1983_ViganoE_lettera_mortuaria_di_Ziggiotti


1983_ViganoE_lettera_mortuaria_di_Ziggiotti



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DIREZIONE GENERALE
OPERE DON BOSCO
D. RENATO ZIGGIOTTI

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Solennità del Sacro Cuore,
Roma, 10 giugno 1983
Cari confratelli,
Iddio ci ha donato un modello per seguire Gesù
Cristo e uno stimolo per crescere nello spirito sale­
siano attraverso la testimonianza di vita del nostro
indimenticabile
Don RENATO ZIGGIOTTI
quinto successore di Don Bosco e primo Rettor M ag­
giore emerito della Congregazione.
Il suo nome «Renato», mentre ricorda l'originalità
radicale della «rinascita» nello Spirito (cf Rom 6,3-9;
Giov 3,1-8), definisce la sua personalità di «uomo di
Dio» tessuta di interiorità, di gioia e di laboriosità
alla scuola del Santo dei giovani.
Il volto del Signore si è andato delineando e per­
fezionando nella sua esistenza dal Battesimo (otto­
bre 1892) fino alla sua santa morte, avvenuta nella
nostra casa di Albarè di Costermano (Verona) il 19
aprile 1983: oltre 90 anni di perseverante crescita cri-
^r’ stiana!

