1969_StellaP_Il manuale Pratiche di piet%C3%A0


1969_StellaP_Il manuale Pratiche di piet%C3%A0



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1.1 Page 1

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PIETRO STELLA
Il manuale Pratiche di pietà in uso nelle
case salesiane (1916). Momenti della sua
genesi
in La vita di preghiera del religioso salesiano (Lyon,
10-11 settembre 1968), Leumann (Torino), Elledici
1969, 185-201.

1.2 Page 2

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Il manuale 1"1PPraratitcichheeddii ppieie
Iin uso nelle case salesiane"11 (11991168)1
Momenti della sua genesi
Così come si presenta, il manuale Praattiche di pietà in uso nelle
case salesiane lascia appena trasparire quel che signifiper l'’am-­
biente che lo produsse e lo adottò11.QQuuaallccoossaaaappppaarree ddaallalalelettteerraa
che vi premise il Rettor Maggiore Don Paolo Albera con la data
di Valdocco, festa di Ognissanti 1916: «RRicicoordrdoo- scscrirvivee DDoonn
Albera -ch'era vivii:ssssimo desiderio del Ven. nostro Padre Don
Bosco e del compianto Sig. D. Rua che si conservasse ognora e
dappertutto la più completa uniformità nelle pratiche di pietà che
soglionsi fare nei nostri Istituti, e che nessuno avesse autorità di
togliere o aggiungere, stabilmente, cosa alcuna senza l'esplicito
consenso del Rettor Maggiore. Ricordo pure la pena ch'essi prova-­
vano quando nelle visite alle Case vi constatavano qualche muta-­
zione arbitraria su questo punto. Comprendevano perfettamente
che le pratiche di pietà costituiscono l'anima della vita religiosa,
e volevano perciò che tra i salesiani fossero dapperrtutto identiche.
Per questo il venerando sig. Don Rua nelle sue mirabili lettere e
circolari non si stancava mai dal richiamare l'attenzione dei suoi
figli sopra un punto così vitale; per questo io pure nelle visite alle
Case della nostra carissima Congregazione, sia come rappresenn-­
tante di Don Rua, sia come suo successore, non mi sono mai
restato dal ricordare, all'occorrenza, la necessità di questa unifor-­
mità nelle pratiche religiose»». .
La superstite documentazione sul lavoro che precedette la
compilazione del manuale getta più luce sui sentimenti espressi da
11 QuanQtouaenstpoorersepmororeumtiolizuzteirlàizziersàegiuesengtiuednotciudmoecnutmi: en-ti: ArchAivricohiCveion-Cen­
trale Salessiaano, 232 PPrraattiche di pietà (la posizione in archivio non èè ancora
definitiva: le singole carte non sono per ora classsifficcaate). —- Prraattiicche di pietà
in uso nelle case saalesiaane, Torino, 1916,VVIl-374-[2] pp.
185

1.3 Page 3

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Don Albera e sui motivi addotti per sostenere l'importanza di
««pprreessccrirviveerere» »peprerlalacocnognrgergeagzaizoinoenesaslaelseiasinaanaunununuinciocommanaunaulaeledidi
««ppiiee».».
A tutti gli ispettori del mondo e ad alcuni competenti (Don
Vismara...) venne inviato nel 1913 un formulario dal titolo Prati-­
che di Pietà per le Case Salesiaannee:: in tutto tre fogli, di cui ,ssoollttaannto
cinque pagine erano stampate con largo mmaa1r1ggiinne, che permetttesse
di aggiungere osservazioni e modiiffiicchhee22.
Il fo1r1mmuullaarrio elencava le pratiche giornaliere, settimanali,
festive, annuali, di ogni tempo. Ciascuna sezione comprendeva
«pprraatticichhee» »prpersecsrcitrtiettedadlalellecocsotsittuitzuizoinoini(q(uqaulaolroaraquqeusetsetenenespsepceic­i-
ficavano), dai regolamenti o in uso per tradizione. Venivano.eellenn-­
cate anzitutto le pratiche prescritte Per tuttttii: Confratelli e Giovani
e, quando non ce n'erano, quelle Pei Confratelli soltanto (medi-­
tazione, lettura spirituale tutti i giorni, esercizi spirituali per i
confratelli).
Non tutti risposero al formulario. In base alla maggior parte
dei formulari pervenuti (quelli giunti entro il primo semestre 1914)
Don Calogero Gusmano, segretario del capitolo superiore, e Don
Samuele Voasti, uno dei segretari alle dipendenze dei superiori
maggiori, elaborarono uno schema di lavoro per la commissione
che sarebbe stata costituita dal Rettor Maggiore e che avrebbe
dovuto vagliare le pratiche di pietà in uso, in modo da giungere
all'auspicato direttorio comune.
Lo schema Gusmano-Vosti e ii1l verbale della commissione,
annessi promemoria, osservazioni e formulari ci offrono un quadro,
lacunoso, ma certo interressante, sugli stati d'animo e sui problemi
ch'ebbero come risultato il manuale del 1916.
Domina in tutti coloro che intervennero il medesimo senti-­
mento: stiamo alla tradizione, domina cioè il proposito formulato
pvolte da Don Bosco, da Don Rua, da Don Albera e che certtaa-­
mente era nell'animo di quanti sentivano di essere compartecipi
della missione del fondatore.
Il formulario inviato nel 1913 ha come preludio un signifi-­
cativo appello di Don Bosco: ««EEcccoo aa pprrooppoossitioto qquuaanntoto DDoonn
Bosco disse il 24 settembre 1885 eleleggggeesi a pagina 83 dei Verbali
22 In seIgnuisteogufiutroonfourocnoompciolamtipielatiinveiaitni vaialtrii adlturei dfouremfuolramri ulaabrbi asatbabnazsatanza
simili al primo: se ne conservano esemmplari all'Archivio Centtrrllalle Salessiiaano.
186

