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Don Bosco - Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà
IL CRISTIANO GUIDATO ALLA VIRTU ED ALLA CIVILTÀ
secondo lo spirito DI SAN VINCENZO DE' PAOLI
Opera che può servire a consacrare il mese di luglio
in onore del medesimo Santo
TORINO MDCCCXLVIII
TIPOGRAFIA PARAVIA E COMPAGNIA {1 [215]}
L'Autore intende di godere dei privilegi accordati dalle Regie Leggi, avendo adempito a quanto
esse prescrivono.
[è premesso alle opere anonime]
INDEX
Al lettore......................................................................................................................................3
Cenni storici intorno alla vita di san Vincenzo de' Paoli.............................................................3
Giorno primo. Carattere di S. Vincenzo de'Paoli........................................................................6
Giorno secondo. Sua imitazione di Gesù Cristo..........................................................................8
Giorno terzo. Sua carità verso de'mendici...................................................................................9
Giorno quarto. Amore del Santo per Dio...................................................................................11
Giorno quinto. Sua carità verso il prossimo e specialmente versi de'condannati alle galere.. . .14
Giorno sesto. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone..................................................17
Giorno settimo. Conversioni operate da S. Vincenzo de'Paoli..................................................19
Giorno ottavo. Della sua dolcezza.............................................................................................23
Giorno nono. Delle sue divozioni particolari.............................................................................26
Giorno decimo. Dell' eguaglianza del suo spirito......................................................................28
Giorno decimoprimo. Dell' umiltà di S. Vincenzo de' Paoli......................................................29
Giorno decimosecondo. Della sua fede.....................................................................................32
Giorno decimoterzo. Delle sue massime...................................................................................33
Giorno decimoquarto. Sua mortificazione.................................................................................36
Giorno decimoquinto. Sue occupazioni.....................................................................................39
Giorno decimosesto. Sua pazienza............................................................................................41
Giorno decimosettimo. Sua povertà...........................................................................................43
Giorno decimoottavo. Sua prudenza..........................................................................................45
Giorno decimonono. Sua purità.................................................................................................47
Giorno vigesimo. Sua Gratitudine.............................................................................................49
Giorno vigesimoprimo. Suo rispetto Terso i superiori ecclesiastici..........................................50
Giorno vigesimosecondo. Suoi ritiri spirituali...........................................................................52
Giorno vigesimoterzo. Sua semplicità.......................................................................................54
Giorno vigesimoquarto. Della sua. confidenza in pio...............................................................56
Giorno vigesimoquinto. Sua uniformità al Divino volere.........................................................58
Giorno vigesimosesto. Della sua condotta.................................................................................59
Giorno vigesimosettimo. Sue Missioni......................................................................................61
Giorno vigesimoottavo. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezze delle anime................64
Giorno vigesimonono. Del sito disinteresse e del suo disfanno dai beni della terra.................65
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Giorno trentesimo. Sua preziosa morte......................................................................................67
Giorno trentesmiprimo. Elogio per la festa del Santo...............................................................68
Al glorioso S. Vincenzo de' Paoli..............................................................................................71
A Vincenzo de' Paoli.................................................................................................................72
Indice.........................................................................................................................................72
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Al lettore
{2 [216]}
Lo scopo di quest'operetta è di proporre a tutti i fedeli un modello di vita cristiana nelle
azioni, nelle virtù e nelle parole di S. Vincenzo de' Paoli.
Essa porta per titolo il Cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di S.
Vincenzo de' Paoli, perchè questo Santo avendo quasi percorse tutte le condizioni basse ed
elevate non fu virtù che in questi diversi stati non abbia praticato. Si aggiungono quelle parole
alla civiltà perchè egli trattò colla più elevata e più ingentilita classe d'uomini, e con tutti seppe
praticare quelle massime e quei traiti che a cittadino cristiano, secondo la civiltà e prudenza del
Vangelo, si addicono.
Secondo lo spirito di S. Vincenzo de'Paoli, perché quanto siesporrà nel decorso di queste
considerazioni è letteralmente ricavato dalla vita di lui e dall'opera intitolata: {3 [217]} Lo
spirito di S. Vincenzo de'Paoli, inserendovi solo alcuni detti della sacra scrittura sopra cui si
fondano tali massime.
Si comincia col dare un cenno sulla vita del Santo, e questo formerà come l'indice di
que'concetti che verranno con maggior corredo di circostanze sviluppali.
Intanto quel Dio che suscitò un, Vincenzo qual fiaccola luminosa a spargere il sale della
virtù, e a portare la luce della verità alla fede cattolica; quel Dio che volle togliere dalla plebe
un uomo abbi cito per eleggerlo ad azioni magnanime onde far cangiare di aspetto in Francia e
l' Europa insieme: quel Dio faccia che la stessa carità, lo stesso zelo si riaccenda negli
ecclesiastici affinché indefessi adoperinsi per la salute delle anime; cosicché i popoli illuminali
dalle virtù del Santo, eccitati e mossi dal buon esempio de' sacri ministri corrano a gran passi
per quella strada, che alla vera felicità l'uomo conduce: al Paradiso. {4 [218]}
Cenni storici intorno alla vita di san Vincenzo de' Paoli.
VINCENZO nacque l'anno 1576 nel villaggio appellato Poy vicino a' Pirenei, Diocesi di
Acqus, da genitori poveri, ma pii ed onorati, i quali si guadagnavano il pane con travagliare alla
campagna. Egli medesimamente da fanciullo, fu impiegato a guardare gli armenti. Suo padre
rilevando la buona indole di questo figliuolo e l'inclinazione allo studio, fece i suoi sforzi per
mantenerlo alle scuole nella vicina città d' Acqus. Nello spazio di quattro anni fece tanto profitto
nelle scienze, che a diciassette anni entrò in casa di un avvocato in qualità di maestro di due suoi
figliuoli.
Mentre coltivava lo spirito di questi felici suoi allievi, si sentì dal Signore Iddio chiamato
nel ministero Ecclesiastico. Onde ricevuti {5 [219]} gli ordini minori, previo consenso e
gradimento del suo padre, si trasferì prima in Tolosa, poscia in Saragozza, ed in queste celebri
Università v'impiegò sette anni continui a studiare la teologia dogmatico-morale. Quindi
promosso al suddiaconato, diaconato, e consacrato Sacerdote venne provveduto di un beneficio
con cura d'anime. Ma essendogliene contrastato il. possesso volentieri cedette subito ogni sua
ragione al concorrente, non solo perchè sapeva essere cosa disdicevole ad un servo di Dio il
litigare, ma molto più perchè riputandosi egli per principio di umiltà inabile a portarne il grave
peso, stimò sua gran fortuna l'esserne scaricato.
Per qualche importante affare dovette Vincenzo recarsi a Marsiglia, d'onde s'imbarcò alla
volta di Narbona antica città di Francia. In questo cammino fu preda de'corsari che lo condussero
schiavo in Barbaria, dove servì diversi padroni. Finalmente la Provvidenza dispose, fosse
venduto ad un rinegato della città di Nizza. Aveva costui una moglie turca, la quale cooperò a'
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misericordiosi disegni di Dio per convertire e trarre il marito dall'apostasia, e liberare nel
medesimo tempo Vincenzo dall'indegna schiavitù. {6 [220]}
Questa donna, certamente da Dio inspirata, era curiosa di sapere quali fossero i misteri e
la morale, che professavano i cristiani, prendeva le sue ore, e di quando in quando veniva dove
lavorava il Santo, il cui ordinario impiego era di coltivare la terra. Rapita dalle dolci istruzioni, e
dal racconto, che Vincenzo le presentò della grandezza, della bontà e della giustizia del vero, e
solo Dio; mossa altresì per alcuni inni e laudi spirituali, che egli cantava, si affezionò talmente
alla Religione Cattolica, l'abbracciò ella stessa e risolse il marito ad abbandonare la setta
Maomettana e ritornare nel seno della Chiesa.
Vincenzo raddoppiava le sue preghiere, i digiuni e le austerità, e non lasciò d'insinuarsi
colle sue esortazioni nello spirito del suo padrone sinchè venne il momento favorevole, che tutti
e tre se ne fuggirono insieme sopra un piccolo vascello. Con prospero vento giunsero sulle coste
delle Gallie il 28 giugno 1607. Andarono quindi in Avignone, ove caritatevolmente ebbero
ospitalità presso Monsignore Vicelegato, che poscia seco li condusse a Roma. Provveduto al
bisogno dei due compagni il Prelato conosciuta la prudenza {7 [221]} e santità di Vincenzo lo
trattenne presso di se, trattandolo con affetto e dimostrazione di stima e di generosità.
Soddisfatto ch'ebbe alla sua divozione nella capitale del mondo cristiano coll'essersi
raccomandato al Principe degli Apostoli, e con aver fatta la visita a quei santuari, ringraziò il suo
benefattore e ritornò a Parigi. Colà si pose sotto la protezione e direzione del celebre Cardinale
Pietro Berulli, fondatore della Congregazione dell'Oratorio, e da questo consigliato, accettò la
carica di precettore de'figliuoli dell'Ammiraglio delle galere.
Se ne stava il servo di Dio in questa illustre famiglia raccolto e ritirato, non ingerendosi
mai in altre occupazioni, se non in quelle del suo dovere, nè mai compariva alla presenza del
padrone, se non chiamato. Ciascuno l'amava, e l'onorava qual angelo di pace, e qual uomo
disceso dal Cielo.
Rendutasi notoria la sua virtù, il Monarca lo nominò cappellano delle galere, ed egli tanto
più volentieri gradì questo impiego, attesochè somministrava al suo zelo un largo campo di
guadagnare anime a Dio.
Ritrovando quei galeotti più miserabili, ed oppressi per la gravezza de' loro peccati, {8
[222]} che dal peso delle loro catene, si diede con sollecita ed industriosa bontà a conversare
famigliarmente seco loro, ed instruirli nel dogma e nelle massime del Vangelo, a soccorrerli con
sussidi temporali, onde in breve tempo si vide in essi maggior pazienza, rassegnazione, ed un
notabile miglioramento del costume.
Era con essi tanto benigno ed affabile, che quei poveri carcerati andavano a gara di
confessarsi da lui. Egli compativali tutti, e li ascoltava con tenerezza, e verso loro praticava tanti
uffici di carità, che non sentivano le pene de' loro travagli, ed i cuori più duri restando ammolliti,
tutti lo veneravano come loro affezionatissimo padre, e pronti seguivano i suoi consigli e voleri.
Da san Francesco di Sales venne Vincenzo eletto per superiore, e direttore delle figlie
dell'instituto, sotto l'immediata protezione di Maria Vergine SS. della Visitazione, ed in
trentott'anni di governo mantenne florido il fervore della perfezione, e colla sua fermezza e
soavità lo accrebbe di modo, che perfettamente corrispose al giudizio, che di lui aveva formato il
dolcissimo santo Prelato, il quale non potè a meno di esternare la {9 [223]} sua allegrezza
dicendo, che non poteva trovare nè uomo più savio nè Sacerdote più degno di Vincenzo. Egli è
fuor di dubbio, che in tutto il tempo dei suo pellegrinaggio, dimostrò un parzialissimo interesse
per la felicità de' contadini, per la salute delle loro anime. Ad oggetto che non venissero a
mancare gli operai per istruirli, e portarli sul sentiero della virtù e dei buon costume, gli riuscì di
erigere e stabilire una Congregazione di Preti secolari, con voto dalla Santa Sede approvato, di
recarsi di borgata in borgata, di villaggio in villaggio, predicando la divina parola ammaestrando
nella dottrina cristiana la gente di campagna senza pretendere, nè ricevere da questa retribuzione
o corrispettivo di sorta alcuna. li qual istituto fu solennemente approvato dal Sommo Pontefice
Urbano VIII l'anno 1632.
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Cooperò efficacemente Vincenzo a far fiorire ed accrescere la disciplina nel Clero: si
posero a sua diligenza, raccomandazione, e sollecitudine in buon ordine i Seminari, in vigore le
conferenze teologiche morali per i sacerdoti, gli esercizi spirituali da premettersi alle sacre
Ordinazioni, al qual effetto voleva, che servissero e stessero sempre aperte le case della
congregazione. {10 [224]}
Essendo il Re Ludovico XIII passato agli terni riposi assistito da Vincenzo nelle ultime
agonie, la Regina Anna d'Austria volle che egli fosse uno de'quattro Consiglieri da lei nominati
per gli affari Ecclesiastici. La maggior sua premura, che abbia spiegato in questo onorevolissimo
ufficio, fu di persuadere, ed insinuare l'importanza, che a'Vescovadi, alle Abazie, ed alle
Parrocchie si promovessero persone degne, e capaci di adempierne con frutto il formidabile peso,
ossia i doveri annessi a tale parte del sacro ministero.
Provarono gli effetti del suo caritatevole cuore i fedeli, che gemevano in ischiavitù presso
le barbare nazioni: i bambini esposti abbandonati, le vergini e le monache disperse e pericolanti,
le donzelle per miseria alle volte esposte a far male, e le donne di cattiva vita, i carcerati, i
pellegrini, gl'infermi, i mentecatti, gli artigiani invalidi: insomma Vincenzo per consolare la
travagliata umanità non la perdonò a fatiche, a stenti, a sante industrie. Dispensò copiosissimi
sussidi, fondò ospizi, ed altre pie società che ancor in oggi sussistono a fronte della vertigine
de'malevoli. {11 [225]}
Era poi questo venerabile Sacerdote estremamente nemico d'ogni lode, applauso, e stima,
anzi se qualcheduno ne dava indizio, sapeva subito contrapporvi parole, ed azioni d'umiliazione e
di disprezzo di se medesimo.
Un personaggio qualificato voleva un giorno accompagnarlo nel prendere da lui congedo
sino alla porta: non s'incommodi, gli disse, perchè io sono figliuolo di un povero contadino, ed in
mia gioventù ho condotto al pascolo le pecore e gli armenti.
Un'altra volta una buona femmina lo chiamò col titolo di Monsignore, a cui il Santo,
povera donna, rispose, voi mi conoscete assai male, e v'ingannate all'ingrosso: imperciocchè io
sono un vacaro, figliuolo di un paesano.
Un suo nipote venne a visitarlo; il portinaio ne diede l'avviso a Vincenzo, il quale scese
subito le scale e abbracciatolo strettamente lo prese per la mano, l'introdusse in casa, poscia
chiamati i preti della Congregazione, loro disse: questo mio nipote che voi ben vedete in abito
così meschino, e dispregevole, si è il più civile, e gentiluomo della sua famiglia. Nè pago di
questo volle seco lui uscire in pubblica piazza.
Si dimostrò il Santo in ogni occasione {12 [226]} pieno di umiltà, di semplicità, e di
rettitudine; abborrì di continuo gli onori, le dignità, le ricchezze, gli agi mondani; riponeva tutte
le sue delizie nella mortificazione e nella pratica di quelle virtù, che lo potevano rendere più
gradito alla Divina Maestà.
Dalla penitenza e dalle malattie estenuato finì i suoi giorni in Parigi l'anno 1660
ottantesimo quinto della sua vita.
Tale si è in compendio la vita di S. Vincenzo de' Paoli, le cui virtù noi andremo
considerando in quest' operetta. Ogni fedel cristiano avrà di che specchiarsi; l'ecclesiastico
troverà una norma nell' operare, una guida per seguire. Il secolare troverà un padre che lo ama,
che lo anima al bene, lo avverte perchè fugga il male, lo conforta nelle pene, lo modera nelle sue
prosperità. In somma troverà quel grand' uomo elio si fece lutto a tutti per guadagnare tutti a G.
Cristo.
Intanto quel Dio il quale tanto grande appare nella gloria de' suoi Santi faccia che questo
libro ridondi ad onor suo, e di quel Santo che intendiamo proporvi a maestro; tutto poi a
vantaggio spirituale di quelle anime che vorranno venire a questa scuola per apprendere quella
strada che sicura al Cielo conduce. {13 [227]}
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Giorno primo. Carattere di S. Vincenzo de'Paoli
Il carattere dell'uomo si deve considerare sotto tre aspetti;. in quanto al corpo, al cuore ed
allo spirito. Onde noi per farci un'idea esatta di Vincenzo lo considereremo relativamente al
corpo, al cuore, ed allo spirito.
Quanto al corpo. La sua statura era mediocre ma ben proporzionata, aveva il capo grosso,
la fronte ampia, gli occhi vivaci, lo sguardo dolcissimo, il portamento grave e un'aria di affabilità
sortita dalla natura ma abbellita dalla virtù. Nelle sue maniere e nel suo contegno manifestavasi
essere quella ingenua semplicità che annunzia la pace e la rettitudine del cuore. II suo
temperamento era bilioso e sanguigno, e la sua complessione molto robusta. Andando da
Marsiglia in Narbona fu fatto schiavo, e ferito con un colpo di freccia da' corsari che s'
impadronirono dell'equipaggio francese. Il soggiorno fatto in Tunisi aveva sensibilmente alterata
la sua complessione poichè dopo il suo ritorno in Francia pativa assai l'impressione dell'aria, e in
conseguenza molto soggetto agl'incomodi della sanità. {14 [228]}
Quanto al cuore. Avealo nobile, generoso, tenero, liberale, compassionevole, costante
negl'improvvisi accidenti, intrepido quando si trattava dell'obbligo suo: sempre in guardia contra
le seduzioni degli onori, sempre aperto alla voce dell'indigenza, per cui non mai mostrò
freddezza o mal animo; anzi pare che egli solamente sia vissuto a sollievo de'bisognosi, a
soccorso degl'infelici. Questa bontà di cuore lo strinse in amicizia con tutti quelli che
professavano di amare solidamente la virtù. Nulladimeno Egli aveva un impero così assoluto
sulle proprio passioni che appena lasciava scorgere ch'Egli n'avesse. Padre tenero, ma regolato
nella sua tenerezza, aveva ugualmente a cuore qualunque de'figli della sua congregazione; e nella
sua famiglia, benchè numerosa, non vi fu mai chi desse gelosia a'suoi fratelli. Si può con
sicurezza accertare, da molto tempo non essere stato uomo impegnato al par di lui in ogni sorta
d'affari; obbligato a trattare un numero infinito di persone di ogni specie, d'ogni condizione,
esposto incessantemente ad occasioni le più delicate e pericolose, la cui vita non solamente sia
stata sempre lontana da ogni sospetto, ma universalmente applaudita. {15 [229]}
Quanto allo spirito. Avealo molto esteso, circospetto, atto a grandi cose, e difficile ad
essere sorpreso. Allorchè Egli si applicava seriamente in un affare ne penetrava tutte le relazioni,
e ne discopriva tutte le circostanze piccole o grandi: ne prevedeva gl'inconvenienti e le
conseguenze, evitava quanto il poteva di manifestare al momento il suo parere; avanti di
esprimerlo pesava le ragioni favorevoli ed opposte, consultava Dio colla preghiera e conferiva
con coloro che per esperienza erano in grado di comunicargli de'lumi. Questo carattere
assolutamente opposto a tutto ciò che ha nome di precipitazione lo tenne lontano da ogni passo
falso; la qual cosa gli aprì la strada a far gran bene. Nè già si affannava o si spaventava dalla
moltitudine o sulle difficoltà degli affari; anzi li seguitava con forza di spirito superiore ad ogni
ostacolo, vi si applicava con una sagacità illuminata, ne portava il peso, le cure, la lentezza con
una tranquillità di cui solo le grandi anime sono capaci. Allorchè gli conveniva trattare di
qualche materia importante, Egli ascoltava con molta attenzione quelli che parlavano senza
giammai interromperli, e se qualch'uno gli troncava {16 [230]} il discorso, Egli fisso in quell'alto
principio di umiltà e di civiltà, di tacere quando altri parla si fermava al momento, e finchè non
avesse cessato di parlare osservava il silenzio, e tosto chè cessato erasi di parlare prendeva il filo
del proprio discorso con una pazienza di spirito ammirabile. I suoi raziocini erano giusti, pieni di
nerbo e precisi, si esprimeva con una certa eloquenza naturale propria a commuovere e a trar
seco coloro che l’ ascoltavano, sapeva tutto quando si trattava di condurli al bene. Esponeva le
quistioni più difficili con tanto ordine, con tale chiarezza, massimamente circa le materie
spirituali ed ecclesiastiche, che faceva maravigliare i più esperti. Consumato nella grand'arte di
accomodarsi a tutti i caratteri e di eguagliarsi a tutte le capacità Vincenzo balbettava co' fanciulli,
e parlava il linguaggio della più sublime ragione coi perfetti. Nelle discussioni poco importanti
l'uomo mediocre si credeva a livello con lui nel maneggio de' più grandi affari; i più belli ingegni
del suo secolo non lo trovaron mai inferiore ad essi.
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Il sant'Uomo ora nemico del parlare ambiguo e tortuoso, diceva le cose come le pensava,
{17 [231]} mala sua sincerità nulla aveva che ferisse la prudenza.
Egli sapeva tacere quando credeva inutile il parlare, nè gli sfuggiva parola che indicasse
asprezza o poca stima, o poca carità per qualsivoglia persona. In generale il suo carattere era
alieno dalle singolarità, dalle imitazioni o dalle novità. Egli aveva per principio che, quando le
cose vanno bene, non bisogna cangiarle facilmente sotto pretesto di migliorarle, seguitava le
usanze e i sentimenti comuni, principalmente in materia di Religione. « Lo spirito umano,
diceva, è pronto a ed irrequieto; gli spiriti vivaci e più illuminati non sono sempre migliori se
non sono de'più circospetti: si cammina sicuramente seguitando le pedate impresse dalla
moltitudine de' Saggi.»
Non si fermava all'esterno delle cose, ma ne esaminava la natura, il fine e le dipendenze,
e per una squisitezza di buon senso, che dominava in lui, distingueva perfettamente il vero dal
falso, il buono dal cattivo ed il migliore dal mediocre, anche quando si presentava a lui sotto le
stesse forme ed apparenze. Da ciò nasceva in lui un talento singolare per discernere gli spiriti, e
una sì {18 [232]} grande penetrazione per cogliere le buone o le cattive qualità di coloro de'quali
era obbligato a rendere ragione, che il signor Tellier cancelliere di Francia, non ne parlava che
con ammirazione.
Vincenzo conducevasi in modo da far dire di lui ch'era esatto osservatore d'ogni maniera
di giustizia. Nemico dell' accettazion di persone nella distribuzione de'benetizi,fu veduto
rimproverare in pieno consiglio la scelta d'un prelato, ed il successo fece conoscere che egli
aveva ben ragione di opporvisi. Zelante per la riputazione del prossimo, se qualche volta era
costretto d'udir parlare degli altrui difetti, aveva una santa destrezza per cancellarne
l'impressione, dicendo della persona colpevole tutto il bene che era a sua cognizione. Esatto tino
allo scrupolo sopra i più piccoli danni che aveva potuto cagionare, s'imputava anche i casi
fortuiti. Il suo cocchiere avendo impensatamente rovesciato alcuni pani, Vincenzo, per timore
che fossero meno vendibili, feceli pagare al momento. Potrei citare altri fatti di questo genere,
ma essi potrebbero sembrare troppo minuti a chiunque non sa che il Figlio d'Iddio li autorizza,
allorchè ha lodato il dono di un bicchier d'acqua fresca ed una elemosina di due oboli. {19 [233]}
Quel servo d'Iddio non era simile a quei favoriti che fanno commercio e mettono a
profitto le grazie del Principe, vendendo ben caro ciò che nulla loro costa. il Governatore d'una
città ragguardevole lo pregò di fargli qualche buon ufficio alla corte, e gli promise, per
impegnarvelo che sosterrebbe i Missionari del luogo, lo stabilimento de' quali era contraddetto
da persone assai potenti. «Vi servirò potendolo, rispose Vincenzo, ma perciò che riguarda l'affare
de'Signori della Missione, vi prego di lasciarlo in mano di Dio; preferisco ch'essi non siano nella
vostra città, piuttosto, che vederveli col favore e coll'autorità degli uomini..»
Nemico della discordia e de' litigi si sforzava di conciliare gli animi; dal momento ch'ei
sapeva che due famiglie erano al punto d'inimicarsi correva di subito e adoperavasi a tutte guise
per rappacificarle. Diceva che un litigio era un boccone di dura digestione, e che il migliore non
vale un accomodamento. «Noi litighiamo il meno che possiamo, scriveva ad un de'suoi che
spontaneamente si era inoltrato in un affare ch'era ito a male; e quando noi siamo costretti a
litigare, ciò avviene dopo aver preso consiglio e al di {20 [234]} dentro e al di fuori; amiamo
meglio perdere del nostro, che scandalizzare il prossimo.» Dio ciò non ostante ha permesso
ch'egli avesse alcune liti, ne guadagnasse, e ne perdesse, ma la Provvidenza voleva formare di lui
un modello per tutti gli stati; e quello de'litiganti ha bisogno di grandi esempi. La sua condotta
era ammirabile nelle liti. Allegava tutto ciò ch'era favorevole per la parte contraria, senza nulla
omettere, e faceva risaltare le lor ragioni tanto bene, e forse assai meglio di quel che avrebbe
fatto lo stesso avversario. Riguardava le sollecitazioni quali mezzi poco conformi all'equità;
diceva che un giudice che teme Dio non ha alcun riguardo; ch'egli stesso quand'era nel consiglio
della Regina non faceva nessun conto delle raccomandazioni, e si contentava d' esaminare sela
cosa richiesta era giusta o no. Risparmiava l'interesse di coloro che l'attaccavano più assai del
proprio, e pagò pure una volta le spese di una lite che aveva guadagnato; di più nudri i litiganti, li
alloggiò,e loro diede il denaro per tornarsene a casa.
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Per ultimare il suo ritratto basterà aggiungere, ch'egli si era proposto Gesù Cristo a
modello; attingeva nel Vangelo tutta la sua {21 [235]} morale, tutta la sua civiltà, tutta la sua
politica, e,coloro che l'hanno frequentato di più riguardarono come per sua insegna particolare
quelle parole che un eccesso d'amore gli fece una volta pronunziare: non trovo cosa che mi
piaccia se non in Gesù Cristo. Tale era, a giudizio di coloro che al suo tempo eran più tenuti in
pregio e più in grado di ben conoscerlo, l'Institutore della congregazione della Missione; e
benchè grande sia l'idea che ne abbiam dato, si vedrà in seguito nel corso di quest'opera, non
aver noi fatto altro che tenuemente accennare il complesso di sue virtù.
Frutto. Un divoto atteggiamento della persona, la riserbatezza nel parlare sono le due basi
sopra cui noi possiamo formarci un carattere cristiano e religioso, procurando però che le parole
e le azioni siano sempre regolate secondo le massime del Vangelo. {22 [236]}
Giorno secondo. Sua imitazione di Gesù Cristo.
Il nostro divin Salvatore aveva detto a tutti i fedeli cristiani, che colui il quale cammina
dietro a' suoi passi non cammina nelle tenebre, ed è sicuro di avere un giorno il lume di vita
eterna. Perciò invitava tutti a seguirlo, proporselo per modello d'umiltà e di mansuetudine.
Persuaso Vincenzo che il discepolo non è perfetto se non quando rassomiglia al suo maestro si
prefisse di averlo continuamente dinanzi agli occhi. Lo esprimeva nelle sue parole, nelle sue
azioni, seguitando, per quanto ad un mortale è concesso, le vie penose che ci ha insegnato il
Salvatore. Lo esprimeva ne' consigli ch'era obbligato di dare, procurando di non darne alcuno
che il Figlio di Dio potesse disapprovare; l'esprimeva colla sua fermezza, calpestando l'amor
proprio ed il timore di vedere riprovata la sua condotta da coloro che amano la gloria degli
uomini più di quella di Dio; colla sua sottomissione, ricevendo il bene ed il male con perfetta
indifferenza; col suo zelo per la salvezza delle {23 [237]} anime, risoluto di correre, e di far
correre in traccia della pecorella smarrita per sino alle porte dell' inferno, se poteva sperare di
riacquistarla; colle sue mortificazioni sempre coll'attenzione rivolta a quel Dio penitente a cui ne'
suoi giorni mortali mancò una pietra ove posare il capo. Finalmente l'esprimeva così bene in tutta
la sua condotta che un sacerdote il quale ebbe la sorte di godere della stia dimestichezza per lo
spazio di cinquant'anni, confessò di non averlo mai udito a dire parola o fare cosa alcuna che non
fosse in ordine a Dio.
Un celebre Dottore avendo dimandato a qualcuno che aveva conosciuto particolarmente
il Santo, quale era stata la sua propria e particolare virtù, rispose, ch' era l' imitazione di Gesù
Cristo, che il Divin Salvatore era stato la sua regola eterna, ed il libro da lui consultato in tutte le
sue azioni. Avrebbe potuto soggiungere eh' egli l'apriva a' dotti del pari che agi' ignoranti, ai re
egualmente che a' sudditi. Luigi XIII ne fece la prova nell' ultima sua malattia. Quel principe
fece venire a se Vincenzo. Il Santo per annunziargli la morte, che una malintesa politica
nasconde quanto può agli {24 [238]} occhi dei grandi del secolo, gli disse avvicinandose gli:
«Sire, colui che teme Dio si trova bene negli ultimi momenti: Timenti Dominum! bene erit in
extremis.» Quest'introduzione non sorprese un re assuefatto a nudrirsi colle più belle massime
della Sacra Scrittura, terminando la sentenza tranquillamente rispose: Et in die defunctionis suae
benedicetur. Sembrava che due cose occupassero quel principe; la conversione de' protestanti e
l'elezione alle dignità ecclesiastiche, di cui se ne fa un onore in vita, e che costa tal fata ben caro
in punto di morte.
Scorgendo dalla sua camera il luogo ove dovevano le sue ceneri dopo la sua morte essere
riunite a quelle de' suoi predecessori, disse: Io non uscirò di qui che per andare colà. Vincenzo
non lo perdette mai di vista duranti gli ultimi giorni di sua vita: lo confortò ad elevare lo spirito
ed il cuore a Dio, dove gli stavano preparati troni e ricchezze assai più durevoli che le terrene
non sono. Quel principe il quale vedeva con occhio intrepido approssimarsi l'ultimo suo
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momento, dimandò al nostro Santo quale era il miglior modo di prepararsi alla morte: {25 [239]}
«Sire, rispose Vincenzo, si è d' imitare quello con cui Gesù Cristo si preparò alla propria, e di
sottomettersi interamente e perfettamente, come egli fece, alla volontà del Padre celeste.» Non
mea voluntas sed tua fiat. O Gesù, ripigliò quel monarca cristianissimo, e spirò con questi buoni
sentimenti fra le braccia del nostro Santo, il giorno nel qual trenta anni addietro era salito sul
trono.
Così Vincenzo ebbe ognor presente il Figlio d'Iddio per servirsene di modello; ed
appunto per ricopiare più esattamente Gesù Cristo annichilato fuggiva fino l’ ombre di
ostentazione! pubblicava ovunque la bassezza de'suoi natali, si qualificava per ignorante, e
detestava la pompa delle parole ed il fasto della mondana eloquenza.
«Nostro Signor Gesù Cristo, soleva dire, poteva dare un grande splendore alle sue azioni,
ed una sublime virtù alle sue parole; non volle farlo; fece anche di più, poichè per confondere
maggiormente il nostro orgoglio colle sue ammirabili umiliazioni, ha voluto che i suoi discepoli
facessero assai più di quel che egli non fece; e perché ciò? perchè volle essere {26 [240]}
superato nelle azioni pubbliche, per ispiccare nelle più abbiette e nelle più umili di cui gli uomini
non conoscono il pregio; vuole i frutti dell'Evangelio, e non vuole le acclamazioni del mondo. Ed
oh! perchè non seguitiamo l'esempio di quel Divino Maestro! perchè cediamo sempre il
vantaggio agli altri! perchè non scegliamo il peggiore ed il più umiliante per noi! Essendo questo
certamente il più gradito agli occhi del nostro Signore, unico scopo a cui dobbiamo tendere. Da
quest'oggi risolviamo adunque di seguirlo e di offerirgli i piccoli sacrifizi. Diciamo gli, e
diciamolo a noi stessi.... Fra due pensieri che potranno venirmi alla mente, io non produrrò
all'esterno che il minore per umiliarmi, e riterrò nascosto il più bello per farne un sacrifizio a Dio
nel secreto del mio cuore. Sì, è una verità del vangelo, che nostro Signore non si compiace
maggiormente quanto nell' umiltà del cuore e nella semplicità delle parole e delle azioni. Ivi
risiede il suo spirito e invano lo cercheremmo altrove. Se volete dunque trovarlo, fa di mestieri
rinunciare all'affettazione ed al desiderio {27 [241]} di comparire, alla pompa dello spirito non
che a, quella del corpo, e infine a tutte le vanità e a tutte le soddisfazioni della vita.» Per tal
maniera Vincenzo seguitava il' gran modello della vera virtù, il fonte di ogni santità, l’ Uomo
Dio Cristo Gesù.
Siccome l'uomo è nato per amar Dio e far del bene al suo simile, così noi vedremo tutti i
pensieri di Vincenzo intenti a questi due oggetti, Dio per amarlo, prossimo per beneficarlo.
Transibat benefaciendo.
Frutto. Bisogna risolversi ad imitare G. C. e seguirlo ne'patimenti; altrimenti non
verremo giammai a partecipare della sua gloria. Qui vult gaudere cum Christo oportet pali cum
Christo. {28 [242]}
Giorno terzo. Sua carità verso de'mendici.
La virtù che caratterizza essenzialmente il cristiano è la carità. L'uomo privo di questa
virtù, dice s. Gioanni, è come un corpo morto incapace di agire. Motivo per cui S. Paolo la
chiama la più bella e la maggiore di tutte, la quale solleva l'uomo allo stato di angelo. Questa
virtù fu indivisibile a tutte le azioni di Vincenzo. Cominciò sì per tempo l'esercizio della carità,
che si può dire la compassione essere nata con lui. Se gli avveniva d'incontrare qualche persona
bisognosa, sentivasi tutto commosso, e donava quanto aveva per soccorrerla. Talvolta privavasi
de'propri alimenti per darlo a'poveri; ed avendone un tal dì trovato uno, che gli parve
estremamente povero, gli diede trenta soldi; somma, a vero dire, modica in so stessa, ma assai
considerevole per un fanciullo, che aveva impiegato lungo tempo ad accumularla a poco a poco.
Tali furono nel piccolo Vincenzo ( non toccava ancora i dodici anni) i primi saggi d'una
carità, che doveva in seguito operare {29 [243]} sì grandi prodigi. Accenneremo qui di passaggio
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come il servo di Dio stabilì ospedali, confraternite di carità ed assemblee di signore, e con questi
diversi mezzi riuscì a procurare ad un numero infinito di poveri, sani ed infermi, i soccorsi di cui
abbisognavano: ma quello che si può dire con tutta verità si è, che le sue grandi opere, tanto utili
a' miserabili, sussistono ancora oggidì. Bastano per dimostrare quale sia stata la carità di
Vincenzo de'Paoli parecchi pii stabilimenti che fanno tanto onore alla Francia, all' Italia, anzi il
suo spirito maravigliosamente rinasce e si propaga in ogni luogo. La città di Torino si gloria di
un ricovero sotto gli auspizi di S, Vincenzo, dove più centinaia di poveri, di storpi, mentecatti,
orfanelli, infermi, sordomuti ecc. trovano sollievo alle loro indigenze1.
Sta scritto del Santo Giobbe, «che giammai ricusò a' poveri ciò che desideravano; che
non fece invano aspettar lungo {30 [244]} tempo la vedova, non mangiò mai da solo il suo pane,
il quale divise coll' orfanello; nè trascurò di soccorrere colui, il quale non avendo abiti moriva di
freddo, nè il povero era privo di vestimenti.» È questo il ritratto di Vincenzo. Sente che la metà
degli abitanti di l'alesò sono ammalati, che muoiono dieci o dodici per giorno, che quel luogo
avrebbe bisogno di un sacerdote e d' ogni sorta di viveri; all'istante fa partire a sue spese quattro
de'suoi preti con un chirurgo, ed invia quasi tutti i giorni una vettura carica di farina, di vino, di
carne e di altre derrate; vi impiega quanto danaro egli ha, e quando non può più dar nulla,
sollecita la carità di persone potenti. Appena ebbe provveduto a' bisogni di Palesò, le
innondazioni della Senna presentano alla sua carità un campo di non minore estensione. Gli
abitanti di una città non potendo uscire dalle loro case si trovano ridotti ad estremi tanto più
grandi, quanto che non possono spedire alcuno a chiedere soccorso, ma Vincenzo, mediante la
conoscenza che aveva della situazione di quel villaggio, previde quel che era pur troppo
accaduto, e, {31 [245]} senza aspettare avvisi più certi, spedì sul momento una carretta carica di
pane; fece lo stesso il dì seguente, e finchè durò lo straripamento, continuò ad inviar loro dei
soccorsi; intantochè due de'suoi missionari, esponendosi sopra alcuni batelli, andavano in tutte le
strade di quel paese distribuendo i viveri agli abitanti, i quali dalle finestre delle loro case
ricevendo i soccorsi rendevano al Signore grazie solenni. Non fu attento solamente ai bisogni de'
poveri della campagna; quelli della città e de' sobborghi di Parigi non ebbero minor parte alla sua
compassione ed alle sue elemosine. Poichè senza parlare di molti orfanelli che in vari tempi
ricevette ed alimentò a San Lazzaro, de' viandanti a' quali faceva distribuire pane o danaro; delle
persone cui la vergogna impediva di domandare, ma che la sua carità facevate cercare e scoprire,
ed alle quali inviava segretamente elemosine in danaro od in viveri, secondo la differenza de'
loro bisogni; d' un gran numero di poveri cui faceva dare degli abiti quando se ne avvedeva del
bisogno; de' prigionieri a' quali andava a far l'istruzione; della caritatevole pratica che introdusse
{32 [246]} (la quale sussiste tuttora) di ricevere tutti i giorni a mangiare alla sua mensa due
poveri vecchi; fece fare fin dal principio della sua Congregazione una distribuzione di pane, di
minestre, di carni a molto famiglie che mandavano a chiederne; ed in seguito una simile
distribuzione a tutti i poveri che si presentavano talvolta fino al numero di ottocento. Del resto
per far conoscere tutto il pregio della carità di Vincenzo bisogna riflettere, che nel tempo in cui
la casa di San Lazzaro soffrì i maggiori danni dalle truppe, le quali nelle turbolenze di Parigi
avevano consumato o rapito tutto quanto poteva servire alla vita, nel tempo stesso che vari de'
suoi poderi erano stati saccheggiati e rovinati, faceva distribuire tutti i giorni le sue elemosine
pubbliche. Per altro non aveva egli imitato la condotta de' prudenti del secolo, che hanno
costume di riserbar qualche somma per gli accidenti imprevisti; avrebbe creduto diffidare della
divina Provvidenza, e quando aveva tutto dato, il suo unico spediente era di prendere ad
imprestito per proseguire la buon'opera.
Dopo sì grandi effetti della sua carità niuno sarà più sorpreso nell' udire ciò che {33
[247]} ora racconteremo. Un soldato che noti conosceva affitto avendolo pregato di riceverlo
presso di se per alcuni giorni, ed essendovisi ammalato, Vincenzo lo fece mettere in una camera
con fuoco, e per dite mesi gli fece prestare da uno de' fratelli della sua Congregazione tutti i
servigi di cui abbisognava fino al suo perfetto ristabilimento. Un carrettiere avendogli esposta la
1 Si allude all'opera Cottolengo detta piccola Casa della Divina Provvidenza sotto gli auspizi di S. Vincenzo de'
Paoli, in cui sono ricoverati oltre mille poveri tra infermi ed abbandonati.
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perdila fatta de' suoi cavalli, gli fece dare all'istante dieci doppie. Un'altra volti aveva appena
ricevuti 40 scudi che li diede sul momento ad un povero uomo che trovavasi in gran bisogno.
Allorchè trovava de' poveri sdraiati nelle strade, li metteva nella carrozza, di cui era costretto a
servirsi per le molte sue infermità, e li conduceva a qualche albergo. Quando moriva qualche
povero nelle vicinanze della casa di san Lazzaro, procurava delle vesti per seppellirlo. Qualora
avveniva che si volessero fare delle spese a carico dei debitori o de' coloni che non pagavano i
loro debiti, cali adoperavasi perchè venisse loro imprestalo danaro onde trarli d'impaccio. Quindi
ben con ragione era chiamato Padre de'poveri, potendosi dire di lui come si disse di {34 [248]}
Giobbe: «ch'egli ricolmava di consolazione il cuore della vedova, e che colui il quale era sul
punto di perire, lo colmava di benedizioni.» Questo titolo conveniva a Vincenzo non solamente
per la prontezza, per l'estensione e per la perseveranza della sua carità, ma anche poi i sentimenti
di tenerezza e di umiltà con cui l'accompagnava. «Sono angustiato per la nostra Comunità,
diceva un giorno, ma essa non mi commove tanto quanto i poveri. Como faranno essi? Vi
confesso che ciò mi è di peso e di dolore. » Tale era la sua compassione verso de' poveri, e si può
benissimo non essere sorpresi di trovarla in un uomo, che faceva tanto per loro; ma non si potrà
sentire senza sorpresa, che Vincenzo de' Paoli sopraccaricato di all'ari, e non camminando che
con pena, sia disceso dalla sua camera per distribuire l'elemosina ad alcune povere donne, alle
quali aveva promesso di mandarla, e che si sia inginocchiato dinanzi a loro, pregandole a
perdonargli per averle dimenticate per qualche tempo.
