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Don Bosco - Vita de' sommi pontefici S. Lino, S. Cleto , S. Clemente
VITA DE' SOMMI PONTEFICI S. LINO, S. CLETO, S. CLEMENTE
per cura del Sac. BOSCO GIOVANNI
C
TORINO
TIP. DI G. B. PARAVIA E COMP,
1857. {1 [337]} {2 [338]}
INDEX
Capo I. Della Chiesa e de' suoi vari nomi....................................................................................2
Capo II. Del Romano Pontefice - Suoi vari titoli........................................................................3
Capo III. Elezione del Sommo Pontefice. Il conclave.................................................................5
Capo IV. Gerarchia ecclesiastica. - Cardinali - Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi.........5
Capo V. S. Lino 2° Papa..............................................................................................................6
Capo VI. Lino va a Besanzone- Battezza il Tribuno Onosio; guadagna molti a Cristo; sua
partenza da quella città................................................................................................................7
Capo VII. Eiezione di s. Lino. La forinola non vedrai i giorni di Pietro. Morte di Nerone........9
Capo VIII. Eresia di Menandro e di Cerinto. Morte di questo Eresiarca..................................10
Capo IX. S. Lino comanda il velo alle donne. - Consacra Vescovi e Sacerdoti. - Suoi scritti. -
Suoi miracoli. - Suo martirio.....................................................................................................10
Capo X. Rovina di Gerusalemme e dispersione degli Ebrei......................................................11
Capo XI. Apostolato e morte di s. Bartolomeo e di s. Tommaso Apostoli...............................12
Capo XII. S. Cleto III Papa. - Sua patria, sua educazione, incontra s. Pietro. - Presbiteri -
Sacerdoti - Le formole salutem et Apostolicam benedictionem - Pax vobis - Dominus
vobiscum. - Dall'anno di G. C. 80 al 93.....................................................................................13
Capo XIII. Origine delle stazioni. - Prime chiese cristiane. - Seconda persecuzione. - Martirio
di s. Cleto nell'anno 93...............................................................................................................14
Capo XIV. Martirio di S. Giovanni Evangelista........................................................................15
Capo XV. S. Clemente I. quarto Papa - Sua educazione, sue relazioni con S. Pietro e S. Paolo -
Succede a S. Cleto - I Sette notai - Abiti sacerdotali - Canone della Messa - Benedizione dei
frutti della terra..........................................................................................................................16
Capo XVI. Scisma di Corinto e lettera di S. Clemente..............................................................17
Capo XVII. Martirio de' santi Nereo, Achille e Domitilla........................................................19
Capo XVIII. Interrogatorio, esilio e martirio di S. Clemente - miracoli avvenuti alla sua
tomba.........................................................................................................................................20
Capo XIX. S. Mattia e s. Matteo Apostoli.................................................................................22
Capo XX. S. Filippo..................................................................................................................23
Capo XXI. S. Simone e Giuda...................................................................................................23
Capo XXII. S. Andrea................................................................................................................24
Capo XXIII. Ultime azioni di S. Giovanni Evangelista............................................................26
Indice.........................................................................................................................................27
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Capo I. Della Chiesa e de' suoi vari nomi.
Dopo la vita di s. Pietro io intendo di proseguire a raccontare le azioni degli altri sommi
Pontefici, che dopo di lui governarono la Chiesa. Ma siccome in questa storia dei Papi ci
toccherà spesso di dover usare parole non tanto facili ad intendersi; così io mi adoprerò di dare
qui una breve spiegazione delle principali. Comincerò dallo spiegarvi i vari significati della
parola chiesa. Questa parola deriva dal greco e significa semplicemente radunanza. S. Paolo però
la usa ora a significare il luogo ove i fedeli soglionsi radunare; ora la medesima moltitudine di
fedeli radunati; talvolta chiama chiesa i fedeli di un regno, di una città, di una famiglia Lett. 1 e 2
ai Cor. {3 [339]}
Queste maniere di parlare dovremo anche usarle noi nel raccontare i fatti che riguardano
alla vita dei Papi. In generale poi si usa la parola chiesa a significare l'unione di quelli che
professano la religione del vero Dio. Se si considera quest' unione prima della venuta di G. C.
scolsi denominare Sinagoga, come ancora oggidì si appella presso agli Ebrei, ed ha la medesima
significazione di chiesa cioè radunanza.
Quando poi si parla della chiesa di G.C. suole prendere tre denominazioni, e sono: chiesa
trionfante, chiesa purgante e chiesa militante. Per chiesa trionfante s'intendono tutti i santi e beati
che godono la felicità del cielo. La chiesa purgante abbraccia le anime di quelli che sono
trattenuti nel purgatorio finchè abbiano soddisfatto alla divina giustizia. Noi però nella storia dei
Papi intendiamo di parlare specialmente dei fatti che riguardano la chiesa militante che abbraccia
i fedeli cristiani che sono in tutto il mondo.
La chiesa intesa in questo senso si definisce dai cattolici: la congregazione o società di
tutti i fedeli cristiani, che professano la fede e la dottrina di G. C. {4 [340]} sotto al governo del
sommo pontefice, che è vicario di lui in terra.
Dicesi primieramente congregazione, non perchè i cristiani debbano essere radunati e
formare un' adunanza materiale, ma perchè devono essere uniti nello spirito di fede, di speranza e
di carità, nella pratica de' sacramenti e nell' ubbidienza ai legittimi pastori.
Dicesi società di tutti i cristiani, perchè la chiesa di Gesù Cristo abbraccia gli uomini di
tutti i luoghi, e di tutti i tempi purchè vogliano venire all'amoroso suo seno.
Si aggiugne la parola cristiani fedeli, per distinguerla dalle altre società, che si vantano
anche cristiane, ma che non professano tutta la dottrina del vangelo, come sono gli Eretici, i
Scismatici, i quali sono separati dalla vera chiesa, ed anche gli Ebrei, Turchi ed i Pagani, i quali
non hanno relazione alcuna colla chiesa di Gesù Cristo.
Un' altra ragione per cui si aggiugne la parola fedeli cristiani, si è per significare che que'
cristiani, i quali sono battezzati, e non praticano o disprezzano la dottrina di Gesù Cristo, o non
vogliono {5 [341]} ubbidire al Capo della chiesa costoro, dice il Salvatore, si devono considerare
come infedeli e pubblicani. Si Ecclesiam non audierit, sit tibi tamquam ethnicus et Publicanus
Matt. 18, 7.
La chiesa presa così per la società dei fedeli cristiani è figurata con molti fatti della Sacra
Bibbia. La prima è quella del paradiso terrestre. Siccome non vi era alcuna felicità fuori del
paradiso terrestre, così fuori della chiesa cattolica non si può avere nè salvezza nè felicità eterna.
S. Ag. lib. 4 cont. Don.
La seconda figura è Eva. Questa madre di tutti i viventi formata dal costato di Adamo è
figura della chiesa cristiana, che, uscita dal costato dei Salvatore morto in croce, doveva essere la
madre dei cristiani di tutto il mondo e di tutti i tempi. S. Ag. in Ioan. trac. 9.
Parimenti siccome quelli che erano fuori dell'arca di Noè tutti perirono nel diluvio, così
di quelli che muoiono fuori della chiesa cattolica niuno può aver salute. S. Girol. epist. a s.
Damaso.
Inoltre siccome nella legge antica in tutto il mondo eravi un solo tempio in cui era
adorato il vero Dio; così nella {6 [342]} legge del vangelo non vi è che una sola vera chiesa di
G. C. in cui Dio possa essere adorato con quel culto che egli vuole dagli uomini. S. Ag. Trac. 4.
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Nel nuovo Testamento poi vi sono molte altre figure. La pesca copiosa che il Salvatore
fece fare a' suoi apostoli; la tunica senza cucitura del medesimo Divin Salvatore; il lenzuolo che
vide s. Pietro nella sua misteriosa visione, pieno d'ogni sorta di animali mondi ed immondi;
tuttociò dimostra la grande estensione della chiesa, la sua unità, la moltitudine e la differenza dei
membri che la compongono, cioè i buoni ed i cattivi.
La medesima cosa ci fa conoscere il divin Salvatore nella parabola del campo, che
racchiude frumento e zizzania; nella rete che raccoglie pesci d'ogni specie; nel pascolo, ove sono
agnelli e capretti che si pascolano insieme; nel convitto nuziale; ove sono buoni e malvagi; nell'
aja, ove si contiene paglia mista col buon frumento, finchè sia giunto il tempo della separazione.
Queste figure vanno tutte d'accordo a rappresentarci la santa chiesa cattolica, apostolica,
Romana, la quale a guisa di {7 [343]} madre amorosa in ogni tempo, in ogni luogo ha sempre
ricevuto e riceve coloro che vogliono unirsi a lei per fare un solo gregge nell'ovile di G. C, che
ne è Pastore supremo. Talvolta la chiesa di G. C. è chiamata Latina, Greca, Gallicana, i quali
nomi derivano dai luoghi ove dimora quella parte di cristianità; ma s'intende sempre la medesima
Chiesa Cattolica sotto il governo del supremo Pastore che è il Papa.
Qualora però avvenisse che qualche chiesa fosse chiamata con nome particolare, e con tal
nome intendesse di non più obbedire, e non essere unita alla Cattolica, ella non sarebbe più unita
a Gesù Cristo. Perciò la chiesa Luterana, Calvinista, Valdese, Anglicana, le quali non sono unite
alla Chiesa Cattolica, sono fuori della vera chiesa, perchè non sono unite al Capo supremo
stabilito da Gesù Cristo. Laonde quelli che vivono in tali società sono seguaci di Calvino, di
Lutero, di Valdo o di altri che abbiano dato il nome alla loro setta; ma non mai seguaci di Gesù
Cristo.
Costoro sono come pecore senza pastore, {8 [344]} rami tagliati dall' albero della vita
che è Gesù Cristo.
Capo II. Del Romano Pontefice - Suoi vari titoli.
Questa congregazione cattolica, che abbraccia i cristiani di tutto il mondo, ha un Capo
visibile cui Gesù Cristo disse: io darò a te le chiavi del regno dei cieli ciò che tu legherai in terra
sarà anche legato in cielo; ciò che tu scioglierai in terra sarà sciolto in cielo. Pascola le mie
pecorelle.
Primo Capo della chiesa stabilito da Gesù Cristo fu s. Pietro; ma siccome egli era un
uomo, e come tale doveva cessare di vivere, perciò era necessario che a lui succedesse un altro
Capo a fare le veci di G. C. sopra la terra. Questo Capo sebbene sia un solo, suole però chiamarsi
con vari nomi. I principali sono; Vicario di Gesù Cristo; successore di s. Pietro, supremo Pastore,
Papa, Beatissimo, Santissimo Padre, Sommo Pontefice, Romano Pontefice, servo dei servi di
Dio. {9 [345]}
Noi daremo una breve spiegazione di ciascuno di essi. Dicesi adunque: Vicario di Gesù
Cristo; perchè G. C. è Capo invisibile della Chiesa, che la assiste dal cielo fino alla
consumazione dei secoli; ma ha dato una suprema autorità a s. Pietro e a' suoi successori di fare
da Vicari, cioè di fare le sue veci sopra la terra. Qui è bene di notare che i Papi non sono
successori di G. C, perchè essendo egli Pontefice eterno ed onnipotente non può venire meno,
perciò non può avere alcun successore; egli ha solamente un vicario che esercita la sua autorità
in vece sua, siccome disse egli stesso: sicut misti me Pater et ego mitto vos. S. Gio. 20, 21. La
facoltà datami dal Padre Celeste, io la do a voi. Ciò che scioglierai in terra sarà sciolto in cielo.
Successore di s. Pietro. All'opposto il Papa dicesi successore di s. Pietro, perchè l'autorità
suprema deve durare nella Chiesa per tutti i secoli, ed essendo morto Pietro doveva di necessità
succedere, come difatto succedette, un altro papa nella medesima carica. Di qui deriva la
maravigliosa successione dei sommi Pontefici da s. Pietro fino ai nostri giorni, che in ogni tempo
governarono la Chiesa {10 [346]} insegnando la medesima dottrina, proponendo i medesimi
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dogmi. Di qui nasce la grande prerogativa della Chiesa Cattolica, che partendo dal regnante Pio
IX da un Pontefice all' altro rimonta fino a s. Pietro, stabilito dallo stesso G. C. Capo visibile
della Chiesa.
Al contrario tutte le altre società che si vantano cristiane possono solamente numerare i
pastori fino ai loro fondatori, e non più in giù. Così i Calvinisti possono andare fino a Calvino, i
Luterani fino a Lutero, i Valdesi fino a Pietro Valdo, e là finisce la serie dei loro pastori. La qual
cosa contro agli Eretici è un terribile argomento, che dimostra come essi appartengono ad una
società, che non è la chiesa di G. C.
Supremo Pastore. Gesù Cristo nel Vangelo chiama la sua chiesa ovile: et fiel unum ovile
Gioan. 10, 16; egli medesimo disse che è il buon pastore: ego sum pastor bonus Gio. 11, 14; ed
incaricò s. Pietro di fare il supremo pastore nella chiesa quando disse: pasci le mie pecore; pasce
oves meas, pasce agnos meos Gio. 21, 15. E poichè un pastore ha diritto di proporre o proibire
alle sue pecore que' cibi che conosce {11 [347]} utili o dannosi al bene delle medesime, così il
sommo pontefice supremo pastore visibile, può stabilire quelle cose che egli conosce necessarie
ed utili pel bene spirituale ed eterno delle pecore del suo gregge. Per la medesima ragione può
proibire que' cibi, cioè quegli scritti, quelle massime e quelle dottrine che egli giudica contrarie a
questo bene spirituale ed eterno.
Sommo Pontefice. Dicesi Sommo Pontefice o Pontefice Massimo, perchè in fatto di
religione egli copre la più sublime carica del mondo. Di fatti egli rimettendo o ritenendo i peccati
può aprire o chiudere il cielo, separare i perversi dalla comunione dei buoni; col tesoro della
Chiesa cioè colle indulgenze può rimettere la pena temporale dei peccati, giudicare e definire
quale sia il vero senso della Bibbia ecc.
Santissimo o Beatissimo Padre. Gli si dà questo nome non come vogliono i nemici di
nostra religione quasi che noi volessimo adorare il Papa come se fosse Iddio, oppure venerarlo
come se fosse riconosciuto santo. No; questa non è dottrina cattolica. Noi cattolici chiamiamo il
Papa Santissimo o Beatissimo, per la santità e {12 [348]} la sublimità della carica di vicario di
Gesù Cristo, per la santità delle cose che amministra ed anche per la virtù di cui il Papa deve
essere adorno; giacchè quando viene eletto si sceglie sempre colui, che fra i cardinali è
riconosciuto maggiormente adorno di dottrina, virtù e santità.
Papa. È questo il nome più comune con cui è quasi sempre stato qualificato il Capo della
chiesa. Questo titolo è interpretato in varie maniere: padre della patria; padre dei padri; pastore
dei pastori; padre dei poveri. Perciocchè il Papa è veramente il padre spirituale di tutti i fedeli
cristiani che sono in tutto il mondo. Anticamente il nome di Papa si dava anche ai vescovi ed ai
primari preti; perchè anch' essi devono essere i veri padri dei popoli. Più tardi fu solamente
attribuito al Vescovo di Roma.
