BARBERIS_Giulio-Vita_di_Francesco_di_Sales


BARBERIS_Giulio-Vita_di_Francesco_di_Sales



1 Pages 1-10

▲back to top


1.1 Page 1

▲back to top


I
i
SAC. TEOL. G I U L I O B A R B E R I S
•/ ' / •
DI
NUOVA EDIZIONE
Volume Primo
TORINO - 1919
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
Corso Regina Margherita, 114-176
CATANIA
Viti, Eni., 144
MILANO
Via Bocchetto, 8
* Hr •#-
PARMA
Libreria Fiaccadori
-
,

1.2 Page 2

▲back to top


PROPRIETÀ DELLA SOCIETÀ EDITRICE
Torino - Scuola Tipografica Salesiana
Via Cottolengo, 32
(N. 1419 — z M )
AGLI ALUNNI
DELL'ORATORIO S. FRANCESCO DI SALES
Dedico a voi con grande affetto, miei cari giovani,
questa Vita di S. Francesco di Sales, perchè fu il Ve-
nerabile nostro Padre D. Giovanni Bosco che mi inca-
ricò di scriverla e di scriverla proprio per voi ; Egli
v/esso me ne segnò, direi quasi, il programma : « Seri-
vere una Vita di S. Francesco di Sales adattata ai no-
stri giovani, nella quale sia come incarnata la vita
1 ristiana. » Io mi vi accinsi colla miglior buona vo-
lontà, vi lavorai con tutte le mie deboli forze ; ed ora
non saprei trovare altro mezzo più acconcio per farvela
gradire, che dedicandola a voi a nome di D. Bosco, di-
cendoci : leggetela e la troverete attraente : rileggetela e
ri(flettetevi sopra e troverete che vi farà del bene.
L ' indimenticabile nostro padre D. Bosco fu sempre
imantissimo di 5. Francesco di Sales e cercò sempre di
unitario. Fin da quando era aiicora semplice chierico,
[per farsi distinguere, da un altro, pure di nome Bosco,
\\>nava, faceziando, farsi chiamare Bosco di Sales, men-
ti' l'altro si faceva appellare Bosco di Nespole.

1.3 Page 3

▲back to top


\\ Quando poi, incominciati i suoi Catechismi, fu man-
dato in qualità di Cappellano all' Ospedaletto della mar-
chesa Barolo, e colà die' principio all' Oratorio, eravi
sulla parete d'entrata alle sue camere un dipinto a fre-
sco di San Francesco di Sales, ben tenuto e ben ornato, -
dipinto che tuttora si conserva, sebbene quasi affatto
sbiadito, - e che servì mirabilmente, m'assicurò il Teologo
Borei, altro dei cappellani che co7i lui abitava, a farlo
crescere nella divozione verso questo amabile Santo.
Trasportato finalmente l'Oratorio nel luogo ove pre-
sentemente si trova, facendo adattare a Cappella una /
tettoia (an. 1&46) e dopo qualche anno (1852) erigendo
una bella Chiesetta, atta a contenere i numerosi suoi
giovani, - Chiesetta che tuttora serve per l'Oratorio festivo
e per le funzioni private che non " si possono fare in
« Maria A usiliatrice, » - Don Bosco le dediccr a questo
glorioso Santo, e d'allora in poi V Opera sua fu definiti-
vamente intitolata a S. Francesco di Sales.
Ne solo egli era divoto di questo amabile Santo, ma
desiderava che ne fossero divoti anche tutti i Salesiani
e tutti i giovani de' suoi Oratorii e delle sue Case ; ed
è per ciò che volle se ne Scrivesse una vita, a loro adat-
tata. Egli era persuaso, che le virtù di questo Santo,
generalmente imitabili e condite di tanta dolcezza e soa-
vità, servirerebbero d'incitamento a imitarlo.
In vero, chi non si sentirebbe spinto a seguire le pe-
date di quest'uomo tanto dolce e caritatevole, che non
cercò altro, in vita sua, che far dei piaceri, far del
bene agli altri, alleviare le sofferenze di questa nostra
miserabile esistenza, e che seppe costantemente, con umiltà
e pazienza ammirabile, tollerare i difetti di tutti, ed
ancora scusarli e prenderne le difese? Di -quest'uomo
che fu sempre così affabile e grazioso nei modi, da farsi,
in ogni occasione, tutto a tutti?
.
Una delle cose che maggiormente mi preoccupò nello
stendere il racconto di questa vita, si fu di togliere nei
lettori l'apprensione e il dubbio della veridicità ed esat-
tezza delle cose che sono per raccontare di questo nostro
dolcissimo protettore ; poiché non credetti bene, in una
vita popolare come questa, sovraccaricare il libro di note
indicanti le fonti da cui i fatti sono desunti. Per questo
assicuro qui una volta tanto che mi servii sempre di
testimonianze degne di fede. Fu una gran fortuna che
Carlo Augusto di Sales, nipote al Santo, a<bbia scritto
minutamente in due grossi volumi quanto potè sapere
con• certezza intorno al Santo suo zio.
Questo biografo, prima di scrivere, fece ricerche stra-
ordinarie, e nel raccontare i fatti si mostrò di ima sin-
cerità e scrupolosità al tutto eccezionale. Dice egli stesso
nella prefazione d'aver diligentemente sfogliato tutti i
libri e gli scritti che fino allora altri avevano pubbli-
cato riguardo al Santo ; che visitò diligentemente tutti
i manoscritti che si trovavano nello studio dello zio,
negli archivi della Chiesa Cattedrale e nel palazzo muni-
cipale di Annecy e nei castelli di Salqs e di la Thuille,
dove Francesco dimorò lungo tempo; quanto esisteva
nelle mani della Madre dì Chantal, del Senatore Fa-
vre ': parlò poi lungamente con tutti i parenti, gli amici,
i Canonici e molti vecchi di Annecy : esaminò seria-
mente tutti i domestici e servi del Santo ; e tutto ciò
oltre a quello che aveva veduto direttamente esso 0 ap-
preso dal Santo medesimo in varie conversazioni.
L'opera sua riuscì tale, che la santa Madre di Chan-
tal, dopo d'averla letta, così si felicitò coIVAutore :: « Ho
una profonda persuasione (he il vostro lavoro sarà utile

1.4 Page 4

▲back to top


alla gloria di Dio e di grande consolazione agli uomini,
anche dei secoli avvenire, per /'accuratezza e fedele esat-
tezza con la qtiale avete registrate le azio?ii ed i varii
uffici che il nostro Santo fondatore disimpegnò nella sua
vita. L'opera vostra servirà di fondamento e di diret-
torio vero, ingenuo, sincero che gli scrittori potranno se-
guire d'oravanti nel narrare la sua vita. »
Questo è l'autore che io seguii costantemente. ( I ) Ma
varii fatti che non vennero a sua conoscenza f urono testi-
ficati con giuramento nei processi costrutti dalla Santa
Sede in occasione della sua Beatificazione e Canoniz-
zazione. Di questi pure potei fare tesoro. Ne trascurai
i lavori che sul nostro Santo si fecero in seguito, spe-
cialmente. mi servii delle fatiche dell' abate Hamori, par-
roco di S. Sulpizio a Parigi, accuratamente riveduto e
ritoccato dai sigg. Gouthier e Letourneau, di modo che
potete stare ben certi che tutto quello che racconto non solo
è credibile, ma è fondato su testimonianze irrefragabili.
*
**
Volendo scrivere specialmente per i giovani mi sono
dilungato un po' di più nel raccontare i fatti della gio-
vinezza del nostro Santo, de' suoi studi, del suo impegno
per crescere nelle virtù, del regolamento di vita che si
impose, e di quanto fece per riuscire ad assecondare la sua
vocazione. Mi fermai anche con piacere a descrivere minu-
tamente le sue fatiche apostoliche nella missione del Chia-
blese; mentre invece sorvolai su molti fatti del suo Episco-
pato, essendo essi meno utili e meno attraenti per voi.
(i) Histoire dn Bien-Heureux Francois de Sales Evéque et
Prince de Genève, composée par son nepveu Charles Auguste de
Sales. - Sixième édition - Paris, Louis Vives libraire éditeur, 13,
Rue Delambre, 1879.
Un' ultima cosa parmi importante notare qui. La
maggior parte degli scrittori della Vita di S. Francesco
di Sales sono francesi, e non registrarono alcuni fatti
avvenuti in Italia, 0 lo fecero molto brevemente. Ebbene!
Io misi tutto V impegno possibile per non tralasciare nes-
suno dei fatti ben accertati accaduti tra noi ; anzi ho
creduto pregio dell'opera di .parlare in copiose appendici
della Santa Sindone, del Santuario di Loreto, di quello
di Mondovì e di quello della Consolata in Torino, che
attirarono tanto l'affetto e la divozione del nostro Santo.
Ho diviso questo mio lavoro in quattro libri : i° La
gioventù di S. Francesco di Sales: 20 S. Francesco
Missionario nel Chiablese: S. Francesco Vescovo: f
Le virtù principali da lui praticate.

1.5 Page 5

▲back to top


i x;.
W
PREFAZIONE A QUESTA Vili EDIZIONE
L'aureola del Dottorato conferito a S. France-
sco di Sales gettò un nuovo lustro sulle sue Opere.
Per tale occasione si fecero ricerche speciali, sia sui
manoscritti di quelle stampate, sia su alcune che
erano rimaste inedite, e si ritrovarono anche molti
documenti non ancora pubblicati; e questo fece na-
scere il desiderio, e, quasi direi, fecero vedere il
bisogno di una edizione più completa ed accurata
delle sue Opere.
Il solerte Vescovo di Annecy promosse detta
edizione: le Visitandine di quel primo monastero,
possedendo i manoscritti del Santo ebbero la pa-
zienza di confrontarli, linea per linea, con le Opere
già stampate, le completarono, riscrissero in chiara
calligrafia le opere tuttora manoscritte, e, coadiu-
vate potentemente dal P. Machey, Benedettino, e
da altri celebri personaggi, che vi lavorarono at-
torno per molti anni, le ripubblicarono in accura-
tissima edizione, che cominciata nel 1892, solo ora
volge al termine.

1.6 Page 6

▲back to top


Da questa nuova edizione delle Opere del Santo,
edizione che al certo farà dimenticare tutte le altre
precedenti, si poterono anche ricavare varie notizie
intorno alla sua vita, che prima o non si conosce-
vano o non erano abbastanza accertate. In questa
ottava edizione mi servii di queste notizie per
migliorare notevolmente il mio lavoro.
*
**
Voglia il Signore benedire questa mia fatica,
e far sì che qualcuno di voi, cari giovani, dalla
lettura di questa Vita abbia da attingere nuova lena
per amare di più e' per servire meglio il Signore,
cercando con l'imitazione di questo gran Santo ren-
dersi di giorno in giorno più degno delle grazie
celesti, ed anche di essere da lui scelti per fare poi
del bene al prossirr\\o e contribuire così anche alla
salute di altre anime.
• - -, -
-
-
im
... m
(XW
LIBRO I
IL PERFETTO MODELLO DEL GIOVANE CATTOLICO
Non excidet — Non degenererà.
(Impresa di S. Francesco di Sales)

1.7 Page 7

▲back to top


C A P O I. >
Primi anni di S. Francesco.
L a fisionomia dei Santi. — « Figuratevi delle
belle colombe ai raggi del sole: voi le vedrete cam-
biar colore ogni volta che le mirerete da punti diversi,
perchè le loro piume sono così atte a ricevere i raggi
solari, che mescendo il sole la sua luce con le loro
penne vi formano tale moltitudine di trasparenze, che
producono una varietà grande di gradazioni e muta-
zioni di colori da vincere in bellezza le più gradevoli
perle preziose. »
Queste vaghe parole sono di S. Francesco di Sales,
il quale con -esse intende rappresentarci la diversità
delle doti, delle grazie e dei caratteri della Chiesa Cat-
tolica, che alla sua graziosa immaginazione apparisce
come una vaga colomba, come un giardino screziato
da infiniti fiori, ognuno dei quali ha pregio, colore e
profumo particolare.
Noi possiamo benissimo applicare queste parole ai
santi, che sono il fiore della Chiesa e del genere umano.

1.8 Page 8

▲back to top


r4 —
Essi, in una fede e carità medesima hanno ciascuno
un lustro proprio: altri- furono più dolci e teneri, altri
più fermi e forti ; ma tutti cercarono di imitare in ge-
nerale la vita di Gesù Cristo, autore e perfezionatore
di ogni santità; solo che ciascuno imitò una virtù par-
ticolarmente . In S. Francesco di Sales, d'indole af-
fettuosa, soave ed aperta è più che tutto imitata l'ama-
bilità del Divin Salvatore.
La sua vita può dirsi la pratica di quelle parole di
Gesù : « Imparate da me, che sono dolce ed umile di
cuore » e la realizzazione di quelle altre : « Beati i pa-
cifici, perchè possederanno la terra » cioè i cuori degli
uomini.
Noi procureremo di studiarlo bene questo caro ed
amabile Santo, e per prima cosa facciamoci qui un'im-
pegno di conoscere la Savoia e il castello di Sales, che
sono l'ambiente principale nel quale ebbe ad esercitare
la sua attività. 1
La Savoia ai tempi di S. Francesco. — (') La
natura varia, lieta, armoniosa della Savoia, specie nei
dintorni di Annecy è ben degna di ammirazione: splen-
didi laghi, altissime montagne, amene pianure, foreste,
prati, campi; varietà continue di vedute che si offrono
allo sguardo ad ogni passo ; le Alpi che serrano tut-
t'intorno le valli in mille maniere sempre nuove; il con-
tinuo scrosciar di torrenti e di cascate ; i molti villaggi
dove ferve una vita montanina, semplice e lieta; e da
per tutto l'espressione di una natura delicata, serena-
mente gentile e gioconda, piena di fantasia, che si tra-
duce e si fa sentire in mille modi. Tutto questo com-
plesso deve aver influito grandemente sulla formazione
( J ) Vedi la carta della Savoia posta in principio del volume.
del carattere del nostro Santo e contribuito efficacemente
a formare quello stile suo così simbolico, elegante, na-
turale e delicato..
I tempi in cui nacque il nostro Santo ricordano un
periodo ben notevole di un secolo che occupa un posto
importante nella storia della civiltà.
Gli eresiarchi Lutero e Calvino, con molti altri co-
rifei dell'errore, loro seguaci, avevano da poco alla-
gato il settentrione dell'Europa dell'eresia protestante.
Lutero aveva travolto dietro di sè quasi tutti gli stati
della Germania; Calvino aveva fatto strage specialmente
in Francia e nella Svizzera e poi, fermato il centro de1
suoi errori in Ginevra ; Enrico V i l i aveva sconquas-
sata tutta l'Inghilterra. Tutti e tre, come aveva molto
prima fatto Maometto tra gli Arabi; avevano sconvolto
e messo in rivoluzione tutti i luoghi dove potevano
comandare; e stabilirono l'errore con la guerra e la
spada, in mezzo a mille crudeltà, distruggendo Je
Chiesè, spezzando le croci e le sacre immagini, ucci-
dendo od esiliando i sacerdoti e i religiosi che non
volevano apostatare.
Per parlare solo di Calvino, poiché contro il cal-
vinismo ebbe da fare il nostro Santo, egli, riuscito a
cacciare da Ginevra le autorità costituite, e specialmente
il Vescovo che vi esercitava pure autorità civile, vi si
insediò in mezzo ad orrori incredibili. La Savoia, per
la sua posizione piantata come un cuneo tra la Fran-
cia, l'Italia e la Svizzera, e più ancora per le influenze
commerciali e per gli stessi vincoli di lingua, di. razza
e di aspirazioni con la Francia e con la Svizzera, non
poteva non risentirsi di queste lotte religiose. Alcune
regioni di essa, come il Chiablese, dovettero soccombere
all'urto dell'eresia, e le altre provincie ne vennero
minacciate e non resistettero agli assalti degli eretici

1.9 Page 9

▲back to top


— i6 —
se non per la vigorìa dei duchi di Savoia i quali,
benché avessero la loro capitale al di qua delle Alpi,
a Torino, stavano attenti a tutelare dall'errore i loro
dominii transalpini.
Alla nascita di S. Francesco il torrente di questa
rivoluzione religiosa e sociale cominciava a perdere la
sua impetuosità per la morte dei suoi corifei e per l'o-
pera ristoratrice del Concilio di Trento, e non aveva
più tanta forza riguardo la sua espansione ; ma era
tuttora furibonda e faceva sforzi disperati quando si
trattasse di perdere terreno, cioè si trattasse di ridurre
al cattolicismo paesi già caduti sotto gli artigli dejr
l'eresia.
Il castello di Sales. — Il castello di Sales dove
nacque S. Francesco era distante circa 12 chilometri
da Annecy (1) ed era posto nel comune e parrocchia
di Torens da cui non era lontano che mezz'ora di cam-
mino a piedi..
Carlo Augusto di Sales, nipote di S. Francesco,
descrive a lungo il castello e la camera dove nacque
il suo santo zio. (2) Ecco, ridotte in breve, le sue pa- ;
(1) La vera ortografia con cui si deve scrivere questo nome
è Annecy; ma ai tempi di S..Francesco si scriveva più comune-
mente Annessi : come pure si scriveva Ciamberì, Fossignì, italia-
nizzandoli, ma la' vera loro ortografia è Chambéry, Faussigny. '
Io vidi agli archivi di stato di Torino molte lettere scritte di prò-''
prio pugno di S. Francesco, e tutte portano Annesi o Anisì."
(2) V. Le Pourpris hìstQrique de la Maison de Sales. An-
necy 1659. In quest'opera Carlo Augusto impiega molte pagine
a dimostrare che il nome di Sales viene dai sacerdoti Salii, creati
da Numa Pompilio a Roma, i quali più tardi avrebbero anche
®re»*o sede in Annecy e avrebbero fondato il castello dove nac-
qdd^&Mnrancesco, il qual castello per ciò sarebbe stato per lungo
temDO. crenominato castello dei Salii, poi per mutar di lingue fu
d&tofeafetello di Sales.
17
role: — Sales è uno dei ^uogni
voia, posto com'è parte in piano, parte in poggio.
Sulla' prima spianata del castello, dinanzi all'entrata
principale vi ha un gran tiglio per dare ombra. (1)
Oltrepassata la porta, gli occhi sono ricreati da un
cortile messo ad arboscelli, e da un lungo porticato
sorretto da numerose colonne. Al fondo del cortile è
una torricella aperta, d'onde ci colpisce la vista della
vallata, della montagna e del giardino sottostante. Al-
l'angolo orientale sorge la cappelletta, tutta dipinta a
disegni architettonici e a paesaggi: essa ha il soffitto
in azzurro e smaltato di stelle : l'altare ha un quadro
j ad olio che rappresenta la crocifissione : gli ornamenti
dell'altare sono ad oro e lacca: insomma è un gioiello.
Fu in questo augusto tempietto che il nostro France-
sco, essendo in orazione, fu rapito almeno due volte -
} in estasia
Se all'uscire dalla cappella tu volgi a ponente vi
trovi una grande sala con una fuga di diverse stanze,
dalle quali, oltre l'ameno prospetto dell'orto, si gode
la vista delle colline, dei ruscelli e dei villaggi sparsi
di casali, sopra cui il sole, tramontando, gitta di grandi
ombre cilestri. Svoltando a destra eccoti una torre ben
j alta, costrutta in gran parte con pietre quadrate da
I taglio, che, per un gran numero di gradini disposti in
« giro, ti presenta quattordici porte, le quali mettono a
ventisei camere.
Saliti tre gradini di questa scala si entra nella ca-
mera detta di S* Francesco d'Assisi, per l'immagine
i di questo santo che ivi trovavasi. Questa, sebben an-
I gusta, è la camera più illustre che sia nel castello,
I
y
(1) Quest'albero esiste ancora ai nostri giorni, là dove era il
\\ vecchio castello, ora diroccato.
- 2 — BARBERIS, Vita di' S. Francesco di Sales.

1.10 Page 10

▲back to top


perchè in essa è nato' il nos.tro incomparabile Santo.
La decorazione è la stessa delle altre camere, ma ha
tre finestre, una a mattina, le altre due a mezzodì,
sui vetri sono graziosamente dipinte le armi
della casa di Sales.
Questi minuti particolari ci possono far conoscere
in qualche modo l'importanza di questo castello ; ma
nessuna descrizione basterà a rappresentare al vero la
grandiosità e magnificenza delle elevate montagne, che
fanno maestosa e impenetrabile corona, in lontananza,
alla vallata. Quivi tutto inspira gravità e raccoglimento,
l'anima quivi si solleva e si sente tranquilla, e assa-
pora il raro piacere di uno spettacolo di natura am-
mirabile, che perfettamente si armonizza coi ricordi
che ci richiama alla mente.
Ora il castello di Sales è rovinato; si è per altro
conservata religiosamente, e trasformata in cappella,
la camera dov'è nato il nostro Francesco. Quivi ac-
corrono in buon numero i pellegrini a pregare questo
gran Santo.
I genitori di Francesco. Venendo ora a par-
lare dei genitori di Francesco, io ho la consolazione
di poter asserire, che, se giammai famiglia potè meri-
tare di dar i natali ad un santo, dessa fu quella dei
signori di Sales. Entrambi erano tra . le famiglie più
nobili e celebri della Savoia, e, quel che è meglio, tra
quelle di più antica e consolidata fede.
II padre, che si chiamava parimenti Francesco, era
ad un tempo coraggioso ed abile guerriero, un diplo-
matico stato messo alla prova in missioni assai diffi-
cili, tutte riuscite bene, ed un fermo cristiano prati-
cante, il quale non lasciava mai passare il mese senza
accostarsi a' santi Sacramenti, e della fede faceva ani-
mare e regolare tutte le sue azioni. Era notevole in
lui una grande sobrietà, una prudenza straordinaria,
ed una bontà d'indole così grande, che tutti potevano
avvicinarlo ; anzi sovente egli si intratteneva famigliar-
mente anche coi più poverelli e coi servi.,
Questo buon signore aveva in tal orrore l'eresia
protestante., che non poteva sentirne parlare: era so-
lito chiamarla : un fungo formatosi in ima notte, dal fango
. della terra; uscita dal cervello di alcuni uomini scostu-
mati, che doveva unicamente il suo sviluppo al liberti-
naggio ed alla violenza; e la metteva in derisione as-
serendo, ch'essa era di dodici anni più giovane di lui,
essendo essa nata quando egli aveva già 12 anni. Il suo
giudizio retto e sodo, non arrivava a comprendere
come, si potesse opporre una. tal religione al cattoli-
cismo; a questo caro cattolicismo, che è bello e fer-
tile per l'autorità di tutti i secoli cristiani, e per la
successione continua de' suoi legittimi pastori, in ogni
tempo difesi nei loro passi dalla parola di Gesù Cristo :
Ecco ch' io sono con voi tutti i giorni fino alla cansuma-
zione dei secoli.
>
Egli era uno dei principali vassalli del duca di Sa-
voia,, poiché teneva contemporaneamente signoria di
ben otto feudi, tra i quali, il. più antico da lui posse-
duto essendo quello di Sales, da questo prendeva nome
il suo casato.
Iddio aveva preparato per questo generoso cri-
stiano una sposa degna di lui, nella persona di Fran-
cesca di Sionnaz, ricca e nobile donzella, che aveva
medesimamente animo generoso e grande, non men
che puro ed innocente. La loro unione fu celebrata il
20 maggio 1560, e, siccome la sposa portò in dote il
ricco feudo di Boisy, fu posta la condizione, sposan-
dosi, che i due consorti prenderebbero il nome di Boi-

2 Pages 11-20

▲back to top


2.1 Page 11

▲back to top


sy: di modo che quando si nominerà il signore o la
signora di Boisy, non si parla di altri, che del padre
e della madre di S. Francesco.
Questa signora era donna da potersi in ogni cosa
proporre a modello. La sua grande pietà verso Dio
la rendeva sollecita a compiere esattamente gli altri
suoi doveri : piena di riguardi e d'attenzione delicata
pel suo marito si studiava di piacergli in tutto, e tanto
era sollecita e diligente nel governo della casa, che in
ogni occasione manteneva la pace ed il buon ordine,
e vi faceva regnare il santo timor di Dio.
Essa medesima nel dopo pranzo faceva una pia let-
tura ai famigli; la sera poi faceva loro recitare le ora-
zioni in comune: e, frequentando essa molto i santi
Sacramenti, procurava che nessuno trascurasse questa,
che è la più importante e la più proficua di tutte le
pratiche religiose.
Entrambi poi questi sigilo^ trovavano la più cara
delizia in servire i poveri, sollevarli nelle loro neces-
sità e provvederli con tenerezza in tutti i loro biso-
gni. Nè si contentavano di fare ad essi parte delle loro
sostanze quando fossero venuti a cercare, limosina ; ma
ancorali prevenivano andandoli a trovare alle case loro,
essendo così anche meglio informati dei loro bisogni.
Questa religiosità e questa carità verso i poveri, noi
ne siamo persuasi, fu quella che arrecò la prosperità
e la felicità ed ogni altro bene in quella famiglia, poi-
ché il Signore medesimo ci fa dire nel libro di Tobia,
che la limosina libera dalla morte eterna, e ci fa tro-
vare grazia avanti a Dio: e nel Vangelo ripete: Date
e vi sarà dato, assicurandoci così, che coloro i quali
maggiormente fanno elemosina, maggiormente saranno
da Dio benedetti.
Io qui, fra l'altre cose, vi ho anche fatto notare,
o miei buoni giovani, la nobiltà dei genitori di Fran-
cesco, e ciò non è solamente perchè così vogliono, le
ragioni della storia; ma ancora perchè, a suo luogo,
possiate poi meglio valutare quanto grande sia stata
la generosità del suo animo nel rinunziare completa-
mente a quello, a cui sì grande parte degli uomini ve-
diamo non che aspirare, ma agognare.
Nascita di S. Francesco. — I virtuosi coniugi
vivevano cari a Dio ed onorati dagli uomini ; ma una
cosa mancava alla loro felicità. Sei anni erano trascorsi
dopo la loro unione, ed ancora non avevano avuto
prole. Pregavano, e un segreto presentimento diceva
al cuor della madre, che sarebbe nato da lei un fan-
ciullo benedetto da Dio, il quale un giorno diventerebbe
santo. Col cuore ripieno di .questa speranza la buona
signora si portava di spesso ai piedi degli altari effon-
dendosi in preghiere ed in lagrime.
Finalmente venne esaudita nelle sue aspirazioni, e
gioì al sapere che avrebbe dato alla luce un nuovo
adoratore al vero Dio. Una circostanza, assai conso-
lante per la sua pietà, venne ad accrescere in lei sì
cristiane disposizioni. A Chambery, capitale della Sa-
voia, conservavasi allora la santa Sindone, quel pre-
ziosissimo lenzuolo, che servì per involgere il corpo
del divin Redentore appena deposto dalla croce: re-
liquia sopra ogni altra preziosa, che ora si conserva
in Torino. In quell'anno appunto la duchessa Anna
d'Este, che aveva sposato Giacomo di Savoia, duca
- di Nemours e del contado Ginevrino, 'essendo venuta
ad Annecy, residenza ordinaria di suo marito, accom-
pagnata daj cardinale di Lorena e dal cardinale di
Guisa, con molti grandi signori e dame di corte, espresse
il desiderio di venerare quella santa reliquia, pel che

2.2 Page 12

▲back to top


ottenne ch'essa fosse portata ad Annecy, dove, nella
Chiesa della Madonna di Liesse (i) se ne fece la pub-
blica ostensione, perchè i novelli sposi col loro seguito
e il divoto popolo potessero venerarla ed ottenere, me-
diante le preghiere fatte avanti ad essa, quelle mag-
giori grazie di cui abbisognassero. (2)
A tale notizia esultarono di gioia i buoni signori
di Boisy, e corsero a prostrarsi dinanzi alla preziosa
reliquia. Commossi alla vista delle sacrosante piaghe
del Salvatore, ivi impresse, stettero lungo tempo oran-
do, non potendo stancarsi di considerare quegli elo-
quenti contrassegni della carità di un Dio per gli uomini.
La buona signora nelle lunghe ore che passò avanti a
quella immagine, pregando, non faceva altro che of-
frire a Gesù il bambino che le doveva nascere, scon-
giurandolo di tenerlo sempre per suo, non solo perchè
tutte le cose a lui appartengono, ma anche in virtù
del dono che gliene faceva.
Terminate queste affettuose preghiere, la buona si-
gnora sentissi tutta infiammata d'amore, e come inon-
data da gran copia di interne consolazioni, in modo
da non dubitare punto che Iddio non avesse accettata
l'offerta che gli aveva fatta. Il-Cielo sembrò mostrarle
con segni misteriosi, che la sua preghiera era stata
realmente esaudita, e che, qual nuova Anna, aveva
ottenuto un altro Samuele ; poiché, ora sembravate in
sogno vedere nel suo bambino un pastorello, che qua
e là correva per la campagna dietro numerose greggie
(1)^Esiste in questa chiesa la seguente iscrizione: « Dans cette
Eglise le 21 Juillet 1567 le Bienheureux S. Francois de Sales fuf
consacré à Dieu par sa mère, qui le portait dans son sein, de-
vant le S 4 Suaire de notre Seigneur, qui y avait été apporté de
Chambéry. »
(2) Vedi nell'appendice, in fine di questo capo, la Storia della
santa Sindone.
di pecore; ora lo vedeva coperto di abiti religiosi di
diversi ordini. Sogni senza dubbio, ma è ben lecito
arguire, che con quelli il Cielo abbia voluto dinotare
l'avvenire di questo fanciullo, che doveva essere in
pari tempo un pastore acceso di zelo per la salute delle
anime, ed un ardente protettore degli ordini religiosi,
che Francesco amò poi sem'pre sino a chiedere l'affi-
liazione alla maggior parte di essi.
Frattanto arrivò la festa dell'Assunta. Questa fu
per la buona signora un tempo di straordinario fer-
vore. Rinnovò a Dio, nella santa Comunione, l'offerta
del suo pargoletto; ed appunto nell'ottava di questa
festa, il giovedì 2 j ^ g o ^ t ^ i S 6 7 , nacque Francesco,
questo grande ornamento della casa dì Sales, l'onore
della Savoia, lo splendore della Chiesa, il santo fatto
secondo il cuor di Gesù. Governava allora la Chiesa
universale il piemontese S. Pio V, ed era duca di Sa-
voia il valoroso Emrrtanuele Filiberto, j
L a festa del suo battesimo. — Tutta la nobiltà
del vicinato accorse al castello di Sales per assistere
alle feste e alle cerimonie del battesimo. Al neonato
furono imposti i nomi di Francesco Bonaventura. Al
riferire di testimoni oculari, vi. era in questo tenero
bambino un non so che di dolce e di tranquillo, che
ispirava in tutti un caro presentimento della sua futura
santità; ed il padrino, signor Francesco de la Flechère,
proclamava altamente di aver avuto, nel tempo della
funzione, un'indicibile consolazione, e che non aveva
potuto distogliersi dal vivo pensiero,, che questo par-
goletto conserverebbe mai sempre la battesimale in-
nocenza.
Il padre, per mostrare a Dio la sua riconoscenza,
fece distribuire "ai mendìci abbondanti limosine; e in

2.3 Page 13

▲back to top


— 24 —
quel giorno, da mane a sera, quanti si. presentarono
alla porta del castello, sperimentarono gli effetti della
sua munificenza.
Questa allegrezza fu ben presto temperata dal do-
lore. La complessione del nato jpambino apparve sì
debole e delicata,. che temevasi di giorno in giorno
morisse. Non si poteva neppur toccarlo senza farlo sof-
frire, talché per tutto il primo anno lo si dovette tenere
involto nella bambagia; ma l'amorosissima mamma e
la nonna usarono verso lui tante sollecitudini, tante e
sì assidue cure, tenerezze e riguardi d'ogni sorta, che fi-
nalmente egli diventò forte e robusto; onde non solo spar-
vero i timori di perderlo, ma crebbe in loro il contento
nel vederlo crescere in età, in salute ed in saviezza.
Francesco fu il primogenito de' molti figliuoli onde
piacque a Dio benedire in seguito que' virtuosi con-
sorti. Dopo di lui nacquero ancora ai signori di Boisy
undici figli : ma cinque morirono in ancor tenera età.
I nomi dei superstiti furono : Gallo, che ereditò il nome
di signore di Boisy ; Luigi, che fu sempre il più intimo di
Francesco e conservò il nome di signore di Sales; Gian
Francesco, che da giovane aveva un'indole caparbia e
difficile, ma che seppe talmente correggersi da riuscire
buonissimo prete, poi vescovo, successore del suo santo
fratello; Gasparda, dama di Cornillon ; Bernardo che
sposò poi una figlia della Chantal ; e Giano che fu dei '
cavalieri di Malta,
L'aurora della vita. — Molte volte il Signore
previene con grazie affatto straordinarie coloro, che
egli destina ad opere grandi. Così dobbiamo dire che
sia avvenuto del nostro Francesco. Egli diede sin da
bambino a conoscere ciò che sarebbe un giorno.
« Questo benedetto fanciullino, dice nel suo ingenuo
linguaggio uno scrittore contemporaneo, portava' in
tutta la persona manifesti caratteri di bontà : sempre
grazioso era il suo volto, dolci i suoi occhi, i suoi
sguardi affettuosi, e tutto il suo contegno sì modesto,
che nulla più ; pareva un angioletto. » Non aveva
ancora compiuti i due anni, che già apparivano in
lui i primi raggi della più tenera pietà e del suo
affetto verso i poveri. Sin d'allora il suo maggior
piacere era di essere condotto in Chiesa, di tenere
fra le mani immagini, corone, medaglie, e di baciarle
rispettosamente.
Se vedeva dei poveri e soprattutto dei fanciulli,
dava loro quanto aveva nelle mani, e, se non aveva
nulla, si volgeva verso la mamma, chiedendole la li-
mosina per essi, prima cogli sguardi, poi colle la-
grime, che non cessavano finché quei poveri fossero
soccorsi : il che obbligava quella a provvedersi di de-
naro spicciolo, di frutta, o di qualche altra cosa, ogni volta
che con lui usciva di casa. Un giorno che la nutrice,
dimenticata questa precauzione, non poteva dar nulla
ad un fanciullo in culla, in una casa vicina, dov'era
entrata, per far cessare le grida del piccolo Francesco,
dovette dare a quell'infante il latte. Allora egli, tutto
lieto, stese le sue manine per sostenere il ,capo di
quello, a cui cedeva con piacere il suo proprio nutri-
mento.
Questi meravigliosi istinti, attestati da testimoni \\
oculari, si svilupparono di poi straordinariamente col-
l'uso della ragione. Se dobbiam credere a ciò che ne
racconta la sua nutrice, come prima cominciò un
poco a camminare da sé, volgeva sempre i passi
verso la strada che conduceva^alla Chiesa, e cer-
cava di farvisi condurre il più spesso ; e quando la
mamma o la nutrice s'incamminavano verso quella,

2.4 Page 14

▲back to top


— 26 —
l'avresti veduto affrettare il passo, stendere le sue
piccole braccia come per giungere al più presto, ed
arrivatovi, mai non mostrava nè disgusto nè noia,
per quantò lungo tempo vi si .restasse. Teneva le
manine giunte, ed ora inginocchiavasi come per ado-
rare, ora teneva gli occhi fissi sopra l'altare o sopra
il sacerdote che ufficiava: onde si sarebbe detto, che
già intendesse qùalche cosa di quanto vedeva, tanta
divozione ispiravano i suoi atteggiamenti ! Ritornato a
casa, si dilettava nell' imitare come poteva il canto e
le cerimonie; e la grazia con cui faceva questi pic-
coli esercizi rendeva attoniti quelli che lo vedevano.
Quando la madre credette bene di slattarlo, lo fece
portare in Chiesa a benedire, fece celebrare in quel
gioì no parecchie Messe e distribuire una limosina ge-
nerale alle porte del castello. Allorché Francesco, già
vescovo, pensava ai suoi primi anni, diceva che si
era compiaciuto più volte di farsi raccontare le varie
circostanze dell'infanzia, e che nessuna gli era piaciuta
mai tanto, quanto l'essere stato offerto alla Chiesa nel-
l'occasione del suo slattamento, il dì della Presenta-
zione della Beata Vergine al tempio.
Tosto che cominciò a balbettare, la virtuosa geni-
trice lo esercitò a proferire i nomi di Gesù e di Maria,
/nonché le parole del segno della croce. Frattanto ac-
cadde un fatto al tutto straordinario : egli non artico-
lava per anco se non alcune parole staccate, a stento
proferendole con la lingua balbettante, nè ancora gli
era uscita di bocca una frase intera. Onde quale non
fu la meraviglia di tutti, allorché un giorno fu sentito
dire chiaramente; IL BUON DIO E LA MAMMA MI
AMANO MOLTO! A queste parole, chi può immagi-
nare la commozione della signora di Boisy? Certo
.ella conobbe a quel segno, che il caro bamboletto,
— 27 —
più che suo, era veramente figliuolo della grazia di
Dio, il quale vegliava su lui con cura speciale per for-
marselo tale da eseguire chi sa quanto grandi disegni.
Prima educazione. — Conoscevano molto bene i
buoni genitori, che lo spirito ed il cuore nei fanciulli
sono, a guisa di molle cera, suscettibili di ogni im-
pressione, e che secondo la prima forma che loro si
dà nei teneri anni, restano poi ordinariamente per tutto
il corso della vita, perciò posero ogni cura per tenerlo
lontano da qualunque cattiva e pericolosa compagnia. La
mamma io teneva, il più che fosse possibile, vicino a
sè ; e quanto più egli cresceva in età, tanto più essa
cresceva le cure per renderlo buono. Quindi gli vietò
di andare in cucina, di trattenersi coi servi, cogli altri
impiegati della casa, e con tutti i giovani ed i fanciulli
della cui virtù non era sicura. Gl'ispirò poi, in modo
speciale, tale, amore e attraimento verso la sincerità e la
verità, e tale orrore per la menzogna, che si crede non
abbia mai. detto bugie in tutta la sua vita, e sebbene
allora fosse ancora in tenerissima età, preferiva essere
castigato, che dire la menzogna. Anzi, quando gli ac-
cadeva di commettere qualche fallo giovanile, non la-
sciava di appalesarlo egli stesso ai genitori e di chiedere
umilmente perdono.
Siccome poi una educazione molle snerva l'uomo,
e lo rende incapace di grandi cose e di grandi virtù,
la mamma lasciò tutte le delicatezze usate per necesità
nei primi anni, e, sempre bene assecondata dal marito,
si diede ad educare il figlio in quel modo virile ed
austero, che dà al corpo ed all'anima una certa energia,
insegnandogli a contentarsi del poco, a francarsi dalle
esigenze dei proprii comodi, ed a sopportare di buon
grado i sacrifizi, le privazioni ed il dolore. Vollero

2.5 Page 15

▲back to top


— 28 —
i buoni genitori, che negli abiti, nel letto e in ogni
altra cosa tutto fosse semplice, senza lusso e mollezza.
Nè credettero conveniente di lasciar impunite anche le
' più piccole mancanze che nel tenero figlio scorgessero ;
poiché non è da credere, che nei santi tutto debba es-
sere stato santo fin da bambini: il cuor dell'Uomo è
proclive al male fin dall'infanzia: la virtù è nella lotta,
ed è la grazia di Dio che rende forte la volontà e fa
produrre frutti di buone opere. Ma affrettiamoci a dire,
che nel buon Francesco anche le mancanze giovanili
furono ben poche e piccole; che ordinariamente cor-
rispondeva mirabilmente alle cure dei genitori ; e che,
come leggesi del Divin Redentore, crescendo in età
cresceva pure in sapienza ed in virtù.
Istruzione religiosa. — I genitori conoscevano
molto bene che i mezzi esterni non sono sufficenti per
ottenere un esito felice nell'educazione, e che la Reli-
gione sola, impossessandosi del cuore, può rendere un i
giovane veramente e sodamente virtuoso, perciò lo ini-
ziarono il più presto che fu loro possibile alla pratica
della medesima.
La buona mamrrìa gli insegnò a recitare le pre- !
ghiere del mattinò e della sera. Egli prendeva diletto
nel recitarle, e sempre supplicava che gliene insegnas-
sero ancora delle al*re. Quando la mamma s'avvide che
cominciava a capire abbastanza bene quanto gli si inse-
gnava lo istruì sui primi rudimenti della Dottrina Cristia-
na; di quella dottrina i cui insegnamenti sono sì sublimi
nella loro semplicità, sì fecondi nella loro brevità,
codice perfetto di credenza e regola sicura di morale.
Il piccolo Francesco, in cui l'ingegno era vivace
e la memoria pronta a ritenere facilmente tutto ciò
che udiva, provava il più dolce contento nel sentir
\\
— 2Q —
parlare di Dio e della religione. Il babbo era anche
tutto per rendere riflessivo il figliuoletto. Un giorno
per assicurarsi se le sue lezioni erano ben comprese,
volle sorprendere ali! improvviso Francesco, che aveva
allora circa 5 anni — « Francesco, a che pensi tu ? >>
gli domandò. — « Padre mio, rispose il bimbo, io
penso a Dio e a farmi buono. » (1)
In seguito, i saggi genitori vedendo la convenienza
di dargli una più soda istruzione religiosa e approfon-
dire sempre più le istruzioni già apprese, credettero
doveroso di servirsi anche dell'opera di un buon sa-
cerdote di nome Giovanni Deage, che abitava nel paese
vicino, e che, sebbene ancor molto giovane, mostrava
zelo verace e senno maturo; lo facevano pertanto venire
con frequenza in castello, perchè con la sua qualità di
sacerdote desse maggiore autorità alle verità divine che
essi medesimi avevano già insegnate, e perchè gliene
insegnasse sempre altre.
Francesco ascoltava con singolare attenzione le istru-
zioni che gli erano impartite dal Deage e faceva egli
stesso delle domande che eccitavano ammirazione ; sic-
ché in breve tempo i genitori se lo videro così bene
avviato che non sapevano in qual miglior guisa ringra-
ziare il Signore d'aver dato loro un tal figliuolo.-^
'
ZsÌP infantile. — Fin da fanciullo Francese,o sen-
tiva accendersi in sè la fiamma dell'apostolato. Entu-
siasmato dalle belle cose che si offrivano alla sua intel-
ligenza nell'udire le spiegazioni del catechismo, quando
veniva a conoscere così attraenti verità religiose egli
ùsciva pien di giubilo nel giardino e salterellando di
gioia cercava d'incontrarsi coi figliuoletti dei giardinieri
*
.1
(1) Deposizione giurata al processo della sua Beatificazione
dalla signora Lhuillier de Villeneuve,

2.6 Page 16

▲back to top


y;
'
:
- 3° —
per comunicare anche a loro quelle verità ch'egli aveva
testé apprese; e per lo più con un campanello radu-
nava anche i fanciulli del vicinato, e facendosi un
cerchio d'intorno, recitava loro .con gesto animato le
lezioni testé imparate, e le faceva loro ripetere poco
per volta, sicché le sapessero anch'essi.
Altre volte li guidava alla Chiesa parrocchiale, li
faceva porre in cerchio attorno al fonte battesimale,
e qui la sua ingenua eloquenza si animava :,Ecco, miei
amici, diceva loro, il luogo che ci deve essere più caro
di ogni altro, perchè in esso siamo stati fatti figli di
Dio : cantiamò tutti unitamente il Gloria Patri. La pic-
cola brigata ripeteva 1' inno di ringraziamento, dopo
di che ognuno si accostava, e ponendo un ginocchio
a terra baciava il sacro fonte. Altre' volte ordinava i
compagni in processione e faceva con loro il giro del
Battistero cantando il Simholo Apostolico, poscia li
dirigeva verso il Santissimo Sacramento, ove giunti
faceva ad essi piegare le ginocchia per adorare Gesù
Cristo presente nel santo Tabernacolo.
Tutte queste cose furono deposte con giuramento
da varii testimoni contemporanei, come ricavasi dagli
atti del processo per la sua Beatificazione.
Il suo zelo andava talvolta anche più oltre. In età
di soli cinque anni, se incontrava qualche calvinista,
subito l'affrontava senza rispetto umano, gli citava le
parole del catechismo per provargli che era nell'errore,
nè vi era altro mezzo a prevenire o far cessare dispute
talora indiscrete, che il chiuderlo nella sua stanza al-
lorché alcuno di costoro capitava al castello. Questo
fatto comprovato da testimoni autorevoli, che deposero
le loro asserzioni1 con giuramento è da tenersi al tutto
straordinario e miracoloso; esso ci mostra come il buon
Dio in tutti i tempi volle provar vero quel detto della
Sacra Scrittura, che dal labbro dei bambini e degli
innocenti fa uscir le sue lodi, (i)
ì^rimi frutti della buona educazione. — Per con-
tinuare la sua educazione, e per imprimergli sempre
più nel cuore i buoni principii insegnatigli, la signora
di Bois^ leggeva a Francesco i fatti più importanti
della Storia Sacra e delle Vite dei santi, e fermandosi ai
luoghi più opportuni gliene faceva notare, per quanto
l'età il comportava, il bello ed il meraviglioso. Così,
come col catechismo alla mano gli dava i primi rudi-
menti dell' istruzione religiosa, coll'esempio dei santi
glieli faceva meglio entrar nell'animo, ottenendo poco
a poco, che imparasse non solo a conoscere, ma ad
amare le grandi verità della fede.
I genitori raccolsero ben presto i frutti di sì bella
e soda educazione, poiché Francesco, ammirabile nella
sua ubbidienza verso coloro che avevano l'incarico di
dirigerlo, sacrificava, ad ogni piccolo segno di coman-
do, i suoi diletti, i gusti, le inclinazioni, andando e
venendo, facendo o desistendo di fare, tutto come altri
voleva, senza mostrar mai la minima ripugnanza.
Amava" poco i fanciulleschi trastulli; tutto il suo
divertimento.consisteva nel fare, entro il castello, cap-
pellette o altarini e adornarne le immagini di fióri; ed
in queste cappellette si recava più volte il dì ad orare.
Bisognava che altri lo vigilasse per fargli prendere quelle
ricreazioni necessarie in quella età a sollievo dello spirito,
che non può stare sempre t e s o . ^ a quando era tempo di
giocare egli si abbandonava alla sua natu rale vivacità ; pre-
feriva i giochi che procurano un onesto e moderato eser-
cizio della persona e che richieggono pieghevolezza delle
membra, agilità nel correre e destrezza nei movimenti.
(i) Salmo vili, 2.

2.7 Page 17

▲back to top


Amava trattenersi in essi con quei fanciulli, che
gli erano dati per compagni dai genitori. Terminato
il djvertimento, li conduceva alle sue cappellette a re-
citarvi insieme alcune preghiere. '
Il buon padre, stupefatto di quanto vedeva nel fi-
gliuolo, n'era talvolta commosso fino alle lagrime:
« In vero, diceva egli alla consorte, mi sembra che
questo fanciullo sia meno figlio della natura, che della
grazia. Un certo presentimento mi dice che Iddio
voglia farne qualche cosa di grande, giacche la sua
modestia e la sua saviezza inspirano a me stesso il
desiderio di praticare la virtù. » La buona mamma nè
stupiva ancor maggiormente, nè poteva saziarsi di
murare tanta saggezza in sì teneri anni. Diceva molti
anni dopo alla Chantal, che il suo Francesco fu preve-
nuto colle celesti benedizioni e non respirava se non
amore per Iddio: « Non mi ha mai dato un disgusto,
le diceva, e l'ho considerato sempre come un santo,
di cui mi stimava indegna di essere madre. »
— « Fin da fanciullo, disse un testimonio contem-
poraneo, gli brillava sul volto un raggio di grazia,
che gii dava qualche cosa di celeste, talmentechè non
si poteva mirarlo senza sentirsi compreso di sincera
stima e dal pensiero che un albero dai fiori sì belli
produrrebbe un giorno frutti eccellenti di virtù. »
A P P E N D I C E A L CAPO I.
L a Santa Sindone.
<r
Avendo in questo capitolo nominato la Santa Sindone, e do-
vendo ricordarla altre volte, poiché S. Francesco di Sales ne era
molto divoto, ed essendo venuto esso stesso a Torino nel 1613
ad esporla all'adorazione del pubblico, credo pregio dell'opera
spiegare qui con precisione die cosa essa sia, e raccontarne le
~ 33 —
principali vicende; tanto più che dobbiamo tenere questa reliquia
come il migliore dei tesori e la più bella gloria di Torino, anzi
uno dei più grandi tesori del mondo.
La Santa Sindone è quell'avventuroso lenzuolo dentro cui, per
quasi tre giorni, rimase avvolto il corpo sacratissimo di Gesù,
quando, deposto dalla croce, fu seppellito: è quel sacro lino, che
tanto stette a contatto col corpo di Gesù Cristo, che ne assorbì
le ultime stille di sangue, e ne ritrasse fedelmente in sè la sacra
effigie. Di essa parlano chiaramente gli Evangelisti, i quali raccon-
tano, come Giuseppe d'Arimatea, nobile decurione e discepolo di
Gesù, andò audacemente da Pilato e gli domandò che gli la-
i sciasse prendere il corpo di Lui per seppellirlo, ed ottenuto il per-
messo comprò una sindone, venne al Calvario e, depostolo dalla
1 croce, lo avvolse nella bianca tela che aveva comperato. Indi,
insieme con Nicodemo, che aveva portato gran quantità d'aromi,
composero il corpo secondo i costumi di que' tempi, e lo colloca-
rono in un sepolcro nuovo.
Era costume presso gli Ebrei d'involgere i loro morti in uh
lenzuolo molto lungo, almeno due volte il corpo umano. Disten-
devano il cadavere sulla parte inferiore del lenzuolo, poi ripie-
gavano il lenzuolo stesso sopra il capo e su tutto il davanti del
/ corpo del defunto; poi lo involgevano ancora in altri lini e lega-
vano il tutto con fascie, affinchè le lenzuola non si scomponessero
mettendolo con il cadavere nel sepolcro. In questo modo medesimo
'avvilupparono il corpo di Gesù e così lo riposero nel santo sepolcro.
Dopo la risurrezione di nostro Signore gli Evangelisti ci nar-
rano di nuovo della Sindone, dicendoci, che al mattino della do-
menica il sepolcro fu trovato vuoto, essendo Gesù risorto, ma che
yi erano rimaste da una parte le lenzuola nelle quali era stato avvol-
V&o, e dall'altra le fascie e il sudario che gli aveva coperto la testa.
Come si vede, le lenzuola, ossia sindoni in cui il corpo di Gesù
fu avvolto, furono diverse e sono cose distinte dal sudario o faz-
zoletto in cui si ravvolgeva il capo. Il sudario presentemente è pos-
seduto dalla città di Cahors in Francia: una sindone si venerava in
Besanzone, e un'altra a Compiègne, ma tutte e due scomparvero
j al tempo della terribile rivoluzione francese, nè se ne seppe più
nulla. Ora ne possiede una la chiesa di Cadouin, nella diocesi
di Périgueux, ma non ha l'immagine di nostro Signore. -f-~ '
Queste sindoni nulla detraggono alla verità della Torinese,
poiché nessuna di esse portò impresse le vestigia del corpo di
1 ;«'sù, il che dà indizio certo, che la nostra fu la prima, cioè
3 — B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales.

2.8 Page 18

▲back to top


quella posta a contatto di quelle santissime carni; quella stessa
cioè, che fu comperata da Giuseppe, da Nicodemo cosparsa di
aromi, dai due discepoli di Cristo distesa sopra e sotto la salma
di Gesù, ed attorno ad essa avvolta e legata. Su di essa il san-
gue divino e gli aromi impressero la venerata effige del re dell'uni-
verso; su di essa, come chi scrive ebbe ad osservare attentamente
nella solenne ostensione del 1868, ed in quella del 1898, sono de-
lineate le piaghe delle mani e dei'piedi; vi spicca ancora di un
colore roseo oscuro la ferita del costato: vi sono segnate le piaghe
prodotte dalla corona di spine, che cinse quella fronte sacrosanta;
véggonsi i segni della barba e della capigliatura nazarena dell'Uo- .
mo-Dio, e vi è impressa l'intiera.figura del corpo di nostro Signore. ^
La Santa Sindone è formata da un solo pezzo di tela-di Jino:
ora è ornata con un nastro color celeste, nastro fatto cucire at-
torno al lenzuolo da Amedeo II per preservarlo dalle sfilacciature.
Da essa apparisce che la lunghezza della persona del Salva-
tore misura metri 1 g j , e la Sindone' è di lino finissimo bianco,
tessuto a fiori, in quel genere di lavori, che si facevano a Da-
masco; ed è lunga in tutto metri 4,36 e larga 1,10; e con la pic-
cola fascia di seta con cui fu orlata, la larghezza riesce di metri 1,25.
Riepiloghiamo asserendo senza alcuna esitazione queste due
verità: if t La nostra Sindone è certamente il lenzuolo in cui fu
involto il corpo di Gesù Cristo dentro, il sepolcro. 2a Essa è la
più insigne delle reliquie. Non v'ha dubbio che la croce su cui
Gesù Cristo morì, i chiodi e la lancia che gli ferirono le mani,
i piedi e il costato, le spine che gli trafissero il capo, sono re-
liquie molto insigni; ma fra tutte la Sindone tiene il primo posto,
e ciò per due motivi : 1 0 perchè essa è tutta intiera, e le altre
reliquie, che sono tali per il contatto col corpo di Gesù Cristo, \\
non sono che parti, più o meno piccole. 2° perchè in essa si con- /
serva ancora oggidì il vero sangue materiale di Gesù Cristo, che
si vede nelle sue diverse tinte. Per conseguenza nella Santa Sin- >
done vi sono due reliquie distinte: una è formata dal lenzuolo
che fu santificato dal contatto del corpo di Gesù Cristo: l'altra,
di gran lunga più prezioza, è formata dal Sangue di Gesù Cristo (1)
stesso che tinge il lenzuolo; per cui giustamente le si dà il culto
di Latria, ossia di vera adorazione.
( I ) Quantunque si voglia supporre
sangue unita ipotasticamente la persona del \\ erbo.
35 —
Epperciò se a Torino, soggiunge il dotto vescovo di Pinerolo
Mons. Rossi, esistessero tutte le reliquie che si riferiscono a/Òesù
Cristo, e si volesse disporle per ordine del pregio che esse hanno in
se stesse, il primo posto si dovrebbe assegnare alla Santa Sindone.
*
**
Questo sacro lino venne certamente raccolto dagli Apostoli
e dalla Maddalena, quando lo trovaron<3 giacente in un lato del
sepolcro, dopo là risurrezione di Cristo. Fu portato in un luogo
sicuro, e probabilmente in casa di Nicodemo, e non vi ha a du-
bitare che si ponesse ogni cura per conservarlo e tramandarlo
ai posteri. Si racconta infatti che Nicodemo, il quale era capo dei
Seniori o giudici del Sinedrio, la consegnò al dottor Gamaliele,
l'illustre maestro di S. Paolo, e questi all'Apostolo S. Giovanni
che la trasmise a S. Simeone, secondo vescovo di Gerusalemme.
Partendo poi i cristiani da Gerusalemme, allorché i romani vi po-
sero l'assedio, e rifugiandosi per la maggior parte nella città di
Pella, la portarono seco colà, con gli altri preziosi depositi delle
sacre reliquie della Passione del Signore, affinchè non corresse
alcun raschio, essendo Pella sotto il dominio di Agrippa. Queste
reliquie furono tenute occulte nei tempi della persecuzione e non
si posero in luce se non quando con la pace data da Costantino
alla Chiesa, cessò il pericolo che cadessero nelle mani degli
idolatri. S. Sulpicio Severo riporta una lettera di S. Paolino da
Nola, il quale asserisce come cosa certa, risultante non solo dalle
tradizioni orali, ma pur anche da scrittori ecclesiastici, la conser-
vazione delle reliquie della Passione di nòstro Signore.
Molte reliquie perirono in seguito, al tempo degli Ico^^la^ti ;
ma S. Giovanni Damasceno (sec. vili), gran difensore delle sacre
immagini, ci assicura che le reliquie della Passione si custodivano
e veneravano nella Chiesa patriarcale di Gerusalemme; ed enu-
mera espressamente il sacro legno della Croce, i Chiodi, la Spu-
gna, la Lancia, la Canna, la sacra Veste, le Tuniche, le Sindoni e
le Fascie. Questo ci è pure attestato da S. Girolamo, da S. Gre-
gorio Nisseno, da S. Giovanni Grisostomo e da altri santi Padri.
Dopo il secolo vili, per lungo tempo la Santa Sindone fu con-
servata in Gerusalemme; ed in vero quella città la vide per la
prima volta portata in pubblica processione. Goffredo di Buglione,
alla testa dei crociati, dopo le più solenni vittorie contro i Mao-
mettani, entrava trionfalmente in Gerusalemme l'anno 1099; i
cristiani di Gerusalemme festeggiarono solennemente il suo in-

2.9 Page 19

▲back to top


gresso, e fra le dimostrazioni più notevoli vi fu quella di portare,
al suo incontro la Santa Sindone, distesa a modo di stendardo.
Alla seconda crociata aveva preso parte il conte di Savoia,
Amedeo III. Prima che partisse di là, il Gran IVTaestro degli
Ospitalieri di' Gerusalemme, a titolo di riconoscenza, gli regalò
la Santa Sindone. Il conte Amedeo, contento del regalo, partì da
Gerusalemme per portarla in Savoia; ma giunto all'isola di Cipro
cadde infermo e vi morì l'anno 1148.
Quella morte inaspettata fece trattenere la Santa Sindone a
Cipro : e quando lo scettro reale di quell'isola passò alla casa dei
Lusignani, ad essa passò pure la Sindone, e vi si fermò per circa 100
anni; ma quando quell'isola venne in pericolo di cadere nelle mani
dei Mussulmani, altri crociati partirono dalla Francia per l'Oriente.
Goffredo di Charny, il quale combattendo valorosamente contro
gl'infedeli, riportò molte vittorie, ottenne per sè la Santa Sindone.
Compiuta l'impresa nel 1337, egli portò seco in Francia il
prezioso tesoro. Le eresse una Chiesa nel suo castello di Lirey
in Borgogna, e la espose alla pubblica venerazione.
Stette circa un secolo in quella famiglia; ma l'anno 1418, es-
sendo insorte Serissime guerre nella Borgogna, fu, per maggior
sicurezza, portata presso il conte Ludovico di Savoia ini Charn-
bery, d'onde, come si racconta, quando si voleva toglierla per
riportarla in Borgogna, per miracolo insigne, il giumento si ar-
restò, nè fu più possibile smuoverlo. Questo prodigio fu tenuto
come segno del volere del Cielo; la Sindone fu regalata al CDnte.
Ludovico e d'allora in poi non uscì più dal possesso di Casa
Savoia.
Tanto era il pregio in cui questa reliquia venne tenuta, che
il duca Lodovico, lieto del prezioso dono, fece coniare in suo
onore medaglie d'oro, d'argento e di rame, e pose in corso la
moneta ducale coll'immagine della Santa Sindone. Altrettanto fe-
cero i successori Carlo I, Emanuele Filiberto, e Carlo Emanuele I.
Il figlio di Ludovico, il B. Amedeo IX, tosto che seppe il padre
possessore di tanto tesoro, da Vercelli, pellegrinando pel disa-
stroso Moncenisio, si recò a venerarlo in Chambery, e quando
fu assunto al trono esso stesso, stabilì di ampliare la cappella
del regio castello, per deporvi poi sontuosamente la s a l a t i s -
sima reliquia.
Papa Paolo III e Sisto IV ne permisero la erezione, denominan-
dola la santa Cappella, e concessero si tributasse alla Santa Sin-
done culto pubblico. Papa Giulio II fece di più, poiché conce-
dette l'ufficio pubblico e la Messa propria, stabilendone la festa
ai 4 di Maggio. Leone X la estese a tutta la Savoia, concedendo
indulgenze plenarie; e Gregorio XIII accordò la festa a tutti gli
Stati del duca di Savoia. Benedetto X I V poi attesta perentoria-
mente, questa Sindone essere quella in cui fu avvolto nostro Si-
gnore, e a proposito dell'Ufficio dice, che le lezioni proprie fu-
rono esaminate diligentissimamente dal Cardinal Bona, e appro-
vate dalla sacra Congregazione dei Riti.
Un fatto strepitoso aumentò la venerazione che già si aveva per
la santa reliquia. Mentre la S. Sindone conservavasi nel castello
di Chambery, e precisamente nella notte del 4 dicembre 1532,
essendosi svolto un fortissimo incendio, essa ne fu portentosamente
preservata. Perchè, sebbene il fuoco avesse completamente invasa
la sagrestia dove si conservava, e divampasse con tanta violenza,
che persino la cassa d'argento, ov'era rinchiusa, fosse in parte
fusa, la Sindone rimase intatta: solo restò un po' come abbru-
stolita e affumicata alle piegature verso gli angoli della cassa,
Questi segni dell'incendio scorgonsi ancora ai nostri giorni a te-
stimonianza della divina Provvidenza, la quale permise bensì che
si constatasse la materia della Sindone essere combustibile ; ma
volle chiaramente far comparire, che se tutta la preziosa Reliquia
non era stata dalle fiamme consumata, certo non potevasi attri-
buire ad altro che ad un vero miracolo.
Si sparse tuttavia indi a poco dai Calvinisti la voce che la Sin-
done fosse stata preda delle fiamme, e che un nuovp lenzuolo,
ad imitazione di quello si fosse sostituito A Allora Carlo III scrisse
a Papa Clemente VII pregandolo, che S cessare la triste insinua-
zione, ordinasse la ricognizione della Réliquia. Il Papa commise
l'ufficio al Cardinale Gorrevod, vescovo di Moriana, e Legato
Apostolico, il quale, esaminato e fatto esaminare accuratamente
il lino, confrontatolo coi più minuti indizi, interrogati i testimoni,
con tutte le più solenni formalità dichiarò: « La Santissima Sin-
done, da lui esaminata, essere l'identica di prima, e, realmente
salvata dall'incendio. »
Intanto i pellegrinaggi alla Santa Sindone si moltiplicavano, ed
anche i Sovrani venivano ad adorarla. Francesco I, avendo fatto
voto, che, se vinceva la battaglia di Marignano contro gli Sviz-
zeri, sarebbe venuto in divoto pellegrinaggio a visisitarla in rin-
graziamento al Signore per la ottenuta vittoria, mantenne la' pa-
rola, e da Lione dov'era, si portò quale pellegrino a Chambery
per venerarla.

2.10 Page 20

▲back to top


- 38 -
Nel 1536 essendovi grandi guerre in Savoia, il duca Carlo III,
per togliere la Sindone al pericolo di cadere nelle mani del ne;/
mico, fuggendo la trasportò seco a Torino: ne ivi parendogli ab-
bastanza sicuro il rifugio, la portò nel castello di Vercelli. Dopo
varie altre vicende da Vercelli fu trasportata a Nizza Marittima,
e poi di nuovo a Vercelli e di là di nuovo riportata in Savoia.
Nel 1578 veniva trasportata definitivamente a Torino. Era il duca
Emanuele Filiberto, il quale conosendo che, per le invasioni degli
eretici, si rendeva pericolosa la conservazione della Santa Sindone
a Chambery, volle che fosse portata a Torino, e la fece collocare
nel suo castello nel sobborgo di Lucento.
Diede occasione a trasportarla in quell'anno a Torino la com-
piacenza del duca, il quale voleva dare maggior comodità a S. Carlo
Borromeo, che ardentemente desiderava venerarla. Il santo Prelato
volle in quest'occasione, nella sua umiltà e pietà, fare il divoto pelle-
grinaggio da Milano fino a Torino. Fu quello un commovente spetta-
colo! Il sacro lenzuolo fu spiegato ed esposto e San Carlo Borromeo
e- gli altri prelati rimasero per ore ed ore in devotissima contem
plazione avanti la S. Sindone, e andavano alternando i cantici e
le preci ai sermoni; il Duca poi, i dignitari e i cavalieri stavano
a guardia del sacro deposito.
Venticinque anni dopo, stando sempre la Sindone in Torino,
fu visitata e bagnata di lacrime dal nostro S. Francesco di Sales
medesimo, allora già vescovo di Ginevra. Il quale sentì tanta ve-
nerazione per essa, che ne tenne poi sempre l'immagine in più
luoghi dell'episcopio, ed a chi domandavagli il perchè di tanta at-
trattiva verso quella effigie, rispondeva: Essa mi rappresenta ipa-
timenti di Gesù Cristo, delineati col suo medesimo Sangue,, e nulla
v'è di più idoneo a nutrire la pietà e a riaccendere il fervore.
Non molto dopo, cioè nel 1633, il celebre padre Paolo Segneri,
essendo venuto a predicare il Quaresimale in Torino, tessè sulla San-
ta Sindone uno stupendo discorso, in cui rallegravasi con noi Torinesi
per esserci toccata una sì grande ventura e soggiungeva : « A voi
Egli si è consegnato, tra voi si è posto, sperando che a lungo andare,
al santo miracolo niun sia tra voi che non debbano restar preso. »
' Come i duchi Amedeo IX e Filiberto II avevano fatto co-
strurre a Chambery un'apposita cappella per conservare con sicu-
rezza e decoro la SS. Sindone, così i duchi Emmanuele Filiberto,
Carlo» Emmanuele I, Carlo Emmanuele II e Vittorio Amedeo II
le fecero preparare la grandiosa Cappella-Santuario come esiste
presente, che serve di congiunzione tra il Palazzo Reale e la
— 39 ~
Metropolitana torinese. Questo grandioso sacro edificio fu eretto
\\ sul meraviglioso disegno del Padre Guarino Guarini, Teatino.
Alle estremità delle navate laterali di detta Cattedrale, due
grandi p~rte di marmo nero dànno ingresso a due spaziosi scaloni,
peni quali si sale alla santa Cappella. L'edificio è sormontato da
una cupola ancor più grandiosa, d'una costruzione affatto singo-
lare, leggera, fantastica, meravigliosa. Essa si aderge per una ro-
tonda di marmo nero, con archi di belle e grandi proporzioni,
formata di sei esagoni decrescenti, sovrapposti gli uni agli altri,
in modo che gli angoli di uno rimangono collocati sulla-metà dei
lati degli altri. Questi lati dànno comodamente luogo a più di
cento finestre. La cupola nell'interno è finita con una stella, posta
con tal arte, che sembra sostenersi per se stessa in aria, e lascia
travedere al disopra l'interno d'una guglia, illuminata da altre fi-
nestre, e all'esterno terminata con una croce portante gli strumenti
della Passione.,
Nel mezzo del sontuoso edifizio, sopra ampia base è situato l'al-
tare a due facciate, una verso la Cattedrale, l'altra verso la Reggia.
Nel centro dell'altare s'innalza Un ricchissimo avello di marmo,
chiuso da cinque inferriate dorate; l'avello contiene la ricchissima
cassa entro cui è chiusa la Santa Sindone.
La santa Cappella non fu terrhina a che nel 1694 da Vittorio
Amedeo II, e fu solo in quell'anno che con solennissima pompa
vi fu dal castello di Lucento trasportata e posta la Santa Sindone.
In quel medesimo anno era venerata con grande affetto dal
nostro B. Sebastiano Valfrè, che per viemmeglio conservarla le
fece unire un velo di seta celeste dalla parte superiore, ed un
altro di seta nero dalla parte posteriore. .
Questo tesoro ebbe ancora una volta a pellegrinare, e ciò av-
venne quando Torino fu assediata dai francesi. Allora fu por-
tata in Cherasc'o, indi in Genova, come se il Signore volesse, con
queste peregrinazioni, far conoscere sempre più la Santa Reliquia '
e con essa maggiormente santificare più città. Ma liberata Torino
dall'assedio il 7 settembre 1706, essa vi tornò per non più partirne.
Da quanto si disse risulta che questa preziosa reliquia si con-
servò dapprima per 1148 anni in Terra Santa; poi a Cipro per
185 anni; a Lirey per 97 anni; in Borgogna per 13 anni; a Cham-
bery per 130 anni (non tenendo conto delle assenze provvisorie);
a Torino nel castello di Lucento per 116 anni; a Torino nella
Metropolitana, nella Cappella-Santuario espressamente costrutta, *"
per 204 anni contando solo ,fino all'ultima esposizione.

3 Pages 21-30

▲back to top


3.1 Page 21

▲back to top


/
Dopo che la S. Sindone fu portata in trancia, per un tempo
notevole si esponeva all'adoraztone del popolo tutti gli anni al
V Sabato santo e nei seguenti due giorni : poi, stabilitosi liturgica-
mente la festa della Santa Sindone ai 4 di Maggio, in detto/giorno
si continuarono a fare le pubbliche ostensioni ogni anno. Ma circa
da tre secoli, per conservarle maggior venerazione, la sua osten-
sione fu.limitata alle occasioni più solenni.
/
Una tra esse fu nel 12 Marzo 1478 a Pinerolo dove l'aveva
portata da Chambery la duchessa Jolanda vedova del Beato
Amedeo IX di Savoia.
^
Altra fu nel 1578. Arrivato San Carlo, qon nove altri vescovi, fu
esposta alla venerazione dei fedeli dal gran balcone del palazzo
Madama.
Altra celebre ostensione fu nel 1613 a cui S. Francesco di
Sales prese parte, essendo uno dei vescovi che la sostenevano.
Fu poi esposta:
nel 1722 per ottenere la liberazione dalla peste;
nel 1735 per lo stesso fine;
nel 1737 per le nozze di Carlo Emmanuele III;
nel 1750 per fugare la peste;
nel 1770 per le nozze di Carlo Emmanuele I V ;
nel 1806 quando Pio VII passò per Torino andando ad in-
coronar Napoleone. Questa visita, quant'altre mai illustre, servi
sempre maggiormente a far tenere nell'alta venerazione che si me-
rita la S. Sindone. Poiché questo santo Pontefice la volle far es-
trarre e venerarla, coi sette Cardinali che l'accompagnavano e
con gli otto Vescovi Piemontesi che ivi appositamente erano ac-
corsi ;
nel 18x4 per il ritorno di Vittorio Emm. I ne' suoi stati;
nel 1815 in occasione del passaggio a Torino di Papa Pio VII,
che tornava dalla prigionia di Fontainebleau. E questa volta il
Papa medesimo vi appose i suoi sigilli insieme a quelli del Re,
come rileva il Cardinal Pacca;
nel 1842 per le nozze di Vittorio Emmanuele II;
nel 1868 per le nozze di Re Umberto I; '
nel 1898, che finora fu l'ultima, come fu la più memoranda
di tutte. Fu esposta dall'11 al 19 Maggio per festeggiare parecchi
centenari religiosi che si compievano in dqtto anno nella città di
- 4'i -
Torino, in coincidenza coli'Esposizione d'arte sacra e profana, sì
antica che moderna. E questa fu la prima volta, che nel decorso
dei secoli la preziosissima Reliquia rimase esposta per 9 giorni,
con un'accorrenza affatto straordinaria di pellegrini non solo dal
Piemonte e dall'Italia; ma da tutte le parti del mondo.
I Papi in ogni tempo cercarono di accrescerne e propagarne il
culto ; ed in onore della Santa Sindone accordarono non poche
indulgenze ed altri segnalati favori. Specialmente Benedetto XIV
si distinse in questo. Egli rinnovò l'indulgenza plenaria, già con-
cessa dai suoi predecessori, da potersi lucrare nel giorno della sua
festa (4 Maggio) e nei due giorni seguenti; poi la compartì in per-
petuo per le pubbliche ostensioni della santa reliquia. Ne com-
partì altra di 7 anni ed altrettante quarantene in tutti i venerdì di
Marzo; ed inoltre concesse a tutti i fedeli, mediante semplice visita
alla cappella, l'indulgenta plenaria una volta all'anno ad arbitrio.
Tutto questo concorre a farci conoscere sempre meglio, e a
sempre meglio farci stimare questo preziosissimo tesoro, e ci fan
comprendere come ben a ragione tanto la venerasse il nostro San
Francesco di Sales. '
/
*
##
Come sopra si disse i calvinisti nel 1532 asserirono la vera Sin-
done essere stata bruciata, ed esservisi sostituito un nuovo lenzuolo,
dipinto da un pittore, ad imitazione di quello. Ebbene! Ai nostri
giorni, in occasione della esposizione del 1898 vi fu chi spudora-
tamente osò ripetere la medesima opinione: e quello che più
rincrebbe si fu, che sposò questa medesima opinione un rinomato
scrittore ecclesiastico. Allora si interessò della questione, si può.
dire, tutta la stampa • Europea e molti tra i più dotti scienziati
vollero esaminarla accuratissimamente. Affinchè si venga a capire
la follia dei suoi denigratori, riporterò qui alcune conclusioni di
questi celebri scienziati, che spero faranno prendere anche in
maggior venerazione questa preziosissima incomparabile reliquia.
E prima di tutto si istituì una inchiesta scientifica nel labo-
ratorio di chimica della Sorbona di Parigi dal principe degli scien-
ziati francesi il signor Delage, coll'aiuto dei professori Herouard
e Vignon, due vere celebrità nelle scienze chimiche. Dopo lunghi
e accuratissimi lavori, quella commissione comunicò all'Accademia
di Francia, con molte prove, la conclusione che; « L'immagine

3.2 Page 22

▲back to top


— 42 —
della Sindone di Torino non può essere d'altri che del Cristo del
Vangelo e chedanessuna mano d'uomp poteva essere stata dipinta.»
Il celebre scienziato Henry Bidou in un accuratissimo studio
da lui fatto, esaminando con potenti lenti la fotografia della Sin-
done fa osservare' come in essa compaiano le .particolarità più
stupefacenti della passione; p. es. compare chiaramente nel corpo
del Divin Salvatore la direzione dei muscoli; che le sopraciglia
sono molto bene apparenti, l'una in riposo, l'altra sollevata e
contratta; uno degli occhi è chiuso, l'altro semiaperto; il naso e
una delle guancie sono tumefatti (certo per i terribili schiaffi ri-
cevuti), l'altra guancia è normale; uno dei mostacchi è attorci-
gliato e abbassato, l'altro è rialzato e aderente alla guancia. Com-
paiono per tutto il corpo i segni delle staffilate della flagellazione,
da cui compare che ciascuna delle corde portava alla estremità
una pallottola o stella a punte, producendo delle ferite allargate e
approfondite alle estremità: compaiono tali ferite con maravigliosa\\l
varietà, giacché non se ne trovano due esattamente uguali e sono
disposte così logicamente, che riesce facile ritrovare il posto del
flagellatore. Dopo lunghe e profonde disquisizioni questo celebre
scienziato viene alla conclusione, che deve tenersi come impossi-
bile al secolo xvi, in cui non ef-a ancora scoperta la fotografia
riuscire a fare un dipìnto come quello della Sindone di Torino,
poiché per riuscire a fare una cosa simile il supposto pittore a-
vrebbe dovuto conoscere a fondo la biologia, essere un grande
artista e uno scienziato di primo ordine, capace della più minuta
osservazione e della più ingegnosa invenzione, tanto padrone
dell'arte sua da poter lavorare in negativa, senze smentirsi un
istante^ cosa impossibile farsi prima dell'invenzione della foto-
grafia. Dovrebbe insomma essere stato uno dei pittori più famosi
del mondo, il cui nome terrebbe il primo posto nella storia della
pittura.
Anche il signor de Malijai, professore di scienze in un liceo '
di Torino, avendo potuto esso stesso prendere la fotografia ed
esaminarla accuratissimamente, in un lungo, scientifico e pro-
fondo articolo che mandò alla Vie Catholique di Parigi conclude :
« Il fatto che l'immagine impressa nella Sindone è negativa, è d'un
importanza capitalè, costituisce'il più irrefragabile carattere d'au-
tenticità che si possa immaginare. Davanti a questo fatto nessun
uomo competente, nessun esperto in fotografia potrà ammettere
che la Sindone di Torino sia un'opera di pittura o una copia
della Sindone originale. »
— 43 —
Il Cardinale Agostino Richelmy interrogato da un redattore
del Figaro di Parigi, venuto espressamente a Torino p^f avere
informazioni accurate sul soggetto, dopo avergli provato l'impos-
sibilità che un qualunque, anche celeberrimo pittore ayesse po-
tuto fare un dipinto simile, e portate le testimontanze dei più ce-
lebri scienziati, conchiude dicendo, che per lui e per tutte le per-
sone imparziali che riflettono, si deve tenere come impossibile un
simile dipinto fatto da persona umana, e conchiuse: « siamo lieti di
vedere che la scienza moderna è unanime a confermare la nostra
opinione. »
Il direttore del rinomato foglio di Milano « La Lega Lom-
barda » che potè, nella ostensione del 1898 osservare con como-
dità la santa Sindone con potente binocolo, da vicino, come ora
(dice) vedo questo foglio su cui scrivo, così si esprime : « È qual-
che cosa di terribilmente commovente quel lenzuolo ! Tutta la
persona di N. S. vi è impressa : la parte posteriore è meglio de-
lineata nei dettagli, forse perchè essendovi meglio potuto aderire,
il corpo ha potuto meglio lasciarvi le impronte di tutte le ferite.
« Alla vista di questo lenzuolo si sente quanto vero sia quello
che dissero varii santi che ebbero visioni in proposito, che cioè
a persona di N. S. era tutto una piaga.
« Si potrebbero contare le ferite, e anche distinguere quelle fatte
con verghe o con catene. Distintissime sono le ferite del piede
destro e sinistro, della mano sinistra e del costato. In questa, al
lato destro del corpo, e sinistro dell'imagine lasciata sul lenzuolo,
ii vede distintamente la parte sierosa più diffusa e quella san
guigna più ristretta.
« Così dal piede si vede la ferita del chiodo e da essa scendono
quattro rivoletti spumeggianti di colore intenso: così nella parte
posteriore della testa si scorgono, rabbrividendo, le macchie più nere
lasciate dal sangue o forse da qualche poco di materia cerebrale.
In somma da questo lenzuolo parlante risorge dinnanzi a noi in
tutta la sua spaventosa terribilità, ciò che fu la Passione di Nostro
Signore. »
Possiamo conchiudere dicendo che la Sindone è come un'ag-
giunta, uno schiarimento, un'appendice a tutto quanto l'Evangelio.
Sì, l'Evangelo non dice fino a che segno fosse Gesù impiagato;
ma nella Sindone si vede; il Vangelo non dice da qual Iato ri-
cevesse la lanciata, ma nella Sindone si osserva; il Vangelo non
ci indica in qual luogo preciso fossero piantati i chiodi nelle mani
e nei piedi, ma nella Sindone compare; il Vangelo non ci dice

3.3 Page 23

▲back to top


ccupe Gesù avesse nel sepolcro disposte le braccia, ma nella
SiitóG»e si rimira. E così compaiono precise altre particolarità nel
Vangelo non notate. \\
Dobbiamo pertanto ringraziare il Signore d'aver disposto che,
non ostante tante peripezie a cui andò soggetta, la Santa Sindone
sia stata conservata fino ai nostri giorni; e Torino in particolare
deve tenersi per ben avventurata di possedere tanto tesoro.
C A P O II.
I primi studii.
Impara in famiglia a leggere e scrivere. — La
divina Provvidenza, per regola ordinaria, prepara gli
uomini quali essa vuole che riescano. Ella adunque,
avendo stabilito di fare di Francesco un gran vescovo,
un dottore di santa Chiesa, non solo lo prevenne con
quelle grazie, che dovevano condurlo a santità, ma gli
donò anche un ingegno retto, perspicace e sodo. Egli
era ai sei anni, e non sapeva peranco leggere; ciò
non di meno già ardeva del desiderio di imparare; e
domandava egli stesso con ardore, che lo facessero
studiare; e quando la nutrice veniva a trovarlo, con
quella ingenua confidenza, che i fanciulli sogliono te--
nere con le loro balie, la scongiurava a pregare i suoi
genitori, affinchè lo facessero studiare, promettendole
la più magnifica ricompensa, che nel suo genio infan-
tile potesse immaginare: « Se me lo ottenete, le diceva,
quando sarò grande, vi fero fare tutti .gli anni una
bella veste di lana rossa. »
I buoni genitori, per secondare la lodevole bt'ama
del figliuoletto, si misero all'opera, e già non cercavano
altro, che il modo più opportuno per fargli intra-
prendere con profitto gli studi. Cominciarono essi
;.
'
jjgL _
-
-; <1m?M
medesimi ad insegnargli il leggere e lo scrivere; ma ben
presto videro che, per farlo profittare di più, sarebbe
meglio mandarlo a studiare nel collegio recentemente
fondato a La Roche, distante solo sette chilometri dal
castello di Sales, dove speravano che riceverebbe una
istruzione più conforme al suo ingegno.
La signora di Boisy temeva a lasciarlo partire, e sul
principio fece delle difficoltà; le piangeva il cuore al
pensiero, che coll'andare ad una pubblica scuola, ove
sonvi tanti discoli e dissipati, il Suo buon Francesco
avesse a riceverne nocumento per la virtù. Che im-
porta, andava dicendo, che si desti in lui l'emulazione,
come suole avvenire quando sono molti insieme, se
egli di emulazióne non abbisogna, e se quel po' di
vantaggio che gliene potrebbe ridondare avesse a ser-
virgli di pericolo per l'educazione del cuore? Che se
la virtù, soggiungeva, è già difficile a conservarsi anche
quando sotto gli occhi si abbiano buoni esempi,
quanto più difficile sarebbe se incontrasse qualche
compagno cattivo? Ma in fine, tutto considerato, venne
a persuadersi che anche in casa si possono trovare
dei pericoli, e alcune volte proprio là dove meno si
sospettano. D'altra parte appunto allora si trovò un
buon governatore e precettore, e questo calmò i timori
della buona signora, che lasciò senza resistenza partire
il figlio per La Roche. A
Va a studiare al collegio di La Roche. — Per
meglio comprendere vari punti della vita di Francesco,
e specialmente di quest'andata a La Roche, ed in se-
guito altrove, occorre avere un' idea adeguata di quel
che fossero per lo più i collegi a quel tempo. Non vi
erano allora scuole elementari pubbliche, come vi sono
ai nostri tempi ; neppure collegi convitti dove i

3.4 Page 24

▲back to top


-46-
giovani, mentre vengono istruiti sono pure sorvegliati
dagli educatori che li tengono sempre sotto i loro
occhi. Fuori che nei paesi che avevano qualche con-
vento, accanto a cui generalmente i monaci aprivano
una scuola, non si aveva altra comodità di istruirsi:
i poveri non andavano generalmente a scuola, i ricchi
prendevano in casa un maestro dal quale facevano edu-
care i figli. Per lo più questo maestro era un prete;
e questi non solo faceva la scuola, ma cercava ogni
modo di educare quel giovane che gli veniva affidato;
lo teneva quasi sempre con sè, accompagnandolo nei
divertimenti, nelle visite, negli studi, e per lo più
prendeva il nome di precettore, di pedagogo, o di aio.
Tuttavia nelle città e nei borghi più cospicui, era-
no aperti ciò che allora chiamavansi collegi, ed ora
chiameremmo scuole pubbliche, a cui potessero inter-
venire tutti quelli che volessero, mediante una data
retribuzione. Quando alcuni di questi collegi veniva
ad acquistare rinomanza vi si mandavano i giovani
anche dai paesi lontani ; i genitori cercavano qualche
buona famiglia presso cui allogare il loro figliuolo, e
l'affidavano a quella per l'alloggio e per il nutrimento,
e i giovani andavano a scuola presso quell'insegnante
che aveva aperta detta scuola; i signori facevano
accompagnare i loro figli anche da un governante od
aio, affinchè lo custodisse e gli facesse studiare le le-
zioni e l'aiutasse a fare i lavori.
V
Partì adunque Francesco per Là Roche ; era giova-
netto di sei anni. Veniva accompagnato da un servo
e dall'aio, che la sollecitudine dei buoni genitori gli
avevano trovato. Era l'autunno dell'anno 1573.
Docile alle saggie istruzioni che dai maestri rice-
veva, il piccolo Francesco ben presto si perfezionò nel
leggere e nello scrivere, e poi passò allo studio della
grammatica. In pochi mesi vi fece tale profitto, che,
secondo l'uso d'allora, potè con suo gran contento
cominciare ad attendere alla lingua latina.
Tutta quella piccola città ammirava la modestia, il
candore, la pietà di questo fanciullo: bastava vederlo
per sentirsi desiderio di diventar migliori. La madre di
Chaugy, religiosa di uno spirito non comune, nelle sue
Memorie lasciò scritto, che i signori dei luoghi vicini
conducevano i loro figli a La Roche, per far ad essi
contemplare quest'angelo terrestre, ed impegnarli a
ricopiare sì eccellente modello.
Egli, come già nel castello di Sales, non trovava
più dolce piacere, che negli esercizi di pietà; e nella
casa ove alloggiava aveva formato altarini o piccoli ora-
torii, dinanzi ai quali pregava quanto più spesso poteva.
Gli studi ad Annecy. — Francesco aveva tra-
scorso due anni a La Roche. Dopo di essi la famiglia,
indotta da ragioni politiche, lasciato il castello di Sa-
les, andò a mettere la sua dimora in quello che pos-
sedeva a Brens e trovò più comodo far continuare gli
studi al figlio ad Annecy, sia perchè più centrale, e
perchè quivi erano stati messi a studio tre suoi cugini,
figli di Luigi di Sales, sia anche perchè quivi gli
studii si facevano molto seriamente.
Gli esempi di ottima indole e di virtù straordinaria
che aveva dato a La Roche, fecero riguardare la par-
tenza del santo fanciullo come una disgrazia per quel
collegio, e buon numero di persone vollero accompa-
gnarlo fin fuori della città versando lacrime di dolore
per vederlo partire.
È Annecy un'antica città della Savoia, cui diede il
nome Tito Anicio, governatore degli Allobrogi a nome
degli imperatori romani. Situata in luogo ameno, cinta

3.5 Page 25

▲back to top


- 48 -
da fertili campagne e da amene colline, con ari
salubre, presso un delizioso lago acquistò ben presti
rinomanza e attirò molti cittadini.
Quivi, sotto la direzione dei dottori di Lovanio er.
stato da tempo aperto un celebre collegio, che be;
presto attirò molti studenti da tutta la Savoia.
Il giovanetto Francesco, già avvezzo a vedere nella
volontà de' suoi genitori espressa la volontà di Dio, vi
si recò di buona voglia. Quello che agli abitanti di La
Roche fu cagione di doglia, per Annecy lo fu d'alle-
grezza, poiché era già precorsa la fama, che presto
sarebbe in quel collegio venuto un giovanetto pieno
d'ingegno é di santità di costumi: perla qual cosa i
maestri, al suo arrivo, gli fecero quelle migliori acco-
glienze che seppero. j / \\
Già da quell'età preludeva a quanto sarebbe dive-
nuto un giorno. Il decoro esteriore e tutte le sue ma-
niere rapivano al primo aspetto ; e tutti gli autóri che
scrissero la sua xVita non si saziarono di parlare delle
qualità singolari che si videro in quel benedetto fan-,
ciullo mentre era studente ad Annecy. Queste virtù e
buone qualità lo fecero amare e rispettare anche dai
compagni, ed egli approfittando dell'autorità che sopra
essi aveva, senza farne pompa, li correggeva dolcemente
e sì a proposito, che molti ebbero a confessare sentirsi
dalla sua presenza ritenere dal far male.
I s u o i avanzamenti negli studi accrescevano ancor;
questo sentimento di stima universale. Si disse che
studi propri di sua età per lui non erano che un d.
vertimento. Nei cinque anni che ivi studiò la lingó
latina e Ig umane lettere, superò costantemente-^
suoi condiscepoli, avendo sempre i primi posti rf.
conccfrsi, ed alla fine dell'anno i principali premi. \\
tutto era merito non solo del suo ingegno, ma ancoV •
— 40 —
iella sua applicazione, poiché era sì laborioso, che si
alzava sempre di buon mattino per ayer tempo a pre-
gare e a studiare, e sì massaio del tempo fra la giornata,
che metteva a profitto tutti-gì' istanti, per tema di per-
derne anche la minima parte; talché ci voleva un or-
dine del suo precettore per toglierlo dai libri. Se tra-
duceva gli autori latini, stava alle volte tempo notevole
immobile sopra alcune frasi, occupato nella ricerca
delle espressioni più adatte e del più bello stile. Se leg-
geva qualche opera letteraria, metteva sopra tale
lettura una paziente riflessione, facendo ne' suoi qua-
derni raccolta delle più belle sentenze, dei fiori d'elo-
quenza, dei detti scelti e dei passi che gli sembravano
meglio scritti, per servirsene poscia nei componimenti. ì
E questa una delle industrie per profittare negli
studi, che io mi permetto di raccomandare a tutti voi,
o miei buoni giovani, poiché, l'avere raccolte sotto
alcune categorie le principali cose che imparate, quando
si faccia con discernimento, vi servirà molto nel corso
degli studi, e più ancora in seguito, se avrete cura
di continuare una sì bella usanza.
In iscuola, ascoltava con tale attenzione le lezioni
del maestro, che recava maraviglia non solo ai condi-
scepoli, ma persino a' suoi precettori. Perciò quelli che
lo istruivano avevano a lui un affetto tutto particolare,
e spesso anco si dilettavano a fargli declamare dei brani
d'eloquenza o di poesia, ciò che egli faceva con somma
grazia, con nobile e dignitosa azione, con chiara e sonora
/oce, e con quelle doti tutte, che rivelavano in lui
]uel che doveva essere un giorno. Ma nel tempo stesso
.1 suo contegno modesto palesava a tutti gli astanti
guanto era lungi dal compiacersi degli applausi che
:1 merito gli procurava. La sua virtù era già superiore
ad una sì seducente tentazione.
4 — BARBERTS, Vita di S. Francesco di Sales.

3.6 Page 26

▲back to top


Fatti edificanti. — Pieno di carità per i suoi
eompagni, li stimava ed amava tutti ad un modo, e
a tutti si porgeva amabile, dimentico della condizione
sua di signore nobilissimo, e sol ricordevole che in-
nanzi a Dio tutti siamo egualmente fratelli, figliuoli
tu.tti del Padre Celeste. Quindi tutti i suoi compagni
l'amavano con sentita riverenza; anzi tale era l'effetto
che la sola sua presenza faceva in loro, che vedendolo
comparire ed appressarsi si mantenevano nel dovere
e si dicevano gli uni agli altri: « Stiamo savi, ecco il
.santo che viene, » e smettevano i contrasti, i litigi e
spesso anche le fanciullaggini e le leggerezze.
Francesco, senza rispetto umano, ma con uno zelo
molto prudente, quando alcuno de' suoi compagni per-
mettevasi qualche atto o parola poco conveniente lo
riprendeva con dolce gravità, ed affettuosamente lo
pregava a vegliare sopra i suoi discorsi. In una parola,
egli era in mezzo a loro più che compagno, un angelo
tutelare.
"/
I castighi, che ai compagni venivano imposti, in-
tenerivano siffattamente il suo cuore che avrebbe
desiderato essere punito egli in loro vece, e parecchie
volte ottenne veramente il suo intento. Un giorno
che Gaspero di Sales, suo cugino, era stato condan-
nato alle sferzate (che nelle scuole d'allora erano
punizioni non rare), e piangeva con grandi strida, egli,
spinto dalla compassione, si propose al maestro chie-
dendo di subire la pena per il colpevole ; e il buon
giovanetto ricevette il castigo con ammirabile pazienza,
e quando, all'uscire dalla scuola, intese le mormora-
zioni dei compagni sdegnati, prese altamente la difesa
di chi l'avea percosso, dicendo che non aveva fatto se
non. accondiscendere alle sue domande.
Monsignor Maupas, vescovo di Puy e commissario,
delegato dalla Santa Sede per le informazioni della
causa di beatificazione e canonizzazione di San Fran-
cesco, dopo d'aver raccontato il fatto suesposto e vari
altri, aggiunge, che quando tra i compagni insorgeva
qualche alterco egli s'intrometteva subito a sciogliere
le questioni, e che tutti sempre stavano alla sentenza
da lui pronunciata.
L'ammirazione verso di lui non poteva restringersi
nella scuola: in breve se ne sparse la fama per tutta
la città. A ciò aggiunsero credito alcuni fatterelli che
vennero a sapersi dal pubblico. Il suo servitore aven-
dogli un dì comprato un paio d'i guanti ad un prezzo
al di sotto di quello richiesto dapprima, ed il mercante
avendo, al solito, nel lasciarlo, protestato che vi per-
deva : «Quanto dunque, gli disse Francesco, vi biso-
gnerebbe perchè non abbiate a perderci? » Tanto, ri-
spose il mereiaio. « Ebbene, eccovi tanto, » soggiunse
egli levando la moneta dal suo borsellino in cui teneva
i soldi datigli dal padre pe' suoi minuti piaceri. Un'altra
volta attraversando un ponte, allora ristaurato da un
operaio, che esigeva da passeggeri, in compenso della'sua
fatica, una modica retribuzione, si accorse che il suo
servo non dava nulla, probabilmente perchè i nobili
andavano esenti da questo pedaggio: « Come? disse
il giovanetto : questa povera gente suda e si affatica
tanto per servirci, e noi non daremo nulla a loro? ho,
non è giusto ; » e, ciò detto, si leva di tasca una mo-
neta, e con buon garbo, che fece più prezioso il leg-
gero tributo, la mise in mano all'operaio e continuò
la sua via.
La prima Comunione e la santa Cresima. —
Un grande aiuto venne di questo tempo ad accrescere,
ed a rendere più amabile lo sviluppo della virtù del

3.7 Page 27

▲back to top


nostro Francesco. Il buon Dio fino allora aveva bensì
moltiplicati i suoi doni, s'era bensì fatto sentire in lui
come con le anime pure ed innocenti; ma non era
ancora venuto sacramentalmente Egli stesso a prendere
possesso di quell'anima innocente. Erano ormai due
anni che egli studiava ad Annecy, e si appressava
il gran giorno tanto dal suo cuore bramato, quello
della prima Comunione. Egli aveva dieci anni ; per
prepararvisi meglio aveva moltiplicate le sue pre-
ghiere, si era fatti sforzi per crescere nelle virtù,
stava raccolto quanto poteva e parlava quasi solo della
fortuna che gli si preparava. Finalmente il giorno venne.
Ricevette la santa Comunione nella chiesa dei Dome-
nicani, dalle mani medesime del Vescovo della dio-
cesi. L'aria, il contegno, la divozione con cui si ac-
costò a questo gran Sacramento - ci viene tramandata
dagli storici contemporanei con parole cìi verace en-
tusiasmo. /
Il giorno della prima Comunione è generalmente
tenuto per il più bello della vita : e lo è veramente
per chi vi si sia ben preparato. Oh quante grazie porta
Iddio nel cuore di quel fanciullo che si unisce a Lui
con cuore puro, con desiderio grande di fare qualun-
que sacrifizio anziché fare ancora dei peccati !
Per compimento della sua felicità Francesco rice-
vette nello stesso giorno dal medesimo vescovo la santa
Cresima. Questo pio ed illustre Prelato già conosceva
il divoto fanciullo, e più volte ne aveva ammirato il
candore, la pietà e la modestia, e 1' aveva denominato
l'Angelo visibile della patria: ma in quel giorno, col-
pito più che mai dall'aria celestiale, che risplendevagli
sul voltò, gli diresse dopo la cerimonia della Cresima,
parole, come dicono gli storici, piene di dolcezze e di
lieti presagi, predicendo che diverrebbe un' insigne
cattolico, una fiaccola luminosa nella Chiesa di Dio, é
la maraviglia del suo tempo.
.Appena si può dire quanto questo saggio fanciullo
progredì nella virtù dopo quel fortunato giorno. Per
• mostrare al Signore la sua riconoscenza per la grazia
straordinaria dell'esser venuto a visitarlo personal-
mente, e d' averlo ammesso nella sua milizia, si propose
di star sempre più raccolto, più attento allo studio, più
vigilante sopra ogni suo detto e fatto : si prescrisse anche
preghiere speciali da farsi ogni giorno, ed ore fisse per
la lettura di libri divoti, e per fare le visite in Chiesa a
Gesù sacramentato. Da quel giorno egli non ebbe più
che un pensiero : vivere unicamente per Iddio e con-
sacrarsi tutto a Lui.
Della modestia^si mostrò così scrupoloso, che nei
calori della state, quando gli altri, allettati dajla fre-
schezza delle acque, non si potevano rimanere dall'an-
dare a bagnarsi, o almeno a slacciarsi gli abiti, egli per
quanto facesse caldo, non si permise mai tali cose.
E mentre nelle belle sere d'estate i suoi condiscepoli
andavano a passeggiare lunghesso le rive pittoresche
del lago o nelle amene praterie a quello vicine, il
pio giovanetto, ritirato nella sua stanza, si occu-
pava in leggere le Vite dei Santi, per le quali aveva
una particolar attrattiva. E spesso, faceva parte alle
persone di casa di quanto vi trovava di più edi-
ficante: « Mia cara zia, diceva egli a quella persona
presso cui era alloggiato, donna molto attempata e
pia, oggi ho qualche cosa molto buona da leggervi : »
e così dicendo si poneva a leggere ad alta voce quelle
vite procurando così il bene spirituale degli altri insieme
col suo. Si propose anche di fare tutti i giorni almeno
una visita alla Chiesa, Quella dei Domenicani, dove
aveva fatto la prima Comunione e ricevuto la Cresima,

3.8 Page 28

▲back to top


— 54 —
l'attraeva in modo particolarissimo, e tale attraimento,
proveniente dal ricordo delle più grandi grazie che in
quella aveva ricevute, durò in lui finché visse. Quando
fu vescovo, essendo venuto a fare una predica in questa
Chiesa, e riuscitovi mirabilmente, il buon religioso che
l'accompagnava, nella sua semplicità, ebbe a dirgli:
« Monsignore, non ho udito mai parlare così bene della
nostra santa Religione. » Il buon vescovo gli rispose:
« Amico mio, egli è che mi son ricordato, che in
questa vostra Chiesa sono stato cresimato e corrobo-
rato nella fede è vi ho fatto la prima Comunione;
questo pensiero m'ha destato un po' di fervore. » \\
Riceve la tonsura chiericale. — Il buon Dio su-
scita molte volte nel cuore ancor tenero dei giovanetti
il desiderio di fare altarini, di ornare immagini, pre-
gare avanti à quelle, e in generale riprodurre le azioni
esteriori dei preti e delle funzioni ecclesiastiche; ed an-
che inspira un amore ed un concetto grande per la
dignità ecclesiastica e per le varie cerimonie e pratiche
del culto. Questa propensione è riconosciuta general-
mente come uno dei segni di vocazione ecclesiastica.
Noi la vedemmo, questa tendenza alle cose di chiesa,
già molto spiccata nel nostro Francesco fin dai primi
anni .Ebbene ! col procedere negli anni essa non solo non
diminuì, ma crebbe grandemente, e, corrispondendo,
egli alla grazia del Signore, si trasformò in una volontà
ferma ed assoluta di voler abbracciare lo stato eccle-
siaslico. Già egli era interamente staccato dalle cose
del mondo, e non aveva nel cuore che questo solo
desiderio di essere tutto di Dio.
» Maturato bene questo pensiero, quando fu agli un-
dici anni si sentì spinto da una forza intèrna a parlarne
col padre, e a chiedergli licenza di poter ricevere la
tonsura chiericale. Il padre che lo destinava alla magi-
stratura, sperando che il precoce senno di lui lo rende-
rebbe un giorno grande ornamento della sua casa, non
volle dapprima consentirvi ; ma poi, vedendo 1" insistenza
del figlio, e l'acerbo dolore che gli recherebbe con
un assoluto rifiuto, persuaso che quella fosse non più che
una giovanil vaghezza da svanir quandochessia, diede
il suo assenso, tanto più che, per un abuso a quei
tempi comune, i chierici non portavano, generalmente
parlando, abito ecclesiastico, fin che norf fossero arri-
vati al suddiaconato. ^Francesco dunque colmo di giu-
bilo vi si preparò, ed arrivato il tempo, non facendosi
a quell'epoca questa funzione ad Annecy per l'assenza
del Vescovo, munito delle dovute carte, partì per Cler-
mont, dove si teneva solenne ordinazione, ed il 22
settembre 1578 ricevette, giovanetto di appena 12 anni,
la tonsura chiericale.
Recherà meraviglia ai nostri giorni l'aver preso egli
la tonsura chiericale così giovane, e senza avere an-
cora vestito * l'abito sacro. Questa meraviglia, cesserà
quando si sappia che quella era un'usanza dei tempi.
La tonsura non è un ordine sacro propriamente detto:
è solamente una sacra cerimonia, un distintivo dato a
chi desidera avanzarsi per la via del sacerdozio e con-
sacrarsi al servizio degli altari ; ma non impone obbli-
ghi perentòri; perciò chi, ricevutala, avesse da tornare
indietro, lo potrebbe fare liberamente, Ora però l'uso
comune è di non conferirla se non quando, dopo alcuni
anni di chiericato, si sia mostrata una certa stabilità
nella vita che si vuole intraprendere e si sia incomin-
ciato lo studio della teologia.
Nel conferire la tonsura il Vescovo taglia un poco
i capelli al candidato, per dimostrargli che egli deve,
ricevendola, rinunciare, ad ogni cosa superflua, di cui

3.9 Page 29

▲back to top


i capelli sono simbolo. ' Questa cerimonia die' mo-
tivo a Francesco eli riconoscere nel suo cuore un
segreto attaccuccio, di cui non erasi accorto prima.
Kgli aveva fino allora portato una bella e bionda ca-
pigliatura, che graziosamente gli cadeva sulle spalle;
e secondo le leggi della Chiesa, non poteva ricevere
la tonsura ed essere così fatto chierico, che a condi-
zione di tagliarla; al che sentì per un istante un po'
di ripugnanza. Ma il sacrificio non tardò ad essere
consumato./Avvedendosi che troppo erasi affezionato
a quel vano ornamento, e sapendo che sovente una
cosuccia tiene schiava un'anima che crede di avere ri-
nunciato ad ogni cosa, vergognandosi di avere ancora
il cuore preso da sì piccola cosa, generosamente si la-
sciò recidere la sua vaga capigliatura.
Termina gli studii ad Annecy. — Quantunque
avesse presa la tonsura continuò, come allora si usava,
a portare gli abiti secolareschi e la spada da cavaliere;
ma, se non indossò il vestito esterno di ecclesiastico, ne
rivestì molto bene le virtù e la pietà. Cominciò a cercare
con ogni possa di sottomettere tutti i movimenti del suo
cuore alla grazia, e di acquistare così quell'eguaglianza
d'animo, che è necessaria, e che agevola i progressi nella
perfezione; e specialmente si propose di rendersi sempre
più dolce e mansueto contraddicendo all'indole colle-
rica a cui per natura sentivasi inclinato. Il pensiero, che,
con ricevere la tonsura eràsi dato interamente al migliore
dei padroni, l'accendeva d'un santo ardore per tutte le
pratiche di pietà, specialmente per la frequenza ai santi
sacramenti.
Si sarebbe volentieri privato di ogni sollievo per
dare più perfettamente a Dio tutti gli istanti della
sua vita; ma il suo precettore prendevasi pensiero di
fargli fare le ricreazioni necessarie per mantenerlo in
salute, e di mandarlo a passeggio nei giorni di vacanza;
ma egli servivasi di quelle circostanze per santificare
e far santificare anche dai compagni le ricreazioni di-
cendo con grande espansione: « Come è buono il Si-
gnore che vuole che noi lo serviamo in santa allegria ! »
La carità è industriosa, e tutti i giorni Francesco,
già fatto apostolo fra i compagni,,trovava nuovi modi
di far del bene. Con una virtù tutta risplendente, come
si esprime un testimonio oculare, associatosi ad alcuni
tra essi, cercava di far con loro la ricreazione per
avere così un mezzo di dare qualche buon consiglio.
Nelle passeggiate che con essi faceva, frequentemente
andavano in un bosco solitario o all'ombra di qualche
grand'albero, presso l'incantevole lago di Annecy, e
quivi, prima che cominciassero i giuochi faceva loro
recitare qualche preghiera o cantare qualche lode. Dopo
la ricreazione, qual piccolo predicatore, li esortava a
fuggire il peccato e le occasioni pericolose e a prati-
care qualche virtù, terminando ordinariamente la sua
piccola allocuzione con queste o simili parole: « Im-
pariamo di buon'ora, miei amici, a servire Iddio, a be-
nedirlo, e facciamo del bene fin che ne abbiamo il tem-
po. » Altre volte raccontava loro fatti edificanti ed
attraenti, che aveva letto nelle Vite dei santi.
Le esortazioni che faceva a chi veniva con lui, gene-
ralmente avevano molta efficacia, onde vari de' suoi as-
sidui compagni assicurarono in seguito, che, ,se avevano
qualche divozione o qualche virtù, ne erano, dopo Dio,
debitori a Francesco.
Le vacanze in casa. Le vacanze nella casa
paterna non erano per lui meno edificanti di quel che
fossero le ricreazioni di Annecy. Quivi trovavasi coi tre

3.10 Page 30

▲back to top


- 5R - v
fratelli minori- Gallo, Luigi e Gian Francesco, che egli
riguardava come tenere pianticelle, da doversi coltivare
come anime nuove e cuori innocenti, e portarle a
Dio, e formarle alla pietà. Procurò di cattivarsi i
loro affetti cercando di contentarli in quanto poteva,
accomodarsi al loro u morte e porgendosi volenteroso ai
loro giuochi infantili. Poscia, valendosi dell'autorità
che sopra di essi gli dava l'età e la virtù, li animava a
pregare, ad amar Dio ed amarsi fra Toro, dirigendo, a
guisa di buon angelo, i loro passi nei sentieri del bene.
Tra i fratellini vi era Luigi che gli stava sempre
appresso e trovava le sue delizie nel seguirlo ed
accompagnarlo per tutto. Seguiva anche più esatta-
mente che gli altri gli avvisi che il fratello gli dava;
ed i cuori di questi due angeli terrestri sembrava for-
massero un cuor solo.
La buona mamma applaudiva allo zelo del primo-
genito e lo assecondava efficacemente : « Miei cari fi-
gluoli, diceva essa alla sua piccola famiglia, imitate
Francesco, seguite i suoi buoni consigli, e fate tutto
ciò che vi dirà, » Quei teneri figliuoletti praticavano
gli ammonimenti dell'ottima genitrice : e così la casa
di Sales diventò un santuario di virtù e un perfetto
modello di famiglia cristiana. I
CAPO III.
^
Gli studi a Parigi.
Preparazione per la partenza. — Aveva Fran-
cesco passati 5 anni ad Annecy, percorrendo ciò che
si diceva ^ allora lo studio delle umane lettere e cor-
risponderebbe circa alle nostre quattro prime classi di
ginnasio. La retorica (che corrisponde a qualche cosa
di più della nostra 5 a ginnasiale, si faceva separata-
mente e per lo più vi si impiegavano due anni. Egli
aveva cominciato il suo quattordicesimo anno di età,
e, sebben giovane, aveva la mente, sviluppata assai,
tanto che faceva maravigliare i maestri. Il padre ne
gioiva e faceva i più lieti presagi. Gli pareva ormai che
Annecy fosse troppo piccola per Lui, e i maestri di
provincia non più tali da tener dietro al precoce svilup-
po di quelT intelletto; credette perciò conveniente man-
darlo a studiare la retorica e la filosofia nella gran
capitale della Francia, a Parigi/Già figuravasi, il buon
padre, di vederselo avanti illustre avvocato, e diceva:
« Gli studii retorici e filosofici, fatti in quella città, ren-
deranno più robusto il suo stile, più stringente il suo
argomentare, più vaste le sue cognizioni; poi, colà po-
trà stringere relazioni con gli uomini più illustri del
secolo : tornato in Savoia continuerà a coltivare quelle
grandi relazioni, e la sua riputazione sarà stabilita. »
Così sognava il buon padre, e così disponeva Iddio,
che, ne' suoi imperscrutabili disegni, in questo modo
veniva preparando il suo gran servo a divenire Dottore
di Santa Chiesa. Il signor di Boisy pertanto annunziò
alla consorte e$l al figlfc la prèssa risoluzione, e senza
porre indugio ordinò, che si preparasse la partenza. ^
Si rallegrò Francesco all'annunzio, non dubitando
che a Parigi troverebbe maggiori mezzi di perfezio-
narsi nelle scienze'e nelle lettere; ma occupandosi egli
più della perfezione dell'anima sua, che non del ri-
splendere nel mondo, ov'egli non voleva comparire se
non come ministro di Dio, fu afflitto dal pensiero dei
pericoli che avrebbe trovato in quella nuova Babilo-
nia; tanto più che il padre giudicava di farlo ascrivere
al collegio detto di Navarro, dove per lo più anda-

4 Pages 31-40

▲back to top


4.1 Page 31

▲back to top


vano a studiare i nobili della Savoia. In quel collegio
fiorivano bensì gli studi, ma si coltivava poco la pietà
e la virtù. Avendo pertanto Francesco udito, che in Pa-
rigi stesso vi era un'altro collegio, detto il Clermont,
diretto dai Padri della Compagnia di Gesù, si decise
di pregar suo padre, che gli permettesse di ascri-
versi a quello, nel quale sapeva che la pietà e la
scienza fiorivano insieme.
Intravedeva che suo padre gli farebbe grande
difficoltà a permettergli quel cambio, poiché, sebbene
buon cattolico, non conoscendo abbastanza il male
che poteva esservi frequentando un collegio piut-
tostochè un altro, rimaneva facilmente accecato da quel
certo amor proprio, che fa cercare la gloria del figlio
e della famiglia nei mezzi mondani. Per alcun tempo
adunque non osò parlare ; ma l'anima sua era afflitta,
e, mentre studiava il modo di ottenere una tal
grazia dal padre, pregava e piangeva. Finalmente ri-
solse di aprirsene con la tenera sua genitrice : andò
da lei piangendo ; ed avendogli ella chiesto il perchè
di quelle lacrime : « Oh ! cara mamma, è perchè mi
vedo in pericolo di perdere l'anima se vado al collegio
di Navarra\\ la mia debolezza mi dice che vi perirò:
io sono inclinato al male, le cattive compagnie mi se-
durranno, e a che cosa mi servirebbe una vana scienza
se dovessi dannarmi? V'è il. mezzo di conciliare il bene
della mia istruzione con quello della virtù, ed è di
mandarmi al collegio "dei Gesuiti; essi sono ad un
tempo dotti e pii, e m' insegneranno del pari la scienza
e la via del cielo ; ed io m'istruirò senza che la mia
salvezza eterna corra verun rischio. Oh buona madre !
soggiunse, ottenetemi, ve ne scongiuro, dal babbo, che
io vada da quei buoni religiosi : sarà per voi maggior
contento vedermi ritornare dagli studi fervente disce-
/. •
— 61 —
polo di Gesù Cristo, che bravo cortigiano, schiavo
del mondo e delle mie passioni. >yLa virtuosa donna
entrò facilmente nei sentimenti dèi figlio, ne parlò col
marito, e fece sì ben valere le ragioni di dover prefe-
rire al collegio di Navarro, quello di Clermont, che il
padre, generosamente, posponendo tutte le viste del-
l'amor proprio, diede il suo consenso.
Questa determinazione riempì di giubilo il cuor di
Francesco ; il quale ne ringraziò con grande affetto sì
la madre,, che aveva perorato, come il padre, che aveva
acconsentito, e più non pensò, che a disporsi per la
partenza.
.
I consigli della madre. — Gl'insegnamenti della
piissima dama, dati al suo caro figliuolo nell'ultimo
periodo di tempo che stette a casa, mentre si facevano
i preparativi per la partenza, furono tali, che riputiamo
ben fatto riferirne alcuni, come vennero riportati da
qualche storico.
Principale ammaestramento della piissima signora
di Boisy al figlio fu quello di avvezzarlo a sollevarsi
al pensiero di Dio dalla contemplazione delle creature:
salutevolissimo esercizio, chi lo sappia ben fare; poi-
ché, qual. cosa havvi mai nel mondo, la quale, consi-
derata cogli occhi della fede, non ci parli di Dio?
Francesco imparò sì bene quest'esercizio, che sempre
lo continuò in vita sua ; ed anche lo raccomandò a
tutti nella sua Filotea, come cosa importantissima per_
chiunque voglia camminare nelle vie dello spirito. \\
Incontrando per strada qualche poverello la pia
signora gli diceva: « Vedi, Francesco, questo povero
infelice che quasi non ha da coprirsi, e non un tozzo
di pane da sfamarsi? Qual differenza tra la sua con-
dizione e la nostra! eppure è nostro fratello, ed ha lo

4.2 Page 32

▲back to top


\\ stesso diritto che noi di chiamar Dio suo padre. Se
fra noi e lui c'è differenza di fortuna, niuna ve n'ha
però di natura e di grazia : anzi, chi sa che agli occhi
N di Dio non sia molto più innanzi e più grande di noi !
Guai adunque a chi disprezza i poveri, o non se ne
piglia cura veruna ! nel dì del giudizio" il Signore ce
ne rimprovererà, perchè quello che di bene o di male
avremo fatto ai poveri, lo tiene come fatto a se stesso. »
^ • Y . ^ . ~ Vedendo qualche contadino lavorare nei campi:
« C h e ' t e ne pare, diceva, che te ne pare, Francesco,
di questa buona gente, che suda in dure e continue
fatiche? Se non fosse di essa, noi medesimi dovremmo
coltivare la terra. Quanta gratitudine ed amore adun-
que non le si deve! Ma se meritano amore e gratitu-
dine i contadini per le fatiche che durano in servizio
nostro, quale maggior gratitudine ed amore dobbiamo
noi avere a Dio? E Egli solo che, benedicendo alle
fatiche dei contadini, dà la fecondità alla terra, ed ogni
anno sempre ci è largo d'ogni maniera di frutti. Che
mirabile fatto è mai questo della fecondità della terra !
Ti par egli, Francesco, che alla terra debba bastare
l'essere rimenata e smossa perchè un granello affida-
tole si moltiplichi in cento simili grani; perchè un
piccolissimo seme cresca in una pianta di utili frutti?
Oh avrebbero bel seminare e piantare e potare, i
còntadini ! Se Dio non desse la fecondità alla terra,
tutto accennerebbe a morire e disfarsi. »
Altre volte strettoselo al seno : « Checché ne pen-
sino gli uomini, essa gli diceva, come già quella ma-
ravigliosa madre dev Maccabei, tu non pensar punto
che sia io, che t'abbia dato l'essere e .la vita. Sei, è
vero, mio figliuolo, ma non sono io altrimenti che ti
"comunicai questi spiriti per cui vivi, che t'infusi que-
st'anima spirituale ed immortale, per cui sei fatto
capace di possedere un bene eterno. Da Dio solo hai
l'essere e quanto sei, Egli solo è che ti conserva: da , >
Lui solo dunque devi sperare, e da Lui solo aspettare
ogni bene, ed a Lui solo riferire ogni merito, e ren-
derne grazie. »
« Quanto mi sii caro, lo sa Iddio! anche gli ripe- v ^ 1
teva spesso; quanto mi sii caro, lo sa Iddio! eppure Ì&- / p
vorrei piuttosto vederti cader morto ai miei piedi, che
saperti caduco in peccato. Ricordati che il tuo titolo *
di gloria più bello è di esseré cristiano : tu non avrai
più l'occhio di una madre che ti invigili ; tocca dun-
que a te sviluppare quei buoni germi, che ho gettato
nel tuo cuore. Non dimenticare che il principio della
sapienza è il timor di Dio. Se nel corso dei tuoi studi
provassi qualche aridità, va' a rinfrescare il tuo cuore
appiè degli altari : ivi le consolazioni sono dolci ; sono
efficaci i soccorsi contro i seducenti pericoli delle grandi
città. Tu entri nelle pubbliche scuole col prestigio della
tua nascita : deh ! che il tuo grado e le speranze in te
riposte non t'imprimano giammai ombra d'orgoglio ;
non potrai esser grande, che con la virtù. Te lo ripeto,
figlio mio: per quanto il mio'amore verso di te passi
ogni misura, preferirei saperti morto al saperti reo di
peccato. »
•-
Anche la regina Bianca diceva così al suo Luigino,
che fu poi il gran S. Luigi re di Francia. Le madri
che sanno parlare in questa guisa a' loro figliuoli, edu-
cano santi. Ed in questa guisa la signora di Boisy s'in-
gegnava di provvedere al figliuol suo ciò che di meglio
poteva dargli: chè, quantunque sollecita che a Fran-
cesco non mancasse nulla del necessario a menar la
vita da nobile cavaliere,- nondimeno rettamente giudi-
cava, che poco vantaggio, anzi male grandissimo sa-
rebbe venuto a lui, qualora la scienza, pel cui acquisto

4.3 Page 33

▲back to top


<H
andava a Parigi, non si avesse potuto procacciare, che
al prezzo di danneggiare l'eterna salute dell'anima.
Anche il buon padre metteva ogni cura perchè
nulla mancasse^ al figliuolo nella sua partenza ; ma
preparativi materiali erano per lui il minor pensiero.
Necessitava trovare un precettore prudente e pio e un
buon domestico, affezionato e fuori di ogni sospetto, ai
quali poter affidare con sicurezza l'innocenza e la virtù
del figlio. Il Signore esaudì le preghiere che tutta la
famiglia fece a questo scopo, sicché si trovarono le
persone veramente adatte all'uopo, e con le virtù
necessarie. A precettore fu scelto quel buon sacerdote
che già l'aveva istruito nelle cose di religione, l'abate
Giovanni Deage. Egli era bensì di un carattere un po'
rigido, ma perciò appunto fu creduto migliore dal
padre a raffrenare il figlio nell'età pericolosa che aveva
da passare, e Francesco se ne trovò arcicontento,
desiderando essere corretto di ogni, anche più piccolo
difetto. Per domestico gli fu affidato Giorgio Rolland,
uno dei servi più intelligenti, che da molti anni era
in famiglia amato e stimato.
Francesco formò dal canto suo le più ferme riso-
luzioni. Deciso nel suo cuore di mantenersi buono e
di praticare con fervore di spirito e di cuore le buone
esortazioni della mamma, e seguire sempre i buoni,
esempi avuti in famiglia, si accostò ai santi Sacra-
menti e si pose tutto sotto il manto e la protezione
di Maria Vergine, di cui si era mantenuto sempre
molto divoto. E poiché i giovani cavalieri erano al-
lora soliti, all'uscire per la prima volta dalla casa pa-
terna, di prendere una particolare impresa, cioè un
motto, che servisse loro come di stemma e di ri-
cordo, egli scelse queste due parole, atte a rammen-
targli ciò che egli voleva : Non excidet, non degene-
-
6S
-
rerà. Era come se avesse detto, secondochè si espresse
più tardi a suo fratello Luigi : Poiché nobiltà obbliga,
io ho due nobiltà a sostenere, ciascuna delle quali
mi obbliga a non degenerare ; la prima è la nobiltà
di famiglia, avendo molti feudi; la seconda è la no-
biltà ancor superiore, quella cioè di cristiano, la quale
mi stabilisce nella genealogia dei figli di Dio; io dun-
que non devo degenerare commettendo peccati, e spero
che non degenererò mai. f
Viaggio a Parigi. — Terminati i preparativi, con
la benedizione de' suoi amatissimi genitori, Francesco
si pose sulle mosse per Parigi. Lo accompagnavano il
precettore D. Deage ed il servò, Giorgio Rolland. 11
viaggio era lungo e faticoso ; allora non eranvi fer-
rovie né le strade erano comode come ai giorni nostri.
Si trattava di percorrere più di 700 chilometri, e ciò
tutto in vettura, occorrendo in alcuni luoghi traver-
sare montagne, passar fiumi senza ponte, e percorrere
strade pericolose. Queste cose tutte erano prevedute,
e il buon giovanetto appena quattordicenne, aveva già
posto tutta la sua fiducia nella materna protezione della
Madonna, a cui caldissimamente in ogni critica circo-
stanza si raccomandava. Né invano, poiché, con la
protezione di questa buona sua mamma, tutto riuscì
felicemente.
Carlo Augusto di Sales, che ne scrisse la vita, ha
cura di far notare come per tutto dov'egli passava,
Francesco lasciava profonda impressione della sua virtù :
egli ci assicura che un'aria sì risplendente di santità
apparivagli sul volto e in -tutta la persona, che nei
luoghi ove fermavasi, sia a prender cibo o pernottare,
sia per passarvi le domeniche, era l'oggetto di una,
direi quasi, .religiosa venerazione. Ognuno lo mirava
S — B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales.

4.4 Page 34

▲back to top


— 66
con rispetto, ed i riguardi che gli usavano, rassomi-
gliavano ad una specie di culto. Il medesimo signor
Deage, era ammiratissimo della modestia e pietà di
lui; onde cominciò fin d'allora a tenersi come indegno
d'esser suo precettore.
f Chi viaggia in paese straniero, nella varietà degli
oggetti che gli si presentano agli occhi trova molto
di che istruirsi. Ben è vero che non tutti son capaci
di fare quelle- riflessioni, che dovrebbero essere inse-
parabili dai viaggi ; ma Francesco, ancorché giovane
di anni, non mancava di osservare quanto vi era d'in-
portante per la religione e per le scienze; s'informava
del modo di vivere di ciascun paese, e, interrogando
all' uopo altre persone ed il suo precettore, faceva egli
stesso le più giudiziose riflessioni, prendendo nota,
per ricordarle meglio, delle cose più importanti, e delle
rarità più celebri : ricercava la ragione di tutte le cose
che vedeva, e specialmente la causa delle desolazioni
che incontrò per istrada. Era la Francia allora in ista-
to deplorevole, a cagione delle desolantissime guerre
civili, che l'introduzione del protestantesimo vi aveva
portato. La Savoia aveva sofferto assai meno ; ma non
gli erano del tutto nuovi i disastri, che è solita re-
care l'eresia alle provincie ov'essa penetrava. Ad
ogni modo, il suo maestro, uomo di buon giudizio,
gli faceva osservare come non poteva durare la società
civile quando non è fondata in Dio, e che la pietà, la
giustizia e la religione contribuiscono alla felicità dei
regni. Poiché, soggiungeva, se il più fiorito regno della
cristianità, com'era poco prima la Francia, si trovava
in tale stato dacché mancava la virtù, ben si poteva
dedurre esser questa il più solido fondamento degli
Stati. Con tali e simili considerazioni che il Deage
aveva cura di fare a quando a quando, secondo l'op-
— <$7 —
c
portunità, al suo alunno, e con le attente considerazioni
proprie, lo spirito di Francesco si riempiva di esperienza.
Giunsero a Parigi felicemente, essendo passati per
Lione, Bourges, Orleans.
La grande capitale della Francia era anch'essa
stata orrendamente sconquassata dai torbidi prodotti
dall'eresia, ma al tempo dell'arrivo di Francesco
aveva già cominciato a reagire, e le cose cominciavano
a procedere più tranquille. I grandi delitti commessi
negli anni antecedenti dai personaggi più in vista
della capitale fanno troppo dimenticare le ricchezze
della vita cristiana di Parigi. In una città sì vasta
e popolata vi era certamente del gran male, il quale era
anche fatto molto palese dall' esempio dei cattivi in-
fluenti, audaci e \\petulanti; ma il bene, quantunque
meno apparisse era. reale e fecondo. L'eresia e l'em-
pietà non erano più insegnate nelle pubbliche scuole,
anzi in esse occupavano varie cattedre professori che
avevano tanta pietà quanto scienza.
Comincia gli studi di retorica. — In mezzo a
questa società il giovane gentiluomo, sotto la guida
del suo governante entrava nuovo, ma portava seco
un cuore preparato dalle cure di una santa madre, una
purità verginale ed uno spirito di generoso sacrificio.
Né la fama d'una città come Parigi, né l'innata
curiosità che è nell'uomo di veder cose nuove e
grandi, furono bastanti a far sì che il suo cuòre se ne
lasciasse vincere anche per poco. Egli aveva l'anitno
ad altro e perciò senza lasciarsi portare dalla curiosità
si fece subito condurre al collegio dei Gesuiti per con-
segnarsi a quei buoni padri, i quali, colpiti dalle belle
maniere ^e dal suo carattere franco, amabile e modesto
l'accolsero con giubilo e gli procurarono alloggio in

4.5 Page 35

▲back to top


— 68 —
una casa vicina, affinchè potesse seguire ogni giorno
comodamente le lezioni che si compartivano in collegio;
l'esame d'ammissione poi a cui, secondo l'usanza,
lo sottomisero, fece palese come a quell'attraente e
dignitosa avvenenza, a quel carattere spigliato e ameno
accoppiasse tutte le condizioni adatte allo studio serio
della retorica: giudizio perspicace e sodo ed ingegno
atto ad ogni scienza.
Non occorre dire che Francesco immediatamente
si ponesse con ardore allo studio, per così compiere
esemplarmente il suo dovere, per appagare le inten-
zioni del padre e le cure dei precettori. Come già
aveva fatto ad Annecy per apprendere il latino, così
fece a Parigi per apprendere la retorica e la filosofia.
Alzavasi di buon mattino, e fatte le sue pratiche di
pietà si mostrava tanto avaro del tempo, che ne metteva
a profitto ogni ritaglio, temendo di perderne pur una
particella: era necessario un ordine del suo precettore
per toglierlo dai libri.
Sempre attento alle dotte lezioni de' suoi nuovi
professori procurava di non perderne parola ; chè anzi
Je raccoglieva, le meditava e le poneva in pratica ne'
suoi componimenti letterari. Questa indefessa fatica
gli acquistò in Parigi, come in Annecy, i primi onori
fra i suoi condiscepoli, senza eccitarne la gelosia;
giacché la modestia che in lui scorgevasi, non inspi-
rava agli altri che sentimenti di rispetto e d'amore.
La sua umiltà era già arrivata ad un grado tanto elevato
da fargli occultare accuratamente quanto poteva, agli
occhi dei compagni, far apparire alcunché di singolare.
V i unisce altri studii. — Non andò guari che
l'occhio esperto di c^ue' sagaci maestri s'avvide, che
nel collegio era venuto non solo un nuovo studente,
- 69 -
ma un giovane al tutto maraviglioso, tanta era la sag-
gezza, la regolarità, l'illibatezza di vita, l'umiltà e la
dolcezza con tutti, e la fervente divozione; s'avvidero,
per dir tutto in una parola, che avevano acquistato come
alunno un vero santo. Ma in breve s'accorsero pure che
in lui avevano acquistato un ingegno eletto, un giovane
d'un'applicazione straordinaria, e capace a tener dietro
a varii studii contemporaneamente, e per ciò mentre
gli posero speciale affetto e lo proponevano come
esempio agli altri scolari, per meglio svolgere ed aprire
la sua mente gli consigliarono lo studio della lingua
greca, che offre i più bei modelli alla sacra e profana
eloquenza; e il padre Sirmond, famoso grecista,
maravigliato delle ottime disposizioni che vedeva in
lui, volle egli stesso farglisi maestro. Francesco, non
d'altro desideroso che d'imparar sempre nuove ed
utili cognizioni, vi si mise con molto ardore; e
tanto più volentieri quando intese dal maestro, esser
questa l'ottima via di ben addentrarsi nella perfetta
cognizione del Nuovo Testamento, e nelle immortali
opere dei padri greci. Con tutti questi mezzi d'impa-
rare, continuati per lo spazio di due interi anni, il
giovane Francesco raffinò così il gusto nella buona let-
teratura, formò sì bene il suo stile, penetrò sì a fondo
i secreti dell'arte oratoria, che di soli quindici in sedici
anni die' a conoscere come un giorno egli diverrebbe
uno scrittore puro ed elevato, sempre maravigliosa-
mente lucido e chiaro nel suo dire, ed oratore valente
per l'irresistibile forza del suo argomentare.
Il padre, prima della partenza, aveva comandato
all'abate Deage di far anche imparare^ Francesco gli
esercizi ginnastici, l'equitazione, la' danza e la scherma.
Il buon Francesco ben volentieri, per piacere al padre,
vi si adattò, sebbene avesse per quelli poca inclina-

4.6 Page 36

▲back to top


zione, stimandoli inutili allo scopo, che erasi proposto
in ricevere la tonsura ; ma il padre lo voleva e ciò a
lui bastava. Applicavasi ad essi nei giorni di vacanza,
per modo di ricreazione, e poiché aveva destrezza,
agilità e forza non comune, in breve tempo si rese,
anche in quelle, assai abile. Studiò pure tutte le fi-
nezze della cortesia e della buona creanza, e tutto giovò
a fargHacquistare quel portamento sciolto, quelle maniere
graziose, conservate poi sempre, le quali facevano mara-
vigliosamente risaltare la sua modestia e la sua semplicità.
Come coltiva la pietà. — Avviene con frequenza
che lo studio distrae dal pensiero di Dio e riesce un
ostacolo alla virtù. Il'motivo per cui ciò avviene si è,
che molte volte si studia per ambizione, per interessi
umani, o per assecondare una certa naturale curiosità.
Se Francesco avesse studiato con questi vani intenti, i
tanti felici successi che ottenne avrebbero lusingato il
suo amor proprio, l'avrebbero forse fatto cadere in
qualche scoglio nefasto ; ma egli era sempre così preoc-
cupato del suo avanzamento nella scienza de' santi e
nella virtù, che ogni altra cosa, invece di allontanarlo,
lo univa ognor più a Dio.
Era convinto che la vera divozione, secondo che
c'insegna Sw Paolo, è utile a tutto ; e non solamente
non guasta nulla, ma perfeziona ogni cosa; e che il
tempo impiegato nel servire il Signore è poi da lui
ricompensato con benedire le altre azioni che si in-
traprendono. Volle perciò abbracciare tutti i mezzi
che più facilmente potessero condurlo alla pietà ed
alla virtù. Ma finché non si ha una buona guida v'è
sempre pericolo d'inciampare. Egli stesso raccontava
più tardi, che arrivato a Parigi gli venne un gran
fervore e desiderio di esser santo e perfetto; ma non
vi riusciva, perchè non ancora ben illuminato nelle
vie del Signore. « Essendo io studente a Parigi,
così scrisse egli stesso, e tuttavia giovinetto, presemi
una gran voglia di essere santo e perfetto. Cominciai
a mettermi in mente, che bisogna per tutto questo,
che piegassi alquanto la testa verso le spalle recitando le
mie orazioni perchè un altro scolaro, che era veramente
santo, faceva così; e per qualche tempo usai diligenza
nel farlo, ma non per questo crebbi io pure in santità. »
Egli capì subito, che la_prima cosa che deve fare
un giovane, il quale voglia sul serio incamminarsi per
la via della virtù, e per quella correre rapidamente,
dì cercarsi una buona guida, cioè scegliersi un. diret-
tore spirituale, un confessore, a'-cUi aprire tutto vii
cuore, ed a' cui dettati conformare tutte le proprie
azioni ; poiché senza di questo generalmente non si riesce
a nulla di stabile, perchè alcune volte si prenderanno
come buoni, mezzi che non conducono alla virtù desi-
derata, altre volte si lascierà il giorno seguente ciò
che nel giorno prima si era abbracciato con slancio ;
altre ancora in un entusiasmo imprudente uno si darà
a troppe cose, e finirà per stancarsi ed annoiarsi di
tutte. Perciò fu sollecito di cercarsi una guida, che
con mano abile e sicura lo dirigesse in ogni cosa.
Era solito dire, che se è necessaria una guida per
chi viaggia in paese sconosciuto, molto più ne abbi-
sogna chi vuol battere la strada del cielo fra mille osta- j
coli e pericoli. Pregò molto a questo fine, e trovata
che l'ebbe, non l'abbandonò più. Tutte le settimane
immancabilmente andava aTconfeisarsi, e faceva uno
studio straordinario per mettere in pratica i consigli
ricevuti dal suo confessore. Sotto, questa scorta noi lo
vedremo innalzarsi all'esercizio delle più diffìcili virtù,
senza che mai perdesse nulla della sua solita giovialità.
V

4.7 Page 37

▲back to top


/ Per consiglio del suo direttore spirituale si diede
alla lettura di buoni libri, ed a frequentare molto la santa
Comunione. Quanto ai libri divoti egli ne portava sem-
pre seco qualcuno, nè lasciava passare giorno senza nu-
trire lo spirito ed il cuore della loro lettura ; non cer-
cava in essi una'vana scienza, nè il pascolo d'una vana
curiosità, ma unicamente il modo di migliorare se stesso,
Con questo intendimento leggeva alcuni periodi, indi
fermavasi a riflettere per gustar ciò che aveva letto, e così
riempir l'animo di pii affetti. Di qui traeva sante risoluzio-
ni, che procurava di mettere in pratica fin da quello stesso
giorno, se era possibile. Queste letture, come si ;vede,
avevano tutto il carattere della meditazione, ossia di
quella orazione mentale, che più tardi egli doveva
tanto raccomandare anche agli altri.
A queste letture univa l'assiduità alle prediche, per-
chè, diceva egli, la parola predicata commuove ed eccita
più fortemente che la scritta. Era fedele soprattutto
nel recarsi ad udire i migliori predicatori; li ascoltava
con umile avidità, senza lasciar cadere a terra neppur
una delle loro istruzioni. •
Quanto alla Comunione egli vi si accostava tutte
le vòlte che il confessore glielo permetteva, e quando
qualcuno si maravigliava nel vederlo così assiduo ai
Sacramenti, egli non si scomponeva punto ; e domane
s dato del perchè si comunicasse tanto spesso, rispondeva:
« Per la ragione medesima, che mi fa parlare spesso co'
miei precettori. Nostro Signore è il mio maestro nella
scienza dei santi, ed io vado a Lui affinchè me l'in-
segni ; poiché poco mi importerebbe d'esser dotto se
non mi facessi santo. »
In vero la Comunione lo rafforzava e rianimava alla
pratica del bene. Essa era il focolare ove il suo cuore
riscaldavasi, la sorgente da cui la sua anima attingeva
la vita e l'alimento: era essa che lo sosteneva nelle
tentazioni e nelle prove.
Episodio edificante. — Quando un cuore è così
acceso d'amor di Dio, non può stare se non comunica
agli altri questo medesimo amore. Francesco già pieno
di vero zelo, calpestato ogni rispetto umano, si mise a
fare da apostolo in mezzo a' suoi compagni, esortan-
doli con parole tutte di fuoco ad accostarsi spesso ai
SS. Sacramenti, nè risparmiava industria per indurveli.
Un fatto a tal proposito ci è ricordato da Carlo Au-
gusto di Sales, ed è abbastanza curioso. Essendo ve-
nuto un pio giovane suo amico a visitarlo, Francesco
lo invita per il dì seguente a colezione.. Accetta que-
gli, ed arriva all'ora assegnatagli. « Amico mio, al }
primo vederlo gli disse Francesco, che conosceva la
pietà di lui, io vado a confessarmi ed a comunicarmi:
vuoi tenermi compagnia? » Il giovane maravigliato di sì :
inaspettata proposta esita, e dopo un po' di riflessione: j
« Ebbene, risponde, volentieri »; e tutti e due vi anda- i
rono. Quando ebbero soddisfatto alla loro pietà : « Ec- •
co, gli disse Francesco uscendo di Chiesa, il gran con-
vito, al quale t'invitai ieri, senza indicartelo; ora an- (
diamo pur a casa; da ristorare il corpo qualche cosa;
troveremo. » E non solo gli fece fare colezione, ma lo
tenne seco tutto il giorno, ricreandolo con la sua ama-
bile conversazione, procurandogli tutte le più oneste sod-
disfazioni, che erano in suo potere, e mettendolo a parte
de' suoi esercizi di pietà. Il giovine poi si partì lieto
di una giornata sì bella e piena di sì puri diletti.
Francesco alla frequente Comunione unì la visita.,
al SS. Sacramento. Ogni giorno immancabilmente si
portava in Chiesa a fare un po' di adorazione. Questa
pratica divenne una delle sue abitudini più care.
\\

4.8 Page 38

▲back to top


Gesù Cristo, diceva, si dona a noi nella santissima Eu-
caristia come vittima e come nutrimento ; e di più Egli
dimora nel sacro tabernacolo come vero Emmanuele,
ossia Dio con noi. Così noi possediamo in mezzo a noi
medesimi continuamente il divin Mediatore, che implora
sopra di noi la misericordia ed il perdono, anche quando
la nostra viltà, ah ! troppo sovente, provocherebbe la
sua giustizia.
Andava anche regolarmente, seguito da quei com-
pagni che aveva potuto radunare, alla visita dei San-
tuari dove riposava l'amor suo. Lo avresti veduto nel
luogo santo così raccolto in tutto il suo contegno, sì
modesto negli occhi, sì divoto nella maniera di prega-
re, che involontariamente ti sarebbe scappato l'espres-
sione : Ecco come pregarlo gli angeli e i santi lassù in
cielo.
Sue virtù predilette. — Fu questa profonda pietà
che gli diede la forza di vincersi dei difetti proprii della
gioventù ed a praticare la mansuetudine e la dolcezza
più invidiabile, sebbene per natura fosse molto inclinato
all'irascibilità. Non è da credere che fosse così pri-
vilegiato da avere quasi connaturali le virtù, no; fece
sforzi enormi per vincersi, e solo in seguito a questi sforzi
vi riuscì. Scrisse egli stesso: « Quando io ero giovane
mi diedi all'esercizio della dolcezza e dell'umiltà con
gran fervore; passarono molti anni che si può dire io
non pensassi ad altro che ad acquistare queste virtù. »
E^olo in questo modo potè riuscire di esempio al mondo
nella dolcezza.
Altra virtù su cui si esercitò molto da giovane fu
l'juhhidien^a e deferenza che ebbe sempre non solo ai
genitori, ma specialmente al suo aio ossia istitutore, nel
quale venerava il rappresentante della paterna autorità,
c la persona, che per lui teneva il posto di Dio. Questa
sommissione giungeva tant'oltre, che egli non comin-
ciava. mai cosa alcuna, fosse pur piccola e indifferente,
senza il permesso di lui, nè mai usciva di casa se non
aveva da lui la licenza, ed essendogli ricusata, egli senza
dare il menomo segno di malumore, quetamente si
ritirava. Si regolava in egual maniera in tutte le altre
domande, non insistendo mai dopo il rifiuto. Una volta
sola il suo buon cuore lo portò a replicare l'istanza.
Un servitore aveva mancato, e l'abate Deage voleva
che il fallo fosse punito. Francesco chiese perdono per
il colpevole, e non avendolo ottenuto, insistette. Al-
lora l'ajo, cedendo ad un trasporto di sdegno, gli dette
per risposta uno schiaffo. Il santo giovane non ne di-
mostrò verun rancore, anzi si ritirò con la stéssa tran-
quillità e serenità, che se gli fosse stato concesso ciò che
chiedeva.
Questo spirito di pace, di dolcezza, di umiltà e di
angelica modestia non si faceva conoscere nelle sole
relazioni che avea col suo precettore. Qualunque torto
gli fosse fatto da'suoi condiscepoli, o da altre persone,
egli non se ne adontava, e subito coi medesimi mostra-
vasi dolce, umile, affabile e grazioso in tutte le ma-
niere. In questo modo ovunque si recasse era guarda'o
con rispetto e lo si ascoltava come se fosse un superiore.^
Sua divozione alla Madonna. -— In ogni collegio
ilei Gesuiti è eretta una Congregazione sotto il nome e
la protezione della Beata Vergine, cui prendono parte
i;li allievi più esemplari per onorare la gran Madre di
Dio e per animarsi alla virtù. E questo un gran mezzo,
posto in mano ai giovani di buona volontà, per po-
tersi affezionare al bene. Ed io raccomando a voi, miei
giovani lettori, che, se nel collegio dove siete esiste

4.9 Page 39

▲back to top


qualche Compagnia della Madonna, o di S. Luigi,
o del Santissimo Sacramento, o simili, per poco che vi
stia a cuore il vostro avanzamento spirituale, a quelle
cerchiate di farvi ascrivere. Appena si può dire quanto
bene generalmente se ne ricavi.
Il buon Francesco, appena avutone suggerimento dal
suo direttore, non tardò un momento a far la dimanda
d'esservi ascritto, e tenne come un favore segnalato
quello dell'immediata accettazione; ma sapendo che
queste Congregazioni tornano poco più che ad una
mera cerimonia, quando le regole stabilite non siano
osservate, non solo se ne mostrava fedelissimo osser-
vatore, ma s'ingegnava d'incoraggiare anche gli altri
ad averle nel dovuto rispetto. E volendo eseguire sempre
quanto il Signore ci raccomanda, di emulare i migliori,
si stabilì di non lasciar passare un atto virtuoso, osser-
vato in qualche compagno, senza sforzarsi di imitarlo.
La divozione alla Madonna ebbe qualche cosa di
straordinario in lui. Non la faceva consistere in una
materiale usanza di recitare alcune preghiere, ma in
un sentimento di pia maraviglia della eccellenza in-
comparabile di lei, la più grande delle creature ; in
un riverente amore di figliuolo verso questa miseri-
cordiosa madre degli uomini ; in un sentimento vivo,
un affetto caldissimo, onde si sentiva portato ad imi-
tarne le sublimi virtù, ed in una risoluzione ferma di
serbarsi tale da potersi meritare in qualche modo l'o-
nore di potersi dire suo servo e figlio. Ogni giorno
la visitava nella Chiesa di santo Stefano di Grès, sia
perchè quella chiesa era più vicina al collegio, sia perchè
molto raccolta e specialmente perchè ivi con ispecial
culto veneravasi una divota statua di Lei. Con figliale
confidenza Le apriva tutta la sua anima, intenerita in
guisa da scorgere facilmente, che se egli amava Gesù
come suo Dio e Salvatore, amava Maria come sua
madre. Difficilmente poteva parlarne senza avere, gli
occhi molli di lacrime. Spesso lo avreste sentito escla-
mare: « A h ! chi potrebbe non amarvi, mia carissima
Madre? Sia io eternamente tutto vostro! »
Amava di consacrarsi frequentemente a Gesù per
le mani di Maria, con quella orazione che uno storico
della sua vita ci ha conservato : « O Dio buono! ecco
questo cuore che è tutto vostro ; ve lo offro per le mani
della vostra tenera Madre : ricevete voi, o Vergine
santa, questa mia offerta, conservate voi questo dono,
e fate che il mio cuore altro amore mai non abbia,
che per il vostro Figlio e per Voi. »
Volendo porre anche meglio in sicuro la bella
virtù della pjjrità, che aveva sempre conservata candida
ed immacolata, pensò di promettere con vóto perpetua
verginità, e per mezzo di Maria SS-, offrire a Dio il suo
corpo, come già avevale offerto il cuore; e così fece. Si
preparò con digiuni, penitenze e preghiere, poi prostrato
innanzi alla suddetta statua di Maria SS. fece la sua
solenne promessa, chiedendo nello stesso tempo la
grazia di poterla conservare fedelmente fino alla morte.
E ben pare che Maria esaudisse quelle preghiere, e
aggradisse l'offerta, poiché seppe così bene mantenere
candido e puro da ogni macchia il giglio della ver-
ginal innocenza, che i suoi costumi si potevano vera-
mente dire angelici. Si ha la testimonianza di parecchi,
i quali dissero di sè, che stando con Francesco pa-
reva loro di stare con un angelo. « Credevamo di
sentir parlare un angelo del cielo, così essi, e dicevamo
tra noi, come già S. Pietro alla vista di Gesù trasfi-
gurato sul Tabor : Signore, qui si sta molto bene : oh !
non andiamo più via. »
Francesco intanto, nella Congregazione della bea-

4.10 Page 40

▲back to top


tissima Vergine, in breve fu innalzato alle cariche di
assistente e di prefetto, che erano le principali, e vi
fu rieletto più volte, non conoscendosi che alcuno po-
tesse più degnamente e con miglior successo adempire
queste funzioni. Egli infatti riguardandole come un
apostolato a lui commesso, si adoperava con tutta l'a-
nima al bene della congregazione. Parlava in pubblico
ed in particolare agli aggregati, li eccitava al fervore,
dava loro salutari avvertimenti, ed i discorsi di lui,
sostenuti dai suoi luminosi esempi, producevano frutti
ammirabili. Non coltivava con minor zelo i giovani,
che presentavansi per chiedere la grazia di entrare
nell'associazione; faceva ad essi considerare questa
ammissione come un insigne favore del cielo, e loro
esponendo tutte le virtù proprie di un buon confratello
dèlia congregazione, impegnavali ad acquistarle, e ne
indicava i mezzi. Così colle sue parole e col suo esem-
pio produsse un vero cambiamento in meglio tra i
condiscepoli tutti.
V
Suo amore ai religiosi. — Per animarsi ognor
meglio alla pratica della pietà e della virtù trovò un
mezzo efficace nella conversazione di uomini saggi e
santi, consacrati al Signore. Convinto che molto vi è
a profittare trattando con questi servi di Dio, si re-
cava spesso ai monasteri, sicché, quando egli si trovava
nè in casa, nè in Chiesa, andavano a ricercarlo in
questi asili di pietà, e sempre ve Io rinvenivano. Quivi,
per accendere il suo fervore, ora conversava con qual-
che religioso, ora si contentava di osservarli, ed il
solo mirarli gli parlava al cuore. Vedendo quei gene-
rosi cristiani, che avevano rinunciate a tutte le speranze
del mondo e a tutti i diletti terreni, sovente anche alle
grandezze ed alle ricchezze, per darsi ad una vita di
- 79 ~
penitenza, d'umiltà e di preghiera, si sentiva animato
a divenir migliore.
Gustava soprammodo di trattare col padre Angelo aC ^-ou
di Giojosa, il quale ^da duca e maresciallo di Francia
si era fatto cappuccino^ Egli di uomo che era stato
grande nel mondo, più grande anche si mostrava nella
perfetta abnegazione di sè, .seguendo con generosa co-
stanza gli esempi del glorioso patriarca san Francesco
d'Assisi. In esso, diceva, parergli di vedere il mondo con
tutte le sue pompe e grandezze abbassato sotto l'umiltà
della croce. E quel santo religioso ammirando la pu-
rità e l'innocenza del Sales, si tratteneva volentieri
con lui, inspirandogli il disprezzo delle cose del mondo,
c ciò con molto successo ed efficacia ; poiché avendo
egli stesso posseduto quanto ha la terra di più bello,
poteva più che nessun altro assicurarlo, che la pace
del cuore non si trova nè tra le delizie, nè tra le
v'
grandezze, nè in qualunque cosa vanti il mondo per
sedurci. Gli ripeteva frequentemente esser la vita oziosa
e molle totalmente contraria a quella che il Signore
vuole da noi, creati, come dice lo Spirito Santo,
alla fatiéa ; esser la penitenza non solamente necessaria
per iscontare i peccati commessi, ma altresì per pre-
servarci dai peccati in avvenire, e per conservar l'in-
nocenza : diceva doversi usare ogni industria per
correggere, colla mortificazione e colla penitenza,
l'inclinazione al male, privandoci anche di cose per-
messe, per non aver a concedere alla natura le illecite.
Francesco era commosso a questi discorsi, e so-
vente diceva ad un suo compagno, Giovanni Paquelet :
« Oh! che bell'esemplare abbiamo noi sotto gli occhi
nella persona di questo religioso ! Egli nato principe,
nutrito fra i principi, favorito dai re, dopo aver soste-
nuto le principali cariche del regno, finalmente, dato

5 Pages 41-50

▲back to top


5.1 Page 41

▲back to top


— 8o —
un calcio al mondo, venne a farsi cappuccino, amando
meglio di essere abietto nella casa di Dio, che abitare
nelle case de' grandi. »
Pratica la mortificazione. — Per il nostro gio-
vane cavaliere quelle virtù non erano solo da ammi
rarsi, ma da imitarsi. Parrebbe impossibile, che un così
caro giovinetto, il primo in ogni classe, il prediletto
dei professori e dei compagni, col più attraente e
simpatico aspetto, non ancora sui sedici anni, fosse già j
tanto avanti nella virtù e nello spirito di mortificazione, f
da volere emulare fin d'allora quegli eroi del cristia- %
nesimo. Eppure è certo, che cominciando da quell'età, |
già ben conoscendo che il corpo trattato delicatamente J
aggrava l'anima, e la rende meno atta alle cose spi- 1
rituali, si pose a digiunare ogni mercoledì, venerdì e I
sabato, e dopo gì' intrattenimenti che ebbe col padre |
Angelo di Giojosa aggiunse la pratica di portare in 1
questi medesimi giorni anche il cilicio. Teneva bensì se- |
gretissime queste sue austerità; ma non sì che il buon
precettore ed il servo non venissero ad accorgersene;
e il servo Rolland lo attestò poi con giuramento nel
processo della beatificazione di lui.
Se teneva nascoste le penitenze più che poteva, 1
non lasciavasi però trarre dal rispetto umano a tener §
segreti i suoi buoni sentimenti; anzi amava comunicare I
i pii propositi che aveva formato in quei santuari di |
perfezione, che sono i chiostri, ai suoi condiscepoli, e J
così eccitarli allo zelo della loro salvezza, ed al di- |
sprezzo del mondo. Che cosa facciamo noi, amici a
miei? diceva loro spesso; noi pensiamo sì poco a l i a i
nostra eterna salute, ed ecco uomini, i quali non pen- |
sano ad altro ; noi ci attacchiamo ai piaceri ed ai 1
beni che passano, ed ecco uomini che hanno calpestatoli
tutto ciò che il mondo stima, per conquistare i beni
eterni. Un sì bello spettacolo, e sì ammirabili esempi,
non ci apriranno essi gli occhi una volta? »
Il suo buon precettore era maravigliato di quanto
vedeva ed udiva dal suo discepolo ; e se per una parte
godeva in vederlo così avanzarsi nella pietà, per l'al-
tra cadde in uno strano timore, che cioè Francesco cer-
casse di farsi religioso, e in quel modo disgustasse
suo padre, che assolutamente non l'avrebbe voluto, il
quale per conseguenza si sarebbe inasprito anche con
lui, quasi che esso glielo avesse inculcato. Il timore
era vano, perchè Francesco sentì sempre l'inclinazione
a farsi prete, e non quella di rendersi frate; ma questo
timore dava a vedere come l'ajo si lasciasse anche troppo
condurre da considerazioni umane. Poiché, a che dolersi
se Iddio avesse chiamato il suo discepolo ad uno stato
di maggior perfezione, come è certamente lo stato reli-
gioso ? Forse che si sarebbe potuto piuttosto disgustare
Dio che il padre, qualora Iddio avesse così disposto ?
E vero che il mondo tiene lo stato religioso come de-
gno di dispregio, ma così non è avanti a Dio. Ed
anche avanti agli uomini non meritano forse encomio
gli eroi che sanno innalzarsi sopra se medesimi, ab-
bandonando tutto quello che la corrotta natura umana
appetisce ? Forse che san Luigi Gonzaga non diede
maggior gloria alla famiglia col farsi religioso, che se
avesse avuto ogni altro onore nel mondo? Forse che
S. Domenico, S. Francesco d'Assisi non onorarono
più il loro casato facendosi religiosi, che se fossero
stati generali d'esercito o senatori di qualche gran
regno, o consiglieri di corona? \\
Studia filosofia. — Dopo d'aver per due anni
seguito il corso di retorica col più splendido risultato,
6 — B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales.