Frutto. Noi non possiamo a meno di non ammirare tutti questi tratti luminosi di
svisceratacarità {35 [249]}e sentirsi stimolati a fare altrettanto. Procuriamo che questi non siano
solo movimenti del cuore ma risoluzioni pratiche t e alla prima occasione mostriamoci sensibili e
nel tempo stesso benefici al nostro simile, che ci dimanda aiuto.
Giorno quarto. Amore del Santo per Dio.
Per bene apprezzare qual sia stato l’ amore di s. Vincenzo verso Dio, sarebbe mestieri
conoscere tutta l'influenza dello Spirito Salito sul cuore di lui, e la fedele sua cooperazione a'
lumi che ne riceveva. Questa manifestazione cui Dio ha dato principio sulla terra, proponendo le
sue virtù al culto de' cattolici, non sarà perfetta tino al giorno finale in cui rivelerà il segreto de'
cuori. Nulladimeno trovasi in questo mondo, giusta l'espressione dell'apostolo s. Giovanni, un
indizio infallibile il quale ci fa discernere se si ama Dio, e questo {36 [250]} indizio è la costante
osservanza della santa sua legge. Vincenzo fu esalto nell' adempiere a tutti i doveri che essa
impone. Perfettamente unito al suo Dio, come tutto il suo esteriore indicavalo, ei regolava tutte le
sue azioni a seconda de' comandi di quella legge eterna dalla quale emana ogni giustizia. La vita
di lui era un continuo sacrifizio che faceva a Dio degli onori, dei piaceri del mondo e delle sue
affezioni. Il suo cuore non provava mai una gioia tanto sensibile come allorquando lo rivolgeva
verso la gloria ineffabile che Dio possiede in se stesso. Il più vivo de'suoi desideri era, che Dio
fosse più conosciuto, servito, adorato in ogni luogo, da ogni creatura. Quanto faceva, diceva, non
avere altro scopo, tranne quello d'inspirare in tutti questo Divino amore. Da ciò traevano origine
quelle tenere aspirazioni nelle quali prorompeva tratto tratto: «Oh Salvatore! oh mio Signore! oh
bontà Divina! oh mio Dio! e quando è che ci farete la grazia di essere tutti vostri, di non amare
che Voi solo?» Da ciò la cura che aveva di purificare la sua intenzione, e di rammentarsi
appartenere al Creatore le più piccole al pari delle più grandi azioni. {37 [251]}
Per piacere a Dio nelle cose più grandi facevasi uno studio di piacergli nelle minime eziandio.
Era egli a questo riguardo di una vigilanza tale che a detto di coloro i quali l'osservarono più da
vicino, per mancarvi meno di lui bisognava non esser uomini. Da ciò nasceva l'energia di sue
parole, che penetravano sino al fondo del cuore di chi l' ascoltava. Talché una signora avendolo
inteso ragionare, maravigliata disse alla regina di Polonia: «Eh bene, signora, noti possiam noi
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forse » dire al pari de' discepoli di Emmaus, che i nostri cuori provavano le fiamme dell'amor d'
Iddio, mentre il signor Vìncenzo ci parlava? ve lo confesso, ho il cuore » imbalsamato da quanto
il sani' uomo ci ha testè dello. Non vi è da stupire, rispose la regina, poichè è l' angelo del
Signore che apporta sulle sue labbra gli accesi carboni dell'amor divino, il quale arde nel suo
cuore.»
Nella grande moltitudine di sacri ministri, che settimanalmente concorrevano alla sua
conferenza, diversi hanno attestato che vi andavano principalmente per avere la sorte
d'ascoltarlo, e che ne partivano afflitti {38 [252]} quando per modestia non aveva parlato. Eravi
nelle parole di lui non so quale unzione di Spirito Santo, che commoveva il cuore di tutti gli
ascoltanti. Alcuni fra di essi dicevano a' missionari: «Oh quanto siete voi felici di vedere e di
sentire tutti i giorni un uomo sì ripieno d'amor d'Iddio.»
E in fatti quel sani uomo faceva trascorrere le fiamme della sua carità persino nell'anima
di coloro i quali conversavano con lui. «Non vi era, dice l' Arcivescovo di Vienna nella sua
lettera a Clemente IX (10 gennaio 1676), nè discorso, nè letura di divozione, che producesse
tanta impressione, quanta ei ne faceva su coloro che avevano la sorte d'intrattenersi con lui.» I
fanciulli stessi che facilmente s'annoiano de' seri ragionamenti, avevano piacere d'ascoltarlo. «Io
era assai giovane, diceva Monsignore di Brienne nella sua lettera al Sommo Pontefice (13
novembre 1703), quando cominciai a conoscere quel vecchio venerando, il quale aveva molta
benevolenza per la mia famiglia, e ciò nulladimeno aveva fin d'allora al pari degli altri un'idea
tanto grande di sua santità, che una lunga serie d'anni non bastò {39 [253]} a farmi dimenticare i
suoi discorsi. »
Un peccatore ostinato nel vizio fu diretto ad un missionario, affinchè gl'inspirasse
migliori sentimenti. Non potè venirne a capo, giacchè in quell'uomo l' abitudine del male erasi
convertita in natura. Quel sacerdote lo presentò p Vincenzo, in quella guisa a un dipresso che si
presentava al Salvatore l'ossesso che i suoi discepoli non avevan potuto guarire. Il servo di Dio
parla a quell' inveterato infermo di spirito, lo incalza, lo scuote, lo confonde, ed ha la
consolazione di veder cadere dagli occhi una parte di quella benda ond'era accecato. Tantosto
cominciansi a scoprire in lui le primizie di un uomo nuovo. il figlio dell'iniquità geme sulle sue
catene, dimanda un ritiro ove possa liberarsene, lo fa con fervore, e sostiene costantemente le sue
prime promesse Ringrazia il suo liberatore e pubblica essere Vincenzo colui che gli aveva
cangiato il cuore.
Non contentavasi il Santo di avere un semplice amore di affetto verso Dio, e di concepire
alti sentimenti della sua bontà e gran desideri della sua gloria, ma rendeva questo amore di
effetto, e come lo vuole S. {40 [254]} Gregorio, ne dava colle operazioni delle prove: Probatio
dilectionis exhibitio est operis. Ed è perciò che il santo sacerdote esortava i suoi confratelli ad
amar Dio coll'impiego delle loro braccia e col sudore della loro fronte..«Poichè sovente,
soggiungeva, tanti atti d'amore d'Iddio e n tanti altri, affetti di un cuore tenero, comunque
buonissimi e desiderabili, rendonsi tuttavia sospetti se non sono congiunti alla pratica dell'amore
di effetto. Si glorifica il mio Padre celeste, dice il Salvatore, allorquando si raccoglie molto
frutto, e su di ciò appunto dobbiamo » stare molto in guardia, posciachè vi sono molti i quali
avendo l' esteriore ben composto ed il cuore ripieno di buoni sentimenti non vanno più oltre, e
troa vandosi nell'occasione di agire rimangonsi inerti. S'ingannano colla riscaldata loro
immaginazione, si contentano de' dolci colloqui che hanno con Dio nell'orazione, ne parlano
persino come se fossero angeli; ma trattasi forse di lavorare per amor di Dio, di mortificarsi, d'
istrurre i poveri, di andar in traccia della pecorella smarrita, di sopportare pazientemente {41
[255]} le malattie o qualch' altra disgrazia? oimè, il coraggio manca e tutti si ritirano! No, no,
non c'inganniamo: Totum opus nostrum in operatione consistit. Appresi io questo da, un gran
servo di Dio: trovandosi quell' uomo al letto di morte, mi disse scorgere chiaramente in
quell'estremo, che spesse fiate ciò che da taluni riguardavasi come contemplazioni, rapimenti di
spirito, estasi, movimenti anagogici come si appellano, unioni deifiche, non erano altro che
fumo, e che tutto ciò derivava o da una curiosità ingannatrice, o dagl'impulsi naturali di uno
spirito, il quale aveva qualche tendenza al bene; quando in vece una buona azione è il verace
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contrassegno dell' amore di Dio. Totum opus nostrum in operatione consistit. Insegna l'Apostolo
essere le sole buone azioni che ci accompagnano nell'altra tra vita. Riflettiamo pertanto su di ciò,
tanto più che a'nostri giorni vi sono molti i quali sembrano virtuosi, e lo sono in fatti,
nulladimeno sono inclinati ad una vita dolce e molle, anzichè ad una divozione solida e
laboriosa. Paragonasi la Chiesa ad una gran messe la quale {42 [256]} abbisogna di operai che
lavorino. Non c'è cosa tanto conforme col Vangelo quanto il radunare de' fumi e delle forze
mediante l'orazione, la lettura e la solitudine, e quindi far parte agli uomini di questo pascolo
spirituale. È un imitare ciò che si fece dal nostro Signore, e dopo lui dagli Apostoli; è un
congiungere l'ufficio di Marta a quello di Maria; è un seguire l'esempio della colomba, la quale
digerisce la metà dei cibo che ha inghiottito, e indi col proprio becco fa passare il rimanente in
quello de'suoi pulcini per nutrirli. Ecco in qual modo colle opere dobbiam testificare a Dio che lo
amiamo: Totum opus nostrum in operatione consistit. »
In conseguenza il sant' Uomo raffigurava sempre nostro Signor Gesù Cristo negli altri,
onde eccitare con maggiore efficacia il suo cuore a prestar loro tutti i doveri della carità.
Considerava il divin Salvatore qual Capo della Chiesa nel Supremo Pontefice, qual Pontefice ne'
Vescovi, qual Principe de' pastori ne' Sacerdoti, qual Sovrano nei Re, qual nobile ne'
gentiluomini, qual giudice ne' magistrati ed altri ufficiali. {43 [257]} Essendo nel Vangelo
paragonato il regno de'cieli ad un negoziante, egli considerava Dio come tale ne' commercianti,
operaio negli artigiani, povero ne' mendichi, infermo negli ammalati, agonizzante ne' moribondi.
Vedendo per tal modo Gesù Cristo in ogni stato, e ravvisando in ogni stato una immagine del
Redentore, che il suo prossimo gli rappresentava, animavasi così ad amaro e servire le creature
nel nostro Signore, ed il nostro Signore in tutti. Esortava tutti coloro, cui parlava, a seguire
queste massime, onde rendere più perfetta la loro carità verso Dio e verso gli uomini.
Finalmente aveva per principio di far tutto per amore d'Iddio e nulla per umani rispetti.
Essendo tale amore incompatibile cogli umani rispetti, soffrir non poteva che si agisse a fine di
piacere agli uomini. Uno de'suoi missionari il quale non aveva stabile soggiorno in Roma credè a
proposito, ad oggetto d' interessare vie più a suo prò i Cardinali, di cominciare ne' loro domini le
missioni, di cui il Santo Padre avevagli lasciata libera la scelta. Vincenzo, cui ne scrisse, gli
rispose, un tale divisamento essere umano e contrario alla cristiana semplicità. {44 [258]} «Oh
Dio! ci preservi il Signore dall'operare alcuna cosa per fini cotanto hassi. La sua divina Bontà
richiede che non facciamo giammai del bene in nessun luogo per farci stimare, ma che abbiamo
Lui solo direttamente di mira in tutte le nostre azioni, e che nulla da noi si operi per umano
riguardo........... Assicuratevi, che le massime dei Figlio d'Iddio e gli esempli della sua vita
privata non sono sterili, essi producono a suo tempo il loro frutto, e chi opera in contrario, tutto
riesce in male.»
L'abborrimento che il servo di Dio aveva per le mire mondane lo fece prorompere un
giorno in uno di que'moti subitanei, quali lasciano trasparire le abituali disposizioni del cuore.
Uno de' suoi erasi accusato in presenza degli altri di aver fatto qualche azione per riguardi umani.
Vincenzo afflitto in sentire un missionario aver altre mire fuori che Dio, «sarebbe meglio, disse,
essere gettato sovra acceso rogo coi piedi e colle mani legate, che il fare un'azione col fine di
piacere agli uomini.» Compiangeva la follia di coloro i quali, avendo solamente intenzioni
terrene, perdono {45 [259]} quel tempo e quelle fatiche che riuscirebbero cotanto salutifere se
elevati si fossero fino a Dio.
«L'intenzione, dicevasi da lui, è l'anima delle nostre opere; essa ne aumenta sommamente
il pregio ed il valore; poichè siccome geli abiti d' ordinario non si stimano tanto per la stoffa di
cui si formano, quanto per li ricami de'quali vanno adorni, così non bisogna già contentarsi di
fare delle buone operazioni, ma è necessario illustrarle col merito di una santa intenzione,
facendole unicamente per piacere a Dio. »
Da questi principi purificati nasceva in lui un vivissimo desiderio di procurare la, gloria
d'Iddio e di condurre tutti a partecipare di questi stessi sentimenti. voleva che un vero discepolo
di Gesù Cristo rendesse conto a se stesso de'motivi i quali lo spingevano ad agire, e
interrogandosi prima di cominciare ognuna delle sue azioni, dicesse a se medesimo: Per qual
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motivo intraprendi tu questa anzi che la tale altra cosa? È forse per soddisfarti, o per piacere ad
una debole creatura? Non è forse nell'unica mira di adempiere la volontà di Dio {46 [260]} e di
seguire l' impulso del suo spirito? « Quale vita condurremmo noi, diceva a'suoi, se ci fosse dato
di contrarre la beata facilità di voler tutto in Dio e tutto per Dio! La nostra vita avrebbe una
relazione mag giore con quella degli angeli, che con quella degli uomini; sarebbe in certo
qual modo tutta Divina, poichè tutte le nostre azioni si farebbero co' movimenti dello Spirito
Santo e della sua grazia. »
Tutta la vita del Santo è una prova ch'egli agì costantemente in questo senso, e questa
prova verrà confermata dalle grandi cose che andremo esponendo.
Frutto. Una limosina per amore d'Iddio. {47 [261]}
Giorno quinto. Sua carità verso il prossimo e specialmente versi
de'condannati alle galere.
Benchè i bisogni de'poveri della campagna fossero il grande oggetto dello zelo di san
Vincenzo, non limitavasi per altro a questi; tuttociò che portava l'impronto della miseria era di
sua pertinenza. Non aveva bisogno di sollecitazioni, nè di preghiere importune, andava in cerca
de'più miserabili e si affrettava a sollevare quegli stessi, i quali non avevano giammai pensato
d'implorare il suo soccorso. Non così tosto ritornava dalle Missioni, che per sollevarsi dalle
fatiche inseparabili da sì penoso ministero, visitava gli ospedali e le prigioni, e prodigava
a'prigionieri ed a' malati tutti i servigi che poteva. La sua inclinazione spingendolo sempre
laddove trovavasi maggior quantità di piaghe da guarire, volle sapere com'erano trattati i forzati a
Parigi prima di esser condotti a Marsiglia. Lo fecero entrare nelle più secrete prigioni; s'
immaginava bensì di trovarvi molta miseria, ma assai più ne trovò di quella ch' aveva creduto.
Ecco un' idea {48 [262]} in poche parole de' disgraziati rinchiusi in oscure e profonde caverne,
divorati da insetti schifosi, estenuati dal languore e dalla povertà, e interamente trascurati
quanto al corpo e quanto all'anima.
Un trattamento sì opposto alle regole del cristianesimo e dell'umanità stessa commosse
vivamente il santo Sacerdote; non si dissimulò che il rimedio ad un sì gran male costerebbe
molto. Da una parte si trattava di sollevare un gran numero di miserabili, dall'altra bisognava
raddolcire il loro stato senza sottrarli alla giustizia; inspirare un salutar timore de' giudizi di Dio
ad uomini che non ci avevano mai pensato, insegnare ad una moltitudine di cuori ostinati nella
colpa, a santificare coll'amore e colla pazienza quei medesimi patimenti che gl'inasprivano, e che
erano per essi un' occasione così prossima e continua di bestemmia e disperazione. Per loro
ventura non conosceva Vincenzo che cosa fosso difficoltà quando si trattava di procurare la
gloria di Dio, e di soccorrere gli afflitti.
Ripieno ancora delle emozioni cagionategli da que' tristi oggetti ne parlò col Signor de'
Gondi generale delle galere: gli rappresentò {49 [263]} que' colpevoli appartenere a lui, e mentre
s'indugiava per condurli al luogo lor destinato, essere proprio della sua carità di non soffrire che
restassero senza consolazione propose un. mezzo onde assisterli corporalmente e spiritualmente;
il Sig. de' Gondi lo approvò, e diede a Vincenzo un pieno potere onde eseguirlo.
Il sant' Uomo affittò una casa, ove riunì tutti i forzati dispersi nelle diverse. prigioni della
città. Non avendo per questa buona opera altri fondi tranne quelli della Provvidenza, mise in
qualche modo a contribuzione quelli fra i suoi amici che erano in situazione di supplire alla
sposa. Il Vescovo di Parigi prese parte a'suoi disegni, e con un monitorio del i giugno dell' anno
1618 ingiunse a' Parrochi, a' Vicari ed a' Predicatori della stessa città, di esortare i popoli a
concorrere ad una sì santa impresa. Le sollecitudini che si diede Vincenzo non furono inutili, il
suo esempio fu seguito da molti, talmente che si vide in grado, dopo aver rimediato ad una parte
de' bisogni del corpo, di poter cominciare a mitigar quelli dell'anima. Spesso visitava i forzati, e
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loro parlava di Dio con una forza piena di dolcezza, {50 [264]} instruivali intorno alle verità
della fede e alle loro obbligazioni; faceva loro sentire, che sebbene involontarie fossero le loro
pene, potevano essere sopportate in un modo da essere meritorie; aggiungeva questa
acquiescenza perfetta diminuirebbe la loro amarezza, e giustamente parlando, non vi erano vere
pene, se non quelle che devono gastigare l'impenitenza finale per tutta l'eternità.
Questi discorsi fecero una grande impressione sopra uomini i quali non vi erano punto
assuefatti, e renduti eziandio più attenti dai buoni trattamenti che di continuo ricevevano, si
videro molti segni di un dolore sincero. Le confessioni generali col tempo condussero al termine
ciò che le esortazioni avevano cominciato. Vincenzo ebbe la consolazione di veder uomini, i
quali sovente avevano dimenticato Iddio per un lungo corso d'anni, appressarsi a' Santi
Sacramenti con disposizioni capaci di animare altresì le persone già inoltrate nella virtù.
Questo cangiamento mentre annunziava in un modo tanto sensibile la forza della mano
dell'Altissimo fece molto onore al nostro Santo, sia in Parigi, che alla Corte. Non si poteva {51
[265]} concepire come un sul uomo potesse farne sussistere tanti altri, nè con quale destrezza
avesse potuto soggiogare cuori naturalmente feroci, nè ove trovasse forze bastanti per sostenere,
senza posarsi un momento, tante funzioni sì varie e sì pericolose. Difatti il Santo Sacerdote
trattenevasi ogni giorno per un tempo considerabile presso i forzati e rendeva loro servigi d'ogni
specie. Le malattie contagiose dalle quali erano qualche volta infetti non lo respingevano; anzi
richiudevasi con essi ond' essere più in agio di consolarli e di soccorrerli.
Quando altri affari, di cui era sopraccaricato, lo chiamavano altrove, ne lasciava la cura a
due virtuosi ecclesiastici dal medesimo spirito animati. Essi alloggiavano in questo nuovo
spedale di forzati, vi celebravano la messa, e nudrivano ogni dì la semente quale il nostro Santo
aveva sì felicemente gettata. Egli non li lasciava soli che il minor tempo possibile. il suo tesoro
era in mezzo di questa terra nuovamente dissodata, il suo cuore vi era incessantemente
richiamato.
Il signor de' Gondi, egualmente sorpreso ed edificato dell' ordine da Vincenzo stabilito in
fra uomini i quali mai non ne aveano {52 [266]} conosciuto, stabilì d'introdurlo in tutte le galere
del regno. Espose al Re la grande capacità e lo zelo del nostro Santo, e gli fece comprendere che,
col favore della corte non mancherebbe di procurare in molti luoghi i vantaggi che aveva già
procurato a Parigi. Luigi XIII acconsentì volentieri ad una proposizione sì giusta, stabilì
Vincenzo Cappellano Regio e generale di tutte le galere.
Nel 1622 Vincenzo andò a Marsiglia in soccorso de'forzati. Chi è pratico di questi luoghi
capisce che il solo nome di forzato rappresenta assai spesso l'idea d'una moltitudine di scellerati,
i quali nel proprio delitto detestano la sola pena che ne è la conseguenza; i quali dall'eccesso del
gastigo resi insolenti e furiosi credono vendicarsi colte loro bestemmie contra Dio de' cattivi
trattamenti ricevuti dagli uomini, simili in qualche modo a quegli angeli delle tenebre, i quali
puniti da Dio con tanto rigore, cangiano di luogo e di clima senza cangiar mai di situazione,
perchè portano ovunque la loro prigione, le lor catene, e le loro perverse disposizioni. Al primo
entrare in que' tetri luoghi trovavasi una parte di ciò che può servire a formarsi un'idea
dell'inferno: si vedeva un {53 [267]} ammasso di disgraziati che soffrivano da disperati, e
pronunziavano il nome di Dio come lo pronunziano i demoni, cioè per bestemmiarlo; che
raddoppiavano i loro supplizi, maledicendo quella mano la quale li percuoteva. Alla vista di
questo spettacolo il sant'Uomo si sentì commosso, ma non stette contento ad una sterile
compassione.
Qual tenero padre andò a visitare quegli infelici, ascoltava i loro lamenti con molta
pazienza,, piangeva con chi piangeva, baciava le lor catene e te bagnava di lagrime, alle parole
univa per quanto il poteva l'elemosina, e con questa si apri la strada ai cuori; parlò ancora agli
ufficiali ed impiegati, gl'indusse a trattare con maggior riguardi degli uomini che soffrivano di
già assai. Le sue cure non riuscirono inutili, si vide più umanità da una parte, e più docilità dall'
altra; lo spirito di pace s'introdusse progressivamente, le doglianze si calmarono, i cappellani
ordinari poterono parlare liberamente d'Iddio, delle cose dell'anima, e conobbero che gli stessi
forzati sono altresì capaci di virtù.
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Il Santo diede una Missione a Bordò, ove il sig. de'Gondi avendo condotto dieci galere,
Vincenzo scelse venti de' migliori operai {54 [268]} evangelici e li distribuì due a due in ogni
galera. Egli era presente dovunque; guadagnò a Dio un maomettano, il quale fu sempre sì
riconoscente alla grazia che il sant'Uomo gli avea procurata, che l'onorava come padre. Ebbe il
Santo la consolazione di vedere un gran numero di forzati convertirsi con tutta la sincerità del
loro cuore.
Si portò pure Vincenzo a Parigi dove procurò lo stesso bene nelle prigioni instituendo un
ospizio per i forzati. La Divina provvidenza lo aiutò mirabilmente inspirando una persona
virtuosa dilegare sei mila lire di rendita al novello ospizio. Fu stabilito che il procuratore
generale avrebbe in perpetuo l'amministrazione temporale di questa specie di spelate, le figlie
delta carità sarebbero destinate al servizio de' disgraziati, e sopra tutto degli ammalati; che ogni
anno si darebbe ad alcuni preti determinati la somma di trecento lire, colta obbligazione di
rendere loro lutti i servizi spirituali che i preti della Missione avevano reso fin allora. Lo zelo di
questi virtuosi ecclesiastici non rallentò quello del Santo per la salvezza de' forzati. Si adoperò di
maniera che da quando in quando si facessero delle missioni, soprattutto allorchè {55 [269]} essi
erano in punto d'essere condotti alle galere, vale a dire precisamente in quel tempo, in cui essi
avevano maggior bisogno di rassegnazione, ed in cui era più opportuno il disporli a fare un
sant'uso delle loro pene.
La sua tenerezza per essi non limitossi solamente a' servigi di cui parliamo, ma li sollevò
nel luogo stesso ove maggiormente soffrivano. Lo stato tristo di quelli tra i forzati che
ammalavano in Marsiglia l'avea commosso assai. Interamente abbandonati, sempre attaccati alle
loro catene, oppressi dai dolori, pressochè consunti dal fracidume e dall'infezione, quei cadaveri
tutt'ora viventi provavano gli orrori del sepolcro. Vincenzo non potè senza una profonda
emozione vedere uomini formati ad immagine di Dio, cristiani redenti dal sangue di Gesù Cristo,
ridotti a morire quali bestie.
Egli ricorsa al Cardinale di Richelieu; gli rappresentò l'orribile stato in cui trovavansi i
forzali a Marsiglia nel tempo delle lor malattie, e la necessità di fondare un ospedale per loro. Il
Cardinale fece aggradire questo progetto al Re, il quale assegnò in seguilo a sostegno dell'
ospedale dodici mila lire di annua rendita sulle gabelle della provincia, {56 [270]} e divenne in
poco tempo uno de'più comodi del regno. Vi si trovarono trecento letti, gli ammalati furono
serviti da altri forzati i quali venivano sorvegliati da uomini liberi. I preti della Missione vennero
incaricati dello spirituale. Questo stabilimento fu una sorgente di benedizioni per i forzati e per
gli stessi maomettani; poichè tocchi costoro dalla carità che aveva il Santo per essi rendevano
omaggio ad una Religione che in Gesù Cristo e per Gesù Cristo forma un popolo solo di tutti i
popoli dell'universo. La Duchessa di Aguillion aveva dato a'preti della Missione quattordici mila
lire, a condizione che quattro di loro s'incaricassero dell'istituzione de'forzati, i quali facessero ad
essi delle missioni ogni cinque anni, allorchè le galere si trovassero a Marsiglia, o in altra parte
del regno. Così un solo prete, un povero prete metteva in movimento quanto lo stato aveva di più
grande per procurare a' disgraziati, che considerava come suoi fratelli, tutti i soccorsi della più
attiva carità.
«Il frutto della missione, scrisse il Vescovo di Marsiglia alla suddetta Duchessa, ha
superato ogni aspettazione. Si trovaron da prima degli spiriti ignoranti e così ostinati {57 [271]}
ne' lor peccati e talmente inospiti contra la loro misera condizione, da non voler a niun patto
sentir parlare di Dio: ma poco a poco la grazia del Signore coll'opera de'Missionari ha
siffattamente ammollito il loro cuore, che mostrano al presente tanta contrizione quanta
ostinatezza dimostravano per l'addietro. Sareste maravigliata, Signora, se conosceste il numero di
quelli che passarono lunghissimi anni senza confessarsi. « Ve ne furono di quelli che avevano
trascorso venticinque anni in questo stato, e protestavano di non voler fare nulla fino a tanto che
restassero nella schiavitù, ma finalmente Nostro Signore si è impadronito di loro, ed ha scacciato
Satana da quelle anime sulle quali aveva usurpato un grande impero. Lodo Dio d'avervi inspirato
un tanto bene (di fondare una missione); ed è l'arrivo di questi Missionari che m'ha interamente
determinato a questa missione, che forse avrei differita ad altro tempo; e ciò non ostante sarebbe
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forse accaduto che alcuni fra di essi sarebbero morti nel miserabile stato in cui erano. lo non vi
posso « esprimere quante benedizioni questi poveri forzati danno a coloro, i quali procurarono
{58 [272]} loro un soccorso cotanto salutare. Io cerco i mezzi onde possano continuare nelle
buone disposizioni in cui si trovano, vado ora ad accordare l' assoluzione a quattro « eretici, che
furono convertiti nelle galere, (per cura di Vincenzo) altri ve ne sono che hanno la medesima
disposizione; poiché queste cose straordinarie li commo vono assai.»
In un'altra missione trenta eretici in circa fecero Ia loro abiura, un turco fu battezzato
sulla galera, altri nove lo furono egualmente ma con maggior solennità nella Chiesa Cattedrale,
ove furono condotti come in trionfo alla vista di un gran popolo il quale benediceva Dio. Il
disegno de' Missionari nel rendere solenne quell'azione, era di scuotere qualche altro turco, che
sembrava esitare. La conversione di questi dieci musulmani era scala preceduta da quella di altri
sette battezzati dal Vescovo di Marsiglia. Quanto mai queste cose sono preziose agli occhi di
colui, il quale lascia le novantanove pecore nel deserto, per correre dietro ad una sola smarrita.
Fecero i missionari di quando in quando delle missioni sopra le galere sia a Marsiglia, che a
Tolone; tutte hanno impedito {59 [273]} de' grandi mali, ed aumentarono il numero degli eletti.
Frutto. Chi non può prestarsi per li detenuti, si presti per li schiavi del demonio animando
e consigliando altri a lasciare il peccato e porsi in grazia di Dio.
Giorno sesto. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone.
VINCENZO non ebbe minor amore per i religiosi, di quello che aveva per gli
ecclesiastici secolari. Ben lontano dal credere che l' umile loro stato fosse una ragione di stimarli
meno, trovava in esso de'motivi di una perfetta venerazione. Non imputava già al corpo,per una
malignità tanto ingiusta quanto comune, la caduta di alcuni particolari. Sapeva che coloro, i quali
nulla perdonando sarebbero molto da compiangersi se fossero misurati in quel modo eh' eglino
misurano gli altri. Occupato come era de' suoi affari Vincenzo non si divertiva a rintracciare i
{60 [274]} diffetti di coloro, di cui non era incaricato; non vedeva que'difetti se non quando
colpivano gli occhi. Scongiurava i suoi per le viscere della carità di Gesù Cristo di rispettare tutti
gli ordini stabiliti nella Chiesa, di sbandire da'loro cuori l'invidia, la gelosia e simili passioni, che
punto non si accordano coll'umiltà, nè colla carità, quale devesi al prossimo. Da ciò emergevano
quelle belle parole che ripeteva sovente. «Amerei meglio.« perdere cento stabilimenti, che
impedirne un solo di qualunque altra comunità. »
La sua tenera affezione per i Regolari mostrossi soprattutto nello zelo che dimostrò nel
ricondurre all'osservanza primitiva del loro stato coloro i quali se n'erano allontanati. Più case
religiose sono un monumento glorioso dell'attività e dell'estensione della sua carità. Non la
ristrinse soltanto ad alcune comunità; ma la estese fino sopra case insolite ed anche sopra
religiosi in particolare. Nulladimeno il suo amore per lo stato monastico non era debole nè cieco.
Non approvava, senza avere solide ragioni, si passasse da un ordine ad un altro, voleva che
ciascuno si santificasse nella propria vocazione. {61 [275]}
« Compatisco le vostre pene, scriveva ad un regolare; abbiate pazienza, M. R. P., e
chiedetela al nostro Signore, cui piace d'esercitarvi. 'Egli farà in modo che l'ordine in cui vi ha
posto, rassomigliante ad un vascello agitato, vi guiderà facilmente al porto. Non posso
raccomandare a Dio, secondo il vostro desiderio, il pensiero che avete di passare in un altro
ordine, perchè mi sembra non sia conforme alla sua volontà. Ovunque ci sono delle croci, e la
vostra età inoltrata vi dove far evitare quelle, che trovereste cangiando di stato.»
Su questo fondamento si può giudicare quanta gioia provasse vedendo un gran numero di
famosi monasteri ridivenire a' suoi tempi come erano stati ne' loro più bei giorni, e quanto dolore
risentisse nel vederne alcuni altri sacrificare la loro coscienza all'amore d'una falsa e colpevole
libertà. Fra i tanti servigi che il Santo ha prestati ad una infinità di monasteri, non si son mai
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conosciuti se non quelli che non ha potuto occultare. Oltre quelli elle rese all'ordine di Malta, per
i quali ricevè dal Gran Maestro Paolo Lascaris (discendente da'Conti di Ventimiglia {62 [276]} e
procedente dagli antichi Imperatori di Costantinopoli) una lettera di ringraziamento, fu
abbastanza felice di prestarne ai Rev.di Padri Minimi, ed è in considerazione di questi servigi,
che il Generale dei medesimi, indirizzò a Vincenzo delle lettere d'associazione, che lo fanno
partecipare alle preghiere, ai sacrifizi, a'digiuni, alle indulgenze e a tutte le buone opere che si
facevano e che si farebbero in seguito in tutta l'estensione del suo ordine.
Quanto Vincenzo fece per introdurre l'ordine presso i Religiosi, lo fece con impegno
anche maggiore per ristabilire o conservare una esatta disciplina nei monasteri di vergini. Sapeva
con San Cipriano, che più le vergini consacrate a Dio fanno onore alla sua Chiesa mediante la
regolarità de' loro costumi, tanto più si rende necessario di fortificarle contro alla loro propria
fragilità, e non ignorava il cattivo esempio contagioso ovunque, lo fosse ancor di più presso
persone più facili ad essere sedotte. Per questo motivo procurò sempre loro delle Abadesse, e
delle Superiore, le quali non dovessero la loro vocazione al sangue nè alla carne, ma unicamente
alla volontà di Dio. {63 [277]}
Persuaso che il fervore o la decadenza delle comunità di vergini proviene ordinariamente
da ehi è alla testa dei monasteri, fu sempre ferino a far nominare per Superiore quelle che erano
le più capaci, le più provate, le più esatte a tutte le osservanze regolari. Così quando alcune
Abadesse, sotto pretesto di età o d'infermità dimandavano per coadiutrici le loro sorelle, le loro
nipoti, od altre parenti, per le quali avevano troppo attaccamento, il Sant'Uomo, nemico
dichiarato di tenerezze affatto mondane non badava se non alla gloria d'Iddio e al bene della
comunità, e qualunque cosa si fosse fatta o detta era irremovibile su questo particolare.
Adduceva per ragione, che allorquando le abazie vengono a vacare in caso di morte, si ha la
libertà di scegliere delle religiose virtuose, e capaci di mantenere il buon ordine se vi è, e di
ristabilirvelo se manca; quando invece col mezzo di queste coadiutrici, una religiosa, che ha poca
virtù, succede sovente ad un'allra, che ne aveva poco più.
Le buone opere, di cui abbiamo finora parlato, non fecero dimenticare a Vincenzo le
figlie di San Francesco di Sales. Le visitò {64 [278]} in vari tempi, e vide con soddisfazione
tutto ciò che la divozione e l'unione hanno di più dolce e di più consolante. Quelle sante figlie
hanno confessato dappoi, la presenza di Vincenzo essere mai sempre stata per loro una sorgente
di grazia e di benedizioni; poichè avendo egli sopra tutto il raro talento di calmare le loro pene,e
molte fra loro ch'erano in preda a aravi tribolazioni di spirito, se ne trovarono interamente
liberate, allorchè avevano la fortuna di conversare con lui. S. Francesta di Chantal confessò pure
con riconoscenza, che i lumi ed i consigli di quel grati servo di Dio le avevano giovato di molto
per la sua condotta particolare, e per quella dell'ordine suo.
La carriera percorsa da Vincenzo è così vasta che è quasi prodigiosa; contando anche per
poco i molti servigi prestati alle comunità d'uomini e di donne; que' soli resi agli eserciti ed a'
paesi che furono il teatro della guerra lo pongono a livello cogli uomini di misericordia, i quali
maggiormente onorarono la Chiesa, e beneficarono l'afflitta umanità. in una sanguinosa guerra
insorse una pestilenza per cui molti morivano privi de' conforti della religione. Vincenzo {65
[279]} inviò venti, de'suoi missionari, i quali confortava con queste parole. «La peste serpoggia
nell'esercito, scriveva Vincenzo ad uno di loro; andate dunque, Signore, andate collo stesso
spirito con cui S. Francesco Saverio andò alle Indie, e riporterete al pari di lui la corona da Gesù
Cristo meritatavi col suo sangue prezioso, la quale vi accorderà se onoratela sua carità.»
La fedeltà di que' degni ministri nel compiere il sacro ministero attirò le benedizioni del
cielo sui loro lavori; ne sostennero la fatica con molto coraggio. Fra pochi mesi contavansi già
quattro mila soldati che s'erano accostati al tribunale di penitenza con grande effusione di
lagrime: alcuni fra loro furono altresì attaccati dalla malattia contagiosa, ma Dio li conservò alla
sua Chiesa per la salute delle anime.
In un'altra guerra moltissimi perivano di miseria; ma Vincenzo pieno il cuore di carità e
colle lagrime agli occhi si presentò alla Regina e ad altre pie persone per ottenere caritatevoli
sussidi. Diede egli stesso l'esempio d'una santa e generosa liberalità. Salvò la vita e spesso
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l'onore agli abitanti di venticinque città, ed un numero infinito di borghi {66 [280]} e di villaggi
che erano agli estremi. I malati riceverono da lui ogni maniera di soccorsi quali potevano
aspettarsi dalla paterna sua carità; procurò degli abiti ad un numero prodigioso di persone non
solo del basso popolo d'ogni età e d'ogni sesso: ma ancora ad una quantità di giovani distinti, che
erano in grave pericolo; a moltissimi Religiosi, li cui monasteri erano stati saccheggiati; ad una
quantità di Vergini consacrate a Dio.
Il Santo adottò nella distribuzione delle elemosine tutte le misure d'una prudenza
consumata. Spedì dodici. de'suoi Missionari pieni di zelo e d'intelligenza in diversi luoghi del
paese; associò loro alcuni fratelli della sua Congregazione, i quali conoscevano alcuni rimedi
contro alla peste ed erano abili in medicina ed in chirurgia; diede loro un lungo e saggio
regolamento, in virtù del quale non potevano offendere i Vescovi, nè i parrochi, nè i governi, nè i
magistrati; prescriveva loro di consultarli affine di evitare le sorprese, e di proporzionare i
soccorsi a' bisogni ed alla condizione di quelli, a' cui dovevano essere distribuiti. il santo ardore,
che comunicò alle migliori famiglie di Parigi, le indusse per verità a fare nel corso di quasi {67
[281]} vent'anni degli sforzi che la posterità durerà fatica a credere: ma il male essendo
pressochè universale e il bisogno quasi estremo, bisognava, se posso così esprimermi,
moltiplicare col buon ordine i soccorsi, i quali sebbene considerabilissimi in se stessi, non
lasciavano d'essere di molto inferiori a' bisogni di quel paese.
Basti solo quanto avvenne a Metz per molti fatti particolari che troppo lungo sarebbe il
numerare tutti. Colà il numero de'poveri era somigliante ad un esercito d'infelici. Ogni mattino se
ne trovavano dieci o dodici morti, senza noverare coloro che sorpresi in siti appartati divenivano
la preda delle bestie carnivore; perchè i lupi furiosi erano pur essi una delle piaghe, con cui Dio
percuoteva quel popolo disgraziato. Assuefatti a nudrirsi di cadaveri si vendicavano sui viventi
de'morti i quali loro mancavano; assalivano in pieno giorno, mettevano a brani, divoravano le
donne ed i fanciulli; le borgate ed i villaggi ne erano infestati orribilmente, entravano perfino
durante la notte nelle città dalle aperture delle mura, portavan via tutto quanto potevano
afferrare.
Notte e giorno il Santo Prete si occupava {68 [282]} di quelle calamità e de' mezzi di
provvedervi; e vi provvide realmente. Fece passare in tutto il paese immense somme di danaro.
stoffe, abiti, coperte e in nessun tempo uomo alcuno meritò meglio di lui il nome di Padre de'
poveri. La Lorena deve di generazione in generazione trasmettere fino a' suoi più tardi nipoti la
memoria, che la maggior parte di essi devono a lui l' esistenza perchè la salvò ai loro padri:
questo appunto riconobbero i magistrati di quasi tutte le città da lui soccorse. Ringraziarono il
Santo a nome de' loro fratelli, a un dipresso come San Paolo ringraziava Filemone per avere
soccorsi nella loro estrema miseria i servi di Dio: Quia viscera Sanctorum requieverunt in te.
Frutto. Se desideriamo che le nostre viscere si possano anche appellare viscera
Sanctorum viscere de'Santi, sia nostro impegno soccorrere il prossimo quando è travagliato dalla
necessità. Il demonio per ingannarci dice di pensare attentamente all'avvenire e conservarci
alcunchè pel caso d'inaspettato bisogno; ma questa è prudenza mondana; il Signore ci parla
chiaramente dicendo che colui il quale vuol essere suo vero discepolo deve dare a'poveri tutto
quanto gli sovravanza del necessario sostentamento. Quod superest date pauperibus. {69 [283]}
Giorno settimo. Conversioni operate da S. Vincenzo de'Paoli.
Quando Vincenzo venne fatto schiavo, dopo molte vicende fu a Tunisi venduto ad un
rinegato di Nizza. Questo padrone impiegava Vincenzo a' lavori della terra, ed il Santo doveva
naturalmente credersi assai lontano dal riacquistare la sua libertà, ciò nulladimeno era questo più
vicino che noi pensasse; vale a dire per mezzo della conversione del suo padrone e della sua
padrona. La moglie di questo era maomettana; ma scorgendo nella modestia e nella pazienza
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dello schiavo qualche cosa di grande, a cui non era assuefatta, andava frequentemente a vederlo
alla campagna ove lavorava, e gli faceva mille dimande sulla religione de' cristiani, sui loro usi e
sulle loro cerimonie. Un giorno gli comandò di cantare le lodi del Dio che adorava. Un uomo
colmo dello spirito de' salmi, si rammentò senza pena di quelle commoventi parole, dal dolore
dettate a' figli d'Israele, allorchè erano prigionieri in Babilonia, come era egli schiavo in
Barberia. Cantò il {70 [284]} salmo Super flumina Babilonis, e poscia la Salve Regina e simili,
di cui la maomettana fu estremamente penetrata. Quindi le parlò dell'eccellenza della religione
cristiana.
