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Don Bosco - Il pastorello delle Alpi, ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera
IL PASTORELLO DELLE ALPI, OVVERO VITA DEL GIOVANE
BESUCCO FRANCESCO d’ARGENTERA'
pel sacerdote BOSCO GIOVANNI
TORINO
TIP. DELL’ ORAT. DI S. FRANC, DI SALES.
1864. {1 [243]} {2 [244]}
INDEX
Giovani Carissimi,.......................................................................................................................3
Capo I. Patria. - Genitori. - Prima educazione del giovane Besucco..........................................3
Capo II. Morte della madrina. - Affetto alle cose di Chiesa. - Amore alla preghiera..................4
Capo III. Sua ubbidienza. - Un buon avviso. Lavora la campagna.............................................5
Capo IV. Episodi e condotta di scuola.........................................................................................6
Capo V. Vita di famiglia. - Pensiero notturno............................................................................8
Capo VI. Besucco e il suo Paroco - Detti. - Pratica della confessione........................................9
Capo VII. La santa Messa. - Suo fervore. - Conduce il gregge sulle montagne........................10
Capo VIII. Conversazioni.’ - Contegno in Chiesa. Visite al SS. Sacramento...........................12
Capo IX. Il benedetto crocifisso. - La corona del rosario. - La presenza di Dio.......................13
Capo X. Fa il Catechismo. - Il giovane Valorso........................................................................14
Capo XI. La santa Infanzia. - La Via Crucis. - Fuga dei cattivi compagni...............................15
Capo XII. La prima comunione. - Frequenza a questo Sacramento..........................................16
Capo XIII. Mortificazioni. - Penitenze. - Custodia dei sensi. - Profitto nella scuola................17
Capo XIV. Desiderio e deliberazione di recarsi all’ Oratorio di S. Francesco di Sales............18
Capo XV. Episodii e viaggio a Torino......................................................................................20
Capo XVI. Tenore di vita nell’ Oratorio. Primo trattenimento.................................................21
Capo XVII. Allegria..................................................................................................................22
Capo XVIII. Studio e diligenza.................................................................................................23
Capo XIX. La confessione.........................................................................................................24
Capo XX. La santa Comunione.................................................................................................25
Capo XXI. Venerazione al SS. Sacramento..............................................................................26
Capo XXII. Spirito di preghiera................................................................................................27
Capo XXIII. Sue penitenze........................................................................................................29
Capo XXIV. Fatti e detti particolari..........................................................................................30
Capo XXV. Sue lettere..............................................................................................................31
Capo XXVI. Ultima lettera.- Pensieri alla madre......................................................................34
Capo XXVII. Penitenza inopportuna e principio di sua malattia..............................................36
Capo XXVIII. Rassegnazione nel suo male. Detti edificanti....................................................37
Capo XXIX. Riceve il Viatico. - Allri delti edificanti. - Un suo rincrescimento......................38
Capo XXX. Riceve l’ Olio Santo. - Sue giaculatorie in questa occasione................................39
Capo XXXI. Un fatto maraviglioso - Due visite. Sua preziosa morte.......................................40
Capo XXXII. Suffragi e tumulazione........................................................................................42
Capo XXXIII. Commozione in Argentera e venerazione pel giovane Besucco.......................42
Capo XXXIV. Conclusione.......................................................................................................43
Appendice sopra il Benedetto Cocifisso....................................................................................44
Indice.........................................................................................................................................46
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Giovani Carissimi,
Mentre aveva tra mano a scrivere la vita di un vostro compagno, la morte inaspettata del
giovane Besucco Francesco mi fece sospendere tal lavoro per occuparmi di lui medesimo. Egli è
per appagare le vive istanze de' suoi compatrioti e de' suoi amici e per secondare le molte vostre
dimande che ho divisato di mettermi tosto a raccogliere le più interessanti notizie di questo
compianto vostro compagno, e di presentarvele ordinate in un libretto, persuaso di farvi cosa
utile e gradita. {3 [245]}
Taluno di voi potrà chiedere a quali fonti io abbia attinte le notizie, per accertarvi che le
cose ivi esposte siano realmente avvenute.
Vi soddisfarò con poche parole. Pel tempo che il giovane Besucco visse in patria mi sono
tenuto alla relazione trasmessami dal suo Paroco, dal suo maestro di scuola, e da' suoi parenti ed
amici. Si può dire, che io non ho fatto altro, che ordinare e trascrivere le memorie a questo scopo
inviatemi. Pel tempo che visse tra noi non ho dovuto fare altro, che raccogliere le cose avvenute
in presenza di mille testimoni oculari; cose tutte scritte e firmate da testimonii degni di fede.
È vero che ci sono delle cose, le quali certamente recano stupore a chi legge, ma questa è
appunto la ragione per cui le scrivo con premura particolare; poich è, se fossero soltanto cose di
poca importanza, non meriterebbero di essere {4 [246]} nemmeno pubblicate. Quando poi
osserverete questo giovanetto a manifestare ne' suoi discorsi un grado di scienza ordinariamente
superiore a questa età, dovete notare che la grande diligenza del Besucco per imparare, la felice
memoria nel ritenere le cose udite o lette, e il modo speciale con cui Iddio lo favori de' suoi lumi,
contribuirono potentemente ad arricchirlo di cognizioni certamente superiori alla sua età.
Una cosa poi dovete notare riguardo a me stesso. Forse troppa compiacenza nello esporre
le relazioni che passarono tra me e lui. Questo è vero e ne chiedo benevolo compatimento:
vogliate qui ravvisare in me un padre che parla di un figlio teneramente amato; un padre, che dà
campo ai paterni affetti, che parla a' suoi amatii figli; loro apre tutto il suo cuore per appagarli, ed
anche instruirli nella {5 [247]} pratica delle virtù, di cui il Besucco si rese modello. Leggete
adunque, o giovani carissimi, e se nel leggere vi sentirete mossi a fuggire qualche vizio, o a
praticare qualche virtù rendetene gloria a Dio, solo Datore di veri beni.
Il Signore ci benedica tutti e ci conservi nella sua santa grazia qui in terra, affinchè
possiamo giungere un giorno a benedirlo eternamente in Cielo. {6 [248]}
Capo I. Patria. - Genitori. - Prima educazione del giovane Besucco.
Se mai ti accadesse, o lettore, di camminare da Cuneo alla volta delle alte giogaie delle
alpi, dopo luogo, ripido e faticoso cammino tu giugneresti sull’ alta vetta delle medesime, ove in
una specie di altipiano ti si presenta alla vista una delle più amene e pittoresche vedute. A notte
tu vedi la cresta più alta delle Alpi, che è il colle della Maddalena, cosi detto per tradizione da
que' popolani che credono essere questa santa venuta di Marsiglia ad abitare {7 [249]} sopra
queste quasi inabitabili montagne. La sommità di questo colle forma un largo piano ove giace un
lago assai esteso da cui nasce il fiume Stura. A sera il tuo sguardo si perde in una lunga, larga e
profonda vallata detta valle delle basse Alpi, che già appartiene al territorio francese. A mattino il
tuo occhio è deliziato da una moltitudine di colli uno più basso dell’ altro, che quasi gradinata
semicircolare vanno abbassandosi fino a Cuneo ed a Saluzzo. A giorno poi e precisamente
ottanta metri dai confini di Francia, ma sempre sul medesimo piano, giace l’ alpestre villaggio di
Argenterà, patria del pastorello Besucco Francesco, di cui intraprendo a scrivere la vita.
Egli nacque in un umile edificio di questo paese da poveri , ma o nesti e religiosi genitori
il primo marzo 1850. Suo padre chiamasi Matteo e sua madre Rosa. Attesa la loro povera
condizione s’ indirizzarono al Paroco, che ha titolo di Arciprete, affinchè {8 [250]} volesse
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battezzarlo e guardarlo come figlioccio. In quel tempo governava già con zelo la parochia dell’
Argenterà l’ attuale arciprete di nome D. Pepino Francesco che ben volentieri si prestò al pietoso
uffizio. Madrina fu la madre dello stesso Arciprete di nome Anna, donna di vita esemplare, e che
non mai si rifiutava ad opere di carità. Per ordine espresso dei genitori gli fu imposto nel
Battesimo il nome del padrino, cioè Francesco, al quale volle l’ Arciprete aggiunger quello del
Santo occorso nel giorno della sua nascita, s. Albino. Appena il nostro giovannetto giunse all’
età, in cui potè essere ammesso alla santa comunione, non lasciava mai in quel giorno, 1° di
marzo, di accostarsi ai santi Sacramenti, e per quanto gli eri possibile passava tutta quella
giornata in opere di cristiana pietà.
Conoscendo sua madre quanto importi il cominciar per tempo a dare buona educazione
alla figliuolanza non risparmiava sollecitudine per insinuare sodi principii di pietà nel tenero
cuore {9 [251]} del caro figliuoletto. I nomi di Gesù e di Maria furono le prime parole, che ella
studiò di fargli imparare. Non di rado fissandolo in volto e portando il pensiero sulla vita futura
di Francesco tutta tremante pei gravi pericoli, cui sogliono andar esposti i giovanetti, commossa
esclamava: Caro Franceschino, io ti amo assai, ma assai più del corpo amo l’ anima tua. Vorrei
prima vederti morto, che vederti offendere Iddio. Oh! potessi io essere consolata da te col vederti
sempre in grazia di Dio! Queste e simili espressioni erano il condimento quotidiano che animava
lo spirito di questo fanciullino, il quale contro ogni aspettazione cresceva robusto in età e nello
stesso tempo in grazia appresso di tutti. Allevato con questi sentimenti non è a dire di quanta
consolazione Francesco riuscisse a tutta la famiglia. Tanto i genitori di Francesco, quanto i suoi
fratelli godono di poter attestare come il loro fratellino si compiacesse, appena cominciò parlare,
di nominare sovente i Ss. nomi di Gesù e di Maria, {10 [252]} che furono i primi nomi ben
pronunciati da quella innocente lingua. Fin dalla più tenera età manifestò gran gusto nell’
imparare orazioni e canzoncine spirituali, che compiacevasi cantarellare in compagnia della
famiglia. Era poi una delizia il vedere con quanta gioia tutte le feste prima del vespro si unisse
cogli altri fedeli a cantar le lodi a Maria e a Gesù. Pareva allora nella pienezza delle sue
consolazioni. L’ amore alla preghiera sembrò nato con lui. Dall’ età di soli tre anni, secondo le
attestazioni dei genitori, dei fratelli e delle sorelle, non diede mai occasione di esserne invitato;
ed egli stesso ne domandava l’ insegnamento. La mattina e la sera all’ ora consueta s’
inginocchiava e recitava da se quelle brevi preghiere, che già aveva imparato, nè alzavasi finchè
non ne avesse imparato alcun che di più. {11 [253]}
Capo II. Morte della madrina. - Affetto alle cose di Chiesa. - Amore alla
preghiera.
Il giovanetto Besucco portava grande affetto alla sua madrina, la quale sia pei piccoli
regali che gli faceva, sia pei segni speciali di benevolenza che gli usava teneva come sua seconda
madre. Correva egli solamente il quarto anno di sua età, quando Anna Pepino cadde gravemente
inferma. Il suo affezionato figlioccio dimandava spesso di poterla visitare, pregava per lei, e le
faceva mille carezze. Sembra che egli di lontano abbia avuto segni straordinarii della morte di
lei, che spirava l’ anima sua il 9 maggio 1853.
Non ostante così tenera età da quel giorno cominciò a recitare mattina e sera un Pater per
la defunta madrina, uso che ritenne sempre. Egli lo assicurò più volte dicendo: Mi ricordo e
prego tutti i giorni per la mia Madrina, sebbene io abbia molta speranza {12 [254]} che ella goda
già la gloria del Paradiso. Appunto in riconoscenza della pietà, che Francesco dimostrava alla
cara sua madre, l’ Arciprete lo amò con predilezione e lo tenne d’ occhio per quanto gli fu
possibile.
Qualora Francesco avesse veduto quelli di sua famiglia a far preghiere, tosto mettevasi in
atteggiamento divoto alzando gli occhi e le innocenti sue manine al Cielo quasi presago di quei
grandi favori, che in seno versato gli avrebbe il misericordioso Iddio.
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La mattina, contro la consuetudine dei ragazzi, non voleva assaggiare cosa alcuna se
prima non avesse recitate le sue orazioni. Venendo fin dall’ età di tre anni condotto alla chiesa,
non mai successe il caso, in cui disturbasse i vicini, che anzi osservandone per fino i movimenti
divoti procurava d’ imitarli, cosicchè accadeva sovente, che coloro i quali l’ osservavano con
queste sorprendenti disposizioni dicessero: Sembra incredibile tanta compostezza in un fanciullo
di quella età. {13 [255]} Egli prestavasi volentieri a tutti gli uffizi di chiesa di qualunque genere,
a segno che pareva nato fatto per compiacer tutti, anche con grande suo incomodo. Infatti molte
volte d’ inverno accadde che per la quantità della neve caduta non potesse intervenir persona di
sorta all’ unica Messa del Paroco per servirla. Soltanto l’ intrepido Francesco affrontando
coraggioso ogni pericolo facevasi strada colle mani e coi piedi in mezzo alla neve, e giungeva
solo alla Chiesa. Al primo vederlo l’ avresti creduto un animale, che camminasse o meglio si
avvoltolasse in mezzo alla neve, la cui altezza superava di molto quella di Francesco. Matteo
Valorso testimonio oculare depone, che circa la metà del mese di gennajo 1863, chiamato dal
paroco a servirgli la Messa, al momento di accendere le candele all’ altare, con sua sorpresa vide
entrare uno in Chiesa di cui a stento ravvisava le sembianze umane. Ma quale non fu la sua
maraviglia, quantio scopri in quel coraggioso il nostro giovanetto, {14 [256]} che contento della
felice riuscita dei suoi sforzi esclamò: finalmente ci sono. Servì infatti la Messa, dopo la quale
sorridendo disse al Paroco: «Questa ne vale due, ed io l’ ho ascoltata con doppia attenzione, e ne
sono tanto contento. Seguiterò a venirvi a qualunque costo.»E chi non avrebbe amato sì grazioso
giovanetto ?
Con queste disposizioni cresceva il fanciullino in età ed in grazia presso Dio e gli uomini.
All’ età d’ anni cinque sapeva già perfettamente le orazioni della mattina e della sera, che
recitava tutti i giorni insieme colla famiglia, il quale uso ritenne, finchè dimorò nella casa
paterna. Mentre mostravasi ansioso di pregare, mostravasi eziandio assai premuroso nell’
imparare preghiere o giaculatorie. Bastava che Francesco udisse alcuno a recitare una preghiera a
lui ancora ignota, che non gli si toglieva dai panni se non dopo che l’ aveva imparata; quindi
tutto allegro, come avesse scoperto un tesoro, la insegnava a quei di sua casa. Ed allora giubilava
{15 [257]} molto osservando la nuova sua preghiera entrata in consuetudine nella famiglia, o
recitata da' suoi compagni. Le due seguenti erano per cosi dire il suo Mattutino e la sua
Compieta.
Appena svegliato, fatto il segno della s. Croce, balzava dal letto recitando forte, od anche
cantando la seguente orazione: «Anima mia, alzati su: guarda al Ciel, ama Gesù: ama chi ti ama,
lascia il mondo che t’ inganna: pensa che hai da morir, tuo corpo ha da marcir: e perchè sii
esaudito, di a Maria tre volte l’ Ave, Maria.» Siccome nei primi anni non poteva comprendere il
significato di questa orazione, così importunava ora il padre, ora la madre, o qualche altro, che
gliela spiegassero. Quando poi era giunto a comprenderla diceva: Adesso la recito con maggior
divozione. Col tempo questa preghiera divenne la regola di sua condotta.
La sera poi incamminandosi al riposo, come la mattina recitava con espressione assai
viva la seguente: {16 [258]}
«A coricarmi mi vo, non so se mi leverò: quattro cose dimanderò: Confessione,
Comunione, Olio Santo, Benedizione Papale. Nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito
Santo.»
Compiacevasi in modo particolare di ragionare delle cose di religione, degli esempi di
virtù da altri praticati, che egli subito cercava di imitare. Se talvolta era alquanto malinconico, e
volevasi rallegrare, bastava parlargli di cose spirituali, o del profitto, che poteva ricavare nel
frequentare la scuola.
Capo III. Sua ubbidienza. - Un buon avviso. Lavora la campagna.
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La sua ubbidienza agli ordini dei genitori, dice il Paroco, era così pronta che sovente ne
preveniva i desideri in modo, che non ebbero mai ripulsa dal medesimo, e nemmeno ravvisarono
la più piccola indolenza nell’ eseguire i loro comandi. Le sue {17 [259]} sorelle ancora
affermano essere non rare volte accaduto, che per inavvertenza, o perchè occupate in altri lavori
avendo esse alquanto differita l’ esecuzione degli ordini dei genitori, ne furono sempre
rimproverate dal loro fratellino. Atteggiandosi in tali circostanze in atto supplichevole, «e che?
esclamava, è già una mezz’ ora che nostra madre vi comandò quella cosa, e voi aspettate ancora
ad eseguirla? Non è bene dar motivo di disgusto a chi tanto ci ama.»
Era poi tutto dolcezza ed amore verso i fratelli e le sorelle, non mai offendendosi
quantunque fosse dai medesimi rimproverato. Con loro compiacevasi d’ ordinario trattenersi a
divertimento, perchè egli giudicava non potere dai medesimi imparare altro che bene. Confidava
loro ogni pensiero, e per fino li pregava ad invigilare sopra de' suoi difetti. «Qui mi rincresce,
dice il Paroco, di non poter descrivere la buona armonia, che regnava in questa famiglia
composta in allora di otto persone, le quali potevano dirsi {18 [260]} esemplari in tutta la loro
condotta, sia per la ritiratezza in casa, sia per la loro frequenza e divozione alle sacre funzioni.»
Cinque anni fa essendo partito pel servizio militare il suo maggior fratello Giovanni, il
nostro Francesco non cessava di dargli santi avvertimenti per sua norma, affinchè si mantenesse
buono come era in casa. «Procura, conchiudeva, di essere vero divoto di Maria SS. Essa
certamente ti ajuterà. Dal mio canto non mancherò di pregare per te. Fra poco li sriveremo delle
lettere.» Tutto ciò diceva in età appena di anni nove. Quindi rivolto ai genitori, che in quel figlio
perdevano il braccio più forte pei lavori di campagna, «voi piangete, loro diceva, ma Iddio ci
consolerà in altro modo col conservarci la sanità, ed ajutarci nei nostri lavori. Io poi farò tutto il
possibile per ajutarvi.» Che gran lavoratore di campagna! Eppure fu così; con grande maraviglia
di tutti attendeva in modo straordinario ai lavori che gli erano {19 [261]} comandati, volendo
anzi intraprenderne molti altri, che i parenti credevano incompatibili colle sue forze. In mezzo ai
lavori di campagna manteneva sempre inalterata la sua giovialità non ostante la stanchezza
inseparabile dal suo ardore nei medesimi. Se qualche volta suo padre per celia dicevagli:
Francesco, sembri assai stanco dal lavoro, egli ridendo rispondevi: «Ah! mi sembra, che questi
lavori non siano fatti per me. Mio padrino mi dice sempre che studii; chi sa che egli non mi
ajuti.» Nè passava mai giorno senza parlare in famiglia del suo desiderio di frequentare le scuole.
Andava a scuola nell’ invernale stagione, ma non dispensavasi mai dai servigi domestici, come
pur troppo si usa dai ragazzi, per attendere ai divertimenti nelle ore libere dallo studio. Il tenore
della sua vita pel tempo in cui frequentò la scuola in Argentera fu il seguente. {20 [262]}
Capo IV. Episodi e condotta di scuola.
Sebbene i genitori di Francesco avessero molto bisogno del suo servizio, tuttavia persuasi
che la scientifica istruzione è un mezzo efficacissimo per imparare la religione, lo avviarono per
tempo a scuola. Ecco pertanto qual fu la sua condotta scolastica. Alzavasi alla mattina di buon’
ora recitando l’ indicata orazione: Anima mia, alzati su, ecc. fermandosi ben sovente a meditarne
il significato. Appena levato o solo o colla famiglia recitava le lunghe sue orazioni, quindi
attendeva allo studio fino al tempo di scuola, dopo la quale con sollecitudine ritiravasi nella casa
paterna per attendere ad alcuni lavori di famiglia. A tanta diligenza corrispondeva il profitto che
faceva in classe, e sebbene non dimostrasse grande ingegno, tuttavia supplendovi colla diligenza
nei doverle colla esatta occupazione del tempo nel fare i temi e nello {21 [263]} studiare le
lezioni vi fece notabilissimo progresso.
Il maestro aveva in generale proibito a' suoi allievi di non andare girovagando nelle stalle
durante la invernale stagione. In ciò Besucco fu oggetto di ammirazione a tutti. Non solo osservò
scrupolosamente la ritiratezza, ma col suo esempio trasse molti compagni ad imitarlo con grande
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vantaggio della scienza e della moralità, e con viva soddisfazione di Valorso Antonio maestro,
dei genitori e degli allievi.
Raramente dopo il pranzo usciva di casa a divertimento e se n’ era quasi intieramente
dimenticato alcuni mesi prima che venisse all’ Oratorio.
Esilarato alcuni istanti il suo giovanile temperamento ritornava allo studio finchè
suonasse la scuola, nella quale per.testimonianza del citato suo maestro dimostrò mai sempre
tutta la possibile diligenza ed attenzione a quanto insegnavasi, e rispetto inalterabile. Esso
procurava di aiutare il maestro nell’ insegnare a leggere ai fanciulli principianti, e lo faceva {22
[264]} con disinvoltura e con edificazione. In tutto il tempo che frequentò la scuola comunale fu
sempre riguardato dai compagni quale esempio di morigeratezza e diligenza. Essi avevano
concepito tanta stima pel nostro Francesco che guardavansi fino di lasciarsi sfuggir parole meno
dicevoli alla sua presenza. Erano certi che le avrebbe disapprovate e fattene loro severe
rimostranze, come accadde non poche volte. Che se alcuno più giovane di lui lo richiedeva di
istruzione fuori della scuola, era sua passione il prestarsi di buon cuore, animandolo ancora a
richiederlo ben sovente. Ma nello stesso tempo non mancava mai di pascolarne lo spirito con
avvisi salutari ed animarlo alla divozione. Dalla relazione fatta dallo zelante suo maestro
raccolgo ancora alcuni fatti che qui letteralmente trascrivo. Ogni qual volta fossero sorte risse fra
i suoi condiscepoli si lanciava tosto in mezzo di loro per acquetarli. Amici come siamo, loro
diceva, non conviene percuoterci, tanto meno per queste inezie {23 [265]} che non hanno alcun
nome: vogliamoci bene, sappiamo compatirci gli uni gli altri come comanda Iddio. Queste ed
altre simili parole bastavano d’ ordinario a mettere la pace tra i compagni litiganti. Se osservava
le sue parole non essere capaci di pacificarli, abbandonavali sull’ istante. Quando udiva darsi il
segno della scuola o delle sacre funzioni egli invitava i suoi compagni a desistere dai
divertimenti. Giuocando un giorno alle bocce udì il suono della campana che li chiamava al
catechismo. Francesco disse tosto: Compagni, andiamo al catechismo, finiremo la partita dopo la
funzione parochiale. Ciò detto disparve dai loro occhi. Terminata la funzione si restituì ai
compagni, ai quali dolcemente rimproverò la perdita di questa pratica di pietà e d’ istruzione;
intanto per renderseli vie più amici comprò loro delle ciliegie. A questi segni di generosità e di
cortesia que' compagni promisero che in avvenire non avrebbero mai più trascurate {24 [266]} le
cose di religione per attendere ai divertimenti.
Se a.caso avesse udito taluno a pronunziar parole indecenti mostravasi tosto in volto
mortificato, quindi lo abbandonava o facevagli severo rimprovero. Spesse volte fu udito dire:
Cari compagni, non dite tali parole! con queste voi offendete Dio e date scandalo ad altri.
Attestano anche i medesimi compagni che Francesco li invitava ben sovente a far qualche visita
al SS. Sacramento ed a Maria SS. e che si prestava volonteroso ogni qual volta poteva
compiacere i medesimi in ciò che riguardava la scuola.
Altre volte sentendo suonare l’ Ave Maria: «Orsù, amici, diceva, recitiamo l’ Angelus e
poi seguiteremo il nostro divertimento.» Il medesimo invito ripoteva ai compagni nei giorni di
vacanza per farli assistere alla santa Messa.
