoli le parole del Signo­
re: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se
stesso, prenda la sua croce ogni giorno, c mi segua. Chi
vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perde-
ràla propria vita per me, la salverà. Che giova alluo-
mo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina
se stesso? Chi si vergognerà di me e delle mie parole,
di lui si vergognerà il Figlio delluomo quando verrà nel­
la gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Le
9,23-26).
9.7. Tutto da Cristo
La considerazione delle sfide che lattualità presen­
ta alla nostra «grazia di unità» ci fa percepire ancora
più chiaramente che il tema, proposto alla nostra rifles­
175

18.9 Page 179

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sione, ci obbliga a una grande chiarezza interiore, che
ci rende capaci di non aver paura delle tensioni che so­
no cresciute in questo cambio profondo della convivenza
umana. Senza interiorità apostolica diventiamo vittime
della superficialità spirituale, sballottati da un lato al­
laltro dai venti delle mode che cambiano. Il punto di
forza della nostra identità sta nella comprensione della
consacrazione religiosa con la sua vigorosa «grazia di
unità», espressa simultaneamente nell’alleanza,, nella
missione, nella comunione, nella radicalità evangelica,
sostenuti dallaiuto pedagogico di un metodo concreto
e costante di ascesi.
Questa comprensione della nostra consacrazione ri­
chiede la convinzione e la fiducia di sentirsi sostenuti
dalla potenza dello Spirito del Signore (alimentata «dalla
grazia della sua consacrazione»: C. 95) e insieme il con­
tinuo approfondimento della retta dottrina, che illumina
il carisma ricevuto: «Se voi rimanete fedeli alla mia pa­
rola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la veri­
e la verità vi farà liberi» (Gv 8,31-32).
Oggi è diventato particolarmente urgente avere idee
ben chiare sulla verità salvifica. Ci sono troppe devia­
zioni, preoccupate più di una certa razionalità che di
una adesione autentica alla rivelazione. Il papa Giovanni
Paolo II disse a Puebla: «Vigilare sulla purezza della
dottrina è tanto importante come evangelizzare» (Al­
locuzione iniziale 1,1).
Laffermazione dellevangelista Giovanni «fare la
verità» non significa che la verità nasce dalla prassi, ma
piuttosto che si incarna in essa, ossia che è necessario
mettere in pratica la verità proclamata nella Rivelazio­
ne. Così la vera ortodossia non dipende da una prassi
storica, anche se la si chiama ortoprassi, ma l’autenti­
ca ortoprassi è incarnazione e testimonianza vissuta della
176

18.10 Page 180

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dottrina rivelata. È pericolosamente ambiguo affermare
che è con un impegno di trasformare il mondo che si
conosce (anzitutto) la verità salvifica; piuttosto è cono­
scendo bene e integralmente la Parola di Dio che si può
trasformare il mondo.
Alcuni pensatori vorrebbero farci credere che la ra­
zionalità umana di alcuni progetti storici attuali fa sco­
prire finalmente l’autenticità del Vangelo; e ciò si ap-
plicherebbe,dopo, anche alla pastorale della Chiesa e
alla decodificazione della Vita religiosa tradizionale. Sa-
rebbe nato un nuovo approfondimento di ciò che è cul­
turale e politico, cheobbligherebbe a cambiare la com­
prensione del Mistero pasquale.
Per quello che qui ci interessa, per assicurare lauten­
ticità della dottrina che ci deve illuminare nelle risposte
da dare alle sfide indicate, dobbiamo guardare con molta
attenzione al quadro di riferimento che abbiamo indi-
cafò all’inizio: tutto da Cristo, nella sacramentalitàdella
Chiesa^secondo lo spirito di Don Bosco, appoggian­
doci sulla validità di un costante metodo ascetico.
Credo conveniente insistere sul significato esigente
di «tutto da Cristo». Non è una formula; è la mentali­
della fede cristiana. Si tratta dellottica fondamen­
tale della pastorale della Chiesa, e dellangolo.visuale
proprio di una persona consacrata.
Sappiamo che è necessario «vedere» e «giudicare»
per agire. Ma con che ottica si vede e si giudica?
A Puebla, i vescovi non accettarono (nella prima par­
te del loro documento) una visione della situazione con­
tinentale fondata su un’ottica semplicemente raziona­
le; modificarono il testo, dandogli come titolo: «Visio­
ne pastorale della realtà latino-americana». Questo qua-
lificativo di( «pastorale» comporta un modo di «vede-
~ re» e di «giudicare» che parte da Cristo Redentore.
177
7

19 Pages 181-190

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19.1 Page 181

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La lucc.che.vede e giudica la realtà suppone una vi-
sione di fede e si fonda su di essa. Allinizio cè il mi-
stero di Cristo, ìa sua_Paroìa, il suo Vangelo, la sua vi­
sione della storia, il suo senso del peccato delluomo,
la sua metodologia di redenzione, il suo messaggio di
salvezza. Una lettura della realtà che parte anzitutto da
una razionalità umana, corre il pericolo di strumenta­
lizzare la fede e politicizzare il messaggio.
Lo specifico cristiano non può essere assoggettato
a un progetto politico, sotto pena di ridurre lescatolo­
gia che lo costituisce a una interpretazione e program­
mazione contingente. La fede in Cristo è l’ottica che
vede e giudica tutto; la visione pastorale dellàZdne^a
guida le analisi della realtà; lidentità carismatica della
consacrazione religiosa viene prima delle differenze cul­
turali e delle situazioni.
L’anima di tutto è, quindi, la luce di Cristo, nella
quale'sLcòncentra lottica globale suprema per discer­
nere la storia delluomo, per interpretare le sue molte­
plici situazioni e suggerire i criteri metodologici della­
more redentore.
È solo a partire da Cristo che si possono individua­
re le esigenze della «grazia di unità».
Dice levangelista Giovanni: «Chi rimane in me e
10 in lui fa molto frutto, perché senza di me non potete
far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come
11 tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel
fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole
rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà da­
to» (Gv 15,3-7).
Chiediamo, allora, che gli insegnamenti di Cristo ri­
mangano in noi. In Lui, con Lui e per Lui potremo af­
frontare e chiarire tutte le sfide. È bello sentirsi invitati
dal Vangelo a non essere superficiali, neppure con ca­
muffamenti pseudoscientifici.
178

19.2 Page 182

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Leggiamo attentamente quanto ci dicono le Costi­
tuzioni:
«La nostra regola vivente è Gesù Cristo, ^Salvato­
re annunciato nel Vangelo, che vive oggi nella Chiesa
e nel mondo e che noi scopriamo presente in Don Bo-
sco che donò la sua vita ai giovani!
In risposta alla predilezione del Signore Gesù, che
ci ha chiamati per nome, e guidati da Maria, accoglia­
mo le Costituzioni come testamento di Don Bosco, li­
bro di vita per noi e pegno di speranza per i piccoli e
i poveri.
Le meditiamo nella fede e ci impegniamo a prati­
carle: esse sono per noi, discepoli del Signore, una via
che conduce allamore» (C. 196).
179