Quella donna, sorpresa ed incantata di quanto aveva ascoltato, disse a suo marito, che
aveva gran torto di aveo abbandonata la sua religione, la quale, sul racconto che Vincenzo le
aveva fatto, le sembrava estremamente buona, e perciò il Dio dei cristiani non meritava di essere
abbandonato. Un tale discorso nulla aveva d i lusinghiero per un apostata; poichè se uno è
padrone di abbandonare la sua prima vocazione, non è per altro padrone di soffocare i gridi della
propria coscienza, ed il peccatore il più ostinato sente nel suo interno una voce importuna la
quale parla più forte di quella, che ferisce l' orecchio. Il nizzardo confuso nulla replicò, ma il dì
seguente si manifestò a Vincenzo, e l'assicurò essere pronto a salvarsi con lui. Il momento delta
partenza non giunse che dieci mesi dopo; il padrone e lo schiavo salirono ambidue sopra un
piccolo batello, incapace egualmente o di resistere al furor del mare, o difendersi contro a'corsari.
Per {71 [285]} poco fossero stati inseguiti o scoperti non potevano evitar la morte. In que'tempi
il processo di due uomini, di cui uno fa abiurare il maomettismo all'altro, è ben presto fatto: sono
impalati ambidue senz'altra formalità. Tutti questi pericoli non arrestarono i nostri viaggiatori;
posero la loro sorte nelle mani di Dio: invocarono quella a cui la Chiesa dà il nome di Stella del
mare; la loro speranza non fu delusa, e il dì 28 di giugno arrivarono in Francia e andarono in
Avignone.
Colà il rinegato diede tutti i contrassegni della più sincera conversione, e fu riconciliato
pubblicamente dal vice legato Pietro Montorio. Quel prelato lo fece ricevere nell'ospedale di s.
Gioanni d'Iddio ove aveva fatto voto d'entrare, onde far penitenza; ei si dedicò infatti al servizio
degli ammalati per sempre. La stia conversione fu opera del santo Sacerdote.
Una volta Vincenzo fu chiamato a confessare un contadino pericolosamente infermo.
Quel disgraziato aveva la coscienza aggravata da più peccati mortali, che un falso rossore gli
aveva sempre impedito di manifestare, e animato dalla dolcezza, colla {72 [286]} quale era
trattato dal suo Direttore, si fece coraggio e gli scoprì que'falli secreti i quali non aveva giammai
avuto la forza di palesare ad alcuno. Il penitente alleggerito da un peso enorme, che l'opprimeva
da parecchi anni, trasportato dalla gioia esclamava: «io era dannato se non avessi fatto una
confessione generale a causa de' più gravi peccati, de' quali non aveva osato farne la
confessione.» Egli dovette questi buoni sentimenti al servo di Dio, e la sua morte edificò molto
coloro che ne furono testimoni.
Fra le conversioni in molte guise operate dal Santo è singolarmente strepitosa quella di
un nobile signore savoiardo. Ritiratosi costui in Francia aveva passato tutta la sua vita alla corte,
e come per l' ordinario succede a coloro che la frequentano, ne aveva preso i sentimenti e le
massime. Essendo allora i duelli la passione dominante delle persone qualificate, ed il mezzo il
più proprio per acquistare quella falsa riputazione, di cui queste sono sì gelose, il nostro militare
il quale non sapeva perdonare nè dissimulare un' ingiuria, passava per uno de' più grandi duellisti
del suo secolo. E {73 [287]} cosa incredibile quanti omicidi avesse commessi. La riputazione di
Vincenzo essendosi ben presto dilatata, egli volle conoscere co' propri occhi un uomo, di cui si
raccontavano tante cose straordinario. La parola del Santo fu per lui la spada a due tagli, di cui
paria la scrittura; essa penetrò nei nascondigli dell'anima sua; questo uomo che ne aveva fatti
tremare tanti altri, cominciò a temere egli stesso. La sua coscienza gli fece orrore, e per calmarla
si pose sotto la direzione del Santo. Il suo ritorno a Dio fu sincero, e Vincenzo ebbe difficoltà a
moderare il suo fervore. Tutta la provincia dove abitava fu maravigliata vedendo un uomo
vendicativo, collerico all'eccesso, e che non conosceva altre leggi fuori quelle della convenienza
del secolo, abbracciare in meno di quindici giorni i più rigorosi esercizi d'una vita perfettamente
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cristiana. Vendè sull' istante un vasto suo podere, e la somma ritratta impiegò parte a fondare
monasteri, parte a sollevare coloro i quali si trovavano nell' indigenza, ed avrebbe venduto
quanto possedeva se Vincenzo per giusti titoli non l'avesse impedito. Condusse tutta la sua vita
in modo affatto {74 [288]} esemplare. Finalmente vicino a morire chiese un Padre cappuccino, e
ricevette l' umile abito di s. Francesco. Quell'abito di penitenza gli sembrò più glorioso di tutte le
dignità, di cui era stato rivestito. Non vi fu alcuno il quale dubitasse, la di lui morte non fosse
preziosa agli occhi del Signore.
Il santo Sacerdote non limitò già il suo zelo a coloro che s. Paolo chiamò i domestici
della fede; lo estese altresì a coloro i quali le nuove eresie avevano separato dalla Chiesa. Uno
de' primi di cui imprese la conversione fu un certo Reinier, presso del quale egli aveva
alloggiato. Era questi un giovine signore, a cui i suoi parenti avevano trasmesso e i loro errori ed
un considerabile patrimonio, e perciò una grande facilità d' immergersi in ogni sorta di disordini,
egli ne usava senza riguardo. Vincenzo sull'esempio del Salvatore, il quale conversava volentieri
co' pubblicani e che aveva cura maggiore de' malati che de'sani, s' insinuò progressivamente nel
suo spirito; fece a lui comprendere il pericolo nel quale i suoi cattivi costumi e la sua eresia
esponevano l'eterna sua salvezza; lo separò a {75 [289]} poco a poco dalla compagnia de'
libertini che l'assediavano, finalmente gli rappresentò co' modi i più vivi, che se il libertinaggio
s'accorda bene con una religione, la quale facesse Dio autore del peccato, non s'accorda per altro
colla vera religione di Gesù Cristo. Le parole dell'uomo di Dio ló scossero finalmente. Il
cangiamento inopinato della sua condotta destò inquietudini ne'ministri di sua setta; un uomo
ricco è un oggetto per li settari; le cui 'sostanze aiutano la fazione, e il suo nome ne aumenta il
numero. Si mise dunque tutto in opera per trattenere un uomo il quale diveniva sospetto soltanto
per essere divenuto più saggio; ma i rimproveri e le sollecitazioni furono inutili. La grazia
operava, e il nuovo proselita, dopo aver rinunciato alle sue sregolatezze, abiurò l'eresia, menando
il resto di sua vita in opere di cristiana pietà.
La conversione di Reinier fu seguita da molte altre, ma non ve n'ebbe alcuna che facesse
più rumore di quella de' figliuoli di un certo Garone, perchè non ve ne fu alcuna più contrastata.
Il loro padre era uno de' più zelanti partigiani della religione pretesa riformata, il cangiamento di
Reinier {76 [290]} suo cognato lo aveva irritato, ma quando s' avvide che si disingannarono
anche i suoi figli, allora più non ebbe ritegno. Mise in opera tutto quanto l'autorità paterna ha di
più atto per fare impressione; li minacciò diseredarli, citò Vincenzo alla camera di Grenoble,
mise in movimento e i suoi amici, e i suoi ministri. Tutto fu inutile, poichè non v' è forza nè
potenza che possa prevalere contra i disegni di Dio. Tutti i suoi figli si convertirono. il
disgraziato padre ne morì di cordoglio, ma la sua stessa morte rianimò la fede nella sua famiglia.
il primogenito de' suoi figli entrò nell'ordine di s. Francesco; la figlia si fece religiosa; gli altri
restarono nel secolo e vi diedero grandi esempi di carità, di disinteresse, e soprattutto dì zelo per
la gloria d'Iddio.
Alcun tempo dopo il nostro santo Sacerdote entrò in disputa con tre eretici. Propose a
costoro i dogmi della Chiesa in tutta la loro semplicità. Ascoltava con pazienza le loro obbiezioni
e le scioglieva con quella precisione ch'era propria del suo talento, il che è oggetto tuttora
d'ammirazione nelle sue lettere, e nelle sue conferenze. {77 [291]} Alla sesta conferenza due si
arresero e dopo essere stati assai felici per conoscere la verità, furono assai generosi per
abbracciarla e farne una pubblica professione, non fu però così del terzo.
Questi sebbene di spirito e di talento era uno di coloro i quali colgono con avidità tutto
ciò che sembra favorire le loro prevenzioni, e non si degnano di ascoltare quanto potrebbe loro
aprire gli occhi; hanno molta sagacità per moltiplicare le obbiezioni, ma non bastanti lumi per
discernere il falso, anche quando questo si fa conoscere; finalmente che s' immaginano la loro
condotta essere superiore ad ogni attacco, perchè vedono ciò che v'ha di difettoso nella condotta
altrui. Tale era l'uomo col quale Vincenzo ebbe a trattare; si credeva di molto ingegno,
pretendeva dogmalizzare, viveva assai male. Nulladimeno si faceva un argomento di partito nella
cattiva vita de' cattolici, ed ogni giorno ritornava al conflitto con nuove difficoltà. Eccone una
che fa vedere quanto sarà terribile il giudizio che Dio eserciterà sopra i cattivi sacerdoti, e con
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quanto grande equità, secondo la sentenza di Ezechiello, vendicherà {78 [292]} sull' indolenza
de' pastori la perdita delle pecore loro confidate.
«Voi pretendete, Signore, che la Chiesa di Roma sia guidata dallo Spirito di Dio, diceva l'
eretico al nostro Santo, ma questo appunto è ciò eh' io non posso credere; poichè da una parte si
vedono i
cattolici della campagna abbandonati a Curati viziosi ed ignoranti, senza essere
istruiti de' loro doveri, senza che la magior parte sappiano neppure che cosa sia la cristiana
religione, e dall' altra si veggono le città ripiene di preti e di monaci che nulla fanno, e lasciano
nulladimeno quella povera gente nell'ignoranza spaventosa, per cui si perdono tutti i giorni; e voi
vorreste persuadermi che ciò sia guidato dallo Spirito Santo? Io non lo crederò mai più.»
Il servo d' Iddio fu afflitto di vedere un eretico giustificare la sua ribellione contro alla
Chiesa colla condotta ili coloro stessi, la cui vita dovrebbe essere tanto edificante da farvi entrare
il pagano e l' infedele. Concepì di nuovo e l' estensione del bisogno spirituale de' popoli della
campagna e la necessità di soccorrerli. Tuttavia per {79 [293]} non lasciar senza risposta una
difficoltà, la quale in fondo nulla aveva di solido, e in certo modo potrebbe essere tanto
concludente contro a' protestatiti, quanto contro a' cattolici, Vincenzo dissimulando il male
quanto potè farlo, replicò, che vi erano ancora in molte parrocchie buoni Curati e buoni Vicari;
che fra gli ecclesiastici cd i religiosi che abbondano nelle città, ve n'erano di quelli i quali
impiegavano il loro ministero nelle carceri e negli ospedali. Altri andavano a catechizzare e
predicare nelle campagne; fra quei che non uscivano da' loro monasteri, alcuni erano occupati a
pregar Dio ed a cantare le sue lodi notte e giorno, altri servivano utilmente il pubblico
componendo dotte opere, insegnando a' popoli la cristiana dottrina, e amministrando i
sacramenti; aggiunse che coloro, i quali restavano dissoluti e non s'impiegavano come dovevano,
adempiendo alle loro obbligazioni, erano uomini particolari, soggetti all'errore, veramente
membri della Chiesa, perchè essa racchiude nel suo seno la paglia ed il buon grano, ma che
questi non formavano già la Chiesa, anzi all' opposto resistevano allo Spirito Santo il quale {80
[294]} la governa. Terminò spiegando ciò che intendono i cattolici quando insegnano la Chiesa
essere diretta dallo Spirito Santo, e fece vedere questa direzione riguardare o il corpo stesso della
Chiesa che non può ingannarsi nelle sue decisioni, o i particolari i quali non possono smarrirsi,
allorchè seguitano i lumi della fede e le regole della giustizia cristiana.
Una risposta tanto giusta avrebbe dovuto soddisfare colui al quale era fatta; pure egli non
si arreso e sostenne sempre l'ignoranza de'popoli e il poco zelo de' preti essere una prova
infallibile che la Chièsa romana non era guidata dallo spirito di Dio. Vincenzo per impedire non
si facessero più simili obbiezioni fece dare una missione. Sparsasi la voce per tutto quel paese, il
nostro eretico prese ad esaminare con tutta l'attenzione d'un uomo prevenuto gli esercizi che vi si
facevano; assistè alle prediche ed a' catechismi; vide la cura che si prendevano d'insegnare a chi
era nell' ignoranza delle verità necessarie alla salvezza; ammirò la carità colla quale si
addattavano alla debolezza ed alla incapacità de' più grossolani per rendere loro intelligibile ciò
{81 [295]} ch'essi dovevano credere, e far loro bene intendere quanto dovevano porre in pratica.
Finalmente fu testimonio della conversione d'un gran numero di peccatori. Colpito da tutti questi
oggetti disse al Santo: «Ora vedo che lo Spirito Santo guida la Chiesa Romana, poichè in essa si
prendo cura dell'istruzione e della salvezza de'poveri contadini. lo son pronto ad entrarvi quando
a voi piacerà che vi sia ricevuto.»
Vincenzo avendogli dimandato se non aveva più alcuna difficoltà o dubbio: «No, rispose,
io credo tutto ciò che mi avete detto, e sono disposto a rinunciare pubblicamente a tutti i miei
errori.»
Il nostro santo Sacerdote per assicurarsi vie più dell'integrità della fede del suo proselito
lo interrogò sovra alcuni articoli che sono controversi fra noi ed i protestanti, e sopra quelli sui
quali era sembrato più lontano. Fu il Santo soddisfatto delle risposte di lui, e riconobbe con gioia
che egli aveva ritenuto ciò che gli si era insegnato. Fu fissato il giorno per dargli l'assoluzione
della sua eresia. La radunanza era numerosa, perchè il popolo era stato avvisato {82 [296]} della
cerimonia; ognuno ringraziava Iddio del ritorno della pecorella smarrita, rallegrandosi di vederla
correre da se stessa all'ovile; ma questa gioia santa venne turbata da un accidente impensato.
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Vincenzo avendo dimandato pubblicamente a quell' uomo se perseverava nella
risoluzione d'abiurare i suoi errori, rispose, a dir vero, che vi perseverava, tua soggiunse che una
nuova difficoltà sorgeva nel suo spirito all'occasione d' un' immagine di pietra assai mal formata
rappresentante la santa Vergine, nella quale, diceva egli indicandola col dito, non poteva credere
esistesse qualche virtù. Il Santo rispose che la Chiesa non insegnava già vi fosse qualche virtù in
quelle immagini materiali; che Dio poteva bensì loro comunicarne, e loro ne comunicava di
tempo in tempo, come l'aveva fatto altre volte alla verga di Mosè che operava tanti miracoli, ma
che per se stesse non avevano forza, nè potere; del resto questo dogma della nostra fede era sì
conosciuto nella Chiesa, che i fanciulli stessi potevano spiegarglielo. Il santo Sacerdote chiamò
al momento uno de'più istruiti, dimandò a lui ciò che dobbiamo credere {83 [297]} circa le sante
immagini; il fanciullo rispose essere cosa buona l'averne, e di renderloro l'onore dovuto, non a
causa della materia di cui sono formate, ma perchè ci rappresentano nostro Signore, la sua
gloriosa Madre e gli altri Santi i quali regnano nel cielo, e avendo eglino trionfato del mondo ci
esortano con queste mute figure a seguire la loro fede ed i loro buoni esempi. Vincenzo fece
risaltare questa risposta, e se ne servì per far confessare a quell' eretico che la difficoltà, la quale
lo aveva soffermato, nulla aveva di solido. Il protestante si arrese di buona fede, abiurò i suoi
errori alla presenza di grande moltitudine, e perseverò fino alla morte nel cattolicismo. L'ordine
ed i particolari di questa conversione restarono sempre profondamente impressi nella memoria
del nostro Santo, perchè la cura che si prendeva d'istruire gli abitanti della campagna n'era stato
il principale motivo.
Frutto. Chiunque ha persone a se affidate procuri siano istrutte nelle verità della fede, e
dove scorge negligenza, si armi di santo zelo onde si tolga l'ignoranza delle verità della religione,
e si toglieranno altresì i disordini del peccato. {84 [298]}
Giorno ottavo. Della sua dolcezza.
Questa virtù sì propria a cattivare i cuori forse più d'ogni altra costò a S. Vincenzo. Nato
bilioso e con uno spirito vivace era naturalmente inclinato alla collera. Si affaticò da principio a
reprimere i movimenti destatisi nell'animo suo, ma la violenza che si faceva internamente
traspariva al di fuori da un'aria scortese e malinconica. Fece su di se uno studio ben serio; vide
quale cosa gli mancava ed ebbe ricorso al Signore, il quale solo può disporre di noi come a lui
piace e solo colla sua grazia riforma la natura. Si animò sull'esempio di san Francesco di Sales, la
cui estrema dolcezza lo colpì al bel primo trattenimento avuto con lui; finalmente a forza di
vigilanza divenne sì dolce e sì affabile, che sarebbe stato in questo genere il primo uomo del suo
secolo, se il suo secolo non avesse avuto il santo Vescovo di Ginevra. «Vedendo il signor
Vincenzo, diceva Monsignor di Fénélon, si crederebbe » vedere s. Paolo scongiurare i Corinti
colla dolcezza e colla modestia di Gesù Cristo.» {85 [299]}
Costa ben poco il praticare la dolcezza riguardo a coloro i quali l'esercitano con noi: i
pagani lo fanno egualmente; ma praticarla con coloro che ci offendono, ci contraddicono e nulla
ascoltano, si è l'effetto di una virtù eroica, virtù degna di un S. Vincenzo de' Paoli. Ebbe a trattare
e sovente nello stesso giorno con persone educate e con altre rozze ed ignoranti, con persone di
spirito e con uomini grossolani, con gente scrupolosa e con orgogliosi filosofi; in una parola con
quanti possono immaginarsi dal trono dei Re fino alla capanna de' pastori, con tutti esercitava
quel maraviglioso tratto di civiltà evangelica di farsi tutto a tutti per guadagnare tutti a G. C.,
richiamando ovunque si trovava l' idea dei Salvatore quando conversava cogli uomini.
Giammai si vide un'alterazione sul suo volto, un' asprezza nelle sue parole, un segno di
noia nel suo esteriore; fu veduto interrompere il suo colloquio con persone di qualità per ripetere
fino a cinque fiate la stessa cosa a chi non la comprendeva, e dirgliela l'ultima volta con tanta
tranquillità come la prima; senz'ombra d'impazienza fu veduto ascoltare povere persone che mal
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parlavano {86 [300]} ed a lungo, dare alle loro parole il poco buon senso di cui erano capaci; fu
veduto lasciarsi interrompere trenta volte in un giorno da scrupolosi che sempre ripetevano la
stessa cosa in termini differenti, ascoltarli fino alla fine con una pazienza inalterabile; scriver
loro qualche volta di propria mano quanto aveva loro detto, e spiegarglielo più a lungo qualora
non lo intendevano bene; finalmente interrompere il suo uffizio o il suo sonno per non mancare
all'occasione di fare un sacrifizio, quale costa talvolta assai ad un uomo occupato in tanta
diversità di cose. Particolarmente cogli eretici la dolcezza gli sembrava più necessaria. Diceva
che nelle contestazioni vive, colui contro del quale si disputa, e che da principio è persuaso di ciò
che dice, si voglia prendere il dissopra e prevalere su di lui; allora si prepara non già a
riconoscere la verità, ma a combatterla; questa disputa in vece di entrare nel suo spirito chiude
ordinariamente la porta del suo cuore, mentr la dolcezza e l'affabilità l'avrebbero aperta; che
l'esempio di s. Francesco di Sales era una prova palpabile di questa verità, poichè quel. prelato,
sebbene abilissimo {87 [301]}
nella controversia, aveva ricondotti più eretici colla stia dolcezza che per mezzo della scienza; e
a questo proposito il Cardinale di Perron era solito dire, che quanto a lui si sentiva bensì di
convincere i novatori, ma soltanto Monsignor eli Ginevra sapeva convertirli. «Finalmente,
soggiungeva, non ho mai veduto nè inteso alcun eretico siasi convertito 'colla forza della disputa,
o per la sottigliezza degli argomenti, ma sì bene colla dolcezza; tale è la forza di questa virtù per
guadagnare gli uomini a Dio.»
Il servo di Dio era altresì persuaso potersi soltanto colla dolcezza ricavar del frutto dalle
missioni di campagna. «Rendetevi affabili all'assemblea de' poveri, questo è il consiglio della
Scrittura: Congregatione pauperum affabilem te facito. Tale deve essere la nostra regola, diceva
ai» suoi; senza questo la povera gente si allontanerà, e non oseranno avvicinarsi a noi; ci
riguarderanno come persone o troppo severe o troppo gran signori per loro; così l'opera di Dio
caderà, e noi non potremo soddisfare a' disegni ch'egli ha sopra di noi. Se Dio ha accordato
qualche {88 [302]} benedizione alle nostre prime missioni, si è osservato esser questo avvenuto
per avere operato amichevolmente verso ogni classe di persone, e se è piaciuto a Dio di servirsi
del più miserabile degli uomini per la conversione di qualche eretico, hanno confessato eglino
stessi esser questo per la dolcezza e la cordialità avuta verso di loro. I forzati, coi quali ho
coabitato, non si guadagnano in ala tra maniera; ed allorchè m'è accaduto di parlare loro
aspramente, ho guastato tutto; al contrario, allorchè gli ho lodati della loro rassegnazione, ed ho
compatito ai loro patimenti, quando ho eletto che erano felici di fare il loro purgatorio in questo
mondo, quando ho baciato le loro catene, si è allora che mi hanno ascoltato, hanno glorificato
Dio, e si sono posti in istato di salvezza. Vi prego d'aiutarmi a ringraziare Dio e a dimandargli
che si compiaccia di mettere tutti i missionari in quest' uso di trattare dolcemente il prossimo in
pubblico ed in privato, ed anche i peccatori ostinati, senza usare in alcun tempo rimproveri ed
invettive o parole aspre contro di chicchessia.» {89 [303]}
Il Santo fondava la sua dolcezza sopra. due principi; l' uno era la parola e l'esempio del
Salvatore, e l'altro la conoscenza dell'umana debolezza. In quanto al primo principio, diceva la
dolcezza e l' umiltà essere due sorelle, che si uniscono molto bene insieme; Gesù Cristo averci
insegnato ad unirle quando ha detto: Imparate da me che sono dolce ed umile di cuore; e queste
parole sono state sostenute da'suoi esempi; perciò il Salvatore ha voluto avere de' discepoli
grossolani e soggetti a vari difetti per insegnare a coloro che sono in dignità la maniera con cui
devono trattare quelli di cui hanno la direzione; nè 'potersi vedere la dolcezza eli' egli ha
praticato nel corso della sua passione senza essere portati a quella virtù; come quando ha dato il
nome di amico al perverso Giuda traditore, e soffrì senz' alcun lamento le crudeltà di una
sbirraglia che lo sputacchiava nel viso, ed insultava a'suoi dolori. «Oh Gesù, mio Dio,
esclamava, qual esempio per noi che abbiamo preso ad imitarvi! Che lezione per coloro i quali
nulla vogliono soffrire o che s'inquietano e si inaspriscono allorchè soffrono!» {90 [304]}
Quanto al secondo principio Vincenzo diceva che è proprio all'uomo di fallire, come è
proprio dei rovi di aver delle spine pungenti; che il giusto stesso cade sette volte, cioè molte
volte; che lo spirito al pari del corpo ha le sue malattie; che essendo sovente un uomo da se
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stesso un grande esercizio di pazienza, non è cosa strana eh' egli eserciti quella degli altri; e che,
come l' ha osservato s. Gregorio il Grande, la vera giustizia conosce la compassione, e non
conosce collera, nè trasporti; quindi egli conchiudeva, che fa bisogno di dolcezza nel commercio
della vita; le parole che ci feriscono sono sovente piuttosto impeti della natura che indisposizioni
del cuore; i più saggi non sono esenti dalle passioni; e queste passioni strappano loro qualche
volta certe espressioni delle quali si pentono un momento dopo; in qualunque luogo uno sia,
devesi sempre soffrire, ma che potendosi nello stesso tempo meritare, è molto utile il fare
provigione di dolcezza, poichè senza questa virtù si soffre senza merito ed anche con pericolo
della salvezza.
«La dolcezza, aggiungeva il Santo, ha {91 [305]} tre principali atti. Il primo di questi alti
reprime i movimenti della collera e gli impeti di quel fuoco che turba l'anima, sale al volto e ne
cangia il colore. Un uomo dolce non lascia nè di sentire una prima emozione, perchè i movimenti
della natura prevengono que' della grazia; ma sta fermo affinché la passione non trionfi, e se
comparisce in lui, suo malgrado, qualche alterazione nel suo esteriore, si rimette ben presto e
rientra nello stato naturale; allorchè è costretto di riprendere, di gastigare, segue la via del
dovere, e non mai quella dell' impeto: in ciò imita il Figlio d' Iddio che chiamò S. Pietro Satanno;
che nella stessa occasione trattò dieci o dodici volte i giudei d'ipocriti; che rovesciò le tavole de'
negoziatori; che tutto ciò fece con una per fetta tranquillità, mentre un uomo senza dolcezza
avrebbe fatto per collera. Un superiore operando così farebbe un gran frutto, le sue correzioni
sarebbero ben accolto, perchè fatte per ragione e non per mal umore. Coloro i quali devono
regolare non possono bastante mente far attenzione a' riguardi che {92 [306]} il salvatore ha
avuto per i suoi. Niuno vuol essere corretto con rigore, ed ognuno dice presso a poco come il Re
Profeta gastigatemi, ma ciò non sia nel vostro furore.
Il secondo atto della dolcezza consiste » in una grande affabilità, in quella serenità di
volto che rassicura chiunque si avvicina. Certe persone con aria ridente ed amabile contentano
tutti, e dal primo istante sembrano offerirvi il loro cuore e chiedere il vostro; altre all'opposto si
presentano sentano con un aspetto riservato, il cui viso arido, accigliato spaventa e sconcerta. I
missionari che per vocazione sono obbligati a trattare colla povera gente di campagna, cogli
ordinandi ed esercitandi, devono procurare di formarsi queste maniere insinuanti le quali
cattivano i cuori. Senza questo non faranno mai frutto, e saranno come una terra secca altro non
producendo se non cardi selvatici.
Finalmente il terzo atto della dolcezza consiste nello sbandire dal proprio spirito le
riflessioni che seguono pur troppo le pene che ci vennero cagionate, o i cattivi servigi che ci
furono resi. Bisogna {93 [307]} allora assuefarsi a distogliere il proprio pensiero dall'offesa, a
scusare quello da cui proviene, a dire a se stesso ch'egli ha operato con precipitazione, e che un
primo movimento l' ha trasportato; soprattutto non bisogna aprir bocca per rispondere a coloro
stessi che altro non cercano se non d'inasprirci. Devesi egualmente trattare con dolcezza coloro
che hanno meno riguardi per noi, e se giungessero ad oltraggiarci sino a darci uno schiaffo,
bisogna offerire a Dio e soffrire per amor suo questo ingiurioso trattamento; devonsi ancora
trattenere gl' impeti della collera e preferire ad ogni altro linguaggio quello della dolcezza,
perchè una parola di dolcezza può convertire un ostinato, quando all'opposto una parola aspra è
capace di desolare un'anima. » lo non mi sono servito in vita mia che tre sole volte di parole
ruvide per riprendere gli altri; e quantunque avessi creduto da principio di aver qualque ragione
d'usare in tal modo, me ne sono sempre pentito in appresso, perché ciò mi è riuscito molto male,
quando all'opposto ho sempre ottenuto colla dolcezza ciò che desiderava.» {94 [308]}
La dolcezza, la quale alletta ovunque, aveva presso il sant'uomo un non so che di
schietto, di spiritoso e di saggio ch'era difficile il resistervi. Un dì essendo con diverse persone
qualificate, una di queste disse fra le altre imprecazioni bramare che il diavolo via se lo portasse:
a queste parole Vincenzo abbracciandola gentilmente gli disse sorridendo: «ed io, Signore, io vi
lascio per Dio, perchè sarebbe un gran danno che il demonio vi possedesse.»
Queste poche parole edificarono la compagnia, e commossero tanto colui a cui si
dirigevano, che promise d'astenersi da simile foggia di parlare.
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La dolcezza del santo Sacerdote non indeboliva punto lo spirito di fermezza e di vigore,
di cui un uomo pari a lui non poteva essere sprovvisto. «Niuno, diceva, è più costante nel bene di
coloro che fanno professione di dolcezza; queglino al contrario che si lasciano trasportare dalla
collera e dalle loro passioni, sono d'ordinario molto incostanti. I primi sono simili a quei fiumi
che scorrono senza fracasso, ma abbondano sempre, nè inaridiscon mai; i secondi somigliano ai
{95 [309]} torrenti: come questi da principio fanno un fracasso terribile, ma la loro forza passa
col loro straripamento; essi non varino che per ghiribizzo, e perciò vanno molto male. Che hassi
dunque a fare per riuscire nelle cose di Dio? Seguire da per tutto l'esempio di Dio medesimo;
andare, come fece egli stesso, fortemente al suo scopo, ma andarvi per istrade piene, di soavità e
di dolcezza. Attingit a fine usque ad finem fortiter, et disponit omnia suaviter
Vincenzo accoppiava la forza alla dolcezza, egli non avvisò altro appoggio che la virtù,
nè altra politica che la sua fede; sosteneva la verità fino in mezzo alla corte; nè prometteva mai
ciò che la sua coscienza non gli permetteva di mantenere. Resisteva saldo alle più potenti
sollicitazioni; la riconoscenza stessa e la tenerezza lo trovavano sempre inesorabile; nè mai gli
avvenne in vita sua di dire un sì quando il suo dovere l'obbligava al no. Potremmo produrre in
gran numero di testimonianze, ma valga per tutte quella di Monsignor Fénélon Arcivescovo di
Cambrai. Egli dice nella sua lettera a Clemente XI: «che il discernimento {96 [310]} degli spiriti
e la fermezza del coraggio furono doni che brillarono nell' uomo di Dio in un grado che si
durerebbe pena a crederlo; che nel dar consiglio non ebbe riguardo alcuno all'odio, nè al furore
de' grandi, ma unicamente agi' interessi della Chiesa.»
Alcuni fatti fanno altresì conoscere, Vincenzo de' Paoli non avere sulla terra altro timore
fuori quello di Dio. Leggiamo che egli, superiore a tutte le regole della prudenza umana, andò a
trovare un padre, non per felicitarlo sulla nomina di suo figlio all' Episcopato, ma per
scongiurarlo a non permettere elio quel figlio occupasse una dignità di cui non era degno.
Leggiamo che ricusò a signore di prima distinzione ed anche a principesse l' ingresso nel
monastero delle figlie di cui era Superiore; che accettava volentieri sopra di se tutto ciò che
questi rifiuti hanno d'odioso, perciò esponendosi a tutti i risentimenti. Parecchi tratti consimili
provano come Vincenzo dovette, a guisa degli antichi Profeti, essere un muro di bronzo, e averne
la fermezza, senza allontanarsi nulladimeno dalle strade della dolcezza. {97 [311]}
Frutto. Imparino i padri e le madri e gli altri superiori a reprimere que' trasporti di collera
che li signoreggiano; piuttosto usino affabilità e dolcezza colle persone loro affidate, soprattutto
quando trattasi dar consigli in fatto di religione; e si vedrà che le loro correzioni e i loro avvisi
saranno assai più efficaci.
Giorno nono. Delle sue divozioni particolari.
Vincenzo aveva un'altissima idea della Maestà infinita di Dio; l'aspetto d'au uomo
annichilato ch'egli assumeva negli esercizi di religione, vocaboli pieni di rispetto di cui si serviva
quando si trattava di parlare di Dio; l' ardente zelo col quale si sforzava di comunicare agli altri i
sentimenti propri, erano altrettante prove delle disposizioni del suo cuore. Abbenchè andasse a
letto molto tardi, s'alzava regolarmente a quattr'ore, e ciò con tanto fervore, che il secondo tocco
della campana non lo trovò giammai nella stessa positura, in cui lasciavalo {98 [312]} il primo.
Cominciava la giornata con offerire a Dio i suoi pensieri, le sue parole, le azioni sue in unione di
quelle di Gesù Cristo: faceva in seguito la meditazione; poi recitava egli stesso adatta voce le
litanie del santo nome di Gesù. Di là andava o a confessarsi (il che sovente accadeva, poichè
come l' attestò uno de' suoi Direttori, non poteva nemmeno soffrire l'apparenza del peccato), o a
fare la sua preparazione per la santa Messa. Si può dire che in questa grande azione serviva di
modello a' sacerdoti i più esatti. Pronunciava tutte le parole in una maniera sì distinta e sì
affettuosa, elio ben faceva scorgere come il suo cuore s'accordava col suo labbro. La sua
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modestia, il tuono con cui proferiva le parole che rammentano al sacerdote i propri falli e la
propria dignità; la serenità del suo volto allorchè si volgeva al popolo per annunziargli la pace e
la benedizione del Signore; in una parola tutto ciò che si vedeva in lui quanto all'esteriore, era
proprio a far impressione sopra coloro, cito ne sono meno capaci; sembrava di veder un Angelo
all'altare. Ad eccezione dei tre primi giorni de' suoi ritiri annuali, ne' quali {99 [313]} vi è uso
nella congregazione d'astenersi dal celebrare, egli diceva la Messa tutti i giorni; e finchè potè
stare in piedi giammai la tralasciò neppure in viaggio. Le sue indisposizioni ordinarie non glielo
impedivano punto, od ascendeva all'altare colla piccola febbre che abitualmente lo molestava.
Il suo amore per l'Agnello che fu immolato per la redenzione dell'uomo lo induceva
qualche volta ad ascoltare ed anche a servire una seconda Messa dopo aver detta la sua. Fu
veduto quel venerabile vecchio all'età di più dì settantacinque anni, ed in un tempo in cui molto
faticoso gli era il camminare, farsi un onore di coprire in questa occasione le funzioni di accolito.
«È ben vergognosa cosa, diceva egli, per un ecclesiastico costituito pel servizio degli altari, che
in sua presenza altre persone senza carattere facciano il di lui uffizio.»
La sua divozione non appariva meno negli uffizi solenni; al sentirlo cantare e salmeggiare
in coro, sarebbesi preso per un Serafino anzichè per un uomo, tanto ora elevato su di se stesso.
Voleva si cantasse posatamente, cogli occhi fissi sul proprio {100 [314]} libro, e senza guardare
nè a dritta, nè a manca. Sebbene avesse una tenera e singolare divozione per tutti i misteri di
nostra santa fede, quei della SS. Trinità e dell'Incarnazione, che sono la sorgente degli altri tutti,
furono per lui l'oggetto d'un culto più particolare. Bisognerebbe avere una parte della divozione
di quel santo Sacerdote per dare qualche idea di quella eh' egli aveva pel SS. Sacramento dell'
amore di un Dio che vuole essere co' suoi, ed esservi fino alla morte. Entrato nel luogo santo che
Gesù Cristo onora di sua presenza, egli restava sempre prosteso in ginocchio e in un contegno sì
umile che indicava sarebbesi volentieri abbassato fino al centro della terra per attestare
maggiormente il suo rispetto. Osservando la sua modestia, ognuno avrebbe potuto dire eh' egli
vedeva Gesù Cristo co' propri occhi. Evitava di parlare nelle chiese, e se qualcuno voleva dirgli
una parola, fosse anche un vescovo od un principe, procurava di condurlo al di fuori e lo faceva
con tanta grazia e garbatezza, che niuno poteva offendersene. Quando andava in città, salutava
avanti la sua partenza il padrone della casa ( era {101 [315]} questa le sua espressione), ed
allorchè era di ritorno, lo salutava di nuovo; e queste pratiche le ha lasciate a' suoi. Un uomo sì
pieno d'amore per l'adorabile Sacramento de' nostri altari era estremamente sensibile agli
oltraggi, che al suo tempo gli vennero fatti dall'eresia e dalla militare licenza. Penitenze, lagrime
amare, mortificazioni, doni considerabili fatti a diverse chiese, tutto mise in opera per riparare a
quegli attentati sacrileghi; nè abbisognavano sì enormi scandali per affliggere il sant'uomo. Non
avrebbe potuto vedere uno de'suoi salutare il SS. Sacramento in modo crucioso e superficiale;
rassomigliava coloro che ton facevano che una mezza genuflessione alle marionette, le cui
riverenze sono senz'anima e senza spirito. Non è già ch'egli facesse consistere la pietà in questi
segni esteriori, ma sibbene per essere persuaso questi segni esteriori trovarsi sempre ove regna la
divozione.
Alla tenera divozione che Vincenzo ebbe poi Figlio, aggiungiamo quella eh' ebbe per la
sua santa Madre. Per celebrare degnamente le feste della Regina del cielo digiunava la vigilia
con tutti quelli di sua {102 [316]} casa. Il giorno della festa officiava solennemente e proponeva
a' suoi figli gli esempli di virtù che presentava il mistero onorato dalla Chiesa. In qualunque
parte si trovasse, fosse anche presso d'un principe, all'istante che sentiva suonare l' Angelus,
s'inginocchiava, ad eccezione del tempo pasquale e delle domeniche, per recitarlo con più
rispetto. All'esempio di s. Bernardo invocava sempre la Stella del mare in mezzo alle tempeste,
da cui la sua vita fu sì sovente agitata. «Ognuno de' giorni nostri, diceva, è segnato coli' impronta
della protezione di Quella, che si compiace di esser nostra Madre, quando vogliamo essere suoi
figli.» Per ben convincersi Vincenzo de' Paoli essere stato zelante servo di Maria, basta sapere
che fece tutto ciò che dipendeva da lui per estendere e perfezionare il culto di lei. Sotto
quest'aspetto impegnò i suoi tigli ad onorarla tutti i giorni di loro vita, ad imitarne per quanto
potessero le virtù, a farla rispettare da tutti coloro a' quali avessero occasione di annunciare le
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suo grandezze, il suo credito presso Dio, e la sua tenerezza per li peccatori. In tutte le missioni o
fatte in persona {103 [317]} o per mezzo di altri desiderò sempre che s'istruissero i fedeli circa la
riconoscenza e l'amore che devono avere per quella sublime Creatura, la quale, quantunque
infinitamente inferiore a Dio, non cede che a lui solo; finalmente di tante compagnie, assemblee,
ed associazioni di cui fu l' Istitutore, non ve ne è alcuna, che egli non abbia posta sotto la
protezione speciale della santa Vergine.
La sua divozione per la Madre del Figlio di Dio e per gli altri Santi, partivano tutte e due
dallo stesso principio, cioè dal desiderio di glorificare Dio nella persona di coloro che egli stesso
ha voluto glorificare. Onorava particolarmente gli Apostoli quali ebbero la felicità di vedere e di
toccare colle loro mani il Verbo fatto carne, e che sigillarono col loro sangue le parole della vita.
Aveva' ognor in pensiero la presenza del suo Angelo custode, a cui ogni giorno indirizzava
qualche preghiera. Questa pratica lascio pure a'suoi figli; ed il mettersi in ginocchio nell'entrare o
nell'uscire dalle loro camere ha per secondo fine di far loro onorare l'Angelo che Dio ha
incaricato di vegliare alla loro custodia. {104 [318]}
La sua affezione per S. Giuseppe era assai simile a quella che ebbe santa Teresa per quel
degno Sposo della Madre di Dio. Lo assegnò per Patrono a'suoi seminari interni. Si felicito col
Superiore di Genova perchè era ricorso alla mediazione di quel glorioso Patriarca, onde
procurarsi degli operai capaci di coltivare la vigna del Signore. E gli augurò che nelle sue
spedizioni apostoliche s'insinuasse a'popoli di avere confidenza in quel custode fedele della
Madre immacolata di Gesù: son queste sue proprie espressioni. Non dobbiamo omettere qui il
servo di Dio essersi fatta una legge di sollevare colle sue preghiere e soprattutto col sacrifizio
della Messa le anime del purgatorio. Esortava sovente i suoi a questo dovere di pietà. « Quei cari
defunti, diceva, sono i membri vivi di Gesù Cristo; sono animati dalla sua grazia ed assicurati di
partecipare un giorno alla sua gloria; a questi titoli siamo obbligati ad amarli, a servirli, ad
assisterli a tutta possa.» Vincenzo dimenticava ancor meno i benefattori della sua congregazione;
vi si dice in loro suffragio in comune il salmo De profundis tre volte al giorno, cioè ai due esami
particolari che {105 [319]} precedono la refezione, ed all'esame generale della sera; ed è cosa
assai bella il vedere una numerosa comunità non portarsi mai a prendere il suo nutrimento, se
non dopo aver pregato per coloro che li hanno beneficati.
Frutto. Chi vuole acquistare il vero spirito di divozione, mostri gran rispetto e grande
riverenza per le cose di religione, guardandosi bene dal parlarne per burlarsene o screditarle.
Giorno decimo. Dell' eguaglianza del suo spirito.
