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Raccoltadiscrittieinterventi
acuradiMarcoBay

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Juan Edmundo Vecchi
Salesiani educatori-pastori
per progettare insieme in comunità
Raccolta di scritti e interventi
a cura di Marco Bay
ROMA, 2020

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Roma, 2020 pro manuscripto
–––––––––––––
Elaborazione elettronica: in proprio con word editor

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INTRODUZIONE
Questa pubblicazione segue il volume Educatori appassionati, esperti e consacrati per
i giovani1 (2013) che contiene le lettere circolari inviate da don Juan E. Vecchi, Rettor mag-
giore della Congregazione salesiana, VIII successore di don Bosco, ai salesiani dal 1996 al
2002.
I contenuti di questo testo costituiscono una raccolta di 73 documenti scelti tra inter-
venti, articoli, contributi in volumi, relazioni, conferenze, audio-registrazioni, ecc. che don
Juan E. Vecchi ha prodotto dal 1978 al 2001 rivolti non solo ai soci, ma a molti altri desti-
natari. Egli è stato in questi anni a servizio della Società Salesiana di San Giovanni Bosco e
della Famiglia Salesiana svolgendo i ruoli di Consigliere generale per la Pastorale giovanile,
Vicario del Rettor maggiore don Egidio Viganò e Rettor maggiore.
Per le indicazioni biografiche su don Vecchi si rimandano i lettori all'Introduzione del
volume citato.
Le fonti sono state reperite nella Biblioteca «Don Bosco» dell'UPS, in quella dell'Au-
xilium e a suo tempo nell'Archivio Salesiano Centrale. Altre sono state fornite da don
Vincenzo Macchioda, già segretario di don Vecchi nel periodo del rettorato. Come viene
riportato in bibliografia si tratta di lettere ai salesiani del Consigliere generale per la Pastorale
giovanile e del Vicario del Rettor maggiore pubblicate sugli Atti del Consiglio Superiore
della Società Salesiana fino al n. 311 del 1984, sugli Atti del Consiglio Generale, relazioni
a convegni reperibili nei volumi contenenti gli atti, articoli sul periodico Note di Pastorale
Giovanile, documenti o sussidi promossi dal Dicastero per la Pastorale giovanile salesiana.
Sono stati trascurati gli articoli pubblicati in spagnolo sul periodico di Madrid Misión joven
e sul Bollettino Salesiano. Ci sono ancora centinaia di pagine da pubblicare tra omelie, di-
scorsi, buone notti, ecc. che potranno essere prese in considerazione in ulteriori lavori.
I testi sono presentati cronologicamente per dar modo ai lettori di cogliere lo sviluppo
del pensiero e della riflessione che evidentemente è il fondamento di molti temi sviluppati
nelle lettere circolari inviate ai salesiani tra il 1996 e il 2002.
L'intenzione di quest'opera compilativa è quella di continuare a facilitare l'accesso ai
testi a studenti e ricercatori che si occupano di studi salesiani e di cronaca e di storia della
Congregazione, mettendo a loro disposizione documenti di facile e immediata consultazione.
In tal modo si crede di agevolare la costruzione di una visione globale e particolare, soprat-
tutto progressiva dell'andamento di argomenti di attualità e di scelte operative effettuate dai
salesiani all'interno dell'azione educativo-pastorale. Inoltre, si ritiene che la raccolta sia un
supporto alla comprensione profonda della persona di don Vecchi e dei ruoli assunti ed eser-
citati in Congregazione dalla fine degli anni settanta. Infatti, la possibilità di leggere nell'in-
sieme la produzione di una persona di vasta cultura come si è rivelato in molte circostanze
don Vecchi può orientare i ricercatori ad individuare originalità, fondamenti, valori, priorità,
ripetizioni e talvolta nelle proposte la non comune lungimiranza.
Non è opportuno naturalmente presentare ora ogni contributo, ma si è cercato di rag-
gruppare i documenti secondo le seguenti tematiche molto ampie, in modo da consentire
un'eventuale lettura mirata in base ad affinità degli argomenti e interessi:
1 J.E. VECCHI, Educatori appassionati esperti e consacrati per i giovani. Lettere circolari ai Sale-
siani, a cura di Bay, M., Roma, LAS, 2013.
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1. Progetto educativo e collaborazione (testi: 1, 12, 16, 57)
2. Scuola e formazione professionale (testi: 2, 3, 6, 7, 58)
3. Parrocchia salesiana e catechesi (testi: 4, 11, 22, 41)
4. Pastorale vocazionale (testi: 5, 13, 21, 40, 61)
5. Pastorale giovanile (testi: 9, 10, 27, 32, 33, 38)
6. Giovani, emarginazione, disagio (testi: 15, 18, 20, 24, 48, 52)
7. Oratorio e centro giovanile (testi: 23, 25, 47, 55)
8. Comunità educativa (testi: 28, 44)
9. Animazione e ispettoria (testi: 17, 36, 69)
10. Missione e missioni (testi: 34, 37, 54)
11. Sistema preventivo e spiritualità (testi: 14, 46, 49, 60, 63, 68)
12. Famiglia salesiana e laici (testi: 19, 53, 70, 71)
13. Movimenti, associazioni e organismi (testi: 26, 30, 43, 45)
14. Testimonianza, riconciliazione e sofferenza (testi: 8, 59, 72, 73)
15. Annuncio e formazione permanente (testi: 29, 42, 64, 65, 66, 67)
16. Cultura e società, educazione e solidarietà (testi: 31, 35, 39, 50, 51, 56, 62)
Accanto ai titoli sono indicati tra parentesi i numeri dei testi che si trovano nella rac-
colta.
All'inizio di ogni testo inserito nella pubblicazione viene riportato il numero progres-
sivo, il titolo originale o uno da noi scelto opportunamente, il riferimento bibliografico indi-
cante la fonte, i titoli dei paragrafi che evidenziano i punti essenziali in cui è articolato, le
note che rispetto agli originali sono state riportate a piè di pagina per tutti i testi, talvolta
corrette o il più possibile ricostruite e in alcuni casi ampliate.
Sono ora presentati brevissimi spunti di contenuto che riassumono ciascuna tematica
rilevante ed emergente dai testi raggruppati.
1. Progetto educativo e collaborazione
L'elaborazione seria di un progetto educativo in un ambiente salesiano esige l'esplici-
tazione delle motivazioni e dei passaggi dalle programmazioni al progetto. Nel progetto c'è
la combinazione di vari elementi, in particolare il ruolo della comunità educativa che elabora
il progetto per fare una strada insieme. Inoltre occorre prestare attenzione alla condizione
giovanile, fare «memoria sociale», coltivare il senso «religioso» dell'esistenza e dell'educa-
zione. Conviene prestare attenzione alle scienze dell'educazione e ai fattori dinamizzanti: la
partecipazione, l'animazione e l'inserimento della Chiesa locale.
Il progetto educativo pastorale, poi, può diventare una «norma» per tutte le Ispettorie
che tracciano la natura del progetto, le aree o dimensioni del progetto e i punti di riferimento.
Tra SDB e FMA è auspicabile un cammino di collaborazione e di comunione verso la
missione "giubilare", che diventa un segno di comunione nella crescita di alcuni atteggia-
menti interiori, nella scelta di criteri operativi e nella realizzazione alcune proposte possibili,
in cammino verso il Giubileo.
2. Scuola e formazione professionale
La scuola come ambiente e via di evangelizzazione può offrire l'originalità (e non la
supplenza) di un servizio educativo che i salesiani offrono nella Chiesa. Possiede un carattere
specifico: una sintesi per essere una «vera scuola». Il riferimento a Cristo esplicito e condi-
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viso occorre farlo conoscere. La scuola salesiana osservata nei problemi attuali, ha un mo-
dello operativo, realizzato dalla comunità educativa, con livello professionale, originalità
culturale, animazione pastorale e cuore oratoriano.
D'altra parte i Centri di preparazione professionale salesiani, nel mondo del lavoro di
oggi sono sulla scia di un'evoluzione tra elementi costanti e linee di progresso. Anche in
questi ambienti si esige un riferimento alla spiritualità e alla collocazione pastorale. Poi, è
doverosa la riflessione sulla preparazione dei salesiani per il mondo del lavoro: ci vuole
coscienza e senso «pastorale», incarnazione culturale, qualificazione educativa e una buona
prassi di animazione comunitaria.
Nel contesto delle trasformazioni culturali attuali ci si domanda come una comunità
educativa pastorale di scuola o CFP può educare i giovani alla fede.
3. Parrocchia salesiana e catechesi
La parrocchia salesiana ha le sue caratteristiche e ha bisogno di indicazioni per la sua
attuazione. A tal proposito è conveniente un sguardo alla storia dagli inizi attraverso i Capi-
toli Generali fino ad oggi. La parrocchia è «salesiana» per la linea comunitaria che porta
avanti, l'esperienza ecclesiale che vive, la testimonianza della comunità religiosa, il rapporto
di comunione con la chiesa locale, il sostegno e lo sviluppo di gruppi e associazioni, la par-
tecipazione e il favorevole inserimento nel territorio, l'attenzione preferenziale e prioritaria
ai giovani. Ha un atteggiamento di fiducia e simpatia, ha una specializzazione «professio-
nale», possiede lo spazio dell'oratorio-centro giovanile e segue, sempre nell'ottica della co-
munità, un progetto educativo-pastorale. In esso porta avanti due sensi complementari: evan-
gelizzazione e promozione umana. Tra i tratti qualificanti del Progetto Educativo Pastorale
Salesiano non sono da trascurare: la valorizzazione della catechesi e la vita liturgico-sacra-
mentale, la dimensione mariana e la preoccupazione vocazionale. Alcune condizioni vanno
evidentemente prese in considerazione più che altre, come: l'ubicazione geografica e sociale,
le persone, il «numero» delle parrocchie, le strutture e i piani, le commissioni e le consulte.
L'opzione giovanile nella parrocchia salesiana è essenziale. Pertanto è fondamentale
curare come si presenta il campo giovanile della parrocchia, quali sono gli obiettivi della
pastorale giovanile parrocchiale, che risorse e linee di azione sono disponibili. Occorre infine
una comunità con vocazione giovanile, una comunità cristiana educatrice, un ambiente gio-
vanile di educazione ed evangelizzazione nel quale confluiscono gruppi e movimenti eccle-
siali, attenti alla pastorale di zona.
Anche l'impegno catechistico dei salesiani è peculiare. Attenzione viene data ai centri
catechistici, alla catechesi nell'animazione pastorale dell'ispettoria, a persone e beni materiali
e soprattutto allo zelo inventivo.
4. Pastorale vocazionale
L'impegno salesiano per le vocazioni ha un orientamento, una pedagogia e una pasto-
rale vocazionale. Ecco l'importanza di ambienti, itinerari, orientamento personalizzato che
induce ad affrontare aspetti programmatici e organizzativi.
La pastorale vocazionale salesiana va concepita come impegno sentito nella pastorale
giovanile al punto di suscitare il coinvolgimento delle comunità. Questa si perfeziona con la
preghiera e nell'attenzione a giovani sensibili. Promuove esperienze privilegiate, chiama,
comunica la proposta salesiana. Rispettivamente una Pastorale giovanile orientata "vocazio-
nalmente" assume criteri nuovi che danno origine a itinerari nei quali si stabilisce l'orienta-
mento vocazionale della vita, si propone un assaggio vocazionale, si opera la proposta vo-
cazionale e si giunge all'accompagnamento e al discernimento.
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Un confronto problematico e necessario avviene tra cultura e vocazioni. Infatti, si ap-
profondiscono la vocazione cristiana, tra novità e originalità, l'inculturazione della voca-
zione, la sua significatività. Inoltre si studia la cultura che genera tendenze, costanti e sfide
che interpellano i modelli vocazionali tradizionali.
5. Pastorale giovanile
Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana: sono fattori in evoluzione. Si
nota l'emergere della pastorale, l'allargamento del campo di azione, la percezione della nuova
domanda educativa, il cambiamento delle strutture di animazione, la riformulazione dei con-
tenuti, il decentramento e perciò la nuova preparazione del personale. Inoltre, di fronte alla
«complessità» si tentano nuove interazioni tra Evangelizzazione ed Educazione da trasporre
nella progettazione educativo-pastorale. Alle nuove domande si sperimentano alcune rispo-
ste.
Si procede verso una nuova tappa di Pastorale Giovanile Salesiana. La questione gio-
vanile cambia dagli anni '60 alla fine degli anni '70 e procede fino agli anni '90 con nuovi
bisogni e dinamiche. Le sfide attuali (del nuovo millennio) alla pastorale pongono la Chiesa
di fronte alla questione giovanile con l'esigenza di riflessione teologico-pastorale, di una
prassi rinnovata della Chiesa nei confronti dei giovani, verso una visione organica della pa-
storale giovanile, cioè i progetti. La Congregazione è in cammino per percepire la nuova
situazione dei giovani, in modo da riformulare i contenuti e le modalità educative: adegua-
mento delle iniziative, allargamento del campo di azione, e diversificazione degli interventi.
Occorre anche una proposta di qualificazione: il ridimensionamento delle strutture di ani-
mazione e governo, la gestione nel progetto educativo pastorale delle persone, la (ri)qualifi-
cazione dei programmi nelle opere… Sono importanti i rilievi sull'azione della Pastorale
giovanile in Congregazione. Per es.: il dislivello tra quantità di proposte e possibilità di at-
tuarle, l'emergenza di nuovi spazi educativi, lo sforzo di rinnovamento…
Sono, invece, da ritenersi prospettive: il ripartire da giovani-progetto-comunità; la con-
vergenza al punto focale di attenzione che coincide con la qualità dell'azione educativa pa-
storale; la consistenza della comunità salesiana locale; gli approfondimenti sui nodi dell'e-
sperienza della fede; e la realistica adeguatezza delle istituzioni.
Il periodico Note di Pastorale Giovanile si rivela una pastorale giovanile attenta ai pro-
cessi educativi, per la collocazione originale, l'ispirazione, il «sistema preventivo», la prassi
educativa, la nuova progettualità, il salto di qualità della pastorale, il «fondamento» teolo-
gico, la pastorale del soggetto, l'«educare alla fede» e l'«animare».
Anche nello sport si attiva la pastorale, tra spontaneità e maturazione secondo una pe-
dagogia del gioco.
6. Giovani, emarginazione, disagio
Camminare con i giovani verso il centenario della morte di don Bosco (1888), in co-
munità educative, con rinnovata vitalità e competenza è un impegno esigente. Non si può
dimenticare la promessa dei salesiani per i ragazzi e i giovani «a rischio». I salesiani e l'e-
marginazione giovanile in Europa continuano ad agire con destinatari che corrispondono ai
giovani «poveri» di don Bosco con il criterio educativo e l'intenzionalità pastorale: l'annun-
cio di Cristo. C'è una nuova realtà del disagio giovanile: un fenomeno in aumento, una lettura
adeguata della realtà, un contributo dei credenti.
Raccontare il vangelo della felicità ai giovani «lontani», stando dalla parte dei «lon-
tani», implica atteggiamenti fondamentali: essere «compagnia», andare «verso» i lontani,
invitare e accogliere, camminare insieme. Diventare segni e portatori di una «lieta notizia»
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scoprendo il dono «dentro» di sé, invitando «oltre» la vita: l'incontro con Cristo. Realizzare
poi gli spazi dell'annuncio: lo spazio «fuori dalle mura», gli inviti generali, gli ambienti di
accoglienza e i gruppi educativi rinnova l'esperienza iniziale di don Bosco.
7. Oratorio e centro giovanile
L'oratorio-centro giovanile, tra memoria e profezia, rimane il criterio permanente, la
"missione aperta" nel continente giovanile, l'"ambiente" specifico di riferimento e di irradia-
zione, in cui, attraverso un programma originale di espressione giovanile, di evangelizza-
zione, di animazione culturale, nelle giuste condizioni da assicurare, i salesiani propongono
profeticamente.
L'oratorio salesiano è luogo di nuova responsabilità e missionarietà giovanile, casa che
convoca in cui si realizza la salvezza dei giovani.
8. Comunità educativa
La comunità salesiana locale anima, la comunità educativa è soggetto ecclesiale. Essa
deve avere la sua consistenza (Direttore, Consiglio, vita della comunità, giorno della comu-
nità…).
Applicazioni e conseguenze per le Comunità Educative Pastorali Salesiane: la struttura
interna; l'originalità carismatica; il ruolo della comunità religiosa.
9. Animazione e ispettoria
L'animazione pastorale dell'Ispettoria salesiana ha bisogno di riferimenti. Il consiglio
ispettoriale assume l'animazione pastorale dell'ispettoria attraverso il servizio organizzato e
cura il suo funzionamento. Ci sono perciò il coordinatore-animatore per la Pastorale Giova-
nile, il gruppo o equipe di riflessione e di lavoro, le consulte. Si provvede pertanto alla for-
mazione costante degli operatori: quella iniziale, quella specializzata degli animatori e in
genere dei confratelli con attitudini e disposizioni, quella permanente. Si punta al coinvolgi-
mento delle comunità e dei confratelli. Si può arrivare anche all'animazione interispettoriale.
Anche la significatività della presenza salesiana va necessariamente osservata tramite
criteri di verifica, elementi di significatività e il cammino verso una maggiore significatività.
La comunicazione nella missione salesiana gioca un ruolo rilevante per le novità e la
mentalità.
10. Missione e missioni
Anche l'animazione missionaria si innesta in un progetto di pastorale giovanile. Di
fronte alla complessità ci si avvale del progetto che conduce al cammino di fede, all'anima-
zione missionaria, alla realizzazione di materiale pedagogico delle «missioni».
11. Sistema preventivo e spiritualità
Il sistema preventivo salesiano esperienza di spiritualità vede l'uomo e il cristiano; la
persona e il cittadino in vari contesti: oratorio, scuola, parrocchia, università, collegio….
Pertanto si possono chiarire l'esperienza spirituale della Famiglia salesiana, l'esperienza di
spiritualità nell'educazione e rimeditare l'educazione alla luce della Parola di Dio, guardare
al mistero di Cristo Redentore dell'Uomo, coniugando la ragione e la fede come capacità di
lettura e discernimento evangelico. Si tratta di sperimentare e vivere un itinerario di carità
che diventa prassi educativa da contemplare nell'azione educativa.
Le indicazioni per un cammino di spiritualità salesiana propongono la riflessione su:
l'iniziativa di Dio, la consacrazione apostolica, il Cristo che seguiamo e contempliamo, la
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carità pastorale, il «da mihi animas», lo «studia di farti amare», la pedagogia della bontà,
l'estasi dell'azione, la grazia di unità, l'«educare evangelizzando, evangelizzare educando» e
Maria, l'Immacolata Ausiliatrice, icona di spiritualità.
12. Famiglia salesiana e laici
Attenzione va posta ai gruppi della Famiglia salesiana rinnovati, che cercano attraverso
i cooperatori ed exallievi laici ben formati di consegnare il Concilio al giovani, attraverso la
propria missione, chiamati ad operare in vasti spazi e a testimoniare una vocazione salesiana
laicale per una santità «contagiosa».
13. Movimenti, associazioni e organismi
Le riflessioni dopo il «Confronto DB88» indicano il valore degli organismi di anima-
zione e intercomunicazione salesiani, la guida di don Bosco che ispira la Spiritualità Giova-
nile Salesiana, il crescere del Movimento Giovanile Salesiano, la valorizzazione dei luoghi
storici salesiani.
I salesiani e la relazione positiva con i movimenti ecclesiali evidenzia la presenza dei
movimenti negli ambienti educativi e pastorali salesiani e il coinvolgimento e l'appartenenza
dei confratelli ai movimenti ecclesiali.
Il ruolo dell'associazionismo laico salesiano e la dimensione sociale della carità impli-
cano una lettura della sfida degli anni 90 e dei nuovi scenari della dimensione sociale della
carità. Inoltre, è bene riconoscere una nuova stagione associativa «Christifideles laici» con
ciò che è il qualificativo di salesiano e le aree di impegno prioritarie.
14. Testimonianza, riconciliazione e sofferenza
Alcuni temi gravitano attorno alla testimonianza di coloro che soffrono, al rapporto con
la riconciliazione, ai luoghi (ospedali) o alle case che siano a misura del malato, al "saper
soffrire con". Don Vecchi sperimenta la sofferenza e la malattia e comunica emozioni e sen-
sibilità frutto di questa esperienza.
La figura di don Giuseppe Quadrio sacerdote salesiano è di esempio e di aiuto.
15. Annuncio e formazione permanente
Nella formazione permanente è inclusa l'anzianità, un'età da valorizzare, un fatto nuovo
per il quale occorre maturare una visione adeguata e condividere la condizione degli anziani
che vanno accompagnati nel prepararsi ad invecchiare bene.
L'educazione all'amore secondo l'insegnamento salesiano nel post concilio può essere
oggetto di riflessione per crescere progressivamente e maturare nella fede.
A questo tema si associano altri approfondimenti sulla linea della spiritualità come il
saper ripartire da Dio a conclusione del Giubileo, e con il messaggio dal Colle Don Bosco
ai giovani dell'MGS, l'augurio fiducioso di andare oltre gli interessi, la propria nazione, le
certezze… e fare proprio il testamento di Gesù, ripetuto da don Bosco: che siano uno perché
il mondo creda
16. Cultura e società, educazione e solidarietà
La dimensione sociale della carità nella mentalità e nella prassi pastorale dei salesiani
è una caratteristica che continuamente esige un confronto rinnovato con i tempi e con l'edu-
cazione. Inoltre va promossa la cultura della solidarietà che ormai è un'urgenza sentita e un
compito educativo e pastorale. Questa ha dimensioni pedagogiche che comportano una si-
nergia ampia, condividendo missione, spirito e progetti a servizio dei giovani.
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Anche la continua invocazione di educazione nella società attuale ha un peso determi-
nante nella qualità delle scelte salesiane come: ripartire dagli ultimi, far maturare i buoni
cristiani, investire su testimoni e mediatori della verità, monitorare l'educativo nella vita
pubblica, scommettere sulla verità della persona. L'educazione è anche via privilegiata per
l'annuncio evangelico, l'inculturazione e dialogo inter-religioso.
Il carisma salesiano si lega all'impegno culturale all'alba del 2000 caratterizzato dal
dare unità a cultura, persona ed esperienza di Dio.
***
I sedici nuclei tematici suggeriti possono essere seguiti da ulteriori approfondimenti. Si
spera che studenti, ricercatori curiosi, salesiani appassionati e interessati all’esplorazione di
questa particolare sorgente culturale salesiana che don J.E. Vecchi ci lascia in eredità pos-
sano produrre nuova conoscenza adatta ai tempi.
***
Marco Bay SDB
31 gennaio 2020
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ABBREVIAZIONI E SIGLE
Queste le principali sigle e abbreviazioni che ricorrono, specialmente nelle Note:
art.
can.
cap.:
cf.:
ibid.:
n.:
o.c.:
p./pp.
s.e.:
s.l.:
s/ss:
articolo/i
canone/i
capitolo/i
confronta (vedi)
ibidem
numero/i
opera citata
pagina/e
senza editrice
senza luogo
seguente/seguenti
ACI
ACLI
AGESCI
ANS
CCSS
CEC
CEI
CEP
CG
CGS
CI
CIOFS
CISI
CIVCSVA
CL
CNOS
EESS
FMA
FS
GEN
ISS
MCL
MGS
ONG
P.G.S.
PEP
PEPS
PESN
PG
PGS
RM
SDB
SGS
VDB
Azione Cattolica Italiana
Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani
Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani
Agenzia iNfo Salesiana, periodico plurisettimanale telematico,
organo di comunicazione della Congregazione Salesiana
Cooperatori Salesiani
Congregazione per l’Educazione Cattolica
Conferenza Episcopale Italiana
Comunità Educativa Pastorale
Capitolo Generale
Capitolo Generale Speciale
Capitolo Ispettoriale
Centro Italiano Opere Femminili Salesiane
Conferenza delle Ispettorie Salesiane d'Italia
Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica
Comunione e Liberazione
Centro Nazionale Opere Salesiane
Exallievi Salesiani
Figlie di Maria Ausiliatrice
Famiglia Salesiana
Generazione Nuova, espressione giovanile del Movimento dei Focolari
Istituto Storico Salesiano
Movimento Cristiano Lavoratori
Movimento Giovanile Salesiano
Organizzazioni Non Governative.
Polisportive Giovanili Salesiane
Progetto Educativo Pastorale
Progetto Educativo Pastorale Salesiano
Progetto Educativo Salesiano Nazionale.
Pastorale Giovanile
Pastorale Giovanile Salesiana
Rettor Maggiore
Salesiani di Don Bosco
Spiritualità Giovanile Salesiana
Volontarie di Don Bosco
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Documenti del magistero:
AG
Ad gentes
AN
Aetatis Novae
CA
Centesimus Annus
CDC
Codice di Diritto Canonico
ChL
Christifideles laici
CP
Communio et progressio
CT
Catechesi Tradendae
DV
Dei Verbum
EN
Evangelii Nuntiandi
ES
Ecclesiae Sanctae
ET
Evangelica Testificatio
FC
Familiaris Consortio
GE
Gravissimum Educationis
GS
Gaudium et Spes
IM
Incarnationis Mysterium
IP
Iuvenum Patris
LE
Laborem Exercens
LG
Lumen Gentium
MC
Marialis Cultus
MR
Mutuae Relationes
NMI
Novo Millenio Ineunte
OT
Optatam Totius
PC
Perfectae Caritatis
PDV
Pastores Dabo Vobis
PI
Potissimum Istitutioni
PO
Presbiterorum Ordinis
PP
Populorum Progressio
RD
Redemptionis Donum
RH
Redemptor Hominis
RM
Redemptoris Missio
RMa
Redemptoris Mater
RP
Reconciliatio et Paenitentia
SC
Sacrosanctum Concilium
SRS
Sollicitudo Rei Socialis
TMA
Tertio Millennio Adveniente
VC
Vita Consecrata
VS
Veritatis Splendor
Puebla
Puebla l'evangelizzazione nel presente e nel futuro dell'America Latina. Documenti
della terza conferenza generale dell'episcopato latinoamericano, Puebla de los An-
geles, 27 gennaio-13 febbraio 1979, E.M.I., Puebla.
SD
Santo Domingo, Conclusioni della IV Assemblea generale dell'Episcopato Latino-
mericano, 1992.
Documenti salesiani:
ACG
Atti del Consiglio Generale (dal 1984)
ACS
Atti del Consiglio Superiore (fino al 1984)
ASC
Archivio Salesiano Centrale
BS
Bollettino Salesiano (dal gennaio 1878 ss.); Bibliofilo cattolico o Bollettino sale-
siano mensuale (da agosto a dicembre del 1877)
CGS20
Atti del Capitolo Generale Speciale (1971)
CG21
Atti del Capitolo Generale 21 (1977-78)
CG22
Atti del Capitolo Generale 22 (1984)
- 12 -

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CG23
CG24
C o C SDB
C FMA
FSDB
MB
MO
OE
R
RVA
Atti del Capitolo Generale 23 (1985)
Atti del Capitolo Generale 24 (1996)
Costituzioni della Società di San Francesco di Sales
Costituzioni delle Figlie di Maria Ausiliatrice
Salesiani. La Formazione dei Salesiani di Don Bosco. Principi e norme. Ratio fun-
damentalis institutionis et studiorum, Roma, Editrice S.D.B., 1985.
Memorie Biografiche di Don (del Beato… di San) Giovanni Bosco, 19 vol. (=da 1
a 9: G. B. Lemoyne; 10: A. Amadei; da 11 a 19: E. Ceria) + 1 vol. di Indici (E.
Foglio)
G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales. Introduzione, note e
testo critico a cura di A. da Silva Ferreira, Roma, LAS, 1991.
Giovanni (s.) Bosco, Opere edite. Prima serie: Libri e opuscoli, 37 vol. (ristampa
anastatica). Roma, LAS, 1977-78.
Regolamenti generali della Società di San Francesco di Sales
Regolamento di vita apostolica
- 13 -

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1. PER ELABORARE SERIAMENTE UN PROGETTO EDUCATIVO
Vecchi, J.E., Per elaborare seriamente un progetto educativo in NPG 10 (1979), p. 3-17.
1. Dalle programmazioni al progetto. - 1.1 Perché «progetto»? - 1.2 Nel progetto c'è la combinazione di vari elementi. - 2. La
comunità educativa elabora il progetto. - 2.1 Chi elabora il progetto. - 2.2 Il progetto crea la comunità educativa. - 2.3 Fare
strada assieme. - 3. Linee di riflessione per elaborare il progetto. - 3.1 Attenzione alla condizione giovanile. - 3.2 La «memoria
sociale». - 3.3 Il senso «religioso» dell'esistenza e dell'educazione. - 3.4 Attenzione alle scienze dell'educazione. - 4. I fattori
dinamizzanti. - 4.1 La partecipazione. - 4.2 L'animazione. - 4.3 L'inserimento della Chiesa locale.
La mia esposizione è sulla linea della metodologia: non riguarderà però il metodo
dell'intervento particolare del singolo educatore su un aspetto particolare.
Sovente quando parliamo del Sistema Preventivo non oltrepassiamo la considerazione
individuale: ci è facile ripensare a un educatore che sa amare, essere vicino, comprendere.
Più difficile ci risulta cogliere e attuare ciò che significa la parola sistema, cioè, la conver-
genza e mutuo riferimento, la organicità di svariati elementi.
Io risponderò piuttosto a questa domanda: come attualizzare oggi la esperienza globale
del Sistema Preventivo? Quali sono le linee di lavoro che le comunità devono assumere
affinché nelle circostanze odierne di personale, di destinatari, di condizioni ambientali rie-
scano a continuare dinamicamente non un tratto, ma l'esperienza totale di Don Bosco?
1. Dalle programmazioni al progetto
1.1 Perché «progetto»?
La parola progetto sembra di moda. Anzi, per coloro che solo l'ascoltano intensamente
ripetuta e riferita ai più svariati aspetti dell'attività, può sembrare già logora. Forse questi
non si prendono la briga di pensare che una nuova situazione storica comporta il suo uso
frequente.
L'irruzione di una parola nell'uso comune è indice di un cambiamento storico tanto
quanto lo è la sostituzione di uno strumento di lavoro con un altro. Tra l'uso comune della
parola «carrozza» e quello della parola «macchina» c'è di mezzo la stessa evoluzione che c'è
tra i due oggetti che queste parole indicano.
Oggi si parla di «Progetto di vita», «Progetto di società», «Progetto religioso», «Pro-
getto educativo», «Progetto storico». La parola è saltata dall'ambito delle costruzioni mate-
riali al piano culturale. A tal punto che sembra si voglia esprimere l'esistenza umana in ter-
mini di progettualità e di progettazione. L'estensione del significato di una stessa parola a
diverse aree, è un fatto comune di linguaggio. Una parola esce dalla scienza in cui è stata
coniata per esprimere un fenomeno, e invade tutte le aree del pensiero e dell'attività, espri-
mendo la stessa struttura fondamentale di realtà diverse. Basti pensare alla parola «struttura»
applicata agli edifici, alla personalità, alla società, al linguaggio, al pensiero.
Progetto è una di queste parole. Non è stata diffusa dalla pubblicità, ma è nata dalla
nuova comprensione di se stesso che l'uomo ha raggiunto e dalla sua maniera tipica di vivere
la propria esistenza. Il suo uso frequente è naturale e inevitabile.
La parola progetto comporta un richiamo alla creatività, al reale e al futuro.
Difatti progetto, diversamente da quello che significano le parole «norma» o «regolamento»,
è un'operazione «creativa» dell'immaginazione sorretta dalla tecnica e dalla scienza, che
però non deriva con rigore deduttivo dalle conclusioni di queste.
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2.8 Page 18

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È un incontro libero con la realtà. Un progetto educativo non è un trattato sull'educa-
zione, né sugli educandi, né sugli educatori. Ma una maniera personale di combinare tutti
questi e altri elementi forniti dalla scienza e dalla osservazione personale, conforme a certe
scelte esistenziali, la cui radice è più profonda e globale che qualunque sviluppo particolare
di ricerca scientifica.
Però oltre che di creatività, progetto indica una azione sul «reale». Questo è il luogo
del progetto. In questo si differenzia da uno studio, da una ricerca. Quando facciamo un
progetto, i concetti e le spiegazioni hanno la funzione di aiutarci a destreggiarci con più
facilità, chiarezza, rapidità ed efficacia tra le persone, tra le cose, tra i fenomeni. La finalità
e la modalità del progetto e la maniera di verificarlo e agire.
Finalmente progetto fa riferimento a un «futuro»: un progetto è una «intenzione»; i suoi
risultati e la sua attuazione si collocano dopo il momento della progettazione. Ma questo
futuro ha una faccia: non è un futuro imprevedibile, ma un futuro calcolato; un futuro che si
costruisce calcolando trasformazioni effettuabili, partendo dalla realtà che noi abbiamo
avanti. Progettare è l'arte dell'anticipazione.
1.2 Nel progetto c'è la combinazione di vari elementi
All'uomo di oggi la parola progetto riferita alla sua vita o ad un tipo di attività a cui non
la si applicava prima, è comprensibile anche per altri motivi. Un progetto è la combinazione
di elementi vari. I moduli li danno le scienze; la convergenza e l'unificazione le opera l'uomo.
Ora la complessità della vita, la divisione del lavoro, la frammentazione dell'esperienza, la
fugacità delle relazioni, fa sì che egli senta il bisogno di ricostruire una certa totalità, racco-
gliendo i frammenti in un progetto unitario. Per noi è rifare la sintesi, l'unita educativa che
fu propria di Don Bosco.
Poi c'è il senso dei fini. In un progetto si sa a che cosa si tende. Lo sanno tutti: coloro che
sono nell'alta direzione e coloro che compiono un lavoro spicciolo e umile.
Si supera così il carattere puramente «funzionale» e «mercantile» della prestazione di
lavoro, tipica di colui che fa un pezzo senza sapere a che macchina andrà a finire, né a che
servirà la macchina a cui va il pezzo che sta lavorando.
Il progetto come «personalizzazione» del lavoro e come partecipazione attiva per defi-
nire e conseguire i fini è una forma di resistenza alla considerazione puramente commerciale
della prestazione. Progetto comporta visione della totalità, compresi i fini e le mete.
Nell'area educativa, alcuni anni fa eravamo convocati e sollecitati sovente a fare e ri-
vedere programmi scolastici, organizzazione di attività, calendari. Progetto era un termine
che appariva quando si trattava di una struttura edilizia: nessuno al sentire l'espressione «pro-
getto di scuola», «progetto di oratorio», si sarebbe riferito mentalmente ed immediatamente
ad altro che all'edificio.
Programmi, azioni, calendari, sono aspetti parziali e strumentali. Si dava per scontato
che tutto questo si integrava in un quadro di riferimento così evidente che non aveva bisogno
di essere enunciato. Tutto era indirizzato verso mete e finalità presumibilmente chiare e uni-
voche. Era abbastanza condiviso che cosa voleva dire «un buon cittadino» e per i credenti
«essere un buon cristiano».
Da alcuni anni si insiste sul fatto che ogni istituzione, che offre un servizio di educa-
zione, elabori il suo progetto educativo; si è richiesto di passare dalla logica della program-
mazione, alla logica del progetto, al cui compimento si ordinano le programmazioni.
Vi sono delle ragioni.
Un progetto educativo oggi distingue e qualifica un gruppo di educatori, in una società
che è caratterizzata dal pluralismo delle scelte, non soltanto settoriali o parziali ma globali
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2.9 Page 19

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sul senso dell'uomo e del mondo. Un progetto educativo obbliga a esplicitare obiettivi e
rende possibile la revisione non soltanto del «rendimento» dei giovani, ma anche dell'oppor-
tunità ed efficacia degli interventi educativi.
Un progetto educativo ha come funzione di far convergere i ruoli e gli interventi in
modo da evitare il settorialismo o la giustapposizione di quelle prestazioni professionali che
ignorano o che prescindono dai fini.
La prima linea metodologica è dunque quella di recuperare a livello del singolo e della
comunità l'unita dell'azione educativa esplicitando le finalità, gli obiettivi, le attività e gli
interventi.
2. La comunità educativa elabora il progetto
2.1 Chi elabora il progetto
A questo punto si mette la domanda: Chi fa il progetto? Uno specialista? L'autorità?
La risposta è: il progetto, per raggiungere i suoi fini, deve essere elaborato, assimilato
e applicato dalla comunità educativa.
Il discorso sulla comunità educativa non è di oggi. Dalla istituzione educativa, conce-
pita come proprietà di un gruppo dirigente, qualificato nella sua specialità, che fa un'offerta
di educazione, si è passato per gradi al criterio di partecipazione e di gestione comunitaria.
Il fenomeno ha percorso i seguenti passi: si è cominciato a parlare della collaborazione si-
stematica tra genitori ed educatori; poi si è sottolineata la necessità di partecipazione dei
giovani alla programmazione educativa.
Ciascuno di questi passi rappresenta oggi, per coloro che li hanno compiuti, un antecedente
favorevole: averli studiati e tentati ci ha portato ad ulteriori esigenze.
L'insistenza di oggi va sulla prospettiva personale, più che su quella strutturale; sulla
«formazione» della comunità educativa, più che sulla organizzazione per mezzo di uno sta-
tuto.
Si parla di animazione, di coscienza comune, di impegni vissuti per costruire un segno
dell'unità della Chiesa.
Dico insistenza, non esclusività. Infatti anche l'istituzionalizzazione è indispensabile
almeno in un certo grado. Se però al di sotto non esiste la realtà della comunione, finisce per
mettere le persone in rapporti di forza e stabilisce all'interno di una istituzione educativa lo
stile parlamentare.
I nuovi rapporti trovano espressione negli statuti, ma non provengono né sono creati da
essi. Ci si invita a superare la concezione imprenditoriale basata sull'offerta, lo studio della
domanda, i giudizi di gradimento, i clienti, le buone relazioni tra gli interessati al prodotto.
Ci si invita anche a superare la concezione parlamentare basata sulla partecipazione in dia-
lettica di forza, di «rappresentanza» di gruppi che sostengono interessi diversi.
La novità dei rapporti può concepirsi sulla linea di forza dell'assenza-presenza e passare
da rapporti scarsi a rapporti frequenti. Può concepirsi sulla linea della partecipazione-esclu-
sione e migliora ammettendo la partecipazione di gruppi e di persone che prima non parte-
cipavano. E tutto questo non è indifferente.
Ma la novità di rapporto può andare più in là della frequenza e dell'estensione e puntare
sulla qualità: vuol dire passare da un rapporto di lavoro, o anche professionale, ad un rap-
porto pastorale; cioè di membri di Chiesa che cercano la crescita nella fede. Anzi ad un
rapporto vocazionale. Cioè di senso e di scelta di vita, e di assunzione di una missione in
comune.
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2.10 Page 20

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2.2 Il progetto crea la comunità educativa
Un progetto crea comunità. Ma la presuppone anche, almeno come proposito e inten-
zione.
Il che ci dice che la sola redazione del progetto non sarà mai sufficiente nemmeno per
dare ampio respiro a sé stesso. La sua lettera suppone un insieme di persone più ricche di
umanità di quanto il progetto scritto riesca ad esprimere. Per questo la comunità educativa
si presenta in primo luogo come testimonianza di valori.
«La collaborazione responsabile, la partecipazione vissuta, dice il Documento sulla
Scuola Cattolica a proposito della comunità educativa, è di natura sua testimonianza che non
solo edifica il Cristo nella comunità, ma lo irradia diventando segno per tutti» (S.C. n. 61).
Da questo proviene il programma totale, non settoriale, di una comunità educativa, che si
esprime con la formula: lavorare insieme, pregare e celebrare insieme, condividere l'espe-
rienza umana e cristiana. È questa la traduzione odierna di uno dei principali elementi dell'e-
sperienza di Don Bosco: il clima è la realtà di una famiglia che educa.
E quali sono gli elementi che uniscono sempre più fortemente le comunità?
In primo luogo enuncerei la chiarezza dei fini e l'univocità dei fini. Se i fini non sono
definiti, si compromette fin dall'inizio la composizione umana della comunità e la sua linea
di progettazione e di progresso. Su altri elementi si può ammettere pluralità nella misura che
le circostanze di ciascun gruppo lo richieda... non sulla definizione dei fini. Questo capita
già a livello di qualunque gruppo di lavoro.
La domanda è: vale la spesa, c'è speranza di arrivare a qualche cosa in educazione se
non abbiamo certi valori comuni e non sentiamo la responsabilità e la gioia di approfondirli,
proporli e trasmetterli ed essere testimoni di questi valori?
C'è molta differenza tra l'insegnare e l'educare, tra l'educare simpliciter e l'«evangeliz-
zare educando». E anche se queste scelte sono alla portata e dentro le possibilità di un cri-
stiano, una comunità educativa non può non definire su che piano intende collocarsi.
Le finalità non risultano chiare immediatamente e d'un colpo. È necessario ritornare ad
esse per approfondirne il significato, le implicanze e le conseguenze nuove, chiarirle in ana-
lisi successive ed evidenziarle. Ritornare alle finalità e interrogarsi sul perché esistiamo
come comunità educativa è dunque riprendere contatto con la propria ragion d'essere. Questo
crea la coscienza comune.
2.3 Fare strada assieme
Inoltre la comunità si rafforza per i valori condivisi non solo a livello di enunciazione,
ma di esperienza.
Quali sono i valori che circolano in un gruppo di educatori, e qual è lo stile e il livello
di condivisione? Gli animatori dovranno farsi la domanda del come li propongono, come li
esplicitano, come li fanno approfondire e che occasione cercano per condividerli e crescere
assieme in essi.
Su due versanti si può essere in difetto: o il gruppo riesce ad esprimere valori capaci di
unire persone adulte; o mancano i canali e le opportunità di comunicazione ed espressione.
Sui valori circolanti, c'è posto per una tipologia delle comunità educative: ci sono gruppi che
non esprimono nessun valore, sebbene certe speranze e certi ritagli di valori siano attaccati
al nome, alla tradizione dell'istituzione, o anche molti degli educatori ne siano portatori. Il
programma comune non emerge. L'azione educativa appare ancora lottizzata in ruoli funzio-
nali e non comunicanti tra loro se non a livello di coesistenza non conflittuale. L'aspetto di
comunione di persone è sotto il peso dell'organizzazione dei ruoli.
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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Ci sono gruppi nei quali i valori che circolano si limitano alla competenza, alla disci-
plina, alla efficienza, alla prestazione cosciente di lavoro.
Sembra poesia o idealismo ipotizzare un gruppo che esprima insieme ai valori profes-
sionali, anche l'amore per i giovani e l'interesse per offrire loro l'ideale cristiano della vita,
l'apertura al mistero di Dio, la mutua solidarietà e condivisione a livello di senso di vita.
I vincoli vocazionali riconosciuti come una misteriosa destinazione a lavorare insieme
sono un'altra forza «unitiva» della Comunità.
La via è quella della comune opera di educazione cristiana.
Tra professione e vocazione ci sono differenze. La vocazione coinvolge il senso della
vita, la dedizione di tutte le forze, la logica della gratuità, non nel senso che le prestazioni
non siano retribuite monetariamente, ma nel senso che l'intenzione va al valore e alle persone
più che alla prestazione tecnica: il senso della «vocazione educativa» e il rilevare e coltivare
i vincoli che da essa provengono, può dare al gruppo la consistenza e il tono di una comunità
educativa.
Fare strada insieme. Non tutto può essere definito, né calcolato fin dall'inizio. Anche
se alcune intese di fondo sono indispensabili fin dall'inizio, non mancheranno sfide di ripen-
samento e opportunità di crescita.
L'affrontarli insieme non ha come finalità soltanto di risolverli con soddisfazione di
tutti, ma di mantenere salda e di far crescere la stessa comunità che è l'ambiente della edu-
cazione. Ma la strada che si fa assieme non è in qualunque direzione.
Nella reciproca comprensione si potranno più facilmente trovare i punti d'accordo e di con-
vergenza su quel progetto educativo a cui insieme ci ispiriamo.
Non dunque un regolamento di lavoro e nemmeno un annaspare, un fare e disfare le
convergenze senza direzione. Ma su finalità e criteri di base condivisi, affrontare insieme
programmazioni e revisioni, difficoltà e arresti, riprese e tempi di crescita. La tensione tra
una apparente lentezza di realizzazione e una maggiore partecipazione e crescita di tutti i
membri della comunità si deve risolvere a favore di questa.
3. Linee di riflessione per elaborare il progetto
Poniamo quest'altra domanda: che strada deve fare, dove e che cosa deve guardare la
comunità per fare un progetto?
3.1 Attenzione alla condizione giovanile
La prima linea di riflessione e di attenzione è la realtà giovanile come «condizione».
Questo non è un atteggiamento tattico per fare assimilare ciò che noi proponiamo, ma
un entrare in sintonia col mondo giovanile allo scopo di percepire le sue attese.
Si parla della «condizione giovanile» e non del singolo giovane. Si rileva così che la
conoscenza del singolo comporta e richiede la comprensione delle componenti, delle co-
stanti, dei dati emergenti, delle proposte implicite, delle gratificazioni sociali, delle paure
collettive, delle esigenze di gruppo e di ambiente dove questo singolo respira e della struttura
dove questo singolo deve portare avanti la sua inevitabile evoluzione.
La condizione giovanile è oggi tema di studio e discussione. Gli operatori di educazione
hanno un compito più difficile di coloro che descrivono soltanto questa situazione: trarre da
essa proposte e metodi per far percepire i valori.
Alcuni temono che ci sia nei pastori e negli educatori del giovanilismo: con questo
vocabolo intendono il considerare il Vangelo o i valori, solo o principalmente come risposta
alle attese dei giovani. Sia che questa considerazione la si riferisca alla sostanza del messag-
gio (il che sarebbe veramente grave), sia che la si pensi come una metodologia pedagogica,
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3.2 Page 22

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dicono, ha come effetto di far cadere il carattere assoluto e originale del Vangelo: il Vangelo
di fatto è quello che è; e interpella come è, qualunque siano le attese o le pretese di coloro a
cui è annunciato. Il Vangelo non solo risponde, ma chiama; non solo dà risposte, ma fa pro-
poste originali e impensabili.
La condizione giovanile richiede dunque non soltanto un rilevamento, ma una lettura
evangelica. La sua fenomenologia ci viene offerta dalla scienza. Però l'analisi non è ancora
la lettura e si sa che questa richiede una chiave che le è anteriore. La «lettura salvifica» non
può non avere che come chiave ermeneutica la fede e la storia della salvezza che ne è l'og-
getto.
All'analisi sufficientemente seria va aggiunto il contatto con i giovani. Se la salvezza è
personale, il punto decisivo di comprensione e di interpretazione sarà nell'incontro delle per-
sone nell'amore: a questo incontro servono di aiuto statistiche e scienze. La comunità edu-
cativa non solo legge sui giovani, ma convive e consente con essi, simpatizza ed ascolta.
Dunque: analisi lettura contatto vivo.
Conviene ricordare che con gli strumenti e metodi del suo tempo Don Bosco portò il suo
sguardo penetrante sulla psicologia individuale dei suoi ragazzi e sulla loro situazione di
vita.
Basta ricordare la tipologia casalinga inserita nel trattatello del Sistema Preventivo, il
discorso alle volte frammentario e occasionale sulla situazione dei piccoli emigranti e ap-
prendisti, le sue deduzioni pedagogiche riguardo alla gioia e ai divertimenti, all'emulazione
e all'ambiente.
C'è dunque una prima area a cui rivolgere lo sguardo e su cui fare delle domande quando si
elabora un progetto:
- Chi sono i giovani per cui e con cui vogliamo lavorare in senso educativo?
- Cosa aspettano, cosa pensano, come si riferiscono a quella qualità di vita che noi
denominiamo «umana» e «cristiana»?
- In che ambiente, in che società si trovano, in che processi sociali e culturali sono
coinvolti o forse travolti?
3.2 La «memoria sociale»
La seconda linea di riflessione è la «memoria», cioè la tradizione, il patrimonio di una
istituzione ecclesiale, educativa.
Noi ci inseriamo in una tradizione pedagogica la cui sorgente prossima è relativamente
vicina: Don Bosco e la sua esperienza. Non è possibile proporre oggi il progetto educativo
salesiano senza partire da Don Bosco e la sua esperienza tra i giovani. Non si può parlare di
Don Bosco educatore senza evidenziare quattro elementi forse irripetibili nella loro sintesi,
dai quali sgorga, come da una fonte, la sua sapienza pedagogica, e cioè:
- la sua capacità naturale di sintonizzare con i giovani; è stato detto che come alcuni
nascono poeti, artisti o ricercatori, Don Bosco è nato educatore;
- la vocazione sacerdotale che modellò il suo cuore sulla misura del cuore di Cristo, lo
mise in contatto con le espressioni più squisite della spiritualità cristiana e gli diede l'espe-
rienza dell'azione di Dio nel cuore dell'uomo;
- la sua lunga e felice convivenza con i giovani di ogni tipo e condizione: «sono stato
40 anni tra i giovani e posso dire che essi mai mi hanno negato quello che io ho chiesto
loro»;
- la sua riflessione per lo più occasionale ma continua e penetrante sul tema educativo.
Questa è la fonte. La pedagogia salesiana ha inizio non da una teoria, ma dalla storia di
un educatore sacerdote e santo. Don Bosco alla sua morte lasciò in eredità una sapienza e
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3.3 Page 23

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una prassi pedagogica. Il suo modo di comunicarla sono le massime brevi nelle quali si con-
densa l'esperienza, scritti confidenziali, biografie esemplari e alcune sintesi di linguaggio
semplice e di carattere pratico.
Ma oltre agli scritti, lasciò una comunità di educatori ai quali affidò la sua eredità pe-
dagogica.
La cultura, la scienza, la prassi sono processi accumulativi. Cosi lo è anche la pedagogia
che è l'arte dell'educazione. La «memoria» di un popolo, di un gruppo umano è il senso delle
proprie radici e della sua unità con la parte più valida di una esperienza precedente: ciò che
rimane e persiste perché è dovuto alla stessa identità dell'essere. Per cui non ci è possibile
assumere nemmeno il nostro presente se non prendiamo coscienza del come siamo arrivati
dove siamo.
Ci sono cento anni di esperienza accumulati sulla base di un contatto reale coi giovani
e di una inserzione in contesti vari: è il patrimonio pedagogico che configura l'identità di
questo gruppo di educatori-apostoli. È anche il suo apporto più tipico alla Chiesa e all'uma-
nità. Alcuni «testi» cercano di esplicitare ed esprimere il nucleo concettuale di questa espe-
rienza. Ma la sua ricchezza totale si percepisce attraverso la riflessione sulla storia dell'uomo,
Don Bosco, della comunità e dell'opera. Basti pensare che fatti di enorme risonanza e valore
pedagogico, come il fatto delle missioni durante la vita di Don Bosco, sovente non si trovano
inseriti in nessuno dei «testi» che intendono presentarci la pedagogia di Don Bosco.
3.3 Il senso «religioso» dell'esistenza e dell'educazione
La «memoria salesiana» offre alcuni elementi persistenti in una corrente dinamica: un
senso religioso della persona del giovane, del suo sviluppo e del suo destino temporale ed
eterno. È incompatibile dunque con qualunque scelta che parta da un apprezzamento agoni-
stico, laico o ateo. L'ideale di uomo a cui si ispira è quello configurato a Cristo, amato da
Dio, destinato a Lui.
Il «senso religioso» comporta che l'uomo si costruisca dalle risposte che partono dal
nucleo della sua libertà. È dunque da questa che va impostato tutto il processo di educazione.
Ed è questo che esige che il soggetto non sia funzionalizzato né ad un sistema, né ad un
progetto collettivo, né ad esigenze immediate di tipo disciplinare o istituzionale. Il «senso
religioso» ci fa vedere la persona in un piano e in una proposta di salvezza da parte di Dio
in Cristo. Nella risposta a questa proposta si gioca la sua libertà.
Il «senso religioso» ci parla ancora dei condizionamenti esterni ed interni della libertà
davanti alle scelte fondamentali di vita. L'educazione della libertà è anche educazione alla
libertà, cioè liberazione dal male. Tutto questo richiede le mediazioni educative. Non dunque
manipolazione, ma nemmeno abbandono alla pura spontaneità. C'è una azione specifica ac-
compagnante, sanante, illuminante e sostenente dell'educatore.
Il «senso religioso» illumina la comprensione del soggetto e del suo destino; per questo
il progetto educativo-pastorale illumina anche la funzione dell'educatore e la natura e fun-
zione dell'azione educativa. Come fare chiara al giovane la proposta di salvezza che viene
da Dio e come abilitare la sua libertà a rispondere con maturità in maniera che la sua persona
cresca fino alle dimensioni che la sua vocazione comporta?
Come farlo «progressivamente» e come farlo «concretamente», «intelligentemente»,
senza produrre scissioni nella realtà percepita? Come far vivere l'offerta di salvezza nel suo
quotidiano, fatto di gioia, famiglia, tensione verso la vita piena, scuola, esperienza di chiesa,
incontri, cultura, inserimento nella società?
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3.4 Page 24

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Attraverso una proposta integrale in cui tutte le sue aspirazioni sono valorizzate e illu-
minate dalla vocazione cristiana: le due dimensioni umanistica-cristiana fuse profondamente
negli interventi, nelle attività, nelle motivazioni.
La proposta si esprime in un ambiente concreto in cui l'elemento più determinante non
sono le cose, ma la comunità di persone e il loro stile di presenza e di rapporto.
L'incontro personale non soltanto tecnico o formale, ma pieno e libero nelle forme,
nelle espressioni, nelle tematiche e la partecipazione alla vita del giovane personalizza la
proposta educativa e la adegua al singolo.
Il richiamo alle forze interiori dell'amore, della libertà, della coscienza, della risposta
da darsi a Dio costituisce la forza più grande di costruzione della personalità.
3.4 Attenzione alle scienze dell'educazione
E veniamo alla quarta linea di riflessione: l'apporto delle scienze pastorali e dell'educa-
zione.
L'approccio scientifico alla realtà diventa ormai patrimonio di tutti e mezzo necessario
per una comprensione organica e completa. La conoscenza scientifica come possibilità di
operare è forse una delle caratteristiche che contraddistingue il momento che viviamo.
La fusione costante tra esperienza diretta, riflessione sapienziale e conoscenza scienti-
fica conforma «l'intelligenza d'amore» con cui vogliamo avvicinarci alla gioventù, e ri-
sponde all'atteggiamento «sintetico», «di unità» di Don Bosco, che non tralasciava nessun
mezzo o via per capire meglio il mondo dei giovani e arrivare a loro con efficacia.
Questa linea di riflessione comporterà di lavorare nella elaborazione del progetto in
maniera interdisciplinare, contando su apporti vari e informazioni sistematiche, sulle cui basi
interpretare meglio l'osservazione spontanea.
4. I fattori dinamizzanti
4.1 La partecipazione
Il risultato più pregevole di un tempo dedicato alla progettazione con la dimensione di
totalità, di futuro, di reale che questa comporta, non è un volumetto con formulazioni esatte,
ma la formazione di una comunità educativa con coscienza della propria missione, con chia-
rezza riguardo alle finalità delle proprie azioni e con convergenza operativa sulle scelte con-
crete. Ciò ci dice che nell'elaborazione del progetto dobbiamo lavorare con tempi lunghi.
Come si mantiene in tensione di crescita una comunità complessa per un tempo note-
vole, o come la si mette in movimento se fino adesso ha assolto il suo compito in maniera
abitudinaria?
La comunità è per principio composta da tutte le persone interessate al fatto educativo:
gli educatori, i genitori, i collaboratori, i giovani, ciascuno, con le sue esperienze di vita e la
sua visione dei problemi educativi; ma anche con i suoi impegni.
La prospettiva e le possibilità di partecipazione per tutti è dunque il primo fattore dina-
mizzante. Accettare la partecipazione vuol dire accettare la dialettica interna, gli apporti di-
versi, alle volte facilmente integrabili, alle volte in tensione che richiede pazienza e appro-
fondimento successivo non solo di contenuti ma di atteggiamenti e di rapporti.
Dico che è un elemento dinamizzante perché dà origine ad una interazione tra le per-
sone e sull'azione stessa, diversa da quella che ha luogo quando dall'inizio si prospetta il
movimento interno del gruppo in termini di partecipazione ridotta.
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3.5 Page 25

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4.2 L'animazione
La partecipazione di tutti richiede la presenza di un gruppo animatore al centro del
quale si trova la comunità degli educatori. Non si tratta di un vertice, ma di un centro pro-
pulsore.
Perché gli educatori? Forse perché sono i proprietari e si sono riservati i ruoli direttivi?
Le ragioni vengono da altre considerazioni. Il tipo di preparazione antecedente, la dedizione
totale all'opera educativa, il sostegno dell'istituzione, la possibilità di comunicazione con
l'esperienza educativa più vasta li abilita ad essere portatori della sensibilità essenziale per
un progetto che voglia essere veramente promozionale.
4.3 L'inserimento della Chiesa locale
Non penso però che in questi due punti - partecipazione e gruppo animatore - si esau-
riscano le risorse dinamiche di una comunità educativa.
Ce n'è un altro: l'inserimento nella Chiesa locale attraverso lo scambio e la collabora-
zione.
È questa una prima apertura ad una comunità più larga e a uno scambio e mutua inte-
grazione nell'area specifica della gioventù e dei suoi problemi.
È impensabile che a livello di Chiesa particolare non ci sia oggi - con i problemi che
presenta la gioventù e l'educazione - un dialogo e uno scambio educativo esplicito.
E non è concepibile che a questo dialogo non partecipino in maniera sistematica e con
programmi definiti coloro che alla Chiesa apportano un carisma che riguarda in modo parti-
colare il compito educativo.
Se il dialogo non fosse ancora aperto, il primo passo consisterebbe nell'impostarlo.
Alla dichiarazione del principio della funzione educatrice della Chiesa deve far seguito
la proposta di una linea concreta di educazione dell'uomo in un mondo in cui i progetti non
soltanto si diversificano ma si contrappongono; e alla proposta di una linea deve far seguito
l'attuazione attraverso comunità educative che la fanno reale e visibile: queste sono espres-
sioni di Chiesa e argomento della sua capacità di educare; hanno inoltre la possibilità di
comunicarsi la molteplice ricchezza di cui partecipano e appoggiarsi per il conseguimento
di mete e obiettivi.
Gli antecedenti delle Chiese locali in questo aspetto sono diversi secondo il rilievo che
hanno dato nel loro seno ai gruppi che si dedicano all'educazione della gioventù.
Per ogni comunità educativa lo scambio significherà sempre una maniera concreta di
essere Chiesa e di approfondire la propria funzione nell'organicità dell'azione con cui lo Spi-
rito propone all'umanità le sue mete definitive.
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3.6 Page 26

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2. L'ORIGINALITÀ DI UN SERVIZIO EDUCATIVO NELLA CHIESA
Vecchi, J.E., L'originalità di un servizio educativo nella Chiesa in NPG 8 (1978), p. 44-47.
1. Scuola come ambiente e via di evangelizzazione. - 2. Supplenza o originalità? - 3. Carattere specifico. - 4. Come fare la
sintesi. - 5. Essere una «vera scuola». - 6. Riferimento a Cristo esplicito e condiviso.
Commentare i problemi che travagliano oggi la scuola, richiederebbe ampio spazio.
Pertanto inquadrare subito il nostro per non estenderlo troppo oltre certi limiti sono dati dalle
circostanze in viviamo, cioè:
- in un tempo di attenzione a ciò che l'ultimo Capitolo Generale (CG 21) ha detto sulla
scuola;
- in un discorso fatto ad operatori persone cioè che pur non sottovalutare aspetti teorici,
vedono però questi loro applicazione concreta.
I limiti sono anche dati dalla metodologia scelta, che è la stessa del Capitolo Generale:
quella di prendere la strada della verifica, dell'illuminazione dei problemi e delle linee di
azione, non tanto di dare una presentazione «ideale» della scuola.
1. Scuola come ambiente e via di evangelizzazione
La Chiesa stessa che collega e annoda lo sforzo per sostenere le scuole cattoliche alla
sua missione evangelizzatrice. Dice infatti il documento sulla scuola cattolica: «La missione
della Chiesa è quella di evangelizzare, cioè di procurare a tutti il lieto annunzio di salvezza,
di generare nel battesimo nuove creature nel Cristo, e di educarle a vivere consapevolmente
da figli di Dio»2. «In ordine a questa sua missione, la Chiesa istituisce le proprie scuole,
perché riconosce in esse un mezzo privilegiato volto alla formazione integrale dell'uomo»3.
Certamente in una sana concezione della convivenza civile ispirata alla libertà regolata
e rispettosa del pluralismo delle scelte esistenziali, i cristiani possono appellarsi al proprio
diritto di scegliere e gestire scuole senza riferimento a particolari finalità fuori di quelle che
sono connaturali al «fatto scolastico».
La Chiesa per quanto riguarda le proprie scuole non nasconde che per lei la scuola è un
mezzo... che in Lei la libertà è già specificata da una scelta: annunciare il Vangelo. Questa
scelta non esclude altri aspetti, come l'affermazione di una libertà civile, la collaborazione
al progresso personale e comunitario, l'apporto alla diffusione della cultura, il contributo al
progresso scientifico. Tutto questo però viene integrato in una sintesi qualificata dalla scelta
fondamentale.
«La scuola cattolica, afferma ancora il Documento, aiutando gli alunni a realizzare la
sintesi tra fede e cultura attraverso l'insegnamento, muove da una concezione profonda del
sapere in quanto tale; essa non vuole distogliere l'insegnamento dall'obiettivo che gli è pro-
prio nell'educazione scolastica»4. Due cose vanno dunque sottolineate:
- il fatto di avere scuole è derivato e collegato con l'evangelizzazione;
- questo però non distoglie il fatto scolastico dalle sue finalità, ma inserisce queste in
un quadro più ampio e in motivazioni più profonde.
2 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica, Milano, Vita e pensiero, 1977,
n. 7.
3 Ibid., n. 8.
4 Ibid., n. 38.
- 24 -

3.7 Page 27

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Occorre sottolineare anche che tra i mezzi per l'evangelizzazione la scuola occupa una
importanza particolare.
2. Supplenza o originalità?
Qui sembra opportuno inserire una serie di riflessioni che tendono a chiarire che le
scuole della Chiesa non hanno carattere di supplenza semplicemente, anche se è vero che in
molti posti gli Ordini e le Congregazioni religiose sono arrivati prima dello Stato con le loro
istituzioni educative. Supplenza vuol dire che una istituzione presta un servizio in un'area
che non le è propria, sino a quando l'organismo a cui compete questo servizio per finalità e
per distribuzione di ruoli sociali, arriva lui stesso con i suoi mezzi e le sue iniziative. Nel
caso particolare della scuola, il pensiero laico si sviluppa così: la scuola è un'istituzione se-
colare per la trasmissione della cultura, i cui valori sono autonomi; la Chiesa propone la fede
e il Vangelo attraverso proprie istituzioni a carattere religioso: Parrocchie, Chiese, Gruppi.
La gestione delle scuole appartiene alla Società, come le appartengono gli altri servizi pub-
blici. A mano a mano che questa società va coprendo le sue responsabilità con efficienza, le
istituzioni che avevano assunto iniziative per supplire, si ritirano nell'area delle proprie fina-
lità specifiche.
È chiaro che la Chiesa non ha istituito le scuole per supplire, ma come un mezzo che è
dentro le proprie finalità e caratteristiche. Non come mezzo esterno alla sua missione, ma
come una via esigita dalla stessa evangelizzazione, giacché essa non è comprensibile
all'uomo se non incarnata nella sua cultura. L'autonomia della cultura non significa affatto
che non deve essere aperta al Vangelo e che non possa essere permeata e lievitata da esso.
3. Carattere specifico
Rileviamo in secondo luogo che la «scuola» come via di evangelizzazione ha il suo
carattere specifico. Ciò vuol dire che non può essere supplita da altre vie (Es. parrocchia,
oratorio, mezzi di comunicazione sociale). La sua finalità immediata le è propria, e la mo-
dalità di raggiungerla anche.
Questo non vuol dire che sia superiore o migliore, ma semplicemente che è specifica:
tale criterio entra in gioco quando si tratta di scegliere le diverse vie dell'evangelizzazione.
Il carattere specifico e distintivo della scuola come via di evangelizzazione è che essa
realizza una sintesi sistematica tra fede e cultura. La cultura viene trasmessa, elaborata e
assimilata in maniera sistematica e critica in una visione cristiana della realtà; la fede e il
Vangelo vengono inseriti e scoperti in un processo di sviluppo totale della persona e all'in-
terno di una cultura.
La sintesi tra Vangelo e Cultura viene completata in modo non esclusivo anche da
un'altra sintesi: quella tra fede e vita; da ottenersi attraverso un «clima», attraverso l'esempio
degli educatori, le proposte specifiche di vita cristiana, il contatto personale con i giovani.
Se è vero, come dice l'Evangelii Nuntiandi, che «la rottura tra Vangelo e Cultura è senza
dubbio il dramma della nostra epoca»5 e pur riconoscendo che la cultura oggi non si trasmette
né si elabora soltanto nella scuola, si deve però sottolineare che la modalità sistematica,
critica e progressiva con cui la scuola compie la sintesi culturale, offre delle opportunità
uniche per illuminare la realtà con la luce del Vangelo, e annunciarlo in una situazione vitale
singolare.
5 EN 20.
- 25 -

3.8 Page 28

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4. Come fare la sintesi
Che vuol dire fare la sintesi tra Vangelo e Cultura, tra Vangelo e Vita o, dicendolo in
una sola proposizione, tra fede, pensiero ed esistenza? Forse considerare le discipline scola-
stiche «come semplici ausiliarie della fede o come mezzi utilizzabili per fini apologetici»?6
Ampliare il programma con ore di religione? Avere a disposizione del tempo scolastico come
«occasione» per pratiche religiose alle quali attribuiamo un'efficacia di crescita nella fede
staccata nei contenuti da quanto si fa nella scuola? Forse tutto questo è utile se si rispetta
quello che indica la parola sintesi: unità armonica e dinamica.
Perché questa «sintesi» divenga reale e la dimensione religiosa non sia puramente giu-
stapposta alla dimensione culturale, ma sia interna ad essa, illuminatrice e lievitatrice di
essa... affinché la cultura sia il «luogo» umano della manifestazione del Vangelo, seguendo
il Documento sulla scuola cattolica devono realizzarsi alcune condizioni.
5. Essere una «vera scuola»
La prima è che la scuola cattolica sia scuola», cioè che ne «riproduca gli elementi ca-
ratterizzanti»... «Se non è scuola, non può essere "cattolica"»7. I tempi ci spingono ad una
scelta di qualità. Sempre il nostro influsso è basato sulla quanti giorno di più sulla qualità.
Essere scuola oggi comporta:
-un progetto educativo esplicitato. Sono troppi e troppo frequenti gli impatti della cul-
tura e delle ideologie. Non è possibile oggi procedere senza avere ben chiare le finalità che
ispirano la propria azione;
- una comunità globale agglutinata attorno al compito educativo nella quale venga su-
perata la concezione imprenditoriale; e in cui si ispirino a comunione e corresponsabilità
piena. Si insiste ogni giorno più che la soltanto un fatto tecnico di apprendimento affidato a
degli specialisti, ma un «fatto comunitario» in cui gli specialisti dell'insegnamento hanno un
loro ruolo e non indifferente né secondario, ma che non può eliminare l'importanza della
comunità;
- una crescita costante degli animatori di questa comunità nella competenza professio-
nale e nella capacità di animazione;
- una dinamica di adeguamento e di confronto, permanente e concreta, attuata l'analisi
dei fenomeni che ci circondano, gli incontri dei responsabili, le scelte coerenti.
Non voglio tralasciare, anche se sono cosciente della densità che hanno i suggerimenti
che ho condensato in pochissime parole, qualche tratto del progetto di «scuola» (di «scuola»
semplicemente, prima di definirla cattolica).
Tale progetto non può riguardare solo l'apprendimento di dati scientifici, «ma deve mi-
rare alla formazione integrale attraverso l'assimilazione sistematica e critica della Cultura».
L'assimilazione della cultura poi non può essere imposizione di condensati prefabbricati, ma
deve «avvenire» sotto forma di «elaborazione»8. Il giovane cioè deve fare con la sua intelli-
genza il processo di creazione che sta alla base della cultura. Il termine cultura ha certamente
un senso oggettivo, ma anche quello di sviluppo dell'intelligenza della persona che la rende
capace di scoperta intellettuale, di partecipazione intensa all'esperienza del mondo e di as-
sunzione del proprio destino e vocazione. Il primo aspetto, nella scuola, va subordinato al
secondo... non viceversa9.
6 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica, n. 39.
7 Ibid., n. 25.
8 Ibid., n. 27.
9 Ibid., n. 27.
- 26 -

3.9 Page 29

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L'elaborazione della cultura dunque va intesa come ricerca, scoperta e trasmissione di
valori, a cui si ordina la conoscenza di dati: non può prescindere da un «riferimento implicito
o esplicito ad una determinata concezione della realtà e della vita»10. Il progetto richiede che
gli educatori prendano coscienza chiara di qual è la loro visione della vita... e se ne hanno
qualcuna organica... e che ispirino la loro azione educativa, coscientemente, a una visione a
favore dell'uomo, più che delle «cose». Finalmente una visione umana e umanizzante della
cultura non può non avere come chiave di sviluppo e di interpretazione la «libertà etica e
psicologica del soggetto, il che comporta il confronto con i valori assoluti dai quali dipende
il senso della sua vita»11.
Ogni vera scuola oggi deve essere liberatrice: in quanto sviluppa il senso critico davanti
a tentativi di manipolazioni, fa crescere la libertà del soggetto e la sua disponibilità ai grandi
valori, punta sulla sua capacità di risposta e di creazione più che sulla disposizione all'accet-
tazione. Ecco: formazione integrale, senso della «persona», chiaro quadro di riferimento as-
siologico, efficacia liberatrice... sono oggi tratti di una vera scuola all'altezza dei bisogni
della società.
6. Riferimento a Cristo esplicito e condiviso
Abbiamo enunciato la prima delle condizioni: che sia una «scuola». Ma la scuola cat-
tolica, via «di evangelizzazione» deve evidentemente avere altri tratti qualificanti non so-
vrapposti a questi, ma permeanti. E il tratto che la qualifica è il «riferimento esplicito al
Vangelo, nel quale Cristo è centro e fondamento. Ciò vuol dire che tutti gli elementi che
abbiamo enunciato sopra, non sono religiosamente «neutri», ma positivamente «cristiani»;
e questo essere positivamente «cristiani» non è inteso da noi come una dimensione da cui si
possa prescindere, in soprappiù, di lusso, separabile dalla totalità del fatto educativo, ma la
condizione sine qua non, la ragione profonda per la quale un'educazione è veramente
«umana» e liberatrice. Il fatto cristiano non è fuori dalla dimensione umana, ma è situato al
suo centro. Così il primo degli elementi, il progetto educativo, si ispira al senso dell'esistenza
rivelato da Gesù e trova il suo orientamento dal quadro di valori presentati nel Vangelo.
Così, il secondo elemento, «La Comunità Educativa», nasce, cresce e matura come un luogo
di incontro di coloro che vogliono testimoniare i valori cristiani nell'educazione. Si interessa
non solo del sostegno materiale della scuola o del profitto scolastico, ma della comunica-
zione della fede e ispira i rapporti al senso cristiano. La crescita dei dirigenti come animatori
non si intende solo in senso tecnico, ma come animatori di una comunità apostolica. Il con-
fronto con la società si fa in base a un discernimento evangelico... Più che a scelte ideologi-
che o spontanee.
Insomma, nella scuola e per la scuola si fa «pastorale», cioè cura della crescita, nella
fede, in una azione coordinata direttamente o indirettamente dai pastori.
A rendere reale, operativo, unificante questo riferimento al Vangelo, e a operare dunque
la desiderata sintesi tra fede e cultura, tra fede e vita concorre l'insegnamento religioso con-
venientemente aggiornato in contenuti e metodologia. Questo insegnamento però è assimi-
labile se è mediato dagli atteggiamenti che informano la vita e conforme alla prospettiva con
cui viene presentata la scienza.
Ma non è pensabile che un'esperienza e una vita si possano tradurre sempre e solo in
nozioni. Da questa visione ne segue che la «scuola» cattolica porta non «lezioni» di reli-
gione, ma una proposta di vita ispirata al Vangelo: crea un «clima» che aiuta ad assumere
10 Ibid., n. 27-28.
11 Ibid., n. 30.
- 27 -

3.10 Page 30

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gli impegni del battesimo; propone momenti di preghiera e tempi di conversione; presenta
progetti di «impegno» concreto in cui si supera l'individualismo e si impara la donazione
gratuita. Nella comunicazione del «sapere» approfitta delle occasioni per stimolare alla fede
e al bene. Ma ancora più importante di questo è che essa apra al senso della verità e alla
«civiltà dell'amore». Evangelizzare nella scuola non significa dunque dire una parola buona,
ma richiede una visione approfondita di alcuni problemi che stanno alla base del discorso
sulla scuola.
- 28 -

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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3. CENTRI DI PREPARAZIONE PROFESSIONALE
Vecchi, J.E., Centri di preparazione professionale in ACS 298 (1980), p. 51-48.
1. Nel mondo del lavoro. - 2. I Centri professionali oggi. - 3. Sulla scia di un'evoluzione. - 4. Costanti e linee di progresso. -
5. Spiritualità e collocazione pastorale.
1. Nel mondo del lavoro
Ormai le nostre orecchie si sono abituate alle espressioni «mondo del lavoro», «mondo
operaio» e simili. Oggi nessuno dubita che il lavoro crei un mondo, con linguaggio, menta-
lità, abitudini, reazioni ed elaborazioni culturali proprie.
Il CGS 20 sembra prendere atto dell'esistenza di questo mondo. «La nostra missione
giovanile e popolare - dice - implica un'attenzione per la realtà sociale e storica del mondo
operaio... lo sforzo di scoprire i suoi valori educativi, umani ed evangelici»1.
Il CG 21 ribadisce: «Oggi... il lavoro è un nuovo vasto fenomeno che rende interdipen-
denti le categorie sociali, determina le caratteristiche di un gruppo sociale, crea nuovi mo-
delli culturali... Perciò con l'espressione mondo del lavoro ci riferiamo non tanto alla mate-
rialità del lavoro, quanto al lavoro come 'fatto culturale e sociale»2.
Il riconoscimento della consistenza reale di un «mondo» del lavoro comporta atteggia-
menti e criteri pastorali particolari, sia riguardo all'evangelizzazione che all'impegno educa-
tivo.
Vogliamo accennarne soltanto due: il bisogno di una azione differenziata, cioè adeguata
nel suo linguaggio, nelle sue proposte, negli stessi ambienti alle richieste, ai bisogni e ai
valori del mondo operaio; l'esigenza di superare il solo salvataggio del singolo giovane la-
voratore e incarnare il messaggio nelle realtà e aspirazioni del mondo in cui il giovane deve
inserirsi e dal quale procede, un mondo che «è decisivo nella configurazione della nostra
cultura»3.
Questi due criteri si desumono con chiarezza anche dall'esortazione Evangelii Nun-
tiandi4 e sono di estrema praticità qualora non si confonda praticità con improvvisazione o
immediata spontaneità.
I salesiani sono impegnati nel mondo del lavoro con diversi tipi di presenza: i Centri
Giovanili che operano in quartieri popolari, le parrocchie collocate in ambienti operai, i
gruppi e movimenti di animazione, formazione e testimonianza collegati al mondo del la-
voro.
In tutte queste presenze è nostro dovere rafforzare l'aspetto educativo, prestando seria
attenzione ai valori che nel mondo del lavoro si elaborano, al tipo di rapporto che si privile-
gia, e al linguaggio con cui si riferisce alla realtà.
Nella storia salesiana emergono però come presenza originale nel mondo del lavoro i
centri educativi. Tra questi contiamo oggi i laboratori per ravviamento al lavoro e per l'ap-
prendistato, le scuole di formazione professionale, gli istituti tecnici, le scuole agrarie di
diverso livello e specialità, i corsi rapidi di preparazione di lavoratori.
1 Cf. CGS20 74, 413.
2 CG21 183.
3 Puebla 419.
4 EN 19; 63.
- 29 -

4.2 Page 32

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Come si trovano... che indirizzo prendere a loro riguardo nella nuova situazione è l'og-
getto di questa riflessione.
2. I Centri professionali oggi
I dati statistici presentati al CG21 registrano 1625 servizi scolastici diurni di diverso tipo
e livello. Tra questi 263 corrispondono a centri d'insegnamento tecnico e professionale. Su
239 servizi scolastici serali, 57 appartengono al settore professionale. La proporzione non è
vistosa.
Ma incoraggia specialmente quando si pensa alle difficoltà che questo tipo di scuola
affronta: il continuo progredire delle tecniche di lavoro e l'evoluzione didattica corrispon-
dente, l'alto costo delle attrezzature, la diminuzione dei nostri confratelli competenti nel set-
tore, i rapporti complessi con altre forze operanti nella stessa area.
Incoraggia soprattutto la nuova proiezione che i nostri centri acquistano in alcuni am-
bienti in forza di una lunga esperienza: preparazione di sussidi e testi, progetti educativi per
la formazione del giovane lavoratore, possibilità di confronti costruttivi con enti e operatori
interessati all'insegnamento professionale.
Incoraggia ancora il fatto che non solo negli ambienti di Chiesa, ma anche in quelli
«laici» siamo considerati degli specialisti e degli entusiasti di questo tipo di scuola. E ancora
che in alcune regioni dove non ci permetterebbero altri tipi di presenze educative, ci si tollera
o addirittura ci si offre di collaborare in questo settore.
Inoltre questa è una delle richieste più forti nei paesi «nuovi» che si sforzano di adeguarsi
allo sviluppo e guardano alle volte con dubbio da dove verrà la risposta a questi loro diritti
e aspirazioni. Anche in questo campo l'Africa è un appello.
Nei ridimensionamenti che alle volte comportano necessarie riduzioni, fusione di attività
e assunzione di nuovi compiti pastorali, possono preoccupare due fenomeni.
Il primo è che alcune Ispettorie, per le difficoltà suaccennate, vanno perdendo le proprie
presenze nel campo delle scuole professionali e si rafforzano invece in maniera progressiva
su altri settori.
Il secondo è che non dappertutto si è riusciti a dare una risposta alle nuove richieste dei
«poveri» e a riconvertire le nostre possibilità in iniziative semplici per le quali ci sentiamo
preparati.
Mentre in alcune regioni le difficoltà crescono, in altre si aprono delle opportunità. Cia-
scuna di queste situazioni richiede uno sforzo o di professionalità o di disponibilità. In nes-
sun caso è però raccomandabile l'abbandono o il disimpegno.
3. Sulla scia di un'evoluzione
Il cambiamento e l'evoluzione non devono infirmare la volontà fondamentale di essere
presenti con finalità educative nel mondo del lavoro.
Sin dall'inizio i nostri centri di formazione al lavoro sonò stati caratterizzati da una con-
tinua graduale evoluzione. Operando nel campo della tecnica non c'era da aspettarsi altro.
Ogni periodo di sistemazione soddisfacente è stato preceduto da prove ed esperimenti in cui
secondo le espressioni di Don Bosco stesso abbiamo «fatto fuoco con la legna che avevamo».
Don Bosco riassumeva al tempo del CG 4 (1886) l'evoluzione delle sue iniziative di
preparazione dei lavoratori, facendo vedere le quattro fasi che già allora avevano percorso:
la prima caratterizzata dai contratti di lavoro; la seconda quella in cui i ragazzi già interni a
Valdocco frequentavano laboratori esterni; la terza segnata dalla creazione di laboratori pro-
- 30 -

4.3 Page 33

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pri, affidati a personale esterno con diverse modalità di partecipazione; la quarta l'organiz-
zazione e la gestione dei laboratori da parte dei salesiani, grazie all'affermarsi della figura
del coadiutore, ma con la partecipazione attiva anche dei sacerdoti.
Né la mancanza di migliori condizioni gli fece posticipare un servizio necessario per i
suoi ragazzi, né il raggiungimento di uno stato soddisfacente gli impedì di evolvere davanti
a nuove possibilità.
I nostri centri professionali conobbero ancora trasformazioni, quando da laboratori di-
ventarono scuole «di arti e mestieri»; quando diventarono scuole professionali, e quando,
per esigenze culturali e di lavoro, assursero a livello di istituti tecnici.
4. Costanti e linee di progresso
Nell'evoluzione rimangono costanti alcuni capisaldi. Noi non prepariamo soltanto
«mano d'opera», ma educhiamo lavoratori. Ciò comporta inserire la qualificazione lunga o
rapida in un programma totale in cui si trasmette una visione del mondo e della vita.
Già al tempo in cui erano soltanto laboratori per apprendisti, il CG 4 stabiliva: «Il fine
che si propone la Società Salesiana nell'accogliere ed educare i giovanetti artigiani si è di
allevarli in modo che uscendo dalle nostre case, dopo aver compiuto il loro tirocinio, abbiano
appreso un mestiere onde guadagnarsi onestamente il pane della vita, siano bene istruiti nella
religione, ed abbiano cognizioni scientifiche opportune al loro stato»5.
Da questa dichiarazione il Capitolo deduce che triplice deve essere l'indirizzo da darsi
all'educazione degli artigiani: «religioso, morale, intellettuale e professionale».
Chi percorre la storia, percepisce con soddisfazione lo sforzo costante per superare qua-
lunque tentazione di divenire «opifici», «industrie», «preparazione rapida di mano d'opera»,
«fattorie» e mantenere invece il carattere di centri di educazione pur con programmi adeguati
alle possibilità dei salesiani e dei giovani.
Il Consigliere Generale per le scuole professionali Don Giuseppe Bertello, in una circo-
lare del 24 luglio 1906 scriveva: «Fuori si lavora febbrilmente a dare agli operai un'istruzione
larga ed appropriata e non bisogna che i nostri allievi debbano sfigurare al loro confronto».
Non «mano d'opera», dunque, ma uomini-cristiani: questa può essere ancora un'indica-
zione tutt'altro che superflua nella nostra situazione.
A mantenere un'armonica integralità, incentrata sul valore lavoro e professionalità giova
il Progetto Educativo. In esso il criterio espresso teoricamente diventa azione convergente
degli educatori, e giusta integrazione di contenuti ed interventi.
C'è un secondo caposaldo: noi cerchiamo di adeguare le nostre iniziative ai bisogni dei
più poveri. Gli alti livelli tecnici possono essere una necessità in alcuni casi; in altri una
tentazione.
Ogni presenza nel campo del lavoro sarà sempre una testimonianza e un servizio di
evangelizzazione. Dove si sente il bisogno e dove le richieste lo esigano, non rinunciamo ad
elevare il livello dei nostri centri. Ma la nostra specialità sarà sempre organizzare servizi
semplici, adeguati ai giovani e alle zone meno favorite. L'impossibilità di raggiungere certi
livelli non ci deve portare a chiudere quando possiamo rendere anche un servizio valido
trasformando.
Finalmente noi educhiamo lavoratori attraverso l'incontro vivo con Cristo e la sua pa-
rola. Questo porterà a valutare positivamente quanto sorge nell'area della professionalità,
della tecnica, delle forme sociali di partecipazione.
5 Deliberazioni dei CG 3 e 4, doc. 4, p. 18-22.
- 31 -

4.4 Page 34

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Ma porterà particolarmente ad approfondire le iniziative riguardanti la maturazione della
fede non staccata, come se fosse un altro settore, dall'esperienza professionale.
Sovente si sente dire che contenuti e linguaggi catechistici, preparati in altre chiavi, ven-
gono offerti a giovani che, per poter capirne i significati, devono uscire col pensiero dalla
loro propria esperienza.
Per fortuna assistiamo allo sforzo che gruppi di confratelli e laici stanno facendo per
adeguare la proposta di fede, in un'esigente fedeltà, alla comprensione del giovane coinvolto
nel mondo del lavoro. Un compito simile appartiene alla nostra eredità. «Noi siamo tutti e
in ogni occasione educatori alla fede»6.
Da quanto detto si evidenziano alcune conclusioni per noi.
Bisogna assicurare nel nostro sviluppo un numero consistente di presenze educative nel
mondo del lavoro, mantenendo una proporzione numerica e di impegno tra centri professio-
nali e altre opere.
Talvolta un concetto riduttivo di pastorale, applicato soltanto all'attività cultuale o ma-
terialmente religiosa, potrebbe spingerci ad allargare con facilità alcuni tipi di presenza; tal-
volta la scarsità del personale preparato per le scuole professionali e i nostri antecedenti di
formazione ci muovono a moltiplicare scuole di tipo umanistico. Uno sviluppo ispettoriale
non guidato da sensibilità carismatica, ma da proposte e adeguamenti occasionali, può por-
tare un po' alla volta a perdere una delle presenze caratteristiche.
Bisogna pensare che la scuola professionale salesiana non è legata soltanto alla figura
del coadiutore, sebbene il coadiutore ha nel suo sviluppo un ruolo determinante. Anche que-
sta missione è portata avanti dalla comunità e sin dall'inizio si sono accomunati in essa gli
sforzi di coadiutori e sacerdoti, arricchendo la totalità dell'azione con contributi complemen-
tari.
Se questa prima conclusione è accettata, risulterà chiara la seconda: preparare la menta-
lità e le qualificazioni del personale per l'area professionale. Il promuovere le vocazioni di
coadiutori è un aspetto importante. Sappiamo che a loro sono aperte molteplici mansioni7.
Ma, come afferma lo stesso CG 21, «se si guarda l'importanza e l'incidenza che il mondo del
lavoro ha, appare chiaro che le attività concernenti l'area del lavoro, risultano non le uniche,
ma certo fra le più significative per l'azione apostolica del salesiano coadiutore»8.
Ma non è meno importante creare un atteggiamento di simpatia verso il mondo del la-
voro, una comprensione profonda di esso e favorire delle, qualifiche educativo-pastorali cor-
rispondenti in coloro i quali si indirizzano al sacerdozio. Difatti, come si faceva notare prima,
questa è una missione della comunità salesiana e non soltanto di alcuni dei suoi membri.
Ancora una conclusione. La presenza educativa nel mondo del lavoro richiede oggi di
aggiornare gli interventi non soltanto nell'area didattica, ma anche nell'aspetto politico.
Il lavoro è un tema dell'umanità. Alla luce di evento di Cristo acquista nuovo significato.
Questo significato noi lo portiamo in un dialogo in cui intervengono forze con cui dobbiamo
confrontarci, aiutarci e complementarci. Bisogna attuare non come chi fa un'azione privata,
ma come chi partecipa alla formazione di una cultura. L'organizzazione unitaria in ordine
alle rappresentanze; la presenza dove si elaborano decisioni che influiscono sui centri edu-
cativi, la volontà di «operare» nel civile con senso evangelico, il collegamento con altre
6 C 20.
7 Cf. CG21 182.
8 CG21 183.
- 32 -

4.5 Page 35

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forze, sono aspetti che dobbiamo giudicare indispensabili e che ci porteranno ad un'evange-
lizzazione più completa della realtà del lavoro e ad un'azione più efficace a favore dei nostri
giovani.
I centri di formazione professionale diventano così centri aperti che offrono e ricevono;
sono punti di riferimento attivi per interscambi di idee e incontri di persone.
5. Spiritualità e collocazione pastorale
Il carisma di un Fondatore è un dono dello Spirito, ma si sostanzia anche con le espe-
rienze che formano l'intreccio della sua vita.
Il lavoro è l'esperienza della prima età di San Giovanni Bosco, come esperienza gioiosa
e creativa e come dura condizione per sussistere. Accettato però come condizione onorevole
e santificato dall'affetto materno, dalla responsabilità e dalla preghiera: un lavoro, dunque,
umanizzato e santificato. Lavoratore nella propria casa e nella cascina Moglia, lavoratore
come studente a Chieri e come seminarista!
Coi piccoli lavoratori furono i suoi primi contatti sacerdotali. «In generale l'Oratorio era
composto di scalpellini, muratori, selciatori, quadratori e di altri che venivano da lontani
paesi»9.
Il gruppo iniziale era così caratterizzato che nel 1842 si celebrò tra gli oratoriani la «festa
dei muratori»10. Don Bosco «lungo la settimana andava a visitarli in mezzo ai lavori nelle
officine e nelle fabbriche. Tal cosa produceva qualche consolazione ai giovanetti che vede-
vano un amico prendersi cura di loro; faceva piacere ai padroni che tenevano volentieri sotto
la loro disciplina giovanetti assistiti lungo la settimana»11.
Per questi ragazzi nacquero i laboratori, che rappresentavano in piccolo il loro mondo
«artigianale» e di primo sviluppo industriale.
Il «lavoro» integrò la spiritualità dei salesiani e insieme alla temperanza alle volte, e alla
preghiera altre, divenne il loro motto. Diventò per loro mistica e atto di culto spirituale,
manifestazione della consacrazione religiosa, ascesi e forma d'intervento pastorale. Un la-
voro che non esclude, anzi sottolinea altre espressioni possibili; ma ha anche il marchio del
lavoro manuale e della sintonia con un ceto particolare.
Le nostre preferenze non provengono se non dalla carità che lo Spirito ha diffuso nei
nostri cuori. Ma sono reali. Una tra le principali è questa enunciata nelle Costituzioni: «I
giovani del ceto popolare che si avviano al lavoro, anche se non vivono in condizione di
miseria, trovano spesso difficile inserirsi nella società e nella Chiesa. Imitando la sollecitu-
dine di Don Bosco per gli apprendisti, li guidiamo a prendere il loro posto nella vita sociale,
culturale e religiosa del loro ambiente»12.
9 MO p. 129.
10 MO p. 130.
11 MO p. 130.
12 C 11.
- 33 -

4.6 Page 36

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4. IL NOSTRO IMPEGNO CATECHISTICO
Vecchi, J.E., Il nostro impegno catechistico in ACS 296 (1980), p. 35-41.
1. I centri catechistici. - 2. La catechesi nell'animazione pastorale dell'ispettoria. - 3. La comunità locale a servizio della
catechesi. - 4. Persone e beni materiali. - 5. Zelo inventivo.
Sulla scorta di quanto è stato chiarito dal Rettor Maggiore riguardo all'impegno catechi-
stico, ecco alcuni punti pratici su cui concentrare attenzione, sforzi e risorse.
1. I centri catechistici
I documenti degli anni 70-80 fanno accorato appello alla responsabilità delle Chiese
perché sostengano, coordino e potenzino le iniziative di approfondimento del contenuto ca-
techistico, di irradiazione «massiva» del messaggio evangelico, di preparazione di moltipli-
catori, e di appoggio o fiancheggiamento degli operatori.
I centri catechistici obbediscono a queste quattro finalità. Difatti alcuni attraverso corsi
lunghi, medi e brevi si dedicano alla qualificazione dei catechisti; altri appoggiano gli ope-
ratori con sussidi audiovisivi e bibliografici e raggiungono la massa con letture catechistiche
popolari; altri partecipano all'elaborazione di programmi e di testi specializzati; qualcuno
copre tutta la gamma di servizi catechistici summenzionati.
Iniziati nel 1941 con la fondazione della Libreria della Dottrina Cristiana (LDC) in uno
sforzo di rilancio catechistico, i centri si sono moltiplicati nell'ultimo decennio.
Oggi, con diverso raggio d'influsso e con obiettivi diversificati, sono punti nevralgici
per la vita e il rinnovamento dell'azione catechistica nella misura in cui si sono consolidati e
continuano a svilupparsi secondo il ritmo che richiedono i tempi. È rilevabile una notevole
differenza di livello tra quelle zone che hanno goduto dell'influsso di uno questi centri e le
altre che non hanno avuto tale beneficio.
Il consolidamento è dipeso dal fatto di aver potuto contare sulla responsabilità di una o
più Ispettorie, e non soltanto sull'entusiasmo di persone singole; dal rafforzamento del per-
sonale man mano che la catechesi richiedeva apporti più qualificati; dallo sforzo di creatività
e fedeltà per cui non si sono limitati a ripetere, ma hanno fatto delle proposte adeguate alle
nuove richieste.
Tutti questi fattori sono stati condizionati da un conveniente coordinamento nella crea-
zione dei suddetti centri, per evitare doppioni inutili o attività parallele con sperpero di per-
sonale e calo nella resa.
Da questa rapida analisi emergono delle indicazioni, affinché queste «nuove presenze»
possano costituire ogni giorno di più punti di riferimento per la vitalità della nostra azione
catechistica.
È conveniente, nelle regioni in cui ci sono difficoltà di lingua o di distanza, che le Ispet-
torie concorrano alla creazione o allo sviluppo se già esiste, di un centro, da dove sia possi-
bile irradiare, contribuire alla riflessione della Chiesa, e animare la qualificazione dei nostri
e di altri operatori.
La corresponsabilità delle Ispettorie si manifesterà in primo luogo nell'offerta di perso-
nale preparato. Stando ai dati in nostro possesso ci sono centri catechistici che non contano
su nessun catecheta, ma soltanto su capitali e strutture. E questo stato rappresenta una situa-
zione di precarietà che va superata a breve termine. Però sono anche sotto il livello di effi-
cienza, specialmente in contesti di forte richiesta di approfondimento e progresso, quei centri
- 34 -

4.7 Page 37

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che non contano su una équipe in cui sono possibili apporti diversificati, disponibilità di
tempo e di studio per risposte creative.
L'art. 27 delle Costituzioni ci spinge ad adattare le opere e attività «alla evoluzione dei
bisogni creandone delle nuove, più rispondenti alle mutate esigenze dei tempi». E conti-
nuando nella stessa linea l'art. 29 chiarisce che noi «realizziamo la nostra missione anche
attraverso servizi specializzati».
Ora i bisogni dei tempi, con la loro dinamica culturale tipica, mostrano l'importanza
senza pari dei «centri» con possibilità di elaborazione e di diffusione di messaggi. Si è detto
che oggi non sono importanti solo le presenze «locali», ma soprattutto le presenze «nodali»,
cioè in quei punti da dove si influisce. Questo ci dice che non è concepibile lasciar languire
uno di questi punti in favore di una presenza anche più antica, ma meno influente.
La solidarietà tra le Ispettorie si mostrerà anche nel provvedere insieme le strutture ne-
cessarie per un rapido e normale sviluppo dei centri e nella capacità di risolvere, senza com-
promettere i fini, eventuali difficoltà e problemi.
Il centro peraltro deve considerarsi «salesiano» più che per la denominazione, per l'in-
dirizzo e il progetto che porta avanti. Questo si ispirerà alle caratteristiche dell'azione sale-
siana e alle direttive attuali della Congregazione: fedeltà alla dottrina, adeguamento al lin-
guaggio e alla psicologia dei giovani e del ceto popolare, attenzione alle scienze dell'uomo.
Il CGS 20 chiede alla Congregazione di favorire «ogni sforzo per sostenere e creare
quegli organismi che favoriscono lo studio, l'aggiornamento (...) quali (...) i vari centri cate-
chistici»; «di potenziare quei centri che si adoperano per diffondere la parola di Dio attra-
verso i mezzi di comunicazione sociale»1.
La Congregazione è rappresentata nelle diverse regioni dalle Ispettorie che insieme por-
tano avanti la missione e danno il nostro contributo originale alla Chiesa.
2. La catechesi nell'animazione pastorale dell'ispettoria
Qui è l'articolo primo dei Regolamenti che ci dà l'indicazione fonda- mentale quando
stabilisce: «La comunità ispettoriale ha il compito di stimolare, coordinare e guidare l'attività
evangelizzatrice specialmente attraverso i suoi organi di governo e di animazione. Attende
quindi a rinnovare costantemente l'impegno catechistico nell'evangelizzazione svolta dalle
singole comunità, a ridimensionare le opere in vista di una migliore evangelizzazione, a or-
ganizzare la formazione e l'aggiornamento catechistico di tutti i confratelli e la specializza-
zione di alcuni tra essi, ad anticipare con un'avveduta programmazione le situazioni future».
Il CGS 20 chiedeva all'Ispettoria di mettere «le proprie strutture a servizio dei confratelli
nel particolare compito dell'evangelizzazione» e offriva una serie di suggerimenti operativi
per realizzare questa indicazione. Tra l'altro auspicava che ogni Ispettoria organizzasse un
servizio specializzato ed agile per animare l'azione catechistica2.
Il concetto globale di Pastorale all'interno del quale si sviluppa il discorso e l'azione
catechistica, ha portato il Dicastero a indicare alle Ispettorie di non procedere per incarichi
«settoriali» ma di integrare in un'unica équipe i ruoli di animazione, così come in un progetto
unitario si integrano le diverse dimensioni dell'azione pastorale educativa dei salesiani3.
Questo porta ad un discorso più ricco e coerente tra catechesi, pedagogia, dati sociologici
e attività concrete.
1 CGS20 336.
2 Cf CGS20 337.
3 Cf. Animazione Pastorale dell'Ispettoria, gennaio 1979, n. 5, 3, 2, 3.
- 35 -

4.8 Page 38

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È evidente però che la catechesi rimane «la dimensione fondamentale della nostra mis-
sione»4, che è la ragion d'essere delle scuole5, la caratteristica delle nostre parrocchie6, il
tono dei nostri Centri giovanili7.
Ora come è possibile animare la dimensione fondamentale della nostra missione in
un'ora di evoluzione di linguaggio, di nuovo rapporto tra attività culturale ed evangelizza-
zione, di riformulazioni catechistiche in vista della nuova mentalità e delle nuove esperienze
giovanili, di cambiamento di metodo per l'irruzione dell'immagine, senza il servizio specia-
lizzato di cui parlava il CGS 20?
Ne deriva per l'Ispettoria l'obbligo di curare la qualificazione di un numero sufficiente
di confratelli in maniera programmata. Il criterio che guida queste programmazioni deve
essere ''massimo» non ''minimo» secondo le possibilità attuali dell'Ispettoria, ma anche se-
condo una avveduta previsione delle esigenze pastorali di domani.
3. La comunità locale a servizio della catechesi
La priorità di valore della dimensione catechistica richiede dalla comunità locale che
gestisce ed anima un'opera, una serie di accorgimenti che l'art. 2 dei Regolamenti enuncia
così: «Ogni comunità locale programmerà nel piano pastorale le attività catechistiche, rive-
drà periodicamente l'orientamento e l'incidenza evangelizzatrice del proprio lavoro, prepa-
rerà i catechisti e manterrà aggiornati per loro i necessari sussidi».
Il CGS 20 risalendo dagli elementi organizzativi agli atteggiamenti, sottolinea che per-
ché la comunità salesiana diventi evangelizzatrice dovrà «operare un cambio di mentalità,
adottare uno stile comunitario di riflessione e di azione e farsi presente nel mondo in modo
nuovo»8.
Raccomanda, dunque, di diventare una comunità di ascolto, che medita e commenta in-
sieme la parola di Dio; una comunità di ricerca, che accetta una revisione periodica e reale
del proprio lavoro apostolico e del ruolo effettivo che ognuno svolge nella catechesi.
D'altra parte l'art. 193 delle Costituzioni richiede alle Ispettorie che stabiliscano la figura
e i compiti dei responsabili dei principali settori delle Comunità educativo-pastorali9.
In questa successione di ordinamenti si armonizzano due istanze: che tutta la comunità
si senta coinvolta nel lavoro catechistico evangelizzatore e non lo deleghi solo ad alcuni; il
bisogno di ''ruoli» speciali che richiamino la comunità, occupata su molti e diversi fronti,
che ripropongano i temi, che aiutino a sciogliere le difficoltà, che prendano su di sé una parte
del lavoro senza però ''liberare» o deresponsabilizzare gli altri confratelli.
In alcune comunità si è temuto che questo nuovo modo di concepire le cose potesse
«destabilizzare» l'ordine precedente basato sugli «incaricati» e creare un vuoto di responsa-
bilità. Non avendo adottato una dinamica comunitaria nuova, non hanno potuto nemmeno
provare la validità della proposta fatta dalle Costituzioni e dagli Atti del Capitolo Generale.
Non sono mancate alcune comunità che interpretarono queste indicazioni come aboli-
zione dei ruoli. Mentre, a dir vero, è un cambio di esercizio e di funzionamento dei ruoli
stessi. Ciò è fondamentale!
Dove si sono combinate le due cose, cioè la nuova maniera di concepire il ruolo e la
partecipazione e coinvolgimento comunitario, non c'è dubbio che le cose sono progredite
4 C (1972) 20.
5 Cf. R 8.
6 Cf. R 24.
7 Cf. R 5.
8 Cf. CGS20 339.
9 Cf. C 193.
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4.9 Page 39

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notevolmente. Anzi in non poche comunità il ruolo personale si è arricchito con un diparti-
mento di cultura religiosa ed educazione alla fede, formato da salesiani, giovani e collabo-
ratori laici che pensano in prima persona le diverse iniziative con cui rispondere ai bisogni
dell'ambiente.
L'art. 2 dei Regolamenti richiede anche l'aggiornamento dei sussidi: ambienti, materiale
bibliografico stabile e corrente, strumenti e mezzi didattici aggiornati. È questo anche un
punto di esame non trascurabile per vagliare il livello che ha raggiunto l'interesse catechi-
stico nell'insieme delle preoccupazioni.
Il CGS 20 afferma che «la formazione catechistica ha la priorità sui rinnovamenti dei
testi e sul rafforzamento dell'organizzazione catechistica»10.
Su questo punto, riferito ai salesiani, c'è nelle pagine precedenti la parola autorevole del
Rettor Maggiore. A me preme sottolineare un punto collegato a questo: la formazione dei
catechisti laici.
Il leit-motiv che si ripete nei tre documenti del decennio è che tutta la Chiesa è respon-
sabile ed impegnata nella catechesi. Catechesi tradendae dedica un capitolo a percorrere uno
ad uno gli ambienti e luoghi di catechesi, incoraggiando i cristiani che lavorano in essi11.
Dedica poi delle parole piene di ringraziamento e di speranza ai catechisti laici12 e vede nella
rifioritura di questi operatori una grazia del Signore e allo stesso tempo «una sfida per la
nostra responsabilità di pastori»13.
La formazione dei collaboratori può essere affidata ai centri; ma non dappertutto questo
è possibile. Inoltre la formazione dei catechisti è particolarmente vivace quando la si fa nella
stessa comunità in cui loro condividono e offrono la Parola di Dio.
Per questo ogni comunità salesiana è chiamata ad allargare le proprie possibilità, coin-
volgendo e accompagnando con una formazione continua i propri catechisti, sia negli am-
bienti parrocchiali, sia in quelli scolastici, in centri giovanili o in presenze missionarie.
4. Persone e beni materiali
«Che le comunità consacrino il massimo delle loro capacità e delle loro possibilità all'o-
pera specifica della catechesi»14 è la parola di Giovanni Paolo II ai religiosi. Non diversa è
la direttiva del CG 21 quando stabilisce: «i salesiani intensificheranno il loro impegno cate-
chistico... accettando di dedicare tutte le loro forze alla medesima attività catechetica insieme
con quella di evangelizzazione»15.
Qui si tratta delle persone. Ma c'è un altro punto molto concreto e misurabile: i beni
materiali. Il Papa ravvisa il miglior contributo alle Chiese bisognose nell'aiuto materiale,
offerto dalle Chiese più favorite per l'opera catechistica. «Che cosa di meglio, si domanda
Giovanni Paolo II, può offrire una Chiesa ad un'altra, se non aiutarla a crescere da se stessa
come Chiesa?»16.
Anche il nostro CGS 20 richiede che la «priorità finanziaria» sia rivolta ai bisogni della
catechesi17, manifestando cosi un tratto della nostra povertà che consiste nel mettere i beni
che riceviamo a servizio della Parola di Dio.
10 Cf. CGS20 340.
11 Cf. CT cap. 9.
12 CT 66.
13 Cf. CT 71.
14 CT 65.
15 CG21 95.
16 Cf. CT 71.
17 Cf. CGS20 340.
- 37 -

4.10 Page 40

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È facile constatare quanto una comunità abbia avuto in conto questa indicazione percor-
rendo i bilanci. La nostra missione attuale non è tanto assicurare condizioni economiche alle
generazioni seguenti a cui Dio provvederà come ha provvisto a noi, ma impiegare subito
tempo, persone e beni nella diffusione della Parola che è urgenza così grande da non potersi
subordinare ad altre anche legittime in se stesse.
5. Zelo inventivo
L'art. 20 delle Costituzioni, dopo aver affermato che «l'attività evangelizzatrice e cate-
chistica è la dimensione fondamentale della nostra missione», aggiunge: «Questo servizio
più urgente in un mondo pluralista richiede da noi zelo ardente e inventivo...».
Sarebbe di conforto presentare qui tante esperienze già in atto di confratelli singoli e di
comunità che dimostrano la realtà storica di questa indicazione delle Costituzioni.
Lo zelo ardente e inventivo è messo in particolare rapporto col ''mondo pluralista». È
importante, dunque, saper dove applicare oggi con frutto l'inventiva per non disperdere delle
energie, e per assicurare alla nostra azione continuità ed efficacia. Catechesi tradendae parla
di una «passione per la catechesi che bisogna suscitare e mantenere», però che deve incar-
narsi in modo adeguato, mettendo in opera persone, mezzi e strumenti18.
I suggerimenti esposti, presi dai documenti che hanno segnato lo sforzo catechistico ed
evangelizzatore della Chiesa e della Congregazione, sono delle indicazioni autorevoli che ci
stimolano e ci giudicano.
18 Cf. CT 63.
- 38 -

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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5. IL NOSTRO IMPEGNO PER LE VOCAZIONI
Vecchi, J.E., Il nostro impegno per le vocazioni in ACS 302 (1981), p. 51-54.
1. Don Bosco nel primo manoscritto delle Costituzioni (anno 1859 circa) così espri-
meva uno degli scopi della Società di san Francesco di Sales: «In vista poi dei gravi pericoli
che corre la gioventù desiderosa di abbracciare lo stato ecclesiastico, questa Congregazione
si darà cura di coltivare nella pietà e nella vocazione coloro che mostrano speciale attitudine
allo studio ed eminente disposizione alla pietà»1.
Di Don Bosco, per ispirare il nostro odierno impegno, vogliamo ricordare:
* la sofferenza di ragazzo per gl'ideali inespressi, non capiti o non opportunamente favoriti;
* la gratitudine verso tutti coloro che lo aiutarono a realizzare la propria vocazione;
* la fiducia nelle risorse dei giovani;
* il posto che il tema vocazionale occupava nel progetto di educazione;
* la capacità e l'arte di orientatore;
* la preoccupazione per le vocazioni sacerdotali e religiose;
* le indicazioni su atteggiamenti, elementi ed esperienze che favoriscono il nascere e ma-
turare delle vocazioni;
* i risultati con cui il Signore premiò la fiducia, la preghiera e la dedizione alla causa delle
vocazioni.
2. Le Costituzioni attuali riassumono questo aspetto particolare della nostra missione
trattando dei destinatari: «La nostra presenza tra gli adolescenti e i giovani ci farà scoprire
che molti sono ricchi di risorse spirituali. Per questo cerchiamo di coltivare in loro il senso
della responsabilità cristiana e di favorire la maturazione di vocazioni apostoliche sia laicali
che religiose e sacerdotali a beneficio della Chiesa»2.
Lo ribadiscono quando evidenziano il servizio che il Salesiano presta: «Aiutiamo i gio-
vani specialmente con la direzione spirituale, a sviluppare la propria vocazione con una vita
quotidiana progressivamente ispirata e unificata al Vangelo»3.
Vi insistono, infine, trattando delle opere: «Realizziamo la nostra missione anche attra-
verso centri e servizi specializzati. Tra questi meritano speciale rilievo i centri di orienta-
mento e cura delle vocazioni...»4.
3. Il CG 21 affronta con sensibilità nuova il problema delle vocazioni. Motivazioni,
stimoli e suggerimenti operativi vengono offerti in maniera sistematica nel documento sulla
fecondità vocazionale5, collocato all'interno del Progetto Educativo Pastorale, il quale a sua
volta è impostato sul tema più ampio dell'evangelizzazione dei giovani da parte dei Salesiani.
1 MB VII, 874.
2 C 12.
3 C 22.
4 C 29.
5 CG21 106-119.
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5.2 Page 42

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Accenni e indicazioni ricche di prospettive, e soprattutto i tratti di un'azione e di una
mentalità educativa fortemente qualificata anche in senso vocazionale, emergono dalle let-
tere del Rettor Maggiore «Il Progetto Educativo Salesiano» e «La componente laicale della
comunità salesiana»6.
Non mancano, dunque, né statistiche, né indirizzi autorevoli, né impostazioni dottrinali
a cui ispirarsi.
Le Ispettorie, intanto, sviluppano un movimento di coscientizzazione e attivizzazione
che si esprime in iniziative rinnovate e nella formulazione di programmi più organici di
azione. Il Progetto Educativo Pastorale è arrivato quasi dappertutto alla prima formulazione
completa. L'approfondimento della dimensione vocazionale ne costituirà il naturale corona-
mento.
4. Un piano organico di pastorale vocazionale è appunto il passo ulteriore richiesto alle
Ispettorie.
Lo suggerisce un'indicazione dei Regolamenti: «Ogni Ispettoria organizzi nel proprio
ambito la promozione e la cura delle vocazioni in collaborazione con la Chiesa locale e con
gli altri Istituti Religiosi. Stabilisca i criteri, i metodi e le strutture dell'orientamento voca-
zionale»7.
Il CG 21 ne sottolinea l'urgenza: «Le Ispettorie preparino al più presto un loro piano
particolareggiato in stretto contatto con la Chiesa locale e in armonia con il rispettivo piano
vocazionale da essa elaborato. Punto essenziale di questo piano deve essere la sensibilizza-
zione e formazione dei confratelli per l'animazione vocazionale»8.
L'idea e la realtà di un piano non richiamano tanto a una formulazione tecnica, quanto a
una presa di coscienza e a un impegno comunitario. Senza sminuire il valore dei ruoli parti-
colari, le comunità sono chiamate ad inserire questa dimensione nei loro progetti con ric-
chezza di iniziative.
Il piano ci richiama ad una pedagogia per cui l'orientamento e la proposta vocazionale
vengono offerti ai ragazzi «in forma esplicita e sistematica (...) in un disegno globale di
maturazione nella fede»9. La convergenza delle esperienze raccolte in tanti incontri fa emer-
gere con chiarezza questo rapporto fra l'intensa esperienza di fede e il sorgere della voca-
zione. Da esso scaturisce un criterio pedagogico e una scelta preferenziale di occasioni e
itinerari.
Un Piano ci richiama pure ad un efficace coordinamento di tutte le iniziative e attività
concernenti la pastorale vocazionale. Questa trova la sua naturale collocazione all'interno
della pastorale giovanile, in continuità con le altre dimensioni.
Siamo, quindi, sollecitati a passare da un lavoro prevalentemente individuale a un mag-
gior impegno comunitario, da stimoli isolati o momentanei a un'azione più organica e com-
pleta.
5. Questi obiettivi saranno raggiunti se il Piano Ispettoriale verrà impostato su tre ele-
menti.
Un quadro di riferimento teologico-pastorale nel quale approfondiamo l'idea di voca-
zione che ci guida e ripensiamo l'intervento mediatore che consideriamo adatto.
6 Cf. ACS, rispettivamente 290 (1978) e 298 (1980).
7 R 72.
8 CG21 119 a.
9 Discorso del Rettor Maggiore: CG21, 574.
- 40 -

5.3 Page 43

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L'analisi della situazione concreta in cui si svolgerà il nostro intervento: si tratta di per-
cepire le condizioni in cui versano i giovani, di verificare i nostri indirizzi educativi, di rie-
saminare la vita delle nostre comunità e la loro mediazione vocazionale.
Un piano operativo in cui segnaliamo urgenze e priorità, enunziamo gli obiettivi che ci
sembrano possibili, precisiamo contenuti, prepariamo esperienze e attività, fissiamo i criteri
di revisione e di valutazione dei risultati.
6. Un sussidio del Dicastero è stato inviato nel mese di settembre alle Ispettorie in ot-
temperanza a quanto il CG 21 stabilisce: «Il Dicastero della Pastorale Giovanile, per facili-
tare quanto disposto all'art. 72 dei Regolamenti, e all'orientamento operativo 119a, prepari e
invii alle Ispettorie i lineamenti essenziali per la formazione di un piano ispettoriale di pa-
storale vocazionale»10.
Il sussidio indica scelte non differibili, perché sancite in documenti precedenti; sottoli-
nea e ripropone le linee di cammino indicate dal CG 21; riprende i punti che hanno bisogno
di chiarimento operativo; offre indicazioni di contenuti per inserire tutto questo in un piano
organico.
Con questo dà inizio al dialogo auspicato dal CG 21 tra il Dicastero e le Ispettorie ri-
guardo al tema vocazionale: «Le Ispettorie... inviino al Dicastero per la Pastorale Giovanile
tale piano affinché si possa realizzare fra tutte le Ispettorie un interscambio di esperienze»11.
7. Pregare, testimoniare una qualità di vita centrata nell'amore a Dio e ai fratelli. Chia-
mare e accompagnare sembrano gli impegni su cui si deve convergere adeguando le inizia-
tive e gli itinerari alla situazione della comunità e dei giovani. I Salesiani attuano questo
programma in un progetto integrale di educazione e crescita per cui «la pastorale vocazionale
è un servizio di evangelizzazione con un'accentuazione speciale sull'aiuto e l'assistenza ad
ogni fedele per entrare con tutto il suo essere personale e la sua scelta libera nel piano di
Dio»12.
Raccogliamo l'invito pressante di Don Bosco: «Fate il possibile e direi l'impossibile per
coltivare le vocazioni»13 e cerchiamo di tradurlo in atteggiamenti e aiuti validi per l'orienta-
mento dei giovani.
10 CG21 119 d.
11 CG21 119 a.
12 CG21 106.
13 MB XIV, 133.
- 41 -

5.4 Page 44

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6. PREPARAZIONE DEI SALESIANI PER IL MONDO DEL LAVORO
Vecchi J.E., Preparazione dei salesiani per il mondo del lavoro in Centro Nazionale Opere Salesiane - Salesiani. Dicastero
per la pastorale giovanile. «Salesiani nel mondo del lavoro. Atti del convegno europeo sul tema "Salesiani e pastorale per il
mondo del lavoro", 9-15 maggio 1982», Roma, 1982, p. 185-206.
1. Alcune costatazioni. - 2. Coscienza e senso «pastorale». - 3. Incarnazione culturale. - 4. La qualificazione educativa. - 5.
Prassi di animazione comunitaria. - 6. Conclusione.
1. Alcune costatazioni
Questa relazione è stata collocata alla conclusione delle nostre giornate di studio, proprio
come momento di sintesi. Dovrebbe raccogliere alcune linee di forza del Convegno e indi-
rizzarle sul tema della qualificazione pastorale del salesiano impegnato nel mondo del la-
voro.
Premettiamo alcune costatazioni. La letteratura sulla pastorale del mondo del lavoro è
abbondante. Un giudizio più cauto merita la sua concretezza e la sua unità di indirizzo. Ap-
pare con una prevalenza di enunciazioni di principi con cui non sembrano collegate azioni
comunitarie unificate ed efficaci. Queste sono affidate al coordinamento operativo a diversi
livelli, il quale a sua volta cerca nella letteratura i punti di coagulo dell'azione, e dalla lette-
ratura è rimandato nuovamente ai principi. Soprattutto quando dalla descrizione della pasto-
rale si passa al pastore, all'anima e alla prassi che lo caratterizzano ci si deve appellare alle
esperienze dei singoli. Non sembra esserci un itinerario di preparazione sperimentato, né un
insieme di contenuti vagliati. Azione e formazione di operatori sono in deficit riguardo alla
riflessione sulle generalità della pastorale del lavoro.
Tra di noi l'ultima volta che si è parlato in maniera piuttosto pressante e sistematica su
una preparazione specifica dei Salesiani per operare nel mondo del lavoro è stato in occa-
sione del CG 19 (1965). Questo Capitolo dedicò un documento veramente generoso (17 pa-
gine) all'azione dei salesiani tra i giovani lavoratori, riproponendo criteri, contenuti e ruoli e
analizzando in quest'ottica l'Oratorio, il Pensionato e le presenze scolastiche. Una delle se-
zioni del documento porta come titolo: «Preparazione dei confratelli ecclesiastici e laici» ed
esprime questi propositi: «Nella formazione generale di tutti i salesiani, siano essi ecclesia-
stici o laici, si cerchi di orientarli verso entrambi i tipi di scuole, quelle per studenti e quelle
per giovani lavoratori... Venga perseguita tempestivamente anche per i chierici e i giovani
sacerdoti una specifica preparazione ai compiti da svolgere nelle scuole professionali, sele-
zionando gli idonei e mettendoli in grado di acquisire le abilità e i titoli di studio occorrenti
per le varie mansioni. La preparazione culturale e professionale di tutto il personale addetto
alle scuole professionali sia svolta almeno al livello richiesto nelle corrispondenti scuole
della nazione in cui si opera»1.
Questi obiettivi di qualifica sarebbero stati assicurati da corrispondenti strutture e ruoli.
Difatti si propone a livello ispettoriale «una commissione per l'educazione dei giovani lavo-
ratori con compiti di studio, di documentazione e di consulenza». Si aggiunge un «Delegato
ispettoriale per l'educazione dei giovani lavoratori... al quale si affida di mantenere rapporti
con le case per quanto concerne tale educazione». E ancora si auspica «una commissione
1 Atti del CG19 in ACS 244 (1965), p. 121.
- 42 -

5.5 Page 45

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centrale per l'educazione dei giovani lavoratori sotto la presidenza del Consigliere della Pa-
storale Giovanile, la quale provveda allo studio e alla documentazione»2.
Sono interessanti anche gli accenni alla preparazione specifica dei confratelli che svol-
gono ruoli nelle scuole professionali: Consigliere professionale, Preside, Capo laboratori.
C'è ancora d'aggiungere che nel documento sugli Apostolati Sociali, il capo V è dedicato
«all'Apostolato tra i lavoratori»: «Si dia vita a tutte le forme possibili... Parrocchie e Oratori
dovrebbero in opportuna collaborazione con le opere diocesane e nazionali, religiose e sin-
dacali...». «Anche per questo lavoro occorrono evidentemente degli specialisti ai quali si
potrà provvedere mediante gli organismi e le iniziative pastorali di cui si è parlato sopra,
avviando per tempo chierici e coadiutori, cooperatori ed exallievi a tale tipo di apostolato»3.
L'apertura della Congregazione a campi pastorali notevolmente diversificati dal punto
di vista dei contenuti, dei fenomeni caratterizzanti e delle tecniche da adoperarsi, tali come
i mezzi di comunicazione sociale, le parrocchie, gli ambienti scolastici, ha moltiplicato le
richieste di formazione specifica almeno per alcuni settori. In proposito si possono leggere
le direttive del CGS 20 riguardanti la preparazione del personale che lavorerà nelle parroc-
chie con gli accenni ai tre tempi: la formazione iniziale, la preparazione immediata, la for-
mazione permanente4, direttive ribadite dal CG 21: «I confratelli destinati alla parrocchia
ricevano una formazione specifica che sottolinei e sviluppi anche i valori dello stile salesiano
nella vita e nell'azione»5. Simili raccomandazioni sono espresse e ripetute nei due capitoli
riguardo agli operatori nel settore della comunicazione sociale6 e riguardo a coloro che si
preparano per inserire il carisma salesiano nelle Chiese nuove7.
La pastorale scolastica è emersa anche come un campo specializzato che richiedeva una
qualifica particolare. Il CG 21 si esprime: «Preparare persone che operino nell'area scola-
stica. Si tratta di un lavoro specializzato con compiti e possibilità che richiedono lunga for-
mazione culturale e conoscenze pastorali specifiche»8.
Coloro che operano a tempo pieno nell'area del lavoro attraverso programmi, non hanno
avuto ultimamente una considerazione simile. Qualche vuoto è stato salvato dalla riflessione
sulla figura del salesiano coadiutore. Questa figura difatti è stata determinante nello sviluppo
delle nostre presenze educative per il mondo del lavoro. Però è evidente che l'asse della
riflessione varia notevolmente se la si imposta sulla identità e possibilità di una figura di
salesiano, oppure sulle esigenze globali che emergono dalla pastorale del lavoro; esigenze
che includono azioni e programmi che impegnano la comunità con tutte le sue vocazioni e
richiedono scelte di campo a diversi livelli.
Davanti a siffatta costatazione è legittima la domanda: sarà stata avvertita la rilevanza
che il lavoro e i fenomeni personali, culturali, sociali e politici ad- esso collegati hanno sulla
prassi educativa e pastorale?
Una manciata di stimoli alla preparazione per affrontare con più attrezzatura culturale e
più addestramento pratico il mondo del lavoro ci vengono dai Regolamenti, dalla Ratio e dai
Capitoli. Stimoli che hanno bisogno di sviluppo e attuazione pratica.
2 Atti del CG19 in ACS 244 (1965), p. 125.
3 Ibid., p. 152.
4 Cf. CGS20 440.
5 Cf. CG21 142d.
6 Cf. CGS20 454-455; CG21 152.
7 Cf. CGS20 473; 479.
8 CG21 133.
- 43 -

5.6 Page 46

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I Regolamenti Salesiani stabiliscono un principio di specializzazione pastorale quando
dicono all'art. 82: «assicurata la formazione generale, ogni confratello studierà con i supe-
riori il campo di qualificazione più confacente alle sue capacità personali e alle necessità
dell'Ispettoria»9.
Il CGS 20, sebbene non propose come tema di studio la pastorale salesiana nel mondo
del lavoro attraverso opere, presenze e attività totalmente dedicate ad essa, tuttavia rilevò
questa componente nell'azione di insieme di alcune presenze. Riferendosi al lavoro nelle
parrocchie dice: «L'azione pastorale e di testimonianza tra i lavoratori è uno degli impegni
che caratterizzano la nostra vocazione di servizio delle classi bisognose. Sacerdoti e coadiu-
tori, chiamati a questa missione, dovranno prima di tutto approfondire l'ascolto e la cono-
scenza delle masse operaie, dei loro problemi, ansie e aspirazioni, delle cause del loro atteg-
giamento nei confronti della Chiesa e della fede»10.
La Ratio della Formazione Salesiana indica come speciale manifestazione della capacità
pastorale del salesiano «una vigile sensibilità verso il mondo del lavoro, particolarmente
verso le masse operaie e la gioventù bisognosa in un tempo in cui l'accentuazione tecnica ha
portato questo mondo, la sua organizzazione e il suo sviluppo a prescindere praticamente dai
valori religiosi»11.
E anche come conclusione di questi rilievi sorgono delle domande. C'è bisogno oggi di
una preparazione differenziata per affrontare il complesso mondo del lavoro? Basta la for-
mazione generale sacerdotale e religiosa e un movimento personale di «carità pastorale»?
Deve concepirsi questa preparazione soltanto come qualifica tecnica o, come asseriva il CG
21, anche come qualifica pastorale?
A supporto della legittimità di tutte le domande precedenti mi si consenta un rilievo di
attualità e una meditazione storica. All'uscita del catechismo italiano dei giovani, non pochi
rilevarono che il suo linguaggio e la sua impostazione esistenziale rispondeva ad una ipote-
tica problematica della numerosa gioventù di scuola media superiore. Lo si trovava piuttosto
lontano dal mondo, dalle preoccupazioni, dal linguaggio e dalla forma in cui i giovani lavo-
ratori si pongono i problemi. Sulla scorta di simile osservazione negli ambienti di lavoro
alcuni catechisti hanno percepito la necessità di collegare il messaggio evangelico alle espe-
rienze significative e connaturali dei giovani che si avviano al lavoro e ne vivono già le
caratteristiche e le tensioni, e di produrre testi differenti a cui hanno dovuto dedicare anni di
studio e di applicazione in équipe.
Questo ci indica che non si tratta di differenze superficiali. Il contenuto dell'evangeliz-
zazione non è una sintesi concettuale, ma la vita di persone in situazione, salvate da Dio.
Non si trattava, dunque, di un «adattamento», ma di una vera traduzione e incarnazione. E
hanno avvertito che non sarebbe stata possibile tale incarnazione senza piantare la propria
tenda e la propria riflessione tra i giovani operai.
Forse il fenomeno che ci insidia per essere evangelizzatori efficaci nel mondo del lavoro
è l'allontanamento di sensibilità e di cultura riguardo al sistema di rapporti, agli interessi, ai
problemi e modelli di vita di coloro che vivono in questo mondo.
E qui si inserisce la «meditazione storica». Per molto tempo i laboratori e le susseguenti
scuole professionali salesiane cercarono di rappresentare in piccolo l'ambiente e la struttura
di lavoro in cui il ragazzo si sarebbe inserito. I salesiani per origine appartenevano ed erano
9 R 82.
10 CGS20 413.
11 Salesiani. Ratio fundamentalis. La formazione dei salesiani di Don Bosco. Principi e norme. Ratio
fundamentalis institutionis et studiorum. Roma, Editrice S.D.B, 1981, n. 133.
- 44 -

5.7 Page 47

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vissuti nello stesso ambiente contadino-artigianale dei giovani lavoratori. Le grandi convin-
zioni trasmesse con parole e immagini rivelano identità di humus umano, sociale e religioso,
oggi diremmo culturale. Rendersi simili ai giovani era possibile perché gli educatori erano
nati nello stesso ambiente, avevano avuto una giovinezza per tanti aspetti simile, convive-
vano quotidianamente, parlavano lo stesso linguaggio di immagini e di terminologia addirit-
tura dialettale.
La definizione della missione e dello stile pastorale conserva ancora nei nostri testi la
chiarezza delle intuizioni e degli slanci degli inizi. «I giovani di ceti popolari che si avviano
al lavoro trovano spesso difficile inserirsi nella società e nella Chiesa». I salesiani intendono
guidarli «a prendere il loro posto nella vita sociale, culturale e religiosa del loro ambiente»12,
guidati da un atteggiamento di fondo, «la simpatia, la volontà di contatto, la conoscenza del
mondo giovanile e popolare, la solidarietà in tutti gli aspetti legittimi del loro dinamismo»13.
Dove gli ambienti pur difficili sono meno dissimili rispetto alle esperienze degli inizi, si
trovano realizzazioni e sviluppi impressionanti. Comunità e confratelli offrono, come vuole
l'art. 18 delle Costituzioni Salesiane, «il pane del corpo, la competenza in una professione,
la cultura intellettuale». In situazioni differenziate, sempre con qualche somiglianza con il
primo Valdocco, prepararsi per intervenire nel mondo del lavoro vuol dire portare un'espe-
rienza e un messaggio religioso, arricchirsi di tecniche e conoscenze da trasmettere, munirsi
di capacità di comunicazione, affinarsi in sensibilità e umanità per cogliere fenomeni umani
ancora non interpretati né curati da altre forze.
Ma proprio questi risultati ci interpellano per contrasto sulla nostra preparazione, dove
il contesto socio-economico-culturale impone una diversa presenza ecclesiale ed educativa.
Si impone una preparazione diversa, difficile anche da ipotizzare perché non fondata su una
esperienza precedente, in quanto questa realtà storica in cui ci si inserisce è nuova nella
storia. L'evoluzione tecnologica, la trasformazione del tipo di operaio, il crescere della cate-
goria dei tecnici e dei quadri intermedi, l'industrializzazione delle campagne, il lavoro fem-
minile, sono problemi che investono anzitutto società politiche e atteggiamenti personali.
Ma interpellano anche una pastorale che voglia essere realistica.
Nessun salesiano, o almeno non tanti quanti a Valdocco condividevano le radici e la
cultura nativa dei loro ragazzi, può oggi sentire come sue di istinto la mentalità e le proble-
matiche di questo mondo che fino a poco tempo fa non esisteva e che neppure oggi esiste in
nessun ambiente esattamente con le caratteristiche che si studiano.
Parliamo, dunque, di preparazione nel senso di una sensibilità di acquisire, di una capa-
cità di interpretazione e intervento che vanno ricuperate, perché pur essendo radicate nella
tradizione e nel carisma, come è stato chiarito nella prima relazione, potrebbero risultare
inoperanti data la distanza che sembra essersi creata tra le diverse componenti della cultura
attuale.
Non si tratta solo del coadiutore, sebbene questa figura è sempre in primo piano quando
si parla di scuole professionali. Ma sono laici e sacerdoti che si preparano assieme ad offrire
ciascuno con le proprie competenze una testimonianza e un servizio comune di fede e di
umanità.
Quando si parla di preparazione ci si può riferire a iniziative, programmi e strutture che
assicurino una qualifica.
Io offrirò alcuni spunti per sottolineare quattro linee di crescita.
12 C 11.
13 C 16.
- 45 -

5.8 Page 48

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2. Coscienza e senso «pastorale»
Il lavoro costituisce un'esperienza fondamentale della esistenza umana14. Ha prodotto
vantaggi e scarti e soprattutto ha modellato la persona, la società non soltanto esternamente,
ma nel nucleo più intimo, dove l'uomo elabora il senso dell'esistenza. Si parla appunto di un
«mondo», per indicare che la scelta e il significato travalicano i beni che si producono e le
attività che si vedono e affondano le radici nelle persone e nel patrimonio comunitario, sui
quali si riversano anche le conseguenze. Attorno al lavoro si aggregano forze diverse con
propositi diversificati, che concorrono, nei migliori dei casi, a una visione piena e a uno
sviluppo totale delle sue possibilità.
Il primo nucleo di crescita importante per un pastore, per un religioso è avere una co-
scienza chiara e permanentemente approfondita del significato che lui porta in questo in-
sieme. Il servizio pastorale è legato alla realtà della Chiesa, alla fede in Gesù Cristo, alla
speranza della salvezza e all'amore che ci fa intravvedere la redenzione e partecipare ad essa.
La Chiesa condivide le aspirazioni e il travaglio del mondo del lavoro, dando un suo
contributo originale: una lettura in Gesù Cristo delle speranze che emergono e dei conflitti
che si sviluppano, e l'annuncio della salvezza dell'uomo da parte di Dio. La Chiesa - ci dirà
ancora la Laborem Exercens - «vede un suo dovere particolare nell'elaborazione di una spi-
ritualità del lavoro, tale da aiutare tutti gli uomini ad avvicinarsi per il suo tramite a Dio»15.
Questo costituisce la pastorale e l'apporto tipicamente cristiano. Se i cristiani, attraverso
le loro svariate e complementari vocazioni, non riuscissero a dare questo apporto, privereb-
bero il mondo del lavoro di un contributo che non può venire da altri. Si tratta, in ultima
analisi, di evangelizzare secondo l'ampio significato del termine, che viene presentato nella
Evangelii Nuntiandi, cioè trasformare dal di dentro mediante la parola che esprime la verità
e chiama a conversione.
«Occorre lo sforzo interiore dello spirito umano, guidato dalla fede, dalla speranza e
dalla carità, per dare al lavoro dell'uomo concreto quel significato che esso ha agli occhi di
Dio, e mediante il quale esso entra nell'opera della salvezza al pari delle sue trame e compo-
nenti ordinarie»16.
La storia cristiana è una storia spirituale, cioè di lotta per il senso della vita. E così è
anche la pastorale. È chiaro che parliamo di spiritualità non come di un aspetto staccato o di
un'esperienza interiore avulsa dalla situazione storica dei credenti, ma come la sua sorgente
più profonda. Da essa attingiamo le ragioni del nostro vivere quotidiano e i motivi che danno
forza, senso e indirizzo a piani e programmi.
Quello che ci fa vivere in Dio lo svolgimento del nostro impegno, ci fa divenire ricchi
di fede, di speranza e di iniziative, ci fa accettare di buon grado, nella fiducia del seme, le
lentezze, la scarsità di forze, le tenebre dell'esistenza, e vedere nei segni il futuro dell'uomo.
La spiritualità è propria di ogni uomo aperto al mistero, che vive più in là delle appa-
renze. Nel cristiano è frutto della presenza dello Spirito. Esso lo spinge a fare un'opzione
storica fondamentale, secondo la visuale di Dio manifestatasi in Cristo a favore dell'uomo,
ad approfondirla e a mantenerla nel flusso della vita e degli eventi.
In questo senso, spiritualità significa identità: mantenere chiaro l'orizzonte significativo,
vivere nella storia l'esperienza della presenza di Dio, scoprire la sua azione negli eventi sal-
vifici, arrivare ad una profonda conoscenza dell'uomo e impegnarsi a fondo per il destino
del mondo.
14 Cf. LE 4.
15 LE 24.
16 LE 24.
- 46 -

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Da questa spiritualità, più che dall'analisi stessa culturale, verrebbe la capacità di vivifi-
care la cultura dall'interno, di dinamizzarla obbligandola costantemente a uscire dai suoi
limiti e insediamenti in nome della speranza. Spiritualità è, quindi, cogliere e inverare la fede
nel vissuto, una particolare maniera di sintetizzare vitalmente i valori cristiani secondo di-
versità di punti prospettici.
Non può essere supposta o data per scontata, in un discorso anche specifico sulla nostra
presenza nel mondo del lavoro. Difatti ad essa è legato il senso pastorale, i cui interrogativi
non sono risolti una volta per sempre, ma richiedono rimeditazioni e approfondimenti, assi-
milazione di dati nuovi e ricupero di motivi. Si tratta di essere non soltanto attivi, ma soprat-
tutto consci dei significati di esistenza di cui siamo portatori.
La pastorale del lavoro si asserisce è una modalità necessaria nella pastorale nor-
male e generale. Lo esprime con chiarezza il Documento della Commissione CEI per i pro-
blemi sociali17: la pastorale del mondo del lavoro è la pastorale della società industriale18.
Piuttosto che un settore staccato è una prospettiva che ogni chiesa locale assume ed
esprime attraverso atteggiamenti di ascolto, di comprensione, dialogo e impegno in una so-
cietà trasformata e segnata dal lavoro. Si sviluppa attraverso le presenze di chiesa che diven-
tano centro di comunione e partecipazione di persone di diversa estrazione e mentalità. Si
manifesta nella sensibilizzazione generale e nello spazio di dialogo che ai problemi del la-
voro si dia nella comunità.
Le sue linee di azione sono quelle tipiche di ogni pastorale: l'annunzio profetico della
salvezza, la celebrazione con linguaggio, segni e gesti comprensibili, e il servizio che, supe-
rando la sola informazione, programma in linea con la storia interventi che testimoniano
l'Assoluto, propongono, anche se a livello quantitativamente modesto, una qualità di vita e
denunciano criticamente situazioni inumane, cioè il prezzo umano con cui si sta pagando il
benessere (emarginazione, disoccupazione).
Ma allo stesso tempo la pastorale del lavoro è un'azione specializzata, portata avanti da
alami membri della Chiesa, muniti di una visione ricca della sua realtà salvifica, addestrati
ad un intervento in condizioni particolari, preparati per una lettura evangelica dei fenomeni
che sono sorti in questo mondo.
Da questo doppio movimento pastorale della Chiesa all'interno della storia del mondo
provengono le prime indicazioni per una crescita della coscienza pastorale.
Essa richiederà nel salesiano lo sviluppo di un profondo senso di appartenenza alla
Chiesa come comunione di tutte le forze che collaborano alla salvezza e la cui manifesta-
zione sono i seguenti atteggiamenti: la coscienza della missione comune, il riconoscimento
del pluralismo degli apporti e dei carismi che operano in comunione e complementarietà, la
apertura dunque alle diverse manifestazioni della fraternità cristiana e della collaborazione
operativa.
Li renderà sensibili alle esigenze che comporta il dialogo della Chiesa col mondo d'oggi,
tali come il riconoscimento di quanto di buono si elabora più in là delle file cristiane, la
conoscenza del fenomeno dell'ateismo e della religiosità, delle sue radici e delle risposte
vitali che richiedono dal credente. Soprattutto esigerà un ancoraggio rinnovato ogni giorno
alla parola di Dio per illuminare ogni evento, azione, interrogativo o conflitto. È questo
17 Cf. COMMISSIONE PER I PROBLEMI SOCIALI, Documento pastorale. La Chiesa e il mondo del lavoro,
coll. Documenti CEI n. 9, Leumann Torino, LDC, 1977.
18 Cf. COMMISSIONE PER I PROBLEMI SOCIALI, Documento pastorale. La Chiesa e il mondo del lavoro,
Introduzione e n. 22.
- 47 -

5.10 Page 50

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ancoraggio che ci dà l'intuito profondo proprio del popolo di Dio che legge i segni, discerne
i valori e giudica la storia.
Ma i Salesiani si inseriscono nell'azione della comunità cristiana con un contributo ca-
rismatico particolare. L'esperienza di vita del Fondatore, la collocazione popolare, lo svi-
luppo delle iniziative educative fecero del lavoro uno degli elementi-cardini nella matura-
zione della mentalità e della spiritualità dei Salesiani. Il lavoro sarà, secondo Don Bosco, il
loro distintivo sociale, che li renderà simpatici e accettabili alla società in via di secolarizza-
zione, più attratta dal senso da dare alla vita umana che da simboli religiosi istituzionali. Il
lavoro darà il tono al loro stile di povertà, influirà sui rapporti comunitari e costituirà una
caratteristica della loro pastorale. Più profondamente e più alla radice, il lavoro sarà sentito
come partecipazione all'opera di Cristo per la redenzione del mondo ed esercizio di carità
verso gli uomini.
A partire da questa esperienza spirituale i Salesiani diventeranno educatori dei giovani
al lavoro, rivelatori del suo senso umano e soprannaturale. «Necessità educative e sociali
intuite in perfetta relazione con i nuovi tempi scrive l'Orestano fecero scoprire a Don
Bosco la grande legge di educare col lavoro e al lavoro. Del lavoro come strumento educa-
tivo Don Bosco sentì la straordinaria potenza edificante della personalità umana in tutti i
sensi e i momenti».
Il lavoro farà parte, dunque, dei contenuti educativi di tutte le iniziative salesiane oltre a
ispirare ambienti particolarmente centrati in esso. Sarà proposto ai giovani non come castigo
e nemmeno soltanto come dura necessità, ma come una grazia e come gioiosa esperienza
educativa.
Il CG 21 ha raccolto questo tratto quando riferendosi alla scuola salesiana dice: «Insegna
a vivere la caratteristica spiritualità del lavoro, mantiene un abituale e cordiale collegamento
col mondo del lavoro»19.
Coscienza e senso pastorale vuol dire consapevolezza che nel mondo del lavoro siamo
annunciatori del Vangelo assieme a tutta la Chiesa; consapevolezza della testimonianza re-
ligiosa segnata dal primato di Dio e dalla radicalità nel servizio; consapevolezza infine della
singolare destinazione dei Salesiani al mondo del lavoro attraverso l'iniziazione della gio-
ventù ad esso.
3. Incarnazione culturale
Che l'evangelizzazione e il vissuto della fede siano collegati con la cultura è un'afferma-
zione che non ha bisogno di un lungo commento. Si può in proposito, come unico e autore-
vole appoggio, citare il testo della Evangelii Nuntiandi: «Il Regno, che il Vangelo annunzia,
è vissuto da uomini profondamente legati a una cultura». «Occorre evangelizzare non in
maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma in modo vitale, in profondità
e fino alle radici la cultura e le culture dell'uomo, nel senso ricco ed esteso..., partendo
sempre dalla persona e tornando sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio»20. E
affinché questi rilievi non venissero limitati entro considerazioni soltanto geografiche, sog-
giunge: «Per la Chiesa non si tratta soltanto di predicare il Vangelo in fasce geografiche
sempre più vaste o a popolazioni sempre più estese, ma anche di raggiungere e quasi scon-
volgere mediante la forza del Vangelo i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti di
interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita della umanità»21.
19 CG21 131.
20 EN 20.
21 EN 19.
- 48 -

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Ora un dato emerso fortemente da questo incontro è che il lavoro è passato da fenomeno
individuale e funzionale al proprio sostentamento, alla categoria di cultura. E questo non
soltanto perché i lavoratori hanno sviluppato una coscienza collettiva che si è espressa in
movimenti, azioni e fatti tendenti a creare una società diversa nella quale emergesse di più
la solidarietà, l'umanizzazione del lavoro, il protagonismo del popolo inteso senza discrimi-
nazioni come insieme di persone formanti la comunità politica. Ma soprattutto perché il la-
voro ha fatto nascere nuovi modelli culturali: conoscenze innovatrici, aree di sviluppo per-
sonale, atteggiamenti davanti alla vita e comportamenti sociali, elaborazioni di ideali co-
muni, prassi politica. Il tutto ha originato una forma di convivenza dove la creazione e l'at-
tività produttiva crea energia sociale, è base di solidarietà universale più in là delle frontiere
nazionali, è fattore di umanizzazione e punto di aggregazione.
Nel mondo del lavoro sorgono fenomeni, si stabiliscono mete e scadenze storiche, si
provocano lotte e opposizioni, si preparano professioni e ruoli sociali, si creano istituzioni
con stile e finalità proprie. Il lavoro oltrepassa, dunque, la semplice attività: è una cultura.
Vuol dire che per penetrarlo e capirlo non basta la conoscenza esterna e aneddotica, l'avvi-
cinamento individuale, o la semplice buona volontà. Ha una struttura, ha rapporti, ha dina-
mismi interni, ha leggi di azione e reazione. Da questo mondo viene e a questo mondo si
indirizza il giovane che noi incontriamo. Nella sua atmosfera respira e del suo humus si
nutre.
Ora si può domandare: che impressione si ha quando si guarda alla preparazione gene-
rale, salvo casi di vocazioni individuali, che sacerdoti e religiosi hanno acquistato nella loro
prima formazione e nella susseguente maturazione per affrontare questo mondo?
Mi affiderò ad alcuni documenti di gruppi autorevoli che hanno studiato questo interro-
gativo e che considero in possesso di dati più precisi di quelli di cui posso disporre io per
conoscenza diretta. E li offro non come affermazioni indiscutibili, ma come stimoli per ri-
flettere.
Quasi non c'è documento che non deplori un vuoto. Dobbiamo riconoscere dice il
Vescovo di Brescia in un lucido intervento22 che da parte della Chiesa sono abbondantis-
simi i documenti...23. Sono però di fatto ignorati. «In troppe parrocchie il problema dei nostri
lavoratori non è neppure preso in considerazione»24.
Non pochi operatori rilevano che raggiungiamo l'uomo che lavora nella sua esperienza
familiare, nei suoi figli, nei suoi gesti religiosi e nel suo patrimonio morale che costituisce
quasi il suo ambito privato, mentre tutta la realtà del lavoro rimane come un tema inesplo-
rato, non evangelizzato e tagliato da qualunque altra considerazione di fede che superi un'e-
tica fondamentale e quasi sempre generica psicologicamente.
Appare poi come primo proposito di futuro il non rimanere fuori della realtà lavoro-
produzione-società e di cercar di capirla nei suoi dinamismi. A conferma possono essere
citati innumerevoli raccomandazioni, da quelle che si riferiscono in forma generale allo stu-
dio della dottrina sociale della Chiesa, fino ad altre più precise come l'indicazione del Sinodo
tedesco del 1976 sul tema «Chiesa e mondo del lavoro»25. «Negli anni della formazione e
della qualificazione tutti i collaboratori impegnati a tempo pieno nella pastorale dovrebbero
22 Cf. L. MORSTABILINI, Pastorale del mondo del lavoro, coll. Maestri della Fede n. 115, Leumann
Torino, LDC, 1977.
23 Ibid. (cfr. n. 21)
24 Ibid. (n. 166)
25 SINODO NAZIONALE DELLA GERMANIA FEDERALE, Chiesa e mondo del lavoro, coll. Maestri della
Fede n. 113, Leumann Torino, LDC, 1977.
- 49 -

6.2 Page 52

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far proprie quelle conoscenze teoriche e pratiche che permettano loro di occuparsi dei pro-
blemi della società industriale»26.
È evidente anche un certo sforzo di superare il «dottrinarismo», cioè il procedere sol-
tanto attraverso informazioni verbali. «Per tutto il periodo della formazione, i candidati al
sacerdozio... conoscano effettivamente per esperienza diretta la situazione esistenziale dei
lavoratori»27. A questo indirizzo si aggiunge la raccomandazione 4: «Allo studio della dot-
trina sociale cristiana, prescritto come materia obbligatoria nelle facoltà teologiche..., va
unito un periodo di pratica nelle industrie preparato e guidato da specialisti». Il Sinodo rico-
nosce il bisogno di «informazione, educazione», ma anche di «contatti» per chi non è lavo-
ratore, per comprendere le condizioni di vita all'interno del mondo del lavoro28.
Assieme a questa volontà tesa verso un futuro di maggior avvicinamento, si rilevano
alcune remore che potrebbero essere quasi connaturali all'ambiente della formazione eccle-
siastica: una preferenza inconscia verso le forme e i valori della cultura rurale che predispone
negativamente al fenomeno tecnico-urbano, un'incomprensione ai fatti connaturali allo svi-
luppo della cultura del lavoro più collettiva, più politica, più mobile, più conflittuale, e un
rifugio sereno in sintesi culturali che non assimilano la nuova realtà del lavoro.
Il documento sui problemi sociali del lavoro dell'Ufficio pastorale CEI, parlando dei
sacerdoti anche direttamente impegnati con gruppi di lavoro in apostolati specifici, dice: «in
genere nel clero è prevalente una mentalità di ceto medio che impedisce l'incontro e il dia-
logo con i lavoratori...»29.
Tra le cause del triste distacco Chiesa-mondo del lavoro, si annovera anche un «certo
atteggiamento di favore, parzialmente ancora in atto, verso una realtà contadina pre-indu-
striale con qualche avversione verso la tecnica e i suoi sviluppi»30.
Sulla incomprensione da parte dell'elemento ecclesiastico di alcuni fenomeni ambiva-
lenti, ma integranti il mondo del lavoro, potrebbe essere significativo raccogliere l'accenno
di questi punti che rileva il Sinodo tedesco: «Molti sacerdoti e laici tendono a una visione
unilaterale armonistica: secondo loro i conflitti sono soltanto un male; si nega semplicemente
la contrapposizione effettiva di interessi, e quindi dei conflitti che ne derivano»31. «Ricono-
scere ai lavoratori il diritto di rivendicare... mediante la lotta operaia risultò talora difficile a
molti sacerdoti e laici nella Chiesa»32.
E sui limiti più generali che impedirono alla sintesi religioso-culturale di spostare al-
quanto l'asse contenutistico e metodologico verso il mondo del lavoro, senza rinunciare per
niente alla centralità della riflessione di fede e ad un'antropologia fondata, si enunciano que-
sti elementi di influsso:
restrizione dello sguardo ai problemi intraecclesiali;
il peso di una scienza teologica che è «rimasta invischiata nell'idea del mondo contadino
o artigianale, in cui l'attività produttiva è legata alla gestione familiare e il rapporto di
lavoro è inserito completamente nella realtà domestica e familiare»33;
preferenza ideologica per l'intervento assistenziale che non è in grado di risolvere pro-
blemi strutturali;
26 Ibid. n. 3.5.
27 Ibid.
28 Ibid. n. 4.
29 Ibid., n. 2.1.
30 L. MORSTABILINI, Pastorale del mondo del lavoro, n. 23.
31 Ibid., n. 1.4.3.
32 Ibid., n. 1.4.2.
33 Ibid., n. 1.2.
- 50 -

6.3 Page 53

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l'atteggiamento indifferente o cauto davanti a qualsiasi provvedimento in favore dell'e-
sercizio dei propri diritti;
un insufficiente confronto con le correnti di pensiero e di prassi innegabilmente presenti
e influenti nel mondo del lavoro, o un confronto in termini sorpassati senza prendere
atto dei significati nuovi che ci sono sotto termini antichi. «Con grave danno della nostra
credibilità, la discussione nei nostri ambienti corre ancora oggi sui vecchi binari, mentre
in ambito... internazionale ed ecumenico si usano con naturalezza le categorie dell'ana-
lisi sociale»34;
l'integralismo di pensiero che non ammette collaborazioni e in generale la poca rile-
vanza data al fenomeno operaio come fenomeno di futuro.
È ancora il citato documento dell'Ufficio Pastorale CEI che asserisce che non sentendosi
attrezzati culturalmente «si è portati a vedere pericolo di turbamento nella comunità, di con-
flitti, di contestazioni», quando si inseriscono con le loro problematiche persone provenienti
dall'esperienza del lavoro. La distanza dalla cultura del lavoro considerata come un tutto
dinamico di valenze e rapporti, di mete e aspirazioni, di modelli di comportamenti e criteri,
ha come effetto l'incomprensibilità del linguaggio, la difficoltà di percepire significati anche
in gesti, dichiarazioni e atteggiamenti ineccepibili, ma fuori epoca. Il gruppo di lavoro della
CEI trova che «il linguaggio non è comprensibile... non chiama in causa chi ascolta»35. L'at-
teggiamento a volte autoritario e paternalistico dei sacerdoti rende difficile il dialogo, l'ami-
cizia e una fraternità vera..., come pure l'incomprensione della necessaria presenza dei laici
nella evangelizzazione dei lavoratori.
Forse la realtà dell'incontro del mondo interno in cui si decantano e si elaborano i nostri
messaggi e quell'altro mondo del lavoro si percepisce simbolicamente nell'incontro dei Papi
con le fabbriche. Paolo VI (Taranto-Pomezia), Giovanni Paolo II (Terni, Rosignano-Solvay)
in visita a luoghi dove il lavoro umano moderno ha le sue espressioni dure e tipiche, a giu-
dizio comune di presenti, si trovano di fronte a un primo momento di stupore e difficoltà.
Il Papa era atteso e l'incontro lungamente preparato. La persona, i valori istituzionali e
personali che rappresentava hanno sgelato l'atmosfera e sono stati vissuti non solo bellissimi
momenti di dialogo, ma interessanti esperienze da approfondire in una riflessione pastorale.
Ma non è mancato un certo dramma dell'impatto, un quasi silenzio e smarrimento. L'aveva
espresso già Paolo VI, quando, rivolgendosi agli operai, aveva riconosciuto che non sapeva
che parole scegliere. Ne furono testimoni quesiti e dialoghi a Rosignano. Ne è testimone
quanto fu scritto dopo l'incontro collegiale del Consiglio di Fabbrica di Rosignano. La me-
raviglia che ci fosse disponibilità di incontro autentico, di ascolto attento, di vero desiderio
di chiedere e capire, e non la presunzione collegata a una certa immagine della Chiesa come
di chi non ha che da insegnare, o crede di aver a portata di mano la soluzione almeno teorica
d'ogni questione in base a principi eternamente validi, anche di quelle questioni vissute da
altri in prima persona.
Cioè è apparso un varco ancora non superato tra il riconoscimento della testimonianza
personale e l'immagine di una istituzione che, più in là di certi momenti felici e certi rappre-
sentanti ispirati, è sempre legata a radici culturali almeno distanti da quelle in cui si fonda il
mondo operaio-industriale.
E questa è la costatazione più scioccante: non c'è preclusione di principio al messaggio
religioso; anzi il gruppo CEI riconosce la permanenza e la forza di sentimenti religiosi e di
34 Ibid., n. 1.5.
35 Cf. COMMISSIONE PER I PROBLEMI SOCIALI, Documento pastorale. La Chiesa e il mondo del lavoro,
n. 15.4.
- 51 -

6.4 Page 54

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abitudini cristiane, manifestati in gesti e fatti. C'è invece uno stacco culturale e di prassi
sociale.
Pur ammettendo che queste convinzioni non hanno un fondamento totalmente obiettivo,
il fatto che siano cresciute silenziosamente, accusa allontanamento di mentalità più che cause
morali o azione di cattiva volontà da parte di persone interessate.
Preparazione al mondo del lavoro non significa, dunque, soltanto acquisizione di un
certo sapere settoriale, ma capacità di percepire, di valutare, di sintetizzare cultura non con
una selettiva mentalità da ceto medio, ma con sensibilità ben più aperta e disponibilità.
Un movimento favorevole a questo è già peraltro in corso nella Chiesa e ciò costituisce
l'aspetto positivo dell'analisi, movimento che si manifesta sia nella sfida di una riflessione
aggiornata, lanciata dalla Laborem exercens, sia dalla nuova volontà di presenza emersa in
molte chiese locali.
Il nostro ministero di pastori-educatori non soltanto ci richiama al messaggio evangelico,
ma ci colloca nella cultura dove si giuocano i significati. Non potremmo prepararci a svol-
gere un ministero nel mondo del lavoro a meno che non ci immergiamo in questo mondo,
cogliendo le sue forze sane e preparandoci a contestare i suoi idoli.
Dalla fusione tra coscienza pastorale e immersione culturale dovrebbero originarsi una
sintesi vitale attuata nella persona stessa e nella comunità, e il conseguente sviluppo degli
atteggiamenti auspicati da tutti i piani pastorali preparati in vista del mondo del lavoro: è
l'ascolto, che significa studio, esperienza di penetrazione, immedesimazione; la comunione,
condivisione nel mistero pasquale delle preoccupazioni del mondo del lavoro, dei criteri e
delle azioni della Chiesa in esso; il servizio, cioè di animare la crescita, scoprirne e difen-
derne la dignità.
4. La qualificazione educativa
La dimensione educativa è così interna alla missione e allo stile pastorale salesiano che
viene inserita in tutti i programmi e caratterizza tutte le strutture e tutti gli ambienti, siano
essi formalmente ed esplicitamente educativi, o si considerino di attendimento pastorale più
generale. Il salesiano, secondo la definizione raccolta nelle Costituzioni e commentata in
autorevoli testi, è un pastore-educatore e il suo progetto d'intervento è educativo-pastorale.
Forse l'esempio più chiaro di come si vogliono congiungere e fondere questi due aspetti
si intravede in quanto il CG 21 dice sulle parrocchie: «La parrocchia salesiana evangelizza
secondo lo stile e lo spirito del progetto educativo-pastorale salesiano»36. O in forma più
generale, ma anche più fondamentale: «come persone e come comunità... abbiamo un cari-
sma specifico per cui ci dedichiamo all'educazione»37.
Questa accentuazione richiede di acquisire competenza specifica nell'accompagnare la
crescita armonica e integrale dei giovani che vengono dal mondo del lavoro o vanno verso
di esso. Si tratta d'introdurre i giovani, attraverso conoscenze ed esperienze progressive e
adeguate, non tanto in un processo di produzione, quanto in una società in cui i rapporti
originati dal lavoro sono determinanti e conflittuali, e aiutarli a costruire una personalità
unificata. Il buon cittadino e il buon cristiano si fondono nel lavoratore competente e critico,
con volontà e capacità di partecipare alla cultura. È un compito più specifico che l'annuncio
generale della parola evangelica. Nella Chiesa ci colloca in un'area specializzata della pasto-
rale, mentre nella società civile ci identifica professionalmente. E questo risponde anche al
desiderio di Don Bosco che i suoi religiosi fossero cittadini come gli altri, che assumessero,
36 CG21 140.
37 CG21 15.
- 52 -

6.5 Page 55

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se pur con piena e chiara ispirazione pastorale, un lavoro stimabile in termini di professio-
nalità e di rendimento sociale.
La professionalità educativa si basa sulla conoscenza sufficiente delle scienze dell'edu-
cazione applicate all'area del lavoro. Si manifesta particolarmente in tre momenti e opera-
zioni.
Il primo è la capacità di analisi della condizione dei giovani nell'area del lavoro. A
questo riguardo ci avverte il CG 21: «L'evangelizzazione passa sempre più obbligatoria-
mente attraverso l'analisi delle situazioni di vita che incidono sulla personalità giovanile. I
modelli che l'ambiente presenta, le aspirazioni, le tensioni e le rivendicazioni che induce,
trovano spesso accoglienza e solidarietà nell'animo dei giovani»38. «Si tengano in conto le
loro esigenze specifiche e la loro appartenenza al mondo dello studio o della fabbrica, al
mondo dei campi o dell'impiego»39. Questa conoscenza è, dopo il Vangelo, il criterio fonda-
mentale per concretizzare le nostre scelte e impostare i nostri programmi.
Si insiste che debba essere sufficientemente seria, non basandosi semplicemente su im-
pressioni o su approssimazioni generiche. Per noi il punto risolutivo è soprattutto scoprire
quelle attitudini e aspirazioni che sembrano avere riferimento al Vangelo. C'è sempre una
segreta solidarietà e richiamo tra quello che emerge dai segni e la Parola di Cristo ed è ne-
cessario esplicitarla, chiarirla e procedere oltre, poiché i segni dei tempi non esauriscono le
possibilità della parola.
La persona è al centro della nostra missione. Non dobbiamo però concepirla in forma
astratta. Nel caso del giovane lavoratore non dobbiamo fermarci ai problemi e alle aspira-
zioni connesse soltanto con il fatto della sua giovinezza, ma assumere i fenomeni tipici del
mondo del lavoro e risolvere positivamente la loro incidenza sui giovani.
Alcuni di questi fenomeni sono comuni alle diverse aree europee e hanno attinenza col
compito educativo.
È diffusa una mentalità che sottovaluta il lavoro tecnico, anche quando si realizza a buon
livello, e concede status alla preparazione intellettuale che porta più facilmente a funzioni
direttive e a ruoli di comando. In qualche parte si è indicata la scuola professionale come
scuola di seconda classe. Viene considerata come una forma di promozione o di ricupero
sociale, riservata a giovani provenienti da famiglie di minori possibilità. La scelta della
scuola professionale non potrebbe essere determinata che da un limitato livello di aspira-
zione (carenza di motivazione per livelli più alti, scarsità di risultato scolastico), o a causa
della condizione socio-culturale della famiglia (difficoltà economiche, mancanza di stimoli,
limiti sociali).
La precarietà di occupazione e la difficoltà di impiego colpiscono egualmente intellet-
tuali e operai. Questi sanno che affrontano un tempo in cui la meccanizzazione crescente e
la automazione modificano costantemente compiti e professioni. Dai mestieri che si esauri-
scono e ricompongono nasce il fenomeno dell'attività spersonalizzata e puramente funzio-
nale come mezzo di sussistenza, più che come attività creatrice e come espressione della
persona. C'è dissociazione tra efficienza e spontaneità rispetto ai risultati e alle modalità
delle prestazioni. Così la cultura industriale, malgrado gli sforzi, cammina verso un'immensa
massa di subordinati e la non partecipazione risulta inevitabile.
La persona si scinde a poco a poco e cerca le gratificazioni fondamentali in altri settori
della propria esistenza, eliminando il lavoro dai fattori di perfezionamento, di donazione e
38 CG21 20.
39 CG21 29.
- 53 -

6.6 Page 56

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di progresso. Lavora in un settore per fare fronte alla propria sussistenza; però realizza la
propria umanità in altri settori (famiglia, circoli di amici, lotta politica).
La tendenza all'automazione trasforma poco a poco la civiltà del lavoro in civiltà del
consumo. La società industriale si fonda su alami principi assunti come valori indiscussi: il
massimo vantaggio, il principio di produzione, la concentrazione del potere economico. L'e-
tica del lavoro si cambia in morale del guadagno e del consumo. Il centro di gravitazione di
tutta la vita slitta insensibilmente verso il tempo libero, verso il non lavoro, ove la persona
costruisce liberamente la propria identità e arricchisce il suo patrimonio culturale.
In questa rifondazione della vita si fanno presenti le ideologie come tentativo d'interpre-
tazione del processo storico, come sforzo di trasformazione delle strutture, di umanizzazione
dei rapporti di lavoro, di produzione, di proprietà, di partecipazione nel politico; e come
«utopia» per l'edificazione di un futuro.
Questo insieme di stimoli, aspirazioni storiche e sforzi di costruzione sociale non è
esente da tentazioni e pericoli. Ciò che il giovane lavoratore incontra e incontrerà frequen-
temente sono la visione materialista e chiusa della vita umana, la tentazione della violenza,
lo egoismo di classe, con i sentimenti corrispondenti di ostilità per chi non condivide con lui
gruppo e tendenze.
Incertezza economica, mancanza di sbocchi professionali, incontro con le ideologie,
senso d'inferiorità, divisioni interne, sono i problemi educativi che deve affrontare chi si
propone, come i Salesiani, di costruire persone e inserirle nella società.
Come si potrebbe operare una fusione tra fede e vita se questi fenomeni e altri simili non
fossero umanizzati ed evangelizzati? E come potrebbero esserlo se la comunità di educatori,
e non già qualcuno isolatamente, non si dedicasse a capirli dall'interno, nelle loro cause e nei
loro dinamismi?
Il CG 21 esorta i Salesiani a essere specialisti della realtà giovanile e a offrire nell'ambito
delle chiese locali la conoscenza acquisita attraverso gli studi e i contatti reali.
Il mondo del lavoro si evolve con rapidità. In esso i giovani non trovano facilmente una
loro collocazione, né riescono facilmente a integrare fede e vita in un contesto di cui molti
elementi non erano prevedibili.
La missione salesiana ci chiederà nell'immediato futuro di approfittare dell'insieme delle
nostre presenze, per poter pervenire a una maggior profondità di comprensione della situa-
zione dei giovani che provengono e si dirigono al mondo del lavoro. E questo è un primo
aspetto della professionalità educativa che la nostra collocazione tra la gioventù può renderci
capaci di offrire alla Chiesa.
La professionalità ci spingerà ad accrescere la capacità di progettazione educativa. Non
è concepibile in educazione procedere individualmente per entusiasmo spontaneo, o ripeten-
dosi anno dopo anno, mentre attorno a noi le domande cambiano.
Viene opportuno richiamare qui un'osservazione del CG 21: «Un lavoro educativo per
essere concreto e offrire un servizio utile non può limitarsi a principi generali e a orienta-
menti generici. Deve indicare con precisione i contenuti e i metodi, perché siano dati ai gio-
vani in fase educativa quell'attenzione e quel rispetto che ci insegna la pedagogia di Dio»40.
Il compito educativo soffre l'impatto oltreché del ritmo evolutivo della società, della
pluralità delle scelte possibili in termini di programma, obiettivi intermedi e contenuti su cui
giuocare le forze disponibili, e delle innovazioni didattiche.
Nella dispersione degli interventi giornalieri non collegati si può perdere anche quel
quadro di riferimento antropologico ed evangelico che dà senso alle singole proposte.
40 CG21 20.
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6.7 Page 57

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Nessuno sopravvive nella cultura odierna senza sottomettersi a delle riformulazioni pe-
riodiche delle proprie sintesi, e senza essere cosciente del risultato finale e totale a cui si
indirizzeranno i propri contributi. Questa è forse la ragione profonda per cui negli ultimi
tempi si è insistito sul progetto come operazione unificante della mentalità e degli interventi
e allo stesso tempo come atteggiamento innovativo, capace di seguire il ritmo della realtà e
di dare risposte adeguate alle domande e proporzionate alle possibilità.
Finalmente la professionalità dovrebbe aiutare a sviluppare gli abiti, i metodi e gli at-
teggiamenti di verifica.
Un aspetto particolare della nostra qualifica educativa è la pedagogia religiosa, cioè la
capacità di formare i giovani nella fede attraverso itinerari specifici che assumano le loro
esperienze e si adeguino al loro linguaggio.
5. Prassi di animazione comunitaria
La nostra azione si svolge attraverso comunità. «La formazione di vere comunità edu-
cativo-pastorali basate sulla corresponsabilità e collaborazione è uno degli obiettivi princi-
pali del nostro rinnovamento»41.
Non rientra nello spazio di questa relazione approfondire i fondamenti di questa linea di
azione, valida per tutte le presenze salesiane. Il farlo, però, darà agli operatori il senso della
sua urgenza e della sua attinenza con la evangelizzazione, eliminerebbe resistenze e aiute-
rebbe a capire i nuovi ruoli della comunità religiosa.
Tre sono i nodi della comunità educativa: l'identità cristiana e salesiana, il dinamismo
interno di partecipazione costruttiva, il collegamento con altre forze educative e soprattutto
col territorio.
Una felice soluzione di questi problemi mette sul tappeto la questione della capacità
animatrice dei salesiani.
C'è una parola chiave molto usata in questi ultimi anni: animare, che non conviene ri-
durre all'organizzare o dirigere. «L'animazione nel suo significato originale fa pensare anzi-
tutto all'attività interiore dell'anima come energia di vita, di crescita armonica, di coesione
articolata delle parti: attività che dall'interno fa crescere la partecipazione di tutti i membri
nella vita del corpo»42.
Conviene mettere in chiaro alcuni punti strategici, che sono pregiudiziali per il risultato.
Eccoli.
Che la comunità religiosa (la comunità tutta, non uno o due di essa) riconosca il suo
ruolo all'interno della comunità educativa e pastorale, con le conseguenti modifiche di
orari e attività che questo comporta. Si dice a questo proposito: «formare la comunità
educativa con la partecipazione dei salesiani come animatori»; e sembra che su questo
fulcro riposino le speranze di arrivarci. Ai Salesiani toccherà guidare il processo, affin-
ché la comunità sia evangelizzata ed evangelizzatrice43.
Che avendo riconosciuto e accettato in solidum questo ruolo, lo concretizzi in iniziative
e programmi. L'animazione difatti non consiste in parole di incoraggiamento, ma in chia-
rezza di finalità, unione di membri, coscienza della missione ed entusiasmo nell'opera
che si svolge.
Che questo coinvolgimento non si esprima soltanto nei momenti «istituzionalizzati», ma
41 CG21 62.
42 CG21 46.
43 Cf. CG21 132.
- 55 -

6.8 Page 58

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si allarghi alle attività libere. «Ogni comunità - dice ancora il CG 21 - programmi an-
nualmente attività e incontri che aiutino a superare il livello burocratico dei rapporti e a
instaurare un ambiente comunitario permeato dallo spirito evangelico di libertà e di ca-
rità»44.
La vita di una comunità educativa e le sue possibilità di camminare cosciente e unita in
un progetto dipende dal fatto che i Salesiani prendano su di loro questo ruolo di animare
nella linea educativa, pastorale e salesiana. Ma i Salesiani non prendono questo ruolo quando
non hanno maturato in determinati criteri di azione, non hanno acquistato le relative cono-
scenze e non si sono inseriti progressivamente in una prassi di animazione.
6. Conclusione
Coscienza e senso pastorale, sensibilità culturale, livello professionale, capacità anima-
trice: sono i quattro nuclei attorno ai quali organizzare la preparazione dei Salesiani per il
mondo del lavoro.
Le iniziative e le opportunità, alcune indicazioni per un cammino futuro è il compito di
riflessione affidata ai gruppi.
44 CG21 133.
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6.9 Page 59

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7. SCUOLA SALESIANA
Vecchi, J.E., Scuola salesiana in ACS 303 (1982), p. 29-37.
1. Il problema attuale. - 2. Un modello operativo. - 3. La comunità educativa. - 4. Il livello professionale. - 5. L'originalità
culturale. - 6. L'animazione pastorale. - 7. Il cuore oratoriano.
1. Il problema attuale
Le prese di posizione sulla validità culturale e pastorale della scuola non sono mancate
negli ultimi tempi, sia da parte della Chiesa che da parte della Congregazione. I principi, i
fondamenti e le mete ideali sembrano chiariti. Rimane vivissimo invece il problema di creare
un «modello» in cui tutti i pregi e le possibilità che si enunciano nei documenti trovino ri-
scontro rilevabile nella realtà.
La scuola è stata scossa da fatti culturali, sociali ed ecclesiali, che senza intaccarne il
valore, hanno mostrato l'insufficienza di una certa prassi precedente, richiedendo un nuovo
quadro di riferimento e più adeguati criteri di programmazione e di intervento. E più a monte
hanno svelato altre prospettive educative e pastorali.
Alcuni di questi fenomeni, che qui enunciamo soltanto a titolo di esempio, e il cui in-
flusso sentiamo ogni giorno nelle nostre scuole, sono: la presenza massiccia dei laici, le
esigenze partecipative, l'identità culturale odierna di una scuola che voglia chiamarsi catto-
lica in un ambiente pluralistico, il rinnovamento didattico continuo, una nuova visione della
comunicazione culturale, le esigenze tecniche del moderno insegnamento, il rapporto con il
territorio, le modalità del lavorò pastorale in una istituzione che per sua natura è secolare.
Se alle dichiarazioni di validità e possibilità non consegue una soluzione viabile per cia-
scuno di questi elementi in termini di personale, di' aggiornamento, di obiettivi raggiungibili
e di attuazione, i testi rimarranno inoperanti.
La Congregazione gestisce un numero considerevole di scuole. La scuola è l'ambiente
dove essa prende contatto con più giovani, durante un tempo più prolungato e col programma
più organico, avendo anche opportunità di coinvolgere un numero di laici educatori che cre-
sce ogni giorno.
Il documento sulla evangelizzazione dei giovani del CG 21 presenta la scuola come un
ambiente e una via valida per i Salesiani, nella misura in cui ci permetta di evangelizzare i
giovani, secondo un tipico progetto pastorale.
Due sono, dunque, le preoccupazioni: la permeazione pastorale e l'identità salesiana. E
il momento di rivedere e assicurare ciascuna delle condizioni che oggi rendono la nostra
presenza scolastica espressione piena della missione giovanile salesiana.
2. Un modello operativo
Arrivare ad un modello operativo vuol dire dare una soluzione stabile e ottimale a tutti
gli elementi di novità, superare la sperimentazione individuale e costruire un patrimonio
comunitario di esperienze. Suppone anche che le soluzioni pratiche siano trasferibili ad altre
presenze dello stesso tipo, se non in modo materialmente uguale, almeno come indicazioni
di immediata applicazione.
Il Progetto Educativo Pastorale per la scuola raccomandato dal CG 21 ha come finalità
proprio la creazione di un modello operativo. Dovrebbe fare da mediatore tra i principi enun-
ciati e le realtà concrete in cui si lavora, tradurre in obiettivi e azioni possibili ciò che è stato
enunciato come teoria: creare in una parola una mentalità e una prassi comunitaria.
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6.10 Page 60

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Ma quali sarebbero i punti nodali riguardo ai quali si devono enunciare mete raggiungi-
bili, contenuti e iniziative concrete per costruire il desiderato modello operativo?
Eccoli.
3. La comunità educativa
È il primo e forse più nuovo tra i punti di attenzione. Suppone acquisita, a livello ispet-
toriale e locale, una mentalità che considera indispensabile la corresponsabilità dei laici, e
necessario il loro apporto per ottenere le mete educative e perché la scuola riproduca l'im-
magine della Chiesa.
Comporta anche il riconoscimento del ruolo di protagonisti dei giovani nei processi edu-
cativi che li riguardano e, come conseguenza, apre loro spazi di partecipazione secondo il
loro livello.
Riconosce la complementarità tra scuola e famiglia, e tra queste due realtà e quartiere e
società. Viene superato, dunque, l'isolamento della scuola sia riguardo ai contenuti, sia ri-
guardo ai rapporti e alla valutazione della propria efficacia. La famiglia non è chiamata a
dare soltanto un appoggio disciplinare o economico, ma a partecipare alla formulazione degli
obiettivi e delle modalità educative. Col quartiere e con la società si stabiliscono rapporti
professionali, culturali, di servizio, di aiuto e di collaborazione a cause comuni.
Lo sforzo permanente di costruire una comunità ci porta a scegliere alcuni compiti prio-
ritari e a concentrare su di essi le nostre prestazioni di religiosi e di Salesiani. È ormai ben
noto che spinti dalle circostanze i Salesiani in alcuni casi hanno assunto ruoli amministrativi,
di direzione tecnica, di rappresentanza e di gestione che alle volte poco tempo lasciano per
compiti altrettanto o più importanti. È una tendenza che bisogna riequilibrare.
La comunità religiosa che vive più profondamente e manifesta più visibilmente la mis-
sione della Chiesa, dovrà costituirsi come centro e motore di comunione e partecipazione.
Ne consegue il bisogno di qualificare o riqualificare tutti i nostri confratelli come animatori
di comunità; come operatori cioè che valutano positivamente la partecipazione e correspon-
sabilità, che hanno acquistato le abilità richieste per convocare, unire, raccogliere, sintetiz-
zare, distribuire compiti, e soprattutto per dare il senso della missione educativo-cristiana.
Il nucleo religioso così rinnovato prenderà su di sé principalmente la formazione perma-
nente dei laici in senso professionale, cristiano e salesiano, e la cura dell'unità ideale, opera-
tiva ed affettiva di tutti i membri della comunità educativa, costruita attraverso le strutture
partecipative, i rapporti personali e l'elaborazione comune delle mete e degli interventi.
Questi punti in alcune Ispettorie sono affidati all'iniziativa e alle qualità personali; in
altre sono oggetto di un apprendimento sistematico generale e sono inseriti come scelte ob-
bligatorie nel Progetto Ispettoriale. Questa seconda forma si è rivelata più efficace.
Della comunità educativa si parla da anni in Congregazione. Una comprensibile gradua-
lità nell'assimilare ciascuna delle esigenze che comportava, ha reso il nostro passo poco de-
ciso verso traguardi che sembravano evidenti: l'inserimento attivo dei laici, la loro anima-
zione, il bisogno di pensare al loro «status» all'interno delle nostre presenze. Si sono aggiunti
in qualche ambiente movimenti di riflusso che davanti alle prime difficoltà hanno interrotto
il processo, mentre attorno a noi si continuava a camminare verso una gestione sociale e
comunitaria della scuola e la Chiesa sviluppava sempre di più gli spazi del laicato e presen-
tava la comunità come il vero soggetto educante. Sembra che oggi sia una condizione di
progresso saperci muovere senza sosta sulle linee indicate, anche se sono possibili soltanto
piccoli passi.
E la linea indicata non è altra che quella espressa dall'art. 39 delle Costituzioni: «Spesso
i laici sono direttamente associati al nostro lavoro educativo e pastorale. Danno un contributo
- 58 -

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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originale alla formazione dei giovani, alla preparazione dei militanti laici, al servizio della
parrocchia e delle missioni. La lealtà e la fiducia sono alla base dei nostri mutui rapporti;
offriamo loro la testimonianza di una vita evangelica e l'aiuto spirituale che attendono. Ten-
diamo inoltre a realizzare nelle nostre opere giovanili la comunità educativa che accoglie
con la presenza attiva i genitori, primi e principali educatori, e i giovani stessi, invitati al
dialogo e alla corresponsabilità».
4. Il livello professionale
Si afferma che non può essere scuola cattolica quella che della scuola non riproduce gli
elementi caratterizzanti1. La stessa proposta religiosa difatti senza perdere la sua originalità
si inserisce in un programma educativo di crescita integrale basato sull'assimilazione siste-
matica e critica della cultura. La scuola, dunque, innanzitutto deve essere capace di educare.
Questa esigenza di buon livello educativo richiede di curare la consistenza numerica del
gruppo di Salesiani che animano una scuola, giacché si è visto che al di sotto di una certa
soglia non si riesce ad orientare e ad influire pedagogicamente.
Richiede di provvedere anche alla preparazione pedagogica del nostro personale all'al-
tezza delle attuali esigenze. La scuola costituisce oggi un'area professionale specifica. Non
basta essere sacerdote o religioso, per gestirla e animarla. Al più si sarebbe cappellani o forse
insegnanti di religione. Ma è chiaro che noi non vogliamo limitarci a queste prestazioni set-
toriali, ma vogliamo orientare e ispirare tutto un programma di educazione e una pedagogia.
Per questo, come le altre aree dell'agire umano, anche la scuola richiede il dominio di
un insieme di discipline particolari, l'acquisizione di abilità specifiche e quella permanenza
nel lavoro che porta alla maturità professionale.
In qualche parte le nostre scuole si vedono ostacolate da fattori esterni. Ma non poche
potrebbero essere colpite dalla caduta delle nostre qualifiche pedagogiche. Se un'Ispettoria
ha un numero rilevante di scuole e si propone di sostenerle nel futuro, non sarà il caso di
pensare ad una programmazione sistematica delle qualifiche pastorali consone a questo pro-
posito? Non si può oggi progettare una pastorale specializzata senza predisporre appositi
operatori.
Finalmente le nuove richieste di livello educativo ci porteranno a migliorare la struttura
attuando quei servizi che aiutano l'assimilazione della cultura, l'orientamento delle persone
e una più facile sintesi di tutti i fattori educativi: il servizio di orientamento, l'interdiscipli-
narietà, l'uso degli strumenti di comunicazione sociale.
A tutto questo ci spingono i nostri Regolamenti, quando all'art. 9 stabiliscono: «L'impe-
gno scolastico sia fondato (...) su una riconosciuta capacità tecnica e pedagogica».
5. L'originalità culturale
La scuola cattolica muove da una concezione profonda del sapere in quanto tale2. Istrui-
sce per educare; presenta non soltanto conoscenze da acquisire, ma valori da assimilare3. La
sua sintesi culturale e il tipo di uomo a cui si ispira sono originali. Su ciò si fonda il suo
diritto di dialogare con altri progetti educativi presenti nella società, che si ispirano ad un'al-
tra concezione di cultura e ad un'altra immagine di uomo.
1 Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cattolica, Milano, Vita e pensiero,
1977, n. 25.
2 Ibid., n. 38.
3 Ibid., n. 39.
- 59 -

7.2 Page 62

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Ciò diventa vero nella pratica non quando si aggiungono alcune raccomandazioni morali
o un programma religioso a qualunque impostazione culturale; ma quando gli stessi conte-
nuti dell'insegnamento e il metodo con cui si offrono, favoriscono lo sviluppo dell'intelli-
genza personale e aiutano a percorrere con libertà il cammino della scoperta della verità;
quando sviluppano la coscienza dei valori, e offrono quella visione della realtà che apre alla
trascendenza è dispone all'accoglienza del Vangelo.
Tutto questo viene istillato in ogni singolo momento educativo o di insegnamento, per
cui non è possibile concepire questi momenti come slegati l'uno dall'altro.
Con l'affinarsi della capacità e degli strumenti di analisi culturale e sociale è acquisito
che ogni sistemazione culturale ubbidisce a propositi e prospettive scelte (molte volte anche
a interessi di gruppi!). La pretesa di trasmettere «la cultura» si ridimensiona nel più umile
proposito di offrire una visione della realtà e strumenti di orientamento.
Le scuole sono chiamate a definirsi definendo l'immagine dell'uomo e di società che
serve loro da utopia orientatrice. Da questo si vede se funzionano come meccanismi di inte-
grazione o con forza sanamente liberatrice e umanizzante, se si offrono come cammino per
collocarsi individualmente o sviluppano il senso del servizio e della solidarietà; se creano
difese per i più forti e più fortunati o educano alla fraternità e alla giustizia.
Della scuola cattolica si dice poi che offre una concezione cristiana della realtà4. Questa
affermazione di portata culturale tutt'altro che pacifica bisognerà realizzarla attraverso l'in-
segnamento senza distogliere le discipline dal loro metodo peculiare o adoperarle per fini
apologetici5.
Anche l'orientamento culturale richiede alcuni compiti urgenti: rivedere il quadro di ri-
ferimento, riordinare i contenuti e ristudiare i metodi, affinché la loro totalità collabori a
formare un «soggetto» attivo e critico e non solo un consumatore di cultura, una persona in
cui si radica il senso della verità e del bene in assoluto piuttosto che l'abitudine del compro-
messo verso vantaggi individualistici o di gruppo.
E anche a questo riguardo abbiamo una pressante indicazione nei nostri Regolamenti:
«L'impegno scolastico sia fondato su solidi valori culturali»6. «I Salesiani promuovano in
seno alle rispettive comunità scolastiche un dialogo permanente sui valori umani e cristiani
trasmessi (...) e sulla loro relazione con il contesto sociale»7.
6. L'animazione pastorale
La pastorale della scuola comprende tutto ciò che veniamo dicendo. Sarebbe un errore
farla consistere soltanto nei momenti esplicitamente religiosi.
Più che un punto o settore è l'anima che arriva dappertutto.
La doppia sintesi tra fede e cultura e tra fede e vita dipende dalla qualità della cultura, e
anche dalla qualità della fede che concretamente si propone come esperienza vitale e come
contenuto di riflessione attraverso l'ambiente, i rapporti, l'insegnamento religioso e le pro-
poste libere.
Se attraverso tutto questo la fede risulta significativa come atteggiamento personale e
come illuminazione ultima della realtà, è possibile che i giovani inizino quella conversione
del cuore che è la finalità e il segno dell'evangelizzazione. Se rimane a livello di obbligo
istituzionale, di riflessione disimpegnata, di linguaggio irreale perché le parole non hanno
4 Ibid., n. 33.
5 Ibid., n. 39.
6 R 9.
7 R 10.
- 60 -

7.3 Page 63

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aggancio con nessun interrogativo vitale, sarà un elemento esterno alla vita e alla cultura, ed
infine irrilevante per l'esistenza.
G si impone, dunque, di definire bene gli obiettivi, il senso e le modalità dell'insegna-
mento religioso. Per la sua inserzione in un programma culturale, per il pluralismo degli
ascoltatori, per il suo carattere scolastico, l'insegnamento religioso richiede l'entusiasmo del
catechista e la competenza del professore di religione. E questo comporta una particolare
preparazione cosi come particolari sono i metodi, i sussidi, la sintesi, i collegamenti che la
scuola di religione stabilirà con altre aree del sapere e con altri aspetti del processo educativo,
basati sulla rielaborazione personale della cultura.
L'insegnamento della religione ha la possibilità di smorzare l'indifferentismo, di provo-
care quello stato di mente per cui le problematiche religiose diventano rilevanti, ingenerando
il desiderio di ulteriore approfondimento, oltreché di annunciare Cristo e il suo mistero.
Da solo però non è sufficiente a raggiungere tutti gli obiettivi della catechesi. Una pa-
storale della scuola ci porterà, dunque, a preparare altre proposte di educazione alla fede, in
un clima di libertà conforme all'età dei ragazzi, ma senza lasciar passare invano i tempi: sono
i gruppi, le celebrazioni, la catechesi, i ritiri, ecc.
Allargando la visuale scopriamo altre prospettive pastorali per la comunità salesiana im-
pegnata nella scuola. Il rapporto con i genitori diventa pastorale se la nostra preoccupazione
si indirizza a far progredire nella fede la loro esperienza educativa e familiare; la partecipa-
zione nel territorio è pastorale se la nostra presenza aiuta ad affermare valori umani ed evan-
gelici nella vita del quartiere; il dialogo educativo con altre istituzioni analoghe è pastorale
se nel confronto sappiamo far emergere una visione della realtà e un senso dell'uomo ispirati
al Vangelo; finalmente la comunità di fede può adempiere un compito pastorale aiutando
ciascuno degli educatori nel loro cammino di fede e farsi presente nella comunità parroc-
chiale attraverso la prestazione di servizi specifici.
L'insieme conforma la pastorale totale della scuola, ed è risultato in parte di obblighi
istituzionali, ma in più larga misura di ordinata creatività.
Per favorire questa creatività sono sorti di recente nuove forme di organizzazione e ruoli
più adeguati alla situazione. Tra le esperienze positive possiamo annoverare il dipartimento
dell'insegnamento religioso che affronta questa materia con la stessa serietà e lo stesso coor-
dinamento con cui si trattano altri saperi; il consiglio pastorale a cui partecipano religiosi,
laici, genitori e allievi, preoccupati dell'animazione pastorale della scuola, attraverso propo-
ste collettive e individuali, inserite negli orari scolastici o rimandate a tempi extrascolastici.
7. Il cuore oratoriano
La scuola salesiana nacque nell'oratorio, e dall'oratorio prese lo spirito, senza svuotare
quella sistematicità di impegni, e quel senso di disciplina che è parte irrinunciabile del suo
programma educativo.
Il CG 21 dipinge così i tratti della scuola salesiana, tra le pluralità di scelte pratiche che
sono alla portata di una scuola cattolica: collocazione popolare, sforzo di trasformazione
dell'ambiente, intenzione liberatrice, capacità di accoglienza del giovane e della sua vita,
presenza familiare e amicale degli insegnanti tra gli allievi, valorizzazione del lavoro e della
partecipazione alle responsabilità, rilevanza e molteplicità della proposta di fede, servizio di
orientamento vocazionale che fa crescere ciascuno secondo il piano di Dio, uso del tempo e
delle possibilità extra e parascolastiche8.
8 Cf. CG21 131.
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7.4 Page 64

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Tutto quanto abbiamo esposto, comunità, capacità educativa, livello culturale, anima-
zione pastorale, volto salesiano, realizzato allo stesso tempo e in modo convergente, costi-
tuisce il desiderato modello operativo. Non si tratta di ripristinare un elemento particolare,
ma di un nuovo modo di pensare la sintesi, e soprattutto di tradurla in azione, superando
dicotomie di principio o di prassi tra scolastico e pastorale.
Ciò richiede di incominciare o continuare un movimento di riflessione e di convergenza
tra i nostri confratelli, lo studio di un progetto-guida in cui queste scelte diventino obiettivi,
contenuti, attività e ruoli, e assicurare il personale necessario.
I confratelli che con ammirevole dedizione hanno sostenuto la scuola salesiana fino ad
oggi, saranno certamente capaci di farle compiere il passo verso il domani.
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7.5 Page 65

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8. GIOVANI E RICONCILIAZIONE
Vecchi, J.E., Giovani e riconciliazione in ACG 309 (1983), p. 24-29.
1. Invito a riflettere. - 2. Aspetti da approfondire. - 3. Testimoni, educatori, ministri.
1. Invito a riflettere
L'Anno Santo e il Sinodo dei Vescovi ci invitano ad un approfondimento sulla Ricon-
ciliazione e sulla Penitenza. Conviene che approfittiamo, come Salesiani, di questi stimoli
della Chiesa per riflettere sul nostro cammino personale, ma anche per mettere a fuoco il
nostro impegno pastorale e progettare interventi educativi.
Libri e riviste, in questi giorni più che in altri tempi, affrontano il problema da diverse
angolature. Non mancano i rilevamenti psico-sociologici sull'atteggiamento di giovani e
adulti riguardo alla penitenza e alle sue espressioni sacramentali, rilevamenti che non sono
trascurabili per gli educatori. Sono evidenziati fondamenti teologici, proposte catechistiche,
suggerimenti liturgici e indicazioni pedagogiche. L'insieme rappresenta un'offerta di mate-
riale alla portata delle comunità, le quali possono rielaborarlo secondo la propria situazione.
Non è qui comunque il caso né di riprenderlo né di sintetizzarlo. Ci interessa invece sottoli-
neare alcune linee pratiche.
Il tema della riconciliazione e della penitenza fa parte del progetto educativo pastorale.
Vi si è accennato in tutti i sussidi inviati precedentemente. Richiamandolo dunque non in-
tendiamo staccarci dal discorso intrapreso quasi raccomandassimo un particolare atto reli-
gioso isolato, ma portiamo avanti l'orientamento globale che ci ha preoccupato in questi anni,
di far crescere la totalità della persona educando la fede, in vista soprattutto dell'unità inte-
riore dei giovani e della sintesi tra fede e vita.
La fede è suscitata e nutrita dalla parola, vive immersa in un'atmosfera sacramentale
perché le realtà che ne sono oggetto diventano accessibili soltanto attraverso i segni, diviene
significativa come energia storica per l'inserimento in una comunità e l'impegno di trasfor-
mazione del mondo. La penitenza è uno dei punti caratterizzanti del cammino di fede che
proponiamo ai giovani per aiutarli a costruire la loro personalità secondo la misura di Cristo.
Ribadire una tale affermazione comporta rifarsi all'esperienza e agli insegnamenti di
Don Bosco e alla prassi della Congregazione; ma anche, e con non minore intensità, ristu-
diare da educatori le condizioni e le esperienze attraverso cui la riconciliazione è proponibile
ai nostri giovani, non soltanto a quelli scelti già molto progrediti nella vita ecclesiale, ma
anche a quelli che sono soltanto disponibili.
La convinzione di Don Bosco sull'efficacia educativa della Eucarestia e della Penitenza
ci offre le prospettive per un ripensamento. Difatti mentre significa che l'incontro con Cristo
attraverso il segno sacramentale libera energie che interessano la costruzione dell'intera per-
sonalità, (rapporti, ideali, progetti, affetti), suggerisce anche che l'iniziazione al sacramento
deve coinvolgere tutta la persona (conoscenza, coscienza, libertà) e va fatta secondo i ritmi
della maturazione umana.
La mediazione educativa dunque non si riduce ai momenti catechistici e liturgici, ma
mette questi momenti in continuità con altri interventi pedagogici che anticipano, esprimono
germinalmente e già producono in parte quello che nella catechesi verrà illuminato e nel
sacramento sarà donato e pianificato. I sacramenti dunque per i giovani e per la loro vita.
Questo ci suggerisce gli aspetti da riconsiderare.
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7.6 Page 66

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2. Aspetti da approfondire
Un primo aspetto da cogliere e interpretare per un adeguato cammino educativo è l'at-
teggiamento dei giovani davanti al richiamo della riconciliazione e della penitenza. Che cosa
suggeriscono loro le parole e i gesti? Come risuona nell'ambito della loro vita il termine
«peccato»? Come collegano questa realtà al senso soggettivo di colpa, ai propri atti, e agli
effetti storici perversi piccoli o grandi? Un messaggio religioso che non raccoglie e non dà
un senso alle esperienze personali e collettive profonde rimane giustapposto ed esterno alla
vita anche nel caso che non venga rigettato. C'è dunque l'area delle esperienze significative
da capire. Dove il giovane percepisce il male come potenza distruttrice? in che situazioni
coglie le sue radici?
Non c'è bisogno di provocare artificialmente sentimenti di colpevolezza quando il pec-
cato è un male obiettivamente rilevabile. A questo ci guida il Documento di lavoro per il
Sinodo dei Vescovi che parte dall'esperienza dell'uomo in fatto di male e di peccato. Ciò
appartiene inoltre strettamente al compito educativo. Di esso è proprio offrire ai giovani
elementi per leggere con profondità le proprie esperienze e guidare nella ricerca del loro
senso.
Ma la proposta della penitenza è possibile soltanto attraverso un itinerario di evange-
lizzazione. Il Documento già citato indica di annunciare come prima cosa la misericordia e
la grazia di Dio. Difatti quello che oggi provoca la deprecata desistenza non è tanto la forma
del gesto sacramentale quanto tutto l'universo interpretativo della vita e degli atti umani che
vi sottostà: cioè che Dio è presente nella esistenza e ci interpella, che l'uomo con la qualità
della sua vita accoglie o nega questa presenza, che c'è un progetto assumendo il quale l'uomo
cammina verso il suo compimento e negando il quale distrugge il suo destino, che Gesù
Cristo è la rivelazione della presenza di Dio e del progetto di uomo, che il Signore ci convoca
e accoglie oggi attraverso la Chiesa.
Questo codice di lettura della vita non è possibile se non mediante un paziente annunzio
e una progressiva catechesi che assumano non soltanto una lista di formule da ricordare, ma
le esperienze vitali alla cui luce queste formule sprigionano il loro significato e rivelano in
termini esistenziali ciò che le parole tentano di dire. Ciò che si annuncia difatti è sempre il
mistero. Il giovane non riuscirà a dare alla colpevolezza soggettiva o al male oggettivo il
nome di peccato fintanto che non riesca a mettere queste realtà in rapporto con l'appello e la
presenza di Dio. Il nodo pastorale è dunque l'evangelizzazione piuttosto che l'insistenza iso-
lata in un atto religioso particolare.
Collegata all'annuncio di Cristo come grazia e cammino c'è la formazione morale. Negli
ultimi tempi abbiamo assistito a due fenomeni successivi. Una prima fase in cui venivano
privilegiate le esortazioni religiose e umane in termini di verità e di atteggiamenti senza
impegnare un giudizio etico preciso sulle azioni. Una seconda tappa di richiamo a reinserire
la formazione morale esplicita nell'itinerario catechistico. A riprova di questa evoluzione si
potrebbero citare convegni e pubblicazioni, alcuni anche di casa nostra.
Certo la formazione morale dei giovani affronta oggi situazioni inedite a livello di fon-
damenti e a livello di applicazioni. Ci sono appelli nuovi un tempo considerati meno rilevanti
dal punto di vista morale (giustizia sociale, pace) ; c'è l'emergere della soggettività con la
conseguente frammentazione del codice etico e la forza legittimante concessa alle motiva-
zioni e agli atteggiamenti a scapito della considerazione oggettiva degli atti; c'è la decolpe-
volizzazione di alcune forme di comportamento; c'è lo scollamento tra morale individuale e
morale sociale anche in proposte di pensiero e di esistenza ciré si etichettano come cristiane.
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7.7 Page 67

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Alcuni modelli di educazione morale di tipo estrinseco, a contenuto prevalentemente
negativo, fissisti nelle valutazioni, sembrano decisamente superati. Rimane però il compito
di tracciare un itinerario per educare a una moralità specificamente cristiana, lontana dai
moralismi, e storicamente efficace, sulla base dell'evento redentore di Cristo assunto dal
giovane nel battesimo e nella professione di fede; un cammino che riesca, senza togliere la
persona dal centro dell'impostazione morale, a formare la coscienza e la capacità di giudizio
e di adesione al bene; che dia elementi certi per la valutazione obiettiva delle azioni, che non
scagioni dalle colpe di collaborazione quotidiana agli effetti perversi rifluenti su milioni di
esseri umani riducendo la morale alla sfera puramente individuale, e che allo stesso tempo
non spinga a vedere le radici del male soltanto fuori della persona: insomma una vera morale
per la persona e per la storia, non soltanto una forma di onorabilità sociale.
Infine c'è l'iniziativa alla riconciliazione e alla penitenza, virtù e opere, atteggiamento
profondo e segni. Richiede la comprensione dell'universo sacramentale, a partire da quello
creaturale e personale. Tale iniziazione culmina nel gesto della comunità che si raduna nel
nome e per la forza della presenza salvatrice di Cristo per costruire una nuova umanità. Ri-
conciliata appunto con Dio e da Dio con i fratelli credenti, questa comunità diventa riconci-
liata con la storia dell'uomo che ha imparato a conoscere e ad amare in Cristo.
Ciò postula una pedagogia. C'è il pericolo che il gesto religioso non intacchi il conte-
nuto della vita. Forse chi è vissuto in un altro tempo o in un ambiente dove tutto il quadro
precedente era acquisito non si rende conto del cammino che deve fare oggi un giovane che
vive abitualmente in un altro universo di significati e di simboli.
3. Testimoni, educatori, ministri
Ma oltre i punti di un programma catechistico, educativo, liturgico ci sono le
persone. La riconciliazione-penitenza non è per i giovani d'oggi né una tradizione religiosa
da accettare, né una pratica cui abituarsi sin da piccoli, ma un valore e una forma di vita da
proporre, da aiutare ad assumere attraverso i modelli, le esperienze, i simboli, i momenti di
riflessione, i rapporti.
Ci vorrà dunque come prima condizione che noi stessi siamo uomini riconciliati e pe-
nitenti, in movimento di trasformazione e alla ricerca della pace. L'esistenza cristiana reale,
quella che oggi può avere notevole incidenza sui giovani risiede nella qualità della vita che
raggiunge quel rapporto col Padre, con i fratelli e con il mondo che Gesù manifestò nella sua
esistenza e nelle sue parole. Se il messaggio che vogliamo consegnare non trova riscontro
nella nostra vita, l'annuncio della penitenza sembrerà soltanto la proposta di un'abitudine o
della credenza di un gruppo.
La testimonianza della riconciliazione consiste nell'affrontare la realtà conflittuale im-
mediata o lontana, quotidiana o straordinaria. Dovremo quindi lasciarci guidare dalla pas-
sione di salvare l'uomo e l'umano (i giovani!) raccogliendo le briciole positive, infondendo
speranza e ricostruendo permanentemente le possibilità. A questo ci richiama il Sistema Pre-
ventivo. A questo ci riportano le beatitudini. È più facile credere che qualcuno è stato inve-
stito da Dio con la grazia della riconciliazione quando unisce piuttosto che dividere, quando
accoglie piuttosto che rigettare o rifuggire, quando comprende piuttosto che giudicare e con-
dannare, quando accetta le sfide della vita piuttosto che contenerle, quando si schiera nelle
grandi cause dell'umanità piuttosto che considerarle sciocche o aliene da sé, quando si ab-
braccia tutti piuttosto di puntare sul vantaggio immediato di un gruppo, fosse pure il proprio.
Ma poi i giovani vanno introdotti per mano nel profondo della riconciliazione, attra-
verso un rapporto sereno e positivo con le persone le comunità e le realtà del mondo, in una
visione della vita in cui Dio è presente in forma di amore che ricostruisce e sana, ridona gli
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7.8 Page 68

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orizzonti di speranza e spinge a progredire. Si tratta di un cammino comunitario nel quale si
affrontano assieme la debolezza, si scoprono gl'inganni e gl'idoli che ci sono dentro di noi e
fuori, si impara, nel rapporto, il valore della persona e l'influsso degli atti nella storia perso-
nale e sociale.
Ci sono nella prassi salesiana indicazioni pedagogiche per educare alla riconciliazione,
evangelizzare la penitenza e guidare al sacramento: sono l'ambiente, la proposta o l'invito
personale, le opportunità convenientemente predisposte. Nel loro insieme permeato di sa-
cramentalità, il momento liturgico non è isolato, ma viene messo in una esperienza completa
di riconciliazione.
Infine la riconciliazione deve trovare in noi ministri validi, capaci di operare «in per-
sona Christi», con fede e competenza. È una delle raccomandazioni del Documento di lavoro
del Sinodo. «In una considerazione più generale - dice - dell'intero ministero sacerdotale,
occorre valutare diligentemente tutte le componenti della formazione: la competenza nella
teologia morale e spirituale, l'esercizio della direzione spirituale, una sufficiente informa-
zione sulle scienze psicologiche e, più in generale, l'equilibrio personale di cui dar prova
specialmente attraverso le varie difficoltà della vita. È quindi auspicabile che i presbiteri
trovino regolarmente l'occasione di rivedere le loro conoscenze teologiche e l'aggiornamento
della loro capacità di confessori e di educatori allo spirito di penitenza».
Chi sa quanto di più si riuscirebbe ad infondere nei giovani l'atteggiamento della ricon-
ciliazione, la virtù della penitenza e la pratica sacramentale se ciascuno di noi, appoggiato
dalla comunità, mantenesse sveglia la propria competenza di confessore di giovani.
È stato rilevato che i giovani non sono oggi restii al dialogo con gli adulti, anzi lo ricer-
cano. Ma selezionano. Non si sentono nell'obbligo di dialogare con chiunque la vita o le
istituzioni pongono loro davanti, ma con coloro nei quali hanno visto esperienza significa-
tiva, ricerca di senso e carica di umanità. Gli stessi giovani che non dialogano con i genitori
o con gli educatori, si incontrano volentieri con uno scrittore, un giornalista, un ricercatore,
un protagonista di qualche impresa o un testimone autentico dell'esperienza religiosa. Questo
ci dice che la nostra mediazione di sacerdoti-educatori non è la semplice ripetizione del gesto
liturgicamente comandato. Deve trasparire in qualche misura la sapienza di Cristo e la vici-
nanza di Dio, che assume la vita dei giovani e offre loro un progetto per cui vale la spesa
aprirsi all'energia divina e ricostruire costantemente le proprie forze.
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7.9 Page 69

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9. PASTORALE GIOVANILE: DOCUMENTI E PUNTI DA VERIFICARE
Vecchi, J.E., Pastorale giovanile: documenti e punti da verificare in ACG 207 (1983), p. 35-41.
1. Documenti. - 2. Punti da verificare.
1. Documenti
Il laico cattolico testimone della fede nella scuola è il titolo del documento offerto dalla
Congregazione per l'Educazione Cattolica il 15 ottobre 1982. Sebbene centrato nella mis-
sione dei «laici cattolici, uomini e donne, impegnati nella scuola elementare e media»1 e nel
ruolo degli insegnanti2, il documento intende apportare illuminazione e appoggio pure a co-
loro che con altre mansioni partecipano all'opera educativa. A noi offre, dunque, uno sfondo
di riflessione interessante anche per i collaboratori impegnati in strutture educative non sco-
lastiche, come centri giovanili, associazioni culturali o corsi di educazione integrativa.
Non è il caso di farne un riassunto, né di condizionare l'assimilazione con chiavi di let-
tura, dato che il testo appare lineare e immediatamente avvicinabile nelle sue quattro parti:
identità del laico cattolico nella scuola, modo di vivere questa identità, formazione, sostegno.
Il documento peraltro risulta un complemento di quello precedente sulla Scuola Cattolica3.
Mi sembra invece interessante per la presentazione offrire, nei limiti di poche righe, al-
cuni commenti e sottolineature, che riguardano la nostra situazione e la nostra strada di ri-
flessione che viene da questo documento confermata e spalleggiata.
La ragione che vede la presenza del laico nelle istituzioni educative cattoliche come sup-
plenza o rimedio davanti alla deficienza di vocazioni religiose è definitivamente superata.
Viene invece collocata a fondamento di questa presenza la vocazione laicale ulteriormente
specificata dall'inserzione in un contesto temporale, definito dalla cultura e dalla professio-
nalità educativa.
Appare, dunque, la convenienza e la necessità dell'intervento del laico non soltanto nelle
istituzioni pluralistiche dello Stato ma anche nei centri caratterizzati da un progetto cristiano.
Appare anche la possibilità di uno sviluppo cristiano della persona, attraverso un ruolo so-
ciale che il documento non esita a chiamare4.
I tratti caratteristici che andrebbero vissuti affinché una definizione «ideale» di laico
educatore avesse il corrispondente modello vivo e verificabile sono: la coscienza professio-
nale5, la testimonianza di fede6, la capacità di lettura della cultura e la sintesi fra questa e la
1 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA. Il laico cattolico testimone della fede nella scuola.
Roma, Tipografia poliglotta vaticana, 1982, n. 1.
2 Ibid. n. 15.
3 SANTA SEDE. La scuola cattolica: Documento della Sacra Congregazione per l'educazione catto-
lica. Milano, Vita e pensiero, 1977, n. 4.
4 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA. Il laico cattolico testimone della fede nella scuola,
n. 37.
5 Ibid., n. 27.
6 Ibid., n. 28.
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7.10 Page 70

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fede7, una metodologia educativa che incarni l'amore cristiano: rispetto della libertà del gio-
vane8, rapporti personali, vicinanza, servizio9; la comunione operativa e ideale con i colle-
ghi10, la sensibilità sociale11. La fisionomia viene tratteggiata e completata ogni volta che si
tenta una definizione descrittiva dell'educatore cristiano12.
I rapporti tra religiosi, sacerdoti e laici e il bisogno di formazione permanente traspirano
dalla totalità, sebbene soltanto in alcuni passi del documento abbiano uno sviluppo esplicito.
Sui primi si fa notare che sono regolati dall'unità nella vocazione cristiana e dalla comple-
mentarietà di esperienze, ministeri e prestazioni13. Devono, dunque, oltrepassare il livello
funzionale e affondare le radici nella comune realtà battesimale. Diventa perciò importante
la presenza dei religiosi e dei sacerdoti nella comunità educativa14.
Della formazione permanente vengono indicate le grandi aree: qualificazione professio-
nale, identità cristiana, capacità apostolica15.
Non è da passare sotto silenzio la proiezione socio-culturale ampia che ha il ruolo dell'e-
ducatore cristiano, al di là del particolare servizio in una struttura. Il documento insiste sulla
partecipazione alle associazioni cattoliche e professionali e alla vita del quartiere. Richiede
una pubblica stima da parte della comunità umana e cristiana del ruolo di educatore e delle
istituzioni educative. Così come rivolge lo sguardo a quei docenti che lavorano in strutture
pluralistiche, senza connotazioni religiose particolari, rispettose delle diverse scelte di vita.
E evidente, dunque, che cooperatori ed exallievi interessati al fenomeno educativo trove-
ranno anche suggerimenti e stimoli.
Gli accenni precedenti sono soltanto un invito ad avvicinare individualmente e in gruppo
questo documento, a sminuzzarlo per le nostre comunità educative, ad arricchire con i suoi
contenuti quello che già abbiamo elaborato. Questo servirà per affrontare la nostra espe-
rienza molteplice e farla approdare ad una sintesi e ad un orientamento sicuro. Un documento
di questo genere di fatti non tende a fermare l'esperienza e la creatività, ma offre punti di
riferimento per un cammino. È fondamentalmente, secondo una dichiarazione esplicita-
mente contenuta in esso, «un invito a riflettere sul laico cattolico come testimone della fede
in un ambiente così privilegiato per la formazione dell'uomo»16 qual è la scuola.
Un altro documento della stessa Congregazione per l'Educazione Cattolica mette a fuoco
gli sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle chiese particolari, basandosi sulle
esperienze del passato e prospettando programmi per l'avvenire17.
È il frutto di un lungo cammino di maturazione, di un'ampia convergenza e di un impe-
gno congiunto di diverse istanze di responsabilità. Il lungo cammino di riflessione è inco-
minciato almeno nel 1976, quando l'Assemblea Plenaria dei Cardinali e Vescovi della Sacra
7 Ibid., n. 29.
8 Ibid., n. 28.
9 Ibid., n. 33.
10 Ibid., n. 34.
11 Ibid., nn. 35-36.
12 Ibid., n. 24.
13 Ibid., n. 44.
14 Ibid., n. 43.
15 Ibid., n. 97; nn. 27, 67-69.
16 Ibid., 4.
17 Cf. CONGRESSO INTERNAZIONALE DI VESCOVI E ALTRI RESPONSABILI DELLE VOCAZIONI ECCLESIA-
STICHE. Sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle chiese particolari esperienze del passato
e programmi per l'avvenire. Documento conclusivo. Roma, 10-16 maggio 1981. Aula nuova del si-
nodo dei vescovi. Roma, Rogate, 1982.
- 68 -

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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Congregazione per l'Educazione Cattolica propose un Congresso Internazionale di respon-
sabili delle vocazioni ecclesiastiche. È culminato poi, attraverso passi successivi, nella rea-
lizzazione del Convegno, di cui il testo proposto è documento conclusivo, sottoposto alla
visione anche del Sommo Pontefice.
L'ampia convergenza è data dal fatto che il confronto e la discussione sono stati preparati
dallo studio di oltre «700 piani di azione diocesani di pastorale vocazionale» (cfr. nota in-
formativa). Le linee di tendenze e il profilo delle iniziative, riassunte in un documento di
lavoro, sono serviti come punto di partenza. Relazioni, comunicazioni e proposizioni del
Congresso hanno messo ancora più a fuoco punti nodali, problemi e possibilità per il futuro.
Il lavoro tra diverse istanze di responsabilità viene confermato dal documento che si
presenta a cura delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per i Religiosi e per gli Istituti
Secolari, per l'Evangelizzazione dei Popoli e per l'Educazione Cattolica.
Ci sono nel documento stimoli per rinsaldare confratelli ed équipe di pastorale nei tre
aspetti sui quali si giuoca l'efficacia della pastorale vocazionale: la mistica che ci rapporta
alla fiducia, alla preghiera e alla speranza; la pedagogia che ci suggerisce gli itinerari con-
creti per suscitare ideali, per coltivare germi, per fare delle proposte e per programmare un
accompagnamento sapiente; infine l'organizzazione che ci aiuta a collegare le forze e a coor-
dinare l'azione.
Il fatto che il documento s'incentri sulla responsabilità comunitaria della chiesa partico-
lare ricorda a noi salesiani orientamenti che sono già patrimonio acquisito, almeno a livello
di dichiarazioni e di principi: mettere la nostra esperienza pedagogica generale e specifica a
servizio della Chiesa locale, offrire una testimonianza, un'informazione e una proposta del
nostro carisma, dato che la Chiesa particolare si arricchisce attraverso l'incorporazione di
nuovi ministeri e contributi; qualificare tutta la nostra educazione e catechesi con l'orienta-
mento vocazionale, sviluppato da persone esperte; preparare le nostre comunità di accom-
pagnamento e di accoglienza per le nuove istanze di personalizzazione che il giovane porta
con sé e per la situazione che la vocazione sacerdotale e religiosa vive oggi.
Il documento si aggiunge, nel tempo, ad altri molto ricchi della Congregazione, che se-
gnano una linea di cammino, cioè: la fecondità vocazionale della nostra azione pastorale18 e
il sussidio n. 4 Lineamenti essenziali per un piano ispettoriale di pastorale vocazionale of-
ferto dal Dicastero di Pastorale Giovanile in ottemperanza all'orientamento operativo 119
dello stesso Capitolo Generale19.
Nel loro insieme propongono quanto è possibile e necessario in fatto di ispirazioni, basi
dottrinali e scelte pratiche. Rimane soltanto di spingere la traduzione operativa già in corso,
a cui invitava il CG 21: «Le Ispettorie preparino al più presto un piano particolareggiato in
stretto contatto con la Chiesa locale e in armonia col piano vocazionale da essa elaborato»20.
2. Punti da verificare
Siccome le Ispettorie si avviano naturalmente a un momento di sintesi, il Consigliere per
la Pastorale crede utile ricordare quali sarebbero gli esiti del periodo di riflessione percorso.
Si sono consegnati successivamente, secondo un ordine e secondo scadenze calcolate
degli stimoli collegati: l'animazione pastorale dell'Ispettoria; il Sistema Preventivo; il Pro-
18 CG21 106-119.
19 Salesiani. Dicastero per la pastorale giovanile. Lineamenti essenziali per un piano ispettoriale di
pastorale vocazionale (CG 21 119d). Roma, 1981, Sussidio 4.
20 CG21 119a.
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8.2 Page 72

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getto Educativo nelle sue linee più generali; il Progetto Educativo per le Scuole, le Parroc-
chie e i Centri giovanili; gruppi e movimenti giovanili; programma di pastorale vocazionale;
presenza nel mondo del lavoro; problemi educativi; dimensione catechistica; spiritualità gio-
vanile.
Come frutti e risultati di questo cammino e come garanzia di ulteriore progresso dovreb-
bero rimanere decantati alla fine di questo sessennio tre strumenti di continuità.
Un'équipe ispettoriale di animazione pastorale, con funzioni unificanti e orientatrici, or-
ganicamente collegate tra di loro, che significhino un superamento definitivo della divisione
settoriale tra incaricati di fare determinate «cose» o di gestire autonomamente alcune
«azioni». Tempo e qualificazioni sufficienti sono indispensabili per la sua efficacia. Criteri
e modelli sono stati spiegati in apposito sussidio.
Il progetto educativo-pastorale a modo di direttorio dell'Ispettoria, che serva per chiarire
le linee di lavoro e i criteri d'intervento. È stato raccomandato dal CG 21 con queste parole:
«Ogni Ispettoria elaborerà un progetto educativo adatto alla realtà locale come base di pro-
grammazione e di verifica per le sue varie opere, nella linea delle opzioni di fondo compiute
dalla Congregazione: Oratori, Centri Giovanili, Scuole, Convitti, Pensionati, Parrocchie,
Missioni, ecc.»21. Appena elaborato si mandi al Dicastero di Pastorale per un confronto e per
una raccolta di esperienze.
Un programma di qualificazione del personale per i diversi campi pastorali in cui ci
muoviamo: Centri giovanili, pedagogia, Scuole, Parrocchie, catechesi, pastorale vocazio-
nale, ecc. A questo proposito si ricorda che esistono corsi e opportunità per preparare ope-
ratori specializzati per questi settori, e che non sarebbe difficile in base ad una previdente
programmazioni coprire adeguatamente le diverse aree in un periodo ragionevole di tempo.
21 CG21 105a.
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8.3 Page 73

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10. PASTORALE E SPORT
Vecchi, J.E., Pastorale e sport. Presentazione di G. Bracco, Roma, 2006,1 [supplemento a Juvenilia n.1 - gennaio].
1. Primo tempo: facciamo memoria. - 1.1 Un legame che viene da lontano. 1.2 Spontaneità e maturazione. 1.3 Elemento di
pastorale. 1.4 Una pedagogia del gioco. 2. Secondo tempo: uno sguardo all'oggi. 2.1 Interrogativi. 2.2 Le scelte di base. 2.3
Lo sport di fronte alle scelte. 3. Terzo tempo: condizioni e itinerari. 4. Concludendo.
Il tema che mi è stato proposto di svolgere, è: «Pastorale e sport». Io l'ho articolato un
po' di più, inserendo due nuovi termini che facilitano, anzi svelano immediatamente l'impo-
stazione e lo sviluppo: Salesiani-Giovani-Sport-Pastorale. L'ordine di questi fattori potrebbe
essere diverso: comunque non cambierebbe il risultato.
Quando formiamo il binomio «pastorale-sport» o «educazione-sport», vogliamo dire,
in un'espressione condensata che senza togliere al gioco le sue caratteristiche di diverti-
mento, sforzo ed eventualmente spettacolo, mettiamo tutto il fenomeno in rapporto con la
crescita totale della persona o, se parliamo di pastorale, con la maturazione della fede e l'in-
serimento nella Chiesa.
Di fronte alla sola siffatta enunciazione del problema possono sorgere nella nostra
mente immagini di incompatibilità o contrapposizioni, di estraneità (il gioco ha niente a che
vedere con la fede!), di giustapposizioni e di strumentalizzazione (col gioco vengono attirati
coloro ai quali si può offrire il catechismo).
Il termine «giovane» colloca le cose su un terreno concreto. Non si tratta dello sport
considerato in se stesso o nel contesto della società, ma nell'esperienza giovanile. Il termine
«salesiano» ci orienta verso un tipo originale di mediazione pastorale.
Cerchiamo di procedere attraverso il tema in tre tempi raccogliendo le riflessioni più
scontate e condivise e, dunque, più ricche di conseguenze.
1. Primo tempo: facciamo memoria
1.1 Un legame che viene da lontano
Quando mi trovo di fronte alla sigla «Polisportive Giovanili Salesiane», la prima rea-
zione è chiedermi: Come mai sono sorte polisportive che portano l'appellativo di «sale-
siane»? Esistono forse polisportive giovanili gesuite, francescane, domenicane o certosine?
Capite? «Salesiana» come la nostra università, come la casa generalizia, come l'archivio ge-
nerale... come le scuole!
C'è un legame antico e naturale, ma anche coscientemente voluto e sovente riaffermato
tra i salesiani e il gioco; un legame che non è semplicemente conseguenza del loro trovarsi
tra i giovani, ma scaturisce dalla loro «originale» presenza tra di essi. È difficile pensare i
salesiani o Don Bosco e non immaginarli partecipando al gioco dei ragazzi. Ne danno fede
non poche immagini dove lo stesso Don Bosco, o l'accenno simbolico alla sua Congrega-
zione, viene rappresentato in mezzo ad un cortile pieno di ragazzi che scorrazzano.
È questa una particolarità singolare di Don Bosco. Un autore ha scritto un libro dal
titolo «Don Bosco che ride»; l'avrebbero potuto intitolare anche «Don Bosco che gioca»,
perché un aspetto originale della sua vita è proprio l'intuizione della forza comunicativa del
1 Il testo è quello di una relazione che don Vecchi, consigliere generale per la PG, tenne nel 1983 in
occasione di una assemblea delle P.G.S. della Sicilia.
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8.4 Page 74

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gioco, intuizione che lo spinse a cercare ed incontrare i ragazzi nel gioco, partecipandovi
egli stesso. È un taglio originale e quasi unico per una biografia che ha il suo riscontro forse
soltanto in quella di Filippo il buono. Potrebbe far pensare ad un'astuzia dei suoi figli per
rendere simpatica e popolare la figura di Don Bosco. Una serie di fatti reali, invece, ci dicono
che non si tratta di un «espediente».
1.2 Spontaneità e maturazione
La prima cosa che rileviamo nella vita di Giovannino Bosco è una capacità spontanea
di godere e allo stesso tempo di esprimersi attraverso il gioco, a tal punto da farlo coesistere
e fonderlo con impegni seri, senza che nessuna di queste componenti perdesse i suoi conno-
tati. Le cose serie sono trattate in forma festiva e il gioco impegna nella sua dinamica senti-
menti, attitudini e piani.
È questa una caratteristica naturale di Don Bosco. Il suo biografo la tratteggia in una
frase riassuntiva: «Giovanni era l'anima del divertimento». L'immagine che di lui ci viene
trasmessa non è di un ragazzo che guarda con tristezza i trastulli e si trova a suo agio soltanto
tra libri e preghiere, ma di uno che entra con spontaneità ed entusiasmo nel gioco e si scatena
in esso.
Questa tendenza la si nota anche in un altro tratto: Giovanni era sempre protagonista
nel gioco e ricorderà nelle sue memorie con fruizione il suo protagonismo. Si tratta di un
ripensamento di fede, in cui scorge come il Signore lo preparò per l'apostolato giovanile; ma
è anche una semplice reminiscenza delle sue affermazioni in quell'ambiente contadino: le
«letture» e i «racconti invernali» nella stalla, i giochi di prestigio nel prato, le scampagnate
da amico col fratello Giuseppe... comunque sempre l'utile e il valido fusi alla gioia dello
stare assieme e del divertimento.
È interessante sottolineare ancora come man mano che la vita procede, il gioco s'intrec-
cia con altri aspetti e si trasforma, senza sparire, dando alla personalità di Don Bosco delle
fattezze singolari. Nell'episodio del saltimbanco di Chieri, che distrae i giovani dalle funzioni
di chiesa, Don Bosco adopera la sfida del gioco come arma dissuasiva. Quando fonda un
gruppo di ragazzi, la «società dell'allegria», il suo programma lo articolerà in tre punti: pietà,
doveri (studio) e trattenimenti (compagnie, passeggiate, giochi). La capacità di immaginare
e partecipare al gioco rimase in Don Bosco anche in età avanzata.
Le esperienze che modellarono, dunque, la sua personalità nell'infanzia furono: la fa-
miglia, il senso religioso, il lavoro, il gioco, la socialità. Tutte queste esperienze e i valori
insiti in esse, sviluppate, fuse vitalmente e divenute sintesi pedagogica attraverso la rifles-
sione, conformano il suo Sistema educativo.
Non si può dire la stessa cosa di tutti i Santi, né di tutti gli educatori. Non per tutti si
può scrivere un capitolo sul gioco, né di tutti si può pensare una completa biografia sotto
questo profilo. Vi sono alcuni che hanno preferito fare il bene attraverso scuole, ospedali o
missioni popolari gioiosamente, ma non hanno incorporato il gioco nell'esperienza e nel pro-
gramma della propria o altrui santificazione.
1.3 Elemento di pastorale
Quando Don Bosco fu ordinato sacerdote pensò la propria azione pastorale, mettendovi
il gioco come elemento fondamentale. Il suo primo programma si esprimeva in un trinomio:
giocare, stare assieme, fare catechismo.
Lui stesso giocava con i ragazzi. Non fu difficile constatare che il cortile attirava più
della chiesa. Molti giovani che non sarebbero venuti in chiesa, erano invece attratti dal cor-
tile. Non solo, ma in questa prima esperienza percepì l'importanza del gioco nella totalità
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8.5 Page 75

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della vita del ragazzo povero, sottomesso al lavoro durante la settimana, costretto alla dipen-
denza e condannato all'assenza di legami affettivi gratificanti. «L'esperienza ha fatto cono-
scere - scriverà al ministro Francesco Crispi - che si può efficacemente provvedere a queste
quattro categorie di ragazzi: coi giardini di ricreazione festiva, con l'amena ricreazione, con
la musica, con la ginnastica, coi salti, con la declamazione, si raccolgono con molta facilità.
Con la scuola serale poi, con la scuola domenicale e col catechismo, si dà alimento morale
proporzionato e indispensabile a questi poveri figli del popolo»2.
L'importanza del gioco per il giovane era stata percepita anche da altri, ma forse alcuni
non gli avevano attribuito altra finalità che quella di un onesto passatempo: la formazione
viene dal lavorare era il loro pensiero dallo studiare; il gioco prepara ed assicura le ener-
gie e la disposizione per quei momenti che sono quelli che realmente contano.
Don Bosco, nella sua esperienza di educatore, percepì che il gioco, oltre ad essere un
elemento equilibrante e quindi necessario, sviluppa aspetti specifici nella formazione totale
del ragazzo. È divenuto, quindi, per lui oggetto di riflessione, di osservazione, di organizza-
zione e di guida.
Scrive egli stesso del suo Oratorio: «Io avevo già fatto disporre di quanti più giuochi
potevo, il cavallo di legno, l'altalena, le sbarre per il salto, tutti gli altri attrezzi di ginnastica».
Così il gioco concepito sin dall'inizio come un punto importante nel programma educativo e
pastorale, seguiva il calendario liturgico e l'itinerario catechistico, e segnava la vita della
comunità giovanile. I giochi erano ordinari tutte le domeniche, ma diventavano straordinari
nelle principali festività.
Allo stesso modo che il calendario festivo nella vita oratoriana, il gioco segnava il ritmo
e le fasi dello sviluppo dell'opera di Don Bosco. Si fece più complesso, più svariato, più
organizzato, fino a dare origine financo «a ruoli». Don Bosco nel regolamento del suo Ora-
torio ideò tutto un capitolo che ha come titolo: «Degli invigilatoli dei giuochi», di cui voi,
forse, siete i successori.
Per curiosità vi leggo alcuni articoli.
Articolo quinto. I trastulli sono affidati a cinque invigilatoli, di cui uno sarà capo.
Articolo sesto. Il capo invigilatore tiene registro del numero e qualità dei trastulli, e ne
è responsabile. Qualora ci vogliano provviste e riparazioni ai trastulli ne renderà consapevole
il prefetto, articolo settimo. Gli invigilatoti presteranno i loro servizi due per domenica. Il
capo veglia solamente che non avvengano disordini, ma non è tenuto a servizio, eccetto che
manchi qualcuno degli invigilatoti, articolo undecimo. È particolarmente raccomandato agli
invigilatori il procurare che tutti possano partecipare a qualche divertimento, preferendo
sempre quelli che sono conosciuti pei più frequenti dell'Oratorio3.
Ma oltre all'organizzazione degli «invigilatori», viene descritta la funzione che Don
Bosco attribuiva al gioco nell'insieme del programma educativo. Lo documenta il cap. III
(2a parte) del Regolamento che porta come titolo: «Contegno nella ricreazione».
È interessante anche a questo riguardo consultare le tre biografie esemplari, quelle cioè
di Domenico Savio, di Michele Magone e di Besucco Francesco.
Parlando di «esemplarità» ci si aspetterebbe che di un giovane vengano presentati sol-
tanto l'amore allo studio, alla pietà; la buona educazione, la carità verso il prossimo. Invece
nelle tre biografie appare sempre il momento del gioco. Uno di questi ragazzi è agile, vivace
2 Il Sistema Preventivo applicato negli Istituti di rieducazione. Promemoria al Ministro Francesco
Crispi, 1878.
3 Regolamento dell'Oratorio di S. Francesco di Sales per gli esterni. Torino, Tipografia Salesiana,
1877, cap. XII Regolatori della ricreazione.
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e scatenato, e potrebbe essere un numero uno dello sport: è Magone. Un altro è gracile e
«niente pratico di certi esercizi ricreativi»4, ma interpretando un consiglio di Don Bosco: «la
ricreazione piace al Signore»5 volle «abituarsi a far bene tutti i giuochi che hanno luogo tra
i compagni»6. Dopo lepidi incidenti riceve da Don Bosco questa indicazione: «i giuochi de-
vono impararsi poco alla volta, di mano in mano che ne sarai capace. Sempre per altro in
modo che possano servire di ricreazione, e mai di oppressione al corpo»7.
1.4 Una pedagogia del gioco
Il gioco è considerato un punto del programma della formazione del giovane. Attra-
verso il lungo cammino percorso da noi soltanto a volo d'uccello, cioè esperienze spontanee,
scelte pastorali, riflessione educativa, maturò una pedagogia del gioco che preferisce alcune
modalità, sottolinea alcune esigenze e coglie alcuni valori.
Il gioco libera la gioia. Per questo è retto dalla spontaneità. È manifestazione di un
equilibrio spirituale e mezzo per rafforzarlo.
Don Bosco dice: «Ciascuno scelga, tra molti, il gioco in cui si sente più libero». Com-
porta però una disciplina propria e di vita, accettata, capita e personalizzata. Ci sono tempi,
forme e regole per il gioco.
Al gioco si attribuisce la capacità di far riposare la mente e al tempo stesso di mettere
in esercizio e sviluppare forze corporali. E c'è una preferenza per i giochi di movimento su
quelli sedentari.
Accanto a questi valori, che sono interni al gioco, ci sono i valori dell'incontro con gli
altri: la buona educazione, la capacità di collaborazione, l'amicizia, la generosità.
Infine si apprezza l'influsso del momento ludico su tutto il processo educativo. Interes-
sante ricordare l'episodio di quel giornalista che visitò l'Oratorio di Don Bosco e, vedendo
la disciplina naturale, calma e allegra che vi regnava, chiese come la ottenesse. Don Bosco
diede letteralmente questa risposta: «Noi invece di castighi, abbiamo l'assistenza e il
giuoco». Cioè, essere presenti, condividere e impegnare la vitalità dei giovani nei giochi.
Perciò aveva detto: «Si dia ampia libertà di saltare, di correre, di schiamazzare a piaci-
mento. La ginnastica, la musica, le passeggiate sono mezzi efficacissimi per ottenere la di-
sciplina».
Per tutto questo il cortile aveva un valore particolare per la conoscenza del giovane. In
esso il ragazzo, decondizionato, mostrava spontaneamente le sue tendenze, la sua vitalità, le
sue capacità.
Il cortile era il luogo adatto a far cadere una parola. Lui dice di se stesso: «Io mi servivo
di quella smodata ricreazione per insinuare nei miei allievi pensieri di religione. Agli uni con
una parola nell'orecchio raccomandavo maggior ubbidienza e maggior puntualità nei doveri
del proprio stato»8.
Non solo ha scritto che il cortile è un luogo privilegiato di educazione, ma addirittura
l'istituzione tipica che lui fondò, che è l'Oratorio festivo, ha nella definizione un riferimento
ludico fondamentale. Fondamentale perché l'Oratorio si regge su due colonne: giocare ed
imparare la verità della fede. È vero che una è più importante dell'altra; ma togliete una
4 G. BOSCO, Il pastorello delle Alpi ovvero Vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera, Torino
[ecc.]: Tipografia e Libreria Salesiana, 1878, cap. XVII.
5 Ibid.
6 Ibid.
7 Ibid.
8 MO p. 160.
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8.7 Page 77

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qualunque delle due e la fisionomia dell'Oratorio sparisce. Egli dà questa definizione dell'O-
ratorio: «Lo scopo dell'Oratorio è di intrattenere la gioventù nei giorni di festa con piacevole
e onesta ricreazione, dopo aver assistito alle sacre funzioni». Catechismo e gioco sono i due
grandi riferimenti dell'istituzione che lui chiamò Oratorio festivo.
Siccome l'Oratorio è stata la prima delle iniziative di Don Bosco e l'iniziativa tipo su
cui tutte le altre di sono modellate, questo binomio «catechesi e gioco» è passato in quasi
tutte le opere salesiane. Non si concepisce, dunque, nemmeno una scuola salesiana che non
abbia, almeno come complemento, iniziative ricreative e sportive.
Perciò il suo consiglio ai salesiani: i ragazzi, forse senza esserne coscienti, considerano
quasi un obbligo scontato che il maestro dica a scuola una parola religiosa o morale, mentre
quando qualcuno parla loro informalmente in cortile intuiscono che lo fa per vera amicizia,
e la parola raggiunge il cuore.
Il cortile era il luogo privilegiato per la familiarità. Nella lettera del 1884, considerata
dai salesiani come un documento importante del loro patrimonio educativo, Don Bosco sug-
gerisce di badare non a ciò che capita nella chiesa o nella scuola, ma a quello che si avverte
nel cortile. È questo il riflesso e la manifestazione dello stato interno dei ragazzi e del rap-
porto educativo favorevole o meno.
2. Secondo tempo: uno sguardo all'oggi
2.1 Interrogativi
Abbiamo guardato al passato; guardiamo ora un po' all'oggi.
Ci fu un tempo in cui gioco e pastorale erano naturalmente fusi e nessuno si domandava
se valesse la spesa animare il gioco per raggiungere un obiettivo pastorale. Il salesiano che
animava il gioco, e più tardi lo sport, era sicuro che questo era collegato a tanti altri contenuti
e momenti di pastorale e di educazione ed inserito in un programma unitario che lui consi-
derava valido.
La presenza, il rapporto personale operavano vitalmente la sintesi. Non solo c'era rac-
cordo tra le diverse attività, ma anche proporzione e gerarchia. I giovani stessi erano disposti
al gioco e alle altre proposte.
Poi, forse, in un secondo momento, c'è stata una rottura pratica, per cui qualcuno ha
potuto pensare che il gioco nel senso di puro divertimento o di preoccupante organizzazione
aveva preso un tale sopravvento da far dimenticare gli obiettivi pastorali ed educativi. Nei
nostri campi di gioco - si diceva - i ragazzi e soprattutto i giovanotti vengono solo per giocare
(giocano e se ne vanno!), vanificando così l'intenzione educativa del salesiano.
Più assillante ancora il problema quando si poneva in termini di pastorale: noi mettiamo
a disposizione una grossa organizzazione, ma il ragazzo gioca e se ne va. Che rende questo
in termini di pastorale? In termini di evangelizzazione e di maturazione cristiana?
Rileviamo, per inciso, che questa rottura non avveniva solo nello sport, ma si percepiva
anche nella scuola. Alcuni infatti hanno creduto di vedere degli scollamenti insuperabili tra
l'insegnamento come viene proposto oggi e la pastorale. Si diceva: un ragazzo, irreggimen-
tato nei compiti e negli orari scolastici, deve ingoiare dati e conoscenze; ma viene anche
educato ed evangelizzato? Riesce il salesiano a fare con lui un cammino di fede, data la
preoccupazione preponderante del ragazzo di compiere un dato corso e ottenere semplice-
mente un diploma?
Da questa rottura è venuta una specie di alternativa, per cui i salesiani si chiedevano:
noi abbiamo delle forze limitate; dove le impegniamo? Ci conviene riversarle nello sport o
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8.8 Page 78

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piuttosto impegnarle nelle catechesi? Dobbiamo rimanere nell'insegnamento o piuttosto emi-
grare in altre aree più «religiose»?
Si potrebbe aggiungere che questo «esodo» verso una scelta «più religiosa» era appog-
giata su ragioni non spregevoli.
Come religiosi e pastori la nostra area specifica è quella della esperienza di fede; in
quest'area diminuiscono gli operatori a tal punto che le Chiese locali ci chiedono d'impe-
gnarci più abbondantemente nella cura più esplicitamente «pastorale» del popolo. Altri
campi sono per noi di «supplenza» e conviene che li lasciamo man mano che altre forze
provvedono. D'altra parte le attività «religiose» gratificano in risultati pastorali e hanno per
se stesse un impatto loro proprio sui valori e le attività dell'uomo.
A contrappeso di queste ragioni per trincerarsi nelle sole attività religiose c'è la consta-
tazione che i temi secolari trascurati finiscono per rifluire negativamente sulla fede, rimpic-
ciolendone il campo e neutralizzando la significatività. Basti pensare a quello che è capitato
col lavoro, il movimento femminile ed altri fenomeni.
Da tutto questo scaturiscono alcune domande: perché i salesiani continuano ad animare
attività sportive? Essendo religiosi e sacerdoti non converrebbe loro spendersi più nella ca-
techesi, nella liturgia, nella scuola di religione?
Collegate con queste vengono altre domande: intendono i salesiani rimanere o ritirarsi
dallo sport? Se diminuissero le forze, smobiliterebbero totalmente le risorse dell'animazione
dello sport?
E ancora: l'attività sportiva è campo per la pastorale e l'educazione? Si può educare ed
evangelizzare? In che senso? A quali condizioni? Si nota, infatti, che, a seconda del tipo
d'intervento che fa l'educatore, alcuni campi sportivi sono soltanto ambienti di distensione e
di trattenimento ed altri sono luoghi di educazione. Ma si vede anche che l'ansia che si sca-
rica sulle domande proviene da un certo modo di intendere la pastorale e l'educazione.
Da ciò l'ultima batteria di domande: le attività sportive sono attività di serie B rispetto
alla catechesi o alla scuola? Che cosa è preferibile: fare scuola, fare associazionismo reli-
gioso o animare polisportive?
Per rispondere a queste domande bisogna guardare a due elementi: alle scelte pastorali
tipiche dei salesiani e a ciò che oggi lo sport rappresenta per tutti, ma particolarmente per i
ragazzi.
2.2 Le scelte di base
Guardiamo, dunque, alle scelte tipiche dei salesiani. Essi intendono dedicarsi ai gio-
vani, non ad un gruppo particolarmente scelto per la qualità oltre richieste che presentano,
cioè a pochi giovani; ma al più grande numero dei ragazzi «comuni».
Voglio portare la vostra attenzione su questo: non soltanto giovani scelti dal punto di
vista sociale, economico, culturale e nemmeno religiosamente scelti, cioè quelli che sono
già molto avanti nella conoscenza della fede, con i quali si potrebbe formare un gruppo im-
pegnato; ma il più grande numero, quei giovani cioè che, pur non essendo mossi da alti ideali
di tipo religioso, culturale o sociale, sono coinvolti nelle esperienze più comuni della vita,
tali come la famiglia, la scuola, il tempo libero, il loro futuro. Questa preferenza verso i
destinatari li spinge a collocarsi in quelle aree dove i giovani poveri, comuni si trovano.
C'è un altro elemento che riguarda le scelte dei salesiani: è il criterio d'intervento che
si sono proposto. Come sacerdoti, come religiosi intendono annunziare il Vangelo e far cre-
scere le persone nella fede. Questo è pastorale. Sarebbe quanto meno strano che un sacer-
dote, un religioso si dedicasse a gestire un'organizzazione sportiva, per offrire spettacoli o
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8.9 Page 79

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guadagnare soldi o semplicemente per promuovere lo sport. Questo è tipico dell'imprendi-
tore e dell'animatore sportivo.
Quando un salesiano interviene nello sport lo fa certamente, pur senza strumentalizzare
il gioco, per far emergere i valori e il senso evangelico contenuti in ogni esperienza di vita
che i giovani fanno.
Ci sono diverse vie per fare pastorale. L'obiettivo è uno: le vie e modalità possono
variare. Una di queste vie è sviluppare alcune attività proprie e solo della Chiesa: la cate-
chesi, la liturgia, la predicazione al popolo.
Si dice che i salesiani scelgono anche il cammino e l'area dell'educazione. Ciò vuol
dire, negativamente, che non si assumono soltanto attività e temi religiosi; positivamente che
intervengono anche in quelle attività legittime e comuni dell'uomo, in cui è possibile far
crescere le persone, come sono il lavoro, la scuola, lo sport.
Questa seconda scelta è in consonanza con la precedente, quella del più grande numero
possibile di giovani. Difatti gli interessi legittimi legati alle esperienze fondamentali della
vita sono la situazione di partenza che il maggior numero dei ragazzi presenta, per far con
loro un cammino di evangelizzazione.
Terza scelta è la sensibilità missionaria. Per spiegarla potremmo usare una frase di Don
Bosco: «Io voglio essere il parroco dei giovani che non hanno parrocchia, io voglio essere il
maestro di quei giovani che non hanno scuola». In altre parole: quelli che vanno in chiesa
hanno già chi li cura; quelli che vanno a scuola hanno già il maestro; rimane quella porzione
di giovani che non si riconoscono né nell'istituzione religiosa, né nelle istituzioni educative.
Di essi voglio essere il parroco. Questa si chiama mentalità missionaria: andare incontro alle
persone, non aspettare soltanto che i ragazzi vengano da noi.
Chi ha questa mentalità non può limitarsi a trattare soltanto temi tipici della Chiesa o a
intervenire soltanto in aree «ecclesiali»; ma si fa presente in quei temi e in quelle preoccu-
pazioni che sono comuni ad ogni uomo, credente e no, praticante o lontano; temi che po-
tremmo chiamare «secolari», perché non nascono nella Chiesa, ma tra gli uomini; non espri-
mono nel loro nascere un tema religioso, ma un interesse culturale, un'esigenza umana.
L'«andare verso» infatti non si applica soltanto in senso geografico, ma in senso di interessi,
mentalità e situazioni di vita.
Da queste tre scelte, che sono determinanti, scaturiscono le indicazioni operative:
dare importanza alle esperienze di vita giovanili (acquisizione di cultura, amicizia, inse-
rimento sociale), scorgendo in esse consistenza umana ed evangelica;
fondere continuamente evangelizzazione ed educazione in modo tale che si richiamino e
si implichino. Si tratta di aiutare a vivere le esperienze quotidiane, aprendo alla fede e
annunciando il Vangelo, e di vivere questo assumendo (e non lasciando da parte) la tota-
lità del dinamismo personale e sociale;
da ciò il doppio movimento o direzione degli sforzi: la persona e l'ambiente, sviluppare
l'individuo, trasformare l'ambiente e la collettività.
I salesiani, dunque, per aver scelto il maggior numero di giovani, per aver scelto la
strada dell'educazione e non soltanto quella dell'istruzione religiosa, per aver scelto la strada
missionaria, cioè di cercare anche quelli che non hanno raggiunto ancora coscienza di essere
membri della Chiesa ma sono disponibili, e per le linee operative che da queste scelte scatu-
riscono, s'interessano sinceramente ai temi che gli uomini trattano, in vista della crescita
della persona e della società (ambiente, territorio, collettività).
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8.10 Page 80

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2.3 Lo sport di fronte alle scelte
C'era un altro punto che volevamo collegare nella nostra impostazione: il significato
dello sport.
Lo sport è proprio una di quelle esperienze giovanili generali; è una realtà secolare, una
di quelle il cui richiamo sentono tante persone non ancora sensibili al tema religioso; è un'e-
sperienza che offre l'opportunità di partecipare all'elaborazione della cultura e della vita del
territorio; è un'esperienza che aiuta a crescere umanamente le singole persone; è un tema
all'interno del quale è possibile far sorgere domande di senso e intessere rapporti.
Ci sarebbe un lungo discorso da fare sullo sport come esperienza di vita del giovane e
dell'adulto; è un'esperienza che include aspetti individuali e socio-culturali di segno diverso.
Perché lo sport è agonismo, è realizzazione personale, è incontro interpersonale, è disciplina,
è solidarietà. Così come è commercio, consumo, spettacolo, trasmissione di atteggiamenti,
norme e mito. McLuhan, profeta delle comunicazioni sociali, diceva: «Le visioni e le espe-
rienze sociali di una generazione si possono trovare codificate nello sport. Vedete come
gioca una generazione oggi e forse vi troverete il codice della sua cultura».
Possiamo fare un paragone rapido: un tempo il gioco era rituale, maschile ed elitistico,
perché la società era sacrale, gerarchica e poggiava sui maschi. Oggi è massivo, funzionale
ai bisogni, gestito come «industria». Riproduce l'organizzazione tipica della società tecnica.
È uno specchio, un canale, un contenitore così com'è un'evasione e un elaborato di questa
società.
Huitzinga ne mette a fuoco l'influsso educativo. La cultura umana viene trasmessa prin-
cipalmente attraverso il gioco, che costituisce uno dei principali canali comunicativi tra le
generazioni.
Se adesso vogliamo rispondere alle domande che abbiamo formulato, siamo in grado
di farlo.
Perché i salesiani si collocano anche nello sport e non soltanto nelle scuole e nella ca-
techesi?
Perché nello sport e con lo sport incontrano un gran numero di giovani; nello sport
accompagnano i giovani in un'esperienza umana, ricca di valori individuali e sociali; perché
attraverso questa esperienza e altre simili possono mettere la vita in rapporto con la fede,
rendendo quest'ultima significativa, saldandola con momenti e preoccupazioni quotidiane;
perché nell'esperienza dello sport si ripromettono di raggiungere col messaggio anche coloro
che in principio non lo chiedevano; e perché inoltre si offre loro la possibilità di formare
gruppi, creare ambienti, partecipare nel territorio, essere presenti nell'elaborazione di un
aspetto della cultura. Per tutto questo i salesiani non abbandoneranno facilmente l'area spor-
tiva! Lo sport è un campo che offre delle possibilità educative.
3. Terzo tempo: condizioni e itinerari
Ma qui si aggancia il terzo momento: a quali condizioni il gioco e lo sport sono inte-
ressanti dal punto di vista educativo e pastorale?
Non è il fatto materiale, inerte e grezzo dello sport consumato passivamente a produrre
la desiderata crescita del ragazzo, ma la qualità dell'incontro che il giovane fa con lo sport,
mediato dall'educatore. Non è lo stesso fare sport semplicemente e fare educazione nello
sport. Non a qualunque condizione lo sport risulta educativo. Ci sono, infatti, a riguardo
dello sport, diversi tipi d'interventi, tutti legittimi, ma con finalità diverse.
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9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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Ci può essere un gruppo di persone che si propone di organizzare uno spettacolo spor-
tivo, affinché l'utente usufruisca e paghi. Non entra nelle sue preoccupazioni che questi cre-
sca o meno in determinati valori. Ci può essere un intervento di tipo politico per regolare
l'uso sociale.
L'intervento formalmente educativo si caratterizza dalla finalità di far crescere le per-
sone non soltanto nei valori più immediatamente legati allo sport, come la capacità motoria
o la competitività, ma nella loro totalità.
Perché il nostro intervento sia educativo e pastorale ci vogliono, dunque alcune condi-
zioni. Nello sforzo di individuarle troveremo anche le linee su cui progredire. Ne enuncio
solo quattro.
Prima condizione è acquisire una conoscenza appropriata e sistematica del fenomeno
sport. Ciò vuoi dire superare l'informazione frammentaria, aneddotica e superficiale, per ap-
profondire il significato e l'influsso che lo sport ha sullo sviluppo del giovane e sulla cultura.
Con parole un tantino serie si direbbe possedere una «antropologia dello sport».
Si sa che nella società attuale lo sport è affermazione individuale, distensione personale
e talvolta collettiva; ma è anche organizzazione, commercio, rito e divertimento massificato!
Quando noi cerchiamo di entusiasmare i giovani trasciniamo, mescolati nella nostra
proposta, sia gli elementi buoni che gli elementi devianti. Se questi ultimi prendono una
supremazia indebita, lo sport diventa alienazione.
Spingendo le cose su una certa linea, potremo fare dei consumatori di attività sportive:
spingendole su un'altra linea possiamo formare un uomo che apprezza la sua corporeità, che
è capace di un incontro anche ludico con gli altri, che cerca con concretezza il suo più con-
veniente equilibrio.
Questi aspetti non si scoprono se non si è capaci di considerare da educatore il prodotto
che tutti consumano. Non ci sarà una pedagogia dello sport se gli animatori sportivi non sono
capaci di individuare quali valori umani sono rafforzati e quali invece sono mortificati in
una data concezione dello sport.
Pensate voi che una persona potrebbe educare nella scuola senza sapere per niente i
significati e le interpretazioni che vengono travasate nelle conoscenze che insegna?
Conoscenza dell'area sportiva vuol dire sapere che cosa comunichiamo, quando of-
friamo una proposta sportiva.
Seconda condizione. Nell'intervento puramente commerciale i fini soni lo spettacolo e
il guadagno. I fini si riferiscono alle cose. Le persone sono strumenti.
Procedere con criterio educativo è mettere la persona al di sopra dell'organizzazione, al
di sopra dello spettacolo e al di sopra dei trofei.
Quando un uomo organizza lo sport in ordine al guadagno, pensa allo spettacolo;
quando l'organizza in funzione dei trofei, pensa alla vittoria; quando lo prepara educativa-
mente, spettacolo, guadagno e trofei sono secondari e funzionali allo sviluppo della singola
persona che viene aiutata attraverso l'attività sportiva. Per lo spettacolo si comperano e si
coltivano i campioni; nell'educazione si coltiva il ragazzo «normale». Procedere con criterio
educativo è avere un obiettivo: la crescita integrale. Lo sport non interessa soltanto come
esercizio motorio e diversivo, ma come possibilità di fare con le persone un dialogo su tutti
i valori che le interpellano. L'agonismo è importante, ma non è il valore supremo, né l'unico.
Lo sguardo dell'educatore non svuota gli aspetti colti e cercati dal ragazzo in un primo ap-
proccio con lo sport, ma si apre anche ad altri aspetti che sottostanno. Lo sport non è un'e-
sperienza «risolutiva»: deve agganciarsi ad un piano personale e sociale più vasto.
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9.2 Page 82

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Cercare la crescita integrale richiede di percorrere certi itinerari educativi, attraverso i
quali da ciò che immediatamente si coglie nello sport stesso, si va oltre e si abilita il giovane
a vivere da uomo quegli atteggiamenti che lo accompagneranno anche fuori del momento
sportivo.
Procedere con criterio educativo vuol dire, infine, applicare un metodo basato sulla
presenza e il rapporto personale. Mi spiego con una battuta: chi non intende fare un inter-
vento educativo organizza un locale o uno spettacolo e li gestisce a distanza o attraverso
impiegati. È un manager! Come altri offrono macchine o sigarette, lui offre attrezzature e
strutture.
Scelta del metodo educativo significa essere presente al ragazzo, individualizzando e
personalizzando: arrivare a ciascuno di questi giovani o ragazzi per comprendere insieme la
loro vita e aiutarli a darle unità, qualità e orientamento.
In ciò sta la differenza tra un organizzatore dello sport e un educatore nello sport: il
primo può avere un rapporto lontano e indiretto e può trattare la realtà in termini di numeri,
di date, di organizzazione; il secondo invece tratta con le persone in modo immediato, in
termini di valori, di esperienze e significati.
Se si assumono questi criteri, cioè la persona sull'organizzazione, la crescita dei ragazzi
sullo spettacolo e sui trofei e il rapporto personale sull'efficienza, una palestra e un cortile
possono essere equivalenti ad una scuola.
Una terza condizione, una volta conosciuto il fenomeno che trattiamo e assunto un
criterio educativo, è costruire itinerari educativi e pastorali costantemente riformulati man
mano che vengano collaudati dalla pratica. L'itinerario è costituito da una serie di traguardi
collegati verso mete finali, con indicazioni pratiche di atteggiamenti, contenuti ed esperienze
per percorrerli. Questi itinerari devono portare un giovane dalla prima esperienza spontanea
dello sport, che consiste nel fruire del movimento, della competizione, dell'affermazione,
verso obiettivi più alti, come sono la collaborazione, il rispetto dei rivali, la crescita della
responsabilità sociale.
Alcune indicazioni molto generali per camminare in questo essere totali riguardano la
presa di coscienza del carattere effettivamente alienante di molto sport. Poiché il giovane
che gioca e che va al campo sportivo deve essere cosciente delle caratteristiche della cultura
del suo tempo, non può ignorare i pericoli di mercificazione che ci sono in un certo fenomeno
sportivo e deve saper distinguere quando lo sport è al servizio dell'uomo e quando, al con-
trario, lo prende nelle sue reti. Prendere coscienza è arrivare ad una comprensione profonda
dei meccanismi di manipolazione che ci possono essere nello sport.
Un altro traguardo dell'itinerario: sviluppare le possibilità educative specifiche dello
sport, per esempio il senso della corporeità, il valore della vita di insieme, il senso della
disciplina e dello sforzo, il rispetto delle norme.
Il fondatore delle Olimpiadi, Pierre de Coubertin, pensava che lo sport era una nuova
forma dell'educazione alla convivenza democratica a livello internazionale. Secondo lui, at-
traverso le grandi manifestazioni e i confronti sportivi, si poteva educare la gente alla accet-
tazione ragionevole di una disciplina sociale concordata, alla partecipazione intensa e all'ac-
cettazione dei diversi moli delle persone, basati sull'eccellenza e sul servizio.
Un terzo passo: sviluppare i valori concomitanti che non emergono dalle attività spor-
tive in sé, ma appartengono alla situazione, ad un contesto in cui si pratica lo sport. Si tratta
di creare un ambiente umano, ricco di esempi e di valori, nel quale vengono inserite le attività
ludiche.
- 80 -

9.3 Page 83

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Finalmente occorre collegare l'attività sportiva con altre aree ed esperienze. Lo sport
non può essere un compartimento stagno che non comunica con le altre esperienze e attività
e momenti della vita. Bisogna fare un raccordo delle esperienze di modo che le une influen-
zino le altre.
E così come esistono itinerari educativi, così esistono anche itinerari che sono tipica-
mente pastorali, non posteriori o dissociati dai primi.
Alcune indicazioni per essi potrebbero essere la «desacralizzazione dello sport», spo-
gliarlo cioè di una certa autosufficienza in ordine alla soddisfazione dei bisogni; evidenziare
il suo carattere subalterno rispetto ad altri problemi e desideri dell'uomo: non è la cosa prin-
cipale e, se riesce a prendere tutto il cuore e tutta la mente, diventa un «idolo» e provoca
dipendenza.
Si possono poi accogliere e sollevare domande di senso, quelle cioè che le situazioni
esistenziali provocano e a cui l'educatore può dar risposta.
È questo il momento in cui l'educatore saggio sa guidare il giovane, non dando solu-
zioni facili ed immediate, ma abilitando alla serietà della ricerca e a superare l'indifferenza
e il qualunquismo davanti agli interrogativi dell'esistenza. Ancora si può annunciare il senso
cristiano e trascendente della vita attraverso un insieme di stimoli privilegiati vicini e, forse,
interni all'esperienza ludica e sportiva. Attraverso lo sport si può difatti persino coinvolgere
nel servizio del prossimo.
Ecco allora una quarta condizione per un intervento educativo nello sport: l'esistenza
di una comunità che sia soggetto dei processi di crescita, attraverso forme di coinvolgimento,
dialogo e partecipazione. Ciò aggancia il discorso a tre punti, ai quali accenneremo soltanto:
la comunità di riferimento, il gruppo di animatori, il ruolo dei salesiani.
Quando l'organizzazione sportiva si inserisce in un ambiente giovanile più largo (es.
un centro giovanile) è interessante dare e ricevere, affinché l'ambiente offra una proposta
ricca e articolata. Partecipare alla vita e alle decisioni della comunità e completare il proprio
programma con quello che le altre componenti offrono è un'indicazione fondamentale.
Ma all'interno del gruppo sportivo e della comunità totale ci sono gli animatori. Questi
hanno un ruolo-chiave. Prima abbiamo affermato che i salesiani vanno all'incontro di tutti i
giovani disponibili. Ma tra questi ci sono di quelli che mostrano disposizione a prestare un
servizio con il loro lavoro. Ecco che all'interno del grande numero emerge un gruppo scelto
e capace, che va aiutato a progredire.
Il compito dei pochi salesiani e FMA si riferisce principalmente e in primo luogo a
questi animatori: alla loro qualifica cristiana, professionale e salesiana. Sono gli animatori
degli animatori.
Cosa vuol dire animare una comunità educativa? Coinvolgere attivamente nella defini-
zione di obiettivi e linee operative; favorire la partecipazione, unire le persone, costruire la
comunione. Animare vuol dire anche curare la formazione permanente.
Il futuro di un'associazione dipende dalla capacità di aiutare i propri collaboratori a
crescere. Delle associazioni sportive hanno sofferto degrado, dopo partenze promettenti, per-
ché non avevano quasi nessuna preoccupazione di tenuta e di progresso, cioè non rivedevano
né orientamenti, né lettura della realtà, né itinerari, preoccupati soltanto dell'organizzazione;
soprattutto non rafforzavano la capacità delle persone con nuove sintesi, prospettive e abilità.
Le persone perdevano così la carica di animatori e di educatori insieme all'incisività
d'intervento.
La formazione permanente si sviluppa soprattutto su tre fronti. In senso professionale,
che comporta il dominio delle conoscenze e della prassi pedagogica; in senso cristiano, e ciò
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9.4 Page 84

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comporta l'approfondimento dell'identità cristiana e la capacità di annunciare il Vangelo; e,
per gli ambienti salesiani, sul fronte salesiano che include la conoscenza delle scelte tipiche,
il loro fondamento, la loro applicazione pratica.
In associazioni come la vostra lavorano pochi salesiani insieme a molti laici. I salesiani
dovrebbero essere i motori, cioè persone che curano soprattutto la qualità, la carica umana e
cristiana di coloro che collaborano.
4. Concludendo
Il gioco e lo sport hanno un legame particolare con i salesiani, e questo non è un fatto
irriflesso, ma è collegato a scelte volute e confermate: la scelta del campo giovanile, la scelta
dell'educazione, la scelta della missionarietà, la scelta di determinare linee operative.
In quest'area noi possiamo avere un intervento educativo e pastorale solo a certe con-
dizioni. È interessante che ribadiamo il buon proposito di rimanere, ma da educatori e da
pastori per la maturazione umana dei giovani e per la crescita della loro fede.
- 82 -

9.5 Page 85

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11. CARATTERISTICHE DELLA PARROCCHIA SALESIANA E INDICAZIONI
PER LA SUA ATTUAZIONE
Vecchi, J.E., Caratteristiche della parrocchia salesiana e indicazioni per la sua attuazione in «Parrocchia oggi animata dai
salesiani». Atti della conferenza nazionale CISI Salesianum1 2-6 ottobre 1984, Roma, p. 63-89.
1. Premessa: uno sguardo alla storia. - 1.1 Gli inizi. - 1.2 I Capitoli Generali 19 e 20. - 1.3 Il Capitolo Generale 21. - 2. La
parrocchia «salesiana». - 3. La linea comunitaria. - 3.1 L'esperienza ecclesiale. - 3.2 L'esperienza salesiana. - 3.2.1 La
testimonianza della comunità religiosa. - 3.2.2 Il rapporto di comunione con la chiesa locale. - 3.2.3 Sostenere lo sviluppo di
gruppi e associazioni. - 3.2.4 Favorire la partecipazione e l'inserimento nel territorio. - 4. L'attenzione preferenziale ai giovani.
- 4.1 Perché un'opzione prioritaria per i giovani. - 4.2 Un atteggiamento di fiducia e simpatia. - 4.3 Una specializzazione
«professionale». - 4.4 Lo spazio dell'oratorio-centro giovanile. - 4.5 Nell'ottica della comunità. - 5. Un progetto educativo-
pastorale. - 5.1 Due sensi complementari: evangelizzazione e promozione umana. - 5.2 Tratti qualificanti il Progetto Educa-
tivo Pastorale Salesiano. - 5.2.1 Valorizzazione della catechesi. - 5.2.2 Vita liturgico-sacramentale. - 5.2.3 Dimensione ma-
riana. - 5.2.4 La preoccupazione vocazionale. - 6. Alcune condizioni. - 6.1 L'ubicazione geografica e sociale. - 6.2 Le persone.
- 6.3 Il «numero» delle parrocchie. - 6.4 Le strutture e i piani. - 6.5 Commissioni e consulte. - 7. Conclusione.
1. Premessa: uno sguardo alla storia
Premetto che il tema non intende proporre tutte le esigenze di una parrocchia, e nem-
meno tutte le implicanze dell'affidamento di una parrocchia a dei religiosi, ma sviluppare
soltanto le caratteristiche delle parrocchie affidate ai salesiani e soffermarsi sulle condizioni
per attuarle. Mi sembra interessante in tal senso, come prima cosa, rivedere a volo d'uccello
i momenti salienti della nostra riflessione sul lavoro parrocchiale fino ad arrivare a quello
che sarà l'art. 25 dei Regolamenti del 1984: «La parrocchia affidata alla Congregazione deve
distinguersi per il carattere popolare e l'attenzione ai poveri. Abbia come animatrice la co-
munità religiosa; consideri l'oratorio e il centro giovanile come parte integrante del suo pro-
getto pastorale; valorizzi la catechesi sistematica per tutti e si impegni per avvicinare i lon-
tani; curi l'integrazione tra evangelizzazione e promozione umana; favorisca lo sviluppo
della vocazione di ogni persona».
1.1 Gli inizi
Il tema della parrocchia interessò la Congregazione sin dagli inizi. Le riflessioni per-
sonali di don Bosco sulla responsabilità che comporta la funzione di parroco e sulle difficoltà
per svolgere, tramite la parrocchia, una pastorale integralmente educativa in favore dei gio-
vani poveri, condussero ad un criterio che si applicò durante tutta un'epoca ed ebbe la sua
espressione nell'art. 10 delle Costituzioni del 1923: «In via ordinaria non si accettino parroc-
chie. Se tuttavia per giuste ragioni si credesse di accettarne qualcuna, si esiga che venga
conferita non ai singoli soci, ma alla società, e con licenza della Sede Apostolica».
L'indicazione di accettare la parrocchia quando si tratta di esercitare il ministero sa-
cerdotale fuori delle «nostre opere» e il fatto dell'affidamento delle prime sette parrocchie
vivente ancora don Bosco, stanno a dimostrare la maniera libera e dinamica con cui si è
applicato il criterio.
1 L'aspetto salesiano è stato al centro della conferenza nazionale, sia come fonte di ispirazione per le
prospettive della presenza pastorale in un determinato territorio, sia come criterio di valutazione
dell'esistente. Don J. E. Vecchi, consigliere per la pastorale giovanile, in una articolata riflessione
offre i punti di riferimento, quasi una griglia di revisione, e le specificazioni strategiche, quasi un inter
d'impegno, perché la parrocchia «salesiana» si rinnovi alla luce del carisma.
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9.6 Page 86

