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Don Bosco - Società di S. Francesco di Sales. Anno 1877
SOCIETÀ DI S. FRANCESCO DI SALES ANNO 1877
{21 [335]} {22 [336]}
[è premesso alle opere ristampate solo parzialmente; è premesso agli scritti attribuiti o attribuibili
a Don Bosco]
INDEX
Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna Nell’ anno 1876......................................................2
Il Ch. Giacomo Piacentino...........................................................................................................2
Il Ch. Antonio Vallega.................................................................................................................4
Vigliocco Giacomo......................................................................................................................6
Frequenza ai SS. Sacramenti...................................................................................................8
Meditazioni..............................................................................................................................8
Amor Fraterno..........................................................................................................................9
Obedienza ed osservanza delle Regole..................................................................................10
Amore allo studio ed alla fatica.............................................................................................10
I Catechismi...........................................................................................................................11
Amori alli Missioni................................................................................................................12
Sua malattia. Emette i voti.....................................................................................................12
Amore alla Congregazione....................................................................................................13
Sua preziosa morte.................................................................................................................14
Il Sac. Giuseppe Giulitto............................................................................................................15
Il Sac. Cesare Chiala..................................................................................................................15
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Confratelli chiamati da Dio alla vita eterna Nell’ anno 1876.
Il Ch. Giacomo Piacentino.
Questo nostro confratello nacque in Rochetta Tanaro il 26 di Agosto 1852 da onesti e
probi genitori, i quali nell’ allevarlo posero ogni cura per instillargli sodi principii di virtù che
non tardarono a produrre copiosi frutti.
Crescendo negli anni, crescevano del pari in lui quelle doti che rendono caro ed amabile
un fanciullo, cioè una rara modestia, una forte inclinazione alla pietà ed allo studio, congiunte al
rispetto ed alla ubbidienza verso i suoi genitori. Perciò desiderando questi che il loro figlio
avesse tutto l’ agio di coltivare il suo ingegno e i germi di sì belle virtù, conscii dei pericoli che
sovrastano ad inesperto fanciullo in mezzo al mondo, fatti in paese i primi studi elementari,
stabilirono di condurlo a Torino nell’ Oratorio di s. Francesco di Sales, che essi già ben
conoscevano per mezzo di altri compaesani che quivi ricevevano educazione. {23 [337]} Fu
pertanto condotto all’ Oratorio ai 4 di Luglio 1863; ma vi dimorò poco tempo, imperocchè non
essendo il giovanetto ancora atto a percorrere gli studi che quivi si fanno, fu inviato al collegio di
Lanzo. Quivi egli passò cinque anni e in tutto questo tempo si regolò in modo da non dare mai
motivo a lagnanze sulla sua condotta.
Compiuto il ginnasio, non incontrò difficoltà sulla scelta dello stato, e vedendo che il
consiglio del suo direttore spirituale si accordava perfettamente colla naturale sua inclinazione si
deliberò per lo stato ecclesiastico e vesti l’ abito clericale il 30 ottobre 1870 per continuare i suoi
studi nella Congregazione Salesiana.
Fu allora mandato nel collegio di Borgo San Martino ove passò due anni, il primo come
assistente, il secondo come maestro di 3a Elementare. Egli adempiè 1’ uno e 1’ altro ufficio con
soddisfazione dei superiori e con molto profitto dei giovani alla sua vigilanza affidati. Fu dipoi
chiamato a Torino per assistere i giovani artigiani; ufficio che sostenne fino agli ultimi suoi
giorni, e disimpegnò con rara prudenza e con zelo illuminato. Dotato di esperienza sapeva
trovare sempre mezzi nuovi, nuove industrie per promuovere il bene del suoi giovani.
Persuaso che il miglior modo di educare i cuori alla virtù consiste più specialmente nel
prevenire il male, anzichè punirlo ove fosse stato commesso, non perdeva mai di vista coloro dei
quali avesse qualche sospetto; li consigliava con bontà, li correggeva con carità, sapeva
compatire quei difetti che provenissero non da malizia, ma da {24 [338]} giovanile
spensieratezza. E se talora doveva mostrarsi severo, non ricorreva mai a quei mezzi odiosi di
repressione che compromettono chi li adopera e inacerbiscono quelli contro cui vengono usati.
Gelosissimo in tutto ciò che potesse offendere la più bella delle virtù, mostravasi inesorabile in
chi ne fosse colpevole, ma in questo caso si contentava di denunziarlo ai Superiori, rimettendosi
interamente al loro giudizio e prudenza. Ben compreso che l’ ozio è origine di tutti i vizi, era sua
cura, in tempo di ricreazione mettersi in mezzo ai giovani, disporre giuochi, animarli e insieme
mantenere ordine e perfetta disciplina. Nè a ciò si restrinse la sua attività; imperocchè sapendo
quanto gli onesti divertimenti contribuiscano alla buona educazione, e siano ottimo preservativo
a pericolose dissipazioni, col permesso de' superiori costrusse in apposito locale un piccolo
teatrino pei soli artigiani, dove spesso si rappresentavano drammi, declamavansi poesie,
leggevansi componimenti in modo però, che tutto inspirasse amore alla virtù e affetto al lavoro.
Fra le sue occupazioni, egli non dimenticava le pratiche di pietà e assisteva con esemplare
assiduità ai divini uffizi. Nutriva speciale divozione a s. Giuseppe, e con apposite conferenze e
con piccole accademie incoraggiva i suoi allievi a farsi inscrivere alla compagnia eretta nell’
Oratorio sotto la protezione di questo Santo Patriarca. Ivi leggevansi dai giovani poesie e prose e
chiudevansi con un sermoncino ricordando i meriti e le glorie del Santo, e invocando sopra gli
artigiani la potente sua intercessione. {25 [329]} Ma erano giunti anche per lui i giorni del
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combattimento imperocchè già alquanto inoltrato nei corsi della Teologia, approssimandosi il
tempo delle sacre ordinazioni, fu caldamente esortato dai parenti e da altri amici ad uscire di
Congregazione, lasciandogli travedere un avvenire felice. Egli ondeggiò per qualche tempo; non
voleva da una parte disgustare persone che sembravano interessarsi del suo bene, per altra parte
ei sentiva una irresistibile inclinazione a rimanere nella Congregazione, dove aveva passati i più
belli anni della sua giovinezza. Quivi trovava ne' suoi compagni altrettanti fratelli, nei superiori
padri affettuosi, nel ritiro e nelle pratiche di pietà un potente preservativo contro i pericoli
innumerabili, cui vanno esposte nel mondo eziandio le persone che pel loro ufficio e condizione
sembrerebbero esserne immuni. Correvagli anche per la mente come egli fosse indegno della
Congregazione cui aspirava, ma questa non era che un’ insidia del nemico, che sotto le
apparenze della virtù cerca allontanarci dalla retta via, destando in noi apprensioni e scrupoli,
che turbano la mente e inquietano il cuore, e talvolta spingono a deliberazioni, le quali sono poi
causa di sciagure irreparabili.
In questa dolorosa alternativa il nostro Piacentino non desisteva di pregare il Signoro, che
volesse dissipare i suoi dubbi e illuminarlo sulla scelta dello stato. Ed il Signore, il quale non
abbandona mai coloro che con purità di intenzione a lui fanno ricorso, lo esaudì; gli diè forza a
resistere ai reiterati inviti, a ribattere le lusinghiere proposte, che gli venivano fatte e si consacrò
a {26 [340]} Dio coi voti triennali negli esercizi spirituali di Lanzo l’ anno 1874. Questo passo
segnava per lui un vero distacco dalle cose del mondo e fu subito compensato colla calma del
cuore, colla tranquillità dell’ animo. Egli si vedeva tracciata una via sicura, da poterlo rendere
felice nel tempo e nell’ eternità. Eransi dissipate tutte le apprensioni, quetati gli scrupoli, e per
evitare ogni ulteriore istanza, contraria alla sua risoluzione, sebbene fosse amantissimo de' suoi
parenti, prese il partito di non più recarsi in paese.