Quella situazione del corpo e dell'anima, per cui un uomo, qualunque cosa succeda, resta
sempre tranquillo, sempre simile a se stesso «è meno, dice Vincenzo, una virtù particolare, che
uno stato il quale suppone il complesso di tutto te virtù. E questo un raggio, uno zampillo che
sgorga all' esterno dalla pace e dalla bellezza dell' interno.» Un cristiano che a forza di travaglio,
{106 [320]} di mortificazione, di uniformità agli ordini di Dio, è giunto a questo segno,
padroneggia se stesso, e persevera tranquillo in tutti i casi della vita. Checchè s'egli possa dire o
fare, nulla lo scuote. Sia pure oppresso dagli attiri, abbia dalla mano di Dio i colpi meno previsti,
sia dimenticato, disprezzato, schiacciato da coloro che ha amato e ricolmato di onori, il suo cuore
è sempre nello stesso stato, la sua fronte egualmente serena, le sue parole dirette sempre dalla
moderazione, la voce stessa non cangia tuono, e sembra essere anticipatamente ciò che saranno
un giorno gli eletti in quello stato felice, ove non esiste più alterazione nè vicissitudine.
Questo ritratto è quello del nostro Santo; da'suoi più teneri anni fino all'ultima vecchiezza
la sua divozione, la sua religione, la sua carità non si smentirono mai. Non si videro in lui quelle
interruzioni di virtù, quegli oscuramenti di fervore quali si scorgono tanto frequenti negli altri;
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camminava sempre d'egual passo nella via della perfezione, attirando con se tutti coloro che si
trovavano sul suo cammino.
A questa prima eguaglianza bisogna aggiungere quella ch'egli ebbe nell'esecuzione {107
[321]} di un sì gran numero di sante imprese, che effettuò pel bene della Chiesa e dello Stato.
Senza posa egli fu applicato al servizio dei poveri, all' istruzione de'popoli, a'mezzi di
perfezionare lo stato ecclesiastico. Noti abbandonò mai un'opera buona quando,volle
incominciarne una migliore, le sostenne e te seguitò tutte fino alla fine. Le contraddizioni, le
traversìe, le persecuzioni fortificarono il suo coraggio in vece di smoverlo; volle costantemente
ciò che credette Dio volesse da lui, ma lo volle con una pace, che possedono le sole anime
grandi.
La sua eguaglianza lo seguitò fino nell' ineguaglianza degli impieghi ch'esercitò; gli onori
non cangiarono i suoi costumi, nè la sua condotta esteriore. L'aria della corte, da cui tanti restano
abbagliati, non fece alcuna impressione in lui. I cortigiani, i prelati, gli ecclesiastici ed altre
persone gli rendevano per istima grandi onori; egli li riceveva con profonda umiltà e con molta
dolcezza. Un vescovo trovandolo così umile, così disposto a rendere servigio a tutti coloro che
abbisognavano di lui, come lo era avanti d'essere chiamato alla corte, lo dipinse con queste due
parole che racchiudono un gran senso: il signor {108 [322]} Vincenzo è sempre il signor
Vincenzo. Aia nulla fece meglio conoscere l'eguaglianza del suo spirito quanto le disgrazie che
sopportò. Questi scogli sì funesti alla virtù di tanti altri non servirono che a dare un nuovo lustro
alla sua. Fece egli più perdite nello spazio di dieci o dodici anni, di quelle che ordinariamente se
ne facciano in un secolo. molte delle sue case non avendo altre rendite che quelle stabilite sopra i
sussidi, i carri ed altri fondi simili, si veniva a dirgli ch'era stato ritagliato talvolta uno o due
quadrimestri, talvolta un' annata intera: veniva a sapere che un podere era stato saccheggiato;
inoltre la morte gli mieteva sette od otto de'suoi operai, e ciò ne'paesi ove era difficile ed anche
impossibile il sostituirne degli altri. In tutto queste occasioni che seguendosi ila vicino sogliono
far perdere l'equilibrio del nostro animo, non si sentiva dire che queste parole: sia lodato Iddio;
bisogna sottometterci alla sua volontà, accettare tutto ciò che a lui piacerà d'inviarci.
Abbiamo alcuni tratti notabili sull' eguaglianza del suo animo. Ricevette una volta alla
distanza di due passi dalla sua casa uno schiaffo da un uomo che aveva urtato in passando. {109
[323]} Il Santo essendosi gittato a' piedi di colui, che l'aveva sì oltraggiosamente trattato, gli
presentò l' altra guancia dimandandogli perdono. Gli abitanti del sobborgo che erano stati
testimoni dell'insulto e che avevano molto rispetto per Vincenzo loro signore e loro padre,
s'affollarono intorno a lui. Al primo segno, ch'egli avesse fatto, il suo ingiusto aggressore sarebbe
stato posto nelle prigioni di giustizia del territorio sul quale aveva fatto l'insulto; ma quello stesso
uomo, sia che fosse stato spaventato dalla moltitudine che alto gridava, sia che la profonda
umiltà del santo Prete gli avesse fatto sentire l'indegnità della sua azione, si gettò a sua volta a'
piedi del Santo dimandandogli perdono. Un signore che era andato a chiedergli per suo tiglio un
benefizio quale non aveva potuto ottenere, lo trattò molto male sulla soglia della sua casa in
presenza di tutti coloro che ivi si trovavano: «Avete ragione, signore, gli disse il sant' Uomo
gettandoglisi a' piedi; io sono un disgraziato ed un peccatore.» Quel signore sorpreso di un passo
a cui non si attendeva, fece un salto e gettossi nella sua vettura. Il Santo si alzò, corse dietro a lui
e lo salutò. Quanto è penosa alla {110 [324]} natura umana una tale condotta!Quale virtù si
richiede per formarne il piano! Quanta eguaglianza d'animo per eseguirlo! Ma quante risse,
quante discordie, si estinguono con un tale procedere!
Frutto. Chi non si cura di acquistare questa eguaglianza e questa tranquillità di spirito
non avrà mai con se lo spirito del Signore. Non in commotione Dominus.
Giorno decimoprimo. Dell' umiltà di S. Vincenzo de' Paoli.
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Sono pochi i Santi che abbiano spinto l'umiltà sì oltre come Vincenzo. «Un virtuoso
ecclesiastico disse, che giammai si è trovato sulla terra ambizioso, che abbia avuto tanta frenesia
per conseguire la stima e l'innalzamento o la gloria, quanto ardore ebbe il santo Uomo per
l'abbiezione, pel disprezzo e per tutto ciò che si può immaginare di più proprio onde umiliare e
confondere.» Per giudicare quanto questo ritratto fosse veritiero, basta riflettere che Vincenzo si
riguardò sempre come un uomo {111 [325]} per niente adattato a trattare lo cose dei Signore.
Riguardava gli onori a lui resi come una di quelle piaghe colle quali Dio colpisce i suoi nemici;
perciò ben lungi dal giustificarsi quando era accusato, si metteva subito dalla parte de' suoi
censori; aveva l'arte di trovarsi colpevole allorchè era innocentissimo; condannava i suoi più
leggieri difetti con maggior rigore di quello che gli altri non condannavano i loro più gravi
disordini. Il Figlio di Dio quantunque sia sempre stato lo splendore della gloria del Padre e
l'immagine di sua sostanza, pure ha voluto essere riguardato come l'obbrobrio degli uomini. ed il
rifiuto della plebe. Erano questi i sentimenti, comunque contrari alla natura, ch'egli formava e
nudriva di se stesso; e ciò che sorprende vie più si è che, malgrado il bene fatto e gli applausi
ricevuti, giammai li perde di vista. Allorchè. arrivò a Parigi si fece nominare Vincenzo e non de'
Paoli, temendo d' essere riguardato come una persona distinta: alla Corte ove la nascita
rappresenta alle volte la parte migliore dei merito, pubblicò di essere il figlio d'un povero
contadino. Se a questi tratti che lo caratterizzano già abbastanza, si aggiunge {112 [326]} che
Vincenzo preferiva un merito comune ad un merito brillante; ch'era sua regola di non farsi
conoscere altro che dal lato più debole, e di scegliere sempre fra due pensieri il più comune ed il
meno proprio a farlo risaltare, sarà difficile di non riconoscere che, per trovare la vera umiltà
sulla terra, bisognava cercarla in Vincenzo de'Paoli.
Diffatti non si presentò mai occasione alcuna di umiliarsi, che non la cogliesse con
trasporto, o piuttosto la cercava quando non gli si offeriva spontanea. Un giorno mentre
accompagnava un ecclesiastico alla porta di san Lazzaro, una povera donna credendo
apparentemente di fargli la corte, gli disse Monsignore, fatemi elemosina. «Oh donna mia, le
rispose Vincenzo, mi conoscete, assai male, perchè io non sono che il figlio di un povero
contadino.» Un'altra avendogli detto collo stesso fine, ch'essa era stata fantesca della signora sua
madre, il Santo rispose d' innanzi a tutti coloro che erano presenti: «Mia buona donna, voi mi
prendete per un altro; mia madre non ebbe mai domestica, avendo ella stessa servito, ed {113
[327]} essendo la moglie, come io sono il figlio, di un povero contadino.»
Ma non solo dal lato della nascita Vincenzo faceva spregio di se stesso, eziandio da
quello dello spirito e del cuore si sfigurava fino a travisarsi. «Sono più di trent'anni, scriveva alla
Superiora d'un monastero della Visitazione, che ho l'onore di servire le vostre case di Parigi, ma
oimè! non sono per questo divenuto migliore, io che dovrei aver fatto un così grande progresso
nella virtù, alla vista di quelle anime incomparabilmente sante... Vi supplico umilmente di
aiutarmi a dimandare perdono a Dio del cattivo uso che ho fatto di tutte le sue grazie.»
«Vi offerirò a Dio, poichè me l'ordinate, disse un giorno ad una persona che erasi assai
raccomandata alle sue preghiere, ma più di tutti ho bisogno io stesso del soccorso delle anime
buone, attese le grandi miserie che aggravano il mio spirito, e che mi fanno riguardare le buone
opinioni che si hanno di me, come un gastigo della mia ipocrisia, la quale fa che sia creduto
tutt'altero di quel che sono. Oimè! io sono inutile ad ogni bene, ed atto soltanto ad ogni male.»
{114 [328]}
Uno de'suoi avendogli scritto, che il superiore ch'egli aveva spedito in una delle sue case
non era bastantemente civilizzato pel luogo della sua destinazione, Vincenzo, dopo avergli molto
lodato quel superiore, la cui solida virtù valeva assai più della urbanità di molti altri, non
tralasciò di mettere se stesso alla censura. «Ed io come son fatto? come è che fui sofferto finora
nell' incarico che ho, essendo il più ridicolo, il più rustico ed il più sciocco di tutti fra le persone
di condizione colle quali io non saprei dire sei parole di seguito senza lasciar travedere che non
ho punto di spirito, nè di giudizio. ma il peggio si è, che non ho alcuna virtù che m'avvicini alle
persone di cui trattasi?»
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Vincenzo parlava del corpo intero della sua congregazione a un dipresso come parlava di
lui: tutte le comunità gli sembravano sante e rispettabili, e, a sentir lui, la sua nemmeno meritava
di essere considerata. Un de'suoi preti fece di suo proprio movimento stampare un ristretto
dell'instituto, de' progressi e dei lavori della congregazione. Vincenzo se ne lagnò con lui stesso:
«Fu {115 [329]} stampato nelle vostre parti il ristretto del nostro instituto. Io n'ebbi un dolore
tanto sensibile, che non ve lo posso esprimere, essendo cosa affatto opposta all'umiltà il
pubblicare ciò che siamo, e ciò che facciamo.... Se v'è qualche bene in noi e nella nostra maniera
di vivere, ciò spetta a Dio, e tocca a lui il manifestarlo se lo giudica conveniente. Ma quanto a
noi, che siamo poveri, ignoranti e peccatori, dobbiamo nasconderci come inutili ad ogni bene, e
come indegni che si pensi a noi. Si è perciò che Dio mi ha fatto la grazia di star fermo fino al
presente, per non acconsentire che si facesse stampare cosa alcuna, la quale tendesse a far
conoscere e stimare la compagnia, abbenchè ne sia stato vivamente sollecitato, ed ancor meno
avrei permesso la stampa d'una cosa che riguarda l'essenza e lo spirito,la nascita ed i progressi, le
funzioni ed il fine del nostro istituto. Volesse Iddio che dovesse ancora formarsi. Ma poichè non
v'ha più rimedio non dirò più oltre; vi prego solamente di nulla fare mai più che riguardi la
compagnia senza prima avvertimene.»
Se la carità lo avesse permesso, Vincenzo {116 [330]} avrebbe lodato chiunque avesse
denigrato la sua congregazione, più di chi avesse cercato di farle onore. Ed è certamente vero che
un magistrato ingannato da falsi rapporti, avendo detto nella gran camera del palazzo che i preti
di S. Lazzaro facevano oramai poche missioni, e ciò in un tempo appunto in cui anzi ne facevano
assai, il Santo contento di giustificarsi colle opere, non volle permettere schiarimenti, nè
apologie. Andò forse più oltre, allorchè una famiglia potente, per vendicarsi che le fosse stato
rifiutato un vescovato, inventò contro di lui una calunnia sì ben colorita, che arrivò fino alla
Regina. Quella saggia Principessa gli dimandò, ridendo, se sapeva d'essere accusato della tal
cosa. A pericolo di passare per un colpevole, il servo di Dio si imitò a rispondere essere un gran
peccatore; e siccome Sua Maestà gli soggiunse che doveva giustificarsi. «Sonosi dette ben altre
cose contro nostro Signore, rispose, e non si è punto giustificato. Io son felice di essere trattato
come lo fu il Figlio di Dio: le umiliazioni sono le grazie più grandi che il Signore possa
accordare agli uomini. Gli applausi devono farci gemere, essendo {117 [331]} scritto: guai
quando gli uomini vi applaudiranno: Vœ, cum benedixerint vobis homines..»
Sebbene avesse gran cura d'inspirare a' suoi l' amore di tutte le virtù, l'umiltà è senza
dubbio una di quelle, di cui fece vie più spiccare l'importanza. «Nulla v' ha più giusto, diceva,
del disprezzo che si ha per se stesso: per poco che un uomo consideri a sangue freddo la
corruzione di sua natura, la leggerezza del suo spirito, le tenebre del suo intelletto, lo
sregolamento della sua volontà, l'impurità de'suoi affetti; per poco che calcoli le sue produzioni e
le sue opere a fronte del Santuario, troverà che tutto è degno di disprezzo, che nelle più sante
azioni d'un ministro evangelico v'è motivo di confondersi; che nella maggior parte di esse si
conduce male e quanto al modo, e sovente quanto al fine; che se non vuole adularsi, ma
esaminare a dovere la sostanza delle cose e tutte le circostanze, si riconoscerà di gran lunga più
perverso degli altri uomini..»
A questi motivi che impiegava in molte occasioni, l'uomo di Dio ne faceva succedere
altri che ricavava dall'esempio de' grandi {118 [332]} uomini, tanto de'primitivi tempi, quanto
dei moderni. S. Paolo pubblicò in tutta la terra che aveva avuto la disgrazia di bestemmiare
contro Dio, e di perseguitare la sua Chiesa: sant'Agostino palesò í peccati segreti della sua
gioventù; Vincenzo aggiungeva che coloro, cui Dio preservò da cadute sì vergognose, non
furono perciò meno umili; che s. Francesco di Sales parlava del mondo qual uomo che ne
disprezza tutte le vanità; che il signor Cardinale di Bérulle costumava dire essere molto bene il
tenersi bassi; gli stati più abbietti essere i più sicuri, e trovarsi un non so che di maligno nelle
condizioni alte e distinte; perciò appunto i Santi aver sempre sfuggito le dignità, e che nostro
Signore disse, parlando di se stesso, ch'era venuto al mondo per servire, non per essere servito.
Finalmente diceva, dietro l'insegnamento di Gesù Cristo, che colui che s'innalza sarà abbassato;
che la vita del Figlio di Dio non fu che una umiliazione continua, che l'amò sino alla fine, e che
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dopo la sua morte volle essere rappresentato nella sua Chiesa sotto la figura di un reo attaccalo
alla croce: con questo c'insegna anche oggidì, il vizio opposto all'umiltà essere uno {119 [333]}
de'più gran mali che si possano concepire, che aggrava gli altri peccati, e rende perverse quelle
azioni quali non sarebbero in se stesse corrompendo le migliori e le più sante. Trovava una prova
luminosa di quest'ultima verità nella parabola del fariseo e del pubblicano del Vangelo. «Sì,
continuava a dire, quand'anche fossimo scellerati, se ricorriamo all'umiltà ci farà essa divenire
giusti, quand' in vece se fossimo pari agli Angeli, se siamo sprovveduti d'umiltà, le nostre virtù
non avendo fondamento, non potranno sussistere....; ognuno di noi imprima ben bene questa
verità » nel suo cuore, che per quanto si supponga virtuoso, se non ha umiltà, non è che un
fariseo superbo, o un missionario abbominevole. Oh Salvatore Gesù Cristo! diffondete sui nostri
spiriti quei lumi celesti » che vi fecero preferire gl'insulti alle lodi: infiammate i nostri cuori di
quei santi affetti che ardevano nel vostro, e che vi fecero cercare la gloria del vostro Padre
celeste nella vostra propria confusione; fate colla vostra grazia che rigettiamo tutto ciò che non
ha per mira il vostro {120 [334]} onore e il nostro disprezzo; fate che rinunciamo una volta per
sempre agli applausi degli uomini ingannati e ingannatori, ed alla sciocca immaginazione del
buon successo delle nostre azioni.»
Giorno decimosecondo. Della sua fede.
La fede è il fondamento delle virtù cristiane, la base della salvezza e l'alimento di cui il
giusto si nutre sulla terra: Justus ex fide vivit, dice il Signore. Vincenzo temeva tino l'ombra di
ciò che poteva alterare. la sua fede: sapeva che quanto più essa è semmplice, tanto più è grata a
Dio; non la fondava sugli umani raziocini, nè sulle sottigliezze filosofiche, ma sull' autorità della
Chiesa. «Siccome, diceva, meno si vede il sole quanto più in esso si fissa lo sguardo, {121
[335]} per egual maniera meno si crede colla fede quanto più si vuol ragionare sulle verità della
Religione. Per credere basta che la Chiesa parli, non è possibile che manchiamo sottomettendoci
ad essa. La Chiesa è il regno d'Iddio, spetta dunque alla Provvidenza l'indicare a'Pastori, che la
governano, la strada che devono tenere, e il non permettere seguirne un'altra che conduca
all'errore.»
Queste disposizioni inspiravano al servo di Dio un giusto allontanamento da quegli spiriti
inquieti e curiosi, i quali si compiacciono di sofisticare sui nostri Misteri e sembrano volerli
comprendere. L' alta idea che aveva della fede lo induceva a comunicarla, per quanto era in lui, a
coloro soprattutto che n'erano maggiormente mancanti. Da ciò i suoi catechismi e le istruzioni
che fece sì sovente a'poveri, d'ordinario tanto trascurati; da ciò la sua attenzione a bene
imprimere questi stessi sentimenti in quelli fra i suoi amici che credeva più acconci ad esercitare
questo dovere di carità; da ciò lo stabilimento della congregazione, vale a dire di un corpo
d'operai evangelici destinati a far nascere e a coltivare {122 [336]} il germe della fede nelle terre
le più sterili; da ciò il santo diletto col quale pubblicava il bene che facevano altre compagnie,
che un occhio geloso avrebbe riguardato come rivali. «Il Padre Eudes, diceva egli, quel buon
Padre, con alcuni altri sacerdoti che aveva seco condotti dalla Normandia, è venuto a Parigi a dar
una missione che ha fatto molto strepito e molto frutto: il concorso era grandissimo.... Noi non
abbiamo parte alcuna a questo bene, perchè siam dedicali al povero popolo della campagna:
abbiamo soltanto la consolazione di vedere che i nostri piccoli lavori hanno eccitato l'emulazione
d' una quantità di buoni operai, che li esercitano con maggior grazia di noi.»
Che fede! che umiltà! diciamo pure l'una e l'altra, poichè quando la fede è tanto viva,
come lo era in Vincenzo, non va mai disgiunta da una profonda umiltà.
Se il sant'Uomo ebbe la purità della fede, n'ebbe ancor la pienezza: ne viveva come ne
vive l'uomo giusto: animava essa le sue azioni, le sue parole, le pie affezioni, i suoi pensieri. Sul
livello della fede regolava i suoi giudizi, formava i suoi progetti, e seguiva {123 [337]} le sue
imprese. Ciò che la maggior parte degli uomini fanno o per movimento naturale o per umani
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Don Bosco - Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà
principi, egli lo faceva a motivo e sulle regole della fede. Un disegno autorizzato da ragioni d'una
saggia politica non era di suo gradimento se non autorizzato dalle massime del Vangelo, o non
poteva riferirsi ad un fine soprannaturale. Era convinto, che se gli affari di Dio riescono talvolta
a male. o a poco, egli è perchè coloro, i quali ne sollecitano l'esecuzione, si appoggiano troppo
sopra ragioni umane. «No, no, disse egli un giorno, non sono che le sole eterne verità che sono a
capaci di riempiere il nostro cuore e di guidarci con sicurezza. Credetemi pure, non fa d'uopo che
di appoggiarci validamente sopra qualcuna delle perfezioni d'Iddio, come sarebbe a dire sulla sua
bontà, sulla sua Provvidenza, sulla sua immensità, non bisogna, dico, che stabilirsi ben bene su
questi fondamenti divini per di venire perfetti in breve. Non intendo già n dire che non sia
eziandio ben fatto di convincerci con forti ragioni che possono sempre servire, ma bisogna
valercene sumbordinatamente alle verità della fede. L'esperienza {124 [338]} c'insegna che i
predicatori, i quali parlano conforme a' lumi della fede, operano sulle anime più di coloro che
riempiono i sermoni di umani ragionamenti e d'argomenti filosofici.; perchè i lumi della fede
sono sempre accompagnati da una certa unzione tutta celeste che, si spande segretamente nel
cuore degli uditori, e da ciò si può giudicare quanto sia necessario, tanto per la nostra propria
perfezione, quanto per procurare la salvezza delle anime, di assuefarci a seguire sempre ed in
tutto i lumi della fede.»
L'uomo di Dio 'seguiva sì universalmente questi santi lumi, che erano per lui quella
lucerna accesa, la quale guidava tutti i passi dei Re profeta: Lucerna pedibus meis verbum tuum,
et lumen semitis meis. Col favore di questa fiaccola, che risplende nei luoghi i più oscuri, vedeva
negli oggetti sensibili ciò che gli occhi dei corpo non potevano scorgere. «Se io considero,
diceva, un contadino o una povera donna secondo il suo esteriore e ciò che sembra proporzionato
al loro spirito, appena troverei in loro la figura e lo spirito di esseri ragionevoli, {125 [339]}
tanto sono essi grossolani e materiali ma se gli osservo coi lumi della fede, vedrò che il Figlio di
Dio, il quale volle essere povero, ci viene rappresentato da questi poveri; vedrò che non. aveva
quasi più la figura d'uomo nella sua passione; A vedrò che da' gentili riputavasi un insensato e
consideravasi qual pietra di scandalo da'giudei; vedrò infine,che malgrado tutto ciò egli si
qualifica il predicatore de'poveri: Evangelizare pauperibus misit me. Oh mio Dio! quanto mai
sembrano, i poveri degni di disprezzo, allorchè si esaminano secondo i sentimenti della carne e
del mondo, ma quanto è bello osservarli considerati in Gesù Cristo, e nella a stima ch'ei ne ha
fatta!»
Tale era la fede del sant'uomo: per meglio giudicarne non si ha che a gettare uno sguardo
sulle altre sue virtù, e dall'eccellenza e dalla moltiplicità de' frutti si conoscerà la forza ed il
vigore della radice che li produsse. Noi vedemmo con quale zelo Vincenzo lavorò per la
conversione degli eretici, dei rinegati e degli infedeli; la sua fede vi brilla di tutta la sua luce.
Frutto. La fede senza opere vale a niente; {126 [340]} facciamo dunque opere di fede.
Opera di fede si è credere che vi è un Dio, cui dobbiamo servire con tutte le forze dell' anima e
della mente nostra; credere che vi è un inferno, quindi tener da noi lontano il peccato mortale,
che solo ci può entro precipitare; credere che v'è un paradiso, perciò praticare la virtù per
giugnerne un giorno al possesso.
Giorno decimoterzo. Delle sue massime.
Il pensiero della morte è il mezzo più efficace per farci fuggire il male ed animarci al
bene. Questo pensiero suggeriva Vincenzo per sostegno della virtù; tuttavia non voleva che tale
pensiero occupasse la mente sino al pericolo d'alterare la confidenza cristiana. «È cosa molto
salutare il pensar all'ultima sua ora, diceva ad una persona che ne aveva grande apprensione, il
Figlio di Dio l'ha raccomandato; ma questo pensiero deve avere le sue regole ed i suoi limiti; non
è necessario {127 [341]} nè meno espediente, che l'abbiate di continuo presente, basterà che ve
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ne occupiate due o tre volte al giorno, senza fermarvi lungamente su di esso, neppure dovete
soffermarvi su di esso in caso che continui a darvi troppa inquietudine.»
«Lo spirito umano, diceva parlando degli gli errori, è pronto e irrequieto, i talenti i più
vivaci e più illuminati non sono sempre i migliori, se non sono in pari tempo i più guardinghi:
cammina sicuramente colui che non travia dalla strada seguita dalla maggior parte de’ saggi.»
Il Santo dalla maggior delle precipitazioni; e soleva dire che la celerità nelle deliberazioni
conduce a' passi i più falsi, ma quando aveva deciso era tanto pronto nell'esecuzione, quanto era
stato lento e circospetto nell'esame. Allora sia che l'evento riuscisse o no favorevole, era
tranquillo, appoggiato sulla dottrina de' Padri, i quali insegnano che il saggio non deve giudicare
delle cose dal successo, aia dall' intenzione e dalla proporzione de' mezzi; e che un affare ben
combinato può riuscire male, mentre che un altro azzardato temerariamente finisce talora in
bene. {128 [342]}
La dottrina del Vangelo era l'unica regola della sua vita.. «Dicendosi dottrina di Gesù
Cristo, ripeteva egli, è come si dicesse una rupe inconcussa. Le verità eterne sono seguite
infallibilmente, e rovinerà il cielo piuttosto, che venga a mancare la dottrina di Gesù Cristo.»
Sull'articolo della discrezione diceva che i demoni si prendon giuoco delle buone opere
palesi e divulgate senza necessità, e che somigliano a mine non turate, le quali fanno rumore e
non producono effetto. Consigliando a'suoi penitenti il santo esercizio della presenza divina, il
servo di Dio diceva che nulla bisognava fare in privato di ciò che non si oserebbe fare in una
pubblica piazza, perchè la presenza d'Iddio doveva produrre sui nostri spiriti impressione
maggiore di quella, che produrrebbe la vista di tutte le creature riunite.
Bisogna, secondo Vincenzo, cogliere il momento opportuno per tare una correzione
fraterna. lo non so se i figli del secolo gli perdoneranno la seguente massima; essere preferibile
di trovarsi in preda agl'insulti ed alla rabbia dell'inferno, che vivere senza croci e senza
umiliazioni. Riguardava come {129 [343]} esposto ad un prossimo pericolo di perdersi un uomo,
cui ogni cosa riesce bene e che non ha contraddizione alcuna da sopportare.
«L'orazione è necessaria a coloro che si consacrano al servizio degli altari, quanto al
soldato la spada. Un edilizio, di cui Dio non è l'architetto, non può sussistere lungamente. Una
comunità che osserva con esattezza il silenzio è estremamente fedele a tutte le altre sue
costituzioni; quando invece in quella ove ognuno parla a talento, d'ordinario non si osservano ne
regole, nè ordine.»
La grande massima del Santo intorno alla vocazione era, che spetta a Dio solo di
scegliersi i suoi Ministri, e che le vocazioni prodotte dall'artifizio, e mantenute da una specie di
mala fede, disonorano il gregge moltiplicandole. Per evitare il primo di questi due difetti si fece
una regola inviolabile di non dire giammai una parola a chicchessia per determinarlo ad entrare
nella sua congregazione, e proibì a'suoi di sollecitare alcuno. Ogni passo in questo genere gli
sembrava un delitto, e lo riguardava quale attentato contro a' disegni d'Iddio; neppure soffriva
che si facessero propendere coloro {130 [344]} stessi che dimostravano averne l'inclinazione; in
quelle occasioni faceva loro osservare che un' impegno di tanta importanza esige molte
riflessioni, perciò bisogna pensarvi con maturità ed al cospetto d' Iddio; essere per un particolare
una ben piccola fortuna il divenire missionario, ma essere un punto capitale per tutto il corpo di
non avere di quelli che non sieno legittimamente chiamali. I Certosini e molti altri Ordini, che
esigevano da' loro postulanti che passassero alcuni giorni a San Lazzaro onde consultare Dio nel
ritiro, avevano ragione di far conto sulla sua probità. Il distogliere qualcheduno da un ordine, al
quale era chiamato, parevagli un furto, un sacrilegio. «Cercando di appropriarci quello che Dio
non ci vuoi dare, diceva a' suoi, non faremo che contrariare la sua santa volontà, ed attirare su di
noi la sua indignazione. Spetta al Padre di famiglia la scelta de'suoi operai. Un missionario
presentato dalla paterna sua mano farà da se solo più bene di quello ne farebbero molti altri, la
cui vocazione fosse men pura. Dobbiamo dunque da una parte pregare il Signore che mandi nel
suo campo uomini capaci di {131 [345]} farne la raccolta, e dall'altra porre ogni studio onde
vivere tanto bene, che i nostri esempi siano per loro un incentivo a lavorare con noi, se Dio ve li
chiama.» Per evitare il secondo difetto, che partecipa di ciò che le leggi qualificano di dolo e
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mala fede, il Santo non imitò già coloro i quali non presentano alla gioventù che dei fiori nel
noviziato, e non palesano le spine se non quando ha oltrepassato l'ultimo studio della carriera.
Nulla v'ha nel piano dei noviziato che possa abbattere la natura, ma vi ha tutto quello ch' è
necessario per far sentire il peso delle obbligazioni, che ne sono il termine. Non si esigono in
esso cilizi nè catene, nè cinture di ferro, nè discipline, nè altri digiuni fuori di quelli che
obbligano tutti i fedeli, ma in contraccambio vi si vuole ciò che ordinariamente costa molto di
più, vale a dire una grande separazione dal mondo, una vita ritiratissima, molta umiltà, grande
mortificazione, estrema vigilanza su di se stesso, fedeltà inalterabile per tutti i propri doveri, e se
possibil tosse, un fondo inesauribile di quella santa unzione, che deve sostenere un giorno e
consolare uomini pel proprio stato dedicati {132 [346]} a tutto ciò che il ministero ha di più
penoso e di più ripugnante. Voleva che i missionari fossero pronti a dare la loro vita per amore di
Gesù Cristo, come egli ha dato la sua per la salvezza di tutti. «Vedonsi ogni giorno, diceva Toro,
de'negozianti che per un guadagno mediocre attraversano i mari esponendosi ad una infinità di
pericoli. Avremo noi minor coraggio di loro'. Le pietre preziose di cui eglino vanno in traccia
valgono forse più delle anime che sono l'oggetto de' nostri sudori; delle nostre fatiche, de' nostri
viaggi? »
A' religiosi che brigano per le dignità ecclesiastiche diede il Santo una bella lezione nella
persona di uno che a lui si raccomandava Un celebre religioso che aveva predicato con successo
sui primi pergami del Regno gli rappresentò i suoi prolungati lavori, l'austerità della sua regola,
la diminuzione delle sue forze, ed il timore che aveva di non poter continuare più a lungo a
prestare i servigi che aveva fino allora resi alla Chiesa; soggiunse aver pensato ad uno spediente,
per cui avrebbe potuto ancora lavorare con vantaggio; che la dignità episcopale lo dispenserebbe
dal digiuno e dalle altre austerità {133 [347]} dei suo ordine, e lo metterebbe in grado di
predicare con maggior vigore e frutto; che faceva capitale della sua amicizia per fargli ottenere la
nomina dal ile. Il servo d' Iddio fece intendere a quel religioso l' idea, da cui era inebbriato,
essere una tentazione del demonio: e dopo avergli testificato l'alta stima che professava al suo
ordine e a lui particolarmente, gli disse che col successo con cui onorò le sue funzioni Dio aveva
manifestato di volerlo appunto nello sfato da lui abbracciato. e non esservi apparenza che volesse
farnelo uscire: che se Dio lo destinava all'episcopato avrebbe saputo trovare i mezzi di farvelo
pervenire, senza ch'egli lo prevenisse.
«Ma, soggiunse Vincenzo, troverei qualche cosa a ridire sul farvi avanti voi stesso: voi
non avreste motivo di sperare le benedizioni de! cielo in un cangiamento il quale non può essere
desiderato né procurato da un'anima veramente umile come la vostra. D'altronde privando il
vostro ordine di un uomo che lo sostiene co'suoi esempi, che gli da credito colla sua erudizione e
che n'è una delle principali colonne, gli fareste un torto considerevole. {134 [348]} Aprendo
questa porta porgereste occasione ad altri o di sforzarsi d' uscire dal loro ritiro, o almeno di
concepire del disgusto per gli esercizi di penitenza; al pari di voi troverebbero de' pretesti per
addolcire que' rigori salutari; perchè la natura si stanca delle austerità, e se consulta se stessa,
dirà che sono eccessive, che bisogna moderarsi per vivere lungamente e servire vie più a Dio,
laddove nostro Signore dice: Chi ama l'anima sua la perderà e chi l'odia la salverà.
Voi sapete meglio di me, reverendo Padre, tutto ciò che si può dire su di questo
proposito, e non oserei di palesarvi il mio modo di pensare se non me lo aveste comandato. Ma
forse voi non porgete attenzione alla corona che vi è preparata. Oh Dio! quanto sarà bella! avete
già tanto operato per meritarvela, e forse ben poco vi rimane più a fare. È necessaria la
perseveranza nel cammino in cui siete entrato, cammino che conduce alla vita. Avete di già
superato le più gravi difficoltà; dovete dunque farvi coraggio e sperare che Dio vi concederà la
grazia di vincere le minori. Per tal modo Vincenzo {135 [349]} troncava ogni germe d'ambizione
e persino di quella che, nascosta sotto i colori del bene, seduce qualche volta uomini pieni di
virtù e di lumi.
Vincenzo combatteva a ferro e fuoco la maldicenza e la gelosia, crudeli passioni le quali
non la perdonano al merito domestico, nè al merito straniero. Diceva che i dardi dell'invidia e
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della detrazione non feriscono il cuore di quelli contra cui sono scagliati, se non dopo di aver
trapassato da parte a parte il cuor di Gesù Cristo.
Coloro ette si approssimano alla santa comunione col fervore di Zaccheo non devono
biasimare coloro i quali se ne allontanano coll'umiltà del pubblicano. Nulladimeno la lunga sua
esperienza intorno a' maravigliosi effetti dell'Eucaristia lo spingeva a sollecitare ognuno di
mettersi in grado di riceverla degnamente e frequentemente. «Avete un poco mal fatto, scriveva
ad una pero sana sua penitente, ritirandovi oggi dalla santa comunione per la pena interna che
avete provato. Non vedete forse ch'è una tentazione, e con ciò la date vinta al nemico di questo
adorabilissimo Sacramento! Pensate forse divenire più capace {136 [350]} e meglio disposta ad
unirvi a nostro Signore allontanandovi da lui? Oh! siate sicura che se aveste un tal pensiero,
v'ingannereste a partito. Non bisogna maravigliarci se ci allontaniamo dalla tavola del Signore:
giacchè la natura vi guadagna, mentre, soltanto a caro prezzo si acquistano e si conservano le
disposizioni necessarie. La vigilanza su di se stesso è un fardello di cui si scarica volentieri.....
Una donna di merito aveva da molto tempo per pratica, dietro il consiglio del suo direttore, di
comunicarsi due volte la settimana. La curiosità, e noti so quale bizzarro desiderio di perfezione,
la indussero a cangiare di confessore; la frequente comunione fu il primo peccato di cui egli
volle che si correggesse. Così la signora si comunicò da principio una volta la settimana; fu in
seguito rimessa alla quindicina e poi finalmente al mese. Tutto il frutto che ricavò da questa
privazione fu che a poco a poco lo spirito di vanità, d'impazienza, di collera e di altre passioni
s'impadronirono di lei. Le sue imperfezioni si moltiplicarono e si trovò alfine in una situazione
molto deplorabile. {137 [351]}
Ne cercò la causa e la trovò ne' consigli del nuovo direttore; consigli perniciosi, poichè
produssero effetti cotanto cattivi. Quella signora con miglior consiglio ripigliò l'abbandonata sua
pratica, convinta ormai che per comunicarsi spesso bisogna ben vivere, come per ben vivere
bisogna comunicarsi sovente. Nella frequenza dei divini Misteri trovò il riposo della sua
coscienza ed il rimedio a tutti i suoi difetti.»
Frutto. Del prossimo parlar bene o tacere affatto. {138 [352]}
Giorno decimoquarto. Sua mortificazione.
Se è glorioso di seguire il Signore, bisogna pur confessarlo, che nulla costa
maggiormente alla natura; poichè il primo passo che debbono fare coloro che vogliono seguir
Dio, quello si è di rinunciare a se stessi e portare la loro croce. Questo il Santo trovava assai
difficile, ma lo fece in tutti i momenti di sua vita; e colla più esatta verità si è detto di lui, che
all'ombra d'una vita comune la mortificazione interna ed esterna è forse fra tutte le virtù quella
che praticò più costantemente.
Per mortificazione interna quella intendo la quale ha per oggetto immediato il giudizio, la
volontà, le inclinazioni del cuore, e le tendenze le più dolci della natura. Per mortificazione
esterna intendo quella che crocifigge tutti i sensi.
La sua mortificazione interna si ravvisa sensibilmente nella riforma quale fece del suo
naturale. Si può ben combattere la propria natura, che quasi sempre ricompare. So vien raffrenata
nelle occasioni {139 [353]} prevedute, si svela nelle subitanee; son pochi gli uomini i quali,
studiando un altr'uomo, almeno al lungo andare, non iscoprano in lui ciò che noti avevano scorto
de prima. Vincenzo aveva naturalmente l'aspetto severo ed alquanto aspro; nulladimeno seppe si
ben violentarsi che fu sempre considerato da quanti lo conobbero qual modello di dolcezza e di
affabilità. Riguardava egli stesso questo cangiamento come una specie di miracolo e to attribuiva
alla compassione di chi Io aveva avvertito di prendere un aspetto metto cupo e meno austero.
Combatteva con tanta forza l'amor proprio che giudicando di lui dalle sue apparenze, sarebbesi
dubitato se da quel lato fosse figlio di Adamo; nulla occultava di ciò che poteva farlo
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disprezzare; nascondeva quanto poteva ridondare a sua gloria. Il segretaro del Re era stato
schiavo in Algeri e sapeva che Vincenzo eralo stato in Tunisi. Raccontando egli volentieri le sue
avventure al Santo, avrebbe gradito assaissimo gli raccontasse le proprie. Lo metteva
espressamente in argomento per farlo parlare, ma confessa sulla sua deposizione che non potè
mai ottenere una sola parola su questa materia. {140 [354]} Venti liste ebbe occasione di
parlarne in onorevoli assemblee, e venti fiate stette in silenzio.
Quella specie d'indifferenza che sembrò avere per i suoi parenti era in lai l'effetto della
più viva e della più perseverante mortificazione. «Pensate forse, diceva a qualcheduno che lo
sollecitava di giovar loro, pensate forse che non ami i miei parenti? Io provo per essi tutti i
sentimenti di tenerezza e di affetto come qualunque altro può avete per li propri, e questo amor
naturale mi sollecita molto di assisterli; ma elevo operare secondo i movimenti della grazia e non
secondo quelli della natura, e pensare a'poveri più abbandonati senza arrestarmi a' vincoli dell'
amicizia e della parentela. Devo imitare il Salvatore, il quale in una pubblica occasione sembrò
non conoscere madre ne fratelli, e riguardare nell'impiego delle mie elemosine conte miei parenti
più prossimi non già quelli che lo sono diffatti, ma bensì quelli i quali hanno maggior bisogno di
essere sollevati. Ohimè! i miei parenti non sono essi molto felici? e possono forse trovarsi in uno
stato migliore {141 [355]} di quello in cui eseguiscono la sentenza di Dio, la quale ordina che l'
uomo guadagni il pane col sudore della sua fronte?» Il Santo seguiva questi principi anche
quando avrebbe assolutamente potuto allontanarsene. Un suo amico gli diede cento doppie per i
suoi parenti: l'uomo di Dio non le rifiutò, ma disse al benefattore che la sua famiglia poteva
vivere com'era vissuta fin allora; quel nuovo soccorso non servirebbe a renderla più virtuosa,
anzi credeva che una buona missione fatta nella loro parrocchia avrebbe maggior valore al
cospetto di Dio e degli uomini. Quell'amico si arrendè a tali ragioni; ma il Santo non trovò l'
occasione d'eseguire il progetto: le guerre civili che sopraggiunsero desolarono la Guienna; i
parenti di Vincenzo de'Paoli furono dei più malconci, ogni cosa fu loro tolta, e alcuni persino vi
perdettero la vita. II sant' uomo riconobbe allora essere stato per una particolare disposizione
delta Provvidenza elio non avesse potuto dare quella missione. Benedì Iddio per una protezione
sì speciale e visibile. Fece partire con tutta fretta il soccorso che il cielo aveva preparato alla sua
famiglia. E questo è il solo bene che fece {142 [356]} a'suoi parenti un uomo cui sarebbe stato
facilissimo di procurare loro una vita comoda e per inclinazione spinto a toglierli dalla miseria.