19.3 Page 183

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19.4 Page 184

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10. Guidati da Maria,
Madre della Chiesa e Ausiliatrice
Non possiamo concludere questi Esercizi Spirituali
senza un riferimento alla Vergine Maria, Madre di Dio.
La «grazia di unità» che viviamo nella vocazione sa­
lesiana ha in Essa l’ispiratrice e la Maestra. Don Bosco
ci dice che Maria è alle origini, nella crescita e nellau­
tenticità della nostra vocazione e missione.
«Guidati da Maria» come abbiamo letto nelle Co­
stituzioni, accogliamo leredità del Fondatore, e diven­
tiamo con la nostra professione religiosa un vero dono
di Dio per la gioventù. Essa è la stella della nuova evan­
gelizzazione, che ci conduce verso il terzo millennio.
Il Santo Padre Giovanni Paolo II ha affermato, nel
1983, in una bella omelia tenuta a Honduras: «Ogni vol­
ta che nasce la Chiesa in un Paese la presenza della Ma­
dre è garanzia di fraternità e di accoglienza dello Spiri­
to Santo». Io penso che non solo ogni volta che nasce
la Chiesa in un Paese, ma ogni volta che nasce un vero
carisma per la Chiesa universale, svolge un ruolo spe­
ciale la maternità di Maria. Don Bosco ce lassicura per
il nostro carisma. Ma anche le altre Famiglie religiose
riconoscono e ringraziano la presenza dalla Vergine nella
nascita e nell’incremento della loro speciale vocazione
nella Chiesa.
Sarebbe molto interessante uno studio al riguardo.
Ci farebbe constatare l’intervento concreto di Maria nel­
le speciali iniziative dello Spirito Santo attraverso i secoli.
181

19.5 Page 185

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10.1. Maria e la «grazia di unità»
Il Vangelo chiama Maria «la piena di grazia». È im­
macolata; non ha conosciuto la più piccola macchia di
peccato. La sua grande fede («Colei che ha creduto»)
è stata sempre vivificata dalla pienezza della carità: la
sua esistenza umana è cresciuta quotidianamente nel­
lunità dellamore. Nel suo seno si è realizzata la supre­
ma «grazia di unità» con lincarnazione del Verbo. La
potenza dello Spirito ha fatto che fosse insieme Ver­
gine e Madre: una consacrazione peculiare, modello di
tutte le consacrazioni religiose.
La «grazia di unità» lha resa non solo «Theotócos»,
ma anche madre di tutti gli uomini: la «seconda Èva»,
tipo o profezia della stessa Chiesa; le ha fatto vivere una
maternità permanente. In Maria, contemplazione e mis­
sione sono lanima unitaria della sua interiorità aposto­
lica, che dice continuatamente il «sì» più cosciente alle
iniziative del Padre.
Essa è lArca della nuova Alleanza, la Regina degli
Apostoli; il cuore di ogni comunione, la gioia della più
perfetta radicalità: se vogliamo avere unidea concreta
di come può crescere e fruttificare nella storia la «gra­
zia di unità», dobbiamo guardare a Lei come a model­
lo insuperabile, insieme a Cristo, «secondo Adamo».
La grandezza di Maria proviene tutta dalla pienez­
za della sua «grazia di unità» in Cristo; e la sua mater­
nità è impegnata a guidarci alla sequela di suo Figlio,
il Signore, perché in tutti cresca quella carità che pro­
cede, dal mistero dell’incarnazione e Redenzione. Così
la «grazia di unità», in noi, ha un indispensabile aspet­
to mariano, che illumina l’interiorità apostolica e l’ac­
compagna nella sua crescita.
Sarebbe mancanza di obiettività riflettere sulla «gra­
182

19.6 Page 186

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zia di unità» della nostra consacrazione religiosa senza
fissare lattenzione alla pienezza interiore e alla mater­
nità di Maria.
10.2. Felice inclusione della dimensione mariana
nel testo costituzionale
Guardiamo anzitutto al testo rinnovato delle Costi­
tuzioni.
Dobbiamo ringraziare il Capitolo Generale 22 (1984)
di avere arricchito il nostro Codice fondamentale di una
indispensabile dimensione mariana, che lo rende più fe­
dele allo spirito del Fondatore.
Prima, per esigenze tecniche (cf «Introduzione al
Commento»), non si era potuto esprimere nel testo que­
sto aspetto; e anche la rielaborazione del CGS non la­
veva svolto soddisfacentemente.
Con lapporto di molti suggerimenti delle Ispetto-
rie si è potuto finalmente riempire questa lacuna. Ora
vari articoli costituzionali lo presentano in forma so­
bria, ma densa e significativa.
Li possiamo dividere in due gruppi:
a) quelli che si riferiscono a Maria nella fondazio­
ne e nella vita della Congregazione;
b) quelli che si riferiscono a Maria nellazione del
salesiano (cf il bello studio di A. Van Luyn, Maria nel
carisma salesiano, LAS, Roma 1987).
Nel primo gruppo abbiamo cinque articoli che ci par­
lano dell«intervento materno di Maria» nella fonda­
zione (C. 1); della sua presenza viva nella vita della Con­
gregazione e dellaffidamento dei salesiani a Lei (C. 8);
del suo costante interesse come Patrona principale (C.
9); della sua illuminazione e guida nel sistema preven­
tivo (C. 20); e del suo speciale intervento per la pratica
della professione religiosa (C. 24).
183

19.7 Page 187

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Nel secondo gruppo, vari articoli ci indicano la sua
presenza e la sua importanza nell’opera di evangelizza­
zione e catechesi (C. 34); la indispensabilità della sua
devozione per crescere nella castità (C. 84); il suo esem­
pio nell’ascolto della Parola di Dio (C. 87); il posto ri­
levante che occupa nella preghiera del salesiano (C. 92);
il suo aiuto nellesperienza formativa (C. 98) e la sua
costante compagnia nel cammino che conduce allamore
(C. 196).
Come si vede, la consacrazione salesiana è profon­
damente vincolata àA4àfÌa;Que:sfo\\significachelaco-
scicnza e fa cura dena nostfa «grazia di unità» non pos­
sono prescindere da una forte e convinta devozione ma­
riana. Non si tratta di una semplice manifestazione di
simpatia e di sentimenti, ma di una constatazione sto­
rica: sia, in generale, per quello che è Maria storicamente
nel cristianesimo («Maria, Madre di Dio, occupa un po­
sto singolare nella storia della salvezza», C. 92); sia, in
particolare, per l’origine storica della nostra vocazione
(«La Vergine Maria ha indicato a Don Bosco il suo cam­
po d’azione tra i giovani e l’ha costantemente guidato
e sostenuto specialmente nella fondazione della nostra
Società», C. 8), sia nella sua missione materna di risor­
ta che vive con Cristo intercedendo sempre e interve­
nendo nelle vicende umane e nella vita della Congrega­
zione («Crediamo che Maria è presente tra noi e conti­
nua la sua missione di madre della Chiesa e Ausiliatri-
ce dei cristiani», C. 8).
È una delle grandi caratteristichcjdejla devozione ma­
riana di Don Bosco considerare^aria hpn solo come
«vivente» ma come veramente^«presente/> nelle nostre
Case e nella nostra attività apo^tolfcazPer questo «ci
siamo affidati e ci affideremo» a Lei (cf ACG n. 309,
luglio-settembre 1983) con atteggiamento filiale e con
184