Era intanto scorso un anno dacchè aveva professato con voti triennali, e avendo compiuti
i corsi di Teologia era mestieri emettere i voti perpetui, a fine di potersi presentare alle Sacre
Ordinazioni. Egli prese tempo, e risolvette di fare quest’ ultimo passo nei prossimi esercizi
spirituali di settembre. Ma il Signore, che gradisce la pia intenzione, e nell’ infinita sua
misericordia ce ne fa merito come di cosa fatta, non gli lasciò il tempo a mettere ad effetto la
presa deliberazione. Imperocchè sebbene fino allora avesse costantemente goduto ottima sanità,
cominciò nel mese di maggio a provare un malessere in tutta la persona; il cibo gli venne a
nausea, e una prostrazione di forze accompagnata da lenta febbre si impossessò di lui.
Ma il giovane coraggioso non se ne dava per inteso, talchè gli fu d’ uopo d’ un comando
perchè si mettesse a letto. Riavutosi alquanto, i Superiori per consiglio dei medici lo inviarono al
Collegio di Alassio, colla speranza che l’ aria mite di riviera avesse potuto giovargli. Invero dopo
gravi ed attente cure parve stesse meglio, e già poteva {27 [341]} passare la giornata fuori di
letto. Qui non è da lasciar passare sotto silenzio, come egli sebbene ammalato, in un Collegio fin
allora a lui sconosciuto, non desistesse tuttavia dal sorvegliare i giovani dalla sua finestra, che
metteva al cortile della ricreazione e intravedendo qualche piccola cosa, che desse anche il
minimo timore d’ offesa di Dio, ne dava subito avviso a coloro, che primi andavano a visitarlo.
Ma quel miglioramento fu di poca durata, e la ricaduta gli fu fatale. La durò ancora
qualche settimana e in questo frattempo, come in tutto il corso della malattia, si mostrò assai
rassegnato ai divini voleri, confortando d’ ora in ora il suo spirito con qualche preghiera a Dio ed
a Maria SS., e colla Santa Comunione. Ringraziava Iddio di averlo chiamato alla Congregazione
Salesiana, e così trovarsi in mezzo ai cari suoi Confratelli; nè rifiniva di commendare le
affettuose cure che erangli state prodigate all’ Oratorio e gli venivano fatte in Alassio.
In questo tempo ricevette la notizia della morte di D. Chiala. La perdita inaspettata di un
cosi caro amico fu accompagnata da un visibile deterioramento delle sue forze. Ogni giorno più
le sentiva mancare, domandò i SS. Sacramenti che ricevette con grande trasporto dell’ anima sua
ed edificazione di coloro che lo attorniavano. Munito pertanto di tutti i conforti della Santa
Cattolica Religione, il 18 di Luglio l’ anima sua volava ad abbracciare i suoi confratelli che poco
prima l’ avevano preceduto, come speriamo, nel possesso della gloria del Cielo. Egli avrà presto
ricevuto il premio della {28 [342]} sua grande operosità e zelo pel bene; zelo che deve animare
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ciascuno di noi, e che per certo renderà dolci le ultime ore della vita, se avremo la sorte di
terminarla in mezzo alle fatiche, come appunto avvenne al nostro caro Piacentino.
Ma non dimentichiamo mai, che in quegli ultimi momenti si raccoglie il frutto di quanto
si è seminato nel corso del vivere mortale. Quae seminaverit homo, haec et metet. Beati coloro
che impiegarono la loro vita in opere di carità, nel compire i loro doveri, specialmente nel
lavorare per la maggior gloria di Dio, a mantenere le promesse con cui ci siamo a Dio consacrati.
Quanto grande allora sarà il loro gaudio! Più grande ancora sarà la loro contentezza, quando al
Divin tribunale si udranno dal Supremo Giudice quelle consolanti parole: Perchè tu mi sei stato
fedele in poco, ti darò una mercede grande assai, entra nel gaudio del tuo Signore. Quia in pauca
fuisti fidelis, supra multa te constituam; intra in gaudium Domini tui.
Il Ch. Antonio Vallega.
Grave perdita fece la Congregazione nostra nella morte del compianto Ch. Antonio
Vallega. Nato in Alassio il 13 Giugno 1858, da ottimi genitori, parve portare con sè fin da' suoi
primi anni tutti i doni della natura e della grazia. Di aspetto angelico, ilare nel volto, modesto
nello sguardo, affabile nel parlare e nel conversare, ubbidientissimo {29 [343]} ai genitori, l’
avreste detto fin d’ allora il modello dei giovanetti. Divotissimo di Gesù e di Maria egli aveva
già tutto a loro consacrato il suo cuore in quell’ età, in cui l’ uomo appena può dirsi che ne abbia
uno per se stesso; e la pietà, che suol essere sempre un tardo frutto della grazia, in lui invece
preveniva lo svolgersi della ragione.
Questi preziosi germi di virtù e di saviezza congiunti con un’ ardente volontà e singolare
attitudine allo studio crebbero ognor più con gli anni, talmente che i vicini solevano spesso dire
ai loro figliuoletti: “Imparate dal giovanetto Vallega a studiare e ad esser buoni e virtuosi.” All’
età di sette anni lo colse una gravissima malattia, che pose per qualche tempo in pericolo i suoi
giorni, e valse pure a far conoscere quanto la sua bell’ anima fosse cara a Maria Immacolata.
Poichè raccomandatosi di cuore a questa dolcissima Madre prese tosto a migliorare, sicchè a
poco a poco riebbe quella sanità che i medici avevano dichiarato come perduta e ripigliò le
antiche forze.
Questa grazia segnalata di Maria accese viemaggiormente in petto al nostro Antonio
quell’ amore e quella divozione che già aveva vivissima verso di Lei, instillata come era in lui,
con la vita stessa, e cresciuta quindi nel suo vergine cuore come in proprio terreno. E perchè
sapeva che nessuna virtù è maggiormente cara a Maria quanto la purità, Le fece fin da quell’ età
un prezioso regalo di questo candido giglio, offrendo a Lei la sua mente, il suo cuore e tutto se
stesso, e proponendo risolutamente di non contaminarlo giammai, dovesse andarne la vita stessa.
Or chi potrà dubitare non {30 [344]} essere questo il segreto di tutti quei tanti straordinari favori,
onde Iddio lo volle premiare anche in questa vita? Chi per poco conosce l’ eccellenza di questa
virtù, ne' giovani sopratutto, tanto più preziosa, quanto più rara, l’ inestimabile pregio, che ha
davanti a Dio, e di quali grazie spirituali e temporali ricolmi i suoi fedeli cultori, abbellendone il
cuore, nobilitandone la mente ed ornandone assai spesso, come aureola luminosa, la fronte
stessa, più non farà maraviglia allo scorgere nel giovanetto Antonio tanta abbondanza di celesti
favori, per cui primo nella pietà, era pur sempre il primo anche in qualsivoglia più ardua materia
scolastica. Sicchè i suoi passi negli studi erano costantemente segnati da altrettanti trionfi.
Ma appunto perchè preziosa, fece egli uso di tutti i mezzi necessari per mantener sempre
viva nel suo cuore questa virtù. Diedesi quindi fervorosamente alla preghiera, coltivava la
mortificazione dei sensi, e sopratutto degli occhi, pasceva la sua mente e confortava il suo spirito
nelle sante letture, frequentando i SS. Sacramenti della Confessione e Comunione, il più saldo
sostegno dell’ innocenza ed il più soave refrigerio nei giorni della tribulazione e del dolore. E
tutte queste pie pratiche, coltivate per convinzione, spontaneamente e come naturalmente,
rendevano bella e cara la sua pietà, ed erano felice sorgente di ogni più eletta virtù. Egli sapeva
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condire ogni sua parola, affabile sempre e cortese con tutti i suoi compagni, a segno che nessuno
mai fu che gli mostrasse il più lieve disamore, tutti invece nutrivano verso di lui un sentimento
misto di affetto e di venerazione. {31 [345]} Come era poi ammirabile il raccoglimento nella
preghiera! Col capo chino a terra, le mani giunte al petto, immobile nella persona, l’ avreste detto
non un uomo della terra, ma un serafino del cielo. Che se i suoi occhi, timidi spesse volte di
preziose lacrime, sollevavansi dal suolo, era solo per affissarli in quell’ adorato tabernacolo dove
si racchiudeva Gesù, delizia e sospiro dell’ anima sua. E doveva egli un cuore sì candido e puro
bruttarsi nelle sozzure del mondo? Doveva un’ anima così pia e virtuosa, perdersi fra le vanità
del secolo? No, non mai; un fiore così delicato e gentile non doveva più a lungo patire l’ alito
pestifero di questa misera valle, ma trapiantarsi lungo i chiari fonti d’ un chiuso giardino; Dio lo
voleva a sè solo consacrato, segregato dal mondo, che non ne era degno, e solo inteso alla sua
spirituale perfezione; lo voleva insomma nello stato ecclesiastico, e più ancora nello stato
religioso.