5.2 Page 42

▲back to top


- §2 -
• '•
\\ • - -< '"'".' V '
i, 1
"••'.'
come vedemmo, Francesco, trovandosi allora sui 16
anni, fu promosso allo studio della filosofia. La filosofia,
se studiata a modo, sotto buoni maestri è certamente,
dopo la teologia, la più importante e più utile delle scien-
ze. Lo studio delle belle lettere è solo un mezzo per
giungere alla cognizione e al possesso della verità ; cosic-
ché esso non avrà giammai, per se solo, la virtù di sod-
disfare quella fame e quella sete insaziabile della verità,
tutta propria degli intelletti elevati. Laonde Francesco,
che sentiva in sé il bisogno di elevarsi sempre maggior-
mente nella cognizione delle sublimi verità, si gettò,
direi così, a capofitto nello studio della filosofia. Essa
ci istruisce intorno alle cose che all'uomo devono più
importare, poiché- ha per oggetto di gettare i primi
fondamenti d'ogni credenza, di regolare i passi della
mente nella ricerca del vero, d'aiutarla a pensare ret-
tamente, a ragionare sodamente, e così preparar l'uomo
a ben operare ed a parlare saggiamente, premunendolo
contro i sofismi e i falsi giudizi, che inondano il mondo
e vi cagionano tante sventure.
Non era allora uso di trattar leggermente una
scienza così importante, perciò vi si dedicavan quattro
anni di studi, e per professori sceglievansi le persone
più idonee. Francesco ebbe la bella sorte di avere, in
questa scienza, due maestri insigni. Il primo fu Gian
. Francesco Suarez, nativo di Avignone (da non con-
fondersi col teologo di questo nome), eccellente pro-
fessore, atto a formare nelle menti quella precisione di
idee, quella rettitudine di giudizio, che è il frutto d'una
buona filosofia. Il secondo fu Girolamo Dandini, uno
degli uomini più versati nella dottrina di Aristotile,
che allora vivessero, e sì stimato dai Sommi Pontefici,
che fu poi da essi mandato in qualità di Nunzio ai
Maroniti del monte Libano.
I
Il nuovo studente di filosofia raccolse con pre-
mura gli ammaestramenti, di questi ^uomini sommi.
Kssendo ben preparato a siffatti studi, attendeva con
attenzione ed impegno alle spiegazioni ; scriveva scru-
polosamente tutto quello che essi dicevano, ed i suoi
quaderni, provvidenzialmente tuttora conservati, mo-
strano tale ordine, chiarezza e precisione, che già da
essi si-scorge l'uomo in ogni sua cosa assennato. Po-
neva una diligente sollecitudine nel conservare ogni
detto de' suoi maestri. Dalla prima parola all'ultima
tutto vi è posto con ammirabile ordine, con buon ca-
rattere facile a leggersi, purché si abbia la pratica delle
abbreviazioni che egli vi ha usate. Tutti i margini
sono pieni di segni, che fanno conoscere le divisioni
e suddivisioni, e formano come un'analisi di tutta l'o-
pera. Finalmente si riconosce non solo l'uomo amante
dell'ordine che fa bene ogni cosa, ma anche l'uomo
dotto nella logica, che distingue ogni sua ide^> e se
ne rendè un conto chiaro e preciso.
Comincia anche a studiar teologia. — Questi
soli studi l'occuparono intieramente per il primo anno;
ma siccome egli aveva continuamente in vista lo stato
ecclesiastico, al cominciar del secondo, considerando
che occupando bene il tempo, avrebbe potuto aggiun-
gere altri studi a questi, concepì forte desiderio d'im-
parare la teologia. Essendo assai preoccupato da questo
pensiero, se ne stava talvolta tutto concentrato e in
sé raccolto. Un giorno, era l'ultima domenica di carno-
vale dell'anno 1583, il suo precettore vedendolo tutto
sopra pensiero, sertza conoscerne la cagione : — « mio
caro, gli disse, o che tu hai qualche grave dispia-
cere, o sei ammalato : hai bisogno di distrarti ; usciamo
di casa e andiamo a vedere i divertimenti del giorno. »

5.3 Page 43

▲back to top


— Oh, di grazia, rispose il santo giovane, dispensa-
temene : Averte oculos meos} ne videant vanitatem>.
— Ma, soggiunse l'abate Deage, che cosa posso
adunque fare per rallegrarti?
— Domine, ut videam ; fate che io veda, replicò egli
colle parole del cieco di Gerico, che aveva lette nel
Vangelo di quel giorno.
— E che cosa vuoi vedere?
— Voglio vedere la teologia : essa sola mi insegnerà
ciò che Dio vuole mostrare all'anima mia, e, finché
non l'avrò studiata, devo tenermi come un cieco. —
Il Deage, il quale sapeva che il suo allievo aveva
tanta capacità da occuparsi ad un tempo e nella fi-
losofia ed in altri studi, gli permise di consacrare tre
ore ogni giorno alla teologia. E siccome egli stesso,
per occupare bene il tempo, andava quotidianamente
alla Sorbona (così chiamavasi l'università di Parigi) a
udire le lezioni di teologia che colà s'impartivano,
ed esattamente metteva in carta le lezioni di quei va-
lenti maestri, così cominciò a comunicare a lui i pro-
pri quaderni. Ben presto Francesco ne apprese il con-
tenuto e si mise in grado di frequentare egli stesso
quelle scuole. Lieto di tale licenza e di tale aiuto
diedesi ardentemente a quella divina scienza; e
quanto più vi attendeva, tanto più vi prendeva gusto.
Studiava i quaderni del precettore; assisteva alle tesi
che vi si sostenevano, raccoglieva in iscritto le nuove
prove che ascoltava, e notavasi le difficoltà che si pro-
ponevano, o che egli stesso trovava per farsele poi
scioglier a tempo opportuno. Discuteva poscia le que-
stioni col suo precettore, ovvero cogli scolari di teo-
logia, e non cessava d'interrogare o di riflettere fin-
tantoché la verità non fosse dilucidata. E quanto più
considerava profondamente queste subblimi verità teo-
' - 85 -
logiche, tanto più s'infiammava nel desiderio di con-
tinuare questi eccelsi studi. .
Andava sovente ad ascoltare le lezioni dei celebri
professori Maldo.nato e Gilberto Genebrardo, uomini
, che si dicevano d'una scienza divina più che umana;
e non lasciò giammai fuggire dalla sua memoria l'e-
sposizione che il Genebrardo, grande interprete delle
sacre Scritture, fece del Cantico de* Cantici ; interpre-
tazione che si compiaceva di rivedere e ripetere più
volte, anche da vescovo.
Né pago era ancora il suo ardore per le scienze
sacre; perciò non ristette finché non ebbe licenza di
seguire nel medesimo tempo il corso di Sacra Scrittura
e di lingua ebraica. Per udire le dispute teologiche
alla Sorbona, e specialmente poi per udire le prediche
dei migliori predicatori lasciava anche più volte il de-
sinare. Si direbbe impossibile che un giovane, in sì
tenera età, potesse tener dietro a tanti e sì disparati
studi, eppure egli studiava tutto senza mai confondersi; ,
non trascurava nulla, anzi in tutto si segnalava.
Sebbene - n o i abbiamo da ammirare in Francesco
tanta attività e voglia di studiare, non si ha da con-
chiudere che su questo si debba cercare di imitarlo :
bisognerebbe avere l'ingegno suo e le qualità sue. È
da consigliarsi generalmente ai giovani di non voler
intraprendere troppi studi in una volta, meglio è at-
tendere seriamente e approfondirsi in quei pochi che
sono alla portata del proprio intelletto. Il troppo alle
volte stanca l'intelletto e lo esaurisce ed anche molte
volte nuoce alla salute. Ma che dire? Insegna S. Tom-
maso che il genio, tosto che si sviluppa in un indivi-
duo, produce un'ansia divoratrice di sapere, una brama
d'investigazione scientifica, un ardore di avanzare sem-
pre più nel mondo delle cognizioni, ardore che altro

5.4 Page 44

▲back to top


non è se non la manifestazione sensibile della quasi
infinita capacità dell'intelligenza umana, a cui a mala -
pena si può resistere. E Francesco non seppe raffre-
narsi e continuava intrepido negli studii intrapresi,
anche con detrimento della sua salute.
Virtù che esercitò a Parigi. — In altri, tanti
studii avrebbero affievolita la pietà: in Francesco av-
veniva il contrario; essa cresceva di giorno in giorno
in modo maraviglioso, e con la pietà andava in lui
ognor crescendo la inclinazione allo stato ecclesiastico.
Al tutto mirabile si è che, in mezzo a tanti studii, egli
non mancava mai alla Messa, alla recita del santo Ro-
sario e a fare la sua meditazione.
Ma una virtù specialmente recava maraviglia ed
era l'amabilissima dolcezza ne' modi che teneva con
tutti. I più virtuosi pertanto cercavano avidamente la
sua conversazione; ed anche coloro i quali, perchè di
costumi troppo diversi, non ne gradivano la compa-
gnia, pur lo ammiravano. Nè si > ha da credere che
questa fosse virtù in lui naturalmente facile, poiché,
come già si disse, si scorgeva facilmente in lui un
naturale vivace e ardente; solo col far violenza sopra
se stesso, e col signoreggiare costantemente il suo
carattere ed il suo cuore, manteneva quella sua
sempre uguale dolcezza. E che questo sia assolu-
tamente vero, noi lo sappiamo da lui medesimo.
« Quando io era giovanetto, diceva in appresso al
Padre la Rivière, mi diedi con molto fervore alla pra-
tica della dolcezza e della umiltà, ed ho passati vari
anni quasi non ad altro attendendo, che all'acquisto
di queste sì belle e care virtù » Aveva imparato così
bene a contenere il suo carattere, che, qualunque torto
ricevesse da' suoi condiscepoli o da qualsivoglia altra
persona, già in lui non si vedeva neppure più la lotta;
non compariva che la vittoria.
Alla vista di tanta virtù, congiunta a tanto ingegno, 1
un santo religioso si compiaceva dire, che non sapea
qual cosa fosse da ammirarsi maggiormente in questo
giovane cavaliere, sé la grazia compita di tutta la sua
persona, ovvero le grandi speranze che dava del suo
avvenire.
Anche un compagno, secondo che ci racconta Carlo
Augusto di Sales, predisse l'avvenire di Francesco in
seguito ad un sogno fatto: « Mi sembrava, raccontò egli
stesso al Santo, d'essere sulla sommità del Moncenisio,
colla faccia rivolta verso aquilone. Di là io vidi uscire
dal lago di Ginevra un'idra a più teste, ed avvicinarsi a
gran passi verso il monte con orribili fischi, e già a-
veva sormontate le più erte rupi, allorché tutto ad un*
tratto tu, o Francesco, come un altro Ercole, armato
di una spada a due tagli, l'arrestasti nel cammino, e
dopo averle fatte varie ferite, la forzasti a tornare in-
dietro. Il mostro se ne fuggì precipitosamente ed andò
a nascondersi nella sua caverna a Ginevra, ove le furie
ebbero cura di medicare le sue piaghè. » Non potevasi
meglio rappresentare la futura missione di S. Fran-
cesco di Sales nel Chiablesej
È in preda ad una orribile tentazione. — Il
demonio, perpetuo nemico dell'uman genere e di ogni
opera buona, non" poteva a meno che congetturare
male per sé, vedendo i grandi avanzamenti nella virtù,
che il giovane Francesco di giorno in giorno andava
facendo. Pensò adunque, il maligno, frapporre qualche
valido impedimento, mandandogli delle orribili ten-
tazioni. Sperava con questo di farlo cadere ìn gravi
peccati e rovinare così tutto l'edifizio della sua san-
>w
^
%

5.5 Page 45

▲back to top


88
tifìcazione. Ma il buon Dio non permette mai queste
battaglie, se non per il nostro bene ; e se noi, nelle
tentazioni, facciamo tutto quello che è nelle nostre
forze, il Signore certamente ce ne libererà; anzi farà
sì, che dalle tentazioni medesime possiamo ancora
trarre profitto, siccome dice S. Paolo, (i)
Alla virtù sì pura di Francesco mancava appunto
l'essere provata dalla tentazione; e questa venne in
un modo molto severo in apparenza, se si considera
che egli non contava in quel tempo che dai diciasette
ai diciotto anni; ma con molto frutto in realtà, avendo
con questa tentazione acquistata molta esperienza per
guidare poi meglio le anime a Dio. Poiché il Signore
frequentemente permette queste tentazioni in chi è de-
stinato al governo di altri, sia perchè sappiano poi
'compatire, sia altresì affinchè dalla propria esperienza
imparino come abbia a governare chi ne è assalito ;
essendoché la tentazione, ben vinta, dà sempre espe-
rienza a chi la sopportò ; e lo Spirito Santo ci fa dire,
che non ne sa nulla chi non è passato per la via delle
tentazioni: Qui non est tentatus quid scit?
Pertanto dense tenebre cominciarono ad offuscare
lo spirito del nostro santo giovane, e un'agitazione
violenta sottentrò alla pace profonda che aveva sino
allora goduto, e cadde in un'aridità desolante, che gli
disseccò, per cosi dire, il cuore, e glielo .gettò in. una
melanconia tristissima, a segno che niuna consolazione
o dolcezza trovava più nel servizio di Dio, dove tanta
felicità aveva fin allora trovata. Poi cadde nella persua-
sione di non essere in istato di grazia. (2) Quest'idea
(1) Fidelis Deus, est, qui non patie'tur vos tentari supra id quod
potestis, sed faciet etiam cum tentatione proventum, ut possitis
sustinere (I Cor. X, 13).
(2) L'andamento di questa tentazione, che ad ammaestramento
sì desolante opprimeva grandemente il suo cuore tanto
amante del- Signore; Non per tanto fin qui sapeva farsi
coraggio, essendo che diceva a se stesso; « Dio non fa
nulla invano ; se permette queste perturbazioni ci con-
cede pure il coraggio quando fa d'uopo usarne.
« Ma, replicava l'immaginazione : colla tua presente
debolezza è certo che cadresti in peccato se ti si pre-
sentasse l'occasione pericolosa. » Allora egli cercava di
porsi in calma richiamando alla mente, che Iddio mai
non manca nel momento del pericolo, purché si pre-
ghi; che parecchi, i quali diffidavano delle proprie loro
forze,, e temevano di non rimaner saldi nell'occasione,
hanno trionfato nella lotta, perchè il sentimento della
loro debolezza li ha portati a ricorrere a Lui, a ve-
gliare, ad umiliarsi a pregare. Perchè dunque, 0 anima
mia, conchiudeva con Davide, perchè sei tu triste, e
perchè mi turbi? Spera in Dio. — Oh mio Signore!
quando verranno meno le mie forze, non mi abbandonate!
Nonostante queste ragioni, colle quali egli stesso
sapeva convincersi, la tentazione non cessava. Privo
delle dolcezze del divino amore, sì lungo tempo gu-
state, vedendosi insensibile a tutto ciò che fino allora
avea formato le caste delizie del suo cuore, venne nella
persuasione, che quella insensibilità e quell'aridità spi-
rituale fossero il castigo di qualche grave peccato da
lui commesso, e che perciò, agli occhi del Signore più
non fosse che oggetto d'avversione e di sdegno. Im-
magini chi può la pena, l'angoscia, che dovette pro-
vare l'animo di Francesco a questo pensiero. Oh! se
somiglianti prove sogliono riuscire terribili anche a x
cuori non accesi di soverchio amore di Dio, che
altrui riporto in dilungo, è tolto dalla vita del santo scritta' da
suo nipote Carlo Augusto di Sales, e dalle testimonianze del Deage,
testimonio oculare d'ogni cosa.

5.6 Page 46

▲back to top


saranno state al cuore di lui sì puro e gentile, che niun
altro amore avea mai sentito, nè intendeva sentire se
non quello santissimo di Dio, che tanto aveva amato
fino allora!
Il demonio, dalla Sacra Scrittura dipinto a noi ora
come leone che rugge, il quale con violenza ci assale
allo scoperto,, ora come un serpente che si sforza di
sedurci con l'astuzia, profittando della turbazione di
Francesco, non cessava di rappresentargli, che quanto
faceva per rendersi caro a Dio era inutile ; irreparabile
la sua perdizione già stabilita nei decreti di Dio: gli ri-
destava nello spirito la dottrina del piccolo numero degli
eletti, l'oscurità del mistero della predestinazione, lo
spaventoso rigore de' divini giudizi, la profonda sua
miseria, che l'umiltà gli faceva ancora ingrandire. E
allora il povero Francesco esclamava di se stesso :
« Com'è egli possibile, che un uomo sì cattivo come
te, sia nel piccolo numero dei predestinati ?» Non teme-
va già che la grazia di Dio gli avesse a mancare, ma
paventava di mancare egli stesso alla grazia, e così per
propria colpa venir precipitato nell'abisso infernale.
Da tutto ciò ne derivava una crudele ambascia al
suo cuore. Aveva egli un bel dire a se stesso, che
Dio non ci vuol dare in questa vita un'assoluta cer-
tezza di essefe in istato di grazia per farci stare sem-
pre più vigilanti sopra noi stessi ; e che dobbiamo
rispettare quelle tenebre ch'egli ha giudicato bene dif-
fondere sul nostro stato presente e sul nostro futuro
destino ; e che senza scandagliare con occhio troppo
curioso quanto a Lui piacque occultarci, ci dobbiamo
quaggiù occupare, unicamente nel far la sua santa
volontà; poiché, se questo lo persuadeva per un po'
di tempo, dopo ricadeva nelle stesse perturbazioni di
prima. Se talora la sua immaginazione vivamente gli
rappresentava, che per tutta l'eternità la sua abitazione
sarebbe l'inferno, avea un bel rispondere francamente,
come infatti rispondeva, di voler ora servire ed amare
Dio con tutta la sua anima e con tutte le sue forze,
essendo Iddio per se stesso sì amabile che meriterebbe
essere amato e servito, ancorché non si avesse ad ot-
tenere il cielo per ricompensa di quest'amore; ma il
cuore non lasciava per questo di essere in assoluta tem-
pesta. Tutto questo che l'intelletto intendeva, non po-
teva calmare l'affannato suo cuore. Ma anche col cuore
così in tempesta e in mezzo a sì grande conturbazione,
dal profondo dell'ambascia scongiurava il Signore .di
fargli la grazia di amarlo assai in questa vita, qua-
lunque sorte gli fosse riservata nell'altra.
Ma per quanto cercasse di allontanare dalla sua
immaginazione il terribile pensiero della sua eterna
riprovazione, questo, contro tutti gli sforzi, sempre
ritornava, e ognor presentandosi al suo spirito, almeno
come pericolo probabile, lo rendeva oltremodo co-
sternato. ^
\\
Ciò che maggiormente l'affliggeva in sì desolante
timore, più che i tormenti dell' inferno, era il pensiero,
che là si bestemmia e si maledice Iddio e non si ama.
« Oh Signore, esclamava allora, se io non ho a ve-
dervi, date almeno questo sollievo al mio affanno ; non
permettete eh' io -abbia mai a bestemmiarvi e male-
dirvi. Oh amore! oh carità ! oh bellezza alla quale ho
consacrato tutti i-miei affetti! non godrò dunque le
vostre delizie? non sarò dunque inebriato dall'abbon-
danza dei beni della vostra casa? O Vergine amatis-
sima ! soggiungeva poi rivolgendosi alla Madre di Dio,
le vostre attrattive non possono rallegrare l'inferno;
possibile che io non abbia mai a vedervi nel regno del
Figlio vostro, bella come la luna, risplendente come

5.7 Page 47

▲back to top


il sole? E che! non parteciperò io adunque all'immenso
beneficio della gloriosa finale risurrezione ? Ma il dolce
Gesù non è egli morto per me, ugualmente che per gli
altri! » Incoraggiato da questo ultimo pensiero, con
uno sforzo degno del più grande eroe, esclamava:
€ Oh! checche ne sia, Signore, se non posso amarvi
nell'altra vita, fate ch'io metta a profitto, per amarvi,
tutti gli istanti della mia breve dimora quaggiù ; e se
io devo essere di coloro che non vi vedranno giammai
in paradiso, fate almeno che non sia di coloro, che vi
malediranno, e bestemieranno il vostro santo nome. »
Fra sì dure agonie, che duravano da varie setti-
mane, dimagriva a vista d'occhio il povero Francesco;
continua febbretta gli ardeva cupamente nelle vene, il
bel vermiglio spariva dalle sue guance ricoperte di
pallore, gli occhi si fecero scuri e cavi, e l'itterizia
presto gli si diffuse per tutto il corpo. Tutte le notti
bagnava di lagrime il suo capezzale; non poteva più
ne mangiare, nè dormire ; e a stento camminava e
reggevasi sui vacillanti piedi. Con tutto ciò non dimi-
nuiva per nulla le sue preghiere, ed i soliti suoi/eser-
cizi, anzi raddoppiava le suppliche a Dio ed alla Ver-
gine Santissima, chiedendo all'uno e all'altra la grazia
di conservare nel suo povero cuore la speranza nelle
divine misericordie.
Ammaestramenti che da essa ricava. — Ma
in tante angustie, direte voi, o giovani, Francesco
non ricorreva al suo direttore spirituale? Non ricor-
reva al suo precettore ? Certo che in simili angoscie
spirituali, nessun mezzo è tanto efficace e sicuro
quanto lo scoprir bene e tutto a chi ci dirige ; ma la
storia non ci trasmise nulla di quel che avvenisse tra
lui e la sua guida spirituale. Per altra parte non è
— 93 —
infrequente il caso, che quando Dio permette queste
prove, permetta pure che, o il penitente non sappia
spiegarsi, o il confessore non riesca di subito a co-
noscere pienamente ..la tentazione, o a darle quell'im-
portanza che in vero essa richiede, e così non possa
insegnare a superarla subito. D'altronde in questo
appunto consiste il più fino artificio del demonio, di
rendere mute le anime tentate, affinchè non si servano
del più potente rimèdio che vi è per guarirle.
Quanto al Deage, egli vedeva con pena immensa,
poiché amava Francesco come figliuolo, le angoscie,
i sospiri di lui, e questo suo consumarsi iri silenzio;
nè se ne dava pace, ma ne ignorava la cagione, eji in-
vano la domandava al santo giovane, che, o per ti-
more di dargli dispiacere, o per rossore, o per non si
sa quale altra causa, per allora non gliela volle scoprire.
Onde egli credendo dapprima che tutto fosse effetto
di malattia, voleva che il giovane si mettesse a letto,
è fosse visitato da qualche buon medico. Ma Fran-
cesco sopportò tutto in piedi, e non .volle vedere me-
dico, sapendo che la malattia fisica sopraggiuntagli
non era che una conseguenza della malattia morale
che lo tormentava enormemente. Non potendo altro,
il buon precettote, accortosi che la causa del male era
più morale che fisica, pregava Iddio che usasse mise-
ricordia al suo alunno, e gli desse bastevole aiuto per
vincere la dura prova a cui era soggetto.
Per sostenere- il suo coraggio, per calmare le sue
angoscie, e premunirsi contro il pericolo di peccare
durante la tentazione, Francesco compose, sulla scorta
di S. Agostino e di S. Tommaso, un'affettuosa pro-
testa, che ripeteva molte volte il giorno. Tra le altre
cose diceva: « Se io sapessi, (oh Signore Gesù, allon-
tanate da me questa sciagura !) se io sapessi di essere

5.8 Page 48

▲back to top


condannato all'inferno, chinerei il capo sotto "la sen-
tenza dell'Altissimo con altrettanto dolore, che som-
missione, e direi col profeta: L'anima mia non sarà
soggetta a Dio f Sì, Padre celeste, poiché a Voi piace
che sia così, sia fatta la vostra volontà. Nell'amarezza
poi della mia anima andrei rinnovando quest'atto d'ab-
bandono, finché Dio commosso daila mia sommissione,
cambiando la mia sorte e la sua sentenza, mi rispon-
desse : Confida, o figliuolo, io non voglio la morte dei
peccatore, ma eh'"egli si converta e viva. I morti che
discendono nell'inferno non mi possono lodare: io ti ho
fatto per la mia gloria, come tutte le altre creature...
A queste consolanti parole del mio Dio non dovrei
rispondere, se non colla stessa conformità al divin
volere prima dimostrata : Sì, Padre celeste, poiché così
vi piace, così sia. Il mio cuore è egualmente disposto
a soffrire per Voi ed a rallegrarsi con Voi. Così sia,
o Gesù, o Maria ! »
Liberazione dalla tentazione. — Sentimenti si
santi non potevano non muovere a pietà il cuore di Dio.
Egli senza dubbio aveva permesso in Francesco una sì
dura prova per sollevarlo alla più alta santità; ottenuto t
l'intento di spingere fino all'eroismo la sua virtù, volle
che l'ora della liberazione non si facesse più a lungo
aspettare. Erano passate sei settimane, dacché era co-
minciato questo maftirio, quando un giorno ritornando
dal collegio, in grande abbattimento, entra nella chiesa
di S. Stefano de' Grès, e va a pregare dinanzi a quella
statua della Vergine, a' cui piedi aveva già tempo prima
fatto risoluzione di mantenere perpetua castità, (i)
(i) La statua, di cui si parla, vedesi ancora oggidì in Parigi,
nella capella delle dame di S. Tommaso da Villa.nova, Via de
Sèvres. È di pietra alquanto grossolanamente scolpita. Al tempo
Colà avendo trovata scritta su d'una tavoletta.la ce-
lebre preghiera : Memorare, ad onore della Madre di
Dio, pieno di confidenza la recita con molte lagrime,
dicendo p'iù àncora col cuore, che colle labbra : « Ri-
cordatevi, o pietosissima Vergine Maria, non essersi
inteso mai al mondo, che alcuno, ricorrendo alla vo-
stra protezione, implorando il vostro aiuto, chiedendo
il vostro patrocinio, sia rimasto abbandonato. Ani-
mato io da una tale confidenza, a Voi ricorro, o Ma-
dre, Vergine delle vergini ; a Voi vengo ; ai vostri
piedi, peccatore gemente, mi prostro. Non vogliate,
o Madre del Verbo, disprezzare la mia voce ; ma, be-
nigna, ascoltatemi ed esauditemi. Così sia». Poi ri^
volgendosi a Dio gli chiede, per l'intercessione di
Maria, la guarigione dell'anima e del corpo ; rinnova
a Dio il voto di perpetua castità, e promette di recitare
ogni giorno, in memoria di questo voto, il santo
Rosario, incoronando così la Madonna qual sua regina.
Come ebbe ciò detto, sente un movimento in tutto
il suo corpo, come se da esso si staccasse una crosta di
lebbra; gli vien restituita perfetta salute, e la sua a-
nima, dopo sei settimane d'inauditi patimenti, ritorna
in perfetta pace. Di che egli benedisse il Signore, con-
vinto, che quel Dio che è la bontà stessa, non aveva
permesso sì dura prova se non per suo maggior bene.
E Dio potè dire a Satana, come altra volta del santo
Giobbe : Hai tu veduto il mio fedel servitore ? — E
Satana cercò ogni modo di abbatterlo ; ma non vi riuscì.
Francesco in tale circostanza si mostrò un vero
atleta, un eroe della grazia e del potere di volontà,
poiché vinse gloriosamente nella prova più dura e
della Rivoluzione francese vendendosi dalla Comune di Parigi
tutto ciò che si trovava nelle Chiese, fu venduta ad una buona
signora che poi la regalò a queste dame.

5.9 Page 49

▲back to top


difficile che fosse possibile sostenere da tfn cuore cri-
stiano. Si difese con vero valore e strategia contro
le armi dell'infernale nemico, il quale, se l'avesse vinto
in quella lotta, sarebbe riuscito a fare di lui il più orrendo
scempio ; invece non si possono esprimere i tesori di
grazia ed i lumi, che il santo giovane raccolse da
quella tentazione. Da essa certo acquistò più ricchi
meriti per il cielo, e s'innalzò a più alto grado di
santità, che se avesse fatto le più dure penitenze
immaginabili. Che cosa poteva esservi di meglio al
mondo, che tanti atti di puro amor di Dio, atti tanto
ferventi e distaccati da ogni proprio interesse ?f Eviden-
temente questa tentazione fu come il~su^géllo divino,
che lo consacrava fin d'allora ad apostolo del suo puro
amore: chè, questo fu poi sempre vivo in lui, come
ce lo dimostra e ne' suoi scritti e nella vita intiera.
Di qui il suo cuore, addottrinato alla scuola della
prova, attinse quella tenera e profonda compassione
per le anime tentate ed oppresse da pene eterne, che
sì spesso ebbero a lui ricorso; di qui il suo spirito,
ammaestrato dall'esperienza, diventò abilissimo a di-
rigere gli altri negli assalti contro il nemico della sa-
lute e contro le proprie passioni. « Coraggio, scriveva
ad un uomo che tremava al pensiero dei giudizi di
Dio; io conosco che gran tormento sia questo! L'a-
nima' mia che lo sopportò per sei settimane, è ben
capace di compatire quelli che ne sono afflitti. »
Il capitano che ha valorosamente combattuto sulla
breccia, sostenuti e respinti i più vigorosi attacchi, è
assai meglio capace di formare i suoi soldati nell'arte
della guerra, di colui che ha sempre riposato nella
dolcezza della pace. Così Francesco di Sales, co' suoi
combattimenti e colle sue vittorie, in questa circo-
stanza addivenne sì esperto e prudente nel maneggio
delle armi spirituali, che, per parlare col linguaggio
del vescovo di Belley; « era come un arsenale per
gli altri, somministrando difese e industrie a quanti a
lui manifestavano le loro tentazioni, ed era a guisa
della torre di Davide, dalla quale pendevano mille
scudi ed ogni sorta di armi. »
Si perfeziona nelle virtù. — La liberazione così
prodigiosa da tentazione sì funesta e da malattia sì pe-
ricolosa, avvenuta evidentemente per l'intercessione di
Maria Santissima, fece toccare con mano al santo gio-
vane quanto ella fosse potente: e se prima n'era divoto,
ora se ne fece divotissimo. Già più non gli bastava
l'onorarla in privato da solo, ma cercava ogni industria
per diffondere così salutifera divozione; perciò con
quanti conversava cercava il destro d'inspirare anche
in essi l'amore, la Riverenza, la fiducia, che tutti dob-
biamo avere in questa dolcissima madre nostra. Con-
sacravasi ognora a lei con maggior fervore, con grande
divozione recitava la corona per soddisfare al voto fatto.
Quando si recava ad adempiere questo obbligo, a quelli
che gli domandavano che cosa andasse a fare, era so-
lito rispondere : « Vado a fare il mio servizio nella
Corte della mia Regina. » Ogni giorno ancora recitava
la preghiera che lo aveva liberato, preghiera sì ripetuta
dai divoti di Maria. Egli la raccomandava a tutte le
persone che conosceva, e si compiaceva nel lodarne
1:efficacia. « Mi ricordo, dice il vescovo di Belley, che
l'ho imparata dalla sua bocca, e sotto la sua dettatura
la scrissi a capo del mio breviario, per iscolpirmela
nella memoria, e servirmene ne' miei bisogni. » Ogni
giorno impiegava, nel meditare e pregare, non sola-
mente un'ora come erasi prescritto; ma oltre all'ora del '
mattino impiegava ancora tutto quel tempo che gli
7 — B A R B K R I S , Vita di S. Francesco di Sales.

5.10 Page 50

▲back to top


era possibile alla sera. Avrebbe voluto passare le in-
tiere giornate a pie' degli altari, non ispirandogli le
vanità del mondo altro che disprezzo: Dio e Maria erano
l'unico suo attraimento, e la "considerazione delle cose
celesti era la sua più cara occupazione. Pressoché ad
ogni momento, come si esprime Mons. Camus, alzava
gli occhi al monte da cui attendeva il soccorso.
Il padre Stefano Binetti, che era stato suo com-
pagno nelle scuole di Parigi, fa testimonianza, che a lui
Francesco parve sempre un angelo in carne; ed aveva
osservato che siccome i discoli ne fuggivano l'incontro^j
così tutti i più morigerati e virtuosi cercavano la sua
compagnia e la sua conversazione.
Termina i suoi studi difilosofia. — Le pratiche
di pietà non lo distoglievano per nulla dallo studtQi,
nel quale manteneva l'orario e l'impegno che fin dà
principio si era prefisso, e in essi continuava a fare
consolanti progressi. Negli anni di retorica e di filo-
sofia divenne un latinista consumato, e imparò anche
tanto di greco quanto gli potè esser utile per la per-
fetta intelligenza del nuovo Testamento. Né trascurava
quegli esercizi corporali che il padre gli aveva impo-
sti e il frequentare quelle compagnie e conversazioni
che le consuetudini richiedono da un gentiluomo. Egli.,
in una parola, eseguiva in sé i disegni di Dio sull'a-
nima sua, acquistando, oltre alla scienza e alle virtù in
generale, quella conoscenza del mondo che è necessa-
ria per vivere puro in mezzo alle sue sozzure e per
riuscire poi anche a correggerlo. Già il suo grande e
nobile cuore sentiva la necessità e il desiderio di pre-
pararsi alla consacrazione di tutto se stesso per la,
salvezza delle anime: già non avevà più altro in mente1;
che di farsi apostolo nello stato ecclesiastico.
In questa guisa tra continui progressi di virtù e di
sapienza passarono i due anni di retorica e i quattro
di filosofia con grandissima soddisfazione sua, dei con-
discepoli e dei professori, dai quali riportò gli elogi
più lusinghieri e gli attestati più autorevoli.
Finiti pertanto questi studii pei quali era statò
inviato a Parigi, il padre lo richiamò a casa, lasciandogli
però il tempo e l'ordine che nel ritorno si fermasse
nelle più belle ed importanti città della Francia, per
vedere ciò che vi era in esse di particolare e di più
istruttivo.
Prima di partire Francesco non lasciò di fare quanto
la riconoscenza ed il dovere gli prescrivevano. Andò
a visitare gli amici e specialmente i professori, ad
accommiatarsi da essi ed a ringraziare quanti si erano#
occupati di lui, a tutti raccomandandosi per avere le
loro preghiere.
Quale fosse il dolore di ciascuno al veder partire
un sì caro discepolo od amico è difficile immaginarlo. Con
la sua virtù, con la sua dolcezza e benignità s'era atti-
rato tutti i cuori. Fra gli altri, quattro de' suoi compagni
ne sentirono tanto rincrescimento, che, e per la pro-
fonda venerazione in che lo avevano, e per godere più
a lungo della sua amabile compagnia, e per dargli
pegno del loro affetto, lo vollero accompagnare sino
a Lione, e non si separarono da lui senza lagrime.
Torna in patria, — Finalmente, quando a Dio
piacque, arrivò a rivedere il caro paese natio, le care
montagne della sua Savoia, il caro tetto paterno, i più
cari genitori e fratelli! Impossibile sarebbe descrivere
il giubilo dei buoni genitori quando si videro arrivare
il desiderato figlio al castello di Brens, ove allora abita-
vano. Erano quasi sei anni dacché più non lo avevano

6 Pages 51-60

▲back to top


6.1 Page 51

▲back to top


veduto ; ed intanto tutto era in lui cresciuto, la persona,
l'intelligenza ed ogni amabile qualità della sua infanzia.
Ammirarono il suo bel contegno, i lineamenti più vi-
rili del suo volto, le attrattive della sua conversazione,
la dolcezza del carattere, la prudenza delle risposte
alle infinite domande, che gli venivano indirizzate, e
sopratutto il candore della sua innocenza ed il fervore
della sua pietà. Nulla sfuggiva al loro sguardo inda-
gatore, avido com' è l'occhio paterno e materno di
trovare sempre nuova materia d'ammirazione. Essi
avrebbero passato le giornate e le notti ad ascoltare
i discorsi di lui, con sì gran contento, che talvolta
scorgevansi sulle loro guancie lacrime di allegrezza.
Anche tutta la nobiltà vicina, recatasi a visitare un
giovane di sì gran merito, era maravigliata del suo
sviluppo fisico ed intellettuale. Era desideratissima la
sua conversazione, e da ogni parte facevansi congratu-
lazioni ai genitori di un tal figliuolo. La Savoia fu
piena de' suoi elogi.
Francesco, da parte sua, insensibile a quelle lodi e
a quei contrassegni di stima, trovava tutta la felicità
nel convivere in famiglia. Cercava in tutto di far pia-
cere a'suoi cari genitori; si abbassava co'suoi teneri
fratellini, perchè avessero a lietamente passare i loro
giorni. Riprese subito a fare le sue pratiche di pietà
con gran puntualità e fervore. Così scorrevano quelle
prime settimane, senza che pure se ne avvedessero.
Passarono anche i mesi, e così velocemente che pare-
vano giorni, tanto era il contento, la pace, il profumo
di virtù che Francesco spandeva in famiglia. Luigi
strinse tosto di nuovo con lui quel legame di affetto,
'che insieme li aveva uniti prima del viaggio di Parigi,
e sempre le loro scambievoli relazioni erano dolci e
consolanti.
Meno facili invece erano le relazioni con Gian
Francesco, perchè di carattere geloso e caparbio. Fran-
cesco però a prevenirne le conseguenze, gli dava la
preferenza in ogni incontro : se c'era qualche cosa da
dividere, con gran destrezza gli dava sempre la parte
migliore; e se quel fratello aveva meritato un castigo,
si offeriva di subirlo egli ih vece sua : e così regnava
tra loro l'unione e la pace. Egli poi piacevolmente
scherzava, e nei momenti di buon umore, parlando
de'1 suoi due fratelli e di se stesso : « Noi tre, diceva,
faremmo il condimento di un'eccellente insalata: Gian
Francesco farebbe l'ottimo aceto, tanto è agro ; Luigi
il sale, tanto è prudente; ed il povero Francesco è un
buon ragazzaccio che servirebbe da olio, tanto stima
la dolcezza. »
In tal modo nel castello, coi genitori viveva felice,
facendo felici gli altri. La buona mamma non aveva
che un desiderio, quello cioè di veder il suo contento
durar lungo tempo, o per dir meglio, sempre. Essa
giudicava ch'egli fosse già dotto a sufficienza per non
doverlo più mandar altrove a studiare. I sei anni d'as-
senza passati a Parigi avevano tanto provato la tene-
rezza di lei, che non poteva sopportare l'idea d'una
nuova separazione. Ma il prudente genitore, consiglian-
dosi colla sua ragione, più che col suo cuore, e volendo
sopratutto che un figlio sì caro ricevesse un'educa-
zione degna del suo. grande ingegno, e della magistra-
tura e cariche e dignità dello Stato, cui lo destinava,
aveva già risoluto di mandarlo all'università di Padova,
per farvi gli studi legali, e per prendervi la laurea da
avvocato. Fu indotto a mandarlo a Padova, sia perchè
avrebbe così potuto perfezionarsi nella lingua italiana
come s'era già perfezionato nella francese, sia ancora
perchè in essa vi insegnava giurisprudenza il Qe]ebrs

6.2 Page 52

▲back to top


BÌ 5.
/• 1
it
Guido Pancirolo con fama straordinària, e col concorso
del fiore della gioventù di ogni parte d'Europa.
Frattanto il savio genitore non cessava di dargli
avvisi proporzionati alla sua età e alla destinazione cui
lo preparava, cioè alle cariche profane e alla onesta vita
di mondo: gli parlava degli intrighi e frodi che sono
la moda ordinaria delle corti dei principi: l'adulazione
da fuggirsi, la sincerità da praticarsi: gli dipingeva coi
colori più vivi le disgrazie morali nelle quali è solita
cadere la gioventù che non sa resistere alle prime ten-
tazioni delle passioni impure, potendo facilmente arri-
vare impensati accidenti a chi senza riflessione si ac-
compagna con giovani poco scrupolosi, e sopratutto
s'impegn"àva d'imprimergli nello spirito, che chi ar-
riva ad un posto sublime per mezzo dell' iniquità, oltre
all'aver continui rimorsi al cuore, corre pericolo di
perderlo con suo scorno; e dover il cristiano farsi, in
una certa maniera, impossibile il tradire gli interessi di
Dio e della patria per qualunque cosa creata.
Ascoltava Francesco con grande docilità questi am-
maestramenti, si proponeva di praticarli per tutta la
sua vita, e intanto preparavasi alla partenza.
L'immenso desiderio che aveva d'imparare gli
avrebbe fatto tollerare, per poterlo eseguire, ben altra
fatica ed altri disagi, che quelli d'un viaggio e di una
altra lunga dimora fuori della casa paterna ; perciò la
decisione del padre gli riuscì di grande piacere. Egli
già aveva udito decantare l'università di* Padova,
tanto rinomata per l'insegnamento della giurisprudenza
e della medicina. Conosceva pure per fama i meriti
esirnii del Pancirolo, e vedeva il gran profìtto che
potevasi trarre dalle sue lezioni. Ma vuoisi notare al-
tresì, che a fargli provare tanta gioia, concorrevano
due altri motivi molto potenti sul suo cuore: il primo
,
.......... . . ...
[[
— 103 —
era il sapere che l'università di Padova era anche
tanto celebre per gli studi teologici, onde sperava di
poter colà continuare ed ultimare i suoi studi ecclesia-
stici, a cui sentiva sempre viva inclinazione: l'altro
era la forza, che su lui esercitava la riverenza verso
la persona del padre, e l'ubbidienza alla volontà di
lui, nella quale riconosceva quella di Dio stesso.
Quindi, sebbene si sentisse sempre deciso in cuore di
abbracciare lo stato ecclesiastico, sicuro che Dio aiuta
sempre efficacemente coloro, i quali sinceramente vo-
gliono eseguire i suoi santi voleri, sino a volgere in
istrumenti favorevoli al loro disegno le difficoltà poste
dagli altri per impedirli, partiva tranquillo, contento
ed allegro, e di più colla certezza che Iddio gli darebbe
modo di compiere l'opera a cui lo chiamava.
CAPO IV.
Francesco a Padova
per lo studio della giurisprudenza.
Padova e la sua Università. — Padova, l'antica
Antenore, la patria di Tito Livio, posta presso il
Brenta ed il Bacchjglione, era a' tempi di Francesco
di Sales città nobilissima, e faceva parte della Repub-
blica Veneta. La sua università, e molte ricchezze ar-
tistiche, la resero assai celebre. Tra le opere d'arte
profana la più celebre è il palazzo della Giustizia,
ora detto della Ragione, posto nel mezzo della città
tra le due principali piazze di essa. Ciò che lo rende
più celebrato è una sala di circa 83 metri di lunghezza,

6.3 Page 53

▲back to top


— 104 —
onde è considerata come una delle più vaste e più
belle del mondo, ed è tutta-dipinta da Giotto.
Più ammiràbili ancora sono gli edilìzi sacri di Pa-
dova. La gran chiesa di santa Giustina, con otto cupole,
è considerata come una delle più maestose ed armoniche
basiliche d'Italia. Anche ammiràbilissima è la piccola
chiesa dell'Annunziata, dove il nostro Francesco si
recava più spesso a pregare. Anch'essa è tutta dipinta'
da Giotto. La facciata rappresenta una vasta pittura a
fresco; ivi il gran pittore, amico di Dante Alighieri,
, rappresentò sotto le indicazioni del divino poeta, ve-
nuto nel 1306 a Padova a trovarlo, le tre cantiche,
l'Inferno, il Purgatorio, il Paradiso.
Tra le più belle glorie di. Padova non è da tacersi
la dimora che vi fece il portoghese S. Antonio, che
fu poi detto di Padova per essere ivi morto e seppel-
lito. Magnifico oltre ogni dire è il tempio a tre torri
e cinque cupole che la pietà dei fedeli eresse in onore
di questo santo. La grandiosa cappella a lui dedicata
è una delle più stupende del mondo cristiano, sì per
l'eccellenza dei lavori, come per il pregio della ma-
teria, essendo quivi l'oro, l'argento, il bronzo, il gra-
nito, il verde antico ed ogni altra maniera di preziosi
marmi, impiegati senza risparmio al suo maggior or-
namento. (1)
,
L'università poi, antica e celeberrima, ai tempi di
Francesco era considerata come una delle prime d'Eu-
ropa. Grande è la copia d'uomini illustri che insegna-
rono nel padovano ateneo. Basti ricordare per tutti il
nome di Galileo Galilei, che vi insegnò per diciotto
anni le matematiche (dal 1592 al 1610) e fece colà le
(1) Nel coro della Chiesa del Santo si conserva, in ricchissimo
reliquiario, la sua lingua luttora incorrotta. Il suo corpo conservasi
ad Arcella, sobborgo di Padova, dove mori e dove fu seppellito.
— 105 -
maggio' ri sue scope'rte astron*'omiche. Al» nome suo vVa
aggiunto quello eziando del Petrarca, di cui è rinomato
il soggiorno che fece là presso in Arquà, due secoli
prima.
Fondata come università di studi, con determinate
leggi, nel 1261, con Bolla di Papa Urbano IV, venne
in breve ad avere un numero sterminato di studenti.
La Serenissima Repubblica Veneta aveva avuto cura
(tra il 1493, in cui si cominciarono i lavori, e il 1552,
in cui si terminarono), di far innalzare il magnifico,
grandissimo e comodo edifizio universitario che ancora
esiste, e di far venire ad insegnarvi i professori più
segnalati in Italia e fuori.
Ai tempi di Francesco, Padova poteva dirsi l'Atene
della grande Repubblica Veneta, la quale non rispar-
miava spese per dar splendore alla sede principale della
sua vita intellettuale. Emolumenti considerevoli <> splen-
dide distinzioni vi attiravano i professori più celebri.
L'uso di assegnare per ogni scienza due professori,
uno del paese e l'altro straniero eccitava una emu-
lazione straordinaria. La riunione di circa ventimila
studenti in mez^o ad una popolazione di forse 60.000
abitanti davano alla città di Padova un aspetto di .
studio, che doveva necessariamente stimolare al più
alto segno l'attività dello spirito.
Anche la religione e la pietà vi erario coltivate.
Quaranta conventi, tra cui la casa madre dei Benedettini
riformati d'Italia, il gran convento francescano a lato
della Chiesa di S. Antonio, e il collegio dei Gesuiti
tenevano viva una corrente vigorosa di vita spirituale,
e facilitavano agli studenti virtuosi l'adempimento delle
loro pratiche di pietà e la resistenza contro la sedu-
zione dei piaceri e la corruzione dei costumi.

6.4 Page 54

▲back to top


— IO6 —
Francesco all'università di Padova: — Termi-
nati i preparativi per la partenza il santo giovane, nono-
stante l'inverno già incominciato, partì, accompagnato
dal signor Deage che continuò ad essergli al fianco in
qualità di ajo, e da qualche servitore. I nostri viag-
giatori attraversarono felicemente le Alpi nel dicembre
del 1586 e giunsero a Padova all'incominciare del 1587.
Francesco si mise tosto all'opera per cui era venuto:
le lezioni all'università erano cominciate, ed egli, fatte
le debite pratiche, visitati i varìi professori per cono-
scerli e farsi da essi conoscere, non perdette pur un
giorno in vane curiosità, e subito frequentò regolar-
mente le lezioni. Si prescrisse otto ore di studio al
giorno e il rimanente della giornata, che le lezioni
dell'università gli lasciavano libere era destinato allev
pratiche di pietà, poiché egli perseverava nella risolu-
zione di voler crescere più nella virtù che nella scienza.
In vero risulta ben chiaro che da quando iniziò i
suoi studii fino al termine dei medesimi Francesco non
alimentò nel suo nobilissimo spirito che questi due
grandi sentimenti : la pietà più pura e generosa ed un
amore ardentissimo per lo studio. Essere sempre appli-
cato agli studii e sempre pio e costante nelle sue
pratiche di pietà, sacrificando con mirabile perseveran-
za e fervore di volontà ogni affezione o cosa contraria
a questi due sentimenti formava la sua vita. Non si
incontrano in lui, nemmeno in gioventù, le febbrili
intermittenze, il fare volubile e tentennante, rivelatori
di un carattere debole. Egli da giovane si applicò alla
pietà ed allo studio come può fare l'uomo maturo, il
che ci fa ammirare sempre più in lui il carattere fermo
e davvero invidiabile di un giovane prevenuto dalla
grazia del Signore. Questo, che fu carattere di tutta
la sua gioventù e di tutta la sua vita, si rivela spe-
cialmente nei quatti anni che passò all'università di
Padova per lo studio della giurisprudenza.
Gli esempi di una vita sì applicata e nobilmente
virtuosa gli meritarono ben presto, anche in Padova,
l'ammirazione di quanti lo conoscevano e praticavano,
e specialmente del principal suo professore Guido Pan-
cirolo, il quale, quantunque circondato da numerosa
scolaresca, nondimeno seppe scorgere in breve e ap-
prezzare giustamente le qualità straordinarie di quel
giovane gentiluomo savoiardo, che con tanta diligenza
frequentava la sua scuola e vi si mostrava costante-
mente in sì bello e attento contegno.
A questo proposito non si può tacere d'un segno
di speciale stima e benevolenza che gli diede; poiché
il degno professore, o lo movesse sua cortesia o pre-
ghiera di Francesco, si prese l'incarico di dargli, oltre
alle pubbliche lezioni all'università, altre lezioni parti-
colari nella pròpria casa; ond'egli fece progressi affatto
straordinarii ne' suoi studi, superando in essi di gran
lunga tutti i suoi condiscepoli. E questa speciale bene-
volenza del maestro fu, per avventura, occasione che
la suà virtù prima nota a pochi, si rendesse palese a
tutti, così disponendo Iddio per salutare ammaestra-
mento degli altri.
Anche gli altri professori lo tenevano in gran conto
e lo ammiravano pel suo gran genio, per la sua gen-
tilezza di tratto e per la sua tenace e costante appli-
cazione. Tra gli altri studii secondarii, che coltivò con
ardore, non è da tenersi in poco conto quello che fece
nelle scienze naturali. Ebbe in questo studio la guida
del celebre Matteucci, e si può dire che sotto di tal
guida fece progressi straordinarii, specialmente nella
botanica e nella zoologia. Da esso specialmente ricavò
quei tanti paragoni e applicazioni delle cose naturali

6.5 Page 55

▲back to top


a spiegare i principii religiosi e morali, e quello stile
fiorito e immaginoso che singolarizzano e rendono cosi
attraenti tutti' i suoi scritti.
Prende il P. Possevino come suo direttore spi-
rituale. — Sempre diffidente di se stesso, come già
aveva fatto a Parigi, fin dai primi giorni della sua di-
mora a Padova pensò di trovare un pio e dotto direttore
spirituale, che lo conducesse con mano abile nelle vie
della perfezione cristiana, senza di che la sua inespe-
rienza, diceva, gli avrebbe fatto fare dei passi falsi.
La scelta questa volta fu facile e veramente provvi-
denziale. Era di fresco venuto a Padova il padre Pos-
sevino, della Compagnia di Gesù, uomo di molta pietà
e dottrina, e che s'era presto acquistato gran nome. A
Francesco venne subito grande desiderio di farne la
conoscenza. Andò pertanto a fargli visita, e dopo il
primo abboccamento, senza esitare, dissfe con una si-
curezza piena di contento, che quegli era l'uomo di
cui abbisognava: lo prese pertanto come suo confes-
sore regolare e non lasciava settimana senza servirsi
del suo ministero. Si recò poi anche più volte a tro-
varlo in casa e gli svelò il suo stato e la posizione
difficile in cui si trovava; poiché da una parte l'inten-
zione di suo padre era che si desse alla magistratura,
e dall'altra l'inclinazione sua e la costante sua volontà
era di abbracciare lo stato ecclesiastico, (i)
( i ) Il P. Antonio Possevino era un grand'uomo, ed un grande
scrittore. Mandato dal Papa in qualità di Nunzio alla Corte di
Svezia si adoperò pel ristabilimento della religione cattolica, e
gli venne fatto d'impegnare re Giovanni ad abiurare il lutera-
nismo. Mandato poi Nunzio in Polonia ed in Russia riuscì a ri-
stabilire la buona intelligenza tra il re di Polonia e lo Czar di
Russia, e zelò con grande attività e prudenza la riunione dei
Russi con ta Chiesa Romana, Ritornato da queste missioni si diede
Al padre Possevino sembrò un gran fatto, che un
giovane cavaliere, al quale sorridevano così belle spe-
ranze nel mondo, tenesse modi e linguaggio sì diffe-
renti dagli altri giovani ; e mentre quelli non cercavano
altro che sollazzi e diletti, egli andasse così lontano
dalla comune consuetudine, e mostrasse all'età di non
ancora vent'anni il senno che altri mostra appena in
età avanzata. Preso adunque tempo a riflettere, con-
sultò Dio sopra un sì importante affare, e dopo vari
giorni di esame e di preghiera, dopo diversi abbocca-
menti col suo nuovo penitente, potè chiaramente co-
noscere che la vocazione di lui allo stato ecclesiastico
veniva dal cielo, ed assicurò Francesco, dicendogli che,
deposto ogni altro pensiero, a questo volgesse la mirà
e indirizzasse la vita. Andò più oltre : illuminato,
dicono parecchi scrittori, da lume profetico, affermò
che la Provvidenza lo destinava ad essere un giorno
Vescovo di Ginevra. Quello che è certo, e che fu de-
posto con giuramento si è, ch'egli disse sin d'allora
all'abate Deage : « Ecco un giovane che sarà un giorno
un prelato di santa Chiesa. »
Riprende lo studio della teologia. — Pertanto
il P. Possevino convinto che il coltivare un soggetto
di tanto merito sarebbe il più gran servizio che potesse
prestare alla religione, vi si dedicò interamente. E
prima di tutto non lasciava passare occasione di in-
culcare a Francesco, il quale però per sè non ne ab-
bisognava, la neccessità di istruirsi a fondo nelle cose
di teologia, per poter render ragione della fede che
al ministero della predicazione, percorrendo con gran frutto la
Francia e l'Italia. Finalmente ritirossi a Padova, per occuparsi
nella quiete della solitudine a comporre varie opere, specialmente
scritturali e teologiche, le quali fanno del bene ancora oggidì.

6.6 Page 56

▲back to top


si professa, essendoché l'oracolo dello Spirito Santo ci
ammaestra, che le labbra del sacerdote, devono custodire
la scienza, essendo da loro che i popoli vengono ad at-
tingere la sapienza, (i) E ripeteva di tanto in tanto-
ai suo illustre discepolo, l'esperienza farci conoscere,
che, avendo gli eretici più presunzione che dottrina,
l'eresia doveva il suo avanzamento alla ignoranza, nella
quale era sepolta l'Europa, allorché quella comparve
nel mondo. Quindi colla scienza doversene arrestare
il corso.
Quanto questi discorsi servissero ad accendere sem-
pre più in Francesco il desiderio già grande di darsi
tutto agli studi sacri, per poter poi fare del bene, non
è a dire. Il buon padre Possevino finiva con prendersi
l'assunto di dare egli stesso, ogni giorno, al suo nuòvo
discepolo lezioni di teologia.
Questo era un offrire assai più di quello che Fran-
cesco potesse sperare ; onde, accettata con molta gra-
titudine la generosa profferta, cominciò a studiare,
anche con maggior fervore e gusto di prima la teo-
logia, perchè accertato che le fatiche sue sarebbero
state oggimai dirette ad ottenere quel fine, che a lui
unicamente premeva. Non lasciò più cosa intentata per
riuscir buon sacerdote; e con lo studio indefesso, e con
lezioni private e pubbliche', andava preparandosi a
quello stato santo, verso cui i suoi desideri lo porta-
vano. Egli avrebbe voluto poter moltiplicare il suo
tempo; ma, non potendolo, fece proposito di non
volerne più perderne neppure un istante.
Da allora il suo libro prediletto fu la Sacra Scrittura:'
ogni giorno nel raccoglimento della meditazione ne
(i) Labia sacerdotis custodient scientiam, et, legem requirent
ex ore eius. (MAL. JI, 7)
leggeva una determinata parte con molta riverenza, e
ne studiava a memoria i più bei passi, e si prendeva
accurate note di quanto più" l'impressionava e delle
spiegazioni dei santi Padri sui punti più difficili.
Se qui mi fosse permessa un'esortazione, io vorrei
raccomandare con tutto il cuore ai giovani studenti
di imitare il caro S. Francesco di Sales in questo pro-
posito, di voler cioè sempre unire qualche studio sa-
cro agli studi profani; e specialmente-leggere, se loro
riesce possibile, qualche brano della Sacra Scrittura
ogni giorno. Che se questa Vita capitasse alle mani
di chierici, o di giovani preti, vorrei raddoppiare l'i-
'stanza, e pregarli e scongiurarli a seguire, almeno in
ciò, l'esempio del nostro Santo. Il profitto che ne ri-
trarrebbero sarebbe incalcolabile. Un quarto d'ora che
vi si impiegasse quotidianamente, darebbe campo in
due o tre anni a leggere tutti i libri sacri con le ri-
spettive note a ciò necessarie; e questo con profitto
immenso dei loro studii e della loro anima.
In tal modo Francesco riuscì, sebbene sovrabbon-
dantemente occupato, a leggere più volte tutta la Bibbia'
ed a studiarne a memoria i tratti più importanti. Stu-
diava poi la teologia in tre autori, che più di tutti
amava e stimava. In primo luogo poneva S. Tommaso :
ne teneva sempre sul tavolo la Somma teologica: in
essa cercava lo scioglimento di tutte le difficoltà, che
gli si presentavano, e lo schiarimento di tutti i dubbi,
che gli nascondevano la luce delle eterne verità. Ve-
niva poi S. Bonaventura, nelle cui pie opere il suo
cuore trovava un particolare diletto; traendo da queste,
come ió penso, quello stile affettuoso, che gli fu
come naturale. In terzo luogo venivano le controversie
del cardinal Bellarmino, lo studio delle quali lo prepa-
rava a sciogliere chiaramente le obbiezioni degli eretici.

6.7 Page 57

▲back to top


112 —
Dalla teologia passava alla lettura dei santi Padri,
e di essi poco alla volta percorse S. Giovanni Griso-
stomo, S. Agostino, S. Girolamo, S. Bernardo, e più
ancora S. Cipriano,.il cui stile armonioso, diceva egli,
scorre con tranquilla dolcezza a guisa di limpido fonte.
E perchè queste letture gli restassero più impresse, e
potessero fargli più bene, spesso componeva brevi
squarci d'eloquenza, nei quali cercava d'imitare e di
riprodurre le bellezze che lo avevano colpito.
Con questa diligenza ed attività, e col corrispon-
dere sempre agli insegnamenti del Possevino, per tutti
i quattro anni che si fermò a Padova, egli gettava i
fondamenti, anzi già cominciava ad innalzare l'edificio
di quella grande santità e sicura dottrina, colla quàle
doveva a suo tempo operare tanto bene alle anime.
Con questo studio serio e indefesso riuscì poi quel
grand'uomo che fu; poiché non è a credersi che egli
adoperasse solo la dolcezza a convertire gli eretici e
a far progredire i buoni nella virtù ; vi aveva pur an-
che gran parte la forza delle ragioni imparate sui libri.
Fu la costanza nel non voler mai perdere briciolo di
tempo, e il seguire un metodo assai severo ne' suoi
studi, che lo doveva poi collocare, coll'aureola di Dot-
tore, accanto a quei medesimi Padri della Chiesa, che
allora lo tenevano continuamente occupato.
Suoi sforzi per progredire nel bene. — Fran-
cesco per certo non aveva mai avuto, ne' suoi studi,
altro di mira che di piacere al Signore, perciò non la-
sciava che il desiderio d'imparare, come talvolta av-
viene, assorbisse la brama ed il desiderio di santificarsi.
Cercava anche di fare ogni giorno nuovi progressi'
nella pietà, animandosi con queste parole, che gli si
udivano pronunziare frequentemente, e che la storia
KIIhv
*,
L
--
I
II3
ci tramandò: « Per qual fine sei tu al mondo? I giorni
e gli anni sono brevi'e passano come l'ombra. Facciamo
il bene finché abbiamo il tempo; poiché s'avvicina la
notte, in cui non si può più lavorare. »
Non ostante l'energia della buona volontà che in
quel tempo si sentiva, un timore grande lo sorpren-
deva di tanto in tanto. Aveva tocco quella età in cui
anche i più saggi devono incessantemente vegliare so-
pra di sé. Temeva, il buon giovane,-che le passioni
e il contatto col mondo lo facessero intiepidire, e poco
a poco lo sviassero dal tenor di vita che aveva inco-
minciato.
Conobbe fin da principio il rischio in cui si met-
teva, se non prendeva mezzi efficaci di perseveranza.
Per isfuggire alla conversazione dei licenziosi condi-
scepoli, fin Ida principio s'era prefissa una vita più ri-
tirata che a Parigi, ed una continua riflessione sopra
se stesso ; ma temeva che questo non bastasse. Si fece
anche qui ascrivere alla Congregazione della Beata Ver-
gine, come già aveva fatto a Parigi, per circondarsi
così dj buoni compagni, e per avere nella divozione
della Madonna un costante aiuto nel bene. Ma paren-
dogli che tutto questo non bastasse ancora, stabilì di
fergjj 1-*1 ^regolamento^ di vita,serio, preciso: lo compose
adunque, lo fece approvare dal direttore dell'anima
sua, e si prò pòse volerlo eseguire in ogni congiuntura,
avesse pur dovuto sottoporsi a qualun-
que sacrifizio. In questo regolamento si prescrisse tali
regole di condotta, che tu non sapresti qual più am-
mirare, se l'alta pietà che tutto l'informava, od il ma-
turo suo giudizio; soprattutto qualora si consideri che
Francesco era appena nel ventesimo primo anno di
sua età.
E poiché ci siamo incontrati in un giovane, che
8 — B A R B E R I S , Vita dì S. Francesco di Sales.

6.8 Page 58

▲back to top


nel fiore degli anni, stando in mezzo al secolo, nel
regno della licenza, come sono per lo più le università,
regolava talmente la sua vita da poter servire d'esem-
pio anche ad un giovane più consumato nella virtù,
ci pare che mancherebbe qualche cosa a questa nostra
storia, quando dette regole non si mettessero qui per
disteso, come appendice a questo capitolo, quale uscì
dalla penna di Francesco stesso, a comune edifica-
zione ed esempio. Per la vita di Francesco non ci
occorre a . questo riguardo notare altro, se non che
egli fu anche più fedele nell'osservarlo che saggio nel
comporlo.
D à prova del suo valore. — Sembra che una
virtù così pura ed.amabile non avrebbe dovuto riscuo-
tere che rispetto ed amore; ma sta scritto, che co-
loro i quali vogliono vivere piamente saranno perse-
guitati, (i) e conveniva che anche Francesco provasse
nella sua persona la verità di questo oracolo divino.
Appunto perchè buono, alcuni libertini concepirono
contro di lui tale avversione, che senza altro riguardo
cominciarono a sfogare il loro mal talento con motti
pungenti prima, e poi con aperti dileggi. Gli davano
la baia per la sua costumatezza e divozione; e taccian-
dolo d'ipocrita, dicevano che mal gli stava al fianco
quella spada da cavaliere che portava, mentre nell'a-
nimo non sapeva avere altri pensieri, che i gretti e
vigliacchi delle bacchettoneria.
^
A queste istigazioni rispondeva Francesco con
umili e cortesi parole, risoluto di sopportare in pace
qualunque disagio e dileggio, piuttosto che rompere la
carità con rispondere alle loro provocazioni. Ma, come
(i) Et omnes qui pie volunt vivere in Christo Jesu, persecu-
tionem patientur. (II Tim. i n , 12)
accade, per questa sua moderazione e pazienza, accen-
dendosi in essi vieppiù l'invidia, cercarono di Targli
qualche brutto affronto. Un giorno concepirono il di-
segno di tendergli un agguato, affine di percuoterlo, ,
facendogli però più paura che male, e così divertirsi
a sue spese, e poter poi vantarsi coi compagni dell'uni-
versità di avergliene fatta una grossa. Pertanto, circa al
tramonto del giorno vennero ad appostarsi su di una
strada per la quale sapevano che doveva passare tornan-
dosene a casa, immaginando che si lascierebbe battere a
loro voglia, e di poi se ne fuggirebbe, dando loro così
una facile vittoria. Ma ben presto s'avvidero di cono-
scerlo male, e che la religione, la quale rende dolce ed
umile, non toglie di essere coraggioso ed intrepido al-
l'occorrenza. Giunto infatti Francesco al luogo dell'in-
sidia, gli si appressano, cercano di muovere contesa
senza motivo, passano da questa alle ingiurie, e dalle
ingiurie si dispongono a venire alle percosse. Allora
il santo giovane, compreso lo scopo degli assalitori,
i quali più che la sua persona volevano mettere in giuo- j
co la virtù per renderla ridicola, sapendo tutte le leggi 1
favorire chi si difende, sfodera la spada, l'impugna
vigorosamente, e investendo i suoi aggressori, li pone
in fuga e li insegue sinché', tremanti e confusi, gli chie-
dono perdono, promettendogli rispetto per l'avvenire.
Il fatto narrato è una chiara prova, che la pietà
cristiana non è per nulla contraria ai sentimenti nobili
e generosi dell'uomo; e tanto meno a quei sentimenti
che tra i giovani son più ammirati, cioè ^franchezza e
il coraggio d'animo ardito e sicuro e portato all'esercizio
della carità. Ciò diciamo non perchè questa sia una
verità che abbisogni di prove, ma per far notare
quanto siano falsi i giudizi del mondo, 'che della pietà
cristiana è nemico acerrimo. Così l'intendessero una

6.9 Page 59

▲back to top


buona volta specialmente i giovani, ne' quali il rispetto
umano può tanto! Intendessero cioè che la pietà
cristiana non è virtù da fanciulli e da femminette,
ma anzi è la regina, l'inspiratrice, la corona di tutte le
virtù più belle, come quella che è il complesso di tutti
i doveri che l'uomo ha verso il suo Padre Celeste.
Che se talvolta in certe persone, che mostrano di
professar pietà, si vedono opere e modi di vile e gretta
natura, ciò non è per nulla colpa di essa pietà, poi-
ché essa condanna quelle opere e quei modi ; ma è
colpa di quelle persone, che per difetto d'animo non la
professano come vuol essere professata. Del resto la
società, anche per riguardo a qu: tv. medesime persone,
deve essere molto obbligata e riconoscente alla pietà
cristiana: perchè se non fosse di lei, quelle anime
cadrebbero molto più basso ancora, e commetterebbero
forse delitti esecrabili.
%
Orribile insidia tesagli dai compagni. — Vinti
in questo primo esperimento, i dissoluti compagni del-
l'università pensarono di ricattarsene con ordirgli contro
una insidia assai più terribile e pericolosa, poiché non
si trattava più di mettere alla prova il suo coraggio,
ma la sua virtù, cui ambivano di far venir meno. Con
tale intento combinarono un tranello con una donna
di mala vita. Tutto combinato, tre di quei disgraziati
vennero a visitarlo con aspetto grazioso ed amorevole,
ed avendogli annunziato che era giunto in Padova un
nuovo professore di giurisprudenza; dottore assai dotto
e celebre, il quale aveva preso alloggio non lontano
da loro, gli proposerò, che volesse andar con loro
a fargli visita: perchè, dissero, la civiltà ce ne fa un
dovere, ed è anche interesse nostro entrare nelle sue
grazie. Il santo giovane accondiscese volentieri ad una
117
proposta che era sì conforme alla sua delicata com-
pitezza; quindi si mette in via con loro.
Giunti alla casa, che dicevano essere l'abitazione
del nuovo professore, si fa innanzi una giovine elegan-
temente vestita, che con finta modestia, accresceva lo
splendore della sua avvenenza, ma che in realtà non
era che una vile cortigiana, colla quale quei giovani
licenziosi avevano concertato il tranello. Francesco, cui.
i compagni avevano pregato di parlare a nome di tutti,
espone il motivo della visita. Quella disgraziata allora
li introduce in una stanza appartata ove il dottore suo
marito che in quell'istante, diceva essa, era occupato,
non tarderebbe a venire ; frattanto si pone a conversare
col virtuoso giovane. I compagni intanto, fingendo di
guardare i quadri ed i ritratti, l'uno dopo l'altro se ne
allontanarono, lasciandolo, qual nuovo Giuseppe, nelle
mani della rea femmiiVà'. Ben cercava Francesco di ri-
mettere la visita ad altro tempo ; ma fu con arte ritenuto
finché gli altri furono usciti. Tosto ch'ella si vede sola <
con esso lui, depone la sua ipocrita modestia, unisce agli
sguardi appassionati parole ancor più appasionate, e gli
prende la mano per istringerla con la sua. Il casto
giovane sdegnato la respinse energicamente, ma essa
gli si slancia al collo per abbracciarlo e baciarlo. Tro-
vatosi a queste distrette, Francesco s'accorse che que-
sto era un vero tranello che gli si era teso, e capì,
solo allora, con che donna avesse a fare. Non esitò;
ma servissi all'istante dell'unica arma che meritasse
quella sciagurata, il disprezzo e l'obbrobrio : sputolle sul
volto e se ne fuggì, lasciandola" piena di rossore e di
rabbia. Era ben degno Francesco di partecipare delle
glorie della castità di San Tommaso d'Aquino, egli
che aveva tanta parte con lui per l'altezza delle sue
dottrine !

6.10 Page 60

▲back to top


Uscendo di là incontra i compagni, i quali, dopo
d'essersene allontanati, mostrarono di ritornare come
per far visita al dottore ; ma egli diresse loro con se-
verità quei gravi rimproveri che meritavano, dando a
conoscere che sentiva profondamente l'indegnità della
loro condotta.
\\
Attribuì il casto giovane al patrocinio della Beata
Vergine questa vittoria, e cercò ogni giorno più di
rendersi degno di tanta protettrice.
Altra brutta insidia che gli tendono. — La
nuova di questo avvenimento si sparse ben presto per
tutta la città, che risonò di voci d'ammirazione e di
lode per lui e lo fecero stimare oltre a quanto si po-
trebbe dire, tanto che le persone virtuose l'appella-
vano il giovane perfetto. Ma questa stessa cosa, chi
avrebbe potuto pensarlo? divenne un nuovo scoglio
alla sua virtù. Egli, dopo il suddetto fatto, erasi pre-
fisso di stare anche più in guardia; ma Iddio talora,
per provare e far conoscere la fedeltà de' suoi servi,
permette che le occasioni si presentino a chi più le
sfugge. Viveva allora in Padova una principessa assai
ricca, la quale non risparmiava le ricchezze, allor-
quando si trattava di appagare i suoi desiderii. Avendo
bramato di veder questo giovane, di cui ognuno faceva
encomi, tanto fece che l'incontrò una volta. Al solo
vederlo si sentì presa, e concepì una violenta passione,
e già, fatti i suoi disegni, più non posò, finché non
mise in opera ogni ingegno per riuscire nel suo intento.
Quantunque il buon Francesco sempre fosse stato
cauto e prudente nella scelta degli amici, ed allora,
dopo il mal gioco fattogli dai compagni, andasse cau-
tissimo, e non usasse più se non con alcuni pochi, a
suo avviso, costumati e buoni, nondimeno anche tra
— n9
questi pochi ve n'era dei falsi. E per disgrazia, quello
stesso in cui egli più si confidava fu l'indegno mini-
stro delle macchinazioni fatte contro la sua virtù.
Per soddisfare adunque la sua passione, quella prin-
cipessa chiamò a sé l'amico di Francesco, gli fece
magnifici donativi, e si obbligò ad assicurargli, pel
rimanente de' suoi giorni, una ricca pensione, se
inducesse l'amico ad accettare le sue profferte. Lo
sciagurato non ebbe vergogna d'incaricarsi di questo
ignobile affare, e un bel dì, mentre stavano insieme
discorrendo di cose di studio, cominciò, il perfido, con
lunghi giri di parole a mettere ragionamento della
principessa, e dopo tessuto uno sfoggiato elogio della
sua nobiltà e ricchezza, della splendidezza del vivere e
della generosità sua, e insistito sulla necessità di non
sprezzare la grazia di tali persone, passò all'orribile
ambasciata, che era lo scopo della sua diceria.
All'inaspettata proposta, Francesco, già fatto ac-
corto dai casi passati, quando intese dove andasse a
parare il favellar dell'amico, non lo lasciò terminare,
ma: « Vii seduttore, gli disse, ritirati. Tu che dovresti
correggermi se errassi, mi stimoli a peccare? Va su-
bito a chiedere perdono a Dio del tuo fallo, e fanne
condegna penitenza. » L'infedele amico, senza perdersi
d'animo d'una si cattiva accoglienza, osò ancora par-
lare delle smisurate ricchezze, e di tutti i vantaggi che
era incaricato di promettergli; ma Francesco replicò:
« La principessa si tenga tutti i suoi tesori, chè, quan-
d'anche fossi ridotto a mendicare un tozzo di pane, .
non vorrei acquistare ricchezze transitorie a costo del-
l'anima e della eterna salute. Tti poi partiti subito di
qui; » e ciò detto lo mise egli stesso alla porta.
Non era solo nelle grandi tentazioni,j che France-
sco si mostrava amico della santa purità: egli sapeva

7 Pages 61-70

▲back to top


7.1 Page 61

▲back to top


che questa delicatissima virtù, simboleggiata dal bianco
giglio, si può offuscare al minimo soffio ; e siccome
egli la custodiva preziosamente, non poteva soffrire
che fosse offesa in sua presenza. Un suo compagno di
studio avendo ardito permettersi alcune parole dettate
dalla dissolutezza e dall'empietà: « Amico, gli disse,
ho una domanda a farti. Che cosa ti ha fatto Iddio
per trattarlo così? O più tosto, che cosà-^on ha fatto
per obbligarti a regolarti in altro modo? » Queste non
furono parole, ma un fulmine, da cui spaventato il com-
pagno si ritirò con tale impressione, che molto tempo
dopo diceva: « Ogni volta che vi penso, rimando
ancora penetrato di dolore per il mio fallo. »
Suo spirito di penitenza. — Questa virtù così
salda, non è a dirlo, traeva la sua fortezza ed il suo
splendore dal grande amor di Dio che gli ardeva in
cuore. Tanto amava il Signore, che era fermamente
deciso di morir prima, fosse pure tra i più atroci spa-
simi, che di offendere, anche menomamente, il suo
Creatore, il suo Redentore, il suo Dio. Rese adunque
infinite grazie a Lui, autore d'ogni bene, ed alla sua
Madre Santissima, per averlo assistito in queste occa-
sioni così pericolose; anzi, rimproverando a se mede-
simo l'ingratitudine a' favori del cielo, come cagione
di tanti pericoli ai quali vedeva esposta la sua castità,
raddoppiò il fervore e prolungava le sue preghiere e
le sue meditazioni. E poiché ben sapeva la mortifi-
cazione e la penitenza essere principali custodi della
santa purità, per meglio conservarla, prese a macerare
il suo corpo; e se già da lungo tempo digiunava e
portava il cilicio tre giorni della settimana, ora vi
aggiunse le lunghe veglie e la disciplina, percotendo
aspramente le sue carni innocenti,
— 121 —
Agli occhi di molti, specialmente in questo secolo
materialista, queste mortificazioni straordinarie non
sono considerate che prodotti d'una divozione mal in-
tesa, che indebolisce lo spirito. Francesco non la sen-
tiva così. Gli stavano invece impresse nella mente e
nel cuore le parole del Signore: Se non farete peni-
tenza, perirete tutti; e che. il Paradiso e preda di co-
loro solamente che sanno fare violenza a sé stessi; e
ricordava sempre l'esempio di S. Paolo, seguito poi
da tutti i santi, il quale diceva: Io castigo il mio cor-
po e lo riduco in servitù affinchè stia sottomesso allo
spMito. Egli poi teneva questa pratica come una ne-
cessità per sé, affine di non fare delle cadute rovinose.
Nella quaresima raddoppiava ancora questo genere
di austerità, e non si lasciava prendere dal rispetto
umano; anzi vi esortava i suoi amici, quando credeva
scorgere in essi tanta virtù da accettare un siffatto in-
vito. Con tanta austerità praticava anche così bene
l'umiltà, nascondendola agli occhi altrui, che nessuno se
non il suo confessore e il suo precettore, poteva immagi-
narsi tanto spirito di penitenza in un giovane, d'altronde
così delicato e sempre allegro. Ma una circostanza fece
sì che la cosa venne anche a cognizione dei compagni
dissoluti, i quali, decisi sempre di fargli dei brutti tiri,
non ne cercavano che l'occasione. E questa occasione
venne. Informato Francesco che in una cappella ap-
partata, nel convento di Sant'Antonio, vi doveva essere
una predica sulla necessità della penitenza, seguita da
una generale disciplina di coloro che a quella fossero
ntervenuti, non volle perdere un'occasione sì cara alla
sua pietà, si recò con un suo amico a prendere parte
a questo esercizio di mortificazione. Terminato il di-
scorso, nel quale furono commentate, in modo .di far
iscorrere le lagrime, quelle parole del salmista: l pce-

7.2 Page 62

▲back to top


catori hanno fabbricato sul mio dorso, e prolungarono le
loro iniquità, si chiusero le porte, si estinsero i lumi,
s'intonò il Miserere, e le discipline, che i religiosi
avevano distribuite sull'ingresso della cappella, messe
subito in moto, fecero cadere i colpi sulle nude spalle
dei devoti penitenti.
Francesco aveva diligentemente procurato di tener
celato il suo intervento a quest'esercizio, ma ciò si
venne a scoprire da quei compagni dissoluti, che cer-
cavano tranelli per metterlo in ridicolo. Pertanto quat-
tro di essi, fingendo pietà, vennero anch'essi a quella
adunanza con lanterne opache,'per potersi far vànto
d'averlo sorpreso in quella pratica di penitenza. Ed
ecco che mentre tutti si disciplinavano, essi, dai quat-
tro canti della sala fecero comparire i lumi che ave-
vano tenuti nelle lanterne opache e così sorpresero
Francesco quando egli più fortemente si flagellava.
Egli ebbe per questo a soffrire molte derisioni dai
compagni d'università; ma tanto fu lungi che l'arma
del ridicolo potesse in lui quello che non avevano
potuto le ingannevoli arti de* suoi libertini compagni,
che ne prese animo per accrescere il suo fervore, e
cercò ognor più di dimostrare al Signore, con una
pietà illuminata e tenerissima, la sua gratitudine pei
benefizi ricevuti, e per quelli che tuttodì riceveva; e ciò
anche con le austerità corporali, sia per castigare in se
stesso i suoi peccati, chè, molti e gravi temono sempre
d'averne commesso i santi; sia per premunirsi dal fomite
delle passioni, che temeva lo facessero poi, improvvi-
samente, cadere in colpa se non si fosse mortificato.
Gravissima malattia di Francesco. — La divina
Provvidenza, come se avesse voluto secondare quel-
l'amore dei patimenti e della mortificazione, che era
nel cuore del santo giovane, permise che cadesse amma-
lato, e che in breve la malattia si aggravasse in modo
da far temere delia sua vita. Egli toccava allora l'età
di anni 22, conduceva una vita di tanta penitenza e di
tanto fervore che più non avrebbe potuto fare un re-
ligioso dei più perfetti. D'altronde l'occupazione con-
tinua di spirito, l'applicazione perseverante delle po-
tenze dell'anima alla pietà ed allo studio dovevano di-
minuire considerevolmente le forze del suo corpo. Lo
stomaco ed il capo erano oppressi, l'appetito e il sonno
disparvero, ed il vigor giovanile poco a poco diè luogo
ad un pallore e ad una straordinaria magrezza, che*lo
rese simile ad uno scheletro. Indarno Dpn Deage fece
che i medici tentassero tutte le cure per arrestare i pro-
gressi del male. A quello stato di languore, che non volle
cessare, si unì una violenta e continua febbre e la po-
dagra accompagnata da dolori,reumatici in tutte le mem-
bra, in guisa che il santo infermo, steso sopra un letto di
dolori, pallido a abbattuto, senza posa agitato da tre-
mito febbrile, era in preda ai più crudeli martori. An-
cora lo soppraggiunse una persistente dissenteria, che
finì per togliergli ancora quel po' di forze che gli erano
rimaste. Videsi allora un commovente spettacolo : nel
mezzo de' più grandi tormenti una pazienza più grande
ancora: una sommessione piena di rispetto e d'amore
al divin volere; un'umiltà che risplendeva nel suo fre-
quente ripetere, che il suo patire era nulla a paragone
di ciò che meritava la moltitudine dei suoi peccati ;
un'ubbidienza pronta e semplice a tutte le prescrizioni
dei medici, per quanto fossero disgustose; ed una totale
indifferenza al loro buono o cattivo effetto.
Il Deage profondamente afflitto, raduna a consulta
i più celebri medici, e ne ha la terribile risposta, che
non vi è a sperar guarigione, giacché tanti mali riu-

7.3 Page 63

▲back to top


— 124 —
niti in un corpo sì debole* hanno infallibilmente a ca-
gionar la morte. Colpito a questa nuova come da un
fulmine, si scioglie in lagrime e s'abbandona al dolore,
poiché, oltre all'amore grande che portava al santo
giovane, pensava al dolore smisurato, che di tale per-
dila avrebbero sentito il signore e la signora di Sales,
e tutti in generale i parenti e gli amici ; i quali, ritor-
nando senza lui, parevagli che quasi non avrebbe avuto
animo di presentarsi. Ma pur vedendo che, né dolore
né pianto giovava a scemare la forza del male, e la
sua coscienza avvertendolo, che in una simile condi-
zione devesi ad un infermo ben altro che pianto, si
arma di coraggio per preparare Francesco alla morte ;
compone meglio che può il suo sembiante per dissi-
mulare la suà angoscia, ed accostandosi al suo caro
malato : « Figlio mio, gli dice, se Dio avesse risoluto
di chiamarvi a sé, non vi conformereste voi, al suo
beneplacito?
« Sì, senza dubbio, risponde l'am-
malato con accento, che privava aver egli ben inteso
l'avviso; sì, sia fatta la volontà di Dio per la morte
come per la vita ; io mi sottometto a tutto ciò che al
buon Dio piace. Mi è dolce il vivere col mio Salva-
tore, e con Lui mi e dolce il morire. »
Nel tempo stesso prorompe in giaculatorie e
toglie dalla Sacra Scrittura i più bei testi, per espri-
mere i sentimenti de' quali il suo cuore sovrabbon-
dava : Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, 0 Signore
delle virtù! — Spero vedere i beni del Signore nella
terra dei viventi. — Aspetto con pazienza che si operi
il mio cambiamento. — I giorni dell'uomo sono brevi,
la vita e fragile, appassisce qual fiore e, si dissipa come
V'ombra. — Felice colui che ha posto tutta la sua spe-
ranza nel nome del Signore, e non si è trattenuto nelle
follìe e vanità del mondo. — Il Signore è la mia
- «S
luce, e la mia salute ; di che cosa temerò io? —- Quando
anche intieri eserciti si levassero contro • di me, il mio
cuore non ne temerebbe ; in mezzo al combattimento ri-
porrei in Lui la mia speranza.
Atto eroico. — Questi e consimili sentimenti trae-
vano i singhiozzi e le lagrime dal petto e dagli occhi dei
circostanti, i quali non finivano di ammirare sì grande
tranquillità e contentezza al cospetto della vicina morte.
L'abate Deage, facendo violenza al suo dolore, osò
chiedergli che intenzione avesse riguardo a' suoi fune-
rali : « Mio caro maestro, gli rispose il santo infermo,
lascio il pensiero di tutto ciò al vostro affettò the mi
è ben noto, e vi prego di avere di me dopo la mia
morte quella cura che di me avete avuto nel tempo
della mia vita. Una cosa sola io desidero, che il mio
corpo sia dato agli studenti di medicina per farne l'ana-
tomia. » - « E che? mio caro figlio, replicò l'ajo:
ciò sarebbe un disonore per la vostra famiglia. » —
« Perdonate, mio buon maestro, soggiunse l'infermo,
ma mi sarà di gran consolazione-, morendo, il pensare
che, se sono stato, vivendo, un uomo inutile, sarò al-
meno di qualche utilità dopo la morte, somministrando
agli studenti di medicina un cadavere sul quale pos-
sano lavorare, senza averlo comprato a costo di con-
tese e di omicidio. » /
Io non so se l'amore di Dio e la carità del pros-
simo possa giungere più oltre ! Tanta umiltà congiunta
a tanta carità intenerirono gli astanti più di quanto si
possa dire, e li fece sciogliere in lagrime, né potevano
abbastanza ammirare questa disposizione testamentaria,
che mirava a diminuire, almeno in qualche cosa, le
orride scene, che si vedevano a quei giorni, fra gli
studenti di medicina. Allora lo studio dell'arte salu-

7.4 Page 64

▲back to top


— 126 —*•
tare non era ordinato com'è al presente. Gli studenti
alle volte andavano colle armi alla mano a dissotter-
rare i cadaveri. necessari alle prove de' loro studi, fa-
cendo conflitto coi parenti de', defunti, che armati essi
pure vi si opponevano; dal che ne derivavano contese,
sanguinosi combattimenti e spesso anche uccisioni.
Quando per Padova si seppe questa sua testamen-
taria disposizione, si levò un grido d'universale ap-
plauso all'eroica virtù del gentile e generoso suo ani-
mo ; e la savissima lezione, che dava a chi era in ob-
bligo di provvedere per togliere tanti disordini non fu
vana, poiché agli inconvenienti lamentati prima, con
tanta frequenza, poco alla volta fu dalle autorità posto
rimedio.Le più ragguardevoli famiglie di Padova, quelle
eziandio che prima non conoscevano Francesco, si reca-
rono a vanto di potersi mostrare riverenti -suoi amici ed
ammiratori; lo venivano a visitare, piangendo ciascuna
un giovane sì compito, sì dotto e di sì grandi speranze,
che moriva in paese straniero, nel fior degli anni e vicino
a raccogliere il frutto dì tanti studi e sudori. Tutti erano
in apprensione per la sua vicina morte e la tenevano
come una pubblica sciagura: nè al pensiero di perderlo
si potevano rassegnare, se non dicendo, che Dio stesso
suole far così colle anime sue più care, che le richiama
a sè prima che nell'umana conversazione si corrom-
pano. Tanto è vero che la virtù, quando è vera, si fa
rispettare anche dal mondo !
S u a miracolosa guarigione. — Il virtuoso in-
fermo, dopo aver ripetuta la sua volontà, riguardo al
suo cadavere," chiese gli fossero amministrati gli ultimi
Sacramenti ; si confessò, ricevette il Santo Viatico e
l'Estrema Unzione con tanta divozione, anzi con tali
trasporti di pietà, che si dubitò morisse nell'atto el-
iceverli. Il padre Possevino, che era venuto a con-
lessarlo, non poteva allontanarsi dal suo fianco, dan-
dogli del continuo buoni consigli e suggerendogli di-
voti affetti. L'assistevano pure, quasi continuamente,
due medici, un rinomato professore padovano ed uno
venuto dalla Savoia, mandato espressamente dalla fa-
miglia.
Intanto che già era pianto per morto e si pensava
a disporne le esequie, improvvisamente in lui si opera
uno straordinario cambiamento; i suoi sguardi si a-
nimano e si scorge che egli sta meglio. Si teme in
sulle prime che quello fosse alcuno di quer migliora-
menti, che alle volte si veggono in certi malati ridotti
agli estremi ; come accade della moribonda fiammella
della lampada, che pria di estinguersi getta per al-_
cuni istanti più viva la luce; ma ben presto ognuno
fu rassicurato sul suo conto, e si constatò che il miglio-
ramento continuava rapidamente. In breve entrò in
convalescenza e a poco a poco la sua salute si rista-
bilì ; le forze ritornarono; il suo volto ricuperò la pri-
stina sua freschezza e bellezza, e la guarigione fu
perfetta.
Questa guarigione parve ad ognuno prodigiosa ed
effetto speciale di grazia di Dio. I medesimi medici non
poterono essere di diverso parere : ed un'altra pròva
di questa grazia speciale di Dio, fu l'avere Francesco
in cortissimo spazio di tempo ricuperate le forze a
segno che, dopo breve convalescenza, potè ripigliare
con tutta regolarità i suoi studii e gli esercizi di di-
vozione col medesimo fervore ed applicazione di prima.
Francesco stesso tenne sempre, come la cosa più
certa del mondo, essere questa guarigione avvenuta in
modo soprannaturale, di che porse a Dio ed alla Beata
Vergine, sua avvocata, ferventissimi ringraziamenti; e

7.5 Page 65

▲back to top


— 12$ —
Considerando che se aveva .riacquistata la salute, il
cielo gliel'aveva ridonata solo perchè l'impiegasse alla
maggior gloria di Dio, si consacrò con nuovo ardore
alla pratica delle virtù; promise di nuovo di conser-
vare la castità perfetta, di consacrarsi al Signore nel
sacerdozio e di darsi con sempre maggior energia al-
l'acquisto della dolcezza e dell'umiltà.
Metodo con cui studiava. — Intanto si rimise
con tutta lena ad applicarsi allo studio, e ciò faceva
con perseverante ardore e con attenta e paziente rifles-
sione, e così ogni giorno vedeva estendersi grandemente
la cerchia delle sue cognizioni : giurisprudenza e teo-
logia andavano di pari passo.
Ciò che sopratutto lo aiutò a trarre tanto profitty
fu il buon metodo con cui studiava: non si affannavi
studiando ; non passava oltre se non dopo aver capitai
bene le cose antecedenti ; prendeva note nelle scuolf
e a casa le svolgeva; poneva esattamente in iscritto il'
risultato delle sue dotte ricerche, delle profonde sup
meditazioni, delle lezioni a cui aveva assistito e delio
discussioni che faceva co' suoi condiscepoli e co' suoi
maestri. Il suo impegno in questo fu come prodigioso.
I suoi scritti sulla giurisprudenza e sulla teologia ver-
gati a Padova formano dodici grossissimi quaderni, e
direi, volumi, che tuttora si conservano nel monasteri^
della Visitazione d'Annecy. Essi ci danno la chiav
per conoscere l'uomo futuro.
,,
Sovente, nel testo o in margine o a pie' di pagin^
si trova un motto che in mezzo alle fredde spieg,
zioni scientifiche ci rivelano la sua anima intima: or.'
è una lode a Dio, che chiama regola infallibile, retti'•
sima, eter?ia di ogni bene e di tutto il diritto ; ora ,
una invocazione alla Madonna o al suo buon Angel
— 129 —
Custode, e ad ogni_divisione principale del soggetto che
tratta, vi è una giaculatoria. I punti da lui più chio-
sati e che manifestano maggiore studio riguardano l'au
torità del Papa, gli onori dovuti alla Croce, le misure
prese dal codice contro gli sfruttatori della gioventù.
Con non minor vivacità esprime le sue simpatie istin-
tive per gì'interessi materiali dell'umanità e le grandi
questioni, che oggi si direbbero di sociologia; per e-
sempio: dopo d'aver notato le penalità severe riser-
vate agli oppressori del popolo o ai corruttori della
gioventù, scrive in margine : «articoli d'oro; paragrafo
da scriversi con lettere maiuscole. » Accanto a certe pa-
gine dove riassume alcuni passi o punti particolari mette
. suoi sentimenti, ad es. : « Ho scritto tutto questo solo
^er l'onore di Dio e la consolazione delle anime. » Al-
rove: « Queste cose siano dette in modo dubitativo
>rosternato ai piedi di sant' Agostino e di san Tom-
maso ecc. »
Ci fa sempre più conoscere la tempra e l'umiltà
del santo giovane un'altra postilla messa accanto a
qualche trattazione teologica : « Queste cose io le ho
scritte con timore e tremore nel 1590 il 15 dicembre;
ma sono pronto ad abbandonare non solo le conclu-
sioni che io ho qui scritte, ma la testa medesima che
le ha concepite, per abbracciare l'opinione che è o che
sarà per l'avvenire adottata dalla Chiesa cattolica, apo-
stolica, romana, mia madre, colonna e fondamento di
v erità. » Si vede chiaro come sempre e in tutto alzava la
•nente a Dio, studiava guidato da motivi di fede, e sot-
toponeva le sue conclusioni alle decisioni della Chiesa.
Anche negli studi profani, come confessò esso stesso,"
joneva meno attenzione a ciò che studiava, che a
pensare in che modo con questi studii che faceva per
ubbidienza al proprio genitore, avrebbe potuto un
9 — BARBF.KIS, Vita di S. Fiancesco di Sales.

7.6 Page 66

▲back to top


giorno servirsene per aiutare il prossimo nella salute
dell'anima.
Come procede nella via della perfezione. — Il
suo procedere nella via della perfezione si manifestava
ad ogni momento. Di 22 anni e più, com'era, si mo-
strava così ubbidiente come nella sua prima infanzia,
e si dava così indefessaménte alla preghiera come se
fosse un religioso claustrale, cosicché da questo santo
commercio con Dio riportava un (non so che di par-
ticolare e di maestoso, che risplendeva sopra tutta la
sua persona.
Per quanto avesse da studiare, anche vicino agli esa-
mi, non lasciava mai la Messa quotidiana e la recita
del santo Rosario, nè alcuna delle pratiche di pietà
propostesi : le giaculatorie erano contìnue e la sua
mente era sempre coràpresa della presenza di Dio, in
modo da potersi dire davvero che eseguiva alla lettera
il divjn precetto: bisogna sempre pregare e mai illan-
guidirsi nell'orazione, (i)
Una preghiera che faceva con gusto speciale era la
recita dell'Ufficio della Madonna, e spesso anche l'in-
tera recita del santo Breviario. Ebbe egli stesso a dire
al sacerdote Bouvard, che mentre era a Padova reci-
tava assai di frequente il Breviario col suo precettare,
e soleva nei dì festivi andarlo a recitare in chiesa coi
Padri Teatini. « Era questa una cosa, soggiunge, che
io faceva assai volentieri per tre ragioni : in primo
luogo per dar lode a Dio, poi pen^cemare fatica al
mio buon precettore, e finalmente per istruirmi ed
impiegar bene il tempo, poiché, dopo la Sacra Scrit-
tura, io non conosco libro più bello del Breviario. »
(i) Oportet semper orare et non deficere.
-X
Lo distoglieva anche sempre più da ogni attacco
dalle cose di questa terra e lo animava nella via della
perfezione lo studio intenso della Sacra Scrittura, la
lettura dei sànti Padri e l'applicazic/ne alla sacra Teo-
logia, che ormai aveva terminato e di cui ripassava gli
ultimi trattati.
La sua graziosità e carità con chiunque avesse da
fare con lui non permetteva che altri il vedesse senza
venerarlo ed amarlo, talché la sola sua presenza por-
tava nelle anime un sentimento di inesprimibile con-
tento. Ispirava poi tale stima e amore alla virtù, che
molti spiavano l'occasione e consideravano come una
fortuna il solo vederlo passare. Il signor di Challes,
allora suo condiscepolo, ed in seguito primo presidente
del senato di Savoia, raccontava di poi, che fin da
quell'epoca Francesco praticava più virtù che non ab-
bisognavano per essere canonizzato : « Ed ho provato
io stesso, soggiungeva quel gran personaggio, che a-
veva il dono di profezia, allorché un giorno, trattenen-
doci insieme sulla nostra vocazione, mi disse; Fratel
mio, Dio ti ha creato pel matrimonio, quello è il tuo
stato, ed in esso tu e i tuoi figliuoli sarete benedetti
dal cielo: il che infatti m'è accaduto. Ma e tu, mio
fratello, gli replicai, non mi dici nulla della tua voca-
zione? — Quanto a me, rispose ingenuamente, non
sono destinato al secolo, Iddio mi destina all'altare. »
Il « Combattimento spirituale » dello Scupoli. —
Un valido aiuto, presso quel tempo, trovò Francesco per
la pratica di tante virtù in un libro, che giova qui far
conoscere, essendo che influì molto sulla santità di lui.
E questo il Combattimento spirituale del padre Scupoli,
Teatino. L'autore di quell'eccellente libro, venuto nel
1589 da Venezia a Padova, tenne con Francesco varie

7.7 Page 67

▲back to top


conferenze, e gli diede savissimi consigli ed efficaci
conforti : poiché, a quel sapiente ed insigne uomo che
era, non fu mestieri di grande fatica per iscoprire gli
straordinari doni, di cui Iddio era stato largo a Fran-
cesco. Come segno di particolare stima gli regalò una
copja dell'aureo suo libretto. Francesco lo prese con
riconoscenza, lo lesse con ponderazione, e .visto che
gli faceva molto bene, lo rilesse : quanto più lo leggeva
tanto più l'assaporava e lo trovava come fatto per sé,
onde lo tenne per suo libro prediletto ! lo stimava come
una lettera discesa dal cielo, e lo portava ognor seco.
Quanta utilità porta alle volte un semplice libretto ben
considerato ! « Il Combattimento spirituale', scriveva
egli quando era già vescovo, è il mio caro libro, che
da diciotto anni tengo in tasca, e non lo rileggo mai
senza profitto. »
Il P. de la Rivière assicura che Francesco si era
proposto di rileggerlo per intiero ogni mese ; e che lo
tradusse dall'italiano in francese e aveva già mandata
questa sua traduzione a Lione per farla stampare, ma
la ritirò essendogli stato detto che stavasi stampandone
un'altra traduzione.
Prende la laurea dottorale. — L'assiduità tanto
tenace nello studio aiutata dal suo naturale ingegno, re-
sero Francesco il più illustre discepolo dell'università di
Padova, dove compiè tutto il corso della giurisprudenza.
A v e v a preso tale amore allo studio, che appena si po-
teva contenere dallo studiare. E certo che una poderosa
intelligenza spronata dall'amore del sapere sente il bi-
sogno di arricchirsi di sempre nuove cognizioni mediante
lo studio ; ma non è meno vero che lo studio risvegliando
ed accendendo vieppiù le potenze dell'anima, scoprendo
agli occhi dell'intelligenza sempre nuovi orizzonti,
~ *33 —
genera nell'anima quasi una fame infinita di sapere, una
sete ardentissima di verità, di modo che un'intelligenza
eminente non si sazierebbe mai di studiare; così avvenne
di Francesco: egli -studiò senza saziarsi mai.
[
Terminato il suo quarto anno di studii chiese dii
essere laureato. Si era nel 1591 ed egli aveva 24 anni. *
Il Pancirolo, che già da quattro anni ammirava il
suo illustre discepolo, volle dare a quella cerimonia
una pompa proporzionata al merito di sì raro giovane,
per lo che convocò un'assemblea di 48 dottori per il
cinque settembre e presiedette egli stesso alla seduta.
Si diede principio alla solenne funzione con un rigo-
roso esame, nel quale il nuovo candidato dovette ri-
spondere ad un lungo ordine d'interrogazioni. Fran-.
cesco era preparatissimo e nelle sue risposte ebbe
largo campo a dimostrare quali tesori di dottrina aveva
saputo procacciarsi : dimostrò poi, sia nel rispondere
ad ogni domanda, sia nello sciogliere le difficoltà, tale
chiarezza d'idee e precisione di concetti, da far ma-
ravigliare anche coloro, che già prima lo tenevano in
sommo concetto.
E dacché la Provvidenza volle, che ci fossero con-
servati i discorsi fatti in questa solenne circostanza, ci
pare utile esporli qui come quelli che ci fan capire
meglio chi fosse Francesco e quali fossero gli usi delle
scuole a que' tempi.
Terminato adunque di rispondere alle tesi, il Pan-
cirolo prendendo solennemente la parola: « Io aspet-
tava, disse volgendosi a Francesco, come uno de'più
lieti giorni della mia vita, questo, in cui mi è con-
cesso vedervi decorato colle dottorali divise, e mi reco
a grande onore di poterne fare io stesso la funzione.
Ogni altro avrebbe adempito questa cerimonia con più
onore per l'università, ma niuno con più amore di

7.8 Page 68

▲back to top


quello che io sento per voi, perchè niuno al par di
me ebbe modo di conoscervi, di ammirare le vostre
virtù, che sono molte e grandi come la vostra scienza,
come il cuor vostro, che io posso dire con fondamento
essere grande assai. Amare la virtù, senza amar voi,
è impossibile: umano, caritatevole, compassionevole e
generoso sino a lasciare per testamento il vostro corpo
in servizio del pubblico bene allorché vi trovavate in
pèricolo di morte, voi siete ancora più commendevole
per pregio d'illibata castità; cosicché mediante la pietà,
che di questa virtù è sicura guardiana, in mezzo ad
una città voluttuosa e corrotta, vi siete conservato
puro ed intatto: simile alla fontana di Aretusa, che,
mettendo le sue acque nel mare, le conserva limpide
e dolci, senza mescolamento d'acqua marina. Onde
per lo schiettissimo orrore che avete di tutto ciò che
è male, per la perseverante pratica di tutto ciò che è
bene, pei vostri nobili e generosi sentimenti, e soprat-
tutto per la saldissima pietà vostra, meritate che vi
sia posta in capo questa bella corona, colla quale Id-
dio, fin da questo dì, vi dà un pegno di quella im-
mortale e gloriosissima che vi prepara nel cielo. »
Allora Francesco volgendosi verso i dottori, in
mezzo ai quali sedeva il vescovo di Padova : « Reve-
rendissimo monsignore, disse, venerando rettore, e voi
illustri dottori ; quantunque io vegga assai bene quanto
e quale obbligo mi corra di porgervi riverenti grazie
dell'alto onore, che, per vostra cortesia, volete farmi
in questo dì, nondimeno il sapermi del tutto inetto à
ben compiere questo mio dovere, e il pensare che voi
in ben altri più gravi uffici spendere potreste questo
tempo, che ora a mio favore spendete, mentre tante
gravi occupazioni vi assediano, tutto ciò mi avrebbe
fatto tacere, se il restarmi in silenzio in tanta occa-
—' i35 ~
sione non fosse tornato in disonor vostro e mio, pel
biasimo che verrebbe, a me, per non aver profittato
della vostra scuola, a voi, per aver innalzato al grado
di dottore un uomo tanto ingrato e tanto privo di
buon senso, da nxjn sapervene ringraziare. Siate adun-
que testimoni voi, soggiunse volgendosi verso gli uditori
che in grande numero assistevano, siate testimoni voi
della mia riconoscenza. Io riconosco e proclamo, che fra
tutti i beni che possiamo conseguire nella presente vita, 1
questo che ora a me tocca, il dottorato, è il più grande:
tutti gli altri non servono che o ad ornare il corpo,
o ad accrescerci la fama e la fortuna ; ma il dottorato
rende, a così dire, la virtù più bella: ed io di questo
bene singolarmente mi conosco tenuto all'università
di Padova, la quale non solo mi ha fatto dottore, ma
mi ha reso degno di esserlo: poich'essa non solo mi
ha dato la corona, ma anche l'alloro che la compone.
» La mia amatissima patria adornò, colle umane
lettere la mia prima 'età, il compimento delle quali fu
opera dell'università di Parigi, scuola allora sì florida
e sì frequentata, madre delle belle lettere, ed ora, oh
doloroso pensiero! oh deplorabile vicissitudine delle cose
di quaggiù! ora deserta per le guerre civili, e minac-
ciata forse di non essere fra poco, che un mucchio di
rovine. Oh Dio ! allontanate questa sciagura; Quivi fu
che dopo la retorica imparai la filosofia, che mi riuscì
tanto più facile, quanto che in quella celebre scuola
persino le pareti ed -i soffitti delle aule scolastiche sem-
bravano parlassero di filosofia, tanti e sì vari erano i
ragionamenti filosofici, che vi si facevano. Ma quando
volli iniziarmi alla scienza delle leggi, sullo splendore
dell'università di Padova si fissarono tosto i miei sguar-
di, e la fama degli illustri suoi dottori e professori
mi vi trasse. Poiché in primo luogo splendeva Guido

7.9 Page 69

▲back to top


Pancirolo, principe della giurisprudenza, lume ed eterno
onore di questa scuola; accanto al quale appariva
Menocchio, le cui dotte lezioni e gli immortali scritti
lascierebbero motivo di immenso rammarico all'uni-
versità, se una scelta al tutto sapiente, non gli avesse
dato per successore Angelo Matteucci, uomo insigne,
a cui niuna scienza è ignota... Quanti altri illustri
nomi potrei qui menzionare ! ma mi basti il dire, che
se qualche cosa io so, lo debbo intieramente a questi
dotti maestri; e qui ne faccio solenne protesta. Veg-
gasi da questo se io possa mai dir tanto che basti a
provare loro la mia riconoscenza. Sebbene è vero, e
niuno certamente mei potrà contraddire, che anche ad
altri, d'ogni mio profitto nello studio io son debitore.
Sì : sia lode, onore e gloria a Gesù Cristo, Dio immor-
tale, a Maria Vergine sua Madre Santissima, all'An-
gelo mio custode, ed a S. Francesco d'Assisi, di cui
ho il bene di portare il nome. E poiché una buona
vita è agli occhi di Dio il migliore ringraziamento che
possiamo fargli de'suoi benefizi: - o legge eterna, nor-
ma di tutte le leggi, sii tu sempre mai nel mio cuore
l'unica regola d'ogni mio pensiero ed affetto. Felice
collii, o Signore, al quale tu insegni la tua santa legge.
« Voi adunque, illustre Pancirolo, mio veneratissimo
maestro, compite questa augusta cerimonia: le vostre
mani immacolate e pure, avvezze a fare il bene, mi ador-
nino delle onorevoli divise onde quest'università insi-
gnisce quelli de'suoi alunni, che solleva al dottorato.»
Dopo questo discorso, il Pancirolo, levatosi in piedi,
diede al nuovo dottore l'anello, e gli conferì i privi-
legi dell'università. Ponendogli quindi sul capo la co-
rona, e la dottorale berretta, non potè astenersi dal
rivolgergli ancora quest'ultimo encomio: «L'univer-
sità va molto lieta di trovare in voi tutte le doti di
37 —
mente e di cuore, che ella possa desiderare in un gio-
vane, e ciò che mette il colmo al suo contento si è,
che questo segno di stima che vi dà innalzandovi al
dottorato, trova altrettanti approvatori, quante sono
le persone illuminate sul vero merito. » (i)
Uno scoppio di applausi tenne dietro a queste pa-
role. Gli furono consegnate le lettere patenti di dottore
nel diritto canonico e nel civile, e tutti gli amici della
virtù contarono quel giorno nel numero dei più felici.
Partiti i dottori, i condiscepoli e gli accorsi uditori si
fecero attorno a Francesco e circondatolo, l'accompa-
gnarono a casa come in trionfo, in mezzo agli ap-
plausi del popolo, che gli tributò lungo la via magni-
fici e sinceri elogi.
(i) Guido Pancirolo, invitatovi dal duca di Savoia, aveva
dgaiàl i1n5s7e1gnfiantoo alel gg15i8a2l.l'università di Torino per undici anni, cioè
APPENDICE AL CAPO IV
R E G O L A M E N T O DI VITA
CHE FRANCESCO SI PRESCRISSE MENTRE ERA STUDENTE
ALL'UNIVERSITÀ DI PADOVA.
Questo regolamento che Francesco s'impose quando aveva 21
anni ed era studente di leggi all'università di Padova si divide
in quattro parti. La prima, che egli intitola: « Preparazione » ha
per oggetto l'esame di previdenza da farsi ogni mattina per
ben passare la giornata ; la seconda contiene divoti esercizi che si
stabilisce di praticare ogni giorno; nella terza si prescrive le regole
per l'orazione mentale, che egli chiama Riposo spirituale, ossia
Sonno dell'anima in Dio ; nella quarta il santo giovane si fissa
le regole da praticare nelle sue relazioni col mondo.
Le due cose che più risplendono in questo regolamento sono:

7.10 Page 70

▲back to top


i° l'impegno di tenersi sempre alla presenza di Dio: 2° fare ogni
cosa con proposito di piacere a Lui solo.
Questo regolamento era redatto in latino e sottoscritto Fran-
cesco di Sales studente leggi in Padova. Se lo trascrisse in prin-
cipio ed in fine del suo libro di preghiere che adoperava ogni
giorno, per poterlo avere continuamente sotto gli occhi. Perini >c
anche ad alcuni suoi compagni di copiarlo perchè potessero più
facilmente conformarvi il loro modo di vivere. Così, mediante
questa condiscendenza, questo regolamento servì anche alla santi-
ficazione di parecchi altri.
§ i. Della preparazione. — « Io preferirò sempre a tutte le
altre azioni della giornata l'esercizio della preparazione> e lo farò
almeno una volta al giorno, cioè la mattina. Che se mi si presen-
terà qualche occasione straordinaria, me ne servirò in modo par-
ticolare, e l'adoprerò come rimedio al pericolo che potrebbe so-
vrastarmi. E perchè la preparazione è come un'avanguardia, che
precede tutte le opere, procurerò di dispormi con ossa a far bene
e lodevolmente ogni azione.
La prima parte di questo esercizio sarà V invocazione : perciò,
riconoscendomi esposto ad infiniti pericoli, invocherò la divina
assistenza, e dirò: Se tu, o Signore, non óustodisci l'anima mia,
invano veglia chi la custodisce. (jjì) — Di più, riconoscendo che
la conversazione m'ha fatto cadere altre volte in varie imperfezioni
e mancamenti, sgriderò me stesso: « O anima mia, di' pur ardi-
tamente: dalla mia più tenera età ho fatto frequenti cadute: o (
mio Dio, sii mio protettore, mio luogo di rifugio, salvami dalle
insidie de' miei nemici: Signore, se vuoi, puoi rendermi ;
puro. » (2) — In somma lo pregherò di farmi degno di passare
quel giorno senza peccato, al che gioverà ciò che sta scritto nel ;
Salmo 143: * Liberami, o Signore, da' miei nemici, giacché-a te
ricorro :. insegnami ad eseguire il tuo volere, perchè sei il mio
Dio. Il Signore mi conduca nel diritto cammino, e per la gloria
del suo santo nome mi dia la vita. (3)
La seconda parte è V immaginazionej che altro non è, se non
(1) Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam.
(2) Saepe expugnaverunt me a iuventute mea... Domine, esto mihi in
Deum protectorem et in domum refugii ut salvum me facias... Si vis, potes
me mundare.
(3) Eripe me de inimicis meis... Doce me, Domine, facere voluntatem
-tuam... Dominus deducet me per viam rectam...
un antivedere tutto ciò che mi può accadere in quel giorno: pen-
serò adunque seriamente a tutti gl'incontri possibili, alle compagnie
nelle quali «dovro trovarmi, a quei luoghi dove sarò sollecitato di
recarmi, alle occasioni che mi potrebbero inavvedutamente soprav-
venire: e così preveduti i pericoli, ne' quali potrò incorrere,
con la grazia del nostro Signore andrò' con cautela incontro alle
difficoltà ed occasioni pericolose, che potrebbero sorprendermi.
La terza parte è la disposizione : perciò dopo avere con discre-
zione preveduti i diversi labirinti, pei quali facilmente potrei
uscire dalla buona strada, e correre rischio di perdermi, considererò
diligentemente, e ricercherò i mezzi per isfuggire i cattivi passi,
disporrò le cose che dovrò fare, la maniera e l'ordine che dovrò
tenere nel trattare i negozi, nel parlare con le compagnie, e tutto
ciò che dovrò abbracciare e fuggire.
La quarta è la risoluzione : in seguito adunque agli atti pre-
cedenti farò un fermo proponimento di non offendere più Iddic,
e specialmente in questo giorno, valendomi delle parole del re
Profeta: « Ebbene, anima mia, non ubbidirai tu a Dio, dipendendo
da lui la tua salvezza? » (1) Ah! che grande viltà è il lasciarsi
tirare al male, contro l'amore e il desiderio del Creatore, per
timore, amore, desiderio od odio delle creature, di qualunque
condizione o grado si siano! Certamente questo Signore d'infinita
maestà, degno di infinito amore, onore e servitù, non può essere
vilipeso, se non per mancanza di coraggio! Come mai opporsi
alle sue giustissime leggi per schivar i danni del corpo, de' beni,
dell'onore? Che ci possono fare le creature? Consoliamoci adunque
c fortifichiamoci col Salmista dicendo: « Mi facciano pure il peggio
che potranno gli empi, Iddio è assai potente per soggiogarli.
Schiamazzi contro di me quanto potrà il mondo, quegli che stà
;issiso al disopra de' cherubini, è mio pio ettore. » (2)
La quinta parte è la raccomandazione : io adunque rimetterò
tlitio me stesso, e tutto ciò che m'appartiene nelle mani dell'eterna
bontà, supplicandola di sempre custodirmi: io ,le abbandonerò
senza eccezione, interamente la cura di me, e le dirò con tutto il
cuore : « Ti ho domandato, Signor mio e Gesù mio, una grazia,
i|tiesta ti domando di nuovo, ed è, che io eseguisca i tuoi voleri
lutti i giorni della mia vita. Ti raccomando l'anima mia, lo spirito,
(1) Nonne Deo sutfiecta erit anima mea? ab ipso enfili salutare meum.
vi-at(u2r) Dteorrma.inus regnavit... irascantur populi : Qui sedet super cherubim, mo-

8 Pages 71-80

▲back to top


8.1 Page 71

▲back to top


il cuore, la memoria, la volontà, l'intelletto. Fa ch'io sempre ti
serva, ti ami, ti piaccia, ti adori. » (i)
§ 2. Divoti esercizi per passare bene la giornata. —
I. La mattina, subito svegliato, renderò grazie al mio Dio con
le parole del Salmista: « Dall'alba del giorno Tu, o Signore,
sarai il soggetto della mia meditazione perchè tu sei il mio
aiuto. » (2) — Poi penserò a qualche sacro mistero, come sareb^"
be alla divozione de' pastori, che ' vennero ad adorarlo bambino,
o all'apparizione di Cristo risuscitato alla sua dolcissima Madre,
alla diligenza delle Marie, che si levarono di buon mattino per
incamminarsi al sepolcro, mosse dalla pietà. Considererò che
Gesù è la vera luce dei peccatori, ed il lume dei gentili, (3) che
dissipa le tenebre dell'infedeltà e della colpa. (4) Ed in seguito
facendo una buona risoluzione per tutta la giornata dirò col santo
Davide: « La mattina mi metterò alla tua divina presenza, e
considerando che l'iniquità ti dispiace, la fuggirò a tutto po-
tere. » (5)
II. Non mancherò di assistere ogni giorno'al santo sacrificio
della Messa; ed affine di assistere come si conviene a quest'inef-
fabile mistero inviterò tutte le potenze dell'anima mia a fare il
loro dovere dicendo: « Venite a vedere i prodigi, che Iddio ha posto
in su la terra. » (6) E soggiungerò: « Andiamo fino a Betlemme, a
vedere questo Verbo che si è fatto carne, e che il Signore ci ha
mostrato," giacché nella Chiesa appunto si forma, per nostra con-
solazione, il pane soprasostanziale con le parole, che Dio pose in
bocca dei sacerdoti. » (7)
III. Siccome il corpo ha bisogno di riposo, per sollevarlo
quando è lasso per le fatiche, così è pur necessario all'anima di
prendere di ta-nto in tanto qualche dolce sonno per riposare nel
seno del Divino Sposo, affine di ristorarsi. Determinerò adunque
in ogni giorno certi tempi per riposare con questo sacro sonno,
(1) Unam petii a Domino ethanc requiram, ut faciam voluntatem tuam
omnibus diebus vitac meae. — In raanus tuas, Domine, commendo spiritum
meum.
(2) In matutinis meditabor in te, quia fuisti adiutor meus.
(3) Lumen ad revelationem gentium.
(4) Qui illuminant his .qui in tenebris et in umbra mortis sedent ad diri-
gendos pedes nostros in viam pacis.
(5) Mane adstabo tibi, et videbo, quoniam non Deus volens iniquitatem
tu es.
(6) Venitè et vivete opera Domini, quae posuit prodigia super terram.
(7) TranseamusPasque Betlehem, et videamus Verbum hoc quod factum
est, quod Dominus ostendit nobis.
141
ad nutazione dell'amato discepolo, sul petto del Salvatore; e
siccome nel sonno tutte le corporali potenze sono raccolte, Così
in quel tempo mi ritirerò tutto in me stesso per non estendermi
in altre funzioni, se non in quelle della divina volontà ed obbe-
dienza, dicendo a somiglianza del real Profeta: « O voi tutti, che
vi cibate del pane del dolore, per la considerazione delle proprie
o delle altrui colpe, non sorgete nè intraprendete le fatiche ed
occupazioni di questo giorno, senza che prima non vi siate ripo-
sati nella considerazione delle cose eterne. » (1)
IV. Che se non potrò ritrovar tempo per questo sonno spiri-
tuale. in altr'ora, come arriverà non di rado, ne ruberò una parte
al sonno corporale; o veglierò nel letto se non posso fare altri-
menti, o sorgerò dopo il primo sonno, o mi leverò la mattina più
per tempo, ricordandomi della sentenza del Salvatore: — « Vegliate
e pregate per non entrare in tentazione. » (2)
V. Se il Signore mi farà la grazia di risvegliarmi la notte, io
risveglierò subito il mio cuore con queste parole: « Sulla mezzanotte
si esclamò: ecco lo sposo viene, andiamogli incontro. » (3) Andrò
dunque all'incontro dello sposo, e, con la riflessione delle tenebrò
esteriori, entrerò a considerare quelle dell'anima mia e dei pec-
catori, e formerò la seguente preghiera cavata dal Cantico di
Zaccaria: « Ah Signore, poiché ti sei degnato di visitarci, per le
viscere della tua misericordia, illumina quelli che camminano tra
le tenebre, e giacciono nell'ombra di morte, ed indirizza i loro
passi nella via della pace. » (4.) — Oppure mi servirò delle parole
di Davide: « Sollevaté di notte le vostre mani al cielo e benedite
il Signore. » (5) — Dirò ancora: — Memor fui nocte nominis
tuij Domine, et ^custodivi viam tuam. Per eseguire la qual cosa,
ad imitazionè di Davide « Laverò ogni notte il mio letto irri-
gandolo colle mie lagrime. » (ó)\\
VI. Mi rivolgerò di tanto in tanto al mio Dio e Salvatore
dicendo: — « No, che non dormi tUj che custodisci Israele. Le più
folte tenebre della notte non mettono ostacolo a' tuoi raggi divini.
Tu, che in sulla mezzanotte ti degnasti di nascere 'dalla tua
(x) Surgite postquam sederitis, qui manducatis panem doloris.
(2) Vigilate et orate ut non intretis in tentationem.
(3) Media nocte clamor factus est: ecce sponsus venit, exite obviam ei.
pede(s4) nIollsutrmoisnainrevhiaims qupiacinis.t.e. nebris et in umbra mortis sedent, ad dirigendos
{5) In noctibus extollite manus vestras in sancta et benedicite Dominum.
meu(m6) Lriagvaabboo.. per singulas noctes lectum meum, et lacrymis meis stratum

8.2 Page 72

▲back to top


purissima Madre, puoi similmente far nascere i tuoi favori nelle
anime nostre. Deh, Redentore pietoso, illumina talmente il mio
povero cuore coi bei raggi della tua grazia, che giammai io
resti nella notte del peccato. Non permettere che i miei nemici
possati dire: f abbiavi vinto ». E finalmente considerate le tenebre
e le imperfezioni della mia anima, dirò con Isaia : — « Custos, quid
de nocte? » O vigilante guardiano, resta ancor molto della notte delle
nostre imperfezioni? E sentirò rispondermi: — « Jl mattino delle
buone ispirazioni è venuto; perchè ami tu più le tenebre che la luce? »
VII. E perchè i timori notturni possono talora impedire le mie
divozioni, (i) mi ricorderò del mio buon Angelo, il quale sta alla
mia destra e replicherò il versetto di Davide : — « Il Signore è alla
mia destra affinchè non mi turbi. Lo scudo della confidenza in
Dio mi proteggerà, di nulla devo paventare. » (2) Adoprerò ancora
queste sante parole di Davide: (3) — « Il Signore è il mio lume
la mia salute, e chi temerò? » Che vale a dire; « nè il.sole, nè
i suoi raggi essere la mia luce principale, nè la mia salvezza
dipendere da essi, ma da Dio solo, il quale m'è così propizio di
notte come di giorno.. »
§ 3. Del riposo spirituale ossia dell'orazione mentale. —
I. Mi fisserò un tempo opportuno a questo santo riposo, ed ogni
giorno, quando questo tempo è arrivato, procurerò di ridurmi a
memoria tutti i buoni movimenti, desideri, inspirazioni, affezioni,
che Iddio m'ha date altre volte, e m'ha fatte gustare
nella considerazione de' suoi santi misteri, della bellezza della virtù,
della nobiltà di chi lo serve, e degli infiniti benefizi di cui la sua
bontà mi ha colmato. Non mi scorderò la grazia lattami qualche
volta di indebolire i miei sensi e le mie membra con le malattie,
il che m'è riuscito di grand'utile all'anima. Dopo questo confer-
merò la mia volontà nel bene e nella irremovibile risoluzione eli
voler più mai offendere Dio.
II. Fermerò il mio spirito a considerare la vanità delle gran-
dezze, delle ricchezze, degli onori e comodità di questo mondo
schifoso; mi fermerò a riflettere alla loro caducità, incertezza e
fine, ed all'impotenza che hanno di contentare appieno il cuore;
(1) Una lettera del santo ci fa conoscere ch'egli nella sua gioventù fu
tormentato da questi timori notturni. Egli li scacciava affrontandoli, aiutato
dal pensiero della presenza eli Dio e del suo Angelo Custode.
(2) Dominus a dextris est mihi ne commovear. Scuto circumdabit te ve-:
ritas eius, non timebis a timore nocturno.
(3) Dominus illuminatio mea et salus niea, quem timebo?
in seguito a che il piio cuore le disprezzerà, sdegnerà ed abborrirà
dicendo: « Andatevene, oh! andatevene da me lontani, diabolici
affetti: lungi da me; niente dobbiamo avere da fare io e voi,
gfacchè siete comuni anche agli empi ed agli insensati; cercate
pure altrove chi vi riceva o desideri. »
III. Mi fisserò nella considerazione della deformità, dell'abbie-
zione, e deplorabile miseria che si ritrova nel vizio, e nelle anime
che vi sono ingolfate: e poij sènza minimamente turbarmi ed
inquietarmi dirò: Il vizio, il peccato'è cosa indegna di una persona
bennata e che vuole profittare nel bene: esso non porta mai un
gaudio vero; non contenta che l'immaginazione: attira nel cuore
mille ansietà, inquietudini, amarezze e supplizi: ma quando anche
ciò non fosse, basta sapere che dispiace a Dio per doverlo dete-
stare con tutte le nostre forze.
IV. Mi riposerò dolcemente nella considerazione dell'eccellenza
della virtù; della virtù, dico, la quale è in sè nobile, generosa,
potente, dotata di attrattive ammirabili. È dessa che rende l'uomo
interiormente ed esteriormente bello; è dessa che rende l'uomo
caro al suo Creatore, essendo propria dell'uomo. È dessa, la virtù,
che in ogni tempo reca all'uomo consolazione e delizie, lo santifica,
10 cambia in angelo, ne forma una piccola divinità e gli fà godere
in terra un anticipato Paradiso.
V. Ammirerò la bellezza della ragione data da Dio all'uomo,
come luce con cui, scoprendo ciò ohe è male o bene, fa amare
la virtù ed abbominare il vizio. E certamente se noi seguitassimo
11 lume della ragione dato da Dio per vedere dove dobbiamo
mettere i piedi, se noi ci lasciassimo condurre da' suoi dettami,
raramente inciamperemmo, e difficilmente cadremmo in peccato.,
VI. Pondererò attentamente i rigori della divina giustizia, la
<|iiale senza dubbio non rnparmierà quelli che si abusano dei doni
«Iella natura e della grazia. Questi tali devono grandemente pa-
ventare i divini giudizi, la morte, il purgatorio, l'inferno. Risve-
glierò adunque la mia pigrizia ed infingardaggine, replicando con
Irequenza queste parole: — « Ecco che ogni giorno me ne vo' mo-
rendo; a che mi gioverà la primogenitura e l'abbondanza de' beni
presenti e quanto v'ha di bello al mondo? » (1) Meglio che io di-
sprezzi coraggiosamente ogni cosa, e vivendo nel timore figliale di
Dio coll'osservanza de' divini-precetti, io mi applichi a crescere
in ispirito ed a procurarmi i beni della vita futura.
(1) En morior; quid mihi proderunt primogenita?

8.3 Page 73

▲back to top


144
VII. Contemplerò l'infinita potenza, sapienza e bontà di Dio,
attributi che risplendono mirabilmente nei misteri della vita, pas-
sione e morte del nostro Salvatore, nell'eminente santità della
B. Vergine nostra Signora, e nelle perfezioni de' fedeli servi ,
Dio che noi dobbiamo imitare. D'indi passando al Paradiso, am-
mirerò la sua gloria, la perpetua felicità dei beati, e come la
SS. Trinità, manifesta la grandezza de' suoi attributi co' premi,
che fanno beati quei felici abitatori.
Vili. Mi addormenterò infine nell'amore della sola ed unifffi
bontà di Dio: la gusterò, se posso, in se medesima, e non sola-
mente ne' suoi effetti: beverò quest'acqua di vita, non già con
i vasi delle creature, ma al fonte medesimo: gusterò quanto sia
buona in sè, buona a sè, buona per se medesima, questa adorabile
Maestà, essendo la bontà medesima, tutta bontà, eterna, indefi-
ciente, incomprensibile. — « O Signore, dirò, tu solo sei buono per
natura e per essenza, tu solo sei necessariamente buono: lecreatur "
che sono buone non lo sono se non perchè sono partecipazion'
della infinita bontà tua. »
§ 4. Regole per la conversazione. — I. Prima di tutto dev
distinguere tra conversazione ed incontro: l'incontro viene a cas'
e la conversazione si ricerca per elezione. Nell'incontro per lo pi
la compagnia non è durevole, non grande la famigliarità clic. §
usa, onde non ingenera troppa affezione; ma nelle conversazion
si usano confidenze, si va spesso a visitare quelle persone, cly,
scelsero per avere con loro qualche soave trattenimento.
II. Negli incontri non dimostrerò giammai avversione a chi
chessia; atteso che questo fa passar l'uomo come persona org
gliosa, arrogante, severa, satirica, sindacatrice. M' guarderò anch
dalla troppa famigliarità, fosse pure colle persone domestichi
perchè questo dagli altri potrebbe essere attribuito a leggere*7 c
Non mi prenderò libertà di fare o dire cosa, che non sia be'
regolata, per non comparire insolente o senza moderazione. Star
attento per non offendere con parole o con motti piccanti e mo-
rtaci o di disprezzo il mio prossimo, essendo sproposito pretende
di disprezzare o deridere chicchessia, senza incorrere l'odio di e
non ha motivo di sopportarci. Onorerò ognuno in particolar
osserverò la modestia, parlerò poco e bene, affinchè la compagn'
parta edificata del mio incontro anziché annoiata. Se l'incontro '
breve, e che qualcuno abbia già incominciato a parlare, il mej' à
sarà di non far altro che salutare la compagnia e tenermi con
contegno nè austero nè malinconico, ma bensì modesto ed one-
stamente libero.
III. Quanto alla conversazione, sarà questa con poche ed ono-
rate persone, essendo troppo malagevole di riuscire, in compagnia
di molti, a non imparare il vizio dagli empi. Osserverò partico:
larmente questo precetto: {< Amico di tutti, famigliare diJ/ec&i^J»
benché dovrò usare giudizio e prudenza anche in questo, atteso
che non v'ha regola così generale, che non abbia le sue limita-
zioni, eccettuata questa: — « Nulla contro Dio, » — fondamento di
tutte le altre. Nella conversazione adunque sarò libero senza auste,
rità, modesto senza insolenza, dolce senza affettazione, docile senza
contraddire, fuorché non lo volesse la ragione, cordiale senza
dissimulazione; e perchè gli uomini si compiacciono di conoscere
quelli coi quali trattano, converrà aprirsi più o meno, secondo
le compagnie.
IV. Essendo non di rado necessario di conversare con persone
di qualità differenti, devo ricordarmi, che con alcuni non dovrò
parlare che delle cose richieste, con altri (Ji cose buone, con altr j
di indifferenti, ma con niuno di cose cattive. Coi superiori di età,
di professione, di autorità, discorrerò solo delle cose sopra le quali
sarò interrogato. Con uguali, di cose buone; cogli inferiori parlerò
anche di cose indifferenti. Quanto alle cose cattive, ai difetti di
animo e di corpo, o cose ributtanti, non conviene giammai sco-
prirle a chi che sia; poiché queste cose non possono che offendere
yli occhi di chi le vede, e rendere deforme l'uomo che le ha. Di
fatto i grandi non ammirano che le cose squisite o ricercate; le
quali poi dagli uguali sarebbero attribuite a troppa affettazione,
e dagli inferiori a troppa gravità. Alcuni spiriti melanconici si
compiacciono di conoscere i vizi degli altri; ma a questi devono
ascondersi anche più, come quelli, i quali avendo più forte l'im-
pressione, non si persuadono poi di nulla; filosoferebbero ^iieci
anni sopra una minima imperfezione. E poi, a che effetto scoprire
loro i nostri mancamenti? Troppo si veggono e discoprono da sè.
È bene di confessarli, non già di manifestarli agli altri. Tutto
questo deve intendersi con discrezione, essendo a proposito di
accomodarsi alla varietà delle compagnie, purché si faccia senza
pregiudizio della virtù.
V. Se avrò a conversare con persone libere, insolenti, o me-
lanconiche, userò questa precauzione: agl'insolenti m'asconderò
del tutto; con le libere, purché temano Dio, mi discoprirò tutto
affatto, e parlerò loro col cuore alla mano; colle melanconiche
1 0 — B A R B E R I S, Vita di S. Francesco diSales.