Nella mia qualità di Maestro comunale d’ Argentera debbo per maggior gloria di Dio
dichiarare, che il pio giovinetto Besucco, nei cinque {25 [267]} anni in cui frequentò la mia
scuola, non mai fu secondo ad alcuno nella diligenza nel recarsi alla scuola. Se mai avesse
osservato compagni negligenti, sapeva così bene avvertimeli che quasi da volere o non volere
divenivano più diligenti. Nella scuola poi il suo contegno non poteva essere migliore, sia nell’
osservare il silenzio, sia nella costante attenzione a quanto insegnavasi. Prestavasi inoltre con
gran piacere a far leggere i più piccoli e ciò faceva con sì bel garbo e con tanta amorevolezza che
era da loro assaissimo amato e rispettato.
(Fin qui il maestro).
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Capo V. Vita di famiglia. - Pensiero notturno.
Ritornato appena dalla scuola correva ad abbracciare i suoi genitori, esibendosi pronto ai
loro cenni fino all’ ora di prender cibo. Nella frugale mensa non trovava mai alcun motivo di
lamento o per la qualità o per la {26 [268]} quantità dei cibi. In tutte le sue azioni non
dimostrava volontà alcuna e scorgendo altri in famiglia non soddisfatti nei propri desideri, loro
diceva: «Quando sarete padroni farete poi a modo vostro, ma fin ora dobbiamo uniformarci alla
volontà de' nostri cari genitori. Siamo poveri e non possiamo vivere e comparire ricchi. A me
non importa niente il vedere i miei compagni ben vestiti, mentre io non posso avere belle
vestimenta. La più bella veste che possiam desiderare è la grazia di Dio.» Egli aveva pe' suoi
genitori rispetto sommo; li amava col più tenero amor figliale, loro ubbidiva ciecamente, nè
cessava mai dal magnificare quanto essi facevano per lui. Pel che era da loro tanto amato, che
sembrava troppo molesto il tempo in cui non l’ avevano in loro compagnia. Se qualche volta i
fratelli e le sorelle o per divertimento o per altro motivo gli dicevano: Tu, Francesco, hai ben
ragione di essere contento, perchè sei il Beniamino di tutti. Sì, è vero, rispondeva, ma {27 [269]}
io procurerò sempre di essere buono e meritarmi il loro ed il vostro amore. La qual cosa era tanto
vera, che ricevendo qualche piccolo regaluzzo, o guadagnando qualche moneta per servizi ad
altri prestati, giunto a casa, o rimetteva il guadagno nelle mani dei genitori, oppure ne faceva
parte ai fratelli ed alle sorelle dicendo: Vedete quanto io vi amo! Vegliando la sera nella propria
stalla, da cui usciva rarissimamente, per non associarsi con altri compagni, impiegava il tempo
divertendosi coi famigliari, studiava le sue lezioni, oppure compieva qualche altro suo dovere
scolastico. Di poi ad un’ ora determinata invitava tutti a recitare la terza parte del Rosario colle
solite orazioni, prolungandole pel vivo desiderio di trattenersi con Dio recitando molti Pater
noster. Nè mai dimenticava di raccomandare speciali preghiere per ottenere da Dio sanità a suo
padre ed a' suoi fratelli che nell’ inverno dimoravano fuori del paese a fine di guadagnare col
lavoro delle loro mani di che sostentare {28 [270]} la famiglia. Chi sa, diceva sovente
piangendo, quanto freddo soffrirà nostro padre per noi! oh quanto sarà mai stanco, e noi stiam
qui tranquilli mangiando il frutto de' suoi sudori! Ah! preghiamo almeno per lui.
Di suo padre assente discorreva ogni giorno, e, per dir così, lo accompagnava ovunque
col pensiero ne' suoi viaggi.
Soleva eziandio nelle veglie applicarsi volentieri alla lettura di libri divoti, che procurava
farsi provvedere dal padrino e dal maestro, che ben volentieri gliene somministravano. Più volte
nel giorno o lungo la sera, vedendo la stalla piena di gente, loro diceva: Oh! ascoltate il bello
esempio che ho trovato in questo libro; e lo leggeva ad alta e sonora voce, a segno che parava un
predicatore. Che se gli cadeva tra le mani la vita di qualche pio giovanetto, oh! allora questo era
il suo caro libro, che diventava il soggetto de' suoi discorsi e della sua imitazione. «Fosse vero
che potessi anch’ io diventar tanto buono, {29 [271]} quanto costui! sì che sarei fortunato, non è
vero, mia cara madre? »- «Due anni fa, dice il paroco, lesse la vita di s. Luigi Gonzaga, e da quel
tempo ne divenne imitatore, specialmente nell’ occultare le buone azioni che faceva. Ma alcuni
mesi dopo, essendogli stata regalata la vita dei giovanetti Savio Domenico, e Michele Magone,
specialmente leggendo la vita di quest’ ultimo diceva con gioia: «Ho trovato il vero ritratto delle
mie divagazioni; ma almeno Iddio mi concedesse di potermi emendare de' miei difetti, ed imitare
la buona condotta ed il santo fine del mio caro Magone,» cosi lo chiamava. E qui gli nacque,
continua il paroco, curiosità straordinaria di farsi spiegare il modo, con cui doveva imitare quel
giovanetto, e mi richiese se non sarebbe stato possibile di farlo entrare nel medesimo
stabilimento, in cui parevagli, che avrebbe tanto profittato nella virtù. È questo il frutto
principale che il nostro Francesco ricavò dalla lettura dei libri buoni. Dio volesse che tutti {30
[272]} i miei fanciulli parochiani attendessero a queste buone letture. Sarebbero al certo di
grande consolazione ai loro genitori.
Siccome la mattina Francesco invitava l’ anima sua innocente a sollevarsi al cielo, cosi la
sera la intratteneva nelle tenebre del sepolcro con qualche pio e devoto pensiero. Interrogato più
volte che facesse posto a letto rispondeva: Mi figuro di mettermi nel sepolcro, ed allora il primo
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pensiero, che mi viene in mente è questo: Che sarà di te, se cadrai nel sepolcro dell’ inferno?
Spaventato da questo riflesso mi metto a pregare ben di cuore Gesù, Maria, s. Giuseppe ed il mio
Angelo Custode, e non finisco più di pregare, finchè non sia addormentato. Oh! quanti bei
proponimenti faccio mai la sera posto in letto per timore di dannarmi. Se mi sveglio la notte
sèguito a pregare, e mi rincresce molto se il sonno nuovamente mi sorprende. {31 [273]}
Capo VI. Besucco e il suo Paroco - Detti. - Pratica della confessione.
Sebbene il nostro Besucco sia stato fin da fanciullo prediletto dal Signore, tuttavia
dobbiam dire che la vigilanza dei genitori, la sua buona indole, la cura amorevole che di lui si
prese il proprio Paroco giovarono potentemente al felice risultato della morale sua educazione.
Fanciullino ancora era già da' suoi genitori condotto alla chiesa; gli prendevano le mani, lo
ajutavano a far bene il segno della s. Croce, gli additavano il modo ed il luogo, in cui doveva
inginocchiarsi, e l’ assistevano colla massima amorevolezza. Appena ne fu capace era dai
medesimi condotto a confessarsi. Ed egli mosso dall’ esempio, dai consigli, dagli
incoraggiamenti dei parenti si affezionò per tempo a questo sacramento in modo che ben lungi
dal provare l’ ordinaria apprensione, o specie di {32 [274]} ripugnanza, che i ragazzi sogliono
manifestare nel presentarsi a persona autorevole, egli ne provava invece tutto il piacere.
Dobbiamo eziandio notare che la fortuna di questo giovanetto è in gran parte dovuta al proprio
Paroco D. Francesco Pepino. Questo esemplare Sacerdote occupa con zelo le sue forze, e le sue
sostanze a bene de' suoi parochiani. Ma egli è persuaso che non si possono avere buoni
parochiani, se la gioventù non è ben educata. Perciò nulla risparmia, che possa tornare a favore
dei fanciulli. Fa loro il catechismo in qualsiasi stagione o tempo dell’ anno; li ammaestra intorno
al modo ed alle cerimonie stabilite per servire la s. Messa ; fa anche la scuola, e non di rado va di
loro in cerca alle proprie case, sui lavori, e negli stessi luoghi dei pascoli. Quando gli avviene di
ravvisare qualche fanciullo che palesi attitudine allo studio, alla pietà ne forma specialissimo
oggetto delle sue sollecitudini. Per la qual cosa appena si accorse delle benedizioni, che il
Signore spandeva copiose sopra del nostro caro {33 [275]} Besucco, nol perde più di vista e
volle egli stesso dargli le prime cognizioni del catechismo, e a suo tempo lo preparò per far la
sua prima confessione. Con maniere amorevoli e proprie di un tenero padre si guadagnò il cuore
di lui per modo, che il giovanetto provava le sue delizie ogni qual volta poteva conversare coll’
amato suo Padrino, o udire da lui qualche parola di conforto o di pietà.
Lo scelse per suo stabile confessore, e continuò a confessarsi da lui in tutto il tempo che
visse in Argentera. Il Paroco lo consigliò a cangiar qualche volta confessore, e gliene porse ben
anche occasione, ma egli lo pregava di volerlo sempre confessare egli stesso. Con Lei, diceva,
caro Padrino, ho tutta la confidenza. Ella conosce il mio cuore. Io le manifesto sempre ogni
secreto. Io l’ amo molto, perchè Ella molto ama l’ anima mia.
Io credo, che la più grande fortuna per un giovanetto sia la scelta di un confessore stabile, cui
apra il suo cuore, confessore che si prenda cura dell’ anima {34 [276]} di lui, e che coll’
amorevolezza, e colla carità lo incoraggi alla frequenza di questo sacramento.
Non solamente il nostro Francesco dipendeva dal suo Paroco nelle cose di confessione,
ma eziandio in tutto ciò che avrebbe potuto contribuire al suo bene spirituale o temporale. Un
semplice consiglio od anche un solo desiderio esternato dal suo Padrino era per lui un comando,
checon gioia premurosamente eseguiva. È poi sommamente amena ed edificante la maniera, che
egli teneva nella frequenza di questo sacramento. Alcuni giorni prima parlava della prossima sua
confessione, protestando coi fratelli e colle sorelle di volerne quella volta ricavare profitto. Ad
essi tanto più nei primi anni raccomandavasi, affinchè gli insegnassero a confessarsi bene,
interrogavali, come essi facevano a conoscere le mancanze commesse, e a ricordarsi dei peccati
in sì lungo spazio di tempo, che era circa un mese. Faceva poi grandi maraviglie che dopo la
confessione si potesse di nuovo offendere Iddio {35 [277]} al quale si è promessa fedeltà.
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Quanto mai è buono, diceva, Iddio a perdonarci i nostri peccati non ostante la nostra infedeltà ad
osservare i fatti proponimenti; ma quanto è più grande l’ ingratitudine, che continuamente
usiamo ai tanti benefizi, che ci fa! Ahi! dovremmo tremare al solo riflettere alle nostre infedeltà.
Io per me sono disposto a fare e soffrire ogni cosa prima di offenderlo nuovamente. La sera
precedente alla confessione interrogava suo padre, se la mattina vegnente non aveva qualche
lavoro pressante a fare. Richiesta la ragione gli diceva, che aveva piacere d’ andarsi a confessare.
Al che di buon animo accondiscendeva sempre il padre, e Francesco passava quasi tutta quella
notte nel pregare o nell’ esaminarsi per meglio disporsi, quantunque la sua vita fosse una
continua preparazione. La mattina poi senza più parlare con alcuno recavasi in chiesa, ove col
massimo raccoglimento preparavasi alla grande azione. Lasciava per altro sempre che si
confessassero {36 [278]} quelle persone le quali dubitava aver poco tempo per fermarsi in chiesa
Questa sua condiscendenza verso gli altri, specialmente nel rigore dell’ inverno, mi obbligò non
poche volte, dice il Paroco, a chiamarlo io stesso al confessionale; vedendolo già tutto intirizzito
dal freddo. Fu talvolta richiesto del suo lungo attendere prima di confessarsi. Io posso aspettare,
rispondeva, perchè i miei genitori non mi rimproverano del tempo passato in chiesa; ma forse gli
altri potrebbero annodarsi, o ricevere qualche rimbrotto in casa, tanto più le donne che hanno
ragazzi. I fratelli e le sorelle alle volte per facezia gli dicevano: Tu vai sovente a confessarti per
ischivar la fatica. - Quando voi altri andrete a confessarvi, rispondeva egli, io vi supplirò di buon
grado in tutto ciò che posso. Oh! si andate pur sovente, che io ne sono ben contento! E qui qual
maestro di spirito non rare volte loro diceva: Quella pigrizia che alle volte si sente, quella
incertezza per la confessione, quel differirla da un {37 [279]} giorno all’ altro sono altrettante
tentazioni del demonio. Sapendo esso quanto potente ed efficace rimedio sia la frequente
confessione per correggerci dei nostri difetti, fa ogni sforzo per tenercene lontani. Oh! quando
trattasi di fare il bene abbiam sempre paura del mondo; alla fine dei conti non è il mondo che ci
dovrà giudicare dopo morte: è Dio che ci dovrà giudicare, a lui solo e non ad altri dovremo dar
conto delle nostre opere, e non al mondo: da lui solo dovremo aspettarci eterna ricompensa.
Quando sono confessato, diceva altre volte ai famigliari, provo tanta contentezza che desidererei
fino di tosto morire per liberarmi dal pericolo di offender di nuovo Iddio. Il giorno in cui si
accostava ai SS. Sacramenti privavasi quasi sempre d’ ogni divertimento. Interrogato dal Paroco
perchè ciò facesse, rispondeva: Quest’ oggi non debbo contentare il mio corpo, perchè il mio
Gesù fece goder tante e sì dolci consolazioni all’ anima mia. Quello che mi rincresce si è di non
esser capace di ringraziare il mio Gesù Sacramentato {38 [280]} dei benefizi continui che mi fa.
Passava intanto quella giornata in un santo raccoglimento e per quanto gli era possibile in chiesa.
Da sicure informazioni mi risulta che il buon Francesco per meglio disporsi a ricevere
degnamente i SS. Sacramenti soleva dire: Questa confessione può essere l’ ultima di mia vita, ed
io voglio farla come se realmente fosse l’ ultima.
Capo VII. La santa Messa. - Suo fervore. - Conduce il gregge sulle
montagne.
Non è fuor di luogo il notare come i genitori di Francesco gli lasciassero piena libertà di
andar tutti i giorni a udire la s. Messa; anzi parendo talvolta dubbioso, se dovesse andare o no ad
ascoltarla per timore di trascurare qualche suo dovere lo mandavano eglino stessi. Della qual
cosa molto contento soleva dire a' suoi genitori: Oh! siate certi, che il tempo impiegato {39
[281]} nell’ udir la s. Messa si compenserà abbondantemente nella giornata, perchè Iddio è buon
rimuneratore, ed io lavorerò molto più volentieri. Che se avvenivagli qualche mattina di non
potervi assistere, soleva recitare in compenso questa popolare preghiera, che è molto divolgata in
quel paese: l’ aveva imparata in età di quattro anni. La messa suona, san Marco l’ intuona, gli
Angeli la cantano, e Gesù Bambino porge l’ acqua e il vino. Fatemi, o Gesù, un po' parte della
Messa del corrente mattino.
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Il padre di Francesco soleva per facezia interrogarlo come avrebbe fatto a passare quella
giornata senza messa, ed egli colla massima semplicità rispondevagli: Iddio mi ajuterà lo stesso,
perchè ho delta la mia orazione, e poi pregherò un poco di più questa sera.
Credeva assai facilmente ai detti altrui, così che per divertimento i suoi compagni talvolta
gliene facevano credere delle grosse. Ma quando si accorgeva di essere burlato si mostrava tutto
{40 [282]} contento. Non mai si vide dar segni di vanagloria per la stima, in cui era tenuto dai
genitori, conoscenti, e dal Paroco. Buon per me, diceva alcuna volta, che non mi conoscono,
altrimenti non mi vorrebbero tanto bene. La sua attività nello studio, che lo rendeva superiore a'
suoi compagni, ben lungi dal farglieli disprezzare, faceva loro usare ogni possibile indulgenza
nella recita delle lezioni. Se veniva alcuna fiata rimproverato di qualche ragazzata sia che fosse o
non fosse colpevole, tutto contrito rispondeva: Non lo farò più, e mi farò più buono. Voi mi
rimproverate, ma so che mi compatite. E qui correva ad abbracciare ed accarezzare i suoi
genitori il più sovente colle lagrime agli occhi. Essi non ebbero mai occasione di castigare questo
loro figlio. Nella stagione estiva attendeva in compagnia della famiglia ai lavori di campagna,
nei quali godeva poter sollevare alcun poco i fratelli e le sorelle, per quanto il comportavano le
sue forze. Nel tempo del riposo non volendo {41 [283]} neppure stare ozioso iniziava alcuni
discorsi di religione, oppure interpellava suo padre su qualche dubbio, od oscurità in materia
spirituale.
Nella preghiera con piacere si tratteneva andando e venendo dalla campagna. Ben
sovente accadde a me, e ad altri, dice il Paroco, d’ incontrarlo per via tanto assorto nella
preghiera che neppure accorgevasi di averci vicini. Se fuor di casa incontravasi in qualche
pericolo od occasione di essere scandalizzato per le imprecazioni o bestemmie udite, o pei cattivi
discorsi che non poteva non udire, tosto faceva il segno della santa Croce, oppure diceva: Dio sia
benedetto, benedetto il suo santo Nome. Se gli riusciva incominciava egli stesso discorsi diversi.
Avvertito qualche volta da' suoi parenti a guardarsi dal seguir le massime di alcuni perversi
compagni loro rispondeva: Vorrei che piuttosto mi seccasse la lingua in bocca a preferenza di
servirmene a disgustare il mio Dio.
Quando andava alla pastura delle {42 [284]} pecore portava sempre seco qualche buon
libro divoto, o scientifico, che procurava di leggere in presenza di altri compagni quando essi
avevano piacere di ascoltarlo, altrimenti leggeva da se, o si occupava nella preghiera osservando
a puntino il comando del Salvatore, di pregare senza intermissione.
Il padre di Francesco per provvedere alla famiglia il necessario sostentamento prese la
custodia del gregge comunale, al quale ufficio di quando in quando destinava eziandio il
figliuolo specialmente nei giorni festivi, affinchè gli altri fratelli potessero almeno in qualche
festa intervenire alle funzioni parochiali. L’ ubbidiente Francesco accettava di buon grado quell’
incarico dicendo: Se non posso in questo giorno intervenire alle sacre funzioni, procurerò di
santificare la festa in qualche altro modo. Tu intanto, diceva al fratello, ricordati di me in chiesa.
Giunta poi l’ ora delle sacre funzioni, egli soleva condurre il gregge in luogo sicuro, quindi
formata {43 [285]} una crocè su qualunque oggetto, davanti a quella s’ inginocchiava per farvi
preghiera o lettura. Talvolta andava a nascondersi in un antro della montagna, dove prostrato
innanzi a qualche sacra immagine, che sempre conservava in libro divoto, recitava le medesime
preghiere, come se fosse realmente presente alle sacre funzioni; poscia faceva la Via Crucis. La
sera cantava da solo il vespro, recitava la terza parte del rosario, ed era per lui grande festa,
quando poteva trovar compagni, che lo ajutassero a lodare Iddio. In questi atteggiamenti fu dai
medesimi compagni sorpreso ben sovente in preghiera e meditazione così fervorosa, che il suo
sembiante pareva quello di un angelo. Se gli avveniva di trovar compagni indulgenti pregavali a
dar d’ occhio alle sue pecore, dicendo aver egli qualche cosa a fare, e così se ne allontanava per
un certo tempo. Ma conscii i compagni della sua consuetudine per lo più vi si prestavano
volentieri. Più tardi egli ricordava con gran piacere {44 [286]} i pascoli del Roburento e del
Dreco, che sono le montagne, sopra cui Francesco soleva condurre il gregge al pascolo.
Quando mi trovava, soleva dire, nelle solitudini del Roburento io provava eziandio colà
le mie delizie. Io volgeva gli occhi in que' profondi dirupi che conducevano il mio sguardo in
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una specie d’ oscura voragine; e questo mi ricordava gli oscuri abissi e le eterne oscurità dell’
inferno. Qualche uccello dal basso delle valli volava talvolta fin sopra al mio capo; e questo mi
faceva venire in pensiero che noi dobbiamo dalla terra sollevare gli affetti del cuore in alto verso
Dio. Rimirando il sole a spuntar sul mattino diceva in cuor mio: Ecco la nostra venuta nel
mondo. Il tramonto poi della sera mi annunziava la brevità e la fine della vita che viene senza
che noi ci badiamo. Quando poi mi metteva a rimirare le alte cime della Maddalena e di altri
monti bianchi di neve, facevami venir in mente l’ innocenza della vita che ci solleva fino a Dio e
ci merita le sue {45 [287]} grazie, le sue benedizioni, il gran premio del paradiso. Dopo queste
ed altre considerazioni mi volgeva verso al seno di qualche monte e mi metteva a cantar lodi alla
madonna. Quello era per me uno de' più cari momenti, imperciocchè io cantava e l’ eco degli
antri della montagna ripeteva la mia voce, ed io godeva come se gli angeli del paradiso mi
aitassero a cantar le glorie della grande madre di Dio.
Questi erano i pensieri che occupavano il cuore del pio pastorello quando conduceva le
pecore sopra le montagne d’ onde non poteva recarsi a prendere parte alle sacre funzioni di
chiesa.
Ma alla sera appena giunto a casa, si ristorava alquanto, di poi correva tosto alla chiesa
per compensare (sono sue parole) la mancanza di divozione di quel giorno. Oh! quante scuse
domandato avrà in quelle visite a Gesù Sacramentato!
Non mancava mai di farsi il segno della s. Croce e recitare qualche preghiera ogni volta
che passava avanti a {46 [288]} qualche chiesa, e molto più se vi era il SS. Sacramento.
Che se custodiva solamente il gregge paterno, come in primavera ed in autunno, allora di
consenso coi genitori conduceva le sue pecore a casa, o le consegnava ad altri compagni per
accorrere alle funzioni parochiali della mattina e della sera. Oh! perchè non tutti imitano sì santa
industria del nostro Francesco per non mancare nè ai doveri di religione, nè agli affari di casa.
Pur troppo si osserva che molti si dispensano per futili motivi di frequentare le funzioni
parochiali nei giorni festivi. L’ esempio del buon giovanetto aggiunga efficacia alle
raccomandazioni dei Sacerdoti che predicano ed inculcano la santificazione delle feste.
Capo VIII. Conversazioni.’ - Contegno in Chiesa. Visite al SS.
Sacramento.
Nelle conversazioni e ricreazioni coi compagni egli era gioviale quanto altri {47 [289]}
mai. Sceglieva d’ ordinario quei divertimenti, che addestrano il corpo alla fatica, solendo dire ai
compagni ed ai genitori: Dovendo poi partire pel militare servizio mi addestro per tempo e potrò
certamente riuscire un buon bersagliere. Fuggiva gli alterchi, e per evitarli tollerava talvolta
insulti ed anche maltrattamenti. Non di rado per non venire a contesa abbandonava l’ indiscreta
compagnia e ritornavasi frettoloso a casa. Tale prudenza usò mai sempre nel fuggire qualunque
discorso che potesse ridondare in discredito di alcuno, cogliendo invece le frequenti occasioni di
lodare le altrui virtù. Se veniva corretto di qualche sua fanciullaggine non mai offendevasi, nè
tampoco rispondeva bruscamente, ma chinando il capo ne dimostrava il suo pentimento, soleva
dire: Questa correzione è segno dell’ amore che mi portano. Se nel tempo delle ricreazioni udiva
il segno della scuola, della messa, delle sacre funzioni, o la voce dei genitori, che il richiamavano
a casa, non frapponeva indugio, dicendo: {48 [290]} Quei richiami sono altrettante voci di Dio
che richiedono da me pronta ubbidienza.