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Il Regolamento per le parrocchie del 1887 è un punto di riferimento obbligatorio. La
Congregazione annoverava già un notevole numero di parrocchie, soprattutto se si considera
il carattere di eccezionalità che si attribuiva a questo tipo di attività. Siamo dunque di fronte
allo stesso fatto che, con diverse proporzioni, ha provocato e provoca ancora perplessità e
interrogativi.
Il Regolamento fu elaborato sotto l'ispirazione di don Bosco. Sebbene pubblicato nel
1887, le indicazioni fondamentali provengono dal terzo Capitolo Generale della Congrega-
zione (1883). I temi centrali che ci preoccupano oggi da un punto di vista pastorale, come
da un punto di vista religioso comunitario, sono presenti in esso, sebbene con le prospettive
proprie dell'epoca. Il rifarci a tutta la vicenda più che alle indicazioni particolareggiate del
Regolamento ci aiuta a percepire i due punti cardini della discussione: la missione giovanile
e la preferenza «educativa» della Congregazione, le caratteristiche della sua vita apostolica
comunitaria.
1.2 I Capitoli Generali 19 e 20
I CG 19 e 20 assunsero, con criterio pratico, la realtà che si rivelava nella Congrega-
zione. Tale realtà presentava un doppio aspetto. Innanzitutto risultava evidente l'accresciuto
numero.
Secondo il CG 19 il numero delle parrocchie arrivava a 325; nel CGS 20 si parla di
6252. Ciò comportava richiamare le istanze generali del rinnovamento conciliare riguardo
alla parrocchia (Comunità - Evangelizzazione - Liturgia). Cosa che i due capitoli fecero con
diverso grado di esplicitazione. Le parrocchie affidate ai salesiani dovevano essere vera-
mente «parrocchie»: l'indicazione era originata dal bisogno di preparare confratelli che per
la loro ristretta esperienza educativa non si erano particolarmente interessati mai alla pasto-
rale globale della comunità cristiana.
Secondariamente in questo spostamento verso l'attività parrocchiale, determinato dalle
più svariate situazioni della chiesa, gli elementi caratterizzanti la vita e l'azione salesiana
non sempre erano assicurati né risultavano del tutto chiari. I due capitoli suddetti optarono
dunque per presentare anche le «caratteristiche»3 e le «possibilità» dell'azione salesiana nelle
parrocchie e per mantenere nei testi normativi una misurata prudenza riguardo alla loro ac-
cettazione.
L'attività parrocchiale offre uno spazio e un contesto interessante per il lavoro con i
giovani. Ed è questa la ragione per cui i salesiani la includono tra le loro presenze. «Possiamo
in effetti stabilire con loro un contatto più autentico e avere una conoscenza più completa
del loro ambiente naturale e dei concreti problemi della loro vita e delle loro relazioni. Ci
permette di seguirli durante tutto il periodo educativo, dall'infanzia sino alla maturità in co-
stante e diretta relazione con le loro famiglie»4.
I due Capitoli 19 e 20 richiamano anche alla precauzione, perché il numero e il tipo
delle parrocchie accettate non facciano deviare la Congregazione dalle sue principali attività,
quali sono le opere direttamente giovanili a carattere educativo5.
2 Cf. CGS20 403, nota 2.
3 Tale è il titolo del documento 5 del CGS 20.
4 CG19 11; CGS20 40.
5 Cf. CG19; CGS20 402.
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9.7 Page 87

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1.3 Il Capitolo Generale 21
Nonostante questo realistico richiamo ad un'azione parrocchiale più ricca, alla vigilia
del CG 21 le statistiche della Congregazione presentavano 882 parrocchie, alle quali biso-
gnava aggiungere 65 parrocchie-missioni, 41 parrocchie «incerte», 85 curate da salesiani a
titolo personale, però con l'autorizzazione dell'Ispettore, e 18 assunte «ad tempus». Un totale
di 1091 parrocchie sulle quali avevamo una responsabilità diretta o indiretta.
Il CG 21 si colloca fondamentalmente nella visuale del CGS 20, ma puntualizza i tratti
caratteristici della parrocchia salesiana. La questione non era dunque se i salesiani potessero
accettare parrocchie, ma di accertare se le forme strutturali e le condizioni di personale con
cui si accudivano le 1000 parrocchie già accettate corrispondevano alla missione salesiana.
Questa intenzione si percepisce in tre fatti.
In primo luogo la considerazione della parrocchia e dei problemi che la riguardano nel
CG 21 restano integrati nel documento sull'evangelizzazione dei giovani. Si dice espressa-
mente che i salesiani «evangelizzano i giovani» anche attraverso l'azione delle parrocchie.
La parrocchia non ha un documento a parte, ma viene vista come una delle vie per affermare
il nostro impegno di evangelizzazione dei giovani. La riflessione poggia su due presupposti:
che la parrocchia ci permette di collocarci tra i giovani, e che in essa possiamo evangelizzarli
secondo il Progetto Educativo Pastorale Salesiano.
In secondo luogo le parrocchie vengono affidate al dicastero per la pastorale giovanile.
Le motivazioni di tale cambiamento non si riducono alla necessità di meglio distribuire il
lavoro tra i diversi dicasteri. A nessuno sfugge che dalle funzioni di animazione è scomparsa
la denominazione di «pastorale degli adulti».
La motivazione con cui si giustifica il cambio sottolinea: «La specificità della nostra
missione giovanile sarà meglio garantita da un unico Consigliere»6. L'art. 140 delle Costitu-
zioni, nel testo riformato in cui si descrive la figura e la funzione del Consigliere per la
pastorale giovanile, dice: «Egli guida inoltre, per un'efficace pastorale salesiana, il nostro
impegno nelle parrocchie».
Finalmente la terza particolarità riguarda i punti di verifica e riflessione scelti in rife-
rimento alle parrocchie.
Furono selezionati la salesianità e il numero.
Il problema del numero non viene messo in relazione con il carattere «eccezionale»
della presenza parrocchiale, ma con la possibilità di sviluppare un particolare progetto. La
salesianità non viene riferita alla vita della comunità religiosa, ma all'azione pastorale che si
svolge nelle parrocchie.
Al momento di preparare la relazione del Rettor Maggiore sullo stato della Congrega-
zione (anno 1982), i dati di cui disponeva il dicastero erano i seguenti: 90 nuove parrocchie
assunte dalla Congregazione (in alcuni casi si trattava di legalizzazioni di situazioni prece-
denti), una trentina riconsegnate, perciò erano circa 925 le parrocchie regolari.
I dati specifici riguardanti la nostra presenza nelle parrocchie vengono letti nel quadro
d'insieme della situazione della pastorale salesiana odierna, che registra insieme a molti ele-
menti positivi anche indicatori piuttosto allarmanti su due aspetti della nostra identità: l'al-
lontanamento quantitativo e qualitativo, assoluto e relativo, dal campo giovanile e la caduta
della capacità «educativa». C'è da pensare che questi due sintomi non si debbano soltanto a
limiti personali, ma anche alla maniera di concepire le nostre strutture di evangelizzazione.
Viene dunque data la seguente valutazione:
6 CG21 400.
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9.8 Page 88

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«I problemi e gli interrogativi riguardo alle pratiche permangono ancora tali quali
come sei anni fa e non riguardano impostazioni di principio, bensì attuazioni pratiche. Riesce
difficile oggi poter asserire che ogni nostra parrocchia ha una particolare fisionomia giova-
nile; il caso contrario forse è più frequente».
2. La parrocchia «salesiana»
Vogliamo in primo luogo giustificare la legittimità dell'espressione. «Salesiana» non
indica principalmente chi sono i gestori, ma la «qualità» della pastorale che si svolge.
La chiesa, ci insegna la Costituzione Lumen Gentium, «non solo accoglie gente di di-
versi popoli, ma in se stessa è formata da diversi elementi. Poiché c'è diversità tra i suoi
membri sia secondo le funzioni..., sia secondo la condizione e l'ordinamento di vita»7.
La sua figura e la sua realtà non nascono dalla sola divisione del corpo ecclesiale in
zone geografiche perfettamente uguali. Lo Spirito Santo la costruisce concedendo diversità
di carismi, affinché sia preparata e perfetta per compiere l'opera di evangelizzazione.
L'unità del corpo e la complementarietà di membri sono applicabili alle persone nelle
comunità locali; a queste nelle chiese particolari; a queste ultime nella chiesa universale. La
chiesa si forma per comunione convergente e non per divisione discendente. Da ciò dipende
la ricchezza e la cattolicità geografica, culturale e umana.
Parlare di parrocchia «salesiana» è parlare dell'apporto originale che i salesiani, inseriti
in una chiesa particolare, offrono a questa; apporto che ha la sua origine ultima non in una
tecnica di lavoro appresa, ma nell'esperienza alla quale lo Spirito li ha chiamati mediante la
vocazione. Non è quindi tanto un diritto dei salesiani esprimere la propria identità, quanto
un diritto della chiesa essere arricchita con un dono che la rende più dotata ed efficace nella
lievitazione evangelica del mondo.
Ora la parrocchia «salesiana», come il carisma salesiano, si caratterizza non soltanto per
alcuni tratti «spirituali», ma anche per alcune scelte pastorali. Oggi noi sintetizziamo queste
scelte in tre linee di lavoro che danno alla parrocchia una fisionomia propria:
la costruzione di una comunità che sia soggetto e ambiente di crescita cristiana e
umana;
l'attenzione preferenziale ai giovani;
un progetto educativo-pastorale caratteristico.
3. La linea comunitaria
Comunione e servizio, koinonia e diaconia, sono i due termini e le due realtà profonde,
che, richiamandosi a vicenda, esprimono l'essere e l'agire della chiesa. Difatti i due aspetti
vicendevolmente finalizzati, la comunione per il servizio e il servizio verso la comunione,
costituiscono il fine prossimo della pastorale, che mira alla salvezza dell'uomo in Cristo.
Entrambi si fondono nella concretezza della comunità.
3.1 L'esperienza ecclesiale
Per questo il Concilio Vaticano II, presentando la chiesa come soggetto operante nella
storia, insiste sulla comunità come sintesi di tutte le sue componenti. Solo a questa comunità
è dato di esprimere visibilmente attraverso i suoi rapporti, le sue azioni e le sue organizza-
zioni la realtà spirituale e misteriosa del popolo di Dio ed operare nel tempo come sacra-
mento efficace della salvezza.
7 LG 13.
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9.9 Page 89

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La comunione dunque non è pensata in termini «astorici», spiritualistici; non va pen-
sata come un tessuto di relazioni spontanee in contrapposizione e in alternativa alla comunità
ecclesiale organizzata; questa non va ridotta ad un fatto «ecclesiastico» o «religioso-cul-
tuale».
Il servizio proviene da una comunità che s'impegna secondo le leggi dell'agire storico
e non si rifugia nel miracolismo; e d'altra parte accetta che il Signore sia presente nella storia
più in là delle energie computabili e governabili dagli uomini.
Anche la conferenza episcopale italiana, ispirandosi al tema «Comunione e comunità»,
nella sua azione pastorale per gli anni '80 asserisce: «Solo una chiesa che vive e celebra in
se stessa il mistero della comunione, traducendolo in una realtà vitale sempre più organica e
articolata può essere soggetto di un'efficace evangelizzazione».
Frequentemente si descrive la pastorale partendo dai tre aspetti dell'azione della chiesa:
il profetico, il cultuale, l'animazione cristiana della storia; parola, liturgia, azione-testimo-
nianza. Queste indicazioni possono cadere in una tricotomia inadeguata che divide le «di-
verse cose da fare» in diversi momenti, tra diversi operatori, attraverso diverse proposte e
sotto diverse strutture secondo un modello «funzionale» legato al criterio della divisione del
lavoro, molto frequente anche tra noi, con moltiplicazione inutile di ruoli e conseguente au-
mento del terziario; ma, più grave ancora, può provocare la perdita della visione unitaria
dell'azione pastorale e del suo effetto sul soggetto.
È necessario esplicitare gli elementi unificatori che integrano le diverse azioni e i di-
versi momenti. Questi sono la salvezza dell'uomo come fine, la carità come prassi concreta,
la comunità come soggetto operante storico.
Questo procedimento di esplicitare e sottolineare il momento unificante ha conse-
guenze pratiche: rivela subito il carattere specifico e distintivo della parrocchia: essa non è
un posto dove si fanno o si danno cose, né un'impresa che soddisfa la richiesta di «beni»
religiosi, siano essi materiali o spirituali; e nemmeno soltanto un punto di aggregazione cri-
stiana. È realizzazione ed espressione storica della carità: quel nuovo rapporto creato tra Dio
e l'umanità e tra gli uomini mediante la diffusione della grazia redentrice di Cristo.
Si unificano così i diversi momenti dell'azione pastorale (parola, liturgia, azione), ri-
conducendoli allo stesso essere della chiesa; si corregge anche la prospettiva di coloro che
negano l'attualità della parrocchia, deducendo la precarietà della sua sopravvivenza soprat-
tutto dall'analisi di alcuni elementi e situazioni negative legate a dati sociologici. Essa è di-
fatti il popolo di Dio nelle dimensioni più concrete e visibili.
3.2 L'esperienza salesiana
I salesiani assumono questa prospettiva e la vogliono tradurre in modalità originali.
C'è nel CGS 20 la presa di posizione generale sulla prospettiva stessa: «Perché la parroc-
chia... divenga segno della chiesa visibile stabilita su tutta la terra e adempia alla sua mis-
sione di vivificare col vangelo la realtà in cui è inserita, deve costruirsi come comunità»8.
E viene proposta in seguito come una linea di lavoro da assumere: «Quando i salesiani
sono chiamati dal Vescovo alla cura pastorale di una zona..., assumono, di fronte alla chiesa,
l'esaltante impegno di costruire - in piena corresponsabilità con i laici - una comunità di
fratelli (a) riuniti nella carità, (b) per l'ascolto della Parola, (c) la celebrazione della Cena del
Signore, (d) e per l'annuncio del messaggio di salvezza»9.
8 CGS20 417.
9 CGS20 416.
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9.10 Page 90

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Il CG 21 la riprende come «originalità» salesiana: «Lo stile salesiano privilegia il co-
struirsi della parrocchia come comunità, come famiglia di Dio»10.
Non sarebbe difficile individuare nell'esperienza pastorale non parrocchiale dei sale-
siani le radici della preferenza comunitaria; l'ambiente come realtà educativa, lo spirito di
famiglia, l'idea della collaborazione. Ma ciò ci porterebbe su altri alvei, mentre il titolo della
conferenza richiama all'attuazione pratica delle linee assunte.
Cosa implica in pratica la scelta comunitaria, che essendo di tutta la chiesa viene as-
sunta dai salesiani come propria?
Prima di indicare particolari, è importante assumere la prospettiva stessa che ci porterà
a:
far sentire la parrocchia come incontro-dialogo di persone, piuttosto che come sta-
zione di servizio religioso;
concepire la sua missione e organizzazione come corresponsabilità di tutti coloro
che hanno accolto la fede, a servizio della quale si collocano i ministeri;
realizzare le diverse iniziative avendo di mira la «comunione» delle persone;
pensare la «comunione» dei cristiani come segno e sacramento di quella estesa a
tutti gli uomini: una chiesa presente nel mondo e non solo al mondo.
Nel fascicolo Elementi e linee per un Progetto Educativo Pastorale nelle parrocchie
affidate ai salesiani11 (a cui vi rimando), la prospettiva viene applicata ad atteggiamenti,
iniziative, contenuti ed esperienze riguardanti sei ambiti: la comunità religiosa, la chiesa
locale, i gruppi e le associazioni, l'organizzazione, le celebrazioni, la chiesa domestica, il
territorio. Ne estraggo e aggiorno alcuni riferimenti.
3.2.1 La testimonianza della comunità religiosa
Un primo elemento per la costruzione comunitaria della parrocchia è l'esperienza e la
testimonianza di comunità da parte dei pastori. «La caratteristica di una parrocchia salesiana
è di essere guidata da una comunità religiosa...; la parrocchia salesiana ha come pastore e
animatore una comunità religiosa»12.
Questo non è un punto di disciplina interna, ma un fattore pastorale caratterizzante. E
non è un fattore pastorale richiesto solo per la quantità di prestazioni, ma per la qualità dell'a-
zione. In una parrocchia-comunità i salesiani si presentano uniti in una famiglia che vive i
valori evangelici come progetto di vita. «Vogliono essere nel quartiere dove lavorano un
segno e una testimonianza dei valori spirituali vincolati ai consigli evangelici che devono
animare la vita della comunità parrocchiale»13. Il fatto di vivere «fraternamente» i valori del
Regno dà a questa presenza una particolare forza evangelizzatrice14 e pianta un «segno» per
la costruzione della parrocchia stessa. Difatti la comunità religiosa è un'indicazione per tutte
le comunità che esprimono il mistero della chiesa.
10 CG21 138.
11 DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. Elementi e linee per un progetto educativo-pastorale
nelle parrocchie affidate ai salesiani. Roma: [s.e.], 1980. Sussidio 3.
12 CG21 130.
13 CGS20 407.
14 EN 21.
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10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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3.2.2 Il rapporto di comunione con la chiesa locale
Ma la comunità fraterna e religiosa - e questa è una seconda indicazione - si esprime
come tale nell'azione pastorale quando le diverse proposte o settori di lavoro vengono inte-
grati in un unico piano pastorale: «La parrocchia si presenta come un campo di lavoro con
al centro una comunità di salesiani, a cui la chiesa affida il mandato della diffusione del
Regno di Dio»15. La base di tutto non sono le «opere», ma la presenza viva di una comunità
salesiana che entra nella visuale di un servizio organico, unitario e corresponsabile per lo
sviluppo umano, civile e religioso del quartiere dove è inserita16.
La comunione si espande verso la comunità diocesana che si manifesta in primo luogo
nei rapporti personali e pastorali con il vescovo. «I presbiteri come provvidi collaboratori
dell'ordine episcopale (...) formano in unione con il loro vescovo un presbiterio. Preoccupati
sempre del bene dei figli di Dio, procurino di collaborare con il loro lavoro all'opera pastorale
di tutta la diocesi»17. «Riconoscano il vescovo come Padre e gli obbediscano riverente-
mente»18.
Sarebbe interessante ricordare l'origine della parrocchia e del ruolo del sacerdote ad
essa preposto, riportando queste parole del Concilio: «Poiché nella sua chiesa il vescovo non
può presiedere personalmente sempre e ovunque l'intero gregge, deve necessariamente co-
stituire delle assemblee dei fedeli, tra cui hanno posto preminente le parrocchie organizzate
localmente sotto la guida di un pastore che fa le veci del vescovo»19. «I presbiteri... nelle
singole comunità locali di fedeli rendano per così dire presente il vescovo, cui sono uniti con
animo fiducioso e grande»20.
L'opzione comunitaria si esprime aprendosi effettivamente ed affettivamente alle rela-
zioni, all'amicizia e al dialogo col vescovo e i presbiteri, partecipando attivamente all'elabo-
razione ed esecuzione del piano pastorale della chiesa diocesana21 con un contributo speci-
fico. Lo stesso spirito di comunione porterà ad aiutare le parrocchie vicine nei loro bisogni
e a prendere parte ad una pastorale di zona, quando questo criterio sia stato scelto dalla chiesa
locale o suggerito dalle circostanze22. C'è niente da perdere e tutto da guadagnare nella par-
tecipazione nella chiesa locale. Il CGS 20 raccomandava di ricercare e sviluppare esplicita-
mente a tutti i livelli la dimensione comunitaria, favorendo la comunione interparrocchiale
e interdiocesana, non come semplice strategia organizzativa, ma come esigenza della mis-
sione stessa della chiesa23.
3.2.3 Sostenere lo sviluppo di gruppi e associazioni
C'è un altro aspetto della scelta comunitaria: la comunità salesiana si sente non come
un gruppo «gestore» di un «beneficio ecclesiastico» che le fu concesso e al quale va unito
un «ufficio», ma come animatrice di una comunità di cristiani. Costruire, stimolare, rendere
visibile la comunità di fedeli occupa il primo posto nell'azione pastorale «non per ragioni di
ordine cronologico, ma per il fatto che tutta l'azione pastorale si realizza in una comunità in
15 CGS20 436.
16 Cf. ibid.
17 LG 60.
18 Ibid.
19 SC 42.
20 LG 28.
21 CG21 139b; CGS20 403.
22 CGS20 410ss.
23 Cf. CGS20 416.
- 89 -

10.2 Page 92

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costante costruzione»24, che arriva ad essere in un determinato luogo «segno e strumento
della chiesa (...) stabilita su tutta la terra»25.
Il lavoro di animazione comunitaria determina alcune attuazioni pratiche: se la chiesa,
il cui segno visibile noi cerchiamo di costruire, è un «mistero di comunione», è necessario
fomentare e accompagnare la formazione di gruppi e comunità cristiane minori, di modo che
la parrocchia sia la realtà di riferimento in cui si incontrano tutte. La comunità parrocchiale
è troppo grande per lo sviluppo dei rapporti di fraternità, per una reale partecipazione e per
una formazione personalizzata. Nei gruppi o comunità ecclesiali «è facile conoscersi, amarsi,
impostare la propria vita alla luce del vangelo e assumere attivamente una missione».
Questa opzione, che certamente non contraddice al carattere popolare e all'apertura
missionaria della parrocchia, è vivamente raccomandata dal CGS 2026. «Per tornare a dare
alla parrocchia un ruolo dinamico e un impulso missionario - afferma il CGS 20 - è neces-
sario (...) trasformarla in una comunione di varie comunità». «Crediamo che l'accettazione
deliberata di quest'ultimo impegno condurrebbe ad una revisione radicale di tutta la pro-
grammazione pastorale e a una vera conversione all'ecclesiologia del Vaticano II»27.
Lo stesso criterio viene espresso nel documento Comunione e Comunità28, ribadendo
il carattere provvidenziale e legittimo di queste espressioni ecclesiali e il bisogno che si in-
tegrino nella comunione della grande comunità parrocchiale e diocesana.
L'esperienza associativa viene oggi rivalutata a livello di direttive, di esperienze e di
pubblici riconoscimenti. Ci sono associazioni «tradizionali», movimenti che tendono a stac-
carsi e autoservirsi, gruppi «settorializzati» come esperienza cristiana (intimismo, riflusso)
e anche comunità perfettamente in sintonia con la propria parrocchia e diocesi. C'è un'opera
di discernimento, di assistenza spirituale e di spinta da portare avanti, per la quale esistono
criteri29. Ne enumero tre: ecclesialità, pluralità, completezza dell'esperienza cristiana nella
proposta.
Per noi è naturale richiamare la possibilità di allargare la Famiglia Salesiana. Si dice a
questo proposito nel Progetto: «Rafforziamo, in maniera particolare, la vitalità e la presenza
operante dei diversi gruppi legati alla vocazione salesiana: la Famiglia Salesiana non sarà
considerata come un insieme di associazioni in più; con essa la comunità salesiana stabilirà
regolari rapporti di studio, ricerca e verifica, riguardo alle caratteristiche salesiane; i suoi
membri, inseriti nei gangli vitali della pastorale parrocchiale, aiuteranno i pastori a rendere
reali gli obiettivi della presenza salesiana».
3.2.4 Favorire la partecipazione e l'inserimento nel territorio
Il tema della comunità ci suggerisce un altro compito: programmare e realizzare la
missione cristiana in forma comunitaria, favorendo la partecipazione attiva di tutti quelli che
compongono la parrocchia30. «Viene come conseguenza la programmazione da parte della
comunità parrocchiale delle attività e delle opzioni creative che meglio corrispondono alle
necessità locali»31.
24 CGS20 417.
25 SC 42.
26 CGS20 419 a.b.c.d.
27 CGS20 439.
28 Cf. CEI. Comunione e comunità. Leumann (TO), LDC, 1981, nn. 45-46.
29 Cf. CEI. Comunione e comunità, Elementi e linee... nn. 1, 3c.
30 CGS20 428.
31 CG21 138.
- 90 -

10.3 Page 93

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Da semplici destinatari di «servizio religioso», i membri della comunità parrocchiale
si devono trasformare in soggetti della missione della chiesa in una zona.
A servizio dell'animazione e come forma concreta di comunione e partecipazione, i
salesiani saranno solleciti nel creare e far funzionare gli organismi adeguati, cioè i consigli
pastorali e amministrativi, le assemblee parrocchiali...32.
Finalmente lo spirito e la prassi comunitaria porteranno a un tipo di parrocchia aperta
a tutti e integrata nel territorio per costruire e lievitare la comunità umana del quartiere. «Non
una chiesa per pochi»33, neanche sotto il pretesto di una maggior serietà ed esigenza.
La parrocchia, comunità cristiana, partecipa (non si distacca) al processo di promo-
zione e trasformazione che «la gente» del quartiere intende fare, lo illumina evangelica-
mente, lo critica per purificarlo e lo appoggia in ciò che ha di giusto. «Evitando ogni spirito
di partito, partecipa ai problemi della gente umile con la quale vive e di cui condivide gioie
e dolori, delusioni e speranze»34.
Un lavoro non facile e un campo in cui non mancano errori e squilibri, nel quale però
sono più notevoli le assenze.
Alcune linee di lavoro sono indiscutibili: l'animazione religiosa, la partecipazione cul-
turale, l'impegno promozionale, l'azione educativa. Altri suggerimenti possono venire dalla
situazione concreta e dalle possibilità della stessa comunità cristiana.
Riassumendo, dunque, questo primo punto, possiamo dire che l'opzione comunitaria si
attua:
per la presenza di una comunità di pastori, che esprime la sua comunione col pre-
sbiterio preposto alla chiesa particolare,
per l'accento sulla formazione della comunità nell'annunzio della Parola, nella ce-
lebrazione della fede, nel servizio alla comunità umana,
per l'articolazione della comunità parrocchiale in gruppi e comunità, in cui è pos-
sibile una maggiore comunicazione, un impegno più intenso, una partecipazione reale e per
il riferimento visibile di tutti alla comunità parrocchiale,
per la «missione» comune di cui i membri della comunità si sentono soggetti, cor-
responsabili e non solo destinatari o spettatori,
per la partecipazione dei più, attraverso iniziative e organismi adeguati, all'anima-
zione della vita della comunità,
per l'espansione dell'ideale e realtà della comunità nel quartiere.
4. L'attenzione preferenziale ai giovani
I giovani sono stati la «fortuna» storica della Congregazione: le hanno dato l'immagine
che ha davanti alla chiesa e al mondo e il materiale umano per il suo sviluppo. La pastorale
tra i giovani ha dato lo «stile» e il «metodo» per tutti gli altri campi, come afferma l'art. 20
delle Costituzioni: «Don Bosco visse nell'incontro coi giovani del primo oratorio un'espe-
rienza spirituale ed educativa che chiamò 'Sistema Preventivo'... ce lo trasmette come il
modo di vivere e di lavorare per comunicare il vangelo...».
La presenza tra i giovani da sola dà già alla Congregazione la sua identità sostanziale,
sebbene non completa, mentre tutti gli altri tratti senza questo non riuscirebbero né a «rac-
contare» la storia di Don Bosco, né a descrivere la Congregazione. Per questo anche della
32 Cf. CGS 428.
33 Cf. CG21 141.
34 CG21 141.
- 91 -

10.4 Page 94

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parrocchia, di ogni singola parrocchia, si afferma: «La parrocchia salesiana realizza l'op-
zione prioritaria per i ragazzi e i giovani, specialmente i più poveri»35.
4.1 Perché un'opzione prioritaria per i giovani
La parrocchia abbraccia senza discriminazione o preferenze tutte le persone e gruppi
che compongono il popolo di Dio. È lecita, quindi, la domanda sul significato, sulle ragioni
e le conseguenze di un'opzione prioritaria, soprattutto se non è esterna ed occasionale, ma
interna alla pastorale e non proviene dall'organicità del messaggio (evangelizzazione) ma da
una preferenza carismatica.
Si potrebbe subito aggiungere che non è semplicemente la scelta di un gruppo di per-
sone, ma anche di un tipo di pastorale, come si dirà più avanti parlando del progetto. Sce-
gliere una pastorale giovanile è scegliere una linea educativa nella pastorale degli adulti in
senso attivo e passivo. Si potrebbe anche confrontare questa scelta con altre operate da de-
terminate chiese (per esempio «Evangelizzare gli adulti» o «La famiglia»), facendo emer-
gere punti di coincidenza e di differenza, sempre che non si dia alle parole «scelta» e «pre-
ferenziale» un senso soltanto enfatico o retorico, ma comporti conseguenze sul piano opera-
tivo.
Va chiarita un'affermazione che noi non sviluppiamo per i limiti del tempo, ma che
supponiamo e ribadiamo altrove: non è possibile nessuna pastorale giovanile senza una cor-
rispondente cura di tutta la comunità. La preferenza giovanile è, dunque, in primo luogo
un'ottica e una prospettiva, che si esprime poi in modalità e iniziative settoriali.
4.2 Un atteggiamento di fiducia e simpatia
Realizzare l'opzione per i giovani non solo a parole, ma nei programmi, nei criteri e
nelle linee di azione comporta in primo luogo un atteggiamento di fiducia e simpatia verso
il loro mondo. Riuscire ad inverare che la chiesa confida nei giovani36, che i giovani sentano
che «sono chiesa, sperimentandola come luogo di comunione e partecipazione»37. Donde
uno sforzo di comprensione profonda del fenomeno giovanile, permanentemente alimentato
dalla riflessione evangelica e dai dati della cultura.
Il CG 21 parla della «solidarietà implicita che certe manifestazioni giovanili hanno col
Vangelo38. Paolo VI afferma che «la gioventù cammina, anche senza accorgersene, incontro
ad un Messia che è Cristo, il quale cammino verso i giovani». D'altra parte la gioventù ha
manifestazioni che ci disorientano o perché sono realmente in contrasto con gli ideali pro-
clamati, o perché noi non riusciamo a capire il valore che esprimono e gli influssi che riflet-
tono. Il dialogo può essere reso più difficile ancora per la libertà dalle istituzioni, con cui i
giovani elaborano il loro quadro di valori, per la difficoltà che essi provano nel cogliere
linguaggio e segni religiosi, per la perdita d'influsso delle iniziative della chiesa.
Noi allora ci allontaniamo dai giovani come fenomeno globale e plurale ed essi si al-
lontanano da noi. Rimane un contatto «col minor numero» già sensibile ai temi religiosi, di
cui alcuni si accontentano.
È questo un fenomeno che preoccupa la Congregazione. Si notano «le difficoltà che
alcuni salesiani incontrano nel comprendere e accogliere i giovani, nel mantenersi in sintonia
coi problemi che presentano, nell'entrare con essi in un dialogo educativo. Tutto ciò sembra
35 CG21 139.
36 Cf. EN 72; Puebla 988.
37 Puebla 945.
38 Cf. CG21 27.
- 92 -

10.5 Page 95

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oggi influire sulla scelta dei destinatari. Con preoccupazione si vede in molte delle nostre
opere un allontanamento da quei destinatari che dobbiamo privilegiare e l'opzione per altri
che, per così dire, non sono propriamente nostri»39.
Prima di pensare a particolari attività, c'è da chiedersi quanti di noi assumono questa
visione religiosa e culturale sul ruolo della gioventù, l'atteggiamento di attenzione, avvici-
namento e interpellazione.
4.3 Una specializzazione «professionale»
Un secondo aspetto della scelta giovanile è acquisire e mantenere aggiornata una ca-
pacità professionale che ci renda, come persone e come comunità, «specialisti» in problemi
giovanili (diagnosi e proposte educativo-pastorali), all'interno del corpo presbiteriale e tra
gli operatori di pastorale. Dove si dà questa capacità, anche non potendo avere attività gio-
vanili vistose e strutturate, la parrocchia continua ad essere un punto di riferimento per i
giovani.
«L'evangelizzazione passa anche e sempre più obbligatoriamente attraverso l'analisi
delle situazioni di vita che incidono sulla personalità giovanile»40. Il saper cogliere o leggere
alla luce del vangelo la condizione giovanile con competenza, può dare alla parrocchia sale-
siana un tratto caratteristico.
L'opzione prioritaria per i giovani influisce anche sulla programmazione pastorale.
4.4 Lo spazio dell'oratorio-centro giovanile
Suppone pertanto predisporre ambienti, preparare proposte e attività indirizzate spe-
cialmente ai giovani, con persone dedicate ad essi. Perciò si afferma che l'oratorio è un ele-
mento stabile ed insostituibile della nostra presenza nella parrocchia41: «Le parrocchie sale-
siane considerino l'oratorio-centro giovanile come un elemento caratterizzante, integrato to-
talmente nella loro pastorale»42.
È da prevedere che la parrocchia non riuscirà ad esaurire tutte le sue possibilità se oltre
ad accogliere i giovani nell'ambiente non si muove verso quei giovani che non vengono e
che sono creditori alla carità dei cristiani (ragazzi a rischio!) o per i loro impegni sono vicini
alle scelte cristiane.
Centro giovanile e parrocchia sono dunque luoghi da dove si irradiano verso il territo-
rio iniziative missionarie di ricerca, incontro, dialogo sia attraverso gruppi e associazioni,
sia attraverso qualcuno della équipe a ciò specialmente delegato.
Il discorso si estende allora a due preoccupazioni del prossimo sessennio: i gruppi gio-
vanili cristiani e il loro cammino verso l'identità cristiana (spiritualità) e le forme attuali di
povertà giovanile che emergono nel quartiere. I primi richiedono la nostra capacità di orien-
tamento e proposta. Il movimento verso i secondi rivela a che livello pratico si svolge la
missione «salvifica» della comunità. Su entrambi esistono esperienze, materiali e appoggi a
livello interispettoriale a cui collegarsi.
4.5 Nell'ottica della comunità
L'opzione prioritaria per i giovani non si esaurisce nell'organizzazione di un settore,
ma si converte in un «tema di tutta la comunità parrocchiale»: un'ottica della pastorale.
39 Cf. CG21 21.
40 CG21 20.
41 CG21 139b.
42 CG21 127.
- 93 -

10.6 Page 96

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Non comporta soltanto che tra i salesiani venga designato un confratello per attendere
a «un'attività»; deve diventare una sensibilità e una caratteristica di tutta la comunità parroc-
chiale.
Questa sarà particolarmente attenta alla presenza giovanile, affinerà la sua responsabi-
lità riguardo alla comunicazione dell'esperienza cristiana alle nuove generazioni, fino al
punto che la preoccupazione di «educare» costituirà il centro delle attività degli adulti. «Le
attività e le opere in favore degli adulti, compiute secondo le loro esigenze, conserveranno
la preoccupazione attenta ai giovani»43.
La parrocchia accetta pertanto come una tensione provvidenziale la dialettica adulto-
giovane; cerca di convertirsi in una «comunità mediatrice» per superare in forma positiva la
distanza e lo scollamento fra le generazioni.
Di conseguenza la comunità parrocchiale apre «spazi» alla partecipazione attiva dei
giovani nella animazione, nella liturgia, nell'evangelizzazione, accettando come apporto pre-
zioso i loro punti di vista e il loro dinamismo naturale, senza tralasciare di educare alla cri-
tica.
«La parrocchia salesiana impegna i giovani nelle diverse attività, perché siano di sti-
molo agli adulti»44. Con maggior forza lo esprime il documento dell'episcopato latino-ame-
ricano quando dice che «la pastorale offre ai giovani elementi per diventare fattori di rinno-
vamento e offre loro canali efficaci di partecipazione attiva nella chiesa»45.
Opzione prioritaria per i giovani vuol dire aprirsi e partecipare attivamente ad una
«pastorale di zona» quando questa si presenta come la forma più conveniente per convocare
e impegnare la gioventù. I giovani sono alle volte meno legati ad istituzioni stabilite che alla
solidarietà delle generazioni rafforzata da una sensibilità comune verso certi valori a volte
vagamente percepiti. Non tutto può fare con essi la parrocchia. Ci sono proposte e situazioni
pastorali che richiedono un'attuazione a livello più largo. «Oggi che i sacerdoti in cura d'a-
nime sono invitati sempre più a prestare un servizio in forma più collegiale, inquadrati in
unità pastorali più ampie (zone, decanati, vicariati) o mandati in settori specifici, i salesiani
devono considerarsi missionari dei giovani e degli ambienti popolari, in forma più ela-
stica»46.
Ecco allora, per chiudere questo punto, alcune attuazioni esemplificatrici della prefe-
renza, centralità o caratteristica giovanile della parrocchia salesiana, mentre peraltro vi ri-
mando alla vostra ricca esperienza e ad «Elementi e linee»:
atteggiamento di attenzione vigilante verso la realtà giovanile;
capacità professionale di cogliere i dati e interpretarli in ordine all'evangelizza-
zione e educazione;
insieme di iniziative indirizzate ai giovani, unificate in un «ambiente»: l'oratorio-
centro giovanile;
movimento missionario di ricerca, incontro e dialogo verso quelli che non ven-
gono;
particolare attenzione alle istituzioni educative esistenti nel territorio e dei cristiani
che lavorano in esse;
valorizzazione delle capacità educative all'interno della comunità parrocchiale;
sensibilizzazione di tutta la comunità riguardo alle nuove generazioni e alla loro
43 CG21 139.
44 CG21 139.
45 Puebla 949.
46 CGS20 410.
- 94 -

10.7 Page 97

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educazione alla fede;
partecipazione piena e gradita dei giovani nella vita della comunità parrocchiale e
nelle sue diverse manifestazioni.
5. Un progetto educativo-pastorale
«La parrocchia salesiana evangelizza secondo lo stile e lo spirito del nostro Progetto
Educativo Pastorale»47. «L'attività evangelizzatrice salesiana non si caratterizza solamente
partendo dai destinatari o per il tipico modo comunitario con cui si compie, ma anche per la
particolare organizzazione dei suoi contenuti (...) e per lo stile con cui ci facciamo pre-
senti»48. Del sistema preventivo si afferma che «è una ricca sintesi di contenuto e metodi; di
processi di promozione umana e, insieme, di annuncio evangelico e di approfondimento
della vita cristiana»49.
5.1 Due sensi complementari: evangelizzazione e promozione umana
In che consiste questo modo di concepire l'evangelizzazione? Nell'intima unione tra
evangelizzazione e impegno per la promozione umana personale e ambientale, senza con-
fonderli e tuttavia fusi «in un unico movimento di carità»50.
La chiesa nella sua missione evangelizzatrice vive in due tensioni: quella che la muove
ad essere presente come fermento per trasformare il mondo, solidarizzando con le «angosce
e le speranze, le tristezze e le angustie degli uomini del nostro tempo»51, in modo tale che si
sente intima e realmente inserita nel genere umano e nella sua storia; e la tensione che la
rende capace di trascendere tutte le realizzazioni umane, a partire dalla considerazione della
realtà definitiva dell'uomo e del mondo nell'incontro col Signore.
La fusione dinamica di ambedue le tensioni in un unico movimento si impone, perché
in questa fusione risiede la natura della missione della chiesa. Nessuna delle due può essere
negata né sminuita, né messa tra parentesi, relegando la sua esplicitazione in un secondo
momento, né separata dall'altra.
Però si può accentuare l'una o l'altra; diversi orientamenti possono ispirarsi preferibil-
mente all'una o all'altra. E così avremo una prassi pastorale che assume le esperienze umane
secondo la loro natura e consistenza; o una prassi che prende le distanze da codesti problemi
guardando all'incontro definitivo ed ultimo dell'uomo con Dio, riferendosi ai problemi e alle
situazioni soltanto come luogo della coerenza pratica con le verità imparate.
I salesiani, eredi di un fondatore animatore religioso della cultura popolare e dei suoi
valori, sviluppano nell'azione educativa e pastorale la direzione propriamente religiosa e cri-
stiana in continuità con l'impegno di maturazione e di promozione dei valori più specifica-
mente umani52. «L'unica missione, alla quale siamo chiamati, tende a realizzare la compe-
netrazione della città celeste e quella terrestre, impegnandoci come salesiani a comunicare
la vita divina e rendere più umana la famiglia e la storia degli uomini»53.
La nostra maniera di evangelizzare non è solo «l'insegnamento religioso» o «il servizio
del culto», anche se riconosciamo che queste due realtà hanno una carica trasformante. Per-
47 CG21 140.
48 CG21 80.
49 Ibid.
50 CG21 140.
51 GS 1.
52 Cf. CG21 81.
53 CG21 140b.
- 95 -

10.8 Page 98

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ciò Don Bosco preferì un tipo di istituzione che favorisse un programma di integrale educa-
zione (ricreazione-lavoro-studio-catechismo), nel quale la fede era il centro illuminante.
Fede e vita. Vita e fede.
È certo che questa fusione non si realizza nello stesso modo nei diversi ambienti di
evangelizzazione. Ci sono alcuni ambienti che per loro natura, finalità e programma, evan-
gelizzano educando; in altri si educa evangelizzando. Senza dubbio in tutti si tende a portare
avanti la fede in un processo di maturazione integrale e di trasformazione dell'ambiente.
Le conseguenze di un programma in questa prospettiva sono numerose e crescono
nella misura in cui assimiliamo a fondo le sue esigenze: sprigionare la forza educativa del
messaggio evangelico e delle esperienze religiose; illuminare cristianamente le questioni
temporali che preoccupano la comunità, cercare un linguaggio di annuncio con risonanze
concrete, aiutare i fedeli a crescere nella criticità evangelica... «Occorre mettere la fede al
centro dei problemi di questa vita, per dimostrare che la religione non è un occuparsi di altre
cose private, meravigliose, straordinarie, ma è un occuparsi delle stesse di cui si occupano
tutti, in modo però diverso»54.
D'altra parte un progetto di questo tipo comporta presenza e intervento non strumentale
nella vita della comunità, nelle iniziative culturali, valutazione positiva dei valori secolari e
capacità di annunciare dal loro interno il messaggio di salvezza.
5.2 Tratti qualificanti il Progetto Educativo Pastorale Salesiano
Chiarito questo primo punto, dobbiamo mettere in evidenza che il Progetto Educativo
Pastorale Salesiano presenta alcuni tratti qualificanti e distintivi, che possiamo solo enun-
ciare, perché il loro sviluppo ci porterebbe fuori strada.
5.2.1 Valorizzazione della catechesi
«L'attività evangelizzatrice e catechistica è la dimensione fondamentale della nostra
missione»55.
La parrocchia salesiana si porrà come ideale di portare avanti una catechesi totale,
efficace, sostenuta da mezzi e operatori necessari, attenta costantemente alle nuove possibi-
lità, con ambienti adatti, aderente al messaggio semplice del vangelo e alle necessità del
popolo.
Il CGS 20 ha insistito sul «carattere missionario» dell'attività evangelizzatrice per cui
non ci si limita alle forme attraverso cui si raggiungono i fedeli, ma si cerca di riannunciare
il vangelo ai lontani56. Raccomandò il «rinnovamento e l'accurata organizzazione della ca-
techesi in tutti i settori e anticipò la proposta del catecumenato57. Negli ultimi anni, data
l'avanzata secolarizzazione, è emersa come un'urgenza la catechesi continua degli adulti col-
legata alla situazione di vita (professione, famiglia, politica) in cui vivono.
Se in una situazione di cristianità si dice basta catechizzare i ragazzi che, finito il pe-
riodo della loro istruzione religiosa, saranno accolti e sostenuti in un ambiente cristiano (fa-
miglia, società, chiesa), oggi la cosa più necessaria è assicurare attraverso l'evangelizza-
zione-catechesi degli adulti una comunità di accoglienza e sostegno in cui l'iniziazione dei
ragazzi superi il verbale e il dottrinale e diventi pratica e vita.
54 CGS20 419.
55 C 20.
56 Cf. CGS20 420.
57 Ibid.
- 96 -

10.9 Page 99

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Il CG 21 raccomanda ai salesiani che «intensifichino lo sforzo catechistico fino ad
attribuirgli la priorità nell'azione pastorale, accettando di dedicare tutte le loro forze ad
esso»58. Toccherà al personale della parrocchia vedere come approfittare di tutte le possibi-
lità, appoggi, strumenti e persone per muovere l'intera comunità parrocchiale ad evangeliz-
zarsi per evangelizzare.
5.2.2 Vita liturgico-sacramentale
La liturgia è il culmine a cui tende l'attività della Chiesa e al tempo stesso la fonte da
cui promana la sua forza. La vita comunitaria è centrata nell'Eucaristia59, e la costante con-
versione della comunità si esprime e si realizza nella Penitenza. La partecipazione ad esse
richiede iniziazione al mistero, educazione alla celebrazione e alla gestualità, senso comuni-
tario e ambiente curato. Ciò che dobbiamo evidenziare è la «qualità» delle celebrazioni, non
solo quella estetica o rituale ma quella spirituale: la partecipazione piena dei fedeli60, il ca-
rattere festoso e soprattutto la capacità di assumere la vita e la sensibilità giovanile in espres-
sioni dignitose.
Gli ultimi documenti pastorali provenienti da diverse diocesi rilevano l'emergere del
desiderio di pregare da parte di giovani e adulti e propongono diverse iniziative specifiche
per venire incontro. Sottolineano anche il bisogno di dare rilevanza alla celebrazione del
giorno del Signore, il carattere aperto, universale, «non esclusivo» dell'Eucaristia domeni-
cale, l'importanza dell'omelia e dei temi che illuminano dall'interno la celebrazione.
Il rischio di una certa stanchezza e di un rientro nell'abitudine dopo un periodo di spe-
rimentazioni, innovazioni e richieste non soddisfatte e di una nuova regolamentazione è
reale.
5.2.3 Dimensione mariana
Essa mette in evidenza la presenza di Maria nell'esperienza evangelica che oggi fa la
comunità cristiana, insegna a vedere in Lei il modello di esistenza evangelica che fa «della
propria vita un culto a Dio, e del culto un impegno di vita»61. Tale dimensione valorizza,
evangelizza e corregge le manifestazioni della semplice religiosità popolare, portandola a
livello di pietà cristiana. Punta pertanto all'approfondimento dottrinale con una predicazione
solida sul tema mariano, alla genuinità della devozione espressa anche in forma di «pratiche»
e di «commemorazioni» e a impegnarsi nella vita della chiesa e nella comunità umana, come
lo fece l'umile Ancella del Signore.
5.2.4 La preoccupazione vocazionale
Essa ha la sua prima manifestazione nell'attenzione che si presta ad ogni persona per
aiutarla a trovare e ad assumere il suo posto nella chiesa e il suo apporto alla medesima. È
dunque un'educazione prima ancora di una ricerca.
Da questa attenzione alle persone, per cui si valorizzano i doni di ciascuno per il bene
di tutta la chiesa62 e si aiuta ciascuno perché entri «con tutto il suo essere personale e la sua
libera scelta nel piano di Dio»63, conseguono tre impegni: la formazione di un laicato vivo e
attivo, la presenza della famiglia salesiana costituita da quelli che sentono la chiamata a
58 CG21 95.
59 Cf. CGS20 424.
60 CGS20 424.
61 Mc 35,21.
62 CG21 140c.
63 CG21 106.
- 97 -

10.10 Page 100

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vivere lo spirito di Don Bosco e l'orientamento dei giovani nei quali si manifestano disposi-
zioni per una scelta apostolica sacerdotale o religiosa.
Ma se è vero quanto abbiamo detto prima, cioè che i salesiani per vocazione si interes-
sano ad ogni manifestazione di cultura che esprimendo una crescita legittima della gente
apre una possibilità di annuncio, allora accanto ai punti qualificanti della vita parrocchiale
si dovranno prendere in considerazione alcuni interventi riguardanti direttamente l'ambito
culturale. Essi hanno un rapporto stretto col discorso sul territorio, considerato appunto come
«ambiente da proteggere e sviluppare, pluralità di istanze e strutture con cui dialogare, tes-
suto di rapporti, luogo di aggregazione, tradizioni comuni da valorizzare».
Un elenco esemplificativo di questi interventi viene indicato in «Elementi e linee per
un progetto pastorale nelle parrocchie», p. 37.
Le nostre Costituzioni, quando si riferiscono al Progetto (cfr. il capitolo sul nostro ser-
vizio educativo-pastorale), aggiungono caratteristiche di stile alle indicazioni di contenuto.
Il nostro modo di vivere e comunicare il vangelo è accogliere, condividere, valutare positi-
vamente, avvicinare, accompagnare nella crescita.
Il CGS 20 aveva ravvisato il nostro stile di presenza e di relazione in questi tratti:
spirito di famiglia, attenzione alle singole persone e a ciascun gruppo, bontà ed equilibrio,
allegria64. Nel commento a questi punti ci sono abbondanti accenni all'inserimento nel po-
polo come elemento dello spirito salesiano.
Il CG 21 considerando il popolo come portatore di modalità tipiche di vita e di rela-
zioni, di una espressività propria che fiorisce anche nella sfera religiosa per l'azione dello
Spirito, inglobò le caratteristiche sopraddette nel termine popolare. Raccordava così la col-
locazione ottimale della parrocchia salesiana, il progetto pastorale (evangelizzazione-pro-
mozione) e lo stile. L'attuale art. 26 dei Regolamenti riprende il termine: la parrocchia sale-
siana, dice, deve distinguersi per il carattere popolare.
Si insiste dunque di essere del popolo, di curare l'ambiente umano in cui il popolo si
sente a suo agio ed incoraggiato, di prestare attenzione e simpatia alle manifestazioni della
sua religiosità e di saperla orientare, di saper comunicare «popolarmente».
6. Alcune condizioni
Come ottenere che le scelte enunciate diventino realtà? Bisogna assicurare alcune con-
dizioni.
6.1 L'ubicazione geografica e sociale
Il problema dell'ubicazione condiziona tutto il resto. È per noi così fondamentale, come
lo fu per Don Bosco al suo tempo, andare verso i ragazzi poveri, lavoratori o emigranti. Si
indica, dunque, di preferire gli «ambienti popolari» e popolosi delle grandi città65, «i quar-
tieri popolari e poveri»66, la «gente umile»67.
Ci si orienta a riconsegnare alla diocesi le parrocchie quando «per le mutate situazioni
non offrono più la possibilità di un apostolato tipicamente salesiano: perché non collegate
ad una comunità salesiana; perché non raggiungono in forma prioritaria i giovani; perché
non inserite in ambienti popolari»68.
64 CGS20 426-431.
65 CG21 141.
66 CGS20 411, 407.
67 CG21 141.
68 CG21 142b.
- 98 -

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11.1 Page 101

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6.2 Le persone
Riguardo ad esse si richiede formazione, aggiornamento e quella stabilità «che il bene
dei fedeli esige»69.
Il CGS 20 prospettava che «tutti i confratelli, nel loro periodo di formazione avessero
la possibilità di prepararsi alle diverse forme di servizio ecclesiale con l'esercizio pratico e
con lo studio della problematica e metodologia essenziale delle loro possibili mansioni pa-
storali future»70. Ambedue i Capitoli mettono in evidenza la necessità della preparazione
immediata specifica e dell'aggiornamento costante71.
Anche con i notevoli miglioramenti degli ultimi tempi a livello di formazione iniziale
e permanente, dobbiamo riconoscere che la nostra preparazione continua ad essere empirica
e che giudichiamo la capacità di svolgere un ruolo pastorale di questo tipo più sulla base di
qualità personali che su quella di conoscenze ed esperienze specifiche. Il problema della
preparazione si collega con quello della stabilità, non tanto nel posto quanto nel settore. Ciò
può limitare la qualità del nostro contributo alle chiese particolari e compromettere la vita
stessa delle comunità parrocchiali.
6.3 Il «numero» delle parrocchie
Caduta l'eccezionalità, rimangono due punti di riferimento per giudicare il problema
del numero: l'identità pastorale della Congregazione che deve verificarsi in ogni ispettoria
dove non ci sono circostanze avverse, e la proporzione con le forze di cui disponiamo.
Sulla prima il CGS 20 si pronunciava così: «Occorre d'altra parte tener presente che vi
sono priorità da rispettare, nel vasto pluralismo delle opere della Congregazione: in ogni
ispettoria salva la particolare situazione di alcuni paesi deve avere il primo posto l'impe-
gno per l'apostolato direttamente giovanile»72. Aggiungo come commento che tale aposto-
lato diretto lo si deve capire nella linea «educativa».
Sul criterio della proporzionalità alle forze disponibili basti un semplice ragionamento:
pur considerando le scuole e gli oratori come campi indiscutibili per il nostro apostolato, ne
assumiamo soltanto quel numero che la disponibilità presente e prossima di persone ci con-
sente, soprattutto in vista di un'azione pastorale specifica. L'assunzione di un numero indi-
scriminato di parrocchie può essere una «tentazione» provocata da questi elementi: offerta
insistente dei Vescovi, predica sulla priorità dei bisogni fondamentali del popolo cristiano,
desiderio di diversificare le opere dell'ispettoria, disponibilità di personale «ormai» impie-
gabile soltanto in parrocchie, mancanza di un piano di «sviluppo» dell'ispettoria, richieste
minime di servizio religioso.
Bisogna pensare che gli «impegni» permangono. Quello che oggi è stato accettato per
ragioni «occasionali» condizionerà la collocazione del personale giovane anche domani.
Questo taglia qualunque risposta alle nuove richieste giovanili.
6.4 Le strutture e i piani
Ci si indica di tendere ad un programma unificato di azione tra le diverse «opere»
salesiane, quando sono in un territorio affidato a noi. I Regolamenti lo stabiliscono per il
centro giovanile: «La parrocchia consideri il centro giovanile come parte integrante del suo
69 R 28.
70 CGS20 440.
71 Cf. CGS20 440; CG21 142b.
72 CGS20 402.
- 99 -

11.2 Page 102

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progettò pastorale»73. Chiosa questo determinazione il seguente testo del CGS 20: «Il diret-
tore dell'oratorio è il vice-parroco per il settore giovanile, e deve inserire il suo lavoro e
quello dei suoi collaboratori, salesiani e laici, nella pastorale d'insieme locale, sotto la guida
coordinatrice del parroco. Il parroco poi, nel settore dei giovani e dei loro gruppi, deve fon-
dare la sua presenza e la sua posizione più sulla stima e sull'ascendente derivatagli dalla sua
competenza, dal suo effettivo aiuto, dalla sua cordialità e comprensione piuttosto che sui
titoli giuridici ufficiali»74.
La prospettiva si allarga ancora quando si parla di svolgere una pastorale unica con le
diverse opere salesiane (parrocchia, collegio, oratorio) che coesistono in un medesimo luogo.
In tal caso «la parrocchia si presenta come un campo di lavoro che ha come centro una
comunità salesiana, a cui la chiesa affida l'evangelizzazione di una zona»75.
La base della programmazione non sono le «opere», considerate come ambienti auto-
nomi, ma la presenza della comunità «che stabilisce comunitariamente le linee della pasto-
rale»76 e arriva ai suoi destinatari con diverse proposte studiate corresponsabilmente e con-
dotte a termine secondo una conveniente divisione del lavoro.
Di fronte a questo nuovo schema le comunità sogliono presentare due obiezioni.
La prima. Le «opere» (scuola, centro giovanile) accolgono ragazzi di molte parrocchie.
Era questa una circostanza già prevista nel proporre una pastorale unificata. «L'oratorio-
centro giovanile, pur restando aperto con spirito missionario e di dialogo a tutti i giovani
della città, curerà in modo particolare l'accostamento della gioventù della parrocchia»77.
La seconda. La difficoltà di coordinare in un unico piano le funzioni di direttore che
presiede dal punto di vista religioso e forse anche educativo con quelle del parroco che è a
capo della comunità parrocchiale entro la quale viene compresa la comunità religiosa e
quella educativa. È evidente che se non si entra in un nuovo criterio pastorale, la maniera di
concepire le funzioni farà vedere come più conveniente la netta separazione delle compe-
tenze.
Il CGS 2078 e i Regolamenti79 hanno tentato d'indicare un cammino perché si trovino
soluzioni. L'art. 29 dei Regolamenti (1984) ha raccolto i risultati dell'esperienza fatta in que-
sta norma: «Dove la situazione lo consente, si proceda all'erezione canonica della casa sale-
siana a servizio della parrocchia con il proprio direttore-parroco. Quando gli uffici di diret-
tore e di parroco sono separati, il direttore curi l'unità e l'identità salesiana della comunità e
stimoli la corresponsabilità dei confratelli nella realizzazione del progetto pastorale parroc-
chiale».
Dove le obiezioni hanno prevalso sulle proposte, si va avanti tenendo la parrocchia
giustapposta ai servizi giovanili e questi coi loro destinatari poco integrati nella comunità
parrocchiale, senza prospettive di miglioramento.
Dove si è tentato un piano integrato con la comunità come punto di riferimento, non
mancano difficoltà, però le opzioni elencate sembrano assunte con maggior chiarezza.
Il discorso sull'integrazione dell'oratorio-centro giovanile è progredito più felicemente.
Il discorso sull'integrazione della scuola è per sua natura più difficile e articolato. Ma ci sono
due indicazioni da prendere in considerazione: anche per la scuola l'isolamento è finito e non
73 R 26.
74 CGS 20 432.
75 Cf. CGS20 436.
76 CGS20 436.
77 CGS20 432.
78 CGS20 435.
79 Cf. R 23.
- 100 -

11.3 Page 103

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può non sentirsi come «scuola della comunità e del territorio», con tutte le esigenze di col-
legamento, dialogo e partecipazione.
In modo particolare la «scuola cattolica» viene considerata emanazione, responsabilità
ed espressione educativa della Chiesa: «Un servizio della chiesa per l'uomo»80. Il documento
della CEI ribadisce: «Gli aspetti che richiedono una speciale attenzione sono: il progetto
educativo della scuola cattolica e l'inserimento della medesima nella chiesa locale e nella
società civile»81.
6.5 Commissioni e consulte
Per l'animazione e l'appoggio delle parrocchie a livello ispettoriale vengono proposte
Commissioni o Consulte82. Esse dovrebbero favorire lo studio, lo scambio di esperienze e
l'elaborazione delle direttive e degli orientamenti sul lavoro parrocchiale per il progetto
ispettoriale.
7. Conclusione
«L'ansia apostolica del nostro Padre, sempre viva nel cuore dei figli, e le necessità
pastorali delle chiese locali, hanno portato la nostra Congregazione ad aprirsi largamente al
ministero parrocchiale. Lo viviamo come vero apostolato salesiano nella misura in cui re-
stiamo fedeli alla nostra missione e rendiamo attuale il carisma del fondatore, nel servizio
dei giovani e del ceto popolare»83.
La parrocchia salesiana è oggi in Italia di fronte ad un doppio interessante compito:
assumere con audacia il nuovo tipo di presenza e di servizio che la CEI attraverso successivi
documenti sin dal 1976 viene raccomandando come il più conveniente per la mutata società
di questo paese, senza pentimenti, ritorni, o fronti separati; ripensarlo operativamente in
chiave salesiana per poter offrire il contributo spirituale e pastorale che proviene dalla nostra
vocazione.
80 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. COMMISSIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, La scuola cat-
tolica oggi in Italia. Roma, Conferenza Episcopale Italiana, 1983, n. 4.
81 Ibid. n. 14; cf. anche n. 19.
82 CGS20 441.
83 CGS20 400.
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11.4 Page 104

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12. PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE
Vecchi, J.E. - J.M. Prellezo García, Progetto educativo pastorale: elementi modulari. Enciclopedia delle scienze dell'educa-
zione 4. Roma, LAS, 1984, p.15-25.
1. Significato - 2. Le ragioni odierne - 3. Aspetti contenutistici - 4. Dinamica di elaborazione di un progetto. - 5. Bibliografia
del contributo.
1. Significato
I termini progetto e progettazione non entrano nel linguaggio pedagogico se non in
tempi relativamente recenti, sebbene un'organizzazione degli obiettivi, metodi e contenuti,
comunque chiamata, era nelle prospettive di ogni educatore cosciente e di ogni studioso di
problemi connessi col fatto educativo. Ciò sembra dovuto più che a ragioni particolari, a uno
sviluppo globale nell'area delle scienze dell'educazione, in cui è emerso con più chiarezza il
collegamento organico delle esigenze del complesso processo di crescita della personalità in
fase evolutiva. La spinta decisiva è stata data dalla didattica che ha introdotto il concetto di
curricolo, cioè «un tentativo di comunicare i principii e le caratteristiche essenziali duna
proposta educativa in forma tale da restare aperto a qualsivoglia revisione critica e suscetti-
bile di una efficiente conversione in pratica»1.
Recente è anche il loro uso nella pastorale. L'inserimento tardivo in quest'area è dovuto,
oltre che a motivi riconducibili a quelli già espressi riguardo all'educazione, a una mentalità
teologica che stentava ad esprimere un rapporto chiaro e operativamente traducibile tra dono
di Dio e intervento dell'uomo. Infatti una certa frangia della riflessione pastorale è avversa
all'organizzazione di un intervento umano nel dominio della fede, in quanto questa sarebbe
puro dono non inquadrabile in tecniche che gli uomini hanno elaborato, soprattutto di fronte
a problemi dell'ambito socio-economico. Per una diversa ragione, ma con la stessa conclu-
sione, un'altra tendenza fa coincidere la crescita della fede esattamente con l'educazione,
vanificando così la possibilità di un progetto pastorale che abbia finalità e contenuti propri.
L'irruzione del criterio e del termine progettazione nell'area pedagogica e in quella pa-
storale è indice di cambiamenti strutturali e funzionali nella concezione dei relativi inter-
venti. È variato infatti il rapporto di queste discipline tra di loro e con le realtà che sono
l'oggetto della loro riflessione, sotto l'influsso dei due grandi fattori che hanno dato origine
alla progettazione, cioè la scienza e la tecnica. Conseguentemente si è verificata una ridefi-
nizione dei fini specifici e delle vie anche specifiche per raggiungere questi fini.
Inoltre le spinte alla progettazione hanno connessione con la globalità dell'esistenza
umana odierna. Questa infatti, e non poche delle sue manifestazioni individuali e sociali,
viene oggi espressa in valenze di progettualità. Si parla di un «progetto personale di vita»,
di un «progetto di società», di un «progetto culturale». La categoria della progettualità sem-
bra nascere dalla nuova comprensione di se stesso che l'uomo ha raggiunto e dalla sua ma-
niera tipica di affrontare la propria esistenza sotto l'impatto di fenomeni caratteristici. Il
senso e il fine di questa esistenza che viene «data» nella sua realtà radicale devono essere
costruiti attraverso un'organizzazione coscientemente finalizzata di mete, itinerari e condi-
zionamenti. Travisano il significato della progettazione coloro che la contrappongono alle
spinte creative incluse nelle categorie di «grazia», «vita», «spirito» o «mistero» come se si
1 L. STENHOUSE, Dal programma al curricolo. Politica, burocrazia e professionalità. Introduzione di
C. Scurati, Roma, Armando, 1979, p. 18.
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11.5 Page 105

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trattasse di una pretesa meccanica di rinchiudere o dominare queste realtà. La progettazione
appare invece come l'assunzione cosciente e seria della propria libertà e della propria energia
convenientemente indirizzate verso orizzonti ispirati dalla vita, dalla grazia e volutamente
accettati.
Per la novità e per il favore che ha riscosso, il termine viene da molti sfruttato con signi-
ficati oscillanti e imprecisi. Ciò può pregiudicare impostazioni e prospettive quando lo si
vuole tradurre in uno strumento concreto d'azione. Giova, dunque, lo sforzo semantico di
paragonare il suo significato con quello di altre voci che circolano nell'ambiente educativo
con intenzioni normative e d'orientamento.
Nei confronti delle valenze incluse nella «scienza pedagogica» o in elaborati parziali di
essa il progetto presenta soprattutto il connotato di riferimento a una situazione particolare,
di immediatezza al concreto, d'incontro libero col reale conosciuto. Un progetto non è un
trattato sull'educazione, né uno studio sugli educandi, né un'esposizione sistematica sul ruolo
dell'educatore con carattere di universalità. È invece una maniera singolare di combinare,
selezionandoli e traducendoli nei termini operativi più rispondenti a una situazione partico-
lare, elementi forniti dalle scienze con altri desunti dalle osservazioni e riflessioni personali,
fuse alla luce di certe scelte esistenziali. Tra il progetto e gli elaborati della scienza pedago-
gica c'è la stessa differenza che passa fra un trattato d'ingegneria e il disegno di un edificio
che dev'essere collocato su di un terreno particolare e adeguato alle esigenze originali degli
utenti.
Si tratta, dunque, di un'operazione creativa dell'immaginazione sorretta dalla scienza e
dalla tecnica, che però non deriva con rigore dalle conclusioni di queste. Analoghe riflessioni
si possono fare in merito alle «tradizioni pedagogiche» a cui si ispirano alcuni gruppi di
educatori.
Il progetto comporta una intenzione operativa. In ciò si differenzia anche da uno studio.
Chi lo fa intende applicarlo, e lo fa in termini applicabili; perciò procede per obiettivi rag-
giungibili e verificabili e non soltanto per ideali o principii, sebbene questi siano nel suo
orizzonte. Non si ferma ad una spiegazione razionale della realtà, ma esprime un proposito
di intervento per modificarla; la sua finalità è l'azione. Le idee con cui si sostanzia tendono
a chiarire le fasi di un'azione efficace verso il raggiungimento dei fini. La modalità di elabo-
razione del progetto, dunque, è la prassi correttamente intesa. Va superata la tendenza idea-
lista che riduce ad elementi secondari esperienze, itinerario e forme di comunicazione, ba-
sandosi sul discutibile presupposto che un valore o oggetto razionalmente illuminato e spie-
gato ha in sé tutte le condizioni per essere comunicato e realizzato.
C'è un secondo confronto da fare. Nell'area educativa alcuni anni fa si era sovente sol-
lecitati a fare e a rivedere i programmi e/o le programmazioni. La parola e il procedimento
sono frequenti in ambito scolastico e, per ciò che riguarda la pastorale, nella catechesi. Si
tratta della formulazione e dell'ordinamento di mete che l'insegnamento vuole raggiungere,
e la relativa pianificazione di contenuti, tenendo conto dei metodi che vi corrispondono.
Ancora oggi le programmazioni e i programmi hanno particolare attinenza con la didattica.
L'insistenza sui programmi dava per scontato un quadro di valori e dei fini così evidente
che non aveva nemmeno bisogno di essere enunciato. Era abbastanza condiviso che cosa
volesse dire «un uomo onesto», «un buon cittadino» e per i credenti «un vero cristiano». Gli
obiettivi dell'educazione sembravano naturalmente e indissolubilmente connessi con gli
obiettivi didattici particolari. Non si sospettava ancora che cultura, insegnamento e società
potessero essere «psicoanalizzati» e che attraverso questo processo apparissero concezioni
globali diverse dalle intenzioni dichiarate.
- 103 -

11.6 Page 106

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Da alcuni anni si insiste di passare dalle sole programmazioni ai progetti. Le prime con-
tengono indicazioni organizzative e strumentali e obiettivi settoriali. I secondi richiedono
esplicitazioni dei fini e della concezione globale in cui gli stessi fini trovano una giustifica-
zione. Si tratta di ordinare ed esplicitare la totalità di un'immagine dell'uomo e del suo de-
stino, raccogliendo i frammenti in una visione unitaria e organica. In questo senso viene
inteso sia nei documenti civili che richiedono alle istituzioni di qualificarsi nel pluralismo
attraverso un progetto, sia nei documenti della Chiesa.
Questi ultimi asseriscono infatti ripetutamente che il progetto educativo della scuola
cattolica «rivela e promuove il senso nuovo dell'esistenza e la trasforma abilitando l'uomo a
[...] pensare, volere e agire secondo il Vangelo», e che «è proprio nel riferimento esplicito e
condiviso da tutti i membri della comunità scolastica sia pure in grado diverso alla
visione cristiana che la scuola è «cattolica», poiché i principii evangelici diventano in essa
norme educative, motivazioni interiori e insieme mete finali»2.
Nei confronti dei significati e valenze incluse nelle normative o nei regolamenti che si
stabiliscono nelle comunità educative, il progetto presenta la differenza del riferimento ad
un risultato futuro, ad una situazione verso cui si cammina e da cui si giudica la validità degli
interventi. Un progetto non è una norma; non si legge e non si applica come tale. È un mo-
vimento. Più che assicurare adempimenti indica una direzione e un insieme di forze da met-
tere in giuoco. Non viene giudicato e giustificato dall'esattezza delle adempienze, ma dai
risultati che sono sempre collocati in un dopo, che si costruisce calcolando trasformazioni
effettuabili a partire dalla realtà che abbiamo davanti. Progettare non è la virtù dell'esattezza
degli adempimenti, ma piuttosto l'arte dell'anticipazione.
Oltre che la diversa fonte da cui ciascuno procede e la diversa modalità di applicazione,
il progetto presenta l'esplicitazione dei fini che nelle normative sono soltanto impliciti od
espressi in termini vaghi e qualitativi. Il progetto invece esplicita gli obiettivi, stabilendo
anche i livelli di raggiungimento.
È poi quasi insito nelle normative l'intenzione di mettere limiti ai comportamenti nega-
tivi; il progetto invece punta totalmente sullo sviluppo di atteggiamenti positivi. È proposi-
tivo piuttosto che di custodia e protezione; è quasi tutto rivolto alla persona e al suo sviluppo,
mentre i regolamenti tendono a mantenere i rapporti tra i moli al l'interno delle strutture. I
regolamenti costituivano codici di educazione quando valori obiettivi e modelli di compor-
tamento sociale erano considerati immutabili e quindi non si fissavano né si prevedevano
limiti di tempo alla validità delle norme. La progettazione riconosce invece il ritmo di mu-
tamento e quindi il bisogno di periodica revisione di obiettivi, modelli e norme.
C'è ancora la categoria «modello» che viene frequentemente usata e applicata a diverse
realtà: comportamenti, azione, struttura. I modelli sono immagini volutamente semplificate
di realtà complesse, in cui appaiono combinati i diversi elementi di queste realtà, secondo
una sintesi ed un equilibrio in cui risiede il principio della loro differenziazione. Quest'im-
magine a carattere alquanto statico serve per espandere prospettive e quindi facilitare l'ana-
lisi della prassi. I modelli sono rappresentazioni che tendono ad attuarsi (confronta per esem-
pio il modello della Chiesa-istituzione, il modello della teologia politica, il modello della
pedagogia non direttiva).
Sul campo degli orientamenti abbiamo un «modello ideale» che può servire come qua-
dro di riferimento all'azione, per esempio in pastorale il modello di Chiesa comunione-ser-
vizio, in pedagogia il modello non-direttivo. Se si tratta di schemi d'azione che per la già
2 SC 34.
- 104 -

11.7 Page 107

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provata efficacia appaiono come raccomandabili, parliamo di modello operativo. Se «mo-
dello» si riferisce ad un tipo di rapporto globale che bisogna privilegiare e come conseguenza
a forme di aggregazione, parliamo di modelli strutturali.
Il progetto parte da un modello globale c cammina verso di esso; è guidato da esso come
il percorso di una nave è orientato da una carta geografica, dalla bussola e dalle stelle: è un
po' l'aspetto utopico. Il progetto assume anche modelli di azione e di strutture, ma il suo
specifico è la descrizione degli itinerari con la corrispondente divisione di contenuti, mo-
menti ed esperienze, la ricerca degli strumenti. È la strada o il percorso che avvicina al mo-
dello da una situazione concreta.
Il termine più vicino e quasi equivalente, riguardo agli elementi che esporremo, è quello
di piano, adoperato abbondantemente, ma non da molto tempo3, nella pastorale e in alcune
aree culturali anche per l'educazione. La sola differenza semantica tra piano e progetto è che
quest'ultimo rivela meglio l'intenzione utopica e l'idea di movimento. Piano infatti si adopera
anche nel senso di rilevamento ordinato di realtà esistenti, per esempio piano di una città.
Anche in pastorale i piani spesso si fermano prevalentemente sulla sintesi di orientamenti
dottrinali e sul rilevamento delle risorse e aprono uno spazio libero per l'azione, che però
non viene accuratamente «progettata» secondo la propria dinamica e verso obiettivi possi-
bili.
Nell'espressione usata come titolo il qualificativo educativo viene completato o forse
significato dal termine pastorale. Le istanze della progettazione sono le stesse sia che si
applichino all'educazione che alla pastorale: visione dei fini, intervento organico sulla realtà
in ordine alla sua trasformazione da una situazione data ad un'altra coscientemente voluta.
Nel caso della progettazione pastorale il contenuto di queste istanze è specifico. Collegato
al termine educativo indica un particolare rapporto tra le due aree. L'obiettivo finale, e quindi
gli obiettivi intermedi di un progetto che è allo stesso tempo educativo e pastorale, sarà
quello di sviluppare il giovane verso la maturità cristiana e formare la comunità ecclesiale
attraverso un percorso educativo sia dal punto di vista contenutistico perché assume lo svi-
luppo di tutta la persona secondo la propria originalità; sia dal punto di vista metodologico,
perché si regge in base a criteri di gradualità e di aderenza alla situazione dei soggetti e a
itinerari adeguati per la proposta di fede.
2. Le ragioni odierne
Le insistenze attuali sul Progetto Educativo Pastorale rispondono principalmente a quat-
tro esigenze: la coerenza interna della proposta, la convergenza pratica degli interventi, l'a-
deguamento continuo della proposta alla condizione dei soggetti, l'identificazione delle di-
verse offerte di educazione in un contesto caratterizzato dalla pluralità di indirizzi e agenzie.
Il progetto educativo ha in primo luogo una funzione all'interno della stessa proposta
educativa. Questa può essere oggi in balia di un eclettismo irriflesso, frutto di un ambiente
segnato dalla frammentazione e percorso dalle più svariate correnti, con difficile riferimento
a un quadro coerente di significati e di valori, e priva dunque di un orientamento unitario
interno. L'educazione può diventare così un insieme di prestazioni professionali con disper-
sione d'indirizzi se questi non vengono ricondotti ad un quadro condiviso e formulato d'in-
tenzioni e di valori. Allo stesso modo la pastorale può esprimersi in una serie d'interventi
ispirati alle più disparate spinte (devozionistiche, misticheggianti, funzionalistiche, sacrali,
socializzanti, ecc.), in un difficile e mai chiarito rapporto con il processo educativo, se le
3 C. BONICELLI, Piano pastorale in Dizionario della comunità cristiana, Assisi, Cittadella, 1980, p.
434.
- 105 -

11.8 Page 108

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definizioni, i criteri e gli orientamenti non vengono confrontati per renderli coerenti tra di
loro.
L'urgenza appare più pressante quando si considera che l'assenza di un riferimento uni-
tario sul senso dell'esistenza si estende a tutta la società e che l'istituzione educativa dovrebbe
aiutare i giovani a trovare criteri e punti di discernimento e unificazione per le loro scelte.
Connesso con questo primo aspetto ce n'è un secondo: ad una proposta organica ed in-
ternamente coerente deve corrispondere un insieme d'interventi convergenti nelle finalità e
nello stile. Gli interventi educativi sono svariati già a partire dalla progettazione stessa, per-
ché regolati da diverse discipline. Difatti in educazione e anche in pastorale, come in tutte le
altre aree di azione, s'impone l'interdisciplinarità. La divisione si moltiplica quando il lavoro
si suddivide tra gli operatori, le aree specifiche, i ruoli, i tempi, le sedi e le agenzie, tra le
quali peraltro si cerca ogni giorno di più un conveniente raccordo. In questa inevitabile mol-
teplicità ci vogliono strumenti di convergenza non solo dichiarata ma reale, che misurino
l'intensità di ciascun aspetto e soprattutto assicurino il collegamento concreto della totalità
verso l'obiettivo.
Le istituzioni educative diventano «luoghi di lavoro» e dalle legislazioni sono trattate
alla stregua di essi. Si seguono dunque le norme di divisione dei compiti, e questi possono
essere svolti in modo tale che l'uno ignori l'altro. La molteplicità d'interventi non coordinati
rendono difficile la sintesi. Il progetto appunto ha la funzione di far convergere i ruoli e le
prestazioni in modo da evitare il settorialismo e la giustapposizione.
Ma il progetto ha un'altra funzione ancora: quella di spingere l'adeguamento continuo
delle proposte educative, e delle modalità con cui vengono offerte, alla situazione generale
e alle domande dei soggetti, siano queste espresse da loro o vengano scoperte attraverso
l'analisi della condizione giovanile. I giovani accusano un ritmo accelerato di cambiamenti
dovuti alla stessa cultura in cui sono immersi. La funzione educativa è anch'essa evolutiva
per il suo rapporto con le persone, con la cultura e con la società. Basta pensare agli ambienti,
ai contenuti e ai metodi educativi dell'epoca precedente, in cui non era predominante né la
mentalità partecipativa né la comunicazione attraverso il linguaggio totale né il concetto di
formazione continua né l'unificazione del mondo in ciò che riguarda la ripercussione degli
eventi e l'assunzione di cause comuni (pace, ambiente, diritti della persona) per capire come
ogni generazione richiede un adeguamento della proposta; adeguamento che tocca non sol-
tanto contenuti parziali o dettagli di metodo, ma richiede riformulazione degli obiettivi ge-
nerali e nuovo quadro di valori, secondo i «nomi» concreti, l'armonia e i collegamenti che
richiedono Je esperienze vitali dei soggetti.
Possiamo spingerci con l'immaginazione, perché già appare sul nostro orizzonte, all'e-
poca dell'informatica e dei computer, che le generazioni emergenti vivono già come feno-
meno educativo con nuove esigenze non soltanto di abilità operativa ma di orizzonti mentali
e di armonia di valori.
Infine un ultimo motivo. La società attuale si presenta pluralistica nelle istituzioni, nelle
scelte esistenziali, nei comportamenti sociali. Il pluralismo non è soltanto un fatto tollerato,
ma un diritto insito nelle profondità dell'attuale convivenza politica e sociale, a tal punto che
dove non viene riconosciuto, denunciamo una struttura perversamente organizzata contro la
persona. L'educazione e la pastorale riflettono questa situazione. Ci sono istituzioni educa-
tive internamente pluralistiche e c'è anche pluralità di istituzioni educative, che offrono pro-
poste caratterizzate da valori e indirizzi definiti. Poiché è la persona a scegliere il suo oriz-
zonte di senso, così è anche la persona a selezionare ambienti, programmi e strumenti che le
- 106 -

11.9 Page 109

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vengono offerti dalle diverse agenzie. Per questo le istituzioni devono identificarsi. Un pro-
getto educativo distingue e qualifica un gruppo di educatori in una società che riconosce
spazio a diverse visioni dell'uomo e della realtà e ai processi culturali ad esse connessi.
3. Aspetti contenutistici
Un progetto educativo e pastorale articola in momenti successivi o simultanei diversi
livelli di indicazioni e scelte, riguardanti immediatamente il campo concreto in funzione del
quale il progetto stesso viene elaborato.
Il primo livello è un insieme di orientamenti ideali sulla concezione dell'uomo e in par-
ticolare sui fini dell'educazione e sull'intervento educativo. È una specie di dichiarazione di
princìpi o criteri che definiscono una filosofia dell'educazione o, trattandosi di pastorale, una
scelta di prospettiva globale. Si tratta di un elemento abbastanza stabile, con validità a lungo
termine e applicabile anche a un contesto culturale largo. Questo elemento ha un grande
valore perché fondante e anche se ancora non contiene proposte di attuazione, esplicita però
le scelte che guidano gli interventi. Ed è già un momento progettuale perché non si propone
la ripetizione di moduli estratti dall'antropologia o dalle scienze dell'educazione, ma contiene
scelte precise e operative. Basta pensare come si presenta questa parte del progetto in Ame-
rica Latina, in Africa o in Europa per capire che pur esprimendosi a livello di princìpi e di
immagini ideali, ammette differenziazioni provocate dalla realtà.
Il secondo livello e momento è l'analisi della situazione in cui il progetto deve svilup-
parsi. Le analisi di situazione sono diverse secondo le prospettive scelte. Nel nostro caso si
tratta di un'analisi della situazione educativo-pastorale, che non esclude, anzi richiede, rife-
rimenti e rilevamenti di altro tipo, ma che tende nel suo insieme a chiarire gli obiettivi e gli
itinerari che l'educazione deve assumere. Si tratta di un'analisi interpretativa e non soltanto
di una descrizione fenomenologica. Precomprensioni, parametri, griglie, pur con i rischi di
lettura selettiva e funzionale che possono presentare, sono indispensabili; e non possono
rifarsi se non alla formalità delle scienze dell'educazione e della pastorale. Ma al momento
interpretativo si aggiunge ancora il momento valutativo. Poiché il progetto prende il suo
orientamento da un orizzonte di valori anche se intende confrontarsi con una situazione data,
non è possibile non pronunciare un giudizio di valore sugli elementi che compongono questa
situazione. Senza di questo non sarebbe possibile nemmeno la dinamica del progetto.
Dal confronto con un quadro di valori e una situazione emergono le scelte operative
(terzo momento) costituite dagli obiettivi a differenti livelli, in cui si enuncia, in termini di
atteggiamenti e di attitudini da acquisire, il punto di arrivo cui si tende, punto di arrivo veri-
ficabile secondo un livello anche dichiarato. Agli obiettivi si aggiungono i princìpi del me-
todo scelto, con i criteri di applicazione particolare alla situazione. Si formulano le espe-
rienze educative da proporsi con eventuali nuclei di contenuti e l'insieme di interventi che
consenta meglio il passaggio dalla situazione data secondo l'analisi alla situazione desiderata
secondo l'enunciazione di obiettivi. L'insieme di queste scelte intende saldare le istanze
emergenti nelle domande con i valori di cui l'agenzia proponente si sente portatrice. Si pos-
sono aggiungere ancora indicazioni strumentali che stabiliscono ruoli e responsabilità, arti-
colazioni di aree, previsione di eventuali ostacoli.
Infine, quarto momento o livello, c'è la verifica che permetterà di misurare obiettiva-
mente la validità del progetto, il suo impatto sulla realtà e la sua agibilità; che consentirà,
dunque, il ridimensionamento e la riprogettazione. Per questa verifica vengono indicati nel
progetto criteri e gradi.
- 107 -

11.10 Page 110

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La verifica costituisce l'ultimo momento di una fase di progettazione e il primo della
fase seguente. Il processo di progettazione difatti va concepito in maniera continua e circo-
lare. La verifica rimanda a una nuova lettura della realtà e questa rimette in state di riformu-
lazione anche il quadro di riferimento ed esige di aggiornare le scelte progettuali. Si evita
così d'imporre uno schema deduttivo, per cui la situazione andrebbe letta alla luce di uno
schema rigido, che la giudica senza lasciarsi intaccare, nega quello che nelle domande non
coincide con le sue istanze e cerca di modellare le persone su una misura presumibilmente
«obiettiva». D'altra parte si evita anche il rischio opposto, rappresentato dal concetto funzio-
nale di educazione come soddisfazione di domande.
La circolarità, dunque, è necessaria per liberare il progetto da una fissità ideologica e
allo stesso tempo per sviluppare una pedagogia di valori e non soltanto di bisogni. Il quadro
di riferimento come conseguenza non è desunto dai bisogni, ma è collegato ad una antropo-
logia che a sua volta è riformulabile davanti a richieste che ancora non hanno trovato in essa
una risposta conveniente. Lo studio della domanda certamente precede la formulazione di
obiettivi particolareggiati che nascono dal confronto tra di essa e il quadro di valori.
4. Dinamica di elaborazione di un progetto
Una delle domande che non di rado viene a galla quando si tratta di fare un progetto si
riferisce al soggetto agente. Nelle risposte pratiche che si danno è implicata già rispettiva-
mente una concezione dell'azione pastorale o del processo educativo e anche una valutazione
dei suoi singoli momenti ed elementi.
Alcuni preferirebbero che il progetto venisse fatto da una o poche persone a cui si rico-
nosce autorevolezza per la carica che ricoprono o per la competenza che posseggono, es-
sendo i rimanenti della comunità esecutori e, nel migliore dei casi, intelligenti e creativi
incaricati dell'adattamento del progetto alla propria area. Si tratta di un modello «centraliz-
zato», «dirigista» o «elitario», che guarda molto alla perfezione formale, alla completezza
contenutistica e alla rapidità di stesura e poco ai processi di partecipazione, assimilazione
vitale e aderenza concreta al reale; che comporta anche il rischio della ristrettezza di pro-
spettive.
D'altra parte le esperienze di progettazione compiute all'insegna della partecipazione
totale secondo un «itinerario democratico» o «assembleare» o approdano alla delega in mano
di élites preparate o si arenano in uno sforzo inutile di arrivare a delle conclusioni soddisfa-
centi.
Eppure se il progetto non viene considerato solo uno scritto ma un processo di chiari-
mento e identificazione comunitaria le tre parole-chiave saranno: corresponsabilità, parteci-
pazione, collaborazione. Si deve concludere che l'itinerario più interessante è quello del coin-
volgimento differenziato, che interessa tutti, ma affida a ruoli e competenze particolari i
compiti più difficili.
Le tappe di elaborazione e di riformulazione del progetto potrebbero essere le seguenti.
In primo luogo bisogna creare un gruppo animatore capace di guidare il processo anche
per il dominio di nozioni ed elementi specifici; studiare con esso le possibilità di motivare
le persone ad assumere in totale corresponsabilità la stesura del progetto e selezionare stimoli
per far percorrere insieme le diverse fasi: definizione del quadro di riferimento, analisi delle
domande e della situazione, formulazione di linee operative. Il gruppo scoprirà anche le mo-
dalità più convenienti di circolazione degli elaborati.
Il secondo momento è di coinvolgimento e di partecipazione comunitaria. In alcuni casi
si offrono formulazioni già elaborate da discutere, meditare o modificare dai diversi gruppi
- 108 -

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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che partecipano al processo educativo. In altri vengono presentati soltanto questioni o pro-
blemi a cui la comunità risponde secondo la propria sensibilità.
La terza tappa consiste nella raccolta di tutto il materiale e nella condivisione attraverso
l'informazione, nell'offerta di una sintesi ordinata fatta dal gruppo per un ulteriore chiari-
mento, particolarmente in quelle questioni in cui non fosse emerso ancora un consenso. Si
arriva così ad una formulazione completa condivisa.
Quest'itinerario potrebbe sollevare obiezioni di lentezza eccessiva. Ma va ricordato che
la finalità di un progetto non è tanto di mettere in mano agli operatori un nuovo regolamento
di lavoro, ma piuttosto di aiutare i gruppi a operare coscientemente. È attraverso l'interscam-
bio e la vicendevole illuminazione che si arriva a formulazioni in cui i partecipanti si ritro-
vano, che rappresentano la loro piattaforma di idee e il grado di coscienza che l'équipe edu-
cativa e le altre componenti hanno raggiunto.
Si tratta comunque di formulazioni provvisorie, almeno in un primo tempo, che saranno
meglio organizzate e progressivamente aggiornate man mano che nell'approfondimento
della riflessione vengono scoperti e valorizzati nuovi e più ricchi aspetti.
Il progetto infatti è sempre aperto a sviluppi e perfezionamenti. A linee relativamente
stabili si arriva solo dopo un certo lavoro e col maturare dell'esperienza e della collabora-
zione.
- 109 -

12.2 Page 112

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13. ORIENTAMENTO E PASTORALE VOCAZIONALE
Vecchi, J.E., Orientamento e pastorale vocazionale in Vecchi J.E. - J.M. Prellezo García, «Progetto educativo pastorale:
elementi modulari», Enciclopedia delle scienze dell'educazione 4, Roma, LAS, 1984, p.15-25.
1. Concetto. - 2. Vocazione e vocazioni. - 3. Pedagogia vocazionale. - 3.1 Gli ambienti. - 3.2 Gli itinerari. - 3.3 L'orientamento
personalizzato. - 4. Aspetti programmatici e organizzativi. - 5. Bibliografia del contributo.
1. Concetto
«Vocazione» è un concetto e una prospettiva religiosa, anzi originalmente biblica. La
principale fonte di riflessione sulla vocazione è ancora la Sacra Scrittura con le grandi voca-
zioni dei «chiamati da Dio»: Abramo, Mosè, i Profeti, Maria, gli Apostoli, Paolo. Il concetto
di vocazione viene svuotato del suo contenuto specifico se lo si interpreta come attitudine e
interesse professionale senza riferimento personale a Colui che chiama. Per questo anche se
tra orientamento professionale e maturazione vocazionale vi sono collegamenti stretti e aree
comuni, le due realtà sono fondamentalmente diverse per i presupposti teoretici da cui par-
tono e per la riflessione che ad essi serve rispettivamente di appoggio. Risultano dunque
diversi pur se complementari anche gli itinerari ed esperienze.
L'orientamento vocazionale appartiene alla pastorale. E questa, parte da una riflessione
teologica anche se assume criteri pedagogici e ammette strumenti di indagine psicologica
valorizzandone le conclusioni. «Vocazione» e «professione» non sono equivalenti né dal
punto di vista della materialità delle scelte, né dal punto di vista della coscienza del soggetto
né dal punto di vista dell'inserimento sociale. Vocazione, piuttosto che una area di occupa-
zione, richiama un modo globale di assumere la vita e porta con sé tutto il peso della tra-
scendenza presente in una esistenza. Richiama piuttosto alla testimonianza di valori e realtà
di cui la prestazione di servizi è soltanto un aspetto parziale. La medesima professione può
essere esercitata sotto l'influsso di vocazioni diverse.
La vocazione di ciascun uomo è ed è vissuta come un'iniziativa di Dio, libera, gratuita,
inserita in un piano di provvidenza che tocca il singolo, non isolatamente bensì nel contesto
di una comunità. A questa la vocazione, più che prestazioni, offre una testimonianza e una
proposta di senso.
La scoperta, il chiarimento e l'accoglienza dell'iniziativa di Dio nella propria vita si rea-
lizzano in un dialogo in cui ciascuna persona deve ascoltare e rispondere creativamente co-
struendo un «progetto di vita». «Vocazione» e «progetto di vita» sono due aspetti di una
stessa realtà: la chiamata da parte di Dio e la risposta dell'uomo. Sono una visione del futuro
suggerita e proposta da Dio, attraverso segni che si leggono alla luce della fede, e allo stesso
tempo una traiettoria intuita, scoperta, assunta ed elaborata dall'uomo.
Assumere e seguire una vocazione è essere attento al Signore che chiama; orientare e
appoggiare una vocazione è rendere la persona capace di risposta a Dio. Questo elemento -
dialogo con il Signore - è il punto di unificazione e di riferimento per tutti gli altri in una
vera vocazione e in ultima analisi l'unica motivazione sufficiente. Un orientamento vocazio-
nale che sminuisse o vanificasse questa realtà perderebbe le sue radici e la sua specificità
biblico-cristiana.
Ma la vocazione che si suppone realtà misteriosa, divina nella sua origine, è profonda-
mente radicata nella personalità, nella sua struttura fondamentale, nelle sue preferenze in-
consce, nei suoi dinamismi e nelle sue scelte libere una volta che la totalità è mossa dalla
fede. Più che un dono dato una volta per sempre, è una traiettoria; più che un futuro previsto
- 110 -

12.3 Page 113

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con precisione, è l'orientamento di tutto l'essere. Più che una certa cosa da fare è un processo
di unificazione in Cristo. Per tutto questo la vocazione è anche una realtà suscettibile di
sviluppo e di maturazione, di arresti e di estinzione.
Legato all'idea della scoperta, dell'ascolto e della risposta è il tema dei «segni». Questi
appartengono all'area degli interessi, delle inclinazioni e delle attitudini. Ma soprattutto si
scorgono nella struttura della personalità che è capace di organizzarsi attorno ai valori che
caratterizzano una vocazione. In quanto risposta la vocazione è una decisione. Questa non
proviene soltanto dall'esistenza di attitudini e interessi ma dall'abilitazione della coscienza a
cogliere la presenza di Dio, e dalla maturazione della libertà per donare la vita e le forze. I
«segni di vocazione» dunque si possono avere ad ogni età; ma la possibilità di vere decisioni
richiede uno sviluppo psicofisico e di fede proporzionato, nella persona in cui tali segni ap-
paiono.
2. Vocazione e vocazioni
La vocazione ha luogo con l'inizio dell'esistenza di ogni singola persona che è chiamata
a vivere «ad immagine e somiglianza di Dio». Non è la vita in sé ma la coscienza della sua
collocazione nel mistero totale dell'essere. Per questa coscienza l'uomo è collocato in un
rapporto di dominio sul cosmo e di comunanza di destino con gli altri uomini in una storia;
è reso capace di un dialogo sempre più esplicito con Dio, di una risposta consapevole e libera
di collaborazione e creatività che sfocerà nella comunione con Lui.
L'accogliere la vita come compito, dono e missione; l'accettare in essa la «presenza di-
vina» è la prima e più importante decisione della persona, punto di partenza per un'autode-
finizione posteriore.
Il battesimo è la chiamata a vivere da figlio di Dio c membro del suo popolo - quella
porzione dell'umanità che è stata resa cosciente del suo rapporto con Dio -, seguendo Gesù
Cristo. «Dio ha convocato l'assemblea di coloro che guardano nella fede a Gesù Cristo, au-
tore della salvezza e principio di unità e di pace e ne ha costituito la Chiesa»4.
La Chiesa in quanto Popolo di Dio si presenta con varietà di carismi e ministeri. Attra-
verso questi carismi i fedeli partecipano in diverse forme alla missione di Cristo, che è anche
quella della Chiesa: annunciare il Vangelo, rendere culto a Dio e trasformare l'umanità verso
l'immagine vera dell'uomo.
Per prendere coscienza della sequela interiore ed esteriore di Cristo come principale
tratto dell'essere cristiano, svegliare la coscienza della «ministerialità», per cui tutta la Chiesa
è a servizio dell'uomo e ogni vocazione è a servizio della missione della Chiesa, è uno dei
compiti iniziali della pastorale vocazionale.
Dalla molteplicità di doni e ministeri nascono le vocazioni specifiche. Esse non si ag-
giungono a quella battesimale, ma sono modi peculiari di viverla. La loro conoscenza reale
e presentazione odierna sono indispensabili nell'orientamento cristiano dei giovani. Si tratta
di far emergere i tratti spirituali e il ministero ecclesiale del laicato, del sacerdozio, della vita
religiosa, della secolarità consacrata, della vocazione missionaria.
La vocazione laicale ha un suo valore intrinseco. Ad essa si risponde in base a segni e
indicazioni specifiche; i suoi contenuti e le sue esperienze non si definiscono a partire da
altre vocazioni, ma a partire direttamente dal battesimo e dalla natura e missione della
Chiesa.
Della vocazione laicale bisogna sottolineare oggi alcuni tratti.
4 LG 9.
- 111 -

12.4 Page 114

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L'identità e l'originalità: il Signore chiama i laici a vivere il mistero di Cristo e la mis-
sione della Chiesa all'interno delle realtà del mondo e secondo le leggi che regolano moral-
mente il loro dinamismo: famiglia, politica, lavoro, cultura.
Con la loro presenza e azione i laici cercano di rendere il inondo più umano, attraverso
lo spirito del Vangelo, consacrandolo al Signore anche con il loro impegno per la promo-
zione-redenzione dell'uomo. All'interno della Chiesa portano il contributo della loro espe-
rienza evangelica, vissuto nelle strutture e attività secolari, e partecipano attivamente al culto
esterno e spirituale, all'animazione e organizzazione della comunità attraverso apporti per-
sonali e ministeri istituiti.
L'attualità: in un mondo divenuto complesso per l'allargarsi del campo cognitivo, ope-
rativo e istituzionale, la vocazione laicale è particolarmente attuale per la lievitazione cri-
stiana delle realtà temporali e la loro umanizzazione.
L'aspetto «religioso», pur essendo una dimensione costitutiva dell'essere, quello appunto
che lo mette in rapporto con Dio, è ridotto sociologicamente e culturalmente a un ambito
ristretto. Il laico è portatore di Cristo e delle sue prospettive all'interno delle realtà che sol-
tanto possono essere trasformate dal di dentro delle loro leggi.
L'attualità di questa vocazione supera, per altro, la valutazione occasionale ed è perenne,
poiché è legata al mistero dell'Incarnazione di Cristo e costituisce, dunque, una vocazione-
segno di una dimensione della Chiesa.
La molteplicità di espressione: sono molte le modalità concrete che assume la vocazione
laicale. C'è la testimonianza delle idealità e della competenza nella partecipazione sociale,
la solidarietà con i poveri, la lotta pacifica per la giustizia, la difesa di una mentalità di pace,
il dialogo sincero nelle società pluralistiche, l'impegno nell'educazione e nel tempo libero,
l'intervento nella comunicazione di massa, il protagonismo nell'elaborazione della cultura ...
Sparsi in tutti i campi, i laici testimoniano e attuano i valori della fede e fanno presente
la Chiesa anche là dove essa non può manifestarsi con la compattezza di strutture o istitu-
zioni o con la forza animatrice dei credenti organizzati.
Un posto particolare nella vocazione laicale ricopre l'esperienza del matrimonio e della
famiglia, per il significato che assume all'interno della Chiesa, come segno dell'Amore di
Cristo, e per la lievitazione evangelica di valori fondamentali sottomessi al rischio di degra-
dazione5.
La fioritura in pienezza di una vocazione laicale richiede una maturazione progressiva e
una preparazione specifica, sotto pena di lasciare la chiamata monca e inattiva. Le sue fina-
lità, infatti, sono proporzionate all'impegno di una vita e si presentano con nuove esigenze
in ogni tappa dell'esistenza.
Della figura sacerdotale è conveniente evidenziare alcuni tratti.
Il sacerdote è l'uomo di Cristo, della Chiesa, dei fratelli: oggetto di una scelta gra-
tuita, preso fra gli uomini, investito mediante l'imposizione delle mani per poter operare a
favore dei fratelli, il sacerdote vive in mezzo agli uomini e partecipa alla loro vita come
segno della presenza del Signore.
È l'uomo della Parola: la trasmette in nome di Cristo e della Chiesa, incarnandola
con sforzo nella sua vita personale e attualizzandola secondo le esigenze storiche delle per-
sone nella sua comunità.
5 Cf. Messaggio del Sinodo dei Vescovi, Roma, 1980.
- 112 -

12.5 Page 115

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È ministro dei sacramenti e particolarmente dell'Eucaristia: «Con il Battesimo in-
troduce gli uomini nel popolo di Dio, con il sacramento della Penitenza riconcilia i peccatori
con Dio e con la Chiesa, con l'Olio degli infermi solleva gli ammalati. Soprattutto con la
celebrazione della Messa offre sacramentalmente il sacrificio di Cristo»6.
È l'animatore della comunità cristiana: la convoca nel nome del Signore, la man-
tiene nell'unità, fa emergere nella coscienza dei battezzati i loro carismi e li indirizza all'edi-
ficazione della comunità, favorisce la corresponsabilità e fa in modo che la comunità cri-
stiana svolga fra gli uomini la sua missione e dia la testimonianza dei valori cristiani7.
È l'educatore della fede dei singoli e del popolo di Dio. Aiuta ciascuno a sviluppare
la propria vocazione, a giungere alla maturità cristiana, a leggere gli avvenimenti alla luce
della fede, ad essere sinceri e operativi nella carità. Rivolge una particolare attenzione ai
giovani che crescono, a coloro che si iniziano nella fede, a coloro che cercano Dio e a coloro
che sopportano prove.
Infine è il portatore nella storia temporale di una dimensione umana specifica, ispi-
rata all'immagine di uomo che proviene dalla fede in Cristo e che trova espressione «sacer-
dotale» anche in svariati campi dell'attività temporale. È colui che apre nelle attività e nelle
tensioni agli orizzonti trascendenti.
I tratti che rendono oggi intelligibile la proposta della vita religiosa e possono svilup-
parsi in motivazioni valide sono: Cristo chiama alcuni, tra i sacerdoti e i laici, alla sequela e
al servizio del Regno, con esigenze di radicalità, che si manifestano in atteggiamenti con-
creti: l'offerta a Dio dei beni, la disponibilità totale per il suo servizio, l'amore indiviso di
preferenza per Lui e per la sua causa.
Questo tipo di vita rende «spiritualmente e storicamente» più simili a Cristo e offre al
mondo una visibile testimonianza del mistero di Gesù.
La scelta di vivere per Cristo diventa necessariamente una scelta di vivere per la Chiesa.
I religiosi partecipano alla costruzione della Chiesa8 in un modo peculiare, offrendo espe-
rienze e itinerari di santificazione e sviluppando apostolati specializzati9.
La vocazione religiosa ha avuto nella storia manifestazioni diverse, sempre cariche di
significato e adeguate ai tempi. Uomini e donne insigni, che sostennero e ravvivarono la
comunità cristiana in momenti difficili c che portarono il Vangelo in regioni non cristiane,
furono religiosi: San Benedetto, San Francesco, Sant'Ignazio, San Francesco Saverio, Santa
Teresa, Don Bosco ... Essi iniziarono progetti di vita e famiglie spirituali che sono offerti
ancora oggi come comunità di ricerca di Dio e santità personale, e come luogo d'impegno
particolare.
Oggi è necessario sottolineare la testimonianza e la realtà di comunione con Dio, frater-
nità umana e impegno storico che i religiosi manifestano in vari modi. Essi infatti ricercano
una qualità di vita centrata in Dio e «offrono agli uomini del nostro tempo opportuni aiuti
per la preghiera e la vita spirituale»10; partecipano alla lievitazione evangelica della storia,
6 PO 5.
7 Cf. PO 6.
8 Cf. PC 26.
9 Cf. MR 11.
10 MR 24.
- 113 -

12.6 Page 116

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con i più svariati contributi e soprattutto con la loro presenza profetica; attualizzano la pre-
ferenza di Cristo per i poveri, per gli ultimi, con molteplici servizi (missioni, scuole, centri
promozionali, ospedali, ecc.).
Esiste anche la vocazione alla secolarità consacrata. Coloro che sono «chiamati» a que-
sta vocazione e la esprimono socialmente negli Istituti secolari sono laici, impegnati in com-
piti secolari; si consacrano totalmente a Dio con la professione dei consigli evangelici. Così
la secolarità e la consacrazione sono i due tratti della loro fisionomia spirituale: per la seco-
larità sono presenti nel mondo, inteso come luogo proprio di responsabilità cristiana, per
servirlo e configurarlo a Cristo, operando «dall'interno a modo di fermento»; per la consa-
crazione il loro rapporto intenso e diretto col mondo diventa espressione e testimonianza
dell'amore e della missione di Cristo.
Sebbene l'informazione su questa vocazione possa richiedere tempi brevi, la conoscenza
reale è, invece, frutto di un contatto più lungo e di una testimonianza percettibile della sintesi
tra valori evangelici e secolarità, tra impegno professionale e consacrazione radicale. Tutto
ciò può presentare difficoltà alla mentalità comune, più abituata a una divisione abbastanza
netta tra «il sacro» e «il secolare».
Infine si dà nella comunità cristiana il fenomeno missionario. Tutta la comunità cristiana
è missionaria11; ma «Cristo Signore chiama sempre dalla moltitudine dei suoi discepoli
quelli che Egli vuole, per averli con sé e inviarli a predicare alle genti»12. Egli «ispira nel
cuore dei singoli la vocazione missionaria e insieme suscita in seno alla Chiesa quelle isti-
tuzioni che si assumono come dovere specifico il compito dell'evangelizzazione, spettante a
tutta la Chiesa»13.
Il missionario è un inviato della comunità ecclesiale, che si reca in un'altra area umana
per annunciare il Vangelo, far sorgere la Chiesa e portare la comunità cristiana a matura-
zione. Con questo diventa anche «segno», «strumento» e «stimolo» dell'apostolicità e uni-
versalità della Chiesa.
Le caratteristiche qualificanti la vocazione missionaria sono dunque: uscire dal proprio
ambiente; inserirsi culturalmente in un popolo e in una chiesa incarnandosi in essi per pro-
muovere e convertire integralmente gli uomini secondo l'immagine di Cristo; assumere que-
st'impegno in maniera stabile; la vocazione missionaria come dedizione piena è, infatti, di-
versa dalle «esperienze» missionarie occasionali.
3. Pedagogia vocazionale
L'appello di Dio, come la sua Parola, s'incarna nelle mediazioni.
Fin dalla nascita è dato a tutti, in germe, un insieme di attitudini e di qualità da far frut-
tificare. La storia personale va creando degli atteggiamenti, dei legami e delle preferenze: il
loro pieno svolgimento permetterà a ciascuno di orientarsi verso la pienezza proposta dal
Creatore14.
La vocazione passa così nel soggetto da una fase di disponibilità per qualunque forma
di vita a una di orientamento generale verso un'area di valori e di modelli; e da questa a
un'attenzione concentrata su un certo tipo di modelli; per sbocciare finalmente in un progetto
di vita concreto.
11 Cf. AG 6.
12 AG 23.
13 AG 23.
14 Cf. PP 15.
- 114 -

12.7 Page 117

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La pedagogia vocazionale consiste nel mettere in gioco mediazioni opportune e auten-
tiche al momento giusto.
Le mediazioni sono comunitarie e personali, ed entrambe sono necessarie e complemen-
tari.
Il sorgere e maturare della vocazione, nel senso più specificamente cristiano, è legato
alle mediazioni capaci d'introdurre in esperienze umane ed ecclesiali valide; sviluppare delle
personalità con senso oblativo; far percepire i segni provvidenziali che rivelano il piano di
Dio; insegnare a corrispondere alle mozioni della Grazia, sentita come una presenza di amore
nella propria vita; pronunciare l'appello di Dio, «chiamando» coloro che presentano dispo-
sizioni e attitudini.
Per rendere possibile questa pedagogia vocazionale s'indica una metodologia generale:
l'orientamento. Tutti i giovani hanno diritto all'aiuto dell'educatore cristiano per orientarsi a
costruire la loro personalità e la loro vita «secondo il Vangelo». In tutte le età è possibile
aiutarli a orientarsi nella scoperta e nello sviluppo della loro vocazione: nella fanciullezza,
nella preadolescenza, nell'adolescenza, nella giovinezza e oltre, poiché ognuna di queste
tappe della vita ha il suo compito di crescita, e richiede decisioni proporzionate che ogni
giovane deve imparare a prendere responsabilmente.
L'orientamento come criterio e metodo di aiuto alla maturazione della vocazione-pro-
getto di vita va inteso in due sensi. Nel soggetto, è il processo interiore attraverso cui si
autodefinisce progressivamente, cioè «si orienta»: interiorità, libertà e responsabilità della
persona ne sono gli aspetti fondamentali. Da parte dell'educatore, è l'assistenza-guida pre-
stata alla persona in via di autodefinizione.
L'orientamento più che un «momento», sia pur peculiare e intenso, è un processo che
segue lo sviluppo unitario e armonico della personalità; si poggia sul protagonismo del sog-
getto che si confronta, secondo le possibilità delle diverse età, con i segni di Dio; aiuta il
soggetto a definire il progetto di vita e a strutturare la personalità attraverso un adeguato e
realistico rapporto con se stesso, un sereno e generoso rapporto con gli altri e con la realtà,
un intenso rapporto con Dio.
Nel processo di orientamento l'educatore-orientatore vocazionale ha un ruolo facilitante,
che sviluppa attraverso l'incontro personale e il dialogo formativo.
L'orientamento si realizza dunque creando quelle condizioni che rendono possibile l'e-
mergere e il maturare delle vocazioni.
Si tratta di qualificare gli ambienti di ampio e immediato riferimento, dove circolano e
si condividono valori cristiani, aiutando le comunità a dare rilevanza agli elementi di parti-
colare incidenza vocazionale; di percorrere con i ragazzi itinerari che favoriscano il chiari-
mento vocazionale, che diano base sicura allo sviluppo dei germi una volta scoperti; e di
accompagnare personalmente il maturare delle decisioni.
3.1 Gli ambienti
Tra gli ambienti c'è in primo luogo la Comunità cristiana.
Essa è il terreno propizio in cui le vocazioni possono germinare e svilupparsi. Nella
comunità, infatti, si trovano i segni e i modelli delle diverse vocazioni; si scoprono i bisogni
e i ministeri che richiedono particolare impegno e donazione; maturano gli atteggiamenti
che rendono possibile la risposta.
La comunità cristiana si converte in terreno propizio per le vocazioni:
quando educa all'ascolto e all'accoglienza della Parola di Dio: in questo modo crea
un atteggiamento abituale che dispone a discernere la proposta personale del Signore;
- 115 -

12.8 Page 118

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quando è una comunità che prega e celebra: la preghiera apre il cuore degli uomini
alla solidarietà e al servizio degli altri; la celebrazione sottolinea la presenza di Dio e il ca-
rattere gioioso della risposta;
quando porta i battezzati a condividere spiritualmente fra loro le scelte e i fatti della
propria vita: nella vita della comunità cristiana si raccolgono, come in un ciclo vitale, le
sofferenze dei suoi malati, la fatica di quanti lavorano, la perseverante «quotidianità» della
vita familiare e dei doveri del proprio stato, lo zelo e il lavoro dei consacrati alla missione
apostolica ...;
quando educa al senso di donazione, di gratuità, che conduce le persone alla pie-
nezza dell'amore e apre alle scelte generose;
quando evidenzia la partecipazione di tutti alla missione della comunità, anche at-
traverso svariati ministeri (ministeri laicali, compiti qualificanti, diaconi ...);
quando accompagna spiritualmente quei suoi membri che hanno sentito la chiamata
a una vita di particolare consacrazione (sacerdoti, religiosi-religiose, ecc.) e ne festeggia
gioiosamente le date significative.
La famiglia costituisce un'esperienza di notevole valore, perché condiziona l'orienta-
mento, la struttura e gli elementi dinamici della personalità.
La famiglia collabora con l'iniziativa di Dio che chiama:
realizzando un amore profondo e maturo, attento a favorire lo sviluppo di ciascuno;
riconoscendo la presenza del Signore nella vita familiare ed esprimendola attraverso
la preghiera;
maturando attitudini di servizio;
mantenendo vivo il senso dei valori cristiani, la disponibilità al sacrificio e una certa
austerità di vita;
educando al senso cristiano di fronte ad avvenimenti, persone ed informazioni;
superando il rischio di rinchiudersi in egoistici progetti di vita nei confronti dei figli,
per aprirsi consapevolmente ai disegni di Dio.
L'animazione vocazionale delle famiglie è possibile per il collegamento che esse hanno
con comunità educative. Ma parlando di progetti educativi è bene sottolineare il ruolo delle
strutture educative.
Perché l'ambiente educativo riesca ad orientare vocazionalmente è necessario:
che il ragazzo viva la sua esperienza all'interno di una vera comunità, capace di in-
carnare e trasmettere valori e ideali (rapporti, partecipazione, dedizione, corresponsabilità,
espressione di fede ...);
che la testimonianza degli educatori irradi fortemente modelli esistenziali di cristiani
riusciti (religiosi, laici ...);
che l'insieme organico degli elementi del progetto educativo favorisca quella matu-
razione culturale umanistica e aperta, e quell'incontro con Gesù Cristo, che dischiudono una
prospettiva generosa e serena per il futuro personale;
- 116 -

12.9 Page 119

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che ci sia un'azione esplicita e personale di orientamento cristiano vocazionale, di-
sponibile per tutti i membri della comunità educativa, particolarmente per i gruppi giovanili
e per i ragazzi singoli;
che ci siano iniziative indirizzate ai ragazzi e ai giovani che mostrano segni di vo-
cazione di particolare consacrazione.
All'interno della comunità educativa o collegati con essa ci sono i gruppi e i movimenti
dove i giovani trovano spazio per il loro protagonismo, la loro comunicazione e maturazione.
I fattori vocazionali della vita di gruppo sono:
l'esperienza di comunità vissuta in termini più sensibili e immediati: il vedere, il
giudicare, l'agire insieme sulle idee, sulla realtà e sugli stessi componenti del gruppo creano
un'abitudine di vigilanza e discernimento che abilitano alla risposta;
l'azione diretta a favore degli altri che costituisce una prima prova di donazione, un
contatto con i bisogni dei fratelli e una esperienza della forza trasformante della presenza di
Dio;
la scoperta della missione ecclesiale attraverso l'incontro personale, necessario per
l'identificazione con le diverse vocazioni in cui si esprime la missione: laici, sacerdoti, reli-
giosi, genitori, dirigenti giovanili ...;
il clima di riflessione sul proprio destino, che allena ad operare gioiosamente le
scelte in funzione dei bisogni degli uomini, della Chiesa e della sua missione salvifica;
la possibilità di contatto confidenziale attraverso il quale gli educatori scoprono le
disposizioni e inclinazioni, e aiutano a dare concretezza agli ideali.
Ogni gruppo impegnato diventa così «vocazionale»: prima di tutto in senso generale,
perché il gruppo si trasforma in esperienza di appartenenza e di partecipazione attiva alla
vita della Chiesa, e perciò di realizzazione della vocazione cristiana; in senso specifico, per-
ché può offrire elementi e itinerari per proporre e coltivare vocazioni di particolare consa-
crazione.
3.2 Gli itinerari
Ci sono alcuni itinerari indispensabili perché i ragazzi passino con sapiente gradualità
dagli interessi iniziali al chiarimento delle motivazioni e alle prime scelte coscienti.
Il primo è l'apertura alla realtà e al contatto umano.
Sono indispensabili per giungere a una conoscenza vera (per riflesso) di sé stesso; a una
progressiva acquisizione di elementi per elaborare un ideale e un progetto di sé; ad una va-
lutazione delle disposizioni e delle attitudini per un ruolo e una missione.
I giovani fanno una prima esperienza spontanea della realtà naturale e storica attraverso
i contatti e i mezzi informativi. Su di essa si innesta un'azione educativa, allargandone i
confini e approfondendone il senso.
Il lavoro educativo mira a favorire un atteggiamento sereno, oggettivo e riflessivo da-
vanti alla realtà, in modo che emerga una visione globale positiva e un equilibrato giudizio
etico su limiti e carenze.
- 117 -

12.10 Page 120

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È auspicabile anche un'apertura programmata a realtà umane che hanno attinenza con
valori e richiami vocazionali: situazioni di bisogno materiale o spirituale, realizzazioni esem-
plari, persone, fenomeni e ambienti culturalmente significativi.
Le relazioni umane rappresentano un settore privilegiato dell'esperienza della realtà.
L'atteggiamento sociocentrico e la capacità di unirsi interiormente agli altri che sono alla
base di una scelta vocazionale con garanzie di maturità non si possono ottenere soltanto
con una formazione teorica. L'unica strada è quella di immergere i giovani in un clima di
relazioni interpersonali, fatte di fiducia, di accettazione, di stima, che li aiuti ad abbandonare
la chiusura difensiva, ad essere veramente se stessi, a dire e dirsi le proprie motivazioni reali.
Viene poi la crescita culturale. L'informazione culturale sistematica che avviene attra-
verso le discipline, la visione sintetica del mondo e dei problemi che lo assillano rappresen-
tano un aiuto e una condizione per l'orientamento della persona.
Attraverso la crescita culturale si sviluppa la capacità di cogliere i significati dei diversi
fenomeni umani; si rende sensibili all'appello dei valori; si radicano abitudini di obiettività,
concretezza e metodicità nell'affrontare i problemi della vita.
Obiettivi più specificamente vocazionali della crescita culturale sono: portare a percepire
il posto centrale dell'uomo in ogni fenomeno, attività, problema e crisi del mondo; abilitare
alla capacità critica sia sui propri pensieri, sentimenti e comportamenti sia su quello che
l'ambiente offre come valore; aiutare a liberarsi dei condizionamenti, relativizzando l'imme-
diato (benessere, consumismo), e ad assumere i valori più consistenti; avviare alla respon-
sabilità personale e all'autonomia nelle decisioni; insegnare a raccogliere ed approfondire le
domande di senso; scoprire l'originalità del Vangelo e dell'esperienza cristiana di fronte al
mondo.
Ma l'itinerario più importante è l'educazione alla fede e la formazione cristiana: è l'a-
spetto che costituisce la base dell'orientamento globale di una persona nella vita.
L'immagine di sé che il giovane va completando negli anni della sua adolescenza e gio-
vinezza dev'essere improntata all'identità cristiana: egli deve sentirsi figlio di Dio, membro
di Cristo, inserito nella Chiesa con un proprio compito. L'ideale di sé dovrà essere costruito
sulle mete del Regno di Dio e sugli atteggiamenti di Cristo. Il progetto di vita dovrà superare,
pur supponendola, la pura relazione umana altruista, per divenire slancio di carità e di amore
di Cristo e del prossimo.
Obiettivi vocazionali particolari della formazione spirituale saranno: disporre il giovane
a percepire la chiamata che proviene dai valori umani e/o cristiani, e muovere la capacità di
interiorizzarli, di appropriarsene; aiutarlo ad impostare la vita come dialogo con Dio e rispo-
sta a Lui; stimolarlo a prendere una posizione di responsabilità, di ricerca attiva della volontà
di Dio, e di oblazione; sviluppare il senso di appartenenza alla Chiesa e di partecipazione
alla sua missione nel mondo; motivarlo ad assumere lo sforzo ascetico che l'incontro col
Signore e gli impegni di vita richiedono.
La formazione spirituale può essere concentrata su alcune linee che si integrano.
La Parola di Dio aiuterà ad assumere la vita come dono di Dio e come «appello»; ad
approfondire la scelta di fede e il fatto battesimale come «vocazione» (vedi le grandi figure
bibliche, i discepoli ...); a vedere la Chiesa come comunità cristiana e «ministeriale» a ser-
vizio della salvezza degli uomini; a cogliere il senso delle vocazioni particolari, soprattutto
quelle di speciale consacrazione; a capire le condizioni e le prospettive di una risposta gene-
rosa; ad avvicinare spiritualmente i grandi modelli di consacrati-chiamati (Maria, gli Apo-
stoli ...).
L'iniziazione alla preghiera e alla liturgia alimenta e dà espressione a quel dialogo vitale
che è la vocazione.
- 118 -

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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L'iniziazione alla preghiera comprende, allo stesso tempo, l'approfondimento di motiva-
zioni; l'abilitazione ad atteggiamenti (riflessione, ascolto, apertura a Dio, senso della sua
presenza); il processo di apprendimento concreto per cui si impara ad alternare formule con
preghiere spontanee, a intrecciare il quotidiano con i «tempi» di preghiera stabiliti, ad assu-
mere le diverse espressioni (lode, ringraziamento, richiesta, semplice dialogo); la pratica che
implica perseveranza e impegno.
Nello sviluppo vocazionale appaiono di particolare efficacia:
la meditazione-riflessione: il passare dalla periferia della propria vita al centro di
unità dove la persona incontra sé stessa, dove scopre la sua individualità e l'appello personale
che Dio le rivolge;
i momenti di concentrazione impostati sulla ricerca delle intenzioni di Dio nella pro-
pria vita.
Attraverso la liturgia la persona impara a vivere il rapporto con Dio come membro della
Chiesa, a percepire in essa la propria missione, a superare la propria esperienza soggettiva,
per vivere in comunione con i fratelli, in atteggiamento di adorazione.
Della ricca esperienza liturgica vogliamo qui sottolineare il valore vocazionale della cre-
sima come inizio cosciente dell'impegno per il Regno; dell'eucaristia, in cui la vocazione
viene più chiaramente percepita, si sviluppa e si definisce a contatto col dono gratuito e totale
di Cristo; della penitenza che è «stimolo a conformarsi più intimamente a Cristo e a rendersi
sempre più docili alla voce dello Spirito»15. È importante che segni con regolarità le tappe
della crescita cristiana dei singoli chiamati, per favorire anche l'opera di discernimento del
disegno di Dio su ciascuno di loro. Nella prassi salesiana è allo stesso tempo sacramento e
incontro pedagogico di orientamento.
Infine come itinerario vocazionale c'è la partecipazione attiva alla vita della comunità
ecclesiale.
L'impegno sociale e apostolico diventa per il giovane scoperta dei luoghi e modi concreti
in cui vivere una vocazione.
Il servizio ai più poveri e bisognosi, vicini o in terre lontane, coinvolge sempre di più,
esige man mano la donazione totale di chi vi si impegna. In questa donazione di fede nasce
facilmente il desiderio e il proposito di essere non solo strumenti occasionali, ma, come
Cristo, inviati «a portare ai poveri la notizia della loro salvezza»16.
Esperienze di questo tipo costituiscono pedagogia vocazionale quando:
approfondiscono le motivazioni fino a far prevalere quella della fede su tutte le altre:
«essere segno, testimonianza e ministri dell'amore di Dio»;
mettono in contatto con interventi e persone che riflettono chiaramente l'originalità
cristiana nell'azione sociale e promozionale;
creano una prassi che porta alla riflessione e alla preghiera e queste ad un approfon-
dimento dell'impegno.
3.3 L'orientamento personalizzato
Il contatto formativo, come accompagnamento personale, da parte dell'educatore, è in-
sostituibile.
15 Rito della Penitenza, premessa n. 7.
16 Lc 4,18.
- 119 -

13.2 Page 122

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Con i ragazzi acquista la forma di colloquio educativo-pastorale. Supera la forma della
discussione, dell'interrogatorio, del discorso didattico da parte dell'orientatore, il tentativo di
spingere il soggetto verso le preferenze e scelte di vita dello stesso orientatore.
Ha lo scopo di creare una situazione interpersonale, attraverso la quale il soggetto può
diventare più libero e capace di percepire se stesso, la realtà e i segni di Dio; offre al soggetto
clementi per una visione limpida e illuminata della propria interiorità e delle motivazioni del
comportamento; dispone ad accogliere, a capire la mozione dello Spirito; aiuta a far la sintesi
delle varie esperienze e a orientarle verso un progetto di vita in Dio; accompagna e sostiene
il lavoro di Dio, lo verifica insieme al giovane, per sviluppare una sicura spiritualità cristiana;
equilibra, educativamente, sviluppi non consoni alla crescita cristiana (scrupoli, devozioni-
smo, intimismo, ecc.).
Il colloquio educativo-pastorale è dinamico nella forma come nell'impostazione. Infatti
può centrarsi sia nel rapporto, sia nel problema presentato, sia nelle situazioni vissute. Ri-
chiede, comunque, da parte dell'orientatore-direttore di accettare profondamente la respon-
sabilità educativa di «assistere»; avere una proporzionata formazione teologica e una cono-
scenza delle leggi fondamentali della psicologia, così come dell'aspetto particolare che ri-
guarda la vocazione; testimoniare personalità matura ed esperienza gioiosa della propria
scelta; conformarsi alla misura dell'interlocutore; esercitare una funzione di sostegno dell'in-
telligenza in via di maturazione e della volontà ancora non organizzata alla totale responsa-
bilità degli atti.
Nello stile salesiano il colloquio non si esaurisce in un momento formalizzato, ma si
sviluppa condividendo la vita e approfittando degli spunti che questa offre.
4. Aspetti programmatici e organizzativi
Per attuare quanto si è cercato di esprimere sopra, il progetto educativo dovrà contem-
plare una sensibilizzazione e una presa di coscienza da parte di tutti i componenti della co-
munità educativa sull'orientamento vocazionale attraverso un quadro di riferimento ade-
guato.
Dovrà inoltre curare che gli elementi di richiamo, proposta e discernimento vocazionale
interni alle diverse aree di contenuto e di interventi (culturali, catechistici, comunitari) ab-
biano rilevanza.
Può anche fare una scelta di iniziative ordinarie e straordinarie atte a offrire ai giovani
elementi di conoscenza delle diverse esperienze cristiane.
Infine c'è da pensare ai ruoli e funzioni animatrici che mantengono sempre presenti nella
programmazione e nell'azione la dimensione orientativa. Il servizio «tecnico» di orienta-
mento professionale costituisce un punto di appoggio valido purché insieme alle proprie
istanze immediate e specifiche assuma anche le prospettive, le istanze e gli itinerari della
pastorale in generale e di quella più specifica che viene chiamata «pastorale delle vocazioni».
Ciò richiederà uno stretto collegamento con coloro che hanno a carico l'evangelizzazione, la
catechesi e l'animazione pastorale.
- 120 -

13.3 Page 123

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14. SISTEMA PREVENTIVO
Vecchi, J.E., Sistema preventivo in Vecchi J.E. - J.M. Prellezo García, «Progetto educativo pastorale: elementi modulari»,
Enciclopedia delle scienze dell'educazione 4, Roma, LAS, 1984, p.72-89.
1. Significato e fonti - 2. Un'ispirazione unitaria - 3. Il criterio preventivo - 4. Obiettivi e contenuti: l'uomo e il cristiano; la
persona e il cittadino - 5. Il principio del metodo: l'amorevolezza - 6. Interventi coerenti e convergenti - 7. Le «opere» o i
programmi educativi. - 8. Bibliografia del contributo.
1. Significato e fonti
Il movimento educativo e pastorale che si ricollega alla figura di Don Bosco si sente
portatore di un insieme di ispirazioni pedagogiche ed erede di una prassi educativa che de-
nomina in forma generale e sintetica Sistema Preventivo.
L'espressione non è per sé atta a dischiudere il contenuto e la visione globale di questa
pedagogia. Rimane comprensibile per gli iniziati che conoscono il repertorio aneddotico e
sono frequentatori degli scritti del grande Educatore.
Gli scritti stessi però sono un'espressione limitata e parziale di questa pedagogia. Essi
non mancano certo di originalità, ma non bisogna cercare in essi né la sistemazione ordinata
delle idee, né la completezza organica del discorso. Sono narrativi, didattici, alle volte con-
fidenziali e familiari. Hanno come finalità comunicare un'esperienza certamente riflettuta e
approfondita. La sintesi agognata e promessa da Don Bosco sul Sistema Preventivo non è
stata mai da lui stesa; Don Bosco ci ha lasciato soltanto una specie di indice di essa, in cui
traspare un certo senso d'insoddisfazione per la mancanza di espressività e trasparenza del
testo.
Al di là degli scritti ce la storia personale di Don Bosco che è la manifestazione più
completa del suo sistema. Scritti pedagogici e vita vanno, dunque, avvicinati contempora-
neamente, e allo stesso tempo va recuperata tutta quella riflessione spicciola che tante volte
si concentra in brevissimi detti, lettere e consigli. Non si tratta tanto di capire un sistema di
idee, ma di entrare in contatto con una vocazione pedagogica, con un'esperienza vitale e con
una spiritualità.
Inoltre va rilevato che non è possibile in Don Bosco staccare il Sistema Preventivo e la
prospettiva educativa da altre preoccupazioni che li accompagnano e per qualche momento
li superano, sottraendogli anche del tempo: la preoccupazione caritativa per cui voleva libe-
rare dalla povertà e dalla miseria i giovani e si sottometteva per loro al compito gravoso di
elemosiniere, la tensione pastorale che lo portava a cercare la salvezza cristiana del popolo
e a intervenire in altri campi dell'azione ecclesiale come la diffusione di libri, la costruzione
di templi, le missioni. Già dunque l'avvicinamento alla fonte non consente semplificazioni,
schematizzazioni o enfatizzazioni di formule limitate.
Però il sistema non è rimasto completo alla morte di Don Bosco. Ereditato da un movi-
mento di educatori è stato applicato da questi in una grande varietà di contesti culturali ed
espresso in programmi educativi diversificati. Per una comprensione adeguata vanno ricol-
legati, dunque, e confrontati la fonte (biografia, scritti di Don Bosco), la prassi susseguente,
cioè la diffusione di questa ispirazione educativa in nuovi mondi e nuove iniziative, e la
riflessione elaborata dai seguaci sulla propria prassi e nel confronto con nuove correnti di
pensiero.
Sarebbe sbagliato voler desumere la globalità del «sistema» soltanto da Don Bosco,
ignorando cento anni di storia. Si tratta infatti di una pedagogia aperta che assimila contenuti
- 121 -

13.4 Page 124

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e metodologie attorno a un certo nucleo identificatore, che si arricchisce non soltanto con
nuovi approcci alle fonti, ma anche con nuove aperture teoretiche e pratiche. In ciò continua
la legge che ha regolato il suo nascere e i suoi primi sviluppi. Difatti nella prassi e nella
riflessione di Don Bosco si trovano collegamenti con i fermenti pastorali ed educativi del
suo tempo. Il quadro dottrinale che lo guida recepisce le idee proposte dalla teologia e dalla
formazione umanistica di allora. Si esprime e lavora con queste idee, facendo i ridimensio-
namenti pratici che l'esperienza gli suggerisce. Nelle iniziative assume sovente i modelli
esistenti (oratorio, scuola, laboratori), sebbene immetta in essi uno stile particolare. Quando
delineiamo la sua originalità appare con sufficiente chiarezza che ci troviamo davanti ad un
assimilatore, ad un sintetizzatore. Ci sono canali di alimentazione che lo uniscono alle cor-
renti, alla mentalità, ai problemi e alle iniziative del suo tempo, sebbene egli non rifletta
semplicemente l'ambiente, ma selezioni, trasformi, sintetizzi e dia a ciascun elemento un'in-
tensità e una collocazione singolare.
La sintesi finale risulta originale soprattutto per gli atteggiamenti pratici e per le solu-
zioni concrete. Il dialogo con le correnti pedagogiche e pastorali contribuisce ad approfon-
dire intuizioni che hanno bisogno di esplicitazioni, e ad incorporare nuovi stimoli.
Da quanto detto scaturisce un criterio per la comprensione e l'aggiornamento del Sistema
Preventivo e per una progettazione educativa che voglia ispirarsi ad esso. Le formulazioni
troppo sintetiche e troppo accettate e ripetute rischiano di eclissare la ricchezza originale e
gli interrogativi che più interessano la prassi attuale, se non vengono decodificate. Più che
norme o precisi obiettivi pedagogici, sono ispirazioni o criteri di partenza che vanno rivisitati
e ritradotti in metodologie e itinerari adeguati all'oggi.
È da prendersi come un'indicazione necessaria per un serio approccio al Sistema Pre-
ventivo, lontano dalla retorica e dalla devozione, quanto asserisce Don Pietro Braido: «Af-
fermata l'idea che Don Bosco non ci ha lasciato soltanto un influsso indefinito di bene, o
un'ispirazione generica, è necessario dire una parola sulla natura dinamica del sistema nel
momento della creazione e oggi in tempo di traduzione. Non potrebbe giustificarsi il riferi-
mento esclusivo a momenti o documenti particolari o ritenuti privilegiati nella sua vita»17.
Un sistema, dunque, che si sviluppa ancora, pur avendo una direzione nel suo movi-
mento, che è stato sempre lo stesso nella sua identità e che può essere anche nuovo nelle sue
manifestazioni e nell'organizzazione concreta dei contenuti.
2. Un'ispirazione unitaria
La prima cosa che dobbiamo tener presente quando ci prefiggiamo una traduzione at-
tuale del patrimonio pedagogico e pastorale di Don Bosco è la portata reale della parola
sistema. Si è discusso se Don Bosco era il creatore di un sistema o soltanto di un metodo e
di uno stile18. Si è chiarito che non si deve cercare in Don Bosco un sistema pedagogico in
senso tecnico, rigoroso, scientifico e formale sino a fare di lui un «pedagogista», cioè un
teorico della pedagogia o della pastorale.
Si sa che l'elaborazione dell'insieme di ispirazioni e iniziative non ha seguito il cammino
tipico delle sistemazioni intellettuali. È stato notato anche che non siamo davanti ad un uomo
incline a far delle costruzioni concettuali: non era nel suo temperamento, non glielo permet-
tevano gli impegni assillanti, non faceva parte dei suoi obiettivi.
17 P. BRAIDO, Il progetto operativo di Don Bosco e l'utopia della società cristiana, [Quaderni di «Sa-
lesianum», 6], Roma, LAS, 1982, p. 5.
18 P. BRAIDO, Il Sistema Preventivo di Don Bosco, Zürich, PAS-Verlag, 1964, p. 21-46.
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13.5 Page 125

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Eppure sono da valutarsi per le conseguenze pratiche alcune conclusioni a cui, dopo
attento studio, giungono gli studiosi.
Pur non volendo «imprigionarsi» in un sistema rigido e stereotipato che gli troncasse la
libertà e la sveltezza di movimenti di fronte a nuove iniziative o nuove esigenze, Don Bosco
era molto cosciente degli obiettivi da raggiungere e delle strade da percorrere. Così come
aveva una particolare visione dell'uomo, della società e del mondo che serviva da supporto
e quadro di riferimento per le sue scelte educative.
È chiaro dalla sua biografia che non «operò a caso in campo educativo», ora adottando
un metodo, ora un altro. In tutte le attività si rivelò non improvvisatore, ma paziente «tessi-
tore». Il concetto responsabile che ha della missione educativa e alcune sue raccomanda-
zioni, per esempio il quaderno delle esperienze, ce lo mostrano come un uomo che assimila,
cerca nella continuità e confronta.
Anche se noi conosciamo la sua esperienza attraverso aneddoti, fatti, detti brevi e sintesi
non esaustive, è possibile, «osservando la sua pratica e cogliendo le sue intuizioni, ricostruire
una visione complessa e organica sia dei suoi princìpi teoretici ispiratori, sia delle sue appli-
cazioni metodologiche»19.
Bisogna distinguere, ai fini di una migliore comprensione, due tempi nell'esperienza di
Don Bosco; due tempi che non si contrappongono, né si negano; anzi si susseguono come al
momento dell'analisi segue il momento unificatore.
Il primo si colloca quando, lavorando da solo, giovane sacerdote, guidato da intuizioni
germinali e fondamentali, incominciò i suoi incontri con i ragazzi. È il tempo dell'oratorio
ambulante, ricco di creatività e modello dell'atteggiamento personale, della capacità d'incon-
tro e di dialogo, il tempo della ricerca di soluzioni per i problemi dei giovani.
Nel secondo momento molte delle intuizioni iniziali, senza perdere nulla della loro fre-
schezza e vitalità, si erano concretizzate ormai in una comunità di educatori, con tratti spiri-
tuali caratteristici e con una prassi definitiva, che applicava un metodo pedagogico con obiet-
tivi chiari, con convergenza di ruoli pensati in funzione di un programma stabilito, capace
di creare iniziative coerenti con gli obiettivi scelti.
È in questo momento di maturità storica che le esperienze diventano sistema e Don Bo-
sco si propone di tramandarle nella forma più organica possibile, esplicitando la concezione
di fondo e indicandone i capisaldi.
Ne sono prova tre documenti fondamentali e cioè Il Sistema Preventivo nell'educazione
della gioventù (1877), i Ricordi confidenziali ai Direttori (1871 e 1886) e la lettera da Roma
(1884) considerata «il documento più limpido ed essenziale della pedagogia di Don Bo-
sco»20.
Sistema, dunque, indica un insieme unitario e coerente di contenuti da trasmettere, vi-
talmente connessi, e una serie di metodi o procedimenti per comunicarli. Indica anche un
insieme di processi di promozione umana, di annuncio evangelico c di approfondimento
della vita cristiana, fusi armonicamente in una prassi21.
La parola sistema ci richiama a una sintesi di elementi diversi che si spiegano e si ap-
poggiano vicendevolmente, ad una convergenza armonica di fattori che s'illuminano e s'in-
fluenzano reciprocamente, nessuno dei quali si può eliminare senza che gli altri ne soffrano
e soprattutto senza che ne soffra l'insieme.
19 P. BRAIDO, Il Sistema Preventivo di Don Bosco, p. 59-63.
20 P. RICALDONE, Don Bosco Educatore, vol. 1, Colle Don Bosco, LDC, 1951, p. 79.
21 CG21 80.
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13.6 Page 126

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La sistematicità, intesa come armonia di elementi, si percepisce negli obiettivi articolati
che conformano una particolare immagine di uomo. È difficile pensare una formazione reli-
giosa, come il Sistema Preventivo la propone, senza tenere in conto quella particolare matu-
razione umana che lo stesso sistema offre, e viceversa. Il sistema non permette di dimenticare
o di porre fra parentesi uno di questi aspetti senza che l'altro ne risenta.
La coerenza degli elementi si percepisce anche nell'unità degli interventi, tutti ispirati
all'amorevolezza, che conferisce al sistema una solida unità metodologica.
L'unità dell'insieme è stata scoperta con più chiarezza man mano che si è approfondita
e rivissuta l'esperienza originale e il suo successivo sviluppo. In un primo tempo il Sistema
Preventivo è apparso quasi esclusivamente nel suo aspetto di metodo pedagogico. È stato
poi esteso a tutte le attività degli operatori, esplicitamente educative e non, come un partico-
lare criterio pastorale.
Infine si è insistito che pedagogia e pastorale suppongono, comportano e allo stesso
tempo sviluppano una spiritualità. Si sono ricollegati così tutti i punti di un circuito di istanze
ed ispirazioni che vanno dalla coscienza e dalla vita degli educatori, alle iniziative di lavoro,
mettendo sotto un'unica luce e ispirazione stile comunitario, programmi di attività, obiettivi,
contenuti e metodi pastorali.
Sono da confrontarsi, dunque, anche oggi la concezione dell'uomo storico, gli obiettivi
educativi, la figura dell'educatore, la metodologia generale, gli interventi tipici e i contenuti
delle diverse aree. Senza questa visione globale riesce difficile pensare ad una traduzione
fedele e ad un'applicazione odierna che superi l'esemplarismo morale. Non giova l'affermare
isolatamente qualche elemento singolo, collocandolo per tentazione enfatica come unico
ispiratore del sistema. Taluni hanno parlato della bontà, tralasciando il solido tessuto di con-
tenuti ed impegni, altri hanno enfatizzato la creatività senza badare alla valutazione delle
istituzioni insita nel sistema. Non mancò chi isolasse la catechesi, non vedendo che questa
va inserita in un processo di crescita umana, o chi, insistendo sull'aspetto educativo o pro-
mozionale, non si accorse che si tratta di una promozione evangelica.
La sintesi, il carattere unitario, sebbene aperto e dinamico, la coerenza di prospettive,
l'ispirazione organica, sono la prima condizione per un'ulteriore analisi di elementi singoli.
Questi non andranno studiati nel loro significato formale e isolato, ma piuttosto attraverso
una comparazione con gli altri punti del sistema.
3. Il criterio preventivo
«Due sono i sistemi in ogni tempo usati nell'educazione della gioventù: preventivo e
repressivo»22. È evidente che in parecchie affermazioni di Don Bosco la preventività non è
soltanto un elemento particolare nel sistema, ma una caratteristica globale, un punto di coa-
gulo, una prospettiva. È dunque indispensabile approfondirne il significato.
L'idea preventiva accompagna costantemente l'educazione cristiana sin dalle prime ma-
nifestazioni, ed è legittimata da presupposti teologici, psicologici e pratici.
Nei primi decenni del xix secolo si afferma anche nei settori politico e sociale, con il
duplice intento di arginare, prima che dilaghi, il male che tende a crescere e diffondersi, con
misure di vigilanza e controllo; e in secondo luogo con lo scopo di rimuovere le cause radi-
cali delle piaghe sociali attraverso la promozione delle persone23. Si tratta di precludere la
22 P. BRAIDO (Ed.), Scritti sul Sistema Preventivo nella educazione della gioventù, Brescia, La Scuola,
1965, p. 291.
23 P. BRAIDO (Ed.), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, vol. 2. Sec. XVII-XIX, Roma, LAS,
1981, p. 271.
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13.7 Page 127

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strada alla criminalità, alla delinquenza, alla mendicità con la carità, l'assistenza all'infanzia,
il soccorso alla gioventù pericolante, con l'istruzione religiosa. «La categoria del preventivo
unifica l'intera gamma delle opere di beneficenza e cioè di assistenza e di educazione per i
poveri»24.
L'idea è particolarmente applicata all'educazione, che viene considerata come forma
completa ed efficacissima di prevenzione. Il discorso dell'educazione come prevenzione è
anteriore a quello della preventività nell'educazione. Nella stessa linea viene considerata la
religione che esercita «la più sublime e la più valida influenza, soprattutto nella sua espres-
sione suprema che è il Cristianesimo»25.
Non sarebbe difficile raggranellare negli scritti e nei commenti del tempo citazioni che
facciano vedere l'estensione del concetto di preventività, il suo significato articolato e la sua
svariata applicazione. Altrettanto facile sarebbe collegarle per far emergere il punto di rife-
rimento finale: la salvezza della persona e la preservazione e lo sviluppo della società in una
determinata linea.
Non sono mancate costellazioni di educatori, apostoli e benefattori che hanno applicato
il criterio preventivo, ne hanno difeso la validità, ne hanno spiegato il senso e hanno coniato
persino espressioni identiche a quelle che noi troviamo in Don Bosco, come: sistema pre-
ventivo, disciplina preventiva, metodo preventivo, ecc.
Don Bosco viene considerato un rappresentante emergente del Sistema Preventivo
nell'opera assistenziale e nell'educazione, particolarmente per ciò che si riferisce all'aspetto
pratico-operativo e alla sua diffusione.
Che abbia assunto la mentalità e l'idea preventiva sembra fuori dubbio. Lui stesso ci
narra come gli balenò nella mente, mentre visitava le carceri e rifletteva sulla sorte dei gio-
vani carcerati. «Vedere turbe di giovanetti, sull'età dai 12 ai 18 anni, tutti sani, robusti, d'in-
gegno svegliato, ma vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentar di pane spirituale e
temporale, fu cosa che mi fece inorridire ... Chi sa, diceva tra me, se questi giovanetti aves-
sero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione
nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuito il
numero di coloro che ritornano in carcere?»26.
Di essa sembra abbia fatta la prima sintesi e contrapposizione pubblica, quando nell'a-
prile del 1854 spiegò all'incuriosito ministro Rattazzi il suo sistema con queste parole:
«Vostra Eccellenza non ignora che vi sono due sistemi di educazione: uno
è chiamato sistema repressivo, l'altro è detto sistema preventivo. Il primo si
prefigge di educare l'uomo con la forza, col reprimerlo e punirlo, quando ha
violato la legge, quando ha commesso il delitto; il secondo cerca di educarlo
colla dolcezza, e perciò lo aiuta soavemente ad osservare la legge medesima ...
Anzitutto qui si procura d'infondere nel cuore dei giovanetti il santo timor di
Dio, loro s'inspira amore alla virtù ed orrore al vizio, coll'insegnamento del ca-
techismo e con appropriate istruzioni morali; s'indirizzano e si sostengono nella
via del bene con opportuni e benevoli avvisi, e specialmente colle pratiche di
pietà e di religione. Oltre a ciò si circondano, per quanto è possibile, di un'amo-
revole assistenza in ricreazione, nella scuola, sul lavoro; si incoraggiano con
parole di benevolenza, e non appena mostrano di dimenticare i propri doveri,
loro si ricordano in bel modo e si richiamano a sani consigli. In una parola si
24 Ibid., p. 274.
25 Ibid., p. 278.
26 MO p. 123.
- 125 -

13.8 Page 128

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usano tutte le industrie, che suggerisce la carità cristiana, affinché facciano il
bene e fuggano il male per principio di una coscienza illuminata e sorretta dalla
Religione»27.
Il significato formale del termine preventivo «non è più atto a donarci la chiave del se-
greto profondo della pedagogia di Don Bosco»28. Ma va rilevato che attraverso una serie di
approfondimenti e sintesi successive emergono con chiarezza il suo senso fondamentale e le
sue applicazioni pratiche. Preventivo significa:
anticiparsi al prevalere di situazioni o abitudini negative in senso materiale o spiri-
tuale; non, dunque, una pedagogia o un'azione sociale clinica di recupero, ma iniziative e
programmi che dirigono le risorse della persona ancora sane verso una vita onesta;
sviluppare le forze interiori che daranno al ragazzo la capacità autonoma di liberarsi
«dalla rovina, dal disonore»;
creare una situazione generale positiva (famiglia, istruzione, lavoro, amici...) che
stimoli, sostenga, sviluppi la comprensione, dia il gusto del bene: «far amare la virtù, mo-
strare la bellezza della religione»;
vigilare e «assistere»: essere presenti per evitare tutto quello che potrebbe avere delle
risonanze negative definitive, o che più immediatamente potrebbe guastare il rapporto edu-
cativo che serve da mediazione per le proposte e i valori: è l'aspetto protettivo e disciplinare
delle preventività;
liberare dalle occasioni che superano le forze normali dei ragazzi, senza per questo
rinchiuderli in un ambiente superprotettivo; non mettere alla prova del male, ma impegnare
le forze già risvegliate in esperienze positive.
Il significato complesso e ricco della preventività che si estende alle iniziative, al metodo
educativo, allo stile disciplinare, si chiarisce con questo vocabolario: anticipazione, sviluppo
e costruzione della persona, condizionamento positivo, presenza stimolante, misura nelle
richieste e nelle esigenze, aiuto personale per superare i momenti attuali positivamente men-
tre ci si prepara per il futuro.
4. Obiettivi e contenuti: l'uomo e il cristiano; la persona e il cittadino
Il programma educativo e pastorale è orientato da una concezione dell'uomo inteso non
soltanto come essenza, ma anche come esistenza storica.
Due grandi aspetti caratterizzano questa visione. Per farla diventare programma anche
per i giovani Don Bosco l'esprimeva in formule semplici ma chiare:
buon cristiano e onesto cittadino;
salute, sapienza, santità;
evangelizzazione e civilizzazione;
studio e pietà;
bene dell'umanità e della religione;
27 P. BRAIDO (Ed.), Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, vol. 2. Sec. XVII-XIX, p. 314-315.
28 P. BRAIDO, Don Bosco, Brescia, La Scuola, 1969, p. 90.
- 126 -

13.9 Page 129

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avviare i giovani sul sentiero della virtù e renderli abili a guadagnarsi onestamente
il pane della vita;
lavoro a prò delle anime e della civile società;
diventare la consolazione dei parenti, l'onore della patria, buoni cittadini in terra per
essere poi un giorno fortunati abitatori del cielo.
Ultimamente il significato di queste formule è stato ritradotto in nuove espressioni: «pro-
mozione integrale cristiana», «educazione liberatrice cristiana», «evangelizzare educando
ed educare evangelizzando».
In fondo comprende la ragione e la religione, l'uomo e il suo incontro vitale con Dio, la
dignità umana e la salvezza eterna, il Vangelo e la storia, il mondo con la sua consistenza e
l'appello alla trascendenza. A ciascuno di questi due aspetti si riconosce un proprio valore e
tutti e due confluiscono a formare l'uomo completo.
Il sapere (lo studio), il dovere (la responsabilità), la buona educazione (i rapporti), il
lavoro (la professionalità), il rispetto dell'ordine pubblico (la socialità) conformano la di-
mensione culturale non come un compartimento stagno dalla fede e dalla religione, ma come
espressioni concrete di queste. «Il nostro programma sarà inalterabilmente questo; lasciateci
la cura dei giovani e noi faremo tutti i nostri sforzi per far loro il maggior bene che possiamo,
che così crediamo di poter giovare al buon costume e alla civiltà»29.
La moralità, la coscienza, la fede, la conoscenza delle verità del cristianesimo, la pratica
religiosa, l'impegno nella comunità ecclesiale conformano la dimensione religiosa, non stac-
cata dalle esperienze umane, ma dando a queste profondità e senso.
I due aspetti non sono giustapposti, ma si permeano, si sostengono e si aiutano mutua-
mente. La ragione è piena di motivi che provengono dalla fede, per cui il senso del dovere è
religioso, la socialità affonda le sue radici nel precetto e nell'esempio di carità che ci viene
da Dio; la moralità si basa su di un ordine naturale che è manifestazione della legge divina
e sui precetti rivelati. Viceversa la religione è ragionevole e richiede la comprensione delle
verità che ci si propongono, l'applicazione alla vita concreta per umanizzarla, e spinge verso
impegni storici valutabili.
Ma ancora non è detto tutto: tra i due grandi aspetti, culturale e religioso, umanistico e
trascendente, promozionale ed evangelizzatore, c'è una gerarchia. Tutti, credenti e non,
hanno riconosciuto che la sintesi pedagogica di Don Bosco è caratterizzata dall'anima reli-
giosa, dalla centralità della fede. Nell'integralità c'è, dunque, un «primum» in importanza: il
cuore religioso della persona.
L'uomo ben formato e maturo è quello che colloca, al vertice del sapere, la conoscenza
di Dio; al vertice del proprio progetto, la salvezza eterna; al centro della propria coscienza,
il rapporto con Dio.
C'è ancora una particolarità da sottolineare: l'ideale integrale di Don Bosco è caratteriz-
zato dalla moderazione, che rifugge sia dal futurismo dell'uomo nuovo e inedito, sia dalla
volontà di restaurazione che riproporrebbe il ritorno alle vecchie espressioni e gli adegua-
menti di condotte a forme retrive di vita individuale e sociale. È un tentativo di sintesi tra
l'essenziale e lo storico, tra il tradizionale e l'innovativo. L'uomo che Don Bosco ha davanti
è una sintesi di credente della tradizione e di cittadino dell'ordine nuovo, di colui che è co-
sciente del suo orizzonte definitivo e vive nella temporalità.
29 Bibliofilo Cattolico o Bollettino Salesiano Mensuale, Agosto 1877, III(5), p. 2.
- 127 -

13.10 Page 130

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Il tutto è stato attuato in un primo tempo in un contesto particolare: quello cristiano e
occidentale. Nel suo ambiente la Chiesa, per quanto travagliata da difficoltà a causa di alcuni
fenomeni in crescita, era sempre un fatto visibile e rilevante. I sacramenti, la Madonna, il
tempio ciano riferimenti familiari ai ragazzi. La società che Don Bosco prospetta e di cui i
suoi ragazzi sarebbero dei cittadini attivi, è un'ideale «societas christiana», costruita sui
nuovi ideali dell'uguaglianza relativa, della pace e della giustizia, assicurati dalla morale e
dalla religione. Così come la persona doveva essere buon cristiano e onesto cittadino, la
società costruita dai suoi sforzi doveva divenire spazio di pace e di benessere e contempora-
neamente stimolo alla fede e alla salvezza.
È stato poi trasferito in ambienti dove l'atteggiamento religioso non ha le espressioni, i
segni e i momenti cristiani. E affronta oggi sia gli ambienti non cristiani, sia quelli in cui la
religiosità popolare ha una sua vitalità, sia quelli dominati dalla mentalità secolaristica.
Applicato con duttilità, gradualità e sincero rispetto verso i valori umani e religiosi pre-
senti presso le culture e le religioni dei giovani, esso produce frutti sul piano educativo, libera
energie di bene, e in non pochi casi pone le premesse di un libero cammino di conversione
alla fede cristiana.
Pure con questa diversità secondo il livello dei giovani è vero che tutto il progetto edu-
cativo trova la sua ispirazione e le sue motivazioni nel Vangelo30.
È interessante avvicinare alcune interpretazioni più recenti del binomio ragione-reli-
gione, come sintesi contenutistica c come espressione di un obiettivo.
Il «primum» della religione comporta, secondo queste riformulazioni, tre opzioni. La
prima è che tutte le attività e proposte che gli educatori offrono, qualunque sia la loro natura
e il loro livello, hanno un'intenzione evangelizzatrice. Quando il Vangelo non è ancora pro-
posto esplicitamente, la vita e gli atteggiamenti degli educatori lo manifestano e lo offrono
in maniera desiderabile. La chiarezza dell'obiettivo si accorda con la gradualità della strada,
l'unità dei criteri con la differenziazione della proposta là dove i mezzi pedagogici della
religione non sono proponibili.
In secondo luogo comporta il collegare profondamente il Vangelo con la cultura e il
progresso culturale con il Vangelo. Si tratta di far vedere come le grandi aspirazioni indivi-
duali e sociali trovano in Cristo c nella comunità che lo continua una risposta adeguata e una
proposta che rimanda ancora più in là della richiesta.
L'itinerario può partire da interessi culturali. In questi bisogna fare un'opera di libera-
zione, per superare istinti di possesso individuale; bisogna stimolare a porsi delle domande
sul senso di questi interessi e valori, spingendo la ricerca verso le spiegazioni ultime, e aprire
così, non appena si presenta l'opportunità, il discorso sulla umanità di Cristo.
Infine l'incontro con Dio sarà lo scopo ultimo dell'educazione, sia che si possa proporre
esplicitamente fin dall'inizio, sia che si debba assumere una pedagogica gradualità ritmata al
passo della libertà del giovane; sia che questo incontro avvenga con la mediazione esplicita
e accettata di Cristo e della Chiesa, o rimanga soltanto un'istanza della coscienza e come una
manifestazione ancora generica del senso religioso. Religione vorrà dire, dunque, forma-
zione spirituale, sviluppo del senso religioso, educazione della religiosità, rilevanza alla pro-
blematica esistenziale, informazione evangelica, conoscenza di Gesù Cristo secondo il li-
vello dei giovani.
La ragione e l'istanza umanistica richiamano invece alla conoscenza profonda della con-
dizione dei giovani, per scoprire quali degli stimoli, che loro respirano, facilitano una rea-
lizzazione piena e quali vi si oppongono. Richiedono anche la sollecitudine per i valori che
30 CG21 91.
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in una determinata cultura esprimono l'ansia di completezza umana e di progresso, secondo
le condizioni e sfide a cui questa cultura è sottoposta.
Un quadro di valori e istanze attuali che traduce il richiamo alla «ragione» come conte-
nuto può essere quello formulato in un momento di riflessione dagli educatori che si rifanno
al Sistema Preventivo: «Sul piano della crescita personale vogliamo aiutare particolarmente
il giovane a costruire una umanità sana e equilibrata, favorendo e promovendo:
una graduale maturazione alla libertà, all'assunzione delle proprie responsabilità per-
sonali e sociali, alla retta percezione dei valori;
un rapporto sereno e positivo con le persone e le cose che nutra e stimoli la sua
creatività, e riduca conflittualità e tensioni;
la capacità di collocarsi in atteggiamento dinamico-critico di fronte agli avveni-
menti, nella fedeltà ai valori della tradizione e nell'apertura alle esigenze della storia, così da
diventare capace di prendere decisioni personali coerenti;
una sapiente educazione sessuale e all'amore che lo aiuti a comprenderne la dinamica
di crescita, di donazione e di incontro, all'interno di un progetto di vita;
la ricerca e la progettazione del proprio futuro per liberare e convogliare verso una
scelta vocazionale precisa l'immenso potenziale che è nascosto nel destino di ogni giovane,
anche nel meno umanamente dotato.
Sul piano della crescita sociale vogliamo aiutare i destinatari ad avere un cuore e uno
spirito aperti al mondo e agli appelli degli altri. A questo fine educhiamo:
alla disponibilità, alla solidarietà, al dialogo, alla partecipazione, alla corresponsabi-
lità;
all'inserimento nella comunità attraverso la vita e l'esperienza del gruppo;
all'impegno per la giustizia e per la costruzione di una società più giusta e umana31.
L'istanza umanistica porta a valutare positivamente le istituzioni educative e culturali,
dove si è fatto lo sforzo di raccogliere il meglio delle aspirazioni di una cultura e ad inserirsi
attivamente nel loro dinamismo.
5. Il principio del metodo: l'amorevolezza
Il «sistema» contempla anche un insieme sufficientemente organico d'interventi, di me-
todi e di mezzi con cui il ragazzo viene interessato e stimolato all'autosviluppo. L'ispirazione
del metodo è coerente con l'obiettivo e con i contenuti. Inoltre ricollega in una solida unità
d'indirizzo i diversi momenti educativi, i diversi itinerari, le diverse proposte.
Il principio che ispira in forma unitaria la metodologia è l'amorevolezza. Essa è una
realtà complessa, sostanziata di atteggiamenti, criteri, modalità e comportamenti. Il suo fon-
damento e la sua sorgente vanno ricercati nella carità che ci è stata comunicata da Dio e per
cui l'educatore ama i giovani con lo stesso amore con cui il Signore li ama, non solo per ciò
che riguarda l'intensità, ma anche per ciò che riguarda la modalità espressa nell'umanità di
Cristo.
Ma l'amorevolezza si caratterizza perché la carità viene manifestata su misura del ra-
gazzo, e del ragazzo più povero: è la vicinanza gradevole, l'affetto dimostrato sensibilmente
attraverso gesti comprensibili, che sciolgono la confidenza e creano il rapporto educativo.
31 CG21 90.
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Questo infonde sicurezza interiore, suggerisce ideali, sostiene lo sforzo di superamento e di
liberazione. È una carità pedagogica, che «crea la persona» e che viene percepita dal ragazzo
come un aiuto alla propria crescita.
Nell'amorevolezza si fonda la descrizione dei ruoli educativi basilari: «Il direttore e gli
assistenti come padri amorosi parlino, servano di guida ad ogni evento, diano consigli ed
amorevolmente correggano». Da essa si aspettano effetti immediati e lontani: «rende amico
il ragazzo», «rende avvisato l'allievo in modo che l'educatore potrà tuttora parlare il linguag-
gio del cuore sia nel tempo dell'educazione sia dopo di essa»; «l'allievo sarà sempre pieno
di rispetto verso l'educatore e ricorderà ognor con grande piacere la direzione avuta, consi-
derando tuttora quali padri c fratelli i suoi maestri e gli altri superiori».
L'amorevolezza ha manifestazioni tipiche, e forse a queste si deve fare attenzione
quando si prospetta una traduzione del Sistema Preventivo a un particolare contesto: sono
l'amicizia e la paternità.
La prima ricorre spessissimo negli scritti che riguardano l'esperienza personale e la
prassi educativa di Don Bosco. L'amicizia è stata un tratto della sua giovinezza, dimostra-
zione della sua capacità di dare e ricevere affetto gioiosamente e sempre in maniera perso-
nale e profonda. Amicissimo del proprio fratello Giuseppe con cui trascorse ore di confi-
denza e condivise infantili progetti di divertimento; amico dei compagni di Chieri che aiutò
nei loro compiti e con i quali fondò la prima delle sue associazioni; amico di Luigi Comollo
con il quale percorse una strada di fervore spirituale. L'amicizia occupa un posto rilevante
nelle sue riflessioni pedagogiche. Nelle biografie di Domenico Savio, di Michele Magone e
di Francesco Besucco l'amicizia fine, costruttiva, permeata di razionalità e indirizzata verso
il progresso morale e la santità, costituisce uno dei capitoli più delicati e più interessanti.
Tutto questo insieme fa vedere la concezione eminentemente affettiva dell'educazione
che è propria del Sistema Preventivo. Don Bosco lo dirà esplicitamente in un'affermazione
come questa: «L'educazione è cosa del cuore, e tutto il lavoro parte di qui; e se il cuore non
c'è, il lavoro è difficile e l'esito incerto».
L'amicizia profonda nasce dai gesti e dalla volontà di familiarità, e di essa si nutre. A
sua volta provoca confidenza; e la confidenza è tutto in educazione, perché soltanto nel mo-
mento in cui il giovane ci affida i suoi segreti è possibile educare.
L'espressione concreta dell'amicizia è l'assistenza. Essa viene intesa come un desiderio
di stare con i ragazzi e condividere la loro vita: «Qui con voi mi sento bene». Non è, dunque,
un «obbligo di stato», ma una certa passione per capire ed aiutare a vivere le esperienze
giovanili.
È allo stesso tempo presenza fisica lì dove i ragazzi si trovano, interscambiano o proget-
tano; è forza morale con capacità di animazione, stimolo e risveglio. Assume il doppio
aspetto della preventività: proteggere da esperienze negative precoci e sviluppare le poten-
zialità della persona attraverso proposte positive. Sviluppa motivazioni ispirate alla ragione-
volezza (vita onesta, attraente senso dell'esistenza) e alla fede, mentre rafforza nei ragazzi la
capacità di risposta autonoma al richiamo dei valori.
I più svariati gesti e iniziative possono rientrare nella concretezza dell'assistenza, fondati
tutti su un atteggiamento di fondo: voler bene, essere presente, condividere orientando attra-
verso la testimonianza, l'aiuto, la disponibilità.
L'amorevolezza ha un'altra manifestazione singolarissima: la paternità. Essa è più che
l'amicizia. È una responsabilità affettuosa e autorevole che dà guida e insegnamento vitale
ed esige disciplina ed impegno. È amore e autorità. È il carattere che distingue il primo
responsabile di un programma. Diffusa in tutta la giornata, si concentra però in espressioni
individuali e collettive, come la «parolina all'orecchio» e la «buona notte». Citiamo queste
- 130 -

14.3 Page 133

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due espressioni non tanto per la loro materialità, quanto perché rivelano il profilo della pa-
ternità. Essa si estende al singolo e all'insieme e in questo insieme va protetta, difesa e sot-
tolineata. Si manifesta soprattutto nel «saper parlare al cuore», in maniera personalizzata e
personalizzante, perché si attingono le questioni che attualmente occupano la vita e la mente
dei ragazzi; saper parlare svelando la portata e il senso in modo tale da toccare la coscienza,
la profondità. La «buona notte» e la «parolina» sono due momenti carichi di emotività, che
riguardano sempre eventi concreti e immediati e che riportano a una sapienza quotidiana con
cui affrontarli: in una parola insegnano l'arte di vivere.
Amicizia e paternità creano il clima di famiglia, dove i valori diventano comprensibili e
le esigenze accettabili.
6. Interventi coerenti e convergenti
L'amorevolezza sotto forma di attenzione e condivisione, di amicizia equilibrata, di pre-
venzione affettuosa e di paternità preoccupata del futuro si concretizza in una serie sistema-
tica d'interventi.
Il primo è la creazione di un ambiente educativo, ricco di umanità, che è già espressione
e veicolo di valori. L'esperienza della forza dell'ambiente appartiene ai primi anni di aposto-
lato di Don Bosco e diviene un'acquisizione definitiva per tutto il resto dei suoi giorni.
Don Bosco sarà l'amico-educatore di molti ragazzi avvicinati individualmente nei più
disparati luoghi; ma sarà anche l'animatore di una comunità di giovani, caratterizzata da
alcuni tratti e con un programma da sviluppare. Ragioni psicologiche, sociologiche e di fede
lo confermarono nella convinzione che c'era bisogno di un'ecologia educativa, dove la reli-
gione e l'impegno si respirassero e dove la carità informasse i ruoli, i rapporti e l'atmosfera.
Non soltanto, dunque, fa la scelta dell'ambiente, cercando stabilità per il suo oratorio e
redigendo un piccolo regolamento, ma enuncia una teoria: «L'essere molti insieme serve
molto a far questo miele di allegrezza, pietà e studio. È questo il vantaggio che reca a voi il
trovarvi nell'oratorio. L'essere molti insieme accresce l'allegria delle vostre ricreazioni, to-
glie la malinconia quando questa brutta maga volesse entrarvi nel cuore; l'essere molti serve
d'incoraggiamento a sopportare le fatiche dello studio, serve di stimolo nel vedere il profitto
degli altri; uno comunica all'altro le proprie cognizioni, le proprie idee e così uno impara
dall'altro. L'essere fra molti che fanno il bene ci anima senza avvedercene»32.
L'ambiente non è generico. Ha invece tratti caratterizzanti. Non è un luogo materiale,
dove si va ad intrattenersi individualmente, ma una comunità, un programma, una tensione
dove ci s'inserisce per maturare.
Il secondo intervento è il gruppo. Il grande ambiente, poiché deve rispondere a interessi
e bisogni diversi, si articola in unità minori, dove sono possibili la partecipazione, il ricono-
scimento dell'originalità della persona e la valorizzazione dei suoi contributi.
I gruppi datano dall'inizio dell'esperienza del Sistema Preventivo. Appena stabilitosi a
Valdocco, finita la fase dell'oratorio ambulante, Don Bosco fonda la Compagnia di San
Luigi, a cui si aggiungono poi altre, ideate dagli stessi ragazzi o dai collaboratori. Anche se
la istituzionalizzazione posteriore delle iniziative sembra aver relegato l'esperienza di gruppo
ad un posto secondario, è però un fatto che, vivente Don Bosco, costituì una delle proposte
più originali e più curiose.
È interessante ricordare e sottolineare le caratteristiche di questi gruppi, perché parteci-
pano dell'ispirazione educativa del sistema.
32 MB VII, p. 602.
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14.4 Page 134

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In primo luogo sono un'esperienza aperta al maggior numero possibile di giovani. Non
un solo gruppo per alcuni scelti, ma un'offerta differenziata, alla portata di tutti. Pur con una
matrice comune, i gruppi sono molteplici e diversi, coordinati all'interno dell'ambiente. C'è,
dunque, una notevole diversità in ciò che riguarda l'interesse centrale, il nome, il livello di
esigenze. Ci sono gruppi religiosi, ma non mancano gruppi culturali, sociali, ricreativi.
In secondo luogo una sottolineata finalità educativa. Tutti i gruppi si propongono come
opportunità di maturazione delle persone e come servizio dell'ambiente. I ragazzi sono i
protagonisti. Come Don Bosco scriverà ai Direttori: «Le compagnie siano opera dei ragazzi:
tu sarai solo il promotore, non il direttore». Il gruppo serve non soltanto per personalizzare
gl'interventi, ma anche per far emergere il senso di responsabilità, per sviluppare amicizie,
per maturare specifiche attitudini. All'interno della formazione cristiana permette un'espe-
rienza più chiara di comunità, di apostolato e di fede.
Finalmente l'amorevolezza arriva al singolo attraverso il rapporto personale, che per-
mette di prendere visione ed illuminare il presente, il passato e il futuro del singolo. È da
ricordare l'importanza che l'incontro, ad uno ad uno, a tu per tu con i ragazzi, ha nell'espe-
rienza educativa e pastorale di Don Bosco.
Alcuni di questi incontri sono passati alla storia come momenti «fondanti». L'incontro
con Bartolomeo Garelli nella sacrestia della chiesa di San Francesco d'Assisi gettò le fonda-
menta dell'oratorio. Nelle biografie dei giovanetti Don Bosco rievoca con piacere i suoi in-
contri con loro e si sofferma a ricostruire passo a passo lo scambio di battute. Nella biografia
di Domenico Savio riproduce i dialoghi- incontri che ebbero luogo nella casa parrocchiale
di Murialdo e nella direzione dell'Oratorio. Nella vita di Michele Magone c'è addirittura un
capitolo che porta come titolo: «Un curioso incontro».
Don Bosco non solo rivive questi incontri, ma li propone come norma educativa. Si
esibisce quasi nella sua arte di attingere dalla vita del ragazzo. L'incontro comincia sempre
con un gesto di assoluta stima, di affetto, di sintonia. Don Bosco entra subito e con semplicità
nei punti importanti della vita del suo piccolo interlocutore (santità, abbandono, vagabon-
daggio). Il dialogo, dunque, è serio nei suoi contenuti, sebbene le singole espressioni siano
cariche di allegria e di buon umore; poiché affrontano punti caldi di vita e li affrontano se-
riamente e con gioia, questi incontri si caratterizzano per l'intensità dei sentimenti. Michele
Magone si commuove, Francesco Besucco piange di commozione, Domenico Savio «non
sapeva come esprimere la sua gioia e gratitudine; mi prese la mano, la strinse, la baciò più
volte».
Se tale era il ricordo che avevano lasciato gli incontri nel suo animo, se tale è la rilevanza
che egli dà ad essi nelle biografie, fino a farne il perno della narrazione, è perché è convinto
che la qualità dell'educatore-pastore si mostra nell'incontro personale, e che questo è il punto
a cui tendono l'ambiente e il programma.
Quando un cardinale a Roma lo sfidò sulla sua capacità educativa, Don Bosco gli offrì
lo spettacolo c la prova di un incontro personale e un dialogo con i ragazzi in Piazza del
Popolo. Rileggendo questo episodio si ritrova la struttura narrativa di tutti gli altri «incontri»:
la prima mossa d'amicizia, il momento di fuga dei ragazzi, il superamento della timidezza,
il dialogo serio-allegro, l'intensità emotiva della conclusione.
7. Le «opere» o i programmi educativi
Il temperamento concreto di Don Bosco e il suo spirito realizzatore non potevano con-
cepire che la carità, l'amorevolezza e la pedagogia si esprimessero e si esaurissero soltanto
- 132 -

14.5 Page 135

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nella relazione individuale gratificante. Falserebbe la storia chi volesse presentare Don Bo-
sco come l'uomo «buono», senza preoccupazione né mentalità organizzativa, strutturante, o
il suo Sistema Preventivo soltanto come atteggiamento di benevolenza.
Prova di questa mentalità sono i numerosi regolamenti, statuti, organizzazioni, istitu-
zioni e le stesse Congregazioni fondate da lui. Per questo, per i suoi ragazzi prima affittò un
prato e poi comperò un terreno. Su questo terreno costruì un edificio che andò crescendo con
gli anni e in esso diede forma stabile alle sue proposte educative, superando la provvisorietà
geografica e di programma. Fondò un oratorio, un pensionato, scuole, laboratori. Obiettivi
educativi, contenuti, stile, attuazioni particolareggiate hanno la loro concretizzazione e ma-
terializzazione simultanea nell'opera. L'opera fa vedere il sistema completo e attuante.
Opera di Don Bosco o opera salesiana è ancora oggi la parola che definisce dappertutto le
presenze più durature e complesse dove si cerca di applicare il Sistema Preventivo.
L'opera è edificio e programma, punto di riferimento culturale e luogo di aggregazione
sociale, dimora di una comunità religiosa e centro di servizi aperti. È degli educatori, della
comunità educativa e del quartiere, è stabile e ben piantata con volontà di attraversare il
tempo e formare tradizioni significative; ma è dinamica per l'adeguamento delle iniziative.
Valdocco è stato il primo esempio; nella sua evoluzione, vivente Don Bosco, costituì il «mo-
dello» che si ripete dovunque.
Le opere presentano queste caratteristiche: cercano di rispondere a delle necessità dei
giovani con un programma concreto e potenzialmente integrale: insegnamento, alloggio,
educazione al lavoro, tempo libero. Si collocano nell'area culturale-promozionale; sono con-
cepite come comunità di giovani ed educatori che procedono in corresponsabilità; aggregano
anche gli adulti, specialmente se appartengono ai settori popolari o sono interessati ad aiutare
i giovani, cioè sono «aperte» e non esclusive. Sono situazioni riconoscibili e, dunque, inter-
pretabili nelle loro finalità; hanno proiezione sociale più in là del recinto proprio perché
cercano il rapporto con istituzioni, territorio, popolo e autorità.
La prima opera a sorgere fu l'Oratorio, poi il pensionato, poi i laboratori, poi le scuole.
Ciascuna di esse meriterebbe un esame per raccoglierne l'originalità, la fusione di nuovo
e tradizionale e l'applicazione particolare del Sistema Preventivo che rappresenta ieri e oggi.
Questo però esula dalla finalità di questo studio e dallo spazio offerto. Basti sottolineare
la conclusione: nel modello di educazione proposto dal Sistema Preventivo e dal suo ideatore
bisogna dare il giusto peso alle istituzioni-iniziative-opere. Esse permettono di sviluppare
con continuità una proposta integrale. Nella loro cornice definita e stabile è possibile creare
un ambiente, far convergere contributi diversi, dare spazio ed espressione ad una comunità
e mantenere la vivacità di uno stile giovanile, familiare e impegnato.
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14.6 Page 136

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15. CAMMINARE CON I GIOVANI VERSO L'88
Vecchi, J.E., Camminare con in giovani verso l'88 in ACG 313 (1985), p. 18-24.
1. Con i giovani. - 2. In comunità educative. - 3. Con rinnovata vitalità e competenza.
1. Con i giovani
Il 1988 deve essere anche il punto di arrivo di un cammino fatto insieme ai giovani:
«Per migliaia di essi, la commemorazione di Don Bosco sarà una festa grande»1. Don Bosco
è loro e si sentirebbe spaesato in un ambiente dove i giovani non ci fossero e non si espri-
messero. Alle grandi manifestazioni di livello internazionale potranno partecipare soltanto
pochi ragazzi delle singole ispettorie e nazioni, particolarmente di quelle lontane dai centri
dove le celebrazioni avranno luogo.
I giovani saranno invece più coinvolti e impegnati nelle iniziative e celebrazioni pre-
parate a raggio locale e ispettoriale, specialmente se queste sono pensate sulla loro misura e
secondo la loro sensibilità e soprattutto se essi ne sono gli elaboratori e gli attori, piuttosto
che solo «spettatori» e «pubblico». Per questo cammino che ci proponiamo di percorrere con
i giovani mi sembra importante sottolineare tre aspetti a mo' di suggerimento.
Il primo è l'incontro vitale dei giovani con Don Bosco attraverso una conoscenza
approfondita delle sue vicende personali, del suo rapporto con la gioventù, della sua opera,
della sua attualità. Informazioni, notizie e immagini di lui devono raggiungere la «massa»
giovanile dei nostri ambienti. È possibile poi arrivare con dei messaggi alle singole persone
attraverso ricerche, concorsi, incontri a raggio ampio con finalità di riflessione, visite a luo-
ghi significativi, forme di espressione artistica, celebrazioni giovanili di tipo sportivo, cul-
turale, sociale, religioso.
Parecchie ispettorie hanno alle spalle esperienze interessanti di campi o tendopoli cen-
trati sull'approfondimento della missione e dello spirito di Don Bosco (cfr. Campobosco),
con risultati sempre superiori alle aspettative. Difatti la figura di Don Bosco, come quando
lui era in vita, ha continuato a «parlare» ai giovani, esercitando su di essi un misterioso
fascino. Converrà anche far conoscere la Congregazione salesiana: la sua diffusione nel
mondo, i campi del suo impegno pastorale, le figure dei soci, sacerdoti e laici, e allargare la
visuale verso la Famiglia salesiana.
È importante che le iniziative siano, per costo e per livello, alla portata di tutti i ragazzi
che vogliono soddisfare il desiderio di conoscere e «stare» con Don Bosco qualche tempo.
Un secondo aspetto del nostro cammino con i giovani è creare opportunità anche
straordinarie affinché essi partecipino direttamente all'opera di Don Bosco: una missione
giovanile 88.
Possono essere proposti degli impegni particolari verso o per l'88 a favore dei più bi-
sognosi, nell'animazione di ambienti giovanili e popolari, nelle missioni vicine e lontane.
Il volontariato, che oggi suscita l'interesse dei giovani e che è al centro anche dell'at-
tenzione della Chiesa e della società per i risultati consistenti che sta dando, è una proposta
concreta. È stato pure incoraggiato dal CG 222 e se in questo biennio riceve una spinta op-
portuna, si consoliderà come componente del nostro fenomeno associativo. Ogni giorno
1 CG22 57.
2 CG22 10.
- 134 -

14.7 Page 137

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emergono nuovi bisogni sia nel Terzo mondo che nella società benestante, i quali offrono un
campo alla creatività giovanile e ad esperienze educative di donazione.
Ciò darà l'opportunità per ripensare e rilanciare la dimensione vocazionale del nostro
progetto, richiamando le singole comunità a parlarne e ad attuarla, migliorando il servizio di
appoggio e accompagnamento, curando le comunità di accoglienza.
Infine l'88 si offre come un traguardo importante per la maturazione dei gruppi e
movimenti giovanili e per un chiarimento del loro itinerario spirituale. C'è una realtà che è
venuta crescendo e che cresce ancora, anche se è valutabile solo da chi può seguire processi
quotidiani non vistosi: animatori, volontari, giovani associati si incontrano sovente anche a
raggio ispettoriale in giornate di intesa, di approfondimento pastorale, di ricarica spirituale.
Attorno ai salesiani c'è un ampio cerchio di collaborazione giovanile e attorno ad essa un
cerchio ancora più largo di ragazzi «in cammino». È un vero movimento stile salesiano! Ed
anche in questo si rilevano dei progressi ad ogni verifica.
Il CG22 ci ha indicato una meta comunitaria: «Ogni ispettoria e ogni comunità locale...
preparino una proposta associativa che offra un'autentica esperienza spirituale e di impegno
apostolico»3. L'itinerario di maturazione cristiana dei giovani è il cuore e il punto di coagulo
della proposta associativa. Si tratta di far passare i valori enunciati dai «manifesti» e dai
«proclami» alla vita dei singoli e dei gruppi. La riflessione ha già alle spalle alcuni anni e
non sono mancati momenti di sintesi. La strenna di quest'anno ci offre una nuova opportu-
nità, invitandoci a pensare la nostra proposta alla luce delle beatitudini.
C'è poi per il nascente movimento un luogo di riferimento ideale: la casetta di Don
Bosco al Colle che oggi porta il suo nome e sul quale sorge il suo santuario. Là è possibile
rivivere, attraverso un incontro quasi sensibile, la vicenda di Don Bosco. Alcuni gruppi eu-
ropei hanno già programmato giornate di riflessione sul suolo natio del nostro Padre.
L'88 può essere, dunque, il punto di arrivo di uno sforzo di consolidamento ed espan-
sione dei gruppi giovanili: può essere anche un'opportunità di incontro straordinario per l'ap-
profondimento della loro identità cristiana. Con essi e per essi si possono pensare forme di
impegno, studio, celebrazioni. E non è da scartare che, se le verifiche lo consigliano, si fac-
ciano tramite il dicastero i primi collegamenti internazionali.
2. In comunità educative
Ma se i giovani sono soltanto destinatari di una proposta di impegno o ricettori di un
messaggio, le possibilità che questi raggiungano gli obiettivi sono scarse. Ogni proposta e
messaggio acquistano valore se condivisi da una comunità e inseriti in una relazione educa-
tiva. L'88 è dunque un punto di arrivo per l'intera comunità educativa.
Certamente uno degli aspetti emergenti della personalità di Don Bosco fu la sua capa-
cità pedagogica. Egli aprì nuove vie pratiche per la promozione e lo sviluppo del cittadino e
del cristiano. Sotto questo aspetto lo hanno conosciuto molti attraverso le istituzioni e le
persone dei salesiani. Oggi le comunità salesiane sono chiamate ad animare dal punto di
vista pedagogico un largo numero di collaboratori, genitori, forze collegate alla professione
educativa. Le iniziative e presenze salesiane non riuscirebbero a mantenere né la loro effi-
cacia, né la loro identità senza la conoscenza e la pratica da parte di tutte le componenti della
comunità del Sistema Preventivo.
Verso l'88 è interessante dunque rafforzare i rapporti, le strutture, le occasioni con cui
si forma e si rinsalda la comunità educativa; approfondire il senso e le conseguenze pratiche
3 CG22 7.
- 135 -

14.8 Page 138

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del ruolo animatore assunto dalla comunità salesiana; coinvolgere collaboratori, amici e ge-
nitori nel dialogo sul Sistema Preventivo e sulla nostra proposta educativa, con programmi,
giornate di studio e diffusione di libri. Il materiale esistente è già abbondante: è piuttosto
uno sforzo di traduzione pratica particolarmente intenso quello che si richiede.
L'opera salesiana poi è inserita in una comunità umana; è in rapporto con altri centri
dove si elaborano proposte educative e culturali o iniziative pastorali; partecipa in un con-
creto territorio. Il maggior impatto che la nostra presenza ha su di esso è certamente la pre-
senza della gioventù nelle nostre case e la capacità dei salesiani di educarla. Il territorio è un
altro ambito a cui pensare per il centenario e gli obiettivi che le iniziative si propongono
potrebbero essere chiariti rispondendo a domande di questo genere:
Quali aspetti della personalità e dell'opera di Don Bosco, convenientemente presen-
tati, aiuterebbero il territorio a crescere come comunità umana, solidale, capace di offrire
esperienze maturanti alle giovani generazioni?
Quale proposta conviene fare nell'88 per i giovani che non sono abituali «clienti»
nostri, ma possono partecipare a una celebrazione, a un dialogo, a giornate di condivisione?
Che discorso e che «sussidi» si potrebbero offrire agli adulti e particolarmente a
genitori ed educatori?
Come si potrebbe arrivare alle autorità aventi responsabilità educative o politiche
sulla gioventù?
Cosa offrire alla parrocchia in cui siamo inseriti, alle strutture di pastorale d'insieme,
ai centri di collaborazione e incontro di educatori?
Non si tratta di «far propaganda», ma di condividere i nostri beni ed essere solidali con
la comunità umana in cui lavoriamo, offrendo alla Chiesa la specificità del nostro carisma
secondo la raccomandazione del CG 22: portare a livello di fecondità e condivisione la nostra
competenza giovanile, popolare, educativa ed evangelizzatrice4.
3. Con rinnovata vitalità e competenza
Quanto veniamo dicendo suppone una delicata operazione di «scelta» di fronti da pri-
vilegiare e di condizioni da creare, ispirate ad una carità pastorale che si esprime nel con-
creto.
Il CG 22 ha ripensato con ricchezza di valutazioni e suggerimenti la nostra pastorale.
La preoccupazione principale, che può essere presa come orientamento di base per questo
sessennio, è la qualificazione pastorale ed educativa dell'azione dei salesiani.
Non è difficile percepire il riflesso di tale preoccupazione sia nella relazione del Rettor
Maggiore sullo stato della Congregazione5, sia nella riformulazione del testo costituzionale6
e nell'arricchimento del testo regolamentare7, sia nel discorso di chiusura8, sia nei pochi
orientamenti operativi9.
La qualificazione viene contrapposta al puro attivismo pastorale «che si compiace
nell'enumerare iniziative e nell'espandere opere», ma è restio a qualunque esame accurato
dell'azione10.
4 Cf. CG22 77.
5 Cf. CG22 189, 190, 192.
6 C 31-39.
7 C 1-10.
8 CG22 68-78.
9 CG22 5-6.
10 Cf. CG22 191.
- 136 -

14.9 Page 139

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Si rapporta la qualificazione alla capacità di rigenerare le risorse umane della Congre-
gazione attraverso il fiorire delle vocazioni. Infatti in momenti di verifica si vede che ci sono
iniziative e opere nelle quali la Congregazione investe senza riavere di ritorno le risorse
umane che ha investito: «un metro che può misurare la profondità della nostra azione è la
fecondità vocazionale»11. Finalmente la qualificazione dell'azione viene misurata dalla ca-
pacità di dare risposte adeguate ai bisogni educativi e alle attese spirituali dei giovani.
La qualificazione delle iniziative, nel senso della incidenza evangelizzatrice e dell'ag-
giornamento pedagogico, è la condizione per far sentire oggi ai giovani il messaggio di Don
Bosco.
Essa richiede come primo requisito, particolarmente nelle ispettorie in cui si sente la
contrazione numerica dei confratelli e il salire dell'età, un discernimento sulle iniziative da
privilegiare e la conseguente ricollocazione e ridistribuzione delle forze attorno a quelle che
appaiono più promettenti dal punto di vista pastorale, o più significative dal punto di vista
dell'identità salesiana. Se questa operazione si rimanda, andranno perdute ancora delle op-
portunità di affrontare con soluzioni concrete le inevitabili carenze che avvertiamo.
Collegato al primo aspetto c'è il piano di preparazione specifica del personale nei ter-
mini in cui lo stabilisce l'art. 10 dei Regolamenti generali: «Per mantenere e sviluppare in
modo organico le sue diverse presenze pastorali ed educative, ogni ispettoria programmi la
preparazione e l'aggiornamento del personale, tenendo in conto le attitudini dei confratelli e
le esigenze delle opere». Non c'è da pensare in un futuro, particolarmente nell'area educativa,
senza il rinnovamento delle competenze dei confratelli. Le diverse linee pastorali proposte,
tutte accolte nel momento della formulazione, si imbattono in un secondo momento con i
problemi della traduzione pratica nel quotidiano e sul lungo termine. Bisogna che ritroviamo
il giusto equilibrio, attraverso la preparazione di operatori, tra la «produzione» di proposte e
la loro attuazione.
La consistenza di ogni comunità locale in proporzione ai compimenti che la missione
ispettoriale le affida è il terzo aspetto da curare per la qualificazione dell'azione. Le novità
inserite negli ultimi tempi nella nostra prassi hanno alleggerito i compiti diretti della comu-
nità salesiana e hanno concentrato il suo ruolo sugli aspetti più direttamente pastorali, sale-
siani e di animazione. Ma al di sotto di una certa soglia numerica e di competenza il nuovo
schema non solo non dà i suoi frutti, ma accusa vistosamente i limiti. C'è nella tradizione
salesiana una preziosa indicazione per l'efficacia e la profondità del lavoro: la definizione,
l'armonizzazione e la completezza dei ruoli secondo il lavoro che viene richiesto alla comu-
nità. Nelle nuove condizioni in cui lavoriamo e con il dinamismo che la vita delle odierne
comunità educative impone, il criterio andrebbe ricuperato.
Così sarà possibile ripensare e migliorare i contenuti, le metodologie e l'incidenza del
nostro intervento e far fronte sia alle sfide che appaiono nell'area educativa, sia alle ricerche
di intensità evangelica nel settore più esplicitamente religioso.
I giovani, le comunità educative e pastorali, la qualificazione dell'intervento dei sale-
siani sono tre realtà collegate. Il discorso ci ha condotti quasi per logica interna dall'una
all'altra.
Ed è questo che costituisce il cammino pastorale verso l'88: credere al dono originale
che lo Spirito ci ha fatto in Don Bosco, aggiornare le nostre competenze ed essere la sua
voce e la sua presenza per i giovani di oggi.
11 CG22 293.
- 137 -

14.10 Page 140

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16. IL PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE
Vecchi, J.E., Il progetto educativo pastorale in ACG 316 (1986), p. 39-47.
1. Una «norma» per tutte le Ispettorie. - 2. Natura del progetto educativo pastorale. - 3. Le aree o dimensioni del progetto. -
4. I punti di riferimento.
1. Una «norma» per tutte le Ispettorie
L'art. 4 dei Regolamenti Generali chiede:
«Ogni comunità ispettoriale... elabori il proprio progetto educativo pastorale per
rispondere alla situazione della gioventù e degli ambienti popolari.
In conformità con esso, anche a livello locale e coinvolgendo tutti i membri della
comunità educativa pastorale si elabori un progetto che orienti ogni iniziativa verso l'evan-
gelizzazione».
Quello che era stato un insieme di orientamenti operativi del CG 21 è diventato
«norma»1. Quello che è stato oggetto di laboriose riflessioni e di scambi viene adesso consi-
derato uno «strumento» indispensabile di qualificazione pastorale nella linea dell'identità.
Esso forma un tutt'uno con altre due richieste dei Regolamenti che riguardano la pastorale:
la preparazione specifica del personale per i diversi compiti pastorali2;
l'opera di animazione appoggiata su una riformulazione del ruolo della comunità
religiosa3 e sostenuta da relative strutture, particolarmente a livello ispettoriale4.
Progetto, qualificazione, animazione (consigli, équipe) sono realtà correlative che pos-
sono muovere le comunità verso una risposta più aderente ai bisogni dell'evangelizzazione
della gioventù.
L'esperienza del sessennio precedente al riguardo è soddisfacente. L'elaborazione dei
progetti ha avuto un influsso positivo in tre sensi: comunitario, pastorale, salesiano.
Infatti le comunità che, superando le prime inevitabili incertezze, hanno cercato di ri-
pensare e organizzare la propria azione, hanno ricevuto un benefico influsso: il progetto,
favorendo rincontro e lo scambio di valutazioni, ma soprattutto risvegliando i motivi e le
preferenze insite nella nostra chiamata, ha rinvigorito la vita comunitaria. Il progetto fa co-
munità.
Gli interventi educativi si sono qualificati per ima maggiore chiarezza di obiettivi, una
finalizzazione più accurata di quello che è strumentale a quello che è sostanziale e, soprat-
tutto, con una maggiore convergenza operativa, fondata su un quadro di riferimento comune.
Dovendo poi riformulare il nostro intervento per adeguarlo alle condizioni giovanili, i
confratelli hanno dovuto risalire sino alle fonti del nostro stile. Il bisogno di elaborare il
progetto ha portato ad un approfondimento del sistema preventivo e dell'esperienza originale
di Don Bosco.
1 Cf. CG21 30c, 105a, 127b, 132, 134, 140, 142.
2 R 10.
3 R 5.
4 R 157,5.
- 138 -

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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2. Natura del progetto educativo pastorale
Il dicastero per la pastorale giovanile ha presentato, attraverso i sussidi, gli elementi e
linee fondamentali per ogni progetto che voglia dirsi salesiano. Tali linee esplicitano opera-
tivamente i tratti di identità pastorale segnalati nelle Costituzioni. Non è necessario ora sof-
fermarsi su di essi. Basta rimandare ai testi.
Ma il fatto che il progetto sia un'indicazione contenuta nei Regolamenti Generali e che
debba essere elaborato assieme ai testi riguardanti altre aree della vita salesiana (vita comu-
nitaria, formazione) richiede dei chiarimenti.
Il primo chiarimento riguarda la natura del progetto. È chiaro che nell'unico blocco di
articoli regolamentari che parlano del progetto (4-10) questo viene inteso come un docu-
mento in cui l'ispettoria formula i criteri, gli orientamenti, la sintesi di contenuti e metodi e
le linee di azione che si propone di seguire nell'evangelizzazione e nella formazione cristiana
dei giovani e dei fedeli affidati alle nostre cure.
Risultano immediatamente evidenti alcune conseguenze: il progetto non riguarda prin-
cipalmente lo sviluppo quantitativo (estensione e collocazione delle opere), ma la qualità
evangelizzatrice ed educativa delle nostre presenze, ovunque esse siano.
È chiaro anche che tutto quello che riguarda i giovani e i fedeli affidatici va espresso e
unificato nel progetto anche quando in termini organizzativi facesse riferimento a ruoli di-
versi (impegno missionario, comunicazione sociale). Se ciò non venisse fatto, tutta l'inten-
zione unificante del progetto (evangelizzazione, educazione, pastorale vocazionale) ver-
rebbe vanificata.
I sussidi già provvedono e raccomandano questa fusione seguendo le insistenze della
pastorale odierna, sentite da tutti coloro che operano in essa: favorire l'unità del soggetto,
dell'azione e degli obiettivi finali.
3. Le aree o dimensioni del progetto
Ciò risulterà ancor più chiaro se rivolgiamo lo sguardo agli a- spetti che secondo le
Costituzioni e i Regolamenti Generali il progetto dovrebbe motivare, illuminare e tradurre
in termini operativi.
La prima realtà su cui il progetto dovrà esprimere orientamenti validi per tutte le pre-
senze è espressa nell'art. 5 dei Regolamenti: «L'attuazione del nostro progetto richiede in
ogni ambiente e opera la formazione della comunità educativa pastorale. Il suo nucleo ani-
matore è la comunità religiosa».
Tale indicazione riprende e traduce in termini operativi l'art. 47 delle Costituzioni:
«Realizziamo nelle nostre opere la comunità educativa e pastorale. Essa coinvolge, in clima
di famiglia, giovani e adulti, genitori ed educatori, fino a poter diventare un'esperienza di
Chiesa, rivelatrice del disegno di Dio.
In questa comunità i laici, associati al nostro lavoro, portano il contributo originale della
loro esperienza e del loro modello di vita.
Accogliamo e suscitiamo la loro collaborazione e offriamo la possibilità di conoscere
e approfondire lo spirito salesiano e la pratica del Sistema Preventivo.
Favoriamo la crescita spirituale di ognuno e proponiamo, a chi vi sia chiamato, di con-
dividere più strettamente la nostra missione nella Famiglia salesiana».
Tre questioni dovrebbero apparire risolte nel progetto:
come i salesiani si propongono di coinvolgere attivamente le persone che interven-
gono nel lavoro educativo e pastorale;
come svolgeranno la loro opera di animazione evangelica (contenuti, criteri, atti-
vità);
- 139 -

15.2 Page 142

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come (contenuti, azione) provvederanno alla formazione professionale e cristiana
degli adulti che collaborano.
L'art. 6 dei Regolamenti propone un secondo aspetto del progetto, riprendendo le indi-
cazioni contenute negli artt. 32-33 delle Costituzioni: la dimensione educativa. Essa si pre-
senta oggi particolarmente bisognosa di ripensamento e progettazione. Infatti in alcune delle
nostre presenze potrebbe svuotarsi se non raggiungesse quella proposta di valori, quel lin-
guaggio e quelle espressioni che sono significative per i giovani. Qualche spunto a mo' di
esempio viene offerto dal citato art. 6, ma il discorso va allargato secondo le situazioni.
C'è poi quella prospettiva che l'art. 7 dei Regolamenti chiama «nucleo centrale» del
progetto: la proposta di fede che dovrebbe tradurre in termini operativi il tratto di identità
pastorale espresso negli artt. 34 e 36 delle Costituzioni: «Per noi l'evangelizzazione e la ca-
techesi sono la dimensione fondamentale della nostra missione»5.
I contesti dove si svolgono l'annuncio e la proposta di fede sono diversi. Vanno dalle
società dove vige una forte religiosità popolare cristiana fino a contesti dove la maggioranza
dei giovani che avviciniamo aderiscono a religioni non cristiane. A noi tocca pensare con
cura itinerari di annuncio, di proposta e di maturazione, cercando che Cristo sia la parola di
vita per coloro che ci ascoltano.
All'elaborazione del progetto si affida anche il superare l'intervento che nasce e muore
nell'individuo e il compito di far convergere sforzi raccogliendo l'esperienza in una prassi
comunitaria.
L'art. 8 dei Regolamenti Generali richiede ancora di realizzare un altro aspetto che le
Costituzioni presentano come caratteristico del nostro servizio educativo pastorale: «L'ani-
mazione e promozione di gruppi, associazioni e movimenti di formazione e di azione apo-
stolica e sociale»6.
Nel progetto di ogni ispettoria si dovrà esprimere come, in consonanza con gli orienta-
menti della Chiesa locale e secondo la condizione dei giovani, si intende portare avanti que-
sta dimensione della nostra pastorale. Spiegazioni esaustive a riguardo sono state date nel
sussidio n. 9 del dicastero: «La proposta associativa salesiana». Ciò ci dispensa da ulteriori
commenti.
Finalmente l'art. 9 dei Regolamenti Generali chiede di includere esplicitamente nel pro-
getto «l'orientamento e la proposta vocazionale». Traduce così in norma pastorale gli arti-
coli 6, 28, 37 delle Costituzioni.
Per ispirare scelte di criteri, contenuti e attività su questo aspetto ci sono, oltre a nume-
rosi documenti emanati dalle Chiese locali, la sintesi del CG 217 e il sussidio del dicastero
dal titolo «Lineamenti essenziali per un piano ispettoriale di pastorale vocazionale».
Esso raccoglie quanto si riscontra nella Congregazione in termini di esperienze signi-
ficative, animazione di comunità e strutture di appoggio.
Il CG 22 ha chiesto di rivolgere un'attenzione speciale alla presentazione e promozione
della vocazione del salesiano coadiutore. Ciò va tenuto anche in conto al momento di elabo-
rare o aggiornare questa dimensione del progetto8.
Queste dimensioni o aspetti (comunità, educazione, evangelizzazione, esperienza asso-
ciativa, pastorale vocazionale) vanno calate nelle caratteristiche e possibilità di ogni singolo
ambiente o iniziativa: scuola, oratorio, parrocchia, scuola professionale, associazioni. Non
5 C 34.
6 Cf. C 35.
7 Cf. CG21 nn. 106-119.
8 Ibid.
- 140 -

15.3 Page 143

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importa che formalmente si esprimano in capitoli diversi o no, purché le prospettive indicate
siano presenti negli orientamenti e nella prassi.
4. I punti di riferimento
L'art. 4 dei Regolamenti Generali enuncia punti che devono presiedere alla stesura del
progetto: «Ispirandosi al Sistema Preventivo» e per «rispondere alla situazione della gio-
ventù e degli ambienti popolari». Il primo risponde gli artt. 38, 39, 40 delle Costituzioni. Il
sistema preventivo, oltre ad essere un'ispirazione è anche una «sintesi di contenuti e me-
todi»9. Ha dunque una sua parola propria non soltanto per ciò che riguarda gli atteggiamenti
dell'educatore apostolo, ma anche per ciò che riguarda la concezione stessa della pastorale
giovanile. «È il nostro modo di vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i
giovani con loro e per mezzo di loro»10. Costituisce la radice della nostra identità pastorale.
Che esso dovrà essere punto di riferimento per la stesura del progetto significa in primo
luogo che conviene rinfrescare e riproporre ai confratelli e a tutti gli adulti che sono coinvolti
attivamente nelle nostre opere i principi ispiranti e le risorse tipiche. Dove ciò è stato fatto
come primo passo è nato il desiderio di tradurre all'oggi la straordinaria esperienza di Don
Bosco.
Significa inoltre ispirare gli orientamenti e le linee di azione ai principi del sistema
preventivo inserendoli esplicitamente nel progetto.
Ma c'è un secondo punto di riferimento: la situazione della gioventù e degli ambienti
popolari. Ad essa ci rimandano gli art. 41 delle Costituzioni e 2 dei Regolamenti: «La nostra
azione apostolica si realizza con pluralità di forme, determinate in primo luogo dalle esi-
genze di coloro a cui ci dedichiamo».
Questo riferimento viene adoperato sovente per discutere la collocazione delle opere.
È invece interessante farlo presente anche quando, in opere già stabilite, si tratta di qualifi-
care la nostra proposta educativa ed evangelizzatrice, adeguandola alla mentalità dei giovani
e degli ambienti in cui lavoriamo.
L'art. 4 dei Regolamenti Generali, riferendosi al progetto ispettoriale, demanda la re-
sponsabilità ad «ogni comunità ispettoriale». Sotto un'apparente genericità vengono invece
ribadite alcune indicazioni precise su cui si era insistito nel CG 21 e negli anni che seguirono.
E cioè la necessità del coinvolgimento attivo di tutti secondo le proprie competenze, la
libertà di ogni ispettoria di mettere in giuoco le sue diverse strutture di animazione (Consi-
glio, équipe, adunanze di direttori, Capitolo ispettoriale, commissioni speciali), il ruolo ani-
mante, orientativo e decisionale di coloro che guidano l'ispettoria.
Il progetto educativo è un testo «obbligante» che deve guidare la prassi pastorale. Con-
viene dunque che alla sua formulazione si arrivi attraverso un iter analogo a quello che si
usa per altri documenti del genere.
Una parola particolare richiede la responsabilità del Capitolo ispettoriale nell'elabora-
zione e approvazione del progetto educativo pastorale dell'ispettoria. Tale responsabilità è
inclusa in una serie di indicazioni costituzionali e regolamentari.
Le Costituzioni infatti affidano al CI lo «stabilire quanto concerne il buon andamento
dell'ispettoria»11 e in modo più specifico ancora: «ricercare i mezzi atti a promuovere la vita
religiosa e pastorale della comunità ispettoriale»12.
9 CG21 80.
10 C 20.
11 Cf. C 171,1.
12 C 171,2.
- 141 -

15.4 Page 144

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I Regolamenti Generali portano a livelli operativi questa determinazione quando al CI
chiedono di «suggerire linee e criteri di progettazione e riorganizzazione delle opere dell'i-
spettoria»13.
Da questo insieme e dall'analogia con quanto si dice sul direttorio14 risulta chiaro che
il CI non solo può, ma deve in qualche misura occuparsi del progetto educativo
pastorale; questo peraltro è raccomandabile a partire dai criteri di partecipazione e corre-
sponsabilità che devono presiedere a tutta la sua elaborazione;
la modalità concreta, secondo cui il CI prende parte all'elaborazione e approvazione
del progetto, non viene esplicitamente indicata e rimane dunque a giudizio dell'ispettoria;
questa metterà in giuoco i suoi diversi organismi secondo le proprie possibilità e convenienza
(Consiglio, équipes, adunanze di direttori, raduni speciali).
Conforme a quanto detto prima il CI può scegliere alcune di queste modalità:
dare linee e criteri di progettazione affinché poi gli organismi a ciò delegati elabo-
rino il progetto;
studiare un testo preparato da un'équipe e apportare eventuali modifiche;
approvare un testo che abbia raggiunto già la stesura finale e che venga presentato
a questo fine dall'ispettore e suo Consiglio.
L'invio del progetto ispettoriale al Consiglio generale per la sua approvazione non è
prescritto da norma alcuna, data anche la natura del documento. Ma per una conoscenza più
accurata della pastorale delle ispettorie, per un dialogo successivo tra queste e il dicastero, e
per una raccolta dell'esperienza della Congregazione, conviene che ogni ispettoria faccia
pervenire al Consigliere per la pastorale giovanile alcune copie del proprio progetto.
Quanto al progetto locale cui si riferisce il medesimo art. 4 dei Regolamenti Generali,
viene demandata la responsabilità alla comunità locale15, nei termini dell'art. 47 delle Costi-
tuzioni: cioè alla comunità educativa pastorale. Alla comunità religiosa, con i suoi ruoli e
organi tocca adoperarsi perché «in clima di famiglia vi partecipino i giovani, i genitori e i
collaboratori ciascuno secondo il proprio ruolo»16. A ciò richiama l'art. 184 quando, tra i
principali compiti dell'assemblea dei confratelli, stabilisce: «partecipare all'elaborazione del
progetto educativo pastorale»17.
La Relazione del Rettor Maggiore al CG 22 prende atto del numero di ispettorie che
nel sessennio precedente hanno elaborato il loro progetto e dei vantaggi che da questa ela-
borazione sono risultati per l'ispettoria e per la Congregazione: coscienza della nostra iden-
tità pastorale, adeguamento alla situazione della gioventù, convergenza operativa sull'obiet-
tivo dell'evangelizzazione e comprensione comunitaria delle sue odierne sfide ed esigenze,
aggiornamento educativo18.
Il progetto dunque non va considerato come una complicazione tecnica che non ag-
giungerebbe niente alla creatività, ma proprio come l'espressione comunitaria di questa. È
l'attuazione pratica dell'art. 44 delle Costituzioni: «Il mandato apostolico, che la Chiesa ci
affida, viene assunto e attuato in primo luogo dalle comunità ispettoriali e locali i cui membri
hanno funzioni complementari con compiti tutti importanti. Essi ne prendono coscienza: la
coesione e la corresponsabilità fraterna permettono di raggiungere gli obiettivi pastorali.
13 R 167,3.
14 C 171,4.
15 R 5.
16 Ibid.
17 R 184,4.
18 Relazione del RM al CG 22 170-181.
- 142 -

15.5 Page 145

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L'ispettore e il direttore, come animatori del dialogo e della partecipazione, guidano il
discernimento pastorale della comunità, affinché essa proceda unita e fedele nell'attuazione
del progetto apostolico».
Troppi valori sono implicati nel lavoro comunitario del progetto pastorale: la corre-
sponsabilità, l'unità, la fedeltà, la risposta adeguata. Anche se la strada di coinvolgimento,
elaborazione e attuazione non è scevra di difficoltà, conviene intraprenderla subito e con
decisione.
- 143 -

15.6 Page 146

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17. ANIMAZIONE PASTORALE DELL'ISPETTORIA
Vecchi, J.E., Animazione pastorale dell'Ispettoria in Dicastero di Pastorale Giovanile, «Animazione interispettoriale. Emargi-
nazione. Dossier P.G. 2 Esperienze a confronto», Roma, I semestre 1987, p. 7-19.
1. Premesse. - 1.1. L'ispettoria. - 1.2. Animazione. - 1.3. Organismi. - 2. L'animazione pastorale delle ispettorie. - 2.1. Primo
punto: il consiglio ispettoriale assuma l'animazione pastorale dell'ispettoria. - 2.2. Secondo punto: organizzare il servizio di
animazione e curare il suo funzionamento. - 2.2.1 Il coordinatore-animatore per la Pastorale Giovanile. - 2.2.2 Il gruppo o
equipe di riflessione e di lavoro. - 2.2.3 Le consulte. - 2.3. Terzo punto: la formazione costante degli operatori. - 2.3.1. La
formazione iniziale. - 2.3.2. La formazione specializzata degli animatori e in genere dei confratelli con attitudini e disposizioni.
- 2.3.3. La formazione permanente. - 2.4. Quarto punto: il coinvolgimento delle comunità e dei confratelli. - 3. L'animazione
interispettoriale.
1. Premesse
1.1. L'ispettoria
È la forma come la Congregazione "organizza" e anima in un dato territorio la vita di
comunione e la realizzazione della missione.
Ha come finalità: favorire "i vincoli di comunione fra i soci e le comunità locali"1;
offrire "un servizio specifico alla Chiesa locale"2; "coordinare e verificare il lavoro aposto-
lico", facendo attenzione alle situazioni giovanili3; animare la pastorale vocazionale4; prov-
vedere alla continuità delle opere e aprirsi a nuove attività5; unire in una comunità più vasta
diverse comunità6; promuovere con una certa autonomia la vita e la missione della Congre-
gazione7.
Donde i suoi compiti. La comunità ispettoriale è perno di rinnovamento continuo. La
formazione e il funzionamento della comunità ispettoriale è la raccomandazione principale
sin dal 1972 per il rinnovamento comunitario, religioso e pastorale. «Il Capitolo Generale
ritiene elemento fondamentale del rinnovamento della vita religiosa salesiana la riscoperta e
rivalutazione della comunità ispettoriale, come mediatrice di unione delle comunità locali
tra loro, con le altre ispettorie e con la comunità mondiale. Tale coscienza permette al sale-
siano di realizzare in modo concreto e convincente la solidarietà con tutti i confratelli dell'i-
spettoria e di inserire il suo apostolato nella Chiesa locale»8.
Va notata l'espressione "mediatrice". Essa sottolinea il fatto che l'ispettoria (a) conse-
gna alle comunità locali gli orientamenti e stimoli che vengono dalla Congregazione: me-
diazione tra Rettor Maggiore e Consiglio Generale e comunità locali. Se essa non lo fa le
comunità ne rimangono prive; (b) intercomunica le comunità tra di loro per mettere in co-
mune esperienze, ricercare linee di cammino e risolvere difficoltà: mediazione tra le comu-
nità locali; (c) innesta la pastorale salesiana nella Chiesa locale: mediazione tra salesiani e
1 C 157; 58.
2 C 157.
3 Cf. C 58.
4 Ibid.
5 Ibid.
6 Cf. C 157.
7 Ibid.
8 CGS20 512.
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Chiesa. Il nostro inserimento nella pastorale organica della Chiesa locale infatti non è indi-
viduale, ma comunitario. L'ispettoria decide il servizio con cui partecipare e gli dà continuità.
I salesiani che lo svolgono rappresentano nella Chiesa locale il carisma salesiano che condi-
vidono con gli altri confratelli dell'ispettoria; (d) comunica la comunità ispettoriale con le
altre ispettorie operanti nello stesso territorio e nel mondo: mediazione tra ispettorie.
Si capisce allora perché 1'ispettoria, la sua vita e la sua organizzazione, hanno un'im-
portanza del tutto particolare per lo svolgimento della pastorale: «La comunità ispettoriale
ha un particolare rilievo nella responsabilità del nostro lavoro apostolico»9. In essa si dà una
ricchezza di apporti sufficienti per l'attuazione della missione salesiana e una possibilità di
rapido adeguamento alle situazioni concrete.
1.2. Animazione
A partire dal CG 21 ci si riferisce all'animazione come ad un insieme di attività e mo-
dalità d'intervento, tendenti a far crescere dal di dentro la partecipazione di tutti i confratelli
alla vita della comunità10.
Il termine è entrato nella nuova stesura delle Costituzioni e indica lo stile, lo spirito, la
modalità del governo salesiano: "governare animando", cioè informando, comunicando, fa-
cendo partecipare, corresponsabilizzando, svegliando continuamente le energie spirituali,
formando le persone, ecc.
Poiché la vita salesiana, come anche la sua spiritualità, è allo stesso tempo e sempre
"religiosa e apostolica", l'animazione di una di queste dimensioni non va mai disgiunta da
quella dell'altra. Per noi salesiani l'animazione spirituale si qualifica simultaneamente come
religiosa e pastorale11.
Ciò significa che nessuno dei due aspetti della nostra vita si può concepire o coltivare
separatamente. Tuttavia si può, mirando a determinate finalità pratiche, mettere in rilievo e
accentuare una tematica o una preoccupazione piuttosto che un'altra. Noi intendiamo mettere
in evidenza le esigenze dell'animazione pastorale dell'ispettoria.
1.3. Organismi
La complessità dei campiti che l'ispettoria deve svolgere verso i confratelli, le comunità
locali, le ispettorie limitrofi, la Congregazione e la Chiesa locale, è tale che non può essere
affrontata dal solo ispettore e dal consiglio. Le Costituzioni insistono dunque di costituire
"organismi" di animazione e propulsione senza obbligare tutte le ispettorie ad un unico mo-
dello12. Per ciò che riguarda l'organismo di animazione pastorale conviene tener presente
alcuni criteri: (a) sia unitario: ciò per non settorializzare le attività che si propongono un fine
unico: formare buoni cristiani e onesti cittadini. Deve dunque lavorare come un'equipe che
risponda, nella sua composizione, alle grandi dimensioni del progetto educativo pastorale
salesiano come viene descritto nelle Costituzioni e Regolamenti Generali: Educazione,13
Evangelizzazione-Catechesi,14 Orientamento vocazionale,15 e Associazionismo16; (b) sia
piuttosto di orientamento e appoggio che di organizzazione. Questo verrà chiarito quando
9 CGS20 84.
10 Cf. CG21 46.
11 Ibid.
12 R 155; 157; 160.
13 C 32-33; R 6.
14 C 34-36; R 7.
15 C 37; R 9.
16 C 35; R 8.
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sarà descritto il suo ruolo in ispettorie operanti in un medesimo contesto, che si propongono
di portare avanti l'animazione e alcune iniziative in comune, conviene, per una migliore in-
tesa, che siano omogenei, cioè che le ispettorie interessate lo costituiscono nello stesso
modo.
2. L'animazione pastorale delle ispettorie
Lo sforzo di "dinamizzazione" pastorale dell'ispettoria può disperdersi inutilmente in
azioni occasionali e discontinue o focalizzare aspetti accidentali, se non si stabiliscono con
chiarezza determinate linee d'intervento. Non si tratta in effetti di "produrre attività o movi-
mento", né di dare l'impressione che "tutti lavorano molto", bensì di unire e abilitare costan-
temente le comunità a dare risposte cristiane alla situazione giovanile.
Per l'animazione pastorale dell'ispettoria si metteranno in pratica questi punti.
2.1. Primo punto: il consiglio ispettoriale assuma l'animazione pastorale dell'ispettoria.
Gli ultimi Capitoli hanno sottolineato il carattere e la funzione prevalentemente "pasto-
rale" del Consiglio e la subordinazione a questa finalità degli aspetti amministrativi. Le Co-
stituzioni hanno raccolto questa istanza17.
Il cammino percorso dai Consigli in questi ultimi anni è diverso, secondo il grado con
cui hanno assimilato le direttive capitolari. Alcuni Consigli sono presi piuttosto da questioni
di ordinaria amministrazione: trattano prevalentemente "cambi" di persone, "permessi" di
diverso genere a norma delle Costituzioni, "risposte" a conflitti, bilanci o investimenti, "ca-
lendari" di attività che interessano la comunità.
Tutto questo appartiene anche alla pastorale e lo si fa in vista di essa. Accade però che
le programmazioni, lo studio di "criteri e linee pastorali" per l'ispettoria sono totalmente
demandati alle singole comunità locali o a gruppi di animazione. Così questi gruppi non
sempre avvertono la loro continuità col Consiglio, né arrivano a capire quale valore può
avere il loro servizio alle comunità.
Altri Consigli invece hanno fatto spazio alla riflessione dottrinale opera sulla situazione
dell'ispettoria; hanno cercato di dare direttive per le diverse aree pastorali in cui maggior-
mente si avvertono i cambiamenti; hanno ripreso nelle loro riunioni la riflessione dei gruppi
di animazione; hanno studiato la programmazione proposta da questi e, con rilievi ed even-
tuali modifiche, l'hanno fatta propria, proponendola all'ispettoria dopo un opportuno e ap-
profondito studio; hanno cercato in Consiglio il modo di renderla effettiva. Si avvalgono
così dell'aiuto dei confratelli esperti, incorporandoli corresponsabilmente alla funzione ani-
matrice del Consiglio. Assumere collegialmente l'animazione pastorale comporta: (a) stu-
diare con attenzione i problemi che emergono nei diversi settori (qualificazione dei confra-
telli, catechesi, orientamento vocazionale, pastorale scolastica, pastorale parrocchiale, stru-
menti di comunicazione sociale...), anche con l'aiuto di operatori diretti o di esperti; (b)
enunciare per 1'ispettoria linee preferenziali di azione, indicare criteri, illuminare tempesti-
vamente i punti nei quali si rivelano differenze disgreganti o chiamare a riflettere su di essi;
(c) programmare con gli animatori come condurre avanti, secondo le possibilità delle diverse
comunità, queste linee, in modo che l'azione degli animatori sia la realizzazione correspon-
sabile delle linee vaglia te nel Consiglio ispettoriale; (d) fare una revisione periodica dei
risultati con gli incaricati dei diversi settori.
I Consigli ispettoriali insomma devono rendere concreta l'affermazione dell'art. 121
delle Costituzioni: «il servizio dell'autorità è rivolto a promuovere la carità, a coordinare
17 Cf. C 161; 164. R 155.
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l'impegno di tutti, ad animare, orientare, decidere, correggere in modo che venga realizzata
la nostra missione».
2.2. Secondo punto: organizzare il servizio di animazione e curare il suo funziona-
mento.
Già il CG 19 (1965), in vista della nuova situazione pastorale, indicava la convenienza
che esistessero "consiglieri ispettoriali liberi da cariche ed impegni particolari", ai quali si
potessero affidare determinati settori di attività; allo stesso modo suggerì la convenienza di
delegati ispettoriali o "incaricati delle diverse attività con incombenze di studio, organizza-
zione e coordinamento"18.
Il CGS 20 prospettò, per il dinamismo e l'aggiornamento delle nostre comunità e in
ordine ad un servizio più concreto e specifico, le seguenti possibilità:
a) servizi e centri di pastorale giovanile a livello ispettoriale, nazionale o regionale,
con salesiani convenientemente preparati e dedicati a tempo pieno a questo lavoro19;
b) consulte20;
c) servizi tecnici "per meglio studiare e attuare la pianificazione delle nostre attività"21.
Queste istanze furono recepite dall'art. 160 dei Regolamenti Generali che decentra alle
ispettorie la possibilità di organizzarsi in aderenza alla loro situazione concreta.
Resta così confermata la necessità di un servizio di governo più articolato, più completo
e più partecipato per una maggiore comunione e una più profonda incidenza pastorale.
Oggi il servizio ispettoriale di pastorale affronta questioni, non sempre risolte con lu-
cidità, che riguardano tre interrogativi:
a) come concepire il servizio: viene prestato da una persona o da un gruppo? Quali la
sua area e i suoi compiti? Quale la sua relazione con il Consiglio ispettoriale?
b) quali persone risultano atte per un servizio reale?
c) come abituare le comunità ad utilizzare servizi di animazione?
Dopo venti anni di esperienze appaiono abbastanza chiari i limiti e i pregi delle diverse
soluzioni.
Il nostro suggerimento, suffragato dall'esperienza di questi anni è costituire il servizio
con (a) un animatore-coordinatore di pastorale giovanile, che in questo documento chiame-
remo "Delegato di Pastorale Giovanile"; (b) con un gruppo o equipe di riflessione e di lavoro
secondo le modalità che in seguito indichiamo; (c) consulte di confratelli per problemi e
dimensioni specifiche.
2.2.1 Il coordinatore-animatore per la Pastorale Giovanile
È delegato dall'Ispettore e dal Consiglio per animare la pastorale giovanile nel suo in-
sieme. Questo vuol dire che nella sua attività "di animazione" lavora in esplicito accordo e
sintonia col Consiglio per quanto riguarda linee, criteri e programmi.
Se è consigliere ispettoriale, l'introduzione dei problemi della sua area nel Consiglio
avverrà naturalmente. Se non lo è, si deve assicurare una comunicazione facile in ambedue
le direzioni. In ogni caso darà il suo apporto al Consiglio su eventuali richieste ed esperienze,
introdurrà nel Consiglio la riflessione sui programmi e criteri di animazione che si seguono.
Molte ispettorie lo hanno oggi inserito nel Consiglio.
18 CG19 cap. VI, nn. 3 e 4.
19 CGS20 399; cf. anche 388 c.
20 Cf. CGS20 441.
21 CGS20 708 c.
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È conveniente, e nelle ispettorie che hanno una certa consistenza numerica è indispen-
sabile, che possa dedicarsi al suo compito a tempo pieno e non sia pertanto impegnato a
livello locale. Non si devono accumulare su di lui un numero tale di incombenze e compe-
tenze che le sue funzioni risultino puramente nominali. La descrizione delle sue funzioni si
possono così sintetizzare: (a) negativamente: non è chiamato a intraprendere un programma
proprio, indipendente da quello che realizzano le comunità, né a supplirle in ciò che devono
fare attraverso i loro componenti, né ad offrire servizi fuori dell'ispettoria, come programma
stabile; (b) positivamente: è una persona a disposizione del Consiglio e delle comunità per
una conoscenza più profonda della realtà giovanile, per la programmazione della pastorale,
per l'informazione, il coordinamento, la comunicazione e l'appoggio delle comunità.
Gli toccherà pertanto: (a) assistere il Consiglio ispettoriale nell'elaborazione di even-
tuali programmi di pastorale per i diversi settori (catechesi, pastorale vocazionale, anima-
zione di gruppi e movimenti giovanili, azione parrocchiale...); (b) accompagnare il lavoro
delle comunità locali, aiutandole nelle loro programmazioni e revisioni, o intervenendo per-
sonalmente in alcuni momenti di speciale importanza o quando esse lo chiedono (es. inizio
di anno, giornate per la formazione dei collaboratori, revisione pastorale e catechetica, ela-
borazione di un progetto , ecc. ); (c) radunare periodicamente e coordinare l'equipe ispetto-
riale di pastorale giovanile - integrato dagli incaricati dei settori e dagli esperti di ambienti -
per un lavoro di animazione immediata, di analisi e di riflessione, di confronto, di program-
mazione e revisione..., in linea operativa e a raggio ispettoriale; (d) visitare le comunità d'in-
tesa con 1'ispettore; in alcune ispettorie il delegato di pastorale giovanile accompagna l'i-
spettore nella visita ispettoriale quando è necessario uno scambio più profondo o una revi-
sione più radicale degli aspetti pastorali; (e) intercomunicare con gli operatori allo scopo di
unificare le esperienze dell'ispettoria, programmare e rivedere in comune, illuminare a- spetti
che richiedono chiarimenti; (f) animare e coordinare le Consulte che si formano per lo studio
di problemi settoriali; (g) dirigere personalmente le iniziative pastorale che l'ispettore col
suo consiglio hanno approvato per l'animazione dell'ispettoria (iniziative giovanili comuni,
formazione dei leader, campi vocazionali, ecc.); (h) rendere presente l'ispettoria negli incon-
tri e iniziative di pastorale giovanile a livello di Chiesa locale o di Congregazione; (i) man-
tenere un continuo contatto col dicastero di pastorale giovanile per rendere effettiva e reale
la "comunità mondiale salesiana" nell'aspetto pastorale e facilitare lo scambio di esperienze
arricchenti; (k) segnalare o elaborare sussidi e far pervenire alle comunità la documentazione
utile, consigliando contemporaneamente una conveniente bibliografia.
Nella persona chiamata a coprire questa funzione devono convergere tre condizioni:
preparazione specifica, esperienza positiva dell'azione pastorale, capacità di contatto e coor-
dinamento. Conviene far notare che il Delegato di pastorale giovanile deve fiancheggiare le
comunità e i confratelli con realismo, aiutandoli a progredire, tenendo conto delle loro ini-
ziative e proponendo nuove mete ed occasioni per approfondire quadri di riferimento e mo-
tivazioni.
2.2.2 Il gruppo o equipe di riflessione e di lavoro
La complessità del lavoro pastorale tra i giovani e nel ceto popolare rende necessario
che il delegato faccia assegnamento su di una equipe.
L'equipe è formata da persone: (a) di diverse specializzazioni nelle aree della pastorale
giovanile: catechesi, liturgia, mezzi di comunicazione, pastorale vocazionale, pedagogia,
azione parrocchiale, associazionismo... Tocca all'ispettoria determinare il numero e la spe-
cializzazione dei componenti l'equipe, in linea col programma stabilito e la disponibilità di
personale; ma in generale vengono raccomandate le quattro aree del progetto: educazione e
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16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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cultura popolare; evangelizzazione e catechesi; pastorale vocazionale; associazionismo; (b)
non necessariamente a tempo pieno. Il numero di persone a tempo pieno dipende dalla con-
dizione dell'ispettoria. È sommamente conveniente che qualcuna di esse lo sia oltre al dele-
gato. Per l'importanza che gli attribuisce il CG 2122, è conveniente annoverare nel gruppo
l'animatore vocazionale con tempo e capacità sufficienti. In lui si possono aggiungere anche
altre competenze compatibili con questo primo incarico (es. animatore di gruppi e movi-
menti giovanili...); (c) con un programma di studio e di animazione integrato e sotto il coor-
dinamento diretto del delegato di pastorale giovanile. Bisogna evitare il "settorialismo" e "i
compartimenti stagno" negli apporti, proposte, sussidi e stimoli. Tale settorialismo avviene
quando gli incaricati di diversi settori o dimensioni (catechesi, mezzi di comunicazione, ecc.)
preparano e svolgono il loro programma senza riferirsi ad un programma comune, di cui la
loro attività è una dimensione. Non bisogna dimenticare che ci impegniamo in una pastorale
giovanile che conta su diverse dimensioni integrate in ordine ad un risultato totale.
Per questa medesima ragione sono da sconsigliarsi le commissioni che procedono in
maniera staccata l'una dall'altra e con soli compiti di studio.
2.2.3 Le consulte
Sono gruppi di confratelli, ai quali possono aggiungersi anche collaboratori laici e
membri di altri rami della Famiglia salesiana. Ad essi si affida lo studio di un problema o di
un particolare aspetto, in forma occasionale o stabile.
La consulta funziona in base a tre operazioni: studio e osservazione personale di un
problema o situazione; incontro periodico per uno scambio e delucidazioni in comune; com-
pilazione di conclusioni e suggerimenti del gruppo.
I confratelli sono chiamati a partecipare alle consulte o per una loro speciale esperienza
nella realtà su cui si riflette (es. parrocchie) o per una loro competenza teorica.
Le consulte, oltre a favorire la intercomunicazione, allargano le possibilità dell'ispetto-
ria di animare le diverse attività, coinvolgendo responsabilmente i confratelli.
In alcune ispettorie sono formate dagli operatori locali interessati ad un problema e si
radunano due o tre volte all'anno per trattare problemi pratici.
2.3. Terzo punto: la formazione costante degli operatori
È inutile suggerire un tipo di azione quando chi la deve eseguire non è stato abilitato.
Ed è inutile preparare programmi o stimolare in forma generica all'iniziativa coloro che man-
cano di base per eseguire detti programmi. Tre aspetti si presentano come particolarmente
determinanti:
2.3.1. La formazione iniziale
In essa è necessario superare la "settorialità" e la sovrapposizione esterna dell'aspetto
pastorale, la "improvvisazione" della pratica e il "genericismo". A ciò provvede il DIF. Ma
si può stabilire una collaborazione tra animatori pastorali e la commissione di formazione
per dare alla dimensione pastorale la profondità e la specificità che richiede la nostra mis-
sione, secondò lo spirito delle indicazioni della FSDB.
22 Cf. CG21 114.
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16.2 Page 152

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2.3.2. La formazione specializzata degli animatori e in genere dei confratelli con
attitu-dini e disposizioni.
La "qualità" degli operatori è, anche in vista dei risultati, un fattore più importante del
numero. Con una visione più esatta della natura, fini e leggi dell'azione pastorale e una
com-prensione più adeguata della cultura, cresce la persona e crescono la sua creatività e le
sue capacità di realizzazione e di guida. Su questo aspetto, e sempre in ordine
all'animazione pastorale dell'ispettoria, ci sembra importante evidenziare alcuni punti.
a) L'urgenza di provvedere l'ispettoria di personale specificamente preparato. Il CGS
20, nel caso specifico dell'evangelizzazione e della catechesi, considerava già la prepara-
zione "specializzata" come un elemento indispensabile di rinnovamento: "Ogni ispettoria
organizzi un servizio specializzato ed agile per animare l'azione catechistica...; a questo
scopo è indispensabile l'opera di esperti in catechetica... Si scelgano i confratelli che hanno
doti speciali per il ministero della parola e, dopo la dovuta preparazione, si rendano dispo-
nibili per la comunità". Ciò viene codificato oggi in forma generale nell'art. 10 dei Regola-
menti Generali: "Per mantenere e sviluppare in modo organico le sue diverse presenze pa-
storali ed educative, ogni ispettoria programmi la preparazione e l'aggiornamento del perso-
nale, tenendo in conto le attitudini dei confratelli e le esigenze delle opere".
b) Le aree di specializzazione. Il ruolo specifico del salesiano in gruppi apostolici o
educativi, 'la possibilità di fare assegnamento sui collaboratori per apporti tipicamente "lai-
cali", il carattere sempre più specifico dell'evangelizzazione, ci deve portare a specializzare
i nostri confratelli in scienze pastorali e educative: teologia pastorale, catechesi, liturgia,
pedagogia, ecc. Conviene fare un'azione di sensibilizzazione, perché ciò entri nella coscienza
delle persone e delle comunità.
c) Il criterio di programmazione: qualificare il maggior numero possibile di confratelli
in prospettiva di futuro. Il criterio di specializzazione entra nella pastorale come negli altri
campi dell'attività umana. In forza di ciò, l'ideale sarebbe fare di ogni salesiano un
"operatore specializzato", preparato teoricamente e praticamente.
Agli studi teologici dovrebbe seguire normalmente una "specializzazione" in linea con
le prospettive presenti nei Regolamenti quando stabiliscono: «Ogni confratello ricerchi con
i superiori il campo di qualificazione più confacente alle sue capacità personali e alle
neces-sità dell'ispettoria, preferendo quanto concerne la nostra missione»23.
Spesso le ispettorie, prese da necessità immediate, tendono a ridurre al minimo le
"spe-cializzazioni"; per cui scarseggia il numero dei confratelli preparati alle funzioni di
animatori pastorali.
Sovente non esiste programmazione e la preparazione delle persone si calcola più in
ordine alle funzioni attuali da ricoprire a livello ispettoriale, anziché in ordine ad un'azione
futura di maggior incidenza pastorale.
Conviene pensare che fra non molto anche, a livello locale le persone che lavorano in
campo pastorale avranno bisogno di speciale preparazione nella propria area; e che a livello
di diocesi e di Chiesa crescerà la domanda di servizi specializzati propri della nostra mis-
sione: pastorale giovanile, orientamento vocazionale, pastorale scolastica...
Consideriamo decisiva anche la specializzazione pratica attraverso cui un operatore,
acquistata una esperienza per la dedicazione permanente e illuminata ad un determinato
set-tore, la riversa con apporti validi nella comunità ispettoriale.
23 R 100.
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16.3 Page 153

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2.3.3. La formazione permanente
Sulla formazione permanente le Costituzioni e la FSDB forniscono indicazioni opera-
tive e chiare. La prospettiva esplicitamente e "tecnicamente pastorale" è presente nella de-
scrizione della situazione attuale24, nel concetto di formazione permanente25, nelle motiva-
zioni26, nel soggetto27, negli obiettivi28. Nell'enunciare le aree di formazione permanente il
CG 21 afferma: «La formazione permanente, come sforzo di crescita vitale, coinvolge tutti
gli aspetti della personalità del salesiano, e quindi: la spiritualità...; l'identità salesiana, quindi
il progetto religioso apostolico di Don Bosco e il suo metodo pedagogico-pastorale ; l'ambito
teologico pastorale; la dinamica di comunità; l'odierna condizione giovanile; la professiona-
lità; le nuove metodologie operative e il ripensamento di mentalità che esse comportano»29.
I programmi di formazione occupano dunque strategicamente il primo posto, così come
la loro qualità e il loro carattere specifico.
2.4. Quarto punto: il coinvolgimento delle comunità e dei confratelli
«La formazione di vere comunità pastorali, basate sulla corresponsabilità e sulla colla-
borazione, è uno dei principali obiettivi del nostro rinnovamento pastorale»30. L'esperienza
dice che molte proposte sono rimaste a livello solo di enunciazione, che non sono conosciute
dalle comunità e non sono accolte dai confratelli. Sono necessarie dunque forme permanenti
ed efficaci di comunicazione tra le comunità e di queste con gli animatori.
Punti strategici per ottenere il coinvolgimento corresponsabile di tutti sono:
a) La consistenza e il funzionamento delle comunità locali. Esse devono assicurare i
momenti di interscambio e discernimento pastorale31, in modo tale che adempiano quanto
indicano i Regolamenti, cioè ricerchino i mezzi atti a stimo lare la vita religiosa e pastorale,
programmino le attività e ne facciano revisione, partecipino alla elaborazione del progetto
pastorale32.
Un punto delicato nella comunità locale è la determinazione dei ruoli pastorali e la
designazione di confratelli per tali funzioni. Dice a questo proposito l'art. 135 delle Costitu-
zioni: "La figura e i compiti dei responsabili dei principali settori dell'attività della comunità
saranno stabiliti dal capitolo ispettoriale". Dal Consiglio Generale si è insistito presso tutte
le ispettorie, il cui Capitolo non aveva a ciò provveduto, indicando al Consiglio di supplirvi.
In effetti la mancanza di definizione delle funzioni aveva lasciato scoperto e alla mercé
dell'improvvisazione importanti aspetti della nostra azione educativa integrale.
b) L ' intercomunicazione e lo scambio pastorale frequente tra le comunità e gli opera-
tori interessati in aree pastorali affini. Mezzi e occasioni di comunicazione che l'ispettoria
ha già a sua disposizione sono:
24 FSDB 488.
25 FSDB 490.
26 FSDB 492-493.
27 FSDB 495.
28 FSDB 494.
29 CG21 313.
30 CGS20 357; CG 21 62.
31 C 44.
32 R 184.
- 151 -

16.4 Page 154

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* Le adunanze: i Regolamenti ne prevedono e stabiliscono alcune33. Il CG 21 accenna
ad adunanze di animatori pastorali e altri confratelli. La prassi delle ispettorie consacra in-
contri di altre categorie per gli stessi fini e con le stesse modalità (es. di parroci, di animatori
vocazionali...). Il CG 21 dà questi incontri e riunioni come un dato di fatto ed esorta a con-
siderarli come un'occasione di formazione, di pre-programmazione o revisione pastorale.
L'importante è non limitarsi in esse alla sola informazione o alle sole intese organizzative,
ma affrontare problemi di contenuti o modalità pastorali.
* Il notiziario ispettoriale: può svolgere una funzione importante nella comunicazione
e nello scambio pastorale. Il CGS 20, che lo ha stabilito, dice che la sua finalità è di informare
"comunità e confratelli su problemi riguardanti l'ispettoria" e favorire "iniziative libere, pro-
poste di incontri, ricerca di soluzioni ai problemi", dare "occasione di confronto e di revi-
sione di idee, esperimenti, metodi, orientamenti"34. Il notiziario, fatto con lo stile opportuno,
può essere allo stesso tempo "informativo, familiare e pastorale".
* Le visite alle comunità, sia dell'ispettore, sia dell'animatore sempre che in esse abbia
luogo la verifica del lavoro pastorale e la comunicazione di orientamenti, di intese raggiunte,
di materiale elaborato.
I tre punti sopradescritti tendono a radicare nei confratelli e nelle comunità la coscienza
della nostra missione e della sua peculiarità evangelizzatrice ed educativa. «Noi, salesiani
di Don Bosco, formiamo una comunità di battezzati che, docili all'appello dello Spirito, in-
tendono realizzare, in una specifica forma di vita religiosa, il progetto apostolico del Fonda-
tore: essere nella chiesa segni e portatori dell'amore di Dio ai giovani, specialmente ai più
poveri. Nel compiere questa missione, troviamo la via della nostra santificazione»35.
Gli aspetti metodologici, di dinamica, di contenuti particolari hanno la loro importanza;
però devono consolidarsi e approfondirsi sulla base del senso evangelico della nostra mis-
sione e di quanto essa comporta. La recente esperienza dimostra inoltre che le difficoltà
pastorali si incontrano primariamente nel quadro di riferimento fondamentale con cui si giu-
stificano la presenza e l'azione pastorale salesiana, e solo secondariamente nell'ordine della
metodologia. Ma allo stesso tempo il lavoro di animazione vuole abilitare alla conoscenza
della realtà in cui si opera, alla sua lettura evangelica e a una risposta adeguata da parte
nostra.
Un'insistenza degli ultimi Capitoli ci stimola ad osservare attentamente il mondo e la
condizione giovanile: attenzione "simpatica", conoscenza "scientifica", comprensione
"evangelica". La solidarietà con le necessità dei giovani, presa come criterio di orientamento
della nostra azione, comporta favorire e stimolare l'iniziativa dei singoli e delle comunità
locali entro la missione ad essi affidata, in tal modo che ci sia posto per una differenziazione
locale e personale e il salesiano si mantenga in continuo atteggiamento di creatività e slancio
pastorale.
A conclusione della nostra riflessione sull'animazione pastorale vogliamo sottolineare
ancora l'importanza e la delicatezza del compito.
Le ispettorie non sono divisioni amministrative della Congregazione, ma comunità sta-
bilite in un territorio in ordine alla missione. La loro originalità e consistenza nascono
dall'incarnazione della missione salesiana in una situazione particolare. Un po' alla volta si
33 R 145; 179; 194; 195.
34 CGS20 516 B.
35 C 2.
- 152 -

16.5 Page 155

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vanno dando una fisionomia propria, conforme al modo come sviluppano la propria mis-
sione. Ci sono ispettorie vivaci e di frontiera dal punto di vista catechistico e giovanile, e
altre che lo sono meno. Ci sono ispettorie attente ai "poveri" e altre meno sensibili ad essi.
Il processo di dare un volto caratteristico all'ispettoria richiede responsabilità e atten-
zione intelligente. Si tratta di "formare" costantemente la comunità salesiana nella sua vo-
cazione e nella sua identità, nel pluralismo che caratterizza l'attuale momento.
Per questo lo Spirito ci richiede il servizio dell'animazione.
3. L'animazione interispettoriale
In tutte le nazioni dove operano più di due ispettorie si è avvertita la necessità di coor-
dinare la loro azione, nel rispetto della relativa autonomia. In questa prospettiva le Costitu-
zioni raccomandano la creazione della Conferenza con competenze di coordinamento e ani-
mazione nei settori dell'azione pastorale comune, della formazione e aggiornamento dei soci,
della comunicazione sociale36.
Per coordinare e animare l'azione pastorale le diverse Conferenze esistenti si sono dati
degli organismi, secondo due modelli:
* Centri Nazionali di Pastorale (Italia, Spagna, India);
* Consulta Interispettoriale di Pastorale (Argentina, Brasile).
I Centri Nazionali di Pastorale sono costituiti da due, tre o più persone a "tempo com-
pleto". La composizione dell'equipe corrisponde a quella dell'equipe ispettoriale. Vivono
assieme in una delle case di una ispettoria o in una residenza propria.
Le funzioni che svolgono i Centri si vedono con chiarezza nello statuto del centro spa-
gnolo che trascriviamo in seguito.
Le nazioni che hanno al loro interno notevoli differenze di contesti pastorali, dove le
ispettorie sono assai estese e le sedi ispettoriali lontane l'una dall'altra, hanno adottato per il
coordinamento la modalità della Consulta. La sua composizione, il suo funzionamento e i
suoi compiti si vedono negli articoli seguenti37.
36 Cf. R 142,2.
37 Cf. l'intero volume DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE, Animazione interispettoriale.
Emarginazione. Dossier P.G. 2 Esperienze a confronto, Roma, I semestre 1987.
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16.6 Page 156

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18. IL NOSTRO IMPEGNO PER I RAGAZZI E I GIOVANI «A RISCHIO»
Vecchi, J.E., Il nostro impegno per i ragazzi e i giovani «a rischio» in Dicastero di Pastorale Giovanile, «Animazione interi-
spettoriale. Emarginazione. Dossier P.G. 2 Esperienze a confronto», Roma, I semestre 1987, p. 63-69.
1. I Seminari - 2. I motivi e le finalità - 3. Conclusioni. - 4. Indicazioni pratiche.
1. I Seminari
Sono state largamente diffuse le informazioni riguardanti i tre Seminari su Pedagogia
Salesiana ed emarginazione giovanile, promossi dal Dicastero di Pastorale Giovanile e dalla
Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana.
Se ne sono fatte eco l'ANS, il Bollettino Salesiano, gli ACG. Il volume che ne raccoglie
le relazioni e le esperienze è in stampa e vedrà la luce nel prossimo giugno. In esso vengono
sintetizzate anche le caratteristiche di ciascun "tipo" di iniziativa.
Conclusi i tre Seminari che erano stati programmati in forma unitaria per raccogliere e
socializzare quanto le ispettorie stanno facendo in questo campo, e anticipando quando nel
volume si espone in forma più estesa, si possono tirare le serrane dei risultati ottenuti e delle
prospettive aperte dai Seminari.
2. I motivi e le finalità
Va sottolineato in primo luogo che i motivi dell'iniziativa sono da ricondursi all'art. 26
delle Costituzioni: «Il Signore ha indicato a Don Bosco i giovani, specialmente i più poveri,
cerne i primi e principali destinatari della sua missione... Con Don Bosco riaffermiamo la
preferenza per 'la gioventù povera, abbandonata, peri colante' che ha maggior bisogno di
essere amata ed evangelizzata, e lavoriamo specialmente nei luoghi di più grave povertà».
L'applicazione di questo articolo, che trova abbondante riscontro nelle Costituzioni me-
desime1, viene concretizzata nei Regolamenti Generali: «Ogni ispettoria studi la condizione
giovanile e popolare tenendo conto del contesto in cui opera. Verifichi periodicamente se le
sue opere e attività sono al servizio dei giovani poveri: dei giovani anzitutto che, a causa
della povertà economica, sociale e culturale, a volte estrema, non hanno possibilità di riu-
scita; dei giovani poveri sul piano affettivo, morale e spirituale, e perciò esposti all'indiffe-
renza, all'ateismo e alla delinquenza; dei giovani che vivono al margine della società e della
Chiesa»2.
In base a questo articolo la povertà va valutata non secondo una definizione generica,
ma secondo le manifestazioni concrete che emergono in contesti particolari, dove le possi-
bilità di vita per i giovani sono esposte a gravi fischi.
Un orientamento operativo del CG 22 lo riprende, richiedendo dai salesiani uno sforzo
di attuazione in questo sessennio. «Il CG chiede a tutti i salesiani di 'ritornare' ai giovani, al
loro mondo, ai loro bisogni, alle loro povertà. Cerchino di fare la scelta coraggiosa di andare
verso i più poveri, ricollocando eventualmente le nostre opere dove maggiore è la povertà»3.
«Gli ispettori con i loro consigli e i capitoli ispettoriali, nell'elaborazione e nella verifica del
1 Cf. C 2, 6, 24, 26, 61, 33, 41, 42.
2 R 1.
3 CG22 6.
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16.7 Page 157

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proprio progetto, ripensi no le opere e preparino scelte operati ve con eventuale ricolloca-
zione delle nostre presenze tra i giovani poveri e del' mondo del lavoro»4.
L'orientamento operativo veniva ribadito dal Rettor Maggiore nel discorso di chiusura.
Tra le frontiere della pastorale giovanile nel sessennio egli proponeva «quella di una mag-
giore audacia di presenza tra i poveri». «La carità pastorale vissuta da Don Bosco ci stimola
ad andare verso i giovani più bisognosi, verso quelli che sono in particolari pericoli, sia nel
Terzo Mondo come anche nelle società di consumo». «Per rilanciare la nostra presenza in
questa area preferenziale dell'attività salesiana e necessario che consideriamo di più le situa-
zioni concrete della gioventù bisognosa nei paesi in cui siamo situati...»5.
Un appoggio autorevole viene poi dalle scelte pastorali di non poche Chiese. La Chiesa
in Italia propone di «ripartire dagli ultimi che sono il segno drammatico della crisi attuale»6.
Le Chiese latinoamericane fanno «l'opzione preferenziale per i poveri e per i giovani»7.
Alcune parole del Sinodo straordinario rivelano un movimento simile allo interno della
Chiesa universale: Dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa è divenuta più consapevole della
sua missione a servizio dei poveri, degli oppressi, degli emarginati. In questa opzione prefe-
renziale, che non va intesa cerne esclusiva, splende il vero spirito del Vangelo. Gesù Cristo
ha dichiarato beati i poveri8 ed Egli stesso ha voluto essere povero per noi9. Tra le varie
forme di povertà ed oppressione che il Sinodo enuncia in seguito, noi dobbiamo lasciarci
impressionare da quelle che lanciano una sfida al nostro carisma: giovanile, educativo, po-
polare.
Le citazioni potrebbero moltiplicarsi all'infinito.
I seminari non sono dunque un'iniziativa isolata per noi né per la Chiesa. Segnano in-
vece una linea d'impegno che verrà illuminata e sostenuta cerne lo sono state precedente-
mente quelle che si riferiscono al mondo del lavoro, ai gruppi e ai movimenti, al progetto
educativo nelle singole strutture operative (scuola, oratori, parrocchie).
I seminari furono offerti e svolti cane un dialogo-confronto tra Dicastero e ispettorie.
Si è chiesto ai sigg. Ispettori di indicare le presenze di questo tipo esistenti nel territorio della
propria ispettoria. Le esperienze su cui fare un rapporto si sono selezionate per evitare ripe-
tizioni, circoscrivere la riflessione e limitare il numero dei partecipanti. La iscrizione di que-
sti è stata demandata anche alle ispettorie. Il rapporto con le ispettorie si evidenziò ancora
con la presenza, nei diversi convegni, dei membri del Consiglio Generale, di Ispettori, di
Vicari ispettoriali, di delegati di pastorale giovanile oltre a quella di coloro interessati diret-
tamente nelle iniziative.
Nell'ambito di alcune regioni i seminari furono preparati o seguiti da incontri locali
(Italia, Spagna. Brasile) convocati dalle rispettive Conferenze ispettoriali, direttamente o at-
traverso i delegati per la pastorale giovanile.
Le finalità degli incontri sono state pensate in vista della missione affidata alle ispetto-
rie:
- valorizzare, documentare e socializzare il patrimonio di esperienza educativa accu-
mulato nella Congregazione in questi campi;
4 CG22 7.
5 CG22 72.
6 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. CONSIGLIO PERMANENTE. La Chiesa italiana e le prospettive
del paese: documento del Consiglio permanente della CEI. Roma, Edizioni Paoline, 1981, n. 4.
7 Puebla nn.1134-1165.
8 Mt 5,3; Lc 6,20.
9 2 Cor 8,9.
- 155 -

16.8 Page 158

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- avviare un tentativo di valutazione critica delle esperienze, attraverso il confronto
tra iniziative analoghe e con l'aiuto di esperti;
- fare uno sforzo di qualificazione pedagogica soprattutto in quelle che sono frutto di
una prima e ancora non matura intuizione;
- prospettare eventuali ipotesi di rilancio e di sviluppo, individuando nuovi campi di
impegno.
3. Conclusioni
Quali conclusioni vengono fuori da questa complessa operazione di rilevamento e ve-
rifica?
I convegni hanno messo in evidenza il carattere drammatico di molte situazioni giova-
nili, facilmente trascurate o per assuefazione o per ignoranza: il lavoro minorile, l'emargina-
zione socio-culturale, la discriminazione economica, la dipendenza in forma di servitù, le
devianze, tipiche delle società avanzate. Il bilancio si fa più drammatico quando si conosce
il numero di ragazzi intrappolati in alcune di queste situazioni. Di fronte al desiderio dei
soggetti di liberarsi, alle loro risorse sane, alle conseguenze del protrarsi dei condizionamenti
negativi è veramente difficile rimanere indifferenti o eludere il problema dichiarandosi in-
competenti. .
Sono evidenti gli sviluppi che l'impegno per i giovani bisognosi ha avuto nella Congre-
gazione negli ultimi quindici anni. Settanta furono le iniziative studiate. La maggior parte di
esse (fino al 90%) hanno avuto inizio tra gli anni '70 e '85. Rappresentano però la continua-
zione di un impegno che la Congregazione aveva espresso già precedentemente lungo tutto
il corso della propria storia in programmi adeguati ad altre forme di povertà e ad altri criteri
educativi. Ne sono prova opere che ancora oggi vantiamo cerne segni dell'efficacia del Si-
stema Preventivo. Il medesimo slancio deve oggi far fronte a forme nuove, di povertà, le cui
radici e conseguenze vengono affrontate con nuove chiavi di analisi che suggeriscono anche
interventi nuovi.
L'inserimento di queste iniziative in un insieme diversificato di presenze all'interno di
un'ispettoria ci qualifica cerne apostoli dei giovani, capaci d'interpretare e trattare tutte le
situazioni educative in cui essi vengono a trovarsi: quelle in cui si applica la prima e più
generale prevenzione, quelle in cui bisogna saper orientare ad alti impegni di vita cristiana
(gruppi, animatori, vocazioni), quelle in cui si deve adoperare, almeno in un primo tempo,
una pedagogia di sostegno e di ricupero.
C'è interdipendenza e vicendevole arricchimento tra le strutture e iniziative attraverso
cui opera 1'ispettoria. I rischi presenti in un territorio devono essere conosciuti e presi in
considerazione da tutti i programmi e interventi educativi. Coloro che operano più diretta-
mente nelle aree di rischio possono aiutare a interpretarli e prevenirli mentre ricevono dalle
altre presenze appoggio e illuminazione. Sarebbe errato dunque contrapporre le iniziative,
vedere nel sorgere di un tipo di presenza l'indebolimento di un altro, o semplicemente sepa-
rarle. Il tutto va considerato nella comunione ispettoriale in forma interdipendente e vicen-
devolmente fecondante.
Uno dei dati più sottolineati è stato il bisogno di ulteriore e continua qualifica pedago-
gica di queste presenze. Infatti un'opera che voglia dirsi educativa, non può limitarsi al primo
approccio di simpatia e motivazione, e nemmeno ad un primo rapido intervento di sostegno.
Si deve propor re, cane le altre nostre presenze, di formare 1'onesto cittadino e il buon cri-
stiano. Va prestata attenzione dunque alla competenza di coloro che operano in questo set-
tore, all'adeguatezza delle strutture, ai programmi di azione. Non sarebbe serio addurre come
- 156 -

16.9 Page 159

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motivo che non si intraprendono iniziative di questo genere perché bisogna avere compe-
tenze specifiche e, allo stesso tempo, rimandare senza data la preparazione del personale.
Emerge ancora da questa serie di incontri la forza trasformante e la applicabilità del
Sistema Preventivo a molte delle situazioni studiate. Già il Rettor Maggiore, concludendo il
CG 22, ricordava che il concetto di preventività non andava interpretato carne limite ad in-
terventi di ricupero, ma piuttosto come indicazione positiva di atteggiamenti e metodi validi
anche nelle situazioni più difficili. Don Bosco ci insegna sono le sue parole che «la forza
educativa del Sistema Preventivo si mostra anche nella capacità di ricupero di ragazzi sban-
dati che conservano delle risorse di bontà e nel prevenire sviluppi peggiori quando si stanno
incamminando già sulla strada della devianza»10.
Va riconosciuto il valore delle strutture o «iniziative leggere», cioè quelle che si ade-
guano per la loro prossimità e dimensioni alla situazione dei soggetti e si costruiscono a
misura dei loro bisogni e delle loro possibilità educative. In alcuni contesti è apparso con
estrema chiarezza la difficoltà d'inserire in un sistema formale di educazione ragazzi che
hanno condizionamenti gravemente negativi. L'ambiente, il programma, le strutture vengono
allora adeguate alle loro domande e alle loro risorse. Ciò potrebbe suggerire ad alcuni l'im-
magine di pionierismo e inconsistenza. Ma non è altro che quello che fece Don Bosco
quando dovette adeguare tutto un sistema educativo ai suoi giovani (scuole serali, apprendi-
stato...).
Le Costituzioni ci avvertono che nello elenco delle nostre opere, insieme a quelle asso-
date, va valorizzata «qualunque altra opera che abbia di mira la salvezza della gioventù».
Toccherà all'ispettoria superare lo spontaneismo nell'approccio a questi ragazzi e provvedere
a che i programmi siano consistenti, pur nella loro dinamicità e capacità di adattamento.
In alcune parti l'iniziativa a favore dei giovani più poveri nasce cerne estensione di
un'opera salesiana già consolidata. Si ha allora il doppio movimento indispensabile alla pa-
storale salesiana: un programma educativo a tempo lungo per una conveniente preparazione
alla vita di coloro che sono sufficientemente motivati; uno sforzo di raggiungere i più esposti
nei loro ambienti con programmi di primo approccio e di primo aiuto.
È stata rilevata la necessità di non operare con "criterio di sola beneficienza" prescin-
dendo dalla conoscenza delle, cause della povertà e del contesto in cui si danno le diverse
situazioni giovanili di rischio o emarginazione. Non si possono oggi separare tre aree d'in-
tervento che sono naturai mente collegate, indipendentemente dalla nostra volontà: quella
educativa che mira ad aiutare le persone ed emergere dai rischi e situazioni negative e a
sviluppare tutte le proprie risorse; quella culturale che stimola la comunità umana a prendere
coscienza della situazione che sta vivendo, maturando atteggiamenti e valutazioni; quella
politica che riguarda le strutture pubbliche e il loro orientamento al bene comune.
Che le due ultime debbano essere raggiunte da noi con interventi pastorali è diverso dal
non prenderle assolutamente in considerazione. È stato di notevole aiuto nei seminari la pre-
senza di confratelli e consorelle inseriti in organismi di Chiesa e di Stato, incaricati di prov-
vedere soluzioni al problema dei giovani.
Dato di fatto e indicazione per il futuro, infine, è la forza aggregante di queste iniziative.
Alcune di esse sono diventate punto di coagulo di preoccupazioni, profondamente sentite
dalla Chiesa e nel territorio, a cui pochi avevano il coraggio di dare una risposta. Lanciato il
programma e valutate le proprie mosse, volontari, professionisti, operatori sociali, organismi
pubblici, persone interessate in generale al bene dei giovani hanno offerto la loro collabora-
zione e in molti casi condividono stile e spiritualità. Le iniziative si configurano con tratti
10 CG22 72.
- 157 -

16.10 Page 160

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caratteristici: corresponsabilità, cogestione, convergenza tra pubblico e privato, interventi su
diversi fronti.
4. Indicazioni pratiche
Dal rilevamento fatto, dallo scambio di idee avuto, dai rilievi emersi vengono fuori
alcune considerazioni pratiche.
1. Ogni ispettoria adempia quanto prescrive l'art. l dei Regolamenti Generali, già citato
in queste pagine. Cerchi di conoscere la situazione dei giovani nel proprio territorio. Man-
tenga aggiornata questa conoscenza, la diffonda tra i confratelli affinché sia facile a tutti
capire i motivi di alcune preoccupazioni e le ragioni di alcune scelte.
2. Nel programma di sviluppo delle proprie presenze, ogni ispettoria preveda alcune
capaci di dare risposta alle forme di povertà che più a rischio mettono la possibilità di vita
degna dei ragazzi e dei giovani.
3. Quando, per iniziativa di qualche confratello o degli organismi competenti, un'ispet-
toria decide di assumere una di queste presenze, faccia quel discernimento di cui parla
l'art.44 delle Costituzioni; dia alle iniziative garanzia di qualità, provvedendo il personale e
aiutando a definire il progetto concreto.
4. Si mantenga una comunicazione continua tra queste e le altre presenze dell'ispettoria,
con mutua informazione e interscambio di esperienze (adunanze di direttori, incontri di ani-
mazione e discussione, resoconti). Le équipe ispettoriali di animazione pastorale le inclu-
dano nel loro programma di accompagnamento e di appoggio.
5. Poiché la comunicazione tra le ispettorie è indispensabile per un conveniente svi-
luppo di queste iniziative, nel Dicastero si istituisce una consulta, formata da un gruppo
ampio e un altro ristretto. Essa affronterà il problema di qualificazione e sarà disponibile per
aiutare le ispettorie nello studio della condizione giovanile.
6. Per qualificare il personale l'Università Pontificia Salesiana prepara un programma
di pedagogia sociale. Le caratteristiche accademiche dipendono dalle rispettive autorità.
«Fin dall'anno 1841 il sacerdote Bosco Giovanni si univa ad altri ecclesiastici per ac-
cogliere in appositi locali i giovani più abbandonati della città di Torino...». Così nell'intro-
duzione storica, premessa alle Costituzioni (1858-1873), Don Bosco spiegava gli inizi della
Congregazione. A questo rivolgersi ai più derelitti attribuiva egli le benedizioni del Signore.
Non si può dimenticare!
L'itinerario di riflessione verso l'"88" ci porta a ravvivare, insieme alle altre, anche que-
sta dimensione così caratteristica della missione salesiana.
- 158 -

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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19. I GRUPPI DELLA FAMIGLIA SALESIANA RINNOVATI CERCANO DI
CONSEGNARE IL CONCILIO AL GIOVANI ATTRAVERSO LA PROPRIA MIS-
SIONE
Vecchi, J.E., I gruppi della famiglia salesiana rinnovati cercano di consegnare il concilio ai giovani attraverso la propria
missione in Martinelli A. - C. Cini, «Settimana di spiritualità della Famiglia salesiana (13: 1987: Roma). Con i giovani racco-
gliamo la profezia del Concilio. Atti della XIII Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana». Roma, Dicastero per la
Famiglia Salesiana, 1987, p. 243-249.
Il tempo a disposizione non è molto. Ci consente soltanto di procedere per accenni, sce-
gliendo alcune prospettive tra le molte possibili. Ne prendo due: i salesiani hanno cercato di
consegnare il Concilio ai giovani, in primo luogo diventando tra loro quella Chiesa «segno
e sacramento di salvezza» quale viene presentata nei documenti conciliari; in secondo luogo
offrendo un cammino di crescita che consentisse loro di essere cristiani nel mondo di oggi,
con i suoi pregi e le sue sfide.
Non mi soffermo a descrivere quel processo di rinnovamento interno che ha portato la
Congregazione a rimeditare la sua vocazione nella Chiesa, a cogliere i segni dei tempi e a
cercare la risposta evangelica che si richiedeva dai salesiani. È un primo tratto assai impor-
tante del cammino verso i giovani. Ma se ne è parlato spesso e a sufficienza (Capitoli Gene-
rali, rinnovamento dei testi normativi, ripensamento della comunità...).
Il primo movimento con cui la Congregazione ha cercato di avvicinare il Concilio (la
Chiesa) ai giovani è rivolgersi con nuova attenzione verso il loro mondo, conoscere e sinto-
nizzare con la loro condizione: la loro soggettività, la loro collocazione nelle strutture eco-
nomiche, sociali e politiche immediate e ampie, la loro travagliata crescita umana e religiosa
nella cultura odierna, le domande verso la vita che lo Spirito solleva in loro e le frustrazioni
cui vanno incontro. «Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei giovani, soprattutto
dei più poveri, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei salesiani, disce-
poli di Cristo; e nulla vi è di genuinamente giovanile che non trovi eco nel loro cuore»1.
Andare verso i giovani, collocare la propria tenda nel loro mondo, abitare tra di loro
fisicamente, psichicamente, culturalmente, evangelicamente, essere specialisti della condi-
zione giovanile significa per la Congregazione non soltanto possedere correttamente le verità
da dire, ma anche essere capaci di percorrere insieme ai giovani un tratto del loro cammino.
Sulla falsariga della Gaudium et Spes che rivolge lo sguardo della Chiesa verso l'uomo
e verso i suoi interrogativi donde si levano domande e invocazioni, i salesiani si sono dati
ad esplorare il continente «giovani», alla ricerca delle tracce dello Spirito. Ne sono segni il
forte richiamo del CG 21 a dedicare un sessennio allo studio della condizione giovanile, le
descrizioni con cui si aprono i progetti educativi e pastorali, studi vari e centri costituitisi
con questo esplicito proposito.
Ieri gioventù voleva dire impegno politico, utopie e progetti globali, ideologie e sistemi
di pensiero, protagonismo, appartenenza salda; oggi emerge il privato e la soggettività, i
progetti governabili e a breve scadenza, la frammentazione e l'eccletticismo nel pensiero e
nella valutazione morale, la marginalità sociale e culturale, l'identità debole e l'appartenenza
1 Cf. GS 1
- 159 -

17.2 Page 162

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fluida: la condizione giovanile non è soltanto l'occasione per ridire l'annuncio evangelico,
ma il codice di comunicazione che lo rende significativo.
Perciò il movimento cominciato nel CG 21 ebbe un'ulteriore spinta nel CG 22: «Si pri-
vilegino in questo sessennio l'analisi e la conoscenza della condizione giovanile, a livello
ispettoriale e locale»2.
I giovani, dunque, avrebbero dovuto ricevere il primo impatto del Concilio in quanto
evento di una Chiesa che si rinnova, vedendo i credenti in Cristo condividere la loro condi-
zione per aiutarli ad interpretare il loro desiderio di vita e di dignità.
Il secondo movimento con cui i salesiani cercano di consegnare ai giovani l'esperienza
del Concilio è lo sforzo di annunciare il Vangelo all'interno del loro processo di crescita
totale, secondo le dimensioni della persona e del mondo da loro particolarmente percepite.
Paolo VI afferma che tutti gli obiettivi del Concilio si possono riassumere in uno solo: «ren-
dere idonea la Chiesa ad annunciare il Vangelo all'umanità del XX secolo... in modo com-
prensibile e persuasivo»3.
Ci sono Chiese che dichiarano di non arrivare col proprio messaggio se non al 15% dei
giovani del proprio territorio, e qualcuna abbassa la percentuale fino all'8%. Stanno arri-
vando generazioni «non più cristiane». Ma non è solo questione di quantità di operai evan-
gelici. Si è prodotto un vero scollamento, con disturbi di comunicazione tra le comunità dei
credenti e l'esperienza giovanile. Sembrano diversi i linguaggi vitali, i segni, i gesti e soprat-
tutto i valori per i quali vale la spesa impegnarsi. È necessario pronunciare la parola di Dio
(Dei Verbum) secondo la sua forza profetica e illuminante nel cuore delle pulsioni del con-
tinente giovanile.
Un significativo documento del CG 21 incoraggiava i salesiani ad essere evangelizzatori
dei giovani. Lo sforzo di evangelizzazione cerca di raggiungere i più, tutti, non rassegnan-
dosi al piccolo numero, anche se questi «più» sono alle volte mossi da interessi immediati e
si dimostrano poco sensibili al discorso religioso.
Cristo non dovrebbe rimanere sulla soglia dell'esperienza giovanile, né la sua parola
semplicemente aggiungervisi. Deve invece farsi carne in essa, come il Verbo che non si è
aggiunto all'umanità, è nato in essa.
Ciò comporta farsi carico dei valori a cui i giovani sono più sensibili: la pace: la dignità
di ogni persona, un giusto ordine nazionale e mondiale, la possibilità di decidere quello che
ci riguarda, la qualità della vita, il senso dell'esistenza; comporta raccogliere queste do-
mande, rilanciarle oltre quello che esse stesse esprimono e illuminarne il senso con la per-
sona e la parola di Cristo.
A questo rispondono alcuni percorsi dei salesiani negli ultimi anni: il progetto educativo
pastorale che è ripensamento del messaggio evangelico e del sistema preventivo, all'interno
degli interrogativi e domande giovanili; la preparazione di ambienti aperti in cui tutti sono
accolti secondo i propri legittimi interessi, che fanno percepire la Chiesa come «casa di Dio
e casa dell'uomo»; il volere diventare presenza, compagnia solidale e missione di fronte alle
sfide del territorio; la creazione di nuovi luoghi di incontro e risocializzazione, di interscam-
bio di valori giovanili di celebrazione della fede (feste, campi, incontri); l'adeguamento del
messaggio (catechismi, libri di preghiera) e lo sforzo per raggiungere anche i più lontani
(comunicazione sociale, spinta missionaria).
2 CG22 7.
3 EN 2 e 3.
- 160 -