8.4 Page 74

▲back to top


146
starò, come si suol dire, alla finestra; cioè mi mostrerò, ma solo
in parte, perchè queste sono grandemente curiose d'investigare i
cuori degli uomini; e se si sta con riserbo entran in sospetto;
e mi nasconderò anche in parte perchè, per esser soggette ad
osservar troppo da vicino chi le frequenta, sogliono notare troppo le
condizioni di chi con loro conversa efilosofare troppo sopra di loro.
VI. Se la necessità mi obbliga a conversare coi grandi, starò
conje al fuoco, cioè mi accosterò, ma non troppo da vjcino, e starò
alla loro presenza con singolare modestia, accompagnata però da
una onesta libertà. I grandi vogliono sempre essere amati e stimati;
l'amore genera la libertà, e la riverenza genera la modestia. Il
rispetto però deve stare al disopra. Con.gli uguali sarò ugualmente
libero che rispettoso. Cogli inferiori la libertà deve essere 'superiore
alla riverenza. »
v.-.:.
§ 5. L a santa Comunione. — Questo il regolamento che
S. Francesco sì impose: in altro foglio che può considerarsi come
. appendice si prescrive norme per la S. Comunione.
i . 1. Quando vedrò da lontano una Chiesa la saluterò con quelv
/ versetto di Davide: Vi saluto>, 0 Chiesa Santa, le cui porte sono\\
state più amate da Dioj che tutti i tabernacoli di Giacobbe^iy^X
" Indi considererò l'antico tempio, e facendo il confronto, vedrò
quanto più augusta è la minima delle nostre Chiese di quello che
era il tempio di Salomone, perchè sopra i nostri altari si offre il
vero agnello di Dio, per ostia pacifica dei nostri peccati. Se non
potrò entrare in Chiesa, adorerò da lontano il Santissimo Sacra-
mento, anche con qualche atto esteriore, levando il mio cappello
e piegando le ginocchia se la Chiesa è vicina, senza badare a ciò
che diranno i miei compagni.
II. Mi comunicherò più spesso che potrò, secondo il parere
del confessore, ed almeno non lascierò passare le domeniche senza
mangiare questo pane azzimo, vero pane del cielo; posciachè, come
potrebbe essere per me la domenica vero giorno di riposo, se non
potessi ricevere l'Autore del mio eterno riposo?
III. La vigilia dei giorno della Comunione scaccerò dalla mia
casa, cioè dalla mia coscienza, tutte le immondizie de' miei peccati,
con un'accurata confessione, nel far la quale userò tutta la neces-
saria diligenza per non essere poi molestato da scrupoli; ed all'in-
contro lascierò da parte le cose inutili, vane ed inopportune.
(1) Diligit Dominus portas Sion super omnia tabernacula Iacob. (Ps. 86)
4—
IV. Se mi sveglio la notte, rallegrerò l'anima mia, dicendo
per consolarla dagli-orrori notturni che mi molestano: Anima mia,
perchè sèi tu malinconica, e perchè ti conturbi? (1) Spera in Dio :
ecco che viene il tuo sposo, la tua gloria, il tuo salvatore, andia-
mogli incontro con una santa allegrezza e con amorosa confidenza.
V. Prima della Comunione mediterò la grandezza di Dio e la
mia bassezza, e con cuore umilmente allegro canterò con Santa
Chiesa: O ammirabil cosa! Il povero e vii servitore alloggia il
suo Signorej lo riceve e mangia (Inno del SS. Sacr.). Sopra di
ciò farò vari atti di fede e di confidenza, meditando quelle parole
del santo Evangelio : Se qualcuno mangia questo pane, ei vivrà
in eterno. (Io. Vi, 5)
VI. Avendo ricevuto il Santissimo Sacramento darò tutto me
stesso a quegli che ha dato tutto se stesso a me. Non avrò più
affetto alcuno per cosa veruna, sì del cielo che della terra dicendo :
Che cosa voglio io in cielo e che mi resta da desiderare in terra,
se ho il mio Dio, che è il mio tutto? Io gli dirò semplicemente,
riverentemente e confidentemente tutto ciò che il suo amore mi
suggerirà, e mi risolverò di vivere secondo la santa volontà del
Signore, che mi nutrisce colla sua propria carne.
VII. Quando mi sentirò arido e seccò nella S. Comunione, mi
servirò dell'esempio dei poveri quando hanno freddo, perchè non
avendo legno da far fuoco, camminano e fanno esercizio per riscal-
darsi. Raddoppierò le mie orazioni, e farò lettura di qualche trat-
tato che parli del SS. Sacramento, da me umilissimamente e con
ferma fede adorato. Iddio sia benedetto. »
C A P O V.,
Il ritorno in patria.
Il commiato da Padóva. — Ecco Francesco al
colmo de' suoi voti: egli è addottorato in ambe le
leggi ; ha terminato lo studio della teologia : tutto gli
sqrride. Pervenuto allo scopo che l'aveva condotto a
Padova, quali saranno i suoi primi passi? Il suo unico
(1) Quare tristis es anima mea et quare conturbas me? Spera in Deo.
{Sai. 42)

8.5 Page 75

▲back to top


— 148 —
desiderio era di poter, prima di tornare a casa, visitare
Roma con le sue antichità cristiane, prevedendo che
questo, oltre al giovare alla sua pietà, poteva riuscirgli
un dì utile pel sacro ministero che vojeva abbracciare;
e intanto fare un pio pellegrinaggio alla santa Casa
di-Loreto, al quale si era da lungo tempo obbligato
con voto, per ringraziare la Madonna d'averlo scam-
pato da mille pericoli per l'anima e pel corpo nel lungo
corso dei suoi studi, e per pregarla a coronare le sue
grazie col fargli riuscire il disegno, che così profon-
damente sempre portava scolpito nei cuore, di farsi
sacerdote. /
Avendo domandato al padre di fare questo viaggio,
gli arrivò la risposta appunto dopo presa la laurea. Il
buon genitore senza consigliarsi colla brama che nu-
triva di rivederlo quanto prima, pieno di giubilo per
gli onori che furono fatti al suo figliuolo, glielo consentì
ben volentieri, come una giusta ricompensa per il compi-
mento degli studi fatti con tanto onore, ed insieme per
dargli un mezzo di sempre più istruirsi. Anzi gli diede
ordine, che, prima di restituirsi alla casa paterna, vi-
sitasse accuratamente 'le principali città d'Italia, in
modo che al ritorno gli sapesse dare minuto ragguaglio
delle cose vedute.
Francesco diede adunque un addio agli amici ed a
tutti coloro che avevano qualche titolo alla sua rico-
noscenza: andò segnatamente a prendere commiato dal
dottor Pancirolo e dal padre Possevino. Recatosi quindi
alla'Chiesa a far i suoi più cordiali ringraziamenti alla
Dama, come lepidamente diceva egli, che più d'ogni
altro gli rese servigi, versò il cuore dinanzi all'altare
della Santissima Vergine, e con fervente orazione rin-
graziò la Madre del Salvatore di tutti i benefizi di cui
le era debitore.
r49 —
Non è a dire quanto rincrescesse a tutti in gene-
rale i Padovani questa partenza; tutti lo amavano
e riverivano grandemente; ma quegli, cui più di tutti
increbbe di questo separarsi, forse per sempre dal
santo giovane, si fu il padre Possevino, attesoché tra
essi era nata e cresciuta quella, dirò così, amicizia spi-
rituale, che solo si trova tra i cattolici, perchè solo
tra essi si trova quel sublime ministero della spirituale
direzione delle anime per le vie che menano al cielo.
Francesco conservò poi sempre tanta venerazione e
stima per questo caro amico dell'anima sua. che, anche
dopo che fu prete e vescovo, non lasciava di scrivergli
e di manifestargli sentitamente la sua gratitudine.
Ricevette Francesco con molta umiltà i ricordi, che
il savio direttore gli diede, e promisegli, che di tutti
avrebbe tenuto gran conto, ma specialmente di quello
di continuare a considerarsi come chiamato al servizio
degli altari, ed a perfezionarsi nello studio della teo-
logia, che già aveva terminato di studiare. Indi, il 2
ottobre, in compagnia del suo ajo, di un suo fratello,
mandato espressamente a trovarlo, e di tre domestici,
partì da Padova alla volta di Roma. La memoria di
Francesco si conservò sempre assai viva in Padova;
finché più tardi, quando Francesco fu elevato agli onori
degli altari questa città lo annoverò solennemente tra
i suoi protettori. (1)
(1) Tra le memorie autentiche che s conservano in Padova
riguardo S. Francesco di Sales sono da notarsi le seguenti: Un
importante antico Codice che si conserva nella biblioteca capi-
tolare, tra le lauree prese all'università, alla pag. 395 si legge:
« 1591. Die Jovis. 5 Septemb., mane, D. Francisci de Sales, in
utroque jure. »
Nel collegio sacro presso l'episcopio, dove si dava la laurea •
ai dottori è dipinta in tela l'effigie del Santo, con sottovi l'iscri-
zione: « S. Franciscus de Sales Episcopus Genevensis - Qui Pa-

8.6 Page 76

▲back to top


Visita Roma. — Partito da Padova si trattenne
tre giorni a contemplare le bellezze, che tra le sue
mura racchiude Ferrara. Indi attraversò la Toscana
fermandosi in Firenze, la città dell'arte perfezionata,
che visitò accuratamente. In fine, eccolo presso la città
eterna, eccolo alla capitale del mondo cattolico, pieno
d'emozione e di gioia, sentendo che Iddio gli avrebbe
fatto passare colà giorni felici e profittevoli per l'a-
nima sua. Presa pertanto stanza in un albergo sulla riva
del Tevere, cominciò a visitare ora questa, ora .quella
Basilica.
Infiniti sono i monumenti antichi, di cui è ricca
l'eterna città; ma i primi pensieri, come i primi af-
fetti di Francesco si rivolsero verso ciò che poteva
dar pascolo alla sua divozione, piuttosto che alla ri-.
cerca di oggetti atti a soddisfare una vana curiosità.
Più bramoso di edificarsi in quel centro di tutta la
tavii studuit et Juris Lauream in Collegio Patavino suscepit. Die
5 Septembris, anno 1591 - raanu clarissimi viri Guidi Panciroli. »
Il Santo fu eletto protettore dell' « accademia padovana di
scienze, lettere ed arti, » detta « Dei Ricovrati » l'anno 1868. L'ac-
cademia suddetta fece.dipingere l'immagine del Santo e la collocò
nella sala delle adunanze. Questa immagine si trova anche presen-
temente in una delle stanze dell'accademia. Tra gli statuti
è detto che volendo stabilire i protettori dell'accademia, si
decise di dare la parte precipua alla santità di S. Francesco di
.Sales, che perciò si elesse per tutelare i Ricovrati. « Ad esso perciò
dovrassi ogni anno, nel giorno della sua festività, nella Chiesa
dei Rev. Padri Eremitani, dove si espongono alcune sue reliquie,
cantare una Messa all' altare del SantOj e fare una orazione
panegiricarecitata da un accademico, alla quale siano pregati
di intervenire VEmmentissimo Cardinale Vescovoj gli Eccellen-
tissimi Rettori e gli Illmi Delegati attuali. Si farà anche in detto
giorno un'accademia pubblica annuale in lode del santo protet-
tore. » Tali pie dimostrazioni si praticarono dall'accademia fino
agli ultimi anni del sec. x v i l i . Parecchi panegirici furono pub-
blicati per le stampe e fra questi alcuni di accademici prestan-
tissimi.
gloria della religione, che di raccogliere memorie di
viaggio, andò al Colosseo per contemplare quel campo
di battaglia, ove il cristianesimo senza armi vinse il
mondo pagano: irrigò colle sue lagrime quelle terre
cosperse del sangue di. più migliaia di martiri, e pro-
curò di animarsi alla virtù coi grandi esempi di tanti
eroi del cristianesimo. Dopo la visita del Colosseo,
Carl'Augusto di Sales, che noi seguiamo continua-
mente, dice che Francesco fece il santo pellegrinaggio
alle sette grandi Basiliche Papali : pellegrinaggio già
così anticamente caro ai fedeli, e così raccomandato e
arricchito d'indulgenze dai Sommi Pontefici. Si recò
adunque nella Basilica di S. Giovanni in Laterano, che
i sommi-Pontefici decorarono col titolo di chiesa ma-
trice, considerandola come la prima chiesa del mondo ;
poi in S. Pietro a ravvivare la. sua fede ed il suo zelo
per la Sede Apostolica; a S. Paolo a riaccendere la
sua carità vicino a quel grande cuore, di cui l'illustre
san Giovanni Grisostomo desiderava cotanto venerare
le ceneri; a Santa Maria Maggiore, ad effondere la
sua anima intenerita dinanzi alla culla di Gesù Bam-
bino, che la pietà dei Sommi Pontefici ivi ha traspor-
tato; a Santa Croce di Gerusalemme, per onorarvi le
insigni reliquie della passione del Salvatore, colà in
gran quantità raccolte, ed in fine a S. Sebastiano, e
S. Lorenzo fuori delle mura, per fortificarsi nella lotta
sulla tomba di quegli eroi dei primi tempi della Chiesa.
Si recò quindi sollecitamente a visitare le Catacombe
e pregare gl'innumerabili martiri, i cui corpi ivi si
conservano. Oh come il suo cuore si dilatava e la sua
mente si sublimava ad alti pensieri! Quando scese in
esse pensava che quelli erano veramente luoghi me-
morandi, i quali furono i testimoni della vita ed in-
vitta fede de' primi cristiani, e poi gloriose tombe

8.7 Page 77

▲back to top


T52
custoditrici delle reliquie dei loro corpi, dati per ren-
dere alla fede medesima quella testimonianza, che in
terra si possa dare maggiore! Allora l'animo suo ac-
cendendosi esclamava : « Oh ! questi sì che erano cri-
stiani ! Questi sì, che amavano Dio davvero! Ah! è
un cibo troppo prezioso il martirio; non ne gustano
che i Vostri eletti, dolce mio Dio: solo ai vostri fa-
voriti è concesso di morire per amor vostro ! E tuttavia,
sebbene mi vegga sì povero e indegno di tanta grazia,
flpcro, o Signore, che non mi negherete di essere mar-
tire, se non di fatto, almeno di volontà. Sì, potrà ben
inalidire la spada a me, ma coll'aiuto vostro non man-
cherò io alla spada giammai. Se non potrò essere mar-
Iira col putire, lo sarò col compatire; mediterò i vostri
dolori, o Re dèi dolori; mediterò quelli dei vostri eletti; ,
vivrò nel vostro amore, del vostro amore, pel vostro
lUUOI'Q, »
Non lanciò poscia di vedere tutte le altre maravi-
glie, che ali 'intelligente .sguardo del pellegrino offre
la capitale «lei inondo cristiano : visitò tutti gli altri
monumenti della romana munificenza, i templi, gli ar-
chi trionfali, i trofei, le colonne, e tutti quei pomposi
avanzi dell'umano orgoglio, coi quali quei dominatori
del mondo avevano voluto rendersi immortali ; ma li
visitò da cristiano, con quei sublimi pensieri che la
fede inspira: « Oh folle vanità degli uomini! diceva,
a che servono loro adesso questi archi trionfali, questi
trofei, queste statue, questi sepolcri? Che serve ad
Antonio ed a Diocleziano lo aver avuto queste superbe
terme ? Oh quanto sono vane le opere dei mortali
quando non si riferiscono a Dio ! Quegli sventurati
scolpiscono i loro nomi sulla pietra ; quanto sono a
compiangere per non aver conosciuto altro genere di
immortalità! »
— i53 —
Alla sprte dei re, dei consoli e degli imperatori del-
l'antica Roma, il nostro giovane avvocato opponeva
quella dei sommi Pontefici, vicari di Gesù Cristo, suc-
cessori di San Pietro : e considerando quanto questi
sono superiori agli altri nella vera grandezza, e quanto
il loro impero, che è la Chiesa, è più stabile e vasto di
tutto il romano impero, ripeteva con santo giubilo le
parole del Salmista: « T u onori anche troppo i tuoi
amici, o mio Dio! tu li glorifichi sommamente: Nimis
honorijìcati sunt amici tui, Deus ; nimis confortatus est
principatum eorum. »
Una sera Francesco, appoggiato ad uno dei pila-
stri della piazza S. Pietro, ammirava il primo tempio
del mondo, la cui cupola gettata nelle nubi lo rapiva
di entusiasmo. « Come rivelasi sublime il cattolicismo,
andava ripetendo, quando noi contempliamo questa
capitale di tutte le grandezze, questa vasta città dove
la croce, nascosta da prima nei silenzi delle catacombe,
ascese di poi sino alla sommità del Campidoglio, quasi
per annunciare all'universo, che Roma era stata messa
a capo delle nazioni, non per saziare la cupidigia dei
Caligola e dei Tiberi, ma per diventare la città del
Cristo; non per essere in perpetuo la città dei Cesari,
ma sibbene dei successori di Pietro, fino alla' consu-
mazione dei secoli.
Altra cosa che in Roma a Francesco molto piaceva,
e ch'egli cercava con grande studio, si era la cono-
scenza degli uomini celebri per sapienza e santità, che
a quei dì in quella metropoli si contavano in grande
numero. Narrasi che sia stato a visitare S. Filippo
Neri, ed abbia tenuto con esso lui vari ragionamenti
di quelle cose, che ognuno, di due anime sì elette,
può agevolmente immaginarsi; e narrasi ancora che il
santo e venerando vecchio baciando in fronte Francesco
\\

8.8 Page 78

▲back to top


— 54 —
dicesse, che vi baciava un raggio della futura santità,
la quale, come corona splendidissima, doveva circon-
dare poi la testa dell'ingenuo giovane, che con modi
sì schietti e gentili era venuto a chiedergli la benedi- .
zione. Dicesi inoltre che il santo vecchio profetizzasse
a Francesco, che sarebbe stato un gran servo di Dio,
ed utilissimo alla Chiesa.
È salvato miracolosamente da morte. — Men-
tre Francesco così si occupava in Roma, informandosi
alla pietà ed istruendosi, provò in maniera sensibilis-
sima la protezione che Dio si prendeva di lui. Al-
cuni grandi signori giunsero all'albergo ov'egli era
alloggiato. L'albergatore colla certezza di maggiore
guadagno da parte di quei signori, congedò France-
sco, non tenendo conto dei patti che avevano conchiuso;
secondo che s'usa. Egli, senza punto far valere le sue
ragioni, o almeno allegare l'ora inconveniente di tra-
mutarsi dall'albergo, subito disse ai servi, che già si
erano messi per altercare coll'albergatore, che si cer-
casse immediatamente altro alloggio.-E così fu fatto;
benché i familiari del santo giovane molto si dolessero
dello scortese albergatore, e biasimassero Francesco di
poco animoso, poiché si lasciava fare tanta soperchieria.
Ma che volete? Quella notte medesima ..il Tevere, in-
grossò talmente, per pioggie straordinarie ed improv-
vise, che ruinosamente straripando, seco trascinò nelle
onde infuriate quell'albergo, situato, come si disse,
lungo le rive del fiume, con quanti l'abitavano. Un
sì manifesto contrassegno della divina Provvidenza
penetrò di riconoscenza il cuore del santo giovane,
ed accrebbe ancora quella pietà, che la dimora in Roma
aveva già tanto accresciuto nella sua anima.
Visita la Santa Casa di Loreto. — Pochi giorni
dopo partì, e recossi a Loreto a visitare quel celeber-
rimo Santuario, venerato in tutto il mondo, (i) La vi-
sita della Santa Casa aveva colmato il suo cuore di
dolcissimi sentimenti: « N o n sì tosto, dice il P. La
Rivière, ebbe piegate le ginocchia in quel meraviglioso
Santuario, che, come se fosse entrato in un'accesa for-
nace, si sentì tutto infiammato di un'ardentissima ca-
rità. Considerando che ivi s'era incarnato il Figliuolo
di Dio, e vi era dimorato per quasi trent'anni con
Maria e Giuseppe, i quali vi avevano pregato, lavorato,
preso il sonno ed il cibo, baciò con grandi sentimenti
di divozione quel sacro suolo, quelle sacre mura, e le
irrigò con lacrime di tenerezza. Tenendosi fortunato,
come se avesse qui trovato la sacra Famiglia in
persona, si figurava di vedere Gesù, Maria, Giuseppe,
di ascoltarne le parole, e di unirsi con loro in preghiera.
Dopo avervi ricevuti i sacramenti della penitenza e
dell'eucaristia, si consacrò nuovamente al Verbo fatto
carne ed alla Vergine Santissima, rinnovando altresì il
voto di castità. In premio di tanto fervore, Dio gli
accordò una grazia straordinaria; poiché, meditando
egli i tanti sublimi e teneri misteri che si compirono in
quell'umile casetta, l'anima sua si liquefaceva d'amore,
e fu rapito in estasi. E mentre parole d'amore sfug-
givan come dardi infuocati dal suo cuore tutto avvam-
pante, e dal suo spirito rischiarato da celeste luce, il
suo volto si coprì di insolito rossore, e si mostrò a
guisa di un astro tutto risplendente ai molti testimoni
che si trovavano nella chiesa. Lo spettacolo di questa
meraviglia colpì principalmente il signor Deage, che
era presente, ed accrebbe in lui la grande idea già
( i ) Vedi la storia di questo Santuario nell'Appendice a questo
Capitolo,

8.9 Page 79

▲back to top


primar concepita della santità del suo allievo, in modo
che d'allora in poi lo riguardò ognora con rispetto si-
mile alla venerazione. »
Questo è il primo fatto straordiLario che si conosca
nella sua vita. Possiam dire che questo evento prodigioso
abbia costituito la linea divisoria che separa Vuomo .
dal santo: l'opera della grazia riuscì stabile, perfetta-
mente consolidata. D'or innanzi il soprannaturale si farà
sentire con grande efficacia su tutti gli atti del no-
stro Francesco, il quale con frequenza avrà dà ringra-
ziare il Signore per i doni soprannaturali che andrà
ricevendo.
2
»
Ad Ancona è salvato miracolosamente. — Era-
no giunti i primi mesi dell'anno 1595, ed era ormai
tempo che Francesco sollecitasse il ritorno al paterno
castello. Da Loreto adunque egli si diresse alla vicina
Ancona per 'imbarcarsi e andar per mare a Venezia.
Nel porto di Ancona trovò pronta, come in atto di
partenza, una imbarcazione, che una signora ragguar-
devole di Napoli aveva preso a nolo per se e pel suo
seguito. Ignorava egli questa circostanza, poiché il pi-
loto glie l'aveva celata. Pagatone anticipatamente il
prezzo vi fermò il suo posto e quello dei compagni.
Arrivata che fu la dama, vedendo quei forestieri in-
trodotti nel battello contro le convenzioni fatte, montata
in sulle bizze, intimò al piloto di farli partire; poi,
senza aspettare risposta, ella stessa si rivolse a Fran-
cesco, e con tono imperioso gli comanda di andarsene.
Francesco senza scomporsi le rappresentò con dol-
cezza e civiltà, che essi l'avevano noleggiata senza sa-
pere che già fosse per altri; che d'altronde, avendo
egli fretta di partire, se essa volesse usargli tanta cor-
tesia di concedere loro un piccolissimo spazio,, non
— 157 —
la incomoderebbero in nulla. Tutto fu indarno ; l'or-
dine -ripetuto, che avessero a sgombrare subito fu la
sola risposta che potè ottenere. Bisognò ritornare a
terra. Ai compagni di Francesco pareva ricevere vil-
lania, e volevano ricattarsene con acconce parole; ma
egli noi patì e disse : « Questa signora ha ragione :
noleggiò la barca tutta per sé, forse appunto per non
aver compagnia, or come vorrem noi darle l'incomodo
della nostra? »
.
Il battello intanto, preso il largo, s'era avviato al
suo destino vogando a vele gonfie, mercè un vento
favorevole. Essi dalla spiaggia, mentre aspettavano la
partenza' di qualche altro legno, lo seguono coll'occhio
e ammirano la rapidità con cui filava ; lorchè ad un tratto
si vide scatenarsi un vento furioso, ed una terribile tem-
pesta venire ad agitare la fragile navicella, onde il pHloto
si dibatte, ma invano, contro i marosi; e la povera
imbarcazione dispare inghiottiti dalle acque con quanti
vi erano dentro. A tale spettacolo raccapricciò Fran-
cesco, e ringraziata la divina Provvidenza che lo scampò
da tanto pericolo: « Or vedete, diceva ai compagni,
vedete Providenza di Dio ! Egli ci tratta con amore,
anche quando mostra contrariare i nostri disegni ; se
noi partivamo, che sorte sarebbe statala nostra? » In
vero la Provvidenza, per la seconda volta in sì breve
tempo, lo toglieva dal pericolo d'inevitabile morte.
Varii episodii che gli capitano nel viaggio di
ritorno. — Cessata la burrasca, il mare fattosi tran-
quillo, e propizio il vento, trovato altro battello che
si preparava a far vela verso il porto di Cattolica, pic-
cola città fra Ancona e Venezia, i nostri viaggiatori
vi si imbarcarono. Erano in esso varie altre persone,
tutte liete ed allegre, le quali ad altro non pensavano

8.10 Page 80

▲back to top


' — r5S —
che a divertirsi, come se avessero dimenticata la dis-
grazia avvenuta poche ore prima sullo stesso mare,
disgrazia che poteva accadere anche a loro. Francesco
non sapeva darsi pace, che in tanto rischio di morte
quale si correva così sovente in mare, quei passeggeri
si abbandonassero ad un'allegria di quella fatta; e
dopo aver pregato per qualche tempo in disparte,
propose al precettore di recitare insieme il Divino ufficio
« per tema, disse, che si sollevi una nuova tempesta,
e che siamo inghiottiti dai flutti. » Il cielo infatti non
tardò ad oscurarsi, i venti si scatenarono, e li assalì
una violenta procella. Il piloto, uomo bestiale, si die'
tosto a bestemmiare e ad imprecare contro la religione
e contro loro che pregavano, incolpandoli della tem-
pesta sopraggiunta. « Giù quel breviario, disse con
gran collera, perchè dopo che l'avete tra le mani il
vento non ha cessato di esserci contrario. »
Il Deage, offeso per sì ingiuriose parole, voleva ri-
spondere con collera; ma Francesco, pieno di. pru-
denza e di mansuetudine, conoscendo che nella collera
ogni avvertimento è mal ricevuto e spesso mal dato,
gli fece osservare che non era tempo di rispondere,
ma bisognava perdonare ai trasporti di un uomo senza
educazione, e che si potrebbe fargli utilmenle la cor-
rezione quando gli fosse calata giù la collera. Così
fu di fatto. Passato il pericolo, essendosi Francesco,
trovato da solo a solo col piloto, gli fece conoscere
quanto fosse stato irragionevole l'aver egli insultato Dio
con giuramenti « bestemmie nell' istante medesimo in
cui gli elementi, insieme congiurati, lo mettevano in
prossimo rischio di morte. Volle quel misero scherzare
su questo avviso, ma Francesco allora con tono serio,
ma senza asprezza gli replicò : « Voi non dovete ridere
di ciò che vi dico, trovandovi così spesso in pericolo
\\m
dif naufragare; dovreste più di ogni altro pregare
Colui che tiene nelle sue mani la vostra vita, e
che solo comanda ai flutti e può salvarvi. » Il piloto,
colpito da questo ultimo avvertimento e dalla dolcezza
con cui venivagli dato ; stupito altresì come questo gio-
vane cavaliere, unicamente sensibile agli interessi di
Dio, non avesse profferito neppure -un lamento sulle
parole oltraggiose che esso gli aveva dette, promise
di essere per l'avvenire più riserbato nel parlare, e di
meglio servir Dio. I riguardi, che per tutto il rima-
nente del viaggio ebbe pel suo caritatevole ammoni-
tore provarono la sincerità delle sue disposizioni. An-
che gli altri passeggeri dicevano, che se il giovane
cavaliere fosse stato alcun tempo in loro compagnia,
si sarebbero certamente convertiti anch'essi.
Un fatto succeduto a Francesco poco dopo, ci dà
sempre più a conoscere la sua virtù raffinata ; poiché,
ripartito poco dopo da Cattolica per Venezia, mentre
prestava tutta la sua attenzione a ciò che raccon-
tavasi di una cappella della Santissima Vergine, che
da lontano si scorgeva sulla rive, ed ove, gli si diceva,
i marinai, salvi da naufragio, si portavano ad adem-
piere i voti, gli cadde in mare il cappello, rovesciato
dal movimento delle funi delle vele per l'operare pre-
cipitato dei marinai. Francesco, contando per nulla
un cappello perduto, ne avrebbe di buon cuore riso
con tutti gli altri; ma non così l'abate Deage, che
solo avendo i danari,' poteva solo riparare quella per-
dita. Questi adunque in uri trasporto di cattivo umore,
dimenticati i riguardi dovuti all'insigne virtù ed al
merito del suo allievo, gli fece un'aspra riprensione.
Francesco per bel modo fece sentire al maestro,
che non metteva conto darsi tanta pena per un cap-
pello, che alla fine con uno scudo se ne poteva avere

9 Pages 81-90

▲back to top


9.1 Page 81

▲back to top


un altro. « Sì, riprese il precettore, ma intanto ripara-
tevi da questo vento : vuol essere un diletto stare scc
perto a quest'aria fredda. » - « Oh! ripigliò Francesco:
vedete, a questo si trova subito rimedio. » E così di-
cendo trasse fuori il berrettino da notte e se lo pose
in testa. Ma il Deage, fosse capriccio, o qualsiasi altro
motivo, gli significò, che, in pena della sua inavver-
tenza, non avrebbe più cappello sino a Venezia, e col
capo scoperto o col berrettino da notte subirebbe
le altrui risate nei luoghi ove la nave si fermerebbe
lungo la vicL E troppo bene mantenne la parola; poi-
^cTTè^esserrd'osi il battello fermato a Chioggia, l'ajo, privo
di delicatezza, fece passeggiare il suo illustre allievo
lungo la spiaggia e per le vie principali, fra le beffe
del popolo, che si divertiva alla vista di un .giovane
cavaliere con la spada al fianco ed un berrettino da
notte in capo. Certo, a chi ben vi pensi, non parrà
questo un atto di leggera mortificazione; ma Francesco
sopportò questa confusione colla sua solita dolcezza,
Come già aveva ricevuti i rimproveri del Deage senza
far lamento nè mostrarsi disgustato.
Giunsero finalmente a Venezia, e Francesco riavuto
il cappello, andava osservando le maraviglie di quella
città, che è una delle più belle del mondo, ed unica
nel suo genere. Questo soggiorno gli piacque dapprima
assai,«perchè oltre alle novità che ad ogni passo gli toc-
cava ammirare, vi trovò molti de' suoi amici e cono-
scenti, coi quali aveva fatto gli studi a Padova; ma poi,
avendo veduto che largamente colà regnava una fatale
corruzione di costumi, ruppe ogni relazione che già
aveva stretta con varii compagni, e tollerò piuttosto di
farsi dire selvatico, che trattar con persone, il con-
versar colle quali non fosse scevro di pericoli per l'a-j
riima sua. Anzi, inteso che un giovane cavaliere suo ;
—' 161
amico, prima assai buono, s'era incautamente lasciato
sviare, e già correva cogli altri le strade del vizio,
la dimora di Venezia gli tornò soprammodo uggiosa;
poiché temeva per se stesso.
Profondamente commosso per l'offesa di Dio, e per
la sventura di quell'anima, che comprometteva la sua
eterna salute, si recò dal colpevole, e rappresentan-
dogli i terrori della divina giustizia, colla forza delle
sue esortazioni, temperate dalla dolcezza della cristia-
na carità, lo mutò in un penitente, sino a determinarlo
ad andare immantinente, .col cuore contrito e le la-
grime agli occhi, ai piedi di un sacerdote a confessare
il suo fallo ed ottenerne il perdono.
Arriva in patria.'— In seguito Francesco, senza
più indugiare, lasciata Venezia, per la via di Padova,
Verona, Mantova, Cremona, Pavia, Milano, Vercelli,
Torino, e pel Moncenisio, nella primavera del 1592
giunse felicemente in Savoia, al castello di Thuille, ove
i suoi genitori erano andati a stabilirsi, e dove lo"at-
tendevano con quella ansietà e desiderio, con cui cuori
tanto amanti aspettano un figlio illustre, che mancava
da oltre quattro anni.
Non havvi espressione che dimostrar possa il giubilo
dei buoni genitori al ritorno del loro amatissimo figlio:
fu sì viva in essi la consolazione di riveder lui, ricco di
scienza e adorno di tante belle doti di anima e di corpo,
che ne andavano in visibilio. Già la fama dei meritati
onori e delle sue esimie virtù, esaltandolo nella loro
stima, aveva con uguale proporzione accresciuta la loro
tenerezza; ma allorché, con esso lui trattando, pote-
rono convincersi, che il vero sorpassava tutto ciò che
di esso dicevasi, il loro contento non ebbe limiti.
In vero il cuore di Francesco sempre puro ed
ix — B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales.

9.2 Page 82

▲back to top


162
affettuoso come quando nell'età puerile riceveva le
lezioni di catechismo dalla sua mamma, si era talmente
perfezionato, ed egli aveva così felicemente modificata
la sua indole, essendosi reso straordinariamente dolce
e grazioso, che era un incanto il trattare con lui.
Era sui venticinque anni, di maestosa presenza, di
dolci e graziose maniere, dotto nelle lingue, nella filo-
sofia, nella teologia, nel diritto civile e canonico : era
capace di parlare dovunque in pubblico con onore, e
più ammirabile ancora si dimostrava nel domestico
conversare, ove tutti i suoi discorsi mostravano som-
ma prudenza ed amenità! I genitori ne rimanevano
estasiati.
Il padre, sempre più rapito d'artimirazione, si oc-
cupò a procurargli libri ed a fornirgli una ben prov-
veduta biblioteca, formata specialmente de' migliori
autori di giurisprudenza, sicuro che il figliò ne avrebbe
avuto bisogno, come sicuro che con quelli si sarebbe
ognor più fatto onore. Inoltre, vedendolo ornai uomo
fatto, ed essendo primogenito, gli assegnò, come di sua
padronanza, la baronia di Villaroget, esigendo che ne
portasse il nome; di modo che Francesco, da allora
fin che non fu prete, non fu più chiamato con altro
nome, che con quello di Barone di Villaroget.
APPENDICE AL CAPO V.
La Santa Casa della Madonna in Nazareth,
e storia della miracolosa sua traslazione a Loreto.
Non sarà discaro ai' lettori della Vita di S. Francesco, che a
questo punto noi ci fermiamo un momento a raccontare la storia
della Santa Casa di Loreto, che è tanto celebre per tutto il mondo,
e che fu sempre memoria tanto cara al cuore del nostro Santo.
Nella Galilea,'regione della Palestina, presso il torrente Cison
ed il monte Tabor, sorgeva, sur un facile pendìo di ameno colle,
l'avventurosa," sebben piccola città di Nazareth, patria della au-
gustissima Vergine Maria, Madre di Dio. Onesta città racchiudeva
nelle sue mura la casa della Madonna. In essa fu, che Maria Ver-
dine venne annunciata dall'Arcangelo Gabriele dell'Incarnazione
del Verbo eterno, e dove, ricevuto da lei il consenso, essa divenne
madre di Dio, ed il Divin Verbo divenne suo vero figliuolo.
Fin dai primi tempi del cristianesimo fu conosciuta la riverenza
che meritava quella casa e stanza avventurósa; perciò, a quanto
si crede, gli Apostoli la convertirono in .una divota cappella. In
seguito l'imperatrice S. Elena, madre di Costantino, per soddisfare
la munifica'sua pietà, ordinò che, lasciando intatta la Casa, vi
si fabbricasse all'intorno e sopra un magnifico e sontuoso tempio,
stando così la Santa Casa come nel centro della gran chiesa.
Questo santuario ottenne là venerazione di tutto il mondo
cristiano; ma finalmente, per l'aspre vicende della Palestina, in-
vasa, percorsa e devastata più e più volte dai Saraceni, che ri-
dussero ogni cosa in desolazione, il gran tempio fabbricato da
S. Elena era caduto sotto il martello struggitore. La Santa Casa
però pare non ne patisse nocumento, e nel 1219 circa, fu ancor
visitata da S. Francesco d'Assisi e nel 1252 da S. Luigi re di
Francia. Dopo questo tempo le cose dei cristiani in oriente an-
darono sempre peggiorando, e ai due maggio 1291 i mussulmani,
colla conquista di Tolemaide, 0 S. Giovanni d'Acri, avendo ?o-
vesciato affatto nella Siria il potere dei cristiani con stragi orribili,
nella Santa Casa non sarebbe più stato possibile culto alcuno,
ed essa sarebbe sempre più stata esposta a gravi oltraggi.
Fu appunto in quei giorni, e precisamente, per quanto si credeA
il dì_lo maggio di quel medesimo anno. 12.91, che l'Onnipotente!
Iddio, per "salvare la casa dell'Immacolata sua Madre, ov'ebbe»
principio la nostra redenzione, dalle profanazioni degli infedeli,
operò uno dei più stupendi ed inauditi prodigi, col far togliere di
là la Santa Casa, farla posare sulle terre felici della Dalmazia, pur
lasciandone colà le fondamenta e, a quanto pare, una camera/
sotterranea. La Santa Casa fu deposta sulle rive dell'Adriatico/
tra le città di Tersitto (Tersatz) e di Fiume, in un luogo, daglj
abitanti del paese chiamato volgarmente Rauniza. Papa Nicolao IV
governava allora la Chiesa, e Rodolfo dV^burgo l'impgftTf là città
di Tersatto poi obbediva a Nicola Frangipane, la cui autorità si
stendeva sulle terre d'Istria, della Croazia e della Schiavonia.' • •

9.3 Page 83

▲back to top


— 164 —
Al levar dell'aurora alcuni abitanti videro stupefatti il nuovo
edificio, posto in un luògo ove non era mai stata veduta casa,
nè capanna. La voce del fatto in breve si diffonde : si corre, si
esamina, si ammira l'edificio misterioso, costrutto di piccole pietre
rosse e quadrangolari, insieme connesse: si stupisce della sua
struttura, del suo aspetto di antichità, della sua forma orientale;
sopra ogni cosa nessuno può comprendere il come ella potesse star
salda in pie', posata come era sulla nuda terra senza fondamenta.
Ma la sorpresa crebbe allorché si penetrò nel suo interno e si
•considerarono le particolarità. La camera era a forma di un quadri-
latero: il soffitto era di legno, dipinto in color azzurro e diviso in
. diversi scompartimenti, seminati qua e là di stelle dorate. Le pa-
reti, mezzanamente grosse, e costrutte senza regola e senza livello,
• erano coperte di un intonaco su cui si vedevano varii dipinti.
B Una porta assai larga, aperta in una delle pareti laterali, dava
i' entrata in questa misteriosa dimora. A destra si apriva una stretta
p ed unicafinestra. In faccia eravi un altare, costrutto in pietre
( forti e quadrate, su cui torreggiava una croce greca antica, ornata
di un crocifisso dipinto sopra una tela incollata sul legno, su cui
si leggeva il titolo della nostra salute:-Gesù Nazareno, re de'
Giudei.
..
Accanto all'altare si vedeva un piccolo armadio di una ammi-
rabile semplicità, destinato a ricevere gli utensili necessari ad una
povera(famiglia: esso racchiudeva alcune stoviglie. A sinistra una
specie di camino sormontato da una bella nicchia sostenuta da
colonne adorne di scanalature, terminante in una volta rotonda.
\\ Quivi era posta una statua di cedro, rappresentante la Beata
j Vergine in piedi, portante nelle sue braccia il Bambino Gesù. Le
* yolte erano annerite dal tempo, e certo dal fumo dei ceri arsi .
dinnanzi a questa santa immagine. Una corona di perle posta
sul capo di Maria cresceva la nobiltà della sua fronte: i suoi
capelli, divisi alla nazarena, le ondeggiavano sul collo, e sulle
spalle. Il suo corpo era vestito da una veste dorata, che, soste-
nuta da una larga cintura, cadeva ondeggiante sino ai piedi :
un manto turchino copriva le sue spalle. Il Bambino Gesù,
di una statura già grandetta, aveva un volto da cui traspariva una
maestà divina, ed abbellito da una capigliatura divisa sulla fronte
come quella dei nazareni, di cui portava l'abito e la cintura, le-
gava le prime dita della mano destra, come in atto di dare la be-
nedizione, e colla sinistra sosteneva un globo, simbolo della sua
podestà sovrana sull'universo.
~ '65 -
Lo stupore era generale: tutti si dimandavano l'un l'altro, che
potesse essere quella dimora sconosciuta, qual mano avesse fatto
quelle figure, qual potenza fatto apparire in un istante quel nuovo
santuario : tutti interrogavano, e nessuno poteva rispondere, allor-
ché, tutto ad un tratto, arriva in mezzo al popolo il venerabile
Alessandro, pastore della Chiesa di San Giorgio. La sua presenza
suscita un grido generale di sorpresa: lo sapevano gravemente
infermo e fuor d'ogni speranza 'di guarigione, e nondimeno eccolo
pieno di vita e di sanità; il male si era dileguato, la febbre non
aveva lasciato la, menoma traccia.
La notte, nel suo letto di dolore, gli era apparsa la Madonna,
che con chiara voce gli aveva detto, la sacra dimora recata di fresco
sul territorio della sua parrocchia, essere la sua casa: « Questa, dis-
se, è la casa, medesima in cui io nacqui : fu in questa casa che, alla
novella arrecatami dall'Arcangelo Gabriele, io ho concepito per
sl'iopèefraattodelcloariStpèi!ri»to Santo il divino infante. Fu qui che il Verbo
Nicola Frangipane, che governava allora questa contrada, era
asssente: egli aveva seguito alla guerra l'imperatore Rodolfo. Fu
in mezzo a quella spedizione miltare che ricevette la notizia di
cotesto prodigioso avvenimento. Venuto a Tersatz, senza lasciarsi
trascinare dal primo entusiasmo, piglia le più minute informa-
zioni. Ma non crede a' suoi propri occhi; egli vuole la più sicura
dimostrazione del fatto. Elegge quattro de' suoi sudditi, uomini :
savi e prudenti, e li manda a. Nazareth ad esaminare e conoscere"
le circostanze di questo fatto straordinario. Essi adempirono la
loro commissione con fedeltà e pari diligenza, e la loro relazione
riuscì al tutto convincente. A Nazareth la casa -della SS. Ver-
gine non si trovava più, solo erano rimaste le fondamenta e una1
stanza sotterranea; non eravi alcuna differenza tra la natura
delle pietre rimaste nelle fondamenta e la qualità di quelle che
componevano il santo edificio; conformità perfetta nelle mi-
sure per la lunghezza e la-larghezza della casa. La loro testimo-
nianza fu stesa per iscritto, confermata da giuramento secondo ló
forme volute dalle leggi. Dopo queste constatazioni non essendovi,
più dubbio nè incertezza, la divozione prese un rapido corso, i
popoli vennero in pellegrinaggio da tutte le parti. Le provincie
dell'Istria, della Bosnia, della Serbia, dell'Albania, della Croazia
sembravano vuotarsi di abitatori, per' correre su questa terra
favorita dal cielo. Il Frangipane fa attorniare di un recinto le
mura benedette, e largheggia in ricche offerte per crescere lo

9.4 Page 84

▲back to top


splendore di questo venerabile santuario, a misiry.i che la fama
si spande nelle più remote contrade.
Erano tre anni e mezzo dacché era stata trasferita a Tersatto
la casa di Nazareth; quando, o perchè non fosse la santa Vergine
onorata come si conveniva, o per altri motivi a Dio solo noti, di
nuovo all'improvviso scomparve. Non è possibile descrivere Jo
sbigottimento e la desolazione dei Dalmati i quali, senza sapere
nè il che nè il come, più non trovarono la Saqta Casa in quel
luogo dove era prima. Solo assai tempo dopo seppero che essa
si era trasportata dall'altra parte dell'Adriatico, in Italia presso
la città di Recanati.
A raddolcire gli animi di quella costernata popolazione, e
perchè rimanes.se all'età futura una memoria dell'antica lor sorte
e del posseduto tesoro, il principe fece costruire nel medesimo
."luogo e sulle medesime traccie una bella cappelletta ove si legge
| ancora oggidì: Qui È IL LUOGO DOVE FU IN PASSATO LA DI-
$ MORA DELLA BEATA VERGINE DI LORETO CHE ORA È ONORATA
SULLE TERRE DI RECANATI. Sulla via si fece scolpire questa
iscrizione in lingua italiana: La Santa Casa della Beata Vergitie
venne a Tersatz l'anno 1291 il 10 maggio : e sì partì il 10 di-
\\ cembre 7294. I Sommi Pontefici concedettero diverse grazie alla
cappella commemorativa di Tersatto. Il clero ed il'popolo conti-
nuano a cantarvi un inno che dice così: « O Maria! qua voi siete
venuta colla vostra Casa a fin di dispensar le grazie come pia
madre del Cristo. Nazareth fu vostra culla, ma Tersatz fu vostro
primo porto, quando voi cercavate una nuova patria. Voi avete
portata altrove la vostra dimora, ma non siete per questo rimasta
meno con noi, 0 regina di clemenza! Noi ci congratuliamo di
essere stati giudicati degni di ospitare la vostra dolce Casa ».
Il lungo volgere dei secoli jion fu sufficiente a consolare l'af-
fanno dei buoni Dàlmati per la perdita da essi fatta. Ancora
nel secolo scorso si vedevano a turine i divoti di Tersatz, afflitti
e piangenti, pellegrinare a Loreto supplicando la Vergine a ritor-
nare tra loro, con quel sacro deposito, che confessavano essere
quello identico da essi già posseduto.
Rispetto alla storia della nuova traslazione, ecco in quali ter-
mini Paolo della. Selva la scrisse al re di Napoli Carlo II, che
gliela richiedeva: « In nome di Dio. Così sia. Sire: per soddi-
sfare al vostro pio desiderio, che mi ha commesso la narrazione
del gran miracolo della traslazione fatta dagli Angeli della Casa
della Santa Vergine, portata sulle rive d'Italia, nella provincia di
Ancona, territorio di Recanati, ecco come la cosa è avvenuta.
j| L'anno dell'Incarnazione del Signore 1294, il sabbato 10 dicembre,
mentre tutto era immerso nel silenzio, e la notte nel suo corso
era al mezzo della via, una luce uscita dal cielo venne a percuo-
tere gli sguardi di alcuni abitanti della riva del mare Adriatico,
e una divina armonia risvegliando i più addormentati, li trasse
dal sonno, perchè contemplassero una meraviglia superiore a tutte
le forze della natura. Essi vennero dunque, e contemplarono ad
agio una casa circondata da uno splendore celeste. I contadini e
i pastori si arrestarono stupefatti alla vista di sì gran meraviglia,
e caddero in adorazione, nell'aspettazione di vedere il termine ed
il fine a cui riuscirebbe quel prodigio. Quella Casa fu posta in
mezzo d'un gran bosco. Fu detto che in questo luogo fosse in
passato un tempio dedicato a qualche divinità, e attorniato da
una foresta di lauri; il che gli fece dare il nome di laureto o
Loreto, come la si chiama ancora a' dì nostri. Sorto appena il.
giorno, i paesani corrono frettolosi a Recanati a raccontare l'av-
venuto, e tut'to il popolo accorse in calca al bosco dei lauri, per
assicurarsi della verità di tal narrazione. Fra i nobili e il popolo
alcuni'rimasero muti per lo stupore, altri non potevano risol-
versi a credere il miracolo. I meglio disposti piangevano d'al-
legrezza e dicevano col profeta: Invenimus eam in campis sylvac:
Noi Vabbiamo trovata nei campi della foresta; ed anche: Non
fecit taliter omni nationi: Egli noti ha trattato così tutte le
nazioni.
» Essi onorarono questa santa Casa, ed entrandovi con divo-
zione rendettero i loro omaggi alla statua di legno della Santis-
sima Vergine Maria, la quale tiene il suo figliuolo fra le braccia.
Tornati a Recanati empierono la città di una santa gioia; il po-
polo abbandonava la città per andare a venerare la santa cap-
pella: $ra un concorso continuo di fedeli. Intanto la Beata Ver-
gine Maria moltiplicava i prodigi e i miracoli. La voce di sì gran
maraviglia si stendeva anche nelle contrade lontane, e tutti ac-
correvano al bosco dei lauri, il quale si empiè in breve di diverse
abitazioni, per servire di ricovero a' pellegrini. Mentre avvenivano
questi fatti il leone infernale, che va continuamente in cerca di
preda da divorare, suscitò molti scherani, le cui. empie mani con-
taminavano il sacro bosco con furti ed omicidi, a tal che la divo-
zione di molti si raffreddò pel timore de' malfattori.
» In capo a otto mesi il primo miracolo fu seguito da un nuo-}
vo prodigio. La Santa Casa abbandonò la foresta profanata e '

9.5 Page 85

▲back to top


— 168 -
fu portata in mezzo ad una collina non molto' lontana, apparte-
nerne •> 'lue nobili fratelli, i conti Stefano e Simone de Alitici,
«li Reclinati. Intanto la divozione de' fedeli cresceva, e la piccola
r aiinln dimora si arricchiva di preziosi doni e numerose offerte.
I nobili e pii fratelli che ne erano depositari, in breve cedettero
aiirli'evii all'avari/ia, e tennero per sè le offerte, e si lasciarono
pervertire il giudizio, al punto di venire in contesa fra loro, a
i Ili avesse rubato o rubasse maggiormente.
» Allora la Santa Casa si ritrasse, quattro mesi dopo il suo
arrivo, dalla collina dei due fratelli; e con un quarto miracolo fu
pollala e ritrovata in un nuovo sito, distante un trar di pietra o
in quel torno, in mezzo alla strada pubblica, che mena da Reca-
nati alla riva del mare, e qui la si vede ancora; e di qui io con-
templo con i miei propri occhi le grazie continue, che ella con-
cede a quelli, che vengono a farvi le loro preghiere. »
Nondimeno, quantunque i prodigi celesti dimostrassero clic
(piel modesto tetto era il soggiorno della Madre di Dio, e il luogo
ove il Verbo s'era fatto carne; pure per iscoprire più chiaramente
la. verità, i cittadini di Recanati tennero un'assemblea generale,
alla (piale convennero i principali signori della provincia; e fu de-
ciso che manderebbero sedici dei più illustri personaggi, per esa-
minare, se le misure della Santa Casa erano conformi sia ai ve
stigi "imasti a Tersatz sia alle fondamenta rimaste a Nazareth.
Questi personaggi andarono, videro, e tornarono dichiarando che
avevano trovato da per tutto una perfetta conformità, così rispetto
alle misure, come rispetto ai testimoni, da' quali avevano raccolto
sui luoghi le deposizioni. »
Fin qui la relazione giurata di Paolo della Selva al re di Na-
poli. AI disotto di questa esposizione si leggevano queste parole:
« Noi, priori del popolo della città di Recanati, facciamo cono-
scere a tutti che tutti i fatti qui sopra narrati sono veri e con-
formi ai nostri annali e ai nostri archivi pubblici. »
*
**
La divozione verso la Beata Vergine di Loreto andò sempre
mirabilmente crescendo. Dai popoli finittimi la fama del miracolo
s estese anche ai paesi più lontani. Da tutte le parti'si doman
davano e si ottenevano grazie straordinarie e da tutte le parti af-
fluivano offerte e doni pel decoro del culto di quell'insigne luogo.
I Recanatesi, con a capo il vescovo e il municipio della città,
(
~ i69 —
nel timore che quella sacrata cella potesse rovinare per la sol ti»
lità delle vetuste pareti si determinarono a costruirvi un muro
aderente all'intorno, come per sostegno, e con esso anche dei por-
tici a ricovero dei pellegrini, e delle abitazioni per uso speciale
degli addetti al ministero della Santa Casa.
Più tardi si venne nella deliberazione di erigere intorno e sopra
la Santa Casa un'insigne Santuario, che si trovò compiuto nel
1341. Nè solamente il Santuario, ma la medesima città di Loreto
trasse la sua esistenza da questa 'miracolosa traslazione della Santa
Casa di Nazareth.
Da quel tempo i Romani Pontefici gareggiarono nell'arricchire
di indulgenze, di esenzioni, di privilegi e di preziosi donativi il
Santuario Loretano ed i divoti che ad esso pellegrinavano, e molti
di essi si recarono in persona a visitarlo con la più fervida ed
umile divozione e conv edificazione commovente. Merita speciale
menzione il Sommo Pontefice Pio II, che, venuto quasi agli e -
stremi di sua vita,.implorò la guarigione votandosi alla Beata Ver-
gine I.oretana. Dopo averla ottenuta; benché non ancora ricupe-
rate le forze, volle accingersi al lungo viaggio per visitarla. Giunto
nella Santa Casa, alla presenza della sacra immagine si sentì al-
l'istante perfettamente sano e vigoroso e vegeto con generale stu-
pore e maraviglia.
Anche il Papa Paolo II, suo immediato successore nell'anno
1464, quando era ancora cardinale, ottenne dalla SS. Vergine Lo-
retana una prodigiosa ed istantanea guarigione. Aveva contratto
morbo pestilenziale in Ancona dove la peste menava strage: si
fece condurre nella San fa Casa di Loreto. Ivi prosteso ad implo-
rare la grazia dalla benignissima ausiliatrice degli infermi, fu sor-
preso da un dolce'sonno. Destatosi improvvisamente si trovò
perfettamente guarito. Tutti rimasero stupefatti, essendo il mira-
colo evidentissimo. Appena eletto Papa (cioè dopo un brevissimo
intervallo dalla sùa guarigione) ordinò subito la costruzione di un
nuovo tempio, giacché quello già esistente non gli sembrava cor-
rispondere alla dignità e celebrità del Santuario ed al concorso
dei popoli di ogni nazione che vi accorrevano sempre in maggior
numero.
,
Il tempio fatto costruire da Paolo II e terminato poi sullo
Giulio II sotto la direzione del celebre architetto Bramante nel
primordi del secolo xvi è quello medesimo che ancor ora si uni
mira, ed è veramente magnifico.
Successivamente non si stancarono mai i Sommi Pontefici di

9.6 Page 86

▲back to top


accrescere anche il pregio materiale del, tempio Lauretano erigen-
dovi chi la superba ed elegante facciata, chi a costruirvi accanto
il grandioso' Palazzo Apostolico disegnatovi dal Bramante, chi
ad érigervi un grandioso campanile, chi a munire la città sortavi
attorno da poderose fortificazioni, chi costituendo la città come
sede episcopale, poi arcivescovile.
Clemente VII volle dare una novèlla prova della certezza della
traslazione della miracolosa Santa Casa deputando tre dei suoi
camerieri prima a Loreto, poi in Dalmazia, e in fine a Nazareth,
per esaminare con gran cura i luoghi e consultare le tradizioni
dei popoli, l'esattezza delle misure, la similitudine delle pietre,
due delle quali furono portate da Nazareth da uno degli inviati.
Ogni cosa concorse ugualmente a confermare la traslazione prodi-
giosa e la pietà dei popoli.
Innocenzo XII ordinò l'ufficio e la Messa propria da celebrarsi
• in detta solennità (io dicembre) in tutta la provincia Picena.
Principi e duchi, re e imperatori pellegrinarono a Loreto e tutti
gareggiarono in donativi, tanto che si dovettero costrurre varie e
sontuose sale per deporvi il cosidetto Tesoro del tempio. Tesoro
che dilapidato e dissipato affatto nel 1797 al tempo della Rivolu-
zione Francese, già risorse, sebben non copioso come prima, per
continue e sempre crescenti largizioni.
I perfidi rivoluzionari, non solo dilapidarono il tesoro, ma spo-
gliarono delle sue gemme la statua della Vergine, statua che anche
trasportarono a Parigi, che però Pio VII riuscì a ricuperare.
In questi ultimi tempi' tutta la grandiosa Basilica fu ristorata
ed abbellita di magnifiche pitture e di grandioso organo, in mo-
do che anche pel lato artistico il Santuario di Loreto può te-
nersi come una delie più preziose gioie che abbia non che l'Italia,
ma il mondo;
** *
È bensì vero che l'ipercritica della fine del secolo XIX non
lasciò di sofisticare sulle relazioni da noi sopra esposte; ma la
Chiesa, fatte ristudiare le cose, sicura della verità del fatto, con
|t)ecreto del 12 aprile 1916, estese la festa Translationis Almae
' Dotnus Beatae Mariae Virginis, e l'ufficiatura e la Messa propria,
a tutta l'Italia e a tutte quelle diocesi 0 istituti religiosi di qualun-
que parte del mondo che ne facessero domanda, mentre prima essa
era ~solo concessa alla provincia Picena e ad alcune altre diocesi.
In questo gran Santuario si portarono a pregare e a doman-
dare grazie, 0 a ringraziare là Madonna per le grazie ricevute molti
grandi Santi e tra gli altri inglorioso nostro S. Francesco di Sales.
Noi abbiamo esposto qui a comune edificazione la storia mi-
racolosa della traslazione della Santa Casa} con le relazioni au-
tentiche. Coloro i quali7volessero conoscere le altre vicende di
questo miracolo permanente e del magnifico grandiosissimo tempio
che è il Santuario di Loreto, fino a' giorni nostri possono leggere:
— R I C C A R D I , Storia dei Santuarii\\ voi. 30. — M O R O N T , Dizio-W
/Kirio di erudizione ecclesiastica, voi. 39.'— R H O R B A C H E R , Storiai.
Universale della Chiesa Cattolica, voi. 10".
CAPO VI.
La vocazione sacerdotale.
Visita al vescovo di Ginevra. — Al suo ritorno
dall'Italia il santo giovane edificò il focolare paterno
c
senza tuttavia parlare per allora della sua vocazione.
Il signore di Sales aveva sopra di lui grandi disegni,
e lo riguardava com'è il sostegno e la gloria della sua
vecchiaia. Vedendo che l'esito degli studi suoi aveva
anche sorpassato le sue speranze era persuaso, che
Francesco largamente potesse corrispondere a' diségni
ch'egli aveva fatto di metterlo per la via delle cariche.
A questo fine, appena io vide alquanto riposato dalle
fatiche del viaggio, gì'ingiunse di prepararsi a subire
a Chambery l'esame per essere ricevuto come avvocato
presso quel Senato. Mentre si preparava, venuta buona
occasione, Francesco credette suo dovere d'andare ad
ossequiare il suo vescovo, il quale risiedeva'ad Annecy.
Era allora vescovo Claudio, Granier : « degno prelato,
uomo di raro merito, simile agli antichi Padri per la
sua religione, pe' suoi costumi e per la sua invitta co-
Stanza ; caro a Dio ed agli uomini pel suo candore,

9.7 Page 87

▲back to top


172' —
.
per la sua dolcezza e per la sua pietà. » Questo è
l'elogio che lo stesso Francesco fecegli in appresso.
Modello de' buoni vescovi, viveva unicamente pel be-
. ne della sua diocesi. Dovunque gli era stato possibile
aveva erette le confratèrnite dell'augustissimo Sacra-
mento e della SS. Vergine ; ristabilito l'uso de' sinodi
annuali; istituito il concorso per la collazione de' be-
nefizi con cura di anime, secondo il decreto del con-
cilio di Trento; sostituito il breviario romano al par-
ticolare della diocesi di Ginevra; finalmente nulla aveva
tralasciato per ricondurre alla sua antica perfezione la
disciplina ecclesiastica, e fare risplendere sopra la dio-
cesi i più bei giorni della Chiesa.
Il venerando vescovo ricevette Francesco con molta
amorevolezza, e si sentì soprannaturalmente portato,
sono queste le sue proprie espressioni, non solo ad uno
specialissimo affetto verso di lui, ma anche ad un gran
sentimento di venerazione. Fattolo pertanto sedere ac-
canto a sè lo interrogò sull'Italia, poi sulla teologia
e sulla giurisprudenza; e trovatolo molto dotto e di
buoni sentimenti, ne rimase sì maravigliato, che non
solo, cedendo ad un moto di tenerezza, lo abbracciò
affettuosamente, ma di più, avendo conosciuto che, più
che non nella giurisprudenza, si era approfondito negli
studi teologici, lo fece assistere al concorso ad una
parrocchia vacante, che. per avventura aveva luogo in
quello stesso giorno. Or qui avvenne un fatto che pos-
siamo dire provvidenziale per far conoscere alla dio-
cesi la scienza teologica e canonica di Francesco. Fra
le domande che gli esaminatori fecero, una ve ne fu,
sulla quale i sentimenti degli esaminatori fufon divisi,
ed essendosi discusso molto tempo senza che si potes-
sero accordare, il vescovo pregò Francesco a dirne il
suo parere. Questo invito parve nel vero un- po'strano,
e Francesco se ne scusava dicendo, che non toccava
a lui, giovane e laico, intrattenersi a parlare di mate-
rie ecclesiastiche, e al cospetto di tanti celebri dottori,
r. specialmente al cospetto di sì gran prèlato : ma poi,
il vescovo non menandogli buone le sue scuse, do-
vette arrendersi e manifestare 11 suo pensiero sull'agi-^
lata questione. Allora egli riassumendo,in poche pa-
iole tutta la disputa che aveva avuto luogo, ne distinse
i diversi punti di vista, e diede sopra ciascuno schia-
rimenti sì precisi, soluzioni sì chiare e sì sode, che
tutti gli astanti abbracciarono il suo parere e rimasero
altamente stupiti nel vederlo sì dotto. Non poteva in-
fatti non recare altissima maraviglia il trovare tanta
scienza teologica in un giovane, che per la sua con-
dizione éd il suo abito sembrava dovesse ignorare affatto
la scienza teologica e canonica.
.'»-'•/
Terminato il concorso, Francesco, fatti i dovuti con-
venevoli aì prelato, se ne partì. Il vescovo, in segno
di grande onore, accompagnò il suo dotto visitatore
sino al termine dello scalone del suo palazzo, cosa che
non faceva quasi mai a nessuno; e ritornato alle sue
stanze, pieno di giubilo, preso da spirito profetico, ri-
volto al sig. canonico Rony, dottore in teologia, e ad
altri che erano presenti, disse schiettamente: « Che
pensate voi di quel giovane signore ? Esso diverrà un
gran personaggio, una colonna della Chiesa, e sarà il
mio successore in questo vescovado.» Da quel tempo
monsignor Granier nutrì per Francesco uno specia-
lissimo affetto, chiamandolo ognora suo figlio ; e la
sua anima ne restò così ^presa, che anche in sogno
lo vedeva corrergli in aiuto, e con invitta forza e co-
raggio cacciare ed uccidere ora leoni ed orsi, or lupi
e pantere e salvare dalle loro zanne le dilette peco-
relle della sua diocesi.

9.8 Page 88

▲back to top


È ricevuto avvocato nel Senato di Savoia. —
Dopo questa visita al Vescovo, Francesco, ben prepa-
rato, onde eseguire il volere del padre, partì per presen-
tarsi al Senato di Chambery a subirvi le solite prove,
ed esser ricevuto quale avvocato nel Senato di Savoia.
Il buon padre gli diede lettere di raccomandazione pel
celebre senatore Antonio' Favre, intimo amico di fa-
miglia, che era il maggior ornamento di quel Senato,
del quale fu poscia primo presidente. Il Favre accolse
il giovane candidato qual figlio di uno de' suoi migliori
amici; impiegò ogni dì diverse ore a prepararlo alle
prove che doveva sostenere. Nè fu necessario che in
ciò spendesse molto tempo, poiché subito s'accorse che
il giovane ben possedeva la scienza richiesta. Esami-,
natolo con sommo rigore gli esaminatori furono am-
mirati della saviezza e della profondità delle risposte
die ne: ebbero sopra ogni questione, e perciò diedero
al Senato la più onorevole relazione, asserendo d'aver
trovato in Francesco un' tesoro nascosto ; dottrina cioè
così eccellente, che superava di lunga mano quel
sapere di cui ordinariamente è capace la giovinezza.
In conseguenza di 'questa così onorevole dichiarazio-
ne l'augusto consesso, con unanime voto, decise il rice-
vimento del postulante» ed il 24 novembre 1592, fu, in
una solenne seduta, ricevuto e. proclamato avvocato nel
Senato di Savoia. Francesco in questa circostanzaxcre-
dette dover suo dirigere ai senatori radunati ì più vivi
ringraziamenti, e, mosso dalla sua fede, accoppiò al-
l'espressione della sua propria riconoscenza un ma-
gnifico elogio della giustizia, cui proclamò: « La più
'I bella di tutte le virtù; virtù tutta perfetta, scesa dal,
| cielo e nata da Dio, vincolo che unisce il mondo, pace
delle nazioni, sostegno della patria, salvaguardia del
popolo, fortezza di un paese, protezione del debole,
consolazione del povero, eredità de' figli, consolazione
di tutti gli uomini, e pegno di eterna, felicità per coloro
che l'amministrano degnamente. » Tale era il sublime
aspetto sotto cui soleva egli guardare le cose fin dalla
sua gioventù !
Questo discorso, pronunziato con grazia e dignità,
commosse tutti gli uditori. IJ. presidente del Senato,
Pobel, dichiarò di non aver mai accettato veruno, che
gli sembrasse più degno di entrare nell'ordine degli
avvocati. Per tutta la Savoia e per tutto il Piemonte
si sparse la fama della sapienza di lui. Ma dei felici
successi dèi nuovo avvocato niuno ne godette più del
senatore Favre'. Dacché Francesco era a Chambery,
egli aveva avuto tcfmpo di studiarlo e di conoscerlo,
e péro d'ammirarlo e d'amarlo. Francesco dal canto
suo aveva potuto apprezzare tutte le nobili qualità del
senatore ; e questi due cuori sì ben fatti si erano in-
tesi, e sin d'allora formossi fra loro una sì intima
amicizia, che d'indi in poi si trattarono sempre come
due fratelli, e con quel dolce nome si chiamarono nelle
loro frequenti corrispondenze e nelle loro private con-
versazioni.
*
Segno straordinario della voQazione. — Se Fran-
cesco avesse nutrito in cuore disegni di gloria mon-
dana, noi avremmo a dire che egli era l'uomo più
fortunato del mondo, ma egli non dimenticò mai la
chiamata di Dio all'apostolato, perciò non poteva es-
sere appieno contento se non in quel • genere di vita
che Dio gli aveva assegnato.
Le difficoltà per arrivare a questo erano gravi, gra-
vissime: sapeva che suo padre aveva altre mire su di
lui e che assolutamente si sarebbe opposto al suo di-
visamente?, ed era per questo che finora non aveva

9.9 Page 89

▲back to top


detto niente a lui de' suoi studii teologici compiuti.
Ma ormai si avvicinava il tempo di rompere il ghiaccio
e palesare ogni cosa: pensava e pregava perchè il Si-
gnore gli facesse conoscere il modo più opportuno per
riuscire nell'intento, senza disgustar troppo i genitori.
Egli era come un navigante che lanciatosi la prima
volta in mare è deciso di arrivare ad un dato porto ;
ma inesperto ancora della navigazione, senza mai to-
v gliere gli occhi dal porto a cui vuole arrivare e l'at-
tenzione al timone per non cader vittima dei venti e
degli scogli, ritarda, ed eseguisce delle evoluzioni nelle
onde, e va avanzandosi con muovimenti indefiniti verso
la mèta, aspettando il vento propizio ed il mare calmo:
"ma la mèta è là: egli non toglie da essa lo sguardo.
Pertanto, dopo d'aver ricevuto le sue lettere patenti
da avvocato nel Senato di Savoia, poco si trattenne a
Chambery e si fece premura di mettersi in viaggio per
ritornare a casa. Era in questo viaggio che il Signore
l'aspettava per dargli l'ultima più decisa assicurazione
per quanto concerneva la suà vocazione.
Nell'attraversare la foresta di Sonnaz gli accadde
cosa al tutto singolare. Il Cavallo avendo, in una strada
scabrosa, inciampato, lo scosse e lo gettò a terra. Non
si fece alcun male, ma, senza saper come, il fodero
della spada distaccatosi dalla cintura andò a terra, e
la spada, essendo uscita dalla guaina, vi si pose sopra
per traverso in modo da formare una croce perfetta.
Francesco ne rimase sorpreso; ma, siccome era uomo
niente superstizioso, non fece conto di un fatto, che
poteva essere avvenuto a caso, e montò di nuovo a
cavallo: non prima però di aver più fortemente attac-.
cato la spada ed il fodero. Non ostante questa precau-
zione il cavallo, essendo una seconda fiata caduto, in
un cammino per altro assai uguale, il fodero e la spada
77 —
si distaccarono come la prima volta e rappresentarono
una croce perfettamente regolare* come se qualcuno si
fosse preso l'incarico di formarla. Questo secondo fatto
produsse nell'animo suo e in quello del signor Deage
un'impressione più profonda: come mai potè cadere il
cavallo che non inciampò in nessun luogo? Come mai
potè staccarsi il fodero dalla correggia dopò che ve lo
aveva assicurato così bene pochi minuti prima ? E più
che tutto, cóme mai la guaina colla spada poterono so-
vrapporsi l'una sull'altra in forma di croce così perfetta?
[fortemente maravigliato e pensoso risalì tosto a cavallo
e proseguì il suo viaggio. Ma ecco che, poco dopo,
vide questo medesimo fatto riprodursi una terza volta,
con le precise circostanze delle due prime. S'accorse
chiarissimamente che quello non poteva essere altro
che un avviso del cielo, affinchè cambiasse la spada con
la croce, deponesse cioè le armi secolaresche, per arruo-
larsi nella milizia del Signore, e prese da ciò occasione
di esaminare seriamente se fosse giunto il momento
di seguire l'inclinazione costantemente avuta sin dalla
sua più tenera infanzia.
Finalmente disse al Deage, che aveva coi propri
occhi veduto il triplice avvenimento, e non era meno
sorpreso di lui : « Dio non vuole che io abbracci i^
genere di vita indicatomi da mio padre, ed al quale
(erto io non ho proprio niente d'inclinazione: » ed
\\ aggiunse ch'egli abborriva dalla vita mondana, che da
lungo tempo sentiva la, sua volontà assolutamente de-
iri-minata di servir Dio nello stato ecclesiastico, e che
non aspettava per effettuarlo se non il consenso del
padre: e pregò lui a dargli il consiglio sul modo di
parlarne al padre. Il Deàge essendo dotato di virtù e
<li sapere, da una parte temeva di opporsi alla volontà
di Dio, impugnando la vocazione del giovane; dall'ai-
RE — B A K B K K I S , Vita di S. Francesco di Sales.

9.10 Page 90

▲back to top


— 178 —
tra non voleva approvarla, atteso l'amore interessato
che portava alla casa di Sales, ben sapendo che tutti i
disegni del padre su Francesco andrebbero a vuoto
se questi eseguiva la sua deliberazione in ordine allo
stato da abbracciarsi. Non volle perciò esprimere il suo
parere, e tanto meno prendersi l'incarico di parlarne
in suo favore al padre, come Francesco ne lo sup-
plicava.
Pensava Francesco che il Deage, sacerdote esem-
plare, e dottore in teologia, fosse per appoggiare la
sua risoluzione, onde stupì nel vedere che non vo-
leva impegnarsi per nulla in questo affare così im-
portante e delicato. Cercò di persuaderlo perchè lo
aiutasse a condurre a buon termine il suo divisamento,
sostenendo che la volontà dei parenti non deve mai
prevalere contro la volontà conosciuta di Dio. « E quale
profitto per me, soggiunse, e pe' miei genitori, quan-
d'anche guadagnassi tutto il mondo, se venissi con
ciò a disgustare Iddio ? » Da tale discorso, commosso
il Deage, ammirò tanto disprezzo del mondo in chi
poteva dire d'avere il mondo per sè ; l'assicurò che egli
non lo contrasterebbe mai ; che anzi pregherebbe per
lui ; ma dell'incaricarsi di parlare pel primo di tal cosa
-col padre non ne fu nulla.
L a vocazione combattuta. — Tra questi discorsi
giunsero al castello paterno e raccontarono minutamente
in famiglia ciò che era avvenuto a Chambéry ; e questo
racconto altro non fece se non accrescere il giubilo e
le speranze, che quel felice padre fondava sopra del
figlio. Già se lo rappresentava occupato nelle più ec-
celse cariche, celebrato dovunque dalla pubblica fama,
e formante la gloria del suo nome e l'onore della sua
famiglia.
*
179
Francesco intanto rivolgendo continuamente nell'a-
nimo l'idea della sua vocazione allo stato sacerdo-
tale, cercava cui confidare il suo segreto per averne
aiuto. Credette dover farne la confidenza alla virtuosa
sua genitrice, sicuro che, lungi dal porvi ostacolo, use-
rebbe tutto il suo ascendente sopra il signor di Boisy,
per istrappargli quel sì malagevole consenso. Da madre
prudente e discreta, da vera e generosa cristiana,
essa ben presto?fece tacere in se stessa la voce della
carne e del sangue, riconobbe quella vocazione venire
dal cielo, e fece generosamente sacrificio di tutte le
belle speranze, che i segnalati progressi del figliuolo
le presagivano pel mondo; applaudì al disegno di
lui in riguardo alla vocazione, ricordandosi d'averlo
essa stessa consacrato più volte al Signore; e promesso
ch'ella sarebbe tutta a disposizione di Lui, gli promise
di secondarlo a tutto suo potere. Gli fece -anche anti-
cipatamente fare, in segreto, una sottana, e tutto ciò
che è richiesto ad un ecclesiastico, affinchè potesse
vestirsene nel giorno stesso in cui si fosse ottenuto il
paterno assenso. Di tal guisa quella virtuosa dama
adempiva l'impegno contratto alla presenza della San-
tissima Sindone, ove aveva detto a Gesù, che gli con-
sacrava il figlio, che esso a lui apparterrebbe più che
a se stessa, e "che quindi ben volentieri lo dedicava a
quel Dio che glielo richiedeva.
Restava di parlarne al padre; ma per questo biso-
gnava trovare qualche circostanza favorevole e qualche
persona acconcia a muovere un primo passo onde per-
suadere il buon vecchio. Dopo molto pensare parve a
Francesco, che la persona più atta a ciò fare fosse il
cugino Luigi.di Sales, che eragli stato compagno negli
studi ad Annecy, ed ora era canonico e molto amato
e tenuto in considerazione dal signore di Boisy. A lui

10 Pages 91-100

▲back to top


10.1 Page 91

▲back to top


adunque manifestò il suo divisamento, pregandolo di
conferirne col padre. Ascoltò il canonico con piacere
un tale disegno, approvò e commendò la generosa ri-
soluzione del cugino, e promise tutto il suo concorso;
ma, soggiunse, non convenire precipitar la cosa, doversi
aspettare pazientemente l'occasione di parlarne, e frat-
tanto pregar molto e tenere l'affare segreto.
' Quattro lunghi mesi scorsero senza che il canonico
giudicasse opportuno di parlarne; e Francesco, che
era troppo bene ammaestrato nella pietà, da conoscere
doversi aspettare in pace i momenti stabiliti dal Signo-
re per compiere il suo divino volere, aspettò con pa-
zienza; ma poi, vedendo che l'opportunità di parlare
non era pcranco venuta, e che se non si cercava ap-i
positamente potrebbe tardare troppo, cominciò a sen-
tirne qualche pena, e prese a .sollecitare il cugino aj
rompere ogni indugio e tentare qualche prova.
Nuove difficoltà. — Ma ecco che in questo frat-
tempo sorsero nuove difficoltà. Il solerte genitore sem-j
pre occupato de' suoi grandi disegni sopra il figlio,;
pensò di dargli una sposa, e già l'aveva trovata, degna^
di Francesco; una damigella che univa ad una riccaj
fortuna, ed a tutto, ciò che può rendere una personal
amabile secondo il mondo, le più eccellenti qualità di
spirito e di cuore. Egli adunque, avuto a sè France-
sco, gli tenne discorso del disegno fatto a suo riguardo
disegno, soggiunse, utile quanto non si possa dire,
da doversi eseguire quanto prima, essendo egli oggi-
mai vecchio, e non morendo contento, se prima noi
avesse avuto la consolazione di vederlo compiuto. Con^
chiudeva dicendogli che intanto si preparasse a far*
insieme con lui una visita alla damigella che gli
stinava.
— 181 — - .
Immaginiamoci con che animo ricevesse Francesco .
ipiesta proposta del padre! Pur non di meno, vedendo
die quello non era il tempo d'appalesare i propositi
suoi affatto contrari, credette bene di non opporvisi.
Andò adunque col padre a far visita alla damigella pro-
postagli, ma in questa occasione si limitò ai soli doveri
di civiltà, e si mostrò assai freddo con la damigella.
Il signore di Sales, afflitto per tale contegno, gliene
lece, al ritorno, vivi rimproveri, cui il santo giovane
ricevette cogli occhi modestamente abbassati, senza ri-
sponder verbo. Alcun tempo dopo lo condusse a fare
una seconda visita, sperando di vedere il frutto del
rimbrotto fattogli; ma se ne lusingò indarno; che, la
riservatezza di Francesco fu la medesima. Il suo cuore
era tutto per lo stato ecclesiastico e ne abborriva ogni
.litro. « Tutto il mio contento, diss'egli ad un amico
• he incontrò ritornando da quella visita, è nelle pa-
iole che Iddio fa sì spesso risonare alla mia anima:
fo entrerò nella casa del Signore ; vi abiterò, perche
Pko scelta per luogo della mia abitazione. Non occorre
piii che io pensi ad altro: Iddio solo sarà la mia por-
/.ione per sempre, ed altro non voglio nè ho mai vo-
luto, che essere sacerdote. »
Questa opposizione ad un contratto si vantaggioso
costernò il padre, il quale pregò e scongiurò il figlio
.1 non contraddirlo nei suoi desideri. Fino allora tut-
• via egli non aveva capito la risoluzione di Francesco:
solo credeva che non gli piacesse quel partito e ne
.ittendesse un altro; perciò alle sue vivissime istanze
lece unire le persuasioni di coloro, che supponeva
avessero qualche ascendente sopra lo spirito del figlio.
c
Viene eletto Senatore. —Intanto accadde cosa, che
parve dar buon avviamento ai disegni del padre, contro

10.2 Page 92

▲back to top


quelli di Francesco. Il duca di Savoia, che a quei dì
era il valoroso Carlo Emanuele I, avendo conosciute
lè grandi cose che si dicevano delle virtù e dell'inge-
gno di Francesco, pensò d'innalzarlo alla dignità di
senatore, e da Torino inviò espressamente il barone di
Hermance a recarne alla famiglia la nuova e le lettere
patenti. (1) Questa disposizione del sovrano, anteriore
ad ogni istanza e ad ogni servigio, ma unicamente
fondata sulla alta riputazione di un merito segnalato,
era il certo annunzio di una splendida cariera, e sperar
faceva tuttociò che il mondo e la Corte possono dare
di più magnifico. Non si richiedeva altro, per confer-
mare nelle sue idee il signore di Sales; ma qual non
restò egli quando vide Francesco non solo non ralle-
grarsi a questa novella, ma neppure voler accettare
quella onorificenza che il suo Sovrano voleva con-
ferirgli !
Invano il senatore Favre, suo amico, che conosceva
gli intenti di Francesco, ma che. sarebbesi stimato fe-
lice di averlo per collega, gli' fece le più calde istan-
ze, cercando di persuaderlo, che quella dignità non sa-
rebbe di ostacolo alla sua vocazione; che la pratica della
giurisprudenza benissimo si accordava con quella della
teologia, che il Senato contava fra i suoi membri pa-
recchi ecclesiastici di raro merito, e che potrebbe al
par di essi far molto bene. A tutte queste ragioni
Francesco oppose le parole dell'Apostolo : « Niuno che
(i) Si discusse per molto tempo dagli autori se il duca di Sa-
voia avesse solo l'intenzione di eleggere Francesco a senatore, e
gli mandasse a fargliene la proposta, oppure se realmente l'a-
vesse eletto in piena forma. Ora si trovò una lettera di Fran-
cesco medesimo (la lettera 1126 dell'ediz. Lethielleux di Parigi),
dove la questione viene sciolta, poich'egli dice formalmente: « Io
mi sento obbligatissimo a sua Altezza dell'onore che mi fece in-
viandomi le patenti da Senatore
militi pel Signore si impegni in negozi secolareschi », (1)
e soggiungeva : « Non voglio dividermi fra Dio e il
mondo; voglio essere sacerdote e niente altro. » Il suo
cuore tuttavia non restò insensibile all'affezione di
quelli che s'erano occupati in favor suo; e alla devo-
zione che già l'animava verso il serenissimo duca di
Savoia si aggiunse nell'animo suo un vivo sentimento
di riconoscenza, che egli gli dimostrò coi ringrazia-
menti più umili e più delicati.
L a vocazione vittoriosa. — Iddio mette alla
prova i suoi servi, ma non li abbandona; e, quando si
asseconda la sua grazia, dopo la prova dà la vittoria,
come dopo la tempesta manda l'arcobaleno. Il signore
di Sales non poteva comprendere ciò che vedeva coi
suoi occhi, e non poteva considerare senza una gran
pena questa resistenza del figlio, per lui misteriosa.
La costante docilità di Francesco durante gli anni del-
l'adolescenza ed anche in tutto il tempo degli studi,
e la dolcezza ed ubbidienza esattissima, che anche ora
gli usava scrupolosamente in ogni altra cosa, gli ave-
vano tolto persino il pensiero che egli potesse poi,
in affare così grave, contraddire apertamente alla vo-
lontà paterna, e attribuiva queste ripulse, esagerate
secondo il mondo, a qualche effetto d'aberrazione men-
tale, prodotta da una pietà eccessiva.
Francesco invece stava fermo nel suo proposito,
solo perchè sicuro eli quel che il Signore voleva da
lui ; egli stava tranquillo e senza timori, perchè aveva
rimesso ogni cosa nelle, mani di Dio, certo ch'Egli
avrebbe fatto riuscir tutto a sua maggior gloria ed
(t) Nemo militans Deo implicat se negotiis saecularibus.
(Il Tini, il, 4).
,

10.3 Page 93

▲back to top


alla salute delle anime. È da comprendere bene, che
quando il Signore dà certi segni della sua chiamata,
cioè dà la vocazione ad uno, questi è obbligato a se-
guirla: nè il giovane nè i genitori possono resistervi
senza evidente pericolo di commettere peccato. E
bensì vero che questo punto della vocazione non è
compreso dai più, e alle volte anche da famiglie che
vogliono essere profondamente cristiane; ma ciò non
toglie a Dio i suoi diritti, e l'obbligo in noi di prati-
care i suoi voleri. Egli è il nostro Creatore e Padrone, e
noi, sue creature, dobbiamo essere sottomessi, e non osti-
narci a fare la volontà propria, bensì quella di Dio. (i)
Mentre la vocazione di Francesco era combattuta,
venne a morire il canonico prevosto della Cattedrale
di Annecy. Il canonico Luigi di Sales non aveva di-
menticato la promessa fatta al cugino di occuparsi
pel felice esito della cosa, e se nella sua prudenza
giudicava bene dilazionare, non istava però colle mani
alla cintola. Essendo pertanto morto detto prevosto,
egli stimò che l'altezza di quella dignità, lusinghiera
( i ) Che si faccia male a contrariare le vocazioni, specialmente
quando si tratta dello stato religioso, non è, come alle volte si
crede, una opinione qualunque, ma è dottrina comune di santa
Chiesa, tenuta dai santi Padri ed espressa da Sant' Alfonso de:'
Liguori con queste precise parole : « Bisogna tenere per certo,
colla comune opinione dei dottori, che vi ha peccato quando
i genitori distolgono i loro figli dallo stato religioso, sia che
ciò avvenga con frode o colla forza, sia con preghiere o pro-
messe, sia in qualunque altro modo. » E cita una trentina di
autori, che tutti sono d'accordo su questo punto. Solo quando
vi sono giusti e gravi motivi se ne può differire l'esecuzione fin
quando questi motivi siano cessati. — Questo si intende quando
la vocazione è certa; e non peccano i genitori quando mettono al
principio, qualche ostacolo, solo per vedere se i. figli o le figlie
sono proprio sodi e costanti, e ciò specialmente quando conoscono
in loro leggerezza, affinchè non avessero poi a pentirsene in se-
guito o a tornare indietro,
pel cuore di un padre, potrebbe determinare il suo con-
senso, per lasciar entrare il figliuolo nello stato ecclesia-
stico. Preso pertanto parere dal vescovo, senza dir nulla
al santo aspirante, fece domandare alla Corte di Roma,
pet Francesco, il titolo di canonico prevosto, che ap-
parteneva al Papa di conferire. L'affare fu prontamente
conchiuso; e nel mese di maggio 1593 arrivarono le
Bolle. Non era passato molto tempo dal giorno in cui
il padre aveva dimostrato il suo gravissimo disgusto,
perchè Francesco aveva rifiutato la dignità senatoria.
Il canonico Luigi portò subito dette Bolle pontificie
a Francesco, gli spiegò la cosa, e cercò modo di far-
gliele accettare, quale mezzo opportuno per lo scio-
glimento delle difficoltà che lo fermavano dinanzi alla
porta del santuario. .
Al primo annunzio di sì inaspettata cosa, somma
fu la sorpresa del santo giovine, la cui nomina alla
dignità di canonico-prevosto sembravagli un sogno;
ma quanto più la cosa gli pareva straordinaria, tanto
più riconobbe in essa la mano della Provvidenza, che
voleva con ciò facilitargli la via del sacerdozio; per
cui, secondando senza indugio i disegni di Dio, andò
col cugino a parlarne col padre: gli significò ingenua-
mente, in tutta la sua vita avere avuta un'inalterabile
attrattiva per lo stato ecclesiastico, nè volerne abbrac-
ciare un altro, e chiedergli perciò licenza di battere
quella strada, per la quale Iddio lo chiamava. « Ecco,
soggiunse, le Bolle pontificie, che mi conferiscono la
l'revostura del Capitolo di Ginevra, la quale dignità,
come sapete, è la prima della diocesi, dopo quella del
vescovo: la Provvidenza me l'ha procurata a mia in-
saputa. » Ad una tale proposizione il signor di Sales,
tutto stupefatto, se ne stette alcuni istanti come alie-
nato da' sensi: non poteva credere nè a' suoi occhi,

10.4 Page 94

▲back to top


— i86 —
nè alle sue orecchie; poi, rientrando in se stesso pro-
ruppe in amare doglianze ; allegando, un figliuolo non
dover abbandonare il proprio padre sull'orlo del se-
polcro, ma anzi doversi fare un obbligo di servigli di
sostegno nella vecchiaia ; la carica di canonico-pre-
vosto essere un nulla a confronto delle alte dignità
alle quali il suo ingegno ed i suoi studi gli davano di-
ritto di ascendere nel mondo: tanti anni impiegati nello
studio della giurisprudenza, tonnare perciò tempo
perduto; e finalmente poi un tal passo richiedere ma-
ture riflessioni ed essere mestieri aspettare a decidere.
Francesco, senza smarrirsi ad un parlare di dila-
zione, che spesso equivale ad un rifiuto, rappresentò
al padre che la carica di prevosto, fissandolo ad An-
necy, vicino alla sua famiglia, egli potrebbe rendere
al suo dilettissimo genitore tutti i doveri della pfetà
figliale, ed a' suoi fratelli tutti i servigi, di cui sarebbe
capace. Gli disse poi che era superflua una più ma-
tura deliberazione ; « giacché lo attraimento allo stato
ecclesiastico gli si era fatto sentire fin da' suoi più te-
neri anni ; che nell'intenzione di abbracciarlo aveva
fatto a Parigi solenne promessa di conservare la ca-
stità verginale, e rinnovato a Padova la risoluzione di.
consacrarsi interamente al servizio degli altari; che a
Loreto si era confermato, più fortemente che mai in
questa disposizione, facendo voto formale di castità, e
che finalmente Dio gli aveva, non ha -molto, fatto co-
noscere con un prodigio, di volerlo qual suo ministro
sotto lo stendardo della croce. » Qui Francesco rac-
contò quanto gli era avvenuto nella foresta di Sonnaz;;
poi gettandosi a' suoi piedi: « O mio caro padre, gli
disse struggendosi in lacrime, vi supplico, vi scongiuro
umilissimamente di benedirmi nel nome del Signore
sull'entrare in questa nuova carriera. »
— 187 —
Il signor di Sales, sebbene dotato di un' anima
energica e di forte-tempra, non potè contenersi a tale
spettacolo : mescolò le sue lacrime a quelle del figlio,
e rimase qualche tempo senza articolar parola, e senza
saper neppure a qual partito appigliarsi. La fede lo
faceva cedere vedendo segni sì manifesti del divin vo-
lere; la, natura costernata dal vedersi in un istante
rovesciati tanti disegni, non lo permetteva; eravi nel
fondo della sua anima un violento contrasto, una ter-
ribile lotta ; ma finalmente la fede trionfò in quel cuore
interamente cristiano. « Ebbene, figlio mio, gli disse,
gettando un profondo sospiro, non voglio ricalcitrare
contro lo sperone; poiché Dio stesso, come tu mi as-
sicuri, è Colui che ti ha ispirato questa risoluzione di
darti tutto a Lui, fa ciò che il Signore ti chiede: e chi
sono io, che me gli debba opporre? » Poi stendendo
le sue mani tremanti sul capo di Francesco, sempre
prostrato a' suoi piedi : « Questo Dio misericordioso,
soggiunse, ti benedica, o figliuol mio, mille volte, men-
tre io in suo nome ti do la mia paterna benedizione. »
— « Oh ! benedetto sia il Signore, esclamò allora pieno
di giubilo Francesco, benedetto sia in eterno : egli mi
ha oggi concesso ciò che da sì lungo tempo bramava:
nulla finalmente mi potrà più impedire di essere tutto
suo. Benedetto siate voi pure, mio amatissimo padre,
che mi avete dato il più certo pegno della tenerezza
vostra : Ah ! ve ne sarò davvero grato per sempre. »
Il santo giovane, ohe sin'allora era rimasto ginocchioni,
mosso da sovrabbondante affetto si alza, si getta al
collo del padre teneramente abbracciandolo, e così
stretti in reciproci amplessi stettero luaga pezza con-
fondendo le loro lacrime ed il loro amore.
Il sacrifizio del signore di Sales fu Nveramente
grande, per la violenza straordinaria che dovette fare

10.5 Page 95

▲back to top


onde riportare una vittoria sì completa sopra se stesso.
In fatti ne risenti tal commoziome d'animo, che cadde
infermo, e si temette per qualche tempo de' suoi
giorni. Fortunatamente quell'interno tumulto calmo'ssi,
e la malattia non ebbe funeste conseguenze.
Veste l'abito chiericale. — Ben diverso effetto
ne provò invece il nostro Franceso ! Pieno di alle-
grezza, in quello stesso giorno, 13 maggio 1593, fatto
chiamare il curato della parocchia, indossò per le sue
mani, nella cappella del castello, la veste talare, che
la sua virtuosa madre gli aveva anticipatamente fatta
preparare.
Un tal cambiamento d'abito non fu per Francesco
una cerimonia vuota di senso, chè, nessun novizio prese
mai le divise religiose con maggior pietà ed umiltà.
Un tale, che fu testimonio del modo con cui si rive-
stì delle divise sacerdotali, ne fu sì colpito d'ammira-
zione, ci}e non potè tenersi dal dire : « Per verità, mi
sarebbe parso che prendesse l'abito da cappuccino. »
Gongolante di gioia Francesco andava rallegrandosi
con tutti quelli che incontrava, tanto che recava maravi-
glia. Questo giorno fu da lui riguardato bellissimo tra i
belli della sua vita; come quello in cui (secondo che
egli soleva poi dire) s'era vestito della corazza e cinto
del balteo e arruolato alla milizia di Gesù Cristo.
Fatti con premura i dovuti preparativi, partì per
Annecy a prendere possesso della carica di prevosto,
dalla Santa Sede affidatagli. Il suo arrivo in abito
chiericale fu un gran motivo di giubilo per tutta la
città, e tutti coloro che avevano a cuore la gloria di
Dio, e il bene della religione e la salute delle anime
benedissero il cielo pei grandi vantaggi che si promet-
tevano dal suo futuro ministero.
— IO9 — V
ygf,
Per prima cosa presentossi al vescovo come un fan-
ciullo a suo padre, per averne direzione e ricevere i
suoi ordini, poi si presentò ai canonici, i quali già co-
noscendolo tanto dotto e pio, e sapendo che apparte--
neva ad una famiglia tra le più rispettabili della Savoia,
sebbene più avanzati negli anni e illustri per dottrina,
non ebbero nessuna difficoltà ad accettarlo come loro
superiore. Anzi fin dal primo giorno gli fecero le loro
congratulazioni e si dichiararono al tutto soddisfatti del
suo innalzamento a tale carica.
Rifiuta la carica di Senatore. — Ma il padre,
quantunque avesse dato il suo consenso, continuava a
sentire assai il cambiamento di stato del suo figlio, e
avrebbe voluto che almeno accettasse la dignità di se-
natore, e trovava cosa strana che Francesco noi volesse
contentare almeno in quella cosa, che pur potevasi ac-
cordare colla dignità sacerdotale; e se ne aveva l'e-
sempio nel predecessore, che appunto alla prepositura
aveva accoppiata la dignità senatoria. Per la qual cosa
risoluto di provare se potesse vincere l'ostinazione,-
com'egli la diceva, di Francesco venne espressamente
ad Annecy a pregarlo e scongiurarlo, che, poich'egli
aveva ceduto sì largamente ai voleri di lui e lasciato
che si rendesse ecclesiastico, esso appagasse almeno in
parte i giusti suoi desiderii, acconsentendo d'accettare
la dignità di senatore. Anche il senatore Favre e varii
altri insigni personàggi; pregati dal padre, lo pressa-
rono in ogni modo ad accettare.
Tutto concorreva a sedurre il povero Francesco.
Egli aveva un cuore tenero e amoroso, aveva affetto
vivissimo al suo principe, al paese, a' suoi genitori,
pure si mantenne costante e risoluto a qualsiasi sacri-
ficio. Sapeva che la vita del sacerdote in questa terra

10.6 Page 96

▲back to top


' w-
• li
11
I
« — 19°
è di lavorar sempre ed unicamente alla gloria di Dio
ed alla salute delle anime, riservandosi il riposo nel-
l'altra vita; sapeva che gli onori spesse volte corrom-
pono l'animo, lo esaltano e mettono a cimento la vir-
tù ; d'altra parte era persuaso che l'ufficio di senatore
l'avrebbe tenuto con frequenza lontano dal suo gregge .
di A n n e c y ed in tal modo distolto dal suo dovere di
parroco, e che gli avrebbe dato molte brighe massi-
mamente a lui, essendo la sua indole intieramente
opposta ai processi e ai dibattimenti legali. D'altron-
de gli stavàno sempre fìtte in mente le parole d e l l ' E -
vangelio: « Chi ama il padre e la madre più di me-non
è degno di m e » e quelle altre: « C h i vuol venire die-
tro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e
mi segua. » Erano penetrate profondamente nel suo
cuore le parole di S. Paolo: « L'ecclesiastico non si
immischi negli affari secolareschi. » Ogni insistenza
adunque riuscì vana : egli stette sempre fermo nel suo
proposito di non accettare la carica di senatore e ri-
peteva a se stesso : « Io sarò ministro di Gesù Cristo e
nient'altro; sarò ministro del Signore, non importa se
oscuro, annunzierò le parole di vita eterna ai poveri. »
Si mise sotto i piedi le speranze d'uno splendido av-
venire, corse ad armarsi di un crocifisso, e baciando
i piedi del Redentore spogliato di ogni cosa in croce,,
gli disse : « Sarò vostro in vita ed in morte e non
vorrò mai nient'altro all' infuori di Voi. »
LIBRO II
IL PERFETTO MODELLO
DEL SACERDOTE E DEL MISSIONARIO CATTOLICO.
Quod aeternum non est nikil est.
Ciò che non è per l'eterniti non è che vanità.
(Dalla balla di canonizzazione
di S. Francesco)
-

10.7 Page 97

▲back to top


C A P O I.
Francesco sacerdote.
Seconda fase della vita di Francesco. — Quando
S. Francesco di Sales era ancor giovanetto, tutti, ve-
dendo già tanta sodezza, pietà e virtù in età così te-
nera, andavano esclamando : Che credete voi che diverrà
un giorno un così straordinario fanciullo ? Voi ben ve-
deste, o giovani, che percorreste con tanto amore fin
qui la vita del Santo, come, assecondando egli sempre
la grazia di Dio, divenne un modello straordinario
d'ogni virtù; un giovane che a Parigi si fece ammirare
da tutti ; che a Padova prese la laurea da avvocato
facendo stupire i suoi medesimi professori; che a 25
anni era l'ammirazione di tutta la Savoia; che i suoi
Sovrani, a quella età immatura, lo vollero far senatore ;
che sebbene appena chierico fu accettato con entusia-
smo, da tutti, come canonico e prevosto della cattedrale
di Annecy. Ebbene ! a questo punto viene spontaneo
di ripetere a noi medesimi : che addiverrà adunque
nella sua virilità un giovane, che a 25 anni è già così
ammirabile?. Oh vedete! chi corrisponde alla grazia di
Dio, va avanti di virtù in virtù, di grazia in grazia ;
13 B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales.

10.8 Page 98

▲back to top


— 194 ~
viene come un sole risplendente in pien meriggio. Voi
avrete campo ad ammirare, che Francesco diventerà
missionario infaticabile e convertirà provincie intiere ;
diventerà vescovo impareggiabile, cui sarà proposto
l'arcivescovado di Parigi, e il cardinalato, che per sola
umiltà egli rifiuterà; diventerà fondatore di un Ordine
religioso di monache, il quale farà stupire il mondo pel
chiarore delle virtù di cui risplenderà; Ordine da cui
sceglierà il Signore la verginella cui rivelare la divo-
zione del Sacro suo Cuore ; diventerà dottore di Santa
.Chiesa, tale da sedere accanto a S. Giovanni Griso-
stomo, a S. Girolamo, a S. Agostino, a S. Tommaso
d'Aquino; diventerà un santo che farà stupire tutto
il mondo pel suo zelo, per la sua scienza, per la sua
dolcezza e carità.
E quale fu la massima, che servì maggiormente a
lui, per poter correre tanto avanti e tanto presto per
la via della perfezione e della santità? Ce lo dice la
Bolla della sua Canonizzazione. Egli aveva sempre
scolpita in mente questa sentenza: Tutto ciò che non
e per Veternità non e che vanità. Fu questo pensiero
che gli fece disprezzare gli onori e le comodità mon-
dane, questo che gli fece abbracciare volentieri le fa-
tiche e le umiliazioni, questo che lo spinse all'eroismo
in tutte le virtù: «Tutto ciò che non è per l'etenità
non è che vanità. »
Preparazione agli Ordini Sacri. — Superati per-
tanto gli ostacoli che si opponevano alla sua vocazione,
Francesco, vincitore del mondo e di se stesso, vide
aperto avanti i suoi occhi un vasto campo al suo zelo,
a faticare, come bramava, per la salute delle anime.
Rimasto in piena libertà di seguire l'ispirazione del
cielo, cominciò con dare un solenne addio a tutto ciò
che il potesse ancora tenere legato al mondo ; rinun-
ziò in favore dei fratelli a' suoi diritti di primogenito
e ai titoli di nobiltà che fin'allora aveva tenuti.
Intanto si pose con ogni diligenza a fare gli eser-
cizi spirituali in preparazione alla Sacra Ordinazione
del Suddiaconato. Il suo fervore in questa circostanza
fu tale, che il Bouvard, venerando sacerdote che egli
aveva scelto a dirigerlo in quegli esercizi medesimi,
attestò ave? esso imparato molto più da Francesco, che
non questi da lui, tanta era la squisitezza di ogni sua
pratica di pietà e la sovrabbondanza degli affetti, delle
parole, de' propositi che la sua divozióne gì' inspirava.
Osservate a che punto era arrivata la "sua umiltà.
L'ultimo giorno degli esercizi avendolo il Bouvard
trovato in cappella a far orazione con gli occhi pieni di
lacrime, gemendo e sospirando, gli chiese perchè pian-
gesse. « Ah ! rispose, stava pensando ad un cotal re-
ligioso, il quale, abbandonata la sua vocazione, ha dato
de'grandi scandali alla Chiesa: piango pel timore che
così terribile disgrazia abbia ad accadere anche a me,
e prego il Signore che me ne liberi. Dio mio, io mi
affido a Voi! Coll'aiuto della vostra grazia spero che
giungerò felicemente al termine di questa via sacer-
dotale per la quale vi siete degnato chiamarmi a cam
minare. » Era un santo, eppure temeva così-fortemente
di prevaricare!
Questi esercizi spirituali durarono più settimane;
poiché no£ li terminò che ai 12 di giugno in cui ri-
cevette il Suddiaconato;-e li aveva cominciati poco
dopo la metà di maggio, poiché nelle sue memorie si
trova scritto: « Debbo ricordarmi che il Signore mi
fece una grande misericordia il 19 maggio 1593, per
intercessione del glorioso S. Celestino, che avevo pre.so
come patrono del mio ritiro spirituale. »

10.9 Page 99

▲back to top


— 196 —
È consacrato Sacerdote. — Da una lettera al
presidente Favre si rileva quali fossero i suoi pensieri
all'accostarsi del sacerdozio, e quali le disposizioni del-
l'anima sua- « Ecco, egli scrive, ch'io son vicinissimo
a quel giorno terribile, in cui, secondo i disegni di
Dio e gli ordini del mio vescovo, ascenderò l'ultimo
grado dell'ecclesiastica gerarchia, e sarò innalzato alla
dignità più sublime, quella del sacerdozio. Certo, mio
caro amico, non ignorai finora di quali pericoli tal di-
gnità si circondi ; ma non di rado la lontananza degli
oggetti inganna l'occhio sulle loro proporzioni, e vi
assicuro che il veder da vicino il sacerdozio è tutt'altra
cosa che averlo veduto da lungi. Niuno meglio di voi
potrà farsi un'idea della mia inquietudine, del mio
spavento. Con tanta pietà che avete e tanto rispetto
verso le cose sante, dovete sentire qpal responsabilità
uno si assuma nel doverle trattare, q u a l e peccato si
faccia lorchè se ne tfasanda la cura, e quanto rara e
diffidi cosa ella sia trattarle come si meritano. No,
niun'altra cosa esige tanta virtù, niun'altra cosa espone
a tanto rischio, quanto il tener nelle mar;i, e produrre
colla parola Colui, che non può neppur essere cono-
sciuto, nè degnamente lodato da quelle pure intelligenze,
che tanto sono al disopra del nostro concetto e delle
nostre lodi. » E terminando confessa, che, ad onta della
sua confusione e del suo terrore, non si scoraggia;
ma tutta la sua consolazione e speranza attinge al pen-
siero della misericordia divina.
Negli esercizi che fece in dicembre, in preparazione
al sacerdozio formò specialmente tre risoluzioni ben
degne dell'alta idea che aveva concepito del sacerdozio:
La prima fu di mettere in tutte le sue azioni il mede-
simo spirito di religione che all'altare, e di fare di ogni
momento del giorno, lina preparazione continua al sa-
crificio del domani, tanto da poter rispondere in realtà
a chi gli domandasse ragione del suo modo di operare :
« io mi preparo a celebrare la Messa. » La seconda fu
di non ascendere mai all'altare che nellè medesime
disposizioni che vorrebbe avere se subito dopo dovesse
morire e comparire avanti al Divin Giudice. La terza
di unirsi in tutto a Gesù Cristo sovrano sacerdote,
cercando di produrre in sè l'amore e l'imitazione de'
suoi esempi : poiché, diceva, siccome il prete si incor-
pora con Lui nel sacramento dell'altare,.cosi deve fare
anche una cosa sola con Lui. Per vivere e dimorare
con Lui, noi dobbiamo vivere come Lui.
Preparatosi in questa guisa, di mano di Monsignor
Granier ricevette il presbiterato, ed il 21 dicembre
(1593) ebbe la ineffabile gioia di celebrare la sua prima
Messa. (1) Aveva 26 anni e 4 mesi. Non mi provo qui
a ridire quello che sentisse in cuor suo quando la
mano del Vescovo lo consacrò Sacerdote ! Che il cuore
e i a mente sua fossero rapiti a santissimi affetti e su-
blimi considerazioni, ben si vide al suo contegno di
uomo quasi sollevato sopra le cose terrene. I circo^
stanti n'erano ammirati, il Vescovo lagrimava; e il
Sacramento ricevuto in tal guisa, visibilmente parve
operare i meravigliosi effetti che la Sacra Scrittura
racconta essersi veduti nelle prime Ordinazioni fatte
dagli Apostoli, se non nel comunicare i doni delle lin-
gue e de' miracoli, almeno nella interna trasformazione
(1) Ricevette tutti gli ordi,ni e celebrò la sua prima Messa
nella Cattedrale di Annecy, dove conservasi tuttora un'iscrizione
commemorativa, che dice precisamente così: — Dans cette église
St Francois de Sales fut installò Prévòt du chapitre de Genève
le 26 mai 1593; re^ut les ordres mineurs le 8 juin; re?ut'le
Sous-diaconat le 12 juin; fut ordonné Diacre le 18 septembre;
fut ordonné Prètre le 18 décembre; célébra sa première Messele
21 décembre; prècha et confessa pendant 29 ans, de 1593 à 1622.

10.10 Page 100

▲back to top


dolcezza dei modi, la pazienza, e quel che meglio va-
leva, la saviezza delle sue parole e de' suoi consigli,
che in breve non v'era quasi più persona, che si stimas-
se contenta del fatto suo, se da lui non si confessava.
Quante anime ricondusse egli allora sulla retta via !
quante ve ne confermò ! quante ne fece avanzare nella
perfezione! Ma ciò che operava i portenti maggiori era
la
sua carita. Vedendo che alcuno, indisposto di persona
o cecuziente, andasse a tentone, o a fatica si trascinasse
per la chiesa, andavagli incontro, porgevagli il brac-
cio, sostènevalo, e con paterna amorevolezza lo condu-
ceva egli stesso al confessionale. Que' meschini, a tanta
bontà e cortesia, si sentivano come a riavere da morte
a vita, e, com'è naturale, davano mano a raccontare
le loro miserie corporali più che le spirituali, facendo
a fidanza con chi mostrava di pigliare tanta parte ai
loro patimenti. Francesco li lasciava dire e sfogarsi; poi.,
con un'inalterata dolcezza, rispondendo punto per pun-
to,
sapeva con sì discreta mano dar loro soddisfazione
e conforto, che li rimandava intieramente consolati.
Pei peccatori e pei miseri perduti, ancor più che
per gli altri, non solo avrebbe lasciato cibo e riposo,
non solo sarebbe stato tutto il giorno in confessionale,
ma avrebbe dato se stesso. Si fece fare un confessio-
nale presso alla porta della chiesa, ed interrogato per
qual ragione si fosse scelto quel luogo, mentre in
chiesa ve n'erano tanti altri più comodi e più degni,
rispose: « E h ! non sapete che il pastore deve sem-
pre essere pronto a ricevere le pecorelle che tornano
all'ovile ? perciò il suo posto ha da essere presso la
porta. »
Trovava il suo maggior gusto nell'essere occupato
coi malati più fetidi, cogli idioti, coi più rozzi conta-
dini, Il biografo della sua vita, Carlo Augusto di Sales,

11 Pages 101-110

▲back to top


11.1 Page 101

▲back to top


200 —
ha persin cura di farci notare, che soventi volte pre-
stava il suo pulito fazzoletto da naso ai poveri peni-
tenti che piangevano per la gran contrizione, perchè
potessero asciugarsi le lagrime.
Anche suo ''padre, e poi gli altri tutti di sua fami-
glia lo vollero a direttore della coscienza, ed era cosa
ben edificante vedere il signore di Sales, ogni quindici
giorni, ó almeno ogni mese, prostrarsi ai piedi del suo
santo figliuolo, chiedergli l'assoluzione dei propri pec-
cati, e poi accostarsi alla sacra Mensa, e dalle sue
mani ricevere la santissima Eucarestia !
Amava anche percorrere i casali circonvicini alla
città, che pur dipendevano dalla sua parrocchia, per
istruire nella santa legge di Dio quella porzione del
gregge di Gesù Cristo, che vive d'ordinario in una
profonda ignoranza de' propri doveri; la sua pietà, il
suo disinteresse, la sua carità pei malati e pei poveri,
lo rendevano caro ovunque passasse, e gli attraevano
la fiducia del popolo. Quei poveri contadini, la cui
rozzezza riesce ributtante alle anime comuni, ei li te-
neva quasi suoi figliuoli, viveva con essi come loro
padre, compativa ai loro bisogni, e li aiutava anche
con mezzi materiali quanto poteva.
Ma niente, meglio della sua dolcezza inalterabile,
gli guadagnava i cuori. Già allora era divenuto e si
dimostrava il più mansueto degli uomini. Per ottenere
questa virtù aveva preso fin da fanciullo mezzi ener-
gici, e specialmente s'era prefissa una continua vigi-
lanza sopra se stesso, ed il silenzio quando temeva chq
qualche parola aspra potesse sfuggirgli. « Il più gran
rimedio che io conosca contro gli improvvisi movimenti,
dell'impazienza, diceva egli, è un silenzio dolce e senza
fiele. Per poche parole che si dicano, l'amor proprio
vi s'introduce, e sfuggono cose che gettano il cuore
— 201 —
in amarezza per ventiquatt'ore. Quando si sta silenziosi
e si sorride di buon cuore, il temporale passa ; si sof-
foca la collera e l'indignazione, e si gusta una gioia
pura e durevole. »
L a sua predicazione. — Aveva già cominciato a
predicare, per espresso comando del suo Vescovo, ap-
pena fu suddiacono, continuò a predicare mentre era
diacono, ed ora, appena ricevuto il sacerdozio rico-
minciò con maggior lena, e non lasciò più questo
ministero di annunziare la parola di Dio, fino agli
ultimi suoi giorni. Nella predica che fece la sera me-
desima della sua ordinazione al sacerdozio dimostrò
tanta unzione e calore, che subito fu proclamato come
predicatore insigne, e da tutte parti gli piovevano inviti
e preghiere di prediche. E d egli, che avrebbe voluto
essere tutto a tutti, accettava amorevolmente gl'inviti
di dovunque venissero e preferiva i poveri villaggi
circonvicini, bisognosi di aiuto e di istruzione, perchè
ordinariamente trascurati a cagione della loro povertà
ed idiotaggine ;I ed a chi gliene faceva rimprovero, J
dicendo che si logorerebbe la sanità, rispondeva grazio- |
samente costargli più al cuore dare un rifiuto che fare 1
un discorso. ^
Anche suo padre s'incensieri al vederlo predicare
continuamente, e un bel dì avutolo a sè dolcemente lo
rimproverò. « Io, scrisse Francesco stesso, avevo il mi-
gliore dei padri ; ma- avendo egli passato gran parte
della sua vita alla corte od alla guerra, si intendeva
di queste cose assai meglio che di teologia. Sentendo
dare il segno della predica, domandava: Chi predica?
Gli si rispondeva : Chi può essere se non il Pre-
vosto, vostro figliuolo? Un giorno chiamommi a sè e
ini disse: — Prevosto, tu predichi troppo spesso;

11.2 Page 102

▲back to top


202
anche nei dì feriali sento suonare a predica, e sempre
mi si dice : predica il Prevosto, predica il Prevosto.
A ' miei tempi non si costumava così; si predicava
molto più di rado : ma, e che prediche si facevano !
Dio lo sa ; erano prediche piene di dottrina e ben stu-
diate ; si dicevano cose meravigliose ; si recitavano più
testi lati,ni e greci in una predica, che tu in dieci. Tutti
n'erano stupiti ed edificati... Tu invece predichi sempre,
e troppo alla b u o n a ; tu non ti fai gran fatto onore.
—. Così parlava mio padre, come la pensava, secondo
i principi cpn cui era stato educato. Ma i principi
evangelici sono ben differenti : Gesù Cristo e gli A p o -
stoli predicavano continuamente. » E termina questo
episodio con dire : « Credetemi, non si predica mai ab-
bastanza: nè mai sarà detto e ripetuto troppo, ciò che
non si sa mai troppo. » Continuò pertanto a predicare
secondo che portava il suo zelo.
Nè s'ha da credere che predicasse alla buona, come
suo padre indicava. Le sue prediche non erano ricer-
cate, no, ma piene di unzione e di dottrina, in modo
che convertiva i peccatori e scuoteva gli eretici tal-
mente, che non sapevano più che dirsi. Nella prima
predica che fece, essendo ancora suddiacono, parlando
del SS. Sacramento, aveva stretto talmente i Calvinisti
venuti ad ascoltarlo, che non poterono più oltre so-
stenere» i loro errori : fece vedere sì chiaramente la
manifesta contraddizione loro, i quali da una parte
pretendono che la Sacra Scrittura sia perfettamente
chiara, e dall'altra non possono accordarsi sul senso
che conviene darle, che il barone di Avully, principale
appoggio del calvinismo nel Chiablese, ricevette da quel
discorso il primo incitamento per far ritorno alla vera
Chiesa. Così avvenne di altri eretici. I genitori di Fran-
cesco, presenti, all'udirlo piangevano di consolazione,
— 203 —
c dopo la predica gran numero di persone andarono
a congratularsi con loro per avere un figlio sì compito
e sì eloquente. Il buon vescovo era ammirato più che
tutti e volgendosi verso i canonici e i principali della
città diceva entusiasmato: « E g l i è mio figlio! che ve
ne sembra di mio figlio? Non ha egli detto jn modo
meraviglioso cose meravigliose? Certo noi abbiamo un
apostolo novello; egli è potente in parole ed in opere. »
Infatti egli possedeva tutte le doti richieste a ben
riuscire nell'ufficio di predicatore: un'aria grave e mo-
desta, una voce sonora e piacevole, un gesto vivo ed
animato, ma senza fasto e. senza ostentazione ; ed il più
importante si è, che egli parlava con unzione, da far
chiaramente apparire, versar egli sugli altri l'abbondanza
e la pienezza del suo cuore/Tutti si accorgevano che
egli era profondamente convinto di quanto diceva, e 1
.compariva palesemente a tutti, ohe studiava a' piedi del»
crocifisso. Egli invero era persuaso che un oratore sacro
non potrà mai far frutto se non è uomo di orazione.
. Tutte le sue occupazioni non gli facevano dimentica-
re lo studio delle scienze ecclesiastiche. Egli sapeva che j
il prete, depositario della legge divina è stabilito da,|
Dio per insegnare agli altri, e che perciò non solo deve,/
aver studiato prima di essere promosso al sacerdozio,j)
ma àncora dover studiare senza^posa nell'esercizio del
ministero medesimo, sia per non perdere le conoscenze
acquistate, che per aggiungerne sempre delle nuove.
Perciò anche in mezzo alle numerose e gravi occupa-
zioni si riservava ogni giorno un tempo notevole per
lo studio, che impiegava, il più delle volte, a leggere e
meditare la Somma Teologica di San Tommaso.
La confraternita di Santa Croce. — Lo zelo di
Francesco per la gloria di Dio e la salute delle anime

11.3 Page 103

▲back to top


— 204 —
non si fermava qui: si può dire, secondo- un'espres-
sione della Sacra Scrittura, che lo zelo della salute delle
anime lo divorava. Tutti i giorni trovava qualche
nuovo mezzo' per fare il bene. Intraprese fin da prin-
cipio, mentre era ancora suddiacono, a fondare una
compagnia di penitenti, sotto il titolo Confraternita di
Santa Croce, e, poco per volta, veniva perfezionandola.
Diede a codesta compagnia regole" così sapienti, che
molti si affrettarono ad abbracciarle. I confratelli si ob-
bligavano ad onorare il Santissimo Sacramento, acco-
standosi alla Comuni,one almeno ogni seconda domenica
del mese; ad avere come patrona la Madonna sotto il
titolo della sua Concezione; ad istruire gli ignoranti,
a consolare i malati ed i prigionieri, e ad evitare qua-
lunque lite. Tuttavia suo scopo principale era di fare
onorare la Croce, perchè giustamente considerò sempre
che, se questo glorioso segno della redenzione nostra
già ebbe la virtù di mutar faccia alla terra, ben poteva
averla tuttavia da rimediare ai guasti ed alle rovine
fatte dall'eresia in tante parti ed anche alla diocesi di
Ginevra. Aveva anche per scopo di ringraziare il Si-
gnore del modo con cui avevalo assicurato della sua
vocazione ; poiché sempre aveva in mente il miracoloso
segno della croce, che per tre volte consecutive aveva
fatto la spada col fodero quando tornava da Chambery,
siccome narrammo più sopra.
Il clero ed il popolo, il vescovo ed il capitolo, tutti
chieserb di far parte della confraternita, la quale in
breve, diffusasi in pressoché tutte le parrocchie della
Savoia, vi recò e mantenne la benedizione di Dio. -
' Pellegrinaggio ad Aix. — Considerando in se-
guito Francesco, che per dare slancio al bene, sia alla
popolazione della parrocchia, sia a quella di tutta là
— 205 —
diocesi, molto avrebbe conferito qualche pubblica so-
lennità o cosa straordinaria, escogitò di far eseguire
alla Confraternita della Santa Croce, a modo di pelle-
grinaggio, una grande processione ad Aix (ora Aix-
les-Bains), città non troppo distante da Annecy, dove
si venera una preziosa reliquia della Santa Croce, por-
tatavi dai luoghi santi della Palestina, da un signore
di Aix, tornando da una d'elle prime crociate.
Preparò con grandi fatiche ogni cosà, affinchè tutto
procedesse con ordine; stabilì il tempo e il modo di
fare detto pellegrinaggio, poi in grandissimo numero,
a piedi nudi, se ne partirono da Annecy il giorno 30
giugno 1594. Precedeva lo stendardo della Santa Croce,
si cantavano per via magnifici cantici, alternati con
preghiere vocali; ogni discorso individuale era inter-
detto. Anche la Confraternita, che ad esempio di quella
di Annecy erasi fondata in Chambery, ad un dato punto
si unì con quella che era guidata da Francesco, e rese
più solenne la funzione.
Gran numero di confessori furono occupati, tutto
il giorno dell'arrivo e la notte consecutiva, ad ascol-
tare le confessioni, perchè potessero fare tutti la santa
Comunione nel dì veniente, come infatti si fece, con
immensa divozione e con grande edificazione della
gente accorsa in gran copia, anche dai paesi e dalle
città vicine.
Francesco aveva potente fantasia, gli piacevano gli
slanci poetici ed i c^si che colpiscono l'immaginazione.
Caratteristico a questo proposito è l'episodio che fece'
succedere nel ritorno. Arrivato presso il castello del
barone di Cusy, fece riposare alquanto i pellegrini in
un folto bosco, ai piedi del colle su cui il'castello si
erigeva, poi rivolse loro queste parole, in cui aleggia
l'ascetismo ardente delle prime comunità orientali ;

11.4 Page 104

▲back to top


lab — .
« Fratelli miei, eccoci in mezzo a questa folta fore-
sta, tra le tenebre ed alle ombre di morte; usciamo,
ed andiamo al monte del Signore. Ma questo monte
qual è se non il Calvario ov'egli, salì carico della
croce? Noi abbiamo a seguirlo, avendo egli detto:
Chi non prende la sua croce camminando dietro a me
non è degno di me. Ecco davanti a noi delle .croci
fatte o facili a farsi ; prenda ciascuno la sua croce e la
porti sino alla sommità della collina e seguiamo in
spirito, colla meditazione, nostro Signore che sale al
Calvario. » E così fu fatto, ognuno formò coi rami
della forèsta la sua croce e la recò sulle spalle, cantando
fino alla vetta del colle, ove li aspettava (dice Carlo
Augusto) non le tribolazioni del Calvario, ma la glo-
ria del Tabor*», il festino dell'Agnello riservato a co-
loro che avranno valorosamente portata la propria
croce ; insomma una splendida cena preparata dalla
generosità del barone.
v
*
Questo pellegrinaggio produsse un risveglio straor-
dinario nella divozione in tutta la diocesi, e Francesco,
ottenuto copiosamente lo scopo che se ne prometteva,
ne die gloria al Signore, ed ogni giorno andava cer-
cando altri nuovi mezzi per iscuotere il torpore dei
fedeli, e far vedere la gran vitalità della Chiesa catto-
lica anche ai protestanti.
Incidenti dolorosi suscitati dal demonio. —
Appunto perchè egli era così virtuoso e zelante, e fa-
' ceva tanto bene in mezzo ai suoi parrocchiani, il de-
monio suscitò mille intoppi onde scoraggiarlo, e se
fosse stato possibile, fargli perdere la stima e la fidu-
cia che godeva universalmente.
Una certa signora, invasa dallo spirito impuro, fece
mille progetti per trovare modo di attirare il giovane
— 207 —
prevosto ad assecondare i suoi perversi desideri. Non
sapendo che altro congetturare andò per confessarsi
da lui e così gli espose i suoi divisamenti. Non si
turbò Francesco, e, come se non capisse di che si trat-
tasse, cercò di dirle .buone parole e farla rinsavire; ma
essa sempre più insisteva. Il buon prevosto non in-
tralasciò nulla per trarla al bene ; ma poi vedendo che
a nulla approdavano le sue parole persuasive, aper-
tamente la rimproverò mettendole avanti agli occhi i
terrori dei giudizi di Dio e dell'inferno. Quando essa
capì che nulla,vi era da sperare dal santo si mise a gridar
forte contro di lui, come se fosse egli che cercasse di
sedurla. Subito capirono i divoti che erano in chiesa di
che. cosa si trattasse, e presa la sciagurata a forza la por-
tarono fuori di chiesa, Essa si sentì talmente svergogna-
ta, che andossene e mai più lasciossi vedere in Annecy.
Certo Giacomo Balli, per cose di interesse tenendosi
da lui danneggiato, gli fece soffrire un vero calvario e
poi seppe talmente raggirare il vescovo, persuadendolo
che Francesco continuamente sparlava di Sua Eccel-
lenza, che il vescovo lo credette. Il Santo non seppe
nulla di questa calunnia e continuava col vescovo negli
stessi suoi modi ordinari; ma si stupiva vedendosi da
quello trattare con maggiore riservatezza ; poiché il
buon prelato, non osando dir nulla apertamente .al suo
prevosto, si limitò a trattarlo più freddamente, toglien-
dogli ogni confidenza. Ma in fine, quando venne a
conoscere essere calunnie quanto si era detto cóntro il '
servo di Dio, riparò generosamente, manifestandogli il
motivo della riservatezza che aveva avuto nel trattare
con lui, e gli chiese umilmente scusa d'aver per un
momento creduto ai suoi detrattori, e d'allora in poi
gli diede tutti i segni possibili di stima e lo amò anche
meglio di prima.

11.5 Page 105

▲back to top


Non solo Francesco non conservo risentimento con
chi l'aveva gravemente calunniato ; ma ebbe molto a
fare affinchè il vescovo, che era anche principe tempo-
rale, non infliggesse un solenne castigo a quel scellerato.
« Così' egli si faceva tutto a tutti, e conforme alla
massima che aveva continuamente in bocca e nel cuore :
« tutto ciò che non è per /' eternità altro non è che va-
nità, » si adoperò con ardore alla conversione dei pec-
catori e degli eretici, ed a mantenere nelle vie del
bene ' quelli che sempre si eran mostrati fedeli alla
santa legge di Dio. » (i)
__
CAPO II.
La missione nel Chiablese
affidata a Francesco.
Il- Chiablese. — Quantunque le cose narrate fin
qui della vita di S. Francesco di Sales siano grandi
assai, ciò nulla meno, quelle che siamo ora per raccon-
tare sono tali, che sembra tutta la precedente vita del
Santo non essere stata altro che uria preparazione per
eseguire queste. Chi non ha di fatto udito menzionare
Francesco come apostolo del Chiablese, cui egli di
protestante rifece intieramente cattolico!? Questa mis-
sione, considerata l'estrerna difficoltà dell'opera, l'età
di Francesco, il modo con cui l'eseguì, l'esito che ne
ottenne, è uno dei più mirabili eventi che siano mai
accaduti nella Chiesa di Dio. Ragione vuole pertanto,
(i) Dalla Bolla di Beatificsizione,
che essa sia qui presentata nella guisa che si possa
migliore.
^
Il Chiablese, che i latini chiamavano" Caballium, per
la grande quantità di, cavalli che i Romani vi nutri-
vano, onde servirsene nelle spedizioni contro i barbari
che scendevano dal settentrione, era un antico ducato
degli Allobrogi, facente parte della Savoia, confinante
al nord con la Svizzera. Era situato a mezzodì del
lago Lemano, ora anche detto lago di Ginevra; aveva
per capoluogo e sede dei tribunali la graziosa città
di Tonone, ben situata sulle rive del lago. Il paese
era irrigato copiosamente dalla Drance verso oriente,
dall'Arve verso occidente e da varii altri fiumicelli,
che tutti avevano poi foce nel lago: ha terreno fer-
tile e aria pura. Prima che il calvinismo lo depredasse
era diviso in 60 parrocchie e conteneva oltre 30.000
abitanti, tutti cattolici.
Da lungo tempo ubbidiva ai -duchi di Savoia, i
quali prima avevano sède in Chambery poi traspor-
tarono la loro capitale a Torino, dove risiedevano ai
tempi di S. Francesco.
%
Introduzione del Calvinismo nel Chiablese.
— Una continua esperienza dimostra che l'eresia,
dopo aver fatto ribellare gli animi alla legittima auto-
rità spirituale, li fa ancora ribellare all'autorità civile.
Niuna eresia può provare questa gravissima verità, più
che il protestantesimo. Le guerre intestine che tra-
volsero per circa due secoli, e lacerarono in sì mise-
randa guisa 1' Europa, e specialmente la Germania,
la Francia, l'Inghilterra e la Svizzera, ne sono ben
trista prova.
La Svizzera, che per tanti secoli era vissuta con
fama di nazione valorosa e felice, mutò subito aspetto
14 B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales.

11.6 Page 106

▲back to top


quando Zvinglio, e poi Calvino, portarono la divisione
tra i generosi suoi abitanti.
Fra le citta Svizzere che più imbaldanzirono contro
i cattolici, Ginevra tenne forse il primo luogo. Avendo
essa ricusato di ubbidire al suo vescovo ed al duca
di Savoia, i quali ne avevano la sovranità, s'era eretta
in republica, e, cacciatone il véscovo, era diventata il
centro del calvinismo. Il vescovo, poi, per disposizione
del Sommo Pontefice, trasportò la sua sede ad Annecy,
tenendo tuttavia sempre il titolo di Vescovo di Ginevra.
Levatisi quindi in superbia i ginevrini vollero di-
latare i confini del loro impero, ed essendosi loro
offerta buona occasione, essendo il duca di Savoia in
guerra col re di Francia, irruppero sulle contrade
della Savoia, s'impossessarono di tutto il Chiablese e
dei baliaggi, ossia provincie di Gex, di Ternier e di
Gaillard. Come avevano già fatto negli altri luoghi,
così fecero anche in questi paesi di fresco occupati. Con
fanatismo e incredibile audacia distrussero il culto catto-
lico, e tenendo l'usato stile dei rivoltosi e degli eretici,
che gridando libertà tiranneggiano a tutto potere, ,non
solo vietarono nelle terre conquistate ogni esercizio
di religione cattolica, ma vendettero o demolirono le
chiese, abbatterono croci e altari, lacerarono e spezza-
rono le sacre immagini, fusero campane, abbatterono
campanili, e cacciati via frati, monaché e i sacerdoti,
che non vollero apostatare, mandarono in luogo loro
dei così detti ministri evangelici, cioè uomini prezzolati
per spandere gli errori calvinisti e spargere odio con-
tro i cattolici.
'
i
Zelo dei duchi di Savoia per sradicarvelo. —
Stettero le cose in questi termini fino a che il valo-
roso duca Emanuele Filiberto, finite le guerre col re
I
di Francia, riacquistava quelle provincie che suo padre
aveva perdute. Disgraziatamente nel protocollo che
conchiudeva il trattato di pace, erasi dovuto inserire
come condizione espressa, che non si rimetterebbe in
quelle terre l'esercizio del culto cattolico, essendo stato
costretto il duca di accettare questo ingiusto patto at-
tese le circostanze dei tempi.. A ciò si aggiunge che gli
abitanti di questi paesi, avendo quasi tutti i loro com-
merci e le loro relazioni con la Svizzera, raggirati dai
ministri eretici mandati da Ginevra e da Berna, non
sapevano piegarsi al dominio del duca, messo loro in
mala vista dai protestanti ; e con frequenti congiure
e turbolenze mostravano, in ogni occasione possibile, il
loro astio contro Casa Savoia.
Ma nel 1589 i Bernesi, sotto'vari insulsi pretesti,
avendo invaso e saccheggiato di nuovo queste pro-
vincie, il duca di Savoia con mano forte vi ristabilì
il suo potere, cacciò i Bernesi, e nel trattato di pace
che stipulò con loro mise per clausola, che l'esercizio
della religione cattolica sarebbe da quel tempo stato
libero in tutte le provincie rioccupate.
Il buon principe, pio come valoroso, pensò subito
al modo pratico di riconvertire quei paesi al cattolici-
smo, persuaso com'era, che non sarebbe mai stato ben
ubbidito da cuori contaminati dall'eresia, mentre invece
di molto sarebbesi avvantaggiata la sua sicurtà qualora
fosse di nuovo introdotto il cattolicismo, attesa la na-
tura di questa fede,' che comanda di ubbidire alle po-
destà costituite, non solo per timore, ma altresì per
coscienza. Ben lungi tuttavia dal tenere il metodo
degli eretici, il quale in conclusione non è poi altro
che il metodo già seguito in antico dai Maomettani,
cioè di costringere con la prepotenza e con la forza
della spada ad abiurare la fede primitiva facendo loro

11.7 Page 107

▲back to top


abbracciare quella imposta, il duca, d'accordo col ve-
scovo, volle che quegli abitanti non fossero per niente
violentati,/ma con la istruzione e la persuasione fos-
sero attirati- alla conoscenza della verità e a riabbrac-
ciare il vero culto del Signore, che da circa sessan-
tanni era stato abolito dai calvinisti.
Francesco accetta la Missione del Chiablese.
— Collo scopo di riconvertire al catolicismo il Chia-
blese e le provincie fìnittime, il buon principe pregò
il vescovo a voler mandare colà alquanti sacerdoti,
zelanti e prudenti affinchè' a poco a poco, con l'istru-
zione e il buono esempio riconducessero quei popoli
alla cognizione ed alla pratica della vera religione. Lo
zelante vescovo, mons. Granier scelse a questo scopo,
con alcuni altri, lo zelandissimo parroco Francesco
Bochut. Egli andato a Tonone nel nome del duca, e
insediatosi nel castello sotto la protezione delle au-
torità savoiarde, vi trovò tanti ostacoli, che fin dalle
prime settimane dovette abbandonare l'ingrata terra
e salvarsi in patria dalle violenze degli eretici, i quali,
rinfocolati dai Ginevrini e dai Bernesi, si ribellarono
agli ordini del duca e ad ogni autorità, atterrarono
la rocca, e non solo costrinsero i missionari a fuggire,
ma intimidirono ogni buono e zelante sacerdote, in
guisa che il vescovo non sapeva più a chi affidare quel-
l'incarico; poiché il terrore che aveva invaso tutti per
la feroce intolleranza di quegli eretici, faceva rifiutare
i preti della diocesi di assumersi quell'impresa.
Ben sapeva il vescovo che l ' u o m o , da riuscire a
convertire l'intero Chiablese e province vicine non
mancava: Francesco era giudicato così acconcio, che
pareva mandato apposta da D i o ; ma come osare far-
gliene la proposta, mentre sapeva che i suoi parenti
— 213 —
vi erano avversissimi, e specialmente nel padre avrebbe
trovato gravissimi ostacoli al suo disegno ? Pur non-
dimeno, stando a cuore al vescovo la conversione di
quel paese, anzi parendogli che il mostrare di non
poterla eseguire non fosse degno nè di lui, nè del suo
clero in generale, pensò di ordinare le cose in modo,
che si avesse per ispontaneo effetto dello zelo di
Francesco, quello ch'egli tanto vivamente desiderava
ottenere da lui.
E tenne questo modo : adunò il consiglio diocesano,
in cui furono convocati i preti della diocesi, ed esposto
quello di cui si trattava, chiese se alcuno si volesse
mettere a tale opera, che sarebbe ridondata in tanta
gloria di Dio ed in salute di tante povere anime. Tutti
stavano mestamente raccolti in se stessi, ma ni uno fa-
ceva segno di offerirsi. Quand'ecco Francesco, vedendo
che nessuno si faceva avanti, s'alzò e disse con franca
voce : « Monsignore, se vuoi giudicate me buono a
questa missione, e vi degnate di affidarmela, io sono
apparecchiato ad ubidirvi ; anzi mi terrò felice di es-
sere l'eletto da voi, et in verbo tuo laxabo rete. » E
così detto venne subito a prostrarsi ai piedi di lui, per
ricevere la facoltà della missione. A questo atto di
tanta generosa prontezza d'animo e di propositi, tutta
l'assemblea visibilmente si commosse: e allora fu, che ,
l'esempio di Francesco, avendo inspirato coraggio ad
altri, vatii si offersero d'andargli compagni. Ma il ve-
scovo ed i più prudenti dell'assemblea giudicarono,
che, su quel primo principio dell'opera, due dovessero
bastare: e Francesco scelse fra tutti il suo già, menzio-
nato cugino il canonico Luigi di Sales.
Straordinaria opposizione del padre. — Ma l'im-
pedimento, che il vescovo aveva preveduto, fu ancora

11.8 Page 108

▲back to top


superiore a quello che s'immaginava, e tale da far
cedere qualunque animo, che non fosse l'adamantino
di Francesco. Il padre, appena saputo quello che era
passato nell'-assemblea diocesana, si sentì tutto smar-
rito, tenendo per fermo che il suo Francesco, andando
a quella missione, andasse incontro alla morte; per la
qual cosa, montato incontanente a cavallo, corse dal
suo castello ad Annecy, per impedire la partenza del
figlio. Cercò ogni mezzo d'intenerire Francesco mo-
strandogli il suo affetto, la sua vecchiezza di 72 anni,
la certezza della morte a cui si esponeva, le lacrime
della madre, la desolazione di tutta la Savoia; e ve-
dendo che non profittava, andò dal vescovo, pregò,
scongiurò, minacciò. Il vescovo piangeva e si mostrò
proclive a lasciar Francesco alle tenerezze del padre.
Solo Francesco stette fermo, non pianse; anzi,
quantunque commosso a quel nuovo spettacolo di suo
padre e del vescovo che lacrimavano per cagion sua,
ebbe tanta fortezza d'animo da dire, ma sempre con
molta reverenza e dolcezza, che il suo carattere di sa-
cerdote 1' obbligava ad imitare Gesù Cristo, ed usare
co' suoi parenti le parole che il divin Maestro disse a
Giuseppe ed a Maria quando si querelarono, che li
avesse abbandonati: « N o n sapete ch'io mi debbo
occupare delle cose del Padre mio Celeste ? »
Queste parole non valsero nell'animo del signor di
Sales, il quale anzi prese a rinnovare le sue preghiere
ed istanze, con tanto calore e con tanta passione nel-
l'animo, che il vescovo fu vinto e già in atto. di cede-
re. Allora Francesco, con un coraggio, che non po-
teva certo avere che sovranaturalmente, poiché Iddio
conforta sempre maravigliosamente chi destina a gran-
di imprese: « Monsignore, soggiunge con viva com-
mozione, tenete fermo. E che ? volete voi dunque
— 215 —
rendermi indegno del regno de' cieli? Ora'che ho posto
mano all'aratro, permettereste voi ch'io guardi addie-
tro per umani rispetti? »
Il vescovo, vedendo l'invitta sua costanza, rivoltosi
al signore di Sales, e portandogli l'esempio di S. Fran-
cesco d'Assisi, che lasciò persino gli abiti in mano del
padre per seguire la sua vocazione, e di Abramo, che
per eseguire il volere Dio si mostrò pronto a sacrifi-
care l'unico figliuolo, pregollo a non voler più a lungo
mettere impedimento, e resistere alla grand'opera cui
era per accingersi Francesco, A questa considerazione
di un padre pronto ad immolare lo stesso suo figlio,
l'afflitto genitore fu intenerito, e disse: « Io non preten-
do di resistere alla volontà di Dio, ma anche non mi dà
il cuore di essere omicida dello stesso mio figliuolo ;
anzi mi credo in dovere d'oppormi all'imprudente sua
risoluzione; del resto se è Dio che vuole così, vi pensi
lui, e faccia pure secondo la volontà sua. »
Francesco interpretò queste ultime parole del padre
come se quegli avessegli dato il tanto contrastato con-
senso; onde, gettandosegli ai piedi: « O padre mio,
fatemi la grazia non solo di non opporvi alla mia vo-
cazione, ma ancora di darmi la vostra benedizione. »
— « Figlio, disse allora il buon vecchio, io ho già rice-
vuta delle volte assai la tua benedizione, alla Messa,
al confessionale, alla predica ; Dio mi guardi dal darti
io mai maledizione o corporale o spirituale ; ma an-
cora sii certo, che per questa tua impresa mai non
avrai da me né benedizione, nè consenso. » Pronun-
ciate con ferma voce queste parole, prese commiato
dal vescovo, e senza più dir nulla a Francesco, se
ne partì.
Ma pure, non potendo in niuna guisa accomodar
l'animo a quella, ch'egli credeva tropo grande sven-

11.9 Page 109

▲back to top


2l6 —
tura della sua casa, andò lungo tempo meditando in
che guisa gli potesse venir fatto di rimuovere France-
sco da quel suo proposito; e alla fine si risolse di pro-
vare, se mai" per mano d'altri, potesse riuscire a quello,
che per sè non era giunto ad ottenere. Aveva egli
un grande e degno amico nel marchese di Lullin, uo-
mo di molta autorità e riputazione sì in paese come
appo il principe. Sperando che l'amata ed autorevole
voce di tale uomo avesse l'efficacia che non aveva
avuto la sua, gli significò la cosa per filo e per segno,
e poi lo pregò istantemente di volersi adoperare per
distrarre Francesco dal fatto divisamento d'andare a
farsi uccidere dagli eretici furibondi. Il degno, amico,
per soddisfarlo, partì immantinente e andò a Francesco.
Ma l'opera sua ebbe tal esito* che il buon signore
di Sales depose ogni speranza per sempre di tratte-
nere il figlio dal partire per quella missione* perchè* il
marchese, invece di restar vincitore, fu vinto. Le ra-
gioni ed i modi di Francesco fecero in lui tal effetto,
che, quando venne a dare ragguaglio dell'operato da
sè al buon amico, non si potè contenere dal dirgli:
« Io ho veduto nel vostro figliuolo un'ispirazione divina
così manifesta, che mi sarei recato a colpa il non con-
fermarlo anzi ne' suoi santi propositi. Troppo gran
ventura è la vostra, o amico, d'avere un figliuolo sì
caro al cielo; e siete troppo saggio e timorato di Dio,
per opporvi all'esecuzione d'un'opera, che ridonderà
a grandissima gloria del nome divino, a esaltazióne
della Chiesa, ad onore della Savoia, e della casa
vostra in particolare, più che non sarebbe se vi fossero
moltiplicate le onorificenze ed i titoli, per cui è già
così illustre. » Nemanco queste ragioni non valsero a
capacitare il buon vecchio, poiché esso vedeva le cose
gon altri occhi; onde bisognò a Francesco partire per
la missione senza il bramato consenso, nè la benedi-
zione del padre.
Partenza per la missione. — Calvino a Ginevra,
e dove si estese il calvinismo, distrusse col dogma
cattolico anche la gerarchia ecclesiastica, e per riuscire
nel suo intento di pseudo riforma aveva ecceduto gran-
demente fino a diventare disumano e crudele. I suoi
successori continuarono nell'intolleranza e nella crudeltà.
Era necessario che contro a questi metodi sorgesse un
uomo tutto mansueto e paziente, che iniziasse l'opera
con grande dolcezza e prudenza; e tale fu in sommo
grado il nostro Francesco.
Qui abbiamo sempre la stessa dura ed implacabile
ostinatezza d'un'eresia che si oppone come un enor-
me macigno contro la verità, a sgretolare il quale
occorre una calma e pazienza inesausta, attività, pru-
denza e coraggio non comune. Erano ormai sessantan-
ni che quelle provincie s'erano incallite nel calvinismo;
la generazione cattolica di prima era del tutto spenta
e la presente aveva veduto la luce quando già i mi-
nistri eretici erano in stato di possesso. Era proprio
neccessario un missionario come Francesco per riuscire
in modo stabile ad un'opera così difficile.
Deliberato di dar principio sollecitamente alla mis-
sione, Francesco, presosi a compagno il cugino Luigi,
il quale'per la dolcezza dell'indole, pel retto senno,
per lo svegliato ingegno, per l'erudizione teologica, e
pel bel modo di predicare eragli parso convenirgli sopra
ogni altro, partiva da Annecy alla volta del Chiablese,
il giorno 9 di settembre dell'anno 1594. Fermatisi al-
cuni giorni al castello di Sales per farvi un po' di
Esercizi spirituali, ed* una confessione generale di tutta
la loro vita, affine d'andare, dicevano, con l'umiltà più

11.10 Page 110

▲back to top


profonda e la purità più grande che loro fosse possi-
bile, a combattere contro la superbia e l'ostinazione
degli eretici, si rimisero in via il 14 settembre, giorno
dell'Esaltazione di santa Croce. Francesco aveva 27
anni: non eran trascorsi che nove mesi dacché era stato
iWL- 1
consacrato sacerdote.
Come fu bello il vedere allora que' due giovani
sacerdoti avviarsi ad impresa sì ma'legevole e perico-
losa, non mossi da promesse nè da speranza alcuna di
terreno vantaggio, anzi sicuri di incontrare contraddi-
zioni e patimenti, e forse la morte, pure partire al-
legri e contenti, a piedi, senza accompagnamento di
servi, con sol tanto di provviste, che bastasse loro a
sostenere per alcun tempo la vita ! Camminavano pre-
gando e cantando lodi sacre ed inni, avendo seco
loro tre soli libri, il Breviario, la sacra Bibbia, e l'opera
delle Controversie del padre Bellarmino ! Oh ! la carità
onde il loro animo era infiammato, la speranza del
bene che avrebbero fatto, lo zelo dell'onore e della
gloria di Dio che li spingeva, erano cose che non tutti
possono intendere, ma solo coloro a' quali Iddio, per
sommo favore, fa sentire quanto dolce egli sia con
quelli che veramente cercano Lui! Sì, Francesco e
Luigi, sebbene, secondo la prudenza mondana, andasse-
ro mal provveduti a compire la loro impresa, nondimeno
erano tanto lieti e contenti, quali mai non erano stati
in mezzo agli onori, agli agi, a' diletti della casa
paterna.
L'arrivo nel Chiablese. — Giunti ai confini del
Chiablese i due missionari si inginocchiarono, e bacia-
rono .riverenti la terra che dovevano d'allora in poi
inaffiare coi loro sudori, e fors'a'nco col loro sangue.
Fregarono caldissimamente Iddio che si degnasse di
benedirli, di benedire la loro entrata e il soggiorno
in quella contrada; di essere la loro guida e forza, di
mettere Egli nella loro bocca le parole di vita eterna,
e accendere nel loro cuore carità sì ardente, che non
si intiepidisse a qualunque contraddizione ed ostacolo.
Salutarono poscia riverentemente l'Angelo tutelare del
paese, e? « armati solo della spada della parola di Dio,
assalirono audacemente l'eresia di Calvino, che vi re-
gnava da tanti anni. » (1)
•(
. .. • y
CAPO III. •
f
,
1
Il primo anno di missione.
L a fortezza d'Allinges. — Entrarono pertanto
nel Chiablese pieni di confidenza in Dio, ma questa
confidenza non fa trascurare i mezzi umani; perciò
per prima cosa i due apostoli si recarono a" riverire
le autorità civili colà costituite e specialmente il ba-
rone di Hermance, che era il governatore della fortezza
d'Allinges, dove il duca aveva stabilito una compa-
gnia di soldati. Il forte trovasi alla sommità d'un pic-
colo monte, distaccato da tutti gli altri, da cui pote-
vasi dominare quasi tutto il Chiablese. Il governatore
era un generoso cattolico, amico della casa di Sales, e,
come molto conoscènte dei luoghi, potè dare ai nuovi
missionari avvisi importanti per la buona riuscita del
loro intento.
Dalla spianata del castello il barone fece loro ve-
dere tutto il paese sottostante ; ma, quale spettacolo !
(1) Parole della Bolla di Beatificazione,

12 Pages 111-120

▲back to top


12.1 Page 111

▲back to top


220
Non si vedeva quasi più chiesa o campanile : tutto era
stato atterrato dal furore degli eretici, e intorno in-
torno altro non si presentava all'occhio che rovine di
sacri edifìzi; « il baróne spiegava loro come i castelli
dei cattolici erano stati incendiati, i monasteri rovi-
nati, le chiese e i campanili atterrati; e come patiboli
fossero stati innalzati sulle pubbliche piazze invece
delle croci abbattute, pel che il cuore di Francesco fu
ripieno di compassione e di zelo per ripristinarvi il
divin culto.
Il barone spiegava ancor loro che avrebbero do-
vuto trattare con gente, se non perversa, rozza ed osti-
natissima nelle proprie opinioni, persuasa che arren-
dersi al cattolicismo voleva dire perdere i propri pri-
vilegi, arenare il loro commercio, poiché l'avevano
quasi tutto con Ginevra, Losanna e Berna, città ar-
rabbiatamente calviniste. Essere poi stata loro dipinta
la religione cattolica con colori così neri che l'abbo-
minavano al sommo: il Papa essere da loro tenuto
come l'Anticristo; i preti e i vescovi come tanti suoi
satelliti: essere la Messa tenuta come una pubblica
professione d'idolatria; esser perciò loro necessario
procedere con straordinaria precauzione e prudenza.
Tra le cose combinate col barone d'Hermance
v'era questa, che per allora non conveniva celebrare
la santa Messa nè in Tonone, nè hr altro villaggio elei
Chiablese, poiché ciò avrebbe irritato troppo gli ere-
tici, senza ottenere alcun buon frutto; che per ciò an-
dassero pure a predicare in Tonone e altrove, ma che
alla sera venissero sempre a dormire al castello. Insi-
steva su questo punto anche perchè temeva fondata-
mente, che se si fossero fermati a dormir fuori, gli
eretici avrebbero potuto far loro qualche brutto tiro,
ed anche, servendosi dell'oscurità, ucciderli.
. Jf 221 —
;i
Gli zelanti missionari s'arresero di buon grado a
questi suoi consigli, veqìendo che essi venivano ispi-
rati dalla vera prudenza, e tutte le sere facevano a
piedi i sei .od otto chiloitìetri che vi erano da Allinges
a Tonone e venivano a dormire alla fortezza per ri-
partirne il mattino seguente, dopo celebrata la santa
Messa.
f,
i\\
Prime fatiche. — Combinato pertanto le cose col
barone d'Hermance, Francesco incamminossi per pre-
dicare a Tonone e far qualche corserella nei paesi
vicini: si propose specialmente di vincere l'ostinatezza
di quei popoli con una continua preghiera e con una
pazienza e dolcezza straordinaria, adattandosi ai loro
usi e costumi. Camminava sempre a piedi e col ba-
stone in mano : vestiva con semplicità e senza affetta-
zione; fuori dalla fortezz'à non porrava la veste talare
troppo odiata da quegli abitanti, e correndo in quei
tempi il costume di portare la barba in pieno, i ca-
pelli corti e gli stivali ne' piedi, egli vi si adattò com-
pletamente,- sicché poco si distingueva nell'esteriore
dagli onesti cittadini del luogo.
Arrivato in Tonone anzitutto si presentò alle au-
torità locali, sebbene calviniste, espose semplicemente
le sue intenzioni e presentò le lettere del duca e del
governatore, harone d'Hermance, che comandavano
lo lasciassero predicare liberamente e lo difendessero in
caso di bisogno. Egli poi assicurò quei signori che non
farebbe pressione a nessuno, lascierebbe tutti in perfetta
libertà, solo avrebbe spiegate le verità cattoliche a co-
loro che volessero istruirsi in esse. Esteriormente fu
dalle dette autorità ben accolto, poiché avevano timore
del governatore ; ma di nascosto subito cercarono il
modo d'impedirne l'esecuzione.