Fin da giovanetto, come si disse più sopra, cominciò Francesco a dimostrare alla santa
casa di Dio straordinario rispetto e venerazione. Appena giunto sul limitare della medesima
comparivagli sulla faccia quella gravità di portamento che si conviene al luogo santo. Per
desiderio di giugnere il primo in sacrestia e servire la s. Messa, inconsideratamente gli avvenne
talvolta di correre per la chiesa, ma una semplice occhiata del paroco o di altra persona bastava a
fargli comprendere l’ inconsiderato suo procedere; pel che imponevasi tosto qualche penitenza, o
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col fare una visita al SS. Sacramento, o stando per tempo notabile in chiesa da solo a pregare in
positura incomoda, o colle braccia in forma di croce, o colle mani sotto le ginocchia. Quante
gare, dice il paroco, mi occorse di vedere nella sagrestia tra il nostro Francesco ed altri giovanetti
per essere trascelti al servizio dell’ altare! {49 [291]} Non di rado succedeva che io stesso per
mettere alla prova la sua virtù, e per evitare la taccia di parzialità, per essere mio figlioccio,
preferiva altri a lui quantunque venuti insieme in chiesa. Rimaneva, è vero, alquanto confuso, ed
anche lacrimante, ma ben lungi dal mostrarsi offeso lo rimirava star con eguale divozione alla s.
Messa. Ebbene io mi rifarò di questa mortificazione, diceva ai compagni, dimani verrò io il
primo, e l’ era quasi sempre. Queste furono forse le uniche contese co' suoi compagni. D’ allora
in poi animati essi dall’ esempio di Francesco seguono molti a dimostrare pel servizio della s.
Messa quello zelo che loro infuse. D’ ordinario egli stava colle mani giunte, e cogli occhi fissi
nel sacro ciborio, o nel sacerdote celebrante, oppure leggendo qualche libro divoto. Inteneriva al
solo vederlo porgere le ampolline. Le sue labbra erano in continuo movimento di preghiera
mentre le sue mani servivano all’ altare. Tu il vedevi con ciglio dimesso, con sembiante raccolto,
passo {50 [292]} grave attendere al suo ufficio di ministro, come se fosse già un cherico
perfettamente addottrinato nelle cerimonie della Chiesa. Non contento Francesco di prestare a
Gesù Sacramentato tutto quell’ onore, che da se poteva, procurava ancora colle sue belle maniere
di farlo onorare da' suoi compagni. Andava perciò tutte le feste in sacrestia a richiedere libri di
divozione appositamente provvisti per dispensarli egli stesso a' suoi compagni, affinchè udissero
con divozione la s. Messa, e non si divagassero al tempo del vespro.
Ma, mio caro, che hai che tanto piangi? il richiese non rare volte il paroco. Ho ben
motivo di piangere, rispondeva, perchè alcuni non vogliono accettare il libro, mentre so che non
l’ hanno, ed io li vedo guardare qua e là senza pregare. Solamente allora consolavasi quando
venivano a lui richiesti i libri. Prestavasi volentieri a tutti gli uffici di chiesa. Provvedeva il fuoco
per la benedizione, l’ acqua ed il vino per la s. Messa, prima di cui aveva la sorprendente
avvertenza {51 [293]} d’ invigilare, se niente vi mancasse pel decoro delle funzioni. Egli
insomma poteva dirsi trapiantato nella casa del Signore.
Era suo costume non solo d’ intervenire ogni giorno per le funzioni parochiali, ma bensì
tutti i giorni faceva la visita al SS. Sacramento. Andava di poi a prostrarsi innanzi all’ Altare
consacrato a Maria SS. trattenendosi non di rado delle lunghe ore. Non solamente il Paroco, ma
molti eziandio de' suoi compatriotti attestano di averlo veduto in queste visite in atteggiamento
tanto divoto da sembrare estatico. Recitava tutti i giorni il Ricordatevi o piissima, Vergine Maria
ecc. con un’ Ave Maria e l’ invocazione Sancta Maria, Auxilium Christianorum, ora pro nobis.
Di questa orazione facevasi maestro a' suoi compagni, perchè tutti l’ imparassero, e la recitassero
sovente. Nelle feste poi, e sovente ancora nei giorni feriali, oltre la consueta visita amava recitare
le orazioni della sera in chiesa, e tutte le altre sue predilette preghiere, che {52 [294]} o per
dimenticanza o per impotenza avesse tralasciate nel decorso di quella settimana con
ammirazione di quanti osservavano tanta virtù in un giovanetto di si tenera età.
Capo IX. Il benedetto crocifisso. - La corona del rosario. - La presenza
di Dio.
Qui pare a proposito di accennare, come Francesco fosse molto divoto verso il crocifisso
miracoloso, che da tempo immemorabile si venera nella Confraternita dei disciplinanti d’
Argentera, di Sambucco, Pietra Porzio, Ponte Bernardo, e Bersezio. A questo crocifisso si fa
ogni stagione dell’ anno grande concorso di gente per ottenere la fertilità della campagna in
occasione di siccità, o di pioggia troppo prolungate1. È rarissimo il caso, in cui venendo
processionalmente ad intercedere {53 [295]} favori non siano stati esauditi. Non poteva ancora il
pio ragazzo pronunziare distintamente queste due parole: Benedetto Cristo (nome che si dà al
1 Vedi in fine del libro in forma di Appendice la storia del benedetto Crocifisso.
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crocifisso miracoloso), che richiedeva già dai genitori un Pater al bep Crist. Nacque con lui
questa divozione. Oltre a quelle frequenti visite recitò nella stessa confraternita per tre anni
(1861, 1862, 1863) nelle sere estive il rosario. Per soddisfare a questo pio desiderio del rosario e
per udire la s. Messa tutti i giorni talora dimenticava il desinare o la cena, dicendo voler prima
pensare all’ anima, che al corpo. Questa sua mortificazione per attendere alle opere di pietà era
divenuta così abituale, che gli stessi parenti usavano molta attenzione per non darci causa.
Terminato il rosario Francesco non usciva cogli altri di chiesa, ma fermavasi ancora in essa
notabile tempo, a fine di appagare l’ ardente suo desiderio di onorare Iddio e la sua SS. Madre.
Credevasi a ciò tenuto, perchè vedevasi da Dio in modo particolare favorito, come più volte lo
attestò {54 [296]} al suo paroco, assicurando ancora, che sempre sentiva d’ essere realmente alla
presenza di Dio.
Il pensiero della presenza di Dio gli diventò così famigliare negli ultimi anni di sua vita,
che potevasi dire in continua unione col medesimo. Ora che Francesco non è più fra noi, scrive il
Paroco, ci pare tuttavia di vederlo al suo luogo attorno ai sacri altari, sentirlo dirigere le
pubbliche preghiere, tanto ci eravamo abituati a contemplarlo in ogni occasione di qualche
esercizio di cristiana pietà. Nell’ anno 1860 richiesto a voler coadiuvare all’ Opera pia della
divozione a Maria SS. nel mese di maggio, egli vi si prestò volonteroso: tutte le sere del mese
recitava pubblicamente la terza parte del Rosario, oltre le ordinarie e particolari preghiere, che a
voce chiara da lui recitavansi e che i fedeli accompagnavano. Grande era la frequenza, e tutti
ammiravano la straordinaria divozione che spiccava nel nostro Francesco. Se il Paroco
abbisognava di particolari ajuti {55 [297]} nel disimpegno del suo dovere, o per animare qualche
infermo alla confessione, o prepararlo a ricevere il Viatico, raccomandava ogni cosa alle
preghiere di Francesco ed era sicuro del favorevole risultato. Avvenne difatto un caso particolare
di un certo, conosciuto da tutti come trascurato nelle cose dell’ anima, che nell’ ultima sua
malattia non voleva riconciliarsi con Dio. Ma con grande ammirazione si arrese ben presto, dopo
che il Paroco lo aveva raccomandato alle preghiere di Francesco.
Capo X. Fa il Catechismo. - Il giovane Valorso.
Mancando il solito catechista ai fanciulli nei giorni festivi, per quattro anni Francesco ne
fece le veci. Tanto impegno e tanta sollecitudine dimostrava nell’ insegnarlo, che i medesimi
ragazzi lo desideravano, professandogli grande rispetto. Per questo già da tre anni era dal Paroco
{56 [298]} trascelto a fare il catechismo in numerosa classe nella quaresima. Soddisfatta la sua
classa, ben lungi dall’ ondarsi a sollazzare coi compagni, egli invitavali ad andar seco ad
ascoltare la spiegazione che del Catechismo facevasi alla classe dei più adulti. In questa
istruzione e in tutte le prediche egli pendeva propriamente dal labbro del sacerdote. Non di rado
avvenne, che terminata la predica prendeva il Paroco in disparte, richiedendolo in qual modo
potesse corrispondere alle prediche udite.
Giunto a casa aveva per costume di raccontare ai genitori e a tutta la famiglia quanto
aveva udito in chiesa. Tutti erano grandemente maravigliati nel mirare un giovanetto di sì fresca
età a ricordarsi di tante cose.
In questa come in tutte le altre sue pratiche religiose seguiva un altro suo compagno e
cugino dell’ Argentera morto nel 1861 di nome Valorso Stefano. Costui era tanto amante delle
pratiche di divozione, che la sua perdita fu sentita in tutto il paese. Radunai allora, {57 [299]}
dice il Paroco, vari giovanetti e gli interpellai, se vi era alcuno, che si sentisse di sottentrare nella
diligenza e nella pratica dei religiosi esercizi di chiesa al compianto pio giovanetto. Guardaronsi
un istante gli uni gli altri, e tosto gli sguardi di tutti si voltarono verso di Francesco. Con volto
rosso per verecondia, ma con animo risoluto egli si avanza verso di me dicendo: Eccomi pronto a
sottentrare al mio cugino nelle pratiche religiose che mi verranno da lei indicate. Per quanto
potrò prometto e voglio non solo emulare la diligenza per gli uffizi di chiesa praticati dal defunto
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mio cugino; ma, se Iddio me ne darà la grazia, procurerò di sorpassarlo. Io porto le sue
vestimenta che mi furono regalate, e spero di vestirmi eziandio di tutte le virtù di lui.
Francesco cominciò la sua pia carriera coll’ invitare i suoi compagni a fare una novena di
preghiere all’ altare di Maria SS. per l’ anima del predetto Valorso, assistendo in ciascun giorno
alla s. Messa. Chi mai avrebbe detto, che {58 [300]} una seconda novena si sarebbe presto fatta a
questo stesso altare in suffragio dell’ anima di lui, che fu primo a darne l’ esempio? Feci
menzione di questo fatto per far conoscere la molta arrendevolezza del nostro Francesco per tutto
ciò che potesse tornare ad onor di Dio, ed a vantaggio dell’ anima dei trapassati.
Capo XI. La santa Infanzia. - La Via Crucis. - Fuga dei cattivi
compagni.
Nell’ anno 1857 si fece ascrivere alla pia opera della santa Infanzia. Godeva egli molto
di essersi fatto ascrivere, ma una spina gli feriva il cuore, cioè la mancanza del soldo che
ciascuno deve mensilmente pagare. Se ne accorse il Paroco, che tosto lo liberò da ogni angustia
col somministrargli quanto occorreva per quel bisogno, e ciò faceva volentieri per cosi premiarlo
della lodevole sua condotta. Amava leggerne gli annali; e godeva assai nel mirare la pia
sollecitudine {59 [301]} e le industrie di tanti ragazzi nel coadiuvare tale opera. Non di rado
Francesco piangeva per dolore di non potere recare ai poveri bambini infedeli quel soccorso che
avrebbe desiderato. Ora per compensare la scarsità de' suoi mezzi naturali pel bene di quest’
opera offriva a Dio fervorose preghiere, e procurava che altri si ascrivessero ad essa, raccontando
specialmente ai compagni dli esempi di tanti bambini stati salvati.
Nell’ anno 1858 calpestando ogni umano rispetto aggiunse alle sue divozioni quella di
fare tutte le feste la Via Crucis dopo la Messa parochiale. Tale uso ritienne finchè parti per l’
Oratorio. Ma l’ ammirabile divozione, con cui compieva questa pratica religiosa lo rendette non
rare voolte oggetto di disprezzo ad alcuni compagni. Trovavano essi un amaro rimprovero alla
loro poco critiana condotta nella divozione di Francesco, perciò tacciandolo d’ impostore, di
bachettone, lo esposero ad una specie i persecuzione, a fine di raffreddarlo nell’ esercizio {60
[302]} delle sue belle pratiche di pietà. Ma animato dai genitori, e confortato dal confessore non
badò più ad alcuno, e disprezzato le dicerie, le derisioni dei maligni fuggiva per fino il loro
incontro, e proseguì sempre intrepido a praticare la Via Crucis con grande edificazione e
vantaggio dei numerosi fedeli, che vi assistevano. Da quel tempo soleva dir sovente alle sorelle,
che egli non badava più ad alcuna diceria del mondo e che anch’ esse non si lasciassero mai
intimidire nel fare il bene. Rispondendogli esse, che alcuni gli davano il titolo di fratino, bigotto
ecc, e sapete diceva: perchè sono così deriso dal mondo? Perchè io mi sono deciso a non più
appartenere al mondo. Noi siamo al mondo per piacere e servire unicamente a Dio, e non per
servire e piacere al mondo. Procuriamo adunque di guadagnarci solo il Paradiso. Questo è
appunto il fine, per cui Iddio ci lascia nel mondo.
Con questi santi pensieri in mente e sule labbra, quando sentiva alcuno a {61 [303]}
disapprovare il bene che faceva, per tutta risposta volgendogli le spalle ritiravasi nella casa
paterna; mettendo in questo modo in pratica ciò che diceva ogni mattina nel levarsi: lascia il
mondo, che t’ inganna. Per questo il mondo maligno non lo amava, perchè Francesco era
distaccato dal mondo.
Nei famigliari discorsi, in cui il suo Paroco compiacevasi di trattenersi con esso, usciva
spesse volte ad interpellarlo, se avrebbe ancora ritardato molto quel giorno da lui cotanto
desiderato, nel quale potesse anch’ egli accostarsi alla s. comunione. Forse presto, rispondeva il
Paroco, se studierai bene il catechismo, e se mi darai sempre nuove prove del profitto che fai
nella virtù. Tardarono pochi mesi, che il giovanetto casto qual altro Giuseppe in premio della sua
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virtù meritò di essere ammesso alle nozze dell’ Agnello immacolato, senza badare tanto alla
tenera età d’ anni otto e mesi sei.
Trovandosi alla custodia delle pecore con altri due ragazzi poco di lui più giovani in una
campagna vicina {62 [304]} al paese nella primavera del 1858, questi fecero alcuni atti
immodesti alla presenza del nostro Francesco. Offeso da quell’ indegno procedere li rimproverò
acremente dicendo: «Se non volete farvi del bene col buon esempio, almeno non datevi scandalo.
Fareste voi tali cose alla presenza del nostro Arciprete, o de' nostri genitori? Se non osate farle in
presenza degli uomini, come si oserà poi alla presenza di Dio?» Ma quando vide che tornavano
inutili i suoi detti tutto sdegnato si allontanò dalla perversa compagnia. Ma che? uno di quei
scellerati vedendolo a fuggire gli corse dietro per indurlo al male. Il povero Francesco
scorgendosi inseguito si fermò ed affrontò il seduttore con calci, pugni e schiaffi. Neppure con
questi mezzi potendo liberarsi dal pericolo, si servì di un mezzo piuttosto da ammirare, che da
imitare. Giunto presso ad un mucchio di pietre si pose a gridare: 0 che ti allontani o che ti rompo
il capo. Ciò detto, come furioso si pose con tutte le sue forze a gettar sassi contro al nemico {63
[305]} dell’ anima sua. Il compagno dopo aver riportate non leggiere contusioni nella l’ faccia,
nelle spalle e sopra la testa se ne fuggì. Allora Francesco spaventato dal pericolo, ma contento
della vittoria riportata si recò frettolosamente a casa per mettersi in sicuro, e per ringraziare Iddio
che dal pericolo l’ aveva liberato.
Chi racconta questo fatto, dice il Paroco, l’ osservò dal principio al fine da un luogo lungi
appena 50 metri, ed appunto fu osservato per vedere fino a qual punto sarebbe giunta la virtù di
Francesco.
Capo XII. La prima comunione. - Frequenza a questo Sacramento.
Il giorno dopo avendolo il Paroco interrogato sul caso sopra narrato rispose tutto
commosso: La grazia di Dio mi ha liberato da quella cattiva occasiona, ne mai più andrò con
simili compagni. Come per premio del coraggio {64 [306]} dimostrato in quel pericoloso
incontro il Paroco lo assicurò che l’ avrebbe ammesso quanto prima a fare la SS. Comunione.
Molto contento di quella promessa cominciò fin da quel giorno a prepararsi e colla fuga di ogni
più piccolo difetto, che egli avesse conosciuto, e colla pratica di quelle virtù che erano
compatibili col suo stato. Nella sua semplicità richiedeva sovente il paroco ed i suoi parenti, che
lo aiutassero a tanta azione, e diceva: Quando mi accosterò alla SS. Comunione, mi figurerò di
ricevere Gesù Sacramentato dalle mani di Maria SS. alla quale ora mi sento maggior propensione
a raccomandarmi.
Con grande premura raccomandossi alla vigilanza di un suo compagno molto dato alla
divozione, affinchè vegliasse su di lui attentamente, perchè non commettesse alcuna irriverenza.
La sua preparazione non poteva al certo essere maggiore, poichè dalle deposizioni dei parenti,
del Maestro, e dello stesso Paroco consta, che il nostro Francesco in tutto il tempo, che {65
[307]} visse in famiglia non mai commise alcuna cosa che si possa giudicare colpa veniale
deliberata. La bella stola dell’ innocenza fu la prima e la più essenziale preparazione, che egli
portò alla sua prima comunione.
Appena comunicato pareva estatico: cangiò di colore in faccia, il suo volto dimostrava la
pienezza della gioia del suo cuore, e gli alti di amore verso Gesù in Sacramento fatti in tale
occasione saranno stati proporzionati alla diligenza usata nel prepararsi a riceverlo.
Da quel tempo accostavasi ogni mese al Sacramento della penitenza: alla Comunione poi
si accostava quando dal confessore gli era permesso. Negli ultimi anni egli stesso fecesi guida ai
più giovani per ajutarli a prepararvisi, ed a fare il ringraziamento. Dopo la comunione col
massimo raccoglimento ascoltava la s. Messa, non essendo neppur sollecito quella mattina di
servirla per essere più raccolto. Durante la Messa tutto assorto in contemplare, come egli diceva,
l’ infinita degnazione di Gesù non leggeva nemmeno {66 [308]} il solito libro di divozione, ma
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impiegava quel prezioso tempo, nascosto il capo tra le mani, in continui atti d’ amore di Dio.
Prima di uscire di chiesa andava cogli altri compagni all’ altare di Maria SS. a ringraziarla dell’
assistenza, che loro aveva usato, e recitando con voce chiara e commossa il Ricordatevi, ed altre
non poche orazioni. Egli è a questo fuoco, che il nostro Francesco tanto s’ infiammò d’ amor di
Dio a segno, che nulla altro più desiderava in questo mondo se non far la santa divina volontà. Io
resto fuor di me, diceva, al considerare come al giorno della comunione mi senta tanto desiderio
di pregare. Parmi di parlare col mio stesso Gesù; e ben poteva dirgli: Loquere, Domine, quia
audit servus tuus.
Il suo cuore era vuoto delle cose del mondo, e Iddio lo riempiva delle sue grazie. Il
giorno della Comunione era da lui passato unicamente in casa ed in Chiesa, ove invitava anche
altri compagni a recarvisi la sera per compier bene quella solenne giornata. {67 [309]}
Negli ultimi anni veniva animato ad accostarsi alla santa Comunione ogni Domenica, ed
occorrendo qualche solennità eziandio nel decorso della settimana, ma non ardiva accostarvisi
senza prima essersi confessato. Era così grande l’ umiltà sua, che non eredevasi mai abbastanza
purificato: per altro al cenno del confessore deponeva ogni perplessità, ed in tutto gli professava
cieca ubbidienza e pari docilità.
Capo XIII. Mortificazioni. - Penitenze. - Custodia dei sensi. - Profitto
nella scuola.
Queste sue rare virtù erano difese, per cosi dire, da un continuo spirito di mortificazione.
Fin da giovinetto soleva digiunare severamente una buona parte della Quaresima. Ai familiari,
che gli mostravano indiscreti quei digiuni per la sua tenera età, soleva rispondere: «In paradiso
non si va senza mortificazione; perciò e vecchi e giovani, {68 [310]} se vogliono, andare in
Paradiso, bisogna che ci vadano per la via della mortificazione. Questa mortificazione è poi
necessaria ai giovinetti, sia per dare soddisfazione a Dio pei tanti disgusti che gli cagionano coi
frequenti loro difetti, e sia per addestrarsi a quella vita mortificata, necessaria a tutti per salvarsi.
Voi spesso mi dite che io sono molto difettoso: per questo voglio anche digiunare.» Queste e
simili sapienti osservazioni faceva Francesco, come ne fanno ampia testimonianza i suoi
genitori, fratelli, e sorelle.
Guidato dal medesimo spirito di mortificazione sapeva custodire i suoi occhi dagli
sguardi pericolosi, e le orecchie dai discorsi sconvenienti ad ogni cristiano, la lingua dalle parole
inconsiderate. Se alcuna volta per inavvertenza fuggivangli parole meno esatte, da se medesimo
imponevasi qualche penitenza, condannando la sua lingua a segnare sul pavimento molte croci.
Non rare volte ne furono testimonii oculari i suoi parenti, che lo sorprendevano in quel
volontario {69 [311]} esercizio di mortificazione. Essi un giorno gli dimandarono, se quella era
penitenza impostagli dal confessore. No, ingenuamente rispondeva, ma vedendo la mia lingua
troppo veloce ad espressioni sconvenevoli, voglio strascinarla volontariamente nel fango, perchè
la medesima non istrascini me nel fuoco eterno. Faccio anche questa penitenza, affinchè Dio mi
conceda la grazia di andare in quel luogo, in cui ha detto mio Padrino di mandarmi, perchè possa
studiare.
Quasichè tutte queste sante industrie non fossero sufficienti a salvarlo dalla terribile
corruzione che si osserva nelle conversazioni, il pio giovanetto negli ultimi anni di sua vita in
famiglia rarissimamente accomunavasi ai compagni, cercando solo di trattenersi con quelli dai
quali sapeva certo non correre alcun pericolo per l’ anima sua.
Cresceva in lui ognora più il vivo desiderio di venire all’ Oratorio di S. Francesco di
Sales2, ma una difficoltà gli {70 [312]} si opponeva. Per essere accolti come studenti in questa
2
La parola Oratorio si prende in varj sensi. Se si considera come adunanza festiva s’ intende un luogo
destinato a ricreare con piacevoli trastulli i giovanetti, dopo che essi hanno soddisfatto ai loro doveri di religione. Di
questo genere sono in Torino 1’ Oratorio di s. Francesco di Sales in Valdocco; di’ s. Giuseppe a s. Salvario; di s.
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Casa fa d’ uopo, che i giovanetti abbiano fatto almeno quel corso di scuole elementari, che è
necessario per entrare nella prima classe di latinità. Ma le scuole del villaggio si estendevano
solamente alla prima e a qualche materia della seconda elementare. Come superare adunque
questa difficoltà? La superarono la buona condotta {71 [313]} di Besucco e la carità del suo
Paroco. Questi non esitò di aggiugnero alle parochiali occupazioni anche il peso della scuola
quotidiana e per Besucco e per altri giovanetti di buona speranza. Il buon Francesco esultò a
quell’ invito dell’ amato suo Padrino e col consenso dei genitori cominciò a frequentare quella
scuola con nuovo vigore, e con nuova diligenza, onde corrispondere al favore che gli era fatto.
{72 [314]} Con quanto profitto ciò abbia fatto il comprovò l’ essere stato dipoi accettato in
prima classe latina. Quante volte colle lacrime agli occhi prorompeva in queste espressioni di
ringraziamento al suo Paroco: Come mai potrò io corrispondere a tanta carità che mi è usata! -
Erasi perciò fatto il costume di recarsi ogni giorno impreteribilmente prima della scuola innanzi
all’ altare ìli Maria SS. e là prostrato colla confidenza d’ un figlio raccomandava alla Sede della
sapienza se stesso e chi lo istruiva. Quali colloquii facesse allora il nostro Francesco, dice il suo
parroco, noi so ; il certo si è, che molte volte uscendo di Chiesa si osservò cogli occhi bagnati di
lacrime, effetto indubitato della commozione provata. Interrogato a spiegare il motivo di quella
sensazione, rispondeva: Vengo adesso da pregare Maria SS. per Lei, caro Padrino, affinchè le
ottenga da Dio quella ricompensa, che io sono incapace di darle.