19.8 Page 188

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il nostro impegno operativo per vivere fedeli alla no­
stra alleanza, alla nostra missione e alla nostra testimo­
nianza di radicalità evangelica. Vale la pena tornare a
meditare la formula del nostro «Atto di affidamento»,
pronunciato solennemente allinizio del CG 22 (14 gen­
naio 1984):
«O Ausiliatrice, Madre della Chiesa, noi Salesiani
di Don Bosco oggi ci affidiamo, personalmente e co­
munitariamente, alla tua bontà e intercessione. Affidia­
mo a te il prezioso tesoro delle nostre Costituzioni, lim­
pegno di fedeltà e di unità nella Congregazione, la san-,
tificazione dei suoi membri, il lavoro di tutti animato
da un atteggiamento liturgico di culto in spirito e vita,
la fecondità vocazionale, l’ardua responsabilità della for­
mazione, laudacia e la generosità missionaria, lanima­
zione della Famiglia salesiana e, soprattutto, loperoso
ministero di predilezione verso la gioventù. Ti procla­
miamo, con gioia, Maestra e Guida della nostra Con­
gregazione’» (Solenne Atto di affidamento della Con­
gregazione salesiana a Maria Ausiliatrice).
10.3. Un grande modello di interiorità apostolica
Maria è storicamente al centro della missione di Cri­
sto: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò
il suo Figlio, nato da donna» {Gal 4,4). È in Essa che
ebbe inizio il grande evento della Pasqua del Signore.
La realizzazione di questo evento salvifico supremo («id
quo maius fieri nequit», ossia che non ci può essere al-
troTùttòTàlMficolnugfàndedi questo), che costituisce
la missione stessa di Cristo, si è costruita gradualmente
nella storia incominciando da Maria (Immacolata Con­
cezione; Annunciazione; Natività; eccetera) e continuan­
do con la sua personale e materna partecipazione. Le­
185

19.9 Page 189

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vangelista dice che Maria «conservava tutte queste co­
se nel suo cuore» (Le 2,51).
La sua fede la più grande di tutti i secoli era
un’attenta interiorità che meditava quotidianamente gli
avvenimenti della missione di Cristo. Era uninteriori­
semplice e realistica; non si alimentava di riflessioni
ideologiche; guardava gli avvenimenti concreti della sal­
vezza; non seguiva il cosiddetto «progetto storico» con
cui i suoi contemporanei si immaginavano il Messia, ma
cercava di penetrare ciò che succedeva in Lei e in Cri­
sto come manifestazione di un piano ineffabile e mi­
sterioso che procedeva direttamente da Dio, le cui vie
non sono le vie dei filosofi e dei politici.
Era convinta, perché laveva sperimentato e lo spe­
rimentava continuamente, anche se oscuramente, che
lo Spirito dell’onnipotente interviene veramente nella
storia degli uomini; la vita e il divenire umano conten­
gono obiettivamente una presenza attiva di Dio, senza
la cui considerazione risulta pericolosamente riduttiva
lanalisi della realtà. Il suo cantico del Magnificat è una
lettura obiettiva della storia umana: «Di generazione in
generazione la sua misericordia si stende su quelli che
lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio; ha
disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Ha rove­
sciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ri­
colmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a ma­
ni vuote» (Le 1,50-53).
La nostra interiorità apostolica deve imitare la fede
di Maria. La missione della Chiesa (e la partecipazione
ad essa della nostra pastorale giovanile) è, come quella
di Cristo, una realtà che appartiene al Mistero e ha bi­
sogno di una contemplazione e di una interpretazione
che trascendano la razionalità dei progetti umani, non
per non tenerne conto o per disprezzarli, ma per incor­
186

19.10 Page 190

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porarli, con intelligenza critica, nèl piano salvifico di
Dio, quantunque appaia sempre circondato da una lu­
ce oscura. Ma è il paradosso della fede. Maria ci le­
sempio più alto al riguardo: luce e oscurità. Mille diffi­
coltà non fanno un dubbio! Quando parlavamo di «vi­
sione pastorale» distinta dall’analisi razionale, voleva­
mo indicare precisamente questa ottica propria del cre­
dente.
O riflettiamo «pastoralmente» credendo come
Maria alla luce della presenza attiva dello Spirito San­
to e seguendo il piano divino della storia della salvez­
za, o non saremo capaci di realizzare veramente la mis­
sione della Chiesa.
La «grazia di unità» cresce e fruttifica solamente in
una profonda contemplazione della fede. Senza di essa
si cadrà nella superficialità spirituale, anche se con ap­
parenza di razionalità.
10.4. Illuminazione mariana
della consacrazione religiosa
La consacrazione religiosa non è «sacramentale».
È uniniziativa di Dio che costruisce una speciale allean­
za con le persone, segnandole con il sigillo del suo Spi­
rito e avvolgendole nella sua potenza misteriosa.
Abbiamo visto come il Concilio Vaticano II ha pro­
clamato questo aspetto fondamentale della vita religiosa.
Si tratta di una grazia speciale: la grazia della sua con­
sacrazione (cf C. 195).
Ebbene, lesempio supremo di questa iniziativa di
Dio è Maria, «la piena di grazia» dal primo istante del
suo concepimento.
In essa la «grazia di unità» è nata senza limiti e sen­
za gli ostacoli del peccato; per questo è cresciuta vigo-
187