17.3 Page 163

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Si tratta di riuscire ad essere per tutti «segni e portatori dell'amore di Dio». La carità
pastorale, ravvivata dal Concilio, si protende verso il cerchio più ampio per un primo annun-
cio del Vangelo ai disponibili, ai lontani; cura con proposte proporzionate coloro che, fatta
germinalmente la scelta della fede, cercano di informare la propria vita con la parola evan-
gelica.
Il terzo movimento è creare ambiti ampi in cui si possa fare un'esperienza di Chiesa,
aperta a tutti: le comunità educative e pastorali. In esse si manifestano e interagiscono i
diversi carismi (laici, sacerdoti, religiosi); sono possibili, nel rispetto reciproco, i diversi iti-
nerari di fede secondo la propria maturazione. Esse possono attivare processi di crescita
umana e cristiana, non solitari, ma in comunione.
La comunità può creare un linguaggio di segni, di gesti e di rapporti significativi per i
soggetti e agevolare così la comunicazione: partecipa alle gioie e speranze della comunità in
cui vive inserita, diventando presenza solidale e apportando il suo contributo originale e la
sua carica profetica.
Al suo interno il ministero dell'animazione, attento allo Spirito, attiva la riflessione sulla
Parola, aiuta a partecipare, coinvolge negli impegni e stimola a celebrare la fede.
Raccomandata vivamente dal CG 21, la comunità educativa pastorale è codificata nelle
Costituzioni. Oltrepassa la pura strategia e vorrebbe diventare «esperienza di Chiesa, rivela-
trice del disegno di Dio»4 con molti dei connotati che ricorrono nella LG.
Il quarto movimento, accompagnare i giovani nell'«esprimere con la propria vita e ma-
nifestare agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa»5: la spiritualità
giovanile e la proposta associativa.
Il messaggio del Concilio ai giovani conteneva un invito pressante: «È in nome di questo
Dio e del suo Figlio Gesù che noi vi esortiamo a dilatare i cuori secondo le dimensioni del
mondo, ad intendere l'appello dei nostri fratelli e a mettere arditamente le vostre giovani
energie al loro servizio».
La spiritualità giovanile salesiana offre un cammino per maturare l'identità cristiana se-
condo lo stile di Don Bosco: è un progetto specifico di vita nello spirito nel contesto dell'e-
sperienza giovanile aperta al più ampio orizzonte della condizione dell'uomo nel mondo
odierno.
Il Movimento Giovanile Salesiano collega spiritualmente tutti quei giovani che nella
loro crescita fanno riferimento a questa spiritualità. Vorrebbe abilitare a prendere parte at-
tiva, con il dinamismo della fede, nell'elaborazione della cultura e nella costruzione della
comunità umana.
Da entrambi scaturisce una corrente di solidarietà e servizio che si esprime nel volonta-
riato, nell'animazione di iniziative educative e religiose, nella definizione generosa della pro-
pria vocazione all'interno della Chiesa e della società.
Pur con tentennamenti e incertezze iniziali, con punti che sono ancora da chiarire, questa
esperienza progredisce e appare generatrice di energie.
Finalmente un quinto movimento con il quale la Congregazione raggiunge i giovani con
la novità del Concilio è il suo rivolgersi con maggior audacia verso i più poveri e gli ultimi.
È questo il banco di prova della carità «che redime». Non dice forse la LG: «La Chiesa
4 C 37.
5 SC 2.
- 161 -

17.4 Page 164

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circonda di affettuosa cura quanti sono afflitti dall'umana debolezza, anzi riconosce nei po-
veri e nei sofferenti l'immagine del suo Fondatore..., e in loro intende servire Cristo»6? Paolo
VI nel discorso di chiusura del Concilio (7 dicembre 1965) affermava: «Vogliamo notare
come la religione del nostro Concilio è stata la carità: e nessuno potrà rimproverarlo di irre-
ligiosità o infedeltà al Vangelo per tale precipuo orientamento»7. Di questa affermazione
faceva in seguito un commento di straordinaria forza: «Che se noi ricordiamo... come nel
volto di ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori,
possiamo ò dobbiamo ravvisare il volto di Cristo; e se nel volto di Cristo possiamo e dob-
biamo ravvisare il volto del Padre celeste... possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio
bisogna conoscere l'uomo»8.
La conoscenza odierna della condizione dell'umanità, più estesa e profonda che nel pas-
sato, mette a nudo le piaghe che la umiliano. Le frange di adulti e di giovani, al limite delle
possibilità di vita umana, sono tutt'altro che minoritarie. Si contano a milioni gli emarginati
sociali e culturali, quelli ridotti alle condizioni minime di sussistenza, quelli sottomessi al
lavoro in situazioni di dipendenza simile alla schiavitù, gli abbandonati, i disoccupati, quelli
che si perdono nelle evasioni tipiche delle società ad alto sviluppo. Ciò richiede l'impegno
della carità in tutte le sue espressioni: quella che si rivolge al singolo e quella che prende di
mira i processi collettivi, quella che aiuta le persone ad emergere dai condizionamenti e
quella che si propone la riforma delle strutture.
Se il Concilio non è solo un'assemblea impegnata nella dottrina, ma un grande segno
della carità di Cristo, dovrebbe essere consegnato ai milioni di giovani emarginati attraverso
un tipo di cristiano e di Chiesa che li valuta non per quello che hanno o che possono dare,
ma per quello che sono: immagini del Dio invisibile e suoi figli.
La Congregazione salesiana si muove su questa linea. I richiami delle Chiese particolari
sono forti.
L'emarginazione, colta oggi nelle sue dimensioni e nei suoi meccanismi, è il segno tra-
gico che la nostra cultura è tutt'altro che evangelizzata. D'altra parte «l'unica storia del sa-
maritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio» (discorso di chiusura). Salesiani
e giovani impegnati che nei diversi continenti lievitano di speranza gli ultimi coloro che non
contano, portano la novità e il segno della Chiesa profetica, povera, rinnovata.
Questi cinque movimenti sono un saggio dell'impegno organico dei salesiani per far
sentire ai giovani l'impatto del Concilio. La speranza di un approfondimento nell'immediato
futuro porta il nome e l'insegna di «Don Bosco '88». Roma, 27 gennaio 1987.
6 LG 8.
7 Cf. Allocuzione del Santo Padre Paolo VI (Martedì, 7 dicembre 1965), n. 5.
8 Ibid. n. 7.
- 162 -

17.5 Page 165

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20. SALESIANI ED EMARGINAZIONE GIOVANILE IN EUROPA
Vecchi, J.E., Salesiani ed emarginazione giovanile in Europa in Dicastero della Pastorale giovanile della Congregazione
salesiana - Facoltà di scienze dell'educazione dell'Università salesiana, «Emarginazione Giovanile e Pedagogia salesiana»,
LDC, Leumann(To), 1987, p.78-96.
1. Destinatari per i salesiani. - 2. I giovani «poveri» di don Bosco. - 3. La Congregazione. - 4. Alcuni criteri o punti di attenzione.
- 4.1 La dimensione comunitaria. - 4.2 Il criterio educativo. - 4.3 L'intenzionalità pastorale. L'annuncio di Cristo. - 5. Bibliografia
del contributo.
1. Destinatari per i salesiani
L'espressione «emarginazione» comprende diverse forme di bisogno o povertà. Ci sono
alcune di queste che forse non vengono adeguatamente incluse in essa. C'è poi da chiedersi
se il riferimento all'emarginazione offra sufficienti elementi concreti comuni per fondare un
unico progetto o un'unica scelta. Da ciò capite come il discorso univoco sia difficile e non
pretenda di toccare specificamente i singoli fenomeni. Vuole invece semplicemente offrire
un punto di partenza per la riflessione. In tal senso la mia relazione è da rifarsi dopo la
discussione e in base agli elementi che da essa emergeranno.
C'è una questione sulla quale le diverse sensibilità presenti nelle comunità non si ac-
cordano ancora. Il chiarirla è quasi pregiudiziale per parlare concretamente del progetto sa-
lesiano riguardo all'emarginazione.
Per alcuni certe forme di «povertà» giovanili supererebbero le possibilità dell'inter-
vento salesiano. Ci sarebbero di mezzo sia la scelta educativa, sia la preferenza per la forma
preventiva, sia i risultati che da queste due scelte si aspettano: consegnare alla Chiesa e alla
società elementi attivi di cultura e di trasformazione. Alcune nuove forme di «povertà»
vanno dunque prese in considerazione non tanto né principalmente per interventi «curativi»,
ma proprio per adeguare ad esse le misure preventive.
È evidente che in questa maniera di considerare il problema pesa una certa valutazione
dell'effetto che le «situazioni» di cui parliamo hanno sulla personalità del soggetto e sulle
sue risorse. Nell'ultimo tempo abbiamo adoperato terminologie diverse per riferirci ai nuovi
bisogni: devianza giovanile, ragazzi «a rischio», emarginati, «nuove povertà». È chiara l'in-
tenzione di rimuovere ogni stigma che collochi il soggetto fuori della normalità. Ma ciò
stesso rivela come il problema venga percepito e «classificato» diversamente dai singoli.
Per altri invece queste situazioni sarebbero «il campo» in cui la carità pastorale che
salva e fa dei salesiani i «segni e i portatori dell'amore di Dio ai giovani» diventa oggi signi-
ficativa. Nei progetti e nei manifesti si riportano tutte le espressioni costituzionali che ac-
cennano ai più poveri. Si ricorre anche ad alcune scelte di Chiese: preferenza per i poveri,
ripartire dagli ultimi. Nell'ultimo tempo si è fatto uno sforzo per sottolineare il carattere pre-
ventivo degli interventi e si è evidenziato il cammino di crescita proposto ai soggetti.
C'è poi, da tutte e due le posizioni, un riferirsi a don Bosco, riportando detti pronunciati
nelle più diverse occasioni e destinati ai più diversi uditori: salesiani, cooperatori, autorità
civili, autorità ecclesiastiche. Tutto ciò è segno di un cammino che ancora ha bisogno di
spinta e di chiarimento affinché venga percorso «in pace» e in comunione di spiriti e di
azione. È conveniente dunque riflettere su come si sta collocando la Congregazione di fronte
ai diversi fenomeni odierni di povertà, devianza, emarginazione giovanile. E non si può tra-
scurare di dire una parola storicamente fondata sulla mentalità e i propositi di don Bosco.
Da essi infatti le ispirazioni susseguenti scaturiscono e in essi cercano giustificazioni.
- 163 -

17.6 Page 166

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2. I giovani «poveri» di don Bosco
Gli storici ci forniscono due indicazioni per la lettura delle esperienze e scelte di don
Bosco. La prima è confrontare le espressioni orali, collocate nel contesto in cui furono pro-
nunciate, con altri elementi chiarificatori della sua vita: le opere, le attuazioni pratiche, i fini
concreti, le circostanze socio-culturali ed ecclesiali in cui si svolse la sua opera. La seconda
è prendere in considerazione simultaneamente tutto l'arco della sua vita non isolando un
«tempo», per esempio il primo o l'ultimo del suo ministero.
Il problema dei giovani cercati e avvicinati da don Bosco è stato studiato con un certo
rigore storico particolarmente dopo il CGS 20. Le discussioni, allora sorte, si sono smorzate,
ma ancora non sopite a livello di valutazioni individuali. Che cosa intendeva don Bosco per
«giovani poveri, pericolanti, abbandonati, bisognosi», e quale attenzione ha rivolto a cia-
scuna delle forme di «particolare bisogno» nelle sue istituzioni e opere? Quale considera-
zione dovrebbero avere nelle attuali preoccupazioni della Congregazione: esclusività, prefe-
renza, complementarità equilibrata, disponibilità? Don Braido ha tentato di giungere ad al-
cune conclusioni, fondate su fatti e detti, nell'opera Esperienze di pedagogia cristiana nella
storia, vol. II, sotto i titoli: «La scelta dei giovani: tipologia sociale e psicopedagogica» e
«Proposte di intervento per ragazzi in particolari difficoltà»1.
La sintesi può essere ricondotta a questi punti.
Il campo giovanile che si va prospettando, vivente don Bosco e sotto la sua dire-
zione, particolarmente dopo che si diversificano i programmi (laboratori, scuole, oratorio,
pensionati), comprende un'ampia frangia «della classe media e popolare». I margini sono i
giovani della classe alta per nobiltà o per censo («che dunque non si troverebbero a loro agio
nelle nostre istituzioni») e i giovani delinquenti con i quali non si ha speranza di poter appli-
care il metodo della bontà e partecipazione ad un ambiente la cui positività va assicurata.
I termini «poveri, abbandonati, derelitti, bisognosi, pericolanti» assumono signifi-
cati articolati e allargati man mano che si va avanti nel tempo, e l'esperienza di don Bosco si
confronta con nuovi fenomeni come sono l'espansione industriale delle città, il proselitismo
protestante, lo scontro della Chiesa con lo stato e il pericolo di irreligione, il trasferimento
dell'opera ad altri paesi. Comprendono dunque, secondo espressioni dello stesso don Bosco,
da «coloro che si trovano lontani dalle famiglie perché forestieri a Torino» a coloro che sono
in pericolo di perdere la fede. L'articolazione e l'ampiezza vengono corroborate dal tipo di
istituzione fondata, dalla maniera con cui ne precisa i fini ultimi, dagli itinerari proposti e
dalle liste stesse dei ragazzi.
L'attenzione alla gioventù povera non gli ha impedito di fondare istituzioni e pro-
grammi per ragazzi «buoni e intelligenti». A questo tipo si riferisce quando dice che la Con-
gregazione «si darà massima cura per coltivare nella pietà quelli che mostrassero speciali
attitudini allo studio e fossero commendevoli per buoni costumi».
Per ciò che si riferisce agli interventi, istituzioni e programmi per i ragazzi in «par-
ticolari difficoltà» (carcerati, vagabondi, condannati dalla giustizia), questa categoria non è
da lui inserita in modo continuo e sistematico nel quadro educativo istituzionale predisposto
per i più. Non ne ha però ignorato 1'esistenza e non l'ha esclusa dal suo interesse di sacerdote
e di educatore. L'interesse può venire individuato in quattro particolari situazioni:
a) «un'esperienza diretta, seppur marginale, tra carcerati e corrigendi (1841-1855);
b) l''incontro con i «discoli» all'interno e in prossimità delle proprie istituzioni;
c) il confronto problematico con l'ipotesi di accettare riformatori;
1 P. BRAIDO, Esperienze di pedagogia cristiana nella storia. Roma, LAS, 1981.
- 164 -

17.7 Page 167

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d) la proposta di un'applicazione del sistema preventivo universale e in qualche modo
differenziata»2.
• Quanto più l'opera si apre al mondo, tanto più si conferma il criterio di lavorare nel
«prevenire» lavorando con la gioventù che è in «pericolo»: «La civile istruzione, la morale
educazione della gioventù pericolante per sottrarla all'ozio, al mal fare, al disonore e forse
anche alla prigione ecco a che mira l'opera nostra». Questo rende problematica l'accettazione
di opere «correzionali», sebbene non siano del tutto escluse. Lo si vede chiaramente nelle
trattative dell'opera di Vigna Pia a Roma. Molto di più nell'inizio dell'opera a Madrid. Don
Bosco non vuole che la sua Congregazione venga presentata con il tratto fisionomico di
un'opera per il ricupero di ragazzi «corrigendi». Ci sono di mezzo senatori, amici e nobili.
Ed egli scrive che se «si tratta di case correzionali, cercassero altrove, tale non essendo lo
scopo della Congregazione di don Bosco... Malgrado tutta la volontà di fare il bene, noi non
potremmo discostarci nella pratica da quanto stabilisce il nostro regolamento, di cui ho man-
dato copia nel settembre scorso... Sarebbe possibile per noi costì un istituto sul modello dei
«talleres» Don Bosco (scuola di arte e mestieri) di Barcellona: ma non lo potrebbe essere
ugualmente una scuola di riforma sulle basi di cotesta di Santa Rita». Il contratto conteneva
la condizione restrittiva di non accettare almeno per cinque anni nessuno che fosse stato
colpito da condanna.
AI momento di maggiore sviluppo dunque l'opera di Don Bosco si rivolge
a un'ampia frangia di gioventù «comune», di risorse umane intatte, bisognosa piut-
tosto dal punto di vista economico, per una sua conveniente promozione umana e cristiana;
infatti prevale in don Bosco la considerazione della povertà socio-economica;
a una frangia di giovani anche di classe media e popolare «di particolare buona in-
dole» e con pietà, candidati alla carriera ecclesiastica o base esemplare per le sue istituzioni;
a un piccolo margine per i «discoli» di diverse tipologie, per i quali si pensa sempre
preferibile l'intervento preventivo e l'inserimento nelle istituzioni stabilite per i più.
Non è diversa la sintesi a cui arrivano altri studiosi.
Questo brevissimo accenno a don Bosco non è inutile per il caso nostro. Ci suggerisce
immediatamente tre conclusioni semplici.
Ogni singolo intervento va collocato in un insieme di sforzi promozionali e pastorali
in vista delle persone, della Chiesa e della società, portati avanti da diverse comunità e su
gruppi diversi.
Gli interventi a favore della gioventù «bisognosa» vanno scelti considerando la con-
dizione giovanile generale, senza ignorare i «bisogni» educativi e religiosi. Beneficenza,
educazione, promozione della vita cristiana furono i tre punti di riferimento per le scelte di
don Bosco.
La differenza che intercorre tra il tempo di don Bosco e il nostro è data proprio dalle
«nuove» forme di povertà. È forse nella conoscenza e valutazione di queste che risiedono le
difficoltà.
3. La Congregazione
L'evoluzione della Congregazione nel tempo successivo non presenta contrapposizione
sostanziale a questo quadro di destinatari. Nei testi normativi (le diverse redazioni delle Co-
stituzioni), nei momenti di riflessione (Capitoli Generali), nelle nuove fondazioni di opere
c'è una prevalente considerazione sulla povertà economica e sulla possibilità di promozione
della fede. Il quadro si presenta uguale dappertutto. I diversi contesti culturali non variano
2 Cf. Braido, o.c., p. 337.
- 165 -

17.8 Page 168

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le proporzioni: una grande apertura, con il conseguente maggior impiego di forze e strutture,
nella promozione umana e cristiana della gioventù della classe popolare, sostanzialmente
sana e con qualche necessità economica o culturale; alcuni impegni (sempre pochi a dir
vero!) per i giovani «difficili» bisognosi di cure speciali; un numero mediano di impegni per
ragazzi di buona indole, con inclinazione alla pietà o disposizione alla vita ecclesiastica.
Un riflesso di questa scelta globale e delle sue conseguenze sono, vicino a noi, i docu-
menti del CG 19 riguardanti la pastorale (1965). Oltre il fatto significativo che non dedichino
particolare attenzione a una ridefinizione dei «destinatari», c'è anche quello di guardare quasi
esclusivamente al perfezionamento delle strutture operative ereditate: scuola, convitto, pen-
sionati, scuole professionali, parrocchie, oratori. Lo sviluppo più lungo va all'educazione di
giovani lavoratori e agli apostolati sociali.
Il fenomeno della povertà non è ignorato. Infatti già la Populorum progressio aveva
lanciato la sfida al superamento del sottosviluppo. Ma da un testo si può scorgere la lettura
che se ne fa: «Il problema della gioventù si presenta vario e complesso nei diversi paesi. In
larghe zone dove si svolge l'opera salesiana esso è anche problema di povertà materiale, di
carenza scolastica e ricreativa, di insufficiente qualificazione professionale oltreché di crisi
morale e religiosa. Altrove invece, e soprattutto in paesi fortemente sviluppati, esso si pre-
senta prevalentemente o esclusivamente come problema di sconcerto ideologico, di abban-
dono morale e di depressione religiosa»3. Problemi come la tossicodipendenza o l'emargina-
zione non appaiono ancora. Non ci sono nemmeno prospettive di approcci educativi diversi
dalle istituzioni classiche.
Il decennio 1970-1980 rappresenta una svolta. Nell'emisfero sud la caduta del mito
dello sviluppo per tutti fa emergere il fenomeno della emarginazione all'interno della società
e a livello mondiale, e ne scandaglia le cause. Sostituisce l'utopia dello sviluppo con quella
della «liberazione». Nel mondo benestante appaiono e si sviluppano alcune forme di povertà
che oggi ci preoccupano: la tossicodipendenza, l'immigrazione illegale dal terzo mondo, l'e-
marginazione dei gruppi che non tengono il passo con le trasformazioni tecnologiche (di-
soccupazione). È in questo nuovo contesto secolare ha luogo la riflessione sulla missione
salesiana.
Il CGS 20, nella riflessione sulla missione, diede largo spazio e una accentuazione
senza precedenti alla povertà. Gli ultimi anni sessanta segnano una presa di coscienza anche
nella Chiesa del fenomeno della povertà collettiva. Si abbozza timidamente una possibile
interdipendenza tra il fenomeno del sottosviluppo e quello del super sviluppo. Appaiono già
le tare delle due società: quella benestante e quella sottosviluppata. Fatta una descrizione
della situazione giovanile in quest'ultima, che viene considerata soltanto indicativa, il CGS
20 ne enuncia i tratti e i rischi: idealità, volontà di vivere e di partecipazione, difficoltà d'in-
serimento sociale e di dialogo generazionale, lotta ideologica e fattori alienanti, clima tecni-
cista, relativismo morale, tentazione edonistica, massificazione. Da ciò si ricava l'indica-
zione di reimpostare l'azione educativa: «Essere vicini a questi giovani e comportarsi in ma-
niera che abbiano fiducia (nell'educatore) e trovino in lui un appoggio sicuro: capire il fondo
della ribellione giovanile (1968!) e contestare con loro, pacificamente ma con forza, la so-
cietà attuale in tutto ciò che in essa non è umano né cristiano».
Accanto a questa c'è la situazione tragica dei giovani degli ambienti più poveri, per i
quali si dà l'accumulo dei fattori di povertà culturale, economica, umana, in forma strutturale.
3 ACS 244 (1965), p. 102-103.
- 166 -

17.9 Page 169

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Ne è scaturito un articolo delle Costituzioni, oggi passato ai Regolamenti Generali,
sulle forme di povertà cui i salesiani sono sensibili: «Con vera priorità ci rivolgiamo ai gio-
vani poveri: anzitutto ai giovani che a causa della povertà economica, sociale e culturale a
volte estrema, non hanno normale possibilità di riuscita; e ai giovani poveri sul piano affet-
tivo, morale e spirituale e perciò esposti all'indifferenza, all'ateismo e alla delinquenza»4.
Criterio educativo e intervento preventivo fanno da sfondo.
Oltre allo studio delle dimensioni e forme diverse di povertà, il CGS 20 introdusse la
parola e il concetto di «emarginazione», applicandolo prevalentemente alla povertà totale,
ma vedendolo presente nelle due società. «In questa povertà potremmo distinguere due
gradi: la povertà- emarginazione: è il processo secondo cui individui e gruppi, già vulnerati
nella loro esistenza personale e sociale, sono a poco a poco scartati dai circuiti economici e
politici, fino ad essere emarginati dalla società alla quale sembrano appartenere. Giunta al
suo termine questa emarginazione diventa povertà-esclusione, miseria fatta dal cumulo dei
fattori di povertà. E questo che esiste per alcuni gruppi del mondo occidentale, si ritrova
analogamente, però su scala nazionale, nella società del terzo mondo»5. Segue una descri-
zione dello stato di emarginazione.
Un'altra novità introdotta dal CGS 20 la si trova nella possibilità di diversi approcci
educativi alla gioventù da parte dei salesiani. Insieme alle forme istituzionali si prospetta
rincontro libero, particolarmente coi giovani che dalle istituzioni non vengono avvicinati e
alle istituzioni non si avvicinano.
Auspicato il rinnovamento delle strutture operative classiche, che non vanno dunque
sottovalutate, il CGS 20 aggiunge: «Molti giovani non possono essere raggiunti attraverso
le nostre opere ordinarie, ma soltanto nel loro ambiente naturale e nel loro stile di vita spon-
taneo». Le realtà che si prendono in conto però sono ben diverse da quelle che oggi ci radu-
nano qui6.
Infine, in relazione con questa ultima situazione, il CGS 20 apre la possibilità di «pic-
cole comunità». Non ci interessa qui analizzare i motivi comunitari e religiosi di questa pro-
posta, ma le ragioni pastorali: «Potrebbe svilupparsi l'azione di piccoli gruppi di confratelli,
vitalmente inseriti nell'ambiente sociale concreto, per raggiungere i poveri nella loro condi-
zione e condividere le loro ansie. Alla comunità ispettoria- le, in accordo col Vescovo, spetta
verificare l'opportunità, programmare la realizzazione e mantenere stretti contatti con questi
nuclei missionari»7.
Uno sviluppo più ampio di questo tema lo si trova al n. 515 in cui si enunciano le
condizioni per costituire piccole comunità: «Esse nascono... per una ricerca di testimonianza
e di servizio in ambienti particolarmente difficili da evangelizzare, come risposta ad urgenti
appelli di animazione cristiana, specie tra i giovani emarginati sociali».
Il CG 21 si è svolto quando i fenomeni che oggi viviamo erano già un fatto. E stato
fondamentalmente influenzato dalla Evangelii nuntiandi e dalle sue prospettive: far conver-
gere tutte le iniziative della Chiesa (annuncio, promozione, vita) sull'evangelizzazione. A
questa vengono collegati gli impegni di promozione umana e di liberazione dei popoli.
I contributi più interessanti del CG 21, in merito a quello che ci occupa, sono due: il
peso che la considerazione della condizione giovanile deve avere nell'opera di educazione
ed evangelizzazione, e il documento sulla nuova presenza salesiana. Sulla prima si dice che
4 C (1972), p. 24-25.
5 CGS20 44.
6 Cf. CGS20 391.
7 CGS20 411.
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17.10 Page 170

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la «situazione socio-economica emargina paesi interi e isola, anche nelle nazioni più svilup-
pate, vaste aree di povertà collettiva. Si avverte il disagio profondo di molti giovani... emar-
ginati dalla società a cui dovrebbero appartenere, esclusi dai beni economici e culturali e dal
pieno esercizio delle proprie responsabilità. Sono impossibilitati a diventare pienamente uo-
mini»8. Si accenna anche alla soggettività dei giovani, per chiedere alle ispettorie di «essere
più sensibili alla condizione giovanile, letta nelle sue attese più rispondenti al Vangelo, at-
traverso un'analisi sufficientemente seria»9.
Riguardo alla nuova presenza salesiana, dopo aver richiamato tutti alla creatività apo-
stolica, ne specifica alcune modalità, sottolineando «quella che sa creare spazi di intervento,
a favore particolarmente dei giovani, fino ad oggi poco considerati. A titolo esemplificativo
si indicano alcuni di questi spazi di intervento. L'interessamento a livello di promozione
umana e cristiana, per la gioventù e il popolo degli ambienti di emarginazione, non solo nei
così detti paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli di industrializzazione»10. La nuova
presenza si collega nel CG 21 al tema della piccola comunità, anche se non si esaurisce in
essa. Questa viene ancora considerata possibile per una «ricerca di una vita salesiana più
inserita tra i destinatari, per la vicinanza di stile, di vita e di abitazione; servizi meno strut-
turati, più agili e con più facilità di rispondere alle specifiche esigenze della zona»11.
Il CG 22 (1984) ebbe come compito la redazione definitiva delle Costituzioni e dei
Regolamenti Generali. Gli approfondimenti precedenti hanno trovato in essi una giusta
espressione. Viene sottolineata, all'in- terno della scelta giovanile, la preferenza per i più
poveri. I diversi «tipi» di povertà vengono riportati nei Regolamenti Generali e si demanda
alle ispettorie di giudicare quali siano quelle che appaiono più gravi nel proprio contesto
entro le finalità dell'azione salesiana. Così pure viene prospettata una duttilità di approcci
educativi e di strutture operative: «La nostra azione apostolica si realizza con pluralità di
forme, determinate in primo luogo da coloro a cui ci dedichiamo...».
«L'educazione e l'evangelizzazione di molti giovani, soprattutto fra i più poveri, ci
muovono a raggiungerli nel loro ambiente e a incontrarli nel loro stile di vita con adeguate
forme di servizio»12. «Ci dedichiamo inoltre ad ogni altra opera che abbia di mira la salvezza
della gioventù». Non è necessario rilevare che l'applicazione di questa duttilità e adattamento
non viene affidata ai singoli ma alla comunità ispettoriale e locale secondo i propri ambiti e
competenze.
Il CG 22 inoltre «chiede a tutti i salesiani di ritornare ai giovani, al loro mondo, ai loro
bisogni, alla loro povertà. Diano ad essi una vera priorità manifestata in una rinnovata pre-
senza educativa, spirituale ed affettiva. Cerchino di fare la scelta coraggiosa di andare verso
i più poveri, ricollocando eventualmente le nostre opere dove è maggiore la povertà»13.
Questo orientamento operativo viene ribadito nel discorso del Rettor Maggiore e rife-
rito alla qualificazione pastorale della nostra azione. Appaiono le tre frontiere complemen-
tari: la promozione cristiana dei più14; una capacità di proposta per coloro che hanno parti-
colari risorse15; una maggior audacia di presenza tra i più poveri: «La carità pastorale vissuta
da Don Bosco ci stimola ad andare verso i giovani più bisognosi, verso quelli che sono in
8 CG21 (1978) 34.
9 Ibid. 30.
10 Ibid. 158.
11 Ibid. 159.
12 C 41.
13 CG22 (1984) 6, p. 12.
14 Ibid. 71.1 Il sistema preventivo, n. 70.
15 Ibid. 71.2 Spiritualità giovanile, n. 71.
- 168 -

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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particolari pericoli, sia nel terzo mondo come anche nelle società di consumo. Don Bosco ci
insegna che la forza educativa del Sistema preventivo si mostra anche nella capacità di ricu-
pero dei ragazzi sbandati che conservano delle risorse di bontà, e nel prevenire sviluppi peg-
giori quando si stanno incamminando già sulla strada della devianza»16.
Il discorso contiene dunque un germe di risposta all'opposizione preventività-devianza
che costituiva per alcuni una difficoltà per accettare alcune proposte di servizio ai giovani.
L'art. 6 delle Costituzioni riassume questo impegno molteplice ed equilibrato, quando
afferma che la nostra missione nella Chiesa ci porta ad essere evangelizzatori dei giovani,
specialmente dei più poveri; che abbiamo una cura particolare per le vocazioni apostoliche;
che siamo educatori della fede negli ambienti popolari, in particolare con la comunicazione
sociale; che annunciamo il Vangelo ai popoli che non lo conoscono.
Conclusioni di questa spiegazione, valide per l'oggi, sembrano queste:
C'è stata un'evoluzione della configurazione del «bisogno» o della «povertà» nell'a-
rea europea, per cui mentre quella economica ha perso rilevanza, ne sono apparse altre, tipi-
che di una società complessa.
La Congregazione considera come campo per i suoi progetti le nuove forme di po-
vertà che si danno nella società europea (emigrazione, abbandono, devianza, tossicodipen-
denza).
Gli impegni da prendersi dipendono dagli organismi ispettoriali, conforme al conte-
sto socio-economico, alle forze disponibili e alla dovuta proporzione con altri impegni tipici
della missione salesiana.
4. Alcuni criteri o punti di attenzione
La tipologia dell'emarginazione e delle nuove povertà si presenta molto varia dal punto
di vista educativo: tossicodipendenza, emigrazione, disadattamento, abbandono, devianza.
Inoltre è diversificata la situazione delle nostre presenze. Alcune sono organizzate e
sostenute sin dall'inizio dall'ispettoria; altre sono nate da iniziative di qualche confratello e
cercano ancora un assetto. Alcune sono sviluppate; altre, ancora in embrione, cercano di
darsi una piattaforma operativa sicura. Ci sono servizi prestati da persone singole, ci sono
iniziative di gruppi, ci sono opere affidate a comunità.
Si tratta dunque di una realtà per la quale non è facile indicare elementi progettuali, che
sono sempre concreti, adeguati a soggetti, operatori e ambienti.
Siamo di fronte a una realtà che cresce e che vogliamo qualificare, espandere. Per que-
sto è interessante sottomettere a riflessione alcuni punti, raccogliendo il positivo già esi-
stente, indicando problemi che vanno risolti e aprendo prospettive.
4.1 La dimensione comunitaria
Il bisogno della comunità emerge da diversi fattori e si esprime attraverso molteplici
esigenze: vita religiosa, progetto apostolico, ambiente educativo, ampia collaborazione di
persone. Per questo appare come elemento immancabile in tutte le proposte considerate nella
prima parte: approccio libero, piccole comunità, nuove presenze, servizi specializzati.
Il compito di portare avanti una di queste presenze è affidato dalla comunità ispettoriale
attraverso i suoi organismi e ruoli direttivi. E non potrà essere diversamente se parliamo di
impegni della Congregazione e non soltanto di permessi per portare avanti un progetto indi-
viduale. L'ispettoria approfitta della creatività delle persone particolarmente sensibili ai ri-
chiami della condizione giovanile e affida il compito a una comunità locale.
16 Ibid. 71.3 La terza frontiera è quella di una maggior audacia di presenza tra i poveri, n. 72.
- 169 -

18.2 Page 172

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Entrambe curano che vengano superate prospettive troppo individuali, attraverso il di-
scernimento costante di metodologie e risultati. La comunità è dunque garanzia di continuità
e di qualità. Cura anche che nell'ispettoria non ci siano malintesi o isolamento, favorendo tra
i confratelli un'accoglienza sincera di questo tipo di presenza e della sua attuazione concreta.
In ogni verifica emerge questa esigenza sia da parte di coloro che operano nel settore
dell'emarginazione, sia da parte dell'ispettoria. Le presenze che presumono di poterne fare a
meno, sono sempre in pericolo di esaurirsi. La nostra storia recente ne può fornire esempi.
Bisogna dare atto anche che ad ogni verifica si constata un progresso e che quasi tutte
le iniziative intraprese negli ultimi anni ubbidiscono a questo criterio. Eventuali limiti esi-
stenti al riguardo vanno presi come fasi da superare piuttosto che come obiezione al lavoro
in sé.
Aspetti positivi già emergenti e nuovi sforzi richiesti vanno cercati in quattro direzioni.
La comunità ispettoriale: tolleranza, permesso, inserimento in un piano organico di
presenze che rispondono alla condizione giovanile odierna, comunione pastorale (oltre che
fraterna e religiosa) rappresentano gradi diversi di integrazione reale nell'insieme dell'ispet-
toria. Quali che siano state le condizioni particolari in cui è nata una di queste presenze, la
comunicazione giova all'ispettoria e a coloro che operano nell'area dell'emarginazione. L'i-
spettoria viene sensibilizzata a questo tipo di problemi e preparata a operare anche attraverso
le strutture normali per la loro soluzione; acquista inoltre una conoscenza più profonda dei
rischi cui va incontro oggi la gioventù e si qualifica così nell'educazione di ogni tipo di de-
stinatari.
Coloro che operano direttamente nell'area dell'emarginazione, oltre a quanto abbiamo
detto prima, sentono il proprio compito inserito in un intervento articolato sul territorio. Si
aprono loro possibilità di collaborazione a livello di Famiglia salesiana.
Le manifestazioni di questa «comunione» saranno molteplici. C'è l'assunzione di re-
sponsabilità da parte dell'ispettoria, l'appoggio morale e di personale in misura e proporzione
rispondenti al piano generale, le tempestive comunicazioni sul lavoro, la creazione di una
mentalità favorevole.
Ma anche da parte del gruppo ci sono atteggiamenti di comunione da coltivare: con-
frontare la propria azione e progetto con i responsabili; la disponibilità per altri impegni nel
campo giovanile, sia per applicare le capacità acquisite, sia per diffondere sensibilità.
La comunità locale: è soggetto del progetto, corresponsabile delle scelte, capace di
animare e coinvolgere altre forze. Si può riportare in merito l'indicazione della Conferenza
delle Ispettorie Salesiane d'Italia (CISI) dopo 1'incontro di Loreto: «L'esigenza emersa di
operare non con iniziative individuali, ma con impegni comunitari sia sostenuta e portata a
piena realizzazione, perché il bene dei giovani più esposti ai rischi dell'emarginazione ri-
chiede che siano accompagnati da una comunità salesiana, capace di garantire molteplicità
di presenze e continuità di impegno nel tempo».
Anche una volta costituito il gruppo o comunità, va evitata la frammentazione del pro-
getto in interventi individuali. Un lavoro serio richiede una certa organicità e convergenza,
soprattutto quando si incide su ambiti diversi: persone, ambiente, istituzioni.
L'inserimento nel territorio e nella Chiesa. Basterebbe raccogliere le indicazioni già
molto ricche che emergono dalle esperienze. Infatti il collegamento con strutture, enti civili,
sindacati, comitati di quartiere, strutture sanitarie, associazioni di promozione culturale, in-
terventi nelle strutture educative appaiono in quasi tutti i progetti, in maggiore o minore
misura, conforme al tempo trascorso e alle forze di cui si dispone.
Ugualmente rilevanti sono i rapporti con realtà e strutture ecclesiali. Vanno dalle pre-
stazioni personali alla presenza permanente in istituzioni che cercano di risolvere problemi
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18.3 Page 173

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di emarginazione giovanile, dalla partecipazione in organismi parrocchiali alla collabora-
zione nella stesura di piani pastorali.
In rapporto al territorio e alla Chiesa si deve aggiungere che da queste presenze pro-
vengono indicazioni nuove e interessanti a proposito delle strutture operative: autogestione,
cooperative, forme diverse di comunità (di accoglienza, di servizio), centri e associazioni.
La famiglia salesiana. Queste iniziative si presentano con particolare forza di aggre-
gazione. È già notevole e andrà ancora sviluppata la presenza di volontari, la collaborazione
di professionisti, la partecipazione di animatori, l'appoggio diretto e indiretto di gruppi gio-
vanili e di amici. Tutto ciò offre la possibilità di condividere valori salesiani e convogliare
persone attorno a un'espressione significativa della missione salesiana.
4.2 Il criterio educativo
Ricupero attraverso l'educazione: cioè attraverso lo sviluppo delle risorse sane e in or-
dine all'autonomia personale. La scelta dei soggetti da parte della Congregazione è proprio
legata a questi due concetti: educazione-preventività. Sarebbe interessante anche su questi
termini fare uno studio storico, partendo dalle prime esperienze: rilevare come essi si distin-
guano dal desiderio lodevole di salvare qualunque giovane, come anche dall'altro non meno
lodevole di assorbire l'educazione come uno «strumento» entro l'intenzionalità pastorale.
Nelle due ipotesi le migliaia di volte che il termine educativo ricorre nella nostra storia non
comporterebbe nessuna scelta ideale od operativa specifica.
Penso non debba sfuggire la ricorrente insistenza dei documenti ufficiali sugli obiettivi
e la modalità educativa nei programmi di promozione e in quelli esplicitamente «religiosi».
Capitoli, Costituzioni, progetti parlano della promozione dei più bisognosi attraverso l'edu-
cazione, diversa dalla beneficenza o dalla semplice qualificazione nel lavoro. Insistono an-
che sulla dimensione educativa delle presenze parrocchiali e delle iniziative catechistiche.
La riflessione sull'aspetto educativo non è mai marginale nei progetti salesiani.
Sono proprio le due difficoltà ricorrenti riguardo a certe presenze in aree di emargina-
zione: ci vuole ed è possibile un intervento di tipo educativo o si richiedono interventi «cu-
rativi» di tipo psichico o clinico? È applicabile poi quella metodologia particolare salesiana
che viene intesa nel sistema preventivo?
Il campo giovanile offre soggetti che richiedono interventi diversi e la carità cristiana
cerca di rispondere a tutte le situazioni, dalle più normali a quelle più estreme. Tutto è carità,
ma non tutto è educazione. Tutto è pastorale, ma non tutto nella pastorale, nemmeno in quella
del giovane, risponde a una formale scelta educativa. Penso a chi prende la cura spirituale
degli handicappati psichici gravi. Penso alle religiose che accompagnano lo sviluppo possi-
bile dei minorati. Chi ha fatto la scelta educativa ha scelto un particolare campo, una parti-
colare forma di intervento, un programma e un obiettivo.
Quando si parla di soggetti di educazione si accenna al fatto che sono capaci di rifles-
sione, di dialogo, di decisioni e di azione: cioè a persone che non sono fissate in modo uni-
voco, bensì aperte non soltanto moralmente ma anche psicologicamente nella determina-
zione del proprio comportamento e fine. Per dirlo con una parola comprensibile: che non
hanno «dipendenze» invincibili. Istinti, caratteri ereditari o processi di fissazione condizio-
nanti pongono dei limiti all'opera educativa; a un certo livello la rendono impossibile. Così
si possono raggiungere forme di ineducabilità per incapacità generali o definitive, o per in-
capacità parziali e transitorie in cui il soggetto può anche «migliorarsi» a determinate con-
dizioni pedagogiche. È valido dunque il concetto di «pedagogia curativa», cioè che si pro-
pone una terapia dei difetti o comportamenti e dunque una ricomposizione della personalità,
eliminando il più possibile le cause dei disturbi.
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18.4 Page 174

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È chiaro che ciò non risponde ancora o non risponde più al concetto e alla scelta edu-
cativa. In qualunque modo e soggetto si svolga, l'educazione ha sempre una caratteristica:
aspirazione al perfezionamento, all'elevazione degli uomini in via di sviluppo. L'elemento
specifico che ultimamente determina la differenza come tale, all'interno dei processi di per-
fezionamento, è la modalità. L'accrescimento, l'addestramento, l'apprendimento costitui-
scono uno sviluppo perfettivo; ma non si possono per sé denominare educazione.
Il processo educativo ha una precisa formalità inconfondibile, in cui l'uomo da «og-
getto» di cura e di assistenza o di direzione, diviene soggetto cosciente e libero della propria
formazione: consapevolezza e autodeterminazione dell'atto singolo in armonia con le finalità
ultime capite sono fondamentali. Si comprende come possano esserci varie strade di soste-
gno e miglioramento delle condizioni dell'uomo, ma una sia l'educazione con obiettivi pro-
pri, non fissi ma identificabili. Va notato che il «rischio» generale a cui quasi tutti i ragazzi
sono oggi esposti ha modificato il significato di «educativo», allargandolo ad aree di soggetti
che prima venivano considerati come oggetto di cura.
La presentazione delle esperienze mette sufficientemente in chiaro che questa dimen-
sione è viva nelle intenzioni degli operatori: la salvaguardia e lo sviluppo delle risorse ancora
sane, il ricupero di quelle non definitivamente compromesse per ricomporre la vita, ricorrono
con diverse espressioni in tutti i progetti.
Gli obiettivi che appaiono rispondono a questa intenzionalità educativa: stimolare e
aiutare i processi di maturazione, di autonomia, di identità, di progettazione di sé, stimolando
la riscoperta dei valori personali e sociali e aiutando a un reinserimento attivo nella comu-
nità.
Gli itinerari contemplano attività educative: ricupero culturale, lavoro con prevalenza
di quello agricolo e artigianale, supporto e reinserimento scolastico e preparazione profes-
sionale. Non manca lo sforzo di presentare un itinerario praticabile dal soggetto.
Sempre sul versante educativo ci si interroga a proposito della preventività e della pre-
venzione. È applicabile non soltanto come indicazione generica, ma nell'accettazione con-
creta che ha tra i salesiani? Si è ancora in tempo per prevenire? Quasi tutti gli operatori si
richiamano a don Bosco, del quale affermano di voler seguire non solo lo spirito, ma il me-
todo educativo, attualizzandolo, interpretandolo, approfondendolo.
Compongono la metodologia il dialogo personale, la disponibilità, l'appoggiarsi sulle
risorse interiori, l'inserimento in un ambiente di comunità dove la positività è data dalla pre-
senza degli adulti, dal progetto conosciuto, dallo sforzo manifestato, dall'amicizia e dall'im-
pegno, dal gruppo come possibilità di confronto, appoggio, amicizia e riconoscimento della
persona, dall'autogestione o partecipazione attiva nell'iniziativa promozionale.
Della prevenzione peraltro vanno assunte le nuove applicazioni conforme al quadro che
offre la condizione giovanile. Di «preventivo», senza perdere il significato di anticipatore e
immunizzante contro i rischi, va anche valorizzato il significato di sviluppo delle energie
positive del soggetto: ragione, religione, amorevolezza. In tal senso si prospettano per la
prevenzione e per l'intervento preventivo applicazioni non minori, sebbene più difficili che
in altri campi.
Il progetto salesiano guarda simultaneamente alla salvezza- promozione del singolo e
all'influsso di trasformazione dell'ambiente. Le presenze in aree di emarginazione svolgono
al presente un influsso sulla comunità e sul territorio. Sensibilizzando sul fenomeno e sulle
sue cause, aiutano ad arginarlo. In tal senso i loro risultati vanno oltre quello che si percepi-
sce nelle singole persone.
La dimensione educativa potrebbe venire ulteriormente qualificata sviluppando alcune
idee di lavoro.
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18.5 Page 175

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Lo studio approfondito delle forme di emarginazione che noi trattiamo nei loro ef-
fetti e nelle loro cause, personali e sociali; una comprensione del soggetto e una riflessione
pedagogica condivisa e convergente. Si nota infatti a volte un «vuoto», a volte una differenza
non motivata riguardo all'interpretazione del fenomeno e riguardo agli interventi da prefe-
rire.
Un'esposizione sintetica della metodologia educativa adoperata nelle diverse aree di
emarginazione. Sembra un impoverimento comunitario il non poter esprimere «l'insieme»
che risulta da tutta l'esperienza che contiene tanti frammenti vitali.
Una preparazione ulteriore degli operatori salesiani e laici per agire con maggiore
qualificazione e sicurezza. Di questa preparazione vanno collocati i fondamenti nel periodo
di formazione «affinché i salesiani siano disposti a vivere e ad operare con tutti i giovani,
ma in particolare con quelli che hanno più bisogno del carisma di don Bosco» (Comunicato
CISI).
Potrebbe essere conveniente un approfondimento sistematico della preventività per
scoprire nuove forme di attuazione.
4.3 L'intenzionalità pastorale. L'annuncio di Cristo
L'azione salesiana, in qualsiasi situazione si svolga, comprende sempre la preoccupa-
zione per la salvezza totale della persona: conoscenza di Dio e comunione filiale con lui
attraverso l'accoglienza di Cristo per la mediazione sacramentale della Chiesa.
Alcuni chiarimenti ci aiutano a bene impostare il tema. Avendo scelto la gioventù e i
giovani poveri, i salesiani accettano i loro punti di partenza e le loro possibilità di fare un
cammino verso la fede.
La Congregazione si ispira nella sua pastorale al mistero dell'Incarnazione. In ogni ini-
ziativa di ricupero, educazione e promozione della persona a certe condizioni, si annuncia e
si realizza la salvezza che sarà ulteriormente esplicitata a mano a mano che i soggetti se ne
rendano capaci. Sa anche che nell'annuncio evangelico e nell'educazione religiosa ci sono
energie insospettate per la costruzione della personalità, che si riversano sugli aspetti che
consideriamo puramente umani. Opera dunque sul principio della distinzione formale e
dell'interno riferimento tra promozione-educazione ed evangelizzazione. Questa non si rea-
lizza soltanto nel momento dell'annuncio esplicito, ma anche quando si è presenti e si con-
divide, quando ci si impegna nel riscattare dal pericolo di morte le briciole di vita ancora
operanti in una persona, nella solidarietà con chi soffre; in una parola, in tutto quello che
rivela Gesù Cristo salvatore, apre e predispone a riceverlo.
Su questo doppio versante espresso dal mistero dell'Incarnazione hanno bisogno di ri-
flessione tutte le presenze salesiane, sebbene con diversa accentuazione: quelle più caratte-
rizzate dall'annuncio esplicito per chiarirsi come le parole si inverino nella storia dell'uomo:
cioè come la «salvezza» eterna si manifesti già nell'esistenza dell'uomo. Quelle più sbilan-
ciate verso l'ambito profano per dirci come attraverso di esse l'uomo colga il senso della sua
vita e si apra al dono del Vangelo. In alcuni progetti di ricupero la dimensione religiosa è
presente in modo implicito, occasionale, deconfessionalizzato. In altri invece appare come
proposta cristiana liberante, che aiuta nel superamento di condizionamenti e ridà la coscienza
della propria dignità.
L'impegno pastorale va visto e cercato a diversi livelli.
A livello di segno: si fa un annuncio di salvezza quando si crea una situazione in cui
il soggetto ne fa esperienza, sebbene parziale, purché sia autentica, cioè nella linea della vita.
La capacità di accoglienza del gruppo o comunità cristiana che esprime l'iniziativa è per il
giovane rivelazione e annuncio della salvezza in Gesù Cristo. È utile riportare a conferma
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18.6 Page 176

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un passo della Evangelii nuntiandi: «Un cristiano o un gruppo di cristiani, in seno alla co-
munità di uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione, di accogli-
mento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti per tutto
ciò che è nobile e buono; essi irradiano in maniera molto semplice e spontanea la fede in
alcuni valori che sono al di là dei valori correnti, e la speranza di qualche cosa che non si
vede... Con tale testimonianza, senza parole, questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro
che li vedono domande irresistibili»17. Il riferimento ecclesiale degli operatori dà già una
prima risposta alle domande.
A livello di coscienza e qualità degli operatori: mossi dall'amore disinteressato che
scaturisce dall'essere discepoli di Cristo, essi vogliono essere «portatori dell'amore di Dio».
Attraverso il loro intervento, la loro prassi, la loro presenza annunciano il superamento del
male e la vicinanza del Signore. La visione che li guida e che traspare dalla loro azione è
quella rivelata in Gesù Cristo. La parola e il dialogo occasionale possono dar ragione di
questa coscienza e di questa qualità.
A livello di espansione della carità. Va messa sull'attivo pastorale di queste presenze
la vivacizzazione della coscienza cristiana della comunità. La proposta e l'invito a impe-
gnarsi in questi campi richiamano i giovani generosi (volontari, animatori, giovani coopera-
tori) a vivere il Vangelo in maniera più autentica e li mette in contatto con i suoi valori più
originali.
A livello di contenuto e metodo educativo: il ricorso alla forza interiore della co-
scienza, del mistero della vita che si porta dentro, la proposta di valori fondamentali che
appellano al Vangelo sono annuncio dell'uomo nuovo che si costruisce secondo Cristo.
Ma va studiato e attuato conseguentemente l'influsso che sul processo di ricupero ha lo
sviluppo della dimensione religiosa. Andrebbe riletto, ricodificando le sue intuizioni, don
Bosco riguardo al valore della fede e della coscienza sui riformandi (i carcerati!). Cristo poi
è un diritto di tutti. Va annunciato senza forzare i tempi, ma senza lasciarli passare invano.
È stato studiato e verificato un processo di evangelizzazione persino per handicappati.
Chissà se tra i contributi che noi possiamo dare non ci sia anche una prassi di evangelizza-
zione adeguata a situazioni giovanili psicologicamente difficili. Nei progetti si trovano ab-
bondanti indicazioni. Meno abbondanti sono le sistematizzazioni e i fondamenti.
17 EN 21.
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18.7 Page 177

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21. PASTORALE VOCAZIONALE
Vecchi, J.E., Pastorale vocazionale in ACG 320 (1987), p. 27-39.
1. Un impegno sentito. - 2. Pastorale vocazionale nella pastorale giovanile. - 3. Il coinvolgimento delle comunità. - 4. Un'at-
tenzione: i giovani. - 5. Esperienze privilegiate. - 6. Chiamare. - 7. La proposta salesiana. - 8. Conclusione: preghiera e
iniziativa.
1. Un impegno sentito
Ogni anno contiamo i giovani che entrano in Noviziato. Vediamo in essi il frutto più
prezioso del nostro lavoro pastorale, un segno che «il Signore ama la Congregazione, la
vuole viva per il bene della sua Chiesa, e non cessa di arricchirla di nuove energie apostoli-
che»1. Ogni vocazione è un dono da parte di Dio e da parte del giovane che mette se stesso
al servizio della vita e dell'azione apostolica salesiana2.
Noi lo accogliamo con gratitudine e con meraviglia, sapendo di non meritarlo. Sarebbe
meschino lamentarsi della scarsità di vocazioni o colpevolizzare qualcuno di coloro che con-
dividono con noi il lavoro pastorale, quando il numero dei candidati non pareggia le nostre
attese.
La Congregazione sente il problema vocazionale. Appare vero ancor oggi ciò che il CG
21 asseriva nel 1978: «Bisogna riconoscere che mai ci sono stati tanti studi, riflessioni, in-
contri sulla pastorale vocazionale come in questi ultimi anni. Dobbiamo riconoscere che è
anche cresciuta la sensibilità e l'impegno al riguardo»3. Ciascuna Ispettoria e ciascuna Re-
gione hanno programmato e realizzato svariate iniziative: campi, gruppi, comunità di acco-
glienza, giornate vocazionali, centri per l'orientamento dei giovani.
I risultati numerici sembrano non compensare dappertutto il lavoro fatto. Ma essi non
sono l'unico indicatore dell'impegno e della qualità del lavoro vocazionale. Periodi di labo-
riosa semina e fasi di paziente ricerca hanno prodotto il loro frutto soltanto dopo alcuni anni.
È proprio ciò che si scorge oggi riguardo alle vocazioni nella Chiesa e nella Congregazione.
L'attenzione ai nuovi soggetti, la reimpostazione dell'orientamento e dell'accompagnamento,
la preparazione di iniziative atte ad aprire i giovani alla conoscenza delle diverse vocazioni
e alla disponibilità verso di esse hanno comportato dei tentativi che approdano soltanto ora
ad una prassi più completa e sicura.
Non manca una riflessione teologica, seria e costantemente rivisitata. Sono abbondanti
le indicazioni pedagogiche e pastorali su criteri, fasi, fattori, ambienti e condizionamenti.
Negli ultimi tempi poi c'è stata una circolazione di esperienze portate avanti da équipe dio-
cesane e da congregazioni religiose, con risultati soddisfacenti.
Non è il caso di ritornarci sopra. Per ciò che riguarda la Congregazione sono validi
ancora le sintesi dottrinali e i suggerimenti operativi presentati nel documento del CG 214 e
soprattutto il sussidio del Dicastero di Pastorale Giovanile Linee fondamentali per un piano
ispettoriale di pastorale vocazionale (Roma, settembre 1981), richiesto dallo stesso Capitolo
generale. A questi e ad altri documenti delle Chiese locali che riprendono organicamente i
1 C 22.
2 Ibid.
3 CG21 (1978) 108.
4 Ibid. nn. 106-119.
- 175 -

18.8 Page 178

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principi teologici e i criteri pastorali si può ricorrere per avere un quadro di riferimento fon-
damentale a cui ispirare la nostra azione.
È invece conveniente ricordare alcuni punti che emergono dall'esperienza di questi
anni. Dopo la stesura dei progetti educativi, dopo la riflessione sulle strutture operative
(scuole, oratori, parrocchie), dopo il rilancio dell'associazionismo, dopo l'insistenza sulla
comunità educativa e la formazione dei laici, vogliamo intensificare il nostro lavoro voca-
zionale anche come preparazione alle celebrazioni centenarie.
2. Pastorale vocazionale nella pastorale giovanile
Il lavoro vocazionale deve essere collegato strettamente con la pastorale giovanile, anzi
deve esser inserito all'interno del suo dinamismo. La natura e le finalità di entrambi non
consentono scissioni. Lo afferma come orientamento il CG 215. Lo ribadisce il documento
ecclesiale del secondo Congresso internazionale per le vocazioni: «Pastorale giovanile e pa-
storale vocazionale sono complementari. La pastorale specifica delle vocazioni trova nella
pastorale giovanile il suo spazio vitale. La pastorale giovanile diventa completa ed efficace
quando si apre alla dimensione vocazionale»6.
Il criterio viene pienamente confermato dalla prassi e dalle successive verifiche. Ogni
vocazione nasce sul terreno della fede e si sviluppa nella misura in cui questa diventa vita
attraverso la formazione spirituale. I tentativi di separare questi due aspetti (pastorale - pro-
posta vocazionale) si sono dimostrati di corto respiro, particolarmente negli ambienti cultu-
rali complessi. Perciò la Congregazione li ha voluti uniti nelle strutture e per questo le Co-
stituzioni e i Regolamenti generali li fondono nell'unico progetto educativo-pastorale7.
Ne consegue che terreno naturale della proposta vocazionale per noi dovrebbero essere
gli ambienti in cui sviluppiamo la nostra pastorale giovanile. Fin dai primi passi dell'educa-
zione alla fede si devono far presenti i motivi vocazionali e favorire gli atteggiamenti che
abilitano a leggere i segni di Dio, aiutando a rispondervi con generosità.
Una pastorale giovanile che non abbia dentro di sé e in ogni fase del suo sviluppo una
spinta vocazionale, non coglie nel segno la propria finalità. Infatti tutta l'esperienza di fede
è rispondere a una chiamata che si va concretizzando in scelte di vita nella comunità eccle-
siale e nel mondo.
La proposta vocazionale senza la base previa e il riferimento permanente alla fede si
riduce a tecniche, a stimoli di captazione, a motivazioni che presto rivelano le loro incrina-
ture e la loro inconsistenza. Perciò l'art. 37 delle Costituzioni afferma che l'orientamento
vocazionale «è il coronamento di tutta la nostra azione educativa e pastorale».
Vista così, la pastorale vocazionale è un servizio ai giovani. A loro, a ciascuno di loro
personalmente, Dio rivolge la sua chiamata.
Ad essi tocca dare personalmente una risposta. Ciò fa vedere i tre livelli in cui bisogna assi-
curare interventi validi: l'orientamento offerto ad ogni ragazzo che fa nei nostri ambienti il
suo cammino di fede; l'accompagnamento, con iniziative appropriate, dei giovani che pre-
sentano segni di vocazione sacerdotale, religiosa o di impegno laicale; una cura e un'assi-
stenza speciale per coloro che hanno il desiderio di seguire la vocazione salesiana.
I tre livelli non sono successivi né staccati; l'uno appoggia e serve l'altro; non giova
contrapporli pensando a scorciatoie che possano risolvere a breve scadenza l'angoscia del
5 Ibid. 106.
6 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA. Congresso internazionale per le vocazioni: Roma,
10-16 maggio, 1981. Roma: Rogate, 1981, 42.
7 Cf. C 28 e 37.
- 176 -

18.9 Page 179

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numero. L'articolazione di essi comporterà iniziative molteplici e diversificate per presentare
e proporre le diverse vocazioni, accompagnando i soggetti verso la maturazione della deci-
sione. Soprattutto comporterà di «riempire» di stimoli vocazionali i momenti ordinari della
pastorale: la catechesi, le celebrazioni, il contatto personale.
3. Il coinvolgimento delle comunità
Il coinvolgimento attivo di tutte le comunità locali in ogni singola Ispettoria è condi-
zione indispensabile per raggiungere i risultati desiderati. La delega a un incaricato o a una
struttura perché risolva da sé il problema vocazionale dell'Ispettoria mostra ogni giorno più
la sua insufficienza, non solo per ciò che riguarda i risultati numerici, ma soprattutto per ciò
che riguarda il servizio pastorale ai giovani come lo abbiamo descritto sopra. Per questo il
CG 21 raccomandava: «Più che persone delegate a fare, gli incaricati-animatori devono es-
sere stimolatori e informatori delle varie comunità»8.
Ovunque è presente una comunità salesiana si danno le condizioni per mediare la chia-
mata. Non esiste più quel campo ristretto e fecondo (famiglia, parrocchia, campagna) dove
un solo raccoglitore abile riusciva a mietere l'atteso grande numero. Sono invece la testimo-
nianza, l'esperienza diretta dei giovani, l'ambiente, l'accompagnamento spirituale che, attra-
verso un processo lento di maturazione, sviluppano atteggiamenti e capacità di risposte.
Nell'esperienza ecclesiale odierna si contano congregazioni e diocesi il cui primo tra-
guardo per un rilancio vocazionale è stato, anche con sospensione di altre iniziative, quello
di collocare ogni singola comunità locale in sintonia di impegno corresponsabile e di abili-
tarla al lavoro vocazionale.
Le Costituzioni ci mettono su questa linea quando all'art. 37 affermano che «il clima di
famiglia, di accoglienza e di fede, creato dalla testimonianza di una comunità che si dona
con gioia, è l'ambiente efficace per la scoperta e l'orientamento delle vocazioni».
L'impegno delle comunità ha diverse manifestazioni. Possiamo soffermarci su quattro.
La prima è quella di includere nel proprio progetto di azione l'orientamento vocazionale
di tutti i giovani e la cura particolare di coloro che presentano segni di vocazione. Ci si
aspetta che questo non sia l'ultimo punto del progetto, fatto di iniziative che si improvvisano
con le briciole di tempo, a servizio delle quali si mette più la spontaneità che la qualifica-
zione!
Il sorgere di un proposito di donazione nella persona ha molti antecedenti piccoli e
impercettibili che l'hanno aiutato ad emergere: contatti, messaggi, modelli, spunti nelle ce-
lebrazioni, suggerimenti di riflessione. L'affidare tutto a un solo momento, anche intenso,
trascurando la qualità del «quotidiano educativo», compromette l'esito finale e forse tradisce
gli obiettivi più profondi dell'orientamento.
Una seconda manifestazione è l'attenzione particolare che il Direttore dedica a questo
aspetto, sia nella sua opera di animazione della comunità educativa, sia nello svolgimento
del suo ruolo personale di orientatore dei giovani.
Molti impegni si accumulano sul Direttore. Il coinvolgimento diretto nella formazione
cristiana dei giovani rischia di rimanere in secondo piano. Eppure uno dei tratti del Direttore
salesiano, rilevante nella personalità di quei Direttori che crebbero sotto lo sguardo di Don
Bosco, è quello di essere l'amico e il formatore dei giovani. È questo un impegno non total-
mente delegabile, che richiede competenza, dedizione e tempo. Viene da ricordare l'affer-
mazione di Don Bosco: «Il Direttore deve essere consacrato ai suoi educandi, né assumersi
impegni che lo allontanino dal suo uffizio...». Don Bosco mantenne le conferenze settimanali
8 CG21 114.
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18.10 Page 180

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ai giovani delle ultime classi e fu il loro confessore ordinario fino agli ultimi anni della sua
vita, per poterli illuminare sul problema del loro futuro9. È quanto meno un'indicazione
esemplare!
Una terza manifestazione dell'impegno comunitario è l'accoglienza. Negli ultimi tempi
alcune comunità nostre e di altre congregazioni si sono offerte come luogo di esperienza e
di prova per giovani desiderosi di conoscere più a fondo e direttamente la vita religiosa. Si
sono avuti risultati positivi nella misura in cui le comunità riuscirono ad inserirli nel proprio
movimento di fraternità evangelica, di preghiera e di lavoro apostolico.
Nell'accoglienza e nell'accompagnamento si è valorizzata la presenza in comunità dei
giovani religiosi. Essi, più vicini per sensibilità alle nuove generazioni, condividendone gusti
e aspirazioni, appaiono come modelli più congeniali. La comunicazione diventa facile tra
persone che vivono la stessa esperienza di crescita. Il dialogo sulle ragioni più profonde della
scelta di vita diventa quasi inevitabile. La risposta si carica di incisività per il fatto che è data
da un amico in un clima di amicizia. La condivisione delle medesime attività aiuta a cogliere
le caratteristiche del tipo di vita che si sta sperimentando assieme.
Da ultimo una comunità, mentre accoglie, testimonia e offre esperienza, «racconta» la
sua storia. La presentazione del carisma del Fondatore e l'aggancio affettuoso alle origini
appaiono determinanti nel nascere di alcune vocazioni. Lo è anche l'informazione sugli im-
pegni attuali della Congregazione, particolarmente quelli di maggiore difficoltà o di mag-
giore significatività. Ricordiamo come Don Bosco fece vivere intensamente le prime spedi-
zioni di missionari. La prossimità dell'88 è per noi una opportunità e uno stimolo per avvi-
cinare i giovani alla storia singolare del nostro Padre e della Famiglia spirituale da lui susci-
tata.
Le comunità locali sono dunque insostituibili in ogni progetto di lavoro vocazionale.
Bisogna continuare nello sforzo di farne un ambiente favorevole, un luogo di accoglienza,
una proposta di impegno, un segno eloquente della vocazione salesiana.
4. Un'attenzione: i giovani
Dopo aver ricordato il ruolo indispensabile di ogni comunità, è necessario dare uno
sguardo al «campo» dove oggi stanno sorgendo vocazioni.
La «fascia» giovanile (17-24 anni) appare ricca di possibilità. La scelta del progetto di
vita, infatti, si è spostata in avanti per l'allungamento della giovinezza e per la complessità
della preparazione alla vita. Nell'età giovanile, sotto lo stimolo di esperienze significative,
coagulano in decisioni stabili tutti gli elementi seminati precedentemente. Ciò porta a rivol-
gere a questa età un'attenzione molto più accurata che nel passato, senza diminuire per questo
l'impegno tra i ragazzi e gli adolescenti.
L'età giovanile mette a prova la nostra capacità di portare a fondo il dialogo educativo
e di comunicare la novità del Vangelo. Il discorso vocazionale richiederà da noi una testi-
monianza personale più netta e una proposta di fede più impegnativa. Intanto la statistica a
livello di Chiesa registra indici vocazionali positivi. Anche la Congregazione rileva risultati
soddisfacenti in questa fascia, particolarmente in quei contesti in cui si verificano i fenomeni
giovanili sopradescritti.
Negli ambienti scolastici, dunque, vanno pensati, per i corsi superiori, momenti intensi
di riflessione, proposte di impegni culturali, sociali e apostolici. Negli oratori e nelle parroc-
chie la cura spirituale seria e sistematica degli animatori e dei collaboratori deve mirare non
soltanto a qualificare le loro attuali prestazioni, ma soprattutto ad aiutarli a progredire nella
9 Cf. MB XVIII, 258.
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19 Pages 181-190

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generosità e nel servizio. La nostra presenza tra volontari, giovani cooperatori, universitari,
giovani associati al Movimento giovanile salesiano ci offre opportunità, se siamo attenti, di
aprire orizzonti umani ed ecclesiali e di scoprire disponibilità e attitudini.
5. Esperienze privilegiate
Nulla si improvvisa nella maturazione vocazionale. La vocazione ha un suo processo
nel soggetto. Ogni passo, anche piccolo, nel cammino della crescita umana e cristiana ha il
suo peso. Come ogni lavoro di educazione, la pastorale vocazionale richiede cura della tota-
lità e attenzione alle singole fasi: la disponibilità, l'inclinazione quasi spontanea a un tipo di
vita, la percezione dell'appello di Dio attraverso i segni, la volontà di fare un progetto di vita
modellato su questo appello.
Ci sono però esperienze che rivelano in forma più chiara e immediata le caratteristiche
di una esistenza donata a Dio e agli uomini e ne fanno provare la gioia. Conducono, dunque,
più direttamente alle motivazioni definitive.
Una è certamente la preghiera. Gli incontri di preghiera si stanno moltiplicando. Vi
concorrono non soltanto gli adulti, ma anche numerosi giovani. Si tratta di tempi, di luoghi,
di gruppi, di «scuole» in cui ci si apre alla voce dello Spirito che prega in noi, si sviluppano
atteggiamenti, si imparano le diverse forme di pregare, ci si avvicina alla Parola di Dio. I
giovani li ricercano come momenti di unità interiore e di elaborazione del senso della vita
alla luce di Dio.
La Congregazione vi sta rispondendo. Ne sono prova il miglioramento della preghiera
nei nostri ambienti educativi, le case di ritiro per giovani, le molteplici iniziative in santuari,
chiese pubbliche, gruppi.
Da queste esperienze viene un segnale positivo di fecondità vocazionale. In qualche
caso l'intenzione e il tema dell'adunanza periodica sono esplicitamente vocazionali. Dalla
preghiera si passa naturalmente al dialogo di discernimento e alla direzione spirituale. Così
i centri di preghiera sono diventati anche centri di orientamento vocazionale che lavorano in
sintonia con altri operatori e programmi di pastorale.
Esperienze privilegiate sono il servizio e l'apostolato. Se, superando il puro attivismo,
vengono ricondotti a motivazioni di fede e di carità, aprono i giovani ai grandi bisogni del
mondo e della Chiesa e fanno percepire la forza del messaggio evangelico.
L'animazione di ambienti e attività, l'impegno culturale e sociale, il volontariato sul
posto o all'estero, la collaborazione alle missioni sono opportunità e stimoli per una rifles-
sione sull'impiego della propria vita secondo i piani di Dio.
L'accompagnamento pedagogico e spirituale è indispensabile se si vuole che l'attività
diventi cammino di crescita in Cristo e non si esaurisca in una esperienza da consumare.
Il gruppo è anche un'esperienza privilegiata che assume le due precedenti e le colloca
in un contesto comunitario di condivisione e corresponsabilità.
Le statistiche confermano quello che si osserva ad «occhio nudo» sull'incidenza dell'e-
sperienza di gruppo riguardo al nascere delle vocazioni; non però di qualunque gruppo, ma
di quelli che hanno coscienza di appartenenza, senso di ecclesialità, radicamento nella fede
e tensione apostolica. Nella vita di questi gruppi infatti convergono diversi fattori di matu-
razione vocazionale.
Il vedere, il giudicare insieme sulle idee e sulla realtà creano un'abitudine di vigilanza
e di discernimento che abilita alla risposta.
L'azione apostolica allena alla donazione, mette a contatto con i bisogni dei fratelli.
L'incontro personale con le diverse vocazioni: sacerdoti, laici, religiosi, genitori, diri-
genti giovanili, aiuta a capire le svariate forme di vivere la missione della Chiesa.
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Si aggiungono inoltre il clima di riflessione sul proprio futuro, la possibilità di contatto
con gli educatori che, mentre scoprono le disposizioni e inclinazioni, aiutano a dare concre-
tezza agli ideali.
Ogni gruppo impegnato diventa così «vocazionale» in senso generale, perché coltiva
l'appartenenza e la partecipazione attiva alla vita della Chiesa; ma anche in senso specifico,
perché offre itinerari di chiarimento e di crescita per vocazioni di speciale consacrazione.
6. Chiamare
Per alcuni giovani l'appello viene dalla presenza di «modelli» portatori di senso e di
qualità evangelica. Altri invece assicurano che non avrebbero mai interpretato la chiamata
se non fosse stato rivolto loro l'invito esplicito a impegnarsi nel sacerdozio o nella vita reli-
giosa. Questo ci fa vedere i due aspetti fondamentali della nostra mediazione vocazionale:
testimoniare e chiamare.
Certamente lo zelo e la gioia, quali si esprimono in una vita consacrata, sono già per se
stessi una proposta. Il puntare soltanto sulla «ricerca di vocazioni», senza curare la vita, la
testimonianza e la capacità di accoglienza dei candidati da parte delle comunità, provoca
crisi di credibilità.
Ma oggi la disinformazione sul sacerdozio, sulla vita religiosa e sulle altre forme di
impegno come la vocazione laicale o la consacrazione secolare, gioca contro l'interpreta-
zione del valore obiettivo della testimonianza. Molte disposizioni generose rimangono ine-
spresse se qualcuno non mostra in modo convincente gli spazi dove impiegarle e farle fiorire.
L'eliminare la parola personalizzata che invita a pensare e chiama, è una forma di ri-
nuncia a uno degli aspetti del nostro ministero. Non tutto può avere origine nella testimo-
nianza silenziosa. Cristo ci insegna a chiamare. Al fascino creato dalla sua persona e dalla
sua parola Egli aggiunse l'appello indirizzato singolarmente a ciascuno dei suoi apostoli.
Dice un documento della Chiesa italiana: «La presentazione delle diverse vocazioni
cristiane nella loro varietà e nelle loro esigenze può rompere un pericoloso circolo vizioso
che si va costituendo nelle nostre comunità. Molti giovani sono tentati di isolarsi dalla co-
munità cristiana perché la trovano ritardataria e reticente dinanzi ad alcuni problemi umani
a cui essi sono assai sensibili; d'altra parte l'incisività della presenza cristiana in certi settori
è sminuita dalla mancanza di giovani che sappiano incarnare i valori evangelici in scelte a
favore dell'uomo; di qui il collegamento tra la progressiva perdita di credibilità della comu-
nità cristiana e il progressivo dissanguamento nel settore giovanile. Questo circolo vizioso
potrà essere spezzato dal coraggio evangelico con cui alcuni giovani, illuminati e sostenuti
dagli adulti, si impegneranno in scelte vocazionali sicure»10. Noi crediamo che Dio «chiama»
continuamente i giovani a seguirlo11 e che in questo chiede la nostra collaborazione e la
nostra capacità di mediazione.
7. La proposta salesiana
Due realtà sfidano oggi la nostra capacità di proposta e portano una carica di rinnova-
mento alla nostra pastorale vocazionale: la dimensione laicale della Congregazione e la Fa-
miglia salesiana.
La prima comporta di saper presentare adeguatamente la vocazione salesiana nel dop-
pio versante, quello sacerdotale e quello laicale. Il Rettor Maggiore si fa portavoce di questa
10 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. Seminari e vocazioni sacerdotali: documento pastorale. Bo-
logna: Edizioni Dehoniane, 1979. Documenti 11.
11 Cf. C 28.
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urgenza nel suo discorso di chiusura al CG 22: «Il grido di allarme più volte risuonato in
assemblea sulla diminuzione dei confratelli laici è un invito a progredire nelle realizzazioni
pratiche di una adeguata pastorale vocazionale»12.
Le condizioni soggettive in cui nasce e matura una vocazione di coadiutori non sono
diverse da quelle in cui maturano altre vocazioni di particolare impegno. Alla base c'è sem-
pre l'accoglienza generosa della presenza di Dio, la disponibilità a donare la propria vita a
servizio del Regno e dei fratelli. Nella mancanza di queste disposizioni fondamentali si tro-
vano le difficoltà che spiegano la scarsità dei risultati.
Ma è pure vero che per presentare adeguatamente un tipo di religioso che fonde consa-
crazione e laicità si richiede oggi un supplemento di attenzione e di creatività.
Un orientamento operativo del CG 22 raccomanda: «Le Ispettorie nella loro pastorale
vocazionale sentano l'urgenza di intensificare le iniziative a favore della vocazione laicale
salesiana»13. «Intensificare» è un invito a non lasciarsi vincere dall'abitudine e a trovare
nuove forme di mettere i giovani in contatto diretto e convincente con questa figura di sale-
siano.
Molte Ispettorie vi stanno dando una risposta. Hanno inserito nella équipe vocazionale
qualche confratello coadiutore, come indicava il CG 2114; in campi, gruppi, aspirantati in-
formano convenientemente i candidati alla vita salesiana sulle caratteristiche e possibilità
della vocazione salesiana laicale; curano l'accoglienza di coloro che dichiarano intenzioni di
abbracciarla.
Più decisivo e fondamentale è che i confratelli e le comunità approfondiscano e vivano
l'originalità della missione salesiana, suscettibile oggi di traduzioni che valorizzano la di-
mensione laicale.
Ma la proposta salesiana va oltre la Congregazione; riguarda tutta la Famiglia salesiana.
Una pastorale vocazionale ben concepita apre di fronte ai giovani l'ampio ventaglio in cui si
esprime la ricchezza ministeriale della Chiesa; allo stesso tempo è attenta a presentare la vita
salesiana nelle sue molteplici forme di realizzazione: maschile e femminile, consacrata, lai-
cale.
Gli attuali impegni dei Salesiani in parrocchie, gruppi, centri giovanili e scuole dove
ragazzi e ragazze condividono attività e programmi di formazione, offrono opportunità di
far conoscere gli inizi, gli sviluppi e le attuali possibilità dell'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, degli altri Istituti religiosi collegati alla Famiglia salesiana e delle Volontarie di
Don Bosco. Ogni giovane che fa nei nostri ambienti un certo cammino educativo, dovrebbe
avere una informazione abbondante e un contatto invitante con l'Associazione dei Coopera-
tori e degli Exallievi, come ambito dove realizzare una vocazione laicale.
Queste poche battute non intendono sviluppare un orientamento, ma soltanto richia-
mare... Noi siamo portatori del carisma salesiano. Attraverso la nostra testimonianza e la
nostra parola il Signore vuole arrivare ad altri che Egli stesso ha già preparato internamente
ad ascoltare un invito.
8. Conclusione: preghiera e iniziativa
Da quanto si è detto si scorge che il lavoro vocazionale va portato avanti con moltepli-
cità di iniziative e di modalità, nell'alveo di una pastorale giovanile consistente e unificata.
12 CG22 81.
13 Ibid. 9.
14 Cf. CG21 114.
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Non è possibile ripromettersi un risultato soddisfacente da un'iniziativa singola, da una pre-
senza, da una persona. Ciascuno degli sforzi rende una briciola. Raccogliendo le briciole si
fa «il numero».
L'impegno vocazionale non si aggiunge ad altri più importanti, come accessorio, fun-
zionale al nostro ricambio. È invece tra le finalità della nostra missione15. Bisogna allora
espandere e moltiplicare le iniziative.
Bisogna lavorare con i ragazzi ma anche con i giovani; saper fare la proposta nei nostri
ambienti, ma anche estenderla fuori col nostro ministero, con i centri vocazionali, con i
mezzi di comunicazione sociale.
Sarà bene non sottovalutare le strutture di larga accoglienza, rinnovandone contenuti e
metodi di orientamento; ma allo stesso tempo predisporre comunità per inserirvi giovani
candidati.
Sopra tutti gli sforzi va collocata la preghiera. All'inizio di queste pagine si sottolineava
il carattere di dono che ha ogni vocazione: dono di Dio al giovane e alla Congregazione;
dono del giovane che in libertà sceglie di mettere la sua vita a servizio della missione sale-
siana. Questo gioco di libertà oltrepassa le nostre capacità di convincere.
Il documento del secondo Congresso mondiale delle vocazioni dice: «La preghiera non
è un mezzo per ricevere il dono delle chiamate divine, ma il mezzo essenziale, comandato
dal Signore. La preghiera non riguarda solo il sorgere di nuove chiamate, ma comprende
tutte le necessità della Chiesa in ordine alla vita consacrata: qualità delle vocazioni, varietà
secondo i doni dello Spirito, fecondità apostolica, perseveranza»16.
Traduciamo questa indicazione in pratica comunitaria giornaliera; la preghiera accom-
pagni e sostenga le nostre iniziative di servizio ai giovani e la nostra preoccupazione per
l'aumento degli operai nella messe del Signore.
15 Cf. C 6; 28.
16 Documento del II Congresso mondiale delle vocazioni, 33.
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22. LA PARROCCHIA SALESIANA
Vecchi, J.E., La parrocchia salesiana in ACG 322 (1987), p. 30-37.
1. Un ambiente per la nostra missione. - 2. L'ubicazione delle parrocchie. - 3. La presenza di una comunità. - 4. La scelta
giovanile.
1. Un ambiente per la nostra missione
La parrocchia è, dopo la scuola, l'ambiente pastorale dove la Congregazione investe
più forze. È pure il luogo dove esprime più fortemente il suo impegno verso i ceti popolari1,
offrendo a questi ima cura pastorale completa attraverso una presenza continua.
Di essa dunque non si parla più come di una via occasionale o secondaria per svolgere
la missione salesiana. Il CGS 20 e il CG 21, dopo una riflessione approfondita, superando la
«eccezionalità» del lavoro parrocchiale2 e riconoscono questo ministero «come vero aposto-
lato salesiano nella misura in cui restiamo fedeli e rendiamo attuale il carisma del Fonda-
tore»3.
Anzi i due Capitoli rilevano nella parrocchia aspetti positivi per la stessa azione a fa-
vore dei giovani, come il fatto di poterli avvicinare nel loro ambiente naturale e nei loro
concreti problemi di vita, di poterli seguire nell'intero ciclo educativo in diretto rapporto con
le loro famiglie, poterli aiutare ad inserirsi nell'esperienza della Chiesa, vivendo in seno alla
comunità parrocchiale i loro eventi personali, giovanili, familiari e cristiani4.
La riflessione è approdata all'art. 42 delle Costituzioni in cui le parrocchie vengono
elencate, senza particolari restrizioni, tra «le opere... con le quali contribuiamo alla diffu-
sione del Vangelo e alla promozione del popolo».
Sarebbe dunque fuori tempo riportare sul tavolo discussioni già risolte o attribuire alla
nostra presenza nelle parrocchie problemi dovuti a cause ben più complesse.
L'affermazione del carattere normale del nostro servizio nelle parrocchie porta a due
conseguenze. La prima è che nella parrocchia assunta dai Salesiani deve manifestarsi il ca-
risma della Congregazione non meno che nelle altre opere. È quello che esprime l'art. 42:
«collaborando alla pastorale della Chiesa particolare con la ricchezza di una vocazione spe-
cifica». La seconda conseguenza è che l'Ispettoria ha una responsabilità di animazione e di
governo non soltanto sulla vita religiosa delle persone e della comunità che prende cura della
parrocchia, ma sulla stessa azione pastorale ed educativa che le parrocchie sviluppano. E ciò
proprio a ragione della finalità principale dell'Ispettoria: promuovere la vita e la missione
della Congregazione e offrire un servizio specifico alla Chiesa particolare5.
Per assicurare queste due conseguenze fondamentali sono stati redatti gli articoli dei
Regolamenti generali in cui vengono stabiliti i tratti fondamentali di ogni parrocchia sale-
siana.
È vero che la realtà parrocchiale non si presenta ovunque con le stesse caratteristiche.
Alcune parrocchie sono in zone missionarie, dove la Chiesa cresce e si rafforza dopo la
«plantatio» fatta attorno alle stazioni missionarie. Altre invece sono collocate in regioni di
1 Cf. C 29.
2 Cf. CGS20, 402; CG21, 136.
3 Cf. CGS20, 400; CG21, 137.
4 Cf. CGS20, 401.
5 Cf. C 157.
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diffusa adesione sociologica alla Chiesa e di forte religiosità popolare, che richiedono una
evangelizzazione approfondita. Altre ancora sono situate dove la fede sembra in fase di ri-
formulazione per il rapido processo di secolarizzazione. Non poche infine si sviluppano in
società nelle quali alla Chiesa non sono consentite altre strutture, ambienti o vie di evange-
lizzazione.
Potremmo dilungarci anche sulle diversità dovute alle differenti collocazioni geogra-
fica e socioeconomica. Alcune delle nostre parrocchie, infatti, si trovano in ambienti rurali.
Altre in periferie di grandi città, con problemi di aggregazione, di promozione umana e di
radicamento. Non mancano quelle collocate in contesti che godono di un assetto sociale ed
economico, sia pur modesto.
Al di sopra delle differenze e della relativa diversità di pastorali che esse comportano,
c'è una fisionomia che i documenti degli ultimi Capitoli generali e i successivi sussidi del
Dicastero hanno organizzato attorno ad alcuni nuclei:
La parrocchia salesiana si costruisce come una comunità di persone, animata dai Sale-
siani secondo un carisma specifico.
La parrocchia salesiana fa la scelta preferenziale per i giovani, specialmente i più poveri.
La parrocchia salesiana svolge una pastorale che unisce evangelizzazione ed educa-
zione-promozione popolare.
La parrocchia salesiana ispira rapporti, piani e interventi ad uno stile pastorale impron-
tato al Sistema Preventivo.
Non è il caso qui di soffermarci su ciascuno di questi nuclei che vengono già sufficien-
temente esplicitati dal punto di vista operativo nei testi ricordati. È invece interessante com-
mentare tre preoccupazioni collegate strettamente con la possibilità di realizzare nelle par-
rocchie la missione salesiana: la collocazione delle parrocchie, la presenza di una comunità
salesiana in esse, l'attuazione della scelta giovanile.
2. L'ubicazione delle parrocchie
I Regolamenti generali mettono delle condizioni per l'accettazione delle parrocchie. È
chiaro che tale accettazione non debba avvenire soltanto sotto la pressione delle richieste o
cedendo a situazioni createsi indipendentemente dalla nostra volontà. Ubbidisce invece ad
un disegno di Ispettoria, teso ad esprimere nel modo più adeguato la ricchezza del carisma
salesiano. È guidata quindi da un discernimento pastorale6.
La prima condizione che i Regolamenti chiedono è un'ubicazione della parrocchia, che
consenta il lavoro salesiano, perché collocata in quelle zone «che offrono un adeguato campo
di servizio alla gioventù e ai ceti popolari»7. È questa un'indicazione da tener presente per
l'assunzione di nuovi impegni parrocchiali; ma anche da applicare nella verifica di quelli
presi precedentemente, secondo un orientamento operativo del CG 21: «Ogni Ispettoria pre-
veda l'eventualità di restituire alla diocesi quelle parrocchie che per le mutate situazioni, non
offrono più la possibilità di un apostolato tipicamente salesiano... perché non raggiungono
in forma prioritaria i giovani; perché non inserite in ambienti popolari. Non si accettino
nuove parrocchie se mancano le caratteristiche ricordate»8.
Il problema dell'ubicazione condiziona tutto il resto. È per noi così determinante come
fu per Don Bosco, al suo tempo, l'andare verso i ragazzi poveri, lavoratori o emigranti. Perciò
6 Cf. C 44.
7 R 25.
8 Cf. CG21, 142.
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nei successivi approfondimenti si sono ribadite le preferenze per gli «ambienti popolari e
popolosi» delle grandi città9, «i quartieri popolari e poveri»10, la «gente umile»11.
3. La presenza di una comunità
Una seconda condizione per accettare o ritenere parrocchie è la possibilità di una pre-
senza comunitaria. «La parrocchia salesiana abbia come centro animatore la comunità reli-
giosa...»12. «Dove la situazione lo consente si proceda all'erezione canonica della casa sale-
siana a servizio della parrocchia con il proprio direttore parroco»13.
La comunità non è per noi un'esigenza disciplinare, ma una modalità pastorale. Per
questo non soltanto viviamo assieme, ma sentiamo anche la necessità di lavorare insieme14.
Non è conveniente ridurre le comunità al minimo e tanto meno disperdere i confratelli iso-
landoli, per venire incontro a richieste di servizi pastorali. Come non lo è assumere più par-
rocchie di quelle che l'Ispettoria può curare, rassegnandosi ad un'attenzione precaria. Ciò,
oltre a non risolvere i problemi pastorelli della Chiesa, fa decadere la nostra qualità aposto-
lica. La vita religiosa, sempre generosa verso le urgenze della Chiesa, non vi dà una risposta
adeguata quando rinuncia a quello che le è più specifico perché legato intimamente alla sua
esperienza nello Spirito. Perciò anche nelle situazioni di più grande emergenza, come sono
quelle missionarie, i Regolamenti generali richiedono la presenza di almeno tre confratelli15.
La presenza di una comunità influisce in maniera decisiva sulla possibilità di svilup-
pare una pastorale che manifesti tutta la vitalità del carisma salesiano.
Da trent'anni in qua la parrocchia è oggetto di successivi ripensamenti che cercano di
adeguare il suo servizio e la sua testimonianza alla realtà sociale e culturale cui deve far
fronte. Essa concentra i significati e le attese della Chiesa impegnata nel riproporre il Van-
gelo in una comunità umana segnata da fenomeni che toccano profondamente il senso della
vita e l'esperienza religiosa. Senza l'appoggio quotidiano della comunità cristiana «locale» è
difficile che altri interventi di evangelizzazione occasionali, indiretti, diventino efficaci.
La riflessione sulla parrocchia dunque è venuta continuamente a galla, in rapporto alle
nuove esigenze dell'evangelizzazione. Si è abbandonata così l'immagine istituzionale della
parrocchia per sottolineare il suo carattere comunitario e le relative conseguenze sui rapporti
tra le persone che la compongono e sull'organizzazione. Dalla parrocchia concepita come
stazione di servizi religiosi per una popolazione cristiana si è passati alla parrocchia «mis-
sionaria», centro di irradiazione del Vangelo in un territorio, preoccupata dei lontani, inte-
ressata al dialogo religioso a vari livelli, presente nel sociale, solidale con la comunità
umana. Dalla struttura «clericale» si è passati alla responsabilità del popolo cristiano, con la
conseguente rilevanza data ai carismi, ai diversi ministeri, ai gruppi e alle associazioni, alla
partecipazione dei laici nella gestione economica e nell'attuazione della missione. Dalla par-
rocchia «monolitica» si è passati a quella articolata, concepita come «comunione di comu-
nità» sparse in un territorio, particolarmente là dove le dimensioni di questo o di altri fattori
sociali consigliano la costituzione di più luoghi di aggregazione e di incontro religioso.
9 Cf. CG21, 141.
10 Cf. CGS20, 407. 411.
11 Cf. CG21, 141.
12 R 26.
13 R 29.
14 Cf. C 49.
15 Cf. R 20.
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Tutto ciò accumula sui pastori nuovi impegni, richiede nuove competenze, apre nuove
modalità di lavoro certamente feconde, oltre ad esigere un continuo sforzo di verifica e di
adeguamenti degli interventi.
Nel contesto di questa responsabilità generale in cui si esprime già il carisma (si pensi
all'evangelizzazione-catechesi, alla educazione-promozione, alla liturgia, all'attenzione agli
ultimi...) i Salesiani devono dar vita a quelle iniziative particolari che fanno crescere la Fa-
miglia salesiana con un contributo qualificato di spiritualità alla Chiesa locale. E in questo
la presenza di una comunità che vive lo spirito di Don Bosco diventa indispensabile, più
ancora che per esigenze di quantità di lavoro da svolgere, come punto di riferimento e irra-
diazione.
4. La scelta giovanile
«La parrocchia affidata ai salesiani si distingua per l'attenzione ai giovani, soprattutto
ai più poveri»16. Non bisogna pensare in prima istanza ad una concentrazione delle iniziative
pastorali sui giovani con disattenzione verso altre categorie di persone; ma ad un'ottica che
sa fare di tutta la comunità parrocchiale un luogo di crescita umana e cristiana delle nuove
generazioni, sostenuta dalle capacità e servizio degli adulti, esplicitamente incoraggiata dai
pastori. Nessuno chiede di fare della parrocchia una «istituzione giovanile». La parrocchia
abbraccia senza discriminazione né preferenze tutte le persone e i gruppi che compongono
il popolo cristiano, a cui deve arrivare la parola di Dio nella loro situazione di vita: bambini,
adulti, anziani, malati. Tenendo presente una comunità completa di persone interdipendenti
nella loro crescita umana e cristiana, la parrocchia salesiana compie l'opzione prioritaria dei
giovani, specialmente dei più poveri.
Realizza questa scelta in forme molteplici, ma la esprime in maniera particolare in un
ambiente tipico e onnicomprensivo: l'ora- torio-centro giovanile. Tra le manifestazioni mol-
teplici, legate ad atteggiamenti più che a programmi, possiamo ricordare la simpatia, unita
alla fiducia, con cui i pastori sanno accogliere ogni giovane in modo che nella parrocchia si
senta a casa sua. Possiamo elencare anche la conoscenza permanentemente aggiornata della
condizione giovanile e la competenza nei relativi problemi pastorali che gli animatori della
parrocchia coltivano anche per dare un contributo specializzato nella Chiesa particolare. C'è
pure il sostegno alle persone che nel territorio parrocchiale hanno contatto con la gioventù,
la cui competenza e presenza va valorizzata nella comunità, così come vanno valorizzati gli
ambienti e le istituzioni dove ragazzi e giovani confluiscono.
Si può aggiungere ancora la ricerca missionaria dei giovani, particolarmente di quelli
più bisognosi, nei loro ambienti e luoghi di ritrovo; la partecipazione attiva dei giovani nelle
celebrazioni, il loro coinvolgimento negli organismi parrocchiali, la promozione di un asso-
ciazionismo vario, la sensibilizzazione di tutta la comunità parrocchiale riguardo ai problemi
educativi, la preparazione degli adulti per affrontare questi problemi nell'ambito familiare,
educativo, pubblico.
Se la parrocchia ha fatto e rinnova la scelta giovanile, non mancheranno opportunità di
esprimerla in mille modi.
Ma c'è poi un'indicazione molto precisa che va presa in seria considerazione quando
assumiamo una parrocchia: «la parrocchia salesiana consideri l'oratorio-centro giovanile
parte integrante del suo progetto pastorale»17. Il direttore dell'oratorio-centro giovanile, nelle
16 R 26.
17 R 26.
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previsioni del CGS 2018 doveva essere vicario parrocchiale per il settore giovanile. È una
prospettiva che ancora può offrire suggerimenti validi. Comporta infatti due vantaggi: da
una parte collega parrocchia e oratorio in un unico piano di azione; dall'altra parte presenta
l'oratorio-centro giovanile come un centro di irradiazione di iniziative giovanili verso il ter-
ritorio piuttosto che soltanto come un ambiente all'interno del quale si propongono attività.
Sottolinea così il suo carattere missionario e aperto ad un'ampia zona e a tutti quei
giovani che non sanno a quale parrocchia appartengono.
Forse il primo traguardo da raggiungere, per non sentire la parrocchia come un'aggiunta
alle opere considerate «tipicamente salesiane», è proprio che ciascuna parrocchia riesca ad
avere un oratorio-centro giovanile con ambienti, personale salesiano e laico, e programmi
significativi. Quanto detto sopra è un invito a rivolgere particolare attenzione alla qualità
«salesiana» del nostro impegno parrocchiale; a considerare anche il problema del numero di
parrocchie che ogni Ispettoria può mantenere o assumere.
Per un verso ogni Ispettoria è chiamata ad esprimere con chiarezza, almeno dove non
ci sono circostanze avverse, l'originalità pastorale della Congregazione, segnata dalla prefe-
renza giovanile e dalla scelta educativa. «Ci sono allora priorità da rispettare nel vasto plu-
ralismo delle opere... e in ogni Ispettoria deve avere il primo posto l'impegno per l'apostolato
direttamente giovanile»19. Un buon piano di sviluppo o di ridimensionamento tenderà a col-
locare il più delle forze di una Ispettoria a servizio dei bisogni giovanili che oggi si presen-
tano svariati e richiedono nuove forme di interventi.
D'altra parte non è solo nell'insieme dell'Ispettoria, ma in ogni singola presenza che si
deve manifestare la ricchezza della missione salesiana. E questo suggerisce di assumere in
ciascun campo soltanto quegli impegni cui si può far fronte con efficacia.
Sforzi di qualificazione e di aggiornamento del lavoro pastorale nelle parrocchie non
sono mancati in questi anni. Ne sono prove gli incontri di parroci che in alcune regioni si
sono succeduti a scadenze fisse; la preparazione, se si vuole rapida, delle persone; il fatto
che le Ispettorie includono le parrocchie come ambienti da animare attraverso i propri ruoli;
i progetti ispettoriali con cui si cerca di orientare salesianamente il lavoro dei confratelli.
Rimane di tradurre in pratica quotidiana e condivisa quello che abbiamo riflettuto e
accettato per realizzare sempre più pienamente quanto veniamo dicendo sul carattere sale-
siano del lavoro parrocchiale.
18 Cf. CGS20, 432.
19 CGS20, 402.
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23. L'ORATORIO-CENTRO GIOVANILE
Vecchi, J.E., L'oratorio-centro giovanile in ACG 326 (1988), p. 36-43.
1. Criterio permanente. - 2. Ambiente specifico. - 3. Le condizioni da assicurare.
1. Criterio permanente
La parola e la realtà dell'Oratorio attraversano la vita e gli scritti di Don Bosco. La sua
prima iniziativa germinale e «nomade», dopo successivi miglioramenti e completamenti,
sfociò nell'Oratorio di San Francesco di Sales, culla e casa madre della Congregazione. Per
questo la narrazione degli inizi della Congregazione è strettamente legata al racconto dell'e-
voluzione dell'Oratorio1.
A ragione Don Ceria, che dedica all'Oratorio un capitolo nel primo volume degli An-
nali, esprime il posto che occupa questa iniziativa nella immagine di Don Bosco educatore
dei giovani: «L'Oratorio continua a essere l'opera veramente popolare di Don Bosco, opera
alla quale è più legata la sua fama di apostolo della gioventù... che a poco a poco andò oltre
i limiti espressi dalla denominazione...»2.
Lo spirito che animò il momento fondazionale ebbe continuità. Quasi non c'è Capitolo
Generale o Rettor Maggiore che non abbia dedicato pagine pregevoli all'opera dell'Oratorio
e allo spirito di cui essa è frutto, riflesso e garanzia. Il metter assieme quanto è stato scritto
da biografi, saggisti, superiori e Capitoli Generali potrebbe costituire un'utile antologia.
C'era dunque da aspettarsi che lo sforzo di rinnovamento iniziato sotto la spinta del
Concilio Vaticano II, che chiedeva di ritornare alle origini, rivolgesse lo sguardo a questa
attività così caratteristica della nostra storia.
Il CGS 20 aprì la serie di documenti pastorali con una rilettura del «Don Bosco dell'O-
ratorio» come riferimento normativo per muoversi tra fedeltà e innovazione. A seguito di
questa riflessione il testo definitivo delle Costituzioni propose l'Oratorio come criterio per-
manente dell'agire salesiano, che, partendo dai bisogni dei giovani, li accoglie in clima di
famiglia (casa), mira a sviluppare tutte le loro risorse umane (scuola), illuminandole e fa-
cendole rinascere dalla fede (parrocchia) e fonde tutto in un ambiente di amicizia e di gioia,
dove i giovani vedono riconosciute le loro aspirazioni e sono protagonisti corresponsabili
insieme agli adulti nei processi di crescita (cortile).
In sintesi si viene a dire che l'Oratorio fu il luogo dove la carità pastorale di Don Bosco
divenne quella prassi educativa e pastorale che chiamiamo «Sistema preventivo»3; che lo
sviluppo ulteriore di questa prassi è ancora legata alle caratteristiche di stile e di inserimento
tipiche dell'Oratorio; e che esso, piuttosto che soltanto una struttura o ambiente, è un «mo-
dello» per ogni opera salesiana.
In quest'ultima affermazione è contenuta l'idea che ogni opera salesiana, qualunque
siano le sue finalità specifiche, è un «centro giovanile». Qualunque siano le attività in cui è
particolarmente impegnata (scuola, centro professionale, parrocchia) essa rimane aperta ad
una risposta molteplice ispirata alla carità pastorale che la rende punto di riferimento per i
giovani del quartiere e per tutti coloro che si interessano della gioventù e vi si ritrova
1 Cf. MB.
2 Cf. Ceria Eugenio, Annali della Società Salesiana, Vol. I, Torino, SEI, 1941, p. 633.
3 Cf. C 20.
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quell'ambiente di accoglienza e quel clima di rapporti personali che la fanno diventare «un
Oratorio».
2. Ambiente specifico
Fatta questa necessaria e più generale considerazione, vogliamo riferirci in forma par-
ticolare a quell'opera, ambiente o struttura pastorale con finalità, stile e organizzazione tipica
di cui ci parlano le Costituzioni all'art. 42: «realizziamo la nostra missione attraverso attività
e opere in cui ci è possibile promuovere l'educazione umana e cristiana dei giovani come
l'oratorio e il centro giovanile, la scuola e i centri professionali, i convitti e le case per gio-
vani in difficoltà».
Il medesimo ambiente viene descritto nelle sue caratteristiche negli artt. 11 e 12 dei
Regolamenti generali e ritenuto come «parte integrante del progetto pastorale» di ogni par-
rocchia salesiana4.
La prima cosa da considerare è il posto che occupa questo ambiente nella realtà attuale
di ogni singola Ispettoria e nei suoi piani di sviluppo o di ridimensionamento futuro. È dif-
ficile infatti che si abbia «spirito oratoriano» se non si ha nessuna attività in cui questo viene
assunto nella sua espressione massima.
Ogni Ispettoria esprime la missione salesiana attraverso impegni scolastici, parroc-
chiali, di promozione culturale, di servizi vari educativi e catechistici, di comunicazione so-
ciale. L'esperienza di questi anni sembra rivelare che sovente la sua immagine complessiva
si va definendo più in forza di decisioni congiunturali che di un disegno riflesso. Così alcune
Ispettorie, sotto la spinta di richieste occasionali, hanno sviluppato la componente parroc-
chiale e non sempre nelle zone più povere, mentre altre si sono attestate prevalentemente sul
campo scolastico.
Non dappertutto la componente oratoriana ha fatto eguale fortuna. Le statistiche indi-
cano che nella Congregazione operano oltre 800 Oratori-Centri giovanili. Ma la distribu-
zione geografica presenta concentrazioni e vuoti.
In alcune parti c'è, a questo riguardo, una mancanza di tradizione ecclesiale, che i Sa-
lesiani non hanno modificato. Qui il centro giovanile, come alternativa all'attività scolastica,
deve ancora superare difficoltà provenienti dal suo carattere meno strutturato e dalla sua
apparente debolezza educativa. Viene considerato un'opera complementaria, di seconda im-
portanza, non paragonabile ai consistenti programmi culturali dell'educazione formale.
In altre Ispettorie, dove gli inizi erano stati favorevoli, sono sopravvenuti in seguito
arresti e declini per mancanza di adeguamento a nuove situazioni e bisogni giovanili. Si sa
infatti che la forma «domenicale» e «di fine-settimana» in molte parti è venuta ad esaurirsi
con l'avvento di modalità di vita giovanile e familiare più libera e mobile; che l'Oratorio per
soli «ragazzi» risulta insufficiente in un momento in cui i bisogni educativi e religiosi di
massa appaiono prepotenti anche nella fascia giovanile; che l'Oratorio «ambiente di giuoco
e catechismo» risulta inadeguato là dove la realtà del tempo libero richiede iniziative cultu-
rali più qualificate e varie; che l'Oratorio ambiente gestito da soli Salesiani e «usato» dai
giovani deve cedere il passo a una comunità in cui questi partecipano insieme ai laici colla-
boratori, inserendosi pienamente nella dinamica del territorio.
Ciò per non parlare della necessaria qualificazione di alcuni aspetti tradizionali dell'O-
ratorio: la catechesi di fronte ai bisogni di una nuova evangelizzazione e all'aumento consi-
stente dei «lontani», l'associazionismo in un momento di appartenenze molteplici e di iden-
tità deboli.
4 R 26.
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Accanto a questi accenni, che possono sembrare «critici», vanno rilevati sia il cammino
di ripensamento sistematico che alcune regioni stanno portando avanti; sia le nuove forme
«oratoriane» che la creatività pastorale sta sviluppando nei quartieri poveri. Aggiungiamo
inoltre la qualificazione degli Oratori tradizionali, mediante l'assunzione di iniziative e linee
pastorali corrispondenti alla sensibilità attuale (emarginazione, volontariato, associazioni-
smo, inserimento ecclesiale, ecc.).
La riflessione sulla nostra originalità pastorale a cui ci spinge la celebrazione del Cen-
tenario e l'urgenza sentita dalle Chiese di riproporre luoghi di efficace socializzazione reli-
giosa per i giovani, ci invitano a verificare la consistenza di questo tipo di presenza nell'in-
sieme delle opere dell'Ispettoria ed a creare le condizioni perché possa liberare tutte le sue
possibilità educative.
Il frutto di questa riflessione dovrebbe essere duplice. In primo luogo che ogni Ispetto-
ria nell'insieme delle proprie presenze ne avesse alcune in cui il cuore dell'opera è costituito
dall'oratorio-centro giovanile con tutte le sue caratteristiche realizzate in forma ottimale. È
questo l'unico modo di dissipare i dubbi sulla sua efficacia e di trasmettere alle giovani ge-
nerazioni uno stile e una prassi salesiana. È anche il modo concreto di affermare che l'Ispet-
toria non considera questa come un'attività marginale, per i ritagli di tempo lasciati liberi da
altre attività ritenute più «formative» o «pastorali». È il modo pratico di dire che si crede
nella sua incidenza educativa ed evangelizzatrice.
Il secondo frutto dovrebbe essere l'adempimento, caso per caso, del mandato regola-
mentare: «la parrocchia salesiana consideri l'oratorio-centro giovanile come parte inte-
grante del suo progetto pastorale». Per quanto riguarda la sistemazione di quello che già
abbiamo, è conveniente rivedere la situazione delle parrocchie per arricchire ognuna con le
attività del centro giovanile. Per ciò che riguarda il futuro, sarà necessario accettare soltanto
quelle parrocchie che per la loro collocazione geografica e sociale e per la disponibilità di
ambienti e di personale ci consentano, insieme alla cura religiosa generale della popolazione,
di offrire ai giovani l'ambiente oratoriano.
3. Le condizioni da assicurare
Ma affinché l'oratorio-centro giovanile abbia questa rilevanza nell'immagine globale
dell'Ispettoria è necessario assicurare alcune condizioni per un suo continuo consolidamento
educativo e pastorale.
La prima di queste condizioni è certamente il personale. Come una scuola non può
funzionare senza il suo organico sufficiente in numero e competenze, così l'oratorio-centro
giovanile non libera le sue potenzialità educative e pastorali senza un personale sufficiente
e preparato.
I compiti educativi, pastorali, di animazione comunitaria esigono conoscenze e com-
petenze provate. C'è la lettura della condizione giovanile da aggiornare ininterrottamente,
c'è la realtà del territorio da rileggere, ci sono i collaboratori da corresponsabilizzare e for-
mare, c'è la scelta accurata delle iniziative e soprattutto la loro qualificazione educativa, c'è
il rapporto personale con i giovani che deve trovare gli educatori sempre disponibili e calmi,
c'è l'animazione dei gruppi.
Non si intenda questa insistenza come richiesta di un numero di persone che nel calcolo
attuale delle Ispettorie risulterebbe utopico. Si sa che ogni nostra presenza, oggi e per il
futuro, punta su un nucleo sufficiente di Salesiani capaci di coinvolgere altre numerose forze.
Ma una distribuzione più equa va ripensata là dove gli Oratori hanno avuto una considera-
zione marginale. L'insistenza comunque va intesa anche riguardo alla preparazione teorica e
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pratica e alla possibilità di un aggiornamento costante dei confratelli che operano negli Ora-
tori.
Il «direttore» dell'Oratorio fu una figura-chiave ieri e lo è ancora oggi, sebbene con
modalità diverse, in un contesto comunitario di corresponsabilità e di collaborazione. A lui
tocca assicurare lo spirito e le finalità pastorali della totalità. Egli deve essere attento all'ani-
mazione dell'intera comunità e alla formazione delle persone, sia quelle investite di ruoli
particolari (catechisti, animatori, capi-gruppi, collaboratori, allenatori), sia di ogni singolo
giovane. Ma ciò richiede che possa delegare mansioni organizzative ed economiche.
È auspicabile infine ima certa permanenza nel settore di attività, particolarmente di
quelli che riescono meglio nell'aggancio con i giovani e con il quartiere.
Ma non basta provvedere personale sufficiente e preparato. Nelle adunanze realizzate
per rilanciare l'Oratorio si è indicata, tra le cause principali dei suoi alti e bassi, la disconti-
nuità nell'orientamento, dovuta al cambiamento di criteri riguardo a quegli aspetti che oggi
sono ancora in rodaggio, sebbene siano stati sovente raccomandati. La seconda condizione
è allora assicurare uno stile comunitario di gestione. Questo non risulta sempre facile, date
le abitudini precedenti, e presenta sbalzi indietro anche in strutture in cui viene indicato dalle
stesse Costituzioni o in cui aveva avuto inizi felici.
La gestione comunitaria si riferisce in primo luogo alla comunità ispettoriale. Essa,
responsabile principale della missione salesiana, aiuta a formulare un progetto e garantisce
la sua continuità al di là del cambio di persone, in maniera particolare riguardo a quegli
aspetti che oggi stanno più a cuore alla Congregazione: la conveniente apertura a tutti i gio-
vani, l'identità cristiana, la consistenza educativa, il coinvolgimento dei laici, la partecipa-
zione nella Chiesa e nel quartiere, la qualità dell'evangelizzazione, l'associazionismo. Per
definire questo progetto ci sono oggi alla portata di mano sussidi salesiani e documenti di
Chiesa che chiariscono obiettivi e linee di azione, condizioni richieste per l'ambiente e le
persone, modalità di collegamento con la Chiesa e la società civile.
La gestione comunitaria si riferisce in secondo luogo alla comunità locale. L'opera sa-
lesiana non deve risultare divisa..., ma deve comporsi delle diverse attività che configurano
la missione in un determinato posto. La comunità deve dunque considerare l'oratorio-centro
giovanile come oggetto della sua attenzione, del suo discernimento e della sua solidarietà,
senza delegare totalmente preoccupazioni e responsabilità ad un solo incaricato.
La gestione comunitaria comporta finalmente che la responsabilità del progetto e la sua
attuazione venga condivisa largamente con i laici e con i giovani, secondo le loro possibilità,
attraverso modalità e strutture di partecipazione. Non si tratta tanto di offrire strumenti e
spazi da usufruire, quanto di creare una comunità in cui ci si sente accolti e realizzare pro-
cessi dei quali si è soggetti attivi.
Non sono queste le uniche condizioni. Ma possono bastare per questa comunicazione
che vuole essere più un «richiamo» che un elenco completo.
Il terzo Capitolo Generale, sotto l'ispirazione diretta del nostro Padre, dava queste in-
dicazioni sul «primo esercizio di carità della Pia Società di San Francesco di Sales»:
«Ogni direttore si dia sollecitudine d'impiantare un Oratorio... se ancora non esiste e di
dargli sviluppo se è già fondato. Egli consideri quest'opera siccome una delle più impor-
tanti di quante gli furono affidate...
In essi vengano impiegati i chierici e gli altri soci salesiani affinché si rendano ognor
più capaci di esercitare un sì importante ministero di carità a vantaggio della gioventù.
Tutti i soci salesiani così ecclesiastici come laici si stimino fortunati di prestarvi l'opera
loro persuadendosi che questo apostolato... è per molti giovanetti, specialmente nelle
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città e nelle borgate, l'unica tavola di salvamento»5.
La preoccupazione è chiara! A noi tocca tradurla oggi con modalità diverse, ma con il
medesimo «cuore oratoriano».
5 MB XVIII, 702-704.
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24. RACCONTARE IL VANGELO DELLA FELICITÀ AI GIOVANI «LONTANI»
Vecchi, J.E., Raccontare il vangelo della felicità ai giovani «lontani» in NPG 1-2 (1988), p. 61-68.
1. Un «attimo» di memoria. - 2. I giovani lontani oggi. - 3. Dalla parte dei «lontani». - 4. L'atteggiamento fondamentale: essere
«compagnia». - 4.1 Andare «verso» i lontani. - 4.2 Invito e accoglienza. - 4.3 Camminare insieme. - 5. Segni e portatori di
una «lieta notizia». - 5.1 La scoperta del dono «dentro» di noi. - 5.2 L'invito «oltre» la vita: l'incontro con Cristo. - 6. Gli spazi
dell'annuncio. - 6.1 Lo spazio «fuori dalle mura» e gli inviti generali. - 6.2 Ambienti di accoglienza e gruppi educativi.
Questo numero speciale «celebra» il centenario della morte di Don Bosco. Un aggancio
rapido alla sua memoria è dunque doveroso, anche se l'intenzione di questo contributo non
è raccontare la vicenda di don Bosco con i giovani lontani, ma piuttosto avvicinarsi al feno-
meno odierno di quella maggioranza giovanile in cui il riferimento ecclesiale e religioso si
è appannato.
1. Un «attimo» di memoria
Don Bosco, pur potendosi collocare all'interno delle istituzioni che si prendevano cura
dei giovani che si riconoscevano già nella comunità ecclesiale, scelse consapevolmente di
«essere parroco dei giovani che non sapevano a quale parrocchia appartenevano». Si rivolse
dunque principalmente a loro, e adoperò come luoghi di incontro pastorale e di primo an-
nuncio la strada, la piazze, i posti di lavoro, il prato-cortile.
La scelta, lo stile e i risultati relativi provocarono dissensi e critiche. Qualcuno l'avrebbe
visto meglio nelle «funzioni normali» di un prete secondo il modello corrente. Qualcuno
giudicava l'esito della sua azione inferiore alle attese di un'educazione cristiana. Donde la
critica, la sottovalutazione e la solitudine.
Ma in questi incontri con i giovani del carcere, della strada, dei cantieri, maturò la sua
prassi pastorale che, se si richiudesse in iniziative e istituzioni di conservazione e protezione,
rischierebbe il travisamento.
È vero che il problema dei giovani lontani si poneva allora in termini totalmente diversi
da come si presenta oggi. In un contesto di religiosità sociale la lontananza era congiunturale
e veniva attribuita alla mancanza dalle cure ordinarie, a causa appunto dell'emigrazione,
dell'abbandono pastorale, delle condizioni di vita e di lavoro. I riferimenti religiosi vigevano
comunque nella mentalità popolare. Un richiamo, un gesto, un luogo significativo, una pro-
posta li risvegliavano, ed erano sufficienti a far riprendere un cammino di consolidamento
cristiano.
2. I giovani lontani oggi
Sul fatto della loro consistenza numerica dei cosiddetti «giovani lontani» non ci sono
dubbi. Appare evidente nei dati sulla «assistenza» domenicale, sulla catechesi e persino sul
battesimo e prima comunione. Il numero di giovani raggiunti dalle iniziative ecclesiali co-
stituisce una percentuale insignificante sulla totalità dei soggetti.
Il fenomeno è stato oggetto di riflessioni approfondite e di accurate distinzioni. Ci sono
i «lontani» dalle preoccupazioni etiche, che potrebbero costituire una base di dialogo, quelli
che hanno perso l'interesse per la dimensione religiosa; quelli in cui il messaggio cristiano
rientra nel generico del pensiero religioso; quelli che non si riconoscono affatto nella Chiesa;
quelli che, pur riconoscendosi in essa, non frequentano più. Non pochi di loro non si sono
allontanati: sono semplicemente nati in un «altro continente culturale», hanno assimilato un
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«altro linguaggio», sono cresciuti in «altri ambienti», hanno sviluppato «altre appartenenze».
Per loro la Chiesa è stata più notizia giornalistica che annuncio ed invito. Il richiamo ad una
nuova evangelizzazione è dunque più che mai giustificato anche per ciò che riguarda i gio-
vani.
Due sentimenti tipici percorrono gli ambienti ecclesiali di fronte al fenomeno della lon-
tananza dei giovani: l'allarme e la rimozione. Il secondo sembra oggi più esteso.
In un primo tempo le Chiese accusarono il colpo di sentirsi «minoranza» e in inferiorità
di condizioni nel mercato delle proposte di senso rivolte al grande numero.
Poi sembrarono consolarsi con quello che era rimasto e puntarono sulla qualità, con la
speranza che, per la significatività e decisione di pochi, avesse luogo il ritorno dei più, o
almeno si prevalesse nel confronto tra le diverse proposte.
Emerge così oggi una Chiesa ricca di manifestazioni e fermenti che coinvolgono una
minoranza (i movimenti ecclesiali sono uno dei tanti citabili esempi...) di fronte a una grande
massa che elabora i suoi criteri e le sue appartenenze con distacco, non secondo, ma nem-
meno contro, la proposta cristiana presentata dalla Chiesa.
Questo riferimento ha smesso di essere «sostanziale» per loro. Criteri, senso e apparte-
nenze vengono elaborati in funzione della propria vita. È il fenomeno della «irrilevanza» o
«insignificanza» ecclesiale relativa, qualunque siano il loro valore e la loro verità oggettiva.
A che cosa attribuire questa situazione di non-comunicazione? È questione di messaggio
o di linguaggio? È questione di proposta forte o di solidarietà e vicinanza? E questione di
strategia o di gesti, di profezia? E ciò che la pastorale deve chiarirsi per non sprecare le
proprie risorse in interventi impropri, discontinui, slegati.
Tra questi due soggetti, la minoranza «fedele» e la maggioranza «lontana», si collocano
le manifestazioni di massa. Esse sottolineano la rilevanza sociale dei credenti, coinvolgono
coloro che sono a livelli diversi di assenso e appartenenza fino ai «curiosi», e diffondono un
messaggio e una notizia del Vangelo e della Chiesa. Si potrebbero qui collocare anche gli
ambienti variegati di socializzazione religiosa, le iniziative che evidenziano la preoccupa-
zione dei credenti per l'uomo e la presentazione della Chiesa attraverso la comunicazione
sociale. Ma tutto ciò non raggiunge pienamente lo scopo della pastorale: che abbiano la
«vita» e l'abbiano in abbondanza.
I giovani «lontani» si presentano così come sfida alla nostra maniera di vivere e di dire
Gesù Cristo: se come novità sconvolgente o come pratica «religiosa»; se come profezia,
speranza e annuncio di vita o come cristallizzazione storica e sociale.
In tal senso più che un «problema» essi sono un dono e un'opportunità. Ci spingono ad
esplorare il mistero dell'uomo e delle sue odierne «speranze e angosce», che sono gli spazi
in cui la parola si è fatta carne e ancora oggi può risuonare. Dono è anche la spinta ad uscire
da un modo troppo «normale» di vivere l'esperienza di Dio, è la consapevolezza della nostra
insufficienza riguardo a quello che abbiamo ricevuto.
3. Dalla parte dei «lontani»
Pochi tratti di Cristo si stagliano così chiaramente nei Vangeli come le preoccupazioni,
l'angoscia per chi è «lontano» perché è partito, si è perso o non è arrivato. Alla luce del
vangelo è impensabile dunque una pastorale che si occupi soltanto di coloro che già ci sono.
Dall'affermazione «non sono venuto per i giusti ma per i peccatori», all'annuncio solenne
della sua missione nella sinagoga di Nazareth, Gesù appare disponibile a rivolgersi a quelli
tralasciati dalle preoccupazioni proselitiste degli operatori religiosi o per la loro insignifi-
canza (i poveri) o per la loro origine (i pagani) o per il loro modo di vita (i pubblicani) o per
i loro antecedenti (la adultera).
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In ogni caso la sua preoccupazione non è di guadagnare uno in più per il suo gruppo o
«partito», cosa che rinfaccia espressamente ai professionisti della religione, ma la felicità
della persona. Gesù approfitta di ciò che nella persona già opera come fermento e lo valo-
rizza: la curiosità di Zaccheo, l'interesse di Nicodemo, l'angoscia dell'adultera, il desiderio
di ritorno del figlio prodigo. Fa risuonare nella vita un messaggio di salvezza.
I risultati sono poco vistosi per il criterio del tempo: che cosa è infatti coinvolgere alcuni
peccatori e farsi amici alcuni pubblicani, se i «luminari» rimangono fuori della cerchia? che
cosa può significare per il futuro guadagnare «popolani» se la «classe religiosa» non viene
impegnata?
Ma in questi eventi si manifesta la potenza di salvezza. Si dirama la notizia della sua
presenza attuale tra gli uomini, e coloro che ne sono coinvolti si riempiono di gioia. Il pen-
siero della gioia corona la parabola del buon pastore, della dracma ritrovata e del figlio pro-
digo. La Chiesa dunque è chiamata a gioire per quell'uno che era privato della felicità del
Vangelo, più ancora dei novantanove che non hanno bisogno di ripassarlo. E i «pubblicani»
precedono nel Regno i «professionisti» delle questioni religiose.
È proprio il Vangelo a darci i due versanti della riflessione: l'atteggiamento del pastore
e il «tipo» di messaggio. Avvicinata a un momento felice di prassi pastorale, quale è quella
di Don Bosco, ci viene suggerito un terzo asse per la riflessione: i luoghi dell'annuncio e le
loro caratteristiche.
4. L'atteggiamento fondamentale: essere «compagnia»
Le sensibilità pastorali divergono, sovente senza esplicitarsi, riguardo al movimento
verso i lontani.
Per alcuni è solo questione di «attirarli» alla «verità» dove noi siamo. L'inedita espe-
rienza personale ha poco da dire riguardo all'offerta di «salvezza». Soltanto diventare dispo-
nibile, accogliere ed «entrare». In tal caso l'attenzione a quello che il soggetto, singolare o
collettivo, si porta come «concentrato» della sua vita è marginale: è utile per lui, non per la
sostanza dell'annuncio.
L'incarnazione invece è tutto un movimento verso l'uomo per pronunciare lì la parola di
salvezza, e Cristo lo esprime in alcuni atteggiamenti verso coloro che non troverà sul terreno
«religioso».
4.1 Andare «verso» i lontani
Il primo di questi gesti è «vengo da te»: è la parola rivolta da Gesù a Zaccheo, declinata
poi nel Vangelo in molteplici modi. A chi è già preparato, il Signore rivolge l'invito ad unirsi
ai suoi. Chi è disponibile o percorre soltanto i primi passi, egli lo incontra nel suo «am-
biente», più personale che «fisico». Piuttosto che movimento fisico verso un altro luogo, è
un collocarsi spiritualmente sul terreno dell'altro.
«Uscire» è un altro verbo chiave del Vangelo. Viene applicato al seminatore che getta il
seme in diverse terre; al pastore che va in cerca della pecora e al padrone che invita al lavoro.
«Uscire» e «venire da» comportano l'esigenza di staccarsi dalle proprie posizioni per
votarsi al dialogo e alla condivisione per una ricerca comune. Comporta anche accettare i
risultati che questa ricerca produrrà. Andare più in là della cerchia degli appartenenti, per
condividere con «gli altri» quello che loro hanno, piuttosto che soltanto quello che noi vo-
gliamo far prevalere. Vuol dire lasciare le formulazioni acquisite ed esplorare con serietà le
questioni che preoccupano l'uomo, riformulando il senso che ne emerge. Vuol dire uscire
dal linguaggio abituale a chi vive attorno alle scuole di teologia per provarne altri che espri-
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mano con novità la ricerca del giovane e raggiungano efficacemente la sua interiorità. Signi-
fica tentare altre esperienze e altri luoghi di incontro più vicini alla ricerca della persona. E
ciò non per tattica, ma per riconoscimento della presenza operante di Dio.
È il senso «missionario» della fede, ricondotto all'essenziale, che non ci chiede sempre
di trasferirci a terre lontane, ma di piantare la tenda nel continente giovanile, dietro le tracce
di Dio in esso. La lontananza avviene quando noi selezioniamo e rimaniamo con coloro che
accolgono quello che offriamo e mostriamo indifferenza verso coloro che percorrono altre
vie.
Questo modo di porsi il problema dei lontani non sembra molto diffuso. C'è chi preferi-
sce la terra ferma dei «praticanti» e «credenti» per fare il dialogo.
Chi paragona il movimento verso i lontani con i mille servizi verso quelli che già ci sono,
ha l'impressione che il primo occupi una parte insignificante e sia assunto da pionieri volon-
tari che intraprendono e pagano di persona.
4.2 Invito e accoglienza
Ma c'è un secondo gesto dello stesso atteggiamento: è l'invito e l'accoglienza, senza pre-
clusioni e pregiudizi.
Il Vangelo lo sottolinea quando si riferisce ai lontani. Il padre accolse il figlio, che si era
allontanato, in una casa-famiglia che se fosse stata organizzata secondo i criteri del fratello
maggiore sarebbe diventata stretta e «controllata».
La Chiesa e la stessa esperienza religiosa prendono il volto di coloro che le propongono.
Se si presentano come vera «casa dell'uomo» dove chi è in ricerca può condividere ed essere
aiutato a camminare, diventeranno anche luoghi significativi dove «incontrarsi».
C'è da interrogarsi se le chiese sono troppo strette fino a non poter «invitare» se non
coloro che hanno superato l'irrequietezza vitale, rimodellato i comportamenti dissonanti o
ridimensionato i progetti «strani». In tal caso molti rimarranno non solo fuori, ma disinte-
ressati.
L'invito rivolto ai giovani contiene la promessa di riconoscere e valorizzare quanto essi
portano dentro come caratteristica della loro epoca; l'onestà è non cercare la loro apparte-
nenza per i nostri fini ma per la loro vita.
L'accoglienza non è un'ascetica facile già a livello personale. Quando poi intervengono
ruoli e istituzioni, le cose tendono a complicarsi. Tentativi e iniziative possono venire valu-
tati in base a risultati di «pratica» o di appartenenze conquistate. C'è chi vorrebbe contare le
conversioni, c'è chi guarda l'aumento dei coinvolti nei gruppi, c'è chi misura la crescita di
presenza sociale, c'è infine chi guarda alla maggiore frequenza ai sacramenti. «Vieni con
noi» comporta in prima istanza un'offerta di compagnia, un aiuto nella ricerca, uno spazio di
esperienza i cui esiti non sono totalmente prevedibili.
4.3 Camminare insieme
C'è ancora un altro gesto indispensabile quando si pensa ai lontani: «camminare in-
sieme». Proprio assieme..., al ritmo di chi deve ancora interrogarsi e interrogare la fede,
percorrendo con lui le tappe che gli si vanno scoprendo.
È bella l'immagine evangelica che rappresenta il Signore che fa strada con i discepoli,
mentre si snoda un discorso qualunque. È la stessa che Luca propone in maniera più didattica
nell'episodio dei discepoli di Emmaus. Essi erano sul punto di «allontanarsi» per l'impatto
con la delusione. Il condividere la strada interiore, di cui è segno il cammino fatto assieme,
finisce nella frazione del pane.
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C'è chi esce per «conquistare». C'è chi accoglie con la segreta speranza di convincere
attraverso il favore e l'affetto. Il giovane percepisce che per risolvere un problema di vita
non è necessario promettere adesioni non sufficientemente maturate.
Lo spirito di conquista appare dunque inefficace e l'adescamento per «amicizia» incon-
sistente. Rimane l'essere solidali di fronte alle sfide che la vita propone, offrendo la testimo-
nianza di una esperienza personale vissuta con sincerità e offerta con semplicità.
Il messaggio allora non sarà tutto elaborato, ma si plasma in un dialogo fecondo. Si è
parlato ultimamente, da diverse prospettive, del bisogno di inculturazione. Si è superata l'a-
bitudine di riferirla soltanto ai paesi «non cristiani», di culture non confrontate sistematica-
mente con l'esperienza della fede. Viene invece richiesta anche nei contesti in cui il Vangelo
è stato detto molte volte, ma ha ancora bisogno di essere riascoltato conforme ad una nuova
esperienza umana. Cessa così di essere una «operazione» da fare una volta per sempre e
diventa criterio pastorale.
Lo scollamento tra Vangelo e cultura accusa una delle manifestazioni più vistose nell'a-
rea del comportamento giovanile. In questa età si elabora l'identità fondamentale, ci si crea
un senso per la vita, si stabilisce il codice personale, si progetta l'impiego delle proprie ener-
gie. Gli stimoli e le proposte sono innumerevoli. Il segno e il riferimento religioso rischiano
di restare insignificanti per lontananza dal fuoco delle pulsioni o per travisamento se non
vengono percepite come uno spazio di liberazione e un'offerta di vita.
Il camminare assieme, giovani e Vangelo, giovani e Chiesa, comporta riascoltarsi per-
manentemente e rispondersi, condividendo solidariamente le vicende di un percorso.
5. Segni e portatori di una «lieta notizia»
I cristiani e la comunità ecclesiale manifestano volontà di compagnia, accoglienza e so-
lidarietà perché si portano dentro una esperienza: hanno accolto la «vita». Su di essa hanno
elaborato una sapienza: la vita è il dono in cui Dio si fa presente, anche sotto apparenze
povere e meschine. L'evento di Cristo ne è la prova.
Sono approdati a una scelta: stare dalla parte della vita, della sua dignità, del suo senso,
della sua pienezza.
Quale incontro tra esperienza di fede e esperienza giovanile?
Questo è l'annuncio e questa la notizia che portano; non una nuova «religione» o una
spiegazione delle realtà che non si vedono. Infatti Cristo, sul quale i cristiani scommettono,
ha manifestato il suo potere sulle forze avverse alla vita con la sua esistenza e la sua risurre-
zione. Di questa ha parlato non come di un fatto «accaduto» in Lui, ma come della sua per-
sona stessa: Io sono la risurrezione, la potenza della vita.
Il giovane rincorre la vita attraverso diverse esigenze: riconoscersi e essere riconosciuto
mediante la valorizzazione di quello che è oggi, e non soltanto di quello che «dev'essere» o
che «sarà domani»; assaporare l'esistenza esprimendo la propria libertà nella ricerca della
sua «felicità», quella limitata e possibile, ma sufficiente per costituire una «ragione» di esi-
stere; formulare significati e progetti sempre più adeguati alla sua ricerca e alla realtà che gli
si va spalancando davanti. Ciò gli dà la consapevolezza di essere nel mondo non «per caso»
ma «per grazia» e con una missione; gli dà il vero «gusto» della vita.
Certo queste sono le espressioni più nascoste e profonde della tensione giovanile verso
la felicità: le meno banali e immediate. Esse non sono nemmeno scevre da rischi: l'ancorarsi
nell'effimero, il rinunciare ad andare oltre, l'elaborare in solitario, chiudendosi alla realtà...
Ma è dentro le tensioni profonde del giovane che bisogna affondare quando si parla di dia-
logo tra credenti e lontani.
- 197 -

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Una esperienza, dunque, quella dei cristiani... e una ricerca, quella dei giovani, destinate
a incontrarsi e a illuminarsi.
Ma con quale messaggio, con quale comunicazione, con quali gesti, attraverso quali in-
contri? C'è un presupposto anteriore a ogni parola e annunzio: porre «atti» in cui si possa
sperimentare la salvezza, il passaggio da una situazione di morte a un'altra di vita, dalla
schiavitù alla dignità, dall'incoscienza alla consapevolezza. In molti eventi della chiesa e del
mondo, senza distinzione di area geografica e ideologica, si realizza questo passaggio e
emergono «modelli» che sono mediatori di vita e di salvezza.
Ma la comunità dei credenti è capace di leggere il significato totale e futuro di queste
realizzazioni parziali, per dare dunque una chiave per impostare un'esistenza con senso.
5.1 La scoperta del dono «dentro» di noi
Il primo messaggio è certamente l'invito a sperimentare la vita e entrare nella profondità
del mistero che portiamo in noi; scoprire che è stata un «dono». È la semplice costatazione
che il dono non l'abbiamo acquisito con meriti o sforzi personali, ma l'abbiamo ricevuto.
Ma non basta accettare il dono. Ne può sempre seguire un atteggiamento di passività,
disinteresse, acquiescenza. Occorre riconoscere consapevolmente il suo valore di realtà
piena di insospettate possibilità, e dunque come progetto aperto.
Molti fattori spingono oggi verso la leggerezza, la superficialità, il disimpegno. Si può
«galleggiare» nella vita in forma distratta e irriflessa, non lasciarsi raggiungere dalle situa-
zioni, dagli interrogativi e nemmeno dagli orizzonti troppo suggestivi. L'idealismo e la ec-
cessiva problematicità sono visti con sospetto. Ma finché non si raccolgono e si formulano
le domande, non c'è nemmeno l'attesa di risposte.
Accogliere la vita come un dono, scorgere e invocare una presenza anche se ancora non
si riesce a darle un nome è dunque un passaggio indispensabile. «Conoscendomi ti cono-
scerò», direbbe S. Agostino.
Ci sorregge in questo l'esperienza degli altri che raccontano la loro vicenda e comuni-
cano le loro risposte. L'incontro con la comunità umana e con quello che essa ha elaborato
all'inseguimento della pienezza di vita acuisce la riflessione e comunica saggezza. E il gio-
vane ne percepisce il valore e il limite.
La vita con le sue possibilità e le sue sfide va oltre le realizzazioni e le spiegazioni che
gli uomini sono riusciti a balbettare. Dal loro sforzo d'altra parte sono cresciuti, insieme a
semi di vita, frutti di morte: lo sfruttamento delle persone, lo sguardo avido sulle cose, la
perversione delle proprie facoltà.
5.2 L'invito «oltre» la vita: l'incontro con Cristo
Cristo e il vangelo si fanno incontro come invito a superare la morte e a sperimentare la
vita ad altri livelli: «Io sono la vita...»1.
L'incontro con Cristo può avvenire in forma progressiva e attraverso approcci diversi: il
contatto esterno con la comunità che crede in Lui, l'imbattersi in «modelli» luminosi di esi-
stenza cristiana, con un primo ascolto cercato o casuale della persona che apre un nuovo
orizzonte nella vita.
La maturazione avviene quando si entra in sintonia con Lui e ci si lascia prendere dal
mistero della sua esistenza che rivela quello della nostra.
In lui appare l'umanità non soltanto come la sogna il giovane, ma inabitata da Dio, in
modo tale che sia nel quotidiano come nei momenti di particolare luminosità risulta la sua
1 Cf. Gv 14,6ss.
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trasparenza. Inabita quindi, sotto la povertà, la potenza di Dio, garante della vita dell'uomo
nella risurrezione.
Cristo vive la vicenda di tutti, la vicenda comune, a livelli non comuni di libertà, di
consapevolezza, di amore, di servizio. La sua esistenza avvicinata e riletta ci scopre che la
vita che palpita in noi è una invocazione a Dio e una risposta di Dio, attrazione, punto di
arrivo, possibilità massima dell'uomo.
Per questo Egli è la via.
La presenza di Dio in noi non è pura interiorità, pensiero, coscienza; è amore appassio-
nato e trasformante nella storia. Come in Cristo Dio si è offerto per l'umanità, così anche
attraverso di noi si fa dono per gli altri. È questa la chiave da scoprire: dall'esperienza della
gratuità all'esperienza del dono agli altri e degli altri.
Vita e felicità non sono possesso di cose, ma capacità di amore. È quanto esprime il
vangelo quando dice: «Chi vuol guadagnare la vita deve perderla»; la vita non è da consu-
mare in forma egoistica, ma da mettersi a disposizione.
Solo nel perderla - cioè nel liberarsi dalla forma estrema del desiderio centrato sul sé - e
nel perderla per amore, si raggiunge il vertice del dono: della stessa vita. Questa può sem-
brare la forma estrema a cui tende il cristiano nella sua «imitazione di Cristo». Ma può essere
anche (o «deve» essere) il primo passo da porsi come gesto di profezia.
Forse dunque possono così risuonare le beatitudini per il giovane d'oggi:
Beati i giovani che si lasciano prendere dal desiderio di vivere in pienezza!
Beati coloro che raccolgono gli interrogativi e le sfide della vita!
Beati coloro che riescono a leggere nel Figlio l'essere figli!
Beati coloro che sono presenti agli appuntamenti della storia in cui si gioca la vita!
Beati coloro che riusciranno a vedere la Presenza che costituisce la vita!
Beati coloro che si aprono al servizio e al dono di sé fino anche a perdere la propria vita!
6. Gli spazi dell'annuncio
L'annuncio è un elemento importante della pastorale. Ma non è tutto. Rimane il problema
su «dove e come gridare questo messaggio».
La lontananza è molto concreta: è spirituale, psicologica e fisica. Può essere mancanza
di opportunità di comunicazione. Si tratta di «arrivare» ai destinatari con il messaggio della
felicità.
In un discorso pastorale è importante pensare gli spazi e le vie attraverso cui fare una
proposta. E sono molteplici.
6.1 Lo spazio «fuori dalle mura» e gli inviti generali
Il primo spazio è sociale e culturale: il mondo e il fenomeno giovanile. È lo spazio
«esterno», «fuori delle mura».
Il messaggio va dunque pronunciato con parole che possano essere capite lì dove si
svolge la vita giovanile.
I canali e i circuiti sono diversi: c'è il coinvolgimento dei credenti nelle cause che riguar-
dano la qualità della vita e dell'ambiente; c'è l'impegno sociale particolarmente in favore dei
più poveri o sfruttati; c'è la presenza e collaborazione solidale dei cristiani nel territorio; ci
sono gli strumenti della comunicazione sociale; c'è il mondo dell'espressione. Molti che non
sono vicini alle istituzioni e ai luoghi fisici della comunità cristiana possono essere raggiunti
da una presenza e un invito che risuona nell'ambito secolare. Non è su questa via «secolare»
che ci spinge l'Evangelii Nuntiandi quando dice: «Un cristiano o un gruppo di cristiani, in
seno alla comunità degli uomini nella quale vivono, manifestano capacità di comprensione
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e di accoglimento, comunione di vita e di destino con gli altri, solidarietà negli sforzi di tutti
per tutto ciò che è nobile e buono... Questi cristiani fanno salire nel cuore di coloro che li
vedono vivere, domande irresistibili»2.
Questa via comporta alcuni atteggiamenti a cui forse i «messaggeri» di oggi non sono
abituati: esporsi, uscire allo scoperto, affrontare un dialogo. Andare fuori dalle categorie più
usate all'interno delle chiese.
L'esperienza ecclesiale ha rilevato l'efficacia di un altro momento e luogo per il messag-
gio: sono le opportunità festive e ampie di socializzazione e condivisione.
Gli incontri di masse giovanili in occasione delle visite del Papa nei diversi Paesi mostra
come alcuni che non avevano mai preso contatto col fenomeno ecclesiale si sono avvicinati
quasi fossero chiamati da un «invito generale» a partecipare in una causa e in un impegno
comune vissuto a diversi gradi di consapevolezza.
6.2 Ambienti di accoglienza e gruppi educativi
Ci sono poi gli ambienti di accoglienza dove tutti i giovani possono trovare per il loro
quotidiano una comunità in cui inserirsi e avere così incontri con persone significative.
Le comunità ecclesiali scoprono oggi di nuovo la necessità di creare spazi di socializza-
zione nei quali far credere in umanità e comunicare il vangelo.
Da ultimo ci sono i «gruppi educativi» dove la convivialità, la comunicazione sono più
profondi e offrono possibilità di raccontare in modo più personale la propria ricerca e il
proprio cammino con le loro difficoltà e scoperte.
Questi quattro luoghi rappresentano diversi livelli di comunicazione, come dai più
esterni ai più interni, dai più «laici» a quelli maggiormente contrassegnati da identità eccle-
siale.
È ovvio che nessuno di essi garantisce da solo la possibilità di incontro tra esperienze di
fede e esperienza giovanile, di un'esperienza in cui il giovane sente che le sue esigenze di
vita e felicità sono accolte e trascese senza essere negate.
Dentro l'ambiente risuona il messaggio, il messaggio che da sempre è lieta novella che
diventa tale per chi l'ascolta. Purché sia lieta novella di vita, di vita piena, di vita donata.
È il dono della felicità che supera la stessa possibilità e fantasia umana.
Vita e felicità non si imparano dai manuali: si scoprono in un cammino esperienziale
fatto di incontri con testimoni, a livello sempre più profondo.
Forse si concentra qui, con questo annuncio, con questi testimoni, in questi ambienti, la
possibilità di una «nuova evangelizzazione» da più parti auspicata e sentita necessaria.
Perché la Parola di Dio diventi Parola di salvezza anche al di fuori delle comunità eccle-
siali: diventi cioè vera per tutti.
Non diventerebbe più vera per noi, se diventasse «vera» per i «lontani»?
2 EN 21.
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25. L'ORATORIO SALESIANO TRA MEMORIA E PROFEZIA
Vecchi, J.E., L'oratorio salesiano tra memoria e profezia in Conferenza ispettorie salesiane d'Italia, «Oratorio salesiano tra
società civile e comunità ecclesiale. Atti della Conferenza nazionale CISI, Salesianum, 14-18 dicembre 1987», Roma. Tip.
Don Bosco, 1987, p. 87-114; anche in NPG 5 (1988), p. 4-19.
1. Una nuova domanda. - 2. L'oratorio salesiano "missione aperta" nel continente giovanile. - 3. La missione ha un "ambiente"
di riferimento e irradiazione. - 4. Missione aperta e ambiente di riferimento si propongono la salvezza dei giovani. - 5. Attra-
verso un programma originale di espressione giovanile, evangelizzazione, animazione culturale. - 6. Conclusione: quale
profezia.
1. Una nuova domanda
Una voglia di oratorio percorre le chiese italiane. Fatti recenti in alcune diocesi e pro-
grammi per l'immediato futuro in altre lo confermano. Riscoperta tardiva, ultima speranza
di ristabilire il contatto con la "Massa dei ragazzi" o risposta ad una nuova domanda educa-
tiva?
Le cause sono molteplici. La formula "oratorio" ha l'autorevolezza di un lungo rodag-
gio e ha beneficiato di successive trasformazioni che l'hanno mantenuta aggiornata, pur con
momenti di ristagno e recessione. La pastorale cerca un aggancio con quei giovani più o
meno lontani che ancora conservano un certo riferimento alla chiesa o alla dimensione reli-
giosa e scorge nell'oratorio uno spazio di convocazione più largo di quanto non lo siano il
servizio religioso, la catechesi parrocchiale, i gruppi e le associazioni ecclesiali.
Non sono estranee a questo interesse le famiglie, praticanti e non, alla ricerca di luoghi
di socializzazione umanamente e culturalmente affidabili, per far fronte al problema del
tempo libero dei figli. I giovani medesimi, giunti a un certo grado di consapevolezza sociale,
si orientano verso gruppi dove e possibile maturare rapporti e iniziative che li inseriscano
attivamente nella vita della comunità umana. Questa, d'altra parte, sentendosi corresponsa-
bile del proprio ambiente totale, fisico e umano, valorizza tutte le modalità di incontro che
tendano a soddisfare domande sentite nel territorio e a favorire la partecipazione.
C'è, dunque, un incrocio di attese ecclesiali, educative, sociali e giovanili. Alcuni cer-
cano di rispondere rimettendo in sesto l'istituzione tradizionale con gli accomodamenti ri-
chiesti dal nuovo modo di concepire la presenza della chiesa nella società e il suo riscontro
più concreto e limitato che e la presenza della comunità cristiana nel territorio.
Altri vedono difficoltà sostanziali nella formula ereditata per coinvolgere il nuovo
soggetto giovanile, più adatto, meno disponibile alle appartenenze, pia bombardato da of-
ferte. Tentano allora iniziative interessanti, talora troppo settoriali e si orientano verso i
gruppi che rispondono a interessi, o verso "momenti" significativi (cf. scuole di preghiera,
case di spiritualità).
È presto tuttavia pero dire se le attese espresse da diverse parti sono state lette dalla
medesima prospettiva e con gli stessi codici. Risulta quindi difficile verificare se il rilancio
delle diverse "formule" va nella direzione dell'attuale domanda educativa, umana e cristiana.
Ciò emergerà dalla prassi piuttosto che dall'enunciazione di intenzioni o proclami dettati da
buona volontà e, dunque, da appoggiare con cordiale solidarietà, ma non sufficienti per as-
sicurare la validità della proposta.
- 201 -

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Saranno da chiarire il posto e le finalità proprie dell'oratorio nell'insieme della pasto-
rale e, in particolare, tra le diverse articolazioni e vie della pastorale giovanile come l'atten-
zione religiosa ordinaria, i gruppi e movimenti, le istituzioni educative con obiettivi limitati,
il contatto coi lontani...
In questa mobilitazione e in questo incrocio di interrogativi, l'aggettivo "salesiano",
indicativo del nostro contributo specifico, non è irrilevante né di poco conto.
Don Bosco, secondo il parere unanime degli studiosi, assunse una istituzione esistente
e la modello conforme ai bisogni dei giovani a cui si rivolgeva e secondo la propria genialità
o carisma. Ciò ebbe incidenza definitiva non soltanto sulla organizzazione esterna dell'ora-
torio (attività, strutture...), ma plasmo il suo stile e la sua fisionomia interna. A questa tra-
sformazione Don Ceria dedica un capitolo degli Annali1, riportando la valutazione di Don
Bosco sugli oratori esistenti: «dal loro esame vide che non erano più per i nostri tempi». E
ne indica le ragioni: «Oltre che stavano aperti solo qualche ora del mattino o della sera, non
si ammettevano se non giovanetti di buona condotta, presentati dai loro genitori con l'obbligo
di ritirarli, se non si comportassero bene; dove si radunavano i birichini presso ospizi di
discoli, si usavano modi polizieschi sia per spingerli che per trattenerli. Egli invece partiva
da tre concetti diametralmente opposti. L'oratorio doveva riempire tutta la giornata festiva,
doveva aprire le porte al maggior numero possibile di ragazzi, doveva essere governato con
autorità paterna»2.
Ma se Don Bosco diede forma originale all'oratorio, questo a sua volta fece diventare
prassi pastorale quella carità che l'aveva spinto verso i ragazzi. E cosi l'oratorio plasmo l'i-
dentità, lo spirito e la pastorale salesiana. Ce lo ricorda l'art. 20 delle Costituzioni: «Guidato
da Maria che gli fu Maestra, Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo oratorio
una esperienza spirituale ed educativa che chiamo sistema preventivo... ce lo trasmette come
modo di vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro e per
mezzo di loro. Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di co-
munità, nell'esercizio di una carità che sa farsi amare».
Il salesiano e, dunque, un "tipo da oratorio" e corrisponde ad una vocazione personale,
in grado di capire e gestire una modalità tipica di risposta oratoriana. Anzi essa informa con
lo stile oratoriano altri ambiti di interventi3. È giusto perciò, all'inizio della riflessione, chia-
rire che studiare l'oratorio salesiano non significa verificare tecnicamente la validità di una
istituzione generica, ma risalire ad un carisma originale, collocandosi nella prospettiva della
vocazione salesiana, della missione salesiana, dello spirito salesiano, della pastorale sale-
siana.
Le Costituzioni raccolgono in maniera stringata la nostra memoria sull'oratorio at-
torno a quattro riferimenti: «casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia
alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria»4.
Durante la vita di Don Bosco il suo sviluppo ha un percorso tipico: comincia con una
scelta pastorale, quella di dedicarsi ai giovani rivolgendosi in primo luogo e principalmente
ai più poveri. Ne seguono incontri personali che danno origine a un gruppo sempre più largo
di ragazzi. Quando il gruppo diventa numeroso si sente il bisogno di un luogo materiale in
cui radunarsi e svolgere le proprie attività. La sistemazione degli ambienti, la progressiva
1 Cf. E. CERIA, Annali della Società Salesiana, Vol. I, Torino, SEI, 1941, cap. LIX.
2 Cf. commento in Dicastero per la Pastorale Giovanile, Elementi e linee per un progetto educativo-
pastorale negli oratori e centri giovanili salesiani, Documenti PG 5, Editrice S.D.B., Roma, 1980, p.
6-8.
3 Cf. C 40.
4 Ibid.
- 202 -

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articolazione di iniziative varie (pensionato, laboratori, scuole) e l'organizzazione delle re-
sponsabilità in appositi regolamenti corona il processo. L'oratorio diventa allora un com-
plesso centro giovanile che mette in programma anche particolari attività domenicali. Donde
la distinzione tra l'oratorio di San Francesco di Sales e l'oratorio festivo5.
La storia passata e presente della Congregazione registra oratori-centri giovanili nei
quattro stadi suddetti: quello della ricerca e incontro libero con giovani e gruppi, quello della
progressiva formazione della comunità giovanile, quello della maturazione di un programma
vario e articolato, quello della sistemazione definitiva delle attività, strutture e ambienti; tutto
dipendendo dal contesto, dai soggetti e dalle possibilità concrete degli operatori.
Si può far memoria e progettare il futuro richiamando soltanto uno di questi momenti:
quello eroico e creativo degli inizi, quello della realizzazione congiunturale, quello dell'or-
ganizzazione completa. Pero se non si colgono tutti insieme, si stenta a capire non soltanto
lo spirito, ma anche le caratteristiche strutturali e operative dell'oratorio salesiano. La sua
fisionomia infatti riflette la genesi non soltanto come antecedente storico, ma anche come
dinamismo permanente.
Il carattere dinamico dell'oratorio salesiano ha dato origine però ad una diversità di
realizzazioni che sovente trova una giustificazione nelle domande giovanili del contesto; ma
non poche volte scaturisce da interpretazioni personali rese possibili da un certo disimpegno
istituzionale riguardo a un progetto consistente, garantito dalla preparazione e dalla perma-
nenza del personale incaricato di animarlo.
La prima e più grossa conseguenza di questo processo e la separazione e la marginalità
dell'oratorio-centro giovanile riguardo ad altre opere salesiane operanti nel medesimo spa-
zio. Da quell'unita e articolazione originale che ricorda l'art. 40 si e passati alla settorializ-
zazione con detrimento dell'immagine globale dell'opera salesiana.
Ma una volta operata questa vivisezione, gli oratori centri giovanili tendono a pren-
dere configurazioni diverse. Nascono così gli oratori "ludici-sportivi", e, per reazione quelli
"catechistici", quelli "associazionistici", quelli "movimentisti del quartiere", quelli che si
propongono come "casa della comunità".
In un'altra sfilata di modelli vengono presentati «l'oratorio-contenitore che trasborda
di iniziative scollegate e avulse da un progetto unificante. L'oratorio palestra che ruota ai
ritmi degli allenamenti sportivi. L'oratorio-dancing, tutto festa, complessi e musica. L'orato-
rio-cenacolo chiuso nel giro di pochi intimi sintonizzati su pratiche devozionali. L'oratorio-
weekend che soddisfa variamente l'annoiato fine settimana della gioventù bene. L'oratorio-
frittomisto che miscela confusamente attività e spiritualità attinte all'ACI, ai GEN, a CL,
all'AGESCI, alle ACLI, a MCL. L'oratorio-bronx di chi vuole imporre la legge del più forte.
L'oratorio-azienda che articola cinema, teatro, sala giuochi inzeppata di flipper e videogames
per esaltare l'effimero, purché ci sia un congruo rientro finanziario»6.
Le caricature mostrano l'ipertrofia di un tratto a scapito degli altri; ci fanno capire il
rischio, reale o possibile, che l'identità originale venga travisata sotto la pressione di tre fat-
tori: l'impressione che l'attuale realizzazione stia perdendo validità, i tentativi individuali di
ricuperare il "salvabile", la mancanza di un progetto ripensato e gestito comunitariamente.
La relazione vorrebbe fare "profezia" riproponendo l'immagine totale "dell'oratorio-
centro giovanile" e stagliando le caratteristiche del suo momento più genuino, quello del
contatto spontaneo, libero, amichevole, partecipativo.
5 Cf. E. CERIA, Annali della Società Salesiana, Vol. I, cap. LIX e LX.
6 A cent'anni l'oratorio è sempre una scommessa in BS, gennaio 1988.
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Per questo offre alcuni spunti (soltanto alcuni!) su alcuni nodi: l'oratorio salesiano è
una "missione aperta" nel continente giovanile con un "ambiente" di riferimento e irradia-
zione, che si propone la "salvezza" dei giovani, accogliendo ed evangelizzando la "loro vita"
2. L'oratorio salesiano "missione aperta" nel continente giovanile
Don Bosco ha avuto nei giovani poveri e abbandonati primo e sostanziale riferimento
per la sua vocazione.
La missione affidatagli non consisteva nell'inserirsi, fosse anche con novità di impo-
stazione, in una determinata istituzione pastorale, ma raggiungere i giovani con un intervento
di salvezza.
Sapeva che un oratorio poteva essere "parrocchiale", gestito dalla parrocchia e rivolto
ai giovani che ne facevano parte. Ma stabili il suo appellandosi direttamente ai bisogni dei
giovani, senza titoli di giurisdizione canonica, spinto e autorizzato dalla carità e dal sacer-
dozio ricevuto.
Potendo collocarsi all'interno delle istituzioni pastorali esistenti, con le relative indi-
scusse competenze su determinati soggetti e aree di azione, scelse di rivolgersi "ai giovani
che non avevano parrocchia o non sapevano a quale parrocchia appartenessero". Ebbe co-
scienza di essere inviato direttamente a loro, di essere missionario dei giovani.
La relazione non consente di ripercorrere le discussioni coi parroci e riesaminare gli
argomenti che si approntavano in favore dell'oratorio inquadrato nella parrocchia e di quello
aperto senza confini sul fronte giovanile, fino al riconoscimento dell'arcivescovo che "auto-
rizzava" l'operare di Don Bosco come valido complemento dell'azione pastorale là dove la
chiesa "organizzata" non riusciva ad arrivare.
L'oratorio salesiano nasce diverso dagli altri: non come una sede per proposte "di ser-
vizi normali" per chi ne volesse approfittare; ma come una ricerca per le strade, le botteghe,
i cantieri. Si colloca in un ambito umano e sociale piuttosto che in una giurisdizione territo-
riale. È una scelta di determinati soggetti prima che una programmazione di contenuti e at-
tività. Se questi soggetti non si avvicinano bisogna, come prima mossa, uscire loro incontro:
non dare per scontato che verranno se la proposta e oggettivamente valida secondo il para-
metro comune.
Dall'incontro con questi soggetti nascono i programmi. Ciò influisce sullo stile dell'o-
ratorio e sul suo inserimento nella pastorale generale. I soggetti scelti infatti sono gli "ultimi"
e, a partire da essi, tutti. Per questo e per il suo riferirsi direttamente alle urgenze dei giovani
poveri anziché a titoli e strutture canoniche, l'oratorio di Don Bosco venne ad essere "mar-
ginale" dal punto di vista istituzionale, mentre fu emergente dal punto di vista della "signi-
ficatività". Si trovo al centro dell'interesse sociale tanto e pia di quello ecclesiastico, e di-
venne una iniziativa allo stesso tempo religiosa e secolare, un'espressione di carità pastorale
e di solidarietà umana.
Secondo una valutazione di Pietro Stella «Don Bosco si trovò in contrasto con i par-
roci, specialmente con quelli che maggiormente sentivano attraverso il loro territorio la sua
forza attrattiva, che sottraeva dalle loro strade, sotto i loro occhi, ragazzi e giovanotti per
riunirli a Valdocco, o negli altri due oratori da Lui diretti»7.
L'oratorio di Don Bosco appare cosi come un'iniziativa senza confini, come un movi-
mento verso i giovani per incontrarli lì dove essi si trovano fisicamente e psicologicamente.
Risulta universale come la volontà salvifica di Dio. Il movimento e sempre verso le frontiere
7 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. Vol. I. Vita e opere; Roma, LAS, 1979,
p. 116.
- 204 -

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e i margini religiosi, sociali e umani, con lo sguardo rivolto a coloro che le istituzioni regolari
non prendono in considerazione, senza escludere, anzi invitando gli altri. È per tutti, non
rivolto agli speciali dal punto di vista dell'eccellenza o della devianza, ma al povero comune
nel quale sono vive le risorse per accogliere una proposta di ricupero e crescita.
La missionarietà non si riferisce soltanto ai soggetti, ma anche alla società. Attraverso
l'intervento nel vivo di un problema sociale fortemente sentito, Don Bosco mise in nuova
luce la missione della comunità cristiana nella convivenza umana. Le sue espressioni ri-
guardo alla forza della religione sui soggetti, sulle motivazioni degli educatori e sulla riforma
della società, rivelano il tipo di messaggio che proponeva a tutto il contesto sociale.
Questa è "memoria". Il tratto missionario che appare così nitido nelle origini dell'ora-
torio e che si appanna in successive realizzazioni, provoca alla riflessione in alcune direzioni.
Una prima riflessione riguarda il "tipo" di destinatario sulla misura del quale bisogna
pensare oggi l'oratorio e, a partire dal quale, aprirlo a tutti. C'è l'invito della chiesa a partire
dagli ultimi; da coloro che sono rimasti fuori dai circuiti normali di evangelizzazione e di
attenzione educativa. Sono i "lontani". Sul fatto della loro consistenza numerica non ci sono
dubbi. Appare evidente nei dati sulla "assistenza" domenicale, sulla catechesi e persino sul
battesimo e prima comunione. Il numero di giovani raggiunti dalle iniziative ecclesiali co-
stituisce una percentuale insignificante sulla totalità dei soggetti. Una valutazione non
uguale, ma certamente "analoga", si può fare riguardo alle istituzioni educative, visto l'an-
damento della marginalità giovanile.
Il fenomeno è stato oggetto di riflessioni approfondite e di accurate distinzioni. Ci
sono i "lontani" da quelle preoccupazioni etiche che potrebbero costituire una base di dia-
logo; quelli che hanno perso l'interesse per la dimensione religiosa; quelli in cui il messaggio
cristiano rientra nel generico del pensiero religioso; quelli che non si riconoscono affatto
nella chiesa; quelli che, pur riconoscendosi in essa, non frequentano più. Non pochi di loro
non si sono allontanati: sono semplicemente nati in un "altro continente culturale", hanno
assimilato un "altro linguaggio", sono cresciuti in "altri ambienti", hanno sviluppato "altre
appartenenze". Per loro la chiesa, e quindi il Vangelo, è stata più notizia giornalistica che
annunzio ed invito. Il richiamo ad una nuova evangelizzazione e dunque più che mai giusti-
ficato anche per Ciò che riguarda i giovani8.
L'oratorio non è né un cenacolo per i migliori né una sede per il ricupero di coloro che
versano in gravi devianze. Si costruisce sulla misura di "questo" ragazzo-giovane comune,
categoria a cui appartiene oggi il più grande numero. Da questa scelta si apre a urgenze più
particolari nella misura in cui l'ambiente lo consente e la comunità si e resa capace di dare
soluzioni a questi bisogni attraverso iniziative specifiche e articolate.
La domanda sui soggetti riguarda anche il problema dell'età. L'oratorio nato per i ra-
gazzi fino all'adolescenza, sente oggi la necessità di adeguare le sue proposte alla gioventù
non soltanto per la diminuzione demografica, ma soprattutto per l'allargamento dell'età gio-
vanile e del periodo educativo. È infatti nell'età giovanile dove appaiono oggi i fenomeni più
preoccupanti di abbandono, i rischi più gravi di emarginazione e anche le manifestazioni più
interessanti di impegno e coinvolgimento.
Un'altra serie di riflessioni riguarda la "missionarietà" sia degli oratori parrocchiali sia
di quelli che servono ad un'area più vasta. In chiese, come quelle di oggi, che si sentono
comunione di energie apostoliche e di carismi, la distanza tra marginalità istituzionale e si-
8 J. Vecchi, Raccontare il Vangelo della felicità ai giovani lontani in NPG, gennaio 1988.
- 205 -

21.8 Page 208

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gnificatività carismatica dovrebbe essere superata o accorciata di molto. In comunità cri-
stiane che sanno di essere missionarie nella comunità degli uomini, l'attenzione ai lontani
dovrebbe essere un impegno di tutta l'azione pastorale e non soltanto di "pionieri" solitari.
L'inserimento dell'oratorio in una pastorale organica sembra dunque non soltanto pos-
sibile ma raccomandabile.
Tuttavia come l'oratorio non può esaurire tutte le possibilità di pastorale giovanile di
una o più parrocchie, cosi l'azione parrocchiale non potrà inquadrare tutte le possibilità di un
oratorio. Questo sarà sempre un'iniziativa alle frontiere, nel punto di incontro tra comunità
cristiana e società civile: una presenza dei cristiani tra la gioventù e un'iniziativa di evange-
lizzazione della comunità ecclesiale.
I salesiani sono chiamati a mantenere i due poli della tensione: essere missionari oltre
le parrocchie, operare entro la comunione ecclesiale piuttosto che soltanto entro i limiti di
una circoscrizione pastorale, diventando sensibilizzatori delle comunità e dei pastori ri-
guardo alla condizione giovanile e ai problemi che ne emergono.
C'è infine la questione pratica di come attualizzare oggi quella ricerca dei giovani cosi
caratteristica dell'oratorio di Don Bosco. Il contatto "fuori le mura" e indispensabile. Molti
oratori lo sviluppano rafforzando la propria capacità di convocare con la presenza in quelle
sedi in cui confluisce gioventù. Ma il punto fondamentale e riuscire a collocarsi psicologi-
camente e pastoralmente nel vivo dei problemi in cui i giovani meno favoriti si dibattono.
Il "territorio" diventa allora un riferimento obbligato e un punto di attenzione prefe-
renziale come "campo di rilevamento" e come spazio di lavoro, ma anche come soggetto
agente che ci permette di raggiungere i giovani e in forma più totale. Oltre alla presenza nelle
sedi in cui si trattano problemi giovanili e al confronto con le agenzie che si occupano della
formazione dei giovani, non e da escludersi l'incontro diretto con i gruppi giovanili spontanei
o la presenza nella strada mediante salesiani e animatori.
3. La missione ha un "ambiente" di riferimento e irradiazione
La missione aperta si esprime e si concentra in un ambiente, anche se non si limita ad
esso. Se non ci fosse l'ambiente diventerebbe problematico, se non impossibile, sviluppare
programmi consistenti di ricupero e crescita; ma se l'oratorio si rinchiudesse nel proprio am-
biente, la sua missionarietà svanirebbe, diventando così un normale servizio di "manteni-
mento" religioso. L'ambiente e allora la base dove si opera, da dove si parte e verso cui si
confluisce.
Il significato di ambiente e composito. Comporta diverse componenti e relative atten-
zioni. La mentalità odierna ci aiuta a cogliere il suo significato globale, l'insieme completo
ed equilibrato di fattori che favoriscono la qualità della vita.
Don Bosco intuì la sua importanza sin dai primi incontri con i ragazzi nel carcere e
per le strade, ne studio accuratamente le condizioni per la crescita dei giovani e lo codifico
attraverso molteplici indicazioni.
Il primo riferimento per definire l'ambiente è quello umano: l'ambiente e costituito da
una comunità e un tessuto di rapporti personali in cui ci si inserisce perché ci si sente rico-
nosciuti, accolti e valorizzati in quello che si è e per quello che si ha attualmente.
Don Bosco creò un ambiente quando non aveva ancora sede stabile, ne chiesa, ne
scuola. Fu la comunità giovanile "nomade" "in gita domenicale", che rivestiva già caratteri-
stiche peculiari: desiderava trovarsi con lui e condividere momenti di giuochi e compagnia.
La comunità ha una fisionomia propria, un'organizzazione, delle finalità. Consiste
nella comunicazione spontanea favorita, nella corresponsabilità partecipata, nel coinvolgi-
mento in obiettivi conosciuti, chiariti e accettati.
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21.9 Page 209

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La memoria ci ricorda i punti forti di questa trama: il direttore, il quale piuttosto che
un organizzatore di cose, e colui che ha un'attenzione particolare per ogni persona, conosce
i problemi giovanili e sa parlare "al cuore" dei giovani proprio sulla loro vita. Insieme a lui
ci sono quelli adatti, qualificati per portare i giovani attraverso un itinerario di crescita me-
diante il contatto informale, l'amicizia, le attività (assistenti, catechisti, "invigilatori di giuo-
chi").
L'ambiente non si presenta dunque come risultato di un semplice affluire di giovani,
un "porte aperte" in cui si mettono a disposizione spazi e cose; ma come un complesso di
incontri significativi con "storia" e un assumere qualche cosa in comune.
In questa comunità i giovani piuttosto che invitati a fruire delle iniziative preparate
dagli incaricati dell'opera e dei rapporti costruiti tra gli adatti su loro misura, sono compo-
nente principale. La loro partecipazione non marginale dà il volto alla comunità: e un ele-
mento della sua identità.
Proprio per questo parliamo di un ambiente giovanile: non soltanto destinato ai gio-
vani, quanto costruito da loro con l'aiuto degli educatori. La comunità viene ad essere così
quello spazio umano in cui circolano le proposte elaborate con il contributo proprio di cia-
scuna età ed esperienza di vita. Essa accoglie e invita. Accoglie con gesti concreti e personali
chi si avvicina anche solo per curiosità. Invita tutti, particolarmente quelli in cui scorge un
bisogno di aiuto o un desiderio di ricerca.
L'ambiente richiede una sede, un luogo fisico adeguato in cui dare volto alla comunità
giovanile. Valdocco e stato l'approdo lungamente desiderato da Don bosco, in cui comincio
l'assestamento dell'oratorio. Un luogo di aggregazione e di espressione giovanile e elemento
indispensabile del sistema ecologico esigito dalla concretezza. Esso sta alla comunità come
la casa sta alla famiglia.
L'ambiente così costituito, comunità-organizzazione-spazio-programma-struttura, ha
una caratterizzazione. È cristiano. Lo si sa collegato alla comunità ecclesiale, di cui e me-
diazione. Lo dicono i segni, i gesti della comunità e alcune esigenze ragionevoli di atteggia-
mento e comportamento. Don Bosco espresse queste esigenze nel suo regolamento, senza
per questo porre limiti all'apertura massima: "Tutti vi possono essere accolti senza eccezione
di grado o di condizione... non importa che siano difettosi... anche i giovani discoli possono
essere accolti... e rigorosamente proibito bestemmiare, fare discorsi contrari ai buoni co-
stumi, o contrari alla Santa Cattolica Religione... chi commettesse tali mancanze sarà pater-
namente avvisato... se non si emenda il direttore lo licenzierà dall'oratorio"9.
Per quanto festivo, gioioso e libero, l'oratorio e un ambiente regolato. A chi vi si in-
serisce si chiede, come minimo, la disponibilità a fare un cammino, non importa quali siano
i ritmi e gli esiti. Si chiede anche la volontà di costruire assieme e non soltanto di adoperare
in maniera "anonima n impianti e attrezzature.
Ma non si presenta come luogo "religioso". Don Bosco sovente lo chiamo "giardino
di ricreazione"... e con questo sottolineava la capacità di far spazio alle manifestazioni sane
dell'età giovanile.
L'ambiente e dunque onnicomprensivo e assume la totalità della vita del giovane, più
che nella materialità delle sue molteplici manifestazioni, negli aspetti che determinano la sua
qualità e che lui sente come più urgenti e meno soddisfatti.
Non si sostituisce ad altre agenzie educative: non intende prendere il posto della fa-
miglia, della scuola, della parrocchia, o fare concorrenza ai centri sportivi e alle sale di
9 Cf. Regolamento dell'oratorio di S. Francesco di Sales, MB III, 91-92.
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21.10 Page 210

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giuoco. Aiuta invece a filtrare e a fare la sintesi delle esperienze che vi si fanno, nel confronto
con la vita come il giovane la va sentendo, in cammino verso l'autonomia.
È un'attività nel tempo libero, ma non semplicemente per riempirlo. Il giovane deve
sentire che "il tempo senza obblighi" gli offre la possibilità di riprendere in mano la propria
vita per scoprirla nei suoi aspetti più profondi e misteriosi: come grazia e vocazione.
Si va creando così nel ragazzo un riferimento interiore all'ambiente che va oltre lo
stare materialmente in esso, fino ad identificarsi con il suo stile e le sue prospettive. Allora
l'oratorio comincia ad essere dentro di lui: e diventato proposta.
Anche questo secondo tratto ridestato dalla memoria fa sorgere degli interrogativi
quando viene riportato alla situazione attuale.
Il primo riguarda la specie di ambiente da ottenere e i requisiti per crearlo e mante-
nerlo, e in primo luogo la possibilità medesima di qualificarlo in un mondo "aperto" in cui
le protezioni, i limiti, le norme e lo stesso diritto di garantire certe finalità hanno efficacia
relativa.
Per alcuni il problema va risolto attraverso la "selezione", anche soltanto indiretta, dei
soggetti. È un punto che può far parte di una soluzione globale, ma non può essere l'unico.
Se ci si ispira al criterio "missionario", si tenderà a potenziare la capacità delle comunità di
assimilare elementi ancora non identificati totalmente con l'ambiente e allargare i margini di
tolleranza. L'ambiente cercherà di essere a tal punto propositivo da attirare e "vincere" piut-
tosto che allontanare. Ma questa capacità risiede proprio nella convergenza studiata, non
casuale, di svariati elementi che separati sono "poveri" e insufficienti. Nella misura in cui
Ciò non accade, l'indice di incidenza e quindi di tolleranza dell'ambiente scende e bisogna
procedere per "tagli".
Si inserisce allora un secondo rilievo che riguarda la comunità dell'oratorio. La com-
posizione, animazione e corresponsabilità, particolarmente della componente adatta. Sono
indispensabili perché riesca a lavorare senza un'eccessiva selezione iniziale. Il suo influsso
infatti e superiore a quello dei" locali" e delle offerte di attività. La sua formazione e quindi
uno dei primi punti di attenzione.
Non sono pochi gli elementi che già esistono e che potrebbero raccogliersi in maniera
più organica. Nell'oratorio operano animatori, catechisti, allenatori, collaboratori. Si avvici-
nano genitori e amici, si radunano exallievi. Ricevere soltanto il loro appoggio morale o la
loro collaborazione tecnica senza coinvolgerli nell'intenzione e nella progettazione educativa
significherebbe trascurare la trama di sostegno dell'ambiente.
Giungiamo allora, per forza di logica, al ruolo del o dei salesiani all'interno di questa
realtà, delle capacità che debbono mettere in atto, delle funzioni che conviene loro assumere
e di quello che debbono delegare, affinché non vada in fumo la finalità medesima del tutto.
Essi sono gli animatori: educatori alla fede ed educatori degli educatori in corresponsabilità,
punti di riferimento per la comunione e la partecipazione.
I laici, uomini e donne, non sono dipendenti ne elementi secondari, ma una presenza
necessaria che va allargata e apprezzata nel suo carattere di "vocazione" vicendevolmente
complementare con quelle del sacerdote e del religioso e nelle sue possibilità operative e
tecniche.
Si cercheranno laici che «siano testimoni autenticamente cristiani, motivati, consape-
voli e adeguatamente preparati. Essi devono avere un vivo senso ecclesiale che si esprime
nella comunione interiore e visibile con la chiesa e nella coralità dell'azione pastorale; una
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22.1 Page 211

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profonda convinzione di essere educatori missionari inviati da Cristo in un oratorio "missio-
nario»10.
Non sembrino queste esigenze eccessive per quanto poi nella pratica dovranno essere
adeguate alle circostanze. Gli educatori non vanno considerati alla stregua degli oratoriani.
Su di loro poggia la forza formativa dell'ambiente. Una selezione, guidata da criteri pastorali
e non soltanto dal bisogno di prestazioni tecniche, appare quanto mai necessaria. D'altra
parte non dovrà mancare una formazione sistematica nel quotidiano e in momenti di sintesi
e ricarica, tendente a rafforzare la loro profondità cristiana, capacità pedagogica, senso pa-
storale e spirito salesiano. Tocchiamo qui uno dei punti dai quali dipende il futuro dei centri
giovanili.
Proprio alla componente adulta della comunità educativa e affidato l'approccio perso-
nale ai giovani. L'oratorio e tutt'altro che un ambiente collettivo o anonimo. La sua forza
educativa risiede nella capacità degli adulti di venire incontro a chi "entra" nell'oratorio,
facendolo sentire a casa sua.
Infine il cammino di una comunità, come quella che abbiamo abbozzato, non ammette
cambiamenti imprevisti e non motivati all'insegna di criteri individuali. Impostare l'ambiente
oratoriano sulla misura dei giovani e del contesto comporta indirizzi chiariti e assunti alle
volte con fatica. La loro messa in atto poi punta necessariamente sui tempi lunghi. Un'intesa
per definire la prassi comunitaria eviterebbe i mutamenti non giustificati quando dovessero
essere avvicendati i responsabili principali.
4. Missione aperta e ambiente di riferimento si propongono la salvezza dei giovani
La parola e forse inattesa in un incontro di progettazione. Pur essendo ricca di signi-
ficati può apparire troppo comprensiva e quindi generica per esprimere le finalità concrete
da proporre nella nostra situazione particolare.
È utile però al nostro scopo approfondire il suo significato di evento oggettivo e di
esperienza soggettiva. Come evento oggettivo la salvezza e liberazione reale dai rischi che
possono compromettere lo sviluppo di una esistenza conforme alla vocazione dell'uomo,
l'apertura a possibilità nuove di vita, l'offerta di opportunità e aiuto per realizzare queste
possibilità intraviste.
In quanto esperienza soggettiva e consapevolezza, vissuta gioiosamente dal soggetto,
del proprio ricupero, dell'allontanamento dalle condizioni negative di esistenza e della sco-
perta di orizzonti di vita, incarnati in persone, proposte e ambienti.
È stata questa l'esperienza di Bartolomeo Garelli quando passo dal "dominio" del sa-
grestano alla protezione e amicizia di Don Bosco, dall'obbligo, in quel momento "terribile",
di saper servire messa per potersi difendere dal freddo, al semplice riconoscimento del valore
della sua persona senza altre condizioni.
All'oratorio dunque non corrisponde come prima e principale definizione quella di
"catechismo", né quella di istituzione "educativa" in senso formale, né quella di iniziativa
per il "tempo libero". È tutto ciò insieme in una "miscela" conveniente per aprire alla vita
soggetti di un determinato contesto, mediante l'accoglienza e la valorizzazione di quello che
essi già portano in se come desiderio, tensioni, patrimonio acquisito, prospettive e mediante
proposte che spingono ad andare oltre.
La condizione generale dei giovani e il loro modo di elaborare le scelte e il senso così
come i condizionamenti che possono compromettere il loro sviluppo, vanno quindi rilevati
10 Cf. UFFICIO PER LA PASTORALE DELL'ETÀ EVOLUTIVA (a cura di), Direttive pastorali per gli oratori
della diocesi di Bergamo in NPG, 9, 1987, p. 43.
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22.2 Page 212

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in continuità e interpretati alla luce della salvezza. L'oratorio si presenta come un radar sen-
sibile alle problematiche giovanili che emergono nel territorio per poter decidere in concreto
in quale immagine, gesto, annuncio e intervento la salvezza può diventare evento ed espe-
rienza.
C'è pero un'indicazione che appartiene all'identità. Per operare la salvezza della gio-
ventù Don Bosco, tra le molte possibili, preferì la via "educativa". Fu una scelta ribadita in
forma particolare di fronte ad altre due: quella che pendeva più verso il politico e la parteci-
pazione diretta alla riforma immediata della società (cf. la discussione con i "patriottici") e
quella che pendeva totalmente sul versante "catechistico": che considerava cioè l'oratorio
alla stregua del catechismo parrocchiale con aggiunte soltanto di alcune attività ludiche,
come attrattive senza rilevanza nella formazione del ragazzo.
La medesima via educativa viene intesa più come capacità di affrontare la vita nelle
sue attuali sfide e di prepararsi al futuro che come sviluppo di programmi formali e sistema-
tici.
Partendo dall'idea dell'oratorio-catechismo Don Bosco approdo ad una formula totale
sebbene non totalizzante, mano a mano che prendeva contatto con le condizioni di vita dei
suoi ragazzi. La forte connotazione catechistica rimase come un tratto fondamentale non
unico e nemmeno isolato dagli altri che conformano la risposta globale.
Agli oratori di oggi si pone il problema del come essere evento di salvezza e come
farla diventare esperienza soggettiva per i giovani. L'oratorio, abbiamo detto, si colloca "nel
tempo che lasciano libero gli altri impegni", ma non necessariamente si limita ad esso, né si
propone di risolvere soltanto i problemi che esso pone. Il riferimento non è al "tempo", ma
alla vita.
Per molti giovani e famiglie il tempo libero si riduce ad attività che si esauriscono in
se stesse, quasi fossero soddisfazione di un bisogno marginale. Secondo una visione unidi-
mensionale della vita il lavoro-guadagno-posizione economico-sociale e lo zoccolo duro
della propria esistenza; mentre il tempo privato, lo svago, il personale e il festivo rappresen-
tano le parentesi necessarie di distensione, da consumare, all'insegna dell'effimero. Il tempo
libero, piuttosto che integrato nella vita, viene considerato a se stante, "staccato", vissuto in
maniera individualistica, non progettuale.
Può darsi, dunque, che i giovani e le loro famiglie presentino domande educative po-
vere. E coloro che orientano l'oratorio possono essere esposti, per mancanza di attenzione o
per rassegnazione di fronte alla mentalità corrente, ad attribuire tout court carattere educativo
al tempo libero trascorso "senza pericoli".
L'oratorio si colloca nel tempo libero e oltre come momento di sintesi tra gratuito e
funzionale, tra obbligo e distensione, con un certo progetto, per aiutare ad elaborare una
visione e un senso che salvi la qualità della vita.
Si inserisce nel processo di formazione dell'identità che il giovane percorre. Essa ri-
chiede di sperimentare valori, criteri e visioni della realtà che gli si offrono e, attraverso una
disanima e interiorizzazione, approdare a delle scelte personali. Più che di contenuti siste-
matici alternativi o aggiunti, il giovane ha bisogno di radicare nella vita quello che va rice-
vendo in altri momenti, inclusi quelli catechistici. Ed e questo che intende fare l'oratorio.
Sa di offrire qualcosa che famiglia, scuola e parrocchia non possono assicurare e di
non dover plagiare alcune esperienze che hanno in esse il loro luogo naturale. Perciò le com-
pleta. Tale completamento non consiste tanto nell'inserire "pezzi mancanti", quanto nel fon-
dere la totalità in un cammino educativo tipico, fortemente sociale, partecipativo, libero ed
esperienziale.
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22.3 Page 213

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L'oratorio dunque ricicla, ridimensiona, integra e ristruttura messaggi ed esperienze
per aiutare a farne una sintesi che e vitale, prima ancora che mentale, per l'incidenza degli
incontri (persone significative), per l'influsso del clima, per le attività e per il sistema totale
di comunicazione.
La mediazione di salvezza che l'oratorio si propone di essere può esprimersi in alcuni
punti concreti tali come
- costituirsi in "osservatorio" della condizione dei giovani nel quartiere, rilevando
quelle situazioni che attualmente congiurano contro la loro crescita umana e cristiana
e quelle che favoriscono questa crescita;
- farne prendere coscienza a tutta la comunità per coinvolgerla nella soluzione del pro-
blema giovanile;
- preparare delle proposte significative contro i rischi di devianza e abbandono che ap-
paiono nel quartiere;
- attivare la domanda educativa cercando di qualificarla;
- impegnare direttamente coloro che sono disponibili, perché già motivati umanamente
e religiosamente, nell'incontro educativo coi giovani;
- preparare un "progetto" globale di crescita umana e cristiana, con itinerari per le di-
verse fasce di età e le diverse situazioni dei giovani (rischio, sviluppo, maturità, coin-
volgimento).
5. Attraverso un programma originale di espressione giovanile, evangelizzazione, ani-
mazione culturale
Dalla memoria conosciamo i tre elementi su cui si fondava l'oratorio: giuoco, catechi-
smo, istruzione promozione (in seguito "doposcuola"). Ciascuno di essi sembra aver trovato
luoghi propri, per cui l'insieme non serve più come legittimazione per l'esistenza dell'orato-
rio. Non è infatti per fare una politica dello sport, perché tutti i ragazzi possano giuocare,
che si fa oggi l'oratorio; qualcosa di simile, con un po' più di rispetto, si potrebbe dire degli
altri due aspetti (la catechesi e l'attività extra scolastica).
Da questo spunto emerge il bisogno di una verifica accurata di ciascuna delle aree di
attività dell'oratorio e del loro insieme, proprio in rapporto alla sua identità alle domande
educative attuali dei giovani.
Già il fatto di aver sostituito le parole comporta un cambio di prospettiva conforme al
detto agostiniano: nova res nova nomina postulant. A1 posto del "giuoco" abbiamo messo
"espressione giovanile"; "catechismo" l'abbiamo sostituito con "evangelizzazione"; le atti-
vità del doposcuola le abbiamo incluse nell'animazione culturale.
Problema importante è il contenuto materiale di ciascuno di questi aspetti, ma più
ancora la loro qualità. E questo ci porta ad approfondire il versante educativo e pastorale,
anziché quello "tecnico".
Quale giuoco fa l'oratorio per essere se stesso e non un club, un luna-park? Quale
evangelizzazione ci si può aspettare dall'oratorio per essere allargamento e non "replica"
della catechesi parrocchiale? Quale animazione culturale si propone per non confondersi con
gli innumerevoli "centri culturali" o comitati di quartiere?
Va rilevato che nella "politica" oratoriana ciascuno dei tre elementi sopra menzionati
include necessariamente gli altri. Tutti e tre confluiscono sull'obiettivo già descritto: la cre-
scita personale e sociale, secolare ed ecclesiale, della persona mediante la partecipazione
attiva in un ambiente propositivo. Ne segue che la qualità di ciascuno non si costruisce sol-
tanto con gli elementi propri, ma risulta dal suo inserimento in un "sistema". Il rilievo che si
dà a ciascuno di essi nell'insieme e l'orientamento "educativo-pastorale" che gli si imprime
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22.4 Page 214

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determinano quelle immagini globali di oratorio che abbiamo elencato all'inizio della rela-
zione.
Il primo elemento a porre problemi è il giuoco espressione. Da esso, più che da qua-
lunque altro elemento, l'oratorio salesiano trae la sua originalità. Non che sia il più impor-
tante. Ma Don Bosco e generazioni di salesiani lo sottolinearono come fattore educativo di
primo ordine. Per dissipare ogni dubbio basterebbe ricordare la definizione che Don Bosco
dava di oratorio e la classificazione di iniziative che considerava necessarie per i ragazzi11.
Dalla sua esperienza personale e dalla sua prassi educativa pastorale Don Bosco trasse
alcune conclusioni che per molto tempo orientarono le scelte dei salesiani.
La prima è che "il cortile attira più della chiesa". Sono sue parole. Il primo passo,
dunque, per il tipo di soggetto che lui trattava, giovane e povero, era vivere positivamente
questa tendenza. Le attribuiva un'importanza straordinaria nella totalità della vita del ra-
gazzo, particolarmente di quello povero, per il quale costituiva il necessario contrappeso di
libertà alle ore di lavoro e di convivenza difficile nelle botteghe e nella famiglia. Liberando
e sviluppando la gioia e la vitalità, pensava di consolidare l'equilibrio umano e spirituale e
predisporre al positivo. Il giuoco aveva una funzione facilitante di tutto il processo educa-
tivo: "noi invece di castighi abbiamo l'assistenza e il giuoco".
Non per questo venivano sottovalutate le valenze che il gioco-espressione sviluppa
per la sua stessa natura: il senso di libertà, lo sviluppo delle forze corporali, la disciplina
concordata e accettata, la comunicazione, le abilità varie. Integrato in un ambiente comuni-
tario e in un "sistema" di attività e interventi, assumeva altri valori tali come l'incontro con i
compagni, l'amicizia, la collaborazione, il senso sociale, il clima festivo e dava all'educatore
la possibilità d'inserirsi nel ritmo vitale del ragazzo, conoscendolo nelle manifestazioni spon-
tanee e parlandogli da amico.
Il problema è scoprire il significato che per i giovani ha il gioco-espressione e, conse-
guentemente, il posto e la modalità che deve assumere nell'oratorio oggi.
I giovani incontrano il giuoco come un elemento caratteristico della cultura in cui
crescono. La nostra è stata definita una cultura ludica non soltanto per il fenomeno macro-
sociale degli spettacoli e per l'industria corrispondente, ma anche per il "tono" con cui ci fa
avvicinare numerose realtà (cf. turismo, apprendimento...). In questa componente quasi
strutturale della nostra cultura appaiono, mescolati in maniera non facilmente identificabili,
valori e controvalori: stima della corporeità (forma, forza, bellezza), tenacia e capacità di
tenuta, disciplina e razionalità, successo, divismo, affarismo, consumo, rapporto non chiaro
col bene comune. Emergono sopra tutti tre aspetti: consumo per chi ne fruisce, affare per chi
lo gestisce, successo per chi lo esercita.
Appare inoltre svincolato da particolari concezioni che lo ancorino a finalità ultime
anche di tipo umano e succube dunque dell'etica immediata. Per tutte queste valenze positive
e negative rappresenta bene la cultura attuale ed e uno dei canali più efficaci attraverso cui
essa viene proposta e trasmessa. Lo hanno evidenziato attenti osservatori del nostro tempo.
«Le visioni e le espressioni sociali di una generazione, scrive McLuhan, si possono trovare
codificate nello sport. Vedete come giuoca una generazione oggi e forse vi troverete il codice
della sua cultura». La diffusione dei videogiochi, l'invasione degli "show" dalle più svariate
caratteristiche, la dilatazione dello sport dipendenza sono prove molto eloquenti.
«La cultura umana viene trasmessa principalmente attraverso il gioco che costituisce
uno dei principali canali comunicativi tra le generazioni» (Huitzinga). Anche abusando delle
citazioni, mi sembra illuminante il rilievo del rapporto CENSIS sull'Italia 1987. «Un'altra
11 Cf. Regolamento dell'oratorio di S. Francesco di Sales, MB III, 90.
- 212 -

22.5 Page 215

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esplosione: il gioco. Non c'è quasi giornale o trasmissione televisiva a larga udienza che non
abbia creduto necessario promuovere qualche forma di concorso a premi e comincia a dif-
fondersi tra noi l'uso americano di abbinare premi e concorsi anche negli spettacoli. Entrando
in contatto con i mezzi di comunicazione di massa il giuoco da passatempo individuale o di
piccoli gruppi, e diventato rito collettivo, vissuto come evento reale».
L'interrogativo sembra delinearsi abbastanza netto. Si sa che in un'eventuale dissolu-
zione degli elementi che compongono il "sistema" oratorio, il gioco-sport e l'ultimo ad af-
fondare, anzi sovente fagocita gli altri. In quale misura e con quale modalità gli si deve fare
spazio perché risponda alle finalità dell'oratorio: il giuoco passatempo e svago, il gioco-sport
a livello di competitività e professionalismo, il giuoco attrazione e strumento di evangeliz-
zazione, lo sport-agonismo e palestra di educazione fisica?
Ecco un quadro di suggerimenti che possono fornire l'immagine del giuoco "orato-
riano".
- Il gioco-incontro: l'oratorio non e in primo luogo "giuochi", ma cortile: giuocare per
stare insieme, stare insieme e giuocare... compagni, salesiani. La condivisione e indi-
spensabile. Un luna-park salesiano?
- Il gioco-clima: perché tutti partecipano e perché nell'ambiente emerge la gioia e la
gratuità, tutto diventa "ludico". Il giuoco, come espressione libera e gioiosa, impregna
tutti gli impegni e anche le celebrazioni.
- Il giuoco, aiuto alla normalità e alla crescita: senza eccessivi traguardi personali e
comunitari, senza troppe lezioni tecniche ne morali... scarica tensioni.
- Il gioco-espressione: che sviluppa e fa affiorare le risorse nascoste di immaginazione
che non trovano posto nella vita "regolata". Ciò comporta che sia spontaneo, svariato,
creativo secondo le caratteristiche delle diverse età... e abbia a disposizione molteplici
ambienti e attività.
- Il gioco-educazione: per cui il soggetto cresce
- nella ragionevolezza: non baldoria ne irresponsabilità, ma rispetto degli stru-
menti e degli spazi cosi come delle finalità generali dell'ambiente e della comunità;
- nella conoscenza di se: non solo l'educatore conosce il ragazzo nel giuoco,
ma questo e accompagnato a scoprire se stesso nelle preferenze, nelle modalità, nei
rapporti che esprime sotto la spinta della spontaneità. L'educatore trasferisce al sog-
getto la capacità di conoscersi e misurarsi;
- nella percezione e assunzione di valori: quelli che riguardano la corporeità,
quelli che riguardano la moralità, quelli che riguardano la socialità, quelli che ri-
guardano l'equilibrio della propria vita.
- Il gioco-cultura: acquisizione della capacità critica per giudicare i fenomeni che hanno
luogo nella società attorno all'esperienza del giuoco, e conseguentemente sviluppo
della capacità di risposta agli stimoli e di scelta.
- Il gioco-elemento di un "progetto": comporta evidenziare il carattere subalterno ri-
spetto agli altri problemi e desideri dell'uomo, spogliandolo di una certa autosuffi-
cienza anche riguardo alle proprie finalità; superare la dipendenza per includerlo in
un progetto più ampio.
- Il gioco-celebrazione: forma di rito e "festa" che accompagna gli eventi più importanti
e sottolinea il senso dei misteri più profondi.
- Il gioco-impegno sociale e apostolico: disponibilità gratuita delle proprie capacita e
tempo per aiutare "i più poveri" ad accedere ai beni del giuoco "umano e cristiano"".
- 213 -

22.6 Page 216

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- Il gioco-evangelizzazione: scoperta progressiva e forse "occasionale" del problema
del senso, della "qualità della vita", della rilevanza della fede con risposte da parte
dell'ambiente e degli educatori.
Ma l'oratorio si caratterizza dal fatto che il gioco espressione giovanile e lievitato
dall'annuncio del Vangelo fatto ai giovani, dal suo approfondimento attraverso un cammino
"catechistico" e dalla proposta di una spiritualità da vivere, che si ispira alle beatitudini: "Ti
voglio mostrare un cammino per essere felici...". Questo annuncio dà ragione dell'acco-
glienza della gioia giovanile spontanea e la approfondisce fino a farla diventare programma.
L'oratorio fu dall'inizio un luogo di insegnamento della dottrina e di pratica religiosa perso-
nale e comunitaria.
Anche riguardo all'evangelizzazione si pone l'interrogativo sulla qualità e sulle moda-
lità possibili e desiderabili nell'oratorio. Infatti circostanze, programmi e metodi conformano
diversi modelli di comunicazione della fede: C'è il modello "familiare", quello "scolastico",
quello "parrocchiale", quello "associazionistico", quello "secolare.
Ciascuno di questi modelli rafforza alcuni aspetti, sottolinea alcune modalità, predi-
lige un tipo di esperienza, sceglie una forma di comunicazione: sistematicità, esperienza im-
mediata, inserimento nella vita della comunità, rilevanza del vissuto, confronto con i pro-
blemi culturali, impegno nel sociale.
Qual è il modello oratoriano, che non sostituisce gli altri ma li ricicla in una nuova
sintesi?
* L'oratorio si propone di fare un'evangelizzazione "missionaria": parte dall'annuncio
essenziale e lo riprende continuamente per collocarsi a livello degli "ultimi" e per ancorare
ogni nuovo progresso cognitivo e pratico all'esperienza fondamentale. Ciò comporta:
- la centralità della preoccupazione per l'annuncio di Cristo nella comunità, nell'orga-
nizzazione e nella qualifica degli operatori;
- l'accoglienza di chi si trova a livelli bassi di fede;
- la ricerca di chi e potenzialmente disponibile, ma non si dimostra interessato;
- l'uscita dal proprio bastione... per comunicare un primo saggio dell'annuncio a chi non
si avvicina;
- la "pratica" delle diverse forme di primo annuncio.
* L'oratorio fa un'evangelizzazione che parla dalla vita e sulla vita. Ciò significa
- che i "fatti" che coinvolgono i giovani in esso diventano evento e annuncio di salvezza
(cf. Don Bosco con Bartolomeo Garelli...);
- che presenta la vita, con le sue pulsioni e speranze, come un "dono": valorizza Ciò
che i giovani si portano dentro come desiderio e ideale senza riuscire a dargli ancora
un nome religioso;
- raccoglie le domande che provengono dal vissuto;
- e prevalentemente "esperienziale": aiuta a scoprire la fede e inizia nel viverla coinvol-
gendo in una vita già ispirata alla fede, piuttosto che con spiegazioni verbali.
* L'oratorio fa un'evangelizzazione che e più ricerca provocata e accompagnata che
"lezione" anche didatticamente pregevole.
- Il grande mistero da esplorare è la vita dei cristiani e di Gesù Cristo che cammina con
loro.
- L'accompagnatore e il catechista che si presenta più come amico-animatore che come
"maestro".
- 214 -

22.7 Page 217

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- Le vie sono molteplici; tutto porta un messaggio di salvezza: gioco, incontro perso-
nale, gruppo, celebrazione, comunità: sono vie complementari e convergenti.
- Il criterio fondamentale: riuscire a dire Ciò che i giovani sono capaci di vivere e vivere
Ciò che hanno potuto dire: percepire, imparare e riesprimere la fede.
* L'evangelizzazione dell'oratorio sa anche essere "sistematica" senza staccarsi dal
vissuto.
- La catechesi come elemento di tutti gli oratori.
- Selezione di "nuclei" significativi per un'illuminazione della esperienza vita-salvezza-
Gesù Cristo.
- I punti di riferimento per la scelta: la vita dell'oratorio, l'età dei ragazzi (ciclo scola-
stico), gli eventi più significativi e vissuti, il ritmo liturgico, i problemi culturali.
* L'oratorio nell'evangelizzazione si propone traguardi "qualificati" e cerca di raggiun-
gerli seguendo il ritmo dei ragazzi: dalla formazione cristiana di base, che e sua caratteristica,
alla professione forte, serena, militante della fede (Paolo VI):
- conoscenza della fede,
- cultura cristiana,
- spiritualità salesiana,
- sbocco in una presenza impegnata nell'area professionale e sociale: "buoni cristiani e
onesti cittadini".
Infine C'è un terzo elemento: l'animazione culturale. L'espressione richiama alcune
realtà la cui conoscenza generale diamo per scontata. Ricordiamo soltanto che la cultura
comprende l'allargamento dell'esperienza personale, la percezione di nuove dimensioni della
vita e della storia, la ricerca e l'elaborazione di un senso per l'esistenza, l'incontro creativo
con lo sforzo che persone e comunità fanno per la qualità della vita personale e sociale.
L'animazione culturale mette in evidenza una modalità di approfondire la fede attra-
verso il confronto con i problemi della cultura e della convivenza, e di chiarire questi cer-
cando il loro senso nella fede.
Quale allora l'animazione culturale che si fa nell'oratorio? L'oratorio svolge
* Un'animazione che parte e si sviluppa dalla libertà intesa come cuore-ragione: "atti-
rare" diceva Don Bosco.
* Un'animazione culturale che parte dai "frammenti" o "semi" che i soggetti portano:
-
accoglie per quello che si è e inserisce nella dinamica comunitaria di parte-
cipazione e di crescita;
-
sveglia l'aspirazione profonda di vivere e di crescere.
* Un'animazione culturale "propositiva": sempre in tensione verso l'oltre riguardo a
quello che il soggetto sente di possedere e alle attività funzionali all'ambiente.
* Un'animazione culturale "sintetica, non frammentaria, fatta di esperienze particolari
ma anche di riflessione che riconducono l'esperienza ad alcuni "nuclei" catalizzatori: il va-
lore della persona, il bisogno di senso, la risposta etica, la comunione e la solidarietà, il
mistero.
* Un'animazione culturale "qualificata", non qualunquistica... graduale e molteplice
secondo le possibilità dei soggetti, ma senza cedere alle richieste riduttive.
* Un'animazione culturale aperta ai confronti e decentrata dall'istituzione e dalla "fa-
miglia": l'oratorio: luogo di incontro di persone e tendenze significative; l'oratorio: luogo di
esercizio della razionalità per la formazione non condizionante di convinzioni e scelte di
- 215 -

22.8 Page 218

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vita; l'oratorio laboratorio di iniziative e luogo da dove si irradiano proposte e interventi per
la comunità umana ed ecclesiale.
* Un'animazione culturale "critica" piuttosto che integratrice, che prepara a vivere e
intervenire in un contesto pluralista, secolare, deideologizzato, individualista, di progettua-
lità a basso investimento.
* Un'animazione culturale che sviluppa la capacità di imparare dalla vita: vuole, piut-
tosto che fissare posizioni definitive o comportamenti immodificabili, abilitare alla lettura
degli eventi, al rilevamento delle forze interagenti, alla percezione della posta in giuoco, alle
scelte ispirate alle beatitudini anche se "perdenti".
* Un'animazione culturale di tipo "educativo": per il genere di iniziative e di inter-
vento, per il rapporto con le istituzioni...
* Un'animazione culturale che vede nei "gruppi" giovanili il perno del movimento co-
munitario e il luogo di elaborazione e socializzazione delle proposte. Un certo "modello di
gruppo.
* Un'animazione culturale di comunione e consapevole del proprio contributo e della
propria originalità (consistenza secolare-cristiana, sensibilità verso le questioni giovanili,
capacità di dare risposte-segno alle nuove insignificanze, capacità di congiungere le "agen-
zie" di educazione e animazione culturale e religiosa).
Tutto nell'oratorio e progressivo: l'appartenenza e la identificazione, la crescita
umana, la maturazione della fede, il coinvolgimento attivo. Il bisogno del riferimento ad un
itinerario e indispensabile, anche se non lo si può concepire a tappe rigide.
I modelli di itinerari sono analoghi: alcuni sono basati sui tempi, altri sulla resa in un
certo aspetto, altri sulle scelte espresse. Alcuni sono lineari, altri circolari.
Quelli dell'oratorio si basano sul ritmo "vitale", sui passaggi sottintesi nell'incontro tra
la persona con i beni e valori educativi: scoperta spontanea, esperienza educativa, socializ-
zazione, presa di coscienza, liberazione dalla superficialità e dall'alienazione che il primo
accesso ad un'attività porta in forza dell'abitudine e degli stimoli ambientali, assunzione dei
valori, inserimento in una "cultura personale, responsabilità socio-politica, evangelizzatrice.
Ma questo e già compreso nel "metodo".
6. Conclusione: quale profezia
Siamo, si dice, in tempi di utopie e miti "freddi", eccezione fatta dei momenti collettivi
di esaltazione. Forse la nostra e sembrata una "profezia contenuta", espressa sotto la forma
di "risposta pastorale" che va all'incontro di una domanda attuale senza rinunciare a prospet-
tive ulteriori.
Se la si approfondisce bene pero si scorgerà che si colloca sulla linea del futuro, della
speranza, degli eventi di salvezza.
L'oratorio, così concepito, infatti vuol essere una forma di annuncio in un tempo di
nuova evangelizzazione in contesti secolarizzati. Cerca di lavorare su un'immagine di uomo
in tempi di progettualità a basso investimento; tenta di unificare cultura e vita in tempo di
frammentazione; vorrebbe mettere l'esperienza cristiana al centro di questa sintesi in un
tempo di rottura tra fede e cultura; si costituisce in luogo educativo e aggregativo in tempi
di difficili appartenenze; cerca di ristabilire l'armonia fra libertà individuale e serietà obiet-
tiva nella ricerca di senso e qualità della vita in un tempo di elaborazione individuale e di
pluralismo: vorrebbe riproporre il gratuito come categoria centrale dell'esistenza in un tempo
in cui domina il funzionale. È "mediazione di chiesa" per i lontani in un tempo in cui la
comunità cristiana sente una certa irrilevanza almeno "numerica; si propone di diventare
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22.9 Page 219

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fermento nella comunità umana in un momento in cui la chiesa si riconosce "nel" e "con" il
mondo sebbene non "del" mondo.
Non è questo un annuncio di futuro... una utopia della quale riusciamo a realizzare
qualche saggio?
Ai salesiani, che essendo già occupati nelle scuole adducevano mancanza di personale
per aprire l'oratorio, Don Bosco rispose: «Solo in questo modo si può fare un bene radicale
alla popolazione di un paese»12. Per cui Don Ceria conclude che «l'oratorio... continua a
essere l'opera veramente popolare di Don Bosco, opera alla quale più legata la sua fama di
apostolo della gioventù»13.
Oltre quello che abbiamo potuto dire ci sono ancora riserve di profezia in quella carità
pastorale che diede origine all'oratorio e che oggi può farlo diventare "modello", punto di
unità di ogni opera salesiana.
12 MB XI, 128.
13 Cf. E. CERIA, Annali della Società Salesiana, Vol. I, p. 633.
- 217 -

22.10 Page 220

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26. RIFLESSIONI DOPO IL «CONFRONTO DB88»
Vecchi, J.E., Riflessioni dopo il Confronto DB88 in ACG 328 (1989), p. 30-38.
1. Il valore degli organismi di animazione e intercomunicazione. - 2. Il nuovo soggetto giovanile. - 3. Don Bosco ispira: la
spiritualità giovanile salesiana. - 4. Il Movimento Giovanile Salesiano. - 5. I luoghi salesiani. - 6. Punto di partenza.
L'anno centenario volge verso il termine. Ha impegnato tutti i settori di attività. Ha
richiesto ima buona parte della nostra attenzione e ima quota non indifferente delle energie
disponibili. A conti fatti, non c'è dubbio che il frutto ha superato di gran lunga l'investimento.
Oggi siamo più consapevoli della ricchezza di umanità e di santità che il Signore ci ha affi-
dato. Ma se non ci curassimo di gestire questa ricchezza nel prossimo futuro, le celebrazioni
verrebbero annoverate tra le imprese in cui abbiamo speso energie piuttosto che rigenerarle.
Nel settore giovanile le iniziative sono state molteplici. Parecchie si sono svolte a li-
vello locale e ispettoriale, per consentire il coinvolgimento diretto di tutti i giovani. E non
per questo sono state meno significative o meno feconde di risultati. Anche da esse ci ven-
gono indicazioni da non lasciar cadere.
Tutte le manifestazioni giovanili dovevano confluire idealmente nel Confronto DB88,
proposto sin dagli inizi della programmazione come la celebrazione giovanile-segno del
Centenario. Se nelle altre manifestazioni si esprimevano singole ispettorie o comunità locali,
nel Confronto DB88 erano le Congregazioni, anzi l'intera Famiglia salesiana a condividere
con i giovani la gioia e la gratitudine per il dono di Don Bosco e ad assumere l'impegno di
continuare la sua missione.
Non è il caso di parlare sui dettagli della realizzazione: ne hanno dato abbondanti no-
tizie i nostri organi di stampa. È pure in corso una pubblicazione, a cura della commissione
responsabile del Confronto DB88, che ne porterà alle ispettorie le immagini, i contenuti e le
proposte.
La finalità non è di fissare i momenti vissuti per assaporarli dopo, come ricordo; ma di
far emergere i suggerimenti che scaturiscono dall'esperienza.
Molti hanno riflettuto individualmente, in gruppi informali, nelle équipe di animazione
pastorale, lasciandosi provocare da allettanti prospettive di futuro. C'era nell'aria un invito a
vivere e a sognare!
I punti che vi propongo non hanno la pretesa di trasmettere questa variegata gamma di
sentimenti e valutazioni. Vorrebbero piuttosto, nella linea del compito di animazione del
Dicastero, sotto- lineare alcune costatazioni e individuare alcuni semi da sviluppare.
1. Il valore degli organismi di animazione e intercomunicazione
L'evento di Torino si proponeva come punto di arrivo di un cammino comune: un con-
fronto fatto da mille confronti! Si prevedeva che la distanza e i costi avrebbero favorito le
ispettorie dell'area europea. Ma ciò non impedì ad altre ispettorie di percorrere le medesime
piste di riflessione e di organizzare manifestazioni simili nel proprio ambiente.
Un biennio di preparazione, attraverso un materiale elaborato pazientemente, mise in
comunicazione le ispettorie e fece circolare i temi. L'impegno dei giovani, motivati dai loro
animatori salesiani, unito ad un'organizzazione accurata e precisa in ogni dettaglio, ebbe
come risultato un felice intreccio di momenti di ascolto, di approfondimento, di celebra-
zione, di festa, di condivisione, di visite significative, di incontri stimolanti.
- 218 -

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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I nodi di questa comunicazione tra commissione centrale e ispettorie, gli interlocutori
attivi e determinanti nella preparazione del confronto sono stati, all'interno delle commis-
sioni per il Centenario, i delegati e le équipe di pastorale giovanile.
Una prima costatazione è dunque l'utilità, anzi il carattere indispensabile degli organi-
smi di animazione pastorale per operare insieme e far passare alla propria ispettoria orienta-
menti, proposte, stimoli e materiali.
Dove questi organismi esistono e sono attivi, sebbene le ispettorie non abbiano potuto
prendere parte all'evento centrale di Torino, hanno condiviso ugualmente la riflessione e i
giovani hanno vissuto in comunione spirituale con i compagni lontani. Al contrario, dove
queste équipe non c'erano, anche se i giovani vennero al Confronto, si è avvertito il dislivello
di preparazione dovuto a una difettosa e tardiva comunicazione.
Su questi organismi si insiste da tempo. Il Dicastero ha fornito un'indicazione globale
nel fascicolo L'animazione pastorale dell'Ispettoria (gennaio 1979). L'ha precisata ulterior-
mente in base ad anni di esperienza positiva1. Non sono mancati dubbi e incertezze, alle volte
per l'applicazione di criteri individuali. Ma il manuale L'Ispettore Salesiano riprende e rac-
comanda la proposta come forma efficace e corresponsabile di animare pastoralmente un'i-
spettoria2.
Non si può pensare che la Congregazione abbia qualche progetto comune da portare
avanti nell'area pastorale soltanto in occasione del Centenario. Le Costituzioni ci propon-
gono un nucleo comune pedagogico e pastorale da esplicitare continuamente. Le celebra-
zioni del Centenario ci lasciano, come diremo più avanti, degli stimoli da maturare, venendo
incontro a un desiderio dei giovani di vivere la fede attraverso esperienze di incontro a largo
raggio. Sarebbe addirittura rischioso non aver organi di animazione e collegamento, non dar
loro una composizione conveniente che vada oltre la distribuzione materiale delle cose da
fare o delle strutture da curare, o non chiarire il loro ruolo nella vita dell'ispettoria.
Ciò ha un'importanza ancora maggiore in quei contesti dove operano varie ispettorie
che devono procedere non soltanto d'intesa, ma in comunione e coordinamento per non spre-
care forze o polverizzare i propri interventi rischiando l'insignificanza.
Il richiamo non si riferisce tanto alla struttura, ma in primo luogo alla prospettiva di
poter operare insieme, senza rigide uniformità, negli spazi ampi di cui al presente dispo-
niamo e di quelli, più larghi ancora, che si vanno aprendo in diversi continenti, come conse-
guenza di eventi politici e culturali (cfr. Europa-92, progetti comuni del continente latinoa-
mericano, ecc.).
2. Il nuovo soggetto giovanile
Il Confronto DB88 ha radunato circa 2500 giovani al di sopra dei diciott'anni. Alcuni
di essi sono già avviati alla vita salesiana. Altri sono volontari od obiettori di coscienza. La
maggior parte collaborano come animatori nei nostri ambienti. Alla scelta dei soggetti si
deve in gran parte il livello del confronto. Dietro di loro c'è una realtà di cui bisogna prendere
coscienza e a cui bisogna dedicare attenzione pastorale. Sono numerosi i giovani altre i di-
ciotto anni con i quali oggi i Salesiani vengono a contatto in virtù della loro missione. E sono
altrettanto numerosi quelli che attendono dai Salesiani un gesto di avvicinamento o un invito
alla collaborazione.
1 DICASTERO DI PASTORALE GIOVANILE, Animazione interispettoriale. Emarginazione. Dossier P.G.
2 Esperienze a confronto, Roma, I semestre 1987, pag. 7-19.
2 Salesiani. L'ispettore salesiano: un ministero per l'animazione e il governo della comunità ispetto-
riale. Roma: Editrice S.D.B, 1987, pag. 193-199.
- 219 -

23.2 Page 222

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Essi sono destinatari della missione salesiana. Anzi, con l'allargamento della prepara-
zione professionale e l'ingresso tardivo nel mercato del lavoro e nelle responsabilità sociali,
questo tempo della vita è diventato determinante nell'elaborazione di una sintesi culturale e
nella scelta personale di fede. Per questo i giovani sono protagonisti di uno dei fenomeni più
vistosi della pastorale attuale: i movimenti, le aggregazioni nei luoghi di «spiritualità», le
manifestazioni massive.
La Congregazione ha dimostrato già di aver colto questo dato della realtà giovanile.
Ne sono prova lo sforzo di adunare e preparare numerosi animatori, l'attenzione ai giovani
emarginati, la riflessione sulla propria presenza tra gli universitari, la proposta del volonta-
riato, l'accoglienza degli obiettori, i giovani cooperatori ed exallievi, la preoccupazione per
il mondo del lavoro.
È una linea di azione che va sviluppata. In questa fase della gioventù si risvegliano
idealità ed energie. Esige quindi capacità di dialogo e di proposta. Il Confronto DB88 ne è
stato ima prova dal vivo e in diretta. Sarebbe un peccato non qualificarsi per orientare tali
energie verso la costruzione di personalità cristiane e verso l'impegno nella comunità umana
ed ecclesiale.
3. Don Bosco ispira: la spiritualità giovanile salesiana
C'è un'altra indicazione da raccogliere. Questi giovani, venuti da molti contesti diversi,
hanno percepito e manifestato un'appartenenza comune: si sentono tutti «di Don Bosco» e
con lui vogliono stare. Lo avvertono ancora vicino, come amico che li stimola e li ispira nel
loro non sempre lineare percorso verso la piena maturità.
C'è dunque un riferimento saldo, anche se da esplicitare ulteriormente e da tradurre nel
vissuto: la proposta di vita cristiana che Don Bosco, santo educatore, fa ai giovani: quello a
cui ci stiamo riferendo in questi ultimi anni con l'espressione «spiritualità giovanile sale-
siana».
Il Confronto DB88 ha voluto essere un'esperienza breve, un assaggio necessariamente
fugace di vita salesiana «ideale», quasi da laboratorio. Niente di strano che i giovani siano
stati toccati nel più profondo del loro cuore, mentre chi si aspettava una discussione serrata
di taglio intellettuale sia rimasto sorpreso.
Alla spiritualità salesiana richiamava la stessa struttura di accoglienza che compren-
deva la casa, il cortile, la chiesa e gli spazi del dibattito culturale: è il programma oratoriano
di accogliere chiunque voglia fare un cammino, vivere e lavorare assieme, collocare la fede
al centro di questa vita, inserire fede e vita in un'esperienza sociale e culturale.
La spiritualità veniva riprodotta nella trama di momenti attraverso cui maturavano i
temi: rivisitazione dei luoghi, ascolto, condivisione, celebrazione, festa-insieme.
I riferimenti centrali della spiritualità furono offerti in forma concentrata ed efficace
dal Rettor Maggiore in un discorso seguito con attenzione e accolto dai giovani come l'invito
di Don Bosco alla vita, alla fede, all'impegno. Comunicazioni seguenti svilupparono aspetti
particolari e pratici. I giovani hanno manifestato le loro personali risonanze attraverso il dia-
logo, il disegno ed altre espressioni spontanee.
Ma il linguaggio delle parole e dei segni è stato capito perché i giovani avevano già
vissuto nei loro ambienti quello che ora veniva loro proposto in maniera riflessa e organiz-
zata. Non hanno imparato una «lezione»; hanno trovato le parole per esprimere un'esperienza
che già si portavano dentro. Si trovavano sulla lunghezza d'onda per cogliere il messaggio.
È stato un fatto di sintonia prima che di testi da assimilare.
La spiritualità salesiana giovanile è dunque una realtà esistente. Si accende come un'e-
nergia in tutti i giovani dei nostri ambienti attratti dalla proposta di vita e di santità che Don
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23.3 Page 223

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Bosco fa. Non è un lusso per pochi «primi della classe», ma il cammino dei «poveri» che
vedono in Cristo la salvezza.
Il discorso su di essa non è affatto chiuso. Ma se continuasse ad esprimersi in sole
formulazioni dottrinali, anche se progressivamente perfezionate, finirebbe per consumarsi.
Il Confronto DB88 ci sfida a diventare accompagnatori e guide pratiche nella vita di fede e
di grazia, nel concreto impegno cristiano dei giovani con la fiducia di Don Bosco nella loro
vita e nella loro disponibilità.
4. Il Movimento Giovanile Salesiano
Collegata alla spiritualità è emersa un'altra realtà già esistente, ma da consolidare e
diffondere con decisione: il Movimento Giovanile Salesiano. Se ne è cominciato a parlare
nel 1978. In alcune ispettorie ha compiuto un cammino soddisfacente e oggi conta su scuole
di animatori, organi di collegamento e occasioni annuali di incontro. In altre ispettorie la
realtà è a metà strada e in altre sembra mancare ancora una decisione politica per partire.
Non pochi dei giovani partecipanti al Confronto DB88 si riconoscevano già nel Movi-
mento. Molti altri si sono posti domande sulla sua esistenza e possibilità.
Il confronto medesimo è sembrato agli osservatori la manifestazione di un Movimento.
Così lo si ricava dalla lettura dei commenti apparsi su diversi organi di stampa. È stato questo
un tema ricorrente nei gruppi informali e nelle verifiche che si son fatte dopo il confronto.
Ormai non possiamo noi Salesiani evadere la domanda e la conseguente risposta. Non
per questo si vogliono bruciare i tempi con un'organizzazione pesante e forse prematura.
Il primo traguardo da raggiungere è di accettare comunitariamente che ci siano nuovi
luoghi di aggregazione ed educazione in cui i giovani crescano ed esprimano con forte vita-
lità i loro impegni. Non sono spazi secondari o marginali da curare soltanto a tempo perso e
con confratelli che assumano il compito per proprio gusto. Rispondono a bisogni vitali dei
giovani e sviluppano dimensioni che non trovano posto nelle strutture.
Tra questi bisogna collocare certamente i gruppi e le associazioni che, conveniente-
mente comunicanti, costituiscono il Movimento di tutti i giovani che si ispirano a Don Bo-
sco. Infatti, pur essendo diversi per interessi prevalenti, per modalità organizzative e per
programmi specifici, questi gruppi e associazioni si uniscono mediante il riferimento co-
mune al Progetto Educativo Pastorale Salesiano e alla spiritualità giovanile salesiana, si co-
municano tra di loro e creano un tessuto connettivo costituito dagli animatori.
Il lavoro più urgente è la creazione di gruppi e associazioni a livello locale e ispetto-
riale. Sarebbe vano volersi dare un'immagine grande di Movimento quando la realtà quoti-
diana e di base non vi corrispondesse. Il nostro maggiore interesse non è «presentarsi», ma
fare con i giovani un'esperienza educativa nel loro ambiente.
La natura del Movimento, le condizioni per avviarlo, gli elementi che lo caratterizzano
come salesiano, il riferimento comune e le forme di appartenenza e collegamento sono state
esposte in diversi documenti del Dicastero3.
L'esperienza in corso supera di molto le poche pagine scritte, sebbene sia ancora mol-
teplice e un po' frammentata, in attesa di successivi momenti di sintesi. Ma ha già al suo
attivo, oltre la formazione dei gruppi e la preparazione degli animatori a cui si accennava
sopra, una non indifferente stampa «casalinga» di fiancheggiamento, itinerari sperimentati
3 Cf. DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. La proposta associativa salesiana: sintesi di un'e-
sperienza in cammino. Roma: Editrice S.D.B, 1985, passim; DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVA-
NILE & FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE. CENTRO INTERNAZIONALE DI PASTORALE GIOVANILE. L'ani-
matore salesiano nel gruppo giovanile. Roma: Editrice S.D.B, 1987, p. 60-65.
- 221 -

23.4 Page 224

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di maturazione, identificazione di aree di impegno tipiche della vocazione salesiana, parte-
cipazione attiva nel territorio, un cammino comune con le FMA e confronti a livello regio-
nale.
Altri aspetti potranno essere chiariti e consolidati strada facendo se le ispettorie si im-
pegneranno nel dare vita a questo ambiente, umano e diffuso piuttosto che fisico, di educa-
zione.
5. I luoghi salesiani
Da ultimo il Confronto DB88 ha fatto emergere l'impatto che hanno sui giovani i luoghi
dove è nato e cresciuto Don Bosco e dove ha dato origine alla Congregazione. In essi aleggia
la sua presenza e il suo fascino. Il percorrerli è stato un pellegrinaggio attraverso i momenti
decisivi della sua vita, in cui appare la sua generosa risposta alla grazia: la nascita e la per-
cezione prima del valore della fede, le sue esperienze di crescita e amicizia come ragazzo,
l'incontro con la realtà della comunità cristiana locale, la vocazione e il seminario, le prime
scelte pastorali e lo sviluppo dell'opera e del sistema educativo, le manifestazioni della san-
tità consumata.
La visita non è stata parallela alla riflessione, fatta per distensione o devozione in mo-
menti liberi. Ne ha costituito invece la parte interna e principale, quasi motivante dell'appro-
fondimento vitale e dottrinale della spiritualità salesiana. Grazie alla preparazione fatta in
ispettoria e al lavoro delle guide, il luoghi sono diventati quasi «sacramenti» che hanno par-
lato e operato più in là della loro materialità, mettendo in contatto con la santità, «traspa-
renza» con cui una persona trasmette la presenza e l'azione di Dio.
Collegati alla spiritualità e al Movimento Giovanile Salesiano questi luoghi appaiono
fortemente significativi e potranno diventare nel futuro teatro di periodici e diversificati in-
contri e manifestazioni ispirati alla pedagogia di Don Bosco.
La pastorale attuale conosce «santuari» dell'esperienza religiosa dei giovani, da dove
partono inviti e messaggi, verso dove si converge perché ci sono persone capaci di convocare
e accompagnare, che operano anche a distanza come riferimento spirituale prima ancora che
attraverso qualche mezzo di comunicazione. Il loro linguaggio è fatto di segni prima ancora
che di parole.
Per noi il luogo fisico è preparato. Nell'anno centenario si sono portati a termine i lavori
materiali. Bisogna ora farlo diventare un luogo pastorale di convergenza giovanile con la
collaborazione di tutti, sviluppando i suggerimenti di questa prima prova generale. Il nome
suggestivo di «Colle delle Beatitudini giovanili», consacrato dal discorso del Papa, esprime
il significato di tutte le iniziative che avranno luogo da parte di gruppi singoli e dal Movi-
mento Giovanile nel suo insieme.
6. Punto di partenza
Molti altri aspetti del Confronto DB88 meriterebbero non soltanto un commento ma
una riflessione approfondita. Ho preferito raccoglierne qui soltanto alcuni che aprono pro-
spettive pastorali per noi. Si è detto infatti che il confronto è un punto di partenza. La conti-
nuazione dunque era nella logica della sua preparazione e realizzazione. Non la ripetizione
materiale dell'evento, quanto lo sviluppo dei germi che i momenti di celebrazione avrebbero
fatto emergere.
Il Centenario della morte di Don Bosco ci porta dunque l'invito a ripartire con l'energia
e la creatività delle origini e con una nuova percezione del tempo giovanile che ci tocca
vivere.
- 222 -

23.5 Page 225

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27. L'OPERATORE PASTORALE E LA BIBBIA
Vecchi, J.E., L'operatore pastorale e la Bibbia in NPG 6 (1989), p. 124-126.
1. Materiale didattico di primo ordine: modelli, situazioni, risonanze. - 2. Modelli, risonanze e interpretazione dai «poveri». -
3. Testo per la formazione della mentalità pastorale. - 4. Chiave di lettura e criterio di scelta nei progetti.
Mi sembra utile e interessante raccogliere alcuni frammenti dell'esperienza vissuta come
operatore diretto e come animatore della pastorale giovanile; da essa emergono costatazioni,
esigenze, bisogni.
1. Materiale didattico di primo ordine: modelli, situazioni, risonanze
La prima constatazione (ma è soltanto la più immediata...) è che la Bibbia offre
un acervo espressivo e contenutistico inesauribile, tanto più utile all'operatore quanto più
questo abbia dimestichezza col testo. Non c'è aspetto dell'educazione alla fede che non venga
illuminato e arricchito di molto quando nella sua presentazione si adopera il «materiale»
(narrativo, dottrinale, espressivo) biblico.
Gli esempi che si possono addurre a conferma abbondano. Brani scelti della Scrittura
vengono adoperati nelle scuole di preghiera, nella proposta vocazionale, nei ritiri spirituali
e nella scuola di religione riguardo ai tempi più vari.
2. Modelli, risonanze e interpretazione dai «poveri»
I «modelli» (Abramo, Mosè, i profeti, gli apostoli, Maria), le «situazioni» (la schiavitù,
l'esodo, il deserto, l'attesa, la chiamata, la tentazione...) offrono chiavi per leggere quello che
ogni persona e gruppo sperimenta nella propria vita.
Perciò i giovani, con poche essenziali indicazioni, avvicinano il testo e lo personalizzano
ri-esprimendone il messaggio secondo la propria esperienza. Le risonanze sono sempre
nuove, innumerevoli, imprevedibili; la medesima parola si rifrange in molti significati vitali
ancorati al senso fondamentale. L'animatore stesso impara a leggere più profondamente un
testo ascoltando l'interpretazione che ne fanno i «poveri».
Tra questo ricco materiale si opera o una selezione conforme ai propri destinatari, alla
propria sensibilità pedagogica, ai temi che più toccano i giovani e il popolo e alla qualità
espressiva dei brani. Non è difficile, esaminando i sussidi di appoggio ai diversi interventi,
scoprire i criteri e individuare le costanti di questa selezione.
La Bibbia è così una «miniera» dove attingere comprensione profonda dell'annuncio ed
efficace forma espressiva. Affidiamo all'operatore pastorale l'individuazione dei temi prin-
cipali che fanno sentire la «sintonia» tra Bibbia e la vita e esperienza dei giovani.
3. Testo per la formazione della mentalità pastorale
Quella però, della ricchezza catechistica e «didattica» è, come ho detto, soltanto la co-
statazione più immediata. A mano a mano che la si approfondisce, ci si accorge che l'ap-
proccio al testo biblico è indispensabile per formarsi una mentalità pastorale.
Questa mentalità suppone consapevolezza del mistero fondamentale che l'esistenza
umana si porta dentro, lettura corretta degli eventi storici alla luce del destino dell'uomo,
discernimento degli atteggiamenti con cui gli uomini si pongono di fronte agli eventi, capa-
cità di scorgere la presenza di Dio operante ed esprimerla in «parole» di annuncio, che
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23.6 Page 226

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aprano gli uomini a una risposta di progressiva conversione; è far convergere tutto, parole e
interventi, su un dato fondamentale e costante: la storia di Dio con gli uomini e di questi con
Dio; storia che ha avuto il segno e l'espressione suprema in Gesù Cristo.
La pastorale, come molte realtà del nostro tempo, è sottoposta al rischio della frammen-
tazione e del degrado. Il confine tra pastorale e mero servizio religioso, come soddisfazione
di un tipo di bisogni, è vago. Può capitare dunque che si perda di vista il dato primo, costante
e ultimo, la realtà radicale che c'è dietro la molteplicità di proposizioni in cui si articola la
dottrina, sotto l'insieme di proposte che configurano la morale, dietro gli svariati interventi
con cui si cerca di rispondere alle urgenze dell'uomo e di illuminare spaccati della sua vita.
A questa realtà bisogna tornare sempre per approfondirla e far emergere nuovi significati e
applicazioni.
È interessante ascoltare persone che ritornano dalla Terra Santa; hanno vissuto un'espe-
rienza unica di vicinanza psicologica e spirituale al Gesù storico. Le loro espressioni e rac-
conti sono sovente confusi, mescolati a emozioni improvvise. Ma il messaggio si staglia
netto: Gesù è stato presente nella nostra storia e del nostro pianeta in un momento concreto;
nella sua umanità si è rivelato Dio. Questa evidenza emerge nei loro racconti con più chia-
rezza che nei trattati composti appositamente per delucidare il tema.
Rivisitare, meditare e adoperare la Bibbia è ritornare a questa verità semplice e fonda-
mentale da ricuperare sempre tra la diversità delle parole, delle situazioni, degli eventi.
4. Chiave di lettura e criterio di scelta nei progetti
Ma si può andare oltre l'uso catechistico e la formazione della propria mentalità pastorale
e ispirarsi alla Bibbia per progetti e interventi concreti. Certo non esclusivamente o con la
pretesa di dedurre piani da un testo sacro, il che sarebbe cadere in una specie di biblismo La
Bibbia offre il profilo fondamentale degli eventi salvifici, degli atti portatori di salvezza, del
tipo di persona capace di mediare questa salvezza, delle energie visibili e invisibili attuanti,
dei cicli salvifici considerati non come ricorsi fissi, ma come lo snodarsi di conseguenze
storiche, di prese di posizione riguardo il senso dell'esistenza, particolarmente di fronte al
Signore.
Una giusta comprensione della salvezza è al centro di ogni impostazione pastorale. La
salvezza infatti è la finalità e l'oggetto della pastorale. Un approfondimento continuamente
arricchito alla luce della parola e degli eventi che fanno emergere nuovi significati storici
risulta indispensabile.
Della salvezza a qualcuno sfugge la dinamica umana, la dimensione secolare, la consi-
stenza storica. Forse gli viene da pensare che asserendo queste si compromette la natura
spirituale della salvezza o l'intervento determinante di Dio. Altri si mostrano cauti nel rife-
rimento immediato alla presenza divina operante, al principio «spirituale» per evitare il ri-
schio della deresponsabilizzazione dell'uomo o dell'alienazione storica.
I termini, che sembrano in tensione, si congiungono nel concreto. In fondo si tratta di
accettare, e non solo teoricamente, che la storia è il luogo della salvezza, che l'umano è la
sua mediazione, che il dono gratuito di Dio è l'energia che la rende possibile, che la risposta
libera dell'uomo alla presenza e all'invito di Dio è condizione necessaria.
La salvezza non è un concetto che prima viene enunciato, fosse anche da una voce auto-
revole, e poi si attua conforme all'enunciazione. È una dimensione interna della storia
dell'uomo sin dall'atto creatore di Dio, di cui si fa esperienza e di cui la parola di Dio aiuta a
prendere consapevolezza e a rispondere. Non la si comprende dunque attraverso qualche
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23.7 Page 227

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definizione, sebbene nessuno negherebbe la validità di uno sforzo razionale, ma attraverso
il coinvolgimento negli eventi e le opzioni.
Questo criterio o prospettiva fondamentale per la progettazione lo dà la riflessione bi-
blica o la corrispondente riflessione teologica che ad essa si appoggia.
Perciò i piani pastorali si aprono sovente con una lettura della situazione alla luce della
parola di Dio e procedono costruendo prospettive guidate dalla medesima parola.
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23.8 Page 228

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28. LA COMUNITÀ SALESIANA LOCALE
Vecchi, J.E., La comunità salesiana locale in ACG 335 (1991), p. 41-47.
1. La consistenza della comunità. - 2. Il Direttore e il Consiglio. - 3. La vita della comunità. - 4. Il giorno della comunità. - 5.
Un proposito del sessennio.
La comunità è sempre stata oggetto di particolare attenzione nella vita della Congrega-
zione. Appare infatti come uno degli elementi che caratterizzano la nostra vocazione, in in-
tima unione con la pratica dei consigli evangelici e con la missione apostolica. Di essa si
accentuavano un tempo le esigenze ascetiche e disciplinari, in una certa visione della vita
spirituale.
Oggi, sotto la spinta rinnovatrice del Concilio, si sottolinea soprattutto il valore della
comunione fraterna e della corresponsabilità pastorale. Quest'ultima viene egregiamente
sancita dall'art. 44 delle Costituzioni, in cui si enunciano anche le conseguenze pratiche: il
ruolo animatore dell'autorità, la pratica comunitaria del discernimento pastorale, l'attuazione
solidale del progetto apostolico.
Il CG 23 ha raccolto questi orientamenti. Senza ripeterli, li ha applicati più da vicino al
nostro compito di educare i giovani alla fede. Ha visto nella comunità, che si propone di
vivere il Vangelo secondo il carisma salesiano, un segno della fede che si vuole annunciare,
una scuola per accompagnare i giovani nella loro crescita cristiana e un ambiente in cui si
può fare esperienza dei valori evangelici. Senza disconoscere le possibilità della comunità
ispettoriale e mondiale, il CG 23 affida l'applicazione delle deliberazioni e orientamenti ope-
rativi, di preferenza, alla comunità locale. Essa infatti è in contatto più continuo e stretto con
i giovani e il popolo. La sua vita è più esposta e, dunque, la sua testimonianza risulta inevi-
tabile nel bene e nel male. In essa inoltre si svolge la vita quotidiana della stragrande mag-
gioranza dei confratelli.
Per realizzare questa immagine di comunità segno, scuola, ambiente il CG 23 chiede
che essa divenga luogo di formazione permanente attraverso l'esercizio della corresponsabi-
lità pastorale e la comunicazione fraterna. E per individuare e qualificare i contenuti della
formazione permanente, suggerisce alla comunità locale appoggiata dall'Ispettoria di
farne un programma, di modo che non sia soltanto un fatto occasionale, ma diventi uno stile
di vita e di azione.
La formazione permanente trova così il suo luogo privilegiato nella comunità locale e
il suo «tempo» proprio nella vita quotidiana. Questa si svolge secondo un'alternanza conve-
niente di lavoro e di riflessione, mentre all'interno delle persone la grazia va costruendo l'u-
nità tra azione e contemplazione, tra interiorità e creatività apostolica.
La «Formazione dei Salesiani di Don Bosco» (FSDB) offre orientamenti e indicazioni
per elaborare programmi di formazione permanente. Opportunamente se ne occuperà anche
il Dicastero corrispondente accogliendo gli spunti offerti dal CG 23. Ora, come primo passo,
interessa assicurare le condizioni perché le deliberazioni del CG 23 vengano attuate.
1. La consistenza della comunità
La prima condizione è la consistenza della comunità. C'è una consistenza numerica, al
di sotto della quale sembra dissolversi il segno e la vita comunitaria così come vengono
intese dalle Costituzioni. L'art. 150 dei Regolamenti Generali dà un criterio per valutare
questo limite, quando prescrive che «in ogni casa il numero dei soci non sia ordinariamente
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minore di sei». E l'art. 20 degli stessi Regolamenti intende salvaguardarlo anche in situazioni
di emergenza, stabilendo che nelle presenze missionarie non si scenda al di sotto di tre con-
fratelli.
Ma legata alla consistenza del numero c'è quella qualitativa. Essa consente alla comu-
nità di esprimere la missione salesiana in tutta la sua ricchezza. La missione infatti richiede
servizi molteplici e differenziati sul fronte dell'evangelizzazione, su quello dell'educazione,
su quello dell'animazione di una comunità di adulti, di una presenza significativa nel territo-
rio. Il tutto in un ambiente di famiglia al quale si affida la sintesi vitale delle diverse offerte
e dei vari interventi.
Quando la comunità locale si indebolisce come soggetto pastorale, la prima a soffrirne
è la missione che perde incidenza e identità. Il costituire le comunità con forze sufficienti
eviterà la stanchezza prematura dei confratelli, l'impressione di essere sopraffatti da compiti
molteplici e non mirati. Soprattutto consentirà di puntare su quella spiritualità pastorale che
il CG 23 mette al centro delle attuali preoccupazioni. È vero che ci possono essere eccezioni,
per motivi personali o urgenze pastorali impreviste. Ma è anche vero che non si può pro-
grammare lo sviluppo o la ristrutturazione di un'Ispettoria ignorando nella pratica i criteri
sanciti nei Regolamenti Generali.
Ciò va preso in considerazione particolarmente quando le forze si riducono e, allo
stesso tempo, si devono intraprendere nuove iniziative per rispondere a bisogni incombenti
della gente o alle richieste dei Pastori. La dispersione dei confratelli diventa allora una ten-
tazione e un rischio, che sembrano giustificati dalla volontà di collaborazione.
Per non rinunciare all'iniziativa, piuttosto che pensare soltanto a estendere le opere,
bisogna cercare la soluzione nella scelta di priorità. È un compito che tocca all'Ispettore e al
suo Consiglio. Essi sono responsabili dell'espansione e della configurazione dell'Ispettoria.
Ad essi dunque si raccomanda di rivedere le situazioni in cui la consistenza comunitaria è al
di sotto di quello che conviene e di regolare opportunamente lo sviluppo delle opere. Ma la
comunità locale ha anche la sua responsabilità. Ad essa tocca organizzare la vita e le attività
in modo tale che tutti gli aspetti del nostro carisma abbiano un'equilibrata espressione. Deve
quindi commisurare lo sviluppo delle iniziative alle proprie possibilità facendo soprattutto
scelte di qualità.
2. Il Direttore e il Consiglio
La possibilità che la comunità locale diventi luogo quotidiano di crescita religiosa, cul-
turale e professionale è collegata all'esercizio dell'autorità, agli obiettivi concreti che questa
si prefigge e alle modalità con cui si esprime. L'influsso dell'autorità sulla vita di un gruppo
è un dato scontato in ogni settore dell'agire umano. Per noi viene ulteriormente confermato
dall'esperienza di questi anni di rinnovamento. C'è allora da ringraziare, incoraggiare e ac-
compagnare coloro che si dimostrano disponibili e prestare questo servizio.
La risposta nella Congregazione a questa constatazione, è data dal volume Il Direttore
salesiano: un ministero per l'animazione e il governo della comunità locale (1986)1. Il CG
23 la riprende e la rende pratica quando chiede alle Ispettorie di prevedere «particolari ini-
ziative di formazione dei Direttori nel campo della direzione spirituale comunitaria e perso-
nale». La sottolineatura prevalente della direzione spirituale non sminuisce nessuna delle
responsabilità del Direttore: egli «è il primo responsabile della vita religiosa, delle attività
apostoliche e dell'amministrazione dei beni. Con la collaborazione del suo Consiglio anima
1 SALESIANI. DIREZIONE GENERALE. Il direttore salesiano: un ministero per l'animazione e il governo
della comunità locale. Roma: Editrice S.D.B, 1986.
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23.10 Page 230

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e governa la comunità ... »2. Ma per tutti questi compiti si sceglie una prospettiva unificante,
particolarmente urgente e sentita in questo sessennio, alla luce dell'intento di educare i gio-
vani alla fede: la crescita spirituale dei singoli confratelli e della comunità.
Al Direttore e al suo Consiglio viene richiesto dunque di diventare organo di anima-
zione spirituale e di orientamento pastorale. Essi devono sollevare gli interrogativi sul segno
evangelico che la comunità sta dando e stimolare la riflessione affinché la coscienza del
singolo e della comunità non si assopiscano nell'abitudine. Devono seguire lo sviluppo di
ciascuna attività per assicurarne la giusta impostazione e il raggiungimento delle finalità
pastorali. Ad essi si affida pure la responsabilità di guidare la verifica annuale per scoprire
nuovi spazi e modalità più efficaci di intervento e ristrutturare i compiti dei Salesiani con-
forme alla crescita della comunità educativa.
Perché la formazione permanente auspicata dal Capitolo Generale diventi una realtà
nella comunità locale, va ripensato allora il ruolo e il funzionamento del Consiglio presieduto
dal Direttore. Possono servire come traccia per questa riflessione i nn. 6.1 e 6.3 de «Il Diret-
tore Salesiano» o il commento al Capitolo XIII delle Costituzioni ne «Il Progetto di vita dei
Salesiani di Don Bosco»3.
3. La vita della comunità
Riferendosi alla «formazione permanente», il CG 23 valorizza la condivisione delle
qualità dei confratelli per il ruolo che svolgono, per il lavoro che compiono, per i doni che
hanno ricevuto, per le competenze acquisite. La comunicazione sincera e sobria favorisce
l'approfondimento corresponsabile della nostra esperienza di Dio, delle sfide culturali, del
nostro servizio pastorale. In questo modo cresce la persona e matura la comunità.
Il genere di vita che le urgenze pastorali ci impongono non consente di disporre di
molto tempo per la riflessione in comune. Si tratta allora di far rendere di più i momenti già
predisposti nel nostro ritmo di vita: le adunanze comunitarie per la progettazione e la veri-
fica, gli incontri di preghiera, i momenti di comunicazione, i tempi di sosta e distensione.
L'importanza di questi momenti era già stata sottolineata sin dall'inizio del processo di rin-
novamento che ci ha portato alla situazione attuale. «In una comunità religiosa, diceva il
CGS 20, hanno importanza decisiva gli incontri a ritmo regolare o suggeriti da circostanze
particolari. Ogni membro con la sua diligenza nell'intervenire agli atti comunitari di pre-
ghiera, di dialogo, di lavoro reca un grande aiuto all'intesa fraterna, mentre con l'assentei-
smo impoverisce se stesso, compie una mancanza verso gli altri e rischia di emarginarsi dalla
comunità»4. Ora ci vien chiesto di compiere due operazioni. La prima è cercare una maggiore
convergenza delle tematiche che si svolgono in questi incontri affinché non appaiano occa-
sionali e frammentate.
Possono fare da filo conduttore alcune dimensioni fondamentali della nostra vita su cui
ritornare per un confronto arricchente con la parola di Dio, o alcuni problemi con cui ve-
niamo a contatto nel nostro ministero di educatori e pastori.
La seconda operazione è il miglioramento qualitativo di questi momenti comunitari.
Negli incontri sono fondamentali i livelli di coinvolgimento e partecipazione dei confratelli,
la loro volontà e capacità di comunicare. Sono altrettanto importanti, nel servizio dell'ani-
mazione, le competenze nel favorire e stimolare la comunicazione. Questo oltrepassa la pura
2 Cf. C 176.
3 Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco: guida alla lettura delle Costituzioni salesiane. Roma:
Editrice S.D.B, 1986, p. 889-905.
4 CGS20 488.
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24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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tecnica. È un aspetto, e non il meno profondo, della fraternità, povertà e trasparenza evan-
gelica.
4. Il giorno della comunità
Il CG 23 ha voluto aggiungere un suggerimento: il giorno della comunità5. È un'espe-
rienza già fatta da non poche Ispettorie, che ora viene proposta a tutta la Congregazione. È
lo sforzo di stabilire un nuovo equilibrio tra le diverse esigenze della nostra vita. Infatti l'in-
calzare degli impegni non ci consente sempre di alternare quotidianamente lavoro e rifles-
sione, tempi di dispersione e tempi di convivenza.
Bisogna allora ricuperare questa integrazione attraverso il ritmo settimanale. La condi-
zione prima per adempiere la deliberazione capitolare è che ogni comunità locale, appog-
giata in questo dall'Ispettoria, stabilisca nella propria programmazione una mezza giornata
settimanale o alcune ore di essa, in cui i confratelli siano liberi da altri impegni. È importante
che l'idea venga accettata e che si cominci da quello che risulta possibile, fosse anche poco.
Questo tempo settimanale può venir impiegato nel ritiro mensile prescritto dai Regola-
menti 72, per l'adunanza comunitaria di verifica e riprogrammazione, per qualche sessione
di approfondimento teologico, spirituale, pastorale o culturale, per una distensione comuni-
taria. Bisogna però soprattutto assicurare lo spirito e i contenuti di questo giorno. Va vissuto
come un'opportunità di confronto e sintesi, di incontro e ricupero della dimensione fraterna.
L'intenzione è di guardare gli eventi personali e sociali da un'ottica evangelica, di agire illu-
minati da una riflessione che si arricchisce di nuove motivazioni e prospettive.
Il suggerimento del «giorno della comunità» si ispira a indicazioni fondamentali della
nostra Regola di vita. Dicono infatti i Regolamenti: «la comunità assicuri un'equilibrata di-
stribuzione degli impegni, momenti di riposo e di silenzio e un'opportuna distensione comu-
nitaria».
5. Un proposito del sessennio
Il CG 23 ha manifestato una spiccata sensibilità pratica. Si è preoccupato che le deli-
berazioni possano venir calate nella vita, ispirando uno stile evangelico semplice e traspa-
rente. Fra alcuni anni, dopo un periodo di sforzo, dovremo sottometterne a verifica la prima:
«Nel prossimo sessennio la Congregazione avrà come impegno prioritario la formazione
continua dei confratelli. Curerà specialmente l'interiorità apostolica, che è insieme carità pa-
storale e capacità pedagogica».
5 CG23 222.
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24.2 Page 232

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29. L'ANZIANITÀ: UN'ETÀ DA VALORIZZARE
Vecchi, J.E., L'anzianità: un'età da valorizzare in ACG 337 (1991), p. 44-51.
1. Un fatto nuovo. - 2. Una visione adeguata. - 3. Condividere la condizione degli anziani. - 4. Prepararsi ad invecchiare
bene.
1. Un fatto nuovo
Il Signore ci benedice con la longevità. Molti tra i nostri confratelli raggiungono un'età
elevata. Alcuni, favoriti da una particolare energia fisica e psichica, continuano in piena at-
tività nelle mansioni che l'ubbidienza loro affida. Altri vivono la condizione di anziani in
serena operosità, dopo gli anni di pieno impiego in compiti apostolici e responsabilità co-
munitarie.
La loro presenza arricchisce l'ambiente educativo e il lavoro pastorale con contributi
originali.
La missione salesiana infatti ammette, anzi richiede, l'apporto di tutte le età della vita
dell'uomo. Vediamo oggi, come nel passato, confratelli anziani coinvolti secondo le loro
forze nell'assistenza ai giovani, nel ministero della riconciliazione e della direzione spiri-
tuale, nella predicazione, nell'attenzione diligente a qualche settore importante della casa
(biblioteca, archivio, segreteria, amministrazione, museo, laboratorio, chiesa), nell'acco-
glienza degli ospiti, nella cura dei malati, in un'attività ridotta ma preziosa di insegnamento
e in tante altre forme non facilmente catalogabili.
Questa ricchezza si diffonde anche sulla comunità. È la testimonianza di una vita che
va giungendo al compimento; è la saggezza che dà la giusta dimensione a ciascun aspetto
dell'esistenza, alla luce dell'approdo definitivo; è l'esperienza dei problemi e delle persone
che viene donata a chi ha percorso le varie tappe della vita. È pure la memoria del passato
che fa vedere l'interdipendenza tra le generazioni e congiunge con lo stato nascente del ca-
risma o di un'opera particolare. Ciò li rende quasi indispensabili nelle comunità di forma-
zione iniziale.
Sovente agli anni si aggiunge la salute cagionevole o una malattia terminale. L'attività
si riduce e può anche cessare totalmente. Si dipende dagli altri. I confratelli allora parteci-
pano alla missione salesiana con la preghiera, la sofferenza e l'offerta della propria vita. Così
diventano canale di grazie e fonte di benedizione per la comunità e per i giovani.
«Arricchiscono lo spirito di famiglia e rendono più profonda l'unità della comunità»,
dice l'art. 53 delle Costituzioni. Infatti il dolore non solo purifica chi lo subisce, ma ridesta
nei confratelli energie di condivisione e di servizio. Accanto al fratello che soffre la comunità
si ritrova unita nella solidarietà vocazionale e nell'affetto fraterno.
Per tutto questo si è parlato della longevità come di un «carisma», un dono che santifica
chi lo riceve e diventa sorgente di santificazione anche per gli altri. Ma a condizione che
venga vissuta come una grazia da parte di chi ne è portatore e da parte di coloro che sono
compartecipi.
2. Una visione adeguata
La prima esigenza è di acquisire una giusta visione dell'anzianità.
La vecchiaia non gode di buon nome, tra le età dell'uomo. La fanciullezza è piena di
promesse, la gioventù è brillante e alimenta le speranze del futuro, la maturità è il pieno
possesso delle risorse, per cui le vengono affidate le responsabilità del presente.
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24.3 Page 233

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L'anzianità invece deve fare i conti con il decadimento fisico, il rischio dell'involuzione
psicologica, il diradarsi dei rapporti, la separazione dalle responsabilità. Perciò essa, nella
nostra cultura, genera, nei migliori dei casi, un sentimento di gratitudine, rispetto e amore
che si traduce in assistenza professionale e in attenzioni affettuose. Raramente invece induce
a valorizzarne le risorse originali.
Alla radice di un tale atteggiamento c'è una concezione della vita in cui contano soprat-
tutto la capacità produttiva, manuale o intellettuale. A mano a mano che questa diminuisce,
perde valore la stessa esistenza umana.
Una siffatta visione, quando predomina o anche semplicemente soggiace nell'ambiente,
viene facilmente interiorizzata dalle persone che si avvicinano all'età anziana e produce, al-
meno nelle più fragili, una sottovalutazione delle proprie possibilità. Si fa strada, come con-
seguenza, un desiderio di volontaria emarginazione, per cui gli anni «attivi» si accorciano e
le risorse dell'anzianità non riescono a svilupparsi in forma ottimale.
L'esperienza religiosa e salesiana ci tiene lontani da questa mentalità. Ma inevitabil-
mente ne siamo un po' colpiti. L'invecchiamento comunitario solleva in noi preoccupazioni
e ogni scatto della media di età provoca commenti sul futuro. Ciò è legittimo per il fatto che
la Congregazione è attestata su fronti che richiedono energie fresche e sovente il ricambio
di queste non è proporzionato agli impegni. Ma diventa fuorviante quando tutta la questione
viene guardata soltanto o principalmente dalla prospettiva del lavoro da compiere, secondo
l'impostazione attuale delle opere. Lo stesso nostro impegno pastorale per la salvezza dei
giovani viene travisato quando lo si pensa soltanto in termini di attività, anche se queste sono
indispensabili e ne rappresentano la punta visibile.
È la nostra esistenza consacrata, nella sua totalità e nelle sue condizioni concrete che
diventa dono del Padre ai giovani, sorgente di gesti e parole che li aiutano a maturare come
uomini e li aprono al mistero di Dio. Il Battesimo e la professione religiosa collocano tutta
la vita sotto il segno particolare dell'amore. Lo Spirito comunica fecondità all'energia giova-
nile, alla maturità adulta, all'apparente declino fisico dell'anzianità.
La crescita della vita nello Spirito non si ferma con gli anni o con la malattia. Anzi a
mano a mano che l'uomo esteriore si va dissolvendo per quello che è transitorio, l'uomo
interiore cresce raccogliendo i frutti dell'intera esistenza nell'attesa del grande incontro.
Così la condizione di anzianità risulta sempre rivelazione della vita. Non va valutata
soltanto dalla prossimità della fine ma dal cammino fatto sin dalla nascita nella prospettiva
della maturità e del compimento.
Le sue ricchezze non sono soltanto misteriose o invisibili. Hanno manifestazioni da
valorizzare nella convivenza: la maturità spirituale, la disposizione all'amicizia, il gusto per
la preghiera e la contemplazione, il senso non finto della povertà della vita e l'abbandono
nelle mani di Dio.
La condizione anziana dunque sarà certo per noi oggetto di cura e attenzione affettuosa,
ma non di meno risorsa umana e pastorale da mettere a profitto nella comunità e nella mis-
sione salesiana.
3. Condividere la condizione degli anziani
Chi entra nelle cosiddette terza e quarta età ha bisogno di particolare sostegno. I con-
fratelli e le comunità sono invitati ad offrirlo nella normalità della vita fraterna.
Il primo sostegno consiste nella valorizzazione comunitaria della persona. È importante
oggi proclamare la missione che le persone di età hanno all'interno della convivenza e, di
conseguenza, promuoverne il ruolo.
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24.4 Page 234

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Ciò comporta di aiutarle nel prendere piena coscienza della nuova fase che si apre da-
vanti a loro, delle risorse di cui dispongono, dei nuovi traguardi che le attendono e anche dei
distacchi e adattamenti che l'età esige. È una delle tappe significative della formazione per-
manente, che il documento sulla formazione negli Istituti religiosi sottolinea e raccomanda:
«Al momento del ritiro progressivo dall'azione, religiose e religiosi risentono più profonda-
mente nel loro essere l'esperienza che Paolo descrisse in un contesto di cammino verso la
risurrezione: "Non ci scoraggiamo; ma se anche l'uomo esterno si corrompe, l'interno nostro
si rinnova, tuttavia, di giorno in giorno ... "1. Il religioso può vivere questi momenti come
una fortuna unica di lasciarsi penetrare dall'esperienza pasquale del Signore Gesù fino a de-
siderare di morire per "essere con Cristo", in coerenza della sua risurrezione, e la partecipa-
zione ai suoi patimenti»2.
In qualche parte si è provvisto predisponendo per i confratelli della terza età un tempo
straordinario che ha potuto contare anche su competenze specialistiche. I risultati sono stati
soddisfacenti. In altri casi i confratelli medesimi, sentendone il bisogno, si sono inseriti in
iniziative di formazione permanente che offrivano tempi e mezzi per raggiungere gli stessi
obiettivi.
C'è poi da pensare a modalità di lavoro comunitario che consentano il pieno impiego
delle persone per il tempo più lungo possibile. È chiaro che non si tratta soltanto di tenerli
occupati, ma di scoprire contributi utili alla missione salesiana secondo le capacità e le forze
di ciascuno. Inserita come è in un vasto movimento di persone e aperta a servizi diversissimi,
la comunità può incorporare nel proprio progetto qualità e prestazioni insolite.
Ciò porterà ad un coinvolgimento maggiore non soltanto nei momenti di preghiera e di
convivenza fraterna ma anche nella corresponsabilità comunitaria, manterrà quindi l'inseri-
mento in cerchi ampi di rapporti, scambi e collaborazione.
Riguardo all'assistenza medico-sanitaria le Ispettorie hanno maturato dei criteri e messo
in atto iniziative che conviene raccogliere, perché costituiscono già una prassi adeguata.
I confratelli rimangono nelle comunità attive finché sono autosufficienti o, se malati,
la comunità locale può prendersi cura di loro. Lo spirito di famiglia e la testimonianza edu-
cativa ci orientano verso questa soluzione. Applichiamo in forma analoga alla comunità
quello che Giovanni Paolo II diceva ai consultori familiari: «Togliere l'anziano dalla casa è
spesso un'ingiusta violenza. La famiglia col suo affetto può rendere accettabile, volontario,
operoso e sereno il momento prezioso della senilità. Ci sono nell'anziano delle risorse che
vanno poste nel debito valore e di cui la famiglia può usufruire per non impoverirsi, qualora
fossero disattese o dimenticate»3. Sulla medesima linea si orienta la scienza medica che dà
la preferenza all' assistenza a domicilio e la sostiene con iniziative di profilo nuovo per assi-
curare un sufficiente servizio sanitario.
Per coloro invece che abbisognassero di cure continue e specialistiche, le Ispettorie
hanno predisposto case in cui il servizio medico, l'ambiente e l'attenzione creano condizioni
ottimali di assistenza. L'esperienza va suggerendo modalità che rendono accettabile questo
passo certamente difficile. Da parte del confratello c'è da mettere in preventivo con serenità
questa eventualità, accogliendola come un segno di amore della Congregazione, come una
misura conveniente alla salute e come una collaborazione alla missione della comunità. Il
consenso e l'accettazione facilitano le cose.
1 2 Cor 4,16.
2 CHIESA CATTOLICA. Direttive sulla formazione negli istituti religiosi. Bologna: EDB, 1990, n. 70.
3 GIOVANNI PAOLO II, Discorso alla confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cri-
stiana (Sabato, 28 marzo 1987), n. 2-3.
- 232 -

24.5 Page 235

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I salesiani anziani poi si trovano meglio quando queste case sono vicine ad altre in cui
si svolgono normalmente attività salesiane e offrono dunque la possibilità di piccole colla-
borazioni, di partecipazione occasionale a momenti comunitari e di semplice godimento vi-
suale del movimento di giovani e adulti. È anche lodevole la diligenza con cui le comunità,
dove questi confratelli hanno lavorato, li visitano e li mantengono informati della loro vita.
Ma fondamentale è la capacità dei confratelli incaricati di animare persone singole,
gruppi omogenei e l'intera comunità di queste case. Essi cercano di adeguare la preghiera, di
incoraggiare il lavoro possibile, di ravvivare i rapporti, di provvedere informazioni, di ac-
compagnare ciascuno insieme agli specialisti.
Un riconoscimento pubblico va dunque a quei confratelli che accolgono l'ubbidienza
di prendersi cura di queste case. Essi esprimono agli anziani la gratitudine e l'affetto della
Congregazione. C'è da pensare ad una loro qualificazione che consenta di accompagnare gli
anziani con competenza pastorale e spirituale.
4. Prepararsi ad invecchiare bene
L'anzianità, come ogni età della vita, va incontro a delle crisi, presenta dei rischi. Ne
siamo testimoni. Accanto all'anziano attivo c'è il pensionato prematuro. Insieme a chi dif-
fonde serenità e fiducia si trova chi è preso dall'ansietà e dal pessimismo. C'è chi assume con
gioia occupazioni e ruoli più confacenti con le proprie forze, e chi si attacca a un determinato
ufficio o lavoro impedendo addirittura una opportuna sostituzione.
Tali situazioni non vanno da noi giudicate, perché le cause dell'umore, della vivacità o
della depressione sfuggono sovente al controllo della persona. Ma il prolungamento della
vita, che è in corso in tutto il mondo, ci spinge a pensare per tempo come viverla per il
Signore e per i giovani in tutte le sue possibilità.
Infatti la qualità che avrà la condizione anziana di ciascuno non è gratuita né totalmente
imprevista. Dipende dalla risposta che la persona è capace di dare. E questa non si improv-
visa. Si prepara negli anni che precedono. Ordinariamente nella anzianità si raccolgono i
frutti di quanto si è imparato e praticato. Invecchiare diventa così un esercizio di tutta la vita,
che consiste nell'affrontare positivamente le sfide alla maturazione, in fedeltà alla propria
vocazione.
Alcuni aspetti allora hanno particolare importanza. Il primo è la tensione verso una
crescita ininterrotta come risposta alla chiamata del Signore. Essa comporta attenzione all'e-
sperienza spirituale che si va sviluppando in noi, per cui scopriamo con sempre maggiore
profondità l'opera di Dio nella nostra vita.
Ad essa è collegata in un religioso educatore l'apertura culturale che rende capaci di
cogliere nuovi significati e dispone ad assumere serenamente i cambiamenti necessari.
Un secondo aspetto da considerare è il lavoro: il modo con cui ci si prepara ad esso,
come lo si svolge, come si applicano con duttilità le competenze acquisite.
È assodato che, a parità di condizioni fisiche e psichiche, coloro che hanno acquistato
una seria professionalità, e l'hanno poi consolidata in un'area di lavoro, continuano in forma
egregia le loro prestazioni anche quando sopraggiunge la diminuzione delle forze. Il lungo
esercizio, l'esperienza accumulata, le sintesi maturate rendono preziosi anche i contributi
quantitativamente ridotti.
Al contrario, un'azione iniziata senza supporto di competenza, svolta in maniera di-
spersa, sottomessa a continui cambiamenti di aree, non porta a maturità ma provoca un senso
di inadeguatezza e un ritiro prematuro.
È questa un'attenzione che viene richiesta a ciascun confratello, ma anche a coloro che
organizzano l'azione e progettano lo sviluppo di un'ispettoria o di un'opera. Due articoli dei
- 233 -

24.6 Page 236

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Regolamenti la richiamano. Uno riguarda la competenza da acquisire: «Ogni confratello ri-
cerchi con i superiori il campo di qualificazione più confacente alle sue capacità personali e
alle necessità dell'Ispettoria, preferendo quanto concerne la nostra missione. Conservi la di-
sponibilità caratteristica del nostro spirito e sia pronto a periodiche riqualificazioni»4.
L'art. 43 invece previene contro il «lavoro disordinato» e suggerisce un'equilibrata al-
ternanza di impegni, distensione e tempi di formazione.
Tutti e due gli articoli suggeriscono che è irrinunciabile oggi dare più importanza alle
persone che alle opere; e che non bisogna sacrificare la formazione iniziale o permanente o
la qualità della vita e dell'azione all'urgenza di «Sostenere» strutture e iniziative. Si realizzerà
in questo modo l'augurio del Salmo: «Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti
e rigogliosi per annunciare quanto è retto il Signore»5.
4 R 100.
5 Sal. 92, 15-16.
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24.7 Page 237

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30. SALESIANI E MOVIMENTI ECCLESIALI
Vecchi, J.E., Salesiani e movimenti ecclesiali in ACG 338 (1991), p. 38-44.
1. Una valutazione positiva. - 2. La presenza dei movimenti negli ambienti educativi e pastorali salesiani. - 3. Il coinvolgimento
e l'appartenenza dei confratelli ai movimenti ecclesiali.
Da tempo e da diverse parti arrivano al Consiglio Generale domande riguardo ai movi-
menti di spiritualità esistenti oggi nella Chiesa in riferimento all'identità salesiana. Interessa
soprattutto la presenza di tali movimenti negli ambienti pastorali ed educativi affidati alla
nostra responsabilità e il coinvolgimento personale dei confratelli.
Il Consiglio Generale, nell'ultima sessione di giugno-agosto [1991], ha approfondito
l'argomento, dopo aver preso atto delle dimensioni che il fenomeno ha nelle diverse regioni
della Congregazione. Le conclusioni a cui è arrivato possono servire alle Ispettorie e alle
comunità locali per un opportuno discernimento.
1. Una valutazione positiva
La Christifideles Laici rileva la ricchezza odierna delle aggregazioni e movimenti ec-
clesiali e ravvisa in essa la «versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto eccle-
siale ... la capacità di iniziativa e la generosità del nostro laicato»1.
Riconosce altresì che l'aggregarsi dei fedeli per motivi spirituali e apostolici, sebbene
ubbidisca a molteplici motivi culturali e sociologici, ha però una ragione più profonda: il
fatto che la Chiesa è comunione e che questa si esprime in molteplice forma per costruire
una unità che non sta soltanto all'inizio della Chiesa ma nel suo compimento2.
Si diffonde poi nell'esporre i criteri per discernere la validità dei movimenti ecclesiali,
e il servizio che i pastori sono chiamati a prestare alla comunione sia riguardo ai rapporti di
stima, cordialità e collaborazione tra le varie forme aggregative, sia riguardo a «un fecondo
e ordinato contributo all'edificazione della casa comune»3, che è la Chiesa visibile in un
luogo concreto.
I movimenti e le aggregazioni non soltanto offrono un'esperienza comunitaria, ma pro-
pongono anche uno stile di presenza cristiana nel mondo e ispirano una forma di azione
apostolica collegata ad una tipica spiritualità che accentua determinati aspetti a volte in
forma vistosa: la preghiera spontanea e condivisa, l'espressione dell'amore vicendevole, la
militanza sociale o culturale. Tali spiritualità si diffondono anche attraverso eventi ecclesiali
e letteratura di fiancheggiamento e diventano proposta perché rispondono a bisogni sentiti
nel mondo odierno.
Il fenomeno merita anche da parte nostra attenzione e valutazione positiva. Non ci sono
dunque riserve di sorta sul merito. Pure noi, salesiani, e le altre Congregazioni veniamo in-
clusi in questa corrente di comunione secondo quanto asserisce il documento citato: «... nella
storia della Chiesa l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato una linea costante, come testimo-
1 ChL 29.
2 Cf. Ibid.
3 ChL 31.
- 235 -