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I funerali, pur nel cordoglio del lutto, si sono ce­
lebrati in un clima di gaudio spirituale, di ricono­
scenza, di ammirazione, di speranza. Don Renato,
venerabile patriarca, appariva a tutti come profeta
di giovinezza: testimone della vitalità della rinascita
battesimale ed entusiasta apostolo dei giovani: non è
frequente che la bara di un anziano defunto inviti
così nitidamente a prediligere e ad evangelizzare la
gioventù!
N egli anni del tramonto
Don Ziggiotti viveva ad Albarè dal 1971: più di 12
anni. Un periodo lungo come il suo rettorato, e vis­
suto a quota 80 d'età. È stato uno scorcio di tempo
d'accelerazione spirituale. I maestri di spirito inse­
gnano che il movimento di maturazione della vita
assume una più intensa velocità interiore quanto più
si avvicina a Dio centro di attrazione, come la pietra
lanciata dall'alto che, secondo la legge di gravità,
accelera la sua velocità di caduta quanto più si av­
vicina alla terra.
I vari confratelli e le Figlie di Maria Ausiliatrice
della casa, prima noviziato e poi centro di spiritualità
giovanile, ne danno commovente testimonianza. Una
sua espressione scappatagli spontaneamente par­
lando alle suore nelle ultime settimane è quanto mai
significativa: «Vivo nella gioia; mi sento inebriato di
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gioia!»; e all'ispettore negli ultimi giorni: «Non posso
pretendere nulla dal Signore: nulla, nulla! (e addi­
tando il Crocifisso:) Tutto da Lui! tutto da Lui!». «Sì,
offrire e pregare; pregare e offrire...».
Era la sua una preghiera continua: il breviario, il
rosario, le pratiche della comunità; tutta la giornata
in dialogo con il Signore. Arrivava anche a dodici o
quindici rosari interi in un giorno. Era caratteristico
trovarlo in preghiera in cappella e nella camera o
nelle brevi passeggiatine, il bastone a sostegno in
una mano e il rosario nell'altra, dava l'immagine
dell'uomo raccolto in Dio. Persino la progressiva ar­
teriosclerosi funzionava in lui come una « purificazio­
ne delle memorie» che contribuiva a concentrare e a
far risaltare ancora meglio il movente interiore di tut­
ta la sua personalità.
Pregava per tutti: per la Chiesa, per il Papa, per
la Congregazione e la Famiglia Salesiana, per i
Superiori, per i giovani, per gli amici e familiari.
La penultima sera un confratello che l'assisteva gli
disse: «Don Renato, quando sarà in paradiso preghi
per me». Rispose: «Perché solo per te? Per tutti, per
tutti! ».
Celebrava l'Eucaristia con trasporto interiore.
Fino al mese di settembre del 1979 presiedeva la
messa quotidiana nella Cappella delle Figlie di M a­
ria Ausiliatrice della casa; poi, esonerato a causa
delle difficoltà del tragitto e delle scale, era felice di
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poter partecipare alla concelebrazione della comu­
nità e ringraziava per questo.
Frequentava regolarmente e con umile fervore il
sacramento della riconciliazione. Il suo confessore di
Albarè ricorda che per i primi due anni si presentava
con un bigliettino in mano, finché lo convinse che
non ce n'era bisogno. Su di esso portava scritto il re­
soconto dell'esame di coscienza preparato dopo la
recita di. un rosario intero «perché — diceva — la
Madonna mi deve guidare e non voglio fare niente
che sia contro il volere di Gesù». Dopo ogni confes­
sione voleva ad ogni costo che il confessore gli per­
mettesse di baciargli la mano: «È la mano di chi mi
dà il perdono, ed è il mio modo per dirti grazie. Ma ti
ringrazìerò anche dicendo oggi un rosario per te, per
la bontà che mi hai usato».
Quando si era saputo del suo trasferimento all'al-
lora noviziato (fino al 1974) di Albarè, i confratelli si
erano dati premura per preparare una cameretta
con servizi. Arrivava il primo Rettor M aggiore eme­
rito della Congregazione, la comunità ne aveva pro­
fonda e riconoscente coscienza, e s'apprestava a
trattarlo con affetto e deferenza, come una specie di
tesoro. Tesoro, -lo è stato davvero; ma in quella ca­
mera lui ci rimase solo due giorni; il direttore dovette
accedere all'insistente richiesta: «Senti, i confratelli
non hanno una stanza così; e allora danne anche a
me una come la loro». E si fece il trasloco delle po­
chissime cose che aveva portate con sé dal Colle dei
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Becchi. Volle essere autosufficiente nella sua vita e
fin quasi agli ultimi giorni non permise neppure che
qualcuno gli facesse il letto.
Non si lamentava mai di niente. Era felice di es­
sere salesiano e manifestava questa sua contentezza
in un atteggiamento palpabile di soddisfazione per
trovarsi nella comunità, partecipando e condividen­
do affetti, progetti e problemi; voleva essere un con­
fratello in mezzo agli altri e come gli altri, partecipe
in tutto della vita di comunità, non come osservanza
di penitenza ma con vivissimo spirito di famiglia:
come figlio, come fratello, come padre e anche, di­
ciamo pure, come nonno!
Amico di tutti, facile alla comunicazione, porta­
tore di allegria condita di «battute scherzose», ve­
ramente rasserenante. I confratelli della casa si sen­
tivano privilegiati dalla sua presenza. Eppure biso­
gna anche pensare che a quell'età, con gli inevitabili
acciacchi, non suole essere tanto facile, senza una
robusta spiritualità, vivere da portatori di comunione,
di entusiasmo, di speranza, di senso di gratitudine, di
spontanea allegria, di dimenticanza di sé, di interes­
se nei progetti comuni, di simpatico senso di condi­
visione.
Nutriva intimamente la convinzione che le funzio­
ni disimpegnate e tutto ciò che aveva fatto era dono
di Dio, che bisognava riferirlo a Lui, e che conveniva
coprire tutto con il sorriso dell'umiltà e col silenzio.
Non gli piaceva che si parlasse con lui degli anni del
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suo rettorato, e se qualcuno lo faceva deviava il di­
scorso esclamando: «Povero me, quale conto dovrò
rendere a Dio!».
Quando invece parlava di Don Bosco (il suo Pa­
dre, il suo Fondatore, la sua Guida, il suo Modello,
Colui che aveva dato un significato così bello a tutta
la sua esistenza), egli — che aveva momenti meno
felici nel ricordo del passato — ritrovava particolare
lucidità e si esprimeva con vivacità, chiarezza e con
l'entusiasmo dell'ideale più amato nella vita. L'ul­
timo periodo del suo tramonto ad Albarè è stato una
vera grazia del Signore; lo visse come un patriarca
biblico, sazio di anni e di vicende umane, ricco di in­
teriorità e di pace, testimone della bellezza della vo­
cazione salesiana, maturo per il cielo.
U n a vita tutta salesiana
L'esistenza e la vocazione salesiana di Don Zig-
giotti quasi si coestendono. Lui stesso soleva dire che
quando suo babbo, dopo la prima elementare al
paese, lo affidò, alla tenera età di 7 anni, ai Salesiani
del collegio Manfredini di Este, provvidenzialmente
aveva fatto coirìcidere il suo «essere salesiano con il
suo primo uso di ragione».
Era nato il 9 ottobre 1892 a Bevodoro, frazione del
comune di Campodoro (provincia di Padova e dio­
cesi di Vicenza), ottavo degli undici figli di Eustachio
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e di Luigia Castegnaro. Nella casa salesiana maturò
la sua vocazione e alle soglie della licenza ginnasia­
le decise, con il consiglio anche di Don Antonio
Coiazzi che stava preparandosi al sacerdozio nella
vicina casa di Mogliano Veneto, di chiedere l'ammis­
sione al noviziato. I suoi cristiani genitori furono lieti
di questa sua scelta: «C he Renato faccia — dissero
— come lo ispira il Signore!».
Fece il noviziato a Foglizzo canavese sotto la di­
rezione del maestro Don Giovanni Zolin. Il 15 settem­
bre 1909 emise i voti nelle mani del beato Michele
Rua, primo successore di Don Bosco. Frequentò il li­
ceo e gli studi filosofici a Torino-Valsalice, dove era
insegnante assai apprezzato il servo di Dio Don Vin­
cenzo Cimatti: «Il Salesiano che mi ricorda più al
vivo Don Bosco», diceva più tardi; lo aveva preso a
modello pratico della sua vita. In uno di quei tre anni
ebbe l'opportunità di assistere una notte Don Rua
ammalato. Lo vedeva soffrire in silenzio; gli chiese
sommessamente: «Soffre molto, signor Don Rua?».
«Eh, sì» rispose il buon padre, sereno. E allora con
giovanile semplicità e spontaneo buon cuore gli sus­
surrò: «H a sofferto molto anche nostro Signore in
croce! ». E Don Rua, sorridendo, « Bravo, Ziggiotti! ».
Dovette interrompere temporaneamente gli anni
di Valsalice per incarichi di supplenza a Varazze e
Bologna; inoltre soleva avere impegni apostolici al­
l'oratorio di Valdocco ai bei tempi di Don Pavia e del
«commendator» Garbellone.
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Fece, poi, lodevolmente il tirocinio a Verona dal
1912 al 1915, lasciando grato ricordo di sé, del suo
dinamismo, della sua capacità e qualità di lavoro
salesiano.
Lo scoppio della prima guerra mondiale (per l'I­
talia, 1915-1918) apre nella sua vita una parentesi
militare che arricchì, anche se tra pericoli, la sua
maturazione spirituale. Chiamato alle armi nel giu­
gno del 1915 tu iscritto al Corpo di Artiglieria di cam­
pagna di Verona. Dopo tre mesi fu promosso sotto-
tenente e fece l'istruttore di reclute fino all'agosto del
1916, quando venne sorteggiato come bombardiere e
inviato sul Carso col grado di tenente.
È interessante notare che in quell'anno, proprio
dalle trincee del Carso, scrisse al Rettor Maggiore
Don Albera offrendosi per le Missioni se fosse so­
pravvissuto alla guerra. Una simile domanda la rin­
noverà più tardi dopo il congedo, tanto da essere as­
segnato nel 1921 tra i partenti per l'Equatore; nel
1923 tra i partenti per il Kimberley (Australia); e nel
1924 tra quelli che dovevano fondare, con il caris­
simo Don Cimatti, la presenza salesiana nel Giap­
pone. Ogni volta, però, sopravvenne qualche ragio­
ne che impedì Ja sua partenza.
Sul Carso prese parte a varie azioni belliche, fin­
ché il 1° gennaio 1917 rimase ferito e, mal ridotto,
venne ricoverato nell'ospedale di Bologna, dove ap­
profittò per dedicarsi con ardore agli studi ecclesia­