12.2 Page 112

▲back to top


In Tonone vivevano sei o isette famiglie di catto-
lici, circa 14 persone in tutto<, la più parte stranieri,
quivi stabiliti per ragion dei Joro commerci, e che il
timore degli eretici, loro impediva di dimostrarsi aper-
tamente cattolici. Erano ancora rimaste in piedi alcune
chiese, sebben devastate e ^accheggiate di tutto; ma
siccome non aveva da celebrarvi Messa potevano servir-
gli; ottenne dal governatoj/e la piccola chiesa di S. Ip-
polito, ed in essa cercò di r/àdunare quei pochi cattolici.
Egli predicando a lor/> cercava di far anche inter-
venire qualche protestante ad ascoltarlo; ma siccome a
vera predica gli eretici non sarebbero intervenuti, egli
predicava a modo di conversazione, ed anche per le
vie e per le campagna non lasciava passare circostanza
favorevole che gli si' presentasse, senza cogliere il de-
stro per appiccare ragionamento con loro, parlando,
quasi sempre di cose comuni ; e con chiunque potesse
ragionava dei loro' negozi o di cose indifferenti, spe-
rando che coi bof modi, con la dolcezza e a viva forza
di cortesia, alla.fine avrebbe, se non altro, scemata negli
eretici l'avversione e la disistima pel sacerdote cattolico.
Sì egli come il suo'.compagno cercavano di predi-
care due o tre volte al giorno, in Tonone e nei paesi
vicini ; nè, per pochi che fossero gli uditori, lascia-
vano di predicare, nè mai si perdevano di coraggio.
E tanto avevano fede che Dio a suo tempo avrebbe
benedetta l'opera loro e rendutala feconda, che tene-
vano la conversione del Chiablese come opera già fatta.
Al vedere niun frutto corrispondere alle loro cure e
fatiche, non che smarrirsi d'animo, pigliavano anzi
motivo a confidare che Iddio, avendo infine riguardo
alla fiducia che avevano in Lui, ed al sacrificio che
essi facevano delle ' loro persone, li avrebbe poi con-
solati in qualche modo straordinario.
— 223 —
Invero Iddio preparava loro consolazioni, e molto
grandi ; ma, oh quanto dovettero aspettarle ! Quanti
travagli, quanti stenti, quante fatiche! Il paese tutto
era sotto il dominio di Satana ; e prima che il demo-
nio ceda, come a dire, i suoi diritti su di un luogo,
dove da gioito tempo domina da padrone assoluto, ne
fa degli sforzi! Ed i poveri missionari, che hanno da
trarre dalle sue male unghie un intero paese, ne hanno
da sopportare delle pene e delle fatiche ! Generalmente
non ci si riesce, che con lo spargimento del sangue.
Alle missioni possiamo applicare il detto della Sacra
Scrittura, che, sine sanguinis effusione non fit remissio;
che cioè non avviene, per lo più, la conversione d'una
intiera regione senza che si sparga del sangue. E si
deve tutto alla prudenza ed accortezza di Francesco,
e ad una specialissima protezione della divina Prov-
videnza, se il Chiablese ed i paesi limitrofi poterono
venir convertiti senza, spargimento di sangue.
Prime persecuzioni. — Appena i ministri pro--
testanti conobbero il fine per cui erano yenuti i due
sacerdoti cattolici, se ne tennero adontati; si raduna-
rono a consiglio e ne giurarono lo sterminio. Senza
troppe considerazioni si proposero di mettere in opera
tutti i mezzi leciti ed illeciti, che credessero opportuni,
non solo per imporre loro silenzio, ma per farli fuggire
incontanente. Già conoscevano per fama l'abilità del pre-
vosto della cattedrale d'Annecy., come conoscevano la
nobiltà e l'influenza della famiglia dei signori di Sales;
e questo li fece temere anche di più ; perciò credet-
tero necessario, per prima cosa, di screditarli avanti
alla popolazione con varie calunnie, e specialmente con
denunziarli come stregoni e maliardi seduttori, e per-
turbatori della pubblica quiete; e sparsero tra la gente

12.3 Page 113

▲back to top


sì vituperevoli cose sul fatto loro, che accesosi in o-
gnuno odio e furore, non solo non trovavasi chi vo-
lesse andare alle prediche, ma nemmeno chi si acco-
stasse o parlasse con essi. I quali perciò furono ridotti
a predicare a quei pochi cattolici che vi erano, e che
pure, vedendo la guerra mortale che dai protestanti
s'incominciava, non sempre osavano intervenirvi. Ciò
non ostante Francesco non lasciò mai di recarsi a To-
none ogni dì, sia per caldo o per freddo, sia per bèllo
o per cattivo tempo.
Queste non erano che il principio delle contraddi-
zioni che loro si apparecchiavano, poiché, i predicanti
eretici intimarono severissimi divieti, fecero minaccie,
ordirono insidie contro chiunque andasse ad udirli.
A tanta pervicace resistenza Luigi si sentì smarrir
l'animo, e diceva; « Che faremo noi in mezzo a gente
tanto avversa ai nostri disegni e sollevata contro di
noi, e pronta, sol che si porga loro il destro, di farci
pagar troppo caro il fio dell'ingiuria che crede da
noi le sia fatta? » — « Eppure, rispondeva Francesco,
questo è per me il tempo vero di star saldi alla prova :
stiamo costanti e vinceremo. Non è da maravigliare
della guerra che ci muovono i ministri protestanti;
mettiamoci nei loro panni; non è vero che strepite-
remmo anche noi se ci fosse tolto il pane di bocca ? E g l i
è naturale che se la piglino contro il nostro ministero !
Preghiamo Iddio per essi, e del resto procuriamo di
dar loro materia di far anche maggiori strepiti : finché
si contentano di gridare lasciamoli sfogare. »
La persecuzione dei ministri calvinisti continuò tanto
apertamente, che il padre, venutone a cognizione, mandò
immediatamente Giorgio Rolland con buoni cavalli per
ricondurre immediatamente indietro i due missionari.
Ma il Santo, incrollabile nella sua decisione, si limitò
ad inviare il cugino Luigi per cercar di calmare un
poco le inquietudini del padre, e intanto egli continuò
la sua missione.
Costanza e sofferenze. — Erano già passati varii
mesi dacché Francesco lavorava con tutta l'intensità
propria dei santi per la conversione del Chiablese, e
si direbbe che nulla ancora avesse ottenuto, in modo
da sembrare che perdesse il tempo e l'opera. Egli stesso
era maravigliato al vedere che tante fatiche riuscivano
così poco. Solo la sua umiltà e confidenza in Dio salvò
la missione del Chiablese. E c c o quanto «egli medesimo
scriveva: « Sarebbe una perdita di tempo per un altro,
che fosse abile a far maggior frutto altrove, impiegar
qui l'opera sua per nulla, come fo io, che fin ora non
fui buono che a predicare alle mura. Ecco il settimo
mese dacché cominciai a predicare, eppure non sono
ancora stato udito che da quattro o cinque Ugonotti,
(nome che davasi allora ordinariamente ai protestanti
Calvinisti) venuti alle mie prediche, e ben poche volte. »
« Eppure, pensava egli; è il Signore'che vuole questa
missione, non devo ritornarmene : chi la dura la vince;
Le grandi grazie del Signore alle volte bisogna strap-
p a r l e a forza di sacrifizi e di perseveranza. » Ogni altra
tempra si sarebbe piegata : quella di Francesco non si
piegò. La Sacra Scrittura parlando di Abramo dice
che egli sperò contro ogni speranza e che perciò fu fatto
padre di molte genti. L a medesima cosa dobbiamo dire
del nostro S. Francesco. Egli sperò nell'aiuto del Si-
gnore contro ogni speranza umana e così riuscì a
convertire tutto il Chiablese.
Continuò pertanto imperterrito con maravigliosa
costanza: nè per pioggia, nè per neve o ghiaccio o
venti intralasciava mai di recarsi da Alling'es a predi-
1 5 BARBERI,<5, Vita di S. Francesco di Sales.

12.4 Page 114

▲back to top


care a Tonone e nei paesi vicini; talmente che gli
stessi contadini più indurati alle fatiche ed avvezzi ai
disagi della vita stentata, non sapevano farsi capaci
come un giovane di signoril condizione potesse reggere
al peso di strapazzi, che sarebbero stati soverchi a
qualsiasi di loro. Eppure non l'erano al generoso mis-
sionario, il quale trai contrasti e i e contraddizioni, dei
nemici e delle stagioni pareva anzi diventare ogni dì
più animoso e sicuro.
Il freddo di questo primo inverno passato nella mis-
• sione fu eccezionalmente acutp; le strade già poco
buone nei tempi normali, erano tutto ghiaccio duris-
simo, che conglutinato coi sassi, e colle zolle di terra,
qua e là sporgenti, le rendevano pessime e il cam-
minare malagevole e pericoloso. Non potendosi perciò
Francesco più reggere sicuro su' suoi piedi, fece armare
le scarpe con ramponi, come usano appena i montanari
nell'inverno; e con tale calzatura seguitò la sua missio-
ne colla stessa perseveranza e prontezza come nella bella
stagione, aiutandosi ancora colle mani dove • i piedi
non bastavano a superare le asprezze delle strade e dei
sentieri montani. Ma il suo corpo non essendo alla
perfine di ferro, le mani ed i piedi gli si enfiarono tal-
mente per sformati geloni, che, essendosi aperti man-
davano sangue fino ad inzuppargliene le calze e a tin-
gere in rosso la neve e il cammino, ovunque passasse.
E Francesco non solo non si scoraggiava di questo,, ma
se ne rideva e andava soggiungendo : « sono frutti della
stagione; al più al più purgheranno il sangue e ci
guadagnerò nella salute. »
E come se tutte queste fatiche e sofferenze non
bastassero, sapendo che per ottenere grazie straordina-
rie dal Signore bisogna essere di animo generoso ed
adoperare anche mezzi straordinarii, durante quell'av-
vento (an. 1594) si pose a digiunare con tanta auste-
rità, che il vescovo, conosciuta la cosa, si vide obbli-
gato ad intervenire e a comandargli di aversi i dovuti
riguardi.
Gravi pericoli incorsi. — Anche in mezzo a tanti
patimenti Francesco adempiva il suo ministero con
modi tanto attraenti, che pareva impossibile gli eretici
non si arrendessero al prime/ incontro con lui : pazienza,
dolcezza, gentilezza, affabilità, cortesia a tutta prova
con tutti, erano cose d'ogni giorno. Quante volte, riu-
scitogli d'appiccar ragionamento con alcuno, durò anche
lunghe ore a discorrere di cose indifferenti, sempre
stando sull'avviso per trovare il destro di parlare di ciò
che troppo più gli importava! Quante volte or sotto
un pretesto, or sotto un altro s'introdusse nelle case,
studiandosi, con somma tolleranza dell'altrui durezza,
di condurre la conversazione in modo, che da' preve-
nuti animi degli eretici sgombrasse la stolta e maligna
opinione messavi dai ministri intorno ai cattolici, e
specialmente intorno a'sacerdoti ! Quante volte si bevve
in pace le vituperose ingiurie, i sanguinosi scherni, le
furiose minaccie ! Quante volte dopo aver faticato l'in-
tero dì, era costretto appettare la sera per ristorarsi, e
tutto immollato d'acqua, e malconcio pel cattivo tempo,
tra gli stridori d'un freddo acutissimo, non trovava
un'anima che lo raccogliesse in casa, o almeno gli vol-
gesse una buona parola ! Basti dire che per gli Ugo-
notti, era riputata opera accetta a Dio il contrariarlo,
perseguitarlo, cacciarlo via come un maliardo od uno
stregone.
Un dì si lasciò cogliere dalla notte in un villaggio
in un col cugino Luigi. Parendogli l'ora soverchia-
mente tarda per ritornare ad Allinges, deliberò di

12.5 Page 115

▲back to top


— 228 —
•f -,:
&
' • - ' ',S--
fermarsi colà, sperando che in qualche casa un po' di
ricovei'o l'avrebbe trovato. Bussò ad un uscio, non fu
inteso: picchiò ad un altro, fu ributtato; si presentò a
tutte le case supplicando di non essere lasciato col
campagno sulla via a gelare dal freddo : niuno si mosse
ad aprirgli. Luigi fremeva; Francesco con inalterabile
soavità: « Sta queto, disse, chè a me sovviene in buon
punto di un luogo, dove staremo da re. » Rifa un
pezzetto di via e si ferma dinanzi al forno del vii-
laggio: essendovi stato fuoco da poco tempo, ne con-
servava ancora calore bastevole a stirizzirli e a non
lasciarli morir di freddo; v'entrarono dunque, e ada-
giatisi come meglio poterono, vi passarono la notte.
Un altra volta (12 dicembre 1594) dopo aver con-
sumatOsil dì in un villaggio a predicare, partì alla sera
sul tardi, tutto solo, per tornarsene alla fortezza; ma
essendo lunga e disastrosa la via che doveva fare per
arrivarvi, si trovò nel cuore della notte in mezzo ad un
bosco, nel quale scorazzavano i lupi spinti dalla fame,
a- cercar preda. Temendo di questi, pensò di salire so-
pra un albero e quivi aspettare il domani. Non l'avesse
mai fatto! poiché rimase così intirizzito dal freddo, che,
già fatto immobile, vi sarebbe morto se alcuni terraz-
zani venuti di buon mattino a far legna in quei luoghi,
non l'avessero scorto, e, per compassione, trasportato
in un vicino tugurio, dove al caldo e mediante le do-
vute cure si fosse potuto riavere. Egli per guiderdone
predicò loro la vera fede, e seppe far la cosa in modo,
che se li cominciò ad amicare; e col tempo quelli si
convertirono e fecérsi buoni e fervorosi cattolici.
Un altro giorno nell'uscire di Tonone, mentre tor-
nava al castello, incontrò un calvinista,, che tocco dai
suoi buoni esempi e dalle pene incredibili che durava
ogni giorno, per la salute d'un popolo, fino allora, sì
f
poco riconoscente, lo scongiurava per l'amor di Dio
d'istruirlo sùbito nella religione cattolica. Francesco
cominciò tosto la sua istruzione, e rimase sì lungo
tempo col calvinista, che la notte lo sorprese in sul-
l'entrare d'una foresta che doveva attraversare^Intanto
diventò tanto io, che smarrì la strada, senza poter
più trovare il modo di rintracciarla* Per fortuna, er-
rando qua e là tra le tenebre, s'abbattè ad una fab-
brica diroccata. Era un rimasuglio di Chiesa, avanzato
al furor degli eretici^ quivi sgombrando alquanti rot-
tami si fece un giacilio, e stanco e rotto com'era della
persona, vi passò la notte. Ma la vista di quelle sacre
rovine lo commosse dal fondo dell'animo; e nel cupo
silenzio di quella solitudine present^fidoscgli molto più
vivo alla fantasia il pensiero degli immensi danni che
l'eresia fatto aveva in quelle infelici contrade, ne sentì
così viva passione al cuore, che non potendo dormire,
pregò quasi tutta la notte, sfogando col Signore la
piena degli affetti che gli agitavano il petto,
I sopramentovkti pericoli che Francesco correva
della vita, non erano già i maggiori ed i più gravi;
poiché, siccome accade nelle plebi, che, quando sono
stimolate ed aggirale dai furbi, sempre v'ha taluno
che pi^i degli altri s'infiamma nell'ira, e corre tosto a
rovinosi partiti, così, per le parole dei predicatori pro-
testanti, s'era in parecchi attizzato tal odio contro di
lui, che non tardò a prorompere in fatti iniquìssimi.
Era la notte dell'otto gennaio 1595 e Francesco usciva
di Tonone, quand'ecco, un cotale, da un agguato dove
s'era nascosto, gli appunta alla vita l'archibugio ; ma,
qual ne fosse la causa, il colpo non successe. Sdegnato,
corre avanti, ed in altri due luoghi ripetè l'iniquo at-
tentato; e per altre due volte l'archibugio non prese
fuoco. Maravigliato il vii sicario di questo fatto, e pur

12.6 Page 116

▲back to top


23° —
rodendosi di vedersi sfuggire la preda, si mise pochi
giorni dopo in altro agguato, con parecchi compagni;
ma, non si sa come, non lo trovarono; ed il fatto sta,
che niuno di quei miserabili potè torcere al santo mis-
sionario urw capello. Quello sciagurato si convertì poi,
e, fatto fervente cattolico, contò egli stesso la cosa, e
la depose con giuramento nel processo di Beatificazione
del Santo.
S u a fortezza d'animo. — Tanto furore e mal
animo non iscemava il c o r a g g i o di Francesco ; ma ben
gli era cagione di acerba pena ; perchè non gli pareva
possibile che un popolo mostrasse tanto odio verso una
religione tutta amore e tenerezza, religione chc porta
la felicità temporale ed eterna a chi la pratica; e pen-
sando che quegli abitanti rigettavano quella religione
per darsi in preda ad uomini barbari e crudeli, i quali
altro che male loro non avevano fatto, non finiva di
sfogarsene col Signore.
Alla notizia dei suddetti attentati, il comandante
della fortezza d'Allinges, avrebbe voluto che varii sol-
dati accompagnassero continuamente i missionarii, affin-
chè fatti simili non avessero più a ripetersi; ma Fran-
cesco non'li accettò, persuaso che poco.per volta la pa-
rola del Signore avrebbe finalmente avuto tanta forza da
spaccare i cuori più induriti e penetrare nelle menti più
riottose, e così si sarebbe fatta strada in quegli eretici.
Ma ben presto la notizia di questi attentati arriva-
rono anche alle orecchie del padre, del senatore Favre
e del vescovo, e; misero in costernazione tutta la Savoia,
che temeva da un momento all'altro d'aver la notizia
del massacro del santo missionario. Il padre gli scrisse
di nuovo dandogli ordine di tornare indietro ; gli fece
^nche scrivere ripetutamente dal senator Favre e ben
— 231 —
anche dal vescovo; egli tuttavia stette fermo nel pro-
posito di voler vincere con la pazienza e la carità tanta
ostinazione; e siccome il vescovo non gli comandava
di tornare indietro, poiché ad un comando di lui si
sarebbe subito arreso, ma solo lo esortava e gli conce-
deva di tornare, scrisse rispettosamente al padre e al
senatore essere persuaso, che il Signore gli darebbe la
grazia di convertire quella infelice popolazione. « Il Si-
gnore è con me, soggiungeva: egli mi aiutò finora:
egli continuerà ad aiutarmi. »
Come la popolazione del Chiablese vide il mirabile
sacerdote non solo non dar querela e non cercare ven-
detta, ma neppure darsene per avvisato, e che conti-
nuava, come se nulla fosse stato, nella sua impresa,
colla stessa generosità e costanza, cominciò ad aprire
gli occhi e dubitare della verità delle dicerie dei pre-
dicanti ugonòtti : facendo poi considerazione delle belle
qualità del sacerdote cattolico, della sua inalterabile
bontà e cortesia con tutti, e poi della generosità del
suo zelo, prese a tenerlo in alta considerazione, e pa-
recchi anche cominciarono a venirlo ad ascoltare.
Due cose tuttavia turbavano talvolta -l'anima di
Francesco. L a prima era il vedersi usare troppa cortesia
e riverenza da' suoi amici e conoscenti della Savoia, i
quali a udire le eroiche fatiche sue, lo lodavano fuor
misura, e al Saperne i pericoli corsi, quasi lo tenevano
quàl martire. L a seconda era il non potersi guada-
gnare colle proprie mani quel tanto che gli bisognava
per sostenere la vita. « Quando io predicava la fede
nel Chiablese, diceva poi ad una superiora della Visi-
tazione, molte volte ebbi a lagnarmi di me stesso, di
non saper fare qualche lavoro colle mie proprie mani,
a fine di procacciarmi, ad esempio di S. Paolo, col-
l'opera mia, il necessario alla vita; ma io non sono

12.7 Page 117

▲back to top


che un dappoco, buono a nulla, se non a rattopparmi
alquanto le vesti. »
Questo, che il nostro S. Francesco diceva esser
utile ad un missionario, il saper cioè esercitare qualche
arte, è una grande verità. Realmente in molti casi,
non solo questo torna di grande utilità alla persona
dei missionari, ma serve ancora mirabilmente al buon
esito delle stesse missioni. L'intendersi di agricoltura,
il saper fare da fabbro, da falegname, da sarto ecc.; il
conoscere il disegno, la musica, il suonare qualche stru-
mento ; l'aver qualche cognizione di medicina, di bo-
tanica, di fisica, di astronomia e simili, e persino il
saper fare giuochi piacevoli ai giovani ed al popolo,
alle volte sono espedienti tali per un missionario, che
possono essere il principio ed il mezzo di cui voglia
servirsi Iddio per convertire qualche anima ed anche
intiere tribù..
Scrive foglietti di controversia. — Intanto Fran-
cesco, cercando sempre nuovi mezzi di far progredire
la,missione, venne in pensiero, non forse con gli scritti
potesse ottenere quello che non poteva fare a parole:
si accorse esser questo un buon mezzo per far perve-
nire la verità fino a coloro che non osavano venire ad
ascoltarla dalla sua bocca; e si persuase che avrebbe
servito assai a levare dall'animo di molti l'impedimento
del rispetto umano. Deliberò pertanto di mettere in
carta brevi e facili scritture, nelle quali, con istile pia-
no ed acconcio a quella sorta di lettori, si contenesse
una esatta esposizione delle verità cattoliche, parte per
parte, ed una efficace confutazione degli errori e delle
obiezioni degli avversarli.
Ai 7 di gennaio 1595 mise mano all'opera. Stesa per-
tanto una prima scrittura, e copiatala in più esemplari,
233
la fe' spargere tra il popolo. Consegnò a questi fogli
volanti le verità della religione più necessarie a sapersi,
i punti più importanti e controversi; scoprì e confutò
in èssi le calunnie, ribattè le obiezioni contro la Chiesa,
smascherò 1' eresia. E poiché egli ben sapeva quanto
anche l'esterna veste contribuisse' alla riuscita, assai
curò la forma esteriore: il s-uo dire era sempre gramma-
ticalmente ben corretto, la frase sempre chiara, sem-
plice, precisa; la scioltezza del periodare e lo stile
sempre immaginoso, vivace, elegante.
Questi fogli, da lui fatti distribuire dovunque, gra-
tuitamente ed in larga copia, passando di mano in
mano, fecero il giro di quasi tutte le famiglie, tutti
essendo curiosi di vedere quello che sapesse scrivere.
L' effetto che se n'ebbe fu ottimo ; allora egli ne scrisse
altri e poi altri, e fece loro fare la via che ai primi.
Perchè potessero arrivare anche nelle mani di chi
non le avrebbe accettate dagli amici, egli lasciava, di
tanto in tanto, cadere alcuni fogli per le vie, i quali ve-
nivano anche essi raccolti e letti. Questo continuò per
tempo notevole, nè solo in Tonone ma anche nelle altre
città e paesi ; cosicché in breve questi fogli, deludendo i
propositi dei ministri protestanti, illuminavano le menti
e guidavano il popolo a conoscere con precisione le
verità cattoliche e lo disponevano ad abiurare l'eresia.
Trovando detti scritti ogni giorno migliore accoglien-
za nel pubblico, potè ottenere che venissero affissi qua e
là alle mura, e così si tolsero i pregiudizi di molti. I let-
tori restavano maravigliati al sentire che la dottrina della
Chiesa Cattolica era il buon senso e la moderazione
medesima, e che non ammetteva per nulla le enormità
che le imputavano i ministri ugonotti nelle loro predi-
che, i quali sempre ebbero ed hanno in costume di
spacciare contro i cattolici le più assurde menzogne.
?"
/JÈà

12.8 Page 118

▲back to top


Il libro delle Controversie. — Intanto accorgen-
dosi Francesco che il rimontare ogni sera alla fortezza
d'Allinges, come faceva da quasi un anno, gli faceva
perdere un tempo prezioso, accettò la profferta che gli
venne fatta da una vecchia signora cattolica, molto pia,
di alloggiare e dormire in Tonone, e di andare abi-
tualmente a celebrare la santa Messa in una cappella
più vicina, al di là della Drance, nel piccolo paese di
Marin. Sapeva che così si esponeva a maggiori pericoli,
ma ornai riputava necessaria la sua dimora stàbile in
Tonone, per sostenere il coraggio ai nuovi convertiti
e dare comodità a coloro che volendo parlargli di cose
di religione non potevano o non osavano farlo di giorno
e preferivano le ore della notte. Avvicinavasi anche
la quaresima e avrebbe potuto dar maggior sfogo al
suo zelo predicando con maggior comodità. Così anche
avrebbe potuto attendere con maggior agio alla com-
posizione dei foglietti in cui spiegava la religione cat-
tòlica e scioglieva le obiezioni degli avversarii.
Non è da credere che questi foglietti che France-
sco componeva e spargeva tra il popolo fossero scritti
alla leggera. I profondi studi da lui fatti del Diritto
e della Teologia t il suo grande ingegno, l'impegno serio
che metteva sempre in ogni cosa che intraprendeva
fecero sì che quei foglietti contenessero una dottrina
sodissima. Più tardi, radunati insieme e coordinati for-
marono un bel volume, che intitolò: Controversie. I
commissari» apostolici incaricati della causa della sua
Beatificazione, parlando di questo volume dicono : « che
gli Atanasii, gli Ambrosii, gli Agostini non hanno
sostenuto e difesa la fede più che Francesco; ed il
Breve Pontificio sul dottorato lo dice una completa
dimostrazione della fede cattolica, dove vi si ammira
un metodo eccellente, una logica irresistibile sia riguardo
— 235 —
i'
alla confutazione dell'eresia, sia relativamente alla di
mostrazione della verità cattolica, e specialmente in
c i ò che riguarda l'autorità, la supremazia di giuris-
dizione, e l'infallibilità del romano Pontefice. Egli
difese queste verità con tanta scienza e chiarezza che
sembra aver preludiato alle definizioni del Concilio
Vaticano. »
Questo libro non era solo utile a quei tempi, ma
giova assaissimo anche ora per chi vuole istruirsi un
po' profondamente nelle dottrine della religione cat-
tolica e specialmente per chi avesse a combattere con-
tro i protestanti. È un libro che io oso raccomandare
sia ai giovani che agli adulti, per consolidare la pro-
pria istruzione religiosa e per saper rispondere con
precisione a coloro i quali han sempre qualche cosa a
dire contro la religione e le sue pratiche. Qui si trove-
ranno rispóste solide ed appropriate, che fan chiudere
la bocca ai nemici della fede cattolica.
Curioso episodio tra i soldati della guarni-
gione. ;— Avevano i soldati della guarnigione d ' A l -
linges, preso, fin dal primo arrivo di Francesco in quei
luoghi, ad amarlo e venerarlo grandemente, sicché li
tenevano in conto di amico, anzi di padre. Di questa
buona disposizione traendo egli partito, aveva saputo
diportarsi con loro in guisa, che molti ne aveva già
ridotti a miglior condizione di vita cristiana, e degli
altri teneva ferma speranza, che sarebbero venuti dietro
l'esempio dei primi. Venuta pertanto la quaresima tenne
loro un corsp di prediche ; e le seppe adattare così
avvedutamentè al bisogno e alla natura loro, che tutti
l'ascoltavano molto volentieri. Ascoltarlo e sentirsi
quasi costretti ad andarsi a confessare, e stabilire ai
suoi piedi fermo proposito di vita più cristiana era la

12.9 Page 119

▲back to top


— 236 —
stessa cosa. Accaddero allora tra quei soldati parecchi
fatti che lo consolarono assai.
Avendo Francesco fatto la predica sulla nefandezza
del peccato, un soldato ne fu sì fortemente scosso, che
stava immerso in profonda tristezza; ma poi, andato
con gli altri a confessarsi da Francesco, gli aprì schiet-
tamente il cuore, non tacendogli che s'era fatto non
poca forza per decidersi a confessarsi, perchè, non sa-
peva neppur egli per qual ragione, ci provava grande
ripugnanza. « L a so ben io la ragione, gli disse Fran-
cesco; ed è che il nemico della nostra salute, vedendo
che eravate in procinto di spezzare le catene, colle
quali v ' h a tenuto suo schiavo finora, metteva tutta
l'arte di cui è maestro, per tagliarvi la via; ma questa
volta il colpo non gli verrà fatto, ve lo dico io, il colpo
non gli verrà fatto. » Apparecchiatolo bene lo confessò ;
e perchè vide che il povero uomo aveva il cuore spez-
zato da vivissimo dolore, per tutta penitenza gì'in-
giunse di recitare un Pater e un Ave • Maria. « Oh
padre, disse allora il buon penitente, ' mi volete voi
perdere, che mi date sì leggera penitenza per sì enormi
p e c c a t i ? » - « I o perdervi? Povero figliuolo! Oh no,
non voglio perdervi ; ma confidate nella divina mise-
ricordia e nei meriti di Gesù Cristo, che sono infini-
tamente più grandi dei vostri peccati.» - « Ma io ho
peccato e voglio farne la penitenza », soggiunse il sol-
dato. Alcune settimane appresso Francesco se lo vide
tornare avanti e dirgli che aveva ottenuto il suo con-
gedo, e andava a chiudersi nella Certosa per passarvi
il resto della sua vita.
Il frutto di questa missione non restò già solo ne'
soldati; poiché .questi, dicendo, ovunque andassero, le
più belle cose del santo missionario, aiutarono effica-
cemente a confermare negli animi di molti ch'egli fosse
— 237 —
un santo, e già più nessuno lo fuggiva quando lo in-
contrava per via, e molti appiccavano volontieri il di-
scorso con lui. E siccome questi soldati, per ufficio
loro, andavano spesso a Tonone, contribuirono effica-
cemente a far anche amare il Santo e la Chiesa catto-
lica in quella città, e le conversioni si rendevano 'sem-
pre meno difficili.
Incominciano le conversioni. — Attirati dalla luce
splendente della verità, e ancor più dalla luce splendi-
dissima delle virtù del Santo, ogni giorno qualche anima
veniva a gettarsi a' suoi piedi, domandando in grazia
di poter nelle sue mani abiurare l'eresia. Egli accoglieva
tutti con affetto proprio paterno e ciascuno partiva da
lui col cuore al sommo consolato.
Sempre continuava a tenere alle date ore un ser-
mone in chiesa; e sebbene l'uditorio non fosse alle volte,
che di sette od otto persone, e talvolta d'una vecchie-
rella sola, ciò nondimeno egli seguitava a predicare
,come avrebbe fatto al cospetto di qualunque fiorentis-
simo numero d'ascoltatori, fermo tenendolo in tale
straordinario proposito quel gran detto della S. Scrit-
tura, che ci assicura, la parola di Dio non cadere mai
invano. Diffatto un dì ne ebbe bellissima prova. Ri-
correndo la festa del glorioso protomartire S. Stefano,
si dispose di farvi sopra un apposito ragionamento. Non
vennero che sette persone; ma egli fece ugualmente
la sua predica e prese per tema il culto che si deve
prestare ai santi, e che loro è prestato dalla Chiesa
cattolica., Or bene, chi lo crederebbe? Fra quelle sette
persone v'era un tale, che aveva estremo bisogno di
sentire appunto quella predica. Era un procuratore di
Tonone, già convertito da Francesco alla fede catto-
lica; ma che, per dubbi sortigli in mente intorno al

12.10 Page 120

▲back to top


Rrf
-
-
vS):'/-^
culto dei santi, era per tornare all'eresia, ed in quella
predica fu confermato nel cattolicismo.
Scampa da grande pericolo. — Appunto perchè
cominciavano i buoni risultati, i ministri protestanti
infierirono sempre più. In una generale assemblea che
tennero: « Che facciamo noi? dicevan essi: ecco un
uomo che guadagna insensibilmente la stima del po-
polo; è considerato come un apostolo, e noi andiamo
ogni dì scapitando del nostro credito. Vorremo noi
aspettare ch'egli ci abbia ridotti a mendicare il pane,
e che abbia stabilito il papismo sulla rovina de' nostri
templi? Se noi lasciamo ch'egli termini ciò che ha co-
minciato, noi siamo perduti. » L a conclusione fu quella
del sinedrio di Caifasso, che bisognava tòrsi d' inanzi
quest'uomo. E di fatto la notte seguente, essendosi
Francesco, pel gran da fare che gli davano le conver-
sioni ch'erano cominciate, fermato a Tonone, si tentò
di ucciderlo ; ma siccome egli impiegava una parte
della notte a far orazione, era tuttavia svegliato, e udì
un rumore d'armi, e poscia quello di diverse persone
che parlavano a voce sforzatamente bassa. Compren-
dendo quel che era, si nascose immantinenti in un bu-
gigattolo ripostissimo. Appena nascosto la porta è
sforzata, e gli scherani entrano, emettendo alte grida
e lo cercano da per tutto. Non lo trovando s'imma-
ginarono ch'ei fosse andato a trovare qualche amma-
lato, e con gran rabbia del fallito colpo dovettero
ritirarsi.
Pellegrinaggio alla Madonna di Voiron. —
Verso questo tempo il canonico Luigi di Sales, per
mancanza assoluta di mezzi di sussistenza dovette la-
sciare il Chiablese, ma egli imperterrito continuò l'o
pera. Si può dire che pregava continuamente e ricor-
reva con gran fiducia al patrocinio della Beata Ver-
gine. Sapeva che Maria è proclamata dalla Chiesa il
grande aiuto dei Cristiani é debellatrice di tutte le
eresie; « Cunctas hereses sola interemisti in universo
mundo » ed in questo tempo si decise di fare un di voto
pellegrinaggio ad un suo già celebre Santuario, allora
per metà distrutto dagli eretici, posto in cima al monte
di Voiron, dedicato alla Visitazione della Beata Ver-
gine. Vi si trovò appunto il due luglio, festa patro-
nale del Santuario, e vi pregò con straordinario fervore..
Ma ecco che in breve si trovò circondato da un gran
numero di eretici, i quali pare fossero intervenuti colà
apposta per ucciderlo, essendo il luogo lontano da ogni
abitazione ; e fu tenuto da tutti come grazia miracolosa
della Madonna se potè sottrarsi delle loro mani.
Tutti questi replicati tentativi di assassinio non
bastarono a scoraggiarlo ; anzi egli vedeva in ciò una
disposizione secreta della divina Provvidenza per far
vedere a tutti, che se molte sono le tribolazioni dei
giusti, da tutte sa il Signore liberarli. In vero egli
ben s'accorgeva che il più era fatto, che le conver-
sioni erano cominciate, e che gli eccessi degli eretici
facevano il più gran male ai loro autori. Tant'è vero
che tutti ì benpesanti del Chiablese cominciavano a
dire, che se i predicanti di Tonone e di Ginevra fossero
sicuri della loro dottrina, non ricorrerebbero a simili
violenze, e si confermavano nella stima di Francesco.
Nuove industrie per ottenere conversioni. —-
La buona madre di Francesco vedendo che il marito
era sempre inflessibile riguardo al figlio, e che non gli
inandava nessun soccorso di provvigioni, sapendo che
trovavasi in bisogno, di nascosto mandavagli di tanto

13 Pages 121-130

▲back to top


13.1 Page 121

▲back to top


in tanto il necessario per mezzo del fido Giorgio Rol-
land, ed in fine ottenne anche dal marito di lasciar
questo buon servo presso Francesco a rendergli quei
servigi di cui tanto abbisognava. Questa fu anche dispo-
sizione provvidenziale perchè così, il Rolland divenne
il testimonio oculare delle mirabili geste del santo mis-
sionario, molte delle quali avremmo, per sua umiltà,
ignorate se Dio non avesse disposto questo modo per
trarle convenientemente alla luce, (i)
Fece anche di più la buona madre. Considerando
che Francesco doveva aver mestieri dL conforto allo
spirito non men che di provvisione pel corpo, trovò
maniera di mandare a visitarlo, ad insaputa del padre,
per ben tre volte, il fratello Luigi, e questa volta con
.Luigi anche l'altro fratello Bernardo, allora sui sedici
anni, il che, quanto gli tornasse caro, immaginatelo
voi, cari giovani, pensando al piacere che arrecherebbe
a voi, se foste come in esilio, la visita di due carissimi
fratelli che da molto non aveste più veduto.
Mentre pertanto Francesco stava conversando con
loro, essendo il suo pensiero sempre rivolto a cercare
qualche industria che servisse al bene della missione,
gli venne in mente un nuovo disegno. Compose una
disputa ossia un dialogo sui punti principali del cate-
chismo, e, prendi, disse a Bernardo e fa d'imparar bene
la parte di questo dialogo, che fin d'ora assegno a
te ; domani verrai a recitarla meco in Chiesa. Era il
( i ) Questo fido servitore, Giorgio Rolland, che aveva già
accompagnato Francesco a Parigi, a Padova e nel viaggio di
Roma, ed ora venne ad assisterlo nel Chiablese, più tardi ab-
bracciò lo stato ecclesiastico, e divenne anche canonico della ca-
tedrale di Annecy. Furono le sue testimonianze giurate, deposte
nel processo di Beatificazione, che fecero conoscere tanti fatti della
gioventù di Francesco, che senza lui flon si sarebbero forse mai
conosciuti.
— 241 —
16 luglio 1596. Fatta quindi correr voce che la ve-
niente sera vi sarebbe stato dialogo intorno alle verità
principali da credersi a dei doveri da osservarsi dal cri-
stiano, la gente, per la novità della cosa, corse in gran
numero ed ebbene diletto pari al vantaggio che tal
maniera d'istruire, quando è fatta a modo, non lascia
mai di recare.
Parla la Chiesa.— Ma qui conviene lasciar parlare
la Chiesa, che nella Bolla della Canonizzazione, con
brevi parole, ma scultorie, racconta le fatiche da lui
superate per la conversione del Chiablese: « Impossi-
bile è l'esprimere con quale ardore, con quale costanza,
con quale allegrezza, con quale ferma fiducia in Dio,
e con quale generosa carità verso il prossimo abbia
Francesco combattuto l'eresia e sottomessi quei popoli
al giogo della vera fede.
» Si racconta, che; dall'alto della fortezza d'Al-
linges, volgendo lo sguardo sulle vaste campagne
che la circondavano, e contemplando le deplorevoli
rovine, che la religione cattolica aveva sofferte per
opera dell'eresia, l'ardore del suo zelo si accendesse
in sì fatto modo, che gli fece mandare profondi so-
spiri, e non gli la-sciò trovar riposo, finché non si fu
recato a Tonone, capitale della provincia. Ivi avendo
innalzato la bandiera della verità, e facendosi tutto a
tutti, pervenne, per via d'istruzione e di pazienza, a
rialzare la religione abbattuta e ad atterrare, come un
altra Davide, la dominante empietà.
» Ma ciò che fu mirabile in lui si è, che in nes-
sun tempo ed in nessun luogo non disperò degli affari
della religione; sempre instancabile, gli ostacoli mai
non giunsero a sbigottirlo ; ed allorché non poteva vin-
cerli, trovava l'arte di evitarli o di eluderli.
1 6 — B A R B E R I S , Vita dì S. Francesco di Sales.

13.2 Page 122

▲back to top


» Comecché fatto segno alle calunnie e trattato ovun-
que come perturbatore della pubblica quiete, da se-
duttore dei popoli, da mago, tuttavolta nè il timore
dell'infamia, nè l'imboscate che gli tesero, nè i peri-
coli di morte ai quali fu esposto; poterono fargli in
alcun modo abbandonare il restauramento della fede
cattolica, che aveva intrapreso.
» Mai non si consigliò colla prudenza del secolo,
nè coli'umano rispetto: ma, memore del consiglio evan-
gelico, quando non poteva apertamente mostrare, e
rendere pubblica testimonianz'a alla vera fede, si riti-
rava, e per alcuni istanti sembrava sparire, per com-
parire poi di nuovo, dopo un poco di silenzio, e
combattere più valorosamente che mai contro l'eresia.
Frenava per un poco l'impulso del suo zelo riparan-
dosi in forni, in diroccati casolari, in tetre ed orride
foreste, ed in una profonda ghiacciaia, j v i si nascon-
deva come nel padiglione del Signore, per isfuggire
più facilmente alle insidie degli eretici, involandosi
ai loro sguardi.
» Da' quali nascondigli tornando, con sublime ma-
gnanimità, al combattimento, invano altri gli faceva
manifestamente vedere la sua vita essere in pericolo ;
egli se ne rideva, e ricusava di accettare i soldati che
gli venivano profferti in sua difesa, in guisa che pregato
dal barone d'Ermance, governatore del castello d' Al-
linges, a non uscir dal medesimo senza una* scorta,
rispose non abbisognarli altr'aiuto che quello dei santi
Angeli che la Provvidenza gli aveva dati.
» Siccome poi lo stesso comandante sosteneva, che
gli eretici dovevano essere domati colla forza, e j*li
mostrava i pezzi d'artiglieria e la guarnigione della
piazza, offerendogli di mettere tutto a sua disposizione
per reprimere quei perversi e ridurli a migliori sen-
— 243 —
timenti, Francesco" fece ben vedere l'alta stima che
faceva della divina parola, rispondendo, che non aveva
bisogno di macchine ove Dio permettesse di poter
annunziare la sua parola.
» Iddio non permise che sì ammirabile confidenza
restasse delusa, poiché lo salvò da numerosi e gran-
dissimi pericoli.
» Avendo il servo di Dio infinite volte così spe-
rimentata la celeste protezione, si diede a trattare gl'in-
teressi della religione anziché eseguire gli ordini del
padre, che gli comandava di provvedere alla sicurezza
della sua vita, esposta a continue insidie, e ritornar-
sene a casa, ove avrebbe potuto impiegarsi nel divino
servizio senza verun rischio, ed in riposo. Egli allora
per contrario diede opera a difendere la Chiesa con
più premura e zelo che mai. »
%
CAPO IV.
Secondo anno di missione.
Predica in piazza. — Continuando sempre ad esco-
gitare nuovi mezzi per far meglio progredire la mis-
sione, Francesco s'accorse che una delle maggiori diffi-
coltà per ottenere conversioni erano i pregiudizi, che
i ministri avevano sparso contro gli insegnamenti della
Chiesa cattolica, spacciando i più grossolani errori come
insegnati dai cattolici. Egli doveva spendere la mag-
gior parte del suo tempo a persuaderli che la Chiesa
di Roma non insegnava quegli spropositi.

13.3 Page 123

▲back to top


A v e v a già scritto i fogli delle Controversie per met-
tere riparo a questo male ; ma la gran maggioranza del
popolo non sapeva leggere: bisognava trovar modo di
istruire anche costoro. E d ecco che cosa lo zelo gli
suggerì. Un giorno di gran mercato, in cui convennero
a Tonone molti dai paesi circonvicini, si recò in mezzo
alla piazza del mercato, e montato sopra una cassa,
e ottenuto silenzio intorno a sè, predicò per due ore
di seguito, scagionando la Chiesa dagli errori che le
erano attribuiti, e fece qùesto con tanto fervore ed
eloquenza, che- poco per volta tutti, cessati i negozi,
lo ascoltarono in gran silenzio e produsse frutto ma-
raviglioso, poiché con questo .mezzo il popolo venne a
conoscere che tutte le cose che insegnavano i cattolici,
per lo meno erano ragionevoli, ed anche i più ostinati
partivano dicendo : « Il Signore ci aiuti a metterci dalla
parte buona. »
»
Propone una pubblica disputa. — Poco dopo si
decise di provare un nuovo spediente. S'avvisò che
una pubblica disputa, sostenuta co' suoi avversari, sa-
rebbe tornata di non poco giovamento. Sapeva egli,
che questa era cosa desiderata da molti, essendo le
cose già ridotte a tali- termini da poter farsi una-sì
coraggiosa proposta; poiché non era più solo qualche
popolano, e pur di nascosto, che si mostrasse inclinato
ad abbracciare la fede predicata da lui; ma molti, e
de' primi della città e dei contorni, che palesamente
dimostravano di voler abbandonare, quando che sia, la
settaprotestantica. Deliberò adunque di tentare la prova,
e mandò a significare ai ministri il suo divisamento,
proferendosi pronto a disputare da solo su qualunque
punto della religione, con quali e quanti ministri vo-
lessero presentarsi. Ma i ministri non acettarono, e
per coprire in qualche modo la loro vergogna^sparla-
vano di Francesco e dei cattolici, studiandosi di pro-
cacciar loro disprezzo. La gente però sapeva oggimai
che cosa pensare di quésti modi, che ora i ministri
tenevano, così contrari all'antica loro baldanza; e molti
fecero sapere ai ministri, che, se non accettavano la
disputa, essi non li avrebbero più creduti, e non sa-
rebbero più andati ad ascoltarli. A questa parata i
ministri si radunarono per cercare insieme come rispon-
dere; ma più che ingiurie contro i cattolici non sep-
pero dire;
Smacco dei ministri protestanti. — Il barone di
A v u l l y , uomo di grandissimo credito non pur nella
setta, ma in tutto il paese, il quale si trovava presente,
con gravi parole rinfacciò loro quella loro incredibile
codardia, che tanti insieme, ed un tempo sì baldanzosi,
non avessero%nÌmo da venire alle mani con un solo
e pur sì giovane avversario.
Questo signore di animo retto, che teneva le cose
di religione in quella considerazione che vuoisi, sebbene
calvinista, desiderava vivamente e sinceramente la dis-
puta, come quella che, a parer suo, avrebbe potuto
chiarir bene le cose. Fu giuocoforza che i ministri si
arrendessero all'autorità sua, e dissero di accettare; ma
quando, nel giorno stabilito, seppero che già era con-
corsa al luogo della disputa gran turba di popolo, si
sentirono venir meno il coraggio, e niuno di loro com-
parve.
Questa disfatta dei ministri fece loro gran danno ;
poiché non solo i pochi già convertiti si confermarono
nella fede abbracciata, ma in generale gli animi di tutti
ne furono vivamente commossi e pigliarono sospetto
delle proprie credenze. Prese adunque la gente ad

13.4 Page 124

▲back to top


— 246
accorrere in molto maggior numero alle prediche di
Francesco; e dalle prediche essendo spinta a parlargli
personalmente, per esser meglio istruita, ne avveniva
che le. conversioni succedevansi ogni dì più frequenti,
ed ormai richiedevano minor fatica in Francesco.
Episodio di una vecchia dama.- — Una vecchia
dama diedegli un bel che fare, prima di lasciarsi con-
durre al passo dell' abiura. Aveva costei letto molti
libri, e si credeva, nella sua albagia, d'essere poco meno
che un'arca di scienza; così che pretendeva di discor-
rere a punta di ragioni con Francesco. Ogni dì veniva
adunque da lui, e ogni dì ripetendo ad un dipresso
le medesime cose, vuotava un sacco d'argomenti, cre-
dendo con quelli, di doverne sgomentare non che Fran-
cesco, ma qualsivoglia altro dottore cattolico. Però
d'una cosa non sapeva farsi capace, ed era, come po-
tesse Francesco con quattro parole ridurre a zero tutte
le sue lunghe obbiezioni, e mettere la verità cattolica
in sì chiara luce, che era vano il far più contrasto
veruno, e finiva con dire: « Ma se le cose stanno così,
e' non c'è via di mezzo; o farsi cattolico, o confessare
di resistere alla verità conosciuta. » Alla fine una sola
difficoltà le faceva ostacolo, ed era il celibato dei sa-
cerdoti: questa era; a sua detta, una legge tirannica,
contraria alla natura e però intollerabile.
Anche su questo punto Francesco, con sodissime
ragioni, seppe far conoscere chiaramente esser questa
una,disposizione savissima, e di più esser dottrina
proveniente dagli Apostoli; ma non trovandosene essa
ancora al tutto persuasa : « Signora, le disse Francesco,
come non vedete, che se i sacerdoti cattolici avessero
famiglia, non potrebbero attendere agli uffizi del sacro
loro ministero? Io stesso, se fossi ammogliato e avessi
2 Al —
famiglia, coll'impiccio delle faccende domestiche, co-
me avrei avuto tempo di ricevere tante vostre visite,
ed agio di rispondere alle vostre difficoltà? » A questo
argomento la buona signora non ebbe più che opporre, '
e confessandosi vinta indi a pochi dì fece l'abiura.
-
*
Sempre nuove fatiche. — Il buon Dio non ab-
bandonò mai il suo servo Francesco, sebbene conti-
nuamente gli crescesse il lavoro. Ogni giorno dopo
aver celebrato Messa al di là della Dranza, tornava nel
Chiablese, percorreva i casolari ed i villaggiche s'incon-
travano per tornare a Tonone e tanto vi si affaticava,
che con frequenza le forze gli mancavano, e non poten-
done più era costretto dalla fatica e dallo sfinimento di
coricarsi per terra sotto qualche albero in pieno giorno,
per prendere qualche istante di riposo; ma tutto faceva
con calma imperturbabile. A conoscere il secreto di
questo intenso lavoro e di questa calma imperturbabile
ci aiuta egli stesso quando ce ne addita la sorgente
nell'alto e fervido sentimento della sua missione e nel-
l'ardente pietà dell'animo suo. « Senza dubbio, scrive
al cugino Luigi, le nostre teste son minacciate da sì
gravi mali che a stento troviamo un momento quieto
da consacrare alla pietà, della quale è però sì neces-
sario mantenere il sacro fuoco; ma ci basta uno sguar-
do a Gesù Cristo. Egli ha detto: quando sentirete
parlare di guerra non temete... Teniam fissi i nostri
occhi alla celeste patria e ricordiamoci che il profeta
Elia fu trasportato al cielo in mezzo a un turbine di
fuoco. » Ecco svelata l'anima dell'apostolo! L'immenso
lavoro, le contraddizioni, e le pene durissime esteriori
non erano considerate da lui se non come il carro
ardente per cui sarebbe salito dalla vita di quaggiù
alla gloriosa sede celeste,

13.5 Page 125

▲back to top


— 24$ —
Il passaggio della Drance su d'una trave. —
Anche in questo secondo anno di missione l'inverno
fu rigorosissimo, e perciò le difficoltà si accrebbero
ancora. Era necessario per andare da Tonone alla chie-
setta di Marin attraversare la Drance ; il ponte era an-
dato in rovina e non potè essere sostituito che da una
trave gettata da una riva all'altra; ed era su questa
trave che Francesco ogni giorno doveva passare, an-
dando e venendo, poiché non voleva mai lasciar di
celebrare la santa Messa ;- il ghiaccio e la neve ne ren-
devano difficillissimo il trànsito, per cui doveva, ogni
mattina, fatto prima il segno della croce, stendersi sulla
trave e camminando carponi, aiutandosi di mani e di
piedi strisciare sopra quel trave per non cadere nelle
sottostanti acque. Di guisa che il cardinal Sacchetti
riferendo sulla vita del Santo alla presenza del Sommo
Pontefice Alessandro VII, ne fece speciale recensione,
e bellamente descriveva al Papa l'eroico missionario al
quotidiano passaggio di detto fiume in quell'inverno.
Nuove conversioni. — Egli non confidava mai
nelle proprie forze : tutta la sua speranza la pose sem-
pre nella grazia di Dio. Continuamente pregava e fa-
ceva pregare ; e sopra tutto poneva continua attentis-
sima vigilanza di predicare più col fatto d'una santa
vita, che col ministero della parola. Quindi i mirabili
esempi che dava giornalmente di ogni più eletta virtù,
e specialmente come più necessaria al bisogno, di quella
sopraffina carità, che è la ben intesa gentilezza, la cor-
tesia, la dolcezza dei modi. Oh quant'era bello vederlo
farsi tutto a tutti, e rendere sempre ogni maniera di
servigio a chiunque glie ne chiedesse ! E quel che ap-
pariva più mirabile si era il saperlo rendere con tanta
cordialità e ilarità, che alla gente piaceva più il suo
— 249 —
bel modo che il servizio medesimo, poiché sapeva di-
portarsi in maniera the pareva-il servigio non fatto da
lui ad altri, ma dagli altri a luil
Sapendo di giurisprudenza, nella quale il vedemmo
ricevere con tanta lode la laurea, se ne valeva per, com-
porre le differenze e le liti di molti, che mettevano nelle
sue mani le loro controversie ; ed in questo aveva una
' grazia particolare, non solo in terminare le liti, ma an-
cora nel far sì, che si ponesse fine alle inimicizie, e si
stringessero i vincoli della concordia e della carità. A-
vendo anche qualche pratica della medicina non ischi-
vava d'usarne a bene dei poveri. In una parola, s'inge-,
gnava di servir tutti, badando che niuno servisse a
lui. Persino nel rattopparsi le^ vesti non pativa che
altri gli facesse quello che poteva far di sua mano.
Essendogli un dì entrato improvvisamente in camera
Un certo signore, trovollo che stava cucendo; del che
mostrandosi colui assai maravigliato : « Eh ! rispose
Francesco sorridendo, che male c'è egli a rimendar
quello che ho rotto io medesimo? » Questo fatto, di-
ceva poi quel gentiluomo, aver giovato meglio di molti
argomenti a tenerlo saldo nella fede.
Quést'è l'arte onde si valeva Francesco per con-
vertire i popoli del Chiablese, la carità ed il buon
esempio ; arte in vero potentissima e di sicuro effetto ;
poiché gli uomini, quando non siano, per forza di vizi
straordinari, usciti di lor natura, a lungo andare non
vi possono resistere, ma ne restano vinti. Così era della
popolazione del Chiablese, la quale, vedendo i meravi-
gliosi esempi del santo sacerdote cattolico, alla fine,
anche quelli che parevano più fermi all'avversione ed
abbonimento di tutto ciò che sapesse di catolicismo,
aprivano gli occhi alla luce e rientravano nella Chiesa.
Chi può dire l'ineffabile gioia che allora provava

13.6 Page 126

▲back to top


Francesco ? Egli piangeva di tenerezza, si stringeva al
seno que' suoi cari fratelli, ed offerendosi tutto al loro
servizio, s'adoperava che il loro ritorno alla casa del
padre fosse, come esser doveva, cosa tutta dolcezza
di pura e santa letizia.
Provvedeva del necessario, non solo quanto alla
vita dell'anima, ma eziandio quanto a quella del.corpo,
coloro che si convertivano essendo poveri, ed in questo
si faceva molto aiutare da vari caritatevoli signori, che
andavano a gara a soccorrere quei neofiti, ed in par-
ticolar modo da' suoi parenti, poiché vista la piega
felice che prendeva la missione, suo padre già più non
l'avversava, anzi accoglieva nel suo castello quanti mi-
serabili Francesco gli mandava.
Francesco in estasi. — Ai missionari cattolici noi
possiamo applicare molto bene il detto dei Salmi, dove
Davide asserisce, che andando, vanno e piangono,
ma nel ritorno, vengono con esultanza, portando di
grandi manipoli, (i) Si può dire, che per due anni
e più, Francesco di Sales fu come colui, che continua-
mente va in cerca di anime ; ma deve sempre cammi-
nare piangendo sulla durezza del cuore umano e sulla
malizia dei peccatori. Ma venne il tempo del ritorno
di quei popoli alla vera fede, ed allora i manipoli del-
l'esultazione furono consolantissimi ed abbondanti.
Scorrevano adunque i giorni ed i mesi di quella
missione, e Iddio che contemplava dall'alto il mara-
viglioso spettacolo d'ogni più eletta virtù che il suo
servo andava praticando, e contava ad una ad una,
non, che le fatiche, ma i sospiri e le lagrime che vi
( i ) Euntes ibant et flebant, venientes autem? venient cum
esultatione portantcg rr>anipulosJ$uos,
— z5i —
spargeva, volle dargli un conforto, uno di quelli che
superano tutti i conforti umani. Essendosi dovuto recare
ad Annecy per i bisogni della missione, nella ottava
del Corpus Domini, il 25 Maggio, mentre, prima del-
l'aurora stava raccolto in profonda meditazione davanti
al SS. Sacramento, sentì inondarsi l'anima di tal piena
d'affetti, straordinariamente dolci e soavi, che la na-
tura non potendo reggere, rapito in soavissima estasi,
svenne e stette un tempo notevole fuori dei sensi.
« Signore, disse poi quando si riebbe, Signore, mode-
rate la piena di tante grazie : Signore, allontanatevi
da me, che non sono capace di tanta dolcezza della
vostra grazia, e ne resto oppresso. » Così scrisse egli
di sua mano nelle memorie dove soleva pigliar nota
delle grazie che.Dio gli faceva, in modo privatissimo,
e solo per animarsi a ringraziare sempre più il Signore.
Questa grazia che abbiamo descritta produsse anche nel
suo corpo tale effetto, che tutto quel dì, a vederlo, pare-
va un serafino, tale era lo splendore che partiva dal suo
volto, specialmente quando celebrò la santa Messa e
fece la predica.
CAPO V.
»
Terzo anno di missione.
Conversione dell'avvocato Ponchet. — Tornando
a Tonone ricominciò', anche con maggior ardore le sue
fatiche apostoliche. Percorreva città e villaggi sempre
predicando, catechizzando, confortando; non davasi
riposo nè di giorno nè di notte per farsi tutto a tutti
e così ^attirare tutti a Cristo.
Fatiche così indefesse, zelo così ardente, carità così

13.7 Page 127

▲back to top


252
dolce ed attraente, ed anche fatti che avevano del mi-
racoloso finirono per riportare quell'effetto che era da
aspettarsi. Da pochi i convertiti crebbero a molti, dai
soli popolani e rozzi, che da prima si avvicinavano
alla fede cattolica, si passò ai dotti ed ai maggiorenti
di quelle terre. Godeva in paese bella fama di abilis-
simo giureconsulto, non meno che d'uomo integerrimo,
l'avvocato Pietro Ponchet. Il savio avvocato, che da
parecchie settimane conferiva di notte con Francesco in-
torno alla fede, già stava'in punto d'abbandonare per
sempre il calvinismo. Varii ostacoli però s'opponevano
alla sua conversione, tra i quali, oltre al rispetto umano,
eravi il timore di dover restare spogliato della propria
fortuna; ma Francesco lavorò tanto presso di lui, che
alla fine, restato vincitore dell'interna lotta tra lo spirito
e la carne lasciò da parte ogni mondana e materiale
considerazione, e generosamente fece l'abiura; anzi la
volle fare con solennità, in pubblico e alla presenza di
moltissimi testimonii.
Conversione del barone d'Avully. — Il sopra
mentovato barone di Avully, non potendo più soste-
nere l'interna lotta che lo teneva in angustie, s'era an-
ch'egli risoluto di avere privati colloqui con Francesco.
Questi lo accolse nel modo più cordiale e riverente;
fecegli vedere, che l'essersi così adontati i ministri
ugonotti, era effetto necessario- della regola protestan-
tica della libera interpretazione della S. Scrittura, non
rimediabile che col sistema cattolico, nel quale un'au-
torità suprema si pronunzia sul vero senso della di-
vina parola, e sugli articoli da credersi' da tutti. E
poco per volta chiarì talmente le idee di lui, e confutò
così efficacemente i suoi pregiudizi, che il barone do-
vette confessarsi vinto. ,
Questi diceva tuttavia poter provenire ciò dall es-
sere egli troppo cattivo combattitore: e chi sa, sog-
giungeva a se stesso, che a Ginevra o a Berna non si
trovi ministro che possa vincere Francesco? Scrisse
adunque ai più rinomanti ministri di Ginevra, invitan-
doli di rispondere ad alcuni suoi quesiti ; ma, per
quanto tempo loro si concedesse ad apparecchiar la
risposta, per quanti stimoli s'adoperasse per indurli
a distenderla, non fu veduta a venire : per la qual cosa
il barone, stanco ornai, si risolse alla fine di voltar
loro per sempre le spalle. Volle che tutto il paese
sapesse, e la stessa Ginevra, il giorno che egli doveva
fare la sua abiura, e dichiarò pubblicamente i motivi
della sua conversione. Radunò un gran numero di
nobili e ragguardevoli personaggi, ed alla presenza loro
e di gran folla di popolo accorso a Torino, dove erasi
espressamente recato, il giorno 4 Ottobre abiurò per
sempre l'eresia calvinista e si dichiarò seguace della fede
cattolica romana. Il medesimo giorno ricevette la santa
Comunione dal Nunzio Pontificio.
Il buon esempio del generoso barone non tardò a
produrre ottimi effetti; molti l'imitarono in breve, e
molti cominciarono a ben disporsi verso il cattolicismo,
e lo imitarono' poi col tempo ; tra gli altri fuvvi pure
un ministro protestante di nome Pietro Petit; tal che
si può dire che quella conversione sia stata il prin-
cipio di tempi più felici per la religione cattolica in
quei paesi, ed il primo colpo mortale all'eresia; onde
Francesco non si restò poi mai più di ringraziarne Id-
dio come di singolarissimo favore ; ed ogni anno il dì
4 ottobre ne faceva speciale commemorazione.
Congratulazioni generali. — La fama di queste
conversioni ben tosto si sparse per ogni dove, e portò

13.8 Page 128

▲back to top


ovunque la gioia e la speranza della prossima conver-j
sione dell'intero paese, e tutti applaudendo ne bene-
dicevano il Signore, ed anche molti si congratulavano
per lettere con Francesco. Il padre Possevino gli scrisse
una lettera consolantissima; il senatore Favre non fi-
niva di elogiarlo e comunicò la cosa a tutti i senatori.
Anche suo padre, assai consolato, gli scrisse lettere pie-
ne d'affetto e ló loda per avere resistito alle sue istanze
ed aver ascoltato le ispirazioni celesti : il vescovo gli
mandò mille felicitazioni e benedizioni e lo chiamava
« il suo baston pastorale per mezzo del quale le pe-
corelle smarrite erano condotte all'ovile. »
A Torino, il sovrano ne fu commosso, ed il Nun-
zio apostolico-trasmise la notizia al Sommo Pontefice
Clemente V i l i , il quale vivamente rallegrandosi, disse
molte bellissime cose in lode di Francesco e della sua
missione; e spedì al barone di Avully un particolar
Breve di congratulazione e di conforto a proseguire con
zelo sulla via della salute alla quale, per divina mise-
ricordia era stato chiamato.
Il vero stato della missione. — Godette Francesco
delle conversfoni che tuttodì avvenivano più copiose,
ma ciò non ostante non si illudeva; anzi vedeva chiaro
quanto ancora mancasse alla completa conversione del
Chiablese : vedeva la durezza della maggior parte dei
cuori che erano ancora da convertire ; perciò alla lettera
di congratulazione del vescovo, con tutta umiltà e ri-
verenza rispose, dandogli conto del vero stato della
missione. « Se Vostra Eccellenza, scriveva, desidera
conoscere gli ostacoli e le difficoltà che abbiamo trovato,
e tuttora troviamo, può leggerle nelle Epistole di san
Paolo. Non che io sia degno di essere paragonato a
questo santo apostolo; ma è solo per dire che il Si-
255
gnore molto bene sa valersi della stessa debolezza al
conseguimento della sua gloria. Noi facciamo qualche
passo avanti, ma solo alla guisa di quei malati, che,
nel lasciare le prime volte il letto, per lo perduto uso
delle gambe, non sanno essi stessi se siano più sani o
ammalati. Sì, davvero, monsignore, questa provincia
è paralitica, e solo la vostra pietà potrà ottenerle grazia
di guarigione, cosa che io non potrò meritare giammai,
poiché io non sono altro che un povero peccatore. »
Dal che si scorge, che, sebbene le conversioni co-
minciassero ad essere numerose, in complesso era ancora
assai piccolo il numero dei convertiti ; e Francesco
vedeva che le difficoltà da superarsi erano ancora molto
numerose e molto potenti: ma egli non si sgomentava,
convinto, come egli scriveva, « che non fosse perduto
il tempo che il mugnaio impiega per martellare la
sua macina. » E ciò non toglie che la speranza fosse,
nei buoni, grande, e che negli eretici il timore arrivasse
fino alla disperazione di poter ancora resistere alla
potenza dei mezzi, che tutti i giorni più efficaci Fran-
cesco opponeva.
Il ministro L a Faye. — Per diminuire l'impor-
tanza della conversione del barone di Avully i prote-
stanti fecero correr voce che Francesco, come maliardo,
l'aveva come ipnotizzato; e il ministro Là Faye, che,
dopo Beza, era tenuto come il più dotto in Ginevra,
tentò di persuadere il barone, che l'avevano ingannato,
e si offriva di andare a Tonone e dimostrare, in pre-
senza di lui e del suo seduttore, con prove più chiare
del giorno, che tutte le ragioni portate da Francesco
in favore della Chiesa romana erano futili e senza forza.
Il barone lo prese in parola e combinò con lui per la
sua venuta a Tonone, e intanto corse ad avvertire

13.9 Page 129

▲back to top


—1256
Francesco della visita d^l celebre ministro e della con-
ferenza che doveva esserne l'oggetto.
Il rumore di questo si sparse per tutto il Chiablese,
e gli eretici speravano di vedere ben tosto il papismo
confuso. Passarono molti giorni in questa attesa ; ma
il ministro non compariva. Allora Francesco si decise
d'andare egli stesso a Ginevra a tenere la detta con-
ferenza. Il barone con varii cattolici e molti eretici de-
cisero di accompagnarlo ed essere testimonii della dis-
puta. Immaginarsi la sorpresa del La Faye! ma non
gli era possibile dare in dietro senza rendersi la favola
del pubblico. La disputa ebbe luogo nella piazza Mo-
larci, la principale della città. Durò oltre tre ore; ma
alla fine il La Faye, non trovando mezzo di vincere
Francesco," fece un violentissimo atto di colera, lo col-
mò di ingiurie e se ne andò. Allora prese la parola il
barone facendo vedere all'assemblea, che alle buone
ragioni di Francesco il ministro non seppe rispondere
che con plateali ingiurie.
Questa splendida vittoria, riportata nel centro me-
desimo dell'eresia, ebbe grande importanza : tutti ornai
ammirarono nell'apostolo del Chiablese l'atleta invin-
cibile della verità : tutti ormai erano convinti della ve-
rità della fede cattolica e della insostenibilità dei prin-
cipii protestantici, che, se non si convertivano ancora
era per motivi loro particolari, ma non per mancanza
dei lumi necessarii.
Interessamento del duca per la riuscita della
missione. — Vedendo Francesco che le cose della
missione progredivano sempre di bene in meglio, cre-
dette necessario di scrivere al duca per domandare pronti
'aiuti, esponendo la speranza che con quelli avrebbe po-
tuto ottenersi l'intiera conversione del paese. « La
disposizione nella quale io vedo questo popolo, scriveva
il 19 marzo 1596, è tale che se in esecuzione della
santa intenzione di Vostra Altezza innalzeremo pronta-
mente la Chiesa a Tonone ed in qualche altro luogo, io
non dubito punto d'assicurare V. A . ch'ella vedrà in
pochi mesi la massa generale di tutto questo paese segui-
re la dottrina cattolica; poiché.nella città molti sono così
ben disposti, e gli altri tanto agitati nelle loro co-
scienze, che se loro si presenta l'occasione entreranno
infallibilmente nel porto della* salute che V. A . loro
desidera. Quanto al resto del paese son venuti depur
tati di dieci e dodici parrocchie a pregare che loro si
desse l'esercizio del culto cattolico, sicché il tempo è
venuto di veder Dio onorato e il desiderio di V . A.
compiuto. »
I duchi di Savoia, sebbene desiderosissimi di veder
ritornare il Chiablese al culto cattolico, essendo impe-
gnati in gravi guerre, non avevano potuto fino allora
aiutare come sarebbe stato neccessario Francesco nella
sua missione; ma ormai, terminate dette guerre, il duca
Carlo Emanuele I, vedendo il progresso straordinario
che il cattolicismo vi aveva fatto, si decise di coadiu-
varlo nel miglior modo possibile, e domandò al Santo
che cosa credesse più opportuno si dovesse fare per
ristabilirvi intieramente il culto cattolico. Rispose il
Santo stendendo una memoria, in cui faceva vedere
la neccessità di ristorare nei varii paesi le Chiese ro-
vinate, e di dare ai predicatori e ai parroci che il ve-
scovo manderebbe, gli assegni e gli stipendii che loro
convenissero, assegnando a loro quanto finora si dava
ai ministri protestanti.
In seguito il principe, per conoscere meglio le cose
e per potervi provvedere più efficacemente, credette
neccesario far venire Francesco a Torino, perchè potesse
— B A R B E R I S , Vita di S . Francesco
d
Sales.

13.10 Page 130

▲back to top


- 25S —
esporre nei particolari i bisogni e regolare le cose
tutte a viva voce.
Partenza per Torino. — Il passaggio del Gran
S. Bernando. — Partì adunque Francesco ai primi
di ottobre di quell'anno 1596 accompagnato dal suo
fedele Rolland, prendendo la via del Gran San Bernardo.
Ma quando era presso la cima del monte fu soprappreso
improvvisamente da un violento uragano, e da una raf-
fica tale di neve e impeto di vento, che non poteva
più vedere ne strada nè sentiero, mentre il freddo inten-
sissimo lo intirizzì in modo dà togliergli persino il re-
spiro, e per più, essendo sull'orlo di orribili precipizi,
si trovava in pericolò ogni momento di metter piede
in fallo e precipitarvi.
La Provvidenza si fece loro guida. Dopo un po' di
cammino, sempre all'incerto, scorgono finalmente l'o-
spizio del Gran S. Bernardo, eretto appunto a prò dei
viaggiatori pericolanti da San Bernardo di Mentone.
Rolland corre a battere a quejla porta ed i religiosi
accorsero con gran premura e carità in aiuto. France-
sco era assiderato, scolorito, più simile ad una statua
che ad un uomo vivente.
Le cure più caritatevoli, l'ospitalità più cordiale in
breve lo rimisero in forze. Volevano i buoni religiosi
farlo fermare a lungo, per paura succedessero altre raf-
fiche di neve e di vento; ma egli, appena fu in grado
di continuare il viaggio, si rimise in cammino, facendo
conoscere che affari molto importanti da trattarsi col.
duca per la salute delle anime lo richiedevano con
premura a Torino.
-
Tratta col duca gli interessi del Chiablese. —?
Il duca gli fece le accoglienze più lusinghiere, e avendo
convocato il suo consiglio privato, al quale fece anche
assistere il Nunzio del Papa, volle che il Santo apo-
stolo esponesse avanti a detta assemblea le misure che
egli credeva più proprie a prendersi per compire la
conversione di tutta quella regione. Francesco espose
più dettagliatamente le cose già espresse nella memoria
mandata prima, aggiungendo quanto credeva meglio
all'uopo; ma specialmente insistette sul punto di far
somministrare i mezzi, affinchè si potessero far le do-
yute riparazioni alle Chiese e alle case parrocchiali, e
perchè i parroci che si manderebbero potessero avere
il conveniente assegno. « È facile all'Altezza Vostra,
conchiudeva, far le cose da me accennate e più ancora.
L'indugiare può. essere di gran nocumento ; la vostra
provincia del Chiablese è paralitica e tutta in rovina;
tocca all'Altezza Vostra metterla in vita. »
Accolse con favore il principe le proposte di Fran-
cesco "e, avutolo altre volte in particolare collòquio, lo
assicurò che per parte sua avrebbe fatto tutto il
possibile per aiutarlo.
Francesco, animato da tanta cortesia, espose al duca
in varie riprese la convenienza di ordinare una compa-
gnia di soldati composta della gioventù del Chiablese ;
così sarebbe ovviato al danno ed ai pericoli dell'ozio,
in che giaceva una tanto fiorita gente e si sarebbe pro-
cacciato una forza da opporre, data l'occasione, al ne-
mico. Osservò di più, che istruendo i soldati nella fede
cattolica si sarebbe - aperta la via di far ritornare alla
vera credenza molte famiglie. Pregava il duca di ri-
mettere in vigore gli editti antichi, coi quali si esclu-
devano gli eretici dalle pubbliche cariche, rendendole
così ai cattolici, statine ingiustamente spogliati. Lo
pregava che fondasse in Tonone un collegio diretto da
Religiosi, qual mezzo validissimo per promuovere e di-

14 Pages 131-140

▲back to top


14.1 Page 131

▲back to top


— 26ò —
fendere strenuamente la fede. Che ordinasse in Annecy
una stamperia, destinata alla diffusione delle opere sane
ed ortodosse, e fondasse in Tonone una casa di miseri-
cordia, dove potesse vivere ed esercitare l'arte sua la
gente pratica delle cose meccaniche, e dove gli appren-
disti che avevano bisogno di esercitarsi in esse potes-
sero esserne istruiti, senza bisogno di andar ad appren-
derle a Ginevra o a Berna, con pericolo delle anime loro.
Il duca secondò quanto potè queste iniziative, ma
grande difficoltà fu trovata nel poter somministrare i
mezzi necessarii per la ristorazione delle Chiese e per
l'assegno ai parroci ; poiché, quando gli eretici si im-
possessarono di quelle terre, i beni appartenenti alle
Chiese erano stati assegnati ^i cavalieri di S. Maurizio
e Lazzaro, bensì con l'espressa condizione che li avreb-
bero restituiti quando il culto cattolico vi fosse stato
ristabilito; ma ora l'Ordine dei Cavalieri, o per sperpero
di quei beni medesimi, o per poterne godere più copio-
samente i frutti, non ostante i replicati ordini del duca,
sotto mille pretesti non si veniva mai all'esecuzione.
Tuttavia fin d'allora il duca, secondo il suggeri-
mento avutone da Francesco, ordinò al senatore Favre
di andare nel Chiablese, di convocare i cittadini di
Tonone, e, con dignità e fermezza, loro dichiarasse la
volontà sua, che nessuno ardisse attentare qualunque.
cosa che potesse ostacolare il pubblico e libero eserci-
zio del culto cattolico.
Celebra la santa Messa di Natale in Tonone. —
L'opera del Favre in Tonone ebbe ottimo effetto: gli
animi furono potentemente scossi e al ritorno di Fran-
cesco da Torino crebbero le conversioni in numero ve-
ramente consolànte ; di modo che egli credette veduto
il tempo di ristabilire nel Chiablese, apertamente, le
— 261 —
pratiche del culto " cattolico. Comprese che avrebbe
fatto grande effetto se, per la notte del santo Natale,
avesse potuto celebrare per la prima volta la Messa in
Tonone, ove era tanto desiderata da tutti i buoni. Si
mise dunque a preparare la «Chiesa di Sant'Ippolito e
provvedere gli arredi, e quanto occorreva alla solennità
di sì bella funzione.
Quando si seppe dagli Ugonotti che si preparava
l'occorrente per celebrare la Messa, si sollevarono e
pieni di collera protestarono che si sarebbero opposti,
se occorresse, anche con le armi; e, come tutti i vio-
lenti, dicendo conculcati i loro diritti, si credettero quasi
obbligati di impedire quella profanazione alla loro città.
Incredibile aberrazione d'una dottrina che si vanta di
essere liberale, impedendo colla forza di fare ciò che
non è secondo le loro viste!
Ma Francesco stette fermo nel sostenere i suoi di-
ritti, e fidato nell'aiuto di Dio, fece continuare i lavori
di preparazione. Tuttavia, da uomo prudente che era,
per non urtare troppo cogli eretici, che strepitavano or-
ribilmente ed erano per venire a vie di fatto con gli
operai che lavoravano pei preparativi, e coi cattolici
che li difendevano, non rifece l'altare in muratura .0 in
marmo, come avrebbe desiderato, ma si accontentò che
fosse di legno e come provvisorio; e seppe inoltre coi
suoi bei modi disarmare la loro collera, e con somma
consolazione sua e dei fedeli, la notte del santo Natale,
senza che sorgessero nuove difficoltà, potè offrire il
Divin Sacrificio e distribuire la santa Comunione a nu-
merosi fedeli, accorsi da tutte le parti.
Quella festa del Natale fu memorabile; a datare
da quell'epoca non si cessò più di celebrare la Messa
in questa Chiesa, dopo sessant'anni dacché si era ces-
sato il culto' pubblico nel Chiablese. Erano trascorsi
•!
'
\\*
*
"
t
'
-,
v'

14.2 Page 132

▲back to top


— 2Ó2
oltre due anni e nove mesi di inaudite fatiche di Fran-
cesco in quei paesi.
Le ceneri al cominciare della Quaresima. —
Non mancarono tuttavia altri pericoli. Pel principio della
quaresima dell'anno 1597 aveva il Santo apparecchiato
le sacre ceneri per segnare la fronte ai fedeli, come
di uso. Gli eretici, che prima neppure ci pensarono,
lasciarono fare ; ma come la funzione fu eseguita, in-
cominciarono a farsene beffe 1 e vituperare quella ceri-
monia con istolte parole, poi, cercando i ministri ogni
occasione di far guerra a Francesco, tennero questa
come occasione propizia a fare rumore contro di lui;
e soffiando nel fuoco, sempre vivo, dell'odio ugonotto
verso i cattolici, tanto fecero e dissero, che: sotto co-
lore che nella loro città si fosse commesso un imper-
donabile atto di superstizione, risolvettero di purgarla
di tante macchie, col dare a Francesco tale ammoni-
mento, che gli togliesse per sempre dal capo la voglia
di ripetere altre volte tale funzione.
Ecco pertanto, la mattina appresso, una folla di
popolo aspettarlo che uscisse di casa, per corrergli ad-
dosso e lapidarlo, o almeno come mentecatto chiuderlo
in una prigione; ma egli, conosciuto il pericolo, fu in
tempo a sottrarsi dalle loro mani, porsi al sicuro e
salvarsi dal loro furore.
Questi atti selvaggi non tolsero che egli seguitasse
nell'opera sua con imperturbato animo ; anzi pareva
che i pericoli gli accrescessero il coraggio. In vero ve-
diamo che tutta quella quaresima - non lasciò mai di
celebrare la santa Messa nella chiesa di S. Ippolito, di
predicare ogni giorno e di catechizzare i fanciulli e
gli adulti,
La Pasqua della guarnigione cattolica. — Una
consolazione dolcissima al suo cuore s'ebbe Francesco
in questo tempo. Essendo venuto di guarnigione a
Tonone il conte Martinengo colia sua compagnia di
soldati, tutti cattolici, vide con gran piacere che usa-
vano frequentemente alla Chiesa, e, perchè tempo di
quaresima, intervenivano alla predica. Crebbegli poi
anche la consolazione quando, venuto il tempo di far
Pasqua, tutti vollero confessarsi e ricevere la santa
Comunione dalle sue mani. Bellissimo esempio di mi-
litari, specialmente in quelle circostanze !
v
'
C
Smacco del ministro Yiret. — Ma il principale
ministro di Tonone, di nome Viret, vedendo la causa
del protestantesimo pressoché perduta, pensò dar nuo-
vi assalti atroci alla fede cattolica. Non avendo ragioni
dalla sua, contrapponeva ingiurie e schiamazzi, solite
armi degli eretici. Specialmente si mise a gridare ed
inveire contro la Messa, e scrisse un libello in cui la
diceva, una idolatria, un sacrilegio, e sosteneva che
essa era in contraddizione col simbolo apostolico, e
ben sì meravigliava che Tonone permettesse tale em-
pietà. Francesco, secondo il suo solito zelo, contrap-
pose arma ad arma, industrie ad industrie. Compose
pertanto un libretto: Considerazioni sovra il simbolo
degli Apostoli'„ facendo vedere che la S. Messa non
contraddiceva a nessuno degli articoli del Simbolo :
che anzi era in perfetta armonia ed analogia con tutti ;
per esempio, spiegando il primo articolo: Credo in Dio
Padre Onnipotente ecc. fa, tra le altre questa considera-
zione: « Dio è Dio in tutte le cose; ma nelle difficili fa
anche meglio vedere la sua potenza... Se la parola di
Dio ebbe virtù di far esistere cose che prima non erano,
quanto più la stessa parola deve aver forza per far che

14.3 Page 133

▲back to top


siano dove a lui piaccia quelle cose che già esistono, e
cambiarle in altre ! Potè porre in un luogo quello che
priman on v'era, perchè non potè fare altrettanto e met-
tere in parecchi luoghi quelle che già ne avevano uno? »
- Quando spiega l'articolo : Nacque da Maria Vergine,
osserva esclamando : « O mio Dio, perchè cercherassi
l'ordine naturale nel vostro corpo, che fu fatto fuori
d'ogni ordine naturale, e nacque da una vergine? Ma
se il vostro corpo, penetrando il seno verginale di Maria,
come un raggio di sole penetra un cristallo, e ne uscì
senza occupare spazio di luogo, troverassi egli incre-
dibile, che non ne occupi del pari nel SS. Sacramento? »
Il Viret si provò a confutare alcune espressioni di
questo libro, ma Francesco gli ricacciò in gola le sue
espressioni con una seconda scrittura. Non acquetan-
dosi il ministro protestante, Francesco con una terza
scrittura tal gli diede un'ultima e perentoria risposta,
che il povero ministro ebbe, con sua grande vergogna,
a confessarsi vinto.
•L'abiura di Pietro Fournier sindaco di To-
none. — Questo insigne personaggio già da qualche
tempo accarezzava il pensiero di abiurare il calvinismo,
e già si era istruito abbastanza bene nelle verità della
fede cattolica; ma dilazionava la sua abiura per ri-
spetti umani'. Ora, viste le viltà dei predicanti ugonotti
e quest'ultimo smacco del ministro Viret, senza più
venne da Francesco a pregarlo che finisse di istruirlo
e poi ricevesse la sua abiura.
, Quando Francesco lo vide ben preparato e deciso,
credette conveniente dar molta solennità e pubblicità a
questa conversione; ne annunziò la funzione vari giorni
prima, convocò il maggior numero di persone che potè,
Jpece preparare ogni cosa in modo che risplendesse la
••
- — 265 —
\\ ;;
maggior pompa possibile; ed al mattino stabilito, te-
nendo per mano il celebre neofito s'incamminò verso
la Chiesa, accompagnato da gran numero di cattolici
accorsi per essere testimoni di così consolante cerimo-
nia. Gli eretici cercarono bensì con una fitta sassaiuola
di intorbidire il corteo, ma il Santo seppe arringarli
con tanta dolcezza e carità, unita ad assoluta fermezza,
che arrivati alla Chiesa la funzione potè compirsi in
profondo raccoglimento, cosa che da tutti fu tenuta
come prodigiosa.
,-
L'esempio fu ben tosto seguito da molti altri, ed
egli, con tanti già convertiti, volle far conoscere la sua
gioia a tutti ; e scrisse al Santo Padre a Roma prote-
standogli devoto e riverente ossequio. ^Nella medesima
lettera lo pregava che Tonone non fosse ornai più
considerata come città eretica, ma cattolica, poiché
erano tornati alla vera fede i principali cittadini, in
modo che il numero dei' cattolici era divenuto supe-
riore al numero degli eretici, la qual cosa consolò gran-
demente il Sommo Pontefice, che ne lo consolò con
>
una preziosissima sua lettera.
CAPO VI.
Conferenze con Teodoro Beza.
Il Sommo Pontefice Clemente V I I I , come si disse
sopra, avendo udito il molto che Francesco aveva fatto,
e che tuttora stava facendo nel Chiablese, in servizio
della religione e delle anime, se ne rallegrò oltremodo,
e, scrivendogli una lettera di congratulazione, ricono-
scendo la sua straordinaria abilità, gli propose di an-

14.4 Page 134

▲back to top


dare a Ginevra a trattare con Teodoro Beza, e veder
modo .di convertirlo alla fede cattolica. Era Beza il
più valente ministro, che avesse a quei dì il calvini-
smo, ed era succeduto a Calvino nell'ufficio di capo
e sostenitore dell'eretica setta che dominava a Gine-
vra. Egli aveva allora ben 78 anni, e per la fama che
aveva di acutissimo e dottissimo ingegno, godeva tra i
suoi di tanta stima ed autorità, che bastava l'esem-
pio suo a tener molti nell'eresia. Or il Sommo Ponte-
fice, considerando appunto che gran colpo sarebbe
stato a questa se tanto uomo - si fosse convertito, era
venuto nella deliberazione di provare se mai lo si
fosse potuto far ritornare sulla retta via.
L'esecuzione di questa impresa presentava difficoltà
straordinarie, poiché oltre all'essere il Beza uomo, e
per ingegno e per dottrina é per esperienza di lunghi
anàl, tale da sbigottire qualunque ben valente suo av-
versario, si doveva andarlo a sfidare e combattere in
Ginevra stessa, cosa difficilissima e troppo piena di pe-
ricoli.. Ciò nulla meno, poiché all'animo dell'intrepido
apostolo nulla era così arduo e difficile, che, quando
v'entrava di mezzo la gloria di Dio e la salute delle
anime, non l'intraprendere coraggiosamente, superato
ogni ostacolo, presentossi al Beza sul principio del-
l'anno 1597. Ma siccome l'affare doveva passar secreto
il più che fosse possibile, per non destar rumori tra i
Ginevrini, così bisognò rifare il viaggio per ben quattro
volte, prima che gli si porgesse il destro di tentare" il
colpo nel modo ch'egli desiderava. Più d'una volta in
questi viaggi dovette sopportare sul lago di Ginevra
violenti burrasche che lo misero in pericolo di morte.
Pareva proprio che il demonio le suscitasse per inti-
midirlo e non lasciarlo parlare con l'eresiarca. Ma egli
non solo non si sgomentò, ma, come scrisse egli stesso
— 267 —
molti anni dopo, « godette, in quelle circostanze, tran-
quillità di spirito così perfetta, che non ebbe più dolci
emozioni in sua vita che in mezzo a quei pericoli. »
Col nome di Gesù sulle labbra stava così tranquillo che
non sospettava pure il minimo pericolo. Finalmente
trovò disgombrata la via, e potè parlare da solo a solo
col Beza.
Stava il vecchio calvinista passeggiando in una
sala, quando gli fu introdotto Francesco; e, poiché era c
uomo che si pregiava d'affabilità e cortesia, fecegli
molto buona accoglienza, quantunque al sapere chi
fosse il non più veduto visitatore, restasse alquanto
meravigliato ; ma l'aspetto di Francesco era sì bello,
ed i modi sì gentili, che, dopo essere stati un pezzo
discorrendo in quella sala di cose varie ed indifferenti,
entrato in intimità, lo introdusse nella sua camera prir-
vata. Parve allora a Francesco venuto il tempo propi-
zio d'entrare in argomentò, e, raccomandatosi a Dio,
così prese a dire: « Signore, la fama che corre della
persona vostra è pari a quella' dei grandi uomini ; ma
veggo ora che la fama è anche vinta dalla realtà; così
che sento farmisi più vivo il desiderio, che da lungo
tempo aveva nel cuore di parlare seco voi di alcune
cose assai importanti, che or vi dirò, sperando che m'a-
scolterete benignamente e schiettamente mi risponde-
rete. » E siccome Beza gli parve ben disposto : « poiché
mei permettete con tanta bontà, disse allora Francesco,
non vi sia grave ch'io vi chieda se nella Chiesa cattolica
si può ottenere l'eterna salute. » A queste parole. Beza
trovossi molto impicciato, nè sulle prime ebbe risposta
da dare ; poiché se rispondeva di sì, era un confessare
apertamente che la Chiesa cattolica è la vera, dicendo
concordemente i protestanti di quel tempo, che fuori
della vera Chiesa non v'era salute: se poi rispondeva

14.5 Page 135

▲back to top


di no, era,dire che prima di Lutero e di Calvino non
fossevi vera Chiesa, contro la formale promessa di Gesù
Cristo, d'essere con lei tutti i dì fino alla fine del mondo.
Non sapendo perciò che rispondere e stando sospeso,
passò, sempre in silenzio, nel suo gabinetto privato,
e vi si trattenne un quarto d'ora, andando su e giù,
con manifesti segni di fiera agitazione d'animo.
Tornò finalmente a Francesco, e con volto sul quale
ancora vedevansi i segni dell' interna lotta che aveva
sostenuto: « Signore, disse, voglio schiettamente aprirvi
il cuor mio, e rispondere con franchezza pari alla vo-
stra; voi chiedete se nella Chiesa romana si possa ot-
tenere salute; ebbene io vi dico che sì, e aggiungo
essere questa una verità innegabile, e non poter es-
servi dubbio che la vostra sia la Chiesa madre. » - « Io
vi ringrazio ben di cuore, di tale risposta, entrò al-
lora a dire Francesco, ma perdonate se ora vi fo
un'altra domanda; s'egli è vero che nella Chiesa
cattolica si può ottenere salute, perchè mai i calvi-
nisti di Francia versarono tanto sangue per istabilirvi
la loro credenza? Perchè tante sedizioni e rivolte e
guerre e stragi ed incendi? » Mentre Francesco così
parlava, il Beza, che a' suoi dì era stato uno dei
principali istigatori ed autori di quei deplorabili di-
sordini, mostrava sembiante d'uomo profondamente
addolorato; stette un'altra volta silenzioso, tornò a
passeggiare concitato per la camera, e poi con mal-,
ferma voce disse : « Egli è perchè, quantunque nella
Chiesa romana si possa ottenere salute, v'avevano non
di meno in essa molte cose da riformare. Non è ella
per es. cosa intollerabile la dottrina sulla necessità delle
buone opere? Voi fate credere ai popoli che senza di
queste non s'entra nel cielo, e intanto non sono che
di mera convenienza; siccome poi d'ordinario la gente
— 269 —
opere buone non ne fa, ne viene che va dannata, pec-
cando per errore di coscienza. Fu dunque mestieri,
all'uopo, di provvedere alla salute di tanti ingannati,
dal sistema vostro menati all'inferno, che si stabilisse
a qualunque costo la dottrina nostra ; la quale rende
l'acquisto del cielo assai più facile, mediante il suo
insegnamento, che la fede può salvare senza le opere. »
« Ma, ripigliò Francesco, se la fede può salvare
senza-le opere, come va che la Scrittura ci ripete così
spesso che per arrivare a salute punto non basta il solo
non dare cattivi frutti, m a l e s s e r e inoltre necessario
portarne dei buoni? che non basta evitare il male, ma
che bisogna ancora fare il bene? O non vi ricordate
delie parole che Gesù Cristo (Cap. XXV di S. Matteo)
dirà ai reprobi n e l ' g i o r n o dell'estremo giudizio: An-
date, maledetti, al fuoco eterno: fbbi fame e non mi
deste a mangiare: ebbi sete e non mi deste a bere: era
nudo e non mi vestiste: era carcerato e non veniste a
vedermi? Non appare egli evidente da queste parole;
che le opere buone sono di precetto stretto e rigoroso,
condannando Iddio all'inferno oolui che solo ha omesso
di farle? L a schiettezza e franchezza vostra mi dannò
ragione di sperare, che, non potendo voi su questo
punto dare soddisfacente risposta, abbraccerete la fede
della Chiesa romana. »
Il colpo era troppo forte, e troppo bene assestato,
perchè il* povero eretico noi sentisse vivissimamente :
ma essendo semp/e lontanissimo dal mai confessarsi
vinto, e pur vedendo che invano avrebbe tentato scher-
mirsene, s'accese d'una grande ira, diede in una sfu-
riata tremenda che disfogò in una acerba invettiva
contro i papisti.
Francesco non si adontò, ma, con belle maniere,
l>;li fece capire, che le escandescenze non sono ragioni.

14.6 Page 136

▲back to top


Vergognossi allora il Beza d'essersi così lasciato vin-
cere dallo sdegno, ed ingegnossi di riparare al suo
fallo invitando Francesco a continuare la disputa, ed
invitandolo a tornare sovente, promettendo che qua-
lunque fosse la materia della conversazione, mai più
avrebbe avuto a lagnarsi de' modi suoi. Vedendo Fran-
cesco che la visita si era prolungata dì già ben tre ore,
in modo al tutto cortese sjl accommiatò, promettendo
di servirsi del suo invito e venire altre volte.
Messosi in via di ritornare a Tonone, come fu fuor
di Ginevra si volse a guardar quella città, e pianse.
Il cugino Luigi, che l'attendeva, vedendolo tutto mesto
e pensieroso, ed anzi con le lacrime agli occhi : « perchè
piangi? gli disse; t'è egli accaduto nulla di sinistro? »
« Ah, fratel' mio! rispose Francesco, chi può pensare
alla misera condizione di tante povere anime che sono
in questa città, e non piangere? Pianse Gesù Redentor
nostro sulla cara ed ingrata Gerusalemme: posso io
non piangere sulla povera nostra Ginevra? »
Non molto tempo dopo torno Francesco a far vi-
sita al Beza, il quale si. profuse in garbatissimi com-
plimenti, dicendosi onorato della sua visita; ma intanto
fuggiva di entrare in disputa diretta. Non lasciò tut-
tavia Francesco di entrare in argomento, trattando in-
torno alla vera Chiesa di Gesù, Cristo, e provando non
poter esser questa che la Chiesa cattolica; ma Beza,
ripetute alcune parole accompagnate da profondi so-
spiri, tacque, nè più gli si potè far continuare il di-
scorso; onde Francesco, trovando inutile l'insistere di
vantaggio tolse commiato, ed il Beza, continuando a so-
spirar forte, tornò mesto e pensieroso alle sue faccende.
Francesco, scrivendo* al Santo Padre per. dargli re-
lazione di codesta missione col Beza, tra le altre cose
gli diceva : « Ho trovato nel Beza un cuor di pietra,
indurato da lungo tempo nel male, non punto ancora
scosso o disposto a ritornare sul retto cammino. Tut-
tavia non dispererei se potessi parlargli più spesso, e
con maggior agio e sicurezza. »
Deliberato pertanto di fare un'ultima prova, andò
altre volte a Ginevra, e tornò a stringere il vecchio
settario con nuove ragioni ed esortazioni; ma indarno:
nulla valse a piegare quel cuore: si scorgeva che la
verità splendevagli dinanzi agli occhi con chiara luce,
ma non osava porla in opera. Neppur valse l'offrirgli
da parte del Papa (posto che il timore della povertà
fosse l'ostacolo non sormontato fino a quel dì), una pen-
sione annua di quattromila scudi d'oro, (14.000 lire),
somma egregia a quel tempo,- e di giunta il doppio
del prezzo che egli medesimo avesse posto a ogni suo
mobile ed arredo di casa. Dopo lunga'considerazione
silenziosa, rispose l'eretico come le altre volte: che
cioè teneva egli per fermissimo nella Chiesa cattolica
potersi ottenere, ed anche più sicuramente che nelle
altre, l'eterna salute ; potersi tuttavia e più agevolmente
ottenerla altresì nella chiesa evangelica. Insomma, e
Francesco lo vide chiaro, l'.intelletto del Beza era
convinto; solo mancavagli nella volontà la virtù di
fare un generoso sforzo e rompere le catene che lo te-
nevano legato agli antichi suoi errori.
Scorgendo che oggimai era opera gettata al vento il
far altro tentativo di ragionamenti e di esortazioni, ed
inoltre non avendo nemmeno più avuta comodità di
fargli altre visite, si rivolse all'ultimo spediente della
preghiera, e procurò che tutti i fedeli di Tonone por-
gessero con lui caldissime suppliche a Dio ed alla Beata
Vergine al fine di-guadagnare quell'anima.
Ed in vero l'opera di Francesco non deve essere
stata vana: gran mutazione si mostrò a quei dì nel

14.7 Page 137

▲back to top


Beza; ritrattò parecchi errori, che sempre aveva inse-
gnati; si dichiarò contrario all'eresia e favorevole alla
Chiesa romana riguardo il culto della SS. Vergine. Tan-
to si ha da parecchi scrittori contemporanei, e da una
carta scritta di mano del Beza medesimo, e trovata fra
quelle di Francesco, al quale l'aveva in questo tempo
mandata per mezzo di un tale, che lasciava Ginevra
per farsi cattolico. Ma a fare l'abiura non seppe risol-
versi ; quantunque, come narra il P. Francesco Feu-
ardent, francescano, l'infelice vecchio consigliasse di
sua bocca al' ministro Corneille di lasciar l'eresia per
la fede romana, soggiungendo che l'avrebbe fatto ancor
egli, se avesse potuto uscir di Ginevra. E l'abate Joly,
nelle sue note al dizionario di Bayle, racconta che,
interrogato il Beza da un suo congiunto, risposegli che
si attertesse forte alla Chiesa cattolica, e che non fa-
cesse conto veruno di quanto egli aveva detto o scritto
antecedentemente.
I Ginevrini temendo che Beza, loro capo, non aves-
se a recar danno alla setta, secondo il loro sistema,
di screditare chi non la sente come loro, usarono
dapprima l'artifizio di appellarlo vecchio rimbambito,
che non sapeva più quel che si facesse; e poi, saputo
che aveva tentato di fuggire, pensarono di assicurarsene,
e posero guardie alla sua persona. Onde, non potendo
altro, il povero vecchio, si rassegnò a continuar nella
setta: finché nel 1606 morì in età di ottantasei anni.
.
C A P O VII>
Quarto anno di missione.
Nuove insidie. — I ministri di Ginevra e del
Chiablese non potendo mai riuscire a far prevalere le
loro ragioni, dopo il tentativo fatto da Francesco di
convertire Beza pagarono varii, perchè seguendo Fran-
cesco, scrivessero quant'egli predicava o dicev'a in ogni
occasione, per vedere se potessero trovare ne' suoi
detti qualche cavillo per poterlo accusare o contrad-
dire; ma il loro danaro fu male speso, perchè l'uomo
eli Dio stava sempre così attento su tutto quel che
diceva, e preparava sempre così accuratamente le sue
prediche, da rendere impossibile ogni contraddizione
che gli si volesse fare.
Allora i ministri del Canton di Vaux (dipendente
da Berna) e quelli di Ginevra si unirono con quelli del
Chiablese per presentare una disputa solenne a Fran-
cesco. Speravano tra tutti d'intimidire il Santo; ma
questi l'accettò ben volentieri. La disputa doveva tenersi
a Tonone; ma al giorno convenuto i ministri furono
attesi invano, poiché mancarono di coraggio. Se ne era
presentato solamente uno, Gallettier, di Vaux. Avendo
egli visto la codardia de' suoi colleghi si abboccò pri-
vatamente col Santo, e dopo aver fatto esperienza della
dottrina e sincerità sua, confessò apertamente la verità
e santità della religione cattolica. Ma i Bernesi, essen-
dosi accorti che il Gallettier dopo detta conferenza non
la sentiva più calvinisticamente, gli fecero in brev^/ il
processo come apostata, e lo condannarono a- morte.
18 — BAKHEKIS, Vita di S. Francesco di Saler.

14.8 Page 138

▲back to top


Intieri paesi si convertono. — Intanto le conver-
sioni continuavano acl aumentare, e già non più solo
di persone isolate; ma bensì d'intieri paesi. Primi fu-
rono i paesi eh Allinges, di Mesingier e di Brens. L ' e s -
sere stati i primi valsero loro che il duca concedesse
loro dei privilegi, ed il vescovo li potè provvedere su-
bito di parroci. Sperava Francesco di ottenere varii altri
curati da stabilirsi in altri paesi, tanto come si conver-
tivano ; ma coloro che dovevano, per ordine del duca,
somministrare gli assegni, mentendo alle loro promesse,
non li diedero, e i detti curati non poterono stabilir-
visi che notabile tempo dopo.
Per quanto attivo egli fosse non poteva più, da
solo, disimpegnare il grande lavoro che si accumulava
sopra di lui, posto il gran numero delle conversioni,
che richiedevano cure e istruzioni, sia in particolare,
che in pubblico. D a lungo tempo domandava rinforzi
al vescovo. Il cugino Luigi era già tornato da qualche
mese, ma neppur lui più bastava. Finalmente il vescovo
potè vernirgli in aiuto avendo ottenuto dai loro supe-
riori tre altri missionarii religiosi, due dei quali cap-
puccini, il P. Cherubino di Moriana e il P. Spirito di
Baume, ed un Gesuita, il P. Saunier, e questi non co-,
me parroci, ma come predicatori e suoi aiutanti, del
che vi era gran bisogno.
Il buon cappuccino, Padre Spirito di Baume, ve-
nuto pel primo, pieno di zelo avrebbe voluto in breve
convertire tutti al cattolicismo, ma, mancante della ^
prudenza necessaria, appena arrivato a Tonone, senza
avvisarne Francesco, provocò pubblicamente il ministro
calvinista, mentre quegli con tutta la moltitudine accorsa
ad udirne il sermone, usciva dal tempio. Il popolo si
rivoltò contro di lui : varii già convertiti sostenevano
vano, ed erano sul punto, armati di pietre, di venire
ad una orribile colluttazione, allorché, avvisato a tempo,
accorse Francesco: si mise tra i contendenti e con la
bontà dipinta in viso, e le dolci parole e paterne esor-
tazioni, riuscì a pacificarli.
Le Quarant'ore ad Annemasse. — Erano passati
tre lunghi anni dacché Francesco aveva incominciato
le sue predicazioni apostoliche nel Chiablese, e le con- -
versioni erano già riuscite ad un punto veramente con-
solante; ma non si erano ancor potuto fare funzioni
solenni, in modo da far vedere a quegli abitanti la
grandiosità del culto cattolico. Francesco, sempre in-
tento» a propagare ed a far ancora stimare di più in più
la religione, vedendosi aiutato dai tre missionarii da
poco arrivati, decise di fare una grande funzione delle
Quarant'ore in Annemasse, paese distante solo due
leghe da Ginevra, ma restato sempre fedele alla fede
dei padri.
Preparò alla lunga ogni cosa, perchè tutto riuscisse
senza incidenti e con una solennità e splendore straor-
dinario. Il vescovo promise di venire esso stesso in per-
sona per rendere più maestosa la funzione: il duca ed
il Nunzio Pontificio di Torino approvarono il progetto,
anzi mandarono offerte perchè si potessero fare con
maggior splendore. Francesco, Luigi e i tre missionarii •
si adoperarono con tutte le loro forze a preparare le
cose in modo che le Quarant'ore riuscissero sorpren-
denti. L a Chiesa fu preparata come mai meglio. D a
tutti i paesi cattolici dovevano venire i fedeli solen-
nemente in processione, pregando e cantando inni sa-
cri per tutto il percorso.
Il sapere che da tutte parti sarebbero venuti con
gran concorso ? fedeli ad Annemasse spaventò i prote-

14.9 Page 139

▲back to top


stanti Ginevrini, che avrebbero dovuto subirsi feste
cattoliche così solenni alla porta della loro città. Si
radunarono i maggiorenti e decisero di non perméttere
per nessun conto tanto scandalo, anzi giurarono d'im-
pedire ad ogni costo tali festeggiamenti.
Sparsasi la voce, che i Ginevrini avrebbero fatto una
escursione armata mano, per impedire sì grandiosi fe-
steggiamenti, tutti ne presero grande spavento e si
temette che ogni cosa sarebbe andata a vuoto. Ma
Francesco non era l'uomo da lasciarsi spaventare e
cedere dinnanzi alle difficoltà. Prese le dovute intelli-
genze con le autorità civili, imperterrito incoraggiò
tutti e si mise esso stesso a capo della processsione
principale che partiva da Tonone; e siccome nessuno
osava precedere portando la croce, tanto erano atter-
riti i buoni Tononesi, incaricò il fedele Rolando a
portarla esso. Veduta tanta risoluzione i Ginevrini non
osarono più ad opporsi e così il buon esito della fun-
zione non fu impedito.
F u tale il concorso dei fedeli che per tutto il tempo
delle Quarant'ore si potè avere l'adorazione continua,
stando in preghiera un'ora ogni processione. A d ógni
cambiarsi di adoratori si teneva un discorso da Fran-
cesco o dal Padre Cherubino od altro predicatore, a
fine di disporre gli animi a farla con quel fervore che
si potesse più vivo. Anche le sante Comunioni furono
in numero inaspettato.
Rappresentazione teatrale sacra. — Conoscendo
Francesco l'indole del popolo, aveva anche pensato
a varii ingegni per attirare ad Annemasse gran gente.
Tra le altre cose aveva concertato di dare nel primo
giorno, prima dell'esposizione solenne, una drammatica
rappresentazione, di oggetto sacro, affinchè per u*nai-
parte valesse ad attirare anche i solamente curiosi, e
per l'altra niente turbasse il divoto raccoglimento che
la solennità richiedeva. Fece scrivere apposta un dram-
ma intitolato II Sacrificio di Abramo; dispose molti
preparativi pel teatro e ne fece correr voce per tutti
i paesi circonvicini ; e ne ottenne tale effetto, che par-
ve tutta la Savoia dovesse, radunarsi in Annemasse.
Egli stesso volle esserne uno degli attori e fecevi la
sua parte.
Il Padre Cherubino oltre ad aiutare a predicare e
confessare si diede con tutta la sua grande attività a
preparare il materiale necessario per la rappresenta-
zione : il palco fu elevato nella più grande piazza di
Annemasse, e si stesero da ogni parte padiglioni, tele
e tappeti per mettere al sicuro gli spettatori in caso
di mal tempo. I popoli, incoraggiati da Francesco ac-
corsero in numero straordinario e tutto riuscì senza il
menomo disordine.
In conclusione le Quarant'ore riuscirono ancor me-
glio di quello che si aspettava, ed il frutto fu più co-
pioso di quello che potesse credersi. L a divozione fu
risvegliata dove era assopita, fu manifestata pubblica-
mente dov'era, per rispetto umano, tenuta secreta. Il
culto cattolico si manifestò in tutto il suo splendore, ed
i protestanti rimasero maravigliati al vedere la sua pom-
pa, paragonandola col culto loro glaciale. Anche le
conversioni furono abbondanti; ed il bene che Fran-
cesco seppe farne scaturire fu assai cospicuo.
Elevazione di una gran croce a ricordo delle
Quarant' ore. •— Un'ultima solennissima cerimonia ven-
ne a por termine a sì belle solennità. Sulla via che
metteva da Annemasse a Ginevra esisteva in antico una
gran croce: gli eretici l'avevavo fatta a pezzi: si pensò,

14.10 Page 140

▲back to top


a ricordo perenne delle grandiose Quarant'ore, di eri-
gerne un'altra. Tutto fu preparato debitamente e la
funzione si fece con grande apparato. Si calcolò che
a detta funzione fossero presenti ben 30.000 persone.
Acciocché fosse tolto agli eretici ogni appiglio di ca-
lunniare i cattolici per rispetto al culto che si presta
alle sacre immagini, ai piedi della croce fu posta una
iscrizione, fatta da S. Francesco medesimo, che ridótta
fin italiano suona così:
Non è già la pietra o il legno ciò che il cattolico adora;
Ma il Re, che morto in croce, del suo sangue l'onora.
Queste solennità furono come un colpo di fulmine
per i ministri protestanti; molti dei quali, non potendo
più sostenere la vergogna di doversi confessare vinti
e disfatti dai cattolici, nè potendo più esercitare l'uf-
ficio loro, perchè i popoli traevano in folla alla Chiesa
cattolica, furono costretti e cedere il campo, andar-
sene via dal Chiablese e cercare altrove miglior ven-
tura. Alcuni altri poi, più saggi, vedendo chiara la
verità, abiurarono essi medesimi l'eresia.
Grave malattia del Santo. — Dopo la bella riu-
scita delle Quarant'ore d'Annemasse, Francesco essen-
do venuto ad Annecy per trattare varie cose col vesco-
vo, cadde gravemente malato. Febbri gravissime misero
la sua vita in pericolo ; dopo che pareva scongiurato
Ù pericolo della vita ricadde più gravemente di prima.
Questa grave malattia da una parte fece spiccare la
pazienza e l'ammirabile rassegnazione del Santo, dal-
l'altra l'affezione e la venerazione che gli portavano
vescovo, i canonici e l'intera città.
Sembrando proprio vicino a dare l'ultimo respiro
vennero tutti i canonici a prendere la sua benedizione
prima che morisse. Poi ciascuno separatamente volle
udire dalle sue labbra moribondè qualche parola, qual-
che avviso che servisse pel maggior bene dell'anima
propria. Egli vi si prestò ben volentieri: disse a ciascu-
no quanto aveva notato in loro di meno perfetto e il mi-
glior mezzo per correggersi. Questo sforzo finì per
prostrarlo del tutto, e per'oltre un'ora pareva che ad
ogni minuto dovesse mancare. Ma, ringraziando il Si-
gnore, ben presto riprese forza; si vide un migliora-
mento sensibile, che andando ognora crescendo potè
entrare in convalescenza, ed in breve tempo ricuperò
la primiera salute, con gran gioia di tutti.
Fu durante questa malattia che, preparando il me-
dico una medicina, interrogato, soggiunse con poco
rispetto alla Sacra Scrittura: « Quod ego faccio, tu ue-
scis modo, scies autem postea » e che Francesco lo ri-
prese dicendogli che le parole della Sacra . Scrittura
dovevano essere adoperate con maggior rispetto!
Convalescente si offre al, servizio degli ap-
pestati. — Mentre'era ancor convalescente, tutto d'un
tratto scoppiò ad Annecy una pericolosissima malattia
contagiosa. Coraggioso al sommo e pieno di zelo, im-
mediatamente si offre al vescovo per assistere gli ap-
pestati; ma il vescovo gli mandò l'ordine di partire
immediatamente per Tonone dove la sua presenza era
necessaria per compire l'opera della conversione di
tutto quel paese.
Impedisce un duello. — Lo zelo del Santo non
aveva confini. Un giorno avendo saputo che due gen-
tiluomini si recavano in luogo convenuto per battersi
in duello, non pose tempo in mezzo : corre sul luogo
quando già avevano cominciato a battersi : grida loro

15 Pages 141-150

▲back to top


15.1 Page 141

▲back to top


di rattenersi ; ma vedendo che nulla valeva a fermarli,
ciechi com'erano nel loro odio, con suo evidente pe-
ricolo si slancia tra le spade, li reprime; poi parla loro
con tale ascendente e fuoco, che li rappacifica e non
li lascia finché, completamente riconciliati, li conduce
loro case.
Predica in aperta c a m p a g n a . — Predicava a
qualunque ora del giorno e della notte ne avesse avuta
opportunità, non guardando a fatiche o a disagi. Un
eminente personaggio del Cantone di Vaux racconta,
trovandosi un giorno alla caccia col marchese di
Lullin, trovò in mezzo alla campagna un popolo nu-
meroso assiso attorno a Francesco, che seduto sopra
un'alta pietra ai cocenti raggi del sole, senza alcun
-riparo, stava predicando ed istruendo quella moltitu-
dine nelle verità della fede cattolica. Questi calvinisti
per rispetto umano e per paura dei loro ministri non
avrebbero osato avvicinare Francesco nelle città o nel
concentrico del paese, ed egli li aveva radunati in aper-
campagna dove lo ascoltavano con grande attenzio-
ne. Detto signor Bovier si fermò ad ascoltare l'istru-
ne, e fu così preso dalle sue parole, e forse più
dall'esempio di santità di quell'apostolo, che poco
dopo si convertì e fece la sua abiura ai piedi di San
Francesco medesimo.
Risuscita un morto. — Un fatto maraviglioso
gli succedeva'l'anno seguente: fu un vero miracolo,
la risurrezione di un bambino morto, avvenuta in To-
e. Ecco come andò la cosa.1
Abitava in Tonone una signora attaccata alla setta
calvinista, che mai fin allora si era potuta disporre a
nvertirsi cogli altri. Or accadde che essendo a costei
nato un figliuolo, se lo vide morire prima che lo bat-
tezzasse, quantunque agevolmente l'avesse potuto, nei
parecchi dì che la piccola creatura abbe di vita. Dolse
fieramente alla povera madre questo fatto; onde, pa-
rendole d'esser caduta in irreparabile fallo, ne faceva
un pianto inconsolabile. A l l a fine, dopo essersi tenuto
in casa il morto neonato parecchi dì, vedendo che, per
acerbissima che fosse la pena che provava nel separarsi
dal frutto delle viscere sue, le era pur mestieri rasse-
gnarsi, tolto il tenero corpiciuolo sulle braccia, avviossi
al cimitero per dargli sepoltura.
Volle la divina Provvidenza che Francesco si tro-
vasse su quel passaggio. L a vista di lui operò in quella
signora un singolare effetto; poiché, non si tosto ebbe
veduto il servo di Dio, corse a gettarsegli a' piedi,
e disse: « A h padre, rendetemi il figliuolo! sì, rerlde-
temelo, almeno per tanto tempo che possa ricevere
il battesimo, e vi prometto di farmi cattolica. » Per
superna ispirazione Francesco non rispose, a sì nuo-
va richiesta, come gli avrebbe certamente fatto rispon-
dere la sua umiltà; ma preso da compassione pel suo
immenso dolore, cadde ginocchione, e, con quanto
fervore potè, supplicò Dio di consolare quella pove-
retta. Ed ecco che, prima ancora ch'egli tornasse a
rizzarsi in piedi, la sua preghiera già era esaudita,
poiché il bambino, aprendo gli occhi e facendo altri
atti dava chiari segni di vita, .in modo che la madre,
fuor di sé per la gioia, non più al cimitero, ma a casa
rivolse i passi.
Quivi il risuscitato fanciulletto visse ancora due
giorni, quanto cioè era bastevole perchè non solo rice-
vesse la grazia del santo battesimo, ma desse campo alla
gente, che l'aveva veduto morto, di andarsi a certifi-
care della risurrezione co' proprii occhi. Quella signora

15.2 Page 142

▲back to top


indi a non molto si fece cattolica con tutta la famiglia
e l'esempio suo, rafforzato dalla constatazione del mi-
racolo, fu in breve imitato da moltissimi altri.
Altri sacerdoti son mandati in suo aiuto. —
In questo frattempo il vescovo aveva potuto scegliere
alcuni degni ecclesiastici da porre come curati in quei
paesi, che si erano quasi interamente - convertiti, nei
quali conveniva ripristinare il culto.
Ma mancavano intieramente le risorse. A quasi nulla
riuscivano i mezzi di sussistenza che si assegnò a
quei parroci ; e d'altra parte le nuove parrocchie erano
in uno stato al tutto deplorevole: non .possedevano nè
calici, nè messali, nè ornamenti ecclesiastici e neppure
gli altari: in varii luoghi in tutto il paese non vi era più
in piedi neppure una piccola Chiesa. I popoli, al tutto
rovinati dalle guerre, erano affatto poveri e non pote-
vano venire in aiuto, per procurare anche solo il più
necessario. Ma Francesco, per nulla scoraggiato, mol-
tiplicava se stesso-, e cercava tutti i mezzi per supplire
a tante necessità. ,Si faceva venire dei sussidii da casa
sua e da benefattori di Annecy : accoglieva fraterna-
mente i sacerdoti che il vescovo gli mandava, li inco-
raggiava ad andare in quelle parrocchie cosi povere,
insegnava loro il modo di superare le prime difficoltà,
e nei luoghi più difficili li accompagnava esso stesso.
A Bellevaux i ministri protestanti avevano sparso
così gravi dicerie riguardo a Francesco ed al nuovo
parroco che doveva fare l'entrata, dipingendoli come
maliardi e stregoni, asserendo che avrebbero portato di-
sgrazie ovunque passassero, che i convertiti medesimi,
intimiditi, non solo li ricevettero malamente, ma non
vollero loro dare nè alloggio nè vitto. A mala pena tro-
varono chi a gran prezzo vendette loro un po' di cattivo
pane e di cacio fresco, e dovettero, contentarsi, seduti
per terra, fuori del paese, di quel poco di cibo.
Per Francesco questo non era cosà insolita, poiché
nei tre anni antecedenti simili trattamenti gli erano
avvenuti più volte ; ma era esterrefatto temendo che
il nuovo parroco si scoraggiasse ; invece anche il buon
prete che conduceva come curato seppe sopportare
con pazienza quei disprezzi e quelle privazioni: accettò
il servizio di quella parrocchia sì poco attraente; ed
il Signore lo benedisse talmente che, poco per volta
potè ottenere abbondantissimo frutto in quella popola-
zione, prima così mal impressionata.
Il trattato della demonomania. — Contribuiva
potentemente alla propagazione del bene la fama, che
generalmente si aveva della santità di Francesco, e la
considerazione della straordinaria virtù, che risplendeva
in lui di convertire anime a Dio. Della qual cosa parve
allora Iddio voler dare un segno più certo ancora,'
concedendo al suo servo grande potestà sopra gli spi-
riti infernali. Questi implacabili nemici della umana
salute non potendo in altra guisa disfogare l'odio fu
rioso che li rodeva, s'impossessarono di varii eretici,
che manifestamente apparivano ossessi. Francesco, ve-
dendo' la loro disgrazia, se ne sentiva commovere pro-
fondamente, e cercava di recar loro quel maggiore
aiuto, che per lui si potesse. Pregava per essi,
quando occorreva adoperava i sacri esorcismi, e così
li liberava dalla crudel tirannia del nemico, od
recava tal conforto al loro male, che in breve
fama di uomo fornito da Dio di terribile
demonii, cosicché da ogni parte concorrevano
quelli, che di tale rimedio avevano mestièri. E bisogna
dire che fosse davvero cosa

15.3 Page 143

▲back to top


poiché ne vediamo gli ugonotti fieramente indispettiti,
come di un fatto, che mostrava troppo chiaramente da
qual' parte stesse la virtù sovrannaturale promessa da
Gesù Cristo alla sua Chiesa.
Ma i protestanti non si danno mai per vinti, e,
ad ottenere il loro scopo, si misero a negare persino
Insistenza dei demoni. Questo diede campo a S. Fran-
cesco, che non ne passava mai loro una liscia, a scrivere
un t r a t t a t e l i che denominò: Demonomania, in cui, colla
Sacra Scrittura e coli'autorità dei santi Padri, esponeva
la dottrina cattolica intorno agli spiriti cattivi, e confuta-
va le obiezioni degli eretici, onde li obbligò al silenzio.
Suo metodo. Poco per volta, potuto avere alcuni
altri buoni preti, ottimamente disposti ad assecondarlo
per finir di convertire la città di Tonone e dei paesi limi-
trofi, andava via via assicurando il terreno che conqui-
stava sopra i nemici. Perchè tutto procedesse con buono
accordo radunava quei suoi cooperatori due volte la
settimana in amichevoli conferenze intorno al bisogno
della missione ed ai modi di provvedervi, e intorno
alla dottrina morale da seguirsi nella direzione di quelle
anime che Dio mandava loro ogni dì, perchè a Lui le
educassero.
Per ottenere l'intento suo sapeva governarsi in
tal modo, che niuno poteva ricusarsi di stare d'accordo
con lui. Il suo posto era sempre dopo gli altri ; e
quantunque l'onore di quelle conferenze toccasse sem-
pre a lui, perchè egli proponeva i punti da discutere
e li discuteva con grandissima abilità, ciò nulla di me-
no nel ragionare e nel rispondere, e pensino nel con-
trastare all'opinione altrui quando parevagli di dovérlo
fare, usava maniere di tanta umiltà, che sembrava non
loro superiore, ma soggetto.
Uno di questi preti racconta che il Santo, viag-
giando un giorno con lui, non volle mai presiedere l'uf-
ficio che recitavano insieme per viaggio, dando sem-
pre la preferenza a lui, come curato; e che dovendo
passare la notte ad un albergo dov'eravi una camera
sola libera, con un solo letto, a nessun contò volle
accettare di coricarsi nel letto, ma lo volle lasciare
al compagno, coricandosi esso per terra. Era possibile
contrastare con un superiore così santo e così dotto,
e nello stesso tempo così umile?!
^
Ma questi varii curati e sacerdoti non sempre ave-
vano il suo spirito, poiché, mentre questi era tutto
carità, dolcezza e prudenza, queglino mostravano so-
verchio coraggio, temerità, asprezza. Alcuni vedevano
di malocchio che, cogli'eretici anche più contumaci,
Francesco sempre si mostrasse tutto amabilità e dol-
cezza, e dicevano che con quegli arrabbiati ugonotti
erano da tenere altri modi e procedere con fortezza,
senza tanti riguardi e timore d'offenderli, essendo che
essi, senza timore e riguardo Offendevano loro. Avreb-
bero voluto che Francesco trattasse gli eretici come
uomini incirconcisi, ribelli a Dio, ostinati, razza di
vipere. Ma vedendo che anzi egli cònfermavasi sem-
pre più nell'opinion sua, ebbero petto di ricorrere al
vescovo, ed invitarlo a richiamare dalla sua missione
colui, che solo aveva il merito d'averla intrapresa e
condotta sino a quel segno, a costo di tante e sì lun-
ghe fatiche. Tanto è vero che ogni apostolo, per
quanto sia zelante e prudente, deve star sempre prepa- 1
rato a soffrire contraddizioni d'ogni sorta! Non è nep-
pure a , menzionare che il vescovo, conoscendo troppo
bene Francesco, non facesse nessun conto delle osser-
vazioni degl' imprudenti e incoraggiasse il santo à se-
guire la sua via.

15.4 Page 144

▲back to top


, invece di aversela a male per le fatte
contraddizioni, presene anzi motivo di amare e rive-
rire anche più di prima i contraddittori : e lodandoli
d'ogni cosa li vedesse fare per la. missione, spinse la
generosa umiltà del suo cuore sino ad attribuire il me-
del felice successo della medesima alle loro cure
e fatiche. Ma non per questo mutò egli punto dai
modi suoi: chè, in ciò la pensò sempre diversamente
da loro: « Intendetelo, o fratelli miei cari, andava loro
ripetendo, che si ottiene molto più colla dolcezza che
colla violenza, come si prendono più mosche con un
cucchiaio di miele, che con cento barili d'aceto. Non
bisogna pigliarsela di fronte coll'orgoglio dell'uomo,
specialmente rispetto a questi settari, i quali sono pur
troppo soverchiamente signo/eggiati dalla superbia; e
ciò ogni parola un po' aspra basta ad esacerbarli,
incollerire, dar nelle furie, in luogo di convertirli.
Io per me vi confèsso, che non mi sono mai lasciato
andare a far qualche invettiva od aspro rimbrotto, che
non me ne sia poi pentito : se ebbi la ventura di ri-
condurre sulla retta via alcuni eretici, si fu colla dol-
cezza. La carità e l'affetto hanno negli animi più forza,
dico solo .della severità e del rigore, ma delle
stesse ragioni. » (i)
Insomma Francesco riprovava ed abborriva tutto
ciò che potesse pungere gli altri, o comecchessia non-
desse buon esempio; nè mai fu veduto nè udito fare
dir cosa a' calvinisti, che potesse recar loro offesa:
mai, nè in pubblico, nè in privato, non parlò a d e s s i
con aria di disprezzo, o con isdegno; e piuttosto che
confonderli mediante forti confutazioni de' loro errori.,
preferiva di guadagnarli con chiara ed amorevole espo-
[) Carlo Augusto di Sales. Voi. i°, p. 166.
sizione delle verità cattoliche, procurando sempre di
persuaderli ch'egli li amava grandemente c cercava il
vero loro bene. Quindi per quantunque aspre ed in-
degne fossero le maniere che altri tenesse con lui, mai
non pose piede fuor di questa via, che riputava la
via migliore, deciso di voler imitare Gesù Cristo e gli
Apostoli.
L a prudenza e lo zelo di Francesco in queste cir-
costanze è altamente lodato dalla Bolla di Canoniz-
zazione la quale anche aggiunge: « In mezzo ai
prosperi eventi egli si tenne sempre nei limiti di
una saggia prudenza, per tema di rovinare l'opera
di Dio, operando con troppo grande libertà. Quindi,
esercitando egli a Tonone le funzioni di curato,
allorché recava il santo Viatico ai fedeli gravemente
infermi, non faceva ciò pubblicamente, ma, ad ovviare
alle irriverenze, che gli eretici avrebbero potuto com-
mettere contro questo adorabile Sacramento, portava
la sacra Ostia in una teca o scatola appesa al collo,
camminando con passo grave, con aspetto venerando,
col cappello in testa, inviluppato nel suo mantello, e
senza salutare alcuno lungo la strada.
» In quel tempo un crudele contagio infestava To-
none ed i paesi circonvicini, facendo ogni giorno gran
numero di vittime. Francesco di Sales provvide ai bi-
sogni corporali colla sua carità, ed agli spirituali colle
istruzioni ; e ciò con sì gran bontà, perseveranza ed
industria, che si fece'da tutti amare ed ammirare. Non
si poteva capire come potesse bastare a tante necessità,
massime avendo ricusato somme di danaro, che gli
erano state offerte da varie persone, e particolarmente
dal vescovo Granier. » ,
'

15.5 Page 145

▲back to top


.
.
— 288 —
-
•'
\\'
CAPO Vili.
Quinto anno di missione.
Le Quarant'ore a Tonone. — Avendo veduto
il frutto immenso arrecato dalle solenni Quarant' ore
fatto ad Annemasse, Francesco divisò di farle l'anno,
seguente, anche con molto maggior solennità a Tonone.
Non lasciò fatica intentata affinchè la desiderata solen-
nità riuscisse profittevole alle anime, pensando special-
mente al modo di attirare un numero immenso di gente
e di provvedere affinchè tutti avessero comodità di con-
fessarsi, e che non avessero a mancare di alloggi e di
provvigioni. Il vescovo lo assecondò in tutto, e doman-
dò ed ottenne dal Papa l'indulgenza plenaria per coìoroi
che, confessati e comunicati, avessero fatto in quel
"triduo un'ora di adorazione avanti al SS. Sacramento.
i
Si invitò il duca, che promise di venire anch'egli in
persona, ed anzi si propose di pagare esso stesso le
spese, e mandò gli addobbi migliori che si trovassero
adatti a quelle circostanze.
Queste notizie sparse per tutta la Savoia e paesi
limitrofi attirarono a Tonone una turba immensa di di-
voti da tutte le parti. Ne arrivarono anche dalla Sviz-
zera e dal Piemonte, specialmente dai marchesati di Susa
e di Saluzzo. E sebbene, per allora,.il duca non abbia
pututo intervenirvi, le feste procedettero con una solen-
nità non mai vista.
Il vescovo era già arrivato qualche giorno prima, e
per crescere splendore, alla vigilia conferì la Conferma-
zione a coloro che avevano già fatta l'abiura dei lo.ro
errori, ed anche conferì gli ordini sacri a varii chie-
rici che erano stati già preparati antecedentemente.
Che spettacolo fu allora vedere una infinita molti-
tudine di popolo correre a quella prima festa fatta con
tutta la solennità esteriore, in quella città che da 64
anni non aveva più visto nessuna funzione pubblica!
Vi erano processioni che alla testa portavano inal-
berata quella medesima croce, che sessantanni addietro
avevano diligentemente nascosta al furore degli eretici,
ed altre che recavano in mano varii strumenti della
Passione del Signore. Le processioni si succedevano
per turno all'adorazione; ed altre, che giungevano alla
sera sul tardi per timore dei Ginevrini, che non lascia-
vano di far qualche dimostrazione di mal animo contro
coloro che passavano vicino ai loro confini, consuma-
vano gran parte della notte confessandosi e ricevendo
le istruzioni del Santo e degli altri preti, che al vede-
re tanto popolo concorrere non solo dalle varie parti
della Savoia, ma ancora dall'estero, sentivano crescere
a doppio in loro lo zelo.
Furono frutto della solennità gran numero di conver-
sioni di eretici è di peccatori. Già non erano più soli indi-
vidui separati che venivano a fare l'abiura; ma parrocchie
e paesi intieri che con grande solennità procedevano pro-
cessionalmente a chiedere al vescovo di essere aggregati
alla Chiesa cattolica abiurando di tutto cuore l'eresia.
Il vescovo pareva ringiovanire alla vista di tanta
benedizione che Dio mandava alla cara sua diocesi.
Oh che lacrime di gioia versava egli ricevendo le nuove
abiure degli eretici che tornavano all'antica loro madre,
la Chiesa cattolica ! Come benediceva di cuore France-
sco, strumento di tanto bene!
Più solenne esercizio di Quarant'ore presente
il Duca.' — Dopo non molto tempo, avendo il Duca
potuto disimpegnare i gravi affari che l'avevano tenuto
19 — BARBERIS, Vita di S. Francesco di Sales.
-<
f '•

15.6 Page 146

▲back to top


lontano da quella solennità a cui aveva promesso di
intervenire, annunziò che prossimamente sarebbe arri-
vato, e che con lui sarebbe venuto anche il cardinal De
Medici, Legato dal Papa in Francia, il quale sul ritorno
voleva fermarsi a rendere più solenne quella festa. Il
che, come s'intese tra la gente, fece trasalire di giòia
tutti i buoni e si decise di ripetere con ancor molto
maggior solennità le sante Quarant'ore.
Ma se i buoni gioirono all'annunzio della venuta del
sovrano in Tonone, Ì primarii cittadini, calvinisti, furon
presi da costernazione. Pochi anni prima, costoro ave-
vano aperte le porte della città ai Bernesi ed ai Gi-
nevrini, che venivano a combattere contro il Duca.
L'imbarazzo della guerra del Duca contro la Francia
aveva lasciato passare impunito questo tradimento; ma
ora, essendo stata conchiusa la pace, il Duca si trovava
in libertà di fare la dovuta giustizia, e veniva risoluto
di .agire in modo rigorosissimo contro i colpevoli. Che
fare ? # N o n trovarono altro mezzo di salute se non an-
dare da Francesco e combinare col vescovo, affinchè
andando insieme incontro al sovrano trovassero modo
di placarlo.
Il zelante pastore, intenerito, parte immediatamente
con Francesco e con loro, e incontrato il Duca,-tanto
seppero dire e fare, che finirono per ottenere un com-
pleto perdono.
Questi atti guadagnarono i cuori di tutti; ed anche
gli eretici più ostinati ne furono tocchi; e l'animo loro
si aperse a pensieri di ritorno alla fede dei loro padri.
Il Duca presentando esso stesso Francesco al Le-
gato pontificio uscì in queste precise espressioni: « Ecco
il vero apostolo del Chiablese: egli è uomo di Dio,
mandatoci dal cielo: egli è che primo ebbe il coraggio
di venire in questi paesi a predicarvi la fede tra infiniti
——
pericoli della vita ; egli è che gettò il seme della divina
parola, che svelse la gramigna, piantò un'altra volta la
croce, fece rivivere un'altra volta la fede in questi paesi
da cui era stata scacciata da oltre sessant'anni per
arte e forza dell'inferno. La gloria di questa grand'opera
tutta a lui vuole essere data. » D a questo tempo Fran-
cesco fu comunemente detto XApòstolo del Chiablese.
Primo giorno della grande solennità. — Intanto,
essendo venuto il primo giorno della grande solennità,
ed ogni cosa spettante alla medesima essendo' stata
splendidamente ordinata, si cominciò colla solenne abiu-
ra di molti, che, lasciata la setta, abbracciarono con
gran gioia il catolicismo. Stava il Cardinal Legato
vestito pontificalmente, assiso davanti l'aitar maggiore,
in atto di far la solenne cerimonia. A l l a sua destra, ma
ad alquanta distanza, stava il Duca ; venivan dopo i
prelati, e poi i referendari di esso Duca, i protonotari
apostolici, i cavalieri del supremo Ordine dell'Annun-
ziata, e quindi teologi, gentiluomini, magistrati in gran
numero, ed una folla di popolo. Il ministro Petit, alla
testa di coloro che dovevano fare l'abiura, dinnanzi a
sì grave e venerando .consesso, trasse avanti, e pronun-
c i ò una forbita orazione, colla quale dichiarava i motivi
dell'abbracciar che faceva la fede cattolica ; andando
quindi ad inginocchiarsi a' piedi del Cardinale recitò
la formola dell'abiura e ricevette l'assoluzione. Segui-
rono le abiure e le assoluzioni di molti altri gentiluo-
mini e di comunità intiere; terminate le quali, si
cantò un solenne Te Deum in rendimento di grazie
alla divina bontà. Inqli si procedette alla Chiesa di
sant'Agostino, che essendo molto più grande di quella
di sant'Ippolito, meglio si confaceva per fare la espo-
sizione delle Quarant'ore.

15.7 Page 147

▲back to top


Il vescovo Mons. Granier vi pontificò la Messa,
assai ben cantata dai musici delle due cappelle del
Legato e del Duca, e quindi si fece la processione, la
quale fu veramente splendidissima: tutte le vie della
città erano parate a festa: portavano il baldacchino, da
una parte il Duca e suo fratello il principe Amedeo
di Savoia, e dall'altra due dei supremi magistrati :
dietro il baldacchino veniva il Cardinale con magnifico
accompagnamento di prelati, gentiluomini ed altri.
L o splendore degli apparati, la presenza di tanti sì
alti personaggi, e la innumerevole folla del popolo rese
quella processione tale spettacolo, quale si conveniva
a risarcire, in parte almeno, la fede cattolica dai vitu-
peri, che aveva in tanti anni patito dagli eretici.
Grandiosità dei festeggiamenti. — Per dare
un'idea della magnificenza di quegli apparati, e del gu-
sto dei tempi, darò qui un cenno di due cose più singo-
lari. Giunta la processione ad un certo luogo, apparve
un bellissimo tempietto, fattovi per la fermata del SS.
Sacramento. Come il Cardinale e il Duca furono sotto
un arco di trionfo, che quivi presso s'era di pari innal-
zato, ecco aprirsi un'artificiata nuvola ed uscire una
colomba, la quale, fermatasi prima dinanzi all'emi-,
nentissimo porporato presentagli scritto un compli-
mento in sei versi latini, e passata quindi dal Duca
offrigli un altro complimento in lingua francese. S p a -
rita la nuvola apparve una gran nave a tre ordini di
remi, ingegnosamente sospesa in aria, che sembrava
navigasse come in alto mare. D a essa si spararono, in
segno d'esultanza, alcuni colpi d i cannone, a' quali,
dalla vicina fortezza, fu risposto con altrettanti. Il po-
polo era strabiliato a vedere apparati sì ricchi e sì vari.
Quello però che attirava anche più gli sguardi'
della gente maravigliata, era un monticello a foggia
di vulcano, eh' era costrutto presso la Chiesa; e che
dalla cima gettava fuoco e fiamme, mentre alle sue
falde una fonte di aqua limpida zampillava perenne-
mente. Con questo Francesco aveva avuto in mente di
significare la fede cattolica, la quale non cessa mai di
mandar fiamme di carità verso il cielo, e di far scorrere
sulla terra le acque delle sue sante dottrine.
L'immaginazione sem.brava aver spiegate tutte le
sue-risorse per dare alla funzione l'interesse della novità
e della straordinarietà. Tutte le vie per cui doveva pas-
sare la processione erano ornate di tappetti, di quadri
e di verdura. L'ostensorio in cui si portava il Santissimo
risplendeva di perle e di diamanti.
Da tutti i paesi del Chiablese vennero in quei giorni
processioni, di modo che esse si successero senza in-
terruzione giorno e notte. V'ebbero, in tutti i tre dì,
un numero immenso d'abiure: ne ricevette il Cardi-
nale in persona, alla presenza del Duca, in sì gran
numero, che, stanco della fatica, dovette desistere e
lasciare che il vescovo e Francesco facessero le sue veci ;
ed essi medesimi non potendo soddisfare a tutti gli
individui assolvevano a centinaia insieme, divisi parroc-
chia per parrocchia.
Anche del tutto singolare fu l'esempio dato dal
Duca di Savoia e dal suo fratello, i quali, adorni del
collare e del manto di Gran Maestro dell'Ordine del-
l'Annunziata, s'accostarono ai santi Sacramenti con
tutto il loro seguito, avendo Francesco e gli altri preti
speso gran parte della notte per confessarli.
Solenne inalberazione della croce commemo-
rativa. — L a festa fu terminata con una commoven-
tissima funzione. Esisteva in altri tempi in T o n o n i

15.8 Page 148

▲back to top


una croce molto venerata; essa era £tata abbattuta
dagli eretici. Ora il buon popolo mostrando desiderio
di rivederla^ Francesco n'avea fatto preparare una,
e quel dì era segnato per andarla ad innalzare con
grandi segni d'onore. Mentre Francesco, disposta una
numerosa processione, portava la nuova croce in trion-
fo, per riportarla in luogo dell'antica, il Duca trasse
cogli altri alla cerimonia; e non solo, ma quando, tra
i festivi canti e suoni e le salve dei moschetti, il
glorioso segno della redenzione veniva inalberato e
fermato, anche Sua Altezza non isdegnò di appressare
la sua parte di terra, e poi, inginocchiatosi, fermarvisi
in fervorosa preghiera, e baciare quel sacro legno, con
universale ammirazione della gente, che non aveva
veduto mai sì edificante spettacolo. Fatto altrettanto
dai gentiluomini che si trovavano presenti, Francesco
intonò un solenne Te Deum in rendimento di grazie a
Dio, che aveva con un tratto assai grande della sua
misericordia fatto sì che nessuno, neppur piccolo in-
conveniente, fosse venuto a turbare la santa allegria di
quelle tre giornate.
,
Ristabilimento generale del culto cattolico. —
Il frutto riportato da queste solennità fu veramente
strepitoso, molti vennero alla festa ancora protestanti e
ne partirono cattolici : molti che esitavano furono presi
come da fervore straordinario pel cattolicismo : altri
già cattolici si consolidarono ognor più nella lor fede:
tutti riportarono maggior amore per quella religione,
che videro essere suscettibile di così sublimi impressioni.
Anche dopo chiuse le feste non passava giorno senza
che si facessero abiure: alcune volte non di soli indivi-
dui, ma di intiere parrocchie. Così addì 7 di ottobre 1598
vennero a ritrattarsi, tutto ad un tempo, cinque o sei
parrocchie ; addì 8, tre altre; addì 9, trecento persone
fecero insieme l'abiura, e pregarono il Duca di non
permettere più, che protestante alcuno andasse a pre-
dicare da quelle parti. Nel giorno appresso molte altre
persone di altri luoghi fecero altrettanto; e la dimane,
che cadeva in domenica, duecento altri vennero pro-
cessionalmente portando l'antica loro croce, sottratta,
al tempo delle persecuzioni, al furore degli eretici.
Altra cosa ben consolante fu il vedere in Tonone,
dove per sessant'anni non era stato possibile celebrare
pur una Messa, nè fare una Comunione, nell'affare di
60 giorni, nei quali ebbero Luogo le due esposizioni delle
Quarant'ore, essersi fatte ben 162 mila Comunioni e
celebrato varie centinaia di Messe.
A rendere duraturo questo magnifico effetto della
missione, essendo necessario che si riordinasse in cia-
scuna parrocchia il sacerdotal ministero, partito il Car-
dinal Legato, il Duca fermossi ancora alquanti giorni
a Tonone, per regolare ogni cosa e provvedere peVchè
il cattolicismo rimanesse ben stabilito e come l'unica
religione che avesse culto pubblico nel Chiablese. In-
tanto Francesco pigliò una generale informazione dello
stato in che si trovavano le chiese ed i beni ecclesia-
stici, affinchè ogni villaggio e luogo, che in antico era
fornito di parroco o d'altro sacerdote, il fosse di nuovo.
Il vescovo ed il Duca diedero ordine che tutto fosse
eseguito e si provvidero di maestri e di magistrati cat-
tolici i luoghi che ancora ne abbisognavano: di guisa
che, se non di fatto, perchè non si potè eseguire ogni
cosa d'un colpo, almeno in base fu ristabilito il culto
cattolico in tutta quella regione, con infinita allegrezza
di Francesco, del véscovo e di tutti quanti, non pur
della' Savoia, ma del mondo, che pigliavano parte al
trionfo della verità sopra l'errore. I cattolici videro in

15.9 Page 149

▲back to top


questi fatti inaugurata un'era novella per la loro fede ;
gli eretici il colpo mortale del loro dominio su quelle
contrade. Francesco aveva allora 31 anni e correva il
quinto anno dacché s'affaticava a convertire il Chia-
blese. Ciò non pertanto rimaneva ancora molto da fare
e vedremo in seguito come Francesco non si die' pace
finché ogni cosa fosse provveduta; specialmente pèrché
fosse stabilito in Tonone un gran collegio e come una
specie di università di arti e mestieri per evitare il pe-
ricolo che gli abitanti cattolici del Chiablese e paesi
vicini avessero da andare nelle città protestanti della
Svizzera per fare le loro provvigioni o imparare le arti
con gran pericolo della loro fede.
Francesco proposto come Vescovo coadiutore.
-— Il vescovo Claudio Granier sentendo il peso degli
anni, e le sue forze più non corrispondere allo zelo che
lo divorava per la gloria di Dio e per la salute delle
anime, comprese che gli bisognava un coadiutore, cioè
un altro vescovo, che lo aiutasse nel restante della sua
vita e che gli succedesse poi quand'egli fosse morto.
Pose gli occhi sopra Francesco; e prese la circostanza
della presenza del Duca e del Cardinal Legato per co-
municar loro il suo progetto. Essi non solo l'approva-
rono ma lo commendarono e promisero di appoggiarlo a
Roma presso il Santo Padre; ma per alloranon si disse
nulla a Francesco attendendosi occasióne più propizia.
Il vescovo ne gioì immensamente ; ma non si lusingaya
troppo,..sapendo che l'umiltà di Francesco gli avrebbe
fatto fare grandi difficoltà ; ma di questo aspetteremo
a parlarne più tardi, quando si parlerà della sua vera
nomina, approvata dal Papa. Il Duca poi, in altre
• circostanze, rivoltosi a Francesco gli disse : « Finora
ho acconsentito a quanto avete chiesto per altri : ora
chiedete anche alcuna cosa per voi, affinchè possa
darvi qualche segno dell'amore e riverenza che vi por-
to. » — « Io prego l'Altezza Vostra, rispose Francesco,
di sempre benignamente e favorevolmente ascoltarmi
ogni volta che raccomanderò gì' interessi della Chiesa
e dei vostri sudditi, i cattolici; questi sono gl'inte-
ressi miei; non ne ho altri. » Maravigliato di tanta
generosità e disinteresse il Duca nqn finiva più di
magnificarlo qual uomo di altissima virtù, e ripetè più
volte: «Francesco di Sales è il padre e l'apostolo del
popolo del Chiablese: se Iddio desse alla Chiesa certo
numerò di soldati così valenti e zelanti dell'onore della
causa che pigliano a difendere, in breve la terra mu-
terebbe d'aspetto. »
Fatiche straordinarie pel rassodamento della
fede cattolica nel Chiablese. — Quando un edifizio
nuovo sembra terminato, e tutto l'esterno è finito, non
si è che alla rrietà dell'opera, tante sono ancora le
piccole cose .e le cure straordinarie richieste per adat-
tare,' compire, e ornare gli appartamenti particolari.
Così era quasi intieramente compiuta la conversione del
Chiablese; ma si richiedevano ancora mille cure e sol-
*
,lecitudini ed atti di zelo, per terminare, ordinare e
consolidare le conquiste fatte.
In molti luoghi mancavano ancora i curati ; nella
maggior parte dei luoghi i curati non avevano con che
vivere; non vi erano ancora maestri cattolici; varie
autorità giudiziarie e civili erano ancor protestanti, e
si servivano della loro autorità per insevire contro i
cattolici ; le provincie attorno non avevano ancora ri-
sentito che in piccola parte il calore di quel fuoco che
partiva da Francesco. Allora il Santo moltiplicò ancora
se stesso, e cercò modi efficaci di provvedere a tutto.