Era l’ Ottobre del 1872, quando egli, dopo d’ aver ne' due anni antecedenti frequentata la
III e IV classe Ginnasiale nel Collegio d’ Alaggio, vi entrava come convittore a compiervi la
Quinta, risoluto di vestire subito l’ abito clericale e cominciar l’ anno di prova richiesto dalle
nostre costituzioni. Così ai 20 di detto mese, indossava nella Chiesa del Collegio la veste da
chierico con tanto giubilo dell’ animo suo, che ben gli si leggeva sul volto stesso. Da questo
momento apparve come gigante a correre le vie del Signore. L’ umiltà, la carità, la modestia, il
distacco dalle persone e dalle cose del mondo, l’ ubbidienza e l’ esattezza condotta all’ ultimo
grado nell’ osservanza delle regole del Collegio {32 [346]} e della Congregazione erano
divenute per lui occupazione di ogni giorno. Egli non tralascio mai ni la visita quotidiana al SS.
Sacramento ed a Maria SS., nè la recita del Rosario, nè la meditazione, nè altra delle pratiche di
pietà così necessarie nella vita ecclesiastica e religiosa. Era poi illimitata la confidenza, che
aveva nel suo Superiore, a tal segno che, qualunque cosa interna od esterna fossegli succeduta,
tosto correva ad aprirsene con lui, con tutta schiettezza ed umiltà, chiedendone consiglio e norma
pel viver suo. Nè per questo dimenticava i doveri scolastici, cui egli compiva con tanta puntualità
ed esattezza da esserne ammirati i suoi stessi maestri. E frutto di questa esattezza e dell’ ingegno,
che Dio gli aveva dato singolare, era 1’ eccellente riuscita che fece negli studi, sicchè nella
Licenza Ginnasiale dell’ anno 1873 riuscì il primo tra i numerosi compagni, che con lui subirono
il pubblico esame al R. Ginnasio Monviso in Torino.
Nel Settembre di quell’ anno medesimo andò cogli altri suoi confratelli a far gli Esercizi
Spirituali a Lanzo Torinese, ed avrebbe desiderato assai di emettervi i voti, ma non potè ciò fare
per non avere ancora compiuto l’ anno sedicesimo di età prescritto da' sacri Canoni e dalle regole
della Congregazione. Di questo impedimento fu sulle prime assai accorato; ma si rasserenò tosto,
solito come era a rassegnarsi in ogni cosa alla volontà di Dio. Desideroso di acquistarsi un buon
corredo di virtù e di scienza, soleva farsi un sunto e compendio delle prediche ed istruzioni da lui
ascoltate con un’ attenzione e compostezza veramente ammirabili, {33 [347]} che riandava a
quando a quando, onde conservarne perenne il fratto. Di più si notava con accuratezza ogni
ricordo che avesse dato il suo Superiore, procurando di praticarlo con la massima esattezza,
come se fosse stato a lui in particolare indirizzato. Nè a questo solo contento portava con sè un
libretto, che tuttora si conserva, in ciascuna pagina del quale scriveva al fine d’ ogni mese, da
una parte le mancanze, che credeva aver commesse, dall’ altra i proponimenti da praticare pel
mese seguente, interrotti ad ora ad ora da calde aspirazioni, da slanci generosi, che rivelavano l’
infuocato amore, onde tutto ardeva per Gesù e Maria quel candido cuore. E tutto questo non l’
impediva per nulla dall’ attendere a' suoi doveri scolastici, ed a quegli altri, che gli venissero
affidati. Incaricato della cura della Sacrestia non è a dire con quanta esattezza e precisione
compiva l’ ufficio suo, senza che però mai la moltiplicità e farragine delle cose nuocesse, come
suole talvolta avvenire, agli obblighi della pietà. Con tali aiuti andava ogni dì più
perfezionandosi nella virtù e e rendendosi degno delle grazie del Signore.
Giungeva intanto il giorno per lui da tanto tempo sospirato, in cui potè finalmente, colla
professione religiosa, far paghi i voti del suo cuore. Ciò fu nel Settembre del 1874, e qual fosse
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la gioia dell’ animo suo, lo dicono le lettere, che scrisse in quella circostanza ai confratelli ed
amici, lettere che, mentre sono un modello di bello scrivere, rivelano l’ elevato grado di virtù, a
cui era giunto in sì poca età, e l’ ardente desiderio, che era in lui di sempre maggior perfezione.
Co' voti, scrisse sotto {34 [348]} la data di Settembre nel suo librettino, ho reso l’ anima e il
corpo tempio vivo dello Spirito Santo. Adunque voglio che questo tempio sia sempre puro e
mondo. E come promise, così mantenne, con una perseveranza al tutto mirabile, fino al termine
di sua vita.
Era egli soggetto fin da piccolo a frequente mal di capo, il quale aggravandosi ogni dì più
col crescere dell’ età, rincrudì ad un tratto nel Gennaio del 1875; cagionando oppressione di
petto, con tosse. Pareva sulle prime cosa passeggiera e facilmente sanabile; ma sventuratamente
non fu così; che ben tosto si palesarono sintomi d’ incurabile malattia. Invano gli si prodigarono
tutte quelle cure, tutti quei rimedi, che l’ arte medica e l’ affetto dei parenti ed amici, di cui era a
buon diritto la pupilla, seppero trovare. Il male, sempre fieramente persistente e lentamente
divoratore, ne spegneva la preziosa vita agli 11 d’ Aprile del 1876 in Noli Ligure fra il pianto
degli ottimi suoi genitori, dolenti di perdere in lui non solo un figlio, ma un modello, un
esemplare di virtù. Io lo vidi, scrive il suo Direttore, la sera innanzi alla sua morte, e qual
dolorosa stretta ne sentissi al mio povero cuore pensando che avrei fra poco perduto non che un
confratello carissimo, un modello di virtù, mi sarebbe impossibile l’ esprimere a parole. Pur
tuttavia confortavami 1’ animo e rendevami come invidiabile la sua condizione la rassegnata
pace, la tranquilla serenità di coscienza, con cui stava per presentarsi all’ Eterno Giudice. Pareva
che in lui le passioni fossero totalmente sopite, e l’ anima sua non sentisse in alcun modo il peso
{35 [349]} di questo misero corpo. Ringraziò più volte il Signore d’ averlo chiamato alla
Congregazione Salesiana, e prima che io partissi, mi incaricò di pregare l’ amatissimo D. Bosco,
a cui ebbe sempre una tenerezza figliale, che, qualora il Signore gli ridonasse la saniti, volesse
annoverarlo tra i Missionari, che sarebbero partiti per l’ America, dove desiderava ardentemente
consacrare tutta la sua vita alla gloria di Dio ed al bene delle anime.
Vigliocco Giacomo.
In Barone, villaggio del Canavese diocesi d’ Ivrea, nacque il nostro Giacomo Vigliocco il
15 Luglio dell’ anno 1857. Suo padre Giuseppe e sua madre Angela Gameno, seppero per tempo
inspirare al loro figliuolo sentimenti di profonda pietà e divozione sincera, e ne furono ben
corrisposti, poichè il piccolo Giacomo si guardava dall’ arrecare loro il benchè minimo disgusto.