24.8 Page 238

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niano sino ad oggi le varie confraternite, i terzi ordini e i diversi sodalizi. Esso ha però rice-
vuto uno speciale impulso nei tempi moderni che hanno visto il nascere e il diffondersi di
molteplici forme aggregative: associazioni, gruppi, comunità, movimenti»4.
In questo interscambio di doni ecclesiali noi siamo chiamati a dare il contributo della
nostra spiritualità e del nostro stile pastorale.
2. La presenza dei movimenti negli ambienti educativi e pastorali salesiani
Gli ambienti pastorali ed educativi di cui portiamo la responsabilità sono il luogo dove
più sovente veniamo a contatto con i diversi movimenti e associazioni di Chiesa. Questi
infatti si diffondono nelle parrocchie per la capacità propositiva dei loro membri o per rac-
comandazioni della Gerarchia locale. Lì avvertiamo pure la molteplicità delle aggregazioni
e le differenze che esistono tra i loro orientamenti spirituali e tra le loro modalità di azione.
La parrocchia riunisce ed esprime tutto il Popolo di Dio che vive in un luogo. Dev'es-
sere attenta alle varie espressioni della comunione ecclesiale. Perciò viene spesso presentata
come «una comunione di comunità». I movimenti contribuiscono a darle vivacità comunita-
ria e capacità di intervento nel territorio.
In quanto «Salesiana» la parrocchia immette nella Chiesa particolare quei doni e quelle
sensibilità che sono caratteristici di un carisma. Da questa duplice considerazione sgorgano
alcuni criteri riguardo alla presenza e partecipazione delle aggregazioni ecclesiali nelle no-
stre parrocchie. I primi che devono essere da noi presi in considerazione sono i criteri che
offre la ChL al n. 30. Servono non soltanto per un discernimento iniziale di accettazione, ma
anche, in seguito, per moderare tendenze, equilibrare tratti e correggere eventuali squilibri
mediante un'opera di governo pastorale.
Ne segue una seconda indicazione. Non è pensabile che tutta la dinamica della parroc-
chia sia imperniata attorno ad un solo movimento. Nessuno di essi infatti rappresenta la to-
talità del popolo di Dio né è stato chiamato a reggerlo. La pluralità di espressioni, il proposito
di comunione visibile, il servizio alla comunità a partire dalle sue richieste e dai suoi bisogni,
e il senso della propria relatività dovrebbero invece costituire convinzioni condivise e prin-
cipi per l'orientamento pastorale.
L'accompagnamento spirituale va assicurato a tutte le aggregazioni nella misura in cui
esse lo richiedano, o coloro che sono responsabili della cura pastorale della parrocchia ne
avvertano la necessità. Questo servizio sacerdotale rivolto a tutti richiede conoscenza e sim-
patia e si addice di più ai pastori che non l'appartenenza esclusiva e piena ad un solo movi-
mento o aggregazione che va decisamente sconsigliata.
Sembra inoltre necessario che chi favorisce l'inserimento e lo sviluppo di un movi-
mento in un ambiente parrocchiale salesiano non proceda per sola preferenza personale ma
abbia di mira il progetto pastorale. Le parrocchie vengono affidate alla Congregazione che
avvicenda le persone e si fa garante della continuità sostanziale della sua identità. Una con-
vergenza di massima su orientamenti e scelte a livello ispettoriale è non soltanto raccoman-
dabile ma indispensabile. Infatti le situazioni di disagio e di conflittualità sorgono là dove si
decide in base a scelte individuali, mentre l'art. 44 delle Costituzioni coinvolge nel discerni-
mento delle linee pastorali tutta la comunità guidata del Superiore.
Al di sopra e alla base di queste indicazioni particolari ci dev'essere l'impegno di servire
la comunità parrocchiale e la Chiesa particolare, mettendo in atto tutte le ricchezze del cari-
sma salesiano. Ciò troverà la sua espressione - secondo la fisionomia propria della parrocchia
- nell'orientamento spirituale di tutte le aggregazioni e, in modo speciale, nella costituzione
4 ChL 29.
- 236 -

24.9 Page 239

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e animazione delle associazioni che hanno come riferimento lo spirito salesiano. Non è con-
cepibile una parrocchia salesiana che nella scelta delle aggregazioni escluda, posponga o
trascuri la vitalità di quelle che esprimono le sue stesse ricchezze.
Il panorama si presenta un po' diverso nei programmi educativi destinati principal-
mente ai giovani. C'è maggiore omogeneità nell'ambiente, le aggregazioni convergono di
più su finalità comuni, si coordina meglio la loro disponibilità a collaborare in un progetto
comune. Alcune sono aperte al contributo pedagogico salesiano e posseggono una carica
educativa, spirituale e apostolica che qualifica l'ambiente. Altre invece chiedono soltanto
uno spazio materiale per svolgere le proprie attività e il proprio programma a volte ridotto
ad un'unica dimensione.
Qualche linea di valutazione va dunque ricercata senza pretesa di esaurire un fenomeno
assai complesso. È necessario che le finalità, lo stile e il programma delle aggregazioni gio-
vanili, anche nostre, siano compatibili e convergenti con quelli proclamati e perseguiti dai
rispettivi centri giovanili. Ciò riguarda gli obiettivi, i livelli di selettività, l'integrazione tra
evangelizzazione e promozione umana, il giusto equilibrio tra formazione e impegno, l'in-
tenzione educativa e tante altre.
Poiché si opera in una comunità giovanile, ai diversi movimenti va chiesto che mani-
festino l'appartenenza ad essa prendendo responsabilità nell'animazione e partecipando atti-
vamente alla programmazione comune. Sono quindi meno consentanei, anche se non neces-
sariamente da escludere, quei gruppi che intendono fare vita a sé, giustapposti alla comunità
dell'oratorio, centro giovanile o comunità scolastica.
L'accompagnamento formativo a tutti i gruppi secondo le proprie modalità ed esigenze
va preso come impegno irrinunciabile dai salesiani e animatori. Ciò offrirà la possibilità di
permeare di spirito salesiano i programmi particolari, pur nel rispetto delle rispettive origi-
nalità.
3. Il coinvolgimento e l'appartenenza dei confratelli ai movimenti ecclesiali
La conoscenza e l'assistenza ai movimenti porta spesso a coinvolgersi più profonda-
mente in essi e, a volte, anche a professarvi quasi un'appartenenza e ad assumere la loro
spiritualità.
Ciò merita un commento a cui va premessa un'osservazione tanto ovvia quanto indi-
spensabile: i movimenti sono molti; e sono pure diversi i loro propositi, le loro esigenze e le
loro proposte. Varie sono anche le forme di coinvolgimento e le ragioni che muovono i con-
fratelli ad aderirvi. Risulta impraticabile sia la casistica che le generalizzazioni.
Al contrario non è inutile né impossibile uno sforzo di discernimento.
Infatti come certi segni servono a giudicare la validità ecclesiale o meno dei gruppi e
movimenti, così anche alcuni sintomi rivelano la coerenza o disarmonia della partecipazione
ai movimenti con una professione religiosa che comporta già un'appartenenza, una spiritua-
lità e uno stile apostolico. La conoscenza delle associazioni e movimenti che operano nella
propria Chiesa è certamente indispensabile per una comunità di pastori ed è pure vantaggioso
uno scambio vitale di sensibilità ed esperienze con essi. Non sono l'incontro e l'interscambio
che vanno temuti. L'identità non è difesa e separazione, ma capacità di confronto e assimi-
lazione secondo la propria originalità. Una situazione diversa è rappresentata da quei con-
fratelli che come servizio pastorale, anche fuori dalle nostre strutture, assumono l'assistenza
spirituale di qualche movimento o associazione. Ciò comporta naturalmente di sintonizzare
con essi e di prendere parte ai loro momenti significativi. Anche in questo non si rilevano
inconvenienti quando l'impegno è stato assunto d'accordo col direttore in consonanza con il
- 237 -

24.10 Page 240

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progetto della comunità, e quando la spiritualità e lo stile pastorale salesiano continuano ad
ispirare la vita del confratello.
Ci può essere però una terza situazione: confratelli che, alla ricerca di una maggiore
intensità spirituale o per scelta apostolica, si coinvolgono interamente in un movimento con
forme di partecipazione che si sovrappongono e sovrastano le esigenze della vocazione sa-
lesiana.
Alle possibili cause di questo fenomeno si riferisce già il Rettor Maggiore nella sua
lettera e ne individua il rimedio fondamentale in una ripresa della spiritualità salesiana. Il
suo approfondimento personale e comunitario e il riflesso sull'impostazione pastorale dell'o-
pera sono la condizione perché l'apertura massima e l'interscambio di doni spirituali con altri
movimenti diventino vantaggiosi per noi e per loro.
Proprio a commento di questa linea fondamentale vengono opportune alcune indica-
zioni.
Dai superiori di comunità e dagli animatori salesiani di ambienti pastorali si richiede
soprattutto un servizio alla comunione e alla identità. Ciò comporta competenza dottrinale e
sforzo di animazione. Per questo compito i Regolamenti chiedono loro dedizione totale5.
Non è quindi indicato che assumano appartenenze stabili a movimenti o incoraggino nei
confratelli tale scelta. Curino piuttosto altri aspetti indicati nei criteri precedenti: lo spirito
ecclesiale di tutti i movimenti, l'accompagnan1ento pastorale, il contributo salesiano.
Un'attenzione particolare va rivolta ai confratelli in fase di formazione iniziale. Essi
vivono una tappa in cui la spiritualità salesiana non è un obiettivo settoriale, ma deve impre-
gnare il vissuto quotidiano, ispirare la prassi pastorale e plasmare anche la visione di non
poche realtà umane ed ecclesiali. Devono dunque viverla nel modo più completo e sereno
possibile e acquisirne anche l'impostazione dottrinale. Se contatti occasionali possono essere
vantaggiosi, la partecipazione sistematica, il coinvolgimento e meno ancora l'appartenenza
non appaiono convenienti.
Da ultimo, poiché le situazioni si presentano così varie, conviene che, dove il fenomeno
dei movimenti di spiritualità e le aggregazioni ecclesiali incidono sulla vita della comunità
e sul lavoro pastorale, i confratelli facciano un discernimento per darsi linee di intervento
coerenti con la loro vocazione di educatori-pastori salesiani.
5 Cf. R 172.
- 238 -

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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31. LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA CARITÀ NELLA MENTALITÀ E
NELLA PRASSI PASTORALE DEI SALESIANI
Vecchi, J.E., La dimensione sociale della carità nella mentalità e nella prassi pastorale dei salesiani in Martinelli A. - C. Cini,
«La dimensione sociale della carità. Atti della XIV Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana», Roma, Dicastero per
la famiglia salesiana, 1991, p. 96-103.
1. Premessa. - 2. Mentalità del SDB circa la dimensione sociale della carità. - 3. Il contenuto sociale della nostra educazione.
1. Premessa
Lo sviluppo di questo punto può prendere strade molteplici. Eccone alcune, per cenni,
ma sulle quali non intendo indugiare:
* l'attenzione e operosità sociale di Don Bosco e l'incidenza sociale delle sue iniziative
attraverso il coinvolgimento dei pubblici poteri, di gente facoltosa, media e modesta nelle
sue imprese;
* il senso sociale connaturale, quasi interno, alla vocazione salesiana medesima in
quanto carisma apostolico situato nel campo dell'educazione dei più poveri in ambienti po-
polari;
* quello sviluppo tradizionale della dimensione sociale nella nostra educazione, indicato
sinteticamente nell'espressione «il buon cittadino»;
* l'originale collocazione di don Bosco e, dunque, dei salesiani di fronte ai poteri, vi-
cende, sistemi e intrecci politici: fare del bene a tutti, rimanere estranei agli schieramenti e
fazioni, rivendicare e dare il dovuto, mantenersi liberi per un miglior servizio ai giovani e al
popolo.
Su questi punti ci sono documenti dottrinali di vasta portata e interventi di governo.
Possiamo ricordare i nn. 67-68 del CGS 20 (1971): «l'impegno dei salesiani per la giustizia
nel mondo». Il tutto viene concentrato in queste espressioni dell'art. 33 delle Costituzioni:
«Don Bosco ha visto con chiarezza la portata sociale della sua opera. Lavoriamo in ambienti
popolari per i giovani poveri ... contribuiamo alla promozione del gruppo e dell'ambiente ...
rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito...».
Queste prospettive sono importanti, ma già sufficientemente illuminate e ribadite.
Ci sono invece due punti da esplorare, seguendo il suggerimento del titolo dato a questa
comunicazione.
Su di essi ci fermiamo, scegliendo una presentazione problematica piuttosto che soltanto
espositiva.
2. Mentalità del SDB circa la dimensione sociale della carità
Il primo punto verte sulla mentalità attuale del salesiano riguardo alla dimensione sociale
della carità. È chiaro che non è in causa il suo «buon cuore», né la sua dedizione ai giovani
poveri, né la sua compassione verso i sofferenti. Sono altre le domande a cui rispondere.
Quale visione ha della società nella quale vive e dei problemi che la travagliano?
Quali chiavi interpretative dei fenomeni sociali ispirano i suoi interventi?
Che lettura è capace di fare, come pastore, dei movimenti storici?
Da quale parte intende confluire con la sua opera?
Su quali linee vanno gli stimoli già codificati dalla Congregazione per «formare» la
mentalità sociale dei salesiani?
- 239 -

25.2 Page 242

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Un primo grappolo di suggerimenti generali, sparsi in diversi articoli delle Costituzioni,
orientano all'attenzione e solidarietà verso tutto il campo della promozione umana e delle
forze che si muovono in esso. Si raccomanda di «essere ... solidali con il mondo e con la sua
storia» e indirizzare «l'azione pastorale all'avvento di un mondo più giusto e più fraterno in
Cristo»1.
La stessa solidarietà la si chiede alla comunità nei confronti del gruppo umano in cui è
inserita2. Riguardo ai ceti popolari si dice che noi riconosciamo «il bisogno che hanno di
essere accompagnati nello sforzo di promozione umana»3, mentre nelle missioni condivi-
diamo con i popoli a cui siamo inviati «le loro angosce e speranze»4. La condivisione dei
«problemi e sofferenze» diventa una forma di preghiera5.
Questi suggerimenti trovano la loro formulazione unificata nelle espressioni dell'art. 33:
«Partecipiamo in qualità di religiosi alla testimonianza e all'impegno della Chiesa per la giu-
stizia e la pace ... rifiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l'ingiustizia e la violenza, e
cooperiamo con quanti costruiscono una società più degna dell'uomo».
Ma è nel precisare oggi l'applicazione di queste ispirazioni che scattano le domande che
abbiamo formulato prima. La buona volontà è scontata. Ma nella società complessa di oggi
non basta l'intenzione. Si richiede una «cultura sociale» che aiuti a capire le radici e le di-
mensioni dei problemi e che ispiri valutazioni e interventi adeguati.
Si danno dunque tra i salesiani realizzazioni esemplari di presenza nel sociale, capacità
di acuto discernimento pastorale sugli eventi e sulle correnti storiche, accompagnamento di
quelli che si impegnano sui fronti più avanzati e pericolosi dei diritti umani.
Ma si trovano anche fenomeni di latitanza dal sociale con la scusa educativa o religiosa.
Ci possono essere casi di accettazione di sistemi che si dichiarano a servizio di una causa
cristiana, ma che presentano indubbie deviazioni etiche.
A volte affiora una diffidenza riguardo ai movimenti di opinione e promozione che poi
si dimostrano fecondi: quello della pace, dell'ambiente, della giustizia internazionale, della
promozione della donna.
Non sempre viene capito il nuovo spazio che va guadagnando la persona di fronte ai
poteri e che si manifesta in momenti di conflittualità a riguardo, per esempio, della libertà di
opinione e di stampa, l'obiezione di coscienza, un sistema carcerario umanizzato, la repres-
sione di qualche forma di devianza. Il giudizio sui sistemi internazionali e la situazione che
creano, a volte non supera la reazione confessionale o il luogo comune.
Costituzioni e Regolamenti accennano alla formazione di «una mentalità aperta e cri-
tica»6 e consigliano di «discernere gli eventi»7.
Ma come farlo? con quali strumenti?
La Ratio batte su un orientamento: «il contatto assiduo con l'insegnamento sociale della
Chiesa»8. Esso viene proposto come materia di studio nel noviziato, nel postnoviziato, nella
preparazione al sacerdozio e nella formazione del salesiano laico. Viene anche indicato come
1 C 7.
2 C 57.
3 C 29.
4 C 30.
5 Cf. C 95.
6 R 99.
7 C 119.
8 SALESIANI. Ratio fundamentalis. La formazione dei salesiani di Don Bosco: principi e norme : Ratio
fundamentalis institutionis et studiorum. Roma: Editrice S.D.B, 19852, n. 86.
- 240 -

25.3 Page 243

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illuminazione e guida del nostro inserimento nel mondo dei poveri e come «area di specia-
lizzazione». In questo ultimo caso si aggiunge «in dialogo critico con le varie istituzioni
socio-culturali e storiche»9.
Nella formazione di una mentalità aperta alle espressioni sociali della carità, i salesiani
sono fortemente influenzati dal proprio contesto sociopolitico e dallo spazio che la comunità
cristiana si è ritagliato in esso.
Maturano dunque prospettive diverse a seconda che si viva in un contesto, dove il valore
dell'esperienza religiosa viene riconosciuta socialmente e dove ci sono organizzazioni cri-
stiane che operano nel sociale con una tradizione di riflessione e di prassi; oppure, al contra-
rio, si operi in un contesto in cui la scelta religiosa è relegata nel privato o i cristiani sono in
forte minoranza.
Si percepisce, perciò, l'urgenza di un rafforzamento che adegui la mentalità al momento
che viviamo.
3. Il contenuto sociale della nostra educazione
Il secondo aspetto riguarda il contenuto sociale della nostra educazione e la validità della
pedagogia che mettiamo in atto.
C'è anche qui un insieme di suggerimenti di tipo generale.
Si dice che noi orientiamo «i giovani al dialogo e al servizio»10; che «li educhiamo alle
responsabilità morali, professionali e sociali»11; che i giovani che si avviano al lavoro li
rendiamo «idonei ad occupare con dignità il loro posto nella società e a prendere coscienza
del loro ruolo nella trasformazione cristiana della società»12; che nei gruppi «i giovani im-
parano a dare il loro apporto insostituibile alla trasformazione del mondo»13; che nella scuola
salesiana si promuove «la assimilazione ... critica della cultura e l'educazione alla fede in
vista della trasformazione cristiana della società»14.
Tutto ciò costituisce, sì, un'indicazione non trascurabile, ma non un programma, tanto
meno una prassi di educazione sociale e politica. Un po' più esplicito è stato il CG 21 quando,
enumerando gli obiettivi della crescita umana che l'educazione salesiana si propone, dedica
tutta una parte alla crescita sociale, articolando gli obiettivi in questa forma: «Sul piano della
crescita sociale, vogliamo aiutare i giovani ad avere un cuore e uno spirito aperti al mondo
e agli appelli degli altri. A questo fine educhiamo: alla disponibilità, alla solidarietà, al dia-
logo, alla partecipazione, alla corresponsabilità: all'inserimento nella comunità attraverso la
vita e l'esperienza del gruppo; all'impegno per la giustizia e per la costruzione di una società
più giusta e umana».
Questa indicazione ebbe la corrispondente esplicitazione nei sussidi che guidarono la
stesura dei progetti, alcuni di essi di notevole ampiezza, come il fascicolo «La comunità
salesiana nel territorio - Presenza e Missione»15 o «L'animatore salesiano nel gruppo giova-
nile»16.
9 SALESIANI. Ratio fundamentalis. n. 485.
10 C 32.
11 C 33.
12 C 27.
13 C 35.
14 R 13.
15 SALESIANI. DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. Comunità salesiana nel territorio: presenza
e missione. Roma: Editrice S.D.B, 19862. Documenti P.G. 10.
16 J.E. VECCHI & E. MAIOLI. L'animatore salesiano nel gruppo giovanile. Dicastero per la pastorale
giovanile. Centro internazionale di pastorale giovanile. Roma, Editrice S.D.B, 1987.
- 241 -

25.4 Page 244

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Un punto particolarmente messo a fuoco è stata la formazione socio-politica. Ne ven-
gono indicati e raccomandati tre aspetti:
* quello cognitivo, cioè offrire «una visione cristiana della dignità dell'uomo, del bene
comune e delle sue esigenze concrete, delle istituzioni, dei grandi sistemi sociali, dei dina-
mismi che operano le trasformazioni della società»;
* l'aspetto esperienziale, vale a dire la partecipazione nella comunità educativa, negli
organismi e nelle iniziative del territorio;
* l'aspetto più ampiamente culturale che comporta il rapporto con organizzazioni e mo-
delli portatori di fermenti sociali, l'attenzione ai movimenti di opinione e l'inserimento nella
vita politica.
Se, come appare in alcuni progetti educativi, la dimensione sociale comprende simulta-
neamente l'ambito intersoggettivo, quello comunitario, quello sociale, quello politico nazio-
nale, e quello universale, bisogna dire che la prassi salesiana assolve abbastanza bene i tre
primi e lascia abbastanza scoperti i due ultimi. Per questi ci sono iniziative esemplari, ma
limitate e discontinue. E soprattutto manca quell'insieme organico di indicazioni pedagogi-
che, di contenuti e di esperienze che possano costituire un programma applicabile. Non sono
mancati tentativi da parte dei centri di pastorale per coprire questo vuoto con offerta di sus-
sidi e di programmi da sperimentare.
A questo punto però, è indispensabile un altro sguardo: quello delle esperienze attuali
che potrebbero avere sviluppo nel futuro. Mi riferisco al Volontariato, locale e internazio-
nale, quando va accompagnato da una concreta formazione della mentalità, alle scuole di
formazione politica, ai corsi specifici di formazione sociale per animatori e altre simili.
Il CG 23 è stato un momento di raccolta di esperienze, acquisizioni e limiti e un punto
di rilancio per una educazione più sistematica e aggiornata alla dimensione sociale dell'a-
more cristiano. Ne ha indicato i seguenti capisaldi:
* Educare al valore assoluto della persona, alla sua inviolabilità. Questo permetterà «di
valutare situazioni eticamente anormali (corruzione, privilegio, sfruttamento, inganno) e fare
scelte personali di fronte ai pesanti meccanismi di manipolazione»17;
* Accompagnare ad una conoscenza adeguata della complessa realtà socio-politica. Si
parla di uno studio «serio, sistematico, documentato», a due livelli: il proprio contesto e
paese, e la realtà mondiale. È un'informazione verace, non fatta di valutazioni sommarie e
allo stesso tempo una sintesi ideale. Ritorna allora il riferimento all'insegnamento sociale
della Chiesa18;
* Introdurre i giovani in situazioni che chiedono solidarietà e aiuto, impegnandoli a su-
perare «una certa mentalità di chi è disposto a servire i poveri ma non a condividere la vita
con loro»19;
* Elaborare precisi e concreti progetti di solidarietà e forme di intervento sociale, liberi
da ingenuità, sulla base di pazienti analisi per trasformare le strutture, con un giusto rapporto
tra «opere caritative» e «obblighi di giustizia». Progetti che non siano solo «per» i poveri,
ma vengano realizzati con la loro partecipazione e crescita della coscienza20;
* Avviare all'impegno, alla partecipazione e alla assunzione di responsabilità politiche.
Si riconosce che quest'ambito da noi «è un po' trascurato e disconosciuto» per timori vari.
17 CG23 209.
18 Cf. CG23 210.
19 CG23 211.
20 Cf. CG23 212.
- 242 -

25.5 Page 245

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Oggi, però, costituisce una sfida21;
* Fondare e rifondare ogni passo su quelle motivazioni che scaturiscono dalla fede e
dall'incontro con Cristo, perché l'impegno non si esaurisca nella stanchezza o nell'attivismo
e la fede non si scontri con la storia. «La forte radicazione nell'insegnamento sociale della
Chiesa darà loro luce per orientare la propria azione verso mete e secondo modalità ispirate
dall'amore cristiano»22.
Questo è il momento che viviamo: di passaggio da una prassi di buona volontà ad un'altra
più generalizzata e completa che vorrebbe formare il «buon cittadino» come «un uomo soli-
dale».
21 Cf. CG23 214.
22 CG23 213.
- 243 -

25.6 Page 246

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32. PASTORALE, EDUCAZIONE, PEDAGOGIA NELLA PRASSI SALESIANA
Vecchi, J.E., Pastorale, educazione, pedagogia nella prassi salesiana in Dicastero per la pastorale giovanile, «Il cammino e
la prospettiva 2000». Documenti PG 13, Roma, 1991, p. 7-38.
1. Premesse. - 2. Fattori dell'evoluzione. - 2.1 L'emergere della pastorale. - 2.2 L'allargamento del campo di azione. - 2.3 La
percezione della nuova domanda educativa. - 2.4 Il cambiamento delle strutture di animazione. - 2.5 La riformulazione dei
contenuti. - 2.6 Il decentramento. - 2.7 La preparazione del personale. - 3. Tentativi di fronte alla «complessità». - 3.1 Evan-
gelizzazione Educazione. - 3.2 La progettazione educativo-pastorale. - 3.3 Alcune risposte alle nuove domande. - 4. A mo'
di conclusione: per far fronte alla «complessità».
1. Premesse
Questa relazione continua e completa quella precedente. Dopo la presentazione di al-
cune esperienze pedagogiche particolarmente significative nella storia salesiana, si vorrebbe
un panorama dell'attuale impegno educativo della Congregazione.
La valutazione esatta di tale impegno richiede un rilevamento molteplice e accurato
della realtà odierna e un confronto con periodi precedenti, per individuare eventuali tendenze
di crescita o stagnazione quantitativa e qualitativa e misurarne la portata nell'insieme delle
iniziative assunte oggi dai salesiani.
Questa strada è impraticabile. Un rilevamento di dati finalizzato a questo tipo di valuta-
zione non è stato fatto. Le nostre statistiche non consentono confronti validi tra i diversi
momenti dell'evoluzione della Congregazione.
Ci rimane allora un altro percorso: la lettura dei fatti sintomatici, l'osservazione delle
aree in cui avvengono innovazioni di rilievo o meno, l'attenzione alle tematiche più sentite.
I margini di soggettività che questa strada comporta sono a tutti noti. Ci sorreggono però
alcuni documenti ufficiali in cui si esprimono le convergenze della Congregazione o si fa
una verifica globale del suo andamento in un determinato periodo: gli atti dei Capitoli gene-
rali, le relazioni dei Rettori Maggiori. Ad essi si aggiungono le verifiche e deliberazioni degli
ultimi Capitoli ispettoriali (1986), i resoconti e documenti finali delle visite di insieme. Ap-
poggiandoci a valutazioni comunitarie, pensiamo di sfuggire da visioni troppo personali.
La lettura abbraccia un periodo di 20 anni. Considera come punto di partenza di una
evoluzione l'anno 1965, data del CG 19 in cui vengono prese decisioni che implicano cam-
biamenti profondi. Da allora in avanti si succedono con regolarità, ogni sei anni, ampie re-
lazioni sullo stato della Congregazione. E possibile dunque cogliere i segni di un cambia-
mento progressivo.
Quello che capita all'interno della Congregazione è collegato a trasformazioni che av-
vengono nella Chiesa e nella cultura. La relazione ne accenna soltanto di passaggio, consi-
derandole già sufficientemente conosciute e prende subito di mira la loro ripercussione sulla
prassi della Congregazione.
L'immagine dei salesiani all'inizio di questa evoluzione è quella di una Congregazione
saldamente attestata nel campo giovanile con strutture educative ben definite: scuola, centri
professionali, convitti, oratori; che sviluppa all'interno di queste strutture diverse «linee»
pedagogiche secondo una prassi sicura: pedagogia religiosa, pedagogia scolastica, pedago-
gia associativa, pedagogia del lavoro, pedagogia del tempo libero. La preparazione del per-
sonale e i ruoli di orientamento e governo corrispondevano ai campi di lavoro. Vi corrispon-
devano anche obiettivi generali, organizzazione dei contenuti, scelta dei destinatari e persino
- 244 -

25.7 Page 247

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un'interpretazione del contesto sociale e del ruolo che il compito educativo doveva avere in
esso.
L'immagine, dopo venti anni di cammino, è di una Congregazione aperta a molteplici
campi di lavoro, in ambienti in cui appaiono in continuità nuove domande educative e pa-
storali all'insegna della «complessità»; che progetta interventi variegati e alle volte inediti;
che si trova di fronte alla urgenza di adeguare, equilibrare e far interagire le competenze dei
membri, di riformulare i suoi programmi e dare consistenza ad alcune intuizioni.
2. Fattori dell'evoluzione
Un'evoluzione dunque c'è stata, ed è ancora in corso, riguardo alla maniera pratica di
intendere e assolvere il compito educativo.
2.1 L'emergere della pastorale
Tra i fattori che l'hanno spinta il primo è certamente l'emergere della «pastorale», come
azione tipica della Chiesa, tendente a suscitare e a sviluppare la fede nelle persone, a formare
la comunità cristiana, a lievitare la storia umana col Vangelo mediante il ministero profetico,
la mediazione sacerdotale e l'impegno per la crescita dell'uomo. Concepita prima, e ancora
oggi da alcuni, come «cura animarum» cui si accostavano senza esservi inclusi i servizi di
beneficenza, assistenza ed educazione, è passata a indicare la totalità dell'intervento della
comunità ecclesiale più segnato oggi dall'annuncio del Vangelo che dalla custodia di un pa-
trimonio sociale di pratica cristiana.
La pastorale, come categoria più comprensiva, abbraccia allora, conforme ad una vi-
sione ripresa anche dai nostri documenti, due servizi di ordine diverso: l'evangelizzazione e
la promozione-liberazione-sviluppo-educazione, quando quest'ultimo viene assunto, pur
nella sua autonomia, secondo il senso del Vangelo. L'emergere del «pastorale» come cate-
goria di orientamento e di valutazione per i diversi interventi della Chiesa è conseguenza del
Concilio Vaticano II, chiamato appunto un «Concilio pastorale» proprio per il taglio e l'im-
postazione di tutta la sua riflessione.
Per ciò che riguarda la Congregazione questa visione è appena presentita nel CG 19. La
preoccupazione dell'educazione cristiana della gioventù intesa in senso formale domina tutta
la riflessione che predilige la via delle strutture operative già esistenti, all'interno delle quali
si qualificano alcune linee di lavoro, adeguandole alle esigenze del momento1. Le attività
che non rientrano nell'apostolato giovanile vengono organizzate come «apostolati sociali»2.
Le questioni messe a fuoco, il linguaggio, l'ordine delle preoccupazioni riflettono l'im-
postazione tradizionale: al primo posto le scuole a cui segue un lungo ripensamento dei centri
professionali dal punto di vista dell'aggiornamento strutturale e tecnico con sviluppo anche
delle questioni educative; poi le parrocchie e gli oratori. Categorie come «secolarizzazione»,
«evangelizzazione», non appaiono ancora. Non viene riespressa una «teologia» della mis-
sione che possa illuminare anche l'origine e le finalità dell'azione salesiana.
La riflessione del CG 19 non ebbe una soddisfacente traduzione operativa. Non ci fu il
tempo sufficiente. La Congregazione dovette rivolgere lo sguardo quasi subito alla revisione
totale della sua vita e della sua missione nella Chiesa e nel mondo. Ciò significa che anche
se sono stati lanciati stimoli validi e ancora oggi operanti, la lettura della realtà e la prassi
non sperimentarono cambiamenti di rilievo nella base della Congregazione.
1 Cf. ACS 47 (1966) 244, 101-124.
2 Cf. ACS 47 (1966) 244, 141-154.
- 245 -

25.8 Page 248

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La prospettiva cambia sostanzialmente nel CGS 20. Lo si percepisce più ancora che nei
contenuti singoli, nella struttura del discorso. Punto di partenza sono il carisma e la vita
salesiana a cui la missione dà il suo tono concreto. Questa è inserita nella più vasta missione
della Chiesa. Il riferimento fondamentale per la missione sono i destinatari e la loro «sal-
vezza» e non già le strutture o i programmi. La si compie attraverso forme molteplici, il cui
insieme conforma la «pastorale salesiana», perché viene unificato da una intenzionalità e da
un obiettivo3. Ogni intervento con una propria formalità viene risignificato o rifinalizzato
all'interno della pastorale. Attività e servizi hanno carattere strumentale.
La riflessione del CG 20 si snoda così su tre assi: lo scopo pastorale di tutte le nostre
attività; l'aggiornamento pastorale delle comunità salesiane che devono assumere una nuova
mentalità; il ridimensionamento delle attività e dei servizi «in vista delle loro finalità pasto-
rali»4.
La conclusione più sottolineata è il «bisogno di pastoralizzare l'azione». Ciò viene riba-
dito enunciando come «principale criterio perchè un'opera rimanga aperta o chiusa» la pos-
sibilità o meno di autentica azione pastorale in essa: «è inammissibile, parlando in generale,
che continui ad esistere un'opera... pastoralmente inefficace»5.
È chiaro che finalità, strutture e interventi educativi vengono inclusi in una categoria più
ampia, all'interno della quale coesistono e interagiscono con altre modalità specifiche di
azione.
Questa visione è passata alle Costituzioni. Raccoglie le costanti della tradizione, letta in
un nuovo contesto culturale ed ecclesiale. Intenzione dei salesiani è essere segni e portatori
dell'amore di Dio ai giovani6. Il loro obiettivo è realizzare il disegno salvifico di Dio7. Questo
orientamento unitario comprende l'annuncio esplicito del Vangelo e lo sviluppo dell'ordine
temporale, entrambi intimamente uniti; la salvezza comprende l'educazione e l'evangelizza-
zione sotto un'unica ispirazione. Ciò viene applicato all'itinerario, alle strutture operative,
agli operatori: unica intenzionalità e finalità, distinzione tra le due aree, stretto rapporto, anzi
«intima intrinseca unione» tra di esse, gerarchia di valore. Il riferimento personale a Cristo
dà il senso al nostro agire anche quando non può esserne contenuto esplicito: «la promozione
a cui ci dedichiamo in spirito evangelico, realizza l'amore liberatore di Cristo e costituisce
un segno della presenza del Regno»8: è la dimensione fondamentale della missione; è il «pri-
mum» nella intenzione dell'operatore, qualunque siano la sua qualifica e il campo di lavoro.
L'emergere del «riferimento pastorale» nella riflessione, nel linguaggio e nella prassi ha
avuto riflessi molteplici e ad ogni livello. Già nel CG 19 venne fatta la proposta di creare
centri di pastorale a livello mondiale e ispettoriale9. Prese corpo la richiesta di un istituto di
pastorale nel nostro Ateneo dove già esistevano l'Istituto Superiore di Pedagogia e, al suo
interno, quello di Catechetica10. Si è pensato a un direttorio di pastorale, che nel CG 19
appare giustapposto ad uno liturgico e ad un altro educativo.
Le strutture educative vengono giudicate valide o meno secondo che raggiungano i fini
pastorali. Il giudizio si estende teoricamente alla qualità e all'impostazione dell'educazione,
3 CGS 23-30; 58-62.
4 CGS 344-348.
5 CGS 398.
6 C 2.
7 C 7.
8 C 33.
9 Cf. ACS 47 (1966) 244, 201; CGS 399.
10 Cf. ACS 47 (1966) 244, 133-143.
- 246 -

25.9 Page 249

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cioè alla sua capacità di aprire e predisporre all'annuncio, alla conversione, alla fede, al reli-
gioso, alla trascendenza. Le scelte dei confratelli e delle ispettorie si diversificano, secondo
le preferenze per un versante, quello che evidenzia immediatamente le finalità pastorali o
quello che prende la strada più lunga della mediazione educativa.
2.2 L'allargamento del campo di azione
Ma la conseguenza più vistosa dell'apertura pastorale è l'allargamento del campo di
azione e lo sviluppo di presenze in cui prima impegnavano poche forze. Il mondo degli adulti
non è più marginale nel nostro impegno e la loro cura religiosa, per richiesta delle chiese o
per motivi congiunturali, ci occupa tanto quanto l'educazione della gioventù. Le Costituzioni
precedenti al 1972, dopo cinque articoli dedicati alla cura della gioventù, indicavano in un
unico articolo le varie forme di servizio «alle altre classi di persone», insieme alla diffusione
dei buoni libri11 e dedicavano poi un articolo alla promozione dei pii sodalizi12. Questi ambiti
si sono sviluppati oggi in vasti impegni per l'evangelizzazione dei ceti popolari, per la co-
municazione sociale e per la Famiglia Salesiana.
Venne cosi ipotizzato prima un settore omogeneo e separato, denominato «Apostolato
degli adulti»13, divenendo in seguito «Pastorale degli adulti», sostenuto da un ruolo e da un
dicastero14 accanto a quello della pastorale dei giovani. Cade così l'eccezionalità della par-
rocchia15, considerato luogo normale per l'espressione della missione salesiana; ci si dichiara
disponibili per servizi vari nella Chiesa, dalle prestazioni personali ai centri di animazione
di vario genere nella linea del carisma, così come di essere pronti per situazioni di emer-
genza.
La maggiore espansione degli ultimi anni è verso gli adulti, spinta da diverse cause e
speranze: coinvolgerli nella missione giovanile, disporre di un ambito educativo più ampio,
partecipare all'evangelizzazione e al movimento pastorale della Chiesa secondo una nuova
visione, espandere il carisma salesiano.
Non va escluso però come causa parziale di questa tendenza un senso di «esaurimento
educativo», prodotto dal tipo di istituzione giovanile in cui si lavorava. In qualche parte la
Congregazione si sentì eccessivamente scolarizzata e volle riequilibrarsi. All'eccessiva sco-
larizzazione si attribuirono responsabilità circa la caduta della tensione pastorale. Alcune
ispettorie in Europa hanno visto nelle parrocchie lo scampo dalla chiusura scolastica.
È venuto a crearsi, a livello operativo, uno scollamento non previsto e non voluto tra
educazione e pastorale. Nell'ambiente scolastico le riserve di eccessivo professionalismo e
poca pastoralità, unitamente alle differenze sulla possibilità di permeare la cultura che si
trasmetteva con lo spirito evangelico, portarono a tentare di ricuperare il «pastorale» nell'ex-
trascolastico. Nell'oratorio i risultati scarsi dell'apertura ai giovani più lontani e ai loro inte-
ressi più immediati fecero affiorare il desiderio di farne un'istituzione catechistica. Ancora
oggi c'è chi sottolinea la forza di «conversione» che hanno certe proposte, luoghi o attività,
mentre pone serie riserve al quotidiano operare di chi tratta col giovane «comune» nella vita
ordinaria e secondo un programma di crescita globale a lungo termine.
11 C (1966) 8.
12 Ibid. 9.
13 ACS 47 (1966), 244, 24.
14 C e R (1972) 141.
15 CGS 402; CG21 136.
- 247 -

25.10 Page 250

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2.3 La percezione della nuova domanda educativa
Conseguenza positiva di questo travaglio fu l'intuizione che la nostra capacità pedago-
gica si doveva esprimere anche fuori delle istituzioni a cui eravamo abituati e la conseguente
ricerca come dimensione che deve caratterizzarci ovunque e che può esprimersi in molteplici
modalità. Il CG 21 la segnala come uno dei distintivi della «parrocchia salesiana»16 e il Ret-
tor Maggiore la sviluppa abbondantemente nella sua lettera sul Progetto Educativo Pasto-
rale17.
In campo giovanile infatti avvengono fenomeni di rilievo: si allunga l'età di preparazione
alla vita, appaiono nuovi bisogni, devianze e rischi a cui le soluzioni precedenti non danno
risposte adeguate; emergono nuovi luoghi e modalità di socializzazione ed educazione che
cercano di supplire le carenze delle agenzie e istituzioni classiche; gli studi sociologici rive-
lano il succedersi di cambiamenti obiettivi e soggettivi nella situazione giovanile che esige-
rebbero una rapida riformulazione delle proposte educative.
Dappertutto inoltre il concetto tradizionale di educazione è stato modificato almeno da
quattro impatti: l'educazione continua non come complemento di quella iniziale, ma come
sua ispirazione, criterio e metodo; l'insufficienza dell'attività educativa per risolvere i pro-
blemi della persona e il suo necessario collegamento con altre forme di intervento (sociale,
politico); la complessità dei processi sociali e quindi anche personali, non facilmente ridu-
cibili ad unità di criteri né di riferimenti ad agenzie produttrici di «verità» e di «senso»; il
modo soggettivo di processare le scelte di vita e appartenenza.
Di fronte a tutto ciò lo sviluppo educativo si apre in diverse direzioni. Si esaurisce l'e-
spansione scolastica e appare una creatività settoriale piuttosto destrutturata che, non con-
tando su programmi e competenze consistenti, non riesce a costituirne alternativa. Dai Ca-
pitoli generali e dalle relazioni sessennali dei Rettori Maggiori sullo stato della Congrega-
zione si raccolgono affermazioni ricorrenti che confermano il ristagno dello sviluppo scola-
stico anche in zone ad alto indice di natalità18, la resistenza di alcune frange di confratelli ad
inserirsi nelle strutture scolastiche, il sospetto sulla resa pastorale delle scuole. Ciò incide
sullo sforzo di qualificazione dell'esperienza scolastica e sull'inserimento di nuovo personale
preparato in essa. Quella che sembrava la nostra esperienza educativa più consistente fa fa-
tica a tenere il passo dell'evoluzione particolarmente nei paesi sviluppati.
Intanto la messa in opera di nuove espressioni in molti casi non avvenne e ancora non
avviene per mancanza di orientamento, di competenze e di progetti. Questa affermazione
trova conferma nelle tre relazioni successive dei Rettori Maggiori. Esse rivelano la fatica
delle parrocchie ad assumere l'identità salesiana che verrebbe dalla caratteristica giovanile e
dalla preoccupazione educativa. Allo stesso tempo denunciano la difficoltà a trovare nuovi
luoghi dove esprimere l'impegno educativo della Congregazione.
2.4 Il cambiamento delle strutture di animazione
L'emergere della pastorale come categoria unificante produsse nella Congregazione un
cambiamento di ruoli o strutture di animazione e di governo. La figura del Consigliere sco-
lastico generale risaliva, con successivi ritocchi, al 1873. Quella del Consigliere professio-
nale generale fu adombrata nel 1883 e definita nel CG 5 (1889). Entrambi avevano compe-
16 CG21 140.
17 ACS 59 (1978) 290.
18 E. VIGANÒ, La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1978-83. Relazione del Rettor
Maggiore Don E. Viganò, Roma, Editrice SDB, 1983, nn. 30, 176.
- 248 -

26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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tenze sulla formazione specifica del personale e la sua distribuzione, sullo sviluppo e l'orien-
tamento educativo del proprio settore e sull'organizzazione delle rispettive mediazioni tec-
niche. «Il consigliere professionale, diceva il CG 5, avrà cura di quanto spetta all'insegna-
mento delle arti e mestieri e dei lavori domestici delle case della Congregazione tanto ri-
guardo ai soci, quanto riguardo ai famigli e ai giovani artigiani»19.
Essi furono sostituiti da un unico consigliere per la pastorale giovanile e parrocchiale.
A lui si affida di «curare la formazione generale sotto l'aspetto religioso, morale, intellettuale
in tutte le case salesiane (oratori, convitti, esternati, pensionati, centri giovanili, compagnie,
associazioni religiose varie...) salve le competenze degli ispettori»20.
I compiti dunque si sommavano. Tutti i temi dell'azione salesiana tra i giovani venivano
ad essere così in mano ad un unico consigliere, mentre la preparazione del personale sale-
siano era affidato ad un altro consigliere. Era previsto che con tale ruolo si sarebbero assi-
curati gli obiettivi e le caratteristiche essenziali della nostra azione, ma si escludeva il perfe-
zionamento delle mediazioni specifiche (scuola, lavoro, tempo libero) data la diversità di
contesti culturali.
Il criterio che sembra aver guidato la ristrutturazione dei ruoli è quello dei destinatari
(salesiani, giovani, adulti) nei quali si dovevano unificare le diverse prestazioni, piuttosto
che i programmi.
Nel quadro della riorganizzazione degli uffici del Consiglio superiore veniva ipotizzato
un Centro Generale di Studi e di Orientamento all'interno del quale avrebbe funzionato il
Centro Salesiano di pastorale della gioventù. Tra i suoi compiti si enuncia anche «l'elaborare
un piccolo trattato dell'educazione salesiana nel nostro tempo, al quale il Consiglio superiore
potrà dare la sua approvazione»21.
A questa organizzazione centrale corrispondevano, a livello ispettoriale, ruoli non ben
precisati di delegati, la cui figura e competenza venivano lasciate a giudizio delle ispettorie22.
La relazione presentata sei anni dopo al CGS 20 chiariva che il servizio centrale di pastorale
giovanile si era costituito conglobando «tutti i centri previsti con notevole abbondanza dal
CG 19»23. Si considerava difficile valutare la sua incidenza, date le differenze tra i vari con-
testi. Si apprezzavano i contatti incominciati, la comunicazione realizzata con i delegati di
pastorale giovanile «per la sensibilizzazione delle tre aree pastorali: catechesi, liturgia, as-
sociazionismo»24.
Il problema delle strutture viene riesaminato dai successivi Capitoli generali e dalle re-
lazioni dei Rettori Maggiori. Ma non ci interessa seguire il corso delle verifiche. Va rilevata
invece l'accentuazione che la nuova impostazione delle strutture comporta nello sviluppo
della Congregazione in quanto esse sono «centrali» di orientamento e iniziativa. L'area più
esplicitamente «pastorale» appare come quella del rinnovamento, dell'innovazione e della
«speranza». Della pedagogia si riaffermano lo spirito, le modalità generali di metodo. La
riflessione si concentra sul sistema preventivo, con i conseguenti vantaggi di approfondi-
menti validi e con i rischi non immaginari di ripetitività. La cura degli aspetti più operativi
non rientra negli orientamenti generali. Viene affidata ai livelli locali e appare come una
riflessione subalterna. Il tema educativo, ridotto all'essenziale, diventa «diffuso» e passa ad
19 Cf. E. CERIA, Annali della Società Salesiana, Vol. I.
20 Cf. ACS 47 (1966), 244, 24.
21 Cf. ACS 47 (1966), 244, 201.
22 Cf. ACS 47 (1966), 244, 35.
23 Cf. SOCIETÀ SALESIANA DI SAN GIOVANNI BOSCO, Relazione generale sullo stato della Congrega-
zione 1971, Torino, Lit. E. Gili, 1971, p. 93.
24 Ibid., p. 94.
- 249 -

26.2 Page 252

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indicare la crescita del giovane o dell'adulto prodotta da qualunque tipo di intervento e da
qualunque tipo di competenze.
Il CG 19 mantiene ancora invariate e obbligatorie le strutture a livello locale: il consi-
gliere scolastico, il consigliere professionale e agricolo, il catechista come membri de jure
del consiglio locale. Successivamente il CGS 20, data la diversificazione delle presenze già
in atto, trasferì alle ispettorie la responsabilità di creare, conforme alla natura e finalità delle
sue opere, i ruoli che giudicassero opportuni. Alcune ispettorie mantennero i ruoli con i nomi
tradizionali; altre cambiarono il nome e la configurazione del ruolo; altre abbandonarono i
ruoli perdendo per istrada una parte dei loro contenuti e significati.
L'obbligo di elaborare il direttorio ispettoriale in conformità alle Costituzioni rinnovate,
ha messo le ispettorie nella necessità di ritornare su questa esigenza.
Le strutture hanno condizionato lo sviluppo della mentalità educativa: il periodo di re-
difinizione che ogni processo di cambiamento comporta, ha rappresentato un vuoto di spinta
e qualificazione.
L'educazione è venuta a trovarsi come un aspetto non sempre rilevante in un insieme di
iniziative certamente valide e interessanti di assistenza, evangelizzazione, istruzione e socia-
lizzazione. Nel tempo del lento riassestamento delle responsabilità, coscienza e soprattutto
competenze hanno sofferto una caduta di tensione.
2.5 La riformulazione dei contenuti
Accanto al problema delle strutture c'è quello della riformulazione dei contenuti educa-
tivi. Anche l'insieme dei valori ed esperienze dell'educazione salesiana fu, come era da aspet-
tarsi di fronte a nuove sfide, sottomesso a verifica. I salesiani si erano fatti guidare da una
prassi, trasmessa vitalmente piuttosto che codificata e da un capitolo dei Regolamenti che
portava come titolo «Dell'educazione civile, morale e religiosa degli alunni» di relativa fa-
cile applicazione in strutture totali e con finalità precise.
Il CG 19 solleva già la questione dei nuovi contenuti dell'educazione come risposta ai
fermenti culturali e al loro riflesso sul mondo giovanile. Sotto il titolo «Formazione dei gio-
vani»25 cercò di riesprimere i fini della nostra educazione, di scoprire le condizioni e le esi-
genze della gioventù di allora, di enunciare alcuni tratti dell'educatore salesiano e laico.
Dopo aver esposto alcune modalità dell'educazione religiosa (messa quotidiana, giorni fe-
stivi, preghiera quotidiana, esercizi spirituali...) in quelle strutture a cui accennavamo, af-
fronta alcuni problemi che i salesiani sentono come rilevanti nell'educazione dei giovani:
l'affettività, l'amore e la purezza, il tempo libero, l'impegno. Mantenne, con alcune corre-
zioni, l'insieme di norme che riguardavano usanze e modalità educative delle case salesiane.
Un «codice» dunque per tutti con soltanto l'obbligo di applicazione e adeguamento.
La lettura del CGS 20 offre un altro panorama. C'è ricchezza di accenni sul contesto in
cui si sviluppa l'educazione salesiana; un mondo secolarizzato, pluralista, in situazione di
ingiustizia, in cui emerge una gioventù alla ricerca di senso. I salesiani mettono in atto una
doppia linea di servizio: i servizi di evangelizzazione con i suoi contenuti e vie tipiche e
l'azione educativa con particolare attenzione alla promozione della giustizia.
La catechesi viene in seguito esplicitata abbondantemente in un documento apposito.
L'educazione invece viene assunta nella trattazione sulla pastorale dei giovani. Questa piut-
tosto che contenuti educativi articolati fa emergere i principi ispiratori, le caratteristiche del
nostro servizio (situazionale, totale, comunitario, ecclesiale), gli atteggiamenti del pastore-
25 Cf. ACS 47 (1966), 244, 182-201.
- 250 -

26.3 Page 253

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educatore (ricerca, incontro, presenza, dialogo) e le principali strutture di attuazione di cui
si sottolineano alcune modalità caratterizzanti e alcune esigenze26.
Ci sono spunti educativi e molti motivi ispiratori sparsi qua e là. Ma ci vogliono ancora
molti complementi, molte mediazioni, molte riorganizzazioni per farne qualcosa di applica-
bile da parte di operatori e assimilabile da parte di destinatari.
2.6 Il decentramento
In questa situazione, segnata dall'apertura massima dell'iniziativa, della riformulazione
dei contenuti, si applicò alla Congregazione un nuovo sistema di orientamento e guida: il
decentramento. Qui ci interessa il suo influsso sull'attività educativa.
Il decentramento era necessario. Non era immaginabile assumere in contesti così diversi,
come sono quelli in cui operano i salesiani, un medesimo programma o un medesimo quadro
di riferimento di immediata praticità. Gli orientamenti generali dovevano essere ripresi dalle
ispettorie conforme alla propria situazione, in dialogo con la cultura, con le correnti e i si-
stemi educativi che prevalevano nel proprio ambiente, partendo da quel «nucleo» ispirante
comune che chiamiamo «Sistema preventivo».
Il decentramento comportava in questo caso la riformulazione organica delle mete e dei
contenuti, l'elaborazione di processi di apprendimento, la reimpostazione e la scelta di strut-
ture educative, la preparazione del personale. Ma erano tutte le ispettorie capaci di leggere
la situazione e di seguire il passo dell'innovazione, mantenendo la qualità? E avevano orga-
nismi capaci di accogliere uno stimolo generale e tradurlo in programmi praticabili?
Per la maggior parte le ispettorie continuarono a destreggiarsi bene con le strutture o
con la distribuzione del personale. Trovarono invece più difficoltà nell'elaborare orienta-
menti e coinvolgere in essi confratelli e comunità.
Intanto presero rilevanza correnti pedagogiche che richiedono da noi considerazione se-
ria e indirizzi concreti. In America Latina si fece strada la pedagogia della liberazione, se-
condo alcuni più parlata che applicata. Adombrata in molti documenti della Chiesa latinoa-
mericana e del rispettivo dipartimento di educazione, provoca reazioni diverse. Dove è ac-
colta in linea di principio manca la strumentazione capace di convertirla in una prassi orga-
nica.
Ma l'accettazione, la critica e l'applicazione sono ancora incerte e il linguaggio generico.
In Asia, il risveglio della dignità delle vecchie culture, il contatto sempre più critico con
l'occidente, il senso di rispetto per ogni religione e il desiderio di non perdere il passo con il
progresso tecnico hanno provocato in alcune nazioni la revisione completa del sistema edu-
cativo, mentre le fasce meno favorite che non hanno accesso all'educazione formale sugge-
riscono la creazione di «sistemi» alternativi e complementari. E ciò richiede dai salesiani
capacità di lettura e competenze proporzionate.
Il discorso potrebbe estendersi all'Africa nella ricerca della propria identità; lo scolla-
mento tra valori ancestrali e sistema educativo, il superamento dell'istruzione puramente for-
male, lo squilibrio tra struttura sociale e preparazione giovanile non possono essere ignorati.
L'evoluzione europea è già conosciuta ed è quella che più ricorre nella nostra letteratura
e la più approfondita da studi sociali e pedagogici. E quella che fa da sottofondo alla descri-
zione della situazione del CG 1927 e in parte a quella del CGS 2028. Nuovi livelli della do-
26 CGS 350-392.
27 Cf. ACS 47 (1966) 244, 183-185.
28 Cf. CGS20 nn. 39-44.
- 251 -

26.4 Page 254

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manda di educazione e di istruzione e modo nuovo di porsi i problemi educativi in una so-
cietà tendenzialmente urbana, con bisogni post-materiali, dominata dallo spirito scientifico
e tecnologico, che dà più importanza al divenire che al permanere, all'esistere più che all'es-
sere, all'uomo progetto più che all'uomo soggetto.
Individuare la domanda educativa ed elaborare una risposta capace di funzionare nel
quotidiano e a lungo termine è affidato in gran parte allo sforzo delle ispettorie. Le compe-
tenze delle persone diventano più decisive delle norme e dei programmi.
2.7 La preparazione del personale
Da ultimo è da considerare il modo come è avvenuta la formazione del personale. Non
mi riferisco all'attuale ordinamento codificato nella Ratio e a tutto quello che dalla sua ap-
plicazione ne deriverà. Accenno agli effetti di una situazione precedente. Ad una formazione
che prevedeva anche una preparazione professionale corrispondente al tipo di programma e
strutture in cui si operava è subentrata un'altra, che in pochi casi è riuscita a congiungere in
forma soddisfacente gli studi ecclesiastici con quelli pedagogici.
L'estensione delle due aree ha comportato difficoltà nel soddisfare entrambe con buon
livello. Ciò venne aggravato dal fatto che in molte parti si frequentarono centri di studi ge-
nerici. Il complemento domestico degli aspetti pedagogici sensibilizza alla dimensione edu-
cativa e sviluppa attitudini, ma non provvede due elementi che si stanno dimostrando indi-
spensabili per operare nel campo educativo: competenza professionale e titoli.
Ciò si ripercuote nel tirocinio dove l'esperienza continua ad essere aperta al contatto,
all'assistenza, alla catechesi e animazione pastorale; ma non consente il coinvolgimento in
prestazioni professionali importanti. Il deficit continua nel periodo di qualificazione supe-
riore. Non è possibile presentare statistiche comparative che facciano vedere la rilevanza
assoluta e relativa delle attuali qualifiche pedagogiche. Non si sa nemmeno in quale propor-
zione vorrebbero averle le singole ispettorie e quale importanza le attribuiscono nel loro
sviluppo. Un tempo fu l'area dell'innovazione e la punta del rinnovamento. Fu il momento
della creazione dell'Istituto Superiore di Pedagogia, nella facoltà di filosofia secondo il mo-
dello che la concezione dell'università ecclesiastica consentiva.
La relazione del 1984 sullo stato della Congregazione deplora il deperimento della com-
petenza educativa29. Alcuni indicatori ci danno la misura della situazione: sono contati gli
studentati salesiani dove il professore di pedagogia sia ancora un salesiano. La nostra parte-
cipazione al dibattito educativo in corso in molti contesti culturali appare piuttosto ridotta30.
I salesiani hanno parecchie riviste di pastorale e di catechesi. Di educazione, per una parte-
cipazione ad un dibattito più aperto e universale, ne posseggono soltanto una, a cui si può
aggiungere qualche pubblicazione trimestrale incipiente. Appaiono più attrezzati per la di-
scussione sugli spazi politici da salvaguardare che sui contenuti e gli indirizzi che la cultura
emergente va proponendo all'educazione.
E ancora un fatto: avendo il dicastero richiesto che in tutte le équipe ispettoriali di pa-
storale ci fosse un «esperto» in educazione, alcune ispettorie hanno risposto che non ne ave-
vano a disposizione. Ciò fa pensare, senza che possa essere provato, che l'interesse per la
mediazione educativa stia diminuendo o si consideri più propria dei laici.
29 Cf. E. VIGANÒ, La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1978-83, n. 176.
30 Ibid., n. 176.
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26.5 Page 255

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3. Tentativi di fronte alla «complessità»
Non sono mancati tentativi di risposta che ancora potrebbero dare frutti se venissero
riassunti e approfonditi. Mi limito ad enunciarne tre.
3.1 Evangelizzazione - Educazione
Il primo è una riflessione attenta sulla consistenza o meno del nostro compito educativo,
sul livello di professionalità che comporta, sul nuovo significato che potrebbe acquistare in
un ambiente secolarizzato o non cristiano. La denominazione di educatori implica soltanto
capacità personale e una modalità di azione pastorale? E una dimensione della catechesi o
anche un'area culturale specifica in cui impegnarsi comunitariamente? La questione è stata
chiarita in molti testi ufficiali, particolarmente approfondendo il rapporto che intercorre nella
nostra prassi tra evangelizzazione ed educazione31; si riflette in studi di specialisti e appare
nelle iniziative di animazione.
Ciascun processo, educazione ed evangelizzazione, ha una sua consistenza e una sua
dinamica. All'art. 32 delle Costituzioni si dice che «come educatori» promoviamo la maturità
della persona attraverso un itinerario che comprende liberazione, preparazione professio-
nale, maturazione culturale, apertura alla libertà e alla verità. La formulazione è deconfes-
sionalizzata e colloca il salesiano nel campo culturale della crescita dell'uomo.
L'art. 34 invece ci presenta come educatori alla fede, «sempre e in ogni circostanza». Ci
proponiamo di rivelare il mistero di Cristo, condurre alla sua persona, far scoprire nel Van-
gelo il senso supremo, aiutare a crescere come uomini nuovi. Le due dimensioni sono inti-
mamente unite.
Ciascun processo è in ogni tappa aperto all'altro per le sue valenze intrinseche: l'educa-
zione si ispira all'umanesimo religioso e trova nel riferimento a Cristo la sua chiave antro-
pologica. L'evangelizzazione risveglia energie educative e si traduce in promozione della
persona a partire dalla considerazione della sua dignità rivelatasi in Cristo. Sono comunicanti
anche per le risonanze soggettive nel giovane: l'educazione suscita la ricerca di senso e il
desiderio di Dio. L'evangelizzazione rapporta alla razionalità e organizza i valori in una per-
sonalità originale: quella del credente. Lo sono inoltre per la concezione globale che guida
l'operatore, frutto di un'esperienza spirituale: egli è convinto che nell'umano autentico c'è
Dio e che dalla grazia scaturisce ricchezza di umanità.
L'educazione viene ripresa a partire dall'annuncio di Cristo con una nuova profondità.
«In Cristo si trova il senso supremo all'esistenza e si cresce come uomini»32. «L'Eucaristia e
la Penitenza... offrono risorse straordinarie per l'educazione allo spirito di condivisione e di
servizio»33.
L'educazione, processo originale che viene risignificato quando ha luogo all'interno del
senso della fede, è prevalente, ma nemmeno esclusiva, nell'aspetto metodologico: un
«modo» di promuovere la crescita umana e di fare il cammino di fede. Siamo educatori alla
fede e della fede34. La modalità educativa si percepisce nella considerazione del «soggetto»
come agente principale: anche l'evangelizzazione «fa appello alle risorse dell'intelligenza,
del cuore, del desiderio di Dio che ogni giovane porta nel profondo di sé» e «incontra i
31 Cf. CGS20 58-77; CG21 81-105; ACS 59 (1978) 290, 24-36; E. VIGANÒ, La Società di S. France-
sco di Sales nel sessennio 1978-83, nn. 299, 313-319, 331.
32 C 34.
33 C 36.
34 C 6.
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giovani nel punto dove si trova la loro libertà»; «cerca che siano progressivamente respon-
sabili nel delicato processo di crescita della loro umanità nella fede»35.
La modalità educativa la si vede inoltre nell'intervento dell'evangelizzatore: esso è co-
municazione di esperienza, accompagnamento, proposta, stimolo, condivisione, animazione.
«Associa in un'unica esperienza di vita educatori e giovani»36.
Forse è questa permeazione cristiana dei contenuti educativi e questa applicazione ge-
nerale del metodo pedagogico quello che ispira un altro testo: «La preoccupazione pastorale
di Don Bosco si caratterizza, e con coerente serietà, per una scelta dell'educazione come area
e modalità della propria attività pastorale»37.
Quanto abbiamo detto ha conseguenze sulle strutture operative: l'educazione; formal-
mente presa, è una delle «vie» dell'azione salesiana. L'evangelizzazione diretta e la «cura»
pastorale è un'altra. La «comunicazione sociale» caratterizzata dal messaggio rivolto al
grande gruppo senza «controllo» della risposta personale è una terza38.
La Congregazione assume dunque programmi, istituzioni e servizi specializzati di tipo
pedagogico e anche programmi e istituzioni la cui finalità è l'annuncio esplicito e la cura
«religiosa» diretta. «Realizziamo la nostra missione attraverso attività e opere in cui ci è
possibile promuovere l'educazione umana e cristiana dei giovani come l'oratorio e il centro
giovanile, la scuola e i centri professionali, i convitti e le case per giovani in difficoltà. Nelle
parrocchie... contribuiamo alla diffusione del Vangelo e alla formazione del popolo... Of-
friamo il nostro servizio pedagogico attraverso centri specializzati»39.
La scelta dell'evangelizzazione educativa ha riflessi anche sulla comunità-soggetto della
missione. Essa comprende dimensioni e professionalità diverse che corrispondono al com-
pito di evangelizzazione educazione: religiosi, secolari40, sacerdoti, laici41; cura l'inseri-
mento secolare ed ecclesiale e coltiva gli atteggiamenti corrispondenti; è aperta ai valori del
mondo e attenta al contesto culturale dove si svolge la sua azione apostolica»42; «è pronta a
cooperare con gli organismi civili di educazione e di promozione sociale»43.
Influisce sulla formazione del personale. Il profilo che si vuole ottenere nelle persone è
quello di «Educatori-Pastori».
Il programma di studio allora comprende due aree importanti: quella della preparazione
teologico-catechistica e quella della preparazione pedagogica44.
La preparazione sul versante educativo ha due aspetti: quello scientifico-intellettuale in
cui si chiede che «siano coltivati con particolare impegno gli studi e le discipline che trattano
della educazione, della pastorale della gioventù, della catechesi...»45 e che «gli studi siano
strutturati in modo da rendere possibile il conseguimento di titoli con valore legale»46; quello
pratico-sperimentale per cui «il graduale inserimento nel lavoro educativo-pastorale» viene
35 C 38.
36 C 38.
37 ACS 59 (1978), 42.
38 C 42-43.
39 C 42.
40 C 47.
41 C 45.
42 C 57.
43 C 48.
44 C 114; 116.
45 R 82.
46 R 83.
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indicato come uno dei quattro aspetti fondamentali della formazione47. Il tirocinio viene cen-
trato su di esso «come un confronto intenso con l'azione salesiana in una esperienza educa-
tiva pastorale»48.
Anche dopo il tirocinio, gli studi propri del sacerdote vorrebbero fare del salesiano un
«pastore-educatore»49. Per cui le esperienze pastorali di ciascuna delle tappe devono mirare
a «sviluppare lo spirito apostolico e le capacità educative pastorali»50.
Lo stesso aggiornamento e formazione permanente del salesiano richiedono da lui «che
sia capace di rispondere alle esigenze sempre nuove della condizione giovanile e popolare»;
«che aggiorni la competenza professionale»51; che dunque si approfitti oltre che dei tempi
straordinari, anche delle adunanze ordinarie per approfondire «l'identità salesiana nelle sue
dimensioni educative pastorali»52.
L'impostazione teoretica sembra abbastanza chiara. Il giudizio nella valutazione dei ri-
sultati e nell'impiego di risorse e competenze denota invece i limiti di comprensione di
quanto si afferma a livello di principi. Si ricade facilmente nella concezione strumentale,
generica, approssimativa dell'area educativa, o viceversa in una concezione «laicistica» della
sua autonomia53.
3.2 La progettazione educativo-pastorale
La traduzione pratica della riflessione cui abbiamo accennato è la progettazione educa-
tivo-pastorale. Attorno ad essa, a partire dal 1978, fiorisce una letteratura domestica di mo-
tivazione, sussidiazione e modelli pratici54. Investe in un primo tempo i responsabili dell'a-
nimazione a raggio ispettoriale mentre le comunità locali stentano ad assumerla.
Diventa norma con la promulgazione delle Costituzioni e dei Regolamenti Generali.
Questi, all'art. 4, stabiliscono che «Ogni comunità ispettoriale, ispirandosi al sistema pre-
ventivo, elabori il proprio progetto educativo pastorale per rispondere alla situazione della
gioventù e degli ambienti popolari. In conformità con esso, anche a livello locale e coinvol-
gendo tutti i membri della comunità educativa pastorale, si elabori un progetto che orienti
ogni iniziativa verso l'evangelizzazione».
Il medesimo articolo indica quindi responsabilità e orienta sulle aree da progettare. Il
progetto vorrebbe ricondurre ad unità coerente i diversi aspetti o dimensioni della nostra
azione, particolarmente in vista del soggetto e della finalità dell'evangelizzazione- educa-
zione. Ma si propone anche il rinnovamento, all'interno di una sostanziale continuità di stile,
degli interventi di fronte alle nuove sfide che vengono dai giovani, dalla società e dai nuovi
modelli educativi. Per questo richiede la ricomprensione del sistema preventivo nelle sue
ispirazioni fondamentali, una rilettura sufficientemente seria della condizione giovanile, una
formulazione di obiettivi e di esperienze e linee di azione. Le dimensioni del progetto, cre-
scita umana ed educazione alla fede, sono coestensive e si modificano dialetticamente. Il
criterio educativo dunque dovrebbe impregnare tutto il progetto secondo quanto viene
espresso nella sua stessa denominazione. Ma forse in questo non ci distinguiamo gran che
47 C 110; R 95.
48 C 115.
49 C 16.
50 R 86.
51 C 118.
52 R 101.
53 Cf. E. VIGANÒ, La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1978-83, n. 315.
54 Cf. J. VECCHI - J.M. PRELLEZO (edd.) Progetto educativo pastorale. Elementi modulari, Roma,
LAS, 1984.
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dagli altri. È infatti accettato da tutti che nella catechesi ha luogo una crescita umana nella
misura in cui la fede approfondita aiuta a leggere le situazioni e a darvi una risposta matura.
Il progetto salesiano invece prevede anche un'area educativa formale che è espressione
della nostra specificità pastorale. Non possiamo infatti dimenticare che la nostra azione si
rivolge ai giovani «che non sanno a quale parrocchia appartengono» e che non poche istitu-
zioni educative si aprono a giovani non cristiani.
Al progetto inoltre si collegano parecchi temi che richiedono competenze pedagogiche:
la comunità educativa, l'animazione, la partecipazione.
Quali siano le novità prodotte dall'introduzione della progettazione è possibile desu-
merlo dalla Relazione del Rettor Maggiore dell'armo 1984 e dalle verifiche fatte nelle visite
di insieme55. Oltre ad una maggiore chiarezza sulla convergenza tra evangelizzazione ed
educazione si rileva un'attenzione particolare all'impostazione globale degli ambienti (ora-
tori, scuole, parrocchie...) che assumono con piena consapevolezza le richieste dei destinatari
e le istanze di innovazione contenutistica e metodologica. Questo processo non è scevro di
difficoltà e si trova ancora agli inizi.
Quello che capita nell'ambiente scolastico può darne un'idea. Il ripensamento non versa
su pochi aspetti pratici per ricuperare un momento o un dettaglio metodologico, ma sulla sua
reimpostazione culturale, educativa, didattica e religiosa. Richiede l'intervento convergente
di competenze e la capacità di sperimentare e consolidare.
Ma il fenomeno non si presenta diversamente nell'oratorio-centro giovanile. I nuovi bi-
sogni giovanili, la problematica del territorio, la qualità della vita sociale e i limiti dell'azione
pubblica rilanciano la sfida di una impostazione oratoriana che sia proposta significativa e
adeguata alla domanda educativa.
3.3 Alcune risposte alle nuove domande
La riflessione prolungata e sovente travagliata sui destinatari della missione salesiana
sollevò un'attenzione particolare verso le diverse forme di povertà ed avviò ad una lettura
sociale ed educativa di esse secondo codici aggiornati. La preoccupazione per i giovani po-
veri era da sempre presente tra i salesiani. Col contributo di competenze nuove si è arricchita
l'analisi del fenomeno e si sono diversificate le risposte.
In questo senso il decennio 1977-87 rappresenta una svolta. Nell'emisfero sud si eviden-
zia l'emarginazione all'interno delle società e si percepiscono le sue dimensioni a livello
mondiale. Nel mondo benestante appaiono alcuni riusciti che oggi ci preoccupano, conse-
guenze dell'evoluzione socio-economica e della frustrazione causata da nuovi bisogni non
soddisfatti: tossicodipendenza, delinquenza, immigrazione, disoccupazione, emarginazione
delle frange che non tengono il passo con le trasformazioni tecnologiche e con le esigenze
culturali. Tre Capitoli generali ne prendono atto e aprono la possibilità di diversi approcci
da parte dei salesiani alla gioventù emarginata. Insieme alle forme istituzionali che forma-
vano la nostra tradizione si prospetta un incontro più flessibile, particolarmente coi giovani
che dalle istituzioni non vengono raggiunti e alle istituzioni non si avvicinano56.
Le due prospettive analisi delle diverse forme di povertà e possibilità di approcci pe-
dagogici diversificati vengono assunti dalle Costituzioni e Regolamenti. «Ogni ispettoria,
si dice all'art. 1 dei Regolamenti, verifichi periodicamente se le sue opere e attività sono al
servizio dei giovani anzitutto che a causa della povertà economica, sociale e culturale, a volte
55 Cf. E. VIGANÒ, La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1978-83, n. 170.
56 CGS 44, 393; CG21 158.
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estrema, non hanno possibilità di riuscita: dei giovani poveri sul piano affettivo, morale e
spirituale...; dei giovani che vivono al margine della società e della chiesa».
«L'educazione e l'evangelizzazione di molti giovani, soprattutto fra i più poveri, ci muo-
vono a raggiungerli nel loro ambiente e a incontrarli nel loro stile di vita con adeguate forme
di servizio»57.
Questi orientamenti devono diventare prassi comunitaria. Su questa linea si cammina
verificando, sostenendo ed estendendo le iniziative ancora germinali che le singole ispettorie
hanno espresso mediante seminari, pubblicazioni, una apposita commissione.
Gli effetti si percepiscono. Si diffonde una nuova sensibilità nella lettura dell'emargina-
zione giovanile, sia per quanto riguarda la sua estensione, sia riguardo al suo significato e
alle sue radici e vanno cadendo le riserve sulla nostra capacità professionale per trattare al-
cuni fenomeni di emarginazione.
A questo corrisponde una notevole creatività pedagogica che comprende strutture «leg-
gere», altre più complesse, altre sul modello oratoriano; non mancano le forme tradizionali
flessibilizzate e aggiornate conforme ai nuovi criteri educativi.
Ne consegue una tipologia articolata di presenze che risponde specificamente a deter-
minati bisogni senza che riesca ad affrontarli tutti. In ogni caso emerge il carattere educativo,
per cui viene sottolineato il ruolo del salesiano educatore-pastore, anche se deve integrare il
suo intervento con altre competenze. Si ha fiducia nella educabilità e rieducabilità di ogni
giovane insieme alla praticabilità generale del criterio preventivo.
C'è pure una consapevolezza più grande della caratterizzazione salesiana del lavoro tra
i giovani emarginati, da cui proviene un bisogno di conoscere più a fondo, e su basi non
soltanto empiriche, la situazione di devianza, di verificare le iniziative e di praticare una
pedagogia che superi l'empirismo. E ciò sia per qualificare quanto si fa, sia per avviare con-
venientemente nuove iniziative58.
Nella crisi delle agenzie tradizionali di educazione emersero nuovi «luoghi» di educa-
zione e socializzazione tra i quali sono da annoverarsi i gruppi, associazioni e movimenti
con vari livelli di organizzazione: spontanei, proposti, di consistenza «civile», di apparte-
nenza ecclesiale.
Le radici del fenomeno sono state approfondite in chiave sociologica e la vita dei gruppi,
salda o effimera che sia, è stata sottomessa al vaglio pedagogico.
La Congregazione possedeva un'esperienza in materia, che andava ripensata di fronte ai
nuovi fenomeni di aggregazione giovanile. Si è riflettuto e scritto in abbondanza sugli aspetti
più generali e su manifestazioni particolari di questa esperienza. Ne sono prova le varie ri-
viste, gli statuti, le proposte formative e culturali delle diverse associazioni, i documenti
ufficiali, il materiale destinato alla formazione degli associati e degli animatori.
La proposta associativa ha ripreso temi tradizionali come il giuoco sport, l'espressione
artistica, l'impegno sociale e apostolico, cercando chiarimenti sugli itinerari da praticarsi in
queste realtà e nell'esperienza globale del gruppo in quanto tale. Oggi si può tentare un bi-
lancio di traguardi raggiunti e di bisogni che attendono prestazioni di competenti.
Le caratteristiche fondamentali della nostra proposta associativa vanno ritrovate nell'ac-
coglienza massima, nel taglio educativo, nel valore attribuito all'esperienza di gruppo come
contenuto e valore e non soltanto come metodo per far passare altri messaggi.
57 C 41.
58 Cf. DICASTERO DELLA PASTORALE GIOVANILE - FACOLTÀ DI SCIENZE DELL'EDUCAZIONE DELL'U-
NIVERSITÀ SALESIANA-ROMA, Emarginazione giovanile e pedagogia salesiana, Torino, LDC, 1987,
pp. 11-15; 149-155; 297-304.
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26.10 Page 260

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Un grappolo di riferimenti fondamentali guida l'elaborazione dei percorsi di crescita: la
vita quotidiana, Gesù Cristo, la solidarietà e l'esperienza di Chiesa, l'impegno, la vocazione
personale.
Alcuni principi di metodo appaiono chiaramente collegati alla prassi salesiana e si di-
mostrano efficaci: l'assistenza, cioè condividere l'esperienza; la dialettica tra riflessione e
azione; il cammino che raccoglie le domande e procede verso proposte.
Un «modello» di itinerario pedagogico cerca di fondere in un unico percorso le tappe
del gruppo e quelle della maturazione culturale e dell'esperienza cristiana dei singoli.
La personalità e i compiti dell'animatore si stagliano con una certa chiarezza: aiutare i
giovani a diventare gruppo; mediare tra il gruppo e l'ambiente educativo, culturale ed eccle-
siale; aiutare il gruppo a progettare un nuovo stile di vita; accompagnare i singoli all'interno
dell'esperienza sociale.
Le linee di azione adeguate a diffondere l'esperienza sono state precisate: creare e con-
solidare una sensibilità tra i salesiani; elaborare proposte formative a livello ispettoriale e
regionale; ripensare l'arco integrale dell'esperienza associativa; prestare attenzione alle
nuove forme di aggregazione giovanile.
Le urgenze che richiedono interventi dei competenti sono la lettura della domanda edu-
cativa; la qualificazione della proposta educativo-culturale; la sua applicazione in forma si-
stematica; la formazione dei dirigenti e degli animatori; lo sbocco dell'esperienza associativa
in una presenza sociale ed ecclesiale59.
Sin dai suoi inizi la Congregazione considera l'orientamento vocazionale un aspetto ca-
ratterizzante della sua prassi educativa. Le Costituzioni ne riconfermano l'attualità con quat-
tro riferimenti: accompagnare le vocazioni rientra nei fini della Congregazione60; per cui i
giovani con segni di vocazione costituiscono uno dei «campi» preferenziali del nostro im-
pegno61; parte indispensabile della nostra competenza pedagogica e dimensione di ogni pro-
getto è educare «i giovani a sviluppare la loro vocazione umana e battesimale con una vita
quotidiana ispirata e unificata dal Vangelo»62; perciò la Congregazione conta tra le sue strut-
ture anche quelle destinate all'orientamento vocazionale e all'accoglienza di giovani con de-
siderio di intraprendere la vita religiosa o sacerdotale63. Di queste la Congregazione ne cura
ben 147, un numero che giustifica un servizio accurato e continuo.
Il CG 21, in un documento sintetico, propose un quadro di riferimento adeguato alla
nuova situazione, alcune scelte pastorali fondamentali, alcuni criteri per impostare l'azione
e alcuni «luoghi» o ambienti per la cura delle vocazioni64.
Il dicastero di pastorale elaborò alcune linee pedagogiche per gli aspirantati e comunità
di accoglienza vocazionale e successivamente (1981) offrì un sussidio per l'animazione vo-
cazionale dell'ispettoria65. Non mancano né la riflessione, né la ricerca, né le iniziative par-
ticolarmente da parte degli elementi più sensibili e vivaci. A loro sostegno sono sorti i «Cen-
tri di orientamento» da cui si aspetta un contributo pedagogico qualificato.
59 Cf. DICASTERO DELLA PASTORALE GIOVANILE, L'esperienza associativa salesiana, Roma, 1984;
IDEM, L'animatore salesiano nel gruppo giovanile, Roma, 1987.
60 C 6.
61 C 28.
62 C 37.
63 R 16-17.
64 CG21 106-119.
65 Cf. DICASTERO DELLA PASTORALE GIOVANILE, Guida educativa delle vocazioni, Roma, 1975;
IDEM, Elementi e linee per un piano ispettoriale di pastorale vocazionale, Roma, 1981.
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27.1 Page 261

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Lo stretto legame esistente tra educazione e orientamento, tra pastorale giovanile e pro-
posta vocazionale rende problematico il discorso su quest'ultima dove la prima non è corret-
tamente impostata.
Alcune acquisizioni si fanno strada lentamente, sebbene la loro applicazione richieda
un'assistenza pedagogica continua:
la scelta dell'orientamento continuo e progressivo sottolinea la responsabilità del
soggetto e il ruolo di aiuto dell'educatore nello sviluppo delle attitudini e nel discernimento
dei segni;
la necessità di inserire l'orientamento nel processo di maturazione umana e cristiana
anche se lo si rafforza con iniziative specifiche;
una visione allo stesso tempo larga e diversificata del servizio vocazionale per cui
vengono presentate e accompagnate le diverse vocazioni: laicali, sacerdotali, religiose, alla
secolarità consacrata;
una considerazione più accurata delle motivazioni vocazionali e del loro sviluppo
nell'insieme della personalità del candidato e una conoscenza più precisa delle inconsistenze
che compromettono lo sviluppo vocazionale;
una ricerca sofferta sull'impostazione delle strutture di accoglienza vocazionale bi-
sognose sempre di verifica e ridimensionamenti;
una consapevolezza degli elementi nuovi che incidono oggi sulla decisione vocazio-
nale del giovane: l'allungamento dell'età giovanile e il rimando delle decisioni, il bisogno di
offrire esperienze capaci di far emergere la significatività della fede, la difficoltà di impegni
a lungo termine in un ambiente di progettualità limitata e altri.
La dimensione e la posta in giuoco dell'impegno vocazionale sono tali che varrebbe la
spesa offrire un'animazione continua, visti anche i cambiamenti che hanno luogo senza sosta
in questo campo e l'esperienza portata avanti con successo da altri.
4. A mo' di conclusione: per far fronte alla «complessità»
A conclusione di questa carrellata di prospettive e valutazioni «a prova di confronto»
emergono alcuni problemi sui quali il futuro ci chiede di riflettere.
Il primo è la caratterizzazione educativa del nostro carisma e la sua portata pratica. Si
afferma che questo è il distintivo della nostra collocazione pastorale tra i giovani. L'asserto
va preso secondo l'ampiezza con cui si concepisce oggi l'educazione come preoccupazione
per la crescita dell'uomo. Ma bisognerà domandarsi se per noi comporta soltanto una sensi-
bilità o anche ima collocazione consistente in un'area specifica dell'attività umana con il
corrispondente sviluppo di un'autentica professionalità anche in senso secolare che consenta
di partecipare autorevolmente al dibattito sui problemi dell'uomo: ima Congregazione votata
all'educazione e competente in educazione, che ha fiducia nell'educazione e scommette su
di essa, convinta del suo carattere «salvifico».
Oggi i religiosi vanno «cedendo» alcuni spazi tradizionali di educazione sistematica e
si propongono di convogliare persone e mezzi verso obiettivi educativi.
La proposta dell'animazione e di un'ampia collaborazione laicale sarebbe però svisata
se invece di rafforzare la nostra capacità pedagogica fosse pensata come un abbandono
dell'impegno educativo diretto.
Questa preoccupazione appare tra le valutazioni finali della Relazione del Rettor Mag-
giore al CG 22: «I valori originali della pastorale sono oggi argomento di molte riflessioni
nella Chiesa. Ma anche questo aspetto tanto positivo potrebbe per sé solo lasciarci ancora in
balia di un certo genericismo apostolico. La pastorale salesiana deve essere intimamente
- 259 -

27.2 Page 262

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permeata da una costante e acuta saggezza pedagogica. Il CG 21 ci ha ricordato che il sale-
siano evangelizza educando. Don Bosco appare in faccia al mondo e alla Chiesa come un
santo educatore... Un calo nella dimensione educativa intaccherebbe l'identità del nostro stile
pastorale»66.
Questo carattere distintivo della nostra pastorale viene salvaguardato soprattutto dall'im-
postazione delle iniziative. Donde il bisogno di un'assistenza pedagogica alle antiche e alle
nuove espressioni del nostro impegno apostolico.
C'è una ispirazione di fondo con indicazioni metodologiche e valoriali da non trascurare:
il sistema preventivo. Ma ci sono mediazioni specifiche che richiedono attenzioni e aggior-
namenti. Ciò viene percepito negli ambienti più comprensivi, (scuola, centri giovanili) e
nelle iniziative più particolari (emarginazione, gruppi).
C'è bisogno di spinte generali che mantengano l'entusiasmo e mobilitino le energie crea-
tive, ma anche di accompagnamento «ordinario» per una qualificazione continua degli in-
terventi. Altrimenti l'esperienza acquisita invecchia e le nuove iniziative non superano lo
stato germinale.
A questa assistenza ordinaria spetterebbe anche la paziente codificazione di un patrimo-
nio comunitario trasmissibile: una collaborazione dunque tra animatori, operatori ed esperti,
capace di far convergere riflessione, politica e prassi. Si potrebbe così prevenire un rischio
denunciato anche nella relazione del 1984: «In un momento di espansione e accelerazione
dei cambiamenti educativi come è quello presente, si vede carente la capacità di assumere il
rinnovamento contenutistico determinato dall'evoluzione della cultura e dalla riforma delle
strutture e di saper fare con competenza scelte opportune»67.
Viene allora un terzo punto: la competenza di base e le specializzazioni che i salesiani
scelgono o a cui vengono indirizzati. L'estensione e la diversificazione dell'impegno della
Congregazione richiedono qualifiche svariate. Lo rilevano le relazioni sessennali e lo stabi-
lisce l'art. 10 dei Regolamenti: «Per mantenere e sviluppare in modo organico le sue diverse
presenze... ogni ispettoria programmi la preparazione del personale tenendo in conto le atti-
tudini dei confratelli e le esigenze delle opere».
Che cosa dire sull'attuale proporzione tra il volume delle presenze formalmente educa-
tive (scuole, pensionati, oratori, giovani a rischio) e le competenze pedagogiche esistenti o
programmate?
La dimensione educativa poi si estende a tutti gli interventi, da quelli più strettamente
«religiosi», a quelli di ricupero o di comunicazione sociale. Il dialogo e l'integrazione tra le
diverse competenze si rendono necessari non soltanto a livello teorico, ma anche nella prassi
quotidiana. E anche questa è una preoccupazione ricorrente. Da ultimo c'è il problema della
struttura di animazione e di governo. Un settore non attivato ristagna. Al governo infatti
tocca decidere e orientare il corso dello sviluppo. Il CGS 20 riconosce che sebbene strumen-
tali, le strutture sono determinanti nella nostra vita tesa all'azione68. Infatti la crescita di un
settore particolare di attività è stata sempre determinata o accompagnata dalla creazione di
una struttura di appoggio. Lo abbiamo rilevato parlando del Consigliere professionale gene-
rale e del Consigliere per la pastorale giovanile. E non è difficile confermarlo con dati più
recenti. Le strutture sono in se stesse progetto e criterio di sviluppo.
D'altra parte sarebbe irreale moltiplicarle o settorializzarle perdendo il senso dell'unità.
Si tratta allora di vedere come assicurare oggi a livello mondiale un'attenzione sistematica
66 E. VIGANÒ, La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1978-83, n. 315.
67 Ibid. n. 176.
68 CGS20 707.
- 260 -

27.3 Page 263

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all'area educativa con possibilità di progettazione, di coordinamento di alcune attività, di
verifica delle tendenze, di possibilità di anticiparsi alle sfide cercando di pilotare piuttosto
che andare a rimorchio delle situazioni.
La relazione sullo stato della Congregazione 1971 diede ampia risonanza al problema
delle strutture, attribuendogli responsabilità nell'elaborazione, diffusione e applicazione dei
nuovi indirizzi69. La relazione seguente lo riprende in forma sintetica, ma sempre annetten-
dogli influsso fondamentale sull'orientamento e la progettazione70. Quella del 1984 presenta
l'intenzione, realizzata soltanto parzialmente, di articolare all'interno del dicastero di pasto-
rale i settori di evangelizzazione e di educazione e ritorna sull'importanza della struttura di
animazione dell'ispettoria71.
***
Una preoccupazione dominò l'ultimo periodo della vita di Don Bosco: consegnare il
proprio patrimonio educativo nella sua vivacità e interezza. L'aveva elaborato con pazienza,
impegnando la riflessione e il confronto con situazioni e idee, con la responsabilità e la gioia
di chi sa di aver ricevuto un dono e di partecipare all'opera di Dio a favore dell'uomo.
È il compito richiesto ad ogni generazione di salesiani. Debbano essi vivere in contesti
semplici o in quelli segnati dalla «complessità»: scommettere sull'educazione; credere
nell'efficacia della sua apparente povertà; consegnare il «dono comunitario» arricchito con
il proprio sforzo di fedeltà creativa e di esperienza.
69 SOCIETÀ SALESIANA DI SAN GIOVANNI BOSCO, Relazione generale sullo stato della Congregazione
1971, pp. 91-101.
70 L. RICCERI, Relazione generale sullo stato della Congregazione, Roma, Editrice S.D.B., 1977, nn.
187-188.
71 E. VIGANÒ, La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1978-83, n. 193.
- 261 -

27.4 Page 264

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33. VERSO UNA NUOVA TAPPA DI PASTORALE GIOVANILE SALESIANA
Vecchi, J.E., Verso una nuova tappa di Pastorale Giovanile Salesiana in Dicastero per la pastorale giovanile, «Il cammino e
la prospettiva 2000». Documenti PG 13, Roma, 1991, p. 39-106.
1. Avvertenza. - 2. Premessa: ...un'area nuova nella pastorale della Chiesa. - 3. La questione giovanile. - 3.1 Prima della
questione giovanile. - 3.2 Il fenomeno giovanile degli anni '60. - 3.3 Il 77: novità e continuazione. - 3.4 Verso gli anni '90. -
3.5 Sfide attuali alla pastorale. - 4. La Chiesa di fronte alla questione giovanile. - 4.1 La riflessione teologico-pastorale. - 4.2
La prassi della Chiesa nei confronti dei giovani. - 4.3 Verso una visione organica della pastorale giovanile: i progetti. - 5. Il
cammino della Congregazione. - 5.1 La percezione della nuova situazione dei giovani. - 5.2 La riformulazione dei contenuti
e delle modalità educativi. - 5.3 L'adeguamento delle iniziative, l'allargamento del campo di azione, la diversificazione degli
interventi. - 5.4 Una proposta di qualificazione: il ridimensionamento. - 5.5 Le strutture di animazione e governo. - 5.6 Il
progetto educativo pastorale. - 5.7 La qualificazione dei programmi nelle opere. - 5.8 Il soggetto della pastorale salesiana. -
6. Rilievi sull'azione della Pastorale giovanile in Congregazione. - 6.1 Dislivello tra quantità di proposte e possibilità di attuarle.
- 6.2 Emergenza di nuovi spazi educativi. - 6.3 Lo sforzo di rinnovamento. - 6.4 Due «forme» di presenza tra i giovani. - 6.5
Un senso di disagio. - 7. Prospettive. - 7.1 Ripartire da giovani-progetto-comunità. - 7.2 Il punto focale di attenzione: La
qualità dell'azione educativa pastorale. - 7.3 La consistenza della comunità salesiana locale. - 7.4 Approfondire i nodi dell'e-
sperienza della fede. - 7.5 L'adeguatezza delle istituzioni.
1. Avvertenza
Queste pagine intendono soltanto aiutare a capire lo sviluppo che la Pastorale Giovanile
ha avuto in Congregazione in questi ultimi venticinque anni, in sintonia con l'evoluzione del
mondo giovanile e lo sforzo della Chiesa.
Si tratta di una visione volutamente sintetica. Non registra ogni aspetto positivo o nega-
tivo della Pastorale Giovanile Salesiana. Sceglie piuttosto quei grandi punti di riferimento
che hanno costituito i suoi «svincoli».
La scelta di questi «svincoli» non è soggettiva. È frutto di una riflessione sui documenti
dei CG 19, 20, 21, 22; di una rilettura delle relazioni sullo stato della Congregazione presen-
tate dai Rettori Maggiori ai CG; di una sintesi di diversi studi parziali fatti dal Dicastero di
Pastorale Giovanile negli ultimi dieci anni e di un esame di numerosi resoconti presentati
dalle Regioni nelle visite di insieme.
Una preoccupazione sottostà a queste pagine: inserire le nuove proposte di educazione
dei giovani alla fede nella visione organica e nel quadro operativo della Pastorale Salesiana,
costruiti con fatica in questi anni.
Con tale finalità queste considerazioni vengono offerte a tutti coloro che hanno respon-
sabilità nell'applicazione delle deliberazioni del CG 23.
2. Premessa: ...un'area nuova nella pastorale della Chiesa
Nella pastorale della Chiesa si è andata definendo un'area nuova di lavoro con caratte-
ristiche proprie, che acquista una importanza sempre maggiore: la pastorale della gioventù.
Ad essa i salesiani si sentono particolarmente interessati in forza del proprio carisma. E con-
veniente dunque capire i fenomeni che le hanno dato origine e le esigenze che ne scaturi-
scono.
La pastorale della gioventù, o «giovanile» secondo il modo di dire salesiano, non è la
precedente cura religiosa dei ragazzi aggiornata ed estesa oggi ad un'età superiore. Non è
nemmeno la pastorale degli adulti adeguata a soggetti giovani. È invece la risposta della
Chiesa ad un fenomeno sociale e culturale recente, per molti aspetti notevolmente fluido,
che va sotto il nome di «questione giovanile». La questione giovanile è provocata da un
- 262 -

27.5 Page 265

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insieme di fattori: l'allungamento del periodo di preparazione alle responsabilità professio-
nali e sociali, l'aumento numerico della fascia giovanile adulta (17-27 anni), il parcheggio di
questi giovani alla soglia dell'impiego e della partecipazione sociale, il disagio collettivo che
ciò provoca in loro, le difficoltà delle istituzioni di accompagnare questi giovani alla solu-
zione dei loro problemi e al completamento della loro educazione.
Tale questione giovanile si manifesta vistosamente nei diversi atteggiamenti che i gio-
vani assumono nei confronti della società: dissociazione, apatia, adeguamento passivo, con-
trapposizione, marginalità, diverse forme di anomalia e disadattamento (devianza, delin-
quenza...).
Per la società è una «questione», fa «problema», perché si presenta come una sfida: che
cosa vuole trasmettere a queste generazioni e su quali strumenti conta per riuscirvi? Come
pensa di investire la vitalità di queste generazioni e inserirle nel proprio progetto storico? E
qual è questo progetto storico?
Il problema interessa anche la Chiesa, preoccupata, in forza della sua missione, dei pro-
cessi di annuncio e comunicazione della fede e della formazione di comunità credenti, pro-
positi che sono necessariamente collegati all'esperienza umana sia individuale che sociale.
Dove ancora non lo si avverte, la Chiesa continua a svolgere una pastorale di «iniziazione»
per i ragazzi e cerca di coinvolgere cristianamente i giovani nella pastorale degli adulti.
Il fenomeno è recente. La questione giovanile, insieme alla questione operaia che la
precede e alla questione femminile che viene dopo, segna la vita di tutte le società in questo
secolo; ma viene percepita con maggior forza e analizzata con migliori strumenti nelle so-
cietà avanzate. Lo studio della sua evoluzione viene fatto attraverso un tipo di analisi socio-
culturale che ha inizio nella decade degli anni '50, ma la cui metodologia si è perfezionata
in questi ultimi anni. Essa rappresenta un approccio nuovo e dunque una nuova compren-
sione della realtà giovanile, diversi dalla descrizione del fenomeno evolutivo individuale a
cui la pratica educativo-scolastica ci aveva abituati; diversi anche dall'enunciazione delle
tendenze ideali della gioventù (autenticità, desiderio di verità, disponibilità al nuovo, energia
di cambiamento...) a cui si riferiscono sovente documenti e scritti ecclesiali.
Quest'analisi tenta piuttosto di rilevare come i giovani si collocano nel sistema dei rap-
porti familiari, socioculturali e politico-economici. Esamina le possibilità di vita e le propo-
ste di valori che emergono dal contesto e le reazioni che provocano nel soggetto. Rivolge
l'attenzione anche ai sentimenti religiosi, all'atteggiamento dei giovani nei confronti della
pratica cristiana ereditata, alla visione che si son fatta della Chiesa, alla maniera come ela-
borano le proprie convinzioni etiche, all'influsso dell'elemento religioso nella formazione
dell'identità e nel sistema di significato.
Proprio dal confronto tra le finalità della pastorale - suscitare la fede e proporre la con-
versione, formare delle comunità credenti, lievitare il mondo col Vangelo - e la situazione
reale dei giovani, nasce la pastorale giovanile come area «originale» di riflessione e di inter-
venti, che non può essere dedotta né dalla pastorale degli adulti né da quella dei ragazzi.
Per approfondire questa prospettiva fondamentale è interessante percorrere le tappe at-
traverso cui si è configurata la questione giovanile e considerare le corrispondenti risposte
pastorali da parte della Chiesa.
3. La questione giovanile
3.1 Prima della questione giovanile
Fattori di cambiamento sociale che modifichino anche la condizione dei giovani non
mancano mai nella storia, ma cominciano ad addensarsi nella seconda metà del secolo scorso
- 263 -

27.6 Page 266

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e all'inizio del nostro. Basti pensare al progressivo evolversi della famiglia verso la forma
«moderna», all'estensione della scuola destinata a divenire lo strumento principale di socia-
lizzazione, alla diffusione della stampa come fatto sociale rivolto alla maggior parte della
gente e non soltanto a un gruppo ristretto di professionisti. Questi fenomeni però investono
soltanto alcuni settori della popolazione, mentre altri ne rimangono esclusi. Riferiti ai gio-
vani essi non creano tuttavia una realtà sociale distinta per mentalità e aspirazioni.
Alla fine del secolo scorso e per tutto il primo quarto di questo l'adolescenza è l'età
dell'educazione in famiglia e per un buon numero nella scuola. Essa rappresenta la transi-
zione verso le responsabilità adulte concretizzate nel lavoro, nel matrimonio e nell'inseri-
mento pieno nella vita sociale. L'idea di prolungare questo periodo viene respinta, perché
ciò esporrebbe i giovani all'indolenza e alle deviazioni morali.
La gioventù non emerge dunque come soggetto sociale sia per la brevità della sua du-
rata, sia per il limitato numero di soggetti in cui essa si prolunga, sia per la possibilità di
controllo che la società, munita di solidi quadri di riferimento etici e giuridici condivisi,
esercita su di essa. I processi e le agenzie di socializzazione, cioè di inserimento nella società
attraverso l'apprendimento delle sue norme e le relative giustificazioni, sono poche ed effi-
caci: la famiglia, la scuola, l'ambiente sociale e, in quei paesi in cui la Chiesa ha rilevanza
pubblica, la parrocchia.
Questo quadro non cambia nemmeno con l'ulteriore diffondersi della scuola elementare
e con l'allargamento dell'insegnamento medio. Già alla fine dell'800, non bastando l'istitu-
zione scolastica a controllare tutto il tempo degli adolescenti, sorgono le associazioni edu-
cative. Si tratta sempre di associazioni fatte e guidate dagli adulti per gli adolescenti. In esse
l'adulto viene sostituito con i giovani più grandi nel tradizionale ruolo di guida. Così egli si
cala nei divertimenti dei ragazzi per proporre quei valori che non è possibile trasmettere
dalla cattedra o dal pulpito. Il tempo libero e la socializzazione fuori dalle istituzioni tradi-
zionali sono elementi che si svilupperanno successivamente.
Tra il 1920 e il 1940 non pochi giovani partecipano alle spinte rivoluzionarie e alle agi-
tazioni sociali. Vengono convocati dai regimi e inquadrati in «organizzazioni», con finalità
politiche e ideologiche, mentre le scuole sottolineano con forza l'impegno patriottico e mo-
rale. Il fenomeno di inquadramento con accentuazione del ruolo degli adulti si verifica anche
nelle organizzazioni giovanili dei paesi democratici, ma è soprattutto una realtà dei regimi
totalitari. Chiusi tra un tale associazionismo e una scuola severa e rigorosa, ormai organiz-
zata per classi omogenee di uguale età, che rafforza la solidarietà interna e allenta i legami
fra i diversi livelli di scuola, specie fra scuola secondaria e università, i giovani delle classi
borghesi perdono la capacità di iniziativa collettiva, mentre i giovani esclusi dalla scolariz-
zazione o sono in attesa di occupazione o costituiscono una forza lavoro sfruttata e mal pa-
gata.
Gli anni 1945-60 sono in Europa occidentale, Stati Uniti e Giappone, il tempo della
ricostruzione, della industrializzazione, dei «miracoli economici», della occupazione piena,
dell'estensione dell'insegnamento medio-superiore, del mercato comune d'Europa, della te-
levisione, dei primi esperimenti spaziali, di un confronto sociale serrato che porterà ad una
società più giusta.
Superata la fase più acuta della guerra «fredda» i tentativi di nuovi inquadramenti dei
giovani falliscono. Vi è una diffusa reazione di stanchezza di fronte al manicheismo delle
contrapposizioni ideologiche. Nasce una generazione tranquilla, con tendenza a migliorare
la propria vita privata, che coglie nel lavoro più che il significato «etico e sociale», l'aspetto
«positivista» di strumento di benessere. Si assimilano rapidamente modelli di atteggiamenti
- 264 -

27.7 Page 267

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adulti e si ripiega precocemente su valori di sicurezza e di confort. Una immagine diffusa
parlava dei giovani delle tre M: Matrimonio, Mestiere, Macchina.
Intanto il soggetto giovanile comincia a farsi sentire, anche perché la proporzione di
giovani è rilevante nella società.
Nell'Europa Orientale si affermano i sistemi marxisti con forte controllo su tutù i pro-
cessi di educazione, socializzazione e partecipazione. Quali che siano le reazioni soggettive
individuali o di gruppi, questo controllo impedirà ogni evoluzione della situazione giovanile
nel ventennio che nell'altra Europa è il più fecondo di novità.
Nei paesi dell'emisfero Sud l'evoluzione non è uniforme. In generale è segnata dal feno-
meno della doppia velocità e dal divario economico che da questo momento comincia ad
aprirsi fino a diventare la questione Nord-Sud. I movimenti di decolonizzazione in alcuni
paesi, la mancanza di opportune trasformazioni sociali ed economiche in altri, l'alto indice
di natalità, la dipendenza dai centri mondiali politici ed economici danno origine a un doppio
fenomeno giovanile: una minoranza che ha accesso ai beni, alla istruzione e qualificazione
professionale superiore; una maggioranza che non raggiunge la scolarità secondaria e che
presenta un basso rendimento e grande indice di abbandono, già a livello di istruzione pri-
maria. La prima viene selezionata dal sistema scolastico per i ruoli sociali ed economici; la
seconda, perdendo progressivamente opportunità anche per il degrado economico generale,
rimane fuori dai processi di socializzazione, costituendo così con le loro famiglie la «massa
emarginata»; essa entra precocemente nel mercato del lavoro con prestazioni di basso profilo
e con retribuzione da sfruttamento.
3.2 Il fenomeno giovanile degli anni '60
Arriviamo così agli anni sessanta, decennio della contestazione che ha il suo apice nei
fatti del '68. Il fenomeno sorge prima nei paesi democratici occidentali, partendo da istitu-
zioni formative prestigiose per dotazioni scientifiche e tradizioni di ricerca. Ma ha ripercus-
sioni in altri paesi, compresi quelli del terzo mondo e dell'Europa Orientale.
Esso incomincia nel '62 e, attraverso i movimenti del '64 e '67, diventa più generale nel
'68. Si tratta dunque di un decennio e non di un solo anno. Senza addentrarci nello sviluppo
cronologico e geografico è interessante raccogliere i tratti con cui la questione giovanile che
ci preoccupa emerge da questo decennio.
Nel panorama mondiale cominciano a farsi sentire i grandi problemi comuni che ser-
vono da agglutinante: il sottosviluppo, la dipendenza del terzo mondo, l'oppressione dei po-
veri e il collegamento tra la povertà e l'eccesso di benessere, le guerre per il predominio
mondiale (cfr. Vietnam), la discriminazione razziale (cfr. Luther King), la subordinazione
dei sistemi educativi e istituzioni culturali ai poteri economici e militari.
È il momento dell'esaltazione dell'impegno politico, dell'azione collettiva che nel con-
tinente latinoamericano trova il suo corrispondente nel desiderio di fare del popolo il prota-
gonista delle trasformazioni sociali e nei movimenti di liberazione.
Il soggetto giovanile appare più solidale che mai. Sembra attraversato da certe sensibi-
lità comuni. La comunicazione sociale a scala mondiale porta il fermento ad aree lontane e
culturalmente diverse. Ma la teoria del contagio non è sufficiente per spiegare la sintonia.
La coscienza «mondiale» si fa sentire. È facile in questa temperie ipotizzare una classe gio-
vanile rivoluzionaria e innovatrice. C'è la tendenza a privilegiare nettamente l'aggregazione
e la solidarietà tra pari con una certa chiusura al dialogo e al confronto intergenerazionale.
Viene negata la validità della stessa comunicazione tra le generazioni: «non fidarti di nes-
suno che abbia più di trent'anni», dice uno slogan.
- 265 -

27.8 Page 268

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È il tempo della contestazione globale e dell'esaltazione del cambiamento rivoluziona-
rio, carico di idealismo utopico, che sfocerà anche nel terrorismo, nella controcultura, nel
dissenso. Ma appaiono soprattutto evidenti la difficoltà di tradurre le utopie in progetti sto-
rici, così come la genericità della predica antiautoritaria.
All'interno del movimento emerge comunque fortemente, insieme alla protesta contro
le varie concretizzazioni dell'autoritarismo e della riproduzione dei sistemi dominanti, ima
forte domanda di partecipazione diretta al potere, di un progetto di società senza repressioni
e sfruttamento, di una diversa qualità di vita, di espressione massima delle proprie potenzia-
lità, del diritto all'innovazione e al cambiamento.
Tutto ciò mette in luce, fra ambiguità non trascurabili, una coscienza collettiva, la vo-
lontà di affrontare insieme i problemi e di uscire insieme dalle difficoltà.
3.3 Il 77: novità e continuazione
La seconda metà degli anni '70 rappresenta per alcuni il funerale del '68. Per altri invece
l'aggravarsi della crisi a livello economico, sociale, politico e culturale non offre ai giovani
riferimenti di valori e finisce per trasformare gli stessi modelli positivi nel loro contrario.
Nell'ambito pubblico si diffonde il «permissivismo» che è la maschera-caricatura della li-
bertà personale, il «narcisismo» come contraffazione della ricerca di soggettività; l'«indiffe-
rentismo» quale esito sbiadito della tolleranza; il «pragmatismo» che è la degenerazione
della esigenza di razionalità di fronte all'utopia.
Intanto si aggravano fino alla ingovernabilità i problemi delle società nazionali e inter-
nazionali: la crisi energetica, la tensione Est-Ovest, la corsa agli armamenti, i rapporti Nord-
Sud, la questione morale, la liberazione dei desideri.
Il mondo giovanile comincia a disgregarsi: si tende a privilegiare la soggettività e il
quotidiano piuttosto che i dati scientifici e l'impegno storico. I giovani aderiscono con faci-
lità alla cultura radical-libertaria: «vivere senza tempo e godere senza ostacolo».
Sono disposti a uscire dalle leggi del mercato per impegnarsi in lavori precari, meglio
capaci di esprimere l'esigenza di attività alternative non alienanti. Sono disponibili a «fare
festa insieme» piuttosto che intavolare dibattiti o compiere gesti politici. Sono critici dei
sindacati. «Riprendiamoci la vita» è l'espressione di una nuova cultura che si manifesta nel
bisogno di un lavoro gratificante, di ima casa, di una formazione adeguata, di un tempo libero
alternativo. Emergono di più le esigenze esistenziali che le tensioni o rivendicazioni politi-
che, anche a causa della presenza forte e consapevole della componente femminile, più su-
bordinata nel movimento degli anni '60.
Questa fase è decisamente meno propositiva e progettuale; è anche più «provinciale»,
priva di clima internazionale. In essa si privilegia l'autoespressione individuale e l'apparte-
nenza di gruppo. Molti dubitano che questi giovani vadano dietro a valori post materiali, e
rilevano piuttosto un movimento regressivo verso gli atteggiamenti possessivi: sicurezza fi-
sica, benessere economico...
Tali valori dominanti dissuadono dal mitizzare la gioventù quasi fosse spontanea espres-
sione delle tendenze di innovazione e dei bisogni più autentici.
Privato, riflusso, caduta della progettualità sono i termini che indicano una tendenza
generale con cui non si vuole però caratterizzare ogni singolo soggetto o gruppo.
3.4 Verso gli anni '90
Il resto è vicino a noi. La questione giovanile ha successivi sviluppi e mutamenti, e si
diversifica secondo i contesti. In riferimento all'educazione e alla pastorale si usano categorie
interpretative, che illustrano la novità della situazione.
- 266 -

27.9 Page 269

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In primo luogo si rileva la frammentarietà. Svanisce l'idea di una «condizione», di una
«classe», di un «soggetto sociale solidale e unico», portatore di istanze comuni, di una cul-
tura o subcultura giovanile. La massa giovanile appare divisa socialmente e nella coscienza
soggettiva. Ci sono molte frange o anche «sacche» giovanili con disagi, aspirazioni, ideali e
collocazioni diverse. Questo scoraggia ogni tentativo di dare un'interpretazione unica o di
cercare un approccio globale. È venuta meno la coscienza collettiva.
Si sottolinea poi la marginalità. Dal preteso protagonismo nel determinare modalità cultu-
rali e socio-politiche, la gioventù è venuta a trovarsi, come strato marginale, con meno pos-
sibilità e capacità partecipative a causa dell'entrata tardiva nel mondo del lavoro e l'allonta-
namento volontario dalla vita pubblica. La marginalità provoca innumerevoli conseguenze,
non soltanto sulla coscienza soggettiva, ma anche in fenomeni sociali molto dibattuti. La
gioventù appare più come un riflesso delle crisi e dei disagi della società globale che come
una forza propulsiva di cambiamento con stimoli propri. Un'altra categoria cerca di spie-
gare l'insieme dei disagi e dei comportamenti dei giovani: la lotta per l'identità.
Di fronte al venir meno di una certa identità collettiva, i giovani cercano di conferirsela
in modo autonomo. Convivono pertanto in maniera non conflittuale, ma nemmeno comuni-
cativa, con le istituzioni e, in generale, con i detentori dell'autorità. Elaborano individual-
mente un sistema di valori e in particolare il codice di comportamenti, e assumono apparte-
nenze parziali e molteplici. Si fa strada tra loro, senza eccessivi conflitti, la relativizzazione
di ogni quadro dottrinale sicuro e il rifiuto di schemi interpretativi ideologici.
Si parla di eccedenza di opportunità, riferendosi alle esperienze molteplici che i giovani
possono avere, senza impegnarsi totalmente in nessuna di esse. Ne deriva la caduta della
progettualità a lungo termine e la valorizzazione dell'immediato, dell'effimero. Cresce dun-
que la capacità di adattarsi alle varie situazioni e di convivere con la precarietà.
Ma alla radice di tutte le precedenti interpretazioni sta la complessità, riflesso della no-
stra società e cultura. Ne vogliamo sottolineare alcuni elementi.
Nella società complessa non esiste un centro che riesca a proporre efficacemente punti
di riferimento stabili, una filosofia di vita unica o prevalente, un sistema di valori unitario.
Non c'è un potere capace di esercitare nei riguardi della struttura sociale una forte attrazione
e dare a tutto il sistema un'organizzazione unitaria. I «centri» o non esistono o sono molti.
La nostra società manca di legittimazione, soffre l'assenza di un fondamento: essa offre
beni e stabilisce norme di convivenza, ma non riesce a far accettare un sistema di valori
condiviso da tutti. Perdendo la sua carica simbolica provoca una rapida successione di ege-
monie provvisorie che sorgono e scompaiono rapidamente. Ciò si verifica a livello etico,
politico e culturale. Si assiste dunque a un rimescolamento continuo di messaggi e di influssi
tra gruppi diversi.
Il risultato è una sostanziale «fragilità» dei processi di socializzazione, con il rischio di
produrre una quantità notevole di soggetti dotati di scarso adattamento, di scarso sentimento
di appartenenza e di integrazione. Gli educatori non hanno più una cultura unitaria da pro-
porre, ma semplicemente elementi isolati di cultura, eterogenei e spesse volte alternativi o
contradditori tra di loro.
Ci si trova di fronte a una società che forma delle persone che si adatteranno semplice-
mente ad essa con molto «pragmatismo» e con una punta di cinismo, tentando di sfruttare a
proprio vantaggio le opportunità che essa offre, senza però coinvolgersi a fondo nei suoi
problemi. Esse non percepiscono la sua legittimità assoluta, perché non gli è stata trasmessa.
In questa società complessa emergono allora nuovi bisogni, in una direzione che la pa-
storale deve considerare come «segni».
- 267 -

27.10 Page 270

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Risolti per la maggioranza (ma è proprio vero?) i problemi del cibo, della casa, del la-
voro, della sicurezza sociale, emerge l'esigenza di ima migliore qualità di vita personale, di
esperienze che privilegiano le relazioni umane, i bisogni soggettivi, le attività libere e gra-
tuite. Si tratta di bisogni chiamati radicali o postmaterialisti.
Di fronte all'aumento del tempo libero si fa avanti l'ipotesi che esso possa diventare
sempre più il luogo nuovo dell'identità individuale e collettiva. Fino ad oggi era la profes-
sione o il lavoro che determinava l'identità fondamentale di una persona. Qualcuno pensa
ora che la situazione stia cambiando. Forse si va verso una società in cui sarà il crescente
tempo libero il luogo in cui le persone potranno optare per tipi diversi di attività che sogget-
tivamente sembrano dare più occasioni di autorealizzazione, di dare un senso alla vita. E
questo naturalmente apre nuovi orizzonti educativi nelle società industrializzate.
Per quanto riguarda l'America Latina, i documenti ecclesiali parlano della gioventù
come di un «nuovo corpo sociale» («prima c'erano i giovani, oggi c'è la gioventù») e tentano
di presentarla come un gruppo di pressione sociale, sottolineando alcune sue caratteristiche
generali. E tuttavia non possono poi evitare di differenziare in sei settori i giovani che nella
realtà si trovano in situazioni ben diverse, senza collegamenti tra di loro e, in generale, senza
coscienza collettiva all'interno dei medesimi settori: la gioventù contadina, quella dell'am-
biente urbano «popolare», gli studenti e universitari, i giovani lavoratori, la gioventù in si-
tuazioni critiche diverse, la gioventù indigena.
Da ciò si può dedurre che alcune categorie interpretative, come la frammentazione e la
marginalità, si applicano anche nel continente latinoamericano. È da relativizzare invece
l'insorgere dei «nuovi bisogni». Essi sembrano caratterizzare una minoranza e appaiono più
indotti dai modelli delle società sviluppate, mentre una grande maggioranza deve ancora
accedere a quei beni che sono condizione necessaria per «essere uomini»: sufficienza eco-
nomica, cultura e istruzione di base, qualificazione professionale sufficiente, retribuzione
giusta del proprio lavoro, partecipazione attiva nella società.
La povertà estrema1 insieme alla consapevolezza che è provocata, mantenuta e aggra-
vata da fattori strutturali, a sfondo prevalentemente economico, gestiti dall'esterno con col-
laborazioni all'interno, costituisce un elemento determinante della situazione e della co-
scienza giovanile. Una presa di posizione nei suoi confronti divide la società e addirittura la
Chiesa. Con la caduta dei «sistemi ideologici» la gioventù è rimasta senza progetti e senza
sostegno. E dopo le esperienze fugaci dello sviluppo (anni '60) e della «liberazione» (anni
'70), oggi sente più che mai di essere con tutta la popolazione «alla periferia» del mondo che
decide e sul quale si decide.
Dal punto di vista religioso, la Chiesa conserva un forte peso morale e, data la maggio-
ranza cattolica della popolazione, suscita ancora delle speranze anche se vaghe, mentre si va
facendo strada il secolarismo, e la religiosità popolare si frantuma nelle adesioni alle sette.
Quanto all'Africa i dati disponibili mettono in evidenza la rilevanza numerica dei gio-
vani rispetto agli adulti e sottolineano i fenomeni socioeconomici che determinano il destino
di molti giovani: l'esodo rurale e l'urbanizzazione non gestita. Le diverse «frange» giovanili
sono così descritte: coloro che arrivano dai villaggi alle città in cerca di lavoro per soprav-
vivere, tra cui le sotto frange dei lavoratori, dei vagabondi...; i giovani delle aree rurali in
generale fortemente depresse; gli studenti, che si frammentano in sottogruppi.
I «fattori» poi che influiscono sulla condizione giovanile sono i seguenti: il ruolo subal-
terno del soggetto giovane di fronte al mondo adulto; la rapida decolonizzazione e la conse-
guente difficoltà di gestire ordinatamente la società con le relative gravi carenze in campo
1 Cfr. Puebla, 33.
- 268 -

28 Pages 271-280

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28.1 Page 271

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educativo, culturale, assistenziale; lo scontro tra antiche sensibilità tradizionali e l'impatto
della civiltà moderna; il sistema educativo che non è riuscito a darsi modelli adatti alla si-
tuazione africana; la dipendenza economica e culturale, per cui alcuni inseguono i livelli di
vita delle società avanzate e non si curano del «progresso di tutti».
Le aspirazioni dei giovani, pervenuti ad un certo livello di consapevolezza, si collocano
tutte nella linea di avere una professione e un impiego, di vivere in un contesto di maggior
giustizia e libertà, di godere dei beni delle civiltà più avanzate, di ricuperare le tradizioni e
«l'anima africana». Ma la maggioranza vive ancora nella precarietà fondamentale di esi-
stenza, educazione e lavoro.
I panorama dell'Asia non è uniforme. Mentre qualche paese riproduce i tratti delle so-
cietà avanzate, sebbene con caratteristiche proprie (Giappone), altri stanno entrando in un
processo di industrializzazione, di corsa al possesso e al benessere, di concorrenza per i posti
di lavoro, di esigenze crescenti di educazione e qualificazione (Korea, Thailandia).
In India i giovani tra i 15 e i 24 anni sono 155 milioni e rappresentano il 20% della
popolazione. Al di sotto dei 24 anni sono il 60%. Consistente appare la popolazione giova-
nile rurale (74%), mentre nelle aree urbane (26%) si frammenta in studenti, lavoratori, gio-
vani in cerca di impiego, girovaghi, devianti.
Come in altre zone geografiche mancano una coscienza e punti di riferimento collettivo.
La gioventù non si esprime in scelte culturali, educative o politiche, ma nelle «mode» o nelle
forme di espressione importate, mentre nell'ambito familiare e sociale delle aree rurali per-
sistono ancora i costumi ereditati. Vige un'enorme distanza tra le opportunità di cui godono
le classi più agiate e quelle a cui ha accesso la maggior parte della popolazione. Il problema
giovanile sembra essere quello dell'educazione e della possibilità di lavoro retribuito. È in-
vece difficile parlare di questione giovanile come rivendicazione collettiva di partecipazione
o di elaborazione culturale.
Le Filippine, per la religiosità popolare cattolica diffusa, per il sistema sociale e per le
condizioni economiche, presentano condizioni simili a quelle dell'America Latina.
3.5 Sfide attuali alla pastorale
In questa situazione giovanile ci sono alcuni punti che toccano profondamente l'agire
educativo e pastorale.
L'allungamento dell'età giovanile ha messo al centro dell'attenzione della pastorale gli
adolescenti e i giovani. Le fasi tradizionali dell'iniziazione cristiana, considerate in altro
tempo come i momenti definitivi della comunicazione della fede, risultano insufficienti. Le
situazioni che determinano l'orientamento nella vita (ingresso nel mondo del lavoro, univer-
sità) hanno luogo dopo l'adolescenza. La sintesi culturale, la maturazione del criterio etico
sui problemi più sentiti, certe scelte di esistenza avvengono nell'età che segue l'iniziazione.
Il tempo, le esperienze, i contenuti dottrinali della iniziazione continuano ad essere impor-
tanti; ma non ricoprono, nemmeno materialmente, l'età giovanile. Programmi sistematici per
l'educazione dei giovani o non esistono o vengono meno, proprio quando questi sono ancora
in piena evoluzione.
La comunicazione della comunità ecclesiale con questa fascia giovanile non è facile.
Man mano che i soggetti si inoltrano nella giovinezza, diminuiscono per loro le opportunità
e i luoghi d'incontro, dialogo e socializzazione religiosa. Si deplora il fenomeno dell'allon-
tanamento dei giovani, a volte subito dopo la prima Eucaristia, e, in forma più generale, dopo
la Confermazione.
La comunicazione è resa difficile anche dalla diffusa indifferenza religiosa e dalla vi-
sione pragmatica della vita. Ciò determina l'irrilevanza sociale del pensiero e della pratica
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28.2 Page 272

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religiosa, come anche dell'istituzione che li propone e rappresenta con le sue iniziative e
ruoli. I giovani elaborano la dimensione religiosa ed etica nel privato, con criteri personali,
in forma frammentaria, in funzione dei propri bisogni.
La comunicazione presenta anche altri problemi. Il linguaggio verbale che pretende of-
frire contenuti ordinati e coerenti ha un potere di convinzione molto ridotto e non provoca
adesioni e scelte vitali. Oggi parlano i gesti, le immagini, i testimoni, i simboli dello status,
la promessa di soddisfazione e felicità. Non si persuade più con «trattati»: si accolgono in-
vece messaggi in codici vitali di cui bisogna possedere la chiave.
Gli spazi umani dove il messaggio religioso arriva ad essere significativo sembrano es-
sere la soggettività e la solidarietà. La prima spinge alla ricerca del senso, a dare un punto di
unità e consistenza alla propria persona (identità), a cercare un ancoraggio etico nella com-
plessità della situazione attuale. Su questo molti aspettano dalla Chiesa un orientamento, un
segno, un'indicazione di saggezza, una testimonianza. Ma ciascuno si prende la libertà di
accettare o meno quello che essa indica, secondo il proprio sentire e le proprie domande. Si
comporta come consumatore in una specie di supermarket culturale.
La solidarietà appare come l'energia con cui si possono affrontare insieme le grandi
sfide alle quali ogni società e l'umanità tutta tentano di rispondere: la povertà, l'emargina-
zione, la pace, la giustizia, l'ambiente. La solidarietà influisce sulla coscienza dei giovani in
due forme: quando sono raggiunti personalmente da essa in situazioni difficili; e quando ne
fanno esperienza attiva, considerandola l'impegno più significativo della fede.
L'ampio campo giovanile si presenta, dunque, all'azione pastorale con alcune tendenze
comuni, che sembrano dargli una certa unità. Appare invece molto diversificato in ciò che
riguarda scelte di vita e disponibilità verso la fede. Ci sono giovani impegnati, semplice-
mente praticanti, vicini, disponibili, lontani per diverse ragioni, estranei al linguaggio e alla
realtà ecclesiale.
Il cerchio più largo è quello dei «lontani». Sul fatto della sua consistenza non ci sono
dubbi. Appare evidente nei dati sulla frequenza «domenicale», sulla catechesi e persino sul
battesimo e prima comunione. Il numero di giovani raggiunti dalle iniziative ecclesiali co-
stituisce una percentuale minima sulla totalità.
Il fenomeno è stato oggetto di riflessioni approfondite e di accurate distinzioni. Ci sono
i «lontani» dalle preoccupazioni etiche, che potrebbero costituire una base di dialogo; quelli
che hanno perso l'interesse per la dimensione religiosa; quelli per i quali il messaggio cri-
stiano rientra nel generico del pensiero religioso; quelli che non si riconoscono affatto nella
Chiesa; quelli che pur riconoscendosi in essa, non frequentano più. Non pochi di loro non si
sono allontanati: sono semplicemente nati in un «altro continente culturale», hanno imparato
un «altro linguaggio», sono cresciuti «in altri ambienti». Per loro la Chiesa e Gesù Cristo
sono stati più notizie giornalistiche che vero annunzio. Hanno smesso di essere per loro ri-
ferimenti «sostanziali». Criteri, senso e appartenenze vengono elaborati senza prendere in
considerazione le istanze religiose. È il fenomeno della «irrilevanza» o «insignificanza» sog-
gettiva del religioso, qualunque sia il suo valore o la sua verità oggettiva. La lontananza a
volte è causata da fattori non religiosi tali come l'emarginazione sociale e culturale, la pre-
carietà, la mancanza di condizioni fondamentali di esistenza.
C'è poi un secondo cerchio. I giovani di quella religiosità che è stata chiamata «light»,
cioè «leggera». È una religiosità che non si preoccupa della conoscenza organica del mistero
cristiano, né della pratica coerente e totale della vita cristiana. In essa può stare tutto. Per
questo non sperimenta le crisi, gli entusiasmi o i problemi che tempo addietro erano tipici
del periodo scolastico di socializzazione religiosa. Questi giovani non sono contrari ai sen-
- 270 -

28.3 Page 273

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timenti religiosi e nemmeno disinteressati ai messaggi, sono però «fedeli alla loro dichiara-
zione di indipendenza riguardo agli impegni istituzionali o etici». In essi si verificano mo-
menti di «emozione», impatto e riflessione religiosa, come sprazzi fugaci. Sono provocati
da una persona (Madre Teresa, Roger Schutz, il Papa), da un evento (incontro personale,
raduno giovanile, situazioni di estrema miseria, un fatto di vita, esperienza felice di dedi-
zione...), da un problema personale o del contesto (droga, abbandono di persone indifese),
dal ritorno a quanto si era imparato in una buona iniziazione cristiana o da una prima rifles-
sione matura sulla vita. Si tratta di curiosità, di sentimento, di buona disposizione e persino
di un certo interesse intellettuale. Il problema qui sta nel come accompagnare questi giovani
verso l'adesione stabile a Cristo e la scelta consapevole della fede.
Un terzo cerchio è quello dei «praticanti». Le loro caratteristiche sono una certa regola-
rità nei gesti religiosi, il senso di appartenenza sociale alla Chiesa come istituzione, un'ac-
cettazione generale delle norme fondamentali di vita che la Chiesa propone a nome di Cristo.
Ma la fede non libera tutte le sue potenzialità, la vita cristiana non viene colta nelle sue
dimensioni profetiche di avventura originale, la condotta non si ispira allo spirito evangelico,
ma piuttosto ad alcune indicazioni di buon senso, la carità non riesce a diventare donazione.
Si tratta di una religiosità funzionale ai bisogni della persona, integrata senza conflitto nel
costume sociale, sovente lodata anche dalla stampa laica.
Finalmente ci sono i giovani «impegnati», per i quali la fede è una scoperta, la rifles-
sione sul mistero cristiano è continua, lo sforzo di coerenza diviene permanente, il coinvol-
gimento apostolico sotto varie forme è visto come un obbligo e l'appartenenza alla Chiesa è
sentita e manifesta. Questi giovani si trovano nei movimenti ecclesiali, nelle parrocchie e
nelle istituzioni educative come animatori, nel volontariato. Il loro numero però non oltre-
passa il 6%, pur essendo la loro presenza un segno di speranza.
Per ciascuno di questi cerchi si richiedono obiettivi e itinerari propri di maturazione
nella fede. Ma insieme ad un'azione rivolta alle singole persone e ai gruppi, secondo la par-
ticolare situazione umana e religiosa, c'è un dialogo generazionale da ricostruire, una propo-
sta di fede da offrire, una sana speranza in un futuro possibile da alimentare. Ciò spinge la
Chiesa a farsi presente nel continente giovanile, nel contesto più ampio della società, corre-
sponsabilizzandosi nei confronti delle nuove domande educative, affrontando insieme ad
altre forze le cause del disagio e del disadattamento, e annunciando in forme nuove il Van-
gelo come salvezza per i giovani.
4. La Chiesa di fronte alla questione giovanile
La formazione umana e cristiana delle giovani generazioni è stata sempre una preoccu-
pazione centrale della Chiesa.
Prima dell'emergere della questione giovanile la sua pastorale nei riguardi del soggetto
giovane è eminentemente una pastorale dei «ragazzi». Segue fondamentalmente tre dire-
zioni: l'istruzione catechistica e l'iniziazione cristiana nella comunità dei credenti, con il so-
stegno dell'insegnamento religioso impartito nelle istituzioni scolastiche; il servizio dell'e-
ducazione cristiana attraverso le scuole cattoliche rivolto a tutti, ma soprattutto agli strati più
umili; e infine l'assistenza sociale e religiosa a coloro che versano in particolari rischi morali
e umani.
Nell'attuazione dei due ultimi fronti si trovano impegnate in particolare le congregazioni
religiose.
In alcune regioni la Chiesa svolge un'azione educativa attraverso un'istituzione che ri-
sponde ai bisogni più svariati dei ragazzi e organizza il loro tempo libero: l'oratorio festivo.
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28.4 Page 274

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Anche l'associazionismo ha sue manifestazioni all'interno delle istituzioni educative e
pastorali: è offerto come opportunità di una migliore assimilazione della fede e della pratica
cristiana. Parrocchie e congregazioni religiose se ne servono abbondantemente per fini for-
mativi.
Nei primi 50 anni del secolo la Chiesa, oltre alle iniziative pastorali consuete, migliorate
nel tempo, promuove una solida organizzazione di associazioni (specialmente l'Azione Cat-
tolica), che prevedono vigorosi programmi di formazione personale e preparazione spirituale
e intellettuale per una «presenza cristiana» nella società.
Intanto l'azione educativo-culturale viene ulteriormente rafforzata dall'allargamento e
qualificazione degli istituti cattolici di livello medio superiore e soprattutto dal sorgere e
affermarsi delle università cattoliche.
Da questi due luoghi di formazione cristiana (istituzioni educative e associazioni) la
Chiesa lancia i giovani nella politica e nel sociale.
Essa esprime anche la sua attenzione verso i giovani impegnandosi in alcuni campi del
bisogno giovanile (emigrazione, preparazione professionale, lavoro), portati avanti per lo
più da iniziative individuali. Attorno alla parrocchia intanto nascono interessanti movimenti
con germi di rinnovamento: la parrocchia-comunità, la parrocchia missionaria.
Il fenomeno degli anni '60, con il suo apice nel 1968, sorprende del tutto la Chiesa: le
sue strutture pastorali si trovano di fronte a una realtà emergente inattesa. Per cui la prima
reazione è il disorientamento. Lo si coglie negli interrogativi che vengono posti nelle sedi
più autorevoli. L'associazionismo tradizionale si dissolve per la mancanza di adeguamento
alla nuova situazione provocata dai giovani. Le comunità ecclesiali non trovano forme so-
stitutive. L'emergere della fascia giovanile con il suo potenziale contestativo coglie tutti di
sorpresa, mentre la fascia inferiore dell'età evolutiva e le istituzioni educative, in cui sono
impegnate gran parte delle risorse ecclesiali, vengono relegate a ruolo subalterno, e il loro
influsso diminuisce inesorabilmente.
E ciò avviene in un momento in cui le intuizioni del Concilio Vaticano II, che toccano
trasversalmente la questione giovanile (là dove si parla di cultura, di società, di questioni
internazionali) non sono ancora state diffuse e meno ancora tradotte in linee pastorali con-
crete.
È indicativo al riguardo il grave interrogativo che Paolo VI si fa nel 1968: «è possibile
l'incontro tra Chiesa e giovani?».
Le varie chiese si erano attrezzate pastoralmente per far fronte all'età dell'adolescenza;
invece veniva loro incontro una gioventù che intendeva confrontarsi, valutare e intervenire.
In questi momenti di smarrimento e quasi di dolorosa passione si inizia a prospettare la pa-
storale giovanile, che è venuta maturando lentamente sino ad oggi.
La possiamo leggere nella riflessione teologico-pastorale, nella prassi concreta della
Chiesa e, infine, nella progettazione pastorale organica.
4.1 La riflessione teologico-pastorale
Sin dall'esplodere della questione giovanile si fa strada nella Chiesa una riflessione che
ne assume i dati socio-culturali e li inserisce in una lettura pastorale.
Il Concilio offre i primi elementi di questa lettura; ma soprattutto esprime attenzione e
volontà di incontro e dialogo. «La Chiesa ama intensamente i giovani; sempre, ma special-
mente in questo tempo, si sente interpellata dal suo Signore a guardarli con speciale amore
e speranza, considerando la loro educazione come una delle sue principali responsabilità
pastorali».
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28.5 Page 275

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Da ora in poi il tema giovani viene inserito nei documenti che abbordano problemi ge-
nerali della Chiesa ed è oggetto di interventi specifici. Esempio convincente tra questi è la
lettera di Giovanni Paolo II «Ai giovani e alle giovani del mondo», in occasione dell'anno
internazionale della gioventù.
Le chiese particolari riecheggiano la riflessione e la arricchiscono di concretezza. Il pro-
blema giovanile trova una sua collocazione nel simposio dei vescovi europei del 1975 su
«Secolarizzazione ed evangelizzazione in Europa», mentre nel successivo del 1978 è il punto
focale del confronto.
L'America Latina offre tre documenti di grande interesse dottrinale e di progressiva ap-
plicazione pratica. Il documento quinto di Medellin (1968) rappresenta la prima dichiara-
zione organica della Chiesa latinoamericana sulla gioventù, considerata come destinataria di
attenzione pastorale specifica. Segue, dieci anni dopo, l'opzione per i giovani di Puebla. Di
recente (1987) «Pastorale giovanile: sì alla civiltà dell'amore» riprende le riflessioni dottri-
nali e le traduce in linee operative.
Numerose chiese diocesane e molte conferenze nazionali elaborano un quadro interpre-
tativo autorevole sull'argomento, in lettere pastorali, in assemblee comunitarie di studio, in
orientamenti per i diversi momenti della prassi pastorale.
Di non minore incidenza è quanto viene prodotto dai centri di riflessione, da gruppi di
teologi e pastoralisti particolarmente interessati al problema. Oggi si può dire che il tema
abbia raggiunto la comunità cristiana e che questa ne sia consapevole delle dimensioni ed
esigenze.
Quale visione viene fuori da questo cumulo di riflessioni?
Certo non si tratta di uno studio sistematico e completo; è piuttosto una lettura sapien-
ziale di cui però possiamo cogliere alcuni nuclei principali.
Un primo nucleo sta nel valutare positivamente la «giovinezza» nell'esistenza della per-
sona, la «gioventù» nel dinamismo della società e nel divenire dell'umanità. La giovinezza
infatti rappresenta la condizione spirituale e la disposizione psicologica emblematica di
fronte alla vita, in quanto possiede la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di darsi
con generosità, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste.
È il tempo di una particolare intensa scoperta dell'io umano e delle proprietà e capacità
ad esso unite, nelle quali è come inscritto l'intero progetto della vita futura2. La gioventù
d'altro canto ripropone in forma nascente e intensa gli interrogativi e le aspirazioni
dell'uomo. Per questa nuova creazione della coscienza umana che ha luogo in ogni vita che
si apre, più che per il succedersi biologico delle generazioni, la gioventù risulta dinamizza-
trice della società e porta inedite possibilità al processo storico dell'umanità.
La Chiesa dunque vede in essa una «immagine di se stessa, giovinezza del mondo» e la
speranza per la società e per la Chiesa.
Questa riflessione viene modulata con innumerevoli espressioni e approfondita da pro-
spettive diverse, ma si tratta in fondo di «un'unica intuizione spirituale».
In tale chiave infatti vengono letti i disagi e le aspirazioni della gioventù. Essi manife-
stano la tensione che le persone singole e l'intera umanità sperimentano nella ricerca del
proprio compimento definitivo. Sono come invocazioni di una presenza e riconoscimento di
un limite; diventano frustrazione quando, nel soddisfarli, il destino e la dignità dell'uomo
2 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Ai giovani e alle giovani del mondo in occasione
dell'anno internazionale della gioventù, (31 marzo 1985), Roma, n. 23.
- 273 -

28.6 Page 276

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vengono ignorati dalle persone o dall'organizzazione sociale. Il giovane ha però, dalla crea-
zione e redenzione, la possibilità di superare questi condizionamenti e di realizzare la sua
vocazione umana in qualunque situazione.
La Chiesa sa di poter offrire al giovane una illuminazione per interpretare il suo mistero
e un modello conforme al quale costruire l'esistenza: è Cristo, via, verità e vita. Gli propone
anche un ambito umano di ricerca sincera, di esperienza e condivisione della verità: è la
comunità dei credenti. Offre ancora un progetto storico: il Regno che investe tutto il tempo
presente, si realizza in ogni momento, abbraccia tutta la storia.
Ma ciò si attua all'interno della esperienza del singolo e dell'umanità, sovente negativa,
dominata da forze avverse. La Chiesa ripensa allora il suo servizio alla crescita dei giovani.
Lo vede come una «proposta di valori» tra cui primeggia la fede, l'amore e la speranza che
plasmano la persona dal di dentro in ogni situazione; come un aiuto al discernimento delle
esperienze giovanili, qualunque esse siano, per scoprire il positivo e denunciare quello che
è negazione della vita; come compagnia nell'apertura permanente all'azione di Dio e nello
sforzo di superamento dei propri limiti. «Per questa strada, che non fallisce né delude, i
giovani matureranno nel considerare che la vita è chiamata, è vocazione, e i divini progetti
su di loro acquisteranno forza incisiva, divenendo fedeltà: non solo fedeltà consapevole di
uomini, ma fedeltà innamorata di credenti in Cristo e suoi veri discepoli»3.
Per adempiere questo ministero essa interroga il suo Signore sugli atteggiamenti e sullo
stile che la possono rendere «educatrice» della libertà dei giovani. Sa di dover convivere e
solidarizzare con la loro condizione, rendendosi garante delle loro aspirazioni legittime e
aiutando a smascherare alienazioni. Si propone di dialogare con i giovani, ascoltando le loro
domande e offrendo la propria ricchezza; di rispettare il loro cammino, dando testimonianza
della propria speranza.
Questi nuclei, ripresi nelle forme più varie, si esplicitano ulteriormente quando la rifles-
sione diventa «situata» e particolare, come capita nei documenti delle Conferenze episcopali
e nelle lettere dei vescovi. I valori allora vengono nominati, i rischi e disagi individuati, le
mediazioni ulteriormente concretizzate.
La riflessione teologico-pastorale si traduce così in strumenti operativi. I catechismi per
i giovani, elaborati in diverse aree culturali, propongono una maturazione umana alla luce
di Cristo, nella comunità, per il Regno. Altrettanto fanno gli itinerari di vita cristiana prepa-
rati per i movimenti e i diversi documenti con cui si è cercato di descrivere il compito edu-
cativo della Chiesa.
4.2 La prassi della Chiesa nei confronti dei giovani
Mentre si sviluppa la riflessione teologico-pastorale sul fenomeno giovanile, le chiese
si trovano impegnate nella prassi concreta a favore dei giovani: tentativi di contatto, inizia-
tive promosse per il loro coinvolgimento e formazione, nuovi modi di presenza nel loro
mondo.
Quello della prassi pastorale rappresenta un momento rilevante di confronto e di discer-
nimento tra domanda giovanile e proposta ecclesiale, che meriterebbe un accurato approfon-
dimento. Ma poiché non è semplice operare una sua ricognizione, trattandosi di vissuto
spesso imponderabile, ci limitiamo a far cenno ad alcune linee di azione portate avanti dalle
comunità.
3 A. BALLESTRERO, Giovani verso Cristo: mete e itinerari per la pastorale giovanile, Leumann (To),
Elle Di Ci, 1986, p. 1.
- 274 -

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Un primo impegno delle comunità ecclesiali nei riguardi dei giovani consiste nel loro
coinvolgimento alla vita della comunità. Il desiderio di partecipazione e la volontà di colla-
borazione da parte dei giovani trovano risposta nelle chiese che utilizzano le vie più diverse
per renderli corresponsabili. Si tratta talvolta di tentativi molto incerti, di strade nuove da
esplorare; ma l'apertura di spazi partecipativi è reale. Fioriscono infatti attorno alle parroc-
chie gruppi spontanei che si interessano di animare le liturgie, che si impegnano nel sociale
aprendosi alle varie esigenze del territorio, che assumono iniziative a favore del terzo mondo
e delle missioni «ad gentes». Sono spesso giovani che nel loro entusiasmo si spendono ge-
nerosamente per far sì che le comunità si rinnovino alla luce delle grandi intuizioni conci-
liari. L'informalità dei gruppi non toglie loro la serietà dell'impegno, anche se non sono esenti
da ambiguità. Di fronte a tale disponibilità numerose comunità si aprono alla partecipazione
e accolgono i gruppi come istanze di rinnovamento.
Di certo preponderante nell'azione delle chiese è l'impegno catechistico e liturgico per
la formazione dei giovani. Si organizzano per loro iniziative di approfondimento dottrinale
sia occasionali che continuative. L'insegnamento della religione, opportunamente rinnovato,
resta sempre, pur con difficoltà, uno dei canali principali di contatto dei giovani con il di-
scorso religioso. Così anche la scuola cattolica cerca di adeguare le sue proposte e i suoi
metodi per corrispondere alle attese giovanili. Rappresentano poi un nuovo strumento for-
mativo le scuole di teologia per laici, dove i giovani sembrano essere i più presenti. Le chiese
insomma cercano di portare avanti diverse forme di evangelizzazione a seconda delle situa-
zioni e degli interessi dei gruppi, sforzandosi di percorrere vie inedite e usufruendo dell'e-
sperienza accumulata nel tempo.
Ma le chiese oggi trovano particolarmente efficace una modalità non nuova, sebbene
rinnovata nelle sue forme: sono i gruppi, le associazioni e i movimenti, a cui i giovani ade-
riscono in forza delle loro esigenze di crescita e di condivisione.
Alcune proposte associative si ispirano a modelli consolidati nel tempo: si pensi ai centri
giovanili, alle forme aggregative come l'azione cattolica, alle associazioni promosse da isti-
tuti religiosi, agli scouts... Ma ci sono anche proposte in stile nuovo: sono i cosiddetti «mo-
vimenti», che rispondono a nuovi interessi ed esplorano percorsi inediti. Molti giovani se ne
sentono attirati.
L'azione ecclesiale tra i giovani è segnata anche da un'altra novità: sono i luoghi (o mo-
menti) di aggregazione che funzionano da catalizzatori per il vasto universo giovanile. Taizé
è uno di essi: il fascino del luogo è indiscutibile e ancor più lo è la carica spirituale della
testimonianza e della proposta. Anche i luoghi natali di santi, quali ad esempio Francesco
d'Assisi e Don Bosco, maestri di spiritualità, diventano sempre più punti di incontro per
numerosi giovani e riferimento per la loro ricerca di fede. Di frequente comunità religiose
di stile nuovo o antico convocano, aggregano e provocano. Così le scuole della parola o di
preghiera offrono ai giovani delle diocesi un comune cammino di crescita nella fede, con-
forme alla nuova sensibilità ecclesiale giovanile.
Infine non mancano iniziative a livello di Chiesa universale, in cui è rilevante la figura
del Papa. Gli incontri annuali della gioventù del mondo (Roma, Buenos Aires, Santiago), i
frequenti colloqui giovanili nelle sue visite pastorali in tutti i continenti, il rivolgersi di fre-
quente ai giovani nei suoi scritti e in particolari circostanze, come l'anno santo dei giovani
(1984), la celebrazione dell'anno internazionale della gioventù, sono momenti aggregativi
attesi che svolgono un'azione di richiamo e di proposta spirituale.
Un'ulteriore linea di iniziative pastorali coinvolge i giovani nell'attenzione agli ultimi.
Le forme sono molteplici: volontariato educativo e impegno per la pace, animazione cultu-
rale e cooperazione missionaria, promozione dell'ambiente e attività tra gli emarginati. Si
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tratta di un servizio che esprime la diaconia della Chiesa divenendo segno profetico e testi-
moniale della fede.
La scoperta che la proposta cristiana di impegno risponde alle esigenze reali della gente,
apre i gruppi alla complessa realtà del territorio come ambiente umano in cui si condividono
e si risolvono assieme i problemi, si crea cultura e si sperimenta la solidarietà.
Non pochi giovani impegnati si cimentano allora nel sociale e nel politico, rielaborano
nella prassi il rapporto Chiesa-mondo, ricomprendono il contributo dei cristiani alla vita
pubblica, assumono impegni politici nelle istituzioni, cercano di lievitare la solidarietà col
Vangelo, collaborano da credenti nella difesa dei diritti umani e nelle iniziative verso settori
sfavoriti.
Il rilancio dell'interesse prepolitico e politico, accompagnato da solida formazione cul-
turale e cristiana, si presenta nelle chiese più organizzate come motivo capace di aggrega-
zione.
4.3 Verso una visione organica della pastorale giovanile: i progetti
Dalla riflessione teologico-pastorale e dalla prassi necessariamente frammentaria delle
chiese nell'affrontare il complesso fenomeno giovanile nasce l'esigenza di dare organicità
agli interventi. La prassi infatti rivela alcuni limiti: la polverizzazione delle iniziative e una
certa loro divergenza riguardo a impostazioni concrete, la mancanza di mete chiare e di iti-
nerari sperimentati, l'improvvisazione e la conseguente discontinuità, la mancanza di soste-
gno e coinvolgimento della comunità e a volte addirittura dei pastori. Appare quel fenomeno
che è stato definito la «pastorale delle iniziative».
Si fa strada allora l'idea del progetto come strumento di un'azione più completa, meglio
definita, più collegata, più corresponsabile. Si tratta di raggiungere tutto il campo giovanile
e non soltanto alcune delle sue frange e manifestazioni: l'educazione, l'educazione alla fede,
la cultura, l'esperienza sociale, l'impegno ecclesiale, l'emarginazione, l'adolescenza, la gio-
vinezza, i lontani, i praticanti. Si tratta anche di approfittare di tutte le energie disponibili,
considerate come doni dello Spirito; e allo stesso tempo di raccordarle, gerarchizzando i loro
interventi secondo i criteri dell'urgenza e importanza, secondo una visione comunionale della
Chiesa e della pastorale. Si cerca allora di costruire convergenza su obiettivi che mirano alla
formazione della persona e della comunità e di fare in modo che tutti si sentano correspon-
sabili della missione e dell'azione della comunità ecclesiale riguardo alla gioventù.
Il criterio pastorale della progettazione (è più un criterio che una tecnica o metodologia!)
viene assunto nella maggioranza delle chiese. Ha il suo correlativo nella creazione degli
organismi diocesani e, in alcune parti anche parrocchiali, per l'animazione e il coordina-
mento della pastorale giovanile.
Tali organismi hanno origini recenti, datano dagli ultimi anni e il loro operare è ancora
incerto. Ma il loro diffondersi e progressivo affermarsi non conoscono sosta, sono ancora in
atto, e fanno bene sperare.
Dai progetti emergono alcune tendenze caratteristiche della pastorale giovanile odierna.
È anzitutto una pastorale «missionaria». Il continente giovanile appare poco o niente
evangelizzato. Anche dove la Chiesa è stabilita da secoli, convivono giovani cristiani con
altri che hanno abbandonato ogni riferimento a motivi e pratiche religiose; stanno assieme
giovani socializzati con altri deviami, emarginati, profughi ed emigranti. Tutto questo è
campo della pastorale: non soltanto le istituzioni educative o religiose, ma il vasto «conti-
nente» giovanile verso cui bisogna indirizzarsi, a volte con un'azione di ricupero, a volte con
una provocazione, a volte con un invito al dialogo, con un primo annuncio, con la catechesi
sistematica, con l'invito ad un forte impegno umano e cristiano.
- 276 -

28.9 Page 279

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La «missionarietà» spiega la «svolta» da un modello pastorale che si proponeva di edu-
care ed evangelizzare specialmente e a volte esclusivamente attraverso le «istituzioni od
opere», ad un modello «comunicativo» che intende approfittare di tutti i canali e le forme di
presenza attraverso cui veicolare messaggi, di tutte le «esperienze giovanili» che sprigionano
desiderio di ricerca, e di tutti i luoghi dove i giovani esprimono la loro vita e il loro desiderio
di rapporti e di senso.
Proprio questa missionarietà postula la ricerca di molteplici approcci. La pastorale di-
viene allora una pastorale «di comunione», più preoccupata di includere che di escludere
servizi o carismi, più tesa ad unire ed integrare che a separare e settorializzare. Viene supe-
rata la concezione limitata che restringeva la pastorale alla cura delle anime, al servizio re-
ligioso. In qualche parte infatti si è impiegato molto tempo per includere nella pastorale tutto
il settore educativo, all'interno del quale venivano considerati «pastorali» soltanto gli inter-
venti e i momenti esplicitamente religiosi. Ma ciò comporta, anche se non sempre in modo
consapevole, una maniera di concepire il religioso come aggiunto all'umano, piuttosto che
come la sua dimensione più profonda.
Il Vaticano II, chiamato Concilio «pastorale» a causa della prospettiva con cui sviluppa
tutta la riflessione, produce un cambiamento nella concezione stessa di pastorale. La presenta
come l'azione multiforme della Chiesa guidata dai Pastori per suscitare la fede, formare la
comunità cristiana e trasformare la storia con lo spirito del Vangelo. Piuttosto che un settore
limitato di prestazioni religiose, la pastorale indica il criterio, l'orientamento, la finalizza-
zione che muove tutto l'operare della Chiesa tra gli uomini. Il campo della pastorale non è
allora la Chiesa, ma il mondo; la sua preoccupazione non è la dimensione religiosa, ma tutto
l'uomo; la sua finalità ultima non è inserire in una istituzione religiosa, ma salvare la persona.
Tale considerazione porta a un'altra caratteristica della pastorale giovanile. È una pasto-
rale «educativa», «situata», non generica. La Chiesa, concittadina dell'uomo, non soltanto
prende in considerazione, ma addirittura condivide le situazioni felici o tragiche in cui questo
costruisce la sua esistenza. Accoglie dunque tutto quanto il giovane affronta nella costru-
zione della sua identità, nella scoperta della vita e nella partecipazione alla storia.
Il fondamentalismo religioso ritiene che il metodo pastorale adeguato consista nel met-
tere il giovane soltanto di fronte alla decisione di accettare o meno la fede formulata, di
appartenere o meno alla comunità credente. Il buon Pastore segue altre strade: incontra la
gente nei crocevia della vita che spesso hanno poco a che fare col religioso.
La situazione giovanile è complessa. Il voler semplificarla per provocare un incontro
immediato con la fede può ottenere dei risultati in alcuni casi, ma non risolve il problema
dell'evangelizzazione del mondo giovanile. Soprattutto non riesce a fondere fede ed espe-
rienza umana, e la prima rimane giustapposta alla vita.
L'educazione, intesa come processo globale di crescita, è il luogo e il tema umano in cui
l'annuncio di Cristo può risultare significativo per il giovane. Non ci si riferisce qui alla
«scolarità» soltanto, ma a tutto quello che abilita la persona ad emergere con la sua libertà
dai condizionamenti che pretendono di dominarla e a sviluppare al massimo le sue potenzia-
lità.
Il carattere educativo della pastorale solleva molti interrogativi pratici e orienta verso
determinate soluzioni. I percorsi di crescita umana contengono già presupposti per la fede?
Bisogna intendere la catechesi principalmente come apprendimento dottrinale oppure come
cammino personale di fede e di iniziazione alla vita della comunità cristiana? L'appartenenza
alla Chiesa va intesa come regolarità nell'assistere ad atti religiosi o principalmente come
serietà di ricerca e confronto, di coinvolgimento nella causa del Regno? I sacramenti sono
adempimenti o energie per costruire la personalità secondo la misura dell'uomo Cristo?
- 277 -

28.10 Page 280

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Non bisogna interpretare «l'educativo» come uno sconto concesso alla debolezza di al-
cuni, incapaci di assumere la fede di colpo o come una semplice facilitazione metodologica.
Va respinta la concezione che l'educazione costituisca la metodologia della proposta di fede.
L'incarnazione di Cristo ci dice che la vita dell'uomo è la carne attraverso la quale la Parola
di Dio si fa vicina e comprensibile.
Perciò alle precedenti bisogna aggiungere un'ultima e più importante caratteristica: è
una pastorale «salvifica». Quello che costituisce la sua forza originale è la verità sull'uomo,
su Dio, su Cristo. Essa la offre senza riduzionismi sebbene progressivamente; senza acco-
modamenti, ma col linguaggio delle beatitudini. Fa una proposta alternativa che va oltre gli
atteggiamenti e i beni più desiderati in questo mondo, e la fa come chi butta un seme, che
porta in sé l'energia per la propria crescita; ma del quale in un primo momento si percepisce
soltanto la morte mentre si attende nella fede la sua germinazione nascosta. La proposta
evangelica per quanto paradossale, non viene sminuita; il giovane invece viene portato all'al-
tezza della sua verità, delle sue gioie e delle sue esigenze.
E tutto questo - «missionarietà», «crescita completa», «salvezza» - si svolge in clima di
libertà. La pastorale è dunque «dialogale». Accetta il valore e il limite delle istituzioni e
afferma il carattere principale della persona. Ritiene marginali e da superare i processi di
persuasione occulta, di socializzazione collettiva; inutili quelli di costrizione di qualunque
tipo o di sottomissione in forza di prestigi intellettuali o morali. È convinta che il giovane
deve liberare quanto va sorgendo dalla esperienza, mettendolo a confronto con la parola di
Gesù, culmine della saggezza e della sapienza. Non è soltanto una pastorale di ascolto e di
risposta, ma anche di annuncio e di proposta. Scommette su Cristo, sulla verità della sua
parola, sull'energia della sua risurrezione.
5. Il cammino della Congregazione
Sin dal nascere della questione giovanile la Congregazione tenta di adeguare la propria
azione.
Fino agli anni '60 essa appare saldamente collocata tra i preadolescenti e adolescenti
con strutture educative ben definite: scuole e centri professionali, convitti, oratori, aspiran-
tati. In queste strutture si seguono alcune «linee» pedagogiche condivise, che scaturiscono
da una prassi sicura, ben rodata, la quale riesce a fondere crescita culturale ed evangelizza-
zione nelle attività educative e nei fini istituzionali, nella vita di famiglia come nel tempo
libero. La preparazione del personale e i ruoli di governo corrispondono anche agli obiettivi
generali, quasi scontati, che non hanno bisogno di essere riformulati né esplicitati. Vi corri-
spondono pure i contenuti di rado sottomessi a revisione e discussione, il quadro di fondo e
persino una interpretazione del contesto sociale e della finalità che un'istituzione educativa
deve avere nei suoi confronti. Non incidono ancora fenomeni come il «pluralismo», la «com-
plessità», «l'eccedenza di opportunità» per i giovani, la «diversificazione delle situazioni
locali», la frammentazione del quadro di valori e della visione della realtà, la prevalenza
della elaborazione personale.
5.1 La percezione della nuova situazione dei giovani
Il CG 19 rappresenta il primo momento di consapevolezza comunitaria della Congrega-
zione riguardo al cambiamento che si sta operando nell'area giovanile. Si tratta di una lettura
abbastanza sistematica sebbene stringata e ancora intuitiva. Viene sottolineata la differenza
tra la gioventù dei diversi contesti socio-economici, il differente tipo di «bisogni» che queste
gioventù manifestano. Soprattutto si registra l'emergere della fascia superiore ai 14-15 anni:
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29 Pages 281-290

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29.1 Page 281

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questo periodo risulta determinante nell'evoluzione della persona e incide nel fenomeno gio-
vanile collettivo. Di conseguenza comincia a farsi sentire «una società giovanile che si dif-
ferenzia da quella degli adulti»4.
Non mancano accenni, seminati in diversi documenti, alle caratteristiche generali che la
gioventù presenta: senso di libertà, desiderio di partecipazione, entusiasmo per il progresso
tecnologico e per la produzione di beni che migliorano la vita5. Donde alcune nuove esigenze
educative come lo sviluppo della capacità critica, la preparazione a vivere in ambienti sociali
aperti e molteplici, l'educazione all'amore, l'inserimento sociale attivo specie per i giovani
lavoratori ai quali la Congregazione si sente particolarmente legata6.
Questa lettura viene ulteriormente aggiornata dal CGS 20 che prende atto dell'enorme
peso demografico, sociale, politico ed ecclesiale del problema giovanile7, sottolinea i «nuovi
bisogni» che sperimenta la gioventù nelle società agiate e la situazione tragica dei giovani
delle aree povere del mondo8. Rileva l'affiorare sociale della mixité e della coeducazione.9
Ma è sei anni dopo, in occasione del CG 21, che la Congregazione, di fronte al rapido
succedersi delle trasformazioni nel campo giovanile e della loro ripercussione sull'educa-
zione e l'evangelizzazione, decide di darsi strumenti per osservare la condizione dei giovani
e stabilisce che la lettura di questa sia passo previo alla progettazione.
A conclusione del primo capitolo del Documento «I salesiani evangelizzatori dei gio-
vani», in cui vengono lette la situazione sociale, le tensioni ideali, i rischi, le risorse e 1'at-
teggiamento della gioventù degli anni '70 di fronte alla fede, si decide: «La gravità della
situazione giovanile nel nostro tempo e l'insistente appello della Chiesa e della società im-
pegnano la nostra Congregazione, per la sua specifica missione, a mobilitare nei prossimi
sei anni i confratelli attorno ai problemi della realtà giovanile... Come premessa di ogni pro-
grammazione educativa e pastorale è necessario che i salesiani siano più sensibili alla con-
dizione giovanile, letta nelle sue attese più rispondenti al Vangelo, attraverso un'analisi suf-
ficientemente seria e attraverso il contatto diretto con i giovani»10.
Da allora la lettura della condizione giovanile, totale o parziale, è punto obbligato dei
capitoli ispettoriali, ispira iniziative di largo respiro tali come ricerche a livello nazionale e
internazionale, dà origine ad équipe e osservatori della situazione dei giovani che a loro volta
si collegano a centri di elaborazione dati. Dove non sono possibili ricerche di prima mano,
si approfitta di quelle portate avanti da altre organizzazioni competenti, facendo lo sforzo di
una lettura educativa e pastorale.
La relazione del Rettor Maggiore al CG 22 (1984) valuta così il cammino percorso: «è
questo il primo dato positivo: è cresciuta la sensibilità per i problemi e la mentalità dei gio-
vani ed è aumentato il contatto con gli strumenti di conoscenza».
La lettura della condizione giovanile ha fatto passi ulteriori in questo sessennio, solle-
citata dalla società che tiene costantemente sotto osservazione tutti i suoi settori, la rispettiva
situazione generale e le domande emergenti.
5.2 La riformulazione dei contenuti e delle modalità educativi
4 Cf. ACS 244 (1966), p. 102.
5 Cf. ACS 244 (1966), p. 183-184.
6 Cf. ACS 244 (1966), p. 113-125.
7 CGS20 35-38.
8 CGS20 39-40.
9 CGS20 50.
10 CGS20 30.
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29.2 Page 282

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Gli stimoli della Chiesa circa la crescita umana e l'evangelizzazione dei giovani, il senso
di inadeguatezza di fronte ai fenomeni giovanili portano a riformulare contenuti e modalità
dell'educazione e della proposta di fede.
I salesiani si ispiravano a una prassi trasmessa vitalmente più che elaborata scientifica-
mente. C'era comunque un capitolo sintetico del Regolamento dal titolo «Dell'educazione
civile, morale e religiosa degli alunni» di relativa facile applicazione in strutture totali, con
finalità istituzionali che coincidevano con le domande dei giovani.
Nel 1965 (CG 19) si avverte che questa sintesi di riferimento è insufficiente sia riguardo
ai contenuti che al linguaggio e alle sue giustificazioni fondanti. Si fanno ritocchi parziali
alle norme che regolano la vita interna degli istituti, mentre si affida ai futuri «direttorii» la
formulazione dei nuovi orientamenti. Si tenta di riesprimere i fini della nostra educazione,
di stagliare alcuni tratti dell'educatore oggi (salesiano e laico), di dare alcuni criteri e indica-
zioni generali sui valori più compromessi o sentiti nell'attuale situazione11. L'evangelizza-
zione dei giovani e l'educazione alla fede vengono proposte quasi esclusivamente sotto la
forma di catechesi sistematica e, sebbene si percepisca il bisogno urgente, se ne affida il
rinnovamento alle commissioni postcapitolari, allo sforzo dei confratelli e alla prassi.
Le preoccupazioni si riferiscono principalmente alla «organizzazione delle opere» in
vista della formazione dell'uomo alla fede; ai «piani concreti di azione»12; alla preparazione
e dei confratelli a questo compito13. I contenuti tradizionali con opportune accentuazioni e
aggiunte nuove verrebbero facilmente trasmessi mediante il sistema preventivo che nell'ora
presente deve ricuperare il rapporto da persona a persona, l'assistenza come condivisione
costruttiva, la capacità professionale, il senso della comunità14. Le istituzioni educative, de-
positarie della tradizione e della competenza, sono il luogo di riferimento emblematico per
un'educazione sistematica e una formazione cristiana completa.
Sei anni dopo (CGS 20) il punto di partenza è la missione salesiana e i suoi destinatari,
e le conseguenze che scaturiscono dall'incontro tra questi due interlocutori. La riflessione si
arricchisce con tutti gli elementi che la Chiesa ha offerto. Ne è una prova il Documento
capitolare su «Evangelizzazione e catechesi», che applica all'ambito salesiano quanto era
stato rinnovato nel Direttorio Catechistico Generale. Vengono chiariti gli obiettivi, i passi di
un cammino per la maturazione nella fede. Si intende arrivare a far sì che i giovani vivano
la propria realtà umana alla luce di Cristo, inseriti in Lui.
I salesiani pensano di potervi riuscire «partendo dalla realtà, ripensata in gruppo, alla
luce della Parola celebrata nella liturgia e orientata all'impegno apostolico». Gli atteggia-
menti pastorali che rendono possibile questa proposta sono la ricerca e l'incontro con i gio-
vani, il dialogo e la condivisione15. Gli elementi di soluzione ai problemi educativi che pro-
vengono dalla nuova realtà giovanile e dalla nuova cultura sono disseminati e di difficile
applicazione immediata. Il CGS 20 rappresenta più uno sforzo di chiarimento della missione
salesiana, delle sue linee di attuazione, che una organizzazione di contenuti educativi rispon-
denti alle nuove domande dei giovani. Sembra avere maggiormente di mira l'orientamento
dei salesiani, la loro fedeltà al rinnovamento conciliare che le nuove esigenze dell'educa-
zione.
11 Cfr. ACS, 244, gennaio 1966, pp. 182-185.
12 Ibid., p. 187.
13 Ibid.
14 Ibid., pp. 185-186.
15 Cf. CGS20, nn. 360-373.
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29.3 Page 283

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Ma la Congregazione ha l'opportunità di ripensare i contenuti educativi nel CG 21. Dopo
aver valutata la situazione e rivisitato il quadro di riferimento maturato fino a quel momento,
enuncia gli obiettivi principali che l'educazione salesiana deve proporsi:
«Sul piano della crescita personale vogliamo aiutare particolarmente il giovane a co-
struire una umanità sana ed equilibrata, favorendo e promuovendo:
una graduale maturazione alla libertà, all'assunzione delle proprie responsabilità perso-
nali e sociali, alla retta percezione dei valori;
un rapporto sereno e positivo con le persone e le cose che nutra e stimoli la sua creatività
e riduca conflittualità e tensioni;
la capacità di collocarsi in atteggiamento dinamico-critico di fronte agli avvenimenti,
nella fedeltà ai valori della tradizione e nell'apertura alle esigenze della storia, così da
diventare capace di prendere decisioni personali e coerenti;
una sapiente educazione sessuale e all'amore che lo aiuti a comprendere la dinamica di
crescita, di donazione e di incontro, all'interno di un progetto di vita;
la ricerca e la progettazione del proprio futuro per liberare e convogliare verso una scelta
vocazionale precisa l'immenso potenziale che è nascosto nel destino di ogni giovane,
anche nel meno umanamente dotato.
Sul piano della crescita sociale vogliamo aiutare i destinatari ad avere un cuore e uno
spirito aperti al mondo e agli appelli degli altri. A questo fine educhiamo:
alla disponibilità, alla solidarietà, al dialogo, alla partecipazione, alla corresponsabilità;
all'inserimento nella comunità attraverso la vita e l'esperienza del gruppo;
all'impegno per la giustizia e per la costruzione di una società più giusta e umana»16.
Qualche cosa di simile viene enunciato riguardo alla maturazione cristiana, dopo aver
approfondito la distinzione e la fusione che si dà nel metodo salesiano tra crescita umana ed
educazione alla fede.
Si tratta di obiettivi, di condizioni generali, di atteggiamenti personali e di ambienti che
favoriscono la crescita del giovane. Mancano ancora esplicitazioni organiche di contenuti
per un «programma» operativo. Proprio per questo siamo informati «che il sistema preven-
tivo associa in un'unica esperienza dinamica educatori e destinatari, contenuti e metodi»17.
Perciò piuttosto che ad una migliore formulazione concettuale, il ripensamento dei con-
tenuti porta verso alcune disposizioni e atteggiamenti degli educatori che conformano una
esperienza positiva di incontro con i giovani. «Negli educatori, singoli e comunità, acqui-
stano una fondamentale importanza alcune disposizioni e atteggiamenti:
l'attenzione ai giovani reali, alle loro vere esigenze, agli interessi attuali e ai compiti di
vita che li attendono; la simpatia verso il loro mondo, la capacità di accoglienza e di
dialogo;
la stima e la giusta considerazione dei valori di cui i giovani sono portatori e l'attenzione
ai dinamismi della loro crescita;
la ragionevolezza delle richieste e delle norme, la creatività e la flessibilità delle propo-
ste;
l'impegno di sollecitare l'adesione ai valori non attraverso l'imposizione forzata, ma tra-
mite le vie della persuasione e dell'amore;
la convinzione, umanamente e cristianamente incoraggiante, che «in ogni giovane, an-
che il più disgraziato, abbia un punto accessibile al bene; dovere primo dell'educatore è
di cercare questo punto, questa corda sensibile e trarne profitto»;
16 CG21 90.
17 CG21 96.
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29.4 Page 284

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la franchezza di una proposta cristiana integrale, seppur commisurata alla diversità di
età, di livello culturale e spirituale, di capacità di ascolto e di accettazione»18.
Il mutamento culturale è rapido e profondo. Intacca visioni e valori umani e cristiani. La
fede continua a subire un processo che chiama in causa i suoi fondamenti, il linguaggio e i
segni con cui si è espressa nel passato e porta gli interrogativi sulla sua credibilità. E anche
se per una parte della gioventù sembra superata l'epoca del sospetto, il desiderio della fede
non è generale. Appaiono pure nuovi spazi dove il Vangelo diventa «annuncio di salvezza».
Alle indicazioni generali offerte dai Capitoli (missione, pastorale, finalità, criteri, spi-
rito, caratteristiche, strutture...) si è aggiunta la riflessione più particolareggiata su aree ri-
strette e specifiche, portata avanti dal Dicastero, dai centri di pastorale e dalle stesse ispetto-
rie, nello sforzo di darsi un programma adeguato (educazione formale, catechesi, ricupero,
vocazioni, gruppi...).
Tale sforzo ha tre manifestazioni maggiori: il progetto educativo pastorale, la spiritualità
giovanile salesiana, gli itinerari di formazione umana e cristiana. Tutte e tre cercano di espli-
citare a diversi livelli una sintesi maturata laboriosamente alla luce del patrimonio salesiano,
delle nuove sfide educative e delle indicazioni che vengono dalla Chiesa.
5.3 L'adeguamento delle iniziative, l'allargamento del campo di azione, la diversifica-
zione degli interventi
Consideriamo anzitutto lo sviluppo di alcune aree di azione pastorale, in cui nel passato
venivano impegnate poche forze, perché o erano considerate «eccezionali» o, allo stato delle
cose, non richiedevano più energie.
Il mondo degli adulti non è più considerato oggi marginale nel nostro impegno: la nostra
sollecitudine pastorale verso di esso, per richiesta delle chiese o per motivi congiunturali, ci
occupa tanto quanto l'educazione dei giovani. La promozione dei pii sodalizi, cui si accen-
nava nelle Costituzioni anteriori al 1972, si è sviluppata in un vasto compito di animazione
della Famiglia Salesiana; e l'impegno per la «buona stampa» è sfociata nel largo settore della
comunicazione sociale. Quanto alle «missioni» tutte le ispettorie sono ormai coinvolte non
soltanto nell'offerta di personale, ma anche nel sostegno diretto delle presenze dislocate in
zone lontane.
E se il CG 19 ipotizza un settore omogeneo denominato «Apostolato degli adulti» per
cui si prevede una funzione di animazione, il CGS 20 inserisce nel testo costituzionale «i
ceti popolari» come destinatari della missione salesiana, propone alcune categorie di adulti
cui rivolgiamo particolari servizi, e dichiara superata l'eccezionalità della parrocchia.
Ma l'area di azione salesiana si allarga anche nello stesso settore giovanile in risposta
alla nuova situazione. Infatti con la crisi delle agenzie educative tradizionali emergono nuovi
luoghi ed esperienze, che divengono significativi per i giovani. Con l'allungamento dell'età
giovanile d'altro canto sorgono nuove possibilità di formazione e coinvolgimento, ed altre
sfide vengono dall'ambiente, progressivamente secolarizzato, e dall'estendersi dell'emargi-
nazione.
Le prime proposte di nuove presenze o attività risalgono al 1965: sono le case di esercizi
spirituali per confratelli e per tutte le categorie di persone affidate alle nostre cure: alunni,
cooperatori, exallievi e per tutti gli altri giovani19; è una maggiore promozione dei pensionati
«a struttura aperta» per universitari e giovani lavoratori; è la disponibilità di personale per
18 CG21 101.
19 Cfr. ACS, 244, gennaio 1966, p. 169.
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29.5 Page 285

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l'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, l'assistenza spirituale alla gioventù studen-
tesca e operaia20.
Ma queste attività costituiscono soltanto un «complemento» alle istituzioni già consoli-
date nel tempo: la scuola, 1'oratorio, il centro professionale, il convitto.
Nel frattempo appaiono i primi movimenti giovanili di volontariato, si fa evidente il
fenomeno di povertà del terzo mondo, scompare l'associazionismo tradizionale che il CG19
aveva ancora raccomandato.
Il CGS 20, affrontando decisamente la missione e i destinatari, stabilisce che per rag-
giungerli è possibile sperimentare nuove forme di approccio e nuove presenze insieme a
quelle tradizionali. Il testo costituzionale esprime sinteticamente questo criterio: «La nostra
azione apostolica si realizza con pluralità di forme, determinate in primo luogo dalle esi-
genze di coloro a cui ci dedichiamo... L'educazione e l'evangelizzazione di molti giovani ci
muovono a raggiungerli nel loro ambiente e ad incontrarli nel loro stile di vita con adeguate
forme di servizio»21.
Due Capitoli Generali approfondiscono successivamente tale nuova presenza salesiana
come rinnovamento interno delle opere tradizionali e come attività e campi inediti. D'altro
canto i CI premono su questo fronte e singoli confratelli o gruppi ne fanno esperienza. Tali
presenze vengono considerate capaci di vivacizzare la comunità ispettoriale e di rinnovare
l'audacia pastorale.
Le nuove iniziative non sono facilmente né totalmente catalogabili. Si spargono su tutta
l'ampiezza dell'attuale campo giovanile, dando risposta a qualcuno dei bisogni emergenti. Si
possono annoverare le numerose iniziative nell'area dell'emarginazione sorte a partire dal
'70, di cui si è occupato il Dicastero della Pastorale Giovanile insieme all'Università Sale-
siana con alcuni seminari di studio. Si può anche citare il movimento sorto fin dall'anno 1968
attorno al volontariato missionario, al coinvolgimento dei giovani adulti (animatori, obiet-
tori) e all'associazionismo giovanile. Appartengono pure alle nuove iniziative i centri di pa-
storale giovanile e di catechesi che si sono moltiplicati, le iniziative di comunicazione sociale
che si rivolgono ai giovani (riviste, espressione), la nuova stagione di attenzione agli univer-
sitari.
5.4 Una proposta di qualificazione: il ridimensionamento
Le nuove domande sorte nel campo giovanile sono all'origine di una proposta precisa e
articolata sulla quale il Consiglio Superiore cerca di impegnare le singole ispettorie: il ridi-
mensionamento.
Le intenzioni sono chiare: «Costatando come le nostre opere pur avendo avuto un'e-
spansione grandiosa e consolante nei primi cento anni di vita della Congregazione, richie-
dono tuttavia una revisione di impostazione per le nuove circostanze di tempo e di luogo...,
gli ispettori... precisino quali attività si possono promuovere perché l'ispettoria corrisponda
alle istanze giovanili e popolari locali»22.
Si tratta dunque di qualificare gli interventi centrandoli meglio, di qualificare la comu-
nità rendendola capace di attuarli, di migliorare i risultati educativi.
20 Ibid., p. 104.
21 C 41.
22 Cf. ACS, 244, gennaio 1966, p. 44.
- 283 -

29.6 Page 286

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Il CGS 20 ribadisce la proposta, illuminandola da diverse prospettive: possibilità di vita
comunitaria, una migliore collocazione tra i destinatari, la qualificazione pastorale, la pre-
senza in nuove aree giovanili. E completa pure il quadro di criteri da applicare nel ridimen-
sionamento.
Alcune ispettorie tentano l'operazione. Si scontrano con una certa difficoltà di fare as-
similare le ragioni di futuro che sottostanno alla proposta, e con la resistenza ad abbandonare
i consueti campi di lavoro e a riconoscere i nuovi bisogni. L'operazione risulta però insigni-
ficante in intere regioni. Nel 1977 il Rettor Maggiore, nella relazione sullo stato della Con-
gregazione presentata al CG 21, dà questo resoconto: «Il ridimensionamento è ancora da
fare... Dalle informazioni disponibili, a parte alcune eccezioni, non consta di molte e orga-
niche realizzazioni in proposito. È mancata spesso la visione concreta e globale di tutta la
situazione nell'ispettoria, la sensibilità realistica e la capacità di vedere in prospettiva lo svi-
luppo delle situazioni. Ci si è trovati di fronte ad atteggiamenti o di passiva rassegnazione
ovvero negativi, a una visione ristretta che scorgeva nel ridimensionamento solo una opera-
zione di morte. Mentre esso aveva e ha lo scopo di vitalizzare e dare slancio e fecondità:
anzitutto ai salesiani, e conseguentemente alla loro attività apostolica alla luce della realtà di
oggi e di domani»23.
Nonostante tale risultato egli conclude: «Riconosco che è un lavoro difficile. Ma è di
tale importanza che ritardarlo o peggio ometterlo, sarebbe rendersi responsabili della deca-
denza, per non dire dell'eutanasia, dell'ispettoria»24.
Sul ridimensionamento insiste ancora, ma più debolmente, il CG 21. L'esperienza fallita
di un «ridimensionamento generale», sembra portare le ispettorie verso un criterio progres-
sivo a lungo termine, che consiste in parziali riduzioni, sviluppi, modifiche di comunità,
nella creazione di qualche nuovo servizio o nel dislocamento di risorse umane. Con questo
si spera di ricollocare maggiormente l'ispettoria lì dove premono i bisogni giovanili.
Il problema del ridimensionamento viene ripreso ora con il tema della «significatività»
della presenza salesiana nel territorio. Non mancano tentativi di ricollocazione, di affida-
mento delle opere ad altri attraverso forme partecipate di gestione, di presenza in nuovi con-
testi. Ma le nuove proposte che richiedono un ulteriore impiego di forze, si aggiungono sem-
plicemente agli impegni esistenti, indebolendo la consistenza delle comunità e sovraccari-
cando di responsabilità i confratelli.
5.5 Le strutture di animazione e governo
Nella nuova situazione contrassegnata dall'apertura massima dell'iniziativa, dalla rifor-
mulazione dei contenuti, dall'attenzione alla situazione giovanile si applica alla Congrega-
zione un nuovo sistema di orientamento e guida: il decentramento. Non è immaginabile as-
sumere in contesti così diversi come sono quelli in cui operano i Salesiani, un medesimo
programma o un medesimo quadro di riferimento di immediata praticità. Gli orientamenti
generali devono essere ripresi dalle ispettorie conforme alla propria situazione, in dialogo
con la cultura, con le correnti e i sistemi educativi presenti nel proprio ambiente, partendo
da quel nucleo ispirante comune che chiamiamo «sistema preventivo». Il decentramento
comporta da parte delle ispettorie e regioni la riformulazione organica delle mete e dei con-
tenuti, la reimpostazione delle attività e strutture, la preparazione del personale.
Nel Consiglio Superiore i ruoli di Consigliere scolastico e professionale vengono sosti-
tuiti da un unico Consigliere per la «pastorale giovanile e parrocchiale». A lui si affida «tutta
23 CG21 38.
24 CG21 42.
- 284 -

29.7 Page 287

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la pastorale giovanile e parrocchiale», «la formazione generale (dei giovani) sotto l'aspetto
religioso, intellettuale, morale in tutte le case salesiane (oratori, convitti, circoli, compagnie,
associazioni giovanili varie)»25. Nell'organizzazione degli uffici del Consiglio Superiore
viene ipotizzato un Centro Generale di Studi e Orientamento all'interno del quale avrebbe
funzionato un Centro salesiano di Pastorale della gioventù. Tra i suoi compiti si enunciano
anche quelli di «conoscere meglio la situazione concreta e i bisogni della gioventù in rapida
evoluzione; raccogliere e coordinare le migliori riflessioni ed esperienze educative dei sale-
siani e degli altri educatori attraverso il mondo; suscitare ed orientare una più fruttuosa
azione educativa dei salesiani e degli educatori»26.
A questa organizzazione centrale corrispondono, a livello ispettoriale, nuovi ruoli di
animazione, le cui figure e competenze sono lasciate alla scelta delle ispettorie27. Comunque
tra il 1965 e il 1971 viene chiesto a tutte le ispettorie di costituire il «proprio servizio di
animazione pastorale» conforme ad un progetto inviato dal Dicastero, mentre si creano al-
cuni centri nazionali come intermediari tra le Ispettorie e il Dicastero.
Nella relazione presentata al CGS 20 (1971) il Rettor Maggiore considera difficile va-
lutare l'incidenza di questa organizzazione. Vengono comunque apprezzati i contatti inco-
minciati, la comunicazione stabilita con gli incaricati di pastorale giovanile «per la sensibi-
lizzazione delle tre aree pastorali: catechesi, liturgia, associazionismo»28.
La Congregazione arriva alla conclusione che è indispensabile un sistema di comunica-
zione con strutture e «terminali» corrispondenti e omogenei. In alcune regioni questa orga-
nizzazione regge e si evolve, animando ancora oggi l'insieme della pastorale. In altre, dopo
una esperienza giudicata non totalmente positiva, viene prima eliminata, poi ripristinata con
una certa fatica e poca convinzione. Dopo la promulgazione delle Costituzioni il Dicastero
invia alle ispettorie mia proposta di servizio di animazione, seguendo le aree di contenuto
indicate negli art. 32-36. Intanto i centri nazionali si moltiplicano, coprendo quasi tutti i
contesti in cui operano più ispettorie. Oggi questi organismi consentono una comunicazione
tra Dicastero e ispettorie nelle due direzioni, e allo stesso tempo facilitano un'elaborazione
di proposte autonoma e aderente al contesto locale. È invece difficile stabilire un dialogo
fluido e continuo con quelle ispettorie e regioni in cui questi organismi non sono stati costi-
tuiti o l'area pastorale è stata arbitrariamente frammentata.
Quanto al livello locale il CG 19 mantiene le funzioni invariate e obbligatorie: il consi-
gliere scolastico, il consigliere professionale, il catechista, tutti membri de jure del consiglio
locale. Successivamente il CGS 20, considerando la diversificazione delle presenze già in
atto, trasferisce alle ispettorie la responsabilità di creare, conforme alla natura e finalità delle
opere, i ruoli che giudica opportuni. Alcune ispettorie mantengono i ruoli con i nomi tradi-
zionali; altre ne cambiano il nome e la configurazione; altre fanno a meno dei ruoli perdendo
di specifica efficacia educativa tra i giovani.
L'obbligo di elaborare il direttorio ispettoriale, in conformità alle Costituzioni rinno-
vate, mette le ispettorie di fronte all'esigenza di definire le varie funzioni nel contesto della
corresponsabilità comunitaria29.
Intanto le ispettorie sentono il bisogno di creare il proprio sistema di comunicazione
affinché proposte ed esperienze diventino un patrimonio comune e condiviso. Le adunanze
25 Cf. ACS, 244, gennaio 1966, p. 24.
26 Ibid., p. 201.
27 Ibid., p. 35.
28 Ibid., p. 94.
29 C 185.
- 285 -

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dei direttori e responsabili, l'elaborazione della proposta pastorale e la verifica annuale, la
riflessione in comune su alcune situazioni e criteri, diventano gli strumenti per progredire
insieme e con continuità.
Ma dove questi tre requisiti (progetto, struttura di animazione, sistema di comunica-
zione tra le comunità) non sono stati presi in considerazione, è e rimarrà difficile la diffu-
sione degli orientamenti e la condivisione delle iniziative.
5.6 Il progetto educativo pastorale
La molteplicità degli interventi, la possibilità di iniziativa da parte dei singoli e delle
comunità, la complessità con cui si presenta il fenomeno giovanile riguardo alla crescita
umana e all'educazione alla fede, il pluralismo di impostazioni e di scelte fanno correre rischi
non immaginari di «dispersione» o di «giustapposizione» delle iniziative. È possibile perdere
di vista l'essenziale, capovolgere la gerarchia degli obiettivi, non adeguare convenientemente
gli interventi ai bisogni. Per far fronte a questo rischio il CG 21 propone il Progetto Educa-
tivo Pastorale. Attorno ad esso, a partire dal 1978, fiorisce una letteratura domestica di mo-
tivazione, sussidiazione e modelli pratici. L'elaborazione del progetto investe in un primo
momento i responsabili dell'animazione a raggio ispettoriale, mentre le comunità locali sten-
tano ad assumerla; diventa norma con la promulgazione delle Costituzioni e dei Regolamenti
Generali. Questi all'art. 4 stabiliscono che «ogni comunità ispettoriale, ispirandosi al sistema
preventivo elabori il proprio progetto educativo pastorale per rispondere alla situazione della
gioventù e degli ambienti popolari. In conformità con esso, anche a livello locale, e coinvol-
gendo tutti i membri della comunità educativa pastorale, si elabori un progetto che orienti
ogni iniziativa verso l'evangelizzazione».
Il medesimo testo indica in seguito responsabilità e aree da progettare. Il progetto do-
vrebbe ricondurre ad unità coerente i diversi aspetti o dimensioni della nostra azione, parti-
colarmente in vista della crescita unitaria del soggetto e dell'educazione alla fede.
Ma si propone anche il rinnovamento, all'interno di una sostanziale continuità di stile,
degli interventi di fronte alle nuove sfide che vengono dai giovani, dalla società e dai nuovi
modelli educativi. Per questo richiede la ricomprensione del sistema preventivo nelle sue
ispirazioni fondamentali, una rilettura sufficientemente seria della condizione giovanile, una
formulazione di obiettivi, di esperienze e di linee di azione.
Quali siano le novità prodotte dall'introduzione della progettazione è possibile desu-
merlo dalla relazione del Rettor Maggiore dell'anno 1984 e dalle verifiche fatte nelle visite
di insieme. Da esse risulta che il progetto, oltre a dare una maggiore chiarezza sulle mete
finali della nostra educazione, facilita un'adeguata impostazione globale degli ambienti (ora-
tori, scuole, parrocchie...) che assumono con più consapevolezza le richieste dei destinatari
e le istanze di innovazione contenutistica e metodologica.
Anche questo processo non è scevro di difficoltà e nemmeno finito. La valutazione fatta
nella medesima relazione dice: «Un numero notevole di ispettorie ha portato a termine l'ela-
borazione del progetto ispettoriale... Altre sono ancora in cammino, ma perseverano in que-
sto proposito. Alcune hanno fatto un primo insufficiente tentativo e hanno in seguito smesso.
Un numero ridotto non ha avuto la preoccupazione di precisare un orientamento pastorale
d'insieme... Queste e altre iniziative sono progredite nella misura in cui
ci sia nelle ispettorie un'équipe di animazione pastorale, costituita in base a criteri rin-
novati;
il Consiglio ispettoriale abbia esso stesso dedicato tempo alla riflessione pastorale;
si sia mantenuto il dialogo e lo scambio con il Dicastero;
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gli organismi intermedi di animazione (Conferenze, Centri) abbiano promosso la colla-
borazione».
Oggi la situazione è più favorevole: un maggior numero di ispettorie elabora il progetto.
Quelle che hanno accolto la proposta sin dall'inizio coinvolgono anche le comunità locali, in
cui la progettazione diventa prassi ordinaria. Si rilevano difetti nella gerarchizzazione dei
diversi aspetti e si sottolineano limiti particolarmente in ciò che riguarda la proposta di fede.
Ma si ha uno strumento di indagine per individuare le carenze e correggerle con la conver-
genza dei membri della comunità. Dove l'indicazione del Regolamento non è ancora messa
in pratica, ci si domanda quali sono le responsabilità che non hanno funzionato o le compe-
tenze mancate.
5.7 La qualificazione dei programmi nelle opere
Il tema della «nuova presenza» investe tutte le opere. Uno degli sforzi è dunque rivolto
al rinnovamento della prassi pastorale nelle singole strutture, aiutati in questo dalla rifles-
sione in corso nella Chiesa (cfr. La scuola cattolica - La dimensione religiosa nella scuola
cattolica) e dalle proprie verifiche.
Ciascun tipo di opera solleva dei problemi e richiede un nuovo assetto educativo e pa-
storale, un nuovo rapporto con la comunità ecclesiale e col territorio. Sin dal 1965 la Con-
gregazione li ha presi in considerazione nei momenti di verifica dei Capitoli e su ciascuno
ha prodotto una mole notevole di indicazioni. Le relazioni sullo stato generale della Congre-
gazione del 1977 e del 1983 si soffermano a valutare l'incidenza di queste indicazioni nella
realtà. Ne parlano anche le relazioni presentate dagli ispettori ai capitoli ispettoriali. In non
pochi contesti si sono avuti convegni su impostazioni educative e pastorali globali o su
aspetti particolarmente problematici, e si sono formati commissioni e gruppi di animazione,
anche se non sempre con un chiaro piano di compiti e obiettivi.
Dall'insieme si intravede uno sforzo di cammino che non riesce ancora a coinvolgere in
modo organico tutte le comunità delle singole ispettorie.
La scuola e la formazione professionale sembrano incidere poco sotto i profili educativo
e religioso. Il rapporto mutato dei giovani con le istituzioni, l'emergere della significatività
soggettiva delle attività di tempo libero, l'orario ridotto, le esigenze didattiche e organizza-
tive, una certa visione «secolare» del compito educativo, il prevalere dell'istruzione sugli
obiettivi educativi hanno ridotto notevolmente le sue possibilità ideali e reali di proporre un
cammino integrale di crescita umana e di fede. Si lamenta la caduta di quasi tutti i momenti
di «educazione religiosa esplicita», compreso l'insegnamento religioso ridotto in alcune parti
a tempi minimi. Si lamenta anche lo scollamento tra contenuti culturali, obiettivi educativi
e proposte pastorali. Si percepisce che l'educazione alla fede non è legata soltanto all'inse-
gnamento religioso, ma richiede il raccordo di una serie di realtà che costituiscono testimo-
nianza, annuncio e spazio umano dove fare l'esperienza della fede: la conduzione globale
dell'istituzione, il rapporto educativo, la comunità educante, il rapporto col territorio, l'evan-
gelizzazione interna dei contenuti didattici, la significatività delle offerte religiose al singolo,
al gruppo, alla comunità. Oltre a questo rimangono i problemi di selezionare i messaggi, di
tradurli col linguaggio comprensibile e proporre esperienze che parlino con una certa chia-
rezza ed efficacia della fede.
Il quadro di riferimento è stato enunciato sovente. Il cammino di realizzazione è lento,
perché richiede convergenza comunitaria, vivacità pastorale e capacità di analisi, verifica e
progettazione.
Allo stesso modo l'oratorio avverte la tensione tra l'apertura alla massa e la possibilità
di mantenere il carattere fortemente propositivo. Affronta la difficoltà di tracciare percorsi
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29.10 Page 290

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diversi secondo il livello di fede dei giovani, di modo che chi inizia abbia le proposte di base,
mentre per quelli che sono più avanti si proponga un cammino ulteriore che arrivi sino all'im-
pegno nella società e nella Chiesa. Inoltre cerca di inserirsi nel territorio con un discorso che
è allo stesso tempo testimonianza e annuncio, ma che viene mediato attraverso la partecipa-
zione nella promozione culturale dell'ambiente: così intende collocarsi tra la società civile e
la comunità ecclesiale. Con il discorso dell'associazionismo, della spiritualità giovanile sa-
lesiana, degli itinerari di fede, del coinvolgimento attivo dei laici, gli oratori-centri giovanili
acquistano uno stile di intervento più chiaro e sicuro. Ma anche a loro riguardo si deve dire
che traducono nella pratica gli orientamenti in modo diverso, condizionati da fattori vari: la
continuità della linea di azione, la relativa stabilità del personale, la storia dei singoli oratori,
il coinvolgimento dei responsabili nella riflessione che l'ispettoria o la regione portano
avanti.
Sulle parrocchie la relazione del Rettor Maggiore al CG 22 (1984) asserisce: «Si sono
registrati progressi nella percezione dei principi e dei criteri. Ma gli interrogativi riguardo
alle nostre parrocchie rimangono come sei anni fa; non riguardano impostazioni di principio,
bensì attuazioni pratiche... Riesce difficile oggi poter affermare che ogni nostra parrocchia
ha una particolare fisionomia giovanile: il caso contrario è forse più frequente. Nella parroc-
chia fanno dunque problema la stessa comunicazione con la gioventù e le opportunità di
intavolare con essa un discorso di fede. Non mancano nelle diverse regioni iniziative siste-
matiche e continuative per rafforzare la capacità evangelizzatrice della parrocchia. Ma il
modello operativo di pastorale giovanile e gli itinerari praticabili a favore dei giovani, una
volta esauriti quelli che preparano alla prima Eucaristia e alla Confermazione, non sono stati
né esplicitati né assunti».
5.8 Il soggetto della pastorale salesiana
Il discorso sui laici e sulla comunità educativa si propone da venticinque anni. Viene
adombrato dal CG 19 nel 1965, quando il Concilio Vaticano stava finendo: «I laici chiamati
a lavorare nei nostri istituti siano considerati stretti collaboratori, efficientemente integrati
nel gruppo educativo salesiano, anche se non fanno parte della comunità religiosa. La loro
scelta deve essere fatta alla luce di una triplice esigenza: dirittura morale e religiosa, compe-
tenza educativa, adattamento al nostro spirito»30. In seguito si porta avanti una riflessione
completa e articolata, definendo il ruolo di animazione che corrisponde solidalmente ai reli-
giosi e a tutti quei laici che abbiano fatto una scelta di impegno cristiano.
Si parla anche abbondantemente della partecipazione informale e formale, e viene riba-
dita l'importanza della formazione permanente dei laici, sia professionale che cristiana e sa-
lesiana. Così matura il criterio di corresponsabilità di tutti coloro che partecipano nel pro-
cesso educativo, si chiarisce che tale corresponsabilità si manifesta soprattutto nell'elabora-
zione, attuazione e verifica del progetto educativo.
Nel 1984 il nuovo soggetto responsabile della pastorale- educazione salesiana è ormai
definito con tutte le sue implicazioni, tanto da venire proposto dalle Costituzioni31 e Rego-
lamenti: «L'attuazione del nostro progetto richiede in ogni ambiente e opera la formazione
della comunità educativa pastorale. Il suo nucleo animatore è la comunità religiosa»32.
Percorrendo i documenti e gli studi in cui si è decantata la riflessione della Congrega-
zione a livello mondiale, regionale e ispettoriale, ufficiale e no, si rileva una insistenza così
30 Cf. ACS, 244, gennaio 1966, p. 186.
31 C 47.
32 R 5.
- 288 -

30 Pages 291-300

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30.1 Page 291

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massiccia e sicura su questo punto, da doversi interrogare sulle possibili cause di una certa
lentezza nella sua applicazione.
Certo oggi è chiaro che l'educazione e l'educazione alla fede non saranno realizzate sol-
tanto da una comunità religiosa, ma che i laici hanno un apporto originale e insostituibile,
che ai religiosi viene affidato il compito più determinante della formazione dei singoli,
dell'orientamento generale dell'azione e del rafforzamento della comunità educante. Il tra-
guardo su cui si punta è che questo modello di nuovo soggetto responsabile della pastorale
sia condiviso e attuato dalle ispettorie, come un tempo lo era quello della comunità religiosa.
6. Rilievi sull'azione della Pastorale giovanile in Congregazione
Nella descrizione del cammino che la Congregazione ha percorso in questi ultimi ven-
ticinque anni emergono con chiarezza alcune linee di sviluppo che si ispirano ad una conce-
zione di fondo coerente della Pastorale giovanile salesiana.
Esse rappresentano lo sforzo di riflessione e di guida degli organismi responsabili per
rispondere sempre meglio alle esigenze della gioventù e chiarire la peculiare modalità sale-
siana di affrontare la questione giovanile.
Dalla loro attuazione risulta una particolare problematica, di cui indichiamo soltanto
alcuni tratti.
6.1 Dislivello tra quantità di proposte e possibilità di attuarle
Nel considerare la situazione attuale della Pastorale giovanile salesiana non può man-
care una verifica sulla realizzazione delle proposte e orientamenti offerti dai Capitoli Gene-
rali e dagli organismi di animazione.
Sono stati numerosi gli stimoli e le iniziative di animazione. Gli organi centrali hanno
incalzato con proposte il cammino ispettoriale, per provocare il ripensamento e il rinnova-
mento richiesti dai Capitoli Generali.
Il piano di animazione e di coordinamento della Pastorale giovanile a livello generale
ha toccato in diverse riprese successive le dimensioni del progetto, la qualificazione dei di-
versi ambienti educativi pastorali, il rapporto tra pastorale e spiritualità salesiana, i nuovi
fronti di impegno e, infine, alcuni temi di sintesi.
L'impressione è che talvolta le tappe di attuazione non fossero considerate e avessero
tempi assai brevi. Il succedersi continuo di nuove proposte non ha lasciato la possibilità di
una loro reale assimilazione da parte delle comunità ispettoriali. Soprattutto la traduzione
concreta nella prassi quotidiana riusciva, se non impossibile, per lo meno troppo difficile.
Le comunità si sono trovate ad accelerare i ritmi di apprendimento, in un momento in
cui si richiedeva profondità di convinzioni. La molteplicità delle proposte ha provocato di-
spersione in mille impegni e diminuzione dell'attenzione alla novità. L'eccessivo susseguirsi
di iniziative e di nuovi fronti sulle stesse persone può infatti accrescere il senso di inadegua-
tezza, se non addirittura frustrare energie. Misconosce certamente la necessità di scelte pre-
ferenziali e di precisi obiettivi mirati. Ciò diventa ancora più evidente se si considera non
solo il settore di Pastorale giovanile, ma si mette sulla bilancia tutto il pacchetto di orienta-
menti e indicazioni che parte dalla Direzione Generale.
A livello ispettoriale poi non sempre sostengono l'animazione e il coordinamento ade-
guate strutture organizzative, le cui funzioni siano ben definite e riconosciute dalle comunità.
I canali di comunicazione sono spesso discontinui e parziali, come faticoso e insufficiente
risulta il lavoro delle équipe ispettoriali nella pianificazione degli interventi e nell'attuazione
dei progetti.
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Anche le più attuali proposte non riescono a trasformarsi in prassi quotidiana, se manca
un'appropriata comunicazione e se non funziona adeguatamente in loco un gruppo di pro-
gettazione operativa. Talvolta, inoltre, da centri di pastorale giovanile vengono elaborate
proposte autonome, non inserite nella linea del governo, poiché ad essi non interessano tanto
i tempi di attuazione quanto la presenza continua sul mercato.
Ne consegue che le ispettorie riescono ad assimilare e soprattutto a tradurre in pratica
gli orientamenti della Congregazione solo con fatica e in forma limitata. Le cause giustifi-
canti sono spesso la difficoltà di comprensione delle diverse proposte, la barriera della lin-
gua, il faticoso iter di rinnovamento delle comunità. Si assiste anche ad un'attuazione disu-
guale da ispettoria a ispettoria, così che la Congregazione si presenta notevolmente varie-
gata. Le situazioni specifiche delle varie ispettorie, i loro diversi ritmi di evoluzione, la dif-
ferente preparazione e competenza del personale salesiano e no, la stessa tradizione pastorale
del luogo sono condizioni spesso determinanti nell'innovazione educativa pastorale.
Matura però sempre più la coscienza di essere delle comunità responsabili della mis-
sione salesiana nel territorio, da realizzare secondo un progetto condiviso. Non appare più
possibile oggi procedere nell'azione tra i giovani con l'indeterminatezza delle mete, se-
guendo metodi non verificati, proponendo esperienze occasionali e non sufficientemente
collaudate.
Tutto ciò rende problematica ogni susseguente proposta uniforme che sia valida per tutti
i contesti (cfr. gruppi, territorio, animazione, MGS, partecipazione). Sempre più difficile
risulta tracciare un cammino uguale per tutti. Diviene invece praticabile un confronto e un'a-
nimazione diversificata a determinate condizioni. Ciò solleva interrogativi che richiedono
soluzioni a livello di animazione e di governo a partire dalle stesse decisioni del CG 23.
6.2 Emergenza di nuovi spazi educativi
Le comunità ispettoriali, di fronte alle nuove richieste giovanili e alla necessità di azione
rinnovata, percepiscono l'insufficienza delle attuali forme istituzionali a dare risposte ade-
guate alla domanda di educazione e di educazione alla fede. Nonostante la sostanziale effi-
cienza organizzativa delle strutture e l'impegno operativo degli educatori, si avverte una
certa impotenza davanti a problemi educativi emergenti e si sperimenta anche una certa fru-
strazione per il diffuso senso di inefficacia nel condurre i giovani alla fede. Istituzioni, che
prima erano in grado di compiere una educazione integrale, vengono considerate oggi «una»
tra molte agenzie educative.
Nella società complessa e pluralista assistiamo al sorgere di nuovi luoghi di educazione
della gioventù, che propongono modelli e creano stili di vita che affascinano le masse gio-
vanili. Si pensi alla scuola parallela dei mass-media, alle aggregazioni attorno agli interessi
musicali e sportivi, al turismo, alle nuove forme di impegno sociale ed ecclesiale, all'area
vitale del tempo libero, nuovo luogo di identificazione personale. Ci si rifaccia anche alla
grande mobilità aggregativa e alla molteplicità di esperienze, rese attualmente possibili a
tanti giovani. I nuovi spazi appaiono poi ancora più numerosi, se ci si lascia interpellare dalla
fascia giovanile, cui veniva precedentemente data un'attenzione marginale.
Di fronte a questa varietà e pluralità di situazioni formative, le ispettorie tentano di dare
un nuovo assetto alle istituzioni tradizionali, ma soprattutto negli ultimi tempi hanno pro-
mosso iniziative varie e impegnato energie nei nuovi spazi educativi.
- 290 -

30.3 Page 293

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6.3 Lo sforzo di rinnovamento
Nello sforzo di affrontare la complessa realtà giovanile odierna, le ispettorie intrapren-
dono due vie innovative: la rianimazione delle istituzioni educative e il rilancio delle aggre-
gazioni giovanili.
La prima via tende a definire meglio le esigenze del territorio e di corrispondervi, di
operare coinvolgendo le varie componenti della comunità educativa, specialmente i giovani,
di mettere in atto sperimentazioni didattiche e professionali, di ricuperare le istanze educa-
tive e pastorali, di rinnovare le metodologie educati- ve e di creare un rapporto nuovo con i
giovani.
Così si ridefinisce il volto dell'oratorio, si configura l'identità della scuola salesiana nel
contesto locale, si delineano i tratti caratteristici della parrocchia salesiana.
Ma le istituzioni denotano resistenza al cambiamento di impostazione pastorale. Ne sono
causa la loro stessa natura tendente alla stabilità e la difficoltà dell'ispettoria a comunicare
efficacemente una proposta globale di rinnovamento, la situazione di personale che non con-
sente ricambio e la scarsa disponibilità innovativa delle comunità, sebbene ci siano in esse
confratelli singoli che portano avanti un discorso di rinnovamento. Capita così che iniziative
innovative si giustappongono spesso ad una prassi generale che non riesce a rinnovarsi.
La seconda via intrapresa consiste nella rinnovata attenzione alle aggregazioni giovanili.
Prende corpo infatti un po' in tutti gli ambienti salesiani una nuova forma di presenza tra i
giovani: i movimenti. I gruppi e le associazioni sono già patrimonio di sistema preventivo.
E tuttavia avanza qualcosa di nuovo che merita attenzione: una realtà aggregativa che si
costruisce facendo forza attorno a istanze sentite, quali l'impegno missionario, la voglia di
animazione, la frontiera del volontariato, la promozione vocazionale, l'impegno apostolico,
la proposta di protagonismo giovanile. In questa luce si sviluppa la proposta di vita cristiana
nello stile di Don Bosco: la SGS.
Il MGS ormai è realtà in tante ispettorie: lo si promuove caratterizzandolo come educa-
tivo e collegando tra loro i gruppi dai più diversi legittimi interessi. Asse portante ne sono
gli animatori, oggi in notevole aumento, un collegamento sempre più stretto e la loro prepa-
razione attraverso una scuola specifica. Sono essi, appartenenti alla fascia giovanile, i re-
sponsabili del Movimento e i promotori più convinti.
Il MGS viene proposto come opportunità di crescita per tutti i giovani, concretizzandone
lo stile di vita in itinerari di educazione alla fede. Esso conferisce al molteplice e variegato
lavoro salesiano una «configurazione giovanile unitaria», capace di coinvolgere potenzial-
mente i giovani di tutti i nostri ambienti e dalle esigenze più diverse.
Ma occorre anche un luogo di riferimento. Sull'esperienza del Confronto DB '88, Val-
docco e il Colle possono divenire luoghi di riferimento significativi e offrire nuove opportu-
nità di aggregazione, espressione e carica spirituale.
Sulla scia della novità sorgono anche due presenze di rilievo, che rispondono a sensibi-
lità ed esigenze giovanili: i centri di spiritualità che vengono incontro alla domanda di guida
spirituale, e le comunità di accoglienza per giovani in difficoltà che sono espressione dell'at-
tenzione salesiana agli ultimi, agli emarginati.
Tali presenze si impongono all'attenzione per la loro non indifferente diffusione nelle
ispettorie e per le modalità creative della loro impostazione, tanto da essere centri di aggre-
gazione dell'impegno giovanile e della collaborazione degli adulti, stimolo al rinnovamento
per tutta l'ispettoria.
- 291 -

30.4 Page 294

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6.4 Due «forme» di presenza tra i giovani
Con il crescere dell'impegno in nuove aree di attività, nelle comunità ispettoriali si pro-
filano con sempre maggiore evidenza due forme di Pastorale giovanile, anche se non sono
necessariamente da contrapporre: esse sono diverse per programmi e stile, e si differenziano
per modalità di approccio e di proposta.
L'una forma riguarda la Pastorale giovanile che si sviluppa e prende corpo nelle e attra-
verso le istituzioni quali la scuola, l'oratorio «parrocchiale», il pensionato, la parrocchia...
L'altra fa invece riferimento privilegiato al movimento associativo: sono i gruppi ricreativi,
culturali, apostolici, vocazionali, missionari; le associazioni di ispirazione salesiana o colle-
gate a movimenti diversi; il movimento giovanile salesiano. È una realtà che prende forma
anche in aggregazioni «diffuse»: sono i centri di spiritualità, le comunità di accoglienza per
giovani in difficoltà, i servizi di orientamento educativo e vocazionale, le nuove forme di
solidarietà.
Questa forma di Pastorale giovanile è caratterizzata da maggiore libertà d'azione e si
basa sulla capacità di iniziativa pastorale. Utilizza maggiormente le possibilità della comu-
nicazione piuttosto che la stabilità di un ambiente fisico. Coltiva inoltre un legame di fondo
tra diverse realtà, concretizzato e visibile nell'itinerario educativo o spirituale comune. Temi
generatori ne sono la rivitalizzazione della passione apostolica tra i giovani e la riflessione
sulla SGS. In tale forma di Pastorale giovanile è relativamente più facile elaborare proposte
educative adeguate e maturare animatori tra gli stessi giovani, nella consapevolezza che il
cammino da compiere insieme è nelle loro mani. Si avvantaggia infatti della spontaneità nei
rapporti e della libertà di adesione. Il denominatore di base sta nel condividere e costruire
insieme un'esperienza di vita, nel tracciare specifici itinerari di crescita umana e cristiana e
coinvolgere tutti in prima persona.
Nell'altra forma di Pastorale giovanile si avverte maggiormente di essere collocati in
una realtà «istituita», che possiede norme ricevute e consolidate. Ciò assicura la continuità
nel tempo e una certa coerenza dei diversi elementi. La percezione di un'esperienza di vita
da compiere però non è evidente. La maggior parte degli interventi educativi si pone all'in-
terno di una situazione istituzionale (strumenti da acquisire, professione, iniziative varie...),
di una comunità a struttura determinata (compagni di scuola, corpo insegnante, gruppi di
catechesi...), di curriculi formativi spesso prestabiliti. In sostanza si tratta di una forma di
Pastorale giovanile che si colloca in un'istituzione guidata da sue specifiche leggi e finalità
di cui tenere fermamente conto e non sempre facilmente adeguabili alle domande ed esigenze
dei giovani. Anche se a livello ideale si accetta in generale che queste due forme possano
essere integrabili e complementari, di fatto però si crea nella prassi una tensione che riguarda
la legittimazione e l'efficacia concreta di ciascuna nel raggiungimento degli obiettivi educa-
tivi e pastorali.
Tale tensione si riferisce pure agli sviluppi futuri dei due campi e all'impiego in essi
delle migliori e più numerose energie. Di conseguenza si rileva nella realtà una manifesta
separazione tra le due forme, per cui non riescono a fecondarsi vicendevolmente. Sovente
anche i confratelli non si sentono rappresentati e accuditi in modo uguale dalle strutture di
animazione pastorale ispettoriali, o addirittura neppure inseriti con responsabilità in dette
strutture di animazione.
6.5 Un senso di disagio
La questione giovanile nel suo complesso domina la coscienza salesiana. Nonostante la
positività di certe linee di azione, il mondo giovanile con la sua novità rimane un problema
di fronte al quale, a parte sensibilità o intuizioni di singoli, le comunità sperimentano in
- 292 -

30.5 Page 295

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genere un senso di disorientamento. Non di rado esse si sentono impari al loro compito, non
riuscendo a trovare una risposta efficace alla sostanza dell'attuale domanda educativa e a
mettersi in sintonia con la cultura e il linguaggio giovanili.
Così per un verso pare di assistere a una certa caduta di competenza educativa, per cui
le generazioni preparate precedentemente non riescono a tenere il passo delle situazioni che
cambiano, e nel contempo anche i giovani educatori stentano a far fronte alle esigenze del
mondo giovanile a causa della complessità della situazione e della loro limitata esperienza
educativa.
Per altro verso le novità culturali e di linguaggio sono difficili da interpretare da parte
di comunità che tendono a riprodurre esperienze e metodi, piuttosto che a sperimentarne
nuovi.
Così l'ansia educativa degli educatori e le attese dei giovani non trovano opportune sal-
dature che permettano un dialogo produttivo e quindi esiti educativi gratificanti per l'educa-
tore.
Questo disorientamento è avvertito particolarmente nei riguardi della proposta di fede.
La possibilità di presenza continua tra i giovani è oggi ridotta nel tempo e nello spazio. Il
cammino cristiano va ripreso dalle fondamenta stesse, poiché non pochi giovani si presen-
tano con carenze formative notevoli. Diminuisce la possibilità di proposte esplicite, mentre
aumenta il vuoto religioso nella mentalità e abitudini dei giovani. Per ricuperare occorre-
rebbe dar vita a comunità che siano di attrattiva e svolgano un'azione di orientamento signi-
ficativo nella molteplicità dei messaggi cui i giovani sono sottoposti. A questo però nume-
rose comunità non sono preparate, e con difficoltà riescono ad essere centri di riferimento
per la gioventù del territorio in ordine ai valori, e in particolare alla fede. Nei contesti più
ampiamente secolarizzati, poi, si ha la netta percezione di una efficacia educativa troppo
scarsa. La proposta cristiana sembra che passi sopra le teste dei più anche nei nostri ambienti.
Le difficoltà provengono certo da un ambiente di separazione tra fede e vita, in cui è di casa
l'indifferenza religiosa. Ma anche le comunità salesiane, quando si esaminano sull'efficacia
della loro proposta cristiana, sentono di non riuscire a prendere in mano la situazione e so-
prattutto a rispondere adeguatamente alle attese.
7. Prospettive
Dalla considerazione organica, nel divenire e nella realtà presente, della questione gio-
vanile, del cammino della Chiesa, dell'adeguamento della Congregazione, scaturiscono per-
cezioni, indicazioni, germi di risposta che vanno valorizzati e sviluppati.
Ne sottolineiamo alcuni che ci sembrano particolarmente importanti nella nuova tappa
che il CG 23 si appresta ad aprire.
7.1 Ripartire da giovani-progetto-comunità
La prima prospettiva da considerare è una scelta politica: allargare la nostra presenza tra
i giovani, piuttosto che spargere forze su troppi campi. La questione giovanile ci deve spin-
gere a preparare iniziative per la fascia dai 15 ai 25 anni. La varietà e differenza delle situa-
zioni in cui versano i giovani consentono presenze molteplici e programmi diversificati, da
portare avanti con specifiche competenze, sia attraverso le strutture tradizionali come attra-
verso nuove forme di presenza e di azione: scuola e formazione professionale, presenza ora-
toriana, attenzione all'emarginazione nelle sue diverse forme, emigrazione giovanile, volon-
tariato educativo e missionario, obiezione di coscienza, movimenti giovanili apostolici e
culturali, comunicazione sociale e turismo giovanile, luoghi di spiritualità.
- 293 -

30.6 Page 296

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È difficile oggi venir considerati ed essere realmente educatori dei giovani alla fede
rimanendo al margine del mondo giovanile o ignorando le esperienze più forti che lo se-
gnano. Una competenza comunitaria completa la si acquista con la presenza attiva nelle di-
verse aree in cui affiora il disagio o la ricerca di giovani.
La scelta delle attività esige una permanente sensibilità all'evolversi della condizione e
domanda dei giovani e del territorio. Come negli ultimi vent'anni si è visto l'allungarsi
dell'età adolescenziale e il sorgere di forme insospettate di povertà e di educazione, così nel
futuro appariranno delle novità che peraltro già si prospettano all'orizzonte. Per commisurare
adeguatamente le risposte ai bisogni rimane indispensabile uno strumento: il Progetto Edu-
cativo Pastorale, sia a livello ispettoriale che locale33. Esso non va disatteso per le difficoltà
incontrate, o per certe situazioni di stasi. Continua ad essere uno strumento necessario per
calibrare le iniziative e gli interventi, e per qualificare il programma di contenuti e tutto il
piano d'azione. Le indicazioni del CG 23 in particolare devono trovare il loro posto nella
struttura del Progetto Educativo Pastorale.
Il centro focale che sostiene la progettazione è il «nuovo soggetto» responsabile dell'e-
ducazione-pastorale, come è emerso in questi anni: la comunità educativa pastorale. Occorre
mettere in atto tutte le energie per qualificarla nelle sue funzioni interne e nel suo operare.
Soggetto responsabile è una comunità, di cui fa parte un numero consistente di laici, che
predispone un ambiente ricco di proposte in cui vengono coinvolti attivamente i giovani,
specie i più grandi. I laici sono chiamati a dare un loro contributo specifico e i salesiani a
prendere in solido l'opera di animazione, di orientamento educativo e di formazione perma-
nente. Se si perdesse di vista la prospettiva comunitaria o la si svuotasse di incidenze reali
nella prassi per affidarsi a presenze e interventi individuali, verrebbe meno un tratto cari-
smatico, diminuita l'efficacia d'azione sui giovani e vanificati gli sforzi fatti in questi ultimi
anni. Sulla comunità educativa dunque vanno convogliati suggerimenti e indicazioni per
un'ulteriore qualificazione.
Da ultimo tale comunità si deve collocare all'interno del territorio. In esso vanno ado-
perati i molteplici canali e forme della comunicazione umana per creare comunione e soli-
darietà. Nessuna iniziativa di educazione alla fede va pensata soltanto come «servizio» indi-
viduale, bensì come presenza testimoniante che unisce la crescita dei singoli con la lievita-
zione culturale ed evangelica dell'ambiente34.
7.2 Il punto focale di attenzione: La qualità dell'azione educativa pastorale
Uno sguardo al cammino percorso dal 1970 sembra mostrare che si è privilegiato lo
sviluppo di tipo prevalentemente estensivo. Ciò era richiesto dai nuovi fronti missionari, dai
bisogni sociali emergenti nei giovani, dall'inserimento di forze laicali nelle nostre opere.
Così è avvenuto un ingrandimento di ogni singola opera e un'estensione delle presenze in
quasi tutte le ispettorie. In questa «novità» di andare verso campi inesplorati si riponeva la
speranza di vivacizzare le energie e gli entusiasmi per la missione salesiana. E in effetti lo si
è ottenuto.
Ma spesso tale estensione ha finito per produrre una certa dequalificazione nelle comu-
nità, indebolite e oberate da compiti di organizzazione e di gestione. E soprattutto non ha
rigenerato le forze come poteva essere nelle attese.
33 R 4-9.
34 C 33.
- 294 -

30.7 Page 297

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Una prospettiva allora è quella di concentrarsi con preferenza sulla qualificazione della
nostra azione, senza cadere nell'elitismo. In non pochi settori della società complessa la qua-
lità si presenta oggi come condizione per essere significativi e generare quantità.
Puntare tutte le direttive e gli sforzi di animazione sulla qualità significa peraltro:
considerare insufficienti il livello dei soli primi contatti con i nostri destinatari o la
sola tenuta amministrativa di strutture, che sul tempo medio e lungo non consentono di svi-
luppare forme più intense di evangelizzazione, sia per ragione delle nostre forze che per la
loro collocazione o per lo scarso riferimento ai bisogni dei giovani;
concentrare interventi sull'obiettivo della maturazione umana ed educazione alla
fede: ciò comporta dedicare tempo e risorse a seguire sistematicamente i gruppi e le persone
secondo il livello raggiunto, superando la sola attenzione generale al grande gruppo;
dedicare particolare attenzione alla crescita cristiana e professionale, con appositi
programmi, dei collaboratori, animatori, educatori, allargando gli spazi di responsabilità per
loro;
dare ai confratelli l'opportunità di costruirsi professionisti del lavoro pastorale, in
modo che sentano l'urgenza e il gusto di far progredire chi viene loro affidato e non si fer-
mino alla ripetizione di proposte consuete;
dedicarsi a studiare nei contesti nuovi una risposta originale che sia adeguata ai de-
stinatari con esigenze diverse, evitando il trasferimento materiale di «modelli» da altre aree;
progettare una competenza pedagogica e pastorale del personale, preparandolo a in-
terpretare e orientare (discernimento) il cammino di persone, gruppi e comunità con l'oppor-
tuna scelta di contenuti e interventi;
riuscire in ogni presenza a suscitare e accompagnare vocazioni al sacerdozio, alla
vita religiosa, alla Famiglia Salesiana.
7.3 La consistenza della comunità salesiana locale
La qualità dell'azione educativa e pastorale richiede una certa consistenza quantitativa
e qualitativa della comunità salesiana. Tutte le proposte di miglioramento riguardo a meto-
dologia, attività o contenuti si scontrano con le possibilità reali della comunità. L'estensione
delle opere e la diminuzione del personale hanno ridotto il numero di confratelli nelle singole
case, al minimo indispensabile rispetto alle esigenze di lavoro.
Se è vero che l'ideale non è la comunità troppo numerosa, tuttavia al di sotto di un certo
numero si rischia di non avere la possibilità di incidere adeguatamente. Va dunque assunta
seriamente come criterio la norma stabilita nell'art. 150 dei Regolamenti Generali.
Ma la consistenza va intesa anche e principalmente in senso qualitativo. Il gruppo di
salesiani deve poter animare con autorevolezza, secondo la particolare natura dell'opera,
tutta la grande comunità educativa, verso obiettivi di crescita nella fede. Occorre perciò che
vi siano le competenze dovute e che vengano valorizzate. Un'istituzione che fonda e man-
tiene oggi iniziative educative, deve provvedere a dotarle regolarmente delle qualifiche ne-
cessarie.
Ne consegue l'esigenza di un iter formativo che oltre alla preparazione pastorale gene-
rale qualifichi i confratelli per aree specifiche. Ciò assicurerebbe la continuità nello sforzo
di qualificazione e la conveniente integrazione delle diverse competenze che il lavoro di
educazione richiede. Oggi non c'è ancora una perfetta corrispondenza tra progetti pastorali
della Congregazione e programmi di studio e formazione.
La consistenza si riferisce infine allo stile comunitario. Alcune funzioni, come quella
dell'animazione, vanno assunte in solido e svolte dalla comunità tutta, sebbene mediante
ruoli specifici. Proprio per questo si richiede una visione condivisa del ruolo della comunità
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30.8 Page 298

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religiosa all'interno della più ampia comunità educativa che superi l'impostazione mera-
mente organizzativa dell'azione e faccia emergere la propria scelta religiosa radicale.
Alla base della comunità apostolica sta la spiritualità, non come un aspetto staccato dal
compito educativo, ma come sua radice e motivazione. Il rilancio della spiritualità tra i sale-
siani, forse per il desiderio di un immediato ricupero o per lo stimolo di ricerche in tale
campo, rischia però di staccarsi dalla prassi educativa, creando un divario tra competenza
educativa e impegno pastorale. Ciò rende difficile l'essenziale integrazione dei due aspetti.
7.4 Approfondire i nodi dell'esperienza della fede
Nel mondo di oggi è sempre più difficile motivare e legittimare la fede cristiana. Non
pochi dei suoi contenuti, intesi non soltanto come «dottrina», ma anche come atteggiamento
pratico di fronte alla vita, sollevano problemi.
La ricerca della qualità stimola a verificare il nostro modo di «annunciare, proporre e
insegnare» la fede e le sue inciderle nelle diverse aree dell'agire umano, personale, familiare,
sociale.
In questi anni si è riflettuto e operato abbastanza sul ruolo della comunità, sugli ambiti
di azione (educazione, comunicazione, pastorale), sulle vie concrete35 e sulle metodologie,
in sintesi sul sistema preventivo. Si sono proposti a più riprese quadri di riferimento e moti-
vazioni teologiche, insieme a descrizioni delle situazioni socioculturali. Ciò che si dava per
scontato erano i contenuti fondamentali dell'esperienza cristiana, sempre più atipica e diffe-
renziata.
Alla luce delle evoluzioni socioculturali descritte sopra e in seguito all'evento del Con-
cilio Vaticano II, la comprensione e attuazione della scelta cristiana si presentano notevol-
mente rinnovate. Ne sono prova i catechismi nazionali e per le diverse età. Ma ciò che suscita
problemi, non sono luna o l'altra pratica religiosa, luna o l'altra «verità», quanto piuttosto la
stessa scelta di fede e il senso religioso dell'esistenza. Alcuni nuclei della dottrina tradizio-
nale, anche senza essere negati, hanno cessato praticamente di essere centrali. Altri sono ora
costantemente riproposti, nello sforzo di collocarli nella novità di contesti, di linguaggio e
di applicazioni concrete. Si fanno avanti tematiche umane, in cui la fede come scelta appare
significativa non tanto per quello che dice su Dio, quanto piuttosto per ciò che dice e fa nei
riguardi dell'uomo e del suo destino, illuminato dall'evento di Cristo.
L'insistenza sulle sole verità fondamentali e lo sforzo di nuove sintesi capaci di far presa
sui soggetti possono aver causato dei vuoti dottrinali, dei limiti e carenze nella visione orga-
nica del mistero cristiano. E tuttavia questa non può venir corretta e integrata con rattoppi di
formule, indicazione di precetti o pratiche superate, perché ciò che è in questione è appunto
la saldatura tra la vita del soggetto, la sua cultura e la proposta della fede.
Conviene allora rivisitare tutto alla luce della riflessione maturata nella Chiesa (cfr. Di-
rettorio Catechistico Generale, Evangelii Nuntiandi, Catechesi tradendae) per operare un
confronto equilibrato e formulare di conseguenza un «programma-itinerario» di riferimento,
senza per questo trascurare le accentuazioni tipiche di ciascun contesto (America Latina,
Africa, Asia). Tale programma itinerario deve essere calibrato non solo su chi è cresciuto
già nella fede, bensì soprattutto su coloro che sono considerati lontani o devono compiere i
primi passi.
Al riguardo una prima attenzione richiesta si rivolge al soggetto che vive la fede e quindi
al «tipo di uomo» da far crescere perché essa sia vera e completa. La tendenza odierna pri-
35 Cf. CG21.
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30.9 Page 299

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vilegia l'elaborazione «soggettiva», individuale e trascura la mediazione comunitaria e il va-
lore normativo del «depositum fidei». Inoltre nella stessa elaborazione soggettiva preferisce
il momento «emozionale-esistenziale» o a volte l'aspetto operativo. Certamente va ricuperata
la risposta totale in cui il messaggio si rivolge all'intelligenza come verità da conoscere e
approfondire, alla volontà come bene da accettare e amare, alla coscienza come scelta da
fare, alle relazioni interpersonali come mondo sociale da costruire.
Ma proprio per favorire la maturità e completezza della fede nel soggetto si sente il
bisogno di riorganizzare in forma comuni- cabile al giovane cristiano di oggi una visione del
mistero di Cristo, alla cui luce egli comprenda la propria condizione e assuma una prassi
coerente per la salvezza sua e dell'umanità. E ciò deve essere proposto tenendo conto che
siamo in un momento in cui si è restii e diffidenti delle spiegazioni «totali» e «sicure».
In questo compito si individuano come aree da ripensare l'etica, la cultura, la spiritualità.
La prima riguarda l'incontro tra la coscienza della persona e le esigenze che scaturiscono dal
suo destino. L'educazione della coscienza consiste nella capacità di discernimento di quanto
è «retto» perché avvii la persona al suo compimento. Tale è il campo di molti conflitti attuali
e perciò il punto nodale di una vera educazione. E in base alla coscienza che si definisce la
responsabilità dell'uomo di fronte a se stesso e al futuro.
La cultura poi riguarda lo sforzo razionale di organizzare l'esistenza in conformità ai
presupposti della coscienza e nei più diversi aspetti della vita. È dunque il campo di prova
della fede, della speranza e della carità, e al contempo della loro efficacia nella convivenza
umana.
La spiritualità infine si riferisce alla percezione del mistero di Dio e dell'uomo, della
trascendenza e delle sue espressioni alla luce dell'evento di Gesù Cristo. È un impostare la
propria vita ispirandosi a motivazioni e valori evangelici e operando scelte concrete di vita.
Questi tre aspetti sono complementari e crescono insieme.
Tale ripensamento dei contenuti deve avvenire in forma eminentemente esistenziale,
lontana dalle formulazioni scontate, tradotta in termini catechistici e pastorali piuttosto che
semplicemente teologici, e facendo tesoro di quanto si è già sperimentato.
Richiede dunque in primo luogo l'identificazione di alcuni nuclei e l'organizzazione ge-
rarchica di essi conforme al principio enunciato dal Direttorio Catechistico Generale, n. 43:
«La gerarchia delle verità da osservarsi nella catechesi: il mistero di Dio, il mistero del Cri-
sto, il mistero dello Spirito Santo presente nella Chiesa, il mistero della Chiesa». Tale gerar-
chia va pensata come risposta all'ambiente secolarizzato e pluralista in cui i giovani vivono
oggi.
Ma oltre ai nuclei che ripropongono le verità che illuminano la vita, occorre preoccu-
parsi del linguaggio adeguato, in modo che l'annuncio sia una buona notizia, significativa
per l'uomo di oggi, che tocca quei punti decisivi per la sua esistenza personale e collettiva.
Non si tratta primariamente di parole, bensì di riferimenti esistenziali conformi alla sensibi-
lità antropologica odierna. Ogni parola di annuncio riferisce un significato cristologico, pro-
pone cioè un annuncio su Cristo e su Dio; ma allo stesso tempo coglie un elemento esisten-
ziale, ossia dice qualche cosa di reale sulla salvezza e felicità dell'uomo. Ha anche una indi-
spensabile risonanza storica senza la quale rimarrebbe astratto: indica «verso dove e come»
trasformare la storia umana. Essa contiene infine una dimensione escatologica: svela e pro-
pone il destino ultimo dell'uomo e le condizioni del suo compimento. Se si tralascia uno
qualsiasi di questi significati o aspetti, la «parola», l'annuncio, la verità rimangono parzial-
mente mute.
Alla determinazione di nuclei e significati va aggiunta l'accurata attenzione all'appren-
dimento da parte dei giovani della pratica «quotidiana» della fede: momenti di formazione
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30.10 Page 300

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a una mentalità di fede, cammino di ascesi, incontro con il Signore nella preghiera e nei gesti
sacramentali della Chiesa, servizio all'uomo. Vanno individuati «esperienze» e «luoghi»
dove tutto questo può essere attuato. Non si tratta evidentemente di rivolgere raccomanda-
zioni, ma di predisporre i tipi di esperienze più efficaci (animazione, volontariato, liturgia,
direzione spirituale) in cui l'educatore segue i processi di crescita e prevede traguardi.
7.5 L'adeguatezza delle istituzioni
Quanto si è scritto precedentemente porta di necessità a valutare l'adeguatezza delle isti-
tuzioni rispetto alle nuove esigenze: non in astratto, ma nelle loro reali possibilità attuali.
Senza dubbio il primo e il più importante criterio di valutazione sta nella missione salesiana
da svolgere con pienezza. Altrettanto però occorre non trascurare la funzione delle istituzioni
attraverso cui si realizza la missione, altrimenti si creerebbe uno scollamento tra obiettivi
proposti e opportunità reali di raggiungerli.
Adeguare le istituzioni vuol dire riformulare le loro finalità tipiche (cfr. scuola, orato-
rio), rivedendo le norme culturali e organizzative in modo che vengano applicate dalla co-
munità e non soltanto scritte nei «documenti».
A poco serve enunciare obiettivi educativi e pastorali, proporre «modelli» di anima-
zione, predisporre esperienze adeguate, se le regole di funzionamento delle opere, o per forza
di abitudine o per la struttura interna oppure per i programmi specifici (insegnamento, pre-
parazione professionale, sport...) misconoscono obiettivi e modelli, a vantaggio dei mecca-
nismi consueti dell'istituzione.
L'adeguatezza si raggiunge rapportando con serietà gli obiettivi da privilegiare con le
persone, i tempi e gli interventi a disposizione, rivedendo le regole di convivenza. Certa-
mente l'adattare il funzionamento delle strutture agli obiettivi formulati in vista di una più
consapevole e intensa educazione dei giovani alla fede ricade sulla responsabilità della co-
munità locale. Ma l'ispettoria deve rendere possibile l'esercizio di questa responsabilità, ri-
vedendo le scelte generali: essa si esprime sul tipo, le dimensioni, la collocazione delle
opere; considera il personale a disposizione e lo colloca adeguatamente nella comunità in
vista di una migliore educazione alla fede.
All'interno di questo sforzo di adeguamento diventano importanti la definizione e l'in-
terrelazione delle funzioni e ruoli. Questi devono perseguire come scopo di rendere dinamica
tutta la comunità. Non intendono assolutamente provocare la delega di responsabilità su sin-
gole persone. La loro esistenza permette di dare continuità allo sviluppo di determinati
aspetti della vita, di esplicitare esigenze essenziali nell'educazione alla fede e di coordinare
i contenuti e interventi che rendono completa un'opera educativa. Ciò vale a livello locale,
ispettoriale e mondiale. Senza funzioni e ruoli avrebbe luogo la «pastorale dei singoli», da
cui non ci si può ripromettere un esito molto positivo.
A tutti e tre i livelli occorre inoltre promuovere un equilibrio tra governo e animazione
nel settore pastorale. Per coinvolgere in un'azione comunitaria è necessaria una piattaforma
di intesa comune: impostazioni, motivazioni e suggerimenti vanno diffusi e condivisi, se si
vuol provocare convincimenti e adesioni. Ma altrettanto sono indispensabili decisioni e in-
dicazioni obbliganti, precise linee operative da parte dei rispettivi organismi di governo.
Circa alcune modalità pratiche raccomandate dalle Costituzioni (cfr. comunità educa-
tiva, partecipazione...) bisogna riuscire a tradurle nella realtà e creare una prassi comune.
Così i momenti e le modalità dell'educazione religiosa nelle scuole devono trovare concreta
attuazione organica.
Ad una valutazione complessiva sembra che la pastorale non sia stata considerata spesso
oggetto di governo, ma piuttosto solo campo di animazione. Ciò va seriamente ripensato se
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31 Pages 301-310

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31.1 Page 301

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si intende coinvolgere maggiormente le dinamiche delle istituzioni e non affidarsi soltanto
all'impegno di singole persone nell'educare i giovani alla fede.
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34. L'ANIMAZIONE MISSIONARIA IN UN PROGETTO DI PASTORALE GIO-
VANILE
Vecchi, J.E., L'animazione missionaria in un progetto di pastorale giovanile in NPG 8 (1991), p. 24-31.
1. Di fronte alla complessità. - 2. Il progetto. - 3. Il cammino di fede. - 4. L'animazione. - 5. L'animazione missionaria. - 6. Il
materiale pedagogico delle «missioni». - 7. Valutazione dell'animazione missionaria. - 8. Un'iniziativa esemplare.
L'educazione e la pastorale giovanile si presentano oggi sotto il segno della complessità.
Sono molti i temi e gli aspetti ai quali bisogna prestare attenzione per aiutare i giovani a
crescere in modo integro ed armonico.
1. Di fronte alla complessità
La maturazione umana esige che li si accompagni nella loro crescita personale, nella loro
esperienza, nell'apertura culturale, nell'orientamento professionale, nel loro inserimento
nella società, nell'uso della comunicazione sociale, nella risposta agli stimoli dell'ambiente,
nella formazione della coscienza morale... per citare solo i più importanti. Per quanto ri-
guarda l'educazione della fede, ricordiamo: la sufficiente conoscenza della verità cristiana,
l'iniziazione al mondo dei segni e delle celebrazioni, la partecipazione alla vita della comu-
nità ecclesiale con sufficiente conoscenza del suo essere e della sua storia, l'implicazione
nell'impegno cristiano, l'orientamento vocazionale e la formazione di una cultura cristiana
capace di giudicare criticamente eventi e progetti storici. C'è chi si scandalizza dei «vuoti»,
dottrinali o pratici, che trova nella formazione cristiana dei giovani. Quanti lavorano nel
campo educativo disperano di potersi sentire preparati per tale compito. La materia è molta,
il tempo disponibile poco. Le voci che si fanno sentire sono tante e diverse; i messaggi e le
impressioni, veloci. Per questo nella pastorale giovanile si stanno usando, in modo più o
meno cosciente, due strumenti per trattare pedagogicamente i contenuti e le esperienze: il
progetto educativo e il cammino di fede. Sono come intelaiature, stampi in cui si ordina e si
orienta un materiale importante che arriva frammentario, complesso e disperso.
2. Il progetto
Il progetto fa pensare a un obiettivo conosciuto, formulato e perseguito, verso il quale si
fanno convergere messaggi, proposte, attività. L'obiettivo, così come il fine, è il primo
nell'intenzione di chi si dispone ad intraprendere un compito. Tuttavia un obiettivo è anche
il primo nella realizzazione. Enuncia una qualità fondamentale che la persona deve acquisire.
Esso è già presente, come un piccolo seme, nella prima parola o intervento educativo, seb-
bene necessiti di essere progressivamente perfezionato in tutto il processo educativo. Tale
concentrazione su di un nucleo che dà senso alla totalità e ad ogni aspetto del lavoro pasto-
rale, risponde ad una tradizione che viene da lontano. L'annuncio degli Apostoli era conte-
nuto in una frase, che poteva essere sviluppata in un discorso, dichiarato in un testo come lo
sono i Vangeli, presentato durante l'iniziazione catechistica. Il nucleo era sempre lo stesso:
da questo si partiva, a questo si ritornava, era messo in rilievo come fonte di ogni altra ma-
nifestazione o esigenza; non si dava mai per scontato o per sufficientemente assimilato. L'o-
biettivo del progetto educativo pastorale è suscitare e portare a maturazione la fede in Cristo,
come elemento che dà significato all'esistenza e unità alla persona. I contenuti che si inclu-
dono e le metodologie che si adottano nel progetto dovranno giustificarsi alla luce di questo
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31.3 Page 303

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punto centrale. Come conseguenza, il progetto mira ad una collocazione opportuna, coerente
e proporzionata, di ogni aspetto particolare, in modo che il suo significato rispetto alla fede
sia facilmente percepito e assimilato dai destinatari. Si vuole superare così la frammenta-
zione delle diverse proposte e attività e costruire un sistema, un programma. Senza una si-
mile collocazione in un sistema, i gesti, fatti o insistenze particolari possono avere un impatto
passeggero, ma non formano una mentalità stabile nei destinatari, già troppo bombardati da
ogni tipo di messaggio e perciò tentati di relativizzarli. Ad una prassi pastorale che moltipli-
cava le iniziative settoriali in diversi campi (gruppi, vocazioni, missioni, insegnamento, ca-
techesi) senza preoccuparsi della connessione visibile, ne succede un'altra nella quale la cosa
più importante non è la quantità, ma la sintesi, l'unità. Tale evoluzione ha i suoi buoni motivi.
Quando l'universo nella fede era chiaro e socialmente condiviso, si interpretava facilmente
il significato di ognuno degli elementi o gesti particolari che ad essa facevano riferimento.
Era come comprendere una frase se si conosce una lingua, come interpretare un segnale se
si conosce la chiave di lettura. Quando la lingua o la chiave sono sconosciute, succede che
un messaggio, che nella mente di chi lo propone ha un preciso significato, è interpretato
diversamente da quanti lo recepiscono. Quanti, dopo un viaggio del Papa, giornali alla mano,
hanno proposto un dibattito con i giovani, possiedono un repertorio di esempi che lo con-
ferma. Questo avviene oggi in tutti i campi. Le aree di conoscenza e di linguaggio si sono
estese, e difficilmente l'esperienza della persona arriva a dominarle tutte. In un'indagine sulla
percezione della natura da parte di bambini che hanno sempre vissuto in un ambiente urbano,
si riferisce che, alla vista di un ruscello, uno ha domandato dove si fosse rotta la tubatura; un
altro rifiutava con disgusto un frutto colto dall'albero, mentre mangiava tranquillamente la
frutta comprata al supermercato; per un altro ancora le rane erano nate dalla fantasia, come
i personaggi delle fiabe. Si parlò pertanto di un «analfabetismo ambientale». In assenza del
contatto con questo universo, che noi e i nostri genitori chiamiamo «natura» (in cui gli esseri
trovano la loro dimensione e il loro significato), l'interpretazione della realtà risultava sfo-
cata. Non è detto che qualcosa di simile non accada anche nell'universo della fede e dell'e-
sperienza cristiana.
3. Il cammino di fede
Il cammino di fede è strettamente connesso con il progetto. Il progetto è l'organizzazione
dei mezzi educativi.
Il cammino di fede, invece, segue soprattutto la trasformazione che ha luogo nella per-
sona: un movimento caratterizzato dalla gradualità e dal progresso. Si propone di aiutare la
persona a ricostruire intorno alla fede tutto quello che si riferisce al suo mondo vitale e tutto
quanto va riscoprendo nella sua ricerca di significati. La stessa fede va acquisendo dimen-
sioni più ricche e «impregna» la mentalità, lo stile di vita quotidiano, la presenza e l'impegno
nella comunità. Nel cammino di fede non sono importanti soltanto gli aspetti, verità o espe-
rienze che si offrono, bensì i processi di interiorizzazione e integrazione che la persona attua,
i dinamismi che nascono interiormente, il fatto di progredire per opzioni personali e auten-
tiche, verso una identità cristiana. Non sempre alla forza con cui una proposta è avanzata
corrisponde una giusta pedagogia di interiorizzazione. In tal caso la fede, la religiosità, la
morale sono da considerarsi come elementi validi ma esterni, avulsi dal contesto in cui si
decidono i momenti importanti della vita. Ciò spiega le consistenze che vanno apparendo
con il passare degli anni, nella misura in cui le impressioni svaniscono e comincia a farsi
sentire l'influsso delle convinzioni e atteggiamenti profondi. La pedagogia della fede ri-
chiede che il messaggio e la proposta giusta si adeguino sempre allo stato reale della persona,
più che al desiderio di promuovere un determinato settore di attività.
- 301 -

31.4 Page 304

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4. L'animazione
Con la parola «animazione» molti indicano l'azione di stimolo di un educatore o opera-
tore pastorale, rivolta a persone o gruppi, perché questi considerino un tema o un aspetto, si
lascino coinvolgere e si impegnino: una specie di agente di «comunicazione sociale». Per
valutare i risultati dell'«animazione» in questo caso si enumerano le azioni intraprese, i de-
stinatari raggiunti, i motivi proposti, e anche la risposta agli stimoli ottenuta dalle persone.
È un'interpretazione accettabile dell'animazione, ma parziale ed esterna. Il protagonista è
l'«animatore» che agisce. L'animazione rivela le sue possibilità educative quando è intesa
come un modo di porre in relazione i diversi aspetti del progetto educativo e del cammino
di fede della persona. Che un aspetto (orientamento vocazionale, missione, cultura) «animi»
il progetto globale di educazione alla fede, significa che lo si fa agire dall'interno della per-
sona, in modo che provochi la fede e la porti ad un maggiore approfondimento, chiarifica-
zione, autenticità, fondamento. Le proposte animano nella misura in cui offrono il combu-
stibile per il cammino, creano un desiderio e un dinamismo di ricerca nella persona, provo-
cano un processo di assimilazione e di adesione. Animare religiosamente la cultura significa
scaricare su di essa le sfide che l'esistenza umana propone per liberare tutta la sua profondità
umana e razionale. Non si tratta allora soltanto di offrire più materiale relativamente ad un
determinato aspetto (vocazioni, missioni, liturgia...). Si deve fare in modo che questo aspetto
risvegli e ponga sotto una nuova luce quanto si è già acquisito - ciò che talvolta dormiva
nella persona, che susciti desideri di crescita rinnovati tanto da essere percepito come im-
portante in relazione alla vita e alla fede. L'animazione, in effetti, si propone non tanto di
promuovere un settore (in tal caso sarebbe meglio usare la parola «promozione»), quanto di
rendere la persona protagonista di nuovi processi di crescita e integrazione.
5. L'animazione missionaria
Un progetto educativo pastorale ha nelle «missioni» una miniera di stimoli per dare im-
pulsi alla maturazione umana e cristiana di giovani e adulti. Per farne un uso pedagogica-
mente corretto, conviene partire da un'impostazione sicura. Tutta la Chiesa è missionaria,
sempre e in ogni luogo. Ogni comunità cristiana è in missione, senza distinzione di colloca-
zione geografica, situazione religiosa o contesto culturale. Ogni cristiano, dovunque sia o
lavori, è mandato nel mondo, tra quelli che lo circondano, per annunciare il Vangelo. I tre
aspetti costitutivi dell'identità della Chiesa, fonte di tutta la sua attività, sono: mistero, co-
munione, missione. Le missioni sono presenti in tutto il mondo. Paesi di missione li si ha
anche in Europa e lo sono quasi tutti (secondo quanto affermano i Vescovi). Missioni, vere
missioni, sono state realizzate e si realizzano, in città e paesi, da predicatori che si propon-
gono di tornare ad annunciare il Vangelo, dimenticato o poco conosciuto. Segno e concen-
trazione di questa dimensione della Chiesa è la vocazione e il servizio di quanti lasciano la
propria terra per dedicarsi ad annunciare Gesù Cristo ai popoli che ancora non lo conoscono,
o laddove la comunità cristiana ha bisogno di essere sostenuta. La Chiesa prende in consi-
derazione la vocazione di queste persone e le «manda» con un pubblico gesto. Esse sono
considerate, dal popolo cristiano, come espressione insigne di fede e di carità. Ricevute ed
ascoltate sempre con ammirazione; accompagnate con la preghiera e la collaborazione.
Le missioni si presentano non come un fatto isolato e insolito, ma in continuità con l'i-
dentità di ogni cristiano e di ogni comunità, come la loro naturale «fioritura». D'altra parte,
esse si presentano come un'espressione radicale e chiara di quell'identità capace di parlare e
di muovere le comunità. Caratteristica comune ed evento significativo sono i due versanti
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che bisogna mettere in risalto perché le missioni animino la fede, e questa conduca all'impe-
gno missionario in ogni parte, specialmente verso i più bisognosi del Vangelo. Per questo,
più che strutturare il tema delle missioni in modo separato, in un capitolo speciale del pro-
getto educativo pastorale, bisogna integrarlo come elemento fecondante delle sue diverse
dimensioni: della crescita umana della persona, della sua maturazione nella fede, del suo
processo di decisione vocazionale. La prassi evidenzia due modalità per conseguire questa
integrazione: partire dagli interessi educativi basilari e risvegliare l'interesse e la coscienza
missionaria per ottenere nuovi livelli di fede e di impegno. Il primo percorso lo seguono le
istituzioni e/o gruppi vicini ad una educazione o catechesi fondamentale. Mentre maturano
un'idea della vocazione cristiana, fanno conoscere e partecipare all'attività missionaria della
Chiesa. Il secondo percorso è tipico dei gruppi e movimenti che hanno un interesse diretto
per le missioni, lo sviluppo dei popoli, la collaborazione internazionale. L'esperienza mis-
sionaria si trasforma in itinerario di crescita umana e di maturità nella fede. All'interno di
una comunità educati va, parrocchia o movimento di gruppi, questi due percorsi possono
coesistere e interagire, essendo l'uno stimolo per l'altro. E in effetti è così che succede: la
fede muove l'interesse missionario, le missioni danno impulso ai processi di fede e alla cre-
scita della comunità cristiana.
6. Il materiale pedagogico delle «missioni»
Il progetto educativo offre pedagogicamente il materiale delle missioni secondo quattro
modalità: l'informazione, la riflessione, la testimonianza e l'implicazione personale (colla-
borazione e impegno).
Le missioni sono un «fatto» (talvolta suscita anche «curiosità»!), qualcosa che ha luogo
in questo mondo. Come tale è oggetto di un'informazione che può interessare tutti, come
l'esplorazione del polo, un volo spaziale, un campionato, una missione diplomatica o un
viaggio del Papa. Di tanto in tanto qualche giornalista della televisione ce lo ricorda presen-
tando come curiosità un'intervista a un missionario o accompagnandoci con la telecamera in
un luogo di missione. È il primo dato che emerge: l'esistenza e l'originalità di questo fatto.
L'informazione (quantità, qualità e stile) è indispensabile. Porta con sé un'enormità di ele-
menti di maturazione culturale. Produce molte conoscenze geografiche ed etniche che non
sono neutre, come in una lista asettica, ma in connessione con i problemi umani. Ho sul mio
tavolo alcune riviste missionarie. Un solo numero di queste riporta notizie di undici paesi di
tutti i continenti. I problemi umani connessi a questi riferimenti geografici sono le differenze
culturali, le situazioni generalizzate di povertà, la discriminazione razziale, la dipendenza
economica, le forme di organizzazione della società, lo stile di educazione, l'urbanizzazione,
l'emigrazione, l'esodo rurale, la situazione femminile, l'influenza dei poteri esterni, l'estra-
zione delle materie prime... L'informazione missionaria porta ad una maggiore conoscenza
del fenomeno religioso, della sua diffusione universale, delle sue differenti manifestazioni,
delle relazioni tra le diverse religioni. È difficile parlare delle missioni e non far riferimento
alle diverse credenze e pratiche religiose. L'influenza educativa che tale informazione può
avere, dipende dal modo in cui la si presenta. Non tutti arrivano ad affrontare questo dato
con uguale maturità: talora se ne parla come di un racconto che non coinvolge, talaltra con
toni di irrisione o polemici. Tuttavia c'è chi «fa lezione» di cultura religiosa utilizzando il
materiale offerto da queste riviste. L'informazione missionaria apre dunque ad un panorama
di popoli, fatti, problemi e culture. Fa conoscere l'esperienza religiosa come una ricerca uni-
versale dell'assoluto. Fa inoltre sentire l'interdipendenza delle diverse aree del mondo, aiu-
tando a captare concretamene gli effetti favorevoli o negativi di determinati progetti storici.
Le missioni, soltanto sotto l'aspetto dell'interesse o della curiosità, formano all'apertura al
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mondo, aprono all'universalità. L'effetto educativo si apprezza chiaramente nei ragazzi che
sono in contatto con questo tipo di realtà.
Il «fatto» contiene «significati», l'informazione trasmette messaggi: alla narrazione-in-
formazione segue la riflessione che si produce nella persona o si determina in un gruppo. E
con questo, senza abbandonare il campo della cultura, entriamo più esplicitamente nell'edu-
cazione della fede. Le missioni dicono che l'esperienza religiosa, in particolare quella cri-
stiana, è per qualcuno tanto attraente e importante da spingere a trascurare tutto il resto per
concentrarsi su di essa. Romanzieri e sociologi, anche non cristiani, si sono sforzati di com-
prendere le motivazioni e gli atteggiamenti che spingono le persone a diventare missionari
e missionarie. Questa è un'indicazione per gli educatori. Dalle imprese missionarie risulta
evidente che ciò che è «religioso» è profondamente legato al problema dell'uomo e della sua
dignità. La missione si presenta sempre più come servizio all'uomo, specialmente nella sco-
perta della sua vocazione, più che come proselitismo religioso. I significati si vanno esplici-
tando in contenuti catechistici: la vocazione universale di tutti gli uomini a formare una fa-
miglia in Cristo, la missione della chiesa di essere «segno e strumento» di questa vocazione,
la continuità tra Cristo e la Chiesa, una comprensione maggiore della presenza della Chiesa
nel mondo, l'unione spirituale che esiste tra i cristiani. L'informazione si risolve, secondo i
momenti e i destinatari, in una catechesi sistematica e occasionale. Non è necessario, né
talvolta conveniente, cambiare lo stile della narrazione con quello della «lezione». Basta
seguire la traccia che offrono gli Atti degli Apostoli e narrare con fede e a partire dalla fede.
Fatti e significati sono incarnati in testimoni vivi. Essi raccontano la storia della loro
decisione, comunicano la gioia della loro donazione, trasmettono la sete di verità e di sal-
vezza che trovano sui posti di lavoro, documentano la forza trasformatrice del Vangelo. Rac-
contano la nascita e la crescita di una comunità cristiana. Comunicano il fascino dell'avven-
tura. È questo un momento fecondo per le vocazioni, sebbene non completo. Si possiede,
tuttavia, un'esperienza che oggi è convalidata dalla statistica: il motivo delle missioni è una
componente determinante nella nascita di molte vocazioni. Testimoni eloquenti sono anche
i missionari di ieri, in primo luogo quelli che portarono Cristo alla propria gente.
Informazione, significati e testimonianze tendono a produrre un'implicazione personale
di differenti livelli: interesse, sostegno esterno, collaborazione a distanza, partecipazione di-
retta all'azione missionaria. Le missioni possono arrivare ad essere così esperienza intensa e
itinerario. Si può allora partecipare ad un progetto missionario nel quale si percorre un cam-
mino di fede. Bisogna tenere in considerazione, tuttavia, che tale cammino non è material-
mente legato alla partecipazione all'attività missionaria. Ci sono stati giovani che hanno par-
tecipato a missioni per curiosità, generosità naturale o desiderio di esperienza, senza percor-
rere il corrispondente cammino di fede. L'esperienza missionaria richiede una pedagogia di
preparazione, di accompagnamento, di continuazione.
7. Valutazione dell'animazione missionaria
Il fatto missionario può attivare energie educative. Tuttavia, per raggiungere determinati
obiettivi di formazione umana e cristiana, è necessario trattarlo pedagogicamente. Gli indi-
catori positivi per valutare se l'animazione missionaria si traduce in processi educativi si
possono osservare su tre livelli.
Il primo è la comunità educativa pastorale in se stessa. È la destinataria dei messaggi, il
terreno su cui arrivano le proposte di collaborazione. In essa si può vedere se l'animazione
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si riduce a momenti occasionali di sensibilizzazione o matura in attività e in criteri duraturi.
Costituisce un indicatore positivo quando all'interno della comunità cadono i pregiudizi e
cresce la capacità di comprensione e accoglienza a persone di diversa provenienza, colore,
livello economico e fede religiosa. Gente di diverse razze, di diverse culture vivono oggi
gomito a gomito con noi; nonostante questo le paure e le difese si scatenano molto più spesso
di quanto possiamo immaginare e con i pretesti più diversi. Fare l'elemosina agli abitanti
dell'Africa e discriminare gli africani che vivono tra noi risulta vano come i balli selettivi di
beneficenza in favore dei poveri. Un indicatore positivo è la preoccupazione reale, da parte
della comunità educativa, per aprire i giovani ai grandi problemi dell'umanità, presentandoli
con realismo, aiutandoli a vederne le conseguenze sull'ambiente immediato (la giustizia, la
ricchezza e la povertà, la vita, l'etica), fomentando la convinzione che è possibile vincerli e
dimostrando loro il gioco di responsabilità che agisce su di essi. Sulla stessa linea si può
collocare, come indicatore positivo, l'importanza che la dimensione religiosa acquisisce
nella vita della comunità, nei contenuti educativi, così come l'orientamento dei giovani alla
generosità e al servizio più che alla conquista del successo personale.
Il secondo livello al quale si possono valutare gli indicatori di una buona animazione
missionaria è la relazione della comunità con la zona in cui è situata. Che senso avrebbe
parlare di missioni lontane e non essere missionari nel proprio ambiente? Qui esiste la pos-
sibilità quotidiana di testimoniare e annunciare il vangelo; c'è gente che non ha mai sentito
parlare di Cristo, sebbene sia in contatto con i cristiani. Il rapporto con l'ambiente circostante
porta ad allinearsi pacificamente in favore della persona, proprio come ci raccontano i mis-
sionari. Come potranno «educare» quanti parlano dell'impatto nel Vangelo in terre scono-
sciute ma non lo portano nel proprio contesto, perché si disinteressano dei problemi dell'am-
biente in cui vivono? Si ottiene un risultato educativo quando nella persona matura un atteg-
giamento o si radica un criterio, non semplicemente quando risponde generosamente ad uno
stimolo occasionale.
Il terzo livello nel quale si possono ricercare gli indicatori per una valutazione dell'ani-
mazione missionaria, è l'apertura delle persone e della comunità all'umanità e alla Chiesa.
Tale apertura significa comprenderne l'interdipendenza. Sapere che un problema lontano è
anche un problema nostro. Che la solidarietà non ha confini, così come la responsabilità. Lo
esprime bene questa pagina di Helder Camara: «Qualunque sia la tua condizione di vita,
pensa a te stesso e ai tuoi cari, ma non ti lasciar chiudere nel cerchio stretto della sua piccola
famiglia. Una volta per tutte adotta la famiglia umana. Cerca di non sentirti estraneo in nes-
suna parte del mondo. Sii uomo in mezzo agli altri. Nessun problema di qualsiasi popolo ti
sia indifferente. Risuona delle gioie e delle speranze di tutto il genere umano. Fa' tue le
sofferenze, le umiliazioni dei tuoi fratelli; vivi su scala mondiale o, meglio ancora, univer-
sale. Cancella dal tuo vocabolario le parole: nemico, odio, risentimento, rancore. Nei tuoi
pensieri, nei tuoi desideri, nelle tue azioni, sforzati di essere veramente costruttore della
pace».
8. Un'iniziativa esemplare
Ogni progetto prevede offerte di base, medie e avanzate. Le prime sono per la massa,
per tutti: si adattano a quanti cominciano e coinvolgono quanti sono sensibili. Le seconde
sono per gruppi nei quali il messaggio iniziale è stato accolto e ha trovato risposta. Si pos-
sono collocare in questo livello i gruppi missionari. Un ambiente educativo trae vantaggio
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da una simile presenza. Sono un importante elemento di animazione, oltre ad essere un'oc-
casione particolare di educazione per quanti vi partecipano. Non mancano federazioni di
gruppi missionari che a loro volta fanno parte di movimenti giovanili più grandi. Tra questi
vi è sensibilità e si promuove la corresponsabilità nelle iniziative di sostegno e nell'attività
missionaria diretta. Le proposte avanzate chiedono un contatto prolungato con il fatto mis-
sionario e un provato esercizio di generosità. Il numero di coloro che si impegnano diretta-
mente è basso, ma essi determinano un movimento notevole di sensibilizzazione e collabo-
razione.
Tra le proposte più avanzate degli ultimi anni emerge quella del volontariato. Si tratta
della prestazione professionale gratuita, per un tempo sufficientemente ampio della persona,
per la soluzione di qualche situazione o problema della comunità. Più che un atto di genero-
sità spontanea e passeggera, è una mentalità che valorizza l'aspetto sociale dell'apporto vo-
lontario, che combina il pubblico ufficiale e il privato in una nuova visione delle relazioni
sociali. Frantumata la speranza di poter risolvere i problemi soltanto con l'iniziativa indivi-
duale o con l'organizzazione statale, si fa spazio alla collaborazione tra gruppi socialmente
organizzati e organismi pubblici. Il valore della solidarietà caratterizza tutte le iniziative. Il
volontariato non è presente soltanto nelle missioni, ma trova in esse un momento alto e for-
temente espressivo di fede e di amore. Nelle missioni realizza in modo eminente i valori che
lo ispirano: la gratuità, lo spirito di servizio, la solidarietà. Per questo il volontariato sta
avendo, soprattutto in Europa, uno sviluppo insolito, sostenuto da una abbondante letteratura
di orientamento e valutazione. Queste sono solo alcune delle possibilità che l'animazione
missionaria offre per l'educazione umana e cristiana dei giovani. Chi la assume con convin-
zione ne scoprirà altre inedite e suggerite dalle risposte e dai risultati.
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35. LA CULTURA DELLA SOLIDARIETÀ
Vecchi, J.E. La cultura della solidarietà in C. Nanni, «Intolleranza, pregiudizio e educazione alla solidarietà», Atti del Conve-
gno organizzato dalla Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana (Roma, 2-4 gennaio 1991), LAS,
Roma, 1991, p. 13-17.
1. Un'urgenza sentita. - 2. L'auspicio di una «cultura» della solidarietà. - 3. Il compito educativo e pastorale.
Ogni anno l'Università Pontificia Salesiana approfondisce in maniera interdisciplinare
una tematica di attualità e fa partecipi della sua riflessione amici ed educatori che da queste
tematiche si sentono interpellati. È un appuntamento regolare che va segnando un cammino.
L'intenzione è chiara: interpretare da una prospettiva umanistico-cristiana le sfide che
sorgono nella convivenza umana per arrivare a proposte pedagogiche. La crescita dei giovani
e degli adulti come protagonisti di una nuova cultura rimane sempre al centro di una ricerca
che si presenta però articolata e completa. L'Università si dimostra così fedele alla sua iden-
tità ed esprime l'originalità del suo servizio alla Chiesa e alla società civile.
1. Un'urgenza sentita
Quest'anno la scelta cade sulla solidarietà. Essa viene suggerita da un insieme di feno-
meni difficilmente classificabili. È un'aspirazione diffusa che sale dal profondo delle co-
scienze, dal cuore degli avvenimenti storici, e si manifesta sotto forme inedite e quasi inat-
tese. La solidarietà appare oggi come un'esigenza indifferibile di fronte alla latitanza o fuga
dagli impegni pubblici da parte di adulti e giovani; come possibile risposta a macro fenomeni
mondiali preoccupanti, quali il sottosviluppo, la fame, lo sfruttamento. Sembra dare un prin-
cipio di soluzione alle carenze irrisolte intorno a noi, come l'accoglienza di chi arriva sprov-
veduto e indifeso. Offre una certa terapia a gesti e atteggiamenti disgreganti, quali l'omertà,
l'indifferenza, l'insensibilità di fronte alla sofferenza. Ispira iniziative esemplari come i piani
di aiuto, il volontariato e i movimenti di opinione che vanno modificando il rapporto prece-
dente tra privato, sociale e politico. Fa sentire in maniera pressante l'interdipendenza tra
mondi che fino a ieri sembravano lontani e autonomi. Sarebbe lungo ma non difficile corre-
dare con dati e aneddoti quest'impressione generale di urgenza sentita e ancora non total-
mente risolta di solidarietà. Li troviamo questi dati nella nostra vita quotidiana e l'informa-
zione ce li offre a getto continuo. Provengono dall'ambito vicino e lontano. Vanno dal debito
estero che penalizza più della metà del mondo con la perdita sistematica dei guadagni dovuti
al proprio lavoro, all'intolleranza di un qualsiasi quartiere nostrano verso un gruppo di im-
migrati o nomadi; dalla sperequazione economica che lascia una parte dell'umanità senza il
cibo necessario per sopravvivere, alla presenza di un portatore di handicap nel nostro cerchio
più ristretto; dal fallimento di grandi sistemi che tentavano di risolvere questi problemi at-
traverso la tecnica e il monopolio dell'iniziativa, all'impostazione educativa, in famiglia o
nella scuola, ispirata inconsapevolmente al criterio del profitto individuale.
Il tema è dunque non soltanto attuale e perciò indovinato secondo il proposito di questi
appuntamenti annuali, ma anche di applicazioni molteplici, quotidiane e su vasta scala. La
solidarietà infatti suppone simultaneamente una visione del mondo e una concezione della
persona. L'interdipendenza viene eretta a chiave interpretativa dei fenomeni positivi e nega-
tivi dell'umanità. Niente ha una spiegazione esauriente o una soluzione ragionevole se viene
rinchiuso in sé e considerato in forma isolata. Ogni fenomeno va rapportato ad altri su cui
influisce e dai quali viene provocato, rafforzato o equilibrato: insieme formano la trama e il
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tessuto della storia umana. Povertà e ricchezza, denutrizione e spreco, inquinamento e forme
di produzione, guerra e potere, criminalità e pace, Nord e Sud sono fenomeni correlati, anche
se non in maniera meccanica né uniforme. Tra di essi media la visione che ci si fa della vita
e del mondo e si interpone la responsabilità della coscienza umana.
Sulla stessa linea la persona va considerata non come un essere che prima si costituisce
«in sé», incomunicato, e soltanto in un secondo momento, quasi come per un dovere etico,
si orienta verso gli altri. Essa invece plasma la sua esistenza originale nel rapporto, percepito
e assunto responsabilmente; riesce ad essere se stessa nella realizzazione di una interdipen-
denza obiettiva e arricchente. La persona è apertura. Vive nella storia, invece nel proprio
guscio si esaurisce.
La solidarietà si estende dunque simultaneamente agli atteggiamenti e alle strutture: ri-
guarda il livello privato e quello pubblico, attinge la sfera personale, sociale e politica; com-
prende l'ambito familiare, nazionale e internazionale, senza possibilità di delega da parte di
nessuno. Ciascuno di noi ha la sua parte nella tranquillità domestica. Ma nondimeno nella
pace del mondo. Essa pure dipende da noi come da noi dipendono l'ambiente e la giustizia
internazionale: da noi educatori, pastori, cittadini, intellettuali o semplicemente esseri umani.
Se è vero che il mondo è diventato un villaggio non è possibile vivere da persone consapevoli
assumendo soltanto la prospettiva del focolare, del quartiere o del paese. Alcune evidenze
collettive che oggi determinano decisioni a raggio mondiale ebbero inizio da una mobilita-
zione delle coscienze, delle opinioni, delle collaborazioni più umili e in apparenza insignifi-
canti.
2. L'auspicio di una «cultura» della solidarietà
Proprio per questo si auspica una «cultura» della solidarietà e per essa si vorrebbe lavo-
rare. All'infuori di essa ogni sforzo o programma risulta insufficiente non soltanto per risol-
vere questioni internazionali, ma anche semplicemente per affrontare con dignità e profon-
dità umana i problemi che appaiono nell'ambito immediato. Cultura è dunque la parola
chiave, di più peso in questo convegno, quasi una cifra ancora non chiarita che sta ad indicare
sinteticamente la portata dell'attuale impegno. Infatti i gesti esemplari di solidarietà abbon-
dano. Le affermazioni di principio e le dichiarazioni di generosità non mancano. Anzi forse
anche in questo campo si rileva uno scompenso tra predica e pratica. Persone generose e ben
ispirate si trovano dappertutto. Ma c'è una frattura tra i diversi ambiti in cui si svolge la vita,
tra gesti quotidiani e mentalità collettiva, tra sentimenti personali ed espressioni sociali, per
cui una sembra essere l'etica delle convinzioni e un'altra quella delle responsabilità pubbli-
che. Parafrasando l'Evangelii Nuntiandi si direbbe allora che anche riguardo alla solidarietà
«bisogna raggiungere e quasi sconvolgere i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti
di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita»1.
La cultura in effetti richiama non tanto a fatti spontanei, pur numerosi, ma ad una ela-
borazione razionale e sistematica delle energie personali e reali di cui dispone l'uomo per
affinare il suo spirito e trasformare il mondo. Indicatori della sua validità e incidenza sono
le ispirazioni che raccoglie dalla storia, le nuove intuizioni che nel confronto col presente
mette all'opera, l'organicità delle sue manifestazioni, la condivisione collettiva a livello di
coscienza e di consenso sociale di tali ispirazioni e realizzazioni.
Sarebbe ottimistico e fuori misura pensare che siamo molto avanti nel cammino di questa
cultura. Così come non corrisponde a verità ignorare le enormi energie che si stanno muo-
vendo nella linea della solidarietà. Si tratta dunque di un «compito», di una realtà da costruire
1 EN 19.
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32.1 Page 311