In tutto il tempo, in cui frequentò la mia scuola, asserisce il medesimo, neppure una volta
mi diede motivo di rimproverarlo {73 [315]} della sua negligenza, perchè faceva ogni suo
possibile per corrispondere alle cure di chi lo instruiva.
Capo XIV. Desiderio e deliberazione di recarsi all’ Oratorio di S.
Francesco di Sales.
In questo tempo il Paroco mi scrisse raccomandando un suo parochiano di condotta
esemplare, povero di beni di fortuna, ma molto ricco di virtù. Questo giovanetto, diceva egli, da
più anni è la mia delizia ed il mio aiuto per le cose parochiali. Servire la Messa, prendere parte
alle funzioni di Chiesa, fare il catechismo ai più piccoli, pregare con gran fervore, con
esemplarità frequentare i santi Sacramenti sono in breve ciò che fa costantemente, lo me ne privo
volentieri, perchè spero di farne un ministro del Signore.
Nel desiderio di cooperare all’ educazione di così raro giovinetto l’ accettai di buon grado
in questa Casa. {74 [316]} Egli mi era eziandio stato raccomandato dal signor Eysautier
luogotenente delle guardie reali, e me lo aveva raccomandato come un modello per istudio e per
condotta morale. A questa notizia non potè più rispondermi l’ innocente giovanetto, dice il
Paroco, fuorchè colle lagrime, che esprimevano tutta la sua gioia e la sua riconoscenza. Ma qui
sorse ancora una grave difficoltà ad eseguire il concepito disegno, voglio dire la povertà dei
genitori, i quali lottavano tra la buona disposizione del loro figlio, e la loro insufficienza dei
mezzi umani. In questo doloroso stato d’ incertezza il Paroco lo animò a fare frequenti visite a
Luigi presso al viale dei platani; del s. Angelo Custode in Vanchiglia; di s. Martino presso ai molini municipali.
Diconsi anche oratorii feriali le scuole diurne e serali che ne' locali mentovati si fanno lungo la settimana
per que' giovanetti che per mancanza di mezzi, o perchè male in arnese non possono frequentare lo scuole della città.
Presa poi la parola Oratorio in senso più esteso s’ intende la casa di Valdocco in Torino nota sotto al nome
di Oratorio di s. Francesco di Sales. I giovanetti possono essere ricevuti in questa casa o come artigiani o come
studenti. Gli artigiani devono aver compiuti gli anni 12 e non oltrepassare i diciotto; essere orfani di padre e di
madre; totalmente poveri ed abbandonati.
Gli studenti poi non possono essere accolti se non hanno compiuto lodevolmente almeno la 3˚ elementare e
siano in modo eccezionale commendevoli per ingegno e moralità.
L’ istruzione morale e scientifica, 1’ ammessione alle scuole ed ai trastulli, l’ accettazione degli artigiani è
gratuita. Si accettano anche gratuitamente gli studenti pel corso ginnasiale, purchè, come si disse, siano in modo
eccezionale commendevoli per moralità e per altitudine allo studio, e facciano constare che non possono pagar nè
tutta nè in parte la regolare pensione che sarebbe di fr. 24 mensili.
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Gesù Sacramentato, ed a Maria SS. chiedendo istantemente qual fosse la loro volontà a suo
riguardo. Ma raccomandati, gli disse, che ti manifestino la tua vocazione in modo chiaro per non
fallire in affare di tanta importanza. - Dio esaudì le sue innocenti preghiere. Una mattina, dopo
essersi accostato alla santa comunione, venendo dopo Messa alla solita scuola {75 [317]} parve
più contento dell’ usato. Ebbene, dissegli il Paroco, che buone nuove mi porli questa mattina, o
Francesco? Hai tu avuto qualche risposta alla tue dimande? - Sì, che l’ ho avuta questa volta, ed
ecco in qual modo. Dopo la comunione ho fatto le più vive promesse di voler servir Iddio per
sempre, e con tutto il mio cuore, che gli offersi più volte. Pregai anco Maria SS. affinchè mi
aiutasse in questo bisogno. Quindi mi parve proprio di sentire queste parole, le quali mi fecero
provare una contentezza immensa: Fa cuore, o Francesco, che il tuo desiderio sarà soddisfatto.
Era sì grande la sua persuasione d’ aver udita questa risposta, che la confermò molte
volte anche in presenza di tutta la famiglia, e senza alcuna variazione. D’ allora in poi soleva
dire: Io sono certo di andare ove ella, caro padrino, intende inviarmi, perchè questa è volontà di
Dio. Che se qualche volta ancora i parenti mettevano in dubbio il loro consenso, Deh!
esclamava, per carità non interrompete il mio destino, {76 [318]} altrimenti io sarò un figlio
disgraziato. Quindi raccomandavasi ora alla madre, al fratello, alle sorelle, ora al Paroco, e ad
altre persone, affinchè procurassero colle loro osservazioni d’ ottenere il consenso del padre, il
quale per altro desiderava internamente di appagare le giuste brame del figlio. Si vedeva in
questo suo procedere ben chiara la volontà del Signore, che chiamava Francesco nella sua vigna.
Sul finire del mese di maggio 1863 per manifesta disposizione della divina provvidenza,
essendo scomparse tutte le insorte difficoltà, fu stabilito dai genitori di inviare Francesco all’
Oratorio. Egli da quel momento manifestando ai genitori la sua contentezza diceva: Io sono il
figlio della fortuna: oh quanto sono mai felice: siate certi, che vi voglio consolare colla mia
condotta. Raddoppiando il fervore nella pietà e nello studio, scrive il Paroco, fece tanto profitto
nel mese di Giugno e luglio, quanto fatto ne avrebbe appena in un anno. Di che accorgendosi {77
[319]} egli medesimo, diceva: Ella mi dice, signor Arciprete, che è contento di me, anche io ora
non so spiegare, come in si breve tempo possa imparare la mia lezione, e questo è segno
evidente, che in ciò io faccio la volontà di Dio. - Ma qual ricompensa, soggiungeva l’ Arciprete,
mi darai poi tu per quanto faccio per te? Sappi che io voglio essere pagato abbondantemente. -
Si, certamente, prometto di pregare sovente Iddio e Maria SS. affinchè le ottengano tutte quelle
grazie che desidera; stia pur certo che non mai mi dimenticherò di Lei, nè di quelli che fra poco
mi saranno altrettanti padri. - La riconoscenza era una delle prerogative di questo grazioso
fanciullo.
Eravamo all’ ultimo giorno di luglio vigilia della partenza del nostro caro Francesco per
l’ Oratorio. La mattina accostossi per l’ ultima volta in Argentera ai SS. Sacramenti. «Colle
lagrime agli occhi il vidi per l’ ultima volta, dice il paroco, a rimirare il confessionale e gli altari,
chi sa con quale presentimento. Insolita gioia in quel {78 [320]} volto sfavillò dopo la
comunione. Il fervore ed il lungo tempo impiegato nel ringraziamento compensarono al certo
abbondantemente le molte comunioni, che ancor credevasi fare in questa chiesa. Tutto quel
giorno fu festivo pel nostro Francesco, nè io son capace per la presente commozione a descrivere
la scena tenerissima succeduta nella mia camera. Qui alla presenza di suo padre il mio caro
figlioccio inginocchione struggevasi in atti di ringraziamento pei benefizi da lui amplificati,
assicurandomi dell’ eterna sua gratitudine ed arrendevolezza a tutti gli avvisi dati.
In casa poi non pareva più di questo mondo, ogni momento andava esclamando: Sono
fortunato, son felice. Oh! quanto debbo mai ringraziare Iddio d’ avermi tanto favorito. Diede
anche l’ addio a tutti i suoi parenti i quali rimasero stupefatti al vedere il loro nipotino, e cugino
provare nel suo cuore tanta contentezza. Ma tu, gli dicevano, sarai poi annojato e malinconico
per essere lontano da' tuoi parenti, e chi sa, forse {79 [321]} patirai il clima troppo caldo di
Torino nell’ estate. - No, non abbiate paura di me; quanto ai genitori, fratelli e sorelle purchè
sappiano buone nuove di me saranno contenti, ed io farò in modo colle mie lettere di consolarli.
Io non temo di patire, e d’ esser malinconico, perchè son certo di trovare in quel luogo tutto ciò
che potrà rendermi contento. Immaginatevi quanto grande dovrà essere la mia gioia quando sarò
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sicuro di rimanere nell’ Oratorio, se il solo desiderio e la speranza di andarvi mi rende già fuor di
me stesso per la consolazione. Solamente vi raccomando di pregare per me, affinchè possa
sempre fare la volontà di Dio.
Incontrandomi per via in quel giorno tutto intenerito mi disse: «Mi rincresce tanto di
abbandonarla, ma la consolerò con darle buone notizie di me. Per la contentezza nonpotè chiuder
occhio in quella notte, che passò in continua orazione ed unione con Dio.» {80 [322]}
Capo XV. Episodii e viaggio a Torino.
La mattina di buon’ ora diede l’ ultimo addio alla cara sua madre, ai fratelli ed alle sorelle
piangenti mentre egli solo con aria serena e tranquilla, sebben commosso, incoraggiava tutti alla
perfetta rassegnazione alla volontà di Dio. Solamente allora diede in dirottissimo pianto, quando
raccomandossi alle loro orazioni per esser costante nel corrispondere alla voce di Dio, che lo
chiamava a sè. Il suo Padrino lo salutò con queste ultime parole: Oh! sì, vanne , amabilissimo
Francesco, che quel Dio, il quale in una maniera maravigliosa ti toglie ora ai nostri terreni
sguardi, il fa per chiamarti in quell’ Oratorio medesimo, in cui potrai santificare l’ anima tua,
emulando le virtù, che già condussero al bel Paradiso i fortunati giovani Savio Domenico e
Michele Magone, alla cui vita e morte preziosa attingesti negli ultimi mesi di tua dimora {81
[323]} fra noi quell’ ardente desiderio, che ti condusse nel provvidenziale Oratorio di s.
Francesco di Sales.
Con un piccolo corredo il padre accompagnò Francesco alla volta di Torino e partivano il
primo Agosto 1863. A misura che si allontanavano da Argentera il buon genitore andava
interpellando il figlio, se non gli rincresceva di abbandonare la patria, la famiglia, e
principalmente la madre. Francesco gli rispose sempre con dire: Io sono persuaso di fare la
volontà di Dio andando a Torino, e quanto più mi allontano da casa, tanto più cresce la mia
contentezza. - Cessate quelle momentanee risposte seguitava a pregare, e assicurò il padre, che il
viaggio da Argentera a Torino fu per Francesco quasi una continua preghiera.
Il .due agosto giunsero a Cuneo circa le ore 4 del mattino. Passando avanti al palazzo
Vescovile Francesco dimandò: Di chi è questa bella casa? - È del Vescovo, gli rispose. -
Francesco allora fe' segno al padre di volersi {82 [324]} fermare un momento. Fermatosi il
figliuolo il padre si avanzò alcuni passi. Rivoltosi poi indietro lo vide ginocchioni presso alla
porta del Vescovo. Che fai tu ora? gli disse. Prego Iddio per Monsignore, affinchè eziandio mi
ajuti a farmi accettare nell’ Oratorio di Torino, e che a suo tempo si degni poi di annoverarmi fra'
suoi cherici, e cosi essere utile per me e per gli altri.
Giunto in Torino il padre gli faceva notare le maraviglie di questa Capitale. Il padre
stesso, dopo aver osservate le vie simmetriche, le piazze riquadrate e spaziose, i portici alti e
maestosi, le gallerie magnificamente adornate di oggetti vari, preziosi e stranieri, dopo di aver
ammirata l’ altezza e la eleganza degli edifizi credeva di trovarsi nell’ altro mondo. Che ne dici,
o Francesco, dicevagli pieno di maraviglia? Non ti sembra proprio di essere in paradiso? Al che
Francesco sorridendo rispose: Tutte queste cose a me poco importano, che di nulla sarà contento
il mio cuore, finchè non sarò {83 [325]} ricevuto in quel benedetto Oratorio, al quale fui inviato.
Finalmente entrò nel luogo tanto desiderato e pieno di gioia esclamò: Questa volta ci
sono. Quindi fece una brève preghiera per ringraziare Iddio e la Beata Vergine del buon viaggio,
che aveva fatto, e dei desiderii appagati.
Suo padre nel licenziarsi da lui era commosso fino alle lagrime, ma Francesco lo confortò
dicendo: Non datevi alcuna pena per me; il Signore non mancherà di ajutarci: lo pregherò ogni
giorno per tutta la nostra famiglia. Vie più commosso il padre gli disse ancora: Ti occorre
qualche cosa? Si, caro padre, ringraziate mio padrino della cura che si prese di me: assicuratelo,
che non dimenticherò giammai i suoi benefizi, e coll’ assiduità nello studio, e colla buona mia
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condotta mi dimostrerò tale da renderlo soddisfatto. Dite a quei di casa, che io sono pienamente
felice, e che ho trovato il mio paradiso. {84 [326]}
Capo XVI. Tenore di vita nell’ Oratorio. Primo trattenimento.
Tutto quello che ho fin qui esposto intorno al giovanetto Besucco forma per cosi dire la
prima parte della sua vita; e in ciò mi sono tenuto alle notizie inviatemi da chi lo conobbe, lo
trattò e visse con lui in patria. Quanto sarò per dire riguardo al nuovo genere di vita nell’
Oratorio formerà la seconda parte. Ma qui racconterò cose tutte udite, vedute co' proprii occhi,
oppure riferite da centinaia di giovanetti ohe gli furono compagni per tutto il tempo che vise
ancor mortale tra noi. Mi sono poi in modo particolare servito di una lunga e minuta relazione
fatta dal sac. Rufino professore e direttore delle scuole di questa casa, che ebbe tempo e
occasione di conoscere e di raccogliere i continui tratti di virtù dal nostro Besucco praticati.
Da lungo tempo adunque Franceso {85 [327]} ardentemente desiderava di trovarsi in
quest’ Oratorio, ma quando ci fu di fatto ne rimase sbalordito. Oltre settecento giovanetti gli
divenivano in un momento amici e compagni nella ricreazione, a mensa, in dormitorio, in
Chiesa, nella scuola, e nello studio. A lui sembrava impossibile che tanti giovanetti potessero
vivere insieme in una sola casa senza mettere ogni cosa in disordine. Tutti voleva interrogare d’
ogni cosa voleva chiedere la ragione, la spiegazione. Ogni avviso dato dai superiori, ogni
inscrizione sopra le mura erano per lui soggetto di letture, di meditazioni, e di profondo riflesso.
- Eravamo ai primi d’ agosto 1863, ed io non l’ aveva ancor veduto, nè altro sapeva di lui, se non
quel tanto, che l’ Arciprete Pepino per lettera mi aveva comunicato. Un giorno io era in mezzo ai
giovani di questa casa, che faceva ricreazione, quando vidi uno vestito quasi a foggia di
montanaro, di mediocre corporatura, di aspetto rozzo, col volto lentichioso. Egli stava cogli
occhi spalancati rimirando {88 [328]} i suoi compagni a trastullarsi. Come il suo sguardo s’
incontrò col mio fece un rispettoso sorriso portandosi verso di me.
- Chi sei tu?gli dissi sorridendo.
- Io sono Besucco Francesco dell’ Argentera.
- Quanti anni hai?
- Ho presto quattordici anni.
- Sei venuto tra noi per istudiare, o per imparare un mestiere?
- Io desidero tanto tanto di studiare.
- Che scuola hai già fatto?
- Ho fatto le scuole elementari del mio paese.
- Con quale intenzione tu vorresti continuare gli studi e non intraprendere un mestiere?
- Ah! il mio vivo, il mio gran desiderio si è poter abbracciare lo stato ecclesiastico.
- Chi ti ha mai dato questo consiglio?
- Ho sempre avuto questo nel cuore ed ho sempre pregato il Signore, {89 [329]} che mi
aiutasse per appagare questa mia volontà.
- Hai già dimandato consiglio a qualcheduno?
- Sì, ne ho già parlato più volte con mio padrino; sì con mio padrino.... Ciò detto apparve
tanto commosso, che cominciavano a spuntargli sugli occhi le lagrime.
- Chi è tuo padrino?
- Mio padrino è il mio prevosto, l’ arciprete dell’ Argentera, che mi vuole tanto bène. Egli
mi ha insegnato il catechismo, mi ha fatto scuola, mi ha vestito, mi ha mantenuto. Egli è tanto
buono, mi ha fatto tanti benefizi, e dopo d’ avermi fatto scuola quasi due anni mi ha
raccomandato a lei, affinchè mi ricevesse nell’ Oratorio. Quanto mai è buono mio padrino!
quanto mai egli mi vuol bene!
Ciò detto si pose di nuovo a piangere. Questa sensibilità ai benefizi ricevuti, questo affetto al suo
benefattore feremi concepire una buona idea dell’ indole e della bontà di cuore del giovanetto.
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Don Bosco - Il pastorello delle Alpi, ovvero vita del giovane Besucco Francesco d'Argentera
Allora richiamai eziandio {88 [330]} alla memoria le belle raccomandazioni, che di lui eranmi
state fatte dal suo paroco e dal Luogotenente Eysauiter; e dissi tosto tra me: Questo giovanetto
mediante coltura farà eccellente riuscita nella sua morale educazione. Imperciocchè è provalo
dall’ esperienza che la gratitudine nei fanciulli è per lo più presagio di un felice avvenire; al
contrario coloro che dimenticano con facilità i favori ricevuti e le sollecitudini a loro vantaggio
prodigate rimangono insensibili agli avvisi, ai consigli, alla religione, e sono perciò di
educazione difficile, di riuscita incerta. Dissi pertanto a Francesco: Sono molto contento che tu
porti grande affetto a tuo padrino, ma non voglio che ti affanni. Amalo nel Signore, prega per lui,
e se vuoi fargli cosa veramente grata, procura di tenere tale condotta che io possa mandargli
buone notizie, oppure possa essere egli soddisfatto del tuo profitto e della tua condotta venendo a
Torino. Intanto va co' tuoi compagni a fare ricreazione. - Asciugandosi {89 [331]} le lagrime mi
salutò con affettuoso sorriso, quindi andò a prendere parte ai trastulli co' suoi compagni.
Capo XVII. Allegria.
Nella sua umiltà Francesco giudicava tutti i suoi compagni più virtuosi di lui, e gli
sembrava di essere uno scapestrato in confronto della condotta degli altri. Laonde pochi giorni
dopo me lo vidi nuovamente venire incontro con aspetto alquanto turbato. Che hai, gli dissi, mio
caro Besucco?
- Io mi trovo qui in mezzo a tanti compagni tutti buoni, io vorrei farmi molto buono al par
di loro, ma non so come fare, ed ho bisogno ch’ Ella mi aiuti.
- Ti aiuterò con tutti i mezzi a me possibili. Se vuoi farti buono pratica tre sole cose e
tutto andrà bene.
- Quali sono queste tre cose?
- Eccole: Allegria, Studio, Pietà. È questo il grande programma, il quale {90 [332]}
praticando, tu potrai vivere felice, e far molto bene all’ anima tua.
- Allegria...Allegria...Io sono fin troppo allegro. Se lo stare allegro basta per farmi buono
io andrò a trastullarmi da mattina a sera - Farò bene?
- Non da mattino a sera, ma solamente nelle ore in cui è permessa la ricreazione.
Egli prese il suggerimento in senso troppo letterale; e nella persuasione di fare veramente
cosa grata a Dio trastullandosi, mostravasi ognora impaziente del tempo libero per approffittarne.
Ma che? Non essendo pratico di certi esercizj ricreativi ne avveniva, che spesso urtava o cadeva
qua, o là. Voleva camminar sulle stampelle, ed eccolo rotolar a terra; voleva montar sulle
parallele, ed eccolo cader capitombolo. Giocava alle bocce? o che le gettava nelle gambe altrui, o
che metteva in disordine ogni divertimento. Perla qual cosa potevasi dire, che i capitomboli, i
rovescioni, gli stramazzoni erano l’ ordinaria conclusione dei {91 [333} suoi trastulli. Un giorno
mi si avvicinò tutto zoppicante, ed impensierito. Che hai, Besucco, gli dissi?
- Ho la vita tutta pesta, mi rispose.
- Che ti è accaduto?
- Son poco pratico dei trastulli di questa casa, perciò cado urtando ora col capo, ora colle
braccia o colle gambe. Ieri correndo ho battuto colla mia faccia in quella di un compagno, e ci
siamo fatto insanguinare il naso ambidue.
- Poverino! usati qualche riguardo, e sii un po' più moderato.
- Ma Ella mi dice che questa ricreazione piace al Signore, ed io vorrei abituarmi a far
bene tutti i giuochi che hanno luogo tra i miei compagni.
- Non intenderla così, mio caro; i giuochi ed i trastulli devono impararsi poco alla volta di
mano in mano che ne sarai capace, sempre per altro in modo che possano servire di ricreazione,
ma non mai di oppressione al corpo.
Da queste parole egli comprese, come la ricreazione debba essere moderata, {92 [334]} e
diretta a sollevare lo spirito, altrimenti sia di nocumento alla medesima sanita corporale. Quindi
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continuò bensì a premiere volentieri parte alla ricreazione, ma con grande riserbatezza; anzi
quando il tempo libero era alquanto prolungato soleva interromperlo per trattenersi con qualche
compagno più studioso, per informarsi delle regole e della disciplina della casa, farsi spiegare
qualche difficoltà scolastica, ed anche per recarsi a compiere qualche esercizio di cristiana pietà.
Di più egli imparò un segreto per far del bene a se ed a' suoi compagni nelle stesse ricreazioni, e
ciò col dare buoni consigli, o avvisando con modi cortesi coloro cui si fosse presentata
occasione, siccome soleva già fare in sua patria in una sfera tuttavia assai più ristretta. Il nostro
Besucco temperando così la ricreazione con detti morali, o scientifici, divenne in breve un
modello nello studio e nella pietà. {93 [335]}
Capo XVIII. Studio e diligenza.
Un giorno il Besucco in mia camera lesse sopra un cartello queste parole: Ogni momento
di tempo è un tesoro.
- Non capisco, mi chiese con ansietà, che cosa vogliano significare queste parole. Come
noi possiamo in ogni momento di tempo guadagnare un tesoro?
- È proprio così. In ogni momento di tempo noi possiamo acquistarci qualche cognizione
scientifica o religiosa, possiamo praticare qualche virtù, fare un atto di amor di Dio, le quali cose
avanti al Signore sono altrettanti tesori che ci gioveranno pel tempo e per l’ eternità.
Non proferì più alcuna parola, ma scrisse sopra un pezzetto di carta quel detto, di poi
soggiunse: Ho capito. Comprese egli quanto fosse prezioso il tempo, e richiamando alla memoria
quanto gli aveva raccomandato il suo Arciprete, disse: Mio Padrino me lo aveva già detto anch’
egli ehe il tempo {94 [336]} è molto prezioso, e che noi dobbiamo occuparlo bene cominciando
dalla gioventù.
D’ allora in poi si occupava con assai maggior applicazione intorno ai suoi doveri.
Io posso dire a gloria di Dio, che in tutto il tempo che passò in questa casa non si ebbe mai
motivo di avvisarlo od incoraggiarlo all’ adempimento de' suoi doveri.
Vi è l’ uso in questa casa che ogni sabato si danno e poi si leggono i voti della condotta
che ciascun giovine tenne nella settimana nello studio e nella scuola. I voti di Besucco furono
sempre eguali cioè optime. Dato il segno dello studio eglivi si recava immediatamente senza più
fermarsi un istante. Quivi poi era bello il vederlo continuamente raccolto, studiare, scrivere colla
avidità di chi fa cosa di grande suo gusto. Per qualsiasi motivo non si moveva mai di posto, nè
comunque fosse lungo il tempo di studio alcuno lo vedeva togliere il guardo da' suoi libri o dai
quaderni. {95 [337]}
Uno de' suoi grandi timori era che gli avvenisse contro sua volontà di trasgredire le
regole; perciò specialmente nei primi giorni sovente chiedeva se si potesse fare questa o quell’
altra cosa. Chiese per esempio una volta con santa semplicità se nello studio fosse lecito lo
scrivere, temendo che quivi non si dovesse far altro che studiare; altra volta se in tempo di studio
ora permesso mettere in ordine i libri. All’ esatta occupazione del tempo egli aggiunse la
invocazione dell’ aiuto del Signore. Alcuna volta lo vedevano i compagni durante lo studio farsi
il segno della santa croce, alzare gli occhi verso il cielo e pregare. Richiesta la cagione
rispondeva: Spesse volte incontro difficoltà nello imparare, perciò mi raccomandò al Signore
affinchè mi dia il suo aiuto.