20 Pages 191-200

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20.1 Page 191

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rosamente fino al «sì» dell’Annunciazione, per arriva­
re alla pienezza del Calvario, della Pentecoste e dellAs-
sunzione. La potenza dello Spirito Santo ha posto la
sua dimora in Essa, e ha unito la sua verginità con la
più grande maternità: quella di Cristo e della Chiesa.
Se vogliamo approfondire il significato del sentirsi av­
volti nello Spirito, dobbiamo guardare a Maria.
Con questa illuminazione mariana possiamo ritor­
nare a leggere quanto ci dicono le Costituzioni: «La no­
stra vita di discepoli del Signore è una grazia del Padre
che ci consacra con il dono del suo Spirito e ci invia a
essere apostoli dei giovani» (C. 3). «Lazione dello Spi­
rito è per il professo fonte permanente di grazia e so­
stegno nello sforzo quotidiano per crescere nell’amore
perfetto di Dio e degli uomini» (C. 25). «La fedeltà al­
limpegno preso con la professione religiosa è una ri­
sposta sempre rinnovata alla speciale alleanza che il Si­
gnore ha sancito con noi. La nostra perseveranza si ap­
poggia totalmente sulla fedeltà di Dio, che ci ha amati
per primo, ed è alimentata dalla grazia della sua consa­
crazione» (C. 195).
Non si può capire il mistero di Maria senza la sua
consacrazione da parte di Dio Padre nello Spirito.
Così Ella illumina tutta la nostra interiorità aposto­
lica; ci indica qual è il segreto della sua crescita, e quali
sono i suoi dinamismi di azione. Solo guardando Ma­
ria e imitando la sua interiorità possiamo stimolare la
«grazia di unità», e sconfiggere definitivamente la su­
perficialità spirituale. È urgente saper considerare gli
avvenimenti della nostra vita «conservando nel cuore»
tutto ciò che troviamo in essi di presenza di Dio. La con­
sacrazione religiosa vive e persevera in un’indispensa­
bile contemplazione di fede.
«Docile allo Spirito Santo, Don Bosco visse lespe­
188

20.2 Page 192

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rienza di una preghiera umile, fiduciosa e apostolica,
che congiungeva spontaneamente l’orazione con la vi­
ta» (C. 86). «Immerso nel mondo e nelle preoccupa­
zioni della vita pastorale, il salesiano impara a incon­
trare Dio attraverso quelli a cui è mandato. Scoprendo
i frutti dello Spirito nella vita degli uomini, specialmente
dei giovani, rende grazie in ogni cosa, condividendo i
loro problemi e sofferenze, invoca per essi la luce e la
forza della Sua presenza. Attinge alla carità del Buon
Pastore, di cui vuole essere il testimone, e partecipa al­
le ricchezze spirituali che la comunità gli offre. Il biso­
gno di Dio, avvertito nellimpegno apostolico, lo porta
a celebrare la liturgia della vita» (C. 95); per Lui Maria
«è modello di preghiera e di carità pastorale, maestra
di sapienza e guida della nostra Famiglia» (C. 92).
10.5. La testimonianza mariana di Don Bosco
Don Bosco considerò sempre Maria come sua «Mae­
stra e Guida» nella vocazione di Fondatore della Fami­
glia salesiana: «Ella ha fatto tutto!» era una convin­
zione che veniva dalla sua infanzia (il sogno dei nove
anni), e che crebbe costantemente nella sua interiorità
apostolica.
Da Lei apprese alcune note caratteristiche che lasciò
in.eredità alla sua scuola di spiritualità pastorale. Emer­
gono:
lintima unione tra contemplazione e azione, tra
preghieraelavoro ;
linscindibilità tr^-evangelizzazione ed .educa­
zione;
la simultaneità tra «ragione, religione e amore­
volezza»;
'
la sintesi della radicalità evangelica nellobbe­
dienza;
189

20.3 Page 193

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l’armonia tra iniziativapersonale e complemen-
tarità_cpmunitaria;
la mutua compenetrazione tra Chiesa universa-
le e Chiesa particolare:
lincarnazione del realismo della fede nellone­
stà e responsabilità sociale; eccetera.
Ossia, una capacità di sintesi personale e apostolica
che rappresenta una proiezione concreta della «grazia
di unità». In Cristo e in Maria è iniziata la ricostruzio­
ne dellunità e dellarmonia della creazione nella vita,
personale, sociale ed ecclesiale.
Non è un compito facile. Nel divenire umano sin­
contrano tanti squilibri e non poche fratture. La ma­
ternità di Maria prolunga e aiuta ad aumentare le ric­
chezze unificatrici del mistero dellincarnazione.
Il Conciho Vaticano II ha sollecitato un rinnovamen­
to pastorale che faccia maggior conto del ruolo unifi­
catore del mistero di Cristo. Ebbene, la spiritualità e
i criteri pastorali di Don Bosco sono situati profetica­
mente in questorbita di unificazione: creazione e re­
denzione, laicie ecclesialità, cultura e Vangelo, respon­
sabilità sociale c vita di fede, promozione umana c cre­
sci la nella grazia , iniziativa persnnale e confidenza in
Dio, simpatia e ascesi, pedagogia e pastorale, condizione
civile e consacrazione religiosa, magnanimità operati­
va e povertà evangelica, allegria e croce, prospettive per
il futuro e valori permanenti; realismo storico e corag­
gio escatologico.
Una «grazia di unità» che cresca con prospettive così
facilmente in tensione, è una specie di miracolo di san­
tità.
Può realizzarsi solo se ha radici nella maternità di
Maria, che ha generato lunità di Cristo, e che favori­
sce e accompagna la sua crescita in tutte le generazio­
ne

20.4 Page 194

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ni. La testimonianza mariana di Don Bosco si manife­
sta, senza dubbio, in una peculiare devozione alla Ver­
gine, ma consiste soprattutto nellaver modellato la sin­
tesi vitale della sua spiritualità e la criteriologia pasto­
rale della sua azione sulloriginalità del mistero di Cri­
sto, che brilla in Maria con la semplicità ineffabile del­
la sua maternità. La ricostruzione dell’unità per la sal­
vezza del mondo ha bisogno, più che di difficili e com­
plesse teorie, della funzione materna della generazio­
ne, della sapienza del senso comune della fede, e della
docilità alle iniziative dello Spirito del Signore. È così
che Dio fa «cose grandi», come in Maria.
In particolare, la testimonianza mariana di Don Bo­
sco si è manifestata nel suo straordinario senso di Chie­
sa, che è lorganismo vivo «Corpo mistico di Cri­
sto» grande segno e realizzazione storica del compi­
to unificatore del Signore per tutti i popoli. Don Bo­
sco, ispirandosi a Maria, amò fortemente la Chiesa pel­
legrina nel tempo. Per questo, la sua devozione crebbe
(verso gli anni 60, quando aveva raggiunto la sua ma­
turità ministeriale) nella considerazione di Maria come
Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cristiani.
10.6. Il quadro dell’Ausiliatrice a Valdocco
Credo particolarmente importante per noi riflette­
re sul significato che Don Bosco ha dato al mistero di
Maria nella storia della salvezza.
II titolo di «Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cri­
stiani» (Don Bosco, Maraviglie della Madre di Dio, To­
rino 1868, pag. 45; Opere edite, XX, 192-376) è già si­
gnificativo di una devozione ecclesiale di concretezza
storica. Ci sono al riguardo studi interessanti dell’Ac­
cademia Mariana Salesiana (io stesso ho scritto anni fa
191