15.10 Page 150

▲back to top


— 298 —
E siccome, non ostante le buone volontà e gli ordini
del Duca, i cavalieri non si risolvevano a cedere i beni
che appartenevano alle parrocchie del Chiablese, il
vedendo che così si rompeva ogni suo disegno, e
s'impediva, per bassi materiali interessi, il bene della
religione e delle anime, contrappose alla memoria dei
cavalieri una scrittura, nella quale mostrò chiaramente,
che la ragione di provvedere i curati e gli altri ecclesia-
stici necessari alle provincie convertite, non era un pre-
testo, ma verità pura e schietta. Confutò anche per tal
guisa le mossegli difficoltà, che i cavalieri, ricevuta dal
Duca questa scrittura di Francesco, non seppero rispon-
dere; ma pur risoluti di non darla vinta 3.I valoroso cam-
pione dei diritti della religione, se non in caso disperato,
s'appigliarono al partito di suscitar nuovi ostacoli, e
con cavilli e raggiri s'ingegnarono di guadagnare tem-
, e menar in lungo la cosa. Conobbe Francesco
e, senza aspettare oltre, stese un'altra Me-
moria, in cui mise sempre più in luce il bisogno dellz
cosa ed espose e spiegò la volontà del Papa a questo
riguardo. Si commosse il Duca a questa nuova istanza
di Francesco, ed accortosi della mala disposizione
cavalieri, per evitare ogni ulteriore intrigo, comando
il Breve del Papa fosse eseguito sollecitamente e
perfettamente; e così questa volta la costanza di Fran-
cesco e la sua fortezza d'animo la vinse definitivamente
e la cosa si fece, con gran vantaggio della religione e
giubilo del santo apostolo.
CAPO IX.
Sesto anno di missione.
Andata di Francesco in Francia. — Non era ter-
minata ancora la conversione del Chiablese, che lo zelo
del santo pensò ad estendere le conversioni nei paesi
vicini. Le provincie, o, come allóra dicevansi, i bal-
liaggi di G e x , di Gaillard, e di Ternier, confinanti col
Chiablese erano in massima parte abitate da eretici,
e Francesco non ebbe pace finché non le potè veder
convertite. Ma una parte di queste terre era soggetta
al re di Francia, ed egli non lasciò nulla d'intentato
presso il vescovo, presso il Duca e in fine anche presso
il Papa affinchè s'interponessero presso Enrico I V , af-
finchè si potesse aver facoltà di predicare la religione
cattolica anche in quei paesi. E d opponendosi a que-
sto suo intendimento gravissime difficoltà, ottenne d'es-
sere mandato esso stesso a Parigi, quale ambasciatore
presso quel re, per istrappare di presenza ciò che non
si poteva ottenere con trattative.
Non ostante la stagione contraria Francesco si mise
in viaggio, e volendo fare le cose con molta premura,
per guadagnar tempo, corse varii pericoli della vita ;
ma il Signore nella sua bontà, da tutti lo liberò, Spe-
cialmente fu da tutti giudicato miracoloso il passaggio
del fiume Saona, straordinariamente ingrossato per le
torrenziali pioggie cadute; fiume che egli passò in-
ginocchiato pregando nella barca affatto tranquillo,

16 Pages 151-160

▲back to top


16.1 Page 151

▲back to top


— 3°° —
mentre tutti trepidavano per la sua morte che pareva
inevitabile.
Arrivò a Parigi il 22 Gennaio. Sua prima visita
fu al Nunzio del Papa, il quale tenendolo in grande
considerazione, e comprendendo l'importanza di quello
che aveva da trattare, lo condusse egli stesso dal mi-
nistro Villeroy, al quale competeva di trattare la cosa;
ma questo ministro, non propenso alle cose di religione,
faceva una difficoltà sopra l'altra e mandava le cose
all' infinito. Allora Francesco decise di presentarsi di-
rettamente al Sovrano.
Il re di Francia lo trattò con molta amorevolezza;
ma la cosa che gli chiedeva il nuovo apostolo si era
resa difficilissima, perchè nelle guerre antecedenti gli
eretici di quei paesi gli furono come ausiliarii, e cre-
deva inopportuno ora contrariarli troppo. Ma Fran-
cesco non lasciò di muovere ogni pietra, pur di riu-
scire nel suo intento; tuttavia una. difficoltà seguendo
l'altra, ed avendo dovuto il re assentarsi per un tempo
notevole da Parigi, fu giocoforza a Francesco di dimo-
rare in quella capitale nove mesi.
Proficuo lavoro nel sacro ministero. — Questo
tempo passato dal Santo in Parigi fu provvidenziale
pel bene della religione. Sempre infaticabile nel suo
zelo, si dedicò indefessamente alla salute delle anime.
Mentre attendeva le occasioni propizie per riuscire rie'
suoi affari, si pose a lavorare nel sacro ministero. Si
può dire che vi fece una missione apostolica presso a
poco come nel Chiablese. Essendo venuto a mancare
il predicatore quaresimalista di corte egli acconsentì-
a sostituirlo, e fece stupire l'affollatissimo uditorio per
la sua dolcezza e grazia nel predicare, non che per là
sua dottrina a forza di ragionamento.
La corte di Francia riboccava non solo di calvi-
nisti, ma di empii e di libertini. Egli predicò a bella
prima sulle verità generali della fede, in guisa che
trasse a sè la moltitudine dei cattolici e dei calvinisti,
e convertì molti peccatori e molti eretici, sebbene egli
non entrasse in questione di controversia e non dicesse
nulla contro l'eresia. Quando il cuore è tocco lo spi-
rito è ben presto convinto. « Io ho sempre creduto M
scrisse poi egli stesso, che chi predica con amore pre-
dica abbastanza contro gli eretici, sebbene non dica
pur una sol parola di disputa contro di loro. »
Solo più tardi pigliò a trattare soggetto di contro-
versia, ma anche questo dolcemente e solo sopra il
punto che allora era fondamentale: sostenne cioè che
il ministero dei calvinisti era senza autorità, ed i loro
ministri senza missione legittima, non procedendo essa
dagli apostoli. Quando poi fu ben sicuro del suo udito-
rio sfidò i ministri ugonotti1 a contraddire al suo as-
sunto. Tale sfida mise i ministri protestanti in un ter-
ribile impiccio: si consultarono lungamente tra loro,
ma non poterono convenire in una riesposta. La qual
cosa vedendo varie delle famiglie più illustri di Pari-
gi abbandonarono il calvinismo e si resero cattoliche.
La sua fama crebbe al punto che tutti desiderava-
no di abboccarsi con lui, e tutti ne uscivano convertiti,
poiché esso alla sodezza assoluta degli: argomenti ag-
giungeva tale amabilità di maniere e attrattiva di affet-
to, che nessuno gli poteva resistere. Fu allora che il
Cardinale Du Perron non si potè contenere dal sog-
giungere: — « Io sono sicuro di saper convincere i
calvinisti facendo loro vedere che si trovano nell'er-
rore; ma la grazia di convertirli Iddio l'ha riservata
a Francesco. »
A Parigi Francesco non fece minori conversioni

16.2 Page 152

▲back to top


32
tra: i cattolici medesimi '.che tra gli ugonotti, poiché
nq ^ridusse un gran numero ad una vita veramente
cristiana e fervorosa. Ed era ben giusto che questa
città, la quale aveva avuto l'onore di gettare nell'anima
del futuro Dottore di santa Chiesa i primi semi della
scienza sacra, fosse anche la privilegiata a raccogliere
i frutti de' suoi insegnamenti ascetici. Il re stesso ed
i suoi cortigiani furono soggiogati dalla sua maravi-
gliosa eloquenza, e d'allora in poi le persone che più
decisamente si volevano dare alla vita interiore si
misero sotto la sua direzione, e le anime pie con an-
sietà cercavano i consigli del Santo, e tenevano come
grazia del Signore il poter intrattenersi con lui. Una
di queste anime fu la signora Acarie, che poi si fece
carmelitana sotto il nome di suor Maria dell'Incarna-
zfonè, la quale fece parlare tanto di sè in Francia,
per la sua santità di vita, e che venne poi beatificata
da Pio VI nel 1791 : essa si confessava con frequenza
dal santo apostolo nel tempo che quegli si fermò a
Parigi. Così altre e altre anime furono da lui guidate
nei fioriti sentieri delle virtù più pure e sublimi, co-
me diremo ancora quando si parlerà del suo bel libro
della Filotea.
Conversioni. — Tra le molte conversioni di ri-
guardevoli personaggi, ch'egli fece in quel soggiorno
a Parigi, ve n'ebbero alcune, delle quali, pel modo
in esse tenuto, e per l'istruzione che -possono dare a
noi, non 'voglionsi tacere.
Essendo Francesco andato in casa della signora di
Montigny, vi trovò un gentiluomo calvinista, parente
di lei, il quale gli disse che si sarebbe di presente
reso cattolico, sol che gli si fosse provata l'esisten-,
za del purgatorio, cosa a cui i protestanti general-
mente non credono, adducendo per pretesto che la
Bibbia non parla di esso. Francesco, tratta fuori in-
contanente ed aperta la Bibbia, provogli questa verità
con l'esempio di Davide, al quale, dopo la remissione
del peccato, fu tuttavia assoggettato ad un aspro ca-
stigo ; gli fece vedere la prima Epistola di S. Giovanni,
in cui si dice, che v'hanno peccati non mortali. Stabi-
lita poi l'autenticità del secondo libro de' Maccabei, fe-
cegli vedere come Giuda Maccabeo fece raccolta di
12 mila dramme per far celebrare sacrifizi' in prò dei
defunti uccisi in battaglia, soggiungendo che « è cosa
santa e salutare il pensiero di pregare pei defunti. » (1)
Gli fece vedere le parole di Gesù Cristo, dove dice che
« il peccato contro lo Spirito Santo non si'rimette nè in que-
sto nè nell'altro mondo,. » indicando con ciò che dunque
v'erano peccati, che nell'altro mondo si rimettevano.
Portò le parole di San Paolo ai Corinti: « Il fuoco
proverà qual sia il lavoro di ciascheduno... alcuni saran
salvati, così però come per mezzo jdel fuoco. » Terminò
con portare tante prove e dei santi Padri e dei Concili,
e delle credenze della Chiesa universale, prima che esi-
stessero i protestanti, e della ragione stessa, che quel
gentiluomo ne fu al tutto convinto, e poco tempo ap-
presso attenne la parola, e abiurò il calvinismo.
Un'altro, dall'eresia era per logica conseguenza
trapassato fino all'ateismo, alla miscredenza, e al dis-
prezzo d'ogni cosa di religione. Costui, scontrato il
Santo per via, chiesegli con aria beffarda novelle di Dio
e della fede cattojica. Sentì Francesco rimescolarsi - il
sangne a sì empia favella; ma frenato lo sdegno e
compostosi alla sua usata pazienza e dolcezza, appiccò
discorso con quello sciagurato,. e ragionò con tanta
(1) Sancta et salubris es.t cogitatio prò defunctis exorare.

16.3 Page 153

▲back to top


efficacia e chiarezza, partendo dalla necessità assoluta,
che vi sia una causa che abbia prodotto gli effetti che
noi vediamo, non potendo esistere il mondo, e le cose
che nel mondo sono, senza una causa che le abbia
prodotte; e passando per tutta la catena delle altre
verità fondate su quella, gli fece capire così chiara-
mente la necessità d'una prima causa che producesse
tutte le altre, che l'infelice, già più nè empio nè ateo,
scoppiò dapprima in lacrime, e poi confessato e co-
municato, prese a condurre e condusse di fatto vita
esemplare.
L e sue predicazioni. — L a santa vita di Fran-
cesco, l'aria, il contegno, le maniere, la favella gli ave-
vano. acquistata tanta stima, ^imore, venerazione dai
buoni, che andando per via, la gente si fermava a guar-
darlo con ammirazione e riverenza, e molti per divo-
zione gli toccavano le vesti e gli baciavano le mani.
E quando accettò di predicare la Quaresima e poi l ' A v -
vento, aveva tal calca d'i uditori, tra cardinali, vescovi
e principi accorsi ad udirlo, che'molti non poterono
se non a gran fatica trovare luogo. E , quel che fu
più maraviglioso si è, che quanto più predicava, tanto
più si mostrava desiderio di udirlo ancora; e ognuno
diceva che non s'era mai sentita predicazione più
santa e più apostolica. Per la qual cosa fu detto che
non si cercavano in lui le belle espressioni : bastava
vederlo in pulpito ; bastava udirne qualche parola, ba-
stava vederlo fare una breve preghiera, per sentirsene
commossi. Le sue parole comuni, ma accese dal fuoco
della carità, commovevano ed intenerivano i cuori; e
nel parlare aveva un non so che di straordinario, che
ogni cosa faceva mirabile effetto. A d altri che dicèsse
cose buone quanto lui non vi si sarebbe badato: egli
— 3°5 —
aveva un certo modo paradisiaco nel predicare, che
portava frutti maravigliosi.
Finita la predicazione dell'Avvento vollero offrirgli,
come segno di riconoscenza, un magnifico vasellame
d'argento ; ma egli ìtoìasò costantemente, ne fu pos-
sibile farglielo accettare. Quello che accettava si erano
sempre i nuovi inviti, che d*ogni parte venivangli, di
predicare in questa o quella Chiesa ; predicò talvolta
t r e . e quattro volte in un solo giorno; di sorte che,
fatta ragione delle varie volte che in quei nove mesi
predicò a Parigi, si contarono trecento sessantacinque
prediche, fatte con sempre la medesima frequenza e
diletto degli uditori.
Uno de' suoi, sentendolo un dì dar parola per un
sermone, chiesegli se si fosse dimenticato, che per quel
giorno già doveva predicare in altra Chiesa: « E h , la-
sciate fare, rispose, Dio ci darà la grazia di fare, que-
sta seconda, ed anche una terza predica, se occorre ;
egli è misericordioso con quelli che lo invocano.
— Ma la vostra salute ne patirà danno.
— Se Dio, ripigliò egli, dà forza allo spirito per-
chè trovi tuttavia che dire, non permetterà altrimenti
che il corpo, ministro della parola, venga meno. F poi,
non siamo noi per condizione di stato la luce del
mondo? Mal ragiona colui che crede spegnersi una
face illuminando altri.
— Ma l'aversi cura della propria sanità...
— Dio vieta di diffidare della sua bontà. Oh ! non
dobbiamo spendere noi le nostre forze per questo caro
prossimo, amato dal Redentore fino a morire per
esso ? »
S. Francesco e S. Vincenzo. — Non è da pas-
sare sotto silenzio la particolar conversazione ed ami-
2 0 — . B A R B E R I S , Vita di S . Francesco
di
Sales.

16.4 Page 154

▲back to top


cizia che in Parigi strinse con S . Vincenzo de' Paoli.
L e anime grandi ben presto si conoscono a vicenda:
ci vollero poche visite e poche parole affinchè queste
due anime s'intendessero e comunicassero l'un l'altro
la celeste sapienza, l'inspirazione del divino Spirito,
di cui entrambi erano ripieni. Francesco non con altro
nome sapeva chiamare Vincenzo, se non di prete santo,
di prete il più degno che avesse a' «uoi dì veduto ;
e Vincenzo diceva di Francesco, che quella sua dol-
cezza, maestà, modestia, tutti i suoi modi,' gli dipin-
gevano sì al vivo il Divin Salvatore, che parevagli
vedere in lui Gesù conversante con gli uomini. A v e n d o
in seguito Francesco istituito un monastero della Visi-
tazione a Parigi, vi prepose Vincenzo a direttore spiri-
tuale. L'umiltà di quel Santo non gli permetteva di
accettare : ci volle un ordine dèi vescovo di Parigi
per fargli accettare questa carica, ma poi la sostenne
per. ben quarant'anni.
Le giornate di S. Francesco. — Le cure e le
fatiche che contammo fin qui non erano che una parte
delle tante che Francesco sosteneva quotidianamente
in Parigi. Infinite erano le richieste che d'ogni dove
piovevangli or da monasteri per conferenze spirituali,
prediche, confessioni ; or da dottori e da studenti
perchè si degnasse di onorare di sua presenza i so-
lenni esami o le dispute; or da vescovi, ecclesiastici
d'ogni regione, che a lui ricorrevano per consigli come
ad arca di sapienza; or da private famiglie, che lo
pregavano di tentar egli qualche via di ristabilire in
esse la pace e la concordia smarrita o turbata per
liti e dissensioni domestiche; or dalle pie assemblee,
che recavansi a gran ventura d'averlo presente alle
loro radunanze; cosicché si può veramente applicare
al nostro Santo l'elogio che il Signore fa nella sa-
cra Scrittura ai patriarchi, dicendo che passavano dìes
pieni, cioè giorni pieni di buone opere, senza per-
dere mai un bricciolo di tempo.
\\
S. Francesco ed Enrico IV. — L'entusiasmo che
finì per eccitare Francesco in Parigli fece sì che tutti
lo amassero e gli aprissero il cuore. L o stesso re E n -
rico I V lo consultava spesso sugli affari più delicati,
e mostravagli un affetto e una venerazione straordi-
naria: egli era solito dire di lui: « Io lo amo perchè
non mi ha mai adulato. » Un amico comune del re e
del Santo fu il signor D e s a y e s . U n giorno Enrico I V
10 strinse a dirgli sinceramente quale àmassé di più
o lui o Francesco. Il Desayes provocato dovette ri-
spondere e si espresse con queste parole : « Io ho per
la Maestà vostra tutta la venerazione e tutta la tene-
rezza di cui sono capace ; ma amo molto il Coadiutore
del vescovo di Ginevra. » Il re ripigliò : « Io non posso
censurare i vostri sentimenti ; ma vi prego ambidue
di poter essere il terzo in questa amicizia. »
Enrico I V poi non avrebbe voluto che più si allon-
tanasse dal suo stato, e mise tutto in opera per tratte-
nerlo in Francia, proponendogli di farlo vescovo in qual-
che città del suo regno ; ma Francesco non pensava ad
altro che a condurre a felice termine la conversione delle
varie provincie della Savoia, e siyserviva di tutte le occa-
sioni per ottenere nuovi mezzi all'uopo. E , come Dio
volle, ottenne le cose più importanti di quanto chiedeva,
cioè il ristabilimento delle'parrocchie cattoliche in tutto
11 paese sottoposto alla corona di Francia e il libero
esercizio del culto nelle medesime terre, e avviò varie
pratiche per finire di ottenere il resto; di modo che
ritornato in Savoia ebbe, poco per volta, e dopo im-
2 Barberis,
Vita di S . Francesco
d
Sales.

16.5 Page 155

▲back to top


mense altre fatiche, la consolazione di vedere anche
quasi intiere le provincie di Gex, di Galliard e di Ter-
nier tornate in seno alla religione cattolica. E questo
lo riempì di così abbondante consolazione, che non
lasciava giorno senza renderne grazie al Signore.
CAPO X.
Trionfo Finale. . ,
La santa casa di Tonone. — Nelle cose che il
Santo intraprendeva non istava mai alla superfice; e
non s'arrestava se non quando avesse messo in quelle,
ferme basi, e fosse sicuro della riuscita. Egli aveva in
vista di stabilire su così salde fondamenta la conversio-
ne del Chiablese, e dei paesi limitrofi, che non corressero
poi più pericolo'di pervertimento, per'quante arti usas-
sero i calvinisti di Ginevra e di Berna per sedurli. A d
ottenere ciò, oltre ai mezzi già indicati, ne adoperò al-
cuni particolarissimi, i quali indicano l'acutezza di
mente di chi pensa a tutto, e la tenacità di proposito
di chi non indietreggia mai in mezzo alle difficoltà.
L a necessità di frequentare Ginevra e Losanna, per
vendere e comperare i diversi oggetti necessari agli
usi della vita, metteva continuamente in pericolo la
fede dei cattolici del Chiablese. Essi trovavano in quelle
due città mille sorta di seduzioni, essendo che colà si
motteggiavano i nuovi convertiti, si insultava in loro
presenza la fede cattolica, e finalmente si tentavano
tutti i mezzi per ricondurli ai .loro primitivi errori. Un
pericolo anche maggiore eravi per coloro, i quali allet-
— 309 —
tati dai mezzi ehentrati) no quei luoghi che son centri
di grandi popolazioni, andavano ad impararvi le arti
meccaniche, ovvero a stabilirvisi come servi o a stu-
diar le scienze o le belle arti.
Queste occasioni di rovina avevano tanto più forza,
in quanto che, in quelle due città, veniva assicurato
di trovar molti vantaggi temporali chiunque andasse
ad abiurarvi la religione cattolica. Da questo ne ve-
niva che vari, stimolati dal bisogno, si ritiravano colà,
comperando i comodi della vita a costo delle loro
anime.
Per rimediare a sì gravi mali, Francesco venne nella
deliberazione di fondare a Tonone un immenso pub-
blico stabilimento, che fosse nel tempo stesso una specie
di università, in cui s'insegnassero tutte le scienze, e
un opificio modello, dove si esercitassero tutti i mestie-
ri; e servisse anche di rifugio, ove, chiunque volesse
convertirsi alla religione cattolica, o vivere secondo le
massime di questa, se già l'avesse abbracciata, potesse
farlo onoratamente, sì insegnando, se ne erano capaci,
come esercitando od imparando un mestiere, secondo
la propria condizione. Era anche nel programma di
Francesco, che in detta casa funzionasse un Monte
di Pietà, ossia un banco dove si imprestasse al popolo
con interesse bassissimo quanto abbisognassero-; vi
fosse una tipografia ben provveduta, e vi si tenesse
una specie di magazzino di somministranze, contenente
ogni sorta di mercanzie, e le varie cose necessarie alla
vita, per venderle a prezzo moderatissimo, affinchè gli
abitanti di quei paesi, trovando a Tonone tutto ciò
di cui avevano bisogno, cessassero di frequentate Gi-
nevra o Losanna.
L ' i d e a di fondare una simile casa arrise al vescovo
e a tutte le persone a cui se n' era data' comunica-

16.6 Page 156

▲back to top


— 310 —.
zione, massimamente al Duca di Savoia, che espresse
gran desiderio di vederla effettuata. Anche il Sommo
Pontefice Clemente V i l i ne udì parlare con grande com-
piacenza, e pregato da Francesco dell' approvazione
apostolica, annuì immediatamente, e con la Bolla del 13
settembre 1599 eresse col nome di Santa Casa di
Tonone. Il Santo Padre concesse ad essa tutti i diritti e
i privilegi delle pubbliche università, particolarmente di
quelle di Bologna e di Parigi, e ne nominò come Pre-
fetto, ossia presidente, il medesimo Francesco, accor-
dandogli pieno potere di fare, d'accordo co' suoi preti,
tutti gli statuti utili al buon andamento di essa. No-
minò poi, ad istanza di lui, a protettore, il Cardinal
Baronio.
La cosa non era di facile esecuzione; mille diffi-
coltà di mille sorta si opponevano e specialmente pa-
reva insormontabile la questione finanziaria: si richiè-
devano milioni per eseguire tutto il grandioso suo pro-
getto; ma all'attività e carità sua niente poteva porre
valida risistenza. La Santa Casa si eresse : tutti i buoni
ne provarono consolazione indicibile, e fu stimolata in
guisa la 'loro beneficenza, che varie persone pie le
fecero considerevoli donativi. Fra gli altri un gentiluo-
mo, recentemente convertito, diede ottomila scudi in
una sola volta; e il Duca di Savoia vi aggiunse offerte
degne della sua regale munificenza. Il pensiero di Fran-
cesco era bensì di eseguire anche molto più di quello che
si fece : ma benché non tutte le sue intenzioni siansi po-
tute effettuare stante le immense difficoltà, tuttavia l'i-
stituzione fu tale, che produsse veri ed abbondanti frutti
di vita eterna.
Ultimi strepiti dell'eresia. — Il general commo-
vimento degli animi in favore della fede cattolica, e
— 3r 1
più le tante c o n v e r g i ) già fatte e che tuttavia si fa-
cevano ogni dì, anche nelle provincie limitrofe, e nei
paeselli più reconditi davano assicurazione che la con-
versione sarebbe stata costante. I protestanti, vedendo
la loro mal parata, già si sarebbero contentati che si la-
sciassero nel Chiablese tre loro ministri, stipendiati dal
pubblico erario, e di ciò mandarono legazione al Duca.
E siccome il consiglio dei ministri del Duca propen-
deva a concedere questo, con grave danno della fede
cattolica, Francesco imperterrito alzò la voce. « La-
sciar ministri ugonotti,'stipendiati dal pubblico Erario,
in questa provincia è porsi a rischio di perdere in breve
tutto quello che, con grandé fatica, si è acquistato ; »
ed il Duca non si lasciò piegare a consigli importuni
de'suoi ministri. E siccome gl'inviati Bernesi insiste-
vano fortemente, il Duca, spronato da Francesco, sog-
giunse: « Ebbene ! io acconsentirò, purché anche voi ri-
ceviate i preti cattolici che io manderò a Berna » al che
sapeva che mai più avrebbero acconsentito i Bernesi.
Per ultimare l'opera del perfetto consolidamento
del cattolicismo nel Chiablese, Francesco stese un'al-
tra memoria al Duca, intorno allo stato della religione
in quei paesi. In questo scritto proponeva vari prov-
vedimenti utilissimi, anzi necessari. Insisteva special-
mente sulla necessità di mettere cattolici buoni e ben
disposti ad esercitare tutti i pubblici uffizi, e special-
mente di sostituire con insegnanti cattolici i maestri
protestanti. S'incontrarono molte difficoltà ad eseguire
i disegni di Francesco ; nondimeno egli non si smar-
riva d'animo; anzi pareva che le difficoltà gli cresces-
sero forza e vigore, e poco per volta tutto si fece.
A compire la grand'opera il santo missionario fece
vari ordinamenti intorno ai libri proibiti, all'obbligo
dei genitori.di mandare i loro figliuoli al catechismo,

16.7 Page 157

▲back to top


all'osservanza delle feste, nelle quali voleva che le bot-
teghe stessero chiuse, s'assistesse da tutti alla Messa
solenne, al vespro ed alla predica, e- niuno, in tempo
delle sacre funzioni, presumesse di star ne' ridotti o
in danze od in giuochi.
Ultime conversioni. — Quantunque, per tante
conversioni, il paese avesse già aspetto intieramente
cattolico; nullameno il numero degli eretici sparsi qua
e là era ancor notevole, e, quel che è più, molti dei
non convertiti erano ricchi e nobili ; e questi col loro
esempio influivano sugli altri. Tra essi i principali erano
tre : il colonnello Brotty ed i ministri J o l y e Desprets.
Francesco era tutto in lagrime pel loro acciecamento,
vedendo, che se quelle tre persone qualificate-e istruite
avessero abiurato, sarebbersi tirato dietro tutti que-
gli altri nobili e signori, che ancora erano restati pro-
testanti. Iddio volle dargli questa consolazione, poiché,
essendo detti tre gentiluomini stati esiliati dal Duca
di Savoia, il quale non poteva sopportare lo scandalo
di vederli in mezzo ai cattolici a sostenere l'errore,
essi ricorsero a. Francesco, ed egli ottenne loro dal
Duca la grazia del rimpatrio.
Essendo essi, com'era naturale, andati a visitare il
loro benefattore per fargli que' ringraziamenti che ben
si meritava, Francesco fece cadere il discorso su cose
di controversia, e mostrò al Brotty un luogo d'un'o-
pera del Beza, nel quale si;dice essere a Calvino che
si deve la gloria d'aver trovato il modo di spiegare
le parole della cena -. questo è il mio corpo. « Or, con-
tinuò Francesco, non pare a voi, signor mio, che que-
sto sia un affermare che Calvino è inventorore d ' u n
dogma sconosciuto non ohe ai SS. Padri, agli Apostoli
stessi? Poiché se prima di Calvino non si seppe mai
ta vera significazione ^ i i e l l e parole, egli è chiaro
che questo fu un dogma non mai prima conosciuto.
Questo non è egli confessare apertamente che la
dottrina di Calvino non viene dagli Apostoli, e quindi
nemmeno da Gesù Cristo? » Il Brotty, stretto a questo
modo, non sapendo che rispondere, disse, egli non es- *
sere teologo, e perciò non dover produrre maraviglia
se non avesse risposta da dare; ma che se Francesco si
contentava, sarebbe andato a Ginevra a parlarne coi
più dotti ministri: il che all'istante gli fu concesso.
M a l'impaccio dei ministri ginevrini non fu punto
minore del suo; perchè con uomini come il Brotty
non bastavano le solite ciancie : onde non avendo altro
modo da uscirne, il L a F a y e , capo di essi, pigliò il
partito di accusare il Beza d'errore, e disse che in ciò
il valent'uomo aveva preso abbaglio e non era da se-
guitare. Questo era un darsi troppo chiaramente per
vinti: e il Brotty, ch'era un uomo schietto, se l'ebbe
molto per male: onde cominciando a sdegnarsi d'essere
stato tanto tempo zimbello di tal fatta d'insegnatori di
religione, chiese al ministro se nella Chiesa romana si
potesse ottenere salute; e avendogli quello detto che
sì, tornato prontamente'a Tonone, vi abiurò l'eresia.
E non solo ; ma fece in modo che anche i ministri
J o l y e Desprets seguissero il suo esempio, con gran-
de ed universale consolazione dei Cattolici ; ma spe-
cialmente di Francesco e del Duca, il quale allora resti-
tuì ai convertiti interamente la sua grazia. Con loro,
poco alla volta, finirono di convertirsi quei signori
sparsi qua e là, che fino a quel tempo erano stati re-
frattari ad ogni impulso della grazia.
Cosicché anche al caro nostro S. Francesco fu dato
godere dell'ineffabile contento, che confortava le ul-
time ore di S. Gregorio di Neocesarea. Stando quel

16.8 Page 158

▲back to top


mirabile uomo in punto di morte chiese quanti si con-
tassero ancora pagani in città, e rispostogli che dicias-
sette: « Lode a Dio, esclamò; tanti appunto erano i
cristiani quando vi venni Vescovo. » Similmente nel
1600, sei anni dopo che Francesco era venuto a pre-
dicare nel Chiablese, per deposizione fatta con giura-
mento dal testimonio oculare il signor Besson, nel pro-
cesso della beatificazione del Santo, sappiamo che i
rimasti ostinati nell'eresia in Tonone non erano più
che tre o quattro; meno ancora di quello che vi avesse
di cattolici quando Francesco incominciò la missione,
che vedemmo essere stati sei o sette. In tutto il Chia-
blese poi, al suo entrarvi non vi erano nemmeno cento
cattolici, e dopo i sei anni di missione nemmeno
cento erano rimasti gli eretici. Di modo che il Santo
Padre Clemente V i l i , nella Bolla della beatificazione
del Santo potè dichiarare : « Per opera di lui in que-
sta terra del Chiablese, al più rigido inverno è succe-
duta una bella primavera. »
'
1
Ancora un'estremo strepito. — Mentre per tanti
rispetti si aveva a ringraziare il Signore per il pieno
trionfo della religione in quei travagliati paesi, soprav-
vennero casi che parvero mai^dare a soqquadro ogni
cosa. La costanza del servo di Dio fu veramente posta
a terribili cimenti. Il nemico di cui parlasi nel Vangelo,
che seminò la zizzania, aveva eccitato nuova guerra tra
il re di Francia e il Duca di Savoia. Venne ad Annecy
in persona Enrico IV con molte milizie, e si rese signore
del paese. Allora i ginevrini, rallegrandosi molto di
questi fatti, vennero sollecitamente a rendergli onore,
e presero animo a pregarlo di ordinare, che si esten-
desse a tutta la Savoia la facoltà di predicare il culto'
calvinistico.
Il re stava per cedere alle loro istanze, quando
Francesco, saputa la cosa, e visto il gran pericolo che
correvano i cattolici, ìn fretta corse dal re e lo supplicò
a non esaudire la iniqua insinuazione dei ginevrini. Il
re l'onorò grandemente, ed u ci ito tutto, ed esaminate
meglio le cose, gli rispose: « Per amore di Dio e del
nostro S. Padre il Papa, ed a considerazion vostra, che
avete sì degnamente esercitato il vostro sacro ministe-
ro, nulla si cangierà di quanto fu fatto per la religio-
ne cattolica nel Chiablese ; » ed immediatamente diede
ordine che questa sua volontà fosse eseguita.Trovaronsi
così i Calvinisti vinti e delusi nella loro aspettazione.
Ma, partito appena il re, j ginevrini presero la
risoluzione di rivolgersi al nuovo governatore, che
aveva autorità su tutto il paese; il quale essendo
Calvinista esso stesso, era propenso ad assecondarli.
Col suo consenso adunque i protestanti s' impadro-
nirono del Chiablese e del baliaggio di Ternier, ne
scacciarono i curati Cattolici, ed inviarono alcuni
predicanti della setta di Calvino nei borghi e nei ca-
stelli vicini a seminare ovunque il veleno dell'eresia e
svellere il buon seme della verità cattolica ; e il gover-
natore già si accingeva anche a confiscare i benefizi
ecclesiastici che i cattolici avevano in quelle provincie.
Com'ebbe Francesco ciò inteso si armò di santo
zelo, e, ricordandosi delle parole del reale profeta : —
« Quand'anche vedessi intieri eserciti accampati contro
di me, il mio cuore non avrebbe timore ; nel più forte
della battaglia la mia speranza in Dio non verrà meno; »
non sapendo in qual miglior modo presentarsi al go-
vernatore, se ne andò in mezzo ai nemici, col coraggio
che la religione ispira. Fu arrestato e, secondo gli usi
della guerra, condotto al comandante, che era il signor
di Vitry, capitano delle guardie reali. Colà seppe

16.9 Page 159

▲back to top


perorare tanto fortemente la causa cattolica, che ne
fu rimandato con ordini sovrani, vietanti d'introdurre
qualsiasi novità in materia religiosa, con imposizione,
che in tutti i luoghi, ove fossero state fatte innovazioni,
le cose ritornassero nell'antica forma : e così fu ese-
guito con immenso giubilo del Santo.
Ma gli eretici, pe' quali ogni vittoria dei cattolici
era una disfatta, sdegnati, per vendicarsene in qualche
modo, devastavano occultamente i paesi in sul confine.
Se non che Francesco, intesa la cosa, corse di nuovo
dal governatore generale a sollecitare pronto provve-
dimento, e in pochi giorni i soldati mandati da quello
stabilirono l'ordine di prima, cacciandone gli eretici
invasori, e rimettendone a loro posto i curati.
L'albero della croce distese dovunque i suoi vivifici
rami ; il canto della Chiesa tornò a risuonare per tutto
come la voce della tortorella, e le vigne rinnovate e
fiorenti diffusero in ogni luogo il buon odore di salute.
Lo zelo e l'umiltà di Francesco trionfano. — Sono
incredibili le fatiche, gli stenti, le umiliazioni a cui si
sottopose Francesco per consolidare il cristianesimo
in quelle provincie ; ma il Signore, mosso dal suo zelo
e dalla santità della sua vita, tanto benedisse le sue
operazioni, che non solo il cristianesimo in tutti quei
paesi fu stabilito allora ; ma fiorente ancora si con-
serva al giorno d'oggi.
Egli però era lontano le mille miglia dal credere
di sè quello che credevano gli altri tutti ; e mentre
da ognuno ed ovunque era detto ed acclamato Apo-
stolo del Chiablese, angelo mandato da Dio per salute
degli uomini, onor grandissimo delki religione, del
sacerdozio, della patria, esso porgevasi con tutti come
uomo che niun merito avesse, se non forse quello di
— 3*7 —
una buona volontà d'adoperarsi in prò de' simili, e
per la gloria di Dio. Onde accadendo che, più tardi,
taluno, meravigliandone, rammentasse le lunghe e stra-
ordinarie fatiche durate nella missione, e magnificasse
«
10 stupendo successo della m e d e s i m i egli aveva pronta
la risposta di riferirne ogni merito e gloria a Dio solo,
11 quale s'era voluto servire di sì inetto strumento,
qual egli era, per fare qualche poco di bene ; ed anzi,
quasi con ciò si fosse esaltato, si ripigliava anche di
questo, e diceva che nulla era ciò ch'egli aveva fatto,
rispetto a quello che si doveva allo zelo ammirabile
ed efficacissimo degli altri missionari, e specialmente
del suo cugino Luigi, dei Cappuccini e dei Gesuiti,
che con tanto zelo ed intelligenza erano venuti in suo
aiuto, e specialmente del Vescovo e del Duca. E , sog-
giungeva, sè non «essere pur degno di stare a confronto
con tali servi di Dio.
L a città di Tonone in particolare diede sempre
segni speciali di predilezione per Francesco, che l'a-
veva con tante fatiche salvata dal calvinismo, e che
in seguito le aveva prodigate tante cure. E quando
Francesco, già fatto vescovo, venne a farle la prima vi-
sita, tutta la città si commosse : tutti i cittadini usci-
rono ad incontrarlo, i sindaci ed i maggiorenti della
città alla testa, e lo condussero come in trionfo. A l
por piede in quei luoghi, testimoni e campo delle sue
prime battaglie contro l'eresia, al vedere la cordiale
allegrezza dei buoni Tononesi, Francesco non potè
contenere le lacrime, nè restarsi dall'intonare i l : Bene-
dictus Dóminus Deus Israelquia vìsitavit et fecit re-
demptionem plebis suae. Benedetto il Signore Dio d ' I -
sraele, perchè ha visitato e redento il suo popolo.

16.10 Page 160

▲back to top


V ff
r Br
•'•-• ' v £'
[;''^' "-
[•111-.
i | ìi
Visto : Nulla osta.
Torino-, 16 Luglio 1919.
S a c . D . LUIGI COCCOLO
1 Revì Delegato.
IMPRIMATUR.
C . FRANCESCO DUVINA
Provic. Generale.
Hll
•jrj|]
K] Ì' |
mb
1W-
Il 1 .
_
_
• • .V-' s
m'. È-:>v
INDICE DEL VOL. 1°
LIBRO I.
Il perfetto mo'dello del giovane cattolico.
'\\
"
*
AGLI ALUNNI DELL'ORATORIO S. FRANCESCO DI SALES
PREFAZIONE A QUESTA VIII EDIZIONE
CAPO
Primi anni di S. Francesco . . . . . .
La fisionomia dei santi
La Savoia ai tempi di S. Francesco . . .
Il castello di Sales
I genitori di Francesco .
Nascita di S. Francesto. .
La festa del suo battesimo
.
L'aurora della vita
..
Prima educazione
Istruzione religiosa
Zelo infantile
Primi frutti della buona educazione . . .
APPENDICE AL CAPO I. La santa Sindone
IIi.V'V.. I primi studii
Impara in famiglia a leggere e scrivere . .
Va a studiare al collegio di La Roche . .
PAG.
3
9
13
ivi
14
16
18
21
22
24
27
28
29
31
32
44
ivi
45

17 Pages 161-170

▲back to top


17.1 Page 161

▲back to top


CAPO
Gli studi ad Annecy
Fatti edificanti . v . . . . . . . . -
La prima Comunione e la santa Cresima
Riceve la tonsura chiericale . . . . .
Termina gli studi ad Annecy
Le vacanze in casa
.
III. Gli studii a Parigi
Preparazione per la partenza
I consigli della madre
Viaggio a Parigi
Comincia gli studi di retorica
Vi unisce altri studii. . . . . . . .
• Come coltiva la pietà
Episodio edificante
Sue virtù predilette
Sua divozione alla Madonna
Suo amore ai religiosi
Pratica la mortificazione . . . • . . . . .
Studia filosofia
Comincia anche a studiar teologia . \\ . . . .
Virtù che esercitò a Parigi
/
È in preda ad una orribile tentazione . . . .
Ammaestramenti che da essa ricava . . . .
Liberazione dalla tentazione . . . . . . .
Si perfeziona nelle virtù .
Termina i suoi studi di filosofia
Torna in patria
IV. Francesco a Padova per lo studio della giurispru
denza
Padova e la sua Università
Francesco all'Università di Padova
Prende il P. Possevino come suo direttore spirituale
Riprende lo -studio della teologia
Suoi sforzi per progredire nel bene
Dà prova del suo valore
Orribile insidia tesagli dai compagni . . . .
Altra brutta insidia che gli.tendono . . . .
Suo spirito di penitenza
Gravissima malattia di Francesco
PAG.
47
50
51
54
56
57
58
ivi
61
65
67
68
7o
73
74
75
78
80
81
83
86
87
92
94
97
98
99
103
ivi
106
108
109
112
114
116
118
120
122
k
Atto eroico
125
Sua miracolosa guarigione
.126
Metodo con cui studiava
128
Come procede nella via della perfezione . . ^ ^ a 130
Il « Combattimento spirituale » dello Scupoli . . 131
Prende la laurea dottorale
132
APPENDICE AL CAPO IV. Regolamento di vita che
Francesco si prescrisse -mentre era studente al- ,
l'università di Padova . . v
137
$ 1. Della preparazione
138
§ 2. Divoti esercizi per passare bene la giornata . 140
§ 3. Del riposo spirituale ossia dell'orazione mentale 142
$ 4. Regole per la conversazione
144
§ 5. La santa Comunione
146
V.... Il ritorno in patria
..-.147
11 commiato da Padova
147
Visita Roma . . : . . *
. 150
È salvato miracolosamente da morte
-154
f Visita la Santa. Casa di Loreto . . . .. . . . 155
Ad Ancona è salvato miracolosamente . . . . 156
Varii episodii che gli capitano nel viaggio di ritorno 157
Arriva in patria
161
APPENDICE AL CAPO V. La Santa Casa della Ma-
donna in Nazareth, e storia della miracolosa
sua traslazione a Loreto
162
VI... La vocazione sacerdotale
I71
Visita al vescovo di Ginevra •. .
ivi
È ricevuto avvocato nel Senato di Savoia . . . 174
Segno straordinario della vocazione
175
La vocazione combattuta . . .
178
Nuove difficoltà
180
Viene eletto Senatore
181
La vocazione vittoriosa
183
Veste l'abito chiericale
- • 188
Rifiuta la carica di Senatore . \\
189

17.2 Page 162

▲back to top


LIBRO II.
Il perfetto modello
del sacerdote e del missionario cattolico.
CAPO
PAG.
I, Francesco sacerdote
Seconda fase della vita di Francesco .
Preparazione agli Ordini Sacri . . .
E consacrato Sacerdote
Le prime fatiche apostoliche . . .
La sua predicazione
La confraternita di Santa Croce. .
Pellegrinaggio ad Aix
Incidenti dolorosi suscitati dal demonio
II La missione nel Chiablese affidata a Francesco
Il Chiablese
Introduzione del Calvinismo nel Chiablese .
Zelo dei duchi di Savoia per sradicarvelo
Francesco accetta la Missione del Chiablese.
Straordinaria opposizione del padre. . . .
Partenza per la missione . . .
L'arrivo nel Chiablese . . . .
HI... Il primo anno di missione • . .
La fortezza d'Àllinges . . . .
Prime fatiche
Prime persecuzioni . . . .
Costanza e sofferenze. . . . .
. Gravi pericoli incorsi
Sua fortezza d'animo
Scrive foglietti di controversia
Il libro delle Controversie . ... .
Curioso episodio tra i soldati della guarnigione
Incominciano le conversioni . .
Scampa da grande pericolo . .
CAPO
323 —
m
PAO.
i Pellegrinaggio alla Madonna di Voyron . .- . .
238
Nuove industrie per ottenere conversioni . . . . 239
Parla la Chiesa
^241^
IV. Secondo anno di missione »
243
Predica in piazza
ivi
Propone una pubblica disputa . . . . . . . 244
Smacco dei ministri protestanti
245
Episodio di una vecchia dama . . . . . . . . 246
Sempre nuove fatiche
247
Il passaggio della Drance su d'una trave . . . 248
Nuove conversioni
ivi
Francesco in estasi
250
V, Terzo anno di missione
251
Conversione dell'avvocato Ponchet . .
. . . ivi
Conversione del barone d'Avull^
252
Congratulazioni generali
253
Il vero stato della missione
254
Il ministro La Faye . . .
255
Interessamento del duca per la riuscita della mis-
sione
. . . 256
Partenza per Torino — Il passaggio del Gran S.
Bernardo
258
Tratta col duca gli interessi del Chiablese . . . ivi
Celebra la santa Messa di Natale in Tonone . . 260
Le ceneri al cominciare della Quaresima . . . . 262
La Pasqua della guarnigione cattolica
263
Smacco del ministro Viret
ivi
L'abiura di Pietro Fournier sindaco di Tonone ' . Ì264
VI... Conferenze con Teodoro Beza
265
VII. Quarto anno di missione
273
Nuove insidie
ivi
Intieri paesi si convertono .
274
Le Quarant'ore ad Annemasse
275
Rappresentazione teatrale sacra
276
Elevazione di una gran croce a ricordo delle Qua-
rant'ore
277
Grave malattia del Santo
278
Convalescente si offre al servizio degli appestati . 279
Impedisce un duello
ivi
\\

17.3 Page 163

▲back to top


m
CA,P-Oaa! •v.|MM
324
Predica in aperta campagna
Risuscita un morto
Altri sacerdoti son mandati1 in suo aiuto .
Il trattato della demonomania . . . .
Suo metodo. .
Vili. Quinto anno di missione . . . . . . . . .
Le Quarant'ore a Tonone . . . . . . . .
Più solenne esercizio di Quarant'ore presente il Due
Primo giorno della grande solennità . . . .
Grandiosità dei festeggiamenti . . . . . .
Solenne inalberazione della cro^c commémorativa
Ristabilimento generale del culto cattolico . .
Francesco proposto come Vescovo coadiutore .
Fatiche straordinarie pel rassodamento della -fede
cattolica nel Chiablese
,
PAG.
280
ivi
282
283
284
288
ivi
289
291
292
293
294
296
297
IX.. Sesto anno di missione
299
Andata di Francesco in Francia. .
ivi
Proficuo lavoro nel sacro ministero.
300
Conversioni
302
Le sue predicazioni
304
S. Francesco e S. Vincenzo . . .
305
Le giornate di S. Francesco •. . .
306
S. Francesco ed Enrico IV . . .
307
Trionfo finale
308
La santa casa di Tonone
Ultimi strepiti dell'eresia
Ultime conversioni
ivi
310
312
Ancora un estremo strepito
314
Lo zelo e l'umiltà di Francesco trionfano.
316
SAC. TEOL. G I U L I O B A R B E R I S
VITA
S. FRANCESCO DI SALES
NUOVA EDIZIONE
Volume Secondo
. TORINO - 1919
SOCIETÀ EDITRICE
INTERNAZIONALE
Corso Regina Margherita, 174-116
CATANIA
Via Viti. Evi., 144
MILANO <
Via Bocchette, 8

17.4 Page 164

▲back to top


PROPRIETÀ DELLA SOCIETÀ EDITRICE
Torino — Scuola Tipografica Salesiana
Via Cottolengo, 32
(N. 14x9 — 2M)
LIBRO III '
IL PERFETTO MODELLO DEL VESCOVO CATTOLICO.
Omnibus omnia factus sum ut omnes facerem salvos.
Mi son fatto tutto a tutti per far tutti salvi.
S . PAOLO - Cor. 9, 22.

17.5 Page 165

▲back to top


C A P O I.
Viene eletto vescovo.
Il ritorno dalla missione.
Compiuta la stu-
penda missione del Chiablese, e, mercè saggi provve-
dimenti, assicuratovi il progresso, nonché il manteni-
mento della fede cattolica, parve tempo a Francesco
di tornare agli usati uffici di prima, cercando di san-
tificare la sua parrocchia, a cui non aveva lasciato di
pensare anche mentre lavorava per la missione del
Chiable'se, sebbene in quel tempo fosse stato sostituito
da degni ecclesiastici.
Che gioia fu mai quella d'un simile ritorno! E spe-
cialmente qual gaudio dovette mai essere quello degli
attempati genitori, nel rivedere il loro Francesco e
riabbracciarlo, sicuri oramai che non avrebbe più corsi
i fatali pericoli della vita, che in quei sei anni aveva
incontrato! E quale gioia nel pensare, che d'or avanti
avrebbe potuto godere degl'inestimabili frutti di quella
grand'ópera da lui intrapresa e finita, della conver^
sione di tanti eretici !

17.6 Page 166

▲back to top


Certo non vi può esser ragione di pi'ù giusta e viva
contentezza, di quella d'aver riportata una sì splen-
dida vittoria, non sui proprii simili per soddisfacimento
della propria ambizione o vendetta; ma sull'errore,
e tutto in servizio e beneficio grandissimo dei nostri
fratelli. Che cosa sono le sanguinose vittorie dei mon-
dani conquistatori appo queste ottenute dalla verità
sull'errore, dal bene sopra il male? Oh! ben altra glo-
ria si merita chi senza spargimento di sangue, nè scon-
quasso di popoli fa trionfare la verità contro l'errore,
sopra colui che reca alla società i mali gravissimi della
guerra, per averne la gloria di un trionfo procacciato
colla distruzione de' suoi à'vversari !
Così Francesco avrebbe potuto giustamente godere
della gloriosa vittoria che, coll'aiuto di Dio, aveva ri-
portato sull'eresia; ma l'ardore della sua carità non
gli permetteva di stare in ozio, e per ciò subito si ac-
cinse a riprendere le sue occupazioni da parroco e a
nuove opere in bene delle anime.
Gli si propone l'episcopato. — Una sì pura virtù
e zelo tanto ardente non potevano star nascoste sotto
il moggio, ma dovevano risplendere sul candelabro. Di
fatto il vescovo, Mons. Granier, come accennammo
già, indotto da tanti e non equivoci segni di santità
e di abilità volle averlo per coadiutore delle sue pasto-
rali sollecitudini. Egli trovàvasi per l'avanzata età e
per le indisposizioni della salute, ornai insufficiente al
governo di una diocesi così vasta, e già da qualche
tempo aveva pensato e tra sè stabilito di farsi eleggere
dal Papa un altro vescovo che lo aiutasse nella cura
della diocesi,, mentre egli ancor viveva e che gli suc-
cedessse poi dopo la sua morte.
JSTè molto aveva dovuto star dubbioso sulla scelta
w
da fare ; poiché quantunque nel suo clero avesse sog
getti degnissimi di quella carica, non di menu Fran-
cesco vincendoli tutti di tanto, di quanto, per così dire,
un gigante sovrasta gli altri uomini, naturalmente la
scelta doveva cadere sopra di lui. Ne aveva già parlato
col Duca e col Cardinale Legato a Tonone, ed ora an-
cor meglio accertatosi con il consiglio delle più prudenti
persone della diocesi e con molte preghiere rivolte al
Signore a questo fine che la scelta era veramente in-
dovinata, ne fece parola col servo di Dio, pregandolo
d'acconsentire senz'altro, sì da consolare lui in quella
sua inferma vecchiaia, e rallegrare tutta la Savoia.
Sua malattia. —• L'umiltà di Francesco era trop-
po grande per poter credersi degno di quell'alta ca-
rica: fece tutte quelle rimostranze che erano da lui,
nè si lasciò vincere dalle preghiere e dalle lacrime del
vescovo, e per vario tempo stette irremovibile sulle
negative. Solo quando gli fecero considerare che l'op-
porsi più a lungo alla volontà del vescovo e al desi-
derio di tutto il popolo sarebbe stato un opporsi diret-
tamente alla volontà di Dio, cedette; ma tanta fu la
commozione e la violenza che dovette farsi per accet-
tare questa carica', che infermò di tratto gravemente,
sicché si ebbe a temere che tanta cara e preziosa esi-
stenza fosse condotta a fine.
Immaginatevi come restasse la gente a tal colpo, e
specialmente i parenti di lui ed il vescovo; se ne levò
un pianto universale, e le preghiere più fervide s'in-
nalzarono da ogni parte al Signore affinchè lo conser-
vasse alla benevolenza di tutti ed al bene della Chie-
sa. Son pur secrete e maravigliose le vie che la divina
Provvidenza tiene co' suo eletti ! Francesco stette più
giorni tra la vita e la morte. Già tutti i canonici suoi

17.7 Page 167

▲back to top


colleghi erano venuti a chiedergli la sua
e qualche ricordo speciale che, dato in
istanti, non poteva non considerarsi come venuto da
Dio, ed egli già tutti aveva benedetti e ad ognuno aveva
quanto di più utile alle anime loro
gì'inspirava. Ma, mentre si era da tutti in apprensione
ul timore che la forza del male fosse per troncargli la
vita, il Signore, che con quell'improvviso e sì grave
morbo, forse non aveva voluto far altro che pigliare
esperimento della fede del vescovo e dei buoni abitanti
di Annecy, e far intendere che quella vita doveva es-
sere spesa tutta in servizio di Lui solo, dispose che
quando tutti temevano d'averlo a perdere inevitabil-
mente, in poco tempo ricuperasse pienamente la salu-
. In breve egli sentissi migliorare in guisa, che potè
lasciare il letto e ripigliare l'usato tenor di vita.
Guarito parte per Roma. — Come universale era
stato il dolore della sua malattia, così lo fu l'allegrezza
della sua guarigione ; ma sovra ogni altro godevane il
vescovo, al quale pareva essere ancor egli tornàto da
morte a vita; tanto era l'amore che gli portava. Con-
segnategli pertanto le lettere opportune, deliberò che
intraprendesse senza indugio il viaggio per Roma, onde
compiere molti affari riguardanti le ultime pratiche per
il perfetto ristabilimento della fede cattolica nel Chia-
blese, e avere dal Sommo Pontefice Clemente V i l i le
Bolle opportune per la sua elezione a vescovo coadiuto-
della diocesi di Ginevra. Francesco, passate le
e fermatosi alquanto tempo a Torino per conferire col
Nunzio intorno alle cose per cui andava a Roma, affrettò
il passo per arrivare quanto prima all'eterna città.
Colà fu ricevuto dal Santo Padre con dimostrazioni
di grande benevolenza. Accettò quindi il Papa la sup-
plica di mons. Granier e del duca di Savoia, che do-
mandavano la sua elezione a vescovo, e subito sog-
giunse: « Noi ci rallegriamo, o figliuolo, e rendiamo
grazie a Dio, che vi chiami all'episcopato; apparecchia-
tevi pertanto a sostenerne 1' esame alla presenza Nostra
lunedì prossimo 22 marzo. »
Esame presieduto dal Papa. — Tròppo breve
era il tempo conceduto a prepararsi per tale esame,
massime per Francescopche da tanto tempo, occupato
alla conversione del Chiablese, non aveva più potuto
attendere a studii, e che da poco s'era rimesso dalla
malattia. Ma il Papa lo sapeva, e volle così avveduta-
mente, acciocché maggiormente risplendesse la sapien-
za e il valore di lui.
Quei pochi giorni Francesco li passò massimamente
in orazione a' pie' del Crocifisso, e il dì dell'esame,
entrato nella Chiesa di S. Giacomo in Borgo, che era
per via, fece questa preghiera : « Signore, se vedeste
che nell'episcopale dignità io avessi ad essere un sèrvo
imitile, e pastore non abbastanza zelante del bene delle
pecorelle che saranno alle mie cure affidate, non per-
mettete ch'io risponda adeguatamente bene all'esame ;
ma piuttosto fate che resti coperto di confusione alla
presenza del vostro Vicario, e da questa prova io non
riporti che vergogna e disonore. »
Presentatosi con tali disposizioni all'esame, trovò
la funzione molto più grandiosa di quello che non
s'aspettava. Vide il Sommo Pontefice assiso sul trono
con otto cardinali ai lati, Venti tra vescovi, arcive-
scovi e generali d'ordini religiosi; poi molti protòno-
tarì, ,cononici, religiosi; e finalmente moltitudine di
spettatori, quanti ve ne potevan capire nell'aula. Al
cospetto di tali personaggi doveva aver luo^o l'esame.
X
A

17.8 Page 168

▲back to top


Un religioso spagnuolo,. che gli dovea esser compagno,
alla vista di sì maestoso consesso si lasciò sopraffare
dallo scoraggiamento, e smarriti gli spiriti, cadde sve-
nuto e bisognò che lo portassero via ; nè per cure che
gli spendessero attorno potè riaversi, ma soccombendo
morì indi a non molto, con vivo dispiacere del Papa
e di tutti.
Francesco, confidato in Dio, conservò tranquillità
e presenza di spirito. Avanzossi coraggiosamente e do-
mandato che studi avesse fatti, rispose: « Ho studiato
il diritto civile,' il diritto canonico e la sacra teologia. »
— Su quale parte volete essere esaminato?
— Su quella che piace alla Santità Sua.
— Scegliete voi medesimo.
. Ed egli : « Poiché si lascia a me la scelta, essen-
do la teologia la scienza propria dello stato nostro,
coll'aiuto di Dio mi studierò di rispondere alle inter-
rogazioni, che mi saranno fatte intorno ad essa. »
Allora il Papa, dando egli stesso principio all'esame,
fecegli alquante interrogazioni, cui saggiamente ed-im-
perturbatamente rispose Francesco. Dopo il Papa non
mancarono di far la loro parte i cardinali Borromeo,
Baronio, Borghese e De' Medicine quindi il padre
Bellarmino ed altri esaminatóri; in guisa che le que-
stioni mossegli toccarono il numero di trentacinque,
e a tutte egli diede chiare e sode risposte. Fu messo
alla prova con sottilissimi argomenti e forti obiezioni,
ma sempre rispóse con tanta saviezza e precisione, e
quel che meglio valeva, con tanta umiltà e modestia,
che eccitò ' universale ammirazione.
i
Congratulazioni del Papa e di insigni perso-
naggi. — Terminando l'esame il Papa si rivolse ai
cardinali, e con «aspetto allegro e ridente disse loro:
« Niuno, di quanti abbiamo finora esaminati, ci ha così
pienamente soddisfatti. » E scendendo dal trono si av-
vicinò a Francesco, e l'abbracciò strettamente, pronun-
ziando quelle parole de' Proverbi'. « Bevi, o figliuol
mio, dell'acqua della tua cisterna e della viva sorgente
de' tuoi pozzi. Le tue acque scorrano al difuori e di-
ventino pubbliche fontane, ove tutti possano disse-
tarsi. » (i)
Quanti erano presenti fecergli del pari grande onore,
congratulandosi vivamente con lui della bellissima
prova che aveva dato di sè. A Francesco fu assai cara
l'amicizia che quest'occasione gli procurò con insigni
personaggi, i quali avrebbergli poi potuto giovare molto
nelle cose del divino servizio e del bene delle anime.
Pregiò specialmente l'amicizia che gli offersero il car-
dinal Borghese, che fu poscia Papa Paolo V, ed il car-
dinal Baronio, che lo volle più volte a mensa con sè.
Anche con maggior dimestichezza trattò col Bellar-
mino. Ma con nessuno stabilì più salda ed intima ami-
cizia, che col padre Giovenale Ancina, il quale, dopo
essere stato professore di medicina nell'università di
Torino, dato addio al mondo, s'era condotto a Roma,
dove si fece discepolo del grande S. Filippo Neri, alla
scuola del quale profittò tanto, che, fatto poi vescovo
di Saluzzo, vi diede meravigliosi esempi di virtù, sicché
fu innalzato agli onori degli 'altari. L'uomo onorando
erasi trovato presente all'esame di Francesco, perciò
credette bene, dopo- l'esame, passare a fargli le sue
cordiali congratulazioni ; e piacquegli tanto la schietta
e vera umiltà con la quale Francesco ascoltò le pro-
prie lodi, che non potè stare senza abbracciarlo dicen-
(i) Bibe, fili mi,, aquam de cisterna tua et fluenta putei tui ;
deriventur fontes tui foras, et in plateis aquas tuas divide. (Prov.
i, 15, 16)

17.9 Page 169

▲back to top


dogli: « Oh quanto sono di gran lunga più lieto di
vedervi veramente umile, che non fui il dì dell'esame
nel vedervi veramente dotto! » La loro amicizia non
s'intiepidì poi più mai, nè si ruppe se non per morte.
Tutte queste lodi ed onorificenze non solo non fe-
cero invanire Francesco, ma furono occasione che di-
mostrasse quanto grande e profonda fosse la sua umiltà.
« Vi confesso schiettamente, scriveva da Roma al cu-
gino Luigi, che Dio non ha permesso che io riportassi
vergogna e confusione dall'esame Il buon abate
Chissè, (nipote di mons. Granier, il quale era venuto
a Roma per accompagnare Francesco) sarà anche trop-
po sollecito di scrivere in Savoia delle mie lodi; ma
qualunque cosa si scriva di me, non dimenticate mai,
che, come i nemici sogliono esagerare i nostri difetti,
così gli amici sogliono magnificare le nostre lodi ; e che
in fin de' conti altro non siamo, se non ciò che siamo di-
nanzi a Dio. »
Torna ad Annecy e vi predica la quaresima
— Gli muore il 'padre. •— Ultimati intanto vari affari,
pei quali pure era venuto a Roma; ottenuto dal Papa
' Clemente V i l i un Breve, col quale sKregolava tutto
che spettasse il pieno ristabilimento del culto cattolico
nel Chiablese ed il durevole collocamento dei curati
nelle parrocchie; ottenuta ancora una volta l'aposto-
lica benedizione, passando per Loreto, Bologna, Mi-
lano, Torino, fece con sollecitudine ritorno ad Annecy,
dove tante cure lo attendevano.
Non era ancora passato gran tempo dal suo ritor-
no da Roma quando, per invito di monsignor Granier,
prese a predicare la quaresima nella cattedrale di
Annecy. Mentre con grande zelo attendeva a quel
santo ufficio, gli venne l'annunzio che suo padre era
^WS^S^^^mmmsmrntimmm^mB!!'!!:« ,
".•>.•
'
Sr -
- 13 ~
in termine di vita. Era il buon vecchio ne' settanta-
nove anni -dell'età sua: volle rifare al figlio la confes-
sione generale, e ricevere dalle sue mani il SS. Via-
tico. Francesco lo consolò in ogni modo, ed intrat-
tenendolo quanto poteva delle cose celesti con divoti
ragionamenti, lo dispose così bene al gran passo dalla
- vita temporale all'eterna, che fece una morte proprio
da santo, morte che avvenne il 4 di aprile di quel-
l'anno 1601. Uomo giusto ed integerrimo, non gli si
ebbe a rimproverare che la difficoltà fatta al figlio
* nel seguire la sua vocazione, rimprovero che facil-
mente gli si ha da perdonare, vedendo che ciò non
fece mai con cattivo spirito di opporsi alla volontà di
Dio ; ma solo pel troppo amore che portava al figlio
medesimo, e perchè si vedeva in breve rotti tutti i di-
segni che su di lui da tempo aveva fatti.
Prodigi durante la sua predicazione. — Non
intralasciò per questo il suo quaresimale : e prima che
giungesse al suo termine, volle Iddio, con manifesto
prodigio, mostrare quanto grato gli fosse il ministero
e lo zelo del suo servo. Accadde adunque che, predi-
cando un dì Francesco con grandissino fervore, apparve
improvvisamente circondato da una splendidissima luce,
di modo che quanti erano in. chiesa ne restarono at-
toniti e abbagliati. Questo fatto, visto e notato da tutti
^ presenti fu attestato con giuramento dal presidente
Favre, il quale era' in Chiesa a quella predica.
Altra volta, ancora in questo primo anno del suo
ritorno da Roma, predicando nella terza domenica di
Avvento, il suo volto si fece sì luminoso, il suo dire sì
elevato e patetico da far vedere chiaramente non esser
più lui che parlava, bensì lo Spirito Santo che parlava
per bocca sua. Queste grazie straordinarie diedero tale

17.10 Page 170

▲back to top


ascendente alla sua predicazione, che si può dire abbia
fatto prendere ad Annecy l'aspetto di una famiglia
religiosa fedele osservante delle sue regole.
Muore il vescovo Granier. — L'anno seguente
ebbe Francesco a provare altra grande angoscia. Le
frequenti infermità di mons. Granier gli andavano lo-
gorando la vita : da alcuni mesi specialmente non po-
teva più reggersi, ed-il -i1/ di settembre del 1602, se ne
volò al premio dei giusti. Francesco ne ricevette l'an-
nunzio mentre trovavasi presso Lione di ritorno dal suo
viaggio in Francia. Egli scrivendo al Papa della morte di
lui, ebbe a dire: « La religione sua, la pietà, i costumi,
la costanza ritraevano da quelli dei vescovi della pri-
mitiva Chiesa: egli è degno dell'immortalità) e merita
che la sua memoria sia in benedizione. »
Preparazione alla sua consacrazione. — Era sì
grande il concetto che Francesco aveva della dignità
vescovile, che aveva cercato ogni modo di evitarla ;
ed ora che ciò non gli era più concesso, si preparò
alla sua consacrazione con un fervore straordinario.
Si chiuse negli esercizi spirituali per venti giorni, con
un padre della Compagnia di Gesù, e quivi non pensò
ad altro che a prepararvisi degnamente e a farsi un
regolamento in cui ordinava fin le più minute cose,
ad es.: « In ogni camera del vescovado vi sarà un in-
ginocchiatoio, con qualche divota immagine, ed acqua
benedetta: appartamenti tapezzati non ve ne saran che
due-, uno pel ricevimento dei forestieri; l'altro per
trattare gli affari; a mensa nella prima metà si faranno
pie letture, e nell'altra si terrà una modesta conver-
sazione. » Ma, quel che è più, si stabilì un regola-
mento di vita interiore proprio da santo : specialmente
— iS-
si propose l'esercizio della presenza di Dio, di dire
molte giaculatorie lungo il giorno, e di fare sempre
la sua meditazione prima della Messa; digiunare al
venerdì e al sabato e nelle vigilie delle feste della
santa Vergine, confessarsi ogni due o tre giorni, e
qualche volta nella pubblica Chiesa per dare buon esem-
pio alla popolazione; fare tutti gli anni gli esercizi
spirituali. Tuttavia da uomo tanto prudente che era,
pose in fine, che questo regolamento non doveva .met-
tergli impacci, bensì aiutarlo ; che per ciò non si sa-
rebbe fatto scrupolo di omettere qualche dosa, quando
il sacro ministero glielo impedisse.
\\!
-
Prodigio avvenuto durante la sua consacrazio-
ne episcopale. — Passati i venti giorni in sì utile ritiro,
si presentò a ricevere la consacrazione episcopale con
un'attitudine da angelo. Aveva scelto per giorno della
consacrazione l'8 dicembre, perchè consacrato alla Ma- 4
donna Immacolata,, festa statagli sempre carissima fin
dai primi suoi anni. La volle ricevere nella Chiesa
parrocchiale di Thorens ; chè, quivi appunto' aveva
ricevuto il santo battesimo. Non è a stupire che il
Signore abbia voluto, in questa circostanza, operare a
suo favore un miracolo. Non era appena cominciata
la funzione, che ad un tratto il suo volto diventa
così infiammato, che si videro uscirne da esso raggi di
luce, e il suo spirito, tratto fuori dei sensi, fu a contem-
plare le tre persone della SS. Trinità, la SS. Vergine ed
i santi Pietro e Paolo, che erano venuti personalmente
ad assistere alla sua consacrazione : e, man mano che
il vescovo consacrante eseguivagli sopra le esteriori
cerimonie, egli vedeva chiaramente e distintamente la
SS. Trinità operargli nell'anima gli effetti misteriosi
significati dalle cerimonie.

18 Pages 171-180

▲back to top


18.1 Page 171

▲back to top


Dopo essere stato così rapito a superne visioni
per lo spazio di una buona mezz'ora tornò in sè,
girò gli occhi attorno, e svenne ; ma in breve riavu-
tosi, si potè continuare la funzione interrotta. Queste
cose avvennero alla vista di tutto il popolo ed il santo
medesimo le testificò non potendole nascondere.
Si mise in seguito a faticare immensamente per la
salute delle anime ; ma non dimenticò mai le dolcezze
spirituali provate nella sua consacrazione, ed i pro-
positi fatti in quella circostanza: « Dopo la mia con-
sacrazione, così egli stesso, io non parlava più che
come uomo straniero al mondo, e quantunque 1' im-
paccio delle umane faccende abbia alquanto rattiepi-
dito il fervore del mio cuore, i proponimenti, per
grazia di Dio, stettero saldi. »
C A P O II.
.Sue prime fatiche come Vescovo.
Organizzazione della diocesi. — Francesco fu
il sesto vescovo di Ginevra con residenza ad Annecy.
Era una ben povera diocesi questa che gli toccava.
Avendo- Calvino cacciato il vescovo da Ginevra, riten-
ne tutte le rendite della'mensa vescovile e quel poco
che potè avere il vescovo rifugiatosi ad Annecy non
era sufficente pel suo mantenimento decoroso : non
aveva palazzo episcopale e doveva dimorare in casa
di affitto, non aveva seminario nè mezzi per soc-
correre i poveri della città, che erano numerosi. La
diocesi era molto vasta, e l'essere stata in buona
parte invasa dall'eresia per molti anni, aveva poetato
gravi disordini nella sua amministrazione. Francesco
stesso ebbe a dire non trovarsi forse altro vescovo al
I
quale l'ordinamento della propria diocesi desse altret-
tante cure quanto l'ordinamento della sua. Essa aveva
590 parrocchie, 450 tutte cattoliche, 140 parte sog-
gette alla dominazione dei Bernesi e parte a quella dei
Francesi,, per cui gli riusciva difficilissimo l'averne cura.
Egli rivolse subito il suo pensiero e le maggiori sue
sollecitudini alla spirituale rinnovazione della diocesi,
che aveva sofferto immensamente per l'introduzione del-
l'eresia calvinistica in molte parrocchie, e per la indiffe-
renza religiosa propagatasi anche in quelle che si con-
servarono cattoliche. Chiunque altro si sarebbe scorag-
giato : egli non si scoraggiò, anzi, quanti più erano
i bisogni, tanto più si affaticava per provvedervi, e
quanto più erano radicati i disordini tanto più cer-
cava di eliminarli fin dalle radici, cercando rimedi effi-
caci. Sempre paziente e dolce, ma con lavoro pacato
e costante ogni giorno riparava a qualche inconvenien-
te; e poco per volta riuscì a tale, che la ridusse come
una delle migliori e più ben ordinate, tanto da potersi
proporre a modello delle altre.
Primo suo impegno. — Primo suo impegno ap-
pena fu eletto vescovo fu di ottenere che tutti quelli
che facevano parte della sua famiglia episcopale aves-
sero pietà e virtù ; che ognuno si porgesse con tutti
i forestieri e sempre così cortese ed affabile da far ve-
dere a tutti, che la carità e la religione sono le cose
più amabili del mondo.
Egli poi si pose subito con animo grande a fare
quel bene che potevate reca veramente maraviglia
che le cure e le fatiche moltiplicateglisi dalla sua
nuova dignità punto non l'impedissero dal consueto .
2 Barberis,
Vita di S . Francesco
di Sales. Voi. II.

18.2 Page 172

▲back to top


suo ministero di confessare e predicare, anzi, ne lo ren-
dessero anche più zelante ed operoso di prima.
Pubblicò pertanto una sua ordinanza al clero, colla
quale disponeva che la parte più dura e difficile del sacro
ministero a lui fosse riserbata : in essa invero ingiunse
ai sacerdoti della città d'inviare al suo confessionale
i- più poveri e miserabili e specialmente gli ulcerosi e
gli infetti di qualche male. « Queste sono le mie pe-
corelle più care, soggiungeva; e perchè sono ordina-
riamente più abbandonate dalle altre e prive d'istru-
zione, è mio dovere di conoscerle e provvedere ad
ogni loro bisogno spirituale e temporale. »
Suo amore al popolo. — Amava grandemente il
sud popolo, e già nell'ordinazione episcopale tra le
altre cose si era proposto di riguardare i poveri come
suoi figli e di visitarli in persona nelle loro malattie.
Si mantenne fedele a questi suoi propositi : si pren-
deva special cura dei poveri vergognosi ; di essi volle
averne una lista specificata, e con essa altra lista
degli afflitti per qualche grave sciagura, o colpiti da
calunnie o da persecuzioni ; e sempre si raccomandava a
tutti perchè glieli facessero conoscere e li mandassero
a lui affinchè li potesse secretamente soccorrere.
Non mancò mai, all'occasione, di difendere il po-
polo contro gli abusi e le violenze del potere sì po-
litico che amministrativo, e levava, occorrendo, alta
la voce contro ogni prepotenza e ingiustizia.
•Fece anche di più: intercedeva presso il Duca per
ottenere favori ed esenzioni, particolarmente in caso di
disastri. Un giorno alcuni terrazzani di una^vicina val-
lata vennero a pregarlo, di sovvenirli in una terribile
disgrazia loro incorsa improvvisamente; poiché certe
rupi da grande altezza erano piombate con tal rovi-
19
nìo sul paesello sottoposto, che ne era in gran parte
rimasto infranto .e schiacciato. Supplicavano pertanto
che, essendo egli loro padre, ottenesse dal Duca di
essere esonerati, a contemplazione di sì grande disgra-
zia, dai soliti tributi per alcun tempo. Il buon pastore
pianse alle loro lacrime, volle vedere sul posto la scia-
gura, e, come il danno era afiche più grave di quanto
gli era^stato descritto, cominciò ad aiutarli egli stes-
so, ed in seguito ottenne dal Duca il richiesto favore
per loro.
Costantemente si adoperò anche pel bene morale
de' suoi diocesani con opportune e durevoli istituzioni.
Parlava sempre con grandi elogi e con grande compia-
cenza di loro, onde ne fu teneramente riamato, « Quan-
to mi consolo, scriveva alla Chantal, d'aver ritrovato
sì buone genti ! Quale amore! quali accoglienze! qual
venerazione pel loro vescovo !
Ripara a varii disordini. — Naturalmente questo
sincero e verace amore del popolo non gli faceva velo
riguardo ai difetti o agli abusi che vi erano nella città
e nella diocesi ; nè gì' impediva menomamente di cor-
reggerli con ogni fermezza.
Aveva grande avversione ai disordini ed agli scandali
del carnevale e contro.essi combattè con lena istanca-
1
bile, sì da potere, dopo appena qualche anno del suo
episcopato scrivere alla Chantal : « Quanto io sono con-
tento di aver potuto tagliare le ali al carnevale, sicché
nella nostra, citta appena si può più conoscere. »
Anche una delle sue prime .fatiche da vescovo fu
d'impegnarsi per far cessare una non troppo onesta
usanza, che da lungo regnava in Annecy. Si usava
estrarre a sorte, ogni anno al 14 febbraio, vari vi-
gliettini con nomi di giovani e di donzelle, i quali in

18.3 Page 173

▲back to top


2 0 •—
quell'anno andassero insieme a certe feste e balli, che
in conclusione terminavano poi sempre con l'offesa del
Signore. E questa usanza era sparsa per tutta la citta
con grande danno delle anime. Cominciò il santo ve-
scovo a disapprovarla in privato, poi si pose a darvi
contro nelle prediche, e quando vide il tempo conve-
niente, ottenuto prima, a rinforzo della sua autorità,
l'aiuto della podestà civile, mandò fuori un decreto di
proibizione assoluta. Però, acciocché non si restasse
senza compenso alcuno, egli sostituilla con una pra-
tica quanto mai bella, e- fu di far tirare a sorte e spar-
gere per le famiglie tanti viglietti col nome di qualche
santo, con sotto una bella sentenza tratta dalla Sacra
Scrittura o dai SS. Padri. Il santo del quale si era
estratto il nome restava il protettore da onorarsi lun-
go l'anno, e la sentenza doveva servire di special re-
gola di vita.
Anche un'altra pratica suggerì in quella circostan-
za ; quella cioè di fare il segno della- santa croce ad
ogni batter delle ore, emettendo nello stesso tempo una
qualche di vota aspirazione in on,ore della Passione del
nostro Signore Gesù Cristo ; aggiungendovi un atto .
di contrizione, se nell'ora antecedente fossesi commesso
qualche peccato.
Viene avvelenato, ma guarisce. — Rivolse an-
che subito tutte le sue sollecitudini a percorrere quelle
parti della diocesi che ne avevano più bisogno. Men-
tre si trovava nel paese di Gex, dove ancora molti
erano protestanti, lavorò con tale zelo che ottenne
molte conversioni. Gli Ugonotti, irritati fremevano, e
nel loro furore risolsero di disfarsi di lui col veleno.
Sedussero pertanto uno sciagurato, che alla vista del-
l'oro che gli promettevano mise secretamente dell'ar-
21
senico nelle vivande del vescovo. Francesco fu subito
assalito da vivi dolori di visceri, accompagnati da vio-
lenti vomiti; ma pieno di confidenza in Dio, fatto voto
di andare in pellegrinaggio a piedi al Santuario della
Beata Vergine di Tonone, subito si sentì meglio e
scampò dal grave pericolo in cui si trovava.
Partì pertanto a piedi per compire il suo pellegri-
naggio essendo ancora fresco'della malattia; faceva un
calore estremo : la distanza a percorrersi era di circa 70
chilometri, di modo che ebbe molto a soffrire; ma esso
ne godeva, e Dio volle premiarlo con grazie straordi-
narie. Arrivato presso Tonone fu incontrato a gran
festa da molto popolo e da tutto il Consiglio comunale
della città che gli venne incontro. Era la prima volta
che veniva a Tonone dacché era vescovo. Nei varii
giorni che vi si fermò, co' suoi discorsi e co' suoi e-
sempi riconfermò tutti nella fede cattolica da pochi
anni abbracciata; e qualche eretico che aveva resistito
fin allora alla grazia del Signore finì per arrendersi.
Nel ritorno s'incontrò col signore di Yvoire, per-
sonaggio di grande importanza, il quale, solo in quel
paese, non s'era ancora convertito. Alle irresistibili ra-
gioni del campione della fede non sapeva rispondere
se non che non essendo egli teologo non poteva con-
traddire; ma che sarebbe andato a Ginevra a proporre
a quei ministri una conferenza con lui in sua presenza.
Ma essendo andato a Ginevra, visto che nessuno dei
ministri osava disputare col campione del cattolicismo
fu persuaso che non avevano ragioni sode da opporfe
alle ragioni da Francesco esposte, e al ritorno, abiurò
i suoi errori.
Raduna il sinodo diocesano. — Persuaso dell'uti-
lità grandissima dei sinodi diocesani prescritti dal con-

18.4 Page 174

▲back to top


——
cilio di Trento, non volle indugiare a convocarlo, per
aver così occasione di sempre meglio conoscere il suo
clero, dare al medesimo opportuni consigli di direzione
e, d'accordo con esso, pigliare quelle deliberazioni, che
sembravano più- opportune per il meglio della diocesi
e per i bisogni spirituali delle anime.
Volle che fosse cominciato il 2 di ottobre per onore
dell'angelo custode della sua diocesi, al quale aveva
una divozione speciale. La prima cosa che dal sinodo
venne esaminata e concordemente accettata si fu un
nuovo ordinamento della diocesi, immaginato e propo-
sto da Fracesco. Veniva questa divisa in venti sezioni,
e a ciascuna di esse si proponeva quel curato che v'ave-
va maggiore autorità. Col tempo, detto ordinamento si
estese pure a molte altre diocesi, e detti curati ebbero
il titolo di Arcipreti o Vicari Foranei.
Si fecero poi varie prescrizioni specialmente intorno
all'osservanza di tutti i decreti del Concilio di Trento.
Si fecero pure alcune ordinazioni speciali riguardo alla
santa Eucarestia: « poiché, diceva Francesco, siccome
gli eretici spinsero la ingratitudine e l'invidia sino a vol-
gere in ridicolo l'adorazione al SS. Sacramento, è con-
veniente che a sì grande mistero di amore si rendano
omaggi moltiplicati quanto più è possibile. »
Il vantaggio che la diocesi ebbe da questo sinodo
fu straordinario, e recò a Francesco grande conforto.
Tale poi era l'esempio che dava di sé in coteste circo-
stanze, in cui aveva tutto il clero radunato, tale la dol-
cezza e la prudenza dei modi che teneva con tutti, tale
la cordialità che appariva in ogni suo* detto Q fatto,
che niuno poteva non ricevere con grande venerazione
le sue parole, e non sentirsi mosso ad imitare i suoi
esempi.
Riforma l'Abazia di Sixt. — Il santo vescovo
mai non cessava di faticare. Gli costò molte cure e
affanni la riforma dell'abazia di Sixt. Era questo un
monastero assai antico, fondato dai baroni di Fauci-
gny. Fedele allo spirito del fondatore quest'abazia
era stata per lunghi anni l'edificazione di quella pro-
vincia; ma, come suole avvenire nelle cose umane, col
tempo vi si intiepidì il fervóre, vis decadde la disci-
plina religiosa e vi si introdussero varii abusi. Il ze-
lante vescovo, appena gli fu possibile, e dopo avervi
preparato il terreno, vi si recò in persona, deciso di
far cessare ogni abuso. Non ci volle più che il suo zelo
instancabile per riuscirvi : mise in opera tutti i mezzi
possibili per ottenere il suo intento. Alcuni ostinati
religiosi non si peritarono di usare verso di lui modi
indegni del loro stato ; ma la tenacità de' suoi propo-
siti, uniti ad una mansuetudine e carità senza limiti e
la dolcezza straordinaria con cui procedette sempre,
finirono per trionfare di tutto e l'abazia tornò al fer-
vore primitivo e continuò a fare quel bene che per
tanto tempo aveva già fatto in antico.
Parla la Chiesa. — Altre opere compite in que-
sti primi anni del suo episcopato sono esposte in breve,
ma con parole scultorie nella Bolla della sua canonizza-
zione, là dove descrive quanto il santo fosse mirabile in
ogni sua operazione. Credo bene portarle letteralmente.
« Aveva un'eloquenza alla quale era difficile resi-
stere ; la santità e l'innocenza del suo cuore gliela
avevano meritata dal cielo. Per questo.il re cristianis-
simo credette che niuno più che Francesco fosse buono
a conquistare il cuore di Giacomo I, re d'Inghilterra/
ed a farlo piegare sotto il soave giogo della vera fede.
Paolo V lo deputò alcuni anni dopo, in qualità di ar-

18.5 Page 175

▲back to top


bitro, per terminare le discordie, che erano insorte fra
l'arciduca Alberto, l'arciduchessa Chiara Eugenia, ed
il clero della Franca Contea.
» Godendo ovunque di una piena autorità, adempì
perfettamente alle funzioni di vescovo. Vegliò con som-
ma sollecitudine per difendere il suo gregge dall'alito
micidiale dei libertini e degli eretici soliti, quai lupi,
a tendere insidie alle pecorelle: pubblicò santi editti
per istabilire il buon ordine nel clero; condusse a vita
edificante e divota tutti coloro che componevano la
sua casa; si propose per modello i santi Padri ed i più
ragguardevoli vescovi dell'antichità; tenne sinodi, mise
in vigore le antiche leggi della disciplina ecclesiastica,
e ne fece delle nuove ; e si adoperò con indifesso
zelo a conservare in tutta la sua purezza la religione,
sia formando i costumi dei cattolici, sia confutando
gli errori degli eretici e riconducendo all'ovile di Gesù
Cristo le pecorelle traviate.
» Con ciò, e particolarmente per aver fatto rien-
trare nel grembo della Chiesa due gentiluomini del
paese di Gex, suscitò talmente contro di sè l'odio dei
ministri calvinisti, che, mossi da rabbia e da furore,
lo fecero avvelenare ; egli però non ne morì per una
particolare protezione della Vergine Santissima, a cui
si raccomandò.
» Un sì gran pericolo, lungi da raffreddare il suo
zelo, non fece che sempre più accenderlo ad impie-
garsi nel ministero della divina parola. Le sue predi-
che fecero a Digione, a Grenoble, a Parigi ed altrove
gloriose conquiste alla cattolica fede. Copvertì tra gli
altri Claudio Boucart, pubblico professore di teologia
(protestante) a Losanna; Francesco, duca di Lesdi-
guières, viceré del Delfinato , Barbier e Giacomo Fi-
lippo, celibri ministri della setta di Calvino.
» Per non lasciare, relativamente alle sue predi-
che, verun motivo di dubitare della purità delle sue
intenzioni, ricusò generosamente tutto il danaro che
gli fu offerto, sotto il titolo di onorario o di stima,
anche dai principi ; cotalchè avendolo la duchessa di
Longueville pregato di accettare una borsa piena d'oro,
egli rispose, che voleva dare gratuitamente ciò che
gratuitamente egli aveva ricevuto, e che non voleva
altra ricompensa per la predicazione evangelica, che
la preziosa mercede promessa dal padrone della vigna N
agli operai che la coltivano.
» Si sa, che, essendo grande, limosiniere di Cri-
stina, duchessa di Savoia, si contentò di portarne il
titolo e ricusò sempre con generosa modestia la pen-
sione che vi era annessa ; e che avendogli quella
principessa fatto dono d'un preziosissimo diamante del
valore di cinquecento scudi, egli lo destinò pei po-
veri dicendo: questo sarà buono pei nostri poveri di
Annecy.' » (i)"
CAPO III.
Altri grandi atti del suo zelo.
Francesco a Torino - a Carmagnola - a Mon-
dovi. — Stava Francesco in questa guisa lavorando
indefessamente pel vero bene della sua diocesi e della
Chiesa universale, quando, essendo giunta la prima-
vera dovette mettersi in viaggio verso Torino, per fare
(i) Bolla di canonizzazione del Santo.

18.6 Page 176

▲back to top


il dovuto giuramento di fedeltà nelle mani del Duca,
e per trattare con lui di vari importanti affari che ri-
guardavano il benessere di tutta la diocesi.
Ottenuto lo scopo del suo viaggio, prima di fare ri-
torno ad Annecy volle soddisfare ad un antico desi-
derio che aveva, di visitare il santuario della Madonna
di Vico, presso Mondovì. Intendeva egli d'andarvi a
mó' di pellegrinaggio, e, per passarvi incognito, cam-
minava con piccolo e dimesso fornimento di viaggio ;
ma non gli venne fatto di stare inosservato;, poiché,
giunto a Carmagnola, una delle più ragguardevoli
persone del luogo subito lo riconobbe, e invitollo a
casa sua, dicendogli con molta cortesia e riverenza:
« Monsignore, in questa cittàj comecché non gran-
de, non vi ha alcuno, il quale non sia apparecchiato
a ricevere la vostra persona dentro il suo cuore : ma
io di più desidero grandemente di potervi ricevere
nella mia casa. » A così cortese invito Francesco non
potè rifiutarsi.
Il Signore gli aveva quivi stesso preparata una
consolazione ben grande. Trovavasi in que' dì in Car-
magnola il vescovo di Saluzzo; quel monsignor Gio-
venale Ancina, che Francesco aveva conosciuto a-Ro-
ma, e col quale aveva stretta- tanta amicizia. Quanta
allegrezza pigliassero i due santi uomini nel ritrovarsi
in tale luogo, e quali care e memorande parole passas-
sero tra loro, l'immagini chi può; noi staremo contenti
a dire che il loro fu un rallegrarsi da santi. Non possia-
mo però passarci senza raccontare il seguente aneddoto.
Francesco fu fatto predicare, e. fece, benché tutto
improvvisamente, una così bella predica, che il beato
Ancina non potè a meno di fargli" un complimento,
che ancor si ricorda. Alludendo graziosamente al nome
di Sales, gli disse: Tu vere sai es, vale a dire, tu sei "
——
veramente sai di sapienza,, come Gesù voleva fossero
i sacerdoti. Allora Francesco, con non men gentile allu-
sione al nome di Saluzzo, della qual città l'Ancina
era Vescovo, soggiunse: E tu sei sale e luce: Et tic
sai et lux; ego vero neque sai ncque lux. D'allora in
poi i due amici nelle lettere che scrivevansi, sempre
usavano questi motti.
Accommiatatosi da monsignor Ancina, Francesco
ripigliò il suo cammino e in breve fu a Mondovì, e
potè comodamente, nel santuario di Vico, soddisfare
alla sua divozione. Tuttoché dal lungo viaggio affati-
cato, non potè trattenersi dal fare una bellissima pre-
dica sulle prerogative e sulle glorie della Madre di
Dio. Lasciò anche al santuario il suo bastone da pel-
legrino, che tuttora colà si conserva. (1)
Non si conoscono gli altri particolari di questa vi-
sita: ma ben si conosce l'importanza che i Monrega-
lesi seppero dare al fatto, poiché terminandosi più
tardi il santuario vollero che una delle più belle cap-
pelle fosse dedicata a S. Francesco di Sales.
L'accademia Florimontana. — Alle grandi fatiche
ed occupazioni continue, che lo tenevano in faccende
giorno e notte, il santo vescovo aggiunse altra opera,
che da gran tempo andava meditando, dalla quale si
riprometteva un grande vantaggio spirituale, special-
mente pei signori e pei dotti. Si tratta della fondazione
in Annecy di un'accademia destinata alla coltura delle
lettere, della filosofia, della teologia, della giurispruden-
za, della matematica e delle scienze fisiche e naturali.
Il suo spirito ed il suo cuore soffrivano nel vedere
la gioventù, specialmente della classe agiata, appena
(1) Vedi in appendice la storia di questo celebre santuario.

18.7 Page 177

▲back to top


terminato il corso delle poche scuole che vi erano allora,
abbandonata a se stessa, sì rispetto allo studio, come
circa le cose riguardanti l'eterna salute: conosceva
quanto sarebbe stato utile l'attirare gli uomini alla
virtù .coli'esca dalla scienza, ed occuparne l'attività in-
tellettuale per impedire loro di perdersi nell'ozio. Non
ignorava soppràtutto quanto importasse di dare agli
studi una saggia direzione, senza la quale avrebbero
recato più nocumento che vantaggio, precipitando le
anime nell'errore e dall'errore nel disordine; mentre
invece gli studi, saviamente diretti verso il- vero, il
bello ed il bene, dànno alle facoltà dell'uomo un pre-
zioso sviluppo, del quale profittano gli individui, le
famiglie e la società; generano la civiltà dei costumi,
l'amore all'ordine, l'inclinazione ad una vita tranquilla,
e quello spirito di prudenza e di riflessione, non meno
giovevole alla virtù, che alla pubblica e privata felicità.
Inoltre egli, mentre vedeva nella religione l'amica sin-
cera della scienza, e nella scienza l'ausihatrice potente
della religione, considerava i pubblici esercizi dell'in-
gegno, animati dalla reciproca emulazione, come una
condizione essenziale del progresso e della felicità dei
popoli progrediti.
Pieno l'animo di tali pensieri ne conferì col presi-
dente Favre, suo amico, il quale possedeva uno di
que' nobili animi, che amano di unire lo studio delle
belle lettere colla pratica delle virtù e colle austere
funzioni della magistratura. D'accordo con questo su-
blime ingegno, risolvette di formare un corpo morale,
dotto, ove la fede fosse la base degli studi, e questi
l'alimento della fede e dei costumi; e dove le occupa-
zioni letterarie e scientifiche, ed i lumi di ciascun in-
dividuo, posti in comune, insegnassero a tutti a ben
pensare, a ben parlare ed a ben vivere.
— 29 —
. ^ ' ' ' ' '' . i' ' ' " • . - ' ' "" ' .' ''' ' '
--'li, '
Diede all'accademia un nome ed un emblema pieni
di grazia: denominolla Accademia Florimontana, per
indicare, che era destinata a raccogliere i più bei fiori
di letteratura e di scienza, che potessero produrre i
monti della Savoia, e le diede per simbolo un mela-
rancio fiorito, con questo motto: Jiores fructusque pe-
rennes; fiori e frutti perenni; « impresa assai assen-
nata, dice il Paravia, siccome quella, che tutte com-
pendia le obbligazioni e le virtù del grande scrittore,
che tale mai non sarà sin che ai frutti dalla dottrina
non accoppii i fiori dell'eloquenza. E a questa impresa
l'Accademia Florimontana rimase sempre fedele; poiché
in mezzo ai severi esercizi delle matematiche, della
giurisprudenza, della filosofia, della storia, essa non
lasciò di dare fervente opera all'eloquenza, senza della
quale le scienze medesime non verrebbero gradite. »
Diede anche all'accademia le sue costituzioni. Le
principali sono queste: - Duplice è lo scopo dell'ac-
cademia, cioè la maggior gloria di Dio per mezzo
della pratica delle virtù, ed il pubblico bene nel ser-
vizio dello stato. - Non vi saranno ammessi che uo-
mini conosciuti per buoni cattolici, segnalati pel loro
sapere in arlcuna delle scienze di cui si occuperà l'ac-
cademia, o chiari per qualche opera stampata o ma-
noscritta, o per qualche particolare scoperta. - Il can-
ditato sarà da uno degli accademici proposto agli altri,
i quali prenderanno" quella deliberazione che meglio
parrà loro, e non sarà accettato se non avrà la plura-
lità dei voti. - L'accademia avrà un preside, due asses-
sori, parecchi censori, incaricati d'ammonire quelli che
si allontanassero dalla strada che batter devono; un
segretario per distendere il processo verbale di tutte
le sedute; un tesoriere per avere in sua custodia i li-
bri, i mobili, gl'istrumenti, le macchine o altre rarità

18.8 Page 178

▲back to top


appartenenti all'accademia. - Avrà pure i suoi profes-
sori: essi saran solleciti d'insegnare meglio che potran-
no, dicendo molto in poche parole, con un modo di
dire grave e urbano, ma senza affettazione ; nelle loro
lezioni avranno in mira il perfezionamento della lingua
e delle scienze, usando attenzione di ben soddisfare ad
una domanda prima di passare ad un'altra, e di spie-
gare, dopo ogni lezione, agli uditori, ciò che non aves-
sero bene inteso.
Stabilite queste regole, Francesco si occupò della
scelta delle persone che dovevano comporre l'accade-
mia. Tutti i migliori ingegni, che erano in Annecy
e nei dintorni, ambirono l'onore di farne parte; ma
egli, fra tanti accorrenti, elesse solo i migliori. Pregò
poi il duca di Nemours, Enrico di Savoia, di accettare
il titolo di protettore e di presidente di essa; cosa a
cui il principe acconsentì solo sotto la condizione di
avere per assessori il vescovo di Ginevra ed il presi-
dente Favre ; il primo incaricato della filosofia e della
teologia, il secondo della giurisprudenza, e tutti due
insieme delle belle lettere e delle altre scienze.
Dopo d'aver posto ogni cosa in buon ordine, Fran-
cesco fece l'apertura dell'accademia con un discorso
eloquentissimo. Un corso di vari studi si aperse subito,
e questo attirò ad Annecy un gran numero di uditori
dalle diverse parti della Savoia, e fece di quella città
un centro di lumi ed un convegno di begl' ingegni,
vaghi d'istruirsi o di far mostra della loro scienza.
Questa bella opera, oltre che accademia, si potrebbe
considerare come una vera università popolare nel' senso
odierno. Erano ammessi cofne scolari tutti, special-
mente quei giovani che terminati i corsi delle scuole
ordinarie intendessero di avere una saggia direzione
nell'istruzione superiore. Si può dire che essa non ebbe
infanzia, che, anche sul nascere fu grande e magnifica.
In tal modo quest'accademia, specchio di scienza e
di virtù, potè fin da' suoi principi esser proposta come
a modello di simili istituzioni.
Chi considera che la lingua francese in quei tempi
era sul nascere, che Francesco è uno dei primi clas-
sici francesi, e che anche ai nostri giorni la Savoia è
tra i luoghi dove il francese si parla meglio, e con più
purezza di elocuzione, come non si potrà arguire che
da quell'accademia abbia essa avuto il maggior impulso?
«
APPENDICE AL CAPO III.
Il Santuario di Nostra Signora di Mondovì.
Il Santuario 'di Nostra Signora di Vico presso Mondovì, che
S. Francesco di Sales visitò nell'anno 1604, è uno dei Santuari
più belli del mondo, e si racconta che Papa Pio VII avendolo
visitato nel suo viaggio di Savona, abbia esclamato : • Non cre-
devo di trovare un simile monumento fuori di Roma. » Esso è
anche grandemente rinomato per le grazie straordinarie che la
Madonna in quel luogo operò. L'origine sua avvenne in questo
modo :
Essendosi trovato a mal partito certo povero fornacciaio di
Vico, per l'esito infelice che avevan sortito variè cotte di mattoni,
ne era grandemente impensierito. « Padre, gli disse una sua gio-
vine figliola, fate voto di edificare un pilone (ossia cappelletta di
campagna) alla S. Vergine e riuscirete ; così mi disse una bella
Matrona che mi è apparsa. » Il padre credette alle sue parole,
fece ricorso a Dio e alla Beata Vergine mercè d'un voto, ed ob-
bligossi d'innalzare un pilone, e di farvi sopra dipingere l'imma-
gine di Maria e di Gesù, qualora andandogli a seconda le sue im-
prese, non avesse altra volta a spargere inutilmente i suoi sudori.
Non furono vane le fervide preghiere del religioso operaio, poi-
ché fatto appena il voto, ottenne largamente quanto chiedeva.
In adempimento pertanto della data fede, egli innalzò senza

18.9 Page 179

▲back to top


indugio il promesso pilone, sul quale fece dipingere la sacra im-
magine di Maria Vergine col bambino- Gesù in braccio. Il dipin-
to riuscì assai bello e attirò la divozione del popolo.
Coli'andar del tempo il pilone fu quasi dimenticato e gli
crebbero attorno folti pruni e cespugli, a segno che giunsero ad
occultarlo quasi interamente alla vista dei passeggieri; e quindi
avvenne che un cacciatore, visto fra quei cespugli un uccello,
scaricò il fucile e colpì l'immagine di Maria. Da quella ferita uscì
qualche goccia di sangue. Ciò avvenne circa l'anno 1594.
Divulgatasi in breve tal notizia molti cominciarono ad accor-
rere al pilone. Tra gli. altri un chierico di Vico, certo Cesare
Trombetta, giovane di ottimi ed illibati costumi, passando soventi
volte in quei pressi prostravasi talora a pregar ferventissimamente
la Madonna. In quelle circostanze sentissi risvegliare in cuore tanto
straordinari sentimenti di pietà e di divozione, che già non po-
tendo più tenerseli racchiusi in petto, incitò tutto il paese ad 0110- '
rare quella sacra immagine, e concepì i l santo disegno di labbri-
carvi una bella chiesetta, affinchè i viandanti potessero più como-
damente fermarsi ad orare. Stava cercando i mezzi per riuscirvi,
quando sorse-nel paese una maligna mortate influenza, che mena-
va per tutto quel luogo orrida strage. Dietro suo suggerimento tutti
raccomandavansi alla Beata Vergine del Pilone, come allora la
chiamavano, e, mirabile a dirsi, quanti con. fede l'invocavano, ri-
manevano istantaneamente fuori di pericolo. Questo diede campo
al Trombetta eli ottenere amplissime limosine, e ottenuto il per-
messo del proprio vescovo, che era quello di Mondovì, subito si
cominciò a gettare le fondamenta di una Chiesa grande e bella
più di quel che non erasi da principio ideato.
L'anno seguente 1595, méntre si stavano gettando le fonda-
menta dell' ideata Chiesa, avvennero tali e tante guarigioni por-
tentose, e fu tale il concòrso delle popolazioni da tutte le parti
del Piemonte, che raramente si legge al mondo un movimento,
in una regione, più pronto, più universale e più spontaneo. Fatto
consapevole il vescovo di ogni cosa, determinò di venire egli stesso
in persona con altri ragguardevolissimi personaggi ad esplorare
il tutto cogli occhi proprii, per assicurarsi così, che non vi fosse
alcuna frode od inganno, e per essere in grado di dare quelle
disposizioni, che avrebbe giudicate più convenienti ed opportune.
Fu stupito il buon prelato nelPaccertarsi co' suoi occhi di ben
più grandi maraviglie, che non erano state le udite a raccontare.
Intanto volendo esaminare ogni cosa con calma ed accuratissi-
inamente, da uomo sapiente e prudentissimo che era, ordinò che
fosse sospeso ogni qualunque culto a quella sacra immagine.
Ma, mentre gli abitanti di Vico, di Mondovì e dei dintorni
ottemperavano alle savie prescrizioni del loro pastore, ogni giorno
da paesi lontani arrivavano al Pilone numerose genti ed ottene-
vano strepitose grazie, pel che il vescovo fu come portato dalla
forza degli avvenimenti a mettersi egli stesso a capo dell'opera;
e di quel medesimo anno fu posta la pietra. fondamentale d'un
edificio ancor molto più grande che non quelle incominciato dal
Trombetta. Usciva appena la Chiesa dalle fondamenta che già
erano stati regalati cinquanta bellissimi contraltari, quarantadue
ricchissime pianete, trentasei calici, croci, lampadari e candelieri,
tutti d'argento; settecento cinquanta veli da calice, tra i quali
sei furono stimati 400 scudi l'uno, venti stendardi di seta, mille
quattrocento anelli, dieci collane d'oro, un' infinità di perle, di
pendenti, di braccialetti, con dodici paia di angeli dorati; questo
senza contare messali, carte-glòria d'argento, campane, biancheria
d'ogni sorta, e tanta céra, che non potendosi consumare, se ne
vendette per circa quattromila scudi. E di più furono regalati in
quel solo anno in moneta contante oltre a 45000 scudi, senza
far menzione di materiali d'ogni qualità che indefessamente con-
ducevansi da ogni parte, destinati al proseguimento della fabbrica.
Si vide chiaramente essere la Madonna che voleva la cosa,' e che
ispirava e guidava i pellegrinaggi e le limosine. Si distinsero nel
portare queste offerte, oltre la città di Mondovi, quelle di Torino,
Casale, Alessandria, Milano, Ivrea, Biella, Genova, Oneglia,
Nizza e inoltre altre.
Personaggi d'ogni grado, della nobiltà più distinta, ed i più
qualificati per cariche onorifiche vollero rassegnare alla sacra im-
magine l'umile tributo della loro profondissima venerazione. Me-
ritano fra questi di essere particolarmente nominati il conte e
cardinale delle Fiandre, l'arciduca Alberto, l'ambasciatore di Spa-
gna, i vescovi di Noli, d'Albenga, di Ventimiglia, di Tortona, di
Ivrea, d'Asti, di Fossano e più altri del Piemonte, della Liguria,
della Savoia: e tutti venivano in divoto pellegrinaggio a piedi,
accompagnati per lo più da gran numero di clero e di divoti.
Il summentovato vescovo di Mondovì, che era monsignor
Giovanni Antonio Castrucci, vedendo in un solo anno avvenire
maraviglie tanto straordinarie, comprese come la Beata Vergine
voleva in quel luogo un sontuosissimo santuario, e che, per spese
che si facessero, non avrebbe- lasciato mancare le limosine. Al-
3 — . B A R B E R I S , Vita di S . Francesco
d ì Sales.
VOI. II.,

18.10 Page 180

▲back to top


lora sospesi i lavori del già cominciato edificio, commise ad uno
dei migliori ingegneri di que' tempi, Ascanio Vitozzi, romano,
di fargli un disegno quanto più potesse grandioso, senza rispar-
miar nulla che potesse contribuire alla maestà del culto della Ala-
donna; e ne riuscì il disegno attuale, {incora abbellito da altri ce-
lebri ingegneri posteriori, quali furono il Gallo di Mondovì, ed
il teatino padre Filippo Iuvara, che Vittorio Amedeo II aveva
condottto seco dalla Sicilia e costituito architetto di Corte.
Il Santo Padre avvisato di quelle maraviglie, per mezzo del
suo Nunzio, che risiedeva a Torino, approvò 1' idea d'elevare quel
grandioso santuario, e ne stabilì, in qualità di commissario apo-
stolico, il vescovo di Mondovì.
L'anno seguente 1596 fu il più celebre per la Madonna
del Pilone ; poiché non solo il movimento fu anc .r molto mag-
giore dell'anno„antecedente, ma specialmente perchè in esso ven-
nero a far visita alla sacra immagine il Nunzio apostolico, por-
tando l'importantissimo Breve del Papa, ed il duca Carlo Em-
ularmele, che si diceva fortunato di avere ne' suoi stati simulacro
tanto miracoloso, e che diè segno d'immensa pietà accostandosi
nel santuario ai santi sacramenti della confessione e comunione,
stando varie ore in ginocchio pregando, e lasciando ricchi pre-
senti, tra i quali una preziosa collana d'oro, guarnita di 96 ru-
bini e 32 diamanti. Di più in quest'anno memorando venne posta
la pietra fondamentale dell'odierno grandioso edifìcio, il quale da
quel tempo ai nostri giorni non lasciò mai di grandemente abbel-
lirsi. E quel che è più, da quel tempo in poi non cessarono le
grazie veramente straordinarie, che Iddio si compiacque di con-
cedere a chi con fiducia prega la sua Santissima Madre.
La riputazione di questo luogo privilegiato si sparse colla più
grande rapidità. Si può dire che il sacro Pilone di Mondovì fu
allora ciò che ai nostri tempi è la grotta di Lourdes. Venivano da
paesi lontanissimi a visitarlo e a pregarvi ; non ostante che i mezzi
di comunicazione a que' tempi fossero scarsissimi e difficili. Fu
allora, che anche S. Francesco di Sales si votò a Lei, che più tardi
alla medesima votò tutta la città di Annecy, in una crudele epi-
demia, dalla quale, in conseguenza del voto, fu liberata.
Non ci è possibile, qui riportare i fatti particolari prodigiosi
che avvennero da quel tempo in poi; notiamo solo che l'affluenza
di popolo nella festa, annuale della Natività di Maria Vergine è
ancora ai nostri giorni addirittura enorme.
Nel 1682 eransi fatte così universali le grazie ricevute, che
s'ottenne di fare una solennissima incoronazione del sacro simu-
lacro; incoronazione che si ripetè poi nei due secoli seguenti, cioè
nel 1782 e nel 1882.
t
Tra le memorie moderne, grandemente celebri pel santuario
della Madonna di Mondovì, non ne menzioneremo che due molto
importanti. La prima, sopratutto gloriosa fu senza dubbio la visita
che vi foce l'immortale Pio VII, nel passaggio che fece tra Gre-
noble e Savona. Era il 16 agosto 1809 quando arrivò. Quivi, dopo
aver dato sfogo al pastorale suo cuore innanzi alla miracolosa im-
magine di Maria Santissima, e visitato il sacro edificio parte a
parte, ammise molta gente all'udienza, e finalmente compartì l'a-
postolica benedizione all'immenso popolo, accorsovi.
La seconda, che accrebbe sempre più la riputazione al santua-
rio, fu la solenne commemorazione centenaria della sua ultima in-
coronazione che si fece nel 1882, per opera e zelo specialmente di
mons. Placido Pozzi, degnissimo vescovo di. Mondovì. Undici ve-
scovi erano accorsi pel giorno 8 settembre e triduo consecutivo;
molti preparativi in Chiesa e fuori s'erano fatti; musiche scelte,
fuochi di gioia e l'intervento delle autorità del luogo lasciarono
tanta grata memoria di quella solennità, che ancora al giorno
d'oggi il parlarne risveglia gratissima ricordanza d'entusiasmo e
di sentita, gratitudine al cuore dei monregal&i per la gran Madre
del nostro divin Redentore.
Lo splendido tempio è alto 65 metri, lungo altrettanto e largo
47. È di ordine corinzio con figura ovale. Pare che il complesso
delle spese nell'edificarlo e nell'ornarlo ascenda all' ingente somma
di 14 milioni di lire. In una sacrestia a parte si conservano il fu-
cile del cacciatore di cui si disse sopra ed il bastone da pellegrino
di S. Francesco di Sales.
CAPO IV.
I catechismi.
I Catechismi. — Il curarsi dell'istruzione dei si-
gnori e del progresso delle scienze non era ciò che
occupasse maggiornente il santo nostro vescovo. La

19 Pages 181-190

▲back to top


19.1 Page 181

▲back to top


cosa più necessaria per conservare la virtù e la pietà
nei luoghi già cattolici, e pel consolidamento della fede
nei paesi di fresco convertiti è per certo una soda istru-
zione religiosa. Francesco era convinto esser questa la
più utile e necessaria istruzione così pe' dotti come
per gli ignoranti, pei grandi e pei ricchi come pei piccoli
e pei poveri, e specialmente per la tenera infanzia. Pensò
adunque seriamente a stabilir bene i catechismi parroc-
chiali, che affatto mancavano; e questo fu uno degli
impegni primi e più gravi del suo governo nella diocesi.
Comincia a stabilirli nella cattedrale. — Egli
operò con prudenza e poco alla volta; ma com'è ne-
cessario fare in tutte le opere importanti, non desistè
fintanto che il suo disegno non fu pienamente eseguito.
Cominciò - a stabilire i catechismi domenicali ai fanciulli
nella cattedrale di Annecy, dove da gran tempo non
eransi più fatti.
Volle dare all'introduzione di essi una grande so-
lennità, con canti e musica e assistenza di tutti i ca-
nonici e preti della città. Anche quasi tutto il popolo
vi accorse. Allora egli salito in pulpito mostrò viva-
mente la necessità ed i vantaggi della istruzione re-
ligiosa; annunziò che d'ora innanzi la spiegazione del
catechismo si farebbe ogni domenica, e terminò con
una commovente esortazione, nella quale stimolava i
sacerdoti ad occuparvisi con lena, i genitori a mandare
i .propri figliuoli, e tutti ad intervenirvi, di qualunque
età e condizione fossero.
Perchè nessuno se ne dimenticasse, il santo.prelato
stabilì, che tutte le domeniche e feste qualche giovane
adatto percorresse le vie di Annecy suonando il cam-
panello. Questo giovane veniva vestito con una specie
di tunicella violacea, che portava sulle spalle un gal-
lone,, ov'erano scritti i nomi di Gesù e di Maria e an-
dava gridando : « Venite, venite alla dottrina cristiana
e vi sara insegnata la strada del paradiso. »
Il santo vescovo volle egli stesso fare le spiegazioni
catechistiche, e, conoscendone la massima utilità, se
ne impose una legge con tanto rigore, che mai non
se ne dispensava, eccetto che le altre sue occupazioni
non gliene rendessero affatto impossibile l'esecuzione;
ed allora ne dava l'incarico a quelli che erano fregiati
delle prime dignità della cattedrale, ed a quelli del suo
clero, che più ne erano capaci.
Nulla di più bello di quanto ci narrano a questo
proposito gli storici della sua vita. Quando tutti erano
radunati, i fanciulli da una parte e le fanciulle dall'al-
tra, tutti rivolti alla sua cattedra, dopo il canto del
Veni Creator, cominciava dal far recitare qualche parte
del catechismo, che aveva dato ad imparare, poi con
ammirabile chiarezza spiegava ciò che si era recitato.
« Io ebbi il bene di assistere, dice un contemporaneo,
a quei benedetti catechismi, e mai non vidi uno spet-
tacolo simile. Quell'amabile e veramente buon padre
era assiso sopra una specie di trono, alto pochi sca-
lini; tutto l'esercito infantile lo circondava. Recava gran
diletto quando "famigliarmente esponeva i rudimenti
della nostra fede ; ad ogni proposito gli nascevano in
bocca i più bei paragoni ; egli mirava il suo piccolo
gregge - con compiacenza, e si faceva fanciullo con
loro, per formare in essi l'uomo perfetto secondo Gesù
Cristo. »
Dopo d'aver spiegato un punto di dottrina si assi-
curava se era stato ben inteso, interrogando l'uno dopo
l'altro vari fanciulli, facendo più volte la stessa do-
manda sotto diversa formola, e, qando non avevano •
perfettamente capito, tornava a rifar la spiegazione in

19.2 Page 182

▲back to top


altra maniera, rendendola chiara per via di esempi
e di aneddoti adatti al soggetto, non risparmiando fa-
tiche o noie per istruire i suoi cari fanciulli. Occor-
rendo li interrogava di nuovo con materna bontà, ri-
peteva all'uopo le stesse spiegazioni, sempre con# la
medesima grazia e pazienza, e non lasciava una do-
manda fino a che-non si fosse assicurato, che l'avessero
ben intesa.
Non faceva quasi mai alcun rimprovero, ma animava
a far meglio ; ed ogni volta che un fanciullo lo soddis-
faceva colle sue risposte, gli dava qualche regaluccio,
come un'immagine, o medaglia, o corona, o librettino di
preghiere, od altri piccoli oggetti, che appositamente
portava seco. Finito il catechismo faceva cantare can-
zonette, parecchie delle quali erano state da lui mede-
simo composte, ovvero alcuni versetti di Salmi, tra-
dotti in volgare e messi in rima da persone esperte
nella poesia ; e distribuiva poscia ai fanciulli biglietti
di sua mano, che contenevano ciò che era stato detto
nella dottrina cristiana, affinchè lo ripetessero, la tenes-
sero più ben impressa, la riassumessero in casa ai ge-
nitori, fratelli, sorelle, e sapessero poi anche recitarla
nel seguente catechismo.
Li stabilisce in tutte le parrocchie. — Fu ben
presto tale e tanto il numero degli uditori, i quali veni-
vano allettati da questo modo d'istruzione, che gli con-
venne dividerli, assegnandoli a sacerdoti di gran me-
rito, che egli si associò per catechisti. Visto che l'opera
riusciva a maraviglia, e che i più schivi cominciavano
ad adattarvisi, stabilì che questi catechismi si facessero
in tutte le parrocchie della città, dando regole fisse e
prudenti sul modo di riuscirvi bene. Egli poi non la-
sciava domenica senza andare o in una parrocchia o
in un'altra, ma senza avvisar prima in quale sarebbe
andato. In questo modo mise una emulazione tale nei
parroci e nei varii preti della città, non che nei gio-
vanetti d'ogni parrocchia, che in breve non mancava
più nessuno. I genitori medesimi, conducendovi i ra-
gazzi, si fermavano alla spiegazione, ed in questo modo
riuscirono talmente istruiti nella religione, che la città
di Annecy in breve cambiò interamente aspetto.
Di tanto in tanto il santo vescovo eccitava la pietà
e l'ardore dei fanciulli con alcune funzioni, che sapeva
essere di loro gùsto. In due domeniche di ogni anno,
con solenne accompagnamento di musica, li conduceva
in grandiosa processione per tutta la città. Accompa-
gnato da' suoi ecclesiastici, cantava con essi le Litanie,
ovvero recitava il santo Rosario, camminando dietro il
suo piccolo gregge, col più divoto e raccolto contegno.
In fine il santo vescovo, visto che era venuto il
momento opportuno, volle metter tutta la sua diocesi
a parte dei grandi beni, che in Annecy operava il ca-
techismo : il perchè prescrisse al suo clero di farlo ogni
domenica avanti al vespro. E perchè esso riuscisse più
profittevole, diede una istruzione insegnando un me-
todo uniforne per tutta la diocesi. In questa istruzione
egli, come tocca i problemi più ardui della educazione
cristiana, così non dimentica di scendere alle cose più
piccole. Vuole che il catechismo venga annunziato col
suono della campana; che nel momento in cui si entra
in Chiesa vi sia qualcuno incaricato, di osservare che
tutti facciano il segno di croce e la genuflessione avanti
al SS. Sacramento; che si scelgano due fanciulli più
capaci e si mettano in un luogo eminente, d'onde pos-
sano essere veduti da tutti, e che in fine della spiega-
zione uno di essi faccia le domande, l'altro le risposte;
che vengano interrogati sopra le spiegazioni già date

19.3 Page 183

▲back to top


— 4° —
«
;
prima, per vedere se le hanno ritenute; e che, verso
la fine, si faccia in brevi parole l'epilogo di quanto è
stato detto, per maggiormente imprimerlo nelle menti;
che si diano piccoli premi come immagini, medaglie
e corone a quelli che hanno saputo meglio rispondere
e che si sono mostrati più docili é modesti; e che fi-
nalmente si notino con diligenza gli assenti, e si ter-
mini con una divota e fervente esortazione.
Voleva che anche nelle Chiese non parrocchiali e
nelle abbazie si facesse il catechismo, e dava segni di
predilezione a que' sacerdoti che si fossero prestati con
maggior zelo. « Io gli chiesi un giorno, depose un suo
ecclesiastico nei processi della sua beatificazione, di
accordare ai cantori della cattedrale, che io catechizzava,
le stesse indulgenze come nel catechismo che io faceva
ai fanciulli. Oh, disse, ve le concedo di vero cuore! e
poiché, soggiunse stringendomi fra le braccia, voi istrui-
te nella religione quei piccoli figliuoli, voi siete il mio
figlio diletto. »
Amore che gli portavano i fanciulli. — Tanta
bontà gli affezionò talmente il cuore dei fanciulli, che,
quando passava per le vie della città, essi da ogni
parte a lui accorrendo, si schieravano a destra e a sini-
stra, poi si affollavano presso la sua persona in modo
da lasciargli, a stento libero il passo. Tutti volevano
ricevere la sua benedizione, baciargli l'anello e la veste,
e talvolta lo seguivano, anche trascinandosi sulle gi-
nocchia, sino a che non avevano ottenuto la benedi-
zione episcopale.
Godendo egli di tale innocente importunità li ac-
carezzava, mettendo la mano sulla testa dell'uno, sulla
guancia dell'altro; ed i primi che avevano ricevuti que-
sti contrassegni della sua amorevolezza lo precedevano
— 41 —
correndo, per poi riavvicinarglisi ed averli una seconda
volta; di modo che a misura che s'innoltrava, la pic-
cola comitiva cresceva sempre ; e sebbene talvolta quelli
del suo seguito cercassero d'impedirlo, egli non voleva
che fossero allontanati : « Lasciateli venire, diceva con
grande affabilità: questo è il mio piccolo popolo. »
Quando poi il buon prelato era passato oltre, essi an-
davano tutti lieti ai genitori ed agli amici a raccontare
la fortuna di averlo incontrato, e le carezze che ne
avevano ricevute.
Un giorno che gli avevano tenuto dietro fino al-
l' ingresso di un monastero, la suora avèndogli espresso
il timore che il vento, entrando per la porta del par-
latorio che era socchiusa, lo incomodasse, e'gli si alzò
per chiuderla; ma avendo veduto ivi quella piccola
brigata che attendeva e guardava, tornò al suo posto
senza fare altro : « Vi sono, disse, tanti fanciulli che
mi osservano con tale affetto, che non ho avuto il co-
raggio di serrare loro l'uscio in faccia. »
La maggior parte de' cittadini l'ammirava in que-
sto umile ministero ; ma alcuni altri trovarono di clic
biasimarlo. A qual fine, marmoravano fra loro, un ve-
scovo discende a sì lievi occupazioni? Perchè mai, egli
che dovrebbe occuparsi intieramente cogli adulti e
cogli uomini d'affari, passare il tempo coi poveri e
coi fanciulli ? Queste dicerie venivano riferite all'umile
prelato, il quale rispondeva che .Gesù Cristo ha detto :
« Lasciate a me venire i piccoli pargoli, perchè ad essi
appartiene il regno dé' cieli » e proseguiva senza cu-
rarsi delle ciancie del mondo.

19.4 Page 184

▲back to top


C A P O V.
Altre cure pel "bene della Diocesi
e grazie straordinarie.
L'educazione dei chierici. — Un altro dei più
intensi impegni di Francesco dopo che fu vescovo fu
di prendersi gran cura dei suoi chierici per formare
sacerdoti modelli in scienza ed in santità. Si struggeva
del desiderio di potersi creare un seminario, onde at-
tendere adeguatamente alla loro educazione, ma questo
non gli fu possibile. Esortava pertanto i parroci a cer-
care e coltivare quei giovani che dessero speranza di
riuscita nel sacerdozio ed a farglieli conoscere e indi-
rizzarli a lui. Egli li esaminava per assicurarsi della
loro vocazione, poi si occupava della loro istruzione
ed educazione nel miglior modo che poteva.
Insisteva molto con loro dell'obbligo d'istruirsi; e
con i vari sacerdoti della diocesi parlava con frequenza
sull'obbligo di continuare a studiare anche dopo la
loro sacra ordinazione. Ecco le parole che una volta
loro rivolse a questo riguardo:
« Quelli tra voi, i quali si crearono occupazioni,
che li impediscono di studiare, sono come quei tali
che negano al loro stomaco le-" vivande sode, per non
dargli altro che cibi leggieri ed insufficenti: Ve lo dico
in_.verità, l'ignoranza ne' sacerdoti è cosa da temersi
più dello stesso peccato, perchè è cagione non solo
che si perda l'anima propria, ma ancora che si diso-
nori ed avvilisca il sacerdozio. Io vi scongiuro adun-
que, o miei carissimi fratelli, di attendere da senno
allo studio ; lajsciea&a.. in--u^sacerdote è l'ottavo,, sa-
cramento dell'ecclesiastica gerarchia ; e le più grandi)
sventure della Chiesa da questo ebbero origine, che/
l'arca della scienza era in altre mani, che quelle de'!
leviti. SgjGinevra.-ha..-fatti~sl-~gxandi guasti tra noi,
egli fu perchè ce ne stavamo O^ÌQSÌ, contenti della re-
citazione dell'ufficio divino, senza pensare a farci sa-
pienli; ed i cattivi seppero trar partito della nostra ne-
gligenza ed ignoranza per far credere che sino a quel
tempo non s'era inteso il senso della sacra Scrittura. Così
mentre noi dormivamo, il nemico mise fuoco alla casa.»
Perchè poi i suoi chierici si dessero ad una vita .
santa non tralasciava mezzo alcuno. Non li posso
qui riferire, chè sarebbe cosa troppo lunga: solo una
cosa parmi buono far notare, ed è ch'egli li voleva
molto divoti della Madonna e dell'Angelo custode. Vo-
leva che ai propri Angeli pensassero con frequenza,
affinchè (fuesto pensiero li avesse a ritrarre dal male.
Egli medesimo aveva sempre riverenza speciale ai sa-
cerdoti, pensando che il loro Angelo custode stava a'
loro lati, in atto di venerarne la dignità sacerdotale.
A questo proposito soleva narrare un fatto, di cui era
stato testimonio oculare egli stesso nel sabato delle
Quattro Tempora di primavera dell'anno 1603. Gli ac-
cadde dunque, che nell'uscir dalla Chiesa in cui si
erano tenute le ordinazioni, vide un novello sacerdote
fermarsi di un tratto presso la porta, e, quantunque
solo, far tuttavia quegli atti e gesti che s'usano quando
si vuol cedere il passo a una persona più degna. Il
che parendogli strano, chiamò a sè quel novello prete
e lo interrogò. « Monsignore, rispos'egli, sappiate chc~]
Dio mi ha concesso di vedere sensibilmente il mio 1
Angelo custode. Prima che io fossi sacerdote, questo j

19.5 Page 185

▲back to top


Àrigelo santo camminavami sempre dinanzi, ma ora s'è
fermato alla porta, ed ha voluto, per riverenza al ca-
rattere sacerdotale, the passi prima io, dicendo che
è mio servitore, come l'è pure di tutti i sacerdoti. »
Visita pastorale alla diocesi. — I molti e savis
simi provvedimenti già presi da Francesco per il buon
andamento della diocesi erano ancora poca cosa in
confronto dello zelo che lo animava, e del bisogno
che la diocesi medesima ne aveva, essendo stata tanto
travagliata dagli eretici, che gran parte l'avevano messa
a ruba e a soqquadro col ferro e col fuoco.
Ecco come egli scrive al S. Padre Paolo V recente-
mente eletto sommo Pontefice: « Questa provincia, fla-
gellata da ogni parte dalla tempesta, e quasi ridotta in
frantumi dai flotti e dalle burrasche sollevatele contro
dagli eretici, ha concepito grandi speranze della vostra
i saviezza e carità. Voi_ siete il' cuore ed il sole di tutto
ilo stato ecclesiastico; ond'è che noi non possiamo du-
bitare, che questa diocesi, più che tutte stata esposta
alle persecuzioni'degli eretici, non sia per avere dalla
Santità Vostra tanto maggiori benefizi, quanto dev'es-
sere più cara al cuor vostro... »
Per ordinare ogni cosa in modo duraturo pensò
di intraprendere la visita completa della diocesi, e la
cominciò dopo il tempo pasquale di quell'anno 1605.
« Essendo stato finora trattenuto da gravissime mol-
tiplicate faccende, così scrive egli alla Chantal, parto
par una volta per questa travagliosa visita, nella quale
vedo, in capo ad ogni campo, croci d'ogni sorta. La
mia carne ne freme, ma il cuor mio le adora. Sì, io
vi saluto, piccole e grandi croci, spirituali o tempo-
porali, interiori od esterne; io vi saluto e bacio il vo-
stro piede, io indegno dell'onor dell'ombra vostra. »
Iddio benedisse tanta abnegazione e conformità alla
volontà sua, e per la virtù ed i meriti di lui, largheg-
giando in grazie e favori con le popolazioni, che il
suo servo visitava, si vedevano le parrocchie più dis-
ordinate, mettersi in regola, i pubblici. peccatori ve-
nire a penitenza, gli odii e le contese spegnersi e com-
porsi, i nemici riconciliarsi,, e dovunque stabilirsi la
pace ed il regno di Dio.
Egli intanto, avendo fatto togliere dal suo segre-
tario particolareggiate note sulla condizione d'ogni
Chiesa e parrocchia da lui visitate, al suo ritorno in
Annecy, riesaminatele parte per parte minutamente,
s'ingegnava a poter suo di portare ad ogni luogo quelle
migliorìe che erano possibili.
Episodi ameni e grazie straordinarie nella vi-
sita della diocesi. — Chi sa che paese sia la Savoia,
vale a dire tutto valli e monti altissimi ed aspri, in-
tenderà agevolmente se una visita pastorale, fatta a
piedi continuamente, dovesse tornar faticosa a Fran-
cesco. Tuttavia un giorno un cotale andava spargendo
sciocche dicerie contro il Santo, indicando maliziosa-
mente, che quegli andava in feste qua e là, godendo-
sela in casa dei parroci. Seppelo Francesco e fattolo
venire a sè, dopo alcuni convenevoli, gli domandò del
perchè di quelle dicerie che andava spargendo ; ma ciò
fece con tale aria schietta, e amorevole confidenza, che
il buon uomo trovandosi confuso, manifestossi per quel
che era: « Monsignore, disse, io vedo che voi avete
il dono di .leggere nei cuori ; io sono figlio d'un me-
dico di Ginevra, mandato da' ministri protestanti a
spiare i vostri passi, per sapere e riferire ciò che
veniste a fare in questi luoghi. » - « Io vengo, fi-
gli uol mio, rispose allora Francesco, a cercare le mie

19.6 Page 186

▲back to top


pecorelle, e voi siete una di esse e con queste pa-
role, gettategli al collo le braccia, se lo strinse al petto
tenerissimamente. A questo atto il giovane, commosso
fino alle lagrime, gli cadde ai piedi pregandolo d'illu-
minarlo ed istruirlo nella fede cattolica. In capo a dieci
giorni Francesco ebbe la consolazione di ricevere l'abiu-
ra/ del fortunato giovane, così avventuroso per essere
capitato tra le mani d'un padre sì santo e sì illuminato.
In altro paese venne a lui un giovane noto nei din-
torni pe' suoi scandali, pregandolo con lagrime di sin-
cera contrizione di volerlo confessare Pensate voi se
Francesco l'accolse con grandissimo amore ! Ma la con-
fessione andando a lungo, ed essendovi altri chè aspet-
tavano vi fu chi andò a sollecitarlo più volte affinchè
finisse più presto con quel cotale. Per due volte non
disse nulla e continuò; ma alla terza soggiunse: « Non
sapete, miei cari, esser cosa molto più conveniente, che
le novantanove pecore fedeli tollerino alquanto disagio
nell'aspettare il pastore, che questo manchi di ripor-
tare sulle proprie spalle quella che andò a cercare nel
deserto? » E senz'altro dire continuò a sentire la con-
fessione del giovane che a' suoi piedi piangeva i pro-
prii peccati.
Una cosa, che eziandio gli diede assai consolazione
in questa visita, fu vedere che il Signore gli dava la
grazia di liberare dalle mani del demonio, non pur
tanti infelici fatti suoi schiavi dal peccato, ma ancora
altri assai, che per vera ossessione diabolica erano con-
dotti in troppa misera e lacrimevole condizione. Si
narra che in questa guisa ne abbia liberati ben ottanta.
V
Fortezza di carattere e generosità del suo spi-
rito. — È maraviglioso affatto, che, quantunque circon-
dato da tante cure, stanco dalle fatiche del viaggio
— 47 —
e del sacro mi»nistero, non di meno non trascurasse
punto le altre cure della diocesi, anzi neppure intra-
lasciasse mai le sue solite divozioni. Quanto fosse cara
al Signore questa sua fedeltà alle impostesi obbli-
gazioni si vide da un fatto, che allo stesso Francesco
parve aver del prodigioso. Un dì che aveva certi
affari così difficili e gravi da -sbrigare, che non sapeva
come ne sarebbe venuto a buon esito, sentito dar il
segno del vespro si recò diffilato alla Chiesa ad assi-
stervi. Ritornato poi e ripresa la spedizione interrotta
di quegli affari, in un quarticel d'ora se ne sbrigò
così felicemente, ch'egli medesimo ebbe a dire: Cer-
tamente egli è Dio che v'ha messo la mano !
Facendo la visita del Fossigny ebbe a soffrirne gran-
demente. È questa una regione tutta montagne e valli,
coperta dove da boschi foltissimi, dove da ghiacciai
eterni, e dove ingombra da enormi rupi. Risoluto di
veder co' suoi occhi ogni loghicciuolo ove abitassero
le sue pecorelle, egli, occorrendo, vi s'arrampicava aiu-
tandosi delle mani e dei piedi; ed anche, fattosi ar-
mare le scarpe di certi ramponi di ferro all'uso mon-
tanesco, con grandissimo animo seguiva la via, senza
lasciarsi impaurire dai pericoli, che vedeva ad ogni
tratto presentarsi di rovinar nei precipizi, sull'orlo dei
quali spesso era forza muovere i passi. In capo a
qualche tempo essendosi i suoi piedi fatti tutti una
piaga, il disagio di quel cammino gli si fece intollera-
bilmente più grave; ma egli^ come se nulla patisse,
non dava mai segno di noia o di dolore; o se pur
usciva in qualche parola, che accennasse alle pene di
quel viaggio, era di compassione ai mali altrui.
In breve la natura non potendo assecondare la ge-
nerosità dello spirito, si trovò come inetto a seguitare
la via. Non potendosi più sostenere sui piedi tutti

19.7 Page 187

▲back to top


laceri e gonfi, ed una grave infiammazione essendosi
manifestata ad una gamba, se volle seguitare la via,
bisognò che salisse una cavalcatura; ma ancora così
il viaggio riuscivagli assai penoso, e non poteva avan-
zare gran fatto. Un d\\ i suoi compagni, vedendo che
la notte cadeva, studiarono il passo per guadagnar
tempo, e inavvedutamente lasciarono il vescovo solo.
Quando se ne avvidero in fretta rifecero la via, e tro-
vatolo che se ne veniva a bell'agio e sempre coll'aspet-
to suo dolce e sereno, per bel modo gli domandarono
perchè non li avesse seguiti. « E h , cari miei, rispose
tranquillamente Francesco, si cammina come si può. »
Questi sono esempi di pazienza e di mansuetudine
proprio da santi !
Ben è vero altresì, che Francesco riceveva di quan-
do in quando consolazioni, per aver anche una sola
delle quali avrebbe fatto non che una, cento di quelle
vìsite pastorali. A Villard eravi un peccatore che dava
pubblicamente gravissimo scandalo : mosso a pietà del-
l'infelice s'ingegnò con infinita pazienza e dolcezza di
ricondurlo sulla retta via. Ma lo sciagurato con ischer-
ni ed insulti rispondendo alle paterne esortazioni del
santo vescovo, mostrò tanta pervicacia e malizia, che
questi fu costretto a minacciarlo di scomunica. « Se
voi mi scomunicate, disse allora quel fellone, andrò
immediatamente a farmi protestante. » A queste pa-
role da forsennato Francesco credette conveniente l a -
cere e pregare. Venuta l'ora della predica, occorrendo
la festa di San Giovanni Battista, ebbe largamente a
dire contro i vizi, che costarono la testa di quel gran
santo. Volle Iddio che l'ostinato peccatore, mosso
forse da mera curiosità, andasse a sentire quel sermo-
ne, e che nell'udirlo si sentisse improvvisamente così
tocco, che, già vinto, appena terminata la predica con-
resse a gettarsi ai piedi del Santo, e con le lacrime
lo pregasse a voler ricevere la sua confessione, dopo
la quale spontaneamente volle far pubblica ammenda
degli scandali dati, chiedendo perdóno pubblicamente
in chiesa a tutti.
Un altro dì toccò ad un ecclesiastico, il quale pu-
re aveva dato scandali. L'accolse Francesco coll'usata
benignità; ma vedendo poscia che era tanto temera-
rio da pensare ancora a difendersi, arrossì egli per lui,
e stette alquanto in contegno senza proferir parola.
Commosse quest'atto l'indurato cuore di quel prete,
e, improvvisamente tocco dalla divina grazia, gli cadde
ai piedi implorando perdono e penitenza de' suoi pec-
cati. Come si fu confessato quel sacerdote gli chiese
che cosa il vescovo pensasse dei fatti suoi : « Io pen-
so, rispose, che il Signore ha sparso sopra di voi la
sua misericordia. » — « Ma voi sapete bene quello che
sono stato? » — « Voi siete quel che vi dico; e pér
provarvi che io vi veggo tutto ripieno di grazie cele-
sti, vi prego di farne parte anche a me, dandomi la
vostra benedizione. » E così dicendo si mette a' suoi
piedi e aspetta che lo benedica. Ma ricusando colui e
standosene tutto confuso e trasecolato per tanta umiltà:
« Dico da senno, sapete, ripigliò Francesco, dico da
senno; anzi dovete rendere a me lo stesso servigio che
io ho reso a voi e vi prego di confessarmi. » Nè per
quanto quegli ripugnasse, potè il convertito ecclesia-
stico scusarsene.
Altre fatiche ed altre consolazioni. — La gra-
zia di convertire i cuori non era in lui punto minore
rispetto alle intere popolazioni, di quello che fosse
coi particolari. Una parrocchia, tra le altre, era tutta
divisa da partiti. Le parti nimicatesi a vicenda vive-
4 — B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales. Voi. II.

19.8 Page 188

▲back to top


vano in continue occasioni di contese, e si trattavano
l'une e l'altre da implacabili nemici. Giunse tra questi
miseri suoi diocesani il santo vescovo nell/ottava del-
l'Assunta, ed informato della lagrimevole condizione
del paese salì in pulpito, e prendendo argomento della
solennità presente espose loro il mistero per tal modo
e con quella sua tenera ed efficace eloquenza, che in--
teneri tutti; ma poi descritta la morte della Beata Ver-
gine esclamò: « O caro mio popolo, Maria muore
d'amore; noi, noi viviamo d'odio ; ma ella se ne va al
cielo, e noi, noi siamo incamminati verso l'inferno! »
A questo pensiero, che le sue pecorelle andavano per-
dute, il suo cuore non può più reggere, e sfogandosi in
pianti e sospiri è impedito di più parlare, ed è costretto
a discendere dal pulpito. Ma la gente che era in Chie-
sa, a tale spettacolo attonita e stupefatta dà luogo alla
divina grazia; scoppia in lacrime, stringesi ai piedi del
Santo, il quale tanto sa dire e fare con i maggiorenti
del paese, che ciascuno si riconcilia con Dio e fa la
pace con tutti, e la felicità rientrò in paese.
Oltre a queste spirituali consolazioni, Francesco
dovette godere eziando le ineffabili delizie, che prova
generalmente al contemplare le natura un'anima che
generosamente ama il Signore. Sì, le bellezze e le ma-
raviglie della natura parlano potentemente al cuore
dei santi. Epperò qualche compenso riscontrava anche
in esse ai travagli del sùo viaggio ! L a vista dei pano-
rami tanto sublimi delle alpi Sabaude parlava così alto
alla sua mente come al suo cuore, che ebbe emozioni
straordinarie, tanto che scrivendone poscia alla Chan-
tal, diceva: « Ho trovato Dio tutto dolcezza, e soavità
anche sulle più alte ed aspre montagne, dove molte
anime semplici l'adorano con tutta sincerità e verità ;
. dove i caprioli ed i camosci, corrono qua e là tra que-
gli spaventosi ghiacciai, per annunziare le sue lodi.
Per la mia poca divozione io non intendeva gran
cosa di quel loro linguaggio ; ma parevami che dices-
sero pur delle belle cose. Come le avrebbe ben intese
S. Agostino, se le avesse vedute! »
L a semplicità dei costumi montanini lo dilettava
anche grandemente: « Oh che buon popolo ho io tro-
vato su queste montagne, scriveva ancora alla Chantal :
che onoranze, che accoglienze, che venerazione pel loro *
vescovo! Oh essi meriterebbero ben altro vescovo! »
Essendo un dì andato a vedere un vecchio infermo,
che aveva chiesto per gran favore di ricevere la be-
nedizione da lui, ebbe-a restarne non poco edificato;
poiché il buon vecchio voltoglisi con sicuro viso:
« Monsignore, disse, morrò io eli questa malattia? »
Cercò il vescovo di consolarlo facendogli coraggio,
poiché credette che il povero uomo avesse paura di
morire, e gli mostrava la speranza che ancor sarebbe
guarito. — « Oh, monsignore, ripigliò allora il buon
vecchio, non ho timore di morire, anzi lo desidero :
vi chiedo il parer vostro su questa infermità, perchè
temo di non morire ; vi dico davvero che mi rasse-
gnerei a malincuore a dover guarire. » — « Davvero?
Bisogna adunque che siano grandi assai i mali che sof-
frite, se desiderate così di finire i vostri giorni. » — « N o ,
monsignore, anzi m'ho ogni contentezza che possa de-
siderare; ma nelle prediche e nei libri divoti ho sen-
tito esaltare per siffatta guisa l'altra vita e i beni del
Paradiso, che questo mondo mi sembra una prigione. »
— E così continuò a parlare con tanta saviezza e de-
siderio de' beni celesti, che Francesco ne ebbe a la-
grimare di consolazione.