Essi attestano non aver ricevuto da lui mai dispiacere di sorta e fin da bambino avere dimostrato
saviezza quasi virile. Fu sorpreso nella sua adolescenza più volte ad orare di notte ed anche
molto prolungatamente. Ai suoi fratellini poi la faceva proprio da padre in tutto; ma quando loro
parlava di religione, il suo viso si infiammava e le più patetiche esortazioni uscivano dal suo
labbro.
Il paroco, conosciuta a prova la pietà e 1’ assennatezza di lui, ne parlava sempre con
ammirazione {36 [350]} coi terrazzani di Barone e qualora avesse a proporre ai giovani un vero
modello di virtù, additava il giovane Vigliocco.
Intanto venne l’ età in cui ebbe a far vedere che i suoi sentimenti religiosi erano quanto
mai sodi, poichè fatte in paese le classi elementari con grande profitto, vedendosi di tanto
ingegno e così inclinato allo studio, si giudicò di metterlo in collegio a Caluso a fare il corso
classico. Esso abbracciò con gioia questa deliberazione de' suoi, perchè così gli si apriva la via
ad effettuare un secreto suo pensiero, qua! era quello di abbracciare lo stato ecclesiastico. Il suo
primo maestro e l’ assistente in quel collegio attestano di averlo più volte sorprèso in orazione
nei cantucci della casa, ed avendolo i superiori proibito di ciò fare per 1’ avanti, questi
umilmente si sottometteva agli ordini loro. Pregavali tuttavia di lasciarlo qualche volta scostare
dalla ricreazione per attendere a taluni de' suoi prediletti esercizi di pietà.
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In questo collegio di Caluso si segnalò talmente che il direttore attestò al paroco di
Barone, non avere avuto mai in collegio allievo più esatto ne' suoi doveri, più regolare nella sua
condotta, più fervente nelle pratiche di religione. Occorrendo poi al novello paroco di parlare con
molte persone, ora già uomini fatti, i quali furono suoi condiscepoli, tutti decantano del nostro
Vigliocco cose straordinarie affermando che già da giovinetto era fatto segno alla stima ed
affetto universale per prudenza, carità e mansuetudine.
Avendo sempre dimostrato ardente desiderio di abbracciare lo stato ecclesiastico e non
potendo in {37 [351]} Caluso maturare abbastanza questo desiderio, il suo professore, già antico
nostro allievo, gli parlò dell’ Oratorio di S. Francesco di Sales in Torino. Egli ne fu come
elettrizzato, e decise co' suoi di venire a fare in Torino quinta Ginnasiale per vie meglio
prepararsi alla vestizione clericale.
Il 18 Novembre 1873 si vedeva comparire nell’ oratorio un giovane, sui 16 anni, di
statura un pò più che mezzana, pallidetto in volto e piuttosto magro, con un aria semplice, tirante
un po' alla buona, vestito dimesso ma pulito. Era il nostro Giacomo. Per prima cosa cercò della
chiesa per ringraziare il Signore del segnalato benefizio fattogli, di essere stato accettato in
questo istituto; poi si presentò ai superiori dicendo, che si abbandonava intieramente nelle loro
mani, persuaso con ciò di fare la volontà di Dio; facessero pure di lui quanto credessero bene nel
Signore.
Quell’ aria tanto semplice e modesta fece sì, che quando gli si dovette assegnare la classe,
non fu neppure interrogato quali scuole avesse fatto; si credette che fosse per cominciare pur ora
il ginnasio, come avviene alla gran maggioranza dei giovani studenti, che tra noi si accettano. Fu
condotto senza più nella sezione inferiore della prima ginnasiale. Ubbidiente ed umile qual era,
egli vi andò, e tutto il giorno se ne stette tranquillamente in quella scuola attento alla lezione del
maestro. Non fu che al giorno dopo nel ripassare i registri, che avvedendosi dello sbaglio il
direttore delle scuole lo mandò subito con raccomandazione nella quinta.
Ci volle poco al professore ed ai superiori, per conoscere qual gemma nascosta fosse loro
capitata {38 [352]} alle mani. Si palesò ben presto come uno degli ingegni più svegliati, e d’ una
pietà a tutta prova. Ne' suoi doveri scolastici era esatto: rimanendogli tempo libero si metteva a
leggere, ma non intraprendeva mai la lettura d’ un libro, senza domandarne consiglio ai
superiori; nò mai fu visto leggere altro, prima di avere compiuti i suoi doveri. Poco dopo la sua
venuta all’ oratorio, in vista dell a sua buona condotta, e del suo gran desiderio, fu accettato nella
compagnia di s. Luigi, ed in quella del Santissimo Sacramento. Vi è anche nei nostri collegi la
compagnia dell’ Immacolata Concezione, fondata da Savio Domenico l’ anno 1856, collo scopo
di santificare i suoi membri, e far del bene anche ai compagni. Vigliocco vi fu accettato a voto
unanime, ed in poco ne divenne uno dei membri più attivi. La sua divozione principale, alla
quale anche cercava modo di attrarre gli altri, era verso Gesù Sacramentato, e verso Maria
Ausiliatrice, e non lasciava mai nelle ricreazioni, almeno una volta al giorno, di andare a far
qualche visita in chiesa.
Intanto si approssimava il tempo decisivo di fare la scelta dello stato. Egli non stette
molto a deliberare. L’ amore che pose all’ oratorio ed a' suoi superiori, la vista del gran campo
che al suo zelo offriva la Congregazione Salesiana fecero si, che prima della fine dell’ anno, esso
era già decisissimo di abbracciare la vita religiosa, ascrivendosi alla nostra Congregazione, per
cui inoltrò formale domanda nel Settembre 1874. Varie contrarietà gli furono mosse da distinte
ed influenti persone; ma egli disse sempre: “nelle cose di vocazione per lo più {39 [353]} la
sbaglia a gran partito, chi vuole ascoltare altri, fuori che la voce della coscienza e del suo
direttore spirituale.”
Non è a dire qual fosse il contento che provò durante gli Esercizi Spirituali a Lanzo
quando udì che fu definitivamente accettato come Ascritto alla Congregazione. Così tutta la mia
vita, andava esclamando, sarà consacrata al Signore facendo del bene al prossimo! Oh questo
anno voglio proprio metter un fondamento di sode virtù! Ben presto se ne andò dal novello suo
superiore, il maestro dei Novizi, e sua più grande sollecitudine fu nel pregarlo che lo avvisasse
molto e lo correggesse. “Sì, sì, gli ripetè più volte, io son pieno di difetti; ma ho buona volontà;
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mi avvisi pure, mi corregga anche in pubblico ed aspramente, poichè ho bisogno di fiaccare
questa superbia, che mi domina. Le chiamo questo come un segnalato favore che mi ha da fare;
ed io le prometto di pregare sempre tanto per lei; ma più specialmente pregherò ogni volta che
mi farà qualche riprensione.”
Da questo momento la sua condotta, che era già tanto buona anzi ottima, divenne
angelica: ed il suo maestro può attestare che in tutto 1’ anno del noviziato non ebbe il più piccolo
dispiacere per riguardo di lui; che anzi servì di esèmpio vivente a' suoi compagni, tra cui venne il
proverbio: “Bisognerebbe esser buono come Vigliocco.” Che più; il medesimo suo maestro
dovendo dare il rendiconto in iscritto al Superiore Generale della Congregazione, su di lui si
espresse semplicemente con queste parole: “Vigliocco è il buon esempio del noviziato, vero S.
Luigi.” {40 [354]} Ma per non confondere i fatti, i detti, gli episodi, i quali riguardano il nostro
caro Giacomo, bisogna qui dividere la materia in vari punti.
Frequenza ai SS. Sacramenti
Già fin da ragazzo aveva dimostrato desiderio di andare con frequenza a confessarsi ed a
fare la s. Comunione; ma non se gli presentava tanto propizia occasione. Allorchè venne neir
Oratorio una delle sue prime cure si fu di domandare quando, dove, e da chi vi fosse comodità di
confessarsi, e come seppe che D. Bosco stesso, per quanto gli era possibile, confessava tutti i
giorni chi gli si presentasse, subito con gran giubilo, lo scelse come suo confessore, e d’ allora in
poi ogni settimana andava senza manco a trovarlo, nè più lo abbandonò, finattanto che la lunga e
dolorosa malattia lo costrinse a star lontano dai fianchi dell’ amato padre. Nò ciò gli bastava,
poichè anche mentre era già gravemente malato e debolissimo di forze, soleva recarsi con grande
stento a Torino per avere la soddisfazione di confessarsi da lui.