Prova della mortificazione interna del nostro Santo è la perfetta sua eguaglianza di
spirito. Ei l'ebbe in grado eminente. La sua storia ne somministra delle prove tali che si
dificolterebbe a trovarle nella vita dei più gran santi. L'abbiamo veduto tranquillo nelle
turbolenze della guerra come in seno della pace; nelle malattie come nella più florida sanità; ne'
buoni successi come nei più disgustosi avvenimenti. Per giungere fino là bisogna in qualche
modo non vivere più, o non vivere, come S. Paolo, che della vita di Gesù Cristo. Bisogna aver
sepolto l'uomo vecchio con tutti i suoi desideri, bisogna non conoscere più inclinazione nè
tendenza.
Non fu già così della sua mortificazione esteriore: benchè abbia usata tutta la precauzione
per nasconderne una parto, e pei travisarne l'altra, fu bastantemente conosciuto per giudicarlo
degno di avere un posto nel numero de' più illustri penitenti. Ecco ciò che si rileva dal processo
di sua canonizzazione. {143 [357]}
Vincenzo non si coricava quasi mai che verso mezzanotte, perchè i grandi e moltiplico
affari de'quali era sopraccaricato non gli permettevano di farlo prima. Il suo letto consisteva in
un cattivo pagliericcio: sano o infermo alzavasi regolarmente a quattr'ore del mattino. Al suo
svegliarsi si disciplinava: un fratello, la cui stanza era attigua alla sua, assicurò non aver mai
tralasciato questo esercizio in dodici anni che fu suo vicino. A questa austerità ne aggiungeva
altre per chiedere a Dio delle grazie particolari per calmare la collera in tempo delle pubbliche
calamità. Il cilizio, i braccialetti, le cinture con punte erano anch'essi strumenti di cui usava
famigliarmente; ma il cilizio particolare di cui servivasi di tempo in tempo e che esiste tuttora, fa
tremare coloro perfino che sono più abituati alla mortificazione. Del resto, a caso soltanto si
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scopri il grado e la misura della sua penitenza, perchè era tanto premuroso di tenerla occulta,
quanto ardente in praticarla.
Ogni giorno, ed anche negli inverni più rigidi, impiegava tutte le mattine più di tre ore
nell'orazione, nel prepararsi a celebrar la santa messa e nel ringraziamento. {144 [358]} Stava in
ginocchio sul nudo pavimento senza aver mai permesso si coprisse con una stoia it posto in cui
aveva costumanza di collocarsi; nemico e quasi carnefice del suo corpo, malgrado l'enfiagione
delle sue gambe e una febbre quartana che lo coglieva due tempi dell'anno, lavorava con tanta
esattezza come se avesse goduto della miglior sanità. Oltre i digiuni prescritti dalla Chiesa, e da'
quali giammai si dispensò, digiunava ordinariamente due volte per settimana, nè le sue infermità,
nè la sua vecchiezza poterono fargliene tralasciare l'abitudine: il suo nutrimento fu sempre dei
più comuni; non vi era alcuna differenza fra lui e l'ultimo de'suoi nè per la quantità, nè per la
qualità de' cibi; sceglieva sempre a preferenza nella sua porzione il meno appetente, e per timore
di allettare la sensualità, quale s'insinua dovunque, spargeva di tempo in tempo sugli alimenti
una polvere amara che rendevali disgustosi. In qual si voglia luogo si trovasse, beveva e
mangiava pochissimo, non già per mancanza d'appetito, ma perchò erasi fatta una legge di non
mai soddisfarlo. Allorchè trovavasi alla seconda mensa, si frammischiava a' domestici perchè gli
fossero {145 [359]} dati come ad essi gli avanzi della prima; se giungeva dopo ch'erasi
sparecchiato, e che si era levato il suo vino, mai ne dimandava e si contentava d'acqua pura,
malgrado non vi fosse chi avesse maggior bisogno di lui di acquistare delle forze. Per quanto
tardi ritornasse in casa per pranzare, fossero anche due o tre ore pomeridiane, ora sempre
digiuno.
All'età di 60 e più anni digiunava nella quaresima più rigorosamente di un uomo robusto
nel fiore della sua età. Il merluzzo, l'aringa e gli altri salumi erano il suo nutrimento, come lo
erano per la comunità. Si tentò d'ingannarlo servendolo alla seconda tavola con pesce fresco in
luogo del pesce salato ch'erasi dato a'suoi fratelli, ma quell'innocente artifizio fu ben presto
scoperto da un uomo, che l' amore della mortificazione rendeva vigilante. S'informava di ciò
ch'erasi dato agli altri, e bisognava trattarlo al pari di essi, altrimenti nulla avrebbe mangiato.
Alla sera un tozzo di pane, una mela e dell'acqua tinta di vino formavano la sua cena. Qualche
volta benchè non giorno di digiuno e di astinenza se giungeva a casa un po' tardi, si ritirava senza
mangiare.{146 [360]}
Non impiegando la sua lingua che per raccomandare la virtù; combattere il vizio, solo
dava ascolto a' discorsi che tendevano al bene. La sua regola era di chiudere l'orecchio alle vane
curiosità, alle notizie inutili, e molto più a quelle che potevano intaccare la carità. Per ciò che
concerne il gusto, avevalo assoggettato fino ad un punto straordinario. Il freddo ed il caldo, il
buono ed il cattivo erano per lui cose indifferenti. Ci son poche persone delle quali non si possa
dire che preferiscano un tal genere di alimenti ad un altro: Vincenzo, qualunque fosse lo studio
che avessero fatto del suo appetito i figli di lui impegnati a conservarlo, noi poterono mai
ravvisare: prendeva a lunghi sorsi e a varie riprese le medicine più amare e più disgustose, e non
mangiava se non perchè è ingiunto all'uomo di non lasciarsi morir di fame.
Soleva dire che la vera mortificazione non la perdona nè all'anima, nè al corpo; che
sacrifica il giudizio, la volontà, i sensi, le passioni, le inclinazioni le più dolci e le più naturali: il
giudizio, conducendo l'uomo a stimare le proprie idee meno delle altrui; la volontà, facendole
seguire l'esempio del {147 [361]} Salvatore, il quale nell'intero corso di sua vita non fece mai la
propria, ma sempre quella del suo celeste Padre: quæ plavita sunt ei facio semper: i sensi,
tenendoli soggetti a Dio, e soprattutto vegliando attentamente sulla curiosità di vedere e di udire,
curiosità tanto pericolosa e che ha tanta forza da distogliere lo spirito da Dio; le stesse
inclinazioni naturali, e principalmente quella che domina in molti di conservare la sanità erano
per lui l'oggetto di mortificazione. «Perchè, andava dicendo, una tale immoderata sollecitudine di
stai bene, e l'eccessivo timore di soffrire qual« che incomodo, che scorgesi in alcuni, i quali
ripongon ogni loro attenzione alla cura della loro misera vita, impediscono grandemente di
servire a Dio, togliendo la libertà di servire a Gesù Cristo. Oh! miei fratelli, noi siamo i discepoli
eli quel Divin Salvatore; e nulladimeno egli ci trova simili a' schiavi incatenati; ed a chi? ad un
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po' di salute.... O mio Salvatore! dateci la grazia di liberarci da noi stessi; fate, se pur vi piace,
che abbiamo in odio noi medesimi onde amarvi con maggior perfezione. Voi che {148 [362]}
.d'ogni perfezione siete la sorgente, come siete il nemico mortale della sensualità, « dateci lo
spirito di mortificazione e la grazia di resistere sempre all'amor proprio, ch'è il germe di tutte le
nostre sensualità.»
Nemico implacabile della sensualità la combatteva fino nelle apparenze. «Non trovasi
vizio, diceva a' suoi figli; che più di questo sia opposto allo spirito che deve animarvi, e sia più
capace a farvi perdere il gusto delle vostre funzioni. Un missionario deve vivere come se non
avesse corpo, e non deve temere nè il caldo, nè il freddo, nè le malattie, nè la fame, nè le altre
miserie della vita. Egli deve stimarsi felice di soffrire qualche cosa per Gesù Cristo, e se fugge i
travagli, la fatica e gl' incomodi, è indegno del suo nome, e a nulla può servire. Un piccolo
numero di preti che avranno rinunciato a'loro corpi ed alle lor soddisfazioni faranno maggior
bene di quello che ne farà una folla d'altri, i quali non hanno timore più grande di quello d'
indebolire la propria salute. Costoro si credono saggi, e la loro saggezza è carnale; sono spiriti di
{149 [363]} carne. Guai a colui, che fugge le croci, perchè ne troverà altre tanto pesanti che lo
opprimeranno.»
Frutto. Fate quest'oggi qualche astinenza in onore di Maria santissima.
Giorno decimoquinto. Sue occupazioni.
Vincenzo che si riguardava qual servo inutile era talmente occupato da mattino a sera,
che la sua vita era una continuazione di opere buone. Un altro uomo laborioso, meno sostenuto
dalla grazia avrebbe soggiaciuto sotto quella moltitudine di affari. Non si può concepire come un
uomo soggetto ad infermità, senza mai tralasciare i suoi esercizi di divozione, abbia potuto
soddisfare tante occupazioni sì disparate; ultimare un sì gran numero di affari, che non avevano
connessione tra di loro; rispondere ad una folla prodigiosa di lettere {150 [364]} che riceveva da
ogni parte, e assistere con attenzione le due compagnie che aveva instituite. Le sue occupazioni
erano talvolta sconcertate da' contrattempi, ma il Santo sapeva mirabilmente rimetterle in ordine.
Coglieva l'occasione di fare un nuovo bene senza perdere di vista quello, di cui aveva formato il
progetto.
Non ci rimane più che una piccola parte delle lettere che scriveva in Francia, in Italia, in
Barberia e ne' paesi ancor più lontani, ed esse sono nulladimeno in sì gran numero, che fa
spavento la loro moltitudine, e la varietà delle materie, sulle quali era obbligato a rispondere.
Vescovi, Abati de' più distinti, Direttori illuminati lo consultavano sovra affari tanto delicati,
quanto importanti. Principesse gli dimandavano delle missioni per le loro signorie, soccorso che
non rifiutava giammai. Ora è la congregazione di Propaganda, che scongiura di spedire i suoi
figli al Gran Cairo; ora se gliene dimandano per i paesi stranieri; ora una madre afflitta che da'
confini del Regno, ove la sua carità l'aveva fatto conoscere' Io prega d' interessarsi per un figlio,
che schiavo in, Algeri è in pericolo di {151 [365]} perdere o la vita, o la fede. Un giorno è un
rinnegato che da: Algeri s'indirizza a lui, per trovare nella sua carità i mezzi di riparare alla sua
apostasia; un altro giorno è una Abadessa che, disanimata dalle difficoltà del governo, non sa
qual partito prendere. Oggi è un giovane che, trascorsi alcuni mesi di noviziato, è tentato di
ritirarsi dal chiostro. Domani saranno i Nunzii Bagni e Piccolomini che, a voce o in iscritto,
bramano avere il suo parere sopra diversi articoli che riguardano o il bene particolare delle
Diocesi, o il ben generale della Chiesa intera. Sovente saranno saggi religiosi che ricorrono a lui,
come ad un padre sempre pronto ad aiutarli, sia nella riforma de'loro ordini, sia in altri affari
spinosi. Nel mattino sarà il capo d'augusta compagnia che combinerà con lui alcuni di quegli
affari, che la politica vorrebbe riprovare, ma che la equità e la religione approveranno sempre.
Alla sera sarà un missionario che ha bisogno di essere confortato nel suo stato o di essere
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ricondotto al primiero fervore. Qualche volta saranno virtuosi preti i quali non conoscono
sollievo nè riposo, e di cui bisogna moderare lo zelo perchè possa continuare {152 [366]} più a
lungo. Dei resto quelle lettere innumerevoli son tutte ricolme dello spirito di colui `che le
scriveva.
L'umiltà, la dolcezza, il disinteresse, la saggezza, la rettitudine, la carità, la sottomissione
a tutte le volontà di Dio, sono il marchio uniforme, coi quale vengono contrassegnate.
Nel tempo stesso in cui Vincenzo trovavasi distratto dalle persone famigliari e straniere,
era totalmente occupato da una moltitudine d'opere sante e penose. Lavorava a sbandire la
mendicità da Parigi, e a fare riuscire il progetto d'un Ospedal-generale; si sforzava di confortare
coloro de'suoi che avevano penetrato in Iscozia e nelle Ebridi; ogni giorno riceveva le più
spiacevoli notizie della desolazione della Piccardia, della Sciampagna e della Lorena, e che per
impedirne la rovina totale faceva passare in quelle parti immense elemosine.
Durante sua vita la casa di san Lazzaro tu sempre quella ch'era al tempo degli ultimi
giudici d'Israello la casa del Profeta: era come un oracolo a cui tutte le persone. che meditavano
intraprendere qualche buona opera, accorrevano da ogni parte per attignere {153 [367]} ne'lumi
del'Uomo di Dio i consigli oli cui abbisognavano. Oltre le assemblee ordinarie, alle quali
assisteva esattamente tre volte per settimana, era frequentemente chiamato per elezioni di prelati,
di dottori, di superiori di comunità e di altre persone d'ogni condizione, sia per fermare il corso
di qualche grave disordine, sia all'oggetto di stabilire un buon governo, sia per ricondurre la pace
in un monastero o in una famiglia. Perciò, eccettuato il tempo ch'egli consacrava al ritiro
annuale, usciva quasi tutti i giorni per affari di carità, che lo toglievano alla sua solitudine.
Ritornato a casa, dopo aver recitato il suo uffizio in ginocchio, ascoltava coloro de'suoi o degli
esteri, i quali desideravano parlare con lui. Se a queste serie occupazioni si aggiungono quelle
procurate da diverse case della sua congregazione, quelle delle figlie della carità, e delle religiose
della Visitazione, delle quali ebbe, finchè visse, una cura particolare, si potrà forse non convenire
che i suoi anni furono pieni, e che non ebbe alcun di quei mesi vuoti, che la Scrittura condanna?
Benchè la gloria d'Iddio fosse l'unico motivo {154 [368]} delle imprese del Santo, ciò
non pertanto non tutte riuscirono. In quel modo che per le campagne vi sono degli anni sterili, in
cui le speranze del coltivatore sono più o meno deluse, così per le opere di Dio ci sono delle
stagioni le quali sembrano sonnacchiose riguardo a' suoi più fedeli servitori. Gli Apostoli lo
provarono più d'una volta, e Vincenzo lo provò com'essi.
Desta sorpresa l'udir parlare di grandi occupazioni, quando si tratta di un uomo che si
avanza a gran passi verso l'eternità. Ciò nondimeno il nostro Santo, comunque sopraccarico fino
al giorno che precedè la vigilia della sua morte, le disimpegnò con una precisione ed una
presenza di spirito ammirabile. Radunava sovente gli ufficiali della sua casa ed i suoi assistenti:
parlava a tutti riuniti o ad ognuno in particolare, secondo che esigevano le circostanze, si faceva
render conto dello stato degli affari, e ne deliberava con essi. Regolava le missioni, destinava ad
esse quelli che erano più adattati, e concordava con loro la maniera con cui bisognava agire per
farle riuscire. Faceva per le altre compagnie, delle quali era incaricato, quanto faceva per la {155
[369]} sua propria congregazione. Inviava alcuni suoi preti per rappresentarlo ne' luoghi ove non
poteva più trasferirsi, e quando si trattava di qualche affare importante, dava loro una lezione sì
esatta che non avevano, se volevano essere sicuri del successo, che ad ubbidire. Giudicando di
lui dalle sue risposte credevasi nelle provincie la sua salute fosse sempre a un di presso nel
medesimo stato, ed è perciò che riceveva una infinità di lettere, alle quali non tralasciava mai di
rispondere. Sebbene scrivesse sopra ogni argomento, scriveva più volentieri in favor della
miseria e dell' indigenza: si osservò le ultime sue lettere riguardare in tutto a' bisogni ed al
sollievo de' poveri.
Nel trambusto delle occupazioni ed in mezzo alle importunità di una folla di persone di
ogni condizione che l'assediavano, si scorgeva sempre l'uomo di pace e di consolazione.
Finalmente conciliava sì bene l'offizio di Marta con quello di Maria, che allorquando sembrava
maggiormente occupato, si riconosceva ancor meglio che lavorava per Dio e sotto gli occhi di
Dio. Se a tante occupazioni si aggiungono gli esercizi di divozione, si vedrà che conosceva {156
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[370]} il prezzo del tempo. Sarebbesi fatto uno scrupolo di perderne un solo istante, e cosi
raddoppiava i suoi anni innanzi a Dio. Era l'ultimo di tutti nell'andare al riposo notturno, e
durante il giorno era quasi sempre occupato a pregare, a ricevere o a dare consigli, a formare
deliberazioni o ad esequirle. I suoi preti avevano dopo orni pasto un'ora circa di ricreazione, egli
in vece quasi mai ne profittava, perchè aveva ordinariamente qualche cosa premurosa da tare.
Finalmente, quantunque accordasse a coloro che gli parlavano, e soprattutto agli stranieri, il
comodo per dirgli tutto ciò che era d'uopo, era per altro attentissimo ad eliminare ì discorsi
inutili: evitava le digressioni fino nelle assemblee di divozione, alle quali interveniva per li
poveri. Tanto preciso nelle sue parole, quanto giusto nelle sue idee riconduceva al punto
essenziale coloro che se n' erano allontanati, ma lo faceva con tanta grazia, che niuno trovava a
ridire. Possedeva una forza di spirito infaticabile per applicarsi a' più grandi affari, e la più
sorprendente facilità di abbandonare tutto in favore dei deboli e dei semplici che venivano ad
interromperlo. {157 [371]}
In ciascun giorno degli ultimi anni di sua vita, per disporsi alla morte, recitava le
preghiere degli agonizzanti colla raccomandazione dell'anima, e alla sera si metteva in grado di
rispondere al Divin Giudice, nel caso che quella notte stessa gli fosse piaciuto di chiamarlo al
suo tribunale supremo.
Frutto. Un atto di contrizione per dimandare a Dio perdono del tempo perduto,
promettendo di occupare santamente tutti que' giorni di vita che Dio ci vorrà ancora donare. {158
[372]}
Giorno decimosesto. Sua pazienza.
La pazienza è uno de'mezzi sicuri per giugnere a salvamento delle anime nostre. In
patientia vestra possidebitis animar vestras, dice il Signore. Questa massima era sì altamente
radicata nel cuor di Vincenzo che languiva di afflizioni quando non aveva tribulazioni nella
propria persona o in quella de'suoi figli. «La nostra congregazione, diceva loro, nulla soffre, tutto
le va bene; e Dio, senza farle sentire traversia, nè agitazione, la benedice in ogni modo questa
gran calma mi dà qualche inquietudine, perchè è proprio d'Iddio l'esercitare coloro che lo
servono e di permettere tribulazioni a coloro che lo amano. Mi rammento di quello dicesi di S.
Ambrogio, il quale avendo inteso dal padron « di una casa, in cui egli entrò in uno dei suoi
viaggi, che non sapeva che cosa fosse afflizione, ne uscì frettoloso, dicendo a coloro che lo
accompagnavano: Usciamo di qui, perchè la collera di Dio è prossima a cadere su questa casa.
Cadde infatti, {159 [373]} perchè il fulmine la rovesciò dopo alcuni momenti, schiacciando sotto
le sue rovine tutti coloro che vi erano. D'altra parte io vedeva alcune compagnie agitate di tempo
in tempo e che soffrirono orribili persecuzioni, e diceva fra me stesso: Ecco come Dio ci
tratterebbe se fossimo saldi nella virtù; ma conoscendo la nostra debolezza ci nutre col latte a
guisa di piccoli fanciulli, e permette ogni cosa cì vada propizia, quasi senza che noi cc ne
ingeriamo. Ho dunque ragione di temere mere non essere noi accetti a Dio, nè degni di soffrire
qualche cosa per amor suo.»
Ciò che il Santo diceva alla sua comunità radunata, lo diceva al Superiore d'una delle sue
case, che gli aveva manifestato essergli di pena il governarla. «Ohimè! signore, credereste forse
di trovarvi bene senza soffrire? Non sarebbe forse più desiderabile di avere un demonio in capo
che essere senza alcuna croce? Sì, perchè in quello stato il demonio non porterebbe all'anima
alcun nocumento: ma nulla avendo da soffrire, nè l'anima, nè il corpo sarebbero conformi a Gesù
Cristo {160 [374]} paziente: eppure questa conformità è la prova della nostra predestinazione.
Perciò ciò non vi stupite delle vostre pene, poichè il figlio di Dio le ha scelte per la nostra
salvezza. Non è forse consolato il nostro cuore vedendosi fatto degno innanzi a Dio di soffrire
servendolo? Certamente dovete ringraziarlo particolarmente e siete obbligato di domandargli la
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grazia di farne un buon uso. Bisogna condursi a Dio per infamiam et bonam famam. La sua
divina bontà ci usa misericordia quando si compiace di permetterci di cadere nel biasimo e nel
pubblico disprezzo: io non dubito che non abbiate ricevuto in pazienza la confusione derivata da
ciò ch'è occorso. Se la gloria del mondo non è che un fumo, lo stato contrario è un bene solido,
quando è soppórtato come conviensi: spero che riceverete un gran bene da questa umiliazione.
Dio voglia mandarcene tante da poterci meritare di piacergli: bisogna desiderare ardentemente di
avere delle croci, e dirò con S. Francesco Saverio: Ancor più, Signore, ancor più.» La pazienza
del Santo ne' mali, o piuttosto il suo genio {161 [375]} per f patimenti, non risplenderono
giammai come nelle sue malattie. Un missionario commosso dallo stato in cui vedeva quel
venerabile vecchio esclamò in un primo movimento: Oh! Signore, quanto sono molesti i vostri
dolori! «E che? rispose vivamente il Santo ammalato, qualificate voi di molesta l'opera di Dio e
ciò ch'egli ordina, facendo soffrire un miserabile peccatore qual io sono? Dio vi perdoni ciò. che
avete detto, perchè non parlasi così nel linguaggio di Gesù Cristo. Non è forse giusto che il
colpevole soffra; e non apparteniamo forse più a Dio che a noi stessi? La malattia è uno stato
quasi insopportabile alla natura, ed è nulladimeno uno de' più possenti mezzi di cui Dio si vale
per richiamarci al dovere, per allontanarci dall'afa lezione al peccato e per ricolmarci de'suoi
doni e delle sue grazie. Si è in questo modo che le anime si purificano, e quelle prive di virtù
trovano un mezzo efficace onde acquistarne: non potrebbesi rinvenire uno stato più proprio per
praticarla. a Appunto nelle malattie la fede si esercita mirabilmente; in esse la speranza sfavilla
con maggior splendore; la rassegnazione, {162 [376]} l'amor di Dio e tutte le virtù trovano un'
ampia materia d'esercizio.»
Vincenzo era soggetto ad una leggera febbre, che durava anche quattro o cinque giorni, e
qualche volta quindici e più, e sebbene in questo frattempo patisse assai, pure continuava ad
occuparsi de' suoi esercizi e de' suoi affari.
A questa febbre si aggiungeva due volte all'anno una febbre quartana, e nulla più la
curava di quella; in un caso uguale avrebbe fatto trasportare all'infermeria l'ultimo de' suoi figli,
ma egli non vi andava, e fu soltanto all'età di 80 anni trascorsi che la debolezza del corpo
cominciò a far vacillare alquanto la vivacità e la forza del suo coraggio; perciò bisogna
confessare che il resto della vita del Santo non fu d'allora in poi che una complicazione di mali.
Nel 1656 ebbe una febbre continua per alcuni giorni che terminò con una grande flussione in una
gamba; allora suo malgrado fu costretto di rimaner a letto per qualche tempo. Si profittò di quella
occasione per fare che alloggiasse in una camera col fuoco, perchè lino allora non era stato
possibile di determinarnelo. {163 [377]}
Quel debole sollievo gli divenne ben presto più che mai necessario: l'enfiagione delle sue
gambe si dichiarò in un modo sì violento che, per sopportarne i dolori, gli fu necessaria tutta la
pazienza dei Santi. Il male fece rapidi progressi; si portò alle ginocchia: finalmente una delle sue
gambe si aprì al modo dei piede destro. Due anni dopo vi si formarono nuovi ulceri, ed il dolore
dei ginocchio aumentando sempre, non fu più possibile al servo di Dio, dopo il principio
dell'anno 1659, uscire di casa. Continuò nulladimeno per qualche tempo a discendere per trovarsi
all'orazione colla sua comunità e dire la santa messa in chiesa; ma verso la fine di quell' istesso
anno più non potè discendere, e gli fu mestieri di celebrare nell'oratorio dell'infermeria. Qualche
tempo appresso le gambe gli mancarono talmente che non potè più scendere all'altare; fu dunque
costretto di contentarsi d'ascoltare la messa, e l'ascoltò difatti fino al giorno del suo decesso.
A queste infermità abituali se ne aggiunse un'altra, la quale lo tormentò sì crudelmente,
che era costretto esclamare con S. Bernardo; «Signore, se trattate cosi i vostri {164 [378]} amici
nel tempo stesso della misericordia, che farete mai a' vostri nemici nel tempo che destinate alle
vostre vendette?» In meno di quattro mesi la morte gli tolse tre persone ch'erano il sostegno della
sua vecchiezza. Tanti colpi sembravano dover bastare alla giustizia di quegli il cui occhio
penetrante trova del fieno e della paglia nelle sue più belle opere, e che per effetto di sua
misericordia fa espiare durante la vita ciò che la sua severità potrebbe far espiare dopo morte.
Lo stato in cui il Santo era ridotto gli fece bastantemente conoscere che il termine della
sua carriera non era molto lontano, tuttavia non si osservava in lui per ciò che concerne lo spirito
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nè decadimento, nè alterazione. Il male che rattrista sempre coloro che soffrono molto e
lungamente, sembrava che facesse un effetto contrario in lui. Coloro, tanto esteri, quanto
famigliari, i quali venivano a visitarlo in tutte le ore delta giornata, trovarono sempre in lui un
volto sereno e ridente, quel tuono di voce e quelle maniere piene. di dolcezza che guadagnano i
cuori. Allorquando gli chiedevano notizie del suo male, ne parlava in maniera da {165 [379]} far
credere che fosse cosa da poco; mutava poi discorso, e delle sue pene, che bramava si
dimenticassero, passava a quelle di coloro che parlavano con lui per compatirli. Quando
l'intensità del dolore si faceva sentire con maggior violenza, non uscivano dalla sua bocca che
queste parole pronunciate sempre con molta tenerezza: Ah! mio Salvatore! mio buon Salvatore!
Fissava in seguito gli occhi sull' immagine di Gesù Cristo attaccato alla croce che aveva fatto
collocare dirimpetto a se, e ivi attingeva nuove forze per sopportare il suo male. Sentimenti sì
religiosi erano appoggiati sovra principi cristiani. Cominciava Vincenzo dal considerare nella
vita del Salvatore, che quel gran modello soffrì le prove le più forti; che l'odio contro di lui lo
condusse finalmente al Calvario; che non promise ai suoi Apostoli che delle croci e de' cattivi
trattamenti, e non essendo perfetto il discepolo se non quando rassomiglia al suo maestro, è
giusto che soffriamo come Egli ha sofferto.
Il secondo principio che rendevalo sì tranquillo in mezzo alle più violenti prove era, da
un lato, che le pene non ci accadano {166 [380]} se non per volontà di Dio, secondo l'
espressione di un Profeta: Si est malum in civitate, quod non fecerit Dominus; dall'altro, che Dio
non affligge i suoi servi se non perchè ha su di essi de' disegni di misericordia. Da ciò
conchiudeva, coloro che soffrono essere cari al cielo, e più cari assai quando ricevono
desolazioni sopra desolazioni, e pene sopra pene. «Un giorno solo di tentazione, diceva, produce
più meriti a che molti anni di tranquillità; un' anima a che si trova sempre nel riposo è simile a
quelle acque stagnanti che divengono limacciose ed infette: al contrario l'anima esercitata dalla
tribulazione rassomiglia a que' fiumi che scorrono fra le rupi e gli scogli, le cui acque son più
dolci e più cristalline. Le croci non solamente in segnano la pazienza, ma anche la compassione
verso del prossimo, e Gesù Cristo ha sofferto tanto affinchè nella sua persona avessimo un
Pontefice, che potesse aver compassione delle nostre infermità.»
Finalmente l' ultimo suo principio era quello di s. Paolo: cioè Dio non permette mai che
siamo afflitti o tentati al di là delle nostre forze; ma ci aiuta colla sua grazia {167 [381]} a cavar
frutto dalle pene e dalle contraddizioni, che noi dobbiamo sopportare. Sosteneva queste pene e
queste contraddizioni essere come pegno de'più felici successi. Ed invero aveva cento volte
provato che le missioni e gli altri esercizi della sua congregazione non avevano mai proceduto
meglio come quando costavano maggiormente alla natura, ed è appunto ciò che gli fece dire in
occasione d'una grave tribulazione di alcuni suoi preti, che se ne facevano quell'uso che gli
Apostoli fecero delle persecuzioni che soffrivano, abbatterebbero il demonio con que' medesimi
mezzi che impiegava contro di essi.
Frutto. Facciamoci coraggio a patire per Dio; che se ci riempie di allegrezza il pensare
alla grandezza del premio preparato, non ci deve atterrire quanto soffrir dovremo per andarne al
possesso. Gesù mio, ricevete a vostra maggior gloria e a vantaggio mio spirituale tutte quelle
pene a cui andrò soggetto prima della mia morte. {168 [382]}
Giorno decimosettimo. Sua povertà.
Quanto più il cuore dell'uomo si distacca dalle cose della terra, altrettanto si avvicina a
quelle del cielo e diviene vero seguace di Gesù Cristo. Indi nasce lo spirito di povertà, il quale
propriamente consiste nello staccarci dalle cose del mondo e servirsene solo in quanto
conducono alla vera felicità. Vincenzo, sebbene prima di conoscere i disegni di Dio su di lui
avesse qualche ragione di pensare al suo stabilimento, ha confessato che sentiva nel suo interno
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non so qual segreto movimento, che facevagli desiderare di nulla avete di proprio e di vivere in
comunità. Dio gli accordò l' una e l' altra. Si vide Padre di numerosa famiglia, e se lo stato in cui
la Provvidenza lo collocò non fu incompatibile con una vera proprietà, seppe nondimeno
renderlo compatibile con una rigorosissima povertà. Era sua regola prendere per se ciò che vi ora
di più cattivo; portava i suoi abiti per tanto tempo quanto poteva valersene, ovvero prendeva
quelli di già usitati da altri all' incirca {169 [383]} della sua statura onde averne de' nuovi il
meno che fosse possibile. Con tutto ciò ebbe il talento di mantenere la proprietà, quale conveniva
ad una persona del suo stato. La necessità in cui si trovò di andare frequentemente alla corte,
nulla cangiò del solito suo tenore di vita. Si presentò al re in quel modo con cui compariva
dinanzi alla sua comunità. Il cardinale Mazzarino prendendolo un giorno per la cintura ch'era
alquanto lacera: «Vedete, disse al circolo della regina, come il signor Vincenzo vien vestito alla
corte, e la bella cintura che porta.» Forse al punto di sua morte questo ricco ministro avrebbe
voluto poter cangiare anima e fortuna con quel povero prete.
Il nutrimento corrispondeva al vestiario, l'alloggio corrispondeva ad ambidue. Per ciò che
concerne il nutrimento nessuna distinzione esisteva fra lui ed i suoi, tranne quella di una austera
astinenza. Egli era contento quando mancavagli qualche cosa, e poteva pranzare cogli avanzi e
col rifiuto di un altro. Teneva una simile condotta nelle sue malattie; infermo com'era, credevasi
proibito ciò che non era permesso {170 [384]} a' suoi fratelli; l'esempio di s. Francesco Saverio
che mendicava il pane, gli sembrava ammirabile. L'esercitò qualche volta nelle campagne, ove
violentato dalla fame, privo di danaro, perchè d'ordinario non ne portava seco, si presentava a
qualche contadino domandando un tozzo di pane per amor di Dio. Comunque sobrio negli
alimenti facevasi un rimprovero eziandio di quei pochi, non vedendo in se che quel servo inutile,
il quale non ha alcun diritto al suo nutrimento, e perciò ripeteva quella espressione a lui sì
famigliare, che gli conveniva sì poco: Ah! sciagurato, tu non hai certamente guadagnato il pane
che mangi.
Il suo alloggio era il più semplice che si possa immaginare: una camera senza camino, un
letto senza cortine, un pagliericcio senza materazzo, una tavola senza tappeto, mura senza alcun
drappo, due sedie di paglia, una sola immagine di carta, un crocifisso di legno, ecco tutti i mobili
della stia stanza. Nella sua deposizione il primo medico del re, quando vide un uomo di tanto
merito e di tanta riputazione alloggiato così miserabilmente,attonito asserì che non aveva altri
mobili se non quelli di cui assolutamente non poteva fare di meno. {171 [385]}
Lo spirito di povertà lo seguiva dovunque; se aveva bisogno di scaldarsi nell'inverno,
risparmiava quanto poteva le legna a profitto de' poveri; se faceva fare degli ornamenti per la sua
chiesa, voleva, ad eccezione di quelli de' giorni più solenni, fossero della stoffa più comune; so ai
vecchi mobili, che non potevano più sere re, se ne sostituivano degli altri di maggior prezzo
facevali togliere. «Gli averi della casa, diceva, sono de' poveri; noi ne siamo gli economi e non
già i padroni, e tutto ciò che non ci è necessario sarà materia di un gran rendiconto. Noi non
siamo claustrali perchè si è creduto bene che non lo fossimo, ed anche perchè non siamo degni di
esserlo; ma non è per questo men vero, che la povertà sia il nodo delle comunità, e
particolarmente della « nostra; è appunto questo nodo che, sciogliendola da tutte le cose della
terra, l'unirà perfettamente a Dio. Ohimè! che diverrà questa compagnia se dà accesso alla
cupidigia di que' beni, cui l'Apostolo dice essere la radice di tutti i mali?.... Se questa disgrazia
accadesse, come si viverà fra di noi? Si dirà: abbiamo tante {172 [386]} mila lire di rendita; or ci
conviene di starcene un poco in riposo. Perchè mai lavorar tanto? abbandoniamo la povera gente
di campagna, lasciando che i loro parroci n'abbiano cura, se cosi lor piace; viviamo agiatamente
senza darci tarale pene, ed è cosi che l' ozio terrà dietro allo spirito di avarizia; non ci
occuperemo più ad altro che a conservare ed aumentare i beni temporali, ed a cercar la, propria
soddisfazione. Allora si potrà dare l' addio a tutti gli esercizi della missione, e alla missione
stessa, perchè non ce ne saranno più. Basta leggere te storie, e si troveranno infiniti esempi da'
quali risulta che le ricchezze e l' abbondanza dei beni temporali furono sempre la causa della
perdita non solo di molti ecclesiastici, ma eziandio delle intere comunità, e che per non avere
conservato fedelmente il loro primo spirito di povertà, sono cadute nel colmo della disgrazia.»
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Uno de' suoi preti gli rappresentò un giorno i bisogni della sua casa. «Che cosa fate, gli dimandò
il Santo, quando mancate ancora del necessario? Ricorro a Dio, rispose l' altro. Ebbene! replicò
Vincenzo, {173 [387]} eccovi ciò che produce la povertà; essa ci fa pensare a Dio, quando
invece lo dimenticheremmo se avessimo tutto ciò che ci è necessario. Per questo appunto provo
una grande allegrezza, che la povertà volontaria e reale si pratichi in tutte le nostre case. C'è sotto
questa povertà una grazia nascosta, quale non conosciamo; ma, ripigliò quel missionario,
procurato del pane agli altri poveri e trascurate i vostri? Prego Dio, gli disse l' Uomo del Signore,
di perdonarvi queste parole. Voglio credere che le abbiate proferite con tanta semplicità, ma
sappiate che non saremo giammai così ricchi come quando saremo simili a Gesù Cristo.»
Questi consigli appoggiati ai grandi esempi di chi li suggeriva fecero un'impressione sì
grande sul cuore do' suoi figli che, generalmente parlando, non v'era sulla terra cosa alcuna che
gli attirasse. Vincenzo non fu mai grande encomiatore de'suoi, soprattutto quand'erano presenti.
Un giorno dopo aver loro detto che un uomo, il quale ha il vero spirito di povertà, nulla teme,
tutto può, e va dovunque, non potè fare a meno di render loro giustizia, dicendo: «Che {174
[388]} mediante la misericordia di Dio quello spirito si trovava nella congregazione; bisognava
perciò pregare Iddio di mantenervelo, e credersi felici di morir poveri s sull'esempio del
Salvatore, che cominciò a da una mangiatoia e terminò sulla croce.»
Frutto. Pensiamo adesso a far buon uso delle ricchezze, altrimenti esse saranno altrettante
spine che ci addoloreranno in punto di morte. Non saremo mai cosi ricchi come quando saremo
simili a Gesù Cristo, il quale per altro aveva nemmeno un palmo di terra ove riporre il suo capo.
{175 [389]}
Giorno decimoottavo. Sua prudenza.
La prudenza cristiana consiste nel servirci de'mezzi presenti onde procurarci un bene
futuro. Vincenzo diceva che questa deve sempre tendere ad un fine, cioè a Dio solo. «Essa
sceglie i mezzi, egli diceva, e regola le azioni e le parole, fa tutto con. maturità, peso, numero e
misura. Essendo buono il suo scopo, lo sono parimente i suoi motivi. Essa consulta la ragione,
ma essendo sovente deboli i lumi della ragione, consulta con maggior sicurezza le massime della
fede insegnateci da Gesù Cristo, perchè sa che il cielo e la terra verranno meno, ma le parole di
lui saranno eterne.»
Per operare in conseguenza di questi principi, il Santo, allorchè era consultato sopra un
affare, sollevava il suo spirito a Dio per implorare la sua assistenza: invitava pure coloro che
ricorrevano per consiglio ad unirsi a lui, perchè Dio facesse conoscere la sua volontà sulle cose
intorno a cui dovevasi deliberare. Ascoltava quindi con molta {176 [390]} attenzione ciò che gli
si proponeva, lo pesava a suo bell'agio, ed affinchè niuna circostanza gli sfuggisse, davasi
premura di farsene informare quando era necessario. Se trattavasi d'affare di grande
conseguenza, dimandava del tempo a pensarvi, e consigliava frattanto di raccomandarlo a Dio.
Era contentissimo che si prendesse consiglio da altri; lo dimandava egli stesso molto volentieri e
pregiava assai l'altrui parere, perchè la giustizia e la carità vogliono sempre essere unite.
Finalmente quando era costretto a dire il proprio sentimento, lo faceva in un modo sì giudizioso e
sì lontano dallo stile decisivo, che facendo tutto ciò che giudicava più a proposito, lasciava alle
persone la libertà di determinarsi da per se stesse. Quando veniva importunato a dire
assolutamente il suo parere, lo esprimeva con precisione e senza mai intaccare coloro che non
pensavano come lui. Dopo di ciò facevasi legge di due cose: di custodire sotto il sigillo d' una
segretezza inviolabile ciò su cui era stato consultato, e di restar fermo nelle risoluzioni che aveva
preso.
Conformandosi a regole così giuste, era ben difficile che un uomo dotato d'altronde {177
[391]} di buon senso facesse de'passi falsi; perciò fu sempre riguardato fino alla sua morte come
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l' uomo il più prudente del suo secolo. Durante la sua vita, la casa di s. Lazzaro, fu una specie di
centro in cui si riunivano le persone, che pensavano di rendere qualche servizio considerevole
alla Chiesa, o al prossimo. Vescovi, Magistrati, Parroci, Dottori, Religiosi, Abati, Superiori di
comunità, tutti accorrevano a lui come all'oracolo del suo tempo.
L'alta stima che si aveva di sua prudenza indusse il santo Vescovo di Ginevra e la
venerabile Madre di Chantal a pregarlo di accettare la direzione del primo loro monastero di
Parigi. Fu la riputazione di questa medesima prudenza che indusse Luigi XIII a chiamarlo presso
di se, in tempo in cui era molto essenziale l'essere ben consigliato. Fu la saviezza de' pareri dati a
quel Re moribondo, e di cui tutta la Corte fu estremamente edificata, che impegnò la Regina
madre a chiamarlo, a presiedere a'suoi consigli. Per dare una giusta cognizione della estensione
della prudenza di quel grand'Uomo, bisognerebbe seguirlo soprattutto dal primo momento in cui
entrò nella casa di {178 [392]} Gondi fino al giorno del suo decesso. Il lettore vi supplirà
facilmente rammentando la saviezza de' regolamenti fatti in diverse occasioni; de' mezzi scelti
per far riuscire quel gran numero di stabilimenti, di cui fu l'autore; delle costituzioni date alla sua
congregazione; della condotta tenuta nelle turbolenze politiche del regno, e dei pareri che il suo
impiego e la carità l'obbligavano di dare. Noi ne riporteremo un solo esempio.