Pontefice Romano. Il Papa è così chiamato perchè è Vescovo della chiesa di Roma; e
perchè la città di Roma che fu tanto tempo la capitale del mondo, sembra essere stata dalla divina
provvidenza stabilita capitale e centro della cristianità. S. Zozimo Papa nell'anno quattrocento
{13 [349]} diciotto s'intitolava vescovo di Roma. S. Leone I Papa nel 450 s'intitolava vescovo
della chiesa cattolica che ha la sua sede nella città di Roma.
È però bene di notare che non è necessario che il Papa dimori a Roma per essere
riconosciuto Capo della Chiesa; perchè furono e possono pur troppo di nuovo succedere tempi
calamitosi in cui il Papa debba allontanarsi da Roma, come ha fatto Pio VII ai tempi di
Napoleone, quando fu costretto di recarsi a Fontainebleau in Francia e come pure dovette fare
Pio IX in questi ultimi tempi quando fuggi a Gaeta. Appena il Romano Pontefice è eletto e
consacrato, ovunque egli dimori, può esercitare la sua autorità di vicario di Gesù Cristo, perchè
l'autorità conferita da Gesù Cristo alla sua chiesa non è limitata ad un luogo, ma è conferita a'
suoi vicari perchè la esercitino per tutto il mondo.
Servo de' servi di Dio. Il Papa dà a se stesso questo titolo per due ragioni: primo per
indicare che egli è disposto a tutto fare e tutto patire per guadagnare anime a Cristo, che per la
nostra salute mori sulla croce. La seconda ragione {14 [350]} è per dare a conoscere a tutti i
cristiani che in qualunque stato e condizione si trovino, devonsi mantenere nell'umiltà e
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considerarsi come servi dei servi nelle cose che riguardano alla gloria di Dio e alla salute delle
anime.
Il primo Papa ad usare la formola servus servorum Dei, fu s. Gregorio Magno nel secolo
sesto; e questo fece per abbassare la superbia del patriarca di Costantinopoli il quale si arrogava
il titolo di Vescovo Universale.
Capo III. Elezione del Sommo Pontefice. Il conclave.
S. Pietro fu eletto sommo pontefice dal medesimo G. C; il quale diedegli certamente le
norme da seguirsi nella elezione de' suoi sucessori. Così s. Pietro quando s'accorse che era
imminente la sua morte designò s. Lino, s. Cleto, s. Clemente affinchè un di loro fosse eletto e
consacrato suo successore.
Nei primi tempi della Chiesa il sommo {15 [351]}
Pontefice si eleggeva dal Clero io presenza del popolo. Alla testa del Clero erano i preti
della chiesa romana, che più tardi furono detti Cardinali. Il popolo però non dava voto, ma
soltanto faceva testimonianza delle virtù di colui che dovevano eleggere. Così s. Pietro quando
elesse l' apostolo s. Mattia domandò il parere dei fedeli nel cenacolo congregati. S. Paolo prima
di conferire la sacra ordinazione a Timoteo domandò una buona testimonianza da quelli che lo
conoscevano.
Dopo il quarto secolo i re e gli imperatori vollero mischiarsi nella elezione dei Papi.
Primo ad ingerirsi a tale sacra funzione fu l'imperatore Onorio.
Odoacre, famoso capitano dei barbari e di poi anche re d'Italia, portò più oltre le sue
pretese, e pubblicò una legge con cui proibiva di eleggere il Papa senza il suo consenso. Questa
legge è sempre stata disapprovata dalla Chiesa. Finalmente Gregorio VII ricusò tale dipendenza
dall'Imperatore; e d'allora in poi non si aspettò l'assenso dell' Imperatore per la definitiva
consacrazione del Papa.
Non vi era però ancora il conclave; {16 [352]} perciò alla morte di un Papa i Cardinali si
radunavano in alcuna delle principali chiese di Roma o nella chiesa cattedrale di quel luogo dove
potevano radunarsi. Dato il voto, ciascuno andava a sua casa, ritornando nel medesimo luogo
finchè fosse terminata la elezione; cioè finchè alcuno avesse ottenuto due terzi di voti. La qual
cosa talvolta prolungava la elezione con danno della religione.
Finalmente Gregorio X nell'anno 1274 in un concilio convocato in Lione stabili il
conclave e le leggi in esso da osservarsi. Quel pontefice erasi a ciò deliberato perchè nella sua
elezione la santa sede fu vacante per due anni, nel qual tempo i cardinali non poterono andar
d'accordo nei loro voti.
Il conclave è un luogo ossia un gran palazzo dove si radunano i Cardinali alla morte di un
Papa. Vi si chiudono tutti dentro; si murano fino le porle, nè alcuno può uscire di là, neppure
aver relazione colle persone esterne finchè non sia terminata la elezione del novello Pontefice.
{17 [353]}
Capo IV. Gerarchia ecclesiastica. - Cardinali - Patriarchi, Primati,
Arcivescovi, Vescovi.
La Chiesa di G. C, siccome leggiamo nel Vangelo, è simile ad un regno. E poichè in un
regno ben ordinato deve essere un Capo che comandi, di poi vi sono molti altri ministri inferiori
che lo aiutino nell'amministrazione degli affari; così pure avviene nella Chiesa. Il suo re supremo
ed invisibile è G. C. vero Dio e vero uomo il quale dal Cielo assiste la sua Chiesa usque ad
consummationem sæculi Matt. 28, 20. Re e Capo visibile è il Romano Pontefice da cui
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dipendono altri sacri ministri inferiori, i quali uniti a lui formano quell’ ordine e quella
dipendenza che si chiama Gerarchia ecclesiastica. Questa parola è greca e significa sacro
principato ed è quell’ ordine di ministri l' uno dall' altro dipendenti in guisa, che tutti sono
soggetti al Romano Pontefice come a centro e Capo supremo. I membri poi che compongono {18
[354]} questa sacra gerarchia sono il Papa, i Cardinali, Patriarchi, Primati, gli Arcivescovi, i
Vescovi ed i Sacerdoti1. {19 [355]}
Ma questi pastori dipendono tutti dal Papa. Di maniera che possiamo dire che i semplici
fedeli sono uniti al proprio parroco; i parroci al vescovo, i vescovi al Papa; il Papa ci unisce con
Dio. Che {20 [356]} se mai qualcheduno di questi pastori disgraziatamente venisse a ricusare
ubbidienza al Papa, egli cesserebbe di appartenere alla chiesa di Gesù Cristo e non dovrebbe più
essere ascoltato. {21 [357]}
Capo V. S. Lino 2° Papa.
Patria, educazione di s. Lino. - Suo incontro con s. Pietro - lo consacra Vescovo e lo costituisce suo
Vicario.
1 Il Papa, come abbiamo detto, è il Capo visibile della Chiesa. Coadiutori ossia consiglieri del Papa sono i Vescovi,
una parte dei quali forma il collegio dei Cardinali.
Fin dal principio della Chiesa vi era chi faceva l'uffizio di Cardinale, benchè chiamato con nome diverso; s. Lino, s.
Cleto, s. Clemente eletti da s. Pietro per suoi coadiutori, e che dicevansi preti della Chiesa Romana tacevano
veramente l' uffizio di Cardinali. Ma non cominciarono a chiamarsi con tal nome fino al quarto secolo.
Anticamente chiamavansi Cardinali quei vescovi e quei preti che governavano le chiese a tempo indeterminato quasi
cardinati cioè inamovibili, a distinzione di quelli che o a motivo delle persecuzioni, o per volontà dei superiori
governavano le parrocchie, i benefizi o le chiese a tempo incerto o secondo che meglio giudicava il superiore
ecclesiastico.
Dal secolo settimo in poi il titolo di cardinale fu solamente appropriato ai soli padri del collegio apostolico. Il
numero dei cardinali è fissato a settanta in memoria dei settanta discepoli stabiliti dal divin Salvatore. Alla morte di
un Pontefice essi radunansi nel conclave e ne eleggono il successore. La maggior parte dei cardinali sono vescovi,
altri sono semplicemente preti o diaconi. Talvolta i cardinali sono nominati ambasciatori, o nunzi apostolici a
trattare gravi affari temporali o spirituali o negli stati del Papa o in paesi stranieri, e ciò fanno a nome del Papa e pel
bene della Chiesa.
Patriarca. La parola patriarca significa primo padre. Nella legge antica da Adamo fino a Giacobbe i principali
personaggi del popolo Ebreo erano chiamati Patriarchi. Nel nuovo testamento poi sono così chiamati quei vescovi
che in autorità sono i primi dopo il Papa, ed esercitano la loro giurisdizione sui vescovi ed arcivescovi di uno o più
regni. Anticamente i Patriarchi erano solamente quattro. Quello di Gerusalemme, di Antiochia, di Roma fondati da s
Pietro; e di Alessandria d'Egitto fondato da s. Marco per ordine di s. Pietro. Ma tutti questi patriarchi erano
dipendenti da quello di Roma come dal centro di unità e dalla sede del Vicario di Gesù Cristo. Più tardi si
aggiunsero altri Patriarchi come sono quello di Costantinopoli, di Venezia ed altri.
Primati. Chiamansi primati quei vescovi che hanno le prime sedi in qualche regno, ed esercitano la loro autorità
sopra gli altri arcivescovi e vescovi. Ma tale autorità è varia secondo che vien loro comunicata dal Romano
Pontefice. Il Papa considera i primati come suoi vicari in diverse provincie, e dà loro quelle facoltà che sono
necessarie pei particolari bisogni di quei paesi.
Arcivescovi. È questa una parola greca che significa primo vescovo. La giurisdizione di lui si estende sopra i vescovi
della stessa provincia, e quelli che da lui dipendono chiamansi suffraganei. Gli arcivescovi chiamansi anche
Metropolitani quando hanno la loro sede nella metropoli ovvero capitale di un regno; oppure sono a tal dignità
elevati dal Papa che loro concede di esercitare certi diritti sopra i vescovi di una o più provincie.
Vescovi. La parola vescovo è parimente greca, e vuol dire ispettore ovvero invigilatore, perchè è proprio dei vescovi
invigilare e osservare che si promuova la morale e la religione di G. C. tra i popoli da Dio loro affidati. Perciò Iddio
per bocca di s. Paolo dice precisamente ai vescovi: attendite vobis et universo gregi, in quo vos posuit Spiritus
Sanctus, episcopos regere ecclesiam Dei (Act. 20, 28). State attenti ed abbiate cura del gregge sopra il quale lo
Spirito Santo vi ha eletti vescovi per governare la Chiesa di Dio.
Il vescovo esercita la sua autorità sopra i parroci, sacerdoti e sopra tutti i fedeli della sua diocesi. Egli è aiutato dal
Vicario Generale per gli affari di tutta la Diocesi; dal Vicario Foraneo per un numero determinato di parrocchie; dai
parroci per la rispettiva parrocchia; dagli altri sacerdoti, che d'accordo col proprio vescovo lavorano nel sacro
ministero.
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Ora che abbiamo spiegato i vari nomi che occorre usare nella storia Ecclesiastica
riusciranno molto più facili a capirsi le cose che siamo per raccontare nella vita di s. Lino e degli
altri sommi Pontefici. La divina provvidenza che sembra aver destinato l'Italia come centro del
cristianesimo, e Roma per capitale del mondo cattolico, dispose che il primo successore di s.
Pietro fosse italiano. E siccome Gesù Cristo voleva fare un solo gregge tra gentili ed Ebrei pare
essere cosa ragionevole che a s. Pietro di nazione {22 [358]} ebreo succedesse un Papa di nascita
gentile.
Il primo successore adunque di s. Pietro fu s. Lino. Questo nome vuol dire filo ed anche
rete, quasi per significare che doveva succedere a quel gran pescatore, nella cui rete avrebbe
accolto l'immensa moltitudine di cristiani. Egli nacque in Volterra città di Toscana poco distante
da Pisa. Suo padre chiamavasi Ercolano. I suoi genitori procurarono di educarlo nella religione
pagana; ma giunto all'età di ventidue anni suo padre vedendolo ben istrutto nelle scienze che
poteva apprendere in Volterra lo mandò a Roma perchè facesse i suoi studi nella casa di certo
Fabbio molto amico di suo padre.
Il suo cuore essendo naturalmente buono provava in se stesso avversione al vizio e amore
alla virtù; ma ignorava quella religione santissima, senza la quale ogni vizio trionfa, ogni virtù
vien meno. Iddio però che è ricco nella sua misericordia e che non manca di venire in aiuto a chi
con cuor puro lo invoca, dispose che quasi nel medesimo tempo, l'anno 42, s. Pietro venisse a
Roma per dar principio alla predicazione del Vangelo. {23 [359]} Andatolo ad ascoltare Lino
conobbe tosto di aver trovato un maestro che gli proponeva una dottrina di gran lunga superiore
a quella dei filosofi di tutta l'antichità, e fin d'allora divenne affezionatissimo a s. Pietro, e se lo
propose per modello di virtù.
S. Pietro dal canto suo conobbe eziandio nel suo allievo un' eminente attitudine allo
studio ed alla pietà, un cuor docile ed umile. E per assicurarsi meglio della riuscita volle egli
stesso assumersene una cura particolare, instruendolo nella fede e formandolo alla virtù secondo
la dottrina del Vangelo. Lino corrispose così bene alle sollecitudini del maestro che in breve
tempo lo trovò adorno delle virtù necessarie per fare un buon ministro della Chiesa e lo consacrò
sacerdote.
L'anno 50 di G. C. dovette s. Pietro allontanarsi da Roma sia per portare la luce del
vangelo in lontani paesi, sia anche per intervenire al concilio di Gerusalemme, ove fu sciolta la
questione sull' obbligo della circoncisione, e delle cerimonie della legge di Mosè. Non volendo
lasciare il suo gregge senza pastore ordinò vescovo s. Lino, facendolo poi {24 [360]} vicario
insieme con s. Cleto durante la sua assenza. Lino aveva cura del gregge entro le mura di Roma,
s. Cleto governava le chiese fondate nei sobborghi della città e nei paesi circonvicini. Nel suo
ritorno s. Pietro conobbe di non essersi ingannato intorno allo zelo e alla virtù del suo discepolo.
Ammirò la pastorale sollecitudine di lui e la carità che gli guadagnavano la stima e il cuore di
tutti. Un antico scrittore esprime queste virtù di s.Lino chiamandolo virum magnum plebique
probatum: Uomo grande e riconosciuto di gran virtù presso la plebe. Apud Fest. pag. 635.
Capo VI. Lino va a Besanzone- Battezza il Tribuno Onosio; guadagna
molti a Cristo; sua partenza da quella città.
Il Principe degli Apostoli volendo mandare nella Gallia, ossia Francia, un predicatore a
portare la luce del Vangelo in quel vasto regno tutto immerso nelle tenebre dell' idolatria, volse il
suo pensiero {25 [361]} a s. Lino. Senza apporre difficoltà egli si arrese alla proposta del
maestro, e pieno dello spirito che anima gli apostoli di G. C. passò le alpi, entrò in quei paesi,
dove non era ancora giunta alcuna notizia del Messia, e si pose coraggiosamente a predicare
Gesù Cristo. La notizia delle cose da lui operate in questa lunga e faticosa missione, non ci sono
abbastanza note. Si sa soltanto dalle memorie antiche della chiesa di Besanzone come egli andò a
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Don Bosco - Vita de' sommi pontefici S. Lino, S. Cleto , S. Clemente
predicare in quella città dove è riconosciuto per protettore e per primo vescovo. Fra le altre cose
si legge quanto segue2.
Nell'arrivare Lino a Besanzone a distanza di 100 passi dalla città, si abbattè in un
uffiziale chiamato Onosio, il quale era tribuno, cioè era primo magistrato stabilito per aver cura
del popolo qualora fosse stato oppresso da qualche ingiustizia. Quel tribuno rapito dall'aria e
dalla modestia dello straniero si fa ad interrogarlo così:
- Chi sei, donde vieni?