20.5 Page 195

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prima del Concilio Vaticano II un libricino: Ma­
ria, Auxilio de los Cristianos, Editorial Salesiana, San­
tiago de Chile, 1962); il suo approfondimento è, senza
dubbio, un elemento che aiuta a superare il pericolo del­
la superficialità spirituale. Ma qui io vorrei, assieme a
voi, contemplare la portata dottrinale del quadro che
Don Bosco ha fatto dipingere per la sua basilica di Val-
docco.
È un quadro ad alto contenuto ecclesiologico, che
ci ricorda il dinamismo deira ^grazia di unità» nella4
Chiesa stessa lungo i secoli. Cosa chiese Don Bosco al
pittore Tommaso Lorenzone? (cf MB 8,4-5; 9,200-201).
Che fosse un quadro significativo era una delle sue gran­
di preoccupazioni prima di terminare la costruzione del
tempio: voleva che si vedesse espressa con chiarezza la
portata dottrinale della devozione a Maria Ausiliatrice.
Espisela suaideaallartista: gli chiese che dipin­
gesse la Vergine al centro, poi, in alto, l’amore salvifi­
co di Dio Trino, i cori degli Angeli con l’assunzione di
Maria; attorno a Lei, la Chiesa celeste: gli apostoli, i
martiri, i profeti, le vergini e i confessori; più sotto, la
Chiesa pellegrinante con gli emblemi delle grandi vit­
torie della Vergine nella storia dellumanità, i popoli dei
vari continenti con le mani alzate, che chiedono aiuto.
Il pittore osservò: «Non basta, caro Padre, tutta piaz­
za^ Castello per contenere tanti elementi».
Don Bosco voleva fatti storici, ampiezza missiona­
ria, senso della Chiesa universale, maternità attiva e per­
manente verso tutti i popolideha terra. L’ideaèrachìa-
rà7mà~chÌedèvaTfop^peruirqùadfo. Il pittore lavo­
tre anni; gli riusci un’opera 7 metri per 4 che espri­
meva il più possibile quello che voleva il Santo.
Quali aspetti risaltano nel quadro? Anzitutto, in alto,
cè l’occhio di Dio Padre, ricco di misericordia, che
192

20.6 Page 196

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guarda verso la storia umana, e, procedendo da Lui,
la potenza dello Spirito Santo, in figura di colomba.
Dall’«occhio» e dalla «colomba» esce una luce bril­
lante che illumina la Vergine incoronata di stelle; Ella
sostiene maternamente sulle sue braccia il Bambino Ge­
sù, Salvatore del mondo, come per indicare che tutta
la benevolenza e misericordia del Padre e tutta la po­
tenza dello Spirito Santo riempiono la Vergine di gra­
zia per una maternità permanente, destinata a genera­
re Cristo in tutti gli uomini. La Vergine è circondata
da un coro di angeli che ci parlano della sua risurrezio­
ne e assunzione. Ella tiene nella mano destra uno scet­
tro, che indica il suo potere di intercessione e la sua co­
stante sollecitudine .per la vita della Chiesa.
Fermiamoci un istante a riflettere su questo settore
del quadro. È una descrizione della «grazia di unità»
di tutta la Chiesa. Questa grazia procede «dall’alto»,
ossia dal grande mistero dove vive e dal quale si propa­
ga quella ineffabile unità che è lamore di Dio. Tutto
discende dalla pienezza della Trinità. Il Padre è tale,
perché sta generando eternamente il Figlio; e il Verbo
è il Figlio che si sta restituendo eternamente al Padre
con un «sì» totale e perfetto; e questa comunione esau­
stiva di entrambi rimane personificata nello Spirito San­
to, come espressione ineffabile di unità del Padre e del
Figlio.
Così, in questa intimità del mistero, è escluso ogni
egoismo generatore di disunione. Il Padre è totalmente
«dono di sé», senza escludere nulla dalla comunione;
il Figlio pure non conserva nulla per sé, e lo Spirito è
totalmente e nello stesso tempo del Padre e del Figlio.
L’amore è così perfetto in ognuno dei Tre che co­
stituisce in Essi lunità di natura divina. Lo Spirito è
come l’estasi di questo Amore nella storia, prodigiosa­
193

20.7 Page 197

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mente fecondo in Maria, fatta Madre del Verbo, che
si apre attraverso suo Figlio Gesù Cristo alluniverso
intero. La risurrezione, realizzata per la potenza dello
Spirito, farà di Cristo e di Maria il «Nuovo Adamo»
e la «Nuova Èva» per la storia della salvezza umana.
Questo primo settore del quadro, allora, centra la
devozione allAusiliatrice nel mistero stesso dellamo­
re di Dio, fonte di ogni carità e di ogni «grazia di unità».
In un secondo settore contempliamo i quindici prin­
cipali collaboratori di Cristo nella fondazione della Chie­
sa: i dodici Apostoli, san Paolo, e gli Evangelisti Mar­
co e Luca; essi si danno generosamente alla loro mis­
sione fino al dono totale di (come dimostra, in vari
di essi, il simbolo del martirio). Risaltano, tra essi, i
quattro evangelisti, speciali costruttori dellunità della
Chiesa mediante i loro Vangeli. In mezzo ad essi spic­
cano san Pietro e san Paolo. Il primo ricorda l’impor­
tanza fondamentale del ministero pietrino per la vita
e la crescita della Chiesa; e per questo mostra nella ma­
no sinistra il potere delle chiavi. Il secondo fa pensare
allefficacia dellevangelizzazione che proclama la Pa­
rola di Cristo come spada a doppio taglio che penetra
nel cuore delle persone e nelle culture dei popoli; san
Paolo indica Maria, come se ripetesse: «Quando ginn-
se la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato
da donna» (Gal 4,4).
Questa parte del quadro mette in speciale evidenza
l’iniziativa materna di Maria a favore di tutta l’azione
apostolica e, in particolare, del magistero e del mini­
stero dei Pastori nella Chiesa di Cristo. La grande mis­
sione di evangelizzare e di guidare i discepoli del Signore
ha in Maria una grande protettrice; essa si preoccupa
continuamente nella storia della crescita e dellunità della
Chiesa. Diffondere la devozione allAusiliatrice vuol di­
194