Un gran predicatore, di elevato linguaggio, faceva al Santo frequenti visite, e ne aveva le
sue ragioni. Vincenzo fu avvisato da buon canale che colui pensava male circa la fede, e che
aveva poca religione, od almeno che comportavasi qual persona che non ne ha molta. Vincenzo
per farlo rientrare in se stesso gli disse: «Signore, essendo voi dotto e gran predicatore, vorrei
dimandarvi un consiglio. Ci accade qualche volta nelle nostre missioni di trovare delle persone
che non credono le verità della nostra religione, e ci troviamo imbarazzati sul modo di operare
onde persuaderle. Vi prego a dirmi ciò che pensate potersi fare da noi in simili occasioni per
indurle a credere le cose della fede.» {179 [393]}
Questa dimanda non piacque all'Abate, che rispose con qualche emozione: «Perchè mi
chiedete voi questo? - Si è, replicò Vincenzo, perchè i poveri si rivolgono a' ricchi per essere
assistiti nelle loro bisogna; ed essendo voi molto istruito e noi ignoranti, non possiamo far cosa
migliore che indirizzarci a voi all'oggetto d'imparare ciò che non sappiamo.» Queste parole
calmarono l'ecclesiastico e, non mancandogli spirito, disse al Santo, che quanto a sè vorrebbe
provare le verità della fede 1. colla Scrittura, 2. coi Ss. Padri, 3. con qualche raziocinio, 4. col
consenso universale de' popoli cattolici de' secoli andati, 5. col suffragio di tanti Martiri che
sparsero it toro sangue per la confessione di quelle medesime verità, 6. finalmente con tutti i
miracoli operati da Dio per confermarle.
Quand'ebbe terminato, Vincenzo, dopo averlo assicurato che quel metodo gli sembrava
buono, lo pregò di mettere in iscritto con semplicità e senza eleganza ciò che aveva detto, e
d'inviarglielo. L'Abate non mancò, e alcuni giorni dopo egli stesso consegnò il suo scritto
all'uomo di Dio. «Sono molto consolato, gli disse Vincenzo, di conoscere {180 [394]} in voi così
buoni sentimenti; per giustificarvi mi varrò delle prove che avete x posto nelle mie mani.
Stenterete forse a credere che alcune persone vi accusano di pensare male sopra i misteri della
fede; ma poichè sapete sostenere così bene la religione, dovete vivere non solamente in un modo
che vi metta al coperto da ogni sospetto, ma che possa eziandio edificare il pubblico. Un uomo
qualificato come voi è più d' ogni altro obbligato a dare buon esempio. La virtù congiunta alla
nascita può paragonarsi ad una pietra preziosa, che incassata nell'oro ha maggior splendore di
quello se lo fosse nel piombo.» Sembrò che un discorso tanto saggio facesse il suo effetto,
almeno fu approvato dall'Abate, che promise di conformarvi la sua condotta, e se egli seppe
buon. grado al Santo per te precauzioni prese onde ricondurlo a Dio, il Santo fu contentissimo
delle buone risoluzioni che quegli manifestò. Soprattutto sapeva sì bene cogliere il momento
opportuno per dare un ricordo, e lo dava in termini sì misurati, che attirava. la confidenza in vece
di respingerla. La Superiora d' un monastero della Visitazione diceva, Vincenzo {181 [395]}
aver tanta prudenza ed un raziocinio sì esteso, che nulla sfuggiva a' suoi lumi, e che negli affari i
più oscuri, i più inviluppati, sceglieva sempre il partito migliore.
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Aggiungeremo a questa testimonianza quella di quattro insigni personaggi, i quali
deposero nel processo verbale della Canonizzazione che Vincenzo era un uomo che aveva uno
spirito assai esteso, e che era molte abile nel maneggio degli affari; che appunto per questo un
gran numero di persone qualificate inducevansi a ricorrere a lui per avere i suoi consigli; che la
sua bontà e la sua umiltà lo rendevano eguale con tutti coloro coi quali trattava; che i più dotti
nol trovavano inferiore a loro quando discutevano con lui gli affari i più importanti....... Che
Vincenzo si conduceva in tutto con tanta prudenza, che coloro stessi, cui la giustizia e la ragione
l'obbligavano ad essere pienamente contrario, non potevano lagnarsi di lui. Tale fu il giudizio
che diedero del servo di Dio i primi uomini del suo secolo; e ciò viene in appoggio delle
deposizioni che fecero in suo favore migliaia di testimoni di una classe inferiore, ma che non
meritano perciò minore credenza. {182 [396]}
Frutto. Sarà prudente quel cristiano, il quale tiene aggiustati gli affari dell'anima. Sarà
parimenti prudente colui che opera e dà consiglio secondo le massime della religione; ma guai a
chi è solamente prudente per le cose del mondo e negligenta quelle dell'anima, oppure per norma
del suo operare mette il proprio arbitrio od il capriccio degli uomini. Costoro si troveranno
altamente delusi in punto di morte.
Giorno decimonono. Sua purità.
È facile il comprendere che un uomo, il quale non agognava che la mortificazione di
Gesù Cristo, mortificava la sua carne colla più austera penitenza, è facile il comprendere,
ripeterò, che un uomo di tal fatta aveva un grande impero sopra se stesso. Malgrado ciò, era sì
vigilante, sì timido, come se avesse veduto a'suoi fianchi {183 [397]} l'angelo di Satana, che
schiaffeggiava san Paolo. Per rendere nulli gli assalti di quel crudele nemico delle anime, si fece
di buon' ora una legge delle cinque regolo seguenti, dalle quali mai si allontanò.
La prima era di non far visita ad alcuna donna, fosse anche delle signore della sua
assemblea, se non quando lo esigeva la gloria di Dio.
Oltre l'essere assai conciso ne' trattenimenti ch'era obbligato di avere colle persone del
sesso femminile, era estremamente modesto. I suoi sguardi non erano mai fissi su di esse, nè
dinotavano leggerezza; teneva gli occhi bassi senza sforzo e senza affettazione, così che
rassomigliava ad un angelo piuttosto che ad un uomo. Essendo decrepito e più che ottuagenario,
mai si trovò da solo a solo con una donna, nè in sua casa, nè presso di quella. Ovunque aveva un
compagno, il quale aveva ordine di non mai perderlo di vista. Se si parlava con lui di affari di
coscienza, quello stesso compagno se ne stava alquanto in disparte, ma sempre in modo di
vedere ciò che facevasi. Una nobile signora avendogli fatto visita a s. Lazzaro, quegli che era
incaricato {184 [398]} di venire con lui al parlatorio si ritirò per rispetto e chiuse la porta; il
Santo lo richiamò, al momento stesso, gli fece conoscere il suo fallo e gli proibì di allontanarsi:
lo stesso fece in molte occasioni consimili.
Quantunque dovesse bene spesso trattare con persone che avevano bisogno di
consolazione, non servivasi per addolcire l'amarezza del loro cuore che di parole e di massime
della Sacra Scrittura: ignorava quelle espressioni affettuose che non potrebbero guarire un male
se non producendone un altro. «Voglio credere, diceva, parlando d' una lettera troppo tenera,
sulla quale era stato consultato, voglio credere che la persona, la quale vi scrisse così
teneramente, non pensa esservi male; ma bisogna confessare che la sua lettera è capace di colpire
un cuore, che vi fosse disposto e meno forte del vostro. Degnisi il Signore di preservarci dalla
frequenza di una persona che può somministrare qualche piccola alterazione al nostro spirito.»
Finalmente sapendo che la purità somiglia a quegli specchi di ca. un soffio leggero {185
[399]} appanna lo splendore, era sì circospetto nelle sue conversazioni, che non poteva esserlo di
più. Lo stesso vocabolo Castità non gli sembrava bastantemente espressivo; vi sostituiva quello
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di Purità, che presenta un senso più esteso. Trattavasi forse di frenare il disordine di quelle
vittime del libertinaggio che si perdono cagionando insieme alla loro la perdita di. tanti altri?
Non le indicava che coll'espressione di povere creature, e la loro incontinenza con quella di
disgrazia o di debolezza. Una frase libera lo faceva arrossire, e se poteva farlo, rimproverava sull'
istante coloro che l' avevano proferita alla sua presenza.
Mediante queste precauzioni rigorose, sebbene calunniato su diversi punti al pari del
Divin suo Maestro, la sua riputazione non mai fu intaccata sull'articolo della purità, come non lo
fu quella del Salvatore. All'opposto fu riguardato, e ben meritò di esserlo, come uno de' più
grandi zelatori della castità. Si sa che nelle missioni ha sottratto ad un pericolo imminente una
quantità di giovinette e di donne ch'erano in procinto di cedere alle vive e premurose
importunità; nelle provincie desolate dalla guerra ne ha {186 [400]} vestito e nudrito un numero
prodigioso, che la miseria e la fame avrebbero forse strascinato fino a gravi disordini; la Lorena,
ove il suo nome non perirà giammai, gli è debitrice dell' onore delle sue vergini, che fece venire
a Parigi a drappelli, le quali per interposizione delle signore della stia assemblea, trovarono un
asilo presso a pie persone. Finalmente fu sotto gl'auspizi di lui, che due sante ed illustri vedove
aprirono le loro case a migliaia di colombe che erano agli estremi, e a cui un giorno solo di
dilazione avrebbe costato la perdita dell'innocenza. Queste stesse colombe, sebbene ritirate,
avevano, secondo lui, bisogno di essere diligentemente invigilate, e perciò voleva che non si
perdessero mai d i vista nè di giorno, nè di notte.
Il Santo aveva concepito ed avrebbe anche eseguito un gran disegno se la morte non
l'avesse rapito sì presto. Il grand'Uomo formò sul declinare de' suoi giorni il piano d'uno spedale
per le giovani e per le donne abbandonate, e soprattutto per quelle che fanno l'infame traffico
dell' onore delle altre. Su questo proposito aveva già tenuto lunghe conferenze con persone
divote, e {187 [401]}
quantunque conoscesse un progetto di tal natura avere incontrato difficoltà nell'esecuzione, non
si dubita che la sua pazienza e la sua sagacità non gliele avessero fatte superare. Però la pia
volontà del Santo venne eseguita dopo la morte di lui da coloro che eransi associati in questa
buona opera, la quale venne felicemente condotta a termino.
Se Vincenzo fu sì attento a conservare la purità nelle persone estranee, qual non doveva
essere il suo zelo per quello de'suoi figli? Confesso candidamente, che se non si conoscesse la
corruzione del cuore umano, si crederebbe che avesse spinto all'eccesso le precauzioni. Un
parroco gli dimandò se quando visitava le ammalate doveva avere con se un compagno. «Oh
Gesù! gli rispose, guardatevi ben bene dal non farlo. Quando il Figlio di Dio ordinò che gli
Apostoli andassero a due a due, vedeva senza dubbio grandi mali se gli avesse inviati soli. Or chi
vorrà derogare ad usanza ch'egli ha introdotta fra i suoi o che la compagnia ha sempre osservato?
L' esperienza ha fatto conoscere ad un gran numero di comunità di religiose essere necessario
{188 [402]} che la porta dell' infermeria sia aperta e le cortine del letto aperte nei « monasteri,
quando i confessori amministrano i Sacramenti e stanno presso le ammalale a causa degli abusi
che ebbero luogo in quei tempi ed in quei luoghi.» Consultato da un sacerdote di cuore retto e
semplice se, per conoscere la gravezza del male di una donna ammalata onde amministrarle
all'opportunità i Sacramenti, poteva toccarle i polsi, il servo di Dio rispose: «Bisogna
assolutamente astenersi da questa pratica; lo spirito maligno può valersi dell'occasione per
tentare il vivo e la stessa moribonda; il demonio in quell' ultimo passo si serve di ogni arma per
procacciarsi un' anima: la vigorìa della passioni può rimanere, sebbene quella del corpo sia
infiacchita. Dovete rammentarvi dell'esempio di quel Santo, che essendosi separato dalla moglie
col consenso di lei, non volle per metterle che lo toccasse nella sua ultima malattia, ed esclamò
con quanta voce gli restava, che il fuoco covava tuttora sotto la cenere. Del resto se volete
conoscere i sintomi di una morte vicina, pregate il {189 [403]} medico ed il chirurgo o qualche
altra persona ivi presente di rendervi questo servigio: ma, checchè ne succeda, non v' azzardate
mai di toccare nè giovinetta, nè donna sotto qualunque siasi pretesto.»
Il Santo esigeva l'astinenza non solamente dalle azioni permesse, ma da quelle eziandio le
quali sono buone e sante, allorchè, a giudizio di coloro che vi dirigono, possono somministrare
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del sospetto; poichè far tutti i sospetti giusti od ingiusti non ve n'è alcuno che rechi un colpo più
funesto ad un sacerdote, a'suoi talenti, a'suoi impieghi, di quello che sparge delle nubi sulla
purità de' suoi costumi; o ciò che prescriveva in questo genere a'suoi ecclesiastici, lo consigliava
a' secolari. «Se non vi è male, diceva, nell'intrattenersi da solo a solo con persone di sesso
diverso, si dà sempre motivo di pensare che ve ne sia; d'altronde il mezzo migliore di conservare
la purità, si è di evitare le occasion che potrebbero macchiarla.» Giudizioso per altro canto non
soffriva che si avesse a spaventare male a proposito per un diluvio di folli immaginazioni che
passano per la mente, e da cui non vanno {190 [404]} esenti nè anche le anime più pure. «Non
bisogna, scriveva ad uno de' suoi, che rechiuvi stupore le tentazioni che avete; è questo un
esercizio che Dio v'invia per umiliarvi e farvi temere; ma riponete in lui una piena confidenza.
La sua grazia vi basta, purchè fuggiate le occasioni, e che riconosciate d'aver bisogno del
soccorso. Assuefatevi a nascondere il vostro cuore nelle sacre piaghe di Gesù Cristo ogni qual
volta sarà assalito da queste impurità: quell'asilo è inaccessibile al demonio.»
Frutto. Chi vuole conservare la preziosa virtù della purità fugga rigorosissimamente il
trattare famigliarmente con persone di sesso diverso. Fugga altresì qualunque siasi discorso che
possa avere sinistra interpretazione sulla materia di cui parliamo. {191 [405]}
Giorno vigesimo. Sua Gratitudine
La mancanza di gratitudine, abbenchè vizio comune, oltraggia e la Divinità, ch'è il
principio d' ogni bene, e gli nomini di cui essa si serve per ispargere su di noi le sue liberalità.
Vincenzo ebbe per questo sciagurato vizio tutto l'orrore che ne deve avere un cuore ben fatto.
Avrebbe voluto, se fosse stato possibile, proporzionare la sua gratitudine verso Dio non solo ai
beni che riceveva da lui, ma a quelli eziandio che hanno ricevuto e ne ricevono giornalmente
tutte le creature. Lo ringraziava de' favori a loro compartiti dal principio dei mondo, di quelli che
continua a far loro, e soprattutto delle buone opere di cui la sua grazia è stata la sorgente. La
protezione che Dio accorda alla sua Chiesa, a' suoi pastori ed a coloro che lavorano per
moltiplicarne i figli: i frutti che producono nel suo seno le comunità ben regolate, il felice
successo de' ritiri, delle conferenze, dei seminari e delle missioni: la prosperità de' Re e dei
Principi cristiani; la estinzione de' nemici {192 [406]} della Religione, in una parola ogni
avvenimento atto a procurare la gloria di Dio e l’ utilità della cattolica Religione era l'argomento
ordinario della sua gratitudine. Fu inteso a dire che bisogna impiegare tanto tempo a ringraziare
Dio di un benofizio ricevuto quanto se ne impiegò per dimandarglielo. «La gratitudine, diceva, è
un tributo che Dio esige dalla creatura; ed è per facilitarle i mezzi di soddisfare a questo sto
dovere che istituì nell'antica legge de' sacrifizi di ringraziamento, e nella nuova legge quello dell'
Eucaristia, che deve rammentarci le maraviglie da lui operate per amor nostro. L’ ingratitudine è
un peccato che inaridisce la sorgente delle grazie: Gesù Cristo se ne lagnò quando di dieci
lebbrosi guariti non ne vide ritornar addietro che un solo per testificargli la sua riconoscenza.»
Se dalla gratitudine che il Santo ebbe versa Dio passiamo a quella ch'ebbe verso gli
uomini, vedremo in essa pure l' eccellenza del suo cuore. Il servo di Dio che meritava tanti
riguardi s' immaginava di non meritarne alcuno; ed a ciò si deve in parte attribuire che fosse sì
commosso per i più {193 [407]} piccoli servigi che gli si rendevano. Un fanciullo che
gl'indicasse la strada, un fratello che gli accendesse la lucerna o facesse ancor meno per lui, era
sicuro di esserne ringraziato. Qualunque fosse il profitto che si ritraeva nell'intrattenersi con liti,
era grato a coloro che andavano a ritrovarlo. «Vi ringrazio, diceva ad alcuni, che non
disprezziate la vecchiezza; ad altri, che abbiate avuto la pazienza di sopportarmi ed ascoltarmi...»
Lo spirito di gratitudine che. lo dominava era la sola cosa capace di fargli dimenticare
l'austerita delle regole prescrittesi. Camminando un giorno cadde in un fiume, e sarebbesi
affogato se un prete che l' accompagnava non si fosse slanciato nel fiume per trarnelo. Questo
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giovane missionario, che aveva molto fervore, lo perdè insensibilmente: abbandonò la sua
vocazione malgrado tutto ciò che Vincenzo potè fare per trattenerlo. Appena giunto a casa sua
trovò delle contraddizioni, alle quali non era preparato, e delle croci non prevedute. Si vide
oppresso da affanni e da amarezze conobbe allora di avere commesso un fallo abbandonando
uno stato a cui Dio l' aveva {194 [408]} chiamato. Sull' esempio del figlio prodigo risolvè di
ritornare al padre suo, gli chiese perdono e gli scrisse molte lettere affinchè lo ricevesse in alcuna
delle sue case. Vincenzo non gli rispose. Quel prete giusta mente afflitto raddoppia le sue istanze
e gli fa sapere chiaramente essere perduto per sempre se non gli stende una mano soccorrevole. Il
Santo che diffidava della conversione d'un uomo volubile, gli rappresentò la pazienza che si era
usata verso di lui, il poco conto che ne aveva fatto, ed i giusti motivi di temere che si pentisse di
bel nuovo del suo pentimento stesso, e conchiuse che non si doveva ricevere. Una risposta sì
austera fu un colpo di fulmine per quell' ecclesiastico; fece un ultimo sforzo attaccando Vincenzo
nella parte più sensibile. vale a dire dal lato della gratitudine.. «Signore, gli disse, io vi ho una
volta salvato la vita del corpo, salvate a me quella dell' anima.» Alla lettura di quelle parole il
cuore del sant' Uomo fu commosso l'occasione d' esercitare una preziosa virtù congiunta alla
perseveranza di colui, in cui favore doveva esercitarsi, lo determinò al'istante. Rispose perciò:
«Venite, signore, {195 [409]} che sarete ricevuto a braccia aperte.» Al momento stesso che
quell' ecclesiastico si disponeva a partire, si ammalò, ne fu più possibile il salvarlo. Felice di aver
fatto dal canto suo quanto da lui dipendeva onde riparare il suo fallo e d'aver sentiti i rimorsi, che
d'ordinario si trascurano invita, e sono per lo più causa di disperazione al punto di morte!
Qualche volta oltrepassò i limiti delle sue forze, un giorno fece un dono di due mila
franchi ad un uomo che trovavasi nel bisogno, e che aveva beneficato qualcuna delle suo case.
Prese cura particolare di una povera donna, la quale aveva servito due appestati della casa di s.
Lazzaro nei tempo in cui i missionari vi furono stabiliti: provvide al suo nutrimento e ne pagò
l'alloggio per trenta anni. Finalmente, onde spingere la gratitudine tant' oltre quanto poteva,
riguardava e voleva che ognuno de' suoi tenesse come fatto a se stesso ciò che veniva fatto a
qualcheduno di loro. Egli è per questo che, avvisato avere alcuni religiosi data sepoltura
onorevole ad uno de'suoi preti morto fra di loro, diede alla sua comunità, per argomento di
conferenza spirituale, la necesita {196 [410]} della gratitudine, affine d' indurre i suoi tigli a
pregar Dio per quei religiosi e dimandargli la grazia e le occasioni di rimunerare quel benefizio.
È in tal modo che il sant'Uomo possedeva la gratitudine in un grado eminente.
Frutto. Tre atti di carità per dimostrare la nostra gratitudine verso Dio, e quando
riceviamo qualche favore dal nostro prossimo, siamo riconoscenti soprattutto qualora il favore
ricevuto sia spirituale.
Giorno vigesimoprimo. Suo rispetto Terso i superiori ecclesiastici.
VINCENZO amava ed onorava lo stato ecclesiastico in ogni sua parto. Rispettava Gesù
Cristo nella persona del primo de' Pastori, che lo rappresenta sulla terra. Quando la Sede
apostolica era vacante non cessava di chiedere e di far chiedere a Dio che si degnasse {197
[411]} di destinare a capo del suo gregge un uomo secondo il suo cuore. Avendo percorso una
lunga carriera, vide durante la sua vita dodici Papi che si succedettero cori molta rapidità sulla
cattedra di Pietro. Seguiva, per quanto poteva, la romana disciplina, e fu soltanto per
l'obbedienza professata all'autorità ecclesiastica, che accettò l' incarico di superiore generale
della sua congregazione impostogli da Urbano VIII colla stessa Bolla con cui approvava quel
novello Instituto. Per questo motivo eziandio, all'istante in cui gli si dimandarono a nome della
Santa Sede degli operai per li paesi infedeli, ne spedì alla prima chiamata.
Relativamente a Vescovi non vi era per lui cosa impossibile se trattavasi di ubbidir loro;
era sì assuefatto ad onorare nelle loro persone il potere e la maestà di Colui di cui tengono luogo,
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che non vedeva in essi se non ciò che poteva renderli rispettabili a' suoi occhi. Il suo zelo per
gl'interessi loro si manifestò più sensibilmente quando fu chiamato a formar parte del consiglio
di coscienza; non aveva bisogno di sollecitazioni o di preghiere per indursi a servirli, ed aveva
maggiore attività per gli affari di {198 [412]} loro, di quello ne avesse per li suoi; logorava, per
così dire, il suo credito a forza d' impiegarlo per loro, nè si. stancava di raccomandarli alla
Regina, al, Cardinal ministro, al Cancelliere ed a quei Magistrati che avevano maggiore autorità.
Perciò i Vescovi del suo tempo lo,riguardavano quasi tutti come un padre. Induceva il clero ed i
popoli a rispettare il loro sacro carattere come si conviene; li riceveva presso di e come tanti
angeli e come tanti ambasciatori del Dio vivente. I calori dell'estate, il freddo dell'inverno non
gl'impedivano mai di partire senza indugio al loro primo invito. Finalmente era verso di loro qual
servo che va e viene, secondo gli è ordinato di andare o di venire. Le sue lettere sono un
monumento eterno del rispetto che ebbe per l' ordine episcopale. Qualunque fosse la condotta
che tenue riguardo a' Vescovi, la legge del più inviolabile rispetto fu un punto quale non perdè
mai di vista. I medesimi sentimenti di rispetto ebbe riguardo al clero secondario. La sub massima
era di fare del bene a tutti, e di non far male ad alcuno; ma quando si trattò de'ministri di Dio, la
estese per quanto gli fu possibile. {199 [413]} Chiunque era rivestito del sacro carattere e per
fino chiunque portava i segni esteriori del chericato, era sicuro di trovare appo di lui
un'accoglienza favorevole, un sollievo alle sue pene, una mano sempre pronta a rasciugare le sue
lagrime. Collocava secondo i loro talenti quelli ch'erano degni di qualche impiego: non
permetteva che i suol parlassero male di quelli de'quali non potevano parlar bene. Secondo lui la
cattedra di verità era fatta per inveire contro ai disordini non già del pastore, che ciò facendo
s'inasprisce senza convertirsi, ma contra il popolo, che si nasconde nella folla, e che sente meno
l'amarezza del calice, perchè la divide con molti. Un missionario più zelante che prudente mancò
un giorno a questa regola: il Santo fece un viaggio di sei leghe per andare a chiedere perdono ad
alcuni ecclesiastici, verso de' quali il predicatore aveva usato poco riguardo. Che grande unione e
concordia vi sarebbe a'nostri tempi nel clero se queste massime fossero tuttora praticate'
Non si dee già credere che, divenuto un novello Eli, Vincenzo dissimulasse qualora
dovesse parlare. Ma aveva imparato da S. Francesco di Sales che la delicatezza ecclesiastica
{200 [414]} esigge dei grandi riguardi, e, generalmente parlando, le vie della dolcezza sono le
prime che bisogna tentare, infatti gli riuscirono molte volte, e la carità congiunta all' unzione
delle sue, parole gli procurarono numerosi acquisti.
Per essere esauditi da lui non occorrevano estranee protezioni, o visite moltiplicate. Quel
grande amatore del Sacerdozio di Gesù Cristo trovava nel solo carattere Sacerdotale una ragione
sufficiente per intenerirsi. Un Sacerdote sconosciuto ed ammalato gli dimandò qualche soccorso.
Vincenzo lo ricevè con bontà, lo alloggiò, lo nudri, gli fece somministrare convenienti medicine,
e lo ritenne fintantochè ebbe ricuperata la salute. Un altro, che faceva il suo ritiro a San Lazzaro,
si ammalò; il Santo n' ebbe tutta la cura immaginabile: il male durò lungamente, ma la carità
durò più del male. Quando l'ammalato fu ristabilito, Vincenzo gli fece dare una sottana, un
breviario, alcuni effetti e dieci scudi per aiutarlo a sussistere. Un terzo, obbligato ad un viaggio, e
non avendo mezzi onde fare le spese, si diresse al servo di Dio. Quell' uomo di misericordia gli
somministrò tutto ciò di cui,aveva bisogno, fino i calzari oltre a venti scudi. {201 [415]}
La sua carità sacerdotale non venne mai meno, e quantunque abbia speso oltre un
millione in ornamenti, biancherie, vasi sacri, abiti, libri e riparazioni di chiese, pure non credè di
aver fatto abbastanza. Trovavansi perciò pochi ecclesiastici nel regno, i quali non gli rendessero
quella giustizia che egli ricusava a se stesso. Se Giuseppe fu riguardato qual salvatore dell'
Egitto, Vincenzo fu riguardato qual salvatore de'pastori e de' preti; la cosa era talmente
conosciuta che quando, per la infelicità dei tempi, ce n'era una prodigiosa quantità. quasi tutti
andarono difilati a san Lazzaro. Coloro che non potevano andarvi, confidando nella sola sua
riputazione, si dirizzavano a lui dal fondo delle loro provincie. La sua memoria vi era benedetta e
ovunque risuonavano le sue lodi. Un missionario, percorrendo la Sciampagna, incontrò in un
borgo il parroco del luogo che gli dimandò chi era. «Sono missionario, rispose il viaggiatore.» A
questa parola il parroco si slancia al suo collo, l'abbraccia teneramente. lo conduce in sua casa,
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gli narra i grandi servigi spirituali e corporali che il Santo ha reso a tutto il paese, ed aggiunge,
mostrando {202 [416]} la sottana che aveva indosso, et hac me veste contexit: parole che furono
dette a san Martino sul proposito dei povero che aveva ricoperto, e di cui più di due mila
ecclesiastici avrebbero potuto fare l'uso che ne fece quello di cui parliamo.
Frutto. Guardiamoci bene dall' essere di quelli che, avendo spesa la loro vita in tutto altro
studio che in materia ecclesiastica, si fanno lecito di censurare detti e fatti delle autorita della
Chiesa, bestemmiando cosi quelle cose che la loro ignoranza non capisce. Guardatevi, dice il
Signore, guardatevi dall' intaccar i miei ministri con fatti o con parole: nolite tangere Christos
meos: perchè quantò si fa o si dice contro di loro, lo è parimenti contro di me stesso. Qui vos
spernit, me spernit.{203 [417]}
Giorno vigesimosecondo. Suoi ritiri spirituali.
Niuno aveva fino allora intrapreso in questo genere ciò che Vincenzo eseguì. I più gran
Santi degli ultimi secoli avevano dovuto gemere sulla corruzione che regnava nel cristianesimo.
Esortavano i fedeli a pesare tutte le loro azioni sulla bilancia della verità ed a riflettere
profondamente sull' eternità che si avanza celeremente, ma era riserbato a Vincenzo di procurar
loro in questo particolare delle felicità che non avevano ancora avuto, e togliere a' non facoltosi,
cioè al maggior numero, i pretesti o reali o immaginari di cui sogliono servirsi onde velare la
loro negligenza e la loro insensibilità. Per giungere a questo bisognava non solo somministrar
loro dei direttori capaci di commoverli co' loro discorsi e di ben guidarli nel tribunale di
penitenza, ma eziandio risparmiar loro la spesa. Essa si conta per nulla comunque rilevantissima
ella sia, allorchè trattasi de' propri piaceri, ma si riguarda come eccessiva, tuttochè assai modica,
se dee impiegarsi per la salvezza {204 [418]} eterna. Questa riflessione indusse Vincenzo a
dividere la sua casa, i suoi mobili e tutto ciò che poteva avere con chi avesse voluto profittarne
per riconciliarsi con Dio. Simile a quel padre di famiglia, di cui si paria nel Vangelo, costringeva
in certo qual modo i buoni ed i cattivi ad assiderai alla sua tavola. Per unica ricompensa chiedeva
che i giusti si santificassero vie più, e che coloro i quali non lo erano facessero ogni sforzo per
divenirlo. La fama di una condotta sì disinteressata si divulgò in Parigi e nelle provincie, ed in
pochi mesi la casa di s. Lazzaro fu quanto mai frequentata. Era uno spettacolo il vedere nello
stesso refettorio signori della prima sfera, ed uomini del più infimo stato; laici e persone
vincolate nel chericato; magistrati e semplici artigiani; padroni e domestici; finalmente vecchi
che accorrevano a piangere stai passato, e giovani che venivano a cercare di preservarsi contra i
pericoli dell'avvenire. Per sostenere un' impresa di questa natura e ritrarne tutto il frutto che
poteva produrre, erano necessari un gran cuore e molti lumi.
Tale fu il piano generale che Vincenzo si formò; per eseguirlo in un modo utile a {205
[419]} coloro che facevano il ritiro, e trasmetterlo d'età in età fino a' suoi più tardi successori, si
sforzò per dimostrare agli uni ed
agli altri il prezzo della grazia che Dio metteva nelle loro mani. Rappresentò agli esercitandi (è
questo il nome che si dà a coloro che fanno gli esercizi spirituali) che l'unico tino del ritiro è di
distrurre il regno del peccato, di riformare l'uomo interamente e di rinnovare l' uomo interiore,
fargli aprire gli occhi sui doveri propri del suo stato e sulle sue obbligazioni personali;
finalmente di fissarlo solidamente in una vera carità che unisca a Dio il suo cuore e tutte le
potenze dell'anima sua, in modo che possa, senza offendere la verità, esclamare coll Apostolo:
Non son più io che vico, ma è Gesù Cristo che vive in me.
Per non omettere cosa alcuna di quanto poteva contribuire al buon successo de' ritiri, il
servo di Dio esigeva che coloro, ai quali assegnava la guida di questi ritiri prendessero per
materia de' loro sermoni non già de' soggetti capaci di rallegrare la spirito e di ricreare
l'immaginazione, ma bensì le verità principali dell' eterna salvezza; in una parola quelle che no
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buon {206 [420]} cristiano non dimentica mai. e non può rammentare senza divenir migliore.
Perciò il fine pel quale Iddio ci ha creati, le grazie che abbiamo da lui ricevuto, le grandi lezioni
che ci ha dato in Gesù Cristo suo Figlio, i soccorsi che ci ha preparati ne' Sacramenti, le
disposizioni che sono necessarie per accostarvisi; l'orrore del peccato, le conseguenze funeste
che trae seco, la vanità del mondo e de' suoi giudizi, le illusioni del nostro proprio cuore; le
tentazioni della carne, la malizia e gli artifizi dell'antico serpente, la brevità della vita, t'
incertezza del momento della morte, i formidabili giudizi di Dio, l' eternità felice o disgraziata:
queste verità ed altre consimili erano in allora, e sono anche oggidì il soggetto ordinario e de'
sermoni di colui che dirigeva il ritiro, e della meditazione di coloro ì quali fanno gli esercizi. In
questo modo vengon disposti ad esaminare attentamente le loro coscienze, a fare o delle buone
confessioni generali, oppure se ne hanno di già fatte di tali, su cui uno possa esser tranquillo,
supplire con una rivista esatta su tutto ciò che vi potrebbe essere stato di difettoso nelle ultime; a
formarsi {207 [421]} un regolamento di vita dal quale non si dovrà allontanare se non quando
non si potrà fare altrimenti; e soprattutto a stabilire delle risoluzioni ferme di evitare il male e di
praticare il bene. Il Santo, temendo che dopo la sua morte i preti della sua congregazione
oppressi dal lavoro, e stanchi dalla spesa di tanti ritiri gratuiti, non si rallentassero
insensibilmente, si sforzò di premunirli contro a questo genere di tentazione. Rappresentò loro
che la casa nella quale erano radunali serviva altre volte al ritiro dei lebbrosi, e neppur quo di
que' che vi erano ammessi guariva; e che attualmente vi si ricevevano delle persone attaccate da
una lebbra assai più pericolosa di quella del corpo, o per dir meglio, persone già morte, e per
misericordia Divina, un eran numero ricuperava la sanità e la vita; che nostro Signore vi operava
ancora ogni giorno per rapporto a'peccatori ciò che aveva fatto con Lazzaro risuscitandolo;
ch'essi avevano l'onore d' essere gli strumenti, di cui esso valevasi, per questa grande operazione.
«Ah! esclamò, qual motivo di vergogna se questo luogo, il quale ora è come una piscina salutare,
in cui tanta gente viene a {208 [422]} lavarsi, divenisse un giorno una cisterna corrotta a causa
del rilassamento e dell'ozio di coloro che l' abiteranno! Preghiamo Dio, signori, che questa
disgrazia non accada. Preghiamo la SS. Vergine, la quale desidera la conversione del peccatore,
che colla sua intercessione l'allontani da noi. Preghiamo il grande amico del Figlio di Dio, San
Lazzaro, che si compiaccia d'essere sempre il protettore di questa casa, e che le ottenga la grazia
di perseverare nel bene che ha cominciato.»
Vincenzo rammentava pure di tempo in tempo a' missionari i buoni effetti del ritiro che
avevano veduto coi loro propri occhi. Con questi motivi gli animava a non badare a pena, nè a
spesa, e diede loro su questo degli esempi più possenti ancora delle parole. Aumentò il numero
di coloro che dovevano fare gli esercizi spirituali; più avanzava in età, vie più, cosa rara ne'
vecchi, diveniva santamente prodigo. La sua carità non aveva più limiti, e finalmente andò tant'
oltre, che ammise quanti esercitandi si potevano ricevere. A conto fatto, risulta che negli ultimi
venticinque anni di sua vita vi {209 [423]} furono più di venti mila persone che fecero il ritiro
nella sua casa: vale a dire, che se ne ammettevano oltre ad ottocento tutti gli anni. È vero che
qualcheduno pagava la sua spesa in tutto od in parto, ma il maggior numero nulla dava.
Accadendo talvolta che le persone virtuose non pensano sempre tutte egualmente, vi
furono alcuni fra i missionari i quali credettero trovare dell'eccesso nella carità del Santo.
«Andando in questo modo, dissegli un giorno il fratello incaricato della spesa, la casa
soccomberà perchè ammettete un numero troppo grande di esercitandi.» Il sant' Uomo ali
rispose: «Mio fratello, questo faccio, perchè essi voglion salvarsi.» Un altro gli rappresentò che
in quella moltitudine di esercitandi ve n'erano alcuni che non lo facevano per profittarne; e che
altri vi venivano in cerca del nutrimento del corpo piuttosto che di quello dell' anima; ma quel
degno imitatore della carità di Gesù Cristo gli rispose, essere già molto agli occhi della fede e
della religione che una parto degli esercitandi ritraesse dal ritiro il frutto che se ne deve ricavare;
e che il nudrire un uomo, il quale si trova nel bisogno, e {210 [424]} sempre una elemosina
gratissima a Dio; che, se all'oggetto di non essere sorpresi da coloro le cui mire non sono pure, si
facessero troppe difficoltà nell'ammettere coloro che si presentano, si respingerebbe qualcuno sul
quale lo Spirito Santo ha dei disegni di misericordia, e che finalmente, a forza di voler penetrare i
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motivi che li facevano agire, si soffocherebbe in molti le primizie della grazia Divina che li
chiama a fui; si spiegò su di questo in una maniera sì precisa, che fu facile lo scorgere non
solamente che era deciso, ma che v' era, si può dire, strascinato da un impulso superiore. «Se
avessimo, diceva, ancora trenta anni di vita, e che ricevendo quelli che si presentano per fare gli
esercizi spirituali non dovessimo sussisterne che quindici, non dovremo perciò tralasciare di
ammetterli.»
Se costava assaissimo al nostro Santo il sostenere un' impresa sì onerosa, bisogna
convenire che ne fu, anche durante la vita, al centuplo ricompensato. Allorché la sua
congregazione cominciò a dilatarsi, quelle delle sue case che ne avevano i mezzi, fecero, per suo
ordine, nei luoghi ove erano {211 [425]} situate, i medesimi esercizi che faceva a Parigi quella
di San Lazzaro. Vide egli stesso che i ritiri spirituali producevano ovunque dei beni
inesprimibili. Ricevè su di ciò un numero prodigioso di lettere che lo felicitavano per le
benedizioni che Dio acordava al suo zelo. Sacerdoti, t'arroghi. Vescovi, Cardinali, tutti lo
ringraziavano per aver loro facilitato una pratica, quale giornalmente santificava pastori e popoli.
L'inclinazione ai ritiri passò da s. Lazzaro in un buon numero di diocesi. Alcuni prelati i duali,
quando erano ancora semplici ecclesiastici. si erano posti sotto la direzione di Vincenzo,
santificati eglino stessi per mezzo degli esercizi spirituali, impresero di santificare i loro
ecclesiastici co' medesimi esercizi. Uno fra di loro scriveva al servo d'Iddio, che aveva
attualmente nella sua casa episcopale trenta sacerdoti che facevano il ritiro con molto frutto.
Noti fu solo in Francia che Dio benedisse i ritiri: la mano di lui accompagnò i misionari
anche nell'Italia. Il cardinale Durazzo che col suo zelo onorava la porpora Romana. non ebbe
tosto stabiliti in Genova, ev' era arcivescovo, i preti della missione, {212 [426]} che volle
esperimentare se avessero fatto tanto bene riguardo agli ecclesiastici, quanto n' avevano fatto
nelle campagne riguardo a' popoli della sua diocesi. Gli effetti furono oltremai maravigliosi. Lo
spirito d' umiltà e di compunzione vi dominava talmente, che si durava fatica a moderarne lo
slancio. «Siamo qui come nella valle di Giosafat, disse in quella occasione uno di que' signori;
ognuno vi fa la confessione delle sue miserie. Felici coloro che con quella confusione anticipata
potransi mettere in grado di evitare quella del gran giorno del Signore.» Il cardinal Durazzo, che
credeva appena citi che vedeva co' propri occhi; non poti' frenare le lagrime; ringraziò mille
volte il primo autore di tutti quei beni, e coloro che gli servivano di strumento. L'aspetto di tanti
beni era quello, e rendeva il Santo sì fermo a non permettere innovazioni nella sua casa circa i
ritiri. Le disgrazie de' tempi non hanno alterato punto la pratica di quella buona opera.
In Francia, in Piemonte e in tutta l'Italia vi sono case di missionari aperte per gli
esercitandi, ì quali più volte all' anno sono ricevuti anche gratuitamente. Basti il detto {213
[427]} finora a far palese quanto il nostro Santo amasse gli esercizi spirituali e desiderasse che
tutti i fedeli cristiani ne profittassero.
Frutto. Proponiamo in quest'anno di ritirarci a fare gli esercizi spirituali; e qualora le
nostre occupazioni nol permettessero spendiamo almeno un giorno onde aggiustare gli affari di
nostra coscienza nel modo che desideriamo trovarci in punto di morte.
Giorno vigesimoterzo. Sua semplicità.
La semplicità, che molti tengono cotte un difetto o tutto al più come il retaggio degli
spiriti deboli, è nondimeno la virtu delle anime grandi, e ad esse sole appai, tiene di calpestare gli
umani rispetti, dire le cose come si pensano; disprezzare gli artifizi del secolo, i suoi raggiri, le
sue astuzie, le sue finzioni, e di parlare ai Re ed ai Principi come fecero un Mosè, un Daniele, un
s. Pietro. Sarà dunque un solidissimo elogio per san Vincenzo de' Paoli {214 [428]} il dire, col
gran Bossuet, che fu un uomo di ammirabile semplicità.
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Infatti ebbe sempre in orrore que'detti equivoci, quelle dissimulazioni, quelle vie tortuose,
per mezzo delle quali coloro stessi che le condannano in ispeculativa, sanno trarsi d'impaccio
quando si trovano nell'imbarazzo: se gli si proponeva una cosa che gli sembrasse poco giusta,
diceva così alla Buona, che non poteva incaricarsene. Se, come succedeva qualche volta, dopo d'
essersene incaricato, altre cure più pressanti gliela facevano perdere di vista; semplice ed umile
ad un tempo diceva che la sua miseria era tale, che non vi aveva più pensato. Se veniva
ringraziato per un favore a cui aveva contribuito, lo confessava con tutto candore. In una parola,
se non diceva ogni verità, perché non tutte le verità devono dirsi, neppure diceva cosa che fosse
anche poco in opposizione al vero. Raccomandando a'suoi la semplicità ha fatto senza volerlo il
ritratto della propria.