Aveva letto nella vita di Magone Michele che prima de' suoi studi sempre diceva: Maria,
sedes sapientiae, ora pro me. 0 Maria sede della sapienza, pregate per me. Egli volle fare
altrettanto. Scrisse queste parole sopra i libri, sopra i quaderni, e sopra parecchie {96 [338]} liste
di carta, di cui valevasi per segnacoli. Scrisse talvolta biglietti ai suoi compagni, ma o in
principio del foglio o sopra un pezzetto di carta aparte
notava sempre il prezioso santo alla sua celeste madre, siccome egli soleva chiamarla. In un
biglietto indirizzato ad un suo compagno leggo quanto segue: Tu mi hai chiesto come io abbia
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potuto sostenermi in seconda grammatica, mentre che il mio corso regolare dovrebbe essere
appena la prima. Io ti rispondo schiettamente che questa è una special benedizione del Signore,
che mi dà sanità e forza. Mi sono per altro servito di tre segreti che ho trovatd e praticato con
grande mio vantaggio e sono:
1° «Di non mai perdere bricciolo di tempo in tutte le cose stabilite per la scuola o per lo
studio.
2° Nei giorni di vacanza ed in altri in cui siavi ricreazione prolungata, dopo mezz’ ora
vado a studiare, oppure mi metto a discorrere di cose di scuola con alcuni compagni più avanzati
di me nello studio. {97 [339]}
3° Ogni mattina prima d’ uscir di chiesa dico un Pater ed un’ Ave a S.Giuseppe. Questo
fu per me il mezzo efficace che mi portò avanti nella scienza e da che ho cominciato a recitare
questo Pater, ho sempre avuto maggior facilità sia per imparare le lezioni, sia per superare le
difficoltà che spesso incontro nelle materie scolastiche. Prova anche tu a fare altrettanto,
conchiudeva la lettera, e ne sarai certamente contento.»
Non deve pertanto recar maraviglia se con tanta diligenza abbia fatto così rapido
progresso nella scuola.
Quando venne tra noi si perdeva quasi di speranza di poter reggere nella prima
ginnasiale, ma dopo soli due mesi riportava già dei voti assai soddisfacenti nella sua classe. Nella
scuola pendeva immobile dal labbro del maestro, che non ebbe mai occasione di avvisarlo per
disattenzione.
Quello che dissi intorno alla diligenza di Besucco in materia di studio si deve estendere a
tutti gli altri doveri anche più minuti: egli era esemplare in tutto. {98 [340]} Era stato incaricato
di scopare il dormitorio. In questo uffìzio si faceva ammirare per l’ esattezza con cui lo
disimpegnava senza dimostrare minimamente di sentirne peso.
Allora che per motivo di malattia non potè più levarsi di letto, chiese scusa all’ assistente
perchè non poteva compiere il solito suo dovere e ringraziò con vivo affetto un compagno che lo
supplì in quell’ umile servizio.
Besucco venne all’ Oratorio con uno scopo prefìsso; perciò nella sua condotta aveva
sempre di mira il punto cui tendeva, cioè di dedicarsi tutto a Dio nello stato ecclesiastico. A
questo fine cercava di progredire nella scienza e nella virtù. Discorreva un giorno con un
compagno intorno ai propri studi ed intorno al fine per cui ciascuno era venuto nella casa.
Besucco espresse il proprio pensiero, poi conchiuse: Insomma il mio scopo è di farmi prete; coll’
ajuto del Signore farò ogni sforzo per poterlo conseguire. {99 [341]}
Capo XIX. La confessione.
Dicasi pure quanto si vuole intorno ai vari sistemi di educazione, ma io non trovo alcuna
base sicura, se non nella frequenza della confessione e comunione; e credo di non dir troppo
asserendo che omessi questi due elementi la moralità resta bandita. Il Besucco, come abbiamo
detto, fu coltivato ed avviato per tempo alla frequenza di ambidue questi Sacramenti. Giunto qui
all’ Oratorio crebbe di buona volontà e di fervore nel praticarli.
Sul principio della novena della Natività di Maria SS. si presentò al suo direttore
dicendogli: Io vorrei passare bene questa novena e fra le altre cose desidero di fare la mia
confessione generale. Il direttore come ebbe inteso i motivi che a ciò lo determinavano rispose di
non ravvisare alcun bisogno di fare simile confessione, ed aggiunse: Tu puoi vivere tranquillo,
tanto più che l’ hai già fatta altre volte {100 [342]} dal tuo Arciprete. - Si, ripigliò, io l’ ho già
fatta all’ occasione della mia prima comunione, ed anche quando ci furono gli esercizi spirituali
al mio paese, ma siccome io voglio mettere l’ anima mia nelle sue mani, così desidero di
manifestarle tutta la mia coscienza, affinchè meglio mi conosca, e possa con più sicurezza darmi
quei consigli che possono meglio giovare a salvarmi l’ anima. Il direttore acconsentì: lo lodò
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della scelta, che voleva fare d’ un confessore stabile; lo esortò a voler bene al confessore, pregare
per lui, e manifestargli sempre qualunque cosa inquietasse la sua coscienza. Quindi lo ajutò a
fare la desiderata confessione generale. Egli compiè quell’ atto coi più commoventi segni di
dolore sul passato e di proponimento per l’ avvenire, sebbene, come ognuno può giudicare,
consti dalla sua vita non aver mai commessa azione, che si possa appellare peccato mortale. Fatta
la scelta del confessore, noi cangiò più per tutto il tempo, che il Signore lo conservò tra {101
[343]} noi. Egli aveva con esso piena confidenza, lo consultava anche fuori di confessione,
pregava per lui, e godeva grandemente ogni volta poteva da lui avere qualche buon consiglio per
sua regola di vita.
Scrisse una volta una lettera ad un suo amico che gli aveva manifestato il desiderio di
venire anche egli in quest’ Oratorio. In essa gli raccomandava di pregare il Signore per questa
grazia, e poi gli suggerì alcune pratiche di pietà, come la via crucis; ma più di tutto lo esortò a
confessarsi ogni 8 giorni ed a comunicarsi più volte la settimana.
Mentre lodo grandemente il Besucco intorno a questo fatto, raccomando coi più vivi
affetti del cuore a tutti, ma in special modo alla gioventù di voler fare per tempo la scelta d’ un
confessore stabile, nè mai cangiarlo, se non in caso di necessità. Si eviti il difetto di alcuni, che
cangiano confessore quasi ogni volta che vanno a confessarsi; oppure dovendo confessare cose
di maggior rilievo vanno {102 [344]} da un altro, ritornando poscia dal confessore primitivo.
Facendo cosi costoro non fanno alcun peccato, ma non avranno mai una guida sicura che
conosca a dovere lo stato di loro coscienza. Loro accadrebbe quello che ad un ammalato, che in
ogni visita volesse un medico nuovo. Questo medico difficilmente potrebbe conoscere il male
dell’ ammalato, quindi sarebbe incerto nel prescrivere gli opportuni rimedi.
Che se per avventura questo libretto fosse letto da chi è dalla divina Provvidenza
destinato all’ educazione della gioventù, io gli raccomanderei caldamente tre cose nel Signore.
Primieramente inculcare con zelo la frequente confessione , come sostegno della instabile
giovanile età, procurando tutti i mezzi, che possano agevolare l’ assiduità a questo Sacramento.
Insistano secondariamente sulla grande utilità della scelta d’ un confessore stabile da non
cangiarsi senza necessità, ma vi sia copia di confessori, affinchè ognuno possa scegliere colui,
che sembri più adattato al bene {103 [345]} dell’ anima propria. Notino sempre per altro, che chi
cangia confessore non fa alcun male, e che è meglio cangiarlo mille volte piuttosto che tacere
alcun peccato in confessione.
Nè manchino mai di ricordare spessissimo il grande segreto della confessione. Dicano
esplicitamente che il confessore è stretto da un segreto Naturale, Ecclesiastico, Divino e Civile
per cui non può per nessun motivo, a costo di qualunque male, fosse anche la morte, manifestare
ad altri cose udite in confessione o servirsene per se; che anzi può nemmeno pensare alle cose
udite in questo Sacramento; che il confessore non fa alcuna maraviglia, nè perde la stima o l’
affezione per cose comunque gravi udite in confessione, al contrario acquista credito al
penitente. Siccome il medico quando scopre tutta la gravezza del male dell’ ammalato gode in
cuor suo perchè può applicarvi l’ opportuno rimedio; cosi fa il confessore che è medico dell’
anima nostra, e a nome di Dio coll’ assoluzione guarisce tutte le {104 [346]} piaghe dell’ anima.
Io sono persuaso che se queste cose saranno raccomandate e a dovere spiegate si otterranno
grandi risultati morali fra i giovanetti, e si conoscerà coi fatti qual maraviglioso elemento di
moralità abbia la cattolica religione nel sacramento della penitenza.
Capo XX. La santa Comunione.
Il secondo sostegno della gioventù è la s. comunione. Fortunati quei giovanetti che
cominciano per tempo ad accostarsi con frequenza e colle debite disposizioni a questo
Sacramento. Il Besucco era stato da' suoi parenti e dal suo Prevosto animato ed ammaestrato
intorno al modo di comunicarsi sovente e con frutto. Mentre era ancora in patria soleva già
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accostarsi ogni settimana; di poi in tutti i giorni festivi, ed anche qualche volta lungo la
settimana. Venuto nell’ Oratorio continuò per qualche tempo a comunicarsi {105 [347]} colla
stessa frequenza, di poi eziandio più volte la settimana, e in alcune novene anche tutti i giorni.
Sebbene l’ anima sua candida e la esemplarissima sua condotta lo rendessero degno della
frequente comunione, tuttavia a lui sembrava di non esserne degno. Le sue apprensioni crebbero
da che una persona venuta in questa casa disse al Besucco, che era meglio accostarsi più di rado
per accostarsi con più lunga preparazione e con maggior fervore.
- Un giorno egli si presentò ad un suo superiore, e gli espose tutte le sue inquietudini.
Questi studiò id appagarlodicendo: Non dai tu con grande frequenza il pane materiale al corpo?
- Si, certamente.
- Se tanto frequentemente diamo il pane materiale al corpo, che soltanto deve vivere
qualche tempo in questo mondo, perchè non dovremo dare sovente, anche ogni giorno, il pane
spirituale all’ anima, che è la s. comunione? (S. Agostino).
- Ma mi sembra di non essere abbastanza {106 [348]} buono per comunicarmi tanto
sovente.
- Appunto per farti più buono è bene accostarti spesso alla s. comunione. Gesù non invitò
i santi a cibarsi del suo corpo, ma i deboli, gli stanchi, cioè quelli che abboniscono il peccato, ma
per la loro fragilità sono in gran pericolo di ricadere. Venite a me tutti, egli dice, voi che siete
travagliati ed oppressi, ed io vi ristorerò.
- Mi sembra che se si andasse più di rado si farebbe la comunione con maggior
divozione.
- Non saprei dirlo; quello che è certo, si è che l’ uso insegna a far bene le cose, e chi fa
sovente una cosa impara il vero modo di farla ; così colui che va con frequenza alla comunione
impara il modo di farla bene.
- Ma chi mangia più di rado mangia con maggior appetito.
- Chi mangia molto di rado e passa più giorni senza cibo egli o cade per debolezza, o
muore di fame, oppure il primo momento che mangia corre pericolo {107 [349]} di fare una
rovinosa indigestione.
- Se è così, per l’ avvenire procurerò di fare la s. comunione con molta frequenza, perchè
conosco veramente che è un mezzo potente per farmi buono.
- Va colla frequenza che ti sarà prescritta dal tuo confessore.
- Egli mi dice di andare tutte le volte che niente m’ inquieta la coscienza.
- Bene, segui pure questo consiglio. Intanto voglio farti osservare che nostro Signore
Gesù Cristo c’ invita a mangiare il suo Corpo e a bere il suo Sangue tutte le volte che ci troviamo
in bisogno spirituale, e noi viviamo in continuo bisogno in questo mondo. Egli giunse fino a dire:
Se non mangerete il mio corpo e non beverete il mio sangue non avrete con voi la vita. Per
questo motivo al tempo degli Apostoli i cristiani erano perseveranti nella preghiera e nel cibarsi
del pane Eucaristico. Nei primi secoli tutti quelli che andavano ad ascoltare la s. Messa facevano
la santa comunione {108 [350]} E chi ascoltava la Messa ogni giorno, eziandio ogni giorno si
comunicava. Finalmente la Chiesa Cattolica rappresentata nel Concilio Tridentino raccomanda ai
Cristiani di assistere quanto loro è possibile al SS. Sacrificio della Messa, e fra le altre ha queste
belle espressioni: Il Sacrosanto Concilio desidera sommamente che in tutte le Messe i fedeli che
le ascoltano facciano la comunione non solo spiritualmente, ma eziandio sacramentalmente,
affinchè in loro sia più copioso il frutto che proviene da questo Augustissimo Sacrificio. (Sess.
22. C. 6)
Capo XXI. Venerazione al SS. Sacramento.
Dimostrava il suo grande amore verso il SS. Sacramento non solo colla frequente
comunione, ma in tutte le occasioni che gli si presentavano. Già si è detto come al suo paese si
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prestava col massimo suo piacere ad accompagnare il Viatico. Uditone appena {109 [351]} il
segno dimandava tosto il permesso a' suoi genitori che assai di buon grado lo appagavano; indi
volava alla chiesa a fine di prestare quei servigi che erano compatibili colla sua età. Suonare il
campanello, portare i lumi accesi, portare e tenere aperto l’ ombrello, recitare il Confiteor, il
Miserere, il Te Deum erano per lui care delizie. Eziandio in patria si occupava volentieri ad
ajutare i compagni più giovani di lui o meno istruiti a prepararsi per comunicarsi degnamente, e a
fare dopo il dovuto ringraziamento.
Giunto qui nell’ Oratorio continuò nel suo fervore, e fra le altre cose prese la
commendevolissima abitudine di fare ogni giorno una breve visita al SS. Sacramento. Si vedeva
spesso intorno a qualche prete o chierico, affinchè radunati alcuni giovani li conducesse in chiesa
a recitare preghiere particolari davanti a Gesù Sacramentato. Era poi cosa veramente edificante l’
industria con cui egli studiava di condurre seco in chiesa qualche {110 [352]} compagno. Un
giorno ne invitò uno dicendogli: Vieni meco e andremo a dire un Pater a Gesù Sacramentato,
che è là tutto solo nel tabernacolo. Il compagno, che era tutto affacendato nei trastulli, rispose
che non ci voleva andare. Il Besucco andò solo ugualmente. Ma il compagno preso dal
rincrescimento di essersi rifiutato all’ amorevole invito del virtuoso amico il giorno seguente gli
si avvicinò e gli disse: Ieri tu mi hai invitato ad andare in chiesa e non ho voluto andarvi, oggi
invito te perchè tu mi venga a tener compagnia a far quello che non ho fatto ieri. Il Besucco
ridendo rispose: Non darli pena di ieri, io ho fattola parte tua e la parte mia: dissi tre Pater per
me, di poi ne ho detto tre per te a Gesù Sacramentato. Tuttavia ci vado molto volentieri e adesso
e in qualunque altra occasione tu desideri avermi per compagno.
Mi è più d’ una volta accaduto di dovermi recare dopo cena in chiesa per qualche mio
dovere, mentre appunto i giovanetti della casa face {111 [353]} vano la più allegra ed animata
ricreazione nel cortile. Non avendo tra mano il lume inceppai in cosa che sembravano sacco di
frumento con rischio prossimo di cadere stramazzone. Ma quale non era la mia sorpresa, quando
mi accorgeva aver urtato nel divoto Besucco, che in un nascondiglio dietro, ma vicino all’ altare
in mezzo alle tenebre della notte pregava l’ amato Gesù a favorirlo de' celesti lumi per conoscere
le verità, farsi ognor più buono, farsi Santo? Serviva eziandio molto volentieri la s. Messa.
Preparare l’ altare, accendere i lumi, apprestare le ampolline, aiutare il sacerdote a vestirsi erano
cose di massimo suo gusto. Qualora per altro qualcheduno avesse desiderato di servirla egli si
mostrava contento e la udiva con grande raccoglimento. Quelli che lo hanno osservato ad
assistere alla s. Messa od alla benedizione della sera vanno d’ accordo nell’ asserire, che era
impossibile il mirarlo senza sentirsi commossi ed edificati pel fervore che dimostrava nel
pregare, {112 [354]} e perla compostezza della persona.
Era poi ansiosissimo di leggere libri, cantare canzoncine che riguardassero il SS.
Sacramento. Fra le molte giaculatorie, che egli recitava lungo il giorno, la più famigliare era
questa: Sia lodato e ringraziato ogni momento il SS. e divinissimo Sacramento. Con questa bella
giaculatoria, diceva, io guadagno cento giorni d’ indulgenza ogni volta che la dico; e di più
appena che la comincio tosto mi fuggono tutti i cattivi pensieri che mi correvano per la mente.
Questa giaculatoria per me è un martello con cui sono sicuro di rompere le corna al demonio,
quando viene a tentarmi.
Capo XXII. Spirito di preghiera.
È cosa assai difficile il far prender gusto alla preghiera ai giovanetti. La volubile età loro
fa sembrare nauseante ed anche enorme peso qualungue {113 [355]} cosa richieda seria
attenzione di mente. Ed è una grande ventura per chi da giovanetto è ammaestrato nella
preghiera, e ci prende gusto. Per essa è sempre aperta la sorgente delle divine benedizioni.
Il Besucco fu nel bel numero di costoro. L’ assistenza prestatagli dai genitori fin dai più
teneri anni, la cura che se ne prese il suo maestro e specialmente il suo Paroco produssero il
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desiderato frutto nel nostro giovanetto. Egli non era abituato a meditare, ma faceva molte
preghiere vocali. Proferiva le parole chiare e distinte e le articolava in modo, che sembrava
parlasse col Signore o colla santa Vergine o con qualche santo, cui indirizzava le sue orazioni. Al
mattino appena dato il segno della levata si vestiva prontamente, e aggiustato quanto di dovere
discendeva tosto in chiesa, o s’ inginocchiava accanto al letto per pregare fino a tanto che il
campanello indicasse di recarsi altrove. In chiesa poi oltre la sua specchiata puntualità andava a
prendere posto presso a quei compagni ed in quei {114 [356]} siti dove non fosse in alcun modo
distratto, e gli dava gran pena il vedere talvolta qualcheduno ciarlare o tenere un contegno
dissipato. Un giorno appena uscito andò subito in cerca di uno che aveva commesso tal
mancamento. Come lo ebbe trovato gli ricordò quanto aveva fatto; poi fattogli vedere quanto si
fosse diportato male gli inculcò di stare nel luogo santo con maggior raccoglimento.
Nutriva poi un affetto speciale per Maria SS. Nella novena della sua Natività dimostrava
un fervore particolare verso di essa. Il direttore soleva dare ogni sera qualche fioretto da
praticarsi in onore di Lei. Besucco non solo ne faceva egli gran conto,masi adoperava affinchè
fosse eziandio dagli altri praticato. Per non dimenticarsene li scriveva sopra un quaderno. In
questo modo, egli diceva, in fine dell’ anno avrò una bella raccolta di ossequii da presentare a
Maria. Lungo il giorno li andava ripetendo e ricordando a' suoi compagni. Volle sapere il luogo
preciso dove Savio Domenico si poneva {115 [357]} ginoechione a pregare dinanzi l’ altare
della Vergine Maria. Colà egli si raccoglieva a pregare con grande consolazione del suo cuore.
Oh! se io potessi, diceva, stare da mattino a sera a pregare in quel sito, quanto volentieri il farei!
Imperciocchè mi sembra di avere lo stesso Savio a pregare con me, e mi pare che egli risponda
alle mie preghiere, e che il suo fervore si infonda nel mio cuore. Per lo più era l’ ultimo ad uscire
di chiesa, perchè soleva sempre fermarsi un po' di tempo davanti alla statua di Maria SS. Per
questo motivo spesso gli accadeva di perdere la colezione con molto stupore di quelli che
vedevano un giovinetto sui quattordici anni sano e robusto dimenticare il cibo corporale pel cibo
spirituale della preghiera.
Non di rado specialmente nei giorni di vacanza d’ accordo con alcuni compagni andava
in chiesa per recitare le sette allegrezze, i sette dolori di Maria, le litanie o la corona spirituale a
Gesù Sacramentato. Ma il piacere di leggere per tutti quelle preghiere non voleva {116 [358]}
mai cederlo ad altri. Nei giorni di Venerdì, se gli era possibile, faceva od almeno leggeva la via
crucis, che era la sua pratica di pietà prediletta. La via crucis, soleva dire, è per me una scintilla
di fuoco, che mi anima a pregare, mi spinge a sopportare qualunque cosa per amor di Dio.
Egli era così amante della preghiera, ed erasi cotanto ad essa abituato, che appena rimasto
solo o disoccupato qualche momento si metteva subito a recitare qualche preghiera. Nel
medesimo tempo di ricreazione non di rado si metteva a pregare, e come trasportato da moti
involontarii talvolta scambiava i nomi dei trastulli con giaculatorie. Un giorno vedendo il suo
superiore gli corse incontro per salutarlo col suo nome e gli disse: 0 Santa Maria. Altra volta
volendo chiamare un compagno con cui si trastullava disse ad alta voce: 0 Pater noster. Queste
cose mentre da una parte erano cagione di riso fra i compagni, dall’ altra dimostravano quanto il
suo cuore si dilettasse della preghiera, e quanto egli fosse padrone {117 [359]} di raccogliere il
suo spirito per elevarlo al Signore. La qual cosa, secondo i maestri di spirito, segna un grado di
elevata perfezione che raramente si osserva nelle stesse persone di virtù consumata.
La sera, terminate in comune le preghiere, recavasi nel dormtorio, dove ponendosi
ginocchione sopra l’ incomodo dorso del suo baule fermavasi un quarto d’ ora od anche mezz’
ora a pregare. Ma avvisato che tal cosa recava disturbo ai compagni, che già erano in riposo, egli
abbreviò il tempo e procurava di essere a letto contemporaneamente agli altri compagni. Tuttavia
appena coricato egli giungeva le sue mani dinanzi al petto e pregava finchè fosse preso dal
sonno. Se gli accadeva di svegliarsi lungo la notte si metteva subito a pregare per le anime del
purgatorio, e sentiva gran dispiacere quando sorpreso dal sonno doveva interrompere la
preghiera. Mi rincresce tanto, diceva ad un amico, di non poter reggere un po' di tempo in letto
senza dormire. Sono proprio miserabile, {118 [360]} quanto bene farei alle anime del purgatorio
se potessi pregare come io desidero!
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Insomma se noi esaminiamo lo spirito di preghiera di questo giovanetto possiamo dire
avere egli letteralmente eseguito il precetto del Salvatore, che comandò di pregare senza
interruzione, imperciocchè i giorni e le notti da lui erano passate in continua preghiera.
Capo XXIII. Sue penitenze.
Parlare di penitenza ai giovanetti generalmente è recar loro spavento. Ma quando l’ amor
di Dio prende possesso di un cuore, niuna cosa del mondo, nissun patimento lo affligge, anzi
ogni pena della vita gli riesce di consolazione. Dai teneri cuori nasce già il nobile pensiero che si
soffre per un grande oggetto, e che ai patimenti della vita è riservata una gloriosa ricompensa
nella beata eternità. {119 [361]}
Ognuno ha già potuto vedere quanto fosse grande il desiderio di patire del nostro
Besucco, siccome dimostrò fin dalla sua prima età. Qui nell’ Oratorio raddoppiò il suo ardore.
Si presentò un giorno al suo superiore e gli disse queste parole: Io sono molto angustiato,
il Signore dice nel vangelo, che non si può andare in Paradiso se non coll’ innocenza o colla
penitenza. Coll’ innocenza io non posso più andare, perchè l’ ho perduta; dunque bisogna, ch’ io
ci vada colla penitenza.
