IRAQ: IL SUCCESSORE DI DON BOSCO, "UNA GUERRA DA NON RIPETERE"
Roma, 16 aprile 2003 - Le conseguenze della guerra in Iraq sono ancora tutte aperte con dolorose ferite e gia' risuonano nuovi tamburi di guerra per la Siria, dando fiato al prolungamento di una guerra preventiva che il Rettor Maggiore dei Salesiani giudica non solo immorale, ma fortemente negativa per i possibili esiti educativi verso i giovani.
Don
Pascual Chavez,
messicano, e' da un anno il IX successore di don Bosco e sembra
doversi confrontare con grandi emergenze: lo scorso anno lo scandalo
degli abusi sessuali che mise in crisi la Chiesa degli Stati Uniti e
non solo e, ora, l'avvio di una guerra senza termine. Per questo alla
preoccupazione per trovare un convincente discorso educativo da fare
ai giovani, aggiunge l'idea operativa di incamminare la sua
istituzione sulle tracce della ''Pacem in terris''. In questi tempi
di aspri confronti, egli ha scelto di stare con il Papa. Ha posto la
sua immagine anche come sfondo del suo computer personale quando si
accende lo schermo. Sulla pace - ripete don Chavez in una intervista
all'Asca
- si gioca la credibilita' futura degli educatori, della vita
consacrata e di tutta la Chiesa. E il papa ha visto giusto e lontano.
Con queste premesse non e' difficile sentire il Rettor Maggiore
dei Salesiani, appena tornato dalla Terra Santa, su un ventaglio di
questioni che hanno appassionato e diviso la pubblica opinione, nei
vari paesi del mondo, tra i favorevoli alla guerra angloamericana
contro l'Iraq e coloro che hanno preferito scendere in piazza con le
bandiere dell'arcobaleno.
D
- Come valuta lei, con gli occhi di una persona del Terzo Mondo, la
dottrina della guerra preventiva e del predominio di una sola
superpotenza?
R
- ''Guardando l'attuale situazione mondiale con gli occhi della gente
del Terzo Mondo, nella politica dell'attuale amministrazione degli
Stati Uniti si vede l'affermarsi di una superpotenza ma soprattutto
di una prepotenza. Si ha la sgradevole impressione che il governo
degli Stati Uniti, anche a dispetto di tantissimi cittadini di
sentimenti democratici, si senta custode di un ordine mondiale a
proprio uso e consumo. Come persona originaria del Messico - ma penso
che un analogo interrogativo attraversi la mente di milioni di
persone al mondo - mi chiedo chi abbia nominato o affidato agli Stati
Uniti questo ruolo di moderatore universale dal momento che esistono
gia' le Nazioni Unite che meglio possono garantire soluzioni
democratiche e attente al pluralismo culturale che fortunatamente
prospera nel mondo. E' indubbio che manchi un contrappeso all'unica
superpotenza americana e cio' rende reale il pericolo di una gestione
unilaterale dei rapporti internazionali quando non ci sia
un'autodisciplina del limite e del giusto che gli Stati Uniti
dovrebbero avere nella stessa misura della loro potenza. A differenza
di quando esisteva il contrappeso dell'URSS, ora ci troviamo a vivere
i guasti di una egemonia che vorrebbe gestire tutto. Per questo penso
che un'Europa sempre piu' unita sia un vantaggio per un sano
equilibrio nel mondo. Vedo e sento in giro la reazione mossa da
sentimenti antiamericani. Non si possono negare le atrocita' commesse
da governi e personaggi come Saddam Hussein, ma neppure si possono
ignorare le responsabilita' americane nella corsa al riarmo, nel
possesso e uso di armi di distruzioni di massa, nel persistere al suo
interno della pena capitale, nell'uso privilegiato delle leggi
commerciali. Ci sono convenzioni e istituzioni internazionali
pienamente legittime che debbono valere per tutti. E i necessari
aggiornamenti di queste istituzioni dovrebbero essere migliorativi
per la rappresentanza e la dignita' di tutti i popoli e non punitivi
ed emarginanti di culture e interessi diversi dalle potenze
maggiori''.
D - Il conflitto in Iraq e specialmente la teoria del nuovo ordine portata avanti dal governo americano, fuori contesto ONU ha cambiato profondamente lo scenario mondiale rispetto a un anno fa quando lei fu eletto successore di don Bosco. E' spiazzato da questo cambiamento?