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stici. Ritornato nelle trincee di Gorizia e, più tardi, sul
Piave, fu attivo combattente fino all'armistizio del 4
novembre 1918. Meritò la medaglia d'argento al va­
lor militare.
Nell'aprile del 1919 veniva congedato col grado
di capitano e si dedicò con intensità a completare gli
studi ecclesiastici e a prepararsi al sacerdozio. Fu
ordinato sacerdote l'8 dicembre del 1920. L'anno se­
guente conseguì la laurea in lettere all'università di
Padova e i Superiori lo inviarono ad Este come con­
sigliere scolastico fino al 1924.
Alla bella età di 32 anni fu nominato primo Diret­
tore di Pordenone, dove i Salesiani subentrarono e
svilupparono un'opera già preesistente. Nei sei anni
di direzione Don Ziggiotti realizzò la costruzione del
corpo centrale del collegio portando l'istituto a gran­
de floridezza.
Nel 1931 il servo di Dio Don Filippo Rinaldi lo
chiamava a guidare l'Ispettoria Centrale, che gli sta­
va particolarmente a cuore per i progetti e gli impe­
gni missionari della Congregazione.
Nel 1935 il Rettor Maggiore Don Pietro Ricaldone
pensò a lui per dirigere la grande Ispettoria della Si­
cilia. Vi rimase come Ispettore soltanto due anni per­
ché fu chiamato al Consiglio Superiore per sostituire
il benemerito Don Bartolomeo Fascie, in qualità di
Consigliere Scolastico Generale. I Capitoli Generali
15° e 16° lo riconfermarono in tale carica fino al 1950.
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Durante questo periodo, intristito dai gravi lutti e
problemi causati dalla seconda guerra mondiale
(1939-1945), merita di essere ricordata la tortezza
d'animo e la coraggiosa abnegazione da lui dimo­
strata durante i bombardamenti di Torino dal 1942
alla fine del conflitto. Una notte del dicembre 1942
(da valoroso capitano in congedo e quasi ricordan­
do il coraggio già collaudato sul Carso e sul Piave),
entrò nella sala della vecchia biblioteca in fiamme
riuscendo ad aprire una finestra e a salvare, con i
volumi, anche le pericolanti camerette di Don Bosco.
Cooperò pure a salvare la SEI, il «Buon Pastore», il
« Rifugio », un piano adibito a deposito di mobili della
casa di Via Cigna confinante con l'Oratorio bloc­
cando il fuoco al primo piano.
Alla sua intensa opera di Consigliere Scolastico
Generale è legato in notevole parte lo sviluppo e
l'impulso dell'incipiente Ateneo Salesiano, elevato
più tardi a Università Pontificia.
Alla morte di Don Pietro Berruti, il Rettor M aggio­
re lo designò Prefetto (Vicario) Generale il 24 mag­
gio 1950.
Appena due anni più tardi, nel Capitolo Gene­
rale 17°, il 1° agosto 1952 fu eletto Rettor Maggiore
della Congregazione, divenendo così il 5° successore
di Don Bosco,
Il suo rettorato durò poco più di 12 anni, dal 1952
al 1965; nel Capitolo Generale 19° chiese, con umiltà
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e sommissione, ma con fermo proposito e per ogget­
tive ragioni di salute, l'esonero dalle responsabilità
supreme della Congregazione.
La familiare semplicità che accompagnò il gesto
e i conseguenti atteggiamenti, diciamo così, di rien­
tro a una modalità di convivenza meno notata e cu­
rata, testimoniarono il suo profondo, anzi direi spon­
taneo e desiderato, gusto di umile fraternità, di co­
munione sincera, di collaborazione senz'altro ope­
rosa, ma piuttosto nascosta e quasi anonima.
Dopo il periodo di rettorato passò, nel 1965, a
reggere il Tempio del Colle Don Bosco, felice di offri­
re ancora le sue forze per la devozione all'amato Pa­
dre e Fondatore, la cui vita e opere sapeva illustrare
inimitabilmente davanti ai tanti pellegrini, prove­
nienti da ogni parte del mondo.
Dopo un sessennio di generosa prestazione, ri­
conoscendo che le forze fisiche non reggevano alle
fatiche esigite dall'incarico (aveva ormai 79 anni!),
optò per un luogo di pace e di preghiera. Arrivò,
così, ad Albarè, località tranquilla sulle colline ve­
ronesi a ridosso del lago di Garda, presso il noviziato
salesiano, in clima di placido tramonto nella pre­
ghiera e nella formazione di nuove generazioni sa­
lesiane.
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Quinto successore di Don Bosco
Non è possibile, qui, dare una visione completa
del periodo di rettorato di Don Renato Ziggiotti e
meno ancora pretendere di tracciarne un giudizio
globale. Non è questa la finalità di una lettera che
vuol presentare la testimonianza spirituale e aposto­
lica della sua personalità di salesiano.
Nella prima sua Buonanotte come Rettor M aggio­
re manifestò i sentimenti che aveva in cuore e gli
orizzonti mariani della sua speranza: «...Pensate che
cos'è essere successore di Don Bosco: quale trepi­
dazione, quale gioia e quale timore nello stesso tem­
po ingombrano e opprimono il mio povero cuore! La
prima messa è naturale che la celebri qui (erano tutti
riuniti nella basilica di Maria Ausiliatrice) a questo
altare, sotto gli occhi di Colei che è la Regina della
nostra Famiglia, che è l'Ausiliatrice potente di cia­
scuna e di tutte le nostre imprese, perché Essa sia la
vera guida, la Rettrice di questa grande Famiglia,
perché Essa e il nostro caro Padre ispirino me, i Su­
periori presenti, i Capitolari che si diffonderanno in
tutto il mondo, a portare dappertutto... la parola di
Don Bosco, il desiderio di Don Bosco, lo spirito di Don
Bosco, ché nessun'altra cosa deve starci maggior­
mente a cuore di questa. La Madonna ce l'ottenga! ».
Don Ziggiotti era un credente solido e dinamico
nel modo classico della praticità e semplicità sale-
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siane. Con questi sentimenti nel cuore assunse le re­
sponsabilità e si lanciò all'opera.
Durante il suo rettorato la Congregazione rag­
giunse la punta più alta della sua crescita numerica.
I confratelli da 16.900 superarono i 22.000; le
Ispettorie da 52 passarono a 73; le case da 1.093 rag­
giunsero circa le 1.400. Si edificò il grandioso tempio
in onore di Don Bosco a Roma e il suo santuario sul
Colle dei Becchi. Ottenne di portare a Roma l'allora
Pontificio Ateneo Salesiano, dando incremento al
vasto complesso di edifici dell'attuale sede della no­
stra Università. Voleva che il nostro più importante
Centro di studi fosse — come soleva dire — «faro di
luce per tutta la Congregazione... Don Bosco non ha
fatto la teoria. Toccherà a voi il farla, studiandolo
umilmente, cautamente, con passione di figli... È
bene che rendiate conto in solido di tutti gli insegna-
menti; controllatevi e consultatevi a vicenda; il vostro
insegnamento sia cattolico e salesiano!».
L'ultimo Capitolo Generale da lui preparato, il
19°, si potè svolgere appunto nella nuova sede (an­
cora non ufficialmente inaugurata) del PAS.
Partecipò alle prime tre sessioni del Concilio Ecu­
menico Vaticano II accompagnato da una corona
numerosa di Vescovi salesiani e dal Cardinale Raùl
Silva H.
Ma soprattutto volle visitare tutte le Ispettorie e
tutte le case della Congregazione (e quasi tutte
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quelle delle Figlie di Maria Ausiliatrice) e parlare,
anche se brevemente, con ognuno dei confratelli, ad
eccezione di pochi settori soprattutto nell'Europa di
oltre cortina. Prese inoltre contatto con i vari gruppi
della Famiglia Salesiana. Queste visite avrebbero
inciso certamente sulla sua salute, ma le volle realiz­
zare con coraggio e sacrificio, sorretto da un'intui­
zione di fede che gli faceva percepire l'urgenza di
una tessitura di unità nell'esplosione dei tempi nuovi.
Aveva già preso avvio quel capovolgimento cul­
turale ed ecclesiale in cui siamo ancora coinvolti
oggi: la guerra aveva favorito tante separazioni, cre­
sceva la coscienza dei valori locali, perdeva terreno
l'uniformità per dare spazio alla comunione nella
pluriformità, si sentiva già nell'aria la necessità di
una identità e unità decentrata nella vita della Chie­
sa e degli Istituti religiosi. Come si doveva governare,
in simili congiunture, una Congregazione mondiale?
Come dare al ministero dell'autorità un concreto
senso di animazione? Ecco: Don Ziggiotti ha creduto
indispensabile, insieme all'azione cosidetta di gover­
no, di incidere sui cuori, di rendere possibile il con­
tatto diretto, i vincoli della conoscenza personale e
dell'affetto.
Un compito quasi impossibile per il Superiore ge­
nerale di una Congregazione tanto grande. E lui l'ha
realizzato in più di 7 anni di spossanti viaggi.
Non è facile determinare gli effetti di uno sforzo
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tanto vasto per la vita della nostra Famiglia. Cer­
tamente, però, l'attuale positiva caratteristica sale­
siana di comunione, di fraternità mondiale, di co­
scienza d'appartenenza, di unità e di identità deve
più di qualcosa a questa singolare sollecitudine di
Don Renato Ziggiotti. Una affettuosa testimonianza
ce lo fa intravedere.
Alla distanza di tanti anni l'attuale Ispettore della
Gran Bretagna, Don Cyril Kennedy, scrivendo a lui
per il 90° genetliaco, interpreta così i sentimenti di
tanti salesiani: «Più di 30 anni fa lei ci ha visitato, fu il
primo Rettor M aggiore a farlo così... La sua presenza
ci incantò e in molti di noi ne rimane un ricordo fre­
sco fresco. Lei non conosceva che poche parole della
nostra lingua (però, sapeva cantare il nostro inno
nazionale!); questo non sembrava affatto un ostaco­
lo: con il suo sorriso, il modo paterno di fare, l'ottimi­
smo ci comunicava i suoi sentimenti a meraviglia.
Noi non avevamo mai visto fino allora i nostri giovani
corrispondere con tanto entusiasmo ad altri superio­
ri, soprattutto se venuti dall'estero.
C'era qualcosa tra lei e loro, una vera immedia­
tezza d'interscambio che non aveva bisogno di pa­
role: lei dimostrava di amarli come Don Bosco e loro
lo capivano con gioioso intuito.
Amato Don Ziggiotti, non erano solo i ragazzi che
si aprivano a lei con gioia: i Salesiani della mia g e ­
nerazione, oggi un po' invecchiati ma allora ancor
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giovani, godevano ancor più dei ragazzi la grazia
della sua visita tra noi.
Grazie, grazie, carissimo Padre, per tutto il bene
che ci ha fatto e per tutto quello che lei ha sofferto
per la Congregazione viaggiando, lavorando, inco­
raggiando. Noi oggi, mentre lei arriva al traguardo
dei 90 anni, ci congratuliamo con lei, preghiamo per
lei e le diciamo che la amiamo nella carità di Cristo
più di quanto le parole ci permettono di esprimerle ».
Dunque, un viaggiare da tessitore di unità che ha
lasciato scolpito nei cuori un vitale affetto di comu­
nione.
Possiamo anche affermare che dalla sofferta
esperienza di questa immane fatica è nata una nuo­
va struttura di servizio di animazione nella Congre­
gazione: quella dei Consiglieri Regionali, stabiliti
appunto al termine del suo rettorato nel Capitolo
Generale 19° del 1965. Essi, i Regionali, sanno in
modo particolare e possono testimoniare oggi, più di
altri, quanto vale e quanto costa quest'aspetto del­
l'indispensabile ministero di unità affidato al Rettor
Maggiore con il suo Consiglio.
Don Ziggiotti promosse ovunque, come testimo­
niano gli Atti del Consiglio Superiore, la pastorale
delle vocazioni, l'importanza della formazione delle
nuove generazioni salesiane, l'evangelizzazione del­
la gioventù, il senso della Chiesa e la fedeltà indi­
scussa al Fondatore.
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Si preoccupò di tutta la Famiglia Salesiana. Lo
sanno molto bene le Figlie di Maria Ausiliatrice; lo
sanno i Cooperatori, gli Exallievi, le VDB e gli altri
gruppi. A quanti convegni e congressi ha parteci­
pato nelle varie parti del mondo (Roma, Buenos Ai­
res, Lourdes, Barcellona, ecc.)!
Le VDB, in particolare, ricordano che il rilancio
della loro Associazione fino a maturare e ad affer­
marsi come Istituto Secolare ha la sua data d'inizio, il
6 gennaio 1956, sotto il rettorato di Don Ziggiotti at­
traverso l'azione del consigliere generale Don Luigi
Ricceri coi suoi stretti collaboratori.
Insistette nell'esortare alla comunione e alla col­
laborazione pratica fra tutti i gruppi.
Nell'ottobre del 1962, ormai in clima di Concilio,
durante un convegno di Delegati ispettoriali dei
Cooperatori d'Italia, sottolineò l'importanza di rilan­
ciare il coinvolgimento dei laici: «Il vostro lavoro è
importantissimo. Perché sia fruttuoso vi dico: lavora­
te! e lavorate uniti! Curate l'intesa tra voi e con le al­
tre nostre attività: la nostra è e deve essere una Fa­
miglia, in cui tutte le forze lavorano unite... Si lavora
molto, ma la preoccupazione dei Superiori è che
queste attività collaborino armoniosamente per im­
mettere nella società un fermento cristiano che coo­
peri a preservarla dal neopaganesimo».
Il gesto di richiesta di esonero con cui Don Zig­
giotti concluse il suo rettorato è un fatto significativo
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della sua personalità, del suo amore alla Congre­
gazione e del suo intuito dei tempi. Era un gesto ine­
dito, unico nel suo genere. Io ero presente in quel
Capitolo e ricordo l'impressione enorme che lo ac­
compagnò. Qualcuno gli aveva prospettato i danni
della rottura di una «tradizione» come un pericolo;
ma rimase fermo. Fu, il suo, un gesto ammirevole per
la densità di virtù, per la visione di prudenza e per il
sincero amore alla Congregazione.
Il giorno dopo l'elezione del suo successore, un
confratello, Don Giovanni Raineri, passeggiava solo
con Don Ziggiotti nella hall dell'Ateneo. Arrivò un
fattorino delle Poste e Telegrafi; portava un tele­
gramma che il portiere diede subito a Don Ziggiotti.
Cercò gli occhiali per leggerlo e, non trovandoli, dis­
se al confratello: «Leggim elo tu». Il testo era piutto­
sto lungo e proveniva dall'onorevole Aldo Moro (al­
lora Presidente del Consiglio nel governo italiano);
gli esprimeva i suoi sensi di ammirazione per l'esem­
pio dato con visione di futuro. Naturalmente nel te­
legramma c'erano anche apprezzamenti assai lusin­
ghieri per la sua persona. Don Ziggiotti sorrise e
commentò: «£ una esagerazione e tu non dir niente a
nessuno! ». -
Il gesto era stato percepito in Congregazione e
fuori come espressione di una personalità umile, co­
raggiosa, realista, aperta alla ventata d'aria fresca
del Concilio, fedele a Don Bosco e sinceramente
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3.1 Page 21