Il superiore rispose che considerasse come penitenza la diligenza nello studio, l’
attenzione nella scuola, l’ ubbidire ai superiori , il sopportare gli incomodi della vita quali sono
caldo, freddo, vento, fame, sete. Ma, ripigliò l’ altro, queste cose si soffrono per necessità. -
Appunto, quello che si soffre per necessità , se tu aggiugni di soffrire per amor di Dio diventerà
vera penitenza, piacerà al Signore, e sarà di merito all’ anima tua.
Egli per allora si acquetò, ma dimandava {120 [362]} sempre di voler digiunare, di
lasciare o tutta o in parte la colezione del mattino, di potersi mettere degli oggetti che gli
recassero dolore o sotto gli abiti o nel letto, le quali cose gli furono sempre negate. Alla vigilia di
tutti i Santi dimandò come speciale favore di poter digiunare a pane ed acqua, il quale digiuno gli
fu cangiato nella sola astinenza della colezione. Il che gli tornò di molto piacere, perchè, diceva,
cosi potrò almeno in qualche cosa imitare i Santi del Paradiso, che battendo la via dei patimenti
giunsero a salvare le anime loro.
Non occorre parlare della custodia dei sensi esterni e specialmente degli occhi. Chi l’ ha
osservato per molto tempo nella compostezza della persona, nel contegno coi compagni, nella
modestia in casa e fuori di casa non esita di asserire, che egli si possa proporre qual compiuto
modello di mortificazione e di esemplarità esterna alla gioventù.
Essendo proibito di far penitenza corporale egli ottenne di poterne fare {121 [363]} di
altro genere, cioè esercitare i lavori più umili nella casa. Il fare commissioni a' suoi compagni,
portare loro acqua, nettare le scarpe, servire anche a tavola quando gli era permesso, scopare in
refettorio, nella camerata, trasportare la spazzatura, portare fagotti, bauli, purchè il potesse, erano
cose, che egli faceva con gioia e colla massima sua soddisfazione. Esempi degni d’ essere imitati
da certi giovanetti, che per trovarsi fuori di casa hanno talvolta rossore di fare una commissione
o di prestare servizio in cose compatibili col loro stato. Anzi talvolta ci sono giovanetti, che
hanno fino vergogna di accompagnarsi coi propri genitori per l’ umile loro foggia di vestire.
Quasi che il trovarsi fuori di casa cambi la loro condizione , facendo dimenticare i doveri di
pietà, di rispetto e di ubbidienza verso i genitori, e di carità verso tutti.
Ma queste piccole mortificazioni contentarono soltanto per poco tempo il nostro
Besucco. Egli desiderava di mortificarsi di più. Fu udito qualche {122 [364]} volta lagnarsi
dicendo, che a sua casa faceva maggiori penitenze e che la sua sanità non ne aveva mai sofferto.
Il superiore rispondeva sempre, che la vera penitenza non consiste nel fare quello che piace a
noi, ma nel fare quello che piace al Signore, e che serve a promuovere la sua gloria. Sii
ubbidiente, aggiungeva il superiore, e diligente nei tuoi doveri, usa molta bontà e carità verso i
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tuoi compagni, sopporta i loro difetti, dà loro buoni avvisi e consigli e farai cosa che al Signore
piacerà più che ogni altro sacrifizio.
Prendendo egli letteralmente ciò che se gli era detto di sopportare con pazienza il freddo
delle stagioni, egli lasciò inoltrare la stagione invernale senza vestirsi come conveniva. Un
giorno lo vidi tutto pallido nella faccia, e chiedendogli se era male in salute, No, disse, sto
benissimo. Intanto prendendolo per mano mi accorsi che aveva una sola giubbetta da estate,
mentre eravamo già alla novena del SS. Natale. {123 [365]}
- Non hai abiti da inverno? gli dissi.
- Sì, che li ho, ma in camera.
- Perchè non te li metti?
- Eh... pel motivo ch’ Ella sa: sopportare il freddo nell’ inverno per amor del Signore.
- Va immediatamente a metterteli: fa in modo di essere ben riparato dalle intemperie
della stagione, e qualora ti mancasse qualche cosa fanne dimanda, e sarai senza altro provveduto.
Malgrado questa raccomandazione non si potè impedire un disordine, da cui forse ebbe
origine quella malattia, che lo condusse alla tomba, siecome più sotto racconteremo.
Capo XXIV. Fatti e detti particolari.
Vi sono parecchi detti e fatti, i quali non hanno diretta relazione con quanto ho finora
esposto, che perciò vengono qui separatamente registrati. Comincio dalle conversazioni. Ne' suoi
discorsi era assai riservato, ma gioviale {124 [366]} e faceto. Raccontava assai volentieri le sue
vicende di pastorello, quando conduceva le pecore e le capre al pascolo. Parlava dei cespugli,
degli erbaggi, dei seni, degli antri, delle voragini della montagna del Roburento e del Dreco
come di altrettante maraviglie del mondo.
Aveva poi alcuni proverbi, che per lui erano verità incontrastabili. Quando voleva
eccitare qualcheduno a non affezionarsi alle cose del mondo e pensare vie più alle celesti, soleva
dire: Chi guarda a terra - Come la capra, - È ben difficile, - Che il del se gli apra.
Un giorno un compagno entrato in questioni di religione lasciava sfuggire non leggeri
spropositi. Il nostro Besucco e perchè più giovine e perchè non abbastanza istruito taceva, ma
con animo assai inquieto e risentito. Poscia fattosi animo, con viso allegro, ascoltate, prese a dire
a tutti i presenti: Tempo fa ho letto nel dizionario la spiegazione della parola mestiere, e fra le
altre cose ho notato questa frase: Chi fa l’ altrui mestiere - Fa la zuppa nel paniere. - {125
[367]} Mio padre asseriva lo stesso con altre paròle dicendo: Chi fa quel che non sa, Guasta
quel che fa. - Compresero tutti il significato delle espressioni; tacque l’ indiscreto parlatore; e gli
altri ammirarono l’ accortezza e la prudenza del nostro giovinetto.
Egli era sempre contento delle disposizioni dei superiori; nè mai lamentavasi dell’ orario
della casa, degli apprestamentidi tavola, degli ordini scolastici e simili. Trovava sempre ogni
cosa di suo gusto. Interrogato come mai potesse egli essere sempre contento di tutto, rispose: Io
sono di carne e di ossa come gli altri, ma desidero di fare tutto per la gloria di Dio, perciò quello,
che non piacerà a me, tornerà certamente di gradimento a Dio: quindi ho sempre eguale motivo
di essere contento.
Gli avvenne un giorno che alcuni compagni da poco tempo venuti nella casa non
potevano abituarsi al nuovo genere di vita. Egli li confortava dicendo: Se ci toccherà di andar
militari, potremo noi farci un orario a nostro modo? Potremo andarci a coricare, o levarci di letto,
{126 [368]} quando a noi piacerà? oppure andare liberamente al passeggio? - No certamente,
risposero, ma un po' di libertà...
- Noi siamo sicuramente liberi se facciamo la volontà di Dio, e solamente diventiamo veri
schiavi, quando cadiamo nel peccato , poichè restiamo allora schiavi del maggior nostro nemico
che è il demonio.
- Ma a mia casa mangiava e dormiva meglio, diceva uno.
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- Posta la verità di quanto asserisci, cioè che a casa tua mangiassi meglio e dormissi di
più, ti dirò, che tu nutrivi teco due grandi nemici, quali sono l’ ozio e la gola. Debbo eziandio
notarti, che noi non siamo nati per dormire e per mangiare come fanno le capre e le pecore, ma
dobbiamo lavorare per la gloria di Dio, e fuggir l’ ozio che è padre di tuti i vizi. Del rimanente
non hai udito ciò che ha detto il nostro superiore?
- Non mi ricordo più.
- Ieri fra le altre cose il superiore ci ha detto, che esso tiene volentieri i giovani, ma vuole
che nessuno stia per {127 [369]} forza. Chiunque non sia contento, egli conchiudeva, lo dica, e
procurerò d’ appagarlo; chi non vuol restare in questa casa, egl i è pienamente libero, ma se
rimane non dissemini il malcontento.
- Io andrei altrove, ma bisogna pagare ed i miei parenti non possono.
- Tanto maggior motivoper te di dimostrarti contento: se tu non paghi dovresti mostrarti
soddisfatto più di ogni altro; perchè a cavai donato non si guarda in bocca. - Dunque, o cari
compagni, persuadiamoci, noi siamo in una casa di provvidenza; chi paga
poco, chi paga niente, e dove potremo avere altrettanto a questo prezzo?
- È vero quanto dici, ma se si potesse avere una buona tavola...
- Giacchè tu muori per avere una buona tavola, io ti suggerirò un mezzo con cui tu la puoi
avere: Va in pensione coi tuoi superiori.
- Ma io non ho danari da pagare pensione.
- Dunque datti pace e contentati di quel tanto che ci danno per nostro alimento; tanto più
che tutti gli altri nostri {128 [370]} compagni si mostrano contenti. - Che se poi volete, o cari
amici, che vi parli schietto, dirò che giovani robusti, come siamo noi, non dobbiamo badare alla
delicatezza della vita; come cristiani dobbiamo anche fare un poco di penitenza se vogliamo
andare in paradiso, dobbiamo mortificare a tempo debito questa golaccia. Credetelo, questo per
noi è un mezzo facilissimo per meritarci la benedizione del Signore, e farci dei meriti pel
paradiso.
Con questi ed altri simili modi di parlare, mentre confortava i suoi compagni, ne diveniva
anche il modello nelle regole di civiltà e di carità cristiana.
Nel discorrere, soprai quaderni, sopra i libri scriveva sempre proverbi o sentenze morali.
Nelle lettere poi era assai facondo, ed io credo di fare cosa grata coll’ inserirne alcune, il
cui originale mi fu graziosamente comunicato da coloro cui erano state dirette. {129 [371]}
Capo XXV. Sue lettere.
Queste lettere sono un segno manifesto della bontà di cuore e nel tempo stesso della pietà
sincera del nostro Besucco. È cosa assai rara anche in persone attempate lo scrivere lettere senza
umano rispetto e condite di religiosi e morali pensieri, come veramente dovrebbe fare ogni
cristiano: ma è poi rarissima cosa, che ciò si pratichi fra i giovanetti. Io desidererei che ognuno di
voi, o giovani amatissimi, evitasse quel genere di lettere che nulla hanno di sacro, a segno che
potrebbero inviarsi ai medesimi pagani. Non sia così; serviamoci pure di questo mezzo
maraviglioso per comunicare i nostri pensieri i nostri progetti a quelli, che sono da noi lontani;
ma sappiamo sempre distinguere le corrispondenze, quando sono coi cristiani e coi pagani; nè
mai sia dimenticato qalche morale pensiero. Per questo motivo io inserisco alcune {130 [372]}
lettere del giovinetto Besucco che per semplicità e per tenerezza d’ affetto, giudico torneranno
gradite al lettore.
La prima di queste è indirizzata a suo padrino Arciprete dell’ Argentera colla data 27
settembre 1863. In essa gli dà ragguaglio della felicità, che egli gode nell’ Oratorio, e lo ringrazia
d’ averlo ivi inviato.
La lettera è del tenor seguente:
Carissimo signor Padrino,
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Le partecipo, carissimo signor padrino, che i miei compagni da quattro giorni sono andati
a casa per passare una ventina di giorni in vacanza. Io sono molto contento che essi li passino
allegramente, ma io godo assai più di loro, perchè stando qui ho tempo di scriverle questa lettera,
che spero tornerà anche a lei di gradimento. Le dico prima di tutto che non posso trovare
espressioni valevoli a ringraziarla dei benefìzi che mi ha fatto. Oltre i favori che mi prodigò,
specialmente col farmi scuola in sua casa, mi ha eziandio insegnate {131 [373]} tante belle cose
e spirituali e temporali, che mi sono di potente ajuto. Ma il maggiore di questi favori fu quello di
mandarmi in questa casa dove nulla più mi manca nè per l’ anima, nè pel corpo. Io ringrazio
ognor più il Signore che mi abbia concesso cosi segnalato favore a preferenza di tanti altri
giovani. Lo pregodi cuore di concedermi la grazia di corrispondere a tanti segni di celeste bontà.
Ora io sono pienamente felice in questo luogo, nulla più ho a desiderare, ogni mia brama è
appagata. Ringrazio lei e tutti gli altri benefattori degli oggetti, che mi hanno mandati. La scorsa
settimana sperava di avere la consolazione di vederla qui in Torino, affinchè potesse parlare coi
miei superiori della mia condotta: pazienza, il Signore vuole differirmi questa consolazione.
Dalla lettera di lei ho conosciuto, che i miei di casa piangevano al sentir leggere la mia
lettera. Dica loro, che hanno motivo di rallegrarsi e non di piangere perchè io sono pienamente
felice. La ringrazio dei preziosi avvertimenti, che {132 [374]} mi dà, e l’ assicuro che finora ho
fatto quanto ho potuto per metterli in pratica. Ringrazi per me la mia sorella di quella comunione
che ha fatto espressamente per me, credo che questo mi abbia molto ajutato nei miei studii.
Imperocchè mi sembra quasi impossibile che in tempo così breve io abbia potuto passare nella
seconda ginnasiale. La prego di salutare i miei parenti e dir loro, che preghino per me, ma non si
diano alcun fastidio, perchè io godo buona sanità, sono provveduto di tufo, in una parola sono
felice. Mi scusi se ho ritardato a scriverle; nei giorni scorsi aveva molto da fare per prepararmi
agli esami, i quali mi riuscirono bene più di quanto mi aspeltava. Io desidero ardentemente di
mostrarle la mia gratitudine; ma non potendo in altro modo, procurerò di darle qualche
compenso pregando il Signore a concederle sanità e giorni felici.
Mi dia la sua santa benedizione e mi consideri sempre
suo affezionatissimo figlioccio
BESUCCO FRANCESCO. {133 [375]}
Il padre di Francesco di professione arrotino passa la bella stagione lavorando la
campagna, e coltivando i bestiami in Argentera, ma di autunno parte e va in varii paesi per
guadagnar pane per se e per la famiglia esercitando il suo mestiere. Francesco ai 26 ottobre
scrivevagli una lettera in cui, notando la sua contentezza di trovarsi a Torino, esprime i suoi
teneri figliali affetti nel modo seguente:
Carissimo Padre,
Si avvicina il tempo in cui voi, carissimo padre, dovete partire per far campagna e
provvedere quanto è necessario per la famiglia. Io non posso come vorrei accompagnarvi nei
vostri viaggi, ma sarò sempre con voi col mio pensiero e colla preghiera. Vi assicuro che ogni
giorno io prego il Signore, perchè vi dia sanità e la sua santa grazia.
Mio padrino fu qui all’ Oratorio, e ne ho avuto il più gran piacere. Fra le altre cose mi
dice che voi avete paura che {134 [376]} io patisca di fame; no, state tranquillo, che ho pane in
grande abbondanza; e se mettessi a parte il pane che eccede il mio bisogno, in fine di ciascuna
settimana voi potreste fare una grossa panata, come diciamo noi. Vi basti sapere che mangiamo
quattro volte al giorno e sempre finchè vogliamo; a pranzo ci è minestra e pietanza, a cena
minestra. Una volta si dava il vino tutti i giorni, ma dacchè è divenuto cosi caro l’ abbiamo
soltanto nei giorni festivi. Non datevi pertanto alcun fastidio per me; io ho niente più a desiderare
quanto desiderava mi è stato concesso.
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Vi partecipo due cose con piacere, e sono che i miei superiori si mostrano molto contenti
di me ed io lo sono ancor più di loro. L’ altra cosa è la visita dell’ Arcivescovo di Sassari. Esso
venne a fare una visita al Direttore; visitò la casa, si trattenne molto coi giovani, ed io ebbi il
piacere di baciargli la mano e di ricevere la sua santa benedizione.
Caro padre, salutate tutti quelli di nostra famiglia e specialmente la mia cara {135 [377]}
madre. Date delle mie notizie al mio padrino e ringraziatelo sempre di quanto ha l’ alto per me.
Fate buona campagna, e se avrete dimora fissa in qualche paese fatemelo sapere e vi manderò
tosto delle mie notizie. Pregate anche per me, che di tutto cuore sarò sempre
vostro affez.mo figliuolo
FRANCESCO.
Da che era stato visitato dal suo padrino, desiderava ardentemente di ricevere da lui
qualche lettera. Ne fu appagato con uno scritto, in cui quel zelante arciprete gli dava parecchi
consigli per suo bene spirituale e temporale. Francesco risponde esprimendo la sua contentezza;
lo ringrazia, e gli promette di mettere in pratica i suoi avvisi.
La lettera del 23 novembre 1863 è del tenore seguente:
Carissimo signor Padrino,
Il giorno 14 di questo mese ho ricevuto la sua lettera. Ella può immaginarsi quale grande
consolazione io abbia {136 [378]} provato. Io passai in gran festa tutto il giorno in cui ho
ricevuto la sua lettera. La lessi e rilessi più volte, e più la leggo più grande è il coraggio che mi
sento di studiare e di farmi migliore. Adesso conosco quale grande benefizio mi abbia fatto
mandandomi in questo Oratorio. Non posso sfogare la riconoscenza del mio cuore, se non
andando in chiesa a pregare per i miei benefattori e specialmente per lei; e per non perdere il
tempo di studio io vado a pregare in tempo di divertimento. Debbo per altro fermarmi poco
perchè sebbene io provi maggior contentezza nello studio e nel pregare, che non nel
divertimento, tuttavia io debbo fare cogli altri la ricreazione, perchè così è comandato dai
Superiori, come cosa utile e necessaria allo studio ed alla sanità.
Adesso tutte le scuole sono cominciate, e dal mattino alla sera tra scuola, studio, scuola di
canto fermo, di musica, pratiche religiose e divertimenti non mi rimane più un momento di
tempo per pensare alla mia esistenza. {137 [379]}
Io sono con gran piacere sovente visitato dal Luog-tenente Eyesantier; alcuni giorni sono
mi portò un fracco cosi bello che se ella me lo vedesse in dosso mi crederebbe un cavaliere.
Ella mi raccomandò di cercarmi un buon compagno, ed io l’ ho subito trovato. Esso è
migliore di me nello studio ed anche assai più virtuoso. Appena ci siamo conosciuti abbiamo
fatto grande amicizia. Tra noi due non si parla di altro che di studio e di pielà. Egli ama eziandio
la ricreazione, ma dopo aver saltellato un poco ci mettiamo subito a passeggiare discorrendo di
cose scolastiche. Il Signore mi ajuta sensibilmente; nei lavori dei posti vado sempre più avanti;
di novanta che sono in mia classe, ne ho ancora una quindicina prima di me.
Mi consolo molto nel sapere che i miei compagni si ricordano di me; dica loro che li amo
assai e che si occupino con diligenza nello studio e nella pietà. La ringrazio della bella lettera che
mi ha scritto,e procurerò di mettere in pratica gli avvisi in essa contenuti. Io desidero {138
[380]} ardentemente di farmi buono, perchè so che Iddio tiene preparato un gran premio per me
e per quelli che lo amano e lo servono in questa vita
Mi perdoni se ho ritardato a scrivere, e se non ho messo in pratica gli avvisi datimi da lei,
mio caro benefattore. La prego di salutare tutti quelli di mia casa e non potendo porgere saluti a
mio padre lo faccio col cuore pregando Iddio per lui. Sia in ogni cosa fatta la volontà di Dio non
mai la mia, mentre mi affermo nei cuori amabilissimi di Gesù e di Maria
Di V. S. Ill.ma obbl.mo figlioccio
BESUCCO FRANCESCO.
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Nella lettera inviata al suo arciprete, e colla medesima data, Francesco ne chiudeva
eziandio un’ altra indirizzata ad un suo amico e virtuoso cugino di nome Antonio Beltrandi dell’
Argentera.
L’ ordine, la dicitura, i pensieri della medesima sembrano degni di essere anche qui
pubblicati a modello delle lettere, {139 [381]} che si possono scrivere vicendevolmente tra due
buoni giovanetti. Eccone il tenore.
Carissimo compagno Antonio,
Che bella notizia mi ha dato il mio padrino a tuo riguardo! Egli mi scrive, che tu devi
eziandio intraprendere gli sludii come ho fatto io. Ti dirò che questo è un ottimo pensiero e sarai
ben fortunato se lo manderai ad effetto. E poichè questo benefico nostro Arciprete si dispone a
farti scuola, procura di compensarlo colla diligenza nello adempimento de' tuoi doveri. Occupati
nello etudio, ma accanto allo studio metti subito la preghiera e la divozione: questo è l’ unico
mezzo per riuscire in questa impresa ed essere poi contento. Io godo già al pensiero che l’ anno
venturo mi sarai compagno in questa casa.
I ricordi che io posso darti si riducono ad un solo: ubbidienza e sommissione ai tuoi
parenti ed al signor Arciprete. Ti raccomando poi il buon esempio verso i tuoi compagni. {140
[382]}
Un favore per altro debbo dimandarti ed è che in questo inverno tu faccia la Via Crucis
dopo le sacre funzioni come io faceva, quando era in patria. Procura di promuovere quest’ opera
di pietà, e ne sarai benedetto dal Signore. Il tempo è prezioso, procura di occuparlo bene; se ti
rimane qualche ora libera, raduna alcuni ragazzi e loro fa ripetere quella lezione della dottrina
cristiana che si è insegnata nella domenica antecedente. È questo un mezzo efficacissimo per
meritarci la benedizione del Signore. Quando il mio padrino mi scriverà digli che mi dia delle tue
notizie, e così sarò sempre più assicurato della tua buona volontà. Presentemente io mi trovo
mollo occupato. 0 mio caro , che grande afflizione io provo nel pensare al tempo che ho speso
invano, e che avrei potuto spendere nello studio ed in altre opere buone.
Credo che prenderai questa mia lettera in buona parte, e se mai qualche cosa ti
dispiacesse, te ne dimando perdono. Fa tutto quello che puoi affinchè {141 [383]} possiamo l’
anno venturo essere compagni qui in Torino, se così piacerà al Signore, Addio, caro Antonio,
prega per me
Tuo affezionatissimo amico
BESUCCO FRANCESCO.
Capo XXVI. Ultima lettera.- Pensieri alla madre.
Dalle lettere fin qui esposte apparisce la grande pietà, che nel cuore nutriva Francesco:
ogni suo detto, ogni suo scritto è un complesso di teneri affetti e di santi pensieri. Sembra
tuttavia, che, di mano in mano che si avvicinava alfine della sua vita, egli divenisse ognor più
infiammato d’ amor di Dio. Anzi da certe espressioni sembra che egli ne avesse presentimento. Il
suo stesso padrino quando ricevette quest’ ultima lettera sciamò: Mio figlioccio mi vuole
abbandonare; Iddio lo vuole con se. {142 [384]}
Io la riferisco qui per intiero come vero modello di chi vuole augurare cristianamente un
buon capo d’ anno. Essa porta la data del 28 novembre 1863.
Ogni giovine ben educato commetterebbe certamente un atto d’ ingratitudine altamente
da biasimarsi, se in questi giorni non iscrivesse a' suoi genitori e benefattori augurando loro
felicità e benedizioni. Ma quali sentimenti non dovrò io mai manifestare verso di lei, mio caro ed
insigne benefattore? Fin dal giorno che io nacqui ella cominciò a beneficarmi e a prendersi cura
dell’ anima mia. Le prime cognizioni della scienza, della pietà, del timor di Dio, le debbo a lei.
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Se ho fatto qualche corso di scuola, se ho potuto fuggire tanti pericoli dell’ anima mia, è tutta
opera dei suoi consigli, delle sue cure e sollecitudini.
Come mai pertanto la potrò degnamente ricompensare? Non potendolo {143 [385]} in
altra guisa procurerò almeno di darle segni della mia costante gratitudine col conservare nella
mente impressa la ricordanza dei benefizii ricevuti, ed in questi pochi giorni mi adoprerò con
tutte le forze per augurarle copiose benedizioni dal cielo con buon fine dell’ anno presente e
buon principio dell’ anno nuovo.
Egli è antico il provverbio, che dice: Un buon principio è la metà dell’ opera; pertanto
anche io desidererei cominciare bene quest’ anno e di incominciarlo colla volontà del Signore e
continuarlo secondo la sua santa volontà.
Al presente i miei studii vanno bene; la condotta nello studio, nel dormitorio, nella pietà
fu sempre optime. Ho avuto notizie di mio padre e di mio fratello i quali godono buona salute.