- Io vengo d'Italia. {26 [362]}
- Dove sei per andare?
- Io son venuto qua a predicare la religione di G. Cristo.
- E qual è questa religione?
Lino giudicando buona occasione per fargli conoscere la cristiana religione, prese a
parlare così: Sappi che io adoro l'unico e solo vero Dio, onnipotente, eterno creatore di tutte le
cose. Io prego questo Dio che ti sia propizio. Questo medesimo Iddio ha un figliuolo unico
anch'esso eterno ed onnipotente, il quale mosso dalla miseria degli uomini, si è fatto uomo per la
loro salute. Questo figliuolo di Dio si chiama Gesù Cristo. Esso come uomo mori sopra una
croce pei nostri peccati, ma essendo vero Dio tre giorni dopo la sua morte risuscitò glorioso. Ora
vive in cielo e vivrà in eterno insieme con coloro, i quali abbracciando la sua religione, la
osserveranno e morranno in grazia sua.
In udir tali cose Onosio o per leggerezza, o perchè non le capisse, si mise a ridere.
Tuttavia curioso di sapere la storia di G. C., pregò s. Lino di andare a casa sua e raccontargliela.
S. Lino accettò l' offerta. Il nuovo ospite e {27 [363]} coll'esempio di sue virtù e col raccontare
la vita di G. C., istruì Onosio nella fede. Quel tribuno illuminato dalla grazia del Signore
dimandò il Battesimo, e divenne presto un fervoroso cristiano, e ardente predicatore. Diede
poscia al santo una casa di cui fece una piccola chiesa, sotto al titolo della Risurrezione del
nostro Signore, della Madre di Dio e di santo Stefano. Il numero dei fedeli cresceva ogni giorno,
e Besanzone era oramai tutta cristiana, quando il demonio mosso da invidia pei progressi del
Vangelo, pose in opera ogni arte per arrestarlo.
Quei pagani per fare una festa solenne in onore de' loro Dei, andavano preparando le
vittime da offerire. Lino tutto commosso al vedere che davasi a sozze creature la gloria che
unicamente è dovuta al Signore del cielo e della terra, provò un grande orrore. Va perciò nella
piazza dirimpetto al tempio in cui dovevansi fare i sacrifizi; e colà alla presenza d'immenso
popolo, alza la voce esclamando: che fate mai, o popoli ingannati? A chi volete fare sacrifizio?
Non sapete che l'incenso che voi abbruciate, le vittime che voi loro offerite valgono di più
degl'idoli medesimi? {28 [364]} Qual segno di divinità trovate voi in quei tronchi di alberi, o di
sassi, lavorati dagli artefici a colpi di martelli, mentre non possono liberare nè gli altri nè se
stessi dal fuoco, nè dalla caduta? Sappiate adunque che non può esservi che un Dio solo, creatore
del cielo e della terra. Questo è quel vero Dio che vi predico, egli solo merita il nostro amore, il
nostro rispetto, la nostra adorazione. Cessate adunque di adorare queste vili creature, e aprite gli
occhi alla luce della verità che Dio per mezzo mio vi annunzia.
Queste parole proferite con fervore e con fede, furono come un fulmine, che gettando a
terra una colonna del tempio, ridusse in polvere la statua dell'idolo sopra quella collocato. Un
prodigio cosi grande atterri tutto il popolo, e già in gran numero correvano a Lino per essere
istruiti nella fede, quando i sacerdoti degli idoli si posero a gridare ad alla voce cosi: presto, o
popoli, venite qui; se voi non farete vendetta dell'ingiustizia fatta ai nostri Dei dagl' incantesimi
di questo mago, tutta la città è per profondare negli abissi.
Il popolo che appena cominciava ad aprire gli occhi alla verità, spaventato da {29 [365]}
tali parole cambia la venerazione in furore, e si lancia contro al santo, lo balte, e lo caccia dalla
città. Il Signore si contentò, che il suo servo gettasse le prime fondamenta di quella chiesa che fu
una delle più celebri della Francia. Intanto Lino, secondo il consiglio del Salvatore che dice:
2 V. Sausoio - Bollandisti - Croiset 23 sett. Chifezio parte 2, pag. 9 in Besantione.
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Don Bosco - Vita de' sommi pontefici S. Lino, S. Cleto , S. Clemente
dove non sei ascoltato cessa di parlare, ritornò a Roma, dove Dio lo chiamava a succedere al suo
maestro s. Pietro nel governo della Chiesa.
Capo VII. Eiezione di s. Lino. La forinola non vedrai i giorni di Pietro.
Morte di Nerone.
La missione fatta da s. Lino nella città di Besanzone è quella che è a noi più conosciuta;
la maggior parte delle altre sue azioni o non sono state scritte, o le notizie ne andarono perdute.
Si sa però che egli lavorò pel vangelo in compagnia di s. Paolo, e quando questo santo Apostolo
celebrava i divini misteri s. Lino lo assisteva e gli faceva da Diacono: Ep. B. Igratii ad Trall. {30
[366]}
In compagnia del medesimo s. Paolo egli affrontò i più gravi pericoli, e neppure lo
abbandonò quando fu posto in prigione; anzi in quella occasione gli rese importanti servigi.
Allorchè il santo apostolo dalla prigione scrisse la seconda lettera a Timoteo, lo saluta da parte di
s. Lino e di s. Claudia, che si crede essere di lui madre. 2. lett. a Tim. Capo 4.
Da ciò si può dedurre, che la famiglia di Lino fosse divenuta tutta cristiana, e che da
Volterra si fosse trasferita a Roma.
Dalla Gallia Lino giunse a Roma nei giorni che maggiormente infieriva la persecuzione
di Nerone. S. Pietro lo attendeva, e. annunciandogli imminente il suo martirio, gli raccomandò
caldamente i bisogni della Chiesa. Egli si adoperò con zelo infaticabile per conservare la fede, e
incoraggire i fedeli al martirio, durante la prigionia di s. Pietro e di s. Paolo; accompagnò il caro
maestro, e lo seguì fino al momento in cui fu crocifisso col Capo all' ingiù l' anno settantesimo di
Gesù Cristo.
S. Pietro per timore che la Chiesa rimanesse priva di pastore in quei tempi calamitosi,
prima di sua morte, nominò {31 [367]} tre vescovi maggiormente conosciuti per zelo e santità, i
quali dovessero succedergli nel pontificato uno in mancanza dell'altro. Questi furono Clemente,
Lino, Cleto. Pare che s. Clemente sia stato designato il primo, ma forse perchè era più giovane
cedette il suo posto a Lino, il quale fu con universale applauso eletto, e riconosciuto Papa nell'
anno 70 di Gesù Cristo. V. Baron. ad ann. 70.
Si dice che nella consacrazione di s. Lino siasi introdotta la seguente formola: non
videbis dies Petri, cioè non avrai un Pontificato lungo come quello, di Pietro; la qual formola fu
eziandio usata nella elezione di altri pontefici, e sebbene non sia più praticata oggidì, tuttavia
l'esperienza fece conoscere, che de' Pontefici che finora governarono la santa sede, niuno ebbe
un pontificato lungo come quello di s. Pietro. V. Sandini in vita s. Petri.
Dopo la elezione di Lino, la Chiesa di G.C. potè godere qualche tempo di calma per la
morte di Nerone. Questo tiranno dopo di avere esercitato ogni genere di crudeltà verso i cristiani,
cadde in disprezzo di tutti i suoi sudditi; e fattasi {32 [368]} centro di lui una rivoluzione,
proclamarono un altro imperatore di nome Galba. A tale notizia Nerone dalla paura parve tratto
fuor di senno. Gettò a terra con violenza la tavola su cui pranzava, ruppe in mille pezzi due vasi
di cristallo di gran valore, batteva la testa nelle pareti. Quando poi gli fu recata la nuova che il
senato lo aveva condannato a morte, egli si vide costretto di notte tempo ad uscire dal suo
palazzo, correre di porta in porta ad implorare soccorso da' suoi amici, i quali tutti lo fuggivano,
perchè i malvagi non hanno veri amici.
Per tentare in qualche maniera di salvarsi monta sopra un cavallo, si fa coprire con un
logoro mantello, e fra le maledizioni passa sconosciuto in mezzo a' suoi nemici, che gli gridano
morte da tutte le parti. Giunto alla casa di campagna di un suo servo di nome Faone, provò di
nascondersi; ma scorgendo tosto il suo asilo attorniato di soldati, non sapendo più a che partito
appigliarsi per iscansare il pubblico supplizio, si trapassò da se stesso la gola con un pugnale,
Cos'i moriva il più crudele dei tiranni, e l'autore della prima delle dieci persecuzioni
dagl'imperatori {33 [369]} romani suscitate contro ai cristiani. Anno di Cristo 71.
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Capo VIII. Eresia di Menandro e di Cerinto. Morte di questo Eresiarca.
Cessarono le persecuzioni per parte dell' imperatore; ma ne sorsero altre di genere
diverso, sempre però dirette a combattere la verità e a propagare la menzogna, e queste furono le
eresie. Era morto Simone il Mago, ma con lui non morirono i suoi errori. Un suo discepolo di
nome Menandro, anch'egli Samaritano, si adoperò per far rivivere la dottrina del suo maestro.
Egli diceva che era la virtù di Dio e che niuno poteva salvarsi se non era in suo nome battezzato;
che il mondo non era stato creato da Dio, ma dagli Angeli. Per meglio impegnare la gente a
seguirlo, aggiunse che tutti coloro, i quali venissero battezzati nel suo nome sarebbero divenuti
immortali anche in questo mondo. I fatti però dimostrarono che egli era un menzognero,
perciocchè {34 [370]} egli stesso e i suoi discepoli dovettero soggiacere alla morte. Egli fu
autore di un sistema, ossia di una dottrina con cui inventò una lunga serie di genii o divinità
nominate Eoni. Essi erano parte buoni e parte malvagi. I buoni operavano il bene in questo
mondo, i cattivi erano autori del male. Cose le più ridicole, ma che furono seguite anche da molti
altri. Quasi nell'anno stesso, cioè nel 73 di Gesù Cristo, Cerinto diede mano a Menandro per
propagare presso a poco i medesimi errori; aggiungendo contro al concilio di Gerusalemme che
la legge di Mosè era necessaria alla salute, e che alla fine del mondo gli uomini avrebbero
goduto mille anni di piaceri terreni prima del giudizio universale. La morte però di Cerinto servì
a disingannare molti de' suoi seguaci, che lo riputavano profeta ed immortale. Essendo egli
andato a prendere un bagno in una casa, ove si trovava l'apostolo s. Giovanni, subito questo
santo ne ebbe orrore, e appena lo vide, si parti dicendo a' suoi compagni: partiamoci di qua
affinchè non rimanghiamo oppressi da questa casa. Appena partiti succedette un terremoto che
fece cadere {35 [371]} quell'edifizio, e Cerinto si trovò ivi prima seppellito che morto. V. Bermi
v. I.
Contro a questi eretici tutto si impiegò lo zelo di s. Lino, e come s. Pietro aveva
allontanato dalla chiesa Simon mago, così Lino suo successore condannò le dottrine degli eretici
e cacciò dalla Chiesa gli autori delle medesime, e con ragioni ricavate dalla sacra scrittura
dimostrò che quel medesimo Dio che aveva parlato a Mosè era il creatore di tutti gli uomini e di
tutti gli angeli e di tutte le cose che nel cielo e nella terra si contengono. Sismondi Tom. 2°.
Capo IX. S. Lino comanda il velo alle donne. - Consacra Vescovi e
Sacerdoti. - Suoi scritti. - Suoi miracoli. - Suo martirio.
Fra le usanze molto praticate a quei tempi presso ai Gentili eravi quella che le donne
andavano in chiesa immodestamente vestite, col Capo scoperto e adorne come se andassero a
profani spettacoli. S. Pietro aveva già egli stesso conosciuto questo {36 [372]} disordine, e non
avendo egli avuto tempo di porvi rimedio, prima del suo martirio comandò al suo discepolo di
effettuarlo. Lino pertanto memore del comando fattogli dal maestro ordinò che le donne non
entrassero in chiesa se non col Capo coperto da un velo. Alcuni protestanti vorrebbero deridere
un tale provvedimento come poco degno delle cure di un Pontefice, come se una cosa la quale
serve a prevenire il male non fosse degnissima del Capo della Chiesa. Un tale precetto non
potrebbe riguardarsi come inutile se non tra quelli presso cui il pudore avesse squarciato ogni
velo. V. Lib. Pont, detto di Gelasio.
Noi cristiani diciamo che s. Lino non ha fatto altro che eseguire gli ordini di s. Pietro e
rinnovare quello che s. Paolo aveva già comandato ai cristiani di Corinto (Lett. 1 Cap. 11). Il
quale precetto fu rinnovato da altri sommi pontefici e si osserva tuttora nella Chiesa cattolica.
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S. Lino vedendo crescere ogni giorno ed in ogni parte il numero dei Fedeli, a fine di
avere degni ministri degli altari ed appagare le dimande che da più luoghi gli venivano fatte,
ordinò molti {37 [373]} sacerdoti e consacrò parecchi vescovi. Non ostante le continue sue
occupazioni pel bene universale della Chiesa, egli trovò tempo a scrivere molte cose importanti.
A lui siamo debitori della storia di quanto avvenne tra s. Pietro e Simon Mago. Scrisse anche due
libri sul martirio di s. Pietro e di s. Paolo, di cui era stato testimonio. Bisogna pero notare che gli
scritti di s. Lino furono guastati dagli eretici, i quali sparsero in essi vari errori. Quelli che
attualmente corrono sotto al nome di s. Lino non sono più i libri scritti da lui.
Questo santo Pontefice tanto celebre per la sua fede e per la sua pietà riempiva Roma
collo splendore delle sue virtù e de' suoi miracoli. Il solo suo nome rendeva muti i demoni e col
semplice segno della croce li costringeva ad allontanarsi da coloro che ne erano posseduti. La
morte stessa ubbidiva alla sua voce, e nel corso del suo Pontificato risuscitò molti morti a vista
d'immensa moltitudine. Non solo i cristiani ma i medesimi pagani veneravano la sua virtù, e
nelle loro infermità venivano a cercar soccorso dal santo Papa. {38 [374]}
Saturnino, uomo consolare, cioè uno dei governatori di Roma, avendo una sua figliuola
inferma, ricorse al nostro santo, il quale col segno della santa croce la liberò sull' istante dallo
spirito maligno che da molto tempo la travagliava. Un miracolo di questa fatta avrebbe dovuto
convertire alla fede Saturnino. Ma i sacerdoti degli idoli gli riferirono che egli con quell'atto
aveva fatto ingiuria agli dei e perciò incontrato lo sdegno del sovrano. Il debole governatore per
paura di perdere l'amicizia di quegli idolatri e la grazia dell' Imperatore, per far vedere come egli
non aveva alcuna relazione co' cristiani ordinò, che fosse messo in prigione s. Lino, a cui poco
dopo fu tagliata la testa. Così il primo successore di s. Pietro riportava la corona del martirio il
23 di settembre l'anno 80 di Gesù Cristo, dopo aver governata la Chiesa undici anni, due mesi e
ventitrè giorni, calcolando il tempo da che s. Pietro fu messo in prigione. Il suo corpo fu
seppellito dai cristiani sul colle Vaticano vicino a quello di s. Pietro.