Alla Comunione da principio andava settimanalmente, e poi con più frequenza ancora;
ma dacchè entrò fra' Salesiani cominciò a frequentare la Comunione quotidiana, pratica che non
dismise più se non per impossibilità, nella sua ultima malattia. Non è a dire con quanto fervore
frequentasse questo sacramento e quanto profitto ne ricavasse per l’ anima sua. Si mise proprio
sicut gigas ad currendam viam. Alcune volte dopo la comunione rimaneva così assorto, da non
accorgersi più checchè attorno a lui avvenisse.
Varie volte, arrivata la messa al vangelo ed alzandosi {42 [355]} gli altri tutti in piedi, egli non si
accorgeva punto del rumore, e stava inginocchiato. Un giorno poi aliatosi al vangelo coi
compagni, pregava con tal fervore, che non udì pia il rumore degli altri mentre si
inginocchiavano e rimase così in piedi pregando per molto tempo.
Non contento di andare esso con frequenza alla Comunione esortava anche gli altri, e ne'
suoi discorsi famigliari in ricreazione sovente parlava di questo, per aver campo ad invitare i
compagni a frequentarla anche di più. Aveva in sommo pregio tutto quello che riguardava al SS.
Sacramento. Faceva con frequenza la Comunione spirituale, ed ogni volta che gli era possibile, si
portava in chiesa a visitare Gesù Sacramentato e Maria SS. Oh! potessimo imitarti, caro
Giacomo, nel tuo amore ardente verso Gesù e Maria!
Se questi pochi cenni biografici fossero per caso letti da giovani chierici, oh! con quanto
ardore vorrei dir loro che imitino il nostro Vigliocco, specialmente nella frequente Comunione,
se vogliono vincere ogni cattiva inclinazione e prepararsi a venire santi ministri dell’ altare.
Meditazioni
Appena conobbe l’ importanza somma della meditazione pel progresso della vita
spirituale, l’ abbracciò con tale amore, che più non lasciò di farla neppure nella sua malattia.
Trovò da principio delle difficoltà; ma tanto fu il suo impegno, che in breve riuscì a farla come
se fosse provetto nell’ arte del meditare. Cercò in vari libri il metodo che si doveva tenere;
pendeva dalle labbra del maestro, quando spiegava le regole che aiutano a farla con profitto, ed
era bello il vederlo {43 [356]} al principio d’ ogni meditazione raccogliersi talmente in so, da
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non udire o vedere più altro, se non ciò che a quel soggetto si appartenesse. Come ottimo fu
posto accanto al compagno più dissipato; ed è esso che ora attesta con sommo rincrescimento, di
avere alle volte cercato di distrarlo, ma che non ci riuscì mai.
Un suo secreto per far bene la meditazione era questo: sul principio, nel porsi alla
presenza di Dio, si figurava proprio che gli comparisse visibilmente Gesù Crocifisso, e che dalla
Croce stesse osservandolo se la faceva con tutto l’ impegno possibile. Nel corso della
meditazione come per crescere viemaggiormente il fervore, dava vari sguardi colla sua mente al
Crocifisso, e parendo riceverne da Lui rimprovero, si metteva a considerar sempre meglio la
verità che meditava. In fine pregava fervorosamente questo medesimo Gesù, che lasciasse cadere
su di lui almeno alcune goccio del suo preziosissimo sangue, come pegno del perdono che
riceveva de' suoi peccati e di grazia abbondante che pioveva sul suo cuore. Nel fine della
meditazione, quando si trattava di prendere buoni proponimenti, compariva più che mai, anche
nell’ esterno, l’ impegno che aveva di compirla bene.
Il pensare continuamente a Gesù Crocifisso nelle sue meditazioni, era ciò che gli faceva
prendere le grandi risoluzioni pratiche, le quali cercava poi con ogni possa di eseguire, che gli
faceva scrutare ogni più recondito ripostiglio del suo cuore, per vedere se vi fosse ancora il
germe di qualche vizio da estirpare, o di quali virtù maggiormente abbisognasse per
arricchirsene. Oh quante volte non potendo {44 [357]} contenere la piena del cuore andava poi
sfogandosi col maestro, indicando il desiderio di dare la vita per salvar anime; il desiderio di
patire per amor di Gesù Cristo, più che tutti gli uomini del mondo; il desiderio di slanciarsi tra gli
uomini procurando la loro conversione! Fu nella frequente Comunione e nella meditazione, che
imparò a vincere talmente se stesso, che i suoi compagni e superiori non trovavano neppure la
più piccola cosa da appuntargli! Fu a queste due fonti che attinse quell’ amore ai disprezzi, per
cui non solo non si offendeva quando era ingiuriato o disprezzato, ma che gli fecero domandare
più volte al suo maestro licenza di fare qualche stranezza, per poterne aver dispregio dai
compagni.....
Amor Fraterno
Una gran cosa per chi vive in comunità è il saper vivere in pace con tutti, e sopportare i
difetti altrui. È tanto facile che s’ introduca, quando si sta sempre insieme, qualche antipatia per
alcuni, che si dia luogo a puntigli od a sospetti, che, se non si sta bene in guardia, anche coloro i
quali sono di grande virtù, cadono in questo laccio. Il nostro Giacomo con isforzi continuati
cercava di mettere in pratica il detto di S. Girolamo “aut nullum aut omnes similiter dilige” e
venne al punto di amorevolezza verso i suoi compagni, da superare ogni avversione e si diceva
tra questi: se vuoi divenirgli amico, fagli qualche ingiuria. Prendeva per ischerzo quanto gli si
dicesse un po' piccante ed ingiurioso. Qualora alcuno dei compagni lo burlasse pel suo difetto di
pronunzia che aveva, egli amorevolissimamente balbettando ancora di più, si rideva di sè, di lui,
e celiando {45 [358]} e burlando si metteva con quel tale a divertirsi; e ehi per più anni lo
praticò assiduamente, e l’ ebbe scolaro, assicura non averlo mai veduto incollerire.
Gran gusto provava quando poteva arrecare qualche piacere ai compagni, o far loro
qualche servizio. Si tratteneva sempre, quando gli era permesso, in mezzo ai giovani, ed i più
dissipati erano la sua porzione. Non era solito giuocare molto, perchè amava trattenersi in
ragionamenti morali o scientifici; ma quando si trattava di far del bene, lasciava subito le cose di
suo maggior gradimento per appigliarsi a quello: e noi lo vedemmo molte volte, per caparrarsi i
più cattivelli, giuocare e far con loro ogni sorta di facezie e di divertimenti, per scegliere poi un
momento adatto, e suggerir loro un buon pensiero, dire una buona parola ad animarli alle cose di
pietà. Ne era contento di far esso così; ma invitava altri chierici suoi compagni a praticare lo
stesso. Anche ora vari di essi attestano esservi stati da lui più volte invitati, con grande profitto
dei giovani.
Al suo maestro manifestò più volte, che questo desiderio di far del bene ai giovani era in
lui così grande, da non poterlo trattenere in cuore; avere bisogno di sfogarlo, e domandava
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consiglio, perchè aveva paura di fare imprudenze e finir con male invece di bene. E andava
esclamando: Oh potessi un po' dare la vita tra i più acerbi spasimi, per procurare la salute eterna
di qualcuno di essi! Oh come volentieri per ciascuno di essi vorrei soffrire tutti i dolori
immaginabili! Più volte, quando era già cominciata la sua malattia, domandò il permesso di
potere parlar molto con loro, per esortirli {46 [359]} alla virtù. Che si accresca il mio male, che
importa? purchè possa fare un po' di bene.