R
- Non e' stata una sorpresa completa questo nuovo scenario. Mi ero
gia' dichiarato contrario al canto di Fukuyama sulla fine della
storia e al suo inno in favore del liberismo economico e la fine del
terzomondismo. Egli parlava di ricostruire la torta delle risorse
prima di ridistribuirle. Mi pareva gia' allora un linguaggio cinico.
Se cosi' fosse - senza voler considerare che attualmente una torta
distribuita c'e' gia', sebbene all'80% della popolazione mondiale
tocchi solo il 20% delle risorse mentre una ristretta minoranza
consuma l'80% dell'intera torta ed e' preoccupata del futuro dove una
cosi' alta percentuale non appare garantita - dovremmo accettare che
milioni di persone muoiano prima che la nuova torta sia pronta e
senza garanzia alcuna sul come e tra chi e da chi verra' distribuita.
La storia fatta solo dai vincitori mi disturba. L'11 settembre 2001
e' stato senza dubbio l'inizio di un nuovo capitolo di storia, ma la
grande storia continua. Alla vigilia del 2000 mi pareva che fosse
fuori luogo brindare a champagne sulle rosee sorti del mondo. Era da
ingenui pensare che con la caduta del muro di Berlino e la fine
dell'URSS, un mondo migliore fosse spuntato come per incanto.
D
- Lei pensa che i religiosi e le suore si siano schierati con forte
convinzione o solo per passiva ubbidienza al papa contro la guerra in
Iraq?
R
- Di fronte a una guerra cosi' grave e sorprendente come quella che
ha distrutto l'Iraq, provando duramente la vita fisica e la coscienza
di quel popolo, non sono in grado di giudicare quali siano le
convinzioni individuali piu' profonde dei confratelli della mia
Congregazione, tanto meno quelle degli altri religiosi o suore. Penso
comunque, da quello che vedo e da quello che ascolto, che c'e' stato
e permane un ripudio generale contro questo conflitto che, alla luce
dell'opinione pubblica, appare irrazionale, perche' non si erano
esaurite tutte le vie offerte dalla diplomazia; illegale, perche' non
sancita dall'ONU attraverso il Consiglio di Sicurezza; e immorale,
perche' e' arbitrario dichiarare una guerra preventiva, pessimo
precedente per una giungla mondiale dove prevale il diritto della
forza e non la forza del diritto. Non credo, dunque, che religiosi e
suore si siano schierate dietro la posizione del papa per passiva
ubbidienza, ma per una crescente coscienza dei problemi legati alla
mondializzazione. Devo dire pero' che il Santo Padre e' stato il piu'
chiaro, il piu' deciso, il piu' coraggioso, il piu' onesto, il piu'
disinteressato nel promuovere la pace e nel voler allontanare lo
spettro della guerra. E ritrovarsi in sua compagnia e' stato
importante per dare una immagine di Chiesa finalmente unanime contro
la guerra.
D - I salesiani e le altre congregazioni educative come vivono questa situazione?
R
- I salesiani nel mondo per motivi diversi sono dentro contesti di
violenza e di morte. Noi operiamo in una varieta' di contesti e
stando con la gente sperimentiamo le conseguenze del monopolio
informativo che minimizza l'esistenza di altri conflitti ed esalta
l'eco delle guerre direttamente americane. Ma la gente combatte e
muore in tantissime regione della terra. I salesiani cercano di stare
vicini ai confratelli che vivono in quelle situazioni di lotta, di
sopravvivenza a volte difficilissima e, credo, che si senta la
questione con forte sensibilita' da parte dei salesiani. Tanto piu'
che la nostra agenzia interna, l'ANS, documenta puntualmente queste
situazioni di sofferenza. Ma devo anche dire che non esiste una
maniera monolitica dei salesiani di valutare queste situazioni.
D
- Puo' essere compatibile essere buoni religiosi/e con l'essere per
la pace ma non sempre contro la guerra?