Si attribuisce a s. Lino l'istituzione del pallio pontificale, che è un ornamento {39 [375]}
largo due dita, fatto quasi a forma di frangia. Esso cinge il collo ed ha due striscie lunghe un
braccio, delle quali una pende sul pollo e l'altra di dietro. Il pallio dei vescovi è piccolo; quello
del Papa è assai più grande, e gli copre pressochè tutta la persona per indicare la pienezza di
autorità a lui conferita da Gesù Cristo. V. Burius. Brevis notitia Summ. P.
Capo X. Rovina di Gerusalemme e dispersione degli Ebrei.
Gli avvenimenti più notevoli del pontificato di s. Lino, oltre a quanto abbiamo detto, sono
la morte di Nerone, la rovina di Gerusalemme e il martirio degli Apostoli s. Bartolomeo e s.
Tommaso. Della morte di Nerone abbiamo già parlato, qui parleremo della rovina di
Gerusalemme. È questo un fatto dei più terribili che leggansi nella storia. I profeti avevano molti
secoli prima predetto che gli Ebrei in pena della loro {40 [376]} ostinazione contro la dottrina
del Vangelo e del deicidio che avrebbero commesso contro la persona del Salvatore, sarebbero
cacciati dai loro paesi, dispersi nelle varie parti del mondo senza re, senza tempio, senza
sacerdozio. Gesù Cristo poi predisse ancor più chiaramente la sventura degli Ebrei, asserendo
che sarebbero assediati in Gerusalemme, ridotti a strettezze inudite, che sarebbe distrutta la città,
incendiato il tempio, tutto il popolo disperso; e che tali cose sarebbero avvenute prima che altri
succedesse alla presente generazione.
Iddio, che è infinitamente misericordioso, volle prevenire quel popolo colla predicazione
e cogli avvisi dei santi Apostoli e con molti segni spaventosi, e fare, per così dire, l' ultima prova
onde condurlo a penitenza. Questi segni sono raccontati dagli scrittori cristiani e dai medesimi
ebrei. Giuseppe Flavio, dotto Ebreo, il quale ebbe gran parte in quei disastri, racconta fra le altre
cose, che nel giorno della Pentecoste fu udita una voce nel tempio che senza sapere donde
venisse, fortemente rimbombava: usciamo di qui, usciamo di qui. Un uomo chiamato{41 [377]}
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Anano venne dalla campagna alla festa dei Tabernacoli in tempo in cui non si parlava ancora di
guerra. Egli si pose improvvisamente a gridare cosi: guai al tempio, guai a Gerusalemme, voce
dall'oriente, voce dall'occidente, voce dai quattro venti, guai al tempio, guai a Gerusalemme. Egli
fu preso, messo in prigione, flagellato a morte, ma non si tenne mai dal correre e gridare per la
città con gagliarda voce per tre anni: guai al tempio, guai a Gerusalemme! Un giorno poi
correndo sopra i bastioni mandò una gran voce esclamando: guai a me stesso; e in quell'istante fu
colpito da una pietra sul capo, e spirò.
Una notte alle nove ore intorno al tempio ed all' altare risplendette una luce sì viva, che
per lo spazio di mezz'ora pareva pieno giorno. Una porta del tempio di bronzo era di un peso così
enorme, che ci volevano venti uomini per chiuderla: questa porta si trovò da se stessa aperta
senza che uomo l' abbia toccata. Alcuni giorni dopo in tutti i paesi vicini a Gerusalemme si
vedevano in aria eserciti schierati che la cingevano di stretto assedio. Comparì {42 [378]} una
cometa che vomitava fiamme a guisa di fulmine, ed una stella a forma di spada stette sospesa per
un anno intiero colla punta rivolta su quella città.
Tali sono i principali segni che annunziavano imminente la rovina di Gerusalemme. I
romani, certamente senza saperlo, furono gli strumenti dell'ira divina per compiere i disegai del
cielo. A Nerone era succeduto un imperatore di nome Galba e poi un altro di nome Vitellio, i
quali pei loro vizi e per la loro tirannia furono deposti dal trono, ed in loro vece proclamato un
gran generale di nome Vespasiano. Costui amava la giustizia ed era da tutti amato per la sua
affabilità, pel suo coraggio. Lo stesso Nerone lo aveva inviato contro agli Ebrei. Quando poi
Vespasiano fu proclamato imperatore lasciò un figlio di nome Tito a continuare quella guerra.
Gran numero di quelli che trovaronsi presenti alla morte del Salvatore vivevano ancora allorchè
gli eserciti romani vennero ad assediare Gerusalemme. L'assedio cominciò in un tempo che un
gran numero di forestieri era ivi accorso per celebrare le feste pasquali. Quella sventarala {43
[379]} città dopo ostinata ed inutile resistenza fa ridotta a tali strettezze che l'un l'altro si
strappavano di mano le cose più sozze per non morir di fame. E ciò che è orribile a dirsi le madri
nella loro disperazione giunsero a cibarsi della carne dei loro figliuoli. Un milione e cento mila
Ebrei rimasero trucidati, distrutta la città, arso il tempio, il resto di quel popolo fu disperso per le
varie parti del mondo E siccome Iddio aveva predetto che gli Ebrei sarebbero per sempre
dispersi, cosi malgrado ogni loro sforzo non poterono mai più ritornare in patria, nè riunirsi
altrove per formare un corpo di nazione. Quegli stessi avanzi che si conservano dispersi tra noi o
in altri luoghi sono pei cristiani argomento di verità della cristiana religione. Perciocchè quelli
che si convertirono alla fede sono un segno non dubbio che la conobbero divina, quelli poi che
non si convertirono sono un argomento del pari convincente, perchè in loro si avvera ogni giorno
una profezia del Vangelo, cioè che questo popolo vive disperso senza re, senza tempio, senza
sacerdote ed improntato dal marchio della divina maledizione. S. Lino {44 [380]} potè vedere gli
Ebrei fatti schiavi giungere, a Roma a schiere a schiere, ed essere condannati a gravi lavori per
innalzare un arco trionfale a Tito, ove si osserva tuttora il candelliere con sette rami tolto dal
tempio di Gerusalemme. V. Artaud in s. Lino.
Egli si valse certamente di quel fatto terribile per confermare nella fede gli Ebrei già
convertiti, e guadagnare quelli che erano meno ostinati; giacchè in quello sterminio i romani non
fecero altro che prestare il braccio alla vendetta celeste. Melch. Cesarotti. Vite dei 100 primi
Pont.
Capo XI. Apostolato e morte di s. Bartolomeo e di s. Tommaso
Apostoli.
L'anno quinto del medesimo pontificato di s. Lino e di G C. 75, riporto la corona del
martirio s. Bartolomeo. Questo santo Apostolo di nazione Galileo, di professione pescatore, da
che fu chiamato a seguire Gesù Cristo, non si allontanò {45 [381]} più da lui. Egli si trovò
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presente ai miracoli operati dal Divin Maestro durante la sua vita mortale. Dopo la venuta dello
Spirito Santo egli predicò nella Giudea, dipoi in molti paesi, e finalmente nell'Armenia. Quivi
operò molti prodigi in conferma delle verità che predicava, e dopo molte fatiche e molti
patimenti riuscì a guadagnare alla fede dodici intere città. La qual cosa eccitò grande invidia tra i
sacerdoti idolatri. Costoro per disfarsi del santo Apostolo eccitarono contro di lui Astiage fratello
del Re e seppero cosi bene armarlo di collera, che fatto prendere il nostro Santo ordinò che fosse
scorticato vivo; dopo di che vedendolo ancora a dare qualche respiro fecegli tagliar la testa.
L'anno settimo del pontificato di s. Lino e 77 di G. C. compì pure le sue fatiche l'apostolo
s. Tommaso. Dacchè gli Apostoli si separarono per andare a predicare il Vangelo ne' vari paesi
del mondo, Tommaso si portò verso le parti di Oriente. Egli predicò nella Persia e in molti altri
paesi barbari e feroci. Nei suoi viaggi fra gli altri si crede ch'egli abbia battezzalo i Re magi,
queglino {46 [382]} stessi che erano venuti ad adorare Gesù Bambino alla capanna di Betlemme.
Dopo di che in compagnia del santo Apostolo si diedero a predicare il Vangelo tra quelle nazioni
infedeli e coronarono la loro vita col martirio. Finalmente il nostro Apostolo penetrò nelle Indie,
dove nella città di Calamina coronò anch'egli il suo apostolato con un glorioso martirio. Così la
Chiesa di Gesù Cristo si andava ogni giorno dilatando a guisa di un grande albero, il quale
coltivato dai predicatori del Vangelo, inaffiato dal sangue del Salvatore e da quello de' suoi
Apostoli produceva frutti copiosi per tutta la terra.
Questi soldati di Gesù Cristo, colle fatiche e colla vita, sostennero l'onore del Re del
cielo; dando così luminoso esempio di ciò che deve fare ogni fedel cristiano; cioè essere pronto a
qualunque fatica, a qualunque patimento, affinchè il nome di Dio sia da tutti glorificato, ed il suo
regno si estenda sopra tutta la terra, siccome diciamo in principio dell'orazione domenicale:
venga il regno tuo. {47 [383]}
Capo XII. S. Cleto III Papa. - Sua patria, sua educazione, incontra s.
Pietro. - Presbiteri - Sacerdoti - Le formole salutem et Apostolicam
benedictionem - Pax vobis - Dominus vobiscum. - Dall'anno di G. C.
80 al 93.
È bene qui di notare come i cristiani hanno bensì goduto tranquillità durante il regno di
Vespasiano che fu di nove anni, e sotto a quello di Tito suo figlio che fu di due anni; tuttavia gli
editti di persecuzione non rivocati e l'odio dei pagani fecero immaginare delitti da imputare ai
cristiani. Inoltre dopo la distruzione di Gerusalemme gli Ebrei che avevano disperatamente
combattuto contro ai Romani, erano in ogni luogo trattati siccome schiavi e perseguitati
crudelmente. Per la qual cosa spesso avveniva che dai gentili confondendosi gli ebrei coi
cristiani erano gli uni invece degli altri perseguitati, posti in prigione, ed anche condannati a
morte. Perciò anche durante il pacifico regno di Vespasiano e di Tito la Chiesa di Gesù Cristo
ebbe molti fedeli coronati {48 [384]} del martirio. Ciò premesso passiamo a parlare di s. Cleto.
Appena portato il corpo di s. Lino ad essere seppellito vicino a quello di s. Pietro sul colle
Vaticano si pensò alla scelta di un successore. Questi avrebbe dovuto essere s. Clemente siccome
aveva indicato s. Pietro prima di sua morte; ma anche questa volta egli per umiltà volle cedere il
posto a Cleto d' età maggiore di lui; e Cleto fu da tutti riconosciuto per terzo Papa, successore di
s. Pietro e vicario di Gesù Cristo. La parola Cleto significa chiamato quasi che il nome stesso
venisse ad indicare come egli era in particolar maniera chiamato a governare la Chiesa in tempi
difficilissimi.
Esso era Romano; suo padre era gentile e chiamavasi Emiliano; per conseguenza il nostro
Santo fu educato, come s. Lino, nell'idolatria. Fortunatamente egli si recò a Roma quando s.
Pietro ivi predicava il Vangelo. Il suo vivo desiderio per la verità, coadiuvato dalla grazia, gli
fece presto conoscere la nullità dell'idolatria e la santità del cristianesimo, e si pose interamente
alla sequela del santo Apostolo, sia per prestargli quei {49 [385]} servigi di cui era capace, sia
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per vie più istruirsi nella fede. Sotto alla direzione di tal maestro, quale era s. Pietro, egli fece
maraviglioso progresso nella virtù e nella dottrina, sicchè ricevuto il Battesimo divenne presto il
modello della crescente cristianità. La sua mansuetudine guadagnava il cuore degli stessi pagani.
Il suo amore verso Gesù Cristo faceva a tutti conoscere che egli andava maravigliosamente
ricopiando dal suo Maestro la tenerezza ed il fervore verso il Salvalore. S. Pietro non ebbe più
difficoltà di ordinarlo prete e di poi vescovo, affinchè in sua assenza facesse le sue veci nei
borghi e nelle città vicine a Roma. Quando poi s. Pietro era a Roma lo teneva per coadiutore,
cioè prestavagli quei medesimi servigi che attualmente i Cardinali prestano al Sommo Pontefice.
Durante il pontificato di s. Lino egli erasi con gran zelo adoperato sia per sostenere la fede in
Roma, sia per andarla a portare in quei paesi dove non era ancora stato udito il nome di Gesù
Cristo. Alla morte poi di Lino i tempi erano critici per la Chiesa, specialmente per la successione
di Domiziano all' impero, che {50 [386]} era avversissimo al cristianesimo. Perciò era
propriamente necessario un uomo che avesse l'ingegno e la pietà di s. Cleto per governare la
Chiesa. Egli qual pastore supremo facendosi tutto a tutti soccorreva largamente i poveri colle
limosine, consolava gli afflitti colle istruzioni e colle lettere e inspirava a tutti santità e coraggio
colle sue virtù. In una parola egli provvedeva a tutti i bisogni del gregge, comunque fosse
numeroso.
S. Pietro negli ultimi anni di sua vita aveva conosciuto il bisogno di ripartire la cura dei
fedeli di Roma tra più ministri, affinchè ciascuno avesse cura di quella porzione di gregge che
venivagli affidata. Non avendo egli potuto ciò fare, attesa la fierezza della persecuzione di
Nerone, ordinò che lo facessero i suoi successori. S. Cleto pertanto secondo il comando del suo
maestro scelse venticinque presbiteri e a ciascuno di loro diede la cura di una parte di fedeli, a
guisa di altrettante parrocchie. Quei parroci ovvero quei sacri ministri erano detti presbiteri cioè
vecchi, non perchè fossero tutti di età avanzata; ma per la scienza e santita che in loro è
necessaria e che {51 [387]} devono possedere. Più tardi i presbiteri furono detti sacerdoti quasi
dote sacra, perchè i sacerdoti debbonsi considerare come un dono intieramente offerto e
consacrato al Signore.
Raccontano pure accreditati scrittori che s. Cleto sia stato il primo ad usare le parole:
salutem et apostolicam benedictionem, salute ed apostolica benedizione; della quale formola si
servono i sommi pontefici per salutare i fedeli cristiani quando loro indirizzano qualche scritto.
Con questa formola il Papa viene a qualificarsi sommo Pontefice e successore degli Apostoli.
I Vescovi come successori degli Apostoli, dicono: pax vobis, la pace sia con voi; le quali
parole sono state proferite da Cristo allorchè comparve agli Apostoli dopo la sua risurrezione.
I sacerdoti poi come inviati da Dio ad eseguire i suoi ordini in terra dicono ai fedeli
cristiani: Dominus vobiscum, il Signore sia con voi. Le quali parole sono state usate dall'Angelo
Gabriele allorchè salutò la B. Vergine, come pure furono usate da un altro angelo quando disse
{52 [388]} a Gedeone: Dominus tecum, il Signore sia con te.
Capo XIII. Origine delle stazioni. - Prime chiese cristiane. - Seconda
persecuzione. - Martirio di s. Cleto nell'anno 93.
Sotto al pontificato di s. Cleto si levò la seconda persecuzione contro alla Chiesa,
suscitata dall'imperatore Domiziano. Il rigore era estremo, e Cleto per dare comodità ai cristiani
di potersi recare da lui in caso di bisogno e praticare i doveri di religione fece una chiesa della
stessa sua casa che era situata in un quartiere di Roma detto le Terme di Filippi nel Rione dei
Monti. Si dice che dal concorso che i cristiani facevano a questa chiesa abbiano avuto origine i
pellegrinaggi alle varie chiese di Roma; che furono di poi detti Stazioni, perchè il popolo giunto
al luogo stabilito si fermava per ascoltare la parola di Dio o per assistere ai divini misteri.