Obedienza ed osservanza delle Regole
Il nostro Vigliocco conosceva appieno, che la perfezione della vita religiosa consiste nell’
obedienza e nell’ osservanza esatta delle proprie regole. Fin dai primi giorni che era nell’
Oratorio, si pose con impegno ad osservare tutte le regole della casa: ma quando fu nella
Congregazione, allora questo divenne l’ impegno più grande della sua vita. Sapeva consistere la
vera obedienza nel sottomettere la propria volontà, senza riserva, alla volontà del superiore, ed
egli non investigava mai, se meglio convenisse operare più in un modo, che in un altro. Gli
bastava il sapere che il superiore aveva disposto che si facesse così. Ad un compagno, che gli
disse: a me piacerebbe più che invece della scuola di pedagogia ci fosse scuola di matematica,
rispose reciso: ed a me piace più che sia come i superiori han disposto che si faccia. Ad un altro,
che gli disse l’ assistente essergli di controgenio, e che dovrebbe piuttosto fare in un modo che in
un altro, rispose: “Per me, io trovo tutti di mio genio: or vuoi tu andargli ad insegnare come
debbasi comportare a tuo riguardo? Se i superiori ce lo misero come assistente, essi sanno quel
che si fanno. E poi, non ricordi più quanto abbiam letto in s. Alfonso? essere per lo più una gran
fortuna l’ avere un superiore, il quale ci sembri pieno di difetti; così si vede se siamo veri
obedienti o no: se cioè obediamo all’ uomo perchè ci piace, o a Dio, di cui esso tiene le veci.”
Tutte le cose, anche le più piccole, erano per lui {46 [360]} di massimo momento. Era
talmente puntuale nella levata, che difficilmente, quando finiva la campana di suonare, egli era
ancora in letto. Non fu preso mai in ritardo nelle cose sue. Quante volte fu visto sospendere il
passo, e quasi direi tenerlo levato in aria, voltandosi indietro al primo suono del campanello, che
lo chiamava ad un qualche suo dovere! Avvenne qualche volta, che più per impotenza che per
negligenza, non compì qualche pratica da noi avuta come regola; non che coprirla e fare che non
si sapesse; andava immancabilmente esso stesso a manifestarsi al superiore e a domandarne
qualche penitenza.
Amore allo studio ed alla fatica
Per tutto il tempo che Vigliocco stette nell’ Oratorio, fu sempre trovato o il primo o dei
primi di scuola. Noi abbiamo già detto più sopra, che egli aveva un ingegno svegliato; ma quel
grande progresso, lo si deve attribuire alla, sua continua applicazione. Non voleva che neppure
un bricciolo di tempo andasse perduto. Il suo discorso in ricreazione, se non era di cose che
direttamente alla pietà riguardassero, era rivolto a cose di studio. Non lasciava mai passare
alcuna difficoltà inosservata e quando qualcuna esso non sapeva sciogliere, in ricreazione andava
dall’ uno o dall’ altro de' suoi compagni, che fossero dei primi di scuola o ben anche da' suoi
professori, e cercava in ogni modo di farsela spiegare. Per lo più anche al tempo di passeggio
aveva il libro con sè e studiava. Avendogli un giorno il compagno di passeggiata detto che si
ricreasse alquanto: “Io studio, rispose, è per me di gran diletto e di gradita ricreazione.” {47
[361]} Nello studio la sua applicazione era tale, che non si accorgeva di quanto si facesse attorno
a sè. Ridendo alenila volta i suoi compagni, per qualche cosa avvenuta in pubblico, e da tutti
avvertita, era bello scorgere poi lui alzar la testa, e girare gli occhi quasi dicesse: che cosa c’ è
stato che si ride? E la maggior parte delle volte neppure si accorgeva del disturbo generale. Con
questa applicazione progredì in modo, che possiamo proprio dire straordinario, e già era riputato
abile a coprire gli uffizi anche più difficili e delicati.
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Nell’ Oratorio vi sono sempre dei giovani, i quali o per ragione dell’ età o degli impieghi
che hanno, non possono frequentare le scuole ordinarie. Non era ancora compito l’ anno del suo
noviziato, quando in vista delle doti straordinarie che esso aveva, essendo mancato altro maestro,
si venne nel pensiero di affidare a lui questi giovani. Desideroso com’ era di lavorare molto alla
maggior gloria di Dio, e solito a prendere il desiderio del superiore come un espressione della
volontà di Dio, accettò ben volentieri l’ incarico, sebbene si credesse a mille miglia lontano dall’
essere capace d’ eseguirlo a dovere. Il Signore non lascia mai di premiare l’ obedienza. Sul finire
dell’ anno, giovani, i quali prima avevano fatto pochi mesi di latino poterono subire l’ esame con
quei di quarta ginnasiale.
Domandato un giorno, qual secreto usasse per riuscire a tanto, rispose: Dopo l’ aiuto
Divina, io non conosco altro secreto, se non questo: ricevuto un incarico, mettersi di buona
volontà, ed anche sapersi sacrificare, se occorre, per farlo riuscire bene; ossia mettere in pratica il
proverbio che {48 [362]} dice: fa molto chi fa poco, ma fa quel che deve fare, mentre fa poco chi
fa molto, ma non fa quel che deve fare.
I Catechismi
Uno dei motivi, che gli fecero porre tanto amore alla Congregazione Salesiana, fu perchè
scopo primario di essa è di occuparsi dei ragazzi più poveri ed abbandonati. Oh come ardeva il
suo cuore del desiderio di istruire questi ragazzi nelle cose di religione, e di tirarli al buon
sentiero! Difficilmente potrà trovarsi maggiore slancio del suo, per questa parte. Da fanciullo a
mava istruire i suoi compagni nel catechismo; ma venuto all’ Oratorio crebbe in lui questo
desiderio e godette grandemente quando, lungo la quaresima, fu mandato da' suoi superiori a fare
quotidianamente il catechismo ai giovani, che frequentano l’ Oratorio di S. Luigi a Porta Nuova.
Si preparava prima accuratamente sulle espressioni e sulle similitudini più convenienti
per far capire il punto da spiegarsi, sugli esempi più a dattati ed attraenti per piacer loro e ritrarre
molto frutto. Adoperava grande dolcezza unita a tale e nergia di espressioni, che si accaparrava
la stima e l’ amore di tutti i giovani, e si osservò essere i suoi tra i più costanti a frequentare 1’
Oratorio, e la sua classe tra le più ordinate e silenziose. Ammirabile è il vederlo, per due
quaresime consecutive, appena uscito esso di scuola, frettoloso fare un po' di pranzo, e poi
correre al suo caro Oratorio, facendo volta per volta circa tre chilometri. Arrivava colà non rare
volte molto inzaccherato pel fango e per la neve, o trafelante di sudore per la premura; pure non
mancava mai, e fatto {49 [363]} con ardore il suo catechismo, nuovamente rifaceva i tre
chilometri con gran premura, per arrivare in tempo alla scuola del dopo mezzodì.
Avveniva eziandio, che prolungandosi la scuola al mattino, non aveva più tempo a
pranzare, ed egli contento d’ un pezzo di pane, senza dir nulla ad altri, se ne volava, mangiando
per via, a' suoi prediletti giovani. E quando fu chierico, non convenendogli più il mangiare per
istrada, qualche volta stette affatto senza pranzo, ed alla sera a cena, si trovava aver preso nella
giornata un solo po' di pane col caffè in sul mattino a colazione!... e con giornate sì faticose e di
sì gran moto!!....