1.4 Page 4

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del Capitolo Superiore: Quando io venga a morire, la mia morte
non alteri punto l'ordine della Congregazione. Quindi il Vicario
deve provvedere che le tradizioni che ora noi teniamo si mantenn-­
gano intatte. Ciò fu raccomandato caldamente dal S. Padre. Le
tradizioni si distinguono dalle Regole in quanto che insegnano il
modo di spiegare e praticare le Regole stesse. Bisogna procurare
che queste tradizioni dopo di me si mantengano e si conservino
da quelli che ci seguiranno»». .
Nonostante questo sentimento e questo comune proposito,
fatalmente si era giunti a differenziazioni, adattamenti e traasfor-­
mazioni. Cera avvenuto negli oratori, negli internati, nello
stesso ambito delle comunità religiose dei salesiani. Forse il deessi-­
derio di fedeltà, forse il ritenersi depositari della tradizione faceva
apparire ancora più spiccato il contrasto tra quanto di diverso si
constatava da una casa all’'altra nella ,ssttessa Torino.
Lo schema Gusmano-Vosti notava come fatto « importannttiiss-­
simo » che si giungesse a stampare per gli oratori festivi in esteso
un Direttorio delle prattiche di pietà. «QQuueesstata uunnifioformrmitià- sisi
legge -produrrà in breve frutti copiosi. AA:l presente v'è una
babele nelle preghiere dei nostri ormatori festivi: non ve ne sono
due che seguano lo stesso metodo ed i direttori si credono in
diritto di poterlo cambiare anche ogni domenica»»3.3•
Don Stefano Trione (il catechista di Valdocco negli ultimi anni
di Don Bosco) dal Cile scriveva: «LLeepprreegghhieierereddeellalasseerraasisihhaann
da dire fuori di chiesa, anche perché il sermoncino tradizionale per
lo più non è adattabile alla chiesa ove certe parlate riguardanti
il galateo, la disciplina ecc. non fanno bella impressione, e pipooi per
parecchi altri motivi. Nel Chilìi si segue Don Bosco in ciò e nel-­
l'Argentina si segue la riforrmma». Don Trione coglieva il destro per
ricordare altri elementi di unità o di dissonanza nel mondo sale-­
siano: «NNeell CChhiliiaaii tetemmppii ddii mmoonnss.. CCoostsatammaaggnnaa eerraa pprrooibibitioto
parlare italiano. Don Nai tolse tale proibizione e raccomanil
contrario. Ora in tutta l'ispettoria frequentemente a mensa tutti
san parlare italiano. Mi pareva di essere in Italia. Nell'Argentina,
nell'Uruguay, a Sarr... gli stessi italiani non sanno più parlare
italiano. Converrebbe che in una delle circolari mensili si racco-­
mandasse l'uso del Chilì». .
'3 Schemaa, p. 6.
187

1.5 Page 5

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Qua e là nei documenti si legge la parola «rrifioformrmaa» »inincocno­n-
trapposizione a quelle di «trtraaddizizioionnee» »e edid«ir«itorirtnoornaollealoleriogirnigin. i ».
Lo schema Gusmano-Voasti e il verbale della commissione costi-­
tuita da Don Albera affermano esplicitamente: «NNoonn vv’h'haa ccoossaa
più necessaria e più urgente per la nostra Pia Società di quella di
ristabilire nella sua primitiva integrità le pratiche di pietà che
devono fare i giovani ed i Soci»»44.
Se ne sentiva il bisogno e l'uurrggenza. D'altra parte si avvertiva
l'importanza di «rritietenneerree,,mmooddifiifcicaarereooeelilmimininaarree.....,.,aagggiuiunnggeerereinin
modo da raggiungere la necessaria uniformità, sì che ovunque
[ttale uniformità] faccia riconoscere le case salesiane»»5.5•NNoonncciisisi
nascondeva la difficoltà e la delicatezza del lavoro. Si trattava
infatti: «aa)) ddii rriciceerrccaarree qquuaalele ssiaia sstatatoto ilil ppeennssieierroo ee lala vvoololonn
del venerabile Padre a questo riguardo; b) di vedere quali pra-­
tiche furono in uso lui vivente, quali da lui prescritte, oppure
introdotte da altri, lui non contraddicente; c) di levare poscia
dalle pratiche di pietà attualmente in uso nelle case, tutto ciò che
è stato introdotto abusivamente sia per malinteso zelo, e sia per
troppa remissività dei direttori nell'accettare praattiche locali, col
pretesto che i salesiani hanno da adattarsi alle varie costumanze
della nazione o dei paesi dove si stabiliscono. Un tale adattamento
è solo possibile per le cose che non pregiudicano il nostro spirito.
Ora pregiudicano lo ,ssppiirrito salesiano non solo le infrazioni alle
Costituzioni, ma eziandio il cambiamento od anche solo il travissa-­
mento delle tradizioni che il venerabile Don Bosco ha avuto cura
di tramandarci, esigendo la pratica pure dopo la sua morrttee»»6.6•
Si avverte come il contrasto di fondo stava tra due principi
in sé validi: quello della sostanziale uniformità sia con lo «ssppi-
rito»»ddeellFFoonnddaatotorree,, ssiaiaccoonnqquueellolocchhee sstotorricicaammeenntetevveennivivaa aasssuu­-
mendo la congregazione; e d'altra parte, la necessità di adattarsi
allo ««spspiriirtioto» »dedieipapeaseisidodvoevei isasleasleiasniaini«s«tasbtialibvialinvoa»nose» ssteessstiessi
e le loro opere.
Ma dal materiale della commissione affiorano anche altre anttii-­
nomie non meno profonde e non meno incidenti sullo sviluppo
delle tradizioni e sui criteri che i membri della commissione posero
in opera per ottenere l'annelata uniformità.
44 Schemaa, p. 1; Verbalte, p. 2.
55 Schemaa, foglio di premessa; Verbale, p. 1.
6 Schema, p. 1; Veerbalte, p. 2.
188