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piuttosto che di un'eredità da mantenere. Siamo agli inizi, alla partenza, come in un esodo
verso un'altra forma di pensare l'umanità e, di conseguenza, di convivere nel mondo. Il crollo
dei muri, pur aprendo spiragli di futuro e provocando gesti apprezzabili di comprensione, ci
ha lasciati ideologicamente ancorati ad un esasperato individualismo che viene temperato
soltanto da una solidarietà, quasi festiva, del «tempo libero», degli «intervalli». Non si è
detto che la nostra concezione della società è, per scelta, individualistica e che l'uomo con-
sumista è la controfigura dell'uomo solidale? Parlare di cultura della solidarietà è passare
dalle buone azioni individuali ad un principio organizzativo dell'esistenza sulla base del bene
comune e della reciprocità; ad un riferimento centrale in un sistema di valori e di rapporti;
da un «umanesimo dell'io», ad un «umanesimo del noi», dell'alterità, a partire dalla realtà
arricchente ed esigente degli altri. Ciò, piuttosto che fare qualche donazione in oggetti, de-
naro o tempo, comporterà operare un capovolgimento nella lettura della realtà, nelle valuta-
zioni e persino nel vocabolario. Sotto le parole medesime infatti, e tanto più nelle reazioni
abituali, covano pregiudizi, intolleranza, contrapposizioni ancestrali, autosufficienza corpo-
rativa, senso di superiorità.
3. Il compito educativo e pastorale
L'educazione è sempre in bilico tra la cultura già elaborata, quella che si intravede e
quella che si «sogna»; un po' a rimorchio del presente, un po' in attesa del domani, un po'
rivolta verso il futuro lontano. Si propone come socializzazione di quello che si è già con-
quistato e come anticipazione di quello che si insegue, in parte calcolato, in parte ancora
sconosciuto. Realizza questa intenzione preparando persone capaci di fare sintesi critiche
del presente, di affrontare l'imprevisto, di provocare il nuovo. Ma viene sempre colta di sor-
presa da fenomeni repentini che prendono corpo più velocemente del previsto. Le tocca rin-
correre le domande, accelerando la propria evoluzione. E quindi vivere sull'attenti.
Il rapporto tra educazione e cultura della solidarietà presenta oggi proprio questo profilo:
espansione inattesa delle prospettive e delle esigenze, impostazione, mentalità e programmi
educativi al guinzaglio degli eventi, bisogno assoluto di premere sul cambiamento per met-
tersi alla testa.
Il pensiero pedagogico cristiano e la pratica cristiana dell'educazione patiscono pure
questo ritardo. Non di rado sono visti come forme eminenti di affermazione individuale,
appena temperate da passeggeri interessi caritativi e da un'informazione sommaria su una
dottrina sociale cristiana. Sollecitazioni a modificare rotta non mancano in numerosi docu-
menti della Chiesa universale e delle chiese particolari, tra cui emergono le encicliche so-
ciali. Ultimamente l'esortazione Christifideles laici addita la solidarietà quale segno e asse
dell'evangelizzazione di cui il mondo odierno ha bisogno. Essa può far presa sul mondo,
sollevare domande e rivelare un «senso nuovo» proprio per la sua capacità di trasformare i
rapporti tra gli uomini. Si tratta di proclamare il «Vangelo della carità»; di unire due dimen-
sioni essenziali ed inseparabili: fare la verità nell'amore. Infatti la fede, se vuole incidere
sulla vita e sulla storia umana, deve generare cultura, senza lasciarsene imprigionare in una
forma particolare e contingente. Se è vera, la fede diventa ispirazione, fonte ed energia di
espressioni culturali permeate dalla carità.
I credenti dunque ritrovano motivi, modelli e spinte alla solidarietà nella contemplazione
del mistero di Dio e nella esperienza religiosa che segna profondamente la loro esistenza.
Essi confessano con la mente e con le opere che Dio ha fatto l'uomo suo interlocutore, capace
di ascoltarlo e di dirgli la sua parola non «a vuoto», ma come partner della sua signoria sul
mondo; che l'ha collocato in rapporto di comunione con sé, superando la sola dipendenza e
riconoscendogli responsabilità in un contesto di reciproca collaborazione, senza eliminare la
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distinzione che c'è tra il creato e l'Assoluto. In quanto membro del popolo di Dio il credente
conserva memoria e fa oggi esperienza della solidarietà che il Signore opera nell'alleanza,
tante volte violata e altrettante riofferta. In forza di essa Dio gli è vicino, eppure si mantiene
a quella distanza e nascondimento che gli lascia autonomia e lo spinge all'impegno senza
termine.
La condivisione e il dono totale di Dio hanno luogo nell'incarnazione e nella Pasqua,
dove Egli si manifesta come un «essere-per-gli-altri», un Dio per noi. Non soltanto assume
la nostra vita, ma paga i nostri debiti e compensa le nostre mancanze, con libertà e per puro
amore. In Cristo il cristiano conosce un Dio che si è rivelato ed è, in se stesso, comunione,
condivisione e donazione: è Trinità. A sua immagine è fatto l'uomo, il mondo, la storia.
La rivelazione, la confessione e la contemplazione di questo mistero non può essere
un'enunciazione di qualche cosa che è o accade sopra, dopo o accanto alla storia umana.
Sarebbe proprio un'alienazione.
L'esperienza di Dio porta, dunque, il credente a percepire l'amore come l'unica energia
capace di costruire la storia, e a tradurre questo Amore in riconoscimento della dignità degli
altri, in condivisione dei beni, in donazione totale di sé, in impegno per creare le condizioni
in cui ciascuno possa realizzare la propria vocazione e sviluppare le proprie ricchezze. È la
carità «che non passa», quello che resta della fede.
Il circolo percezione storica, fede, cultura, educazione diventa così fecondo. Le in-
dicazioni che ne possono scaturire vanno al di là dei gesti individuali e isolati. Si propongono
di creare mentalità e orientare le coscienze. Contengono un seme che richiederà tempo per
produrre frutti maturi. Ma questi saranno all'altezza delle urgenze del mondo. L'auspicio da
fare al convegno è dunque che riesca a far maturare nei partecipanti un riferimento che si
estenda poi a macchia negli spazi in cui essi sono chiamati ad operare.
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32.3 Page 313

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36. LA SIGNIFICATIVITÀ DELLA PRESENZA SALESIANA
Vecchi, J.E., La significatività della presenza salesiana in ACG 340 (1992), p. 34-39.
1. Un criterio di verifica. - 2. Gli elementi di significatività. - 3. Il cammino verso una maggiore significatività.
1. Un criterio di verifica
Il CG 23 affida alle Ispettorie il compito di verificare l'incidenza delle singole opere e
attività conforme al criterio della «Significatività»1.
Poiché non si tratta solo di una prospettiva ideale, ma piuttosto di un orientamento pra-
tico, la proposta suscita domande molto concrete. Il Consiglio Generale, investito della re-
sponsabilità di accompagnare le Ispettorie2, ha preso in esame questi interrogativi nelle due
ultime sessioni di giugno-luglio e novembre-dicembre 1991.
La prima domanda riguarda la portata di tale criterio. Da tempo i Capitoli Generali
invitano le Ispettorie ad adeguare le proprie presenze alle esigenze della nostra missione,
alle mutate condizioni socioculturali, ecclesiali e giovanili, alle nuove possibilità educative
e pastorali, allo stato del personale. Così il CG 19 propose un'operazione complessiva di
«ridimensionamento», mentre il CGS 20 indicò di ristrutturare le presenze per dare priorità
agli obiettivi pastorali3 e offrire un servizio più abbondante ai giovani più bisognosi. Il CG
21 auspica una «nuova presenza»4 salesiana, sia in opere di recente fondazione, come in
quelle di antica esistenza; e il CG 22 chiede ai Salesiani di ritornare ai giovani, ai loro biso-
gni, alle loro povertà, ricollocando eventualmente le opere5.
L'insieme di questi orientamenti ha prodotto effetti reali nelle Ispettorie nella misura in
cui sono stati applicati con decisione e i confratelli sono stati opportunamente preparati per
dare vita ad iniziative inedite o per creare nuove modalità di azione pastorale in presenze di
antica data.
Guardando infatti il panorama della Congregazione si scorge un volume non indiffe-
rente di trasformazioni e di adeguamenti a livello locale, ispettoriale, regionale e mondiale;
si registra una presenza massiccia di laici che condividono con noi compiti e responsabilità;
si è diffusa tra i Salesiani la preoccupazione di «animare» queste numerose forze educative
e apostoliche; si lavora con una visione più realistica del territorio come spazio della mis-
sione salesiana. La pastorale si è arricchita con nuove dimensioni (MGS, Volontariato, Gio-
vani Animatori, Comunicazione sociale...) e non mancano aperture di ulteriori fronti, pur
condizionate dalla scarsità delle risorse disponibili.
Proponendo il criterio della significatività si vuole continuare, con maggior determina-
zione, ciò che si è operato finora. Esso infatti riprende e sintetizza, secondo una nuova ge-
rarchia, le ragioni che sottostanno allo sforzo precedente, in conformità ai segnali che ven-
gono dai mutamenti in corso e dagli orientamenti della Chiesa.
La significatività, parola e criterio, non appare d'improvviso. Nel sessennio precedente
era stata oggetto di approfondimento in alcune visite d'insieme, di fronte all'insorgere di
richieste nuove e all'' impossibilità di rispondervi con l'attuale collocazione delle nostre pre-
senze.
1 CG23 227; 230; Cf. nn. 226-230.
2 CG23 231.
3 CGS20 398.
4 CG21 nn. 154-161.
5 CG22 6.
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32.4 Page 314

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Alla radice del criterio ci sono alcuni presupposti pastorali. È proprio dell'evangelizza-
zione il procedere per «Segni», cioè azioni che producono effetti reali, ma che allo stesso
tempo sono capaci di aprire chi li vede a nuove prospettive di esistenza.
L'annuncio evangelico non raggiunge direttamente ogni persona né ricopre materialmente
tutti gli spazi e attività, dove l'uomo svolge la sua vita. Si colloca in essi come un lievito,
una luce, una città collocata sulla vetta di una montagna. Oggi più che mai la pastorale è una
pastorale dei «segni»: presenza e azione della Chiesa che rivela l'energia storica della risur-
rezione di Gesù.
Da questa prima convinzione ne scaturisce una seconda, molto pratica: l'urgenza di fare
delle «Scelte» perché ciascuna comunità possa, attraverso la sua presenza e il suo lavoro,
«annunciare il Vangelo» con chiarezza ed efficacia. Tutte le opere sono utili. Ma non tutte,
per la loro collocazione e le loro modalità di intervento, parlano con la stessa intensità e con
la stessa chiarezza. Alcune possono persino apparire soltanto come funzionali a bisogni se-
condari dei giovani, con appena una verniciatura educativa o religiosa. Alla missione sale-
siana invece interessa che appaia con immediatezza il suo interesse principale per la crescita
in dignità e per la salvezza eterna delle persone.
2. Gli elementi di significatività
Addentrandoci di più nell'applicazione del criterio della significatività ci accorgiamo
che esso presuppone l'attenzione prioritaria ad alcuni fattori, che diventano chiavi per un
discernimento e per le corrispondenti operazioni di ristrutturazione.
- Il primo di questi fattori è la persona del salesiano. Il volume e le modalità del lavoro
devono consentire una formazione completa dei confratelli in fase iniziale e permanente. La
collocazione pastorale deve mirare a sfruttare al massimo la loro capacità di educare alla
fede e di animare le comunità educative. Bisognerà dunque badare che il salesiano non sia
oberato di funzioni molteplici di tipo organizzativo, materiale e amministrativo a causa della
diminuzione delle forze e dell'aumento non controllato delle opere. La vita spirituale dei
singoli richiede tempo e attenzione. Bisogna prevenire stanchezze premature e cadute di
tensione, affidando impegni proporzionati, in cui sia possibile lavorare anche in profondità
e non ci si debba limitare ad una evangelizzazione superficiale.
- Un secondo fattore per la significatività è la comunità: la sua esistenza, la sua densità
umana e religiosa, la sua creatività apostolica. Le Costituzioni attribuiscono ad essa una no-
tevole incidenza vocazionale. Il CG 23 parla di alcuni valori in cui viene riposta la sua ca-
pacità di impatto: l'unità che risulta dall'accettazione delle persone, dai rapporti fraterni, dalla
comunicazione e corresponsabilità; la vita quotidiana in cui emerge la scelta radicale di Cri-
sto e l'accoglienza di chi cerca in essa appoggio e aiuto6. Essa è chiamata a diventare «se-
gno», «scuola» e ambiente di fede7.
La significatività richiede che ogni opera o insieme di attività vengano affidate ad una
comunità corresponsabile; e di conseguenza consiglia di commisurare gli impegni a questa
esigenza. Perciò precedentemente si è raccomandato di mirare alla sua consistenza quantita-
tiva e qualitativa8. Per il loro funzionamento le comunità vanno dotate di una guida capace
di animare la vita spirituale e l'azione pastorale. Disponibilità di confratelli e di personale
direttivo, opportunamente preparato, sono dunque calcoli da fare, senza perdere quella in-
traprendenza e audacia che ha sempre caratterizzato l'azione salesiana.
6 Cf. CG23 219.
7 Ibid. nn. 216-218.
8 Cf. ACG (1991) 335.
- 312 -

32.5 Page 315

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- Viene allora un terzo fattore: la qualità pastorale. Quella «cercata» nella progettazione
previa che privilegia i settori più determinanti per l'educazione dei giovani alla fede; e quella
«raggiunta» nell'attuazione concreta di quanto è stato programmato. Bisogna infatti valutare
la realtà piuttosto che i fogli scritti o le intenzioni.
La qualità pastorale è la preoccupazione centrale del CG 23: «Il cammino di fede dei
giovani richiede che la comunità si inserisca nel contesto e nel mondo giovanile con una
nuova qualità pastorale»9. Su di essa puntano le sei deliberazioni capitolari, come anche gli
orientamenti operativi che vengono incontro a limiti rilevati nei diversi tipi di presenza, cioè
negli ambienti di ampia accoglienza, nelle opere di educazione sistematica, nei gruppi e nelle
grandi convocazioni giovanili, nelle comunità per giovani in difficoltà. Viene misurata dal
cammino di fede che riusciamo a proporre ai giovani e dall'ambiente educativo a cui diamo
vita.
Perciò chiede di rivedere i risultati dell'attuale stile di azione, di ricuperare la dimen-
sione di profondità e articolare le proposte passando da quelle più generali e fondamentali
ad altre più specifiche od esigenti, fino ad arrivare ad una proposta personalizzata e all'ac-
compagnamento personale dei giovani più disposti. La significatività non prende in consi-
derazione solo la struttura e la collocazione dell'opera, ma il progetto educativo che in essa
si porta avanti: Ed è questo che va verificato in ogni presenza.
- Un quarto elemento di significatività è il proposito e la capacità di aggregare altre
forze, per le quali la comunità religiosa può diventare centro di comunione e di partecipa-
zione. Si è significativi quando chi vuole impegnarsi trova nella nostra comunità riferimento,
appoggio e accoglienza.
Vengono a proposito due richiami del CG 23: quello che chiede che i Salesiani vengano
preparati per l'animazione10, e quello che accenna alle diverse realtà da animare, ciascuna
con le proprie possibilità di formazione, di coinvolgimento, di corresponsabilità: la comunità
educativa, la Famiglia Salesiana, il Movimento Giovanile Salesiano11.
Pure questo viene considerato strettamente collegato alla qualità pastorale in quanto
crea «l'ambiente umano» in cui i giovani possono entrare a contatto con «credenti» vicini a
loro: «Il cammino di fede dei giovani richiede che la comunità salesiana si faccia animatrice
della comunità educativa pastorale e della Famiglia Salesiana»12. L'adempimento di questa
deliberazione appare di particolare urgenza: infatti la Congregazione alla fine del sessennio
dovrebbe aver messo in esistenza una tale realtà in ogni sua presenza13. Sarà dunque uno
degli indicatori per verificare la strada percorsa nei prossimi sei anni.
- Infine, elemento di significatività è il rapporto, l'inserimento e l'impatto della nostra
presenza sul territorio. Alcune comunità sono diventate punto di riferimento per iniziative
sul versante sociale, culturale e religioso. Da loro partono messaggi. La gente sa che può
avvicinarle e fare affidamento su di esse per un confronto chiarificatore, per un'iniziativa
comune, per far maturare una mentalità, per moderare tendenze o far circolare messaggi. La
comunità, afferma ancora il CG 23, «deve acquistare (...) la capacità di dialogare con la realtà
circostante, con le istituzioni sociali ed educative del quartiere e della città; la capacità di
irradiare la propria passione educativa (…), di interagire continuamente con la realtà (...)
nella quale è vitalmente inserita»14.
9 Cf. CG23 (1990), p. 134.
10 CG23 223.
11 CG23 232 ss.
12 CG23 1.3, p. 137.
13 CG23 236.
14 CG23 226.
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3. Il cammino verso una maggiore significatività
Quello che si propone non è dunque solo una ristrutturazione materiale o uno sposta-
mento di persone, ma un «modello di intervento pastorale» nel quale alle comunità salesiane
vengono chieste alcune attenzioni preferenziali e si affida loro un ruolo più ampio e incisivo
di orientamento e animazione.
D'altra parte per provvedere in forma efficace al miglior impiego delle persone, alla
formazione di comunità, al progetto pastorale, all'animazione della comunità educativa e
della Famiglia Salesiana, all'incidenza sul contesto si dovranno fare necessariamente opera-
zioni di adeguamento.
Le prime e più urgenti sono quelle tendenti a rigenerare, potenziare e moltiplicare le
risorse. Sono già indicate nel CG 23, ma possiamo richiamarle:
- assicurare e programmare la formazione permanente dei Salesiani, in particolare di
quelli chiamati ad orientare le comunità;
- dare organicità e consistenza alla preparazione dei laici, investendo energie, tempo e,
se fosse necessario, anche denaro;
- preparare, appoggiare e collegare proposte diversificate di vita cristiana per i giovani,
particolarmente sulla linea vocazionale;
- rendere efficaci gli organismi di animazione ispettoriale definendo bene i loro compiti
e stabilendo tra le comunità ed essi un collegamento di vicendevole intesa.
Ma oltre a queste operazioni di miglioramento ce ne vorranno anche altre di ristruttu-
razione: rafforzamento dei settori o attività che rispondono meglio alle urgenze oggi sentite,
riduzioni o tagli di quelle che, anche se valide in sé, offrono minore possibilità di incidere
sui giovani e sull'ambiente, ricollocazione di forze in contesti nuovi.
Poiché si tratta di puntare su una migliore qualità pastorale, corresponsabili nella ri-
cerca di significatività sono solidalmente i confratelli e le comunità locali. Ed è forse questa
una novità della presente tappa: ci si affida al rinnovamento e alla capacità creativa dei
gruppi locali di fronte al proprio compito educativo.
Ma un'importante responsabilità spetta agli organismi ispettoriali. Ogni singola attività,
presenza e opera va vista infatti nel contesto ampio della missione dell'ispettoria. È questo
l'orizzonte sul quale giudicare la maggiore o minore significatività e le priorità da stabilire.
Le Ispettorie che operano in un unico contesto sono invitate a progettare insieme la signifi-
catività a livello ampio. Ci sono infatti iniziative e presenze capaci di operare e influire a
raggio ampio e che hanno bisogno di una visione più larga e di w1a generosa collaborazione
da parte di tutti.
Nel processo di risignificazione della presenza salesiana tutti sono chiamati a dare il
proprio contributo per un discernimento accurato, mentre agli organismi competenti si
chiede che prendano le decisioni opportune. Ci deve essere dunque il periodo di studio delle
misure da prendere con ampia partecipazione dei confratelli interessati, ma le soluzioni non
vanno tramandate in attesa di un consenso totale.
I già incombenti Capitoli Ispettoriali sono un momento eccezionale per «rivedere e ri-
progettare le singole opere dell'Ispettoria in ordine alla significatività ecclesiale e sociale»15.
Ci servono come riferimento gli orientamenti del CG 23 e alcuni sussidi già offerti dal Con-
siglio Generale sulle deliberazioni dello stesso Capitolo.
15 CG23 227.
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32.7 Page 317

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37. L'EMARGINAZIONE GIOVANILE IN EUROPA SFIDA OGGI LA MIS-
SIONE SALESIANA
Vecchi, J.E., L'emarginazione giovanile in Europa sfida oggi la missione salesiana in C.I.S.I. Conferenza Ispettorie Salesiane
d'Italia, «I Salesiani si interrogano su: Emarginazione e disagio giovanile». Convegno Roma-Pisana 23-25 novembre 1991.
A cura di don G.B. Bosco segretario CISI e di don D. Ricca incaricato nazionale del Collegamento «Emarginazione giova-
nile». Roma, Tipografia «Don Bosco» 1992, p. 111-127.
1. Premessa. - 2. La Missione Salesiana. - 3. La «significatività» della presenza salesiana oggi. - 4. Le nuove povertà. - 5.
La sfida dell'attuale emarginazione alla «significatività» dei salesiani.
1. Premessa
Questa mia conversazione (non oso chiamarla «relazione») si limiterà ad offrire alcune
«note» sulla missione salesiana a confronto con il fenomeno dell'emarginazione e a sottoli-
neare alcuni aspetti della sfida che le nuove povertà nei contesti sviluppati lancia a questa
missione.
Il contributo è deliberatamente limitato e selettivo: piuttosto che fare una sintesi orga-
nica o presentare delle prospettive complete ho preferito presentare alcuni punti che servano
come stimolo e memoria.
In particolare, riguardo alla missione salesiana, dopo aver riletto quanto hanno affer-
mato gli ultimi Capitoli Generali e i Capitoli Ispettoriali dell'Italia e aver ripensato gli articoli
delle nostre Costituzioni in merito, ho avuto l'impressione di una tale abbondanza e ripeti-
zioni di prese di posizione che mi è sembrato lungo raccoglierle tutte, difficile sintetizzarle
e superfluo ribadirle.
Le presenti «note» o «spunti» riguardano i destinatari della nostra missione, gli ele-
menti di significatività e la considerazione che in essa possono avere le nuove povertà.
2. La Missione Salesiana
Sin dall'inizio del processo che doveva portare ad un rinnovamento di mentalità, di vita
comunitaria e di lavoro pastorale, i salesiani hanno discusso con vivacità sulla propria mis-
sione e hanno cercato di definirla attraverso diversi elementi. Tra questi «il campo» (espres-
sione «chiave» nel primo sogno di Don Bosco) in cui collocarsi, i «destinatari della mis-
sione» secondo il vocabolario degli ultimi Capitoli Generali, è stato sempre al centro di di-
battiti considerati determinanti per le prospettive ideali e le conseguenze pratiche. Infatti
dalle prime Costituzioni fino al testo che oggi ci guida viene riportato in primo posto tra i
trattati della missione, in una costellazione, che include il servizio, o finalità della nostra
azione, il soggetto responsabile e le mediazioni privilegiate.
Nello sforzo di chiarimento del campo proprio, il confronto sulla preferenza per i gio-
vani poveri è stato il più ricorrente e acceso, tra il massimalismo e l'interpretazione «mor-
bida» delle raccomandazioni di Don Bosco, tra la scelta dell'educazione sistematica e quella
della presenza nei luoghi del bisogno, tra una certa interpretazione della prevenzione e i
progetti di recupero, tra la considerazione della sola povertà economica e la presa di co-
scienza delle nuove forme di marginalità e rischio. Ne sono prova, oltre ai testi elaborati,
una amplissima documentazione di archivio. In poche parole i salesiani hanno sempre rite-
nuto che la collocazione delle proprie forze finiva per condizionare molti aspetti della loro
esperienza carismatica.
- 315 -

32.8 Page 318

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Le differenze di valutazioni (è una mia impressione!) non hanno ancora raggiunto una
convergenza soddisfacente. Il dibattito continua ancora in silenzio, data la poca propensione
alla contrapposizione che caratterizza la stagione attuale.
La preferenza per i giovani poveri come ragione di esistenza della Congregazione ri-
sale a Don Bosco medesimo che la ribadisce in ogni scritto e circostanza. Le categorie da lui
adoperate «gioventù povera, abbandonata, pericolante» rimangono ancora nelle Costitu-
zioni1 come tratto della nostra identità pastorale, mentre gli studiosi cercano di esplicitare
con rigore storico la portata reale che hanno avuto nella sua prassi e nello sviluppo della
Congregazione2.
Ripercorrere tutti i testi che documentano questa laboriosa ricerca sarebbe lungo e ri-
petitivo, soprattutto se si prendono in considerazione anche Capitoli ispettoriali dove si
esprime in forma più immediata un maggior numero di salesiani. Lo sforzo comunque evi-
denzierebbe che nei momenti di riflessione, anche per opera di alcuni confratelli portatori di
sensibilità, la Congregazione riscopre la sua destinazione carismatica e comunitaria verso «i
più poveri».
Ma il problema per noi oggi non sono i testi. Ne abbiamo a sufficienza e li abbiamo
riletti accettandoli, in adunanze precedenti. Il punto da guardare sono i progetti, la volontà e
le realizzazioni che fanno vedere quanto i testi riescono a orientare la prassi.
Proprio su questa linea faccio, a proposito dei testi, soltanto due rilievi che sembrano
particolarmente illuminanti per la nostra riflessione.
È chiaro che «i giovani più poveri», indicati come i primi e principali destinatari della
missione salesiana3, non sta nel testo costituzionale semplicemente accanto ad altre categorie
elencate: tutti i giovani, gli operai, le vocazioni, il popolo; ma al loro centro, irradiando un
significato alla cui luce si capiscono tutte le altre specificazioni del campo a cui ci sentiamo
chiamati. Così come l'accenno ai giovani non si pone allo stesso livello ma come riferimento
motivante del nostro impegno con gli adulti del ceto popolare.
Perciò ogni volta che si parla della gioventù, come campo della missione salesiana, si
aggiunge indefettibilmente «specialmente i più poveri». La missione salesiana ha così una
definizione unitaria, non una lista di possibilità. Muove da una scelta di campo «i giovani
più poveri» che dà ragione del tipo e dell'intensità della carità pastorale che si richiede da
noi e si estende ad altri cerchi più ampi con lo stesso spirito. E simile al proposito della
Chiesa italiana di «ripartire» dagli ultimi. L'avverbio «più» è tutt'altro che trascurabile.
Tra i giovani più «poveri» ha avuto inizio la nostra missione. Don Bosco non lascia di
ripeterlo sia nella presentazione della Congregazione sia nelle «Memorie dell'Oratorio» sia
nel suo «Testamento». Dall'incontro coi giovani poveri è nata la nostra pedagogia, con le
sue caratteristiche di contenuto e metodo e con la figura di un educatore che è soprattutto
Amico e Padre. Dalla situazione dei giovani poveri sono state suggerite le iniziative e pro-
grammi che attraversano la nostra tradizione: l'oratorio, le scuole di formazione professio-
nale, l'internato-famiglia.
La fonte ispirante è sempre lo Spirito Santo; ma la ricerca, l'incontro e la condivisione
della vita con i giovani poveri sono la «circostanza provvidenziale», la mediazione indispen-
sabile per il sorgere e concretizzarsi del nostro carisma.
1 C 26.
2 Cf. BRAIDO P., L'esperienza pedagogica preventiva nel sec. XIX - Don Bosco, in Esperienze di
pedagogia cristiana nella storia, vol. II: sec. XVII-XIX, a cura di Pietro Braido, LAS, Roma 1981,
p. 321-343.
3 C 26.
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32.9 Page 319

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È dunque plausibile che ogni rinnovamento debba avere come fattore indispensabile il
«ritorno» a questo momento fontale.
Per questo i Regolamenti chiedono a tutte le ispettorie di rivedere la propria colloca-
zione, confrontandosi con le povertà presenti nel proprio contesto: «Ogni ispettoria studi la
condizione giovanile e popolare tenendo conto del contesto sodale in cui opera. Verifichi
periodicamente se le sue opere ed attività sono a servizio dei giovani poveri: dei poveri an-
zitutto che, a causa della povertà economica, sociale e culturale, a volte estrema, non hanno
possibilità di riuscita; dei giovani poveri sul piano affettivo, morale o spirituale, e perciò
esposti all'indifferenza, all'ateismo e alla delinquenza, dei giovani che vivono al margine
della società e della Chiesa»4.
Il secondo rilievo da fare è che nel susseguirsi di documenti autorevoli non c'è sempli-
cemente una ripetizione di affermazioni e prese di posizioni; vi è, invece, un approfondi-
mento pastorale, una lettura sempre più realistica delle povertà e soprattutto una salita di
tono. Così dopo un tentativo di presentazione della condizione giovanile e un richiamo a
prestarvi attenzione da parte del CG 21, il CG 22 «chiede a tutti i salesiani di 'ritornare' ai
giovani, al loro mondo, ai loro bisogni, alle loro povertà... di fare la scelta coraggiosa di
andare verso i più poveri, ricollocando eventualmente le nostre opere dove maggiore è la
povertà»5.
«Gli ispettori con i loro Consigli e capitoli ispettoriali, nell'elaborazione e nella veri-
fica del proprio progetto, ripensino le opere e preparino scelte operative con eventuale ricol-
locazione delle nostre presenze tra i giovani poveri e del mondo del lavoro»6.
Il CG 23 colloca le povertà giovanili tra le sfide lanciate oggi ai salesiani7. Le sfide
sono provocazioni alla nostra vocazione di educatori alla fede; ma anche opportunità reali,
cariche di potenzialità rinnovatrici. Sollecitano creatività e coraggio, ma allo stesso tempo
rigenerano profondamente persone e comunità.
I giovani poveri, amati e avvicinati, ci rinnovano. «L'incontro quotidiano con loro,
arricchito dai segni della presenza di Cristo, produce nelle comunità nuovi stimoli per una
fede vissuta con più verità, aiuta a celebrare il Regno e la salvezza, a cercare con realismo
nuovi motivi di conversione e di solidarietà, a fare della fede una realtà salvifica della sto-
ria»8.
L'orientamento operativo che ne scaturisce propone ad ogni ispettoria che «entro il
prossimo Capitolo ispettoriale individui nuovi e urgenti fronti di impegno principalmente tra
i giovani che hanno maggiori difficoltà» istituendo per loro qualche presenza come «segno»
del nostro andare verso i giovani più lontani»9. È una deliberazione precisa che mira a supe-
rare le incertezze a cui siamo come inchiodati per 1'insufficienza delle forze e la molteplicità
degli impegni.
3. La «significatività» della presenza salesiana oggi
La significatività è un riferimento che ha guadagnato terreno fino a diventare criterio
principale di ridimensionamento, ricollocazione, ridistribuzione di energie. L'adunanza d'in-
sieme delle ispettorie italiane con il Rettor Maggiore e alcuni dei suoi Consiglieri (1986)
l'aveva preso come punto focale della riflessione per formulare scelte di fronte alle nuove
4 R 1.
5 Cf. CG22 6.
6 Cf. CG22 7.
7 Cf. CG23 nn. 78-82.
8 CG23 82.
9 CG23 230.
- 317 -

32.10 Page 320

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situazioni e dello stato delle nostre forze. Un testo del CG 23 la riprende: «Spetta alla comu-
nità ispettoriale rivedere continuamente e riprogettare le singole opere dell'ispettoria in or-
dine alla significatività ecclesiale e sociale...»10.
La significatività è collegata alla capacità di dare risposte originali alle sfide e alle
urgenze più sentite. Per essa una presenza o iniziativa proclama la novità e la forza trasfor-
matrice del Vangelo per se stessa, anche prima dell'annuncio verbale. Il CG 23 attribuisce
una particolare carica di significato alle iniziative rivolte a dare ai giovani in difficoltà pos-
sibilità di vita piena e le ricollega al carattere «profetico e radicale» della vita religiosa: Chi
come discepolo di Cristo vede questa realtà con i suoi occhi e la sente col suo cuore è 'chia-
mato' a 'compatire' queste situazioni e a rendersi solidali con chi soffre. «Il carattere profetico
della vita religiosa ci domanda di incarnare la Chiesa desiderosa di abbandonarsi al radica-
lismo delle beatitudini. Questo dono dello Spirito ci fa sensibili alla sfida della povertà»11.
I suoi elementi, da cui ci sprigiona significatività, sono: la manifestazione incondizio-
nata della carità evangelica, la capacità di «salvare» coloro che gli uomini abbandonano alla
propria sorte, il desiderio di donare vita e speranza, l'efficacia nella proposta di fede, la forza
aggregante per cui persone di buona volontà si uniscono nel bene, la capacità di far maturare
mentalità e rapporti nella linea del Regno. Molte iniziative sono «buone»; ma non tutte par-
lano con la stessa eloquenza, realismo e verità. Molte opere possono essere di qualche utilità;
non tutte esprimono il Vangelo, l'amore di Dio seminato nel cuore dei credenti con la stessa
immediatezza e profondità. Molti interventi appaiono accettabili, funzionali alla società in
cui viviamo; alcuni sono veramente «evangelizzatori» e profetici.
Sotto questa luce di segno evangelico il CG 23 valuta la nostra presenza tra i giovani
in difficoltà: «In questi ultimi anni sono nate e si sono consolidate le 'comunità di accoglienza
per ragazzi e giovani in difficoltà'. Esse sono la testimonianza del 'coraggio' mai spento in
Congregazione, e del valore del Sistema Preventivo. Sono punti di riferimento e di promo-
zione della solidarietà, riscuotono l'approvazione generale, riescono a coagulare collabora-
tori molteplici, creano mentalità solidale nella gente e ottengono l'appoggio della società»12.
L'impostazione della nuova evangelizzazione, quella che propone Giovanni Paolo II,
quella delle chiese particolari puntano sui «segni». E tutte, nella nuova temperie anche delle
società sviluppate, vedono nell'identificazione della Chiesa con i poveri la manifestazione
credibile dell'amore che proclama. L'offerta di senso di cui il Vangelo è fonte attraverso
l'educazione alla fede e la solidarietà con gli sfavoriti conformano la significatività delle
comunità cristiane e del loro messaggio.
Anche per noi la significatività, la forza di annuncio e di testimonianza poggia sul
senso e sulla solidarietà. Possiamo esprimerlo ancora con un testo del CG 23: Le sfide «espri-
mono in maniera particolareggiata il doppio versante che la fede è chiamata a illuminare e
risignificare: la persona e la società; l'identità personale e l'universale solidarietà tra gli uo-
mini»13.
4. Le nuove povertà
C'è ancora un passo da compiere: comprendere nel richiamo alla povertà, a cui si rife-
riscono le Costituzioni e i Capitoli Generali, le forme più gravi di carenza ed emarginazione
della società del benessere. Infatti si compatisce e si solidarizza facilmente con la miseria
10 CG23 227.
11 CG23 79.
12 CG23 290.
13 CG23 75.
- 318 -

33 Pages 321-330

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33.1 Page 321

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economica (e a ragione!), ma inconsapevolmente colpevolizziamo coloro che rimangono
intrappolati nei rischi della società del benessere.
La prima cosa è prendere coscienza che in questa società le «povertà» gravi esistono
e non come «sacche» marginali e insignificanti in fase di soluzione, ma come fenomeno
dilagante, organico al sistema e da esso provocato. Colpisce oggi una quantità di soggetti
deboli e lo farà domani con tutti quelli che partono sfavoriti o che non vengono sufficiente-
mente attrezzati per sopravvivere in una società complessa. Ciò viene rilevato da rigorose
ricerche sulla realtà sociale attuale e sulle prospettive di un prossimo futuro. Ma per arrivare
alla medesima conclusione bastano pure uno sguardo attento sulle nostre città e quartieri e
l'informazione quotidiana.
Le statistiche europee di qualche anno fa denunciavano una povertà economica che
raggiungeva l'11% della popolazione e una disoccupazione giovanile media che colpiva il
20% di giovani con decisivo influsso sul comportamento, la disaffezione al sistema sociale,
la demotivazione per una preparazione adeguata.
Ma c'è un secondo dato da assumere: la povertà, il rischio o la precarietà economica
non è sparita e non è nemmeno in recessione. Ma rappresenta solo un aspetto. Altri più gravi
se ne aggiungono: l'emarginazione e l'estraneità sociale culturale, la devianza nelle forme
varie, le dipendenze, la insufficienza di preparazione culturale, l'abbandono scolastico, le
carenze affettive, l'insicurezza individuale e sociale, il coinvolgimento precoce nella mala-
vita, il disorientamento esistenziale, la solitudine, il carcere. Alla radice c'è un diffuso disa-
gio, le cui interpretazioni sono state analizzate nell'incontro europeo di Benediktbeuern, per
cui non mi soffermo14.
Per questa molteplicità di volti e per questa diffusione strisciante la nuova marginalità
è meno visibile. Si allarga in forma capillare e clandestina. Quello che appare è solo la punta
dell'iceberg. La base sommersa è molto più ampia e profonda. Perciò la sua portata viene
sottovalutata e «i casi visibili» vengono facilmente attribuiti a ragioni personali o familiari.
Incombe invece su un numero considerevole di giovani a tre livelli: come rischio prossimo,
come situazione iniziale di fatto, come interiorizzazione delle sue modalità e adeguamento
alle sue leggi.
Questa molteplicità e diffusione pone alcuni interrogativi a tutti gli educatori e parti-
colarmente ai salesiani: intervenire su un tipo particolare di povertà in linea col nostro pas-
sato, o prendere in considerazione con uguale impegno le nuove forme di povertà che sem-
brano più difficili da affrontare dal punto di vista educativo? Per queste ultime si possono
considerare sufficienti le nostre competenze educative e pastorali, o c'è bisogno di altre com-
petenze specifiche? Va considerato «straordinario» il nuovo profilo di alcune iniziative in
area di emarginazione, o conviene assumerlo e moltiplicarlo? E ancora: poiché le diverse
povertà hanno radici comuni, non sarà possibile affrontarle, in una certa misura, tutte in-
sieme?
Un terzo dato da valutare è che le nuove e più gravi povertà covano nella fanciullezza,
ma esplodono ancora nell'età giovanile. Non si tratta più solo degli «orfanelli» o delle «fa-
miglie povere», ai quali la società ha potuto pensare da lungo tempo, ma di adolescenti e
giovani in cui le carenze educative o il fallimento dei processi di socializzazione tipici della
fanciullezza e dell'adolescenza hanno spinto verso l'evasione.
14 Cf. G. MILANESI (Ed.), Emarginazione giovanile e pedagogia salesiana, LDC, 1987, pp. 19-33.
- 319 -

33.2 Page 322

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Perciò non sono più soltanto le grandi istituzioni educative o di ricupero quelle più
indicate ad affrontare il fenomeno di povertà. Emergono invece iniziative destinate ad ado-
lescenti e giovani adulti in cui si privilegia l'accoglienza e la valorizzazione della persona, il
rapporto di amicizia e corresponsabilità, la mobilitazione del territorio, la pluralità di fronti.
Proprio su questa linea si fanno strada altre forze di chiese e di società che si qualifi-
cano per la quantità delle iniziative e per la capacità di coinvolgimento e coscientizzazione
della società. Ne sono esempi le reti di comunità di accoglienza e volontariati a favore di
immigranti, rifugiati e altri.
Tutto questo pone altri interrogativi ai salesiani: il significato di «prevenzione» è ri-
masto immutato o presenta nuovi connotati e nuove indicazioni? Dobbiamo far influire que-
ste nuove esigenze sulle nostre politiche?
5. La sfida dell'attuale emarginazione alla «significatività» dei salesiani
Noi portiamo indelebile nella nostra memoria comunitaria il ricordo del «cuore» di
Don Bosco che lo spingeva non solo a rilevare, ma a sentire profondamente le situazioni di
precarietà e miseria dei giovani; sovente rievochiamo la sua scelta di dedicarsi totalmente a
loro di fronte ad altre proposte meno radicali; ricordiamo pure il criterio e le modalità delle
sue iniziative caratterizzate dall'aderenza alle realtà e dalla capacità di coinvolgere le forze
disponibili.
Le nuove povertà trovano i salesiani ugualmente sensibili, capaci di cogliere il loro
aspetto fragile per i giovani e pronti ad intervenire quanto lo fu Don Bosco con la povertà
del suo tempo? La risposta positiva non è almeno da escludersi. La domanda comunque
formula in maniera semplice e diretta la «sfida» carismatica.
Per rispondervi non soltanto con un gesto esemplare ma con una nuova disponibilità
comunitaria sono necessari alcuni passi.
• Il primo è riuscire a cogliere come ispettoria e come comunità locale la portata, la
profondità e le manifestazioni odierne del disagio giovanile nel proprio contesto: come ri-
schio incombente su tutti gli adolescenti e giovani a causa delle difficoltà familiari, del si-
stema scolastico, dello sradicamento culturale e sociale, della concorrenza per i posti di la-
voro; come fenomeno che esplode in alcune fasce identificabili in cui le vecchie povertà si
sovrappongono a nuove forme gravi di emarginazione.
Si tratta poi anche di individuare le logiche che oggi sottostanno al disagio, come la
crisi di valori e di rapporti dilagante nella società, il vuoto di senso e progettualità, per cui si
rende più precaria la differenza tra giovani «normali» e giovani «problematici». La difficoltà
di questi ultimi hanno un carattere indicativo e sintomatico.
Vanno superate dunque le colpevolizzazioni, la stigmatizzazione delle devianze gio-
vanili e va rinnovata la fiducia di Don Bosco nelle risorse del giovane e nel suo desiderio e
volontà di rifarsi.
Se questa lettura viene condivisa si vedrà quanto ogni educatore ha oggi bisogno im-
pellente di conoscere e trattare le diverse forme di emarginazione e come non è possibile un
lavoro «normale» di educazione senza l'esperienza pedagogica di essa.
• Ma la sfida presenta un altro aspetto molto impegnativo: elaborare un progetto ispet-
toriale e nazionale per l'emarginazione giovanile con l'impiego pieno delle risorse della Con-
gregazione.
La storia del nostro sviluppo è conosciuta. I salesiani si sono dedicati alla gioventù
bisognosa dal punto socio-economico favorendo il suo accesso ad un livello accettabile di
educazione. In casi straordinari hanno assunto opere per ragazzi difficili presentate sempre
come il fiore all'occhiello delle possibilità trasformatrici del Sistema Preventivo.
- 320 -

33.3 Page 323

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Le nuove povertà li hanno colti di sorpresa, con una sensibilità generale, ma con una
preparazione incompleta per leggere le manifestazioni di disagio, applicare una prassi peda-
gogica che va oltre la delega e il trattamento settoriale ed estrarre dal Sistema Preventivo
nuove ispirazioni e conseguenze.
Alcuni pionieri hanno intrapreso iniziative a volte inviati, a volte autorizzati dall'ispet-
toria, e qualche volta soltanto tollerati. Non poche realizzazioni a favore dei giovani a rischio
sono nate come estensione di un'opera salesiana già consolidata.
I risultati di questi tentativi sono stati pregevoli in vari sensi. Nel loro insieme hanno
dato origine ad una presenza consistente della Congregazione nell'area dell'emarginazione.
Tra le conclusioni dei seminari del 1986 si legge: «Sono evidenti gli sviluppi che l'impegno
per i giovani bisognosi ha avuto nella Congregazione... settanta furono le iniziative studiate
(molto più di quelle presentate al comitato di selezione!). La maggior parte di esse (fino al
90%) hanno avuto inizio tra gli anni 75 e 85. Rappresentano la continuazione di un impegno
che la Congregazione aveva espresso lungo tutta la sua storia precedente in programmi ade-
guati ad altre forme di povertà e ad altri criteri educativi».
Il secondo risultato è stato una sensibilizzazione generale delle comunità ispettoriali
riguardo alla significatività di queste iniziative e la loro integrazione nel progetto ispettoriale
non come opere «atipiche» ma in interazione con le altre presenze.
Come conseguenza è maturata ima maggior consapevolezza della complementarità
arricchente tra le diverse opere. Sono nati collegamenti e collaborazioni parziali da parte
delle comunità ed è cresciuta l'esigenza comunitaria nelle stesse iniziative predisposte per i
giovani in difficoltà. Questo processo è tuttora in corso.
Ma la maggior parte delle iniziative «specifiche» sono ancora legate alla permanenza
nel settore di certe persone, con speranze limitate di ricambio e aumento, e dunque senza
prospettiva di estensione.
La Congregazione intanto ha parlato di ridimensionamento e ricollocazione, pren-
dendo come punti di riferimento non solo l'adeguamento degli impegni alle risorse umane
disponibili, ma anche la qualificazione pastorale e un servizio più generoso ai destinatari
privilegiati.
Sembra dunque maturo il momento di esprimere a livello ispettoriale e nazionale un
PROGETTO per i ragazzi e giovani a rischio, non come un «settore» di iniziative ma come
una impostazione globale del nostro servizio.
Tale progetto comporta prendere in considerazione, in tutte le presenze, il disagio gio-
vanile e il rischio dell'emarginazione. Ciò dovrebbe produrre modifiche nei programmi di
contenuti e modalità educative, nella linea di una più attenta e aggiornata prevenzione; do-
vrebbe portare ad animare il territorio in vista della consapevolezza e della corresponsabilità
di istituzioni e famiglie per la qualità dei rapporti e della vita. Potrebbe anche stabilire criteri
per una maggior accoglienza dei ragazzi e giovani «a rischio» ai quali un programma e una
comunità educativa possono tener lontani dalla devianza.
Ma esso contempla anche comunità e iniziative specifiche, indirizzate ai giovani in
difficoltà, come fattore trainante e come garanzia di realismo. Ed è da auspicarsi che aumen-
tino seguendo l'orientamento operativo contenuto nel n. 230 del CG23.
Si diceva a conclusione dei seminari del 1986: «L'inserimento di queste iniziative in
un insieme diversificato di presenze all'interno di una ispettoria ci qualifica come apostoli-
educatori dei giovani, capaci di interpretare e trattare tutte le situazioni educative in cui essi
vengono a trovarsi: quelle in cui si applica la prima e più generale prevenzione, quelle in cui
bisogna saper orientare ad alti impegni di vita cristiana (gruppi, animatori, vocazioni), quelle
in cui si deve adoperare, almeno in un primo tempo, una pedagogia di ricupero.
- 321 -

33.4 Page 324

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C'è interdipendenza e vicendevole arricchimento tra le strutture e iniziative attraverso
cui opera l'ispettoria. I rischi presenti in un territorio devono essere conosciuti e presi in
considerazione da tutti i programmi e interventi educativi. Coloro che operano più diretta-
mente nelle aree di rischio possono aiutare e interpretarli e prevenirli mentre ricevono dalle
altre presenze appoggio e illuminazione. Sarebbe errato dunque contrapporre le iniziative,
vedere nel sorgere di un tipo di presenza l'indebolimento di un altro, o semplicemente sepa-
rarle. Il tutto va considerato nella comunione ispettoriale in forma interdipendente e vicen-
devolmente fecondante».
Il Progetto include ancora due elementi. Il primo è la preparazione del personale, nel
cui corredo normale si dovrà includere la conoscenza sistematica del disagio e dei rischi
giovanili e la partecipazione in esperienze educativo-pastorali per affrontarlo. A ciò vanno
aggiunte specifiche qualifiche per un numero sufficiente di confratelli, come veniva auspi-
cato nella riflessione precedente: «Va data attenzione alla competenza di coloro che operano
(o opereranno) in questo settore. Non sarebbe serio addurre come motivo per non intrapren-
dere iniziative il fatto che non si posseggono competenze specifiche e, allo stesso tempo,
rimandare senza data la preparazione del personale».
• Ma un progetto richiede soprattutto di raccogliere e riformulare la nostra prassi pe-
dagogica seguendo le ispirazioni carismatiche già conosciute e sovente commentate, ma an-
che in base a quelle che emergono da un nuovo confronto con la realtà.
Bisogna, per esempio, esplicitare e socializzare tra i salesiani i nuovi significati della
prevenzione e la valenza della preventività come qualità interna dell'educazione e non sol-
tanto come metodo pedagogico.
La prevenzione viene considerata oggi, più ancora e con più senso che nel passato,
come la chiave di soluzione della marginalità. Ma ci sono istanze a cui non siamo ancora
sufficientemente aperti.
In primo luogo, il suo significato più vero e originale che è riuscire ad influire sulle
radici o cause della marginalità o devianza. Non basta il contenimento degli effetti perversi,
la cura di coloro che prendono il contagio e nemmeno l'attenzione ai portatori sani. Non
risponde dunque alla prevenzione un'azione mirata solamente a contrastare l'emergenza o a
risolvere un problema contingente. Non si fa prevenzione se non si mette in moto un pro-
cesso continuo di anticipazione delle patologie sociali, se non si mobilitano nel sociale ri-
sorse capaci esse stesse di rigenerarsi come antidoto e come energie di crescita.
Il proposito di operare sulle cause porta ad esercitare la prevenzione simultaneamente
sugli individui e sulla società, sulle istituzioni, sui processi, sulle interazioni umane dentro
cui si causano i fenomeni della marginalità, devianza, diversità.
È chiaro allora che bisogna influire simultaneamente su tre livelli: quello del sostegno
alle persone singole (livello più strettamente educativo), quello della maturazione della men-
talità sociale, che mira a formare criteri e rappresentazioni collettive corretti dei problemi
giovanili, correggendo distorsioni e fornendo interpretazioni le più obiettive possibile (li-
vello culturale); quello degli strumenti giuridici e delle decisioni politiche che mirano a rea-
lizzare una più alta qualità di vita, ad assicurare a tutti ma particolarmente ai più deboli
condizioni di protezione e sviluppo e a orientare l'esercizio del potere al bene comune (livello
politico). I tre livelli si fondono nell'azione multilaterale sul territorio.
Questa prospettiva potrebbe non essere ancor familiare a tutti i salesiani, abituati ad
una visione «individuale» dell'educazione, portati a risolvere problemi immediati e cauti di
fronte al discorso «politico». Ma ormai abbiamo una certa esperienza di come si possono
integrare pastoralmente i tre livelli di intervento.
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33.5 Page 325

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Una seconda acquisizione da non trascurare è che la forma fondamentale e più efficace
di prevenzione è l'educazione. Si previene quando le persone sviluppano le proprie risorse e
riescono così a gestire l'eventuale proprio disagio esistenziale, a neutralizzare le cause sog-
gettive della devianza e a superare anche i condizionamenti esterni.
Ma l'educazione va intesa in forma piena e totale come capacità autonoma dare un
senso alla vita, di progettarla, di decidere coerentemente, di superare le frustrazioni. Non
bastano dunque la protezione istituzionale, il contenimento materiale degli stimoli negativi,
la repressione o condizionamento dei comportamenti.
L'educazione è piena e totale quando la si considera possibile e la si tenta in ogni fase
della vita e in ogni circostanza, quando non la si abbandona dunque ai primi livelli di età o
di sviluppo o ai primi fallimenti gravi del soggetto.
Viene al caso allora ricordare che la possibilità dell'intervento educativo e la validità
della prevenzione non finiscono con le prime esperienze negative del giovane. Si parla oggi,
in termini molto reali e pratici, della prevenzione primaria rivolta a tutti i soggetti per i quali
esiste un rischio generale di marginalità, di quella secondaria rivolta a coloro che eviden-
ziano sintomi non definitivi di comportamenti devianti; di quella terziaria indirizzata a sog-
getti che hanno già strutturato un comportamento socialmente inaccettabile e hanno interio-
rizzato il suo stigma. Pure nella seconda e terza situazione bisogna aiutare le persone ad
arginare l'aggravarsi del male, ad impedire danni fisici o psichici irreparabili, a destrutturare
i comportamenti devianti, a ricostruire il quadro di motivazioni, a proporre valori alternativi,
a riacquistare il gusto della vita. E tutto ciò attraverso processi «educativi».
È evidente la preferenza che noi salesiani abbiamo per la prevenzione primaria, dovuta
ai vantaggi che offre per un sereno processo educativo, e per i momenti dolorosi, lo sperpero
di energia e di tempo che risparmia al giovane. Sembrano comunque ormai superate le obie-
zioni all'impegno dei salesiani nelle fasi ulteriori della prevenzione, mosse a partire dalla
impraticabilità del sistema preventivo con soggetti già radicati nella devianza.
La smentita viene dall'esperienza, ma non mancano dichiarazioni autorevoli. A con-
clusione del CG 23 il Rettor Maggiore affermava: «La carità pastorale vissuta da Don Bosco
ci stimola ad andare verso i giovani più bisognosi, verso quelli che sono in particolari peri-
coli, sia nel Terzo Mondo come anche nelle società di consumo. Don Bosco ci insegna che
la forza educativa del Sistema Preventivo si mostra anche nella capacità di ricupero dei ra-
gazzi sbandati che conservano risorse di bontà, e nel prevenire sviluppi peggiori quando si
stanno incamminando già sulla strada della devianza»15.
• Le esigenze e possibilità odierne della prevenzione portano a risvegliare contenuti
giacenti, sottolineature dimenticate della preventività come modalità sostanziale dell'educa-
zione. Perché questa ha la forza della prevenzione nella misura in cui è internamente pre-
ventiva. Ma bisogna superare il concetto di sola anticipazione temporale e puntare «sulla
preparazione alla vita in profondità mediante l'esercizio graduale e maturante della libertà»,
secondo le indicazioni del CG 2116. La preventività nell'educazione mira alla valorizzazione
e all'impegno delle potenzialità esistenti in ogni persona, alla equilibrata autostima interiore.
È soprattutto una pedagogia della relazione personale che si manifesta nell'accoglienza in-
condizionata, nell'accompagnamento amico e fraterno, nel dialogo provocato dalla vita, nella
condivisione di attività, responsabilità e prove che crea comunità-famiglia. La qualità della
relazione è al centro del programma e la persona è al centro della relazione. Il salesiano viene
così messo di fronte a quello che lo dovrebbe caratterizzare: l'incontro con i giovani.
15 CG23 72.
16 Cf. CG21 102.
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33.6 Page 326

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Sarebbe interessante anche ri-esprimere tutto il contenuto dell'assistenza, togliendola
dal contesto istituzionale e riportandola alla relazione che abbiamo descritto nella strada e
nei luoghi di accoglienza come vicinanza, possibilità di confronto, aiuto adulto adeguato al
ritmo delle trasformazioni del soggetto, fiducia nella parola, nei gesti e negli stimoli positivi.
• Un ultimo (in questa rassegna) aspetto della sfida è riscoprire che la povertà costitui-
sce la situazione «tipica» nella quale e dalla quale annunciare il Vangelo.
Notate le due preposizioni: soltanto nella povertà e dalla povertà si può dire il Vangelo.
E chi crede di avere beni, diritti o essere a posto deve diventare come quello che non li hanno
per accogliere e proporre il Vangelo. L'enunciazione di questa verità appartiene al Signore:
«Non hanno bisogno di medico coloro che sono sani... Non sono venuto a 'salvare' i giusti
ma coloro che erano perduti». È la consapevolezza della propria miseria e del proprio valore,
il terreno dove il Vangelo suscita desiderio e speranza di salvezza.
Nella povertà, nell'abbandono e nell'emarginazione si vive l'esperienza soggettiva di
salvezza e redenzione e anche l'energia di «conversione» che la parola e il mistero di Cristo
offrono.
Il CG 23 riconosce che c'è un cammino singolare di fede per i giovani in difficoltà che
riconverte la loro esperienza umana in esperienza di fede: «È un processo delicato, dice,
difficile e spesso esposto all'insuccesso. E qui viene manifestata la nostra fede nell'educa-
zione... Ricordiamo con ammirazione il procedimento creato da Don Bosco con Michele
Magone»17.
Nel convegno di Benediktbeuern erano emersi alcuni elementi di questo cammino di
fede: il «segno» degli educatori, l'espansione della carità nella comunità cristiana e umana,
il risveglio del proprio valore e dignità, le offerte comunitarie libere, la conversione indivi-
duale al ritmo della maturazione dei soggetti.
Il CG 23 li ha ripresi e arricchiti nel contenuto e nell'espressione. Enumera l'avvicina-
mento e il contatto quotidiano con uomini «nuovi» nei loro riguardi, l'amicizia, il clima di
famiglia, il risveglio del valore e delle possibilità della propria persona, l'accompagnamento
comprensivo, capace di riconciliazione e perdono nel cammino di ricupero, la corresponsa-
bilità nei rapporti, nella vita e nel lavoro.
***
Nella Chiesa si parla di nuova evangelizzazione e tutte le esplicitazioni sembrano sot-
tolineare che la «novità» in questa stagione di mondialità e complessità sta nella testimo-
nianza della carità e della solidarietà.
In Congregazione si dibatte sulla nuova educazione come capacità di affrontare l'at-
tuale condizione giovanile nella società complessa e pluralista. Non sarà il tema che stiamo
approfondendo proprio come uno dei punti chiave di queste due tendenze?
17 Cf. CG23 293.
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33.7 Page 327

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38. NOTE DI PASTORALE GIOVANILE: UNA PASTORALE GIOVANILE AT-
TENTA AI PROCESSI EDUCATIVI
Vecchi, J.E., Note di Pastorale Giovanile: una pastorale giovanile attenta ai processi educativi in NPG 1 (1992), p. 12-26.
1. Una collocazione originale. - 2. L'ispirazione. - 2.1 Il «sistema preventivo». - 2.2 La prassi educativa. - 2.3 La nuova
progettualità. - 2.4 Il salto di qualità della pastorale. - 3. Verso il fondamento teologico. - 4. Una pastorale del soggetto. - 5.
La scelta pastorale: educare. - 6. Per educare alla fede... Animare. - 7. Due attenzioni esemplari. - 7.1 La costruzione dell'i-
dentità. - 7.2 La comunicazione. - 8. Un cammino di fede.
Le riviste di «pastorale giovanile» sono poche sia in Italia che in altri Paesi. Molte
riviste infatti trattano il tema giovanile, ma lo fanno da una prospettiva settoriale anche se
significativa: catechesi, orientamento vocazionale, formazione cristiana all'interno di un par-
ticolare movimento ecclesiale. Pur collocandosi nel campo giovanile, l'asse di riflessione
risulta diverso.
In fatto di libri il panorama è migliore, ma non di molto. Abbondano quelli che si rife-
riscono alla pastorale in generale, a cui si aggiunge un capitolo a parte sui giovani. In questo
si intravede già un'impostazione e una metodologia di elaborazione. Non mancano nemmeno
opere che mettono a fuoco alcuni temi che sono determinanti nel lavoro coi giovani. Ma non
intendono pronunciarsi sull'insieme delle proposte e interventi rivolti ai giovani da parte
della comunità cristiana.
1. Una collocazione originale
Ciò non significa che manchi una prassi di pastorale giovanile. Questo risulta più evi-
dente se si guarda alla chiesa universale piuttosto che ad un'area particolare. Neppure signi-
fica che la prassi non sia stata accompagnata da una riflessione teologica o che questa non
abbia raggiunto ancora delle conclusioni accettabili; soprattutto se si considera riflessione
teologica non soltanto quella, certamente preziosa, che fanno «le scuole» o gli specialisti,
ma anche quella che sviluppano gli operatori e le chiese attraverso i loro documenti-guida.
Ne va di mezzo il rapporto tra prassi ecclesiale e teologia pastorale. Forse il concetto mede-
simo di pastorale giovanile ha bisogno di ulteriore approfondimento. Da non pochi l'agget-
tivo o genitivo (giovanile, dei giovani) viene annesso al sostantivo pastorale senza onore né
incidenza: un capitolo di applicazione, senza differenze sostanziali, all'interno di un trattato
generale, l'indicazione «materiale» di un'area o campo di lavoro. Anzi potrebbe pure essere
ambiguo in quanto portatore di un giovanilismo che finisce per attribuire protagonismi ad
una porzione della comunità o concepisce il soggetto cristiano come diviso in categorie di-
verse e, nei peggiori dei casi, contrapposte. Sul versante teoretico l'ambiguità nascerebbe
dalla pretesa, dichiarata o nascosta, di modificare lo statuto della pastorale, attribuendo
un'importanza indebita alla vita dei giovani.
Note di pastorale giovanile assume una prospettiva ampia: si interessa di tutto quello
che la chiesa mette in opera per la salvezza dei giovani, segue le diverse proposte e ne valuta
le impostazioni, le mette in dialogo e dialoga con esse, mediante un proprio progetto; ma si
caratterizza soprattutto perché prende sul serio i due termini, pastorale e giovanile, ciascuno
secondo la sua valenza, per creare tra essi una relazione nuova e illuminante attraverso una
ricomprensione continua. È da questo intendimento iniziale, che giovanile non si riduca ad
- 325 -

33.8 Page 328

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un «aggettivo» ma diventi un'indicazione di contenuti, prende avvio la sua laboriosa ricerca
e il suo orientamento fino ad oggi.
Questa sensibilità viene dal retroterra della rivista. Essa infatti si rifà ad un'esperienza
pastorale, quella di Don Bosco, che ha dovuto fare i conti con grossi fenomeni di «vita» dei
giovani, di fronte ai quali si erano battute in ritirata le forme tradizionali dell'«iniziazione»
cristiana, divenute incomprensibili. Il destinatario «tipo» non era colui che doveva «impa-
rare» le verità e la pratica della fede, ma chi doveva essere ancora interpellato da essa per
coglierne il significato.
2. L'ispirazione
Allo «stato nascente» l'esperienza di Don Bosco è segnata da un'intuizione, non certa-
mente nuova nella chiesa, ma colta ed espressa con originalità: in ogni giovane esistono e
interagiscono in forma sorgiva tre energie, spinte o pulsioni: la ragione, il senso religioso,
l'amore. Non sono le classiche «facoltà» e nemmeno quelli che oggi vengono chiamati «bi-
sogni» giovanili. Sono caratteristiche strutturali dell'esistenza umana. Esprimono allo stesso
tempo un'urgenza, una domanda, un'energia, e un'apertura dell'essere. Qualcuno ha fatto la
correlazione con i tre dinamismi della vita soprannaturale: speranza, fede, carità. L'ordine in
cui Don Bosco le enuncia può essere casuale, o dettato dal gusto letterario. Ma ha anche
risonanze giovanili e suggerisce sfumature metodologiche. Il cammino di crescita umana e
di fede è possibile quando nel giovane si accende la speranza, anche soltanto naturale. Co-
munque le tre energie suddette si permeano e compenetrano a vicenda.
2.1 Il «sistema preventivo»
Per esplicitare i riflessi che questa intuizione di partenza ha sull'educatore-pastore, sulle
proposte, sulla struttura educativa si sono spesi non pochi volumi. Il linguaggio salesiano li
include tutti nell'espressione «sistema preventivo». Di esso si afferma che è una «sintesi di
contenuti e metodi, di processi di promozione umana e, insieme, di annuncio evangelico e
approfondimento della vita cristiana»1. Non è dunque puro metodo pedagogico per far pas-
sare contenuti né sola catechesi. «È insieme pedagogia, pastorale e spiritualità»; associa in
un'unica esperienza adulti (come singoli e comunità) e giovani, contenuti e metodi, con at-
teggiamenti e comportamenti nettamente caratterizzanti2. Non sfugge in questi testi la preoc-
cupazione di sottolineare l'unità e i comportamenti con cui vengono trattati i diversi aspetti
di un processo educativo. Si mette a fuoco che l'originalità e la ricchezza ispirante dell'espe-
rienza non si trova nei singoli elementi, ma nella sintesi. Alla base c'è una radicale fiducia
nell'uomo, la cui fonte ultima è essenzialmente religiosa: è confessione che a partire dalla
morte e risurrezione di Gesù, lo Spirito Santo anima nell'umanità, pur dentro una congenita
fragilità ed esperienza di peccato, una risposta positiva al disegno di salvezza di Dio.
Questa fiducia riguarda in particolare il giovane e si accende nell'incontro con lui: qua-
lunque sia la sua situazione attuale, ci sono in lui risorse che, convenientemente risvegliate,
possono far scattare l'energia per costruirsi. Bisogna allora valorizzare tutto ciò che di posi-
tivo il giovane porta come storia personale. La fiducia nell'uomo si estende anche a ciò che
l'umanità ha prodotto nel tempo, sospinta verso il suo compimento, particolarmente dopo
l'innesto divino che è avvenuto con Cristo: la cultura, la società, lo sforzo di umanizzazione,
la comunità cristiana e la sua storia. Quello che, dal punto di vista umano, è «buono», etico,
1 CG 21 80.
2 CG 21 96.
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33.9 Page 329

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sociale e si trova nell'esperienza del giovane è collegato misteriosamente ad una fede germi-
nale. Infatti nella storia e nella cultura, anche tra tante contraddizioni, affiorano anticipazioni
del Regno di Dio.
La «memoria salesiana» ha perciò voluto leggere la prassi di Don Bosco alla luce delle
parole di San Paolo: «Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro amabile, onorato, quello
che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri»3. Quello che i giovani
posseggono e desiderano legittimamente viene riconosciuto, senza per questo cadere nel gio-
vanilismo o abbassare le esigenze formative. Ne seguono l'apertura a tutti i giovani e l'acco-
glienza di tutto il giovane. Tutti possono fare un cammino. La fede e la felicità è annunciata
ai «poveri», a coloro che sono svantaggiati. Si riconosce la presenza operante di Dio nella
vita.
Il processo di fede dunque, il più delle volte, comincia e in gran parte si svolge nei
luoghi dove si sperimenta la vita, piuttosto che in quelli «della pratica religiosa». Con un
paradosso Don Bosco diceva che il «cortile attira più della chiesa». Proprio per questo l'e-
ducazione, la crescita umana vengono considerate come una via verso la fede e una dimen-
sione indispensabile del suo sviluppo.
I salesiani l'hanno espresso in uno slogan che necessita chiarimenti e merita esplicita-
zione: educare evangelizzando ed evangelizzare educando. Il processo educativo aiuta i gio-
vani a scandagliare, assumere e amare la vita nelle sue sfide e possibilità, apre al religioso e
prepara all'ascolto del vangelo. Il vangelo si fa seme dentro l'esperienza maturata fino al
momento del suo annuncio e restituisce ai giovani una nuova progettualità quotidiana. La
sua accoglienza si riflette su tutti gli aspetti della crescita umana. Ma concepire l'educazione
come dimensione interagente nella nascita e sviluppo della fede, vuol dire valorizzare al
massimo le mediazioni educative, non soltanto come facilitazioni metodologiche esterne,
ma come elementi integranti l'esperienza della fede stessa: il rapporto educativo, la comu-
nità, i processi di crescita, la qualità della proposta pedagogica.
Il tema centrale, dunque, nel dialogo sulla fede con i giovani, è il binomio vita-salvezza.
Il messaggio e la grazia della salvezza vengono percepiti come tali all'interno di un'espe-
rienza umana in cui si è accolti, valorizzati come persone e si acquista nuova coscienza della
propria dignità. Questa è anche la terra nella quale ogni seme di vangelo continua a produrre
frutti. Don Bosco diceva ai giovani: «Vi voglio felici adesso e nell'eternità». Dialogare sulla
vita-salvezza è far capire che ognuno, anche nelle situazioni più povere, ha la possibilità di
rendere valida e desiderabile la propria esistenza e gustare felicità; far percepire quanto il
vangelo venga incontro e oltrepassi questo desiderio di pienezza.
2.2 La prassi educativa
Allo stato nascente, al momento sorgivo è succeduta la pratica sistematica. La preoc-
cupazione educativa portò i salesiani verso le strutture che maggiormente consentivano di
raggiungere i giovani meno favoriti, perché poveri o lontani dai centri di educazione (pen-
sionati), garantivano un programma culturale e religioso integrato e organico secondo il dop-
pio indirizzo dei giovani (scuole, centri di preparazione per il lavoro), potevano diventare
punti di aggregazione giovanile e di utilizzazione educativa del poco «tempo libero» (oratori,
gruppi), o accompagnavano una scelta vocazionale (iniziative e strutture di accoglienza).
Unica era in tutte queste strutture la meta da raggiungere: formare l'uomo di fede (il buon
cristiano) che diventa attore della storia umana (l'onesto cittadino).
3 Fil 4,8.
- 327 -

33.10 Page 330

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Verso questo traguardo convergevano, amalgamate in ogni fase, l'iniziazione cristiana,
la crescita culturale, l'esperienza sociale e l'orientamento vocazionale. L'integrazione non
richiedeva particolari sforzi; veniva dalla prassi ed era quasi assicurata dall'ambiente educa-
tivo.
Gli anni '60 portano le prime novità fuori e dentro le istituzioni educative, ma le risposte
sono ancora sulla linea tradizionale. Si cerca di perfezionare e completare la prassi ereditata,
mentre si fanno sentire già i fermenti che esploderanno alla fine del decennio: l'allungamento
del periodo educativo, l'emergere del soggetto giovanile come portatore di inquietudini e
domande, l'aumento degli spazi di libertà, il pluralismo ideologico ed etico nella società, la
nuova gestione del tempo.
Non è casuale che Note di pastorale giovanile abbia avuto il suo inizio nel '67. Comin-
cia allora a delinearsi un nuovo scenario di pastorale. I giovani non si incontrano più soltanto
e nella forma più efficace nelle strutture educative. La loro vita si svolge in ambiti molteplici
e tra di essi emergono i luoghi vitali della spontaneità. Provano a elaborare un certo senso
per la loro vita e ne fanno esperienza non soltanto nel tempo «sociale», destinato agli obbli-
ghi scolastici o di lavoro, ma in quello «individuale», da gestire a piacimento, che comincia
a diventare fondamentale nella loro esistenza. Il rapporto con la società non è di comunica-
zione serena e fluida; oscilla tra l'emarginazione, l'incomunicabilità, l'adattamento, il con-
flitto. Le grandi agenzie di socializzazione, chiesa inclusa, perdono la loro capacità di tra-
smettere una visione dell'esistenza e un codice etico. La società «complessa» rende estranea
ogni dottrina o ideologia che abbia la pretesa di offrire una spiegazione totale sull'uomo e
sul mondo o una soluzione a priori di tutti i problemi etici in cui l'uomo si troverà. I giovani
incontrano allora non poche difficoltà ad elaborare il senso e l'identità e oscillano tra l'eclet-
tismo, l'integralismo rassicurante, il qualunquismo. Le «formule» che trasmettono verità ri-
suonano poco nella loro esperienza. Affidarle alla memoria per una comprensione futura o
presentarle come condizione della fede non sembra saggio in un momento di vertiginosa
successione di messaggi e di spiccata tendenza a soddisfare interessi immediati. Tutto ciò
che precedentemente era stato integrato veniva ora esposto alla frammentazione.
2.3 La nuova progettualità
In questa temperie la Congregazione salesiana non ha dimenticato che il suo sforzo di
educazione era orientato e riempito dall'intenzione e dall'anima pastorale; e che la sua prassi
di iniziazione cristiana era guidata da sensibilità educativa. Ma le grandezze dei termini sta-
vano ormai cambiando e di conseguenza anche il rapporto tra di loro. Infatti l'educazione, in
quanto attività umana, si ritagliava il suo campo e, anche quando veniva gestita da pastori,
non poteva più essere concepita in funzione della Chiesa o del messaggio evangelico.
Due esigenze apparivano indispensabili: la reimpostazione teoretica e una nuova pro-
gettualità. La reimpostazione teoretica doveva riagganciarsi alla pastorale e alla sua luce,
ridisegnare i rapporti tra evangelizzazione ed educazione. La nuova progettualità doveva
tradurre le ispirazioni in linee operative praticabili.
2.4 Il salto di qualità della pastorale
La pastorale aveva fatto un «salto» di qualità dopo il Concilio Vaticano dal punto di
vista pratico ma anche riguardo alla sua fondazione cristiana, per lievitare la storia umana
col vangelo mediante il ministero profetico, la mediazione sacerdotale e l'impegno per la
crescita dell'uomo. Concepita prima, e ancora oggi da alcuni, come «cura animarum» cui si
accostavano senza esservi inclusi i servizi di beneficenza, assistenza ed educazione, è passata
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34 Pages 331-340

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ad indicare la totalità dell'intervento della comunità ecclesiale, più segnato oggi dall'annun-
cio del vangelo che dalla custodia di un patrimonio sociale di pratica cristiana.
La pastorale, come categoria più comprensiva, abbraccia allora, conforme ad una vi-
sione ripresa dai documenti salesiani ed ecclesiastici, due servizi di ordine diverso: l'evan-
gelizzazione e la promozione-liberazione-sviluppo-educazione, quando quest'ultimo viene
assunto pur nella sua autonomia, secondo il senso del vangelo. Educazione ed evangelizza-
zione hanno dunque ciascuna una loro consistenza e una loro dinamica, anche all'interno
della pastorale, sebbene vengano unificate da una finalità unica: la salvezza. I salesiani
«come educatori» promuovono la maturità della persona attraverso un itinerario che com-
prende superamento di condizionamenti, preparazione professionale, maturazione culturale,
apertura alla libertà e alla verità. Si collocano nel campo culturale della crescita dell'uomo.
Da educatori alla fede, «sempre e in ogni circostanza»4 si propongono di rivelare il mistero
di Cristo, condurre alla sua persona, far scoprire nel vangelo il senso supremo, aiutare a
crescere come uomini nuovi.
Le due dimensioni sono però intimamente unite. Ciascun processo è in ogni tappa
aperto all'altro per le sue valenze intrinseche. L'educazione si ispira all'umanesimo religioso
e trova nel riferimento a Cristo la sua chiave antropologica. L'evangelizzazione risveglia
energie educative e si traduce in promozione della persona a partire dalla considerazione
della sua dignità rivelatasi in Cristo. Sono intercomunicanti tra di loro anche per le risonanze
soggettive nel giovane. L'educazione suscita la ricerca di senso e il desiderio di Dio. L'evan-
gelizzazione rapporta alla razionalità e organizza i valori in una personalità originale: quella
del credente. Lo sono inoltre per la concezione globale che guida l'operatore, frutto di un'e-
sperienza spirituale: egli è convinto che nell'umano autentico c'è Dio e che dalla grazia sca-
turisce ricchezza di umanità. L'educazione viene ripresa a partire dall'annuncio di Cristo con
una nuova profondità. «In Cristo si trova il senso supremo dell'esistenza e si cresce come
uomini»5. Viene risignificata quando ha luogo all'interno del senso della fede. La modalità
educativa si percepisce nella considerazione del «soggetto» considerato come agente princi-
pale. Anche l'evangelizzazione «fa appello alle risorse dell'intelligenza, del cuore, del desi-
derio di Dio che ogni giovane porta nel profondo di sé», e «incontra i giovani nel punto dove
si trova la loro libertà»; «cerca che siano progressivamente responsabili nel delicato processo
di crescita della loro umanità nella fede»6. La modalità educativa la si vede inoltre nell'inter-
vento dell'evangelizzazione: esso è comunicazione di esperienza, accompagnamento, pro-
posta, stimolo, condivisione, animazione.
L'impostazione teoretica sembra abbastanza chiara e dovrebbe essere tradotta in un
progetto pastorale. Attorno ad esso, a partire dal 1978, fiorisce una letteratura domestica di
motivazione, sussidiazione e modelli pratici. Investe in un primo tempo i responsabili dell'a-
nimazione e diventa norma con la promulgazione delle Costituzioni e dei Regolamenti Ge-
nerali.
La nuova progettualità vorrebbe ricondurre ad unità i diversi aspetti o dimensioni dell'a-
zione, particolarmente in vista della crescita del soggetto. Ma si propone anche di rinnovare,
all'interno di una sostanziale continuità di stile, gli interventi per rispondere alle nuove sfide
che vengono dai giovani, dalla società e dai nuovi modelli educativi. Per questo richiede la
ricomprensione delle intuizioni che sono all'origine della prassi salesiana, una rilettura suf-
ficientemente seria della condizione giovanile, una formulazione di obiettivi, di esperienze
4 C 34.
5 Ibid.
6 C 38.
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e linee di azione. Le dimensioni del progetto, crescita umana ed educazione alla fede, sono
coestensive e si modificano dialetticamente. Il criterio educativo dunque dovrebbe impre-
gnare tutto il progetto secondo quanto viene espresso nella sua stessa denominazione.
3. Verso il fondamento teologico
Note di pastorale giovanile si ispira all'esperienza salesiana, la rielabora, la porta al
dialogo con altre esperienze ecclesiali e ne ricava nuove ricchezze. Uno dei suoi sforzi è
stato chiarire la visione teologica che guida la prassi. «Dio ha fatto coesistere in se stesso
l'umano e il divino: l'umano pieno, totale, integrale (anche con il peso, almeno per un istante,
della debolezza più nostra: «Si è fatto peccato per liberarci dal peccato») con gli irrinuncia-
bili splendori della sua divinità. Ha voluto rivestirsi di umanità per renderla capace di essere
rivestita a sua volta di divinità senza annullazioni reciproche»7. È un testo del 1968, all'inizio
del secondo anno di vita della rivista. Suona ormai lontano, quasi come una prima intuizione,
in seguito ripresa, continuamente approfondita e formulata con sempre maggior precisione,
ricchezza di sfumature e bellezza di forma. La si legge ancora in uno degli ultimi numeri:
«Gesù è volto e parola di Dio nella grazia della sua umanità. Come in Gesù anche la nostra
quotidiana realtà è costituita da una trama intensa di visibile e mistero. Visibile e mistero
non sono due realtà separabili, quasi che una possa esistere senza l'altra... Dal momento che
il mistero è incontrabile solo dentro il suo visibile per coglierlo e farsene possedere, è neces-
sario prima di tutto leggere bene il visibile, decifrarlo in tutta la sua pregnanza»8. In sostanza
quest'ispirazione suggerisce alla pastorale un certo modo di capire il rapporto che c'è tra
parola e vita, tra rivelazione del mistero di Dio ed esistenza umana, tra fede e storia perso-
nale. Il riferimento ne suggerisce con chiarezza le caratteristiche e le condizioni. Parola di
Dio e vita umana provengono dalla medesima fonte e rientrano nel medesimo «disegno».
Anche la vita dell'uomo è parola di Dio. Sono dunque intercomunicabili, anzi appaiono in-
tercompenetrate, fuse: la vita porta in sé i semi della Parola ed è aperta ad essa. Sin dall'inizio
è stata fatta capace di desiderarla, accoglierla ed esprimerla, soprattutto in Gesù Cristo.
La parola d'altra parte è ordinata all'uomo, alla sua salvezza. Non è in primo luogo una
spiegazione dottrinale, ma un appello di Dio all'uomo. Non è una rivendicazione che Dio fa
della propria supremazia per ottenere adorazione e riconoscimento, ma offerta di amore e di
liberazione. È formulata sulla misura dell'uomo perché ne colga il significato anche quando
essa lo smuove da sicurezze e traguardi immediati. Il rapporto tra le due è dunque di dialogo,
non di sostituzione o eliminazione o menomazione. Di riempimento vicendevole di signifi-
cato. La divinità di Cristo non avrebbe «significato» per gli uomini se non fosse stata inse-
minata nel seno di Maria e apparsa nell'umanità di Gesù. L'umanità di Cristo d'altra parte
non avrebbe significato per gli uomini se non fosse il tempio della divinità. È chiaro che c'è
una gerarchia di valore e di energia. Ma è altrettanto chiaro che l'una senza l'altra rimane
«insignificante» per noi. Perciò la comunità che si rifà a Cristo non si sente tanto seguace di
una «religione monoteistica», ma Corpo di Cristo, portatore delle due «nature» senza divi-
sione e senza confusione. Abbiamo accennato ad una parola chiave: dialogo. Esso implica
comunicabilità tra i diversi «contenuti» e comunicazione efficace tra i soggetti interagenti.
Ciò è più che un dettaglio. Viene proposto come principio fondante, da applicare al reale
piuttosto che soltanto alle forme di trasmissione orale. Le realtà dialogano ad una profondità
7 R. TONELLI, Tutto ciò che è umanamente valido è cristiano, in NPG (1968)1, p. 6.
8 R. TONELLI, Si può educare alla fede, in NPG (1991)1, p. 9.
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che solo l'udito della fede raggiunge; bisogna ascoltare questo dialogo, facendosene inter-
preti e voce. Anche questa indicazione generale risale all'inizio della rivista. Il primo numero
del 1967 (p. 10-11) propone il dialogo come costante dei processi pastorali. Dopo aver di-
stinto il dialogo «esteriore» da quello «interno», che intercorre tra le realtà della fede e quelle
della persona e del mondo, si aggancia a una citazione a proposito dell'insegnamento reli-
gioso: «Bisogna scoprire ciò che fa l'innegabile ricchezza della vita del bambino e dell'ado-
lescente, dell'adulto e del vegliardo, del rurale e del cittadino, dell'operaio e dell'intellettuale,
affinché la parola di Dio appaia a ciascuno come un'apertura ai propri problemi, una risposta
alle proprie domande, un allargamento ai propri valori e nello stesso tempo una soddisfa-
zione delle proprie aspirazioni più profonde». Due realtà, Parola-Vita, che si corrispondono
perché furono create l'una per l'altra, che si comunicano alla loro stessa radice, che si rag-
giungono l'una l'altra, non dall'esterno ma dall'interno di se stesse, che vanno dunque accolte
tutte e due nella loro consistenza, per poter dare all'altra la propria valenza.
4. Una pastorale del soggetto
In questa logica che cosa mettere al centro dell'attenzione pastorale: l'apprendimento
dei messaggi, le strutture di mediazione, i ritrovati tecnici? La scelta della rivista è più che
evidente e forse le è valso qualche malinteso. L'attenzione va alle persone, alla loro vita,
intesa come ricerca, aspirazione e possibilità. All'interno di questa realtà va riletta per loro
la Parola, va scoperta la verità. Ad alcuni questo cammino sembra di passo lento e percorso
lungo. Sarebbe meglio prendere la scorciatoia della «parola» già formulata per sé efficace,
consegnandola alla memoria dopo una accettazione basata sulla autorevolezza della Parola
stessa o di chi la pronuncia.
«Note» si fa carico di questa tensione e risponde approfondendo una questione: che
cosa è la fede e come «avviene» nella persona? Cosa significa per un giovane di oggi «vivere
di fede»? Qual è l'immagine del giovane «cristiano» nella società postmoderna?
L'attenzione preferenziale ai soggetti porta a prendere in considerazione la condizione
giovanile: quell'insieme di tendenze, condizionamenti e giudizi di valore che rendono più
facile o difficile la crescita della loro umanità nella fede. Se ne può seguire l'evoluzione
rileggendo i numeri di questi venticinque anni, perché la rivista ha documentato ogni pas-
saggio con dati e interpretazioni aggiornate.
Non si è limitata alla statistica né al solo rilevamento. Ha adoperato chiavi educative di
lettura, facendo interagire, in un dialogo multilaterale, la realtà sociale ed ecclesiale e la
soggettività giovanile, il contesto di vita e il messaggio evangelico. Sono emersi temi gene-
ratori, come il rapporto tra identità e fede, tra senso di vita e Parola, tra solidarietà storica e
impegno religioso, tra società «complessa» ed esperienza cristiana.
La rivista è diventata un osservatorio della condizione giovanile che si avvale senza
riserve delle scienze umane per scandagliare la vita, convinta dall'esperienza che vi è in essa
una domanda e un'invocazione, uno spazio aperto alla proposta di fede. La lettura della con-
dizione giovanile è pervasa da un tono di simpatia e ottimismo pur non ignorando gli aspetti
problematici. Trasmette una specie di «credo» del pastore-educatore che i salesiani hanno
espresso nella loro ultima assise: «Noi crediamo che Dio ama i giovani. Questa è la fede che
sta all'origine della nostra vocazione, e che motiva la nostra vita e tutte le nostre attività
pastorali. Noi crediamo che Gesù Cristo vuole condividere la sua vita con i giovani: essi
sono la speranza di un futuro nuovo e portano in sé, nascosti nelle loro attese, i semi del
Regno. Noi crediamo che lo Spirito si fa presente nei giovani e che per mezzo loro vuole
edificare una più autentica comunità umana e cristiana. Egli è già all'opera, nei singoli e nei
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gruppi»9. L'attenzione ai soggetti diventa studio accurato dei processi personali che caratte-
rizzano le diverse fasi della gioventù: i giovani adulti, gli adolescenti, i preadolescenti. Il
discorso sul soggetto dunque non è generico o previo. Accompagna e ridimensiona perma-
nentemente la proposta pastorale.
«Note» ha sviluppato la pastorale «dei soggetti», preadolescenti, adolescenti, giovani,
piuttosto che quella dei diversi contenuti (catechesi, liturgia, impegno) o delle diverse strut-
ture (parrocchie, scuole). Non che queste ultime non vengano messe a fuoco, ma vengono
sempre, singolarmente e nell'insieme, commisurate, riformulate e unificate dal riferimento
alla vita dei soggetti. Per auscultare e fare da «amico» nel dialogo reale tra l'esperienza gio-
vanile e l'interpellanza di Dio, ha spinto fino in fondo l'analisi attraverso la transdisciplina-
rità. Si tratta di un'autentica passione per cogliere la vita non in astratto ma nel suo snodarsi
imprevedibile. La ricerca sui preadolescenti non è unica ma è certamente esemplare e indica
una strada da seguire. Ma dai «soggetti», intesi come punto di riferimento per elaborare
proposte, si passa alle «situazioni» che hanno un peso determinante sulla felicità personale
e sulla fede: l'emarginazione, la lontananza dalla fede, il coinvolgimento attivo nelle dina-
miche culturali o religiose. Esse servono da «test». Fanno balzare agli occhi l'adeguatezza o
i limiti delle offerte predisposte dalle esigenze pastorali di fronte ai bisogni e alle domande
dei giovani. La scelta dei soggetti diventa qualificante nella «personalizzazione» dell'annun-
cio e dell'intervento educativo e pastorale, che non va inteso nel senso di «distribuire» lo
stesso messaggio a uno per uno, ma nel farlo diventare istanza di dialogo con la propria
esperienza di vita.
Una dichiarazione esplicita di questa scelta dà gli elementi fondamentali di un modo di
fare pastorale: «Personalizzare... vuol dire partire dalla realtà, agganciare il dato rivelato,
ritornare alla vita»10.
5. La scelta pastorale: educare
Educare è una parola chiave, quasi inevitabile nel vocabolario di Note di pastorale gio-
vanile. La si riprende e declina in molti modi. La si applica all'acquisizione di atteggiamenti
e attitudini che riguardano la maturità umana: educare all'amore, alla gratuità, ai valori, alla
nonviolenza, alla pace, alla libertà. E ciò sembra scontato. La si adopera pure per le disposi-
zioni e comportamenti che favoriscono lo sviluppo della fede: educare alla preghiera, all'a-
scolto della parola. E neppure ciò solleva obiezioni, una volta che il punto di partenza è la
fede. Di educazione «cristiana» infatti, come educazione del cristiano, se n'è sempre parlato.
Ma la si applica ancora a processi globali in cui realtà umana e grazia si impastano vicende-
volmente verso l'atto di fede.
E qui incominciano le perplessità, le discussioni di «principio», con relativi riflessi sulla
prassi. Non è la ricorrenza materiale della parola ciò che colpisce. La si trova in quasi tutte
le riviste che riguardano i ragazzi e i giovani. È invece, come per il termine «giovanile», il
fatto che l'educazione è stata presa sul serio nel suo significato fondamentale e nelle sue
condizioni ed esigenze. E non soltanto riguardo alla fede medesima offerta ad un soggetto
giovane. È possibile educare alla fede anche se questa è un dono di Dio e viene «infusa»
dallo Spirito. È chiaro che quando si parla di educazione ci si riferisce ad un processo in cui
9 Cf. B.M. BIANCHI & G.B. BOSCO, "… conversava con noi lungo il cammino" (Lc 24,15): per educare
i giovani alla fede. Leumann (TO): Elle Di Ci, 1991, p. 51-52.
10 Cf. Editoriale, in NPG (1967)5, p. 4.
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34.5 Page 335

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la persona, alla quale vengono fatte proposte o comunicati messaggi, ha l'ultima parola, che
pronunzia in primo luogo nel tempio segreto della sua coscienza e libertà.
L'educazione è un dialogo del soggetto con la realtà di se stesso, del mondo, dell'oltre
che viene intuito. A questo dialogo giovano le mediazioni e le condizioni favorevoli. Non è
infrequente riferirsi all'educazione mettendo al primo posto le finalità degli operatori, piut-
tosto che i processi che hanno luogo nel soggetto. L'educazione perde allora la sua originalità
e viene assimilata alla socializzazione, che ne è soltanto un aspetto particolare, cioè al legit-
timo sforzo degli adulti per trasmettere abitudini e visioni che essi considerano giuste. Per
quanto il rapporto tra educando e educatore sia indispensabile e caratterizzante nell'educa-
zione, non riesce a determinare la risposta che il soggetto dà alle proposte. L'atto educativo
è iniziato dall'educatore, ma si rivolge alla libertà e in essa ha il suo compimento. La rile-
vanza del soggetto in ogni processo educativo è un'accentuazione, ricompresa oggi perché
l'educazione avviene non in un rapporto bipolare, ma in una molteplicità di relazioni, occa-
sioni e influssi. Il giovane è dunque soggetto e non soltanto oggetto di educazione, un sog-
getto non semplicemente passivo, recettivo. Riceve ma anche ricerca o crea i contenuti della
sua educazione. Prende posizione di fronte alle percezioni della propria realtà e della cultura,
usufruendo dell'esperienza che gli adulti gli comunicano.
L'educazione è sempre «indiretta». Non c'è valore, atteggiamento o convinzione, anche
soltanto umana, che possano essere «impressi» o travasati nel soggetto senza l'intervento
definitivo della sua libertà, alla soglia della quale si fermano tutte le mediazioni. Si rende
allora necessario favorire processi piuttosto che far accettare formule o abitudini. Parlare di
processi è immaginare una successione di fatti, fenomeni e attività aventi tra di loro un nesso,
attraverso i quali si intende aiutare il soggetto perché, partendo dal punto in cui consapevol-
mente si trova, consapevolmente raggiunga ciò che intravede come realizzazione ideale.
L'educazione richiede tempi lunghi, perché non propone esperienze disgiunte dalla vita,
ma guarda il muoversi globale della personalità. Senza ragione però si accusa la processua-
lità di lentezza e si appella all'energia movente del «messaggio». Anche nell'educazione si
ammettono i salti insieme ai passi progressivi, i percorsi imprevisti insieme a quelli regolari.
Il proporsi un cammino non vuol dire obbligarsi a sostare a tutte le staffette. L'importante
invece è che tutto maturi nella libertà attraverso un dialogo tra realtà percepita e coscienza,
e non attraverso plagi, manipolazioni affettive o intellettuali, infatuazioni comunitarie. La
qualità intrinseca degli interventi e delle mediazioni diventa allora importante, e di conse-
guenza diventa «impegnativo» anche riguardo alla fede il discorso sugli educatori, sul rap-
porto educativo, sulle esperienze, sugli obiettivi a cui viene orientata tutta l'azione. Si può
adoperare questo linguaggio quando ci si riferisce alla fede o si cade nel pelagianesimo?
Forse è qui il punto dove opera la variante «giovanile». Nel giovane tutto è tensione verso
la maturazione, tutto è incompleto, tutto è progressivo: la vita, la crescita culturale. Tutto è
dato, tutto dev'essere acquisito. Tutto è grazia e tutto è frutto della libertà. Non c'è dubbio a
chi appartiene l'iniziativa e il primato. Ma la pastorale non può essere altro che un aiuto per
una risposta pienamente umana al dono di Dio.
6. Per educare alla fede... Animare
L'animazione rappresenta una lunga stagione nella vita della rivista. All'inizio fu sol-
tanto un'intuizione. Venne poi l'approfondimento dei suoi fondamenti teologici, antropolo-
gici e pedagogici; poi ancora la ricomprensione all'interno dell'educazione e della pastorale.
A mano a mano appariva non come un processo o contenuto particolare, ma come una qualità
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di «molte azioni umane connesse col dare, conservare e sviluppare la vita individuale e so-
ciale, biologica e spirituale, umana e divina»11.
È stato il segno che i termini «giovanile» ed «educazione» venivano presi sul serio
quanto la natura umana in Gesù Cristo. È stata anche la via per tradurre il modello dell'in-
carnazione nell'esperienza di fede dei giovani. Altre espressioni infatti che ne rivelano i vari
significati e applicazioni sono: integrare fede e vita, fondere vangelo e cultura, far interagire
formule di fede ed esperienza religiosa giovanile, mettere in comunicazione tradizione ec-
clesiale e domande-sfide-aspirazioni dei giovani. L'accento ricade sui verbi: integrare, fon-
dere, far interagire, mettere in comunicazione: una maniera di elaborare e assumere realtà
che sembrano lontane o estranee.
L'animazione prende atto dei due poli o termini e cerca di capirli fino in fondo con gli
strumenti adeguati alla loro natura, non solo per non travisarli ma soprattutto per sentire la
loro voce più profonda e genuina. Li colloca poi l'uno di fronte all'altro in dialettica positiva,
in modo che l'uno non riesca a formularsi come contenuto di vita senza ascoltare continua-
mente e seriamente l'altro. Così ciascuno viene spinto verso sensi ulteriori e formulazioni
«reali».
L'animazione agisce in questo modo perché è convinta che i termini che sovente met-
tiamo in polarità (fede-vita, vangelo-cultura, Parola-esperienza umana) si richiamano nel
soggetto attraverso segni visibili e misteriosi. È orientata dunque fin dall'inizio da una pre-
comprensione pastorale.
L'animazione viene applicata in primo luogo alle realtà, ai contenuti. La vita giovanile
va esplorata e accolta fino in fondo nelle sue domande esplicite e inespresse. La fede fa da
luce, istanza critica e spinta a queste domande. Riconosce la loro legittimità, le interpreta, le
approfondisce, le purifica, le rilancia. Ma anche la vita fa da istanza critica alle espressioni
e formulazioni della fede, affinché non costituiscano un elenco di proposizioni mute cui
aderire, ma sprigionino luce e diano «sapore» all'esistenza. La cultura in cui i giovani vivono,
respirano e si vanno formando, viene messa a confronto con il vangelo che fa vedere pregi
e storture e propone un senso che è sempre «oltre». Ma anche l'annuncio del vangelo viene
sfidato dalle nuove sensibilità e visioni culturali, sentite dai giovani, a purificarsi da interessi
e incrostazioni a volte gelosamente difese. I «Quaderni dell'Animatore» presentano un esem-
pio di questa circolarità: ricchi negli approfondimenti dei temi della fede e altrettanto sinceri
riguardo alle sfide della cultura.
A stimolare questo confronto servono le mediazioni. Esse perciò si muovono pure se-
condo i criteri dell'animazione. Il cammino del giovane verso la maturità della fede è mediato
da un rapporto «educativo», sia che si tratti della Chiesa, della sua autorità e dei suoi segni
o di un operatore singolo. Il rapporto «educativo» è intenzionalmente promozionale della
persona. Mira alla sua crescita a partire dal punto in cui si trova e secondo quello che è
iscritto nelle sue possibilità come essere umano. L'animazione lo realizza svegliando le ri-
sorse interiori del giovane, anche del più povero di comunicazione ed esperienza. Il rapporto
educativo diventa così liberante, perché aiuta il soggetto a prendere coscienza della propria
vita e a gestirla responsabilmente a cominciare dai processi attuali; eppure è sempre propo-
sitivo, perché mette a disposizione del giovane la conoscenza delle generazioni precedenti e
la testimonianza degli adulti contemporanei. In tal senso radica nella cultura e comunità, dà
gli strumenti per destreggiarsi nella complessità, apre agli orizzonti di senso e offre le pro-
spettive della fede.
11 M. POLLO - R. TONELLI R., Animazione in «Progetto educativo-pastorale», a cura di Vecchi, J.E. &
Prellezo, J.M., Roma, LAS, 1984, p. 286.
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L'animazione riguarda pure la comunità in quanto tale, il rapporto tra i membri, la forma
in cui l'insieme e i singoli che la compongono possono maturare. Fa appello alla partecipa-
zione attiva, alla coscienza e alla creatività di ognuno mediante la valorizzazione dei ruoli e
dei doni personali. Punta sulla corresponsabilità e in tal senso promuove processi comunitari
di crescita mediante la comunicazione, l'approfondimento culturale e il discernimento.
Note di pastorale giovanile ha sviluppato abbondantemente questo aspetto a proposito
dei gruppi, ritenuti il luogo tipico dell'animazione. Non è stato facile far capire che non si
tratta di non-direttività, rinuncia alla proposta o delega della responsabilità degli adulti, ma
proprio di scatenare il dialogo in tutte le direzioni, abilitare ciascuno a fare sintesi aperte, a
reagire con libertà alle proposte e ad impegnare nelle risposte la totalità della persona.
7. Due attenzioni esemplari
Indicativo delle scelte precedenti è lo sforzo per capire il travaglio, cui il giovane è
sottoposto nella ricerca e costruzione dell'identità personale.
7.1 La costruzione dell'identità
L'identità è un dinamismo fondamentale in qualsiasi periodo della vita, ma riveste par-
ticolarmente importanza nella fase giovanile. Spiegare che cos'è significa addentrarsi in un
labirinto. Diverse scienze cercano di chiarirlo, partendo dal proprio campo di osservazione
e seguendo un metodo proprio: l'antropologia, la psicologia, la sociologia. In ciascuna di
queste discipline poi appaiono correnti con presupposti e conclusioni diverse. Meno difficile
è capire come funziona. Regola, integra e organizza attorno ad un centro di unità interiore
tutti i processi e contenuti psichici: le esperienze varie, l'immagine di sé, le rappresentazioni
che giungono dall'esterno, gli stati emozionali, i sistemi di significato, il progetto di vita. Di
conseguenza il soggetto va acquistando coscienza della propria originalità e percepisce la
continuità del proprio essere nel fluire di eventi e oggetti, persone e idee con cui è venuto a
contatto. Soprattutto diventa capace di assimilare, in forma dinamica e arricchente, espe-
rienze diverse, adeguandosi senza smarrirsi a situazioni nuove. L'identità è il nodo attraverso
il quale passano tutti i fili di un rapporto positivo tra persona e società, individuo e ambiente.
Se non viene attivato, la persona «si perde» o si fissa e non approfitta di quello che la struttura
e la convivenza sociale offrono. L'identità matura mediante una serie di identificazioni con
ambienti, persone, ruoli e modelli di comportamento che si vanno sperimentando e supe-
rando nella loro materialità, ma di cui si va capitalizzando quello che hanno di significativo
per il soggetto.
Il problema educativo dell'identità non è nuovo. In ogni epoca i giovani hanno dovuto
affrontarlo per maturare e collocarsi in forma creativa nel sistema sociale. Il nuovo è la si-
tuazione o scenario in cui bisogna elaborarla oggi: la società «complessa»!
Nella società tradizionale l'identità si sperimentava e si costruiva mediante l'accetta-
zione di norme e valori, comportamenti, rapporti e legittimazioni collaudate e, per certi versi,
indiscutibili. La società, oltre a un sistema simbolico unitario, offriva modelli stabili di iden-
tificazione. La persona vi si riconosceva e li assimilava con variazioni personali secondo la
propria condizione di vita, la situazione sociale, il ruolo pubblico e le poche appartenenze.
Nelle società «complesse», dell'autonomia personale, dell'informazione senza limiti,
dell'accesso di opportunità, l'elaborazione della propria identità è un processo più laborioso.
Non è possibile riconoscersi in qualcuna, perché la società non ne offre. Bisogna inventarla,
avvalendosi dei materiali di cui si dispone. La stessa appartenenza ad un medesimo ceto o
condivisione non produce identità, perché la percezione che ne hanno i singoli è diversa. Il
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fatto di essere giovane non crea un'identità comune alla quale riferirsi per modellarsi. Si è
giovane in mille modi. Lo stesso capita col sentirsi cristiano. In questo contesto l'elabora-
zione di un'identità presenta difficoltà non piccole. Infatti si dà un aumento di opportunità e
una caduta di controlli sociali e familiari. È come una promessa di autonomia senza confini
per l'autodefinizione e autorealizzazione. Tale libertà però cozza con i limiti naturali della
persona lanciata con l'immaginazione oltre le proprie possibilità e contro le barriere che le
oppone la società complessa: il prolungamento della dipendenza, i limiti della partecipazione
pubblica, la molteplicità di riferimenti e modelli contrapposti.
I percorsi che portano fino ad un'identità in questo contesto sono numerosi, differen-
ziati, con molti sentieri secondari imprevedibili, al posto dei pochi, uniformi e diretti di cui
disponevano le società controllate e semplici. È come se si avanzasse da soli, o per tratti in
compagnia di un gruppo. La fede sembrava ancorata a concezioni stabili e autorevoli.
Oggi si vive il provvisorio, il funzionale. L'identità appariva «forte» e definitiva, oggi
appare «debole» e aperta a ristrutturazioni.
Che senso ha la proposta di fede in questo «contesto?» Qual è l'identità del giovane
«cristiano?» Quali sono i modelli di identificazione: persone, visioni, progetti storici, am-
bienti? Come opera la fede nella formazione dell'identità? A quale rischio va incontro se non
ne tiene conto?
Note di pastorale giovanile si è posto l'interrogativo non soltanto in forma retorica e
neppure come un dubbio sulla validità attuale dell'esperienza cristiana, ma per riuscire ad
annunciare la fede in una specie di «areopago» giovanile.
7.2 La comunicazione
L'altra attenzione esemplare è quella rivolta alla «comunicazione». Essa ha portato a
individuare, esaminare criticamente e riformulare i modelli che assume la prassi pastorale.
Si tratta dunque in primo luogo non di singole parole o messaggi, ma di quella comunica-
zione continua e totale che si offre mediante l'immagine e la presenza della comunità cri-
stiana nella società, il rapporto tra chiesa e mondo, gli atteggiamenti e fatti con cui si esprime
la fede.
Si scorge in questo un orientamento in Note di pastorale giovanile. I singoli credenti e
la chiesa devono accettare, come controparte nel dialogo sulla salvezza, la società plurali-
stica, libera, complessa, e partecipare attivamente al dibattito sul senso e sulla dignità
dell'uomo, all'interno del quale si colloca il discorso religioso. Lì diventa significativa la
confessione della propria fede in Gesù Cristo e l'esperienza storica che ne deriva. Se si vuole
far cammino assieme, deve variare il modello comunicativo. La pretesa di trasmettere in
maniera obiettiva la realtà e volontà divina mediante concetti, parole e proposizioni chiare e
precise, di validità universale e univoca, fa meno breccia. L'uomo, ha preso coscienza della
complessità della realtà e del carattere «ineffabile» del mistero divino. All'istruzione che ha
come finalità di consegnare il contenuto esatto di tali proposizioni si aggiunge e in larga
misura si sostituisce una riflessione aperta sui significati che si sprigionano dalla Parola di
Dio e, alla sua luce, degli eventi e delle sfide che segnano la vita quotidiana dei fedeli dove
hanno origine le domande di senso. Conta soprattutto l'incidenza che ha la fede sulla qualità
della vita e sull'orientamento della storia. Viene allora molto valorizzata la riflessione seco-
lare sull'uomo e si ausculta quello che egli sente ed esprime. Si riconosce che la valenza
religiosa attraversa e collega il profano e il sacro. Entrambi parlano; nel primo ci sono anche
spazi di germinale esperienza religiosa. Si sviluppa inoltre un'espressione connaturale al
senso religioso: il linguaggio simbolico, gestuale, conviviale. L'influsso che esercitava «la
grande istituzione» sembra passare ai gruppi e alle comunità immediate. Il magistero è meno
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34.9 Page 339

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ascoltato che la condivisione dell'esperienza religiosa personale. Le narrazioni della fede e
quelle della vita dei credenti appaiono più ispiranti e credibili che le «proposizioni» in cui si
esprime una verità. Queste sono state investite da quella indifferenza (né fede né incredulità)
che circonda tutte le concezioni della vita e del mondo che si presentano con pretese di spie-
gazione esauriente, definitiva e totale. La testimonianza e la solidarietà annunciano meglio
che la parola orale o scritta, anche se questa ha funzione indispensabile. L'educatore-pastore
conosce le ambiguità che covano sotto queste tendenze. Sa dunque che non deve semplice-
mente adeguarsi e cedere. Ma si domanda che cosa dice ai mediatori della fede la nuova
stagione della comunicazione. Se si mettono in rapporto identità e comunicazione sembra
venir fuori l'equazione educativa della rivista. La prima infatti comprende la totalità di pro-
cessi che hanno luogo nella persona con i quali la fede interagisce per diventare significativa.
La seconda riguarda la qualità del rapporto di tutte le mediazioni, comunitarie e personali,
con il giovane per sostenere il suo sforzo di crescita come uomo e come cristiano.
8. Un cammino di fede
La concretizzazione pedagogica delle precedenti scelte e attenzioni è la proposta di un
cammino verso la fede e nella fede. L'idea del cammino è antica nella prassi cristiana e vanta
addirittura radici bibliche. La vita dell'uomo è un cammino. La realtà gli si va schiudendo e
ogni sua scelta lo spinge verso un traguardo ulteriore. L'immagine suggerisce il muoversi di
tutta la persona, l'orientamento consapevole verso una meta, l'idea di un percorso possibile,
la consapevolezza della posizione attuale, la accettazione della progressività, e la previsione
dei traguardi intermedi.
L'approdo di Note di pastorale giovanile ad un cammino di fede è stato preceduto a
seguito da alcune altre proposte. Prima si è svolto il discorso sul progetto pastorale, vale a
dire l'organizzazione delle risorse di cui dispone una comunità per raggiungere efficace-
mente i giovani e offrire loro il messaggio di salvezza. Dopo la proposta del cammino per
tutti i giovani è seguita l'offerta di elementi per itinerari sulla misura di singole categorie
(preadolescenti, adolescenti, giovani) o situazioni (lontani, aggregati, animatori).
Progetto, cammino e itinerario potrebbero apparire puri accorgimenti metodologici, il
cui contenuto si dà per scontato o non si considera sufficientemente. Infatti di progetti e
itinerari si parla in diverse sedi e con finalità varie. L'attenzione di «Note» va principalmente
ai contenuti, ma questi vengono trattati in un modo che richiede l'elaborazione di un cam-
mino, in forza proprio della scelta dei soggetti, dell'educazione e dell'animazione. Si parte
da un seme, l'accoglienza della vita e del mistero che si porta dentro, e si vanno dischiudendo
progressivamente i suoi sviluppi. In ogni fase si assume la «vita» del giovane per fargli
prendere coscienza di come si manifesta in lui, come viene interpretata dalla cultura circo-
stante, quello che contiene come aspirazione, tendenza e possibilità. Si valorizza quello che
il giovane porta come risorsa naturale e come precipitato culturale. Lo si aiuta a verificare il
materiale che egli usa inconsapevolmente nella costruzione della sua identità. Ciò lo si mette
a confronto con l'esistenza e la parola di Gesù dal quale viene l'annuncio e la promessa della
vita piena, se l'uomo si apre all'amore e al mistero di Dio. I temi della fede vengono appro-
fonditi, resi eloquenti e sminuzzati. Diventano messaggio personale. Dalla risposta positiva
a questo confronto nasce un proposito di vita nuova secondo Gesù (conversione), che si
sviluppa in «compagnia» di coloro che credono in Lui, a servizio del Regno di Dio nel
mondo. Tale vita nuova ha le sue manifestazioni nella mentalità, nella vita quotidiana, nella
presenza nella società. Comprende atteggiamenti, criteri, comportamenti critici. La vita gio-
vanile, Cristo, la Chiesa il servizio al Regno sono i riferimenti che vengono fusi in ogni passo
e traguardo. Il risultato finale vorrebbe essere che il giovane costruisca la propria personalità
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avendo Cristo come riferimento sul piano della mentalità e dell'esistenza. È un riferimento
che facendosi progressivamente esplicito e interiorizzato, lo aiuterà a vedere la storia come
Cristo, a giudicare la vita come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui, in comu-
nione con il Padre e lo Spirito Santo. Ma oltre che risultato finale questo riferimento è anche
l'indicazione fondamentale per ogni passo del cammino. In ogni fase e in ogni esperienza si
tende a integrare fede e vita. Ricorre di nuovo la domanda: è questa una pretesa di far nascere
e crescere la fede come conclusione di uno sforzo educativo o di autoformazione?
Viene opportuno il discorso della spiritualità che la rivista ha sviluppato in collega-
mento col cammino di fede. L'energia dello Spirito è presente nel giovane sin dal suo primo
movimento verso una maggiore consapevolezza e senso di dignità. Il suo impegno di muo-
versi verso obiettivi umanamente validi è già segno dell'interpellanza di Dio e inizio della
risposta, punto di partenza del processo di fede verso la maturazione del cristiano. Altre
interpellanze, messaggi e annunci più espliciti ne seguiranno o si intercaleranno. Il cammino
non è altro che la corrispondenza alla grazia del quotidiano e secondo lo svolgersi della vita.
Mentre cammina, il giovane va elaborando un progetto originale di vita evangelica. Impara
ad esprimere un modo di essere credente oggi nel mondo organizzando la sua vita attorno
ad alcune percezioni di fede, scelte di valori e atteggiamenti evangelici: vive da discepolo di
Cristo. La «spiritualità», il riconoscimento della presenza invitante di Dio è la spinta dell'i-
nizio, l'energia del percorso, la sintesi finale!
Nel 1986, in occasione del suo ventesimo anno, Note di pastorale giovanile ha offerto
un indice degli articoli pubblicati, organizzato attorno a parole chiavi e corredato da una
mappa degli argomenti, divisa in tre aree: teologico-pastorale, educativa, socioculturale
(agosto-settembre 1986, n. 7).
L'indice e la mappa consentono di valutare l'attenzione equilibrata che viene rivolta alle
aree in cui sorgono provocazioni e stimoli per lavorare nella crescita unitaria dei giovani.
Le parole chiavi danno una pista per seguire i corsi di una riflessione che sarebbe im-
possibile commentare, discutere o semplicemente sintetizzare in un articolo. Nell'insieme
della Rivista, in ciascuno dei suoi numeri e quasi in ogni articolo si riscontra un approccio
alla realtà, una sensibilità, una forma di elaborazione che costituiscono il suo contributo alla
riflessione, la sua originalità e, eventualmente, il motivo di alcune riserve che richiedereb-
bero approfondimento. Non tutto infatti appare così chiaro da essere indiscutibile. La Rivista
ne è consapevole ed è aperta al confronto. L'indiscutibilità delle scelte, anche se sufficiente-
mente fondate, non è il pregio del quale più si può vantare Note di pastorale giovanile. Lo
sono invece la sua volontà di aprire strade e lo sforzo di «stare tra i giovani» anche a prezzo
di rischi e avventure.
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35 Pages 341-350

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39. LE DIMENSIONI PEDAGOGICHE DELLA CULTURA DELLA SOLIDA-
RIETÀ
Vecchi, J.E., Le dimensioni pedagogiche della cultura della solidarietà in NPG 6 (1992), p. 29-32.
1. Il bisogno di solidarietà. - 2. Le dimensioni della solidarietà. - 3. Per una cultura della solidarietà. - 4. Solidarietà e educa-
zione.
La riflessione sulla solidarietà viene oggi suggerita da un insieme di fenomeni difficil-
mente classificabili. È un'aspirazione diffusa che sale dal profondo delle coscienze, dal cuore
degli avvenimenti storici, e si manifesta sotto forme inedite e quasi inattese.
1. Il bisogno di solidarietà
La solidarietà appare oggi come un'esigenza indifferibile di fronte alla latitanza o fuga
dagli impegni pubblici da parte di adulti e giovani; come possibile risposta a macro fenomeni
mondiali preoccupanti, quali il sottosviluppo, la fame, lo sfruttamento. Sembra dare un prin-
cipio di soluzione alle carenze irrisolte intorno a noi, come l'accoglienza di chi arriva sprov-
veduto e indifeso. Offre una certa terapia a gesti e atteggiamenti disgreganti, quali l'omertà,
l'indifferenza, l'insensibilità di fronte alla sofferenza. Ispira iniziative esemplari come i piani
di aiuto, il volontariato e i movimenti di opinione che vanno modificando il rapporto prece-
dente tra privato, sociale e politico e fanno sentire in maniera pressante l'interdipendenza tra
mondi che fino a ieri sembravano lontani e autonomi.
Sarebbe lungo ma non difficile corredare con dati quest'impressione generale di urgenza
sentita e ancora non totalmente risolta di solidarietà. Li troviamo questi dati nella nostra vita
quotidiana, e l'informazione ce li offre a getto continuo. Provengono dall'ambito vicino e
lontano. Vanno dal debito estero che penalizza più della metà del mondo con la perdita si-
stematica dei guadagni dovuti al proprio lavoro, all'intolleranza di un qualsiasi quartiere no-
strano verso un gruppo di immigrati o nomadi; dalla sperequazione economica che lascia un
quinto dell'umanità senza il cibo necessario per sopravvivere, alla presenza di un malato o
handicappato nel nostro cerchio più ristretto; dal fallimento dei sistemi che tentavano di ri-
solvere questi problemi attraverso la tecnica e il monopolio dell'iniziativa, all'impostazione
educativa, in famiglia o nella scuola, ispirata inconsapevolmente al criterio del profitto indi-
viduale.
2. Le dimensioni della solidarietà
L'esigenza di riflessione è dunque non soltanto attuale, ma di applicazioni quotidiane e
su vasta scala. La solidarietà infatti suppone simultaneamente una visione del mondo e una
concezione della persona. L'interdipendenza viene eretta a chiave interpretativa dei feno-
meni positivi e negativi dell'umanità. Niente ha una spiegazione esauriente o una soluzione
ragionevole se viene rinchiuso in sé e considerato in forma isolata. Ogni fenomeno va rap-
portato o equilibrato: insieme formano la trama e il tessuto della storia umana. Povertà e
ricchezza, denutrizione e spreco, inquinamento e forme di produzione, guerra e potere, cri-
minalità e pace, Nord e Sud... sono fenomeni correlati, anche se non in maniera meccanica
né uniforme. Tra di essi media la visione che ci si fa della vita e del mondo e si impone la
responsabilità della coscienza umana.
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Sulla stessa linea la persona va considerata non come un essere che prima si costituisce
«in sé», incomunicata, e soltanto in un secondo momento, quasi come per un dovere etico,
si orienta verso gli altri. Essa invece plasma la sua esistenza originale nel rapporto, percepito
e assunto responsabilmente; riesce ad essere se stessa nella realizzazione di una interdipen-
denza obiettiva e arricchente. La persona è apertura. Riesce a vivere nella storia, invece nel
proprio guscio si esaurisce.
La solidarietà si estende dunque simultaneamente agli atteggiamenti e alle strutture: ri-
guarda il livello privato e quello pubblico, attinge il livello personale, sociale e politico;
comprende l'ambito familiare, nazionale e internazionale, senza possibilità di delega da parte
di nessuno.
Ciascuno di noi ha la sua parte nella tranquillità domestica. Ma nondimeno nella pace
del mondo. Essa pure dipende da noi. L'ambiente e la giustizia internazionale dipendono da
noi: da noi educatori, pastori, cittadini, intellettuali o semplicemente esseri umani. Se è vero
che il mondo è diventato un villaggio, non è possibile vivere da persone consapevoli assu-
mendo soltanto la prospettiva del focolare, del quartiere o del paese. Alcune evidenze col-
lettive che oggi si impongono e determinano decisioni a raggio mondiale, ebbero inizio da
una mobilitazione delle coscienze, delle opinioni, delle collaborazioni più umili e in appa-
renze insignificanti.
3. Per una cultura della solidarietà
Proprio per questo si auspica una «cultura» della solidarietà e per essa si vorrebbe lavo-
rare. All'infuori di essa ogni sforzo o piano risulta insufficiente non soltanto per risolvere
questioni internazionali, ma anche semplicemente per affrontare con dignità e profondità
umana i problemi che appaiono nell'ambito immediato. Cultura è dunque la parola chiave,
quasi una cifra ancora non chiarita che sta ad indicare sinteticamente la portata dell'attuale
impegno.
Infatti i gesti esemplari di solidarietà abbondano. Le affermazioni di principio e le di-
chiarazioni di generosità non mancano Anzi forse anche in questo campo si rileva uno scom-
penso tra predica e pratica. Persone generose e ben ispirate si trovano dappertutto.
Ma c'è una frattura tra i diversi ambiti in cui si svolge la vita, tra gesti quotidiani e men-
talità collettiva, tra sentimenti personali ed espressioni sociali, per cui una sembra essere
l'etica delle convinzioni e un'altra quella delle responsabilità pubbliche.
Parafrasando l'Evangelii Nuntiandi si direbbe allora che anche riguardo alla solidarietà
«bisogna raggiungere e quasi sconvolgere i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti
di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita»1.
La cultura in effetti richiama non tanto a fatti spontanei, pur numerosi, ma ad una elabo-
razione razionale e sistematica delle energie personali e reali di cui dispone l'uomo per affi-
nare il suo spirito e trasformare il mondo. Indicatori della sua validità e incidenza sono le
ispirazioni che raccoglie dalla storia, le nuove intuizioni che nel confronto col presente mette
all'opera, l'organicità delle manifestazioni nei diversi ambienti in cui si svolge la vita, la
condivisione collettiva a livello di coscienza e di consenso sociale di tali ispirazioni e rea-
lizzazioni.
Sarebbe ottimistico e fuori misura pensare che siamo molto avanti nel cammino di questa
cultura. Così come non corrisponde a verità ignorare le enormi energie che si stanno muo-
vendo nella linea della solidarietà. Si tratta dunque di un «compito», di una realtà da costruire
piuttosto che di un'eredità da mantenere. Siamo agli inizi, alla partenza, come in un esodo
1 EN 19.
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35.3 Page 343

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verso un'altra forma di pensare l'umanità e, di conseguenza, di convivere nel mondo. Il crollo
dei muri, pur aprendo spiragli di futuro e provocando gesti apprezzabili di comprensione, ci
ha lasciati ideologicamente ancorati ad un esasperato individualismo che viene temperato
soltanto da una solidarietà, quasi festiva, del «tempo libero», degli «intervalli». Non si è
detto che la nostra concezione della società è, per scelta, individualistica e che l'uomo con-
sumista è la controfigura dell'uomo solidale?
Parlare di cultura della solidarietà è passare dalle buone azioni individuali ad un princi-
pio organizzativo dell'esistenza sulla base del bene comune e della reciprocità; ad un riferi-
mento centrale in un sistema di valori e di rapporti; da un umanesimo dell'io, ad un umane-
simo del «noi», dell'alterità, a partire dalla realtà arricchente ed esigente degli altri. Ciò,
piuttosto che fare qualche elemosina in oggetti, denaro o tempo, comporterà operare un ca-
povolgimento di letture, valutazioni e persino di vocabolario. Sotto le parole medesime in-
fatti, e tanto più nelle reazioni abituali, covano pregiudizi, intolleranza, contrapposizioni an-
cestrali, autosufficienza corporativa, senso di superiorità.
4. Solidarietà e educazione
L'educazione è sempre in bilico tra la cultura già elaborata, quella che si intravvede e
quella che si «sogna»; un po' a rimorchio del presente, un po' in attesa del domani, un po'
rivolta verso il futuro lontano. Si propone come socializzazione di quello che si è già con-
quistato e come anticipazione di quello che si insegue, in parte calcolato, in parte ancora
sconosciuto. Realizza questa intenzione preparando persone capaci di fare sintesi critiche
del presente, di affrontare l'imprevisto, di provocare il nuovo. Ma viene sempre colta di sor-
presa da fenomeni repentini che prendono corpo più velocemente del previsto. Le tocca rin-
correre le do mande, accelerando la propria evoluzione. E quindi vivere sull'attenti.
Il rapporto tra educazione e cultura della solidarietà presenta oggi proprio questo profilo:
espansione inattesa della prospettiva e della esigenza, impostazione, mentalità e programmi
educativi al guinzaglio degli eventi, bisogno assoluto di premere sul cambiamento per met-
tersi alla testa.
Il pensiero pedagogico cristiano e la pratica cristiana dell'educazione patiscono pure que-
sto ritardo. Non di rado sono visti come forme eminenti di affermazione individuale, appena
temperate da passeggeri interessi caritativi e da un'informazione sommaria su una dottrina
sociale cristiana. Sollecitazioni a modificare rotta non mancano in numerosi documenti della
Chiesa universale e delle chiese particolari, tra cui emergono le encicliche sociali e soprat-
tutto la Populorum Progressio e la Sollicitudo Rei Socialis. Ultimamente l'esortazione Chri-
stifideles laici addita la solidarietà quale segno e asse dell'evangelizzazione di cui il mondo
odierno ha bisogno. Essa può far presa sul mondo, sollevare domande e rivelare un «senso
nuovo» proprio per la sua capacità di trasformare i rapporti tra gli uomini. Si tratta di pro-
clamare il «Vangelo della carità»: di unire due dimensioni essenziali ed inseparabili: operare
la verità nell'amore.
Infatti la fede, se vuole incidere sulla vita e sulla storia umana, deve generare cultura,
senza lasciarsene imprigionare in una forma particolare e contingente. Se è vera, la fede
diventa ispirazione, fonte ed energia di espressioni culturali permeate dalla carità.
I credenti dunque ritrovano motivi, modelli e spinte alla solidarietà nella contemplazione
del mistero di Dio e nella esperienza religiosa che segna profondamente la loro esistenza.
Essi confessano con la mente e con le opere che Dio ha fatto l'uomo suo interlocutore,
capace di ascoltarlo e di dirgli la sua parola non «a vuoto», ma come partner della sua signo-
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ria sul mondo, che l'ha collocato in rapporto di comunione con sé, superando la sola dipen-
denza e riconoscendogli responsabilità in un contesto di reciproca collaborazione, senza eli-
minare la distinzione che c'è tra il creato e l'Assoluto.
In quanto membro del popolo di Dio il credente conserva memoria e fa oggi esperienza
della solidarietà che il Signore opera nell'alleanza, tante volte violata e altrettante riofferta.
In forza di essa Dio gli è vicino, eppure si mantiene a quella distanza e nascondimento che
gli lascia autonomia e lo spinge all'impegno senza termine.
La condivisione e il dono totale di Dio hanno luogo nell'Incarnazione e nella Pasqua,
dove Egli si manifesta come un «essere per-gli-altri», un Dio per noi.
Non soltanto assume la nostra vita, ma paga i nostri debiti e compensa le nostre man-
canze, con libertà e per puro amore. In Cristo il cristiano conosce un Dio che si è rivelato ed
è in se stesso comunione, condivisione e donazione: è Trinità.
A sua immagine è fatto l'uomo e il mondo. La rivelazione, la confessione e la contem-
plazione di questo mistero non può essere accanto, sopra, o dopo la storia umana. Sarebbe
proprio un'alienazione.
L'esperienza di Dio porta, dunque, il credente a percepire l'amore come l'unica energia
capace di costruire la storia, e a tradurre questo Amore in riconoscimento della dignità degli
altri, in condivisione dei beni, in donazione totale di sé, in impegno per creare le condizioni
in cui ciascuno possa realizzare la propria vocazione e sviluppare le proprie ricchezze. È la
carità «che non passa», quello che resta della fede.
Il circolo - percezione storica, fede, cultura, educazione - diventa così fecondo. Le indi-
cazioni che ne possono scaturire vanno al di là dei gesti individuali e isolati. Si propongono
di creare mentalità e orientare le coscienze. Contengono un seme che richiederà tempo per
produrre tutti i frutti, ma questi saranno all'altezza delle urgenze del mondo.
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40. CULTURA E VOCAZIONI
Vecchi, J.E., Cultura e vocazioni in NPG 8 (1993), p. 6-26.
1. Un confronto problematico e necessario. - 2. Approfondimenti. - 2.1. La vocazione cristiana: novità e originalità. - 2.2.
Inculturazione della vocazione. - 2.3. La significatività. - 3. La cultura: tendenze, costanti e sfide. - 4. I modelli vocazionali.
1. Un confronto problematico e necessario
Il messaggio del Papa per la giornata delle vocazioni ha preso quest'anno (1993) una
piega inconsueta: promuovere una cultura della vocazione1.
Segue il filone dell'evangelizzazione della cultura2, dell'inculturazione del Vangelo3,
e quello, presente anche nel pensiero secolare, della cultura dei genitivi: della pace, della
solidarietà, della legalità. Confrontato con i dati numerici sulle vocazioni sacerdotali e reli-
giose nel mondo suggerisce non pochi interrogativi e approfondimenti. Le statistiche infatti,
prese globalmente, inducono a pensare che si stia superando la tendenza negativa; ma esa-
minate per aree geografiche e per categorie, rivelano che la tenuta la si deve all'apporto del
Sud (Africa, Asia, America Latina) e di alcuni paesi dell'Est europeo (Slovacchia, Repub-
blica Ceca, Polonia). Nell'Europa occidentale e negli USA invece, nel migliore dei casi, la
tendenza non si aggrava, ma non dà segni di inversione. Nelle stesse aree la vocazione fem-
minile accusa di più il colpo della crisi che non quella maschile; le vocazioni religiose di
vita attiva più che non quelle di vita contemplativa, la vocazione dei fratelli laici più di quella
sacerdotale.
I contesti caratterizzati dalla libertà personale, dalla complessità sociale, dalla demo-
crazia pluralista, dal progresso economico, dalle molteplici possibilità di sviluppo appaiono
come terreni poco fertili per le vocazioni cristiane. Al contrario la terra dei poveri, dei con-
dizionamenti pesanti, delle ridotte possibilità di realizzazione personale, delle società in ba-
lia di poteri incontrollabili equilibra l'annuale raccolto vocazionale.
Viene chiamata in causa la cultura. Essa mancherebbe dei riferimenti che stanno alla
base stessa della scelta vocazionale: la gratuità, il senso della vita, la responsabilità sociale,
la donazione, la percezione del trascendente.
Tale chiave di lettura è di facile impiego in fase propositiva. E in questo senso si
muove il messaggio di Giovanni Paolo II. Si tratta di favorire nelle persone singole, nelle
comunità cristiane e negli ambienti di evangelizzazione una mentalità con i valori suddetti.
Però serve poco per una diagnosi convincente dell'attuale geografia della fecondità vocazio-
nale.
Infatti perché pensare che in contesti di segni negativi riguardo alla libertà, all'orga-
nizzazione sociale, alle possibilità della persona è la "cultura", e non altri fattori, che costi-
tuisce mediazioni immediate e concomitanti di cui si serve la chiamata di Dio, quali lo status,
il ruolo pubblico, l'evidente utilità sociale della vocazione, la qualità della vita che suppone,
il carattere promozionale della vocazione sacerdotale o religiosa?
1 Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Messaggi Pontifici per la giornata mondiale
di preghiera per le vocazioni, Rogate, Roma, 1993, pag. 241-245.
2 Cf. EN 20.
3 Cf. RM nn. 52-54.
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35.6 Page 346

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E se fossero proprio queste le mediazioni, perché scandalizzarsi come se nei contesti
avanzati non ce ne fosse bisogno di altre analoghe? Ma soprattutto che pensare di una pro-
posta di esistenza religiosa che non riuscisse a reggere una cultura avanzata con la inevitabile
miscela di limiti e pregi? Quali conclusioni trarre dal fatto che si accusi la crisi più sul fronte
della donna, dei fratelli laici, dei religiosi "a servizio"? È questione solo di riprodurre o si
dovrà anche modificare una certa cultura che sottostà all'attuale visione della vocazione? È
solo la cultura del mondo che fa difetto o la cultura "ecclesiastica" ha pure qualche cosa da
rivedere? Non viene a proposito parlare di "inculturazione" della proposta vocazionale nel
mondo di oggi?
Questi interrogativi, che non sono di critica ma di stimolo alla riflessione, ci spingono
a porci delle domande sulle immagini che le attuali realizzazioni vocazionali proiettano e di
conseguenza sulle rappresentazioni e attese che suscitano nell'immaginario della gente, par-
ticolarmente dei giovani, a parte il valore obiettivo e la buona intenzione.
Si parla infatti in forma molto generica, sebbene reale, della vocazione come di un
dialogo tra la persona e Dio che chiama, attraverso la coscienza e le mediazioni umane ed
ecclesiali, alla responsabilità, alla donazione e alla pienezza dell'essere. Quando si scende
però verso il vissuto e il singolare, la proposta contenuta in questo dialogo diventa estrema-
mente concreta. Il progetto oggettivo delle diverse vocazioni (essere persona, cristiano/a,
religioso/a, consacrato/a nel mondo, ministro ordinato) comporta modelli culturali correnti
e ideali di uomo/donna, di credente, di persona legata al sacro. Non è possibile ridurre la
vocazione a un proposito di generosità o di scelta religiosa. Basta pensare, per esempio, alla
condizione sociale dell'uomo e della donna nei diversi contesti e, di conseguenza, al signifi-
cato e alla rilevanza che in essi acquistano le vocazioni maschili e femminili.
Questa concretezza ci porta verso la riflessione sulla cultura. Infatti se la vocazione
non fosse capace di farsi presente in essa con un linguaggio comprensibile e provocante
risulterebbe irrilevante.
Ma come riferirsi con sufficiente rigore alle tendenze di fondo e non solo di superficie
di una cultura?
La cultura infatti è uno sforzo di interpretare la realtà, il risultato mai totalmente com-
pleto e maturo di un tentativo dell'uomo di autocomprendersi, nei suoi rapporti con gli altri,
con la natura, con la storia, con Dio4.
Perciò costituisce un "sistema di significati", composto da elementi svariati, come
percezioni del mondo, immagine dell'uomo, codice di comportamento, giudizi di valore,
rapporti sociali, processi di educazione, riti quotidiani e straordinari. Insieme alle realizza-
zioni già compiute, ha un aspetto ideale di tendenze, ricerche, speranze dal quale risulta pure
il suo valore. Questo "universo" in movimento formato da elementi interdipendenti non va
interpretato con superficialità soprattutto se si tratta di risignificarlo dal di dentro.
Nell'ultimo tempo è diventato comune parlare di "cultura" con riferimento ad una
realtà o ad una costellazione di valori: cultura della pace, dell'ambiente, della solidarietà, e
adesso, della vocazione. In rapporto al significato precedente che abbraccia la totalità della
vita, questa cultura "al singolare" indica lo sforzo di sviluppare un valore per inserirlo in
forma più stabile e influente nella mentalità e nella vita della società.
Confrontare il fatto soggettivo della vocazione e il contenuto oggettivo di ogni singola
vocazione (uomo, donna, laicità, consacrazione, sacerdozio, secolarità consacrata) con la
cultura comporta allora approfondire il significato originale della vocazione e allo stesso
tempo comprendere le realizzazioni e aspirazioni della cultura, dal modo con cui percepisce
4 Cf. GS 53; Puebla nn. 386-389.
- 344 -

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la trascendenza fino ai parametri di realizzazione della persona, ai modelli di identificazione
e alle sfide alla responsabilità. E ciò non in un momento transitorio che può costituire una
moda o una febbre ma nelle sue manifestazioni più durature.
Il Concilio Vaticano II riconosce che le culture attuali sono in rapida evoluzione5.
Voci autorevoli ci avvertono dunque di prestare attenzione preferenziale al suo aspetto
dinamico. «Infatti le condizioni di vita stanno in tutto il mondo radicalmente cambiando e la
novità non si riferisce solamente all'ambiente esterno alla tecnica, alla struttura sociologica;
ma riguarda anche la stessa tonalità della vita, il ritmo biologico, l'indole prevalente dell'e-
motività personale»6.
Ciò capita in tutti i gruppi umani che devono inserire in continuità elementi nuovi
nella compagine della propria cultura. «Per distinguere le culture, dunque, la dimensione del
tempo è almeno così importante come quella dello spazio»7.
2. Approfondimenti
Per sbrogliare un tantino il discorso giova richiamare alcuni punti fondamentali sulla
vocazione, l'inculturazione, la significatività.
2.1. La vocazione cristiana: novità e originalità
La vocazione e le singole vocazioni sono state oggetto di un'ampia riflessione biblica,
teologica, pastorale e psicopedagogica. Sono emerse così l'unità del processo vocazionale e
le sue diverse dimensioni: quella teologale (iniziativa, invito, appello, chiamata, dono, rive-
lazione, alleanza speciale di Dio e, da parte del chiamato, preferenza, scelta, centralità di Dio
nell'esistenza, rapporto con lui); quella soggettiva (percezione, discernimento, progetto di
vita, realizzazione della persona); quella comunitaria (collocazione e funzione ecclesiale,
complementarità e reciprocità tra le vocazioni, servizio): quella socioculturale (significato
per il mondo).
Ciascuna di queste dimensioni poi ha avuto innumerevoli approfondimenti dottrinali
e pratici. A noi interessa sottolineare due elementi: l'originalità dell'esperienza vocazionale
cristiana e il suo connaturale inserimento nella cultura e vicenda umana.
La vocazione è un'iniziativa di Dio, libera, gratuita che raggiunge la persona non iso-
lata ma nel contesto di una comunità e di una storia. Il dialogo che si svolge nel sacrario
della coscienza si riversa sulle le scelte quotidiane del soggetto. Questi va costruendo la sua
vita attraverso il discernimento. Da preferenza ad un'area di valori, fissa l'attenzione in mo-
delli significativi, valuta fatti e modalità correnti, organizza la sua mentalità e indirizza le
sue risorse verso mete personali e sociali.
Se è dunque un dialogo con Dio nella profondità del proprio essere, è anche un con-
fronto con gli eventi della storia che produce sempre un coinvolgimento profondo, un di-
stacco profetico, una assunzione piena di passione della storia umana. Così appare in tutti i
racconti vocazionali della Bibbia. Mosè attraverso l'esperienza di Dio viene coinvolto nella
impresa della liberazione, deve pronunciarsi dal punto di vista umano, etico e religioso sullo
stato e atteggiamenti del suo popolo come sull'operato e intenzioni degli egiziani di fronte
5 Cf. GS 54.
6 Z. ALSZEGHY, Problema teologico dell'inculturazione del cristianesimo, in «Inculturazione e for-
mazione salesiana: Dossier dell'Incontro di Roma, 12-17 settembre 1983» a cura di A. Strus e A.
Amato. Roma: S.D.B, 1984, p. 1519.
7 Ibid. p. 18.
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al progetto di Dio. I profeti illuminano con parole e segni la situazione che vivono i contem-
poranei. Il senso letterale dei loro vaticini non si capisce se non in riferimento a fatti storici.
Dio non chiama per cercarsi adoratori ma per salvare l'umanità. Anche se chi è chiamato non
milita in correnti sociali, culturali o politiche la vocazione comporta sempre un giudizio sul
proprio tempo e la scelta di un tipo di vita a partire dall'esperienza di Dio. La storia umana
non è soltanto il luogo in cui si svolge il dialogo vocazionale, ma anche il contenuto.
Nella storia però le vocazioni non sono chiamate solo a giudicare, riprodurre o tra-
smettere valori già decantati ma immettono un fattore nuovo e originale: l'evento cristiano.
La vocazione di ogni uomo è oggettivamente inserita nel mistero di Cristo. In Lui
siamo stati creati; in Lui ci incorpora il battesimo come tralci alla vite; a lui ci conformiamo
per diventare uomini secondo il progetto di Dio e vivere da Figli. La vocazione non si può
ridurre a intenzioni di bene o a propositi di servizio. Non si tratta soltanto di assumere un
ruolo nella Chiesa e nel mondo ma di raggiungere la misura di Cristo, Uomo Figlio di Dio.
Ciò anche quando il soggetto, per mancanza della luce della fede, non ne fosse ancora total-
mente consapevole.
Gli ultimi documenti della Chiesa, (II Congresso internazionale di Vescovi responsa-
bili delle vocazioni ecclesiastiche, Cura pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari,
1982; Pontificia Opera per le Vocazioni ecclesiastiche, Sviluppi della Pastorale delle voca-
zioni nelle Chiese particolari, 1992) sulla vocazione hanno sottolineato la sua fonte trinitaria,
il radicamento cristologico e la collocazione ecclesiale: «La Chiesa porta in sé il mistero del
Figlio che dal Padre è chiamato ed inviato ad annunciare a tutti il vangelo del Regno. È
Cristo il chiamato per eccellenza, essendo il suo nome Verbo di Dio. In Gesù Cristo noi tutti
siamo chiamati; ma è ancora da Gesù Cristo che noi siamo stati chiamati. Lui è il Maestro
che chiama, perciò non c'è vocazione che non abbia in Cristo la sua radice e non avvenga
per mezzo di Cristo»8.
La vocazione dunque, in quanto appello di Dio, opera nel soggetto secondo la dina-
mica e le leggi della conversione a Cristo: inizia come un seme, si sviluppa attraverso un
lento ma continuo lavorio di trasformazione interiore ed esterna investendo il sistema di
pensiero, gli atteggiamenti e i comportamenti personali, i rapporti col proprio gruppo di ap-
partenenza, famiglia, clan, tribù, nazione. L'energia che muove questa trasformazione è nel
chiamato per la presenza dello Spirito, ma viene "dall'alto": è grazia.
Il radicamento in Cristo di ogni vocazione, ci porta verso una riflessione che non è
solo attinente, ma fondamentale nel discorso della sua inculturazione.
Cristo non è una realtà simbolica, oggetto generico del sentimento religioso, somma
delle aspirazioni sparse in tutte le religioni, sintesi di quanto di nobile e generoso si trova
nelle culture e nell'umanità. È invece una persona concreta, storica, con una biografia singo-
lare, diversa anche da tutti gli elementi acquisiti ed espressi dall'umanità messi assieme. Si
è manifestato come un evento unico e irripetibile. "Hapax" (una sola volta, unico!), aveva
scritto Bonhöffer sul suo pulpito di fronte ai tentativi di alcuni suoi contemporanei di assi-
milare il cristianesimo ad una fase progredita della cultura. Di Lui rendono testimonianza gli
Apostoli. Il Gesù che hanno contemplato con i loro occhi e che le loro mani hanno toccato è
il Cristo Signore, lo stesso dappertutto, ieri oggi e sempre che resta con noi fino alla fine del
mondo.
8 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. Vocazioni nella Chiesa italiana: Piano pastorale per le voca-
zioni. Bologna: Dehoniane, 1985, n. 4.
- 346 -

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Il Regno che predica e la vita che propone non sono l'accumulo o la cifra dei beni che
l'uomo può desiderare e sperimentare. Sono la comunicazione gratuita di Dio concretizzata
in una alleanza e una promessa che ha avuto realizzazione storica nella sua persona.
Egli non lascia dietro di sé solo una "dottrina" che noi siamo incaricati di tradurre in
gesti aggiornati, ma misteri salvifici da "vivere" e "celebrare". Può assumere tutti i "semi"
di verità e di bene sparsi nella storia umana ma non comunque. Criterio e modello per farlo
sono l'Incarnazione, morte e risurrezione di Cristo, eventi determinanti per la salvezza
dell'uomo.
2.2. Inculturazione della vocazione
Inculturare la vocazione9 vuol dire inserire questi suoi significati ed energie originali
nella vita e nel pensiero di una comunità umana in tal modo che riescano ad esprimersi con
gli elementi della cultura e abbiano anche una funzione ispiratrice, stimolatrice, trasforma-
trice e unificante di questa cultura.
L'Incarnazione infatti non è fusione di due elementi di uguale dignità ed energia, ma
assunzione della natura umana da parte di una persona divina. Il Verbo, che ha una sua per-
sonalità divina e completa nella Trinità, si fa uomo. C'è dunque un soggetto attivo e deter-
minante che assume e una natura che viene assunta.
Ciò comporta alcuni criteri per la prassi dell'inculturazione. In primo luogo il messag-
gio e la vita portata da Cristo hanno una consistenza e identità propria. Ad esse va rivolta
una continua e principale attenzione. La vocazione degli apostoli non fu una assunzione
esemplare del meglio del loro tempo, ma l'irruzione di un nuovo progetto che essi stessi
dovettero capire aiutati dallo Spirito Santo.
Per comunicare vita, messaggio e progetto ci vuole però un'espressione culturale che
li abbia già accolti. Per questo l'inculturazione della fede segue un processo storicamente
osservabile: la fede la si riceve con la veste culturale di colui che l'annuncia. L'accoglienza
del messaggio secondo le parole e proposte di chi già lo vive è un passo necessario per
inserire il Vangelo in una cultura. La proposta vocazionale è comunicazione del vissuto di
comunità e persone.
Ma il carattere assoluto e transculturale del Verbo fa sì che possa assumere nuove
espressioni culturali. L'assimilazione profonda della parola va producendo l'impregnazione
evangelica delle convinzioni (cultura interna); la conversione progressiva cambia le abitu-
dini personali per via del discernimento evangelico (aspetto esterno della cultura), la prassi
cristiana trasforma poco a poco la vita del gruppo (cultura sociale) che comincia a diventare
"lievito" nella società e nella cultura. L'inculturazione raggiunge così in primo luogo l'ambito
religioso, dopo, quello civile (sociale, politico, economico...) finché la lievitazione evange-
lica di tutto l'umano dà un volto originale alla comunità cristiana, come l'umanità concreta
di Gesù caratterizzò la presenza storica di Dio.
Il processo non è lineare ma circolare. L'inculturazione progredisce sospinta da alcuni
fattori: una comunità che sia allo stesso tempo soggetto della cultura e dell'esperienza di
fede. In essa si va operando l'inter-penetrazione di entrambe. Vi collaborano i fedeli che nel
quotidiano, senza teorizzare, fondono vissuto e esigenze evangeliche; influiscono pure gli
esperti che meditano la fede, scrutano e interpretano le forme culturali, intervengono i pastori
9 Cf. Inculturazione, concetti, problemi, orientamenti, Centrum Ignatianum Spiritualis, Roma, 19832;
A. STRUS & A. AMATO (Eds), Inculturazione e formazione salesiana: Dossier dell'Incontro di Roma,
12-17 settembre 1983. Roma: S.D.B, 1984; U.S.G., XXX Riunione, Inculturazione, pro manuscripto,
1984.
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35.10 Page 350

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che accompagnano e educano il popolo alla sequela di Cristo secondo il proprio contesto.
Sono determinanti gli "spirituali" che più di altri intuiscono, posseggono la capacità di sin-
tonia, scoprono i semi di Vangelo che ci sono in certi filoni culturali.
Un altro fattore col quale fare i conti nell'inculturazione è dunque il tempo. Non si
tratta del tempo "cronologico", il solo passare degli anni; ma del tempo riempito dalla pre-
senza di Cristo, nel quale opera lo Spirito Santo. L'espressione efficace del mistero cristiano
in una cultura è "pienezza" dei tempi. La rapidità del processo dipende dunque dall'intensità
con cui la comunità cristiana vive il mistero di cui è portatrice e della sua capacità di rendersi
"lievito" nella società. L'inculturazione ha luogo così non soltanto in un primo periodo, ma
tutto il tempo in cui per la fede Cristo dimora nella comunità.
Finalmente l'inculturazione presenta alcuni processi tipici. Sono sostanzialmente la
continuità, la contestazione, la creazione. La continuità porta ad assumere i "semina Verbi"
che si riscontrano in un determinato contesto correggendoli, purificandoli, risignificandoli o
aprendo per esse una nuova fase di sviluppo. Ci può servire l'esempio di San Paolo all'Areo-
pago di Atene. La religiosità degli ateniesi offriva uno spazio per l'annunzio e in questo senso
l'Apostolo si appoggia su di essa. Ma è arrivato per gli ateniesi il tempo in cui quella religio-
sità non basta più nemmeno dal punto di vista umano in forza di un evento che segna una
nuova fase: «Dopo esser passati sopra i tempi dell'ignoranza ora Dio ordina a tutti gli uomini
di tutti i luoghi di ravvedersi poiché gli ha stabilito un giorno...»10.
Ma non tutto in una cultura è compatibile col Vangelo. Ci sono in esse realtà e conce-
zioni inconciliabili con l'esperienza cristiana. E ci sono anche "sistemi", "insiemi", "costel-
lazioni di elementi" il cui punto stesso di coerenza interna è non-evangelico. Il cristiano e la
comunità dunque sono invitati, mediante un confronto con l'evento di Cristo che ha una sua
consistenza e identità propria, anche ad abbandonare, a lasciare, a bruciare alcuni elementi
saldamente radicati in una cultura.
Se il fatto dell'Incarnazione suggerisce la condiscendenza di Dio che si è rivestito della
natura umana, la morte e la risurrezione di Cristo indicano il passaggio attraverso cui questa
stessa natura può raggiungere la forma alla quale è destinata e per cui è stata assunta.
Da ultimo la fede cristiana, poiché non è solo sentimento soggettivo ma confessione
di fatti storici e mistero salvifico reale, è capace di produrre espressioni culturali proprie.
L'Eucaristia porta una cultura, ha significati umani, parole, gesti, comportamenti, forme di
socialità collegati indissolubilmente alla sua natura e al momento storico della sua istitu-
zione. Tale cultura perciò attraversa l'universo cristiano nel senso dello spazio e del tempo.
Leggiamo ancora con commozione il racconto di quello che Paolo dice di aver ricevuto dal
Signore11.
Riguardo alla celebrazione eucaristica e lo vediamo oggi ripetuto in tutte le comunità
cristiane sparse sotto tutti i cieli. Così capita anche con la preghiera, che è collegata e inserita
in quella di Gesù e con gli altri segni identificatori della comunità cristiana. È l' "unum",
dell'esperienza cristiana e della Chiesa, l'universalmente valido che sgorga dalla consistenza
storica e dall'unicità dell'evento di Cristo. Per esprimere quest'unum lo Spirito Santo dà alla
comunità ecclesiale diversità di lingue, doni, carismi, culture. Il principio cristologico è cri-
terio di unità, il riferimento pneumatologico dà ragione della pluralità.
C'è una evidente interazione fra fede, cultura della fede e culture. Quanto più si medita
il mistero cristiano e il significato dei gesti e delle parole con cui è stato espresso nel mo-
10 Atti 17,30.
11 Cf. 1 Cor 11,23-26.
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36.1 Page 351

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mento "nascente" tanto più si coglie la sua novità e dunque la sua esigenza interna di "con-
vertire" la cultura. Quanto più si approfondiscono la struttura e gli elementi di una cultura
particolare tanto più si comprendono le vie attraverso cui un popolo cerca la pienezza di
umanità e dunque quali sono le espressioni, le intuizioni, i modelli che sono atti ad esprimere
il Vangelo.
La dialettica è permanente. Non ci può essere pace nel senso di assenza di sfide tra
entrambe, una specie di convivenza definitivamente tranquilla che elimina la contestazione.
L'inculturazione rappresenta non solo il cammino di penetrazione del Vangelo in un
gruppo umano, ma anche la conversione completa della comunità cristiana. Vuol dire che è
stata evangelizzata non in maniera decorativa, a somiglianza di vernice superficiale, ma rag-
giungendo in profondità e fino alle radici, la sua cultura partendo dalla persona e tornando
sempre ai rapporti delle persone tra loro e con Dio12.
Perciò è sentita come urgente dappertutto13.
Nei paesi di antica tradizione cristiana si sta vivendo infatti una nuova temperie cul-
turale in cui il cristianesimo sembra se non straniero, certamente staccato dalla mentalità,
dai criteri e dai modelli di vita correnti. Ma in alcuni contesti viene considerato un compito
e un traguardo indilazionabile perché il cristianesimo non appaia una "religione" importata
e dipendente dall'estero; né soprattutto perché il primo annuncio compiuto e accolto rag-
giunga la vita personale e collettiva, le ragioni del vivere, la scelta di valori da parte di per-
sone e gruppi e la parola di Dio si radichi veramente nella comunità14.
Un ambito determinante dove si prova e dal quale si promuove l'inculturazione è pro-
prio quello vocazionale: il matrimonio e la famiglia come l'esperienza umana più ricca e
completa, la Vita Religiosa e sacerdotale come manifestazione radicale del Vangelo, la lai-
cità come esigenza quotidiana di fondere fede, vita e cultura.
In particolare sulla vita religiosa e il sacerdozio l'Instrumentum Laboris per il Sinodo
Africano rileva: «Alcuni di coloro che diventano sacerdoti o religiosi (in Africa) possono
sentirsi alienati dalla propria cultura. Così alcune conferenze episcopali pensano che la for-
mazione che si sta dando ai futuri preti e religiosi non li radica sufficientemente nella loro
eredità culturale. Questo stato di cose può portare il loro vivere ad uno stato di insicurezza,
a portare perpetuamente una maschera. Può una spiritualità imbevuta della saggezza africana
offrire un rimedio a questa situazione? Che bisogna fare per inculturare la vita religiosa?
Come si può condurre una vera vita sacerdotale e rimanere uomo del proprio popolo? Queste
sono questioni da porsi»15.
2.3. La significatività
Le vocazioni sono eloquenti in una cultura, dunque capaci di attirare se la forma
umana in cui si manifestano esprime, oltre le intenzioni dei soggetti, i sentimenti e i progetti
di Dio per l'uomo in forme comprensibili per quella cultura. È il principio della sacramenta-
lità interno all'incarnazione e a tutte le realtà ecclesiali.
12 EN 20.
13 Cf. M. AZEVEDO, Da dove viene la coscienza attuale della Chiesa circa la necessità dell'incultu-
razione, in «Inculturazione» (USG, XXX Riunione), pro manuscripto, 1984.
14 Cf. SINODO DEI VESCOVI. ASSEMBLEA SPECIALE PER L'AFRICA 1994, Assemblea speciale per l'A-
frica. Instrumentum laboris: la Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000.
Bologna: Edizioni Dehoniane, 1993, n. 17.
15 Ibid. 69.
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36.2 Page 352

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Dall'incarnazione sappiamo chi è Dio per l'uomo: l'amore che opera la liberazione, la
promozione, la salvezza nel tempo e nell'eternità. Tale rivelazione ci giunge non principal-
mente in forma di teorie o dottrina ma attraverso la personalità e le azioni salvifiche di Cristo.
I suoi modelli di comunicazione seguono la logica della parola e del gesto umano:
hanno sapore e spessore storico. Gesù infatti guarisce dalle malattie, libera dai demoni, di-
fende contro le dipendenze schiavizzanti anche religiose, illumina la mente, proclama che
l'uomo è superiore al sabato, accoglie le donne nel suo cerchio, perdona i peccati.
Il collegamento tra quello che si percepisce fisicamente e il messaggio o significato
che si vuole comunicare provoca alla fede e la richiede: ma anche se questa non si accendesse
il segno ha una dignità che la ragione e la buona volontà possono apprezzare.
L'umano autentico dunque, creato ad immagine di Dio ha la capacità di esprimere il
suo mistero. E non come puro strumento tecnico, di puro passaggio tra il comunicatore e il
destinatario quasi fosse una radio o una TV, ma perché gode della sua presenza. In Gesù
infatti Dio ha assunto il volto e la natura umana. E diventato uomo sussistendo totalmente
come Dio. In Lui nei suoi gesti e nelle sue parole, dunque, natura e grazia, storia e trascen-
denza, umano e divino convergono senza confusione e senza separazione.
La mediazione sacramentale dell'umanità di Cristo risplende in forma compiuta nella
Chiesa e si diffonde nei suoi elementi costitutivi: la comunità, i ministeri, i carismi. An-
ch'essa agisce secondo il modello dell'incarnazione. "La società visibile e la comunità spiri-
tuale, la chiesa terrestre e la chiesa dotata di beni celesti non devono considerarsi come due
cose diverse, perché formano una realtà complessa costituita da un elemento umano e un
altro divino. Per questa profonda analogia si assomiglia la mistero del Verbo incarnato (cf
LG n. 8).
In una cultura particolare dunque la significatività segue le tracce dell'umano, della
dignità della persona. La presenza, le parole, i gesti umanamente significativi che corrispon-
dono ad attese profonde e desideri legittimi dei poveri mossi dallo Spirito Santo diventano
manifestazioni dell'azione di Dio, inviti e provocazioni alla fede. Diverse Conferenze Epi-
scopali hanno disegnato il volto della cultura in cui operano e individuato gli interstizi attra-
verso cui, come da una fonte sotterranea affiorano il senso e il desiderio di Dio, si manifesta
l'anelito di una vita più piena e degna, appaiono delle sfide a cui la fede deve rispondere con
urgenza. Sono indicazioni da approfondire per pensare il radicamento della vocazione in un
contesto.
La significatività suscita domande che riguardano le due sponde del nostro confronto:
quello della vocazione nel suo significato originale, e quello della cultura nei suoi valori
naturali e nella sua capacità di esprimere l'impegno vocazionale. Che simboli, parole, co-
stumi, norme e riti in una cultura parlano di Dio e di un Dio personale? Che cosa esprime il
rapporto dell'uomo con Dio e quale rapporto? Che status, prestazioni, atteggiamenti, gesti,
servizi parlano della disponibilità generosa verso i singoli e verso la comunità? Quali biso-
gni, aspirazioni, urgenze, speranze sottostanno nella cultura e attendono chi li raccolga e li
dia senso?
3. La cultura: tendenze, costanti e sfide
Cerchiamo ora di dare uno sguardo al "terreno" attuale dove la vocazione dovrebbe
dar ragione della propria speranza16 per scorgere poi le condizioni della sua significatività.
16 Cf. 1 Pt 3,15.
- 350 -

36.3 Page 353

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Il cambiamento di "epoca", che porta modifiche di scenari sociali, rielaborazioni di
valori e ricomposizione di orizzonti avviene in tutti i contesti culturali sebbene i fattori pre-
dominanti in ciascuno siano diversi.
Una analisi completa ci porterebbe troppo lontani dal nostro proposito. È stata abboz-
zata in alcuni documenti ecclesiali e approfondita in numerosi saggi. Anche il fermarci a
tratteggiare le varie culture ci esporrebbe alla sommarietà e leggerezza. Scegliamo allora
quelle tendenze che attraversano tutti i contesti e più da vicino riguardano la vocazione.
Le società e le cultura attuali, dovunque ma in particolare dove si va imponendo la
mentalità tecnologica, le libertà democratiche e la disponibilità di beni sono caratterizzate
dalla complessità. Sembra un aspetto esterno o di forma; invece causa o almeno provoca
nuove dinamiche, nuova configurazione nei rapporti tra elementi e persone e, di conse-
guenza, influisce sugli atteggiamenti e sulla mentalità.
Nelle società e culture semplici uno o pochi centri riescono, con la loro autorità giu-
ridica o morale, a creare e a diffondere una visione del mondo e dell'uomo, forme di valuta-
zione, norme di comportamento, modelli di identificazione, principi di legittimazione che
vengono condivisi da tutti o dalla maggioranza. Ciò plasma la cultura del gruppo e diventa
contenuto dell'educazione e della socializzazione. Questa può contare su fattori di sicura
efficacia: la famiglia, l'istituzione educativa, la funzione religiosa, l'ambiente sociale. Chi
non si adegua al suo codice appare estraneo e in non pochi casi "colpevole".
I ruoli sociali sono definiti e stabili. Ciascuno può aspirare a svolgerli anche per tutta
la vita dopo aversi preparato con responsabilità e sano idealismo. Le appartenenze che cia-
scuna persona esprime sono poche, leali e totali: la famiglia con i valori di fedeltà, solida-
rietà, stabilità; la religione con i valori di fede, di pratica permanente, di adesione dimostrata;
e così il gruppo sociale (corporazioni, aggregazioni, classi..., nazione) con i valori della tra-
dizione e della "patria".
La società e la cultura complesse invece sono contraddistinte dalla compresenza di
componenti diverse (etniche, religiose, culturali), dalla pluralità di concezioni totali di vita,
dalle differenze di opinione su problemi particolari, dalla circolazione continua dei più sva-
riati messaggi e proposte, dalla molteplicità di ambiti in cui si svolge la vita e si organizza il
lavoro, dalla abbondanza di rapporti in molte direzioni, dalla varietà di progetti; e soprattutto
dalla libertà dei singoli nel selezionare, rielaborare, assumere o respingere quanto gli viene
offerto, secondo le proprie preferenze soggettive o le possibilità economiche e sociali.
Non si percepisce l'influsso determinante di un centro (una autorità, un'istituzione)
capace di far accettare a tutti o alla maggior parte un sistema di idee, comportamenti, ruoli e
appartenenze. I centri o non ci sono o sono molti; la loro autorità viene relativizzata. La loro
legittimazione oggettiva è debole. Qualsiasi egemonia dunque è provvisoria. Si basa sul con-
senso e regge nella misura e per il tempo che serve a un certo numero di individui.
La società complessa è potenzialmente pluralista quanto gli individui che la compon-
gono. Ammette tutte le differenze senza colpevolizzarle. Dove può, distribuisce beni e ser-
vizi, organizza la vita pubblica, detta norme per la convivenza civile. Le scelte etiche e il
senso della vita li consegna al singolo. Questi le elabora in cerchi e appartenenze di sua
scelta. Il caso più dimostrativo è quello degli Stati che non considerano legittimo mettere
scuola obbligatoria di morale come alternativa all'insegnamento religioso. La società non ha
una etica e un senso di vita da comunicare ai cittadini e ai gruppi.
In queste condizioni i processi di socializzazione sono deboli. Gli adulti non hanno un
patrimonio culturale sicuro e facilmente comprensibile da trasmettere e quello che comuni-
cano è sottoposto ad una rapida usura. Inoltre il tempo per consegnarlo è poco e le interfe-
renze sono innumerevoli.
- 351 -

36.4 Page 354

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La società e la cultura complesse sono la società e la cultura della tolleranza, dei diritti
civili, dell'opinabilità di tutto, delle appartenenze temporanee e molteplici, delle biografie
aperte, delle identità deboli, dei progetti modificabili.
Si allarga lo spazio della libertà e autodeterminazione personali fino a sfociare nella
cultura "libertaria" o nella soggettività "selvaggia". E cresce anche la solitudine in cui la
persona deve maturare le sue scelte di vita.
La conseguenza più vistosa per tutti, ma specialmente per le nuove generazioni, è il
travaglio non sempre riuscito di costruirsi un'identità e orientarsi nella molteplicità di sti-
moli, problemi, visioni, proposte. La debolezza dei processi di socializzazione (comunica-
zione culturale da parte della famiglia, della scuola, della società, dell'istituzione religiosa)
provoca fragilità psicologica e difficoltà nel progettare la propria vita. E questo è comune a
tutti i contesti sebbene per motivi diversi.
La fragilità psicologica si manifesta nella tendenza ad arrendersi di fronte a conflitti e
frustrazioni, nella fatica a prendere e mantenere decisioni a lungo termine specialmente se
comportano sforzo che non rende nell'immediato.
Il disorientamento nel progettare porta a rimandare le scelte di vita, a dargli un valore
relativo riguardo alla propria realizzazione. Provoca il non riuscire a riconoscersi nei modelli
di identificazione che la società offre. Più che mai il lavoro e la professione appaiono staccati
da ideali vocazionali.
* Collegate a questa complessità appaiono due caratteristiche. La mentalità secolare
si è affermata nella vita civile, che appare slegata da concezioni o preferenze confessionali
e ulteriormente liberata da rigidità ideologiche: è penetrata pure nelle coscienze che si sen-
tono autonome di fronte ad ogni istituzione o autorità nell'elaborare il senso di vita o il pro-
prio codice etico.
Allo stesso tempo è venuta meno la fiducia illimitata nella ragione, nel progresso tec-
nico e nell'organizzazione sociale che era tipica della mentalità moderna. Il Concilio Vati-
cano II rappresenta la presa di coscienza del difficile rapporto tra questa mentalità e la fede,
tra i suoi rappresentanti e la Chiesa. Proponendo il dialogo con essa piuttosto che la contrap-
posizione, segna un cambio di rotta riguardo al passato. Il caso Galileo e la sua recente rivi-
sitazione sono il segno delle due fasi, del contrasto e del dialogo.
I fallimenti registrati negli anni ottanta hanno fatto pensare al tramonto e almeno al
superamento storico della modernità. La ragione non riesce ad elaborare una etica accettabile
per i rapporti umani e per l'uso del potere tecnologico ed economico. Il progresso tecnico ha
portato sull'orlo del disastro ecologico e la distruzione della natura. L'organizzazione sociale,
dopo aver sofferto la polarità Est-Ovest non riesce a creare il desiderato ordine mondiale, a
tenere lontani i conflitti più irragionevoli, a distribuire i beni che è capace di produrre, a
frenare lo sfaldarsi interno di non pochi ordini nazionali.
I sintomi della postmodernità sono la fine delle contrapposizioni ideologiche, la ca-
duta dei sistemi dottrinali con pretese di spiegazioni totali, il tramonto delle utopie sociali,
il sorgere di nuove paure collettive.
Simultaneamente affiorano però l'apertura alla ricerca di senso, la percezione di una
dimensione umana inespressa in tutto lo sforzo precedente, il desiderio di qualità di vita,
l'emergere della soggettività. Si allargano dunque la domanda e lo spazio delle esperienze
vagamente spirituali o religiose con una molteplicità di espressioni: risveglio e attivismo di
minoranze convinte all'interno delle grandi religioni, diffusione delle sette, nuovi culti, ten-
denze eclettiche, misticismo vago, occultismo, pratiche psicospirituali, incursioni nel mi-
stero. Ne prende atto il Sinodo straordinario dei Vescovi dell'anno 1986.
- 352 -

36.5 Page 355

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Il fenomeno riguarda tutti i contesti culturali sebbene con diverse tonalità. È ambiva-
lente. La dimensione religiosa viene valorizzata nella realizzazione della persona e nel dina-
mismo sociale. Sembra tramontata l'era in cui veniva bollata come alienazione e oppio del
popolo. Non è un mistero che l'associazionismo più compatto e resistente è quello religioso,
che una grossa fetta del volontariato è mossa da motivi religiosi, che la solidarietà trova nelle
aggregazioni credenti uno spazio privilegiato, che un riferimento "spirituale" bilanciato da
unità, orientamento e ragioni per vivere alle persone.
Il rovescio della medaglia, un aspetto meno positivo, è il soggettivismo per cui molte
di queste esperienze sono disancorate non solo da specifiche appartenenze confessionali, ma
sovente da una vera cultura religiosa capace di far riferimento alla verità e alla vita.
Il processo di secolarizzazione dunque investe la religione medesima in quanto intro-
duce in essa la scelta soggettiva, il pluralismo legittimato, la funzionalità ai bisogni perso-
nali, l'organizzazione individuale del sistema di credenze e pratiche.
Ciascun "caso" ha le sue caratteristiche notevolmente diverse. Franco Garelli descrive
quello italiano17 caratterizzato dalla prevalenza netta di una confessione, quella cattolica,
dalla presenza e influsso della Sede Apostolica e dal tradizionale consistente intervento della
Chiesa (clero e laicato) nel sociale, nel culturale, nel politico, con una fitta rete di istituzioni
e iniziative. Rileva che un grande numero è più cattolico che religioso e più religioso che
impegnato, accetta la fede e la trascendenza come valori non assodati, che la loro religione
è spesso disancorata dal concetto di verità, il che comporta lo scadimento delle certezze
religiose al rango di opinioni, che l'appartenenza alla Chiesa è limitata e i sentimenti verso
di essa, ambivalenti. Altri "casi" dell'emisfero Nord sono stati descritti con ricchezza di dati
e mostrano le medesime costanti con molte variabili.
La stessa tendenza appare dove la tradizione cristiana ha alimentato una religiosità
popolare. Insieme ad un fiorire di gruppi ecclesiali e di ministeri, rimane un grande numero
di battezzati "non evangelizzati", si diffondono le sette, si sviluppano forme di spiritismo e
di culti tradizionali o importati, si allarga a macchia d'olio l'indifferentismo. Altrove le anti-
che religioni disputano lo spazio alla secolarizzazione incalzante, producono correnti interne
di vario genere, generano forme eclettiche con pretese planetarie o movimenti fondamenta-
listi.
In questo contesto culturale è difficile percepire il senso trascendente e la qualità mo-
rale obiettiva di una vocazione "religiosa". Essa viene interpretata come una scelta sogget-
tiva tra le molte possibili. È probabile che venga attribuita a calcolo di vantaggi. Il discorso
dei significati e della gratificazione è però inevitabile. E il modo di esprimerli e comunicarli
è l'esperienza e la testimonianza personale. Il problema sta allora nel come le diverse voca-
zioni riescono a sprigionare significati, messaggi e immagini di soddisfazione personale e di
validità sociale.
Una costellazione di percezioni, problemi e valori diffusi nella cultura attuale aiutano
a staccarsi, sebbene non sempre, dalla soggettività narcisistica. È costituita dalla mondialità,
dal senso di interdipendenza, dall'interesse per alcune cause comuni (pace, fame, am-
biente...), dalla disponibilità ad aiutare, dal senso umanitario. Al centro di questa costella-
zione la riflessione ecclesiale sta collocando la dimensione sociale della carità che raccoglie
ed esprime un diffuso desiderio e bisogno di solidarietà.
Sarebbe lungo ma non difficile presentare dati che dimostrano quanto è estesa questa
urgenza, quanto sentita in alcune frange e ancora irrisolta nella società. Li troviamo questi
17 Cf. F. GARELLI, Religione e Chiesa in Italia, Il Mulino, Bologna, 1991.
- 353 -

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dati nella nostra vita quotidiana e l'informazione ce li offre a getto continuo. C'è preoccupa-
zione per l'accoglienza dell'immigrante e vicinanza al portatore di handicap. C'è attenzione,
non sempre efficace, alle popolazioni minacciate dalla fame o dalla guerra. Ci sono iniziative
innumerevoli di assistenza a profughi, anziani, malati.
La solidarietà che si è indebolita nell'organizzazione sociale e nella vita pubblica per
l'egemonia indiscussa di un sistema socioeconomico (conflitti di poteri, caduta del rapporto
e della lealtà di "classe", fuga dall'impegno politico, corsa al benessere individuale, crisi di
rappresentatività e disfacimento dei partiti, difficoltà di convergenza in progetti e ideali col-
lettivi) sta lievitando i luoghi vitali e creando una specie di "terzo spazio" intermedio tra il
privato e il pubblico.
Vi sottostà, riflessa o implicita, globale o frammentaria una percezione del mondo e
una intuizione sulla persona. Si coglie l'interdipendenza tra i fenomeni positivi e negativi
dell'umanità. Ogni fenomeno viene rapportato ad altri su cui influisce e dai quali viene pro-
vocato, rafforzato o equilibrato. Povertà e ricchezza, denutrizione e spreco, inquinamento e
forme di produzione, guerra e potere, criminalità e interessi, inquinamento e produzione,
Nord e Sud sono fenomeni correlati, anche se non in maniera meccanica e uniforme.
Su questa correlazione influisce in forma determinante la coscienza personale e col-
lettiva. Molti ammettono che la sorte del mondo (pace, giustizia, sviluppo, possibilità di
convivere, ambiente) dipende da tutti, anche se non riescono a tradurre in pratica questa
convinzione, né trovano i "canali" sociali per darvi il proprio contributo.
Donde le iniziative individuali e di gruppo. Se è vero che il mondo è diventato un
villaggio e non è possibile vivere da persone consapevoli assumendo soltanto la prospettiva
del focolare, del quartiere o del paese; se è vero d'altra parte che le strutture nazionali e
mondiali si sono dimostrate poco affidabili per raggiungere gli obiettivi che propone la so-
lidarietà, allora ci vuole una mobilitazione delle coscienze, delle opinioni, delle collabora-
zioni più umili e finora in apparenze insignificanti per porre dei "segni", fare quello che è
possibile e provocare decisioni a raggio nazionale e mondiale.
In questa linea si muove il volontariato da considerare (il fenomeno e le sue radici
piuttosto che la sua istituzionalizzazione) un fenomeno emblematico del momento attuale.
Auspica infatti una cultura della solidarietà a partire da una constatazione: gesti esemplari
abbondano e persone generose e ben ispirate si trovano dappertutto. Ma c'è una frattura tra i
diversi ambiti in cui si svolge la vita, tra gesti quotidiani e mentalità collettiva, tra sensibilità
personale ed espressioni sociali, per cui una sembra essere l'etica dei sentimenti individuali
e un'altra quella delle responsabilità pubbliche. Parafrasando l'Evangelii nuntiandi si direbbe
allora che bisogna raggiungere e quasi sconvolgere i criteri di giudizio, i valori determinanti,
i punti di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita18.
C'è un compito, una realtà da costruire. Si è agli inizi, alla partenza, come in un esodo
verso un'altra forma di pensare l'umanità, e di conseguenza, di convivere nel mondo. Per cui
nella corrente del volontariato si muovono e agiscono energie vocazionali, da riportare a
motivazioni valide, capaci di reggere a lungo termine. Per questo bisogna superare l'impegno
"festivo", di "tempo libero", "degli intervalli" e far diventare la solidarietà un principio or-
ganizzativo dell'esistenza, un riferimento centrale in un sistema di valori e di rapporti.
* Particolare importanza nella cultura in riferimento alla vocazione riveste la que-
stione femminile: la condizione e i movimenti di promozione della donna. È un segno o una
spia della cultura.
18 Cf. EN 19.
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Dove ha preso il verso del femminismo libertario (cf. aborto, contrapposizione, lottiz-
zazione per sesso...) rivela il carattere individualista della cultura che porta a interpretare la
propria identità, a godere delle proprie risorse e darsi il proprio codice etico senza riferimenti
ad altre componenti o progetti. Ed è veramente difficile inserirvi il tema della "vocazione"
come progetto di disponibilità, servizio e comunione.
Dove la donna è ancora subalterna e dipendente, sottomessa a discriminazione e op-
pressione la cultura denuncia un limite sostanziale di umanità. La vocazione allora ha una
funzione liberante e profetica, di salvezza personale e trasformazione sociale. In ogni caso,
attorno all'immagine della donna si raccolgono parecchi elementi culturali che toccano da
vicino il discorso vocazionale: la dignità della persona; l'autonomia nel decidere della pro-
pria esistenza; l'uguaglianza, complementarità e reciprocità dei sessi; il senso della paternità-
maternità con riferimento a tutte le forme di vita; il valore di una realizzazione personale
nella verginità.
Il movimento di promozione della donna inoltre evidenzia un insieme di domande e
aspirazioni: spazi di libertà, sviluppo della propria soggettività, valorizzazione sociale dei
contributi femminili, uguaglianza di opportunità, riconoscimento dello stato adulto, possibi-
lità di rapporti arricchenti e nobilitanti.
La comunità cristiana ha onorato in varie forme la vocazione della donna e dappertutto
si impegna nella sua promozione. Comunque la nuova fase che si sta svolgendo in alcuni
contesti la trova un po' indietro.
Aspirazioni femminili e nuova immagine della donna hanno avuto finora una risposta
insufficiente negli spazi vocazionali istituiti. La valutazione più benigna che se ne può dare
la porta il documento Sviluppi della pastorale delle vocazioni nelle Chiese particolari: «Per
la giovane donna rimane aperta la questione femminile che non ha trovato ancora una solu-
zione vera nei nostri ambienti di chiesa: inoltre fa remora una mancanza di agilità che molte
strutture presentano almeno alla prima impressione e contrasta nettamente con le aspirazioni
che le giovani portano dentro non solo di indipendenza, di realizzazione di sé, ma anche di
semplicità e fraternità nei rapporti... La questione circa la donna e la Chiesa taglia fuori (del
discorso vocazionale) una parte delle ragazze»19.
4. I modelli vocazionali
Come in tale contesto culturale diventa eloquente e significativa la vocazione?
Nel disegnare i modelli vocazionali, gioca un ruolo singolare il rapporto che si stabi-
lisce tra comunità cristiana e società, tra contributo dei credenti e movimenti socioculturali,
tra gli atteggiamenti della Chiesa e l'emergere di nuovi problemi e soggetti sociali.
Nei contesti cattolici di fronte alla secolarizzazione e postmodernità sono state tema-
tizzate quattro forme, che in combinazioni diverse si trovano dappertutto20.
La prima è la mediazione: con essa il cristiano si propone di far interagire il religioso
e il secolare, il teologico e l'antropologico, in modo che l'uno esprima la ricerca profonda
dell'altro senza assorbirlo, monopolizzarlo o renderlo "confessionale". In un mondo secola-
rizzato o in una cultura non organica alla fede la comunità credente si sente chiamata non ad
una presenza concorrenziale con altre istanze delle società ma a dare un contributo specifico
19 CONGRESSO INTERNAZIONALE PER LA VOCAZIONI ECCLESIASTICHE. Sviluppi della pastorale delle
vocazioni nelle Chiese particolari. Città del Vaticano: Libreria Editrice Vaticana, op. 1992, n. 82.
20 Cf. GARELLI, op. cit., p. 260-267.
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che venga incontro a tensioni e problematiche che i credenti e la Chiesa possono interpretare
perché contengono un richiamo etico e religioso. La Chiesa piuttosto che organizzare istitu-
zioni, sistemi o ambiti sociali paralleli, testimonia la trascendenza in quelli già esistenti spin-
gendo fino al limite l'interrogativo sul senso, richiama l'incarnazione mediante il segno della
carità e annuncia la risurrezione indicando i semi di speranza e vita definitiva. Promuove la
qualità della vita, la libertà e dignità dell'uomo, la spiritualità come superamento continuo
dell'acquisito21.
La mediazione consiste nel tradurre in termini non confessionali, quindi condivisibili
da tutti, ma non per questo soltanto "temporali" la risposta evangelica agli interrogativi di
fondo che il nostro tempo pone.
La seconda forma è quella di una presenza secolare propria dei cristiani. Intende tra-
durre la fede in iniziative culturali, esprimere la propria identità religiosa in modo significa-
tivo anche attraverso propri progetti sociali, educativi e politici. In tale linea l'intervento dei
cristiani nella storia privilegia le occasioni in cui appare l'identità religiosa in termini origi-
nari, significanti e trasparenti22.
C'è poi la forma "della rottura". Liberata dagli "ismi" (fondamentalismo, intimismo),
dalla chiusura nel religioso e dalla negatività radicale riguardo al mondo, sottolinea la capa-
cità critica della fede, la sua carica contestatrice. Ad essa compete contrapporre facendo
emergere non soltanto "le coincidenze" del Vangelo con quello che la cultura produce ma
anche le differenze e la inconciliabilità. «L'alternativa che si propone è l'interpretazione del
cristianesimo in chiave marcatamente escatologica che si traduce nell'invito ai cristiani a
vivere intensamente la loro realtà spirituale... L'impegno dei fedeli è la ricerca radicale della
santità, è di testimoniare la fede e la trascendenza divina in mezzo a un mondo che non potrà
mai essere spirituale fino alla fine del mondo»23.
Finalmente ci sono elementi da ricuperare anche nella forma della "diaspora". In al-
cuni ambienti, i cristiani si sono come seminati nel mondo per fermentarlo dall'interno,
aspettando ancora di germogliare. Pensate a certi contesti islamici. Si lavora per la promo-
zione della persona, la qualità del vivere sociale, l'aiuto ai bisognosi senza distinguersi e
considerando i non credenti che operano negli stessi campi come cristiani anonimi. La causa
dei credenti si identifica sebbene non totalmente con la causa dell'uomo senza aggettivi,
senza messaggi religiosi specifici. La "diaspora" volontaria porta a reinterpretare e vivere la
parola di Dio a partire dalla storia dell'uomo, specialmente dei poveri24.
Nell'insieme queste forme sono tentativi di costruire l'immagine e il servizio che il
discepolo di Cristo presta oggi alla comunità ecclesiale, a coloro che sono religiosamente
sensibili e a un mondo alla ricerca di valori e significati: capacità di dialogo (mediazione),
contributi originali della fede o più in generale della dimensione religiosa alla cultura (pre-
senza), contestazione profetica (rottura), compagnia e solidarietà (diaspora).
Con questi elementi davanti possiamo individuare alcuni modelli vocazionali: risul-
tano da accentuazioni, aumento o diminuzione di enfasi su certi elementi che determinano
nuove figure, nuovi criteri di discernimento e nuovi processi formativi.
Un primo modello secondo il quale si ripensa la vocazione è la realizzazione "umana",
il compimento della persona, la qualità della vita. Non c'è possibilità di appello né di risposta
vocazionale se non si raggiunge il cuore, il desiderio e la speranza di pienezza o almeno la
21 Cf. GARELLI, op. cit., p. 262.
22 Cf. GARELLI, op. cit., p. 264.
23 GARELLI, op. cit., p. 266.
24 Cf. GARELLI, op. cit., p. 268.
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previsione di un impiego nobile delle proprie energie. Ciò è collegato con la soggettività che
domina la cultura. Ma trova anche riscontro nell'attenzione alla persona che ha avuto luogo
nella Chiesa. È peraltro nella natura stessa della vocazione: Dio chiama ad un incontro pieno
con lui e a una esperienza di amore che riempie la persona di gioia.
L'autorealizzazione è stata per un tempo una specie di assoluto". Veniva connotata da
un fissarsi sulle proprie aspirazioni senza confronto con una visione realistica della vita, da
una incapacità di differire le gratificazioni, da incomprensione delle esigenze cristiane, dalla
corsa al ruolo e allo status, dal desiderio di prevalere e imporsi, e a volte dalla dipendenza
da modelli religiosi enfatizzati dalla comunicazione sociale.
L'accompagnamento formativo ha saputo interpretare il sintomo e propone oggi una
integrazione di tutti gli aspetti della personalità attorno al nucleo della chiamata e dei suoi
valori in una evoluzione dinamica. È vero comunque che "l'immaginario" vocazionale ri-
chiama e si riempie di figure ricche dal punto di vista umano.
L'attesa di realizzazione umana non riguarda solo ne principalmente il senso di sod-
disfazione ma anche la qualità obiettiva della donazione. Si attende che avvenga in spazi
significativi, accompagnata dalla professionalità necessaria, in corresponsabilità adulta, con
rapporti arricchenti. A riprova di queste affermazioni si può valutare l'andamento vocazio-
nale in quei contesti dove la vocazione implica una promozione, le difficoltà in cui si trova
la vocazione femminile dove la già avvenuta promozione della donna suscita nuova co-
scienza e nuove aspettative, la caduta di numero dei fratelli laici nelle congregazioni cleri-
cali, una certa tenuta della vocazione contemplativa e di quella missionaria, laicale e reli-
giosa.
Da quanto veniamo dicendo si evince che il desiderio di realizzazione umana riguarda
l'essere e il "vivere" piuttosto che la "funzione". Ciò è connesso all'importanza che oggi si
dà all'ambito personale e alla considerazione secondaria che si attribuisce al lavoro. Ne sono
prova il ritardo nella scelta vocazionale, il bisogno che sentono i giovani di esperienza diretta
per giungere alla decisione, una certa fragilità che preoccupa alcuni istituti, alla radice della
quale sovente si trovano il disincanto comunitario, la frustrazione affettiva, l'insoddisfazione
riguardo ai rapporti, l'impressione di mancanza di attenzione alle proprie qualità e attese.
Forse il modello precedente concepiva la vocazione come una chiamata a "fare", a
"compiere" certe cose, a coprire un ruolo. Per "avere" vocazioni, per mantenerle e conser-
varle nella loro specificità e singolarità bisognava reclutare e segregare i candidati. Si trat-
tava di preparare alla funzione coltivando le capacità necessarie e i germi di disponibilità.
Chi aveva la vocazione era destinato a rappresentare in forma insigne le esigenze della
fede e soprattutto la presenza della Chiesa. Dove essa coincideva con la società la vocazione
aveva anche una rilevanza sociale.
È vero che mai la qualità morale e la formazione spirituale sono state assenti dalla
considerazione globale. Ma nella configurazione pubblica della vocazione appariva di più il
ruolo esterno che il plasmarsi interiore della persona, più l'abilità nel gestire iniziative che
nella profondità umana e la qualità dell'esperienza personale. Persino nelle vocazioni di con-
sacrazione "il lavoro " finiva per riempire o sovrastare il senso esistenziale della scelta. Ne
suppliva l'appartenenza ad un corpo o istituzione caratterizzata dalla finalità religiosa.
Si va ritagliando ora un modello in cui è determinante la possibilità di essere e sentirsi
soggetto, valorizzato nelle proprie attese e capacità, con possibilità di rapporti profondi no-
bili e duraturi, con una esperienza umana autentica e ricca. La sola attesa di far parte di
grandi istituzioni non attira più tanto. Associazioni e gruppi piccoli e nuovi, più coinvolgenti,
con capacità di accogliere e valorizzare la persona stanno diventando più attraenti.
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Un secondo elemento che fa parte dell'immaginario vocazionale è l'attesa di una espe-
rienza spirituale singolare. È connessa con la ricerca di senso, con l'intuizione diffusa di
un'altra dimensione inesprimibile dell'esistenza, con il risveglio della domanda religiosa che
ha avuto luogo come reazione alla rigidità razionalista e tecnologica.
Infatti non viene intesa come un ritorno a pratiche obbligatorie di pietà o culto, né in
senso etico, ma come una apertura a orizzonti, motivazioni e realtà nuove capaci di dare un
altro respiro alla vita, e unità alla persona.
La ricerca di spiritualità la si ravvisa oggi nella rivalorizzazione sociale e culturale di
luoghi (monasteri, santuari, case di esercizi spirituali, "deserti", centri-simboli di determinate
esperienze spirituali), di tempi (ritiri, giorni in conventi e case religiose, incontri di rifles-
sione) e iniziative (confronti su etica e politica, fede e scienza, religione e società).
Si manifesta anche nella proposta e diffusione di spiritualità specifiche attraverso i
movimenti ecclesiali, nell'approfondimento di alcune che prima non venivano prese in con-
siderazione come quelle laicali.
Impressiona soprattutto il fatto che la spiritualità costituisce oggi il nucleo centrale
del rinnovamento e della strategia vocazionale di quasi tutte le congregazioni religiose. Forse
in esse il processo di cambiamento ha avuto una prima fase "dottrinale". Bisognava infatti
rinnovare il quadro di riferimento teologico, la mentalità sulla Chiesa, l'evangelizzazione, il
mondo, la vita consacrata. Ne è seguito uno sforzo di adeguamento pratico (stile di vita co-
munitaria, governo, formazione) e un aggiornamento pastorale che si è palesato soprattutto
nella reimpostazione della presenza apostolica e delle opere e, legata a questo, una volontà
di rilancio vocazionale.
Oggi sembra si sia approdati alla convinzione che la forza di unità e identificazione,
di rinnovamento interno e di convocazione sia la spiritualità approfondita e riespressa nella
sua freschezza e immediatezza originale. Se ne cercano i tratti, l'esperienza, i luoghi, le si-
tuazioni in cui percepirla allo stato nascente. Ciascuno ne ricava quel che può e gli basta.
L'esperienza spirituale esige testimonianza di chi l'ha già fatto, coinvolgimento e per-
cezione diretta di chi si dispone ad assumerla. Da tale incontro viene una illuminazione, una
scoperta di novità, di motivazioni ed energie per costruire la propria esistenza. In tal senso
sono stati valorizzati anche i filoni di spiritualità non cristiane come portatori di semi validi
e dunque come punti forti di aggancio per l'inculturazione25.
Una proposta vocazionale che non risponda oggi all'attesa di spiritualità, ma sia basata
solo su motivi di attività da compiere, ha poca chance di fare presa.
* Un terzo modello per ripensare la vocazione è la presenza e il radicamento nella
storia, il valore secolare non solo di un eventuale servizio di promozione ma della sua testi-
monianza di valori e del suo messaggio di trascendenza. Si passa da una considerazione
"intraecclesiale" della vocazione al suo significato per il mondo. È conseguenza della rile-
vanza che ha acquistato la missione nella riflessione ecclesiale, e corrisponde anche alle
caratteristiche del momento storico che viviamo.
La gravità dei problemi che incombono sulla dignità della persona postulano meno la
figura del "buon levita" preoccupato dei compiti interni alla religione e molto di più quella
del buon samaritano26 che accorre, si ferma, condivide, apre nuove prospettive, infonde spe-
ranza. Il mondo inteso come storia è lo spazio della missione e luogo teologico che getta
luce sulla sua originalità ed energia.
25 Cf. SINODO DEI VESCOVI. ASSEMBLEA SPECIALE PER L'AFRICA 1994, Instrumentum laboris…, n.
70.
26 Cf. A. CENCINI, Vocazioni, dalla nostalgia alla profezia, Bologna, EDB, 1989, p. 211ss.
- 358 -

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La vocazione viene declericalizzata nel senso che non la si riferisce più in forma ri-
stretta e principale al sacerdote, ma acquista un'estensione universale: il primo riferimento,
dal quale si vanno snodando e diversificando le vocazioni è la chiamata di tutti a formare il
popolo di Dio. Le altre vocazioni non si qualificano assimilandosi o imitando quella dei
presbiteri. Quando questo è avvenuto i religiosi diventarono preti, le suore "collaboratrici
parrocchiali" e i laici "lettori e animatori liturgici".
L'emergenza del laicato non risponde a ragioni quantitative: disporre di più forze di
lavoro per realizzare i diversi servizi. È un cambio di fronte, di allineamento della Chiesa. E
questo vuol dire che la prima linea, le questioni che sfidano oggi la missione cristiana sono
più nel terreno del mondo, appartengono più alla storia dell'uomo che alla dottrina e pratica
della religione. La Christifideles laici ha enumerato queste grandi sfide. Sono tutte nell'am-
bito secolare: promuovere la libertà della persona, venerare l'inviolabile diritto alla vita, pre-
servare la libertà (civile!!) di invocare il nome del Signore, impegnarsi per la stabilità e la
dignità della famiglia, sostenere la solidarietà, porre l'uomo al centro della vita economico
sociale27.
Questa attesa insieme a quella di una realizzazione umana di cui parlavamo preceden-
temente spiegano la difficoltà dei giovani nel concepire l'allontanamento dal mondo come
la situazione ideale per la propria donazione. Dà ragione pure della nascita degli Istituti se-
colari e dei movimenti apostolici e di non poche manifestazioni vocazionali che non arrivano
a progetto di vita definitivi.
La partecipazione alla storia si esprime nel servizio. Questo si concentra nell'evange-
lizzazione e nella carità. Ambedue hanno come segno attuale l'attenzione preferenziale ai
poveri.
Riguardo all'evangelizzazione il Concilio e dopo di esso l'Evangelii nuntiandi hanno
fatto una lettura della modernità, mentre il Sinodo straordinario (1988) e il movimento della
nuova evangelizzazione raccolgono le mega tendenze della fase postmoderna. Ebbene i punti
nodali che il Vangelo oggi deve illuminare hanno profili secolari: l'emergere della coscienza
personale per il cumulo di problemi che deve risolvere, la domanda di senso, la questione
etica in rapporto al potere politico, economico, tecnologico, della comunicazione sociale, la
manipolazione che incombe sulla persona, l'interdipendenza tra individui, nazioni e mondi.
L'attenzione preferenziale ai poveri viene fortemente sottolineata nelle Chiese del
Sud, fino a collocarla quasi in rapporto necessario con l'evangelizzazione. In esse la povertà
presenta volti tragici fino all'annullamento dell'umano28.
Ma è pure una scelta della Chiesa universale. «Dopo il Concilio Vaticano II - dice il
sopra citato documento del Sinodo straordinario - la Chiesa è diventata più consapevole della
sua missione a servizio dei poveri, degli oppressi, degli emarginati. In questa opzione prefe-
renziale che non va intesa come esclusiva, splende il vero spirito del Vangelo»29.
La vocazione porta a coinvolgersi e non a staccarsi dalla storia dell'uomo, deve cari-
care su di sé la causa e il servizio dei poveri, vale in quanto fermenta, si staglia in quanto
trasforma qualche situazione.
Un quarto modello secondo cui si immagina la vocazione è la capacità di unità e ri-
conciliazione. Ad essa toccherebbe raccogliere i frammenti di verità e di bene se non per
27 Cf. ChL nn. 36-44.
28 Cf. Puebla nn. 29-40.
29 SINODO DEI VESCOVI. ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA. Il sinodo straordinario a vent'anni
dal Concilio: messaggio dei padri sinodali, relazione finale, discorso conclusivo del papa. Bologna:
Edizioni Dehoniane, 1985, Relazione finale 6.
- 359 -

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organizzarli in un sistema almeno per valorizzarli. Da essa si attende che faccia fronte alle
diverse pluralità che operano nella cultura e nella società se non per ridurle a unità almeno
per farle convivere e aiutarle a completarsi. Ciò è collegato a quel desiderio di pace e di
vicendevole riconoscimento che attraversa la società; ma viene incontro anche a una fun-
zione essenziale della vocazione. La Pastores dabo vobis afferma che è nella Chiesa, intesa
come mistero di comunione in tensione missionaria che si rivela la specifica identità del
sacerdote e del suo ministero; che «Non si può definire la natura e la missione del sacerdozio
ministeriale se non in questa molteplice e ricca trama di rapporti che sgorgano dalla SS.ma
Trinità e si prolungano nella comunione della Chiesa, come segno e strumento in Cristo
dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» e che «l'ecclesiologia di comunione
diventa decisiva per cogliere la vocazione... nel popolo di Dio e nel mondo»30.
Ogni vocazione arricchisce e costruisce la comunione all'interno della comunità cri-
stiana e questo sembra scontato. L'unità dei discepoli è il grande segno perché il mondo
creda. In tempi di facili lacerazioni e esasperazione del vantaggio individuale e corporativo
diventa significativo comporre le tensioni, unire le persone, ricondurre le differenze all'unità
del fondamento umano e cristiano. Il fatto di rendere la comunità cristiana "universale" dal
punto di vista etnico e sociale, aperta al mondo vicino e lontano comporta già un impegno
che viene incontro a fenomeni e sensibilità molto sentite.
Ma l'attesa di comunione interessa altri tre ambiti: l'ambito ecumenico delle diverse
confessioni cristiane, quello più ampio dell'esperienza religiosa e quello più esteso ancora
della convivenza umana. In ambito ecumenico si dà a volte più notorietà al dialogo teologico
che alle esperienze spirituali. Alcuni fenomeni però stanno rivelando quale risorsa di comu-
nione siano le vocazioni, particolarmente quelle che eccellono nella sequela di Cristo, con-
sacrate, sacerdotali, laicali. Lo rivela l'Instrumentum Laboris del Sinodo Africano: «Più pro-
fonda è la santità dei cristiani, a livello individuale o di gruppo, più stretto è il loro rapporto
con Cristo, più le loro vite e strutture sono conformi al Vangelo e più rapidamente essi si
raduneranno in una sola fede»31
In non pochi contesti poi c'è la compresenza di antiche religioni, profondamente in-
culturate, consapevoli della loro consistenza numerica e della loro ricchezza spirituale. Tra
di esse c'è secondo i casi e i tempi coesistenza pacifica, rispetto, dialogo, contrapposizione
polemica, lotte. L'aspirazione alla ricerca comune e al consolidamento delle ricchezze spiri-
tuali condivise è chiara come lo è la funzione delle vocazioni di particolare consacrazione.
Assisi 1988 ne è un richiamo e un'icona.
Dal cristiano, religioso, sacerdote ci si attende che sappia "mediare", dialogare con
persone, tendenze religiose, riscattando quanto di valido si trova in esse e soprattutto valo-
rizzando le persone che ne sono testimoni autentici. La fede e il ministero consistono nell'u-
scire con fiducia verso gli altri, incontrarsi, confrontarsi con sincerità, riconoscere, aiutare a
crescere.
* Da ultimo, nell'immaginario vocazionale, c'è sempre la figura profetica: ci si attende
di poter essere portatori di novità, di cambio, con la testimonianza di vita, l'opera che si
svolge, i valori in cui si pone la speranza, le realtà che si confessano.
Oggi è inconsueto credere alla trasformazione del mondo a distanze ravvicinate o lon-
tane. Siamo "nell'inverno del futuro", al tramonto delle utopie. Si ascoltano con molto scet-
ticismo, quasi fosse retorica, gli annunci di epoche migliori in arrivo. Si conoscono i dati
30 PDV 12.
31 Cf. SINODO DEI VESCOVI. ASSEMBLEA SPECIALE PER L'AFRICA 1994, Instrumentum laboris…, n.
81.
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dell'impoverimento, il disfacimento di società che prima erano stabili. Neppure dopo la ce-
lebrata caduta del muro si è riusciti a combinare meglio le cose per una parte del mondo e le
stragi in corso sono degne di quelle precedenti.
Tra i fallimenti dell'epoca moderna va annoverata l'insoluta e anzi aggravata questione
della giustizia internazionale e dello sviluppo per tutti. Le situazioni di "morte", di affossa-
mento collettivo della dignità umana, di mancanza di condizione di esistenza invocano una
presenza che se non riesce a essere risolutoria sia al meno testimoniante e di speranza.
La profezia, la novità, il cambio non sono l'annuncio delle utopie temporali non rea-
lizzate dalle ideologie alle quali subentrerebbe la presenza "cristiana". La profezia è legata
alla radicalità. È la speranza di rivelare un altro orizzonte di senso e di vita in mezzo a un
mondo dominato da interessi materiali, a esprimere in piccoli ambiti di sperimentazione la
verità del Vangelo e la forza dell'amore, di gettare il buon seme, di far balenare con segni
efficaci il progetto di Dio sull'uomo.
Questa profezia, novità, radicalità ha un primo spazio di manifestazione: è la comunità
cristiana. Essa è sempre tentata di adagiarsi, di uniformarsi al mondo specialmente quando
questo sembra proteggerla e garantirla, quando si dimostra disposto a inserirla come una
funzione nel suo "sistema". Può rimanere chiusa in sé, fare della fede cristiana una "reli-
gione" nella quale contano i riti, le istituzioni e le organizzazioni, le iniziative e l'apparte-
nenza sociale più che la presenza vivificante di Dio e la sua alleanza. La vocazione ha sempre
un carattere di sveglia, di sfida all'esodo e di invito all'oltre. Lo si vede nella storia dei fon-
datori di nuove congregazioni e movimenti: è "la ribellione evangelica", quella costante e
quel fenomeno per cui una comunità ha bisogno e porta al suo interno il momento di nega-
zione e contestazione, di superamento del presente.
E c'è poi lo spazio del mondo dove si applica la legge della massa e del fermento, del
sale, della luce. Chi segue una vocazione sinceramente si attende di poter essere trainante
verso traguardi ulteriori di umanità.
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41. L'OPZIONE GIOVANILE NELLA PARROCCHIA SALESIANA
Vecchi, J.E., L'opzione giovanile nella parrocchia salesiana in Bissoli C. - Maggi D. - R. Tonelli, «L'oratorio via per educare i
giovani al Vangelo della carità: Roma-Pisana 11-15\\18-22 ottobre 1992. Atti del convegno», Roma, 1993, p. 49-72.
1. Premesse. - 2. Come si presenta il campo giovanile della parrocchia. - 3. Gli obiettivi della pastorale giovanile parrocchiale.
- 4. Risorse e linee di azione. - 4.1 Una comunità con vocazione giovanile. - 4.2 Una comunità cristiana educatrice. - 4.3 Un
ambiente giovanile di educazione ed evangelizzazione. - 4.4 Gruppi e movimenti ecclesiali. - 4.5 La pastorale di zona. - 5.
Elementi organizzativi.
1. Premesse
Mettiamo bene a fuoco il tema che intendiamo trattare per essere sicuri che guardiamo
le cose dalla medesima prospettiva.
Parlando di opzione giovanile della parrocchia il primo movimento può essere quello
di pensarla in forma settoriale e clericale: un aspetto o settore, quello della gioventù, in cui i
sacerdoti dovrebbero sviluppare un'azione maggiormente energica e aggiornata. E poiché si
tratta di parrocchia salesiana, la cosa si risolverebbe con un aumento di personale.
È meglio chiarire subito che la logica della nostra riflessione sarà un'altra. Per esplici-
tarla ricordiamo brevemente, dandola come conosciuta, la configurazione che sta assumendo
la parrocchia oggi.
La parrocchia è la manifestazione minima completa, all'interno dell'organizzazione
ecclesiale, della totalità del popolo di Dio. Ad essa compete formare e dare espressione vi-
sibile alla comunità cristiana che vive in un territorio, mediante la Parola, la liturgia, la co-
munione fraterna e il servizio alla comunità degli uomini.
Tutto ciò diventa la sua «testimonianza» della vita nuova che viene da Cristo, che essa
confessa e annuncia come il Salvatore dell'uomo.
Tradizionalmente questo lo si realizzava mediante la cura religiosa degli adulti (cura
delle anime), l'iniziazione cristiana dei bambini (prima comunione-confermazione) e la so-
cializzazione religiosa, che trovava i suoi luoghi tipici nella famiglia, nella scuola, nella vita
della parrocchia stessa e nella cultura popolare.
Questo modello non corrisponde più alla situazione religiosa odierna. Pertanto si sono
via via venuti proponendo nuovi modelli di parrocchia, sotto l'influsso di tre fattori: l'am-
biente secolarizzato e tutto ciò che implica come concezione di vita; una comprensione più
profonda di ciò che vuol dire essere cristiano oggi e, dunque, l'originalità della comunità
cristiana; i problemi che affronta la comunità degli uomini, all'interno della quale i cristiani
vivono in solidarietà con gli altri.
Per la nostra riflessione è utile considerare tre modelli, con le conseguenze che ne
derivano:
* La parrocchia-comunità: il popolo di Dio, più che cliente o recettore di cure, servizi
e beni religiosi, è soggetto principale, attivo e responsabile, della vita e della missione ec-
clesiale. Secondo questo modello l'opzione giovanile non può ridursi all'organizzazione di
un settore, per quanto perfettamente e completamente la si possa fare. Non si tratta di desti-
nare un confratello per occuparsi di una «attività». Il modello comunitario richiede che l'op-
zione giovanile diventi obiettivo assunto, vissuto e perseguito da tutta la comunità cristiana.
* La parrocchia-missione: la parrocchia non viene vista tanto come luogo fisico uni-
camente a servizio dei credenti, ma piuttosto come un insieme articolato di iniziative di
evangelizzazione, dirette a tutta la popolazione, svolte in ambienti diversi, attraverso canali
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37.5 Page 365

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molteplici, che vanno da azioni compiute da tutta la comunità fino alla testimonianza e alla
parola di ciascuno dei credenti. Alla radice di questo modello ci stanno il primato dell'evan-
gelizzazione e il diritto e la capacità di ogni cristiano a partecipare alla missione della chiesa.
Secondo questo modello l'opzione giovanile intende raggiungere non solamente quelli che
già vivono all'ombra della chiesa, ma tutti i giovani del territorio e specialmente quelli lon-
tani.
* La parrocchia-territorio: la parrocchia cessa di essere considerata responsabile della
sola dimensione religioso-cristiana separata dagli altri aspetti della vita personale o sociale.
Come conseguenza la comunità cristiana partecipa solidamente ai problemi della società ed
esprime la sua fede assumendoseli come propri.
È il risultato della concezione «laicale», che comporta anche una rivalutazione secolare
della parrocchia. Secondo questo modello l'opzione giovanile della parrocchia non riguar-
derà solamente l'area religiosa, ma ogni problema che possa favorire o sollecitare la crescita
dei giovani.
Questa prospettiva è stata ampiamente sviluppata in un sussidio del Dicastero La co-
munità salesiana sul territorio: presenza e missione.
Ciascun modello suppone forme diverse di impostare (fondare) l'azione pastorale. E in
tali impostazioni giocano elementi determinanti anche per l'opzione giovanile: il modo di
intendere l'evangelizzazione, la relazione tra la comunità cristiana e la società, l'immagine
con cui si presenta la chiesa, il ruolo del laicato, il modo di pensare la dimensione religiosa
e la sua relazione col «secolare».
C'è un altro blocco di osservazioni previe da fare.
Parliamo di parrocchie salesiane. Il fatto che i religiosi abbiano delle parrocchie non
lo si deve a ragioni di supplenza, perché mancano sacerdoti del clero secolare.
Al contrario, comporta l'intenzione di arricchire la chiesa locale con l'apporto spirituale
e pastorale della vita religiosa in generale e di una delle sue forme in particolare. Esprimere
l'identità salesiana nella parrocchia non è, dunque, una concessione o un «permesso»; è un
diritto della chiesa particolare e, per noi, una condizione di vita.
I tratti caratteristici della parrocchia salesiana sono stati già presentati con chiarezza.
Tutti influiscono sull'opzione giovanile. Però a noi interessa sottolinearne due che danno un
tono e un significato speciale a quanto diremo.
Il primo è il criterio «educativo». I salesiani sono sempre e dovunque pastori-educatori.
La Congregazione è per l'educazione. Non significa: per le scuole, ma per la promozione
delle persone e degli ambienti. Intendiamo la pastorale giovanile non solo come l'area ri-
stretta dell'educazione religiosa, ma, a partire dall'Evangelo, come l'ampio servizio di aiuto
alla persona perché possa svilupparsi ed emergere da tutti i condizionamenti negativi. Per
noi l'opzione giovanile comprende anche la «casa», il «cortile», le attività culturali.
Il secondo tratto che occorre ricordare è il carattere popolare. Nostro punto di riferi-
mento non sono quelli che già stanno dentro, i primi della classe; ma gli ultimi, quelli che
non sanno a quale parrocchia appartengono, la base, i più. A costoro ci riferiamo anzitutto
quando facciamo progetti, e da questo livello partiamo sempre.
Da tutto ciò che abbiamo detto risulta una chiave di lettura per interpretare l'opzione
giovanile della parrocchia salesiana. Anche se l'esprimiamo in forma semplice e stringata,
non per questo cessa di essere illuminante: la nostra opzione giovanile è comunitaria, mis-
sionaria, solidale, educativa, popolare. La assume e la porta avanti la comunità, vuole giun-
gere a tutti, assume i problemi che toccano la vita dei giovani, tende alla maturazione inte-
grale della persona, ha come punto di riferimento gli ultimi.
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2. Come si presenta il campo giovanile della parrocchia
La parrocchia è ima «terra di missione». Ha come destinatari tutti i giovani del territo-
rio. La religiosità di questi giovani riflette in parte quella di tutto il contesto sociale italiano.
Se ne è scritto e parlato abbastanza in questi ultimi tempi. Tuttavia occorre ricordare alcuni
tratti caratteristici quando si vuole riflettere sull'opzione giovanile.
L'allargamento dell'età giovanile ha fatto diventare insufficienti le fasi tradizionali
dell'iniziazione cristiana (prima comunione, perseveranza, confermazione), considerate in
altri tempi come momenti definitivi della comunicazione della fede. Le situazioni che deter-
minano l'orientamento dell'esistenza (ingresso nel mondo del lavoro, università) hanno luogo
più tardi. La sintesi culturale, la presa di posizione etica sui problemi più sentiti, certe scelte
di vita hanno luogo dopo l'iniziazione. Il tempo, le esperienze, i contenuti dottrinali di questa
iniziazione continuano a essere importanti, ma sono ben lontani dal coprire, anche material-
mente, la fase giovanile. I giovani sono abbandonati dai programmi sistematici di forma-
zione cristiana quando si trovano ancora in piena evoluzione.
Il fenomeno dell'allontanamento giovanile dalla pratica religiosa che le chiese denun-
ciano, talvolta già subito dopo la prima comunione, e quasi sempre dopo la confermazione,
rende materialmente difficile la comunicazione della comunità ecclesiale con la massa gio-
vanile e anche con gruppi ristretti di giovani. A mano a mano che si avanza verso la giovi-
nezza, le opportunità e i luoghi di incontro, dialogo e socializzazione religiosa diminuiscono.
La cultura della non credenza o dell'indifferenza religiosa, che i giovani respirano
nell'ambiente sociale, di studio o di lavoro, determina una insignificanza sociale e vitale del
religioso e dell'istituzione che lo rappresenta. I giovani elaborano la dimensione religiosa
privatamente, con criteri personali, in forma frammentaria, in funzione delle proprie esi-
genze. La comunità cristiana perde di importanza come riferimento obbligatorio per deter-
minare ciò che si deve credere o assumere.
Il linguaggio verbale che pretende di offrire contenuti logici con una spiegazione com-
pleta e coerente possiede un potere di convincimento molto relativo per determinare adesioni
e opzioni vitali. Oggi parlano il gesto, l'immagine, i simboli dello status, la promessa di
soddisfacimento e di felicità. Il card. Martini lava i piedi a dodici sieropositivi. E questo
parla più e meglio che una lunga spiegazione dottrinale sulla chiesa. Dubcek o Sakarov pos-
sono tenere desta per ore l'attenzione di migliaia di giovani in una conversazione che, dal
punto di vista concettuale, non ha contenuti diversi da quelli che gli stessi giovani non hanno
voglia di ascoltare dai professori. Non si leggono trattati, si ricevono messaggi in codici
vitali dei quali occorre possedere le chiavi.
Gli spazi umani dove il messaggio religioso diventa significativo sembrano essere la
soggettività e la solidarietà.
La prima spinge alla ricerca di senso, di unità e consistenza per la propria persona
(identità); offre un ancoraggio etico nella complessità della situazione attuale. Questi sono
bisogni personali non materiali, interrogativi impliciti e intuizioni germinali che toccano
profondamente la persona e non muoiono.
Dalla chiesa ci si aspetta un messaggio di orientamento, una indicazione di salvezza,
una testimonianza e una riflessione morale. Ma l'individuo si prende la libertà di accettare o
meno ciò che essa dice, a seconda che tali messaggi rispondono alle sue domande. Si com-
porta come un consumatore che acquisisce ciò che gli va bene.
La solidarietà appare come l'energia con la quale si può affrontare assieme le grandi
sfide di fronte alle quali oggi l'umanità e ogni società si trovano perplesse (ambiente, pace e
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armamenti, povertà ed emarginazione, aids...). La testimonianza di solidarietà opera nei con-
fronti dei giovani in due modalità: perché sono raggiunti da essa in situazioni difficili, o
perché tendono a manifestare l'impegno della fede attraverso la solidarietà.
L'ampio spazio giovanile si presenta all'azione pastorale con alcune tendenze comuni
che paiono conferirgli unità, e pertanto occorre tenere in debito conto la sua «subcultura».
Però risulta anche molto diversificato in ciò che si riferisce a scelte di vita e disponibilità nei
confronti della fede. Ci sono giovani impegnati, semplicemente praticanti, disponibili, vi-
cini, lontani per diversi motivi, estranei al linguaggio e alla realtà ecclesiale.
Altrettanto si può dire della situazione che caratterizza la crescita e lo sviluppo umano.
E quindi non bisogna operare soltanto in base a generalizzazioni.
3. Gli obiettivi della pastorale giovanile parrocchiale
Prima di pensare a qualsiasi attività o organizzazione occorre precisare le mete della
pastorale giovanile della parrocchia. La parrocchia abbraccia tutto il popolo di Dio. Come
missione giovanile abbraccia tutti i giovani del territorio.
Pertanto ordina gli obiettivi in modo diverso da come lo fanno una istituzione educa-
tiva cattolica (scuola, università), un oratorio-centro giovanile o un movimento ecclesiale.
Non bisogna confondere né identificare l'opzione giovanile della parrocchia con quella di
alcune di queste realtà o viceversa.
La parrocchia missionaria si propone quattro obiettivi scaglionati nella sua pastorale
giovanile:
* che l'evangelo di Gesù giunga a tutti i giovani del territorio come «buona notizia»;
* che coloro che si mostrano disponibili alla fede siano progressivamente iniziati al
mistero di Cristo e alla vita ecclesiale mediante una catechesi organica;
* che quelli che professano la fede si impegnino nella promozione della dignità della
persona, nel permeare evangelicamente l'ambiente e nella costruzione della comunità degli
uomini;
* che la comunità cristiana giunga a essere «segno e strumento» di salvezza per tutti,
ma specialmente per i giovani.
In questa enunciazione sintetica si vuole far vedere, in primo luogo, l'estensione
dell'opzione giovanile che fa la parrocchia: tutti i giovani, secondo le diverse fasi della cre-
scita biologica (preadolescenti, adolescenti, giovani), secondo la loro situazione di vita (stu-
denti, lavoratori, disoccupati, emarginati...), secondo la loro relazione con l'esperienza reli-
gioso-cristiana (non battezzati, lontani, disponibili, praticanti, impegnati).
Si sottolinea al tempo stesso la necessità di diversificare gli obiettivi secondo i livelli
di maturazione cristiana dei giovani per non escludere a priori quelli che possono fare sola-
mente un primo passo, né metterli tutti sullo stesso livello.
Si suppone che le iniziative si rinnovino continuamente a ognuno dei livelli. Il primo
annuncio occorre pensarlo e farlo con la medesima assiduità, frequenza e regolarità che si
usano per la prima comunione. E il problema principale che si trova ad affrontare la chiesa
di oggi che vive un tempo di evangelizzazione per la quale non ha potuto predisporre un
insieme di processi come li ha per l'iniziazione cristiana.
Perciò diventa interessante esplicitare in che cosa può consistere l'annuncio e il tipo di
risposta che ci si aspetta dal giovane d'oggi in ciascuno dei cerchi o livelli sopra descritti.
Prendiamo come punto di riferimento la gioventù (17-24 anni) e come variabile prin-
cipale la sua posizione nei confronti della fede.
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Il cerchio più ampio è costituito dai destinatari del primo annuncio, quelli che si deno-
minano «lontani». La lontananza è prodotta o fortemente condizionata da uno di questi fat-
tori: la situazione generale di vita come l'emarginazione sociale o culturale, la precarietà, la
mancanza di condizioni fondamentali di esistenza. In quelli che non sono toccati da queste
condizioni intervengono la polarizzazione nell'immediato e la dispersione nel superficiale,
la svalutazione della dimensione religiosa percepita soltanto sotto la forma cultuale o mora-
listica, il non aver avuto l'iniziazione cristiana fondamentale.
L'ipotesi è che non si dà il giovane irreligioso, ma che in alcuni comincia a maturare
una concezione agnostica dell'esistenza o una spiegazione culturale della fede.
Quali possibilità ci sono di far risuonare il vangelo come «novità» e buona notizia in
queste condizioni? La prassi di Gesù offre il modello. Egli ha degli atteggiamenti inattesi e
socialmente fuori delle norme nei confronti di alcune persone: l'adultera, i pubblicani, Zac-
cheo. Sono comportamenti che esprimono confidenza, apprezzamento, vicinanza. Con altri
ha dei gesti salvifici con effetti immediati di vita: guarigioni, liberazione da demoni. Ad altri
dice parole che tolgono energicamente da situazioni dove la persona si trova ben installata
perché non è consapevole del vero valore della vita. Le parole appunto aprono nuove pro-
spettive.
Questi sono i gesti e i segni di salvezza che la chiesa continua a compiere. Per alcuni
l'annuncio sarà la vicinanza, la solidarietà, l'amicizia che provoca cambio di atteggiamento
nei confronti di se stessi e della chiesa. Per altri si tratterà di farli passare dalla fissazione
nell'immediato e dalla dispersione nel superficiale alla percezione dei problemi fondamentali
dell'esistenza e a porsi domande di senso. Per altri diventa decisivo scoprire la ricchezza
della dimensione religiosa della vita e il valore dell'esperienza cristiana come forza storica
(i testimoni) o come opzione personale.
Allora essi forse riescono a uscire dall'indifferenza, superano la distanza che si è creata
rispetto al mondo religioso e si pongono interrogativi sulla fede e lo stile di vita a cui essa
dà origine.
Possiamo pure immaginare i passi che occorre proporre nel secondo cerchio.
Gli interlocutori sono i giovani della religiosità «light», religiosità di emozioni pas-
seggere e di convinzioni frammentarie, poco interessata alla conoscenza organica del mistero
cristiano («verità della fede»!) e senza preoccupazione per la coerenza di vita. Dentro di essa
ci sta tutto. Perciò non ci sono le crisi, gli entusiasmi o problemi che un tempo venivano a
galla nel periodo dell'educazione. I giovani di questo cerchio non sono contrari né disinte-
ressati ai problemi religiosi, ma «fedeli alla loro dichiarazione di indipendenza personale in
riferimento agli impegni istituzionali ed etici».
Hanno momenti di «emozione», impatto o riflessione religiosa, come folgori repentine.
Sono provocati da una persona (il Papa, Madre Teresa, Roger Schulz, ...) da un evento (ra-
duni giovanili, incontri personali, esperienze di volontariato, visita a missioni o a paesi di
estrema povertà...), da un problema personale o dell'ambiente (droga, situazione di abban-
dono di persone, impatto etico negativo), dal ritorno di quello che si era acquisito in una
buona iniziazione cristiana, da una prima riflessione matura sulla vita o su qualche problema
particolare.
La pastorale si propone di non perdere questo momento di curiosità, di impatto o inte-
resse intellettuale e di accompagnare questi giovani verso una maggior conoscenza di Cristo,
un maggior interesse per le sue parole e i suoi comportamenti, perché giungano a una ade-
sione stabile e, alla fine, all'opzione per Cristo stesso.
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37.9 Page 369

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La re-iniziazione al mistero di Cristo, la conoscenza organica della fede, l'illumina-
zione dei problemi umani a partire dalla fede, vanno un po' alla volta consolidando un modo
di pensare e di vivere cristiano (cultura cristiana!).
La persona supera l'«eclettismo» nei giudizi e nei comportamenti e si unifica attorno
alla fede. Si comincia allora a vivere nella chiesa, nella sua rete di relazioni; si fortifica il
senso dell'appartenenza e si comincia a partecipare alla sua missione.
La chiesa in questo processo assume una mediazione di straordinaria importanza. L'at-
teggiamento pastorale che si richiede è l'invito, l'accoglienza nei gruppi e comunità, il mo-
strare come la comunità cristiana valorizza e partecipa alla ricerca che i giovani compiono:
vieni e vedrai.
Il terzo cerchio, quello di chi «ci sta», dei praticanti, richiede alcuni passi di un itine-
rario perché la fede possa liberare tutte le sue potenzialità, la vita cristiana sia un'avventura
e non un obbligo, e perché la chiesa appaia come luogo di convocazione e segno di salvezza.
La fede e la pratica religiosa devono mutarsi in disponibilità per gli altri. Le chiese
coinvolgono questi giovani in una prima prova di servizio mediante il volontariato, i servizi
pastorali all'interno della comunità cristiana (catechisti, animatori), l'impegno in alcuni pro-
blemi sociali (disoccupazione, emarginazione, droga, carceri).
Ma la disponibilità occasionale, maturando, tende a diventare «passione» per la causa
dell'uomo e del Regno. Non basta aiutare. Occorre comprendere e assumere i problemi
dell'uomo e del mondo in tutta la loro ampiezza e profondità. Allora si scopre che la dona-
zione individuale e solitaria è solo relativamente utile e efficace. Si capisce che occorre in-
serirsi in movimenti ampi mediante la risposta a una vocazione.
Questo porta a superare una azione puramente «entusiastica», soggettivistica, «mora-
listica» e a elaborare una lettura critica e organica della realtà che orienta verso forme di
azione capaci di trasformare questa realtà a partire dalle cause dei dissesti. In questa dire-
zione lo sforzo di formazione cristiana tiene in debito conto al tempo stesso la mentalità, lo
stile di vita e il servizio della comunità, non puramente devozionale o caritativo ma ispirato
al realismo storico.
Una lagnanza di questi ultimi tempi è l'incapacità della comunità cristiana a generare
militanti, più che per l'evangelizzazione, per la presenza «cristiana» nella società. In questo
si manifesta dolorosamente la rottura tra fede e cultura, tra vita privata e impegno politico,
per cui risulta difficile andare al di là della «pratica religiosa» e riuscire a «pensare, vivere e
agire» secondo la fede.
Il quarto obiettivo mira a uno dei punti principali della pastorale. In effetti la comunità
cristiana è il soggetto dell'azione pastorale: è quella che la assume, la attua e la porta a com-
pimento. Senza la sua testimonianza e partecipazione la pastorale non giunge a realizzarsi.
Ma ne è anche l'oggetto: la pastorale ha come finalità quella di costruire la comunità,
farla crescere, convertirla in «messaggio» e segno che colpiscono e attraggono, e in stru-
mento di salvezza. Vuole allora fare nella e con la comunità cristiana un cammino di evan-
gelizzazione, di maturazione nella fede, di impegno verso l'uomo.
Di fronte all'opzione giovanile si pone la domanda sui passi che deve fare, l'immagine
che deve acquisire, le trasformazioni che deve compiere la comunità cristiana nella sua to-
talità per arrivare a essere convocazione e annuncio, «casa» e compagnia per i giovani che
intraprendono un itinerario di fede.
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37.10 Page 370

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4. Risorse e linee di azione
Quali mezzi e risorse occorre attivare in una parrocchia salesiana «normale» per avvi-
cinarsi a questi obiettivi? Verso quale direzione occorre orientare gli sforzi? Quali spazi di
incontri si possono creare?
4.1 Una comunità con vocazione giovanile
La prima risorsa è la comunità salesiana, con il parroco in testa: cioè che ogni membro
della comunità e tutti insieme, come nucleo corresponsabile dell'animazione della parroc-
chia, siano «esperti», specialisti della condizione giovanile e delle risposte pastorali che bi-
sogna dare. Tanto specialisti come lo sono quelli che si occupano delle scuole o dei centri
giovanili!
Il lavoro nella parrocchia non è un tirarsi indietro dal campo dei giovani, ma un'altra
forma di stare tra i giovani. La «specializzazione» non è condizionata dal fatto di lavorare
all'interno di una struttura. Ci deriva dalla vocazione stessa e dura tanto quanto la vita. «La
nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani: 'Basta
che siate giovani perché io vi ami assai'. Questo amore, espressione della carità pastorale, dà
significato a tutta la nostra vita»1.
La «grazia» vocazionale sviluppa in noi un insieme di dinamismi affettivi e di atteg-
giamenti pratici. Sono la simpatia per il mondo giovanile, per il suo carico di spontaneità e
imprevedibilità, per il suo idealismo e speranza, per ciò che i giovani rappresentano come
vita e futuro, per la presenza di Dio nella loro esistenza.
Tutto questo sbocca nella valorizzazione delle loro risorse: «in ogni giovane, anche nel
più disgraziato, vi è un punto sensibile che, se opportunamente attivato dalla confidenza e
dall'affetto, può convertirsi in fonte di energia per costruirsi». Ne risulta come conseguenza
la capacità di accoglienza del giovane con i suoi processi, non certamente lineari, con le sue
risorse che a volte paiono povere, con i suoi comportamenti, con il suo mondo.
Vocazione (grazia!), atteggiamenti e dinamismi affettivi si concretizzano in una reale
capacità professionale che porta ad una conoscenza seria e aggiornata della situazione gio-
vanile: della collocazione dei giovani nella struttura della società, delle ripercussioni di que-
sta collocazione sulla formazione della loro personalità, dei problemi che affrontano per ela-
borare i criteri e le scelte di vita, dei valori e stimoli che ricevono dall'ambiente, delle situa-
zioni particolari in cui alcuni di loro si trovano. Più che di informazione si tratta di una
«comprensione» della condizione giovanile in cui intervengono la conoscenza dei dati della
realtà, la visione di fede e l'esperienza di vita.
Il salesiano sviluppa questa capacità professionale con gli studi della formazione ini-
ziale, con la pratica pastorale negli ambienti e gruppi giovanili, con il frequente scambio
comunitario che aiuta a verificare e ad arricchire la propria percezione del mondo giovanile
con la conoscenza che ne hanno gli altri confratelli.
Può tuttavia succedere che questa preoccupazione sparisca dalla nostra prospettiva o
per l'età o perché deleghiamo la cura della gioventù ad altre persone e istituzioni o per la
routine di una pastorale che è diventata servizio religioso.
La prima condizione per una opzione giovanile è pertanto che la comunità salesiana,
responsabile dell'animazione di una parrocchia, si senta inviata ai giovani, faccia fiorire que-
gli atteggiamenti che sono tipici del nostro stile e mantenga aggiornata la sua competenza
con lo studio, l'attenzione la riflessione comune sul fenomeno giovanile.
1 C 14.
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38 Pages 371-380

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38.1 Page 371

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Dove questo avviene, la parrocchia, anche se non può organizzare attività giovanili
vistose e collettive, si trasforma in punto di riferimento per i giovani, perché i sacerdoti sanno
accogliere con lo stile e il linguaggio che i giovani si attendono. Con la sola parola che si
offre nella predicazione, l'accoglienza individuale, gli incontri occasionali nei luoghi più
svariati, la direzione spirituale, alcune parrocchie sono più «giovanili» di altre che dispon-
gono di grandi organizzazioni per la gioventù.
Le persone, anche senza strutture, incontreranno mille opportunità quotidiane, impre-
viste, a volte piccole, per offrire la loro parola e la loro disponibilità. Le strutture senza la
presenza e gli atteggiamenti delle persone, risultano poco efficaci e a volte controproducenti.
4.2 Una comunità cristiana educatrice
Il secondo ambito che occorre attivare per realizzare l'opzione giovanile è la comunità
parrocchiale.
L'opzione giovanile, lo ripetiamo, non può ridursi all'organizzazione di un settore, per
quanto completo e perfetto. Non si tratta solo di destinare un confratello per una certa «atti-
vità». Le cose camminano secondo criteri pastorali quando l'opzione giovanile è diventata
tema di vivo interesse, obiettivo assunto, vissuto e perseguito da tutta la comunità cristiana.
Il risultato più interessante è che la comunità adulta che si impegna corresponsabilmente
nell'opzione giovanile, beneficia essa stessa dello sforzo educativo e del dinamismo dei gio-
vani. Qui sta qualcosa di veramente originale! Più che uno sforzo degli adulti in favore dei
giovani, l'opzione giovanile è il cammino caratteristico di crescita di un'intera comunità cri-
stiana.
Qualcosa di nuovo accade quando la comunità accetta l'elemento giovanile come di-
namizzatore di tutta la sua vita e azione. Questo lo afferma un testo salesiano: «La parrocchia
salesiana costruisce la comunità parrocchiale tenendo in particolare conto i giovani. Il cari-
sma salesiano valorizza il momento giovanile quale momento di rinnovamento, di crescita e
di vitalità di tutta la comunità parrocchiale»2.
C'è una differenza rimarchevole tra una parrocchia «comune» con saloni per i giovani
e un'altra che, anche senza saloni, assume comunitariamente e condivide in forma cosciente
l'impegno di dare spazio ai giovani, di portare avanti un dialogo generazionale, accettare le
sfide inedite e al tempo stesso comunicare la fede e i valori già vissuti.
Quali sono gli aspetti che oggi occorre attivare perché si dia questa maturazione nella
comunità cristiana?
Alcuni sono quelli che si raccomandano per una buona pastorale degli adulti. Infatti il
primo passo per una pastorale giovanile efficace oggi è una buona pastorale degli adulti. Gli
adulti, oltre a contribuire in forma sostanziale a creare l'ambiente di crescita per i giovani (la
comunità!), costituiscono un possibile modello di identificazione parziale o totale.
Il presentare ora questi aspetti ci porterebbe per altri cammini. Li ricordiamo rapida-
mente: la disposizione ad ascoltare di nuovo l'evangelo come «buona notizia» di fronte a
situazioni inedite della propria vita o del contesto socioculturale, lo sforzo di essere comunità
cristiana, il concentrarsi sull'essenziale della fede imparando a relativizzare ciò che è secon-
dario per vivere positivamente le tensioni, il solidarizzare con la dignità delle persone e con
la giustizia nel proprio ambiente.
Però ci sono processi che hanno relazione più diretta con la gioventù. La parrocchia
che ha fatto l'opzione giovanile li programma e realizza con particolare attenzione: il far
2 CG 21, n. 139.
- 369 -

38.2 Page 372

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prendere coscienza della missione educatrice e abilitare a compierla nelle sue diverse forme,
l'assumere i valori, le «cause» e gli atteggiamenti che i giovani sentono come «evangelici».
Un passo più concreto consiste nel creare opportunità e forme mediante le quali si
rendono possibili l'incontro e il dialogo tra le generazioni. Per questo la comunità apre spazi
abbondanti all'espressione e alla corresponsabilità dei giovani nella vita parrocchiale. Gli
esempi abbondano: la partecipazione negli organismi parrocchiali e nella preparazione as-
sieme agli adulti di tutti gli eventi della comunità, l'apporto alla liturgia e alla preghiera, la
responsabilità in diversi servizi alla comunità e nell'ambiente.
Esprime più direttamente l'opzione giovanile la valorizzazione dell'attività educativa
e della presenza degli educatori nella comunità parrocchiale.
La comunità parrocchiale unifica il «ministero» dei genitori in seno alle loro famiglie,
l'azione di quelli che si dedicano per professione all'educazione nelle diverse istituzioni, il
servizio dei catechisti e degli altri agenti di pastorale, l'impegno dei cristiani attivi nel servi-
zio ai giovani in organismi sociali e politici.
Il dialogo tra queste persone e i giovani è stimolante e provocatorio. La crescita nella
fede è anche un processo di identificazione con modelli. La vita affrontata insieme ha capa-
cità di educare. Più che «prediche», la pastorale esige «pratiche» di come assumere l'esi-
stenza cristianamente. La comunità adulta educata e disposta a educarsi continuamente aiuta
a crescere secondo il detto che «si educa più per quello che si è che per quello che si dice».
Sarebbe un errore concentrare il ministero educativo-pastorale nel luogo fisico della
parrocchia o della scuola cattolica e limitarlo alle persone dei «chierici» e «religiosi». Certo,
queste persone occorre valorizzarle: c'è tutto un cammino da fare perché le istituzioni catto-
liche appaiano come l'espressione della capacità educativa della chiesa.
Ma tocca alla parrocchia anche motivare, sostenere e abilitare quelli che hanno rice-
vuto il carisma dell'educazione. Ci sono parrocchie che questo carisma lo hanno organizzato
come un dipartimento. Approfittando della sua competenza per iniziative di formazione in
favore dei giovani e padri di famiglia. Lo fanno intervenire nella programmazione parroc-
chiale con apporti specifici e financo elaborano con gli educatori orientamenti per tutta la
parrocchia. Essi sono come un radar che aiuta tutta la comunità a captare aspirazioni e pro-
blemi dei giovani.
La parrocchia intera dunque approfondisce la prospettiva educativa ed è preparata an-
che per contribuire con notevoli apporti nel dibattito pubblico che alcune situazioni giovanili
provocano tra gente di diversi credo e responsabilità.
L'esempio più completo lo abbiamo visto nel piano triennale di educazione lanciato
dall'Archidiocesi di Milano, con implicazione familiare e popolare ottenuta mediante forme
semplici di comunicazione.
Alcune parrocchie sono rappresentate stabilmente da questi educatori in organismi so-
ciali e culturali del quartiere e della città, interessati alla promozione della gioventù.
4.3 Un ambiente giovanile di educazione ed evangelizzazione
C'è tuttavia un luogo e una istituzione dove l'opzione giovanile della parrocchia sale-
siana si rende visibile, dove si realizza e porta a compimento il dialogo tra le generazioni,
dove si esprime in forma concentrata la preoccupazione educativa della parrocchia: è l'ora-
torio- centro giovanile.
- 370 -

38.3 Page 373

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Dicono i Regolamenti all'art. 26: «La parrocchia affidata alla Congregazione... consi-
deri l'oratorio e il centro giovanile parte integrante del suo progetto pastorale»... come «Ele-
mento necessario e insostituibile della nostra presenza nella parrocchia»3, diceva il CG 21.
Tutte le parrocchie che privilegiano la gioventù assumono le linee di azione che ab-
biamo presentato prima. Ciò che è più tipico dell'opzione giovanile salesiana è la presenza
immancabile dell'oratorio-centro giovanile. Esso offre in forma concentrata il progetto e lo
stile per cui la parrocchia salesiana si propone di essere «casa che accoglie, chiesa che evan-
gelizza, scuola che avvia alla vita, cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria»4;
supera l'«immagine religiosa» della parrocchia e si presenta come servizio alla vita piena,
come educatrice della persona e della comunità dalle prospettive della fede.
La formulazione dei Regolamenti precisa due applicazioni: nell'organizzazione dell'o-
pera salesiana, locale o ispettoriale, l'oratorio-centro giovanile deve collegarsi organica-
mente con la pastorale della parrocchia, più che considerarsi complemento del collegio o
espressione dell'iniziativa individuale di un confratello.
D'altra parte ogni parrocchia salesiana deve essere dotata di questo ambiente. Per la
Congregazione questo è tanto importante che negli Atti del Consiglio Generale, al n. 326 si
dice: «Il secondo frutto del centenario dovrebbe essere l'adempimento, caso per caso, del
mandato regolamentare... Per quanto riguarda la sistemazione di quello che già abbiamo, è
conveniente rivedere la situazione delle parrocchie per arricchire ognuna con le attività del
centro giovanile. Per ciò che riguarda il futuro, sarà necessario accettare soltanto quelle par-
rocchie che per la loro collocazione geografica e sociale e per la disponibilità di ambienti e
di personale ci consentono, insieme alla cura generale della popolazione, di offrire ai giovani
l'ambiente oratoriano»5.
Questo potrebbe essere il nostro apporto come Congregazione all'arricchimento della
pastorale parrocchiale della chiesa. In alcune diocesi l'oratorio è un obbligo per tutte le par-
rocchie. Lo si vede come l'unico luogo di ampia socializzazione cristiana, aperto alla massa
dei preadolescenti, disponibile per gli adolescenti che cercano di compiere un cammino di
crescita a cominciare dai livelli più bassi, proposto ai giovani impegnati. Diffonderlo, qua-
lificarlo e aggiornarlo è compito dei salesiani.
Per una riflessione completa sul valore dell'oratorio-centro giovanile nella comunità
cristiana e nel territorio e sulla sua organizzazione e funzionamento, occorre riprendere tutto
il materiale elaborato negli ultimi incontri sul tema, qui e in altre parti del mondo.
Ora d interessa ricordare solo alcune caratteristiche che hanno relazione con quello che
stiamo trattando.
L'oratorio-centro giovanile è un ambiente, imo spazio fisico che offre proposte varie
ricreative, culturali, catechistiche, di impegno sociale e cristiano. Proprio per questa possi-
bilità molteplice è aperto a tutti gli interessi dei giovani e a tutti i giovani che vogliono com-
piere un cammino. È al tempo stesso ambiente di accoglienza, di prevenzione, di educazione
e di evangelizzazione progressiva.
Ma più che spazio fisico e installazioni per attività, è una comunità. Non lo rappresenta
bene l'immagine di un «incaricato» con molti ragazzi che giocano insieme. L'oratorio è un
luogo dove convivono giovani e adulti che crescono e si impegnano insieme, articolato in
gruppi per quanto aperto alla massa. Per questo si costituisce come luogo di dialogo tra le
generazioni. Gli adulti partecipano nelle più svariate attività purché abbiano come finalità di
3 Cf. CG21 n. 139b.
4 C 40.
5 ACG 326 (1988), p. 40.
- 371 -

38.4 Page 374

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convivere e condividere coi giovani: sono organizzatori, animatori, catechisti, assistenti, vi-
sitatori, curiosi,
La selezione, la formazione professionale e cristiana, il senso dell'appartenenza eccle-
siale, la capacità educativa, il lavoro come comunità degli adulti è il primo dei compiti dell'o-
ratorio. Più che gli edifici o le attività, gli adulti animatori danno il tono all'ambiente.
L'oratorio-centro giovanile è una «missione aperta» per i giovani del quartiere. È dun-
que un centro dove i ragazzi arrivano e da dove si irradiano iniziative e messaggi verso quelli
che ancora sono lontani, da dove si stabiliscono presenze in altri luoghi dove i giovani si
incontrano. E concentrato in un ambiente e al tempo stesso sparso nel contesto sociale.
Dal momento che è «missionario educativo», si colloca come punto di incontro tra la
comunità ecclesiale e la società civile, interessate entrambe al problema giovanile. Non è
solo per la catechesi, o per le attività orientate alla catechesi. Si dirige a quelli che non sanno
a quale parrocchia appartengono e assume tutti i problemi che toccano la vita dei giovani.
D'altra parte l'«evangelizzazione» costituisce la sua finalità. Perciò offre a tutti e con-
tinuamente l'annuncio di Cristo in diverse forme secondo i livelli dei giovani.
È più laico della parrocchia e più religioso della società civile. Per questo la sua effi-
cacia non si misura solo dal compimento degli obblighi religiosi da parte dei giovani, ma
con il criterio più ampio dell'evangelizzazione progressiva dei ragazzi meno favoriti, la di-
gnità che si va acquistando nell'incontro fra le persone, la capacità di suscitare interessi va-
lidi, la costruzione della solidarietà.
4.4 Gruppi e movimenti ecclesiali
Un'altra risorsa della pastorale giovanile organica ha relazione con l'oratorio-centro
giovanile, anche se non si sviluppa totalmente all'interno della sua struttura: sono i gruppi e
i movimenti ecclesiali. Ve ne sono per ambienti, per spazi geografici, per preferenza di spi-
ritualità, per esigenze di servizi. Alcuni recepiscono diverse età e condizioni, altri sono esclu-
sivamente giovanili, altri hanno un ramo giovanile con autonomia di programmazione. Ve
ne sono di interparrocchiali e nazionali. Però niente impedisce che la parrocchia stessa formi
i suoi gruppi.
È chiaro che non prendiamo in considerazione i gruppi di bambini e adolescenti della
catechesi abituale, ma altri raggruppamenti che sorgono in funzione dell'evangelizzazione,
la comunione o il servizio della carità nella parrocchia.
Le chiese particolari hanno dimostrato diverse preferenze: alcune favoriscono i movi-
menti «internazionali», altre preferiscono le comunità o gruppi che si originano dentro la
comunità parrocchiale.
C'è stata una dialettica tra le parrocchie e i movimenti, oggi in parte risolta, almeno
teoricamente, dalla Christifideles laici6 e dalla Pastores dabo vobis7. È probabile che si possa
giungere a una sintesi in cui ciascuna parte assuma qualcosa del nuovo che sta avvenendo
nella chiesa. La parrocchia dovrà superare la mentalità di «quartiere» o di «villaggio» ed
inserirsi in uno sforzo universale di spiritualità e di penetrazione del Vangelo negli ambiti a
cui difficilmente giunge da sola.
I movimenti dovranno partecipare alla vita della comunità senza pretese di «titoli di
nobiltà»; e soprattutto dovranno dare un apporto specifico proprio, ma secondo i criteri e gli
6 Cf. ChL n. 29-32.
7 Cf. PDV n. 68.
- 372 -

38.5 Page 375

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obiettivi che la pastorale locale ha elaborato in contatto con la realtà da evangelizzare, ri-
nunciando a presentarsi con «direttive o consegne» speciali da parte dello Spirito o della
Chiesa universale.
Nel Documento n. 3 Elementi e linee per un progetto educativo pastorale nelle par-
rocchie rette da salesiani c'è una criteriologia sui movimenti ecclesiali8, a cui indirizziamo
per non allontanarci dal tema.
La problematica dei gruppi giovanili è solo in parte eguale a quella dei movimenti
ecclesiali generali. La formazione, strutturazione e inserzione dei gruppi giovanili nella par-
rocchia presentano aspetti propri e sono quelli che ci interessano.
La pluralità è una necessità. In effetti i gruppi nascono per soddisfare urgenze perso-
nali, come la preghiera, l'approfondimento dottrinale, l'esperienza comunitaria; o per portare
avanti iniziative di servizio nell'ambiente. Costituiscono il ponte tra il centro giovanile e il
contesto: hanno la loro base nel centro ma agiscono con una certa autonomia nel territorio.
La preoccupazione «pastorale» è che i gruppi arrivino a essere luoghi di crescita cri-
stiana integrale. In tal caso dovranno affrontare la problematica di una fede adulta: cultura,
etica, questioni sociali, politica. Possono scatenare tensioni ed essere focolai di conflitti. Le
chiese e i pastori devono essere disposti ad accettare qualcosa più dell'«obbedienza» o della
«devozione». La giovinezza è tempo di elaborazione e di prova. Occorrerà accompagnare
questi gruppi moderando sbocchi negativi o tendenze non equilibrate (elitismo, segrega-
zione, spiritualismo, radicalizzazione politica). Soprattutto occorrerà pensare più organica-
mente un itinerario di formazione che ordini le esperienze dei giovani e le illumini con la
riflessione di fede9.
La interrelazione dei gruppi tra di loro e con la grande comunità parrocchiale, che si
costruisce con orientamenti e momenti comuni, è indispensabile per evitare la «privatizza-
zione» dell'esperienza cristiana. In alcune parrocchie, oltre che considerarla necessaria per-
ché il gruppo possa esistere, l'hanno formalizzata in un organismo parrocchiale.
L'animazione dei gruppi suppone nei pastori una valorizzazione dei laici. E di conse-
guenza, la capacità e la preoccupazione di formarli. Ad essi effettivamente occorre affidare
la responsabilità del dinamismo e della coordinazione dei gruppi. L'opzione giovanile sup-
pone allora la capacità di coinvolgere molti collaboratori convenientemente informati e co-
stantemente preparati.
Finalmente i gruppi, come tutta la comunità cristiana, sono per il mondo. La pastorale
stimola la loro presenza attiva nel contesto umano con un impegno conforme alla loro pro-
pria identità, ai bisogni concreti del territorio e alle opzioni della chiesa.
4.5 La pastorale di zona
I gruppi e i movimenti ci conducono a un'altra risorsa che conviene utilizzare per rea-
lizzare l'opzione giovanile della parrocchia: la pastorale di zona. I giovani appaiono meno
identificati con le istituzioni stabilite, siano esse civili o religiose. Si uniscono d'altra parte
per una certa solidarietà generazionale meno manifestata oggi che dieci anni fa, ma che ri-
mane nella sensibilità comune verso certi valori e modalità di vita.
Le iniziative di una parrocchia non possono fare tutto. Ci sono proposte e situazioni
che richiedono di agire a livello di zona. Ce lo ricordava il CGS 20: «Oggi che i sacerdoti in
8 DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. Elementi e linee per un progetto educativo-pastorale
nelle parrocchie affidate ai salesiani. Roma: [s.e.], 1980. Sussidio 3, p. 16-17.
9 Cf. J.E. VECCHI & E. MAIOLI. L'animatore salesiano nel gruppo giovanile. Roma: Editrice S.D.B,
1987.
- 373 -

38.6 Page 376

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cura d'anime sono sempre più chiamati a svolgere il loro servizio in forma più collegiale
(consigli presbiterali), inseriti in unità pastorali più ampie (zone, decanati, vicariati), o man-
dati a particolari settori (mondo del lavoro, delle migrazioni, ecc.), i salesiani devono sentirsi
missionari dei giovani e degli ambienti popolari in forma più duttile»10.
Ci sono nuovi luoghi di socializzazione giovanile e nuovi circuiti di circolazione di
messaggi; ci sono nuovi processi di trasmissione delle esperienze di vita e nuove forze che
intervengono nella formazione delle evidenze collettive che costituiscono la cultura. Ci sono
«santuari» dell'esperienza religiosa giovanile dove si accorre da tutte le parti; ci sono
«cause» per le quali i giovani si uniscono a distanza; ci sono concentrazioni massive a cui
partecipano giovani di diverse parrocchie e regioni.
La parrocchia ha smesso di essere «sufficiente» a soddisfare tutti gli interessi, anche
solo religiosi, come ha smesso di esserlo «il paese» per l'educazione e, in certa misura, la
stessa nazione per la cultura, gli interessi scientifici e certi progetti politici.
Non sarebbe difficile riempire pagine per dare fondamento a questo asserto e per de-
scrivere le sue manifestazioni quotidiane.
Noi tiriamo solo tre conclusioni: è necessario osservare la realtà giovanile e studiare
risposte pastorali anche in ambito ampio, interparrocchiale, diocesano, nazionale; è urgente
che noi, sacerdoti e agenti di pastorale di parrocchie che compiono l'opzione giovanile, par-
tecipiamo alla progettazione e realizzazione di questa pastorale ampia, considerandola una
dimensione «normale» dell'azione ecclesiale oggi; è necessario aver cura della comunica-
zione sociale verso il mondo giovanile.
Quest'ultimo non occorre intenderlo in primo luogo come uso dei grandi strumenti
della comunicazione di massa né ridurlo all'intervento di pochi esperti, «commissionati per
tale compito»; ma come la capacità dei gruppi e dell'intera comunità di far giungere messaggi
all'ambiente umano mediante ima presenza significativa, con un linguaggio di «fatti», gesti
e parole capaci di influire sulla mentalità della gente.
«Nel territorio che è intessuto di relazioni... lo stile di presenza e i fatti hanno una
risonanza collettiva. Sono importanti non solo i risultati di una azione pastorale, ma la capa-
cità di alcuni gesti di convertirsi in modelli di riferimento, in 'segni' di determinati valori, in
'messaggi' che costruiscono opinione e criterio»11.
I fatti e il loro significato circolano e arrivano a essere comuni e condivisi mediante
l'uso dei canali della comunicazione di massa. Con essi si può mobilitare un alto potenziale
di influsso sociale, diffondendo idee, liberando energie di bene, facendo convergere nume-
rose forze al servizio della comunità umana. L'opzione giovanile attiva questa risorsa, se-
condo le proprie possibilità, a servizio della crescita umana e cristiana dei giovani.
5. Elementi organizzativi
Da tutto ciò che abbiamo detto scaturiscono due conclusioni.
Non esiste «un'immagine unica» di parrocchia, e pertanto non c'è un'unica realizza-
zione dell'opzione giovanile. L'uniformità è puramente esterna: una chiesa, un parroco, al-
cune funzioni. La pastorale concreta ci fa pensare in «campi di missione», diversi per tipi di
popolazione, mezzi di cui si dispone, situazione della comunità cristiana, problemi che af-
fronta la comunità degli uomini.
Di conseguenza, e questa è la seconda conclusione, si avverte la necessità di concepire
la pastorale e le pastorali in forma «organica», integrando e potenziando, includendo più che
10 CGS20 410.
11 Cf. La comunità salesiana sul territorio: presenza e missione, p. 77.
- 374 -

38.7 Page 377

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escludendo ciò che fanno i vari gruppi e operatori, moltiplicando e coniugando le iniziative
di cui è capace la totalità della comunità cristiana in un determinato ambito in ordine ad
alcuni obiettivi fondamentali.
È chiaro che se non si tratta di «adempiere» determinati compiti, ma di dare una rispo-
sta adeguata alla situazione, gli elementi organizzativi non sono secondari. La comunione e
la missione si sono espresse e sviluppate sempre con l'appoggio indispensabile delle strut-
ture. L'organizzazione ecclesiale è un esempio. Le strutture creano mentalità e danno conti-
nuità.
L'opzione giovanile che caratterizza la parrocchia salesiana sarà solo un «desideratum»
(e non dico che sia inutile anche solo restare a questo livello) se non conta su di una orga-
nizzazione che dà unità e continuità alle diverse realizzazioni.
L'esperienza ha indicato quattro elementi di questa organizzazione.
In primo luogo una persona che nell'équipe di animatori si dedichi alla gioventù per
scoprire tutte le possibilità e mettere in moto tutte le forze disponibili. Una proposta del 1971
diceva: «Direttore dell'oratorio o centro giovanile è il vicario parrocchiale incaricato del set-
tore giovanile»12.
Ciò suppone un certo modo di intendere l'oratorio e anche una capacità di lavorare in
comunione, senza settorializzare una particolare attività con i giovani: lavorare tenendo
come riferimento principale le persone e gli obiettivi, più che i ruoli e le strutture.
Il secondo elemento è una programmazione totale dell'area giovanile. In essa si traccia
la situazione giovanile della parrocchia. Le banche di dati e gli studi sociologici e pastorali
aiutano in questo momento a farsi un'idea sufficientemente completa di questa situazione.
La parrocchia stabilisce priorità tra iniziative che già sta sviluppando in favore dei
giovani chiarendo bene gli obiettivi e migliorando la loro qualità. Ne programma altre che
le sono possibili cercando di raggiungere i diversi cerchi di cui abbiamo parlato, privile-
giando gli aspetti che possono dinamizzare la comunità.
L'animazione di diverse attività e il coordinamento di molti sforzi di gruppo e personali
richiederanno una commissione ampia di pastorale giovanile. Serve come luogo di forma-
zione e per far convergere verso gli obiettivi le diverse aree in cui si vanno creando iniziative
(annuncio, catechesi, liturgia, servizi, centro giovanile, gruppi...). Già nel 1981 era stata data
questa indicazione: «Il settore di pastorale giovanile, mentre si differenzia in obiettivi, me-
todologia, attività e operatori, senza staccarsi dalla pastorale d'insieme, non potrà che trarre
benefìcio se può contare su di un consiglio, équipe o gruppo di animatori che condividono
la responsabilità, studiano insieme le linee da seguire e le iniziative da sviluppare e ampliano
il raggio di azione per raggiungere il numero più grande possibile di giovani»13. È opportuno
che questa commissione abbia carattere pubblico e sia parte integrante dell'organizzazione
parrocchiale.
Finalmente occorre favorire la presenza del settore giovanile nel consiglio pastorale
della parrocchia. Ci sono consigli in cui l'elemento giovanile è rappresentato in vari modi:
giovani, operatori nel settore dei giovani, educatori. Mediante la partecipazione al consiglio
pastorale (anche se non solo!) i giovani esercitano la corresponsabilità, entrano in dialogo
con gli altri componenti della comunità e dinamizzano con i loro apporti la vita della parroc-
chia.
12 Cf. CGS20 432.
13 DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. Elementi e linee per un progetto…, p. 25.
- 375 -

38.8 Page 378

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42. L'EDUCAZIONE ALL'AMORE SECONDO L'INSEGNAMENTO SALE-
SIANO NEL POST CONCILIO
Vecchi, J.E., L'educazione all'amore secondo l'insegnamento salesiano nel post concilio in Dicastero per la pastorale giova-
nile. «Educare all'amore». Atti XVI Settimana di Spiritualità per la Famiglia Salesiana: Roma, 25-29 gennaio 1993. Roma,
Editrice S.D.B, 1993, p. 75-96.
1. Chiarimenti. - 2. Alcune condizioni per educare all'amore. - 3. Indicazioni per un itinerario. - 4. Gli ambiti di comunicazione.
1. Chiarimenti
Mettiamo a fuoco, in primo luogo, l'oggetto preciso di questo intervento. Amore com-
prende una gamma estremamente ampia di significati. Ne sono prova i romanzi, i film, le
trasmissioni televisive, le conversazioni correnti. Ma non di meno i trattati scientifici e gli
stessi documenti della Chiesa nei quali ricorre modulato in toni e chiavi diverse, sebbene
coerenti. Riferito all'educazione tocca molti aspetti dello sviluppo della personalità. Rappor-
tato alla crescita cristiana richiama i contenuti dottrinali e le pratiche di vita sottese al termine
«carità». Tali contenuti e pratiche vanno dalla concezione stessa di Dio e del suo rapporto
con l'umanità fino al comportamento quotidiano del cristiano in ogni ambito di vita.
C'è un collegamento tra tutti questi significati, manifestazioni e pratiche. Non inten-
diamo ignorare la ricchezza di aspetti che conformano l'esperienza dell'amore né trascurare
l'interdipendenza che esiste tra di loro. Ma abbiamo di mira, in forma diretta, e quasi con-
centrata, quello che a volte viene chiamato l'amore umano1, cioè l'educazione della sessua-
lità, la sua integrazione serena e matura nella propria identità, il rapporto uomo-donna su
criteri di vicendevole arricchimento e reciprocità, la sua realizzazione nel matrimonio, in
una vocazione di servizio o nella castità consacrata, la responsabilità verso la vita.
Verso questo punto particolare, non isolato né indipendente dagli altri, ci orienta il CG
23 dei SDB quando colloca l'educazione all'amore come cartina di tornasole e banco di prova
dell'incidenza che la fede ha sulla vita2. È impossibile parlare dell'amore nel senso soprad-
detto senza imbattersi, e non in forma tangenziale ma frontalmente, con il tema della sessua-
lità. La Congregazione per l'Educazione Cattolica traduce gli orientamenti educativi sull'a-
more umano in «Lineamenti di educazione sessuale», facendo perno sul termine educazione,
che non si limita all'informazione, e ridisegnando la funzione della sessualità stessa nello
sviluppo umano e cristiano. Essa va liberata da ogni senso riduttivo e interpretata, secondo
quanto suggeriscono numerosi studi scientifici e documenti della Chiesa, come «una com-
ponente fondamentale della personalità, del suo modo di essere, di manifestarsi, di comuni-
care con gli altri, di sentire e di vivere l'amore umano»3.
Un secondo chiarimento da premettere riguarda l'insegnamento salesiano. È solo uno
squarcio, e forse ridotto, del panorama che la Congregazione offre in fatto di educazione
all'amore. La prassi educativa appare molto più ricca in contenuti e metodologie, programmi
e itinerari, motivazioni ed esperienze, vocabolario e approcci. L'insegnamento si presenta
sintetico e riassuntivo, alcune volte generico e scontato, mentre l'esperienza di non pochi
1 Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano. Li-
neamenti di educazione sessuale, Roma: Tipografia Poliglotta Vaticana, 1983.
2 Cf CG23 192-202.
3 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano…, n.
4.
- 376 -

38.9 Page 379

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salesiani che sono orientatori, animatori di gruppi, confessori, direttori spirituali di giovani
appare personalizzata, originale dentro la criteriologia cristiana, aderente alla vita.
Alla prassi portata avanti da persone singole, particolarmente attente o dotate, bisogna
aggiungere la riflessione e il materiale elaborato dai centri di proposta4, che non rientrano
«nell'insegnamento salesiano», come viene inteso nel titolo di questa relazione. Tra i due,
l'insegnamento e la prassi, c'è continuità e vicendevole alimentazione. Il primo segna l'orien-
tamento comunitario. Ma la seconda lo supera di gran lunga in ricchezza. Ciò sembra dovuto
alla natura stessa dell'argomento, che nel momento applicativo diviene estremamente perso-
nale, mentre lontano da tale momento si presta poco ad uno sviluppo dettagliato. È pure una
abitudine o forse una norma implicita dei salesiani il rispettare questo carattere riservato del
tema ed essere stringati piuttosto che prolissi nei documenti pubblici, consapevoli che già
esistono orientamenti e istruzioni autorevoli e convinti che per capire bastano gli accenni.
Di Don Bosco già si rileva che è difficile trovare in lui una «qualche teorizzazione» a pro-
posito dei fenomeni della pubertà e della purità dei giovani; e che invece «le espressioni che
si hanno sottomano... sono termini generici che assumono il loro significato dall'accosta-
mento a specifiche situazioni»5.
L'insegnamento salesiano del post Concilio sull'educazione all'amore si trova per la
maggior parte sparso, come seminato in altre tematiche. Si presenta dunque in tasselli, la cui
collocazione in un disegno unico può essere capita da colui che è già in possesso di una
sensibilità e di una tradizione. In tale situazione si trovano gli interlocutori dei documenti
della Congregazione. Ad altri invece possono apparire slegati e ricorrenti.
Ci sono però alcuni testi che trattano l'argomento direttamente6. Neppure essi hanno la
pretesa di sistematicità e completezza. Non sono progetti né programmi pedagogici per l'e-
ducazione all'amore. Ma soltanto stimoli a far attenzione, «indirizzi di lavoro», «guida» e
indicazione di criteri fondamentali. E in qualcuno ciò viene esplicitamente dichiarato7.
Anche il termine «educazione» va commentato se si vuole essere precisi nell'analisi.
Esso dà la chiave di lettura, l'aspetto formale della riflessione. Non si tratta semplicemente
di vedere come i principi morali e l'ideale cristiano vengano riespressi o quali siano i canali
per la sua diffusione. Educazione vuol dire assumere la situazione concreta del soggetto,
concepire traguardi a media e lunga scadenza fino a quelli finali, proporre percorsi praticabili
ed esperienze che risultano convincenti per i giovani, immaginare un cammino da livelli
infimi a quelli più progrediti, valutare la crescita nell'amore in un consolidarsi della perso-
nalità secondo le risorse che ciascuno ha per affrontare la vita. Alcuni saggi con pretese
educative, infatti, non oltrepassano i semplici principi antropologici o l'esposizione dei con-
tenuti dell'etica naturale e cristiana.
4 Cf. NPG (1992) 2, voci: Amore, Famiglia, Donne, Sessualità; Misión joven, Indice di temi 1989,
voci: Noviazgo, Sexualidad, Mujer.
5 Cf. P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, PAS-Verlag 1969, vol. II, pag.
240-274; P. BRAIDO, Il Sistema Preventivo di Don Bosco, PAS-Verlag 1964, parte terza, c. IV «Edu-
cazione alla castità», pp. 289 e 311-312.
6 I due testi più espliciti e completi sono: «Educazione all'amore e alla purezza», CG19; ACG 244, p.
194-199; «Educazione all'amore», CG23 nn. 192-202. Ad essi si possono aggiungere: CGS20, «Pro-
gressiva maturazione del giovane. Gruppi misti», n. 354-355; ACG 299, «Appelli del Sinodo 80»,
specialmente pp. 12-17; FMA, CG19, 3.3: «Educazione delle giovani, ricerca dell'identità e del com-
pito storico della donna», p. 59-64.
7 Cf. CG19, ACS 244, p. 194.
- 377 -

38.10 Page 380

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Il riferimento al post Concilio poi circoscrive un periodo cronologico (1965-1992), ma
soprattutto richiama una temperie culturale che in fatto di «amore» è segnato da una vertigi-
nosa evoluzione verso la soggettività, la liberalizzazione, la privatizzazione, l'uso pubblici-
tario, il consumo.
Il Concilio ha aperto una tematica molto feconda in merito. Possiamo ricordare quanto
si riferisce all'amore coniugale e alla sua nuova collocazione entro i fini del matrimonio, alla
valutazione della sessualità come dimensione strutturale della persona, alla considerazione
positiva delle ricerche scientifiche destinate a produrre modifiche nel giudizio morale sui
comportamenti, ai problemi che riguardano la responsabilità di fronte alla vita8.
Dopo il Concilio si è sviluppata una spiritualità dell'amore umano. Le sue espressioni
sono un'ampia riflessione teologica, la ormai diffusa pratica pastorale di preparare alla vita
di coppia con il concorso di discipline e professionalità varie, diversi movimenti ecclesiali
che accompagnano sposi e genitori. Il Sinodo dei Vescovi sulla famiglia e la susseguente
Esortazione Apostolica Familiaris consortio hanno aggiornato queste tematiche; e così pure
le Istruzioni che riguardano la morale, la coscienza, la sessualità. Sintesi rapide vengono
incluse in altri documenti9.
Più in particolare il Gravissimum Educationis raccomanda che i fanciulli e i giovani...
ricevano «a mano a mano che cresce la loro età una positiva e prudente educazione ses-
suale»10. I già citati orientamenti educativi sull'amore umano della Congregazione per l'E-
ducazione Cattolica adempiono a questa direttiva con una proposta pedagogica sostanzial-
mente completa.
Nel frattempo l'evoluzione del costume non si è fermata. In nome dei «diritti civili» e
della libertà di espressione ha posto, alla morale e all'educazione, senza sosta nuovi interro-
gativi riguardo all'amore, alla sessualità, alla vita.
I detonatori delle nuove urgenze educative sembrano essere due. In primo luogo la ca-
duta dei controlli sociali sui comportamenti che riguardano l'amore all'inizio del periodo che
ci preoccupa (decade 60-70) rimanendo però saldi un certo numero di riferimenti morali
socialmente condivisi. E in seguito (decade 80-90) la liberalizzazione in «senso etico», cioè
la tendenza a gestire ed esprimere la propria sessualità e il proprio amore secondo criteri
soggettivi, la perdita di autorevolezza sociale dell'etica cristiana, la tolleranza, anzi l'indi-
scriminazione pubblica delle scelte personali riguardo all'amore, alla vita di coppia. Questa
tendenza diffusa attraverso la stampa, le espressioni letterarie, gli spettacoli porta a conside-
rare le deviazioni e trasgressioni come normali manifestazioni di scelte o condizioni diffe-
renti.
«Si tende facilmente a negare o ignorare la dimensione etica del problema sessuale per
privilegiare la dimensione psicologica o culturale: ci si preoccupa di come vivere in modo
appagante e psichicamente sano la propria sessualità»11.
Fiancheggiando questo sviluppo socio culturale, la riflessione morale ha rivolto una
nuova attenzione al posto centrale della persona. Atti e abitudini vengono valutati nello sno-
darsi della evoluzione positiva o negativa della persona piuttosto che giudicati in forma iso-
lata, quasi astratta. Si fa pesare molto di più nel giudizio morale la situazione in cui si trova
il soggetto che deve risolvere il problema del suo equilibrio e la sua sussistenza. Tutto ciò
8 Cf GS nn. 48-52.
9 Cf ChL nn. 38.40; 49-50.
10 GE 1.
11 G. GATTI, Sessualità in Istituto di Teologia Pastorale. Università Pontificia Salesiana, «Dizionario
di Pastorale Giovanile», Torino, LDC, p. 982.
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39 Pages 381-390