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preoccupata di far crescere la sua Opera nei tempi
nuovi.
Dopo l'elezione di Don Luigi Ricceri, suo succes­
sore, egli stesso disse con convinzione: «Ho pregato
perché tutto andasse come è andato... la continuità è
così assicurata e la Congregazione fiorirà».
Alcuni tratti del suo volto spirituale
Credo utile, cari confratelli, sottolineare per tutti
noi, anche se brevemente, alcuni aspetti più carat­
teristici della fisionomia salesiana di Don Renato
Ziggiotti. Ne scelgo cinque che credo caratterizzanti.
1. Seguire Gesù Cristo
Gli anni del tramonto, con la loro «purificazione
delle memorie», hanno fatto risaltare in forma com­
movente qual'era il segreto interiore del suo cuore:
essere discepolo di Cristo e in Lui vivere di Dio!
In questo aspetto si è vista una chiara accelera­
zione d'intensità che era andata crescendo lungo
tutta la sua vita.
Chiesi a Don Giovanni Furlanetto, suo fedele se­
gretario per oltre 35 anni, alcune impressioni e rifles­
sioni sul compianto Don Renato e leggo nella sua ri­
sposta, come aspetto primo e importante: «A d un oc­
chio superficiale Don Ziggiotti dava piuttosto 1idea
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di un uomo dinamico per le sue molteplici attività
esteriori. Questo è vero: ma il movente di tutto era la
sua vita interiore vissuta intensamente. Egli viveva di
Dio, che considerava il centro di ogni sua attività e il
termine ultimo di ogni manifestazione esterna. Si nu­
triva di Dio fin dalle prime ore del mattino seguendo
un orario preciso e metodico. Si alzava alle quattro e
pregava intensamente. Le sue principali intenzioni
erano la Chiesa, la Famiglia Salesiana nei suoi mol­
teplici rami: pregava per i confratelli e le Figlie di
Maria Ausiliatrice, per l'innumero stuolo di Allievi,
Allieve, Cooperatori, Exallievi, familiari e amici. Poi
leggeva e meditava servendosi di libri ascetici, di
formazione salesiana e di biografie edificanti».
Si sentiva profondamente sacerdote di Cristo e,
oltre all'abbondante ministero della parola e alla di­
rezione dei cuori, cercava e si prestava volentieri per
l'amministrazione dei sacramenti, principalmente di
quello della riconciliazione. Si teneva aggiornato in
ogni disposizione della Chiesa e faceva dell'Eucari-
stia il vero e quotidiano centro motore di tutta la sua
esistenza.
2. Stare con Don Bosco
Guardava al Fondatore con entusiasmo e filiale
affetto: convinto che Don Bosco, datogli come il più
bel regalo del Signore, era per lui il modello e l'ispi­
ratore della sua concreta sequela del Cristo.
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3.3 Page 23