1.6 Page 6

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Prattiche tradizionali e mutate attitudini psicologiche e sociali dei
giovani
Colpisce anzitutto in quei salesiani interreessati alla revisione
delle «pprraatitcichhee ddii ppieie» »ilildidsiasgaigoionenlelcocnosntsatatraereil ilcocnotnrtarsatsoto
tra le pratiche in uso nelle opere educative salesiane (internati,
collegi, pensionati, scuole elementari ,ee secondarie) e le capacità
psico-sociali dei giovani. Sia lo schema Gusmano-Vosti, sia il
verbale della commissione mostrano ben netto il complesso :ddi
problemi posti dalla omogeneizzazione delle pratiche.
«AAlclcuunnii- ssiinnootatanneellolosscchheemmaa- vvoorrreebbbbeerroossiiddisistitningguueesssee
ancora tra collegi di semplice scuola elementare e quelli di scuole
secondarie, specie se liceali. Ma paiono inutili tali distinzioni in
quanto che lo spirito salesiano, che ha da esser unico dappertutto,
è fondato essenzia1lmmeennte sulle pratiche :ddi pieettàà»».. ««SiSaniaono- aga­g-
giunge lo schema -— ridotte al puro quantitativo fissato dal vene-­
rabile Fondatore, ma siano le stesse per tutti e in tutti i collegi
e pensionati nosttrrii»». . IInn mmaargrgininee aa qquueesstoto vvoototo DDoonn FFraranncceessccoo
Cerruti, il venerando compagno di Domenico Savio, presente
all'oratorio (salvo brevi interrvalli) fin dal 1856, scrisse con la
sua scrittura angolosa: «BBeennisisismimoo».».
Non sfuoggono le reazioni dei giovani collegiali e pensionanti;
istintivamente ci si preoccupa che le ««pprraatitcichheeddii ppieie»»ggioiovvininoo
realmente a « infondere soda pietà»»77.
Le reazioni giovanili sono poste in evidenza a proposito delle
cosiddette ««fufunnzzioionnii rreelliiggioiossee» »dodmomeneinciaclai.li.«I«nvIencveecdeeldlaellsacusocluaola
- notano schema e verbale -— vi sono [aalla domenica] due funn-­
zioni religiose per la santificazione della festa»»88.QQuueesstetefufunnzzioionnii
erano: la seconda Messa al mattino e la « funzione pomerriiddiiaanna
imperniata attorno ai Vespri.
Durante la seconda Messa (nota lo schema) « Don Bosco
aveva permesso [la parola permesso attirò l'attennzione di Don
Barberis, che la sottolineò e segnò in margine due punti interrrroo-­
gativi] che i giovani cantassero l'UUffizio della Madonna. Siccome
però l'UUffizio va più per le lunghe che non la Meess·sa, cosìi questa
usciva verso il termine del Mattutino come è indicato nel Rego-­
lamento. Ma nella pparte dei collegi il canto dell''UUfffizio della
77 Schema, p. 3, a proposito degli oratori festivi.
'8 Schemaa, p. 14; Veerrbaale, p. 7.
189

1.7 Page 7

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Madonna è lasciato a parte per il motivo che i giovani non lo
cantano volentieri. Ora s'ha a vedere se il canto dell'UUffizio appar-­
tiene proprio allo spirito di D. Bosco e se v'’è una ragione per
imporlo nei nostri collegi. Pare che Don Bosco permettteessse di
cantar il detto Uffizio perché nei primi tempi dell'oratorio v'erano
molti che appartenevano, prima di fermarsi con Don Bosco, a
varie Confraternite nelle quali si cantava l'UUfffizio domenicale e
questo per continuare la pratica trovarono che il tempo popporr-­
tuno era la seconda funzione domenicale. Sopprimendo il canto
delll'UUffizio nei nostri collegi ne va di mezzo lo spirito salesiano?
Non pare, come asseriscono tutti i direttori che non lo fanno
cantare sotto pretesto che i giovani s'annnnoiano [... ]. Certo, l'UUffffii-­
zio perché piaccia, bisogna cantarlo bene impegnando il tempo
necessario. Ora siccome i giovani dei collegi amano le funzioni
brevi, la qual cosa non può conciliarsi con l'UUffizio imposto ai
giovani, non ha in sé alcuna pratica utilità educativa per la vittaa,
perché la pparte, usciti di collegio non lo reciteranno mai p
e neppure si canta nelle parrocchie. Sta poi a prova della nessuna
utilità pratica il fatto che, nonostante il Regolamento, nella più
parte delle case non si canta l'UUffizio [... ].. Così parlano i soste-­
nitori dell'aabolizione e propongono di sostituirvi due cose: a) la
Messa seconda in canto fermo a due cori per parte di tutti i gio-­
vani; b) quando non si canta, leggere in volgare la Messa, inse-­
gnando ai giovani a rispondere al sacerdote, secondo lo spirito
della liturrgia. Pare si possa usare una via di mezzo, e cioè, riserr-­
bare l'UUffizio agli ospizi e alle case di formazione, esentandone
i collegi, convitti e pensionati»»99.
Lo ,sscchhema Gusmano-Vosti si muove su tali diretttive: Messa
in canto o Messa letta come seconda funzione domenicale. Alla
Messa si«aassissitset»(c(ocmome esisui suasvaavadidreir)e,)r,isrpisopnodnednednodoalaslascaecredrodtoet,e,
ascoltando (o leggendo) quelle preghiere dell'Ordinario e del
Canone, che ormai il Catechismo di Pio X dava in traduzione
italiana.
Lo schema Gusmano-Vosti e il verbale della commissione
proseguono: «NNeell DDirierettotorrioio ssaaddeeteterrmmininaatoto cccchhee ssii ddeebbbbaa
fare alla seconda Messa nelle domeniche nelle quali non si canta,
seguendo il metodo suggerito nel Catechismo di Pio X. La se-
9' Schema, pp. 14-16.
190