20.8 Page 198

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re, per Don Bosco, dedicarsi a una instancabile «eccle-
siogenesi» nella fedeltà a Pietro, agli apostoli e agli evan­
gelisti; costruire lunità della famiglia umana attraver­
so la Pasqua di Cristo con la potenza del suo Spirito.
E cè un terzo settore nel quadro, più ridotto e in
prospettiva, che presenta la basilica mariana di Valdoc-
co, a Torino, come centro propulsore di operosità ec­
clesiale, soprattutto attraverso il carisma di evangeliz­
zazione e promozione della gioventù: «Haec domus
mea, inde gloria mea» (Questa è la mia casa, di qui la
mia gloria); Maria esercita la sua permanente materni-
in una Chiesa che privilegia la pastorale giovanile.
Còme cTdice il Papa nellasuabellalettera«Juvenum
patris»: «Con la vostra opera, carissimi educatori, voi
state compiendo uno squisito esercizio di maternità ec­
clesiale. .. Sono ben consapevole, benemeriti educato­
ri, delle difficoltà a cui andate incontro e delle delusio­
ni che a volte dovete provare. Non scoraggiatevi nel per­
correre questa privilegiata via dell’amore che è ledu­
cazione. Vi conforti linesauribile pazienza di Dio nel­
la sua pedagogia verso lumanità, esercizio incessante
di paternità rivelata nella missione di Cristo, maestro
e pastore, e nella presenza dello Spirito Santo, inviato
a trasformare il mondo» (IP 20).
Questi sono alcuni dei contenuti dottrinali del qua­
dro . Rappresentano pittoricamente un programma esi-
gente nel nostro cammino verso il terzo millennio. Il
mìstefb'dèlTàmore di Dio Trino, le missioni di Cristo
e dello Spirito, la maternità permanente di Maria, la
testimonianza eroica degli apostoli ed evangelisti, non
sono una alienazione dalla storia. Il quadro di Valdoc-
co li rappresenta come progetto di amore e di «grazia
di unità» per la storia degli uomini. Maria Ausiliatrice
suggerisce chiaramente di coltivare nel cuore una fede
195

20.9 Page 199

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veramente impegnata, una speranza dinamica di ope­
rosità, una carità pastorale tradotta ogni giorno in prassi
apostolica.
La Vergine stessa, quando cantò nel Magnificat i
suoi sentimenti più intimi, parlò di storia. Lo attestano
gli apostoli e gli evangelisti del quadro estaticamente ri­
volti verso di Lei, quasi per indicarci che, per cammi­
nare avanti con audacia cristiana e per creare dovun­
que un futuro di fede, si richiede uninstancabile azio­
ne apostolica. La Madre di Dio ci protegge, ci accom­
pagna, ci aiuta, ci illumina, ci guida e ci assicura la rea­
lizzazione di «grandi cose». Il futuro della fede non na­
sce spontaneamente con il divenire umano: è necessa­
rio costruirlo con sudore, giorno dopo giorno, perché
diventi un patrimonio senza prezzo dell’umanità.
Il quadro dellAusiliatrice di Valdocco ci parla così
della laboriosa unità tra gloria e storia. Quell«inde glo­
ria mea» è per noi un compito esigente.
10.7. I tempi difficili
Don Bosco, come egli stesso ha affermato, maturò
la sua devozione mariana verso la dottrina dell’Ausi­
liatrice, perché «i tempi erano difficili». Lo disse un gior­
no del 1862 al giovane Giovanni Caglierò: «La Madonna
vuole che la onoriamo con il titolo di Ausiliatrice: i tempi
sono così tristi, che abbiamo proprio bisogno che laVer-
gine SS. ci aiuti a conservare c a difendere la fede cri­
stiana» (MB 7,334). Ella sarà laiuto straordinario «sia
contro i nemici esterni (della Chiesa), sia contro i ne­
mici interni» (MB 13,409).
Vale la pena, in questo anno mariano, riflettere su
questo aspetto della «Vergine dei tempi difficili» par­
tendo dalla profonda enciclica «Redemptoris Mater»
196

20.10 Page 200

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che il Papa ci ha regalato. Il filo conduttore di questo
documento è la meditazione sulla fede di Maria: di «Co-
' lei che ha creduto». Il suo aiuto deriva dalla grandezza
che raggiunse per mezzo della sua fede immensa. Ella
ha dimostrato la pienezza della sua «grazia di unità»
nel vivere eroicamente la sua fede.
Un primo aspetto che dobbiamo notare è che Ma­
ria testimoniò e crebbe nella fede, accettandone cqnìx»'
fagginTFoscunTàJ^fofsélibntutti arriviamo a cogliere
coffchiarezza la difficoltà che ebbe la Vergine a crede­
re. Pensiamo, per esempio, allAnnunciazione. La Ver­
gine era una ragazza più o meno di quindici anni: quante
cose le erano terribilmente oscure! Anche più tardi,
quando il ragazzo adolescente rimase a Gerusalemme
e le rispose che doveva seguire la sua vocazione: «Io devo
occuparmi delle cose del Padre mio» (Le 2,49). Ma so­
prattutto sul Calvario. Che oscurità enorme per la Ver­
gine! Suo Figlio era per Lei un dono straordinàrio di
Dio, e ora lo vede morire con la peggiore delle condanne.
La Vergine visse circondata di oscurità che laccom­
pagnarono durante tutta 1’esistenza sulla terra; però non'
vennero mai meno, in nessun momento, la sicurezza del­
la sua fede, la sua fiducia, la sua adesione piena a Dio,
l’assoluta certezza dellintervento dello Spirito Santo.
Se cè una persona nella storia che è sicurissima dellin­
tervento dello Spirito Santo, è Maria. Lo ha sperimen­
tato nella sua maternità. Non si preoccupa neppure di
dare spiegazioni a Giuseppe. Così più tardi, nell’ora ter­
ribile della morte, rischiarata solo dopo tre giorni dalla
grande luce della Risurrezione. E poi, quando accom­
pagna gli Apostoli nella preparazione della venuta del­
lo Spirito per una Chiesa che doveva abbracciare tutto
il mondo.
Quando recitiamo lAngelus dovremmo riaffermare
197