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39.1 Page 381

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comporta forte rischio di relativismo, ma soprattutto induce problemi educativi inediti ri-
guardo alla formazione della coscienza, al valore delle norme naturali e delle indicazioni
evangeliche, alla valutazione degli atti umani, ai punti di forza sui quali lavorare per riuscire
a creare convinzioni e atteggiamenti.
Determinante nella evoluzione del costume e della mentalità è stato il movimento di
promozione della donna nei suoi risvolti positivi e anche in quelli devianti (questione dell'a-
borto, «il corpo è mio e lo gestisco come voglio»). Oltre alla copresenza e partecipazione in
tutti i campi dell'attività umana finora interdetti alle donne, esso ha consolidato il criterio di
uguaglianza di dignità e diritti riguardo all'amore e al matrimonio, di complementarità, di
reciprocità, di espressione aperta della soggettività femminile. Ha modificato teoricamente
e praticamente il rapporto di coppia e il ruolo maschile nelle manifestazioni della sessualità
e dell'amore.
Ne prende atto il CG 19 delle FMA: «È necessario considerare il processo di trasforma-
zione dell'identità e del ruolo maschile e femminile. Tale processo si riferisce in modo espli-
cito alle giovani, la cui identità risulta nuova rispetto ai modelli precedenti. Riguarda però
anche l'identità maschile che, mentre risente del mutamento dell'immagine femminile, di-
venta a sua volta condizione per un sereno ed equilibrato processo di riconoscimento dell'i-
dentità della donna»12.
Ad esso la Chiesa ha risposto con l'Enciclica Mulieris dignitatem, che offre dunque con-
tenuti e spunti da non perdere nell'educazione.
Si può ancora aggiungere, ma il quadro presentato rimane sempre soltanto indicativo, la
nuova sensibilità verso il corpo come strumento di espressione, sede di godimento, oggetto
di osservazione e di cura estetica. Vengono superati tutti i limiti precedenti del pudore, si
decolpevolizza la presentazione pubblica del corpo (cf. film, spettacoli, turismo) e le sensa-
zioni che l'accompagnano. Il mercato si riempie di offerte per migliorare il suo aspetto (body
building, medicina estetica, cosmesi).
Come conseguenza di questa evoluzione i temi dell'amore, della sessualità, della corpo-
reità, della vita sono più presenti nel quotidiano di adulti e ragazzi; le impostazioni e inter-
rogativi vengono espressi in forma più concreta, meno «idealistica»; il linguaggio che si
adopera è più diretto e libero.
La risposta pedagogica istituzionale è stata l'obbligatorietà dell'educazione cosiddetta
«sessuale» in tutto il periodo scolastico. Essa si presenta sotto segni diversi. Ma secondo una
visione cristiana «promuove... la potenzialità oblativa, cioè le capacità di donazione, di
amore altruistico»13 e ha in vista «la piena maturità spirituale, alla quale i credenti sono
chiamati»14.
2. Alcune condizioni per educare all'amore
E i salesiani come si sono mossi?
A diverse riprese, quasi fosse «una professione di fede» i salesiani affermano che «come
individui e come Congregazione... hanno un messaggio speciale di purezza da trasmettere al
mondo attuale e una missione particolare presso i giovani per educarli ad una purezza vigo-
rosa»15. Questa viene abbinata all'educazione all'amore, considerata come suo splendore e
12 Atti del CG19 FMA, p. 62.
13 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano,n.
36.
14 Ibid., n. 34.
15 CG19, ACS 244, pp. 84-85, CGS20, n. 556. 576. 264.
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39.2 Page 382

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pienezza, come «liberazione da ogni egoismo»16. Va oltre la continenza o dominio dei propri
movimenti disordinati e dà tono, energia e ricchezza di espressione all'amore verso il pros-
simo e verso Dio17.
Diversi elementi della sua esperienza spirituale preparano il salesiano a questo compito.
Nel contesto della consacrazione radicale la castità, vissuta con integrità e saggezza, lo ra-
dica nell'amore e va creando in lui la capacità di iniziare i giovani nelle sue espressioni più
limpide. Qui gli spunti si moltiplicano. Varrebbero una relazione separata. Ma l'economia
del nostro tema ci consente solo degli accenni. La castità, oltre a far prendere coscienza che
«l'amore può diventare a pieno titolo un progetto di vita che si esprime in mille forme di-
verse»18, si irradia anche sul lavoro educativo promovendo tutte le energie dei giovani verso
un amore autentico mediante la sua mistica e il suo messaggio19. Più specificamente, se è
vissuta con quella maturità che «suppone la stima serena della sessualità e dell'amore
umano»20, qualifica l'educatore a trattare con semplicità e chiarezza gli interrogativi dei gio-
vani in questo campo21.
Un altro elemento che prepara il salesiano per educare i giovani all'amore è l'esperienza
della vita comunitaria con i suoi rapporti sinceri, e oblativi, il clima di affetto maturo offerto
e ricambiato, lo spirito di famiglia e la condivisione dei beni22, la comunicazione trasparente
senza difese. Finalmente la pratica stessa del sistema preventivo mentre porta a superare i
propri movimenti egocentrici crea il rapporto di fiducia, gioia e serenità che facilita la con-
fidenza. Tutto ciò, anche se principale, non basterebbe però per risolvere il problema speci-
fico dell'educazione all'amore nei suoi passaggi più delicati, se i salesiani non si qualificas-
sero per illuminare e accompagnare i giovani in modo più concreto. «Incombe, dunque, il
grave obbligo di mantenersi preparati e aggiornati, ispirandosi alla miglior tradizione e dot-
trina della Chiesa e della Congregazione e attingendo alla letteratura più sicura sull'argo-
mento»23. Per riuscirvi i salesiani pensarono addirittura di comporre «... un Direttorio per la
Direzione Spirituale dei giovani con l'inclusione della trattazione sull'educazione all'amore
e alla purezza»24. Così pure deliberarono di elaborare un Direttorio di Pastorale Giovanile
«che trattasse adeguatamente anche la soluzione di questo problema alla luce dei Documenti
Pontifici, della psicologia e della sana pedagogia»25. È superfluo dire che nessuno dei due
Direttori ha visto la luce. L'evoluzione lasciava presto indietro testi, competenze e intenzioni.
È comunque segno della percezione di un'urgenza e della volontà di rispondervi.
La prima condizione dunque per intraprendere con efficacia un'educazione dei giovani
all'amore è la formazione nell'amore degli stessi educatori e la loro padronanza pedagogica
del tema. Ciò d'altra parte è universalmente riconosciuto. «La personalità matura degli edu-
catori, la loro preparazione e l'equilibrio psichico influiscono fortemente sugli educandi. Una
esatta e completa visione del significato e del valore della sessualità e una serena integra-
zione di essa nella propria personalità sono indispensabili agli educatori per una costruttiva
16 CGS20, 372; cf. CG19, ACS 244, p. 197.
17 Sull'idea di Don Bosco riguardo a purezza e modestia, cf. P. STELLA, Don Bosco nella storia della
religiosità cattolica, PAS-Verlag 1969, vol. II, pp. 240-274.
18 Cf. CG23 201.
19 Cf. CGS20 100.
20 CGS20 563.
21 Cf. CGS20 124.
22 CGS20 nn. 569-570.
23 CG19, ACS 244, p. 197.
24 CG19, ACS 244, p. 194, «La direzione spirituale dei giovani».
25 CG19, ACS 244, p. 194, «Educazione all'amore e alla purezza».
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azione educativa. La loro capacità non è tanto il frutto di conoscenze teoriche quanto il ri-
sultato della loro maturità affettiva. Il che non dispensa dall'acquisto delle conoscenze scien-
tifiche adatte al loro compito educativo, particolarmente arduo ai nostri giorni»26.
Alla propria educazione nell'amore i salesiani cercano di provvedere nel piano di for-
mazione collocando come base comune di tutti i valori da interiorizzare e atteggiamenti da
far maturare «l'amore personale autentico che presuppone una affettività matura, una ses-
sualità equilibrata e inserita al posto giusto tra i valori umani»27.
La padronanza educativa del tema suppone un quadro di riferimenti teologici, antropo-
logici e psicopedagogici. E i testi salesiani non abbondano, come fanno invece alcuni docu-
menti della Chiesa. Anzi vi sorvolano rimandando alla tradizione, agli insegnamenti del Ma-
gistero, alle conclusioni della «sana» pedagogia e psicologia. Questo accenno alle scienze
psicopedagogiche molto pressante nel 1965 è minore nel 1992, che invece insiste sui motivi
catechistici: «L'autentica comprensione dell'amore non può avvenire che nell'orizzonte di
Dio»28; «il salesiano è convinto che il mistero di Cristo e i suoi eventi sono la rivelazione
piena della normativa del vero amore»29. Il fatto si deve all'intenzione di quest'ultimo docu-
mento di mettere a confronto educazione all'amore e educazione alla fede. Ma di educazione
si tratta... Bisogna dunque raccogliere gli orientamenti datati, sparsi in diverse epoche dell'in-
segnamento salesiano e ricomporre la complementarità dei due versanti, la fede e la compe-
tenza psicopedagogica.
Una seconda condizione per educare all'amore è saper leggere la cultura in cui viviamo,
non soltanto condannando moralisticamente le sue manifestazioni, ma scoprendo le sue ra-
dici, da dove scaturiscono i criteri di vita. L'educazione è sempre rincontro del soggetto con
i modelli e le tendenze del contesto alla luce di valori che diventano parametri di discerni-
mento. Ci devono essere «ideali e proposte». Ma si deve fare i conti con situazioni, sfide,
interrogativi e progetti alternativi. Tra di essi infatti vivono i giovani.
I documenti non ci danno un'immagine completa del contesto. Ne scelgono soltanto
alcuni segni che evidenziano le difficoltà e suggeriscono strade da seguire, punti da raffor-
zare. Ciò comporta il limite di non giungere sempre alle radici culturali specifiche dei fatti
che denunciano.
All'inizio del periodo che ci preoccupa rilevano l'influsso pesante che la crisi morale ha
sui giovani. La mentalità contemporanea offre molte realtà positive, ma allo stesso tempo
suggerisce «anarchia istintiva, gregarismo e cedimento alle influenze devianti, materialismo
onnipresente dove il giovane è aggredito e indebolito da una realtà di peccato, sotto forma
di... edonismo, di naturalismo, di mondanità, che insensibilmente possono travolgerlo, vit-
tima di una atmosfera intossicata»30.
La soggettività giovanile, caratterizzata dalla volontà e il desiderio di vivere, dalla voglia
di sperimentare le proprie energie, in una esperienza nuova, al di là delle forme tradizionali
e dei modelli ufficiali che sono loro presentati..., dalla voglia di provare tutte le opportunità
offerte loro si scontra con questo clima relativista che destruttura i sistemi tradizionali di
verità e di valori per farli dubitare di tutto: un clima che rende schiavi del denaro, della
26 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano, n.
36.
27 FSDB 66.
28 CG23 194.
29 CG23 195.
30 CG19, ACS 244, p. 185.
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comodità, di una sessualità disordinata; un clima di propaganda che impone criteri attraverso
slogan, moda, divi e dive del giorno31.
Il presupposto dell'analisi è una convinzione irrinunciabile degli educatori: che l'amore
debba seguire i dettami di norme obiettive. Il soggetto capisce, assimila e segue. Oggettiva
è la morale, oggettiva è la natura che sta lì come istanza normativa, oggettivo è l'amore
medesimo che come valore e rapporto ha una sua consistenza reale. Lo stesso dover essere
giovanile o femminile viene «oggettivizzato» e «universalizzato».
Avvicinandoci al nostro tempo viene colto di più il peso della soggettività giovanile alla
ricerca della soddisfazione immediata del desiderio, con progetti di vita su misura propria,
destreggiandosi in un mercato di proposte ormai senza limiti né norme, che punta anch'esso
a soddisfare e legittimare la domanda del soggetto. È difficile riferirsi a una morale obiettiva
riguardo all'amore e alla sessualità sia che la si cerchi nella decantazione culturale o nella
riflessione filosofica.
La soggettività è al centro della impostazione dei problemi personali e delle soluzioni
che si danno alle sfide dell'esistenza. Ciascuno tende a salvarsi o a rimanere a galla come
può, anche se professa ideali accettabili. Si rileva come la voglia dì costruirsi dei giovani e
la loro ricerca di senso, si trova di fronte alla pluralità di modelli eticamente omogeneizzati,
a dover fare i conti con una complessità di influssi e messaggi difficile da gestire32 mentre i
nuovi valori che emergono sono «la centralità della persona, considerata principio, soggetto
e fine di tutte le istituzioni sociali, la riscoperta della uguale dignità e reciprocità uomo-
donna, la domanda di nuovi rapporti meno regolati e più spontanei33.
I giovani scommettono sull'amore e lo vogliono vivere intensamente ma sono sovente
vittima dei condizionamenti della propria natura e dello sviluppo di quelli indotti... come gli
adulti. Sovente l'amore è una esperienza fugace e consumistica, realizzata egoisticamente
senza apertura al futuro e alla società34.
Di fronte al compito e alla situazione sopra descritti emerge una terza esigenza: integrare
l'educazione all'amore nel Progetto Educativo, collegandolo alla formazione della coscienza
e con più attenzione che nel passato alla educazione alla fede. Bisogna ripensare la sostanza,
l'itinerario, il linguaggio e le esperienze attraverso le quali la proposta cristiana sull'amore si
rende comprensibile e desiderabile. Il riferimento «obiettivo a valori e norme» è indispensa-
bile. «Per gli stretti legami scrive Giovanni Paolo II che intercorrono tra la dimensione
sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre a conoscere e
stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita
personale». Ma ci si trova di fronte al diffuso criterio di «gestione soggettiva»35.
Sembra abbastanza chiaro che bisogna puntare sul senso e sul valore più che sulle im-
posizioni dall'esterno; che bisogna riferirsi alla persona nel suo insieme, in evoluzione piut-
tosto che fissarsi su un aspetto o momento di essa; che è indispensabile procedere per espe-
rienze e non solo per istruzione; che bisogna prendere in considerazione la gradualità per
poter valutare convenientemente il processo di maturazione.
La volontà di assumere questo aspetto in forma più completa ed esplicita è espressa
chiaramente dai documenti delle due Congregazioni. «Sul piano della crescita personale vo-
31 Cf. CGS20 nn. 40-43.
32 Cf. CG23 48.
33 Cf. CG23 nn. 49-51.
34 CG23 nn. 192-193.
35 FC 37.
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gliamo aiutare particolarmente il giovane a costruire una umanità serena ed equilibrata for-
mando e promovendo... una sapiente educazione sessuale e all'amore che ne aiuti a com-
prendere la dinamica di crescita, di donazione e di incontro all'interno di una progetto di
vita»36.
3. Indicazioni per un itinerario
Vengono quindi alcune indicazioni da tener presenti in un programma o itinerario.
Un primo grappolo di suggerimenti, molto abbondante e diramato, invita a puntare sulla
maturazione globale della personalità sviluppando quegli aspetti che sono obiettivamente
più determinanti o che, soggettivamente, risultano i più dinamici. Si tratta di orientare quello
che tende a sviare, di ricuperare quello che si è perso, di contenere e incanalare quello che
tende a padroneggiare creando dipendenze e, soprattutto, di sviluppare le energie e poten-
zialità esistenti. I salesiani sono consapevoli della interrelazione che c'è tra i contenuti, le
motivazioni, esperienze, e scelte dell'area affettivo sessuale e gli altri aspetti della persona.
Questo principio di integralità viene ribadito in tutti gli approcci37. Bisogna lavorare
sull'amore, cioè sul decentramento da se stessi, sulla apertura agli altri non soltanto in alcuni
momenti programmati, ma in ogni esperienza, con ogni messaggio e attività.
Lì convergono ragione, religione, amorevolezza. Il testo più esplicito lo esprime così:
«L'educazione integrale della persona e il sostegno della grazia porteranno ragazzi e ragazze
ad apprezzare i valori autentici della purezza (il rispetto di sé e degli altri, la dignità della
persona, la trasparenza delle relazioni...) come annuncio del Regno e come denuncia di ogni
forma di strumentalizzazione»38. Tale prospettiva viene indicata come «tradizione salesiana,
implicita nelle direttive dei superiori Maggiori»39. Infatti, stando a una valutazione autore-
vole «per Don Bosco la giusta soluzione del problema della castità va ricercata anzitutto
nella totalità dell'educazione morale religiosa, come risultato di più componenti...»40.
I percorsi proposti sono allora vari e vengono concepiti come complementari sebbene
alcuni abbiano attinenza più immediata all'area dei valori che ci occupa: orientare la libertà
verso la donazione, liberare dalla dipendenza dal sensibile e sentimentale, allenare allo
sforzo e alla mortificazione41; favorire l'apertura alla fiducia e confidenza, portare verso
esperienze positive allettanti e significative quali la bellezza, il sapere, la corresponsabilità42,
la capacità di realizzare.
Lo stesso orientamento sostanziale viene dato dal CG 19 delle FMA quando unifica tutti
gli sforzi educativi nella scelta di «aiutare le giovani nella ricerca di una nuova identità fem-
minile che le situi nel mondo contemporaneo con sicurezza... e capacità di vivere relazioni
di reciprocità nella complementarità dei ruoli»43.
Va notato il valore che la bellezza ha in tutta la concezione educativa salesiana e che
viene riferita sovente all'ambito morale e religioso: la bellezza della religione, la bellezza
della virtù, la bruttezza del peccato. Si tratta non soltanto della dimensione estetica (anche
di questa!) ma di una sensibilità umana e spirituale, fatta di delicatezza di coscienza, vigi-
lanza e gusto per quanto appare nobile e «pulito». Predispone favorevolmente a cogliere e
36 CG21 90.
37 Cf CG19, ACS 244, p. 195. 197-198; CGS20, 51. 354-355; CG23 197.
38 CG23 197.
39 CG19, ACS 244, p. 195.
40 P. BRAIDO, Il Sistema Preventivo di Don Bosco, PAS-Verlag 1964, parte III, cap. IV, p. 289.
41 CG19, ACS 244, p. 195.
42 Cf CGS20, 51. 354.
43 CG19 p. 59.
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giudicare con saggezza quello che riguarda l'area specifica della purezza e dell'amore e rende
attenti di fronte alle sue deformazioni.
Lo rileva anche il documento Orientamenti Educativi sull'amore umano: «... si presen-
tino loro (ai giovani), dice, modelli concreti e attraenti di virtù, si sviluppi il senso estetico,
ispirandosi al gusto del bello presente nella natura, nell'arte e nella vita morale...»44.
In questo sviluppo d'insieme della persona verso l'amore, la costellazione «fede-grazia-
pietà» e tutto quello che la riguarda (persone, verità, pratica, impegni) è non solo fonte di
una comprensione più precoce e profonda, anzi soprannaturale, ma aiuto insostituibile nel
cammino di maturazione. «L'autentica comprensione dell'amore non può avvenire, per il
cristiano, che nell'orizzonte di Dio. E Dio che ha voluto la persona nella reciprocità uomo-
donna, chiamandoli ad una profonda comunione, capace di significare la realtà stessa di
Dio»45.
Questa indicazione consente e meriterebbe uno sviluppo più articolato ed esteso. Lo si
trova infatti nella tradizione salesiana (sacramenti, devozione mariana...), ma nei documenti
soltanto vi si accenna per le ragioni dette precedentemente.
Un'altra area, più delimitata e in stretta relazione con la precedente, alla quale rivolgere
attenzione è l'educazione dell'affettività46. Da un suo conveniente sviluppo dovrebbero risul-
tare per il giovane una percezione reale e serena di se stesso, la composizione positiva delle
proprie tensioni e desideri e la qualità dei rapporti personali.
Sono varie le linee di sviluppo che vengono suggerite. La prima è quella dell'accoglienza,
stima e riconoscimento sperimentato e offerto: «È fondamentale creare attorno ai giovani un
clima ricco di scambi comunicativo-affettivi. Il sentirsi accolto, riconosciuto, stimato e
amato è la miglior lezione sull'amore»47. Conta l'esperienza. Non sono sufficienti le spiega-
zioni e raccomandazioni. Bisogna creare situazioni in cui i giovani possono provarsi nei loro
atteggiamenti e comportamenti, rendersi consapevoli delle proprie motivazioni e valutare le
ripercussioni interne e esterne che esse hanno. «Dopo rincontro con se stesso, dice un altro
testo, viene rincontro con l'altro. Il fanciullo e l'adolescente hanno bisogno di essere aiutati
ad aprirsi alla scoperta dei valori altrui e alla donazione di sé agli altri»48.
Nella maturazione dell'affettività due esperienze lasciano il segno per il loro valore obiet-
tivo e per le loro risonanze soggettive: sono l'amicizia e l'incontro-condivisione tra ragazzi
e ragazze.
L'amicizia trova abbondanti indicazioni nella tradizione pedagogica salesiana a partire
dall'esperienza giovanile di Don Bosco e dai suoi scritti, in particolare il capo XVIII della
vita di Domenico Savio. E i salesiani ribadiscono ancora che «è un valore positivo e, ben
guidata, offre una delle risorse più vive per formare il giovane all'apertura e al dono generoso
di sé, soprattutto nell'età della grande adolescenza»49. Sulla stessa linea vanno gli orienta-
menti della Congregazione dell'Educazione Cattolica: «L'amicizia, dice, è il vertice della
maturazione affettiva... l'educazione ad essa può diventare un fattore di straordinaria impor-
tanza per la costruzione della personalità nella sua dimensione individuale e sociale»50.
44 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano, n.
91.
45 CG23 194; cf. CG19, ACS 244, p. 195; Orientamenti Educativi sull'amore umano, n. 43.
46 Cf. CG19, ACS 244, pp. 195-196.
47 CG23 196.
48 CGS20 354.
49 CG19, ACS 244, p. 196.
50 CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano, n.
92.
- 384 -

39.7 Page 387

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La condivisione di attività, ideali e momenti di distensione da parte di giovani e ragazze
è invece un aspetto nuovo che ha avuto inizio e sviluppo proprio nel periodo post conciliare.
Viene percepita in un primo momento come un fenomeno, sorto fuori dei nostri ambienti e
indipendentemente dai nostri criteri, con eventuali risvolti positivi per l'educazione, comun-
que da considerare eccezionale o atipico nelle nostre opere. Si avverte però l'urgenza di
«preparare» i giovani. Dice un testo datato, che ormai ci sembra lontano nel linguaggio anche
se vero nella sostanza: «La convivenza mista sta diventando un'esperienza comune di cui
bisogna prendere atto... noi siamo tenuti ad educare... in particolare i più grandi dei nostri
Istituti ad un comportamento cristiano nei confronti della giovane... basato sulla prudenza e
sull'obbedienza»51.
Il fenomeno appare poi scontato, diffuso e non più gestibile da parte degli adulti. Si
accolgono allora i gruppi misti entro le mura salesiane. Si afferma che «la necessità di una
educazione integrale ci consigliano in certi luoghi e circostanze l'accettazione di gruppi e
attività miste, con tutte le riserve e le responsabilità che comportano», e che questa «è una
risposta pedagogica...»52. Tali attività e i rapporti che creano «sono un'ottima occasione per-
ché il giovane impari a prendere atteggiamenti di rispetto e di delicatezza verso la donna,
soprattutto nell'età in cui essa diviene oggetto di una nuova attenzione ed emozione»53.
L'incidenza educativa che tale esperienza può avere si fa dipendere dall'ambiente comu-
nitario o di gruppo in cui si sviluppa, gli interessi formativi e sociali sui quali si costruisce,
l'apertura e la molteplicità di rapporti che intercorrono tra i giovani medesimi e la comunità.
Prevale una valutazione positiva con comprensibili cautele e suggerimenti pedagogici.
Nel 1990 il tema della mixité (copresenza) si era già sviluppato in quello della coeduca-
zione. Diversità e reciprocità sono le parole chiavi per definire il rapporto uomo-donna. Il
riferimento fondamentale per l'educazione è l'identità che suppone la configurazione ma-
schile o femminile della persona con lo sviluppo dei doni di ciascuna. I salesiani allora di-
chiarano: «Gli incontri tra ragazzi e ragazze, quando sono vissuti come momenti di arricchi-
mento vicendevole, aprono al dialogo e all'attenzione verso l'altro. Fanno scoprire la ric-
chezza della reciprocità che investe il livello del sentimento e dell'intelligenza, del pensiero
e dell'azione. Nasce così la scoperta dell'altro accolto nel suo essere e rispettato nella sua
dignità di persona»54.
Il CG 19 delle FMA è ancora più diretto in questa valutazione: «La coeducazione orienta
verso il dialogo interpersonale, favorisce la maturazione globale della persona e la apre al
dono di sé nell'amore. Amare diventa così uno stile di vita che aiuta la persona a sviluppare
la capacità di autodominio, di rispetto di sé e degli altri». «Alla luce di queste considerazioni
appare giustificata l'esigenza di promuovere un'intenzionale coeducazione che vada oltre la
copresenza di ragazzi e ragazze ed assuma nel progetto educativo la differenza uomo-
donna»55. È chiaro che l'applicazione concreta del principio richiede ulteriori precisazioni di
momenti, strutture, contenuti, modalità e accompagnamento educativo.
Una terza area di attenzione è quella della donazione di sé. È l'esperienza del servizio
disinteressato, motivato non tanto da una attrazione soggettiva e da una spinta occasionale
ma da un bisogno oggettivo percepito e da una consapevolezza della verità contenuta nella
parola del Signore: «Chi perde la propria vita, l'avrà in abbondanza». È dunque la scoperta
51 CG19, p. 196.
52 CGS20 355.
53 Ibid.
54 CG23 198.
55 Atti del CG19 FMA, n. 3.3, p. 62.
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39.8 Page 388

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dell'amore come pienezza di vita. «Il salesiano aiuti il giovane a far convergere le sue po-
tenze affettive e sensibili in un ideale che costituisca la miglior espressione del dono di sé,
che impegni tutta la generosità del suo cuore, in un clima di profonda fede e allegria»56. A
questo si ricollegano le iniziative di servizio e apostolato e più in generale il cammino di
orientamento vocazionale, con la pedagogia del progetto, degli ideali e dei modelli.
Da ultimo c'è l'area specifica della comprensione, degli atteggiamenti e delle scelte mo-
rali che riguardano «la sessualità come valore che matura la persona e come dono da scam-
biarsi in un rapporto definitivo, esclusivo e totale, aperto alla procreazione responsabile»57.
Abbraccia l'integrazione equilibrata e serena della sessualità nella propria personalità, una
visione adeguata dell'uguale dignità e ricchezza personale culturale e sociale dei due sessi,
la loro complementarità e reciprocità, la mentalità e le scelte cristiane riguardo al matrimonio
e al rapporto di coppia che può maturare in una spiritualità, i problemi che riguardano la
paternità-maternità responsabile, i progetti di vita fondati sull'amore, cioè il matrimonio e la
verginità, una valutazione evangelica di alcune realizzazioni della sessualità diffuse nella
società attuale58.
L'«illuminazione» è ritenuta indispensabile59, data la complessità delle questioni e il
pluralismo di visioni etiche che circolano in merito. Viene pure chiarito che a ciascuna delle
agenzie educative corrisponde un intervento particolare conforme alle rispettive finalità e
risorse. Agli educatori e professionisti si chiede di completare o rettificare, portare le infor-
mazioni parziali a sintesi e valutazioni più adeguate, esplicitare la dimensione morale.
Venticinque anni fa si raccomandava «un grande riserbo, badando a non intervenire né
troppo presto né troppo tardi, avere sempre presente la delicatezza salesiana, la responsabi-
lità dei genitori e quella degli educatori come supplenza, e tra gli educatori quelli special-
mente delegati per motivo del ruolo o della competenza60. Oggi l'informazione corre attra-
verso i canali più diversi favorita anche dalla caduta delle censure sociali ed educative. Si
rende più necessario aiutare a cogliere sin dall'inizio il senso umano della sessualità, ad in-
teriorizzare criteri morali, a far maturare una visione cristiana. L'aspetto illuminativo «è solo
un punto di partenza per l'intervento educativo. Esso mira a... orientare (il giovane), a chia-
rirne la condotta, a irrobustirne la volontà per mezzo soprattutto degli ideali e della vita di
grazia»61.
Tutto il processo è regolato dal criterio di gradualità che si ispira alle fasi di sviluppo
che ha la sessualità, alle risorse di cui ciascuno dispone e al sedimento che hanno lasciato le
esperienze di vita62.
4. Gli ambiti di comunicazione
Un insieme di spunti riguarda gli ambiti in cui avviene la «comunicazione» delle cono-
scenze, valori e proposte di cui veniamo parlando. Ad essi dedichiamo soltanto qualche bat-
tuta.
56 CGS20 354.
57 CG23 199.
58 Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano,
nn. 94-104.
59 CG19, ACS 244, p. 198.
60 Cf. CG19 ACS 244, pp. 197-198.
61 CG19, ACS 244, p. 198.
62 Cf. CG19, ACS 244, p. 198; Orientamenti Educativi, nn. 41-42.
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I salesiani ribadiscono l'incidenza dell'ambiente anche riguardo al punto particolare
dell'educazione nell'amore. E in ciò accolgono le intuizioni di Don Bosco63.
Senza staccare fisicamente dal grande contesto socio-culturale in cui tutti viviamo l'am-
biente rende capace di valutarne i messaggi, i modelli, le proposte esplicite od occulte e
suggerire stimoli alternativi attraverso vie molteplici. Le componenti di questo ambiente
sono la qualità dei rapporti multilaterali, tra coetanei e educatori religiosi e laici e con l'isti-
tuzione medesima, le attività, il progetto di comunità educativa, i temi o motivazioni domi-
nanti, il tono degli incontri personali e comunitari. Questo vale per tutta l'educazione ma ha
un valore particolare per l'educazione all'amore64, perché ne costituisce un'esperienza. Cor-
robora il principio che, operare attraverso vie indirette e sugli aspetti fondamentali della
persona, facilita la soluzione dei punti particolari dell'educazione all'amore.
Nell'ambiente è determinante la presenza di adulti che vivono l'amore nelle sue diverse
espressioni con profondità e gioia e sanno esprimerlo con gesti e parole. «Certi atteggiamenti
legati alla donazione e alla gratuità vengono fortemente intuiti ed assimilati. La gioia di una
vocazione vissuta con convinzione si riverbera nei giovani e facilita in loro un'apertura all'a-
more seria e serena che sa accettare le esigenze che essa comporta»65.
Ma se certe tappe dell'educazione all'amore si percorrono bene attraverso l'inserimento
nell'ambiente educativo, altre richiedono il confronto personale con un interlocutore o un
testimone autorevole. L'insegnamento salesiano ribadisce l'importanza della direzione spiri-
tuale66, del dialogo educativo personale67 per l'illuminazione e l'orientamento in questa ma-
teria. Il perché e il come ci porterebbe fuori del nostro tema.
Intermedio tra i due sono i gruppi e particolarmente quelli con intenzionali finalità for-
mative, dove convergono ragazzi e ragazze68. Il sussidio dei due dicasteri di Pastorale Gio-
vanile (FMA-SDB) L'animatore salesiano nel gruppo giovanile (1987) offre una proposta
di itinerario che sviluppa in ogni fase gli aspetti di cui abbiamo parlato: rapporti, amicizia,
percezione di sé, reciprocità, disponibilità al servizio, incontro con Gesù, confronto col Van-
gelo...69. Mette poi a fuoco il problema dell'amore quando si enunciano gli ambiti in cui
progettare l'apprendistato della vita cristiana. «I giovani trovano particolarmente arduo ac-
cogliere la propria corporeità secondo le esigenze del Vangelo e le indicazioni della Chiesa.
Vivere come credenti la propria sessualità in un mondo che evidenzia atteggiamenti, com-
portamenti, scelte, valutazioni molto lontane dalle norme evangeliche significa andare con-
tro corrente»70.
Il gruppo allora, specialmente nell'ultima fase, favorisce nei membri la ricerca della
propria vocazione come uomo-donna e come credenti; si propone di confrontare opinioni e
cercare criteri evangelici «sui problemi della coppia e della famiglia»71.
63 Cf. P. BRAIDO, Il Sistema Preventivo di Don Bosco, PAS-Verlag 1964, parte III, cap. V, pp. 292-
297.
64 Cf. CG23 196.
65 CG23 200.
66 Cf. CG19, ACG 244, p. 197.
67 Cf. CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, Orientamenti educativi sull'amore umano,
n. 71.
68 Ibid., n. 72.
69 Cf. J.E. Vecchi & E. Maioli. L'animatore salesiano nel gruppo giovanile. Roma: Editrice S.D.B,
1987, cap. 4: «Cammino di animazione nei gruppi giovanili».
70 Ibid., p. 139.
71 Ibid., p. 95.
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39.10 Page 390

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***
Abbiamo riletto alcuni testi principali dell'insegnamento salesiano sull'educazione all'a-
more. Non tutti i frammenti si sono potuti ricuperare e in essi ci sono ancora delle ricchezze
da scoprire.
Dall'insieme emerge la percezione dell'urgenza di un compito educativo che non va ri-
mandato, per l'importanza che ha sulla formazione della persona e sulla sua esperienza di
fede. Si coglie anche la consapevolezza delle difficoltà che questo compito comporta oggi
per la sua stessa natura e per quello che il contesto sociale induce.
Si respira una grande fiducia nell'educazione, provocata ad orientare l'energia dell'amore
che è nei giovani. Ci si rifà con fiducia alle intuizioni della prassi salesiana, che si vuole però
adeguata all'attuale condizione giovanile.
Ci sono indicazioni valide, i cui limiti di contenuto ed elaborazione gli stessi documenti
riconoscono. Si legge la volontà di prendere con più decisione quest'aspetto dell'educazione.
Insomma, un punto di partenza vantaggioso per gli anni 90, in attesa di sviluppi capaci
di creare una prassi comunitaria.
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40 Pages 391-400

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40.1 Page 391

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43. L'ASSOCIAZIONISMO LAICO SALESIANO E LA DIMENSIONE SOCIALE
DELLA CARITÀ
Vecchi, J.E., L'associazionismo laico salesiano e la dimensione sociale della carità in «I giovani artefici di sviluppo: secondo
forum socio-politico. 1992: Frascati». Roma, Federazione Italiana Exallievi/e di Don Bosco, 1993, p. 106-120.
1. La sfida degli anni '90. - 2. Tre scenari della dimensione sociale della carità. - 3. Una nuova stagione associativa «Christi-
fideles laici». - 4. Il qualificativo di salesiano. - 5. Aree di impegno per attuare la dimensione sociale della carità.
1. La sfida degli anni 90
La riflessione dei giorni precedenti ha fatto emergere una radiografia della società na-
zionale, europea e mondiale che peraltro appare già nei ricorrenti rapporti degli istituti di
osservazione e monitoraggio.
Il vocabolario per evidenziarne le ombre è inesauribile: povertà vecchie e nuove, discri-
minazione, razzismo, disoccupazione, questione morale, clientelismo, collusione, disugua-
glianze crescenti e insuperabili, negazione dei diritti elementari, problemi di ambiente.
Se passiamo al panorama internazionale, il lessico registra le voci: fame, guerra, sfrut-
tamento, abuso di potere, carenze fondamentali di condizioni di vita, diritto internazionale
elaborato dai più forti, debito estero, dipendenza, sperequazione, uso esclusivo di risorse
comuni, privazione di beni di primaria necessità per una comunità nazionale.
Non è meno abbondante l'elenco delle energie positive che si stanno movendo, anche se
non sempre riescono a contrastare il diffondersi dei fenomeni negativi: c'è volontà di ade-
guare legislazioni e strutture, consapevolezza degli squilibri sociali; ci sono nuove possibi-
lità e ricerche nei rapporti internazionali, c'è la collaborazione tra i paesi, il volontariato;
affiora una voglia di forme nuove nel fare politica, cresce l'autonomia di persone e gruppi,
si affermano correnti di rinnovamento morale, c'è interesse per stabilire un rapporto tra etica
ed economia.
Si potrebbe continuare. Ogni giorno stampa e TV forniscono nuovi termini per identifi-
care con più esattezza aspetti positivi o negativi della società in cui viviamo.
Una cosa è indubitabile: questi fenomeni ci riguardano e ci coinvolgono. Certo, partico-
lari responsabilità vanno attribuite a determinate persone e gruppi; ma su di loro influiscono
la partecipazione e l'iniziativa sociale di tutti. Anzi alcune situazioni non possono essere
modificate se non attraverso l'influsso o pressione che singoli e gruppi cercano di esercitare
sulle strutture, sui rapporti sociali e sull'aspetto politico, e tutto lo sforzo di carità che si
esplica nell'ambito intersoggettivo o semplicemente comunitario le lascia inalterate.
Perciò il riferimento alla dimensione sociale della carità è diventato prima ricorrente e
oggi quasi centrale nella riflessione sull'agire cristiano. È il tema di tutte una serie di docu-
menti della Chiesa universale e delle chiese particolari. Ricordiamone alcuni che hanno se-
gnato il cammino di questi ultimi anni.
Da Giovanni Paolo II abbiamo avuto un'illuminazione sul senso del lavoro umano con
la Laborem exercens (1981) e sulla sua giusta valorizzazione nei processi produttivi e nell'e-
conomia totale. Nella Sollicitudo rei socialis (1987) lo stesso Giovanni Paolo II riprende il
tema dello sviluppo umano, agganciandosi alla precedente Enciclica di Paolo VI la (1967),
e riportandolo all'attuale contesto mondiale. La Centesimus annus (1991) raccoglie e docu-
menta un giudizio sui due sistemi economico-sociali, che si sono confrontati durante tutto
questo secolo e ripropone una visione cristiana dei rapporti economici, del bene comune,
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40.2 Page 392

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delle relazioni tra persona e organizzazione politica, tra interesse nazionale e diritto dei po-
poli. Nella Mulieris dignitatem (1988) il Papa offre una lettura cristiana dell'emergere della
donna come nuovo soggetto della vita politico-sociale, mentre con l'Esortazione apostolica
Familiaris consortio (1981) richiama il luogo che la famiglia deve avere nell'organizzazione
della società. Si possono aggiungere altri documenti particolari, ma non meno significativi,
come quello che riguarda l'approccio etico al debito internazionale.
Dalla Chiesa italiana abbiamo ricevuto: La Chiesa e le prospettive del Paese (1981),
Uomini di culture diverse: dal conflitto alla solidarietà (1990), I cattolici e la nuova giovi-
nezza dell'Europa (1990), Educare alla legalità (1991), Evangelizzazione e testimonianza
della carità (1990).
Questo succedersi ininterrotto di orientamenti costituisce un «segno» del momento che
viviamo e offre un materiale di studio ricco, quasi inesauribile.
2. Tre scenari della dimensione sociale della carità
Ma ci sono tre messaggi, inviti o proposte, più vicini a noi per il tempo in cui sono stati
scritti e per la sensibilità che trasmettono. Ci collocano in tre scenari capaci di ispirare pro-
getti e iniziative.
Il primo è «di famiglia». È il documento del CG 23 degli SDB sull'educazione dei gio-
vani alla fede. I salesiani avvertono i rischi a cui vanno incontro i giovani d'oggi nella loro
maturazione cristiana, cioè l'allontanamento, in un certo momento della loro evoluzione,
dalla mentalità, dalla prassi e dalla comunità cristiana. Il sacramento della cresima è stato
chiamato, non senza ironia, il «sacramento dell'addio». Anche quando non avviene un di-
stacco totale si fa strada una certa irrilevanza della fede per cui essa rimane una dimensione
«cara», alla quale non si vuole rinunciare, ma non orienta la vita, in particolare quella pub-
blica. Rimane nei riti, nelle feste, nei sentimenti.
Alla domanda su quali siano le cause principali di questo fenomeno i salesiani rispon-
dono indicando i «nodi» che determinano la significatività esistenziale della fede: la forma-
zione della coscienza, l'incidenza della fede sulla convivenza umana, l'educazione all'amore.
Ne segue che la dimensione sociale della carità si presenta come «la manifestazione di una
fede credibile. Essa è infatti un aspetto costitutivo della predicazione del vangelo... per la
redenzione della stirpe umana e la liberazione di ogni forma di oppressione»1.
Donde alcune conseguenze educative: i giovani abbisognano oggi di un'informazione
più attenta e di un'analisi più accurata della realtà sociopolitica; per la loro maturazione sono
indispensabili esperienze e forme di partecipazione secondo il contesto in cui vivono, così
come «criteri» di valutazione dei diversi fenomeni sociali e politici. Perciò anche gli educa-
tori «convinti che la dimensione sociale della carità costituisce la verifica della loro capacità
di comunicare la fede, cercheranno di testimoniare di fronte ai giovani e di promuovere dap-
pertutto la giustizia e la pace. Vivono perciò in sintonia con i grandi problemi del mondo e
attenti alle sofferenze degli ambienti in cui sono inseriti»2.
Il secondo messaggio sull'importanza della dimensione sociale della carità viene negli
orientamenti della Chiesa italiana per gli anni '90, che portano come titoli Evangelizzazione
e testimonianza della carità3.
1 CG23 204.
2 CG23 208.
3 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. Evangelizzazione e testimonianza della carità: Orientamenti
pastorali dell'Episcopato italiano per gli anni '90. Bologna, EDB, 1993.
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Il punto di partenza è che l'amore costituisce l'aspetto centrale dell'esperienza cristiana:
veramente cristiano è colui che ha imparato ad accogliere, stimare e amare ogni persona
perché immagine di Dio, oggetto della sua azione di salvezza, chiamato alla comunione con
Lui.
Il cristiano apprende questo nella contemplazione del mistero che crede: Dio che è
Amore tra persone, Trinità, che crea il mondo come diffusione gratuita della sua ricchezza,
ricupera l'uomo e lo eleva alla dignità della sua figliolanza mediante il dono del suo Figlio
Gesù Cristo. L'amore diventa così, per il credente, la sua convinzione più profonda e il suo
criterio di vita. È una grazia, una luce e un'energia immesse nella vita dallo Spirito; ad esso
si affida per operare con efficacia nella storia; è il suo cammino verso la trascendenza:
«Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, per-
ché Dio è amore»4.
L'originalità di questo documento dei Vescovi italiani, dunque, particolarmente se messo
a confronto con gli stimoli precedenti, consiste nell'aver sottolineato il rapporto che esiste
tra verità cristiana creduta e pratica della carità.
La Chiesa, pur avvertendo che il modo di pensare su Dio, sul mondo e sull'uomo non è
indifferente e che essa è chiamata a «far maturare la consapevolezza che in Cristo ci è donata
la verità che ci salva»5; pur affermando che deve aiutare la nostra società e la nostra cultura
a non «rifiutare o mettere tra parentesi la questione della verità sull'uomo» consegnandosi al
relativismo, è consapevole del logorio che stanno soffrendo tutte le dottrine e teorie. Si è
infatti di ritorno dalle utopie e ideologie che avevano pretese di spiegazioni globali, incluse
quelle religiose. Ma più ancora la Chiesa è convinta che «la verità cristiana non è una teoria
astratta» e nemmeno una spiegazione intellettuale credibile6. È anzitutto la persona vivente
di Gesù che salva oggi l'uomo, nel suo tempo e nelle sue condizioni concrete di esistenza.
Può quindi essere accolta, compresa e comunicata non tanto da un messaggio concettuale,
ma da «una esperienza umana personale e comunitaria, immediata e pratica, nella quale la
consapevolezza della verità trovi riscontro nell'autenticità della vita»7.
Questa esperienza ha un volto preciso, antico e sempre nuovo: il volto e la fisionomia
dell'amore. La carità è dunque più che la prova della verità: è la verità medesima che da
formulazione concettuale diventa vita, avvenimento e storia. Tale impostazione rappresenta,
anche per noi cristiani, la fine del periodo «ideologico».
Se questa conclusione è vera ne segue un'altra. L'evangelizzazione a cerchi piccoli o
grandi trova nella carità la sua vita privilegiata, anzi indispensabile, «perché mentre conduce
ad amare l'uomo, apre all'incontro con Dio»8. I cristiani dunque sono invitati a «fare la verità
nella carità» secondo il testo paolino.
Ce l'avevano già detto gli Atti degli Apostoli che la Chiesa si diffondeva e convinceva
perché i cristiani manifestavano una forma nuova e insolita di amore nella condivisione dei
beni, nell'unione fraterna e nell'espressione della fede. Ma andava ricordato in forma nuova
in questi tempi nei quali i messaggi e la pubblicità, le dichiarazioni, le smentite e i comunicati
ininterrotti possono portare ad affidarsi alle «parole». «Desideroso di autenticità e di con-
cretezza, l'uomo d'oggi apprezza più i testimoni che i maestri, e, in genere soltanto dopo
4 1 Gv 4,8
5 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. Evangelizzazione e testimonianza della carità, n. 8.
6 Cf. Ibid., n. 9.
7 Ibid., n. 9.
8 Ibid., Presentazione.
- 391 -

40.4 Page 394

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essere stato raggiunto dal segno tangibile della carità, si lascia condurre a scoprire la profon-
dità e le esigenze dell'amore di Dio»9.
Perciò la nuova è quella evangelizzazione che racconta e annuncia Gesù Cristo con fatti
e scelte cristiane capaci di creare situazioni di salvezza per coloro che l'attendono o deside-
rano. «Forse il momento è venuto in cui le ricchezze ereditate dalla millenaria tradizione
ecclesiale che è alle nostre spalle, i frutti dell'aggiornamento conciliare e le fresche energie
del rinnovamento spirituale e comunitario fiorite in mezzo a noi possono convergere insieme
in un atto d'amore concorde ai nostri fratelli: l'avvio appunto di una nuova evangelizzazione
che abbia come suo cuore il vangelo della carità»10.
Ma nell'approfondimento della nuova evangelizzazione va preso in considerazione un
altro dato: l'uomo e il mondo al quale oggi si rivolge il vangelo come verità che interpella e
come forza che trasforma è segnato dalla interdipendenza a raggio cittadino, nazionale e
mondiale. La salvezza va accolta e offerta in quel rapporto sociale molteplice dal quale di-
pende la soluzione delle questioni più scottanti che incombono su tutti come la giustizia e la
pace, i diritti umani, la fame, lo sviluppo di tutti i popoli.
Perciò, mentre si ribadisce la necessità di rifare il tessuto della comunità cristiana,
quando, si guarda verso il mondo e si cercano le forme significative «attraverso le quali la
carità può farsi storia»11 si scopre che nella situazione odierna, la testimonianza della carità
va pensata «in grande», cioè nelle sue molteplici e correlate dimensioni: in quella interper-
sonale e comunitaria, ma nondimeno in quella sociale e politica, in dimensione familiare,
cittadina e nazionale, ma anche in dimensioni internazionali. Vengono allora indicate come
vie della nuova evangelizzazione l'impegno sociale spinto dall'amore e dalla giustizia, il ser-
vizio alla società attraverso il compito politico ispirato al bene comune, la preferenza per i
poveri nel contesto immediato ma anche nell'orizzonte planetario della solidarietà mondiale.
Questo testo riecheggia le grandi aree proposte ai credenti dalla Christifideles laici12
proprio in vista della nuova evangelizzazione: promuovere la dignità della persona, venerare
l'inviolabile diritto alla vita, riconoscere la dimensione e libertà religiosa, sostenere la soli-
darietà, appoggiare i diritti della famiglia, essere destinatari e protagonisti della politica,
porre l'uomo al centro della vita economico sociale.
Decisamente anche per quanto riguarda l'evangelizzazione e la carità il mondo è diven-
tato un villaggio. Dall'educazione dei giovani e dalla nuova evangelizzazione in Italia pas-
siamo dunque ad un altro scenario: il mondo.
L'ultimo appello sociale di Giovanni Paolo II invita i cristiani a farsi sentire, attraverso
contributi, seppure piccoli ma convergenti nell'ampio spazio dei rapporti internazionali.
Lì appaiono alcuni segni. Sono crollati non soltanto grandi imperi costruiti con la forza,
ma addirittura le loro dottrine e ideologie che svalutavano il ruolo della persona e la dimen-
sione soggettiva della società. La caduta ha lasciato però un vuoto da colmare. La libertà si
è fatta strada, ma la giustizia sociale è in pericolo di regressione verso forme individualisti-
che, esasperate dalle attuali condizioni dell'economia.
Perciò l'emergere e quasi l'esplodere delle violenze e rivalità etniche e regionali, il per-
sistere di disuguaglianze estreme all'interno delle società senza correzioni né alternative. Un
rapporto CENSIS di questi giorni parlava di una società a tre velocità e quindi sempre più
9 Ibid., n. 24.
10 Ibid., n. 25.
11 Ibid., n. 43.
12 ChL 12.
- 392 -

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divisa in tre settori: coloro che sono già ben collocati per le risorse economiche di cui di-
spongono e per la garanzia di un inserimento vantaggioso nel mondo degli affari; coloro che,
pur partendo svantaggiati riusciranno a situarsi nella società ad alta velocità per le capacità
naturali e le competenze acquisite; e coloro che, magari con un normale livello di istruzione
e desiderio di lavorare, perderanno il treno. La distanza tra questi ultimi e gli altri crescerà
sempre più. Se le valutazioni che circolano corrispondono alla realtà, bisogna dire che c'è un
crollo di segno negativo insieme a quello positivo del muro: è la caduta della qualità nelle
relazioni economiche, l'oscurarsi in esse del riferimento etico, la svalutazione delle virtù
legate al precedente universo ideale del lavoro sul quale si fondava la convivenza, e dal quale
è partita e si è sviluppata l'istanza di giustizia sociale.
C'è da rivolgere lo sguardo e orientare la carità anche verso il problema Nord-Sud: i
rapporti di aiuto e assistenza, la giusta compensazione per lo sfruttamento precedente e at-
tuale, la condivisione delle risorse, il rispetto delle culture, il controllo dei conflitti, lo stabi-
lire rapporti che non mirino soltanto a proteggere il proprio mercato.
I compiti più urgenti dei cristiani in questo scenario sono: rendersi consapevoli dell'in-
terdipendenza dei fenomeni; dare un'attenzione preferenziale al mondo dei poveri (siano essi
persone singole, sacche di povertà nella società del benessere, nazioni o continenti) e con-
vertire la coscienza. «Soprattutto sarà necessario abbandonare la mentalità che considera i
poveri persone e popoli come un fardello o come fastidiosi importuni che pretendono
di consumare quanto altri hanno prodotto. I poveri chiedono il diritto di partecipare al godi-
mento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro creando così un mondo
più giusto e per tutti più prospero»13. Non si tratta allora della carità come «compassione» o
«elemosina», ma di una vera visione di futuro per cui la «ricchezza dei poveri, le loro poten-
zialità di intelligenza e di umanità vanno sviluppate e recuperate per il bene di tutti, anche
attraverso investimenti economici, e non soltanto sfruttate per profili facili e individuali.
3. Una nuova stagione associativa «Christifideles laici»
Che cosa possono o che pretendono di fare in questi scenari coloro che si aggregano
sotto il nome «salesiano»?
Diciamo che il desiderio e la volontà di associarsi per una finalità nobile, anche se mo-
mentaneamente generica, è già un valore. Gli obiettivi sociali non si ottengono se la gente
non agisce nella stessa direzione e simultaneamente. In un momento in cui le istituzioni
presentano grossi limiti di significato, di capacità di aggregazione, trasmissione di valori e
formulazione di progetti, i gruppi sociali di stimolo e fermento rappresentano una indispen-
sabile spinta al cambiamento. Di tale tendenza, nell'attuale panorama politico, ci sono «se-
gni», se non addirittura prove.
È questa pure l'insistenza della Chiesa.
Proprio la dimensione e natura dei problemi, a cui la carità deve far fronte, spinge la
riflessione ecclesiale a premere perché i fedeli vadano oltre l'intervento individuale e si col-
leghino in associazioni ampie.
Il fatto di aggregarsi sgorga dalla comunione ecclesiale, essa, ci dice la Christifideles
laici, «già presente e operante nell'azione della singola persona, trova una specifica espres-
sione nell'operare associato dei fedeli laici, ossia nell'azione solidale da essi svolta per par-
tecipare responsabilmente alla vita e alla missione della Chiesa»14. In tutti i tempi dunque i
13 CA 34.
14 ChL 29.
- 393 -

40.6 Page 396

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cristiani si sono radunati in comunità per condividere la fede e si sono aggregati tra di loro
e con altri per finalità varie.
Ma nella generale tendenza individualistica attuale che incide anche sull'esperienza cri-
stiana, le associazioni costituiscono un «segno» di particolare forza per la Chiesa e la società.
Perciò accanto ai centri di convocazione, comunione e partecipazione istituzionali (parroc-
chie), nascono aggregazioni trasversali che sottolineano una dimensione particolare della
vita cristiana, come la preghiera e l'approfondimento della fede, o sviluppano un aspetto
della missione della Chiesa, come l'evangelizzazione di determinati ambienti.
L'esortazione Christifideles laici parla di una nuova stagione aggregativa: «Se nella sto-
ria della Chiesa l'aggregarsi dei fedeli ha rappresentato in qualche modo una linea costante...
possiamo parlare (oggi) di una nuova stagione aggregativa dei fedeli laici». Infatti «accanto
all'associazione tradizionale, e talvolta alle sue stesse radici, sono germogliati movimenti e
sodalizi nuovi, con fisionomia e finalità specifiche: tanta è la versatilità delle risorse che lo
spirito alimenta nel tessuto ecclesiale, e tanta è pur la capacità di iniziativa e la generosità
del nostro laicato»15.
Di tale stagione si sottolinea la ricchezza che si scorge nella varietà di aggregazioni e
dei motivi spirituali e apostolici che vi sottostanno, così come l'ampia convergenza nella
finalità ecclesiale di «portare il vangelo di Cristo quale fonte di speranza per l'uomo e di
rinnovamento per la società».
Inoltre vengono ribaditi alcuni criteri di ecclesialità che sono maturati, non senza trava-
glio, mentre il fenomeno aggregativo prendeva corpo. Di essi voglio commentarne soltanto
uno: «L'impegno per tutte le aggregazioni di una presenza nella società umana che si ponga
a servizio della dignità integrale dell'uomo. In tal senso le aggregazioni dei fedeli laici de-
vono diventare correnti vive di partecipazione e di solidarietà per costruire condizioni più
giuste e fraterne all'interno della società»16.
Il distintivo di qualsiasi aggregazione cristiana è dunque un'incidenza attiva e qualificata
sulla convivenza. Si esclude perciò che possa costituire soltanto un rifugio, un «ritiro» per
cose spirituali, un «club» per l'incontro privato e selettivo.
4. Il qualificativo di salesiano
Il Movimento «salesiano» si inserisce in questa stagione associativa con tratti e contri-
buti peculiari. Esso è costituito da gruppi molteplici che vanno nascendo attorno ad un pro-
getto operativo unico: SDB, FMA, cooperatori, exallievi, exallieve, VDB, Movimento Gio-
vanile Salesiano e altri.
Il progetto operativo odierno continua, sviluppa e aggiorna quello che appare nelle prime
iniziative di Don Bosco; si estende e si arricchisce di nuovi aspetti, operatori e tratti culturali.
Entrambi, progetto e realtà associativa salesiana, hanno un'identità che traspare in alcune
scelte. In primo luogo c'è l'attenzione preferenziale ai giovani. Se i giovani non ci fossero,
come presenza e preoccupazione, come ispirazione e campo di iniziative, bisognerebbe can-
cellare il qualificativo di salesiano dalla denominazione del movimento. C'è infatti un'equa-
zione tra salesiano e giovanile. Molti altri fronti e imprese completano la fisionomia del
Progetto e del movimento associativo salesiano, ma i giovani ne danno il tratto fondamen-
tale. Per cui quando la realtà associativa si allarga e cresce i servizi ai giovani si diversificano
e si arricchiscono: vanno dall'educazione diretta alle politiche giovanili dei paesi cosiddetti
15 Ibid.
16 Cf. ChL 25.
- 394 -

40.7 Page 397

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cristiani alle terre di missione, dalle presenze nelle istituzioni ai programmi per il «tempo
libero» e per l'emarginazione.
«Vi raccomando scriveva Don Bosco ai lettori del Bollettino la cristiana educa-
zione della gioventù... in modo particolare la cura dei giovani poveri e abbandonati che fu-
rono sempre la porzione più cara al mio cuore».
Le associazioni e i movimenti ecclesiali assumono campi particolari di impegno e pro-
muovono esperienze varie. Alcuni sottolineano la preghiera, altri stimolano alla riflessione
di fede, qualcuno si impegna nell'area della salute o della cultura. L'associazionismo sale-
siano sceglie i giovani, la loro crescita umana e nella fede, come area prima e originale di
progettazione. E ciò configura anche il suo spirito, determina i suoi rapporti interni e la sua
organizzazione.
Ma la gioventù non vive sotto una campana di vetro. Donde la preoccupazione per mi-
gliorare la qualità umana, morale e cristiana della società, che è l'ambiente nel quale crescono
i giovani.
Ci fu un'evoluzione in Don Bosco riguardo al rapporto tra educazione e società. All'ini-
zio del suo apostolato la società in quanto tale non gli fa specie. La bontà della sua struttura
e organizzazione non è in discussione come non lo sono le sue leggi e valori fondanti. Caso
mai ci sono persone che non adempiono ai loro doveri o danno scandalo. Si tratta allora di
inserire nella società cittadini «ben educati». È condiviso il principio che la società dipende
dall'educazione della gioventù, che questa è la sua forza trainante. Ciò è pienamente giusti-
ficato dal carattere «statico» degli assetti, norme o gruppi sociali.
Poi sopraggiunge la libertà religiosa, il risorgimento e l'unità d'Italia, la questione ope-
raia, l'inizio dei rivolgimenti sociali, i problemi ideologici. L'educazione dei «piccoli» se-
condo le tradizioni e in ordine a trasmettere competenze, valori e conoscenze non appare
sufficiente da sola a risolvere i problemi sociali. La comunità cristiana e specialmente coloro
che si erano iscritti nelle sue associazioni dovevano intervenire in tutte le direzioni possibili
superando la passività e il disfattismo. «L'opera dei cooperatori è fatta per scuotere dal lan-
guore, in cui giacciono tanti cristiani e diffondere l'energia della carità». In questa linea bi-
sogna collocare il suo sforzo per la stampa, l'assistenza agli emigranti, la fondazione di so-
cietà di operai cattolici. «A Torino si legge nel processo informativo sulle virtù di Don
Bosco egli era l'uomo emergente, divenuto quasi il capo dirigente del movimento catto-
lico»17.
Per i problemi giovanili, per la diffusione della fede, per l'umanizzazione della società
bisogna mobilitare tutte le energie possibili e aggregare coloro che operano nello stesso
senso. È il principio della collaborazione, del non isolamento, della non frammentazione.
Lui stesso tentò sempre di gettare un ponte tra privato e pubblico, rivolgendosi alle autorità
per far conoscere e sostenere le sue iniziative educative. Teorizzò il bisogno di unione tra «i
buoni», cioè tra coloro che in qualsiasi misura e modalità desiderano la crescita e il recupero
delle persone e lavorano per il miglioramento della società.
In questo sforzo partecipano, dunque, sacerdoti, laici, uomini, donne, religiosi e non,
cristiani e aderenti ad altre religioni. Tutti cercano di appoggiarsi vicendevolmente e si sen-
tono solidali nel bene.
La realtà associativa salesiana non traccia linee divisorie tra la laicità, il ministero sacer-
dotale o la consacrazione religiosa: ci sono salesiani sacerdoti e laici, ci sono cooperatori
17 Cf. testimonianza di Don Giovanni del Turco.
- 395 -

40.8 Page 398

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laici e sacerdoti (e anche vescovi), ci sono exallievi laici e anche religiosi e sacerdoti. Cia-
scuno vive la sua vocazione e opera dalla sua situazione: dà e riceve; ispira, collabora e
appoggia.
Ma l'insieme ha una forte connotazione laicale, legata alle scelte di campo e allo stile
operativo. Laico è lo spazio in cui si lavora, l'educazione, la promozione e la cultura popo-
lare. Laiche sono le istituzioni, laici sono la maggior parte delle energie, laici sono i principi
di praticità ed efficienza.
In tutto si muove spinto dalla carità, che si esprime nella bontà e sensibilità, nella com-
passione, amore e responsabilità sociale. Ma è una carità che diventa soprattutto spirito di
iniziativa, creatività, intraprendenza, realizzazione. «È meglio accendere una candela che
maledire l'oscurità. Siamo in tempi in cui bisogna operare... Il mondo attuale vuole vedere
realizzazioni... In altra epoca bastava riunirsi insieme nelle pratiche religiose. Oggi oltre al
ferventemente pregare c'è bisogno di creare e lavorare indefessamente, se non vogliamo as-
sistere alla rovina della presente generazione». Sono parole con cui Don Bosco esprime sin-
teticamente la percezione del suo tempo e i propositi che lo guidano.
Il risultato di questa lettura del proprio tempo e di questo progetto di intervento è il
sorgere di una Famiglia o Movimento, con unità di spirito e di fini, formato da molte asso-
ciazioni, collegate e complementari, autonome nell'agire: una Famiglia con una spiritualità,
una missione e una prassi.
In questa Famiglia gli exallievi e le exallieve si caratterizzano per l'esperienza positiva
di un tipo di educazione, la diaspora nel mondo, il vincolo dell'affetto che li unisce a Don
Bosco e alla sua causa, l'intercomunicazione.
5. Aree di impegno per attuare la dimensione sociale della carità
Come può questa realtà associativa, diffusa e complessa, assumere la dimensione sociale
della carità così necessaria nell'ora in cui viviamo e così sottolineata nella riflessione eccle-
siale odierna? E che cosa compete in forma speciale alla sua componente laica? Non c'è il
rischio che volendo coinvolgere molte e così diverse persone si perda la forza tipica dei
«lieviti», ridotti per quanto riguarda il numero, ma convinti e impegnati? Non sarà tutta que-
sta grande Famiglia Salesiana nel sociale un'armata «Brancaleone», che non può essere gui-
data né da disegni profondi né da finalità intese nello stesso senso?
Certo, nelle associazioni salesiane si punta in primo luogo a far crescere la coscienza e,
come conseguenza, a far sì che ciascuno si impegni secondo le proprie possibilità. Si intra-
vedono poi diversi fronti in cui persone e gruppi possono coinvolgersi per realizzare la di-
mensione sociale della carità.
In primo luogo, siamo tutti invitati ad operare, insieme e senza sosta, nel quotidiano e in
occasioni straordinarie, in privato e in pubblico per creare una cultura della solidarietà. Due
parole chiavi: solidarietà e cultura. La prima concentra oggi in sé le motivazioni, gli atteg-
giamenti e gli sforzi da sviluppare per far fronte a diffusi fenomeni sociali. È stata abbon-
dantemente adoperata e commentata, per cui non vi indugiamo.
Ma cultura è anche una parola chiave, quasi una cifra che sta ad indicare sinteticamente
la portata di quello che ci si propone. La cultura include il modo di pensare e di parlare, gli
atteggiamenti, le valutazioni, i comportamenti, le azioni in cui ci coinvolgiamo.
Se non si riuscisse a sviluppare una cultura della solidarietà, se ci accontentassimo di
momenti o gesti isolati di generosità, sforzi e programmi risulterebbero insufficienti non
soltanto per risolvere questioni internazionali, ma anche per affrontare con dignità i problemi
più semplici che appaiono nell'ambito immediato.
- 396 -

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Infatti gesti esemplari di bontà e disinteresse abbondano. Le affermazioni di principio e
le dichiarazioni di generosità non mancano. Persone ben ispirate si trovano dappertutto. Ma
c'è una frattura tra diversi ambiti in cui si svolge la vita, tra gesti privati e mentalità collettiva,
tra sentimenti personali ed espressioni sociali, per cui una sembra essere l'etica delle convin-
zioni personali e un'altra quella delle responsabilità pubbliche.
Parafrasando l'Evangelii Nuntiandi si direbbe allora che anche riguardo alla solidarietà
«bisogna raggiungere e quasi sconvolgere i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti
di interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita»18.
La cultura richiama non tanto a fatti spontanei, pur numerosi, ma ad un impegno razio-
nale e sistematico delle energie di cui dispone l'uomo per affinare il suo spirito e trasformare
il mondo. Esiste veramente quando criteri e convinzioni sono condivisi dalla collettività,
diventati comuni, quando le manifestazioni pratiche si danno in ogni ambito di vita, quando
nei momenti di massima difficoltà e tensioni ci si riconosce in alcuni punti fermi su cui
elaborare soluzioni.
La cultura della solidarietà si fonda su una visione del mondo e una concezione della
persona opposta all'individualismo, a cui non siamo del tutto abituati.
L'interdipendenza viene eretta a chiave interpretativa dei fenomeni positivi e negativi
dell'umanità. Niente ha una spiegazione esauriente o una soluzione ragionevole se viene rin-
chiuso in sé e considerato in forma isolata. Ogni fenomeno va rapportato ad altri su cui
influisce e dai quali viene provocato, rafforzato o equilibrato: insieme formano la trama e il
tessuto della storia umana. Povertà e ricchezza, denutrizione e spreco, inquinamento e forme
di produzione, guerra e potere, criminalità e disinteresse, Nord e Sud sono fenomeni corre-
lati, anche se non in maniera meccanica né uniforme. La relazione la si capisce alla luce di
una certa visione della vita e del mondo e secondo la crescita di responsabilità della propria
coscienza.
Sulla stessa linea la persona va considerata non come un essere che prima si costituisce
«in sé», incomunicata, e soltanto in un secondo momento, quasi come per un dovere etico,
si orienta verso gli altri. Essa invece plasma la sua esistenza originale nel rapporto, percepito
e assunto responsabilmente; riesce ad essere sé stessa in una interdipendenza obiettiva e
arricchente. La persona è apertura. Vive nella storia, invece, nel proprio guscio, si esaurisce.
La solidarietà si estende dunque simultaneamente agli atteggiamenti e alle strutture: ri-
guarda il livello privato e quello pubblico, attinge la sfera personale, sociale e politica; com-
prende l'ambito familiare, nazionale e internazionale, senza possibilità di delega da parte di
nessuno.
Ciascuno di noi ha la sua parte per la tranquillità domestica ma, nondimeno, per la pace
del mondo. Essa pure dipende da noi come da noi dipendono l'ambiente e la giustizia inter-
nazionale: da noi educatori, pastori, cittadini, intellettuali o semplicemente esseri umani.
Se è vero che il mondo è diventato un villaggio non è possibile vivere da persone con-
sapevoli assumendo soltanto la prospettiva del focolare,- del quartiere o del paese. Alcune
evidenze collettive che oggi determinano decisioni a raggio mondiale, ebbero inizio da una
mobilitazione delle coscienze, delle opinioni, delle collaborazioni più umili e in apparenza
insignificanti.
18 EN 19.
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44. LA COMUNITÀ EDUCATIVA SOGGETTO ECCLESIALE. INTERROGA-
TIVI E PUNTI DI APPROFONDIMENTO
Vecchi, J.E. La comunità educativa soggetto ecclesiale. Interrogativi e punti di approfondimento. Intervento all'assemblea
dell'Ispettoria San Marco a Mogliano Veneto, 1993.
1. La soggettività della comunità educativa. - 2. Soggetto ecclesiale. - 3. Applicazioni e conseguenze per le Comunità Edu-
cative Pastorali Salesiane. - 3.1 La struttura interna. - 3.2 L'originalità carismatica. - 4. Il ruolo della comunità religiosa.
1. La soggettività della comunità educativa
I documenti e gli studi sulla comunità educativa in generale1 e, più in particolare, su
quella salesiana2 offrono ormai materiale per una antologia. Gli approfondimenti brevi,3
medi e lunghi sembrano avere esaurito l'argomento e lasciar luogo dunque soltanto alla ri-
petizione. Ogni aspetto è stato trattato in forma particolareggiata: fondamenti, composizione,
competenze, funzioni, processi interni e rapporti esterni.
Un risultato non piccolo si è ottenuto: socializzare e condividere la scelta della comu-
nità educativa come elemento cardine della scuola salesiana. Ciò comporta concentrare gli
sforzi nel promuovere e qualificare gruppi di educatori, senza trascurare per questo la con-
sistenza culturale e pedagogica dei progetti e l'aggiornamento delle strutture. Di tale propo-
sito sono prova i due ultimi Capitoli Generali. Quello dei Salesiani stabilisce che nel presente
sessennio (1990-96) la comunità educativa dovrà diventare realtà in ogni presenza4. Sarà
quindi un impegno da verificare con molta serietà a raggio ispettoriale e mondiale alla pros-
sima scadenza (1996).
Il CG 19 delle FMA suppone la comunità educativa come realtà indiscussa in fase di
attuazione, la riporta sovente al centro del discorso educativo e ribadisce l'urgenza di alcuni
processi al suo interno come per esempio la partecipazione, la comunicazione, la solidarietà,
l'attenzione alla nuova situazione della donna5.
Dell'impegno per la comunità educativa dà fede pure il Progetto Educativo della scuola
e della formazione professionale dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia
(1992). Secondo la descrizione sintetica, essa «è centro propulsore dei processi, fonte di
energia che fa nascere relazioni interpersonali, modello di conduzione educativa conforme
1 Ciascuno dei cinque documenti ecclesiali che sono alla base di questa relazione fa una presentazione
della comunità educativa: CONGREGAZIONE PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA, La Scuola Cattolica, Mi-
lano, Vita e pensiero, 1977, nn. 53-62; Id., Il laico cattolico, testimone della fede nella Scuola, Roma
Tipografia poliglotta vaticana, 1982; Id., La dimensione religiosa dell'educazione nella Scuola Cat-
tolica, Milano: Figlie di San Paolo, 1988, nn. 14-46; CEI, La Scuola Cattolica oggi in Italia, 1983,
nn. 34-51; CEI, (Ufficio Nazionale per l'Educazione, la scuola e l'università), Fare pastorale della
Scuola oggi in Italia, Milano, Figlie di San Paolo, 1990, nn. 26-43.
2 Cf. J.E. VECCHI, Pastorale giovanile, una sfida alla comunità ecclesiale, Leumann (To), LDC, 1992.
pp. 120-196; R. TONELLI, Comunità Educativa in J.E. Vecchi e J.M. Prellezo, «Progetto educativo
Pastorale», Roma, LAS, 1984, pp. 399-416.
3 Sono particolarmente ricche e indicative le presentazioni della Comunità Educativa che vengono nei
PEPSI delle singole ispettorie dopo le revisioni degli ultimi Capitoli Ispettoriali.
4 «La Congregazione si impegna nel prossimo sessennio a costruire in tutte le presenze la comunità
educativa pastorale», CG23 235; «Entro il prossimo capitolo ispettoriale ogni comunità locale realizzi
e perfezioni nella propria opera la comunità educativo-pastorale», CG23 236.
5 Cf. CG19 FMA, pp. 45-66.
- 398 -

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41.1 Page 401

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allo spirito di famiglia del carisma salesiano»6. Ciascuna di queste espressioni può dar luogo
a un capitolo di commenti e di applicazioni pratiche. Alcuni temi connessi con la comunità
educativa poi hanno avuto svolgimenti autonomi ancora più estesi: l'animazione, i collabo-
ratori laici, il sistema preventivo, la formazione permanente.
Il limite deplorato, ma spiegabile, è la lentezza nella realizzazione. Per cui nel convegno
di Sacrofano si affermava: «Oggi si devono attivare i processi che possono far diventare le
unità scolastiche locali soggetti capaci di gestire la complessità e adeguare la propria azione
ai ritmi dei cambiamenti. I problemi che la scuola deve affrontare sono molti. La sola enun-
ciazione e corretta impostazione appaiono lunghe e difficili. Più urgente che riuscire a do-
minarli tutti in una sola volta, è mettere in azione gruppi di educatori solidali nella missione
educativa, capaci di rielaborare gli stimoli che li si offrono e creare modelli di intervento.
Tali gruppi possono non soltanto assimilare gli orientamenti che vengono dai propri centri
di animazione, ma anche sperimentare soluzioni originali». La conclusione era palese: gli
studi ad alto livello, le direttive da parte dell'autorità, i documenti chiarificatori sono utili.
Ma più urgente è preparare in forma sistematica persone e gruppi ad interpretarli e realiz-
zarli. Non si tratta di alternative escludenti ancora orientamenti o sforzo di qualificazione
degli educatori ma di priorità e urgenze.
Su questa linea vuole collocarsi il nostro discorso: raccogliere una sfida, riprendere uno
stimolo fecondo e giungere a dei chiarimenti che consentano di migliorare la vita e l'assetto
delle comunità già nell'immediato.
Della comunità educativa, nell'ultimo tempo, si è messa a fuoco con particolare inte-
resse la soggettività: il fatto che essa non sia soltanto committente di un lavoro da compiere
su incarico e per conto di altri (quasi un appalto!), ma ne sia il titolare; che la sua responsa-
bilità sui contenuti e gli indirizzi, l'offerta e i risultati educativi non sia secondaria e di sola
esecuzione ma principale e di progettazione; che non soltanto proponga processi educativi
ai giovani, ma li faccia essa stessa.
Tale condizione di soggetto veniva presupposta in molte prospettive precedenti, ma
non era stata tematizzata né presa come un punto di vista ricostruttivo della complessità
scolastica per estrarne le molteplici conseguenze7.
Negli orientamenti che hanno guidato la riflessione di questi anni ricorre per la prima
volta, riferita alla presenza della scuola cattolica nella società civile, nel documento La
scuola Cattolica oggi in Italia della CEI8. Presentandolo alla Conferenza Nazionale Sale-
siana (Frascati, 1983), Mons. Ambrosanio ne additava, come grande novità e asse portante,
la triplice soggettività della scuola cattolica: quella educativo-culturale, quella sociale e
quella ecclesiale.
6 Cf. SDB-FMA, Il progetto educativo della scuola e della formazione professionale dei Salesiani di
Don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia. Roma: [s.e.], 1992, n. 4, pp. 30.
7 Cf. CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, Atti del primo Convegno Nazionale. Roma.
20-23 novembre 1991, Brescia, La Scuola, 1991, p. 22.
8 CEI, La scuola cattolica oggi, in Italia. o.c.. n. 78: «La scuola cattolica contribuisce con le sue
strutture, le sue disponibilità culturali... con la sua specifica soggettività a formare quel sistema inte-
grato di servizio scolastico, in cui le strutture predisposte dai pubblici poteri e quelle istituite e-o stile
da soggetti diversi si integrano...».
- 399 -

41.2 Page 402

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La prospettiva venne poi ripresa da La dimensione religiosa dell'educazione nella
Scuola Cattolica (Congregazione per l'Educazione Cattolica, 7 aprile 1988)9, e fatta oggetto
di ampia discussione nel Convegno Nazionale del novembre 199110.
Parlare della scuola cattolica come soggetto significa concepirla in primo luogo come
uno spazio umano anziché come una struttura; pensare l'educazione in termini di relazioni
tra persone e gruppi piuttosto che di soli programmi o contenuti intellettuali. È il soggetto
che fa il progetto conforme alle sue possibilità, convinzioni e aspirazioni. La soggettività
dunque spinge tutto il discorso dell'educazione verso la comunicazione, creatività e respon-
sabilità.
In questo spazio umano persone e gruppi interagiscono in forma libera e molteplice. I
risultati educativi trovano una spiegazione ultima negli agenti stessi, nella loro mentalità,
professionalità e dedizione, piuttosto che in cause esterne, lontane o anonime come l'am-
biente generale, il sistema scolastico, i programmi. La soggettività educativo-culturale sta
ad indicare il diritto, il dovere e il compito che ha la comunità di immaginare, e mettere in
atto criteri e proposte educative originali, accordi con una visione dell'uomo in cui crede e
conforme alla valutazione che fa dei destinatari. Non solo «passa» o trasmette cultura, ma la
elabora. Non solo riproduce l'educazione ordinata dall'alto ma la ripensa e attua secondo
scelte proprie.
La soggettività sociale11 significa che la scuola cattolica fa parte, a tutti gli effetti e con
pieno diritto secondo la propria natura e finalità, della comunità sociopolitica nazionale, del
contesto sociale immediato e soprattutto del sistema educativo: non è sussidiaria, di sup-
plenza, una concessione a «settori» di particolari convinzioni religiose, ma uguale ad altri
plessi scolastici quanto a stato giuridico, sostegno economico, doveri e rappresentatività,
sebbene originale e complementare quanto a contributi culturali e pedagogici.
2. Soggetto ecclesiale
La soggettività della comunità educativa presenta dunque diverse dimensioni auto-
nome, non riducibili l'una all'altra, sebbene poi in una comunità concreta interagiscano e si
fondino in unità. La ragione ultima di tutte è nella persona che per prima ha il diritto innato
all'educazione e alla cultura in senso attivo e passivo e che, per promuoverle, può anche dare
origine a soggetti sociali che vengono riconosciuti e regolati dagli ordinamenti giuridici,
civili ed ecclesiali.
La persona non vive dunque tali dimensioni in forma schizofrenica, separandole l'una
dall'altra secondo tempi, interlocutori o spazi giuridici. Pur facendole interagire dialettica-
mente per ottenere da ciascuna il massimo di stimolo e ricchezza, le organizza in una identità
personale e le gerarchizza in una scelta di valori educativi e di prassi pedagogica. E ciò con
tanta maggior libertà e chiarezza quanto più gli ordinamenti giuridici dei paesi riconoscono
i soggetti sociali come luogo dove la persona (e non in primo luogo lo stato!) si esprime e si
sviluppa. Forse non si è presa ancora sufficiente consapevolezza della cultura che sta ispi-
rando da alcuni anni il vivere sociale dei paesi più avanzati. Può capitare che i cattolici (o si
fa per dire!) manifestino ancora un complesso di inferiorità, una tendenza alla sudditanza, a
9 Ibid., n. 33: «La scuola cattolica ha avuto dunque dal Concilio una identità ben definita: possiede
tutti gli elementi che le consentono di essere riconosciuta non solo come mezzo privilegiato per ren-
dere presente la Chiesa nella società, ma anche come vero e proprio soggetto ecclesiale».
10 Cf. CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c.
11 Cf. CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., p. 78.
- 400 -

41.3 Page 403

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mettere tra parentesi l'identità educativa che scaturisce dalla confessione della fede, all'ade-
guamento di fronte al mondo scolastico «laico» o agli organismi statali. E la persona umana,
unica e unita interiormente, che ha diritti inviolabili e crea possibilità nuove, sia come sin-
golo sia nei soggetti o formazioni sociali. Sono questi dunque che si specializzano e si mol-
tiplicano nella società moderna e complessa per poter accogliere le scelte delle persone, non
le persone che rinunciano o nascondono la loro identità per poter stare entro soggetti sociali
stretti e rigidi. Noi vogliamo approfondire la soggettività ecclesiale, che non è un principio
di riduzione delle altre due ma lo strumento di una loro ricomprensione12, e che appare carica
di conseguenze e applicazioni pratiche. Si è detto infatti che «costituisce un punto fonda-
mentale nuovo e originale; con essa avviene un trapasso copernicano»13.
Anche il primo Convegno Nazionale sottolineava questa novità: «Potremmo parlare...
di conversione culturale: si tratta di operare un rinnovamento di mentalità e un rilancio ope-
rativo per una qualificazione della scuola cattolica che risulti nell'ambito educativo, culturale
e scolastico "specchio della Chiesa" di una comunità che fa sintesi tra la fede e la vita»14.
Anche facendo la tara di una certa enfasi scontata nella presentazione di ogni nuovo
documento o prospettiva specialmente ad operatori del settore interessato, la portata di que-
ste affermazioni rimane ancora di notevole peso. Se poi corrisponde ai fatti ce ne dovremmo
rendere conto guardando la prassi della Chiesa e l'andamento delle comunità scolastiche.
L'asserto riguarda infatti principalmente queste due realtà.
La soggettività ecclesiale, d'altra parte, non è un principio teorico o un titolo di nobiltà
da sfoderare in qualche opportunità straordinaria, ma un criterio operativo le cui conse-
guenze possono essere verificate anche con un certo rigore15.
Così la presenta come un principio operativo e organizzativo il nostro Progetto: la co-
munità scolastica è «il soggetto ecclesiale nel quale la comunità cristiana assume senza ri-
serve la dimensione educativa e culturale della propria esperienza di fede, nella varietà delle
presenze, delle vocazioni e dei ministeri. La diversità accolta in tutta la sua ricchezza e la
convergenza costruita intorno al progetto educativo e al servizio dell'autorità costituiscono
l'elemento centrale di unità»16.
Ciò era stato sovente ribadito. La scuola cattolica veniva infatti additata come presenza
di credenti nel mondo scolastico, compimento della missione ecclesiale, luogo educativo
coerente con la fede, parte del tessuto vivo della Chiesa locale, contributo della Chiesa alla
società civile, spazio significativo dell'incontro tra fede, istituzione della comunità cristiana,
ambiente ecclesiale di educazione, luogo di formazione cristiana integrale attraverso l'assi-
milazione sistematica della cultura.
Ma centrare il discorso sulla «soggettività ecclesiale» vuol dire ripensare e vivere in
maniera nuova l'originale rapporto che esiste tra Chiesa e scuola cattolica.
• La scuola cattolica appartiene alla Chiesa non nel senso che è sua proprietà o possesso
«come un bosco, un prato, una banca o un palazzo», ma ne costituisce una «porzione», una
realizzazione capace di assumere e riflettere la sua identità e la sua vita. Non è semplice-
mente un'iniziativa, un servizio emanato verso l'esterno, ma la stessa comunità ecclesiale,
12 Cf. CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., p. 49.
13 CISI, Scuola Salesiana oggi in Italia, I Conferenza Nazionale, 1983, pp. 95ss.
14 Cf. CEI, La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., p. 52.
15 «Se parliamo di soggetto ecclesiale e di ecclesialità della scuola cattolica, il vocabolario si fa preciso
e rigoroso. Qui bisogna prendere sul serio le parole che usiamo». La Scuola Cattolica oggi, in Italia,
o.c., p. 96.
16 SDB-FMA, Il Progetto educativo della scuola e della formazione professionale dei Salesiani di
Don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Italia, p. 23.
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41.4 Page 404

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una sua manifestazione particolare volta ad adempiere la sua missione di educare l'uomo. È
Chiesa! Ipsa Ecclesia!17 In essa è presente e agisce la Chiesa di Cristo18.
Il carattere ecclesiale non è un valore che si ottiene per concessione, consensi o pratiche
religiose aggiunte, ma è costitutivo una volta che la missione è stata data o riconosciuta.
Perciò il Codice di Diritto Canonico19 stabilisce criteri per il riconoscimento ecclesiale delle
istituzioni scolastiche e delle comunità che le curano.
• Come «porzione» o «realizzazione» della Chiesa è aperta ad altre sue espressioni,
alcune più piene e comprensive, altre più piccole. Tra le prime bisogna annoverare la Chiesa
locale in cui la comunità scolastica si inserisce immediatamente; tra le seconde, le associa-
zioni ecclesiali particolarmente quelle che le sono più affini e soprattutto la famiglia, consi-
derata pure soggetto ecclesiale. Come «porzione» o espressione ecclesiale ha anche un rap-
porto singolare con la comunità umana nella quale vive come fermento e alla quale è inviata.
• Ma la comunità scolastica non viene sufficientemente descritta come soggetto eccle-
siale mediante la sola appartenenza o identificazione con la Chiesa. Bisogna mettere sulla
bilancia un altro elemento: la sua originalità fra i diversi soggetti o manifestazioni ecclesiali.
La missione di «educare l'uomo» è affidata alla Chiesa universale e particolare. Ma
solo le comunità a cui ci riferiamo assumono questa missione secondo il modello professio-
nale, civile e scolastico.
La soggettività educativo-culturale co-determina la composizione, il funzionamento, le
finalità, il metodo pastorale, e anche l'espressione della fede della comunità scolastica. Non
la si può pensare o volere simile alla comunità parrocchiale, o al movimento ecclesiale. La
sua differenza non consiste soltanto nel «lavoro» materiale, ma proprio nella sua esperienza
ecclesiale. Se pensassimo altrimenti porremmo già il principio della divisione o giustappo-
sizione tra esperienza di fede e compito di insegnamento che non vorremmo veder affermato
alla fine del ragionamento, nel momento di tirare le conseguenze quotidiane.
• A definire ulteriormente l'originalità ecclesiale concorre il fatto che la comunità sco-
lastica ha una propria soggettività sociale che proviene dalla sua appartenenza ad una comu-
nità umana indipendentemente da denominazioni confessionali. È piantata nel secolare, nel
punto di incontro tra fede e mondo, piuttosto che tra istituzione ecclesiastica e Stato, fonde
in sé finalità ecclesiali e finalità sociali. In forza di questa soggettività si apre, si comunica e
interagisce con altri soggetti dedicati alla medesima o ad altre attività culturali all'interno del
corpo sociale sulla base dei principi e degli interessi secolari anche se in questi essa porta i
fermenti e contributi della sua scelta religiosa.
Dai due tratti precedenti ne viene un terzo. Poiché radicata nella società umana e nell'a-
rea culturale, la comunità scolastica si configura come «missionaria». La missionarietà viene
fondamentalmente dal fatto che compie la missione nella Chiesa; ma anche perché è collo-
cata in uno degli areopaghi moderni e risulta quasi una frontiera «ad gentes». «L'ecclesialità
della scuola cattolica ha un'intrinseca forza missionaria - diceva Mons. Tettamanzi -. Non la
chiude nella Chiesa, ma l'apre all'esterno, alla società chiamata come è, proprio nell'impegno
culturale, educativo, scolastico a trasmettere la visione di vita ispirata al Vangelo non solo
ai suoi membri, ma a tutti gli altri»20.
Nella scuola cattolica partecipano dunque della soggettività ecclesiale persone che sono
a diversi livelli nella comprensione e pratica della fede. Anzi essa si estende più in là dei
17 CISI, Scuola Salesiana oggi in Italia, p. 96.
18 Ibid., p. 55.
19 CDC nn. 803. 804. 806.
20 La presenza della Scuola Cattolica in Italia. o.c., p. 57.
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confini visibili della Chiesa, a coloro che collaborano di cuore alla missione, pur apparte-
nendo ad altre confessioni cristiane o avendo per il momento verso la Chiesa solo una aper-
tura o disponibilità21. E ciò anche se è vero che la soggettività ecclesiale si fonda sul batte-
simo, che comporta il diritto-dovere alla crescita e allo sviluppo come figli di Dio. Di esso
gode in primo luogo tutti i fedeli e correlativamente l'organizzazione ecclesiastica che lo
esercita attraverso le sue diverse espressioni sociali.
• Nei documenti che veniamo esaminando si parla di soggetti a quattro livelli: la chiesa
universale e particolare, entro la quale la scuola cattolica trova la sua ragion d'essere, la
comunità educativa che esercita con propria responsabilità e creatività la missione della
Chiesa di educare; le diverse componenti interne alla comunità educativa, genitori, educa-
tori, allievi designati anch'essi come soggetti dell'educazione; finalmente i singoli, indipen-
dentemente dalle categorie in cui vengono inclusi, a partire dal loro essere persone e battez-
zati chiamati a crescere nella fede, a diffondere il Vangelo e a associarsi liberamente con
altri per interessi collegati allo sviluppo umano e cristiano.
Questa articolazione, ascendente e discendente, dalla comunità alla persona, dalla per-
sona alla comunità è di somma importanza: fa vedere che la soggettività non parte da un
«collettivo» il quale per primo la possiede nella sua totalità e la distribuisce poi a organismi
subalterni che vengono quasi assorbiti da essa; ma ciascuno la ha in proprio e la mette in
comune conservando la propria inalienabile originalità.
Da questa appartenenza differenziata, originale scaturiscono le relazioni che si stabili-
scono tra la comunità educativa e la Chiesa particolare: il termine che le definisce non è
dipendenza anche se si riconosce all'autorità il ruolo di costituire, riconoscere e orientare;
non è nemmeno autonomia. Anche se si riconosce alla comunità educativa la capacità di
elaborare quello che è nel suo campo professionale specifico. È reciprocità: la relazione che
intercorre tra i membri del corpo in cui è raffigurata la Chiesa. Con le parole della CEI: «La
scuola cattolica deve pensare se stessa e il proprio compito in una relazione sempre più piena
con la Chiesa diocesana; la diocesi deve sentire e trattare la scuola cattolica come una realtà
profondamente radicata nella propria trama vitale e nella propria missione verso il mondo»22.
La Chiesa particolare dunque riconosce come sua, nel senso di comunione non di pos-
sesso, la comunità scolastica, le affida la missione educativa, la appoggia dal punto di vista
sociale ed economico, provvede a collocarla in una buona organizzazione del suo servizio
per i fedeli e per tutti quelli che ne vogliono approfittare, la inserisce nella sua vita comuni-
taria visibile e ne valorizza la presenza. La comunità educativa scolastica a sua volta si man-
tiene in comunicazione con la comunità ecclesiale, presenta nel contesto il volto della Chiesa
sensibile ai problemi dell'uomo, assume le sue linee pastorali secondo il proprio modello di
azione, apporta la propria professionalità anche in altri impegni della comunità cristiana,
partecipa attivamente alla progettazione di un servizio di educazione più esteso e più ricco23;
in particolare, alla luce del suo soggetto protagonista, il mondo dei ragazzi e dei giovani,
cerca un'integrazione profonda tra il proprio lavoro educativo e la pastorale giovanile24.
21 Cf. La Scuola Cattolica. o.c., n. 59.
22 Ibid.
23 Cf. La presenza della Scuola Cattolica in Italia, o.c., pp. 62- 63.
24 Ibidem, p. 64.
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3. Applicazioni e conseguenze per le Comunità Educative Pastorali Salesiane
Le conseguenze pratiche della soggettività ecclesiale si diramano per noi in tre dire-
zioni: la struttura interna della comunità scolastica, la sua originalità carismatica, il ruolo del
nucleo animatore.
3.1 La struttura interna
Ogni soggetto ecclesiale assume le caratteristiche della Chiesa sebbene non in maniera
uniforme. Ora l'elemento più caratteristico della Chiesa, la causa o radice del suo essere e
manifestarsi come comunità-società è la presenza dello Spirito di Gesù che crea tra i membri
comunione di fede, di speranza e di carità. A servizio dello Spirito e della comunione si
costituiscono adeguati ministeri.
• La comunità educativa dunque è un fatto dello Spirito. I vincoli tra i suoi membri,
educatori, genitori, allievi non sono soltanto di lavoro e organizzazione ma rispondono a una
chiamata e convocazione25.
Non è determinante che tale fatto non sia vissuto da tutti a livelli eccellenti o che alcuni
non lo percepiscano chiaramente come motivazione della loro presenza e partecipazione. E
importante invece che il gruppo animatore sia consapevole delle sue possibilità e orienti la
comunità di conseguenza. La comunione infatti è anche progetto. Il livello più elementare
sta nell'assumere insieme un disegno per la crescita della vita secondo il Vangelo, nel colla-
borare, nel dimostrarsi a vicenda sincera stima e fiducia.
Come in ogni espressione di Chiesa è una comunione per la missione. La missione la
richiede e allo stesso tempo la ricrea e rafforza. Nel nostro caso la missione ha un punto di
coagulo, l'educazione della persona. Ha pure una mediazione privilegiata: l'elaborazione si-
stematica e critica della cultura attraverso l'insegnamento. Questi non sono solo strumenti
dell'evangelizzazione. Per la comunità scolastica sono «esperienza di vita cristiana» e costi-
tuiscono la forma e il contenuto dell'annuncio: una visione evangelica della vita, proclamata
attraverso la testimonianza e parola. «La scuola è luogo di evangelizzazione, di autentico
apostolato, di azione pastorale non già in forza di attività complementari, parallele o para-
scolastiche, ma per la natura stessa della sua azione rivolta direttamente all'educazione della
personalità cristiana»26.
• In questa comunione per la missione educativa si articolano e operano organicamente
diverse vocazioni: il laico secondo la sua condizione di vita, uomo o donna, sposato o celibe;
il consacrato/a (religiosi/e, membri di istituti secolari) con la loro esperienza spirituale e il
loro patrimonio educativo; il ministro ordinato conforme al compito che assume nella co-
munità, di cappellano, direttore spirituale o educatore in senso professionale. Tali presenze
costituiscono un riflesso vivo della ricchezza della chiesa e facilitano la comprensione della
sua realtà27.
25 «Scendere alle radici più, profonde della Chiesa significa coglierla non solo nella sua struttura
istituzionale-giuridica o nella sua attività pastorale. Ma anche ed innanzitutto nella sua dimensione
teologica: la Chiesa è mysterium, una realtà di grazia che è accessibile solo alla fede e che nel con-
tempo trascende la stessa comprensione del credente. Per questo il rapporto tra Chiesa e scuola catto-
lica non si esaurisce nella precisazione degli aspetti giuridici e pastorali, ma attinge la sua singolare
profondità e originalità nel radicarsi nella dimensione misterica della Chiesa. Solo a questa profondità
è possibile definire l'intera verità dell'ecclesialità propria della scuola cattolica». CEI, La presenza
della Scuola Cattolica in Italia, o.c., pp. 49-50.
26 La dimensione religiosa dell'Educazione nella Scuola Cattolica, o.c., n. 33.
27 Cf. Il laico cattolico, testimone della fede nella Scuola, o.c., n. 46.
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• Il compito educativo fa scaturire espressioni originali da ciascuna di queste vocazioni.
Un sacerdote educatore ha un suo modo proprio di mettere a frutto il ministero della parola,
della santificazione e dell'animazione pastorale. La cattedra è il suo pulpito. La cultura intesa
come vita e pensiero è il suo messaggio; l'orientamento evangelico della comunità costitui-
sce il suo ministero pastorale. La sua opera di santificazione consiste nell'aiutare a ricono-
scere e dare una risposta generosa alla grazia nel processo di formazione e crescita integrale.
Qualche cosa di simile capita per il consacrato. Anche prescindendo da una sua specifica
prassi pedagogica di cui parleremo più avanti, la consacrazione medesima agisce come ener-
gia educativa: offre un riferimento sostanziale di valore nella formazione della cultura per-
sonale, ricorda il carattere indispensabile della donazione per la propria realizzazione,
orienta verso la preferenza per i beni proclamati nelle beatitudini, estende la razionalità fino
alla ricerca del senso e la percezione del mistero che la vita comporta.
Il laico attua in forma originale le caratteristiche generali della sua vocazione: il suo
trattare le questioni temporali dal di dentro e secondo le proprie leggi si traduce in capacità
di comunicare esperienza vissuta alla luce della fede nel vivo delle sfide della cultura e del
contesto sociale; il suo compito di lievitare le realtà temporali con l'etica, la carità e lo spirito
del Vangelo aiuta la comunità a collocarsi con realismo nella contingenza, per fare i passi
possibili senza perdere di vista le mete ultime.
I beni che questa comunione è chiamata a far crescere nei giovani e negli adulti sono
la fede, la speranza e la carità: il senso della presenza «liberante» di Dio nella storia, la
fiducia nel compimento della salvezza, la scommessa per l'uomo. Tutte e tre hanno una rea-
lizzazione originale nella comunità e nel progetto educativo.
L'educazione alla fede tiene costantemente presenti i fenomeni di vita dei giovani, i
fatti della cultura precedente e attuale che sono determinanti per la loro mentalità, la rifles-
sione che se n'è fatta per risignificarli col Vangelo. Segue il cammino dell'esplorazione della
realtà che è proprio del processo educativo e connaturale al giovane; lavora con la testimo-
nianza, le motivazioni, le esperienze convincenti soprattutto di tipo pedagogico. «Secondo i
casi, si deve ricominciare dai fondamenti; integrare quello che gli alunni hanno assimilato;
dare risposte alle domande che salgono dal loro spirito inquieto e critico; abbattere il muro
dell'indifferenza: aiutare quelli già bene educati a raggiungere una via migliore e dare loro
una scienza alleata dalla sapienza cristiana»28.
La speranza si esprime nella scoperta gioiosa delle possibilità di ogni persona, nella
disponibilità ad accogliere e far maturare il positivo che c'è nei giovani, nella fiducia nella
cultura umana che si svolge nel tempo29, nell'attesa di raggiungere con i giovani i traguardi
di una umanità più vicina a quella che si rivela in Cristo30.
La carità si traduce nel rapporto interpersonale, nella competenza professionale, nello
sforzo di preparare e fare proposte «segnate dal gusto per il bene, il bello, il vero, sperimen-
tate in forma coinvolgente»31, nella presenza incoraggiante nella comunità educativa, che
serve da mediazione per la sintesi cultura-vita-fede.
Finalità e percorso educativo, articolazione organica di vocazioni diverse per la realiz-
zazione del progetto, orientamento verso la comunione profonda di fede, speranza e carità
danno origine al tipo di ministeri che servono la comunità. È evidente che se ci fermassimo
28 La dimensione religiosa dell'Educazione nella Scuola Cattolica, o.c., n. 23.
29 Cf. J.E. VECCHI & E. MAIOLI, L'animatore nel gruppo giovanile, Leumann (To), LDC, 1988, p. 24.
30 Cf. Il laico cattolico, testimone della fede nella Scuola, o.c., n. 26.
31 Cf. J.E. VECCHI & E. MAIOLI, L'animatore nel gruppo giovanile, o.c., p. 25.
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alla sola soggettività culturale o sociale, non solo alcuni compiti, ma la configurazione, l'ar-
ticolazione e lo stile medesimo dell'autorità e di altri ministeri risulterebbero diversi.
3.2 L'originalità carismatica
I primi documenti ecclesiali sulla scuola hanno messo in guardia contro il ripiego o
«ritirata» dei religiosi/e dall'impegno scolastico. La loro diminuzione era evidente e progres-
siva come lo è tuttora. Si doveva per lo più al calo vocazionale, a ridimensionamenti con cui
si tentava di ritornare ai destinatari preferenziali o al bisogno di soddisfare altre domande di
educazione e pastorale sorte posteriormente. Solo in alcuni casi, piuttosto individuali, sono
intervenuti motivi ideologici.
Le motivazioni addotte per arginare questo esodo non mettevano in luce la ricchezza
pedagogica dei diversi carismi. Ribadivano invece la validità apostolica dell'azione educa-
tiva e la sua importanza per la missione della Chiesa.
Così il documento La scuola Cattolica (1977) che ha aperto la serie di dichiarazioni sul
tema, ricorda i vantaggi dell'apostolato comunitario in campo educativo32 e sottomette al
discernimento del Vescovo la chiusura o la riconversione delle opere scolastiche in altre
attività33. Una normativa simile la si trova oggi nel Codice di Diritto Canonico34. Erano ra-
gioni di efficienza e di disciplina pastorale piuttosto che considerazioni sul carattere eccle-
siale o la ricchezza carismatica della comunità educativa. Infatti, in tale documento in primo
luogo si mette l'opera (la scuola), poi il progetto, poi la comunità. L'intenzione prima è man-
tenere e qualificare le scuole, non tanto dare una coscienza o dimensione nuova alle comu-
nità scolastiche o prendere atto dell'esistenza di comunità ecclesiali diverse.
Ai gruppi di religiosi/e non vengono attribuiti particolare peso e significato qualitativo
collegato al loro carisma. Eppure l'interrogativo che non pochi religiosi/e si ponevano non
era tanto se l'educazione fosse un'attività proficua per l'evangelizzazione, ma quale era il
contributo specifico e il posto della loro opzione radicale per il Regno in una struttura e in
un programma di insegnamento segnati fortemente da criteri secolari e in molti casi funzio-
nali a finalità poco concordi col Vangelo.
C'erano dunque nell'aria delle domande: i religiosi apportano qualcosa di proprio alla
qualità dell'educazione cattolica e alla dinamica della comunità educativa? La ragione per
cui si consiglia loro di non abbandonare il campo scolastico è soltanto quella non indebolire
la quantità della presenza cattolica? È sufficiente accennare, in forma generale, alla possibi-
lità di una testimonianza evangelica fra i giovani e di una dedizione completa al lavoro sco-
lastico?
Il documento seguente su Il Laico cattolico testimone della fede nella scuola (1982) è
un po' più esplicito, ma non risolutivo. Mentre conferma la ricchezza che la compresenza di
sacerdoti, religiosi e laici porta a un progetto di scuola cattolica, sottolinea anche l'impor-
tanza delle scuole dirette da famiglie religiose35. I religiosi, dunque, possono inserirsi singo-
larmente nelle istituzioni cattoliche o avere opere proprie, caratterizzate da una loro presenza
comunitaria. Ma come si influisce in ciascun caso sulla fisionomia, le strutture e le dinami-
che dell'educazione? I pregi attribuiti a la presenza dei religiosi sono «la testimonianza qua-
lificata in un mondo secolarizzato», «la possibilità di un contatto immediato e duraturo con
la gioventù in un momento che spontaneamente reclama spesso la verità della fede... in un'età
32 Cf. La scuola Cattolica, o.c., n. 75.
33 Ibid., n. 76.
34 Cf. CDC nn. 801. 803. 806.
35 Cfr. Il laico cattolico testimone della fede nella scuola, o.c., n. 46.
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41.9 Page 409

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nella quale le idee e le esperienze lasciano un'impronta permanente nella personalità dell'a-
lunno»36. Sono accenni ancora piuttosto generici applicabili a qualsiasi presenza di religiosi
in qualsiasi comunità scolastica.
È sintomatico che in parallelo alla riflessione sul laico educatore non ce ne sia stata
un'altra sui religiosi educatori. La scuola cattolica oggi in Italia (1983) rappresenta un mo-
mento di maggior chiarezza riguardo al ruolo della comunità religiosa nelle opere scolasti-
che. «In particolare, recita, spetta alla comunità religiosa, ove sia presente nella scuola cat-
tolica, il compito di calare all'interno del progetto l'originalità del carisma proprio dell'isti-
tuto religioso e l'esperienza acquisita nella tradizione del servizio»37.
L'accenno viene raccolto in seguito nel documento La dimensione religiosa dell'Edu-
cazione nella Scuola Cattolica. Dopo aver riconosciuto che la maggior parte delle scuole
cattoliche dipende da istituti di vita consacrata, che i loro membri si mettono a disposizione
completa dei giovani convinti di servire in loro il Signore e che nella stessa loro vita comu-
nitaria esprimono visibilmente l'esistenza della chiesa che prega, lavora e ama, rileva che
tali istituti portano alla scuola la ricchezza della loro tradizione educativa, modellata sul ca-
risma originario, e offrono ai membri una preparazione professionale accurata richiesta dalla
vocazione educativa. Dunque il carisma e la spiritualità non sono relegati e rinchiusi nella
comunità di vita consacrata, ma si diffondono, configurandolo, nell'ambito educativo. I reli-
giosi vi portano non soltanto competenza didattica e capacità di gestione, ma una esperienza
delle spirito che si traduce in prassi pedagogica.
Ciò rappresenta un piccolo passo avanti nel riconoscimento del ruolo storico dei reli-
giosi nella concretizzazione dell'attuale progetto di scuola cattolica, ma non ancora suffi-
ciente. Per cui non lascia molta traccia.
Infatti in documenti posteriori, per esempio, Fare pastorale della scuola oggi in Italia
(6 giugno 1990), nel capitolo che si propone di studiare tutti i soggetti operanti nella e per la
scuola38, la comunità o gruppo dei religiosi o religiose non viene annoverata. Si parla dei
vescovi, dei parroci, dei laici, degli operatori scolastici, delle consulte, dei genitori e degli
allievi. La comunità dei religiosi/e non sembra costituire un soggetto che interagisce solidal-
mente con gli altri all'interno della comunità educativa.
Ma nel frattempo gli educatori elaborando i loro progetti e i religiosi approfondendo la
loro spiritualità hanno evidenziato le diverse tradizioni pedagogiche che fioriscono dai cari-
smi dei fondatori e caratterizzano le loro famiglie.
Tutte insieme esprimono la missione educativa della Chiesa capace di adeguarsi ad
ogni cultura, categoria, ambito e persona.
Per quanto riguarda i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice i Capitoli Generali
hanno chiarito l'originalità del loro progetto educativo. «È una ricca sintesi di contenuti e
metodi: di processi di promozione umana e insieme di annuncio evangelico e di approfondi-
mento della vita cristiana. Nelle sue mete, nei suoi contenuti, nella sua attuazione concreta
richiama contemporaneamente le tre parole con le quali don Bosco lo definiva: ragione, re-
ligione, amorevolezza»39. C'è dunque un principio e un'ispirazione unitaria.
«Può essere proposto e offerto a chi non condivide la nostra visione del mondo e non
partecipa della nostra fede perché applicato con duttilità, gradualità e sincero rispetto verso
i valori umani e religiosi presenti presso le culture e le religioni esso produce frutti fecondi
36 Ibid., n. 46.
37 La scuola cattolica oggi, in Italia, o.c., n. 36.
38 Cf. Fare pastorale della scuola oggi in Italia, nn. 21-43.
39 CG21 80.
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41.10 Page 410

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sul piano educativo, libera grandi energie di bene e in non pochi casi pone le premesse di un
libero cammino di conversione alla fede cristiana»40. È una dichiarazione di validità univer-
sale come corrisponde all'educazione!
Il progetto salesiano si concentra dunque sull'«educativo». Lì si ritrovano tutte le ini-
ziative, quelle che sembrano di beneficenza o di ricupero, quelle più culturali o religiose, e
persino quelle che hanno come destinatari gli adulti.
L'educazione poi è orientata, attratta e animata dal polo pastorale perché la ragione e il
cuore sono attirate da e verso la «religione», cioè verso il riconoscimento e l'esperienza di
Dio. Per dirlo col parere di uno storico: «Non bisogna pensare la visione e l'azione educativa
di Don Bosco divisa in due tronconi, perennemente contrastata da due diversi ispirazioni,
una celeste e l'altra terrena, equivalenti e sullo stesso piano. I due orizzonti non si oppongono
ma si compongono in un'unità gerarchica... I fini dell'educazione si subordinano ad un più
alto ideale morale-religioso cristiano soprannaturale, la salvezza dell'anima e il servizio amo-
roso di Dio»41.
L'unità di tali «orizzonti» (di orizzonti infatti si tratta!) non viene perseguita soltanto a
livello di formulazioni verbali o di conoscenze intellettuali. E tutta l'esperienza educativa
che porta verso la sintesi particolarmente attraverso due fattori. Il primo è lo stile dell'opera
educativa impostata sul modello oratoriano (casa, chiesa, scuola, cortile), e corrispettiva-
mente la struttura di «famiglia» della comunità educante con una gerarchizzazione tipica di
finalità, dimensioni e attività. Il secondo è il rapporto personale educatore-giovane che re-
cupera ed esplicita elementi vari, dispersi o invisibili a prima vista nelle attività e nella co-
munità che rende palesi i sentimenti, atteggiamenti e disposizioni che educatori e giovani
hanno nei momenti che sembrano concentrati, in forma quasi neutrale, sui contenuti, per
esempio il momento didattico; diventa più profondo attraverso gli incontri spontanei o cer-
cati per motivi personali; tende a divenire continuo e di lunga durata fino a far nascere l'a-
micizia educativa.
L'originalità carismatica dunque si manifesta anche nella forma di offrire e elaborare
con i giovani le proposte educative. Si cerca la fusione o vicendevole animazione tra educa-
zione ed evangelizzazione privilegiando la via esperienziale dell'ambiente, l'incontro di per-
sone, le attività, la partecipazione, la corresponsabilità: è tutto il contenuto metodologico del
sistema preventivo.
Contenuti e metodi inducono nella comunità una forma di realizzare la missione edu-
cativa, un criterio nei rapporti di lavoro, una maniera di maturare decisioni e un'organizza-
zione, duttile e adattabile, ma in coerenza con la totalità degli elementi precedenti.
Tale organizzazione trova un appoggio indispensabile nella determinazione dei ruoli
comunitari. Essi si coordinano e si subordinano conformi agli obiettivi immediati, medi e
ultimi e conformi allo stile della comunità. Così il punto di riferimento ultimo in ordine
all'orientamento è colui che rappresenta la finalità pastorale, il superiore/a religioso. Tra i
salesiani è sacerdote, sia che operi quotidianamente nella struttura sia che la orienti nel con-
testo di un'opera più ampia. Il sacerdote nella comunità educativa salesiana non è cappellano
ma educatore. Orienta l'educazione secondo una pedagogia dell'anima e della grazia.
D'altro verso lo stile comunitario tipico richiede che l'ultimo riferimento e appello non
sia la figura del tecnico, ma quella del padre/madre. Il direttore-sacerdote o la superiora re-
ligiosa guidano il discernimento affinché il progetto educativo si mantenga nella sua linea
pastorale. Il padre/madre provvede perché lo stile comunitario (rapporti, esigenze, disciplina,
40 Ibid. 91.
41 P. BRAIDO, Il sistema preventivo di Don Bosco, PAS-Verlag, Zurich, 19642, p. 123-124.
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42 Pages 411-420

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42.1 Page 411

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equilibrio, riconciliazione) si sviluppi nello spirito di «famiglia» (l'educazione è cosa di
«cuore»!) e non si richiuda nello schema «scolastico».
È evidente che di questa definizione della prima carica si dovrà tener conto nella strut-
turazione dei ruoli subalterni. E qui c'entra il pluralismo dei modelli organizzativi scolastici
che sono strettamente legati alla visione educativa e alla concezione comunitaria e ai quali,
di conseguenza, si riconosce sempre più non solo una esistenza precaria, «tollerata», ma
piena cittadinanza e uguale dignità nel mondo della scuola.
L'ordinamento e competenze dei ruoli inclusi nel Progetto Educativo sono normativi
dunque per regolare i rapporti all'interno della comunità e dell'istituzione e dovrebbero con-
siderarsi parte del contratto di lavoro. Diversamente si mantiene uno scollamento: ottima
visione della comunità educativa e una strutturazione totalmente insufficiente per assicu-
rarne spirito e finalità.
La comunità educativa risulta così allargamento, espansione della comunità religiosa
costituita nel nome del Signore. O se si vuole quest'ultima viene ad essere concentrazione
della prima; il legame tra di esse è sempre la missione, il progetto e la prassi educativa.
A ragione, dunque, da quando si è incominciato a parlare della comunità educativa, i
Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno voluto approfondire il rapporto tra vita reli-
giosa e progetto educativo, tra comunità religiosa e comunità educativa, tra direzione spiri-
tuale dei confratelli e orientamento pedagogico della comunità educativa, tra ruoli della co-
munità religiosa e ruoli della comunità educativa. Certo non ci si può avvinghiare con norme
tanto strette che impediscano ogni movimento, o così «ideali» che finiscano per non rispon-
dere alla realtà. Ma gli orientamenti di principio sono utili per capire l'armonia dell'insieme,
per non disperdere tutto o porzioni importanti del proprio patrimonio.
4. Il ruolo della comunità religiosa
Sulla base di quanto detto prima le Costituzioni hanno sancito cinque punti fermi: nel
nostro inserimento nella Chiesa locale e universale offriamo il contributo della pedagogia
salesiana42, e ciò significa consapevolezza del carisma educativo; la missione, il progetto
educativo e gli obiettivi pastorali vengono affidati alla comunità religiosa in forma solidale
e corresponsabile43; [43] attorno ad essa e a partire da essa si organizza la comunità educativa
nella quale si offre ai laici la possibilità di conoscere e approfondire lo spirito salesiano e la
pratica del sistema preventivo e li si invita anche a far parte della Famiglia Salesiana44: il
direttore guida il discernimento pastorale e orienta gli impegni educativi affinché si adem-
piano le finalità della missione e si raggiungano gli obiettivi del progetto45; la meta della
comunità educativa è poter diventare «esperienza di Chiesa»46. Il ruolo della comunità sale-
siana è dunque di convocazione o costituzione della comunità educativa, cura dell'identità e
animazione. Ciò si traduce in uno sforzo di formazione permanente, coordinamento opera-
tivo e orientamento pratico. Per poter svolgerlo le si richiederà in primo luogo condivisione
del progetto. Sarà necessaria la sua partecipazione all'impostazione sostanziale del progetto
e al chiarimento di punti particolari, soprattutto se si tratta di quelli che sono particolarmente
sentiti oggi nell'educazione.
42 Cf. C SDB 48; C FMA 63.
43 Cf. C SDB 44; C FMA 64.
44 Cf. C SDB 47; C FMA 68.
45 Cf. C SDB 44; C FMA 52.
46 Cf. C SDB 47; C FMA 68.
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42.2 Page 412

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Ma poi ci vorrà solidarietà nell'opera di animazione secondo i compiti e i doni. Va
richiamato il concetto di «ambiente» salesiano di educazione. Esso è più ampio della stretta
organizzazione scolastica. Contempla la presenza di adulti che o per età o per competenza
non compiono prestazioni scolastiche ma sono parte della «famiglia» educativa che si inte-
ressa dei giovani e hanno una parola o una esperienza da offrire.
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42.3 Page 413

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45. INCONTRI GIOVANILI: REALTÀ E POSSIBILITÀ
Vecchi, J.E., Incontri giovanili: realtà e possibilità in NPG 8 (1994), p. 25-32.
1. Gli incontri giovanili. - 2. Sentirsi Chiesa. - 3. Scoprire i luoghi dell'esperienza della fede. - 4. Operare processi di conver-
sione. - 5. Essere e offrire la Buona Novella. - 6. Controllare i rischi. - 7. Due punti chiave.
Complessità, la vita sull'orlo del caos, è il titolo di un saggio dello scienziato e scrittore
Roger Elwin. Egli propone la chiave esplicativa «vita e caos»: termini di segno contrario,
molto vicini l'uno all'altro, o, per meglio dire, uno dentro l'altro. La complessità caratterizza
entrambi; ma il principio di finalità agisce soltanto in uno di essi, mentre nell'altro la sua
presenza non è interpretabile.
Il significato è chiaro: nei fenomeni che vediamo o studiamo molti fattori interagiscono
nelle più svariate direzioni e danno origine a combinazioni infinite e impensabili. Sembra
un caos! Invece ci troviamo davanti a sistemi che si auto-organizzano. Non c'è disordine, nel
senso di distruzione; si va costruendo un «nuovo ordine», una nuova struttura più ricca di
possibilità e sorta da una apparente confusione dovuta alla molteplicità di forze.
Nello studiare un fenomeno, pertanto, è necessario documentare e catalogare il maggior
numero di fattori e interrelazioni; non bisogna pretendere di spiegare tutto con una teoria o
con principi universali, bensì tornare sempre a considerare le combinazioni che hanno dato
luogo a organizzazioni spontanee o a nuovi sistemi previsti. In questo risiede il principio del
progresso della vita.
La pastorale giovanile attuale si comporta come un sistema complesso.
Chi parla di evangelizzazione, progetto, itinerario, cammino, formazione cristiana, af-
ferma un principio di unità e organizzazione vitale che agisce dal futuro, da quello che si
spera di ottenere e a cui si tende: indica una finalità, propone mete, stabilisce punti di con-
vergenza verso i quali mirano molti programmi, azioni, operatori, tempi messaggi, strutture.
E questo ci assicura che si tratta di vita e non di caos.
I fattori che interagiscono sono, tuttavia, ogni volta più numerosi: la famiglia, le istitu-
zioni educative, le diverse espressioni di Chiesa, i gruppi, gli ambienti di incontro spontaneo,
i mezzi di comunicazione, gli spettacoli, le organizzazioni sociali e sportive, gli stessi gio-
vani uno ad uno i quali non si considerano soltanto destinatari delle proposte, bensì autori
delle stesse e interlocutori attivi gli uni degli altri. La lista non è completa né chiusa. Conti-
nuano ad apparire altre linee di interazione ogni volta meno controllabili.
Se aggiungiamo che tutti questi fattori si intrecciano in ognuna delle aree dell'esperienza
giovanile (personale, sociale, culturale, professionale, religiosa); che ognuna di queste aree
influisce sulle altre e ne riceve l'impatto nella formazione dell'identità e che le tematiche
possibili sono innumerevoli, la complessità del discorso aumenta in maniera esponenziale.
1. Gli incontri giovanili
In questo sistema che diventa sempre più complesso e articolato, stanno svolgendo un
ruolo importante gli incontri giovanili. Di tanto in tanto ci arriva la notizia di qualcuno di
questi incontri attraverso i mezzi di comunicazione o attraverso la testimonianza dei parte-
cipanti che raccontano la propria esperienza.
Le variabili che si ritrovano in essi sono molte, a partire dagli stessi nomi: incontri, pa-
squa giovanile, meeting, foro, assemblea, giornata, marcia, pellegrinaggio, concentrazione,
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«mariapolis», confronto. Alcuni si susseguono ad intervallo fisso, mentre altri vengono or-
ganizzati in occasione di qualche avvenimento straordinario (come ad esempio le visite del
Papa). Ce ne sono di quelli promossi da correnti di spiritualità, mentre altri rispondono ad
una convocazione generale. L'elemento catalizzatore è a volte il luogo (Compostela, Loyola,
Assisi, Colle Don Bosco, Parai le Monial, Castillo de Javier, Taizè, un santuario); altre volte
il catalizzatore è un progetto comune o una persona-simbolo. Nelle attività a volte si sotto-
linea la riflessione, altre volte il pellegrinaggio, altre ancora le celebrazioni liturgiche, la
preghiera e la contemplazione, oppure il dibattito culturale. Anche le forme di animazione e
conduzione obbediscono a combinazioni di vario genere.
Tra tante variabili ci sono alcune costanti.
I protagonisti o destinatari sono i giovani, con una netta prevalenza dei giovani-adulti.
In alcuni incontri si stabilisce come età minima i 18 anni. Questo già dice molto sui centri di
interesse e le sfide della pastorale giovanile attuale.
Le attività, i luoghi, i testi, gli elementi ornamentali e di supporto tendono a creare le
condizioni per una «esperienza religiosa» caratterizzata dall'attenzione al senso della vita,
dal coinvolgimento personale e dall'ambiente festivo. È importante che convengano giovani
di diverse nazioni, regioni o gruppi. Da questo deriva lo stesso nome.
L'evento materiale di una concentrazione giovanile non è nuovo. Ce ne sono state anche
in tempi passati e molto significative. Tuttavia non bisogna confondere il fenomeno attuale
con le manifestazioni istituzionalizzate di alcuni anni fa, pensate come segno della capacità
militante della gioventù cattolica. Tanto meno si possono assimilare alle dimostrazioni set-
toriali (studenti, donne, operai) e neppure alle marce dell'inizio degli anni Sessanta, che
erano inquadrate in altre coordinate giovanili, sociali ed ecclesiali.
Gli incontri attuali si caratterizzano più per la ricerca di una esperienza religiosa che per
la professione di fede o il proposito di militanza; rispondono alla necessità dei giovani di
stabilire contatti e di esprimersi collettivamente in forma simbolica; hanno luogo nel «vil-
laggio» del mondo contemporaneo. Perciò assumono dimensioni multinazionali o multire-
gionali approfittando delle grandi possibilità dei mezzi di trasporto attuali. Nel modo di
esprimersi e nelle relazioni predomina la spontaneità; su questo criterio si muove la stessa
organizzazione. Assumono, in misura più o meno grande, il carattere spettacolare che do-
mina oggi in tutte le attività pubbliche.
Il calendario degli incontri, che è molto denso, se si contano tutti quelli che si organiz-
zano nelle diverse parti del mondo, ha la sua massima espressione nelle Giornate Mondiali
della Gioventù istituite da Giovanni Paolo II. Dopo il Giubileo della Gioventù (1984) e l'As-
semblea dei Giovani (1985) si succedono ogni due anni, intercalate dalle concentrazioni an-
nuali a livello diocesano: Buenos Aires (1987), Santiago de Compostela (1989), Czesto-
chowa (1991), Denver (1993), Manila (1995). Questi incontri hanno delle caratteristiche che
li rendono unici nel loro genere: la quantità e provenienza dei partecipanti, il coinvolgimento
di alti organismi della Chiesa, la partecipazione di diocesi e movimenti ecclesiali, la presenza
del Papa.
È impossibile fare un commento generale su questo universo in movimento che sono gli
incontri. Ogni tipo merita una riflessione pastorale differente, per i partecipanti, per il cam-
mino che lo precede, per la realizzazione, per i risultati che ci si aspetta, per gli elementi sui
quali si pone l'accento. Le concentrazioni mondiali non hanno eguali quanto a universalità,
spettacolarità e imponenza. Tuttavia possono essere superate da altre per efficacia educativa
e incidenza sui giovani e sulla vita della Chiesa locale.
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Ciascun incontro ha le sue potenzialità e i suoi limiti. Sono parti di un sistema complesso
e dentro di essi interagisce imponderabilmente una grande molteplicità di fattori. Non è con-
veniente semplificare, assolutizzare o gerarchizzare in maniera rigida. Gli organizzatori or-
mai conoscono bene il segreto perché questi incontri risultino efficaci: buona preparazione
antecedente di persone e gruppi, programmazione e realizzazione accurata di ognuno dei
diversi momenti, accompagnamento successivo. Non mi soffermerò dunque a valutare in
generale costi e guadagni, lati positivi e deboli degli incontri.
Pensando invece a colui che accompagna un gruppo mi sembra interessante sottolineare
quello che dell'incontro si può ricavare, i rischi più comuni e di conseguenza le precauzioni
più elementari: propongo istruzioni per l'uso più che per la sua organizzazione.
2. Sentirsi Chiesa
Sperimentare la Chiesa, imparare ad essere Chiesa e a vivere come tale, scoprirsi mem-
bro di un popolo numeroso universale come l'umanità con una ricchezza spirituale comune
e tante differenze, non è soltanto un aspetto importante. Costituisce il programma (in senso
informatico) col quale vengono elaborati tutti i materiali e momenti di un incontro. La Chiesa
è sempre al centro, compreso quando non vi compare come tema.
Oggigiorno si sottolineano con insistenza tre fenomeni che intaccano la mentalità e la
pratica cristiana: la cultura dell'indifferenza, l'irrilevanza sociale della fede, l'allontanamento
dei giovani dalla Chiesa dopo il periodo della loro iniziazione.
Ciò produce in molti giovani un sentimento di «diaspora», di «minoranza», di «estra-
neità», di «solitudine», difficilmente superabile nell'ambito ristretto della parrocchia o del
quartiere, dove le motivazioni, le sfide e i testimoni della fede sono limitati, e il convivere
con essi produce un esaurimento graduale della loro capacità di impatto.
Gli incontri ad ampio raggio rompono la barriera dell'isolamento, fanno prendere co-
scienza della quantità e della diffusione dei credenti nella nazione e nel mondo, rivelano la
comunione profonda che esiste tra di loro e la qualità umana che la fede produce.
L'aspettativa di vedere, incontrare, confrontarsi con altri giovani e adulti che si ispirano
alle stesse convinzioni, costituisce uno dei «motivi» più ricorrenti ed efficaci. I giovani si
mettono in cammino per comunicare; comunicano per scoprire nuovi mondi personali, con-
dividere affinità e differenze, inter scambiare impressioni sul tempo che ci tocca vivere,
aspetti della fede, ideali di vita.
Questo diventa visibile e quasi si materializza nello sviluppo di nuove relazioni personali
e nelle espressioni comunitarie che caratterizzano tutti gli incontri.
L'immagine della Chiesa appare pure nelle figure significative che animano l'incontro:
gli adulti che accompagnano, i testimoni della vita cristiana che si presentano, le persone
carismatiche, i pastori. Essi fanno una seconda convocazione, di tipo più specificatamente
ecclesiale: invitano a passare dall'incontro fisico alla condivisione spirituale della fede, della
speranza in un mondo diverso, dei desideri profondi di donarsi.
L'avvenimento ecclesiale arriva così al suo punto di maturazione e si sperimenta la co-
munione, la coscienza della presenza di Dio nella umanità. L'incontro in quanto tale, con la
complessità dei suoi componenti, comincia a questo punto a fare da interlocutore di ogni
singolo partecipante che lo vive e ne approfitta secondo la sua attenzione e disponibilità.
Della Giornata Mondiale della Gioventù (si sostiene che vuole essere un dialogo tra la
Chiesa e i giovani, un avvenimento durante il quale i giovani scoprono la vocazione e la
missione del popolo di Dio, e questi, riconoscendosi in loro, celebra la festa della sua stessa
gioventù.
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La Chiesa appare in maniera palese in altri atti che di frequente integrano il programma
degli incontri: le professioni religiose e le ordinazioni sacerdotali, la consegna di crocifissi
a missionari, l'invio di volontari, l'annuncio pubblico di qualche decisione vocazionale.
La fede vissuta ordinariamente nella solitudine appare come una ricchezza condivisa,
capace di essere fermento nel mondo. I giovani comprovano e vivono la dimensione «catto-
lica» della loro esperienza cristiana.
3. Scoprire i luoghi dell'esperienza della fede
Il luogo, il posto, ha la sua importanza nell'esperienza religiosa. La Bibbia lo insegna: il
bosco delle querce di Mamre, il pozzo di Giacobbe, il monte Sinai, il deserto, il fiume Gior-
dano, la terra promessa, Betlemme, il lago di Galilea, Gerusalemme, non sono soltanto dei
riempitivi letterari, bensì indicazioni concrete di un passaggio di salvezza di Dio sulla terra.
Una storia reale presuppone la geografia. Una geografia con i segnali di una visita di Dio
documenta una storia.
La ricerca dell'esperienza religiosa oggi si presenta sovente disincarnata, disancorata
dalla storia passata e presente. Tale tendenza manifesta nell'interessamento per il magico,
nell'esplorazione dell'occulto e del misterioso, nel gusto per pratiche esotiche di mediazione
e controllo mentale, nei viaggi verso la propria interiorità o verso spazi psichici sconosciuti
nell'interesse per spiegazioni e credenze di antiche religioni. Tutto l'universo della nuova
religiosità porta con sé questo segno di ambiguità. Nel migliore dei casi si cerca una religione
di saggezza piuttosto che di salvezza. Ma molte volte si tratta di mero consumo e soddisfa-
zione soggettiva.
Non è che ciò attiri i giovani. Essi in genere sono condizionati dalla mentalità secolare;
però influisce sulla formazione della loro mentalità religiosa. Per esserne convinti è suffi-
ciente vedere alcuni spettacoli ed ambienti carichi di messaggi subliminali di fuga verso il
vagamente «spirituale» o personale.
Gli incontri conferiscono valore agli spazi reali. Rispondono al desiderio di esplorare il
mondo, alla sensibilità ecologica, alla valorizzazione dell'arte. Dal punto di vista organizza-
tivo questi spazi offrono scenari suggestivi per le celebrazioni, ambiti ampi per la distensione
personale, simboli e riferimenti concreti per le riflessioni.
Alcuni sono preferiti per le loro caratteristiche naturali. Altri perché conservano le tracce
di un'esperienza religiosa singolare, ricordano e narrano una storia in forma viva ed imme-
diata; in essi si avverte una presenza. In altri il valore principale è la manifestazione attuale
della fede del popolo cristiano.
Le Giornate Mondiali della Gioventù hanno seguito questa chiave di lettura quando
hanno scelto Roma, Santiago de Compostela e Czestochowa. Roma è l'espressione evidente
della cattolicità per le testimonianze degli apostoli e dei martiri e per la presenza del Papa.
Santiago ricorda il pellegrinare dei popoli europei e la loro profonda unità basata sulla stessa
fede e sullo spirito di riconciliazione. Czestochowa è la prova della presenza costante di
Maria in mezzo al popolo di Dio, in particolar modo nei momenti di rischio; e manifesta la
coscienza viva che i credenti hanno di questo fatto.
Natura, storia, attualità cristiana! Però gli incontri stanno offrendo altre chiavi per sco-
prire i luoghi dell'esperienza della fede, una fede meno legata al passato e agli avvenimenti
religiosi, più collegata agli eventi secolari e alle sfide del presente. Buenos Aires è stato
proposto come luogo significativo di un continente a maggioranza cristiana, giovane, se-
gnato dalla povertà, dove l'attuale polarità Nord-Sud si sente molto forte.
La scelta di Denver è stata motivata con altre ragioni: una città post-moderna, dove con-
vivono varie confessioni cristiane e dove trovano espressione le nuove forme di religiosità,
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dove la comunità umana si caratterizza per la sua internazionalità e la interculturalità. Ci si
muove dunque in direzione della cultura secolare, verso l'ambiente ecumenico, verso il san-
tuario del cuore dell'uomo e della convivenza umana, là dove il Signore aspetta, parla e si
manifesta.
In questi luoghi, umani più che geografici, secolari, si ascolta l'invito a riconoscere il
mistero della vita, all'interiorità, alla riconciliazione, all'impegno.
La cultura dell'immediato porta a dimenticare il passato, a togliere significato al presente,
che si converte in oggetto di curiosità e consumo, a diluire la densità del futuro. Si vive senza
memoria, senza capacità di ammirazione, senza un progetto di ampio respiro.
I luoghi contrassegnati da esperienze religiose documentabili, dove la bellezza naturale
o artistica risvegliano la capacità di ammirazione e dove le sfide attuali spingono all'impe-
gno, impiantano la fede nella concretezza della storia e della geografia, nella vita della uma-
nità.
4. Operare processi di conversione
Tutti i promotori degli incontri affermano che, in essi, l'evangelizzazione (annuncio, in-
teriorizzazione, applicazione alla vita, interpretazione della cultura) costituisce la preoccu-
pazione centrale. Le Giornate Mondiali della Gioventù pretendono di essere un «momento
forte» dell'evangelizzazione dei giovani, in cui essi sono allo stesso tempo destinatari e sog-
getti attivi. Si tratta di vedere come si intende l'evangelizzazione, quali itinerari si preferi-
scono, quali risultati si cercano e quale correlazione esiste tra la finalità dichiarata e lo svi-
luppo di ogni incontro.
Indubbiamente gli incontri offrono condizioni eccezionali per processi intensi di evan-
gelizzazione.
La prima è la disposizione volontaria del giovane, favorita da molti fattori come la pro-
spettiva del viaggio, la novità dello scenario, la ricchezza delle relazioni, l'ambiente festivo.
Condizione favorevole è pure il tempo di cui si dispone. Dopo le prime esperienze è
diventato usuale distribuire con anticipo un fascicolo-guida, ogni volta più completo per ciò
che riguarda i contenuti e sempre più perfetto dal punto di vista didattico e grafico. Con esso
persone e gruppi compiono un cammino di preparazione. L'influenza evangelizzatrice
dell'incontro, perciò, comincia molto prima della sua celebrazione.
Condizione favorevole è ancora la concentrazione. Gli incontri mettono a fuoco qualche
punto fondamentale della fede, capace di raccogliere ed unificare molte conoscenze e dati
che i giovani posseggono in forma incompleta, dispersa e frammentaria. In incontri succes-
sivi poi si riprende lo stesso tema in forma lineare o concentrica. Ciò aiuta ad acquisire quella
visione organica del mistero cristiano raccomandata dalla catechesi attuale.
Lo sviluppo comprende la presentazione del contenuto dottrinale, ma anche il confronto
con i problemi sociali e culturali odierni, oltre che con la vita personale alla ricerca di un
orientamento e di un senso.
C'è ancora la ricchezza di possibilità della comunicazione. Il messaggio si concentra in
uno slogan, ha uno sviluppo negli interventi e nelle allocuzioni, si vive nelle celebrazioni, si
suggerisce attraverso gli ornamenti e la coreografia, si riprende nelle manifestazioni cultu-
rali, si presenta in termini di vita nelle persone significative. È probabile che il nucleo resti
se non assimilato in forma totale, per lo meno registrato, nella memoria giovanile. Durante
la Giornata Mondiale è stata inserita anche la catechesi, mentre in altri incontri si è dato
valore soprattutto ai tempi della riflessione silenziosa e personale sul tema trattato.
Oltre ai messaggi orali, l'evangelizzazione si avvale anche di azioni simboliche e inizia-
tive di vario genere per proporre i valori cristiani.
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In certi incontri si sottolinea così l'accoglienza al di sopra di differenze, etniche o reli-
giose, mentre in altri si portano a termine gesti concreti di solidarietà, si accentua la dimen-
sione contemplativa della vita o si esprime la preferenza con i poveri. Tutto ciò giustifica
che siano considerati momenti o vie della nuova evangelizzazione.
5. Essere e offrire la Buona Novella
Gli incontri fanno notizia. Si programmano non soltanto perché siano vissuti da alcune
persone, ma anche per presentarli all'attenzione collettiva e per propagarne gli effetti. Intorno
ad essi si mobilitano i mezzi di comunicazione sociale. A volte se ne interessano soltanto gli
organi religiosi, ma molto spesso lo fanno anche agenzie di informazione di ogni tendenza.
Dipende dalla quantità di partecipanti, dalle personalità presenti, dal tema che propongono,
dal luogo dove vengono celebrati, dalla relazione che si stabilisce con la società e dagli ac-
cadimenti più o meno clamorosi che si verificano durante questi incontri.
Non soltanto sono notizia; sono anche spettacolo! Le televisioni diffondono immagini,
selezionano le riprese di maggiore richiamo, ci fanno vedere facce, masse, ornamenti, pano-
rami, gesti. Ci avvicinano ai partecipanti e ai promotori per farcene percepire gli umori, le
attese, i sentimenti.
Dall'altra parte quasi sempre l'organizzazione degli incontri prevede un ufficio-stampa
che intenzionalmente si mette a disposizione di chiunque sia interessato al fenomeno cri-
stiano, voglia semplicemente compiere il suo dovere professionale di documentare avveni-
menti importanti o cerchi notizie per riempire lo spazio religioso che oggigiorno è imman-
cabile persino nel più «laico» degli organi di informazione. Non soltanto è disponibile!
Spesso è l'organizzazione stessa a contrattare i migliori servizi di diffusione possibili.
La moltiplicazione domestica di videocassette porta le immagini dell'incontro ai gruppi
parrocchiali e alle famiglie. I messaggi tornano ad essere ascoltati e le canzoni entrano nel
repertorio giovanile della Chiesa o nel patrimonio di un determinato movimento spirituale.
Su molti incontri esiste addirittura un libro documentario di fotografie e testi.
Il carattere positivo di questo aspetto è indiscutibile: l'incontro si estende a partecipanti
invisibili; i giovani intuiscono che l'esperienza deve essere condivisa come buona novella;
l'evento religioso acquista rilevanza nel complesso della convivenza umana.
Nel mondo di oggi esiste ed esercita influenza quello che si comunica. Una certa cultura
dei mezzi di comunicazione di massa celebra soltanto «l'intramondano», dà l'idea che la
dimensione trascendente stia fuori della vita e delle aspirazioni dell'uomo attuale. Guada-
gnando spazio nell'universo dell'immagine, la religiosità e la sua manifestazione cristiana
raggiungono la vita collettiva, esercitano una influenza sulla cultura.
L'incontro si trasforma in provocazione e messaggio lanciato dai giovani, i quali nella
immaginazione popolare continuano ad essere le antenne del futuro e i sensori dei valori.
6. Controllare i rischi
Ciò che è stato detto finora giustifica gli sforzi che si fanno per preparare e realizzare
degli incontri giovanili. D'altro canto non è possibile richiedere a questi incontri tutto quello
che riguarda la maturazione cristiana dei giovani, né si può pretendere che in essi tutto sia
perfetto. La loro funzione all'interno del complesso sistema della pastorale giovanile consiste
nel provocare, nel motivare fortemente e nel rilanciare con nuova forza i processi di forma-
zione che si portano a termine con maggiore calma in altri momenti.
Per questa ragione è necessario prevenire alcuni rischi, che potrebbero comprometterne
i risultati in persone singole o gruppi.
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Il primo è la massificazione. Non tanto quella che si manifesta in gesti irresponsabili,
bensì un'altra forma di massificazione, più sottile, per la quale molti si integrano in gesti
comunitari con insufficiente partecipazione interiore, per mancanza di motivazione perso-
nale o per la tendenza ad uniformarsi con facilità. È tanto più probabile quanto minore è stata
la preparazione, quanto meno selezionati sono i partecipanti e più differenti sono le età;
quanto meno i promotori abbiano previsto, e dunque pensato, forme di accompagnamento e
stimoli all'interiorizzazione per persone e gruppi.
Può succedere così che ad alcuni restino come impressioni principali l'aspetto turistico
del viaggio o quello folcloristico delle manifestazioni, invece che le esperienze profonde di
cui abbiamo parlato prima.
Un secondo punto di debolezza è costituito dalla fugacità. Nell'incontro tutto ha il carat-
tere dello straordinario. Si vive e si lavora ad un'alta temperatura psicologica. I testimoni
della fede sono personalità insigni, le celebrazioni sono emozionanti, le relazioni gratificanti,
i discorsi convincenti. Si agisce, si progetta, si sogna in condizioni di laboratorio. Dopo l'in-
contro ritorna l'ordinario, sia in qualità che in ritmo. I testimoni della fede sono meno nume-
rosi e meno illustri. I grandi ideali e progetti devono essere distribuiti nelle piccole azioni
quotidiane di sempre. I pastori non sono né così entusiasti e capaci di animare né così dispo-
sti all'accoglienza delle persone e dei progetti. L'incontro si diluisce nel passato come un
ricordo bello, che è sì positivo, ma non ha conseguenza per la vita del singolo, né, soprattutto,
per la comunità cristiana locale. A volte la responsabilità di tutto questo ricade sulla Chiesa
locale o sulla istituzione educativa, che non dispongono di strutture di accoglienza e di ag-
gregazione per i giovani e pertanto non sono in grado di amministrare le energie prodotte
dall'incontro. Questo si trasforma pertanto in una esperienza passeggera.
Un terzo rischio può essere rappresentato dalla passività della maggior parte dei parte-
cipanti, i quali godono ed approfittano dell'incontro senza però esserne coinvolti nella sua
preparazione e realizzazione. I promotori dichiarano sempre che i protagonisti sono i gio-
vani. Molte volte, tuttavia, per mancanza di tempo, di organizzazione o di fiducia, la realiz-
zazione dell'incontro resta concentrato nelle mani di poche persone, per lo più adulte. I gio-
vani, pochi, assumono soltanto compiti subalterni di esecuzione e controllo. Il tono adulto
si nota in tutto. Se poi appare chiaramente che il protagonismo di qualcuno si rivela con
eccessiva evidenza ed è sofferto da altri che si vedono messi da parte, la dissonanza risulta
ancora maggiore.
È vero che la corresponsabilità non si riferisce soltanto all'organizzazione esterna dell'in-
contro, ma si manifesta in ogni forma di partecipazione inclusa quella interiore e personale.
È d'altra parte scontato che non è possibile usare il metodo «democratico» in tutto. In ogni
incontro c'è dunque una grossa corresponsabilità quasi sommersa, che non appare: e reali
difficoltà per condividere criteri e scelte al momento di decidere tematiche e modalità di
realizzazione.
Alcuni organizzatori hanno saputo tuttavia coordinare i diversi livelli di consultazione
preliminare, di preparazione generale e di esecuzione, ed ampliare così le possibilità per i
giovani che partecipano di sentirsi corresponsabili e non soltanto clienti dell'avvenimento.
7. Due punti chiave
Se quello che abbiamo detto finora corrisponde alla realtà, ovvero se l'incontro giovanile
è un sistema nel quale interagiscono liberamente fattori molteplici, se esso stesso si integra
in un insieme più ampio costituito da diversi stimoli e momenti pastorali, allora ci sono due
elementi ai quali, presupposta la buona organizzazione, si deve porre particolare attenzione.
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Il primo è la persona. Ogni persona rappresenta il passaggio obbligato perché tutto
quello che si offre nell'incontro si converta in materia ed energia di formazione cristiana.
Non bisogna pensare all'incontro come ad una retata, un supermercato o una festa popolare,
bensì come ad una parola indirizzata personalmente a ogni singolo partecipante. Ciò è più
facile negli incontri a dimensione ridotta. Tuttavia anche in quelli di grandi masse è indi-
spensabile che colui che accompagna riservi del tempo affinché il proprio gruppo rielabori
l'esperienza della giornata, la interiorizzi, ne scopra aspetti validi che magari gli erano sfug-
giti. Si potrà anche, in relazione al lavoro che il gruppo sta svolgendo, favorire il dialogo
personale dell'animatore o assistente con chi lo desideri o lo necessiti, per aiutarlo ad assi-
milare quel che gli è possibile, sia esso poco o molto.
Il secondo punto su cui porre l'attenzione è correlato con il precedente: nella persona
bisogna seguire il processo o itinerario di fede. Le acquisizioni dell'incontro o si incorporano
in forma organica nel cammino di fede dei partecipanti oppure restano in margine come
«pezzi staccati». Nell'itinerario personale ci sono punti sufficientemente chiari e assodati; ce
ne sono altri vaghi, vacillanti, incompleti o sconosciuti: ci sono infine potenzialità nascoste
da svegliare e mettere a frutto.
Tutto può servire; però alcuni richiami giungono a proposito e vengono su misura. L'arte
dell'accompagnamento consiste nell'aiutare a raccogliere tutto il buono, ma soprattutto a por-
tarsi con sé, come tesoro per la vita, una «parola» sentita in forma personale.
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43 Pages 421-430

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43.1 Page 421

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46. IL SISTEMA PREVENTIVO ESPERIENZA DI SPIRITUALITÀ
Vecchi, J.E., Il sistema preventivo esperienza di spiritualità in P. Braido, G. Cherubin e A. Martinelli. «Il sistema preventivo
verso il terzo millennio». Atti della 18 Settimana di spiritualità della Famiglia salesiana. Roma, Salesianum 26-29 gennaio
1995. p. 221-243.
1. Alcuni chiarimenti. - 2. L'esperienza spirituale della famiglia salesiana. - 3. L'esperienza di spiritualità nell'educazione. -
3.1 Rimeditare l'educazione alla luce della Parola di Dio. - 3.2 Guardare al mistero di Cristo Redentore dell'Uomo. - 3.3 La
ragione e la fede come capacità di lettura e discernimento evangelico. - 3.4 Un itinerario di carità che diventa prassi educa-
tiva. - 3.5 Contemplare nell'azione educativa.
1. Alcuni chiarimenti
Gli aspetti pedagogici e pastorali del Sistema preventivo sono stati studiati a fondo ri-
petute volte e largamente divulgati. Negli ultimi anni abbiamo accumulato conoscenze sulla
sua origine e sviluppo, e abbiamo ribadito criteri e procedimenti per la sua attualizzazione
nel contesto odierno1. Non tutto è stato interiorizzato e messo in pratica. Ma sarebbe inutile
ripeterlo.
Altrettanto si può dire circa il Sistema preventivo come spiritualità. Si sono rivisitati
l'esperienza e il pensiero di Don Bosco in merito. Si è esplicitato l'aspetto mistico e quello
ascetico2. E non si è trascurato il confronto tra il contesto in cui è nato con quello odierno
per ricavarne linee di attualizzazione.
A tale riflessione sottostanno tre convincimenti: che c'è un vissuto spirituale, quasi na-
scosto nel quotidiano educativo, conosciuto solo in forma frammentaria da coloro che lo
vivono; che è possibile creare comunione sulla base di tale vissuto a livello di Famiglia Sa-
lesiana; che i giovani possono percepirlo e trovare in esso un cammino di vita nello Spirito.
A quest'ultimo punto risponde lo sforzo di formulare un percorso di spiritualità giovanile
salesiana.
Il passo avanti nella riflessione di oggi sta nel riferimento, di quanto abbiamo già sen-
tito, all'attualità e alla strenna: a quali condizioni una prassi educativa tra libertà e valori, può
diventare esperienza spirituale; e viceversa a quali condizioni una esperienza di vita nello
Spirito può proporsi oggi come educatrice della libertà e orientarla verso i valori.
• L'uso della parola «esperienza» è inflazionato. Esprime attese diverse. Sovente viene
adoperata più per la sua forza «evocativa», atta a suscitare un desiderio o immagine favore-
vole, che per consegnare un significato preciso. «Il termine risulta disponibile per molti usi,
ma le soluzioni che offre sono semplicemente illusorie»3. Proprio in rapporto alla spiritualità
è stato definito come una baia che raccoglie le acque di molti fiumi, ma da cui non si riesce
a salpare verso nessuna direzione certa.
Noi vogliamo liberarla da alcune accentuazioni con cui spesso la si usa: fugacità, sog-
gettività, prevalenza della emotività; vogliamo invece sottolineare il carattere di contatto
1 Cf. Il Sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica e nuova, Atti del Convegno europeo
salesiano sul Sistema educativo di Don Bosco, Leumann (To), LDC, 1974.
2 Cf. Il Sistema preventivo vissuto come cammino di santità. Settimana di Spiritualità della Famiglia
Salesiana, Roma, 1980, Leumann (To), LDC, 1981.
3 S. PRIVITERA, Esperienza cristiana in «Nuovo Dizionario di teologia morale», Ed. Paoline, Cinisello
Balsamo, 1990.
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43.2 Page 422

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prolungato con la verità, la trasformazione che produce nel soggetto, il cammino di crescita
che suppone.
L'esperienza sarà allora il modo più efficace e diretto con cui la persona giunge a «sa-
pere» una realtà; cioè a sentirsi attratta, a conoscerla, gustarla, lasciarsi da essa modellare e
cercare di penetrarla sempre più. E ciò perché si coinvolge in essa in forma libera e totale. È
un modo diverso dall'apprendere intellettualmente anche alla perfezione, dal solo gustare
emotivamente e anche dal «contemplare» con diletto e profondità.
Nell'esperienza si dà nella persona un'unificazione originale tra conoscenza e amore, tra
contemplazione e azione, tra teoria e prassi.
L'esperienza spirituale non solo prescinde ma addirittura esclude la «sperimentazione»,
cioè quell'incursione temporanea, quasi turistica che si fa nella realtà per curiosità o per giu-
dicarla a partire dai propri criteri.
Mentre si è in atteggiamento di sperimentazione non si hanno le condizioni per fare una
vera esperienza spirituale che consiste nel consegnarsi, coinvolgersi completamente. Ciò
dice che all'inizio dell'esperienza spirituale c'è sempre la grazia che attira, muove, illumina
e accende.
• Anche sul termine «spirituale» ci vuole un breve commento per quanto scontato. «Spi-
rituale» non appare nei Vangeli riferito ad azioni, a cose, a persone, a sentimenti. I Vangeli
parlano della presenza e dell'azione dello Spirito che muove dal di dentro tutta la persona in
ammirevole unità, e indirizza le comunità verso Dio Padre attraverso Cristo. Con la potenza
di questo orientamento trasforma mentalità e atteggiamenti, anima e guida la storia.
A partire dalla presenza e azione dello Spirito, San Paolo descrive la persona «spiri-
tuale». «Non ci regoliamo secondo la carne ma secondo lo Spirito. Coloro infatti che sono
secondo la carne pensano e aspirano alle cose proprie della carne, quelli invece che sono
secondo lo Spirito pensano e aspirano alle cose proprie dello Spirito... Coloro che si lasciano
guidare dallo Spirito di Dio sono figli di Dio»4.
Paolo vede le persone strutturate profondamente da «forme» differenti, mosse da energie
diverse per quanto riguarda la visione della realtà, il senso della propria vita e l'atteggiamento
verso gli altri.
L'uomo carnale coglie la realtà, usa le cose, si rapporta alle persone secondo i dettati
della natura, come sono l'istinto del possesso, la tendenza al godimento, una normale ragio-
nevolezza, secondo la condizione umana (animalis = vivente).
L'«intellettuale, il sapiente di questo mondo» si lascia sfidare dagli interrogativi dell'e-
sistenza e cerca il senso della vita con tutte le forze dell'intelligenza, approfittando anche
della riflessione fatta da altri, la saggezza appunto di questo mondo. L'Apostolo ha una certa
simpatia per questi ricercatori di senso e di ragioni per vivere. E allo stesso tempo esprime
una condanna per la loro pretesa di voler chiarire il mistero dell'esistenza umana, del suo
destino e della sua salvezza senza riconoscere il mistero che vi sta dentro.
Infine, come al vertice di questa scala, c'è l'uomo «spirituale». «L'uomo naturale non
comprende le cose dello Spirito... L'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter
essere giudicato da nessuno»5. Possiede un «senso» che lo aiuta a percepire la presenza di
Dio negli eventi, a scoprire, alla luce di questa presenza, i significati più veri della vita, a
rapportarsi alle persone attraverso l'amore. Ha ricevuto lo Spirito di Dio. Nel suo cuore e
nella sua mente si è diffuso un dono che è la carità: ha una connaturalità da figlio riguardo a
4 Rm 8, 5-19.
5 I Cor 2, 14-15.
- 420 -

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Dio (partecipi della natura divina!), che lo rende capace di percepirLo e amarLo in se stesso
e negli uomini.
Un'esperienza spirituale è una grazia, una proposta e un cammino di vita in Dio, me-
diante la fede, che Lo scopre negli avvenimenti e nelle persone; mediante la speranza, che
va seguendo i suoi passi nella storia e attende rincontro finale con Lui; mediante la carità,
che Lo cerca e si unisce continuamente alla sua persona, alla sua volontà, al suo progetto.
2. L'esperienza spirituale della famiglia salesiana
Dove e come fanno i membri della Famiglia Salesiana la loro esperienza di spiritualità?
Bisogna ripartire da un quadro di riferimento spesso ribadito, comunque indispensabile per
ogni ulteriore considerazione.
Alla base della nostra esperienza spirituale c'è un accadimento: la chiamata di Dio a
collaborare con Lui per la salvezza dei giovani in Cristo. È un'iniziativa del Padre attraverso
lo Spirito che dimora nella Chiesa e in noi: una grazia che ci attira nell'orbita di Don Bosco
così come Don Bosco stesso è stato portato verso i giovani perché svelasse loro l'amore del
Padre.
Questa grazia diventa per noi progetto di vita. Attorno ad esso e per il suo influsso si
vanno organizzando i diversi aspetti della nostra esistenza. È già avvenuto in Don Bosco. Le
sue capacità e inclinazioni naturali e i doni dello Spirito «si sono fusi in un progetto di vita
fortemente unitario: il servizio dei giovani» a cui si dedicò «con fermezza e costanza, fra
ostacoli e fatiche, con la sensibilità di un cuore generoso»6.
Non è il caso di dilungarci sui diversi aspetti che compongono il progetto. Ci sono doni
congeniti alla vocazione che la «costituiscono» nella sua originalità; ci sono atteggiamenti
da coltivare e condizioni di cammino da assicurare.
Tra i doni che si ricevono con la vocazione salesiana, c'è la predilezione per i giovani: è
il fatto che la chiamata di Dio si manifesta come desiderio di lavorare per la loro salvezza7;
ma è anche il fatto che noi sperimentiamo la presenza e azione di Dio nel contatto coi gio-
vani; e ancora che la crescita dei giovani in umanità e grazia provoca in noi un particolare
senso di responsabilità e gioia.
Tra i doni c'è pure la connaturalità a Cristo Pastore, per cui ci sentiamo attratti dalla sua
figura e dai suoi gesti. E possiamo enumerare anche il dono della paternità e del magistero
di Don Bosco: «Il Signore ci ha donato Don Bosco come Padre e Maestro. Lo studiamo e
imitiamo ammirando in lui uno splendido accordo di natura e di grazia»8. L'incontro con lui
è stato forse, dopo il battesimo e la fede, la grazia principale della nostra vita. Egli, con
attorno coloro che hanno seguito e arricchito la sua esperienza, diventa riferimento e modello
per scorgere tratti e vie della nostra vita nello Spirito.
Gli atteggiamenti sono presentati con dovizia dalle Regole di vita di ciascun ramo della
Famiglia: la gratitudine verso il Padre, la consapevolezza di essere suoi strumenti, il deside-
rio di restare docili sotto l'azione di Dio, l'entusiasmo per il Regno e «quello slancio aposto-
lico» che ci porta a far crescere le persone e servire Dio: tutto compreso nel «Da mihi ani-
mas».
6 Cf. C SDB 21.
7 Lo dicono le C all'art. 14: «La nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione
per i giovani. Questo amore... dà significato a tutta la nostra vita».
8 C SDB 21; cf. C FMA 1. 6.
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Anche un'ascesi caratterizza la vocazione. Su di essa si dilungano i testi spirituali: la
dedizione e disponibilità, la competenza, la capacità di mediazione, l'accettazione delle esi-
genze quotidiane e le rinunce che esige la vita apostolica: tutto quello che viene sotto la voce
di «lavoro e temperanza».
• C'è un luogo o situazione dove, simultaneamente, maturano i doni, si radicano gli at-
teggiamenti, si impone e appare indispensabile l'ascesi, dove si può vedere dal vivo e in
diretta, nell'unità della vita e in movimento, cosa sia e come si sviluppi la spiritualità del
salesiano, quale energia la muova, verso quali obiettivi si orienti, che tipo di persona pro-
duca: è la «missione».
Quando vogliamo vedere la spiritualità benedettina, in un luogo e in un momento carat-
teristico, andiamo in un monastero e partecipiamo alla vita dei monaci: celebriamo la liturgia
con loro, visitiamo gli ambienti dove i monaci lavorano con pazienza: lo scriptorium, la
biblioteca, i laboratori di restauro. Quando vogliamo vedere il tratto tipico dei movimenti
carismatici, andiamo alle adunanze di preghiera: è il loro «momento originale e manifesta-
tivo», non unico.
Per cogliere la spiritualità salesiana, nel luogo, nel momento e nel gesto tipico, bisogna
sorprenderla mentre compie la missione giovanile e popolare. Ciò viene ripetutamente riba-
dito nei nostri testi: nel compimento della missione «troviamo il cammino della nostra san-
tificazione»9; «Don Bosco ci segnala un programma di vita nella massima da mihi ani-
mas»10; «la testimonianza di questa santità che si attua nella missione... è il dono più prezioso
che possiamo offrire ai giovani»11.
Se l'esperienza spirituale ha una risonanza nell'affettività, il salesiano la sente e ne gode
quando riscatta un giovane, provoca in lui una spinta verso il meglio, produce un'apertura
alla grazia. Egli contempla, segue e imita Cristo come «l'apostolo del Padre» 12, che percorre
città e paesi guarendo, predicando e liberando dal male.
Nella missione si plasma la persona, matura uno stile di vita e di azione che è «insieme
pedagogia, pastorale e spiritualità». Un'unica e indivisibile esperienza fonde intenzionalità,
atteggiamenti interni e comportamenti esterni; proposte educative, metodi adeguati e profilo
di interventi per farli assimilare. La totalità diventa esperienza spirituale perché ispirata e
orientata dalla carità.
Così è stato letto da tutti i rami della Famiglia Salesiana. «Guidato da Maria che gli fu
Maestra, Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo oratorio un'esperienza spiri-
tuale ed educativa che chiamò 'Sistema Preventivo'... ce lo trasmette come il nostro modo di
vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro e per mezzo di
loro. Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di comunità,
nell'esercizio di una carità che sa farsi amare»13.
L'incontro con i giovani e «nell'oratorio» non sono solo la circostanza, ma costituiscono
la terra dove è possibile il forgiarsi di questo tipo di carità, l'humus dove si trovano le so-
stanze nutrienti per questa esperienza. Essa non ha origine nei monasteri, nelle biblioteche,
nei laboratori del pensiero, ma nell'esercizio dell'amore spinto verso uno stile originale dalla
presenza di destinatari tipici e dai loro bisogni.
9 C SDB 2.
10 C SDB 4.
11 C SDB 25.
12 C SDB 11.
13 C SDB 20; cf. C FMA 7. 66.
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In che cosa consiste l'originalità? La carità è la radice e la manifestazione di tutti i tipi
di santità che appaiono nella Chiesa: quella degli apostoli, degli anacoreti, dei contemplativi
e dei santi «attivi» dell'epoca moderna, dei mariti e mogli sante, dei sacerdoti e religiosi e
persino del «buon ladrone» o del santo bevitore.
La storia della santità è la sinfonia della carità. Si tratta di una grazia, un dono che Dio
infonde in noi per cui ci sentiamo attratti da Lui, i segni della sua presenza ci interpellano e
vediamo nelle persone altrettante immagini e figli suoi.
La carità non è soltanto l'ornamento degli atti virtuosi. Ne è la sostanza spirituale. Così
lo spiega San Paolo: «Se parlassi tutte le lingue... se dessi tutte le mie sostanze ai poveri...
se avessi una fede capace di smuovere le montagne... ma se tutto ciò non è mosso dal di
dentro dall'amore, non vale niente»14.
I salesiani/e non esprimono una novità dicendo che il centro e la fonte della loro spiri-
tualità è la carità. Ma essi affermano che è la carità pastorale. E ciò segna una differenza
specifica. La carità «pastorale» porta a sintonizzare con il desiderio ardente di Gesù di fare
tutti gli uomini figli di Dio e a mettere le nostre persone e il nostro «lavoro» a disposizione
di questo suo disegno, attraverso le energie che sgorgano dal mistero di Cristo e che sono
patrimonio della Chiesa: la testimonianza, la parola, i sacramenti, il servizio.
La carità pastorale muove tutta la Chiesa che continua l'opera di Cristo Pastore. Il Con-
cilio la propone a Vescovi e sacerdoti, e afferma che essi, sviluppando ogni forma di carità
pastorale, cioè donandosi generosamente al ministero sacerdotale, realizzano l'unità della
vita e si santificano»15. Un commento esauriente sulla carità pastorale lo si trova nell'esorta-
zione apostolica Pastores dabo vobis16.
Il sistema preventivo, in quanto carità pastorale, ha un'altra specificazione che non la
restringe, ma la staglia meglio: è una carità pedagogica: un amore che sa creare un rapporto
educativo. Si esprime sulla misura dell'adolescente e dell'adolescente povero che deve inter-
pretare se stesso, aprirsi alla comunicazione, scoprire la ricchezza della vita. Per questo de-
stinatario povero, a volte scarso di parole, di consapevolezza e di progetti, la carità pedago-
gica deve diventare iniezione di speranza, stimolo alla crescita e segno leggibile dell'amore
di Dio.
L'educativo è una dimensione ricamata da Giovanni Paolo II nella Iuvenum Patris: la
santità di Don Bosco si plasma come santità educativa. «Egli realizza la sua personale santità
mediante l'impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico»17; «L'interscambio tra
educazione e santità è l'aspetto caratteristico della sua figura: egli è un educatore santo»18;
«Il tratto peculiare della sua genialità è legato alla prassi educativa»19.
I confratelli e le consorelle che lavorano con ragazzi e giovani emarginati riferiscono che
una delle maggiori difficoltà che molti di essi sentono è quella di esprimersi di fronte a per-
sone adulte estranee, di fronte alle istituzioni e a coloro che le rappresentano, inclusa la
Chiesa. Le istituzioni sono per loro l'immagine di quel mondo organizzato dal quale si sen-
tono esclusi. La carità educativa rende capaci di gesti che aiutano a prendere la propria vita
con gioia e speranza, ad aprirsi alla fiducia e al dialogo, anche nel contesto di una vita povera
e con pesanti condizionamenti. All'ardore spirituale unisce, dunque, la saggezza, la bontà e
14 I Cor 13, 2-3.
15 Cf. LG 41; PO 13.
16 PDV nn. 21-26.
17 IP 5.
18 IP 5.
19 IP 8.
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il senso pratico, l'ottimismo educativo e la pazienza di chi deve sostenere e coltivare i germi
di vita.
3. L'esperienza di spiritualità nell'educazione
Questa nostra esperienza20, allo stesso tempo spirituale e educativa, è oggi segnata da
alcuni avvenimenti: la Lettera di Giovanni Paolo II Iuvenum Patris, in occasione del cente-
nario della morte di Don Bosco, nella quale l'intreccio tra educazione e santità appare come
il principale tratto della spiritualità salesiana; la riflessione sull'educazione dei giovani alla
fede, portata avanti dai salesiani e quella sull'educazione della donna, compiuta dalle Biglie
di Maria Ausiliatrice; il movimento della nuova evangelizzazione che ha luogo nella Chiesa;
lo scenario cioè visioni dell'uomo, contenuti, valori, rapporti, luoghi e modalità in cui si
svolge l'educazione.
Da questo contesto, confrontato con le indicazioni precedenti, provengono alcune linee
rivisitate in questi ultimi anni e da approfondire.
3.1 Rimeditare l'educazione alla luce della Parola di Dio
La prima linea è ripensare e vivere il compito educativo come collaborazione all'opera
di Dio21. Giovanni Paolo II afferma che la «peculiarità dello spirito di Don Bosco, le sue
istituzioni, il suo stile non vengono meno perché ispirati dalla trascendente 'pedagogia' di
Dio»22.
La Scrittura infatti presenta l'azione di Dio come un processo educativo. Egli salva le
persone e il popolo educandoli. Parla non solo a loro ma con loro. Essi sono i suoi interlo-
cutori. Ascoltano ma anche rispondono e interrogano. Proposta e risposta, grazia e libertà si
intrecciano continuamente. Il parlare e ascoltare è la caratteristica del Dio vero, in contrap-
posizione agli idoli che sono muti e sordi, lontani e schiavizzanti.
Ma oltre a parlare, il Signore spinge e quasi obbliga il popolo a esperienze sempre nuove
e maturanti, sebbene non facili: rompere la dipendenza dall'Egitto, avventurarsi nel deserto,
formare la comunità nella propria terra, esprimere l'identità religiosa, assumere la legge.
Stimola e accompagna un cammino di liberazione dai gioghi umani, anche attraverso
lotte e prove, perché vivano pienamente l'alleanza con Lui. Così gli fa maturare la coscienza
di quello che sono, del loro destino, che l'uomo per se stesso non riuscirebbe a scoprire: non
schiavi, né sottomessi ai poteri del mondo, alle forze della natura o alle potenze magiche,
ma «popolo di Dio», oggetto del suo amore, soggetti della propria storia.
La Parola di Dio non soltanto descrive l'agire di Dio secondo gli atteggiamenti che noi
attribuiamo all'educatore (rispetto della libertà, pazienza, offerta di nuove opportunità,
prove); non soltanto adopera le parole che noi usiamo per definire le finalità educative
(orientare, accompagnare, correggere), ma per designare la sua opera impiega la radice
ebraica «Musar» che in greco viene tradotta con «Paideia». «Io gli insegnavo a camminare
tenendolo per mano... li traevo con legami di bontà... ero per loro come chi solleva un bimbo
alla sua guancia; mi chinavo su di lui per dargli da mangiare»23. «Riconosci dunque in cuor
tuo, che come un uomo corregge il figlio, così il Signore tuo Dio corregge Te»24.
20 Cf. E. VIGANÒ, Lettere del Rettor Maggiore, in ACG 326 «Studia di farti amare»; ACG 334 «Spi-
ritualità salesiana e nuova evangelizzazione»; ACG 337 «Nuova educazione».
21 Cf. IP 7 e 13; ChL 61; CG23 nn. 11-14.
22 IP 13.
23 Os 11,1-4.
24 Dt 8,5.
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Questi sono i testi più teneri e poetici, ma non gli unici. Si potrebbe raccoglierne altri
dello stesso tenore, brevi e lunghi, sull'opera educatrice di Dio riguardo all'uomo.
Il filone culmina in Gesù Cristo. Egli si presenta come Maestro. Non è difficile spigolare
nel Vangelo tratti educativi: i dialoghi con la gente che gli si avvicina; il linguaggio delle
parabole, con cui rende facile ai suoi ascoltatori la comprensione della verità; gli inviti a
superare le domande materiali, che in generale presentano i suoi interlocutori e a passare a
quelle più profonde, ai beni del Regno.
La sua azione educativa diventa sistematica e quotidiana con gli apostoli. Un po' per
volta li aiuta a capire il valore e le esigenze di un progetto comunitario e a lunga scadenza,
mentre essi erano preoccupati dei propri vantaggi e desiderosi di effetti immediati. Devono
uscire mentalmente dal villaggio e pensare in termini universali.
Li spinge a superare l'integrismo e lo zelo autoritario. Bisogna che imparino ad accettare
avversari, rivali e gente che pensa diversamente25.
Insegna loro a guardare con profondità i problemi fondamentali dell'uomo, per esempio,
le malattie, le catastrofi inspiegabili, la morte26. Non devono cedere di fronte a spiegazioni
colpevolizzanti, fataliste o pseudoreligiose.
Li guida ad essere critici anche su alcuni aspetti della religione che si sono rivolti contro
l'uomo: il legalismo, il puritanesimo, l'uso della religione da parte di chi governa, il rituali-
smo27.
Li porta a giudicare le persone con prudenza e finezza, a superare la superficialità e la
rozzezza nelle loro valutazioni. Pensiamo all'episodio della donna che unse i suoi piedi in
casa di Simone e a quello dell'adultera.
L'opera educatrice di Dio non finisce qui. San Paolo ne vede tre fasi, ciascuna delle quali
trasforma più profondamente la persona.
Israele è come un bambino sotto il controllo di un pedagogo esterno: la legge. Questa gli
mostra la via, ma non gli dà la forza per percorrerla, né gli fornisce l'identità da conseguire.
La legge infatti non è la meta, né la forma, né tanto meno la vocazione dell'uomo. Il destino
della persona invece sono l'amore e la libertà.
La seconda fase viene nella pienezza dei tempi: Dio manda suo Figlio. In Lui ci infonde
la forma umana alla quale siamo destinati. Tale forma è seminata dentro di noi per l'incar-
nazione di Gesù e costituisce il nostro codice genetico per la grazia dell'adozione. Deve sve-
larsi e svilupparsi secondo le età dell'uomo.
Infine c'è la terza fase: Gesù ci dona lo Spirito che diventa nostro pedagogo e guida
interiore. È lo Spirito di libertà, creatività e generosità che ci spinge a modellarci, nelle di-
verse situazioni storiche, secondo le dimensioni di Cristo, Uomo, Figlio di Dio.
In questa prospettiva va letta la funzione educativa della Chiesa nel mondo. L'educazione
dell'umanità non è per essa una manifestazione opzionale della carità: è il cuore stesso della
sua missione. La Chiesa diviene la mediatrice dell'azione educativa di Dio, la continuazione
del magistero di Cristo, il segno della presenza dello Spirito nell'umanità28.
Perciò in essa tutto presenza, annuncio, celebrazione, diaconia è educativo: tende a
dare all'uomo coscienza del suo essere e del suo destino, a risvegliare in lui energie di co-
struzione, a scoprire quanto di buono, di nobile e di eterno29 ha posto il Creatore in lui, ad
25 Cf. Mc 9,38-39; Lc 9,52-56.
26 Cf. Gv 9,1-4; 11,17ss; Lc 13,1-5.
27 Cf. Mt 12,1-11; 15,10-19; 13,13-20; Lc 13,10-16; Gv 5,9-18.
28 Cf. IP 7.
29 Fil 4,8.
- 425 -

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aprirlo al rapporto che lo costituisce nella sua dignità: quello con Dio Padre, Figlio e Spirito
Santo.
Molti in essa riceveranno il «carisma» dell'educazione e si dedicheranno professional-
mente all'attività educativa, facendone l'espressione dell'opzione radicale per Dio: non un
aspetto giustapposto alla consacrazione religiosa, bensì un modo singolare di esprimerla.
Oggi il compito educativo corre il rischio di svuotamento e svalutazione. Il tecnicismo,
la pura funzionalità, la fugacità dei rapporti, la complessità possono farla apparire come un
«ambito» povero di prestigio e redditività e soprattutto mettere in forse la sua reale efficacia.
Il ritornare al suo senso ci dà delle motivazioni per riassumerla con speranza.
3.2 Guardare al mistero di Cristo Redentore dell'Uomo
Parecchi fatti portano verso questo riferimento. La spiritualità salesiana ha nella figura
di Cristo il suo punto di unità e ispirazione: Cristo pastore consumato dalla passione per
salvare l'uomo, cioè per portarlo verso il compimento della sua vocazione secondo il disegno
del Padre, la filiazione.
Ci richiamiamo sovente alla meditazione soprattutto dei suoi gesti educativi: «Sull'esem-
pio del Signore e seguendo il metodo della sua carità 'sulla via di Emmaus' (...) prendiamo
l'iniziativa dell'incontro e ci mettiamo accanto ai giovani; con loro percorriamo la strada
ascoltando, condividendo la loro ansia e aspirazioni; a loro spieghiamo con pazienza il mes-
saggio esigente del Vangelo; e con loro ci fermiamo per ripetere il gesto di spezzare il pane
e suscitare in essi l'ardore della fede che li trasforma in testimoni e annunciatori credibili»30.
Ma oltre che modello del Pastore-Educatore Cristo è fondamento e sostegno della fiducia
nell'opera educativa. La forza della sua redenzione agisce nel mondo e in ciascuno dei cuori
umani. Sorregge dunque la speranza nel recupero di tutti, giovani e adulti, qualunque sia la
loro condizione e situazione. La sua conoscenza comunica grazia sanante e santificante a
tutto il dinamismo umano. Quando gli si aprono le porte, intelligenza, volontà, sentimenti e
progetti si muovono nella direzione della salvezza. La sua grazia è il principio di costruzione
della personalità umana.
Cristo diviene dunque modello di riferimento per l'educazione: immagine dell'uomo che
il giovane e ciascuno di noi è chiamato ad essere. «La meta che il cammino (educativo)
propone al giovane è quella di costruire la propria personalità avendo Cristo come riferi-
mento sul piano della mentalità e della vita. È un riferimento che facendosi esplicito e inte-
riorizzato lo aiuterà a vedere la storia come Cristo, a giudicare la vita come Lui, a sperare
come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione con il Padre e lo Spirito Santo.
Per la fecondità misteriosa di questo riferimento la persona si costruisce in unità esisten-
ziale; assume le proprie responsabilità e ricerca il significato ultimo della propria vita»31.
E ciò perché siamo convinti che solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova vera
luce il mistero dell'uomo. «L'uomo che vuol capire se stesso fino in fondo non soltanto
secondo immediati, parziali e spesso superficiali e persino apparenti criteri e misure del pro-
prio essere deve con la sua inquietudine e incertezza e anche con la sua debolezza e pec-
caminosità, con la sua vita e morte, avvicinarsi a Cristo32
La coscienza di sé, la verità della propria esperienza esistenziale e il destino ultimo
dell'uomo persona e storia che segna la direzione dell'educazione si comprendono alla
luce del mistero di Cristo.
30 CG23 93.
31 CG23 114.
32 RH 22.
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43.9 Page 429

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Questa meditazione diventa sempre più urgente di fronte all'odierno pluralismo culturale
ed educativo. L'educazione e più generalmente la cultura che respiriamo ammettono la di-
mensione religiosa ma non si ispirano ad essa come riferimento obbligante; la consegnano
alla opzione e gusti del singolo. Ne soffre la stessa concezione della persona e di conse-
guenza tutto l'orientamento educativo.
Nella Chiesa si dà perciò una nuova attenzione e un approfondimento del mistero di
Cristo a partire della sua ricchezza intrinseca, ma anche provocati dalla nuova temperie
umana e culturale, che vede l'uomo al centro della riflessione sulla storia, l'uomo che diventa
anche «la via della Chiesa».
Si stabilisce attorno all'uomo e al senso della sua esistenza un'interazione tra cultura e
Vangelo, tra Chiesa e mondo, tra fede ed educazione, diversa dal passato. Predomina l'an-
nuncio indirizzato alla libertà. L'educazione è rivolta a svegliare l'interesse della persona
circa la qualità della sua vita e a dotarla degli strumenti per realizzarla. La fede viene comu-
nicata attraverso la testimonianza convincente.
Le conseguenze pratiche per la spiritualità sono indicate da Giovanni Paolo II: bisogna
radicare la convinzione che avvicinandoci a Cristo tocchiamo «le più profonde sfere
dell'uomo, la sfera intendiamo dei cuori umani, delle coscienze umane, delle vicende
umane»33.
3.3 La ragione e la fede come capacità di lettura e discernimento evangelico
Un insieme di sfide vengono lanciate all'educazione. Le sentono gli educatori professio-
nisti e i genitori, le scuole, gli ambienti giovanili e le famiglie. Vuol dire che sono reali e già
pervadono il quotidiano.
La prima e più appariscente è l'emergenza di esigenze e sensibilità a cui prima non da-
vamo tanta importanza: i nuovi valori. Fattori diversi hanno collaborato a farle sorgere e
affermarsi: il progresso tecnico, la comunicazione sociale che diffonde gusti e modelli, l'al-
largamento della visione geografica del mondo, l'apertura delle frontiere tra i popoli e il
movimento migratorio, la caduta della fiducia in determinati progetti storici e forme di in-
tervento e, più in generale, il sospetto verso i «sistemi» di verità imposti, con pretesa di
completezza e obbligatorietà.
La lista di queste esigenze comprende la dignità della persona concretizzata nel ricono-
scimento dei suoi diritti civili, la qualità della vita, che si esprime nella ricerca del benessere,
la libertà di coscienza, la pace, l'ambiente, la tolleranza e accoglienza positiva della diversità
culturale, etica e religiosa, la parità-reciprocità tra uomo e donna, la mondialità, la solida-
rietà.
Di tutti questi valori si sente l'urgenza. Provocano dunque attese e mobilitano energie.
Sono però poco precisati e portano il segno dell'ambiguità. Sradicati dalle motivazioni fon-
damentali non liberano il loro potenziale, e finiscono per chiudere la stessa personalità nei
soli orizzonti mondani. Per lo stesso motivo sovente la loro interpretazione si rivolge contro
la persona in nome della quale erano stati proclamati.
Soprattutto dopo averli enunciati, come si fa nei convegni, rimane l'arduo compito di
elaborare e mettere in pratica una pedagogia per proporli e farli assimilare. Pedagogia che,
va detto, non è solo questione di metodo, ma proprio originale trattamento e definizione
educativa del valore.
33 RH 10.
- 427 -

43.10 Page 430

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Insieme ai nuovi valori ci sono forme inedite di realizzare i valori tradizionali: la sessua-
lità, il lavoro, l'impegno pubblico, la religiosità. Di ciascuna di queste costellazioni si pos-
sono riportare le espressioni che vengono abbandonate, le sfide attuali, le correnti nascoste
che muovono in una certa direzione, le manifestazioni preferite. Pensiamo all'amore umano
con i problemi che riguardano il sesso, il rapporto di coppia, la mentalità sul matrimonio,
l'atteggiamento di fronte alla vita nascente, la biogenetica. O la costellazione dei valori so-
ciali con la nuova polarizzazione tra libertà e giustizia, la caduta delle «regole» per i rapporti
tra organismi e poteri, il sorgere di particolarismi non solo nazionali ma anche economici e
sociali, la disaffezione all'attività politica, la realizzazione della solidarietà sociale in ambiti
pubblici diversi dalla «politica».
Il tutto è percorso da fenomeni trasversali: lo scarso riferimento a fondamenti di verità,
la mancanza di una autorità di qualsiasi tipo capace di «far prevalere» un insieme di valori,
il predominio della soggettività nell'assumere verità e valori, la «privatizzazione» di en-
trambi.
L'educazione salesiana si caratterizza dall'intima fusione tra sviluppo umano e annuncio
evangelico, il che vuol dire tra persona e verità. È convinta che il primo è possibile in senso
pieno soltanto attraverso il secondo e che l'annuncio di Cristo rivela aspetti fondamentali
della crescita umana che l'uomo da solo non potrebbe né scoprire né realizzare. Ma il Van-
gelo è sempre come la luce, il seme, il lievito nella cultura e nella storia umana dove avven-
gono i fenomeni descritti.
Un tempo mentalità, valori e Vangelo erano, se non fusi, almeno collegati obiettiva-
mente. Compito della persona era interiorizzarli e inverarli nella vita. Ma la comprensione
univoca era scontata e le agenzie educative avevano, in tale comprensione, un fondamento
indiscutibile.
Oggi ci vuole vigilanza mentale e discernimento evangelico. Quello che si produce nel
nostro mondo (dal telegiornale alla riproduzione in provetta) ha bisogno di valutazione cri-
tica e di cernita alla luce del mistero di Cristo. Soltanto questo atteggiamento assicura una
giudiziosa opzione personale e abilita a fare una proposta di fede ai giovani. Niente è scon-
tato. Tutte le aree di valore e tutte le manifestazioni sono come intaccate e hanno bisogno di
illuminazione. Ciò richiede un esercizio della ragione, che deve superare la passività, che
non può procedere per pregiudizi (destra-sinistra, ieri-oggi, cristiani e non cristiani!) e nem-
meno lasciarsi trascinare dall'ingenuità. Comporta allo stesso tempo un esercizio della fede
in Gesù Cristo che offre una chiave per giudicare e lievitare questi valori, e un cammino per
realizzarli.
Il discernimento ci porta a «temperare», a mettere nel giusto equilibrio, e a fare un pa-
ziente confronto tra tendenze culturali e fede, tra la soggettività che va riconosciuta e la
verità, tra le molteplici possibilità di scelte che sono garanzia di libertà e la responsabilità
morale.
È quello che, nel linguaggio tradizionale del Sistema preventivo, viene sotto il nome di
«saggezza» o «sapienza»; la lezione che Giovanni Bosco doveva imparare da Maria per ca-
pire e intervenire; un tratto della spiritualità di Don Bosco, ricordato nell'ufficio liturgico, è
uno dei tre termini che conformano l'ideale educativo anche per i giovani. Saggezza come
«bontà» illuminata, cioè capacità di scorgere il bene e di valorizzarlo; dono dello Spirito che
abilita alle scelte, in primo luogo, di senso e di valore, alla luce del mistero di Dio e del
destino della persona.
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3.4 Un itinerario di carità che diventa prassi educativa
Oltre a discernere i «valori» l'educazione, in qualsiasi struttura, richiede capacità di me-
diazione. Non è solo definizione e neppure «predicazione» di verità o valori. È avvicina-
mento del soggetto ad essi e accompagnamento nel cammino di assimilazione. Oggi i due
problemi presentano la stessa urgenza e difficoltà: si devono vagliare verità e valori nel plu-
ralismo e nella complessità; ma non di meno si deve superare l'incomunicabilità e la distanza,
una volta che gli educatori sono orientati su verità e valori.
• Espressione tipica della carità educativa è innanzitutto il saper incontrarsi con i giovani.
Don Bosco fu uno specialista del primo incontro, all'aria aperta e in qualsiasi luogo. Era
capace di suscitare immediatamente la fiducia, eliminare le barriere, provocare la gioia. Al-
cuni di questi «primi incontri» sono rimasti nella storia come momenti fondanti. L'incontro
con Bartolomeo Garelli gettò le fondamenta dell'oratorio. Don Bosco rievoca con piacere i
suoi primi incontri con i ragazzi e si sofferma a ricostruire passo a passo lo scambio di bat-
tute.
Li propone come modelli pedagogici. Si esibisce quasi nella sua arte di attingere la vita
del ragazzo. L'incontro comincia sempre con un gesto di assoluta stima, di affetto, di sinto-
nia. Don Bosco entra subito e con semplicità nei punti importanti della vita del suo interlo-
cutore (santità, abbandono, vagabondaggio). Il dialogo, dunque, è serio nei suoi contenuti,
sebbene le singole espressioni siano cariche di allegria e di buon umore. Perché affrontano
punti caldi di vita e li affrontano seriamente e con gioia, questi incontri si caratterizzano per
l'intensità dei sentimenti. Michele Magone si commuove34, Francesco Besucco piange di
commozione35, Domenico Savio «non sapeva come esprimere la sua gioia e gratitudine; mi
prese la mano, la strinse, la baciò più volte»36.
Se tale era il ricordo che avevano lasciato gli incontri nel suo animo, se tale è la rilevanza
che lui gli dà nelle biografie, fino a fame il perno della narrazione, è perché era convinto che
la qualità dell'educatore-pastore si rivela nell'incontro personale.
Questo «esercizio» della carità educativa ci fa pensare a due fenomeni attuali e a quello
che richiedono da noi: la lontananza fisica di molti giovani, la distanza psicologica di altri
che pur sono vicini. È anche l'idea della carica mistica e ascetica che comporta.
• La seconda manifestazione della carità pedagogica è dedicarsi con pazienza e cura a
costruire un ambiente ricco di umanità, che sia espressione e veicolo di valori. L'esperienza
della forza dell'ambiente appartiene ai primi anni di apostolato di Don Bosco e diviene un'ac-
quisizione definitiva per tutto il resto dei suoi giorni.
Don Bosco sarà l'amico di molti ragazzi avvicinati individualmente nei più disparati luo-
ghi; ma sarà anche l'animatore di una comunità di giovani, caratterizzata da alcuni tratti e
con un programma da sviluppare. Ragioni psicologiche, sociologiche e di fede lo conferma-
rono nella convinzione che c'era bisogno di un'ecologia educativa, dove la fede e la ragione-
volezza si respirassero e dove la carità informasse i ruoli, i rapporti e l'atmosfera.
34 Cf. G. BOSCO, Cenno Biografico sul giovanetto Magone Michele allievo dell'Oratorio di S. Fran-
cesco di Sales, Torino, G.B. Paravia, 1861, capo II (Curioso incontro).
35 Cf. G. BOSCO, Vita del giovane Besucco Francesco di Argentera, Torino, Tip. dell'Oratorio di S.
Francesco di Sales (coll. «Letture cattoliche»), 1864, capo XII (Tenore di vita all'oratorio - Primo
trattenimento).
36 Cf. G. BOSCO, Vita del giovinetto Domenico Savio allievo dell'Oratorio di San Francesco di Sales.
Con appendice sulle grazie ottenute per sua intercessione, Torino [ecc.], Società editrice internazio-
nale (coll. «Scritti edificanti e apologetici»), 1924, capo VII (Primo incontro con Domenico Savio).
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La carità educativa porta a spendere tempo e forze per animare un ambiente ampio, po-
sitivo, ricco di proposte, capace di accogliere molti giovani e offrire loro un'esperienza po-
sitiva della convivenza, della responsabilità, dell'impegno, della vita di fede.
• Insieme all'incontro e all'animazione di un ambiente, la carità ispira un altro gesto: il
rapporto educativo personale prolungato capace di aiutare la crescita.
L'incontro richiama soltanto il primo momento di accoglienza. L'educazione non è un
«consiglia e fuggi» o «predica e scappa»; richiede un accompagnamento rispettoso ma a
lungo termine. Tale accompagnamento, approfondendosi, prende due forme: l'amicizia e la
paternità. Tutte e due sono manifestazioni di un amore che cresce nell'educare e, crescendo,
incide ancora di più sull'educazione.
L'amicizia prima ricorre spessissimo nelle narrazioni di Don Bosco che riguardano l'e-
sperienza personale e la prassi educativa. L'amicizia è stata un tratto della sua giovinezza,
dimostrazione della sua capacità di dare e ricevere affetto gioiosamente e sempre in maniera
personale e profonda.
Occupa pure un posto rilevante nelle sue riflessioni pedagogiche. Nelle biografie di
Domenico Savio37, di Michele Magone e di Francesco Besucco l'amicizia fine, costruttiva,
permeata di razionalità e indirizzata verso il progresso morale e la santità, costituisce uno
dei capitoli più delicati e più interessanti.
L'amicizia profonda tra educatore e giovani nasce dai gesti e dalla volontà di familiarità,
e di essi si nutre. A sua volta provoca confidenza.
L'espressione concreta è l'assistenza. Essa viene intesa come un desiderio di stare con i
giovani e condividere la loro vita. È allo stesso tempo presenza fisica lì dove i ragazzi si
trovano, interscambiano o progettano e forza morale con capacità di animazione, stimolo e
risveglio. Assume il doppio aspetto della preventività: proteggere da esperienze negative
precoci e sviluppare le potenzialità della persona attraverso proposte positive. Stimola con
motivazioni ispirate alla ragionevolezza (vita onesta, attraente senso dell'esistenza) e alla
fede, mentre rafforza nei ragazzi la capacità di risposta autonoma al richiamo dei valori.
L'amicizia-assistenza sfocia in un'altra manifestazione singolarissima del rapporto edu-
cativo: la paternità-maternità. Essa è più che l'amicizia. È una responsabilità affettuosa e
autorevole che porge guida e insegnamento vitale ed esige disciplina e impegno. È amore e
autorità.
Si manifesta soprattutto nel «saper parlare al cuore», in maniera personalizzata e perso-
nalizzante, perché si attingono le questioni che attualmente occupano la vita e la mente dei
giovani; saper parlarne col linguaggio adatto all'argomento e ai giovani in modo tale da toc-
care la coscienza e formarli in una sapienza con cui affrontare problemi presenti e futuri: in
una parola, la paternità si manifesta nell'insegnare l'arte di vivere secondo il senso cristiano.
Amicizia e paternità creano il contesto in cui i valori diventano comprensibili e le esi-
genze accettabili. Così si traccia la linea tra l'autoritarismo, che rischia di non influire, e il
permissivismo che non riesce a trasmettere valori e in cui l'amicizia risulta passatempo in-
consistente che non aiuta a crescere.
Incontro, amicizia, paternità segnano un crescendo nella maturità dell'amore oblativo che
corrisponde anche a un itinerario educativo nel giovane.
37 Cf. Vita del giovinetto Savio Domenico, cap. XVIII e XIX.
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3.5 Contemplare nell'azione educativa
La dimensione contemplativa è «il momento più alto e più pieno dello Spirito, quello che
può gerarchizzare ancora oggi la piramide dell'attività umana» (Paolo VI). Consiste nell'es-
sere attenti alla presenza di Dio e pronti nel fare la sua volontà con gioia e disponibilità.
«Esercizio continuo della presenza di Dio», si diceva nel linguaggio salesiano tradizionale.
Riconosciuta la sua preminenza nella vita spirituale, rimangono da chiarire i «luoghi» e
le forme in cui la si può esercitare. La Settimana di spiritualità della Famiglia Salesiana del
1980 («Il sistema preventivo come cammino di santità») parlava dell'incontro con Dio attra-
verso due tipi di mediazioni, incluse in un unico universo sacramentale: quelle «celebrative-
rituali» e quelle «pratico-tecniche». Sottolineava l'importanza di queste ultime nell'espe-
rienza spirituale salesiana38. In una parola «lavoro e preghiera fusi nel sacramento totale
della vita orientata verso Dio e mossa dalla carità».
Unione di preghiera e unione di vita con Dio: due movimenti dello stesso cuore. Le due
hanno ritmi e forme proprie. «L'unione di preghiera celebrata interrompe le relazioni con le
creature per concentrare tutta l'attenzione direttamente sulla luce e sulla vita intima di Dio.
L'unione pratica si attua nel cuore stesso della vita corrente, nel tessuto delle relazioni
umane»39. Non è infrequente trovare ancora testi in cui l'esperienza spirituale viene conce-
pita con un «prima» e «a parte» preparatorio, nel quale ha luogo rincontro con Dio; e un
«dopo» nell'azione in cui mettiamo a frutto, e, in un certo senso, spendiamo utilmente la luce
e l'energia ricevuta. E ogni volta che si tende a fonderli in un continuo c'è un richiamo alla
precauzione.
Nel Sistema preventivo si ha continuità senza rottura tra i due momenti; anzi, i due si
uniscono in un punto di congiunzione ulteriore: la carità. E per il tipo di carità il momento
dell'azione è principale come carica e manifestazione.
Lo esprime un testo dei Salesiani: «Educare i giovani alla fede è, per il salesiano, lavoro
e preghiera. Egli è consapevole che impegnandosi per la salvezza della gioventù fa espe-
rienza della paternità di Dio. (...) Don Bosco ci ha insegnato a riconoscere la presenza ope-
rante di Dio nel nostro impegno educativo, a sperimentarla come vita e amore. (...) Noi cre-
diamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell'incontro con Lui e per
disporci a servirLo in loro, riconoscendone la dignità ed educandoli alla pienezza di vita. Il
momento educativo diviene così il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui»40.
Chi educa è chiamato a riconoscere Dio che opera nella persona umana e a mettersi a suo
servizio. Qualcosa di simile a quello che dovette fare Maria, perché nella umanità di Gesù si
manifestasse in forma storica la coscienza divina. Maria dovette accompagnarlo e sostenerlo
con il cibo, l'affetto, il consiglio, l'insegnamento della lingua e delle tradizioni, l'inserimento
nei rapporti umani, l'iniziazione nell'universo dei gesti e delle parole religiose, senza sapere
di scienza certa che cosa si sarebbe rivelato questo suo figlio.
C'è un dialogo misterioso tra ciascun giovane e quello che gli giunge dall'esterno, quello
che sorge dentro di lui, quello che scopre come imperativo, grazia o senso. Un po' alla volta
va acquistando piena coscienza di sé, va elaborando un progetto di esistenza nel quale scom-
mette le sue forze e gioca le sue possibilità.
Il suo futuro è un'incognita. Don Bosco, adattando un detto della Scrittura conforme alle
traduzioni del suo tempo, aveva fatto scrivere sui muri dell'oratorio una frase che ancora
38 Cf. Il sistema preventivo vissuto come cammino di santità, p. 36-51.
39 P. BROCARDO, Don Bosco profeta di santità per la nuova cultura in «Spiritualità dell'azione» a cura
di M. Midali, Roma, LAS, 1977, p. 197.
40 CG23 SDB 95.
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oggi si può leggere: «Non si può conoscere la traccia che lascia il serpente sulla pietra, né la
strada che prenderà un fanciullo nella vita»41.
L'educatore è chiamato ad offrire tutto quello che crede opportuno, vivendo con speranza
le incognite del futuro. Si interessa sinceramente dell'umano incerto che cresce. In esso in-
fatti Dio verrà accolto e anche in forza della crescita si manifesterà con sempre maggior
luminosità.
Chi educa, dunque, - genitore, amico o animatore - mantiene viva la consapevolezza che
egli è parte nella festa dell'incontro di Dio con i giovani. È l'amico dello sposo, non prota-
gonista ma aiuto e spettatore attivo come Maria alle nozze di Cana. Dei suoi sforzi, dei suoi
gesti, delle sue parole si serve il Signore per farsi sentire nella vita dei giovani e svegliare in
loro il desiderio di essere «di più». L'educatore non raggiunge direttamente il santuario del
cuore e della coscienza. Ma la sua voce, la sua presenza sono gli strumenti con cui Dio fa
risuonare la sua voce nell'interno dei giovani. Nelle Costituzioni delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice si legge che l'assistenza «è attenzione allo Spirito che opera in ogni persona»42.
41 Prov 30, 19.
42 C FMA 67.
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47. L'ORATORIO SALESIANO: LUOGO DI NUOVA RESPONSABILITÀ E
MISSIONARIETÀ GIOVANILE
Vecchi, J.E., L'oratorio salesiano: luogo di nuova responsabilità e missionarietà giovanile in D. Maggi - Conferenza ispettorie
salesiane d'Italia. «L'oratorio dei giovani: insieme per essere fedeli alla vocazione giovanile e popolare: Roma-Sassone 25-
28 ottobre. 15-18 novembre 1993. Atti dei convegni». Convegno (1993, Roma), e Conferenza ispettorie salesiane d'Italia.
Convegno (1993, Sassone), 1994, p. 55-72.
1. Circa la nuova responsabilità e missionarietà. - 2. L'itinerario oratoriano verso una nuova responsabilità e missionarietà. -
3. L'alveo più profondo.
1. Circa la nuova responsabilità e missionarietà
Fermiamoci brevemente sulla responsabilità e missionarietà proposte come obiettivi fi-
nali di un cammino oratoriano. Insieme raccolgono la preoccupazione centrale della Con-
gregazione in questo sessennio, educare i giovani alla fede; soprattutto quella prospettiva
che ne ravvisa i nodi fondamentali e quasi la prova nella formazione della coscienza e nella
dimensione sociale della carità1. La loro portata appare troppo grande per attribuire tout-
court all'oratorio la capacità innata di farle affiorare e portarle a maturazione.
* Responsabilità è un termine usato oltre misura, e di conseguenza logoro. È difficile
oggi ascoltare un discorso o semplice commento politico senza che lo si tiri in ballo. I suoi
significati si danno come scontati e perciò appaiono generici. L'ovvietà e l'uso frequente non
aiuta a coglierne la problematicità morale. Ma, ancor più rischioso, le dinamiche di forma-
zione alla responsabilità vengono considerate evidenti. C'è chi la predica e ne deplora la
caduta, ma non crea le condizioni perché i giovani la scoprano, la assaporino e la esercitino.
C'è anche chi attribuisce un risultato educativo definitivo a esperienze gratificanti, fugaci,
una specie di tour attraverso diverse forme di trattenimenti nobili. Entrambi si affidano ad
un aspetto valido, ma non sufficiente da solo a produrre ciò che si attende.
La responsabilità ha rapporto con l'agire morale di cui costituisce la spina dorsale e la
dimensione formale. Un tempo ci si insegnava a distinguere gli «atti dell'uomo» dagli «atti
umani». Tra i primi venivano inclusi anche quelli spontanei, riflessi o condizionati da cause
esterne oltre la volontà dell'agente. Non si potevano giudicare dal punto di vista morale per-
ché non rientravano nella categoria della responsabilità. Gli atti «umani» invece erano im-
putabili perché procedono dalla volontà deliberata, con avvertenza e libertà.
Questa forma di pensare viene oggi attenuata. E ciò ha le sue ripercussioni sulla peda-
gogia. Una comprensione più unitaria della persona mostra che le distinzioni troppo rigide
non hanno un esatto corrispondente nell'esistenziale. Ma mette in evidenza a quali energie
della persona si rapporta la responsabilità: alla coscienza, alla libertà, alla verità. Sul versante
pedagogico dunque porta a valorizzare aspetti che prima venivano trascurati; allo stesso
tempo libera dal semplicismo e spinge a precisare le basi e i percorsi adeguati per uno svi-
luppo sicuro e completo del comportamento responsabile.
Il tema perciò è decisivo nella formazione morale del giovane, ma non di meno per la
sua educazione integrale. Questa infatti consiste in una responsabilizzazione progressiva ri-
guardo alla propria esistenza e riguardo alla storia che si svolge vicino e lontano da noi. «Il
senso di responsabilità è una qualità tipica dell'adulto riuscito. In essa l'educazione trova il
1 CG23 nn. 182.191; 203-214.
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suo termine di riferimento e la sostanza di quella ricerca di unitarietà personale che la carat-
terizza. In questa linea la finalità propria e ultima dell'educazione si potrebbe definire come
la promozione nell'educando della capacità di decisioni responsabili con tutto ciò che essa
suppone e che ne è condizione»2.
Parlare dell'oratorio come luogo di responsabilità è definirlo come ambiente di educa-
zione completa e non soltanto come spazio e tempo di attività spontanee, complementari.
Ora ciò, se non rappresenta un cambio di prospettiva riguardo alle forme precedenti di con-
cepire l'oratorio, postula di certo una nuova qualità nella sua impostazione e orientamento.
Infatti da alcuni si attribuiva all'oratorio-centro giovanile, la finalità di allentare e al con-
tempo favorire, con la socialità il gioco e l'uso del tempo libero, quella tensione «forte» e
sistematica verso la responsabilità matura che compie la scuola attraverso lo studio, la qua-
lificazione professionale e tutto il corredo culturale per inserirsi nella società. La scuola rap-
presentava il «lavorativo», il quotidiano, il feriale. L'oratorio il «festivo», l'intervallo,
l'hobby.
Il senso di responsabilità si va strutturando su alcuni elementi di cui bisogna tener conto.
Suppone in primo luogo di aver colto il carattere dialogico dell'esistenza. Si risponde di
fronte a qualcuno o a qualche realtà che si impone alla coscienza per il suo valore o signifi-
cato. Può essere lo stesso io che coglie ciò che realizza pienamente la vita e ciò che invece
la frustra. In tal caso «la responsabilità... va in definitiva rintracciata nella relazione che lega
l'agire dell'uomo alle dimensioni profonde del suo essere, alle intenzionalità ultime che gui-
dano le sue scelte e al costante dinamismo che caratterizza la crescita umana nei vari stadi
di maturazione»3. La fede suggerisce che l'interlocutore è Dio che si fa sentire attraverso la
coscienza, le mediazioni naturali ed ecclesiali. Una responsabilità consistente è dunque fon-
data su una visione della realtà, sul senso che si dà alla propria vita e sulla percezione obiet-
tiva dei valori.
Non si tratta però di un dialogo solitario. I contenuti concreti della responsabilità si sco-
prono in una storia nella quale si convive e si interagisce con altre persone. È in questo
contesto che bisogna definire le proprie scelte. La responsabilità viene a collegarsi cosi con
l'identità personale e sociale in quanto superamento della dipendenza di qualsiasi tipo, della
dispersione anonima negli altri o nella struttura; si manifesta nell'affiorare di una forte co-
scienza civile, nel discernimento delle proposte che ci sono sul mercato, nel crescere della
partecipazione al comune processo di crescita personale e sociale4.
È mancante se non rende consapevoli dell'interdipendenza, della solidarietà, della mon-
dialità; se non sensibilizza riguardo alla dignità della persona e alla situazione tragica in cui
essa si trova in vaste zone del mondo; se non mette a fuoco questioni come l'uso e la distri-
buzione dei beni, il diritto alla vita e altri problemi che oggi sono al centro della storia.
Senso, identità, comunità, storia; tali riferimenti fanno vedere quanto la maturazione in
alcuni aspetti fondamentali della persona ricade positivamente sulla responsabilità e allo
stesso tempo mette in evidenza la molteplicità di attenzioni che questa richiede.
Non è di poco conto individuare i fattori che si intrecciano nella evoluzione favorevole
della responsabilità, anche se va evitata l'atomizzazione di quello che nella persona agisce
in interdipendenza e unità. Essi legittimano quanto diremo dell'oratorio.
2 C. NANNI, Educazione in Dizionario di Pastorale Giovanile, Leumann(To), Elle Di Ci, 1992, p. 326.
3 G. PIANA, Libertà e responsabilità in Dizionario di Teologia morale, Cinisello Balsamo, Ed. Paoline,
1990, p. 672.
4 G. GATTI, Educazione morale in Dizionario di Pastorale Giovanile, p. 343.
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Il primo di tali fattori è il «vissuto» cioè l'esperienza positiva, l'affettività soddisfatta, il
sentimento, «il clima psicologico che avvolge l'atteggiamento e l'atto responsabile, e, per
così dire, «lo riempie fino a farlo traboccare»5.
La morale cristiana non si può intendere come la morale del puro sentimento o soddi-
sfazione psicologica. Non cerca i criteri di autenticità soltanto nella gioia soggettiva, nella
rettitudine dei sentimenti. Si preoccupa invece soprattutto del valore delle opere nei con-
fronti del mondo e della storia». Ma attraverso un'esperienza gioiosa il giovane va diven-
tando consapevole dell'influsso che le sue decisioni e azioni hanno su se stesso, sugli altri e
sulla società. Questo primo elemento scoraggia le pedagogie «idealiste» o predicatorie e
orienta decisamente verso il coinvolgimento dei giovani in azioni e situazioni reali.
Ma al vissuto (sentimento, tono vitale, passione, co involgimento...) la pedagogia della
responsabilità aggiunge sempre un elemento conoscitivo, un intervento della ragione o una
qualsiasi forma di illuminazione. Esso radica le motivazioni e convincimenti nell'interno
stesso della persona e dà ragione delle sue scelte. Bisogna dunque aiutare il giovane a capire
la realtà, afferrare gli aspetti e principi di valore presenti in essa, prendere contatto con l'e-
sperienza umana e soprattutto imparare dalla parola di Dio quali opzioni concrete corrispon-
dono alla responsabilità del credente. In tal senso il CG 23 invita a «educare ad una mentalità
di fede che non tema il confronto con i valori» e raccomanda di «aiutare il giovane ad acqui-
sire una sufficiente capacità di giudizio e discernimento»6.
Illuminazione oggi significa capacità critica e autonomia di valutazione di fronte ai mes-
saggi che riguardano la vita privata (amore, denaro), ma anche di fronte alle complesse que-
stioni della vita pubblica. Troppe solidarietà credule, quasi assegni in bianco di fiducia, sono
state rilasciate in essa dispensandosi dal lavoro di un giudizio personale.
C'è poi l'orientamento relativamente stabile che il soggetto va prendendo. È facile oggi
«l'esperienza temporanea» anche di generosità e impegno. Contiene certamente una spinta
positiva ma spesso non struttura la vita. Possiamo chiamarla «cammino di responsabilità»?
L'atto di scegliere un indirizzo durevole in prospettiva di futuro non avviene in un mo-
mento preciso né risponde solo a una pura motivazione ideale, ma vi intervengono certezze
istintive, percezioni non totalmente elaborate e sentimenti7, ma è il fattore che dà coerenza
e continuità a tutto il processo di maturazione della responsabilità. Questa dunque non si
sviluppa quando tale orientamento globale o progetto di vita dovutamente motivato non
viene stimolato.
Da ultimo la responsabilità tende ad esprimersi attraverso comportamenti e prese di po-
sizione. «È valutabile all'interno del rapporto tra coscienza e struttura, tra individuo e so-
cietà». Bisogna oggi più che mai liberarsi da una concezione solo «interiore», in ultima ana-
lisi individualistica e «astorica» della responsabilità e della morale. La prassi, dunque, se
non costituisce il fondamento della responsabilità certamente ne è la rivelazione e la prova.
È grave la dicotomia che pretende una responsabilità senza fondamenti di fede o di ragione.
Ma non di meno quella che dà valore alle convinzioni e atteggiamenti interni senza badare
alla coerenza della vita. «La parola non è veramente accolta se non quando passa agli atti»8.
Questi elementi, esperienza vitale, interiorizzazione delle motivazioni, formazione degli
atteggiamenti, comportamenti e abitudini, pratica coerente e creativa, sono dunque altrettanti
capitoli di un programma di formazione alla responsabilità.
5 J.L.L. ARANGUREN, Ética, Madrid, Revista de Occidente, 19592, p. 337.
6 CG23 186.
7 M. VIDAL, L'atteggiamento morale, Assisi, Cittadella, 1976-1981, p. 220.
8 VS 88.
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* Fa riflettere anche il termine «nuova» riferito alla responsabilità di cui l'oratorio viene
indicato come luogo. Se questa parola non ubbidisce a sole intenzioni di «vendita», c'è da
domandarsi sui suoi contenuti.
Parecchi documenti della Chiesa hanno battuto, nell'ultimo tempo, sulla responsabilità
morale e sociale dei cristiani9.
La novità riguardo alla responsabilità morale viene data dal contesto culturale, che tende
a relativizzare la verità obiettiva in favore della valutazione soggettiva e sovente anche della
convenienza o gratificazione personale. Si possono aggiungere altri elementi indicativi: la
molteplicità di proposte omogeneizzate; una certa latitanza da parte della società e della fa-
miglia nell'orientamento etico, il che genera un declino o oscuramento del senso morale co-
munitario10; le sfide poste alla capacità di decisione delle persone che riguardano beni fon-
damentali come la vita, la persona, l'amore, la natura.
Il senso di responsabilità sociale, d'altra parte, è sfidato da fenomeni conosciuti: la caduta
di quotazione ideale della politica e dell'impegno pubblico, l'indebolirsi della solidarietà so-
ciale e il suo ripiego verso il «terzo spazio» (il privato sociale), l'ingovernabilità di alcuni
problemi, il prevalere del fattore economico sull'orientamento ideale delle società, la consa-
pevolezza delle piaghe, che si sono attaccate alla stessa coscienza dei credenti, l'emergenza
di nuovi soggetti sociali, il conflitto tra le istituzioni, la crisi e confusione dei ruoli, l'esauri-
mento dei sistemi e delle ragioni precedenti di aggregazione. Non c'è praticamente oggi una
«teoria politica o sociale» che trovi riscontro nelle realtà dei paesi. Per cui è difficile proporre
visioni globali indiscutibili.
L'ambiente educativo dunque non può seguire, riprodurre o completare la «cultura»
etico-sociale corrente, ma si colloca come momento critico e ricostruttivo attraverso fram-
menti; cerca di supplire quello che la società non favorisce più. Questa infatti non offre «le-
zioni» di etica sociale o politica. Relegando la gioventù ad aree di parcheggio e prescindendo
dalle idealità che sono ad essa connaturali, la società diventa deresponsabilizzante. «In tal
caso agenzie meno globali possono, ma solo parzialmente rimpiazzare «l'educatore-so-
cietà»11, contando sulla propria credibilità e la capacità dei giovani di ricuperare valori smar-
riti.
Questa descrizione non intende calcare la mano sul negativo della società che per altri
versi assicura beni importanti, ma soltanto far risaltare la gravità attuale del compito educa-
tivo in fatto di responsabilità sociale.
* C'è un secondo riferimento nel titolo: nuova missionarietà. La missionarietà altro non
è che la responsabilità del battezzato consapevole della ricchezza che gli è stata donata,
dell'obbligo e la gioia di comunicarla. L'atto di fede ha la struttura psicologica dell'agire
morale nel senso che l'uomo risponde alla rivelazione o appello di Dio dalla sua coscienza12
e conforme a tale appello ordina la vita individuale e la sua presenza nel sociale. La testimo-
nianza e l'annuncio di Cristo scaturiscono dalla responsabilità gioiosa del cristiano, la ispi-
rano, la alimentano. In tal senso questo tema è strettamente collegato col precedente.
9 Cf. RP; CA; VS; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA. COMMISSIONE ECCLESIALE PER LA GIUSTIZIA
E LA PACE. Educare alla legalità. Nota pastorale. Bologna, Edizioni Dehoniane, 1991; Annunciare,
celebrare, testimoniare: il Vangelo della carità in una pastorale organica. Atti del Convegno unitario
dei responsabili diocesani degli uffici catechistico, liturgico e Caritas (Assisi, 22-26 giugno 1992).
Bologna, Dehoniane, 1993.
10 VS 106.
11 G. GATTI, Educazione morale in Dizionario di Pastorale Giovanile, p. 343.
12 G. GATTI, Temi di morale fondamentale, Leumann (To), LDC, 1988, p. 33.
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Riferirsi ad una nuova missionarietà giovanile significa far tesoro di un insieme di per-
cezioni, orientamenti e stimoli maturati nella Chiesa e nella Pastorale Giovanile negli ultimi
vent'anni raccolti nella Evangelii Nuntiandi, nell'invito a una nuova evangelizzazione, nei
movimenti ecclesiali, nelle giornate della gioventù. Ci sono dunque indicazioni, modelli e
proposte di missionarietà a cui ispirarsi. Per cui non ci fermiamo ad enumerarle.
Ma anche riguardo ad essa qualche chiarimento non guasta. Non c'è formazione alla e
nella missionarietà se questa dopo un esercizio temporaneo non rimane come atteggiamento
e pratica di vita fondata su esperienze convincenti e ragioni di fede.
La missionarietà comporta una rimeditazione in termini di prassi della vocazione cri-
stiana nel mondo: la percezione del Regno che si va aprendo strada, la scelta di Cristo e del
suo Vangelo come via, verità e vita dell'uomo verso il compimento del suo destino come
figlio di Dio, la fiducia nella mediazione della chiesa e nelle ricchezze di umanità che essa
possiede, una lettura della storia per cui tutto quello che è umano ha significato e peso di
salvezza, la comunione, corresponsabilità e complementarità delle diverse vocazioni. È dun-
que quasi un risultato finale del cammino di fede, sebbene venga esercitata in ogni fase se-
condo le condizioni dei soggetti.
La «nuova» missionarietà è determinata da una parte dalla coscienza di popolo di Dio
che la Chiesa ha maturato a partire dal Concilio Vaticano II, dall'apporto che essa si sente di
dare all'evoluzione della società e della cultura e, di conseguenza, dal tipo di rapporto e pre-
senza che vi si propone; dall'altra ci sono gli spazi culturali nei quali si vede l'urgenza del
fermento evangelico, i problemi umani che sfidano la coscienza cristiana, enumerati nella
Christifideles laici13, la vicinanza possibile tra i popoli per via della comunicazione e i tra-
sporti, la valorizzazione dell'esperienza religiosa nello sviluppo della persona e nella dina-
mica sociale, una domanda di spiritualità e di senso che la Chiesa crede di percepire in quest'
«ora» dell'umanità.
La missionarietà dunque si esprime nella testimonianza, e nell'impegno apostolico quo-
tidiano ma richiede oggi attenzione ai segni e apertura generosa alla Chiesa universale e al
mondo.
Le due dimensioni, responsabilità e missionarietà, riflettono l'ideale educativo dell'«one-
sto cittadino e buon cristiano». Ma l'onesto cittadino di oggi è il cittadino del mondo e il
buon cristiano non può essere che quello «cattolico». «Essere onesto cittadino comporta oggi
per un giovane promuovere la dignità della persona e i suoi diritti in tutti i contesti»14.
Di fronte a queste esplicitazioni si scorgono le possibilità ma anche le eventuali fragilità
del programma oratoriano e si intravede l'impostazione che corrisponde alle nuove esigenze.
L'oratorio può diventare luogo di nuova responsabilità e missionarietà giovanile, non auto-
maticamente ma a certe condizioni. Ci sono infatti casi in cui non lo è diventato ed è apparso
solo come luogo di «consumo onesto del tempo libero». Non ha costituito rottura e diffe-
renza con altri programmi onesti rivolti ai giovani.
Una sua qualificazione educativa e pastorale sembra il requisito indispensabile per per-
correre le strade sopra illustrate.
13 ChL c III, 35-44.
14 CG23 228.
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44.10 Page 440

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2. L'itinerario oratoriano verso una nuova responsabilità e missionarietà
L'oratorio possiede una dinamica interna di progressiva responsabilizzazione. È data da
alcuni scenari nei quali avviene l'incontro dei ragazzi con determinate proposte e si preve-
dono, da parte di essi, risposte di sempre maggiore impegno; l'ambiente, i gruppi, l'anima-
zione comunitaria, il territorio. Sono come fasi di un itinerario.
* La prima fase ha come scenario l'ambiente oratoriano. Suppone nel ragazzo una pre-
ferenza per l'oratorio nei confronti di altri luoghi di ritrovo e svago giovanile, come risultato
di una valutazione spontanea o riflessa di quello che esso offre. È la fase dell'oratoriano-
cliente, che usa e anche sfrutta spazi, attrezzature, organizzazione, ma apprezza già il pro-
getto e lo stile che traspare dall'insieme. La sua fiducia iniziale maturerà in senso di appar-
tenenza e adesione interiore.
I fattori che vi influiscono e costituiscono dunque punti di attenzione per coloro che
gestiscono l'oratorio sono: i messaggi che l'ambiente emette, le attività, la presenza signifi-
cativa degli adulti, il tipo di rapporto.
I messaggi dell'ambiente non sono un risultato casuale né si possono considerare formu-
lati una volta per sempre. Vanno invece continuamente verificati, riprogrammati e arricchiti.
Si tratta infatti di un dialogo con i giovani mediante segni non verbali. Cambiando i destina-
tari e il contesto culturale pure le caratteristiche dell'ambiente richiedono adeguamenti. Da
esse dipende la capacità di convocazione, di accoglienza, di fare spazio a quello che stimola
le idealità ed energie di crescita dei giovani. Per loro l'oratorio non è solo il luogo di approdo
nelle ore libere, ma il laboratorio delle esperienze significative, nel quale si lavora con per-
sone che tali esperienze condividono e spingono.
Il tono dell'insieme attira o respinge, e dunque mette in contatto o allontana dai valori
che intendiamo proporre. L'oratorio dei «bambini o ragazzi» non interessa ai giovani, l'ora-
torio «tutto gioco» non invita chi cerca un certo tipo di impegno. L'oratorio «verticale e
organizzato in forma fissa» non richiama chi desidera partecipazione e creatività. L'oratorio
«attrezzato ma anonimo» non soddisfa chi abbisogna di incontri e dialoghi.
L'ambiente oratoriano è caratterizzato dalle attività. Sono molteplici perché intendono
rispondere ai diversi interessi dei giovani. Il punto risolutivo è che diventino esperienze edu-
cative e non si riducano a puro trattenimento. E ciò senza che perdano il loro carattere spon-
taneo e di libera scelta. Attraverso di esse i giovani possono imparare e mettere in pratica
uno stile di vita, per la qualità degli incontri, per la collaborazione, per la fedeltà agli impegni
e la verifica dei risultati.
Una giusta diversificazione ed equilibrio, lo spazio per quelle più esigenti anche se por-
tate avanti da pochi, il rafforzamento educativo di quelle più esposte al consumo, un aggior-
namento creativo che superi la semplice ripetizione, e soprattutto il collegamento e il riferi-
mento di tutte ad un progetto e ad una comunità innalzano il tono dell'ambiente. Mentre la
settorializzazione a compartimenti stagno, la mancanza di intenzionalità educative in alcune,
il distacco dagli obiettivi comunitari cagionano il calo della qualità. Se le attività infatti non
aiutano i giovani a riconoscersi nell'ambiente educativo, nei valori e nel tipo di vita che esso
cerca di realizzare diventano un'inutile dispendio di energie.
Elemento dell'ambiente è la presenza attiva degli adulti. L'oratorio con il solo «incari-
cato» produce effetti molto limitati riguardo alle sue reali possibilità. L'oratorio «della co-
munità cristiana» diviene invece quel luogo di incontro dove adulti (animatori, genitori, col-
laboratori) e giovani riescono a interagire e dialogare, i primi per offrire la loro esperienza
di vita, i secondi per elaborare con calma le loro intuizioni, interrogativi e acquisizioni. «Gio-
vani e adulti vivono un'unica esperienza educativa secondo la propria ricchezza personale e
la propria competenza: sono tutti a scuola, gli uni educatori degli altri. L'adulto scopre il suo
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ruolo specifico. Egli è consapevole di dover «trasmettere, a nome della Chiesa e della so-
cietà, quanto lungo la storia è stato elaborato... soprattutto è loro compito far entrare in sin-
tonia i valori umani e religiosi con la sensibilità e attese che le diverse generazioni giovanili
si portano dentro»15.
* Un secondo scenario per l'ulteriore crescita nella responsabilità è il gruppo. Le ragioni
della sua scelta sono state spesso presentate. Rispondono tutte ad un criterio: personalizzare.
Il gruppo richiede dal giovane un coinvolgimento più motivato, una riflessione più articolata
sui temi della vita, un apprendistato più paziente dei rapporti, un esercizio dell'espressione
più esigente, una verifica più continua della propria affidabilità. Esige dunque definirsi di
fronte agli altri nelle scelte occasionali e nel suo orientamento globale.
Costituisce insomma una mediazione tra l'ambiente grande in cui si rischia l'anonimato
e l'isolamento nel quale non è possibile mettere a frutto quanto si sprigiona dalla socialità.
Se viene formato e animato secondo criteri pedagogici, il gruppo «espone» alla vita e diviene
un esercizio di autonomia e corresponsabilità.
Riproduce infatti in un campione più semplice come organizzazione e più facile da con-
trollare, il vasto mondo sociale ed ecclesiale dentro il quale i giovani rischiano di disperdersi
e di non inserirsi attivamente. In esso ci si esercita a vivere come uomini e come cristiani, a
stabilire legami e svolgere attività nelle quali essere protagonisti delle proposte e non sem-
plici destinatari-acquirenti di prodotti culturali o religiosi. L'oratoriano cliente-beneficiario
diventa così quanto meno «azionistasocio» dell'oratorio. Le esigenze di responsabilità
scattano in direzioni molteplici: verso i compagni, verso l'ambiente, verso le attività.
Il gruppo prepara così ad inserirsi con un certo bagaglio di esperienza nella Chiesa e
nella società. Di esse infatti il gruppo riproduce la pluralità delle persone, la loro diversità,
la ricerca di una convivenza che rispecchi l'autonomia dei singoli e la solidarietà fra tutti,
non solo nella linea dell'amicizia ma anche dei valori comuni. Ne rispecchia anche la strut-
tura sociale, facendo sperimentare che il rispetto delle regole e, dunque, l'accettazione dei
limiti della propria libertà è un arricchimento per tutti.
Della società e della Chiesa, il gruppo riproduce il difficile ma essenziale rapporto dei
singoli con le autorità e con le sue diverse personificazioni. E il luogo dell'abilitazione a una
obbedienza critica e costruttiva, nella quale la propria coscienza è viva, ma si lascia misurare
anche dall'autorità e dalla istituzione sociale ed ecclesiale che essa rappresenta.
Il gruppo abilita quindi a controllare i processi culturali; crea giusti contrappesi alle ec-
cessive pressioni della società, filtra i messaggi e soprattutto può rafforzare gli anticorpi che
consentono di sottrarsi al conformismo e alle dipendenze.
Nel gruppo la personalizzazione raggiunge i nodi da cui cresce la responsabilità: il senso,
l'esplorazione della realtà, l'elaborazione di un quadro interpretativo, il progetto di vita, la
capacità di azione. Infatti in esso si apprende per ricerca; si suscitano le domande sottese al
vissuto giovanile; si selezionano i contenuti culturali e religiosi individuando fra i tanti,
quelli maggiormente capaci di parlare alla mente e al cuore dei giovani in quanto risposta
provocante alle loro attese e alle loro domande; si propongono tali contenuti non come for-
mule-soluzioni da accettare o rifiutare, ma come piste di ricerca personale o di insieme.
Nel gruppo inoltre si impara ad agire, a intervenire in modo corretto in ogni situazione
che richieda capacità di organizzarsi, soprattutto quando l'obiettivo è produrre un cambia-
mento.
15 J.E. VECCHI & E. MAIOLI. L'animatore salesiano nel gruppo giovanile. Dicastero per la pastorale
giovanile. Centro internazionale di pastorale giovanile. Roma, Editrice S.D.B, 1987, p. 31.
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La dinamica oratoriana ha sempre contemplato una proposta variegata di gruppi con
animatori capaci di ispirazione e guida, anche se mai si è costituito come una costellazione
di sole associazioni ma ha lasciato sempre le «porte aperte» per il grande numero che viene
a «vedere e provare».
Oggi però sull'esperienza del gruppo si ripercuotono le tendenze giovanili: appartenenze
molteplici, impegni fugaci, «uso» individuale, mutazione di interessi, scarsa tenuta nelle dif-
ficoltà. All'oratorio si impone di approfittare di una prassi assodata, suscitare nuove energie
di aggregazione, adeguare la pedagogia di accompagnamento, qualificare i fattori di soste-
gno.
* Il terzo scenario è la comunità responsabile dell'oratorio. Sono molte le competenze al
suo interno: allenatori, tecnici, amministratori, organizzatori, capigruppo, catechisti, colla-
boratori.
Nell'ultimo tempo abbiamo radunato tutte queste categorie tecniche in un'unica denomi-
nazione tipica dell'oratorio: gli animatori. Quale che sia la prestazione pratica di ciascuno il
denominatore comune a tutti è quello di essere educatori che si esprimono nel tempo libero
e nel rapporto non istituzionale. Sono capaci dunque di aiutare i giovani a elaborare il vissuto
e a fare un cammino di fede collegando dialetticamente le due realtà per una crescita unitaria;
sanno far maturare tra le persone e nella comunità-ambiente rapporti di corresponsabilità e
appartenenza, stimolare alla partecipazione attiva; invitano a gestire personalmente i mes-
saggi e le proposte superando la passività.
L'animazione in quanto principio metodologico conta su una abbondante letteratura. Il
numero di animatori è venuto aumentando in forma soddisfacente. Gli strumenti messi a
disposizione della loro formazione (studi, fascicoli, riviste, scuole, programmi, organi di
collegamento) ricoprono ampiamente la domanda.
Come e perché coloro che si impegnano nell'animazione possono raggiungere una nuova
responsabilità e missionarietà? Attraverso tre itinerari.
Il primo è la partecipazione attiva nella progettazione dell'ambiente e delle attività ora-
toriane. Oltre ad esigere una ricomprensione della realtà giovanile, psicologica e sociale, il
progettare allarga l'interesse del giovane a tutta la struttura e il programma, gli richiede di
comunicare con altri e di farsi carico degli obiettivi finali, di giudicare l'adeguatezza dei
mezzi e degli interventi.
C'è poi un secondo itinerario che è quello intenzionalmente formativo nel quale si dà
ragione delle scelte, si approfondiscono le ispirazioni che orientano l'insieme, si elaborano
quadri interpretativi completi e coerenti, si aprono orizzonti ancora più vasti di impegno e si
aiuta a fare sintesi del già sperimentato.
Infine c'è il vissuto della spiritualità salesiana, all'inizio forse soltanto intuita, poi com-
presa nella sua organicità e progressivamente assunta come stile di vita e condivisa nella
comunità responsabile dell'oratorio.
Questa fase rende quindi in senso quantitativo e qualitativo nella misura in cui si riesce
ad attivare alcuni dinamismi: l'esercizio reale della corresponsabilità, la preoccupazione for-
mativa, la comunicazione dell'esperienza spirituale. Richiama dunque una certa organizza-
zione e funzionamento della comunità oratoriana, un'attenzione particolare alla profondità
umana e spirituale degli animatori, al ruolo del direttore, più «pastore» che manager.
Continuando con le immagini precedenti, diremmo che l'azionista-socio è passato ad
essere proprietario-dirigente, per il fatto che egli non solo gode dei beni dell'oratorio ma
sente che deve produrli per altri. Ma perché si possa raggiungere un tale traguardo oggi
bisogna mettere a verifica e dare definitivo indirizzo ad alcune delle realtà a cui abbiamo
accennato.
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* Lo scenario del quarto livello è il territorio, inteso come comunità umana, chiesa lo-
cale, contesto cittadino, società nazionale, orizzonte mondiale. Esso è presente in tutte le
tappe precedenti nel senso che l'oratorio cerca di rispondere alle sue istanze, partecipa nei
suoi momenti significativi culturali e religiosi. L'oratorio - si è detto - «è una missione aperta,
si rivolge a tutti i giovani del proprio contesto e oltre con i quali intende agganciare un dia-
logo di crescita sulla loro misura.
Il movimento è sempre verso le frontiere e i margini religiosi, sociali e umani». Per
questo si inserisce in una pastorale ampia di gioventù e per questo «il territorio diventa un
riferimento obbligato e un punto di attenzione preferenziale come campo di rilevamento e
come spazio di lavoro, ma anche come soggetto agente che ci permette di raggiungere i
giovani in forma più totale»16. L'oratorio dunque non lavora solo «intra muros». Esplora i
dintorni, si spinge lontano, propone progetti e cerca intese con altre istanze interessate all'e-
ducazione e alla cultura. La sede è il punto di irradiazione e concentrazione.
I confini del territorio si allargano ancora quando attraverso il col- legamento di gruppi
e associazioni ci si apre a interessi trasversali o quando si rende consapevoli delle dimensioni
mondiali che assumono alcuni problemi: la povertà, con le sue conseguenze di fame, morta-
lità e impossibilità di sviluppo umano, le guerre e oppressioni sociali, le situazioni dei pro-
fughi e perseguitati e altri.
Con la crescita in età e in maturità l'attenzione dei giovani si sposta dall'ambiente orato-
riano, al contesto sociale. L'oratorio risulta così una prova e un cammino per il coinvolgi-
mento nella società. Rimane come riferimento, come luogo di prestazioni, rapporti e mo-
menti di partecipazione limitati nel tempo ma significativi, come stazione di ricarica spiri-
tuale.
Perché questo scenario in cui il giovane viene lanciato produca i risultati sperati bisogna
sviluppare alcuni nuclei di contenuto, e favorire alcune esperienze.
* Ne accenno tre. Una è la pratica apostolica o sociale dei gruppi giovanili nello spazio
del territorio che veniva già raccomandata in un orientamento precedente17. Dipende certa-
mente dal tipo e dall'interesse centrale dei gruppi, dall'età dei suoi membri, dal cammino di
maturazione compiuto, ma anche da come il progetto dell'oratorio si rapporta e si apre alle
domande e possibilità del contesto. Rimane comunque una prospettiva e un punto di esame.
In tale pratica è possibile guidare i giovani a comporre in forma proporzionata l'azione
con la riflessione. La prima immerge nella realtà e aiuta a non procedere solo per «principi».
La seconda aiuta a costruirsi una sintesi con la dottrina già formulata, l'esperienza di altri e
le conclusioni maturate nei propri interventi. È un metodo appena praticabile con la massa,
è possibile invece con i gruppi e più ancora con coloro che si coinvolgono nell'animazione
dell'ambiente o nei servizi al territorio. Con esso il circolo formativo, costituito dall'espe-
rienza, il radicamento delle motivazioni, il plasmarsi di atteggiamenti e preferenze, l'acqui-
sizione di quadri organici di interpretazione e la capacità di agire efficacemente, diventa
completo.
Una seconda indicazione riguarda l'attenzione da dedicare alla formazione sociale e po-
litica dei giovani. Essa ha avuto nel tempo i suoi alti e bassi, momenti di proposta sicura ed
entusiasta e altri di abbandono e disorientamento nei quali ha fluttuato tra richiami, all'unità
e aperture verso un pluralismo disimpegnato, tra il collateralismo scontato e la perdita dell'i-
dentità cristiana; tra l'insistenza ideale e la militanza confusa. Oggi vive una nuova stagione
16 J.E. VECCHI, Oratorio in Dizionario di Pastorale Giovanile, p. 684.
17 DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. Comunità salesiana nel territorio: presenza e missione.
Documenti P.G. 10. Roma, Editrice S.D.B, 19862, p 51-52.
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in cui il primato va alla coscienza personale illuminata dalla parola di Dio e dell'esperienza
della comunità cristiana, raccolta nella dottrina sociale della Chiesa. La possibilità di aderire
a gruppi e mediazioni politiche diverse è ormai ammessa. La funzione dei centri formativi
si concentra nell'abilitare al discernimento e rendere capaci di un confronto sincero e lucido
circa un «bene comune» in continua ridefinizione pratica, in base a valori e criteri suggeriti
dalla fede.
In ambito ecclesiale è stata rilanciata attraverso le scuole di politica, le settimane sociali,
l'insistenza sulla conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, una serie di orientamenti del
Magistero riguardo alla partecipazione sociale18, la nuova evangelizzazione che rivolge par-
ticolare attenzione ai problemi sociali insieme a quelli della coscienza e del senso.
La terza esperienza con relativi contenuti a cui è interessante accennare è quella del
volontariato nelle sue diverse espressioni. Nell'attuale temperie sociale, diventa esemplare e
trainante. I suoi effetti sono limitati riguardo ai nodi della società. La sua carica «formativa»
è invece consistente. Nel fascicolo sul territorio si affermava: «Per noi il volontariato può
esprimere una dimensione della formazione integrale della persona per i valori che in esso
emergono:
La solidarietà: il volontariato si muove in una logica secondo la quale soggetti di diversi
orientamenti, con motivazioni diverse, considerano la propria vita, la propria storia e il
proprio destino saldati con la vita, la storia e il destino degli altri. È la lotta aperta contro
il disinteresse, l'individualismo e le chiusure egoistiche.
La gratuità: quella del volontariato è un'attività compiuta liberamente senza remunera-
zione: la gioia di dare senza contropartita. Un valore questo radicalmente cristiano. È
l'insegnamento evangelico «gratis accepistis, gratis date». È un valore così sconvolgente
nella nostra cultura e nel nostro costume di vita che spesso non è creduto o è colto con
diffidenza.
L'attenzione ai singoli: il volontariato nasce proprio dalla constatazione che alcuni, i più
poveri ed emarginati, non sono trattati da persone, cioè con dignità e rispetto; vivono
dovunque nell'umiliazione e nell'oblio.
Lo spirito di servizio: più del servizio materiale si tratta di ciò che lo informa. Implica
un'attenzione all'evoluzione dei bisogni, un adeguamento costante delle prestazioni e,
conseguentemente, l'impegno continuo per la preparazione e la formazione di coloro che
svolgono il servizio.
La visione liberatrice: il vero aiuto dato alle persone è quello che provoca la loro uscita
dallo stato di dipendenza e di povertà, verso una posizione di autonomia e di libertà. Si
adotta dunque una metodologia che conduce progressivamente la persona a stare in piedi
da sola. In tal senso viene accentuato il lavorare «con gli emarginati», più che il lavorare
«per gli emarginati».
Oggi il panorama dei valori, delle motivazioni e delle realizzazioni è molto più ricco e
aperto. È all'opera un'organizzazione che provvede alla sensibilizzazione, alla preparazione,
18 CEI. COMMISSIONE ECCLESIALE PER LA GIUSTIZIA E LA PACE. Educare alla legalità. Nota pastorale.
Bologna, Edizioni Dehoniane, 1991; CEI. CONSIGLIO PERMANENTE. La Chiesa italiana e le prospet-
tive del paese: documento del Consiglio permanente della CEI. Roma, Edizioni Paoline, 1981; An-
nunciare, celebrare, testimoniare: il Vangelo della carità in una pastorale organica. Atti del Conve-
gno unitario dei responsabili diocesani degli uffici catechistico, liturgico e Caritas (Assisi, 22-26 giu-
gno 1992). Bologna, Dehoniane, 1993.
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al coordinamento e alla sistemazione giuridica. Siamo dunque di fronte a una proposta per
un numero limitato, capace però di motivare ed evangelizzare molti.
3. L'alveo più profondo
Questa carrellata di obiettivi e contenuti da individuare, strutture e dinamismi personali
da attivare, percorsi da costruire con relative esperienze e condizioni da assicurare può dare
l'impressione di molteplicità. Ci tranquillizza il fatto che è già prassi e che ha una logica
interna provata da una lunga applicazione.
Ma fa sorgere una domanda quasi obbligata: c'è un riferimento unificante per cui tutti
gli elementi convergono in un risultato che interessa la totalità della persona? La risposta è
sì! La formazione alla responsabilità e alla missionarietà trova il suo alveo più profondo
nell'orientamento e nella proposta vocazionale.
Il concetto e la realtà della vocazione soggiacciono a tutto il discorso fin qui delineato.
Il traguardo del cammino è riuscire a scoprire l'ambito e la modalità concreta secondo cui
mettere a frutto la propria vita. Se dopo molti esercizi «di responsabilità e missionarietà» la
vita rimane fuori dell'influsso dei grandi valori e dei motivi evangelici, il percorso tentato si
rivela inautentico o almeno con sostanziali carenze pedagogiche.
A ragione dunque il CG23 afferma: «La scelta vocazionale è l'esito maturo e indispen-
sabile di ogni crescita umana e cristiana... L'impegno vocazionale diventerà in tutti respon-
sabilità familiare, professionale, sociale e politica. Per alcuni fiorirà in una consacrazione di
particolare significato: il ministero sacerdotale, la vita religiosa, l'impegno secolare»19. La
prospettiva è dunque che si passi dall'esperienza di servizio ad un progetto di servizio che
abbraccia tutta la vita.
La coincidenza dei due percorsi, responsabilità-missionarietà e orientamento-scelta vo-
cazionale si rileva dalla semplice coincidenza degli scenari in cui maturano entrambe.
Sull'ambiente, sul gruppo, sul co involgimento responsabile nella comunità cristiana, sulla
presenza impegnata nel territorio si parla in quasi tutti i documenti di pastorale vocazionale.
Noi stessi le abbiamo inclusi in una serie di schede20. I due processi dunque si suppongono
e si rafforzano a vicenda. La responsabilizzazione cristiana porta verso la provocazione vo-
cazionale; l'itinerario vocazionale comporta prendere ed esercitare la responsabilità e capire
l'urgenza missionaria.
La vera sfida alla qualità educativa dell'oratorio è un'impostazione e prassi vocazionale,
che raggiunga tutti: i gruppi, gli animatori, coloro che si impegnano in iniziative particolar-
mente valide. Ed è forse da questa visuale che va riletto l'itinerario medesimo che abbiamo
descritto per scoprire le forze che possono sostenerlo, dargli profondità e portarlo a buon
termine.
19 CG23 149.
20 DICASTERO PER LA PASTORALE GIOVANILE. Salesiani… come… perché? Dossier PG 5 Esperienze
a confronto. Roma, 1989, p. 92-93; 100-101; 108-109.
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48. GIOVENTÙ: TERRA DI MISSIONE. LA SITUAZIONE E LE PROSPETTIVE
PASTORALI
Vecchi, J.E., Gioventù: terra di missione. La situazione e le prospettive pastorali in «Catechesi. Problemi e prospettive.
Strumento di lavoro per la catechesi degli adolescenti, giovani e adulti», Febbraio 1995, anno 64(2), p. 4-12.
1. I novantanove che mancano. - 2. Storie personali. - 3. Le radici comuni. - 4. Missione nel mondo giovanile. - 4.1 L'esigenza
di una nuova mentalità. - 4.2 Creare luoghi di incontri . - 4.3 Ripensare la presentazione del messaggio cristiano. - 4.4 Cu-
rare la qualità del frammento. - 4.5 La prospettiva del lievito.
1. I novantanove che mancano
Quanti seguono con attenzione l'evolversi religioso della gioventù debbono integrare
due immagini quasi opposte che si alternano: l'assistenza massiccia occasionale dei giovani
e la loro assenza quotidiana dalle riunioni della Chiesa.
Le concentrazioni straordinarie danno l'impressione che la gioventù «ritorni» alla reli-
gione, che l'«eclisse» è finita. Ma quando si distribuisce questa massa tra le diocesi di pro-
venienza, a ciascuno corrisponde solo un numero insignificante, dal punto di vista quantita-
tivo, riguardo alla totalità della popolazione giovanile. E la sproporzione appare ancora mag-
giore se questo numero viene suddiviso in parrocchie. Qui si sente quotidianamente l'assenza
dei giovani in modo quasi drammatico. Parlare di una «minoranza» che frequenta e pratica
sembra ottimismo. Si ha l'impressione di trattare soltanto con alcuni «atipici».
Un parroco di Roma ha presentato al Papa il seguente quadro: «Se calcoliamo la cifra
di 500.000 giovani a Roma, tra i quindici e trent'anni, e ammettiamo che ogni parrocchia
abbia una media di 150 giovani in modo stabile, il totale è di 45.000 giovani. Se aggiungiamo
i movimenti, possiamo arrivare a 60.000». Riuniti non sono pochi. Però vivono disseminati
tra altri 440.000. Su cento giovani, solo dieci hanno un contatto con la Chiesa non diciamo
che sono cristiani e novanta sono quelli che si trovano lontani. Perciò le relazioni tra la
parrocchia e la gioventù possono essere descritte come «una storia di abbandono» e la fran-
gia tra i 18 e 35 anni può essere considerata come «destinataria di un lavoro di rievangeliz-
zazione». Il panorama di altre città europee è ancora più preoccupante.
La pastorale oggi non può tralasciare di interrogarsi sui giovani che non hanno mai
avuto un contatto con la Chiesa; su quelli che lo ebbero, ma così insufficiente che non riuscì
a suscitare la fede; su quelli che si allontanarono dopo un'esperienza iniziale piena di pro-
messe.
Quest'aspetto è così serio e urgente come quello delle «missioni». Infatti il mondo gio-
vanile è terra di missione per il numero di persone che debbono essere evangelizzate e per
le forme di vita e modelli culturali a cui non è ancora giunta per la prima volta la luce del
vangelo.
I sociologi danno sui giovani, nei quali il riferimento al religioso e al cristiano si è
offuscato, percentuali che annullano ogni illusione. Coincidono con le conclusioni a cui
giungono i parroci e vescovi che partono dalla quotidiana osservazione della realtà.
La scarsa presenza giovanile nella pratica religiosa, l'abbandono di ogni programma di
formazione cristiana dopo la Cresima e la debole influenza della morale cristiana sui criteri
di vita sono indicatori che non lasciano dubbi. Chi lavora a livello di educazione secondaria,
statale o privata, specialmente in ambienti urbani, tocca con mano che molti giovani non
hanno la minima informazione sull'evento cristiano. I non battezzati sono presenti in numero
- 444 -

45.7 Page 447

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sempre maggiore. E anche tra i seminaristi si trovano «neofiti», cioè giovani privi di forma-
zione catechistica.
Rispetto, autonomia, distanza e selettività regolano le relazioni di molti giovani con le
istituzioni religiose che propongono una spiegazione dell'esistenza, un codice etico obbliga-
torio o un modo di esprimere la propria relazione con Dio.
Un vaporoso sentimento religioso, mescolato a curiosità, intuizione vitale ed elemen-
tare di ricerca di senso, è presente in una grande percentuale di giovani come pure è presente
una vaga fiducia nella Chiesa dopo il naufragio di altre istanze sociali e politiche. I sondaggi
e le inchieste lo dimostrano, ma l'analisi della sola informazione che i giovani possiedono
sui punti chiave della fede cristiana ci fa di nuovo precipitare a percentuali infime.
Nel gregge della Chiesa rimane un giovane su cento. E il pastore che sente davvero il
problema giovanile non può considerare che sia un compito secondario il suo «uscire» alla
ricerca dei novantanove che pascolano in altri campi.
2. Storie personali
Il panorama appena tracciato corrisponde alla realtà, ma è stato deliberatamente sem-
plificato. Se da una parte ci aiuta a percepire la grandezza del fenomeno, dall'altra può in-
durci in inganno. Parlare dei lontani, dei distanti, di quelli che non ci sono o se ne sono
andati, facendo di tutti un'unica categoria, è pura finzione.
Per lontani che siano materialmente dai segni e mediazioni ecclesiali riti, dottrina,
sacerdoti, precetti, strutture, edifici, comunità Dio è sempre vicino a ciascuno di loro. Il
dato fondamentale è allora la vicinanza di Dio, ignorato, sconosciuto, cercato o già accolto
nella vita, nella coscienza, negli eventi e nelle timide aperture agli interrogativi religiosi.
Il fenomeno della lontananza «collettiva», interpretato in questa chiave, prende allora
un altro aspetto. Si suddivide in molteplici e originali storie personali, che non possono es-
sere ridotte a pura statistica funzionale. Si impone una considerazione individuale per sco-
prire su quali onde può ciascuno sintonizzarsi per percepire e ascoltare quel Dio che si trova
nella loro vita e storia. L'esperienza di fede è, infatti, un'interpellanza e una risposta «perso-
nale», come lo fu in Abramo o nei discepoli di Cristo. Ci sono giovani che scartano gli
interrogativi religiosi. Per loro non ha senso e perciò risulta inintelligibile quello che pre-
tende di essere una risposta. Si tratta di un linguaggio senza riferimenti concreti alla realtà e
alla vita. Altri, invece, si lasciano interpellare occasionalmente da tali interrogativi, benché
non si compromettano in una coerente risposta II problema religioso è per essi come l'infor-
mazione scientifica, letteraria o commerciale che leggono nel periodico: è interessante, assai
importante per alcune persone, di essa si accetta e si usa quello che conviene. La Chiesa
appare loro con le caratteristiche di un movimento «ecologico» o «pacifista», di volontari
impegnati in una causa originale e persino nobile, ma collaterale alla società. Non si diffe-
renzia sostanzialmente da qualsiasi altra manifestazione della nuova o antica religiosità: il
mercato in cui opera è lo stesso, cambia solo l'offerta. Prevale in questi giovani un senti-
mento religioso elementare, integrato nella persona secondo necessità transitorie, con un
criterio spontaneo e soggettivo.
Ci sono poi giovani che credono in Dio e in Gesù Cristo, ma non aderiscono alla pro-
posta e alla fede ecclesiale. Forse si sono stancati della pratica formale; forse la Chiesa locale
non fu diligente nel seguirli; forse nel momento critico trovarono qualcuno che li introdusse
in una nuova esperienza religiosa Oggi esistono molte forme di religiosità e i parametri per
paragonare i loro valori sono difficili da usarsi. Alcuni si professano cattolici e simpatizzanti
con la Chiesa, ma non si obbligano all'ortodossia né alla pratica religiosa. Si riservano un
ampio margine di libertà personale sotto entrambi gli aspetti.
- 445 -

45.8 Page 448

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Le situazioni si diversificano ancor di più quando si esamina come ciascuno di questi
giovani vive soggettivamente la situazione religiosa o etica nella quale si trova. Per non
pochi è pacifica: non ne sentono la mancanza, né il bisogno di cambiare; l'aspetto religioso
non ha importanza nella loro vita. Non lo cercano né lo rifiutano; lo ignorano senza passione
né angoscia.
Altri, invece, per la sensibilità o per l'educazione ricevuta, hanno un senso di disorien-
tamento nel pensiero e sentono la mancanza di ancoraggio religioso. Rimane in essi la no-
stalgia dell'esperienza di fede.
Non mancano, infine, quelli che militano a favore di una concezione della vita libera
da visioni o norme religiose, sebbene ciò risulti sempre meno frequente nell'odierna cultura
di incredulità, o per la non importanza sociale della religione o per la svalutazione dei «si-
stemi» di pensiero.
Queste e altre differenze consigliano di non accontentarsi del dato quantitativo. La lon-
tananza, la distanza o la vicinanza di Dio, della Chiesa o di una comunità di credenti è un
elemento della storia personale ed è profondamente relazionato con essa. Non è un dato
marginale, aggregato o passeggero. Implica l'identità, l'evoluzione personale, la cultura e il
sistema di significati, e anche di relazioni significative.
3. Le radici comuni
Cercare le colpe di questa lontananza è inutile e anche ingiusto, sia che si facciano
ricadere su quelli che si sono allontanati o sulla Chiesa o sulle istituzioni educative e reli-
giose o sulle tendenze eterodosse del tempo che viviamo (materialismo, edonismo, secolari-
smo...). Le responsabilità ci sono e ben suddivise. Ma non conviene addossarle tutte al
«mondo». Anche la comunità cristiana ha le sue colpe e non poche. Ma quello che conta è
cercare di comprendere la condizione umana in cui la fede è oggi chiamata a essere luce e
sale e le circostanze storiche in cui deve risonare la buona notizia.
Si dice che la società in cui viviamo è complessa, ma è inutile volerla diversa, perché
la complessità non dipende dalla volontà umana attuale, ma da un intreccio di elementi fa-
vorevoli alla persona che si esigono gli uni agli altri. Il suo essere complessa significa non
soltanto che si ammette la pluralità di opzioni e punti di vista pubblicamente professati su
ogni problema di vita e di coscienza, ma che questa pluralità non è riducibile a unità e non è
governabile. Nel futuro non ci sarà maggiore uniformità, ma più diversità E ciò perché i
«centri» produttori di cultura e di norme etiche non sono riconosciuti come fonte di obblighi
né pretendono di esserlo. Lo Stato «etico», che impone una morale a tutti i suoi cittadini, è
stato liquidato. E in questa liquidazione c'è anche lo Stato «culturale», che pensava di avere
il diritto di definire una cultura più che di favorire la cultura dei suoi cittadini. Ambedue
sono contrari alla mentalità moderna e postmoderna il problema centrale in politica non è
definire ed esigere un'etica delle azioni (aborto, divorzio, sessualità...) o una cultura, ma
determinare e garantire i diritti civili affinché le persone decidano la loro propria etica e
cultura La società non cerca di realizzare una «utopia», ma di creare una «entopia», cioè un
luogo dove si possa «star bene» insieme, con tutte le differenze personali.
Di conseguenza si relativizzano le teorie, dottrine o ideologie che pretendono di dare
spiegazioni valide per tutti sul senso della vita o imporre un comportamento. Le stesse per-
sone, si dice, prendono una posizione «fragile», «negoziabile» di fronte alla realtà. Gli eroi
inflessibili di fronte agli ideali, disposti a morire per non rinunciare a quello che professano,
sono rari e non capiti. Oggi di fronte a ogni sfida si dispone di soluzioni diverse. Si cerca
una via d'uscita che più si adatti a ciascuno e si potrebbe anche lasciare da parte quello che
si è fatto ieri. Non c'è da pensare, tuttavia, che posizione fragile significhi posizione debole.
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45.9 Page 449

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Significa piuttosto posizione «libera» che non esclude i parametri etici, ma li situa in un'e-
sperienza vitale completa.
Di qui la difficoltà di interiorizzare sistemi completi di significato, convinzioni e
norme. Questi non riescono a trasmettersi in modo uniforme e completo alla maggioranza
degli individui che costituiscono una nuova generazione (socializzazione insufficiente). Se
poi, per superare questo rischio, vengono proposti in modo rigido, non si aiuta certo la per-
sona a situarsi con libertà nella trama di relazioni ed eventi attuali (ipersocializzazione).
È da ingenui pensare che la complessità tocchi i contenuti e l'esperienza vitale della
fede solo dal di fuori, come se la fede fosse una «perla» che si forma in un recinto interiore,
nelle profondità della persona.
La complessità opera dentro l'esperienza religiosa stessa. L'istituzione che pretende di
proporre e orientare quest'esperienza non raggiunge lo stato di «egemonia» (autorità morale
riconosciuta come indiscutibile) ma perde ancor di più la sua importanza. La religiosità si
privatizza e questa privatizzazione appare alla persona perfettamente legittima. Ciascuno
sceglie la sua religione, dicono i giovani, e si sottintende che l'argomento ultimo della scelta
è «ciascuno», cioè, il diritto della persona non discusso e non discutibile.
Si crea così un circolo in cui i processi di socializzazione religiosa si debilitano pro-
gressivamente dal punto di vista quantitativo e qualitativo. È sempre minore il numero dei
giovani che ricevono dalla famiglia, dalla scuola, dalle iniziative della Chiesa il messaggio
e la pratica cristiana. E a coloro che lo ricevono giunge sempre meno chiaro, con molte
interferenze, in modo meno completo e con minore impatto. Il dato religioso diventa opzio-
nale nel focolare, nell'educazione e nella cultura. I suoi valori si mettono in relazione più
con i vantaggi, inclinazioni e opzioni soggettive che con un elemento oggettivo.
C'è chi ha visto nella società postindustriale una condizione favorevole per il «ritorno»
al dato religioso. Caratteristica di tale società sarebbe il passaggio dalle necessità economi-
che-acquisite alle non-materiali ed espressive che si riassumono nell'espressione «qualità
della vita»: ricerca del senso, domanda di relazioni, affermazione dei diritti umani, godere
di un'ampia libertà personale, indipendenza riguardo ai sistemi ideologici. Si aggiunga poi
il fatto che la caduta della polarità tra i blocchi dominanti ha spiazzato l'impegno sociale e
politico alla periferia degli interessi, e ha posto al centro le aspirazioni personali.
La coincidenza tra aspirazioni non-materiali e valori religiosi è solo apparente. Tra i
due si danno grandi differenze e persino incompatibilità Le premesse e le ragioni della ri-
cerca dei valori post materiali è nella logica della società tecnologica: si tratta semplicemente
di «stare bene o meglio». Date queste caratteristiche, chi vuole vivere «cristianamente» do-
vrà affrontare sempre una conflittualità che si manifesta soprattutto nell'ambito sociopolitico
e nella vita privata. Il primo è retto da una considerazione prevalentemente economica (re-
gole di mercato) e dal consenso sociale. La seconda è dominata dalla soggettività, dal diritto
di decidere secondo il proprio parere e vantaggio. Nessuna delle due coincide con il modello
cristiano fondamentale, che non è rifiutato ma che non determina la costruzione del progetto
sociale o personale.
Se tutto ciò influisce già nella prima socializzazione cioè quella che si compie con
l'iniziazione ai costumi, norme, valori e forme di convivenza risulta determinante nella
socializzazione religiosa «secondaria», cioè quella che si compie nell'adolescenza e nella
gioventù mediante la comunicazione che si stabilisce tra la persona, le istituzioni e l'ambiente
culturale.
Vi è pure uno sfasamento tra la socializzazione globale, cioè quello che la cultura e la
società suggeriscono e premiano, e la socializzazione religiosa, cioè quello che propone e
offre l'istituzione ecclesiale. La seconda non trova una collocazione tranquilla e coerente
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45.10 Page 450

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nella prima. Perciò la relazione tra le due si interrompe o risulta confusa L'esperienza reli-
giosa non trova legittimazione e corrispondenza nella cultura che governa la società e va a
finire nel settore dei gusti o «hobbies» personali con scarsa possibilità di influire nella for-
mazione della totalità della persona e nel contesto.
La proposta religiosa, dottrinale e morale, messa in situazione di difesa più che di ini-
ziativa trasformatrice, decade di qualità e di percezione del soggetto. E ciò avviene benché
si espanda come una nube il sentimento religioso e la ricerca di emozioni e compensazioni
nell'ambito del sacro.
I fattori dell'allontanamento o distanza sono, perciò, molteplici e si combinano in modo
diverso in ogni persona. Si distribuiscono in tutte le età, ma si concentrano nell'adolescenza,
nella quale ai limiti già indicati della socializzazione, si aggiungono la rifondazione etica, la
personalizzazione critica dell'opzione religiosa e l'autonomia (desatellizzazione) dalla fami-
glia.
Ora, tutti questi fattori sembrano originarsi da tre cause:
la mancanza di una strutturazione religiosa della personalità sin dei primi anni per
le carenze familiari in questo settore;
lo sfasamento tra esperienza di vita del giovane e il messaggio religioso, per cui
quest'ultimo, benché ascoltato, non riesce a interessare;
la poca o difettosa comunicazione tra la Chiesa e la massa giovanile, che ha la sua
espressione nella scarsità di offerte catechistiche ed educative nel periodo dell'adolescenza
e della gioventù.
4. Missione nel mondo giovanile
Da ciò che abbiamo detto si giunge alla conclusione che oggi la pastorale della gioventù
si deve progettare come «missione» e, allo stesso tempo ci permette di enunciare alcune
condizioni per un'azione missionaria tra i giovani.
4.1 L'esigenza di una nuova mentalità
La prima condizione per un'azione missionaria tra i giovani è ripensare la propria men-
talità pastorale. Il servizio ecclesiale alla gioventù è ancora visto come un compito di con-
servazione e solo marginalmente come ricerca? Il contatto con i «lontani» viene affidato solo
ai pionieri, ai particolarmente dotati, agli agenti «straordinari» o è visto come compito di
tutta la comunità e criterio orientatore di tutta l'azione evangelizzatrice? La convinzione che
siamo in terra di missione è maturata? Le finalità, le strutture, i progetti, le forme di predi-
cazione e di presenza cristiana rispondono a questo scopo?
Questo cambio di prospettiva porterebbe a considerare i giovani non evangelizzati non
come disinteressati, non religiosi o disertori della fede tradizionale, ma come destinatari nor-
mali di un primo annuncio, ai quali il Vangelo può e deve risuonare come novità. Ciò ri-
chiede di abbandonare la visione che considera «la società occidentale» come «anticri-
stiana», dominata da correnti contrarie alla fede, come se avesse dato l'addio a un impegno
storico.
È certo che tra modernità e fede cristiana non c'è mutua compenetrazione, che tra il
mondo giovanile, plasmato da questa modernità, e la proposta cristiana ci sia un'ignoranza
di fatto. Si può anche ammettere che qua e là si insinui una sfiducia verso il «cattolicesimo»
perché oggi, in tempi di libertà, rivendica (così alcuni lo pensano e presentano) il carattere
di unica vera religione e perché monopolizza la mediazione con la divinità, controlla l'inter-
pretazione dell'evento storico e del messaggio di Cristo e si erge come istanza ultima nel
campo etico. In un simile quadro anche i testimoni più eminenti non riescono più a essere
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46 Pages 451-460

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46.1 Page 451

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un argomento a favore del «sistema» dottrinale e soprattutto vitale della Chiesa, perché sono
considerati più come felici eccezioni che come normale risultato dell'istituzione ecclesiale.
Tutto ciò, però, è più un «precipitato» del passato che opposizione cosciente a ciò che è
autenticamente cristiano e che oggi si presenta con i segni della riconciliazione, del dialogo,
della solidarietà, a cui ogni persona risponde dal più profondo di se stessa.
Pensare la pastorale come «missione» significa non giudicare il contesto moderno par-
tendo da un supposto obbligo storico di aderire alla fede, ma avvicinarsi con attenzione e
rispetto alle sue attuali caratteristiche e tendenze; e orientare con fiducia la maggior parte
degli sforzi a un primo annuncio; accettare senza retrocedere e senza colpevolizzare, il ri-
schio di non essere intesi, di sentirsi dire: «ti ascolteremo domani»; accompagnare la crescita
di quelli che cominciano a credere, senza abbandonare la semina in altri terreni; viaggiare
continuamente da uno a un altro ambiente giovanile; formare cellule di credenti che agiscano
in loco. Si tratta, infatti, di suscitare innanzitutto la fede.
A tale scopo è importante ascoltare e apprezzare ciò che nella massa giovanile dice
ansia di Dio, svegliare la domanda esistenziale sul senso della vita, sottomettere alla critica
gli assoluti correnti smascherando la fallacia delle loro promesse, appoggiarsi nella ricerca
istintiva di dignità personale. Infatti, si predica in areopaghi in cui gli argomenti e i temi
uditi riguardano le esperienze e gli interrogativi umani. L'uditorio non sente una necessità
disperata di Dio e di soluzioni religiose, sebbene sia disposto ad ascoltarle e a considerarle
quasi con onesta neutralità
Questa progettazione, accettata e interiorizzata, dovrebbe produrre novità in tutti gli
ambienti, inclusi quelli pensati per i credenti, come la scuola «cattolica», la catechesi, la
preparazione ai sacramenti, la predicazione domenicale; disporrebbe la comunità a vivere
positivamente nella «diaspora», convinta di essere depositaria più che di un «passato o di
una tradizione dimenticata», di una novità che bisogna comunicare ai nostri contemporanei.
4.2 Creare luoghi di incontri
L'azione missionaria, di prima evangelizzazione, chiede di ristabilire il contatto, di ren-
dere possibile rincontro fisico. La prima cosa da fare è di sbarcare, di mettere i piedi a terra,
di iniziare a condividere e a convivere. Così la pensano i missionari che partono verso paesi
«non evangelizzati».
Oggi c'è un'allarmante mancanza di luoghi di incontro tra la Chiesa e la gioventù. La
maggioranza dei giovani, anche di quelli che hanno inquietudini e sono potenzialmente cre-
denti, non frequentano le chiese e gli spazi organizzati per scopi pastorali.
Si impone la necessità di creare nuovi ambienti di incontro di ogni tipo, di breve, media
o lunga durata, ma che siano personali, di gruppo, di massa. Alcune parrocchie hanno spazi
per il tempo libero, per dibattiti culturali, iniziative sociali. In questi ultimi anni si sono mol-
tiplicate altre forme di incontro marce, pellegrinaggi, campi, concentrazioni, ecc. che
convocano un numero per nulla indifferente di giovani che si trovano a diversi livelli di fede.
Oltre a questi luoghi, adatti a «un grande numero», se ne moltiplicano altri più raccolti e
silenziosi, ma che sanno dare risultati sorprendenti: deserto, monasteri, case di ritiro, comu-
nità giovanili.
Tuttavia, i posti di cui parliamo non possono essere soltanto quelli organizzati dalla
comunità cristiana. È necessario «uscire» alla ricerca, andare negli ambienti che gli stessi
giovani o le diverse organizzazioni secolari hanno creato con altri scopi, ma non necessaria-
mente contro le preoccupazioni religiose. Tradizionalmente le scuole pubbliche, le univer-
sità e, nei casi in cui si seppe osare di più, le fabbriche diventarono teatro di incontri. Oggi
non bastano, non sono i luoghi dove sorgono o si elaborano le preoccupazioni vitali e le
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46.2 Page 452

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domande sul senso della vita. Il loro valore simbolico è diminuito. Mentre si sono delineati
altri ambienti significativi. Basta pensare allo sport e allo spettacolo, al turismo e ai movi-
menti trasversali, alla strada e ai circoli di vario interesse. Nel maggio 1993 la città di Arezzo
si preparava alla visita del Papa. Si dovevano invitare i giovani a un incontro con il Papa
Come e quando farlo? Il vescovo, preso atto della scarsa presenza giovanile nelle chiese,
scelse di andare in discoteca alle dodici della notte, dopo essersi messo d'accordo con la
proprietaria. Non volle né poté preparare un discorso. Si affidò all'ispirazione e a ciò che
quell'uditorio gli suggeriva. Il messaggio fu breve. I giovani ascoltarono, domandarono, si
interessarono... alcuni diedero fastidio. Quella notte, nello stesso luogo, giunse la «regina»
di un concorso di bellezza. La storia, anche quella della salvezza, non è mai totalmente pura.
Il gesto si compì in una circostanza eccezionale. Ma mette in evidenza l'urgenza e una linea:
compito importante della pastorale è oggi scoprire gli «spazi» giovanili dove conviene «fare
missione» e collocare «stazioni» dove il contatto risulti eloquente. Alcuni sacerdoti e laici
lavorano con gli emarginati (emigranti, disoccupati, drogati). Si incontrano con i giovani in
luoghi pubblici o in luoghi di accoglienza creati, in modo particolare, per quelli che si tro-
vano in necessità. La parola unita al gesto di solidarietà rivela immediatamente il suo signi-
ficato e la sua forza salvatrice.
Nei tempi dell'elettronica bisogna calcolare anche gli spazi non materiali, cioè, quelli
creati dalla comunicazione. La «radio-video diffusione» si è liberalizzata. Non è più mono-
polio statale né di gruppi industriali. La comunicazione con tutta una comunità cittadina o
nazionale si considera come un diritto di ogni persona. Ci sono emittenti «private» che si
propongono come intermediarie di un dialogo a distanza ma continuo tra i giovani. Le ini-
ziative in questo campo sono forse l'impegno più importante delle comunità cristiane.
4.3 Ripensare la presentazione del messaggio cristiano
L'incontro fisico, pur essendo un mezzo per eliminare barriere, non risolve totalmente
la questione dell'annuncio.
Si sperimenta oggi una certa difficoltà nel presentare la fede come spiegazione che dà
senso alla realtà e come un aiuto efficace per risolvere i problemi umani.
Si giustifica allora la domanda sul presentare il Messaggio affinché sia un'interpellanza,
una rivelazione e non una «predica», una dichiarazione di convinzioni private, una propa-
ganda religiosa in cerca di adepti o soci.
Si è discusso fin troppo se è meglio preparare il terreno lavorando su alcuni aspetti
umani che aprono alla fede o se confidare nella forza di impatto e illuminazione che la Parola
di Dio possiede e nell'azione dello Spirito Santo nel cuore della persona. La contrapposizione
tra le due modalità non ha molto senso, soprattutto se si pretende di stabilire una regola
generale. Trattiamo con persone, e le norme fisse hanno poco valore.
Che la fede abbia bisogno di «preamboli» è convinzione antica e costante della Chiesa,
con fondamento nella natura stessa dell'atto di credere. L'accoglienza dell'annuncio evange-
lico suppone l'accettazione dell'esistenza di Dio, la possibilità della rivelazione, la validità
dei segni di credibilità di Gesù, l'obbligo morale di accogliere la rivelazione se l'uomo giunge
ad avere notizie di essa.
Oggi si tratta di motivare un primo movimento verso la fede appellandosi alle esigenze
della persona: i suoi profondi desideri, le sue aspirazioni, le sue dimensioni incontrano una
risposta-proposta, una soddisfazione-superamento in Cristo. Questi, con la sua esistenza e
con la rivelazione del Padre, è per ogni uomo fonte di senso, di orientamento e di energia:
via, verità e vita. Questo si annuncia, e quelli che credono lo sperimentano, per questo pos-
sono comunicarlo.
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46.3 Page 453