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Questi luoghi destinati al culto di Dio, {53 [389]} cominciarono fin d' allora a prendere il
nome di chiese per distinguerle dai templi, col qual nome i gentili solevano chiamare i luoghi
ove erano soliti a radunarsi per adorare le loro false divinità. V. Burio e Novaes vita di s. Cleto.
Erano dodici anni che s. Cleto governava la Chiesa colla saviezza e vigilanza degna di un
discepolo di s. Pietro quando l'imperatore Domiziano spinse a spaventosi eccessi la persecuzione
contro ai cristiani. Tertulliano dice che la crudeltà di costui partecipò di quella di Nerone. Nel
suo orgoglio o piuttosto nella sua pazzia egli voleva essere riconosciuto e adorato qual vero Dio.
Con tali nefandità pel Capo risolse di volere a qualunque costo distruggere la cristiana religione,
come quella che propone ed ammette un solo vero Dio creatore del cielo e della terra. Non si
possono esprimere le crudeltà usate da questo tiranno contro ai servi di Dio. La persecuzione fu
tremenda in tutto l'impero; si contano a migliaia le vittime che ogni giorno erano sacrificate al
suo furore.
Ma egli stimava poco lo sterminio del gregge, finchè restava in vita il pastore. {54 [390]}
Comandò pertanto che fosse cercato il Pontefice; e fu facile il trovarlo, perciocchè dì e notte egli
scorreva nelle case e nelle campagne per amministrare i santi sacramenti ed incoraggire i fedeli a
mantenersi fermi nella fede, e dare la vita piuttosto che rinnegare Gesù Cristo. Cleto fu arrestato
e condotto in prigione carico di catene.
L'allegrezza che egli dimostrò quando fu incatenato e messo in prigione, il vivo desiderio
di dare la vita per Gesù Cristo, riempì tutti di stupore. L'impazienza poi del tiranno di farlo
morire, lo rese esente da molti supplizi. Egli fu martirizzato nel dì 26 aprile dell'anno 93 di Gesù
Cristo, dopo avere governata la chiesa dodici anni e sette mesi. Il suo corpo fu seppellito vicino a
quello di s. Pietro in Vaticano.
La città di Ruo nelle Calabrie, regno di Napoli, onora s. Cleto per suo patrono. Le
memorie antiche di questa chiesa ci assicurano che l'anno 44 di Gesù Cristo, s. Pietro inviò s.
Cleto in questa città a portare la luce del Vangelo, ed avendone convertiti gli abitanti nè fu il
primo vescovo. V. Fasti della chiesa ne' suoi santi vol. 4. Ricard art. Ruo. {55 [391]}
Capo XIV. Martirio di S. Giovanni Evangelista.
Il modo con cui Domiziano trattò le persone più qualificate, e perfino i suoi più prossimi
parenti, ci fa conoscere fino a qual punto fosse giunta la violenza della persecuzione. Fece egli
morire un console di nome Flavio suo cugino. Altri moltissimi furono condannati a morte, o
mandati in esilio o spogliati dei loro beni. Ma ciò che rende famosa questa persecuzione fu il
martirio di s. Giovanni apostolo ed Evangelista.
Questo discepolo di Gesù Cristo aveva già sofferta la prigione, le battiture ed il disprezzo
con s. Pietro nella persecuzione, che i Giudei mossero agli Apostoli dopo la morte di s. Stefano.
Egli era andato a predicare il Vangelo in varie città dell'Asia. Dopo la morte di s. Pietro e di s.
Paolo, egli si diede a percorrere le chiese da lui fondate, e per provvedere ai bisogni delle altre
chiese vicine, stabilì sua regolare dimora nella città di Efeso. {56 [392]}
Egli patì molti mali da parte dei Gentili, che secondando la tirannia dell'imperatore
volevano distruggere in ogni luogo la religione cristiana. Il santo apostolo fu bandito da Efeso, e
dopo qualche tempo condotto a Roma carico di catene, chiuso in orrida prigione. L'imperatore
informato del carattere e delle qualità di questo eroe cristiano volle vederlo. San Giovanni
comparve davanti al tiranno colla modestia, e coll' aria di dolcezza e di santità, che fu sempre il
carattere distintivo di questo caro discepolo del Salvatore. La sua età lo rendeva ancora più
venerabile, e l'imperatore parve percosso alla vista di quel vecchio venerando.
Volle egli stesso interrogarlo sopra la sua religione. Bisogna, gli disse Domiziano, che tu
rinunzi ad una religione la cui morale è nemica dei piaceri del senso, e i cui dogmi sono
incomprensibili; è meglio che tu passi alla nostra, dove tu potrai finire i tuoi giorni in pace. A
questa proposizione il santo apostolo si fece a rispondere cosi: non credere, o imperatore, che noi
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ci lasciamo allettare dalle promesse. Non vi è che un solo Dio, e questo Dio è colui che io adoro.
La più {57 [393]} grande ventura per me si è di dare per lui il mio sangue; egli è lungo tempo
che io aspetto e sospiro un cosi bel momento.
L'imperatore parve sorpreso per la fermezza e la nobile risposta del Santo. Di poi scosso
dal suo stupore, e dando nelle smanie ordinò che sull'istante il santo fosse gettato in una caldaia
d'olio bollente, e così fatto morire.
Avvi in Roma una grande piazza vicino alla porta chiamata Latina, perchè essa conduce
alle città del Lazio, ovvero paese di un antico popolo detto Latino, che oggidì si chiama
Campagna di Roma. Tale piazza fu scelta per luogo del supplizio del nostro apostolo. Fu ripiena
d'olio una grande caldaia, e collocata sopra un ardente fuoco. L'età, la riputazione, la
magnanimità del santo attirò il senato e la più gran parte dei cittadini.
Il santo apostolo fu spogliato e crudelmente battuto secondo le leggi romane, che
ordinavano questo supplizio a tutti quelli che erano condannati a morte. Dopochè ebbe il corpo
tutto lacero e tutto grondante di sangue fu preso e attuffato nella caldaia bollente. Il Signore però
voleva dare al suo servo la gloria {58 [394]} del martirio, come aveva predetto ma voleva ancora
conservarlo pel bisogno della Chiesa con nuovo miracolo, simile a quello operato in favore dei
tre fanciulli gettati nella fornace di Babilonia. Quell'olio bollente divenne pel santo un bagno
rinfrescante che guarì sul momento tutte le sue piaghe. E poichè gli esecutori degli ordini
imperiali si davano la più grande sollecitudine per rendere il fuoco violento, furono colpiti dalle
stesse fiamme, che fomentavano. Il miracolo era troppo evidente e troppo sensibile per essere
senza effetto. Tutti ne furono commossi ed un gran numero si convertì alla fede. Lo stesso
imperatore, avuta di ciò relazione dal senato, parve così spaventato, che più non cercò la morte
del valoroso atleta, ma si contentò di mandarlo in esilio in una piccola isola del mare Egeo, o
Arcipelago, chiamata allora Patmos, ed oggidì Potina o Palmosa, dove restò fino alla morte di
Domiziano. Mentre il nostro santo era colà in esilio, fu grandemente consolato da maravigliose
rivelazioni, che furono da lui scritte e formano un libro sacro che noi chiamiamo Apocalisse. I
cristiani volendo onorare la memoria {59 [395]} di questo glorioso avvenimento fabbricarono fin
dai primi secoli una chiesa sotto al titolo di s. Giovanni avanti la porta Latina, e si conserva
ancora oggidì là in quel luogo medesimo, ove il santo apostolo fu gettato nell'olio bollente. V.
Tert. Bolland. 6 magg.
Capo XV. S. Clemente I. quarto Papa - Sua educazione, sue relazioni
con S. Pietro e S. Paolo - Succede a S. Cleto - I Sette notai - Abiti
sacerdotali - Canone della Messa - Benedizione dei frutti della terra.
Quando s. Paolo dalle prigioni di Roma scriveva ai cristiani di Filippi, annoverò fra i suoi
coadiutori Clemente con altri santi predicatori il cui nome era scritto nel libro della vita. Quel
Clemente è quello stesso che fu più tardi eletto Papa.
Egli era figlio di un senatore Romano di nome Faustino; sua madre nominavasi Mattidia.
Clemente già illustre per nascita, si rese assai più celebre per merito personale. Dotato d'ingegno
egli fece maravigliosi progressi nelle belle lettere, {60 [396]} nella lingua greca e nella filosofìa
profana. Ma gli mancava la cosa più essenziale cioè la cognizione delle verità della fede, senza
cui nulla vale l'ingegno degli uomini.
Essendosi recato a Filippi gli avvenne di udire s. Paolo a predicare. Illuminato dalla
parola e dalla grazia di Dio risolse di farsi cristiano; e s. Giovanni Grisostomo dice che fin d'
allora divenne compagno dell'apostolo delle genti, come lo furono S.Timoteo e s. Luca. Avendo
s. Clemente seguito s. Paolo a Roma, ebbe la bella sorte di udire a predicare s. Pietro, e di essere
testimonio dei miracoli che i due apostoli operarono. Istruito alla scuola di tali maestri ne
approfittò in modo straordinario, e come dice s. Ireneo, egli aveva così profondamente scolpite
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nella mente e nel cuore le loro massime, i loro precetti, che pareva sentirsegli risuonare
continuamente all'orecchio.
S. Pietro lo scelse pel suo coadiutore e a tal fine lo aveva consacrato vescovo e suo
vicario, affinchè lo aiutasse specialmente nel tempo che egli si allontanava da Roma; anzi il
medesimo s. Pietro lo mandò a predicare in vari paesi. {61 [397]}
Egli vide i due principi degli apostoli a finire la vita col martirio, la qual cosa contribuì ad
infiammare la sua carita, a rafforzare il suo zelo e a rendere immobile la sua fede. Pare che s.
Pietro lo abbia nominato suo successore; ma poichè s. Lino e s. Cleto erano maggiori d'età, per
solo spirito di umiltà volle cedere ai suoi compagni il posto nel Pontificato, contento di potersi
seco loro adoperare per sostenere i cristiani nella fede, e per convertire i gentili. Di qui avviene
che alcuni hanno creduto essere stato s. Clemente immediato successore di s. Pietro. Ma egli non
ne fu se non coadiutore durante il Pontificato di s. Lino e di s. Cleto. L'anno 93 di G. C., mentre
infieriva la persecuzione di Domiziano, egli fu eletto a governare la Chiesa dopo il martirio di s.
Cleto.
Appena Clemente, primo di questo nome, assunse il governo della chiesa, mostrò
chiaramente come lo spirito di s. Pietro erasi in lui trasfuso, governandola con ammirabile
mansuetudine e saviezza. Siccome i cristiani erano in gran numero condotti al martirio, spesso
avveniva che le loro azioni e le loro parole {62 [398]} passavano inosservate in mezzo alle turbe.
Egli pertanto stabilì sette notai, ovvero scrivani, ai quali divise la città di Roma in sette rioni
ossia scompartimenti affidandone uno a ciascheduno. Era cura di questi notai di scrivere con
diligenza e verità i trionfi dei martiri, gli interrogatorii sostenuti, le risposte date quando si
trovavano dinanzi ai giudici, dinanzi agli imperatori, ed anche quando erano in mezzo ai
supplizi. In questa maniera giunsero a noi quelle preziose notizie, che servono mirabilmente per
eccitarci a seguire i loro esempi di eroica pazienza e fortezza nel sostenere la fede di G. C., colla
speranza del medesimo premio che essi già godono in cielo. Questa disposizione di s. Clemente
dimostra quanta sollecitudine abbia in ogni tempo usata la Chiesa per tramandare con esattezza
le azioni dei martiri, e dovrebbe anche appagare coloro che non sanno comprendere come que'
tratti di eroismo, quei sublimi discorsi, e quei medesimi prolungati colloqui abbiano potuto
venire sino a noi.
Si crede che s Clemente abbia mandato s. Dionigi l'areopagita nelle Gallie {63 [399]} a
continuare la predicazione del Vangelo già cominciata da s. Lino 25 anni addietro. Egli poi
ovunque si fosse trovato amministrava la divina parola con tal fervore, che molti gentili
abbandonando i loro errori, entrarono nell' ovile di Cristo, e divennero modelli di santità.
Siamo debitori a s. Clemente di più cose da lui stabilite pel divin culto. Egli ordinò la
forma di vari abiti sacerdotali, di cui servonsi i sacri ministri nella santa Messa. Volle che i
corporali, cioè quelle piccole tovaglie sopra cui il sacerdote depone l' ostia od il calice nella
celebrazione della Messa, fossero lavati in un vaso a ciò preparato. A lui pure si attribuisce
quella parte della Messa che dicesi Canone. Affinchè poi i cristiani riconoscessero la divina
provvidenza in tutte le cose stabilì una formola con cui dovessero benedirsi i frutti della terra.
Ordinò pure che al battezzato venisse amministrato il sacramento della Cresima al più presto
possibile.
Mentre s. Clemente si occupava nello stabilire le cose ordinategli da s. Pietro, e si
adoperava per inviare degni ministri a portare la luce del Vangelo in {64 [400]} vari paesi della
terra, insorsero due calamità che somministrarono largo campo allo zelo e alla fermezza di
questo Pontefice. Queste furono lo scisma di Corinto, e la persecuzione di Domiziano, che
continuò ad infierire sotto al suo pontificato.
Capo XVI. Scisma di Corinto e lettera di S. Clemente.
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La città di Corinto era stata istruita nella fede da s. Paolo, e quei fedeli furono per molto
tempo proposti come modelli di virtù e santita. Ma dopo la morte del santo Apostolo
cominciarono a raffreddarsi nella fede, ed alcuni si studiavano di pervertire la verità del Vangelo,
predicando cose affatto contrarie a quanto egli aveva insegnato. Anzi alcuni laici vollero
mischiarsi nelle cose di religione e animati dallo spirito di cabala inventarono calunnie contro ai
sacerdoti, e perseguitandoli giunsero a farne deporre alcuni dai loro uffizi. Questa
insubordinazione all' autorità ecclesiastica dicesi scisma, la qual parola significa rottura o {65
[401]} divisione, ed è quando uno o più cristiani ricusano di obbedire alla Chiesa, o non
vogliono credere qualche verità di fede.
Tieni a mente, o lettore, che quando nascono simili turbolenze religiose, l'immoralità e i
disordini trionfano nei popoli. Così i Corinti cominciarono a dispregiare la religione, e facendo
quasi più nissun conto de' loro pastori, deridevano le verità, che loro si predicavano.