La cosa andò tant’ oltre, che in sul finire della quaresima del primo anno, le forze gli
mancarono e cadde ammalato. La malattia, ad intervalli più o meno gravi, gli durò vari mesi; ma
egli per niente raffreddato nel suo fervore, alla quaresima veniente domandò di nuovo la stessa
cosa. Siccome i superiori, temendo per la sua sanità, da principio non lo giudicavano
conveniente, egli ne fece istanza finchè gli fu conceduto. Frequentava anche detto Oratorio tutte
le domeniche dell’ anno e ne faceva quasi per intero la parte di vice direttore. Anche qui
risplendette il suo zelo e la sua abnegazione. Ogni domenica dopo essersi affaticato in chiesa,
quando gli altri uscivano a prendere un po' di sollievo, egli raccoglieva i giovani più volonterosi
ed insegnava loro a servire la s. Messa. In questa scuola di cerimonie fu così costante, che quasi
tutti i giovani, i quali frequentavano detto Oratorio, imparavano a servirla con esattezza e
divozione proprio edificante. {50 [364]}
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Amori alli Missioni
Questo stesso amore che aveva di catechizzare ed istruire, si accrebbe allorquando la
Congregazione stava preparando degli operai evangelici, per le remote terre della Repubblica
Argentina. Egli desiderava di essere nel numero di coloro che venivano colà inviati. L’ udire che
popolazioni di 20 e 30 mila anime non avevano prete, lo faceva ardere di zelo, e voleva recarsi in
compagnia di qualche sacerdote, a catechizzare i fanciulli di quei lontani popoli. Ne fece per
iscritto la domanda ai superiori, e con accalorate parole più volte la ripetè a voce.
Quando poi udiva parlare delle vastissime regioni delle Pampas e della Patagonia, abitate
intieramente da selvaggi, tra i quali non penetrò ancora niente di Cristianesimo, neppure la più
semplice nozione di Dio Creatore, allora il suo spirito non aveva più requie, e solo la
impossibilità materiale di poter partire lo poteva trattenere. Con quanti parlava, con volto
infiammato, con vibrate espressioni, con accalorate parole dimostrava il gran desiderio di poter
dare la vita, per la conversione di quegl’ infedeli. Ecco testualmente la lettera colla quale fece la
domanda di essere mandato nelle Missioni.
Torino 2 Febbraio 1875.
REVERENDISSIMO D. BOSCO.
Ho udito con una gioia stragrande che si è accettata la missione di s. Nicolas de los
Arroyos nella Repubblica Argentina d’ America. Oh che bene immenso si potrà fare in quei
paesi, per la {51 [365]} maggior gloria di Dio! Conoscendo che per queste impresa ci vogliono
molte persone, e che nell’ Oratorio dei preti non ve ne sono in quantità sufficiente per formare
tutto il personale di loro, credo bene di supplicare la S. V. con una formale domanda, a voler
mandare anche me ad evangelizzare, per quanto le forze me lo concedano, quelle regioni. Ben
conosco la pochezza mia, ed il non nulla in cui potrò aiutare! ma se Dio mi assiste, oh, qualche
cosa farò anch’ io! Dacchè sono l’ ultimo dei suoi figliuoli, voglio almeno essere il primo a
testimoniargliene il grande mio desiderio. La volontà di far del bene al prossimo,
Reverendissimo Padre, è in me straordinaria, nè mi spaventano disagi e fatiche, e ad una Sua
voce son pronto ad andare ben anche fino in capo al mondo.
Persuaso che non vorrà rigettare questa supplica; ma che si vorrà servire di me in qualche
modo alla maggior gloria di Dio, ne la ringrazio grandemente, e mi protesto colla più profonda
stima e sentita gratitudine
Di Vostra Paternità Rev.ma
Umilissmo ed affmo servo e Figlio
Ch. GIACOMO VIGLIOCCO.
Sua malattia. Emette i voti
Ma il Signore altramente disponeva di lui, poichè la sua sanità, che a tutti pareva in
buono stato, andava perdendone di giorno in giorno.
Appena i suoi superiori se ne accorsero, stabilirono di sollevarlo surrogandolo nelle sue
occupazioni. Si avvicinava l’ esame finale pe' suoi scolari, {52 [366]} ed egli temendo non ne
scapitassero, e non sortissero poi un buon esito, tanto pregò che gli lasciassero terminarò l’ anno,
assicurando le sue indisposizioni essere poca cosa, che gli si permise di continuare ancora un
poco. Fu ammonito non pertanto, che appena si accorgesse di un ulteriore indebolimento, subito
ne parlasse, essendoci più preziosa la sua sanità, di quello che non temessimo un po' di danno
negli allievi.
Fu inutile il dire: esso stesso non conosceva, che la sua malattia presa a tempo era
curabile; trascurata poteva rendersi fatale. Allorquando i suoi superiori si accorsero, che
veramente la scuola lo stancava troppo, anche contro il suo parere lo tolsero da quell’ impiego, e
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gli si usarono tutte le cure immaginabili. La sua malattia non lo teneva in letto, e tutti speravano,
che con un mese di vacanza, si sarebbe rifatto in sanità. Venne pertanto mandato a villeggiare
sugli ameni e ridenti colli di Soperga. Le cure che quivi gli furono usate, lo fecero rimanere
come confuso e più volte ebbe a dire: mi rincresce d’ essere ammalato, non per ciò che ho da
soffrire, ma unicamente perchè vedo di essere d’ incomodo agli altri, volendomisi usare troppi
riguardi.
Veniva intanto il Settembre, tempo in cui, radunati tutti i confratelli a Lanzo, per gli
Esercizi Spirituali, si sogliono emettere i voti. Vigliocco desiderava ciò con tutto l’ ardore dell’
animo suo, e si preparava a quel passo con una pietà straordinaria; solo temeva che non gli fosse
ciò permesso, perchè era infermiccio. I superiori tuttavia, in vista delle sue belle doti e del suo
ardente desiderio, {53 [367]} credettero bene di permetterglielo; solo che invece di lasciarglieli
fare perpetui, come sarebbe stato il suo desiderio, gli permisero solamente che li facesse,
triennali. Egli ne fa contento ugualmente, sia perchè era solito assoggettare sempre con prontezza
il suo parere a quello dei superiori; sia perchè diceva: son malaticcio, chi sa se ho tempo a finirli?
Qualora poi guarissi intieramente, domanderò di farli perpetui, subito un altr’ anno, e spero che
allora mi si concederà. Mi piace consacrarmi subito tutto per intiero al Signore. Fare i voti
triennali è un fare le cose per metà. È meglio il sacrifizio farlo completo; non essere per metà
dentro, e per metà fuori.
Pel momento, vedendosi inabilitato ad altro lavoro, si pose di grande animo a fare dei
piccoli servizi per la casa, come p. es. servire alle messe, assistere nell’ infermeria. Poi
fermamente nel suo cuore prese questa risoluzione: dacchè sono inutile alla Congregazione nel
resto, almeno, che io le sia utile col buon esempio. Possano i compagni vedere in me la pazienza,
la completa rassegnazione e l’ esercizio costante ed esatto delle pratiche di pietà.
Pare che il Signore volesse dare al suo servo la consolazione di poter emettere i voti, solo
perchè avesse campo a meritare di più pel Paradiso, e non avesse poi a sentire tanto aspramente
il distacco dalle cose di questa terra, ed i dolori della malattia, la quale tuttogiorno andava
crescendo.
Consigliato dai medici, e chiamato da' suoi, si volle provare se 1’ aria nativa valesse a
rinvigorire le sue forze esauste.
Anche a casa gli si osarono tutte le cure immaginabili; {54 [368]} ma egli era sempre un
po' afflitto e per non essere in mezzo ai compagni, e perchè dimorando distante dalla parrocchia,
non aveva la comodità di assistere alla santa Messa tutte le mattine, e di fare la comunione
secondo il solito. Neppure quivi voleva che la sua dimora fosse inutile. Radunava i ragazzi e le
ragazze dei dintorni e faceva loro con grande zelo il catechismo, nè lasciò questa pratica, fintanto
che, aggravatosi sempre più il male, fu obbligato a tenere il letto.
Amore alla Congregazione
Ancora in questo tempo, più che mai risplendette l’ amore e l’ attaccamento per la
Congregazione. Ecco in che modo il suo paroco, in una lettera scrittaci poco dopo sua morte, si
esprime.
“Sono lieto di poterle attestare l’ attaccamento profondo, ed un amore indescrivibile, che
il chierico Vigliocco nutriva per cotesta Congregazione, come risulta dai 4 fatterelli seguenti.
- Nell’ anno prossimo passato, trovatosi in permesso, si affaticava a trovar giovani per
indurli a venire alle case di D. Bosco, descrivendole come madre tenera, difenditrice dell’
innocenza.