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Un altro tipo di provocazione alla fede sta nel considerare la persona con i suoi inter-
rogativi e Cristo con le sue proposte di vita in interazione con un contesto storico concreto:
sono i temi della prassi. Il progetto di Dio in Cristo, accolto da persone e comunità, produce
trasformazioni storiche che creano spazi di dignità e di salvezza.
La verità, 1'esistenza, la prassi sono oggi riferimenti fecondi e finiscono per integrarsi
secondo un ritmo e una combinazione propri in ciascun soggetto. Non c'è motivo serio per
escludere qualcuna di esse. Bisogna provare la via dei grandi interrogativi umani che hanno
un riflesso nella cultura, che richiedono una spiegazione e denunciano una insufficienza; la
via delle esperienze umane che comportano rivelazione perché sono di pienezza, di povertà
o di frontiera Si praticano così aperture verso il significato originale del Vangelo nello spes-
sore dell'attuale mentalità intramondana e della confusa esperienza religiosa.
Ma anche l'invito e la sfida diretta alla conversione, senza giustificazioni né imposta-
zioni, hanno la loro forza quando le condizioni della persona o le caratteristiche del testimone
lo sostengono. Il non sperato, l'inattuale, ciò che è radicalmente critico di tutto quello che
costituisce le nostre preoccupazioni correnti sono parte essenziale del messaggio evangelico.
«È un dato umano generale il fatto che rincontro con una realtà nuova e non attesa possa
scuotere la persona, aprire orizzonti insospettati anteriormente, cambiare profondamente
l'impostazione della vita...; rincontro con l'altro, il nuovo, il non sperato formano parte dell'e-
sperienza umana»1.
4.4 Curare la qualità del frammento
Nell'annuncio è oggi importante la qualità del «frammento». All'interlocutore non in-
teressa, in un primo momento, tutto il sistema della verità cristiana; se ci mettessimo a spie-
garglielo, si stancherebbe. I sistemi sono in crisi e questo tocca l'apparato dottrinale della
Chiesa.
Il frammento, provvidenziale o luminoso per l'interlocutore, rivela la presenza della
vita e dà impulso alla sua ricerca. Una parola personale o un gesto di solidarietà hanno aperto
repentinamente una nuova comprensione del Vangelo ai giovani che erano stanchi di spie-
gazioni sistematiche.
Il frammento lo usò Gesù con la Samaritana e con Nicodemo: la prospettiva di una
nuova nascita, la promessa di una sorgente inesauribile nel proprio intimo. Era tutto ciò che
poteva dire e promettere in una prima e forse unica conversazione; ma ciò era rincontro con
una domanda vitale. Il frammento lo usò la comunità cristiana primitiva: in un mondo se-
gnato dalla ricerca della salvezza annunciò la Risurrezione di Cristo come l'evento capace
di liberare l'umanità dalla morte.
Certamente, il frammento non è qualsiasi parte del messaggio, ma il suo centro. Però
nell'incontro con persone che si trovano in situazioni diverse, si converte per ciascuna in
parola personale invitante e liberatrice. Gesù si paragonò a un medico. A un ammalato non
si spiega la medicina né i postulati fondamentali su cui si fonda. È sufficiente che in essa e
in chi la rappresenta si trovi quello di cui si ha bisogno in un momento di infermità. Il fram-
mento è ciò che risponde a una situazione di ricerca, di necessità o di crisi, di offerta gene-
rosa. Diversa fu la parola di Gesù con l'adultera, con il buon ladrone, con Matteo, Zaccheo,
Pietro e Andrea, con la Samaritana e con Nicodemo. Tutte esprimevano l'offerta della sal-
vezza, ma ciascuna secondo la situazione della persona.
La prima cosa, infatti, è «svegliare» il desiderio dell'altra dimensione dell'esistenza, far
sentire la vicinanza di Dio come una fortuna e una ricchezza Senza la minima intenzione di
1 J. GEVAERT, Prima evangelizzazione, Leumann (To), LDC, 1990.
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46.4 Page 454

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applicare la tecnica della pubblicità, una domanda che il pastore dei giovani non può trala-
sciare è quella di chiedersi quali sono i «frammenti», i nuclei, le espressioni centrali, sinte-
tiche e certe che possono oggi evocare nei giovani quello che incoscientemente cercano e
che, svegliato, li dispone alla fede.
4.5 La prospettiva del lievito
Il criterio evangelico, tuttavia, ci porta ad accettare che tra i molti che abbiamo contat-
tato soltanto alcuni rispondano e che un numero ancor minore si impegni. Non tutti quelli
che ascoltarono Gesù si convertirono in seguaci o discepoli. La comunità dei credenti sarà
sempre un «piccolo gregge». La visione di cristianità ci ha abituato al predominio numerico
e all'equazione: ricevere i sacramenti = essere credenti. Oggi il problema si prospetta in altri
termini: secondo la parabola della rete e del campo, sempre visitato dal padrone, dove però
crescono varie classi di semi. Sarebbe un errore togliere valore al piccolo numero di quelli
che rispondono.
La pastorale giovanile, come ogni realtà del Regno, procede mediante fermenti. Cristo
parlò alle masse, ma scelse apostoli e discepoli e istruì coloro che rimanevano con lui. È più
importante seminare e coltivare il grano che combattere l'altro seme.
È necessario aver pensato per pochi una via di approfondimento della fede proporzio-
nata ai tempi e alle sfide attuali, come mezzo di evangelizzazione dei molti. Alla fine quello
che la Chiesa, come segno del Regno, deve provvedere è il lievito, modelli, testimonianze e
annunciatori. La poca importanza ecclesiale nel campo giovanile si deve al fatto che si ap-
profitta poco della disponibilità di quelli che corrispondono.
Il solo impulso della prima evangelizzazione, senza una successiva cura e guida, non
giunge a formare Chiesa; la sola cura pastorale di quelli che già vengono o si trovano «den-
tro», senza uscita né nuove frontiere, converte la Chiesa in un club ristretto. Il segreto di una
pastorale di missione consiste nell'avere un giusto equilibrio e una capacità di trasmissione
tra due movimenti: estensione e qualità.
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46.5 Page 455

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49. INDICAZIONI PER UN CAMMINO DI SPIRITUALITÀ SALESIANA
Vecchi, J.E., Indicazioni per un cammino di spiritualità salesiana. Alcuni punti chiave nell'insegnamento di don Egidio Viganò
in ACG 354 (1995), p. 3-52.
Introduzione - 1. L'iniziativa di Dio - 2. La consacrazione apostolica - 3. Il Cristo che seguiamo e contempliamo - 4. La carità
pastorale - 5. «Da mihi animas» - 6. «Studia di farti amare»: La pedagogia della bontà - 7. L'estasi dell'azione - 8. La grazia
di unità - 9. Educare evangelizzando, evangelizzare educando - 10. Immacolata Ausiliatrice.
Carissimi,
nel mese di settembre vi è stata spedita la lettera-ricordo di don Egidio Viganò. In essa,
oltre al profilo biografico, abbiamo richiamato, in forma sintetica secondo la natura dello
scritto, i suoi fronti di impegno come Rettor Maggiore, il suo stile di animazione e i tratti
della sua personalità.
Ora si sta preparando, alla Direzione Generale, un'edizione delle sue sessantaquattro let-
tere circolari, con corrispondente indice tematico. Il volume entrerà a far parte della colle-
zione che raccoglie le lettere dei precedenti Rettori Maggiori: don Rua, don Albera, don
Rinaldi, don Ricaldone. Contemporaneamente in un altro volume verranno pubblicate le let-
tere di don Luigi Ricceri, al quale toccò orientare la preparazione e il primo periodo del
rinnovamento che seguì il Concilio Vaticano II. Insieme agli atti dei CG 20, 21, 22, 23,
questi volumi costituiranno una testimonianza e una documentazione, alla portata di tutti,
della riflessione, delle sfide, degli orientamenti e sforzi di rinnovamento che hanno caratte-
rizzato il trentennio che dalla fine del Concilio ci porta fino al prossimo CG 24.
Mi è sembrato che fosse conveniente, a complemento della lettera mortuaria, offrire una
rilettura di alcuni punti che attraversano l'insegnamento di don Egidio Viganò. Non sono
tutti, evidentemente, neppure tra quelli che si potrebbero considerare principali. Non lo con-
sentiva lo spazio. Ho scelto soltanto quelli che riguardano più da vicino e direttamente il
versante della spiritualità del salesiano, che ricorrono, anche se solo accennati, nel tratta-
mento dei diversi temi e sono stati offerti da lui con formule originali. Essi sono però salda-
mente collegati fino a costituire come i tratti di una fisionomia.
Non tentiamo una sintesi completa di ciascuno che risulta impossibile, ma solo una evo-
cazione sostanziale.
Il momento attuale è segnato per noi dall'avvenimento del Sinodo sulla Vita Consacrata,
il cui documento conclusivo stiamo aspettando. Ma le cui preoccupazioni principali abbiamo
già percepito nello strumento di lavoro e nelle discussioni dell'assemblea. Esso ci stimola a
riflettere sulle attese del mondo e della Chiesa nei confronti dei religiosi e ci ricorda l'origi-
nalità di Don Bosco nella testimonianza del Vangelo.
Ma il tempo che viviamo è segnato anche dalla preparazione prossima, organizzativa e
spirituale, al CG 24. Proprio in questi giorni alla Casa Generalizia lavora la Commissione
precapitolare, nominata dal Rettor Maggiore, che dovrà redigere «gli schemi da inviare con
sufficiente anticipo ai partecipanti del Capitolo Generale»1.
È proprio alla luce di questi avvenimenti che vi invito a percorrere alcuni punti nodali
della nostra spiritualità come ci sono stati proposti da don Viganò.
1 R 113.
- 453 -

46.6 Page 456

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1. L'iniziativa di Dio
(ACG 303. 312. 334. 337. 342. 352)
«È necessario ricordare che alla base di tutto c'è l'affascinante mistero della Trinità;
come dicono le Costituzioni rinnovate, la nostra vita di discepoli di Cristo è una grazia del
Padre che ci consacra con il dono del suo Spirito e ci invia ad essere missionari dei giovani»2.
Caratteristica di ogni spiritualità cristiana è la coscienza del dono, della grazia, con cui
Dio entra di sua iniziativa nella nostra esistenza nel contesto della storia. Ciò costituisce una
differenza sostanziale riguardo a tutte le spiritualità razionalistiche che si affidano al solo
sforzo, pur nobile, della persona.
Se si vuol tracciare con realismo il cammino spirituale dei Salesiani, nei suoi elementi
caratteristici e nella sua vitalità, non si può ignorare questa origine che è appunto la presenza
operante dello Spirito del Signore. E da parte loro il riconoscimento, l'accoglienza e la vo-
lontà di corrispondenza.
Tale presenza si percepisce in tre ambiti. In primo luogo nella Chiesa. «Egli - dice la
Lumen Gentium - la guida per tutta intera la verità, la unifica nella comunione e nel mini-
stero, la istruisce e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, rabbellisce con i suoi
frutti. Con la forza del Vangelo fa ringiovanire la Chiesa, continuamente la rinnova e la
conduce alla perfetta unione con il suo Sposo»3. È lo Spirito che dà la vita e che si manifesta
nella storia come energia imprevista e trasformante soprattutto attraverso i profeti, i santi, i
pastori e le guide coraggiose e ispirate. Di questa animazione della Chiesa da parte dello
Spirito abbiamo segni inequivocabili anche in questo nostro tempo. È tutto il movimento di
riflessione, di adeguamento pastorale, di spiritualità provocato dal Concilio, ancor oggi fe-
condo di nuove e originali manifestazioni.
La presenza e l'azione dello Spirito si estendono oltre i confini della Chiesa visibile.
Riempiono la terra. La Chiesa ascolta nei segni dei tempi la sua voce che risuona nella co-
scienza degli uomini e affiora soprattutto nella ricerca religiosa, nelle iniziative nobili e di-
sinteressate per la crescita spirituale dell'uomo, nel senso morale4. L'insieme dei segni ci dice
che noi stiamo vivendo un'ora privilegiata dello Spirito5.
Una delle opere realizzate dallo Spirito nel corso della storia attraverso mille ispirazioni
è la vita consacrata che, al seguito di Cristo, si concentra nel mistero di Dio e si dedica con
amore alla salvezza dell'uomo. «All'origine dei singoli Istituti religiosi non c'è una teoria o
un sistema di un pensatore, ma una storia o una esperienza vissuta secondo una speciale e
concreta docilità allo Spirito Santo»6.
Ciò va affermato, in particolare, del nostro carisma e della sua realizzazione da parte di
Don Bosco e di coloro che gli sono succeduti nel tempo come discepoli attenti ai segni dello
Spirito. E questo è un secondo ambito di osservazione e di fede per i Salesiani. «Il nostro
Padre si è sentito investito dall'alto di una vasta missione giovanile ed ha avuto chiara co-
scienza di essere chiamato, per questo, a divenire fondatore non semplicemente di un istituto
religioso, ma di tutto un vasto movimento spirituale e apostolico di vaste proporzioni»7. Spi-
ritualità e missione, a servizio della Chiesa e del mondo, si muovono nella direzione dello
Spirito cioè dell'apertura dell'uomo al riconoscimento e alla comunione con Dio.
2 ACS 347, p. 14.
3 LG 4.
4 Cf. RM 28.
5 Cf. EN 75.
6 ACS 301, p. 6.
7 ACS 304, p. 7.
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Il terzo ambito in cui siamo chiamati a cogliere l'azione dello Spirito è la nostra vita. In
essa percepiamo il dono di Dio che ci attira a sé; siamo attratti da Cristo e invogliati a se-
guirlo con radicalità. Sperimentiamo la sintonia quasi spontanea con Don Bosco e siamo
portati alla missione giovanile. È la vocazione personale di cui l'art. 22 delle Costituzioni
dice: «Ciascuno di noi è chiamato da Dio a far parte della Società Salesiana. Per questo
riceve da Lui doni personali e rispondendo fedelmente trova la via della sua piena realizza-
zione in Cristo».
La consapevolezza del dono, la nostra volontà di risposta, la consonanza con il carisma
salesiano, il progetto specifico di vita, che di conseguenza assumiamo, vengono espressi
pubblicamente nella professione, in particolare, per il suo carattere definitivo, nella profes-
sione perpetua. Essa «è il segno dell'incontro di amore tra il Signore che chiama e il disce-
polo che risponde donandosi totalmente a Lui e ai fratelli»8. Coinvolge la coscienza e la vita
e non solo l'appartenenza esterna. Ed è ancora offerta e iniziativa di Dio e non solo atto
dell'uomo. Per cui «l'azione dello Spirito sarà per il professo fonte permanente di grazia e
sostegno nello sforzo quotidiano di crescere nell'amore perfetto di Dio e degli uomini»9.
Così battesimo, vocazione, professione segnano le fasi del nostro collocarci con sempre
maggior attenzione e disponibilità nello spazio dello Spirito che comunica al mondo l'amore
di Dio e lo muove verso di Lui.
Tre conseguenze ne seguono. La prima è che prendiamo la «vita nello Spirito», la santità,
come il nucleo principale del nostro progetto di esistenza10. Santità non intesa solo come
correttezza morale o come sforzo ascetico, ma come stile e forma di vita nel quale traspare
in forma peculiare il mistero di Dio, liberante, vicino. Senza di questo non c'è vita consacrata,
anche se si realizzassero tutti gli elementi istituzionali. «Riprogettare la santità» è perciò
punto determinante del nostro rinnovamento. Essa è «il dono più prezioso che possiamo
offrire ai giovani»11, e il mezzo più potente e adeguato per compiere la nostra missione. La
riteniamo pure come il contributo specifico dei religiosi alla cultura e alla promozione
umana. Infatti la spiritualità o santità ha anche un valore temporale e secolare, non solo per
le opere di carità a beneficio dei poveri, ma per il senso, il messaggio e i valori che offre
all'esistenza umana.
Ma c'è una seconda conseguenza. Noi perseguiamo questa santità secondo il modello e
il cammino che lo Spirito ha manifestato in Don Bosco. E riferimento costante a Lui e alla
esperienza che è maturata al suo seguito è dunque indispensabile sia per riprodurne in forma
adeguata i tratti già accertati, sia per discernere nuove forme di realizzarli nel contesto mo-
derno. «Dio ci ha dato Don Bosco come Padre e Maestro»12.
Le due conseguenze precedenti portano ad una terza: scegliamo come via pedagogica
verso la santità quella proposta dalle Costituzioni con le sue esperienze fondamentali (mis-
sione, consigli evangelici, comunità, preghiera) vissute nel gruppo umano che ne fa il codice
di vita: la Congregazione salesiana con la sua tradizione spirituale e nella sua realtà attuale.
Se è vero che «la nostra regola vivente è Gesù Cristo, il Salvatore annunciato nel Vangelo
che vive nella Chiesa e che noi scopriamo presenti in Don Bosco che donò la vita per i
giovani»13, è vero pure che accogliamo le Costituzioni come testamento di Don Bosco, come
libro di vita per noi, che le meditiamo nella fede e ci impegniamo a praticarle con senso
8 C 23.
9 C 25.
10 Cf. ACS 303.
11 C 25.
12 C 21.
13 C 196.
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spirituale, perché per noi, discepoli del Signore, esse sono in cammino che conduce all'a-
more.
Desiderio e proposito di santità, Don Bosco come Padre e Maestro, Regola e comunione
salesiana sono le coordinate per un cammino di crescita spirituale di un consacrato salesiano,
in risposta agli appelli dello Spirito. Senza di esse è difficile andare lontani.
2. La consacrazione apostolica
(ACG 312. 337. 342. 346. 352)
Quando don Viganò, dopo il CG 22, presentò il «testo rinnovato della nostra Regola di
vita14, indicò la consacrazione apostolica15 come il tema generale e primo tra i principi ispi-
ratori del rinnovamento.
I vari elementi che caratterizzano la nostra spiritualità di religiosi apostoli infatti trovano
la loro ragion d'essere nella consacrazione e specificamente in quella forma originale di essa
che chiamiamo consacrazione apostolica.
È questa una delle importanti acquisizioni del cammino di ridefinizione della nostra
identità sulla scia degli approfondimenti che ebbero luogo nella Chiesa dopo il Concilio
Vaticano II e di cui si sono fatti eco insistenti dichiarazioni dell'ultimo tempo16. «Alla base
della vita religiosa c'è la consacrazione». «La Chiesa pensa a voi prima di tutto come a per-
sone consacrate»17.
Una più profonda comprensione della consacrazione nelle sue radici bibliche, nelle sue
dimensioni teologali ed ecclesiali, ma anche alla luce dell'esperienza concreta del Fondatore
è dunque elemento sostanziale per riscoprire e riattualizzare il carisma, per avere una visione
unitaria del progetto di vita salesiano e, di conseguenza, per vivere ed esprimere in forma
autentica la nostra spiritualità.
Ora proprio questo sforzo di comprensione ci ha portato a sottolineare alcuni aspetti. Il
primo è il senso globale o totale della consacrazione. Questa infatti non è un elemento par-
ticolare della vita salesiana da enumerare prima o tra gli altri, ma la comprende tutta. Non
include soltanto i voti, ma tutto l'essere e l'agire della persona, messa in una relazione sin-
golarissima con Dio che segna la nostra esperienza personale più profonda e il nostro lavoro
educativo. Una vita che si sente attratta verso Dio e si concentra in Lui, sia che lo cerchi
nella preghiera, nel silenzio e nella solitudine, o si proponga di servirlo nei fratelli attraverso
qualche servizio di carità anche fortemente impegnativo.
È chiaro poi che quando parliamo della consacrazione non pensiamo solo a un momento
particolare come per esempio quello della professione, ma ci riferiamo al «continuum» di
tutta la vita, di cui la professione è il momento significativo e quasi sacramentale. Pensiamo
ad una esperienza personale e interiore che comincia già prima della professione, quando il
Signore va diventando il centro dei nostri pensieri e la preferenza del nostro affetto. Acco-
gliendo questa grazia dello Spirito, la dichiariamo di fronte a Dio e alla Chiesa nell'atto della
professione. Essa viene dunque particolarmente riconosciuta e incorporata alla vita e mis-
sione del popolo di Dio. Continuerà in seguito fino alla morte rendendosi sempre più totale
e profonda come azione di Dio e come risposta nostra, a mano a mano che la sua realtà
penetrerà nel nostro essere. È evidente che la vita diventa veramente consacrata non tanto in
14 Cf. ACG 312.
15 Cf. C 3.
16 Cf. LG 44; PC 5; ET 4. 7; MR 8. 10. 11; RD, cap. III.
17 GIOVANNI PAOLO II. Elementi essenziali dell'insegnamento della chiesa sulla vita religiosa negli
istituti dediti alle opere di apostolato. Leumann(To), LDC, 1991, n. 5; RD 7.
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forza degli elementi istituzionali, organizzativi o rituali con i quali la si qualifica esterna-
mente, ma per il rapporto vitale che si stabilisce con Dio. Infatti in ogni consacrazione, la
forza consacrante è la Sua presenza. Questo senso esistenziale e personale della consacra-
zione è oggi particolarmente sentito e determinante.
Di qui viene un altro elemento fondamentale di comprensione, evidenziato dall'uso del
verbo al passivo: consecratur. La consacrazione del religioso, sulla base di quella battesi-
male, mette in evidenza l'iniziativa assolutamente libera e gratuita di Dio. Essa, nell'espres-
sione di don E. Viganò, è la «scintilla prima dell'amore, che sprizza all'ora zero lì dove in-
comincia tutto e dove esplode l'amicizia, lì dove nasce la speciale alleanza tra Dio che
chiama e l'uomo che risponde»18. La consacrazione non è in primo luogo uno sforzo
dell'uomo per raggiungere Dio ed essere tutto suo. Ma una visita, un dono, un'irruzione della
sua grazia nella nostra esistenza. Indica primariamente l'azione di Dio che attraverso la me-
diazione della Chiesa ci prende totalmente per sé impegnandosi a proteggerci e a guidarci.
Ma è anche vero che questa azione divina non è esterna ai nostri movimenti più profondi.
Si fa sentire in questi e lì riceve la nostra risposta, sì che diventa «rincontro di due amori»:
il Padre ci attira e noi ci offriamo totalmente a Lui. «L'iniziativa e la possibilità stessa dell'al-
leanza proviene da Dio, ma essa è confermata dalle nostre libere risposte: è Lui che ci chiama
e ci aiuta a rispondere, ma siamo noi che ci doniamo. È Lui che ci consacra e ci avvolge con
il suo Spirito, ci prende per sé, ci fa divenire totalmente suoi, ma siamo noi che vogliamo
concentrarci in Lui, ascoltandolo e contemplandolo»19.
Il ritrovare il senso pieno della consacrazione come alleanza di amore, fatta di appello e
risposta, che continuamente ci interpella, dà alla nostra vocazione il suo volto dinamico e la
sua profonda unità.
Giustamente la nostra regola di vita sottolinea il carattere peculiare della consacrazione
che ci distingue come Salesiani. Essa si fonda, infatti, sul progetto ispirato da Dio a Don
Bosco fondatore, che è un progetto apostolico, in cui la missione a servizio della gioventù è
l'aspetto caratterizzante del nostro essere tutto per Dio, intrinsecamente congiunta con la
testimonianza dei valori evangelici e della comunione fraterna.
Non c'è separazione né dissonanza tra consacrazione e missione, ma «mutua e indisso-
lubile compenetrazione che ci fa salesianamente e simultaneamente apostoli-religiosi e reli-
giosi-apostoli. La “consacrazione” coinvolge tutta la nostra vita; e la “missione” qualifica la
tutta la nostra testimonianza»20. La missione, intesa nel suo significato biblico che la vincola
a quella di Cristo consacrato del Padre e mandato al mondo, appare così un aspetto costitu-
tivo della stessa nostra consacrazione. D'altra parte, la nostra vita consacrata viene definita
e precisata dalla missione e deve proiettarsi e realizzarsi in essa. È ciò che esprimono le
Costituzioni quando affermano che «la missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono
concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo
tra le famiglie religiose»21.
Tutto questo tocca la radice della nostra identità di Salesiani e diventa orientamento
concreto per la nostra vita e la nostra spiritualità, con conseguenze sul modo di lavorare, di
vivere insieme, di pregare.
In primo luogo la consapevolezza del nostro essere consacrati apostoli dà il giusto signi-
ficato alla missione, che non è semplicemente l'attività o l'azione esterna, ma è dono di Dio.
18 ACG 312, p. 23.
19 Ibid.
20 ACG 312, p. 13.
21 C 3.
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Ci inserisce nel mistero trinitario dell'invio del Figlio e dello Spirito Santo da parte del Padre
e nella missione stessa della Chiesa e del suo specifico compito storico.
Deriva da qui l'accento speciale posto sull'interiorità come condizione essenziale per
l'efficacia dell'azione apostolica e missionaria. L'ardore nella missione proviene infatti dal
mistero di Dio22: solo se costantemente unite a questo mistero, la Chiesa e la Congregazione
possono affrontare le sfide della nuova evangelizzazione.
In tale aspetto si ravvisa un carattere tipico della nostra spiritualità di consacrati-apostoli:
consacrati, e quindi fermamente radicati in Cristo e nel suo Spirito, in atteggiamento di filiale
obbedienza al Padre che ci ha chiamati, e insieme «missionari dei giovani», mandati a co-
municare loro l'Amore senza confini: è il nostro dinamismo spirituale di base, che ci colloca
sul versante della spiritualità di vita attiva23.
Se vissuta con pienezza, questa è la strada della nostra santificazione. L'azione aposto-
lica, e per noi concretamente la scelta educativa, all'interno del progetto di vita consacrata,
diventa luogo privilegiato dell'incontro con Dio e quindi via alla santità, sì da poter dire che
il salesiano è chiamato a santificarsi educando24, Si tratta di «fare dell'impegno educativo lo
spazio spirituale e il centro pastorale della propria vita, della propria preghiera, della propria
professionalità, del vissuto quotidiano»25.
È interessante ricordare, concludendo, come le stesse sofferenze per il salesiano sono
valorizzate dalla sua consacrazione apostolica. «La nostra spiritualità dell'azione non ci in-
segna ad aggirare il dolore, a sorvolarlo, ad eliminarlo; bensì lo accetta e ne rovescia il si-
gnificato, trasformandolo in potenziale di salvezza. Ha così un suo valore apostolico, e non
piccolo, anche la sofferenza vissuta come partecipazione al mistero pasquale di Cristo»26.
3. Il Cristo che seguiamo e contempliamo
(ACG 290. 296. 334. 324. 337)
Partiamo da un fatto scontato. «Noi siamo dei discepoli di Cristo che hanno realizzato
con la professione religiosa un gesto di libertà particolarmente originale: abbiamo scelto in
forma radicale e per sempre il Signore risorto. Cristo costituisce la nostra opzione fonda-
mentale che condiziona e orienta tutte le altre. Il cuore del salesiano passa per il mistero
pasquale prima di percorrere qualsiasi strada della storia. Solo partendo da Cristo si spiega
il nostro genere di vita, la nostra appartenenza alla Chiesa, la nostra missione giovanile e
popolare, il nostro progetto educativo, la nostra attività e lo stile con cui lo realizziamo.
È importante, oggi, rinnovare con chiarezza la coscienza di questa opzione fondamentale
affinché diventi operativa nelle nostre convinzioni, nella testimonianza di vita e negli impe-
gni di lavoro»27.
Si tratta del mistero totale di Cristo e della sua manifestazione ancora in corso: Cristo
figlio di Dio e vero Uomo, nato da Maria, morto e risorto; consacrato e inviato; Fondatore e
capo della Chiesa; Profeta, Sacerdote e Re. A Lui accediamo attraverso l'ascolto e la medi-
tazione della Parola in particolare il Vangelo, attraverso la celebrazione del mistero eucari-
stico, l'impegno di conversione e lo sforzo di configurazione, la partecipazione alla vita della
Chiesa, l'ascolto delle invocazioni di salvezza che si levano dal mondo, particolarmente dei
giovani.
22 Cf. ACG 336, p. 16.
23 Cf. ACG 334, p. 33; 336, p. 35-36.
24 ACG 337, p. 38.
25 ACG 337, p. 39.
26 ACS 308, p. 18.
27 ACS 296, p. 5.
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47 Pages 461-470

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47.1 Page 461

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Ma ci sono alcune rappresentazioni di Cristo che attirano in forma particolare la nostra
attenzione come Salesiani. Le presentiamo con testi originali di don Egidio Viganò.
Il Cristo Buon Pastore
«È Lui il Centro vivo ed esistenziale della nostra vita consacrata. Tutti i consacrati sono
centrati su Cristo, ma la nostra specifica testimonianza è caratterizzata dall'aspetto pedago-
gico pastorale con cui guardiamo a Cristo come “Buon Pastore”, che ha creato l'uomo e ne
ama le qualità, che lo ha redento e ne perdona i peccati, e che lo rende nuova creatura attra-
verso il suo Spirito. Questa centralità di Cristo Pastore deve brillare come sole nei nostri
ambienti attraverso un rinnovato slancio eucaristico e con tutte le iniziative che esprimono
un modo quotidiano di vivere ed educare «che permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti
personali e la vita di comunità, nell'esercizio di una carità che sa farsi amare»28. La sottoli-
neatura di Cristo “Buon Pastore” comporta certamente la generosità della dedizione ai gio-
vani fino alla croce, ma mette in evidenza anche l'atteggiamento che conquista con la mitezza
e il dono di sé, con la bontà...».20
Il Cristo amico dei giovani
«Il vangelo manifesta in vari modi l'amore di Gesù ai giovani: li ama29; li vuole accanto
a sé30; li invita a seguirlo31, li guarisce32; li risuscita33; li libera dal demonio34; li privilegia
con il perdono35; si appoggia a loro per compiere meraviglie36.
Non si spiega la predilezione radicale di Don Bosco senza Gesù Cristo; nella sequela di
Cristo si trova la fonte zampillante della sua origine e della sua vitalità»37.
«Il cuore del salesiano è tutto occupato da Cristo per amare i giovani come li ama Lui;
guarda a Lui amico dei piccoli e dei poveri, per questo la sua dedizione alla gioventù e ai
ceti popolari diviene più intensa, più perseverante, più genuina, più feconda...
In un'ora di ricerca di identità personale e collettiva la prima cosa da assicurare è il si-
gnificato stesso della nostra professione religiosa che ci incorpora a una comunità che ha
fatto la grande scelta del Cristo salvatore e pastore, amico dei giovani»38.
Cristo, l'uomo nuovo
«... Scopriamo senza troppa difficoltà che il vero capolavoro di Dio è l'uomo, fatto a sua
immagine, sintesi viva delle meraviglie cosmiche, libero e audace, che pensa, che giudica,
che crea, che ama e che è perciò destinato ad essere il liturgo di tutto il creato, voce di lode,
mediatore di gloria, in un dialogo di felicità con lo stesso Creatore.
28 C 20.
29 Mc 10,21: fissatolo, lo amò.
30 Mt 19,14-15; Mc 10,13-16; Lc 18,15-17: Lasciate che i bambini...; Lc 19,46-48: Chi accoglie un
bambino...
31 Mt 19,16-26; Mc 10,17-22: il giovane ricco.
32 Gv 4,46-54: Va', il tuo figlio vive.
33 Lc 7, 11-15: Giovinetto, a te dico, levati; Mc 5, 21-23; Lc 8, 40-45: figlia di Giairo.
34 Mc 17, 14-18; Lc 9, 37-43: scaccia il demonio da un ragazzo; Mt 15, 21-28; Mc 7, 24-30: e dalla
figlioletta della donna cananea o sirofenicia.
35 Lc 15, 11-32: parabola del figlio prodigo.
36 Gv 6, 1-15: C'è qui un ragazzetto che ha cinque pani e due pesci...
37 ACG 290, p. 15-16.
38 ACS 296, p. 6-7.
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47.2 Page 462

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Ed è precisamente nella nostra storia che Iddio, giunta la pienezza dei tempi, fa sorgere
l'Uomo nuovo che è il suo definitivo capolavoro.
Egli è il vertice di tutta l'opera della creazione. In Lui - dice il Concilio - trova vera luce
il mistero dell'uomo... Egli è l'immagine dell'invisibile Dio; è l'uomo perfetto... unito in certo
modo ad ogni uomo... primogenito fra molti fratelli.
Nella sua vita terrena si è sentito solidale con ognuno degli uomini di tutti i secoli, da
Adamo (suo progenitore) fino all'ultimo suo fratello, generato alla fine dei tempi. «Solidale
nel bene e nel male, ha vinto il peccato con la potenza del più grande amore testimoniato
con il dono della propria vita nell'evento supremo della Pasqua»...39
«Il fine o traguardo a cui tende l'opera educativa è Cristo l'“Uomo nuovo”; ogni giovane
è chiamato a maturare in Lui e a sua immagine...
Non si tratta di entrare in polemica, ma di essere convinti che l'evento Cristo non è l'e-
spressione di una formulazione «religiosa», bensì un fatto oggettivo che si riferisce in con-
creto ad ogni individuo della specie e che dà un senso definitivo alla storia umana. Ogni
persona ha bisogno di Cristo e tende a Lui, anche se non lo sa. È diritto esistenziale di ognuno
poter arrivare a Lui: impedirlo è, di fatto, conculcare un diritto umano. La tendenza verso
Cristo, conscia o inconscia, assopita o meno, è intrinseca alla natura dell'uomo, creato og-
gettivamente nell'ordine soprannaturale, e nel quale il progetto “uomo” è stato pensato in
vista del mistero di Cristo e non viceversa»40.
Cristo, il cuore del mondo e il mistero operante nella storia
«Il qualificativo nuovo, riferito alla cultura, indica semplicemente un'emergenza nel di-
venire, anche se richiede un'attenta e rinnovata forma di pastorale; riferito invece al mistero
di Cristo il qualificativo “nuovo” indica la pienezza della vera e definitiva novità. È nuova
non perché non l'abbiamo mai sentita o perché viene interpellata da problemi che prima non
si conoscevano, ma perché è l'apice meraviglioso dell'avventura umana; proclama infatti la
meta suprema della storia e la sorgente di ogni speranza di tutti i secoli.[…]
Evangelizzare significa anzitutto saper annunziare all'uomo d'oggi la lieta e gradita no-
tizia della Pasqua, che sconvolge e fa esplodere la caduca attrattiva delle novità che evol-
vono, che presto si trasformano in quella monotonia insoddisfatta che suole caratterizzare
l'esistenza annoiata di una civiltà solo orizzontale»41.
«A ragione dunque il Concilio afferma che Gesù Cristo costituisce “il fine della storia
umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la
gioia di ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni...”»42.
Considero importante, cari confratelli, rivisitare continuamente questa sintesi di fede
per... convincerci che non è possibile prescindere da Cristo nella promozione dell'uomo e
nello sviluppo di una vera pedagogia salesiana»43.
39 ACG 324, p. 17-18.
40 ACG 337, p. 31-32.
41 ACG 331, p. 12.
42 GS 45.
43 ACG 324, p. 18-19.
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47.3 Page 463

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4. La carità pastorale
(ACG 304. 312. 326. 332. 334. 335. 337. 338)
L'articolo delle Costituzioni che introduce lo spirito salesiano afferma che «il suo centro
e la sua sintesi è la carità pastorale caratterizzata da quel dinamismo giovanile che si rivelava
così forte nel nostro Fondatore e alle origini della nostra società»44.
Sono affermazioni di molto impegno. Non si tratta infatti di un elemento in più da met-
tere accanto ad altri, ma della sorgente della nostra identità spirituale e pastorale. Da essa
sgorga quell'energia unificante che ci imprime una fisionomia propria, ci spinge alla dona-
zione di noi stessi, ci unisce in comunione.
Bisogna dunque ritornare più volte su di essa per chiarirne la natura, approfondirne i
contenuti e specificarne le conseguenze pratiche, non accontentandosi di prospettive generi-
che e della risonanza spontanea che tali prospettive producono in noi.
Il punto di osservazione privilegiato, come per tutti gli aspetti del carisma, è l'esperienza
del Fondatore e la vita del gruppo dei primi discepoli, colte allo stato nascente.
«La Famiglia Salesiana è nata dall'amore di Don Bosco per la gioventù. Un amore di
predilezione che ha permeato e sviluppato le sue inclinazioni e le sue doti naturali, ma che
era radicalmente uno speciale dono di Dio per un disegno di salvezza nei tempi moderni.
Questa predilezione sgorgava in lui dall'adesione entusiasta e totale a Cristo»45.
La prima scintilla della vocazione salesiana è l'amore di Dio intenso, ben definito, orien-
tato verso la gioventù povera e abbandonata. In Don Bosco diventerà a mano a mano pro-
getto di vita. Egli prenderà coscienza che si tratta di una grazia singolare. «Il Signore mi ha
mandato per i giovani, perciò bisogna che mi risparmi nelle altre cose estranee e conservi la
mia salute per loro». Realizzerà questo progetto nella sequela radicale di Cristo contemplato
nella sua ansia per dare dignità e salvare le persone, soprattutto le più umili e indigenti.
La sorgente, l'avvio e l'energia di sviluppo del carisma salesiano, dunque, si trova in un
amore con due indissolubili poli, Dio e i giovani; nella donazione totale di sé a Dio nella
missione giovanile e corrispondentemente nella donazione totale di sé ai giovani in un mo-
vimento verso Dio. Su questa linea maturerà la santità di Don Bosco. Per seguire questo
ideale convocherà quei giovani in cui scopre disponibilità. Ciò darà l'immagine originale
della Congregazione nascente.
La carità è il fondamento e l'energia di ogni vita spirituale, il primo di tutti i comanda-
menti come radice e il supremo di essi come meta da raggiungere, la sostanza e il migliore
dei carismi, il distintivo di ogni stato o vocazione cristiana. Così per Gesù, per San Paolo46,
per il nostro Patrono San Francesco di Sales, che ne ha quasi cantato la bellezza anche
umana. Egualmente per Don Bosco che esalta ogni forma di carità come una caratteristica
eccelsa del cuore cristiano. Nel sogno dei dieci diamanti, la carità, senza specificazioni, viene
collocata davanti e proprio sul cuore del personaggio. Tre di quei diamanti erano sul petto...
quello che si trovava sul cuore portava la scritta: Carità. È in ogni caso quell'amore che ha
avuto la sua manifestazione massima in Gesù Cristo, Figlio del Padre e Redentore dell'uomo,
e che lo Spirito Santo infonde nel nostro cuore nel momento in cui attraverso la fede e il
battesimo ci inserisce in Cristo.
44 C 10.
45 ACS 290, p. 15.
46 Cf. I Cor c. 13-14.
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47.4 Page 464

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Proprio per la ricchezza di Cristo, per la creatività dello Spirito e per le possibilità espres-
sive della persona umana esistono innumerevoli «tipi» o concretizzazioni storiche della ca-
rità.
Quella che è al centro dello spirito salesiano viene qualificata come pastorale. Riporta
immediatamente alla mente l'immagine di Dio Pastore che fa uscire il suo popolo dalla schia-
vitù, lo guida nel deserto, lo conduce in luoghi verdeggianti, gli rivela il suo disegno, fa
alleanza con esso. Ricorda pure e principalmente la figura di Cristo Buon Pastore che per-
corre le strade, incontra la gente, guarisce e rivela il Regno, muore in croce e risorge perché
gli uomini abbiano la vita in abbondanza. «Pastorale» riguarda la vita, il cibo, la dignità,
l'orientamento, dal livello più elementare a quello più alto.
La carità pastorale si accende nella contemplazione del mistero di Dio che interviene
nella storia per salvare. Si manifesta nel desiderio di partecipare alla sua opera di salvezza,
di mettersi a sua disposizione per agire in unione con Lui.
Il suo contenuto è il dono totale di sé come disposizione e come fatto. «Non è soltanto
quello che facciamo, ma il dono di noi stessi che mostra l'amore di Cristo per il suo gregge.
La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rappor-
tarci alla gente»47.
Il dono di sé nella carità pastorale ha come destinataria la Chiesa e attraverso di essa
l'umanità. Si esprime in una volontà di servizio senza termine e senza confine «essendo se-
gnato dallo stesso slancio apostolico e missionario di Cristo»48. Il Concilio e i documenti
successivi ne parlano per disteso riferendosi ai presbiteri e ai pastori che hanno a loro carico
il popolo di Dio.
Pastorale è quindi quell'amore che si inserisce nella missione della Chiesa e in essa co-
struisce comunione sempre più larga e profonda. Pastorale è quell'amore che guarda alla
salvezza totale delle persone in Cristo e tutto il resto in funzione di essa. Pastorale è quell'a-
more che si affida alle energie salvatrici instaurate da Cristo Pastore: la parola, la fede, la
grazia, la comunione ecclesiale.
La carità pastorale salesiana ebbe sin dall'inizio una ulteriore determinazione. Si è pla-
smata come carità educativa. Mosso dalla passione apostolica, Don Bosco scelse come
campo proprio i giovani che non sapevano a quale parrocchia appartenevano. Si prese il
compito di esser per loro non solo sacerdote-pastore, ma padre e maestro di vita: orientatore
nella crescita umana, accompagnatore nel lavoro, comunicatore di cultura, animatore del
loro tempo libero. In questo scenario tradusse in gesti quotidiani il suo amore che desiderava
ardentemente la salvezza dei suoi giovani. Ne nacque una fisionomia e una prassi: il sistema
preventivo.
È stata questa l'angolatura scelta da Giovanni Paolo II, quando di Don Bosco afferma
che egli realizza la sua personale santità mediante l'impegno educativo vissuto con zelo e
cuore apostolico. E che è proprio nell'interscambio tra educazione e santità dove si trova
l'aspetto caratteristico della sua figura. Egli è un educatore santo49.
«È questo - afferma don Viganò - il «carisma primo» di Don Bosco. Non ci situiamo qui
al livello delle inclinazioni o preferenze naturali: siamo decisamente al di sopra... Ci tro-
viamo al di là delle frontiere di quanto chiamiamo con una punta di sufficienza “il normale”;
racchiude infatti resistenza in quanto essa ha di più grande, quasi come una brace sotto la
cenere racchiude un germe di fuoco... come l'esperienza della strada di Damasco nell'animo
47 PDV 23.
48 Ibid.
49 IP 5.
- 462 -

47.5 Page 465

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di Paolo (Tillard). È il luogo primo della vocazione di Don Bosco e, quindi, della sua intui-
zione artistica di educatore e della sua originalità spirituale di santo»50.
5. «Da mihi animas»
(ACG 332. 336. 334. 353)
Scrive don Viganò: «La mia convinzione è che non c'è nessuna espressione sintetica che
qualifichi meglio lo spirito salesiano di questa, scelta dallo stesso don Bosco: Da mihi ani-
mas».
I grandi Istituti e le correnti di spiritualità hanno condensato il nocciolo del proprio ca-
risma in una formula brevissima e riassuntiva. Possiamo ricordare il «pace e bene» dei fran-
cescani o l'«ora et labora» dei benedettini, l'«ad maiorem Dei gloriam» dei gesuiti.
I testimoni della prima ora e la riflessione successiva della Congregazione hanno portato
alla convinzione che l'espressione che meglio esprime la carità pastorale dei Salesiani di Don
Bosco è proprio il «da mihi animas». Ricorre spesso sulle labbra di Don Bosco e ha influito
in forma determinante sulla sua fisionomia spirituale. È la massima che colpì Domenico
Savio nell'ufficio di Don Bosco ancor giovane sacerdote (34 anni) e lo mosse a un commento
rimasto famoso: «Ho capito che qui non si fa negozio di danaro, ma di anime»51. Domenico
colse con immediatezza che Don Bosco non gli offriva solo pane, istruzione e casa, ma so-
prattutto un'opportunità di conoscere Gesù e di crescere spiritualmente. La centralità delle
«anime» viene riaffermata dai Rettori Maggiori. La commentano don Rua, don Albera, don
Rinaldi. È stata pure raccolta nella liturgia: «Suscita anche in noi la stessa carità apostolica
che ci spinga a cercare le anime e servire te, unico e sommo bene».
È dunque da approfondire il significato di questa espressione.
L'interpretazione spirituale della Bibbia offre una base da cui estrarre un nucleo valido
di contenuto: è la distinzione tra le «persone» e la «roba», le cose. La presenza di Melchise-
dek e la benedizione che pronuncia su Abramo conferisce al brano un particolare senso reli-
gioso e messianico, tradizionalmente accettato. Ma sarebbe fuorviante voler mantenere o
cancellare il motto-programma di Don Bosco solo in base ad una interpretazione corretta
della Bibbia. La parola di Dio, infatti, si carica di significati nella storia, particolarmente in
quella della santità. E non è questo l'unico caso.
È importante l'interpretazione personale di Don Bosco, entro la visione religioso-cultu-
rale del suo tempo, e il fatto che essa abbia modellato la sua vita e la sua esperienza di Dio.
Entro tale visione «anima» indica la dimensione spirituale dell'uomo, centro della sua libertà
e radice della sua dignità, spazio privilegiato della sua apertura a Dio, dove si fa sentire e
offre lo Spirito.
L'intreccio dei due significati, quello biblico e quello sviluppato da Don Bosco, avvici-
nato alla nostra cultura, suggerisce scelte molto concrete di vita e di azione.
In primo luogo, l'amore, la carità pastorale, prende in considerazione la persona e ad
essa si rivolge prima e soprattutto: ne intuisce il valore, soprattutto alla luce dell'amore di
Dio Padre, dell'opera redentrice di Gesù, della presenza dello Spirito. Le «cose» vengono
dopo, sono di minor pregio, hanno anche nel processo educativo una minore importanza.
Inoltre, la carità che guarda soprattutto alla persona è guidata da una «visione» di essa,
cifrata nella parola «anima». La persona non vive di solo pane; ha, sì, bisogni immediati, ma
anche aspirazioni infinite. Abbisogna di beni materiali, ma soprattutto di senso e di valori
spirituali. Secondo l'espressione di Agostino: «È fatta per Dio, assetata di lui». Le «cose»,
50 ACS 290, p. 16.
51 G. BOSCO, Vita di San Domenico Savio, cap. VIII.
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dunque, sono in funzione di questa vocazione unica, per cui il cuore si apre a Dio e capisce
che Egli è il suo destino.
Perciò la salvezza che la carità pastorale cerca e offre è quella piena e definitiva. Tutto
il resto viene ordinato ad essa: la beneficenza si ordina all'educazione; questa all'iniziazione
religiosa e cristiana; l'iniziazione religiosa alla vita di grazia e alla comunione con Dio.
In altre parole, si può dire che nell'esistenza della persona diamo il primato alla dimen-
sione religiosa. E lo stesso nell'educazione e promozione non per proselitismo, ma perché
siamo convinti che essa costituisce la sorgente più profonda della sua crescita e felicità. Ne
curiamo la profondità, il corretto sviluppo ed espressione. In un tempo di secolarismo e di
religiosità sbandate, questo orientamento non è senza significato né di facile realizzazione.
La massima contiene anche un'indicazione di metodo per l'azione: nella formazione o
rigenerazione della persona bisogna far forza sulle sue risorse spirituali: la sua coscienza
morale, la sua apertura a Dio, il pensiero del suo destino eterno. La pedagogia di Don Bosco
è una pedagogia dell'anima, della grazia, del soprannaturale. Quando si arriva ad attivare
questa energia, comincia il lavoro più proficuo di educazione. L'altro, valido in sé, è prope-
deutico e concomitante a questo, che lo trascende.
Ne consegue una priorità nella vita e nell'azione pastorale, per chi assume il «da mihi
animas», da cui sgorga una ascesi: «Lascia il resto». Si deve rinunciare a molto per dedicarsi
a piene forze a quello che si è scelto di preferenza. Ciò in fatto di gusti personali e anche di
legittimi campi di azione che distrarrebbero tempo e risorse. Si possono affidare ad altri e
anche tralasciare molte attività pur di avere tempo e disponibilità per aprire i giovani a Dio.
«Chi percorre la vita di Don Bosco, seguendo i suoi schemi mentali ed esplorando le
tracce del suo pensiero, trova una matrice: la salvezza nella chiesa cattolica, unica deposita-
ria dei mezzi salvifici. Egli sente come la sfida della gioventù abbandonata, povera, vaga-
bonda svegli in lui l'urgenza educativa di promuovere l'inserimento di questi giovani nel
mondo e nella Chiesa mediante metodi di dolcezza e carità; ma con una tensione che ha la
sua origine nel desiderio della salvezza eterna del giovane52.
Possiamo domandarci che cosa implichi nella vita quotidiana il «da mihi animas». Im-
plica in primo luogo, un «cuore» pastorale: la voglia, lo slancio, il desiderio di lavorare, il
trovare gusto nelle imprese pastorali, l'essere disposto, il donarsi con animo lieto, il sentirsi
attratto da quelli che più hanno bisogno, il considerare proporzionate tutte le fatiche, il su-
perare facilmente piccole frustrazioni, il non disertare, il far fronte a rischi e difficoltà come
fossero cose da poco. Il suo contrailo è l'indifferenza, 1'affrontare i compiti pastorali come
un obbligo da sbrigare il più in fretta possibile.
Ma oltre al «cuore», il «da mihi animas» postula il senso pastorale. Il senso pastorale,
come il senso artistico o quello degli affari, è quasi un fiuto, un movimento spontaneo, un
modo di collocarsi rapidamente in una situazione dalla prospettiva e dalla parte di quello che
ci preoccupa.
Consiste nel saper giudicar le cose dal punto di vista della salvezza della persona, nel
prendere l'ottica pastorale nella lettura degli eventi, nell'avere criteri, chiavi o punti di rife-
rimento validi per pensare e impostare un'attività, in modo tale che le persone crescano uma-
namente e riescano a rendersi consapevoli della presenza di Dio Padre nella loro esistenza.
C'è poi la capacità pastorale: è una preparazione professionale specifica, che il «da mihi
animas» richiede, per cui abbiamo imparato e ci perfezioniamo nel motivare, istruire, ani-
mare, santificare. Ci rendiamo capaci di capire un contesto, di elaborare un progetto che
52 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, Vol. II, Zurich, PAS-Verlag, 1969, p.
13.
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47.7 Page 467

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risponda alle sue urgenze e di realizzarlo, tenendo conto anche dell'elemento invisibile e
imponderabile che c'è sempre nel lavoro per le anime.
Da ultimo bisogna annoverare anche la creatività pastorale, cioè quell'atteggiamento
mentale e pratico che porta a trovare soluzioni originali a problemi e situazioni nuove. Don
Bosco concepì un progetto per i ragazzi della strada, mentre le parrocchie continuavano con
il catechismo «regolare». Subito dopo, quando si accorse che i ragazzi non erano preparati
per il lavoro né protetti in esso, pensò una soluzione «piccola» e «casalinga» che poi crebbe:
i contratti di lavoro, i laboratori, le scuole professionali. E così per altri bisogni, come la
casa, l'istruzione.
Don Ceria indica questo tratto come caratteristico dello spirito salesiano: «Il primo
tratto, quello che più salta agli occhi di tutti è una prodigiosa attività sia individuale che
collettiva»53.
6. «Studia di farti amare»: La pedagogia della bontà
(ACG 290. 326. 310. 332)
Quando si trattò di scegliere un'espressione carismatica da incidere sulla croce del Buon
Pastore, simbolo della professione, cioè del progetto di vita salesiana, don Viganò scelse la
frase di Don Bosco: «Studia di farti amare».
Abbondano nella nostra letteratura espressioni come “amore pedagogico”, la “bontà
eretta a sistema”, la dolcezza di San Francesco di Sales, la “pedagogia del cuore”. Tutto ciò
va ricondotto al sistema preventivo, in particolare a quella costellazione di atteggiamenti e
indicazioni pratiche che si collegano all'amorevolezza. Alla radice c'è sempre la carità che
cerca la salvezza del giovane, manifestata mediante un affetto riconoscibile, temperato dalla
ragionevolezza.
La carità pastorale salesiana si è plasmata «a contatto con i giovani», nello sforzo di
aiutarli a valorizzare la vita, coinvolgendoli nella responsabilità della propria crescita. Ha
dovuto, dunque, instaurare un rapporto educativo non solo di rispetto e disciplina ragione-
vole, ma di amicizia e di fiducia filiale. E ciò specialmente con i ragazzi provati, in situazioni
difficili, dove tale rapporto doveva essere ricreato e reso di nuovo credibile. L'amorevolezza
o bontà è diventata così forma sostanziale della carità di Don Bosco. Essa consiste nel su-
scitare una corrispondenza che ha una ricaduta sulla proposta educativa medesima, e sui
dinamismi di crescita del giovane. Per essa, infatti, la proposta educativa diventa autorevole
e i giovani si sentono invogliati a dare il meglio di sé.
La raccomandazione di Don Bosco «studia di farti amare» ha, dunque, un valore strate-
gico nella pedagogia, ma è pure una precisazione caratterizzante dello spirito salesiano. Dà
un volto originale a tutta la Congregazione che appare arricchita col dono di saper avvicinare
i giovani, parlare sulla loro lunghezza d'onda, invogliarli in una crescita umana, attirarli
verso Dio e la Chiesa.
Se ci si mette ad approfondire questa bontà, si scorge che va oltre il gesto di simpatia.
Presenta un'articolazione estremamente robusta di convinzioni, atteggiamenti e prassi che
impegnano tutta la personalità.
Nell'ordine degli atteggiamenti profondi comporta l'identificazione con la bontà del Pa-
dre «che guida con paterna provvidenza»54 ogni creatura. Si alimenta della contemplazione
di Cristo Buon Pastore che guadagna il cuore con la mitezza e si fa vicino agli umili, agli
53 E. CERIA, Annali della Società Salesiana (dal 1841 al 1921), vol. 1°, Torino, SEI, 1941, cap. CXVII,
p. 722.
54 C 20.
- 465 -

47.8 Page 468

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indigenti, chinandosi sui loro bisogni immediati e accogliendo le loro richieste imperfette
per aprirli a ricchezze superiori. Guarda il comportamento materno di Maria, attenta a soste-
nere e far crescere l'umanità di Cristo affinché la divinità trovi l'adeguata mediazione storica.
Ciò rende «buono» lo sguardo sull'uomo, sulle sue possibilità e realizzazioni. Porta a
scoprire nella cultura e nella storia i semi di bene e spinge a coltivarli con fiducia. Tale
sguardo si posa in forma speciale sulle risorse di ogni giovane. Nessuno è definitivamente
perso. Qualunque sia la sua situazione attuale, ci sono dentro di lui energie che convenien-
temente risvegliate e alimentate possono far scattare la volontà di costruirsi come persona.
Ogni giovane, infatti, porta nel suo interno l'impronta del disegno di salvezza, nel quale c'è
una promessa di vita piena e felice per ciascuno. «In ogni giovane, anche il più disgraziato,
c'è un punto che opportunamente scoperto e stimolato dall'educatore, reagisce con genero-
sità» - affermava Don Bosco.
Ma oltre agli atteggiamenti di fronte alla realtà e alle persone, la bontà suggerisce com-
portamenti nella pratica educativa che secondo una esperienza assodata generano corrispon-
denza. L'ha sviluppato lungamente Don Bosco nella lettera dell'84. Ne ricordiamo tre.
Innanzitutto la capacità di incontro, la prontezza all'accoglienza e la familiarità. Il con-
trario è la separatezza, la distanza, l'incomunicazione, l'assenza. È stato sottolineato che que-
sta era l'arte di don Bosco: fare il primo passo, eliminare le barriere e suscitare il desiderio
di ulteriori incontri.
Tale esercizio della carità educativa ci fa pensare a due fenomeni attuali: la lontananza
fisica di tanti giovani, la distanza psicologica di altri che pur sono vicini e dai quali ci sepa-
rano temi, linguaggio, gusti e appartenenze. E ci dà l'idea della carica mistica e ascetica che
comporta l'entrare in dialogo con loro.
La seconda manifestazione della bontà è dedicarsi con pazienza e cura a costruire un
ambiente ricco di umanità, una famiglia dove ci si sente inseriti e aiutati, e dove si trova lo
spazio per esprimersi, mentre si vanno assimilando con gioia i valori proposti. I Salesiani,
come Don Bosco, si rendono capaci di avvicinare i ragazzi nei luoghi più disparati; ma spen-
dono anche tempo e forze per animare una comunità giovanile, caratterizzata da alcuni tratti,
capace di accogliere quanti vogliono farne parte e offrire loro un'esperienza positiva di con-
vivenza, responsabilità e impegno. È nell'ambiente dove la bontà diventa sistema perché
ispira l'organizzazione, il clima, le regole e i ruoli.
Dall'accoglienza e dalla familiarità nasce l'amicizia profonda tra educatori e giovani.
Essa provoca la confidenza e crea un rapporto educativo personale prolungato, che è poi
quello che giova veramente alla crescita. Ciò è per noi stimolo a riflettere sulla prassi attuale
e a sottoporla a verifica per vedere in quale misura arriviamo alla persona.
L'espressione concreta è l'assistenza. Essa viene intesa come un desiderio di stare con i
giovani e condividere la loro vita. È allo stesso tempo presenza fisica là dove i ragazzi si
trovano, interscambiano e progettano e forza morale con capacità di animazione, stimolo e
risveglio. Assume il doppio aspetto della preventività: proteggere da esperienze negative
precoci e sviluppare le potenzialità della persona attraverso proposte positive. Stimola con
motivazioni ispirate alla ragionevolezza (vita onesta, attraente senso dell'esistenza) e alla
fede, mentre rafforza nei ragazzi la capacità di risposta autonoma al richiamo dei valori.
L'amicizia-assistenza sfocia in un'altra manifestazione singolarissima del rapporto edu-
cativo che nasce dalla bontà: la paternità. Essa è più che l'amicizia. È una responsabilità
affettuosa e autorevole che offre guida e insegnamento vitale ed esige disciplina e impegno.
È amore e autorità.
Si manifesta soprattutto nel saper parlare al cuore, in maniera personalizzata e perso-
nalizzante, perché si attingono le questioni che attualmente occupano la vita e la mente dei
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giovani; saper parlare loro col linguaggio adatto in modo tale da toccare la coscienza e for-
marli in una sapienza con cui affrontare problemi presenti e futuri. In una parola, la paternità
si manifesta nell'insegnare l'arte di vivere secondo il senso cristiano.
7. L'estasi dell'azione
(ACG 332. 338)
È il versante interiore del da mihi animas. Porta a «capire a fondo la sua intensità
orante»55. Definisce il luogo e lo stile della contemplazione salesiana, il momento culminante
della sua unione con Dio.
L'espressione risale a San Francesco di Sales. Egli intende l'estasi come il traguardo a
cui deve arrivare l'orazione mentale: far uscire da sé, anche serenamente, ma in modo che
Dio ci attiri e ci innalzi a sé. E questo chiama estasi in quanto per suo mezzo siamo come
portati al di sopra di noi stessi. Egli enumera tre tipi di estasi: «una riguarda l'intelletto; una
seconda l'affetto; una terza l'azione», «l'estasi della vita e dell'azione» corona le altre due le
quali, senza di essa, rimarrebbero incompiute. «Non c'è stato mai santo che non abbia avuto
l'estasi o il rapimento della vita e dell'azione, superando se stesso e le proprie inclinazioni
naturali»56.
A questo tipo di contemplazione, che fonde la preghiera e l'azione, orientando entrambe
alla missione di salvezza, mediante il compimento della volontà di Dio, si riferiscono so-
vente Don Bosco e i suoi successori con altre espressioni: unione con Dio, senso costante
della sua presenza, vita interiore, attività santificata dalla preghiera.
Ma è stato don Rinaldi a ricuperare e mettere in luce l'espressione di san Francesco di
Sales. Nella strenna alle Figlie di Maria Ausiliatrice per Fanno 1931, sulla vita interiore di
Don Bosco, le esortava a realizzare in sé una sintesi vitale tra l'operosità di Malta e la con-
templazione di Maria. Affermava che si tratta di «una vita interiore semplice, evangelica,
pratica, laboriosa». «Don Bosco - spiegava - ha immedesimato alla massima perfezione la
sua attività esterna, indefessa, assorbente, vastissima, piena di responsabilità, con una vita
interiore che ebbe principio col senso della presenza di Dio... e che un po' per volta diviene
attuale, persistente e viva così da essere perfetta unione con Dio. In tal modo ha realizzato
in sé lo stato più perfetto, che è la contemplazione operante, l'estasi dell'azione, nella quale
si è consumato fino all'ultimo, con serenità estatica, alla salvezza delle anime»57.
Tale sarebbe l'interpretazione salesiana del «contemplativo nell'azione» di origine ge-
suita, riportato nell'art. 12 delle Costituzioni.
Ma spiegati l'origine e il senso della espressione, ci possiamo domandare sulla sua por-
tata pratica. Essa comprende quattro aspetti: un cammino di preghiera, una forma di azione,
una forza unificante di entrambe, il momento tipico della contemplazione.
L'unione con Dio è la vera meta della preghiera.
Questa, oltre al dialogo occasionale, intende radicare in noi l'amore che ci fa sentire e desi-
derare Dio. L'unione con Dio ha molti gradi, incomincia fragile e con carenze, ma cresce a
poco a poco; è ima luce che aumenta come l'alba del giorno58. È una meta, non certamente
del solo sforzo umano, che richiede la risposta sempre più lucida e consapevole a un dono.
55 Cf. ACG 338, p. 14.
56 San Francesco di Sales, Trattato dell'Amor di Dio, I, VII, cap. 7, Milano, Ed. Paoline, 1989, p. 527;
cf. ACG 338, p. 15-16.
57 ACS 6 (aprile 1929) 48, p. 733-734.
58 SAN FRANCESCO DI SALES, Trattato dell'Amor di Dio, I, VII, cap. 6, p. 523-524; ACG 338, p.18.
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47.10 Page 470

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In quanto meta, suppone un cammino. La sola generosità nell'agire non la produce né la
sostituisce. Donde la convinzione che la preghiera salesiana, come tutte le altre forme, «esige
spazi propri e distinti dalle attività lavorative, interamente dedicati al dialogo diretto con
Dio»59, secondo modalità consentanee alla nostra vita, che sono indicate nelle Costituzioni.
È una preghiera semplice, ma assidua e intensa: le sue espressioni sono prese dalla liturgia,
dalla pietà popolare. Non ha tratti spettacolari o fortemente emotivi; e ciò forse delude qual-
cuno; si concentra sull'identificazione con la volontà salvifica di Dio. Tutte le sue espressioni
convergono su un atteggiamento fondamentale: l'ascolto di quella parola di Dio che è Gesù
Cristo, contemplato da noi come Buon Pastore. La sua luce, il suo cuore, il suo mistero
incontrano in noi le invocazioni del mondo, le prove dei giovani, le domande di salvezza. Il
culmine di questo incontro è il «memoriale» di Gesù che ricorda e attualizza il suo amore al
Padre e la sua dedizione per il mondo: l'Eucaristia. Mentre la sua conseguenza è il desiderio
di conversione per configurarsi a Cristo che dà la vita per gli uomini.
L'azione, d'altra parte, non è qualsiasi, sorretta solo dalla generosità o anche dalle buone
intenzioni. Così come la contemplazione, che in essa si innesta, non consiste in un fluire di
pensieri soggettivi di tipo religioso, ma nel cogliere l'azione di Dio nel mondo e nella vita,
aiutati dalle mediazioni storiche. Su questa linea almeno orienta la preghiera evangelica spe-
cialmente il Magnificat. Per il salesiano dunque si tratta di un'azione di natura pastorale
educativa, e comunque nell'area della carità, sotto una molteplicità infinita di forme e desti-
natari.
Ma ciò non basta. L'azione coinvolge tutta la nostra persona, non le è esterna. C'è dunque
una qualità dell'azione che si radica nel cuore stesso di colui che agisce: è l'essere e sentirsi
in Cristo come il tralcio nella vite. Egli è consapevole che la sua azione è partecipazione e
collaborazione a quella misteriosa del Padre, sotto l'ispirazione dello Spirito Santo. Assume
perciò i criteri pratici di Cristo quanto a modalità, finalità, priorità.
Tra lo stile di preghiera e tale tipo di azione si dà una vicendevole compenetrazione, pur
mantenendo ciascuna tempi e forme specifici. Il pregare pervade l'agire. L'azione si intro-
duce nella preghiera come gratitudine, intercessione, desiderio di salvezza, sofferenza. Così
appare nella preghiera sacerdotale di Cristo. A questa vicendevole permeazione ci orienta
l'art. 95 delle Costituzioni: «Immerso nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale,
il salesiano impara a incontrare Dio attraverso quelli a cui è mandato. Scoprendo i frutti dello
Spirito nella vita degli uomini, specialmente dei giovani, rende grazie in ogni cosa; condivi-
dendo i loro problemi e sofferenze, invoca per essi la luce e la forza della Sua presenza».
E il punto unificante di entrambe è proprio l'intensità dell'amore che porta a spendersi
per la salvezza delle persone seguendo le strade indicate dal Padre al seguito di Cristo.
Tutto questo fa sì che il momento tipico della contemplazione, dell'estasi in cui Dio ci
attira a sé con maggior forza sia quello in cui agiamo collaborando con Lui.
Lo esprime il CG 23: «Educare i giovani alla fede è per il salesiano lavoro e preghiera.
Egli è consapevole che impegnandosi per la salvezza della gioventù fa esperienza della pa-
ternità di Dio “che previene ogni creatura, l'accompagna con la sua presenza e la salva do-
nando la vita”. Don Bosco ci ha insegnato a riconoscere la presenza operante di Dio nel
nostro impegno educativo, a sperimentarla come vita e amore»... «Noi crediamo che Dio ci
sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell'incontro con Lui e per disporci a servirlo
in loro, riconoscendone la dignità e educandoli alla pienezza della vita. Il momento educa-
tivo diviene così il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui»60.
59 ACG 338, p. 28.
60 CG23 94-95.
- 468 -

48 Pages 471-480

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48.1 Page 471

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Noi godiamo col giovane che si supera, rendiamo grazie di fronte ai propositi generosi,
rimaniamo ammirati della strada che la grazia percorre in alcuni, soffriamo con coloro che
sono provati. Ogni situazione ci tocca come toccava Gesù: Ebbe compassione..., lo guardò
e gli disse..., stese la mano.
Nell'azione medesima, quindi, irrompiamo in invocazioni concentrate, non sempre for-
mali, alla stregua di Gesù: «In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito e disse: Io ti
rendo grazie, o Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e
sapienti e le hai rivelate ai piccoli»61.
8. La grazia di unità
(ACG 312. 330. 332. 334. 337. 342. 346. 352)
Quello della “grazia di unità” è stato un tema scelto non poche volte da don Viganò
come filo conduttore e punto sintesi nella predicazione di esercizi spirituali62.
Resta una delle chiavi decisive per interpretare e realizzare in maniera armonica e com-
pleta la fisionomia della spiritualità e della vita salesiana. L'espressione è nata nel CGS 20
per risolvere la polarità tra le esigenze della vita religiosa comunitaria e quelle della missione
tradotta in un'azione pastorale aperta e creativa. «Lo Spirito Santo dice il CGS 20 chiama
il salesiano ad un'opzione di esistenza cristiana che è simultaneamente apostolica e religiosa.
Gli dona perciò la grazia di unità per vivere il dinamismo dell'azione apostolica e la pienezza
della vita religiosa in un unico movimento di carità verso Dio e verso il prossimo»63.
Altre tensioni si possono riscontrare nella vita del salesiano, connaturali al suo progetto
di esistenza evangelica: lavoro e contemplazione, professionalità educativa e mentalità pa-
storale, corretta laicità per gli ambiti in cui lavora e sforzo di evangelizzazione, inserimento
nel mondo e ascesi, creatività individuale e progettazione comunitaria, vicinanza ai giovani
e testimonianza di valori, collaborazione nella Chiesa e appartenenza ad una comunità cari-
smatica.
Lo specchio nel quale vedere queste tensioni e la loro armonizzazione, senza indebite
mortificazioni, è Don Bosco. Le Costituzioni64 lo descrivono come profondamente uomo e
simultaneamente uomo di Dio, aperto alle realtà terrestri e ricolmo dei doni dello Spirito,
capace di camminare tra le vicende di questo mondo e vivendo «come se vedesse l'Invisi-
bile». E ci presentano, in un crescendo, l'accordo tra natura e grazia, l'armonia che si andò
creando tra le sue sane tensioni e finalmente la fusione di tutte «in un progetto di vita forte-
mente unitario».
L'unità è una grazia inclusa nella chiamata alla vita salesiana che comporta, come ogni
forma di vita, uno sviluppo unitario. Lo Spirito Santo infonde il desiderio, il gusto e l'energia
per vivere la vocazione salesiana nella sua totalità come una forma di esprimere la filiazione
divina nostra e dei giovani. Ma l'unità è anche il frutto di una risposta del salesiano, delle
comunità e della stessa Congregazione. Richiede attenzione, discernimento, radicalità, revi-
sione, conversione. Si tratta di far convergere tutto sul progetto: intelligenza, rapporti, piani
di azione, tempo, qualifiche, affetti, arginando la dispersione. L'unità non è infatti qualche
cosa di dato o prefabbricato, ma è una realtà umana e spirituale in consapevole e permanente
61 Lc 10, 21.
62 E. VIGANÒ, Interioridad apóstolica. Reflexiones acerca de la gracia de la unidad como fuente de
caridad pastoral. Fortín Mercedes, Ediciones Don Bosco Argentina, 1988.
63 CGS20 127.
64 C 21.
- 469 -

48.2 Page 472

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costruzione verso una maggiore ricchezza della persona, della comunità, del progetto apo-
stolico.
Ripercorriamo i diversi ambiti dove abbiamo già sperimentato questa grazia e ne ve-
diamo emergere continuamente la necessità perché vi appaiono sempre nuove sfide.
La grazia di unità orienta il rinnovamento della nostra Congregazione mediante il ritorno
alle fonti carismatiche oltre la materialità degli avvenimenti storici delle origini. Incoraggia
ad accogliere con pienezza l'autentica tradizione salesiana e a metterla in correlazione con
ciò che il medesimo Spirito viene operando nel cuore dei giovani e suggerendo alla sua
Chiesa. Lo Spirito che ieri si è fatto presente in Don Bosco è il medesimo che parla oggi ai
Salesiani docili e attenti. Chiunque sia chiamato a discernere deve assumere questo criterio
di interpretazione per comprendere ciò che lo Spirito dice oggi ad ogni Istituto religioso.
La grazia di unità presiede nella Chiesa e negli Istituti religiosi alla sintesi dell'elemento
istituzionale con l'elemento profetico. Fa da ponte fra questi due aspetti che non possono
restare contrapposti, né nella vita della Chiesa, né nella vita della Congregazione, né nell'e-
sistenza del singolo salesiano. È infatti il medesimo Spirito che ispira le strutture essenziali
per la vita della Chiesa e le espone, per così dire, all'impatto della profezia per mantenerle
capaci di aprirsi al nuovo e ristrutturarsi dal di dentro come un corpo vivente.
Spaccature, lacerazioni, contrapposizioni distruttive evidenziano mancanza di acco-
glienza di un dono di Dio che va continuamente messo a frutto.
È nello Spirito e con la grazia di unità che si compongono anche le tensioni che possono
sorgere tra carisma e autorità, tra obbedienza e comunione nella Chiesa e nella comunità
religiosa. Tale grazia infatti alimenta in noi la sincera preoccupazione per l'unità ecclesiale;
ci porta a sentire la nostra originalità carismatica e pastorale come un dono per la Chiesa, a
coltivare la comunione coi vescovi e col successore di Pietro, ad ascoltare gli orientamenti
e la vita della Chiesa, ad aprirci dai valori umani all'incontro con ogni esperienza religiosa
ben ispirata, a tentare ogni strada per fare la verità dentro la carità anche a livello di espe-
rienza umana.
Nella vita dei Salesiani singoli e delle comunità, infine, la grazia di unità porta al supe-
ramento positivo, in avanti e dall'alto delle tensioni cui è sottomessa la loro esistenza. Come
ebbe a dire Giovanni Paolo II nel CG 23 «assicura l'inseparabilità vitale tra unione con Dio
e dedizione al prossimo, tra interiorità evangelica e azione apostolica, tra cuore orante e mani
operanti»65.
Per essa non c'è autentico amore di Dio che non si traduca, per intima amorosa necessità,
in generoso amore per l'uomo. Né si dà vero amore per l'uomo che non spinga a levare lo
sguardo verso Dio per chiedere alla sua forza il compimento di ogni cammino e di ogni
desiderio.
Così l'azione include la dimensione contemplativa e questa unisce armoniosamente la
preghiera, l'impegno pastorale e la sofferenza apostolica. «La preghiera, l'azione, la passione
dice don Viganò si riferiscono insieme e vitalmente a due poli: non c'è mai Dio senza
l'uomo; non c'è mai l'uomo senza Dio»66.
Dove tale grazia non opera, il desiderio della preghiera può portare verso intimismi,
separazioni dalla comunità o dal servizio pastorale; la spinta apostolica trascina verso azioni
individualistiche e disorganiche; l'evangelizzazione si limita a gruppi selettivi e a contenuti
rigidamente religiosi; la professionalità educativa porta verso l'inespressività della fede.
65 CG23 332.
66 Discorso conclusivo del Simposio della Famiglia Salesiana su Don Bosco Fondatore, ACG 329,
p. 44.
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Don Bosco osserva don Viganò «contempla sempre Dio, in quanto è il più grande
innamorato dell'uomo»67. E la grazia di unità vuole sottolineare l'unità profonda, che deriva
al cuore e all'azione dell'apostolo dal contemplare Dio innamorato dell'uomo.
9. Educare evangelizzando, evangelizzare educando
(ACG 290. 296. 337. 343)
La grazia di unità intende porre rimedio al rischio di fratture dentro il cuore e la vita del
salesiano, di cui sono segno dicotomie di varia natura. Ma intende anche rispondere ad un
altro pericolo oggi incombente: quello del divorzio tra evangelizzazione ed educazione. Il
tema è importante. L'educazione della gioventù, infatti, non solo non è di fatto vincolata alla
evangelizzazione, ma ne viene da alcuni di proposito separata, perché considerata un settore
culturale con sviluppo autonomo. Di conseguenza c'è anche chi cerca risultati sul fronte
dell'evangelizzazione, ma tende a ridurre questa all'ambito catechistico rivolgendola solo a
gruppi ridotti. Occorre invece promuovere educando, educare evangelizzando, santificare
educando.
Che l'azione salesiana comprendesse i due aspetti, educazione ed evangelizzazione, che
guardasse all'orizzonte umanistico e a quello soprannaturale; che fosse una sintesi di processi
di promozione umana e insieme di approfondimenti della vita cristiana, l'aveva affermato
ripetutamente il CG 2168. Di queste due dimensioni aveva ribadito l'interna reciproca lievi-
tazione fino a costituire un unico progetto con percorsi e traguardi diversi adeguati ai singoli.
Per descrivere tale l'unità lo stesso Capitolo coniò espressioni come «promozione integrale
cristiana», «umanesimo salesiano integrale», «educazione liberatrice cristiana»69. O, ripren-
dendo le formule semplici di Don Bosco, propose di formare il buon cristiano e l'onesto
cittadino mediante la crescita in sanità, sapienza e santità. Sulla medesima linea si è mosso
il CG 23, integrando in un unico itinerario le esperienze umane del giovane e il senso evan-
gelico e facendone uno stile tipico di santità giovanile.
Per riuscire a rendere operativa questa intenzione in ogni contesto e iniziativa si richiede
non solo professionalità e tecnica ma spiritualità. «Di fatto, nella mente di Don Bosco e nella
tradizione salesiana il Sistema preventivo tende sempre di più a identificarsi con lo spirito
salesiano: è insieme pedagogia, pastorale e spiritualità che associa, in un'unica esperienza
dinamica, educatori (come singoli e come comunità) e destinatari, con atteggiamenti e com-
portamenti nettamente caratterizzati»70.
La distinzione, l'interrelazione, la fusione esistenziale delle due dimensioni presenta esi-
genze a diversi livelli.
Un primo livello è quello della mentalità degli educatori. Alla radice della loro visione
educativa devono agire alcuni convincimenti: l'esemplarità di Cristo che nella persona divina
assume e trasforma l'umano, la vocazione di ogni uomo a diventare armoniosamente e uni-
tariamente figlio di Dio e figlio dell'uomo, il bisogno della grazia per realizzare in pienezza
la propria umanità; la rivelazione come svelamento del senso dell'esistenza umana perché
illumina l'origine e il destino dell'uomo e ne sorregge il cammino. E d'altra parte il valore
della esperienza umana, l'invocazione che si nasconde nelle domande giovanili e negli av-
venimenti storici, la valenza teologale dei cammini educativi attraverso i quali passa nor-
malmente la grazia della redenzione che genera l'uomo nuovo.
67 R. GIANNATELLI, Don Bosco: attualità di un magistero pedagogico. Roma, LAS, 1987, p. 12.
68 Cf. CG21 80.
69 Cf. CG21 81.
70 Cf. CG21 96.
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Se da una parte si riconosce esplicitamente il contributo sostanziale che grazia e rivela-
zione danno per la crescita dell'uomo, dall'altra si tiene desta l'attenzione verso la situazione
del destinatario, per imboccare i sentieri della pazienza quotidiana, della gradualità che ac-
cetta di muoversi a misura di ragazzo.
C'è poi un secondo livello: quello dell'esperienza personale dell'educatore. Nella sua
mente si opera per primo la sintesi tra cultura e Vangelo, quando egli sa collocarsi di fronte
a fatti di esistenza e correnti culturali valutandoli conformemente a criteri evangelici per
assumere il positivo, contestare l'ambiguo e correggere il negativo. È nella sua esistenza che
si va facendo l'integrazione tra fede e vita con la valorizzazione di tutto quanto è umano,
nobile e buono e allo stesso tempo con l'apertura alle prospettive insolite di Cristo.
C'è poi il livello della prassi educativo-pastorale, dove i processi di educazione ed evan-
gelizzazione non si giustappongono né si impostano come cammini successivi reciproca-
mente esclusivi. Non si delegano a responsabilità distinte e incomunicanti. Semplicemente
si educa, ma da credenti. Si evangelizza, ma da educatori secondo la situazione dei giovani.
Le due cose le fanno tutti singolarmente e in comunità, perché si tratta di comunicazione di
vita piuttosto che di ruoli o di compiti didattici. Le due dimensioni si congiungono in forma
libera e variabile, perché comprendono la testimonianza degli educatori, i suggerimenti
dell'ambiente, l'ascolto degli interrogativi dei giovani, la disponibilità al dialogo. Così come
sull'altro versante, quello dell'evangelizzazione, senza ordine rigido vengono offerti l'annun-
cio evangelico, la proposta di fede, il cammino catechistico, la vita nella grazia, l'impegno,
la spiritualità.
Da ultimo, c'è il livello dell'organizzazione che a questa unità deve anche ispirarsi assi-
curando l'identità cristiana e il carattere educativo della struttura e dei progetti. Non importa
se tale identità non si può proporre ancora in forma esplicita e totale (come nei paesi in cui
la maggioranza dei giovani professano religioni diverse) o la si esprime solo nei suoi ele-
menti più semplici (come in molte forme di ricupero). Importante è che non sia solo formale
o istituzionale, ma diventi operante e raggiunga il cuore delle persone e illumini le questioni
di vita e di cultura. Solo così infatti il Vangelo diventa profezia, fonte di gioia ed energia.
Nella lettera sul Progetto Educativo Pastorale, don Egidio Viganò, per conservare l'iden-
tità evangelizzatrice delle iniziative educative raccomandava di mantenere chiaro il fine ul-
timo dell'educazione secondo lo stile di Don Bosco. Ogni fine intermedio nella mente del
salesiano viene ordinato al compimento della vocazione del giovane che è la conoscenza e
comunione con Dio. Per questo bisogna orientare positivamente tutto il processo educativo
a Cristo, scavando nel significato delle esperienze umane e portando ad esse la luce del Van-
gelo. Giova perciò attivare la coscienza critica su valori e correnti di pensiero, in un'ora di
pluralismo come è l'attuale.
Simultaneamente, per assicurare lo stile educativo nella nostra opera di evangelizzazione
egli indica la sollecitudine positiva per le aree, iniziative e istituzioni culturali. Esse, anche
se offrono oggi una possibilità di evangelizzazione diversa dal passato, ci mettono sul terreno
fecondo dell'umano che è naturalmente aperto alla parola di Dio. Bisognerà dunque legare
profondamente il Vangelo con la cultura e, possiamo aggiungere, la fede con i problemi della
vita e viceversa. Ed è proprio ciò che postula un senso realista della gradualità e la concre-
tezza delle mediazioni educative, come la comunità, il piano di attività, la testimonianza e la
parola degli educatori.
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10. Immacolata Ausiliatrice
(ACG 289. 309. 322)
Ogni volta che nasce un carisma, come in tutte le iniziative dello Spirito Santo, è inte-
ressata la maternità di Maria. Ma nella nostra esperienza storica ciò appare in forma singo-
lare fino a non poter concepire la formazione della nostra prassi pastorale senza la presenza
di Malia, né il maturare della nostra spiritualità senza la contemplazione della sua figura. La
devozione all'Ausiliatrice risulta un fattore integrante del fenomeno salesiano, entra a far
parte vitale della sua totalità in modo tale che sarebbe assurdo isolare l'uno dall'altro. C'è uno
strettissimo interscambio vitale, un'intima vincolazione, un profondo rapporto sia con la mis-
sione salesiana che con lo spirito del nostro carisma71. Se essa è all'origine dell'itinerario di
Don Bosco come grazia, è pure il punto terminale del suo cammino di crescita, la maturità
del suo vasto progetto apostolico, la sintesi concreta delle varie componenti della spiritualità
e la fonte vitale del suo dinamismo e della sua fecondità72.
Ciò ha le sue ragioni ultime nell'avvenimento di Cristo e nella nostra appartenenza alla
sua comunità, la Chiesa, attraverso la fede. Infatti è dalla vetta pasquale e dalla prospettiva
della risurrezione, quella di Cristo e quella nostra, che noi guardiamo la nostra relazione con
la Vergine Maria, Madre di Dio. A partire dall'annunciazione si è creato un rapporto di ma-
ternità fra Maria e Gesù che non viene meno, ma si trasfigura nel momento in cui Egli as-
sume la sua missione e compie la sua morte. E così la maternità di Maria acquisisce nuovi
significati nel momento redentivo per eccellenza, nella vita della Chiesa e nella sua assun-
zione al cielo. «Credere nella risurrezione, e affermare che Maria è, con il suo Figlio, assunta
in cielo non significa che Essi vivono su un astro lontano, da cui potrebbero raggiungere la
terra con qualche viaggio straordinario da astronauti; significa invece che sono veramente
vivi, presenti ed operanti nel nostro mondo attraverso la nuova realtà pasquale della Risur-
rezione»73.
La rivelazione di questo mistero viene mediata per noi dall'esperienza spirituale di Don
Bosco e dagli avvenimenti che sono all'origine del carisma salesiano. In essi Maria appare
come una presenza emergente percepita e accolta, come ima mediazione materna costante,
fino a venir indicata come la «Maestra» della nostra prassi educativa e della nostra vita spi-
rituale.
La vocazione viene rivelata a Don Bosco mediante l'intervento e la parola di Maria.
Della sua missione Ella gli indica il campo, la finalità, il metodo. Ne diventa l'Ispiratrice.
Così la sua opera giovanile nascerà il giorno dell'Immacolata e crescerà puntellata da coin-
cidenze e avvenimenti di significato mariano che avvengono dentro le mura dell'oratorio e
nello spazio più grande della Chiesa. L'esperienza oratoriana sfocia nella Congregazione
salesiana, Valdocco culmina nel santuario; il riferimento all'Immacolata si arricchisce con
quello di Ausiliatrice. Don Bosco, conoscitore diretto di tutta l'evoluzione, vede il filo che
collega le diverse fasi: «Tutto ha fatto Lei». E anche per il futuro è sicuro che: «La Santa
Vergine continuerà a proteggere la nostra Congregazione e le opere salesiane, se noi confer-
meremo la nostra fiducia in Lei e continueremo a promuovere il suo culto»74.
L'esperienza di Don Bosco porta a fissare lo sguardo sulla persona viva di Maria me-
diante due rappresentazioni o titoli in cui vediamo particolari significati. L'Immacolata parla
della presenza fecondante dello Spirito, della disponibilità al progetto di Dio, della rottura
col peccato e con tutte le forze che lo sostengono, della totalità della consacrazione. Nell'o-
71 Cf. ACS 289, p. 29.
72 Ibid., p. 30.
73 ACS 289, p. 6.
74 Dal Testamento spirituale di Don Bosco; cf. ACG 337; 339.
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ratorio ispirò l'apertura al soprannaturale, la pedagogia della grazia, la delicatezza di co-
scienza, gli aspetti materni dell'accompagnamento educativo. Lasciò il segno nella festa
dell'Immacolata, nella Compagnia dell'Immacolata una specie di prova della Congregazione
salesiana, nel tipo di santità di Domenico Savio, che appare oggi come l'antesignano della
spiritualità giovanile salesiana.
Un'altra costellazione complementare di significati si concentra attorno all'Ausiliatrice.
Essa ricorda la maternità di Maria riguardo a Cristo e alla Chiesa, il sostegno di Maria al
popolo di Dio nelle vicende storiche, la sua collaborazione nell'opera di salvezza e, di con-
seguenza, la sua funzione nell'incarnazione del Vangelo tra i popoli («Stella dell'evangeliz-
zazione»)75, la mediazione della grazia per ogni cristiano e comunità.
Infonde in noi il senso della Chiesa, l'entusiasmo per la missione, l'audacia apostolica
che ebbe la sua manifestazione nella costruzione del Santuario e nelle partenze missionarie,
la capacità di congregare forze per il Regno, evidenziata dal sorgere della Famiglia Sale-
siana.
Entrambe le ottiche, quella dell'Immacolata e quella dell'Ausiliatrice, ci danno come
un'icona della nostra spiritualità, che stimola alla carità pastorale, all'interiorità apostolica.
La missione di Maria, infatti, comincia con un'apertura allo Spirito, muove dalla fede e si
nutre, come appare nel Magnificat, della contemplazione degli avvenimenti della salvezza.
Si esprime e si sviluppa poi in un servizio incondizionato alla crescita di Cristo, della comu-
nità cristiana, del mondo.
È dunque per noi richiamo e stimolo a sviluppare le due dimensioni in stretta unità e
vicendevole comunicazione. Lei infatti unisce la verginità e la maternità; nel suo grembo il
divino si congiunge con l'umano; generando Gesù uomo, viene ad essere genitrice di Dio.
Educare Gesù vorrà dire creare le condizioni umane perché il Verbo abbia piena espressione
temporale e si radichi nell'umanità. Contemplazione e azione vanno in Lei dunque non solo
di pari passo, ma consapevolmente fuse. Il sì al Padre è sempre un sì per la salvezza del
mondo. «La grazia di unità in noi ha un indispensabile aspetto mariano, che illumina l'inte-
riorità apostolica e l'accompagna nella sua crescita. Sarebbe mancanza di obiettività riflettere
sulla nostra consacrazione religiosa, senza fissare l'attenzione nella pienezza interiore e nella
maternità di Maria»76.
Fatti salvifici e vicende carismatiche, dunque, immettono ciascun salesiano in un ambito
dove Maria già è presente come Madre. Come ne esprimiamo la consapevolezza e l'acco-
glienza?
In primo luogo coltivando con Lei una relazione personale, che si fonda nella medita-
zione degli avvenimenti salvifici, della loro luce e significato: l'annunciazione, Cana, il Cal-
vario, la Risurrezione, il cenacolo; si alimenta con l'attenzione alla vita ecclesiale, dove si
sente la sua presenza; si esprime nell'atteggiamento filiale che ispira le diverse pratiche ma-
riane. Dicono al riguardo le nostre Costituzioni: «Nutriamo per Lei una devozione filiale e
forte»77.
Ma la relazione personale si riversa sull'impegno educativo e dà a questo il suo colore
salesiano. Sul versante della proposta educativa porta verso l'attenzione alla vita di fede e di
grazia, alla quale Maria genera ogni giovane; suggerisce di iniziare i giovani ai rapporti filiali
con Dio che si manifestano nella pronta risposta alle sue ispirazioni e nel senso del peccato;
infonde fiducia nella misericordia del Padre e nella forza redentrice di Cristo.
75 Cf. EN 82.
76 Cf. E. VIGANÒ, Interioridad apóstolica, p. 82.
77 C 92.
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Sul versante del metodo, Maria suggerisce l'assistenza piena di comprensione, il soste-
gno alla vita che cresce, la capacità di coltivare i germi, la speranza. La fusione di entrambi
costituisce il sistema preventivo, che è nato e cresciuto alla scuola spirituale di Maria: «Ispi-
rato da Maria, che gli fu Maestra, Don Bosco visse nell'incontro con i giovani del primo
oratorio un'esperienza spirituale ed educativa che chiamò sistema preventivo»78.
Da ultimo c'è il campo della pastorale popolare. Comporta l'attenzione all'esperienza
religiosa, la cura della pietà mariana, l'ascolto delle invocazioni del popolo di Dio, inteso in
senso ampio. Bisogna, in primo luogo, rendersi capaci di percepire le sue ansie e speranze;
suscitare e poi sostenere la fede mediante espressioni incarnate nella sua cultura. Nei contesti
popolari i Salesiani educano la gioventù, si impegnano nell'evangelizzazione, appoggiano la
promozione, collaborano alla cultura. Promuovono dunque la devozione a Maria, attenti a
quattro prospettive: valorizzare il patrimonio di religiosità popolare e i valori umani e cri-
stiani che essa porta; assumere la svolta culturale odierna che suggerisce di illuminare i nuovi
interrogativi sulla persona, sul ruolo della donna, sui fondamenti e la funzione della fede e
altri simili; ispirarsi agli orientamenti del Concilio Vaticano II, che proclama, nel contesto
attuale, il messaggio evangelico su Maria; mettere in atto mediazioni catechistiche, culturali
e celebrative per radicare nel popolo il senso della presenza di Maria.
Ci sono tre raffigurazioni della sintesi che abbiamo esposto. La prima è un fatto storico:
la costruzione della Basilica di Valdocco; la seconda è una rappresentazione pittorica: il
quadro dell'Ausiliatrice all'altar maggiore, i cui motivi sono stati suggeriti dallo stesso Don
Bosco; la terza è la preghiera di affidamento che recitiamo ogni giorno: Immacolata Vergine
Ausiliatrice, Madre della Chiesa.
***
La spiritualità, che risulta da queste energie interagenti, viene concentrata da don Viganò
nell'espressione «cuore oratoriano». Esso è attribuito a Don Bosco, che si dedicò all'educa-
zione dei giovani «con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatica; non diede passo, non pro-
nunciò parola, non mise mano ad impresa alcuna che non avesse di mira la salvezza della
gioventù»79. Evoca la sua esperienza pastorale originale, normativa del carisma, non tanto
nella sua materialità ma nel suo spirito. Ricorda la prassi che ne ebbe origine e ciò che com-
porta nella persona degli educatori.
La stessa espressione viene pure riferita al salesiano singolo di tutti i tempi, in quanto
predilige i giovani come il suo campo di lavoro, si sente da Dio inviato ad essi, è capace di
farsi amare attraverso la bontà, colloca le persone al centro dei suoi progetti, è creativo nel
rispondere ai bisogni e alle domande dei giovani80.
Il cuore oratoriano si manifesta nel desiderio ardente di rivelare Gesù come via, verità e
vita, far gustare la sua grazia, aprire alle vocazioni di impegno, accompagnare verso la san-
tità. Comprende l'entusiasmo interiore per Cristo Pastore, la vibrazione interna per la sua
opera di salvezza, la capacità di unirsi a Dio e vederlo nei giovani.
In una parola, il cuore oratoriano assume i tratti della risposta generosa alla vocazione,
della consacrazione apostolica, dell'interiorità pastorale, del da mihi ananas, del studia di
farti amare, della “grazia di unità”, dell'amore a Malia Ausiliatrice dei cristiani, Madre dei
giovani. Rappresenta l'identità o fisionomia del salesiano colta al vivo e in azione, nel suo
ambiente tipico, nelle sue tensioni e nel suo orientamento fondamentale, nel contenuto ma
78 C 20.
79 C 21; cf. ACG 321, p. 15; ACG 326, p. 6.
80 Cf. ACG 334, p. 34; ACG 352, p. 25.
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anche nella vivacità emotiva. «È la condizione salesiana dalla prima professione all'ultimo
respiro»81.
Cuore, piuttosto che indicare solo la parte, come di solito avviene nelle nostre lingue,
assume il senso totale ed esistenziale che ha nella Bibbia. Il cuore dell'uomo è la fonte stessa
della sua personalità cosciente, intelligente e libera, dove hanno origine, in forma spesso
misteriosa, e maturano le sue scelte decisive, dove si annida la sua bontà o malizia82, risuona
la legge non scritta e si fa sentire l'azione di Dio; dove Maria conservava la Parola e la
meditava83. Perciò si afferma che l'uomo vede le apparenze, ma Dio conosce ciò che si na-
sconde nel cuore; che l'uomo ha bisogno di un cuore nuovo per ascoltare e seguire Dio, e
Dio promette di cambiargli 0 cuore di pietra in un cuore di carne.
Oratoriano comprende il carisma, la vocazione personale e l'esperienza storica salesiana
vissuta con fedeltà dinamica.
A questo nucleo della nostra spiritualità ci riportano gli impegni operativi che abbiamo
assunto e quelli che ci accingiamo a sviluppare nel prossimo futuro. Ce lo ricorda l'Instru-
mentum laboris del Sinodo: «Si auspica - diceva - una ripresa della spiritualità, specie nella
vita apostolica attiva, non solo al fine di rendere più incisiva la sua missione, ma anche per
rendere possibile la stessa vita consacrata in un mondo che sembra diventato impermeabile
all'opera di evangelizzazione e che richiede delle solide personalità spirituali che evangeliz-
zino con il fervore dei santi»84.
Tale è pure il messaggio di don Viganò.
Ve lo affido di nuovo con fiducia e vi saluto nel Signore, chiedendovi una preghiera per
il prossimo CG 24.
81 ACG 334, p. 41.
82 Cf. Lc 6,45.
83 Lc 1,19; 2,51.
84 Cf. SINODO DEI VESCOVI. ASSEMBLEA SPECIALE PER L'AFRICA 1994, Assemblea speciale per l'A-
frica. Instrumentum laboris: la Chiesa in Africa e la sua missione evangelizzatrice verso l'anno 2000.
Bologna: Edizioni Dehoniane, 1993, n. 86.
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48.9 Page 479

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50. «VERSO UNA SINERGIA AMPIA, CONDIVIDENDO MISSIONE, SPIRITO
E PROGETTI A SERVIZIO DEI GIOVANI»
Vecchi, J.E., Rettor Maggiore, «Verso una sinergia ampia, condividendo missione, spirito e progetti a servizio dei giovani».
Conferenza stampa a conclusione del CG 24. Roma, 17 aprile 1996.
1. Il CG 24. - 2. Lo sguardo ai giovani. - 3. Un nuovo soggetto educativo. - 4. Un nucleo dinamizzante. - 5. Un impegno, una
cultura comune, una solidarietà.
1. Il CG 24
La Società salesiana, fondata da San Giovanni Bosco per l'educazione dei giovani,
conta oggi con 89 province in 118 nazioni. Ogni sei anni si raduna in una assemblea straor-
dinaria, composta dai superiori provinciali e da delegati eletti dalle assemblee locali. È una
costituente con poteri per modificare gli Statuti che regolano la vita e della Congregazione
e il funzionamento dei suoi organismi di governo. Inoltre elegge a maggioranza le autorità
della Società per un periodo di sei anni, durante il quale non sono previste crisi di governo.
Questo governo si compone del Rettor Maggiore, di un suo Vicario e un Consiglio di 12
membri. L'assemblea straordinaria traccia poi il programma di massima per il sessennio, che
dovrà essere realizzato in forma decentrata secondo le possibilità e caratteristiche delle di-
verse Regioni. Un federalismo operativo con unita politica e coordinamento istituzionale.
La nostra 24a assemblea mondiale (il suo nome tecnico è Capitolo Generale) finirà
fra tre giorni, dopo due mesi di lavoro. I rappresentanti, con diritto a interventi orali e voto,
erano 209. Hanno partecipato anche, come invitati, dei laici, dato che il programma previsto
per il prossimo sessennio si riferisce principalmente a loro.
Dopo aver ascoltato la relazione iniziale sullo stato della Congregazione, che fa il
punto su forze disponibili, numero e situazione delle opere, urgenze sentite nella presente
condizione della Chiesa e del mondo e opportunità di interventi, ha lavorato per concordare
criteri e linee operative sul coinvolgimento e partecipazione dei laici nella missione iniziata
da Don Bosco. Per questo si è articolata in commissioni e ha avuto un totale di ---- sessioni
plenarie
2. Lo sguardo ai giovani
Al centro dell'attenzione sono stati i giovani: le loro attese, le loro situazioni, i loro
problemi. Corrispondeva alla vocazione e alla tradizione salesiana. È stato questo l'impegno
di Don Bosco a Torino; ed e questa la consegna che i salesiani portano dappertutto.
Il nostro campo giovanile si presenta oggi vasto e diversificato. Comprende oggi gio-
vani dei cinque continenti, inseriti in contesti socio politici e culturali diversi. Essi sono
come una finestra aperta sul mondo; una radiografia, nella quale si vedono gli aspetti positivi
e le carenze della società.
Dappertutto la condizione dei giovani presenta delle pressanti sfide educative, che
richiedono fiducia nelle loro risorse e nella fecondità dello sforzo educativo, ma anche ca-
pacita di intervento.
Il primo di questi fenomeni e la povertà estrema. La carenza delle condizioni econo-
miche minime compromettono definitivamente la dignità della persona e lo sviluppo delle
loro energie. Si tratta di un danno irreparabile per le persone e per la società. La presenza e
l'aiuto ai ragazzi e giovani e li più urgente che mai. Noi ci orientiamo di preferenza verso i
paesi cosiddetti poveri. Gli ultimi 15 anni hanno rappresentato uno sforzo per triplicare le
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48.10 Page 480

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presenze in Africa, per arrivare a paesi asiatici che escono da situazioni difficili come la
Cambogia. In America Latina, l'opera, già fondata nel secolo scorso, si muove verso le aree
di povertà.
Ma anche nelle società cosiddette sviluppate crescono l'emarginazione e i problemi
giovanili. Alla radice c'è la solitudine, per l'indebolimento dei rapporti familiari, il declino
di una certa solidarietà sociale, l'incertezza del futuro, la labilità dei valori e convinzioni
collettive, la inadeguatezza delle istituzioni e programmi educativi tradizionali.
Lo troviamo diffuso e presenta molti volti. Danno pero fiducia la disponibilità di tanti
giovani a coinvolgersi in iniziative di bene e la risposta favorevole della grande maggioranza
a gesti di interessamento e amicizia. Essi dunque vengono ad essere per noi non solo desti-
natari di servizi, ma anche collaboratori.
L'aiuto molteplice nelle forme converge su un criterio: incontro, vicinanza, compa-
gnia, sostegno per progettare la vita, ragioni per sperare e lottare, amicizia e ambienti che
aiutano i singoli a emergere dai condizionamenti e a mettere a frutto le proprie energie.
3. Un nuovo soggetto educativo
La situazione dei giovani non può essere affrontata soltanto negli ambienti educativi
tradizionali. C'è oggi un collegamento stretto tra problemi giovanili, ambiente sociale, spa-
zio della comunicazione e politiche di ogni tipo, ma specialmente quelle che riguardano la
prevenzione, la famiglia, lo sviluppo delle risorse umane, l'occupazione, l'educazione nelle
sue diverse forme.
Ci vuole oggi un nuovo soggetto educativo: Più numeroso, più consapevole, più cor-
responsabile, più articolato, meglio collegato per ciò che riguarda finalità e intenti.
Individuarlo e proporlo e stato il lavoro del nostro CG 24. Questo soggetto sono le
comunità educative aperte a famiglie, collaboratori vari e territorio; ad essi si collega una
rete di rapporti quasi sommersa nel sociale con possibilità di azione a più vasto raggio, che
e il Movimento salesiano come aggregazione anche plurireligiosa e plurideologica sincera-
mente e disinteressatamente preoccupata dei giovani: un'unica realtà che associa, nello
stesso sforzo, religiosi consacrati, uomini e donne, persone che vivono la spiritualità sale-
siana in diversi stati e altre che simpatizzano con Don Bosco e con il lavoro di educazione
dei giovani.
4. Un nucleo dinamizzante
All'interno di questo movimento la grande novità la costituiscono il ruolo e lo spazio
dei laici. Coloro che vivono l'esperienza cristiana nelle realtà del mondo, cercando di lievi-
tarle col senso etico e con lo spirito del Vangelo. Sono già numerosi nelle iniziative salesiane
e danno un contributo notevole di competenza e generosità. Vivono come dal di dentro i
fenomeni positivi e negativi della società. I problemi che incidono sulla famiglia e sulla
gioventù toccano la loro pelle e la loro coscienza in ogni momento.
Ci sono tra di essi molte possibilità da scoprire, molte capacità da sviluppare, molte
disponibilità da mettere a frutto. L'esperienza già fatta è per noi non solo positiva, ma rive-
latrice. La Chiesa poi spinge su questo fronte soprattutto con due degli ultimi Sinodi. Molti
possono venir ancora coinvolti, e con quelli che si coinvolgono ci sono aree e progetti da
gestire con maggiore corresponsabilità.
Ciò ha portato a pensare a un motore, indicato con una parola chiave: nucleo anima-
tore. Non è un ruolo ufficiale. Ma un entusiasmo e una qualifica che si mette a servizio della
crescita e operatività di tutti: una locomotiva. Diffusione dell'idea, stimolo alla collabora-
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zione, comunicazione con i mezzi e nelle forme più moderne, proposte di formazione e in-
tervento sono necessari per far convergere tutte le grandi capacità e le briciole di buona
volontà. Tale e il compito del nucleo animatore.
In esso ci sono certamente i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i membri della
Famiglia Salesiana, ma entrano tutti coloro che sono disposti a "smuovere", a svegliare, a
creare mentalità e cultura educativa.
5. Un impegno, una cultura comune, una solidarietà
Alla crescita e al ricupero dei giovani servono iniziative e istituzioni. Con esse si pensa
di continuare soprattutto nei campi della preparazione al lavoro, nell'oratorio con le sue mol-
teplici possibilità e negli interventi diversificati nell'area del disagio. Ma non di meno, serve
una cultura che ricuperi la responsabilità degli adulti riguardo alla comunicazione di valori
alle nuove generazioni. E che individui e metta in atto gli atteggiamenti e le modalità che
rendono possibile il dialogo coi giovani.
Il Movimento salesiano si ispira ad una prassi accumulata in 150 anni e ormai appro-
fondita soprattutto ad opera della nostra Facoltà di Scienze dell'Educazione: è quella che
Don Bosco chiamò Sistema preventivo. Si ispira a una grande fiducia nelle risorse del gio-
vane e nella forza della presenza di Dio in lui. Lo accoglie personalmente attraverso l'a-
scolto, l'aiuto e l'amicizia. Ma lo inserisce anche in un ambiente ampio, fatto di rapporti e di
attività. Così stimola soprattutto la crescita della ragionevolezza, della capacita di agire, del
cuore e della coscienza. E intende essere propositiva, aiutando a distinguere e assumere va-
lori e a progettare la vita, partendo dal punto in cui i ragazzi si trovano. Tra le proposte,
quella della fede e al centro, considerata la più feconda e ispirante.
Il programma di questi anni è dunque verso una sinergia ampia, condividendo mis-
sione, spirito e progetti a servizio dei giovani.
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51. L'INVOCAZIONE DI EDUCAZIONE NELLA SOCIETÀ ATTUALE
Vecchi, J.E. L'invocazione di educazione nella società attuale in NPG 5 (1996), p. 7-20.
1. Una fiducia condivisa. - 2. Ripartire dagli ultimi. - 3. Una nuova educazione. - 4. Complessità e libertà. - 5. Soggettività e
verità. - 6. I buoni cristiani. - 7. Testimoni e mediatori della verità. - 8. Monitoraggio educativo nella vita pubblica. - 9. Scom-
mettere sulla verità della persona.
È difficile ascoltare oggi un discorso su qualsiasi problema dell'uomo o della società
che non finisca indicando l'educazione come via definitiva di soluzione. La nostra epoca si
caratterizza per la fiducia nell'educazione e perciò per uno sforzo per estenderla a tutti. Cerca
di adeguarla costantemente alle sfide che sorgono nel campo del lavoro, delle conoscenze e
dell'organizzazione sociale. L'affida sempre di più a istituzioni specializzate, la centra sem-
pre di più sulla comunicazione culturale, l'informazione scientifica e la preparazione profes-
sionale. La responsabilità su di essa appare sempre più distribuita, condivisa tra famiglia,
società e Stato.
1. Una fiducia condivisa
Nel decorrere del tempo sono aumentate le agenzie educative ed è possibile ancora
moltiplicarle, grazie alla diversificazione della domanda e al principio di libera iniziativa
che si va affermando in ogni ambito.
La ricerca pedagogica va qualificando programmi, strutture e metodologie. Così l'edu-
cazione è diventata fenomeno sociale, diritto riconosciuto e aspirazione di ogni persona. Le
questioni che la riguardano sono diventate problemi di tutti. Interessano i ceti dirigenti e
imprenditoriali, il cittadino comune, l'opinione pubblica. In sostanza è un riconoscimento
del valore unico della persona e della sua centralità nell'evolvere delle culture, della vita
sociale e degli stessi processi di produzione.
Da parte della Chiesa la preoccupazione non è stata minore né gli orientamenti meno
abbondanti. Il suo intervento appare determinante in molti contesti quanto all'estensione e
alla qualità umana dell'educazione. L'interno rapporto che c'è tra evangelizzazione ed edu-
cazione la porta ad assumere quest'ultima non come un impegno opzionale ma come il cuore
stesso della sua missione: si sente e vuole essere educatrice dell'uomo.
La Chiesa invita e aiuta a discernere il bene, ad aderire alla verità e a crescere nella
libertà in ogni sua attività: nell'annuncio, nella liturgia, nel servizio, nella testimonianza. Ma
anima pure un vasto impegno di educazione intenzionale, cioè di accompagnamento siste-
matico delle nuove generazioni per una loro integrale crescita umana e cristiana.
L'espressione più cospicua di tale impegno sono i santi che hanno fatto del compito
educativo la manifestazione della loro scelta preferenziale di Dio, l'esercizio quotidiano
dell'amore all'uomo e la via della propria santificazione. E dietro di loro gli istituti e i movi-
menti ecclesiali per i quali l'educazione costituisce una missione e uno stile. Essi intendono
così rispondere alle aspirazioni profonde delle persone, particolarmente le più povere, inse-
rirsi nell'attuale movimento storico e assumere l'invito per una nuova evangelizzazione.
2. Ripartire dagli ultimi
Abbiamo però l'impressione che, per quanto riguarda l'educazione, ci sia una distanza
tra aspirazioni e possibilità, tra dichiarazioni e adempimenti, tra intenzioni e realizzazioni,
tra diritto riconosciuto e diritto garantito.
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Ciò si avverte di più in alcuni contesti.
La prima invocazione da raccogliere è dunque quella che si solleva dove mancano i
servizi minimi, le condizioni indispensabili.
Alle soglie del terzo millennio il deserto educativo, come quello geografico, non si
riduce ma si estende. Il nostro sguardo va al mondo diventato un villaggio per la comunica-
zione a tempo reale e per l'interdipendenza tra persone fisicamente lontane. Ad essa richia-
mano gli ultimi documenti ecclesiali: «Gli impegni prioritari sono quelli che riguardano la
gente tuttora priva dell'essenziale»1.
Il villaggio globale per i cristiani non è soltanto uno spazio dove vendere o fare turismo,
ma indica le nuove dimensioni della solidarietà umana.
Le possibilità di educazione si riducono drammaticamente in assoluto e rispetto all'au-
mento della popolazione, in vaste aree del mondo.
I conflitti interni, il crollo dei servizi, una amministrazione dissestata e vorace, il de-
grado sociale e politico causano un sottosviluppo progressivo, la cui prima vittima è la gio-
ventù.
Ma le possibilità di educazione si contraggono anche, riguardo alle domande, nelle so-
cietà avanzate, a più velocità. In esse il numero degli esclusi aumenta.
Lo producono l'immigrazione ma anche l'impoverimento di alcuni ceti, la crisi della
famiglia, il venir meno della solidarietà sociale che penalizza coloro che partono sfavoriti o
non reggono il passo, la mancanza di offerte educative che corrispondano alla situazione dei
diversi soggetti.
L'insufficienza si manifesta nella dispersione scolastica, la mancanza di sostegno fami-
liare, le molteplici forme di devianza, la disoccupazione giovanile, la manovalanza precoce
della criminalità.
Da queste realtà si solleva l'invocazione più forte.
C'è bisogno di condividere i beni fondamentali dell'educazione, di ridistribuire atten-
zione, tempo e risorse a beneficio di coloro che oggi ne sono carenti in ogni singola società
e nel contesto mondiale.
Altrimenti capiterà ciò che avviene col cibo. Dopo esserci preoccupati di produrre il
massimo, paghiamo perché venga distrutto.
Se il mondo è la dimensione in cui si devono pensare oggi i problemi perché è l'unica
che consente una soluzione reale, questa prospettiva diventa privilegiata.
3. Una nuova educazione
Ma possiamo immaginare uno scenario in cui la maggior parte delle persone, volen-
dolo, ha accesso ad un'educazione sufficiente. Il problema «sociale» dunque con tutti i suoi
elementi strumenti giuridici, strutture, stanziamenti, servizi, meccanismi distributivi è
per ipotesi risolto o tenuto sotto attenzione.
L'invocazione riguarda una nuova qualità. Infatti il moderno entusiasmo per l'educa-
zione, pur rappresentando globalmente un fatto positivo, non è senza ambiguità riguardo ad
impostazioni di fondo e orientamenti pratici.
Il progresso delle conoscenze, le nuove tecnologie, l'attuale assetto sociale portano
spesso a riferire la nuova qualità dell'educazione ad una aggiornata preparazione professio-
nale e alla possibilità di un inserimento nel sistema socioeconomico.
1 CEI, La Chiesa e le prospettive del Paese, 1982, n. 4: Evangelizzazione e testimonianza della carità.
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Senza negare il valore di tali aspetti convenientemente integrati, la qualità ci porta a
pensare una realtà più totale: come formare e attrezzare la persona perché emerga dai con-
dizionamenti tipici del nostro tempo e della nostra cultura e riesca a informare con le sue
ricchezze i processi storici di cui siamo attoniti testimoni e a volte partecipi incerti.
Educare si è detto è aiutare ciascuno a diventare pienamente persona attraverso
l'emergenza della coscienza, lo sviluppo dell'intelligenza, la comprensione del proprio de-
stino. Attorno a questo nodo si raccolgono i problemi e si scontrano le diverse concezioni
dell'educazione.
Si avverte oggi una specie di scompenso tra libertà e senso etico, tra potere e coscienza,
tra progresso tecnologico e progresso sociale. È stato sovente indicato con altre espressioni:
la corsa all'avere e la disattenzione verso l'essere, il desiderio di possedere e la incapacità di
condividere, il consumare senza riuscire a valorizzare.
Sono polarità piene di energie, se la persona riesce a comporle. Sono distruttive, se si
cambia la gerarchia e soprattutto se quella principale viene negata o appiattita. Fattori strut-
turali, correnti culturali, forme di vita sociale possono spingere fortemente in una direzione.
L'educazione richiederà sempre un atteggiamento positivo di discernimento, proposta e pro-
fezia.
4. Complessità e libertà
Molti hanno l'impressione che viviamo in un mondo estremamente confuso per quanto
riguarda ciò che è bene e ciò che è male. I sociologi parlano di complessità, una situazione
sociale e culturale dove sono molti i messaggi, molti i linguaggi con cui tali messaggi ven-
gono comunicati, molte le concezioni di vita che vi stanno alla base, molte, diverse e auto-
nome le agenzie che se ne fanno promotrici, innumerevoli e incompatibili gli interessi che
le spingono. E non c'è un'autorità visibile capace di proporre autorevolmente e far accettare
una visione comune del mondo e della vita umana, un sistema di norme morali, una visione
dell'esistenza, un «listino» di valori comuni.
Sembra questa una situazione esterna alla persona. Invece causa o almeno provoca in
essa sensazioni insolite in parte di liberazione in parte di disorientamento; porta ad una mo-
dalità di rapporti che diventano più numerosi e meno stabili. Modifica il senso delle appar-
tenenze e adesioni, anch'esse plurali e relative. Influisce finalmente sulla struttura della per-
sona e sul suo modo di collocarsi di fronte a se stessa e al mondo.
La società e la cultura complessa sono contraddistinte dalla presenza di componenti
diverse (etniche, religiose, culturali), dalla differenza di opinioni su concezioni globali di
vita e su qualsiasi questione particolare, dalla molteplicità e sovente dalla separazione di
ambiti in cui ciascuno svolge la vita e partecipa al lavoro. È potenzialmente pluralista quanto
al numero di individui che la compongono. Ammette tutte le differenze senza colpevoliz-
zarle. È dunque la società e la cultura della tolleranza, dei diritti civili, dell'opinabilità di
tutto, delle biografie aperte, degli impegni temporanei, delle identità deboli, dei progetti mo-
dificabili.
Dove può, distribuisce beni e servizi, organizza la vita pubblica, detta norme per la
convivenza civile. Le scelte etiche e di senso le consegna al singolo, il quale seleziona, rie-
labora, assume, trascura o anche combina quanto gli viene offerto, secondo le proprie prefe-
renze o possibilità.
In queste condizioni i processi educativi possono essere difficili. Gli adulti non si sen-
tono in possesso di un patrimonio culturale sicuro. Inoltre il tempo per consegnarlo è poco e
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le interferenze sono innumerevoli. Perciò quello che riescono a comunicare sembra sottopo-
sto a rapida usura. Il pacco di proposte educative non sempre attira né viene capito nel suo
insieme. La capacità propositiva tentenna.
La conseguenza più vistosa per tutti, ma specialmente per le generazioni giovani, è il
travaglio di orientarsi nella molteplicità di stimoli, problemi, visioni, proposte. Appaiono
confuse le varie dimensioni della vita e non è facile cogliere il loro diverso valore.
La debolezza della comunicazione culturale da parte della famiglia, della scuola, della
società, dell'istituzione religiosa provoca difficoltà nel progettare la propria vita. Ciò si ma-
nifesta nella resa di fronte a conflitti e frustrazioni, nella fatica a prendere e mantenere deci-
sioni a lungo termine, nel rinvio delle scelte di vita, nel non riuscire a riconoscersi nei mo-
delli di identificazione che la società offre.
È la lotta per la propria identità: quel dinamismo che va integrando e organizzando
intorno a un centro di unità interiore le diverse esperienze della persona: la percezione di sé,
le immagini che giungono dall'ambiente, gli stati emozionali, i sistemi di significato, il pro-
getto di vita. Se funziona, la persona diviene capace di affrontare e assimilare in forma po-
sitiva esperienze diverse senza perdersi né irrigidirsi. In caso contrario si dà la frammenta-
zione interiore, l'incapacità di scelta.
Il problema educativo dell'identità non è nuovo. In tutte le epoche i giovani hanno do-
vuto affrontarlo per rendersi consapevoli del proprio essere e collocarsi in forma positiva nel
sistema sociale.
Il nuovo è la situazione nella quale la si plasma oggi. Si combinano infatti tre fattori
che presentano simultaneamente vantaggi e difficoltà. Da una parte ci sono offerte più ab-
bondanti e maggiore libertà. Sembra come se si dicesse al giovane: scegli e fai da te. È una
promessa di autonomia e una garanzia di autorealizzazione, ma in solitudine. Il deficit oggi
non è di libertà ma di sostegno e accompagnamento.
Presto però la persona si scontra con i propri limiti e contro le barriere che le oppone la
società postindustriale: la concorrenza e la selezione in ogni ambito, il mercato del lavoro,
la mancanza di alternative alla sua portata.
Ciò dà origine a un sentimento di precarietà che rende i giovani vulnerabili alla mani-
polazione, che nella nostra società agisce attraverso diversi canali. I processi di persuasione,
orientati alla acquisizione di prodotti, determinano non poche delle loro preferenze non solo
di prodotti ma di modelli: il tipo d'uomo e di donna, l'immagine della bellezza e della felicità,
la scala di valori, le forme di comportamento e collocazione sociale.
5. Soggettività e verità
In questa opinabilità di tutto, le scelte lasciate alla persona sono sempre più numerose
e più importanti.
Incalzata da messaggi e proposte contrastanti, si trova a dover decidere a proprio rischio
su realtà che finora sembravano sacre e intangibili e perciò protette da convincimenti collet-
tivi e normative sociali: la vita nascente che può manipolare o eliminare, la propria morte
sulla quale può decidere, l'espressione della sessualità e la forma della propria famiglia, i
messaggi e le immagini che egli può immettere sulle autostrade dell'internet.
Insieme ad altri poi, con il sistema economico che appoggerà, contribuirà a decidere il
destino di gruppi sociali e interi popoli, il loro sviluppo o miseria.
L'offuscarsi della prospettiva trascendente e lo scarso riferimento a fondamenti di verità
spingono a prendere le proprie preferenze come legittimi parametri di scelta.
La vita civile appare slegata da rigidità ideologiche.
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Così anche le coscienze si sentono autonome nell'elaborare il proprio senso di vita. La
ragione si piega di fronte ai dati e spiegazioni scientifiche, mentre le questioni che riguar-
dano l'esistenza si consegnano alle preferenze del soggetto che sovente le risolve conforme-
mente a convenienze immediate, a tendenze personali non vagliate.
La privatizzazione o elaborazione soggettiva appare di più nell'etica. Ne abbiamo avuto
il riflesso in due importanti encicliche degli ultimi tempi: «Lo splendore della verità» e «Il
Vangelo della vita».
È importante cogliere la loro portata perché la formazione della coscienza è il cuore
dell'educazione. In questa infatti si cerca di sviluppare le molteplici dimensioni della per-
sona, ma tutte sotto la prospettiva e il punto unificante dell'agire cosciente libero e retto.
La mancanza di riferimento alla verità si percepisce nelle regole che guidano l'attività
economica e sociale. Sovente esse si ispirano a fenomeni del proprio ambito, al consenso tra
le parti più forti. Non sempre rispondono al bene comune o ai fini dell'economia o della
società. Ma appare più evidente lì dove la persona pensa che gli atti le appartengano esclu-
sivamente e che la loro rilevanza pubblica sia trascurabile, per cui non vengono regolati
nemmeno dal consenso sociale. L'esempio più alla mano, ma non l'unico, è quello della ses-
sualità. In quest'ambito sono caduti i controlli sociali e a volte anche quelli familiari. C'è
tolleranza pubblica e diritto a scelte diverse. Anzi, stampa, letteratura, spettacoli spesso esal-
tano le trasgressioni e presentano le deviazioni come conseguenza di condizioni diverse.
Qualsiasi dimensione etica, anche soltanto umanistica, viene trascurata, quando non ignorata
persino in programmi ufficiali ampiamente diffusi. Ci si preoccupa solo di vivere la sessua-
lità in modo appagante e sicuro da rischi per la salute fisica o psichica. La si stacca dai
componenti che le danno senso e dignità.
L'emergere della soggettività è una delle chiavi per interpretare la cultura attuale. È
legata al riconoscimento della singolarità di ogni persona e del valore della sua esperienza e
interiorità. Viene rivendicata da quei gruppi che per molto tempo si sentirono «oggetto» di
leggi, imposizioni di identità o convenzioni sociali che impedivano loro l'espressione. Ma
lasciata al proprio dinamismo, senza riferimento alla verità, alla società e alla storia, la sog-
gettività non riesce a realizzarsi.
La qualità dell'educazione si giocherà nel colmare lo scompenso che appare tra possi-
bilità di scelte e formazione della coscienza, tra verità e persona. Bisogna orientare a com-
prendere la portata storica delle proprie opzioni, a equilibrare la soggettività selvaggia, a
cogliere la consistenza obiettiva delle realtà e valori.
6. Profitto individuale e solidarietà
La complessità e la soggettivizzazione influiscono su una giusta composizione tra la
ricerca del proprio profitto e l'apertura agli altri.
L'opera di educazione deve fare i conti con i grandi sistemi con cui interagisce. Qual-
cuno ha raffigurato il rapporto educazione-società con l'immagine del camion-rimorchio. La
forza di trazione risiede nell'educazione. La società la segue e verrà da essa trasformata. Altri
ribaltano l'immagine definendo l'educazione come un sottosistema a servizio, e dunque va-
riabile dipendente, di un macrosistema socioeconomico. Quest'ultimo è il motore, l'educa-
zione va a rimorchio.
L'immagine non è adeguata. Nessuna delle due prospettive è totalmente vera. L'educa-
zione è adeguamento ma anche anticipazione; dev'essere assimilazione di quello che esiste,
ma anche critica e semina di futuro. Usufruisce dei vantaggi dei grandi sistemi, ne subisce i
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condizionamenti, cerca di creare elementi di trasformazione. In una certa visione dell'edu-
cazione c'è un'espressione carica di significati e compiti: «Formare il buon cittadino». Ac-
cenna a un soggetto capace di legalità, di partecipazione, di professionalità e anche portatore
di un progetto sociale profondamente solidale. Forse oggi tutto questo suona lontano.
Ci fu una stagione in cui si pensava possibile organizzare una società libera e giusta,
che attraverso le sue leggi e strutture provvedesse condizioni di benessere per tutti. Molti
giovani si appassionavano alla trasformazione della società e alla liberazione dei popoli. La
preparazione all'impegno politico era parte della formazione umana e della pratica della fede;
costituiva quasi un segno di responsabilità matura e di generoso idealismo. Poi venne l'in-
verno delle utopie, la caduta delle ideologie e con essa dei progetti collettivi, il problema
morale, la contrapposizione tra le istituzioni. Il confronto politico divenne rissoso. La poli-
tica ogni tanto diventò spettacolo e non sempre esemplare.
Quindi il crollo della sua quotazione e la disaffezione documentata dalla scarsa parte-
cipazione. Si sciolse una certa visione pratica del bene comune e non ne subentrò nessun'altra
che fosse organica e sperimentata, ma soltanto si offrirono «briciole» di reciproca buona
volontà sociale.
Noi oggi stiamo vivendo l'era del «mercato», come mentalità e come inquadratura del
sociale. Non pochi, detrattori alcuni e sostenitori altri, formulano un'alternativa: solidarietà
o mercato. Non è possibile una realizzazione simultanea di entrambi. Si riferiscono a quella
forma di solidarietà vasta e organizzata che si attua attraverso le istituzioni sociali e che
costituisce come la cornice di tutto l'ordito delle solidarietà parziali. La si considerava uno
dei compiti nobili dello stato in ordine al bene comune in quanto creava un collegamento
obbligatorio tra i gruppi sociali per soddisfare i bisogni fondamentali di tutti. Lo sviluppo di
una società si misurava dalla quantità, efficienza ed estensione di tali servizi. Nel convinci-
mento della legittimità e nella partecipazione in tale tessuto maturavano le generazioni.
Oggi molte delle sue realizzazioni sono entrate in conflitto con la logica del mercato
oltre a scontare la propria inefficienza, gli sprechi, il peso burocratico e l'illegalità diffusa.
Troviamo la solidarietà in due versioni.
L'una molto ricca di manifestazioni e iniziative: è quella del «privato sociale» che com-
prende tutte le forme di volontariato, le aggregazioni pro-sociale, le cooperative. Sono di
libera partecipazione, lasciate alla generosità e al tempo libero dei singoli. Il reticolo di
gruppi e persone che, nelle istituzioni o fuori di esse, si dedica a sollevare la sofferenza degli
altri e a promuovere la giustizia è fitto ed esteso. Vengono stimolate anche dagli scenari
mondiali che evidenziano l'interdipendenza tra i popoli e tra le situazioni in cui essi vivono:
la guerra degli uni con la «pace» degli altri; la miseria estrema con l'accumulo della ric-
chezza.
L'altra, la solidarietà istituzionale, è in fase di ridimensionamento, riformulazione, pri-
vatizzazione e in parte di liquidazione. Stiamo assistendo ad una gestazione nel sociale il cui
risultato dipende dalle tendenze che prevarranno.
Per il momento va guadagnando terreno una concezione individualista del sociale. La
società viene considerata una somma di individui, ognuno dei quali è portato a cercare il suo
interesse personale, l'appagamento dei suoi bisogni, potenzialmente illimitati.
In questo contesto si pone il dibattuto problema del consumismo. Non va demonizzato,
ma nemmeno trascurato, perché ci circonda, ci coinvolge e finisce per plasmarci. Prima che
un fatto quantitativo è una mentalità che fa dipendere il valore e la realizzazione della per-
sona dal possesso di beni economici superflui e costosi.
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In questa tensione incessante verso la soddisfazione di bisogni artificiali si diventa sordi
ai bisogni più fondamentali e autentici2. Gli ideali di giustizia sociale e di solidarietà fini-
scono per diventare formule vuote, considerate impraticabili. Non è dunque infondata la
conclusione di molti che vedono in esso l'ostacolo principale, morale, culturale e legale per-
ché maturi una mentalità solidale in adulti e giovani, a livello nazionale e internazionale.
6. I buoni cristiani
Complessità, soggettività e concezione individuale della persona influiscono sulla ma-
turazione della fede dei giovani, che è sostanzialmente apertura, comunione e accoglienza
della realtà della vita e della storia. Impressionano oggi due fenomeni.
C'è una religiosità diffusa che prende le strade più diverse. Risponde alla ricerca di
senso in una società che non lo provvede, alla percezione vaga di un'altra dimensione dell'e-
sistenza che rimane inespressa. Insieme ad essa però si nota carenza di fondamenti e moti-
vazioni obiettive e dunque una rottura tra esperienza religiosa, concezione di vita e scelte
etiche.
Anche le verità religiose vengono ridotte ad opinioni. La mediazione della Chiesa di-
venta problematica e molto di più quella dei suoi singoli ministri o rappresentanti. Se ne
usufruisce in forma selettiva. C'è una minoranza che approfondisce, gusta e matura l'espe-
rienza cristiana e la esprime nella fede, nel senso ecclesiale e nell'impegno sociale. C'è un
grande numero che, dopo aver sentito l'annuncio, si va allontanando senza rimpianto. L'età
della formazione religiosa si è allungata, e non sempre conta su proposte che la ricoprano
interamente.
L'educazione alla fede tradizionalmente includeva «verità da credere», «pratiche da os-
servare», come l'assistere alla messa, la confessione, il battesimo dei bambini, il matrimonio
in chiesa; e impegni «morali» derivanti dalla legge naturale e dal vangelo. L'interiorizza-
zione di tutto ciò veniva favorito dalla famiglia e dagli ambienti educativi. La sua interpre-
tazione autentica era garantita dalla riconosciuta autorità del magistero ecclesiale.
L'accoglimento di questo universo oggi dipende più da un incontro gratificante e utile
con mediatori della fede che da qualsiasi tipo di autorità. Si è spostato dall'orbita degli ob-
blighi a quello delle preferenze che riguardano la vita, il senso e la felicità. Ci si sente molto
più autonomi in fatto di religione, anche senza atteggiarsi a liberi pensatori o atei.
Le verità religiose sono difficilmente dimostrabili secondo la mentalità scientifica; il
loro sistema completo non lo si apprende né lo si interiorizza facilmente. Passano fugace-
mente di fronte alla nostra attenzione, a causa del flusso continuo di altri messaggi che ri-
guardano aspetti più pressanti e immediati della vita. Si capiscono poco i doveri che l'autorità
religiosa proclama riguardo al culto e alla preghiera.
Convincono invece le esperienze felici, i testimoni, le opere di bene. E dietro di essi si
corre secondo le proprie possibilità, senza sentirne «il dovere». Le emozioni, le immagini e
lo spettacolo vi giocano la loro parte. Proprio per questa libertà, pubblicamente riconosciuta
e personalmente difesa, si moltiplicano le offerte religiose: sono numerose, varie, e a scelta
del consumatore.
La nuova religiosità è sulla cresta dell'onda. E non riguarda solo le religioni esotiche,
ma anche la tradizione cristiana.
Oggi parecchi fanno il loro cocktail con le «verità» che sono riusciti a capire e sembra
ragionevole, utile o bello accettare.
Tutto ciò tinge la fede di forte soggettivismo.
2 Cf. G. GATTI, Solidarietà o mercato?, Torino, SEI, 1995.
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Slegata dalla concretezza degli avvenimenti storici della salvezza diventa estrema-
mente fragile, una specie di bene di consumo, di cui ciascuno fa l'uso che gli aggrada. La si
giustappone così agli altri aspetti della vita e del pensiero che si vanno plasmando autono-
mamente. Il rischio della separazione tra la vita e la fede, tra questa e la cultura è la condi-
zione in cui ci troviamo tutti, in cui crescono oggi i giovani. E ciò anche in un'epoca in cui
la Chiesa dà forti segni di vitalità comunitaria, di impegno sociale, di spinta missionaria.
7. Testimoni e mediatori della verità
Quali risposte possono essere date a queste invocazioni? Quali energie attivare?
Oggi le figure di educatori si moltiplicano. Sono svariate quelle professionali. Ci sono
poi gli educatori informali, né delegati né professionisti. Così come ci sono curricoli dichia-
rati e altri nascosti. Al centro del processo educativo sta sempre di più, come giudice, il
soggetto che sceglie ed elabora a volontà le cose che gli vengono proposte o che egli scopre
da se stesso. Meno che mai oggi si può delegare l'educazione a qualcuno, pensando che abbia
la possibilità di controllarne il percorso. Educatori veniamo nominati segretamente dai gio-
vani quando ci danno ingresso alla loro intelligenza e al loro cuore, quando vogliono sentire
da noi una parola o cogliere un gesto che considerano valido riguardo al senso della loro
vita. La responsabilità può ricadere su ciascuno e in qualsiasi momento.
L'incidenza degli educatori delegati al compito e di quelli scelti dal soggetto dipendono
da tre fattori: la credibilità dell'offerta in rapporto alla situazione che vive il giovane, l'auto-
revolezza del testimone, la capacità di comunicazione. C'è dunque una scommessa per l'a-
dulto: esprimere un orientamento e una proposta senza rifuggire la complessità e l'esigenza
della soggettività e senza lasciarsi omogeneizzare.
Ciò comporta apertura al positivo, ancoraggio saldo ai punti da cui la vita umana prende
il suo significato, capacità di discernimento.
C'è un grappolo di valori ai quali le generazioni nuove sono particolarmente sensibili
perché rappresentano i bisogni del nostro tempo: la pace, la giustizia, la mondialità, l'inter-
dipendenza, il senso, la qualità dei rapporti, la vita. Ci sono valori ereditati che oggi sono
sottomessi a reinterpretazione proprio in forza del nuovo spazio dato alla persona riguardo
a istituzioni, organizzazioni enormi. Tutti vanno ricondotti alla loro radice se non si vuole
che i primi siano soltanto «hobby di gioventù», i secondi un'abitudine senza significato e i
terzi un punto di conflitto e disintelligenza insuperabile. L'adulto può contare sulla sua espe-
rienza, sulla sua cultura. Con entrambe però deve fare interagire il Vangelo ascoltato e il
mistero di Cristo rimeditato. Solo in essi troverà il fondamento sicuro e gli elementi di cri-
tica.
L'invito alla nuova evangelizzazione è una sollecitazione ad evangelizzare noi stessi in
dialogo con nuove realtà culturali e sociali. La parola e la mediazione della Chiesa è una
garanzia che la direzione che prendiamo corrisponde alla genuina mentalità evangelica. Fa
al caso nostro il richiamo alla ragione e alla religione come due fonti da cui l'educatore ma-
turo attinge una valutazione equilibrata degli avvenimenti e delle sfide. Ma come mettere i
giovani a contatto con la fonte della cultura e della fede in un ambiente saturo di messaggi,
dove le stesse parole rimandano a significati diversi? Un elemento ha suscitato interrogativi
e ha preso rilevanza nell'educazione in quest'ultimo tempo: la possibilità di comunicare e di
comunicarsi in forma intellegibile tra generazioni, gruppi, persone singole. È forse il cruccio
degli adulti che tentano di trasmettere qualche cosa. E infatti non appare facile.
Nella giungla comunicativa gli interlocutori sono molti e sovente anonimi, la loro parte
nel dialogo non è totalmente definita, i temi sono innumerevoli, le impostazioni impreviste,
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49.10 Page 490

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i canali molteplici. Ci siamo abituati allo zapping, allo spot, all'informazione in pillole,
all'annuncio luminoso, alle sigle, al karaoke, ai meta-messaggi. Si introduce qualsiasi tema,
tutto è sfiorato, nulla approfondito, e meno ancora definito. C'è una certa disaffezione ai
concetti e si è attratti dall'immagine emotiva; si resta indifferenti di fronte al ragionamento
logico e si intuisce il significato dei gesti e dei simboli; ci si stanca di fronte a una sintesi
completa e ci si intrattiene volentieri sul frammento interessante. Si cede al consenso e all'o-
pinione comune ma si resiste all'imposizione. In un tale contesto più simile a una piazza che
a un'aula la comunicazione educativa privilegia alcuni canali.
Il primo è quello della condivisione degli interessi e delle ricerche al posto delle solu-
zioni in scatola, pure ortodosse; del dialogo a tutto campo al posto delle informazioni limi-
tate; della trasparenza o spiegazioni reali al posto delle mezze verità. Nel loro sforzo di for-
marsi una visione del mondo i giovani ascoltano, reagiscono, provano, interiorizzano, speri-
mentano. Si sentono come in un mercato dove possono vedere il prezzo e la qualità delle
proposte e prendere quelle che vanno loro bene. La testimonianza e la parola, capaci di far
folgorare luce e speranza, troveranno udienza.
L'educatore del futuro sarà quello che saprà orientare, fra la molteplicità di messaggi e
visioni, verso una scelta di valori e criteri atti a sostenere una crescita continua. Ma proprio
l'educazione ai valori punta sul coinvolgimento attivo del soggetto piuttosto che sulla sola
docile accettazione. Le esigenze vanno presentate con coraggio. È da scartare il solo ade-
guamento a domande immediate che priva il soggetto di orizzonti e finisce col fissarlo in
una posizione narcisistica.
La responsabilità è invece la principale energia per lo sviluppo della persona. Questa
deve interiorizzare le proposte educative attraverso l'esperienza e la riflessione ed elaborare
così le proprie conclusioni. Soltanto se si diventa soggetto e non solo oggetto dell'azione
educativa le proposte entrano nella coscienza e diventano patrimonio valido per la vita.
Ma c'è un altro elemento chiave nei modelli di comunicazione: gli ambienti. Oggi ven-
gono valorizzati i cosiddetti «luoghi vitali», accanto alle tradizionali istituzioni educative.
Queste influiscono attraverso le strutture, i programmi, i ruoli, le norme. Ma appaiono in-
sufficienti per soddisfare le domande di senso e di rapporto che i giovani esprimono. I luoghi
vitali invece danno spazio alla spontaneità rivolta al positivo, alla condivisione libera, all'a-
micizia, all'accettazione vicendevole, all'utopia, al linguaggio simbolico, ai progetti. È da
augurarsi che così diventino le famiglie, le comunità cristiane, i gruppi di impegno, i luoghi
di ritrovo giovanile.
Don Bosco, per intuizione piuttosto che per conoscenze teoriche, diede origine a un
sistema comunicativo totale: l'oratorio, intriso di spontaneità e libera espressione, in cui c'e-
rano ruoli riconosciuti e rapporti informali, si alternavano programmi proposti a tutti e portati
avanti con regolarità e spazi di creatività personale e di gruppo. L'oratorio continua ad essere
una proposta, la «formula» che da più parti si cerca di applicare in qualsiasi situazione o
struttura educativa.
8. Monitoraggio educativo nella vita pubblica
L'educazione non è stata ieri, non è oggi e non sarà domani un'operazione che si compie
sotto una campana di vetro. È certamente un servizio settoriale, affidato a persone e istitu-
zioni specializzate. Ma i risultati saranno scarsi se non diventa una attenzione globale, una
specie di dimensione permanente della vita sociale.
Un tempo vigeva una divisione abbastanza netta tra la sua funzione, che consisteva nel
preparare le persone, il compito culturale a cui veniva demandata l'elaborazione del sistema
di valori, norme e simboli su cui si regge una società e la responsabilità sociopolitica a cui
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50.1 Page 491

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si attribuiva l'esercizio del potere in ordine al bene comune. Oggi l'onnipresenza della co-
municazione non consente separazioni. Questi ambiti si compenetrano e a volte si invadono
a vicenda.
Chi è veramente preoccupato della dimensione educativa cerca di influire attraverso gli
strumenti politici perché essa sia presa in considerazione in tutti gli ambiti: dall'urbanizza-
zione e dal turismo fino allo sport e al sistema radiotelevisivo, realtà in cui sovente si privi-
legiano i criteri di mercato.
C'è l'aspetto specifico delle politiche educative e giovanili. Bisogna risvegliarne l'inte-
resse e fare delle battaglie perché non vengano rimandate all'ultimo posto le soluzioni ad
alcune urgenze, come un'ampia prevenzione primaria, la qualità di un sistema educativo in-
tegrato, una conveniente diversificazione di possibilità educative conforme ai bisogni dei
soggetti, la parità economica, il ricupero di coloro che hanno sofferto incidenti nel percorso
educativo.
Lo stile di vita sociale e di prassi politica costituisce poi in se stesso una grande scuola
quotidiana da cui adulti e giovani traggono silenziosamente lezioni pratiche. È quasi inutile,
si dice, che le istituzioni educative cerchino di proporre la legalità se nella vita pubblica altri
criteri vengono vissuti con coscienza tranquilla, perché questi finiscono per modellare i no-
stri convincimenti e comportamenti. È difficile inculcare il senso della giustizia se nell'am-
ministrazione pubblica domina la collusione e il compromesso. Risulta arduo insegnare il
rispetto alla persona se nel dibattito politico prevale la sfiducia vicendevole, l'inganno e la
rissosità. Educazione, convivenza sociale e prassi politica formano un'unità per cui chi vorrà
fare un salto di qualità in una di esse dovrà necessariamente dedicare energie per conferire
dignità alle altre.
Alla radice dell'educazione, della convivenza sociale e della prassi politica c'è la cul-
tura. Essa provvede motivazioni e comunica significati che vanno penetrando silenziosa-
mente nelle coscienze e codificando comportamenti. È a mezza via e canale di congiunzione
tra la verità, le strutture e il sentimento soggettivo: comprende infatti le rappresentazioni, le
idee, i valori, le intenzioni e aspirazioni di fondo che sostanziano l'esistenza umana.
Oggi è diventato comune parlare di cultura con riferimento a una realtà particolare:
cultura della pace, dell'ambiente, della solidarietà, della tolleranza. Si indica così lo sforzo
che l'uomo compie per dare un nuovo sviluppo e fondamento ad una costellazione di valori
e inserirla in forma più stabile e influente nella vita della società. L'accento sulla cultura in
tal caso è pertinente. Mostra che per radicare un valore non bastano le iniziative, anche se
abbondanti, né le persone generose e ben ispirate. Bisogna aggiungere il maturare di una
mentalità comune. La cultura infatti riguarda non solo intenzioni e proposti privati, ma l'im-
piego sistematico e razionale delle energie di cui la comunità dispone. A volte c'è una frattura
tra i gesti dei singoli e la mentalità collettiva, tra le iniziative personali e le espressioni so-
ciali, tra la prassi e i suoi fondamenti, per cui una sembra essere l'aspirazione della persona
e altra la realtà quotidiana che è obbligata a subire.
La presenza educativa nel sociale comprende tutte queste realtà: la sensibilità educa-
tiva, le politiche educative, la qualità educativa del vivere sociale, la cultura.
9. Scommettere sulla verità della persona
Nel perlustrare le invocazioni di educazione abbiamo riportato spesso parole che ri-
chiamano la consistenza della persona: identità, senso, soggettività, orientamento, capacità
di scelta, responsabilità.
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L'educazione ha un obiettivo e un sogno: aiutare ciascuno a esprimere la totalità o al-
meno il meglio di se stesso. Non si propone di realizzare modelli astratti concepiti in labo-
ratorio, ma assistere individui concreti e situati a vivere dignitosamente la loro vita. Convoca
attorno ad essi competenze e risorse. Gli fa prendere coscienza del mondo, della storia, della
comunità per sviluppare le proprie e altrui potenzialità. Non pretende che dall'oggi al domani
cambino le società e i suoi dinamismi. Si sforza invece di preparare personalità che sappiano
vivere in essa contribuendo al bene comune con la propria originalità.
La persona è l'investimento più sicuro per il futuro. Gli strumenti cambieranno, le co-
noscenze evolveranno, le forme sociali si struttureranno. La persona resterà a gestire la com-
plessità delle conoscenze, dei rapporti, dei problemi, delle tensioni. Si tratta di abilitarla ad
essere soggetto non oggetto in qualsiasi situazione, di corredarla per leggere correttamente
la realtà, di rafforzare la sua capacità di decisioni personali e motivate. Ciò risponde a due
sfide. Prepara la persona ad assumerne il positivo e a misurarsi con successo con i condizio-
namenti descritti. Assicura anche un fattore chiave di trasformazione umana e sociale. Que-
sta infatti richiede sistemi aggiornati di conoscenze e di lavoro, capacità di organizzazione e
ricerca. Ma soprattutto esige una nuova visione della realtà in cui il senso dell'uomo prevalga
sulle cose, la dimensione spirituale informi quella materiale, la coscienza orienti la vita.
Si tratta allora di svelare e aiutare a vivere consapevolmente la vocazione di uomo, la
verità della persona. E proprio in questo svelamento è dove i credenti possono dare il loro
contributo più pregiato. Essi infatti sanno che l'essere e i rapporti della persona vengono
definiti dalla sua condizione di creatura, che non indica inferiorità o dipendenza, ma amore
gratuito e creativo da parte di Dio.
L'uomo deve la propria esistenza a un dono. È situato in una relazione con Dio da ri-
cambiare. La sua vita non trova senso al di fuori di questo rapporto. L'oltre che percepisce e
desidera vagamente è l'Assoluto, non un assoluto estraneo e astratto, ma la sorgente della
sua vita che lo chiama a sé.
In Cristo la verità della persona, che la ragione coglie vagamente, trova la sua illumi-
nazione totale. Egli, con le sue parole ma soprattutto in forza della sua esistenza umano-
divina, in cui si manifesta la coscienza di Figlio di Dio, apre la persona alla piena compren-
sione di sé e del proprio destino. In Lui siamo costituiti figli e chiamati a vivere come tali
nella storia. È un accadimento-dono, di cui l'uomo deve penetrare progressivamente il senso.
La vocazione a figli di Dio non è una aggiunta di lusso, un completamento estrinseco
per la realizzazione dell'uomo. È invece il suo puro e semplice compimento, l'indispensabile
condizione di autenticità e pienezza, il soddisfacimento delle esigenze più radicali, quelle di
cui è sostanziata la sua stessa struttura creaturale. «L'uomo è persona, ma insieme chiamato
a diventarlo a tutti gli effetti, sviluppando ciò che è iscritto nella sua natura. In altri termini,
egli è chiamato a costruire la propria personalità mediante un processo storico che lo conduce
all'assunzione di quello che gli è stato originariamente donato»3.
Chi educa genitore, amico o animatore mantiene viva la consapevolezza che egli è
testimone e accompagnatore in questo svelamento delle possibilità della vita che collega la
coscienza con la sua fonte e col suo fine; che sviluppa la vita, ma soprattutto prepara un
interlocutore e un abitacolo di Dio.
C'è un dialogo misterioso tra ciascun giovane e quello che gli giunge dall'esterno,
quello che sorge dentro di sé, quello che scopre come imperativo, grazia o senso. Un po' alla
volta va acquistando piena coscienza di sé, va elaborando un'immagine dell'esistenza nella
quale scommette le sue forze e gioca le sue possibilità. Gli educatori, professionisti e non,
3 G. PIANA, Uomo in Dizionario di Pastorale Giovanile, Leumann (To), LDC, 1992, p. 1278.
- 490 -

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sono chiamati ad offrire tutto quello che credono opportuno, vivendo con speranza le inco-
gnite del futuro. Si interessano sinceramente dell'umano incerto che cresce. In esso infatti
Dio verrà accolto e anche in forza della crescita si manifesterà con sempre maggior lumino-
sità. Se le cose vanno per il verso migliore, avranno contribuito a mantenere nella storia la
«stirpe di Dio» (coloro che si sentono in rapporto filiale con Lui) e avranno creato luoghi
vivi della sua presenza.
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52. NUOVA REALTÀ DEL DISAGIO GIOVANILE
Vecchi, J.E., Nuova realtà del disagio giovanile. Intervento. Ortona, [s.e.], 7 marzo 1998.
1. Un fenomeno in aumento. - 2. Una lettura adeguata della realtà. - 3. Un contributo dei credenti.
1. Un fenomeno in aumento
Ieri (6 marzo 1998) i giornali hanno dato pubblicità al rapporto CNEL. La diffusione
della povertà passa dal 6,3% nel 1993 al 7,5% ne 1997. La novità risiede nel crescere di una
nuova categoria di poveri non legata alla disoccupazione, ma al fenomeno del lavoro a bassa
rimunerazione che tocca il 15% del totale dei lavoratori. È un esempio delle situazione che
crescono a nostra insaputa.
I contesti dove lavoriamo si vanno modificando sotto i nostri occhi. I fattori economici,
sociali e culturali stanno determinando una nuova configurazione delle società.
Lo scenario è segnato da un fenomeno: la povertà. Non è solo la condizione di alcuni,
è il dramma della società, un dramma spirituale prima ancora che materiale se si pensa alle
possibilità di produzione di beni e allo spreco di risorse.
Le immagini di tale povertà entrano, di tanto in tanto, nelle nostre case attraverso la
televisione, suscitando sentimenti di compassione e sollevando interrogativi salutari.
La prima constatazione è che le «povertà» gravi esistono non come sacche marginali o
insignificanti, in fase di soluzione, ma come un fenomeno dilagante. Colpisce oggi una quan-
tità di soggetti deboli e lo farà domani con tutti quelli che partono sfavoriti o che non ven-
gono sufficientemente attrezzati per sopravvivere in una società complessa e concorrenziale.
Ciò viene rilevato da rigorose ricerche sulla realtà sociale odierna e sulle prospettive di un
prossimo futuro. Ma per arrivare alla medesima conclusione bastano pure uno sguardo at-
tento sulle nostre città e quartieri e l'informazione quotidiana.
Ma c'è un secondo dato da considerare. La povertà appare oggi sotto forme molteplici,
più numerose che nel passato. A ragione si parla di povertà al plurale, classificandole in
vecchie e nuove.
Si evidenzia così che alcune sono sorte e si sono estese di recente. Sono infatti legate
alle attuali condizioni di vita: appaiono dunque meno conosciute nelle loro cause e più espo-
ste a giudizi moralistici e facili colpevolizzazioni.
Alla carenza dei mezzi economici indispensabili per la vita, che da sempre viene rite-
nuta la principale forma di indigenza, si aggiungono oggi altre manifestazioni in cui questo
fattore non è principale o generante: le deficienze in ambito familiare, il fallimento scola-
stico, la disoccupazione, le dipendenze varie, la delinquenza, la vita sulla strada. Non vanno
inoltre sottovalutate la mancanza di ragioni per vivere, l'assenza di prospettive umane e spi-
rituali, che sfocia in fenomeni conosciuti di compensazione e di evasione.
Nelle società più avanzate e complesse si contano tra i poveri anche coloro che riman-
gono al margine delle crescenti esigenze di preparazione culturale e tecnica o che si trovano
nell'impossibilità di soddisfare bisogni molto sentiti: l'identità, un normale inserimento so-
ciale, la comunicazione personale significativa, il tempo libero, il bisogno di formazione, la
partecipazione in progetti di largo respiro.
Questa molteplicità di forme rende la povertà un fatto potenzialmente universale. An-
che le società opulente e tecnologicamente progredite le covano e sviluppano nel loro seno,
non solo a causa dell'immigrazione, ma anche come risultato residuo del loro stesso sistema.
Esiste un'interrelazione fra le forme di povertà e la mentalità individuale e sociale. Il mondo
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è diventato interdipendente nel bene e nel male. Da un sistema economico e di produzione
che ha molti pregi, ma non certamente quello di mettere al centro la persona né di pensare al
benessere minimo indispensabile per tutti, dipende l'attuale disoccupazione, l'impoveri-
mento di molti e la conseguente riduzione delle possibilità educative. Da una forma di con-
cepire la famiglia, il rapporto di coppia, vengono fenomeni sempre più diffusi di instabilità
e alterazioni psichiche nei giovani e senso di abbandono e solitudine.
Ci sono quantità di esempi, alla portata di mano, che confermano tale interdipendenza.
Il prolungarsi di situazioni limite si deve senza dubbio alla mancanza di solidarietà sociale,
al ritardo nel concepire piani possibili di sviluppo con risorse che certamente esistono e si
sprecano.
A parere di tutti gli osservatori e secondo quanto confermano le statistiche, le povertà
non sono in diminuzione, ma in aumento soprattutto nelle zone depresse.
Lo rilevava la Centesimus Annus: «... nel mondo nonostante il progresso tecnico-eco-
nomico, la povertà minaccia di assumere forme gigantesche. Nei paesi occidentali c'è la po-
vertà multiforme dei gruppi emarginati, degli anziani e malati, delle vittime del consumismo
e più ancora quella dei tanti profughi e immigrati; nei paesi in via di sviluppo si profilano
all'orizzonte crisi drammatiche, se non si prenderanno in tempo misure coordinate»1.
Tutte le forme di miseria bloccano e possono arrivare a distruggere le riserve educative
della persona. A noi colpiscono in forma particolare quelle che compromettono le possibilità
di crescita dei giovani, pur riconoscendo che non sono e non si possono trattare come feno-
meni isolati e autonomi.
Le povertà giovanili, in cui giornalmente ci imbattiamo, hanno come causa l'indigenza
economica, le carenze educative e culturali, la precarietà familiare, lo sfruttamento ignobile
da parte di terzi, la discriminazione etnica, l'impiego abusivo come mano d'opera, l'impre-
parazione al lavoro, le dipendenze varie, la chiusura di orizzonti che soffoca la vita, la de-
vianza, la solitudine affettiva.
Quello che impressiona di più è la diffusione di un disagio di fondo che serpeggia tra
un certo numero di giovani e va spingendo a forme di marginalità e rinuncia alla crescita. Il
rischio incombe su tutti, a tal punto che la povertà viene additata come una delle principali
sfide, pervasiva, alla crescita umana e all'educazione dei giovani alla fede. «L'impossibilità
o la grande difficoltà pratica di realizzarsi come persone, hanno scritto i salesiani in un do-
cumento, non potendo usufruire delle condizioni minime per uno sviluppo adeguato, pon-
gono domande serie»2. «Osservando questa condizione sociale di povertà e constatando
come essa distrugga tanti giovani, il cui orizzonte di vita si limita alla ricerca dell'immediato
per sopravvivere o ad un ideale svuotato di senso, ci sentiamo sfidati a fare più consistente
e qualificata la presenza tra i poveri»3.
2. Una lettura adeguata della realtà
L'estensione della povertà ha radici profonde e moderne. Alle povertà di ieri corrispon-
dono le radici del passato. Le forme, le dimensioni, l'origine della povertà che noi vediamo
hanno cause odierne.
Ci sono certamente quelle personali. Appartengono a colui che soffre il disagio e l'e-
marginazione e a coloro che sono più strettamente legati alla sua vita e alla sua crescita.
1 CA 57.
2 CG23 78.
3 CG23 80.
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Persino nei contesti agiati le condizioni favorevoli di sviluppo vengono vanificate
quando le disposizioni personali sono carenti. Viceversa, rafforzate le risorse che ci sono
nelle persone, queste riescono ad aprirsi un varco in ambienti fortemente condizionanti e a
produrre in essi trasformazioni significative nell'ordine dei rapporti, della socialità e della
condivisione.
Puntare sulle persone e sulla loro motivazione è dunque un'indicazione sempre valida.
Abbiamo trovato giovani ricchi di umanità e di speranza, di solidarietà e capacità di lavoro
in contesti molto poveri; e viceversa giovani «abbandonati» in contesti provvisti di tutti i
mezzi di sviluppo. La carenza è nella visione della vita, nella mancanza di rapporto signifi-
cativo, nella perdita della volontà di costruirsi, nello smarrimento del senso della vita, nella
assenza di un progetto valido di vita.
È vero però che lo sviluppo personale viene favorito o reso difficile, fino a rasentare
l'impossibilità concreta, da cause culturali cioè legate alla mentalità che predomina nell'am-
biente e che determina comportamenti, valutazioni, modalità di vita e di rapporti.
Negli ultimi tempi si è dunque insistito sull'urgenza di lavorare per una cultura che
riconosca la dignità di ogni persona, rafforzi la solidarietà in tutti gli ambiti e in tutte le
forme, assicuri il bene e il diritto dell'educazione per tutti, non ceda mentalmente a pregiudizi
o valutazioni sommarie di comodo e non cada nella trappola dell'individualismo e del con-
sumismo. Si è insistito nel riproporre ai giovani spazi di solidarietà e realizzazione, nel su-
perare il libertarismo e il semplice desiderio di trasgressione per dare vita a iniziative sociali
e spazi di elaborazione di valori.
Solo così si può rifare il tessuto sociale e renderlo più umano.
Ma alle cause radicate nelle singole persone e nella mentalità comune bisogna aggiun-
gere, e forse anteporre per il loro peso, quelle strutturali.
Esse agiscono simultaneamente su molte persone in ambiti estesi e con meccanismi
molto potenti. Hanno dunque una capacità senza pari di imporre una situazione, modi di
pensiero e stili di vita, rigenerando o prolungando l'emarginazione ad essi collegata. Feno-
meni come quello della fame, della miseria, dello sfruttamento della mano d'opera, della
devastazione delle risorse naturali sono sufficienti per darne un'idea.
È evidente che la disoccupazione non solo produce, ma giustifica la marginalità. Con
le espressioni di Darendorf: «Certe persone (per terribile che sia anche solo metterlo per
iscritto) semplicemente non servono; l'economia può crescere senza il loro contributo; da
qualunque lato si consideri, per il resto della società esse non sono un beneficio, ma un co-
sto»4. Le conseguenze di questo fatto sull'etica personale e sul senso del lavoro sono decisa-
mente negative.
La riflessione ci deve servire non tanto per fermarci a sole denunce, ma per impostare
correttamente, anche nel piccolo, un'azione adeguata di promozione. Non si aiuta infatti a
crescere persone e gruppi se non si fa prendere coscienza del mondo in cui viviamo.
Da alcuni anni si va ripetendo che ci troviamo di fronte a un fenomeno di impoveri-
mento piuttosto che di semplice povertà. Non si tratta di una tappa transitoria, un incidente
di percorso, conseguenza del passato; ma del risultato di attuali strutture economiche, sociali
e politiche, pur riconoscendo che altre cause influiscono sull'estendersi della povertà.5
4 R. DAHRENDORF, Quadrare il cerchio ieri e oggi: Benessere economico, coesione sociale e libertà
politica, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 36.
5 Cf. Puebla 30.
- 494 -

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Questo scenario si è logorato ancora con la prevalenza di un modello economico. La
logica che si va imponendo attraverso di esso è che la produzione di beni si muove all'insegna
del profitto e non va regolata da esigenze di un giusto sviluppo sociale che includa tutti.
Tra i suoi effetti più gravi vi sono l'allentamento e persino la decomposizione della
solidarietà sociale, la considerazione della persona solo come individuo capace di possesso,
produzione e acquisto.
Viene meno quell'elemento di coagulo che si era sviluppato nella fase precedente
dell'industrializzazione: quel sistema di previdenze e servizi adeguato a ridistribuire i beni
necessari a soddisfare le domande fondamentali di ogni persona. E ciò fino allo sparire di
alcuni soggetti sociali. Gli espulsi del mondo del lavoro e quelli che non sono riusciti ad
entrare (in prevalenza giovani anche altamente qualificati), come pure coloro che vivono
nell'area dei lavori marginali e precari, non costituiscono una classe sociale nel senso storico
della parola, un aggregato omogeneo sotto il profilo dell'attività lavorativa e degli interessi
sociali; anzi, essa prende sempre più le distanze dalla vita pubblica, come dimostra il calo
progressivo della partecipazione elettorale in quasi tutti i Paesi occidentali6.
L'intreccio di cause, descritto sopra, indica che qualsiasi soluzione è precaria e insuffi-
ciente se non si punta simultaneamente alla coscienza e al cuore della persona, al cambio di
mentalità sociale. A ragione si indica che per uscire dalla presente situazione ci vuole una
strategia globale, educativa, politica, privata e pubblica: un nuovo tessuto sociale, quanto
meno migliorato.
Nel tempo di cui dispongo e nella prospettiva scelta, vorrei sottolineare tre aree di at-
tenzione e di lavoro.
La prima riguarda l'educazione dei singoli.
Le povertà e l'emarginazione non sono un fenomeno puramente economico, ma una
realtà che tocca la coscienza delle persone e sfida la mentalità della società. L'educazione è
dunque un elemento fondamentale per la loro prevenzione e per il loro superamento ed è
pure un contributo più specifico ed originale che alcuni possono dare.
Educare significa accogliere, ridare la parola e comprendere. Vuol dire aiutare i singoli
a ritrovare se stessi; accompagnarli con pazienza in un cammino di ricupero di valori e di
fiducia in sé. Comporta la ricostruzione delle ragioni per vivere.
L'insegnamento sistematico è una via importante per la prevenzione e il superamento
della povertà e del disagio, ma a condizione che ci conduca ad un incontro con l'integrità
della persona; l'anonimato istituzionale o il solo apporto di conoscenze non realizza i fini
dell'educazione.
Oggi educare ci chiede una rinnovata capacità di dialogo, ma anche di proposta. Biso-
gna raggiungere le persone e quello che interroga o sfida la loro vita; bisogna coinvolgere in
esperienze che aiutino a cogliere il senso dello sforzo quotidiano, puntare su una proposta
ricca di interessi e saldamente ancorata a quello che è fondamentale e che, mentre offre gli
strumenti fondamentali per guadagnarsi da vivere, rende capaci di agire da soggetti respon-
sabili in ogni circostanza.
Nell'educazione emergono alcune urgenze. La costellazione, formata dal senso di vita-
coscienza-amore-solidarietà, è da curare in ogni nostro programma di promozione. Se ne
capiscono facilmente i traguardi principali: radicare attraverso rapporti, convinzioni ed espe-
rienze il valore della persona e della sua inviolabilità, al di sopra dei beni materiali e di ogni
struttura od organizzazione, per abilitare a fare scelte autonome di fronte ai pesanti mecca-
nismi di manipolazione ed a valutare correttamente situazioni inumane; orientare i giovani
6 Cf. R. DAHRENDORF, Quadrare il cerchio ieri e oggi, op. cit.
- 495 -

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alla conoscenza adeguata della complessa realtà culturale e socio-politica, cominciando con
quella più vicina e quotidiana, per arrivare fino alle istituzioni e ai modelli socio-economici
che hanno influsso determinante sul bene comune; coinvolgere i giovani, quelli di ambienti
di povertà e quelli dei contesti di benessere, in iniziative che richiedono solidarietà, perché
imparino a farsi carico delle sofferenze altrui e a collaborare per superarle.
Il programma enunciato costituisce una efficace prevenzione contro dipendenze e sti-
moli negativi, offre indicazioni per un cammino di ricupero ed allo stesso tempo richiede il
coinvolgimento dei quei giovani che hanno potuto tenersi liberi o superare i rischi delle di-
verse povertà. A noi tocca tradurlo in gesti quotidiani.
La seconda attenzione riguarda la promozione di una nuova cultura: Lavoro arduo e
mai concluso, comunque indispensabile.
Le povertà nascono e si diffondono in un mondo intercomunicante e interdipendente.
La valutazione che se ne fa, le speranze di superarle che si possono risvegliare, le forme
concrete di impegnarsi, sono legate a modi di pensare e reagire delle persone, dei gruppi e
dell'intera società.
Lo si vede quando si ragiona sull'uso dei beni, sui rapporti tra individui e tra popoli, sui
sentimenti verso i diversi, sul modo di affrontare le devianze e trasgressioni.
Lo sforzo contro l'emarginazione è tanto più efficace, quanto più penetra e trasforma
l'insieme di percezioni e sentimenti che configurano il pensiero e la condotta di una società
o di gruppi attivi al loro interno. Non è, dunque, sufficiente un impegno d'aiuto e d'assistenza
in favore dei singoli, anche se questo è importante.
Si richiede un lavoro di animazione sociale, che susciti cambiamenti di criteri e visioni
attraverso gesti e azioni. Tali gesti ed azioni creano nuove forme di relazione e modelli di
condotta che incarnano valori diversi da quelli che reggono gran parte del nostro costume,
come l'individualismo possessivo, la soddisfazione degli interessi personali, la condanna di
chi soffre dipendenze, l'abbandono dei più deboli.
Si tratta di promuovere una cultura dell'altro, della sobrietà nello stile di vita e di con-
sumo, della disponibilità a condividere gratuitamente, della giustizia, intesa come attenzione
al diritto di tutti alla dignità della vita e, più direttamente, di coinvolgere persone e istituzioni
in un'opera di ampia prevenzione, di accoglienza e di supporto di chi ne ha bisogno.
Ogni organizzazione, grande o piccola, può essere centro di elaborazione e punto di
irradiazione di tale cultura verso la famiglia, i gruppi, il quartiere, i circoli e istituzioni col-
legate e, attraverso la comunicazione sociale, le società in generale.
Da ultimo è indispensabile la presenza nel sociale e istituzionale.
Bene comune e democrazia spingono alla ricerca di un punto di saldatura e comunica-
zione tra il pubblico e il privato nel settore sociale. La via sembra essere ripartire da nuove
reti di solidarietà con l'intento di ricostruire un tipo di società civile che si fa carico di tutti,
secondo i bisogni e senza sostituirsi alle responsabilità personali.
Questa rete è formata da ONG, cooperative, movimenti, banche, e organizzazioni varie
(volontariati, l'associazione privata per un commercio equo e solidale, il movimento di fa-
miglie che si impegnano a vivere con il sufficiente e ad evitare le spese superflue) che svol-
gono attività senza lucro, non manifestano appartenenze politiche, intendono prestare un
servizio con mezzi alternativi a quelli del mercato, contemplano la partecipazione democra-
tica e valorizzano le risorse umane.
Sono chiamate a svolgere un'azione reale di miglioramento attraverso progetti piccoli
e medi. Ma oltre questo contribuiscono a formare criteri di valori nella società e diffondono
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atteggiamenti. Danno un modello e possono orientare anche istituzioni del governo sulla
linea di una maggiore solidarietà e uguaglianza. Esprimono infatti nuovi rapporti e antici-
pano nuovi criteri di solidarietà.
Agendo in rete riescono a proporsi come interlocutori, materialmente deboli, ma mo-
ralmente forti, di fronte ad organismi e istituzioni politiche ed economiche. Più importante
ancora, riescono a moltiplicare i progetti di aiuto e le presenze di condivisione e solidarietà.
È questo un campo dove un'organizzazione adeguata, con molteplici risorse e con un
ricco patrimonio ideale, può fare uno sforzo di pedagogia collettiva per offrire vie e progetti
concreti, in cui coinvolgersi, a molta gente disposta ad assumere, come avanguardia, uno
stile di vita solidale e generosa.
Ma sarebbe limitante rinchiudersi nel privato o nel terzo settore. Le politiche sociali, il
sistema educativo, la prevenzione attraverso tutti i mezzi, le risorse messe a disposizione
della società per il ricupero dei più deboli sono determinanti non solo nel mantenere la giusta
sensibilità riguardo al bene comune, ma anche per estendere il soccorso fino agli ultimi con
opportune iniziative e mezzi.
3. Un contributo dei credenti
Come sacerdote e figlio di un Santo sociale, educatore, convinto della prevenzione ed
amico dei giovani, mi viene spontaneo un commento. L'amore della Comunità cristiana per
i poveri appartiene alla sua costante tradizione7. Figure di santi e sante, opere e istituti reli-
giosi stanno a dimostrarlo. Anche numerosi laici ne hanno fatto un impegno di vita nell'am-
bito del privato o pubblico.
Nei contesti di maggiore miseria, nella comunità cristiana sono sorte persone carisma-
tiche che hanno affrontato le piaghe sociali più diffuse con opportune iniziative. Insieme
riuscirono ad accudire quasi tutte le categorie di poveri proprie del loro tempo: indigenti,
illetterati, abbandonati, ridotti a servitù, carcerati.
Non pochi di essi hanno fondato comunità attrezzate sul versante spirituale ed operativo
per venire incontro al bisogno dei poveri con progetti di vasta portata. Sono passati alla storia
come grandi testimoni del Vangelo e tra i suoi più eloquenti annunciatori.
All'emergere della questione sociale, una visione più critica della società mise in luce i
meccanismi generatori di miseria. La Chiesa denunciò allora i modelli di organizzazione
economica, sociale e politica che sottovalutano il valore della persona, la spogliano del di-
ritto ai beni necessari per una vita pienamente umana ed espandono la miseria e l'emargina-
zione.
Nel contesto di questa sensibilizzazione generale è venuta guadagnando terreno l'e-
spressione "scelta preferenziale" dei poveri.
In uno degli ultimi documenti della CEI leggiamo: «L'amore preferenziale per i poveri
si rivela come una dimensione necessaria della nostra spiritualità. Con gli ultimi e con gli
emarginati potremo tutti recuperare un genere diverso di vita»8.
All'aprirsi della fase della nuova evangelizzazione, l'opzione per gli ultimi venne riba-
dita con molteplici modulazioni. Si è sottolineato che essa apre la strada all'annuncio, ne
concretizza il senso e da esso viene illuminata.
Il cuore della nuova evangelizzazione è il Vangelo della carità che assume i problemi
e le situazioni umane che hanno bisogno della forza trasformante dell'amore. È una carità
7 Cf. CA 57
8 CEI, Con il dono della carità entro la storia. Nota pastorale. La Chiesa in Italia dopo il Convegno
di Palermo. Volume 58 di Documenti chiese locali, 1996, EDB, Bologna, n. 34-35.
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50.10 Page 500

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che si esprime nell'immediato, ma soprattutto si impegna in un progetto sociale e culturale
di vasta e lunga portata in cui la persona è sempre considerata secondo la sua vocazione e
dignità, alla luce di quanto ci è stato rivelato in Cristo.
Il compito sembra smisurato. Va allora preso in considerazione un elemento: la fecon-
dità dei semi, la loro capacità di moltiplicare gli effetti.
C'è un episodio evangelico che ne offre un'icona eloquente. È la moltiplicazione dei
pani raccontata da San Marco.
La folla affamata e smarrita provoca la commozione di Gesù. Egli lancia agli apostoli
la sfida di risolvere il problema. Essi ne dichiarano l'impossibilità da parte loro, ma poi,
trovato un ragazzino che offre alcuni pani e pesci, il cibo dapprima insufficiente, si molti-
plica e avanza.
Le singole pennellate acquistano per noi un significato estremamente reale. C'è oggi
una moltitudine di giovani, carente dei beni necessari alla vita, che attende un segnale di
solidarietà. Ad essa si rivolge la compassione di Gesù che va oltre il sentimento umano.
Esprime il cuore misericordioso di Dio, la sua decisione per la felicità e la vita di ogni uomo.
Per questo affida il problema ai suoi discepoli. Essi devono pensarci, superando il senso
di inadeguatezza di fronte alle dimensioni del fenomeno, cercando le risorse disponibili e
consegnandole alla capacità moltiplicatrice dell'amore. Debbono illuminare la coscienza con
la testimonianza e la parola e costruire solidarietà.
Le risorse si moltiplicano all'infinito dove cambiano i rapporti tra le persone e con le
cose. Allora il poco iniziale basta per tutti; anzi, ne avanza.
È il nostro compito e la nostra speranza: porre dei segni e moltiplicare. Gli elementi,
da cui si sprigiona la forza dei segni, sono: la manifestazione incondizionata dell'amore evan-
gelico, la volontà di salvare coloro che sono stati abbandonati alla propria sorte, il desiderio
di donare vita e speranza, la forza aggregante per cui persone di buona volontà si uniscono
nel bene, la capacità di far maturare mentalità e rapporti nella linea del Regno.
Questo richiamo alla moltiplicazione dei pani, serva di ispirazione e criterio per un
decisa partecipazione nello sforzo dei poveri, anche nella eventuale precarietà delle risorse.
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53. I LAICI DELLA FAMIGLIA SALESIANA CHIAMATI AD OPERARE IN VA-
STI SPAZI
Vecchi, J.E., «I laici della Famiglia salesiana chiamati ad operare in vasti spazi». Intervento all'Assemblea Mondiale Elet-
tiva Exallievi, Roma, [s.e.], 6 maggio 1998 [n.d.c.: il titolo è nostro].
Il primo adempimento da parte mia è comunicare la nomina del presidente e procla-
marlo in questa assemblea. Vista la votazione espressa dalla presidenza e l'opportunità di
una certa continuità unita al rinnovamento che conviene ad un'associazione di estensione
mondiale come la vostra, mi è sembrato bene nominare presidente per un secondo sessennio,
il Sig. Antonio Pires. Presento a lui le congratulazioni per la fiducia che la presidenza e
questa assemblea gli hanno manifestato e a nome mio personale e di tutti i Salesiani, gli
assicuro la nostra vicinanza ed il nostro appoggio.
Un'associazione mondiale come questa, articolata in molte federazioni, ha bisogno di
una continuità nell'orientamento e, allo stesso tempo, di un rinnovamento costante di men-
talità, di prospettive, di dinamiche e di idee. Io penso che queste necessità siano assicurate
dalla permanenza del presidente e dal ricambio nella presidenza di parecchi membri che
saranno, oltre che nuovi, anche di giovani.
Auguri a tutta la presidenza e al presidente!
Mi congratulo con voi per il lavoro compiuto che si riflette molto bene nella sintesi
che avete presentato. La considero un programma sufficiente per sei anni, concreto, anche
se ancora da approfondire per una fruttuosa realizzazione. Mi limito dunque a commentare
alcuni punti, già inclusi in questa sintesi, senza aggiungere nuovi obblighi, traguardi o mete.
Sottolineo anzitutto il momento che la Famiglia salesiana, di cui la Confederazione
mondiale degli exallievi è parte importante e fondamentale, sta vivendo. La Famiglia sale-
siana sta crescendo numericamente e qualitativamente. Mentre si arricchisce di nuovi rami,
quelli antichi, e mi riferisco specialmente ai cooperatori e a voi exallievi, si stanno esten-
dendo. Più che l'aumento numerico, voglio però rilevare la crescita della coscienza dell'unità
e della ricchezza che possiede. È una coscienza che diventa sempre più forte, più radicata,
ed anche più ricca di riferimenti. La Famiglia salesiana è stata uno dei sogni di Don Bosco,
di quelli che lui faceva quando era sveglio. Egli voleva radunare intorno alla missione gio-
vanile tutte le forze possibili e di buona volontà, creando aggregazioni in cui ci fosse posto
per credenti e non credenti, uomini di chiesa e uomini sensibili al futuro della società ed
interessati al bene delle nuove generazioni.
Di questo sogno gettò il seme quando creò l'associazione dei cooperatori, secondo i
criteri del tempo, e quando accolse volentieri il gesto di affetto degli exallievi, che sarebbero
maturati anche in associazione in tempi immediatamente successivi. Sapete che questo seme
è cresciuto fino al Concilio Vaticano II, epoca nella quale la Chiesa, la società e quindi anche
la nostra Congregazione, hanno avuto una svolta importante. Allora il sogno di don Bosco
ha avuto una nuova realizzazione.
Dall'anno 1972 abbiamo espresso meglio i legami che intercorrono tra i rami della
Famiglia salesiana, le condizioni di appartenenza. Allo stesso tempo ci siamo resi consape-
voli dei doni sacerdotali, di vita consacrata e laicale, maschile e femminile che ci sono in
questa Famiglia disposta ad operare sempre nella linea del Regno, delle competenze educa-
tive, sociali e politiche che può mettere a disposizione e per il bene dei giovani.
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Da quel tempo fino all'anno 1998 c'è stato un cammino in costante ascesa. Non vedo
un momento dove si possa dire: "C'è calo, flessione". È un cammino come la salita di una
montagna piuttosto ripida, in cui a volte non si avanza velocemente, però, passo dopo passo,
si conquista una cima. Da essa, volgendo attorno lo sguardo, si scoprono altre cime che si
potevano vedere solo da quella raggiunta.
Penso che negli anni '80 abbiamo intravisto alcune cime e negli anni '90 altre ancora.
Oggi abbiamo di fronte al nostro sguardo la soglia del secondo millennio: due parole che
servono a ricordare sinteticamente la cultura in cui ci tocca vivere: una cultura di libertà, di
grandi opportunità e, allo stesso tempo, di grandi sfide. Sfide ed opportunità riguardano sia
l'ambito della pura umanità, del nostro essere uomini, sia quello dell'organizzazione del
mondo, dal punto di vista politico e sociale e, ancor più, quello dell'evangelizzazione, della
parola evangelica efficace e illuminante che si deve dire in questo momento.
Di tutto questo abbiamo acuta coscienza. Siamo disposti ad approfittare di ciò che
abbiamo già scoperto ed a esplorare ancora nuove possibilità; alla luce di quello che ci va
dicendo la Chiesa con i grandi avvenimenti, uno dei quali lo stiamo vivendo in questo mo-
mento: i Sinodi continentali.
Sono sei; vorrebbero convocare la Chiesa a nuove espressioni di comunione e a nuove
"sinergie", proprio per dire una parola illuminatrice ed autorevole e dare una testimonianza
efficace in questo mondo complesso, sfidante e pieno di novità, in cui dobbiamo vivere.
Questo mi suggerisce una seconda riflessione: la nuova coscienza ecclesiale che si sta
manifestando. Presenta due segni. Il primo è lo sforzo di una nuova evangelizzazione nel
mondo e dunque di una nuova presenza cristiana, molto più testimoniante, più chiara ed allo
stesso tempo più dialogante, capace di collocarsi, di interagire fraternamente, di essere soli-
dale con le preoccupazioni del mondo d'oggi, apportando, allo stesso tempo, la parola di
Gesù.
Anche "nuova evangelizzazione" è tutt'altro che una formula vuota: è proprio una
chiave interpretativa dello sforzo complessivo che la Chiesa sta facendo oggi nell'aiutare le
comunità cristiane a maturare, nel rimeditare il Vangelo in fedeltà e rinnovamento e soprat-
tutto nel pensare qual sia il tipo di presenza ecclesiale che il mondo d'oggi richiede. Che
devono fare oggi i credenti? Quali sono le cause che devono abbracciare? Quali sono, non
dico i principi astratti, ma quelli concreti che devono guidare la loro vita?
Per la nuova evangelizzazione: questo è il secondo segno. La Chiesa sta costruendo
una comunione più forte. I Sinodi manifestano lo sforzo della Chiesa di costituire un tessuto
quasi mondiale per influire sulle grandi cause dell'umanità, come la pace, la giustizia inter-
nazionale, i diritti umani, ecc.
Nuova evangelizzazione e comunione! Riguardano la Famiglia salesiana perché essa
si considera comunione all'interno della grande comunione ecclesiale. Dunque siamo chia-
mati a ricomprendere ed a rafforzare i nostri legami per evangelizzare in nuova forma i con-
testi in cui viviamo.
Sempre come semplice commento, faccio una terza riflessione sul momento che
stiamo vivendo. L'avete messo nella sintesi: la dilatazione degli spazi di educazione e di
pastorale giovanile. Coincidiamo senza esserci messi d'accordo previamente.
L'età giovanile oggi si è allungata. Non finisce più ai sedici anni. Va fino ai venticin-
que, ventisei o ventotto. Comprende dunque nuove fasce di età e nuove situazioni giovanili.
Queste si sono diversificate in tal modo che bisogna affrontarle non con un intervento gene-
rico, ma quasi con un ventaglio di iniziative. Alle tradizionali istituzioni educative, che non
bastano più, bisogna aggiungere iniziative leggere di promozione sociale e di assistenza a
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51.3 Page 503

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coloro che sono a rischio, a quelli che perdono il passo nel cammino della vita. Bisogna poi
farsi presenti nell'elaborazione della cultura collettiva che si fa attraverso i mezzi di comu-
nicazione sociale e la discussione politica.
Si dice che ci sono tre spazi che ormai non si possono più separare. Il primo è lo spazio
educativo, che un tempo era quasi limitato alle istituzioni. Il secondo è il dialogo e l'elabo-
razione culturale: tutto quello che ci viene addosso ogni giorno attraverso la radio, la televi-
sione e la stessa convivenza sociale e che costituisce una scuola quotidiana più influente di
quella formale. Il terzo è l'ambito politico che stabilisce leggi, crea istituzioni, è capace di
fare piani a livello nazionale e mondiale. Esso sembra non influire sul quotidiano, però incide
enormemente sulla media e sulla lunga scadenza.
Noi lo vediamo. Chi è vissuto in un certo tempo, nota come oggi si stanno realizzando
alcune espressioni che erano come "semi", venti, trenta o quaranta anni fa. Una prova molto
chiara è ciò che è successo in questi ultimi giorni con l'Euro. Chi osserva tutto quello che
esso ha richiesto come preparazione, si accorge come i progetti influiscono, sul lungo ter-
mine, sulle persone.
Vi è insomma uno spazio giovanile molto più grande di quello che vi era al tempo di
Don Bosco e della stessa nostra giovinezza. Esso richiede l'impegno di forze diversificate,
vivaci, complementari, disposte sempre a creare e a produrre nuove iniziative e moltiplicare
interventi.
Finalmente, in questa costellazione di pensieri, metto anche la crescita della figura e
dello spazio del laico e di conseguenza anche l'immagine e la realtà di un'associazione ec-
clesiale formata quasi al 95% dai laici. Fra gli exallievi c'è anche la componente sacerdotale
o presbiterale, però la vostra associazione è formata, in alta percentuale, da laici.
Mi bastano poche battute perché il tema dei laici è stato già presentato sufficiente-
mente e anche assimilato. Sono impressionato da un pensiero della Christifideles Laici che
riporto a memoria: si sono ripetute le idee, i principi, le motivazioni ispiratrici della presenza
del laico nella Chiesa e nella Società; è arrivato il momento in cui la cosa più importante non
è fare di nuovo la lista dei principi e delle idee, che vanno, certamente, tenuti sempre presenti
nella mente perché senza idee non si vive, ma di saper tradurre in pratica tutti questi principi,
incarnarli nella vita quotidiana, nell'organizzazione dei movimenti, nella presenza nel
mondo.
Questo pensiero lo lascio alla vostra riflessione: siamo consapevoli che i laici della
Famiglia salesiana, per la vocazione cristiana che vivono, possono dare un contributo valido
e sono chiamati ad operare in vasti spazi. Essi sono invitati ad interagire con i consacrati e
con i sacerdoti arricchendone la vocazione e lasciandosi arricchire anche da coloro che hanno
la grazia sacerdotale e della vita consacrata. Questa interazione può offrire un servizio ma-
turo e completo alla gioventù e alla società.
Sono quattro tratti che definiscono bene lo stato attuale della nostra famiglia: la cre-
scita numerica e di coscienza, la nuova evangelizzazione, che richiede il rafforzamento dei
vincoli di comunione; la consapevolezza che si sono dilatati gli spazi giovanili e dunque
siamo chiamati non solo a mantenere e a ripeterci, ma a creare e ad andare avanti; il ruolo
del laico, che è apporto di ricchezza qualitativa molto più grande che nel passato.
Noi, da Salesiani, siamo disposti ad assicurare questo spazio e ad accompagnare i laici
in questa crescita. Anche per noi sarà importante che dopo i principi formulati nel CG 24,
siamo capaci di tradurre in prassi quotidiana quello che è stato proposto.
Dopo questo grappolo di pensieri che riguardano l'attuale movimento della Famiglia
salesiana, altre riflessioni mi sono venute sui traguardi che voi avete enunciati e che a me
sembrano rilevanti.
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51.4 Page 504

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È importante lavorare a pieno ritmo sulla formazione e la spiritualità di coloro che già
sono aggregati, che già formano parte dei centri, delle federazioni e delle confederazioni.
Occorre impegnarsi per fare in modo che queste persone, questi laici facciano proprie le
prospettive di cui abbiamo parlato, le esigenze della nuova evangelizzazione in quanto testi-
monianza cristiana e presenza nel mondo e che lo facciano con lucidità degli interrogativi
che la cultura solleva.
L'exallievo non si ritira dal mondo per vivere la propria vita cristiana: vive nel cuore
del mondo e soffre tutte le sue sfide umane, sociali e religiose. Vi porta una parola, una luce,
un tentativo di orientamento; vuole fare partecipe anche gli altri dell'esperienza positiva che
egli sta facendo nella fede e con la Parola di Dio.
Ciò, è più un programma in sviluppo che una realtà già compiuta. È necessario anche
per noi sacerdoti riprendere quotidianamente libri di teologia, fermarci a discernere le ten-
denze della cultura, le speranze e le attese degli uomini e ricomprendere più profondamente
la parola di Dio per vivere autenticamente la vocazione cristiana. È un imperativo per tutti.
A questo punto rivolgo una parola fraterna ai Salesiani qui presenti. Da loro si attende
proprio saggezza, spinta, luce e accompagnamento nella formazione cristiana e nell'assimi-
lazione della spiritualità. L'organizzazione dei centri, delle federazioni e della Confedera-
zione, la gestione delle cose si può lasciare in mano ad altri. Il sacerdote ha, perché partecipa
al sacerdozio di Cristo, un compito nell'ordine della Parola, della santificazione e dell'ani-
mazione evangelica di questa nostra aggregazione. Questo comporterà approfondimento
dell'identità della Confederazione, della ricchezza salesiana, capacità di donare la Parola
evangelica e disponibilità ad accompagnare gruppi e persone. Ogni grado che si sale nella
formazione e nella spiritualità, è un guadagno anche per l'organizzazione e l'operatività.
Qui stiamo toccando proprio l'anima della Famiglia salesiana e anche della vostra or-
ganizzazione!
Il secondo punto mi è sembrato molto interessante: recuperare il potenziale giacente
nella Confederazione mondiale. Si può applicare alle regioni che ancora non si sono sve-
gliate riguardo all'importanza di contare nella Famiglia salesiana con una componente vivace
e consistente di exallievi. Oltre alle regioni, ci sono nelle nazioni zone vive e zone ancora
che non reagiscono. Il recupero si deve fare all'interno delle ispettorie dove vi sono centri da
ravvivare; si può fare all'interno dei centri che hanno come compito quello di collegarsi con
tutti gli exallievi dispersi, secondo quel concetto ampio conforme al quale sono exallievi non
soltanto quelli che sono usciti dalle scuole, ma anche coloro che hanno avuto un contatto
formativo di una certa consistenza con una realtà salesiana.
Nel mio ultimo viaggio negli Stati Uniti, mi sono incontrato con una exallieva che
oggi dirige il volontariato negli Stati Uniti insieme a qualche salesiano. Essa non ha frequen-
tato né scuola né oratorio, ma ha fatto volontariato in una delle presenze di frontiera che una
delle ispettorie messicane ha. Dopo quest'anno di volontariato lei si sente exallieva.
Bisogna poi individuare forme di impegno possibili e molteplici sulla linea dell'evan-
gelizzazione, della promozione, dell'educazione, della presenza nel sociale, della missiona-
rietà. Sono queste le preoccupazioni che la Congregazione salesiana e delle Figlie di Maria
Ausiliatrice stanno esprimendo. Bisogna entrare in sintonia con la grande sensibilità della
Chiesa. Tali iniziative possono essere collegate con quelle dei Salesiani, ma ci possono es-
sere pure tante iniziative gestite in proprio dai centri, dalla Confederazione e dai gruppi degli
exallievi o anche collegate con altre istituzioni. I gruppi di exallievi che servono come fer-
mento educativo e salesiano all'interno di altre organizzazioni o di altre iniziative, collabo-
rano pure ad una lievitazione salesiana e cristiana della realtà.
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51.5 Page 505

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L'operatività è abbastanza sottolineata nella vostra sintesi ed è senz'altro una delle
caratteristiche salesiane. Noi ci aggreghiamo non per stare soltanto assieme, anche se è molto
gradevole ed utile, ma soprattutto per metterci a disposizione degli altri, in primo luogo dei
giovani e, allargando il cerchio, di tutti coloro che possiamo raggiungere.
Come ultimo punto, è importante rendere efficaci i collegamenti, antichi e nuovi, e
dinamiche le organizzazioni. Vedo con piacere, al tavolo di presidenza, le Figlie di Maria
Ausiliatrice. Una delle nostre sinergie privilegiate è con l'associazione delle exallieve delle
FMA. Con loro si possono stabilire collegamenti che certamente rafforzeranno la qualità
della presenza e l'estensione delle iniziative possibili. È uno; ma ce ne sono tanti altri che
l'associazione deve svegliare ed attivare.
L'anno 2000 è un nuovo avvento e porta per tutti i cristiani una rinnovata energia,
perché ricordiamo l'avvenimento che ha dato la speranza definitiva al mondo: Gesù Cristo
con la sua vita, la sua passione, morte e risurrezione. Per noi il 2000 non ha il senso di un
traguardo fatale e tanto meno il rischio di una fine tragica del mondo, ma un invito in cui
siamo chiamati a rivivere le grandi speranze del Cristianesimo e del Vangelo.
Vogliamo comunicare questa grande speranza alla Famiglia salesiana e, in questo
caso, alla Confederazione degli Exallievi. Finora tutti gli sforzi fatti hanno reso un risultato
di cui noi siamo soddisfatti e grati a Dio. Non mi sento di dire che qualcuno degli sforzi di
questi ultimi anni, di cui sono stato testimone, e sono almeno ventiquattro, sia finito nel
nulla. Nuovi orizzonti di azione si sono aperti alla Confederazione. I semi che si sono lanciati
sono cresciuti.
Noi abbiamo l'opportunità di buttarne nuovi, sempre con la fiducia che, per la fecon-
dità dello spirito di Don Bosco, essi produrranno a suo tempo il loro frutto.
È quello che vi auguro e, in questo compito, vi accompagno cordialmente.
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54. PER LA GIORNATA MISSIONARIA SALESIANA 1999
Vecchi, J.E., Lettera di presentazione per la Giornata Missionaria Salesiana 1999, Roma, [s.e.], 11 maggio 1998.
La nostra attuale stagione missionaria vuole combinare tre obiettivi: partenze per
nuovi campi, consolidamento delle missioni iniziate precedentemente, solidarietà ed inter-
scambio di doni tra le Chiese di antica data o costituite di recente. Viviamo un tempo di
comunione, che si esprime in molteplici modalità e direzioni. In tal senso ci sentiamo tutti
coinvolti in un'impresa missionaria.
«Le «missioni» fanno parte di un'unica missione ecclesiale; le "missioni" salesiane
fanno parte dell'unica missione salesiana.
Tra coloro che lavorano nelle diverse «missioni» si dà una profonda comunione di
beni e una misteriosa solidarietà di sforzi e risultati.
Condividiamo il tratto missionario della spiritualità salesiana, desiderando ardente-
mente che la luce del Vangelo arrivi a tutti.
Condividiamo la prassi missionaria perché la priorità dell'annuncio, l'apertura al dia-
logo religioso, il movimento d'inculturazione, lo sforzo di consolidare la comunità attraverso
la formazione delle persone vengono assunti dappertutto nella misura che ciascuna situa-
zione richiede.
Condividiamo la vita missionaria, partecipando agli avvenimenti consolanti e tristi
attraverso l'informazione e la lettura evangelica degli eventi.
Espressione di tale condivisione è una pastorale giovanile che nel cammino di fede fa
vivere intensamente ai giovani la dimensione missionaria della Chiesa. Nei percorsi di ma-
turazione umana, di approfondimento della fede, di esperienza ecclesiale e di orientamento
vocazionale c'è posto per svariati stimoli provenienti dal mondo delle missioni. Nell'asso-
ciazionismo giovanile si trovano spazi per gruppi di finalità apostolica varia che si ispirano
all'interesse per le missioni; si coltivano atteggiamenti e attitudini cristiane, come la pron-
tezza nel donarsi, la stima per le diverse culture, la capacità di andare oltre le apparenze delle
persone, il senso comunitario del lavoro, il gusto per la comunicazione, la mondialità.
Espressione della condivisione è ancora la diffusione della sensibilità missionaria tra
la gente cristiana o semplicemente di buon cuore. Va fatta conformemente ai principi e fina-
lità dell'evangelizzazione; è una delle componenti della nostra pastorale popolare e costitui-
sce una forma efficace di annuncio di Cristo e partecipazione alla vita della Chiesa.
La prossimità del 2000 ci stimola a dare una nuova prova della nostra capacità di
intraprendere insieme iniziative missionarie di vasto respiro»1.
Quest'anno, l'invito è a guardare verso il Giappone. Lì la Chiesa ha una storia segnata
dalla fortezza e dal martirio. Anche la Congregazione ha la sua storia; porta il marchio della
simpatia e della santità di don Cimatti, dello sforzo di inserirsi in una cultura elaborata ed in
una società progredita.
Il Sinodo dell'Asia ci ha dato l'opportunità di risentire la condizione della Chiesa in
Giappone: esigua minoranza, ben accolta; diffusa più in là dei suoi confini visibili, nella
1 Cf. ACG 362, lettera del Rettor Maggiore, Levate i vostri occhi..., p. 35-36.
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adesione interna di molti Giapponesi al vangelo; impegnata in un dialogo religioso ed in una
presenza significativa nella società; in attesa dell'ora di Dio.
Guardiamo, condividiamo, collaboriamo con la preghiera, ringraziamo il Signore per
l'opera del suo Spirito in questa porzione dell'umanità.
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51.8 Page 508

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55. «L'ORATORIO: CONVOCAZIONE E AMBIENTE GIOVANILE»
Vecchi, J.E., «L'oratorio: convocazione e ambiente giovanile» Intervento (?) Reggio Emilia, domenica 7 giugno 1998.
L'oratorio è l'opera giovanile che Don Bosco scelse per rispondere ai bisogni elemen-
tari della maggioranza dei ragazzi che avvicinava. Essi avevano necessità di uno spazio per
giocare, sentirsi in compagnia e avere da qualche adulto una buona parola.
Don Bosco comprese poi che non poteva fermarsi a questo: i giovani avevano altre
urgenze: assistenza sul lavoro, accoglienza in una casa, istruzione primaria, studi più avan-
zati per coloro che rivelavano doti intellettuali, accompagnamento spirituale e vocazionale.
Così aggiunse altre iniziative creando una specie di città giovanile.
L'oratorio era un'attività parrocchiale già nota. Ma Don Bosco gli diede una nuova
fisionomia adeguandolo alle periferie urbane senza «parrocchie» ed ai giovani poveri.
Fedele al suo programma di amare ciò che amano i giovani per portarli a vivere i
valori che ad essi voleva trasmettere, cercava di venire incontro ai loro interessi. Così l'ora-
torio si aprì a tutti i giovani e a tutte le attività. Divenne un'ambiente di educazione e «mis-
sionario», di prima evangelizzazione.
Questo lo portò ad aumentare la disponibilità di tempo: l'oratorio divenne di tempo
completo. Don Bosco durante la settimana visitava i giovani sui posti di lavoro o li incon-
trava per strada; prendeva contatto con benefattori e collaboratori; cercava risorse. La do-
menica era la manifestazione culmine di un lavoro che non conosceva sosta.
La caratteristica della vita all'oratorio, ciò che attirava i giovani ad esso, erano soprat-
tutto Don Bosco e l'ambiente giovanile che si formava attorno a lui. I giovani andavano
all'oratorio soprattutto perché là vi era Don Bosco e si sentivano accolti amorevolmente e
con piacere da lui; percepivano che erano da lui amati e valorizzati.
L'evangelizzazione, l'incontro con Cristo, la crescita umana diventavano possibili per-
ché i giovani si trovavano bene con Don Bosco ed erano disposti ad ascoltarlo e seguirlo.
L'oratorio è stato attuato da noi per molto tempo secondo il modello «domenicale» o
quasi. Lo si aggiungeva ad altre opere, considerate più consistenti e continue dal punto di
vista formativo: scuole, centri di formazione professionale, collegi.
Oggi si sta riscoprendo e si presenta con forme diversificate. Vi sono oratori che hanno
soltanto uno spazio aperto e un minimo di locali per accogliere i giovani. Altri invece pos-
sono usufruire di attrezzature complesse secondo le esigenze di una società sviluppata.
Anche il programma e le attività variano secondo i bisogni dei giovani e le capacità
dei salesiani. Nel «centro giovanile» ci possono stare tre, sei, dieci oppure cinquanta attività.
La formula oratoriana è duttile: segue il criterio di evangelizzare educando.
Come ambiente giovanile è oggi particolarmente utile perché i giovani tendono ad
allontanarsi dalla parrocchia dopo la cresima. Non sempre i parroci hanno capacità di ag-
gancio e tempo per loro. Qualche cosa di simile capita con la «scuola», che è luogo di ap-
prendimento, ma che nella mentalità dei giovani non è «luogo di vita».
Il centro giovanile diventa allora un luogo di convocazione per iniziare l'evangelizza-
zione e per continuarla. Coloro che vi si dedicano si inseriscono nella pastorale di insieme
della Chiesa locale dando un contributo originale alla presenza cristiana nel quartiere.
Negli ultimi tempi l'oratorio ha acquisito caratteristiche nuove ed originali. Quando ci
vengono affidate parrocchie, ne è parte sostanziale e giustifica la nostra presenza nella par-
rocchia.
- 506 -

51.9 Page 509

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La novità più notevole sta però nell'oratorio «cittadino» o «inter parrocchiale». Esso
appare una specie di missione aperta, luogo di incontro, di impegni e di iniziative a vantaggio
di tutta la popolazione giovanile di una zona.
D'intesa col vescovo e con i parroci l'oratorio centro giovanile assume quelle attività
che le parrocchie non sono in grado di sviluppare: sport, avvicinamento ai giovani adulti,
attività culturali, scuola per animatori, accompagnamento spirituale, catechismo comple-
mentare. Rimanda alla parrocchia i ragazzi per i momenti che sono tipici della comunità
cristiana: in particolare la prima e seconda catechesi, la pratica domenicale.
I salesiani ed i collaboratori inoltre si fanno carico di uscire dall'oratorio per cercare i
ragazzi lontani e invitarli al centro, per creare servizi di prevenzione o semplicemente per
incontrarli nei posti dove essi sono, come le scuole o i diversi luoghi di ritrovo e aggrega-
zione.
In qualche caso l'oratorio «cittadino» assume una forma di lavoro più audace: da una
sede ben attrezzata, gruppi di giovani preparati si distribuiscono in varie parti, specialmente
povere, della città per incontrare ed aiutare un più grande numero di ragazzi. È l'esperienza
che è sorta a Torino nell'oratorio di Valdocco dove un centinaio di giovani hanno fondato
una costellazione di oratori che essi chiamano «mondi» giovanili.
Sono distribuiti nei quartieri e funzionano in piccoli ambienti, in locali parrocchiali,
in spazi scolastici o pubblici. L'importante è l'incontro, l'amicizia, le attività possibili.
Forti dell'esperienza di Don Bosco, i salesiani hanno trasportato questa forma di la-
voro in tutto il mondo. Ho avuto occasione di visitare il centro giovanile di Yakutsk che si
presenta come unico punto di incontro per i giovani di quella città della Siberia dove la
temperatura scende a 40 gradi sotto zero. Similmente a Yaoundé ho potuto vedere un mondo
di giovani che crescono umanamente e cristianamente in un complesso composto da spazi
sportivi, da qualche laboratorio e da alcuni ambienti per attività.
Nelle situazioni sempre più gravi di insicurezza e disorientamento che si rilevano
oggi, l'oratorio centro giovanile appare per tanti giovani luogo privilegiato dove costruirsi
una personalità, imparare a vivere, allenarsi in compagnia, acquisire valori cristiani, essere
illuminati per scelte di vita anche impegnative, coinvolgersi in compiti con responsabilità e
solidarietà.
Il segreto è, come nel caso di Don Bosco, la capacità dei salesiani di attirarli ed inte-
ressarli. L'oratorio mette a prova quella che è la caratteristica fondamentale del Sistema Pre-
ventivo: l'amorevolezza.
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51.10 Page 510

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56. «L'EDUCAZIONE VIA PRIVILEGIATA PER L'ANNUNCIO EVANGELICO,
L'INCULTURAZIONE E DIALOGO INTER-RELIGIOSO»
Vecchi, J.E., «L'educazione via privilegiata per l'annuncio evangelico, l'inculturazione e dialogo inter-religioso». Intervento
al Sinodo dell'Asia, Roma, 1998. [n.d.c.: il titolo è nostro]
Diversi numeri dell'Instrumentum laboris1 si riferiscono alla parte che ha avuto l'edu-
cazione nella storia dell'evangelizzazione e nell'immagine odierna delle comunità cristiane
nel continente asiatico. E ciò per alcuni elementi: la qualità umanistica e didattica dell'edu-
cazione, la promozione di settori sociali esclusi o ignorati da altre iniziative, la possibilità di
comunicare la fede a chi era disposto, la testimonianza personale di educatori ed educatrici,
in grande parte appartenenti ad Istituti di Vita consacrata.
Nell'Esortazione apostolica Vita Consecrata si affida ai consacrati un ruolo particolare
nel dialogo inter religioso e nell'inculturazione, due aspetti importanti della nuova fase di
evangelizzazione nel contesto asiatico.
Riguardo al dialogo inter religioso, l'Esortazione evidenzia alcune forme congeniali
ai consacrati: la testimonianza, il dialogo «di vita», fatto più di stima e amicizia che di spie-
gazioni dottrinali, il «dialogo delle opere», svolto con la comune sollecitudine per la vita e
la promozione umana, l'accompagnamento nella ricerca di Dio che da sempre agita il cuore
dell'uomo2.
Per quanto riguarda l'inculturazione afferma: «La vita consacrata rende le persone
particolarmente adatte per affrontare il complesso travaglio dell'inculturazione perché li abi-
tua al distacco delle cose e persino da tanti aspetti della propria cultura»3.
L'educazione si presenta dunque come una via privilegiata per l'annuncio evangelico,
l'inculturazione e dialogo inter religioso nei quali la vita consacrata può mettere a frutto i
suoi particolari doni carismatici.
Gli ambienti di educazione offrono l'occasione di un incontro quotidiano tra giovani
e adulti di diverse religioni, sulla base dell'interesse per la promozione personale e sociale,
attento alla comprensione e comunicazione della cultura. In esso maturano rapporti di ami-
cizia e corresponsabilità che facilmente portano ad un interscambio di esperienza e ad una
condivisione di progetti. Per questo sono stati descritti come laboratori di dialogo, di convi-
venza tra le diversità etniche, sociali, culturali e religiose anche in zone segnate da differenze
sull'orlo del conflitto.
C'è bisogno di una riflessione missiologica condivisa da parte di coloro che operano
nel campo dell'educazione sul rapporto tra educazione ed evangelizzazione di modo che ri-
spettando la natura e le finalità di ciascuna senza confusioni, si converga senza separazione
sul bene della persona, che è la salvezza. Bisogna evangelizzare liberando tutte le potenzia-
lità educative del messaggio di Cristo; ed educare aiutando le persone a raggiungere la pie-
nezza della loro vita. Ciò ispirerà una prassi educativa che sia rispettosa della libertà e delle
credenze di ciascuno ed allo stesso tempo propositiva.
Ci sono alcuni fattori per i quali una presenza educativa riesce a testimoniare e annun-
ciare il Vangelo.
1 SINODO DEI VESCOVI. Assemblea speciale per l'Asia (19 aprile-14 maggio 1998). Gesù Cristo il
Salvatore e la sua missione di amore e servizio in Asia: ‘Io sono venuto perché abbiano la vita e
l’abbiano in abbondanza’ (Gv 10, 10), Instrumentum Laboris, 1998, nn. 16, 17, 22, 32, 49, 51.
2 Cf. VC 102, 103.
3 VC 79.
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52 Pages 511-520

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52.1 Page 511

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1. Il primo sono i rapporti che intercorrono tra coloro che vi sono interessati. Il sog-
getto responsabile dell'opera, va concepito e animato come una comunità in cui si partecipa
in maniera regolata e si condividono responsabilità, affrontando anche le differenze.
Elemento importante in questa comunità è il nucleo animatore, capace di orientare
l'opera secondo i principi di un umanesimo completo e di creare un ambiente in cui si speri-
mentano, già prima che vengano enunciati, valori evangelici. Tale nucleo animatore, in cui
intervengono i laici insieme ai religiosi, non va indebolito in favore di una eccessiva esten-
sione delle iniziative o di una concezione puramente tecnica dell'educazione.
2. Elemento di evangelizzazione, inculturazione e dialogo inter religioso è il progetto
educativo, elaborato e verificato insieme, secondo una visione della persona, con elementi
della cultura e delle tradizioni educative locali, conforme al contesto e ai destinatari concreti
ai quali si rivolge l'iniziativa. E l'occasione di ricuperare e valorizzare molti «semi» del
Verbo e di inter scambiare su visioni comuni della vita.
3. Via di evangelizzazione è predisporre ed educare all'atteggiamento di fede secondo
la disposizione delle persone, adulti o giovani. Ciò suppone diversità di approcci e di propo-
ste, sempre di più all'insegna della personalizzazione: vanno dai segni che l'ambiente offre,
alla testimonianza dei cristiani in particolare degli educatori, al dialogo su principi ed orien-
tamenti etici, alla collaborazione in opere in favore degli altri, al dialogo religioso, al primo
annuncio o notizia di Cristo per coloro che vanno maturando, ad un cammino catecumenale.
4. I segni hanno un linguaggio e trasmettono dei messaggi. La pedagogia li sceglie
perché parlino con efficacia alla sensibilità dei giovani. Ci sono però segni e messaggi che
sfuggono alle nostre intenzioni quotidiane: vengono dalla collocazione e dallo stile delle
opere educative. L'educazione cattolica mostri senza esclusivismi, ma anche con chiarezza
inconfondibile la preferenza per coloro che sono più poveri, ai quali non arrivano i servizi
creati da altre istituzioni ufficiali o private; professi pubblicamente nelle dichiarazioni,
nell'organizzazione e nelle scelte i principi evangelici della non discriminazione, dell'amore
indistinto verso tutti; mantenga con il contesto immediato rapporti di apertura e collabora-
zione molteplice per la promozione sociale dell'intero gruppo umano.
5. È necessario pensare l'ambito dell'educazione secondo la concezione odierna che
comprende anche gli adulti, bisognosi di istruzione di base, di necessario aggiornamento o
formazione generale. Va oltre le istituzioni classiche di istruzione elementare e secondaria e
si avvale di modalità e canali diversi tra i quali i mezzi di comunicazione sociale con cui si
incorpora alla cultura globale. L'esigenza di formazione permanente offre molteplici oppor-
tunità per approfondire valori educativi, etici, sociali, culturali e, quando se ne veda l'occa-
sione, anche esplicitamente evangelici con collaboratori e genitori.
Anche nell'evangelizzazione, l'educazione non va considerata un affaire di sole istitu-
zioni specifiche, ma una dimensione sempre presente perché la salvezza portata da Cristo
riguarda la vita e la dignità integrale della persona.
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57. «PER UN CAMMINO DI COLLABORAZIONE»
Vecchi, J.E. - Colombo, A., «Per un cammino di collaborazione». Comunicazione del Rettor Maggiore e della Madre Gene-
rale, Don Juan E. Vecchi e Madre Antonia Colombo ai Salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Roma, [s.e.], 24 luglio
1998.
1. La comunione nostra missione giubilare. - 2. Un segno di comunione. - 3. Alle radici della collaborazione. - 4. Atteggiamenti
interiori. - 5. Criteri operativi. - 6. Alcune proposte possibili. - 7. In cammino verso il Giubileo.
1. La comunione nostra missione giubilare
La preparazione all'anno giubilare del 2000 è, per l'umanità intera, un appello alla
comunione, una chiamata a riconoscere e costruire la grande famiglia umana, come fa-
miglia di figli amati e salvati da Dio. Un cammino storico ed ecclesiale che lo Spirito
guida verso l'unità, nella ricchezza ed integrazione dei doni propri delle singole persone
e dei vari gruppi. Come membra vive della Famiglia Salesiana ci riconosciamo in questa
esperienza e sentiamo la chiamata a rendere più esplicito il nostro carisma di comunione
per la salvezza dei giovani.
Don Bosco ci ha pensati e ci ha voluti così.
In questa logica di comunione nella diversità, don Bosco e madre Mazzarello
hanno dato inizio all'esperienza di unità e collaborazione fra Salesiani e FMA, di cui
oggi vogliamo assumere sempre più profondamente il carattere carismatico e le esigenze
di collaborazione.
Madre Mazzarello guarda a don Bosco come a colui che ispira definitivamente la
sua vita, la vita delle sue sorelle: «Viviamo alla presenza di Dio e di don Bosco», «Don
Bosco è un santo e io lo sento»1.
E don Bosco riconosce il valore di saggezza e santità di madre Mazzarello, ne
valorizza le doti, la creatività, la capacità di discernimento, la sua impronta femminile
al comune carisma. Così ne parla a don Cagliero, allora direttore dell'Istituto:
«Tu conosci lo spirito dell'Oratorio, il nostro sistema preventivo ed il segreto di
farsi voler bene, ascoltare ed ubbidire dai giovani, amando tutti e non mortificando nes-
suno, ed assistendoli giorno e notte con paterna vigilanza, paziente carità e benignità
costante. Orbene questi requisiti la buona madre Mazzarello li possiede e quindi pos-
siamo stare fidenti nel governo dell'Istituto e nel governo delle suore... la loro Congre-
gazione è pari alla nostra; ha lo stesso fine e gli stessi mezzi, che essa inculca con l'e-
sempio e con la parola alle suore...»2.
Lo sguardo alle origini ci ispira ad essere famiglia, a lavorare nella condivisione
dello stesso carisma.
Sentiamo che, in questo passaggio di secolo, la nostra comunione può davvero
essere la prima missione, il primo dono, che Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice
offrono alla Chiesa ed ai giovani.
1 Cron. I,150.
2 F. MACCONO, Santa Maria D. Mazzarello: Confondatrice e prima Superiora Generale delle Figlie
di Maria Ausiliatrice. Torino: Scuola Tipografica Privata Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, 19602,
I, 274.
- 510 -

52.3 Page 513

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2. Un segno di comunione
L'incontro dei due Consigli generali che ha avuto luogo a Castelgandolfo il
18.06.1998 si pone in questa prospettiva. Esso dà continuità ad un cammino di con-
fronto e fraternità che più volte li ha visti riuniti nella volontà di cercare strade ed espe-
rienze di comunione.
Il tema dell'ultimo incontro, «Rapporti di collaborazione fra SDB e FMA, a li-
vello ispettoriale e locale», risponde al desiderio di tutti di attuare nell'unità, e perciò in
modo più completo, il comune carisma.
Consapevoli della ricca collaborazione già in atto tra FMA ed SDB, abbiamo ini-
ziato la nostra riflessione rileggendo quattro esperienze positive a livelli diversi:
- locale: oratorio-CG di St. Mary's (Australia)
- ispettoriale: animazione ispettoriale (Barcellona-Spagna)
- nazionale: centri pastorali nazionali (Italia)
- di organizzazione (corresponsabilità) missionaria: Catecumenato Yanomami (Vene-
zuela).
Di ogni esperienza si sono evidenziati i passi di progettazione, ciò che ha favorito
la collaborazione, le difficoltà incontrate e le strade individuate per superarle.
Alla luce di queste esperienze e di alcune linee presentate nell'incontro, la rifles-
sione comune ci ha confermato nella certezza del dono carismatico della comunione e
ci ha aiutato ad esplicitare criteri e atteggiamenti interiori, che possono orientare e fa-
vorire l'unità e la collaborazione.
3. Alle radici della collaborazione
Nel «villaggio globale» in cui ci troviamo a vivere, la Chiesa è posta come segno
di unità e di pace, anticipo ed annuncio gaudioso della famiglia di Dio, chiamata a for-
mare la Gerusalemme del Cielo. Come figlie e figli della Chiesa anche noi membra
vive della Congregazione Salesiana e dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice
siamo chiamati ad essere segni visibili dell'unità, che viene dal Padre, e che si manifesta
nell'ambito di una stessa missione. Il Figlio ci vuole simili a tralci, che si riconoscono e
ricongiungono nell'unica Vite. Lo Spirito che, arricchendoci dei suoi doni, ci ha voluti
diversi per educazione, sensibilità, sesso, cultura, storia personale e congregazionale
ci chiama ad integrarci come membra del corpo di Cristo e come gruppi della Famiglia
Salesiana.
Chiamati alla stessa missione, usciti dallo stesso Fondatore, dotati di un mede-
simo patrimonio spirituale, riconosciuti in ogni parte del mondo per lo stesso inconfon-
dibile stile educativo, siamo invitati a leggere in questi tratti della nostra fisionomia un
forte appello alla fraternità.
Esso si manifesta nel vivo desiderio di unità di tante Figlie di Maria Ausiliatrice
e Salesiani, nella voglia dei giovani di vederci insieme e nella loro gioia che cresce
quando ciò si realizza, nella integrazione ed arricchimento reciproco, ogniqualvolta una
esperienza positiva ci permette un reale scambio di doni.
4. Atteggiamenti interiori
Il fatto di ricevere dal Signore un'unica grazia vocazionale, comunionale e mis-
sionaria, e la fraternità che ci unisce, diventano l'ottica normale con cui guardiamo gli
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uni alle altre, scoprendoci certamente diversi, ma anche interessanti e «sorprendenti»,
come lo è un dono.
È facile allora superare i luoghi comuni e gli stereotipi, i pregiudizi e le pigrizie
mentali sull'uomo e sulla donna, sui salesiani e sulle suore, ad esempio per accostare
con umiltà e gratitudine quell'originalità dell'altro e dell'altra, che è invito alla scoperta,
al dialogo, all'integrazione e, sempre, anche una sfida a crescere ancora.
Ciò porta a vivere rapporti maturi, in cui si dà e si riceve fiducia, e si gestiscono
serenamente anche possibili momenti di crisi. Si fa strada la chiarezza e trasparenza del
dialogo, che espone schiettamente i propri punti di vista, dando ascolto profondo a quelli
del proprio interlocutore.
Si evita allora l'impazienza, che rischia di bruciare le tappe e le persone, e si spe-
rimenta quotidianamente l'arte di ricominciare daccapo, sapendo che la comunione è un
processo lungo, non rettilineo, ma tuttavia indispensabile e, alla fine, rasserenante.
L'attenzione a sottrarci alle facili generalizzazioni e ad accostarci con rispetto alla
persona ci porta anche a riconoscere serenamente le differenze di cammino e di impo-
stazione delle nostre comunità e dei nostri Istituti, le modalità diverse nel gestire l'auto-
rità, l'originalità specifica nell'inserirci nei cammini pastorali, le competenze particolari
maturate nell'accostarci al ragazzo od alla ragazza. Invece del rischio di livellamento e
di omologazione si fa strada all'interno di un clima di incontro e di amicizia la sco-
perta della diversità, come raggio della presenza operosa e creativa dello Spirito.
5. Criteri operativi
Se i nostri atteggiamenti interiori sono segnati dalla fraternità educativa ed apo-
stolica, essa si esprimerà anche nel modo di gestire l'intera gamma dei rapporti di colla-
borazione.
Il lavoro non potrà assorbire tutto lo spazio della nostra relazione. Essa si espan-
derà anche nella ricerca di occasioni per pregare insieme, far festa insieme specie nel
Dies Domini consolidare quella radice di ogni collaborazione che è una fraternità ca-
pace di maturare anche nella gioia dell'amicizia.
Saremo insieme nello sforzo di leggere la condizione dei giovani e del popolo di
Dio, che siamo chiamati a servire e ad educare. La nostra diversità di lettura ci permet-
terà di approssimarci meglio alla comprensione della condizione reale, in cui vivono i
nostri destinatari.
Insieme, fin dall'inizio, sapremo allora proporre le linee di un progetto che an-
che se realizzato in luoghi o comunità diverse sarà tuttavia facile riconoscere nelle
linee portanti e condivise. In esso si esprimerà non solo il nostro sforzo di collabora-
zione, ma anche quello di creare spazi ed inviti per una piena corresponsabilità, a partire
dagli altri membri della Famiglia Salesiana.
La condivisione globale del progetto non renderà troppo ingrata né, tanto meno,
superflua la necessaria verifica, che oltre a elemento propulsivo dell'azione sarà
anche humus, che nutre la nostra fraternità. Operare con determinazione e riflettere con
metodo sulla propria esperienza educativa sono atteggiamenti congiunti fin dai primordi
della storia salesiana.
Un'autentica fraternità non esclude, ma piuttosto domanda, chiarezza di compiti
e di responsabilità, rispetto dei ruoli affidati ad ognuno e flessibilità, trasparenza econo-
mico-finanziaria, unita a prudenza e legalità amministrativa.
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La presenza e la condivisione del progetto comune da parte dei superiori compe-
tenti sarà di aiuto per superare le inevitabili difficoltà e dare la necessaria continuità alle
scelte pastorali e progettuali.
6. Alcune proposte possibili
L'incontro di cui abbiamo parlato ci ha permesso di esprimere lo «spirito di fami-
glia», che don Bosco ha lasciato a noi come preziosa eredità. È una gioia che ovunque
nel mondo siamo chiamati a riscoprire, per dar respiro alla nostra fraternità. Molti
confratelli e consorelle hanno imparato a vivere e pensarsi insieme fin dai primi anni
della loro vita salesiana, quando ancora prima di chiamarla per nome la «Famiglia
Salesiana» era, tuttavia, già esperienza vissuta ed intimamente gustata.
Ci sembra anche significativo riconoscere ed incoraggiare quanto a livello di
collaborazioni e corresponsabilità molteplici già si sta vivendo in tante parti del
mondo: ne sono segno le quattro esperienze paradigmatiche, su cui si sono confrontati
i due Consigli generali. Ci sono incontri nazionali e regionali di ispettori-ispettrici, di
direttrici-direttori, condivisioni pastorali significative a livello di nazione, ispettoria,
singola opera; sinergie in progetti missionari, partnership editoriali, compresenze fe-
conde in associazioni educative e pastorali...
In questo contesto, forse non è fuori luogo suggerire di approfondire la possibilità
di altre forme di condivisione e partnership: ulteriori incontri fra dicasteri dei Consigli
generali, confronti ai diversi livelli sui cammini vocazionali e formativi, impegni co-
muni in oratori ed in altre opere di frontiera, dove la presenza di salesiani e salesiane
propizia il clima educativo più efficace.
E tutto questo senza dimenticare che la nostra fraternità è un prezioso fattore di
comunione per l'intera Famiglia Salesiana, che maturerà coi nostri progressi, ma po-
trebbe anche soffrire di qualche nostro ritardo.
7. In cammino verso il Giubileo
Il Dio della vita ci chiama all'inizio del terzo millennio a vivere con rinnovato
entusiasmo il dono di comunione, inscritto nella nostra vocazione. Si tratta di dare
nuovo slancio ad una storia che viene da lontano, e riceve la sua spinta dalla santità di
don Bosco e di santa Maria Mazzarello.
Ma anche questa esperienza carismatica cammina sui piedi degli uomini e delle
donne che noi siamo e quindi riceve concretezza dalla nostra maturità, dal nostro itine-
rario di continua crescita umana e salesiana. Formare alla comunione, incoraggiare ogni
possibile collaborazione, dare tempo al tempo in modo che si impari la paziente arte del
collaborare, del perdonare, del ricominciare sono alcuni degli impegni, che possiamo
abbracciare in vista del Giubileo.
Li affidiamo a don Bosco ed a Maria Mazzarello. Preghiamo i nostri santi di tra-
sfondere un poco della loro comunione celeste in questa nostra tanto desiderata comu-
nione terrestre.
Vi accompagniamo con la nostra amicizia e con una speciale preghiera.
Don Juan E. Vecchi e Madre Antonia Colombo.
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58. NEL CONTESTO DELLE TRASFORMAZIONI CULTURALI ATTUALI
COME UNA COMUNITÀ EDUCATIVA PASTORALE DI SCUOLA O CFP EDUCA
I GIOVANI ALLA FEDE
Vecchi, J.E., Nel contesto delle trasformazioni culturali attuali come una comunità educa-
tiva pastorale di scuola o CFP educa i giovani alla fede. Relazione. Roma, [s.e.], 1 settembre
1998.
Il titolo della relazione è articolato. Sembra voler collocare il discorso in coordinate
precise e conosciute. Rivela quindi il desiderio di uno sviluppo che vada piuttosto sul con-
creto. Anche a rischio di riportare cose già ascoltate, evito dunque di andare alla ricerca di
orizzonti nuovi o impostazioni originali. La parola "come" esprime una urgenza pratica,
sentita ovunque di fronte all'enunciazione di principi e prospettive pur sempre illuminante,
ma spesso non accompagnata da suggerimenti praticabili.
1.
Penso si debba spendere una parola sul senso dell'espressione "educare alla fede":
che tipo di azione suppone e quali risultati o mete si propone di ottenere.
Noi adoperiamo diverse parole quando ci riferiamo alla crescita della persona: alle-
nare, insegnare, istruire, formare, qualificare, perfezionare. Nessuna equivale esattamente a
educare.
Educare le assume tutte in un certa misura ma le fonde in forma peculiare. Suppone
far nascere e coltivare motivazioni, attitudini ed atteggiamenti fecondi per una crescita ulte-
riore. Se uno ha studiato molto, ma non ne ha acquisito il gusto, interiorizzato i motivi e
rassodata l'abitudine, dico che "l'ho fatto studiare", ma non che "l'ho educato allo studio".
Educare suppone sempre il coinvolgimento attivo del soggetto, il suo interesse personale
nelle mete e la sua partecipazione volontaria nei processi. Ciò avviene in un rapporto perso-
nale e comunitario che va svegliando quello che egli porta in sé mentre gli si presentano
valori e gli si fanno proposte che lo incoraggiano ad andare oltre. L'appello è sempre alla
sua libertà secondo lo sviluppo che essa ha raggiunto.
Don Bosco lo esprimeva con un linguaggio semplice: "L'educazione è cosa di cuore".
Le cose che noi vogliamo far interiorizzare entrano por la porta della disposizione favore-
vole, dell'esperienza gioiosa, dell'illuminazione della mente, della predisposizione della vo-
lontà.
Noi ci domandiamo come fare questo a riguardo della fede, consapevoli che essa è
dono. Così dicono i teologi che se ne intendono. E così, come puro dono, appare nel Vangelo
attraverso i detti e i fatti di Gesù. L'iniziativa è di Dio che attira e mette sulla rotta di Cristo.
Cristo esce all'incontro delle persone e provoca il loro stupore e la loro fiducia. Non è dunque
la fede qualche cosa che possiamo consegnare come una nozione scientifica o sviluppare
come una qualità corporale. Dobbiamo piuttosto impetrarla come una grazia.
2.
Perciò è non soltanto interessante, ma indispensabile dirci dove punta il nostro sforzo
di educare alla fede. Viviamo oggi in tempi di religiosità vaga, anche di segno cristiano. La
new age arriva ai nostri ambienti. Qualcuno difende l'uguale validità obiettiva di qualsiasi
- 514 -

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religiosità a misura dell'utente. D'altra parte anche nei credenti si nota uno scollamento tra
fede e mentalità sotto l'incalzare delle problematiche personali e sociali e una difficoltà di
tradurre quello che si crede in vita quotidiana.
Un programma educativo che si accontentasse di questi livelli non darebbe ragione
delle ricchezze della fede né farebbe un buon servizio ai giovani. Nel tempo in cui essi sen-
tono l'impulso a esplorare la vita e il desiderio di realizzarsi, è importante invece che rie-
scano a vedere Gesù come riferimento per la costruzione della propria persona, che lo spe-
rimentino come salvezza, luce ed energia. Questo riferimento, progressivamente interioriz-
zato, li aiuterà a giudicare la vita come Lui, a scegliere ed ad amare come Lui, a leggere gli
avvenimenti secondo la Sua parola, a vivere come Lui la comunione con il Padre e con lo
Spirito Santo.
Matureranno e diventeranno così connaturali quegli atteggiamenti umani che portano
ad aprirsi sinceramente alla verità, a rispettare ed amare le persone, ad esprimere la propria
libertà nella donazione nel servizio.
Mentalità, pratica cristiana, presenza nella comunità dei credenti, partecipazione
nella storia: sono i parametri in cui si misura la formazione del «buon cristiano» e dell'«one-
sto cittadino».
È una meta finale, direi ambiziosa. Forse le fasi iniziali dell'educazione non riescono
a realizzarla. Segna però l'orientamento del cammino. Ad essa non possiamo rinunciare an-
che se non tutti la raggiungeranno durante il tempo scolastico e ad opera soltanto della co-
munità educativa.
Il percorso verso questo obiettivo richiede di aiutare il giovane ad accogliere la pro-
pria vita come dono e compito, riconoscendo il suo inestimabile valore e divenendo così
soggetto della propria crescita. Non sto a dirvi il significato globale che ha il riferimento alla
vita per i giovani e per tutti noi. Gesù l'ha indicato come il motivo della sua opera: «perché
abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza». Non mi fermo nemmeno a descrivere le strade
attraverso le quali i giovani cercano di sperimentare la vita.
Per alcuni la coscienza del valore e il senso della vita è connaturale. Sono favoriti
dall'ambiente familiare e da esperienze positive. Per altri invece ci vuole un cammino di
ricupero affinché riacquistino fiducia in sé e in coloro che vi stanno attorno, ma soprattutto
che della vita scoprano gli aspetti più fecondi e gioiosi. Per tutti ci vuole presa di coscienza
dei rapporti tra i quali cresciamo, delle energie di cui disponiamo, del contesto sociale in cui
viviamo; superare un modo di vivere distratto, disinteressato, centrato su di sé; percepire
alcune domande che vanno oltre il godimento immediato, l'obbligo imposto e l'interesse
pratico. Se non si raggiungessero altri traguardi, rimarrebbero almeno nell'animo le do-
mande che invocano la fede.
Ma, quando si sentono gli interrogativi della vita o per spingerla a rendersi consape-
vole delle possibilità che porta in sé, un'autentica educazione alla fede deve favorire l'incon-
tro con Gesù Cristo. I Sinodi che si stanno celebrando parlano sempre di un incontro con
Gesù Cristo vivo, come condizione per una fede autentica. Sottolineano che non basta sen-
tire la storia di Gesù o essere istruiti nella sua dottrina, ma ci vuole l'esperienza personale
dell'incontro, il tratto e l'amicizia con Lui. Non di qualunque Gesù Cristo e non qualsiasi
incontro. Si sa che nel mercato religioso ci sono oggi immagini varie di Gesù. Giovani e
adulti sono mossi da una vaga simpatia per Lui. Lo porterebbero su una maglietta. Un'altra
cosa è che si confrontino con i suoi insegnamenti e assumano il Vangelo come codice della
propria vita.
Nel Vangelo la fede è sempre descritta come un incontro personale, significativo,
intenso, spesso problematico all'inizio. L'educazione alla fede comporta prepararlo, offrirlo,
- 515 -

52.8 Page 518

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approfondirlo perché dalla curiosità che suscita la storia di Gesù si passi all'ascolto, e da
questo all'affidamento. Nel documento della Chiesa italiana Col dono della carità dentro la
storia (26 maggio 1996) si considera questo uno dei punti nodali dell'educazione la fede.
«Ci sentiamo perciò impegnati a offrire alle nuove generazioni la possibilità di un incontro
personale con Cristo, nell'ambito di una comunità fraterna, dove ciascuno possa sviluppare
la propria identità e seguire la propria vocazione»1.
L'incontro con Gesù Cristo autentico è quasi impossibile o risulta fugace se non si
mette in contatto, si fa conoscere, si fa sperimentare la Chiesa nelle sue dimensioni di mi-
stero, comunione e missione, se non si aiuta a maturare una appartenenza ad essa. La me-
moria, la parola, i gesti di salvezza, i discepoli, i propositi di Gesù si trovano, in maniera
imperfetta ma comunque autentica e organica nella comunità ecclesiale. La Chiesa, intesa
come comunità di persone, è il grembo, la casa e il laboratorio della fede. Vale la spesa
ricordare che l'educazione alla fede richiede di stimolare l'interesse, l'attenzione, la com-
prensione e l'esperienza della Chiesa. Non è oggi un punto facile e scontato. Le appartenenze
sono fugaci, funzionali e selettive. L'informazione si ferma in generale sugli aspetti istitu-
zionali o spettacolari. La privatizzazione della religiosità ha offuscato il carattere indispen-
sabile della comunità.
Infine la fede resta religiosità evanescente o intimista se non ispira un progetto di
partecipazione nella storia, in primo luogo della società a cui apparteniamo. L'educazione a
credere comporta dunque aiutare a scoprire il proprio contributo nella costruzione del Regno
e ad assumerlo con gioia e decisione. È l'orientamento vocazionale. Nella pedagogia sale-
siana si afferma che la scelta vocazionale è l'esito maturo dell'educazione alla e della fede.
"Educhiamo i giovani a sviluppare la loro vocazione umana e battesimale con una vita pro-
gressivamente ispirata e unificata dal Vangelo".
Ciascuno degli aspetti sopraelencati suppone predisposizioni da creare, segni da dare,
esperienze da fare, atteggiamenti da favorire, realtà già vissute da assumere consapevol-
mente, convincimenti da radicare, pratiche a cui iniziare.
Nella misura in cui li accolgono e interiorizzano, i giovani sono preparati per espri-
mere il loro essere credenti nel mondo di oggi, organizzando la propria vita attorno ad alcune
verità, scelte di valori e atteggiamenti di fede: cominciano a vivere una spiritualità cristiana.
3.
Di fronte a questo programma appaiono subito alcune sfide.
La prima è legata ai giovani che vengono ai nostri centri educativi. Impossibile ridurli
ad un'unica categoria. Già l'età rappresenta una notevole differenza. Ciascuno poi ha una
storia singolare e vive una situazione personale quanto a rapporti e progetti, alla percezione
di sé, all'atteggiamento di fronte alla vita, alle appartenenze già consolidate.
In particolare riguardo all'iniziazione religiosa, ricerche recenti mettono in chiaro le
differenze che appaiono nell'informazione religiosa, nell'adesione alle singole verità della
fede, nella forza con cui sentono l'appartenenza al cristianesimo. Tali conclusioni trovano
una conferma nella nostra esperienza e sollevano domande sulle vie o itinerari da percorrere
con ciascuno.
Ci sono i giovani lontani: non interessati, indifferenti o estranei al mondo religioso,
nei quali il problema della fede e del senso sembrano irrilevanti e per i quali lo stesso lin-
guaggio religioso appare slegato dal reale. È un gruppo numeroso sebbene diversificato
1 CEI. Con il dono della carità dentro la storia. Nota pastorale: la Chiesa in Italia dopo il convegno
di Palermo. Bologna, EDB, 1996 [Documenti. Chiese locali 58], n. 38.
- 516 -

52.9 Page 519

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quanto alle radici della lontananza: mancanza di istruzione religiosa e prima socializzazione
nella famiglia, povertà affettiva o culturale, successivo abbandono per interessi o abitudini
incompatibili.
Ci sono quelli disponibili a un ascolto e a una esperienza, ma non preoccupati di ac-
quistare una conoscenza organica del mistero cristiano, tanto meno di proporsi una vita coe-
rente con gli insegnamenti evangelici o l'appartenenza alla Chiesa.
Ci sono i «giovani di una certa pratica religiosa» più o meno motivata. Su di loro
influisce il costume sociale e una certa percezione del valore della dimensione religiosa. La
loro mentalità cristiana è però superficiale ed incompleta. Soprattutto la fede non va oltre il
privato. Una insufficiente maturità religiosa li frena sia nel donarsi agli altri in impegni di
aiuto, sia nell'esprimere pubblicamente il loro orientamento religioso. La dimensione reli-
giosa è marginale nell'insieme delle loro preoccupazioni.
Da ultimo nei nostri ambienti ci sono giovani motivati, disponibili all'approfondi-
mento e a proposte di coinvolgimento. Sarebbe una perdita livellarli verso il basso con of-
ferte inferiori al loro desiderio e capacità. Essi infatti considerano la fede una scoperta e un
dono. Sono capaci di accettare una riflessione più seria, di partecipare nell'azione sociale o
apostolica, di inserirsi in forma attiva nella vita della Chiesa.
Tra questi ci possono essere giovani "singolari", particolarmente dotati. Non c'è edu-
catore che non li abbia trovati sul suo cammino. In alcuni casi è singolare la loro intelligenza
o genialità. Ci si vede il talento. In altri spicca proprio l'apertura religiosa e il fascino che su
di loro esercita Gesù Cristo. A Don Bosco gli è capitato con Domenico Savio. Avvertì subito
che era di fronte a un ragazzo eccezionale. E non si lasciò perdere l'occasione di portarlo
alla vetta a cui sembrava destinato.
La sfida è come "educare" ciascuno, con stimoli adeguati per quelli che partono de-
motivati, con un accompagnamento di crescita per quelli che sono stati già iniziati e senza
livellare verso il basso coloro che sono particolarmente dotati o predisposti.
C'è una seconda sfida: la situazione "debole" della comunicazione educativa. A ra-
gione il titolo della conferenza accenna alle trasformazioni culturali. Tra di esse emerge la
comunicazione sociale che offre a getto continuo messaggi e passatempi di valore artistico,
morale e formativo diverso: dal capolavoro alla spazzatura, dalla notizia accertata al "sentito
dire" o inventato. È stata definita una scuola parallela, alternativa.
Molti hanno l'impressione che viviamo in un mondo estremamente confuso per
quanto riguarda ciò che è bene e ciò che è male. Sono molti i messaggi, molti i linguaggi
con cui tali messaggi vengono comunicati, molte le concezioni di vita che vi stanno alla
base, molte, diverse e autonome le agenzie che se ne fanno promotrici, innumerevoli e in-
compatibili gli interessi che le spingono. E non c'è un'autorità visibile capace di proporre
autorevolmente e far accettare una visione comune del mondo e della vita umana, un sistema
di norme morali, una visione dell'esistenza, un "listino" di valori comuni.
Sembra questa una situazione esterna alla persona. Invece causa o almeno provoca in
essa sensazioni insolite in parte di liberazione in parte di disorientamento; porta ad una mo-
dalità di rapporti che diventano più numerosi e meno stabili. Modifica il senso delle appar-
tenenze e adesioni, anch'esse plurali e relative.
In queste condizioni tutti i processi educativi possono diventare difficili. Gli adulti
non sempre si sentono in possesso di un patrimonio culturale sicuro. E qualcosa di simile
capita col patrimonio di spiegazioni e pratiche religiose. Inoltre il tempo per consegnarlo è
poco e le interferenze sono innumerevoli. Perciò quello che riescono a comunicare sembra
sottoposto a rapida usura. Il pacco di proposte educative non sempre attira né viene capito
- 517 -

52.10 Page 520

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nel suo insieme. La capacità propositiva tentenna. I giovani non riescono a riconoscersi fa-
cilmente nei modelli di identificazione che vengono proposti. È laboriosa la maturazione
dell'identità: quel dinamismo che va integrando e organizzando intorno a un centro di unità
interiore le diverse esperienze della persona: la percezione di sé, le immagini che giungono
dall'ambiente, gli stati emozionali, i sistemi di significato, il progetto di vita. E si sa che
quando la fede occupa il posto che le si addice, è un elemento determinante dell'identità.
Una tale comunicazione poi dà origine a un sentimento di precarietà che rende i gio-
vani vulnerabili alla manipolazione. I processi di persuasione, orientati alla acquisizione di
prodotti o alla partecipazione in certe forme di divertimento determinano non poche delle
loro preferenze che riguardano non soltanto i prodotti, ma i modelli: il tipo d'uomo e di
donna, l'immagine della bellezza e della felicità, la scala di valori, le forme di comporta-
mento.
Colloco come terza sfida la modalità con cui il giovane elabora gli orientamenti e
criteri di vita. La ragione si piega di fronte ai dati e spiegazioni scientifiche, mentre le que-
stioni che riguardano il senso dell'esistenza si consegnano alle preferenze del soggetto che
sovente le risolve conforme a convenienze immediate, a tendenze personali non vagliate.
Nell'opinabilità di tutto, sono sempre più numerose e importanti le scelte lasciate alla
persona che, d'altra parte, è incalzata da messaggi e proposte contrastanti.
La selettività, la privatizzazione, l'elaborazione soggettiva appare di più nell'etica. È
importante cogliere la sua portata perché la formazione della coscienza è il cuore dell'edu-
cazione ed in particolare dell'educazione alla fede. Nell'educazione infatti si cerca di svilup-
pare le molteplici dimensioni della persona, ma tutte sotto la prospettiva e il punto unificante
dell'agire cosciente libero e retto. L'educazione alla fede porta alla conversione, alla confor-
mazione della vita al Vangelo.
La mancanza di riferimento a verità appare più evidente lì dove la persona pensa che
gli atti le appartengono esclusivamente e che la loro rilevanza pubblica è trascurabile, per
cui non vengono regolati nemmeno dal consenso sociale.
L'esempio più alla mano, ma non l'unico, è quello della sessualità.
In quest'ambito sono caduti i controlli sociali e a volte anche quelli familiari. C'è tol-
leranza pubblica e diritto a scelte diverse. Anzi, stampa, letteratura, spettacoli spesso esal-
tano le trasgressioni e presentano le deviazioni come conseguenza di condizioni diverse.
Qualsiasi dimensione etica, anche soltanto umanistica, viene trascurata, quando non ignorata
persino in programmi ufficiali ampiamente diffusi. Ci si preoccupa solo di vivere la sessua-
lità in modo appagante e sicuro da rischi per la salute fisica o psichica. La si stacca dai
componenti che le danno senso e dignità.
L'emergere della soggettività è una delle chiavi per interpretare la cultura attuale. È
legata al riconoscimento della singolarità di ogni persona e del valore della sua esperienza.
Viene rivendicata da quei gruppi che per molto tempo si sentirono "oggetto" di leggi, impo-
sizioni esterne di identità o convenzioni sociali che gli impedivano l'espressione. Comporta
però una particolare attenzione educativa nell'orientare verso la verità e il bene in tutta la
loro consistenza obiettiva.
Ancora una sfida: il rapporto che il giovane stabilisce con le istituzioni educative. Non
c'è disaffezione a questi luoghi, ma sovente nemmeno adesione cordiale. Un certo numero
di giovani non pensa di investire in esse tempo e vitalità, né di maturare appartenenze dure-
voli con significato per la propria vita.
Qualcuno l'ha definito presenza senza comunicazione, uno stare dentro e fuori allo
stesso tempo. Non affidano ad essa i problemi personali e non cercano di risolvere in essa
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53.1 Page 521

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gli interrogativi che riguardano la vita. Uso, distanza, non appartenenza sono le parole che
sintetizzano questo rapporto problematico.
La relazione con l'istituzione scolastica è stata oggetto di particolare ricerca in tutti i
paesi. È complessa e presenta non poche ambiguità: appare dovunque prevalentemente uti-
litarista e dominata dagli interessi individuali piuttosto che dalle finalità obiettive dell'orga-
nizzazione scolastica.
Una parte dei giovani adempie un requisito. Cerca nella scuola titoli di studio più che
risultati in termini reali di formazione, qualificazione o cultura. Le aspettative della maggio-
ranza non vanno oltre l'istruzione e informazione. È una reazione alla indifferenza che molti
ambienti scolastici hanno dimostrato per i problemi di vita che i ragazzi soffrono.
La lagnanza più diffusa tra i giovani è «la mancanza di interesse da parte dei docenti
dei problemi personali degli allievi» e «il carattere anonimo dei rapporti nell'ambiente sco-
lastico»2.
Accanto a questi fenomeni, che sembrano avere una connotazione negativa, collegati
e quasi confusi con essi ce ne sono altri di segno positivo che enuncio rapidamente.
La dimensione religiosa viene rivalutata anche se non sempre questa rivalutazione
attinge a ragioni trascendenti e sostanziali. È scontato che arricchisce la personalità, che
contribuisce a risolvere il problema del significato della vita e porta all'interiorità. È raffor-
zata da figure locali, nazionali e internazionali che sono diventate punti di riferimento per
cause umane di vasta risonanza. Appare alquanto ambigua perché colorata di individualismo
e relativismo e perché le informazioni ed immagini su di essa mescolano sospetti, lodi e
scandali. Viene messa in rilievo anche da avvenimenti mondiali con protagonisti adulti o
giovani. La figura di Gesù, anche se non sempre colta nella sua dimensione umano-divina,
raccoglie interesse e attira l'attenzione. Alcuni fatti culturali dell'anno dedicato alla medita-
zione su Cristo ne sono prova abbastanza eloquente.
I giovani, spontaneamente o provocati, manifestano bisogno di ragioni per sperare,
ricerca di senso, voglia di realizzazione e desiderio di comunicazione. Per questo nei luoghi
chiamati "vitali" o di propria scelta, dove si privilegiano i rapporti informali e l'amicizia, si
elaborano convinzioni e maturano appartenenze. Nell'ambito ecclesiale i gruppi, le comunità
e i movimenti rappresentano, per una certa percentuale di giovani, luoghi di maturazione
nella fede e nell'impegno.
Da ultimo bisogna sottolineare la presa che hanno oggi i valori emergenti (la pace,
l'ambiente, i diritti civili), la sensibilità per i problemi della gente bisognosa anche lontana
e l'adesione che raccolgono le iniziative di solidarietà che arrivano fino al volontariato. Si
tratta di percentuali minori di giovani, comunque non indifferenti. Tali sensibilità per lo più
nascono da aperture e contatti molto vicini all'area religiosa, se non addirittura in terreni già
fecondati dalla fede, e servono da lievito e stimolo nell'ambiente.
4.
E veniamo alla comunità educativo-pastorale. La intendiamo come la totalità delle
risorse educative disponibili. Le risorse personali: educatori, giovani, genitori, altri operatori
che si affiancano per compiti vari; le risorse reali: ambienti, programmi, fiducia di cui gode
l'istituzione, mezzi. Le risorse organizzative: collegamenti interni, ruoli e organismi, coor-
dinamento, convergenza su finalità e modalità pedagogiche.
2 Cf. E. BUTTURINI, Disagio giovanile e impegno educativo. Brescia, La Scuola, 1984. [Scuola d'oggi.
41].
- 519 -

53.2 Page 522

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Questo soggetto, ampio e articolato ma reale, agisce attraverso persone singole,
gruppi o équipe e, a volte, come totalità in base a un progetto educativo conosciuto, condi-
viso e assunto. Entrambi, soggetto e progetto, sono necessari per evitare indirizzi divergenti
e interventi formativi a compartimento stagno; per collocare lo sforzo educativo in un con-
testo di rapporti e comunicazione interpersonale, unico capace di influire veramente sui gio-
vani.
Parlare della scuola come comunità significa concepirla in primo luogo come uno
spazio o ambiente umano anziché come una istituzione; vuol dire pensare l'educazione in
termini di relazioni tra persone e gruppi piuttosto che solo in termini di offerta di cono-
scenze.
Parlare di "soggetto" vuol dire che tale comunità non è solo committente di un lavoro
da compiere su incarico o per conto di altri (quasi un appalto), ma il titolare. Che la sua
responsabilità sui contenuti e gli indirizzi, sull'offerta e sui risultati non è subordinata ma
principale, non di sola esecuzione ma di progettazione; che non soltanto pensa proposte per
terzi ma le assume essa stessa.
Si parla della comunità come "soggetto" educativo: che propone cioè ai giovani orien-
tamenti e percorsi di crescita e ne fa l'esperienza essa stessa.
Se ne parla anche come di un soggetto culturale: l'espressione sta ad indicare il diritto,
il dovere e il compito che ha la comunità di immaginare, e mettere in atto criteri e proposte
originali accordi con una visione dell'uomo in cui crede. Non solo "passa" o trasmette cul-
tura, ma la elabora. Non solo la riproduce, ma la ripensa secondo le proprie scelte e i desti-
natari del suo servizio.
Della comunità educativa di una scuola cattolica si afferma anche che è "soggetto"
ecclesiale, e ciò ha particolare attinenza col discorso dell'educazione alla fede. Essa parte-
cipa alla missione della Chiesa; viene considerata parte del tessuto vivo della Chiesa locale,
spazio significativo dell'incontro tra fede e cultura, ambiente ecclesiale di educazione, luogo
di formazione cristiana integrale attraverso l'assimilazione sistematica della cultura.
La scuola cattolica appartiene alla Chiesa non nel senso che è sua proprietà o possesso
"come un bosco, un prato, una banca o un palazzo". Ma nel senso che ne costituisce una
"porzione", una realizzazione capace di assumere e riflettere la sua identità e la sua vita.
La soggettività ecclesiale, d'altra parte, non è un principio teorico o un titolo da sfo-
derare in qualche opportunità straordinaria, ma un criterio operativo le cui conseguenze pos-
sono essere verificate anche con un certo rigore. Afferma in proposito il Progetto Educativo
Salesiano Nazionale: La comunità scolastica è «il soggetto ecclesiale nel quale la comunità
cristiana assume senza riserve la dimensione educativo culturale della propria esperienza di
fede, nella varietà delle presenze, delle vocazioni e dei ministeri. La diversità accolta in tutta
la sua ricchezza e la convergenza costruita intorno al progetto educativo e al servizio dell'au-
torità costituiscono l'elemento centrale»3.
Bisogna aggiungere subito un chiarimento a scanso di equivoci. Tra i soggetti o co-
munità ecclesiali la comunità educativa pastorale ha una sua originalità. Non la si può pen-
sare o volere simile alla comunità parrocchiale, al movimento ecclesiale, ai gruppi catechi-
stici. La sua differenza non consiste soltanto nel "lavoro" professionale che compie, ma pro-
prio nella sua composizione e nella modalità singolare con cui porta avanti l'evangelizza-
zione.
A configurare ulteriormente tale originalità ecclesiale concorre il fatto che essa è an-
che un soggetto civile. Assume con pieno diritto un'iniziativa educativa di fronte alla società;
3 PESN nn. 4, 1, 3.
- 520 -

53.3 Page 523

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si apre, si comunica, si confronta e interagisce con altri soggetti dedicati alla medesima o ad
altre attività simili all'interno del corpo sociale sulla base dei principi e degli interessi cultu-
rali, anche se porta il contributo della sua scelta religiosa.
Da tutto ciò emerge un dato: la comunità scolastica, per quanto riguarda l'evangeliz-
zazione, si configura come comunità "missionaria". Collocata in uno degli areopaghi mo-
derni risulta quasi una frontiera "ad gentes". Secondo i casi «deve ricominciare dai fonda-
menti, dare risposta alle domande che salgono dallo spirito inquieto e critico dei giovani,
abbattere il muro dell'indifferenza; integrare quello che i giovani hanno già assimilato; aiu-
tare quelli già educati a raggiungere una via migliore e dare loro una scienza alleata della
sapienza cristiana»4.
Nella scuola cattolica o nel centro di formazione professionale i confini della Chiesa
si estendono, oltre il visibile: includono coloro che collaborano di cuore alla missione, pur
appartenendo ad altre confessioni cristiane o avendo per il momento verso la Chiesa solo
una apertura o disponibilità5.
4.1
Alla domanda su come una comunità educativa pastorale salesiana può educare i gio-
vani alla fede, viene in mente una prima indicazione: rendendosi consapevole di quello che
è e cercando di diventarlo sempre di più.
Dicono le Costituzioni o Statuto fondamentale dei Salesiani: «Realizziamo nelle no-
stre opere la comunità educativa e pastorale. Essa coinvolge in clima di famiglia, giovani e
adulti, genitori ed educatori, fino a poter diventare un'esperienza di Chiesa, rivelatrice del
disegno di Dio»6.
L'elemento caratteristico dei soggetti ecclesiali, la causa o radice del loro essere e
manifestarsi come comunità è la comunione basata sulla fede, la speranza e la carità.
La comunità educativa dunque è un fatto dello Spirito. I rapporti tra i suoi membri,
educatori, genitori, allievi non sono soltanto di lavoro e organizzazione ma rispondono a una
chiamata e convocazione. «Solo a questa profondità afferma il documento CEI è possi-
bile definire l'intera verità dell'ecclesialità propria della scuola cattolica»7. Non è determi-
nante che tale fatto non sia vissuto da tutti a livelli eccellenti o che alcuni non lo percepiscano
chiaramente come motivazione della loro presenza e partecipazione. È importante invece
che il gruppo animatore o trainante sia consapevole delle sue possibilità e orienti la comunità
di conseguenza.
Il livello più elementare dei rapporti sta nell'assumere insieme un disegno per la cre-
scita della vita secondo il Vangelo, nel collaborare, nel dimostrarsi a vicenda sincera stima
e fiducia. Ma il richiamo ecclesiale ci spinge ad approfondire i rapporti passando da quelli
funzionali a quelli "vocazionali", di persone che sentono di avere una missione comune da
svolgere e la vogliono compiere con tutta la luce che viene dalla professionalità e dal Van-
gelo.
In questa comunione per la missione educativa operano organicamente e si interscam-
biano qualità e competenze diverse vocazioni: il laico secondo la sua condizione di vita,
4 Cf. CEI, La dimensione religiosa dell'educazione nella Scuola Cattolica, Milano, Figlie di San
Paolo, 1988, nn. 14-46.
5 Cf. SANTA SEDE. La scuola cattolica: Documento della Sacra Congregazione per l'educazione cat-
tolica. Milano, Vita e pensiero, 1977, n. 59.
6 C 47.
7 CEI, La presenza della scuola cattolica in Italia: Documento di lavoro del Convegno nazionale.
Roma, 20-23 novembre 1991. Bologna, EDB, p. 49-50.
- 521 -

53.4 Page 524

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uomo o donna, sposato o celibe; il consacrato/a, religiosi/e, membri di istituti secolari; il
sacerdote conforme al compito che assume nella comunità, di cappellano, direttore spirituale
o educatore in senso professionale.
La comunione educativa fa scaturire espressioni originali da ciascuna di queste voca-
zioni. Il sacerdote educatore ha un suo modo proprio di mettere a frutto il ministero della
parola, della santificazione e dell'animazione pastorale. La cattedra è il suo pulpito. La cul-
tura già pensata a confronto col Vangelo, intesa come vita e pensiero è il suo messaggio;
l'orientamento evangelico della comunità costituisce il suo ministero pastorale. La sua opera
di santificazione consiste nell'aiutare a riconoscere e dare una risposta generosa alla grazia
nel processo di formazione e crescita integrale.
Qualche cosa di simile capita per il consacrato. Anche prescindendo da una sua spe-
cifica prassi pedagogica, la consacrazione medesima agisce come energia educativa: offre
un riferimento sostanziale di valore nella formazione della cultura personale, ricorda il ca-
rattere indispensabile della donazione per la propria realizzazione, orienta verso la prefe-
renza per i beni più sostanziali, estende la razionalità fino alla ricerca del senso e la perce-
zione del mistero che la vita comporta.
Il laico attua in forma originale le caratteristiche generali della sua vocazione: il suo
trattare le questioni temporali dal di dentro e secondo le proprie leggi si traduce in capacità
di comunicare esperienza vissuta alla luce della fede nel vivo delle sfide della cultura e del
contesto sociale; il suo compito di lievitare le realtà temporali con l'etica, la carità e lo spirito
del Vangelo aiuta la comunità a collocarsi con realismo nella contingenza, per fare i passi
possibili senza perdere di vista le mete ultime.
Rinsaldati in questa comunione, la comunità educativa pastorale si rende comunita-
riamente consapevole e corresponsabile della sua originale "missione", ne esplicita le con-
seguenze pratiche e si propone di soddisfarle.
Cerca di sperimentare in se stessa e comunicare alle nuove generazioni in forma po-
sitiva la tensione tra il vivere odierno e il Vangelo, tra il pensiero e la fede. È questa la
differenza specifica tra una scuola cattolica e le altre scuole, tra una comunità educativa e
gli altri soggetti ecclesiali: approfondire l'umano alla luce del mistero di Cristo per estrarne
le conseguenze educative.
Ciò suppone valorizzare la dimensione religiosa nella costruzione umana della per-
sona e assumere personalmente tale dimensione, che per noi consiste nell'esperienza cri-
stiana, come cultura e vissuto, secondo il livello della nostra professionalità e compito. Non
si riesce a comunicare se non quello che si ha o a cui almeno si tende con passione.
Richiede ancora attenzione e interesse diretto di ciascuno per l'educazione dei giovani
alla fede, conforme alle proprie possibilità ma senza deleghe in bianco. La comunità educa-
tiva appare debole lì dove uno dei suoi membri lascia un vuoto.
Aggiungo la vigilanza mentale sui fenomeni culturali, sui comportamenti giovanili,
sulle attese e premonizioni che vengono dal mondo dei giovani. E ancora l'approfondimento
della configurazione che l'uomo prende in Gesù Cristo, alla cui immagine si ispirano i nostri
orientamenti per formare l'uomo completo. «Al centro della cultura la verità sull'uomo»,
dice la CEI nel documento citato sopra.
Alla manifestazione di una maggiore comunione e alla consapevolezza della missione
associo il proporsi di vivere il compito educativo alla luce di una spiritualità tipica: quella
dell'educatore salesiano. I suoi capisaldi sono:
- la persuasione che nel cuore di ogni giovane ha luogo un dialogo misterioso che non
ci è dato di manipolare o condizionare. È il dialogo tra realtà e coscienza; ma anche, più
profondamente, tra appello di Dio e libertà. In esso siamo mediatori dell'opera del Padre che
- 522 -

53.5 Page 525

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provvede alla vita, di Gesù Cristo che offre orizzonti di senso, grazia di redenzione ed ener-
gia di costruzione, dello Spirito Santo che va orientando dall'interno verso il bene e la verità;
- il discernimento evangelico su stili di vita, valori e correnti di pensiero;
- l'esercizio della carità nell'accompagnamento dei giovani;
- a contemplazione dell'agire di Dio nella vita dei giovani;
- incontro con Lui nel rapporto educativo.
Un testo caro ai Salesiani recita: «Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani
per offrici la grazia dell'incontro con Lui e per disporci a servirlo in loro, riconoscendone la
dignità ed educandoli alla pienezza della vita. Il momento educativo diviene così il luogo
privilegiato del nostro incontro con Lui».
E bisogna dire che l'incontro con Lui cambia radicalmente la qualità e la visione edu-
cativa.
4.2
Oltre questa presa di coscienza e questo sforzo di crescita, la comunità educativa do-
vrà cercare di creare un ambiente in cui i giovani possano sperimentare la fede o qualche
tratto di essa e vengano incoraggiati a considerarla seriamente.
L'ambiente è una delle intuizioni prime di Don Bosco che è passata alla prassi sale-
siana come criterio fondamentale. Finora la sua efficacia non è stata smentita. Esso agisce
in continuità anche quando non ci si pensa. È un ecosistema: come nel caso della vita biolo-
gica offre le condizioni adeguate e crea lo spazio dove le esperienze positive diventano pos-
sibili. È come il terreno per il seme. Insinua, sveglia e anche fa assimilare lentamente. Man-
tiene lo stimolo. Se ci si trova bene, vi si ritorna volentieri e la permanenza gioiosa accresce
la capacità di recezione. La fede, in fase di proposta e crescita, ha bisogno di un ambiente.
L'ambiente non nasce e non arriva a condizioni ottimali spontaneamente. Richiede
immaginazione, scelte e sforzo quotidiano e capillare. Su di esso influisce tutto, dall'aspetto
dei locali al volto delle persone.
Ma per quanto riguarda i giovani bisogna sottolineare il valore decisivo dell'acco-
glienza, da essi chiaramente percepita. Lo rileva il Documento della CEI Col dono della
carità entro la Storia: «Come fece Gesù con il giovane ricco8 le comunità guardino i giovani
con amore disinteressato… Devono essere per loro una casa accogliente, in cui trovare oc-
casioni di dialogo con gli adulti e nello stesso tempo essere valorizzati come soggetti attivi,
protagonisti della propria formazione ed evangelizzazione»9.
Con l'accoglienza si può incominciare da qualsiasi punto e arrivare al discorso della
fede. Senza di essa il tentato discorso della fede spesso finisce nel nulla.
L'accoglienza riguarda la persona fisica e singola. Ma anche la situazione particolare,
familiare o scolastica di cui bisogna farsi carico, rispettando con pazienza i tempi di supera-
mento e maturazione. Riguarda pure la mentalità o quello che alcuni chiamano la cultura
giovanile, non per adeguarsi acriticamente ma per entrare nell'animo dei giovani. L'acco-
glienza comporta il dialogo: dire e dare la parola perché i giovani possano esprimere se
stessi. La fede non morde finché non la si sente nella vita, come invocazione, soluzione,
apertura o svelamento. Se il giovane non riesce a dirsi quello che sente o gli capita è proba-
bile che le verità religiose scivolino sulla superficie del suo essere.
L'accoglienza è ancora possibilità di partecipazione o iniziativa. Nella tradizione sa-
lesiana c'è la convinzione che il modello di riferimento per tutte le presenze sia l'oratorio:
8 Cf. Mt 19, 16-22
9 CEI. Con il dono della carità dentro la storia, n. 38.
- 523 -

53.6 Page 526

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non come organizzazione, ma come stile di approccio e rapporto; dunque come ambiente
umano in cui la proposta di valori e di fede si rende comprensibile e accettabile.
L'ambiente è una realizzazione solidale di tutti i componenti di quel soggetto ampio
e articolato che è la comunità educativa: persone singole, ruoli e organismi, gruppi, presta-
zioni didattiche. Quanto più vi metta ciascuno, tanto più crescerà la sua qualità. Ogni tanto
deve essere pure oggetto di verifica nelle sue manifestazioni e cause e di riprogettazione.
4.3
La comunità educativa pastorale è chiamata ad offrire "segni della fede" per i giovani.
È segno l'unità della comunità già indicata da Gesù come il principale dei "segni"10 un segno
particolarmente eloquente in un tempo di individualismo, concorrenze esasperate e lacera-
zioni varie. Si tratta di quell'unità educativa che i giovani apprezzano e desiderano: concor-
dare le esigenze, convergere sui criteri, offrire altre possibilità di aiuto a coloro che incap-
pano in conflitti con qualcuno degli educatori, ruoli e momenti di esigenza e di accoglienza
adeguatamente bilanciati.
Segno della fede è la fiducia nelle risorse e possibilità di ogni giovane e l'aprire loro
strade nelle difficoltà stando accanto e sostenendoli. La fede salva. Il giovane fa esperienza
parziale della salvezza quando qualcuno lo aiuta a superare le situazioni in cui si sente sper-
duto.
C'è una parola nella prassi salesiana: assistenza. È la presenza fisica per garantire
l'ordine necessario allo svolgimento sereno delle attività educative; ma è soprattutto vici-
nanza personalizzata a ciascuno per aiutarlo a sviluppare tutte le sue possibilità.
Segno della fede è il perdono e la riconciliazione che, pur mantenendo il livello delle
esigenze e correggendo difetti e mancanze, sa dare una nuova opportunità di amicizia, di
stima, di valorizzazione.
Segno della fede è la predilezione per i più poveri, dei vari tipi di povertà oggi comuni
nella nostra società, non esclusa quella affettiva, di cultura, di ideali, di prontezza per lo
studio o il lavoro.
Segni della fede sono i gesti o momenti religiosi, come la preghiera, le celebrazioni
liturgiche o fraterne, i momenti di riflessione. Fa bene ai giovani e li invoglia sapere che gli
adulti educatori riconoscono con schiettezza la presenza di Dio nella vita e di fronte alle
difficoltà cercano in Lui luce, forza e rettitudine.
4.4
Da ultimo la comunità educativa deve costituirsi in "scuola" di fede attivando quei
processi che dalla vita o la cultura aprono alla fede e da una esperienza di fede portano verso
la vita e la maturazione della mentalità.
Questo include alcune attenzioni. La prima vuole assicurare che la cultura che si va
comunicando con lo stile, le norme, il tipo di rapporto, i contenuti dell'istruzione porti verso
atteggiamenti e proponga abitudini che, come minimo, non offrano ostacoli all'accettazione
della fede e, come ideale, favoriscano l'apertura verso i valori e i comportamenti evangelici.
Non mi fermo a sviscerare la complessa realtà della cultura. Nel singolo e nei gruppi
è quell'insieme di concezioni della realtà (uomo, mondo, avvenimenti) che determinano le
sue scelte e il suo orientamento. In tal senso è stato detto che "cultura è quello che rimane
nella persona quando essa ha dimenticato tutte le conoscenze particolari".
10 Cf. Gv 17, 21
- 524 -

53.7 Page 527

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Le espressioni cultura dell'essere e dell'avere, della vita o della morte, della solidarietà
o del consumo, dell'accoglienza o dell'intolleranza, della pace o della violenza mettono in
chiaro il risultato nella persona di molti e svariati stimoli. Dalle medesime espressioni si
evince che nessuna sintesi culturale è neutra dal punto di vista della fede. Aprono, favori-
scono, esprimono la fede o rendono difficile la sua accettazione e pratica.
Particolare influsso sull'educazione alla fede ha il pacchetto didattico o di insegna-
mento, che è l'offerta più abbondante e specifica della scuola e del Centro di formazione
professionale.
È importante in esso una corretta impostazione del rapporto scienze-verità: lasciare
in chiaro cioè che quest'ultima in quanto conoscibile si estende oltre le scienze con influsso
determinante sulla vita dell'uomo. Influisce sulla fede l'idea che si dà dei percorsi o metodi
verso la verità che interessa l'uomo: se sono quelli empirici o si accettano altre strade legit-
time del pensiero e dell'intuizione. Interessa finalmente la visione che si passa attraverso
quei contenuti che riguardano direttamente l'uomo, la sua storia e il suo destino. Interessano
le abitudini mentali della ricerca e la sintesi.
Nel pacchetto didattico si integra l'insegnamento religioso. È importante. Il Progetto
Educativo Salesiano Nazionale indica «la qualificazione dell'insegnamento della religione
come momento importante di formazione culturale. A questo fine aggiunge vanno ga-
rantiti il giusto orientamento e una scansione cristianamente fondata dei contenuti, due ore
nell'orario settimanale delle lezioni, la formazione e l'aggiornamento degli insegnanti e la
continuità didattica»11 Non va considerato un corpo estraneo, che nulla ha a che vedere con
la totalità dell'offerta didattica, collocato nel programma soltanto per esigenze di identifica-
zione confessionale. Ci vuole un approccio interdisciplinare almeno riguardo ad alcuni con-
tenuti e, periodicamente, un accertamento per verificare se il discorso religioso-culturale
converge con quello che si fa in altre sedi.
Un'altra attenzione riguarda il rapporto didattico, che ha come luogo e finalità, sem-
pre prevalente e a volte unica, l'apprendimento. Le sue possibilità vanno oltre la comunica-
zione dei contenuti specifici delle discipline. Perciò il Progetto Educativo Salesiano Nazio-
nale gli dedica tre pagine. Dopo aver descritto le qualità che lo rendono efficace, gli attri-
buisce una funzione interpretativa in quanto aiuta il giovane a fare una diagnosi essenziale
del mondo in cui vive, delle ideologie che lo percorrono, dei sistemi che predominano; una
funzione di progettualità personale in quanto apre strade verso l'esercizio anche audace di
una professionalità che può scegliere; una funzione metodologica pratica in quanto va mo-
strando forme sistematiche di approccio ai problemi e modalità di azione; una funzione etica
culturale in quanto offre modelli di vita12. Secondo la migliore tradizione salesiana il rap-
porto didattico crea la piattaforma per un discorso a tutto campo.
La comunità va oltre il programma didattico. Quella salesiana è stata sempre attenta
al tempo extra scolastico: è il tempo delle proposte rivolte a chi ne vuole approfittare, che
vanno dalle attività ludiche, sociali e artistiche a quelle catechistiche, apostoliche e missio-
narie. Nell'ultimo tempo si è visto che il Volontariato e l'apertura ai problemi del mondo
costituisce una scuola complementare per gli scenari nuovi, le esperienze e i contatti che
offre.
11 Cf. SALESIANI - FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE. Progetto educativo nazionale: il progetto educa-
tivo della scuola e della formazione professionale dei Salesiani di don Bosco e delle Figlie di Maria
Ausiliatrice in Italia. [S.l.]: [s.e.], 1995, n. 5.3.1.
12 Cf. Ibid. n. 5.1.3.
- 525 -