Dia questa notizia a quelli di mia casa e ne avranno certamente piacere. Dica loro che non istiano
inquieti per niente; io sto bene e nulla mi manca.
La prego eziandio di salutare il mio buon maestro signor Antonio Valorso, e gli dica che
gli chiedo perdono delle {144 [386]} disobbedienzs e dei dispiaceri chetante volte gli ho dato,
mentre frequentava la sua scuola.
Finalmente rinnovo l’ assicurazione che non passerò mai giorno senza pregar Dio che
conservi lei in sanità ed in lunga vita. Caro signor padrino, mi perdoni anche ella di tutti i
disturbi, che le ho dato; continui ad ajutarmi coi suoi consigli. Io non desidero altro che di farmi
buono, e di correggermi dei tanti miei difetti. Sia per sempre fatta la volontà di Dio, e non mai la
mia.
Con gran rispetto ed affezione mi professo
Suo obbligatissimo figlioccio
BESUCCO FBANCESCO.
Nella lettera indirizzata al suo padrino racchiudevasi un biglietto per sua madre, che è l’
ultimo dei suoi scritti e si può considerare come il suo testamento ovvero le ultime parole scritte
ai suoi genitori.
Amatissima madre,
Siamo alla fine dell’ anno, Iddio ci ajutò {145 [387]} a passarlo bene. Anzi posso dire
che quest’ anno fu per me una continua serie di celesti favori. Mentre vi auguro buon fine per
questi pochi giorni che ci rimangono, prego il Signore a voler concedervi un buon principio dell’
anno novello continuato e ricolmo di ogni sorta di beni spirituali e temporali. La beatissima
Vergine Maria vi ottenga dal divin suo figliuolo lunga vita e giorni felici.
Quest’ oggi ho ricevuto una lettera di mio padre, da cui conosco che tanto esso quanto
mio fratello godono buona salute, e questo mi recò grande consolazione. Vi mando qui la nota di
alcuni oggetti che ancora mi occorrono.
Mia cara madre, vi ho dati tanti fastidii quando era a casa, e ve ne do ancora
presentemente; ma procurerò di compensarvi colla mia buona condotta e colle mie preghiere. Vi
prego di fare in modo che mia sorella Maria possa studiare, perchè colla scienza può assai
meglio istruirsi nella religione.
Addio, cara madre, addio, offriamo al Signore le nostre azioni ed i nostri {146 [388]}
cuori; ed a lui raccomandiamo in particolar modo la salvezza delle anime nostre. Sia sempre fatta
la volontà del Signore.
Augurate ogni bene da parte mia a tutti quelli di nostra casa, pregate per me, che di cuore
vi sono
Affez.mo figliuolo
FRANCESCO.
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Da queste ultime lettere chiaro apparisce che il cuore di Besucco non sembrava più di
questo mondo, ma di chi cammina coi piedi sulla terra, e che abbia già l’ anima sua con Dio, di
cui voleva continuamente parlare e scrivere.
Col fervore nelle cose di pietà cresceva eziandio l’ ardore di allotanarsi dal mondo. Se
potessi, diceva talvolta, vorrei separare l’ anima dal corpo per mèglio gustare, che cosa voglia
dire amar Dio. Se non ne fossi proibito, diceva eziandio, io vorrei cessare da ogni alimento per
godere a lungo il grande piacere, che si prova nel patire pel. Signore. Che grande consolazione
{147 [389]} hanno mai provato i martiri nel morire per la fede!
Insomma egli e colle parole e coi fatti manifestava quanto già diceva san Paolo: Desidero
di essere disfatto per essere col mio Signore glorificato. Dio vedeva il grande amore che regnava
verso di Lui in quel piccolo cuore, e affinchè la malizia del mondo non cangiasse il suo intelletto
volle chiamarlo a se, e permise che un eccessivo affetto alle penitenze ne desse in certo modo
occasione.
Capo XXVII. Penitenza inopportuna e principio di sua malattia.
Egli aveva letto nella vita di Savio Domenico, come esso un anno aveva
imprudentemente lasciato assai inoltrare la stagione senza coprirsi convenientemente nel letto.
Besucco lo volle imitare e giudicando che l’ ordine datogli di coprirsi fosse limitato soltanto agli
abiti del giorno pensò {148 [390]} di essere libero di mortificarsi nel letto di notte. Senza dire
nulla egli prendeva le coperte di lana insieme cogli altri compagni, ma invece di coprirsi le
piegava e le metteva sotto al capezzale. La cosa andò avanti fino ai primi giorni di gennajo,
finchè un mattino rimase talmente intirizzito che non potè levarsi cogli altri. Riferito ai superiori,
come Besucco fosse a letto per incomodo di sanità, fu inviato l’ infermiere della casa per
visitarlo e riconoscerne i bisogni. Come costui gli fu vicino lo richiese che cosa avesse. Niente
niente, egli rispose.
- Se non hai niente, perchè dunque sei a letto?
- Così, così..un po' incomodato.
Intanto l’ infermiere si avvicina per aggiustargli le coperte, e si accorge che ha una sola copertina
da estate sopra il suo letto. - E le tue coperte, Besucco, dove sono?
- Son qua sotto pi capezzale.
- Perchè mai fare tal cosa?
- Oh niente...quando Gesù pendeva {149 [391]} in croce non era meglio coperto di me.
Si conobbe tosto, che il male del Basucco non era leggiero, laonde fu immediatamente
portato nell’ infermeria.
Fu subito fatto chiamare il medico, che da prima ravvisò non grave la sua malattia
reputandola soltanto un semplice raffreddore.
Ma il di seguente si accorse, che invece di dileguarsi cagionava una congestione cattarale
allo stomaco, che perciò la malattia prendeva una pericolosa intensità. Furono quindi praticati i
rimedii ordinarli dei purganti, dell’ emetico , alcuni salassi, e bibite di vario genere, ma non si
potè ottenere alcun favorevole risultato.
Interrogato un giorno, perchè avesse fatta quella sbadataggine, cioè non si fosse coperto
in letto, rispose: Mi rincresce che tal cosa abbia recato dispiacere a' miei superiori, spero per
altro, che il Signore riceverà questa piccola penitenza in soddisfazione dei miei peccati. {150
[392]}
- Ma e le conseguenze della tua imprudenza?
- Le conseguenze io le lascio tutte nelle mani del Signore; qualunque cosa sia per
avvenire di questo mio corpo non ci bado, purchè ogni cosa torni a maggior gloria di Dio, e a
vantaggio dell’ anima mia.
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Capo XXVIII. Rassegnazione nel suo male. Detti edificanti.
La sua malattia fu di soli otto giorni che per lui furono altrettanti esercizi ed ai compagni
esempi di pazienza e di cristiana rassegnazione. Il male gli opprimeva il respiro, gli cagionava
acuto e continuo mal di capo; fu sottoposto a molte e dolorose operazioni chirurgiche; gli furono
amministrati parecchi rimedi energici. Ma tutte queste prescrizioni, tutte queste cure non valsero
ad alleviare il suo male, e servirono soltanto a far risplendere l’ ammirabile sua pazienza. Egli
non diede mai alcun {151 [393]} segno di risentimento o di lamento. Talvolta gli si diceva:
Questo rimedio dispiace, non è vero? Egli rispondeva tosto: Se fosse una dolce bibita questa mia
boccaccia sarebbe più soddisfatta, ma è giusto che essa faccia un poco di penitenza delle
ghiottonerie passate. Altra volta gli si diceva: Besucco, tu soffri molto, non è vero? - È vero che
soffro alquanto, ma che cosa è mai questo in confronto di quello che dovrei patire per i miei
peccati? Debbo per altro assicurarvi che sono così contento, che non mi sarei giammai
immaginato che si provasse tanto piacere nel patire per amor del Signore.
Chiunque poi gli avesse prestato qualche servizio lo ringraziava di tutto cuore dicendo
subito: Il Signore vi ricompensi della carita che mi usate. Non sapendo poi come esprimere la
sua gratitudine all’ infermiere gli disse più volte queste parole: Il Signore vi paghi in mia vece, e
se andrò in Paradiso lo pregherò con tutto il cuore per voi affinchè vi aiuti e vi benedica. {152
[394]}
Un giorno l’ infermiere lo interrogò se non aveva paura di morire: Caro infermiere,
rispose, se il Signore mi volesse prendere con lui in Paradiso io sarei contentissimo di ubbidire
alla sua chiamata, ma temo assai di non essere preparato. Ciò non ostantespero tutto nella infinita
sua misericordia, e raccomandandomi di cuore a Maria SS., a s. Luigi Gonzaga, a Savio
Domenico, colla loro protezione spero di fare una buona morte.
Eravamo soltanto al quarto giorno della malattia, quando il medico cominciò a temere
della vita del nostro Francesco. Per cominciare a parlargli di quell’ ultimo momento gli dissi:
Mio caro Besucco, ti piacerebbe di andare in Paradiso? - Si immagini se non mi piacerebbe di
andare in Paradiso. Ma bisogna guadagnarmelo. - Supponi che si tratti di scegliere tra guarire o
andare in Paradiso, che sceglieresti? - Son due cose distinte, vivere pel Signore o morire per
andare col Signore. La prima mi piace, ma assai più la seconda. Ma chi mi assicura {153 [395]}
il Paradiso dopo tanti peccati che ho fatti?
- Facendoti tale proposta io suppongo che tu sii sicuro di andare al Paradiso, del resto se
trattasi di andare altrove io non voglio che per ora tu ci abbandoni.
- Come mai potrò meritarmi il Paradiso?
- Ti meriterai il Paradiso pei meriti della passione e della morte di nostro Signore Gesù
Cristo.
- Ci andrò dunque in Paradiso?
- Ma sicuro e certamente, ben inteso quando al Signore piacerà.
Allora egli diede uno sguardo a quelli che erano presenti, di poi fregandosi le mani disse con
gioia: Il contratto è fatto: il Paradiso e non altro; al Paradiso,e non altrove. Non mi si parli più d’
altro, che del Paradiso.
Io, gli dissi allora, sono contento, che tu manifesti questo vivo desiderio pel Paradiso , ma
voglio che sii pronto a fare la santa volontà del Signore...
Egli interruppe il mio discorso dicendo: {154 [396]} Si, si la santa volontà di Dio sia
fatta in ogni cosa in cielo ed in terra.
Nel quinto giorno della malattia chiese egli stesso di ricevere i SS. Sacramenti. Voleva
fare la sua confessione generale; cosa che gli fu negata non avendone alcun bisogno, tanto più
che l’ aveva fatta alcuni mesi prima. Tuttavia egli si preparò a quell’ ultima confessione con un
fervore tutto singolare e mostravasi molto commosso. Dopo la confessione apparve assai allegro,
e andava dicendo a chi l’ assisteva: Pel passato ho promesso mille volte di non più offendere il
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Signore; ma non ho mantenuta la parola. Oggi ho rinnovata questa promessa, e spero di essere
fedele fino alla morte.
Egli fu nella sera di quel giorno che gli si dimandò se aveva qualche cosa da
raccomandare a qualcheduno. Oh si, dicevamo; dica a tutti che preghino per me affinchè sia
breve il mio purgatorio.
- Che vuoi ch’ io dica a' tuoi compagni da parte tua? {155 [397]}
- Dica loro che fuggano lo scandalo, che procurino di far sempre delle buone confessioni.
- E ai cherici?
- Dica ai cherici, che diano buono esempio ai giovani, e che si adoprino sempre per dar
loro dei buoni avvisi, e dei buoni consigli ogni qual volta sarà occasione.
- E a tuoi superiori?
- Dica a' miei superiori che io li ringrazio tutti della carità che mi hanno usata; che
continuino a lavorare per guadagnare molte anime; e quando io sarò in Paradiso pregherò per
loro il Signore.
- E a me che cosa dici?
- A queste parole egli si mostrò commosso e dando uno sguardo fisso, a Lei chiedo,
ripigliò, che mi ajuti a salvarmi l’ anima. Da molto tempo prego il Signore che mi faccia morire
nelle sue mani, mi raccomando che compia l’ opera di carità, e mi assista fino agli ultimi
momenti della mia vita.
Io lo assicurai di non abbandonarlo, sia che egli guarisse, sia che egli stesse {156 [398]}
ammalato, ed assai più ancora qualora si fosse trovato in punto di morte. Dopo prese un’ aria
molto allegra nè, ad altro badò più che a prepararsi a ricevere il SS. Viatico.
Capo XXIX. Riceve il Viatico. - Allri delti edificanti. - Un suo
rincrescimento.
Eravamo al sesto giorno della sua malattia (otto gennajo) quando egli stesso dimandò di
fare la SS. Comunione. Quanto volentieri andrei a farla co' miei compagni in chiesa, diceva,
sono otto giorni dacchè non ho più ricevuto il mio caro Gesù. Mentre si preparava a riceverlo
dimandò a chi lo assisteva che cosa volesse dire Viatico.
- Viatico, gli fu risposto, vuol dire provvigione e compagno di viaggio.
- Oh che bella provvigione ho io avendo con me il pane degli Angioli nel cammino che io
sono per intraprendere! {157 [399]}
- Non solo avrai questo pane celeste, gli fa soggiunto, ma avrai il medesimo Gesù per
ajuto e per compagno nel grande viaggio, che ti prepari a fare per la tua eternità.
- Se Gesù è mio amico e compagno non ho più nulla a temere; anzi ho tutto a sperare
nella sua grande misericordia. Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il mio cuore e l’ anima mia.
Dopo fece la sua preparazione, nè fu mestieri che ‘ altri l’ ajutasse, imperciocchè aveva le
sue solite preghiere che con ordine recitava l’ una dopo l’ altra. Ricevette l’ ostia santa con quei
segni di pietà, che piuttosto si possono immaginare che descrivere.
Fatta la Comunione si pose a pregare per far il ringraziamento. Richiesto se aveva
bisogno di qualche cosa, nulla più rispondeva, che: Preghiamo. Dopo un considerevole
ringraziamento chiamò gli astanti a se e loro si raccomandò di non parlargli più di altro che del
paradiso.
In questo tempo fu visitato dall’ Economo della casa, la qual cosa gli {158 [400]} tornò
di gran piacere.
- O, D. Savio, si pose a dire ridendo, questa volta ci vado al Paradiso.
- Fatti coraggio, e mettiamo nelle mani del Signore e la vita e la morte, speriamo di
andare al Paradiso ma quando a Dio piacerà.
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- Al Paradiso, D. Savio, mi perdoni i dispiaceri che le ho cagionati; preghi per me, e
quando sarò al Paradiso io pregherò anche il Signore per lei.
Qualche tempo dopo vedendolo tranquillo il richiesi se aveva qualche commissione da
lasciarmi pel suo Arciprete. A questa parola si mostrò turbato. Il mio Arciprete, rispose, mi ba
fatto molto bene; egli ha fatto quanto ha potuto per salvarmi; gli faccia sapere che io non ho mai
dimenticato i suoi avvisi. Io non avrò più la consolazione di vederlo in questo mondo, ma spero
di andare in Paradiso e di pregare la SS. Vergine affinchè lo ajuti a conservar buoni tutti i miei
compagni, e cosi un giorno io lo possa vedere con tutti i suoi {159 [401]} parochiani in Paradiso.
Ciò dicendo la commozione gli interruppe il discorso.
Dopo alquanto di riposo gli dimandai se non desiderava di vedere i suoi parenti. Io non li
posso più vedere, rispondeva, perchè essi sono molto distanti, sono poveri e non possono fare la
spesa del viaggio. Mio padre poi è lontano da casa lavorando nel suo mestiere. Faccia loro
sapere, che io muojo rassegnato, allegro e contento. Preghino essi per me, io spero di andarmene
in Paradiso, di là li attendo tutti.. A mia madre...e sospese il suo discorso.
Qualche ora dopo gli dissi: Avresti forse qualche commissione per tua madre?
- Dica a mia madre che la sua preghiera fu ascoltata da Dio. Ella mi disse più volte: Caro
Francescano, io desidero che tu vivi lungo tempo in questo mondo, ma desidero che tu muoja
mille volte piuttosto di vederti divenuto nemico di Dio col peccato. Io spero che i miei peccati
saranno stati perdonati, e spero di essere {160 [402]} amico di Dio e di poter presto andarlo a
godere in eterno. O mio Dio, benedite mia madre, datele coraggio a sopportare con
rassegnazione la notizia di mia morte; fate che io la possa vedere con tutta la famiglia in Paradiso
a godere la vostra gloria.
Egli voleva ancora parlare, ma io l’ ho obbligato a tacere per riposare alquanto. La sera
del giorno otto aggravandosi ognora il suo male fu deciso di amministrargli l’ Olio Santo.
Richiesto se desiderava di ricevere questo Sacramento, si, rispose, io lo desidero con tutto il mio
cuore.
- Non hai forse alcuna cosa che ti faccia pena sulla coscienza?
- Ah! sì, ho una cosa che mi fa molto pena e mi rimorde assai la coscienza!
- Qual’ è mai questa cosa? Desideri di dirla in confessione o altrimenti?
- Ho una cosa cui ho sempre pensato in mia vita; ma non mi sarei immaginato che
dovesse cagionare tanto rincrescimento al punto di morte.
- Qual’ è mai dunque la cosa che ti {161]403} cagiona questa pena e tanto
rincrescimesto?
- Io provo il più amaro rincrescimento perchè in vita mia non ho amato abbastanza il
Signore come Egli si merita.
- Datti pace a questo riguardo, poichè in questo mondo non potremo giammai amare il
Signore come Egli appunto si merita. Qui bisogna che facciamo quanto possiamo; ma il luogo
dove lo ameremo come dobbiamo è l’ altra vita, è il Paradiso. Là lo vedremo come Egli è in se
stesso, là conosceremo e gusteremo la sua bontà, la sua gloria, il suo amore. Tu fortunato che fra
breve avrai questa ineffabile ventura! Ora preparati a ricevere l’ Olio Santo, che è quel
Sacramento che scancella le reliquie dei peccati e ci dà anche la sanità corporale se è bene per la
salute dell’ anima.
- Per la salute del corpo, egli ripigliò, non se ne parli più; in quanto ai peccati io ne
domando perdono, e spero che mi saranno interamente perdonati; anzi confido che potrò ottenere
{162 [404]} anche la remissione della pena che dovrei sopportare pei medesimi nel purgatorio.
Capo XXX. Riceve l’ Olio Santo. - Sue giaculatorie in questa
occasione.
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Preparata ogni cosa per l’ ultimo Sacramento che l’ uomo riceve in questa vita mortale,
volle egli stesso recitare il Confiteor colle altre preghiere che riguardono questo Sacramento,
facendo speciale giaculatoria all’ unzione di ciascun senso.
Il sac. D. Alasonatti prefetto della casa glielo amministrava. Quando fu all’ unzione degli
occhi il pio infermo prese a dire così: 0 mio Dio, perdonatemi tutti gli sguardi cattivi e tutte le
cose lette che non doveva leggere. Alle orecchie: 0 mio Dio perdonatemi tutto quello che ho
sentito con queste orecchie, e che era contrario alla vostra santa legge. Fate che chiudendosi esse
per sempre al mondo si {163 [405]} aprano di poi per sentire la voce che mi chiamerà a godere
la vostra gloria.
All’ unzione delle narici: Perdonate, o Signore, tutte le soddisfazioni che ho dato all’
odorato.
Alla bocca: 0 mio Dio, perdonatemi le golosità e tutte le parole che in qualsiasi modo vi
abbiano recato qualche disgusto. Fate che questa mia lingua possa cantare al più presto le vostre
lodi in eterno.
A questo punto il Prefetto rimase vivamente commosso ed esclamò: Che bei pensieri, che
maraviglia in un ragazzo di così giovanile età! Continuando di poi l’ amministrazione di quel
Sacramento ungendo le mani diceva: Per questa santa unzione e per la sua piissima misericordia
ti perdoni Iddio ogni mancanza commessa col tatto. L’ infermo continuò: 0 mio grande Iddio, col
velo della vostra misericordia e pei meriti delle piaghe delle vostre mani coprite e scancellate
tutti i peccati che ho commesso colle opere in tutto il corso di mia vita. {164 [406]}
Ai piedi: Perdonate, o Signore, i peccati che ho commessi con questi piedi sia quando
sono andato dove non avrei dovuto, sia non andando dove mi chiamavano i miei doveri. La
vostra misericordia mi perdoni tutti i peccati che ho commesso in pensieri, parole, opere, ed
ommissioni.
Gli fa più volte detto che bastava dire quelle giaculatorie col cuore, nè il Signore
dimandare tanti gravi sforzi quali doveva fare pregando ad alta voce: allora egli taceva un
istante, ma dopo continuava sullo stesso tono di voce come prima. In fine apparve così stanco, ed
i polsi erano così sfiniti, che noi ci pensavamo che egli fosse per tramandare l’ ultimo respiro.
Poco dopo si riebbe alquanto e in presenza di molti indirizzò queste parole al superiore: «Io ho
pregato molto la Beata Vergine che mi facesse morire in un giorno a Lei dedicato, e spero che
sarò esaudito.Che cosa potrei ancora dimandare al Signore?
Per secondare la pia domanda gli fu risposto: Dimanda ancora al Signore, {165 [407]} che li
faccia fare tutto il purgatorio in questo mondo, a segno che morendo l’ anima tua voli subito al
Paradiso. Oh! si, tosto soggiunse, lo dimando di cuore, mi doni la sua benedizione; spero che il
Signore mi farà patire in questo mondo, finchè abbia fatto tutto il mio purgatorio, e cosi l’ anima
mia separandosi dal corpo voli tosto al Paradiso. Pare proprio che il Signore l’ abbia esaudito,
imperciocchè prese un po' di miglioramento e la sua vita venne ancora prolungata di circa
ventiquattro ore.
Capo XXXI. Un fatto maraviglioso - Due visite. Sua preziosa morte.
Il nove gennajo giorno di sabato fu l’ ultimo del caro nostro Besucco. Egli conservò il
perfetto uso de' sensi e della ragione in tutta la giornata. Voleva continuamente pregare, ma ne fu
proibito pel motivo che troppo si {166 [408]} stancava. Oh! almeno, disse, qualcheduno preghi
vicino a me, e così io ripeterò col cuore quello che egli dirà colle parole. Per appagare questo suo
ardente desiderio uopo era che vi fosse qualcheduno che recitasse preghiere, o almeno
giaculatorie accanto al suo letto. Tra gli altri che lo visitarono in quel giorno fu un suo compagno
alquanto dissipato. Besucco, gli disse, come stai? - Caro amico, rispose, mi trovo al fine della
mia vita, prega per me in questi miei ultimi momenti. Ma pensa che tu eziandio dovrai trovarti in
simile stato. Oh quanto sarai contento se farai opere buone! ma se non cangi vita ah quanto ti
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rincrescerà al punto della morte! Quel compagno si mise a piangere, e da quel punto cominciò a
pensare viemeglio alle cose dell’ anima, ed oggidì ancora tiene buona condotta.
Alle dieci di sera fu visitato dal signor Eysautier Luogo-tenente delle guardie di S. M. in
compagnia di sua moglie. Aveva esso preso parte per farlo venire all’ Oratorio, e gli aveva {167
[409]} fatto molti benefizi. Besucco se ne mostrò molto contento, e diede vivi segni di
ringraziamento. Quel coraggioso militare al vedere l’ allegria che traspariva in quel volto e i
segni di divozione che egli manifestava e l’ assistenza che aveva, rimase profondamente
commosso e disse queste parole: Il morire in questo modo è un vero piacere, e vorrei anch’ io
potermi trovare in tale stato. Indi volgendo il discorso all’ infermo gli disse: Caro Franceschino,
quando sarai in Paradiso prega anche per me e per mia moglie. Vie più commosso non potè più
parlare, e dando all’ infermo l’ ultimo saluto se ne parti.
Circa alle dieci e mezzo pareva non potesse più avere che pochi minuti di vita; quando
egli trasse fuori le mani tentando di levarle in alto, lo gli presi le mani e le raggiunsi insieme
affinchè di nuovo le appoggiasse sul letto. Egli le sciolse e le levò di nuovo in alto con aria
ridente tenendo gli occhi fissi come chi rimira qualche oggetto di somma consolazione.
Pensando che {168 [410]} forse volesse il crocifisso glielo posi nelle mani; ma egli lo prese, lo
baciò, e lo ripose sul letto, rialzando tosto con impeto di gioja in alto le mani. In quell’ istante la
faccia di lui appariva vegeta e rubiconda più che non era nello stato regolare di sua sanità.