21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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per noi questa sicurezza di Maria nell’azione dello Spi­
rito Santo: «L’angelo del Signore portò l’annunzio a
Maria, ed Ella concepì per opera dello Spirito Santo.
E il Verbo si fece carne».
Noi siamo convinti che la «grazia di unità» viene
dallo Spirito Santo: è energia dell’Amore trinitario. Dio
ci ha chiamati, ci ha consacrati, ci tiene avvolti nella
potenza dello Spirito. E noi non ce ne ricordiamo. Lat­
teggiamento di Maria ce lo richiama mirabilmente.
Una caratteristica che accompagna lazione dello
Spirito Santo è la «fecondità». Maria ha constatato che
lo Spirito Santo ha iniziative molto efficaci di bene. Ma­
ria ci appare come una sposa fecondata dallo Spirito
Santo, che confida continuamente nella sua potenza.
Anche dopo la sua Assunzione le grandi iniziative
dello Spirito Santo nella Chiesa hanno un caratteristi­
co aspetto mariano. Non perché qualche filosofia esi­
ga che sia così; la storia non è la conclusione di alcuni
principi metafisici; la storia è costituita di fatti, di eventi,
di persone che sono così perché Qualcuno volle che fos­
sero così, perché Dio volle che così si scrivesse la storia
della salvezza.
Il Concilio Vaticano II ci ha presentato la figura di
Maria come tipo, modello della Chiesa; come la profe­
zia anticipata di quello che è e sarà la Chiesa. La ma­
ternità di Maria per iniziativa dello Spirito è il modello
e il tipo della maternità della Chiesa lungo i secoli, os­
sia di un continuo intervento della potenza dello Spirito.
Per la sua fede, per la sua fiducia, per la sua sicu­
rezza nell’intervento dello Spirito, per la sua maternità
permanente, Maria diventa «Aiuto». La carità lha re­
sa capace di preoccuparsi degli altri. Appena invasa dalla
potenza dello Spirito Santo, si preoccupa di andare ad
aiutare sua cugina Elisabetta.
198

21.2 Page 202

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Tutta la vita di Maria è una vita di aiuto, di colla­
borazione con suo Figlio Gesù Cristo e lungo tutta la
storia. È lei che aiuta la Chiesa e i fedeli a crescere nel­
la fede, e ad essere fecondi nella carità. Don Bosco sot­
tolineava questa caratteristica di Maria nella storia. Non
cè difficoltà che superi la potenza dello Spirito. I tem­
pi difficili non sopprimono la forza e la fecondità della
fede.
A noi tocca, allora, non solo meditare e vivere que­
sto aspetto mariano della nostra «grazia di unità», ma
essere apostoli che facciano conoscere e amare la Ver­
gine sotto i titoli che ci insegnò Don Bosco.
Nei nostri tempi difficili ci sono due aspetti che si
considerano come un settore privilegiato dellinterven­
to e dellaiuto materno di Maria. Il primo è quello del­
le vocazioni. Abbiamo bisogno urgente di vocazioni,
perché la gioventù bisognosa cresce continuamente c noi
vogliamo lavorare con essa fino allimpossibile. Per que­
sto abbiamo bisogno di vocazioni. La vocazione viene
da Dio: si richiede, allora, molta orazione. Da sola non
basta, ma ci vuole e molta: la messe è molta, e gli ope­
rai sono pochi: «mandaci operai per la messe». Inol­
tre, la devozione allAusiliatrice esige che si risveglino
iniziative pastorali con particolare attenzione alle vo­
cazioni, soprattutto tra i giovani.
Il secondo aspetto è quello della fedeltà e perseve­
ranza nella vocazione. I tempi sono difficili, e non po­
chi hanno abbandonato. La fedeltàya collegata con la
pratica dei Consigli evangelici, e, ira essi, in modo par­
ticolare, della castità. Curare questo aspetto pratico della
devozione a Maria aiuterà a testimoniare quella consa­
crazione che è apportatrice di tanto autentico amore.
Don Bosco ha vissuto tra difficoltà esterne ed interne,
però ha trionfato: «Tutto ciò che è nato da Dio vince
199

21.3 Page 203

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il mondo; e questa è la vittoria che ha sconfitto il mon­
do: la nostra fede» (1 Gv 5,4).
Maria in tutti i tempi, per difficili che siano, ci aiu­
ta. Diamo grande importanza nel nostro modo di vive­
re la «grazia di unità» alla sua devozione.
200

21.4 Page 204

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Conclusione
Abbiamo meditato i valori e i segreti della nostra
interiorità apostolica. Ci siamo concentrati sulla consi­
derazione della «grazia di unità». Così abbiamo sco­
perto l’importanza, la presenza e la potenza dello Spi­
rito Santo, che ci avvolge nellunità dell’Amore, riem­
piendoci di carità pastorale.
Alla luce di questa divina consacrazione abbiamo
potuto approfondire la nostra Professione religiosa co­
me un progetto unitario di vita evangelica alla sequela
di Cristo. Ci siamo convinti che, senza il nostro sforzo
personale e comunitario di ascesi, non potremo rispon­
dere vittoriosamente alle molteplici e inedite sfide che
vengono dai tempi nuovi.
Ci ha rallegrato constatare che in tutto questo lavo­
ro di fede ci accompagna, ci guidà e ci aiuta Maria, la
Madre di Dio.
Dobbiamo prendere sul serio, per noi stessi e per i
nostri fratelli, il ricchissimo patrimonió evangelico del
fìbstro carisma. A questo fine avremo piùcuradellàno-
stra «grazia di unità» partecipando alla missione di Cri­
sto e dello Spirito, che sono stati inviati al mondo dal
Padre perché tutti siamo una cosa sola: «Io in loro e
tu (Padre) in me, perché siano perfetti nellunità e il
mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati co­
me hai amato me» (Gv 17,23).
201

21.5 Page 205

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1. Il piano divino di unità
San Paolo inizia la lettera agli Efesini con un canto
di lode e di ringraziamento a Dio per lineffabile piano
di unificazione inventato dal suo Amore: «Benedetto
sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci
ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in
Cristo... Egli ci ha fatto conoscere il mistero della sua
volontà, secondo quanto, nella sua benevolenza, ave­
va in lui prestabilito per realizzarlo nella pienezza dei
tempi: il disegno cioè di ricapitolare in Cristo tutte le
cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,3-10).
È bello contemplare la nostra vocazione come par­
tecipazione attiva a questo piano di Amore increato, per
superare ed eliminare ogni divisione all’interno di ogni
persona, nella complessità dèlia vita sociale e nella stessa
ristrutturazione finale del mondo.
2. La potenza unificatrice dello Spirito,
«Dominum et vivificantem»
Abbiamo una ispirata enciclica di Giovanni Paolo
II sulla missione unificatrice dello Spirito Santo nella
vita di ogni credente, della Chiesa e del mondo: «Do­
minum et vivificantem». Ce lha regalata nella solenni­
di Pentecoste del 1986.
Dovrebbe essere la meditazione conclusiva di que­
sto ritiro: è uh dovere per ognuno a Casa.
Lo considero un documento indispensabile per svi­
luppare ancora di più il tema della «grazia di unità».
Farò solo una osservazione, che serva da conclusione
qualificata alle riflessioni che abbiamo fatto.
Lo Spirito Santo lavora «nellintimo», a partire dal
cuore e dallcicoscienza umana; fa crescèrel’uomo dal
202