1.8 Page 8

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conda funzione si farà coommminc1caia1r1e col canto del Te Deum [ssi
farà - Te Deum cancellato da Don Barberiss]] (od altro cantico cor-­
rispondente al rito): poi esce la Messa, che i giovani seguono col
metodo del catechismo. Al vangelo il celebrante dica in volgare
il vanggedlo stesso, una breve riflessione, ma non oltrepassi i cinque
minuti [non oltrepassi - minuti cancellato da Don Barberis, che
in margine aggiunse un punto intteerrogativo]. Qualora non po-­
tesse il celebrante, lo faccia dal pulpito un altro sacerdote ed
allora il celebrante può recarsi alle sedie od anche restare in piedi
in mezzo all'altare. Si eviti di continuare la Messa durante la pre-­
dica, anzi dovrebbe esser abolito asssoolluuttamente l'uso invalso in
certe nostre parrocchie [in margine venne aggiunttoo:: a Maria
Ausiliatrice ( == a Valdocco)] di far cominciare il vangelo dal pul-­
pito al principio della Messa e terminare all'Elevazione. Non è
lo spirito della Chiesa, 'la quale vuole che si assista alla Messa e
infra la stessa (non contemporaneamente) si ascolta la spiegazione
del Vangelo [...]. Si chiuda laa funzione col canto di qualche
laude: ma per l'unniiformità di spirito è necessario che tutte queste
cose siano fissate nel Direttorio. Qualora invece s'intenda di far
continuare il canto dell''UUfffizio, allora il Direttorio prescriverà per
i collegi ciò che pare si possa riservare per 1le case di formazione
(sic)). Cosìi concepita, [ilaa funzione domenicale nei nostri collegi verr-­
rebbe a durare da 35 a 45 minuti»». .
A questo punto, in margine all'ipotesi che si possa stabilire il
canto dell'UUfficio della B. Vergine, seguono due postille, la seconda
delle quali è di Don Cerruti. La prima dice: «SSii nnootit:i: cccchhee
annoia i ragazzi è la recita delll'UUfffizio, non mai il canto. Don
Bosco voleva si cantaasse non già si recitassssee»».. DDoonn CCeerrurutiti pprree­-
cisa: «DDoonnBBooscscoonnoonnnneeimimppoonneevvaaililccaanntoto,,mmaaeessigigeevvaacchhee,,ccaann­-
tato o recitato, non lo si tralasciaassssee»». . DDoonnddee ssii rricicaavvaa cchhee,,
secondo Don Cerruti, l'UUfficio era stato per lo meno accettato
da Don Bosco, il quale voleva che non venisse tralasciato.
Dopo la disamina della seconda messa domenicale si ha quella
della funzione vespertina. Nella prassi tradizionale precedeva l'inn-­
segnamento del catechismo, seguivano poi i vespri cantati, l'istru-­
zione di carattere moralistico e la benedizione eucaristica.
Lo schema e il verbale della commissione esprimono una certa
perplessità nei riguardi del catechismo. Nei collegi questo in con-­
creto era fatto a scuola e, d'altra parte, « secondo la volontà del
191

1.9 Page 9

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Papa, detto catechismo non s'’ha da tralasciare neppure nelle
solennità, eccetto le quattro magggiioorrii»». .SSi ipprrooppeennddeevvaappeevveerrssoo
la soppressione e la valorizzazione della predica prima della bene-­
dizione eucaristica.
Anche i vespri vengono posti al vaglio. Riguardo ad essi si
tiene conto di una certa insofferenza dei giovani, ma si bada
anche all'ambiente socio-religioso, oltre che alla prassi traddizziioo-­
nale. «PPeerr cccchhee ssppeettata ilil VVeespsproro - nnootatannoo lolo scschheemmaa ee ilil
verbale - possiamo ripetere quanto s'è detto dell'UUfficio al mat-­
tino e venire alla conclusione di lasciarlo. Però siccome i Vespri
si cantano in tutte le parrocchie, parrebbe si abbiano a cantare
anche nei collegi per assuefare i giovani a cantarli nelle proprie
parrocchie»»101.0•
Don Barberis annotò in margine: «DDooppooililccaatetecchhisismmoo, ,rraadduu­-
nati in chiesa, ogni giorno festivo si canteranno i Vespri in tutte
le nostre case, dopo cui avrà luogo l'Iistruzione seguita dal canto
delle Litanie (o Miserere dalla Settuagesima a Pasqua) e la Bene-­
diziioonnee»». .
Ed ecco quanto giunse a prescrivere il manuale delle pratiche
di pietà quanto alla seconda Messa domenicale:
«LLaa sseeccoonnddaaMMeesssaanneellelefefestsete ssiiccaanntata;; nneellelefefesstete oordrdininaarrieie, ,
se laa Messa non è cantata, si recita, durante la medesima, il Mat-­
tutino con le Lodi dellll'UUffficio della B. Vergine, cantando gli Inni,
le Lezioni e il Te Deum. Dopo la Messa cantata o letta, come
sopra, vi sia la spiegazione del Vangelo, o altra predicazione [si
trovò preferibile la predica non infra, ma post Missam secondo
un'uussanza del Piemonte, vigente anche all’'Oratorio], quindi la
r,eeccita d'un Pater, Avve, Gloria, e il canto della giaculatoria: Lodato
sempre ,ssia il santissimo Nome di Gesù e di Maria, e della lode
Luigi, onor dei vergini» [In nota si avverte a proposito della
omelia: «LLaa ssppieieggaazzioionnee ddeell VVaannggeelolo ppootrtàfafarrssii aanncchhee ininffrraa
Missam»»].].
Seguono le prescrizioni relative al pomeriggio: «NNeellele oorree
pomeridiane si farà, in tutte le Case, non meno di mezz’'ora di
catechismo. E si noti, che secondo le prescrizioni pontificie, detto
catechismo non si può tralasciare neppure nelle maggiori solennità.
Indi si canterà Vespro, seguito dall'Iistruzione, dal canto delle
1100 Schemaa, p. 18; Veerrbaale, p. 8 s.
192