19.9 Page 189

▲back to top


CAPO VI.
I
Nuovi atti di zelo.
Consacrazione di mons. Camus. — Il 30 agosto
1609 si recò a Belley per consacrare vescovo monsi-
gnor Camus, che poi gli fu sempre amicissimo, e che
essendo ancor molto giovane tenne sempre Francesco
in conto di padre. La vicinanza di Belley ad Annecy
permetteva loro di vedersi con frequenza, e quando
Francesco aveva bisogno di qualche giorno di solitudine
o di riposo recavasi a cercarlo presso il suo amico; e
il Camus si recava pure pressoché tutti gli anni a
passare una settimana presso il nostro santo e lo os-
servava in tutto fin nelle minime cose.
Egli sopravvisse lungo tempo al suo santo amico, e
pubblicò sotto il titolo : Spirito di S. Francesco di Sales,
un'opera preziosa, nonostante le lungaggini e lo stile
affettato. Senza di lui sarebbero state sempre ignorate
molte azioni fra le più intime, e molte massime al tutto
celesti di questo grande e amabile santo.
S. Francesco predicatore. — La divina Provvi-
denza, avendo scelto S. Francesco di Sales per occu-
pare uno dei posti più eminenti nella Chiesa, l'aveva
colmato dei doni che erano necessarii ed opportuni per
riuscire a compiere la sua missione, e l'aveva fornito
anche di quei mezzi esteriori necessalrii affinchè i talenti
di cui era stato arricchito riuscissero utili al più gran
numero di persone; e fra gli altri doni con quello del-
l'eloquenza, tanto necessaria agli scrittori ed ai predica-
tori. Si può asserire ben a ragione, che il nostro amabile
Santo fu uno dei predicatori più eloquenti che abbia
avuto il suo secolo. Grande erudizione, tatto squisito,
vigore comunicativo, abitudine di parlate con precisio-
ne e chiarezza, erano le sue doti principali.
Il celebre mons. Freppel vescovo d'Angers dopo
d'aver detto che Francesco è insieme un' unione ineffa-
bile di grazia e di tenerezza, soggiunge : « Egli, per la
ingenuità e schiettezza incantevole, per il periodare vivo
e grazioso, per la forma pittorésca del suo stile ci richia-
ma a memoria tutto quello che nella letteratura francese
del secolo XVI vi è di brio e d'originalità, e tutto ciò con
un gusto più sicuro, un suono meno urtante, con linee
più regolari, con un modo di dire più pulito e più ca-
stigato de' suoi contemporanei. Egli fu un uomo che
raccolse in sè solo tutto quello che si può raccogliere
nella storia di più fino, di più delicato, di più spirituale. »
Il Signore lo preparò fin da fanciullo alla predica-
zione. Nei collegi di La Roche e di Annecy era sempre
scelto dai superiori per fare le piccole comparse che si
costuma nei collegi, nelle varie circostanze di accademie
o di piccole rappresentazioni teatrali ; poiché, d i c e v i
suo biografo Carlo Augusto di Sales, egli aveva un
portamento schietto, nobile, maestoso, un corpo ben
fatto, un viso attraente, una bellissima voce. A Parigi
poi egli studiò due anni la retorica e frequentava sem-
pre le prediche dei principali oratori di quella citta.
Anche a Padova si perfezionò nell'eloquenza; di modo
che da quando, appena suddiacono e poi diacono, il
vescovo che conosceva le sue doti gli ordinò di predi-
care, subito diede tal prova di sè da far stupire, e si
capì subito che la sua eloquenza era già perfezionata,

19.10 Page 190

▲back to top


Cominciò pertanto, appena Ordinato, quel corso di
predicazione continua che non ebbe fine se non la vi-
gilia della sua morte, e sempre con quel frutto che la
santità di vita e la sua eloquenza non potevano man-
care di produrre, (i)
I Quaresimali di San Francesco. — Se già
prima che fosse vescovo tutti desideravano udire Fran-
cesco a predicare, dopo, da tutte le parti gli piove-
vano inviti ed insistenze affinchè andasse a far ser-
moni, novene, avventi, quaresimali: e Francesco, che
non sapeva mai dire di no, procurava di contentar
tutti, "ed era sempre in giro per predicazioni. E r a stato
da poco tempo eletto vescovo e -non era ancor consa-
crato, quando, come già si disse, mons. Granier lo in-
caricò di fare il quaresimale ad A n n e c y : dopo d'al-
lora quasi tutti gii anni dovette cedere alle insistenze
di molte città e accettare anche la predicazione di qua-
resimali. Egli vi-si prestava con tale accuratezza e poi
predicava con tale zelo, che faceva cambiar faccia alle
città che avevano la fortuna d'udirlo, nè avveniva mai
che non facesse conversioni strepitose sia tra cattolici,
sia tra eretici, nei luoghi dove ve n'erano.
Nè mai si contentava di predicar solamente : tanto
fu sempre lo zelo e l'efficacia con cui intraprendeva
queste fatiche del sacro ministero, che ognuno restava
grandemente ammirato come un- uomo solo potesse ba-
stare a tante e sì diverse opere. Egli sempre pronto a
confessare chiunque ne lo richiedesse, egli sempre ap-
parecchiato a ricevere chiunque fosse venuto a lui per
i
.
(i) Sono ricordate in Piemonte le sue prediche a Torino, a
Carmagnola, a Mondovì, a Pinerolo, a Chieri nella Chiesa di
Santa Margherita e in varie altre città e paesi che ne conservano
tradizione tuttora viva.
consiglio od altri bisogni (e da ogni parte accorrevano
come ad oracolo) • egli frequente nelle visite dei ma-
lati e dei poveri, nelle conferenze spirituali nei mona-
steri e nelle case private, con persone che a lui si rac-
comandavano o per essere istruite nella fede cattolica
ed abiurare l'eresia, o per ricevere ammaestramenti da
profittare nella pietà, o conforti ed esortazioni a lasciare
la mala via del peccato e tornare a virtù.
Il suo predicare era nello stesso tempo così erudito,
che molti dotti ed ecclesiastici si trascrivevano le sue
parole per farsene loro prò ; e nello stesso tempo era
così semplice, che non si sapeva che dirsi di quella
nuova foggia di amministrare la divina parola, e la gente
esclamava: « Che uomo è questo mai, che espone con
tanta chiarezza le più difficili cose della teologia, e fa
intendere ai più rozzi intelletti le cose più astruse? —
Che meraviglia? rispondeva altri; punto non è a stupire
che il suo predicare meni sì largo frutto ; perchè non
solo è dotto, ma è santo; capisce molto bene quello
che insegna altrui, e lo pratica meglio ancora. »
Facendo il quaresimale a Digione trattò molte cose
con quel parlamento, utili alla sistemazione della reli-
gione cattolica nella Savoia, vi conobbe la Chantal, e
gettò la prima pietra dell'Istituto della Visitazione. L a
predica della Passione trasse tante lagrime e singhiozzi
che tutta la Chiesa era in pianto. Quasi tutti i sena-
tori, compreso il presidente, furono da lui a confessarsi.
A L a Roche, come se il predicare ed il confessare
non bastasse al suo zelo, nel lunedì e giovedì convo-
cava ad una conferenza di materie ecclesiastiche tutti
i canonici, curati, sacerdoti dei dintorni, e con grande
bontà discorreva con essi della teologia morale, spie-
gandola ed applicandola ai casi pratici; udiva e scio-,
glieva i dubbi che gli fossero proposti ; e conchiudeva

20 Pages 191-200

▲back to top


20.1 Page 191

▲back to top


con una fervorosa parlata intorno allo spirito ecclesia-
stico, od ai doveri e virtù dello stato sacerdotale.
Martino il sordo-muto. — Predicando a La Ro-
che avendo trovato un sordo-muto di nome Martino,
uomo di vita innocentissima, ma buono a null'altro che
a certi servigetti di casa, se ne mosse a compassione
e tolselo con sè. E domandandogli taluno, che si vo-
lesse fare di quell'inutile arnese; « inutile arnese? ri-
sponde Francesco, ei mi sarà utilissimo a farmi prati-
care la carità. Quanto meno fu favorito da Dio, tanto
più devo usargli misericordia. » Lo prese adunque seco,
e con mille amorevoli cure s'ingegnò di rendergli meno
infelice la vita: egli stesso volle insegnargli le cose
della fede, e ciò fece con tanta pazienza e costanza,
che riuscì a farlo atto a ricevere la santa Comunione
in quella medesima Pasqua.
Quaresimale a Chambery. — A Chambery pre-
,. dico al cospetto dei senatori, che in corpo venivano ad
ascoltarlo. L'effetto che la sua'parola produsse fin dalle
prime volte fu tale, che la gente andava dicendo ogni
sua predica essere un miracolo, e non essere lui che
parlava, ma lo Spirito Santo per sua bocca. Un dì,
mentre con maggior fervore predicava, furon visti da
un crocifisso, che stava sopra la tribuna della Chiesa
uscire raggi, che venendo a terminare- sul volto del
Santo, lo rendevano risplendente. Francesco, che tra
il fremere dell'uditorio e per la novità della luce s'era
già accorto del fatto, venne in tanta confusione di se
stesso, che avrebbe voluto fuggir via, e pregò gli udi-
tori, che per amor suo non parlassero mai a persona
dell'avvenuto.
Ma il nemico dell'uman genere, mal potendo tol-
— 57 —
lerare le solenni sconfitte che ogni dì riceveva da sì
valente campione, tentò di recargli almeno qualche gran-
de disturbo, tale da impedire in qualche modo il -gran
bene che faceva nelle anime ; benché la cosa, al solito
di chi se la piglia contro Dio, riuscisse al contrario.
Un certo signore, non esaudito da Francesco in una
sua domanda importuna, gli mosse querela appo il se-
nato, ed espose le sue ragioni con tale apparenza di
verità, che il senato accolse la querela del prepotente
signore, ed intimò a Francesco di compiacerlo, sotto
pena di mettere un sequestro sui beni del suo vesco-
vado. Francesco non rispose altro se non che, sè aver
un'anima da salvare, e non poter in coscienza aderire
alle domande di quel signore ; che se gli sequestravano
i beni del vescovado non se ne terrebbe come offeso,
che anzi l'avrebbe tenuto come segno che Dio voleva
che egli fosse tutto spirituale. Alcuni eretici al saper
la cosa, e vedendo tanta virtù e generosità d'animo
in lui, si convertirono sull'istante, « perchè, dicevano,
può egli darsi che non sia un uomo del cielo quegli
che si mostra così distaccato dalla terra ? » Il seque-
stro intanto non ebbe luogo : egli poi si portò co' suoi
avversari di maniera, che la passata differenza tornò
a gran bene, essendo stata occasione che si stringesse
saldissimo vincolo di santo affetto tra coloro medesimi
i quali poco prima pareva doversi inimicar fieramente.
Quaresimale a Grenoble. — Facendo la quare-
sima a Grenoble i ministri Ugonotti, impensieriti del
gran bene che il santo vescovo operava, vollero pro-
vare se in qualche modo potessero porre un argine a
quel che essi chiamavano^torrente devastatore dei loro
campi; ma non riuscendovi, fecero correre voce che lo
sfidavano a pubblica disputa. Il santo vescovo rispose

20.2 Page 192

▲back to top


incontanente che era apparecchiato ; e ad un amico
che lo dissuadeva dicendogli, che colà gli Ugonotti
erano uomini d'incredibile insolenza, capaci a vitupere-
voli azioni, e ad oltraggiare con parole villane, ed an-
che con atti brutali il suo sacro carattere, Francesco
rispose che Gesù Cristo patì ben altro: « per me è quel
che desidero : Oh come sarà glorificato Iddio della mia
confusione! Spero che il Signore mi darà la grazia di
sopportare più villanie, che coloro non sappian dirmi;
e se io ne sarò umiliato, Dio ne sarà glorificato. Ve-
drete quante conversioni succederanno: è costume di
Dio trarre la sua gloria dalla nostra ignominia. » Ma
nulla avvenne di quanto si temeva, perchè ordinaria-
mente i cattivi han molte parole, ma poi son vigliac-
chi, e non osarono presentarsi per la disputa.
Gli muore la madre.— La santità non distrugge
la natura, ma concede ai cuori teneri ed amanti, col-
piti da grave dolore, il salutare sfogo del pianto. Ben-
ché la madre di Francesco sia sempre stata donna di
gran virtù, e da lungo tempo menasse tal vita, che dir
si potea una continua preparazione alla morte, non di
meno l'anno 1609, ultimo della sua esistenza terrena,
spinta da non so qual segreto presentimento, volle ve-
nire ad Annecy a fare, sotto gli occhi e la direzione del
suo Francesco, gli esercizi spirituali; e appunto coli'in-
tenzione di apparecchiarsi al gran passaggio, volle farli
per un mese di seguito e volle terminarli ai piedi del fi-
glio facendo da lui la sua confessione generale. Tor-
nossene poi al castello di Sales così ripiena di santa
letizia, • eh' ella stessa non si potè rimanere dal dire,
non aver mai in vita sua ricevuta tanta consolazione. Il
mercoledì delle ceneri andò ancora alla Chiesa, v'udì
tre Messe, si confessò e comunicò devotamente, la sera
59 —
si fe' leggere tre capitoli della Filotea avanti di porsi
a letto, ed era tuttavia in buona salute ; ma la mat-
tina seguente; mentre si stava vestendo, un colpo d'a-
poplessia la colse. Avvisato Francesco corse al letto
della cara morente; ed ebbe la consolazione d'intrat-
tenersi con lei in santo colloquio ancora due giorni,
dopo i quali ella rese la sua bell'anima -a Dio, con
tanta pace, che, sebbene morta, il suo volto serbava
tuttavia una cert'aria di serena dolcezza, che a tutti
pareva cosa maravigliosa. Francesco che non mai aveva
lasciato il suo letto, le chiuse gli occhi ; e poi, datole
un'estremo bacio, lasciò libero sfogo al pianto, e scri-
vendo alla Chantal diceva: « Dio è buono, e la sua
misericordia è eterna: tutte le sue volontà sono giuste, e
santissimi i suoi decreti; io mi sottometto non ostante il
dolore di tal separazione : dolore vivissimo, senza fallo,
ma pur sempre tranquillo; poiché dico anch'io come
già Davide: Signore, io taccio e non apro bocca a la-
mento perchè siete Voi che Vavete fatto. Senza ciò io
sarei stato inconsolabile ; ma come lagnarsi e mostrar
dispiacere sotto i colpi di quella paterna mano, ch'io
imparai a teneramente amarefin dalla mia giovinezza? »

20.3 Page 193

▲back to top


— 6o —
CAPO VII.
Fonda l'Ordine della Visitazione.
Iddio rivela a Francesco la sua volontà. —-
Correva l'anno 1604. Francesco, invitato a fare il qua-
resimale a Digione, si ritirò nel suo castello di Sales,
per apparecchiarvisi. Quivi l'attendeva il Signore per
manifestargli, ch'egli doveva fondare un nuovo istituto
religioso della più gran gloria di Dio, e fonte di salute
a migliaia d'anime.
Stava egli un dì nella cappella del castello assorto
in profonda meditazione, quand'ecco ad un tratto
rapito in estasi, ebbe da Dio inspirazioni in proposito
all'Ordine da fondare, e vide le principali persone dalle
quali detto Ordine doveva avere principio, e special-
mente | quella, che doveva esserne come la pietra fon-
damentale, e ch'egli doveva stabilire come superiora.
L'ammirabile incremento che avrebbe avuto l'Istituto
gli fu significato in due figure simboliche, d'un albero
cioè,che piantato nel fondo della valle, cresceva sì rigo-
glioso da spuntar sopra le montagne e diffonder i rami
per tutto il mondo: e di una fontana d'acqua viva,
piccola dapprima, ma che poscia scorrendo s'ingros-
sava e si divideva in molti ruscelli e fiumi.
Durò l'estasi circa mezz'ora, e con tale effetto sovra
Francesco, che per molto tempo gli fu veduta la fac-
cia tinta di rosso e come risplendente ; di sorte che
tutti i suoi di casa n'ebbero meraviglia.
« Io era presente con Giorgio Roland, dice il presi-
dente Favre nella sua testimonianza, quando Francesco
tornò dall'estasi ; e testificoche la sua faccia parve rag-
giante. » Così il castello di Sales diventò per la seconda
volta consacrato da celesti prodigi ; e per verità, spe-
cialmente a que' dì ne era degno, poiché la pietà di
Francesco, assecondata da sua madre, v'aveva intro-
dotto da lungo tempo e stabilito tali regole di governo
e di vita, che se prima sempre era stata casa di grandi
e pii signori, or si poteva dire quasi di religiosi osser-
vanti. Tutti, madre, sorelle, cognate, fantesche si con-
fessavano a Francesco : e l'effetto della sua direzione
era tale, che non vi era se non un cuor solo ed una
anima sola, e tutto intento all'amore perfetto di Dio.
." ì
L a baronessa di Chantal. — La fama di Fran-
cesco, come predicatore valente oltre ogni dire, s'era
già sparsa per tutta la Francia; e quando si seppe che
egli predicherebbe la quaresima a Digione, da tutte
parti vi si accorse per udirlo. Tra le persone venutevi
appositamente eravi una donna molto cospicua, Gio-
vanna Frcmiot, vedova del barone di Chantal. Era
dessa la predestinata da Dio ad essere la pietra fon-
damentale dell'Istituto che S. Francesco voleva fondare.
Questa signora, nata in Digione nell'anno 1572,
dal signor Fremiot, presidente del parlamento di Bor-
gogna, aveva condotto una gioventù al tutto esem-
plare. Maritatasi poi al barone di Chantal seppe, con
la sua attività e saviezza, in breve tempo, mutare
come per incantesimo, quella casa prima non ben ordi-
nata. Essa vestiva dimessamente, ed ogni risparmio
andava ai poveri, che la chiamavano la loro madre.
Vivevano i due consorti felici nell'amore e riverenza
che a vicenda si avevano, felicissimi nell'amore di

20.4 Page 194

▲back to top


parecchi figliuoletti, con cui il cielo aveva benedetto
la loro unione. Ma perocché quaggiù non v'è felicità
che duri, o, per dir meglio, così disponendo Iddio,
che di Giovanna aveva stabilito ab 'esterno di servirsi
per grandi cose che riuscirebbero alla sua maggior
gloria, avvenne che un fierissimo caso turbò e ruppe per
sempre quella felicità. Poiché lo sposo, uscito a caccia
con un amico, fu da quello per inavvertenza ucciso.
Non è a dire qual si restasse Giovanna a sì fiero
colpo. Ma Dio vegliava su di lei; e cominciando dalla
lunga a disporla alla grand'opera a.cui la serbava, le
inspirò un vivo desiderio di consacrarsi tutta a Lui solo.
La quale ispirazione ella assecondando prontamente,
fece voto di conservare quind'innanzi perfetta castità.
Si fu allora, che abbandonandosi ad un certo attrai-
mento alla solitudine ed alla preghiera, cominciò a
sentire tale diletto nella conversazione con Iddio, che
in altro più non trovava conforto; e null'altro più chie-
deva al Signore, se non che le facesse conoscere la
volontà sua sopra di lei, e a quest'uopo le desse una
guida secondo il suo cuore. Sovente passeggiando sola
si sentiva come trasportata fuori di sè stessa, e diceva al
Signore :,« Mio Dio, io vi prego di darmi un direttore di
spirito veramente santo, il quale m'insegni la vostra vo-
lontà, e mi dica quello che da me desiderate ; io m'im-
pegnerò di fare quanto egli mi dirà da parte, vostra. »
Passeggiava un dì per la campagna, e pregava
secondo l'usato, quando alzando gli occhi gli parve
di vedere non lungi da sè, un ecclesiatico, in abito
talare, rocchetto e berretta, e tale nel sembiante de'
modi, quale trovò poi S. Francesco di Sales; e udì
una voce dirle : « Ecco la guida diletta a Dio e agli
uomini, nelle mani di cui tu devi affidare sicuramente
la tua coscienza. »
Un'altra volta, stando in orazione nella cappella
del suo castello, le parve vedere un'innumerabile mol-
titudine di zitelle e di vedove, che venivano a lei, e
udì una voce che le disse : « Il mio vero servitore e
tu avrete questa generazione; sarà questa una mia
eletta greggia; ma io voglio che tu sii santa. » Ella
non intendeva, allora, che potessero significare queste
misteriose visioni ; ma dopo di esse vide crescersi il
fervore della pietà, 'e il desiderio di affaticarsi e patire
per far del bene al prossimo; e fin da quel punto
soleva dire: « Soffrire per Iddio è il cibo dell'amore
in terra, come godere dell'amore di Dio è l'alimento
dell'amore in cielo. »
Circa sette anni dovevano passare prima che la
Chantal trovasse il sospirato, direttore e con esso la
vera pace. Ma ella non solo non rivocò mai il dono
fatto di tutta se stessa a Dio; che anzi, quasi a porre
•un inalterabil suggello^ a quel voto, con un ferro ro-
vente, di sua medesima mano, si impresse nel petto
sopra il cuore, il nome S S . di Gesù Cristo.
L'incontro con Francesco. — La prima volta che
la Chantal vide Francesco in pulpito, subito lo raffi-
'gurò per quell'ecclesiastico apparsole misteriosamente,
e del quale una voce le aveva detto, che sarebbe stato
il'suo direttore. Anche Francesco fin dalla prima volta
che ascese quel pulpito ravvisò in lei la donna, che
gli era apparsa in quella misteriosa visione ch'ebbe nel
castello di Sales prima di partire per Digione, perchè,
desiderando la Chantal di veder bene il santo vescovo,
aveva fatto collocare la sua seggiola in luogo, che il
predicatore, anche non volendo, sol che aprisse gli
occhi, doveva vederla. Stavano pertanto ambidue an-
siosi di chiarire la cosa.

20.5 Page 195

▲back to top


Francesco pensò di chiedere a qualcuno, chi fosse
quella signora, e ne gettò un motto ad uno de'suoi
più assidui ascoltatori. Or volle ventura che l'interro-
gato fosse appunto l'abate Andrea Fremiot, fratello di
Giovanna, il quale in breve doveva essere consacrato
arcivescovo di Bourges. Costui raccontò a Francesco
la santa vita che menava la sorella, e invitollo per un
dato giorno a pranzo in famiglia. Quivi poterono i
due Santi conoscersi e. comunicarsi vicendevolmente i
celesti carismi.
Subito avrebbe voluto la Chantal mettersi sotto la
direzione spirituale di Francesco ; ma questi volle' che
per allora continuasse dal direttore che aveva prima,
e l'assicurò che, quando fosse venuto il tempo, l'avrebbe
chiamata. L'opera tanto rilevante che Dio voleva fare
per mano del grande suo servo, la fondazione cioè
dell'Ordine della Visitazione, richiedeva gran tempo
e più grandi cure e preghiere. Quindi è che vediamo
passati ancora parecchi anni prima che Francesco e la
Chantal vi ponessero la mano. Ma nell'anno 1608 e
1609, essendo venuta la Chantal a passare varie setti-
mane ad Annecy, tutto si conchiuse. Una sola gravis-
sima difficoltà si opponeva : il padre e lo suocero della
Chantal non sapevano ancor nulla delle cose passate
tra essa e Francesco, e si conosceva certo che porreb-
bero gravi ostacoli: essa poi aveva dei figliuoli, i quali
reclamavano le sue cure materne.
Le straordinarie difficoltà. — Ardua sentenza
invero fu quella del Redentor nostro, quando disse
che, chi per ubbidire alla sua chiamata non è pronto
a lasciar del tutto beni, parenti, figliuoli, non è degno di
Lui; ardua così che anche persone sante esitarono alle
volte ad eseguirla, e per riuscirvi ebbero bisogno del
contorto dell'onnipotente grazia divina. Allora anima-
ti da codesta grazia, e dall'esempio di Gesù, che per
amor nostro tuttò donò e sacrificò, migliaia di uomini
lasciarono tutto e tutti. Questo fatto è-sì grande e^
mirabile, che il mondo, il quale di queste cose non
se n'intende, tratta da fanatici coloro che dovrebbe
ammirare, tenere per eroi di virtù, e seguaci della vera
sapienza e prudenza.
La- storia ecclesiastica abbonda di infiniti esemp
di quell'eroica virtù dei seguaci di Gesù Cristo: - mai
certo quello che ora imprendiamo a narrare della Chan-
tal è fra i più degni di eterna memoria.
Stava adunque la santa donna aspettando che le si
offrisse opportunità di tempo e di luogo, per appale-
sare ogni cosa al padre ed allo suocero, quando Iddio,
che voleva quell'opera, gliela presentò in questa guisa.
Parlando ella un dì con suo padre dell'educazione dei
suoi figliuoli, e dicendogli quanto male a tale uopo si
porgesse la casa dello suocero, attesa la disordinatezza
che vi regnava: « Di questo non darti pena, disse il
buon genitore: come sài anche tu, la figliuola maggiore
andrà di corto a marito; e le altre due sono ancora in
età da porre in qualche istituto d'educazione, e quanto
al figliuolo, piglio la cosa su me. »
« Oh allora; riprese Giovanna, non vi sia grave
che giovandomi della libertà che mi dà questa vostra
buona disposizione, io lasci il mondo e mi renda reli-
giosa, essendo Iddio che a questo stato mi chiama. »
Queste parole furono come un fulmine al cuore del
buon padre. Toccava egli l'anno settantesimo primo del-
l'età sua, e sperava che la sua Giovanna, tanto buona
ed amorevole, gli avrebbe, colla sua dolce compagnia e
colle attente cure, resa men grave e noiosa la vecchiaia;
onde sentendo una proposta di quella fatta, che tron-
5 — B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales. Voi. II.

20.6 Page 196

▲back to top


— oo
cava di tratto le sue speranze, si sentì tutto rimesco-
lare, e non potè contenere le lagrime. Giovanna, ve-
dendo il pianto del padre e la sua veneranda canizie,
ingegnossi con motti amorevoli e dolci parole di con
fortarlo; ma nello stesso tempo gli manifestò esser
quella una cosa veramente voluta dal Signore ed appro-
vata dal santo vescovo di Ginevra, col quale ella aveva
a tal uopo tenute di lunghe conferenze. Sentendo il pre-
sidente nominar Francesco si acquietò alquanto, e a-
vuta l'opportunità di conferire con lui, si diè subito
per vinto, e diede il suo consenso. Restava il suo-
cero; ma anch'egli non si potè altrimenti esimere dal
consentir^, sebbene all'udire siffatte novelle, ne pigliò
tale affanno, che pareva non si sapesse dar pace.
Sanguinante distacco. — M a come tra la gente si
sparse la novella, che tra breve la padrona sarebbe
partita, tutti ne furono dolenti e specialmente i poveri,
i quali piangendo dicevano che perdendo lei perdevano
ogni cosa, ed i singhiozzi troncavano loro la voce.
Quando poi, ordinata ogni cosa, si fu sul partire, avven-
ne .una di quelle scene che si direbbero indescrivibili.
Quale spettacolo fu mai ! Tutta la casa era in pianti e so-
spiri, ed ognuno pareva come percosso da grande e fatale
disgrazia. L a forte donna si dovette fare una violenza
veramente generosa ed eroica; ma si era rinfrancata nella
preghiera e nella santa Comunione, e tutto succedette
con la vittoria di se stessa su tutti gli affetti terreni.
Il suocero, il vecchio barone di Chantal, quando nel-
l'accommiatarsi se la vide cadere ai piedi per chiedergli
la benedizione ed il perdono delle offese che per av-
ventura gli potesse aver fatto, non potè frenare le
lagrime e diede in un pianto sì dirotto, che entrambi
stettero lungo tempo abbracciati senza oltre' potersi
-6 7- _
parlare. Ma gli schianti più gravi del cuore furono
nella separazione dal padre suo e dai figliuoli.
Magnanimo fu l'operar del padre. Piangendo e so-
spirando, il venerando uomo, levò al cielo le mani e
gli occhi: «"O mio Dio, disse ad alta voce, non tocca
a me censurare quello che la vostra Provvidenza ha
stabilito ne' suoi eterni decreti : mi vi sottometto di
buon cuore, e colle mie stesse mani, ecco consacro
sull'altare della vostra volontà quest'unica figliuola, la
quale a me è tanto cara quanto Isacco ad Abramo.
Va dunque, figliuola mia, dove Dio ti chiama: acca-
dendo non ti abbia più a veder su questa terra, io
morrò tuttavia contento, sapendoti nella casa di Dio ;
e spero che colle tue preghiere sosterrai la vecchiaia .
di tuo padre, che ti permette questa partenza. »
Allora il giovanetto barone, suo figlio, le viene
incontro e strettamente a l l a c c i a n d o l a si fa a pregarla
e scongiurarla, singhiozzando e strepitando, di non ab-
bandonarlo in quella sua età sì fresca ed inesperta di
quindici anni. « Figliuol mio, disse ella, calmati: non
ti lascio punto abbandonato e solo : ma il padre mio e
quel del padre tuo ti terran luogo di padre e di ma-
dre. » Ma il giovanetto non seppe rappacificarsi e sten-
dendosi sulla soglia della porta: « Or bene,.madre mia,
esclamò, se io non sono abbastanza forte da trattenervi,
si dirà almeno che voi partendo avete dovuto passar sulle
mie membra. » A questa vista Giovanna, fermatasi,
guardò un istante quel desolato figlio, poi passò oltre.
I principii dell'Ordine della Visitazione. — A-
veva intanto Iddio già provveduto alla Chantal le pri-
me generose compagne, che con essa dovevano dar
principio al novello Istituto; le quali furono due: la
lravre, figliuola dell'amico di Francesco, il presidente

20.7 Page 197

▲back to top


Favre; e la Brechard, anima di gran virtù, ma che,
essendo di gracile complessione, sarebbe stata condan-
nata a viversene nel secolo, se l'istituto della Visita-
zione non l'avesse raccolta come in porto di salute.
La generosità della Favre nel seguire la divina
chiamata fu veramente ammirabile. Di famiglia molto
ricca, ornata di tutte quelle amabili prerogative che
rendono una creatura cara al mondo, da ragazza aveva
destata assai ammirazione in tutti quelli che la cono-
scevano, e da tutti ne aveva ricevuti grandi applausi ;
specialmente una volta, che tra scelta brigata aveva
danzato con gran maestria. Ella però, non che inva-
nirsene, ne fu sgomentata; e considerando quanto vana
* era la ragione di quegli applausi, da un pensiero al-
l'altro fu condotta a questa decisione: « Povera Favre!
che n'avrai tu di quei passi che sapesti muovere con
tant'arte e grazia? ecco: si dirà per un poco di tempo:
quella giovane ha danzato bene! e tutto finirà lì. O
che misera ricompensa ! » Risolutasi pertanto di darsi
tutta a Dio, e provvedersi per altra via miglior ven-
tura d'i quella che il mondo le offeriva, pregò il santo
vescovo di esserle guida, e di aiutarla ad abbandonare
il mondo, insegnandole il modo di giungere al suo in-
tento. Francesco l'aiutò, ed ora eccola pronta ad en-
trare nel nuovo Istituto.
La Chantal, le Brechard e la Favre, radunatesi in-
sieme in Annecy in casa del presidente Favre, sotto
la direzione del Santo, in quegli ultimi giorni dei pré- |
parativi, aspettarono la Pentecoste, tempo in cui aveva
detto Francesco piacergli, che si aprisse il novello Isti-
tuto: «Acciocché, soggiungeva, le mie figliuole, rac-
colte irì un piccolo cenacolo, ricevano lo Spirito Santo,
e siano piene di quella grazia, che fa parlare con nuova
"Jl
favella e vivere di nuova vita. » In fine il giorno 6j
giugno 1610, festa della Santissima Trinità, confessate +
e comunicate con gran fervore di pietà, le tre bene-
dette ancelle di Cristo vennero da Francesco a chie-
dergli la benedizione. Egli allora così loro parlò: « Fe-
lici voi, sorelle mie, che siete le elette del Signore !
Su, armandovi di grandissimo ed umilissimo coraggio,
andate innanzi nel nome di Dio. » Diede alla Chantal
un abbozzo di regole che aveva preparate* per loro,
dicendo : « Seguite questa via, e fatela seguire a quelle
che Iddio ha destinate che camminino sulle vostre pe-
date: » e sollevati gli occhi al cielo le benedisse nel
nome di Dio onnipotente che le chiamava, nel nome' .
del Figliuolo, Sapienza eterna, che le dirigeva, nel
nome dello Spirito Santo, che le accendeva d'amor
celestiale: ed esse, passando ad occhi bassi tra una
folla di popolo, che stava aspettando per-vederle pas-
sare, tra le più vive acclamazioni, fecero ingresso al
nuovo monastero, e diedero principio a quel grand'al-
bero della Visitazione, i cui benefici frutti dovevano
in breve spargersi per tutto il mondo. La mattina se-
guente vestirono l'abito del noviziato ; S. Francesco si
recò a celebrar le Messa nella loro nuova cappelletta
e fece loro una calda esortazione ad essere fedeli nel-
l'osservanza delle regole.
Lo zelante vescovo non le abbandonò mai: in ogni
passo dirigevate con sapiente prudenza. Per alcuni anni,
dopo le grandi fatiche della diocesi, non aveva altro
che gli stesse maggiormente a cuore, che il buon in-
dirizzo delle sue care figliuole.
Fu con questa cura e direzione assidua, che Fran-
cesco potè condurre a perfezione tante anime, le quali,
servendo poi di buon esempio e di guida a tante altre
che venivano, perpetuarono tra le Figlie della Visita-
zione di S. Maria, come piacque al santo fondatore

20.8 Page 198

▲back to top


chiamarle, quel profumo di santità, che si conserva fino
ad ora: quel profumo di santità, che piacque tanto al
sacro Cuore di Gesù da constringerlo, in certo qual
modo, a rivelarne gli arcani ad una di esse, la beata
Margherita Maria Alacoque, non molti anni dopo.
In breve, sparsasene la notizia, molte novizie ven-
nero ad aumentarne il numero, in modo che Francesco
si trovò in grado d'aprire nuovi monasteri.
Scopo primitivo dell'Ordine. — Fino a quei tempi
lo stato religioso, per il sesso femminile, consisteva
nello star chiuse nei chiostri con clausura assoluta, e
così ciascuna pensare a santificare se stessa e attirare
le benedizioni del Signore sul mondo, esercitando così
lo spirito di jpreghiera e di mortificazione.
Ma Francesco meditava un rinnovamento nella vita
religiosa. Egli avrebbe voluto che le sue suore non
stessero sempre chiuse nei chiostri, ma che uscissero
in servizio degli ammalati, dei poveri, degli orfani e
a sollevare le miserie d'ogni sorta che travagliano l'u-
manità; e su queste basi fondò il suo nuovo Ordine,
che appunto volle nominare della Visitazione di Santa
Maria, per iadicàre le visite di carità che le sue suore
farebbero ai poveri bisognosi, cercando in questo di
imitare Maria Vergine, la quale per ispirito di carità
era andata a visitare Santa Elisabetta. E d in vero per
quattro o cinque anni le sue suore procedettero con
questo programma.
« In queste visite, scrisse la Madre di Chantal, noi
assistevamo i disgraziati non solamente cercando di
consolarli e di servirli con le nostre proprie mani ; m
ancora cercando di procurar loro tutto quello di cui
avevano bisogno per vivere, di biancherie, di coperà
ture ecc. »
'I
Ma il Signore voleva, per allora, solo mostrare al
mondo che ciò era possibile ; che tuttavia sulle religiose
Visitandine aveva altri disegni. Inspirerà, dopo pochi
anni a san Vincenzo de Paoli la fondazione di un or-
dine che incarnasse definitivamente questo disegno, (i)
E g l i voleva preparare V Ordine di Francesco e render la
divozione piacevole, a semplificare la perfezione e ren-
derla più accessibile a tutti, ridurla a ciò che è il suo
centro vivo, l'amore a Gesù, a esercitare grande carità
reciproca; voleva preparare un ordine atto a divenir la
culla e il sostegno della divozione al suo Sacro Cuore.
Trasformazione dello scopo primitivo. — Ecco
in che modo avvenne questa trasformazione. Il nu-
mero delle Visitandine era, conila grazia di Dio, cre-
sciuto, 'e già più non stavano comodamente nell'unico
monastero di Annecy, quando il cardinale di Marque-
mont, arcivescovo di Lione, maravigliato di quanto
raccontavasi delle virtù e della carità delle figlie della
Visitazione espresse a S. Francesco di Sales il desiderio
di avere nella sua città una casa di dette religiose. Il
Santo si determinò di assecondare senza ritardo il voto
di quel benevolo cardinale mandando a Lione varie
sue figlie spirituali, accompagnate dalla santa madre di
Chantal. — Il cardinale, pur ammirando grandemente
le opere della .novella comunità, credette non fosse pos-
sibile conservare lo spirito di fervore permettendo alle
suore di uscire spesso dal monastero per esercitare
opere di carità; e si persuase che, morto il fondatore, il
»
(i) Si crede ragionevolmente, che S. Vincenzo abbia avuta
l'ispirazione della sua fondazione da S. Francesco, il quale, cer-
tamente, nei molti colloquii avuti con lui avrà parlato più volte
delle sue intenzioni primitive nella fondazione delle sue Visitan*
dine,

20.9 Page 199

▲back to top


loro spirito religioso sarebbe decatuto, e domandò for-
malmente a Francesco di modificare lo scopo d'ella sua
istituzione, imponendo alle sue figlie la clausura, im-
pegnandosi egli stessso, il cardinale, di ottenere da
Roma l'approvazione delle regole secondo quel nuovo
indirizzo.
Questa proposta afflisse assai grandemente Fran-
cesco; ma il cardinale, venuto espressamente ad An-
necy, lo persuase, o meglio, costrinse moralmente lui
e la santa madre di Chantal a quella trasformazione;
di modo che 1' umile Francesco parlando di questo
era poi solito faceziando dire, che non aveva fatto ciò
che voleva fare ed aveva fatto ciò che non voleva fare.
Prodigioso incremento dell'Ordine. — L'ordine
della Visitazione di giorno in giorno prese incremento,
in modo, che alla morte del Santo già si erano aperti
tredici monasteri; e alla morte della Chantal (1641)
se n'erano aperti 87; nel 1660 ascendevano a 150, e
poi di anno in anno se ne apersero altri ed altri. Al
tempo della rivoluzione Francese molti furono distrutti;
tuttavia ancora al giorno d'oggi (1900) l'Ordine ha 160
monasteri; 31 in Italia, 67 in Francia, 2 in Inghilterra,
5 nel Belgio e Olanda, 2 in Svizzera, 1 in Germania,
4 in Baviera, 4 in Austria, 2 in Polonia, 11* in Spa-
gna, 3 in Portogallo, 2 in Asia sul monte Libano, 21
negli Stati Uniti dell'America Settentr., 5 nell'America
Meridionale. (1)
Se S. Francesco non avesse fatto che questa opera
e lasciato questo solo monumento del suo passaggio su
questa tei*ra, ciò sarebbe più che sufficiente per ren-
dere il suo nome immortale nella Storia Ecclesiastica,
(1) Notizia autentica avuta dalla superiora del monastero di
Annecy,
— 73 —
e per assicurargli un posto d'onore nella memoria
degli uomini.
Il monastero della Visitazione in Torino. —
Parecchi anni dopo la morte di Francesco si aperse
un monastero della Visitazione nella nostra Torino. E
son persuaso che tornerà caro, se, dacché parliamo
della nostra città, prevenendo un poco gli avvenimenti,
racconto la fondazione di questo monastero, apertosi
nel 1638.
,
La fondazione di questo monastero, fatto dalla Chan-
tal, ebbe questo di particolare, che, in luogo delle solite
contraddizioni e difficoltà, che incontrano .generalmente
le opere di Dio nel loro stabilirsi, qui trovò subito
protezione ed aiuto.
Quel di Torino fu il primo monastero della -Visi-
tazione che si fondasse in Italia. L'occasione di que-
sta fondazione fu questa. Per la morte del duca' Vitto-
rio Amedeo I erano le cose di Piemonte cadute in con-
dizioni assai difficili. La duchessa Maria Cristina, rimasta
vedova, si vide attorniata da molti cospiratori e preten-
denti, che non volendo lasciare il trono a' suoi figliuoli,
perchè ancora in tenera età, l'avrebbero voluto per loro.
Invero i figli della duchessa erano tuttora bambini ed il
primogenito, in età di sette anni, era tutto infermiccio e
non prometteva di far lunga vita. Sperimentati già tutti
i rimedii che arte umana sapesse mostrare, s'era per
ultimo, la travagliata duchessa, risoluta di rivolgersi al
Cielo; ed essendo grande la fama di santità che le
suore della Visitazione avevano da per tutto, e special-
mente risplendendo come astro fulgidissimo la supe-
riora, la duchessa credette ingraziarsene il Cielo, se
fondasse un monastero di quelle suore in Torino, sua
capitale.
>

20.10 Page 200

▲back to top


74 -
Invitò pertanto la Chantal a venire in questa città,
promettendole di somministrare i mezzi per l'impianto
d'un monastero dell'Ordine. Era la santa fondatrice
nell'anno sessantesimosesto dell'età sua, e spossata da
molte malattie ;• ma sentito di che si trattava non tardò
un momento, e per la via del S . Bernardo giunse fe-
licemente ad Aosta. La duchessa, a grande onore, le
mandò incontro fin colà la propria sorella, Matilde di
Savoia, in compagnia della quale la santa venne a
Torino.
Quivi la Chantal fece tosto por mano alla fonda-
zione del monastero nel sito, che al presente è abitato
dai reverendi preti della Missione, dovè ancora esistè la
Chiesa appunto detta della Visitazione. Nei circa sette
mesi che si fermò in Torino operò varii prodigi, poi
avendo ottimamente avviato l'opera della fondazione
del monastero e fatte varie accettazioni di signore e
zitelle di grande aspettazione, riavviossi ad Annecy da
cui mandò le suore necessarie per dirigerlo.
Questo monastero si fece subito fiorente, e, cam-
biato di sito, fiorisce ancora ai nostri giorni.
CAPO Vili.
Nuove fatiche.
Morte dell'abate Deage. — L'antico precettore
di Francesco, l'abate Deage, era' vivo tuttavia e sem-
pre amava teneramente il suo discepolo, dal quale an-
che fu sempre molto riamato. Vedendo come, per
troppo zelo, il Santo si lasciava opprimere dalle ecces-
sive continue fatiche, pensava essere suo dovere valersi
della facoltà mantenutagli da Francesco, di liberamente
parlargli; perciò lo ammonì.più volte di non volersi in
tal modo logorare la salute ed essere così micidiale di se
stesso. Ma il Santo, sempre tanto umile ed ubbidiente,
bellamente andava rispondendogli: « A h ! mio caro
Deage ! la sarebbe pur gran bella gloria per voi l'aver
un discepolo martire, il quale fosse tanto avventurato
di morire consumandosi pel servizio di Dio e per la
salute delle anime; ma voi foste troppo buono con me,
e mi avete reso troppo poltrone, perch'io vi procuri
una gloria, diventata sì rara nel secolo nostro.-»
Intanto Francesco non contentò di avergli conser-
vata tanta famigliarità, anche quando fu vescovo gli
dimostrò ancor sempre tutta la sua riconoscenza e gli
rendeva tutti i contrassegni di rispetto e di onore ; lo
aveva ammesso tra i canonici della sua cattedrale, nè
lasciava di vegliare con delicati riguardi affinchè nulla
gli mancasse, sia in caso di sanità, che in tempo di
malattia.
Ma 1' ora in cui il Signore chiamava il suo fedel
servitore alla ricompensa era suonata, ed il Deage,
caduto ammalato gravemente, trovossi in breve in fin
- di vita. Francesco l'assistè fino all'ultimo respiro, con
una premura ed assiduità proporzionata al grande af-
fetto che gli portava. Morto che. fu, gli fece fare molto
solenni esequie nella cattedrale, e fece celebrare un
gran numero di Messe pel riposo di quell'animata lui
tanto cara. N è ancor fu paga la sua tenerezza, tanto
sanno amare i santi'! applicò egli stesso più fiate 'il
, divin sacrificio pel caro defunto ; e la prima volta che
lo fece, il dolore d'aver perduto un così buon amico
gli strappò molte lacrime e sospiri, e quando fu giunto

21 Pages 201-210

▲back to top


21.1 Page 201

▲back to top


al Pater, i singulti che lo soffocavano' lo costrinsero
ad interromperlo ; che se poi potè proseguire la Messa
ciò non fu senza versare molte lacrime ancora. Finita
la Messa e chiesto dal cappellano, che procurava di con-
solarlo, del perchè di tanto pianto specialmente al Pa-
ter noster: « ' È stato, rispose, perchè mi è risovvenuto
che questo uomo, veramente pio, fu quello che per
primo mi insegnò a recitare quest'orazione. »
Il nuovo episcopio. — Il dolore di vedersi per
sempre privo di sì buon amico si accrebbe col dispia-
cere di vederne un altro allontanarsi da Annecy." Il
duca di Savoia avendo nominato il Favre, il più caro
amico che s'avesse il nostro Santo, primo presidente
del senato di Savoia, dovette quegli lasciare Annecy
per Ghambery. Nel partire volle, in segno di grande
amicizia e con lo scopo di fare un beneficio alla dio-
cesi, regalare a Francesco la propria casa, ch'era il
più grande e bel palazzo della città, perchè gli ser-
visse di casa episcopale ; poiché fin'àllora Francesco abi-
tava in un alloggio tolto a pigione. Non potè a meno
Francesco di accondiscendere al grazioso dono : ma in
questa come già nell'altra casa, lasciate le sontuose ca-
mere al vescovo, corjie diceva, per sé altro non serbò
che una vile stanzuccia ; che così il vescovo di Gi-
nevra sarebbesi trovato a suo luogo nel dare le udien-
ze, e Francesco di Sales sarebbesi parimenti trovato a
suo posto nel resto del tempo.
Come siasi lasciato fare il ritratto. — Gli sfol-
goranti esempi di tanta virtù lo facevavo tenere da
tutti in riputazione di uomo perfetto e di santo, e ciò,
non solo appo i cattolici, ma ancora appo moltissimi
eretici. Da tutti ancora era considerato come uomo
straordinario e maraviglioso, per le tante pregiate ope-
re che avevo scritto, e questo aveva destato nell'uni-
versale una brama vivissima dì averne un ritratto :
ma quantunque già parecchie volte lo si avesse pre-
gato di appagare quest'universal desiderio, non s'era
mai venuti a capo d'indurvelo, attesa la sua grande
umiltà, la quale gli faceva sempre rispondere, che i ri-
tratti si devono fare ai santi ed ai grandi personaggi,
e non ad un uomo miserabile come lui.
Ciò non ostante un pittore;, più avveduto degli altri,
seppe trovar modo da riportarne l'intento: « Monsi-
gnore, gli disse costui un dì, voi siete cagione che si
commettono di molte offese a Dio. » „
— Come ciò? - disse Francesco.
— Quel vostro ricusare di lasciarvi fare il ritratto,
fa che molti mormorino dei fatti vostri.
— Davvero? e lo credete voi?
— Certo, monsignore: n'udii io parecchi dire che
fareste meglio a non fraudare il vostro prossimo della
giusta e lodevol soddisfazione di vedere l'immagine
dell'amato loro pastore.
— Se è così come dite, acconsentirò che si levi
l'immagine di questo uomo terrestre ; ma con patto
che si preghi Dio, affinchè io possa formare in me l'im-
magine del Padre celeste. » Concedetté pertanto al
pittore una seduta; ma così breve, che l'artista, per
mancò di tempo, noi potè ben figurare. N e tirò nondi-
meno assai copie; ma non avendo potuto spacciarle se
non in piccola quantità, atteso il loro difetto di poca
rassomiglianza all',originale, tornò a Francesco, e:
« Monsignore, disse, io vengo a pregarvi in nome della
carità e della verità, di volermi essere cortese di un
altra seduta; in nome della carità, perchè con questo
leggero disagio voi mi potete procacciare il modo di

21.2 Page 202

▲back to top


sostener la vita; in nome della verità, perchè i com-
pratori facendomi asserire, che il ritratto è fedele, sono
costretto a dire bugia: e voi solo potete levare l'occa-
sione di dirla. »
« Io non so, rispose Francesco sorridendo, se in
questa vpstra ragione, si contenga più ingegno che
ingenuità : ma checché ne sia, per questa volta non
mi pare che sia da fare il ritroso. » Sedette, e per due
ore non si mosse. Onde il pittore avendo avuto como-
dità di finire il ritratto: « O monsignore, disse, voi
m'avete fatto una gran limosina! » - « E voi foste ca-
gione a me d' una gran mortificazione, ripigliò il santo;
ma ve la condono. .Ah, se l'immagine del mio Creatore
risplendesse colla luce sua nel mio spirito, come la ve-
dreste voi volentieri ! »
Francesco visita in Milano la tomba di San
Carlo. — In una mortai malattia che fece la madre
di Chantal, Francesco, disperando oggimai di vederla
più risanare, era per ultimo spediente ricorso all'in-
tercessione di S. Carlo Borromeo, facendo voto di visi-
tarne la tomba a Milano. Guarita miracolosamente la
Chantal, Francesco pensò a sciorre il voto fatto. Giunse
a Milano il 25 aprile 1613. Andava a venerare un
santo; ma fu ricevuto egli stesso qual santo. Il cardinal
Federico Borromeo, cugino e successore di S. Carlo,
e il governatore della città furono tosto a fargli visita.
Avrebbero voluto albergarlo sontuosamente dandogli
tutti quei segni di stima e onoranda, che loro erano in-
spirati dall'altissima riputazione della sua santità. Ma
egli, rese quelle grazie che seppe maggiori rispose, che
avendo incominciato quel viaggio da povero pellegri-
no, come tale doveva terminarlo -, perciò li pregava lo
lasciassero passare sconosciuto, acciocché meglio po-
tesse adempiere il voto, e soddisfare alla sua pietà in
più conveniente maniera.
I padri Barnabiti, i costumi e gli ordinamenti dei
quali Francesco voleva esaminare, perchè desiderava
affidare a loro la direzione di un collegio in Annecy, sep-
pero trovar modo per averlo ospite da loro. Conserva-
vano essi con gran riverenza la camera che, soleva
abitare San Carlo, quando si ritirava nella loro casa a
fare gli Esercizi spirituali. Pensarono di offrirla a Fran-
cesco giustamente considerando, che, per la sua divo-
zione al Santo, senz'altro l'avrebbe accettata. E così
fu in effetto ; che, recandosi egli a troppo grande
ventura tale offerta, l'accettò con gratitudine.
II giorno appresso, indossati i più ricchi paramen-
ti che l'arcivescovo gli aveva fatto apparecchiare, ce-
lebrò la santa Messa all'altare del Santo, con grandis-
simo fervore di pietà, qual si potè vedere alle lacri-
me che versò, ed al volto infiammato. Dopo la Messa
si fermò a lungo a pregare dinanzi alle reliquie del san-
to aixivescovo, ^umilissimamente e ferventissimamente
supplicandolo d'impetrargli da Dio grazia di imitarlo
nelle virtù, e di poter governare la diocesi come egli
aveva governato quella di Milano. Ritornando dalla
Chiesa, i sacerdoti del suo seguito parlavano, come è
naturale, delle cose vedute, e specialmente della magni-
ficenza del duomo, che in realtà è una vera maraviglia ;
ma egli taceva. Del che attoniti gli chiesero quello che
ne paresse a lui. « Vi confesso, rispose, che non ho
veduto nulla. » — Ma almeno quella sfolgorante piane-
ta: — « Non ci ho proprio badato; gl'interiori orna-
menti della santità del grande S. Carlo s'impadroni-
rono dell'animo mio per siffatta guisa, che non ebbi
agio di pensare nè all'esteriore magnificenza della Chie-
sa, nè alla ricchezza degli abiti sacerdotali. »

21.3 Page 203

▲back to top


— 8o —
A Torino venera la Santa Sindone. — Richia-
mato a Torino per la prossima festa della Santa Sin-
done, si pose in viaggo. A Novara si fermò a visitare
il sepolcro di S. Bernardo di Meritorie ; (i) e giunto -
a Torino fece il discorso della Santa Sindone; e fu
tale l'impressione che lasciò, che da quel tempo si an-
dava dicendo : « Tutto predica in questo santo vesco-
vo, persino le vesti. »
Facendosi di quei dì l'esposizione di quella sacro-
santa reliquia, egli fu uno dei vescovi deputati a soste-
nere spiegato il santo lenzuolo. Or avvenne, che mén-
tre stava con altissimo raccoglimento e rispetto com-
piendo sì nobile uffìzio, una goccia di sudore gli cadde
dalla fronte su di essa : del che il cardinale Maurizio
di Savoia, per la gran riverenza che aveva a quella
reliquia, lo riprese. Egli che con altri occhi vedeva la
cosa, non se ne appenò gran fatto, e disse in cuor
suo, come lasciò scritto egli stesso : « O mio Salva-
tore, degnatevi di mescolare i miei sudori ai vostri;.
- ritemprate il mio sangue, la mia v i t a / i miei affetti
nei meriti della vostra santa passione. Voi spargeste,
o mio Salvatore, i vostri sudori ed il sangue, non per
altro che per mischiarli ai nostri, e dar loro valore di
(i) Questo santo, che non è da confondersi con S. Bernardo
abate di Chiaravalle e dottore di santa Chiesa, fu il fondatore,
sulle Alpi, dei due Ospizi sì rinomati, e che tanto bene arreca-
rono al mondo, detti dal suo nome il grande ed il piccolo S. Ber-
nardo. Questo santo era nato nel castello di Menton vicino ad
Annecy, nel giugno 923, da una delle più illustri case della Savoia.
Diede primieramente delle missioni nelle vicinanze di Aosta, e
dopo aver fondati ed assicurata l'esistenza di quei due Ospizi, ven-
ne a predicare nella Lombardia, e morì a Novara nel 1008. Le
sue virtù ed i suoi miracoli lo fecero ben presto canonizzare. Gli
Ospizi da lui fondati perdurano tuttora e formano, come forma-
rono per tutti i tempi andati, l'ammirazione e l'aiuto di tutti i
viaggiatori che devono passare per quelle parti.
vita eterna. Deh ! possano i miei sudori unirsi ai vo-
stri, acciocché sieno ricevuti in odore di soavità al
cospetto dell'eterno Padre. »
CAPO IX.
Grazie straordinarie.
Dio ti risani, figliuola. — Le virtù insigni di Fran-
cesco fecero sì, che tutti lo predicavano santo: e Id-
dio medesimo si compiacque confermare la voce del
pooolo con portentosi miracoli. Gli si presentò un dì
una povera madre, la quale tenendo sulle braccia una
bambina da tre mesi travagliata da tale continua febbre,
che pareva doverle troncare ad ogni tratto quel tenue
fil di vita onde ancor si reggeva, lo pregò d'averne
pietà. Si commosse Francesco a quella vista, e con
la mano benedettala dicendo: « Dio ti risani, figliuola, »
di presente l'ebbe guarita.
Non piangete, buona donna. — Essendo andato
a trovare un infermo lo trovò ridotto agli estremi, già
privo dei sensi e sfidato dai medici. Sua moglie strug-
gevasi in lacrime. — << Non piangete, buona donna, le
disse * Francesco, vostro marito^non morrà; preghiamo
Dio che ve lo conservi ancora. » Come disse, avvenne:
dopo alcuni giorni quegli che poco innanzi era moribon-
do, si trovava già tornato perfettamente vegeto e sano.
B A R B E I , Vit
di S
Francesco
di Sales.
Voi. I

21.4 Page 204

▲back to top


Guarito dopo la Comunione. — Mentre un dì
stava per avviarsi all'altare, gli fu condotto un gio-
vane paralitico e tutto scontorto delle membra, fin
dalla nascita: guardollo Francesco e disse che l'aspet-
tassero dopo la Messa. Avendolo quindi confessato,
gli ordinò che tornasse il domani apparecchiato per la
Comunione. Il dì apprèsso tornò il paralitico e fece
la sua santa Comunione. Egli allora, impostegli le mani
sovra le spalle, lo guarì sì perfettamente d'ogni male,
che'potè ritornare a casa co' suoi piedi, mentre prima
lo portavano sempre.
Guarigione da pazzia furiosa. — Un prete di
Rumilly era, dopo una violentissima febbre, caduto
in pazzia così furiosa, che dovevano tenerlo legato delle
mani e dei piedi. E tuttavia nulla valendo a frenarlo,
aveva per ben tre volte rotto i legami, e dandola pe'
campi e' pe' boschi, e messosi fin su per le montagne,
metteva pietà e spavento del fatto suo. Preso infine
una quarta volta e condotto ad Annecy, si mostrava
più che mai furioso, quando passando Francesco di-
nanzi le finestre della stanza ove l'avevan rinchiuso,
chiamatolo a sè, e messa la mano per le inferriate,
e toccatigli una guancia come per fargli vezzi, gli
disse di ringraziar Dio della sua guarigione, e ordinò
che fosse immantinente posto in libertà. Il che es-
sendo fatto, il poveretto, già ritornato perfettamente
in senno, ne uscì tutto racconsolato ; e la guarigione
fu così piena, che mai più ricadde in quella crudel
malattia.
Altri due pazzi furiosi. — Trovandosi Francesco
a Premery, dove aveva data la Cresima, gli fu me-
nato un altro pazzo furioso. Mosso a compassione
83 -
dell'infelice se gli accostò, e toccandogli, quasi in atto
di fargli carezza, la guancia ed il capo colla sua be-
nedetta mano, perfettamente lo risanò.
A d Annecy un cotale era caduto in frenesia, che
bisognava tenerlo legato le mani ed i piedi : ma be-
nedicendolo Francesco, di tratto ricuperò l'usata tran-
quillità e ragione.
Quattro altre guarigioni istantanee. — Nel Fos-
signì v'era un malato già dato per disperato dai me-
dici ; egli, nella visita pastorale, andatolo a trovare,
con una breve preghiera che gli fece sopra, inconta-
nente l'ebbe guarito.
Parimenti liberò due donne ossesse; ed una po-
vera inferma, alla quale egli era andato a fare visita,
si trovò in un subito in piena salute, dopo avergli ba-
ciato il lembo del rocchetto.
Moltiplica le provvisioni. — Essendo Francesco
andato all'abbadia di Sixt, accade cosa anche più ma-
ravigliosa. Intesosi dalle genti circonvicine, che al-
l'abbadia v ' e r a il' santo vescovo, accorsero in tanta
folla, chi per vederlo, chi per averne consigli e chi
per confessarsi, che i monaci non avevano vetto-
vaglie sufficienti per tutti. Allora il Santo, vedendo il
bisogno di tante persone, disse a' religiosi apparec-
chiassero per quella moltitudine tutte quelle provvi-
gioni che avevano, fe promise ch'egli avrebbe pregato
Iddio di ristorarli del danno che patirebbero nel do-
ver consumare in un attimo quanto possedevano. E
Dio, riguardando là fede e la preghiera del suo servo,
rispose con un manifesto miracolo ; poiché un ruscello
che attraversava l'abbadia, e che non aveva prima for-
nito se non pochissimi pesci, ne diede in quella cir-

21.5 Page 205

▲back to top


- 84 -
costanza tanti e sì belli, che bastarono a tutta quella
moltitudine, e ve ne fu d'avvantaggio. Parimenti fatto
cuocere quel poco di pane e messo mano alla piccola
provvigione di vino che v'era in casa, tutto molti-
plicò per siffatta maniera, che ognuno se ne satollò, e
le provvigioni non apparvero scemate se non nella
proporzione, che lo sarebbero state se solo i religiosi
e non altri ne avessero preso. Questo fatto è di quelli,
che con giuramento furono testificati e deposti nel
processò della beatificazione del santo.
Rende buono il vino corrotto. — Già un'altra
volta avéva Francesco operato simigliante prodigio.
Passando di estate per le montagne del Fossignì, Ì
suoi compagni di viaggio furono presi da tanta sete,
che bisognò fermarsi ad un albergu'ccio di via. Rispose
l'oste, che, con suo gran dispiacere, non aveva nella sua
cantina altro vino, se non poco e guasto, che già s'era
deliberato di gettar via. Ma Francesco, fattone recare
'di così com'era, l'accostò alle labbra per berne. Non
sì tosto il corrotto liquore toccò la sua bocca, si
mutò di tratto in ottimo vino ; e ciò non avvenne
solo per quello ch'era nel suo bicchiere, ma ancora
per tutto l'altro che vi era in cantina ; cotalchè se ne
ristorarono i viaggiatori e l'oste con essi.
Predizioni e doni straordinari. — Nell'abbadia
di Sixt, Francesco, conversando col nipote dèi priore,
l'abate de Mouxi, aveva detto che provvedesse per-
chè gli affari dello zio fossero ben ordinati, attesoché
non sarebbero passate due lune che sarebbe andato
di questa all'altra vita. Stava il priore assai bene di
salute, e pareva che fosse molto lontano dal termine
de' suoi giorni; ma come il santo fu partito, cadde im-
provvisamente infermo, e così gravemente, che per un
messaggero si dovette in fretta richiamare Francesco
per assisterlo.
A l dono dei miracoli e delle profezie il buon Dio
aggiunse in favore del suo servo, altri doni non meno
meravigliosi. Preparandosi un dì per la Messa, si pro-
fondò tanto nella meditazione, che trascorse l'ora con-
sueta, senza che punto se ne avvedesse. Uno de' suoi
cappellani essendo andato ad avvertirlo, che era tempo
di vestirsi per celebrare egli s'alzò esclamando : « A h
vado dunque a riceverlo questo divin Salvatore, vado
dunque a riceverlo in me ! » e vestendo i sacri abiti
mostrava nel volto una straordinaria allegrezza. Della
quale chiestagli la cagione dal suo confessore : « Egli
è, rispose, che Iddio m'ha donato dei grandi lumi so-
vra l'Incarnazione e l'Eucaristia, e mi ha inondato
interamente di' tanta abbondanza di grazie, che l'alle-
grezza interna appare ancora esternamente. »
Poco tempo appresso predicando nella cattedrale
sopra l'amor di Dio, accaddegli cosa anche più mera-
vigliosa; e fu, che d'improvviso la sua testa apparve
circondata di luce sì viva e sfolgorante, che a mala
pena lo si poteva rimirare. Questo fatto fu per mera-
viglioso dato e attestato sotto la fede del giuramento
da cinque testimoni oculari.

21.6 Page 206

▲back to top


CAPO X.
Persecuzioni contro il santo
e suo nobile modo di vendicarsene.
Persecuzioni dell'avvocato Pillet. — Non ostante
il continuo affaticarsi di Francesco per fare del bene a
tutti, secondo il suo potere, v'ebbero di tali, che non
solo non amavano un uomo sì amabile, ma, stando
alla vedetta di cogliere qualche occasione di rovinarlo,
facevan di tutto per fargli dispetto.
Un avvocato di nome Pillet concepì di lui un
odio tale, che ad ogni tratto sfogavasi in invettive ed
ingiurie, e dicevane tutto quel male che la cieca pas-
sione gli metteva nell'animo. S'appenava Francesco
di questo fatto, non potendo intendere come in un
cuore cristiano potesse capire e durare sì a lungo un'o-
dio tale. Presagli pertanto pietà di lui, stava aspettando
occasione di tentare di ricondurlo a più giusti pensieri;
quando un dì avendolo incontrato per via, se gli ac-
costò e presolo amorevolmente per mano : « Signore,
gli disse, so che mi volete un gran male, e cercate
tutte le vie di denigrare la mia fama; non valgono
scuse, lo so senz'altro; ma sappiate, che quando anche
mi strappaste un'occhio, io seguiterei a guardarvi amo-
revolmente coll'altro. » Stette l'avvocato senza sapersi
che dire, meravigliato e confuso ; ma tale era la mala
disposizione del cuor suo, che punto non commosso
da tanta dimostrazione di bontà, seguitò sua via,
Così fatto è il cuore umano, che, quando si lascia
prendere da miserabile puntiglio d'orgoglio, e non s'a-
pre alle soavi inspirazioni della carità, nemanco quella
cosa che dovrebbe essere rimedio al suo male, non
serve che ad incrudire la piaga. Così fvt dell'avvocato,
chè, accesosi anche più di sdegno verso il santo, una
notte andò e coperse di fango e sozzura le lettere mo-
nitoriali affisse alla porta del vescovado : altra volta
trasse parecchi colpi di un'arma da fuoco alle finestre
di Francesco; e la passion sua trasmodando all'eccesso,
nè potendo sfogarla a suo talento contro l'odiata per-
sona del vescovo, giunse a sfogarla nel suo vicario ge-
nerale, ferendolo di un colpo di spada.
Sentendo queste cose, la Chantal entrò in grandis-
simo timore della vita del suo santo direttore, e man-
dògli dire, che, poiché non voleva coi modi dati dalle
leggi costringere sì pericoloso nemico a far senno, la-
sciasse almeno che vi pensassero altri.
« Lasciate fare a me, le rispose il Santo, voglio che
ce ne vendichiamo tutti due, voi ed io; quest'uomo
ha tre figliuole, noi ne riceveremo una gratuitamente
nel nostro monastero. » Il che più tardi avvenne di
fatto.
Ma il senato di Chambery, saputi attentati sì ini-
qui, fece mettere in carcere l'infelice avvocato, e comin-
ciogli un severo processo ; la conclusicene del quale
doveva essere una sentenza a morte. Francesco spa-
ventatone come se si fosse trattato di un suo fratello,
non ebbe più pace finché, scritto al duca per ottener-
gli grazia, l'ottenne e volò a portarne la nuova egli
stesso al suo nemico. Chi lo crederebbe ? Quel cuore
invece di spetrarsi a tanta generosità, s'indurò anche
peggio, e non degnossi pure di aprir bocca ad una
parola di pentimento, o almeno di ringraziamento per

21.7 Page 207

▲back to top


sì segnalato favore. Francesco piangendo a vedere sì
misero stato di un animo umano, gettoglisi ai piedi e
chiese perdono a chi doveva chiederlo a lui; ma. nep-
pur questo valse. Uscì dal carcere quel fellone col suo
mortai odio nel cuore; ma la vendetta di Dio già gli
rimbombava sul capo, e quindi a non molto fu trovato
morto alla campagna. Ognuno disse che Dio di sua
mano aveva fatto giustizia.
Pazzie di un vendicativo. — Questo terribile esem-
pio pare che avrebbe dovuto far rinsavire chiunque
avesse in animo di perseguitare Francesco, e tuttavia
non fu vero. Uno scostumato gentiluomo, che la pre-
tendeva a bello ingegno, fece una iniqua satira contro
il santo vescovo ; e credendo che tutti dovessero inar-
care le ciglia a leggere quella sua sozza sgorbiatura,
sparsela a larga mano tra la gente. Ma la cosa av-
venne al contrario di quanto l'iniquo poeta si aspet-
tava, poiché la gente si rise di lui e della sua satira^
e Francesco non alterossene per nulla affatto. Sdegnato
colui di restarsene col danno e colle beffe, pensò di
ricattarsene per altra via, e da quel, pazzo che era,
pazzamente adoperando, comechè fosse d'inverno, e la
neve coprisse le vie e le piazze, venne di notte con
cèrti suoi servitori ed alcuni mascalzoni dinanzi alla
casa del vescovo, e col far abbaiare parecchie coppie
di cani condotti seco, e col sonar alla disperata certi
strumenti da caccia, e con urli e con grida fece per
molte notti tal baccano, che niuno poteva più ripo-
sare ; e molto meno Francesco che aveva quello schia-
mazzo sotto le finestre.
Non potendo egli perciò pigliar sonno, s'alzava
da letto e inginocchiatosi pregava : « Padre, perdonate
loro, perchè non sanno quel che si fanno. »
- 89 -
L a gente del vicinato, non potendo più tollerare
tanto fastidio, se ne riferirono alle autorità, sollecitan-
dole a provvedere ; ma avendone potuto ottenere assai
poco, per la prepotenza di colui, i famigliari di Fran-
cesco, risoluti di farsi giustizia colle proprie mani, vo-
levano uscire colle armi contro di loro, ma Francesco
nefli proibì.
« Non vedete che meritano essi compassione 'più
di noi ? chè noi almeno stiamo qui in casa ed al caldo,
ed essi devono essere intirizziti dal freddo. — Ma è
una indegnità, ripigliò tallino. — E h ! disse Francesco,
se Dio ci togliesse d'in sul capo la santa sua mano noi
faremmo anche peggio. »
Vedendo coloro che niuno compariva mai a contra-
dirli, imbaldanzirono anche peggio, e cominciarono a
scagliar sassi alle finestre, e una mattina si trovò la
maggior porta del vescovado tutta lorda di fango e soz-
zure. Chissà a quali altri eccessi sarebbero giunti e
per quanto tempo, se Francesco, scontrandosi un di
per la via con quel gentiluomo, non gli avesse fatto mu-
tar pensieri con istraordinaria dimostrazione di bontà.
Poiché non solo lo salutò cortesemente, ma fatto-
glisi vicino, gittogli al collo le braccia, e strettolo te-
neramente al seno, gli disse parole tànto amorevoli,
quanto appena avrebbe potuto col suo più. caro fratello.
A questo nuovo ' modo di vendicarsi quel gentiluomo
non potè reggersi più : ma, tutto commosso s'arrese
per vinto, dicendo che quind'innanzi sarebbe stato più
fedele osservatore di quella religione, che insegnava al-
l'uomo tanto eroismo di virtù; e soggiungeva poi che
quel solo fatto della pazienza e mansuetudine del santo
vescovo gli aveva valso meglio di cento prediche.

21.8 Page 208

▲back to top


Vendetta da santo. — A v e v a il sopraddetto gentil-
uomo un fratello, nell'animo del quale aveva soffiato
il medesimo veleno del suo odio contro Francesco. An-
ch'egli volle fare le sue vendette contro di lui. Ma
Francesco se ne vendicò non altramente che aveva fatto
col fratel suo, colla vendetta dei santi ; poiché un dì
che lo vide passare sotto le finestre del vescovado,
accompagnato da altri dodici cavalieri, in atto di andare
a terminare colle armi una quistione che aveva con
altro gentiluomo, scese in fretta le scale, fermollo sulla
via, e co' suoi modi seppe sì ben fare, che Io stornò
da quell'andata. Anzi, fatto buon ufficio di paciere,
ravvicinò4 due avversari in modo, che essi, ammirando
la sua bontà e carità, lo elessero ad arbitro della loro
differenza; la quale egli conchiuse in modo, che ogni
odio ed inimicizia fu spenta.
Pacatezza inalterabile. — Un dì entrato da Fran-
cesco un signore, ebbe da quello mille vituperevoli in-
giurie, senza che egli si alterasse comecchessia, o desse
risposta scortese. Il suo vicario generale che trovavasi
presente chiesegli perchè non avesse fatto tacere quel
temerario, almeno con alcune parole severe: « Io ho
fatto, rispose il Santo, patto colla mia lingua, che la
debba assolutamente tacere mentre il mio cuore fosse
commosso, e non risponda mai a qualsivoglia detto, che
potesse farmi incollerire. E in verità quel signore non
doveva essere vieppiù irritato, come si sarebbe fatto,
se .aversi voluto allora mostrargli che aveva torto. Ri-
pensando, tornerà in senno e si pentirà del suo fallò .»
In vero, essendo, poco tempo appresso,' quel signore
venuto tutto umiliato e compunto a chieder perdono a
Francesco, disse che sovra tutto dovea sapergli grado
d'averlo salvato colla sua dolcezza da commettere fallo
peggiore poiché, soggiunse, allora nel bollor della col-
lera, avrebbe certo fatto tacer a colpi di pugnale, chi
avesse voluto disputarla con lui.
Essendosi tuttavia sparsa voce che il Santo aveva
corso pericolo della vita, una religiosa della Visitazione
se ne dolse con lui. Alla quale egli, quasi ancor face-
ziando rispose : « Chi v'ha contato questa favola, che
m'abbiano voluto uccidere? state di buon umore, che i
buoni certo non mi uccideranno perchè buoni e i mal-
vagi nemmanco perchè io non sono buono, »
.,
-i
\\ CAPO XI.
S. Francesco scrittore.
Indole degli scritti di S. Francesco. — Francesco
non fu solo un gran santo, ma .anche un grande scrit-
tore, il quale, colle sue opere date alle stampe, può
dirsi che illuminò tutto il mondo sulla vera pietà e di-
vozione, fece cadere annientati tanti sofismi e pregiu-
dizi che contro' la religione s'erano introdotti anche
tra i buoni, e produsse una vera innovazione in senso
cattolico nelle idee del suo secolo, tanto .che fu poi
proclamato dottore di santa Chiesa.
Le sue opere vanno ricordate pel merito incompara-
bile di servire come vero modello di teologia e di asce-
tica pratica, veramente popolare, che tanto corrisponde-
va ai bisogni del tempo. Valenti teologi e controversisti
avevano già difesa la verità cattolica contro gli errori
dei protestanti ; ma i loro grossi volumi scritti in latino
con terminologia tecnica non erano accessibili che ad
un ristretto numero di dotti, mentre la classe meno

21.9 Page 209

▲back to top


— 92 ~
istruita nulla intendeva di quelle tesi e di quei volumi.
Bisognava popolarizzare la scienza teologica ed asce-
tica, e per questo si richiedeva un uomo che da una
parte possedesse la scienza dottrinale della Chiesa in
tutta la sua estensione, e dall'altra sapesse scegliere
le cose più importanti, le prove più forti e convincenti
e fosse capace, senza detrar nulla al loro valore, di
renderle attraenti e popolari, alla, portata di tutti. E
questo uomo, suscitato dalla Provvidenza fu appunto
S. Francesco di Sales.
Egli poi ridusse la pratica della religione ad un
metodo piacevole, in modo da addolcire tutte le rela-
zioni sociali, ispirando un profondo e sincero rinne-
gamento di sè a profitto degli altri, (i)
Prime sue opere date alle stampe — Già quan-
do era missionario nel Chiablese, come abbiam visto,
osservando che gli eretici non venivano a udirlo, scris-
se dei fogli volanti. Allora non aveva intenzione di
scrivere un libro ; ma poi quei fogli uniti, ordinati e
ritoccati riuscirono un libro utilissimo cui intitolò: Con-
troversie. Anche in varie altre occasioni, mentre non
era ancor vescovo scrisse piccoli libretti, vale a dire ;
le Considerazioni sul simbolo degli Apostoli, il trattato
della Demonomania, ed altri.
(i) I servitori della baronessa di Chantal confrontando la gui-
da di un religioso severo e aspro che prima l'aveva diretta, coi
modi soavi ed amabilissimi del suo nuovo direttore, S, Francesco
di Sales, solevano dire: « La prima guida della padrona non la
faceva pregare che tre volte al giorno, ma noi ne restavamo tutti
seccati; mons. di Ginevra la fa pregare'tutte le ore del giorno,
e ciò non incomoda alcuno. » In questo grazioso episodio e in
queste poche parole è spiegato tutto lo spirito delle opere asce-
tiche del Santo; cosa che abbiamo veduto riprodotta dal V. Don
Bosco nel mirabile sistema di educazione che lasciò. come in ere-
dità ai suoi Salesiani.
— 93 -
Queste opere Francesco, per allora, non le aveva
fatte stampare; le fece correre manoscritte, perchè nella
sua grande umiltà credeva non meritassero la spesa
della stampa.
Difesa dello stendardo della S. Croce. — A v e n -
do fondato la compagnia d e t o della Croce, compose un
libro, che intitolò: Difesa dello stendardo della santa Cro-
ce, e questo fu il primo libro che egli abbia fatto stam-
pare. Francesco in questo scritto mise in sì chiara luce
la sublime e profondamente ragionevole sapienza del
culto della croce, che gli eretici ne restarono confusi
ed i cattolici mirabilmente confermati nella lor fede.
E c c o in qual modo egli termina quest'opera: « F r a
tutti i novatori e riformatori, Giovanni Calvino 'fu, a
mio parere, il più aspro, fiero ed implacabile. Non
vi fu alcuno che avversasse la santa Chiesa con mag-
gior veemenza e rabbia di lui, e ne abbia studiato
maggiormente le occasioni per combatterla, principal-
mente sul punto delle sacre immagini. Ma io ho tro-
vato ne' suoi commenti sopra Giosuè, una grande e
chiara confessione in favore del giusto uso delle imma-
gini, il che indica ch'egli si contraddice apertamente.
Anche per altri riformatori il culto delle sacre imma-
gini è tenuto come abbominazione f m a di questo essi
stessi non ne son convinti, e solo lo sostengono per
dedurne la droga della loro riforma.
« Sono nemici implacabili ; il cuore è di fango, e
la chiarezza della verità li indurisce; non v'è soddisfa-
zione che li appaghi; la rabbia del loro mal talento
non riceve alcun rimedio. Che faremo noi dunque con
loro? Cesseremo noi d'impiegarci alla loro salute per-
chè non ne vogliano neppur vedere il segno? N o :
come potremo noi disperare della salute di alcuno con-

21.10 Page 210

▲back to top


— 94 ^
siderando la virtù e l'onor della croce, che è l'albero
d'ogni nostra speranza? Essa ha virtù di guarire non
solo le piaghe incurabili e mortali, ma anche la stessa
morte, e di renderla più preziosa e santa sotto la sua
ombra, di quel che non sarebbe la vita senza di Lei. »
« Dalle considerazioni e dalla conclusione dello
Stendardo della Santa Croce, soggiunse il Rohrbacher,
celeberrimo scrittore della Storia universale della Chie-
sa, si può giudicare qual sia il genio di Francesco di
Sales, qual sia il suo stile, con qual rara penetrazione
egli colga il complesso e i particolari d'ogni questione,
e con qual semplice e naturai vigoria sappia renderla
penetrabile a tutti. Noi ignoriamo se fra gli autori più
moderni ve n'abbia uno che lo superi c neppure lo
pareggi. »
Regolamento dei Catechismi e ammonimenti
ai confessori. — Avendo stabiliti, come dicemmo,
i catechismi in tutte le parrocchie e chiese pubbliche
della sua diocesi, scrisse un Regolamento perchè quelli
riuscissero profittevoli e ben ordinati, (i)
Poco dopo, inculcando a' suoi preti di attendere
con spirito di sacrificio e zelo indefesso, ài confessio-
nale, compose l'operetta intitolata : Ammonimenti ai
Confessori, piccola di mole si, ma di gran pregio ed
utilità. Tra le altre belle cose che inculca, rivolta la
parola ai confessori, dice: « Rammentatevi, che i po-
veri penitenti vi chiamano padre, e che voi dovete
aver per essi un cuore veramente paterno, e dovete
accoglierli con dolcezza, sopportandone pazientemente
la rusticità, l' ignoranza, i difetti, come fece il padre
(i) Questo metodo fu riprodotto dal Dupanloup nel suo Me-
todo generale di catechismo, tradotto e stampato in-italiano dalla
benemerita tipografia Fiaccadori di Parma.
— 95 —
del fig{iuol prodigo, al quale, punto non recò sdegno
e fastidio il brutto aspettto del suo figliuolo, tutto la-
cero e malconcio ; ma anzi con allegrezza e tenerezza
l'abbracciò e baciò. Era suo padre, e il cuor d'un
padre è tutto tenerezza co' suoi figliuoli. »
Sul modo di predicare. — Non meno proficuo
riuscì altro libretto, che in forma di lettera indirizzò
al vescovo di Bourges suo amico, Sul modo di pre-
dicare, libro tanto importante, che la Bolla del dotto-
rato, parlando di esso si esprime così: « Ottenne che
la dignità della sacra eloquenza, scaduta pel vizio dei
tempi, venisse, sull'esempio dei santi Padri, richiamata
all'antico splendore; sicché da questa scuola uscirono
quegli eloquentissimi oratori, dai quali ridondarono in
tutta la Chiesa copiosissimi frutti-. Fu perciò egli da
tutti reputato ristauratore e maestro della sacra elo-
quenza. » 1
Rituale. — Dopo compose un Rituale pei preti
della sua diocesi, con istruzioni e Statuti, che fanno
vedere l'alta sapienza e prudenza sua. Compose pure
varie regole di case, di abazie e di Ordini religiosi,
poiché era stato incaricato dalla santa Sede di rifor-
marli; ed egli, si può dire, con immensa fatica, rifa-
ceva le regole e gli statuti che prima avevano, perchè
riuscissero più adatti ai tempi che correvano, ed alla
fragilità dei confratelli .che ne facevano parte;
L a Filotea. — Ma tutti questi monumenti di sag-
gezza e d'acutezza d'ingegno, che avrebbero bastato
ad immortalare un uomo, per Francesco non erano che
fondamenta su cui erigere l'edifizio della grande sua
dottorale, sapienzà. Nel 1608, quarantesimo primo della

22 Pages 211-220

▲back to top


22.1 Page 211

▲back to top


- 96 -
«
sua età, diede alla'luce la Filo tea, .ossia Introduzione
alla vita divota, che produsse, produce e produrrà
sempre immenso bene spirituale. Il libro è piccoletto
di mole, ma tutto pieno di sugo di vita eterna. Ecco
quale ne fu l'origine.
Predicando egli nel 1605 alla Corte di Francia,
ebbe, tra le molte altre, ad udirlo, una dama di gran
condizione, la signora Charmoisy, la quale dalle sue
parole fu talmente commossa, che, risoluta di santifi-
carsi, gettatasi ai piè di Francesco, lo pregò a diri-
gerla. L'accolse benevolmente Francesco, e per farle te-
nere più precisi gli ammaestramenti che le dava a voce,
ancora glieli scriveva in lettere, perchè più a lungo e
con maggior precisione potesse conservarli e praticarli.
La pia dama, per la gran venerazione che aveva
pel suo santo maestro, sempre conservò con gran di-
ligenza quelle lettere, e coll'andar del tempo ne ebbe
tale raccolta, che bastava a formarne un bel volume.
Essa medesima per suo uso privato misé in ordine
ogni materia e la distribuì in appositi capitoli. Essendo
questo manoscritto capitato in mano d'un padre della
Compagnia di Gesù molto intelligente nella direzione
delle anime, disse alla dama quello essere un tesoro
di sapienza evangelica, e la esortava a farlo pubblicare
per le stampe. Avendone la dama chiesto il permesso
a Francesco, avvenne, un ben curioso dialogo.
-— Spiegatemi la cosa ; che mai intendete di far
stampare ?
— Si tratta, diss'élla, delle istruzioni che voi ' mi
avete scritto per mio servigio.
— Ma di quali istruzioni? ripigliò Francesco.
— Eh ! monsignore, non vi ricordate voi di tanti
santi ammaestramenti mandatimi intorno a vari punti
di pietà ?
— 97 —
— Ma davvero ? E che si può egli fare mai di quelle
noterelle?
— Che se ne può fare? Sappiate, monsignore, che
ve n'ha più di quel che voi pensate, e che avendole
io fatte vedere al padré Forrier, questi se le trascrisse,
e sonvene tante da fare un bel .volume.
— Ma come ! quel buon padre ha avuto tanta pa-
zienza da legge're quelle scritture, tirate giù come det-
tava la penna e solo per vostro servizio?
— E le ha trovate sì belle, che s'è meco prote-
stato di non aver, mai letto cosa più edificante e più
utile; e così pure ne parlano molti altri che le lessero
e se ne procacciarono una copia.
Dopo ciò, fattosi dare il manoscritto, e presa la
cosa in cosiderazione, ritoccò tutto accuratamente; qua
tolse alcune cose, là ne aggiunse altre, e le' ordinò
precisamente come ora sono, e col titolo di Filotca '
ovvero Introduzione alla vita divota, le diede alle
stampe.
I suoi pregi. — A ben intendere l'indole di questo
libro, che appena comparso levò i n c o n t a n e n t e altissimo
grido, e fece il giro di pressoché tutte le nazioni, bi-
sogna sapere xjual fosse- la mente dell'autore nel dare
quelle istruzioni. Correvano allora intorno alla pietà
due errori egualmente funesti, di eccessivo" rigore e di
larghezza eccessiva ; attesoché gli uni, volendo rendere
la pietà sublime, la facevano impraticabile; e gli altri,
cadendo nell'eccesso contrario, foggiandosela a modo
loro, per renderla facile, la riducevano ad essere poco
più di un'ombra, una vernice di divozione. Francesco
si propose di evitare l'uno e l'altro scoglio. Rappre-
sentò la pietà, qual è veramente, come una guida ce-
leste, tutta benigna, ma nello stesso tempo santa e
7 — BARBERIS, Vita di S. Francesco di Sales. Voi. II.

22.2 Page 212

▲back to top


santificatrice, amica e perfezionatrice d'ogni virtù più
eletta; nemica mortale d'ogni vizio; ma praticabile in
tutti gli stati della vita civile e sociale, in tutte le con-
dizioni, in tutte le età: «Tale insomma, dice il gran
Bossuet nel suo panegirico di JS. Francesco, che, e il
più austero religioso, e il cortigiano più molle non le
neghi la sua.stima, se non la piglia ad amare. »
Il suffragio universale è, che Francesco riuscì pie-
namente nel suo intento. Uno stile nobile, maestoso,
ricco d'immagini, e nello stesso tempo scorrevole e
naturale ; espressioni sempre nette e precise, sempre
varie e graziose, e spesso finamente vivaci, delicate e
penetrative; una dolcezza, un incanto come di soave
armonia, che t'imparadisa la mente e letifica il cuore;
e poi una sapienza consumata, illuminatrice, sincera
sono i 'pregi che comunemente si trovano in questo
libro, vera immagine del suo autore.
Appena pubblicata, la Filotea fu tradotta in quasi
tutte le lingue d'Europa, ed in mezzo secolo ebbe,
solo in Italia, quaranta e più edizioni. Il re di Fran-
cia Enrico IV, lettala, disse che Francesco aveva sor-
passato la sua aspettazione. Giocomo I re d'Inghil-
terra, sebbene protestante, portavala sempre seco e
leggevala sovente, e talvolta diceva : « Di tutti i nostri
vescovi anglicani niuno per fermo è buono a scrivere
in questa guisa, che sa tanto di celeste, e par di mano
angelica! »
« Il vostro libro m'incanta, scriveva al nostro Santo
l'arcivescovo di Vienna ; ogni qual volta io l'apro mi
sento infiammato e rapito fuori di me stesso. »
Sendo tuttavia Nunzio a Colonia,* Papa Alessan-
dro VII scriveva a suo nipote nel 1642: « I o ti scon-
giuro di bel nuovo di far le tue delizie, ed i tuoi
più cari studi, delle opere di monsignor di Sales; di
essere il lettore assiduo delle sue opere, il suo figliuolo
obbediente, ed il suo fedele imitatore. Alla sua Filo-
tea, che è la'miglior guida che si possa prendere per
condurci nella via della virtù, dopo Dio, io vo da ben
vent'anni debitore della correzione de' miei costumi;
c se v'ha in me alcunché di assenza di vizio, io ne
devo saper grado ad essa. Io l'ho letta infinite volte,
e non potrei trattenermi di rileggerla nuovamente ; per
me essa non perde mai la grazia della novità, e tutte
le volte che mi cade sotto agli occhi parmi la mi dica
sempre qualche cosa di più di quello che m'aveva
detto prima. »
Ma, in quali esorbitanze non cade mai l'uomo,
quando, col freno della santa umiltà non tempera gli
affetti suoi ! Mentre il libro di Francesco era procla-
mato ottimo e maraviglioso dall'universale applauso,
fuvvi chi non solo il riprovò, ma con pubblico scan-
dalo, in Chiesa, sul pergamo, osò, alla presenza del
popolo, lacerarlo come pessimo, dicendolo d'una dot-
trina troppo larga e scandalosa, perchè permetteva
alla gente di mondo il ballo e le facezie nella conver-
sazione. E non è vero che Francesco permettesse sen-
z'altro il ballo: egli lo dice estremamente pericoloso,
solo lo tollera quando le esigenze lo richiedono, ed in
questi casi dà norme così saggie per comportarsi in
quelle circostanze, che se si osservano, non si cadrà
certamente in peccato. Ad ogni modo le ombre non
fecero che dar maggior risalto alla luce; e da quel dì
ad oggi una persona di mondo, che voglia vivere da
buon cristiano, prende ordinariamente per guida la Fi-
lotea di S. Francesco di Sales.
Trattenimenti spirituali. — Ma Francesco più
che a far libri intendeva a far dei santi e delle sante.
1

22.3 Page 213

▲back to top


Avendo., con la grazia del Signore, fondato e ben ras-
sodato l'Ordine della Visitazione, si recava continua-
mente a dirigere quelle care anime pel sentiero della
perfezione: confessava, predicava e s'intratteneva con
esse alla dimestica, affinchè gli insegnamenti che voleva
dare tornassero più. efficaci e durevoli. Ed esse con
tanto amore e diligenza raccoglievano ogni suo detto,
che neppur un bricciolo andava perduto. Queste fami-
gliari istruzioni, tanto efficaci, che Francesco faceva
alle sue dilette figliuole, furono da esse raccolte accu-
ratissimamente; e ordinate, furono da esse, dopo la
morte del Santo, messe a stampa, e formarono due li-
bri : uno va attorno col titolo ; Trattenimenti spirituali
di S. Francesco di Sales, e forma come un perpetuo
manuale della vita religiosa; l'altro è intitolato: Ser-
moni famigliari, e sono la raccolta delle prediche che
faceva alle medesime suore. Le altre prediche più su-
blimi ed elaborate del suo quaresimale, e altre infinite
fatte in altre circostanze, disgraziatamente non per-
vennero sino a noi.
Il « Teotimo » o Trattato dell'amor di Dio: —
Le tante e continue cure di Francesco gli impedivano
di scrivere molto; ma il grande suo desiderio di far
conoscere meglio al mondo l'amor di Dio per gli
uomini fece sì, che moltiplicasse se stesso, ed occu-
pando ogni ritaglio di tempo riuscì a comporre un li-
bro che ex professo tratta dell'amor di Dio. Dopo inten-
se letture e profonde ed altissime meditazioni, si pose
a scrivere di sì alto soggetto in quel modo, che a
mente ed a cuore umano tornasse possibilmente meno
indegno ; e ne riuscì, come frutto di tante fatiche, il
libro che intitolò: Teotimo, ossia Trattato della'mor di
Dio. Parlando di questo libro, S. Vincenzo de* Paoli
lo chiamava : « La scala di coloro che aspirano alla
perfezione. » Mons. Godeau, nella sua Storia ecclesia-
stica asserì, che Francesco, se nella Filotea è un an-
gelo che per soavissima via ti guida al Cielo, nel
Trattato dell' amor di Dio è un serafino che t'infiamma
d'amore e ti sublima alle più alte sfere celesti.
Uscita alla luce sul principio del 1616, la nuova
opera destò subito tanta ammirazione, che i dottori
della Sorbona di Parigi dissero essersi l'autore, con
quella scrittura sollevato al grado degli Agostini, dei
Girolami, degli Ambrogi, e ^dei Gregori ; e il generale
dei Certosini, il quale, dopo aver letto la Filotea, aveva
detto a Francesco di non scrivere più altri libri, non
per avventura gli accadesse di scemarsi la fama acqui-
stata con quella, or mandogli dire, che non cessasse
più di scrivere, perchè i suoi erano tutti, capolavori, che
si superavano l'un l'altro. Parimenti quel Giacomo I re
d'Inghilterra, il quale vedemmo aver celebrato con
magnifiche lodi la Filotea, letto il Trattato dell'Amor
di Dio celebrollo anche più, e tanta era la sua ma-
raviglia, che sfidando i vescovi anglicani a scrivere
qualche cosa di simile, ed a parlare, come Francesco,
sulla terra il linguaggio del cielo esclamava: « Oh,
quanto pagherei di vedere l'autore di quest'opera an-
gelica ! Dev'essere senza meno un grand'uomo. » Le
quali parole essendo state riferite a Francesco: « Oh,
chi mi darà, disse, ali come di colomba, ed io volerò
a quel re, in quella bell'isola, un tempo terra di santi,
ed ora in preda all'errore ! Ah, viva Dio, andrò a quella
novella Ninive, e parlerò a quel re, ed anche con ri-
schio della vita gli predicherò la verità. » E questo voto,
sebbene non potuto poi eseguire per tanti affari im-
provvisamente sopraggiunti, era già una brama antica
c vivissima nel nostro Santo ; il quale non poteva mai

22.4 Page 214

▲back to top


IO 2
pensare alla conversione di quella nazione, senza che
mandasse di gran sospiri.
Non solo il re d'Inghiltera non trovava tra i suoi
anglicani chi scrivesse dell'amor di Dio come Fran-
cesco; ma si può far questa domanda a tutto il pro-
testantismo, anglicani, luterani, calvinisti, evangelici:
perchè tra tanti vostri scrittori e predicanti non v'ha
un trattato dell'amor di Dio, neppur un opuscolo, nè
un sermone che rechi ad amar Dio ed il prossimo,
mentre se ne annoverano a migliaia tra i cattolici? Se
la bocca parla dell'abbondanza del cuore, perchè la
vostra bocca è muta sull'amor divino? Non è forse
perchè il protestantesimo non porta ad amar Dio? Oh
sì: è perchè il Dio di Lutero e di Calvino non è un
Dio amabile. Di fatto, come amare Dio, se egli, come
insegna Lutero, opera in noi così il male come il bene,
e che poscia non solo ci punisce del male che noi non
abbiamo potuto evitare, e ch'egli stesso ha operato
in noi, ma anche del bene che noi avessimo fatto il
meglio possibile?
Il Cantico dei Cantici. — Tra gli scritti di San
Francesco non vuoisi omettere VInterpretazione del
Cantico de' Cantici, libro tra i più belli, ma tra i più
difficili dell'antico testamento. Nell'interpretazione, che
S. Francesco ne fece, vengono sciolte molte difficoltà
ed illustrati di nuova luce varii luoghi oscuri : « Donde
è lecito inferire, dice la bolla del dottorato, che Dio,
facendo derivare la fonte della sua grazia celeste, ab-
bia chiarito l'intelletto a questo santo uomo, per in-
tendere le Scritture e renderle accessibili ai dotti ed
agli indotti. »
Sue lettere. — Oltre queste opere principali, Fran-
cesco scrisse molte altre operette, e poi un'infinità di
lettere, poiché tutti córrevano a lui da tutte le parti,
e su affari religiosi complicatissimi ; di modo che al-
cune sue lettere sono come veri trattati. Tra i pregi
di queste sue lettere è mèstieri indicarne uno colle
medesime parole della bolla, del suo dottorato : « For-
niscono altresì una messe copiosissima di ascetica le
lettere da lui scritte a moltissimi, nelle quali è cosa
del tutto meravigliosa, che pieno dello spirito di Dio,
ed appressandosi allo stesso autore della soavità, ab-
bia gettato i semi del divoto culto verso il sacratissimo
Cuore di Gesù, che in questi nostri acerbissimi tempi,
con sommo diletto del nostro animo, vediamo mira-
colosamente propagato a massimo. incremento della
pietà. »
Stile e lingua delle sue opere. — E per dire
anche una parola riguardo allo stile e alla lingua con
cui sono scritte le opere di S. Francesco, valgano per
tutto duo- semplici osservazioni. La prima si è: che
Francesco fu veramente eloquente, perchè otteneva
ordinariamente lo scopo che si prefiggeva nel parlare
e nello scrivere. Questa eloquenza è neccessaria : san-
t'Agostino lasciò detto che la sapienza poco giova
se non è accompagnata dall'eloquenza; (i) poiché
quando, secondo l'avviso dello Spirito Salato, (2) alla
sapienza si aggiunge il dolce eloquio; quando cioè la
grazia, l'affabilità, la dolcezza condiscono il nostro par-
lare, allora si fanno maggiori acquisti: e questo è ap-
punto quanto avveniva a S. francesco di Sales.
La leconda riguarda la sua purezza di lingua : e
( (1) De doctrina Chris ti, lib. 4, cap. 5,
(2) Prov. XVI, 21,

22.5 Page 215

▲back to top


perciò non è che da riferire il giudizio dell'autorevole
accademia Francese. Avendo essa determinato, nel 1639
di compilare il dizionario della lingua francese, .fece
scelta de' suoi più purgati scrittori, e tra essi comprese
S. Francesco di Sales, di modo che le opere sue sono
considerate come libri di lingua classica francese.
.,
t
•CAPO XII.
Ultimi anni di Francesco.
Cominciano gli acciacchi. — Comecché l'età di
Francesco non fosse ancora molto avanzata, nondimeno
cominciavano ad apparire nella sua persona certi segni,
che dimostravano pur troppo veri i suoi presagi di vi-
cina morte. Aveva spesso fieri dolori di testa e di reni ;
ed il petto di tanto in tanto gli doleva in guisa, che
recandovi sopra la mano, « sento qui, diceva, una cosa,
la quale m'avverte che non ho più da vivere lunga-
mente. » Di più essendogli enfiate le gambe, a fatica
poteva sorreggersi sulla persona ; onde faceva pena a
vederlo camminare.
Contuttociò non mutò punto del suo tenore di vita;
anzi, avendovi carestia in paese, non permise che gli
fossero comperati abiti nuovi, de' quali pur aveva
grandemente mestieri, mal servendo a ripararlo dal.
freddo quelli già logori che indossava, e volle che
quanto più si poteva si sovvenisse ai poveri.
Sempre tranquillo e coll'aspetto sereno, portava i
mali così come se fossero d'altri e non suoi; e dava
ancora conforto a coloro che compativano alle sue
pene. Sollevando il discorso alle recondite ragioni del
merito e alla virtù del cristiano patire, a chi lo esor-
tava a procurare con maggior riguardo e diligenza la
sua salute rispondeva: « E h ! non bisognerà egli morire
una volta o l'altra? anno, più, anno meno, tanto fa. »
Presiede il Capitolo generale dei Cistercensi
a Pinerolo. —Stavano le cose in questi termini, quan-
do ricevette dal Papa Gregorio XV.un Breve, col quale
era chiamato a presiedere, in nome del Santo Padre,
il capitolo generale, che i frati Cistercensi tener do-
veano a Pinerolo (anno 1622). Credette ognuno, che
senz'altro, come ben poteva, sarebbesene scusato col
Pontefice, allegando le ragioni della sua malferma
salute ; ma egli all'incontro si- dispose ad ubbidire in-
contanente ; ed ai parenti ed amici che cercavano di
stornarlo da sì lungo, e, per la presente condizione di
sua salute, pericoloso viaggio : «Bisogna ubbidire,
rispose. Dio non m'ha fatto degno di morire per la
fede tra gli eretici, nè per la carità tra i contagiosi;
non mi dovrei riputar beato se morissi per l'ub-
bidienza? Poco è il vivere che .mi resta; onde fa duo-
po che mi studi di fare quanto maggior bene mi è
dato ancor di fare ; ed ora altro di meglio non posso
fare che ubbidire. »
Partì adunque nel Maggio di quell'anno, ma giunse
a Pinerolo spossato, e la troppo misera sua salute si
sentì alterata fortemente. Il disagio del viaggio lo
stancò, e le fatiche subito intraprese appena arrivato,
per far riuscire a bene l'opera commessagli, finirono
di prostrarlo, e la forte ed assidua applicazione dell'a-
nimo alle cure per cui era venuto, fecero sì che il
male gli si accrebbe in guisa, che un dì, per eccessivo
dolore di colica, dovette abbandonare la conferenza e

22.6 Page 216

▲back to top


— io6 —*
ritirarsi. Cionullameno il vigor del suo spirito generoso
non scemò, 6 appena gli fu possibile, non solo tornò
alla spedizione degli affari necessari, ma, a quanti lo
richiedevano, faceva larga copia di sè, spendendo il
tempo.che gli sopravvanzava nel ricevere le confessioni,
nell'amministrare la Cresima, nel predicare, e persino
nel conferire le sacre Ordinazioni. Se" non che le forze
del corpo, essendosegli pur troppo grandemente affie-
volite, mentre un dì in Chiesa stava cresimando, si
sentì smarrire gli spiriti e cadde svenuto.
Chi potrebbe dire qual restasse tutto quel popolo
a tale caso? Dolore, anzietà, timore erano sentimenti
che apparivano nel volto d'ognuno; e più di tutti nei
religiosi, i quali, recatoselo sulle braccia, lo condussero
in luogo appartato e tranquillo. Quivi essendo tornato
in sè, girando attorno lo sguardo: « Che miseria, disse,
è mai la mia, d'essere membro sì delicato sotto un capo
coronato di spine ! e incontamente volle tornare in
Chiesa, e seguitare l'intrapresa funzione fino alla fine.
La saviezza e prudezza, di che diede prova nell'im-
portante e difficile incarico affidatogli dal Pontefice,
furono veramente grandi, e da Dio coronate di felicis-
simo effetto.
San Francecso a Torino per l'ultima volta. —
Intanto, speditosi di questa faccenda, e il Duca e la
Corte aspettandolo con grande desiderio, venne per
l'ultima volta a Torino, e fuvvi accolto co*i quell'amore
e riverenza che la fama della sua santità e la sua pre-
senza inspiravano in tutti. Gli s'era dalla Corte prepa-
rato un magnifico alloggio, e regalmente provveduto di
quanto dovevasi alla sua persona;-ma egli ringraziando,
ricusò gli onori e le magnificenze, e pregò gli fosse
concesso di prendere stanza coi Cistercensi nel San-
— 107 —
tuario della Consolata (1). Quivi' infatti si ridusse e
stette, quantunque quei religiosi non avessero altro
alloggio da dargli, che una cameruccia mal fornita d'ar-
redi e peggio esposta, per la stagione calda che correva.
Francesco amò meglio rimanersene in quella vii
cameruccia, che accettare le proferte regali, essendo
che quella, a' suoi occhi valeva cento tanti de' più son-
tuosi appartamenti, non solo perchè annessa al Santua-
rio della santissima Vergine, ma ancora perchè ricca
di quell'ornamento, che a' santi piace sovra ogni altro,
la povertà.
'
In quei tempi erasi resa vacante la sede arcivesco-
vile di Torino, e la Corte si decise di voler proporre
S. Francesco a quel carico. Tutti lo sollecitavano gran-
demente affinchè accettasse, insistendo col dire che in
cotesta capitale avrebbe avuto maggior agio a far del
bene. Ma egli ricusò assolutamente, adducendo la sua
solita ragione, di non poter abbandonare la sposa da-
tagli da Dio, la sua diletta diocesi di Ginevra.
A CRieri ed a Giaveno. — Anche alja città di
Chieri fu da Dio fatto l'onore di ospitare Francesco:
e prese alloggio nel monastero di S. Magherita, dove
allora v'avevano le monache domenicane (2). A ser-
vigio d'una di queste monache, allora novizia, avendo
scritte alcune meditazioni ed alquanti ricordi spirituali,
da tutto il monastero dette scritture furono poi avute
(1) Per la storia di questo rinomatissimo Santuario vedi l'ap-.
pendice a questo capitolo.
(2) Ora il monastero in cui abitò S. Francesco venne in mas-
sima parte distrutto ed adibito ad uso profano; ma una parte, e
pare appunto la parte dov'era la Chiesa e la foresteria, dove perciò
stette S. Francesco di Sales, venne affidata ai Salesiani di Don
Bosco, che ne ufficiano la chiesa e vi apersero e vi mantengono
un istituto con fiorente Oratorio festivo,

22.7 Page 217

▲back to top


in conto di preziosa memoria, e, con poche variazioni,
fattele stampare, le usavano per lettura nel tempo degli
esercizi spirituali. Conservarono del pari con riverenza
la tavola, alla quale Francesco pigliò cibo.
Partito poi da Torino per tornare ad Annecy passò
per G i a v e n o , dove si fermò alcuni giorni, nei quali
quella divota popolazione ebbe la ventura d'ascoltare
dalla sua bocca la divina parola, perchè, trovandovisi
il principe cardinale Maurizio di S a v o i a , per la fonda-
zione di quella collegiata, Francesco recovvisi a fargli
visita; e pregato da quei buoni fedeli, come sempre
e dovunque andasse, di far parte a loro della grazia
onde esso era ripieno, volentieri ne li soddisfece.
D a Giaveno rimessosi in via, a piccole giornate,
come sol gli concedeva la qial ferma salute, la seguitò
s e n z ' a l t r o fino a l l a s u a A n n e c y .
APPENDICE AL CAPO XII.
Storia del Santuario della Consolata in Torino-
Il Santuario della Consolata, o di Maria SS. Consolatrice, in
Torino, tenuto meritamente in tutti i tempi in grande venerazione,
è di origine antichissima. Una tradizione lo fa risalire al secondo
secolo del cristianesimo, ma le notizie più probabili non risalgono
che al secolo quinto, allorché reggeva la Diocesi torinese S. Mas-
simo. Questo santo Vescovo, stando alla tradizione, che merita
fede sebbene non sia appoggiata ad alcun documento storico, a-
vrebbe edificato un oratorio o piccolo s'antuario accanto alle mura
della città, esponendovi una taumaturga immagine, che egli rice-
vette in dono da S. Eusebio vescovo di Vercelli, il quale l'aveva
portata con sè dall'Oriente, e che si attribuiva all'Evangelista S.
Luca, il quale, oltre ad essere medico era pure scultore e pittore.
Vuoisi ancora che il titolo della Consolazionej le venisse imposto
dallo stesso S. Massimo, quasi a ringraziar la Vergine della con-
solazione che gli dava col potente suo aiuto nel convertire gli
infedeli. Ivi rimase l'immagine circa quattro secoli.
Al principio del nono secolo eravi a Torino un uomo potente
per nome Claudio, che apparteneva alla setta degli Iconoclasti,
e faceva una guerra spietata alle sacre immagini. I Torinesi, te-
mendo che il quadro della Madonna- venisse distrutto, lo nasco-
sero accuratamente nei sotterranei della chiesa istessa coli'idea
di esporlo di nuovo quando la persecuzione fosse cessata; ma
durando essa a lungo, non si tenne memoria del quadro ; distrutta
anche la chiesa, si perdette la memoria del luogo ove fu posta
la sacra effigie e si perdette ogni traccia della divozione primitiva.
Non doveva andar perduta .per sempre l'immagine della Ver-
gine Benedetta, e Dio, nella sua infinita bontà dispose che ve-
nisse ritrovata. — Era sorta in quei dintorni una chiesa dedicata
a S. Andrea; essa era meschina, mal costrutta e peggio tenuta.
I Benedettini, scacciati dai Saraceni dal loro convento della No-
valesa, se ne vennero in parte a Torino, ed aiutati dal conte della
città, furono posti ad ufficiare quella chiesa. Essi ben presto eres-
sero accanto a quella un convento ed una torre, che più tardi fu
convertita nell'attuale campanile. Frattanto, dolenti di veder la
casa di Dio così meschina, si misero attorno a restaurarla, e per
cura dell'Abate Bellegrimo e del suo successore Gezone, sul di-
segno di un tal frate Bruningo la chiesa fu ridotta a giuste pro-
porzioni, ristorata, abbellita singolarmente; laonde il cronista del
convento poteva scrivere: « Quantunque (la chiesa di S. Andrea)
per l'addietro fosse forse l'inferiore chiesa di Torino, pure per
grazia di Dio è stata rinnovata in modo da superare ogni altra
in bellezza e maestria. » Essa divenne poi priorato, e fiorì per
vari secoli; ma in tutto questo succedersi di vicende, il'culto di
Maria Consolatrice non viene nominato in nessuna cronaca, nep-
pure in quella del convento.
Per riavere qualche indizio storipo di essa conviene portarci al
principio del secolo XI, ( i ) quando cioè il fiero Arduino, abdicato al
trono d'Italia, disingannato dal mondo e dalle sue follie vestì l'umile
saio di monaco nella celebre Abbazia di Fruttuaria in S. Benigno
Canavese. (2) Stavasene egli gravemente infermo nel suo castello
d'Ivrea dove erasi portato per ragion di salute, quando un mattino
(1) Vedi le lezioni del breviario nel proprio dell' Arcid. di Torino.
' (2) Vedi la storia di questa celebre abbazia nel libro che scrissi anni scorsi
intitolato : L'Angelo del Piemonte, ossia il Cardinale delle Lanze.

22.8 Page 218

▲back to top


*
— no —
gli apparve la Vergine e sorridendo a lui, in dolce atto di amore
gli dice: — « Arduino, edificherai nel nome mio una c,hiesa .a
Belmonte, e la daiai ad ufficiare ai Benedettini: a Torino nella
chiesa di S. Andrea farai costrurre una cappella sotto il titolo
della Consolazione; ed un'altra ne edificherai in Crea di Monfer-
rato, poiché quesfi tre luoghi io elessi in perpetuo. » Dopo cosi
straordinaria apparizione, Arduino diè subito opera per compire
i voleri della Madonna; spedì pertanto a questa città il suo fi-
gliuolo Guido, conte di S. Martino, il quale, per ordine suo, nel
1014, accanto alla chiesa del priorato di S. Andrea, gettò le fon-
damenta della nuova cappella, che in breve tempo fu fatta, e riuscì
proprio bella e gentile. Il popolo prese ad accorrervi, ed il Sommo
Pontefice Benedetto Vili, conosciuti questi avvenimenti, arricchì di
indulgenze la divozione alla Vergine Consolatrice, che si crede
fosse l'antica immagine stata ritrovata negli scavi per le fondar
menta della nuova chiesa. Ma per disgrazia quella di bel nuovo
scomparve nel 1080, involta nelle rovine della chiesa abbandonata,
fra gli orrori delle guerre civili, in preda d'ogni fatta di soldatesche
e di mille altre sventure, che in quel tempo ridussero Torino a
quasi totale sterminio, tanto che lo stesso vescovo dovette esulare
dalla città e rifugiarsi a Testona tra Moncalieri e Trofarello.
Ma la Vergine Santissima provvide con un insigne miracolo
alla riedificazione del suo prediletto Santuario. Nel 1104 viveva a
Brianzone nel Delfinato, regione della Francia, un cieco di nome
Giovanni Ravacchio, uomo nobile di natali,, ricco di beni di for-
tuna e più ricco di virtù. Era il poverino cieco fin dalla nascita,
e non potendo per ciò lavorare, anziché lagnarsi, del suo malanno,
passava i suoi giorni pregando e benedicendo quella mano che
lo aveva" colpito, ben sapendo che le tribolazioni sono la via più
sicura che conduca al Paradiso. Orbene, avvenne che un giorno
gli apparve la Consolatrice degli afflitti, e additandogli Torino :
— « Giovanni, gli disse, vanne colà: ivi tra le macerie d'una
cappella troverai la mia immagine, ed avrai la vista. » Il buon
signore, obbediente ai comandi del Cielo, sceltosi un compagno,
parte tosto, e pellegrinando per aspri dirupi, con quella fede forte
e tenace, che Dio sempre rimerita, giunse a Pozzo di Strada, vi-
cinissimo a Torino. Quivi un primo prodigio l'attende: d'un tratto
i suoi occhi si aprono, ed un raggio di vivissima luce lo colpisce:
manda un grido, e fuori di sè per la gioia afferra pel braccio il
compagno, e additandogli il campanile di S. Andrea, donde la
luce partiva: « Là, gli dice, conducimi là... » Ma ohimè! i suoi
-—in —
occhi si richiudono
Non importa, la sua fede si accresce a
mille doppi: condotto ai piedi della torre, piange e prega ed an-
nunzia pubblicamente la visione avuta. La gente gli si affolla d'in-
torno ed il fatto in un baleno^ divulgato in tutta la città.
Il ' Vescovo da Testona portatosi immediatamente a Torino fa
venire alla sua presenza il forestiero e lo esamina diligentemente ;
infine, meravigliato, ordina tre giorni di digiuno e di preghiera, alla
fine dei quali, si reca egli stesso in persona alla torre accompa-
gnato dal clero e da immenso popolo. Giuntivi, tutti si prostrano,
e pregano: anche il cieco è presente, e prega con più fervore che
mai. Intanto fra un profondissimo silenzio e la trepida aspetta-
zione di migliaia di cuori si erano cominciati gli scavi. Dopo breve
lavoro si ode un grido... Giovanni Ravacchio, il cieco di poc'anzi,
ha visto pel primo l'immagine taumaturga di Maria affatto illesa,
fra le macerie della cappella dissotterrata. Il vescovo le si prostra
dinanzi appellandola con entusiasmo Madre Consolatrice, ed il
popolo levò da tutte parti esclamazioni e grida di gioia. Era il 20
Giugno 1104. Chi pertanto potrebbe ridire la gioia, l'entusiasmo
del buon popolo torinese, già sì tenero di Maria, a tnle prodigio?
In quelgiorno e nei seguenti i cantici, gli inni si alternarono conti-
nuamente. Non tardò la divozione e la gratitudine dei Torinesi, a
manifestarsi. Mentre in ogni parte risorgeva la loro città, sopra
questa cappella rimasta sotterranea perchè le macerie delle passate
vicende avevano innalzato il livello generale, i Torinesi presero a
edificare non"*solo una nuova chiesa a S. Andrea, ma un attiguo
santuario, unito a quella chiesa, e dedicato a Maria Vergine Conso-
latrice, nel quale la taumaturga effigie venne collocata. Vi si posero
iscrizioni a memoria del fatto, dalle quali risulta che quel quadro
della santa Vergine era già ivi venerata quattro secoli prima.
Per vetustà essendo un po' in rovina, l'edificio nel secolo x v
fu rifabbricato e migliorato. La chiesa di S. Andrea era, a tre na-
vate; in cima alla navata di mezzo stava l'aitar maggiore: per
due scale laterali che venivano a far capo alle navate minori si
scendeva nella cappella sotterranea della Madonna. Nel secolo se-
guente si venne nella risoluzione di rifar questo tempio; si co-
minciò la rifabbricazióne nel 1679 sui disegni del padre Guarino
Guarini, e coi doni della duchessa Maria Giovanna reggente, e
colle grosse offerte dei divoti torinesi. Nel 1705 il tempio di S. An-
drea e l'unito Santuario della Consolata erano condotti a termine.
Nel 1714 Vittorio Amedeo II, fece ampliare su disegno del Iu-
vara il presbiterio del santuario e ne costrusse lo stupendo altare.

22.9 Page 219

▲back to top


— 112 —
La storia del miracolo venne incisa su di una lapide di marmo,
che ancor oggidì si conserva, e si volle che il 20 Giugno fosse il
dì consacrato alla festa di Maria Consolatrice.
Frattanto divulgatasi rapidissima fra i popoli, la fama di tanti
prodigi, la gente cominciò ad accorrervi, ritornandosene con
qualche grazia, sicché da quel giorno la storia del Santuario della
Consolata in Torino, può ben dirsi un lungo catalogo di miracoli.
Ma specialmente per noi Torinesi divenne baluardo inespugna-
bile, fonte di grazie ogni (lì più numerose, alcune delle quali
giova qui narrare.
Nel 1240 un grave incendio appiccato da una banda di faci-
norosi, minacciò d'incenerire la città intiera; si pregò la Ma-
donna della Consolata, e la città fu miracolosamente salva.
Vent'anni dopo essendo la città in preda a mille disordini ed abbo-
minazioni, sorsero per dono di Maria, uomini esemplari e fervo-
rosi, che col loro esempio migliorarono sensibilmente i pubblici
costumi, e diedero origine alle Confraternite di laici, che nel Medio
Evo riuscirono così proficue alla religione ed alla società.
Nel 1375 Torino è travagliata da gran carestia; si pregò la
Consolata, ed i viveri abbondarono. Nel 1420 infierisce la peste,
ed il popolo invoca la sua Consolata ed il morbo in breve cessa.
Nel 1448 vi è una grande siccità, si prega Maria e cade la pioggia.
Nel 1629 ritorna la peste ed infierisce spaventosamente; sicché su
undicimila abitanti, ottomila muoiono : il municipio ed il popolo
si rivolgono a Maria, si fanno processioni alla Consolata e la sa-
lute ritorna.
,
\\*
Nel 1706 ac.cade cosa veramente maravigliosa. Torino era as-
sediata dai Francesi: all'apparir del nemico si cominciano alla
Consolata tridui e novene^ onde rendersi propizio il Dio delle vit-
torie; il popolo vi accorre in folla, di che accortisi gli assedianti,
cominciarono a tempestare siffattamente di bombe quel luogo, che
tutte le case circonvicine ne andarono distrutte. Ma a guardia
"del sacro luogo e del buon popolo, che vi stava raccolto in ora-
zione, vegliava Maria: il Santuario non soffrì danno di sorta; il
25 Giugno una grossa palla penetrò in uno dei chiostri, ma non
recò che lievissimi danni ai muri; un'altra ne fu lanciata sul cam-
panile ai 30 di Giugno, ma si fermò sull'orlo di esso, ove fu la-
sciata per qualche tempo come per ricordo della protezione divi-
na; al primo di Luglio una grossa bomba scoppiò proprio ac
canto alla cappella della Vergine, ma non cagionò che un po'
di spavento alle persone che vi stavano radunate.
— 113 —
Un altro fatto dimostra il singolare amore di Maria pei To-
rinesi. Correva il 1835, ed il colèra, morbo fino allora sconosciuto,
si era avanzato pel Piemonte, menando strage spaventosa; anjhe
in Torino cominciava ad apparire, ma la città di Maria 'ricorse
alla sua protettrice, e per mezzo dei Decurioni fece voto alla Con-
solata di restaurare la cappella sotterranea, di innalzarle un mo-
numento, e di fare in perpetuo le Ouarantore nei giorni 27-28-29
Agosto. Il voto fu emesso in mano di Mons. Franzóni e la Ver-
gine benedetta lo accettò ed esaudì i supplicanti: Torino tocca
dal morbo non ne fu flagellata, e così scampò prodigiosamente
da una grande sventura.* Sulla piazzetta di fianco alla chiesa sorge
ora una colonna di bel granito nero, con in cima una magnifica
statua di marmo, volta verso il centro della città, e rappresenta
la Vergine, proprio come è figurata nell'immagine miracolosa.
L'iscrizione ne spiega il perchè dicendo : I decurioni della cittàJ
a nome di tutto il popolo sciolgono il voto che fecero elevando
questo monumento alla Madre Consolatrice, per essere stati libe-
rati dal colèra Vanno iSjj. (1)
Nel 1853, allorché scoppiò la polveriera in Borgo Dora, fu
anche dono di Maria se la città fu salva da totale sterminio. In-
fatti l'eroico sergente d'artiglieria Paolo Sacchi, che con evidente
pericolo della sua vita impedì l'estendersi dell'incendio, lasciò
scritto che l'ispirazione dèi suo atto eroico ed il caraggio con cui
10 compì si de*e alla Consolatache egli invocò nelfiero cimento.
Non è perciò a stupire se questo santuario fu sempre frequen-
tato assai ; e se molti dei nostri principi fecero in 'esso atti stra-
ordinari di culto. Fin dal 1315 Amedeo V vi sospendeva la sua
spada: Filippo d'Acaja vi regalava due artistiche lampade : il
Conte Verde vi fondava una messa quotidiana.: Amedeo VIII ed
11 giorioso Emanuele Filiberto, arricchivano l'altare di donativi.
Intanto la santa immagine primitiva, deturpata dal tempo, non
si sa bene in qual anno, fu sostituita con quella che si venera an-
cora oggidì, che è una copia della Madonna del Popolo di Roma,
la quale ha una grande espressione di grazia, che commuove ed
invita a pregare.
(I)-
MATRI CONSOLATIONIS
OB ^ERUMNAM MORBI ASIATICI
"
MIKE LENITAM MOX SUBLATATAM
TANTAE SOSPITATRICIS
OPE VOTUM SOLVENS Q u o n VOVIT
ORDO D E C . PRO POPULO
A. D. M D C C C X X X V . .
8 — B A R B E R I S , Vita di S . Francesco
di Sales.
Voi. II.

22.10 Page 220

▲back to top


, • — H4 —
Va' ri
{
/órdini
religiosi si successero
nella
custo.d.i'a
del
Santuario.
Primi dij tutti, come si disse sopra', furono i Benedittini, che ne
ebbero l'onorato incarico fin verso lo scorcio del secolo decimo-,
sesto. Diventiti allora scarsi di numero e non più in grado di prov-
vedere convenientemente al suo decoro cedettero il luogo nel 1589
ai Cistercensi, i quali vi rimasero fino al 1833. In questo frat-
tempo venne al Santuario più volte S. Francesco di Sales.
Ai Cistercensi successero gli Oblati di Maria; ed a questi nel
1856 i Minori Osservanti; i quali per la soppressione degli Ordini
religiosi nel 1866 dovettero ritirarsi. Nel 1869 venne finalmente
affidato il Santuario coli'annèsso convento al Convitto Ecclesia-
stico, accolta di giovani sacerdoti, che, saggiamente diretti, atten-
dono allo studio della morale ed al servizio della Chiesa.
Va detto a gloria di questi vari Ordini religiosi che tutti, mentre
fomentavano la divozione, attesero pure all'ingrandimento'ed ab-,
bellimento del Santuario, aiutati dalla generosità dei fedeli e dalla
munificenza dei principi di Savoia. Vi lavorarono i migliori archi-
tetti, il Castellamonte, il Guarini, il Iuvara; ed i più celebri pittori,
fra cui il Moncalvo, il Beaumond, il Galliari vi adoperarono i loro
pennelli, Il più importante di questi ingrandimenti ed abbelli-
menti è quello dovuto al genio di Filippo Iuvara, che nel 1714,
a spese del duca Amedeo II, ingrandì il Santuario propriamente
detto su disegno che- ammirasi tuttora.
Anche il Municipio Torinese ed i Sovrani, in tempi di mag-
giof fede che i presenti, davano segni manifesti di speciale divo-
zione verso la Consolata. Nel 1314 il Municipio eleggeva la Con-
solata a patrona della città, collocando sotto il suo manto pietoso
gli interessi dei cittadini. Circa il 1714 il Duca Vittorio Amedeo II
proclamò di nuovo la Consolata patrona di Torino e più tardi,
regnando Carlo Felice, l'immagine miracolosa fu da Mons. Colom-
bano Chiaverotti solennemente incoronata, essendo presenti alla
funzione molti vescovi, il corpo civico e diplomatico, i ministri, il
senato, il principe Carlo Alberto, Maria Teresa e i principini
Vittorio Emanuele II e Ferdinando di Savoia-Carignano.
La fama dell'immagine taumaturga aveva anche in ogni tempo
attratti ricchi e poveri, principi e popoli a venerarla. Appiè di
quell'immagine S. Carlo Borromeo nel 1578 celebrò la santa
Messa. Il nostro S. Francesco poi ogni volta che veniva a Torino
non lasciava di visitarla; anzi in essa per lo più celebrava la santa
Messa; e -si conserva ancora la pianeta, che in tali occasioni so-
leva indossare. Tra gli altri il Venerabile Cottolengo, e il Vene-
— 115 —
rabile D. Bosco prima della costruzione del Santuario di Maria
Ausiliatrice, continuamente visitavano questo Santuario e ai piedi
della taumaturga immagine espandevano il loro cuore e ottene-
vano le grandi grazie necessarie per compire i loro colossali di-
segni a bene delle anime. Maria Clotilde, la venerabile sorella di
Luigi XVI, lavorava con le sue mani e donava una ricchissima
pianeta col saluto Ave Maria ; e poco dopo Maria Cristina, con:
sorte di re Carlo Felice, nel 1833, in sostituzione della statua ru-
bata nei turbini della Rivoluzione Francese ne regalava un'altra
eli gran pregio, la quale pure venne misteriosamente involata nel
1853. Anche ai nostri giorni in cui l'incredulità è tanta, in qua.
lunque momento voi vi rechiate alla Consolata troverete sempre
molta gente prostrata avanti all'immagine santa, che prega e im-
petra pietà.
Tutti i giorni grazie segnalatissime si ottengono pregando ai
piè di Maria; e chi entra nel Santuario dalla parte dei claustri
vede appesi alle pareti una quantità innumerabile di voti e di qua-
dretti che testificano l'efficacia della protezione della Madonna
verso chi a lei ricorre.
Recentemente poi questo taumaturgo Santuario, per opera del
zelantissimo rettore il Can. Allamano, su magnifici disegni del
conte Ceppi fu ingrandito e mirabilmente abbellito.
Giovani miei, quando foste mesti e addolorati; quando fla-
gellati da disgrazie e vi sanguinasse il cuore; quando lacerati
dagli amari disinganni della vita foste per darvi in preda allo
scoraggiamento e quasi alla disperazione; quando trovandovi soli
al mondo vi paresse di non trovar più chi pensi a voi, non dispe-
ratevi,' no; rivolgetevi a Maria; essa è la grande Consolatrice
degli afflitti, essa è il potente Aiuto dei Cristiani ; pregatela di
cuore, confidate in lei; essa vi porgerà il suo potente aiuto, essa
vi darà la pace, la consolazione, la gioia.

23 Pages 221-230

▲back to top


23.1 Page 221

▲back to top


CAPO XIII.
Suoi ultimi giorni e sua preziosa morte.
Predice la prossima sua morte. — Non era pas-
sato gran tempo dacché Francesco era arrivato da
Torino, quando, per affari impreveduti di suo uffizio,
dovette andare a raggiungere il duca di Savoia ad
Avignone, dove quegli si recava colla sua corte per
visitare il re di Francia. Si preparò a spartire ; e a
coloro che volevan distoglierlo per la sua malferma
sanità soggiungeva : « A n d r e m o finché potremo, e
quando la malattia non ci permetterà più d'andare,
ci fermeremo. » Egli prevedeva chiaramente che non
tornerebbe più da quel viaggio, e però pose tutti i
suoi affari in perfetto ordine, come se davvero du-
rante quel viaggio dovesse morire. Lesse il suo te-
stamento ai fratelli, e-dando l'addio della partenza a
varie persone, soggiunse: « Veramente mi sembra, per
grazia di Dio, di non esser più su questa terra altro
che colla punta di un piede, giacché l'altro è già
sollevato in aria per partire. » Dalle dilette sue figlie
della Visitazione non potè altrimenti toglier commiato
senza qualche commovimento dell'animo: andò a dir
loro l'ultima Messa, e fece loro un sermone nel quale,
raccomandò sovra tutte le virtù l'umiltà,, la schietta
semplicità e l'ubbidienza, e poi soggiunse : « Mie
care figliuole, non diménticate mai questo ricordo che
vi do qui sull'ultimo: Non dimandate mai e non ricu-
sate mai nulla; ma sempre mantenetevi apparecchiate
— 7—
a fare quello che Dio e l'ubbidienza richieggono da voi.
Unico vostro desiderio sia l'amore di Dio ; unica vostra
ambizione, possederlo. Addio, figliuole mie, addio sino
all'eternità. »
Essendo venuto un gentiluomo a raccomandarglisi
per certa somma di danaro, e promettendo di resti-
tuirgliela tra breve: Adunque fate presto, diss'egli,
altrimenti me la renderà Iddio per voi; poiché io credo
che fra non mólto né voi nè io non avremo più bi-
sogno di nulla. » Dopo due mesi erano già morti
ambidue.
Dando l'addio ai suoi di casa diceva: « Poco importa
che io muoia fuori del mio paese, sol che faccia una
buona morte. '» Nel tenerissimo abbraccio che diede
a' suoi canonici disse schietto : « Parto per Avignone
e per l'eternità; e me ne vo per non ritornare. »
Nel viaggio, ad un ufficiale, parlando chiaramente
della sua morte : « Io me ne andrò presto, disse, e
non farò come i cavalleggieri, che partendo battono
il tamburo e dan nelle trombe: me ne andrò in si-
lenzio, e sarò prima arrivato alla meta, che voi mi
sappiate partito. Quando sentirete dire che io sia am-
malato, tenete per certo che allora sarò già morto. »
*
Episodi del viaggio ad Avignone. — Arrivato
a Belley tirava un vento freddissimo e cadeva un
piovischio gelato; ma, come se nulla fosse, seguitava
ilarmente il suo cammino, pur confortando gli altri a
stare di buon animo.
A Lione ebbe a dare un altro esempio della sua
inalterabile pazienza: il battelliere del Rodano, su
cui doveva imbarcarsi, non volendo altrimenti lasciar-
lo entrare in barca se prima non gli mostrava il pas-
saporto, bisognò che tosto mandasse il Rolland al

23.2 Page 222

▲back to top


-
governatore della città. E facendo taluno risentite
querele al battelliere di quel suo fatto, non lo tol-
lerò, e « lasciate, disse, che egli faccia il suo dovere
di barcaiuolo : siam noi che non sappiamo il nostro
dovere di viaggiatori. » Nè per l'initempestivo indu-
gio, nè pel freddo che pativa stando così aspettando
sulla riva, s'udirono dal suo labbro altre parole, che
di celestial carità e ardente pietà. « E vero, diceva,
che ho fretta ; ma Dio vuole che aspetti qui a questo
modo, e soffra questo vento e questo freddo; biso-
gna che voglia così anch' io. » Essendo finalmente
tornato il Rolland col passaporto, salì in barca e s'an-
dò a sedere presso il barcaiuolo : « perchè, disse, vo-
glio far. amicizia con questo buon uomo, parlargli
alquanto di Dio. »
Arrivato al paesello presso Avignone, dove era da
sbarcare, trovò tutto il popolo accalcato sulla sponda
del fiume per riceverlo a grande onore. Que' buoni
fedeli lo accolsero infatti come un angelo del cielo;
e come in trionfo condottolo alla Chiesa parrochiale,
cantarono il Te Deum per ringraziamento a Dio del
favore loro fatto di possedere la sua persona.
Queste tuttavia non furono che piccole dimostra-
zioni appo quelle ch'ebbe in Avignone. Come si
sparse per la città la novella ch'egli era giunto, tutti,
uomini e donne, traevano a vederlo; nè poteva mo-
strarsi per le vie, che subito non fosse circondato da
cento persone, delle quali chi baciavagli il lembo del
mantello, chi chiedevagli la benedizione e chi se gli
raccomandava per questa o quella cosa. E dicevano :
« Ecco là il santo vescovo di Ginevra, l'apostolo del
Chiablese, ecco il gran Francesco di Sales, il fonda-
tore della Visitazione, l'operatore di tanti miracoli;
che felicità poterlo vedere ! che grazia è questa che
119
Dio ci ha fatto di poterlo possedere tra noi!. >> —
Udendo queste cose il Santo volgendosi al cappellano :
« Ah, è pur grande sentenza quella di Salomone:
Vanità delle vanità, tutto è vanità! S'io mi lasciassi
andare a quello che il cuore m'inspira, farei delle
sciocchezze per disingannare questa gente de' fatti
miei ; ma bisogna vivere con cristiana sincerità, e far
nè lo sciocco nè il savio; nè operar nulla per essere
amato o spregiato, ma tutto rivolgere con semplicità
e fedeltà a gloria di Dio nostro maestro. »
I padri Gesuiti essendo venuti a pregarlo di pas-
sare con essi una qualche giornata, accettò ; ma, dopò
aver celebrato la santa Messa, si profuse tanto a lungo
nell'orazione, che dovettero scuoterlo, poiché molti di
essi volendo domandargli consiglio intorno a parecchie
cose, era necessario si affrettasse. Egli levossi inconta-
mente, e disse : « Vedete, l'orazione è ciò che mi ri-
esce più utile e più dolce: sempre v'imparo qualche
buona cosa da applicare a me stesso. »
Altra, volta, mentre un compagno, cammin facen-
do, preso dal malumore, si lagnava della pioggia che
v cadeva a torrenti, il santo vescovo, senza neppur
mostrare di accorgersi di quel contrattempo, se ne
andava spiegando il catechismo al povero che lo
guidava, .fino all'ingresso dell'albergo.
(
Viaggio a Lione. — Dopo compiuto il suo do-
vere ad Avignone, avendo il re Luigi XIII invitato
il duca Carlo Emanuele ad accompagnarlo a Lione,
Francesco dovette allestirsi a ripartire con esso e con
la corte ducale; e il giorno 25 novembre misesi in
via verso quella città.
Dovunque giungesse, tutto il popolo traeva e ve-
derlo, e lo venerava come un -santo straordinario.

23.3 Page 223

▲back to top


120
Così fu specialmente a Valenza. Chè, nell'arrivare e
nel partire, tanta era la folla che si accalcava attorno ,
che quasi più non poteva nè entrare nè uscire dall'al-
bergo. Ma nella camera assegnatagli non vi era che un
letto, ed egli aveva seco il Rolland. « Povero Rolland !
cominciò allora a dire ; alla vostra età si conviene
aver dei riguardi, perchè potreste facilmente cadere
in qualche malanno. Fate dunque a mio modo: dor-
mite voi nel letto, che io mi sento ancora forze ba-
stevoli da passare la notte vestito, e qui su. questa
sedia me ne starò ottimamente. — Ma, o Monsignore,
rispose il Rolland, vi paiono queste proposte da fare
a ' m e , povero vostro . servo ? Guardimi il cielo dal com-
mettere questo sproposito ! Voi, vescovo, voi mio
padrone, voi male in salute cedere il posto a me?
Oh, no davvero, giammai ! .— Poiché noi volete tutto,
ripigliò il Santo, spero che ne accetterete almeno
una parte. » É senz'altro messo mano al materasso,
steselo in terra con le coperte, e bisognò che il Rol-
land si acconciasse a dormirvi sopra, e. lasciasse lui
sul semplice pagliericcio.
In un paesello presso Lione, avendo dovuto sostare
per passare la notte, trovarono che nell'albergo non vi
erano più letti disponibili ; onde taluno volendo dire
all'albergatore chi fosse quel nuovo arrivato,, acciocché
provvedesse in qualche modo di fargli condegna acco-
glienza, egli noi patì e disse : « E h ! non sapete voi
che io son un uomo che amo la pace? Non sono forse
già stato abbastanza cagione d'impaccio agli altri,
che ora debba esserlo ancora a quest'oste? » E si ri-
dusse in un granaio, dove s'adagiò vestito sopra un
poco di paglia, e passò così quella notte non ostante
il freddo, ch'era grande, e la mala disposizione della
sua salute.
A Lione alberga nella casa dell'ortolano delle
Visitandirie. — Arrivati poi a Lione parecchi rag-
guardevolissimi personaggi furon tosto ad offrirsegli,
pregandolo d'accettare alloggio da essi ; ma egli rispose
a tutti, che temendo, per l'entrata in città delle due
Corti di Francia e di Savoia, di non aver più a trovare
albergo, si era provveduto un-luogo nella casa dell'or-
tolano della Visitazione. Era una cameruccia mal ripa-
rata dai venti, ove non si poteva far fuoco senza l'inco-
modo del fumo, tale insomma, che il lasciarvi andar
lui, .e cosi infermiccio, parea delitto. S'ingegnaron per-
tanto le monache di fargli mutar proposito ; ma non
venne lor fatto : ch'egli con quel suo detto, che non
si trovava mai star meglio, che quando stava non molto
bene, e soggiungendo che così avrebbe potuto più
agevolmente adoperarsi a loro prò, e, quanto a sè, stare
molto più tranquillo e raccolto in Dio, rimosse ogni
difficoltà, e andossene lieto in quell'umile albergo. Ma
gli amici suoi dolendosene : « Io me ne sto a meravi-
glia, rispose,\\n questa cameretta : qui posso accogliere
i peccatori che Dio mi manda. Nè, ci sto men bene
quanto al mio riposo, perchè la piccolezza della casa
mi libera dalla confusione delle grandi compagnie. »
Tanto era il fervore del suo zelo in quegli ultimi
giorni della sua vita, che, sol che potesse alcun poco
sorreggersi, accettava gì' inviti di predicare qui e colà,
secondo che lo pregavano ; onde parve che il Signore,
per favore speciale, gli abbia conceduto di faticare sino
all'ultimo, ed essere in questa guisa dal Divin Salva-
tore trovato, qual servo fedele, in atto di fare il suo
ufficio. ' .
L e sue gambe essendo sempre enfiate ed in assai
cattivo stato, si volle che almeno usasse della vettura
andando per la città, massime se lontano, a-predicare.

23.4 Page 224

▲back to top


Rispose : « Oh sì, che sarebbe un bel vedermi andare
in carrozza a predicare la povertà evangelica e la pe-
nitenza di S. Giovanni: vi pare? » E bisognò lasciarlo
andare a piedi.
CAPO XIV.
m
••
Ultima malattia e santa morte.
Predice la buona riuscita dell'Olier. — Il nostro
caro Santo e^ra agli ultimi della sua vita e lavorava
àncora. E quando la sempre più malferma salute non
gli permetteva ulteriormente di uscire di casa, non di
meno col consiglio e colle confessioni operava tuttavia
di grandi cose ; ed era al tutto meraviglioso il vederlo,
in quella sua vii cameretta del giardiniere delle Visi-
tandine, far come l'oracolo d'infinite persone che a lui
si raccomandavano. Trassero a venerarlo in quella sua
cameretta principi, duchi, cardinali, vescovi e ragguar-
devolissime persone d'ogni stato e qualità, e tutti egli
rimandava consolati e lieti. Vennevi tra gli altri la fa-
miglia Olier, ed avendo la mamma detto di non far
carezze al più piccolo dei figli perchè cattivo: « Si-
gnora, rispose Francesco, bisogna perdonare qualche
cosa all'età: le indoli così irrequiete e vivaci non son
punto le peggiori. Anzi state di buon animo, perchè
il Signore ha eletto questo giovane per la gloria e il
bene della sua Chiesa: non abbiate alcun dubbio, anzi
ringraziate Iddio per aver scelto questo vostro figlio a
grandi cose. » L'evento comprovò che nel dire tali
parole Francesco era senz'altro illuminato dal cielo.
poiché Giovanni Giacomo Olier fu il fondatore dei Sul-
piziani, e divenne uno dei principali luminari del clero
di Francia ne' suoi tempi.
Ma, siccome era stato intento del Santo nel voler
tale albergo, le cure principali spendevale attorno al
suo caro istituto della Visitazione, ben sapendo che
poco tempo oggimai gli rimaneva per curarsi di quelle
care anime. E le sue suore, riputandosi singolarmente
favorite da Dio, per avere E g l i disposto che il santo lor
fondatore e padre avesse modo di attendere ai loro
bisogni, con altissima riverenza glieli esponevano, e
con altrettanta docilità eseguivano ogni suo consiglio.
Nella notte di Natale il Divin Bambino gli si
mostrò visibilmente.,Nella notte del Santo Na-
tale, dicendo Messa nella Chiesa della Visitazione, ebbe
un favore straordinario. Dopo la Messa e la predica
fatta alle monache, con grandissimo fervore di pietà,
chiesto da suor Blonay, superiora del monastero, se
nel tempc> della Messa non avesse ricevuta da Dio
qualche grazia particolare, essendo che a lei era sem-
brato di vedere accanto a lui, quando intonava il Glo-
ria in Excelsis, l ' A r c a n g e l o Gabriele: « E g l i è, disse,
ch'io ho le orecchie del cuore alquanto dure alle ispi-
r a z i o n i ; e„ perciò mi fa mestieri, che gli Angeli mi
parlino alle orecchie del corpo, e feriscanmi i senti-
menti con sante melodie. » Ma di questa risposta non
restando paga la suora, egli allora soggiunse: « . V i
dirò dunque che, in vita mia, davvero, non ho mai
ricevute tante consolazioni all'altare: il Divin Bambino
mi vi s'è mostrato visibilmente: perchè non vi sareb-
bero stati gli Angeli?. »

23.5 Page 225

▲back to top


• Ultimi ricordi alle suore della Visitazione. —
La dimane, verso sera, tenne una conferenza colle sue
dilette suore: sul fin della quale palesemente disse: « Bi-
sogna andarsene, mie care figliuole; » e conchiuse: «que-
sta è l'ultima volta eh' io godo della consolazione che
mi dà la vostra virtù. » Avendolo le suore richiesto che
si compiacesse di lasciar loro scritto ciò che meglio
desiderava da loro, egli prese la penna e scrisse questa
sola parola : « Umiltà. »
Intanto l'ora s'era fatta già tarda, e i suoi fami-
gliari ne lo vennero ad avvertire, recando fiaccole
per rischiarargli la via. Ma la superiora lo trattenne
ancora un momento scongiurandolo così : « Diteci
ancora quello che più desiderate rimanga altamente
impresso nell'anino nostro. » - « Non desiderare,
non ricusare nulla: ecco, figliuola mia, un detto in
cui si contiene tutto. Mirate il Bambino Gesù nella
mangiatoia; egli s'acconcia alla povertà, alla compa-
gnia degli animali, al freddo, all'intemperie della sta-
gione, e a tutto ciò che il suo Padre permette. Nè
sta- scritto che stendesse le mani per chiedere alcuna
cosa: ma di tutto lasciava cura alla sua madre. Pa-
rimenti non ricusava punto quello che essa s'inge-
gnava di fare in suo servizio acciocché non istesse
tanto a disagio, e piacevangli le servizievoli cure di
•San Giuseppe, le adorazioni dei pastori e dei re, e
tutto riceveva con animo uguale, Così dobbiamo far
noi : • ricevere tutto allo stesso modo ciò che Dio
permette a riguardo nostro. » Questo fu l'ultimo, co-
me è tra i più importanti insegnamenti, che diede S.
Francesco dì Sales.
L a mattina del giorno appresso, festa di S. Gio-
vanni Evangelista, alzandosi dal letto, sentì la vista
scemarglisi grandemente ; e disse : « Questo significa
125
che bisogna andarsene; ne sia benedetto I d d i o ; il
corpo che si abbassa verso terra aggrava l'anima. »
Confessossi; celebrò la Messa con fervore straordina-
rio, e diede la santa Comunione alle, monache.
E assalito da colpo apoplettico. — Appena ar-
rivato nella sua camera fu .assalito da un colpo di
violenta apoplessia, che lo rese di tratto immobile
nella persona. Subito si chiamarono i medici, che in
gran fretta accorsero; ma l'apoplessia era sì grave, che
niun rimedio giovò più. Egli, pur conservando pieno
l'uso della mente, lasciava che tutto sperimentassero
e non badava ad altro che a raccogliere e tener fisso,
quanto più potesse, lo spirito in Dio. . '
Ricevette i Sacramenti della Chiesa colla più edi-
ficante pietà ed umiltà, e ripetè più volte queste pa-
role : « Io non sono se non un servo inutile ; facciasi
la volontà del Signore e noni la mia, o mio Dio e
mio tutto ! » Fatta la sua professione di fede sog-
giunse più volte: « Io voglio morire nella fede della
Chiesa cattolica, apostolica, romana, unica religione
buona; e così giuro e professo. »
« Monsignore, dissegli un sacerdote suo amico che
l'assisteva, dite: Transeat a me calix iste, passi da me
questo calice» - « O h no! rispose: è meglio dire:
Mio Dio,
si faccia la Vostra volontà e non la mia. »
Intanto seguitava: « Io voto e consacro a Dio tutto
ciò che è in m e ; la mia memoria e le mie azioni a
Dio Padre; il mio intelletto e le mie parole a Dio
Figliuolo; la mia volontà ed i miei pensieri a Dio
Spirito Santo ; il cuore, il corpo, la lingua, i senti-
menti e tutti i miei dolori alla sacrosanta umanità di
Gesù Cristo, il quale non dubitò di darsi nelle mani
dei malfattori, e sopportare morte di croce. »

23.6 Page 226

▲back to top


« Non desiderate, gli- disse il Vicario generale della
diocesi, venuto a trovarlo, che si preghi per voi? »
« A h ! sì, sì, diss'egli; per me povero peccatore! »
— «E non intendete d'invocare la SS. Vergine? » —
« Ah! l'ho pregata tutti i giorni della mia vita! » E
cadde in profondo assopimento.
I medici, vedendo che il male peggiorava sempre,
e l'infermo era ormai agli estremi, ebbero ricorso agli
estremi rimedi. Cominciarono dallo svellergli dalla
testa certi vescicatoi, coi quali venne anche buona
parte della pelle, due volte gli fecero l'operazione del
ferro rovente alla nuca, ed una volta quella del così
detto b0tt07ie di fuoco sulla parte superiore del cranio,
che penetrò fino all'osso, e fu così acuto il dolore
che strappò le lacrime al povero infermo; non però
un lamento qualsiasi. Anzi a chi, vedendo quelle sue
lacrime, gli chiese se molto patisse: « Sì, rispose con
assai dolcezza, sento assai dolore ; ma fate tutto quel
che vi pare. » Faceva prontamente quanto gli si or-
dinava dai medici, e, seguendo quella sua sentenza
di non domandare e non ricusare, si acconciava in
ogni cosa al volere altrui.
Sua preziosa morte. — L'arte medica non valse
a prolungargli la vita. La dimane, 28 dicembre, festa
dei Santi Innocenti, pronunciato ancora una volta il
nome di Gesù perdette l'uso della parola, ed entrò
in agonia. Solo si vedeva ch'era ancor vivo dal muo-
vere delle labbra, e dal sollevare che faceva gli oc-
chi al cielo ad ogni divota preghiera che gli si sug-
gerisse. Finché, accorgendosi che stava, in punto di
spirare, tutti i circostanti s'inginocchiarono e presero
a recitare le preci della raccomandazione dell'anima.
Or mentre si ripeteva per la terza volta l'invocazione :
Omiies Sancii Innocentes, orate prò eo (perchè quel dì
appunto era la festa degli Innocenti) egli, con perfet-
tissima pace, rendè l'anima a Dio.
Aveva cinquantacinque anni e quattro mesi di età.
Era nel ventesimo anno del vescovato; della nostra
salute era l'anno .1622.
Così morì S. Francesco di Sales, prete, vescovo
e dottore di santa Chiesa; missionario infaticabile,
oratore; eloquente, eminente scrittore, riformatore
dei vari ordini religiosi, fondatore della Visitazione,
così grande pel suo genio che per le sue virtù ; im-
magine la più perfetta possibile, per quanto comporta
la natura umana, di nostro Signore Gesù Cristo, il
più dolce degli uomini e il più amabile dei santi.
E il Signore dispose che la sua anima innocente
entrasse in Paradiso il giorno dei santi Innocenti, dei
quali egli aveva conservato per tutta la sua vita il
candore e la semplicità.
Lutto generale. — Come per la città di Lione
si sparse la novella della • morte di S. Francesco di
Sales, quantunque non riuscisse più così improvvisa,
perchè già si sapeva della sua mortai malattia, non
di meno fu tale l'effetto, che ognuno, anche degli
eretici, se ne risentì, e pareva che a ciascuno fosse
morto il proprio padre o la propria madre; tanta
forza da farsi amare ed ammirare da tutti ha la
cristiana pietà ben esercitata ! Tutti poi ergano inti-
mamente persuasi d'aver acquistato nel cielo un santo
protettore ed un amico di più : poiché universalmente
clicevasi e crede vasi, che egli era veramente un santo.
Dio confermò questa voce con parecchi segni stra-
ordinari. Il fratello di Francesco, il conte Luigi di
Sales, che si trovava al castello della Thuille/ ebbe

23.7 Page 227

▲back to top


per vìa sovranaturale notizia della sua morte, appéna
avvenuta. Il suo nipote Carlo Augusto, che si trovava
pericolosamente infermo, d'improvviso se lo vide ap-
parire davanti, e nello stesso tempo si sentì perfetta-
mente guarito. Così alla Chantal che si trovava a Gre-
noble ; essa udì chiaramentè una voce che disse: Ri
7ion è più. ?
Esposto il suo corpo, i Lionesi concorsero in gran
folla a venerarlo, e chi raccoglieva qualche sua reliquia,
chi facevagli toccare corone o qualche altro oggetto di
divozione, tutti proclamavanlo santo, e come a tale si
raccomandavano.
Le sue reliquie. — Subito dopo fu imbalsamato.
Fu allora che gli si trovò ti fiele indurito, seccato e
diviso in trecento pietruzze unite le une alle altre a' gui-
sa della corona del rosario, quali rotonde, quali trian-
golari, quali ottangolari, di vari colori, e taluna con
apparenza dorata. Cosa veramente singolare, ma spie-
gata dai medici con dirla effetto della forza continua
che Francesco faceva a se stesso per domare l'irasci-
bile, al quale l'indole sua era inclinata. Si raccolse con
grande sollecitudine e diligenza ogni goccia di sangue
versata nell'operazione dell'aprirlo per imbalsamarlo;
e coi pannilini adoperati a quest'uopo, diventati pre-
ziose reliquie, s'operarono poi meravigliose guarigioni.
Il cuore del Santo fu dato al monastero della Vi-
sitazione di Lione, che lo conservò preziosamente per
molto tempo. Il re Luigi X I I I , ottenuta la sanità con
l'applicare all'infermo suo corpo quel cuore santissimo,
volle dare al Santo un segno della sua gratitudine per
la grazia impetratagli, facendo fare un magnifico reli-
quiario, tutto d'oro, in forma di cuore, dove con gran
divozione fu riposto il cuore del santo. Questa prezio-
sissima reliquia si conservò ^ Lione finché fu traspor-
tata, al tempo della rivoluzione francese, a Venezia,
dove tutt'ora si venera, nel monastèro della Visita-
zione di quella città. Una dèlie maggiori di quelle
pietruzze del suo fiele fu data alla regina Maria de
Medici, un'altra ad Anna d'Austria; due altre al duca
di Savoia Carlo Emmanuele, ed al suo figliuolo Vit-
torio Amedeo I.
\\ Vari mesi dopo la sua morte, ultimate le pratiche
opportune, il sacro corpo di Francesco fu con grande
riverenza portato ad Annecy, dove fu ricevuto con una
venerazione ed un entusiasmo al tutto singolare, e de-
positato nella Chiesa della Visitazione.
In ogni tempo principi e re, vescovi c cardinali,
uomini d'ogni condizione e d'ogni età circondarono
i resti mortali di San Francesco con straordinari segni
di stima e di venerazione.
Ultima traslazione delle sue reliquie. — Col-
l'andar del tempo e col crescere della popolazione di
Annecy il Tnonastero diventava meno atto al racco-
glimento delle religiose, e la città aveva bisogno di
estendersi e di abbellirsi da quella parte ; di modo che
si pensò di edificare un nuovo e grandioso monastero
un po' fuori della città, in una posizione elevata, salu-
bre e veramente incantevole. Quindi si venne nella
decisione di una solennissima traslazione#di quelle vene-
rate reliquie nel nuovo monastero.
Il 2 agosto 1 9 1 1 , con feste ben preparate e solen-
nissimamente eseguite, coll'intervento di tutti i vescovi
della Savoia e di varii altri della Francia, col concorso
della popolazione di tutte le parrocchie delle varie dio-
cesi limitrofe, guidate dai rispettivi parroci, le benedette
reliquie con quelle di santa Francesca Giovanna di
9 — BARBERIS, Vita di S. Francesco di Sales. Voi. II.