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Mons. Rosalio Castillo L., tanto benemerito del
nuovo Codice di Diritto Canonico, scrivendomi per le
condoglianze si esprime così: «L a vita di uomini
come Don Ziggiotti rappresenta un vero tesoro per la
Congregazione. Mostra infatti originali elementi e
tratti delle fattezze pluriformi della Congregazione,
sempre giovane e attraente. Penso soprattutto a ciò
che costituisce, a mio umile parere, l'elemento spic­
cante della personalità di Don Ziggiotti: il suo amore
a Don Bosco, sconfinato, energico, radicale, che era
diventato midollo delle sue ossa. Amore che non si
discuteva mai e che era criterio di discernimento e
spinta vigorosa nelle gravi decisioni. E ciò non solo
quando, come Rettor Maggiore, vi si sentiva obbli­
gato da un vincolo costituzionale, ma anche da gio­
vane salesiano, da chierico, soldato, consigliere.
Sono vite donate totalmente a Don Bosco e alla Con­
gregazione, senza riserve, senza condizioni, senza
pretese, nell'assoluta generosità del dono e nella
gioiosa consapevolezza della propria vocazione».
È una testimonianza che io ho sentito un po' da
parecchi confratelli, come un plebiscito di stima.
Senza contare lo spazio di tempo anteriore al no­
viziato (dai 7 ai 16 anni) anch'esso, d'altra parte, se­
gnato — come abbiamo visto — dall'impronta sale­
siana di Don Bosco, la sua esistenza si snoda in una
sequenza di ben più di 73 anni di professione; 41 di
prodigo e logorante servizio al timone di una casa, di
una Ispettoria o di tutta la Congregazione; 28 quale
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membro del Consiglio Superiore; e oltre 12 come Ret-
tor Maggiore.
Don Renato Ziggiotti volle davvero «stare con
Don Bosco» durante tutta una lunga vita ed ha in­
carnato e animato con costante fedeltà il suo proget­
to di santità e di apostolato.
3. Testimoniare bontà, dono di sé, gioia
Tutti lo ricordano come un uomo dal cuore buono;
un superiore deciso, che era stato capitano, ma dal
cuore assai comprensivo. Aveva un linguaggio da
amico e un sorriso sincero, sicché lasciava sempre
una gradita impressione e un animo contento. Mo­
strava con invariabile spontaneità un volto aperto e
allegro; ha saputo incarnare la nota distintiva della
paternità salesiana.
Un novizio del 1930, ad Este, Don Francesco Tas­
sello, lo ricorda come direttore di Pordenone invitato
a predicare un ritiro spirituale nel mese d'agosto;
appariva ai novizi una persona brillante e di alto va­
lore, attraente e ottimista, che parlava con simpatico
calore umano e con tanto amore del Signore. «E
quello che ci rimase scolpito — scrive Don Tassello
— fu la definizione che diede del Salesiano e che
piacque molto — come lo stesso Don Ziggiotti affer­
mava — a Don Rinaldi la prima volta che la udì: Un
Salesiano come lo facciamo? Faccia allegra e cuore
in mano, ecco fatto il Salesiano! Piacque tanto anche
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a noi novizi che da allora non l'abbiamo più dimen­
ticata. E Don Ziggiotti incarnò questa sua definizio­
ne: non basta la faccia allegra, ma ci vuole sempre il
cuore in mano».
Quanti altri confratelli potrebbero raccontare
piccoli o grandi aneddoti per confermare questa im­
pattante caratteristica di Don Ziggiotti. La bontà e
l'allegria sono state racchiuse da Don Bosco nello
stesso nome che portiamo di « Salesiani » ; fanno parte
della nostra indole propria, del nostro contegno tra i
giovani, della nostra metodologia apostolica, del no­
stro modo di vivere e di evangelizzare.
L'illimitata donazione di sé, poi, è il frutto princi­
pale e pratico di quella carità pastorale che sgorga
dallo spirito del «d a mihi animas». Sì: sul volto sor­
ridente e altruista di Don Ziggiotti si sarebbe potuto
imprimere il motto scelto dal Padre come sintesi del­
l'identità salesiana: «d a mihi animas, coetera folle».
4. Vivere di lavoro e temperanza
Le sue giornate trascorrevano con stile spartano;
lo stesso servizio militare aveva arrecato un suo ap­
porto al vigore di una convinta disciplina ascetica.
La visse alla scuola di Don Bosco nel «terribile quo­
tidiano», senza pose da eroe anche se con eroicità di
virtù. Viveva nell'umiltà, nel dominio costante di sé,
nella povertà e, soprattutto, nel lavoro indefesso.
Abbiamo visto come, anche in avanzata età, non
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voleva che si accudisse alla sua camera, ma faceva
tutto da sé. Amava il sacrificio perché si sentiva
«ostia viva» da offrire quotidianamente a Dio. Non
solo dimostrava una capacità instancabile di servire
gli altri, non solo aveva coraggio per affrontare le
difficoltà e generosità nell'assumere le privazioni che
la vita comporta, ma ricercava anche con iniziative
libere di fare mortificazioni straordinarie per non de­
flettere nel suo amore apostolico e dare la maggior
autenticità possibile alle sue energie di azione e per­
ché i suoi sentimenti fossero esclusivamente per il
servizio del Signore.
Il nostro benemerito Salesiano Coadiutore, Sig.
Renato Celato, che visse molti anni al suo fianco, es­
sendo entrato in camera sua per un eccezionale ser­
vizio, vi trovò casualmente un cilicio intriso di sangue
che Don Ziggiotti usava quando era Rettor M aggio­
re, impegnato a guidare la Congregazione in situa­
zioni difficili.
Aveva preso sul serio quanto il famoso personag­
gio del sogno disse a Don Bosco: «Guarda: bisogna
che tu faccia stampare queste parole che saranno
come il vostro stemma, la vostra parola d'ordine, il
vostro distintiva. Notale bene: Il lavoro e la tempe­
ranza faranno fiorire la Congregazione Salesiana.
Queste parole le farai spiegare, le ripeterai, insiste­
rai. Farai stampare il manuale che spieghi e faccia
capir bene che il lavoro e la temperanza sono l'ere­
dità che lasci alla Congregazione, e nello stesso
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3.7 Page 27