1.10 Page 10

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Litanie della Beata Vergine [... ], oppure del Miserere, [....] se-­
condo il tempo, e della Benedizione col SS. Sacrramento. Le altre
preghiere, come in tutti gli altri giorni»»11.11•
In nota a proposito del vespro c'’è un'aatttteennuuaazione: «OOvveeilil
costume della regione non lo comporti, si potrà, con il permesso
scritto del Rettor Maggiore, sossttituire altro esercizio di pietà ».
E quanto al Misereerree:: «IIl lMMisiseerreerree sisiccaanntata ddaallala DDoommeennicicaa ddii
Settuagesima a quella delle Palme inclusiivvaammeennttee»». .
In altre parole, quanto alla funzione festiva del mattino si
indica ,pprreeffeerribile la Messa cantata; ma non si abolisce, anzi 'sSi
prescrive come alternativa, la Messa letta accompagnata dalla
recita del Mattutino e delle Lodi delll'UUffficio della B. Vergine.
Quanto alla funzione del pomeriggio: i Vespri sono prescritti
come norma generale, ma non si esclude la possibilità di eccezioni
sugg,eerrite dall'atttennzione ai costumi religiosi locali e legittimate
dal Rettor Maggiore.
Prattiche tradizionali e orientammenti generali della pietà cattolica
Gli accenni al Catechismo di Pio X e alle usanze religiose delle
parrocchie pongono in luce una seconda fondamentale antinnomia:
quella tra pratiche tradizionali e il mutare degli orientamenti gene-­
rali della pietà cattolica.
Il Catechismo di Pio X sia nello schema Gusmano-Vosti, sia
anche nel lavoro della commissione, è pres,eennttato come catechismo
universale. Esso perciò si imponeva alla mente di quei salesiani
per autorevolezza e per l'innfflluussso decisivo che gli si attribuiva
nella pastorale cattolica del mondo intero.
Oltre alle formule dottrinali, il Catechismo di Pio X aveva
come sezione della parte sui Mezzi della Grazziiaa:: a) orazioni quoti-­
diane e per le principali azioni religiose dei fedeli (a Dio, pre-­
ghiere e atti del mattino e deèilila sera; in onore di Maria SSS.:
Angelus, Rosario, Litanie); b) orazioni per il santo sacrificio della
Messa; c) orazioni per i sacramenti della Confessione e dell'Euca-
ristia. Questa serie di « orazioni »» non in tutto coincideva con la
tradizione catechistico-pastorale piemontese accolta da Don Bosco
e nell'Oratorio. Come comportarsi?
1111 PPrraatticche di pietà, p. 28 s.
193

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Per la soluzione del problema furono fissati criteri, ponendosi
non tanto nell'ottica detlla catechesi generale, quanto in quella
della propria tradizione, vista nella sua origine e nel rapporto con
la catechesi e pastorale comune. Tali criteri sono enunziati dirett-­
tamente a proposito delle pratiche di pietà per gli oratori festivi:
«NNeegglilioorraatotorrii fefesstitvivii ddeevvoonnssii rrimimeetteterree aall lolorrooppoosstoto lelep-rpartaictihcehe
di pietà e fare in modo che seguasi in tutte uno stesso metodo.
Ai suoi tempi Don Bosco accettava le preghiere dei vari Cate-­
chismi diocesani, completandole nelle parti mancaannttii»». .
Si potrebbe discutere sul significato di certi termini (Don
Bosco accettava e commpplleettaavvaa....); ci si potrebbe chiedere se piutt-­
tosto Don Bosco non si era adeguato cosciieenntemente o per istinto
alle osservanze dell'ambiente nel quale si muoveva e nel quale
inseriva i giovani mediante l'opera educativa. A prescindere dal-­
l'inntteerrpprreettazione dei fatti è di inteerreesse notare che tanto lo schema
Gusmano-Vosti, tanto il verbale della commissione si dimostrano
aperti ad «aaccceettatarere» »quqeulelchceheofofrfifvriavail ilCaCtaectehcihsmismo odidiPiPoioX,X,
per la ragione che anche Don Bosco aveva accettato preghiere dai
vari Catechismi diocesani.
. Il risultato è che le «pprreegghhieierree ddeell mmaattitninoo» »vevnegnognoonoprperseese
dal Catechismo di Pio X e «ccoommppleletatatete» »cocnonalaclucnuenespsepceifciicfhicehe
pratiche della tradizione salesiana. Minute istruzioni vengono date
per risolvere gli eventuali conflitti pratici tra «pprreegghhieierreeddeellmmaatt­-
tinoo»» ee cceelelebbrarazzioionnee ddeellala MMeesssaa:: ««LaLaS.S.MMesessasa[n[engelgi lioroartaotroiri
festivi] esca agli atti di fede ed allora s'interrcalino le Orazioni
per la S. Messa che sono -si legge nello schema Gusmano-
Vosti -sul Giovane provveduto, e cioè: In principio della Messa,
all'Offertorio, AJll'Orate, fratres, al Prefazio, al Sanctus, al Me-­
mento dei vivi, al Domine, non sum dignus, alla Comunione, all'ull-­
timo Vangelo. Queste preghiere sono br,eevisssime, ma di grande
efficacia, se recitate a modo, per insegnare ai giovani il valore
della S. Messa. Quando v'è la Comunione generale, queste pre-­
ghiere si omettono in tutto o in parte per aver tempo di recitare
g1li atti di preparazione e di ringraziamento alla Comunione, che
sono nel Catechismo»»121.2•
Don Barberis a questo punto propone due varianti. La prima
è in coerenza al principio generale: le preghiere da intercalare duu-­
1122 Schema, p. 5.
194