23.8 Page 228

▲back to top


Chantal furono strasportate, nel medesimo giorno e col
medesimo solennissimo corteo, dall'antico monastero al
nuovo; ed ivi riposano insieme, sempre ben accudite,
onorate e venerate non solo dalle monache della Vi-
sitazione, ma anche da innumerevoli divoti che vi ac-
corrono sia individualmente sia in numerosissimi pel-
legrinaggi.
LIBRO IV
IL PERFETTO MODELLO D'OGNI VIRTÙ CRISTIANA.
Inspice, et fac secundum exemplar.
Mi ra, e fa secondo il modello.
(Esodo, xxv, 40)»
/

23.9 Page 229

▲back to top


CAPO
Ritratto di S. Francesco di Sales.
Nella vita dell'uomo, oltre i fatti che sono proprii
di una età particolare, ve ne' sono di quelli che non
appartengono solo ad una età determinata, ma che for-
mano il suo stato abituale, riguardando ugualmente
ciascuna età. E questi sono quelli che costituiscono il
loro ritratto morale, il loro carattere, che nei santi è
delineato nelle loro virtù e che si ricava dai loro detti
e dai loro scritti. Il conoscere queste virtù e questi
suoi insegnamenti sopra le medesime deve interessarci
assai, sia perchè meglio caratterizzano l'uomo, sia
perchè servono a noi di stimolo per imitarli.
. Il racconto delle medesime è quanto ci resta an-
cora a fare per dar compiuta l'immagine del nostro
caro S . Francesco, e noi lo faremo in questo quarto
libro; ma prima di tutto parleremo del suo esteriore,
poiché è nelle viste della divina Provvidenza, che ge-
neralmente i santi abbiano un aspetto ed una fisiono-
mia che li distingue e caratterizzi; e l'anima santificata
trasformi pure il suo involucro. Il corpo di S. F r a n -
cesco fu privilegiato in singoiar modo di questo dono

23.10 Page 230

▲back to top


— — 3 4
maraviglioso, poiché pareva agli occhi di tutti un'im-
magine di Gesù benedetto, e per servirmi di una fi-
gura trovata in un celebre scrittore, egli fu come un
ostia dei nostri altari: al di fuori si vedono le appa-
renze, ma dentro vi è Gesù Cristo.
È questo che spiega la straordinaria potenza che
aveva sui cuori. Senza pensarlo e forse senza saperlo
attraeva tutti nella sua sfera d'azione. Quand'uno ave-
, va una volta incontrati gli sguardi di lui, o udita la
sua parola restava affascinato, non poteva pi.ù pensare
ad altro.
Suo ritratto fisico. — Non v'ha di lui alcun ri-
tratto che lo rappresenti al naturale, non essendo stato
possibile ai pittori il rappresentare quella dolce maestà
di volto e quella vivacità d'occhi che tanto era sua
propria ; e non essendovi a quei tempi la fotografia non
era possibile tramandarci completi tutti i suoi linea-
menti ; ma il ritratto ch'è conservato nel monastero
della Visitazione^ di Torino, è giudicato quello che più
di tutti lo rassomiglia. Di questo si potè prendere la
fotografia, ed è quello che si presenta in sul principio
di questa vita.
Da quanto ci raccontano i contemporanei, San
Francesco di Sales era di complessione sana e di sta-
tura piuttosto alta ma proporzionata. A v e v a il capo
grande e ben formato, e sul finire dei suoi giorni era
calvo nella parte superiore, ma ricco nell'altra metà,
di bei capelli, di un color biondo, che dava nel ca-
stagno; la fronte elevata e spaziosa, ma sempre serena;
gli occhi celesti, vivaci, brillanti, ancorché il suo oc-
chio sinistro fosse alquanto difettoso ; le sopraciglia
aveva folte, le guancie vermiglie e di vivace colorito,
la bocca rotonda, il naso regolare, la fisonomia dolce
ed amabile : i lineamenti del volto e della carnagione
sommamente delicati. Il complesso spirava un non so
che di maestà e di dolcezza, che guadagnava il cuore
e l'affetto di chiunque lo rimirava.
Portava la barba folta in pieno e mediocremente
lunga, secondo l'usanza del tempo, e questa accresceva
in lui la maestà del sembiante, & il colore di essa ten-
deva al biondorosso.
Aveva poi la voce grave, la parola piuttosto tarda,
il camminare un po' lento secondo che ci dice il suo
nipote Carlo Augusto di Sales ; ma le maniere sempre
dolci ed insinuanti, il tratto compito e grazioso, il sor-
riso modesto. Procurava di non alterarsi giammai, di-
chiarandosi in più occasioni nemico della fretta.
Il suo vestire era semplice, e negli abiti osservava
egualmente la modestia e la pulitezza.
Un testimonio oculare epilogò in questi termini il
ritratto del Santo vescovo: « tutto il suo portamento e-
sterno era sì bello ed amabile,'il suo contegno sì grave
éd al tempo stesso sì dolce, che i miei occhi non po-
tevano saziarzi di mirarlo e non posso immaginarmi
nulla di più attraente. »
/
Il ritratto morale. — Ma la bellezza esterna era
grandemente sorpassata dalla bellezza interiore del-
l'anima, in cui la natura pareva avesse riuniti tutti i
suoi doni; aveva un giudizio eccellente, un raro buon
senso, ingegno facile,e fecondo, inclinazioni semplici
e candide, nemico di quei ricercati ornamenti che dis-
truggono le vere bellezze della natura, immaginazione
fertile e vivace, amore per l'ordine, che non trascu-
rava non solo le grandi, ma neppure le menome cose,
e non differiva mai al dimane ciò che doveva farsi
oggi, né anticipava quanto era da farsi nel giorno se-?

24 Pages 231-240

▲back to top


24.1 Page 231

▲back to top


guente ; carattere vivo, ma buono ed affettuoso, ed
al tempo stesso sì. fermo, ché nulla poteva mai farlo
vacillare quando credeva suo dovere fare in un dato
modo ;. finalmente un cuor tenero, sensibile ed ardente,
ma che attaccandosi a Dio concepiva i più grandi, puri
ed eroici sentimenti, poiché la grazia non cambia il
fondo del cuore e del carattere, sibbene lo santifica;
non toglie la tenerezza e la sensibilità, ma le volge
al bene.
Quantunque per lo più l'aspetto medesimo dimo-
strasse quanto fosse raccolto il suo spirito, prendeva
con frequenza aspetto di amorevolezza, tanto che con-
solava il solo incontrarlo, sicché talvolta col solo
comparire ispirava gravità e modestia ai circostanti.
Generalmente chiunque lo rimirava, secondo che è de-
posto in una testimonianza giurata, si sentiva toccare
da divozione, portando egli sul volto contrassegni' di
santità, ed avendo un non so che di sì dolce, che in-
cantava e rubava i cuori.
v
^
Era poi dotato di tale gentilezza di spirito e di'
maniere, ed anche esperto in quella scienza del mondo
che rende con bel modo a ciascuno ciò che gli è dovuto
ed in quella misura che domandano le persone e le
circostanze, che era sempre affabile e civile come con-
viensi, obbligante per cordialità, compiacente senza.
avvilirsi, pulito senza ricercatezza, modesto senza ri-
gidezza.
Sembrava fatto per la conversazione, giacché sapeva
renderla ad un tempo amabile,, dilettevole ed istruttiva,
animandola senza voler risplendere, dicendo cose argute
e delicate spontaneamente, con grande naturalezza. Il
suo tono di voce, la grazia del suo favellare, non meno
semplice che nobile, la dolce e spiritosa gaiezza onde
condiva i suoi discorsi, dava al suo ragionare tale di-
letto, che. conciliava l'altrui stima, amicizia e confi-
denza, e j-aceva dire di lui, che la virtù non erasi mai
mostrata sotto apparenze più amabili e più atte a cat-
'i
tivare 1 cuori.
Iddio aveva data tal virtù al suo parlare, che tal-
volta, con due o tre parole, metteva la pace e la tran-
quillità nei cuori più angustiati. E questo era un ef-
fetto della soavità e dolcezza con cui parlava, acco-
modandosi al bisogno di tutti.
Il suo temperamento eccedeva nella bile; ma, come
abbiamo già detto, fin da fanciullo si sforzò a vincersi
e riuscì a correggersi talmente, che divenne il più dolce
e mansueto uomo che si conoscesse; di modo che San
Vincenzo de' Paoli, che conosceva molto bene il nostro
santo, avendone avuto intrinsichezza nei lunghi mesi
che questi si fermò a Parigi, lo teneva in tale stima
che ebbe a dire più volte, il vescovo di Ginevra rap-
presentargli al vivo Gesù quando era su questa terra.
Un biografo dice di lui: « In S. Francesco di Sa-
les si trovano strettamente connesse la quintessenza
della carità *e quella del buon senso. Si trova in lui il
vero gentiluomo, una di queste fenici di cui la Chiesa
sembra essersi riservata le maternità. Quanta saggezza
nella semplicità! Che invariabile bontà! Che discerni-
mento delle cose di questo mondo in uno spirito sì
straniero al mondo ! Ch'e finezza di estimazione nelle
sue similitudini, in cui la .semplicità emula la profon-
dità e dà grazia sì poetica »
Si era terminato da poco il Concilio di Trento che
portava la vera riforma alla Chiesa. Un gran numero
di uomini dotati di tenace volontà e di finissimo intuito
pratico cercarono di attuare la difficilissima idea della
riforma intima, organica, spontanea voluta e fissata dal
Concilio. Tra questi uomini principalissimi furono san

24.2 Page 232

▲back to top


-
38
Carlo Borromeo e S. Francesco di Sales. Due erano le
cose che bisognava fare corrispondenti al duplice fine
di ogni vera riforma: riconquistare il perduto, e perfe-
zionare il conquistato, cioè la lotta e l'elaborazione.
Fatta la prima da S. Carlo e molti altri, toccava farsi
la seconda, ed a questa missione era dalla divina Prov-
videnza destinato à S. Francesco di Sales.
Che se si parlasse solo del Chiablese tutte due le
fasi furono compite dal nostro Santo: la prima nei quat-
tro primi anni di missione, la seconda in tutto il resto
della sua, vita.
,
L'anima di Francesco era molto impressionabile a
tutte le influenze della pietà, aperta a grandi pensieri
e sentimenti, un intelletto vìvo e penetrante, sopratutto
un'immaginazione poetica, delicatissima, tutta fre-
schezza di natura, e un cuore tenero quant'altri mai:
ma era ancora, cosa a cui ben pochi badano, una tem-
pra fortissima e coraggiosa, uno spirito osservatore,
penetrante e fornito di una solidità perfetta di giudi-
zio. Nel pensiero del volgo si dimentica il lato severo
e forte per fermarsi sull'attraente e simpatico : bisogna
considerarle entrambi per formarsi l'idea completa del
Santo.
Doti intellettuali. — E qui per compiere il ritrattto
del nostro gran Santo devo ripetere, che Francesco
era molto versato sia nelle scienze profane, che nelle
sacre; ed aveva tale prontezza di spirito, che trovava
di subito il modo di sciogliere le difficoltà che gli si
presentavano e i dubbi che gli occorrevano. Tutti i pro-
fessori dell' Università di Padova ebbero ad elogiare il
suo ingegno dimostrato specialmente nell'esame di lau-
rea, e tutta la Corte Romana lo ammirò nel pubblico
esame, che precedette la sua consacrazione episcopale.
-MT"-"-" " ir
;
I cardinali Du-Perron e di Berulle, il Dottore Duval e
gli altri della Sorbona dissero, che egli era il più dotto
teologo 'del suo secolo ; e il generale dei Fogliensi,
D. Giovanni di S. Francesco, uomo eminente.in dot-
trina ed in pietà, dopo aver ripetuto lo stesso elogio
coi medesimi termini, soggiunse « che era eccellente
in tutte le parti della teologia, .che aveva esatta co-
gnizione del diritto canonico, con una sì consumata
intelligenza delle sacre Scritture, che il suo spirito sem-
brava trasformato m esse, e ne spiegava con ammira-
bile chiarezza i più oscuri e diffìcili passi. In una pa-
rola essere egli uno spirito singolare, per la perfetta
bontà del suo naturale discernimento, per la profondità
del suo sapere acquistato, non che per l'abbondanza
delle cognizioni e dei, lumi soprannaturali di cui era
adorna la sua anima. »
S. Vincenzo de' Paoli parlando in generale della
sua dottrina gli faceva questo insuperabile elogio :
« Francesco di Sales è per me l'evangelo parlante,
evcingelium loquens. »
Tutto questo sapere era accompagnato, in Fran-
cesco di Sales, dall' insigne pregio di forbito scrittore.
« E stato il primo, come narra il celebre abate Hamon,
a togliere, per così dire, dalle fasce la nostra vecchia
lingua francese e l ' h a fatta parlare con facilità, con
grazia e con sì nobile e pura semplicità, che non tro-
vasi la simile in Montaigne e in Malherbe, vissuti poco
prima di lui, e che Balzac e Voiture, i quali vennero
di poi, non seppero del tutto imitare. Dal seno de' suoi
monti, in mezzo ad una popolazione incolta ed illette-
rata, fra le faticose occupazioni d' un ministero bastante
ad impiegare intieramente un uomo; senza esempi da
imitare, senza altra guida che di un buon gusto e di
un segreto istinto per rispettare le convenienze, è

24.3 Page 233

▲back to top


giunto fino ad essere uno dei padri della lingua fran-
cese, ed a meritare di essere collocato dall'Accademia
nel primo posto fra gli scrittori del suo secolo. L a sua
immaginazione feconda e vivace spargeva in tutti i suoi
scritti le più ridenti immagini, i fiori più graziosi presi
da tutta la natura, dal cielo, dalla terra e da quanto in
essa condensi. Anche quando non pensa che a parlare
dimessamente, ed a rendersi utile, il suo ingegno acuto
dà a tutte le parole una singolare accortezza, ed il suo
cuore sensibile anima le espressioni, le colorisce, le tras-
ferma e dà loro un non so qual succo di gioventù,
lasciando nondimeno ad esse quello stile sostenuto, che
conveniva al carattere dello scrittore. »
Un celebre autore ha detto, che lo stile è 1' uòmo;
ed un tale detto non ri verificò forse mai meglio che
in Francesco di Sales. L a bellezza e la sensatezza de'
suoi pensieri svelano il suo perfetto giudizio; il can-
dore con cui li esprime, mostra quel fondo amabile
di rettitudine e di bontà che in luì trovavasi. L e sue
figure forti e nòbili, senza perdere la loro naturalezza, e
il suo ragionare soave ed energico, le sue parole che
scorrono sempre con dolcezza, maestà, eleganza e ca-
lore mostrano in lui un uomo di primo ordine, che
àbile all'arte di persuadere, sa, allettando, condurre ai
suoi
fini.
\\
« I suoi scrittirdice il Padre Tournemine, rispecchia-
no la carità di cui ardeva il suo cuore, e non si ponno
leggere senza sentire nell'anima una celeste unzione.
Scorgesi in essi la dolcezza e la tenerezza di un cuore
che ama, e che vuole non si ami che Dio, e conten-
gono l'essenza- della morale dei libri sacri e degli scritti
di santi Padri, ridotta ai veri principi ed alla pratica.
Vi trovi a guida la carità e l'umiltà inseparabilmente
unite; la dolcezza appiana la via; la conformità al vo-
vm
— 141 —
lere di Dio e la ferma speranza nella sua bontà fanno
camminare in essa con tranquillità ed allegrezza. »
L'arte di predicare. — L'autore che così bene scri-
veva non si segnalava meno nell'arte di predicare. Il
suo gesto non era molto animato, la sua parola era lenta
anzi che no; ma godeasi che la sua pronunzia lenta
lasciasse gustare con più agio la bellezza della sua dot-
trina, la nobiltà e la facilità delle sue espressioni, l'un-
zione del suo favellare, la naturalezza della sua voce
e dei suoi gesti, sempre adatti a ciò che diceva, e del
suo contegno ch'era quello d' un uomo profondamente
penetrato delle verità che annunziava; cose che tanto
più si apprezzavano, in quanto che erano difficili a tro-
varsi negli altri predicatori di quei tempi, in cui si ten-
deva all'ampollosità. Francesco aveva il buon discerni-
mento di attenersi a quella eloquenza semplice e na-
turale, che è il vero linguaggio della pietà e della
persuasione.' Se combatteva il vizio non lo faceva as-
saltandolo con invettive, ma bensì mostrandolo quale
è, deforme e spregevole, ed opponendogli la virtù, la
quale egli rappresentava sempre all'intelletto come
sommamente ragionevole, ed al cuore come infinita-
mente amabile.
L'eccellenza del suo spirito, la compitezza della sua
dottrina, le grazie della sua eloquenza, l'efficace at-
trattiva della sua pietà; cose tutte che quando predi-
cava facevano versare lagrime, eccitavano l'ammirazione
degli uditori, ed attiravano ad ascoltarlo i più insigni
uomini della Francia, della Savoia, del Piemonte e
dell'Italia; cosicché le Chiese erano sempre troppo an-
guste, per contenere tutti coloro che accorrevano ad
udirlo.

24.4 Page 234

▲back to top


— 142 —
"•
' • ' -.'*•*.
•',.< •
v
Ultime pennellate del suo ritratto morale. —
Per ultimare il ritratto morale del nostro Santo gjova
riportare ancora alcune importanti testimonianze.
L a santa Madre di Chantal lo definisce bellamente
con queste parole: « Era al tutto ammirabile l'ordine
messo da Dio in questa beata anima. Tutto vi era così
ordinato, così calmo, e splendeva di luce così chiara,
che egli vedeva i minimi atomi de' suoi movimenti. Egli
appellava il luogo dove si faceva questa voce il san-
tuario di Dio, dove non entra nulla fuori dell'anima
sola con il suo Dio.
« Egli non aveva niente di singolare in nessuna delle
sue azioni; ma stava attentissimo a condurre una vita
ordinaria dove niente appariva di quanto il mondo
ha in grande stima. Tutta la beltà di questa santa
anima stava nel suo interiore e nelle azioni ordinarie,
che egli esercitava in modo tutt'affatto straordinario. »
Enrico I V re di Francia nelle sue lettere, alluden-
do a S. Francesco, lo dice: « L'uomo più capace di
porre qualche rimedio alla novità delle opinioni che
perturbavano, il suo regno, essendo un ingegno chia-
ro, solido, resolutivo, niente violento nè impetuoso. »
« Bossuet lo dice « il maestro degli spirituali » e
« l'emulo di S. Carlo Borromeo. »
Fénelon vorrebbe nascondersi completamente nel-
l'ombra tutelare di quel saggio, che ci ha dato IV»-
troduzione alla Vita divota e il Trattato dell'Amor
di Dio.
CAPO II.
Delle virtù di San Francesco di Sales.
Mosè, discendendo dal morite, ricoperse con un velo
la sua faccia, nascondendo così la bellezza comunica-
tagli nel parlare alla domestica col Signore. Nel me-
desimo modo i santi sogliono nascondere sotto il velo
della umiltà le virtù e le grazie ricevute da Dio ; per-
ciò quello che sappiamo delle virtù loro è sempre
il meno: il più ci resta nascosto. Questo avvenne in
modo particolare del nostro S. Francesco di Sales. L a
santa madre di Chantal ci dice, che egli con avvedu-
tezza proporzionata alla sua umiltà, procurò sempre
di celare i divini carismi, affinchè di lui nessuno si fa-
cesse concetto di santo. Con tutto ciò tali e tanti sono
gli splendori, che escono, fuori dal velo che nasconde
le sue virtù» che anche da quel solo che si conosce
possiamo comprendere a quale altezza straordinaria
esse siano arrivate.
Mezzi generali adoperati da S. Francesco per
acquistare le virtù. — L a santità altro non è che la
vita di Gesù riprodotta nell'uomo, per quanto è com-
patibile alla fralezza dell'umana natura. S. Francesco
fu per certo uno di quegli uomini che più perfetta-
mente riprodussero in sè la vita di Gesù, e perciò a
buon diritto si deve considerare come uno dei più gran-
di santi. E quello che a noi più interessa si è, che egli
teoricamente e praticamente ci insegnò come si può
imitare Gesù e perciò come ci possiamo far santi senza

24.5 Page 235

▲back to top


entrare in una vita tanto difficile, da superare le nostre
forze; e che anzi, solo colui che si mette per la via
della vera santità, com'egli ce l'ha insegnata, può con-
durre una vita veramente tranquilla e felice, per quanto
si può avere di felicità su questa terra.
E qui, prima di parlare di ciascuna virtù in par-
ticolar modo da lui praticata conviene far conoscere
quali siano stati i mezzi generali di cui si servì egli
peri giungere all'apice della perfezióne.
La sua rara intelligenza gli fece conoscere assai
di buon'ora essere la cattiva tendenza del cuore che si
volge più facilmente alle creature che al Creatore e la
leggerezza di carattere, si poco inclinata alle cose spi-
rituali e sì facile a distrarcene, che formano i due prin-
cipali ostacoli alla santità; e che se si vuol riuscire
veramente sodi e fermi nelle virtù, bisogna alla catti-
va tendenza del cuore opporre la preghiera, che ci ot-
tiene da Dio la fortezza per riuscirvi ; e alla leggerezza
opporre la riflessione, la quale fissa lo spirito- e lo
illumina.
Ma come, in pratica, si può vincere la leggerezza
di carattere ed acquistare la riflessione? S. Francesco
ad ottenere ciò si propose l'esercizio1 di stare conti-
nuamente alla presenza di Dio. Puossi perciò conchiu-
dere, che i mezzi adoperati da lui per giungere a quella
squisita santità a cui arrivò, si compendiano in questi
due: preghiera ed esercizio della presenza di Dio.
Preghiera. — Il primo mezzo pertanto che egli
adoperò fu la fedeltà all'orazione, che per sentenza
della Sacra Scrittura e di tutti i santi, è l'anima della
vita interiore. Alla preghiera consacrava tutte le mat-
tine almeno un'ora, e la sera circa altrettanto, poiché,
a quelle solite a farsi da ogni fedele cristiano, egli
— 145 —
era solito recitare il santo Rosario in guisa che, tra
l'orazione vocale e la meditazione dei misteri,, se ne
compiva un'altra. Questo era fisso; ma poi lungo il
giorno ogni ritagliuzzo di tempo, che gli avanzasse
dalle continue occupazioni,^davalo all'orazione; e della
notte alle volte ne passava gran parte orando. E di-
ceva: « L'orazione, mettendo il nostro intelletto nella
chiarezza della luce divina, meglio d'ogn'altra cosa lo
purga dalla sua ignoranza, e purifica la nostra vo-
lontà da' suoi affetti depravati. E l l a si è l'acqua di
benedizione, che col suo inaffiamento salutare fa rin-
verdire e rifiorire le piante dei buoni desideri, lava le
nostre anime dalia loro imperfezione, e smorza gli ar-
dori delle nostre passioni » {Filotea, parte II, capo 1).
Nell'orazione conversava col Signore alla dimestica,
e colla semplicità di figliuolo col padre. E il benigno
Signóre lo colmava di altissime grazie. Sappiamo da
lui medesimo esser giunto a tal segno, che nella pre-
ghiera non pativa più .distrazione alcuna.
« Com« fate voi, chiesegli un dì taluno dei suoi
amici, ad orare con tanta tranquillità in mezzo al dis-
turbo di tanti affari, in che sempre dovete occuparvi? »
— « Grazie alla divina bontà, rispose egli, in tutto il
tempo che durano le mie meditazioni non sono distratto
mai. » - « Io non so che abbia fatto a nostro Signore,
disse un'altra volta ad un canonico di Annecy, ma la
sua misericordia con me è incomprensibile ; poiché, ap-
pena messomi in orazione, tosto mi scordo di tu,ttó, fuori
che di Dio, e allora mi sembra di esser tutto suo. »
Delle così dette aridità egli non davasi pena ve-
runa, ma seguitava nelle sue sante orazioni colla stessa
fedeltà, avesse o no consolazioni e dolcezze spirituali.
«Quando il Signóre, diceva, mi dà buoni sentirne nti
li ricevo in semplicità e con profondissima riverenza,
1 0 — B A R B E R I S , Vita di S . Francesco
di Sales.
Voi. II.

24.6 Page 236

▲back to top


mista di confidenza, tenendomi umile, piccolo, basso
dinanzi a Lui il più che posso, come figliuoletto; quan-
do non me ne dà, non ci penso nemmeno, e non bado
se io sia in consolazione o in desolazione, e così con-
tinuo la mia preghiera. »
« Ordinariamente tanto era il suo fervore che, sic-
come ebbe a testimoniare la santa madre di Chantal,
all'uscire dell'Orazione il volto del mirabil uomo vede-
vasi infiammato e quasi luminoso, per effetto delle in-
teriori dolcezze che aveva gustate. »
Un dì gli accadde di mettersi all'orazione senza
chiudere la porta della camera ; or gli ecclesiastici, suoi
famigliari, passandogli innanzi, lo videro come rapito
in estasi, quasi sollevato in alto, colle braccia alzate
verso il cielo. Sentiti i passi e accortosi di essere stato
visto in quell'atto, con aria tra confusq e suppliche-
vole : « Fratelli, disse, se mai aveste veduto qualche
cosa di me, vi scongiuro, non parlatene. »
Talvolta, specialmente negli ultimi anni della sua
vita., le molte e gravi occupazioni non. gli lasciavano
agio di spendere un'ora intera nell'orazione; e allora
egli vi sopperiva con maggiore raccoglimento lungo il
giorno, e collo stare continuamente unito a Dio. La
Chantal avendolo interrogato un dì, se quella mattina
aveva potuto fare orazione, essendo stato tanto occu-
pato : « No, rispose, ma ben ho fatto quello che vale
altrettanto. » Intese dire che aveva sempre pensato a
Dio, e in ogni sua azione non altro aveva cercato che
la maggior gloria sua, e in questo riponeva ogni suo
diletto. « Oh che eccellente cosa ell'è mai Y orazione
attiva!» disse un giorno ad un suo a m i c o ; e questi
avendolo interrogato che cosa intendesse per orazione
attiva: « Orazione attiva, risposerò fare ogni nostra
azione alla presenza di Dio e per suo servizio. »
— 47 —
Quantunque il nostro caro Santo fosse sì perfetto
nell'esercizio dell'orazione, non di meno gli pareva che
questa ancora non gli bastasse, ed ogni anno riduce-
vasi a fare dieci giorni di esercizi spirituali, e talvolta
in due tempi dell'anno, affine, diceva, di mettere in or-
dine la sua povera anima,, tempestata dagli affari. In
quel tempo , la sua orazione era anche più fervida, pura
$ sublime. Notava esattamente i falli, che parevagli
aver commesso, se ne confessava con gran dolore;
conferiva col confessore intorno ai mezzi di correggersi
di ogni imperfezione, e formava propositi, stampando-
seli nel cuore con assai più forza che non adoperasse
diligenza nello stenderli su carta.
,
Presenza di Dio. — Il pensiero della presenza di
Dio non lo aiutò meno della preghiera propriamente
detta per acquistare e praticare tutte le altre virtù.
« Cammina alla mia presenza e sarai perfetto, aveva
detto il Signore ad Abramo ; in un sol detto racco-
gliendo tutta la sapienza, onde l'uomo s'aiuta ad ot-
tenere il gran fine per cui ò creato, di santificarsi in
questa vita, per poter essere eternamente felice nel-
l'altra. Così degli altri grandi patriarchi e profeti, che
arrivarono alla più sublime santità, la Sacra Scrittura
dice che camminavano alla presenza di D i o : « ambu-
labant coram Domino. »
Sapendo pertanto FYancesco che la leggerezza e la
dissipazione avrebbero in breve disperso e reso inutile il
buon seme deposto nel suo cuore dall'orazione della
mattina, s'era provveduto contro sì grave pericolo, fa-
cendosi entro se stesso come un'oratorio, una ^solitu-
dine interiore, ch'egli chiamava il santuario di Dio,
dove nulla entrava se non l'anima con Iddio; di guisa
che potè dire ad un suo amico, il marchese di Lullin,

24.7 Page 237

▲back to top


— 148 —
che degli affari terreni egli non parlava e non s'oc-
cupava, che per modo d'involontaria distrazione. Ed
alla Chantal disse altra volta: « E incredibile a dirsi
il disturbo che di qua e di là mi recano gli affari; e
non di meno il mio poveretto cuore non ebbe mai
tanta pace nè volontà d'amare Iddio. »
« Le sue occupazioni esteriori, dice il padre La
Rivier, ch'erano continue, non cagionavano in lui la
minima dissipazione. Dall'aria medesima scorgevasi, che
mentre si tratteneva con gli uomini conversava con
gli angioli. »
« Quand'io aveva la bella sorte d'entrargli in ca-
mera, dice un contemporaneo, sempre lo trovavo così
assorto in Dio e nelle cose celesti, che pareva niun affare
potervi essere quaggiù, che ne lo potesse distrarre. »
« Ho sovente seduto alla sua mensa, dice un altro
ancora, ho sovente conversato con lui, e protesto di
non aver mai udito uscir dalla sua bocca parola alcuna,
la quale non fosse di Dio, o che non portasse all'amor
di Dio con ineffabile soavità. »
L a Chantal avendogli un dì chiesto, se stesse lungo
tempo senza pensare a Dio : « Qualche volta quasi un
quarto d'ora, » rispose.
(
Il suo spirito, in una parola, era sollevato di tanto
sulle terrene cose, che conversava ne' cieli, mentre pur
era intento alla spedizione degli affari. Orid'egli stesso
ebbe a dire : « L a mia camera è piena di gente che
mi tira ciascuno alla sua parte; ma intanto il mio
cuore non cessa punto d'essere solitario. »
Soleva dire, che la maggior parte dei falli che si
commettono vien da ciò, che non si pratica abbastanza
bene l'esercizio della presenza di Dio. Egli conoscendo
fi gran pregio di questa pratica, chiamava il pen-
siero della presenza di Dio il custode della purità e
— 149 —
dell'innocenza, ed usava parecchi mezzi e sante industrie
per sempre meglio giovarsene. Alle volte, quando era
in camera, canticchiava sommessamente, quasi a modo
di spirituale ricreamento, salmi, inni, o cantici, secondo
i tempi e le feste che ricorressero. - Studiando, ado-
rava l'eterna verità nascosta sotto il velame delle let-
tere, e così il suo studiare diventava orazione. - Con-
versando, sapeva trarre con arte maravigliosa, da
qualunque cosa, argomento di considerazioni pie e
divote, ed atte ad innamorare della virtù e di Dio. \\j
« Quando il mondo, diceva, viene a recarvi delle sue |j
nuove, bisogna che voi diate a chi vi parla, delle nuove
dell'altro mondo. »
Vedendo belle campagne : « Noi siamo il campo del
Signore, diceva, dobbiamo perciò coltivarlo e semi-
narvi il grano della sua parola. » - Scorgendo chiese:
« Noi, diceva, siamo i tempi vivi dello Spirito Santo;
dobbiamo adornarci di virtù. » - Un albero fiorito fa-
cevagli dire: « N o n è solo fiori che vuole Dio da noi,
ma altresì -«frutti. » - Una bella pittura rimembravagli
che l'anima nostra è fatta ad immagine di Dio, e deve
renderglisi somigliante. - Alla vista di un giardino di-
ceva che l'anima nostra, adornandola noi dei frutti
della virtù, sarà per Iddio un giardino di delizie. -
Una fontana facevalo sospirare e dire: « A h ! quando
beremo noi, a nostro agio e diletto, alle fonti del Sal-
. vatore ! ? » Parimenti, osservando i fiumi, diceva: « Oh !
quando andremo noi a Dio come i fiumi al m a r e ? »
- Un agnello rappresentavagli la dolcezza di Gesù
Cristo, che si chiama l'agnello di Dio. - Nei poveri
mirava i membri prediletti di Gesù Cristo ; ne' sacer-
doti i suoi ministri ;' e così tutta la natura era per lui
una scala da salire a Dio.
1
E insegnando anche più direttamente agli altri il

24.8 Page 238

▲back to top


modo di praticare questo esercizio della presenza' di
Dio: « Fate, diceva, come i fanciulli, i quali da una
mano si tengono ai loro genitori, e coll'altra colgono
le fragole o le more lungo le siepi. Parimenti voi, ma-
neggiando i beni di questo mondo da una mano, col-
l'altra tenetevi sempre stretti al vostro Padre celeste,
volgendovi di quando in quando a lui, per vedere se
le vostre occupazioni gli piacciono. Negli affari che
non richiedono troppo fìssa attenzione pensate più a
Dio che ad essi; e quando vi sì richiede tutta l'at-
tenzione, mettetecela; ma almeno di quando in quando
uno sguardo a Dio come fanno i naviganti, i quali,
per giungere alla riva destinata, guardano il cielo. »
{Filoteà, p. Ili, c. io).
Quanto a lui, nemmeno il sonno sfuggiva da quel
suo esercizio di tutto fare alla presenza di Dio. « Noi
dobbiamo, diceva, aver Dio innanzi agli occhi sempre
e in ogni luogo; soli ed in compagnia; in ogni tempo,
anche dormendo, coricandoci modestamente alla pre-
senza di Dio, come farebbe colui al quale Nostro Si-
gnore medesimo, essendo ancora in questa vita, co-
mandasse di coricarsi e dormire alla sua presenza. Oh
mio Dio ! che modesto e divoto contegno sarebbe il
nostro, nell'andare a letto, se vi vedessimo presente !
certo metteremmo le braccia in croce sul petto con
grande divozione ! »
Con questi mezzi egli diventò il gran Santo che fu
e chi vuole farsi del gran bene all'anima, deve pren-
dere coraggiosamente, energicamente e costantemente
questi mezzi medesimi ch'egli prese; e allora non man-
cherà, con la grazia del Signore che è sempre abbon-
dante, di riuscire simile a questo gran modello: in-
spice, et fac secundum exemplar : mira, e fa secondo
il modello che ti si presenta da imitare.
151
CAPO III.
Come San Francesco
praticò le virtù teologali.
Dovendo ora venire a discorrere delle virtù in par-
ticolare, che ornavano sì bellamente l'anima di San
Francesco, giova cominciare dalle virtù teologali, fonti
di tutte le altre.
F e ( j e > — Quella' grande e prima virtù, senza la
quale è impossibile piacere a Dio, la fede, era esercitata
da Francesco in modo al tutto maraviglioso. A v e v a
ricevuto a questo riguardo sì speciali grazie, ch'egli .
stesso diceva aver Iddio diffuso nell'anima sua una
luce sì chiara, che con semplice sguardo vedeva le
verità della fede e la loro eccellenza, fino a provarne
ardori," estasi, rapimenti di spirito. Praticamente si
poteva mirare in.lui l'esecuzione di quel detto dell'A-
postolo: Il mio giusto vive di fede: justus meus ex
fide vivit.
Questo gli dava anche una grazia particolare a
far intendere i più alti misteri,- ch'egli esponeva con
tanta facilità e bel garbo, da farsi intendere facilmente
anche dai più rozzi' ed ignoranti.
Fin dall'infanzia aveva mostrato alta stima della
fede ed una istintiva avversione per tutto ciò che
avrebbe potuto nuocere a lei. « Assalito da tutti i
lati, scriveva egli, ed incalzato in tanti modi, in età
fragile e volubile, perch'io mi arrendessi all'eresia,
rjorji volli mai neppure guardarla in faccia, se non

24.9 Page 239

▲back to top


per isputarle in viso. E d il mio debole ma generoso
spirito, percorrendo i più pestiferi libri, non ebbe la
menoma impressione di quel malanno. »'
E il soggiorno ch'ei fece in mezzo agli eretici
e le quotidiane relazioni con quelle anime fuorviate,
lungi dal diminuire in lui r avversione all'errore, gli
fecero sempre più apprezzare la fortuna di apparte-
nere alla vera chiesa di Gesù Cristo.
Attesta la Chantal di aver riconosciuto nel santo
suo direttore il dono della fede in una perfezione
eminente. « Egli aveva ricevuto, dice la santa, delle
cognizioni straordinarie intorno ai misteri della reli-
gione, al senso delle Scritture, alla vera dottrina della
Chiesa; e lo Spirito Santo aveva versato nel centro
dell'anima sua una luce sì chiara, ch'egli vedeva le
verità soprannaturali per semplice intuizione, con cer-
tezza, gusto e soavità impareggiabili. »
«s
A l dire di mons. Camus era una delle massime
di Francesco, che bisogna camminare alla presenza di
Dio secondo lo spirito della fede, e non secondo il senso
umano; vale a dire che fa d ' u o p o pigliare dalla fede
• la regola delle nostre azioni, delle nostre parole, dei
nostri desiderii; lasciarsi costantemente guidare da lei,
come gli Israeliti seguivano nel deserto la colonna di
fuoco che li precedeva, e ricopiar nella nostra, la vita
di Gesù Cristo.I A l qual fine soleva dire, che non è
fdaìare un'azione perchè piace, ed astenersi da un'al-
! tra perchè dispiace: a parer suo essendo questo un
I vivere non secondo la fede, ma secondo la carne; sib-
] bene ad ogni nostro fatto dover essere mossi da mo-
I tivi di fede, cioè pensare a piacere a Dio.
Ecco un importante ammaestramento che il San-
to dà a questo proposito : « Quella persona, dice, è
dolce e piacevole, mi ama e mi rende servigi; ora
amarla solamente per questo, egli è un amarla secondo r
la carne ed il senso ; chè, anche gii animali, che per
loro guida non hanno se non la carne ed i sensi, a-
mano i loro benefattori e coloro che li trattano con
dolcezza ed amorevolezza. Quell'altra persona è di
maniere rozze, dure, incivili ; cionullameno io me le
accosto, le dimostro amore, le rendo servigi, non per-
chè io provi piacere alcuno nel fare così, ma perchè
così piace a Dio ; e questo è operare "con ispirito di
fede. — Son melanconico e perciò non voglio parlare:
così fanno i papagalli. Son melanconico, ma la carità
vuole che parli, ed io parlo: questo è vivere secon-
do la fede. —: Son disprezzato e me ne offendo;
i pavoni e le scimmie fanno così. Son disprezzato e
ne godo; questo è imitare gli apostoli. Adunque vi-
vere di fede è : fare, dire, pensare secondo che sap-
piamo volere il Signore! L'anima che s'appoggia allo
spirito di fede, nelle prove si sente avere molta fortez-
za perchè sa che Dio l'ama, la sostiene, l'aiuta. Ella
si stringe ^ D i o , e dice spesso: Tutto ciò che non è Dio,
è nulla ; e tutto ciò che non è per l'eternità, è vanità. »...
E questo spirito di fede era tanto radicato in lui,
che le stesse naturali inclinazioni parevano aver per-
duto in lui ogni forza. « Noi non dobbiamo più, di-
ceva, servirci del cuore, degli occhi, delle labbra nostre
.per soddisfare al nostro piacere od alle nostre indi-,
nazioni ; ma solo pel servizio dello sposo celeste. »
« Trovandovi ih qualche grave difficoltà, così diceva
altre volte, prima di tutto pensate all'eternità. »
« Io sento in me, diceva un giorno alla Chantal,
sì ardente amore alla fede, che in vita mia sempre
desiderai morir per essa; e questo si fu che spinsemi
parecchie volte ad andare a Ginevra, in mezzo agli
eretici, che macchinavano contro di me. »

24.10 Page 240

▲back to top


Tanto poi era continno in lui questo ardore, che
perfino la notte svegliandosi spesse volte esclamava :
« A h mio Dio ! Quando sarete voi conosciuto? Quando
sarete voi amato secondo che meritate ? »
Da tal maestro adunque impariamo anche noi a
vivere di fede, : affinchè le opere nostre e tutta la
nostra vita piacciano .davvero a Dio. Quando poi ci
sentissimo travagliati da dubbi e tentazioni contro la
fede pensiamo agli ammaestramenti del Santo. Egli
insegnava che queste tentazioni bisogna vincerle più
col fuggire, che col combatterle di fronte e star lì a
contendere con loro : « Imitate coloro che difendono
qualche fortezza assediata, i quali, vedendo ì nemici
far impeto da una parte, fanno sortita da un'altra e
li colgono alle spalle: così, quando la tentazione tra-
vaglia l'intelletto e vuol soggiogare la ragione, fa
' d'uopo uscire per la porta della volontà, ed assalirla
di viva forza, e darle la carica con santi affetti ed u-
milissima sottomissione della nostra volontà all'auto-
rità della Chiesa, dicendo per esempio : Viva Gesù in
cui credo, viva la santa Chiesa alla quale voglio ap-
partenere e star unito ! Oh madre dei figli di Dio, non
mi separerò mai da voi ! Voglio morire nel vostro
seno. »
« Come un albero, diceva altre volte, esposto al
vento si radica meglio e si fa più forte, così la fede.
s'ingagliardisce nei cimenti e nelle tentazioni. »
Egli poneva la sua gloria nell'abbassare il suo spi-
rito ed il suo cuore dinanzi alla suprema verità che
ci rivela ciò che dobbiamo credere, ed all'autorità
della Chiesa, interprete della divina rivelazione. Il sot-
tomettere la ragione, lungi dall'aver per lui qualche
cosa di penoso, gli era* anzi d'indicibile contento,
perchè pensava, che così' non trovavasi abbandonato
all'incostanza ed alle tenebre del proprio intelletto;
ma che nel credere era diretto dall'autorità infallibile
della Chiesa.
« L a bellezza della nostra santa fede mi pare sì
stupenda, diceva altra volta, che muoio d'amore per
essa, e sembrami di dover chiudere il dono prezioso
che Dio me ne ha fatto, in un cuore tutto profumato
di divozione. »
« Quei felici pellegrini d'Emmaus, sentendo le pa-
role della fede, dicevano: Il nostro cuore non ardeva
forse mentre egli ci parlava per via? Ora, se le divine
verità recano già sì gran diletto quando n o n # sono
ancora proposte che nell'oscura luce della fede, che
sarà allorché le contempleremo nel chiaro meriggio
della gloria? L a regina Saba, dopo udite le parole di
Sapienza che uscivano dalla bocca di Salomone, pro-
testava, ciò che le era stato detto di tanta sapienza,
non essere che un'ombra a confronto di quanto essa
medesima aveva potuto conoscere ; così quando, giunti
nella celesti Gerusalemme, il Re della gloria ci manife-
sterà con una incomprensibile chiarezza le maraviglie
della suprema verità, e vedremo scopertamente quello
che quaggiù abbiamo creduto, oh! allora quali rapimenti,
quali estasi, quale stupore, qual amore, quali dolcezze!
No, diremo nell'eccesso del nostro gtubilo, mai non
avremmo pensato di vedere sì deliziose verità ! »
S p e r a n z a . — Fondata su di una fede così viva
ed inconcussa, la speranza cristiana, e perciò la con-
fidenza in Dio di Francesco era caratteristica. Pareva
che avesse sott'occhio la realtà delle divine promesse.
« Non so capire, dic'egli, come ci sia possibile rimirare
da senno come nostra patria questo mondo, in cui stiamo
per così poco tempo, e non piuttosto il cielo dove dob-

25 Pages 241-250

▲back to top


25.1 Page 241

▲back to top


— 156 —
biamo stare in eterno. » - « Bisogna fare coraggio,
diceva spesso, andremo presto lassù. Sì, bisogna spe-
rarlo; colassù vivremo in eterno. » « L a grandezza della
nostra speranza nei godimenti della vita eterna deve
farci parere come cosa da nufla tutti gli eventi di que-
sta vita passeggiera. » Questa sentenza del nostro
Santo è come il frutto naturale della sua fede tanto
viva, e lo mette in buona compagnia con S. Fran-
cesco d'Assisi e con santa Teresa, che andavano ripe-
tendo: « Tanto è il bene che m'aspetto, ch'ogni pena
mi è diletto. »
Da. questa ferma speranza provenivano que' suoi
fervidi voti, que' sospiri, quell'andare continuamente
a questo bene: « Oh come si fa già lungo questo esilio !
diceva spesso col isalmista, non finisce più ! Parlo
dell'esilio di questa vita. Finché dimoriamo quaggiù,
non siamo forse esiliati da Dio e dalla patria nostra?
Infelice me ! chi mi libererà da questo corpo di morte ! »
« Niente a me è più caro dell'anima mia, e quando
pure mi si offerisse altrettanto spazio di vita quanto
ne ho già corso, con tutti i piaceri e diletti che si
possono desiderare in questa terra, che cosa sàrebbero
tutte queste cose passeggiere appo l'eternità? »
« Se non considero che la mia estrema miseria, di-
ceva, pur troppo confesso che il mio luogo dovrebbe
essere tra i dannati dell'inferno; pur tuttavia spero in
Dio, che per i meriti di Gesù Cristo mi salverò con gli
eletti. » « E che farà, soggiungeva ancora, che farà il
Signore del suo Paradiso se non lo darà a povere, pic-
cole, misere creature come siamo noi, che in null'altro
abbiamo speranza, se non nella sovrana sua bontà?
Viva D i o ! io spero fermamente che vivremo in eterno
con Lui. »
Se taluno mostravagli qualche paura temendo di
— 157 —
non andare in paradiso, facendogli presenti le proprie
imperfezioni e i difetti quotidiani in cui cadeva, egli
rispondeva: « Il trono della misericordia di Dio si è
la nostra miseria. Quanto più è grande la nostra mi-
seria, tanto dev'essere maggiore la nostra confidenza
in Dio, che per tanta sua bontà ci farà salvi. »
Diceva un giorno a mons. Camus : « Bisogna mo-
rire tra due guanciali ; uno, della umile confessione che
noi non meritiamo se non l'inferno; l'altro, d'una piena
fiducia che Dio, per la sua misericordia, ci darà il Pa-,
radiso. »
.
.
« Oh, quando sarà, scriveva altra volta, che, quan-
tunque circondati dal mondo e dalla carne, non vi-
vremo che di puro spirito ! che, sebbene attorniati dalle
vanità mondane, non guarderemo se non al cielo! che,
quantunque viventi fra gli uomini, non cesseremo di
lodare Iddio con gli angeli ! Quando sarà che tutte le
nostre speranze non siano che pel Paradiso ! »
L'argomento di consolazione che adoperava nella
perdita delle persone care, sulle sue labbra pigliava una
forza tutta sua propria e riusciva mirabilmente effi-
cace. « Niuno, scriveva un dì ad una persona, ha il
cuore più tenero di me nelle cose dell'amicizia, e niuno
sente più vivamente la perdite dei nostri cari, nulla-
meno parmi cosa sì vana questa presente vita, che io
non mi volgo mai a Dio con amor più grande, come
quando mi ha percosso. Bisogna sollevare il cuore al
cielo, avere generosi e grandi pensieri, mediante i quali
vivere sempre uniti a quella divina Provvidenza, che or-
dinò il tempo di questa vita mortale all'eterna, dove
le amicizie incominciate in questo mondo si ripiglie-
ranno, per non essere rotte mai più. Aspettiamo co-
raggiosamente che suoni l'ora della nostra partenza,
per giungere dove già sono gli amici nostri. E con

25.2 Page 242

▲back to top


questo non intendo già di vietarvi il pianto; pianse
il Signore nostro sulla tomba di L a z z a r o ; e in simili
casi piango io pure; ma voglio dire che non piahgiate .
troppo, e che mostriate piacervi più l'eternità, che
questa figura passeggiera del mondo. »
Confidenza in Dio. —• La speranza cristiana ha
due parti distinte : per fin lato aspira a possedere nel
cielo il suo Dio, e vive sicura nell'aiuto di Lui per
giungere a tanta felicità; e per l'altro qui in terra ri-
• posa nella Provvidenza divina, con figliale abbandono
in mezzo a tutti gli avvenimenti della vita.
Finora abbiamo considerato la speranza nel nostro
Santo sotto il primo aspetto : consideriamolo sotto il
secondo, che suolsi chiamare confidenza in Dio. Egli
pensava così : Dio è un amorevole ed ottimo padre, che
tutto fa tornare in bene di coloro che lo a m a n o : Gesù
Cristo disse che egli si pigliava cura di tutte le creature
grandi e piccole, sino a non permettere che un capello
cada dal nostro Capo senza la sua licenza; sino a prov-
vedere con tanta bontà a' bisogni non pur dell'uomo, ma
degli uccelli dell'aria e dell'erba de' campi: mandò gli
apostoli a predicare la fede per. tutto il mondo, sprov-
veduti di tutto, ed essi compirono l'impresa loro con
felice successo, senza che loro mancasse mai niuna delle
cose necessarie alla vita: e conchiudeva parergli molto
strana quella sollecitudire che gli uomini si pigliano
delle cose di quaggiù ; e, quanto a sè, s'abbandonava
pienamente nelle mani della divina Provvidenza, e in
essa riposava così sicuro, come bambino suol fare dor-
mendo in seno alla propria madre. « Il Signore, diceva,
insegnò questo nel Vangelo ed io l'ho imparato fin dalla
mia giovinezza ; e se dovessi nascere uua seconda volta,
vorrei lasciarmi guidare da questa divina Provvidenza
ancor nelle più piccole cose, con infantile semplicità
ed alto disprezzo d'ogni umana pr-udenza. »
« Felici coloro, diceva eziandio,
confidano solo
in Colui che può come Dio, e vuole come pladre, darci
tutto ciò che è buono; e sventurati quelli che mettono
la loro confidenza nelle creature, le quali promettono*,
molto, danno poco, e quel poco che danno fan pacate
carissimo. »
« Come l'anima nostra è nel nostro corpo senza
che noi la vediamo, così Dio è nel mondo senza esser
veduto da noi. Come l'anima tiene in vita il corpo fin-
ché sta unita con lui, così Dio tiene in essere il mondo
e tutto dispone in esso. »
Egli stava sicuro e tranquillo in mezzo ai più gravi
pericoli : « Quando si ripone la nostra confidenza in Dio,
senza mai separarsi da oggetto sì uguale e costante,
non si può variare giammai : questa confidenza è il
perno immobile di tutti i miei desideri e di tutte le
mie azioni. »
iS,
Doman4ato un giorno come avesse potuto esporsi
tante volte tra le mani degli eretici, suoi sì acerrimi
nemici: « Punto non fu audacia nè semplicità d'animo,
che non capisce il pericolo, rispose, ma semplicità di
fiducia nella divina Provvidenza. Non siamo adunque
pronti a lasciare la vita e tutto quanto siamo, quando
occorre, alla completa disposizione della divina Prov-
videnza? Alla perfine noi siamo più di Dio che nostri !
Egli per farci suoi volle farsi tutto nostro, e noi non ci
affideremo tutti in L u i ? »
Onde, se prima d'intraprendere qualche opera usava
della necessaria prudenza, e si certificava bene se quel-
l'opera fosse voluta di Dio, quando questa volontà
adorabile gli si era manifestata, si metteva a quell'o-
pera con tanta fiducia, che anche i più formidabili osta-

25.3 Page 243

▲back to top


coli parevangli cosa di nulla, e facevagli dire, che
queste difficoltà medesime tornavano ad onore e gloria
di Dio, per amore del quale egli si metteva all'opera.
« lo aspetto una grande tempesta, scriveva un gior-
no alla Chantal, ma l'aspetto allegramente. Gli occhi
miei sono rivolti alla divina Provvidenza ; spero che
questa tempesta sarà per la maggior gloria di Dio e
pel mio meglio; e quest'a'spettazione mi riempie di
grande conforto. S'armi pure l'inferno contro di me,
mi si rivolgano contro la terra e gli elementi, tutte le
creature si muovano a guerra ; io non temo di nulla.
Mi basta sapere che sono con Dio e che Iddio è con
me. »
.
Diceva ancora, che, quando il Signore ci affida
qualche cosa a fare, bisogna eseguirla ad ogni costo,
nonostante qualsivoglia difficoltà.
Nelle tentazioni la sua confidenza in Dio era la
medesima, salda cioè e a tutta prova. Nè il vigor di
questa sua fiducia scemavasi quand'anche il Signore
indugiasse ad esaudire le sue preghiere : e diceva : « La
Provvidenza non indugia a soccorrerci se non per in-
citarci "alla confidenza in Lei. S e il nostro Padre cele-
ste non sempre ne dona quel che chiediamo, egli è per
tenerci più stretti a Lui, e darci motivo di quasi tirarlo
ad esaudirci con dolce violenza; come fece con quei due
discepoli di Emmaus, chè, non si fermò ad albergare con
essi se non verso sera, e quando quasi ve lo costrin-
sero. »
A n c h e alla sua inalterabile fiducia in Dio ha da at-
tribuirsi quella sua straordinaria qualità che aveva, di
consolare le anime afflitte e confortare quelle trava-
gliate da tentazione.
« Sorge la tempesta, scriveva egli ad una persona
che gli si era raccomandata per consigli e conforti,
sorge la tempesta, e vi dovreste voi creder perduta?
Pensate che siete con Gesù ! Se cadete in timore gri-
date alto : O Salvatore, salvatemi ! Egli vi stenderà la
mano ; e voi, strettala bene, andate avanti e non fer-
matevi a sofisticare sul vostro male. S. Pietro sull'onde,
finché ebbe fiducia camminò senz'affondare; smarrita,
la fiducia, cominciò di tratto a calare a fondo. »
« Diffidare pienamente di noi, e confidare intiera-
mente in Dio sono come i due piatti della bilancia ;
che l'uno s'abbassa quando l'altro si alza: quanto mag-
giore sarà la diffidenza di noi, tanto ancora maggiore
sarà la confidenza che avremo in Dio, e quanto meno
avremo di confidenza in Dio, tanto altresì avremo meno
di diffidenza in noi; e se niuna confidenza avremo in
noi, potremo andar certi d'averla tutta in Dio solo.
Quindi avviene, che coloro i quali si credono sapien-
toni e pieni d'umana prudenza, poco o nulla sperano
nella divina Provvidenza. »
« L a vera diffidenza di sè, che è virtù fondamen-
tale nel crisfianesimo,, è una diffidenza forte e corag-
giosa, la quale ci fa dire con l ' A p o s t o l o : Non sono io
che opero, ma la grazia di Dio in me. Senza di lei io
non posso fare nulla, non posso neppure concepire un
buon pensiero; con essa posso tutto, perchè quello che
all'uomo è impossibile è facilissimo'a Dio, il quale
può tutto ciò che vuole, e nulla può fargli resistenza. »
Della sua carità verso Dio. — « L a salute eterna
è mostrata dalla fede, è preparata dalla speranza, ma
non si dona che alla carità. L a fede mostra la via della
terra promessa come la colonna di nube e di fuoco,
la speranza ci nutre della sua manna soavissima ; ma
la carità sola c' introduce, come l'arca dell'alleanza,
nella terra celeste, promessa ai veri Israeliti ; nella
l i — B A R B E K I S , Vita di S . Francesco
di Sales.
Voi. II.

25.4 Page 244

▲back to top


quale non si ha più bisogno della guida della colonna
di nube o di fuoco della fede, nè della manna della
speranza. » '
Questo amore di Dio regnava sovrano, .assoluto nel-
l'anima di S. Francesco ed era il movente di tutta la
sua condotta.
Della carità poi egli parlava con sì sublimi e stu-
pendi pensieri, che, a dirne meno indegnamente, bi-
sognerebbe trascrivere qui l'ammirabile trattato che
ne fece, e intitolò il Teotimo, ossia Trattato dell'amor
di Dio. Ma io qui non intesserò se non una ghirlanda
d'alquanti fiori del suo giardino.
E veramente mirabile fu la carità nel nostro Santo.
Di lui si può dire che la carità era la sua Vita e gli
si- può applicare il detto di S . Paolo : « In me il vivere
è Gesù Cristo: Mihi vivere Christus est; » e quest'al-
tro: « V i v o ; ma noh vivo proprio io, è Gesù che vive
in me: Vivo, jam non ego, vivit vero in me Christus. »
« Ogni cosa mi sembra poco o nulla, diceva, fuor-
ché l'amore del nostro gran Dio; che anzi reputo un
vero nulla persino i gaudii celesti, paragonati con
l'amore di Dio. » Egli teneva per certo che se nel-
l'inferno si potesse amare Dio, l'inferno non sarebbe
più inferno, sebbene si fosse in quei grandi patimenti ;
è che il paradiso non sarebbe più paradiso se, anche
in mezzo a quelle gioie, non si potesse amare Iddio.
Scriveva poi alla Chantal : « Io bramo o di morire o
di amare il Signore: o la morte o l'amore, perchè la
vita senza amore è peggiore della morte. »
In vero egli dava sempre v,ita a tutte le sue azióni
col beneplacito dell'amor Divino; e non voleva altra
co sa in cielo nè in terra ; ma che si facesse la volontà
di Dio. Quante volte, come assorto, ripeteva, come
attesta la Chantal : « Tutto ciò che non è Dio è nul-
— 163 —
la. » Anzi questa fu come sua massima prediletta che
I potrebbe dirsi sua massima caratteristica : Tutto ciò che
' non è Dio è nulla. »
In quella guisa che S. Francesco d'Assisi era solito
dire: Dio mio e tutto; e S. T e r e s a : Tutto ciò che non
è Dio o per Iddio io lo tengo per cosa da nulla; nella
stessa guisa il nostro S. Francesco sovente aveva in
bocca un bellissimo detto, col quale e significava l'ec-
cellenza della sua carità verso Dio, e si eccitava ad in-
fervorarvisi sempre più; soleva dire: A colui al quale
Dio e tutto, il mondo è nulla.
« Colui che non si accontenta di Dio, diceva an-
cora, quasi commentando quella sua sentenza, da niuna
cosa potrà mai in questo mondo ricevere piena sod-
disfazione; perchè a colui al quale non basta ciò che
deve bastare, niuna cosa basterà giammai. »
« Quando sarà che l'amor divino ci si comunicherà
in modo da farci morire intieramente a noi medesimi,
e a non vivere più che per esso? Oh amore eterno!
l'anima mia vi vuole, vi sceglie per sua eredità. »
Anche agli altri raccomandava' sempre sovra ogni
cosa la carità, e voleva, secondo l'insegnamento del-
l'Apostolo, che non ci contentassimo di aver l'abitu-
dine di questa virtù; ma che tutte le singole azioni le
^ facessimo m o s s e l a lei: omnia vestra in caritatejiant.
Quindi ancora non cessava mai di ripetere e di incul-
care quello, che parimente dice l'Apostolo, che cioè
senza la carità non' c'è cosa che valga: e ripeteva che
queste cose non s'inculcano mai abbastanza affine d'im-
primerle profondamente nell'anima dei fedeli. Soggiun-
geva ancora: « Oh quante opere buone cadono inutili
, riguardo all'eterna salute perchè non ispirate dalla
carità ! »
« In quella guisa che l'architetto tira su la fabbrica

25.5 Page 245

▲back to top


con la sua squadra, col regolo, col filo a piombo alla
mano ; così noi per edificare le mura della celeste Ge-
rusalemme, e rendere le nostre azioni pietre vive, fa
d'uopo che sempre abbiamo dinanzi agli occhi il regolo
della carità, facendo ogni opera nostra per Iddio,
secondo quel detto dell'Apostolo: sia che mangiate,
sia che beviate, sia che facciate qualsivoglia altra cosa,
fate tutto nel nome del Signor nostro Gesù Cristo. »
Come i pensieri e le parole così erano i fatti di
Francesco ; la sua vita altro non era che un continuo
esercizio d'amore. Solo tale fiamma rende credibili le
smisurate, continue ed inaudite fatiche ch'egli sostenne
in tutta la sua vita, ma specialmente nella missione
del Chiablese.
E questo amore era in lui sì puro, e ne aveva il
cuore sì pieno, che non solo lo*guidava in ogni sua
azione, anche minima, ma ve lo moveva in modo, che
altro pensiero non v'entrava, che non fosse unicamente
per Iddio; e se aveva timore alcuno era timore di amo-
revol figliuolo, per cui temeva sopra ogni cosa l'offesa
di Dio e il recargli comechessia dispiacere ; al qual pro-
posito soleva dire, che amare per-timore è metter fiele
nel cibo, aceto nelle bevande; ma che temere per amore,
è metter zuccaro nell'assenzio.
Nè, per quantunque grande e sublime fosse questa
carità in Francesco, egli non si perdeva già in vani
desideri di esercitarla in cose grandi ed inusitate ; bensì,
col mostrarsi fedele nel poco, mostrava che non sarebbe
giammai venuto meno anche nel molto.
« È l'amore, diceva, che da il pregio a tutte le
opere nostre ; e non è punto col farne moltissime e
grandi, che ci rendiamo grati a Dio ; ma è l'amore con
cui le facciamo: soffrire un buffetto con due o n d e d'a-
more* vai più che soffrire il martirio con un'oncia sola. »
« Ognuno, scrisse nella Filotea, si fa una perfezione
a suo modo; gli uni la ripongono nell'austerità della
vita, gli altri nel far limosina, altri nel frequentare i
Sacramenti; per me, io non conosco altra perfezione,
che quella d'amar Dio con tutto il cuore ed il prossimo
come se stessi. Tutte le altre pratiche non sono che
mezzi di giungere alla carità; ma non sono la carità
stessa, nella quale solo sta la perfezione. »
Chiedendogli taluno in che maniera potesse perve-
nire ad amare Iddio con tutto il cuore, rispose : « Non
sapere per qual altra miglior via giungere ad amare
se non quella d ' a m a r e ; in quella guisa che studiando
s'impara a studiare, e parlando e lavorando s'impara a
parlare e lavorare, così amando s'impara ad amare. I
principianti comincino; a forza d'amare, il Signore di-
venteranno maestri; i proficienti seguitino a camminare
sempre avanti, e non si credano d'esser mai giuti a l '
termine, perchè la carità in questa vita sempre può
crescere. Desiderate d'amare Iddio sempre più arden-
temente. ^ a misura dell'amar è amarlo senza misura. »
* « Ahimè ! non abbiamo mai tanto amore quanto ce
ne bisogna; voglio dire, che bisognerebbe avessimo un
amore infinito, per averne abbastanza, per amare a do-
vere nostro Dio ; e con tutto ciò, miserabili che siamo,
gettiamo via prodigalmente questo amore in cose vili
e vane, come se ne avessimo d'avanzo. »
Egli per sè non poteva soffrire nel suo cuore af-
fetto a veruna cosa terrena. O n d ' è che disse un gior-
no : « Certamente se io conoscessi un sol filo di affetto
nell'anima mia, che non fosse di Dio o per Iddio, in-
contamente lo sradicherei, perchè vorrei essere piutto-
sto un nulla, che non essere tutto di Dio senz'alcuna
eccezione. »

25.6 Page 246

▲back to top


CAPO IV.
0
Del suo amore a Gesù in particolare.
Il cuore dell'uomo è fatto per. amare; ma pochi
sono coloro i quali sanno amare a dovere. I più si
lasciano vincere e signoreggiare dalla corrotta natura,
amano le ricchezze, amano la gloria, amano le crea-
ture e non rivolgono il loro amore a Dio, che è fonte
e principio di vero amore : si va perduti dietro larve
appariscenti ! e non si ama l'unica cosa veramente degna
di amore, non si ama Iddio. Fior di caduca bellezza
o splendor di gloria mondana non saranno mai- suffi-
cienti ad appagare un cuore fatto per.amare l'eterna
Bellezza. Sant'Agostino se ne lamentava già a' suoi
tempi, e andava sospirando: « Ci hai fatti per te, o
Signore, e sarà sempre irrequieto il cuor nostro finché
non riposi in te. »
Il nostro caro S. Francesco capì fin dalla sua infan-
zia questa grande verità; e comprese sempre meglio
crescendo negli anni che anche quaggiù l'amare Iddio
ha tanta dolcezza, che fa parere insipido ogni altro
amore, e che con Lui possono trovar sfogo tutti gli
affetti d'un cuore, quantunque ardentissimo. Egli com-
comprese presto, che l'amor di Dio è vita, essenza di
vita sublimemente dilettevole e beata.
Iddio, allo scopo di tirare a sè il cuore dell'uomo,
non isdegriò di vestirsi egli stesso d'umana carne e di
prendere gli affetti nostri, affinchè da Lui imparassimo
a regolarci, e S. Francesco di Sales fu uno di quei pri-
vilegiati, che più da vicino e perfettamente cercarono
d'imitare l'Uomo-Dio. La gentilezza sua non trovò nei
cuori terreni oggetto sufficiente ad appagarla; solo la
persona di Gesù Cristo il potè. Chi saprà mai dire quello
che sentisse l'anima sua, quando, nella contemplazione
dell'oggetto dell'amor suo, ne veniva scoprendo parte
per parte l'infinita amabilità? Chi misurare gli affetti
dell'amore ardentissimo, che quindi ne concepiva, e
che Gesù medesimo rinfiammava ed alimentava, per
sempre più renderlo degno delle sue grazie?
Uno dei motti più famigliari di S. Francesco era:
Viva Gesù, amor mio! Egli sempre pensava a Gesù ;
e, direi, slanciava il suo cuore a Gesù centinaia di
volte, ripetendo ; Viva Gesù, amor mio! Viva Gesù, che •
io amo! E come leggiamo di S. Francesco d'Assisi,
che passava le ore e le ore nella meditazione della pa-
rola Pater, o nel continuo ripetere: Dio mio e tutto!
Dio mio e tutto! così il Salesio meditava il nome di
Gesù, e passava le ore a contemplare tal parola, e nel
ripetere liiva Gesù, amor mio ! Viva Gesù, che io amo !
talché questo pensiero ed affetto s'era fatto abituai con-
dizione del suo spirito, e qualunque cosa dicesse .o
facesse era governato da quel sentimento medesimo.
Sempre aveva Gesù avanti gli occhi. Conferendo
gli ordini si rappresentava Gesù Cristo in atto di con-
sacrare i primi preti, gli Apostoli; andando a visitare
gl'infermi, se lo figurava in atto d'andare alla casa della
suocera di Simon Pietro, o della figliuola del principe
della Sinagoga; ricevendo visite se Lo rammentava in
atto di accogliere chiunque fosse andato per favellar-
gli; assistendo a qualche convito, pensava alle nozze
di Cana; essendo solo, fermavasi a mirarlo nella so-
litudine del deserto; perseguitato, lo seguiva per la
via per cui fuggiva in E g i t t o ; nelle domestiche rela-.

25.7 Page 247

▲back to top


zioni coi parenti, si rappresentava il modo con cui E g l i
conversava con Giuseppe e con Maria. Consolato, l'a-
dorava sili Tabor : afflitto, il mirava nel giardino degli
ulivi o sul Calvario, e così del resto.
« Quelli che amano Dio non possono mai cessar
di pensare a Lui, di respirare per Lui, d'aspirare a
Lui, di parlare di L u i ; e, se potessero, vorrebbero
imprimere su di tutti i petti il santo e sacro nome
di Gesù. » (Filotea)
« Insomma bisogna o amare o morire, o piuttosto
morire per amare, vale a dire, morire ad ogni altro
amore, che non sia quello di Gesù, e non vivere più
che per' Colui, il quale morì perchè vivessimo eterna-
mente tra le braccia della sua bontà. » '
« Non ho tempo, così scriveva il primo giorno d'un
anno ad una persona, non ho tempo se non di scri-
vervi la grande parola della nostra salute, Gesù. Pro-
nunziatelo dal fondo del cuore questo nome adorabile:
esso spargerà un balsamo delizioso sopra tutta l'anima
vostra. Che felicità sarebbe la nostra, quando nell'in-
telletto non avessimo che Gesù, nella memoria, nella
yolontà, nell'immaginazione Gesù, solo Gesù? »
Divozione a Gesù Bambino. — Nel ricorrere la
festa del, Santo Natale il suo cuore restava infiam-
mato da gentili e fervidissimi sentimenti. Egli era gran-
demente sensibile per le umiliazioni, per la debolezza e
povertà della sua infanzia.
« Il grande Bambino di Betlemme, scriveva, formi
per sempre la delizia e l'amore del cuor nostro. Oh
quanto è bello! Oh quanto mi piace più questo caro
bambinello nel presepio, che non qualsiasi re sul suo
trono! Oh quai santi affetti non desta egli mai ne'
nostri cuori questo mistero, specialmente l'abnegazione
— 169 —
rispetto ai beni, agli onori, a' piaceri di questq mondo !
Per me non v'ha mistero nel quale veda in sì mirabile
guisa congiunta la tenerezza all'austerità, l'amore al
rigore, la dolcezza alla severità... Non vi pare che al
solo vederlo ci animi a disprezzare le umane grandezze,
e richiami il nostro cuore all'amore dell'umiltà? In
effetto, che non dic'egli il divino Infante con quel suo
tacere? Il suo cuore spasimante d'amore ben dovrebbe
accendere il nostro! »
Divozione a Gesù Crocifisso. — Quello che so-
vratutto il commoveva e lo spronava ad amare il più
ardentemente che potesse Gesù Cristo, si era la pas-
sione di Lui. Si può dire che sempre ne avesse pieni
la mente ed il cuore.
• Uno tra i primi frutti del suo zelo appena entrò
nello stato ecclesiastico' fu di istituire una confrater-
nita dei penitenti di Santa Croce, e durante il suo
apostolato nel Chiablese compose un'opera per ven-
dicare questo segno della nostra Redenzione dagli ol-
traggi che gli venivano fatti.
Portava sul cuore continuamente uu libretto del-
l' istoria della Passione, scritta di sua mano, e l'aveva
per iscudo contro le tentazioni, e per isprone a sempre
più infervorarsi nell'amore del suo Redentore bene-
detto.
Penava assai a rattenere le lagrime quando pensava
a Gesù crocifissolo parlava di lui o ne guardava l'im-
magine. « Oh ! se il nostro divin Salvatore ha fatto
tanto per noi, che dovremo fare noi per L u i ! S'egli
ha data la vita per noi, perchè non consumeremo noi
pure la nostra per suo amore e servigio ? »
Soleva dire, che lo stimolo più acuto da farci pro-
fittare nell'amore, si era appunto la considerazione

25.8 Page 248

▲back to top


dei patimenti e della morte del Figliuolo di Dio : « Il
monte Calvario, diceva, è la vera scuola dell'amore...
f ogni amore che non nasce della passione del Salvatore
è vano e pericoloso. »
Piacevagli di contemplare l'immagine della Santis-
sima Sindone, e ne portava sempre una nel breviario,
un'altra teneva nella sua camera, un'altra nello studio,
nella cappella. Domandato perchè mostrasse tanto a-
more a siffatta immàgine: « A h ! egli è perchè è il
ritratto de' patimenti di Gesù Cristo, fatto col suo
proprio sangue ; e ancora perchè nulla mi par più ac-
concio a nutrire la pietà, e a ravvivare il fervore. »
Il crocifisso, a suo avviso, era il vero libro del
cristiano : « Oh ! esclamava alle volte, se il nostro Si-
gnore ci ha amati fino alla morte di croce, che resta
egli a fare a noi, se non morire del pari d'amore per
L u i ; o, morir non potendo, vivere almeno del suo
amore? Dovremmo pur noi consumare la nostra vita per
amore e servizio suo ! »
Raccomandava a tutti di portare sempre un piccolo
crocifisso sul petto, e baciarlo con amore, e di quando
in quando riguardarlo con riverenza ed affetto, dicendo:
« 0 Gesù, diletto dell'anima mia, non isdegnate ch'io
vi stringa al mio seno come un mazzetto di mirra;
vi prometto che la mia bocca, ch'ora ha la somma
ventura di baciare la vostra santa-cròce, s'asterrà d'ora
innanzi dalla maldicenza, dalla mormorazione, da ogni
qualunque parola che possa a voi dispiacere ; vi pro-
metto che i miei occhi, i quali ora mirano scorrere il
sangue e le lacrime che voi versaste pe' miei peccati,
non guarderanno più le vanità del mondo, nè cosa
che porti pericolo d'offender voi; vi prometto che le
mie orecchie, le quali ora ascoltano con tanta consola-
zione le sette parole da voi pronunziate in croce, non
diletteranskpiù delle vane lodi, nè delle inutili conver-
sazioni, nè delle parole offenditrici del prossimo; vi
prometto che-il mio spirito or che ha studiato con
tanto amore il mistero della croce, non s'aprirà più ai
pensieri o ad altre immaginazioni vane o cattive; che
la mia volontà, sottomessa alle leggi della croce ed
ali!amor di Gesù crocifisso, più non avrà se non carità
pe' miei fratelli ; che nulla infine entrerà nel cuor mio,
o n'uscirà senza licenza della santa Croce, della quale
farò riverentemente sovra di me il sacro segno, andando
a letto e levandomene, ed in tutti i travagli della
vita. »
Spesso meditava i vari misteri della -Passione, ed .
invitava pure gli altri a farlo, dicendo, che da tal
meditazione l'anima raccoglie immensi e numerosi frut-
ti ; ed egli, tutti, gli anni, la notte dal giovedì al ve-
nerdì Santo, anche quando era già vescovo, prendeva
parte alla processione dei penitenti che si soleva fare,
e v'andava a pìè nudi, e tornato a casa aspramente
si disciplinava, intendendo in tal guisa di onorare la
Passione del Signore, ed offrirsi vittima, di espiazione
per la salute del popolo.
,
Divozione al SS. Sacramento. — Anche la gran
divozione che nutriva al SS. Sacramento dell'Euca-
ristia aveva dello straordinario. Nulla può dare un' idea
dei sentimenti di rispetto che questo sacramento gli
ispirava e dello zelo col quale cercava di far onorare
la Santissima Eucarestia anche dagli altri.
La Chantal testifica: — « Interveniva alla Benedi-
zione del Santissimo dovunque sapeva doversi impar-
tire, e là stava a ginocchio, con sì profonda umiltà,
con sì modesto contegno, con tale raccoglimento, che
tutti ne ejrano edificati. Non guardava mai qua e là,

25.9 Page 249

▲back to top


non si muoveva, pareva una statua; amava meglio
lasciarsi mordere e tormentare dalle mosche il calvo
suo capo, che fare alcun movimento per discacciarle.
A ' piedi degli altari si sprofondava in adorazione e
contemplazione del suo Diletto, che sapeva e sentiva
lì presso a lui realmente presente. « Oh Dio ! ed è
pur vero, che voi ve ne state sui nostri altari continu-
amente, e tanti e tanti cuori, anche a voi consacrati,
non solo non vengono a visitarvi, ma neppure pensano
a voi, tanto sono lontani dall'amor vostro! E ' sarebbe
cosa incredibile, se non si vedesse per troppo dolorosa
esperienza, che v'abbiano anime, le quali credono che
Dio sta realmente presente, e non si muovono, nonché
volino a' suoi piedi. Ah ! colui che, potendo, non
consacra qualche tempo ogni dì nella visita di Gesù
sacramentato dimostra troppo aperto o di non avere
amore o di non avere mai considerato alquanto seria-
mente che stupendo mistero sia questo! Dio, l'essere
eterno, onnipotente, immenso ; Gesù Cristo, il Reden-
tore, il padre, l'avvocato, il maestro, il capo nostro,
che sta là realmente presente sotto le specie sacra-
mentali, sacerdote e vittima per amor nostro ! oh '
abisso di amore! oh abisso d'ingratitudine! » •
Specialmente quando teneva tra le sue mani il
Santissimo Sacramento e quando lo portava agli am-
malati o in processione la sua pietà s'infiammava e
risplendeva più che mai.
Un dì che avea portato il SS. Sacramento alla
processione: « Ho portato, diceva, sovra il mio petto,
e vicinissimo al mio cuore, il mio Redentore! Oh! se
il mio cuore fosse stato abbassato dalla umiltà, io avrei
tirato in me questo divin Salvatore ! Che senso di tene-
rezza non provai io mai sentendo cantare le parole del
salmo: il passero ha la sua casa, e la tortorella il nido
da porre i pulcini! O Regina del cielo, dissi allora tra
me e me, o Maria, castissima tortorella! il vostro pul-
cino ha adunque per nido il mio petto ! E che com-
mozione non mi diedero al cuore quelle parole della
Cantica : il mio diletto è tutto mio, ed io son tutto suo ;
egli sta sul mio cuore. E quelle altre ancora, che Gesù
sembrava rivolgermi: mettimi come suggello al cuor
tuo! ed era pur sopra il mio cuore ch'io difatti il
teneva. »
Non si può dire quanto patisse al vedere la San-
tissima Eucarestia sì spesso oltraggiata dagli eretici,
sì poco stimata dai cattolici, sì trascurata da quegli
medesimi, cui se ne affida la custodia. Per ciò scrisse
tanto sul diviri Sacrificio e sulla Comunione frequen-
te, ben fatta.
Suoi insegnamenti riguardo la Comunione fre-
quente e quotidiana. — La Santa Eucarestia era da
lui giudicata la vera sorgente del fervore e dell'amor
di Dio. « L^esperienza mi fece toccar con mano, in
venticinque anni che sono al servizio delle anime,
l'onnipotenza di questo Sacramento per fortificare i
cuori nel bene, tenerli lungi dal male, consolarli, divi-
nizzarli su questa terra, purché sia ricevuto colla fede,
bolla purezza e colla divozione che si convengono. »
Ne' suoi Opuscoli scrive: — « La Comunione fre-
quente, quando è ben fatta produce frutti non meno
ammirabili che numerosi : _
i° Unisce l'anima con nostro Signor Gesù Cri-
sto, come dice egli stesso: Chi mangia la mia carne
e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui.
Qui manducat meam carnem et bibit meum sangui-
nem in me manet et ego in eo.
20,Aumenta e conserva la grazia nell'anima, dà

25.10 Page 250

▲back to top


abbondanza 'di virtù, forza contro le tentazioni, vit-
toria sopra i nemici, ed anche prosperità di vita cor-
porale e perfezione di vita a chi spesso e degnamente
vi si accosta.
,
3° Illumina l'intelletto, rallegra il cuore, dissipa
le tenebre e le malinconie.
4° Accresce gli abiti virtuosi, spunta l'aguzzino
della carne, tempera il fuoco della concupiscenza.
5° Rende l'anima umile, pia, divota, paziente, e
infiamma la volontà dell'amore di Dio.
6° Rianima la speranza colla certezza della fede
ed accresce la divozione.
7° Rimette e cancella i peccati veniali, preserva
dai mortali, fa perseverare nei buoni propositi e supe-
rare generosamente tutti gli ostacoli.
8° Fa partecipare a tutti i meriti di nostro Si-
gnor Gesù Cristo, e dà un pegno sicuro della gloria
del paradiso.
9° Ci rende pronti a fare il bene, compassio-
nevoli verso i bisognosi, terribili ai demoni dell'inferno.
IO0 Diminuisce da ultimo il debito che a noi ri-
mane a pagare alla Divina Giustizia pei nostri peccati.
Ad una persona che andava alla «Comunione
tutti i giorni, e gli espresse il timore fossero troppo
frequenti, di modo che si credeva obbligata a diminuirne
il numero egli disse: « Non sarà mai che io vi tolga
il pane quotidiano. Vi dirò anzi che vi comunichiate
sempre arditamente ogni qual volta il vostro confes-
sore ve lo permette.
Due sorta di persone, dice nella Filotea hanno bi-
sogno di comunicarsi sovente: i perfetti perchè es-
s e n d o bene disposti avrebbero il torto di non ac-
costarsi alla fonte della perfezione ; gli imperfetti per
poter giustamente arrivare alla perfezione. I forti, per
tema di indebolirsi ; i deboli per diventar forti. I sani
per non ammalare; i magati per guarire. Comunica-
tevi adunque spesso, più spesso che vi è possibile.
Così vinse le ripugnanze di molti e propagò la
Comunione frequente, e in questo modo ravvivò la
vera pietà nei cuori.
Per esortarci alla frequente Comunione esce in
questi bei paragoni : « Si dice che Mitridate, re del
Ponto, avendo inventato la mitridate, una specia d'un-
guento corroborante, rinforzò talmente, col mezzo di
quella, il suo corpo, che provando in appresso di av-
velenarsi per evitare la servitù dei Romani, non gli
fu possibile. Il Salvatore istituì questo augustissimo
Sacramento dell' Eucaristia, che contiene realmente
la sua^ carne e il suo -sangue, affinchè chi lo mangia
viva etenamente, perciò chiunque ne usi sovente e con
divozione rinforza talmente la sua sanità, e la vita della
sua anima, che riesce quasi impossibile d'essere av-
velenati da alcuna sortà di male affezioni. Non si può
essere nutriti di questa carne di vita e vivere di af-
fezioni di morte. Sicché, come gli uomini dimorando
nel Paradiso terrestre non potevano morire secondo il
corpo, per la forza che dava*il frutto vitale che Dio
vi aveva messo, così non può morire spiritualmente
per la virtù che dà il sacramento di- vita. Che se le
frutta le più tenere e soggetterà corruzione, come sono
le ciliegie, le albicocche e le fragole, si conservano fa-
cilmente tutto l'anno quando sono confettate allo zuc-
chero o al miele, non farà maraviglia se i nostri cuo-
ri, quantunque fragili ed imbecilli, siano conservati
dalla corruzione del peccato quando sono inzuccherati
e confettati dalla carne e dal sangue incorruttibili del
Figlio di Dio. » ,
Riguardo alla frequenza della santa Comunione egli

26 Pages 251-260

▲back to top


26.1 Page 251

▲back to top


insiste che sia grande, e ribadisce i suoi ammonimenti
per ottenere che i secolari, esposti a tutti i pericoli
del mondo, almeno non lascino passare la domenica
senza comunicarsi ; poi insinua apertamente e loda
chi fa la, Comunione quotidiana. Portando il detto di
Sant'Agostino il quale soggiunge: « l'uso di ricevere ]a
santa Comunione tutti i giorni io nè lo lodo ne lo vitupe-
ro. » — aggiungeva: « ma di riceverla tutte le domeni-
che io lo persuado e lo esorto a ciascuno, purché l'a-
nima sia senza affezione al peccare. » Egli poi non
solo non condanna l'uso della Comunione quotidiana,
ma positivamente lo insinua, ed anima a farla ; e per
sciogliere l'obiezione di molti i quali sì basavano sul
detto di S. Agostino per non ammettere la Comunione
quotidiana, espressamente soggiunge: « Fu graziosa
la risposta di S. Caterina da Siena, la quale, quando
le fu opposto, in riguardo alla sua Comunione quoti-
diana, che S. Agostino nè la lodava nè la vituperava:
ebbene, soggiunse, poiché S. Agostino non la vitu-
pera, io 'vi prego che neppur voi non la vituperiate,
ed io mi contento di questo. »
Nella pratica poi vediamo che le suore della Visita- .
zione, delle quali egli era padre spirituale, andavano
tutti i giorni a cibarsi del pane dei forti.
Pel ringraziamento della Comunione insegnava :
« Dopo la S. Comunione fate venire un dietro l'altro
alla presenza di Gesù Cristo assiso sul trono del vo-
stro cuore, tutti i vostri sensi e le potenze dell'anima
vostra, per ricevere i suoi ordini e promettergli la fe-
deltà. »
Con ugual premura, ai fedeli che volevan' far vita
cristiana raccomandava di non passar giorno senza as-
sistere alla Santa Messa; e pel gran desiderio d'in-
spirar loro alta stima del divin Sacrifizio, il rappresen-
tava come « centro della religione cristiana, cuore
della divozione, anima della pietà, mistero ineffabile
che comprende l'abisso della divina carità, e mezzo
supremo pel quale Iddio comunicandosi realmente a
noi, ci comunica insieme le sue grazie ed i suoi fa-
vori » (Filotea, parte II, capo 14).
Inginocchiato, ed immobile come una statua, in-
nanzi al SS. Sacramento, andava considerando Gesù,
che stava là, col suo. Cuore palpitante d'amore per
noi; e andava studiando uno ad uno i palpiti di quel
Cuore divino, e il modo di corrispondervi.
Sua divozione al Sacratissimo Cuore di Gesù.
E qui mi sia lecito, avendo dovuto nominare il Sa-
cratissimo Cuore di Gesù, di parlare un po' più diffusa-
mente della divozione del nostro Santo verso cotesto
Cuore Sacratissimo, e che esponga come il Signore abbia
voluto servirsi di lui, per preparare il mondo alle grandi
rivelazioni, che voleva farci riguardo a cotesta divo-
zione*, che è come la divozione a Gesù medesimo, ed
è la più eccellente delle divozioni.
11 dolcissimo Cuor di Gesù è come un soie sfol-
gorante di luce e di calore, destinato ad illuminare e
riscaldare la pietà dei fedeli. Il giansenismo, figlio di-
sgraziato del protestantesimo, aveva nel secolo XVI
agghiacciato il cuore degli uomini, dipingendo Iddio,
non come infinito amore ed infinita misericordia; ma
come un essere il cui attributo principale fosse l'ine-
sorabile giustizia, spaventando per tal modo i cristiani
ed allontanandoli dai sacramenti.
San Francesco si oppose per tutta la sua vita e
con tutte le sue forze agli errori giansenistici, e tutte
le sue fatiche furono rivolte a far amare Gesù, dipin-
gendolo come infinitamente buono ed infinitamente
1 2 — B A R B E R I S , Vita di S . Francesco
di Sales.
Voi. II.

26.2 Page 252

▲back to top


!
amabile, cercando così di abbattere fin dalle sue fonda-
menta il giansenismo ; e l'amabilissimo Redentore, che
voleva scegliere quei tempi, e l'Ordine della Visita-
zione da lui fondato, per mostrare al mondo il suo di-
vin Cuore traboccante di amore e divorato dallo zelo
per la salute delle anime, invitando tutti ad accostar-
g l i per attingervi le ricchezze inesauribili di vita
eterna in esso racchiuse, aveva dato carismi al tutto
speciali a questo suo servo.
Fu certamente il suo sviscerato amore per Gesù
quello che attirò lo sguardo di Gesù sopra di lui, che
lo fece amare da Gesù con amore di predilezione, che
lo fece prescegliere per un atto dei più grandi, che
Dio volesse compire sulla terra, quasi una nuova al-
leanza tra l'amor suo e l'umanità. Sì, fu Iddio che
prescelsce il nostro S. Francesco a precursore della
divozione speciale, che voleva rivelarci riguardo al
suo Sacratissimo Cuore. Come S. Giovanni Battista
fu scelto a precursore della venuta del Salvatore del
mondo, cosi, credo di poter dire, San Francesco di
Sales fu scelto ab eterno come precursore della divo-
zione al Sacro Cuore di Gesù, perchè fu il primo a
proporre non oscuramente al mondo, come oggetto di
particolarissimo culto, cotesto Cuore adorabile, (i)
Sì, egli, il nostro Santo, doveva preludere alla so-
lenne decisione della Chiesa sul culto così affettuoso,
così commovente, al Sacro Cuore di Gesù. Le sue ar-
denti aspirazioni furono, a. dir così, l'aurora di quelle
( i ) Molto opportunamente l'illustre Alibrardi, nel presentare
alla Sacra Congregazione dei Riti la sua memòria pef il dot-
torato di San Francesco di Sales, si studia di richiamare l'atten-
zione sopra il privilegio, ch'ebbe il santo vescovo di Ginevra, di
essere non solo il precursore, ma anche il profeta della divozione
al Sacro Cuore di Gesù.
t7g
universali manifestazioni, onde il nostro tempo è stato
testimonio.
1
L'ordine della Visitazione si destinava nei consigli
della divina Provvidenza a far grandeggiare questa di-
vozione, a darle uno sviluppo più determinato, più
bello, più luminoso attraverso i secoli; ma settant'anni
prima delle apparizioni di Gesù alla beata Margherita
Maria Alacoque, nostro Signore, gettando uno sguardo
su colui ch'era preordinato a legislatore di questo ordine
glorioso, gli dava un cuore modellato .sul cuor Suo;
ne formava cioè il più dolce ed il più umile dei cuo-.
ri. Nessuno, per quanto si conosca, praticò in maniera
più perfetta di Francesco la grande massima del divin
Maestro: « Imparate da me,-che son mite ed umile
di cuore. »
« Quanto è buono il Signore, scriveva, quanto è
amabile il suo Cuore ! Abitiamo quivi come in un sa-
cro asilo. Deh! che questo Cuore viva sempre nei
cuori nostri, e che questo sangue ribolla del continuo
nelle vene dall'anime nostre. » (i)
« Io avrò ogni giorno, diceva ancora, determinato
un certo tempo, per il sonno dell'anima mia... sull'ama-
bile petto, ossia sul Cuore amoroso del Salvatore. » (2)
« Dio mio, quanto sarei- felice se un giorno, dopo
la santa Comunione, trovassi il mio povero cuore fuori
del petto, e messo in suo luogo il Cuore del mio bene,
Gesù ! » (3)
In una lettera che scrisse ad un giovine religioso :
« Voi state molto presso a Betlemme, gli dice : il
Salvatore delle anime nostre da quella mangiatoia v'in-
segna col suo silenzio tante virtù... il suo piccolo Cuore,
(1) Lettera 640.
(2) Trattenimenti spirituali.
(3) EDOUARD, 272.

26.3 Page 253

▲back to top


180
palpitando d'amore per noi, dovrebbe pur infiammare
il cuor nostro ! »
La beata Margherita Alacoque scrisse: « Mentre
il beato Francesco viveva su questa terra, faceva suo
soggiorno nel Cuore di Gesù, dove il suo riposo non
poteva essere interrotto dalle maggiori occupazioni. Co-
me Mosè, per i suoi famigliari colloqui col Signore, di-
ventò il più "dolce degli uomini, così la famigliarità del
divino amante sollevò S. Francesco di Sales alla pratica
delle due virtù del Sacro Cuore di Gesù : la dolcezza
e l'umiltà. »
« Chiudete, scriveva il nostro Santo ad una religiosa,
chiudete iì vostro Cuore nel fianco squarciato del Salva-
tore, ed unitelo a questo re dei cuori, che siede come
in un trono regale per ricevere l'omaggio e l'obbe-
dienza di tutti gli altri cuori: di quella ferita non è
chiuso mai l'accesso, acciocché ognuno vi si possa
accostare ed avere udienza. »
Noi possiamo considerare S. Francesco di Sales,
dichiarato dai Sommi Pontefici come Dottore di santa
Chiesa, quale Dottore speciale del Sacro Cuore di Gesù ;
e per meglio intendere che egli si possa chiamare a
buon diritto il Dottore del Sacro Cuore, basta conside-
rare successivaménte i diversi aspetti di questa divo-
zione e come San Francesco li abbia illustrati. .
Il fine supremo della divozione al Sacro Cuore è di
rendere a Gesù amor per amore : « Gesù Cristo re-
gnerà, piaccia o non piaccia a' suoi nemici, scrisse la
beata Margherita, e prenderà possesso de nostri cuori;
perchè il fine principale di questa divozione è di gua-
dagnare le anime al suo amoré. »
Ebbene ! Chi meglio di S. Francesco, amò Gesù, e
contribuì maggiormente a fargli rendere amore per
amore? E non è forse egli un imitatore perfettissimo
del Cuore di G e s ù ? Davvero che si può dirlo una ri-
velazione della benignità ed umanità del nostro Sal-
vatore ! E chi contribuì dì più a farlo amare dagli altri?
Nell'istituire l'Ordine della Visitazione non ebbe egli in
mira di circondare Gesù di cuori amorosissimi ? e non
riuscì egli in questo suo intendimento sopra ogni al-
tro? E non è egli che con la sua vita, colle sue fati-
che, co' suoi scritti, e specialmente col suo Teotimo
fece superiormente ad altri rendere a Gesù amore per
amore? Non è a lui, direi così, che fu riservato l'o-
nore di persuadere l'umanità, ch'essa era amata da
Dio e che perciò essa doveva amare molto Iddio ?
L'oggetto spirituale e principale della divozione
al Sacro Cuore, è l'amore di Gesù per gli uomini. Ora
vi ha alcuno che abbia parlato dell'amore di Gesù
Cristo con più lumi e maggior soavità del nostro santo
Dottore ?
L'oggetto sensibile e materiale della divozione al
Sacro Cuore è il Cuore carnale di Gesù ; questo Cuore
di Dio, Ve%rbo incarnato, è pure organo materiale della
santa umanità di Gesù Cristo, sorgente generosa e fe-
conda del sangue della Redenzione. Or San Francesco
di Sales fu il primo, come già si disse, a proporre non
oscuramente al mondo, come oggetto di particolarissimo
culto, questo Cuore adorabile, e si compiaceva di atti-
rargli l'amore di tutti i cuori.
Quando la baronessa di Chantal stava per recarsi ad
Annecy, ad iniziare l'ammirabile suo Ordine, riceveva
una lettera di S . Francesco di Sales in cui questi le
diceva: « Io spero, mia figlia,» che d'ora innanzi non
abiteremo più in noi stessi, ma col cuore, colla inten-
zione, colla confidenza abiteremo per sempre nel co-
stato aperto del Salvatore. »
E d il giorno prima che la santa si chiudesse nel

26.4 Page 254

▲back to top


suo monastero., le scriveva : « Mi è d'uopo significarvi,
figliuola mia, che non ho veduto mai con tanta chia-
rezza come adesso, che voi siete mia figlia, vo' dire
come io vi vedo nel Cuore di nostro Signore. O figliuola
mia, quanto ardo di desiderio che la nostra vita sia
nascosta con Gesù Cristo in Dio ! Ora mi ritiro a pre-
gare alquanto su questo punto e supplicherò il Cuore
regale del Salvatore per il nostro cuore, (i)
E alle sue figliuole spirituali, raccolte in quei primi
momenti a lui d'intorno, diceva: « L'altro giorno con-
siderando, in- tempo della preghiera, il costato aperto
di nostro Signore, e vedendone il cuore, parevami pure
che tutti i nostri cuori gli facessero corona, e adoras-
sero il Re sovrano dei cuori. »
In un'altra lettera, del io giugno 1 6 1 1 , alla madre
di Chantal, leggiamo queste care parole: « Buon giorno,
mia carissima madre Iddio mi ha mandato questa
notte il pensiero, che la nostra casa della Visitazione
è, mercè sua, tanto nobile e degna di onore, da poter
avere il suo stemma, la sua bandiera, la sua divisa, il
suo grido d'armi. Ho immaginato dunque, mia .cara
madre, se voi siete d'accordo, di prendere per insegna
un unico cuore trapassato da due frecce, e chiuso da
una corona di spine, e che questo cuore sostenga una
croce, e vi si leggano i sacri gnomi di Gesù e di Maria...
La nostra piccola Congregazione è un'opera veramente
del Cuor di Gesù e di Maria ; il Salvatore morendo ci
ha messo alla luce per la ferita del sacro suo Cuore. »
Ed è da notare che così scriveva, il gran vescovo,
il Venerdì dopo l'ottava del Corpus Domini, cioè il gior-
no scelto da tutta l'eternità per essere dedicato al sacro'
Cuore; il giorno in cui 74 anni dopo, nostro Signore
(1) Lettera 5 giugno 1610.
183
disse alla beata Alacoque: « Voglio che il venerdì, dopo
l'ottava del SS. Sacramento sia giorno di festa solenne
in tutta la Chiesa in onore del mio divin Cuore. »
Da questo giorno le religiose porteranno il sacro
Cuore di Gesù inciso sulle croci che loro devono
pendere dal petto ; splenderà in capo a tutte le loro
scritture pubbliche e private; sarà il suggello delle loro
lettere; si vedrà scolpito sopra la porta maestra d'ogni
loro monastero. Così un architetto quando ha posto
l'ultima mano ad uno splendido edifizio colloca sopra
la porta principale lo stemma del nobile signore che
andrà ad abitarlo.
Dovendo il cuor di Gesù essere il soggiorno delle
figlie della Visitazione, San Francesco con quanto ha
di eloquenza e di pietà ne esalta la bellezza. « Oh
mia figliuola, scriveva ad una di loro il 18 Febbraio
1618, se guardate questo Cuore è impossibile che non
vi piaccia: un Cuore così dolce, cosi soave, così con-
discendente, così amoroso verso le meschinelle creature
che riconoscono il propio nulla, così, pietoso verso i
miserabili, così buono verso i pecatori! Oh chi non
amerebbe questo real Cuore tanto paternamente materno
verso di noi ? »
« Oh mie figliuole, diceva altra volta essendo tutte
radunate, è meglio dormire nel sacro petto di Gesù
che vegliare dovechessia. »
Figlie del Sacro Cuore di Gesù! Ecco il nome che
60 anni prima'delle rivelazioni alla Beata Margherita
Alacoque, S. Francesco di Sales ha imposto alle sue
religiose. E a sua volta la madre di Chantal, in una
lettera alla madre De Brechard, chiama S. Francesco
di Sales il figlio del Cuor di Gesù.
L'incredulità non vuol saperne dei misteri più sacro-
santi di nostra cattolica religione, e tanto meno vuol

26.5 Page 255

▲back to top


saperne della divozione al Sacro Cuore di Gesù ; e
quando essa sorse gridò alla novità della cosa ed
all'inopportunità, e la rigettò. È ben facile a provare
che il culto al sacro Cuore di Gesù è cosi antico come
la Chiesa, perchè oggetto di questo culto è il cuore
della persona del Verbo, a cui è inseparabilmente ed
ipostaticamente congiunto. S e si adora l'umanità di
•Gesù perchè ipostaticamente unita alla divinità, se si
dà culto di adorazione alle cinque piaghe, al prezioso
sangue, perchè non si dovrebbe adorare il suo Cuore
Sacratissimo? perchè non gli si renderebbe un culto
di Latria e non gli si attribuirebbero atti speciali di
culto?
Questa divozione non è nuova che nella forma.
Questi 'sono ammaestramenti di S. Francesco che
devono farlo tenere come Dottore del culto del Sacro
Cuore di Gesù.
CAPO V.
Della pietà di S, Francesco di Sales.
L'uomo può nulla da sè: in ogni sua azione ha
bisogno dell'aiuto di Dio. Egli inoltre è inclinato al
male, molti nemici lo circondano. Che cosa lo sosterrà
nei pericoli? S. Paolo ci ammaestra che la pietà è utile
a tutto, avendo le promesse della vita di adesso e
della futura. Il nostro san Francesco pertanto dà mas-
sima importanza alla pietà. Dicano i mondani quanto
vogliono, ma questo .è un fatto, che i veri, i .più
grandi benefattori dell'umanità furono dotati di pie-
tà insigne. S. Francesco di Sales poi non solo pra-
ticò grandemente la pietà e la divozione in se stesso ;
ma fu uno degli uomini, che più d'ogni altro al mondo
contribuì a propagare la vera pietà e la soda divozione
nei fedeli.
La pietà sua era soda e profonda: non la faceva
consistere in semplici affetti verso Dio, o in semplici
pratiche esteriori ; ma la considerava come un esercizio
pratico per giungere alla perfezione spirituale; era come
una scuola di disciplina morale e cristiana che gli faceva
apprendere la sublime scienza della croce, l'arte diffi-
cile di rendersi padrone del cuore, di reprimere gli
appetiti disordinati e di vincere se medesimo.
Spirito di preghiera. — Come già si è visto fin
dal principio de' suoi studii, S. Francesco seppe rego-
lare le sue giornate e prescrivere a se stesso le prati-
che necessarie per tener viva la sua pietà. Più fedele
ancora a questi propositi diventò al suo entrare nello
stato ecclesiastico. Il suo primo esercizio d'ogni giorno
era il pregare. « A l mattino, egli dice, dopo d'aver
invocato il nome di Dio e di avergli offerto me stesso,
farò un'ora di meditazione, ecc. »
Dava anche un' importanza straordinaria alla lettura
spirituale. « La meditazione, diceva, è la lucerna che
guida i nostri passi, ma la lettura spirituale è l'olio \\
che deve alimentare questa lucerna. D a questa fonte
nascono i buoni pensieri, che danno alla meditazione
luce e calore. » Perciò nell'ultimo suo regolamento ne. |
stabiliva un'ora. « Dopo cena si leggerà qualche libro
di divozione per lo spazio di un'ora. E ciò servirà in
parte di studio e in parte di orazione. »
"Egli, come si è già detto, aveva uno spirito di

26.6 Page 256

▲back to top


— 186 —
preghiera straordinario; e si può dire che la sua pre-
ghiera fosse continua, poiché tutte le opere le faceva
convergere a preghiera. A v e v a poi continuamente il
pensiero della presenza di Dio, e questo lo faceva ar-
dere d'amore pel Signore. A v e v a un sì alto concetto
della divinità, che parlando di Dio si componeva a
grande riverenza, e voleva che se ne avesse gran rive-
renza da tutti, pensando ch'Egli è presente ovunque:
« Dio trovasi dovunque, sebbene non si renda visibile
in alcun luogo, come l'anima è nel corpo sebbene non
la si veda. »
E r a sua massima, che Dio vuol essere trattato da
Dio; e conseguentemente si diportava in modo, che,
fosse solo o no, sempre teneva rispettoso e modesto
contegno, per riverenza a Dio, alla cui presenza sem-
pre sentiva di essere.
-1
Non pronunziva mai il nome di Dio e di Gesù
Cristo senza gran venerazione: riprendeva chiunque
nel parlare o nello scrivere facesse entrare questi nomi
come parole indifferenti, o come semplice riempitivo, o
senza ragion sufficiente; ed esigeva anche dagli altri
che se ne parlasse con grande stima e venerazione.
Medesimamente non parlava mai dell'azione di Dio
nel governo del mondo, se non con parole di profondo
. rispetto. Non fu mai udito dire: « F a troppo c a l d o :
fa troppo freddo od altre simili cose, asserendo che
questa parola troppo avevagli aria d'un volerla dire
con la divina Provvidenza. »
Tuttavia non fu mai esagerato: voleva che in ogni
suo modo o fatto non apparisse il1 minimo segno d'af-
fettazione, e prese, e tenne per tutta la sua vita, un
contegno umile, degnitoio e divoto, ma senz'alcuna
singolarità.
Per costume preso, e fu premio della sua costanza,
— 187 —
gli venne fatto d'aver la mente ed il cuore così con-
tinuamente rivolti a Dio, ch'egli stesso ebbe a dire
un dì: « Quantunque io sia spesso così pieno di fac-
cende, che non so dove volgermi, nè da che parte in-
cominciare, nondimeno non ci ho disturbo veruno nella
recitazione del divino ufficio, e non ne ho mai distra-
zioni. M'immagino allora d'essere in cielo a cantar le
lodi a Dio con gli Angioli del Paradiso; e, uscendo
dal coro, non so come, ma que' medesimi affari che
prima mi parevano montagne, li spedisco in un mo-
mento; certo è Dio che vi mette la sua mano. »
Forte biasimava coloro che fanno il segno della
santa croce indivotamente, o disattentamente, e rac-
comandava a tutti di farlo con gran riverenza. Rac-
comandava a tutti di portare il Crocifisso al collo.
Aveva immaginati i più graziosi paragoni ad eccitare
la pietà dei fedeli in quell'atto religioso.
Quando assisteva alle processioni, il suo angelico
diportamento colpiva tutti gli sguardi ed inspirava
divozione.
In che facesse consistere la vera divozione. —
Ma ciò che distinse la pietà di Francesco, e che lo
fece chiamare il ristoratore della vera pietà sì è l'im-
pronta di ragionevolezza e di sodezza che diede alla
vera pietà. Non poteva sopportare che si facesse con-
sistere la pietà in sole pratiche esteriori ; egli voleva
che si facessero tutte le opere con lo scopo diretto di
piacere a Dio: metteva l'esecuzione dei doveri del pro-
prio stato in prima linea, e diceva in questo consistere
la vera pietà. Inculcava molto la massima: « Non dob-
biamo mai trascurare i doveri per le nostre divozioni. »
Grande massima, verissima sotto ogni aspetto, e che
contiene un profondo senso morale e cristiano. Cre-

26.7 Page 257

▲back to top


dere di servire Iddio, solo quando si esercitano atti di
pietà è un errore sommamente nocivo ; anzi è un tra-
visare al tutto il vero concetto della pietà. I santi sono
altrettanti esempi di una pietà tenerissima e di un fe-
dele adempimento di tutti i loro doveri.
Era solito dire : « Bisogna essere santi nel modo
che piace a Dio, non come piace a noi. » « Quanto
meno vivrete a vostro gustò, tanto più solida sarà la vo-
stra divozione. Croci s'incontrano dovunque, fa d'uopo
che ciascuno porti la sua. » « Il principio regolatore della
divozione, diceva altra volta, è l'osservanza dei coman-
damenti di Dio e della Chiesa, e di tutti i doveri dello
stato in cui si è collocati, rinunziando alla propria
volontà. Si deve amar Dio sopra ogni cosa eseguendo
allegramente e pienamente e con generosità di cuore,
quanto Egli ci comanda. Se pretendiamo di farci santi
seguendo la nostra volontà, non vi arriveremo mai:
è necessario farci santi seguendo la volontà di Dio,
perciò stando nello stato in cui Iddio ci ha posti e pra-
ticando i mezzi di perfezione che Iddio pose a nostra
disposizione. »
Questa sublime armonia tra il generoso ed esatto
adempimento delle proprie obbligazioni da una parte,
e la divozione più. tenera e solida dall'altra, questo
perfettissimo accordo tra i doveri e la pietà costitui-
scono una delle qualità caratteristiche della vita del
nostro Santo e dei suoi insegnamenti.
Semplificare la vità cristiana è ridurla alla sua es-
pressione essenziale senza sforzarla nè violentarla, senza
toglierle nessuno dei suoi attributi necessarii, ma la-
sciando che rivesta in ciascun individuo differenti forme,
secondo le differenze che lo distinguono dagli altri :
ecco il pensiero principale che domina tutto il corpo
della dottrina'ascetica 'di S, Francesco di Sales, e U
idea madre che dirige e accompagna tutti gli scritti
suoi.
Per dare una giusta idea della vera divozione a
chi ne lo aveva richiesto, diceva: « L a vera divozione
consiste nell'abbracciare con prontezza ed amore ciò
che piace a Dio ; nel fare ogni cosa con ispirito di soa-
vità'e dolcezza, con pacatezza ed umiltà; nel ricevere
le pene senza lasciarsi abbattere dal dolore, e le con-
tentezze senza lasciarsi trasportare a soverchia alle-
grezza; nel fuggire il male senza turbarsi, nel fare il
-bene senza affannarsi, pensando, più che all'esteriore
dell'azione , all'interno dell'anima. Per giungere a
questo punto fa d'uopo purificarsi d'ogni peccato, anzi
d'ogni affetto che non sia rivolto al servizio di D i o ;
pregar molto, specialmente avendo frequenti sulle lab-
bra e nel cuore orazioni giaculatorie, e sospiri d'a-
more. » E continuava incoraggiando quella persona
a fare ogni dì un po' di meditazione ed a leggere
libri divoti e proporsi di fare qualche particolare atto
di virtù. « La vostra divozione non rechi comechessia
noia, dispiacere od incomodo a veruno; ma per amor
della carità, in tutto che non è contrario alla legge
di Dio, accondiscendete al piacere del vostro prossimo.
Che ognuno trovi amabile la divozion vostra. Questa
divozione vi faccia più sollecita nell'assistere e sovve-
nire i poveri e gli ammalati, più esatta nei vostri do-
veri, più dolce nelle parole," più gentile nei modi. »
Onorare molto Iddio, fare ogni cosa con intenzione
rettissima ; usare franchezza, amabilità e sincerità nel
trattare col prossimo ; confidare nel Signore con una
fiducia illimitata; fare del b e n e a tutti, ricambiare bene
per male; accondiscendere al prossimo, amarlo ed aiu-
tarlo p e r quanto è possibile; mortificarsi con discre-
zione e moderatamente nella volontà ; abbandonarsi

26.8 Page 258

▲back to top


intieramente alla divina Provvidenza; attendere con
diligenza e tranquillità all'adempimento dei propri do-
veri: ecco il disegno generale del grandioso edificio
della perfezione, come la intendeva ed insegnava il
nostro Santo. È nulla di più di quanto aveva insegnato
e praticato il medesimo Figlio di Dio.
Non poteva sopportare le menome irriverenze "nel
luogo santo e le riprendeva, ora sul momento stesso
con un segno che imponeva silenzio, ora con un pa-
terno avviso dato in sacrestia o fuori della Chiesa; nè,
per grande che fosse la sua dolcezza, questa gli impe-
diva di avvisare seriamente allorché vedeva offeso Iddio.
Divozione nel celebrare la Santa Messa. — La
sua grande pietà segnalavasi in modo tutto speciale nel
celebrare ch'egli faceva la Santa Messa. Era tanto il
rispetto per il divin sacrificio, l'anima sua si univa
a Dio così strettamente, che nulla era capace a distrar^f
Tale era Vattenzione che metteva a quanto stava?'fa-
cendo, che non provava divagazione di sorta alcuna.
« L ' h o veduto più volte, dice un testimonio negli
atti della sua beatificazione, .offrire il santo Sacrificio
con tanta pietà, che nel mio cuore non poteva volgermi
ad altro che vederlo ed udirlo. »
« Io lo contemplavo allora, dice un altro testimo-
nio, come un uomo affatto straordinario, il cui divo-
tissimo e modestissimo contegno ispirava divozione
anche ai più iìrdivoti. »
« E r a facile accorgersi, testifica la Chantal, con.
quale profondo rispetto e con quale religiosa attenzione
egli stesse all'altare. Pronunciava le parole della Messa
con voce moderata e dolce, la sua compostezza era
grave e posata, senza fretta di sorta quali che fossero
le faccende che l'aspettavano. Teneva gli occhi mode-
stamente bassi, il volto ben raccolto e composto a così
serena dolcezza, che in verità ne erano mossi a divo-
zione quanti lo riguardavano. »
E i non capiva come si potesse fare altrimenti da chi
consacra ogni giorno il. corpo del Signore. Parlando di
un sacerdote che aveva celebrata la prima Messa, sog-
giunse : « Oh Dio, com'è, felice ! .D'or innanzi non pen-
serà più che ad amare e servire il Signore : peccare,
quasi impossibile. E avendogli qualcuno obiettato che
la Messa non rende impeccabile, egli ripigliò: « Quei
che parlan così non sanno che cosa significhi esser
sacerdote, maneggiare e ricevere ogni giorno il corpo
di Gesù Cristo. Se non si è puri come un angelo, non
si può meritare il nome di sacerdote.
Egli, sebbene vescovo, trattava coi sacerdoti come
con fratelli e voleva che i famigli suoi ed i fedeli tutti
portassero loro grande rispetto: « Vedo, diceva, che nei
preti, si guarda la condizione o la nascita ; questo mi
duole al cuore ; altro in essi riguardar non si deve se
non il carattere, onde sono degni di riverenza agii
angioli stessi. »
/ Celebrava ogni giorno la santa Messa. Un testimonio
depose d'_aver udito da lui che egli sarebbe stato male
tutto il giorno se nel mattino non fossesi confortato
col pane degli angeli. »
E questi pensieri sapeva con caritatevole zelo in-
spirare ad altri, anche per la santa Comunione quoti-
diana, quando l'occasione lo voleva.
Con ugual premura, ai fedeli che volevano far vita
cristiana, raccomandava di non lasciar passar giorno
senza ascoltare la santa Messa. Tel gran desiderio d'in-
spirar loro alta stima del divin sacrificio nella Filotea
lo rappresentava come « centro della vita cristiana,
cuore della divozione, anima della pietà, mistero inef-

26.9 Page 259

▲back to top


fabile che comprende l'abisso della divina Carità e
mezzo supremo pel quale Iddio comunicandosi real-
mente a noi ci comunica insieme le sue grazie ed i
suoi favori. »
„ ' _.
Quant'egli si recava ad onore e fortuna il poter
celebrarla Messa, altrettanto era esatto ed accurato
nel ben fare questa augusta funzione, e si avrebbe
ascritto a colpa lo intralasciare la più piccola cerimo-
nia, e soggiungeva: « I n sT" grande ministero non si
deve permettere negligenza veruna, »
Scrisse anche un Opuscolo: « M o d o di celebrare di-
votamente e con frutto il santo sacrificio della Messa! »
« Stando a' pie' dell'altare, vi si legge, prima di
cominciar Messa, innalzerai a Dio la tua mente, ed
offrirai il tuo Sacrficio all'Eterno Padre in unione e
con quell'amore immenso col quale il suo divin Fi-
gliuolo offrì se medesimo sopra la Croce. Nella
Messa pronuncierai bene e distintamente le parole,
fecendo a tempo le cerimonie con gravità e con edi-
ficazione dei circostanti, secondo che dicono le ru-
briche.
« Alzando l'Ostia consacrata la offrirai all'Eternò
Padre con gran fede, umiltà e riverenza, offrendo anche
te stesso in olocausto perpetuo per la gloria sua
All'elevazione del calice gli offrirai il sangue di Gesù
Cristo con grande affetto, per la remissione dei peccati
e per la salvezza del mondo.
« Sul punto di consumare l'Ostia santa fermati un
momento con viva fede e fa un atto di profonda ado-
razione a Gesù Cristo che tieni in mano, offrendogli, per
supplire la tua imperfezione, quella fede, umiltà e ca-
rità, colle quali fu ricevuto quaggiù da sua S S . Madre
e dalle anime buone.
« Alla consumazione del Sangue farai similmente
una profonda adorazione di cuore al preziosissimo
Sangue di G. C. versato pe' tuoi peccati, domandando
pei meriti di questo sangue adorabile umil perdono di
tutte le tue colpe ed uno zelo ardente per la gloria di
Dio e per la salvezza delle anime.
E tanto l'occupavano durante la santa Messa questi
pensieri, ch'ei restava tutto compreso è come inaces-
sibile ad ogni idea profana. « Quando sono rivolto
all'altare, diceva egli stesso alla Chantal, non ho pjù
distrazioni. »
\\
o
Venerazione alla parola di Dio. — Staordinaria
era la sua venerazione alla parola di D i o ; stimava
segno dei più sicuri di predestinazione il piacere che
altri sentisse di ascoltarla per diventare sempre mi-
gliore. Raccomandava ai fedeli di ascoltarla sempre
più che potessero e di tenere i predicatori come nun-
zi celesti che vengono dalla parte di Dio per inse-
gnarci la strada della salvezza. Non soffriva che, dopo
avervi assistito, se ne facessero le critiche ; e diceva
che devesi onorare la parola di Dio sotto qualunque
forma venga presentata. « Poco importa, così egli,
che l'acqua di urta fonte scorra per un canale di le-
gno, di ferro © di piombo, purché il giardino sia ben
irrigato. In pari modo-poco importa le qualità del pre-
dicatore che innaffia, purché le anime nostre siano ir-
rorate dalla parola di Dio, come da celeste rugiada,
che faccia germogliare il Salvatore nel giardino dei
nostri cuori. »
e
N e ' suoi Trattenimenti si l e g g e : « O s s e r v o che
quando scrivo ad una persona su carta grossolana e
con brutta calligrafia la mi ringrazia con uguale affetto
che quando scrivo su carta migliore e con più bella
calli1g3 rafiBaA.R B EPReI Sr,chèVita
ciò ? Perchè non di S . Francesco
di Sales.
Vboai .daI alla carta
e

26.10 Page 260

▲back to top


r
— 194 —
ai caratteri, ma a me che scrivo. Così bisogna fare con
la parola di Dio, cioè non badare a chi ce la dà o
spiega, basta il sapere che Dio si serve' di quel pre-
dicatore per ammaestrarci. »
Riguardo a se stesso, egli non dispensavasi mai di
assistere alle prediche che si facevano nella sua chiesa
Cattedrale o nei luoghi ove trovavasi in visita pasto-
rale, e soleva dire: « non esservi in lui nulla di buono,
salvo l'amore alla parola di Dio. » Era anche solito
dire: « che non ascoltava mai una predica senza im-
pararvi qualche cosa prima non saputa. »
Egli avrebbe voluto predicar sempre_e praticare alla
lettera il comando dato da Dio al profeta Isaia, cioè
di predicare senza mai stancarsi, e che come tromba
facesse sentire sempre la sua voce : « Clama, ne cesses,
quasi tuba exalta vocem tuam, » perchè a suo giudizio
non si esortano mai troppo le anime al servizio di Dio
ed alla pratica della virtù. Egli predicava tanto nelle
cattedrali, quanto nelle parrocchie e persino nelle più
piccole confraternite. « Non sapeva che fosse rifiutare,
tanto mi stava a cuore quel detto di riostro Signore G.C. :
date a tutti quelli che chiedono. » « Credete a me,
soggiungeva altre volte, non si predica mai abbastanza.
In questi sentimenti perseverò tutta la sua vita. Non
cessò mai, dice Carlo Augusto suo nipote, di annunziare
la parola di Dio.
1 Ad un religioso distinto e da lui molto stimato che
gli diceva esser soverchio il suo predicare, rispose : « che
volete, Padre, è la mia indole che mi porta alla con-
discendenza; non ho cuore dire di no a chi me ne prega,
tanto più se mi chiedono cose ragionevoli e possibili. »
Ad un'altro che gli raccomandava d'aver riguardo alla
sua sanità dicendo che intraprendeva al di sopra delle
+ sue forze, rispondeva che : «quelli che sono per ufficio la
— i95 —
luce del mondo sono tenuti a consumarsi, come le fiam-
me, per illuminare gli altri. »
Se il santo Vescovo era così facile ad accettare l'in-
carico di bandire la parola di Dio, non poteva mancare
di zelo nell'atto di annunziarla. « Egli predicava, dice
la Chantal, con uno zelo, con un desiderio indicibile
del bene spirituale delle anime, e tutti dicevano che
le sue prediche erano veramente apostoliche. »
Così fedele nel mirare in tutte le cose a Dio solo,
non badava al suo uditorio se non per adattarsi a' suoi
bisogni : non si lasciava gonfiare dalle lodi, nè scorag-
giare dalle censure e non giudicava della bontà delle
sue prediche se non in proporzione delle anime che ri-
conduceva sul buon sentiero e dei buoni sentimenti
che risvegliava nei cuori.
« Siate contenti, diceva, quando salendo il pulpito
vedete poca gente. Parlo così, ammaestrato da 30 anni
di esperienza. Ho sempre fatto più frutto colle prediche
a piccoli uditorii che a grandi. » Sia Mons. Camus,
come Carlo,Augusto di Sales testificano quanto sopra
e assicurano averlo udito dire: «Tanto amore m'in-
spirano i piccoli uditorii, che non mi sento.mai così
contento come quando al salire sul pulpito vedo pochis-
sima gente in chiesa. »
Il Santo provava pure particolari consolazioni nel
predicare ad umili e rozze udienze come nelle chiese
di campagna ed in CQmunità divote. - Scrivendo alla
Chantal da una parrocchia di campagna soggiungeva :
« Predico sì bene e.a mio agio in questo luogo ! dico
a questa buona gente certe cose che esse intendono sì
bene, che mi risponderebbero volentieri. »
Oh quanto è meglio, diceva soventi volte, predicare
nei villaggi o nelle piccole città che nelle grandi ! Il
popolo minuto ascolta attentamente ed accuratamente

27 Pages 261-270

▲back to top


27.1 Page 261

▲back to top


— 196 —
la santa parola, e le sue anime son riscattate dal San-
gue prezioso di Gesù, nè più nè meno come quelle dei
grandi; perciò non so far differenza da quella, infuori
della maggiore o minor grazia di Dio che è nelle
anime.
A l l ' A r c i v . di Bourges scriveva: «All'uscita dalla
predica non vorrei si dicesse: Oh il grande oratore! che
memoria! che scienza! che lingua! Ma vorrei si potesse
dire: Che bella virtù è i a penitenza! com'è necessaria!
Mio Dio, come siete buono ! come siete giusto ! e si-
mili cose ; ovvero che soggiogati dalla potenza della
parola, si rendesse testimonianza al merito del predi-
catore cangiando vita e seguendo i suoi insegnamenti. »
« Bisogna dir poche cose e buone e quelle che si
dicono bisogna inculcarle accuratamente. Vi hanno
predicatori che fanno discorsi assai pieni di buoni e
salutevoli ammaestramenti, ma non calcano abbastanza
sopra ciascuno di essi, e le verità che essi annunziano
si soffocano le une le altre pel troppo numero e per
la lor varietà, come il grano stenta a crescere quando
si semina troppo fitto.
Non voleva che le prediche fossero troppo lunghe-
« Io mancai più volte a questa regola, scriveva all'Are,
di Bourges, ma ora me ne emendo. » E r a sua sen-
tenza: « poco e buono. » Approvava questa norma:
« Un'ora intiera, è troppo lunga per un predicatore da
poco, abbastanza lunga per un predicatore di vaglia.
I buoni estimatori preferiscono tre-quarti d'ora a un'ora
intiera. » Altra volta diceva : « Non è da tenersi troppo
breve la predica che supera la mezz'ora. »
Devozione al Sommo Pontefice. — Nessuna
cosa pareggiava il suo religioso ossequio verso il Som-
mo Pontefice, in cui venerava il Vicario di Gesù Cristo,
— 197 —
e lo teneva come un nuovo San Pietro, munito della
pienezza del potere apostolico,.
Nel libro delle sacre Controversie ha un lungo ca-
pitolo diviso in quindici articoli, per ispiegare i titoli
e le prerogative assegnate dai Vangeli e dagli antichi
Padri e Concili al Romano Pontefice, dimostrando la
stima che deve farsi della sua autorità. (1)
Non poteva soffrire che si pregiudicasse alla stima
e rispetto che gli si deve; perciò riprese francamente
un amico, che avevà scritto un libro in cui non si
trattava il Sommo Pontefice com'egli avrebbe deside-
rato: « Io vedo nel vostro libro due cose, i tratti e
la mano dell'artefice da una parte, e la materia e^ il
( i ) È pregio dell'opera riportare qui alcuni di questi titoli e
sentimenti. Egli dice adunque (Cap. 6° della 2 a parte nell'art.
Vili). Per provare la suprema autorità del Santo Padre io non
riporterò che i nomi coi quali i Santi Padri l'hanno appellato,
il che mostra chiaramente la loro credenza. S. Girolamo e S.
Ottato appellarono il Papa : Capo della Chiesa, S. Ilario: Felice
fondamento, della Chiesa e Portinaio del Cielo. S. Agostino : Il
primo degli Apostoli. Origéne: Bocca e suprema punta degli
Apostoli. S. Giovanni Grisostomo: Principe degli Apostoli —
Colui che ha cura dei fratelli e dell' Universo — Pastore della
Chiesa e Capo più fermo del diamante — Base della Chiesa —
Duce e Maestro dei Cristiani — Spirituale colonna dJIsraele
ecc. ' S. Gregorio ; Il f>iù alto culmùie dell' apostolato. S. Eusebio :
Primo Pontefice .dei Cristiani. S. Bernardo : Il Padrone della
casa del Signore e principe di tutte le possessioni.
Nell'articolo .XIII il nostro Santo conferma quanto sopra
con i nomi che l'antichità ha dato ai Papi e termina con questi,
attribuiti al Papa da S. Bernardo: Il Papa è conformatore dei
fratelli — Gran sacerdote — Sommo Pontefice — Principe dei
vescovi — Erede degli Apostoli — Abele pel primato — Noè pel
governo — Abramo pel patriarcato — Melchisedeceo per l'ordine
— Aronne per la dignità — Mose per l'autorità — Samuele per
la giudicatura — Pietro per la potestà — Cristo per l'unzione
— Pastore dell'ovile del Signore — Clavigero della Casa del Si-
gnore — Pastore di tutti i pasto/i — e fornito della pienezza della
potestà.

27.2 Page 262

▲back to top


Soggetto dall'altra. In verità io ritrovo la mano buona,
lodevole, anzi squisita e rara ; ma la materia mi dis-
piace estremamente. »
E d essendo sorte in que' tempi dispute sulla po-
testà indiretta del Papa sopra i Principi, egli ne fu
all'estremo malcontento, e cercò ogni mezzo di spe-
gnere dette questioni. « Nell'età presente, scriveva,
essendovi tanti nemici al di fuori, io penso che noi non
dobbiamo muovere alcuna contesa al di dentro. L a
chioccia che ci tiene come suoi pulcini sotto le ali
ha assai di stento nel difenderci dall'avoltoio, senza
che noi ci diamo beccate gli uni contro gli altri, e le
cagioniamo doglie e tormenti. »
In altra lettera dice : « Non si potrebbe far peggio
ad un padre, che levargli l'amore de' suoi figliuoli...
A che proposito dunque immaginarsi pretensioni, per
suscitare contese contro quello che noi dobbiamo amare
figlialmente, onorare e rispettare come nostro vero
padre e pastore spirituale? Io vi dico sinceramente,
che per queste dispute ho un sommo rammarico nel
cuore. »
Così dalle sue lettere, da' suoi discorsi e dalle pa-
role con le quali termina la prefazione del suo libro
sull'amor di Dio, compare il profondo rispetto che
aveva alla Santa Sede Romana, chiamandola colonna
e fondamento della verità, che non può mancare nè
fallire; e finisce protestando di credere che non può
avere Iddio per padre, chi non riconosce la Chiesa per
madre, e la Chiesa essere dov'è Pietro.
Della divozione di S. Francesco alla Beata Ver-
gile. — Ora conviene che veniamo a parlare della di-
vozione che il nostro dolcissimo Santo portava alla
Gran Madre di Dio, Maria Santissima,
199
e^ASanta Chiesa applica alla Beata Vergine quelle pa-
role del libro dei proverbi : Qui me inveherit inveniet
vitam, et haurict. salutem a Domino: Chi mi trova, per
mezzo di una vera divozione, troverà la vita della
grazia su questa terra e la salute eterna nel Paradiso.
Il nostro S. Francesco ben conosceva questa verità e
perciò fin da giovane fu divotissirno della Madonna,
come raccontammo, e questa divozione non che dimi-
nuire, crebbe in lui per tutta la sua vita.
Egli era d'avviso che la divozione alla Vergine de-
rivasse dalla divozione verso Dio, come rivo da fonte;
ónde diceva che l'amor alla Madre non potendo stare
diviso dall'amore del Figliuolo, era un mostrar difetto
d'amore verso Dio il non aver amore per Maria: e che
più si ama Gesù Cristo, più si deve amare Colei, per
mezzo della quale E g l i ci fu donato, pigliando E l l a
ogni merito e titolo dalla persona di Gesù.
Diceva inoltre che Maria Vergine, essendo Madre
di .Gesù Cristo, e ancora l ^ m a d r e nostra; e che Dio,
per essere^ venuto a noi per mezzo di essa, desidera
ancora che noi per lo stesso mezzo andiamo a Lui.
Quindi si giudichi qual poteva essere la divozione
di Francesco all'eccelsa Donna: « Tutte le volte, così
egli, che entro in un luogo consacrato a questa augu-
sta Regina, il cuore mi . dice che sono in casa di rflia
Madre; perchè sono in effetto figliuolo di Colei, ch'è
rifugio dei peccatori. »
Si serviva della divozione alla Madonna per ren-
dere più forte e generoso il suo cuore nella gran lotta
deìla vita. Le confidava le sue pene come i suoi gau-
dii, e spesso udivasi esclamare con ardente trasporto :
« Oh! chi potrà non amarvi, Madre mia? Che io sia
vostro per sempre, e meco vivano e muoiano per amor
vostro tutte^le creature!