In mezzo a quei mali non trovarono migliore spediente che ricorrere alla Chiesa Madre e
maestra di tutte le altre, a quella di Roma. Papa s. Clemente ben informato delle cagioni di quei
mali, scrisse ai Corinti una lettera molto commovente e nello stesso tempo istruttiva, e si può
dire che è uno de' più belli monumenti delle antichità cristiane. Il Pontefice cominciò cosi: «la
Chiesa di Dio, che è a Roma, a quella di Corinto, a coloro che sono chiamati e santificati per la
volontà di Dio nel nostro Signor Gesù Cristo. La grazia e la pace del Signore onnipotente si
accresca sopra ciascuno di voi.» Quindi egli mette davanti ai loro occhi la pazienza e la dolcezza
del Creatore verso le creature che egli ha fatto dal {66 [402]} niente, la docilità con cui tutte le
creature ubbidiscono alla divina volontà; la sommissione colla quale i cieli, la terra, il mare e
tutto il mondo eseguiscono gli ordini del Supremo Signore. «Se noi consideriamo, egli dice,
quanto Iddio sia vicino a noi, e come niun nostro pensiero gli può rimanere occulto, noi
dobbiamo certamente studiar di evitare tutte le cose che sono contrarie a' suoi divini voleri, e
soggettarci a quelli che egli ha collocato sopra di noi. Dobbiamo frenare la nostra lingua e
dominarla coll'amor del silenzio. Educate i vostri figli in questi sentimenti, abbiate cura di far
loro imparare quanto sia grande la virtù della carità e dell'umilta presso Dio, e quanto sia
prezioso il timor di Dio» Il santo vuole che ognuno fugga l'ozio e la negligenza, perchè
solamente colui che lavora ha diritto di vivere. Indi continua cosi: «noi dobbiamo perciò fare con
zelo tutte quelle opere buone che possiamo, perchè Iddio creatore di tutte le cose si compiace
delle nostre proprie opere. Ciascuno mantenga l'ordine e il grado, in cui Iddio per sua bontà lo ha
collocato. Colui che è debole {67 [403]} rispetti il forte, chi è ricco assista il povero, e il povero
benedica Iddio del modo con cui egli provvede a' suoi bisogni. L'uomo savio faccia vedere la sua
saviezza non in parole, ma in buone opere. Chi è umile non parli con vanto di se medesimo, nè
faccia pompa delle sue azioni. Colui che è casto non si lasci prendere dalla superbia, sapendo che
il dono della purità non viene da lui. I grandi non possono sussistere senza i piccoli, nè i piccoli
senza i grandi. Nel corpo umano la testa non può far nulla senza i piedi, nè i piedi senza la testa.
Il corpo non può fare a meno dei servizi dei piccoli membri.»
Cosi il santo Pontefice insegna, che quelli i quali occupano gli ultimi posti nel mondo
possono essere i più cari a Dio. Egli ricorda ai pastori ed ai superiori che devono vivere
nell'umiltà e nel timore, e non proporsi altro scopo che la gloria di Dio nelle loro azioni.
Pieghiamo, egli dice, per tutti quelli che sono divisi, affinchè ottengano la moderazione e
l'umiltà, si sottomettano non a noi ma alla volontà di Dio.
Dopo di aver cosi accennate le virtù {68 [404]} e le obbligazioni proprie di ogni cristiano
per conservare la carità vicendevole, fa questo dolce rimprovero: «Perchè esistono tra di voi
querele e divisioni? Noi abbiamo tutti lo stesso Dio, uno stesso Cristo, uno stesso spirito di
grazia sparso sopra di noi, una stessa vocazione in G. C. Perchè laceriamo le membra sue e
facciam guerra al nostro proprio corpo? Siamo forse insensati a segno di dimenticare che siamo
gli uni membra degli altri? La vostra divisione, o fedeli, ha pervertito molte persone, altre ne ha
scoraggiate, e ci ha tutti immersi nell' afflizione. Togliamo prontamente questo scandalo,
gettiamoci ai piedi del Signore, supplichiamolo con un fonte di lacrime a perdonarci e stabilirci
nella carità fraterna.»
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I Corinti avevano mandato a Roma un fervoroso fedele di nome Fortunato, per esporre
alla santa sede la trista divisione di quella città. S. Clemente mandò lo stesso messaggiere con
quattro altre persone a portare la lettera, raccomandando loro di tornar prestamente.
«Vi raccomando, conchiudeva la sua lettera, dì far presto partire quelli che {69 [405]} vi
portano questa lettera, affinchè possiamo tosto sapere se lo scisma sia cessato tra di voi, e se voi
godete di quella pace, che noi tanto desideriamo e domandiamo continuamente al Signore colle
nostre orazioni; insomma che noi possiamo rallegrarci della carità e dell'ordine stabilito tra voi.»
Quella lettera fece tale impressione sopra l'animo dei Corinti, che rientrando in se medesimi si
riconciliarono coi propri pastori, chiesero perdono della loro ostinazione e venerarono tutti la
parola del Vicario di Gesù Cristo che era in Roma.
Capo XVII. Martirio de' santi Nereo, Achille e Domitilla.
S. Clemente ebbe pure molto a faticare, molto a patire per la fede per la persecuzione di
Domiziano, il quale continuava nel cieco furore di voler distruggere il cristianesimo. Tra i martiri
più illustri di questa persecuzione si annoverano due fratelli di nome Nereo ed Achille, e
Domitilla, i quali ebbero molta relazione col sommo {70 [406]} Pontefice. Nereo ed Achille
erano stati istruiti nella fede da s. Pietro, e da lui stesso battezzati. Divenuti grandicelli furono
posti a servizio di Domitilla, che era una principessa nipote dell'imperatore. La santità della loro
vita era un modello per tutti. La medesima padrona ne era come incantata, e volendo spesso
discorrere di quella religione che faceva i suoi seguaci cotanto virtuosi, giunse essa medesima a
conoscere la verità, e deliberò di rinunziare alle nozze vantaggiose che le erano offerte da un
principe di nome Aureliano, per consacrare la preziosa virtù della verginità a Gesù Cristo.
Deliberata di non voler più piacere ad altri che a Gesù Cristo, ella chiamò a sè Nereo ed Achille,
e loro disse: poichè Dio si è servito di voi per inspirarmi il desiderio di consacrarmi tutta a lui,
additatemi ancora la via da tenere per averne presto i segni. Ella parlava della benedizione che
allora ricevevano le vergini e del velo che portavano in segno di celibato. Nereo ed Achille pieno
il cuore di gioia corrono da s. Clemente e gli manifestano la risoluzione della principessa. Il
santo Pontefice benedicendo il Signore volle {71 [407]} egli stesso recarsi a casa di Domitilla, e
trovandola ferma nel suo proposito le indirizzò queste parole: avete voi pensato, o figlia, al crudo
combattimento che dovrete sostenere contro Aureliano, che vi attende in matrimonio?
Certamente egli non mancherà di accusarvi presso l'imperatore, e voi non potrete evitare il
martirio. E non è questa, rispose la coraggiosa verginella, la più beila ventura che mi possa
avvenire? Io conto poco le mie forze, ma attendo tutto dalla grazia onnipotente del mio celeste
Sposo; e la persecuzione non farà altro che anticipare la mia felicità e la mia gloria.
S. Clemente mosso da questa generosa risposta, e ancora più dal desiderio, che la santa
dimostrava di volersi intieramente consacrare al Signore, la benedisse e le mise il velo sopra la
testa.
La predizione del santo Pontefice non tardò molto ad avverarsi; lo sposo di Domitilla ne
divenne furioso, e dopo di aver impiegato inutilmente le promesse e le minacce, si rivoltò contro
a tutti i cristiani come se fossero cagione di quel rifiuto. I primi ad essere messi a dura prova
furono Nereo ed Achille. Egli ottenne {72 [408]} che fossero sferzati nel modo più crudele. Ma
tornando inutile ogni minaccia e tormento, furono mandati in esilio a Terracina, città dello Stato
Pontificio sui confini del Regno di Napoli.
Il Governatore di quei paesi prevenuto da Aureliano provò la loro costanza usando tutte
le arti per risolverli ad offerire incenso agli Idoli. Il loro coraggio sbalordì il tiranno. Noi,
risposero, siamo stati battezzati dall'Apostolo Pietro, e illuminati nella fede non possiamo più
riconoscere altro Dio che quello dei cristiani. Noi deploriamo la sventura e l'accecamento de'
pagani che si studiano di fare quasi altrettanti dei, quanti sono gli uomini malvagi, e vie più li
compiangiamo perchè in mezzo a tante divinita adorano le proprie passioni. Una risposta così
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risoluta irritò il governatore il quale espose i due eroi ai più atroci tormenti e finì col far loro
troncare la testa. Questo glorioso martirio avveniva il 12 maggio l' anno 96 di G. C.
Allora tutta la rabbia si volse contro a Domitilla. Ella fu esiliata nell'isola Ponzia vicino a
Terracina, e per abbattere la costanza di lei furonle date compagne {73 [409]} due sorelle di latte
della santa di nome Eufrosina e Teodora. Aureliano aveva loro promessi ricchi doni se fossero
riuscite a farle cambiar proposito. Non fu arte, industria e lusinga che non sia stata adoperata
dalle astute compagne, finchè Domitilla stanca di tante importunità fece loro questa domanda.
Ditemi: chi avesse fatto promessa di nozze ad un ricco signore, dovrebbe rinunziarvi per
accettare la proposta che fosse per farle uno schiavo? No certamente, quelle risposero; eccetto
che si avesse perduta la testa. E perchè dunque, riprese la Santa, mi andate rimproverando se io
opero così? Consacrando a Dio la mia verginità, io son divenuta la sposa del suo figliuolo unico
G. C. Questa gloriosa alleanza deve durare per tutta l'eternità. I vantaggi di questo stato felice
saranno infiniti; che ve ne pare? Debbo io preferire al figliuolo unico del Dio vivente l'alleanza
di un uomo, che da un momento all'altro può essere tolto dal mondo?
A tali parole quelle non sapevano più che dirsi, tuttavia non volevano darsi per vinte, e
Teodora si fece a parlare così: Ascoltate, o principessa, se è vero quanto {74 [410]} del vostro
sposo divino ci dite, fate che egli renda la vista ad un mio fratello che ha perduto ambi gli occhi,
e noi vi crederemo. Vostro fratello è lontano, rispose Domitilla, e il miracolo succederà troppo
tardi; ma voi avete una serva muta; fatela venir qui e vedrete più prontamente risplendere la
potenza di Gesù Cristo. La muta comparve. Domitilla prega; la serva acquista sull'istante la
parola, e il primo uso che ne fa si è pubblicare che non vi è che un solo vero Dio e che quel Dio è
quello dei cristiani. A questa maraviglia Eufrosina e Teodora si gettano ai piedi di Domitilla,
dichiarano che elleno pure non vogliono più altro sposo che Gesù Cristo, e si manifestano
pubblicamente cristiane. Aureliano informato di tale cosa, si accordò col Governatore, nemico
mortale dei cristiani, e fece mettere il fuoco alla casa entro cui erano Domitilla, Teodora ed
Eufrosina, le quali furono tutte immolate al Dio vivente, consumando così il loro glorioso
martirio tra le fiamme. Queste eroine del cristianesimo erano coronate del martirio dopo la morte
di Domiziano, quando cominciava {75 [411]} ad infierire la terza persecuzione sotto
all'imperatore Traiano.
Capo XVIII. Interrogatorio, esilio e martirio di S. Clemente - miracoli
avvenuti alla sua tomba.
L'imperatore Traiano è molto lodato nella storia per la sua clemenza, e sul principio del
suo impero si dimostrò alquanto favorevole ai cristiani, ma dopo alcuni anni mosso dall'amore
delle sue divinita; irritato perchè i gentili venivano in folla alla fede abbandonando e lasciando
deserti i templi degli idoli, egli cominciò a perseguitare i cristiani. È questa la terza persecuzione,
la quale non fu tanto generale e tanto feroce come le antecedenti, ma perchè fu lunga assai,
procurò un gran numero di martiri.
Il Pontefice s. Clemente era più d'ogni altro conosciuto sia per le sue elemosine, sia per la
predicazione, sia per la dignità di Capo della Chiesa. Egli era amato da tutti; i medesimi pagani
veneravano la sua virtù. Onde non gli si voleva fare {76 [412]} alcun male nella persona, ma
solo fargli rinnegare la fede. Preso e condotto alla presenza del governatore di Roma, detto
Mamertino, fu da esso accolto con bontà. Dopo di avergli raccomandato di non voler far torto
alla grandezza del suo nome; Tu, gli diceva, farai cosa gloriosa, se appagherai il popolo
offerendo incenso ai nostri dei. La sua risposta fu conforme alla sua fede, cioè un solenne rifiuto.
Allora Mamertino credette bene di avvisare l' imperatore della risoluzione del Pontefice e della
sua fermezza nella fede. Traiano acceso di sdegno rispose che fosse immediatamente mandato in
esilio.
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Il governatore fece l'ultimo sforzo per guadagnare il Pontefice; ma il generoso confessore
rispondeva costantemente che nè l' esilio, ne la morte non l' avrebbero mai indotto ad adorare gli
dei dell'impero. Anzi colle risposte e colle ragioni giunse quasi a guadagnare lo stesso
Mamertino; che se non riuscì a convertirlo intieramente, potè almeno inspirargli sentimenti più
benevoli in favore dei cristiani. Egli fu con rincrescimento che mandò il nostro santo in esilio.
Allorchè si separò da lui ne fu intenerito fino alle lagrime {77 [413]} e fra le altre cose gli disse:
Io spero che quel Dio che voi adorate non vi abbandonerà, e che nella vostra disgrazia egli vi
consolerà e vi porterà soccorso. Così quel governatore sebbene in cuor suo provasse ripugnanza
nell' operare il male, tuttavia per timore di perdere l'amicizia del suo sovrano commise
un'abbominevole ingiustizia mandando un uomo innocente alla dura e severa pena dell'esilio.
Lungo e faticoso fu il viaggio che s. Clemente ebbe a fare per recarsi al luogo di suo
esilio detto Chersoneso Taurico, oggi Crimea; colà fu condannato a lavorare nelle miniere. Un
papa illustre per nascita, commendevole per la sua dignità, glorioso pe' suoi meriti, venerabile pe'
suoi bianchi capelli e ancor più per la santità della sua vita, discende in quegli orridi sotterranei e
si sottomette insieme con una turba di malfattori a scavare la terra, intagliare pietre, e bagnare
quelle caverne col sudore della sua fronte, e così impiegare in questo bassissimo lavoro il tempo
destinato a guidare per la strada del cielo il gregge di Gesù Cristo. Ma che fa il santo pontefice a
{78 [414]} queste dure prove? Egli alza gli occhi al cielo, adora i decreti di Dio, e richiamando
alla memoria che il primo carattere del cristiano è quello di patire per G. C, egli si stima
fortunato di poter così imitare quel Gesù di cui era Vicario.
S. Clemente ebbe la consolazione di trovare nel luogo del suo esilio due mila fedeli per la
fede condannati ai medesimi lavori. Quei cristiani oltre alle altre pene dovevano sopportare
un'ardentissima sete. Perciocchè il luogo era secco e quasi tutto coperto di orridi sabbioni, e in
mezzo di quelle rupi che il cielo aveva arricchito di vene d' oro e d' argento, non si vedeva a
scorrere goccia d'acqua, la quale perciò doveva con gran fatica essere colà trasportata da
parecchie miglia. Il santo intenerito dalle lacrime e dalle afflizioni dì quegli illustri esiliati si
volse a Gesù Cristo, e colla fede propria dei gran santi lo supplicò di avere pietà de' suoi servi
fedeli. La preghiera del Pontefice giunge al trono di Dio, e Iddio con un miracolo fece là vicino
scaturire una fonte di acqua limpida e perenne. Sparsa tale notizia corrono da tutte parti per
esserne {79 [415]} testimoni di vista, e mentre andavano proclamando il Santo qual nuovo Mosè
molti infedeli si convertirono alla fede.