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tempo ne saranno anche la gloria» (MB 12, 466-467).
Don Ziggiotti è certamente uno straordinario mo­
dello di questa esigente scuola spirituale del Fonda­
tore.
5. Compendiare tutto nella semplicità
Infine, vorrei ricordare un tratto che riveste un po'
tutti gli aspetti della vita di Don Ziggiotti; esso dà uno
stile peculiare alla sua preghiera, al suo lavoro, al
suo ministero d'autorità, alla sua bontà, alla sua al­
legria: quello stile che ha contrassegnato appunto lo
spirito di Don Bosco e dei suoi migliori figli.
Don Luigi Ricceri, successore di Don Ziggiotti e
oggi anch'egli Rettor M aggiore emerito, ne dà qua­
lificata testimonianza in uno scritto inviatomi.
« ...Lo stile di Don Ziggiotti, o meglio della sua ric­
chezza spirituale interpretata nella chiave autenti­
camente salesiana, me lo ha rivelato come l'uomo
della semplicità; una virtù assai rara ma propria di
anime veramente ricche al cospetto di Dio. Il conti­
nuo lungo contatto con Lui mi ha convinto quanto sia
vera l'affermazione di un insigne maestro di spiritua­
lità, il P. Faber: 'La semplicità — egli dice — non è
che la sincerità cristiana, e si traduce nella triplice
verità: con sé stessi, con gli altri e con Dio'. Ma subito
osserva: 'Ciascuna di queste tre verità è più rara che
il cigno nero d'Australia'.
25