R - In via di principio
direi di no. I valori del vangelo che i religiosi e le religiose
professano pubblicamente hanno come fondamento, significato e
traguardo, l'amore agli altri come Gesu' ci ha amati a vivere e
privilegiare. Diventa quindi incompatibile professare una cosa e al
contempo approvare la contraria. La guerra e' sempre un'aberrazione,
che attenta contro l'umanita', non soltanto per la perdita della vita
di innumerevoli persone, ma perche' ritarda lo sviluppo e la
democrazia, rende disumani quanti la fanno e spoglia della dignita'
umana le tante vittime che la subiscono. Penso che essere per la pace
ma non sempre contro la guerra si puo' vedere come una tappa
intermedia del cammino di conversione all'amore cristiano che ha
nella nonviolenza una componente naturale. E' un cammino difficile ma
necessario se non vogliamo ritrovarci in altri e malaugurati
conflitti futuri a discutere se si tratti di una guerra giusta o
ingiusta, legittima oppure illegale. La guerra e' una regressione
sempre. A volte dolorosa come quando ci si deve difendere da un
ingiusta aggressione. Ma anche in questo caso, almeno a livello
individuale, resta valido l'esempio di Gesu', vittima
dell'ingiustizia e mai uccisore. Si tratta di una dura lezione quella
di vincere il male con il bene.
D - In questo anno della
sua guida dei Salesiani si e' assistito a una maggiore attenzione
delle suore al movimento new global rispetto ai religiosi. Perche' il
passo piu' rapido delle religiose rispetto a una certa prudenza dei
religiosi?
R
- Non credo di avere elementi per esprimere una valutazione globale e
affermare che le suore siano coinvolte maggiormente dei religiosi nel
movimento new global. Posso dire che le suore Figlie di Maria
Ausiliatrice hanno intrapreso con decisione questo percorso in forma
esplicita. Ma allo stesso tempo mi pare fondato e giusto riconoscere
che sono moltissimi i religiosi, anche salesiani, contro l'attuale
modello di globalizzazione. Sono tantissimi i religiosi che lavorano
- anche se non sempre si manifestano pubblicamente - per la creazione
di un mondo alternativo, piu' vivibile per tutti attraverso
l'educazione e la promozione di esperienze di comunione e
condivisione.
D - Lei pensa che bisogna diffidare
del movimento new global oppure che sia un nuovo contesto che
facilita l'evangelizzazione e la proposta educativa cristianamente
ispirata?
R - Non e' giusto battezzare un movimento che non e' stato originato solo da motivi religiosi. Quelli che vi si riconoscono e vi operano piu' o meno attivamente provengono da correnti molto diverse che vanno dagli ecologisti, pacifisti, femministe, gruppi di volontariato sociale, partiti politici di sinistra o centro sinistra, religiosi, fino agli anarchici. Direi dunque che non e' cosi' scontato che si tratti di un contesto che per se stesso facilita l'evangelizzazione. Si pensi a quanti non sono schierati con questo movimento o addirittura lo contestano e avversano, e a quanti vi operano o si schierano per motivi per nulla religiosi. Credo che si tratti, anzitutto, di cogliere il valore culturale alternativo del movimento e sottolinearne le grandi possibilita' nell'ambito della solidarieta' e della politica al servizio delle persone. Altro e' dire che sia in se stesso facilitatore di evangelizzazione. Cio' che mi sento di riconoscere e affermare e' che ci sono valori che circolano nel movimento new global che sono in sintonia con il Vangelo e che devono essere tradotti in programmi educativi. Sul piano educativo e sul piano della missione, mi sembra saggio far leva molto su questi valori anziche' su altri aspetti.
D
- Lei guida da un anno un'importante congregazione educativa. E' piu'
facile o difficile educare oggi i giovani e perche' lo e'?
R
- Quelli che lavorano direttamente nel campo della educazione,
soprattutto quella formale, riconoscono che oggi l'educazione e'
diventata piu' difficile. Si e' modificato radicalmente il contesto
in cui si svolgeva l'educazione. Siamo passati da un modello
fortemente unitario, monolitico, ad un altro chiaramente frammentato,
cominciando dalle famiglie, che dovrebbero continuare ad essere i
primi e i principali luoghi di educazione. Ci troviamo difatti con un
uomo e una donna che sono culturalmente diversi, piu' abili per certe
cose e piu' incapaci per altri, piu' sensibili verso certi valori e
piu' restii verso altri. Si sono moltiplicate le agenzie educative,
fra le quali la piu' incisiva e' il mondo dell'internet. Al tempo
stesso, da salesiano, posso affermare che i bisogni piu' vitali e
sentiti dei giovani sono gli stessi: il desiderio di felicita', il
sentirsi accolti, ascoltati, apprezzati, il trovare adulti che come
punti di riferimento significativi, li accompagnino e li incoraggino
nel loro sforzo di crescita umana e cristiana.
(Pubblicata in ASCA 17.03.04)