53.8 Page 528

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5.
A modo di conclusione sottolineo due modalità che vanno tenute presenti nell'appli-
cazione di quanto abbiamo detto sulla Comunità Educativa Pastorale.
I quattro aspetti indicati vanno realizzati contemporaneamente; agiscono in circola-
rità, l'uno influisce sull'altro. Anche se meno importante dal punto di vista delle finalità
dell'istituzione scolastica, qualcuno di essi è determinante per il giovane. Trascurarlo vuol
dire compromettere il risultato. Don Bosco esprimeva questo fatto con un'espressione: "Tra-
scurando il meno si perde il più".
Inoltre dovrebbero consentire una certa personalizzazione della educazione alla fede.
Al primo e più generale annuncio evangelico offerto a tutti, dovrebbe seguire un accompa-
gnamento in gruppi per coloro che sono disposti a fare un cammino, e anche l'assistenza o
consulenza ai giovani che cercano un orientamento per un maggiore impegno spirituale.
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53.9 Page 529

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59. «DON GIUSEPPE QUADRIO: SACERDOTE SALESIANO»
Vecchi, J.E., Introduzione in E. Ferasin, «Segno vivo di Cristo Maestro: la formazione sacerdotale negli scritti e nell'azione
pastorale di Don Giuseppe Quadrio (1921-1963)». Roma, LAS, 1999, p. 3-5.
Spesso, da giovane, mi domandavo come combinare la condizione di salesiano con
una espansione totale del sacerdozio. Salesiano voleva dire non solo lavoro tra i giovani ma
dedicarsi all'educazione; ed educazione il più delle volte significava lavoro in istituzioni ca-
ratterizzate da orari, organismi e compiti professionali, insegnamento per lo più umanistico
e scientifico.
Il modello dell'agire pastorale, tipico del sacerdote, sembrava essere quello del par-
roco: illuminare il vivere quotidiano della gente con la parola, radunare la comunità cristiana
e celebrare con e per essa, consolare, dare speranza a coloro che sono provati, orientare in
forma personale uomini e donne verso la santità secondo la loro condizione di vita, aiutare
ragazzi e giovani a crescere nella fede.
Sollevavano in me domande inquietanti riguardo al futuro coloro che, dopo aver lavo-
rato da educatori durante la settimana, dicevano di voler agire da sacerdoti la domenica; o
consideravano che il dono della grazia sacerdotale aveva un'espressione più genuina nell'as-
sistenza a gruppi religiosi, piuttosto che nello stare con i ragazzi in cortile o nell'aula. Da
qualcuno ho sentito affermare che eravamo eredi di un'epoca precedente in cui i preti face-
vano di tutto nell'ordine culturale ed educativo: da istitutori familiari a maestri nelle scuole
comunali.
Mi chiedevo che cosa fosse la vocazione salesiana per uno che sin dall'inizio si era
sentito portato verso il sacerdozio, ma che l'aveva scoperto e vi si sentiva attirato proprio
dalla persona di Don Bosco e dall'esperienza felice fatta nei suoi ambienti.
Non meno pressante era l'interrogativo riguardo al dispendio di tempo, denaro e capa-
cità, da parte della Congregazione salesiana, nel preparare preti che, in seguito, non avreb-
bero messo a frutto al cento per cento il loro ministero, invece di qualificare professionisti
per l'educazione nelle sue diverse forme.
A monte di tutto c'era il busillis se essere sacerdote coincidesse col «fare il prete»,
cioè prestare regolarmente e nelle circostanze canoniche il servizio pubblico del presbitero;
o se questo aspetto, pur qualificante e persino indispensabile, non bastasse a determinare
essenzialmente la natura e la grazia del sacerdozio cristiano. E, di conseguenza, l'esercizio
del sacerdozio si potesse estendere a campi non caratterizzati dal ruolo religioso, dai segni
sacri, dai momenti rituali.
Erano allora al centro dell'attenzione i preti operai e l'evidenza, dopo molte premoni-
zioni chiare ma contestate da alcuni per i loro effetti dirompenti, che l'immagine sacra del
prete si andava evaporando.
Ho ritrovato il problema in questi ultimi tempi, in forma più generale, nelle domande
sul sacerdozio dei religiosi: come si integra nel carisma e come questo influisce sul modo di
essere sacerdote? Tra i due, carisma e sacerdozio, c'è assorbimento, giustapposizione o inte-
razione arricchente e, finalmente, una nuova ed originale sintesi?
Da parte di membri del clero diocesano il sacerdote religioso viene a volte considerato
un «aggiunto libero», dal quale si potrebbe anche prescindere se ci fossero forze sufficienti
per curare il popolo di Dio. Egli realizzerebbe in forma relativa, solo in parte, il «modello»
- 527 -

53.10 Page 530

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del sacerdozio che sarebbe costituito proprio da coloro (si dice con molta inesattezza!) che
lavorano col Vescovo.
Da parte dei religiosi «inviati» dall'ubbidienza, che ha sempre a che fare con la mani-
festazione del carisma, a un servizio pastorale quale la parrocchia, ci può essere un livella-
mento, per quanto riguarda il pensare e l'agire, con un «astratto» sacerdote diocesano.
In fondo c'è una concezione «funzionale» del sacerdozio. Esso sarebbe una autorizza-
zione o delega per fare certe cose, piuttosto che la mediazione sacramentale di Cristo che
opera nei momenti rituali e in qualsiasi altra circostanza e tempo, perché determina un «es-
sere» nel soggetto.
Tale essere nuovo non risulta esattamente uguale in tutti come non è uguale il nostro
essere naturale, composizione svariatissima di innumerevoli elementi grandi e piccoli, nelle
forme più impensabili. Eppure in tutte queste forme diverse si riconosce il sacerdozio di
Cristo e della Chiesa.
Pensavo allora, e ancora oggi, che Dio fa le persone e le arricchisce con carismi sin-
golari. Non li produce in serie, ma uno a uno. Gli uomini li organizzano in istituzioni e li
classificano attraverso «identità generali», cosa necessaria e utile per intendersi e poter cam-
minare nella storia. Così tutti siamo battezzati. Però, ringraziando il Signore, il battesimo
non ha eliminato né sostituito tutto il resto, ma è venuto ad essere un punto di sintesi e di
spinta per lo sviluppo irrepetibile di quanto avevamo acquisito e continuiamo ad incorporare
nella nostra personalità.
Non riesco a pensare a Don Quadrio come un sacerdote «generico» anche se santo,
senza altre specificazioni. Fu un salesiano sacerdote e quindi un sacerdote salesiano. Ag-
giungerei «italiano», con una biografia che portava il marchio lombardo, con desideri non
realizzati, un passato segnato da esperienze proprie, con progetti di santità ispirati a letture,
maestri e riflessioni sue. Niente era rimasto fuori del sacerdozio, ma questo non si manife-
stava principalmente in adempimenti, se pur esemplari, né in competenze di ruolo. Il sacer-
dote era tutto Giuseppe Quadrio: persona e grazia. In Lui Cristo si era fatto presente, quasi
luminoso e la Chiesa aveva riconosciuto questa grazia di mediazione conferendogli l'ordina-
zione.
Penso sia interessante spendere qualche parola sulle due dimensioni fondamentali,
sempre contestualizzate nella sua personalità e storia: il sacerdozio e la salesianità. Sono
entrambe ugualmente sostantive. Se venissero separate o anche gerarchizzate rigidamente,
nessuna delle due si salverebbe. Così nella vocazione personale e così nella sua formazione
realizzata e offerta a noi e a qualsiasi altro sacerdote. Il suo ministero non poteva svolgersi
diversamente: quello che «era», sacerdote salesiano, appariva nell'esercizio delle funzioni
specifiche e in ogni altro momento. Il caso più tipico e prolungato è stato la malattia.
Sono quasi sicuro che don Quadrio mai si interrogasse su una caratteristica o esigenza
sacerdotale senza allo stesso tempo pensare come l'avesse realizzata don Bosco o trovasse la
sua espressione tipica nel carisma e nella prassi salesiana. Ci sono esempi a iosa di questo
vicendevole riferimento nelle sue prediche ed esortazioni. Le abbiamo sentite pure noi in
lezioni e conversazioni.
Questo volume di Don Egidio Ferasin, che ho il piacere di presentare, fa scorrere gli
aspetti della formazione sacerdotale su una falsariga che ci è familiare, per cui se ne coglie
immediatamente la completezza. Sottolinea come tra questi aspetti, si dà quella unità vitale
che produce una figura originale: «esemplare» nel senso di ispirante piuttosto che da fotoco-
piare.
Il corso profondo di questa unità viene mostrato nell'ultimo capitolo di ciascuna delle
due parti. «Il fascino e il cuore di Don Bosco» (Parte Prima, c. II, n. 4.4), «Lo spirito, il
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54 Pages 531-540

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54.1 Page 531

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metodo, lo stile di Don Bosco», il senso di appartenenza alla Congregazione (Parte Seconda,
c. VII) mi sono sembrate le chiavi per scoprire il segreto dell'armonia nella molteplicità, la
bussola per navigare tra i ricchissimi riferimenti agli scritti, testimonianze e aneddoti.
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54.2 Page 532

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60. SISTEMA PREVENTIVO E LETTERA DELL'84
Vecchi, J.E., Presentazione al trattato sul Sistema Preventivo e alla Lettera dell'84, 1 ottobre 1999, [s.l.], [s.e.] [opuscolo].
Ecco due scritti di don Bosco: uno del 1877 e l'altro del 1884.
Come autore niente male: il nome di Don Bosco certamente promette. Pochi hanno
lasciato una traccia profonda quanto lui nell'educazione. Molti lo superano in volume di
pagine scritte. Ma non stanno alla pari nella comprensione dell'animo giovanile e nella ge-
nialità del rapporto educativo. Perciò sulla sua esperienza con i giovani c'è già una biblioteca.
Hanno scritto su di lui più di quanto non abbia fatto egli stesso sul problema educativo. E
ancora continua a stupire.
Ci affacciamo però al 2000 ed è quasi scontata la domanda: potranno scritti di cento
e più anni fa, darci degli stimoli per far fronte ai nodi educativi del prossimo futuro? La
condizione dei giovani di oggi non ha paragone con quella del tempo di Don Bosco; l'edu-
cazione ha fatto dei salti in estensione e qualità in questo secolo che sta per finire. Le scienze
dell'educazione si sono sviluppate: formano una costellazione alla quale si vanno aggiun-
gendo sempre nuove discipline. Nell'insieme gettano quanta luce si può desiderare su pro-
grammi e metodi per operare nelle più svariate situazioni; dalla scuola alla devianza.
Eppure ci sono giovani per i quali tutto ciò non basta. Essi stanno a dimostrare che la
scienza e l'organizzazione sono necessarie, ma insufficienti per educare o recuperare. Ci
vuole qualche energia imponderabile a prima vista, ma definitivamente feconda.
Don Bosco disarma con la sua semplicità. Dice qualcosa simile al principio della
"ruota", "dei semiconduttori" o "delle onde": tutti elementi che c'erano lì, quasi a portata
d'occhio, ma ci voleva il genio per scoprirne l'esistenza e le enormi potenzialità.
Il suo linguaggio poi non è specialistico, preso dalle scienze: per spiegare i cosiddetti
temi pedagogici, egli si serve di parole ordinarie. Siccome parlava per discepoli immersi nel
lavoro educativo, era sua norma presentare le cose in forma comprensibile e renderle subito
pratiche. Caso mai tentava di arrivare al cuore, come nella Lettera dell'84.
Questa è un'avvertenza che il lettore dei nostri tempi deve avere: non cercare una teo-
ria sistematica e non lasciarsi disorientare dall'apparente semplicità delle idee e delle parole.
Abituati come siamo al vocabolario e alle impostazioni complesse (politichese, pastoralese,
ecclesialese, sociologese e via), il linguaggio della vita ordinaria rischia di non convincerci
"scientificamente".
Don Bosco non fu un teorico dell'educazione. Diede inizio alla sua opera e andò avanti
consapevole delle motivazioni e lucido nelle scelte. Progrediva pensando, sintetizzando e
accogliendo nuove intuizioni. La sua è prima un'esperienza vissuta, e non per poco tempo, e
in seguito messa su carta.
Il Sistema Preventivo è una sua intuizione giovanile; lo intravede da adolescente, lo
applica da giovane sacerdote, appena ordinato nel 1841 e lo perfeziona con il moltiplicarsi
delle iniziative educative.
Gli scritti presentati in questo volume, hanno visto la luce a circa quarant'anni dagli
inizi. Questo ci dà un'altra chiave di lettura. Dietro ogni indicazione scritta c'è un mondo di
aneddoti, di storia vissuta, di sentenze stringate concepite nel quotidiano, a caldo, quasi pro-
vocate dai fatti o dai comportamenti.
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54.3 Page 533

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Il vero trattato del Sistema Preventivo è la vita di Don Bosco con i giovani. Lo scritto
appare ridotto e scarno: don Bosco stesso lo chiama "indice" di un'opera che si proponeva
di scrivere. E confessa che non è rimasto soddisfatto. Il testo va quindi avvicinato alla storia,
va commentato con i fatti e i gesti di Don Bosco. Qualcosa di simile si può dire della Lettera
da Roma.
Don Bosco poi fu uno scrittore prolifico. Coinvolto in progetti molteplici, le sue pro-
duzioni spesso assomigliavano a colate occasionali piuttosto che a un lavoro di tavolino e
biblioteca. Maturato un argomento nella riflessione calma e calda che accompagna l'espe-
rienza, lo buttava giù rapidamente, né lungo né complesso, in particolare se si trattava di
testi narrativi. Gli scritti con qualche intenzione "teorica" rivelano, attraverso le correzioni,
un lavorio più paziente di chiarezza e precisione. La sensibilità educativa e l'amore ai giovani
sono però ugualmente presenti in tutti.
Quello che don Bosco cerca di esprimere nei due scritti qui presentati, lo troveremo
costruito con altri materiali, con altre accentuazioni, secondo altri generi in molti suoi scritti
come le biografie, i racconti, i ricordi ai suoi collaboratori, le lettere, le massime brevi. Può
essere illuminante ed efficace avvicinare qualcuno o parecchi di questi testi e paragonarli
con quello che è oggetto del nostro studio. Tale lavoro ci porterà da uno scritto alla mentalità
o spirito di don Bosco.
I testi poi riflettono determinate istituzioni educative: la scuola, la grande famiglia che
si formava in un convitto. Bisogna trascendere gli accenni ad esse e non perdersi dietro le
accentuazioni troppo materiali dovute al carattere immediatamente orientativo che questi
documenti avevano. Insieme alle applicazioni particolari contengono criteri, indicazioni di
atteggiamenti, contenuti e campioni di saggezza e di metodologica. A questi bisogna badare.
Lì bisogna scavare con la storia di don Bosco, con altri suoi scritti o parole, con la nostra
esperienza.
Forse, l'esempio più chiaro di quanto detto sopra si trova nella descrizione dell'assi-
stenza. C'è il principio dello stare con i giovani, dello stare per condividere con gioia la loro
vita, dello stare per prevenire e suggerire, dello stare familiarmente. E ci sono indicazioni
particolari secondo cui tutto questo veniva applicato con i giovani e nelle istituzioni di Val-
docco e simili in data 1870-1880.
Oltre l'ambito immediato, questi testi riflettono il contesto sociale ed educativo del
Piemonte e dell'Italia della seconda metà del secolo XIX. Le istituzioni, il rapporto educativo
formale e familiare, la visione dell'educazione, il futuro che attende i giovani nella società
in cui si inseriranno sono datati.
È proprio però la semplicità del linguaggio ed il carattere essenziale delle intuizioni
ad aiutarci a trascendere quello che è troppo particolare. Don Bosco non si perde nelle ap-
plicazioni. Il cuore o nocciolo dell'argomento rimane evidente e ci si offre più come un punto
di partenza che di semplice conclusione: quasi un'ottica da cui guardare, un faro con il quale
illuminare la nostra realtà.
Nello scritto sul Sistema Preventivo troviamo una presentazione succinta della pre-
ventività, con una sistematizzazione originale, quasi casalinga. Collegata, ma non uguale al
concetto di prevenzione sociale, la preventività educativa punta a invogliare il giovane a
farsi responsabile della propria crescita. Lo ottiene attraverso un rapporto promozionale che
scaturisce da una visione religiosa del percorso da compiere e da una comprensione psico-
logica del ragazzo e dal senso vocazionale dell'educatore. I giovani vengono attrezzati di
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54.4 Page 534

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strutture interne di comportamento così salde e di conoscenze così feconde da renderli capaci
di gestire la propria vita come buoni cristiani e onesti cittadini. Prevenzione sociale e pre-
ventività educativa possono, oggi, essere riprese a partire da una lettura creativa, non statica,
di questo testo.
La Lettera dell'84 sviluppa l'intuizione più originale di Don Bosco. In essa bisogna
scavare, collocandosi di fronte ai giovani di oggi ed alle loro situazioni: è l'amore dimostrato
che sa farsi corrispondere e diventa per i giovani appoggio esterno ed energia interiore. È
già acquisito e scontato che bisogna "amare". Ma come e quanto? La tesi riguarda il modo
di amare e di far percepire l'affetto perché questo diventi elemento chiave di un processo di
crescita.
Non basta amare! affermazione sorprendente, eppure vera per l'educazione dei ra-
gazzi, specialmente i più poveri. L'amore deve tradursi in fiducia, familiarità, condivisione
della vita e non solo in lezioni e servizi: ci vuole l'amicizia, lo scambio di confidenze utili.
Punto delicato di equilibrio è questo: tra autorevolezza e vicinanza, tra orientamento ed au-
tonomia, tra affetto paterno e rispetto che oggi farebbe arricciare il naso a qualcuno.
Ma è forse qui che si capisce come l'educazione può diventare spiritualità, cammino
di santità; si comprende che cosa vuol dire che la personalità dell'educatore si costruisce
sulla ragione, la religione e l'amorevolezza: cioè sulla fede, la speranza e la carità.
A te ed ai tuoi io dico: Gesù Cristo si è fatto piccolo coi piccoli e portò le nostre
miserie. Esso non spezzò la canna già fessa, né spense il lucignolo che fumava... Ecco il
vostro modello.
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54.5 Page 535

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61. PASTORALE GIOVANILE ED ORIENTAMENTO VOCAZIONALE.
Vecchi, J.E., Pastorale giovanile e orientamento vocazionale in «Seminarium», (2000), XL, 1; anche in NPG 4 (2002) p. 8.
1. Uno snodo decisivo. - 1.1 Una Pastorale giovanile orientata "vocazionalmente". - 1.2 Una promozione vocazionale guidata
da criteri pastorali. - 1.3 In conclusione. - 2. Il filone vocazionale nella Pastorale giovanile. - 2.1 L'orientamento vocazionale
della vita. - 2.2 Un assaggio vocazionale. - 2.3 La proposta vocazionale. - 2.4 Accompagnamento e discernimento.
1. Uno snodo decisivo
La necessità di integrare convenientemente Pastorale giovanile e Promozione Voca-
zionale è oggi una convinzione acquisita. È stata prima suggerita e in seguito sempre più
esplicitamente richiesta dai documenti autorevoli negli ultimi vent'anni1. Ammessa all'inizio
con difficoltà, si è imposta poi in forma inequivoca.
Possiamo considerare definitive queste affermazioni: «Tutta la pastorale, e in partico-
lare quella giovanile, è nativamente vocazionale»2. «La pastorale vocazionale è la vocazione
della pastorale»3. E dall'altro versante: «Fa animazione vocazionale chi tiene presente per
prima cosa quel ricco complesso di valori e significati umani e cristiani da cui nasce il senso
vocazionale della vita e di ogni vivente». In altre parole «è necessario, per una corretta pa-
storale vocazionale, rispettare una certa gradualità e partire dai valori fondamentali e univer-
sali (il bene straordinario della vita) e dalle verità che sono tali per tutti (la vita è un bene
ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato) per passare poi a una specificazione
progressiva, sempre più personale e concreta, credente e rivelata, della chiamata»4.
È un'impostazione nuova. Viene da una approfondita riflessione teologico-pastorale
che ha messo a fuoco la finalità unitaria e le dimensioni convergenti della pastorale, mentre
sul versante vocazionale ha chiarito la natura, lo sviluppo e le condizioni di maturazione
delle vocazioni.
La necessità di un collegamento interno tra Pastorale giovanile e animazione vocazio-
nale viene confermata ulteriormente da un fatto che si può verificare anche con dati nume-
rici: il maggior numero delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata vengono oggi dai
movimenti, gruppi o comunque impegni ecclesiali. Sono sbocciate e hanno avuto un primo
tempo di crescita in un cammino personalizzato di educazione alla fede e di autentica espe-
rienza cristiana. Ci sono d'altro canto, come controprova, l'infecondità delle forme di pro-
mozione vocazionale che con diversi pretesti percorrono altre strade e la fragilità dei loro
risultati.
Rimane però un problema ancora irrisolto. Non sempre si comprende a dovere che
cosa comporti, dal punto di vista operativo, questa coestensione e interpenetrazione tra Pa-
storale giovanile e pastorale vocazionale5. Di conseguenza il criterio non è ancora diventato
1 Cf. CONGRESSO INTERNAZIONALE DI VESCOVI E ALTRI RESPONSABILI DELLE VOCAZIONI ECCLESIA-
STICHE. Sviluppi della cura pastorale delle vocazioni nelle chiese particolari esperienze del passato
e programmi per l'avvenire. Documento conclusivo. Roma, 10-16 maggio 1981. Aula nuova del si-
nodo dei vescovi. Roma, Rogate, 1982, n. 42.
2 PONTIFICIA OPERA PER LE VOCAZIONI SACERDOTALI. Nuove vocazioni per una nuova Europa: (in
verbo tuo…). Documento finale del Congresso sulle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata in
Europa (Roma, 5-10 maggio 1997). Leumann (To), LDC, 1998, n. 26.
3 Ibid. 26.
4 Ibid. 26 c.
5 Ibid. 30.
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54.6 Page 536

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generale: cioè ci sono pastorali giovanili che non mostrano la loro struttura e anima voca-
zionale; e viceversa ci sono frange di lavoro vocazionale che saltano i cammini di fede per
prendere delle scorciatoie. Alla radice c'è un'impostazione inadeguata della pastorale e una
comprensione sfuocata della vocazione.
1.1 Una Pastorale giovanile orientata "vocazionalmente"
Per Pastorale giovanile intendiamo il prendersi cura, da parte della comunità eccle-
siale, dello sviluppo completo del giovane in modo che esso avvenga alla luce e secondo le
direzioni della fede in Cristo, conforme ad un progetto che Dio ha per ciascuno.
Così intesa, la pastorale dei giovani ha carattere "educativo", cioè promuove una cre-
scita integrale della persona e il suo inserimento attivo in un contesto sociale e culturale
determinato.
Per la stessa ragione include la dimensione vocazionale non come aggiunta, ma come
interna e sostanziale. Parliamo di vocazione infatti come di quel dialogo che ha luogo nella
vita, per cui Dio fa conoscere il suo progetto attraverso la voce che risuona nella coscienza
e attraverso le mediazioni; la persona, da parte sua, risponde mettendosi sempre più a dispo-
sizione di Dio.
Questo dialogo è fatto certamente di momenti alti e straordinari; ma si svolge anche,
e molto di più come un continuum, nel quale appello e risposta si alternano quasi ad un ritmo
quotidiano e in un tono ordinario.
Il dialogo comincia con la chiamata alla vita compresa sempre di più nel suo senso e
nelle sue possibilità; si rende più chiaro e pressante con l'approfondimento della fede; si
determina ancora quando ci si orienta verso un progetto di esistenza nell'ambito del Regno.
Come dovrà essere un Pastorale giovanile intesa quale servizio di educazione alla fede
dei giovani perché riesca ad animare un processo di maturazione vocazionale come quello
descritto sopra?
Dovrà in primo luogo privilegiare l'attenzione alle persone. La vocazione è una chia-
mata rivolta al singolo e da parte di questo una risposta altrettanto personale. La preoccupa-
zione centrale non saranno il compimento dei programmi preparati, la trasmissione di con-
tenuti intellettuali o la preoccupazione per le strutture.
Non va negata all'importanza di questi elementi e allo stesso tempo non vanno collo-
cate su di essi le maggiori attese. Sono nell'ordine dei mezzi. Vengono offerti a persone che
versano in situazioni singolari, interne ad esterne, hanno una loro storia irripetibile: antece-
denti, orientamento attuale, bisogni e prospettive; debbono rendersi consapevoli di una gra-
zia, riconoscere una presenza e maturare un valore unificante: la fede.
Oggi è più necessario che mai saper accogliere ciascuno nella sua originalità, con
capacità di dialogo, fiducioso e gratuito. La fede cristiana non si diffonde e non si assume
per motivi sociologici.
A questo ci porta pure la consapevolezza che Dio si trova ed agisce nelle singole per-
sone con parole e segni adeguati a ciascuna. Bisogna far scoppiare nel cuore di ciascun gio-
vane la gioia di vivere pienamente e di incontrare il Signore della vita.
La forma personalizzata, (non individualista!), di proporre un cammino di fede, ri-
guarda tutti, non soltanto quelli che noi riteniamo i "migliori". Sovente, da dove meno lo
aspettiamo, vengono fuori coloro che dimostrano pronta disponibilità. Non conosciamo le
vie di Dio: ci tocca essere mediatori generosi, piuttosto che classificatori pretenziosi di per-
sone.
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54.7 Page 537

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Il criterio va adoperato in forma particolare con gli adolescenti e i giovani adulti. Que-
sta è l'età in cui oggi ha luogo una prima prova di autonomia consapevole, una sintesi cultu-
rale ancora germinale, ma comunque personale, un orientamento etico ed una considerazione
più seria di una possibile opzione vocazionale.
Asserita la centralità della persona, c'è da dire che una Pastorale giovanile che voglia
dirsi internamente vocazionale, dà il primato all'evangelizzazione: cioè fa conoscere Cristo,
motiva e anima le persone a lasciarsi illuminare ed interpellare da Lui; orienta verso l'incon-
tro con Lui e verso un'adesione sempre più convinta al senso di vita che Egli rivela.
La Vocazione è sequela di Gesù Cristo. La Pastorale allora deve portare alla relazione
personale con Lui affinché i giovani conformino a Lui il desiderato sviluppo personale e
trovino in Lui il centro unificatore della loro vita.
Oggi si soffrono la frammentazione della mentalità e della coscienza e la mobilità
nelle intenzioni e nei progetti. Ciò, insieme ad altre cause, rende difficile la visione coerente
e completa dell'esperienza evangelica in tutti suoi elementi. Della frammentazione però,
spesso sono responsabili gli stessi operatori che non riescono a presentare e mantenere unite
le esigenze della crescita umana, la catechesi progressiva, la pratica quotidiana della fede, le
proposte di impegno, l'esperienza ecclesiale, i vari momenti, ordinari e straordinari, predi-
sposti per aiutare i giovani a comprendere e ad interiorizzare la proposta di vita che fa Gesù.
Ci colleghiamo allora con la caratteristica indicata prima: tutto deve servire alla per-
sona per costruire la sua unità attorno alla fede e così definire ed orientare la propria vita
anche se i contenuti e le esperienze spesso vengono distribuiti tra i responsabili dei diversi
settori.
La Pastorale giovanile deve pensare e offrire un cammino di educazione alla fede,
unitario e progressivo, dove i momenti straordinari ed il quotidiano, i nodi della crescita
umana e il riconoscimento della presenza di Dio, la celebrazione e la Parola, la preghiera e
l'azione si corrispondano, si rafforzino a vicenda e si fondano.
Si innesta allora un'altra caratteristica della Pastorale giovanile che riguarda la moda-
lità generale di fare la proposta di un cammino che aiuti a personalizzare la fede e i valori
del Vangelo.
Tale modalità si propone di suscitare la partecipazione attiva dei giovani e considera
fattore importante del cammino il loro apporto e la loro reazione. Gesù parlò col giovane,
gli domandò e l'ascoltò, riprese le sue risposte. E lo stesso fece con Nicodemo, con gli apo-
stoli, con la donna samaritana.
È dunque conveniente che la pastorale cerchi di stimolare i giovani a domandarsi e
riflettere, di invitarli ad esprimersi, di suscitare il desiderio di provarsi e osare nel vivere
conforme al Vangelo.
Così diventa propositiva e provocante. Tra le intenzioni e capacità del Pastore ci deve
essere quella di aprire orizzonti nuovi, risvegliare il meglio che c'è nei giovani, proporre gli
aspetti più originali e dirompenti dell'esperienza umana e cristiana: non dunque soltanto do-
cilità recettiva da parte dei giovani, né soltanto ascolto e presa d'atto da parte del Pastore di
quello a cui i giovani arrivano naturalmente, ma invito e chiamata. Il vangelo è avvenimento
ed incontro, non solo istruzione: proprio così fece Gesù con il giovane che dichiarava di
conoscere e osservare comandamenti.
C'è un equilibrio delicato tra l'accogliere e l'orientare verso l'oltre, tra continuità e
salto. La vita cristiana è fatta anche di rotture ed esodi repentini, di sfide e inviti inattesi.
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54.8 Page 538

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Da ultimo ci vuole una pastorale che sia «della comunità»: che abbia la comunità
come soggetto, che si svolga nell'ambiente comunitario e porti l'attenzione verso la comu-
nità.
La vocazione è intrinsecamente comunitaria. Sarà un servizio alla comunità e un se-
gno dentro di essa. C'è una costante: l'esperienza di comunione porta verso scelte generose
e diventa motivazione per seguire tali scelte.
Vanno valorizzate allora, per un armonico sviluppo umano sotto il dinamismo della
fede, tutte le esperienze di comunità: la famiglia, la parrocchia, la comunità educativa, il
gruppo.
Si deve badare però che siano autentiche, cioè di rapporti aperti e profondi, di condi-
visione e collaborazione, e non soltanto di appartenenza formale o di dipendenza. Bisogna
dunque creare ambienti accoglienti con riferimenti chiari alla comunità ecclesiale, dove i
testimoni sono alla portata dello sguardo ed hanno capacità di proposta e accompagnamento.
Poco raccomandabile sono le "riserve", i cenacoli autosufficienti, i gruppi che fanno riferi-
mento a se stessi, fosse anche per ragioni di spiritualità.
1.2 Una promozione vocazionale guidata da criteri pastorali
Collochiamoci adesso sull'altro versante, quello della promozione vocazionale. Ci
sono piani, strutture diocesane, incaricati, momenti specifici. Che può significare per essi
assumere criteri pastorali?
Come cosa prima e più evidente significa non circoscriversi prematuramente ad insi-
stere su un motivo unico o a cercare un risultato settoriale.
Bisogna abbandonare definitivamente la preoccupazione esclusiva di raccogliere can-
didati per un certo tipo di vita o per un determinato istituto e proporsi di rendere un dovuto
servizio di orientamento ad ogni giovane: tutti hanno una vocazione e dobbiamo aiutarli a
scoprirla e a rispondervi con generosità. Tutti sono chiamati e tutti debbono prendere la vita
come invito a lavorare nel Regno.
La sfida per la pastorale vocazionale è che ciascuno di quelli che essa convoca o in-
contra riesca a vedere il suo campo e modo di impegno e sappia rispondere con consapevo-
lezza matura e generosa. Per questo bisogna creare le condizioni adeguate nel soggetto.
Una decisione di tipo volontaristico o provocata da uno stimolo momentaneo, non è
sufficiente per assicurare la risposta autentica. E non poche vocazioni accusano, in maniera
tardiva, influssi eccessivi e movimenti di volontà non sufficientemente permeati dalla fede.
Anche nel caso che un giovane avesse manifestato intenzione vocazionale6, il percorso, che
parte dalla sua situazione di fede e progredisce interiormente nelle sue diverse dimensioni,
è indispensabile e primo.
L'azione in favore delle vocazioni però non può limitarsi alla cura dei singoli. Deve
invece favorire, in ambito ecclesiale e civile, una cultura vocazionale: cioè una visione della
vita come dono e come servizio, piuttosto che un desiderio individuale di voler realizzare
qualche cosa a cui si tiene o arrivare ad essere qualcuno.
Ci troviamo a vivere in società che favoriscono una mentalità individualista e mer-
cantile dove tutto sembra valutarsi sulla base dei vantaggi che ricaviamo e del prezzo che
paghiamo. La Pastorale vocazionale deve collaborare a promuovere una cultura della vita e
della gratuità, capace di far ritrovare il coraggio e il gusto di cercare un senso e di impegnarsi
in progetti generosi. Dice Giovanni Paolo II: «Il disagio che attraversa il mondo giovanile,
6 Cf. Ibid. 13 c.
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rivela che nelle nuove generazioni, pressanti domande sul significato dell'esistenza a con-
ferma che nulla e nessuno può soffocare nell'uomo la domanda di senso e il desiderio di
verità. Per molti è questo il terreno sul quale si pone la ricerca vocazionale»7.
Una tale cultura vocazionale comporta alcuni atteggiamenti umani ed evangelici che
sono fondamentali per un'opzione responsabile sulla linea del servizio: la capacità di gratuità
e donazione, di relazione e dialogo, di collaborazione e condivisione8.
Si dovrà poi progredire dando una visione delle diverse vocazioni piuttosto che cen-
trarsi unicamente e prematuramente su di una sola. La formula convocare-selezionare alcuni
e rimandare gli altri è decisamente tramontata. Vocazioni sono anche quelle laicali, quelle
consacrate nel mondo e via. Queste non verranno presentate solo attraverso una rapida espo-
sizione dottrinale, ma mettendo i giovani a contatto con esse in una comunità dove vengono
vissute con entusiasmo, insegnando a vedere e ad accogliere le loro caratteristiche in mutua
reciprocità e comunione9.
1.3 In conclusione
La Pastorale giovanile è fin dall'inizio orientata ad un obiettivo: rendere il credente
attento alla chiamata del Signore e pronto a rispondergli. "Vocazionalizzare" tutta la pasto-
rale è fare in modo che ogni sua espressione conduca la persona a scoprire il dono di Dio
nella sua vita la fede, l'appartenenza alla Chiesa, i doni specifici ricevuti, la propria voca-
zione-missione e l'aiuti a riconoscerlo, a svilupparlo, a metterlo al servizio della comunità.
La pastorale vocazionale, d'altra parte, è in tutto il suo sviluppo un cammino di cre-
scita in responsabilità umana, di interiorizzazione della fede, di comprensione del Vangelo,
di vissuto ecclesiale, di capacità di impegno.
Tanto la Pastorale giovanile quanto quella vocazionale devono arrivare alle singole
persone, suscitare una risposta responsabile; tutte due devono tener conto della totalità e
unità della persona e stimolare in essa uno sviluppo armonico.
2. Il filone vocazionale nella Pastorale giovanile
Una volta confrontate le due esigenze che si vogliono comporre, cioè quella della
crescita nella fede e quella della proposta vocazionale, è interessante tornare sulla Pastorale
giovanile, perché è quella che agisce sulla base più ampia di soggetti e lavora con un venta-
glio più abbondante di contenuti. Non è immaginario il rischio che smarrisca l'intenzione,
l'anima e l'obiettivo vocazionale che la deve guidare.
Alcuni riferimenti teologici vanno recuperati e riportati alla prassi. Il primo riguarda
la vocazione. La vita e la fede sono sostanzialmente "chiamate": «Hanno la dinamica di un
appello»10. «La vocazione è ciò che spiega alla radice il mistero dell'uomo»11.
Per far risuonare e percepire questi appelli, Dio, secondo il principio dell'Incarna-
zione, adopera sempre delle mediazioni. Non sono assolutamente indispensabili per quanto
riguarda Dio; lo sono invece sul versante dell'uomo. Anche la risposta della persona ha bi-
sogno di mediazioni perché si esprima e si concretizzi.
7 Ibid. 13 b.
8 Cf. Ibid. 13 b.
9 Cf. Ibid. nn. 25, 26 f.
10 Ibid. 16.
11 Ibid. 16.
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54.10 Page 540

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Le mediazioni principali sono quelle ecclesiali. E hanno una qualità interna: sono edu-
cative proprio come gli interventi di Dio presso il suo popolo, raccontati nella Bibbia: faci-
litano l'ascolto di Dio e abilitano a dare una risposta in libertà12. La pastorale di tutta della
Chiesa, e in essa quella giovanile, ha questa funzione fondamentale.
Se batte alla porta della libertà con valori da assumere e progetti da realizzare, la Pa-
storale non può non avere una pedagogia. Come descriverla?
C'è un punto di riferimento e ispirazione: è Gesù13. Dal suo mistero e dal suo agire si
possono indicare alcune dimensioni di una pedagogia vocazionale all'interno della Pastorale
giovanile14. Egli fu ispiratore, maestro e guida.
Seminare15, accompagnare16, educare17, formare18, discernere19, sono dimensioni per-
manenti per tutti i tempi e tutte le fasi, che si adeguano proprio in forma di appello e di
risposta al momento di vita che il soggetto va percorrendo.
È reale però che alcune di esse vengono privilegiate nelle singole fasi dell'educazione
alla fede: anche nella Pastorale giovanile c'è un tempo per seminare, un tempo per far cre-
scere, un tempo per raccogliere.
Bisogna quindi disegnare o immaginare delle tappe significative di una Pastorale gio-
vanile vocazionale, non tanto in termini di tempo, quanto conforme ad obiettivi che consen-
tono alla persona di fare delle scelte sempre più determinate e motivate. Eccone alcune che
possono servire come indicazione.
2.1 L'orientamento vocazionale della vita
È il livello di partenza. Si tratta di inserire in tutti i percorsi educativi e di evangeliz-
zazione, per tutti i giovani, sin dalla fanciullezza, prospettive, elementi e motivazioni di
orientamento vocazionali.
Per questo è necessaria la partecipazione in un ambiente educativo. Lì il giovane vive
l'incontro con adulti che risvegliano il desiderio e la volontà di crescere come persona e
risultano per Lui testimoni significativi della vita intesa come vocazione. Con essi i giovani
debbono poter avere rapporti personali in modo che l'orientamento avvenga quasi "per con-
tagio".
Bisogna allo stesso tempo interagire con il singolo: facilitare ai giovani una cono-
scenza di se stessi, realista e adeguata, che li conduca ad un'accettazione serena del proprio
essere, ad un rapporto fiducioso e armonico con gli altri e con la realtà, ad un riferimento a
Dio, influente incarnato. Si deve aiutare ogni giovane a percepire il suo desiderio di vita e di
senso: a riconoscere la dimensione di mistero che ha la vita nel suo nascere, nel suo donarsi
e fruttificare conforme alla massima di Gesù: «Chi avrà consegnato la propria vita per causa
mia la troverà»20.
12 Ibid. 25.
13 Ibid. 32.
14 Ibid. 17 c.
15 Ibid. 33.
16 Ibid. 34.
17 Ibid. 35.
18 Ibid. 36.
19 Ibid. 37.
20 Cf. Mt 10,39; Mc 8,35; Lc 17,33; Gv 12,25.
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55 Pages 541-550

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55.1 Page 541

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Alla qualità dell'ambiente e all'accompagnamento della persona, bisogna aggiungere
l'apertura culturale: acquisire migliore conoscenza di valori e situazioni, sviluppare la capa-
cità critica di fronte alle mentalità, messaggi e comportamenti dell'ambiente, insegnare a
raccogliere e ad approfondire gli interrogativi che sollevano gli avvenimenti.
In questo processo di crescita umana si inserisce il cammino di evangelizzazione che
va dalla prima catechesi fino all'approfondimento personalizzato della fede e alla partecipa-
zione nella vita della comunità cristiana.
Perché questa evangelizzazione abbia un'incidenza vocazionale deve innanzitutto col-
legarsi con il cammino educativo anteriormente descritto, aiutando i giovani ad assumere la
propria vita come dono e chiamata alla donazione, ad uscire da se stessi e a decentrarsi verso
gli altri riconosciuti come prossimo da amare, a sviluppare la capacità di affidarsi che per-
metta loro di vivere con gioia e serenità la precarietà della propria esistenza, a riconoscere
la speranza che sta oltre quello che si può godere e sperimentare. Ciò apre il giovane all'in-
vocazione della salvezza e alla scoperta delle possibilità che offre lo spendere la vita con
Dio.
Lo sviluppo di questi atteggiamenti di base rendono i giovani capaci di accogliere la
loro esistenza concreta con libertà, disponibilità e sicurezza, come invito a impegnarsi in-
condizionatamente.
In questa ricerca si scopre Gesù Cristo come proposta di vita e di futuro, si intuisce la
fecondità della donazione alla sua sequela. La Pastorale deve orientare tutto verso questo
traguardo: portare cioè i giovani a riconoscere Gesù Cristo ed a prenderlo come maestro,
modello ed amico. Alla relazione personale con Lui concorrono le esperienze di preghiera e
la regolare frequenza dei Sacramenti.
C'è ancora un'altra realtà importante nella Pastorale Giovanile Vocazionale: la sua
capacità di educare nei giovani il senso di Chiesa. Spesso i giovani hanno un'immagine in-
completa e distorta. I pregiudizi hanno fatto breccia in loro perché le loro esperienze positive
della comunità ecclesiale sono poche.
Un'opzione vocazionale è possibile solo se si è riusciti a vedere la Chiesa come ambito
di accoglienza gratuita, di dialogo e collaborazione per il bene, di perdono; più ancora, se si
tratta di un'opzione di servizio radicale alla missione ecclesiale nella vita consacrata o mini-
steriale.
2.2 Un assaggio vocazionale
Si accende allora un altro motore e si punta su un'altra meta: la riflessione e le espe-
rienze direttamente attinenti all'ambito vocazionale: il servizio gratuito, in particolare verso
i più bisognosi di qualsiasi tipo di aiuto, secondo le preferenze dei giovani interessati.
Si tratta di offrire ai giovani opportunità di fare una prova concreta di carità e di alle-
narsi alla disponibilità ed alla generosità. La prova non consiste tanto nello stimolarli a fare
qualche cosa per gli altri, con il rischio di alimentare la loro naturale tendenza all'attivismo,
ma nel guidarli in un cammino che dal fare conduca al proposito e gusto di impegnarsi perché
se ne comprendono i motivi, dal consumo di esperienze alla scoperta della vita come pro-
getto.
Per questo si può fare appello al desiderio quasi naturale del giovane di essere utile e
mostrare le possibilità di servire arricchendo il proprio bagaglio di conoscenze, rapporti e
competenze. Ma la carta definitiva però sarà accompagnare i giovani nell'interpretare quello
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55.2 Page 542

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che sperimentano, nello scoprire dimensioni e significati della realtà, nel guidarli a valutare
atteggiamenti e reazioni alla luce Vangelo individuando nuove forme di collocarsi davanti a
situazioni umane ed avvenimenti.
L'istruzione religiosa e le esperienze, in questa fase si propongono anche di dare una
conoscenza maggiore sui diversi stati di vita e sui carismi presenti nel contesto. Si arriva
così alla soglia di un'opzione personale di vita che può essere generosa o rinunciataria; co-
munque la Pastorale giovanile ha posto il problema e ha cercato di creare le condizioni per
una soluzione positiva.
2.3 La proposta vocazionale
Viene allora il tempo di lavorare attorno alla proposta vocazionale esplicita. I cam-
mini precedenti continuano, perché la consapevolezza di un dialogo di vita che si sta svol-
gendo richiede ancora più maturità umana e maggiore amore a Cristo. Si fa pressante però
l'interrogante sulla strada da prendere che serve da tema generatore sia a chi anima la pasto-
rale, sia al soggetto medesimo.
La proposta vocazionale si esprime in modalità diverse e convergenti. C'è, in primo
luogo, il riferimento a testimoni cristiani personali e comunitari di ieri e di oggi. Si sono
recuperati i racconti delle grandi vocazioni, quasi seguendo una linea biblica; si visitano i
luoghi di origine dei carismi e della santità, si ricordano volentieri massime e progetti.
L'incontro con i testimoni non è più solo informazione ricevuta con simpatia; ma di-
venta germinale esperienza spirituale: viene accompagnata con l'iniziazione alla preghiera,
all'ascolto della Parola di Dio, alla partecipazione ai sacramenti e alla liturgia, alla devozione
mariana. All'interno di questi racconti e incontri risuona con nuova forza la chiamata di Dio
e si rende più facile l'ascolto del giovane.
Un altro cammino di proposta vocazionale è la partecipazione, ora più responsabile,
attiva alla vita della comunità ecclesiale direttamente o attraverso i gruppi e movimenti, ini-
ziative o impegni apostolici; in essi gli appelli delle persone o situazioni diventano media-
zioni della voce di Dio.
Non si può però dimenticare né sottovalutare l'invito vocazionale esplicito soprattutto
nell'adolescenza e gioventù. L'interpellanza dell'educatore che invita il giovane a considerare
una o più vocazioni conforme alle sue disposizioni e a prendere contatto con qualche comu-
nità di riferimento vocazionale è sempre efficace e non poche volte è dovuta, per il ruolo che
l'educatore si è assunto.
2.4 Accompagnamento e discernimento
All'orientamento del giovane verso qualcuna delle vocazioni, consegue la necessità di
assisterlo perché si chiarisca quello che vuole assumere e valuti le proprie capacità e moti-
vazioni.
Accompagnamento e discernimento sono due aspetti contemporanei: si includono e si
rafforzano a vicenda.
L'accompagnamento adopera il dialogo individuale e formale; ma comprende pure
tutto l'insieme di relazioni personali che aiutano i giovani ad appropriarsi i valori proposti
ed ad interiorizzare le esperienze vissute secondo la propria situazione e il proprio orienta-
mento, chiarendone le conseguenze per la loro vita.
Così inteso l'accompagnamento include diversi livelli comunicanti fra di loro che ope-
ratori e la comunità cristiana devono curare conforme a certe priorità.
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55.3 Page 543

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Il livello basico dell'accompagnamento è costituito dalla presenza di adulti e pastori
tra i giovani, con volontà di conoscerli e condividere la loro vita, in modo da ispirare fiducia
e familiarità.
Una maggiore personalizzazione dell'accompagnamento si dà nei gruppi. Lì sono pos-
sibili consigli, suggerimenti, dialoghi e provocazioni commisurati a ciascuno su tutte le aree
di crescita che abbiamo indicato prima.
Un po' più in su ci sono gli incontri brevi, occasionali che mostrano l'interesse dell'e-
ducatore o pastore per la persona e per il suo mondo. Certi momenti come la fine del ciclo
scolastico, i momenti di prova e chiarimento, i tempi di ripensamento, hanno speciale rile-
vanza nella vita del giovane. Un interlocutore risulta per loro provvidenziale. A poco a poco
gli incontri diventeranno dialogo personale cercato, frequente e sistematico, secondo un di-
segno, almeno temporaneo.
Il partecipare alla vita di qualche realtà vocazionale (seminario, comunità religiosa),
condividendone la preghiera, la fraternità e l'apostolato, può essere una esperienza che rias-
sume e rafforza tutti gli elementi dell'accompagnamento contenuti nelle forme precedenti.
Nelle svariate forme di accompagnamento, e soprattutto nel dialogo personale, con-
viene portare l'attenzione su alcuni aspetti che sono fondamentali per la crescita umana e
cristiana del giovane e per il discernimento dei segni e attitudini vocazionali.
Uno è la conoscenza di sé, perché scopra le qualità ed energie che il Signore ha semi-
nato in lui e i limiti e le ambivalenze da correggere nella propria forma di vivere o di pensare.
Tanti giovani, anche se naturalmente generosi, non hanno colto l'appello vocazionale perché
ignoravano le loro possibilità, o non sono riusciti a modificare la matrice pagana di certi
schemi mentali né a liberarsi da incertezze e timori nei confronti di un progetto esigente e a
lunga scadenza.
Allo stesso tempo bisogna sviluppare la fede in Gesù come il Signore Risorto che può
dare senso completo all'esistenza e forza per vivere conforme a tale senso. Le motivazioni
vocazionali hanno il loro fondamento solido quando il soggetto riconosce l'iniziativa gratuita
di Dio che per primo lo ha amato, viene affascinato dalla proposta di Cristo e ne confessa la
saggezza ed il valore.
Vedere la propria vita come dono di Dio e leggere la propria storia come una chia-
mata ad un servizio nel Regno è un altro aspetto a cui deve portare l'accompagnamento. È
un cammino che si percorre lentamente. Richiede quindi pazienza, coraggio e speranza. Per
individuare il dono e ascoltare la chiamata rivolta a ciascuno è necessario riuscire ad illumi-
nare avvenimenti densi di significati, interrogativi e possibilità con la Parola di Dio e con
l'incontro con Cristo nella comunità cristiana.
Da ultimo mettiamo l'assumere i criteri evangelici per le scelte quotidiane, resistendo
alla tentazione di seguire senza riflessione ciò che fanno tutti o pare più facile, utile od effi-
cace. Un'attenzione speciale in tal senso va data alle manifestazioni della sessualità, dell'a-
more e all'affettività, così come a quelle che rivelano attaccamento alle cose e al possesso
dei beni.
Il discernimento accompagna tutto questo cammino e ne è quasi la bussola. Esso è
necessario, quando si propone un passo e quando si valuta la risposta. Pure il soggetto è
invitato a misurarsi con l'appello e a scegliere, discernendo. Il discernimento si compie dun-
que in corresponsabilità.
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55.4 Page 544

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A mano a mano che il cammino vocazionale si va avvicinando a quello che si può
chiamare il momento decisivo, il discernimento, portato direttamente sulla vocazione, si
rende determinante.
È sempre "comunitario" almeno nel senso che i criteri vanno concordati con coloro
che lavorano sullo stesso campo e con gli stessi soggetti e soprattutto con il vescovo o supe-
riore religioso; nel senso che vi partecipano , con il dovuto riserbo e secondo la parte che
loro corrisponde, più persone che hanno rapporti il candidato nei diversi ambienti di vita;
nel senso che l'occasione scelta per il discernimento può essere proprio un'esperienza "co-
munitaria" di vita, di preghiera o di apostolato.
In breve, pastorale e orientamento vocazionale: un fiume ed un corso. La pastorale
raccoglie e muove verso la maturità della fede quanto interessa legittimamente il giovane;
l'orientamento vocazionale dà la direzione e l'energia perché tutto questo arrivi, e non si
perda tra le sabbie, alla foce.
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55.5 Page 545

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62. CARISMA SALESIANO E IMPEGNO CULTURALE ALL'ALBA DEL 2000
Vecchi, J.E., Carisma salesiano ed impegno culturale all'alba del 2000 in «Rivista di scienze dell'educazione» (maggio
agosto) 2000, 37(2), p.185-199.
1. Cultura, persona, esperienza di Dio. - 2. Alcune caratteristiche della cultura. - 3. Vie per uno sviluppo della propria cultura.
- 4. Cultura e carisma salesiano. - 5. All'alba del terzo millennio. - 6. In corresponsabilità. - 7. Attrezzatura personale. - 8.
Conclusione.
1. Cultura, persona, esperienza di Dio
Mi è stato richiesto di svolgere il tema: «Carisma salesiano e impegno culturale all'alba
del terzo millennio»1. Mi affretto a sottolineare che ciò che si dice dei Salesiani si può ap-
plicare a tutti i religiosi, con le debite sfumature derivanti dal carisma specifico. Ed anche a
tutti i cristiani, giacché la vocazione religiosa altro non è che la vocazione cristiana vissuta
radicalmente. E, pertanto, difficile dire qualcosa circa la vita religiosa che non si attagli an-
che alla vita cristiana.
Voi sapete che «cultura» è un termine assai «serio». Richiede, sin dall'inizio di qualsiasi
conferenza, un'accurata analisi. Si possono assumere vari punti di vista per addentrarsi, po-
tremmo dire solennemente, in una trattazione di alto profilo. Quanto a me, in questa occa-
sione, tra un'esposizione di taglio accademico ed una «comunicazione personale», frutto di
riflessione e sintesi personale, nonché di qualche lettura, ho scelto quest'ultima.
Ho vissuto recentemente in Asia (Hong Kong e Bombay) un'esperienza in cui la cultura
è stata al centro dei nostri progetti e riflessioni: ci siamo interrogati sui rapporti tra Vangelo,
cultura e carisma salesiano nel quotidiano, con il proposito di evangelizzare la cultura ed
inculturare il Vangelo. Dunque l'esperienza sulle sfide che ci pone la cultura è veramente
fresca.
Vi leggerò alcuni paragrafi della Gaudium et Spes che hanno ispirato le mie riflessioni.
Da essi poi, quasi «in tuffo o in picchiata», passerò ad affrontare il nodo del tema, ovvero il
rapporto tra cultura e carisma salesiano.
«È proprio della persona umana il non poter raggiungere un livello di vita veramente e
pienamente umano se non mediante la cultura, coltivando cioè i beni e i valori della natura»2.
Quando si tratta dell'esistenza umana, come avete ascoltato, natura e cultura sono stretta-
mente connesse, a tal punto da non poter essere scisse. La persona stessa è frutto di cultura.
«Con il termine generico di cultura si vogliono indicare tutti quei mezzi, con i quali
l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di anima e di corpo, procura di ridurre in suo
potere il cosmo stesso, con la conoscenza ed il lavoro; rende più umana la vita sociale sia
nella famiglia che nella società civile; mediante il progresso del costume e delle istituzioni,
infine, con l'andar del tempo, esprime, comunica e conserva nelle sue opere le grandi espe-
rienze ed aspirazioni spirituali affinché possano servire al progresso di molti, anzi di tutto il
genere umano»3.
Il primo dato su cui riflettere è il rapporto tra persona e cultura, che la Gaudium et Spes
1 Conferenza del Gran Cancelliere, Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana, alla comunità
accademica Auxilium, Roma, 10 marzo 2000, in occasione della Giornata in onore del Santo Padre.
[Il testo è stato rivisto dall'Autore].
2 GS 53.
3 Ibid.
- 543 -

55.6 Page 546

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definisce inscindibili. La cultura non è solo un privilegio o un vantaggio, ma anche un com-
pito, un rischio ed una condanna, poiché la persona non ne può fare a meno. La persona è
internamente impastata di cultura, perché la radice della cultura è la libertà.
Per approfondire e chiarire tale concetto vi riferisco brevemente quanto ho letto in un
libro scritto da uno psichiatra ebreo, che è anche rabbino, Kushner Harold, intitolato Nessuno
ci chiede di essere perfetti... nemmeno Dio.4 In esso, l'episodio di Adamo ed Eva viene rein-
terpretato come il momento in cui Dio ha rivelato all'uomo la sua condizione di persona che
deve decidere sui propri atti attraverso scelte, non condizionate dal cosmo né, tanto meno,
da Dio. Naturalmente l'Autore non esclude l'interpretazione tradizionale, ma va oltre. Con
questa chiave di lettura, il testo presenta la cacciata dal giardino dell'Eden, come momento
in cui l'uomo passa dalla condizione protetta a quella «esposta»: deve interrogarsi se colti-
vare o meno la terra e cosa piantarvi. Proiettato verso una dimensione bisessuale deve ela-
borare questo rapporto attraverso scelte; infatti, nella condizione paradisiaca l'uomo avrebbe
scelto una sola modalità di relazionarsi, mentre viene ora portato a scegliere secondo quali
principi costruire la propria sessualità. Anche la «condanna» del lavoro è, per l'uomo, rive-
lazione della propria condizione: non vivendo più nel paradiso terrestre in cui la natura of-
friva tutto spontaneamente, è costretto ad accumulare conoscenze e a prendere delle deci-
sioni per far produrre la terra.
Dio, dunque, rivela all'uomo la sua natura di persona che deve, nel cosmo, pensare le
cose, prendere decisioni e scegliere. Noi siamo fatti così.
Oltre al rapporto cultura-libertà, è bene soffermarsi anche sul rapporto esistente tra cul-
tura ed esperienza di Dio, sia essa fatta nel timore (religione cosmica), sia nell'amore (espe-
rienza cristiana).
Il riferimento a Dio e l'esperienza di Lui è un dato intrinseco allo sviluppo culturale, ne
costituisce il cuore. Molti etnologi e sociologi della cultura sostengono, che al centro di ogni
cultura vi è il dinamismo di ricerca che spinge l'uomo a rispondere ad interrogativi che vanno
sempre oltre; pertanto, tutte le culture sono essenzialmente dinamizzate da un movente reli-
gioso. In questa mia ultima esperienza vissuta in Asia, e di cui vi ho fatto cenno, non abbiamo
potuto mai parlare di una singola cultura locale, senza dover anche far riferimento ad inter-
rogativi e a risposte fondamentali dell'uomo che andavano nel senso del religioso.
Certo, la religione in quanto tale è costruita dalla cultura, ma il suo motore interiore è
sempre ravvisabile in ciò che diceva S. Agostino: noi siamo aperti verso una trascendenza
in cui non ci sono mai risposte assolutamente soddisfacenti e, quindi, ci spingono sempre ad
andare oltre. «Ci hai fatti, Signore, per te ed il nostro cuore è inquieto finché non riposa in
te»5.
Per capire meglio il rapporto esistente tra religione e cultura mi servo dell'episodio della
Regina di Saba. Essa venne dall'Etiopia perché aveva sentito parlare della saggezza di Salo-
mone. Giunta nella Città Santa, dopo aver ammirato lo splendore del palazzo regale e del
tempio, dopo aver potuto ammirare la saggezza e la capacità di governare del re, si rivolse a
lui esclamando: «Sia benedetto il Signore tuo Dio che si è compiaciuto di te. Nel suo amore
eterno per Israele, Egli ti ha stabilito perché eserciti ed insegni il diritto e la giustizia»6.
Il «diritto e la giustizia» sono due valori secolari, di cultura, diremmo noi oggi. La
Regina di Saba si era accorta che alla base dello splendore, della saggezza, del buon governo
4 H.S. KUSHNER, Nessuno ci chiede di essere perfetti, nemmeno Dio, Vicenza, Neri Pozza editore,
1997.
5 S. AGOSTINO, Confessioni I, 1.
6 1 Re 10,9.
- 544 -

55.7 Page 547

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c'era un forte movente religioso. È chiaro che c'è un rapporto tra esperienza di Dio vissuta e
produzione culturale.
Se ciò è vero, possiamo analizzare il rapporto esistente tra vita consacrata e cultura. La
vita consacrata, per sua natura, si concentra sull'esperienza di Dio, esperienza che le permette
di guardare con occhi nuovi la realtà della persona umana e del mondo. Questa affermazione
è suffragata dalla storia stessa della vita religiosa. Basti pensare, esempio quasi ovvio, al
monachesimo benedettino e al suo influsso determinante su una fase della cultura europea.
La vita consacrata non è mai stata un ritirarsi dalla cultura e dalla storia: le biblioteche, le
scuole, le università, i laboratori, i terreni paludosi bonificati attestano ciò e ci permettono
di capire meglio che una certa visione di uomo e del suo destino, messo al centro di tutto ciò
che su questa terra può considerarsi buono e giusto, ha potuto scatenare questi processi sto-
rici, perché ha portato a comprendere più profondamente cosa siano la natura, la persona e
la storia.
Quando i consacrati o i cristiani sono educatori, occorre considerare anche le tre grandi
dinamiche che sono alla base del processo educativo: lo sviluppo delle ricchezze individuali,
la trasmissione di un patrimonio con cui è necessario misurarsi per poter progredire, l'inse-
rimento in realtà sociali e culturali più ampie.
Ne consegue che tra cultura-persona, esperienza di Dio-cultura, vita consacrata-cultura
ed educazione-cultura c'è un rapporto che non si può ignorare, né trascurare senza danni.
2. Alcune caratteristiche della cultura
È interessante sottolineare ora alcune caratteristiche della cultura. Essa è evolutiva, in
cambiamento: da una situazione se ne genera un'altra; per questo la Gaudium et Spes fa
riferimento a «tutti quei mezzi con i quali l'uomo affina ed esplica le molteplici sue doti di
anima e di corpo»7. Per spiegare questa caratteristica, con i ragazzi delle scuole medie si usa
l'esempio del passero che da secoli fa il nido nello stesso modo, mentre l'uomo è passato
dalla capanna al grattacielo, dalle case di mattoni a quelle di plastica o di vetro. Questo
paragone illustra assai chiaramente quanto abbiamo asserito circa l'evoluzione della cultura;
infatti, se il concetto di casa, quale luogo in cui proteggere la propria intimità e spazio da
poter dominare, è un concetto costante, le realizzazioni concrete evolvono senza sosta per
raggiungere meglio le finalità e i vantaggi.
La dimensione evolutiva fa capire facilmente che la cultura conforma anche un patri-
monio. Infatti l'evoluzione non è solo un passaggio, ma anche accumulo di esperienze e
conoscenze. Le singole espressioni culturali possono paragonarsi alle acque di un fiume,
mentre la cultura è paragonabile ad un lago con i suoi affluenti e defluenti. Pertanto essa
deve essere colta nella sua unità, non solo come qualche cosa di passeggero, ma come una
realtà consistente che va prendendo forma. In tale senso la cultura è, anche, un accumulo di
realizzazioni ed orientamenti spirituali. Basti pensare a tutta l'elaborazione del diritto o della
esperienza religiosa. La Bibbia è il racconto di una esperienza di Dio fatta all'interno di una
cultura che fu da tale esperienza trasformata. Gesù Cristo stesso si è inserito nella cultura di
un popolo, il cui grande patrimonio era una singolare esperienza di Dio.
Il terzo carattere della cultura è la sua dimensione comunionale. Essa, infatti, è comu-
nione o, detta in altro modo, condivisione. Nulla costituisce propriamente cultura finché non
è posseduto e condiviso da un gruppo; mentre rimane rinchiuso nel singolo, al massimo può
essere qualche cosa che aspetta, che ha germinalmente la capacità di entrare nel circolo vitale
della cultura. Questa dimensione è, al contempo, sincronica, perché coinvolge tutti quelli
7 GS 53.
- 545 -

55.8 Page 548

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che vivono in una certa epoca o area, ed è diacronica, poiché la cultura ci mette in comunione
con tutte le generazioni che ci hanno preceduto o nella stessa esperienza o nello stesso spazio
geografico.
3. Vie per uno sviluppo della propria cultura
Quali sono le vie di sviluppo della cultura? La prima è senza dubbio l'incontro tra co-
scienza e realtà, ove coscienza vuol dire intelligenza e libertà, capacità di comprensione e di
scelte. Ricordate il pensiero di Pascal: «L'uomo è debole come una canna; c'è però una dif-
ferenza: egli lo sa, ne è consapevole»8. Ciò vuol dire che l'uomo può elaborare un determi-
nato avvenimento, prevenirlo o, comunque, viverlo in una certa forma, di modo che qualsiasi
cosa gli capiti, ha su di lui un effetto ben diverso da quello prodotto su un elemento materiale
o su un essere non dotato di libertà e di coscienza.
C'è una seconda via per sviluppare la cultura: è quella della riflessione spontanea e dello
studio sistematico. Ad esse si assimilano le esperienze e il lavoro guidato dall'intelligenza e
dalla creatività.
C'è, infine, la via della comunicazione tra persone, gruppi e società, che serve non solo
a condividere quello che si è raggiunto, ma anche a dinamicizzare il momento di ricerca e di
invenzione.
Quali sono gli effetti o i segni della cultura nella persona singola?
Uno, senza dubbio, è la formazione dell'identità propria. Pensate all'uomo nel cosmo:
egli sa chi è, quali sono le caratteristiche che lo distinguono dalla materia e dagli animali e,
dunque, quali sono le sue possibilità. Paragonate il nostro tempo con quello in cui era diffuso,
tra gli uomini, il timore del cosmo ed essi si ritenevano sottomessi, dipendenti, quasi schiavi
di esso.
È interessante in questo senso sottolineare come la coscienza di Cristo ha fatto fare un
salto in avanti alla storia anche dal punto di vista culturale, rivelandoci la nostra identità di
creature amate da Dio, suoi figli e partner. Così pure l'identità maschile o femminile o l'i-
dentità religiosa serenamente vissuta, cosciente e aperta, sono segni della cultura maturata
dal singolo.
Nell'ambito del dibattito in corso circa l'identità collettiva e l'identità propria dell'indivi-
duo, mi piace riportare quanto scrive lo scrittore arabo Amin Maalouf in un recente saggio9.
Egli scava nella sua particolare vicenda personale, chiedendosi quali sono gli apporti della
sua cultura e lingua di origine alla sua identità, quale peso ha assunto invece il suo aver
trascorso molti anni in Francia ed averne adottato la lingua per scrivere. Tale ragionamento
lo porta ad affermare il carattere fittizio delle identità «collettive», in particolare quando
vengono addotte per provocare conflitti, e ad asserire il carattere personale del l'identità do-
vuto al fatto che ciascuno di noi vive e combina, in forma del tutto originale, gli elementi
comuni. Tale esempio ci permette di capire meglio che la nostra identità deve essere posse-
duta in maniera riflessa e, al contempo, essere aperta ad interazioni e confronti. Una identità
rigida, infatti, porta alla chiusura e, nell'ambito religioso, all'integralismo. Un segno impor-
tante, dunque, che evidenzia la cultura della persona è la sua capacità di integrare dimensioni
o aspetti diversi che fanno riferimento alla qualità della vita umana, come ha ricordato il
secondo brano della Gaudium et Spes che abbiamo letto insieme.
8 Cf. B. PASCAL, Pensieri, 347.
9 A. MAALOUF, L'identità, Milano, Bompiani, 1999.
- 546 -

55.9 Page 549

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Un altro segno della cultura personale è la gerarchizzazione delle aspirazioni, possibilità
e rapporti conformemente a scelte personali di valore o di orientamento. La cultura perso-
nale, infatti, non è «caos», ma costruzione ordinata: tutto si raccoglie in un'unità armonica
dinamica, che permette di cogliere attorno a quali valori si è costruita e si continua a costruire
la propria identità.
4. Cultura e carisma salesiano
Partendo da questi presupposti circa la cultura ed il suo rapporto con la religione e la
vita consacrata, possiamo ora iniziare la trattazione del rapporto esistente tra essa ed il cari-
sma salesiano. Poiché, come ho precisato sin dall'inizio, il discorso è valido per qualsiasi
carisma, occorre interrogarci su cosa sia quest'ultimo.
Il carisma è una grazia personale collegata alla libertà e alla personale intuizione del
mondo; carisma vuol dire proprio grazia e genialità. Esso comporta una visione originale del
mondo che ci permette di operare in forma innovativa. Mi piace a questo scopo ricordare il
pensiero di fondo del film Amadeus, in cui il genio, di fatto, appare come espressione dell'a-
more di Dio. Ciò è evidente nel contrasto tra Mozart ed il Maestro Salieri, ove all'allegra
genialità del primo si contrappone il lavoro e la fatica con risultati meschini del secondo.
Al contempo, il carisma forma un patrimonio che viene tramandato, assumendo una por-
tata ed un peso umano notevole in coloro che ne sono portatori e nella comunità in cui si
inserisce. Pensate alle produzioni create ed ai risultati ottenuti in vari campi dai diversi isti-
tuti religiosi. È questa una possibile prospettiva per pensare il rapporto tra cultura e carisma.
Per quanto concerne più specificamente la Famiglia Salesiana e le altre Congregazioni
con una missione educativa, bisogna aggiungere il peso ed anche l'esigenza dello sforzo
professionale proprio degli educatori.
Qual è la modalità di impegno culturale di don Bosco e di Madre Mazzarello? Ci si
potrebbe infatti domandare se i nostri fondatori si siano realmente impegnati nella cultura o
piuttosto si siano dati alla carità. Premettiamo che non c'è opposizione tra questi due aspetti.
Se c'è qualcosa che ha immesso elementi nuovi nella dinamica culturale, sono proprio le
espressioni dell'amore. Lo esprime stupendamente San Francesco di Sales in questa sintesi:
«La persona è la perfezione dell'universo; l'amore è la perfezione della persona; la carità è
la perfezione dell'amore»10.
Dunque non si possono opporre cultura e carità, altrimenti si scivola in un concetto di
cultura puramente accademico. Del resto, oggi parliamo continuamente di civiltà dell'A-
more, il che vuol dire che l'amore non solo ne è parte, ma può muovere e informare la cultura.
Proprio perché mossi da un amore attento alla vita, compassionevole e pratico, i nostri fon-
datori hanno creato un modello originale cioè quello di impegnarsi culturalmente.
Tale modello è caratterizzato, prima di tutto, da un'ispirazione od orientamento che è
grazia, ovvero genialità e prontezza di cuore. Don Bosco ha detto: «L'educazione è cosa di
cuore»11. Nei suoi scritti biografici, tante volte ci imbattiamo in espressioni in cui egli ci
consegna le sue reazioni interiori di fronte a fatti verso i quali molti si mostravano indiffe-
renti e arrendevoli (una forma di cultura!) o tendevano a reprimere (ancora cultura!). Egli,
invece, si lascia coinvolgere internamente, poiché avverte che la persona è diminuita nelle
sue possibilità quindi assume l'imperativo di liberarla (cultura preventiva).
Elemento caratteristico del modello di impegno culturale dei nostri fondatori, è lo
sguardo attento alla realtà della vita. E qui possiamo ricordare i piccoli, ma significativi
10 S. FRANCESCO DI SALES, Trattato dell'amore di Dio, Vol. II, Libro 10, Cap. 1.
11 Cf. MB XVI, 447.
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progetti messi in atto agli inizi da Madre Mazzarello con un'intelligenza che era dono di
natura.
Occorre ancora aggiungere l'importanza della riflessione spontanea automigliorata. E
molto interessante a tal proposito il «Quaderno delle esperienze» raccomandato da don Bo-
sco. Con questa chiave vanno percorse le Memorie dell'Oratorio12 e riletti quei passi in cui
egli dice: «Io, a quel punto, ho pensato...» e simili. Non aveva letto nulla; ma la forza naturale
dell'intelligenza, dell'attenzione alla vita e della grazia lo guidava nell'elaborare la cultura
preventiva.
Infine c'è la ricerca di una conoscenza sistematica fondata. Pensiamo a don Bosco ap-
passionato lettore dei classici, Dante, Virgilio, o attento studioso della storia. Pensiamo a
Madre Mazzarello e alle possibilità che ha dato alle prime consorelle di istruirsi e qualificarsi
come maestre.
Conoscenza sistematica, dunque, e fondata, ma per noi legata all'operare. La conoscenza
pura dà gioia; ma a don Bosco serve sempre per fare il bene al più ampio numero possibile
di persone e nel miglior modo possibile. Pensiamo infine ai rapporti arricchenti che, tramite
letture o incontri personali, don Bosco ha avuto con la pedagogia ed alcuni pedagoghi del
suo tempo o con altri personaggi come Rosmini, Pellico, la marchesa Barolo, don Cafasso.
Da ultimo, via alla crescita culturale, è la partecipazione originale, perché non dipen-
dente, ma attiva in realtà sociali più ampie e, dunque, lo sforzo di inserimento. Se guardiamo
don Bosco, basta pensare al rapporto con il governo (Cavour, Rattazzi...), l'avere invitato
all'oratorio ministri, vescovi e personaggi di rilievo, le sue amicizie. Era un inserimento at-
tivo, perché tutti coglievano cosa portava quest'uomo come preoccupazione e progetto di
vita: l'educazione cristiana della gioventù.
Abbiamo così un modello assai interessante: il cuore al centro, uno sguardo attento alla
realtà, una riflessione spontanea ed anche l'impegno di una conoscenza sistematica e fondata
ed orientata all'agire, i rapporti arricchenti, l'inserimento in realtà sociali più ampie. Madre
Mazzarello e don Bosco hanno imparato molto dai libri e dai maestri; ma molto di più hanno
imparato dall'esperienza messa in atto, cioè dal cortile in cui si riunivano per la prima volta
pochi ragazzi o ragazze, ma dai quali, un po' alla volta sono nati ambienti ampi, città per
ragazzi in cui circolavano valori, fiorivano i rapporti personali, la gioia costituiva un coman-
damento.
Don Bosco, soltanto alla fine della sua vita ha scritto il suo percorso e la sua storia.
All'inizio ha intuito e, agendo, ha estratto dalla vita la ricchezza che essa libera. Il risultato
di tale cammino è una saggezza tipica. Mi riferisco a don Bosco, ma potrei fare riferimento
alle mie antiche conoscenze di missionari in Patagonia, terra di pionieri, indigeni e fuorusciti
per spiegare che cosa ha significato la presenza di un gruppo di consacrati preoccupati dell'e-
ducazione del popolo e dei ragazzi, la carica di umanità che hanno messo in ambienti che
erano necessariamente duri, perché bisognava lottare persino contro la natura.
Ho detto «saggezza». Voglio sottolineare la rilevanza della parola e della dimensione
«saggezza» nel nostro vocabolario e nella nostra tradizione. Essa è una delle prime parole
che don Bosco ha ascoltato nel sogno: «Io ti darò la maestra dalla quale potrai imparare la
saggezza»13. Egli pone poi tale concetto tra gli ideali che devono guidare il ragazzo, il quale
deve essere sano, saggio, cioè illuminato quanto al mondo e alle sue realtà, e santo. Ma è
12 SAN GIOVANNI BOSCO, Memorie dell'Oratorio di S. Francesco di Sales. Dal 1815 al 1855, Roma,
LAS, 1991.
13 Cf. MB I, 124.
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56.1 Page 551

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una caratteristica anche dell'educatore, che deve essere una persona misurata, prudente, com-
prensiva, capace di amare e di orientare. Non si tratta di erudizione, ma di avere l'arte e la
scienza della vita. La saggezza è, poi, una dimensione della fede. San Paolo tante volte af-
ferma che la fede cristiana è una saggezza, che però non viene solo dagli uomini, ma dallo
Spirito; che non disdegna quanto vi è di umano, ma lo trascende.
Siamo soliti parlare di don Bosco come di una persona in cui si percepiva uno splendido
accordo di natura e di grazia. Egli era ricco delle virtù del suo popolo e, al contempo, aperto
alle dimensioni dello spirito, con i piedi per terra, ma agiva negli avvenimenti e tra le cose
più secolari come se vedesse l'Invisibile. L'accordo, l'unità sono pure un segno di saggezza.
5. All'alba del terzo millennio
Siamo giunti così a commentare la terza espressione del titolo della conferenza: all'alba
del terzo millennio. L'attuale quadro culturale mette alla prova la saggezza a causa della
libertà, del pluralismo, della comunicazione in ogni direzione. Vi è uno squilibrio tra quantità
di dati e di immagini e capacità di sintesi o senso della vita.
L'immagine del supermarket è quella che, forse, meglio rappresenta tale situazione, che
interessa anche la sfera religiosa. Uno degli effetti che ciò produce sulla persona, può essere
la fuga o evasione. Ma altri effetti possono essere anche il rassegnarsi a non influire, la di-
pendenza, il fondamentalismo difensivo.
Dinanzi a questa situazione anche l'Esortazione apostolica Vita consecrata ribadisce che
la vita religiosa dovrebbe offrire una specie di terapia nelle tensioni ed agitazioni, nella mol-
teplicità, per ricuperare la pace evangelica, la capacità di orientarsi e di saper distinguere tra
l'importante e il secondario, tra il fine e i mezzi, tra il passeggero e il definitivo.
La vita attuale mette a dura prova la saggezza. Ciò sfida particolarmente i credenti, per-
ché essi sono chiamati a dare ragione della propria fede. Il tempo di oggi richiede una fede
trasparente, gioiosa, che recuperi anche una dimensione del cristianesimo precedente, quella
apologetica, rinnovata: avere la coscienza di ciò che si sceglie e dell'ambiguità di ciò che si
scarta.
Naturalmente, se ciò concerne tutti i credenti, a maggior ragione interessa i consacrati,
la cui scelta di vita è poco compresa, perché non si riesce facilmente a cogliere lo spirito di
fondo che la informa. Questo compito di testimonianza e confessione gioiosa spetta partico-
larmente agli educatori che si trovano di fronte a giovani esposti al pluralismo ed alle visioni
più diverse della realtà. Come potranno rispondere, se essi stessi non hanno elaborato una
visione della realtà ed una saggezza personale?
Credenti, consacrati ed educatori sono interpellati a dare ragione delle loro scelte agli
altri, ma in primo luogo e soprattutto a darne ragione a se stessi. Al proposito vorrei fare una
breve considerazione sulle cosiddette crisi vocazionali o di identità.
Talvolta lo stimolo e le cause della crisi sono elementi esterni, - un innamoramento -,
difficoltà di vita comunitaria o di lavoro; ma tante volte si tratta di un disorientamento vitale,
non si crede più ai valori che si sono scelti. Non si tratta di una loro negazione esplicita, ma
del venir meno della certezza del valore di ciò su cui si è scommessa la propria vita. Ricor-
date quella frase: «Il cristianesimo, che spreco di energie nella storia!», ovvero quante ener-
gie sprecate in questo proposito di credere, di seguire Cristo! Ma noi crediamo proprio il
contrario! Non uno spreco, ma un lievito insostituibile.
Ribadire ciò con sempre più lucidità richiede senza dubbio impegno, applicazione, rilet-
tura della realtà e degli avvenimenti che non risulta laboriosa, ma gioiosa.
- 549 -

56.2 Page 552

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6. In corresponsabilità
Stante la situazione che abbiamo cercato di tratteggiare brevemente ed il tipo di cultura
di cui siamo chiamati ad essere testimoni, ci si può ora interrogare su quali siano le modalità
di attuazione di tale percorso culturale e su chi ne debba essere responsabile.
Per quanto concerne il carisma salesiano, vi sono tre livelli di responsabilità.
Il primo livello è costituito dalla responsabilità personale. S. Paolo scrive a Timoteo:
«attende tibi / cura te stesso»14, invitandolo poi a leggere e meditare la Scrittura, perché,
quando verranno i falsi profeti, una salda conoscenza di Dio e della Rivelazione sarà indi-
spensabile. Occorre recuperare un'abitudine tipicamente salesiana: la studiositas, ovvero la
capacità di studiare. Voi sapete che don Bosco ha letto e anche scritto molto. Un tale, a
questo proposito, mi ha fatto osservare che a quei tempi, in cui non esisteva la luce elettrica,
la sera scendeva presto e altro non restava da fare che ritirarsi in casa per leggere e studiare.
Pensiamo alla nostra tradizione scolastica, nella quale, terminate le ore di scuola, ci si ritirava
per studiare, preparare lezioni, approfondire e, persino, elaborare testi per ragazzi che hanno
contribuito a sostenere le nostre editrici. Non è vero dunque che non abbiamo una tradizione
di studio, anche se essa può non aver raggiunto livelli di alta ricerca, perché lavoriamo su
altre direzioni.
In un'epoca in cui, grazie alla luce elettrica, il giorno può essere lungo ventiquattro ore,
occorre saper recuperare il proprio spazio di riflessione, di approfondimento, di lettura e di
aggiornamento. È anche necessario riscoprire i criteri del nostro impegno di studio.
Il secondo livello di responsabilità risiede nella Comunità. Bisogna puntare ad una qua-
lità di vita e di lavoro che favorisca una crescita costante. Il ritmo di vita e le priorità che si
dà una comunità non sono indifferenti per la crescita del singolo: il poter lavorare assieme,
condividere ed interrogarsi sui problemi, che ci provocano e stimolano, spingono a pensare
e maturare criteri e visioni. Alcuni credono che la formazione permanente consista soprat-
tutto in corsi. Invece, consiste in una qualità di vita comunitaria e di lavoro, in cui non ci si
stanca soltanto, ma si recuperano energie attraverso una sequenza coinvolgente di lavoro-
preghiera-studio-interscambio fraterno.
Il terzo livello di responsabilità ha come soggetto l'Istituto medesimo. E necessario che
esso sviluppi una riflessione sulle esigenze attuali, fatta con molta calma e senza dimenticare
che Dio muove la nostra storia e non c'è bisogno che ce ne sentiamo responsabili principali
e solitari; è sufficiente fare la nostra parte di strumenti, di servi. Dunque l'Istituto è chiamato
ad elaborare un progetto di formazione (la ratio formationis) ed un programma di qualifica-
zione, senza tuttavia distogliere lo sguardo da ciò che costituisce il risultato e la meta della
nostra qualificazione culturale: la donazione apostolica.
7. Attrezzatura personale
Quale deve essere «l'attrezzatura» per un percorso culturale di questo tipo?
In primo luogo è necessario un atteggiamento di attenzione e riflessione nei confronti
della realtà. Non basterà limitarsi ad agire in forma abitudinaria conforme a quello che si è
imparato alcuni anni prima.
Occorre poi, soprattutto per voi che seguite un percorso di Scienze dell'Educazione, ac-
quisire una forma mentis di tipo educativo. Ho avuto l'opportunità di incontrare un regista
per alcune questioni particolari e mi ha colpito la sua costante tendenza a cogliere, dei di-
scorsi di cultura generale che abbiamo affrontato, quegli aspetti che si sarebbero potuti ren-
dere cinematograficamente. Potremmo dire che era un «patito» del cinema, del suo lavoro.
14 1 Tim 4,16.
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56.3 Page 553

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Anche noi, ed in questo ci aiuta la forma mentis, dobbiamo essere in grado di guardare ogni
cosa dal punto di vista educativo-pastorale.
In terzo luogo occorre elaborare una buona sintesi, naturalmente suscettibile di espan-
sione, perché senza di essa non è possibile né avere quadri di riferimento, né inserire cono-
scenze nuove in maniera organica.
Personalmente auspico anche un particolare «gusto» per la propria area di competenza.
Ho già detto che l'impegno culturale non è una condanna, ma un percorso stimolante. Ciò
risulta vero e possibile se gli studi di base hanno lasciato in noi il gusto di quello che abbiamo
studiato. Un teologo non si stanca mai di tornare di nuovo sul mistero della SS. Trinità per
scorgere aspetti non approfonditi prima, la sua presenza nella storia umana, il suo essere
fonte e modello del nostro vivere.
Occorre avere il gusto dell'esploratore. E ciò è possibile se si è acquisito il gusto della
propria competenza ed un'abitudine o, per lo meno, un proposito di studio, il che vuol dire
privilegiarlo rispetto ad altri impegni che non siano quelli dell'educatore e del religioso. Ser-
tillanges, in un suo libro molto bello La vita intellettuale, asseriva che non vi era scrittore od
artista che avesse compiuto progressi nella sua arte senza aver dovuto rinunciare a tante
serate sociali15. Avrà certo preso parte ad alcuni eventi principali, ma non a tutti i possibili
inviti: è necessario priorizzare e darsi tempo.
È necessario avere anche un metodo di studio, di assimilazione e rielaborazione. Ho
avuto modo di conoscere un grande teologo che ha continuato a lavorare instancabilmente
fino a tarda età. Egli mi mostrò un ponderoso schedario, dal quale estraeva in continuazione
spunti per sempre nuovi approfondimenti. Perciò non si è esaurito dopo aver approfondito e
trattato soltanto alcuni aspetti della Chiesa, che era il suo campo, ma ha continuato ad offrire
contributi sempre nuovi.
Ed infine occorre un programma di aggiornamento e sviluppo.
8. Conclusione
A mo' di conclusione della nostra conversazione, vorrei offrirvi un breve commento
circa la nostra qualità culturale quale espressione dell'amore educativo: «Io per voi studio».
«Io per voi studio», ovvero non studio per me, per la carriera, non studio per la fama,
per i soldi e nemmeno per i risultati scientifici in se stessi, che sono pure una giusta gratifi-
cazione.
La nostra qualità culturale è orientata verso la generosità apostolica, perché il nostro
grande piacere è essere accanto a Dio nel salvare i giovani. E una qualità orientata verso la
generosità ed applicata direttamente sul campo.
Dicevo ad un salesiano: «Se Dio ti ha fatto ricercatore puro benissimo, perché ci deve
essere spazio per tutti e noi potremo poi approfittare dei frutti della tua ricerca. Ma io penso
al salesiano qualificato come ad una persona che non fa solo un corso teorico sulla scuola,
ma ne prende «in cura» una per farne una scuola modello di comunità educativa, di collabo-
razione, di didattica, di vicinanza ai giovani.
Don Bosco era solito dire: «Vieni e vedi come io faccio». Similmente dicevo ad un par-
roco: «Non ti farà male studiare Sacra Scrittura e poi fare il parroco. Verrò ad ascoltare la
tua predicazione. Ti accorgerai che la tua Parrocchia sarà arricchita con la Parola di Dio ben
servita. Il servizio più bello che tu possa rendere è far vivere una Parrocchia alla luce della
Parola di Dio».
15 A.D. SERTILLANGES, La vita intellettuale. Roma, Studium, 19533.
- 551 -

56.4 Page 554

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Le nostre qualità devono poi essere impiegate in progetti comunitari, dell'Istituto, sia
interni che esterni: non concepiti individualmente e a misura della persona che possiede la
competenza, poiché, come già abbiamo ricordato, la cultura ha un carattere comunionale.
Ancora la nostra qualificazione deve essere libera da remore spirituali o psicologiche. E
per questo è importante la saggezza. Forse avete anche voi avuto occasione di verificare
quanto persone erudite possano «rovinare il campo» a causa della loro mancanza di capacità
di rapportarsi con gli altri. Questo conferma che la cultura va inserita nell'insieme della per-
sonalità, in cui, dicevamo all'inizio, si combinano in una unità diverse dimensioni. Ricor-
diamo, infine, che la nostra qualità culturale deve essere tenuta viva ed aggiornata. Saremo
chiamati a presentare il nostro ultimo e più elevato risultato culturale quando ci presenteremo
al tribunale di Dio.
Molte persone in punto di morte hanno dato una lezione di cultura, non perché abbiano
fatto una lezione teoretica, ma per le parole che hanno pronunciato come sintesi di una vita
o anche per il comportamento assunto in quel momento.
Questo, come ho già accennato, non è un percorso di puro sforzo, laborioso. È piuttosto
un percorso turistico, di un esploratore. Come tutti i percorsi, richiede gli scarponi e lo zaino.
Comporta fatica e gioia, stanchezza e riposo per continuare subito dopo. Panorami meravi-
gliosi si andranno dispiegando davanti ai nostri occhi se avremo la costanza di progredire
con calma e con lo sguardo attento.
Buon Viaggio!
- 552 -

56.5 Page 555

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63. IL CARISMA SALESIANO INTERPELLA L'ISTITUZIONE UNIVERSITA-
RIA
Vecchi, J.E., Il carisma salesiano interpella l'istituzione universitaria in «Rivista di scienze dell'educazione» (settembre
dicembre 2000), 38(3), p. 326-337.
1. I destinatari. - 2. Il sistema preventivo. - 3 La dimensione sociale. [n.d.c.: i titoli dei paragrafi sono nostri]
Il carisma salesiano ha già interpellato l'istituzione universitaria quando, quasi sponta-
neamente, Salesiani e FMA si sono messi a creare tali istituzioni proprio in vista di potenziali
altri destinatari della cultura da comunicare ed altri elementi simili.
Vedo il problema, del dialogo tra carisma e istituzioni universitarie, diffuso su due piani
progressivi: interpellanze all'istituzione universitaria in quanto tale e, più vicino a noi, alle
istituzioni universitarie salesiane che si presentano come tali, e tali vogliono essere, quasi
come differenza specifica.
Le istituzioni universitarie non erano previste nel programma di «opere» delle Congre-
gazioni Salesiane. Il sistema di opere era pensato in vista dei destinatari preferenziali, gio-
vani in età «educativa», specialmente, ma non solo, poveri o di modesta condizione. Per
convincersene basta ripassare la «lista» di opere e attività che lungo la storia è stata inclusa
nei testi costituzionali e le finalità che venivano attribuite. Non ci sono nemmeno accenni
lontani a questo tipo di attività.
Lo sguardo verso livelli superiori di formazione si percepisce nell'apertura di licei o
istituti simili in altre nazioni (anche pochi fino al II° dopo Guerra) che potevano costituire
un traguardo di promozione e formazione cristiana per tanti giovani. Lo stesso si può dire
riguardo alla regolarizzazione e ricerca di miglior livello degli studi dei salesiani e delle
FMA in centri appositi che sono culminate nella fondazione del PAS prima, poi UPS e Au-
xilium e alla frequenza di salesiani e FMA alle università ecclesiastiche e civili per acquisire
professionalità riconosciute e titoli che consentissero la gestione di cattedre e istituti.
Le istituzioni di carattere universitario, destinate a studenti laici, appaiono (salvo qual-
che eccezione!) verso la fine degli anni cinquanta e prima dei sessanta. Si moltiplicano in
seguito e ancora oggi abbiamo qualche proposta in cantiere anche se è nostra intenzione
qualificare l'esistente piuttosto che moltiplicare le istituzioni di basso profilo quanto a didat-
tica, cultura, ricerca e influsso sul contesto.
Dopo gli sviluppi avvenuti, vediamo più chiaramente i motivi che vi stanno alla base:
la diffusione dell'insegnamento medio a quasi tutta la popolazione giovanile in molte nazioni
anche nuove; l'accesso all'università di un maggior numero di giovani delle classi popolari
anche a motivo del lavoro; la supplenza richiesta a noi dove non esistevano istituzioni simili
che venissero incontro alle nuove domande; le facilitazioni legali ed economiche che Stati,
gruppi di appoggio o Chiesa ci offrivano; il desiderio di influire in senso cristiano nella cul-
tura generale o in settori professionali con ripercussione sull'ordine sociale; la disponibilità
di forze laicali, che forse in questo campo, per primo, sono diventate partecipi e protagonisti.
Non è stato motivo di secondo ordine il desiderio di proporre la nostra pedagogia a livello
scientifico e renderci più presenti, attraverso il laicato in aumento, nel vasto ambito educa-
tivo, di qualsiasi segno. Infatti la facoltà di Scienze dell'educazione e affini occupano un
posto di rilievo nello sviluppo di cui parliamo, dietro l'esempio dell'UPS e dell'Auxilium.
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Non prendo tanto in considerazione, come vedete, quelle qualifiche o presenze univer-
sitarie, quelle istituzioni pensate per un servizio più qualificato dei salesiani e delle FMA ai
ragazzi.
Questo era già molto chiaro nella logica fondazionale: rispondeva al principio che i
giovani poveri vanno serviti con tutti i mezzi, anche i più eccellenti. Ora però considero
piuttosto il fatto che salesiani ed FMA abbiano fondato in seguito università per i giovani e
le giovani delle classi popolari. In questo fatto non previsto, vedo le interpellanze implicite
all'istituzione universitaria che poi riverbereranno con più forza su quelle salesiane.
Le interpellanze si enucleano attorno ad alcuni punti.
1. I destinatari
Il primo sono i destinatari delle istituzioni universitarie e quelli a cui guarda il carisma:
il giovane e i giovani. Si sa che un tempo l'università, per necessità di cose, rappresentava
un privilegio per pochissimi. E ciò non solo quando l'istruzione primaria e secondaria non
era ancora diffusa; ma anche in seguito quando molti giovani per bisogni economici, per
antecedenti familiari o per capacità non sviluppate entravano presto nel mondo del lavoro
(contadino, artigianale, industriale). In società gerarchizzate ed organizzate conforme al cri-
terio del benessere per tutti, anche coloro che non facevano università avevano possibilità di
prepararsi alla vita che li attendeva attraverso altri processi formativi, sufficienti per una
iniziazione professionale e per guadagnarsi la vita. L'esperienza dei salesiani con i Centri di
formazione professionale può esserne un esempio.
Persino i giovani dotati di spiccati talenti artistici, avevano le botteghe dei maestri e
molti di questi giovani, diventati poi maestri e capi, non sono passati dalle aule universitarie.
Il problema sorse con l'allargamento dell'età educativa, le maggiori esigenze di quali-
fiche anche soltanto formali nelle società tecnologiche, la concorrenza nel mercato del la-
voro. Allora chi non avesse fatto università era evidentemente svantaggiato perché i tradi-
zionali spazi di occupazione e di socialità erano stati ormai messi in dipendenza dalla pre-
parazione e dal titolo universitario come garanzia.
Il fenomeno odierno è che, mentre il livello universitario è diventato esigenza di lavoro,
l'istituzione universitaria non ha fatto spazio a tutti i giovani che potevano accedere. E so-
prattutto non ha diversificato i livelli e i curricoli sulla linea teorica e pratica per far entrare
i giovani in società, con uguali o per lo meno con sufficienti condizioni di «guadagnarsi
onestamente la vita». E, collegato a questo, per sopravvivere con dignità in una cultura e un
contesto segnato dalla complessità.
Ciò risulta più evidente se si guarda, con mentalità globalizzata, a tutto il mondo. Che
significa «università» riguardo ai destinatari in alcuni paesi dell'Africa e persino dell'Ame-
rica Latina? Un lusso, l'inizio di una situazione privilegiata o una posizione acquisita. I gio-
vani che non accedono, non per mancanza di volontà o di capacità ma proprio per i limiti
strutturali e organizzativi dell'istituzione universitaria, lasciano la loro crescita inconclusa
non solo con detrimento per la loro formazione, ma con perdita d'incalcolabili risorse per la
società. Come possono provvedere a quell'allargamento delle possibilità e tempi di educa-
zione che sembrano essersi resi indispensabili di fronte alla complessità del lavoro e della
vita odierna?
Proprio per rispondere a questa interpellanza, i salesiani hanno camminato da pionieri
verso la fondazione di istituzioni universitarie: per allargare le possibilità ai giovani che non
avevano posto in quelle esistenti per la loro capacità strutturali o per le loro esigenze selet-
tive.
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A noi salesiani ci stimolava a creare università la possibilità di «ripensare a livello
scientifico e diffondere» il nostro patrimonio pedagogico attraverso lo studio delle Scienze
dell'educazione e affini e preparare persone che intervenissero con formazione cristiana nei
diversi campi dell'educazione. Ma anche per mettere in pratica il Sistema preventivo nella
nuova frangia educativa nella quale i nodi della formazione umana e religiosa sono più com-
plessi ed allo stesso tempo più promettenti.
Allora però l'interpellanza riguardo ai destinatari si rivolge verso queste nostre istitu-
zioni universitarie salesiane. Chi sono i vostri destinatari o clienti? A chi vi rivolgete? Quali
condizioni economiche o di livello mettete? Quali livelli o curricoli offrite? Come si vede la
nostra creatività per arrivare agli ultimi nella invenzione di nuovi percorsi, specialità, forme
di qualificazione.
2. Il sistema preventivo
Un secondo grappolo di interpellanze viene dal Sistema Preventivo inteso come in-
sieme di contenuti che comprendono la dimensione umanistica e l'orizzonte religioso ten-
denti a produrre una formazione della persona, integrale e armonica, che la abiliti per capire
il proprio destino e rapportarsi, con senso di solidarietà ed amore, con gli altri e con la storia.
Questo comporta alcune particolarità metodologiche.
Proprio su questa linea viene da domandare all'Istituzione universitaria se ha come
obiettivo formare la persona o soltanto dare un bagaglio di conoscenze professionali la-
sciando il resto all'individuo in quanto lo si considera già responsabile delle propri scelte
vitali. E se la risposta fosse affermativa si potrebbe continuare domandando quale è il tipo
di cultura che viene comunicata. Nell'ultimo tempo si è parlato abbondantemente di cultura
«della pace, della tolleranza, della solidarietà, dell'accoglienza, della vita» o del contrario.
Quattro qualificativi sono determinanti come parametri della cultura: si tratta cioè della
persona, dell'essere, del senso o di una cultura dell'avere, delle cose, dell'acquisire, del pos-
sedere. E una cultura etica o senza riferimenti sostanziali a un agire umano che tocchi la
coscienza medesima indipendentemente da eventuali vantaggi immediati e individuali; è una
cultura solidale, capace di riconoscere la dignità di ogni persona e il diritto di ogni popolo al
benessere e alla libertà e che non consegni l'impiego dei beni e delle risorse alla sola inizia-
tiva individuale o alla concorrenza; è una cultura aperta alla trascendenza e a tutto quello
che ad essa fluisce: il mistero della realtà e della vita, il destino dell'uomo.
Perché tutto questo diventi formazione della mente, della coscienza e del cuore è ne-
cessario un certo «ambiente». Ed è chiaro che un ambiente universitario non sarà come
quello dell'oratorio o di una scuola elementare. Ma la coesione del corpo docente, l'atten-
zione allo studente, la proprietà degli ambienti, il tratto rispettoso, il clima di studio e inte-
resse per la scienza non sono indifferenti. Che dire delle aule affollate fino al massimo senza
la minima attenzione personale o degli ambienti disordinati e non mantenuti? Fattore fonda-
mentale dell'ambiente è un certo rapporto personale anche in ordine all'orientamento scien-
tifico e di studio. Che dire del carattere impersonale, non dico di alcune cattedre, ma di interi
anni accademici in cui lo studente è un numero? È illuminante ascoltare in merito gli stu-
denti. Essi da adulti non ne fanno un tragedia se tutto questo manca, ma quando c'è, ne par-
lano con entusiasmo, come di una condizione migliore.
Naturalmente, passando alle nostre università, la domanda sulla cultura che si comu-
nica, sulla formazione integrale a cui si tende, sull'ambiente e sul rapporto personale ade-
guato al livello universitario diventano pressanti e identificanti. Si tratta del Sistema preven-
tivo. Per noi l'interpellanza si estende all'aspetto più strettamente pastorale.
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È chiaro che questo non è una dimensione separata dalla comunicazione culturale,
dall'ambiente, dal rapporto che docenti e personale amministrativo, cristianamente identifi-
cato, stabiliscono con i giovani, tra di loro e con la società circondante. Certamente però
l'aspetto pastorale non si esaurisce in tutto questo insieme. C'è anche l'esplicitazione dell'an-
nuncio e della proposta di fede conforme ai destinatari ed all'ambiente: l'informazione sulla
esperienza cristiana, le opportunità che si possono offrire singolarmente, in gruppo o per
l'intera comunità, di approfondire tale esperienza, assumerla sempre più consapevolmente e
gustarla, diventare mediatori verso altri.
3. La dimensione sociale
Un ultimo grappolo di interpellanze, collegato al precedente, viene dalla dimensione
sociale che l'istituzione universitaria è capace di dare e dunque della funzione che essa eser-
cita sulla società a scadenza immediata, media e lunga.
L'università è una piattaforma di collocazione individuale, anche se in un progetto di
sviluppo collettivo? O diventa veramente laboratorio e punto di irradiazione di una nuova
mentalità e di un dinamismo capace di modificare la struttura della società nel senso di una
maggior giustizia ed equità? Colpisce che, da più di un secolo in tutti i continenti, governanti,
industriali, capi dell'amministrazione e dell'esercito sono exallievi delle istituzioni universi-
tarie; in possesso di un mezzo eccezionale di vita e di influsso non comune. Eppure hanno
mantenuto intatta la struttura della società sovente evidentemente ingiusta. Ci sono anche
esempi sull'altro versante: di università o gruppi di universitari dai quali è venuta fuori una
classe dirigente capace di intraprendere cambiamenti sulla linea della libertà e della giustizia
sociale.
Questo tema ritorna urgente quando si parla dell'università salesiana. Dice un articolo
delle nostre Costituzioni: don Bosco ha visto con chiarezza la portata sociale della sua opera.
«Lavoriamo in ambienti popolari e per i giovani poveri. Li educhiamo alle responsabilità
morali, professionali e sociali, collaborando con loro e contribuiamo alla promozione del
gruppo e dell'ambiente. Partecipiamo in qualità di religiosi alla testimonianza e all'impegno
della Chiesa per la giustizia rimanendo indipendenti da ogni ideologia e politica di partito,
rifiutiamo tutto ciò che favorisce la miseria, l'ingiustizia e la violenza e cooperiamo con
quanti costruiscono una società più degna dell'uomo».
L'ambiente universitario si presta per la declamazione utopistica, facile, ideologica.
Non è il caso di prendere questa strada. Ma dovrebbe essere immancabilmente offerta la
dottrina sociale della Chiesa, l'incontro con testimoni dell'impegno politico onesto e co-
sciente, la possibilità di esperienze serene e mature di confronto e azione.
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64. RIPARTIRE DA DIO
Vecchi, J.E., Ripartire da Dio, Messaggio del Rettor Maggiore, don Juan E. Vecchi, ai Salesiani e alle Figlie di Maria Ausi-
liatrice alle soglie del terzo millennio. Roma, [s.e.], 1 gennaio 2000.
Dio, Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo. La Santissima Trinità si rivela nella
storia. Continua ad essere la fonte principale della novità salvifica. Egli non solo ha prodotto
l'Incarnazione come avvenimento impensabile ed inconcepibilmente fecondo in un momento
singolare del nostro percorso umano, ma continua a suscitare per lo Spirito movimenti reli-
giosi, che orientino verso il suo mistero, solidarietà, forme di santità, nuovi carismi che guar-
dano alle situazioni più dolorose dell'uomo. Per questo la Chiesa è ricca di doni e di speranza.
Alla conclusione del Giubileo, vogliamo riconoscere nella fede questa volontà del Si-
gnore di essere paternamente presente nella nostra storia e disporci a leggere i segni che egli
ci va lasciando. Allo stesso tempo porre la sfida che la sua presenza nel mondo muove al
senso della vita. Senza di Lui non c'è destino per la persona. «Tu sei la mia vita, altro io non
ho».
Il nostro cammino dev'essere illuminato e calmo. Via alla fretta dettata dalla nostra
inquietudine o dalla nostra voglia smisurata di raggiungere personali obiettivi. La Chiesa ha
aperto un'epoca nuova di missione segnata da un'originale esperienza umana che viene pro-
prio dall'Incarnazione.
Noi consacrati ci siamo detti che ci caratterizziamo più per quello che siamo e viviamo
che per quello che facciamo materialmente: persone che vogliono vivere da discepoli di
Gesù, nelle quali si manifesta il primato dato a Dio nell'organizzazione della vita e nel sen-
timento del cuore. La vita consacrata non viene oggi sfidata per i servizi che presta, ma per
il senso di vita che esprime. È vero che i salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice manife-
stano tutto ciò in una carità operosa, nell'attenzione ai giovani specialmente più poveri, nella
vicinanza ai poveri; ma è importante che la fonte di tutto ciò non rimanga dimenticata, rico-
perta, sotterranea; anzi.
Nell'ultimo tempo, per i giovani e per la gente comune, sono diventate simbolo della
vita persone fortemente segnate dall'esperienza di Dio. Non solo attirano, ma diventano mae-
stri. I luoghi dove esprimono la loro fraternità diventano scuole. A noi non mancano né an-
tecedenti, né esempi, né suggerimenti sulla tenerezza anche "emozionale" del sentire e co-
municare Dio ai giovani. Il beato Filippo Rinaldi, in una delle sue istruzioni alle VDB, ri-
portata dalla Liturgia delle Ore, così si esprime: «La pietà nasce da un cuore pio: l'anima
formata alla presenza di Dio prega, si rinvigorisce nella meditazione, nell'esame, nella lettura
spirituale. La meditazione vocale viene dopo che si è entrati in noi stessi nel raccoglimento».
Il Giubileo ci ha richiamati a ripartire da Dio per scoprire la nostra sostanziale dignità
e natura: «Voi siete figli di Dio per lo Spirito di Gesù Cristo». Ci muove a interpretare la
vita nel mondo alla luce di questo fatto.
L'umanesimo autentico, conforme alla parola di Dio e all'avvenimento dell'Incarna-
zione, è stato uno degli elementi portanti della riflessione durante il giubileo. Noi, Salesiani
e Figlie di Maria Ausiliatrice, siamo "educatori" sulla linea di questa duplice prospettiva
integrata: autentici uomini poiché figli del Padre. La missione educativa non è aggiunta alla
nostra consacrazione. Ne sgorga direttamente e ne costituisce quasi la ragione.
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Gli anni che vengono metteranno a prova la nostra autenticità religiosa, cioè la nostra
capacità di annunciare il Dio di Gesù Cristo che è oltre molte realtà che sembrano di imme-
diata efficacia. Qualcuno disse che la politica senza la cultura non ha senso né finalità. Ana-
logamente si può dire della cultura senza la spiritualità. Santi e mistici sono oggi indispen-
sabili per dare orientamento, senso, dignità e vera pace all'esistenza umana.
La nostra autenticità religiosa richiama la fraternità visibile e visibilizzata come "se-
gno". La famiglia e lo spirito di famiglia non soltanto hanno caratterizzato gli inizi dei nostri
Istituti, ma hanno costituito il campo fecondo delle nostre vocazioni. Non va quindi dimi-
nuita, né rimpicciolita o disgregata. Valdocco, comunità non solo visibile, ma addirittura
vistosa, ci è di esempio. Proprio con una ricca ed evidenziata fraternità si interseca l'efficacia
della missione che contempla proposte culturali nuove, innovazioni educative, nuove forme
di socialità.
La vita consacrata ha non soltanto un passato glorioso da ricordare: monasteri, con-
venti, missionari, apostoli e apostole della carità. Lo dice Vita Consecrata ed è vero anche
per noi. Dio susciterà profeti. Magari noi possiamo esserlo tra i giovani. Lo Spirito donerà
nuovi carismi perché la Chiesa sia preparata ad ogni opera buona. E noi li congiungeremo
nella comunione evitando la disgregazione ed i particolarismi senza senso: la comunione
fraterna è uno spazio dove sperimentare una nuova umanità.
Il tempo si annuncia gravido di sfide e di possibilità. Società multietnica, incontri
multireligiosi, senso della vita e della dignità umana, ampiezza del mondo globalizzato, pos-
sibilità molteplici di solidarietà. Sembra come se stesse nascendo una realtà nuova: è Gesù,
il Verbo del Padre, che, attraverso lo spirito e la Chiesa, può far diventare questa realtà to-
talmente "umana". Alla punta della carovana vi sono i giovani, in particolare quelli più sen-
sibili. E con essi vogliamo esserci noi, portatori è testimoni dell'amore di Dio, chiamati a
immettere un lievito indispensabile nell'umanità.
Questa parola si compie «oggi» per noi. Lo afferma Gesù nel testo che abbiamo letto
nella celebrazione dell'Affidamento conclusivo del Giubileo.
Secolo XXI: la Parola di Gesù è l'oggi e per l'oggi. Per questo ci apriamo con fiducia
e senza ingenuità ai tempi che si annunciano con i loro rischi di dominio, di possesso, di
nuove schiavitù e di sofferenze; ma, allo stesso tempo, con la presenza operante della parola,
la persona e la grazia di Gesù. Su di esse facciamo affidamento.
Secolo XXI: oggi la Parola si compie per noi ed attraverso di noi per i giovani: lo
Spirito del Signore è sopra di noi e ci invia come ha inviato Gesù ed in unione con Lui.
Maria Immacolata e Ausiliatrice, sotto il cui sguardo e protezione si sono iniziati e
sviluppati il carisma e l'opera salesiana, ci fa da guida ed esempio: «Custodiva tutto ciò, cioè
il fatto dell'Incarnazione, portandolo nel suo cuore» e riprendendolo nelle nuove circostanze
in cui veniva a trovare Gesù o doveva valutarne una situazione umana.
Ci è quindi connaturale accogliere l'invito di Giovanni Paolo II: «C'è perciò da augu-
rarsi che, tra i frutti di questo anno di grazia, accanto a quello di un più forte amore per
Cristo, ci sia anche quello di una rinnovata pietà mariana. Sì, Maria deve essere molto amata
e onorata, ma con una devozione che, per essere autentica: dev'essere ben fondata sulla Scrit-
tura e sulla Tradizione, valorizzando innanzitutto la liturgia e traendo da essa sicuro orien-
tamento per le manifestazioni più spontanee della religiosità popolare; deve esprimersi nello
sforzo di imitare la Tutta Santa in un cammino di perfezione personale; dev'essere lontana
da ogni forma di superstizione e vana credulità e capace di risalire sempre alla sorgente della
grandezza di Maria, facendosi incessante Magnificat di lode al Padre, al Figlio e allo Spirito
Santo».
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Maria è la nostra bussola ed il nostro motore: Lei, segno dell'umanità che accoglie,
icona della Chiesa che ascolta e serve, modello dell'anima cristiana che vive della Parola.
Perciò l'abbiamo messa nell'affidamento conclusivo del Giubileo.
Ci accompagni, ci assista e ci ispiri come l'ha fatto finora. A Lei affidiamo l'autenticità
della nostra consacrazione, memoria di Dio e dell'Incarnazione, e la volontà di essere per i
giovani segni e portatori dell'amore di Dio che viene loro incontro per salvarli.
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65. ANDARE OLTRE
Vecchi, J.E., Andare oltre, Messaggio del Rettor Maggiore Don Juan E. Vecchi al Movimento Giovanile Salesiano, Colle
Don Bosco, [s.e.], 30 gennaio 2000 .
Carissimi giovani, fratelli e sorelle della famiglia salesiana, amici
1. Da questo Colle nel quale tutto parla di Don Bosco, in questa sua festa incastonata
nell'anno giubilare tra due millenni, da questo tempio messo a nuovo per un incontro più
sentito con Lui, mi rivolgo ai giovani del M.G.S del mondo.
La prima parola che vi dico è: «Rallegratevi nel Signore, sempre»1. Quest'invito che
ascoltiamo ogni volta che facciamo memoria di Don Bosco risuona oggi più vibrante e con-
vincente.
«Il Signore è vicino»2. Anzi presente: ha camminato con gli uomini fino a quest'anno
2000 e convive ancora con noi, in forma del tutto singolare dal momento dell'Incarnazione
del suo Figlio.
Canti di gioia circondarono la nascita di Gesù che segna l'inizio della nostra era. An-
nuncio di gioia fu la sua Pasqua, vittoria sulla morte e garanzia di liberazione da ogni male.
Gioia e letizia riempirono pure la vita di Don Bosco, sin dai suoi primi anni trascorsi
qui, tra il lavoro, le cure materne di Mamma Margherita, il desiderio di imparare, la compa-
gnia dei coetanei.
La gioia suscita sempre gratitudine e da essa sgorga, perché la vita è dono, avvolta
nell'amore dall'inizio alla fine. Ce lo dice la storia: quella grande del mondo, fecondata da
santi e saggi, da testimoni coraggiosi e silenziosi operatori di bene; ma anche quella più
piccola che è la vostra storia personale.
I duemila anni trascorsi dall'Incarnazione parlano dell'amore permanente di Dio attra-
verso tante persone che nel suo nome si sono coinvolte in uno sforzo di salvezza e di civiltà.
Radunati qui come gioventù salesiana, noi facciamo memoria commossa di due secoli
di storia salesiana: con gioia e gratitudine! Qui, nel 1815, ha visto la luce Giovanni Bosco.
Spingendo oggi lo sguardo verso il mondo, contempliamo la rete di opere sorte nel suo nome
e la moltitudine di giovani che in esse trovano casa, amicizia e orientamento per la vita.
Ma ripercorrete, vi dicevo, anche soltanto velocemente, la vostra giovane esistenza.
Gioia e gratitudine sgorgheranno come da una sorgente interiore: perché avete la vita, perché
vi è stato preparato un incontro felice con Gesù, perché avete avuto il dono della fede cri-
stiana, perché potete esprimerla con libertà secondo la vostra vivacità caratteristica nella
comunione ecclesiale.
Quante volte avrete gioito e ringraziato il Signore per l'amore dei vostri genitori e la
disponibilità dei vostri educatori; e quante altre, per esservi ritrovati in tanti a condividere
l'amicizia, i progetti, la festa confluita in una celebrazione eucaristica, autentica e coinvol-
gente!
1 Fil. 4,4.
2 Fil. 4,5.
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Voi siete protagonisti in questa bella storia, grande e personale, alla cui origine c'è
Gesù; condividete con tanti altri uomini l'anelito alla libertà, alla dignità umana, alla frater-
nità, alla pace!
Oggi don Bosco, in questi luoghi che lo videro ragazzo, vi incoraggia a scoprire e per-
correre le strade che, da queste aspirazioni, portano verso la gioia piena.
2. All'inizio dell'anno giubilare si apre una porta e siamo invitati ad attraversarla: è un
segno che contiene un messaggio. Varcando la porta entriamo nel Tempio, lo spazio dove si
sente più chiaramente la presenza di Dio. Entriamo anche nell'assemblea della comunità cri-
stiana che celebra insieme le meraviglie compiute da Dio, ne loda la grandezza, ringrazia
per la sua misericordia, da Lui prende energia per donarsi a servizio dell'uomo.
La porta ha anche un significato più personale, che interessa ciascuno di voi: è il varco
attraverso il quale Dio e i fratelli possono entrare nel nostro cuore, nei nostri progetti, nei
nostri beni.
Può essere aperta la nostra porta, come quella di Maria: che accolse l'invito del Signore
e disse «Eccomi, sono la serva del Signore»3; che si lasciò commuovere dalla necessità della
cugina Elisabetta, per la quale «si mise in viaggio e raggiunse in fretta un villaggio» lon-
tano4; che si mostrò attenta a Cana, mobilitandosi perché la festa continuasse5; che presso la
croce diede la sua disponibilità materna per ricevere da Gesù l'affidamento di tutti noi:
«Donna, ecco tuo figlio»6.
La porta può anche rimanere chiusa, perché ci si attacca ai beni7, perché il disordine
regna nella propria vita8, perché la distrazione e il rumore rendono difficile «capire cosa
accade attorno a noi9, perché l'ambizione impedisce di fare spazio a progetti generosi10.
Da questo colle, dove Giovanni Bosco ha fatto il sogno guida della sua vita, egli vi
dice: «Aprite la vostra vita al grande sogno che Dio ha su ciascuno di voi: la santità!
È il traguardo a cui vi richiama il Papa per la prossima Giornata mondiale della gio-
ventù: Cari giovani… di ogni continente, non abbiate paura di essere i santi del nuovo mil-
lennio! Siate contemplativi ed amanti della preghiera; coerenti con la vostra fede e generosi
nel servizio ai fratelli, membra attive della Chiesa ed artefici di pace».
Non abbassate la mira!
Abbiate fiducia nella grazia di Dio, nella felicità che la sua proposta vi darà e nello
Spirito che dimora in voi. Non siete i primi a lasciarvi attirare dal desiderio della santità: è
questa infatti una caratteristica del Movimento a cui appartenete. Esso sin dalle origini è
vissuto grazie a quel senso di Dio ed a quella carità senza misura che spirava da don Bosco
e da Madre Mazzarello. Dietro di loro i giovani hanno saputo intrecciare stupendamente
vitalità giovanile e risposta generosa a Dio.
Questo luogo racchiude ancora le immagini di quella giornata luminosa in cui Giovanni
Paolo II proclamò la santità di Laura Vicuña tra i canti e gli applausi dei giovani.
3 Lc 1,38.
4 Lc 1,39.
5 Gv 2,3.5.
6 Gv 19,26.
7 Cf. Lc 18,22-23.
8 Cf. Lc 12,29.
9 Lc 12,56.
10 Cf. Lc 14,7-14.
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57.4 Page 564

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3. Qual è la porta per la quale si entra per esplorare questo meraviglioso spazio della
vita secondo il sogno di Dio?
«Io sono la porta»11: è la dichiarazione di Gesù. Attraverso di Lui possiamo entrare
senza rischio di illusione né inganno nel mistero di Dio, nell'amore dei fratelli, nella vita
vera.
È l'esperienza di quanti si sono affidati a Lui, soprattutto dei discepoli più cari ed entu-
siasti. Due di loro, racconta il Vangelo, affascinati dalla sua personalità, si misero a seguirlo.
Gesù si volta verso di loro e domanda: «che cercate?» Ma prima che rispondessero, poiché
aveva letto il loro desiderio di fare causa comune con Lui, aggiunge: «venite e vedrete».
Vieni e vedi! È l'invito, rivolto anche a voi, a conoscere profondamente Gesù, a fare
amicizia condividendo con Lui il tempo, la vita, il lavoro, la compagnia. È la sfida a coin-
volgersi assieme a Lui mantenendo con fedeltà una promessa di amore che diventi fonte di
luce e di coraggio.
La porta immette su un cammino di amore che spinge sempre oltre, più in alto. Io sono
la Via, la Verità e la Vita12.
Con la fiducia posta in Dio e interpretando la consegna del nostro padre e maestro Don
Bosco, alle soglie di questo nuovo millennio, faccio un appello e do una consegna a voi
giovani del Movimento Giovanile Salesiano: andate oltre.
Scoprite in profondità, oltre la superficie del quotidiano, nelle sue pieghe e nel suo
tessuto, il progetto che Dio Padre ha pensato per voi dall'eternità.
Andate oltre l'interesse individuale aprendovi all'ascolto dei molti appelli che risuonano
intorno a voi: offrite una parola sincera, uno sguardo amichevole, una mano generosa.
Andate oltre la vostra nazione e la vostra cultura coltivando i semi di quella fraternità
universale che sa riconoscere il valore del diverso, perché nasce dal Padre di tutti gli uomini.
Andate oltre la pacifica e talvolta noiosa soddisfazione delle abitudini consumistiche e
costruite, senza stancarvi, una solidarietà utile e visibile.
Andate oltre la visione individuale, la competenza anche faticosamente conquistata, la
ricchezza legittimamente guadagnata e condividete con amore i vostri beni con chi ne ha
bisogno.
Andate oltre le certezze della ragione e della scienza e intuite il mistero che è nella
realtà, riconoscendo con gioia filiale le tracce di Dio Creatore, l'energia di Cristo Risorto e
la presenza dello Spirito che vivifica.
Anche nella vostra esperienza religiosa andate oltre gli obblighi, i ritualismi e la ricerca
di un'immediata emozione e ancoratevi nella fede della grande comunione ecclesiale: cele-
brate la Pasqua del Signore della vita e con essa la vittoria del bene sul male.
Andare oltre non è altro che credere ed assumere la logica evangelica di generosità e
creatività che suggeriscono le beatitudini «perché di noi sia il regno dei cieli... perché pos-
siamo possedere la terra, perché siamo chiamati figli di Dio, perché grande sia la vostra
ricompensa nei cieli»13.
È l'appello che si sente potente in questo luogo natio di don Bosco chiamato appunto il
Colle delle Beatitudini giovanili perché evoca la sua grande passione: «Voglio che siate fe-
lici nel tempo e nell'eternità».
11 Gv 10,7.
12 Gv 14,6.
13 Mt 5,10.12.
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57.5 Page 565

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4. Andare oltre è anche superare le frontiere geografiche. Il Regno di Dio ha bisogno
oggi più che mai di menti aperte e di cuori generosi che sentano ed operino a dimensioni
mondiali. In un famoso sogno Don Bosco immagina di essere proprio qui, al Colle, e di
vedere il vastissimo campo della sua missione: tutto il mondo! Questo slancio missionario,
tratto caratteristico di ogni seguace di don Bosco, giovane o adulto, sarà da noi particolar-
mente sottolineato, in quest'anno giubilare, l'11 novembre con una «spedizione missionaria
straordinaria» per il numero e la destinazione.
Come il primo gruppo di missionari inviati da don Bosco stesso 125 anni or sono, com-
posto da giovani audaci e generosi, cresciuti nella esperienza oratoriana e dei gruppi giova-
nili, anche questo partirà dall'Altare di Maria Ausiliatrice verso tutte le direzioni del mondo.
Anche voi siete convocati. Alcuni volontari vi rappresenteranno. Ma tutto il MGS deve
avere l'anima missionaria. Fatevi ovunque promotori di gioia e lievito di speranza. Sentitevi
inviati ad essere segni e portatori dell'amore di Dio, dando un'anima alla convivenza umana
nei quartieri e città diventando annunciatori della Parola presso gli altri giovani.
Così l'amore di Dio incarnato continuerà in voi ed attraverso di voi. Sapete che nell'In-
carnazione trova la sua ispirazione fondamentale la spiritualità salesiana. Essa è infatti la
modalità prima per essere «segni e portatori dell'amore di Dio». Da essa viene l'esempio del
primo passo verso il fratello, della condivisione del cammino dell'uomo nella storia, dell'in-
contro immediato e personale con chi ci sta di fronte.
È l'Incarnazione che rivela il valore della vita quotidiana, fatta di tanti frammenti che
si ricompongono in unità e divengono capaci di svelare la presenza di Dio, così come nel
succedersi dei giorni, dalla nascita alla risurrezione, in avvenimenti domestici e straordinari
si sprigionò la luce della divinità di Cristo.
5. Il compito è arduo, ma allettante; e non vi mancano indicazioni, energie e compagni
di viaggio.
Il Confronto Europeo che avete celebrato come Movimento Giovanile Salesiano nel
mese di agosto dello scorso anno su questo Colle ed altri simili in diversi continenti, sono
stati una tappa significativa di questo cammino, preparata e seguita da momenti di studio e
di ricerca, di preghiera e di festa.
Attendete ora l'incontro dei vostri rappresentanti nel Forum mondiale, previsto ancora
qui al Colle nei giorni immediatamente precedenti la Giornata mondiale della gioventù. Cer-
tamente poi, con migliaia di altri giovani, parteciperete, da vicino o da lontano, alla Giornata
mondiale ed all'incontro con il Santo Padre Giovanni Paolo II.
Rilanciati nell'Anno Santo, sarete pronti a comunicare la vostra esperienza a tanti altri
giovani e a diffondere la spiritualità che don Bosco propone ai giovani.
Per questo, come don Bosco, avete Maria quale «madre e maestra». Non distogliete lo
sguardo da Lei; ascoltatela quando dice: «Fate quello che Gesù vi dirà»14. Pregatela con
fiducia filiale perché il Signore susciti tra i giovani anime generose che sappiano dire di sì
al suo appello vocazionale.
Con Giovanni Paolo II a Lei affido voi e insieme con voi affido tutto il mondo dei
giovani, affinché essi, da Lei attratti, animati e guidati, possano conseguire la statura di uo-
mini nuovi per un mondo nuovo: il mondo di Cristo, Maestro e Signore15.
14 Gv 2,5.
15 Cf. IP 20.
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66. FARE NOSTRO IL TESTAMENTO DI GESÙ, RIPETUTO DA DON BO-
SCO: CHE SIANO UNO PERCHÉ IL MONDO CREDA
Vecchi, J.E., Fare nostro il testamento di Gesù, ripetuto da don Bosco: Che siano uno perché il mondo creda. Messaggio
del Rettor Maggiore don Juan E. Vecchi alla Famiglia salesiana. Torino Valdocco, 31 gennaio 2000.
Ci siamo addentrati, ormai, nell'anno giubilare che congiunge due millenni nella me-
moria di quell'evento di grazia irrepetibile che è l'Incarnazione del Verbo nella storia del
nostro mondo: Gesù, il Signore nato da Maria. In Lui e per Lui siamo diventati figli di Dio,
sua famiglia e come tali camminiamo verso l'incontro con il Padre portando nell'animo sogni
e timori, speranze e trepidazioni, gioie e sofferenze.
Abbiamo ascoltato e fatto nostro l'invito alla conversione della mente e alla riconci-
liazione del cuore. Un appello del Papa ci riguarda più particolarmente: Ogni famiglia reli-
giosa vivrà bene il Giubileo ritornando con purezza di cuore allo spirito del Fondatore!
Per noi quindi celebrazione giubilare significa fedeltà rinnovata e creativa a don Bo-
sco, alla sua spiritualità, alla sua missione. C'è un Anno Santo "salesiano", durante il quale
siamo chiamati a rivivere con luminosità e a comunicare con entusiasmo le esperienze di
vita, le modalità di azione, i tratti di spirito che hanno condotto don Bosco e Madre Mazza-
rello alla santità.
La santità: questa è la fonte e l'energia dalla quale trae origine un vasto movimento di
persone che in vari modi operano per la salvezza della gioventù: la Famiglia salesiana. Non
pensate che possa essere risultato di organizzazione anche perfetta o di tecniche raffinate di
aggregazione. L'ha suscitata lo Spirito e vive dello Spirito.
A questa famiglia, oggi, festa di don Bosco, all'inizio di un nuovo millennio, da questa
Basilica, centro di irradiazione dello spirito di don Bosco nel mondo, vorrei affidare un mes-
saggio che diventi programma e cammino di crescita.
Nel secolo che ci lasciamo alle spalle, la Famiglia salesiana ha vissuto un'autentica
primavera: è cresciuta fino a diventare un albero frondoso e robusto, vero dono di Dio alla
Chiesa e al mondo. Ai gruppi originali, suscitati e coltivati da don Bosco, si sono uniti, sotto
l'impulso dello Spirito Santo, altri che, con vocazioni specifiche, arricchiscono la comunione
e allargano la missione salesiana.
È aumentata la famiglia, si è moltiplicato il lavoro già compiuto e quello che so-
gniamo; si è esteso senza limiti il campo di azione a beneficio di tanti giovani ed adulti.
Una cosa è rimasta costante: la passione educativa, in particolare per i giovani più
poveri, aiutati a divenire consapevoli della loro dignità di persone, del valore e delle possi-
bilità che la loro vita ha per Dio e per il mondo.
Da mihi animas! È il motto di don Bosco che facciamo nostro. A noi le persone. Noi
guardiamo ad esse, alla loro dimensione spirituale, e di esse vogliamo occuparci per sve-
gliare in loro la vocazione ad essere figli di Dio ed aiutarle a realizzarla seguendo il Sistema
Preventivo, cioè attraverso la ragione, la religione e l'amorevolezza.
Questo Anno Santo, vissuto "salesianamente", sarà segnato da un'ardente e operosa
carità: quella che ha fatto di don Bosco un'immagine di Gesù Buon Pastore, riconoscibile
dai giovani e dalla gente umile del suo tempo. Noi, Famiglia salesiana, siamo chiamati oggi,
nel secolo XXI, a modellare il nostro cuore, povero e talora anche peccatore, su quello di
Gesù nel quale Dio si è manifestato al mondo come colui che dà la vita perché l'uomo sia
felice.
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Alla luce di questo proposito di carità educativa, guardando verso il futuro immediato
e lontano, si vede che per meglio agire in favore della persona, occorre rafforzare una qualità
che il mondo esteso e unificato richiede, la complessa società civile sollecita, la Chiesa col-
tiva, celebra ed esige: una comunione salda, tradotta in crescente capacità operativa: la co-
munione per la missione giovanile. In altre parole: operare e cooperare come Famiglia sale-
siana.
Don Bosco ai cooperatori salesiani diceva: Le forze deboli, quando sono unite, diven-
tano forti e se una cordicella, presa da sola, facilmente si rompe, è assai difficile romperne
tre o più unite insieme.
In un mondo che ha sete di unità, ma che non di rado coltiva fermenti di divisione,
che raccomanda le sinergie, ma sceglie come legge la concorrenza, noi vogliamo offrire un
segno che è per noi sorgente di gioia, ci rende efficaci e diffonde intorno pace, armonia e
riconciliazione.
Così collaboreremo a compiere il desiderio e la preghiera di Gesù. Egli, la notte in cui
veniva tradito, domandò al Padre, come dono più prezioso, l'unità dei suoi, della Chiesa:
Conserva uniti a te quelli che mi hai affidato perché siano una cosa sola come noi1; ... Fa'
che siano tutti una cosa sola, così il mondo crederà che tu mi hai mandato2. Poco prima
aveva istituito il sacramento dell'unità, l'Eucaristia, perché fosse, lungo i secoli, riunione dei
suoi figli dispersi, adunanza della sua famiglia.
Non è, quella nostra, un'unione qualsiasi. Non è solo una disciplina di organismo che
ci imponiamo. È il seme della felicità completa che ci aspetta nella comunione con Dio e il
segreto della nostra fecondità.
Comprendiamo che cosa significa per noi vivere in comunione di spirito e agire in
unione di intenti guardando alla Trinità, al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo: il mistero
che il Giubileo, dopo un cammino di tre anni, ci invita a meditare in tutto il suo splendore: a
lode della Santa Trinità3.
Il Padre ci richiama l'ampiezza del cuore per cui, membri e gruppi della Famiglia
salesiana, ci accogliamo e riconosciamo come fratelli e sorelle, uomini e donne amati da Lui:
da Lui chiamati personalmente a lavorare nel suo campo per un unico scopo. La grettezza
del cuore umano può alzare barriere, creare distanze e separazioni, cercare, come gli apo-
stoli, il primo posto a danno del Regno. A volte sono le nostre paure o riserve all'unità stessa
con gli altri che producono effetti simili. Cuore, come quello del Padre, significa affetto vero
e profondo per i giovani e per quanti spendono la vita per loro. Si traduce in cordialità,
valorizzazione di tutti e di ciascuno, riconoscenza per quanto ognuno può e riesce a dare.
Lo Spirito Santo ci indica un secondo atteggiamento per costruire famiglia: l'acco-
glienza grata e gioiosa della diversità. Manifestazione dello Spirito sono le molte lingue, i
diversi carismi, i vari membri di un corpo. Sono i miliardi di uomini, ciascuno plasmato
singolarmente come figlio di Dio. Lo Spirito non si ripete, non produce in serie.
Don Bosco fu maestro nel far affiorare l'unità dalla diversità di tipi e temperamenti,
di condizioni e capacità. Al suo tempo questa sensibilità era meno pressante. Oggi invece
costituisce una sfida educativa e pastorale per la convivenza umana, per la testimonianza
ecclesiale e per la Famiglia salesiana.
1 Gv 17,11.
2 Gv 17,21.
3 TMA 55.
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57.8 Page 568

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Diversità vuol dire abbondanza di rapporti, varietà di forze, fertilità di campi e quindi
fecondità senza calcolo. Quale impareggiabile opportunità di dialogo, di interscambio di
esperienze spirituali ed educative possono offrire nella Famiglia salesiana uomini e donne,
consacrati e secolari, sacerdoti e laici, nella loro singolare condizione di mariti, mogli e figli,
giovani, adulti e anziani, operai, professionisti o studenti, gente di svariati popoli e culture,
in piene forze o nella prova della malattia, santi e peccatori!
Certo, l'unità tra diversi non è un fatto di natura; ma proprio perché noi avessimo la
forza di superare l'istinto di autoaffermazione, Gesù ha pregato: Che siano una cosa sola!
L'Anno Santo ci chiama anche a questa conversione.
Gesù, il Signore, il Figlio che si è fatto nostro compagno di viaggio, che riconcilia
tutte le cose, quelle che sono nel cielo come quelle che sono sulla terra ricapitolandole in
Dio, ci indica un terzo atteggiamento: la volontà di camminare insieme verso un traguardo
condiviso, di collocarci insieme in uno spazio per niente etereo, il Regno; di formare una
comunità riconoscibile di discepoli che assume insieme il suo mandato: Andate in tutto il
mondo.
La Famiglia salesiana cercherà insieme di dare spessore alla propria presenza nella
società e incidenza al suo agire educativo: c'è il problema giovanile, c'è la vita da custodire,
c'è la povertà nelle sue diverse espressioni da debellare; c'è la pace da promuovere; ci sono
i diritti umani dichiarati da rendere reali; c'è Gesù da far conoscere. Tutto ciò comporta
guardare, riflettere, dialogare, studiare, pregare insieme per trovare la strada da percorrere
in spirito di comunione. È il segno dell'amore che i giovani si attendono e certamente ne
sentiranno l'impatto e il beneficio.
Infine dobbiamo anche ricordare che non si dà famiglia vera se manca la presenza di
una mamma. Noi una mamma l'abbiamo. Questa Basilica lo proclama ad alta voce. È lei,
Maria, a suggerirci ancora un tratto della nostra comunione operativa. È quello del Magni-
ficat: la speranza vissuta nella gioia del lavoro, del ringraziamento e dell'attesa.
L'indicazione, questa volta, ci viene dalla componente giovanissima della Famiglia
salesiana. Noi facciamo consistere la santità nello stare molto allegri!, scriveva Domenico
Savio traducendo in spiccioli un tema biblico e un tratto di spiritualità che merita lunghi e
complessi trattati. L'allegria salesiana, che permea la vita delle nostre opere, illumina anche
i rapporti interpersonali, porta a progettare con magnanimità, spinge ad agire con fiducia e
ottimismo, si rallegra dei risultati ottenuti ed è sempre in attesa di quelli che seguiranno per
celebrarli in comunione.
Un pezzo di paradiso aggiusta tutto. La fonte della serenità e dell'allegria della Fami-
glia salesiana è lo sguardo rivolto al cielo, è la certezza della presenza di Dio nella storia
nostra e del mondo.
Don Bosco, negli ultimi momenti, ripeteva a chi gli era vicino: Vogliatevi bene come
fratelli; amatevi, aiutatevi e sopportatevi come fratelli.
Come Famiglia salesiana vogliamo impegnarci a unire tutte le cordicelle che ci costi-
tuiscono, a vivere l'unità come valore evangelico e come stile di lavoro in favore dei giovani.
Vogliamo fare nostro il testamento di Gesù, ripetuto da don Bosco: Che siano uno perché il
mondo creda.
Ai primi passi di questo anno giubilare mettiamo il nostro impegno nelle mani di Ma-
ria, che ci è stata data come maestra di bontà e saggezza, per guardare, per amare, per agire.
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57.9 Page 569

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67. «ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO»
Vecchi, J.E., Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo (Mc 16, 15-20). Messaggio del Rettor Maggiore Don Juan E.
Vecchi alla Partenza dei Missionari. Torino Valdocco, 11 novembre 2000.
Siamo nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Da questo posto, centoventicinque anni fa,
partiva la prima spedizione di missionari salesiani.
Dietro sogni misteriosi, con la collaborazione convinta dei suoi figli e con la
partecipazione vivace dei giovani secondo lo stile oratoriano, don Bosco dava compimento
ai suoi desideri e progetti missionari.
Aveva ascoltato personalmente la voce interiore con cui il Signore gli indicava il
mondo come suo campo di lavoro e aveva trasmesso alla sua nascente società l'entusiasmo
per la diffusione del Vangelo.
Uno sguardo di fede alla realtà del mondo lo spronava. Lo incoraggiava la sua
personale esperienza della forza educatrice della parola e del mistero di Cristo. La promessa
di Gesù «Io sarò con voi» lo sosteneva contro ogni difficoltà.
Da allora il tratto missionario è rimasto come scolpito nello spirito e nelle iniziative
della Famiglia salesiana. Siamo tutti missionari perché tutti vogliamo andare verso i giovani
e i luoghi dove il normale servizio pastorale ed educativo non arriva. Missionari dei giovani
ci ha definito il Papa Giovanni Paolo II.
Missionario dei giovani volle il Signore che fosse don Bosco anziché partire verso
terre lontane, nella previsione di una fecondità straordinaria di questo primo passo.
La spinta missionaria della nostra carità pastorale, dovunque questa si impegni, ha la
sua espressione concreta e significativa nel succedersi ininterrotto di partenze di confratelli
e consorelle, membri della famiglia salesiana verso terre non ancora evangelizzate o chiese
nuove nelle quali conviene innestare il carisma salesiano.
Lasciando il proprio paese essi portano dappertutto insieme la luce del vangelo e la
promozione umana; la buona notizia di Gesù e una maggiore dignità per ciascuna persona,
la sensibilità giovanile e la capacita educativa con cui Dio ha arricchito la chiesa attraverso
la santità di don Bosco.
Da quella prima spedizione missionaria, ben dieci mila confratelli e sorelle sono
partite in centotrenta spedizioni, tutte da questa Basilica, sotto lo sguardo e la protezione
della nostra Madre Ausiliatrice della Chiesa, ispiratrice e modello della nostra fiducia e
audacia apostolica.
1. In quest'anno giubilare dell'Incarnazione, all'inizio di un nuovo millennio gravido
di attese e di sfide, vogliamo riascoltare col cuore e la generosità di don Bosco lo stesso
appello e il medesimo mandato del Signore: «Andate in tutto il mondo, predicate il vangelo
ad ogni creatura».
Vogliamo far nostro l'invito pressante alla nuova evangelizzazione. Lo riteniamo un
compito urgente ; ma anche una grazia singolare per noi.
La missione si svolge dappertutto: è universale. Il suo spirito lo si vive in ogni spazio
geografico, in ciascuna delle culture, nel cuore di ogni situazione umana. «Ogni creatura»
comprende tutti gli esseri umani, tutte le realtà, tutti i fenomeni storici per i quali il Vangelo
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57.10 Page 570

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deve ancora diventare lievito di umanità, energia di vita, illuminazione di senso, fuoco di
amore.
2. Il mondo però oggi si unifica attraverso la comunicazione. Ciò non solo porta a
scoprire nuove frontiere e avvicina i popoli ; ma sfida ad una solidarietà di nuove dimensioni
e evidenzia nuovi valori da vivere.
A noi, discepoli di Cristo, evidenzia i vasti spazi nei quali il Vangelo deve ancora
risuonare e rivela le nuove possibilità che si aprono nell'incontro dei cristiani con i credenti
di altre religioni, chiamate tutte insieme a servire la causa dell'uomo.
Nuovi spazi, nuove vie, nuova energia! Vogliamo entrare e partecipare decisamente
in questo movimento della Chiesa e dell'umanità, autentico segno dei nostri tempi che ha
illuminato il cammino giubilare attraverso la parola e i gesti profetici del Santo Padre.
3. Lo Spirito ha reso oggi più visibile ed efficace la comunione della Chiesa. Le
diverse vocazioni si completano e si arricchiscono operando insieme nella missione
ecclesiale; la condivisione di risorse e l'interscambio di doni diventa un fatto normale nella
vita delle Chiese. Ssi fanno strada Il dialogo ecumenico e la collaborazione interreligiosa per
il servizio dell'uomo.
Sono questi i segni che orientano anche il nostro cammino con i giovani: la Famiglia
salesiana è invitata nella sua totalità a ravvivare, esprimere e comunicare lo spirito
missionario. Il Movimento Giovanile Salesiano è convocato a sviluppare la sua componente
missionaria è a dare origine a un volontariato aperto alla mondialità che sia numeroso,
spiritualmente consistente, internazionale, impegnato.
Ci sostenga in questo proposito e sforzo comune la parola del Signore: «Chi crederà
sarà salvo». Pregustiamo la gioia di partecipare nell'opera di salvezza e la felicità di coloro
che saranno liberati, dal dominio del diavolo, dalle potenze malefiche del mondo, dalle
volontà dominatrice degli uomini. Essi sentiranno parlare una lingua nuova e un annuncio
di vita riguardo al loro essere uomini e donne, giovani e anziani. Una luce brillerà nella loro
mente e nella loro esistenza. Sapranno che Dio è loro Padre e che per loro offre il suo Figlio.
Verrà per loro una illuminazione dell'anima e della mente. I malati guariranno per il
diffondersi della carità e anche per una nuova visione della sofferenza alla luce della croce
di Cristo. Il mondo diventerà più umano.
Ci confermi l'esperienza dei nostri fratelli e sorelle che hanno lavorato prima o stanno
oggi operando nei vari campi di missione. Essi danno ragione delle parole del Vangelo: «Il
Signore operava insieme con loro e confermava la parola con prodigi». Abbiamo visti
prodigi di trasformazione di persone e di comunità. Dove il vangelo penetra l'uomo è salvato
anche nella sua esistenza temporale. Gli attuali conflitti e sofferenze evidenziano il
cambiamento sostanziale che in una situazione di sofferenza e umiliazione produce un
portatore di amore, un testimone della compassione del buon pastore.
Ci infonda fiducia il pensiero che tutti siamo chiamati dal Padre a «partecipare della
stessa eredità, a formare lo stesso corpo, ad essere partecipi della stessa promessa»4. Noi
allora siamo impegnati insieme al Padre nel fare dell'umanità un'unica famiglia che vive
nell'amore e nella solidarietà e cammina in pace verso un suo destino di comunione con Dio.
E siamo pure sicuri che il Padre attraverso il suo Spirito muove internamente ogni uomo
verso Cristo e ogni impresa umana di buona volontà verso la salvezza dell'uomo. Molti,
4 Ef 3,6.
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58 Pages 571-580

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58.1 Page 571

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senza saperlo, stanno aspettando il messaggio e l'offerta di Cristo. La messe preparata per il
raccolto è molta e il suo padrone è il Padre. Non ci spaventano né ci fermano la povertà di
mezzi né i nostri limiti e la nostra povertà personale. «Il Padre mio agisce continuamente»
assicura Gesù.
Ci allieti anche la consapevolezza di una grazia ricevuta: «A noi che possiamo
considerarci gli ultimi è stata data la grazia di annunciare le imperscrutabili ricchezze di
cristo e di far risplendere agli occhi di tutti l'adempimento del disegno di Dio».
La fede è un dono prezioso da condividere. La dignità umana che proviene dal vangelo
è un bene da promuovere. La visione dell'esistenza che scaturisce da Gesù, via, verità e vita
è una luce da comunicare. Noi l'abbiamo sperimentato nell'incontro con don Bosco, che è
stato mediatore dell'amore di Cristo. E siamo chiamati a diffonderla secondo il suo stile
radicati in una spiritualità che ci faccia partecipi della sollecitudine di Gesù «consacrato e
inviato al mondo».
Convoco tutta la Famiglia salesiana e il Movimento Giovanile Salesiano a vivere con
nuovo spirito, nuove iniziative, nuovi cammini di preparazione quest'ora del mondo e della
Chiesa: un nuovo millennio, il Giubileo della Redenzione, centoventicinquesimo
anniversario della nostra impresa missionaria.
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58.2 Page 572

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68. MARIA, ICONA E TESTO DELLA NOSTRA SPIRITUALITÀ
Vecchi, J.E., Maria, icona e testo della nostra spiritualità. Intervento del Rettor Maggiore don Juan E. Vecchi alla conclusione
mariana dell'itinerario giubilare della Famiglia salesiana. Torino, San Francesco d'Assisi, 8 dicembre 2000.
Oggi concludiamo il nostro itinerario giubilare. Esso ci ha fatto rivivere le dimensioni
più importanti della vocazione salesiana: la fedeltà dinamica alla consacrazione, la riconci-
liazione, l'Eucaristia, la missione giovanile, la dimensione missionaria.
Oggi sono lieto di rivolgermi a voi dalla Chiesa di San Francesco di Assisi dove l'otto
dicembre, sotto lo sguardo di Maria, si gettò il seme delle nostre opere e congregazioni. La
salvezza, portata da Cristo, si fece tangibile nell'incontro tra Don Bosco e Bartolomeo Ga-
relli, il giorno dell'Immacolata. Nella tradizione spirituale salesiana Maria è rimasta caratte-
rizzata con due titoli: Immacolata e Ausiliatrice. Così la invochiamo ogni giorno nella pre-
ghiera di affidamento che oggi vogliamo rinnovare tutti insieme, aprendoci con fiducia alla
speranza nella presenza salvifica di Dio nel millennio che comincia segnato già per vari fatti
dall'intervento di Maria. Le Costituzioni Salesiane e delle FMA fanno, di ognuno di questi
titoli, un commento sostanziale, per quanto breve: Immacolata, modello della nostra consa-
crazione totale al Signore e del nostro desiderio di santità; Ausiliatrice, segno e ispiratrice
del nostro impegno pastorale nel popolo di Dio, particolarmente tra i giovani1.
I due titoli non sono stati scelti ed accostati a caso, per pura simpatia o devozione.
Riflettono la storia salesiana e sintetizzano le caratteristiche della spiritualità della nostra
Famiglia. È vero che, al di sopra delle diverse rappresentazioni, guardiamo sempre alla per-
sona di Maria, Madre di Gesù, della Chiesa, di ciascuno di noi. Oggi nell'affrontare con
fiducia gli avvenimenti del terzo millennio, vogliamo vivere la stessa esperienza fondante
del nostro Padre sotto lo sguardo, l'ispirazione e la protezione della Madre del Verbo Incar-
nato.
L'Immacolata domina nell'esperienza oratoriana. Alcune coincidenze provvidenziali
portarono poi Don Bosco ad attribuire a lei un'intercessione particolare negli inizi della sua
opera: «Tutte le nostre grandi iniziative dirà hanno avuto inizio il giorno dell'Immaco-
lata»2. Il paradigma era l'oratorio, 8 dicembre 1841.
L'immagine che rappresenta Maria col serpente sotto i piedi gli ricordava il
trionfo della grazia sulle passioni umane e la vittoria della fede sull'empietà nella
storia del mondo.
Don Bosco la rende vivacemente presente tra i ragazzi di Torino. Maria Mazzarello
tra le ragazze di Mornese. La preoccupazione dominante era allora educare i giovani del
proprio contesto. Tutto lo sforzo veniva rivolto a dare loro dignità umana e ad aprirli alla
fede. Il ragazzo/a doveva prendere coscienza di sé e della vita di grazia. Si rendeva consa-
pevole delle possibilità di vincere il male. L'educatore-educatrice avevano per lui una cura
paterno-materna. È il momento in cui nasce e si plasma il Sistema preventivo.
Nell'ambiente oratoriano c'è un fatto evidente: Maria è sentita da educatori e giovani
come una presenza viva, materna, potente.
1 Cf. C SDB 92; C FMA 44.
2 MB XVII, p. 510.
- 570 -

58.3 Page 573

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Questa presenza così sentita lasciò il segno nella pedagogia dell'Oratorio. La celebra-
zione della solennità dell'Immacolata, con la relativa preparazione spirituale, divenne cen-
trale3. E continua ad esserlo ancora ai nostri giorni, dove esistono oratori-centri giovanili.
Nell'oratorio poi nacque la Compagnia dell'Immacolata, che corrisponde a quello che
oggi chiamiamo il gruppo di giovani animatori. Fu il seme e la prova della futura Congrega-
zione salesiana. Nove su sedici membri della Congregazione salesiana, che il 18 dicembre
1859 si radunarono con Don Bosco, erano membri della Compagnia dell'Immacolata4.
In questa atmosfera mariana maturarono i temi più importanti dell'educazione dei gio-
vani: la grazia, la purezza, la familiarità col soprannaturale, l'amore a Gesù, mentre per i
salesiani e le salesiane si configurò il Sistema preventivo, come assistenza materna e cam-
mino verso la santità, con una esigenza di generosa donazione a Dio e ai giovani. Il frutto di
questo ambiente è Domenico Savio.
Si sviluppò anche un insieme di intuizioni sul valore pedagogico della devozione a
Maria. Dobbiamo contare sulla presenza materna e invisibile di Maria nel nostro lavoro. Ella
ama ciascuno, ma specialmente i giovani, perché li aiuta a crescere come ha fatto con Gesù.
È una verità di fede cristiana, ma vissuta in una maniera non comune e trasferita all'espe-
rienza educativa.
La presenza materna di Maria poi, sentita interiormente dai giovani, infonde in loro
sicurezza e speranza per costruirsi come persone in un momento difficile e delicato della
loro vita, a causa dell'instabilità, dello sviluppo corporale, della discussione della fede. Maria
Immacolata, come ideale di purezza, esercita un'attrazione sui giovani e dà loro il gusto e la
voglia di impegnarsi in progetti nobili.
La pedagogia di Don Bosco ha una certa componente estetica. Sin dall'inizio egli parlò
della bellezza della virtù, della religione e della bruttezza del peccato. «Al giovane assetato
di luce, di innocenza, di bontà Don Bosco presenta Maria come un ideale di umanità, non
inquinata dal peccato, come la concretizzazione dei suoi sogni più audaci. Un ideale lumi-
noso, non freddo né astratto, ma incarnato in una persona che lo ama intensamente perché è
sua madre»5. È l'aspetto psico-pedagogico.
Inoltre la devozione a Maria aiuta a familiarizzarsi con le realtà soprannaturali e a
sentire Dio più vicino ed incarnato. Lo si pensa in rapporto con una donna che viene presen-
tata sempre come Madre e come Aiuto nostro. È lo stimolo spirituale.
La catechesi oratoriana tendeva dunque a far accogliere ed interiorizzare questa im-
magine fino a farla penetrare nella vita dei giovani come una garanzia per la perseveranza
futura. A questo tendevano tridui, novene, fioretti, addobbi, pellegrinaggi, gite a luoghi ma-
riani. La tappa "oratoriana" per Don Bosco si estende fino all'organizzazione di Valdocco;
per Madre Mazzarello a tutto il tempo delle Figlie dell'Immacolata fino alla fondazione
dell'Istituto di vita consacrata.
Cresce poi la contemplazione dell'Ausiliatrice, con la visione universale della Chiesa
e la concezione delle opere che ne costituiscono anche una esperienza definitiva.
La costruzione del tempio va al di là di un lavoro tecnico, di una sola preoccupazione,
di piani e finanziamenti. Rappresenta per Don Bosco un'esperienza spirituale e una matura-
zione della sua mentalità pastorale. Don Bosco si trova attorno ai 45-50 anni, gli anni della
3 Cf. MB VII, p. 334.
4 Cf. MB VI, p. 335.
5 C. COLLI, Patto della nostra alleanza con Dio, Roma, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, 1984, p.
438.
- 571 -

58.4 Page 574

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sua maturità sacerdotale e della sua assodata proiezione sociale, con alcune opere già orga-
nizzate e altre appena iniziate. Alla fine della costruzione qualche cosa si è trasformato in
Lui. Per quali ragioni?
In primo luogo perché la realizzazione supera l'idea iniziale: da una chiesa per la sua
casa, il suo quartiere e la sua Congregazione, si sta profilando l'idea di una basilica, meta di
pellegrinaggi, centro di culto e punto di riferimento per una famiglia spirituale. La realtà gli
è cresciuta tra le mani.
I problemi economici poi si sono risolti con grazie e miracoli che stimolarono una
generosità non calcolata del popolo. Tutto ciò radicò in Don Bosco la convinzione che «Ma-
ria si era edificata la sua casa», «che ogni mattone corrispondeva a una grazia»6.
Affermò un sacerdote di quel tempo, il teologo Margotti: «Dicono che Don Bosco fa
miracoli. Io non ci credo. Ma qui ne ebbe luogo uno che non posso negare: è questo sontuoso
tempio che costa un milione e che è stato costruito in soli tre anni con le offerte dei fedeli»7.
La costruzione coincide ed è seguita dalla fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice. Esse rappresentano l'allargamento del carisma al mondo femminile, col conse-
guente arricchimento; così come un'altra fondazione, l'Arciconfratenita di Maria Ausiliatrice
è, insieme ai Cooperatori, l'estensione verso il mondo laico.
Se l'esperienza dell'oratorio aveva dato come risultato positivo la prassi pedagogica,
l'opera del santuario fece emergere nel lavoro salesiano una visione di Chiesa, come popolo
di Dio sparso su tutta la terra, in lotta contro le potenze del male: una prospettiva che pre-
senterà in un'altra forma il sogno delle due colonne (1862), raffigurato oggi in un dipinto
sulla parete di fondo del santuario. Forgiò uno stile pastorale fatto di audacia e fiducia: saper
cominciare con poco, osare molto quando si tratta del bene, andare avanti affidandosi al
Signore. Scolpì una convinzione nel cuore della Congregazione: "Propagate le devozione a
Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli"... in tutti i campi, economici, sociali,
pastorali, educativi.
Con la fondazione dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, don Bosco e, dopo
di lui, i suoi successori e le superiore, parlarono di "un tempio vivo e spirituale", di un "mo-
numento di gratitudine" a Maria Ausiliatrice. È interessante vedere cosa intendevano. «È la
denominazione di una Congregazione educativa, catechista e missionaria»8 - ha detto Madre
Angela Vespa - «la denominazione di un Istituto nel quale Maria deve rivivere nelle sue
Figlie in modo che la facciano presente in tutto il mondo»9 e che ciascuna di loro sia una
copia viva di Maria10.
Anche nel ramo femminile dunque il nome di Maria Ausiliatrice sottolinea il tratto
apostolico, l'uscita dal villaggio e il servizio alla Chiesa e al mondo.
La fondazione delle congregazioni lasciò come risultato in don Bosco il sentimento di
essere strumento di un progetto ispirato e realizzato con una particolare mediazione di Maria:
«La Madonna vuole che incominciamo una società... ci chiameremo salesiani», dice il 26
gennaio 1854. Lo ribadirà spesso. Come quando nel 1885, rivolgendosi ai salesiani radunati
nel coro della Basilica di Maria Ausiliatrice, dopo aver descritto quello che era l'Oratorio
6 Cf. MB IX, p. 247; MB XVIII, p. 338.
7 Processo ordinario, I. p. 511ss; La Madonna dei tempi difficili, p. 118.
8 Cf. Angela Vespa: Circolare del 24-10-1965; cf. C. COLLI, Patto della nostra alleanza con Dio, p.
455-456.
9 Cf. Don Rinaldi: E. CERIA, Vita del Servo di Dio sac. Filippo Rinaldi, terzo successore di San Gio-
vanni Bosco. Torino [ecc.]: Società editrice internazionale, 1948, p. 294-295.
10 Cf. Luisa Vaschetti: Circolare del 24-4-1942; cf. C. COLLI, Patto della nostra alleanza con Dio, p.
455.
- 572 -

58.5 Page 575

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quarantaquattro anni prima ed averne fatto il raffronto con il suo stato d'allora, sottolineò
che «tutte le benedizioni piovuteci dal cielo per mezzo della Madonna fossero frutto di quella
prima Ave Maria detta con fervore e con retta intenzione insieme con il giovinetto Bartolo-
meo Garelli là nella chiesa di s. Francesco d'Assisi»11. O ancora di più, quando durante la
Santa Messa nella chiesa del Sacro Cuore a Roma, interrotta quindici volte dal pianto, ripen-
sava alla sua vicenda e ricordava le parole del primo sogno: «A suo tempo tutto comprende-
rai»12.
Madre Mazzarello d'altronde soleva ripetere che l'Istituto non è altro che la famiglia
della Madonna, il "focolare" che Lei si è formato. Che Lei è la superiora e ha una vicaria che
ogni notte mette le chiavi della casa ai suoi piedi. Si può dunque accettare il giudizio: «Don
Bosco ha sperimentato in modo del tutto singolare l'intervento di Maria nella guida di tutta
la sua vita e nella realizzazione della sua opera. Al tramonto della sua esistenza terrena, dopo
l'ennesimo intervento della Madre celeste, Don Bosco condensa in questa espressione la
convinzione che ha maturato durante tutto il corso della sua vita: Finora abbiamo camminato
nel certo. Non possiamo errare. È Maria che ci guida»13.
Da questa esperienza carismatica ci viene un testo di vita spirituale e di stile pastorale
che appare abbondantemente nelle nostre Costituzioni.
Rileggendo nella fede la storia dei nostri Istituti e della Famiglia salesiana, vediamo
che Maria è stata l'ispiratrice dell'impresa e anche la Madre della nostra vocazione comuni-
taria e la Maestra della nostra spiritualità14.
La nostra vocazione personale e la nostra formazione ha in Lei un modello, una guida
e un'educatrice. «In Lei troviamo una presenza viva e l'aiuto per orientare decisamente la
nostra vita a Cristo e rendere sempre più autentico il nostro rapporto con Lui»15.
Perciò Le riserviamo un luogo privilegiato nella nostra preghiera: «Ricorreremo a Lei
con semplicità e fiducia celebrando le sue feste liturgiche e onorandola con le forme di pre-
ghiera proprie della chiesa e della tradizione salesiana»16.
Tutto ciò porta a farla sentire presente nell'educazione dei giovani e nella pastorale in
mezzo al popolo. «Le aiuteremo a conoscere Maria, Madre che accoglie e comprende. Au-
siliatrice che infonde sicurezza, perché imparino ad amarla ed imitarla, nella sua disponibi-
lità a Dio e ai fratelli»17.
La medesima fisionomia spirituale è stata rappresentata nel quadro dell'altare mag-
giore della Basilica. Della nostra spiritualità, esso comunica bene l'unità fra il senso dell'ini-
ziativa di Dio e la nostra intraprendenza pastorale. La nostra vocazione viene dal Padre e per
Lui noi ci dedichiamo al lavoro educativo. Comunica immediatamente anche il senso eccle-
siale, di servizio: partecipiamo alla missione della Chiesa e lavoriamo in essa, attenti alle
sue urgenze ed orientamenti. Raffigura bene pure l'impegno missionario di evangelizza-
zione. E anche la modalità della nostra presenza educativa: materna, protettrice, preventiva.
Abbiamo voluto vivere un anno giubilare segnato dall'interiorità. Oggi, sentendoci in
comunione con tutti i salesiani del mondo, lo concludiamo ravvivando la fede nella efficace
presenza del Verbo nella nostra storia e in particolare a favore dei giovani, guardando dun-
que con fiducia il tempo che ci attende e guardando verso Maria come Colei che per opera
11 MB XVII, p. 510-511.
12 MB XVIII, p. 341.
13 Cf. C. COLLI, Patto della nostra alleanza con Dio, p. 433-434.
14 Cf. C FMA 4; Cf. C SDB 1.
15 C FMA 79; cf. C SDB 98.
16 C FMA 44; cf. C SDB 92.
17 C FMA 71; cf. C SDB 34.
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58.6 Page 576

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dello Spirito Santo continua a donare Gesù a noi e ai giovani. Per questo faremo l'atto di
affidamento con le parole più semplici e conosciute: quelle che sono già storia. Anche noi
crediamo che tutto lo farà Maria. Rinnoviamo dunque il proposito di vivere in comunione
con Lei e di diffondere nei giovani e nel popolo la sua devozione.
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58.7 Page 577

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69. LA COMUNICAZIONE NELLA MISSIONE SALESIANA
Interventi del Rettor Maggiore don Juan E. Vecchi al Convegno Delegati Ispettoriali e Nazionali Comunicazione Sociale. Si
veda anche: Dicastero per la comunicazione sociale. Libro del delegato ispettoriale per la comunicazione sociale. Roma,
Editrice S.D.B, 2001. Il libro raccoglie le riflessioni e sussidi del Convegno Mondiale dei Delegati Ispettoriali per la Comuni-
cazione Sociale (Roma, Pisana, 10-20 dicembre 2000).
A) Intervento introduttivo. 1. Introduzione. - 2. Alcune scelte. - 3. Novità. - 4. Mentalità. - 5. Una parola sulla formazione. - 6.
Gli orizzonti offerti dai documenti della Chiesa. - 7. Gli orizzonti offerti dal riferimento al cap. VII del vangelo di Marco. - 6.
Conclusione. / B) Intervento conclusivo. 1. Premessa. - 2. Primo trinomio. - 2.1 Custodi di una tradizione salesiana. - 2.2
Promotori di ricchezza salesiana. - 2.3 Realizzatori di un progetto ispettoriale globale. - 3. Conclusione.
A) Intervento introduttivo. 10 dicembre 2000
1. Introduzione
La prima parola che esprimo è il ringraziamento perché mi avete accompagnato nel
periodo non facile della mia malattia. In voi intendo ringraziare tutti i Confratelli delle vostre
Ispettorie.
La seconda parola che vi presento è il «benvenuti» alla Pisana per il Convegno di
comunicazione sociale. Avete un calendario molto intenso di lavoro. Rendete così un servi-
zio molto prezioso alle comunità e alle attività salesiane.
Sono contento di essere con voi nel primo momento dell'incontro per incoraggiarvi.
Vi sarò vicino, anche se non potrò partecipare ai vostri lavori. Ho anch'io altri lavori da
compiere. Credo che ci rivedremo prima di ritornare nelle Ispettorie, anche per darci l'augu-
rio di Buon Natale e Buon Anno.
Mi rendo conto che è un momento importante per voi e il vostro servizio, ma anche
per tutti i salesiani nel mondo. Vi offro, perciò, alcune riflessioni, a partire dalla lettera cir-
colare sulla comunicazione sociale1 la comunicazione nella missione salesiana. Voi l'avete
letta, senza dubbio. La riprendo per approfondire alcuni elementi. Non scrivo ora un'altra
lettera circolare. Vorrei, però, richiamare alcuni aspetti che mi interessano molto.
2. Alcune scelte
La comunicazione oggi occupa uno spettro ampio nella vita di tutti, giovani e adulti. Si
potrebbe quindi parlare di molte cose. D'altra parte, la comunicazione sostenuta dalla tecno-
logia che è in continuo rinnovamento e sviluppo obbliga a ritornare frequentemente sul tema.
Per non restare indietro nel cammino della cultura. Le prospettive che si aprono sempre
nuove. Le possibilità che ci offre sono interessanti. Ma come già vi annunziavo, desidero
ripartire dalla lettera circolare, contenuta negli Atti del Consiglio2.
Utilizzerò alcune parole ricorrenti, per richiamare aspetti che interessano il cammino di
oggi. Le parole saranno le seguenti: novità, mentalità che trascina con se l'altro termine che
è formazione, informazione che provoca sul versante della spiritualità, organizzazione che
mi introduce nel tema dei diritti.
Il mio può essere assunto come un modo per rileggere la lettera circolare. Voi stessi
potrete continuare la rilettura a partire da altri termini presenti e ricorrenti. Procederò più per
1 Cf. ACG 370 (1999).
2 Ibid.
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58.8 Page 578

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accenni che per sviluppi completi, per non essere lungo e non ripetere cose che forse sono
già nella vostra agenda dei lavori.
3. Novità
Nella lettera il riferimento «materiale» al termine «novità» non è frequente. Non inte-
ressi, però, la quantità delle citazioni. Riportatevi alla «qualità» del riferimento. Trascrivo
dalla circolare: «La comunicazione sociale, dicevamo, investe tutta la presenza salesiana.
Entrare in essa non comporta solo ritoccare alcuni elementi di questa presenza, lasciando
invariati gli altri: richiede piuttosto di compiere una conversione culturale che si traduce in
impegno spirituale ed in novità di visione pastorale». Ragiono su questa espressione per
ricordarvi:
- la sintesi che bisogna compiere nella prospettiva della novità è completa: culturale, spi-
rituale e pastorale;
- non si può quindi essere settoriali, perché, lo sappiamo benissimo, ogni settorialismo
non coglie la realtà, e stravolge la verità;
- la comunicazione, come altri ambiti della vita, cerca dei «comunicatori», direi, globali;
- la novità stessa si rinnova. In un altro passaggio della lettera trovate la seguente espres-
sione: «Siamo ancora ai primi passi. Le prossime novità non saranno le ultime. Anzi
potrebbero provocare ancora un'accelerazione del cambiamento».
- La novità, non dimentichiamolo, è più vicina ai giovani. Merita particolare attenzione
questo fatto. Merita attenzione perché è allettante, anche se difficile. Scrivevo ancora,
con riferimento alla Chiesa: «è uno sforzo maggiore, ma indispensabile e, da molti punti
di vista, allettante per le novità dei panorami che offre».
Vi rendete, perciò, conto che trattate un argomento di interesse per la vita salesiana.
4. Mentalità
Il richiamo alla mentalità ricorre nella lettera, in tutto il paragrafo dedicato a questo
aspetto. Il titolo del paragrafo è cambiare mentalità; inoltre nei paragrafi dove si presentano
gli orientamenti pratici e gli impegni delle ispettorie; infine, nella prospettiva da cui mi sono
posto nello scrivere la lettera. Mi riferisco a mettiamoci in onda con la Chiesa, e nella breve
ma attenta considerazione del significato di Comunicazione Sociale che trovate nella circo-
lare. Non intendo approfondire e toccare tutto. Mi basta aprire orizzonti nella lettura della
circolare e nella pratica del lavoro di comunicazione. Ecco alcuni possibili orizzonti.
- Il richiamo alla mentalità è un richiamo evidente all'esigenza di operare in questo
settore animati dal carisma. Scrivo a proposito del documento ecclesiale Vita consecrata:
ad esso (al documento in questione) l'Unione dei Superiori Generali ha voluto dedicare la
sua 50a Adunanza. Infatti la comunicazione sociale, nell'Esortazione, viene collocata tra gli
areopaghi moderni che più sfidano la mentalità cristiana e quindi più bisogno ha dell'audacia,
della creatività, della competenza e capacità di nuove collaborazioni delle persone carisma-
tiche. «Le persone consacrate, soprattutto quando per carisma istituzionale operano in questo
campo, sono tenute ad acquisire una seria conoscenza del linguaggio proprio di tali mezzi,
per parlare in modo efficace di Cristo all'uomo d'oggi, interpretandone 'le gioie e le speranza,
le tristezze e le angosce', e contribuire così all'edificazione di una società in cui tutti si sen-
tano fratelli e sorelle in cammino verso Dio»3.
3 VC 99.
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58.9 Page 579

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- La conseguenza è chiara: non bastano i tecnici per la comunicazione sociale. Neces-
sitiamo di uomini dello Spirito, ricchi dei suoi doni per essere efficaci e promotori di comu-
nione evangelica.
- Alcune virtù tipiche, alcuni doni specifici, alcuni talenti vanno curati con amore e
con dedicazione. Ho usato tre parole distinte, per indicare distinte realtà: virtù, doni, talenti
- «La comunicazione sociale vi ricordavo alcuni momenti fa l'espressione che ri-
porto un'altra volta – […] richiede […] di compiere una conversione culturale che si traduce
in impegno spirituale ed in novità di visione pastorale»4.
- La mentalità non ci riporta unicamente alla conoscenza delle cose. Esige un'orga-
nizzazione mentale, cioè un'armonia della persona. In questa linea dirò subito dopo una pa-
rola sulla formazione.
Un altro vasto orizzonte si aprirebbe se fossimo attenti, anche solo poco, ad un'altra
indicazione della lettera circolare. Come ho fatto finora, continuo a citarmi non tanto per
citarmi, quanto per indicare possibili cammini da percorrere. Scrivo nella circolare: «Un
secondo ambito che interessa il cambio di mentalità è il contesto in cui siamo inseriti ad
operare: il più vasto territorio in cui l'opera salesiana è collocata come centro di aggrega-
zione. La riscoperta di questa funzione invita ad allargare il dialogo alle istituzioni educative,
sociali e religiose che operano nella stessa area. Il confronto con esse è il banco di prova di
quel che siamo capaci di comunicare al di fuori della comunità religiosa e dei più stretti
collaboratori»5.
Dal programma dei vostri lavori ho visto che sarete chiamati a approfondire questi
aspetti della comunicazione salesiana. La nostra tradizione è ricca in merito. Forse un poco
è andata perduta. Nella situazione del mondo contemporaneo va ripensata da noi questa linea
rossa di comunicazione con il mondo esterno alla nostra comunità religiosa.
C'è un terzo ambito che richiede una svolta nella mentalità: «è lo spazio creato dalle
tecniche moderne, capaci di costruire rapporti, offrire un'immagine di sé ed iniziare un dia-
logo effettivo con interlocutori invisibili ma reali. Qui soprattutto si richiede un cambio di
mentalità, sia perché non ci è familiare lo spazio virtuale, sia perché bisogna imparare nuove
forme di comunicazione e di incontro»6.
Essere presenti nei differenti ambiti comporta essere efficaci. Non basta occupare pa-
gine e pagine di internet per essere presenti. Vanno qui applicati i criteri e i metodi che sono
propri di internet.
5. Una parola sulla formazione
Questi vari richiami mi offrono l'occasione per una parola sulla formazione. Se avete
letto e studiato la circolare, avrete notato che ci sono alcune domande fondamentali da porsi
oggi, di fronte al vasto fenomeno della comunicazione odierna. «Come essere educatori -
evangelizzatori in un villaggio globale di queste dimensioni [quelle descritte poco prima
dalla circolare]? Come diventare efficaci quando molti maestri concorrono alla formazione
degli stessi giovani, ma con proposte differenti tra loro? […] Che fare quindi?»7.
S'innesta qui il tema della formazione. Formazione a tutti i livelli: salesiani e laici,
giovani e adulti, animatori e operatori pastorali, educatori ed evangelizzatori, uomini e
4 J.E. VECCHI, Educatori appassionati esperti e consacrati per i giovani: Lettere circolari ai Sale-
siani, a cura di M. Bay, Roma, LAS, 2013, p. 539.
5 Ibid., p. 541.
6 Ibid., p. 541.
7 Ibid., p. 537.
- 577 -

58.10 Page 580

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donne, credenti e non credenti. Tutti indistintamente abbiamo bisogno di un cammino for-
mativo. Tutti rischiamo altrimenti una nuova situazione da analfabeti. Possiamo diventare
analfabeti di ritorno!
Non basta essere al corrente che ci sono tre livelli di formazione: uno di base, un
secondo pastorale, il terzo di preparazione specialistica.
Passare al concreto comporta che qui ha la preoccupazione e l'incarico della delega
della comunicazione in Ispettoria si interessi e si organizzi per rispondere alle varie esigenze.
Ci sono nella nostra struttura organizzativa alcuni vuoti che vanno quanto prima riempiti con
le persone qualificate. Un ambito di attenzione è appunto questo della comunicazione.
Tutte le ispettorie hanno bisogno di un esperto qualificato in comunicazione sociale,
anche se non tutte sono chiamata a stabilire «opere» di comunicazione sociale. Questo di-
penderà dalla situazione delle Chiese nel territorio e delle nostre risorse. La comunicazione
sociale per noi si intreccia in primo luogo con la stessa competenza educativa dei giovani e
della gente.
Tutte le ispettorie hanno bisogno di far crescere la competenza dei pastori, sia laici sia
religiosi, in fatto di comunicazione sociale. Tutti i confratelli di tutte le Ispettorie hanno
bisogno di saper essere «consumatori intelligenti» di comunicazione.
Ci sono molti passi da compiere in questa direzione.
Aiutate l'Ispettoria. Assistete i Consigli ispettoriali. Siate vicini alle comunità che ope-
rano nell'educazione e nell'evangelizzazione. Accompagnati, da bravi assistenti salesiani, i
giovani perché traggano solamente i vantaggi dalle possibilità di comunicazione oggi.
Dovrete inserirvi in maniera nuova dentro il cammino che compie la Congregazione,
anche attraverso quel testo importante e significativo che chiamiamo la Ratio.
Coraggio, quindi!
Mi sono dilungato molto, forse troppo. Lascio alla vostra buona volontà l'approfondi-
mento di quanto avevo enunciato fin dall'inizio, quegli elementi indicati con le espressioni:
informazione … fino … alla spiritualità, organizzazione … fino … ai diritti umani. Non è
da pensare che sono meno importanti di quanto ho già trattato. È per non abusare della vostra
pazienza che evito di entrare in argomento.
6. Gli orizzonti offerti dai documenti della Chiesa
Sono tre i documenti fondamentali della Chiesa citati nella circolare: la Evagelii nun-
tiandi, la Redemptoris missio, e la Vita consecrata.
Notare, innanzi tutto, le differenti prospettive dei tre documenti. Il primo nasce a se-
guito del Sinodo dei Vescovi sul tema dell'evangelizzazione. Il terzo è la conclusione del
Sinodo dei Vescovi sulla Vita Consacrata. Il secondo invece è un'enciclica che riprende e
continua la riflessione sul Redentore: Redemptoris hominis, Redemptoris mater e Redemp-
toris missio. Questa prospettiva è più tipica di Giovanni Paolo II.
Notare, ancora, come l'Evangelii nuntiandi si pone nella prospettiva del primo annun-
cio del Vangelo ai popoli. La Redemptoris missio, poi, si pone nella prospettiva della nuova
evangelizzazione nel contesto del mondo contemporaneo e del cammino che la Chiesa si è
prefissato. La Vita consecrata, infine, si pone dal punto di vista della preoccupazione di un
religioso, segno e portatore dell'amore di Dio al mondo, e impegnato in una testimonianza
convincente del dono ricevuto e da diffondere e condividere.
Come interessa tutto ciò alla comunicazione?
Sono evidenti i richiami al pastore comunicatore efficace. Comunicatore con la Pa-
rola e attraverso la Parola, anche quando si riconosce la propria povertà di fronte alle esi-
genze del Vangelo, come ricorda Paolo VI nella Evangelii nuntiandi.
- 578 -

59 Pages 581-590

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59.1 Page 581

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Comunicatore con la cultura e attraverso la cultura, in un interscambio continuo tra
Vangelo e storia dell'uomo e del mondo, come indica la Redemptoris missio di Giovanni
Paolo II. Comunicatore con l'esperienza e attraverso l'esperienza dello Spirito del Signore,
come richiede la Vita consecrata.
Sono così poste le fondamenta di una spiritualità per l'uomo incaricato e impegnato
nella comunicazione sociale. Del resto, il richiamo all'evangelista Marco, con il cenno rapido
al miracolo del sordo muto, riportato nel capitolo 7 del suo Vangelo, ha la stessa funzione di
indurre una spiritualità per l'uomo impegnato nella comunicazione.
Provo a riflettere dalla prospettiva spirituale sul miracolo richiamato dalla circolare.
7. Gli orizzonti offerti dal riferimento al cap. VII del vangelo di Marco
Bisogna ricordare che i miracoli del Vangelo hanno come risultato effettivo quello di
«entrare in rapporto» con il Signore Gesù. C'è quindi una maniera ricca di guardare, leggere
e comprendere i miracoli.
Trattandosi di segni: vanno compresi in sé. Sono manifestativi del soggetto che li
pone; vanno compresi dal punto di vista del termine verso cui sono orientati. Sono, cioè,
confermativi sulla linea della realtà a partire dalla parola; vanno compresi nella reazione che
ingenerano. Sono, in conclusione, creativi di una rete nuova di rapporti con il Signore.
Da queste considerazioni si potrebbe dedurre che ogni miracolo: introduce un pro-
cesso di comunicazione, esprime la ricerca di comunicazione concreta, offre strumenti indi-
spensabili per la comunicazione.
L'episodio evangelico del sordo muto evidenzia sia l'ascoltare, sia il parlare. Si tratta
di due metafore della vita. Tutta la vita è un ascoltare … integrale. Tutta la vita è un parlare
… globale. I due aspetti sono contemporaneamente importanti e necessari.
La vita cristiana inizia con il segno di aprire l'orecchio e di sciogliere la lingua. Nella
circolare concludo la presentazione del miracolo con le seguenti parole: «Noi siamo chiamati
a dare la parola, ad aprire gli occhi, ad informare sul dono di Dio. Come disporci? Dovremo
essere ben comunicati con le realtà che contano e buoni comunicatori, non solamente tecnici
degli strumenti»8.
Abbiamo molti stimoli per crescere nella spiritualità. La nostra comunicazione rien-
tra nell'ambito della vita dello Spirito.
6. Conclusione
Ho tentato una presentazione di alcuni contenuti della lettera circolare. Il lavoro non
va considerato concluso. Lo affido a voi, perché dalla ricchezza di indicazioni che vi sono
nel testo sappiate nutrire il vostro servizio e confratelli e giovani a cui vi rivolgerete. Vi
ringrazio per quanto fate.
Don Bosco vi sostenga nelle vostre fatiche.
B) Intervento conclusivo. 20 dicembre 2000
1. Premessa
Al termine delle vostre giornate di incontro vi incontro ancora una volta e con il desi-
derio di comunicare con voi. Desidero esprimervi alcune riflessioni, questa volta, non a par-
8 Ibid., p. 539.
- 579 -

59.2 Page 582

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tire dalla lettera che ho scritto alla Congregazione sul tema della Comunicazione, ma a par-
tire da voi, da voi come comunicatori. Voglio contribuire con una mia riflessione descri-
vendo la figura del comunicatore salesiano. Utilizzerò, per motivi mnemonici, alcuni gruppi
di parole che possono aiutare a cogliere la ricchezza del servizio che siete chiamati a svol-
gere.
2. Primo trinomio
Custodi di una tradizione salesiana, promotori di una ricchezza di salesianità e realiz-
zatori di un progetto ispettoriale. Il tema potrebbe ricevere un'ampia trattazione. Mi limito a
poche cose essenziali.
2.1 Custodi di una tradizione salesiana
Siete, innanzitutto, custodi di una tradizione salesiana. Vi raccomando di tornare
spesso alle nostre fonti, che nella rilettura e nell'adattamento al nostro tempo restano ancora
così ricche di orientamenti, di stimoli, di novità, di creatività.
2.1.1. Per esempio: rileggete la lettera di don Bosco del 19 marzo del 1885: La diffusione
dei buoni libri9. Nella lettera del nostro Padre si possono coglier varie modulazioni. Ve ne
propongo una, in maniera particolare. C'è nella lettera l'impegno a suscitare la consapevo-
lezza che il dedicarsi alla comunicazione sociale, con spirito evangelico, costituisce una gran
missione. Questa richiede un insieme di virtù e di doti. Enumero un po' disordinatamente:
genialità, competenza, costanza, creatività, capacità di collegamenti con altri, riscoperta del
valore della cultura, ricerca della novità apostolica, ecc. ecc. Già al suo tempo, don Bosco si
era reso conto come in tutti gli spiragli di novità del suo mondo, si era inserita la forza della
comunicazione. Tutti i processi dell'epoca sono stati accompagnati da processi di rinnova-
mento nelle comunicazione e anche nelle comunicazioni. Segno che questa riesce a veicolare
le novità. È un'intuizione da non perdere.
Inserendosi con le sue forze nel nuovo contesto, don Bosco non mirò tanto a far cre-
scere il pensiero erudito quasi fosse uno scienziato o un ricercatore di professione; quanto a
far crescere la cultura tra i giovani e tra il ceto popolare. Non è stata poca cosa, se si pensa
che da quegli anni sono poi scaturiti i movimenti «popolari» così chiamati. Attrezzare la
gente a capire il cambio di cultura, era prepararla ad essere agente di cultura. Operava anche
in questo ambito la scelta dell'educazione.
Voi delegati della comunicazione siete chiamati a far crescere questa tradizione sale-
siana. Non solo attraverso la stampa. Ma attraverso tutti quegli strumenti che la tecnica di
oggi mette a disposizione.
2.1.2. Dovrei aggiungere che tocca a voi essere custodi della tradizione salesiana che si è
venuta accumulando negli anni. Basti ricordare le lettere circolari dei Rettori Maggiori che
mi hanno preceduto: don Egidio Viganò: la comunicazione sociale ci interpella del 198110;
don Luigi Ricceri: notizie di famiglia, del 197711. Queste due lettere che vi ho citato hanno
9 Cf. Lettera 2539, Circolare ai Salesiani per la diffusione dei buoni libri in E. CERIA, Epistolario di
S. Giovanni Bosco. Vol. 4. Dal 1881 al 1888. Torino [ecc.]: Società editrice internazionale, 1959, p.
318-321.
10 Cf. ACS 302 (1981), p. 3-30.
11 Cf. ACS 287 (1977), p.3-33.
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59.3 Page 583

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accompagnato i Capitolo Generali dell'epoca, illuminandoli o traendo le opportune conclu-
sioni per la vita delle comunità. Hanno segno, veramente, il cammino delle ispettorie. Vi
ricordo che dalla circolare di don Ricceri nacquero i Notiziari Ispettoriali. Dalla lettera di
don Viganò l'organizzazione strutturale della comunità salesiana.
2.1.3. Infine, tocca a voi far rivivere e far vivere le intuizioni dei Capitoli Generali della
Congregazione. Chi ha partecipato ai Capitoli qui menzionati, ricorderà anche la «fraterne
battaglie» combattute per far avanzare l'idea della comunicazione. Chi non ha partecipato ha
l'obbligo di leggere attentamente gli atti e i discorsi del Rettor Maggiore, che hanno sempre
accompagnato e concluso le discussioni sui vari temi dell'assemblea capitolare.
Il CGS 20 ha introdotto con forza questa prospettiva della comunicazione sociale.
Il CG 21 ne parla come di una nuova presenza salesiana, che risponde all'impegno di
essere evangelizzatori nel mondo di oggi. Il CG 22 con l'elaborazione del testo Costituzio-
nale e Regolamentare ha segnato un cammino per la Congregazione, danno forza di carisma
e di identità a quanto poteva sembrare solo un impegno di alcune persone, dotate e fantasiose.
Il CG 23, poi, ha parlato di voi, delegati della comunicazione sociale, come di persone che
operano in maniera diretta nell'educazione alla fede dei giovani. Il CG 24 ha sezioni intere
dedicate al tema della comunicazione. Non vi sfuggano le novità che vanno crescendo capi-
tolo dopo capitolo. Brevemente.
Il CG 22 ha stabilito il dicastero di comunicazione sociale. Il fatto di essere condiviso
nella stessa persona anche dal dicastero per la Famiglia Salesiana non toglie nulla al primo.
Basta vedere l'organizzazione che è stata pensata.
Il CG 23 ha ufficializzato la presenza di un delegato ispettoriale per la comunicazione
sociale, nel contesto dell'educazione dei giovani alla fede. Segno dell'orientamento defini-
tivo della comunicazione sociale. Segno dell'importanza operativa della stessa comunica-
zione sociale.
Il CG 24 ha espresso attraverso il ritornello della significatività e della qualità della
presenza salesiana il cammino che deve percorrere la comunicazione per coinvolgere in ma-
niera efficace il laicato nel progetto salesiano.
Carissimi delegati, non ci manca la necessaria letteratura. Alcune volte ci manca l'im-
pegno nella costanza e la ricerca del coordinamento necessario per essere efficaci nelle no-
stre presenze ed attività.
2.2 Promotori di ricchezza salesiana
Siete, poi, promotori di ricchezza salesiana. Non vorrei che il termine «custodi» inge-
neri l'idea che la comunicazione salesiana sia chiamata ad essere conservatrice. Perciò vi
aggiungo: siate promotori. Essere promotori comporta:
2.2.1 Muovere. È quanto vi chiedo con insistenza, sapendo di fare cosa che risponde al pen-
siero di don Bosco. Muovete le Ispettorie in questo ambito della comunicazione. Ci sono, e
in alcuni casi forse in forma giustificabile, molte remore. La radice delle remore sembra di
scorgerla nelle seguenti ragioni. (a) Manchiamo di persone preparate, in numero sufficiente,
perché operino in comunicazione sociale. Voi se non vi sentite sufficientemente preparati
dovete sentire il dovere di prepararvi. Questo vale per tutti noi oggi. La nostra preparazione
adeguata non è mai raggiunta. (b) Manchiamo di progetti condivisi a livello di ispettoria, di
responsabili e di comunità, che si sentano interpellati, come diceva don E. Viganò, dalla
comunicazione odierna. Possiamo affermare con soddisfazione di avere confratelli ricchi di
creatività.
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59.4 Page 584

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Ho conosciuto in giro per il mondo salesiano molte attività e molti centri che fanno
onore alla Congregazione, per quanto vanno compiendo per la crescita della fede, della cul-
tura, del Vangelo nel Paese in cui operano i confratelli. Bisogna, tuttavia, crescere nel senso
comunitario, per realizzare in maniera efficace e continuativa una presenza nel settore della
comunicazione sociale.
Vi rendete conto che c'è molto «moto» da immettere nelle comunità locali ed ispetto-
riali. Non scoraggiatevi.
2.2.2. Muovere in maniera vantaggiosa. Pro-muovere comporta muoversi verso una dire-
zione in maniera efficace. Non basta fare. Bisogna fare in modo da raggiungere lo scopo. Da
salesiani dovremmo conoscere bene il cammino metodologico per arrivare a buon fine. Muo-
versi con discrezione. Muoversi offrendo motivazioni sufficienti. Muoversi facendo, per
primo, il primo passo, dando il buon esempio. Muoversi riconoscendo il valore degli altri e
quanto di buono esiste già. Conosciamo tutti la pedagogia salesiana. Dobbiamo metterla in
atto, anche nel compito non facile di essere animatori di altri animatori.
Muovere in maniera vantaggiosa per far crescere in grado e dignità. È questa una
terza letteratura del farsi promotori. Promuovere la comunicazione sociale in grado e dignità
nelle comunità salesiane e nelle comunità educative. Deve, cioè, acquistare rilevanza. Deve
avere il suo spazio di responsabilità. Deve poter contare su risorse umane, strutturali, orga-
nizzative tali che consentano il suo sviluppo. Non vi presento il cammino pratico e quoti-
diano. È compito di ciascuno di voi trovare le strade più adeguate alle situazioni delle diffe-
renti ispettorie.
2.2.3. Promuovete le persone. Voi avete il compito di raggiungere i confratelli e gli anima-
tori, giovani e adulti. Avete come destinataria l'intera Famiglia Salesiana. Per promuovere
le persone, elencate sopra, dovete aiutarle a diventare responsabili e critiche di fronte ai fe-
nomeni della comunicazione. È un cammino di formazione indispensabile.
2.2.4. Promuovete la realtà oggi divenuta così vasta e che chiamiamo comunicazione. Par-
rebbe, ad alcuni, necessario dire che va ridotta la realtà-comunicazione, perché oltre che
essere pervasiva è diventata invadente. Eppure va fatta crescere la comunicazione, in tutte
le direzioni, esteriore ed interiore; in tutti i livelli, come espressione di un'idea e come espres-
sione di uno spirito vivente; e in tutta l'esperienza, dall'infanzia all'età matura.
2.2.5. Promuovere servizi, opere specifiche e centri di comunicazione a seconda dei nuovi
bisogni generali e particolari delle differenti ispettorie. Un minimo sembra necessario farlo
esistere in tutte le ispettorie. Perciò, bisognerà curare, per esempio, il Bollettino Salesiano,
perché diventi un centro di reale comunicazione. Bisognerà curare il Notiziario Ispettoriale
perché susciti comunione e appartenenza. Bisognerà valorizzare quanto esiste, perché possa
crescere.
2.3 Realizzatori di un progetto ispettoriale globale
Siete, infine, realizzatori di un progetto ispettoriale globale. Operare con la comuni-
cazione sociale vi colloca in maniera trasversale nel progetto educativo pastorale dell'ispet-
toria. Ciò domanda a voi una disciplina interiore di comunione non sempre immediata e
facile. Mi voglio riferire ad un itinerario spirituale che dovrete percorrere, per rendere il
vostro servizio un servizio di comunione, perché diventi effettiva la comunicazione che vo-
lete realizzare.
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59.5 Page 585

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2.3.1. Dovete imparare un pensare comunicativo. Apprendere l'arte di comunicare già nei
vostri pensieri, prima ancora di esprimervi all'esterno. È questa la comunicazione più
importante e la più difficile. Imparare a comunicare dentro di sé. C'è da stabilire una comu-
nicazione interiore tra pensiero e cuore, tra desideri e azioni, tra sogni e realtà, tra
sentimenti ed espressioni esterne, tra malumori e sfoghi. Rientra qui tutto il cammino da
compiere per una igiene mentale. È qui la radice del pensare insieme. Da qui nasce la
pedagogia della comunione, che assicura la metodologia della comunicazione.
2.3.2. Dovete imparare un parlare comunicativo. Apprendere l'arte di comunicare con la
parola. Sembra un discorso superfluo. Ma non lo è. Mi chiedo se non soffriamo più volte di
mutismo.
C'è un mutismo di fraternità: chi ricostruirà la comunione fraterna per una comunica-
zione interpersonale?
C'è un mutismo di fede. Spesso soffriamo di una paralisi verbale. Diciamo parole, ma
vuote e non significanti oltre la realtà immediata.
C'è un mutismo dei gesti. Ci mancano le espressioni esteriori. Diciamo parole, ma non
diciamo cose e segni di cose. Abbiamo perso il valore della simbologia. Non ci mancano in
realtà i segni e i simboli. Spesso, però, sono costruiti al di fuori di ogni rapporto e sono legati
più a sensazioni personali, che a richiami profondi dello spirito e dell'anima.
C'è un mutismo di silenzio. Non sappiamo fare silenzio. Non sappiamo riempire il
silenzio di espressione della propria persona. Ci siamo così impoveriti.
2.3.3. Dovete imparare un operare comunicativo. Per ripetere una parola conciliare: portare
la fede e la carità ad efficacia di vita12. L'agire è comunicativo se adempie le seguenti
condizioni:
- Trasparenza. Le azioni non devono diventare un vicolo cieco. Devono esprimere
quello che si è. Altrimenti avranno un effetto boomerang, molto pericoloso. Gli altri ci de-
vono conoscere attraverso quello che facciamo e non solo attraverso quello che diciamo. Il
Vangelo è molto chiaro in questa linea di pensieri e di richieste.
- Gratuità. Ancora una volta la parola evangelica può e deve diventare luce ai nostri
passi. Dicono gli Atti degli apostoli13: è meglio dare che ricevere. Tutta l'azione di un cre-
dente si riveste di una nota indispensabile: la missionarietà. Questa comporta, nello stesso
tempo, una donazione completa; e una donazione che non attende ricambio. Donare così
crea comunione. La comunione è condivisione di atteggiamenti. La condivisione è il frutto
della comunicazione.
- Coralità. L'agire credente comunica quando è un agire 'insieme'. L'io si trasforma in
noi. La dimensione personale s'incontra con l'esigenza comunitaria.
- Reciprocità. Non c'è autentico comunicare se non c'è l'intenzione di suscitare rispo-
sta. Così nasce il dialogo. Così inizia ogni forma di comunicazione. È facile lamentarsi delle
risposte un po' deboli, particolarmente quando si tratta di ragazzi e di un genere di ragazzi.
Poco però ci si interroga se non sia mancata l'iniziale intenzione di volere entrare in sintonia
e in comunione, se non ci si sia posti al di fuori dell'orizzonte dell'intenzione dell'altro.
12 Cf. GS 42.
13 Atti 20,35.
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3. Conclusione
Mi sono trattenuto a lungo sulla figura del comunicatore. Come in tutti i settori anche
in questo della comunicazione non si può escludere la forza della persona. Un comunicatore
formato e ricco interiormente diventerà, senza dubbio, un punto di riferimento e di crescita
per tutti gli altri. Volevo invitarvi con queste mie parole a sentire profondamente la vostra
responsabilità.
Ancora una volta esprimo il ringraziamento a voi per le giornate di lavoro. Non avete
finito tutto ciò che volevate realizzare. Verrà completato dal dicastero nelle prossime setti-
mane. Ringrazio tutti coloro che hanno preparato questo incontro e vi hanno accompagnato
per una riuscita soddisfacente. Portate nelle vostre ispettorie il saluto del Rettor Maggiore a
tutti i Confratelli. Auguri
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70. UNA VOCAZIONE SALESIANA LAICALE PER UNA SANTITÀ «CONTA-
GIOSA»
Vecchi, J.E., Una vocazione salesiana laicale per una santità «contagiosa». Il testo delle riflessioni di don Juan E. Vecchi,
Rettor Maggiore, riportate in questo contributo sono frutto di una registrazione e di un adattamento per la rubrica di ANSMag
«Mi sta a cuore». 23 aprile 2001.
Nell'ambito della riflessione sulla Novo Millennio Ineunte, spinti dalle parole del
Papa, stiamo preparando insieme al Consiglio Generale alcuni progetti verso i quali nutro
un particolare interesse. Uno di questi riguarda una meditazione generale sul tipo di santità
secolare salesiana, stimolati dall'annuncio della prossima beatificazione del confratello coa-
diutore Artemide Zatti. Certo, nelle intenzioni propositive, non si vuole fare una riflessione
settoriale, solo sul confratello laico, ma sulla santità salesiana in generale, dove laici e sa-
cerdoti camminano uno accanto all'altro in un efficace flusso di comunicazione di vita, spi-
rito e missione, felici di vivere e di testimoniare la propria consacrazione laicale e sacerdo-
tale, incarnata nella storia e in un territorio.
Stiamo dunque preparando questa riflessione, che proporremo prima a livello locale,
alle singole ispettorie, e poi sarà oggetto della riflessione del Consiglio Generale. La propo-
niamo direttamente lì dove è visibile la vocazione del coadiutore, dove ci sono risorse di-
sponibili, dove operano confratelli laici carismatici e «contagiosi», che sprigionano il fascino
di una delle due dimensioni in cui don Bosco disegnò il carisma affidatogli dallo Spirito.
Ecco ciò che oggi mi sta a cuore. Se in ognuna delle nostre ispettorie nascesse una
vocazione laicale, quale grande dono faremmo a Don Bosco e alla Chiesa!
Certo il nostro Padre non ha mai badato a numeri e proporzioni ma si è affidato fidu-
cioso alla Provvidenza. Ogni confratello, laico o sacerdote, era (ed è) dono di Dio. A Don
Bosco premeva la santità di questi uomini perché sapeva che questa avrebbe dato frutto,
avrebbe «contagiato». Una cosa è vera comunque: voleva che l'animazione della comunità
religiosa fosse arricchita dei carismi sacerdotali, che nella comunità ci fosse qualcuno che
rappresentasse la grazia sacerdotale di Cristo. Con questo non voglio alimentare la diatriba,
per altro ormai sorpassata, dei ruoli di responsabilità e di governo. Resta il fatto che Don
Bosco aveva concepito così la comunità salesiana (cosa che noi non possiamo tradire), e che
a tutti prometteva «pane, lavoro e paradiso».
Bisogna anche dire che ieri come oggi molti confratelli laici sono stati e sono in posti
e ruoli importantissimi per l'educazione, come l'animazione di un settore, l'insegnamento, la
formazione professionale, la pastorale catechistica e vocazionale, il mantenimento di una
grande struttura, la cura della dispensa e la responsabilità dell'economia, ecc. ma voglio sot-
tolineare, così come faceva Don Bosco, un ruolo umile e importante, e che oggi è del tutto
sparito, cioè che un buon portinaio è un tesoro per una casa di educazione. Chi ha vissuto i
tempi passati, può confermare quanto tutto ciò sia vero, e quanta sicurezza dava la presenza
di un confratello in un luogo tanto delicato della casa. Ma questo vale persino per la sacrestia
e l'animazione del piccolo clero.
Pertanto, riaffermo ciò che diceva Don Bosco, che in una opera il cui obiettivo prima-
rio è l'educazione dei giovani, non ci sono settori senza importanza. Anzi, il trascurarne uno
rischia di provocare un effetto «dòmino». E oltre a ruoli di tipo amministrativo, educativo e
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catechistico, perché non pensare anche alle pubbliche relazioni? Ricordo con piacere un coa-
diutore in Argentina, si chiamava Carlo Conci, che fu incaricato dall'episcopato locale di
attivare i circoli operai cattolici e lo fece con successo. Fu premiato poi davanti a tutta la
città per lo zelo profuso nel suo impegno. Ma oggi ci sono alcuni confratelli laici che hanno
responsabilità pubbliche notevoli a livello regionale, nazionale e internazionale.
Anche il settore infermieristico è una frontiera da esplorare e preparare, visto l'au-
mento dell'età dei salesiani.
In quante modalità si può realizzare la santità salesiana laica!
Reputo importanti a tal proposito due cose: la formazione religiosa e apostolica dei
giovani coadiutori perché possano vivere la vita fraterna e la missione in intima, serena e
gioiosa comunicazione con i presbiteri; e la formazione professionale funzionale alla prepa-
razione di personalità capaci di condurre responsabilmente i settori tradizionali e più all'a-
vanguardia di un'opera salesiana: le editorie, l'informatica, l'economia, l'insegnamento, le
pubbliche relazioni, l'infermeria, ecc.
Tutto questo però può risultare insufficiente se non si intensifica l'amore fraterno in
comunità: una comunità che vive la gioia della comunione fraterna serenamente, nella mo-
dalità laica e clericale, diventa un grande appello, una grande proposta vocazionale.
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71. UNA FORMAZIONE MATURA DI COOPERATORI ED EXALLIEVI
Vecchi, J.E., Una formazione matura di cooperatori ed exallievi. Il testo delle riflessioni di don Juan E. Vecchi, Rettor Mag-
giore, riportate in questo contributo sono frutto di una registrazione e di un adattamento per la rubrica di ANSMag «Mi sta a
cuore». 2001.
Mi sta a cuore il laicato salesiano. Laicato è un nome collettivo che si applica a tutti i
laici della Chiesa. Ma mi riferisco ai laici che si sono uniti a don Bosco per Spirito o per
lavoro. Una quantità consistente di uomini e di donne per i quali sogno qualità, impegno,
visibilità pubblica sempre più crescente.
Sappiamo come Don Bosco ebbe all'inizio l'idea geniale di fondare l'associazione dei
cooperatori, anticipando notevolmente questa dimensione che avrebbe dato futuro non solo
al suo carisma ma alla Chiesa intera. Ciò che Don Bosco colse ai suoi tempi è diventata una
realtà imprescindibile dell'identità e della missione della Chiesa a partire dal Concilio Vati-
cano II di cui non si può fare a meno. Da allora, e con diverse vicende, si può dire che i
cooperatori sono venuti crescendo sempre più e accanto a loro gli exallievi. Cooperatori ed
exallievi rappresentano una ricchezza sociale straordinaria per la missione salesiana, lo av-
vertiamo continuamente, soprattutto nei momenti di necessità.
È arrivata una nuova epoca per il laicato. Lo dice Giovanni Paolo II nella Novo mil-
lennio ineunte: il grande spazio del nuovo millennio è dei laici. In questo tempo, nel quale
le diverse religioni si stanno aprendo alle frontiere dell'occidente e del modo intero, l'uomo
ha un punto dal quale giudicarle. É il servizio all'uomo, l'atteggiamento di fronte all'uomo
sui diritti civili, sulla vita, sulla promozione dei più deboli, sulla coerenza con la quale viene
vissuto il binomio fede-vita, più che sulle verità teologiche. Oggi più che mai sono attuali le
parole di Gesù: ci riconosceranno dalla testimonianza di carità che daremo come cristiani.
Vorrei veder crescere in spiritualità il laicato nato dal cuore di Don Bosco, questo
braccio potente della Famiglia Salesiana, perché viva pienamente e testimoni coerentemente
una vita evangelica. Lo vorrei veder crescere in iniziative varie nell'ambito sociale. Ad esem-
pio, un tempo, nell'azione cattolica, erano operativi i circoli di studio impegnati a portare il
contributo cristiano nel dialogo culturale. Oggi potrebbero essere incoraggiate iniziative di
confronto, gemellaggio sociale, servizio missionario, a partire dal luogo dove vivono e svol-
gono la loro professione...
Il laicato, per sua natura, ha una sua vita propria fatta di professionalità, famiglia,
pubbliche relazioni. Allo stesso tempo è chiamato ad annunciare e a testimoniare il vangelo
innestandolo, con caratteristiche laiche, nella società. E una testimonianza evangelica auten-
tica che proviene da un ambito laico è produttiva di frutti nuovi, poiché spinge altri laici
lontani da Cristo e dalla Chiesa a porsi degli interrogativi. Questo aspetto primario della
missione del laico, congiunto alla dimensione carismatica salesiana del servizio ai giovani,
coglie in pieno il desiderio di Don Bosco di vedere una moltitudine di uomini e donne testi-
moni e portatori dell'amore di Dio ai giovani.
Per questo è importante assicurare il collegamento con il Rettor Maggiore e con i
salesiani delegati ad una formazione matura di cooperatori ed exallievi. Occorre inoltre of-
frire questa prospettiva vocazionale laica ai giovani del Movimento Giovanile Salesiano. E
ai salesiani dico di rispettare l'autonomia del nostro laicato dando loro più spazio di inter-
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59.10 Page 590

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vento, passando dalla collaborazione alla condivisione, avviando il meccanismo della fidu-
cia, basato sul fatto che si condivide, seppur in modalità differenti, la stessa missione nella
Chiesa e nella società.
È tempo di rispettare la loro autonomia di voce e di organizzazione, di stimolare il
loro coraggio pubblico, di ascoltare e accogliere ciò che vogliono dire e che suggeriscono.
Non si tratta di creare una nuova corrente politica o di entrare in un partito, poiché la politica
del salesiano, chierico o laico, è quella di Don Bosco, la Politica del Padre Nostro.
Auspicherei la maturazione della loro autonomia perché non si sentano sempre legati
ai salesiani se non per la formazione e i salesiani non li considerino come collaboratori pronti
da «sfruttare» per la loro disponibilità. Un'associazione che perfezioni la sua organizzazione
e la sua comunicazione interna. Altri movimenti laicali che si trovano all'interno della Chiesa
possono dare loro un esempio. È opportuno che facciano i loro progetti formativi per gli
animatori responsabili e per i soci comuni, ma anche i progetti d'intervento quando questi si
rendono necessari.
Noi SDB possiamo essere promotori di questa nuova cultura e concezione del laicato,
non invadendo la loro parte. A volte, per risolvere più in fretta le cose, vogliamo fare tutto
noi, ma così prolunghiamo una debolezza, e conserviamo una fragilità. Noi siamo solo de-
legati alla loro formazione spirituale. La riflessione del CG 24 ha favorito tutto questo: il
nostro ruolo formativo e la loro autonomia. Quello che ancora stenta è la messa in pratica di
ciò che è stato ritenuto importante per rispondere alle esigenze nuove della società. Punto
fondamentale sarà la formazione degli animatori o assistenti salesiani almeno a livello ispet-
toriale.
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60 Pages 591-600

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60.1 Page 591

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72. UNA CASA-OSPEDALE A MISURA DEL MALATO
Vecchi, J.E., Una casa-ospedale a misura del malato. Il testo delle riflessioni di don Juan E. Vecchi, Rettor Maggiore, riportate
in questo contributo sono frutto di una registrazione e di un adattamento per la rubrica di ANSMag «Mi sta a cuore». 2001.
In questo tempo, nel quale sto sperimentando la sofferenza e la malattia, molte volte
il mio pensiero si è rivolto a quanti, confratelli e amici, stanno vivendo questa particolare
esperienza di incorporazione alle sofferenze di Cristo. La comunione a Gesù sofferente, in
una economia salvifica tutta cristiana, vissuta in piena fede, rende questo tempo un luogo di
salvezza e di purificazione per se stessi e per gli altri. Se è vero (come è vero!) ciò che ci
dice la parola di Dio, cioè che nel nostro corpo completiamo le sofferenze di Cristo nel suo
sacrificio di espiazione, celebriamo una «eucaristia» specialissima che ci fa vivere in pie-
nezza il nostro ministero sacerdotale.
Ecco perché, come già esprimevo nella mia lettera inviata ai confratelli ammalati nella
Pasqua del 2001, l'ammalato o l'anziano non rappresenta «un capitale morto ed inutilizzabile
per la pastorale, ma un capitale vivo, conforme alla vita di Gesù, il quale compì molti gesti
propri del Buon Pastore, e alla fine consegnò la sua vita al Padre sulla croce». La malattia è
dunque ricca di significato se vissuta come incorporazione alle sofferenze di Cristo. Se poi
i beneficiari di questa offerta sono i giovani, le attività e le iniziative per essi, le vocazioni
al loro servizio, quanto bene salesiano faremo e quanta serenità riceveremo in cambio.
Un'altra esperienza che sto vivendo come privilegio e dono della provvidenza, è la
tenera e attenta assistenza delle suore di don Variara e quella fraterna e paziente dei consi-
glieri generali e di alcuni confratelli salesiani. Dicevo sempre in quella lettera che tutto que-
sto è «un tempo fecondo di crescita nella santità che, da una parte, matura nella carità chi è
chiamato ad assistere e dall'altra aiuta il malato ad accogliere la malattia con atteggiamento
di fede». Dico di più: questo tempo di carità donata e ricevuta ci fa sperimentare «quanto è
dolce e soave che i fratelli vivano insieme».
Grazie, carissimi, della vostra solidarietà. Grazie a chi la vive direttamente col proprio
impegno fisico e a quanti invece la sperimentano a livello spirituale. Questo grazie si dif-
fonde a quanti, oggi come ieri, si sono fatti samaritani per i confratelli con la stessa genero-
sità e disinteressata solidarietà del personaggio evangelico. A voi tutti giunga la mia pre-
ghiera e i benefici dell'offerta della mia malattia.
I due santi confratelli Artemide Zatti, di cui è ormai prossima la beatificazione, e don
Luigi Variara, sono al centro della mia invocazione personale quotidiana. A loro ho affidato
la mia malattia. A loro affido tutti i confratelli, le consorelle, le persone amiche, che stanno
vivendo l'esperienza della sofferenza. Sono essi i due apostoli salesiani del malato, due fi-
gure che hanno incarnato l'esperienza del samaritano, che hanno riconosciuto nel malato il
Cristo sofferente da servire. A loro affido quanti accompagnano concretamente gli ammalati
non solo a livello professionale, ma con umana e cristiana carità. Questo servizio completa
il nostro carisma: un servizio a quanti per anni, con cristiana dedizione, hanno impegnato la
loro vita a servizio dei giovani e ora sono bisognosi di tutte le attenzioni possibili in segno
di rispettosa riconoscenza.
Ecco cosa mi sta a cuore: l'accompagnamento del malato, dell'anziano, perché non si
senta solo, perché avverta la premura della famiglia che è la comunità locale, ispettoriale,
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60.2 Page 592

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mondiale. Non possiamo delegare a chiunque questo servizio. É un gesto familiare, espres-
sione della carità che ci unisce e ci fa essere un cuor solo e un'anima sola. La salute del
confratello è un dono prezioso da prevenire, curare, proteggere. Anche la malattia, però, è
un dono da accogliere, accompagnare pazientemente, assistere. Auspico di considerare in
modo nuovo la condizione del malato nella comunità locale, ispettoriale, mondiale. Rendere
concreta la carità soprattutto in questo momento di profondo bisogno.
Sogno allora una casa per malati, curati dalle suore di don Variara, collaborate dai
salesiani. Non è una infermeria come tante, già ne esistono, ma una casa che si specifica
come centro medico specializzato e attrezzato, dove il vivere e lavorare insieme è a misura
della condizione, bisognosa di assistenza e di carità, del malato.
Non voglio che pensiate che è la mia attuale condizione di malato che abbia alzato la
mia sensibilità su questo tema, producendo una nuova concezione della condizione del ma-
lato. O meglio, lo è a partire dalla mia esperienza, ma si estende a tutta la Congregazione
proprio perché sto sperimentando le debolezze e le potenzialità vissute dall'ammalato.
Una casa-ospedale, quindi, concepita ed arredata a misura del malato, con stanze dove
ci sia un letto per chi è assistito e chi assiste, dove le soluzioni architettoniche siano realizzate
per eliminare le difficoltà (porte larghe, ascensori, attrezzature, ecc.) dove l'assistenza fra-
terna e paziente non si confonda con la pesante sopportazione e diventi uno stile distintivo,
con la presenza constante di medici specialisti, affidata alle suore dei Sacri Cuori e ai sale-
siani, sotto l'immediata protezione di Artemide Zatti, l'angelo salesiano del malato.
Chissà se riuscirò mai a vederne la nascita. Sono certo, tuttavia, che questo desiderio
potrà essere reso concreto in un prossimo futuro.
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60.3 Page 593

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73. «IL DOLORE DELLE VITTIME È IL NOSTRO DOLORE»
Mercoledì 26 settembre 2001, a poco meno di un mese di distanza dai tragici eventi di New York e Washington,
il Rettor Maggiore, Don Juan E. Vecchi, ha inviato questo messaggio raccolto attraverso l'audioregistrazione dalle Figlie dei
Sacri Cuori Di Gesù e di Maria (sorelle di don Variara) che lo assistono in infermeria all'UPS. Nonostante il suo stato di
salute, sempre più debole, ha voluto esprimere il suo profondo dolore e offrire la sua sofferenza per quanti direttamente e
indirettamente, sono stati colpiti dall'efferato gesto di terrorismo. Il testo riportato faticosamente dettato e altrettanto faticosa-
mente riscritto da don Vincenzo Macchioda, segretario di don Vecchi, vuole interpretare pienamente il desiderio del Rettor
Maggiore di parlare al cuore dei salesiani e di tutta la Famiglia Salesiana, perché non si arresti mai e venga incentivata
l'opera di educazione ai valori della vita e della pace. Questo messaggio è stato in seguito pubblicato da ANS.
Carissimi fratelli e sorelle, allievi ed exallievi, Famiglia Salesiana tutta. A distanza di
poco più di un mese dai tragici avvenimenti di New York e di Washington, desidero rivol-
gervi una parola di incoraggiamento e sostegno. Nessuno può sentirsi estraneo a questi tra-
gici fatti; siamo chiamati a vivere questo momento di passione del mondo assieme a quelli
che lo abitano. Il dolore di coloro che sono stati colpiti è il nostro dolore, la sofferenza di
chi ha perso una persona cara è la nostra sofferenza, lo sgomento degli uomini che hanno
assi-stito alle incredibili immagini della tragedia è il nostro sgomento. Mi sento accanto a
tutti, e per tutti offro la mia sofferenza. Prego per voi affinché il Signore non vi lasci cadere
nello scoraggiamento e nella paura, nei sentimenti di intolleranza e di rivincita. Vi porto
tutti nel cuore e tutti benedico senza distinzione.
La forza per superare questo momento ci viene da Cristo Gesù che soffre in coloro
che soffrono. Con Cristo noi vogliamo soffrire e lavorare per redimere dal male questa
terra, già da Lui benedetta con la sua vita, morte e risurrezione, annunciando la sua Parola,
testi-moniando il suo amore, diventando operatori di pace.
Vi invito quindi a sentirvi tutti solidali con coloro che soffrono, senza distinzione di
popoli, di razza o di religione. Gli avvenimenti di questi giorni, il clima di guerra
annunciata, ci richiamano a continuare nel nostro impegno di cristiani e di figli di Don
Bosco, ad aprire gli occhi ed il cuore sulle persone, i giovani in particolare, che in tante
parti del mondo soffrono per la fame e la malattia, per l'ingiustizia e per la guerra, per la
prepotenza e l'emar-ginazione. Non possiamo assolutamente permetterci di allentare
l'impegno di servizio a Dio, che ci fa essere segni e portatori del suo amore ai giovani e alla
gente di tutto il mondo.
La nostra vocazione di educatori è direttamente innestata sui doni dello Spirito e se
ne fa portatrice. Oggi più che mai i valori umani illuminati dalla sapienza del Vangelo
hanno bisogno del nostro servizio devoto, convinto, costante. Quei valori che lo Spirito ha
arric-chito della sua sapienza e che provengono direttamente dal cuore e dalla parola del
Signore Gesù, possono fare di questa terra una casa di pace, un luogo dove imparare e
sperimentare la stessa agape che vivremo in eterno in paradiso con la Santissima Trinità.
Ecco cosa mi sta a cuore: una ferma e determinata «guerra d'amore» che abbia come
obiettivo la conquista del cuore di ogni uomo e di ogni giovane a Cristo. Vi invito pertanto
a intensificare l'opera di educazione ai valori della solidarietà, della tolleranza, della pace,
della giustizia, della fratellanza, ecc., ispirandovi a quel principio salesiano che ci porta ad
evangelizzare educando ed educare evangelizzando.
Assieme al Santo Padre, intensifichiamo la nostra preghiera per la pace e per la giu-
stizia nel mondo, chiedendo al Signore che converta i cuori al bene e ispiri in tutti
sentimenti che portino alla fratellanza fra le persone, sconfiggano le differenze razziali e di
ogni genere ed aiutino a vivere in comunione fraterna.
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60.4 Page 594

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Prego per voi affinché il Signore non vi lasci cadere nello sconforto, nello scoraggia-
mento e nella paura, ma vi dia coraggio e fiducia. Ci aiuti Maria Santissima, Madre di Cristo
e di ogni uomo. Nel suo nome vi benedico e vi porto tutti nel cuore.
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60.5 Page 595

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BIBLIOGRAFIA
ALSZEGHY, Z., «Problema teologico dell'inculturazione del cristianesimo», in Strus, A., e
Amato, A. (a cura di), Inculturazione e formazione salesiana. Dossier dell'Incontro
di Roma, 12-17 settembre 1983, Roma, S.D.B, 1984, p. 1539.
Annunciare, celebrare, testimoniare: il Vangelo della carità in una pastorale organica. Atti
del Convegno unitario dei responsabili diocesani degli uffici catechistico, liturgico e
Caritas (Assisi, 22-26 giugno 1992), Bologna, EDB, 1993.
ARANGUREN, J.L., Ética, Madrid, Revista de Occidente, 1959.
AZEVEDO, M., Da dove viene la coscienza attuale della Chiesa circa la necessità dell'incul-
turazione, in «Inculturazione» (USG, XXX Riunione), pro manuscripto, 1984.
BACCHI, N., Don Juan Edmundo Vecchi Monti, 8. Successore di Don Bosco. Dal Rio Negro
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VECCHI, J.E., «Riflessioni dopo il «Confronto DB88»», Atti del Consiglio generale della
Società salesiana di san Giovanni Bosco, LXX/328, 1989, p. 3038.
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VECCHI, J.E., «Scuola salesiana», Atti del Consiglio superiore della Società salesiana di san
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VECCHI, J.E., «Sistema preventivo», in Vecchi, J.E. e Prellezo, J.M. (a cura di), Progetto
educativo pastorale. Elementi modulari, Roma, LAS, 1984, p. 7292.
VECCHI, J.E., «Verso una nuova tappa di Pastorale Giovanile Salesiana», in Vecchi, J.E., e
Dicastero per la pastorale giovanile, (a cura di), Il cammino e la prospettiva 2000,
Roma, Editrice S.D.B (coll. «Documenti P.G.»), 1991, p. 39106.
VECCHI, J.E., Ambientes para la pastoral juvenil. Lugares de ayer y de hoy en la
evangelizacion de los jovenes, Madrid, Editorial CCS, 1991.
VECCHI, J.E., Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo. Volgiamoci a Lui
con amore per essere con i giovani costruttori di fraterna solidarietà. Strenna 1999,
Roma, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, 1998.
VECCHI, J.E., Con lo sguardo fisso in Gesù, primogenito di molti fratelli, aiutiamo i giovani
ad accoglierlo nella fede. Strenna 1997, Roma, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice,
1997.
VECCHI, J.E., Cristo dono per tutti. Come frutto del Giubileo, ravviviamo lo spirito e la
solidarietà missionaria. Strenna 2001, Roma, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice,
2001.
VECCHI, J.E., Dire Dio ai giovani, Leumann (To), Elle Di Ci, 1999.
VECCHI, J.E., Duc in altum. Al mare aperto e verso il profondo. Strenna 2002, Roma, Istituto
Figlie di Maria Ausiliatrice, 2002.
VECCHI, J.E., Educatori appassionati esperti e consacrati per i giovani. Lettere circolari ai
Salesiani, a cura di Bay, M., Roma, LAS, 2013.
VECCHI, J.E., Il «da mihi animas» è il dono di sé che vivifica tutta l'esistenza: quella dell'at-
tività e quella della pazienza. Strenna 1996, Roma, Scuola tipografica privata FMA,
1996.
VECCHI, J.E., Il cammino e la prospettiva 2000, Roma, S.D.B., 1991.
VECCHI, J.E., La comunità educativa soggetto ecclesiale. Interrogativi e punti di approfon-
dimento. [Relazione per l'intervento all'assemblea dell'Ispettoria San Marco], Mo-
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VECCHI, J.E., Nel nome di Cristo, nostra pace, lasciatevi riconciliare. Strenna 2000, Roma,
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VECCHI, J.E., Nella speranza siamo stati salvati. Riscopriamo con i giovani la presenza dello
Spirito nella Chiesa. Strenna 1998, Roma, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, 1998.
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Maggiore Don E. Viganò, Roma, Editrice S.D.B., 1983.
- 604 -

61.7 Page 607

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INDICE
INTRODUZIONE..............................................................................................................................3
ABBREVIAZIONI E SIGLE..........................................................................................................11
1. PER ELABORARE SERIAMENTE UN PROGETTO EDUCATIVO ............................15
1. DALLE PROGRAMMAZIONI AL PROGETTO ...................................................................................15
1.1 PERCHÉ «PROGETTO»? .............................................................................................................15
1.2 NEL PROGETTO C'È LA COMBINAZIONE DI VARI ELEMENTI .......................................................16
2. LA COMUNITÀ EDUCATIVA ELABORA IL PROGETTO....................................................................17
2.1 CHI ELABORA IL PROGETTO......................................................................................................17
2.2 IL PROGETTO CREA LA COMUNITÀ EDUCATIVA ........................................................................18
2.3 FARE STRADA ASSIEME ............................................................................................................18
3. LINEE DI RIFLESSIONE PER ELABORARE IL PROGETTO ................................................................19
3.1 ATTENZIONE ALLA CONDIZIONE GIOVANILE ............................................................................19
3.2 LA «MEMORIA SOCIALE»..........................................................................................................20
3.3 IL SENSO «RELIGIOSO» DELL'ESISTENZA E DELL'EDUCAZIONE..................................................21
3.4 ATTENZIONE ALLE SCIENZE DELL'EDUCAZIONE .......................................................................22
4. I FATTORI DINAMIZZANTI...........................................................................................................22
4.1 LA PARTECIPAZIONE ................................................................................................................22
4.2 L'ANIMAZIONE .........................................................................................................................23
4.3 L'INSERIMENTO DELLA CHIESA LOCALE...................................................................................23
2. L'ORIGINALITÀ DI UN SERVIZIO EDUCATIVO NELLA CHIESA..........................24
1. SCUOLA COME AMBIENTE E VIA DI EVANGELIZZAZIONE ............................................................24
2. SUPPLENZA O ORIGINALITÀ? ......................................................................................................25
3. CARATTERE SPECIFICO...............................................................................................................25
4. COME FARE LA SINTESI ..............................................................................................................26
5. ESSERE UNA «VERA SCUOLA» ....................................................................................................26
6. RIFERIMENTO A CRISTO ESPLICITO E CONDIVISO .......................................................................27
3. CENTRI DI PREPARAZIONE PROFESSIONALE .........................................................29
1. NEL MONDO DEL LAVORO ..........................................................................................................29
2. I CENTRI PROFESSIONALI OGGI...................................................................................................30
3. SULLA SCIA DI UN'EVOLUZIONE .................................................................................................30
4. COSTANTI E LINEE DI PROGRESSO ..............................................................................................31
5. SPIRITUALITÀ E COLLOCAZIONE PASTORALE .............................................................................33
4. IL NOSTRO IMPEGNO CATECHISTICO .......................................................................34
1. I CENTRI CATECHISTICI ..............................................................................................................34
2. LA CATECHESI NELL'ANIMAZIONE PASTORALE DELL'ISPETTORIA...............................................35
3. LA COMUNITÀ LOCALE A SERVIZIO DELLA CATECHESI...............................................................36
4. PERSONE E BENI MATERIALI.......................................................................................................37
5. ZELO INVENTIVO........................................................................................................................38
5. IL NOSTRO IMPEGNO PER LE VOCAZIONI................................................................39
6. PREPARAZIONE DEI SALESIANI PER IL MONDO DEL LAVORO .........................42
1. ALCUNE COSTATAZIONI .............................................................................................................42
2. COSCIENZA E SENSO «PASTORALE» ...........................................................................................46
3. INCARNAZIONE CULTURALE.......................................................................................................48
4. LA QUALIFICAZIONE EDUCATIVA ...............................................................................................52
5. PRASSI DI ANIMAZIONE COMUNITARIA.......................................................................................55
- 605 -

61.8 Page 608

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6. CONCLUSIONE............................................................................................................................56
7. SCUOLA SALESIANA .........................................................................................................57
1. IL PROBLEMA ATTUALE..............................................................................................................57
2. UN MODELLO OPERATIVO ..........................................................................................................57
3. LA COMUNITÀ EDUCATIVA.........................................................................................................58
4. IL LIVELLO PROFESSIONALE .......................................................................................................59
5. L'ORIGINALITÀ CULTURALE .......................................................................................................59
6. L'ANIMAZIONE PASTORALE ........................................................................................................60
7. IL CUORE ORATORIANO ..............................................................................................................61
8. GIOVANI E RICONCILIAZIONE......................................................................................63
1. INVITO A RIFLETTERE.................................................................................................................63
2. ASPETTI DA APPROFONDIRE .......................................................................................................64
3. TESTIMONI, EDUCATORI, MINISTRI .............................................................................................65
9. PASTORALE GIOVANILE: DOCUMENTI E PUNTI DA VERIFICARE....................67
1. DOCUMENTI...............................................................................................................................67
2. PUNTI DA VERIFICARE................................................................................................................69
10. PASTORALE E SPORT .......................................................................................................71
1. PRIMO TEMPO: FACCIAMO MEMORIA..........................................................................................71
1.1 UN LEGAME CHE VIENE DA LONTANO ......................................................................................71
1.2 SPONTANEITÀ E MATURAZIONE ...............................................................................................72
1.3 ELEMENTO DI PASTORALE........................................................................................................72
1.4 UNA PEDAGOGIA DEL GIOCO ....................................................................................................74
2. SECONDO TEMPO: UNO SGUARDO ALL'OGGI ...............................................................................75
2.1 INTERROGATIVI........................................................................................................................75
2.2 LE SCELTE DI BASE...................................................................................................................76
2.3 LO SPORT DI FRONTE ALLE SCELTE...........................................................................................78
3. TERZO TEMPO: CONDIZIONI E ITINERARI ....................................................................................78
4. CONCLUDENDO..........................................................................................................................82
11. CARATTERISTICHE DELLA PARROCCHIA SALESIANA E INDICAZIONI PER
LA SUA ATTUAZIONE .................................................................................................................83
1. PREMESSA: UNO SGUARDO ALLA STORIA ...................................................................................83
1.1 GLI INIZI ..................................................................................................................................83
1.2 I CAPITOLI GENERALI 19 E 20 ..................................................................................................84
1.3 IL CAPITOLO GENERALE 21 .....................................................................................................85
2. LA PARROCCHIA «SALESIANA» ..................................................................................................86
3. LA LINEA COMUNITARIA ............................................................................................................86
3.1 L'ESPERIENZA ECCLESIALE.......................................................................................................86
3.2 L'ESPERIENZA SALESIANA ........................................................................................................87
3.2.1 LA TESTIMONIANZA DELLA COMUNITÀ RELIGIOSA ...............................................................88
3.2.2 IL RAPPORTO DI COMUNIONE CON LA CHIESA LOCALE ..........................................................89
3.2.3 SOSTENERE LO SVILUPPO DI GRUPPI E ASSOCIAZIONI ............................................................89
3.2.4 FAVORIRE LA PARTECIPAZIONE E L'INSERIMENTO NEL TERRITORIO ......................................90
4. L'ATTENZIONE PREFERENZIALE AI GIOVANI ...............................................................................91
4.1 PERCHÉ UN'OPZIONE PRIORITARIA PER I GIOVANI ....................................................................92
4.2 UN ATTEGGIAMENTO DI FIDUCIA E SIMPATIA ...........................................................................92
4.3 UNA SPECIALIZZAZIONE «PROFESSIONALE».............................................................................93
4.4 LO SPAZIO DELL'ORATORIO-CENTRO GIOVANILE......................................................................93
4.5 NELL'OTTICA DELLA COMUNITÀ ..............................................................................................93
- 606 -

61.9 Page 609

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5. UN PROGETTO EDUCATIVO-PASTORALE .....................................................................................95
5.1 DUE SENSI COMPLEMENTARI: EVANGELIZZAZIONE E PROMOZIONE UMANA .............................95
5.2 TRATTI QUALIFICANTI IL PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE SALESIANO..............................96
5.2.1 VALORIZZAZIONE DELLA CATECHESI....................................................................................96
5.2.2 VITA LITURGICO-SACRAMENTALE ........................................................................................97
5.2.3 DIMENSIONE MARIANA .........................................................................................................97
5.2.4 LA PREOCCUPAZIONE VOCAZIONALE ....................................................................................97
6. ALCUNE CONDIZIONI..................................................................................................................98
6.1 L'UBICAZIONE GEOGRAFICA E SOCIALE....................................................................................98
6.2 LE PERSONE .............................................................................................................................99
6.3 IL «NUMERO» DELLE PARROCCHIE ...........................................................................................99
6.4 LE STRUTTURE E I PIANI ...........................................................................................................99
6.5 COMMISSIONI E CONSULTE.....................................................................................................101
7. CONCLUSIONE..........................................................................................................................101
12. PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE.......................................................................102
1. SIGNIFICATO ............................................................................................................................102
2. LE RAGIONI ODIERNE ...............................................................................................................105
3. ASPETTI CONTENUTISTICI ........................................................................................................107
4. DINAMICA DI ELABORAZIONE DI UN PROGETTO .......................................................................108
13. ORIENTAMENTO E PASTORALE VOCAZIONALE ..................................................110
1. CONCETTO ...............................................................................................................................110
2. VOCAZIONE E VOCAZIONI ........................................................................................................111
3. PEDAGOGIA VOCAZIONALE ......................................................................................................114
3.1 GLI AMBIENTI ........................................................................................................................115
3.2 GLI ITINERARI ........................................................................................................................117
3.3 L'ORIENTAMENTO PERSONALIZZATO .....................................................................................119
4. ASPETTI PROGRAMMATICI E ORGANIZZATIVI ...........................................................................120
14. SISTEMA PREVENTIVO ..................................................................................................121
1. SIGNIFICATO E FONTI ...............................................................................................................121
2. UN'ISPIRAZIONE UNITARIA .......................................................................................................122
3. IL CRITERIO PREVENTIVO .........................................................................................................124
4. OBIETTIVI E CONTENUTI: L'UOMO E IL CRISTIANO; LA PERSONA E IL CITTADINO ......................126
5. IL PRINCIPIO DEL METODO: L'AMOREVOLEZZA .........................................................................129
6. INTERVENTI COERENTI E CONVERGENTI...................................................................................131
7. LE «OPERE» O I PROGRAMMI EDUCATIVI..................................................................................132
15. CAMMINARE CON I GIOVANI VERSO L'88 ...............................................................134
1. CON I GIOVANI .........................................................................................................................134
2. IN COMUNITÀ EDUCATIVE ........................................................................................................135
3. CON RINNOVATA VITALITÀ E COMPETENZA .............................................................................136
16. IL PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE .................................................................138
1. UNA «NORMA» PER TUTTE LE ISPETTORIE ...............................................................................138
2. NATURA DEL PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE ....................................................................139
3. LE AREE O DIMENSIONI DEL PROGETTO ....................................................................................139
4. I PUNTI DI RIFERIMENTO...........................................................................................................141
17. ANIMAZIONE PASTORALE DELL'ISPETTORIA ......................................................144
1. PREMESSE ................................................................................................................................144
1.1. L'ISPETTORIA ........................................................................................................................144
- 607 -

61.10 Page 610

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1.2. ANIMAZIONE.........................................................................................................................145
1.3. ORGANISMI ...........................................................................................................................145
2. L'ANIMAZIONE PASTORALE DELLE ISPETTORIE ........................................................................146
2.1. PRIMO PUNTO: IL CONSIGLIO ISPETTORIALE ASSUMA L'ANIMAZIONE PASTORALE
DELL'ISPETTORIA. ........................................................................................................................146
2.2. SECONDO PUNTO: ORGANIZZARE IL SERVIZIO DI ANIMAZIONE E CURARE IL SUO
FUNZIONAMENTO. ........................................................................................................................147
2.2.1 IL COORDINATORE-ANIMATORE PER LA PASTORALE GIOVANILE ........................................147
2.2.2 IL GRUPPO O EQUIPE DI RIFLESSIONE E DI LAVORO ..............................................................148
2.2.3 LE CONSULTE......................................................................................................................149
2.3. TERZO PUNTO: LA FORMAZIONE COSTANTE DEGLI OPERATORI .............................................149
2.3.1. LA FORMAZIONE INIZIALE .............................................................................................149
2.3.2. LA FORMAZIONE SPECIALIZZATA DEGLI ANIMATORI E IN GENERE DEI CONFRATELLI CON
ATTITUDINI E DISPOSIZIONI. .........................................................................................................149
2.3.3. LA FORMAZIONE PERMANENTE ..........................................................................................151
2.4. QUARTO PUNTO: IL COINVOLGIMENTO DELLE COMUNITÀ E DEI CONFRATELLI......................151
3. L'ANIMAZIONE INTERISPETTORIALE .........................................................................................153
18. IL NOSTRO IMPEGNO PER I RAGAZZI E I GIOVANI «A RISCHIO» ...................154
1. I SEMINARI...............................................................................................................................154
2. I MOTIVI E LE FINALITÀ ............................................................................................................154
3. CONCLUSIONI ..........................................................................................................................156
4. INDICAZIONI PRATICHE ............................................................................................................158
19. I GRUPPI DELLA FAMIGLIA SALESIANA RINNOVATI CERCANO DI
CONSEGNARE IL CONCILIO AL GIOVANI ATTRAVERSO LA PROPRIA MISSIONE
159
20. SALESIANI ED EMARGINAZIONE GIOVANILE IN EUROPA ................................163
1. DESTINATARI PER I SALESIANI .................................................................................................163
2. I GIOVANI «POVERI» DI DON BOSCO.........................................................................................164
3. LA CONGREGAZIONE ...............................................................................................................165
4. ALCUNI CRITERI O PUNTI DI ATTENZIONE.................................................................................169
4.1 LA DIMENSIONE COMUNITARIA ..............................................................................................169
4.2 IL CRITERIO EDUCATIVO.........................................................................................................171
4.3 L'INTENZIONALITÀ PASTORALE. L'ANNUNCIO DI CRISTO .......................................................173
21. PASTORALE VOCAZIONALE ........................................................................................175
1. UN IMPEGNO SENTITO ..............................................................................................................175
2. PASTORALE VOCAZIONALE NELLA PASTORALE GIOVANILE......................................................176
3. IL COINVOLGIMENTO DELLE COMUNITÀ...................................................................................177
4. UN'ATTENZIONE: I GIOVANI .....................................................................................................178
5. ESPERIENZE PRIVILEGIATE .......................................................................................................179
6. CHIAMARE ...............................................................................................................................180
7. LA PROPOSTA SALESIANA ........................................................................................................180
8. CONCLUSIONE: PREGHIERA E INIZIATIVA .................................................................................181
22. LA PARROCCHIA SALESIANA ......................................................................................183
1. UN AMBIENTE PER LA NOSTRA MISSIONE .................................................................................183
2. L'UBICAZIONE DELLE PARROCCHIE ..........................................................................................184
3. LA PRESENZA DI UNA COMUNITÀ .............................................................................................185
4. LA SCELTA GIOVANILE.............................................................................................................186
23. L'ORATORIO-CENTRO GIOVANILE ...........................................................................188
- 608 -

62 Pages 611-620

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62.1 Page 611

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1. CRITERIO PERMANENTE ...........................................................................................................188
2. AMBIENTE SPECIFICO...............................................................................................................189
3. LE CONDIZIONI DA ASSICURARE...............................................................................................190
24. RACCONTARE IL VANGELO DELLA FELICITÀ AI GIOVANI «LONTANI» ......193
1. UN «ATTIMO» DI MEMORIA ......................................................................................................193
2. I GIOVANI LONTANI OGGI .........................................................................................................193
3. DALLA PARTE DEI «LONTANI» .................................................................................................194
4. L'ATTEGGIAMENTO FONDAMENTALE: ESSERE «COMPAGNIA»..................................................195
4.1 ANDARE «VERSO» I LONTANI.................................................................................................195
4.2 INVITO E ACCOGLIENZA .........................................................................................................196
4.3 CAMMINARE INSIEME.............................................................................................................196
5. SEGNI E PORTATORI DI UNA «LIETA NOTIZIA» ..........................................................................197
5.1 LA SCOPERTA DEL DONO «DENTRO» DI NOI............................................................................198
5.2 L'INVITO «OLTRE» LA VITA: L'INCONTRO CON CRISTO ...........................................................198
6. GLI SPAZI DELL'ANNUNCIO ......................................................................................................199
6.1 LO SPAZIO «FUORI DALLE MURA» E GLI INVITI GENERALI ......................................................199
6.2 AMBIENTI DI ACCOGLIENZA E GRUPPI EDUCATIVI ..................................................................200
25. L'ORATORIO SALESIANO TRA MEMORIA E PROFEZIA......................................201
1. UNA NUOVA DOMANDA ...........................................................................................................201
2. L'ORATORIO SALESIANO "MISSIONE APERTA" NEL CONTINENTE GIOVANILE ............................204
3. LA MISSIONE HA UN "AMBIENTE" DI RIFERIMENTO E IRRADIAZIONE ........................................206
4. MISSIONE APERTA E AMBIENTE DI RIFERIMENTO SI PROPONGONO LA SALVEZZA DEI GIOVANI.209
5. ATTRAVERSO UN PROGRAMMA ORIGINALE DI ESPRESSIONE GIOVANILE, EVANGELIZZAZIONE,
ANIMAZIONE CULTURALE ............................................................................................................211
6. CONCLUSIONE: QUALE PROFEZIA .............................................................................................216
26. RIFLESSIONI DOPO IL «CONFRONTO DB88» ...........................................................218
1. IL VALORE DEGLI ORGANISMI DI ANIMAZIONE E INTERCOMUNICAZIONE..................................218
2. IL NUOVO SOGGETTO GIOVANILE .............................................................................................219
3. DON BOSCO ISPIRA: LA SPIRITUALITÀ GIOVANILE SALESIANA .................................................220
4. IL MOVIMENTO GIOVANILE SALESIANO ..................................................................................221
5. I LUOGHI SALESIANI .................................................................................................................222
6. PUNTO DI PARTENZA ................................................................................................................222
27. L'OPERATORE PASTORALE E LA BIBBIA ................................................................223
1. MATERIALE DIDATTICO DI PRIMO ORDINE: MODELLI, SITUAZIONI, RISONANZE ........................223
2. MODELLI, RISONANZE E INTERPRETAZIONE DAI «POVERI».......................................................223
3. TESTO PER LA FORMAZIONE DELLA MENTALITÀ PASTORALE ...................................................223
4. CHIAVE DI LETTURA E CRITERIO DI SCELTA NEI PROGETTI .......................................................224
28. LA COMUNITÀ SALESIANA LOCALE .........................................................................226
1. LA CONSISTENZA DELLA COMUNITÀ ........................................................................................226
2. IL DIRETTORE E IL CONSIGLIO .................................................................................................227
3. LA VITA DELLA COMUNITÀ ......................................................................................................228
4. IL GIORNO DELLA COMUNITÀ ...................................................................................................229
5. UN PROPOSITO DEL SESSENNIO ................................................................................................229
29. L'ANZIANITÀ: UN'ETÀ DA VALORIZZARE ..............................................................230
1. UN FATTO NUOVO ....................................................................................................................230
2. UNA VISIONE ADEGUATA .........................................................................................................230
3. CONDIVIDERE LA CONDIZIONE DEGLI ANZIANI.........................................................................231
- 609 -

62.2 Page 612

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4. PREPARARSI AD INVECCHIARE BENE ........................................................................................233
30. SALESIANI E MOVIMENTI ECCLESIALI ...................................................................235
1. UNA VALUTAZIONE POSITIVA ..................................................................................................235
2. LA PRESENZA DEI MOVIMENTI NEGLI AMBIENTI EDUCATIVI E PASTORALI SALESIANI...............236
3. IL COINVOLGIMENTO E L'APPARTENENZA DEI CONFRATELLI AI MOVIMENTI ECCLESIALI .........237
31. LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA CARITÀ NELLA MENTALITÀ E NELLA
PRASSI PASTORALE DEI SALESIANI ...................................................................................239
1. PREMESSA................................................................................................................................239
2. MENTALITÀ DEL SDB CIRCA LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA CARITÀ....................................239
3. IL CONTENUTO SOCIALE DELLA NOSTRA EDUCAZIONE .............................................................241
32. PASTORALE, EDUCAZIONE, PEDAGOGIA NELLA PRASSI SALESIANA ..........244
1. PREMESSE ................................................................................................................................244
2. FATTORI DELL'EVOLUZIONE.....................................................................................................245
2.1 L'EMERGERE DELLA PASTORALE ............................................................................................245
2.2 L'ALLARGAMENTO DEL CAMPO DI AZIONE .............................................................................247
2.3 LA PERCEZIONE DELLA NUOVA DOMANDA EDUCATIVA .........................................................248
2.4 IL CAMBIAMENTO DELLE STRUTTURE DI ANIMAZIONE ...........................................................248
2.5 LA RIFORMULAZIONE DEI CONTENUTI....................................................................................250
2.6 IL DECENTRAMENTO ..............................................................................................................251
2.7 LA PREPARAZIONE DEL PERSONALE .......................................................................................252
3. TENTATIVI DI FRONTE ALLA «COMPLESSITÀ» ..........................................................................253
3.1 EVANGELIZZAZIONE - EDUCAZIONE ......................................................................................253
3.2 LA PROGETTAZIONE EDUCATIVO-PASTORALE ........................................................................255
3.3 ALCUNE RISPOSTE ALLE NUOVE DOMANDE............................................................................256
4. A MO' DI CONCLUSIONE: PER FAR FRONTE ALLA «COMPLESSITÀ» ............................................259
33. VERSO UNA NUOVA TAPPA DI PASTORALE GIOVANILE SALESIANA ............262
1. AVVERTENZA...........................................................................................................................262
2. PREMESSA: ...UN'AREA NUOVA NELLA PASTORALE DELLA CHIESA ..........................................262
3. LA QUESTIONE GIOVANILE .......................................................................................................263
3.1 PRIMA DELLA QUESTIONE GIOVANILE ....................................................................................263
3.2 IL FENOMENO GIOVANILE DEGLI ANNI '60 ..............................................................................265
3.3 IL 77: NOVITÀ E CONTINUAZIONE...........................................................................................266
3.4 VERSO GLI ANNI '90 ...............................................................................................................266
3.5 SFIDE ATTUALI ALLA PASTORALE ..........................................................................................269
4. LA CHIESA DI FRONTE ALLA QUESTIONE GIOVANILE................................................................271
4.1 LA RIFLESSIONE TEOLOGICO-PASTORALE ..............................................................................272
4.2 LA PRASSI DELLA CHIESA NEI CONFRONTI DEI GIOVANI.........................................................274
4.3 VERSO UNA VISIONE ORGANICA DELLA PASTORALE GIOVANILE: I PROGETTI .........................276
5. IL CAMMINO DELLA CONGREGAZIONE .....................................................................................278
5.1 LA PERCEZIONE DELLA NUOVA SITUAZIONE DEI GIOVANI ......................................................278
5.2 LA RIFORMULAZIONE DEI CONTENUTI E DELLE MODALITÀ EDUCATIVI ..................................279
5.3 L'ADEGUAMENTO DELLE INIZIATIVE, L'ALLARGAMENTO DEL CAMPO DI AZIONE, LA
DIVERSIFICAZIONE DEGLI INTERVENTI .........................................................................................282
5.4 UNA PROPOSTA DI QUALIFICAZIONE: IL RIDIMENSIONAMENTO ..............................................283
5.5 LE STRUTTURE DI ANIMAZIONE E GOVERNO...........................................................................284
5.6 IL PROGETTO EDUCATIVO PASTORALE ...................................................................................286
5.7 LA QUALIFICAZIONE DEI PROGRAMMI NELLE OPERE ..............................................................287
5.8 IL SOGGETTO DELLA PASTORALE SALESIANA .........................................................................288
6. RILIEVI SULL'AZIONE DELLA PASTORALE GIOVANILE IN CONGREGAZIONE..............................289
- 610 -

62.3 Page 613

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6.1 DISLIVELLO TRA QUANTITÀ DI PROPOSTE E POSSIBILITÀ DI ATTUARLE ..................................289
6.2 EMERGENZA DI NUOVI SPAZI EDUCATIVI................................................................................290
6.3 LO SFORZO DI RINNOVAMENTO ..............................................................................................291
6.4 DUE «FORME» DI PRESENZA TRA I GIOVANI ...........................................................................292
6.5 UN SENSO DI DISAGIO.............................................................................................................292
7. PROSPETTIVE ...........................................................................................................................293
7.1 RIPARTIRE DA GIOVANI-PROGETTO-COMUNITÀ .....................................................................293
7.2 IL PUNTO FOCALE DI ATTENZIONE: LA QUALITÀ DELL'AZIONE EDUCATIVA PASTORALE.........294
7.3 LA CONSISTENZA DELLA COMUNITÀ SALESIANA LOCALE.......................................................295
7.4 APPROFONDIRE I NODI DELL'ESPERIENZA DELLA FEDE...........................................................296
7.5 L'ADEGUATEZZA DELLE ISTITUZIONI......................................................................................298
34. L'ANIMAZIONE MISSIONARIA IN UN PROGETTO DI PASTORALE GIOVANILE
300
1. DI FRONTE ALLA COMPLESSITÀ................................................................................................300
2. IL PROGETTO ............................................................................................................................300
3. IL CAMMINO DI FEDE ................................................................................................................301
4. L'ANIMAZIONE .........................................................................................................................302
5. L'ANIMAZIONE MISSIONARIA ...................................................................................................302
6. IL MATERIALE PEDAGOGICO DELLE «MISSIONI» .......................................................................303
7. VALUTAZIONE DELL'ANIMAZIONE MISSIONARIA......................................................................304
8. UN'INIZIATIVA ESEMPLARE ......................................................................................................305
35. LA CULTURA DELLA SOLIDARIETÀ ..........................................................................307
1. UN'URGENZA SENTITA .............................................................................................................307
2. L'AUSPICIO DI UNA «CULTURA» DELLA SOLIDARIETÀ ..............................................................308
3. IL COMPITO EDUCATIVO E PASTORALE .....................................................................................309
36. LA SIGNIFICATIVITÀ DELLA PRESENZA SALESIANA .........................................311
1. UN CRITERIO DI VERIFICA ........................................................................................................311
2. GLI ELEMENTI DI SIGNIFICATIVITÀ...........................................................................................312
3. IL CAMMINO VERSO UNA MAGGIORE SIGNIFICATIVITÀ .............................................................314
37. L'EMARGINAZIONE GIOVANILE IN EUROPA SFIDA OGGI LA MISSIONE
SALESIANA ..................................................................................................................................315
1. PREMESSA................................................................................................................................315
2. LA MISSIONE SALESIANA ........................................................................................................315
3. LA «SIGNIFICATIVITÀ» DELLA PRESENZA SALESIANA OGGI......................................................317
4. LE NUOVE POVERTÀ.................................................................................................................318
5. LA SFIDA DELL'ATTUALE EMARGINAZIONE ALLA «SIGNIFICATIVITÀ» DEI SALESIANI...............320
38. NOTE DI PASTORALE GIOVANILE: UNA PASTORALE GIOVANILE ATTENTA
AI PROCESSI EDUCATIVI ........................................................................................................325
1. UNA COLLOCAZIONE ORIGINALE..............................................................................................325
2. L'ISPIRAZIONE..........................................................................................................................326
2.1 IL «SISTEMA PREVENTIVO» ....................................................................................................326
2.2 LA PRASSI EDUCATIVA ...........................................................................................................327
2.3 LA NUOVA PROGETTUALITÀ...................................................................................................328
2.4 IL SALTO DI QUALITÀ DELLA PASTORALE ...............................................................................328
3. VERSO IL FONDAMENTO TEOLOGICO........................................................................................330
4. UNA PASTORALE DEL SOGGETTO .............................................................................................331
5. LA SCELTA PASTORALE: EDUCARE ...........................................................................................332
6. PER EDUCARE ALLA FEDE... ANIMARE .....................................................................................333
- 611 -

62.4 Page 614

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7. DUE ATTENZIONI ESEMPLARI ...................................................................................................335
7.1 LA COSTRUZIONE DELL'IDENTITÀ...........................................................................................335
7.2 LA COMUNICAZIONE ..............................................................................................................336
8. UN CAMMINO DI FEDE ..............................................................................................................337
39. LE DIMENSIONI PEDAGOGICHE DELLA CULTURA DELLA SOLIDARIETÀ ..339
1. IL BISOGNO DI SOLIDARIETÀ ....................................................................................................339
2. LE DIMENSIONI DELLA SOLIDARIETÀ .......................................................................................339
3. PER UNA CULTURA DELLA SOLIDARIETÀ..................................................................................340
4. SOLIDARIETÀ E EDUCAZIONE ...................................................................................................341
40. CULTURA E VOCAZIONI ................................................................................................343
1. UN CONFRONTO PROBLEMATICO E NECESSARIO.......................................................................343
2. APPROFONDIMENTI ..................................................................................................................345
2.1. LA VOCAZIONE CRISTIANA: NOVITÀ E ORIGINALITÀ..............................................................345
2.2. INCULTURAZIONE DELLA VOCAZIONE ...................................................................................347
2.3. LA SIGNIFICATIVITÀ..............................................................................................................349
3. LA CULTURA: TENDENZE, COSTANTI E SFIDE............................................................................350
4. I MODELLI VOCAZIONALI .........................................................................................................355
41. L'OPZIONE GIOVANILE NELLA PARROCCHIA SALESIANA...............................362
1. PREMESSE ................................................................................................................................362
2. COME SI PRESENTA IL CAMPO GIOVANILE DELLA PARROCCHIA................................................364
3. GLI OBIETTIVI DELLA PASTORALE GIOVANILE PARROCCHIALE ................................................365
4. RISORSE E LINEE DI AZIONE .....................................................................................................368
4.1 UNA COMUNITÀ CON VOCAZIONE GIOVANILE ........................................................................368
4.2 UNA COMUNITÀ CRISTIANA EDUCATRICE...............................................................................369
4.3 UN AMBIENTE GIOVANILE DI EDUCAZIONE ED EVANGELIZZAZIONE .......................................370
4.4 GRUPPI E MOVIMENTI ECCLESIALI..........................................................................................372
4.5 LA PASTORALE DI ZONA .........................................................................................................373
5. ELEMENTI ORGANIZZATIVI.......................................................................................................374
42. L'EDUCAZIONE ALL'AMORE SECONDO L'INSEGNAMENTO SALESIANO NEL
POST CONCILIO .........................................................................................................................376
1. CHIARIMENTI ...........................................................................................................................376
2. ALCUNE CONDIZIONI PER EDUCARE ALL'AMORE ......................................................................379
3. INDICAZIONI PER UN ITINERARIO..............................................................................................383
4. GLI AMBITI DI COMUNICAZIONE...............................................................................................386
43. L'ASSOCIAZIONISMO LAICO SALESIANO E LA DIMENSIONE SOCIALE
DELLA CARITÀ...........................................................................................................................389
1. LA SFIDA DEGLI ANNI 90 ..........................................................................................................389
2. TRE SCENARI DELLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA CARITÀ ......................................................390
3. UNA NUOVA STAGIONE ASSOCIATIVA «CHRISTIFIDELES LAICI»...............................................393
4. IL QUALIFICATIVO DI SALESIANO .............................................................................................394
5. AREE DI IMPEGNO PER ATTUARE LA DIMENSIONE SOCIALE DELLA CARITÀ ..............................396
44. LA COMUNITÀ EDUCATIVA SOGGETTO ECCLESIALE. INTERROGATIVI E
PUNTI DI APPROFONDIMENTO.............................................................................................398
1. LA SOGGETTIVITÀ DELLA COMUNITÀ EDUCATIVA....................................................................398
2. SOGGETTO ECCLESIALE ...........................................................................................................400
3. APPLICAZIONI E CONSEGUENZE PER LE COMUNITÀ EDUCATIVE PASTORALI SALESIANE .........404
3.1 LA STRUTTURA INTERNA........................................................................................................404
- 612 -

62.5 Page 615

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3.2 L'ORIGINALITÀ CARISMATICA ................................................................................................406
4. IL RUOLO DELLA COMUNITÀ RELIGIOSA...................................................................................409
45. INCONTRI GIOVANILI: REALTÀ E POSSIBILITÀ ...................................................411
1. GLI INCONTRI GIOVANILI .........................................................................................................411
2. SENTIRSI CHIESA .....................................................................................................................413
3. SCOPRIRE I LUOGHI DELL'ESPERIENZA DELLA FEDE .................................................................414
4. OPERARE PROCESSI DI CONVERSIONE.......................................................................................415
5. ESSERE E OFFRIRE LA BUONA NOVELLA ..................................................................................416
6. CONTROLLARE I RISCHI............................................................................................................416
7. DUE PUNTI CHIAVE ..................................................................................................................417
46. IL SISTEMA PREVENTIVO ESPERIENZA DI SPIRITUALITÀ................................419
1. ALCUNI CHIARIMENTI ..............................................................................................................419
2. L'ESPERIENZA SPIRITUALE DELLA FAMIGLIA SALESIANA .........................................................421
3. L'ESPERIENZA DI SPIRITUALITÀ NELL'EDUCAZIONE..................................................................424
3.1 RIMEDITARE L'EDUCAZIONE ALLA LUCE DELLA PAROLA DI DIO ............................................424
3.2 GUARDARE AL MISTERO DI CRISTO REDENTORE DELL'UOMO................................................426
3.3 LA RAGIONE E LA FEDE COME CAPACITÀ DI LETTURA E DISCERNIMENTO EVANGELICO..........427
3.4 UN ITINERARIO DI CARITÀ CHE DIVENTA PRASSI EDUCATIVA.................................................429
3.5 CONTEMPLARE NELL'AZIONE EDUCATIVA..............................................................................431
47. L'ORATORIO SALESIANO: LUOGO DI NUOVA RESPONSABILITÀ E
MISSIONARIETÀ GIOVANILE ................................................................................................433
1. CIRCA LA NUOVA RESPONSABILITÀ E MISSIONARIETÀ .............................................................433
2. L'ITINERARIO ORATORIANO VERSO UNA NUOVA RESPONSABILITÀ E MISSIONARIETÀ...............438
3. L'ALVEO PIÙ PROFONDO...........................................................................................................443
48. GIOVENTÙ: TERRA DI MISSIONE. LA SITUAZIONE E LE PROSPETTIVE
PASTORALI ..................................................................................................................................444
1. I NOVANTANOVE CHE MANCANO..............................................................................................444
2. STORIE PERSONALI...................................................................................................................445
3. LE RADICI COMUNI...................................................................................................................446
4. MISSIONE NEL MONDO GIOVANILE...........................................................................................448
4.1 L'ESIGENZA DI UNA NUOVA MENTALITÀ ................................................................................448
4.2 CREARE LUOGHI DI INCONTRI ................................................................................................449
4.3 RIPENSARE LA PRESENTAZIONE DEL MESSAGGIO CRISTIANO .................................................450
4.4 CURARE LA QUALITÀ DEL FRAMMENTO .................................................................................451
4.5 LA PROSPETTIVA DEL LIEVITO................................................................................................452
49. INDICAZIONI PER UN CAMMINO DI SPIRITUALITÀ SALESIANA .....................453
1. L'INIZIATIVA DI DIO .................................................................................................................454
2. LA CONSACRAZIONE APOSTOLICA............................................................................................456
3. IL CRISTO CHE SEGUIAMO E CONTEMPLIAMO ...........................................................................458
4. LA CARITÀ PASTORALE ............................................................................................................461
5. «DA MIHI ANIMAS» ..................................................................................................................463
6. «STUDIA DI FARTI AMARE»: LA PEDAGOGIA DELLA BONTÀ .....................................................465
7. L'ESTASI DELL'AZIONE .............................................................................................................467
8. LA GRAZIA DI UNITÀ ................................................................................................................469
9. EDUCARE EVANGELIZZANDO, EVANGELIZZARE EDUCANDO ....................................................471
10.IMMACOLATA AUSILIATRICE .................................................................................................473
- 613 -

62.6 Page 616

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50. «VERSO UNA SINERGIA AMPIA, CONDIVIDENDO MISSIONE, SPIRITO E
PROGETTI A SERVIZIO DEI GIOVANI» ...............................................................................477
1. IL CG 24 ..................................................................................................................................477
2. LO SGUARDO AI GIOVANI .........................................................................................................477
3. UN NUOVO SOGGETTO EDUCATIVO ..........................................................................................478
4. UN NUCLEO DINAMIZZANTE.....................................................................................................478
5. UN IMPEGNO, UNA CULTURA COMUNE, UNA SOLIDARIETÀ.......................................................479
51. L'INVOCAZIONE DI EDUCAZIONE NELLA SOCIETÀ ATTUALE........................480
1. UNA FIDUCIA CONDIVISA .........................................................................................................480
2. RIPARTIRE DAGLI ULTIMI .........................................................................................................480
3. UNA NUOVA EDUCAZIONE........................................................................................................481
4. COMPLESSITÀ E LIBERTÀ .........................................................................................................482
5. SOGGETTIVITÀ E VERITÀ..........................................................................................................483
6. I BUONI CRISTIANI....................................................................................................................486
7. TESTIMONI E MEDIATORI DELLA VERITÀ ..................................................................................487
8. MONITORAGGIO EDUCATIVO NELLA VITA PUBBLICA ...............................................................488
9. SCOMMETTERE SULLA VERITÀ DELLA PERSONA.......................................................................489
52. NUOVA REALTÀ DEL DISAGIO GIOVANILE ............................................................492
1. UN FENOMENO IN AUMENTO ....................................................................................................492
2. UNA LETTURA ADEGUATA DELLA REALTÀ ...............................................................................493
3. UN CONTRIBUTO DEI CREDENTI................................................................................................497
53. I LAICI DELLA FAMIGLIA SALESIANA CHIAMATI AD OPERARE IN VASTI
SPAZI .............................................................................................................................................499
54. PER LA GIORNATA MISSIONARIA SALESIANA 1999 .............................................504
55. «L'ORATORIO: CONVOCAZIONE E AMBIENTE GIOVANILE»............................506
56. «L'EDUCAZIONE VIA PRIVILEGIATA PER L'ANNUNCIO EVANGELICO,
L'INCULTURAZIONE E DIALOGO INTER-RELIGIOSO» .................................................508
57. «PER UN CAMMINO DI COLLABORAZIONE» ..........................................................510
1. LA COMUNIONE NOSTRA MISSIONE GIUBILARE ........................................................................510
2. UN SEGNO DI COMUNIONE........................................................................................................511
3. ALLE RADICI DELLA COLLABORAZIONE ...................................................................................511
4. ATTEGGIAMENTI INTERIORI .....................................................................................................511
5. CRITERI OPERATIVI ..................................................................................................................512
6. ALCUNE PROPOSTE POSSIBILI...................................................................................................513
7. IN CAMMINO VERSO IL GIUBILEO .............................................................................................513
58. NEL CONTESTO DELLE TRASFORMAZIONI CULTURALI ATTUALI COME
UNA COMUNITÀ EDUCATIVA PASTORALE DI SCUOLA O CFP EDUCA I GIOVANI
ALLA FEDE ..................................................................................................................................514
59. «DON GIUSEPPE QUADRIO: SACERDOTE SALESIANO».......................................527
60. SISTEMA PREVENTIVO E LETTERA DELL'84..........................................................530
61. PASTORALE GIOVANILE ED ORIENTAMENTO VOCAZIONALE. ......................533
1. UNO SNODO DECISIVO..............................................................................................................533
1.1 UNA PASTORALE GIOVANILE ORIENTATA "VOCAZIONALMENTE"...........................................534
1.2 UNA PROMOZIONE VOCAZIONALE GUIDATA DA CRITERI PASTORALI......................................536
1.3 IN CONCLUSIONE....................................................................................................................537
- 614 -

62.7 Page 617

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2. IL FILONE VOCAZIONALE NELLA PASTORALE GIOVANILE.........................................................537
2.1 L'ORIENTAMENTO VOCAZIONALE DELLA VITA .......................................................................538
2.2 UN ASSAGGIO VOCAZIONALE .................................................................................................539
2.3 LA PROPOSTA VOCAZIONALE .................................................................................................540
2.4 ACCOMPAGNAMENTO E DISCERNIMENTO...............................................................................540
62. CARISMA SALESIANO E IMPEGNO CULTURALE ALL'ALBA DEL 2000 ...........543
1. CULTURA, PERSONA, ESPERIENZA DI DIO.................................................................................543
2. ALCUNE CARATTERISTICHE DELLA CULTURA ..........................................................................545
3. VIE PER UNO SVILUPPO DELLA PROPRIA CULTURA ...................................................................546
4. CULTURA E CARISMA SALESIANO.............................................................................................547
5. ALL'ALBA DEL TERZO MILLENNIO ............................................................................................549
6. IN CORRESPONSABILITÀ ...........................................................................................................550
7. ATTREZZATURA PERSONALE....................................................................................................550
8. CONCLUSIONE..........................................................................................................................551
63. IL CARISMA SALESIANO INTERPELLA L'ISTITUZIONE UNIVERSITARIA ....553
1. I DESTINATARI .........................................................................................................................554
2. IL SISTEMA PREVENTIVO ..........................................................................................................555
3. LA DIMENSIONE SOCIALE .........................................................................................................556
64. RIPARTIRE DA DIO ..........................................................................................................557
65. ANDARE OLTRE................................................................................................................560
66. FARE NOSTRO IL TESTAMENTO DI GESÙ, RIPETUTO DA DON BOSCO: CHE
SIANO UNO PERCHÉ IL MONDO CREDA...............................................................................564
67. «ANDATE IN TUTTO IL MONDO E PREDICATE IL VANGELO» ..........................567
68. MARIA, ICONA E TESTO DELLA NOSTRA SPIRITUALITÀ...................................570
69. LA COMUNICAZIONE NELLA MISSIONE SALESIANA ..........................................575
A) INTERVENTO INTRODUTTIVO. 10 DICEMBRE 2000...................................................................575
1. INTRODUZIONE ........................................................................................................................575
2. ALCUNE SCELTE.......................................................................................................................575
3. NOVITÀ....................................................................................................................................576
4. MENTALITÀ .............................................................................................................................576
5. UNA PAROLA SULLA FORMAZIONE ...........................................................................................577
6. GLI ORIZZONTI OFFERTI DAI DOCUMENTI DELLA CHIESA .........................................................578
7. GLI ORIZZONTI OFFERTI DAL RIFERIMENTO AL CAP. VII DEL VANGELO DI MARCO ..................579
6. CONCLUSIONE..........................................................................................................................579
B) INTERVENTO CONCLUSIVO. 20 DICEMBRE 2000 ......................................................................579
1. PREMESSA................................................................................................................................579
2. PRIMO TRINOMIO .....................................................................................................................580
2.1 CUSTODI DI UNA TRADIZIONE SALESIANA ..............................................................................580
2.2 PROMOTORI DI RICCHEZZA SALESIANA ..................................................................................581
2.3 REALIZZATORI DI UN PROGETTO ISPETTORIALE GLOBALE......................................................582
3. CONCLUSIONE..........................................................................................................................584
70. UNA VOCAZIONE SALESIANA LAICALE PER UNA SANTITÀ «CONTAGIOSA»
585
71. UNA FORMAZIONE MATURA DI COOPERATORI ED EXALLIEVI .....................587
72. UNA CASA-OSPEDALE A MISURA DEL MALATO ...................................................589
- 615 -

62.8 Page 618

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73. «IL DOLORE DELLE VITTIME È IL NOSTRO DOLORE» .......................................591
BIBLIOGRAFIA ...........................................................................................................................593
Pro manuscripto versione digitale
Allestito e composto il 4 febbraio 2020
- 616 -

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