3.8 Page 28

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Don Ziggiotti — a mio giudizio — ebbe e si im­
pegnò a vivere questa semplicità, che in fondo non è
che la vita evangelica interpretata, alla scuola di S.
Francesco di Sales e di Don Bosco, dai suoi grandi
predecessori quali il beato Don Rua, Don Rinaldi e
da altri grandi Padri della Congregazione — come
Don Cimatti — di cui fu devoto discepolo.
Questa semplicità traspare già all'evidenza nel
suo abituale atteggiamento di persona che, allergica
ad ogni posa, sembra non voglia prendersi sul serio;
di fronte al suo interlocutore non vuole farsi 'perso­
naggio'. Di qui quel suo bonario parlare, condito di
gioiosa amabilità, di ottimismo che diventa spesso
entusiasmo, mai però privo di quel discernimento
che, alieno da ogni artificio e sotterfugio, giudica
sempre uomini e cose dal punto di vista di Dio.
Ma questa semplicità, che si traduce nella difficile
verità con sé stessi, ha in Don Ziggiotti aspetti più
profondi: egli infatti non sopravaluta le sue personali
possibilità, ha il senso dei suoi limiti. Di questo senso
diede un saggio impressionante quando nel 1965 —
resistendo anche a pressanti insistenze — volle la­
sciare la responsabilità del governo della Congre­
gazione; sentiva che le sue energie, logorate dalla
lunghissima fatica di un servizio che non aveva co­
nosciuto soste e parentesi, non avrebbero retto agli
impegni che l'accelerata evoluzione dei tempi
avrebbe imposto alla Congregazione. E appunto per
quello che gli sembrava il bene della Congregazio­
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3.9 Page 29