Diceva che la semplicità è un dono il quale ci guida direttamente a Dio ed alla verità
senza fasto, senza finzioni, senza umano rispetto, senza mira del proprio interesse. {215 [429]}
Un uomo semplice ha soltanto Dio per suo scopo, e non vuoi piacere che a lui: non parla contro
il proprio sentimento, non opera fuori delle regole della schiettezza e della rettitudine cristiana:
se non manifesta tutti i suoi pensieri, perchè la semplicità è una virtù discreta che non puo essere
contraria alla prudenza, ha cura di evitare nelle sue parole tutto ciò che potrebbe far credere al
prossimo aver egli nello spirito o nel cuore, ciò che non vi ha realmente: le sue azioni sono tanto
semplici quanto il suo linguaggio: negli affari, negli impieghi, negli esercizi di divozione non vi
ha in lui artifizio, non vane pretensioni nè ipocrisia. Non sarà già nel numero di coloro che fanno
un piccol dono nella mira d'ottenerne un altro di maggior prezzo: che all' esteriore fanno delle
opere buone per essere stimati virtuosi; che hanno una quantità di libri superflui per comparire
dotti, o che si studiano di predicare bene per ottenere degli applausi.
La semplicità nelle istruzioni che si fanno al popolo era un articolo sul quale insisteva
sovente. Non si possono leggere le lettere sue, nè le sue conferenze, senza scorgere {216 [430]}
quanto temeva che i suoi figli avessero la disgrazia di allontanarsene per farsi, come molli
predicatori, un nome con discorsi pomposi. Egli raccomandava a'suoi di sbandire da' loro
sermoni quanto potrebbe partecipare dello spirito mondano di affettazione, di vanità. Fra le molte
ragioni adduceva che, siccome le bellezze naturali hanno maggiori attrattive delle artificiali o
adornate di falsi colori, così i sermoni semplici e comuni sono ricevuti assai meglio di quelli, che
affettati sono e ripuliti con artifizio. «Studiatevi di predicare, diceva, come fece Gesù Cristo.
Quel Divin Salvatore. e rendo il verbo e la Sapienza del Padre eterno, poteva, se pur lo avesse
voluto, parlare de' nostri più sublimi misteri con termini che fossero a loro proporzionati.
Sappiamo nondimeno che ha parlate semplicemente ed umilmente per adattarsi al popolo e darci
il modello e la forma di spargere la stia santa parola. Quel gran Maestro, trovandosi al momento
di spedire i suoi Apostoli a predicare il Vangelo, raccomandò loro la semplicità della colomba,
qual una delle virtù di cui avevano maggior bisogno, sia per {217 [431]} attirare sovra di sè le
grazie del cielo, sia per disporre gli uomini ad ascoltarli ed a credere loro. Quelle parole non
riguardano solamente gli Apostoli, ma son diretto a tutti coloro che sono destinati dalla
Provvidenza alla conversione delle anime. Perciò, signori, dovete farne l'applicazione a voi
stessi. Dio ripone il suo piacere nell'intrattenersi coi semplici. Cum simplicibus eius: cammina
con essi e li fa andare avanti con sicurezza. Infatti ai semplici soltanto è concesso lo istruirsi alla
scuola di nostro Signore. la sua dottrina è un enigma per i sapienti e i prudenti del secolo, come
lo dichiarò egli stesso: Confiteor tibi, Pater,....... quia abscondisti hæc; a sapientibus et
prudentibus, et revelasti ea parvulis. Finalmente lo spirito di religione si trova più
ordinariamente fra i semplici che presso le persone del gran mondo.»
Vincenzo inviando uno de'suoi preti in una certa provincia: «Voi andate, gli disse, in un
paese, in cui dicesi che gli abitanti sono per la maggior parte fini ed astuti: se ciò è vero, il
miglior mezzo di essere loro utile si è quello d' agire {218 [432]} con essi con una grande
semplicità: perchè le massimo del Vangelo sono interamente opposte a'modi di agire del mondo:
e andando voi pei servizio di nostro Signore, dovete altresì condurvi seconda il suo spirito, ch'è
uno spirito di semplicita e di rettitudine.» Quel missionario re isolò la stia condotta sulla scorta di
un parere così saggio, e la popolazione incantata del candore di lui offeri al nostro Santo un
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bellissimo stabilimento: fu questo accettato perchè v'era luogo a fare del bene. Vincenzo vi spedì
per primo Superiore un uomo che a molti talenti riuniva una perfetta semplicità: ma non v'è forse
cosa che sia tanto propria a far conoscere fin dove giungeva la delicatezza del Santo su questa
materia, quanto la lettera seguente. È questa una risposta ch'egli diede ad uno de' suoi, che
avevagli scritto essere il suo cuore tutto per lui. «Io si ringrazio della vostra lettera, gli disse, e
del vostro gradito dono. Il vostro cuore è troppo buono per essere posto in cattive mani come le
mie, e so bene che voi non me lo date, so non perchè io lo rimetta a nostro Signore al quale
appartiene, e all' amore del quale {219 [433]} volete che tenda incessantemente. Queste amabile
cuore appartenga dunque d' oggi innanzi unicamente a Gesù Cristo, e ali spetti pienamente per
sempre nel tempo e nell' eternità. Pregatelo, ve ne scongiuro, che mi faccia partecipare del
candore e della semplicità del vostro cuore. Sono queste virtù tali, che io ne ho grandissimo
bisogno, e di una eccellenza affatto incomprensibile.»
Frutto. Procuriamo di evitare ogni sorta di bugie; esse. oltre l' offesa d' Iddio, seno
contrario alla civiltà.; e ci disonorano davanti agli uomini. {220 [434]}
Giorno vigesimoquarto. Della sua. confidenza in pio.
Il signore ci dice che ehi confida in lui non rimarrà confuso; e che può tutto chi e dal
Signore confortato. Dal che Vincenzo animato intraprese delle cose, che i Principi,tessi non
avrebbero osato, e sostenere degli stabilimenti che sembravano disperati. La provvidenza di Dio
era il suo conforto, e questo Dio fedele nette sue promesse giammai gli mancava. Quando gli si
proponeva un affare, fatta sicuro venisse da Dio, metteva in uso tutti i mezzi che. potevano farlo
riuscire; ma era ben diverso da quelli che i mettono in moto, e vi mettono tutti coloro che
incontrano La filosofia dell' uomo di Dio era più placida, perchè veniva da una sorgente più
elevata; lasciava operare Dio per quanto il poteva, ed aspettava da fui il Brade ed il momento del
successo. Se qualcuno per ragioni di prudenza umana gli rappresentava non esservi apparenza
alcuna d'ultimare ciò ch'erasi cominciato. «Lasciamo fare nostro Signore, diceva, è opera sua: ed
essendo a lui piaciuto di darcene {221 [435]} il pensiero, teniamo per certo che lo perfezionerà
nel modo a lui più gradevole; sarà nostra guida e nostro aiuto in un lavoro al quale ci ha egli
stesso invitati.»
Cominciato un affare colla persuasione esser cosa di Dio, e Dio volerlo da lui, non
temeva spese nè travagli, nè difficoltà; gli ostacoli non servivano che a rincorarlo, nulla lo
spaventava. Venti volle gli fu rappresentato le spese necessarie pel nutrimento degli ordinandi e
di quel gran numero di persone che ogni settimana fanno il ritiro a S. Lazzaro mettere la casa in
pericolo di soccombere; sempre rispose: chi i tesori della Provvidenza erano inesauribili, che la
diffidenza disonorava Dio, e che la sua congregazione si sarebbe piuttosto distrutta per le
ricchezze, non mai per la povertà.
Un giorno, alla vigilia di un' ordinazione, il procuratore tutto inquieto venne a dirgli che
non aveva un soldo onde fare la spesa. Oh! qual buona notizia, sciamò Vincenzo, Dio sia
benedetto: è questo il momento che bisogna far conoscere se abbiamo confidenza in Dio. Disse
una cosa consimile ad un avvocato del parlamento, il quale in un ritiro {222 [436]} che fece a S.
Lazzaro, sorpreso di vedere tanta gente nel refettorio, gli dimandò ove prendeva di che
provvedere ad un si gran numero di bocche domestiche e straniere. Non è già che Ilio facesse
de'miracoli continui in favore di Vincenzo, e che all'opportunità accorresse in soccorso della sua
indigenza: si vide ridotto a nudrire sè ed i suoi con pane d' orzo e d'avena; ma riguardava quegli
accidenti passeggieri quai prove che entrano nell'ordine della Provvidenza.
La confidenza che animava il servo di Dio nel tempo della carestia, lo fortificava ancora
nelle afflizioni che gli sopraggiungevano, sia nella sua propria persona, sia in quella de' suoi
figli. Era si persuaso che questa confidenza in Dio deve essere una delle principali virtù di un
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missionario, che ne fece il soggetto di molte conferenze spirituali; propose in esse l'esempio
d'Abramo, a cui Dio aveva promesso di popolare tutta la terra per mezzo d'un figlio che gli aveva
dato, e che gli ordinava nulladimeno d'offerire in sacrifizio. «Ammirate la sua confidenza,
diceva: Abramo non s' inquieta di ciò che succederà: egli spera che tutto {223 [437]} andrà bene,
poichè Iddio v'è di mezzo. E perchè non avremo noi la stessa speranza, se lasciamo a Dio la cura
di ciò che ci riguarda, e se preferiamo ciò che ci comanda ad ogni altra considerazione? Non sarà
dunque ben fondata la nostra speranza, diceva altrove Vincenzo, che Dio somministrerà quanto
c'è necessario? Non vedete forse che gli augelli non seminano e noti mietono? ciò non ostante.
Dio prepara loro la tavola ovunque, accorda loro le vestimenta e da nudrirsi; egli estende anco la
sua provvidenza sulle erbe de' campi, e perfino i gigli hanno degli ornamenti sì magnifici che
Salomone in tutta la sua gloria non n' ebbe mai di consimili. Ora se Iddio provvede in tal modo
gli augelli e le piante, perchè non vi abbandonerete a lui? la vostra industria è dessa un
espediente più sicuro della sua bontà?»
Vincenzo raccomandava ancora questa confidenza in Dio alle figlie della carità, le quali,
a motivo de' pericoli d' ogni specie a cui sono esposte, debbono maggiormente diffidare di se
stesse e confidare molto in Dio, Annunciava loro il soccorso Divino in una {224 [438]} maniera
sì decisiva, che si sarebbe creduto avesse delle segrete ragioni di fidarsi sopra una speciale
provvidenza. Dio aveva di già fatto conoscere eh' egli vegliava alla guardia di quelle figlie
virtuose. «Ah! mie figlie, diceva il Santo in occasione che una di esse era rimasta salva in mezzo
alle rovine di un edifizio, qual motivo non avete voi onde confidare in Dio? Leggiamo nell'
istoria che un uomo fu ucciso in mezzo ad una campagna per la caduta d'una testuggine che un'
aquila lasciò cadere sul suo capo; e vediamo in oggi una figlia della carità uscire senza lesione
alcuna di sotto ai rottami di una casa rovesciata fino da' suoi fondamenti. Non è questa una prova
sensibile colla quale Dio fa conoscere che voi siete a lui care? Oh! mie figlie, siate sicuro che
quando conserviate ne' vostri cuori la santa confidenza Dio vi conservera in qualunque siasi
luogo possiate trovarvi.» Vincenzo fece un giorno una piccola riprensione ad una persona la
quale, nell'idea in cui era che la compagnia delle sue figlie non potesse sussistere senza di lui, si
era mostrata alquanto inquieta per una malattia da cui era stata {225 [439]} colta. «Oh! donna di
poca fede! Perchè non avete maggiore confidenza nella condotta e nell'esempio di Gesù Cristo?
Il Salvatore del mondo si riposava in Dio suo Padre per lo stato di tutta la Chiesa, e voi per un
pugno di figlie, che la sua provvidenza ha visibilmente suscitate e riunite, pensate che vi
mancherà?»
Questo tesoro dì confidenza in Dio gli serviva per pacificare coloro che erano tentati di
disperare. Un personaggio di condizione elevata trovandosi in quella pericolosa situazione gli
dimandò qualche rimedio al male che lo straziava. Il Santo gli rispose: «Che Dio non permetto
sempre a' suoi di discernere la purezza del loro interno fra i movimenti della corrotta natura,
affinchè si umiliino senza posa, e che il loro tesoro essendo così nascosto, sia in maggior
sicurezza. S Paolo aveva veduto delle maraviglie in cielo, ma perciò non si riguardava guardava
come giustificato, perchè vedeva in se stesso troppe tenebre e troppi combattimenti interni.
Aveva nulladimeno una tale confidenza in Dio, che credeva nulla esservi al mondo capace a
separarlo dalla carità di Gesù Cristo. Quest' esempio {226 [440]} deve bastarvi, signore, per
restare in pace in mezzo alle vostre oscurità, e per avere un' intera confidenza nell' infinita bontà
di nostro Signore, il quale volendo perfezionare l'opera della vostra santificazione, v' invita ad
abbandonarvi fra le braccia della sua provvidenza. Lasciatevi adunque condurre dal suo amore
paterno, perchè egli vi ama, ed è tanto possibile che rigetti un uomo dabbene come voi, come lo
sarebbe che abbandonasse un malvagio, il quale spera nella sua misericordia.»
Frutto. La confidenza in Dio non esclude la nostra cooperazione, perciò facciamo quanto
dal nostro canto possiamo, e il Signore farà colla sua grazia quello che noi non possiamo. Una
visita al SS. Sacramento. {227 [441]}
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Giorno vigesimoquinto. Sua uniformità al Divino volere.
La confidenza nel Signore portava Vincenzo a riconoscere in ogni cosa i divini voleri, e a
questi in ogni cosa uniformavasi. Dal mattino alla sera sembrava dire con S. Paolo: Signore, che
volete voi ch'io faccia? e in qual maniera devo io farlo? La malattia e la sanità, la vita o la
morte; a libertà e la schiavitù, il guadagno e la perdita, il disprezzo,:Ili obbrobri, tutto gli era
uguale, purchè Dio fosse contento. «Non c' è alcuno di quelli che son qui F presenti, diceva un
giorno a'suoi, che non abbia procurato oggi di fare alcune azioni in se stesso buone e sante; ciò
nondimeno può essere avvenuto che Dio abbia rigettato quelle azioni, perchè saranno state fatte
per movimento della vostra propria volontà E non è questo quello che il profeta dichiarò, quando
disse a nome di Dio: io non voglio i vostri digiuni; voi pensate onorarmi in tal modo e fate al
contrario: perchè quando digiunate, seguite la vostra propria volontà, {228 [442]} con ciò
guastate e corrompete il vostri, digiuna Ora ciò che Isaia diceva del digiuno può applicarsi ad
ogni altra opera di divozione. La mescolanza della nostra propria volontà guasta le nostre
divozioni, i nostri lavori, le nostre penitenze; sono vent' anni che io non leggo nella santa Messa
quella sentenza del Profeta senza esserne turbato. Che cosa bisogna dunque fare per non perdere
il nostro tempo e le nostre fatiche? È necessario di non operare mai per movimento della nostra
propria inclinazione, per nostro interesse, per nostro capriccio, per nostra fantasia, ma assuefarci
a fare la volontà di Dio in tutto; io dico in tutto e non già in parte, perchè si è questo il proprio
effetto della u grazia, che rende la persona e l' azione gradita a Dio.»
Questa conformità alla volontà di Dio era necessaria al Santo per sopportare le croci che
Dio gli preparava, sia nella propria persona, sia in quella de'suoi figli. Più di una volta fu visto,
come i giusti di cui parla s. Paolo, nell' indigenza, nell' oppressione, nella miseria e fra le catene;
malgrado questo la sua tranquillità era sempre {229 [443]} la stessa. La sola parola Dio lo vuole
calmava le sue inquietudini. La peste tolse al Santo sei o sette de' suoi, i quali lavoravano a
Genova; la stessa casa ebbe la disgrazia di perdere una lite molto importante. «Viva la giustizia,
rispose Vincenzo al Superiore che gli aveva annunziata questa doppia perdita, bisogna credere
ch'essa si trovi nella perdita della vostra lite. Quello stesso Dio che vi aveva dato a degli averi ve
li ha tolti sia benedetto il suo santo nome. B un male quel che sembra bene, quando esso si trova
ove Dio non lo vuole. Quanta più relazione avremo con nostro Signore spogliato, più ancora
avremo parte al suo spirito; quanto più cerchiamo al pari di lai il regno de'cieli per istabilirlo in
noi, tanto più s le cose necessarie alla vita ci saranno accordate. Vivete in questa confidenza e
non anticipate l' affanno per gli anni sterili de' quali parlate: se giungono, non dipenderà al certo
da colpa vostra ma da un ordine della Provvidenza, la cui condotta è sempre adorabile.
Lasciamoci dunque que guidare dal nostro Padre celeste, e procuriamo sulla terra di non avere
che un voler solo con lui.» {230 [444]}
Dietro al proverbio che sempre è batte l'aiutarsi un poco, qualcheduno gli scrisse che se
voleva la sua congregazione riuscisse ed avesse de' buoni soggetti. bisognava stabilirla nelle
grandi città. Il Santo rigettò ben lungi una siffatta proposizione, dicendo: «Non possiamo fare
alcune anticipazioni per istabilirci in qualsiasi luogo, se vogliamo tenerci nelle vie di Dio e nelle
usanze della compagnia; perché sino al presente la sua provvidenza ci ha chiamati ne' luoghi ove
appunto noi siamo, senza averlo cercato direttamente nè indirettamente. Ora non può essere che
questa rassegnazione a Dio non gli sia molto gradevole, tanto più eh' essa di
strugge
i
sentimenti umani, che sotto pretesto di zelo e di gloria di Dio fanno sovente intraprendere
disegni ch'egli non inspira e non benedice. Egli sa quanto ci conviene, e ce lo accorderà quando
sarà il tempo, se ci abbandoniamo quai veri figli ad un sì buon Padre. Certamente se fossimo ben
persuasi della nostra inutilità, noi ci guarderemmo dall'ingerirci nella messe altrui prima di essere
chiamati, nè di precorrere per preferirei ad {231 [445]} altri operai, che forse Dio vi ha destinati.
Fu proposta al santo Sacerdote una cosa vantaggiosissima alla sua congregazione; e
sollecitandolo uno de'suoi ad acconsentirvi, diede questa bella risposta. «Faremo bene di non
curarci di quest' affare per ora tanto per infievolire le inclinazioni della natura, la quale vorrebbe
che le cose vantaggioso fossero prontamente eseguite, quanto per metterci nella pratica della
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santa indifferenza, e dar luogo a nostro Signore di manifestarci la sua volontà, mentre gli
umilieremo delle preghiere per raccomandargli la cosa. Siate certo che se a lui piace che la cosa
si faccia, il ritardo non la guasterà in alcun modo, e che F quanto meno ci sarà del nostro, tanto
più ci sarà del suo.»
Dopo aver fatto conoscere che questo spirito d'indifferenza è stato seguito da tutti i Santi:
«Spirito che, egli diceva, cotanto stacca dalle creature e sì perfettamente unisce alla volontà del
Creatore, il quale consiste nell'essere quasi senza alcun desiderio d'una cosa piuttosto che d'un
altra;» il servo di Dio conchiuse che, ad esempio {232 [446]} loro, tutto dovrebbe essere
indifferente a'suoi missionari: «Voi sapete, diceva, che fra gli operai, di cui parla il Vangelo,
alcuni furono chiamati sul tardi, e che costoro nulladimeno furono ricompensati alla sera al pari
di coloro che avevano lavorato fin dal mattino: così ci sarà per voi tanto merito aspettando in
pazienza la volontà del padrone, quanto ve ne sarà nell' adempierla allorchè vi sarà significata;
purchè voi siate pronti a partire, pronti a restare. Dio sia benedetto di questa santa indifferenza,
che vi rende istrumenti motto propri per le opere di Dio.
Frutto. Fermatevi alquanto a considerare ciò che più v'inquieta; e fatene un' offerta ai
Signore, dicendo: sia fatta in ogni cosa la santissima volontà del nostro Iddio. {233 [447]}
Giorno vigesimosesto. Della sua condotta.
Due oggetti occuparono tutta la vita di Vincenzo, la sua propria santificazione, e quella
del prossimo Cominciò da se stesso o continuò pei prossimo, poichè sapeva che un ministro di
Gesù Cristo è stabilito per produrre del frutto; ma la condotta ch' egli tenne, operando alla
salvezza de'suoi fratelli. merita bene che se ne espongano i principali caratteri. Essa fu sempre
accompagnata da una grande sapienza. Un uomo, fra le cui mani erano passati tanti affari
importanti, avrebbe avuto almeno nella sua vecchiaia il diritto di riposare sulla propria
esperienza; ma egli solo ignorava la giustezza del suo spirito, l'estensione de' suoi talenti, la
saviezza delle misure che aveva prese. Vincenzo al declinare de'suoi giorni era tanto timido e
riserbata come all'età di quaranta anni. Nulla intraprendeva senza ricorrere a Dio per mezzo di
fervide preghiere; volentieri ascoltava e secondava il sentimento degli altri; consultava i suoi
inferiori, quando ciò che doveva fare era di tal natura da poter {234 [448]} essere comunicato.
Questa legge che il Santo s'era imposta di deliberare. di consultare, di ponderare lungo tempo il
pro ed il contro, lo rendeva alquanto lento a determinarsi; ma quando una risoluzione era presa,
non vi era modo a variarla: riguardava qual tentazione ogni pensiero di abbandonare un progetto
saggiamente concertato. Credeva che Dio non si lagnerebbe di un uomo, che potrebbe
rispondergli: Signore, io vi ho raccomandato quest'affare, mi con consigliato, e questo è tutto
quanto poteva fare per conoscere la rostro volontà.
La circospezione fu un'altra qualità delta sua condotta. Egli era nemico dichiarato di tutto
ciò che sentiva di presunzione, meno amava di rispondere prima di aver preso tempo onde
riflettere su ciò che venivagli proposto. Quando la forza delle circostanze l'obbligava a deridere
senza dilazione, implorava il Divino soccorso, e non dava ordinariamente alcuno scioglimento
che non avesse per appoggio la Sacra Scrittura, o qualche azione del Salvatore; ne trovava
sempre qualcheduna che aveva relazione col soggetto su cui era consultato. Il timore di gravarsi
do' falli altrui, odi errare ne'disegni di {235 [449]} Dio, lo rendeva molto cauto qualora trattavasi
di determinare una persona d' un offizio anzichè ad un altro. Quantunque avesse sopra i suoi figli
un'autorità ben grande, pure non voleva mai formare da se solo la destinazione di quelli che
inviava ne'paesi lontani. Non sceglieva per le missioni straordinarie che coloro, al cuore de'quali
Iddio aveva parlato, e cui aveva fatto conoscere che richiedeva da loro questo grande sacrifizio.
La grazia di dare un addio eterno alla propria famiglia, a'più teneri amici, non era accordata che a
quelli che la sollecitavano per molto tempo e con ardore, ed e perciò che il Santo giudicava
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prudentemente che un uomo chiamato da Dio fa maggior frutto di molti altri, la Vocazione
de'quali è meno libera e meno pura. Questi saggi riguardi non degeneravano in debolezza, nè n
una molle condiscendenza, e diceva che, siccome i cattivi successi della guerra s'attribuiscono
a'Generali degli eserciti, per egual modo il decadimento delle comunità deve attribuirsi a'
Superiori; che i più cattivi sono coloro che, per piacere a'loro confratelli e farsi amare, tutto
dissimulano e lasciano correre le cose come vanno; eh' egli aveva veduto una comunità {236
[450]} delle più regolari che vi fossero nella Chiesa decadere in meno di quattro anni per la
indolenza e la viltà d'un Superiore. Se dunque, conchiudeva, tutto il bene di una comunità
dipende da' Superiori, ti deve ben pregar Dio per essi come incaricati da Dio, ed in obbligo a
render conto di tutti quelli che sono sotto la condotta loro. Questa fermezza de! Santo si
estendeva su tutti i punti della sua regola, e non è già nelle solo case della congregazione che
voleva fosse inviolabilmente osservata, ma raccomandava eziandio che non si trascurasse, per
quanto fosse possibile, nelle missioni e ne'viaggi: proscriveva perciò certe pratiche che
compensavano in qualche modo quelle, che riesce difficile di fare fuori della comunità
Allorquando vari preti viaggiavano insieme, ne destinava uno fra di essi ad avere la direzione
degli altri, e far osservare la regola.
La fermezza del sant'Uomo non lo rendeva molesto, nè imperioso. Severo per se stesso
era tutto bontà verso gli altri, e procurava di contentarli in tutto ciò che potevano
ragionevolmente aspettarsi da lui. Se ricusava qualche cosa, era sempre con pena, e ciò non già
perchè egli fosse il padrone, ma unicamente {237 [451]}
perché non poteva accordarla. Esponeva le ragioni del suo rifiuto, e da che questo più non
sussistevano, si rammentava la dimanda fattagli «Si serviva sempre, dice y uno de'suoi, di parole
molto obbliganti, non impiegando mai la voce eli comando, nè altri simili detti, che facessero
scorgere il suo potere e la sua autorità, ma osando bensì delle preghiere: io vi prego, signore, di
fare questo, o quello, ecc. Quando io partiva per qualche viaggio, o ne ritornava, mi trovava
come tutto imbalsamato da'suoi amplessi e dalla cordiale accoglienza che mi faceva. Le sue
parole, tutte piene di una certa unzione spirituale, erano sì dolci, e nello stesso tempo sì efficaci,
che induceva a fare tutto quella che voleva senza alcun, resistenza.»
La maniera colla quale s' insinuava nelle pene di coloro elle soffrivano era propria ad
inspirar loro coraggio. «Io vi compatisco nella vostra situazione, scriveva ad un Superiore stanco
del suo uffizio; ma non dovete spaventarvi delle difficoltà, ed ancor meno lasciarvi abbattere,
poichè se ne trovano ovunque, e basta che vivano insieme perchè due uomini sieno in
contraddizione. Se foste solo, di verreste a carico {238 [452]} di voi stesso e trovereste in voi di
che esercitare la vostra pazienza; tanto è. vero che la miserabile nostra vita è piena di croci. Io
lodo Dio del buon uso, che sotto persuaso voi fate delle vostre. Ho troppo conosciuto quanta
saviezza e quanta dolcezza risiedo nel vostro spirito per dubitare che vi manchino io queste
disgustose occasioni. Se non riuscite a soddisfare tutti, non bisogna perciò che voi ve ne diate
fastidio, perchè neppure lo stesso nostro Signore lo ha fatto. Quanti vi furono, e quanti vi sotto
tuttavia che hanno trovato a ridire sulle parole sue e stille sue azioni?» I bisogni della sua
compagnia avendolo obbligato a separare due preti che vivevano in una santa unione. «Io non
dubito punto, scriveva ad uno di questi, che la separazione da questo caro e fedele amico non vi
sia dolorosa; ma rammentatevi, signore, che il Signor nostro si separò dalla propria sua Madre, e
che i suoi discepoli, dallo Spirito Santo così perfettamente uniti, si separarono gli uni dagli altri
pel servizio dei Divin Maestro.» In breve tutti coloro che erano sotto la sua direzione non
venivano afflitti da qualche male ch'egli non ne soffrisse come quelli e più di quelli. {239 [453]}
Persuaso che un Superiore non esige ragionevolmente se non ciò che pratica pel primo; si
trovava esattamente a quegli esercizi della sua comunità che costano Ai più, é soprattutto
all'orazione della mattina. La sua perfetta esattezza davagli diritto di esigere presso a poco una
consimile da'suoi inferiori. La voleva soprattutto da quelli che incaricava della condotta degli
altri. Præsint ut prosint. Diceva, che quelli i quali non hanno regola, nè sono esemplari, mancano
di una qualità essenziale al governo; e elle un uomo, benchè provveduto di talenti per dirigere gli
altri, non è adattato ad essere Superiore di una casa, nè Direttore d'un seminario, se non è esatto
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agli esercizi della regola. A fine di rendere la sua condotta utile a tutti coloro de'quali aveva la
direzione, affaticavasi da principio a distrurre in essi il peccato, e ciò che poteva condurvegli; a
questo oggetto stabili il suo seminario interno, e ne fece una scuola di virtù, ove le persone di
ogni età. che v'erano ammesse, trovavano negli esercizi della vita spirituale de'mezzi sicuri per
distruggere l'uomo vecchio, e divenire nuove creature in Gesù Cristo. La disubbidienza era il
difetto che meno perdonava ad un seminarista, {240 [454]} e se non si emendava, per quante
altre buone qualità ei possedesse, lo congedava. Secondo, il suo parere un uomo troppo attaccato
alla propria volontà è un nemico della fanciullezza evangelica, la quale sola ha diritto al Regno
de' cieli, ed è incapace di quella santa abnegazione che deve essere la prima virtù de'discepoli del
Salvatore.
Uscendo dal seminario destinava allo studio della teologia ed anche della filosofia coloro,
le cui idee su queste materie abbisognavano di essere rinnovate. Dava loro de' maestri adattati a
nudrire il fervore formandogli alla scienza. Non eravi cosa che tanto temesse, quanto il vedere un
giovine studente scemare in fervore a misura che cresceva in cognizioni, o perdere il tempo in
vane ed inutili curiosità. Diceva a questo proposito che il passaggio dal seminario agli studi è
troppo pericoloso, che, come un vetro che dal calore del forno passa in un luogo freddo, corre
rischio di rompersi, cosi un giovine che da un luogo di raccoglimento, di vigilanza e di preghiera
passa al tumulto di una scuola, corre rischio di sviarsi. Desiderava che tutti i missionari avessero
tanta scienza, quanta n'ebbe S. Tommaso, perchè {241 [455]} avessero ancora l' umiltà di quel
santo Dottore; diceva che l'orgoglio perde i grandi ingegni come ha perduto gli Angeli, che la
scienza senza l'umiltà era sempre stata perniciosa alla Chiesa. La conclusione de' suoi consigli
era che si mettesse la gioventù in grado di essere utile al prossimo. perchè vi eran pochi operai,
ed i popoli della campagna si dannavano per mancanza d' istruzione.
Frutto. Se abbiamo la scienza senza l’ umiltà, non saremo giammai figliuoli d' Iddio, ma
bensi figli del padre della superbia, del demonio. Un Pater ed Ave a S. Vincenzo perchè ci aiuti
ad uniformarci alla sua condotta.
Giorno vigesimosettimo. Sue Missioni.
Le missioni sono esercizi pubblici in cui con istruzioni semplici ma robuste e patetiche si
procura d' indurre i popoli a piangere i loro peccati e ripararli con una sincera penitenza, ed a
vivere santamente {242 [456]} nell' avvenire. Questi esercizi per produr frutto richiedono
dell'ordine e delle precauzioni per rapporto a' pastori, di cui in certo qual modo si tien luogo per
un dato tempo; per rapporto a'popoli che si devono istruire senza aggravarli; e per rapporto agli
operai stessi, che per santificare gli altri hanno bisogno di zelo, di carità, o, per meglio dire, di
tutte le virtù. Vincenzo formò il suo piano in un modo adattato a soddisfare a queste diverse
obbligazioni.
Riguardo a' pastori, oltre il permesso del vescovo, di cui non si può far a meno, nulla
intraprendeva mai senza il gradimento de' parroci. Quando un parroco permette la missione nella
sua parrocchia, uno dei missionari ne fa l'apertura ed annunzia con un discorso la visita
misericordiosa che Dio si dispone a fare al suo popolo, la moltitudine di grazie che è pronto ad
accordare a coloro che se ne renderanno degni col convertirsi a lui; là disgrazia di coloro che
ricusassero di ascoltare la sua voce, e la necessità di cominciare all' istante rompere i lacci che li
tengono avvinti al peccato. Alcuni giorni dopo i missionari si presentano al luogo indicato, ed
immediatamente 243{ [457]} danno mano all' opera; ogni giorno ha tre sorta d'istruzioni
pubbliche; una predica che si fa di buon mattino affinchè le persone povere non perdano punto il
tempo consacrato al lavoro; un piccolo catechismo che si fa ad un'ora dopo mezzodì, e la sera
dopo il tramontare un gran catechismo.
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La predicazione deve essere solida ma naturale. Non si trattano in essa quelle idee
metafisiche, la cui discussione serve soltanto a fare onore al talento di colui che parla.
L'importanza della salvezza eterna, i fini ultimi, la contrizione, il perdono delle ingiurie, la
restituzione, l’ enormità del peccato, la durezza del cuore, l’ impenitenza finale, la falsa
vergogna, la ricaduta, la maldicenza, l' invidia, l’ intemperanza. e altri simili disordini che
s'insinuano più facilmente nelle campagne; il buon uso della povertà e delle afflizioni, la
santificazione delle domeniche e feste, la necessità ed il modo di pregare, di frequentare i
Sacramenti, d' assistere al sacrifizio della messa, l'imitazione di nostro Signore, la divozione
verso la SS. Vergine, la felicità della perseveranza: in una parola tutto ciò che deve {244 [458]}
fare un cristiano per incamminarsi a Dio; tutto ciò che deve evitare per essere felice dopo la sua
morte, più di quello lo fu durante la sua vita: ecco l'argomento più ordinario delle prediche.
Il catechismo ha per oggetto la spiegazione de' principali articoli della fede e delle verità
della religione maggiormente praticate; perciò in esso si tratta del mistero della SS. Trinità, dell'
Incarnazione del Figlio di Dio, dei prezzo col quale si e compiaciuto di riscattarci; si parla dei
comandamenti di Dio e della Chiesa, de' Sacramenti, del simbolo, dell' orazione domenicale e
della salutazione Angelica. L'esposizione di queste differenti materie vien regolata sulla durata
della missione ed a proporzione della intelligenza degli uditori. Ognuno di quelli che hanno
lavorato alla loro salvezza si mette in grado di dir loro, lasciandogli, ciò che disse s. Paolo a'
fedeli di Mileto: Io vi cito per testimoni, che sono innocente della vostra perdita: ho atto tutto
ciò che dipendeva da me per impedirla.
Il gran catechismo che si fa dal pergamo è destinato all' istruzione delle persone di una
certa età; perciò se ne fa un altro per {245 [459]} i fanciulli. S'invitano fin dal primo giorno con
una esortazione famigliare a recarvisi esattamente; si dan loro gli avvisi di cui hanno bisogno per
profittarne; si parla ad essi in un modo proporzionato alla loro poca intelligenza, si ricavano da'
principi della fede delle conseguenze proprie a formare o a rettificare i loro costumi; vengono
animati con ricompense che devono essere il premio della saviezza e della loro assiduità. Questo
importante esercizio è terminato con santi cantici; la divozione vi guadagna doppiamente, poichè
la dottrina cristiana s' insinua in un modo piacevole, e le pericolose canzoni sono dimenticate.
Tosto che il popolo sembra commosso dalle verità annunziate, si prende posto al
confessionale: ivi sv impiegano parecchie ore ogni giorno tanto al mattino quanto al dopo
pranzo. visitare e consolare gli ammalati, fare una correzione fraterna a' peccatori impenitenti,
sopire le dissenzioni domestiche, riconciliare i nemici, insegnare a' maestri ed alle maestre di
scuola a ben soddisfare a' loro obblighi, stabilire l’ associazione della carità a sollievo de' poveri;
in una parola impedire al male e fare tutto {246 [460]} il bene che si può: ecco ciò che il
Fondatore della Missione si propose, e che esegui nel' corso delle sue missioni.
Quando uno ha soddisfatto a'bisogni principali della gente adulta, si dispongono alla
prima comunione coloro che sono giudicati capaci di esservi ammessi. Ai soccorsi che a questo
scopo si son loro prestati nel corso della missione si aggiunge, la vigilia di quel gran giorno, una
esortazione viva e tenera, propria a preparare quei giovani cuori a ricevere l'Agnello immacolato,
e seguita all'indomani da un' altra che precede immediatamente la comunione. In quel giorno, in
cui la meno animata divozione si risveglia alla vista di un buon numero di giovanetti pieni di
fede e di amore, si chiude d'ordinario la missione. Vien questa terminata con una processione
solenne io rendimento di grazie. I piccoli fanciulli, che senza essere capaci di comunicarsi lo
sono pur troppo di offendere Iddio, hanno parte a' frutti della missione: s'inspira loro un santo
orrore al peccato, si ammaestrano ad essere modesti in chiesa, si fa loro concepire del dolore per
i loro falli, e non potendosi far meglio, s'insegna loro almeno a confessarsi {247 [461]} in
progresso colla necessaria sincerità e radenza.
Riguardo a' missionari Vincenzo esigeva da essi fede viva e perfetta confidenza in Dio
per non cedere alle pene ed alle con traddizioni, dalle quali il loro ministero è sovente
combattuto; mortificazione a tutta prova per sostenere la lunghezza del lavoro, gl' incomodi dell'
abitazione ed il rigore delle stagioni; pazienza invincibile per sopportare la rustichezza
grossolana di coloro che sono il principale oggetto delle loro cure; semplicità piena di prudenza
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per istruirli e guidarli a Dio; indifferenza grandissima riguardo agi' impieghi, a' luoghi, ai tempi
ed alle persone, per non aver altra volontà che quella di Dio; finalmente umiltà profonda e
dolcezza inalterabile soprattutto quando trattasi di eretici.
Porremo termine a questo capitolo coll'analisi di un discorso che Vincenzo fece ai suoi
intorno alla necessità delle missioni. Dopo di aver stabilito con S. Paolo che ognuno deve
camminare sulle pedate della sua vocazione, disse che le missioni sono l'impiego principale della
sua congregazione, che non si è incaricata de' seminari {248 [462]} e della cura degli ordinandi
se non pel bisogno di. preparare degli uomini propri a conservare i frutti delle missioni, e che in
ciò ha imitato i guerrieri i quali, per non perdere una fortezza conquistata a viva forza, pongono
in essa buone guarnigioni; che per animarsi a fare delle buone missioni devono pensare che un'
interna voce intima ad ognun di essi: «Uscite, Missionari, andate colà dove io v' indirizzo: eccovi
delle povere animo che vi aspettano: la loro salvezza dipende in parte dalle vostre predicazioni e
da' vostri catechismi........ Che risponderemo a Dio, proseguiva il Santo, se per colpa nostra
accadesse che qualcheduna di quelle povere anime morisse e si dannasse? Non avrebbe forse
ragione di rimproverarci esser noi in qualche modo la causa di sua perdizione per non averla
assistita quando era in nostro potere di farlo?E non avremmo forse motivo di temere che Dio ce
ne chiedesse conto all'ora di nostra morte? All'opposto se corrispondiamo fedelmente alle
obbligazioni a della nostra vocazione, non avrem forse ragion di sperare che Dio aumenterà di
giorno in giorno sopra di noi te sue grazie, {249 [463]} benedirà i nostri lavori, e finalmente tutte
quelle anime, le quali col mezzo del nostro ministero avran conseguita l'eterna salvezza,
renderanno testimonianza a Dio della fedeltà nell' adempimento delle nostre funzioni?»
Dopo di aver dedotto dal testo evangelico: Evangelizare pauperibus misit me, che la
santificazione de' poveri fu una delle principali funzioni del salvatore, dimostra a'suoi preti
quanto sarebbe per essi pericoloso il trascurare questi membri sì abbietti agli occhi degli uomini,
ma sì preziosi a quelli di Dio: applica ad essi quelle parole di S. Ambrogio: Si non pavisti,
occidisti. Parole, dice egli, vere quando trattasi dei nutrimento dell' anima anche più di quando
riguardano soltanto quello del corpo; e ne conchiude, che un missionario deve tremare so a causa
dell` età, o sotto pretesto d'infermità, si rallenta e dimentica che Dio riposa su di lui per la
salvezza de'poveri, perchè la salvezza dei poveri è un affare di cui si è incaricato presso Dio.
Il Santo si obbietta in seguito in nome di coloro che si prendono troppa cura della
conservazione della loro sanità, che il lavoro {250 [464]} delle missioni può abbreviare i loro
giorni. «Ma, replica, qual uomo, al pari di s. Paolo, non bramoso che della morte per essere più
presto unito a Gesù Cristo: E che? sarà forse una disgrazia per colui che viaggia in un paese
straniero lo accelerare il suo cammino, e lo approssimarsi alla patria? sarà forse una disgrazia per
un' anima fedele andare a vedere e possedere il suo Dio?? e finalmente sarà forse una disgrazia
per i missionari andare dare più presto a godere la gloria che il Divin Maestro ha loro comprato
ce' suoi patimenti e colla stia morte? E che? temeremo forse di veder succedere una cosa che non
sapremmo desiderare abbastanza, e che accade sempre troppo tardi? Or quel che dico a' miei
preti, lo dico eziandio a quelli che noi sono. Si, miei fratelli, siete al pari di noi obbligati a
lavorare per la salvezza de' poveri; potete farlo a modo vostro e siete a ciò obbligati, essendo con
noi membri di un medesimo corpo, in quel modo che tutti li membri del sacro corpo di Gesù
Cristo hanno cooperato ognuno per la sua parte all' opera della Redenzione, {251 [465]} poichè
se il suo capo fa trafitto dalle spine, i piedi furono forati da' chiodi, e se dopo la Risurrezione
quel sacro capo fu coronato di gloria, i piedi vi hanno partecipato.» Cosi parlava il sant' Uomo. e
dalla prima sua missione fino alla morte non cangiò mai. Diceva che si sarebbe creduto assai
felice, se avesse potuto terminare la sua vita accanto ad un cespuglio lavorando in qualche
villaggio. Molti ecclesiastici commendevoli per iscienza, per divozione, per qualità, tratti dal suo
esempio si associarono a'suoi lavori. «Chi potra, esclama lo scrittore di sua vita, concepire la
moltiplicità de' beni che ne provennero per la gloria di Dio e poi l'utilità della sua Chiesa? Chi
potrà dire quante persone, che vivevano in una colpevole ignoranza delle cose della salvezza,
sono state istruite nelle verita che erano obbligati di sapere' Quanti altri, la cui vita marciva nel
peccato, ne vennero strappati col mezzo di buono confessioni generali? Quanti odi sradicati,
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quante usure abandite, quanti matrimoni nulli convalidati, quante restituzioni fatte, quanti
scandali tolti? Ma eziandio quanti {252 [466]} esercizi di religione, e quante pratiche di carità
stabilite in luoghi, uve il nome dì carità e di religione sembrava sconosciuto! Quante elemosine
fatte da persone che lino allora erano sembrate inaccessibili alla misericordia! Quante anime per
conseguenza santificate, e che in vece della gloria di cui godono oggidì nel seno di Dio sarebbero
in mezzo dei demoni nell' inferno!»