- Un dì, ad un povero prete, che fortuitamente trovavasi in casa parrocchiale, e pronunziò
qualche giudizio men retto intorno alle case di D. Bosco, rispose con volto infuocato: Non è lei,
che dovrebbe parlare così di nostre case, perchè ella mangia del pane che generosamente le fu
somministrato da D. Bosco.
- All’ invito ripetuto, che io gli feci, di far visita al nostro venerando vescovo (d’ Ivrea),
egli rispondeva: Io voglio vivere e morire con D. Bosco. {55 [369]} La vita dei preti secolari è
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troppo piena di pericoli. Negli ultimi giorni di sua malattia, non domandava pia altre cose se non
queste: Lasciate e fate che io muoia all’ ombra di Maria Ausiliatrice, che veda ancor una volta i
miei superiori ed i miei compagni. Ci volle tutto il mio ascendente per impedire che partisse alla
volta di Torino, avvegnachè io temessi, che sarebbe morto per via.”
Aggravandosi sempre più il male, ecco come egli stesso scrisse a' suoi superiori: “Ho
vissuto fino al giorno d’ oggi colla speranza di tornare all’ Oratorio e quindi rivedere l’ amato D.
Bosco ed i compagni. Questa mia speranza l’ ho sempre appoggiata su colei che è Auxilium
Christianorum. M’ avveggo oramai, che in questo senso non sono esaudito, e che all’ Oratorio,
forse non ritorno più. Il male peggiora di giorno in giorno, ed ora mi trovo al punto di non
potermi più alzare da letto.
Il mio più gran desiderio sarebbe, di trovarmi in mezzo agli amati superiori e compagni, e
terminare i miei giorni assistito da loro, perchè ho molto bisogno di consigli e conforti spirituali,
per potermi preparare al gran passaggio. Ma vedo che anche di questo bisogna farne un sacrificio
al Signore. I miei parenti sono a ringraziarla dei soccorsi fattimi pervenire finora; adesso non ab
bisogno di nulla, solo desidererei tanto, di avere notizia delle cose più interessanti dell’ Oratorio.
Conchiudo con raccomandarmi alle orazioni di tutti e specialmente alle sue, con preghiera di
mandarmi la Benedizione di Maria Ausiliatrice.”
Sua preziosa morte
Dalle informazioni che ci mandava il paroco compariva, che le cose andavano {56
[370]}sempre peggiorando. Sapendo quanto gli tornerebbe gradita e di sollievo, la visita di
qualcuno de' suoi superiori, andò D. Rua a trovarlo, portargli i saluti di tutti e le notizie dell’
Oratorio, unitamente alla benedizione di Maria Ausiliatrice. Questo lo sollevò assai, ma nessuna
consolazione, come nessuna medicina, valse contro il suo male. La sola cosa che ancora lo
consolasse in questi ultimi giorni era la tenera divozione, che nutrì sempre in tutta la vita verso
Maria Santissima; e Maria la quale già tanto lo aveva protetto nel corso della vita, non era per
abbandonarlo in morte; e pare anzi che proprio visibilmente lo consolasse in quegli ultimi
momenti, e scegliesse il giorno della sua Natività su questa terra, per far nascere il nostro
Giacomo in cielo.
E bene riprodurre qui le precise parole, con cui il suo paroco ci comunicò la straziante
notizia della sua morte, affinchè servano a nostra comune edificazione.
Barone 8 Settembre 1876.
Reverendissimo D. Bosco.
Stamane, alle ore 7 antimeridiane, passò agli e terni riposi il nostro buon chierico
Vigliocco. Sue ultime parole furono: “volesse la Madonna chiamarmi a se in questo bel giorno,
liberandomi da tanti mali!”
Il buon figliuolo volle confessarsi soventi volte nella sua malattia, e dopo una di queste
confessioni, da me interpellato se sarebbe morto volentieri, mi rispose: oh, si! Io spero che non
temerà la morte quando mi si avvicini, nè mi farà paura, {57 [371]} perchè in tutti i mesi ho
sempre fatto l’ esiercizio della buona morte. Gli impartii mercoledì scorso la benedizione papale
con indulgenza plenaria in articulo mortis inviatagli per mezzo di V. S. dal Santo Padre, e la
ricevette con somma divozione e profonda riconoscenza. Ieri mattina alla mia interrogazione:
Soffri molto, mio caro chierico? rispondeva: Non so da qual parte io più soffra, perchè soffro
grandemente da tutte parti; sia fatta la volontà di Dio!
Mio Reverendissimo D. Bosco! Voglia, ad edificazione dei compagni e confratelli del
nostro chierico Vigliocco Giacomo esternare loro questi sentimenti, affinchè non si scoraggino
dalla via intrapresa, quand’ anche dovessero soffrire assai e morire sì giovani.
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Don Bosco - Società di S. Francesco di Sales. Anno 1877
Stamane ho pagato il tributo di mie lagrime alla natura, per la perdita di questo levita, ed
a mala pena potei terminare il canto della S. Messa solenne. Ora il mio cuore si allarga al
pensiero, che trovandosi in Paradiso questo fiore trapiantato da Barone, attirerà una benedizione
speciale per me, per il mio caro popolo, e per la Congregazione Salesiana, alla quale io non avrei
quella stima profonda che ho, se non passasse ne' suoi esordi fra le prove della maldicenza dei
tristi, e per i contrasti dei buoni a lei suscitati in buona fede.
Umil.mo Servo.
Pietro Boita Prevosto.
Moriva adunque il nostro caro Giacomo Vigliocco, in età di anni 19 e due mesi circa,
dopo una vita tutta condotta nell’ amor di Dio, e nella {58 [372]} pratica costante delle virtù
cristiane. Impariamo da questo nostro confratello a nutrire tenera divozione verso la Beata
Vergine in vita, se vogliamo essere consolati nella nostra morte; poichè, crediamolo pure, Maria
non abbandona in quegli ultimi istanti, chi gli fu divoto in vita.
Il Sac. Giuseppe Giulitto.
Giulitto Giuseppe di Perpetuo, e di Clara Argero nacque in Solerò ai 18 settembre 1853.
Entrò nell’ Oratorio il 27 agosto del 1866, in età di circa 13 anni. Vestì con grande sua
consolazione l’ abito clericale il 13 ottobre del 1870 e subitamente si fece ascrivere alla
Congregazione, a cui ben presto pose tanto amore, che nel 1874 si legò ad essa perpetuamente.
Prese gli ordini minori ai 12 settembre, ed il Suddiaconato ai 18 dicembre 1875 da
Monsignor Ferrè vescovo di Casale. L’ anno dopo ebbe la consolazione di prendere dal
medesimo vescovo il Diaconato, 11 marzo, ed il Presbiterato. Aiutò in molti modi la
Congregazione, specialmente nel suo uffizio di professore, che tenne molt’ anni. Poco dopo d’
essere stato ordinato prete cadde gravemente ammalato e morì nell’ agosto del 1876. {59 [373]}
Il Sac. Cesare Chiala.
Il sac. Cesare Chiala del fu Giovanni e della vivente Marianna Giordano nacque in Ivrea
il 12 maggio del 1839. Frequentò da giovanetto l’ Oratorio come estero, e nel 1872 ai 29
settembre vi entrava definitivamente per far parte della Congregazione in età d’ anni 35. Subito
si pose a studiare Teologia e vestì l’ abito clericale ai 14 febbraio del 1874. Prese gli ordini
minori, il Suddiaconato ed il Diaconato in Casale Monferrato dal Reverendissimo Monsig. Ferrè.
Fu poi assunto al sacerdozio il 1° aprile del 1876 da Monsig. Salvai vescovo di Alessandria.
Esercitò 1’ uffizio di Catechista degli artigiani e di prefetto dell’ Oratorio con uno zelo
illuminato e perseveranza infaticabile. Morì nel Luglio di questo stesso anno avendo 1’ età di 39
anni.
Di questi due confratelli, D. Giulitto e D. Chiala, non diciamo altro, perchè di loro,
quanto prima, si darà a parte una biografia a nostra edificazione, e speriamo anche a comune
consolazione. {60 [374]} {61 [375]} {62 [376]}
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