2.2 Page 12

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rante la messa non siano quelle del Giovane provveduto, ma quelle
del Catechismo (cioè, quelle alternate tra celebrante e fedeli e le
parti dell'Ordinario -compreso il Canone quasi intero -— tradotte
in italiano). Seconda proposta: «RReeccitiatarere pprreegghhieierree, , ppooii sseegguuiriere
tutta la Messa fin dopo il Pater, poi: le preghiere per la Comu-­
nionnee»». .
Il CateCcahtiescmhoismdioPdioi PXiofaXsefantsireentliaresulaa spuraespernezsaeninzacionntcroansttorasto
con il Giovane provveduto ancora in due punti importanti per la
tradizione salesiana: nella enunziazione dei misteri del rosario e
nella messa quotidiana per gli internati.
Riguardo ai misteri ci si chiede se non convenga adottare le
formule del Catechhiissmmoo:: tali formule, si asserisce, sono più brevi
e permettono di procedere più speditamente. ««LL’e'ennuummeerraazzioionneeddeeii
misteri -si legge nello schema -sia fatta secondo le formole
brevissime del Catechismo di Pio X. Credo che Don Bosco le
adotterebbe e cosiì si guadagnerebbe il tempo per inserire gli Atti
prima e dopo la Comunione, come sono nel Catechismo, che sono
pure brevissimi»»1313.
Ancora una volta si ha un intervento di DQon Barberis sullo
schema: a matita egli cancella l'ipotesi su Don Bosco e sull’'utilità
che si attribuisce alla brevità delle formule del catechismo.
La messa quotidiana negli internati comportava ormai la Co-­
munione eucaristica di molti giovani. Bisoggnava r,eecciittare gli Atti
prima e dopo laa comunione tutti i giorni o soltanto la domenica,
secondo quanto si era fatto vivente Don Bosco?
Schema e verbale mostrano di trovarsi davanti a un fatto
nuovo, determinato dal mutare di usanze religiose. Traspare a
questo punto il tentativo di stabilire un rapporto tra quanto
faceva Don Bosco ai suoi tempi e quanto bisognava fare in tempi
nuovi, appunto per rimanere fedeli alle movenze del suo «spspi-
ritoo»»:: ««DDononBoBsocsocoinisnesreivriavaquqeusetsitiAAttit,ti,[p[rpimrima ae edodpoopolalaCoCmomu-
nione], secondo laa formula del suo Giovane provveduto solo la
domenica, e si comprende il motivo. Era già cosa straordinaria
che si eccitassero ai suoi tempi i giovani alla Comunione dome-­
nicale, benché effettivamente la ottenesse poi pfrequente ancora;
ma adesso che ii1l Papa ha parlato da Maestro infallibile e vuole
che la Comunione ritorni possibilmente quotidiana come ai primi
1133 Schema, p. 10.
195

2.3 Page 13

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tempi del Cristianesimo, i nostri collegi debbono essere i priummi
ad attuare in tutti i modi il volere del Sommo Pontefice. Uno di
questi modi si è quello di dare tutti i giorni alla S. Messa della
Comunità la sua piena inteegrità con animare i giovani a comuni-­
carsi col celebrante, almeno con la recita degli atti suddetti. Questi
atti non devono esser sillabati a ripetizione mediante la guida,
come si fa negli oratori festivi, ma recitati come si recitano le altre
preghiere. La guida comincia il periodo e tutti continueranno a
leggere all’'unissono. La pratica di due o tre volte rende l'eesercizio
facilissimo [QQuesti atti - facilissimo è agggiiuunnto in mmaarginee] ...
[Questi - preghiere ha annotazione di Don Barbeerriiss:: bene]. [LLa
guida - facilissimo è cancellato da Don Barberiiss]] »»..
Ultima osservazione in materia: «II ggioiovvaanni i ppooii lele imimppaarree­-
ranno come il Pater noster ed uomini fatti non troveranno pdif-­
ficoltà a fare la preparazione e il ringraziamento alla Commuunniioonnee»». .
Direttorio spicciolo per i giovani collegiali e pensionanti:
«PPooicichhéé tututttvee lele ppreregghhieierere sisi ppoossosonnoo rreeccitiatarree nneellolo ssppaazzioio ddii
35-40 minuti, bisogna disporre l'uscita della Messa agli atti di
fede, così si avrà tempo di terminare i primi quattro misteri del
Rosario alcuni momenti prima dell'Agnus Dei per cominciare tosto
gli atti e terminarli alla Comunione del sacerdote. Finita la Comu-­
nione, durante la quale si può opportunamente cantare qualche
lode oppure il VVenni Creator prescritto per la Beatificazione di
Don Bosco da recitare in fine della funzione col relativo Oremus
(ma non è necessario cantare tutto il tempo della Comunione), si
dicono gli atti di ringraziamento, poi l'ultimo mistero del Rosario,
Sub tuum praeessiiddiiuumm (Il Papa [ == Catechismo di Pio X] lo pone
dopo il quinto mistero), Litanie, versetto e Oremus relativo. Per
la pace in casa: Ave Maria e Gloria. Per i benefattori e persone
raccomandate alle nostre preghiere: Pater, Ave, Gloria, De pro-­
funnddiiss, versetto ed Oremus. Breve lettura spirituale preceduta dal
VVeenni, Sancte Spiritus (oppure dal VVenni Creator se non si è cantato
alla Comunione) versetto ed Oremus. Si termina coll'Agimus,
Maria Auxiliuumm Christianorum, ora pròo nobis»»14.14•
Ecco quanto risulta fissato nel manuale Prattiche di pietà.
Per gli oratori festivi: « Al mattino entrati in Chiesa: canto
di una lode sacra -orazioni del mattino [....], escluso il Rosario.
1144 Schema, p. 11; VVerbalte, p. 6.
196

2.4 Page 14

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Giunta la Messa al Pater, si recitano le preghiere in preparazione
alla S. Comunione [....]. Durante la distribuzione della S. Comu-­
nione si canta qualche lode sacra. Dopo la Comunione si recitano
le preghiere di ringraziamento [... ];; quindi si continuano le ora-­
zioni. Al mattino non si tralasci la spiegazione del Vangelo con
qualche adatta morale applicazione, oppure la narrazione di un
tratto di Storia Sacra. Nel pomeriggio: mezz’'ora di Catechismo ai
giovani divisi in classi, preceduta dalla recita del Pater ed Ave
e seguita dal Credo. Radunati poi tutti in Chiesa canteranno il
Magnificat, dopo si farà loro una mezz’'ora d'istruzione religiosa
e quindi si canta l'Ave, maris stella o le Litanie della S. Ver-­
gine, e, cantato il Tantum ergo, s'imparte la Beennedizione col
SS.»»15i.s.
Per i giovani interni si prescrive tutti i giorni quanto segue:
««DDuurraanntete lala MMeesssaa ssii ddicicaannoo lele pprreegghhieierree ddeell mmaattitninoo ccoonn ilil
Rosario e le Litanie della B.V. [...], e si terminino con una breve
lettura spirituale, prima della quale si dirà: VVenni, Saanncte Spiritus
[....].. Finita la lettura: Agimus tibi gratias [.... ],, Ave, Mariaa, ecc.,
Maria Auxilium Christianorum, ora proò nobis. Inn, nomine Patris et
FFilii et Spiritus Sancti. Ameenn»»161.6•
Nelle domeniche e feste di ,pprreecceettto: ««DDuurraannte la prima Messa
sii dicono le preghiere solite del mattino e il Rosario [....]] frammet-­
tendovi opportunamente queeHlla della preparazione e del rinngrraazziiaa-­
mento alla Comunione [ ....] »»..
Non vengono cosìi accolte le preghiere da dire in determinati
momenti della Messa, quali erano nel Giovane provveduto; non
viene accolta laa proposta di sossttituire a tali formule, quelle litur-­
giche tradotte in italiano e suggerite dal Catechismo di Pio X.
L'attenzione va alla comunione eucaristica.
Si avverte che sull'animo di quanti elaborarono il manuale
Praattiche di pietà trovò risonanza preponderante l'invito a[lla comu-­
nione quotidiana. Per questa ragione gli Atti prima e dopo la
Comunione sono prescritti come quotidiani negli internati e obbli-­
gatori nelle celebrazioni festive degli oratori. I formulari di tali
Atti sono quelli del Giovane provveduuttoo:: non ottiene seguito la
proposta di accogliere, piuttosto, quelli del Caatechismo (difffeerrenti
1155 PPraattiche di pie, p. 20.
116 Praattiche di pie, p. 25 s.
1977