Frutto. Non lasciamo mai di andare alla predica ne' giorni festivi. Che se il nostro stato
non comporta di occuparci nel sacro ministero, recitiamo cinque Pater alle piaghe di Gesù Cristo,
affine di ottenere che niuno di quelli che muoiono in questo giorno vada all' inferno. {253 [467]}
Giorno vigesimoottavo. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezze
delle anime.
Passa un legame necessario fra lo zelo della gloria di Dio e quello della salvezza delle
anime. «Chi mai dovrassi riguardare come un uomo divorato dallo zelo della casa di Dio?
domanda s. Agostino. Si è colui, risponde lo stesso Dottore, che desidera ardentemente d'
impedire che Dio sia offeso; fa riparare quelle offese le quali non ha potuto prevenire; e quando
non può giungere allo scopo di farle piangere da coloro che le hanno commesse, piange e geme
di veder Dio disonorato.» Su questo fondamento bisogna convenire che Vincenzo ebbe in
altissimo grado il doppio zelo di cui parliamo. Quanto finora dicemmo prova il suo unico scopo
essere stato di distruggere il peccato, e che in tutte le sue opere sempre attese a procurare la
gloria di Dio e la santificazione del prossimo. Il suo zelo fu saggio, illuminato, invincibile e
scevro da ogni motivo d'interesse; dimostreremo questi quattro punti con prove di fatto. {254
[468]}
In primo luogo il suo zelo fu saggio, non mai violento; correggeva coloro che si
trovavano sotto la sua guida perchè era obbligato di farlo; ma nelle sue riprensioni non si
ravvisava quell' amarezza che svela il capriccio e la parzialità. Aveva il mirabil talento di dare
dei pareri qual uomo che combatte un male attuale e vuole prevenire un male che si potrebbe fare
in progresso. Nelle missioni egli tuonava centro al delitto, ma dopo avere spaventato il peccatore
gli inspirava della confidenza. Senza lusingare l'empio, aveva per lui i riguardi che una madre ha
per suo figlio. Distribuiva a quelli che erano già forti un nutrimento solido. ed il latte a quelli che
si erano poc' anzi convertiti. Parlando a'grandi del secolo non alterava punto la verità; ma questa
verità si sovente odiosa la faceva passare alle ombre del rispetto, della tenerezza, e dell'alta idea
che si ebbe sempre della sua probità.
Lo zelo di Vincenzo era pur anche illuminato. Le massime del Vangelo, l'autorità de'
Padri, le decisioni de'più celebri dottori furono le sue guide. Ve ne sono forse delle più sicure?
Per tal modo si allontanò sempre in fatto di morale e dal rigorismo, e dalla {255 [469]}
rilassatezza. Un gran fondo di buon senso, le sue relazioni amichevoli con tutti i migliori della
facoltà di teologia di Parigi, la sua attenzione a ricorrere a Dio ne'suoi dubbi, in una parola tutte
le sue buone disposizioni di grazia e di natura lo condussero per quel cammino sicuro che sta in
una giusta distanza dagli estremi.
Il suo zelo fu ancora invincibile; quale forza e costanza non ha dovuto avere un uomo che
sollevò e fece sollevare per un si lungo corso d'anni vaste provincie, li cui bisogni rinascevano
giornalmente? Un uomo che, per provvedere a' poveri di parecchi ospedali, ebbe a superare
difficoltà d'ogni genere; un uomo che oppresso dalle infermità e nell'età di 80 anni faceva delle
missioni, predicava, confessava, catechizzava i fanciulli; un uomo che, quando trattavasi della
gloria d'Iddio e della salvezza delle anime, non temeva difficoltà, non perdonava a fatica, non
risparmiava a spesa. «Oh! signori, scriveva per incoraggiare i suoi figli a lavorare con zelo, se la
congregazione che si trova ancora sul suo nascere, ha avuto il coraggio di fare tante missioni,
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tante conferenze, tanti ritiri, tante {256 [470]} riunioni, tanti viaggi per li poveri, di stabilire tanti
seminari, tante associazioni di carità, e d' abbracciare tutto queste differenti occasioni per servir
Dio, farà certamente qualche cosa di più, allorchè il tempo le avrà dato dello forze, purché sia
fedele alla grazia della sua vocazione. Se la salvezza di un'anima sola merita che per procurarla
espongasi la vita temporale sarebbe cosa indegna l'abbandonarne un si gran numero per evitare
qualche spesa.»
Finalmente il suo zelo fu disinteressato. Ben lontano dal passare i mari o dal percorrere le
campagne all'oggetto di mietervi il temporale de'popoli, rendeva loro a proprie spose tutti i
servigi che dipendevano da lui. Neppur voleva che nelle missioni si accettasse l'elemosina delle
messe, che dicevasi per loro: voleva che si distribuisse agli ammalai da que'medesimi che la
presentavano. Se un parroco ricco offeriva la sua mensa, era proibito di accettarla. «Un
missionario che lavora coll'altrui borsa non è meno colpevole di un cappuccino che tocchi il
danaro. Io vi prego una volta per sempre di non far mai missioni se non che a spese della vostra
casa.» {257 [471]}
A questo primo genere dì disinteresse Vincenzo ne congiungeva un altro più difficile e
molto meno comune. Sciolto dallo spirito di gelosia, contro di cui molli, che percorrono la stessa
carriera, non stanno sempre in guardia, il suo zelo era simile a quello di Mosè. Al pari di liti
desiderava che lutti avessero lo spirito del Signore, vedeva i loro successi colla santa gioia
de'figli di Dio, li pubblicava ovunque, e rendeva loro de' servigi, quali la maggior parte di essi
non mai conobbero. Per far risaltare i loro lavori s'induceva pertino a diminuire i propri. Nella
sua congregazione non ravvisava se non spigolatori poco abili, che seguono da lungi i grandi
mietitori, e che per trovar grazia innanzi a Dio dovevano credere che i loro piccoli manipoli di
spighe non venissero accettati che col favore dell' abbondante raccolta.. degli altri. Sta se quel
grand'uomo ha detto col Saggio di aver procurato di rammucchiare quei pochi grappoli che
sfuggono a'vendemmiatori, la Chiesa nel suo uffizio gli fa dire in oggi che malgrado ciò ha
riempiuto lo strettolo: Et quasi qui vindemiat, replevi torcular. Il lettore l' ha potuto conoscere
fin qui: le massime e lor' irito del servo di Dio si seno sostenute fin {258 [472]} al presente in
tutta la loro integrità fra i missionari. Questo basti per far conoscere che lo zelo di Vincenzo fu
saggio, illuminato, invincibile e disinteressato.
Frutto. Una limosina per l'opera della propagazione della fede; e non potendo farla si
vada ad ascoltare una messa per ottenere dal Signore la conversione di tante anime che giacciono
miseramente nell' ignoranza delle verità del Vangelo.
Giorno vigesimonono. Del sito disinteresse e del suo disfanno dai
beni della terra.
Un uomo particolare che aveva dato un fondo di quattromila lire per le missioni. cadde
nel bisogno; come Vincenzo ne fu informato, gli scrisse di prenderne la rendita, aggiungendo che
se quello non bastava, gli avrebbe novellamente ceduto il capitale; e per indurlo a dichiarare il
suo pensiero con maggiore libertà, gli fece sapere non essere {259 [473]} questa la prima volta
che operava in tal modo. Alcuni anni dopo avendo temuto che uno dei benefattori della sua
congregazione, che si diceva molto a male ne'suoi affari, si rimproverasse la sua propria
liberalità. «Vi supplico, gli disse Vincenzo, di far uso degli averi della nostra campagna come se
fossero vostri. Siamo pronti a vendere per voi tutto ciò che abbiamo, e fino i nostri calici: non
faremo con ciò se non quello che ordinano i santi canoni, cioè di rendere al nostro fondatore nel
suo bisogno quello ch'egli ci ha dato nella sua abbondanza, e ciò che vi dico, signore, lo dico
innanzi a Dio, e conce lo sento nel fondo del cuore.»
Un gran numero di signore di primo ordine avendo offerto al santo Sacerdote la somma
di seicentomila lire per fabbricare una nuova chiesa, non volle accettarla, ed allegò per ragione
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che i poveri ne soffrirebbero, e che i primi tempi, che dimanda Gesù Cristo, sono quelli della
carità e della misericordia.
Gli fu mossa una lite, e tutti dicevano essere ingiusta; nulladimeno Vincenzo la perdette.
Alla prima notizia ch'egli n'ebbe, scrisse ad {260 [474]} un suo amico: «I buoni amici si
partecipano il bene ed il male che loro accade; e siccome voi siete uno de' migliori che noi
abbiamo, non posso a meno di comunicarvi la perdita fatta della lite e del podere, non già come
un male che ci sia avvenuto, ma come una grazia fattaci da Dio affinchè voi vi compiacciate
aiutarci a ringraziarvelo. Io appello grazia di Dio le afflizioni ch'egli c'invia, soprattutto quelle
che sono bene ricevute; ora la sua bontà infinita avendoci disposti a questa privazione innanzi
ch'ella fosse ordinata, ci ha fatto consentire a quest' accidente con una intera rassegnazione, ed
oso dire con tanta gioia come se ci fosse stata favorevole. Sembrerebbe questo un paradosso a
chi non fosse tanto avanti, come voi lo siete, nelle cose del cielo, ed a chi non sapesse che la
conformità al piacere di Dio nelle avversità è un bene maggiore di tutti i vantaggi temporali.»
Lettera al signor Desbardas membro della camera de' conti.
Sparsa la novella della sentenza, un gran numero de'più insigni avvocati impegnarono il
sant'Uomo ad interporre l'appello; uno fra gli altri l'assicurò ch'esso era infallibile, e si {261
[475]} offerse non solamente a patrocinare senza retribuzione, ma ancora ad indennizzare la casa
di s. Lazzaro se avesse per la seconda volta la disgrazia di soccombere. Malgrado queste
sicurezze Vincenzo non volle appellarsi: «Quantunque siamo assicurati, scriveva al succitato
amico, di essere ben fondati a col provvederci in appello, noi non posa siamo risolverci ad
interporlo; perchò otto a avvocati che abbiamo consultati congiuntamente e separatamente prima
della sentenza che ci ha spossessati, ci avevano sempre assicurati che il nostro diritto era
infallibile; ciò non ostante la corte ha giudicato diversamente: tanto è vero che le opinioni sono
vario, e che non bisogna mai a appoggiarsi sui giudizi degli uomini. 2. Una delle nostre pratiche
nelle missioni essendo di comporre le differenze del popolo, vi a sarebbe a temere che se la
compagnia si ostinasse in una nuova contestazione coti a questo appello, che è il rifugio de'più
gran litiganti, Dio non ci togliesse la grazia di lavorare per gli accomodamenti. 3. Noi daremmo
un grande scandalo, dopo un giudizio sì solenne, litigando per distruggerlo; saremmo biasimati
per troppo attacco ai {262 [476]} beni, rimprovero solito a farsi agli ecclesiastici, e facendoci
nominare ne' magistrati. noi faremmo torto alle comunità, e saremmo causa a'nostri amici di
scandalizzarsi di noi. 4. Noi abbiam motivo di sperare, che se il mondo ci toglie qualche cosa da
una parte, Dio ce ne accorderà dall’ altra. Lo abbiamo provato dacchè la corte ci ha tolto il
possesso di quella terra, perchè Dio ha permesso che un consigliere della medesima camera ove
siamo stati giudicati, ci lasciasse, morendo, quasi altrettanto. Finalmente per dirvi ogni cosa, ho
gran pena d'andare contro il consiglio di nostro Signore, il quale non vuole che, chi prende a
seguirlo, si metta a litigare, e se l'abbiamo fatto è solo perchè non poteva in coscienza
abbandonare un bene di comunità, di cui non aveva che l'amministrazione, senza fare il possibile
per conservarlo: ma ora che Dio mi ha scaricato di questa obbligazione con una sentenza sovrana
che ha reso inutili le mie cure, penso dobbiamo qui fermarci.»
Sebbene gli occhi de'più illuminati del suo secolo l'abbiano trovato grande in ogni cosa,
non l'hanno forse giammai trovato più {263 [477]} grande di quando lo hanno osservato nel suo
distacco assoluto da' beni della terra. «In qualità di segretario di stato, dice un celebre
personaggio, fui in grado di avere una stretta relazione col signor Vincenzo. Egli ha fatto più
opere buono in Francia a riguardo della religione e della Chiesa, a che qualunque altro a mia
cognizione; ma ho particolarmente osservato che al consiglio di coscienza, ov'era egli l'agente
principale, non mai si parlò de'suoi interessi, nè di quelli della sua congregazione, e nemmeno di
quelli delle cose ecclesiastiche che aveva stabilite. Impiegava il suo credito in favore di tutti
coloro che ne credeva degni; e quanto a lui si era tolto dal catalogo di chi poteva sperar qualche
grazia. I suoi parenti più prossimi nulla ebbero da lui. Sovente fu sollecitato a favorire i suoi
nipoti; rispose sempre ch'egli amava meglio vederli vangar la terra, che vederti a beneficiari.» Il
che ha fatto dire che secondo le idee del mondo, nell' essere ci' che era stato alla corte, aveva
perduto più di quello avesse guadagnato. Se avesse dimandato per se la casa di s. Giuliano,
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certamente {264 [478]} l'avrebbe ottenuta, ma non pensò che a farla avere a coloro a' quali oggi
appartiene. Un anno di preghiere e d'istanze non potè determinare Vincenzo a prendere la casa di
s. Lazzaro, ed allorchè gli fu contrastata voleva abbandonarla; e l'avrebbe di fatto lasciata se non
gli fosse stato provato che non poteva ciò fare in coscienza, ed ora sì indifferente per il
favorevole o contrarie successo di quel grande affare che i suoi giudici maravigliati non poterono
trattenersi dal dire che bisognava che il signor Vincenzo fosse un uomo dell' altro mondo.
Un ecclesiastico gli recò cinquecento scudi; ma Vincenzo benchè ridotto ad un estremo
bisogno, li rifiutò', dicendogli che duemila poveri ch'erano ammalati ne avevano anche maggior
bisogno di lui. ti procuratore regio in, una delle più grandi città del regno gli diede, avanti d'
entrare nella sua congregazione, una possessione di cui era padrone; ma Vincenzo la restituì
a'suoi parenti perchè questa donazione non era stata da loro gradita.
Il distacco del santo Sacerdote si estendeva fino alla sua congregazione, e voglio {265
[479]} dire che non avrebbe voluto tare, nè soffrire che i suoi facessero un sol passo per
procurargli i migliori soggetti od i più bei stabilimenti; la massima di lasciar fare tutto a Dio,
d'abbandonarsi a lui senza riserva alcuna, di seguire e non già di prevenire la sua provvidenza, si
ripeto si spesso nelle sue lettere, che si vede non averla mai perduta di vista.
Seguitò egli lo stesso metodo per le figlie della carità. Non solamente non avrebbe voluto
ch'esigessero degli stabilimenti, ma voleva di più che fossero disposte a sacrificare quegli stessi
che avevano. Le ritirò da un luogo dove erano state chiamate, perché non vi avrebbero potuto
restare senza cagionare delle contestazioni.
Frutto. Pensiamo a diminuire qualche spesa domestica per darla a'poveri, specialmente in
questi tempi in cui si rende tanto grave il bisogno di soccorrere persone bisognose di ogni età e
di ogni condizione. {266 [480]}
Giorno trentesimo. Sua preziosa morte.
Due sono le cose che sogliono turbare in punto di morte; i peccati della vita passata, e il
dover comparire davanti al Divin giudice. voi spesso vediamo uomini ridersi della morte e
burlare chi con opere buone ci si prepara. Ma costoro medesimi trovandosi in quello estremo di
vita, in quel momento che cessa la finzione e si parla delle cose come si conoscono in se stesse;
allora il rimorso dei bene trascurato e del male operato si farà più che mai sentire e l' infelice
mortale si vedrà dare nelle agitazioni, nelle smanie, e talvolta nella disperazione. Per costoro la
morte è il peggiore di tutti i mali; è per separarli per sempre dal mondo e trasportarti all'eternità
infelice pel loro mal vivere meritata. Delle anime buone non è così: più si avvicina il finir della
vita, più cresce nei giusti il desiderio di andarsi unire a quel Dio che hanno amato e servito. Se
qualche volta Iddio permette che anche le anime buone all'idea di doversi presentar al rigoroso
suo tribunale ne rimangano di timore e di spavento {267 [481]} ripiene, Egli stesso corre in loro
soccorso, le conforta, le riempie di coraggio, di confidenza, di rassegnazione; la morte di costoro
è preziosa negli occhi del Signore: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius.
Vincenzo niente aveva a temere; tutto aveva a sperare. Egli trovavasi alla fine de' suoi
giorni con una vita condotta nell' innocenza e nella pratica delle più elevate virtù Era sfinito di
forze, ma forze tutte consumate in opere di carità, forze consumate nelle prigioni, negli ospedali,
nelle carceri, nel predicare; confessare, catechizzare; poteva egli dire ciò che diceva s. Metro al
suo divin maestro: ho fatto quanto mi comandaste, perciò qual premio ora volete darmi?
Nell'accorgersi che si andava vicinando l'ora sua, ne parlava con umiltà e con desiderio di andar
presto a vedere il suo Dio. Allo volte diceva a' suoi: fra pochi giorni il cadavero di questo
vecchio peccatore sarà posto sotterri, ridotto in polvere, e voi lo calpesterete. Altre volte
riflettendo al numero de' suoi anni esclamava: oh Signore, io vivo troppo lungamente già non mi
emendo, e i miei peccati si vanno coll'età moltiplicando. {268 [482]}
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Tutta la vita di lui fu una continua preparazione alla morte, nulladimeno negli ultimi anni
si dispose a questo gran passaggio con maggior fervore. Fece gli esercizi spirituali, pregava,
faceva pregare altri per lui. Ogni sua parola, ogni pensiero, ogni azione ad altro non tendeva che
all'anima, a Dio, all'eternità. Era maturo pel cielo. Cadde in una malattia. per cui più non pigliava
sonno nè di notte, né ili giorno. Il che giudicando foriere di sua morte, per modo di scherzo
diceva: il fratello sta aspettando la sorella. Non potendo più celebrare la santa messa continuò a
sentirla e fare la comunione tutti i giorni fino alla vigilia ili sua morte, 26 settembre. In tale
giorno, dopo di avere soddisfatto a' soliti esercizi di pietà, si trovò talmente, sfinito di forze, che
fu costretto a farsi portare dall' Oratorio in sua camera, dove fu assalito da un letargo che
pronosticava il fine prossimo de' suoi giorni. Si fece venir il medico, e questi, esaminato lo stato
del male, disse non esservi più luogo a rimedio, nè speranza di vita. Si licenziò pertanto da
Vincenzo, il quale con bocca ridente gl' indirizzò alcune parole di ringraziamento, senza però
poter finire di pronunziarle. {269 [483]}
Uno de' sacerdoti più anziani della casa gli chiese la benedizione per se e per tutti quelli
della congregazione, tanto presenti, quanto assenti. Fece egli tino sforzo per alzare alquanto la
testa e proferire le solite parole della benedizione; ma dopo averne proferite distintamente
alcune, mancandogli le forze, prosegui il restante sotto voce. La sera gli fu amministrata
l'estrema unzione; e passò tutta la notte in una dolce, tranquilla e continua applicazione a Dio.
Gli astanti accorgendosi che aveva una particolare divozione a quelle parole del Salmista: Deus,
in adiutorium meum intende; Domine, ed adiuvandnm me festina: mio Dio, porgetemi pronto
aiuto; Signore, venite presto in mio soccorso: spesso gli replicavano la parte dei primo versetto,
ed egli tosto rispondeva: Domine, ad adiuvandum me festina. Un ecclesiastico lo pregò di dare a
liti e a tutti gli ecclesiastici della conferenza la sua benedizione, affinchè niuno declinasse dalla
via diretta per la quale avevali indirizzati. Vincenzo con sentimento di umiltà rispose: quel Dio
che cominciò l'opera buona saprà conservarla. Quinci a poco tutto assorto in celesti pensieri,
senza {270 [484]} fare alcuno strepito, conservando la solita serenità di volto e tranquillità di
spirito a guisa di chi dolcemente piglia sonno, riposò nel Signore. Mori in Parigi nell'anno 85 di
sua età il 27 settembre 1660.
Sparsa la notizia della morte di Vincenzo, udissi risuonare da ogni parte: è morto il Santo.
Piansero gli orfani, piansero le vedove, e tutti i poveri esclamarono con lagrime: è morto il
nostro padre, il nostro rifugio, il nostro sostegno. Sacerdoti, prelati, cavalieri, senatori e principi,
e assai più quelli della stia congregazione, furono inconsolabili. Ma i singhiozzi di dolore
cangiaronsi nella più tenera consolazione al pensare che perdendo uri sostegno in terra avevano
acquistato un protettore in cielo.
Ecco la morte dei giusti; amati da Dio e dagli uomini, desiderati in terra e glorificati in
cielo; muore il giusto; e vuol dire che cessa di fatigare in terra per regnare eternamente con Dio e
co' Santi in cielo. Ma bisogna persuaderci che in punto di morte si raccoglie il frutto dei bene
operato nel corso della vita: chi avrà ben operato si aspetti una santa morte, principio di una
beata eternità; ma guai a chi non vi si {271 [485]} prepara: Que seminaverit homo hæc et metet.
Frutto. Siamo in tempo a prepararci per morir bene. Disponiamoci a fare domani una
buona confessione ed una santa comunione come se fosse l'ultima di nostra vita: Gesù mio,
misericordia. Pio IX concede l'indulgenza di cento giorni a chi dice la suddetto Giaculatoria.
Giorno trentesmiprimo. Elogio per la festa del Santo.
Dilectus Deo et hominibus. Pare difficil cosa il piacere a Dio ed agli uomini; perciocchè
mentre uno studiasi di piacere a Dio per lo più incontra l’indignazione dei mondani, i quali punto
non capiscono le cose che al Signore riguardano. Tuttavia Vincenzo ebbe il doppio vantaggio di
essere {272 [486]} amato da Dio e dagli uomini. Il Dator d'ogni lume ricolmo avevalo de'suoi
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più preziosi favori: Una vita immacolata, una divozione sublime, una fede inconcussa, una
prudenza consumata, una pazienza superiore alle malattie le più acerbe, un coraggio infaticabile
tra i santi rigori della penitenza, un' umiltà nemica d'ogni ambizione, una mirabile facilità a
perdonare le ingiurie, e uno zelo per la salvezza delle anime, cui ninna difficoltà poteva nè
rimuovere, nè disanimare; ecco alcuni tratti caratteristici di Vincenzo. A, queste doti agiunger
conviene l'amabile sua franchezza, l'ingenua semplicità ognor guidata in lui dallo spirito di
saviezza, la modestia accompagnata da una santa giocondità, la tenera compassione verso de'
poveri, l'attenta ed incessante applicazione per restituire il primiero suo fervore alla religione ed
al clero l'antico splendore. Tal fu Vincenzo: Dilectus Deo.
Nato per riparare a grandi inali, ci visse in un tempo in cui l’ eresia e le guerre intestine
coperto avevano d'orrore o di desolazione la Francia intera. Da una parte scosso erasi il giogo
della religione, dall'altra {273 [487]} più non rispettavisi l'autorità regia. I principi stessi che
dovevano frenare la moltitudine davanle il funesto esempio della rivolta. Le provincie divise in
vario fazioni stavansi armate le une contro alle altre. Laddove il calvinismo era riuscito a
rendersi preponderante, vedevansi rovinato le chiese, rovesciati gli altari, fugati i sacerdoti,
oppure barbaramente scannati, vilipesi e indegnamente calpestati i nostri più santi misteri,
abolito il santo sacrifizio degli altari. Qual non fu mai il rammarico di Vincenzo non trovando
più la verità sulle labbra ingannatrici de'figli degli uomini, e veggendo poltrire ma maggior parte
dei pastori in una colpevole inerzia, ed i popoli in una profonda ignoranza? Ma non si stette già
egli ozioso spettatore di mali cotanto gravi, chè anzi ardentemente applicossi a scuotere lo zelo
de' pastori, ad illuminare i popoli, a ristabilire la caduta disciplina. Dilectus Deo. Il primo mezzo
da lui impiegato fu quello delle missioni. Animato dallo spirito degli Apostoli egli sparse il
Vangelo ovunque guidavamo la Provvidenza, autorizzate dai principali pastori. Il successo
corrispose ai suoi lavori; riaccese lo zelo del devo, e dove {274 [488]} non ali riuscì di
risvegliarlo, vi suppliva per se stesso, e per mezzo di degni operai da lui chiamati a compagni.
Per rendere più fecondo il suo ministero associo a quello gli uffizi tutti della carità: credevasi
risponsabile di tutto il bene che si trascurasse di fare,e di tutto il male che si commettesse.
Osservò che spesso le popolazioni della campagna non erano coltivate nè istruite; che gli stessi
loro pastori lasciavanle languire nell'ignoranza e nel disordine. Infiammossi lo zelo di lui a pro di
quelle; si credè appositamente spedito por annunziar moro il Vangelo, ed annunziammo con
gioia tanto maggiore, quanto che trovò presso di loro più semplice la fede, im cuore più docile.
Percorse con incredibile fatica me borgate, i villaggi, i più rimoti casali, i più inaccessibili
luoghi. Colà penetrò in cerca delle anime, vili bensi agli occhi degli nomini ma preziose a quelli
di Gesù Cristo. Insegnò loro i misteri di nostra santa religione, le regole della cristiana morale, e
ricondusse alla casa paterna quei figli prodighi. Dilectus Deo et hominibus.
Stabilitosi in Parigi, occupato io importanti incumbenze, non gli sfuggirono giammai
{275 [489]} di mira i suoi amici, vale e dire i poveri. La tenerezza per loro parve nata con lui,
rendevasi ad ogni ora più attiva e più ingegnosa per iscoprire e sollevare i loro bisogni. Noti
havvi maniera di opere di carità, per la quale non rinvenisse inesauribili mezzi. I vecchi curvi
sotto il peso degli anni, gli orfani, i trovatelli, i condannati alla galera, le intere provincie dalle
querre intestine ed estere ridotte alla più orribile miseria, tutti trovarono in Vincenzo un padre,
un liberatore. Agli uni procurò la salute, la libertà agli altri, a questi una cristiana educazione, a
quelli. un onesto ritiro. Per cura di lui sorsero in Parigi magnifici ospedali per servire di ricovero
ai poveri che ingombravano la vie di quella città. Non e' era bisogno che sfuggisse alla immensa
carità dei sant' Uomo, ed affinchè non mancasse cosa alcuna all' eroismo di opere così grandi,
alla cura delle anime quella ancora riuniva de' corpi. Dilectus Deo et hominibus.
Fu per tal modo Vincenzo uno di quegli uomini di misericordia, la cui divozione vivrà
mai sempre nei fasti della Chiesa. È Esso cui i re, i principi, i ministri, i {276 [490]} vescovi i
magistrati, la nobiltà, il popolo, riguardarono come il Santo del secolo: Egli fu il modello de'
pastori, il padre de' miseri, l’ appoggio de' vescovi, il consigliere dei re, il riformatore del clero, il
difensore della Chiesa, l’ anima di tutto ciò che durante la sua vita si fece di grande per la gloria
di Dio. Malgrado la povertà di cui faceva professione ha distribuito in vent'anni elemosine
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straordinarie. Il suo zelo non conobbe confini tranne quelli imposti all'universo. Senza uscire di
Parigi in movimento metteva la Francia, la Gran Brettagna, l' Italia e la Polonia. Dopo aver
saziato soli' ogni aspetto gli abitatori delle fredde Ebridi apportò nuove fiamme nei caldi climi, e
si sforzò di santificare ad un tratto e lo schiavo d'Algeri, e l'indigeno del Madagascar. Egli è, le
coi virtù eressero i propri trofei dell' uno e dell' altro popolo; che in tempi ne'quali la moltitudine
de' peccatori sembrava minacciare la religione di totale rovina seppe sostenerla ad onta de' loro
sforzi. Aprì alla medesima le case della sua congregazione come altrettanti asili, ed in quelle essa
non solamente acquistò nuove forze, ma fece innumerabili conquiste. {277 [491]} I cristiani, e
cui l'imbarazzo degli affari ed ancor più le proprio passioni, avevano chiuso gli occhi sulla gloria
della celeste loro origine, rinvennero in Vincenzo e ne' suoi figli altrettante guide illuminale,
altrettanti medici caritatevoli, che insegnarono loro a porre In non cote i beni caduchi della terra,
ad apprezzare quelli del cielo. Coloro stessi che, apportando un cuore innocente in quei santi
ritiri, vi andavano a formare il piano di un' alta perfezione, trovavano in Vincenzo mirabili
esempi d'ogni virtù. `Tali furono i frutti degli esercizi spirituali di dieci giorni che Vincenzo
stabili nello sue case. Mercè della solitudine, del silenzio, degli spirituali colloqui, della
preghiera, delle sante letture, la divozione vi rianimò e continuamente prosegue a vie più
rinvigorirsi. Dilectus Deo et hominibus.
Ma principale cura del santo Sacerdote fu l'affaticarsi per la riforma del clero, persuase
essere questo la sorgente, da cui la religione e la divozione si diffondono sui,popoli onde
contribuire a questa grande opera. Vincenzo s' incaricò di preparare, e seconda delle disposizioni
dei vescovi, gli {278 [492]} ordinandi al santo ministero. A tal fine non risparmiò spese nè
fatiche per metterli alla prova. Istruzioni, preghiere, tutto fu impiegato per animare gli aspiranti a'
sacri ordini e prepararli ad ascender all' altare coli' innocenza de' costumi e col profonde rispetto
dovuto alle sante funzioni. Degnossi Iddio di porre il nostro Santo in grado di fare qualche cosa
di più, preparando cioè dei degni vescovi per le chiese. Chiamato dalla regina madre Anna
d'Austria reggente del regno al consiglio di coscienza contribuì moltissimo a far innalzare degli
uomini apostolici alle primarie dignità della Chiesa: e si può asserire che il clero di trancia fu a
lui debitore del lustro, di' cui risplendette. Che diremo poi delle conferenze sulla sacra Scrittura,
sulla disciplina ecclesiastica, sui costumi de' pastori, delle quali Vincenzo fu il promotore' Che
diremo della moltitudine do' seminari di cui forni lo stabilimento, cui diede dei regolamenti ed
arricchì di saggi direttori? Dilectus Deo et hominibus.
Le caritatevoli, premure di lui tutto abbracciavano; la salute del corpo egualmente che la
salvezza dell anima formavano del {279 [493]} pari l'oggetto di sue vigili cure. Si vedeva
abbassarsi alle più umili funzioni verso i poveri, ed esortare i moribondi con quella eloquenza
dolce, insinuante, persuasiva, che animata dalla carità per lo più trova la ricompensa nel buon
successo. Alle riunite loro fatiche sono appunto dovuti quegli stabilimenti che servono d' asilo
alla miseria. Si videro essi posteriormente crescere in gran numero, e mediante la beneficenza de'
popoli, lo zelo de' ministri e la tenera pietà de' pastori, si moltiplicano eziandio ai giorni nostri
sotto la denominazione di ospizi di carità. Nell'Italia, nella Francia, in tutta l’ Europa sonori di
tali pii stabilimenti, dove innumerevole quantità di poveri abbandonati trovano scampo alla loro
miseria spirituale e temporale. Per tacer di tante altre città, la sola Torino conta due ospedali per
fanciulli infermi; una casa pesi trovatelli; un ricovero di mendici; parecchi ospizi di carità per le
persone adulte, sane od inferme; infine a' nostri giorni rediamo gloriosamente trionfare l’ opera
colossale della Piccola casa della Divina Provvidenza sotto gli auspizi di S. Vincenzo de'Paoli,
dove ogni sorta di miseria umana {280 [494]} trova rifugio e sollievo. Tali sono i frutti della
semenza sparsa da s. Vincenzo de'Paoli, di quel grand' Uomo raro a Dio ed agli uomini. Dilectus
Deo et hominibus.
Mentre noi ammiriamo le sante sue opere, adopriamoci anche per imitar te sue virtù, e
saremo sicuri di venir anche noi cari agli uomini; ma quello che più importa diverremo cari a
Dio, il quale saprà largamente ricompensare ogni nostra azione col ricolmarci di benedizioni in
terra per renderci un di partecipi della gloria che i beati, in compagnia di Vincenzo, godono in
Cielo per tutti i secoli de' secoli.
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Frutto. Facciamo del bene mentre siamo in tempo; siccome poi l'ozio è sorgente funesta
di tutti i mali: omnem malitiam docet otiositas; così la fuga dell'ozio, l'occuparsi in cose che
tornar possano gradevoli al Signore, conduce alla virtù, al paradiso. Così sia. {281 [495]}
Al glorioso S. Vincenzo de' Paoli
Che nato in Francia l'anno 1676, sedendo sopra la Cattedra di s. Pietro Gregorio XIII,
destinato alla custodia della paterna greggia, applicato agli studi, laureato in teologia, ordinato
sacerdote, fatto schiavo da' Barbari, venduto a tre padroni, l’ ultimo apostata riconduce alla fede,
riceve in Roma secreti importantissimi per Enrico IV. Parroco zelantissimo e vigilantissimo
rifabbrica in Clichy senza spese de' parrocchiani la chiesa che provede di mobili ed ornamenti,
passa a Chatillon in Bresse, riforma i disordini dei clero, converte eretici, soccorre i poveri, e il
popolo traviato per l’ errore riconduce sul sentiero della verità, ventottesimo abate di a. Leonardo
di Chaume nella casa di Filippo Emanuele de Gondi conte de Joigny generate delle Galere di
Francia, direttore di Francesca Margherita contessa di Silla, dama di gran virtù, aio illuminato
dei tre loro figliuoli di cui il primo Duca e Pari di Francia, il secondo Cardinal di s. Chiesa,
muore il terzo in età di undici anni; regio elemosiniere delle Galere di Luigi XIII, cui assiste in
morte, limosiniere della Regina vedova Anna D'Austria, {282 [496]} suo consigliere per gli
affari ecclesiastici, fondatore e primo superiore generale della congregazione de' preti secolari
della missione e delle figlie della carità serve dei poveri, di varie compagnie di dame, di donne,
di fanciulle in servizio degl'infermi, primo promulgatore del Vangelo nell' Isola di Madagascar
per mezzo de' suoi Sacerdoti, instancabile operarlo nella vigna del Signore, manda i suoi a
predicare per la Francia, Italia, Polonia, Scozia, Irlanda, Inghilterra, Barbaria e le Indie,
ristoratore zelantissimo dell'onor del Sacerdozio di Gesù Cristo ristabilisce il decoro dei Clero di
Francia, ripara l'ecclesiastica disciplina, fonda, promuove, dirige Seminari per li Chierici, apre
scuola di Riti Sacri in s. Lazzaro di Parigi, instituisce gli esercizi spirituali per gli ordinandi e
conferenze per gli Ecclesiastici, gli promuove per ogni sorta dì persone cui vuole aperte le case
di sua congregazione, acerrimo oppugnator del vizio e dell'errore, difende con zelo i principi
della fede e della morale dei vangelo, ha in orrore le nuove nascenti eresie, sempre sommesso
all'autorità della Chiesa e dei suo Capo successor di s. Pietro, ne difende i diritti, rispetta i
Vescovi, ubbidisce ai loro decreti, padre comune de'poveri, vero amico de miserabili per cui
soccorso spende oltre le molte limosine segrete piú {283 [497]} di ventotto millioni e ottocento
mila lire di Francia, fonda grandiosi Spedali dentro e fuori del Cristianesimo, cinque in Parigi per
gli, esposti, per li forzati, per gli artisti per li mendici, per li discoli e pazzarelli, uno per li
pellegrini nella terra di s. Regina diocesi d'Autun, uno in Marsiglia per li forzati, uno nella città
d'Algeri per gli schiavi cristiani, promuove e coopera alla fondazione di vari Ospizi pel ricovero
di fanciulle, provede di vitto cotidiano quindici mila poveri in Parigi e per trent'anni di medicine
e di alimenti a moltitudine grande d'infermi in Francia, in Savoia, in Italia e in altre Provincie più
rimote, rifugio di Ecclesiastici, di Religiose, di Dame, di Cavalieri costretti per amor della fede
di abbandonare la Scozia, l'Irlanda, l'Inghilterra, a tutti provede ricovero vitto e vestito. Di tutti
Vincenzo è padre, amico, consolatore, dispensa seicento mila lire ai popoli della Champagna e
della Lorena desolati dalla peste, dalla fame, dalla guerra, un millione e seicento mila lire a quei
della Lorena e dell'Ardesia, dodici mila scudi ai Maroniti del Libano, riscatta più di mille e
duecento schiavi col prezzo d'un millione e duecento mila lire, sostenta nello Spirituale nel
Temporale i Cristiani fra i Turchi io Tunisi, in Algeri, in Biserta, in Cales, in Petriera, ristora,
fornisce di arredi sacri molte {284 [498]} chiese saccheggiate e rovinate per le guerre in
procellosi tempi da intestine guerre civili, al popolo francese agitato oppresso pacifico mediator
tra lui e il trono, buon ordine ridona, giustizia, sicurezza e pace, lodato da s. Francesco di Sales
qual sacerdote di cui non conosceva nè il più degno nè il più prudente, avuto in sommo pregio da
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s. Gioanna Francesca Fremito de Chantal, scelto da entrambi in primo superiore e confessore
delle religiose della Visitazione di Parigi cito assiste coli canta, instruisce con zelo, regola con
prudenza per più di quarant'anni, amato da'sommi Pontefici, stimato da'più saggi Cardinali,
rispettato da più ragguardevoli personaggi, consultato cune oracolo del secolo da'Principi,
vescovi, Magistrati, Parroci, Dottori, Religiosi, Abati e Superiori di Comunità, benemerito di
tutti gli Ordini regolari in Francia ne riforma varie Abazie e Monasteri di uomini e di donne.
A Vincenzo de' Paoli
Che sempre applicato per la gloria di Dio, salute delle anime, decoro del Sacerdozio,
soccorso de'poveri, affabile con tutti,semplice, umile, retto, benemerito della Religione, della
Chiesa, dello stato, del 'umanità, pieno di meriti di virtù, di santità, di anni muore in s. {285
[499]} Lazzaro di Parigi sotto il Pontificato di Alessandro VII, reggendo lo scettro in Francia
Ludovico XIV, onorato nelle esequie dalla presenza del Principe di Conti, della Duchessa di
Aiguillon, di Monsignor Piccolomini Arcivescovo di Cesarea Nunzio del Papa, di molti prelati,
Parrochi,ecclesiastici, Abati, religiosi, Cavalieri, dame. annoverato trai Beati da Benedetto XIII
nel l729, solennemente. canonizzato in Roma da Clemente XII nel 1736, ammirato dappertutto
come eroe della Cristiana carità ed umiltà venerato con culto singolare dagli Ecclesiastici.
L'AUTORE
A NOME DE'SUOI DIVOTI
QUESTO LIBRO
DEDICA B CONSACRA.
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Indice
Cenni storici intorno alla vita di. San Vincenzo De'Paoli
Giorno I. Carattere di San Vincenzo de'Paoli
Giorno II. Sua imitazione di Gesù Cristo
Giorno III. Sua carità verso de'mendici.
Giorno IV. Amore del Santo per Dio.
Giorno V. Sua carità verso il prossimo e specialmente verso de' condannati
alle galere
Giorno VI. Servigi resi dal Santo ad ogni grado di persone
Giorno VII. Conversioni operate da San Vincenso de'Paoli.
Giorno VIII. Della sua dolcezza..
Giorno IX. Delle sue divozioni particolari
Giorno X. Dell' eguaglianza del suo spirito.
Giorno XI. Dell' umiltà di S. Vincenzo de'Paoli
Giorno XII. Della sua fede.
Giorno XIII. Delle sue massime.
Giorno XIV. Sua mortificazione....
Giorno XV. Sue occupazioni.
Giorno XVI. Sua pazienza
Giorno XVII. Sua povertà
Giorno XVIII. Sua prudenza.
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Don Bosco - Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà
Giorno XIX. Sua purità
183
Giorno XX. Sua Gratitudine.
192
Giorno XXI. Suo rispetto verso i Superiori ecclesiastici
197
Giorno XXII. Suoi ritiri spirituali.
204
Giorno XXIII. Sua semplicità.
214
Giorno XXIV. Della sua confidenza in Dio
221
Giorno XXV. Sua uniformità al divino volere
228
Giorno XXVI. Della sua condotta.
234
Giorno XXVII. Sue Missioni.
242
Giorno XXVIII. Suo zelo per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. 251
Giorno XXIX. Del ateo disinteresse e del suo distacco dai beni della terra. 259
Giorno XXX. Sua preziosa morte.
267
Giorno XXXI. Elogio per la. festa del Santo
272
Omaggio a San Vincenzo.
282
FINE
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