21.6 Page 206

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di dentro, sanando ogni discordia interna, e portando­
lo a superare ogni materialismo (che influisce su tanti
aspetti della cultura attuale): «Camminate nello Spiri­
to e non seguirete i desideri della carne» (Gal 5,16). Il
cuore dell’uomo «è il luogo recondito dell’incontro sal­
vifico con lo Spirito Santo, con il Dio nascosto e pro­
prio qui lo Spirito Santo diventa sorgente di acqua che
zampilla per la vita eterna(Gv 4,14).
Qui Egli giunge come Spirito di verità e come Para-
dito, quale è stato promesso da Cristo. Di qui Egli agi­
sce come consolatore, intercessore, avvocato...
Lo Spirito Santo non cessa di essere il custode della
speranza nel cuore dell’uomo: della speranza di tutte
le creature umane e, specialmente, di quelle che pos­
siedono le primizie dello Spirito’e aspettano la re­
denzione del loro corpo”, (Rm 8,23).
Lo Spirito Santo, nel suo misterioso legame di divi­
na comunione con il Redentore dell’uomo, è il realiz­
zatore della continuità della sua opera: egli/prende da
Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente nella
storia del mondo attraverso il cuore dell’uomo» (Do­
minum et vivificantem, 67).
Veni sánete spiritus! Amen!
203

21.7 Page 207

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21.8 Page 208

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Indice
Presentazione ................................................. pag. 5
Introduzione .................................................... » 7
Contro il pericolo della superficialità spi­
rituale .......................................................... » 7
1. La grazia di unità .................................. » 11
1.1. Perché usiamoquesta terminologia? » 12
1.2. Molteplicità di valori che possono por­
tare a una dispersione ........................ » 14
1.3. Dove cercare la sorgente dell’unità ... » 19
1.4. Il segreto della sintesi vitale ............... » 20
1.5. Cristo forma il cuore dei pastori ..... » 23
1.6. Carità pastorale di Don Bosco ......... » 24
2. La presenza unificatrice dello Spirito Santo » 29
2.1. La potenza dello Spirito Santo ........
2.2. La consacrazione religiosa come presen­
za unificante dello Spirito ......... »
2.3. Lo Spirito organicità all’indole pro­
pria» .............................................. »
2.4. La dimensione «carismatica» delle ori­
gini .........................................................
2.5. La dimora dello Spirito è il cuore ....
2.6. La responsabilità attuale nella docilità
allo Spirito ............................................
» 29
32
34
» 37
» 39
» 40
205

21.9 Page 209

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3. La professione religiosa come progetto
unitario ..............................................
pag.45
3.1. Professione e «indole propria» ............ » 45
3.2. La significativa data del 14 maggio » 47
3.3. Un atto definitivo di libertà............... » 48
3.4. L’originalità e i contenuti della nostra
consacrazione religiosa ....................... » 50
3.5. La dinamica interna ai quattro elemen­
ti segnalati ............................................ » 57
3.6. Urgenza di una rilettura salesiana della
Professione ............................................. » 58
4. L’alleanza come sorgente della grazia di
unità ............................................................ » 61
4.1. Liniziativa di Dio ................................. » 61
4.2. La liturgia della vita .............................. » 69
4.3. Il centro motore dellEucaristia ............ » 72
4.4. La sapienza e la pedagogia della conver­
sione ......................................................... » 74
4.5. La partecipazione convinta alla preghie­
ra della Chiesa ................................... » 76
4.6. Lintimità personale ............................... » 79
4.7. Gli ostacoli alla«grazia di unità» .... » 80
5. La missione apostolica come fisionomia
globale ...................................................... » 83
5.1. Dimensione teologale della missione » 83
5.2. Missione e pastorale............................ » 85
5.3. Molteplicità di aspetti dellindole propria » 87
5.4. Il criterio oratoriano ............................. » 95
5.5. Il Vangelo dal di dentro ....................... » 98
5.6. Sfide pastorali e discernimento di identità » 99
5.7. La luce e la guida dei Pastori
. » 102
206

21.10 Page 210

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6. La comunità fraterna come stile di vita e
di azione .................................................. pag. 103
6.1. Uno stile di convivenza e di attività .
6.2. Complementarità di comunione ........
6.3. La dimensione comunitaria, sintesi vi­
va della consacrazione ............... »
6.4. Nucleo creatore di pastorale .............
6.5. Comunità aperta e animatrice ...........
6.6. Organicità ed ecclesialità della dimensio­
ne comunitaria ............................. »
6.7. Il Direttore della comunità ................
» 103
» 108
111
» 113
» 114
118
» 119
7. La pratica dei consigli evangelici come to­
tale donazione di sé .......................... » 123
7.1. Limmenso apporto della pratica dei
Consigli ................................................. » 124
7.2. Contestazione evangelicadi attualità » 127
7.3. Struttura portante ediscreta ............... » 130
7.4. Una radicalità totalmente imbevuta di
carità pastorale .................................... » 135
7.5. Pericoli di indebolimento nella pratica
dei Consigli .......................................... » 137
7.6. Una prassi testimoniata con mezzi ade­
guati .............................................. » 141
7.7. Il compito degli animatori ................. » 144
8. L’ascesi compagna indispensabile della
professione .............................................. » 147
8.1. Il dono del martirio ............................ » 148
8.2. Lavoro e temperanza ......................... » 150
8.3. La mortificazione dei sensi ................ » 153
8.4. La disciplina della Regola di vita..... » 156
8.5. Una nuova antropologia .................... » 158
207

22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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8.6. La professione dei Consigli ............... pag. 159
8.7. Contemplazione e ascesi ................. » 163
8.8. Promozione delle convinzioni del disce­
polo ............................................... » 164
9. Alcune sfide alla grazia di unità ......... » 167
9.1. Il nostro quadro di riferimento ........ » 167
9.2. Sfide allalleanza ..................................... » 169
9.3. Sfide alla missione .................................. » 170
9.4. Sfide alla comunione.............................. » 171
9.5. Sfide alla radicalitàevangelica ............... » 173
9.6. Sfide allascesi ......................................... » 174
9.7. Tutto da Cristo .................................... » 175
10. Guidati da Maria, Madre della Chiesa e
Ausiliatrice ............................................. » 181
10.1. Maria e la «grazia di unità» ............ » 182
10.2. Felice inclusione della dimensione ma­
riana nel testo costituzionale . » 183
10.3. Un grande modello di interiorità apo­
stolica ........................................... » 185
10.4. Illuminazione mariana della consacra­
zione religiosa ............................ » 187
10.5. La testimonianza mariana di Don Bo­
sco ................................................ » 189
10.6. Il quadro dellAusiliatrice a Valdocco » 191
10.7. I tempi difficili ..................................... » 196
Conclusione ..................................................... » 201
1. Il piano divino di unità ............ ............ » 202
2. La potenza unificatrice dello Spirito, «Do­
minum et vivificantèm» . .................. » 201
208

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