2.5 Page 15

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per gli Atti dopo la Comunione). Gli Atti prima e dopo la comu-­
nione acquistarono una funzione di privilegio grazie all’'interrpprree-­
tazione dei desideri di Pio X che si sentivano in consonanza con
lo zelo e con gli ideali di Don Bosco: «IIl lvveenneerraabbilieleDDoonnBBooscscoo
negli oratori festivi mirò solo ad infondere ,ssooda pietà nei giovani:
tutto faceva convergere a questo fine: ogni altra cosa era seconn-­
daria. Nella sua mente quindi le pratiche di pietà per questa catee-­
goria di giovani costituivano l'eessenza dei suoi oratori. Ma in che
le faceva consistere queste pratiche di pietà? Anzitutto nella
Confessione e Comunione: esortava, in pubblico e in privato spe-­
cialmente i giovani ad accostarvisi tutte le domeniche od almeno
ogni quindici giorni»»1717.
Praattiche di pietà dei giovani e prattiche di pietà dei salesiaanni
Da tutto il lavoro per la nuova strutturrazione delle pratiche di
pietà affiora un'altra grave preoccupazione: come armonizzare 1le
pratiche di religiosi salesiani con quelle dei giovani degli oratori,
dei collegi, delle case educative per studenti e artigiani? Un sale-­
siano che non poteva trovarsi con la comunità religiosa poteva
considerarsi esonerato dalle pratiche che nel frattempo i confrraa-­
telli facevano insieme? Come dare formulazione concreta a norme
che venivano dai regolamenti, dai capitoli generali, dalle circolari
di superiori e dalle stesse costituzioni?
Studio comune degli elaboratori del manuale è stabilire una
serie comune e graduale di pratiche: la quantità minima in vigore
negli oratori festivi, alla quale si aggiungono altre pratiche in
quantità maggiore nei pensionati, negli internati, nei collegi per
studenti, nelle case di formazione, nella comunità religiosa sale-­
siana. Quanto più ci si avvicina a una disciplina che diremmo
«ccoonnvveenntutuaalel»e,»,tatnatnotopipùauamumenetnatnaonoininquqaunatnitàitàe e- idiedaela­l-
mente -in qualità, le pratiche di pietà. L'unniformità e la gra-­
dualità, ch'erano state frutto di un processo storico delle opere
di Don Bosco, partite dall’'Oratorio e passate alla congregazione
di educatori, vengono idealmente enucleate e sistemate in modo,
che si va da un minimo comune denominatore delle case ·ssaalleessiiaanne
a un massimo di differenziazione religiosa. Il salesiano ha, sìl, le
1177 Schema, p. 3 s.
198

2.6 Page 16

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pratiche comuni del «bbuuoonnccrrisitsitainaon»o,»m, ma avivenieeneadadasassusmumereer,eg, igà
vivente Don Bosco, -pprraattiche specifiche, che appaiono una più
adeguata alimentazione spirituale e più rispondente all'impegno
di perfezione nello stato religioso: «SSeeddaall sasalelesisaiannoo- sisileleggggee
nello schema .---- cchhee ssttaa ccooii ggiioovvaannii ssii eessiiggeesssseerroo ssoolloo llee pprreegghhiieerree
prescritte ai giovani, non conseguirebbe il fine della perfezione
religiosa che ha abbracciato. A ovviare l'innconveniente è necessario
:ffiissssaarre le pratiche di pietà di ciascuna categoria di persone, a
cominciare da quella che sta, diremmo, alla periferia della vita
salesiana. Questa categoria è costituita dai giovani esterni, viene
poscia quella dei giovani interni, suddivisa in varie gradazioni, ed
infine quella dei salesiani. Fissate le preghiere per ciascuna cate-­
goria i membri della categoria superiore che sono obbligati a far
pratiche di pietà con quelli della categoria inferiore, dovranno sup-­
plire privatamente alle preghiere e pratiche loro proprie non con-­
tenute in quelle che fanno in comune. Solo ,iinn questo modo si
può evittaarr,e ogni confusione ed avere ben determinate le pratiche
di pietà per le Case Salesiane»»18.18•
Il prinpcirpiniocipdieollodesllcohesmchaemè aribèadriibtoadiet,o ine, uina ucneartacermtaisumrais,ura,
è precisato da una postilla di Don Cerrnuiti: ««LLee pprraatitcichhee ggeennee­-
rali debbono essere uguali e le stesse per tutti; variano solamente
quelle particolari a seconda delle varie categorie di enti»». .
Implicitamente è ribadito il principio di secondarietà delle
pratiche di pietà in quanto in comune, soddisfaattto quello della
uniformittà, affermato quello (ma implicitamente) della primarietà
delle «pprraatticichhininquqaunatnotoalaimlimenetnotoorodridniantaotoaiaisinsignogloi,li,quqaulai li
membri della «uunnicicaa ffaammigiglilai»a.».
Eppure l'aapppplicazione in ogni singolo caso dovette trovare per-­
plessi proprio alcuni di coloro ch'erano stati pvicini a Don
Bosco e che pdi altri avevano data una spinta verso una diffe-­
renziazione delle pratiche di pietà per i salesiani. Sullo schema
era stato suggerito il principio: «CChhiinnoonnddeevveeoonnoonnppuuòòtrtroovvaarrssii
coi giovani ha primieramente l'obbligo di fare da solo le suddette
pratiche [prescritte per tutti]»». . AA tatalelepproroggetettotoddi ipprerescsrcirziizoionnee
venne aggiunto un chiarimento;. Ma Don Barberis appose due punti
interrrrooggativi. Il chiarimento era coslì concepito: «DDiioobbbblilgigooddeevvee
1188 Schemaa, p. 2 s.
199