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ne, e con senso di consapevole responsabilità, si fer­
mò decisamente.
A parte questo gesto tanto ammirato, così ricco di
significati, a mio parere, appunto per quel suo non
sopravalutare le proprie responsabilità, nella multi­
forme azione di governo promoveva sempre la inte­
grazione dei suoi collaboratori, la cui opera apprez­
zava sinceramente, traducendola in fiducia e in
ascolto.
Mi pare poi che la semplicità di Don Ziggiotti si
sia largamente espressa in quella sua disponibilità,
che qualificherei permanente, ad accettare ed af­
frontare con serenità, e senza mai creare e crearsi
complicazioni, qualsiasi incombenza o responsabili­
tà a cui dalla Provvidenza, attraverso gli uomini e gli
eventi, fosse chiamato, si trattasse del governo su­
premo della Congregazione, o addirittura dello
sgombero delle macerie provocate a Valdocco dai
bombardamenti bellici.
Penso però che, proprio nei rapporti con Dio, il
caro Don Ziggiotti espresse e visse al sommo la sem­
plicità di chi cammina fedelmente sulla scia di 'Don
Bosco con Dio'.
Anche in lui nulla di straordinario, almeno nelle
apparenze, ma quanta sostanziosa pietà, semplice
sì, ma nutriente e saporosa come il buon pane dal
profumo casalingo. Appariva evidente dal suo rac­
coglimento in ogni atto di preghiera, nei tanti incon­
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3.10 Page 30

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tri personali col Signore per parlargli cuore a cuore
dei mille problemi della Congregazione. E quanta
tenerezza liliale con la Vergine Ausiliatrice, la tene­
rezza confidente di Don Rinaldi, quella dei grandi
rosarianti della Congregazione: con quel rosario che
negli ultimi anni della sua esistenza fu lo strumento
amico dei suoi lunghi colloqui con la dolce Madre...
Le nuove generazioni salesiane, alle quali la
Provvidenza affida per il domani le sorti della Con­
gregazione nel mondo e nella Chiesa, possano co­
noscere — e ne abbiano a tal fine modi e strumenti
— figure di salesiani che, come Don Ziggiotti, sono
stati in semplicità salesiana costruttori e realizzatori
della missione di Don Bosco nel tempo e nello spa­
zio ».
U na vita per i giovani
Prima di concludere, vorrei riassumere questo
sommario profilo della personalità di Don Renato
Ziggiotti nel pensiero propostovi all'inizio di questa
mia lettera. Mi è apparso come un messaggio: l'e­
stremo suo appello nell'addio dei funerali a Verona.
Un successore di Don Bosco, ancor più se vissuto
fino a 90 anni, ci richiama il dono della predilezione
verso i giovani. La sua vita è stata spesa tutta per
loro, seguendo il grande esempio (che è un carisma!)
del Fondatore; Don Bosco aveva «promesso a Dio
28

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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che fin l'ultimo suo respiro sarebbe stato per i suoi
poveri giovani» (cf MB 18,258) e, di fatto, «non diede
passo, non pronunziò parola, non mise mano ad im­
presa che non avesse di mira la salvezza della gio­
ventù; realmente non ebbe a cuore altro che le ani­
m e» (D o n Rua, Lettera circolare, 24 agosto 1894).
Ebbene: durante la messa di esequie a Verona un
gruppo di ragazzi e giovani cantavano con vivacità e
affetto un espressivo inno a Don Bosco che, con
spontanea applicazione, potei riferire nell'omelia
alla persona del suo 5° successore: «Sii guida, Don
Renato, di giovani ancor, addita la strada che porta
a Gesù ». La sua vita ci ha fatto pensare a Gesù Cri­
sto e ai giovani: Gesù Cristo per i giovani; e i giovani
per Gesù Cristo!
È il grande messaggio della vocazione salesiana.
Fu bello celebrare la morte di un patriarca guardan­
do all'avvenire cristiano della gioventù in una pa­
radossale armonia di estremi: un lutto nella gioia; un
decesso nella rinascita; un sonno di pace negli im­
pegni della speranza; una pienezza d'anni nella pri­
mavera dell'età.
Quando, dopo la messa, il feretro portato proces-
sionalmente nei cortili veniva caricato sul furgone
per avviarsi al camposanto, sgorgò dai cuori, come
un'ispirazione, tra l'emozione dei presenti, l'inno
«G iù dai colli» cantato da tutti, con un significato
nuovo e coinvolgente, quale testimonianza di attua­
29

4.2 Page 32

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lità, di gratitudine per una vita e di proposito di vo­
cazione: «Don Bosco ritorna tra i giovani ancor, lo
chiaman frementi di gioia e d'amor»!
Era la conclusione suggestiva e commovente del­
la vita di un figlio di Don Bosco! La vita di Don Re­
nato Ziggiotti ci fa pensare alla gioventù e proclama
al mondo che Iddio Padre ama i giovani, che Cristo è
morto e risorto per i giovani, che lo Spirito del Signo­
re ha suscitato vocazioni nella storia della Chiesa
per dimostrare e comunicare ai giovani l'amore di
Dio, che la Vergine Maria è madre dei giovani, e che
il futuro della società umana si costruisce con una
gioventù dal cuore cristiano.
Cari confratelli, mentre offriamo suffragi per Don
Renato Ziggiotti, chiediamogli pure di intercedere
presso il Signore a favore del felice esito del nostro
prossimo Capitolo Generale, soprattutto per ottenere
che la Congregazione e la Famiglia Salesiana cre­
scano in tutti i continenti e nazioni nella conoscenza,
nell'amore e nella realizzazione aggiornata e fedele
della vocazione salesiana di Don Bosco.
Vi saluto cordialmente e vi invito a un rinnovato
impegno di santità nell'apostolato.
Vostro aff.mo nel Signore,
Don Egidio V iganò
Rettor Maggiore
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4.3 Page 33

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I
Dati per il necrologio:
>
Don RENATO ZIGGIOTTI
nato il 9.10.1892 a Campodoro (Padova)
morto il 19.4.1983 ad Albarè (Verona)
a 90 anni di età, 73 di professione e 62 di sacerdozio.
Fu per 6 anni Ispettore, per 14 Consigliere Scolastico Gene­
rale, per 2 Prefetto G enerale e per 12 Rettor Maggiore.
31

4.4 Page 34

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