Sembrava che gli balenasse sul volto una bellezza, un tale splendore che appariva oscurato il
lume stesso della lucerna. Tutti gli astanti che erano in numero di dieci all’ incirca rimasero
stupefatti; ma crebbe in tutti la maraviglia quando l’ infermo elevando alquanto il capo e
prolungando le mani quanto poteva come chi stringe la mano a persona amata, cominciò con
voce giuliva e sonora a cantar così: Lodate Maria - 0 lingue fedeli - Risuoni ne' cieli - La vostra
armonia.
Dopo faceva varii sforzi per sollevare più in alto la persona e stendendo le mani unite in
forma divota, si pose di nuovo a cantare cosi: 0 Gesù d’ amore acceso - Non vi avessi mai offeso
- 0 mio caro e buon Gesù - Non vi voglio offender più. Senza interrompere {169 [411]}
intonò la lode: Perdoni caro Gesù - Pietà mio Dio - Prima di peccar più - Morir vogl’ io.
Noi eravamo tutti attoniti in silenzio, i nostri sguardi erano tutti rivolti all’ infermo che
sembrava divenuto un Angiolo cogli Angioli del paradiso. Per rompere lo stupore il Direttore
disse: Io credo che in questo momento il nostro Besucco riceva qualche grazia straordinaria dal
Signore o dalla sua celeste Madre, di cui fu tanto divoto in vita. Forse Ella venne ad invitare l’
anima di lui per condursela seco al cielo.
Eravamo tutt’ ora attoniti per la maraviglia quando il Besucco continuò il suo canto, ma
le sue parole erano tronche e mutilate, quasi di chi risponde ad amorevoli interrogazioni. Io ho
potuto soltanto raccogliere queste: Re del Ciel...Tanto bel... Son pover peccator...A voi dono il
mio cuor...Datemi il vostro amor...Mio caro e buon Signor...
Indi si lasciò cadere regolarmente sul letto senza dar segno di vita. Ma {170 [412]}
accorgendosi che non si pregava più, nè gli si suggerivano più giaculatorie, tosto si voltò
dicendomi: Mi aiuti, preghiamo. Gesù, Giuseppe, Maria assistetemi in questa mia agonia. Gesù,
Giuseppe, e Maria spiri in pace con voi l’ anima mia.
Io raccomandavagli di tacere, ma egli senza badare continuò: Gesù nella mia mente, Gesù
nella mia bocca, Gesù nel mio cuore; Gesù e Maria a voi do l’ anima mia. Erano le undici
quando egli volle parlare, ma non potendo più disse solo questa parola: Il Crocifisso. Con questa
parola egli chiamava la benedizione del Crocifisso con l’ indulgenza plenaria in articolo di
morte, cosa da lui molte volte richiesta e da me promessa.
Datagli quella ultima benedizione il Prefetto si pose a leggere il Proficiscere mentre altri
pregavano ginocchioni. Alle undici e un quarto il Besucco fissandomi collo sguardo si sforza di
fare un sorriso in forma di saluto, di poi alzò gli occhi al cielo indicando che egli se ne partiva.
Pochi {171 [413]} istanti dopo l’ anima sua lasciava il corpo e se ne volava gloriosa, come
fondatamente speriamo, a godere la gloria celeste in compagnia di quelli che coll’ innocenza
della vita hanno servito Iddio in questo mondo, ed ora lo godono e lo benedicono in eterno.
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Capo XXXII. Suffragi e tumulazione.
Non si può esprimere il dolore e il rincrescimento cagionato a tutta la casa dalla perdita di
sì caro amico. Furono fatte in quel momento molte preghiere intorno al suo medesimo letto.
Fattosi giorno se ne diffuse la notizia fra i suoi compagni, i quali per trovare un qualche conforto
dell’ afflizione e per pagare un tributo all’ amico defunto si radunarono in chiesa a fine di
pregare pel riposo dell’ anima di lui, se mai ne avesse avuto ancora bisogno. Molti fecero la s.
comunione con questo medesimo scopo. Rosario, uffìzio, preghiere in comune {172 [414]} ed in
privato, comunioni, messa, tutte in somma le pratiche di pietà che in quel giorno festivo ebbero
luogo nella nostra chiesa furono indirizzate a Dio pel riposo eterno dell’ anima del buon
Francesco. In quel giorno apparve altra cosa singolare. Nella fisonomia divenne così avvenente e
il suo volto cosi rubicondo, che in nessun modo pareva morto. Anzi quando era bene in sanità
non apparve mai in lui sintomo di quella straordinaria bellezza. Gli stessi compagni ben lungi
dall’ avere il panico timore che generalmente si ha pei morti andavano con ansietà a vederlo e
tutti dicevano che egli sembrava veramente un Angelo del cielo. Questo è il motivo che nel
ritratto preso dopo morte presenta fattezze molto più gentili e leggiadre che non aveva nel corso
della vita. Quelli poi che vedevano oggetti che in qualche modo avessero appartenuto al Besucco
andavano a garaper averli e conservarseli come cose della più grata ricordanza. La voce comune
che correva fra tutti era che egli fosse volato al cielo. Egli {173 [415]} non ha più bisogno delle
nostre preghiere, dicevano alcuni; a quest’ ora egli gode già la gloria del paradiso. Anzi,
soggiungeva un altro, certamente gode già la vista di Dio e lo prega per noi. Io credo,
conchiudeva un terzo, che Besucco posseda già un trono di gloria in cielo, e che invochi le divine
benedizioni sopra i suoi compagni ed amici. Il giorno seguente, undici gennajo, gli fu cantata
Messa da' suoi compagni qui nella chiesa dell’ Oratorio tra cui molti fecero la la s. comunione
sempre per maggior gloria di Dio e pel riposo eterno dell’ anima di lui, se mai avesse ancora
avuto bisogno di qualche suffragio. Terminata la funebre funzione fu dagli addolorati
condiscepoli accompagnato alla parochia, quindi al campo santo.
Il sito che ora occupa è segnato col n.° 147, nella fila quadrata a ponente. {174 [416]}
Capo XXXIII. Commozione in Argentera e venerazione pel giovane
Besucco.
Le virtù che in questo maraviglioso giovanetto risplendettero per lo spazio di circa 14
anni nel paese di Argentera divennero più luminose ancora quando egli mancò dai vivi, e quando
si ebbero notizie della preziosa sua morte. Il Sacerdote Pepino Francesco mi mandò una
commovente relazione di cose che hanno del soprannaturale. Io le conserverò gelosamente per
un tempo più opportuno, e mi limiterò a ricavare da quella alcuni tratti. «Saputasi la notizia della
grave infermità del nostro Francesco, egli scrive, si fecero pubbliche preghiere pel medesimo
cantandovi la Messa colla Benedizione del SS. Sacramento, ed orazione prò infirmo. Giunta poi
la notizia della sua morte la sera del giorno tredici corse tosto di bocca in bocca, ed in meno di
un’ ora Francesco era presentato dalla maggior parte dei genitori a modello delle loro rispettive
{175 [417]} famiglie. Non è a dire quanta afflizione recasse ai genitori e benefattori di questo
caro giovanetto che contentò colla sua esemplare condotta sempre tutti, non offese mai nessuno.
La sorella minore di Francesco, chiamata Maria, ne annunziò evidentemente la morte il giorno
dieci gennajo, assicurando che circa la mezza notte dal nove venendo al dieci essendo in letto
con sua madre sentì forte un rumore nella stanza superiore ove soleva dormire Francesco, senti
chiaramente gettare un pugno di sabbia sul pavimento, e per tema che la madre ad un tal rumore
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non venisse a sospettare della morte di Francesco l’ intertenne in discorsi ad alta voce disusati a
quella figlia. Parecchi altri commossi dalla santità di lui non esitarono raccomandarsegli per
ottenere celesti favori con esito il più felice.» Io non voglio discutere sopra i fatti che qui sono
esposti; io intendo solo di fare la parte dello storico rimettendomi a qualsiasi osservazione che
sia per fare il benevolo lettore. Ecco adunque alcuni altri brani della relazione {176 [418]}
mentovata. «Nel mese di febbrajo, un ragazzo di circa due anni trovavasi in grave pericolo della
vita; reputando il caso disperato i parenti si raccomandarono al nostro Besucco, di cui ognuno
andava glorificando le virtù. Promisero inoltre che se quel fanciullo fosse guarito l’ avvrebbero
animato alla pratica della s. Via Crucis ad imitazione di Francesco. Il fanciullo guarì in
brevissimo tempo, ed ora gode perfetta salute. Giorni sono, continua il Paroco, raccomandai io
stesso alle preghiere del caro giovinetto un padre di famiglia gravemente infermo, lo
raccomandai pure nel medesimo tempo a Gesù Sacramentato, al cui onore e gloria si consacra il
predetto padre di famiglia in qualità di cantore. Ometto i nomi di questi raccomandati
unicamente per salvarli da qualche critica indiscreta. L’ infermo prese tosto miglioramento e fra
pochi giorni apparve perfettamente guarito. La sorella maggiore di Francesco per nome Anna,
maritata nel mese di Marzo, trovandosi oppressa da grave {177 [419]} incomodo che non
lasciavala più riposare nè giorno nè notte, in un momento di maggiore inquietudine esclamò:
Mio caro Franceschino, ajutami in questo grave bisogno, ottienmi un po' di riposo. Detto fatto.
Da quella notte cominciò e continuò a riposare tranquillamente.
Animata la predetta Anna dal felice risultato della sua preghiera raccomaadossi di nuovo
a Francesco che la soccorresse in un momento in cui la sua vita versava in vero pericolo, e ne fa
oltre ogni sua aspettazione favoriti.
Io poi che raccolgo i fatti altrui a maggior gloria di Dio non debbo omttere di notare che
solito a raccomandarmi alle preghiere del mio figlioccio ancor vivente, con maggior fiducia feci
a lui ricorso dopo la sua morte, e di questa mia fiducia ottenni in diverse circostanze felici
risultati. » {178 [420]}
Capo XXXIV. Conclusione.
Qui metto termine alla vit di Francesco Besucco. Avrei ancora parecchie cose riferire
intorno a questo virtuoso giovanetto; ma siccome esse potrebbero dar motivo a qualche critica da
parti di chi rifugge di riconoscere le maraviglie del Signore nei suoi servi, così mi riserbo di
pubblicarle a tempo più opportuno, se la divina bontà mi concederà grazia e vita.
Intanto, o amato lettore, prima di terminare questo comunque siasi mio scritto vorrei che
facessimo insieme una conclusione, che tornasse a mio e a tuo vantaggio. È certo che o più
presto o più tardi la morte verrà per ambidue e forse l’ abbiamo più vicina di quel che ci
possiamo immaginare. È parimente certo che se non facciamo opere buone nel corso della vita,
non potremo raccoglierne il fruito {179 [421]} in punto di morte, nè aspettarci da Dio alcuna
ricompensa. Ora dandoci la divina Provvidenza qualche tempo a prepararci per quell’ ultimo
momento, occupiamolo ed occupiamolo in opere buone, e sta sicuro che ne raccoglieremo a suo
tempo il frutto meritato. Non mancherà, è vero, chi si prenda giuoco di noi, perchè non ci
mostriamo spregiudicati in fatto di religione. Nan badiamo a chi parla così. Egli inganna e
tradisce se stesso e chi lo ascolta. Se vogliamo comparire sapienti innanzi a Dio, non dobbiamo
temere di comparire stolti in faccia al mondo, perchè Gesù Cristo ci assicura che la sapienza del
mondo è stoltezza presso Dio. La sola pratica costante della religioni può renderci felici nel
tempo e nell’ eternità. Chi non lavora d’ estate non ha diritto di godere in tempo di inverno, e chi
non pratica la virtù nella vita, non può aspettarsi alcun premio dopo morte.
Animo, o cristiano lettore, animo a fare opere buone mentre siamo in tempo; i patimenti
sono brevi, e ciò {180 [422]} che si gode dura in eterno. Io invocherò le divine benedizioni sopra
di te, e tu prega anche il Signore Iddio che usi misericordia all’ anima mia, affinchè dopo aver
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parlato della virtù, del modo di praticarla e della grande ricompensa che Dio alla medesima tien
preparata nell’ altra vita non mi accada la terribile disgrazia di trascurarla con danno irreparabile
della mia salvezza.
Il Signore ajuti te, ajuti me a perseverare nell’ osservanza de' suoi precetti nei giorni della
vita, perchè possiamo poi un giorno andare a godere in cielo quel gran bene, quel sommo bene
pei secoli de' secoli. Cosi sia. {181 [423]}
Appendice sopra il Benedetto Cocifisso
Il culto del benedetto crocifisso in Argentera risale a tempo immemorabile, e la
tradizione ce lo dà come fonte inesauribile di grazie.
Da documenti autentici giurati ed approvati dall’ autorità ecclesiastica e civile, che il
paroco di Argentera mi trasmise, e che sono propri dell’ archivio parochiale , si ricava quanto
segue: Nell’ anno 1681, il giorno 6 del mese di gennajo, precipitando una valanga di neve da una
montagna, che domina il paese dell’ Argentera, fu colpita la sottoposta cappella della compagnia
dei disciplinanti sotto il titolo {182 [424]} del nome di Gesù e dei ss. Rocco e Sebastiano. Il
muro dietro l’ altare rovinò, precipitò a terra gran parte del tetto, e quindi furono ridotti in
frantumi i banchi e gli altri oggetti che qui si trovavano. Un solo oggetto restò intatto. Fu un
crocifisso in lègno dell’ altezza di un nutro in circa, circondato da un velo. Pareva impossibile
che non fosse anch’ esso stato ridotto in pezzi; perciò gli abitanti di Argentera testimonj dell’
accaduto giudicarono che il Signore con un atto di speciale provvidenza lo avesse voluto loro
conservare.
Questo fatto fu preludio di altri assai più maravigliosi, che ora sono per narrare in seguito
a documenti del pari giurati ed approvati.
L’ anno 1695 il primo giorno di novembre dedicato a tutti i santi, i confratelli
disciplinanti andarono secondo il solito nella cappella a recitare l’ ufficio di Maria SS. Stando
alcuni inginocchiati cogli occhi fissi in esso, lo videro ad un tratto bagnarsi di sudore sanguigno,
e grosse goccie grondare {183 [425]} per tutta la sacra effigie. Lo stesso effetto videro riprodursi
a varie riprese in tutto l’ ottavario dei santi. Quel fatto destò gran rumore nel paese e fuori. Pel
che Giovelli D. Sebastiano, vicario for. di Berzesio, si portò ad Argentera a fine di accertarsene
co' propri occhi. Vide anch’ egli l’ aspetto compassionevole che presentava quel crocifisso tutto
grondante sudore a guisa di chi molto patisce. Il sole giunto ad un certo punto sull’ orizzonte
mandava direttamente i suoi raggi sul crocifisso; ciò nonostante continuava il sudore, ed il velo
che lo circondava non fu mai bagnato. Il vicario ordinò che con un pannolino venisse rasciugato
e poco di poi vide il sudore uscire di bel nuovo dalle ferite coma da tante fonti, specialmente
dalla testa e dal costato.
D’ ordine di Monsignor Vibo arcivescovo di Torino furono destinate alcune persone
conosciuta per probità scienza e prudenza, affinchè facessero di continuo la guardia al crocifisso.
Nei giorni dal 9 al 14 novembre il cielo era nuvoloso, poi cadde grande {184 [426]} pioggia e
neve; ma il benedetto crocifisso fu sempre asciutto senza verun indizio di sudore sofferto. Il
giorno 16 poi essendo il cielo sereno al mezzogiorno di bel nuovo si rinnovò il sudore
specialmente al costato dove pareva fosse la sorgente principale.
Nello scopo di camminare con grandissima cautela in affare di tanta importanza, ed
assicurarsi che non vi intervenisse alcun inganno, l’ Arcivescovo di Torino ordinò che il
crocifisso fosse tolto dal proprio posto, fosse collocato in una stanza ben chiusa entro cassetta
serrata a chiave; non si permettesse a nessuno di visitarlo senza il vicario foraneo di Berzesio; e
si sospendesse di pubblicare il fatto come miracoloso. Dal 28 novembre 1695, giorno in cui fu
riposto nella cassa, fino al 2 giugno 1696, in cui fu rimesso nella cappella, non comparve più
gocciola di sudore. Il 7 di ottobre dello stesso anno, festa di Maria SS. del Rosario, essendo priva
di umidità l’ atmosfera, si vide di nuovo il sudore ricomparire sul capo intorno {185 [427]} alla
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corona, nella bocca e poi nelle braccia e sul petto presso alle ferite, e questo continuò fino al
diciotto dello stesso mese. Si ripeterono i diligenti esami; ma la commissione arcivescovile
dovette conchiudere non potere tal cosa avvenire altrimenti che per miracolo.
Dopo questo pubblico e straordinario avvenimento la venerazione verso al benedetto
crocifisso fra gli abitanti dell’ Argentera e della valle superiore di Stura fu sempre più costante e
segnata da diversi fatti parimente prodigiosi.
Io ne aggiugnerò ancora alcuni scegliendoli specialmente da un’ autentica relazione che
quel paroco si compiacque d’ inviarmi.
Nell’ ultima invasione dei Francesi in Italia un generale passando per l’ Argentera entrò
nella confraternità fece bere al cavallo l’ acqua benedetta vicino alla porta, quando il suo
domestico fatto ardimentoso disse al padrone: Generale, voi usate una grande irriverenza a
questa chiesa, osservate là quel Crocifisso, che sta alla custodia della santa {186 [428]} sua casa.
- Poco importa a me, rispose al domestico il superbo generale, e del crocifisso e dell’ acqua
santa. Ciò detto usci dalla confraternita e montò sul suo cavallo avviandosi pel suo destino. Ma
che! fatti appena cinquanta passi, giunto all’ ultimo abitato del paese, ove è una breve e piccola
salita, il cavallo s’ inginocchiò e non ci fu più modo di fargli proseguire il cammino. Lo spronò il
generale, quindi disceso da cavallo il fece battere aspramente da due soldati; ma tutto invano. In
questo tempo fecesi gran concorso di gente chi per curiosità e chi per vedere se avesse potuto
recar soccorso a quell’ infelice. Il domestico allora vedendo il suo padrone al colmo della
disperazione in faccia della moltitudine, ecco, gli disse, signor Generale, il castigo dell’
irriverenza usata in Chiesa al Crocifisso; pentitevi del fatto e dimandategliene perdono. Ebbene,
soggiunse il Generale, se il cavallo si alza, lo condurrò alla Confraternita, ove lasciandolo fuori
rientrerò in chiesa a chieder perdono del fallo {187 [429]} mio, e crederò che miracoloso sia
quel Crocifisso. Prese quindi per la briglia il cavallo che senza difficoltà si levò su e lasciossi
senza opposizione condurre alla porta della chiesa, ove il Generale entrato prostrossi con grande
ammirazione dei circostanti innanzi al Crocifìsso che in allora era collocato sopra un’ alta trave
in mezzo alla chiesa. Fece lunga preghiera dimandò di cuore perdono delle bestemmie e delle
profanazioni fatte, ed uscendo lasciò una somma di danaro affinchè se ne facesse una nicchia
dentro il muro per riporvi il Crocifisso, come fu fatto. E questo, scrive il paroco, mi fu raccontato
ripetutamente da Berlino Stefano morto nel 1854, in età d’ anni 87, e da Matteo Valorso morto
nel 1857 in età d’ anni 80.
Certa Giovanna Maria Bosso moglie di Lunbat sapendo che il mattino vegnente i francesi
sarebbero venuti in Argentera per saccheggiare il paese, sollecita di salvare il benedetto
Crocifisso, notte tempo dalla Confraternita lo trasportò nella propria casa. Persuasa {188 [430]}
che la camera in cui era stato riposto il Crocifisso sarebbe stata risparmiata dai saccheggiatori; vi
trasportò tutti gli altri mobili della casa. Infatti la mattina seguente tutto il paese fu derubato e l’
unica stanza rispettata in Argentera fu quella, in cui la predetta donna nascosto avea il benedetto
Crocifisso, il quale a tempo opportuno fu restituito al suo posto. Questo fatto, dice la relazione
del paroco, fu molte volte raccontato e deposto da Valorso Gio. Batta, sindaco di questo Comune
nell’ anno 1848, morto nel 1852 in età d’ anni 70.
Da tempo immemorabile le popolazioni del Sambuco, Pietroporzio e Montebernardo
quando furono afflitte da lunga siccità fecero sovente voto di fare processionalmente e tutte e tre
unite insieme una visita al benedetto Crocifisso e ben raramente poterono ritornarsene sempre
processionalmente alle proprie case coi panni asciutti. Anzi così grande era ed è giornalmente la
loro certezza di ottenere la desiderata pioggia che quasi tutti vengono alla {189 [431]} visita
muniti d’ ombrelli. La prima volta, scrive il paroco, che ho veduto questa processione nel 1849
composta di mille e più persone io rimasi maravigliato oltremodo al vederele tutte munite d’
ombrelli per ripararsi dalla pioggia in un tempo perfettamente sereno e asciutto; ma cessò
intieramente in me lo stupore quando fui testimonio dell’ efficaccia della loro divozione,
imperocchè quei divoti non erano a metà del loro viaggio che cominciava a cadere una dirotta
pioggia. Essa però per niente poteva impedirli dal continuo salmeggiare, e cantar lodi al Signore
accogliendo volentieri sopra di se stessi la sospirata pioggia fino al termine della processione. La
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s’ incomincia per lo più col cielo sereno ma è ben raro che si possa terminare senza pioggia. È
questo un fatto notorio di cui parlano ben sovente gli abitanti di questa valle i quali ancora nelle
loro private necessità fanno ricorso al benedetto Crocifisso.»
Con approvazione Ecclesiastica. {190 [432]}
Indice
Prefazione .
Capo I Patria - Genitori - Prima educazione .
Capo II Morte della madrina - Affetto alle cose di Chiesa - Amore alla
preghiera
Capo III Sua ubbidienza - Un buon avviso - Lavora la campagna
Capo IV Episodj e condotta di scuola .
Capo V Vita di famiglia - Pensiero notturno .
Capo VI Besucco e il suo Paroco - Detti - Pratica della confessione .
Capo VII La santa Messa - Suo fervore - Conduce il gregge sulle montagne
Capo VIII Conversazioni - Contegno in Chiesa - Visite al SS Sacramento .
Capo IX Il benedetto Crocifisso - La corona del rosario - La presenza di Dio.
Capo X Fa il Catechismo - Il giovane Valorso .
Capo XI La santa infanzia - La Via Crucis - Fuga dei cattivi compagni
Capo XII La prima Comunione - Frequenza a questo Sacramento
Capo XIII Mortificazioni - Penitenze Custodia dei sensi - Profitto nella
scuola .
Capo XIV Desiderio e deliberazione di {191 [433]} recarsi all’ Oratorio di s
Francesco di Sales
Capo XV Episodii e viaggio a Torino
Capo XVI Tenore di vita nell’ Oratorio - Primo trattenimento
Capo XVII Allegria
Capo XVIII Studio e diligenza .
Capo XIX La confessione .
Capo XX La santa comunione
Capo XXI Venerazione al SS Sacramento .
Capo XXII Spirito di preghiera
Capo XXIII Sue penitenze
Capo XXIV Fatti e detti particolari
Capo XXV Sue lettere
Capo XXVI Ultima lettera - Pensieri alla madre
Capo XXVII Penitenza inopportuna e principio di sua malattia
Capo XXVIII Rassegnazione nel suo male - Detti edificanti .
Capo XXIX Riceve il Viatico - Altri detti edificanti - Un suo rincrescimento.
Capo XXX Riceve l’ Olio Santo - Sue giaculatorie in questa occasione .
CAPO XXXI Un fatto maraoviglioso - Due visite - Sua preziosa morte .
Capo XXXII Suffragi e tumulazione
Capo XXXIII Commozioni in Argentera e venerazione pel giovane Besucco.
Capo XXXIV Conclusione .
Appendice sopra il Benedetto Crocifisso
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Protesta.
L’ autore, inerendo ai decreti del Pontefice Urbano VIII, e della santa Romana
Inquisizione, emanati negli anni 1625-1631 e 1634, protesta non doversi altra fede a quanto si
riferisce nella presente Istoria, che quella sola ch’ è fondata nell’ autorità meramente umana:
sottoponendo il tutto al giudizio della sede Apostolica, e della santa Chiesa, di cui si gloria di
esser ubbidiente figliuolo. {193 [435]} {194 [436]}
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