2.7 Page 17

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farle e non per semplice consiglio, né possono essere sosttituite
dalla recita del Breviario per i Sacerdoti»»191.9•
Ci si rende conto come non tutto nella tradizione risultava
chiaro, né tutto come da mantenere o da camb1iare radicalmente.
L'elaborato della commissione -— come avvertì Don Albera nella
prefazione al manuale -— venne discusso dagli ispettori salesiani
d'Europa in un'aadduunnannza tenuta nel luglio 1915 2200.Si giunse per
questa via al manuale di «oobbbblilgigoo ppeerr tututtit»i »cocnonlalaprporiobiibzizoinoene
di «inintrtroodduurrvviimmooddifiifcicaazzioionnee aalclcuunnaa,,ppeerr qquuaanntoto uutitlieleee ssaaggggioiovvii
possa parere»»2121.QQuuaalolorraa aalclcuunnee mmooddifiifcichhee eerraannoo rritietennuutete nneecceess­-
sarie per circostanze speciali, era «nneecceesssaariroiooottetenneernrnee pprreevveennttii­-
vamente l'aauuttoorriizzzzazione scritta dal Rettor Magggiioorree»»2222.ImImpplliiccii­-
tamente era lasciata la possibilità di modifiche che non avevano il
carattere di stabilità.
* * * i c "k *
Don Albera nella sua lettera proemiale al manuale di Prattiche
di pietà auspica un rinverdimento dello spirito del fondatore; pensa
anche al culto divino che l'opera di Don Bosco potrà levare con
una sua voce 1specifica. Il mannuale farà ssì —- egli scrrive —- chhe
«ddaaooggnniinnoosstrtrooIIstsittiututotosisiedleevveieqquuootitdidiaiannaammeenntetefifninoo aalltrtroonnoo
di Dio il medesimo coro di preghiere, le quali con più intteennssii-­
ficata efficacia attireranno sopra di noi, sui nostri alunni e sopra
tutte le opere nostre le grazie più copiose e le benedizioni più
abboonnddaannttii»»2323.
Dalla sua lettera, così come dalla documentazione relativa
all'elaborazione del manuale, risulta che ormai non si dà espreess-­
sione a motivi polemici; non sembra dominare iil timore che le pra-­
tiche di pietà potessero suscitare ostilità o disappunto in ambienti
ostili o estranei alla pratica religiosa; non pare incomba più il
timore di ~vessazioni con il pretesto che si educhi alla pratica reli-­
giosa o si viva secondo gli schemi delle congregazioni e degli
ordini.
1199 Schema, p. 23.
2200 Praattiche di pie, p. IV.
2211 Praattiche di pietà, p. V.
2222 Praattiche di pie, p. V.
2233 PPrraattiicche di pietà, p. V s.
200

2.8 Page 18

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Sulle pratiche di pietà ha fatto sentire forte il suo peso il
Catechismo di Pio X. Invece è blando l'innffluusso del movimento
liturgico. L'immppostazione ddeeflila messa è netttt!aammeennte devozionale,
nonostante il Catechismo di Pio X, in cui -come notammo -
si trovano formule dell'ordinario della messa tradotte in italiano.
Il lavolraovoprroepparreaptoaraiotorailo maal nmuaalneuaelelae lelattelle'atteprraoepmroiaelme iadlie di
Don Albera non hanno alcun accenno alla preghiera pubblica della
Chiesa. La voce più limpida tra quanti intervennero per il riordinnaa-­
mento delle pratiche di pietà salesiane, dal punto di vista litur-­
gico, è quella di Don Vismara. In un suo prommeemmoorriia ·ssi legge
tra l'altro: « Curare la compilazione di un manuale di pietà che
contennga la traduzione italiana di ttutte le preghiere e di tutte
le formule latine (Messa - Orazioni - Anngelus - Salmi - Innni).
È questo l'uunnico mezzo per rendere veramente utili e sentite le
pratiche di pietà, e per dare il mezzo di partecipare [si noti:
"ppaarrtteecippaarree" e non "aassssisstteerree"] attivamente e cosciieennttemmennte
alle funzioni. Sarei disposto a redigere lo schema di simile manuale.
Iniziare i nostri giovani ad una maggiore conoscenza della Liitturgia
(istruzioni complementari del Catechismo); al senso liturgico
(retta celebrazione delle feste liturgiche e decorosa esecuzione deeHlle
funzionnii); alla partecipazione attiva e cosciennte di tutti gli atti
di culto -dando però la preferenza agli atti pubblici ed ufficiali
(o liturrgici) sopra gli atti di divozione privata ».
Don Vismara si mostrava un precursore; ma anche tutti gli
altri, nel loro lavoro per vagliare e rviioorrdinare le pratiche di pietà
mostrano una certa sensibilità a valori sommamente importanti
per una istituzione come la salesiana: il senso della tradizione, iHl
senso della adeguazione alla vita di preghiera in uso negli ambienti
nei quali dovevano inserirsi i giovani; la cura a far sì che la vita
di preghiera -così come il sistema educativo -esprimesse la
specifica fisionomia imprreessa alla congregazione del suo santo
fondatore.
Pietro STELLA, Roma
201