L'imperatore Traiano informato delle conversioni che per opera di Clemente si facevano,
scrisse al prefetto, di nome Aufidio, e gli ordinò di usare tutti i mezzi capaci di condurre
nuovamente al culto degli idoli coloro che per quel miracolo eransi fatti cristiani. Ma tutti si
rifiutarono, anzi offrivansi pronti a spargere per la fede il loro sangue. Il ministro dell'imperatore
sacrificò molte vittime; quando poi vide che con animo forte ed allegro si presentavano alla
morte, e la vista della morte stessa li faceva diventare più coraggiosi e più fermi nella fede,
risolvette di percuotere il pastore per potere più facilmente disperdere il gregge. Egli adunque
chiama a sè Clemente, e lo stimola a sacrificare agli idoli, lo accarezza, lo minaccia per sedurlo;
ma vedendo che le buone parole a nulla riuscivano lo condannò alla morte. Per impedire che
rimanesse a quei fedeli alcuna memoria del Santo, comandò che fosse gettato in mare con un
grosso macigno al collo. Credeva egli che sarebbe presto lasciato {80 [416]} in dimenticanza un
uomo, di cui non fosse conservata cosa alcuna, come se il miracolo dell' acqua uscita dalla pietra
non fosse un monumento sensibile e durevole della potenza divina manifestata per mano del
santo Martire. Fu adunque precipitato nel mare a vista de' suoi più cari figliuoli, che seguivano
cogli occhi e col cuore il loro tenero padre.
Que' fedeli immersi in profonda afflizione si posero tutti ginocchioni, e mentre pregavano
videro il mare allontanarsi dalle spiagge e scoprire il suo seno per lasciare via aperta e asciutta a
chi volesse visitare la tomba che il Signore aveva fatto preparare al suo servo fedele; Tutti lieti
per quel prodigio camminarono giù nel profondo delle acque e trovarono un tempio di marmo
con entro una cassa che chiudeva il corpo del Santo, accanto a cui vedevasi il macigno col quale,
era stato sommerso. Ogni anno solevasi operare il medesimo prodigio ritirandosi il mare per sette
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giorni affinchè ognuno avesse la consolazione di poterlo visitare. Questi miracoli congiunti alla
vita santa di Clemente fecero tal sensazione nell' animo di quei {81 [417]} popoli, che in tutto il
paese non restò più nè ebreo, nè eretico, nè pagano che non venisse alla fede.
Così s. Lino, s. Cleto e s. Clemente tutti e tre ammaestrati nella fede da s. Pietro, dopo di
aver con grande zelo lavorato con lui per la gloria di Dio e per la salute delle anime, gli
succedettero l'un dopo l' altro nel governo della Chiesa, lo imitarono nella carità e nel fervore, e
finirono tutti e tre la loro vita colla corona del martirio. In agni tempo si ebbe grande venerazione
per questi tre sommi Pontefici, e fin dai tempi più antichi si trovano registrati in quella parte
della santa Messa che dicesi Canone. Cosi i sacerdoti celebrando questo divin sacrifizio fanno
ogni giorno commemorazione di essi, e li pregano che intercedano presso Dio pel bene della
Chiesa e per la salute di tutti i cristiani.
Capo XIX. S. Mattia e s. Matteo Apostoli.
Prima di terminare il racconto delle azioni dei gloriosi primi predicatori del {82 [418]}
Vangelo, credo bene di dare un cenno intorno alla vita e morte di quegli Apostoli di cui non si
ebbe occasione di parlare nella vita dei Papi. Cominciamo da s. Mattia di cui abbiamo già detto
qualche cosa nella vita di s. Pietro.
L'apostolo s. Mattia era stato annoverato fra i settanta discepoli mandati dal Salvatore a
predicare il Vangelo. Egli, come abbiamo detto, fu eletto da s. Pietro nel cenacolo a succedere
nell' apostolato a Giuda traditore. Dopo la venuta dello Spirilo Santo egli predicò nella Giudea e
convertì molti ebrei. Portò altresì la luce del Vangelo tra i gentili e specialmente nell'Etiopia. V.
Sofronio e Niceforo.
S. Clemente Alessandrino racconta di s. Mattia che insegnava la mortificazione sia colle
parole sia coi fatti. Egli ebbe a soffrire molti tormenti in tutte le sue faticose missioni, e giunse a
sacrificare a Dio il suo sangue e la sua vita ad esempio del suo Divin Maestro. Egli ebbe tronca
la testa l'anno 61 di G. C.
S. Matteo Apostolo ed Evangelista era nato in Galilea, di professione pubblicano cioè
esattore delle imposte pei Romani; uffizio molto spregevole presso gli Ebrei. {83 [419]} Ma Dio
che guarda la virtù degli uomini e non la professione, volle di questo pubblicano fare un
Apostolo. Chiamato così a seguire il Salvatore gli si mantenne costantemente fedele. Dopo
l'ascensione del suo maestro egli predicò la fede cogli altri Apostoli nella Giudea per lo spazio di
circa otto anni. Prima di andar a predicare in altri paesi, egli fu pregato dagli Apostoli e dai
Giudei convertiti di lasciar loro una storia ovvero un breve racconto di quelle cose che aveva
loro predicato intorno alla vita del Salvatore. Egli adunque così inspirato da Dio, circa l' anno 40
di G. C, fu il primo a scrivere il Vangelo. Egli chiamò il suo libro Vangelo, che significa buona e
fortunata novella. Ed è quello che noi chiamiamo Vangelo secondo s. Matteo. Appena questo
Vangelo fu tra le mani de' Giudei se ne fecero molte copie. Alcuni degli stessi Apostoli vollero
portarselo seco nelle loro missioni.
Oltre la Giudea s. Matteo andò anche a predicare il Vangelo nell'Etiopia. S. Clemente
Alessandrino scrive che, quando il nostro Santo giunse nella città di Natabe {84 [420]} nell’
Etiopia, fu ricevuto con gioia dall'Eunuco della regina Candace, battezzato dal diacono s.
Filippo. In questa medesima città vivevano due famosi idolatri, che la storia chiama maghi, i
quali coi loro prestigii ingannavano quei poveri abitanti. Quegli impostori cagionavano loro delle
apparenti malattie, che di poi guarivano coi loro incantesimi, acquistandosi così una falsa
riputazione. S. Matteo scopri al popolo l'inganno; ed eglino per vendetta fecero comparire due
mostri che misero spavento in tutta la città.. Ma s. Matteo col solo segno della croce rese
mansueti quei due feroci animali come due agnelli e li rimandò nelle loro caverne. Questo fatto
tranquillò quegli abitanti e loro diede una grande idea della religione cristiana.
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Un miracolo assai più luminoso finì di condurre quei popoli alla fede. Essendo morta una
figlia del re, di nome Ifigenia, il padre chiamò i due maghi perchè la facessero risuscitare. Questi
impiegarono tutti i segreti dell'arte magica; ma la defunta continuava a giacere senza vita. Fu
pure chiamato s. Matteo il quale appena ebbe invocato il nome di G. C. quel cadavere {85 [421]}
si alzò pieno di vita. Un miracolo cosi strepitoso fu cagione che il re, la sua famiglia e quasi tutto
il popolo abbracciassero la fede. Ma queste e molte altre maraviglie costarono la vita al santo
Apostolo; imperciocchè essendo morto il re s'impadronì del regno un suo fratello, il quale per
mantenersi in trono credeva dovere sposare Ifigenia. Ma poichè essa erasi consacrata a Dio col
voto di perpetua castità si rifiutò, e tal rifiuto fu cagione che il re si sdegnasse contro il santo
Apostolo che egli reputava autore di quella risoluzione, e nel suo furore ordinò che fosse fatto
morire sull'istante. I soldati che ebbero quest'ordine trovarono il santo Apostolo all' altare, dove
egli offeriva il divin sacrifizio. Sopra quell'altare medesimo egli fu immolato a Dio con essergli
troncata la testa.
Capo XX. S. Filippo.
S. Filippo era nativo di Belzaida patria di s. Pietro. Avendolo il Divin Salvatore {86
[422]} incontrato mentre andava nella Galilea gli disse: seguimi. Questa sola parola bastò ad
infondere tale fervore unel nostro Apostolo, che più non abbandonò il suo Maestro. Egli ebbe da
lui molti segni di affezione, e di lui abbiamo molti fatti curiosi ed edificanti, i quali si possono
leggere a lungo narrati nel santo Vangelo.
Dopo la venuta dello Spirito Santo Filippo andò a predicare la fede nella Frigia ove colle
fatiche e coi miracoli convertì molti alla fede. Quando giunse in Gerapoli, città della Frigia, fu
vivamente commosso vedendo che quel popolo adorava un mostruoso serpente. Animato da viva
fede in G. C. fece morire quel vile animale, di poi si diede con tutta forza a predicare il Vangelo;
e riuscì a guadagnare molti a G. C. Governò egli molti anni quella chiesa; finchè i sacerdoti
idolatri vedendo interamente cessare il culto degli dei, si portarono dai magistrati, dicendo che
Filippo predicava una religione proibita dalle leggi dello stato. Per questo motivo fu condannato
a morte. Dopo alcuni giorni di prigione lo sottoposero ad una crudele flagellazione, dipoi {87
[423]} lo legarono sopra una croce. Ma vedendo che ritardava a spirare si affrettavano di
ucciderlo a colpi di pietra. Se non che un orribile terremoto spaventò i pagani per modo che
disperdendosi lasciarono libertà ai fedeli di accostarsi al corpo del Santo. Egli respirava ancora e
volevano deporlo dalla croce; ma il coraggioso ministro di Gesù Cristo ben conoscendo restargli
pochi momenti di vita, li pregò di lasciargli finire la vita in croce ad esempio del suo Divin
Maestro: pochi istanti dopo spirò. La sua morte avvenne il primo di maggio; ma non se ne può
sapere ben l'anno. Alcuni credono che egli sia morto l'anno 90 di G. C. decimo del pontificato di
s. Cleto e ottantesimo settimo del nostro Apostolo. Una parte delle sue reliquie fu portata a
Costantinopoli; l'altra a Roma.
Capo XXI. S. Simone e Giuda.
S. Simone è soprannominato il Cananeo per distinguerlo da s. Pietro che nominavasi {88
[424]} anche Simone. Egli era cosi chiamato da Cana sua patria. Niceforo. scrittore molto
accreditato, asserisce che Simone era lo sposo delle nozze di Cana, cui assistevano Gesù e Maria,
e dove il Salvatore operò il primo de' suoi miracoli cangiando l' acqua in vino. Egli provò tale
sensazione per quel miracolo, che abbandonò ogni cosa per seguirlo, e col consenso della sposa,
stupita al par di lui, conservò perpetua castità, servendo di modello a tanti santi che dovevano
seguire cosi bell' esempio. Quando gli Apostoli lasciarono la Giudea per portare la fede in altri
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paesi, Simone andò nell'Egitto e in molti paesi dell'Affrica, e si dà per cosa certa che egli sia
penetrato perfin nell'Inghilterra. Dopo aver riportati copiosissimi frutto dalle sue fatiche ritornò
nella Giudea e di poi andò nella Persia, dove con s. Giuda ottenne la palma del martirio come fra
breve diremo.
S. Giuda è soprannominato Taddeo per distinguerlo da Giuda Iscariote che tradì il Divin
Maestro. Giuda è parola ebraica, Taddeo è parola siriaca, ma hanno il medesimo significato cioè
confessione. Egli era fratello di s. Giacomo {89 [425]} il minore. Questi due apostoli erano
cugini del Salvatore.
Dopo la divisione degli Apostoli s. Giuda andò a predicare nella Mesopotamia dove fece
numerosissime conversioni. Non potendo poi far sentire la sua voce a quanti desiderava, scrisse
una lettera detta cattolica cioè universale, perchè è indirizzata in generale a tutti i cristiani. S.
Epifanio (storia delle eresie) dice che Iddio inspirò s. Giuda a scrivere questa lettera contro ai
Gnostici, sotto il qual nome si comprendono in generale i seguaci di Simon Mago, di Cerinto, di
Ebione, e di altri che insegnavano mille nefandità contro ai buoni costumi. S. Giuda predicò il
Vangelo in molti paesi con gran frutto, e si crede che abbia riportata la corona del martirio con s.
Simone nel modo seguente.
S. Simone e s. Giuda dopo aver faticato per la fede più di trent'anni in vari paesi
sentironsi inspirati da Dio di andare in Persia per predicare il Vangelo. Giunti ai confini di quel
vasto impero incontrarono un esercito guidato contro ai Persiani da un generale di nome
Baradaco. I due Apostoli appena entrati {90 [426]} nel campo resero muti gl' idoli che per
mezzo de' loro maghi solevano parlare. A quel silenzio si spaventò tutto l'esercito; e andatosi a
consultare un idolo molto distante, ebbesi la seguente risposta: La presenza dei due forestieri
Simone e Giuda Apostoli di Gesù Cristo ha chiusa la bocca agli dei dell'impero, e niuno oserà
parlare finchè costoro rimarranno tra noi.
Allora i sacerdoti idolatri andarono in folla dal generale e schiamazzando chiesero la
morte dei due forestieri. Baradaco volle egli stesso vedere Simone e Giuda e si trattenne seco
loro in lungo discorso. I due santi Apostoli dopo avergli spiegata la verità e la santità di nostra
religione, gli notarono la debolezza degli dei e degli indovini, e per darne una prova, dimandate,
gli dissero, ai vostri sacerdoti, che vi presagiscano l'esito della guerra.
Il generale volle appunto consultarli, e per risposta gli fu detto che sarebbe lunga,
sanguinosa e pericolosa. Niente affatto, risposero i nostri santi, è questa una menzogna de' vostri
dei. Domani a quest'ora medesima gli ambasciatori indiani giungeranno al campo per chiedervi
{91 [427]} pace alle condizioni che vorrete. Questa predizione essendosi appuntino avverata, il
generale, gli uffiziali e il re, che era in Babilonia, tutta la famiglia reale riconobbero la santità
della cristiana religione e dimandarono il battesimo.
Solamente i sacerdoti idolatri, i maghi e gl' indovini si mostrarono ostinati, e per disfarsi
dei due Apostoli sollevarono il popolo in una città lontana dalla corte dove i santi erano andati a
predicare. Quasi in tutte le città avvi non picciol numero di discoli e sfaccendati, che con una
promessa e talvolta ad un semplice invito si risolvono alla più malvagia azione. Fu perciò cosa
facilissima il sollevare una turba di popolaccio contro ai predicatori. Sono presi e condotti uno
davanti ad un idolo dedicato al sole, l' altro ad un idolo consacrato alla luna con ordine di offerire
incenso a quelle immaginarie divinità. I due Santi rifiutarono con orrore tale proposta; e ciò
bastò perchè alcuni maligni si avventassero a furia contro di loro e li uccidessero sull' istante. S.
Simone fu segato per mezzo il corpo e s. Giuda decapitato. Per rammentare il genere di martirio
di {92 [428]} questi due Apostoli soglionsi dipingere s. Simone con una sega accanto, s. Giuda
con una scure, che furono gli strumenti del loro supplizio. V. Tillemont - Surio - Ruynart etc.
Capo XXII. S. Andrea.
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S. Andrea fratello di s. Pietro fu il primo degli Apostoli ad essere chiamato a seguire G.
G. Molte cose di lui sono già state dette nella vita di s. Pietro. Qui accenniamo solamente quelle
che lo riguardano dopo la venuta dello Spirito Santo. Egli predicò qualche tempo nella Giudea,
dipoi andò a portare la luce del Vangelo nella Tracia, che oggidì si nomina Romania, dove erano
le città di Perinto, di Apollonia, di Bisanzio oggidì Costantinopoli. Andò poscia nell' Epiro
oggidì Albania, quindi nell' Acaia dove era la città di Patrasso oggidì Batra che, appartiene alla
Morea. Dopo innumerevoli stenti e fatiche egli si senti da Dio inspirato di recarsi a visitare il
governatore Egea, e pieno di zelo per la salute delle {93 [429]} anime gli parlò così: Tu che
giudichi gli altri non dovresti anche tu conoscere e venerare il giudice supremo a cui tutti noi
dovremo presentarci per essere giddicati, e così abbandonare il culto degli dei? Egea
maravigliato a tali parole, forse, rispose, tu sei quell'Andrea che fai professione di distruggere i
templi de' nostri dei, predicando una religione contraria a quella dell'impero?
Andrea: - Sì, ma questa legge è stata pubblicata dai principi perchè non conoscono il
figliuolo di Dio, il quale è di gran lunga superiore a' vostri dei, anzi egli ha vinto le potenze
infernali.
Egea: - Queste sue grandi vittorie contro alle potenze infernali non l'hanno liberato dal
morire sopra una croce!
Andrea: - E vero, egli è morto in croce, ma è morto per nostro amore, è morto per salvar
noi ed è morto perchè ha voluto.
Egea: - Che importa che egli sia stato crocifisso volontariamente o suo malgrado. Egli fu
crocifisso e niuno deve riconoscere come Dio un uomo morto in croce.
Allora il santo Apostolo si fece a spiegare i misteri della fede e come appunto {94 [430]}
la morte e la risurrezione di G. C. erano per noi grandi motivi di amarlo e riconoscerlo per vero
Dio. Ma Egea non comprendendo queste ammirabili verità, taci, gli disse, e fa sacrifizio ai nostri
dei.
Andrea: - Io sono sacerdote di Gesù Cristo, io offro ogni giorno a Dio onnipotente, non la
carne de' tori, non il sangue de' capretti; ma l'Agnello senza macchia sacrificato sulla croce.
Tutto il popolo si nutrisce della sua carne e del suo sangue, e dopochè ha servito di cibo al
popolo resta egualmente intero come prima. L' Agnello è tanto vivo dopo il sacrifizio quanto lo
era prima di essere sacrificato. Il Proconsole irritato da questo discorso, che egli non
comprendeva, mandò il Santo in prigione. Il dì seguente lo fece venire alla sua presenza e lo
minacciò di morte se non sacrificava agli dei.
Ma Andrea pieno di generosità cristiana gli rispose: credi tu, che io tema i tormenti che
mi vai minacciando? Sappi che mi affligge più il vederti fuori della via del cielo che non i
tormenti minacciati. Quanto più io patirò, tanto più sarà preziosa la corona che il Signore mi
prepara. {95 [431]} Egea sdegnato lo fece immantinente percuotere a colpi di sferza, con
minaccia di farlo morire sopra una croce se non mutava sentimento. Il Santo sebbene coperto di
piaghe ritornò alla presenza di Egea, e coraggiosamente gli parlò così: il tormento che tu mi
prepari non è da temersi; egli durerà poco, e sarà ricompensato con un premio eterno, ma io temo
il tormento terribile 'dell'inferno in cui chi cade non uscirà mai più. Questo tormento e questa
pena terribile, Egea, ti vai preparando.
Egea scorgendo inutile ogni ulteriore prova di guadagnarlo, il condannò al supplizio della
croce. Il popolo voleva ribellarsi contro al governatore per difendere il santo Apostolo da quell'
ingiusta sentenza, ma Andrea lo pregò a non volergli differire la gloria del martirio che gli era
preparato. Come vide poi la croce sopra cui doveva morire, pieno di gioia esclamò: «o croce
santa, io ti saluto, tu sei gloriosa perchè hai sostenuto il mio divin Maestro, deh! ora ricevi il
discepolo di colui che per mezzo di te ha salvato il mondo. O croce desiderala! O croce amata!
Deh! {96 [432]} guidami a colui che per me mori sopra di te.»
Giunto al luogo del supplizio egli fu legato e sollevato sopra la croce. Stette due giorni in
quello stato esortando i fedeli a mantenersi nella fede e a disprezzare un tormento momentaneo
per meritare una corona di gloria eterna. Il popolo commosso dalla pazienza e dal coraggio del
santo martire era irritato contro la crudeltà di Egea, il quale temendo una sedizione mandò alcuni
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a deporre il Santo dalla croce. Quando i carnefici erano quasi vicini al Santo, egli raccolse le sue
forze e profferì queste ultime parole: O Signore, non permettete che il vostro servo scenda da
questa croce: ricevetemi, se vi piace, fra le vostre mani. Per voi sono quel che sono, ho fatto quel
che ho fatto. È tempo che mi unisca a voi come centro di tutti i miei desideri, come oggetto di
tutti gli affetti del mio cuore. In terminare queste parole fu circondato da un celeste splendore,
verso cui non poteva reggere lo sguardo, e a misura che diminuiva, l'anima sua scioglievasi dai
legami del corpo. Sparì la luce e il Santo aprì gli occhi alla luce {97 [433]} eterna del Cielo. Il
suo martirio seguì il 30 di novembre l'anno 63 di G. C. V. Surio - Ruynart - Tillemont - Eusebio
di Ces.
Capo XXIII. Ultime azioni di S. Giovanni Evangelista.
S. Giovanni Evangelista stette più anni esiliato nell'isola di Patmos. Dopo la morte di
Domiziano il senato di Roma annullò i decreti di persecuzione fatti da quel tiranno; e il santo
apostolo potè ritornare alla sua chiesa di Efeso, dove passò tranquillo il rimanente de' suoi giorni.
Aveva allora novant' anni, ma tanta età non gl'impediva di portarsi nelle vicine provincie, ora per
ordinare sacerdoti o vescovi, ora per fondare nuove chiese. In una di queste visite avvenne un
fatto commoventissimo, che dipinge al vivo l'ardore della sua carita. Un giorno predicava in una
città dell'Asia, e fra quelli che l'andarono a visitare fu un giovanetto di belle forme e di molta
vivacità. L'attenzione con cui ascoltava tirarono sopra di lui gli occhi del Santo. Chiamatolo a sè,
scorgendo in lui buone {98 [434]} qualità lo condusse dal vescovo e in. presenza di tutto il
popolo gli disse: abbiate cura di questo giovine, ve lo raccomando in presenza della chiesa e di
G. Cristo. Il vescovo ammaestrò il giovanetto e lo preparò a ricevere il battesimo e la cresima, e
fatta la sua prima comunione giudicò di poterlo abbandonare alla propria condotta; e cessò di
vigilare sopra di lui.
Ma l'inesperto giovane ebbe la disgrazia di fare amicizia con alcuni tristi compagni
dell'età sua, si lasciò strascinare prima a piccoli furti, poi ad altri più gravi, e crescendo di vizio
in vizio, di delitto in delitto, finì per diventare Capo di assassini.
Alcuni anni dopo tornò s. Giovanni alla stessa città, e dimandò conto al vescovo del
deposito affidato alle sue cure. Questi fu da prima sorpreso pensando che si parlasse di qualche
deposito di danaro. È il giovanetto che vi ho affidato, rispose l'Apostolo, è l'anima del nostro
fratello. Il vescovo allora abbassò gli occhi, trasse dal cuore un profondo sospiro, e disse: è
morto. Ma di qual morte, rispose il santo? È morto a Dio, soggiunse il vescovo, {99 [435]} è
divenuto un assassino, si è fato padrone di una montagna, e colà vive nascosto con uno stuolo di
scellerati suoi compagni.
A queste parole il santo Apostolo gettò un grido: datemi tosto, disse, un cavallo ed una
guida. Non fu più possibile trattenerlo. Esce dal tempio, e si porta alla montagna ove dimoravano
i masnadieri. Appena giunto colà le sentinelle lo arrestano, e lo conducono al loro Capo che lo
attendeva armato di tutto punto. Ma quando in quel vecchio venerando riconobbe il santo
Apostolo non gli fu più possibile di sostenerne la presenza e si diede alla fuga.
Allora il santo Apostolo dimentico della debolezza propria della sua grande età si mette a
corrergli dietro gridando: e perchè mi fuggì, o figliuolo? perchè fuggi dal tuo padre, da un
vecchio senz'armi? mio figlio, abbi pietà di me, non temere, avvi ancora speranza di perdono, io
mi offro mediatore fra te e Gesù Cristo, darò volentieri la mia vita per te, come Gesù Cristo ha
dato la sua per noi. Fermati, credimi, è Gesù stesso che mi ha mandalo in traccia di te. {100
[436]}
A tali parole il Capo di assassini si arresta, lascia cadere di mano le armi, e prorompendo
in lagrime e sospiri cade ginocchioni ai piedi del Santo. Esso lo abbraccia con tenerezza e lo
innalza promettendo di ottenergli perdono delle sue colpe. Intanto lo riconduce alla chiesa, prega
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per lui, digiuna con lui, lo trattiene con santi discorsi e non lo lascia, finchè non gli ha fatto
ricevere i santi sacramenti restituendolo così in grazia di Dio.
S. Giovanni visse fino all'eta di oltre cento anni, ma la sua vita e la sua medesima
vecchiezza furono sempre piene di vivacità e di allegria. Voleva anzi che i suoi discepoli
prendessero delle innocenti ricreazioni e ne dava egli stesso l'esempio. Un giorno che divertivasi
ad accarezzare una pernice addomesticata fu incontrato da un cacciatore che parve sorpreso al
vedere quel grande Apostolo abbassarsi a somigliante trastullo. Che avete voi in mano, gli
dimandò il Santo? Un arco, rispose il cacciatore. Perchè non lo tenete sempre teso? L'altro
replicò: perchè perderebbe la sua forza. Ebbene, conchiuse il santo Apostolo, per la stessa
ragione anche io do al mio corpo qualche sollievo. {7*} {101 [437]}
Verso il fine de' suoi giorni non potendo più andare sopra la cattedra, ovvero sul pulpito,
a predi care vi si faceva portare a braccia. Siccome poi le gravi fatiche sostenate, la sua
debolezza e la sua grande età l'impedivano di fare lunghi discorsi, egli soleva spesso ripetere
queste parole: figliuoli miei, amatevi a vicenda, e adempirete la legge di G. C. A udirlo così
sovente a ripetere la stessa massima, i suoi discepoli annoiati gli risposero: Maestro, voi ci dite
sempre le medesime cose. Rispose il Santo: ve lo dico in verità, amatevi scambievolmente, e se
avrete la vera carita, adempirete tutta la legge di Gesù Cristo.
Questo santo Apostolo dicesi Evangelista perchè ha scritto il vangelo, che è quello che
noi chiamiamo Vangelo secondo S. Giovanni. Egli si accinse a questo lavoro per secondare
l'inspirazione di Dio, ed anche per appagare le preghiere e i desideri dei vescovi dell'Asia. Ma
prima fece precedere un lungo digiuno accompagnato da pubbliche preghiere. Nel suo vangelo
egli parla specialmente dei fatti che fanno conoscere Gesù Cristo vero figliuolo di Dio. e ciò per
combattere gli errori di {102 [438]} Ebione, di Cerinto e di vari altri eretici, che negavano la
divinità di G. C. Egli ha pure scritto tre lettere, le quali spirano ad ogni parola la più tenera carità,
e mostrano ad ogni passo quanto egli fosse infiammato di quel fuoco divino, di cui era stato
ricolmo il suo cuore, quando nell'ultima cena riposò nel seno stesso del Divin Salvatore. Sebbene
s. Giovanni evangelista abbia sofferto i tormenti del martirio, quando fu immerso in una caldaia
d'olio bollente; tuttavia egli non morì fra' tormenti e fu il solo tra gli Apostoli che abbia finito i
suoi giorni in pace. Così ebbero compimento quelle parole del Salvatore quando disse, che tutti i
suoi Apostoli avrebbero bevuto il calice del martirio, ma che non tutti avrebbero incontrata la
morte ne' tormenti.
Dio volle certamente che questo discepolo prediletto finisse i suoi giorni in pace in
premio della sublime santità di sua vita, e del modo più angelico che umano con cui conservò la
virtù della purità. Per questo motivo egli godette tutto l'affetto e tutta la confidenza del suo
Maestro. Esso lo metteva a parte delle cose più segrete le voleva sempre seco, lo accarezzava,
{103 [439]} gli lasciava perfin riporre l'innocente di lui Capo sopra il suo petto divino. Egli fa a
questo discepolo vergine che il Divin Salvatore prima di spirare affidò l'assistenza della Beata
Vergine sua madre, dandola così madre di lui e nel tempo stesso madre nostra e di tutto il genere
umano.
Tra le altre cose Iddio rivelò a questo santo Apostolo che tutti coloro, i quali serberanno
una vita pura e casta, oltre le speciali benedizioni del cielo nella vita presente, avranno un gran
premio riserbato in cielo, dove circondati di gloria incomprensibile canteranno un inno di lode a
Dio che niun altro può cantare, e seguiranno il Divino Agnello, cioè la persona del Salvatore, in
tutti i suoi passi, facendogli corona gloriosa e godendo quei beni che non finiranno mai più.
Con approvazione della Revisione Ecclesiastica. {104 [440]}
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Don Bosco - Vita de' sommi pontefici S. Lino, S. Cleto , S. Clemente
Capo I Della Chiesa e de suoi vari nomi
CapoII Del Romano Pontefice - Suoi vari titoli .
CapoIII Elezione del Sommo Pontefice - Il Conclave .
CapoIV Gerarchia ecclesiastica - Cardinali, Patriarchi, Primati,
Arcivescovi, Vescovi.
CapoV S Lino 2° Papa - Patria, educazione di S Lino - Suo
incontro con S Pietro - Lo consacra Vescovo e lo costituisce suo
Vicario
CapoVI Lino va a Besanzone - Battezza il tribuno Onosio,
guadagna molti a Cristo, sua partenza da quella città
CapoVII Elezione di S Lino La formula non vedrai i giorni di
Pietro Morte dì Nerone
CapoVIII Eresia di Menandro e di Cerinto Marte di questo
eresiarca.
Capo IX S Lino comanda il velo alle donne - Consacra Vescovi e
Sacerdoti - Suoi scritti - Suoi miracoli - Suo martirio .
CapoX Rovina di Gerusalemme e dispersione degli Ebrei
CapoXI Apostolato e morte di s Bartolomeo e di s Tommaso
Apostoli.
CapoXII S Cleto 3° Papa - Sua patria, sua educazione, incontra s
Pietro - Presbiteri - Sacerdoti - Le formule salutem et
Apostolicam benedictionem - Pax vobis.- Dominus vobiscum
Dall' anno di G C 80 al 93 .
CapoXIII Origine delle stazioni - Prime chiese cristiane - Seconda
persecuzione - Martirio di s Cleto nell'anno 93
CapoXIV Martirio di S Giovanni Evangelista
CapoXV S Clemente I 4° Papa - Sua educazione, sue relazioni
con S Pietro - Succede a S Cleto - I sette notai - Abiti sacerdotali -
Canone della Messa - Benedizione dei frutti della terra
Capo XVI Scisma di Corinto e lettere di S Clemente .
CapoXVII Martirio de' santi Marco, Achille e Domitilla .
CapoXVIII Interrogatorio, esilio e martirio di S Clemente ―
Miracoli avvenuti alla sua tomba
CapoXIX S Mattia e S Matteo Apostoli .
CapoXX S Filippo
CapoXXI S Simone e Giuda
CapoXXII S Andrea .
CapoXXIII Ultime azioni di S Giovanni Evangelista .
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