27.3 Page 263

▲back to top


200 —
Noi lo vedemmo, il nostro caro S. Francesco, fin
da giovinetto lasciare i sollazzi per ridursi in qualche
luogo appartato, con alquanti de' suoi più intimi ami-
cij a cantar le lodi della Madonna-,,e specialmente le
Litanie lauretane. S ' e r a fatto ascrivere alle compa-
gnie erette ad onor suo: a Parigi faceva tutti i giorni
almeno una visita alla Madonna de' Gres: fece, dopo-
liberato da quella orribile tentazione, nelle mani della
Madonna il voto di castità; voto che ripetè poi con-
gran fervore a Loreto. Ogni dì, sentendo la campana
dell 'Ave Maria, subito si scopriva il capo e ginocchioni
diceva VAngelus. Anche ogni giorno recitava il santo
Rosario, secondo il voto fattone; e scrisse un opu-
scolo appositamente allo scopo d'insegnare un par-
ticolar .metodo di far questa preghiera. N è mai la-
sciò passar dì, che non lo recitasse, fosse pur pieno di
faccende, anche gravissime, e fosse pur tarda l'ora e
il corpo affaticato. ;
Spesso compiacevasi di consacrarsi a Gesù per
mezzo di Maria. In ogni incontro e difficoltà si rac-
comandava alla sua celeste avvocata, e specialmente nel-
l'occasione delle dispute con gli eretici, le quali intra-
prendeva con gran fiducia nell'aiuto e assistenza di Lei.
In quelle ciscostanze, egli l'invocava anche più fervi-
damente, dicendola, con santa Chiesa, la distruggitrice
delle eresie tutte.
« Io trovo, diceva, ogni mio soccorso nel SS. Sa-
cramento e nella Madre di Dio, dalla quale sempre
ricevetti aiuti e conforti particolarissimi e prodigiosi.
Oh com' io sento qual gran felicità sia l'essere fi-
gliuolo, benché indegno, di sì gloriosa Madre! Su via,
prendiamo animo da ciò a far grandi cose. Confidia-
mo nella sua protezione ; e sé il nostro sarà un amor
tenero, ella ci otterrà tutto quello che detideriamo. »
— 201 —
Nelle prediche che faceva nelle feste di lei, la sua
lingua diventava così feconda e la parola così tenterà
e vivace, che ben si vedeva quanto grande fosse l'a-
more che ardevagli in petto per Lei. « Voi sapete, così
scriveva un dì alla Chantal, che la nostra gloriosa Re-
gina sempre m'assiste in modo particolare quando parlo
della sua maternità ; io la prego di mettere la mano
nel prezioso costato del suo ' figliuolo, per prenderne
le grazie più preziose e versarle su noi.a piene mani. »
N è solo nelle varie solennità dell'anno, ma in ogni
sua predica non lasciava mai di dirne qualche cosa,
ed i fedeli, vedendo questo suo zelo di parlarne ad
ogni occasione, non potevano non farsele divoti, che
era quello ch'egli desiderava.
Ogni anno il dì della Presentazione della Beata Ver-
gine al tempio rinnovava il voto di verginità fatto da
giovane, ai piedi della Vergine, e il proponimento
di non voler essere d'altri che di Dio e della Chiesa.
Il giorno dell'Immacolata Concezione, giorno caris-
simo tra tutti al suo cuore, fu per effetto del suo zelo
dichiarato festivo di precetto in tutta la 1 sua diocesi.
Alla Vergine dedicò il suo Trattato dell'amor di Dio ;
alla Vergine infine consacrò il Suo istituto della Visi-
tazione.
Questa medesima divozione, come fu la delizia di
tutta la sua vita, così fu anche il suo conforto in punto
di morte. Invitato negli estremi momenti ad invocare
Maria, potè rispondere: « Oh! io l'ho pregata in ogni
giorno della mia vita e son ben consolato di poterla
invocare in questo momento. »
' . Dimostrò ancora il suo amore e la sua divozione
alla Beata Vergine nelle visite che faceva con tanto
affetto e tanta divozione ai santuari a lei dedicati, e
nel tenere il giorno di sabato come giorno consacrato
1

27.4 Page 264

▲back to top


a Lei in modo speciale, e' sforzavasi di più onorarla
in detto giorno. Celebrava, sempre che potesse, con
un gusto particolare la santa Messa all'altare della
Madonna, e faceva celebrare con special pompa le fe-
"ste in suo onore.
Divozione a San Giuseppe. — Dopo la Vergine
i primi onori erano pel glorioso S. Giuseppe. Solenniz-
zava sempre con gran pompa le sue feste, a lui si af-
fidava nei casi più pericolosi della vita. Volle che il
gran santo fosse il patrono dell'intero istituto della Vi-
sitazione da lui fondato, e il protettore principale della
casa madre di Annecy.
Ha un lungo trattenimento tutto consacrato a dire
le lodi di lui, trattenimento preziosissimo, in cui lo dice
« il glorioso padre del nostro Salvatore e del nostro a-
more, il suo primo adoratore dopo Maria, lo sposo
della regina del mondo, il più perfetto modello di
cristiana fermezza nei vari casi della vita, e dell'obbe-
dienza dovuta a Dio ed alla Chiesa. »
« Egli, soggiungeva, non è solamente Patriaca, ma
corifeo di tutti i Patriarchi ; non è solamente confes-
sore, ma più che confessore, perchè nella sua confes-
sione sono rinchiuse la dignità dei vescovi, la • gene-
rosità dei martiri e di tutti gli altri santi. »
« O Dio, diceva ancora, quanta dovette essere la bon-,
tà e la dirittura del cuore di questo santo, poiché gli fu
dato di possedere la Madre ed il Figliuolo! Con questi
due tesori, poteva destare una santa invidia negli
Angeli e sfidare il Cielo tutto a mostrarsi possessore
di maggior bene che lui; poiché, qual v'ha egli, tra
gli Angeli, che paragonar si possa alla Regina degli '
Angioli, e in Dio medesimo, può egli esservi più che
Dio?»
I '-'••. ..
' ( . . ' • ' 'V -
— 203 —
'
*• '
• • • - • • '•• -' ' '• •
« O h qual divina unione tra nostra Signora e il
glorioso S. Giuseppe ! Questa unione faceva sì che
quel bene de' beni eterni, nostro Signore, fosse ed ap-
partenesse a S. Giuseppe così, come apparteneva alla
Beata Vergine. »
Era solito dire che S. Giuseppe con Gesù e Maria,
rappresentavano in terra il mistero della S S . Trinità :
Trinità maravigliosamente commendabile e degna di
essere onorata; e tiene l'opinione di alcuni altri dot-'
tori, che S! Giuseppe, dopo la sua morte, sia stato
sollevato in paradiso corpo ed anima : « il che, sog-.
giunge, è tanto più probabile, quanto che non abbia-;
mo in questa bassa ter«ra di lui alcuna reliquia. » >
Agli Angeli e ai Santi. — Unica poi e tutta
sua era la divozione che aveva all'Angelo Custode.
Da' suoi scritti si può vedere che grandissimo conto
facesse dell'assistenza, che quel celeste ci presta; ed
egli per il suo nutriva un amore ed una riverenza af-
fatto speciale. Entrando nel Chiablese, per intrapren-
dervi la missione, salutò l'Angelo della provincia: con-t
ferendo con gli eretici salutava il loro buon angelo e !
si raccomandava alla sua protezione ; predicando, dopo j
recitata l ' A v e Maria faceva una pausa girando lo
sguardo in tutti i punti dell'uditorio: del che-chieden-
dogli taluno la ragione, rispose : « Saluto l'angelo di
ciascuno de' miei uditori, e lo prego di preparare il
cuore di coloro che sono confidati alle.sue cure: que-
sta pratica fruttommi già dei grandissimi favori. »
Quanto agli altri santi venerati dalla Chiesa egli li
amava e venerava tutti, e raccomandava la lettura della
loro vita, cui chiamava il vangelo in pratica, jna spe-
cialmente era divoto di quelli, che hanno faticato di
più ad onore di Dio, e per il bene delle anime. Con-

27.5 Page 265

▲back to top


fidò in particolar modo in San Carlo Borromeo, sulla
tomba del quale l'abbiamo veduto pregare in ringra-
ziamento dell'ottenuta guarigione della Chantal, avve-
nuta ad intercessione dti cotesto santo. S. Francesco Za-
verio era detto da lui il gran modello dei missionari.
Amava S. Teresa specialmente perchè promotrice e
propagatrice della divozione di S. Giuseppe. F u te-
nero divoto della gloriosa Vergine e martire santa A-
pollonia, dalla quale aveva ricevuto la grazia d'esser
liberato da un gran mal di denti. Finalmente piace-
vasi grandemente d'onorar i due Antoni, quell'antico
del deserto, padre de' monaci, e l'altro di Padova.
« Ho scelto il primo,'diceva, perchè sia custode del
mio piccolo deserto interiore, dov'io me <ne sto solo
con Dio, in mezzo al mondo e tra gli affari che mi
circondano. » Stimava grandemente il secondo, che con
le apostoliche predicazioni convertì tante anime: e ri-
prendeva coloro, i quali riprovavano l'uso del popolo
di raccomandarsi a quel santo, per ritrovare le cose
perdute. « Dio ha fatto vedere, diceva, che questo gli
piace, perchè cento volte operò miracoli ad interces-
sione di lui : perchè non credere ai fatti evidenti ? »
r
CAPO VI.
Dell'amore del prossimo.
Grande amore del prossimo. — Tutti i Co-
mandamenti del Decalogo si compendiano in due :
amare Iddio sopra ogni cosa; amar il prossimo come
noi medesimi. A v e n d o fin qui parlato di virtù che ri:
205
guardano l'amore di Dio, vengo ora a parlare del suo
amore verso del prossimo.
È grande, è caro il precetto dell'amor del prossi-
mo : doverlo amare come noi medesimi ! Gesù tuttavia
non si fermò lì e aggiunse, non più come precetto,
ma come consiglio, come esortazione: « Amatevi gli
• uni gli altri come io ho amato voi. » A questo aspirò
Francesco per tutta la vita, e ben può dirsi che la sua
carità verso il prossimo era senza confini.
Questo amore in lui era sì grande, che può dirsi
la sua vita essere stata spesa tutta in favore del suo
prossino. Arrivò in questo al vero eroismo, poiché,
come S. Paolo, poteva ripetere : desidero d'essere io
dimenticato e quasi scomunicato da Dio se questo può
tornare utile a' miei fratelli : cupio anathemd esse a Chri-
sto prò fratribtis. Questo è assai da considerarsi perchè
vuol dire di amarlo più di noi medesimi. « Nostro Si-
gnore ci ha sempre preferiti a sè medesimo e lo fa
ancora ogni volta che lo riceviamo nel S S . Sacramento,
facendosi qostro cibo, così esorta noi ad avere un
amore tale verso gli' altri, che preferiamo, sempre il
nostro prossimo a noi stessi. E come Egli ha fatto
tutto ciò che si poteva fare per noi, cosi vuole, e la
regola della perfezione lo ricerca, che noi facciamo
tutto ciò che possiamo gli uni per gli altri. »
Amore sovrannaturale. — Il suo tuttavia non era
un amore puramente umano, proveniente solo da
cuore buono e sensibile, ma quale veramente dev'es-
sere, cioè soprannaturale. Non solo amava il prossimo
in Dio e per Iddio, ma nel prossimo stesso amava
Iddio. « Mi sembra eh' io non ami altro che Dio, e
tutte le anime per Iddio, e tutto ciò che non è Dio o
per Iddio lo tengo per cosa da nulla. Oh ! quando sarà

27.6 Page 266

▲back to top


che noi vedremo il nostro prossimo nel cuore del Sal-
vatore? Chi lo guarda fuori di qui corre pericolo di
non amarlo puramente, nè costantemente, nè ugual-
mente. Ma chi non l'amerà questo caro prossimo ?
chi non lo sopporterà? chi non soffrirà i suoi difetti?'
chi lo troverà disamabile e fastidioso, quando ld si miri
in quel sacrato petto sì amante e sì amabile, quando
si osservi che il Dio Salvatore muore d'amore per lui ? »
Insegnando in bel modo la differenza che passa
tra l'amore sensibile e l'amor soprannaturale del pros-
simo soggiunge: « Dicesi che il corallo finché sta nel
mare è verdognolo e di niuna bellezza; ma trattone
ed esposto al sole diventa roseo, splendente, bellis-
simo. Del pari: finché l'amore del prossimo non passa
i limiti del naturale non è buono, nè bello ; ma posto
al sole dell'amor di Dio,, e santificato dal suo spirito,
che è carità, si mostra perfetto, adoperandosi di sov-
venire al prossimo con le parole, con le opere, con gdi
esempi; provvede ai suoi bisogni secondo, le forze; si
rallegra del suo bene, specialmente spirituale; lo de-
sidera ricco dei vantaggi della divina grazia e glieli
procura con grande affetto, ma senza turbarsi o alte-
rarsi nei casi avversi. »
'
Come insegnava, così praticava. « Io credo, così
il Passis suo famigliare, che al mondo non v'abbia
avuto uomo, il quale del suo prossimo abbia sentito
un amore sì perfetto. »
Servire e soccorrere il prossimo, sì spiritualmente
che corporalmente, era il suo continuo esercizio. L e
pene, le fatiche, i disagi, i pericoli, anche i più grandi,
per lui erano cose da nulla, sol che potesse rendersi
utile a far servigio a suoi fratelli in Gesù Cristo. E
diceva: « Piacque a Dio di farmelo così, questo cuore^:
oh ch'io lo voglio amare questo caro prossimo, ch'io
lo voglio amare tanto! Quando avverrà, che noi non
saremo altro più che dolcezza e carità per il prossimo
nostro? Io tutto gli ho donato, la mia persona, i miei
beni, i miei affetti, acciocché se ne valga secondo i
suoi bisogni. »
E soggiungeva: « Un amor tenero verso il pros-
simo è uno dei più grandi ed eccellenti doni, che la
divina bontà del Salvatore faccia agli uomini. »
« Io lo voglio amare e amare molto questo caro
prossimo ; non mi negherò mai a chiunque mi desi-
deri. » - A l t r o v e soggiunge : « C i ò che produceva nei
primitivi cristiani un sì grande amore ed una sì grande
unione altro non era - che la frequente Comunione:
la quale venendo a cessare, o a farsi più rara, venne
pure a raffreddarsi la santa dilezione tra i cristiani, e
perder di molto della sua forza e soavità. »
« La massima dei santi era, che nell'amare e nel
fare il bene non si deve mai riguardare la persona che
lo riceve, ma quella per amore della quale si fa. Nè
ci sgomenti «e talvolta sentiamo ripugnanza in ciò fare;
poiché un'oncia di questo amore sodo e ragionevole c
di assai maggior prezzo, che una somma di quell'altro
tenero e sensitivo, che abbiamo comune con gli animali,
e spesse volte inganna e tradisce la nostra ragione. »
« F r a tutti quelli che sono compresi sotto il nome
di prossimo non ve n'ha alcuno, che più si meriti que-
sto nome quanto i nostri domestici ; perchè questi
sono i più vicini a noi, vivendo con noi sotto un me-
desimo tetto, e mangiando l'istesso pane. E perciò essi
debbono essere uno dei principali oggetti del -nostro
amore, sicché pratichiamo verso di loro tutti gli atti
d'una vera carità, la quale non deve essere fondata
sulla carne e sul sangue, o sulle qualità loro ; ma tutta
in Dio. »

27.7 Page 267

▲back to top


« Non basta che abbiamo l'amor del prossimo, ma
bisogna avvertire di qual sorta esso sia. Se noi amiamo
il nostro prossimo perchè egli ci fa del bene, cioè
perchè ci ama e ci apporta qualche utile, onore o pia-
cere, questo è un amore che chiamiamo di compia-
cenza, e che ci è comune cogli animali. Se l'amiamo
per qualche bene che in lui veggiamo, cioè per causa
del sembiante, delle maniere, della buona grazia e. si-
mili; questo è un amore che chiamiamo d'amicizia, e
che ci è comune coi pagani. Però nè l'uno nè l'altro
di questi amori è amor vero, ma amor di niun merito,
perchè puramente naturale e di poca durata, essendo
fondato sopra motivi che spesso vengono, meno. Infatti
se noi amiamo alcuno perchè è virtuoso, di bel sem-
biante, o nostro amico, che sarà di questo amore se
quel tale cesserà di essere virtuoso, di bel sembiante,
o d'amarci, e molto più se si rende nostro nemico?
Rovesciandosi il fondamento sopra di cui il nostro a-
more si appoggiava, come potrà questo sussistere?»
« Il vero amore, che unicamente è meritorio e sta-
bile, è quello che proviene dalla carità, la quale ci
porta ad amare il nostro' prossimo in Dio e per Iddio,
cioè perchè così piace a Dio, o perchè egli è caro a
Dio, o perchè Dio è in lui, o affinchè vi sia. Non è
già male amarlo ancora per altri motivi, se siano one-
sti, purché in effetto più l'amiamo per riguardo a Dio,
che per verun altro rispetto.
Contuttociò, quanto meno l'amore ha di mescolanza
di altri motivi, tanto è più puro e più perfetto. Nè
questo impedisce, che non si possano amare più alcuni,
che certi altri, come sono i parenti, i benefattori, i
virtuosi, quando, una tal maggioranza d'affetto non
nasca dal maggior bene che da questi proviene a noi,
ma dalla maggior somiglianza, che questi hanno con
Dio, o perchè così vuole Iddio. Oh quanto è raro l'amor
vero, cioè amare il prossimo solo per amor di Dio ! »
Per questo egli portava un grande amore, ed in-
comparabile rispetto ad ogni suo prossimo, perchè mi-
rava Dio incesso, ed esso in Dio: e per questa ragione
con chiunque trattasse egli pensava sempre a Dio. Così
pure avea gran tenerezza per gli amici, ma perchè li
amava in ordine a Dio. Scrivendo alla superiora d'un
monastero, le diede questo avvertimento: « Tenete
dritta la bilancia con le vostre figlie, acciocché i doni
naturali loro non vi facciano distribuire i vostri affetti
e gli uffizi in modo non equo. Quante persone vi sono
esteriormente sgarbate, che sono gratissime agli occhi
di Dio ! L a bellezza, la buona grazia, il ben parlare,
il buon tratto incontrano il genio di quei che ancor
vivono secondo le loro inclinazioni. La carità riguarda
le vere virtù e la bellezza dell'anima, & si diffonde
sopra tutti senza parzialità. »
Amore,ai fanciulli e ai poveri.A m a v a par-
ticolarmente i teneri fanciulletti : parlava ad essi con
bontà e li benediceva con un dolce sorriso. Cercava
ogni mezzo per avviare alle arti ed all'industria i
giovanetti poveri, dandosi egli d'attorno per trovar
loro il maestro di questo o di quel mestiere.
Li riceveva con tanta amabilità che essi si trovavano
beati quando potevano tornare tra le sue braccia. Oh
come piacevagli di contemplare nell' ingenuo loro sem-
biante il sorriso dell'innocenza! Con che fervore li
ammoniva, secondo che portava la loro età, e li inco-
raggiava a star buoni e ad essere divoti! Ma poi un
negro pensiero passandogli per la mente : « Ah ! diceva
tra sè, Iddio le crea pur belle le opere; ma il peccato
ed il mondo, oh che triste governo ne fanno ! Che
14 — B A R B E E I S , Vita di S. Francesco di Sales. Voi. II,

27.8 Page 268

▲back to top


sarà di queste care animucce? Dio mio, custoditele
voi, sotto le ali del vostro santo amore. »
Piccoli e grandi, ricchi e poveri, dotti ed idioti
trovavano in lui sempre il medesimo Francesco, l'amico
cioè, il fratello, il padre di tutti : se aveva qualche de-
ferenza era pei più poveri, pei più sofferenti e pei più
idioti. « Questa buona gente ha bisogno di essere aiu-
tata ne' suoi affari, alla stessa guisa che i signori .ed. i
grandi nei loro. L e piccole cose son cose grandi pei
poverine poi non è mica piccola cosa consolare un'a-
nima riscattata dal sangue di Gesù Cristo. »
Il santo vescovo aveva in fatti per massima che non
si dovevano mai ricusare a veruno quei servigi e quelle
soddisfazioni che gli si possono dare. Quando alcuno,
vedendolo logorarsi la salute con eccessive fatiche, gli
rappresentava che unsi ardente zelo consumerebbe le
sue forze e la sua vita, rispondeva: « Dieci anni di vita
di più o di meno a nulla contano, » e proseguiva ad
operare in egual modo, abbreviando così, a giudizio
di molti, i suoi giorni.
Questo eroismo in lui non ci farà stupire quando
si sappia che egli raccomanda altrettanto a tutti : « Il
Signore ci ha tanto raccomandata e insegnata, co'- suoi
esempi e colle sue parole, l'unione e la concordia degli
uni cogli altri, e con termini così ammirabili, che sem-
bra si scordasse di raccomandarci l'amore che dobbiamo
portare a Lui medesimo ed al suo Celeste Padre
E g l i non ci inculca tanto alcun'altra cosa, nè con pa-
role più stringenti, quanto l'osservanza di questo pre-
cetto ; nè senza grande ragione, poiché il suo diletto
discepolo S . Giovanni assicura, che chiunque dice di
amar Dio e non ama il suo prossimo è mentitore,1 per-
chè non si può amare Iddio senza amare il prossimo,
che è creato ad immagine e somiglianza sua. »
« Un giorno, dice la S. Madre di Chantal, che 10
gli rimproverava un lungo discorrere che aveva tenuto
con una persona di poco ingegno e di bassa condizione
mi rispose : « sono debitore a tutti : sapientibus et in-
sipientibus debitor sum. Altra volta lo biasimai per aver
parlato a lungo ad una persona povera e di cose inu-
tili, ed egli mi disse: « Ciò che a noi sembra cosa
inutile è d' importanza per questa povera gente. »
Il vescovò di Belley racconta pure che un giorno,
avendo il Santo prelato tenuto conversazione molto a
lungo con una povera donna cieca e mendicante, egli
gli espresse il suo stupore : « Oh, disse allora il Santo
vescovo, questa cieca vede- più chiaramente nelle cose
di Dio di parecchi, i quali hanno buoni occhi, ed io
provo piacere nel trattenermi con essa. »
Del sopportare i difetti del prossimo, e dell'a-
mare i nemici. — A questo tenerissimo amore, che
Francesco mostrava del prossimo è da aggiungersi l'in-
comparabile^sua maniera di compatirne e sopportarne i
difetti. « Gli uomini, diceva, bisogna che .abbiano pa-
zienza gli uni verso gli altri, ed i più dabbene sono
quelli che meglio sopportono i difetti altrui. .. È gran
parte della perfezione a cui ognun di noi deve procura-
re di giungere, il sopportarci a vicenda gli uni gli altri
nelle nostre imperfezioni; nè in altra miglior guisa si
può esercitare l'amore del prossimo. Facile cosa è amar
coloro che sono d'indole grata e compiacevole; ma
nel fatto della carità, vera pietra di paragone si è
amar coloro che sono d'umor capriccioso, stizzoso,
molesto. »
Anche diceva: « V e r s o il prossimo fa d'uopo aver
cuor buono e dojce, eziandio quando ci torna dispia-
cevole e grave : perchè allora quello che lo fa amare

27.9 Page 269

▲back to top


è il solo rispetto del Salvatore, il quale perciò rende
quell'amore più eccellente e più degno, perchè più
puro e netto di condizioni caduche. »
Il vero amor del prossimo si dimostra specialmente
nella dilezione dei propri nemici, e di coloro che cer-
cano farci del male. Francesco in questo si dimostrò
proprio eroe. Non solo non si vendicò mai di coloro
che gli fecero delle ingiurie, e ne ebbe molti ; ma ve-
niva ad amarli anche di più; ed era cosa nota a tutti
che bastava avergli recato qualche dispiacere per espe-
rimentare subito gli effetti della sua bontà.
« Io non so, diceva, come sia fatto il cuor mio; ma
sento tal piacere, e mi riesce cosa tanto soave, deli-
ziosa, simpatica, l'amare i miei nemici, che, quando
Iddio mi avesse vietato di farlo, molto mi tornerebbe
penoso l'ubbidirgli..... Oh! come non sopporteremo
noi coloro cui Dio stesso sopporta, mentre ci sta in-
nanzi il grande esempio di Gesù Cristo, che in croce
prega pe' suoi nemici? e noi, non ci hanno ancora
crocifissi, nè ci hanno ancora perseguitati a morte ! Oh
chi non l'amerà questo caro nemico, per cui G. Cristo
pregò e morì ? »
Vedendo taluni, ch'egli, nonché risentirsi delle in-
giurie più gravi e riprovevoli, ne pigliava anzi argo-
mento d'amare i s u o i v nemici più teneramente di prima,
ne facevano le maraviglie con lui ; ma egli : « Voi non
vi maravigliente più, rispose, quando saprete che i
miei nemici, quando li ho veduti una volta, non pas-
sano quindici dì a diventar miei amici. Parmi adunque
che molto più torni conto serbar sempre carità, e la-
sciar le vendette a chi non se ne intende del proprio
vantaggio. »
Ricevette un dì due lettere, delle quali una era
piena di parole dure, pungentissìme contro la sua per-
!
— 213
sona; nell'altra era avvertito, che un tal gentiluomo
diceva molto male di lui. Lettele, disse riguardo la
prima : « Io non risponderò altrimenti a costui, ma
pregherò Dio di parlargli- al cuore. » Della seconda
poi soggiunse : « E che conchiudere da tutto ciò, se
non che fa d ! u o p o c h ' i o preghi molto per questo si-
gnore ? »
Non ostante la ripugnanza immensa che aveva per
le maldicenze, il Santo vescovo non voleva che uno
si turbasse in udendo, suo malgrado, nelle società, pa-
role che non convengono. « Nelle conversazioni, di-
ceva, statevene in pace qualunque cosa vi si dica o
faccia, poiché, se la cosa di cui si tratta è buona avete
motivo di lodar Dio, e se è cattiva avete di che ser-
virlo, distogliendo il vostro pensiero da essa senza farne
le maraviglie e mostrarne sdegno, non avendo voi suf-
ficiente 'potere ed autorità per far cessare i cattivi di-
scorsi di quelli che li vogliono fare, e che ne farebbero
ancor dei peggiori se si mostrasse di volerli impedire.
Così facendo pesterete innocenti in mezzo ai fischi dei
serpenti, e non contrarrete alcun veleno conversando
con le lingue velenose. »
Del pari infinitamente spiaceva a Francesco il mot-
teggiare sui difetti del prossimo. Sentendolo fare da
taluno, per bel modo s'industriava di cambiar discorso,
o componeva il volto a mesta serietà; se ciò non ba-
stasse, punto non temeva di riprendere apertamente
il motteggiatore. • - . « ' :
Carità amabile. — Se tali erano i modi che
Francesco teneva co' suoi nemici, considerate di qual
tempra dovesse essere l'amore che sentiva per gli ami-
ci! La sua era una vera amicizia, schietta, sincera,
generosa, lontana da tutto ciò che all'amico piuttosto

27.10 Page 270

▲back to top


può lusingare l'orecchiò, che recare vero vantaggio.
L a sua amicizia era fondata nell'efficace desiderio di
procurare, a poter suo, il bene dell'amico; e non quar
lunque bene, ma il vero, il primo di tutti i beni, lo spi-
rituale profitto nella virtù e nella santità.
Per queste medesime condizioni, semprechè gli tor-
nava bene, il Santo vescovo caldamente raccomandava
la pratica di certe virtù, le quali, egli diceva, gene-
ralmente non sono avute in quel pregio che meritano:
come la cordialità, la pazienza, l'affabilità, la bontà;
e stimava illusione ed inganno il credere, che si pos-
sano fare grandi cose per il prossimo, quando non s'ha
virtù da sopportare le persone rozze e spiacenti, le
sgarbatezze, e specialmente l'importunità di quei tali,
che per un nonnulla son sempre lì a recarti disturbo
e noia.
Non poteva sopportare la maldicenza, e il' censu-
rare e il pubblicare i difetti del prossimo. « S e ' dal
mondo, così egli, si togliesse la maldicenza, si toglie-
rebbe la maggior parte dei peccati. »
« Se un fatto, era anche solito a dire, avesse cento
aspetti, sempre bisognerebbe guardarlo dall'aspetto mi-
gliore e più bello. »
Quando poi un fallo fosse stato sì grave e pubblico,
che non avesse luogo a scusa, levando gli occhi al
cielo esclamava: « Oh. quanto è grande la miseria u-
mana! quanto terribili sono talvolta le tentazioni! in
che tristi condizioni si trova talvolta il cuore dell'uo-
mo ! » Altre volte diceva: « A h ! se non fosse della gra-
zia che ci ha preservati e sostenuti noi avremmo forse
fatto peggio, e già saremmo sprofondati nel!' inferno !
Chi sa! Forse, se un di costoro si converte, diventerà
gran santo ! Davide ed Agostino ci provano, che talora
i più grandi peccatori diventano i più grandi santi. >>
215
Un cotale biasimava un dì alla sua presenza un
Buon prete, dicendo che in quanto a virtù non c'era
male; ma in quanto a scienza era un grande ignorante.
« È vero, rispose Francesco, la scienza e la pietà sono
i due occhi di un buon ecclesiastico; ma siccome alle
sacre ordinazioni s'ammettono anche quelli, i quali
hanno sano un occhio solo, specialmente se sia quello
del canone; così un sacerdote che abbia l'occhio del
canone, vale a dire una vita. esemplare e canonica,
può essere buon religioso. Se non ha talento di gran
predicatore, basta che possa esortare al bene e fare il
catechismo. »
Questa gran carità di Francesco era anche quella,
che noi lasciava pensar male degli altri giammai ; anzi
era così profondo nella carità, che di niun peccatore,
benché morto di mala morte, permetteva che si mo-
strasse opinione che fosse dannato. « Non condanniamo,
diceva; le nostre congetture potrebbero essere false;
la-perseveranza finale non è cosa che si conceda per
meriti nostH : Dio ha serbato a sè il segreto di coloro
a cui Egli la dà
Gesù Cristo offrì il perdono, la
pace, la sua amicizia a Giuda medesimo. »
L a gran carità di cui il Salesio-aveva riboccante
il cuore, sembrava manifestarsi così in tutti i suoi di-
s c o r s i , come in tutti i suoi lineamenti ed in tutte le
sue maniere. Una fronte sempre serena, un sembiante
ingenuo ed allegro, risposte vive e pronte, ed una dol-
cezza che non può esprimersi, facevano ammirare quanto
di amabile ha la virtù. Mostravasi con tutti e sempre
cortese, nè mai dava il menomo indizio di noia, d'im-
pazienza o di stanchezza ; esercitava con tutti quei pre-
cetti dì civiltà che piacciono tanto : era pronto a ren-
dersi all'altrui volere in tutto ciò che era onesto, viveva
con tutti in somma pace.

28 Pages 271-280

▲back to top


28.1 Page 271

▲back to top


« Mi è più facile, diceva, l'accondiscendere a fare
ciò che si vuole da me, che l'indurre altri a fare
quello che voglio io. »
\\
/
CAPO VII.
Esempi e dottrina di S. Francesco
circa la limosina.
Pensieri di S. Francesco riguardo la limosina.
—• E r a al tutto mirabile il modo con cui S . Francesco
di Salès esternava la sua ardente carità verso il pros-
simo. Questa sua celestiale carità appariva in tutto il
suo splendore nell'inclinazione che aveva e nel modo
che adoperava nel fare la limosina. Innamorato qual
era del prossimo e così disamorato delle ricchezze e
dei beni di' questo mondo egli dava quanto poteva a
chiunque lo richiedesse. Fin da fanciullo egli ereditò
questo amore verso i poveri dai caritatevoli genitori;
ma quando fu prete e poi vescovo questa carità non
ebbe più tonfine.
Tanta era la compassione che pigliavalo al vedere
qualcuno a soffrire, che i mali altrui parevano mali
suoi propri, anzi molto più ; e se mai addimostravasi
dolente ed afflitto si era quando accadevagli di trovare
qualche misero od infelice e non lo poteva aiutare e
consolare, Oh con che prontezza donava, quando po-
teva, all'afflitto suo simile ! O qualunque conforto o di
cose materiàli, come vesti, vivande, danaro, o di spi-
rituali, come salutari consigli ed esortazioni, tutto fa-
geva con grande amorevolezza,
Alla limosina soleva unire qualche buon consiglio ; e
il modo che teneva nel far questa seconda carità, la spi-
rituale, tanto più nobile e sublime di quella prima, era ta-
le, che chiunque la ricevesse non poteva non ammirarlo.
Teneva un catalogo dei più bisognosi della sua dio-
cesi e cercava per quanto poteva di sollevarli. Sobrio
nel vitto, semplice negli abiti, negava severamente a se
stesso tutto il superfluo, per tenersi in una santa par-
simonia, ed avere più abbondantemente onde provve-
dere alla miseria degl'indigenti ; essendo proprio della
vera carità togliere a se medesimo per accrescere ciò
che si dà agli altri.
Ogni settimana, nel lun,edì e nel giovedì, faceva alla
porta del vescovado una generale limosina, più o meno
abbondante, secondo la possibilità sua "e il rigore dei
tempi e delle stagioni ; e distribuiva a ciascun povero,
pane, minestra, legumi ; mandava loro i cibi che gli
venivano apprestati alla mensa, e li provvedeva degli
abiti occorrenti. Negli altri giorni faceva la limosina
in particolare a tutti quelli che si presentavano, senza
mai ricusarla a veruno ; e varie volte non avendo da-
naro in sua mano, lo pigliava in prestito, piuttosto che
congedare il povero senza dar nulla, oppure dava le sue
biancherie, i suoi abiti, ed i suoi calzari. Un giorno
diede perfino le scarpe che portava ai piedi; ed un'al-
tra volta si privò delle ampolline d'argento della sua
cappella, e quando l'economo volle fargliene rimpro-
vero, gli rispose sorridendo : « L e ampolline di vetro
sono assai da preferirsi, giacché con esse è impossibile
prendere errore circa l'acqua ed il vino del sacrifizio. »
Non poteva, nell'inverno, vedere i poveri mal ripa-
rati e tremanti pel freddo, e subito dava loro o da-
nari per comperarsi delle vesti, ovvero, in mancanza di
danari, gli abiti stessi che aveva nella sua guardaroba.

28.2 Page 272

▲back to top


.215
Talora il famiglio che aveva cura de' suoi abiti e
della sua biancheria si sdegnava vedendo dar fondo
a quanto eravi nella guardaroba del suo padrone. « A -
mico mio, gli diceva il Santo, non vi adirate ; questi
abiti sono più dei poveri che miei, poiché ne hanno
più bisogno di me. » Poco soddisfatto quegli di tale
risposta, e deducendone che il padrone era disposto a
continuare le sue liberalità, metteva spesso ogni cosa
sotto chiave. Allora il Santo vescovo si spogliava de-
gli abiti che portava al di sotto, per vestire con essi
i poveri. Un giorno pertanto, commosso alla vista di
un mendico, gli diede la camiciuola nuova, che por-
tava sotto la sottana, raccomandandogli il secreto, e
soffrì il freddo per tutto il resto della giornata.
Dei poveri, così detti vergognosi, teneva una nota
particolare, e provvedeva alle loro necessità nel modo
richiesto dalla loro condizione. Andando via da An-
necy vi faceva distribuire le stesse limosine, che s'egli
vi fosse : « L a mia assenza, diceva, non deve tornare
a danno dei poveri. »
Limosine agli ammalati. — Dove però la cele-
stial carità del paterno cuor di Francesco appariva in
tutto il suo splendore era nella visita degl'infermi,
specialmente poveri ; nè riputava contrario all'onor suo
o della dignità episcopale l'andare al letto or di questo
or di quello de' suoi cari figliuoli, e di preferenza a
quelli che giacevano nei tuguri più vili ed abbandonati,
o nelle capanne o nelle stalle ; che anzi dava chiaro
segno di rallegrarsene, e portava la consolazione in
tutta la famiglia e nel vicinato. E capitavano scene
ben commoventi quando quei desolati si vedevano
d'improvviso sopproggiungere il Santo vescovo, e' nel
dolqissjmò sorriso di quel volto scorgevano il chiaro
— 219-—
segno dell' interna letizia ch'egli provava di trovarsi
in mezzo ad essi per far loro del bene, e terger loro
le lagrime !
Dava loro danaro ; mandava, o per lo più portava
esso stesso cibi e medicine, e colle sue proprie mani
a m m a n n i v a - i l cibo od il rimedio, e loro il porgeva con
quel garbo, che maggiore non poteva usare la più.
tenera madre. Nè sdegnava di render loro anche i più
bassi servigi che occorrono attorno i malati. Alle volte
dalle piaghe e dal giaciglio di quei poveretti esalava
un pessimo odore e gli si diceva di non accostarvisi
troppo; ma egli rispondeva: « Lasciatemi fare; i cattivi
odori dei poveri sono rose per me. »
Per mettere al sicuro la castità delle donzelle pro-
curava loro una dote con quel più di danaro che po-
teva. Riceveva in sua casa i pellegrini ed i religiosi
con una carità tutta paterna.
Ogni anno nel giovedì santo serviva a pranzo do-
dici poveri e distribuiva loro una somma notevole, dopo
di aver lo*o lavati e baciati con tenerezza i piedi.
Tutti i nuovi convertiti, che da Ginevra o da altri
luoghi venivano a rifugiarsi in Annecy avevano, pure'
parte alle sue liberalità, proporzionatamante alla neces-
sità in cui erano.
'
Quando qualche povero, per malattia, non poteva
venire in persona a prendere la limosina, o gliela man-
dava, o andava egli medesimo a portargliela. Reca-
vasi anche a visitare i poveri malati negli ospedali e
nelle carc.eri, confortandoli di sante parole, e per bel
modo inducendoli a confessarsi e comunicarsi. Li con-
fortava e disgombrava dal loro animo quelle nubi che,
o la memoria dei commessi disordinilo il timore de' di-
vini giudizi sogliono indurvi. In questa carità egli lodava
S, Agostino, e lo imitava. Parlando di lui ebbe a seri-

28.3 Page 273

▲back to top


vere : « La carità che S. Agostino portava ai poveri
era sì grande, che egli diede loro tutto ciò che aveva,
e non si riservò cosa alcuna; di maniera che, quando
era vicino a morte, siccome quelli che lo assistevano
lo sollecitavano a fare il suo testamento : io vi prego,
disse loro, non insistiate su questo punto. Ma come lo
importunarono molto, non si trovò di che farlo, avendo
già prima dato in limosina quanto possedeva. »
Può recar maraviglia che Francesco bastasse al sod-
disfacimento di tanti bisogni, quando si sappia che sì
scarsa era l'entrata del suo vescovado ; ma, oltreché
egli alle volte era fatto dispensatore delle limosine di
tanti che in lui si rimettevano, oltreché poteva dalla
sua casa ricevere di che sopperire al difetto della mensa
vescovile, egli sapeva economizzare straordinariamente
per se stesso. E di che maravigliosi frutti non vediamo
feconda un'assennata parsimonia! E poi non ha Egli
detto il Signore, che le cose occorrenti per la mate-
riale vita del corpo largamente ci saran date, quando
rivolgiamo l'animo nostro al regno di Dio ed alla sua
giustizia?
;
Sempre che il Rolland, suo maggiordomo, lagna-
vasi dello sperpero delle sostanze che tutte andavano
alle mani dei poveri, Francesco lp confortava di non
appenarsi, perchè Iddio avrebbe ben pensato Egli a
che i suoi servi non patissero difetto di nulla. Il suc-
cesso sempre mostrò che' la sua fede non era vana.
Mons. Camus aggiunge : « Era argomento di con-
tinue lagnanze del suo economo, il quale non sapeva
come far fronte a tante limosine. Francesco mostran-
dogli il suo crocifìsso dicevagli: « Puossi rifiutare al-
cuna cosa a un Dio che si lasciò' mettere in questo
Stato per noi?
Limosina spirituale. — T e n e v a come una specie
di limosina l'impedire le discordie e le liti. Non voleva
che si litigasse. A v e n d o un dì saputo, che doveva es-
servi lite tra padre e figliuolo per certo interesse, fece
chiamare a sè l'uno e l'altro, e poi disse: « Qual è la
differenza vostra? ecco qua i miei candelieri d'argento;
pigliateveli e non fate altra contesa. »
A questo fine, di comporre in pace e concordia gli
animi, durava spesso il Santo vescovo enorme e noiosa
fatica; ma non lasciava di sentire tranquillamente tutte
le ragioni dalle due parti, e poi dava il suo parere:
il quale ordinariamente era tale, che ognuno ne re-
stava contento, e toglievansi le divisioni e le inimicizie.
« Ho atteso a far degli aggiustamenti, scriveva un d ì :
la mia casa era piena di litiganti ; ma ho così felice-
mente accomodato le loro differenze, che ognuno ne
fu pienamente soddisfatto, e se ne ritornò a casa
contento. »
Egli si prestava con pari affetto per tutti, conser-
vando sempre il suo spirito raccolto in Dio. « Poiché,
diceva, conviene trattare gli affari della terra cogli
occhi fissi in cielo. »
Finalmente considerava anche come limosina le pre-
ghiere e le indulgenze che applicava alle anime del
Purgatorio. Egli aveva sollecita cura dei trapassati.
« Ah ! diceva, non ce ne ricordiamo- abbastanza dei
nostri cari morti ! sembra che la loro memoria disper-
dasi col cessare del suono delle campane ! Eppure la
Sacra Scrittura c' insegna che il vero amore è più forte
della morte ! »
« Dir male dei trapassati è inumanità paragonabile
a quella di certe bestie feroci, le quali disotterrano i
cadaveri per divorarli: dirne bene per stimolare noi
ad imitarli è cosa lodevole: ma recar loro aiuto e con-

28.4 Page 274

▲back to top


forto è cosa molto migliore ancora. Egli è un visitar
gì' infermi, è dar da bere a coloro che hanno sete
della beatifica visione di Dio ; egli è un nutrire gli
affamati, è un liberare i carcerati e spezzar loro i ferri ;
, è provvederci per trovare poi ospitalità nella celeste
. Gerusalemme, è consolare gli afflitti, illuminare gli
ignoranti, fare insomma tutte le opere di misericordia
in una sola. »
Ammaestramenti suoi sulla limosina. — Non
solo faceva limosina lui, ma anche insegnava agli altri,
con le esortazioni e con gli scritti ad abbondare in
esse.
Privatevi sempre di qualche. porzione dei vostri
beni, dice nella Filotea (parte III, c. 15), dandoli di
buon cuore ai poveri... E Dio ve li renderà non solo
nell'altro mondo, ma in questo ancora, perchè non v'è
cosa che prosperi tanto temporalmente quanto la li-
mosina. »
E nel, Teotimo (lib. V i l i , capo 9), soggiunge :
« Non lasciate, seguendo il consiglio del Salvatore, di
dar volentieri a tutti i bisognosi che troverete, a mi-
sura che la vostra condizione o i vostri interessi ve lo
* permettono. »
« Vi sono vari gradi di perfezione sul modo di fare
la limosina: il primo-grado è dare in imprestito ai po-
veri: un grado più alto è farne loro un* dono: più
alto ancora è donar loro tutto; e finalmente, ancora
più alto si è di dar loro anche la propria persona ob-
bligandosi al servizio dei poveri. » - « Ma il grado
supremo della limosina cristiana, dice altrove, è quello
di procurare la salvezza delle anime. »
In altro luogo soggiunge : « Fate ognor- più gene-
rose e più abbondanti le vostre limosine, perchè se
ciò che seminate nel seno della terra vi è reso con
usura dalla fertilità del suolo, ciò che getterete nel
seno di Dio, vi sarà infinitamente più fruttuoso, o in
una maniera o in un'altra; cioè Iddio vi ricompenserà
o dandovi più ricchezze, o più sanità, o rendendovi
più contenti. »
Si raccomandava poi ai ricchi affinchè ordinassero
là limosina materiale al fine di ottenere il vantaggio
spirituale del prossimo, cui si sovviene materialmente;
e sopratutto affinchè purificassero e sublimassero l'in-
tenzione loro e diceva : « Dando limosina figuratevi di
donarla a Gesù medesimo, poiché Egli ci disse, che tiene
come fatto a Lui stesso quanto faremo pel prossimo. »
CAPO VIII.
DellQ zelo che S. Francesco aveva
della salute delle anime.
*
»
;
.
" ...
A
Del suo zelo in generale. — P e r dare un'idea di
qual forza e natura fosse lo zelo di Francesco, basti
dire, che la santa Madre di Chantal, scrivendo di que-
sto, attestava che il suo zelo superava ancora quella
medesima sua straordinaria dolcezza, la quale tutti
sanno essere stata in lui tanto maravigliosa.
E questo molto ben si può credere se si consideri,
che Francesco ordinava tutte le virtù a questo fine di
glorificare Iddio salvando le anime. Infatti qui tende-
vano tutti i suoi pensieri, gli affetti, le opere; e di qui
riceveva l'impulso che lo muoveva ad ogni atto; di

28.5 Page 275

▲back to top


guisa che il viver suo non altro si può dire essere
stato, se non cercare con tutte le sue forze di amar
Dio e di farlo amare dagli altri. Quindi il più vivo
e caro diletto ch'egli aver potesse era il guadagnare
anime a Dio ; quindi la letizia che raggiavagli in fronte
quando ne sapeva guadagnata alcuna; e quindi quel
suo aver in conto di nulla tutte le dignità e onori e
ricchezze della terra, rispetto all' ufficio di salvare ani-
me. « Avessi, diceva, mille croci vescovili e mille pa-
storali, li lascierei all' istante, piuttosto che lasciare la
cura de' peccatori. » Anche era solito dire che la più
grande fortuna ch'ei sapesse desiderarsi, era quella di
morire per convertire le anime.
« Non abbiate timore alcuno di disturbarmi, così
scriveva ad un abate; ho sacrificato la mia vita e l'a-
nima a Dio ed alla Chiesa; che importa ch'io mi sco-
modi? purché accomodi alcuna.cosa per la salute delle
•anime. Alla carità niuna pena torna grave.
Zelo per la conversione dei peccatori.— Non
poteva pensare alla fatale sventura dei peccatori, che
van dannati, o delle anime che s'intiepidiscono nella
pratica delle virtù senza sentirsene spezzare il cuore
dalla pena; e ne piangeva a lagrime amare : ne gemeva
notte e dì, e come d ' u o m o cui preme ineffabil dolore:
« O Signore, esclamava volgendosi a Dio, o Signore,
fate che questi'poveri ciechi aprano gli occhi e veg-
gano ; dite voi una parola e risaneranno ; convertiteli
e saranno convertiti. »
Scriveva altra volta alla Chantal, essendo di carne-
vale : « Eccomi al tempo per me più cattivo ; per mi-
sero e detestevole uomo ch'io sia, non posso nondi-
meno non sentirmi sprofondato nel dolore, al vedere
tante anime rattiepidirsi. Queste due ultime domeniche
— 225 —
le nostre comunioni scemarono della metà, e ciò per
amore delle vanità del mondo. Oh quanto dolorosa mi
riesce questa diserzione ! »
« Ah! datemi anime, datemi anime, e tenetevi pure
tutto il resto : da mihi animas, caetera folle libi. »
Questo grido che uscivagli spontaneo dal cuore, già
usato nella Bibbia in altro senso, fu quello preso poi dal
venerabile nostro padre D.'Giovanni Bosco Come a im-
presa e stemma della Congregazione Salesiana, che egli
fondò e che per ciò deve informare anche tutte le
azioni de' suoi seguaci.
Quanto amaro ed acuto era il dolore che provava
della 'perdita delle anime, tanto viva ed indicibile era
la gioia che aveva di spendere se stesso con frutto a
salvarle. « Stimo questi giorni a peso d'oro, scriveva
alla Chantal, nel tempo d'una missione, in cui non fece
altro che affaticarsi notte e giorno. Oh che consolazione
veder convertirsi buon numero d'anime! Ho mietuto,
sempre con lacrime, or di gioia or d'amore, in mezzo
ai miei cari -penitenti. »
« Sono vescovo per i peccatori, ripeteva, pastore
per le pecorelle inferme, medico per le malate. »
Zelo nella predicazione e nel confessionale. —
Ma dove specialmente vedesi di che celestiale natura '
fosse lo zelo ch'egli aveva della salute delle anime, si
era nel ministero della divina'parola. In qualunque parte
si trovasse, sempre si mostrava, apparecchiato a soddi-
sfare al divoto desiderio dei popoli, che gli si affolla-
vano per ascoltare da lui le parole della vita eterna.
« A vederlo predicare, soggiunge un contempo-
raneo, sembrava vedere un serafino acceso d'amor di
Dio, ed il fuoco che sentivasi nelle sue parole mostrava
che il suo cuore doveva essere una fornace d'amore. »
1 5 - B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sales. V o i . I I .

28.6 Page 276

▲back to top


Allo zelo del predicare la parola di Dio corrispon
deva quello di ricevere i peccatori a penitenza, al sacro
tribunale della divina misericordia. In qualunque mo-
mento fosse domandato per udire confessioni di qualsi-
voglia persona, tosto abbandonava ogni altra faccenda.
Quante volte lasciò il pranzo a metà, per soddisfare
a qualcuno che desiderava confessarsi da lui ! Altre
volte, e specialmente in tempo delle visite pastorali,
passava l'intero giorno in confessionale. Accoglieva di
preferenza i poveri e gì' infelici, ai quali serbava più fine
e più tenere carezze ; e ne dava questa ragione : « Con
costoro la carità è più pura e più.vera. »
Zelo nel sacramento della penitenza. — Più
c'era da faticare per la salute delle anime, più era
contento: « I confessori, diceva, devono essere co-
me i vendemmiatori ed i venditori, che mai non si
mostran sì lieti, come quando il raccolto dà loro oc-
casione di più faticare. Che ventura, e ad un tempo
che onore per noi, che Dio sj degni servirsi del no-
stro ministero per togliere dalla via del peccato tante
povere anime e ricondurle in quella della grazia! »
D'una cosa sola vivamente appenavasi, ed era il
vedere i peccatori venirsi a confessare non ben dispo-
sti e contriti; allora tanto era il dolore che ne sentiva,
che piangeva e gemeva; onde anche avveniva, che
commoveva il peccatore e lo induceva a piangere esso
pure. Ebbe un dì a confessare un cotale, il quale non
che mostrare contrizione, diceva anzi i suoi orribili pecr
cati come se raccontasse una storiella: il Santo scop-
piò in pianti e singhiozzi affannosi. «Vi sentite male?
chiese il peccatore; che avete? — No, rispose Fran-
cesco, sto bene, grazie a Dio ; ma siete voi che state
male, e male assai. — Io? no, io sto anzi benone. —
Continuate adunque, ripigliò il Santo. — Segue*!' in-
felice a dichiarare i suoi peccati, e "sempre con un
aria df non me ne curo, e Francesco tornò a piangere
e a singhiozzare più forte di prima. — Ma insomma,
j che avete? chiesegli di nuovo colui: perchè piangete
a tal modo? — Piango, rispose allora Francesco, per-
chè non vedo piangere voi. — Oh me disgraziato !
disse alla fine il peccatore, tocco a quelle parole e
vergognato di sè : gli altri confessori fanno piangere
i penitenti, ed io fo piangere il mio confessore ! Le
mie colpe sono tali, che strappano le lacrime all' in-
nocente, ed io non piango! » E fu tanta la forza di
questo pensiero, che il poveretto quasi svenne là ai
piedi di Francesco; il quale allora prese a confortarlo
e consolarlo, cambiando le lacrime di dolore in quelle
dolcissime d'una santa allegrezza.
Effetti del suo zelo. — Volete ora conoscere l'ef-
fetto che produsse uno zelo tanto ardente? Eccolo: la
conversione "di ben 72.000 eretici; la santificazione del
clero della sua diocesi, che fin d'allora cominciò a
spargere quel gratissimo odore di specchiata virtù ec-
clesiastica, che ancora manda ai nostri dì; la fonda-
zione dell'Istituto della Visitazione, che di tanto or-
namento accrebbe la splendida veste della Chiesa di
Gesù Cristo; e più di tutto la diffusione di quello spirito
di efficacissima dolcezza, onde tanti servi di Gesù
Cristo si giovarono e si giovano tuttavia, con mirabile
vantaggio per l'accrescimento, per l'edificazione e per
la gloria della Chiesa cattolica.

28.7 Page 277

▲back to top


C A P O iI X .
Della mirabile dolcezza di S. Francesco.
Esempio di dolcezza — La dolcezza fu quella
virtù, che sovra le altre rese il nome di S. Francesco
di Sales tanto caro e glorioso al mondo intiero. Come
già si disse, egli per indole e per il temperamento san-
guigno era vivo, impaziente, sdegnoso. Furono gli
eroici sforzi, continuati per ben oltre 22 anni, che lo
ridussero modello di mansuetudine e di dolcezza. Ma
la vittoria fu tale, che non si smentì mai più per tutta
la vita, e la sua mansuetudine e dolcezza si rese di tal
natura, che si può-dire abbia formato l'espressione più
perfetta di quella carità del prossimo, che Gesù Cristo
c'insegnò; quindi in essa comprendevasi quanto ha di
bello la bontà del cuore, l'affabilità, la cortesia, l'ar-
rendevolezza a' desideri altrui, la benignità, la clemen-
za, la pazienza più invitta nel tollerare le contraddizioni
e i difetti degli altri, e la fortezza più virile nel vincere
i disordinati moti dell' irascibilità.
Questa sua dolcezza era vera e schietta, poiché
partiva dal cuore ; era una dolcezza reale ed efficace,
che facevalo amare di vero amore, e riempivalo di
tenerezza, benignità, misericordia verso il suo simile,
e che dal suo cuore diffondendosi ancora all'esteriore
aspetto, adornavalo di grazia amabilissima, e dava a' suoi
modi e detti un attraimento straordinario.
Egli era detto l'uomo più dolce e mansueto che
vivesse a' suoi dì. Onde potè dire con tutta candi-
— 229
dezza : « Io sono un povero uomo, soggetto alle pas-
sioni; ma, per grazia di Dio, dappoiché son pastore,
non mi ricordo d'aver detto parola sdegnosa alle mie
pecorelle. » Ma per arrivare a questo punto combattè
contro il suo carattere focoso fin da fanciullo, con-
fidando egli stesso ad uno dei suoi condiscepoli, al
P. La-Rivière, questo secreto: « Quando io ero giovane
mi' esercitai nella dolcezza e nell'umiltà con molto
fervore, e vi continuai vari anni senza pensare quasi
ad altra virtù, per riuscire a conseguire bene queste.»
E vi riuscì così bene, che la Chantal entusiasticamente
soggiunse: « Io credo, che sia impossibile esprimere
con parole la squisita dolcezza che Dio aveva diffusa
nell'anima di Francesco,, nella sua faccia, negli occhi e
nelle parole. »
« Mai non si vede Monsignore, diceva un testimo-
nio, se non con un volto sì dolce e soave, che inspirà
divozione ai cuori. » - « A me sembra, così un altro
testimonio di veduta, che tutta la m.ansuetudine,
ch'esser poesa in un uomo, fosse raccolta in lui ; io
non mi poteva saziare di rimirarlo ed ascoltarlo, tanto
era dolce e piacevole ; non faceva atto nè diceva pa-
rola che non fosse cosparsa della dolcezza di Gesù
Cristo Nostro Signore. »
S. Vincenzo de' Paoli, con gran maraviglia escla-
mava: « O mio Dio, se Mons. di Ginevra è tanto
buono, quanto più dovete esserlo Voi! »
La sua straordinaria dolcezza produceva sempre i
più maravigliosi effetti, poiché tale e tanto era l'amore
che ognuno' gliene pigliava, che, senza pur ch'egli se
lo aspettasse, era da tutti amato di cuore, ubbidito,
servito non solo ad ogni suo cenno e desiderio, ma pria
ancor del cenno, o d'aver significato il proprio desiderio
quando si poteva in gualche modo interpretare il suo
>
m

28.8 Page 278

▲back to top


desiderio. Mons. Camus ebbe a soggiungere: « Inge-
nuamente confesso che io trovava tanto diletto a fare
alcuna cosa la quale a lui tornasse gradita, che quando
egli mostravasi contento del fatto mio, mi pareva di
toccare il cielo col dito; ed ho conosciuto persone, le
quali, appressandosi a lui sentivano un certo qual fre-
mito, non per timore che avessero di dispiacergli, per-
chè a lui niuno dispiaceva, ma per timore di non pia-
cergli abbastanza. E di cotali persone molte anche
conóbbi che mi affermarono di sè, che sebbene avezze
a trattare con principi e principesse, non di meno
neppure alla presenza loro non si sentivano portate
ad usare maniere così attente come alla presenza del
beato F r a t e s c o , tanto era la forza di quella sua dol-
cezza piena di maestà. »
\\
Effetti che produceva. — Questa sua bontà pro-
duceva effetto straordinario sovra i cuori umani, quindi
il numero di coloro che cercavano di Francesco era
tale, che l'andare e il venire da lui era continuo. Egli
riceveva tutti, ed' a tutti faceva cortese accoglienza.
Coi poveri e di bassa condizione teneva di preferenza
modi, che inspirassero fiducia e coraggio di contargli
i loro guai, per averne opportuno conforto; coi ricchi
e qualificati osservava tutte quelle regole che l'uso
portava, e volentieri li onorava e dava loro quei titoli,
che sapeva tornar loro graditi : « Siccome, diceva, non
v'ha uomo, che si dia meno di me pensiero degli onori,
così non v'ha chi più di me voglia onorare gli altri. »
Ciò che in lui aveva veramente del singolarissimo
si era quel sempre conservarsi dolce e tranquillo, nè
mai dar segno di fastidio o noia, per molte e diverse
che fossero le visite che doveva ricevere, e "le con-
traddizioni a cui fosse messo. Tutti accoglieva in mo-
do, che ciascuno credeva di essere il suo prediletto,
e avrebbe detto, egli non aver altro che fare se non
badare a lui.
. Ognuno si stimava ben avventurato di avergli po-
tuto parlare, e nulla meglio desiderava che ritornare.
« Sono figliuoli che corrono al seno del loro padre,
diceva il mirabil uomo : videsi egli mai, che una
chioccia s'adiri quando i ' suoi pulcini si gettano
tutti sotto le sue ali ? le stende anzi più che può per
ricoverarli tutti. Così a me sembra che crescendomi in-
torno il numero dei miei cari figliuoli, anche il mio
cuore si dilati. »
Esortazione alla dolcezza. — Teneva e ripeteva
spesse volte la sentenza di Sant'Agostino, che bisogna
odiare il male ; ma nutrire viscere di carità e di compas-
sione per chi lo avesse commesso.
A chi lo rimproverava di troppa dolcezza rispon-
deva: È minor male aver da render conto di troppa
dolcezza, che di troppa .severità. Dio non è Egli amo-
re ? Dio Padre è detto padre delle misericordie : il suo
eterno Figlio si chiama agnello, lo Spirito Santo si
mostra sotto forma di colomba, che è la stessa dol-
cezza. Se vi avesse cosa migliore della benignità Gesù
lo avrebbe detto ; ed intanto altro non ci inculcò d'im-
parare da Lui, se non la mansuetudine e l'umiltà del
cuore. »
Ma, alcuno ripigliava, que'cotali sono uomini indegni
della vostra bontà, sono apostati, sono gente perduta.
— « A h ! rispondeva allora il santo vescovo, non v ' h a
dunque che Dio e me per amare questi poveri pec-
catori? vogliono che li tratti duramente perchè sono
peccatori; come se perciò appunto non fossero anche
più meritevoli di compassione ! Vogliono che mi scordi

28.9 Page 279

▲back to top


che sono mie pecorelle, che neghi le mie lacrime ad
esse, cui Gesù Cristo donò tutto il suo sangue ! con
chi dunque io userò misericordia se non con i pec-
catori? »
« Chi ama il rigore vada lungi da me, perchè io
di rigore non vo' saperne. »
« A tener maniere dure ed aspre, diceva altra volta,
non vi è nulla da guadagnare. »
Anche diceva: « L o spirito umano è così fatto,
che a trattarlo con rigore si inalbera. Tutto con dol-
cezza, niente per forza : la durezza manda a male
ogni cosa, inasprisce i cuori, produce l'odio ; e lo
stesso bene che fa, lo fa di sì mal garbo, che non si
può sapergliene grado. A l contrario la dolcezza ma-
neggia a suo talento il cuore dell'uomo, e ne fa quel
che vuole. »
/
Di qui quel suo provèrbio, che spesso ripeteva:
« Zucchero non guasta salsa, spesse volte la guasta il
troppo saie. » E quell'altro: « Alla buona insalata bi-
sogna più olio che aceto. » E quell'altro ancora: « si
prendono più mosche con un cucchiaio di miele che
con un barile di aceto. » Altre volte soggiungeva :
« colla dolcezza si fanno dei penitènti, colla durezza de-
gli ipocriti. » Di qui ancora quel suo dire di quando
in quando : « Beati i cuori pieghevoli : essi non si rom-
peranno. Beati gli uomini dolci, che possederanno la
terra, cioè saran padroni dei cuori e guideranno a lor
posta le altrui volontà. »
Facevaglisi un dì carico di non aver severamente
corretto un giovane, il quale aveva commesso gravis-
simo fallo. « Che volete? rispose egli, ho fatto il pos-
sibile per armarmi d'uno sdegno, che non passasse il
giusto limite ; ma poi ho temuto di perdere in un
quarto d'ora quel poco di dolcezza, cui da 22 anni
mi travaglio di raccogliere nel vaso del mio povero
cuore, a goccia a goccia come la rugiada. Un'ape dura
parecchi mesi per fare un poco di miele, che un uomo
manda giù in un boccone. E poi, a che prò parlare
a chi non intende ? questo giovane non era capace di
trar profitto dalla mia correzione : per la sua cattiva
disposizione del cuore, una forte ed amara ripren-
sione nulla avrebbe giovato a lui, e molto nociuto a
me, che allora sarei stato di quelli che si annegano
senza riuscire a salvare gli altri. »
Dolcezza nelle controversie. — Conscio della
nobiltà del proprio carattere sacerdotale e vescovile,
riputava che, anche nelle controversie coi nemici della
religione, sempre sarebbe stato grandissimo guadagno
l'essersi portato in guisa, che dopo la disputa potesse
jdire con sicura coscienza : ho parlato e adoperato come
deve un sacerdote, un ministro di Gesù Cristo.
Diceva ancora spesse volte : « La ragione rivestita
di dolcezza ha molto più forza e splendore;, rivestita di
collera perde il suo splendore e la sua forza. » — « Non
mai la verità,si stabilisce senza la carità, l'empietà
invece fa il contrario. Se dagli scritti di Calvino, di
Zuinglio, di Lutero, di Beza, si togliessero le ingiurie,
le calunnie, le invettive, gli scherni che fanno contro
il Papa, contro la santa Sede e contro i cattolici, si
vedrebbero r loro volumi farsi piccoli piccoli ».
« Ma, gli si disse qualche volta, a che vale questa
tanta dolcezza, quando gli uomini non vi corrispon-
dono che con mormorazioni, calunnie e censure? —
« E tuttavià siate dolci, rispondeva Francesco. Mirate
l'esempio del nostro divin Maestro : di quali mormora-
zioni e contraddizioni non fu fatto segno? Benché san-
tissimo fu detto impostore, sedizioso, indemoniato;
' spesso ancora lo si volle lapidare. E con tutto ciò punto

28.10 Page 280

▲back to top


non maledisse coloro che maledicevano Lui; ma ri-
spondeva con benedizioni alle maledizioni, possedendo
l'anima sua con la pazienza. »
Anch'egli era di spiriti vivaci e sentiva molto.
Avendo un dì ricevuto gravissimo oltraggio, un suo
fratello gli domandò se non ne sentisse commozione
e sdegno. « A h ! rispose, sentiva la collera che mi bol-
liva dentro, come acqua in un vaso posto al fuoco. »
Ma a forza di sforzi e a forza di continuo vegliare
sovra di sè, di combattere le sue inclinazioni e vin-
cerle; « a forza, com'egli diceva, di pigliare la mia
\\ collera per il collo, e frenarla e cacciarmela sotto a'
piedi, » ottenne tanta signorìa di se stesso, che a ra-
gione fu detto l'uomo più dolce e mansueto, che
vivesse a' suoi dì.
Dolcezza coi famigliari. — Neppur coi famigliari
non usava mai altri modi, se non dolci e soavi. Biso-
gnandogli alcun servizio non usava comando, ma pre-
ghiera, o faceva intendere il suo desiderio, in guisa che
altri si mettesse a soddisfarnelo spontaneamente. Le
riprensioni, anche nei casi più gravi, le faceva per modo
di dolci rimproveri, studiandosi di mettere nel colpe-
vole sentita cognizione e dolore del proprio fallo, senza
dar mai occasione a risentimento.
Bisognando correzione ad alcun suo servo, Fran-
cesco non trasandava punto il suo dovere:- ma face-
vaia per sì bel modo, e sapeva scegliere il tempo sì
opportuno, che sempre era consolato di vederne buon
frutto. Quando adempivano bene il loro dovere, loda-
vali ed animavali a fare sempre meglio, mostrandosi,
colle dolci parole e la sorridente aria nel volto, con-
tento di loro.
« Contrastando al suo dire, così mons. Camus,
io riportava un dì il proverbio che dice: la troppa fa-
migliarità genera il disprezzo. — Sì, rispose, la fami-
gliarità* zotica merita di essere ripresa ; ma non già la
famigliarità pulita, cordiale, onesta e virtuosa; peroc-
ché, siccome procede da amore, così genera il vero
amore, il quale mai non manca di essere inspirato dalla
stima e dal ^pregio che s'ha dell'oggetto amato
Non
v.'ha al mondo persona più rispettata, e cui più .si
tema d'offendere, che quella che è amata di cuore.
Amiamoli adunque come noi medesimi, questi cari
prossimi, e teniamo con essi quei modi che, essendo
noi della lor condizione, desidereremmo che fossero
tenuti con noi. »
A niuno però de' suoi famigliari faceva, Francesco,
tante carezze come a Martino, quel poveraccio di
sordomuto che trovò a La-Roche quando vi predicò
la Quaresima. Se lo raccolse in casa, e sempre lo tenne
carissimo, ammaestrandolo egli stesso, per mezzo di
segni, delle cose della fede, in modo che, non solo venne
a conoscere'i misteri, e i precetti di Dio e della Chiesa ;
ma ancora sapeva far intendere altrui i suoi buoni e
cattivi pensieri, sino a distinguere fra il più o il meno
compiuto consenso della volontà, colla differenza del
peccato veniale o mortale. « Mi ricordo, così il P.
La-Rivière, che un lunedì o martedi grasso, la sera
dopo cena, il santo vescovo fece venir Martino nella
sua camera, dove noi eravamo con altre onorevoli per-
sone, e accennogli che predicasse. E quel poveretto
sedutosi é. fatto il segno della santa croce, cominciò
a sforzarsi di parlare ; ma altro non potea mandar
fuori che suoni inarticolati; ma vi era da prender pia-
cere di vederlo contraffare il ladro, l'omicida, il goloso,(
il superbo, la donna vana e simili. E d era in vero
cosa assai curiosa il veder con che gravità s'industriava

29 Pages 281-290

▲back to top


29.1 Page 281

▲back to top


di far bene la sua parte, ora alzando gli occhi al
cielo, ora stendendo le braccia, finché, per indicare che
quei vizi menano all'inferno, voltavasi al fuoco, e ter-
minava facendo atti e gesti come se avesse da gettarvi
sopra i peccatori. »
« Tutte le sere, segue a dire il medesimo storico,
questo povero sordomuto, prima di andare a letto fa-
ceva il suo esame di coscienza ; s'inchinava alle im-
magini di nostro Signore, della SS. Vergine^ dei santi,
e con grande divozione pigliava l'acqua benedetta.
Tutti i dì sentiva la Messa, ed era divotissimo del
SS. Sacramento. »
« Volendo confessarsi andava dal santo vescovo nella
sua camera o nella cappella, s'inginocchiava a' suoi
piedi, e con grandissima dimostrazione di dolore confes-
savasi per cenni, piangendo e battendosi il petto. Il
Santo incoraggiavalo a comunicarsi, e il povero uomo
facevalo con tanta riverenza e fervore, che ognuno ne
restava edificato e commosso. »
E r a grande l'amore che il santo vescovo portava al
suo Martino. A mensa alle volte compiacevasi di dargli
qualche boccone del suo piatto, e glielo porgeva alla
punta della sua forchetta ; raccomandava a tutti di
usargli grandi riguardi. E l'amore che Martino rende-
vagli in ricambio era cosa da non potersi dire a parole-
Quando vedeva ritornare il santo suo padrone da qual-
che luogo al vescovado correvagli incontro, e con mille
atti e segni mostrava qual viva gioia fosse la sua nel
vederlo. E questo amore crebbe con gli anni così, che,
quando Francesco passò da questa vita, parve che il
povero sordomuto ne avesse anch'egli a morire, tanto
fu grande il cordoglio che n'ebbe : inconsolabile non
riceveva conforto, e niun figliuolo mai pianse la morte
di sua madre con lagrime di più vero e sentito dolore.
23?
Pèrsin con le bestie S. Francesco sentiva e mostrava
bontà di cuore. Nel giardino mons. Camus aveva un
capriolo. Avendo un giorno in episcopio, con S . Fran-
cesco, vari invitati, volle, per fare un po' di festa, che
s'andasse alla caccia di quello. E già radunata gran
gente a godere dello spettacolo, in poco d'ora suona-
rono i corni, ed i cani pigliarono ad inseguire la tre-
mante fiera. Francesco, tentato invano d'impedire quel
giuoco, si chiuse in camera. Portatoglielo morto non
volle guardarlo, e quando fu servito a mensa: « A h !
disse, il piacere che voi pigliaste di perseguitare così
questa povera bestia, mi ricorda il piacere che si pi-
gliano i demoni a cacciare le anime, per farle cadere
nel peccato, e quindi nella morte eterna. »
Dolcezza verso noi stessi. — Il gran Santo aveva
sì alto intendimento di questa virtù della dolcezza, che
la voleva praticata, nonché verso gli altri, ma ancora
che ciascuno la praticasse con se stesso ; voleva che
ci guardassimo da quel falso zelo, che s'altera e cor-
- ruccia d'un fallo che si commetta; e voleva piuttosto
ce la pigliassimo con santa pazienza, umilmente, con-
fessando la nostra grande miseria e prendendo animo
per non più ricadere. « Allorché ci accade di dare in
qualche fallo, così egli, fa d'uopo che correggiamo il
cuor nostro dolcemente e tranquillamente, senza cor-
rucciarci nè turbarci. Cuore mio, amico mio, dobbiamo
dirgli a nome di Dio, fa coraggio, ripigliamo la nostra
via, e badandoci ben bene, teniam lo sguardo rivolto
a Dio nostro rifugio. »
« Quando cadiamo in qualche peccato, diceva an-
cora altrove, prosterniamo il cuor nostro davanti a
Dio, per dirgli con ispirito di fiducia e d ' u m i l t à : Si-
gnoré, pietà; son debole e misero. Quindi sorgiamo

29.2 Page 282

▲back to top


con pace,, e riappiccando il filo dei nostri affetti, se-
guitiamo a far l'opera nostra. Per giungere alla perfe-
zione bisogna soffrire la nostra propria imperfezione,
aver pazienza coi nostri difetti, industriandoci di pur-
garcene ; ricominciare. ogni dì, e non creder mai di
aver fatto abbastanza. »
CAPO X.
Dell'umiltà di S. Francesco.
In che facesse consistere la vera umiltà. —
L'umiltà, nel nostro S. Francesco, era proporzio-
nata all'eccellenza di tutte le altri sue doti e preroga-
tive di santo. L'umiltà, secondo lui, è verità: è il
coraggio di applicare la verità a se stesso, con mano
rigorosa ed esatta, sino a non lasciare addietro nissuna
mancanza, neanco delle minime conseguenze che si deri-
vano dal riscontrar la nostra misera persona colla ve-
rità. Ora ognun sa che da noi siamo nulla, e che di
nostro non altro abbiamo se non la miseria ed il peccato.
« L'umiltà morale, diceva, è la conoscenza della
propria povertà e miseria; l'umiltà cristiana è l'amore
di questa povera e misera condizion nostra; è l'essere
contenti del nostro nulla, e d'essere stimati per nulla,
per rispetto e riverenza alla verità ed alle umiliazioni
del Verbo Incarnato. Gli esteriori atti d'umiltà punto
non sono l'umiltà; ma le sono tuttavia utilissimi: sono
la scorza della virtù e ne conservano il frutto. »
Alle volte diceva: « Sottomettersi ai superiori, più
che umiltà è giustizia, sottomettersi agli uguali è ami-
-
cizia e gentilezza ; ma sottomettersi agli inferiori è cosa
propria della vera umiltà, la quale, facendoci intendere
che noi siamo un bel nulla, ci fa intendere altresì, che
dobbiamo metterci sotto i piedi di tutti.
Come egli la praticasse. — Essendo tanto grandi
le virtù del nostro Santo, ed essendo cresciuta a dis-
misura ovunque la sua riputazione, il predicatore qua-
resimalista non si potè tenere nell'ultima predica di
manifestare la sua altissima ammirazione per lui e disse:
« O felici abitanti d ' A n n e c y , che vi godete la presenza
di sì santo vescovo ! imitatelo, che è un santo e si può
dire di' lui quello che disse di Salomone la regina Saba :
Beati coloro che vedono ciò che voi vedete e ricevono
i detti della sua sapienza. »
Francesco che era presente, sentendo queste parole
arrossì e sentinne tal pena e confusione, che in tutto
quel giorno apparve come turbato. Del che chiedendogli
quel quaresimalista il motivo : « E perchè, rispose,
avendo voi predicato così bene tutta la quaresima,
sull'ultimo avete guastato ogni cosa. A h se conosceste
la mia miseria, avreste parlato di me in altra guisa
certamente. »
Era così conosciuta la sua umiltà e propensione a
perdonare le offese, anzi a beneficare i suoi offensori,
che generalmente per la diocesi si diceva : « L a più
sicura e spedita via d'ottenere favori da lui si è quella
di fargli qualche offesa é di recargli, qualche ingiuria. »
E g l i sentiva si bassamente di sè, ch'era una mera-
viglia; e non tanto uno si stupiva al vedere sì belli
esempi di umiltà, quanto al vederglieli fare con tanta
schiettezza; chè, quale appariva di fuori, tale era
veramente anche di dentro.
Ricevette, un dì, lettere da un religioso, nelle quali

29.3 Page 283

▲back to top


contenévansi molte sue lodi. « Ecco qua, disse, con
aria tra mesto e maravigliato, sono chiamato un fiore
ed una fenice: ed in verità non sono che un uomo
spregevole, il più vero niente di tutti i nienti, il fiore
dell'umana miseria. Si parla del bene che fanno le
mie prediche ed i miei scritti ; ma ahimè ! che io sono
come le insegne delle osterie, che invitano gli altri ad
entrare e pigliar riposo e ristoro, ed esse se ne stanno
fuori al freddo ed alla pioggia: come un liuto, che è
sordo al proprio suono, mentre diletta,gli altri. E poi,
quando sono in pulpito, iq stento a trovar le parole;
sudo molto e fo poca via, vado innanzi come le tar-
tarughe. »
Accadendo talora che gli ammiratori suoi lo lo-
dassero ed esaltassero alla stessa sua presenza : « Si-
gnori, diceva tosto, Francesco di Sales è un povero
uomo, che conosce se stesso, meglio che non lo cono-
sciate voi ; Dio sa ciò ch'io sono. »
Avendo saputo che un buon prelato parlava con
grandissima lode di Lui : « Questo buon signore, disse,
farebbe opera molto buona a lasciarmi qual sono; io
mi conosco, e so quànto peso; la mia coscienza ed il
mio confessore son due inopugnabili testimonii delle
mie miserie. »
Soggiungeva frequentemente: « Non sapete voi che
gli uomini non sono da lodare che dopo morte? »
« Questi benevoli, diceva altra volta, mi faranno,
colle loro lodi e stima, cogliere alla fine un frutto ben
amaro della loro amicizia : morto che sarò non si pre-
gherà più per me, cui crederanno andato di volo in
Paradiso, e così saran cagione che starò molto più a
penare nel purgatorio ; ecco il profitto che me ne verrà
da tutta questa mia riputazione. »
« Beati gli umili, perchè giungeranno in porto si-
curamente. Delle beatitudini, questa è quella che mi
piace di più; e vorrei che all'ultimo dì, ogni mio me-
rito, se pure alcuno ne ho, fosse nascosto a tutto il
mondo e noto solo a Dio. »
Riferendogli taluno, che le male lingue sparlavano
di lui: « Non dicono altro? soggiungeva egli; ah non
sanno tutto, non sanno tutto davvero ! Se altro non
dicono, ciò è per grande bontà loro, di usarmi tanta
carità e perdonarmela di cento cose ; perchè in verità
mi credono migliore di quel che sono. Se non merito
di esser ripreso per quel rispetto, lo merito molto bene
per cento altri. »
« Ma insomma, ripigliavano allora i suoi amici, non
è un'indegnità di spargere queste cose dei fatti vo-
stri? — È un avvertimento che mi si dà, rispondeva
egli, acciò mi guardi dal rendere vero quello che di-
cono: è una vera grazia avvertirmi in tal modo: così
posso più facilmente evitare quello scoglio. »
Quando vedeva che la gente s'indegnava contro
coloro che parlavano male di lui: « A h ! diceva, vi
ho io fatto procura di rammaricarvi per me? Lasciateli
dire: non è che una croce di parole, una tribolazione
di vento: la loro memoria perisce insieme col suono.
Bisogna essere ben delicati per non_ soffrire il mor-
morio di una mosca. Chi ci ha detto che noi siamo
irreprensibili? Forse essi vedono meglio i miei difetti
di quello che non li vedo io e quelli che mi amano.
Noi chiamiamo spesso le verità col nome di maldi-
cenza, quando esse non ci vanno a genio. — Qual
torto ci fanno quando hanno cattiva opinione di noi?
Non dobbiamo forse a.verla noi tale di noi medesimi ?
Costoro non devono essere considerati nostri avversari,
sibbene nostri partigiani, perchè con noi essi prendo-
no a distruggere il nostro amor proprio. Perchè essere
16 — B A R B E R I S , Vita di S. Francesco di Sates. V o i . I I .

29.4 Page 284

▲back to top


malcontenti di coloro, che ci vengono in aiuto contro
un sì potente nemico ? »
Come si abbassasse avanti gli altri. — Non
fu mai udito dire parole in propria lode; molto me-
no preferirsi a qualsivoglia del prossimo; anzi aveva
un garbo maraviglioso a tener velato il bene che po-
tesse essere in lui. E r a sua regola di non parlar mai
di se stesso nè in bene nè in male, ma studiarsi di
farsi dimenticare dalla gente, tacendo. Anzi nascosta-
mente, senza che altri se ne accorgesse, usava molti
modi per deprimersi. Essendo a Parigi fu invitato a fare
il panegirico di S. Martino vescovo di Tours; egli accet-
tò. L a sua fama era tanto grande in quella capitale, che
all'udire che egli avrebbe predicato gli animi si com-
mossero in guisa, che il re stesso e le due regine, con
molti prelati e dotti gentiluomini andarono ad udirlo.
Il popolo, tra pel vedervi andar il re e per l'aspet-
tazione di sì celebrato predicatore, v'accorse in tanta
folla, che non fu possibile a Francesco medesimo di
entrare in Chiesa per la solita via, ma dovette esservi
introdotto mediante una scala dalle finestre.
L'occasione di procacciarsi onore e gloria al co-
spetto del mondo certo non poteva essere più bella, e
Francesco ben l'avrebbe potuto, poiché, di mirabile
ingegno com'era, poco gli sarebbe costato il fare un
panegirico coi fiocchi; ma altri modi tengono i santi.
Onde quella, che per altri sarebbe stata. buona oc-
casione di glorificarsi, Francesco volle convertita in
occasione di umiliarsi. Invece di uno splendido pane-
girico, credette della maggior gloria di Dio il cercar
la conversione di sì gran numero di uditori, dei quali
molti andavana raramente a predica; perciò stette con-
tento ad una semplice e divota narrazione delle gloriose
Hi —
gèsta del santo vescovo di Tours, animando tutti con
gran fervore e insistente e forte raccomandazione a
seguire le sue virtù. Molti dopo la predica dicevano :
« che basso favellar da montanaro ! Valeva egli la pena
venire di sì lontano per mettere così alla prova la pa-
zienza del prossimo? » Riseppe Francesco che il mon-
do parlava con beffe del suo panegirico, e ringraziato
in cuor suo Iddio di avergli dato occasione e grazia
d'umiliarsi per lui, rispondeva: « O h ! non sann'essi
che gli alberi di< montagna non producono altro che
frutti silvestri? » Ma S. Vincenzo de' Paoli, al quale
raccontò tutto lieto la còsa, giudiconne ben diversa-
mente, e disse a' suoi sacerdoti: « Ecco come da'
sariti si reprime la naturai inclinazione alla fama ed
alla gloria; ecco come dobbiamo fare anche noi, ante-
ponendo gli uffizi umili agli appariscenti, l'abbiezione
alle onoranze. »
Questa regola di umiliarsi la teneva anche per gli
altri. Un dì che una monaca, fatta abbadessa, si. que-
relava con lui-d'essere stata elevata a quel grado, per
cui si diceva insufficiente: « È vero, rispose il santo:
coloro che v'hanno eletta non sapevano la vostra inet
tezza a quella carica, la piccolezza del vostro ingegno,
e tutti gli altri difetti che ben si v e g g o n o ; ma Iddio
ha permesso così perchè ve ne correggiate; dovete
pertanto adoperarvi con fervore alla correzione di voi
medesima, sempre confidando' nella protezione della
divina grazia. »
Come combattesse la vanagloria. — Quantun-
que di tal natura fosse l'umiltà del beato Francesco,
nondimeno lo spirito della superbia punto non lasciava
di dargli, di quando in quando, qualche battaglia.
Ecco come la ^vinceva : « L'altro dì, senza pensarvi,
\\
\\

29.5 Page 285

▲back to top


Caddemi una tentazione nello spirito, d'un non so
quale sentimento di vanagloria, che non sapeva nem-
meno io che dirmene. Io lo vedeva, parmi, laggiù* in
fondo dell'intima parte dell'anima, quel sentimento
dell'amor proprio gonfiarsi come un rospo. Me ne feci
beffe, e non volli nemmeno por mente se l'animo mio
vi badasse; andossene in vento e più. non lo vidi. »
« O Signore, diceva altre volte, salvateci ! Coman-
date a questi venti di vanagloria, e si farà bonaccia.
Quando sto ai piedi della croce, o Dio, l'anima mia
è in pace; appena me ne allontano d'un passo, ecco
il vento soffiarvi di bel nuovo. »
A l t r a volta fu tentato d'invidia : ma Francesco ap-
pena scorse quel pensiero : « Prendendolo (son sue
parole) come uno schifoso rospo, gli ruppi il collo;
quindi, portando colla mente l'oggetto della mia invi-
dia nel seno dell'Eterno Padre, umilmente dissi: Si-
gnore, benedite quella persona cento, mille volte, e
rendetela ogni dì più capace di ricevere le vostre
sante grazie. »
L'umiltà di Francesco nulla aveva di triste e di
spiacente; ma era tutta amabile e graziosa. « L'abbas-
sarsi, e il dispregiarsi, diceva, dev'èser fatto dolce-
mente, pacatamente, costantemente, e non solo soave-
mente, ma con allegrezza e gaiezza di cuore. »
Meno ancora aveva di quello scoraggiamento, in che
cadono certe anime, alla vista delle loro miserie: e
diceva che coloro i quali s'indispettiscono d'essere an-
cora imperfetti, somigliano a que' cotali, che si alterano
il volto col troppo appenarsi di non essere abbastanza
belli : e così in cambio di guarire del loro male peg-
giorano.
« Noi vorremmo essere senza imperfezioni, scriveva
un dì ; ma bisogna aver pazienza, e rassegnarsi ad
— 245 —
essere uomini- e non angeli. Le nostre imperfezioni
punto non ci devono piacere di certo; ma dobbiamo dire
con l'Apostolo : « Oh me misero ! chi mi libererà da
questo corpo di morte ? » Dio certo non ama le nostre
imperfezioni, nè i nostri peccati veniali; ma ciò non
ostante ama noi grandemente ; alla stessa guisa che la
malattia del figliuolo spiace alla madre, senza che per-
ciò ella cessi punto d'amarlo ; anzi l'ama ancor più
teneramente e lo compatisce... Care imperfezioni, che
ci fanno riconoscere la miseria nostra, ci fanno eser-
citare nell'umiltà, nello spregio di noi medesimi, nella
pazienza, nella diligenza, e non tolgono che Dio guardi
alla disposizione del cuor nostro, e h ' è di piacere a
Lui. »
>•
/
'
CAPO XI.
Deli-angelica purità e modestia
di S. Francesco.
'.
i
'
V
»
Esempio di illibatezza. — Dell'angelica virtù,
onde l'uomo cotanto sublimasi, aveva Francesco mara-
vigliosi concetti e sentimenti ; dei quali volentieri por-
go qui una corona, come di fiori di colore ed olezzo
di Paradiso.
La purità de' suoi costumi può dirsi più angelica
che umana. La castità è come una conseguenza natu-
rale dell'amore a Gesù ed a Maria, e per lo più vien
data in premio agli umili. Essa possiede la grande
prerogativa di consolidare le altre virtù che trovansi
nei cuori amanti del Signore.

29.6 Page 286

▲back to top


Chiamava egli la purità : « la bella è candida virtù
dell'anima; » e diceva, non osservi arte nè fatica., che
sia soverchia per serbarla intatta ed immacolata.
La paragonava al giglio, ed osservava, secondo l'es-
pressione della S. Scrittura, che, siccome questo tenero
fiore, finché sta circondato dalle spine conserva la sua
beltà, freschezza e fragranza, ma sveltone e posto in
luogo non adatto, in breve appassisce, ed in cambio
di dilettare diventa dispiacevole alla vista e all'odo-
rato, così essere quasi impossibile che la purità si man-
tenga illibata, se non è guardata con tutti quei mezzi,
che la pietà cristiana insegna a tal uopo.
Anche la paragonava a tersissimo specchio, e diceva,
che, come basta leggerissimo fiato per appannar questo,
e renderlo inetto a riprodurre l'immagine di chi entro
vi guarda ; così basta ogni alito men puro ad offuscar
il candore e scemare e toglier il suo inestimabile pregio
alla purità.
L e g g e n d o la sua vita si ammirò a che prove fosse
posta la purità del Santo, e con quale maravigliosa
costantissima fortezza ne uscisse sempre vincitore, e da
giovine e da adulto. Di più sappiamo dalla Chantal,
alla quale il palesò sotto la fé' del secreto, ch'egli era
vergine d'animo e di corpo. E che vergine d'animo
e di corpo sia morto consta da parecchi altri de' suoi
contemporanei: virtù che egli meritò con la continua
vigilanza, mortificazione e colla costantissima fedeltà
che fin da fanciullo aveva giurato di serbare a quella
celeste sposa delle anime grandi per altezza e gentilezza
di pensieri e di affetti, che è la Vergine Santissima.
Il suo cuore era sempre acceso di santi affetti; e
nelle parole, negli atti, nel vestire, ed in ogni cosa,
mostrava tanta modestia, che a solo vederlo se ne sen-
tivano mirabili effetti, quali erano, per testimonio di
molti, il sentirsi liberar la mente dalle sozze fantasie,
e il cuore dagli impuri affetti, in uno che essendone
travagliato, avesse seco lui parlato e trattato.
Mezzi adoperati. — F r a i mezzi, che il Santo
adoperò a mantenersi in tanta eccellenza di verginal
purità, altri riguardavano l'interno ed altri l'esterno.
Tra i mezzi che riguardano l'interno era persuaso fosse
l'ottimo, lo star sempre alla presenza di Dio. E g l i teneva
come sicuro che questo fosse il potentissimo scudo da
difendersi dai cattivi pensieri ; e voleva, che ogni opera
si facesse pensando a Dio, e con tanta attenzione come
se null'altro avessimo a fare, senza lasciar vagare altrove
la mente. A suo avviso è questo un modo efficacissimo
di tenerci sempre sulla via diritta, anche perchè l'.animo
nostro resta occupato in maniera conveniente, e quindi
impedito a rivolgersi ad oggetti vani ed impertinenti,
come subito fa, quando non v'ha cosa che interna-
mente lo occupi e .fissi.
Quanto all'esterno, la sua grande arte consisteva
nella custodia e mortificazione de' suoi sensi, e nel
comporre la persona secondo le regole della cristiana
modestia. Gli occhi specialmente teneva a segno in
guisa tale, che potè dire di non avere fissato mai in
faccia veruna donna; però anche in questo era sì per-
fetto il suo modo di portarsi, che non pendeva nè
allo scrupoloso nè al troppo libero.
« Parlavasi un dì; così racconta mons. Camus, di
una parente del Santo, e si diceva ch'era la più avve-
nente donna che fosse in paese: il Santo soggiunse : lo ho
già udito dire da parecchi. — E h ! Voi la vedete so-
vente, gli dissero, poiché è vostra cognata. — È vero,
rispose egli, io l'ho già veduta assai volte e spesso le
ho anche parlato ; ma vi dico, che non l'ho mai guar-

29.7 Page 287

▲back to top


data, t- Ma, padre, diss'io, come si fa egli a veder
le persone senza guardarle? — Ecco, rispose; questa
mia parente appartiene al sesso che vuoisi vedere,
ma non guardare; bisogna vedere superficialmente, e,
a modo di dire> in generale, tanto da distinguere che
la persona a cui si parla è una donna e non un uomo,
e star bene attenti a non mirarla con sguardo fisso e
curioso. In questo senso Giobbe aveva fatto un patto
co' suoi occhi, affine di non avere a pensare nemmeno
ad una vergine, tanto temeva il sant'uomo, che l'occhio
tornasse fatale all'anima sua. »
,,
. — « E ' mi ricorda d'un beli' esempio, continua
mons. Camus, che Francesco commendava con fre-
quenza, di un re pagano qual fu Alessandro il Mace-
done, il quale, dopo la sconfitta di Dario, non volle
neppure vederne la consorte, che teneva prigioniera
in un colla madre e colle figliuole dello sventurato
persiano, perchè, soggiungeva, che le donne di Persia
facevano male agli occhi. »
E r a anche solito dire che S. A m b r o g i o , fra gli
ammonimenti che diede ad una vergine, per aiutarla a
conservare illibata la sua verginità, mette quello di cu-
stodire con gran diligenza gli occhi, affinchè i ladroni,
diceva, cioè i cattivi pensieri e desideri, non avessero
ad entrarle nell'animo per la finestra degli occhi.
Altre precauzioni. — L a riverenza che aveva per
questa grande virtù della purità gli faceva dire: « Vi
hanno due virtù le quali bisogna osservare e praticare
continuamente, e tuttavia, se fosse possibile, bisognereb-
be mai nominare, ovvero così di rado, che fosse come un
tacerne; sono esse l'umiltà e la castità. — Oh padre!
disse mons. Camus, che dite voi mai? mi pare ch'io
vojrei che non s'udisse che il suono del nome di queste
due virtù. — Ecco perchè, disse allora il Santo, io
penso che queste, due virtù non si possano nominare
nè lodare senza alterare la loro beltà; in primo luogo
io tengo che non v'abbia lingua umana, che possa
degnamente significarne il pregio ; il che torna il me-
desimo che il lodarle male...: in secondo luogo perchè
col parlarne se ne può suscitare in noi pensieri inop-
portuni'. Ma ben dico, che in cambio del nominarle si
pratichino, e si osservino con gran riverenza. Non voglio
dire con ciò, che faccia mestieri essère scrupolosi tan-
to, da non doverle mai nominare ed anche lodare ; no,
perchè anzi, come già ho detto, non saranno mai lodate,
stimate, pregiate, coltivate abbastanza; ma a che torna
questo ? Un monte di foglie di lodi non vale un pic-
coletto frutto di fatto. »
Ma non era per nulla scrupoloso. A d un eccle-
siastico, il quale nell'esercizio della sua carica si mo-
strava scrupoloso, avendo sempre paura di offendere la
bella virtù, scriveva : « Bisogna distinguere le per-
sone privata, da quelle che per dovere devono dirigere
anime. Quelle devono dare la loro carità a custodire
alla castità ed usare grande riservatezza, perchè espo-
nendosi ai pericoli senza ragione legittima farebbe per
loro quel detto : chi ama il pericolo in esso perirà.
Coloro invece che hanno per dovere di dirigere gli altri
devono dare la loro castità a custodire alla carità, e
pensino che non esponendosi ai pericoli se non quando
e come richiede la loro vocazione saranno sempre assi-
stiti d-alla divina grazia in modo da non cadere. »
Così parlava Francesco della bellissima virtù della
purità, e così faceva ancora nella pratica, in ogni tempo
e in ogni luogo.
Per un tratto di curiosità, certamente troppo spinto,
monsignor Camus narra, ch'egli si dilettava di osservarlo

29.8 Page 288

▲back to top


da certi buchi studiosamente fatti nelle volte e nelle
porte, per vedere come si portasse da solo nella sua ca-
mera, ed osservare in che compostezza stesse studiando,
leggendo, scrivendo, camminando ecc. Debbo dire,
soggiunse, che mai noi.vidi passare d'un punto le regole
della più scrupolosa modestia ; di guisa che manifesto
scorgevasi, che, o solo o in compagnia d'altri, il conte-
gno a cui componeva la sua persona, era quale corri-
spondeva perfettamente alla disposizione perfettissima
del suo cuore.
« N o n m ' a c c a d d e mai di notare in lui, continua
mons. Camus, veruno straordinario movimento di oc-
chi, di mani, di testa; ma sempre stava santamente
composto, secondo il suo solito, per la gran . r i v e r e n z a
che aveva alla presenza di Dio. Sebbene solo, porgevasi
come se fosse stato in mezzo di numerosa adunanza. »
« Ancora osservai se, stando solo, si permettesse
d'incrociare le gambe o porne una a cavallo dell'altra.
Non mai; ma sempre lo vidi composto della persona,
e in grave ed insieme dolce contegno; in modo che
chiunque il rimirava non poteva non pigliargli amore
ed averne riverenza. »
CAPO XII.
Suo spirito di mortificazione.
Il suo esempio. — L'inestimabile virtù della pu-
rità è come il tenero e delicato fiore del giglio, che va
custodito tra le spine, e queste spine, secondo il Salesio,
con tutti gli altri maestri dello spirito, sono le opere
delU cristiana mortificazione. Ragion vuole adunque.
che, come ci deliziammo, al soavissimo olezzo della
verginal purità di S. Francesco, così da lui ancora im-
pariamo il modo con cui gli venne fatto di conservarla
sempre illibata, acciocché la nostra non sia sterile am-
mirazione, ma, per quanto è a noi consentito, efficace
imitazione.
L o Spirito Santo gliene suggerì fin dalla sua gio-
ventù la pratica. Abbiamo visto che durante i suoi
studii a Parigi e poi anche più a Padova aveva già
per costume di mortificarsi interiormente rinnegando
ogni cosa che potesse sollecitare le sue passioni, spe-
cialmente con una perfetta ubbidienza e sottomessione
al suo precettore e con una straordinaria umiltà, riti-
ratezza e intensità di studii1. Ma per quanto grande
fosse la stima e l'amore che aveva della mortificazione
interna, non è però da credere che trascurasse l'esterna,
cioè l'affligere con patimenti il proprio corpo. Fin da
giovane aveva già per costume di digiunare e portare
il cilicio tre volte la settimana: il mercoledì, il venerdì
e il sabati, e che poi a Padova mentre frequentava
l'università vi aggiunse l'uso d'i darsi la disciplina. A v -
vanzandosi in età potè cambiare queste pratiche, ma
non cangiò di principii ; e reputava che questa peni-
tenza non fosse troppo gran prezzo della castità.
Abbiamo .anche visto che in tutto il tempo che
predicò nel Chiablese non lasciò mai, ad onta di tante
fatiche, di digiunare intera la quaresima e in tante altre
circostanze, e di fare tante altre penitenze, di modo che
il Vescovo, venutone a cognizione, fu obbligato a met-
tere un freno a tanto suo rigore.
Gli Annali della Visitazione e Carlo Augusto di
Sales notano che anche divenuto Vescovo continuò a
vivere' nelle medesime austerità di prima, e che con- ,
tinuava a darsi spesso la disciplina fino a sangue.

29.9 Page 289

▲back to top


Nel regolamento ch'ei si tracciò negli esercizi spi-
rituali in occasione della sua consacrazione Vescovile,
si stabilì che : « digiunerà tutte le vigilie delle solennità
di Maria e tutti i venerdì e sabati, oltre gli altri giorni
prescritti dalla Chiesa. »
Negli ultimi anni di sua vita le infermità ed i con-
sigli degli amici lo indussero a rinunciare ai digiuni
supererogatorii ; ma quanto ai digiudi prescritti dalla
Chiesa non volle mai dispensarsene, per quante fatiche
avesse da fare. Il suo ardore per la penitenza parve
anzi aumentare fino agli ultimi giorni di sua v i t a ; ma
in ciò fare poneva grandissima diligenza che niuno lo
sapesse. Aspettava le ore più avanzate della notte, e
riduce vasi nel più appartato luogo, e la disciplina te-
neva sì gelosamente celata a tutti, che non se ne seppe
nulla se non dopo la sua morte. Solo una volta il fa-
miglio, avendo trovato nella catinella l'acqua insangui-
nata, sospettò, come a tutti fu d'avviso, che il Santo
s'avesse lavata la disciplina tinta di sangue, e poi per
inavvertenza lasciata l'acqua senza gittarla via.
Di tanto in tanto poi faceva penitenze straordinarie
come negli ultimi giorni di carnevale e sempre nella
settimana santa. Altre volte poi ne faceva per circo-
stanza al tutto speciali. Essendo venuto a trovarlo un
sacerdote, che aveva dato dello scandalo, menatolo nella
sua camera secreta, s'inginocchiò ai piedi del crocifisso,
e poi con accento solenne : .« E fino a quando, gli
disse, renderete il sangue del Salvatore non solo inu-
tile, ma terribile col vostro mal esempio? Fratello e
figliuol mio, poiché in qualità di vescovo io devo rispon-
dere dell'anima vostra, è giusto che soddisfi per voi. »
Detto, si snudò le spalle e cominciò a darsi aspra disci-
plina. Non è a dire qual restasse il colpevole a quella
vista; commosso e pentito gittossi anch'egli in ginoc-
chio piangendo ed esclamando : io ho peccato ed il mio
pastore paga per me! Consolò Francesco e mostrossi
alla -fine ravveduto.
Si -vede quindi che, quantunque non apparisse,
grande era lo studio di Francesco nel far penitenze
anche corporali. Di modo che, quantunque per la sua
umiltà, che gli faceva tenere occulte le sue opere di
penitenza, non si sappia di lui quello che si racconta
di altri santi, d'incredibili austerità, ciò nulla meno
tanto se ne sa, che ben può bastare a dargli nome e
gloria di perfetto imitatore del modello di tutti i santi,
il Crocifisso Redentor nostro.
x
Suoi insegnamenti sulle mortificazioni. — Seb-
bene mitissimo in generale colle persone da lui dirette:
e insistesse molto di più nelle penitenze interne, tuttaviu
a tempo e luogo suggeriva pure queste esterne. Scrivevi»
alla baronessa di Chantal, già prima che si faceHrtc
suora: « Per l'asino (il proprio corpo) io approvo eli»'
lo si accarezzi qualche volta dandogli a mangiare l'avella
che S. Francesco d'Assisi gli dava per farlo camminuir
più presto; cioè la disciplina, che ha la forza mattivi
gliosa di risvegliare lo spirito battendo la carne. » - « I
una maraviglia, soggiungeva ancora nella stessa lettura,
come questa ricetta s'è trovata utile in un'anima cln
io conosco ! (Indicava per certo se stessso). Vedendo II
demonio che si batte' la carne, sua amica, teme o muli
fugge. » E nella. Filotea a tutti quelli che vogliono
amar Dio soggiunge: « L a disciplina ha una inaiavi-
gliosa virtù per svegliare la divozione, essendo latta
moderatamente. »
Come mortificava le sue naturali inclinazioni.
— Innanzi tutto Francesco mirava a mortificare le

29.10 Page 290

▲back to top


— 2$4 —
Sue naturali inclinazioni; la quale mortificazione età,
secondo lui, sì necessaria e di tal pregio, che la sti-
mava contrassegno della vera virtù ; e soleva dire,
che senza tale mortificazione, vi avranno persone che
paiono virtuose, ma sono ad un tempo viziose.
Quindi egli poneva sollecita e continua opera in
mortificare l'amor proprio, o, come ora si vuol dire
il suo egoismo, quella mala disposizione cioè, per cui
siamo inclinati a cercare noi stessi, e il piacer nostro
in ogni cosa, a fuggire ogni disagio e disturbo, a sod-
disfare al proprio gusto e capriccio, ed evitare tutto
ciò che s'oppone alla soddisfazione propria. Narra con
santa ingenuità di se stesso, che fece una guerra con-
tinua alle cattive inclinazioni del suo cuore ed alla na-
turale vivacità della sua indole, finché ne fu vincitore.
« V'hanno due passioni, diceva, a vincere le quali ho
dovuto sudare molto; e sono l'amore e la collera. »
•Vinse l'amore dirizzando il suo cuore a Dio, e costrin-
gendolo ad amare Iddio e non sè, nè le creature; vinse
la collera tenendo, sono sue parole, il suo cuore a due
mani, per frenarne la soverchia vivacità. E fu con
quest'arte, che seppe meritarsi infinite grazie dal cielo,
secondo egli stesso diceva; che cioè « colui si tira in
gran copia le grazie soprannaturali, il quale molto mor-
tifica le sue naturali inclinazioni. »
Colla generosità e costanza domò le sue passioni
in tal guisa che ubbidivangli come schiave, onde potè
dire: « poco è quel che voglio, e questo poco medesimo
lo desidero poco. Io quasi non ho desideri; e se avessi
a rinascere non vorrei avener alcuno, se non quello di
voler sempre quel che Dio vuole. »
• Molto ben guardavasi dall'ostinarsi nel seguire e
difendere i propri sentimenti e le proprie opinioni,
conoscendo che il prurito di parlare e di difendersi, non
— 255 —
Saputo moderare, nè frenare a tempo e luogo è un
grande ostacolo alla perfezione d'infinite anime, le
quali pèr altre parti molto sarebbero da lodare.
Nè punto minore era lo studio che poneva nel mor-
tificare la sua volontà. « V'ha una virtù, diceva spesso,
che generalmente poco si pregia e meno si pratica,
mentre avrebbe grandissimo bisogno di esser pregiata
e praticata; é questa è la virtù dell'accondiscendenza,
ossia quella disposizione dell'animo, per la quale ab-
bandoniamo il proprio gusto per seguire e fare l'altrui
volere. » Quindi egli mostravasi sempre così disposto
a rinnegare, in ogni cosa anche lecita, il proprio gusto e
volere, che quasi pareva uomo senza volontà propria,
e che non sapesse governarsi se non col volere altrui.
Mortificazione nei cibi. — Per quanto riguarda
la mortificazione esterna prima sua cura era di non
concedere al corpo se non lo stretto necessario,, il che
faceva con tanta osservanza, che, quantunque avesse
molti giorni^fissi al digiuno, ciò nulla meno si poteva
dire, che il suo era un digiunare continuo, sì scarsa era
la misura del cibo che prendeva alla refezione.
E r a in questo molto prudente; quindi, vedendo
che la salute ne patisse, egli lasciava d'osservare quei
certi digiuni che s'era imposti di sua volontà: « Per-
chè, diceva, è volere di Dio che trattiamo il nostro
corpo secondo le sue infermità, e ne pigliamo cura
come di povero infermo, con carità e pazienza. S e
l'adempimento de' nostri doveri c'è occasione di qual-
che malattia, o di più presta morte, bisogna benedirne
Iddio, e soffrire con buon'animo; ma, all'infuori di
questo caso, il rispetto medesimo che vuoisi avere alla
divina Provvidenza, e la carità verso noi medesimi, ci
obbligano ad astenerci dalle penitenze che mandano

30 Pages 291-300

▲back to top


30.1 Page 291

▲back to top


— 256 —
in rovina la sanità... In quel modo che lo spirito' non può
sopportare il corpo quando questo è troppo accontentato,
nello stesso modo il corpo troppo estenuato di forze non
può reggere lo spirito. F a d'uopo trattare il corpo come
un fanciullo : bisogna correggerlo senza opprimerlo. »
Qualunque vivanda che gli fosse posta innanzi, e
comunque ammannita, ei se ne serviva indifferen-
temente, senza dire pure una parola che significasse
piacergli o no : calda o fredda, buona o cattiva, gustosa
od insipida che fosse, la mangiava con la stessa disposi-
zione, e raccomandava agli altri di fare il medesimo.
« L a migliore delle mortificazioni è mangiare indif-
ferentemente di tutto, senza preferire questo a quel
cibo; attesoché, oltre il vantaggio che si ha di celare
alla gente l'austerità che si pratica, non è punto cosa
leggera e piccola adattarci a ciò che non ci piace, e
lasciare ciò che ci piace. »
Un dì gli fu servito in tavola un piatto d'uova ar-
rovesciate nell'acqua; preselo egli, e mangiate le uova,
seguitava ad intingere il pane nell'acqua, alla stessa
guisa che se fosse stata una salsa. Avvertitone da taluno:
« Mal faceste, ei rispose, a dirmelo; poiché, grazie al-
l'appetito, io mangiava con gusto: sì vero è il prover-
bio, che dice, il miglior condimento essere l'appetito. »
A l t r a volta, per inavvertenza del famiglio, gli fu
portato un uovo fracido, e se lo mangiò come se fosse
stato fresco e saporoso, senza dir nulla. Ma il fami-
glio accortosene, « Ohimè, disse, che ho mai fatto !
Ma perchè non farmene cenno ! •— E h ! di che ti appeni?
rispose il Santo : delle uova ne ho già mangiate tante
delle buone, perchè non n'avrei mangiato uno cattivo,
permettendo Iddio che mi fosse posto innanzi? »
« Non pigliare di ciò che v' è servito in tavola,
diceva anche, ma scegliere tra questo e quello, è un
257 —
mostrarsi attenti alle pietanze ed agli intingoli : invece,
. mangiare quello che ti gusta senza compiacertene, quel
che ti 'dispiace senza mostrare nausea e ripugnanza, e
stare indifferente sì rispetto all'uno che^all'altro, ecco
la vera mortificazione. »
Del vino faceva poco uso e sempre bevevalo molto
annacquato/ i suoi cibi ordinari erano dei più comuni
e grossolani, e à chi gliene faceva qualche osservazio-
ne diceyp^ or che gli piaceva di vivere alla maniera
I (del popolo, or che il suo stomaco era siffatto, che
- /molto gli confacevano le vivande grossolane.
Questo del cibo : riguardo alla restante cura del
corpo se ne dava sì picciol pensiero, che quasi pareva
non fosse soggetto alle comuni infermità. A l fuoco
non s'accostava pressoché mai, e sopportava i rigori
del freddo più acuto ed i più stemperati calori, colla
medesima indifferenza e ilarità.
N e ' viaggi non si lamentava nè di pioggia, nè di nevi,
nè di venti, nè d'altro,; e, giunto agli alberghi, pigliava
quel riposo £ ristoro che trovava, senza mai dire paròla
che accennasse spiacergli il cibo o l'alloggio, o mancar
di questa o quella cosa ; ma ben diceva : « Io mi trovo
inai star così bene come quando sto un po' male. »
Dormiva poco, e lavorava indefessamente : perdere
il-tempo parevagli iattura di irtestimabil tesoro.
Parlando della cristiana mortificazione il nostro
, Santo soleva dire; « Bisogna morire affinchè Dio viva
in noi; essendo impossibile che l'anima nostra giunga
4 ad unirsi con Iddio per altra via da quella della mor-
tificazione. L e parole: Bisogna morire ! sono dure, ma
terrà poi dietro una grande dolcezza; poiché non si
muore a se stesso, che affine di essere, mediante tal
morte, unito a Dio. »
Ed altrove: « In questo mondo bisogna vivere
1 7 — B A R B E R I S , .Vita
di S . Francesco
di Sales.
Voi. II.

30.2 Page 292

▲back to top


come se avessimo lo spirito in.cielo ed il corpo nel
sepolcro. L'orazione senza mortificazione è un'anima
senza corpo, e la mortificazione senza orazione è un
corpo senz'anima. »
Se approvava queste penitenze corporali fatte con
la dovuta discrezione, le stimava per m'aito da meno
delle mortificazioni interne, anzi dove quelle non fos-
sero accompagnate da queste, le reputava fallaci. « Poco
importa al demonio,-così scriveva ad una perdona, che
anche vi laceriate il corpo, quando seguitiate a faic
a senno vostro. Non è punto l'austerità ch'egli teme,
ma 1' ubbidienza. Non v'ha austerità che valga il sa-
crifizio della vostra volontà, sempre sottomessa e con-
tinuamente ubbidiente. »
Il grande secreto del cristianesimo sta nel patire;
ed ogni cristiano, come membro d ' u n capo che fu cro-
cifisso, di null'altro dev'essere più desideroso e tenersi
onorato, che di rendersi somigliante al divino esem-
plare, che gli fu mostrato sul monte Calvario. « Patire,
diceva, è quasi il solo bene che noi possiamo fare in
questo mondo; perchè, degli altri beni, raro è che ne
facciamo alcuno senza mescolarvi un po' di male. E
il Signore non ci è mai tanto vicino, come quando
soffriamo con pazienza alcunché per suo amore. »
L'amore alle croci.Diceva di tanto in tanto:
« Beati i crocifissi ! un'oncia di patire vai più che
una libbra d'azione... Bisogna immolar spesso il cuor
nostro all'amor di Gesù, sul medesimo altare della
croce, su cui Egli immolò il suo per amor nostro. La
croce è la real porta per la quale s'entra nel tempio
della santità; chi la cerca altrove non troverà mai la
porta del cielo. In questo mondo la croce, nell'altro
la gloria. »
« Come mai, diceva ancora, proveremo l'amor no-
stro a Colui che tanto patì per noi, se non col sof-
frire per amor suo le contrarietà, le ripugnanze e le
avversioni ? Gettiamoci in mezzo alle spine delle diffi-
coltà, lasciamoci passare il cuore dalla lancia delle con-
traddizioni, mangiamo l'assenzio, beviamo il fiele, tra-
canniamo l'agro dèlie temporali amarezze, perchè così
v.uole il benigno Salvator'nostro. In quella guisa che
la fiamma nel crogiuolo, così l'amor di Dio molto più
riesce tra le tribolazioni che tra i diletti. »
Sentendo un dì parlare d' una persona molto tribo-
lata ed afflitta : « Oh quanto è felice, esclamò ; quanto
è felice quest'anima d'aver a patire qualche cosa pel
Signor nostro, il quale scelse la croce per fondamento
della sua Chiesa, ed ama e particolarmente favorisce
tutti coloro che la portano! »
« Amiamo le nostre croci, così soleva dire alle
anime afflitte, amiamo le nostre croci: sono tutte d'oro
vedute agli occhi dell'amore: e benché il Signor nostrò
v'apparisca morto e confitto tra spine e chiodi, nondi-
meno v'hanno altresì moltissime pietre preziose, le
quali serviranno a tesserci un'eterna corona di gloria se
adesso portiamo quella di spine. »
A d una persona che aveva molto da soffrire scrive:
« Sapete voi, che mentre vi veggo molto sofferente
vi ho in special considerazione, cóme una creatura
visitata dà Dio ed onorata della livrea di Gesù Cristo ?
Gli angeli stessi vi hanno invidia, e vorrebbero come
voi poter patire per Gesù. San Paolo non si gloriava
già d'esser stato rapito al terzo cielo, ma d'aver potuto
patire per il suo Maestro.
« Vivete lieto e contento tra le spine della corona
del Salvatore, soggiungeva ancora, e, come rosignuolo
nella macchia, cantate: Viva Gesù! Il tempo delle affli-

30.3 Page 293

▲back to top


2ÓO
zioni e contraddizioni è il tempo della copiosa messe,
in cui l'anima raccoglie le più belle virtù : un giorno
di questi vai più che sei degli altri. »
Soleva dire che v'hanno tre sorta di croci, le quali
egli riputava incomparabilmente migliori di tutte le
altre. Nelle prime entrano quelle' che ci recano noia,
fastidio, disagio, e fieramente ci spiacciono per essere
continue. « L e croci che si trovano per via, cosi egli,
sono eccellenti; ma quelle che si trovano in casa val-
gono anche di più, perchè sono anche più pesanti: di
pregio vincono i cilici, le discipline, i digiuni e tutte
le altre austerità: è in esse che si fa vedere la gene7
rosità dei figliuoli della croce. »
Alla seconda sorte appartengono quelle che si
presentano da sè: « E c c o , scriveva ad una persona
a lui molta cara, ecco una gran quantità di croci
da voi punto non elette : Dio ve le ha date di sua
mano: ricevetele, baciatele, amatele. Noi vorremmo
scegliere le nostre croci, averne altre da quelle che
abbiamo, portarne una più pesante, ma un po' di no-
stro gusto. Illusione! bisogna portar la nostra croce,
non un'altra: il merito consiste non nella qualità di
essa, ma nel modo con cui la portiamo. La condiscen-
denza agli altrui desideri, il dolce sopportamento del
prossimo, ecco, diceva, le mie virtù predilette. »
La terza maniera di croci, secondo lui, eccellentis-
sime sopra tutte le altre, consiste nell'essere ingiu-
stamente perseguitati. Fu domandato un dì, quale delle
otto beatitudini stimasse egli più-grande ed eccellente :
« Beati coloro che soffrono persecuzioni per amor della
giustizia, rispose. Questa beatitudine, la ultima della
fila, è la prima a mio avviso", per eccellenza di pregio,
ed io la reputo suprema felicità della vita presente. »
Noi già vedemmo in che modo praticasse ciò che
— 261 —
insegnava. Egli ebbe a sopportare molte persecuzioni,
vituperi-, ingiurie ed oltraggi. Non se ne lamentava
mài. Dovette sopportare malattie, fatiche, stenti, duri e
fieri patimenti ; ma egli non perdeva mai la sua usata
calma e serenità.
Tutti coloro, dice mons. Camus, i quali l'hanno
veduto malato, narrano maraviglie della sua dolcezza
e santa indifferenza rispetto ai patimenti. Mai non fu
sentito significare desiderio che non fosse pienissima-
mente conforme alla volontà divina. « Il Signore sa
meglio di me, diceva, quello che mi bisogna : faccia
quello che a Lui pare. O Dio ! la vostra volontà sia
fatta, non la mia. »
CAPO XIII.
Suo spirito di povertà.
Esempio che ci diede di vita povera. — È an-
che cosa buona parlare dello spirito di povertà del
nostro Santo. Varrà d'ammonimento a coloro che tutto
vorrebbero tirare a sè ; e di conforto a chi, appunto
per la ingordigia di quelli, deve fare di necessità virtù.
L a diocesi quasi non aveva rendite, non aveva se-
minario, non aveva episcopio e perciò doveva vivere
in casa di affitto : ma il Santo .non menava lamento di
questo, anzi ne gioiva... Godo, diceva, nel pensare che
non ho nessuna casa mia, e che il padrone può met-
termi fuori quando vuole. Questo è un tratto di con-
formità con Gesù mio maestro, che non aveva luogo
dove posare il capo. In detta casa d'affitto o episcopio

30.4 Page 294

▲back to top


'
2Ó2
-n §r\\
teneva una sala convenientemente arredata per i rice-
vimenti, e la chiamava la camera del vescovo; ma per
sè si era riservata una piccola camera bassa, poco ri-
schiarata, una vera camera da povero. Ivi egli lavorava
e dormiva su d'un miserabile letto: quella chiamava
la camera di Francesco.
A v e v a , di ragione del vescovado, presso Annecy,
un podere, dove assai' volentieri sarebbesi di quando
in quando recato a godere un po' di riposo, se vi
fosse stata una casa per albergarvi : ma questa casa
non v'era, e sarebbe stato necessario fabbricarla; al-
che egli non seppe indursi giammai. E ad un prete
che ve lo esortava.: « Stimo, rispose, come una grazia
di Dio l'abitare in casa non mia, dovunque io vada.
E me ne tengo fortunato, perchè ci vedo un punto di
somiglianza con Gesù Cristo, che volle nascere in una
stalla, ed in sua vita non ebbe dove posare il capo. »
Davvero che il denaro in sua casa non giaceva ino-
peroso ! poiché, ora era per dare a' poveri, ora per
provvedere ad una chiesa, ora per sovvenir monasteri,
o persone private, de' quali molti"non mancavano racco-
mandarsegli. Gran fatto era se l'economo si trovasse
ad avere in casa il necessario per le quotidiane prov-
viste. Anzi assai volte la cassa era netta così, che
non avendo di che far le spese, non si sentiva ani-
mo di più seguitare nel suo officio. Un dì essendosi
lamentato che la cassa era vuota: « Tanto meglio, disse
Francesco, così restiamo più simili a Gesù Cristo, il
quale non aveva dove posare il capo. — Ma insomma,
ripigliò l'economo, dove prenderò .i danari per prov-
vedere il necessario? — Figliuolo, disse allora Fran-
cesco, bisogna saper far uso della roba di casa. — A h
sì, rispose l'economo, quando in casa della roba non
ye ri'è più! — E h ! "voi non mi capite, disse allora
Francesco; voglio dire, che bisogna vendere o dare
a pegno qualche oggetto, e col prezzo di quello com-
perare di che vivere. Non si chiama questo un saper
far uso della roba di casa? »
Per non contristare soverchiamente l'economo, Fran-
cesco varie volte non gli consegnava il danaro, che
gli veniva alle mani all'insaputa di lui, e donava a'
poveri, secondo i bisogni, la somma ricevuta, senza
altro testimonio che quello di Dio.
Di elemosine partiva tanto dalle sue benedette ma-
ni, che, avuta ragione delle sue entrate assai piccole,
aveva dal maraviglioso. « Un giorno, così mons. Ca-
mus, me ne mostrai maravigliato. — È Dio, rispose
il Santo, che moltiplica i cinque pani. — Ma ripi-
gliai io, questa moltiplicazione in che modo si fa ella?
— E non vi sarebbe punto miracolo, diss'egli allora,
se questo si potesse dire. Guardate, soggiunse, mo-
strandomi il suo abito di sotto fatto da una vecchia
sottana: — E n o n y è egli un miracolo cotesto, c h e l a
mia gente^di casa sa fare? D'un abito vecchio se n'è
fatto un nuovo. » Non rifuggiva poi di rattopparsi alle
volte da se stesso gli abiti.
<
Ammaestramenti sulla povertà. — Come faceva
così i n s e g n a l a : « Chi non amerà, soggiungeva con fre-
quenza, la povertà, tanto amata dal Signor nostro,
che se la fece compagna di tutta la vita? » j:
« L a sapienza mondana, dice : beate le case che
sono ricche : ma il Signore ha detto : beati i poveri.
Vera beatitudine, in questa vita, è contentarsi del ne-„
cessario. Nulla mai basterà a chi, .ciò,.jche~-basta non
_è suff iciente. »
« Quando si ha poco, si ha meno da dare, meno
pensieri di spendere, meno cure di porre in serbo o

30.5 Page 295

▲back to top


.j .
.
,264— •
distribuire, è meno conti da rendere a Dio. Per essere
contenti di questo poco, altro far non bisogna, che con-
siderare quelli che sono più poveri di noi; poiché noi
non siamo poveri se non comparativamente. »
« S e altro non vogliamo che il necessario, non sa-
remo poveri mai, o quasi mai : se vogliamo tutto ciò
che la passione domanda, non saremo ricchi giammai.
Il secreto per diventar ricchi in poco tempo, e senza
tanti travagli, è dunque il moderare i nostri desideri.
Imitare gli scultori che fan l'opera loro per sottra-
zione; e non i pittori, che la fanno per addizione. »
Tra il discorrere venne taluno a dire un dì, che
il mondo si' ride di coloro che non aspiròno a diven-
tar ricchi e grandi : « E d io, diss'egli, mi rido di que-
ste frivolezze. Sì, è per me una delle mie più grandi
consolazioni il saper d'aver nulla, e pensare che mo-
rendo avrò nulla affatto. E mio vivo desiderio patire
difetto di qualche cosa necessaria, per imitare Gesù
Cristo, il Re dei poveri. »
'
CAPO XIV.
Della sua prudenza, piacevolezza e semplicità.
Sua prudenza in generale. — Sulla maniera di
vivere, che si ha da tenere col nostro prossimo, o,
come si dice, sulle relazioni sociali, di molto belle
cose possiamo imparare dagli esempi di S. Francesco
di Sales.
Egli null^ faceva affannandosi ; prima pregava, poi,
potendo, chiedeva consiglio agli altri : innanzi di fer-
— 265 —
mare una risoluzione aspettava a vedere qual fosse il
partito più saggio ; ma poi vedutolo', metteva senz'al-
tro mano all'opera.
,.
Quale nell'operare, tale fu sempre nel parlare: niun
detto mai gli scappò fuor di proposito; niun secreto
mai fu udito uscir dalla sua bocca.
Sorgendo qualche difficoltà, pria di scioglierla stu-
diavala con paziente riflessione, ed in fine scioglievala
sempre con molto senno.
D a tutte parti perciò a lui si correva per consiglio,
come ad un oracolo ; negli affari gravi si chiedeva il
suo parere, e sovente si mettevano in suo compromesso
le liti, le differenze.
1
« Io sempre ebbi ad ammirare, così il dottore
Marinier, la grandezza e l'eccellenza della sua pru-
denza, che faceva tornar tutte le sue opere alla mag-
,gior gloria di Dio ed a salute delle anime, in esalta-
zione della fede ed in servizio della sua diocesi. E r a
• una prudenza che aveva .la sua sorgente nello spirito
di Dio ; £d usavala con tanta carità, benignità, pace
interna ed esterna, che, con tutte le sue occupazioni,
non s'affannava però mai nè turbavasi. »
Sua prudenza nella direzione delle anime. —
Ma dove la sua prudenza appariva veramente ma-
ravigliosa, si era nella direzione delle anime. Il suo
sguardo penetrava al fondo de' cuori ; vedeva il loro
stato, ed il principio onde si movevano ad operare ;
e convenientemente loro dava le regole da seguire.
Discerneva con mirabile dono ciò che era peccato da
ciò che non lo era, quello che a ciascuno bisognava
vietare o permettere o tollerare: e così, senza uscire
dalle vie ordinarie, indirizzava le anime alla santità
più eminente, loro insegnando quella santa libertà dello

30.6 Page 296

▲back to top


r. ••
. . — 266
"f V
spirito, che sa distinguere il sodo della virtù da quello
che non n'è più che la scorza.
Sradicava gli scrupoli con franca mano, rassicu-
rando le coscienze inquiete, e ridonando la pace agli
animi turbati.
Risplendeva mirabilmente la sua prudenza nel dare
consigli riguardo alla vocazione. A d uno che non si
mostrava contento del luogo in cui era posto ed avrebbe
voluto cambiar vocazione scriveva : « Rimanete nel
'vascello in cui Dio vi ha posto per .fare il passaggio
di questa vita ; è un passaggio sì breve che non vale
più la pena di cambiar barca; che se vi sentite doler'
la testa in un vascello grande, ben.potete andar sicuro
che mettendovi in una piccola barca patirete di molto
maggiori vertigini, per essere le barche piccole più sog-
gette ai movimenti delle onde. S e lasciate il posto in
cui siete per cercar riposo, forse Dio permetterà che
la pretesa tranquilità vostra venga turbata da mille
/ì'| pene interne ed esterne. A Dio non piace la pace di .
f i coloro cui egli ha destinati alla guerra: Egli è Dio
l J come della pace così della battaglia. »
In materia di perfezione, a' suoi penitenti, non
chiedeva troppo, nè troppo presto, nè troppo in una
volta; ma loro insegnava a volare a poco a poco, colle
proprie ali ; a far voli da colomba, quando non lì po-
• tevano fare da aquila ; a seguire una via comune,
quando non erano capaci di più alta perfezione. « Non
potete sollevarvi alia contemplazione, diceva loro, ma
potete fare una buona lettura con qualche riflessione;
la vostra sanità non può sopportare il digiuno, ma la
privazione di qualche bocconcino ve la può permettere;
non potete abbandonare il mondo, ma potete non par-
tecipare al suo spirito ; non potete far grandi elemo-
sine, ma potete dar almeno un bicchier d'acqua; non
"
—: 267 —
,
avete occasione di soffrir ingiurie gravi, ma potete
almeno sopportare qualche leggero rimprovero senza
brontolare. »
Piacevolezza. — A v e v a l'arte di far praticare
con santa letizia e disinvoltura la più severa morale
evangelica, secondo che Iddio raccomanda là dove
dice di servire il Signore con allegria, e che il Signore
ama chi fa • le cose con ilarità : Servite Domino in
laetitia: Hilarem datorem diligit Deus.
:| •% Raccomandava e procurava sovratutto questo, che
la pietà avesse aria piacevole, e voleva che la persona
divota fosse amabile a tutti, dolce, affabile, sempre ap-
parecchiata a far servigio cordialmente, ma pur sempre
con nobil contegno, con fortezza, con quelle maniere
insomma, che si richiedano ad essere vera immagine
della bontà di Dio in terra.
Richiedevalo un dì, una donna, di consiglio intorno
ad un suo proposito, che voleva fare, di parlar poco.
« Io l'approvo, rispose Francesco, purché lo facciate
con grazia e carità, e non a studio e con sembiante
accigliato. Sì, parlate poco e buono, poco e semplice,
poco e schietto, poco e amabile. »
Raccomandava altamente i doveri Tdella vita socie-
vole; e voleva che si fosse a vicenda buoni amici, gar-
bati, compiacenti, anche sino a dire ben intese facezie
nelle ricreazioni, all'uopo di destar il buon umore della
compagnia. E come, consigliava agli altri, così faceva
egli ; studiandosi di levare, col suo esempio, di dosso
alla pietà la taccia che vedevala avere nel mondo,
di bizzarra, spiacente, e cattiva compagna della vita.
E ci riusciva davvero; cosi perfettamente s'accorda-
vano in lui la più squisita pietà, e le doti che iù
rendono caro l'uomo.
.'

30.7 Page 297

▲back to top


Voleva il cuore, e diceva che nella direzione delle
anime bisogna guardare al cuore più che all'esteriore.
« Vinta che sia -questa fortezza, soggiungeva, il resto
non regge più. Quando il fuoco è in casa, si gettano
i mobili dalle finestre. Del pari, quando l'amor di Dio
possiede un cuore, poco più gli cale del resto. »
Era condiscendente quanto poteva. Parlando alcuni
contro una signora, che aveva fatto mettere diamanti
sulla croce che portava: « Questo mi edifica, rispose
Francesco; io vorrei che tutte le croci del mondo fos-
sero coperte di diamanti e di pietre preziose. Che mi-
glior uso puossi egli farne ? »
Preferiva le virtù che si devono esercitare con fre-
quenza a quelle straordinarie, ma poco informate all'a-
mor divino. Sentiva predilezione alle virtù più piccole
ma che sono secondo il proprio stato, come ad esempio,
sopportare il mal umore di coloro che hanno da fare con
noi, l'esercitare costantemente la pazienza, essere affabili
con tutti ed anche tollerare le nostre imperfezioni stesse
cercando di toglierle poco per volta senza inquietarci,
il conservar sempre l'uguaglianza di umore: queste, di-
ceva, sono virtù poco appariscenti, ma che ci fanno
progredire molto nella via della-perfezione. Altra volta
soggiungeva: « l'esatta obbedienza nelle prove, la pro-
fonda umiltà nei disprezzi ed un'invitta pazienza nei
dolori sono le tre pietre di paragone della carità. Spesso
è maggior virtù nel non dire una parola vietata, nel
non alzare gli occhi per curiosità, che nel- portare il
cilicio. »
Semplicità. — A m a v a la semplicità; ma non quella
del mondo, sì quella dell'uomo giusto secondo il Van-
gelo. La semplicità, per lui, altro non.era che candore
dell'animo, che va diritto alla verità, diritto al dovere,
diritto a Dio solo. Quest'era la semplicità che piaceva
a Francesco : e in verità in lui era cosa maravigliosa ;
così bene affacevasi alla sua indole affettuosa, cordiale,
schietta e franca.
« Sì, proprio, scriveva alla Chantal, le semplicette
e candide colombe mi sono molte più care' dei ser-
penti ; e, volendo riunire le qualità dell'uno con quelle
dell'altro, io punto non darei la semplicità della co-
lomba al serpente, perchè questo non cesserebbe di
essere serpente : ma darei la prudenza del serpente alla
colomba, la quale resterebbe sempre bella ad un modo.
S u dunque, diamoci a questa santa semplicità, figlia
dell'innocenza e sorella della carità. »
...
« Mi si dice, che in un secolo malizioso come il
nostro, ci vuol la prudenza del serpente per non la-
sciarci cogliere ; ed io non h a che dire contro tal mas-
sima ; ma un buon cristiano certo preferirà sempre di
essere incudine piuttosto che martello, rubato che la-
dro, ucciso che uccisore, martire che tiranno. Morte
alla prudenza del secolo ! E meglio esser buono e sem-
plice, che astuto e di mala fede. »
CAPO XV.
Uniformità al Divino volere.
Il suo esempio. — L o Spirito Santo ci dice nei
salmi, che la vita eterna s'acquista facendo la volontà
divina: Et vita in volnntate eius. E d altrove dice an-
cora, che colui il quale fa la volontà di Dio, resta
salvo in eterno: Qui facit voluntatem Dei manet in
aeternum. E d i santi Padri, fondati in queste parole,

30.8 Page 298

▲back to top


• ^ • • • • S i S M H H B f j ^ - ~~ 2 7 ° ~
spiegano che il gran segreto per farci santi sta nel
fare la volontà di Dio.
A l tutto conformi a queste sentenze furono le azioni
e sono gli ammaestramenti di S. Francesco.
Egli non mostravasi mai nè incomodato, nè annoiato
o stanco, ma sempre ad un modo, tranquillo, dolce,
sereno ! Gli affari gli si moltiplicavano nelle mani ; lo
sturbavano da' suoi esercizi di pietà tanto cari; uomini
capricciosi volevano quel che volevano, senza intender
ragione; altri prepotenti o maligni gli suscitavano con-
traddizioni, difficoltà, traversie, persecuzioni, ed egli
sempre quel medesimo, sempre con quella maravigliosa
pace in tutto e con tutti, perchè perfettamente sempre
uniformato al volere di Dio.
« Ho veduto, così scriveva un dì alla Chantal, ho
veduto tempo fa una giovane, che portava una secchia
d'acqua in testa, con entrovi un pezzo di legno. Volli
sapere perchè vi mettesse quel legno ; e mi disse che
era per fermare il muoversi dell'acqua, acciocché non
si versasse? Dunque d'ora innanzi, dissi a me stesso,
bisogna mettere la croce in mezzo ai nostri cuori, per
fermare, mediante tal legno, il commuoversi degli affetti,
a'cciocchè non ispandasi fuori in inquietudini e tur-
bamenti. »
E d ecco spiegato d'onde venisse al gran Santo quel-
la maravigliosa virtù d'animo, per la quale anche le
maggiori avversità, nulla potevano in lui quanto a
scuotere la sua fede e costanza, e le croci divenivangli
amabili, e l'amaro sapevagli dolce, sino a ricevere le
ingiurie, a sopportare le contraddizioni, a tollerare ogni
maniera d'afflizione interna ed esterna, non pur senza
tristezza o smarrimento d'animo, ma anzi con piacere
ed allegrezza, tanto che un dì, che s'era offerto al suo
cuore occasione di pena vivissima, potè scrivere alla
Chantal: « Oh che beato vivere si è il non vivere più
che in Dio, non operar più che per Iddio, non ralle-
grarsi »più che con Dio! Io sento nella mia pena una
dolcezza cento volte più soave dell'ordinario. »
« Che vi piacerebbe di più, così chiedevagli ifn
giorno non so chi ; viver in buona salute o passar il
resto della vita in un letto paralitico? — Io non ho
scelta da fare, rispose egli; e sì nell'uno che nell'altro
caso non voglio altro che la volontà del mio Crea-
tore. — Ma, da sano potreste fare molto maggior bene
che da malato. — L a scelta del modo di servire Dio
non tocca a me: sano, lo servirò operando; malato,
lo servirò soffrendo ; Egli è che deve scegliere quello
che a Lui piace di più; in qualunque stato mi metta,
io farò la sua volontà e questo mi basta. »
« Ma che desiderereste voi maggiormente ; viveré
lungo tempo per acquistare maggiori meriti o morire
presto per andare più presto in Paradiso? — .Non „vg-
.gljo _avere volontà sopra tutto questo: vita lunga, vita
corta, sono per me còse indifferenti. Mi abbandono
interamente alla Provvidenza ed alle cure che da tutta
l'eternità essa ha risoluto d'avere e della mia vita e
della mia morte. »
Disppnevasi un anno per un quaresimale, ma, as-
salito dalla febbre, dovette abbandonarne il pensiero.
Non perdè perciò l'usata sua serenità di volto. « Se
Dio non vuole che lo serva predicando, lo servirò pa-
tendo; sia fatta la sua volontà. »
Dicendogli taluno, che gli eretici macchinavano di
cacciarlo dal suo vescovado: « Ebbene, rispose egli,
così sarò più libero di servire a Dio ed alle anime. —
Sì, ma si tratta di mettervi in prigione. — Davvero ?
oh che.agio avrò dunque di pregare e scrivere alcuna
cosa per la gloria di Dio! »

30.9 Page 299

▲back to top


Suoi ammaestramenti. — Il più sublime grado
di perfezione a cui possa giungere l'uomo, soggiunge-
va, si è la perfetta unione della sua volontà con quella
di Dio, di guisa che più non gli piaccia, nè desideri, nè
voglia se non ciò che piace, desidera e vuole Iddio. L a
pratica di questa sublime dottrina diede quegli stu-
pendi uomini che sono i santi. »
« Tutto ciò, dice ancora, che deve procurare chi
si esercita nell'orazione è di conformare la sua volontà
alla divina; e si assicuri che in ciò consiste la più
alta perfezione ; chi più eccellentemente la praticherà,
riceverà da Dio i più gran doni e farà più progress}
nella vita interiore. »
Il modo suo di pensare e di scrivere intorno all'u-
niformare la nostra alla volontà di Dio era tale, che,
se non ne facessero indubbia fede le sue opere, quasi
parrebbe incredibile.
« Ecco ciò che noi dobbiamo amare, son sempre'
parole di S. -Francesco, lo star semplicemente dove
Dio ci mette, come una statua nella sua nicchia; col
sentimento che noi siamo di Dio, e ch'Egli è il nostro
tutto. Se una statua dalla sua nicchia potesse parlare,
e fosse domandata: Perchè stai lì? — Perchè, direbbe,
l'artefice mi v'ha collocata. — Perche non ti muovi? —
Perchè l'artefice medesimo noi vuole. — Ma che n'hai
tu dallo stare qui a questo modo? — E h ! non è già
per conto mio che ci sto, ma per ubbidire all'arte-
fice, — E questo artefice tu noi vedi nemmeno ! —
Noi vedo, no, ma egli vede me, e piacegli che.io stia
dove la sua miano mi ha posto.- —- Tu dunque nulla
desideri? — Nulla! non trovo dilettò che nell'ubbidire
al mio padrone. » In tal guisa Francesco descriveva il
suo interno; poiché unico motivo e fine d'ogni suo
pensiero, detto o fatto era di piacere al suo Dio, fa-
— 273 —
cendone la santissima volontà. Quindi il far piuttosto
questa che quella cosa, l'essere sano o malato, lodato
o vituperato, a lui tornava lo stesso, e diceva: « Non
guardate per nulla alla entità delle cose che fate, ma
all'onore che hanno per quanto piccole siano, d'essere
volute da Dio, ordinate dalla sua provvidenza, e dis-
poste dalla sua sapienza. L a purità di cuore consiste
nel valutare tutte le cose alla bilancia del santuario,
che altro non è se non la volontà di Dio.
Un documento spirituale tutto suo proprio, e che
fa vedere fino a che punto amasse egli, e volesse che
gli altri amassero la sola volontà di Dio sta in quella
massima che aveva sempre in bocca: Nulla doman-
dare, nulla rifiutare, massima che lasciò qual testa-
mento alle suore della Visitazione. Oh che mirabili ef-
fetti si vedrebbero, come frutto di questa massima,
quando fosse da noi praticata, e praticata anche solo
secondo che possiamo noi poveretti, che dalla virtù di
Francesco siamo tanto discosti !
« Anche il soverchio desiderio, diceva, che uno mo-
stra di veder presto esaudite le proprie preghiere, è
un voler tirar la volontà di Dio alla nostra ; mentre
anzi è la nostra che dev'essese sottomessa a quella di
Dio. »
Insisteva anche molto sulla necessità di unire bel-
lamente insieme la diffidenza di noi stessi e la confidenza
in Dio. « L ' u n a senza l'altra, diceva, non dà che af-
fanno, scoraggiamento, debolezza; unite procacciano
allegria e coraggio. »
A d uno, che pareva invidiare chi si trovava in
occasione di farsi dei grandi meriti : « e noi altresì,
soggiunse il Santo, possiamo procurarci questi meriti
anche colle più piccole azioni ! Le occasioni di fare dei
grandi guadagni non si presentano, certo, tutti i giorni;
1 8 — B A R B F . R I S , Vita di S . Francesco
d ì Sales.
Voi.- II.

30.10 Page 300

▲back to top


274 —
.„,v-
v: \\ ,
' '.
- .'
ma tutti i giorni si possono fare dei piccoli guadagni
e questi, chi ne sappia usar bene, giungono col tempo
a far grandi fortune. » x
Indifferenza nelle calamità della vita.'— Non
piacevagli sentire querele e lamenti delle calamità, con.
cui Dio ci prova: «Lasciamone il pensiero alla di-
vina Provvidenza, diceva: Dio sa quello che fa a
nostro bene; e tutto ci tornerà .a vantaggio, sol che
osserviamo i suoi santi comandamenti. »
Non condannava però quel tributo di lacrime, che
la natura ci fa pagare nelle disgrazie o nella morte dei
nostri cari: « Io non vi diro punto, di non piangere,
scriveva ad una -signora cui era morta persona ca-
rissima, perchè è giusto che piangiate alquanto, p'er
jl
dimostrar il sincero amore che le portavate, àd esem-
pio del nostro caro Maestro, che pianse alle morte del-
l'amico Lazzaro. Ma non fate gran pianto alla guisa
di coloro che, presi dall'amore di questa misera vita,
non rammentano che camminiamo verso l'eternità.
Non si può fare, che il nostro cuore non senta la per-
dita di coloro che ci facevano una volta dolce com-
pagnia; ma ad un tempo dobbiamo dire alla Provvi-
denza : Siate benedetta ; perchè tutto ciò che piace a
voi, non può essere altro che bene. Nelle medesime
pene dobbiamo trovare la ragione del conforto. Beati
coloro che si rallegrano d'essere afflitti, e sanno mu-
tare l'assenzio in miele. »
Onde, anche a' moribondi raccomandava sovra tut-
to di uniformare la loro alla volontà di Dio, e. sog-
giungeva, che morire con perfetta rassegnazione alla
volontà di Dio è come un addormentarsi sul petto
di Gesù Cristo, come fece S. Giovanni Apostolo; e
che è impossibile che Iddio lasci andare perduta un'a-
nima, che abbandoni la vita con tanta uniformità al
suo divino volere.
Commendava molto il gran detto di Giobbe : Iddio
ine l'ha dato, Iddio me V ha tolto: si fece come piacque
a Dio, sia benedetto il nome del Signore, (i) E soggiun-
geva: « Quando considero il Salvatore nascere povero
nel presepio, morir in croce spogliato di tutto per inse-
gnarci a non ayer nessun attaccp a niuna cosa di questo
mondo, e a riporre la nostr'anima, le nostre azioni e la
riuscita dei nostri affari sotto la disposizione del be-
neplacito di Dio, mi sento preso da inneffabile soavità. »
E conchiudeva : « Facciasi di me ed in me secondo
il beneplacito del Vostro Cuore, pel quale voglio vi-
vere e morire: voglio sempre fare come a Lui piace,
senza riserva ed eccezione di sorta..»
Parlando Francesco con la Chantal del loro Istituto
della Visitazione da fondarsi : « Se non piace a Dio
che i nostri disegni giungano a colorirsi, io ne avrò
lo stesso piacere, che se si colorissero; e non occorre
perciò perdere il sonno per un'ora. »
Ed alle sue religiose della Visitazione inculcava :
« Ascoltate ed imitate il Redentore, che cantò sull'al-
bero della crope xil cantico del suo. amore : Padre mio,
ripongo il mio spirito nelle, vostre mani. Dopo d'aver
detto ciò, che rimane, più a fare, sé non spirare e mo-
rire della morte d'amore, per non più vivere a noi
stessi e lasciare che viva in noi Gesù Cristo ? Felice
l'anima che còsi perfettamente in Dio s'abbandona, e
santamente accettando qualsiasi evento, pronunzierà
di cuore quelle parole del Salvatore: Così mio Padre,
poiché tale è il vostro beneplacito. Ah ! viva Gesù che
(i) Dominus dedit, Dominus abstulit: sicut Domino placuit
factum est. sit nomen Domini benedictum.

31 Pages 301-310

▲back to top


31.1 Page 301

▲back to top


— 276 —
è morto per nostro amore, ed il nostro cuore muoia
per sempre nell'amore di questo dolce Salvatore?"» In
tal modo il Santo prelato esortava le sue religiose ad
unire ogni mattina la loro volontà a quella di Dio, ed
a rinnovare frequentemente fra la giornata questa santa
unione della loro colla divina volontà. « Dite sempre
al Signore nell'intimo del vostro cuore, pian piano,
tranquillamente e adagio, piuttosto per modo di slan-
cio : Sì, Signore, io voglio come volete Voi, sì, Padre
mio, sì, sempre sì, »
M a i affannarsi. — Disapprovava in tutto la so-
verchia fretta e l'affannarsi. « Vale meglio, diceva,
far poco e bene. Non è il far molte cose che ci rende
perfetti; ma il fervore con cui le facciamo. L a divo-
zione è un fervore dolce, tranquillo, assennato; m a l a
fretta n'è la rovina. Affrettatevi adagio. Sarà sempre un
far le cose presto e per tempo, se saran fatte bene. »
« Siate diligenti in tutto ciò che fate, diceva an-
cora. ma non affrettatevi. L a fretta turba la ragione
ed il senno, e ci impedisce di far bene quello che vo-
gliamo fare. L a pioggia, che cade adagio e vien dol-
cemente, feconda la terra, gli uragani la guastano. »
Ma era specialmente alle persone incaricate del-
l'altrui direzione e governo, che prescriveva questa
calma. « Cura ottima è quella, diceva, che men s'allon-
tana da quella- che Dio ha di noi; ora questa è piena
di tranquillità e di quiete; nella sua maggior attività
non soffre commovimento alcuno ; ed essendo una si
estende ad ogni cosa. »
D'indole fervida e vivace, avrebbe voluto un pre-
lato santificare in pochi giorni le persone commesse
alla sua cura spirituale : « Adagio e colle buone, scri-
veagli allora Francesco ; ricordatevi che bisogna affret-
tarsi adagio. Spesso non si riesce a fare il bene solo per-
chè se ne vuol far troppo in un tratto. Bisogna far le
cose poco a poco e guadagnar terreno palmo a palmo,
pedetentim. »
Il medesimo era soverchiamente inclinato a tosto
severamente correggere chiunque cogliesse in fallo :
« L a verità che non è caritativa procede da carità non
vera, gli scriveva Francesco : quando s'hanno da dire
al prossimo dure verità fa d ' u o p o condirle di tanta
carità e dolcezza, che si tolga loro tutto ciò che.hanno
d'amaro. »
« Non bisogna mai far correzione per capriccio,
ma sempre per carità; or per due segni si può cono-
scere se la correzione procede da carità: il primo con-
siste nel dire al prossimo la verità solo per amore di
Dio, e per il bene di colui che si riprende; l'altro
nell'usare, dicendo quella verità, gran dolcezza, me-
scolando, come il buon Samaritano, l'olio al vino che
si versa sopra le piaghe del ferito. »
« L a riprensione è cosa amara di sua natura; ma
confettata nella dolcezza e cotta al fuoco della carità
si fa cosa confortevolissima e tutta piacevole. »
« Chi vuole insegnare agli altri le vie della giusti-
zia deve disporsi a sopportare le loro ingiustizie, ed a
ricevere la loro ingratitudine per onorario. »
« Nel governo spirituale punto non bisogna aver
animo di comandare a bacchetta; non si sforzano le
volontà umane, ma si guadagnano con dolci insinua-
zioni. S e si batte pianamente alla porta dei cuori se
ne ottiene per bel modo l'aprimento; e se questo
succede, vi si introduce la salute con gioia: se invece
la porta sta chiusa, bisogna tollerare in pace il rifiuto.
Dio sopporta le resistenze alle sue inspirazioni, e quan-
tunque si faccia il sordo, non lascia tuttavia di man-

31.2 Page 302

▲back to top


dare ancora buone ispirazioni ; gli angeli custodi fanno
lo stesso e non ci abbandonano quantunque noi ab-
bandoniamo Dio. Ecco i nostri modelli. »
« Nostro primo male si è, scriveva altrove; che
noi stimiamo troppo noi stessi. Avvenendoci di cadere
in qualche fallo od imperfezione, e'ccoci subito presi
da non so quale stupore, turbati, incolleriti. E questo
perchè? perchè ci pensiamo essere alcun che di buo-
no, di franco, di solido; e poi quando vediamo d'es-
sere ben altro, e abbiamo dato del naso in terra,
ci turbiamo, corrucciati e malcontenti d'esserci ingan-
nati sul nostro conto. Se sapessimo quello che siamo,
invece di fare gli stupori di vederci caduti in terra,
ci meraviglieremmo di poter stare in piedi un solo dì,
una sola ora. Se bisogna che abbiamo pazienza con
gli altri, prima dobbiamo averla con noi, che siamo
a noi molesti più che non lo sia alcun altro. »
« Sforzatevi di fare perfettamente quel che fate ; fatto
che sia non pensateci più; sì, pensate a quel che far
dovete, andando con semplicità per la strada di Dio,
senza tormentare il vostro spirito. Bisogna odiare i
difetti, non con odio dispettoso e turbato, ma tran-
quillo ; mirarli con pazienza, e farli servire a pigliare
più bassa stima di voi. Guardate i vostri falli più con
compassione che con isdegno, più con umiltà che con
severità, e mantenete il cuor vostro pieno d'amore
dolce, pacato e fermo. »
« Nostro secondo male, diceva ancora seguitando,
si è che amiamo troppo noi stessi. Se non abbiamo
consolazioni e diletti sensibili, eccoci tosto malinconici
e tristi. Se incontriamo qualche difficoltà nei nostri
buoni disegni, ecco tosto affannarci a combatterla con
inquietudine, perchè amiamo le nostre proprie conso-
lazioni, il nostro agio, le nostre comodità. Nel servi-
zio di Dio non vorremmo che zucchero ; e. non guar-
diamo mai a Gesù prostrato in terra, che, per la gran
forza" dell'interna desolazione, suda sangue.»
« Ci capita alcuna pena? dice in un altro luogo; bi-
sogna riceverla con calma e sommessione al volere di
Dio. Ci si presenta ragion di gioia ? bisogna riceverla
pacatamente e modestamente, senza perciò gongolare.
Bisogna egli fuggire il male? si fugga, ma si faccia
questo con calma e senza turbamento: altrimenti, fug-
gendo, potremmo cadere, e dar campo al nemico
d'ucciderci. Devesi egli fare il bene? si faccia pacata-
mente; altrimenti, affrettandoci con affanno, commet-
teremo di molti falli. E fa d'uopo ancora arrestarci
a fare quel bene che Iddio vuole da noi ; altrimenti,
quantunque quello che desideriamo sia bene, non sa-
rebbe più buono il desiderio, perchè non sarebbe con-
forme alla volontà di Dio, che da noi non vuole quello
ma un *altro bene. »
1
CAPO XVI.
Altri preziosi ed utili ammaestramenti
di S. Francesco.
Arrivato verso il termine di questo mio lavoro mi
sia permesso di fermarmi ancora un momento per ri-
chiamare alla nostra considerazione alcuni altri inse-
g n a t i del nostro dolcissimo Santo, su varii punti di-
sparati dei quali non si trattò nei capi antecedenti,
i quali serviranno di gran refrigerio nei vari bisogni
della vita.

31.3 Page 303

▲back to top


Dimostrò sempre una stima immensa per lo stato
ecclesiastico. Essendo a Parigi e predicando a corte,
circondato di gloria e di comodità.d'ogni genere, scri-
veva: « I n mezzo a tutte queste grandezze, nulla
mi par così grande come la mia condizione di ec-
clesiastico.
Parlando a persona di confidenza disse, che quando
avesse ancora avuto a decidere sulla sua vocazione, e
dovesse scegliere tra lo stato ecclesiastico od essere
erede di un ducato, lascierelpbe volentieri il ducato e
sceglierebbe tuttavia lo stato ecclesiastico, tanto l'amava!
Essendosi una persona consacrata a Dio con lui
lagnata, che per una dolorosa infermità che la teneva
"ìn letto, non poteva meditare e far la santa Comu-
nione, Francesco rispose: « Voi dite che nei vostri pati-
menti non potete meditare gran fatto; ma sappiate che
è più meritorio stare sopra alla croce, che mirarla. Atte-
netevi alle orazioni giaculatorie, e. mille volte al dì
lanciate il cuor vostro nelle mani di Dio, soffrendo per
amor .suo, e offrendogli il vostro soffrire. »
A d una persona che aveva grandi travagli interiori,
e ansietà e scrupoli e tentazioni, il Santo scrive:
« Lasciate che il demonio schiamazzi a sua posta, e
s'adoperi di sforzare la porta del vostro cuore con pre-
sentarvi mille immagini e pensieri importuni: egli non
può entrare se non per la porta del consenso : e voi
tenetela sempre ben chiusa, e poi state tranquilla. La-
sciate che le onde infuriino attorno alla vostra barca,
e non temete; Dio è con voi. Non vi turbino le ari-
dità, perchè non contengono offesa di Dio, e sono la
scuola dell'umiltà ; neppure vi turbino le imperfezioni
od i falli, ne' quali ancora cadiate: senza maravigliarvi
che un cattivo terreno produca erbe cattive, tornate
sempre tranquillamente a fare il bene abbandonandovi
— 281 —
con amore nell'abisso delle divine misericordie. Te-
nendo in questa guisa il vostro cuore sempre'in pace,
ricevete le pene con rassegnazione, perchè le meritiamo,
e le contentezze con moderazione, perchè non le meri-
tiamo. Vane tristezze ed inquietudini, mai ; fare il bene e
farlo allegramente, è doppio bene. Scoraggiarsi pei pro-
pri difetti è aggiungere difetto a difetto » (Lettera 6j).
A d un'altra persona: « Se noi non vogliamo es-
sere santi, che secondo la nostra volontà, noi saremo
giammai; bisogna esserlo secondo la volontà di Dio:
acconciarsi in bel modo a tutti i doveri della propria
condizione, senza pretendere di voler essere sover-
chiamente esatti e costanti osservatori delle pratiche
di pietà che ci piacciono, e senza voler uscire dalla
condizione o dal luogo dove il Signore ci ha messo :
poiché* ogni ape deve fare il miele nel suo alveare, e
de'fiori che ha intorno a sé. Non vi cada in pen-
siero d'aver fatto grandi cose per Iddio finché la vo-
lontà vostra non sia lietamente sottomessa alla sua, in
tutto e per tutto, anche nelle cose per cui sentite mag-
gior ripugnanza. »
Lamentandosi taluno del troppo da fare nel mini-
stero écclesiastico, Francesco diceva : « Vedeste Voi
mai i vendemmiatori o i mietitori lagnarsi che la ven-
demmia od il raccolto sia troppo abbondante? Che onore
per noi che Dio si degni di servirsi del nostro mini-
stero per liberare tante povere anime dalla morte del
peccato e ricondurle alla vita della grazia ! Coraggio
adunque, stiamo su quella croce che Dio ci ha prepa-
rato e facciamo di perseverarvi fino alla fine. »
Insisteva sovratutto di cominciar a praticare quello
che si vuole insegnare agli altri; « perchè, diceva,
troppo mostruoso è colui che ha la lingua più lunga
delle braccia. »

31.4 Page 304

▲back to top


« L'umiltà che disanima è umiltà cattiva. »
« Invece di guardare in dietro e trovar ragione
d'inquietarci guardiamo avanti per farci sempre mi-
gliori. »
Insisteva molto di non avere mai invidia del bene
altrui ó delle grazie che altri riceveva : « Punto non
istà bene il dire: le messi del vicino sono sempre più
abbondanti delle nostre, e le sue greggi più vive. »
A d un ecclesiastico troppo timoroso, soggiunge-
va: « L a parte di Maria che contempla è bella, ma non
fa che per le vocazioni straordinarie, o per coloro, i
quali avendo di già speso le loro forze in servizio delle
anime, non hanno a far altro più, che ad apparec-
chiarsi alla morte. Procurando la salute al prossimo
voi procurate altresì la vostra, e non potete operar la
vostra se non promuovendo l'altrui. »
« Gran miseria, soggiungeva altra volta, essere sa-'
piente e non sapersi esprimere chiaramente ! una scienza
mediocre con uno stile chiaro vai meglio assai. Viva
la chiarezza, senza di lei nulla può piacere. »
A chi gli diceva che le sentenze di Seneca rasen-
tano il Vangelo soggiungeva : « Quanto alla lettera,
può essere; quanto allo spirito, no. Il Vangelo non mira
ad altro che a spogliarci di noi medesimi, per rivestirci
di Gesù Cristo, a farci rinunziare a noi, per farci por-
tare volentieri la croce: questo filosofo all'incontro ci
richiama sempre a noi stessi, e fa del suo savio un
orgoglioso, che si compiace di sua eccellenza. »
Un ecclesiastico dimostrava troppo amore alla so-
litudine. Il santo lo ammaestra soggiungendo : « La
solitudine è buona, quando il Signore vi ci chiama,
altrimenti è cattiva. Si crede che in essa vi sia molto
meno occasione di peccaré ; ma l'uomo porta se stesso
in ogni dove, e la miseria sta in lui come l'ombra sta
283 —
unita al corpo. V'ha molti, i quali s'ingannano, cre-
dendo di avere una virtù, perchè non hanno il vizio
contrario. Astenersi dal male non è se non come il
piano su cui resta da innalzare l'edificiov Ha.nnovi
molte virtù che non si possono praticare nella solitu-
dine : come imparerà ad ubbidire colui, al quale niuno
comanda? Come imparerà la pazienza colui, al quale
niuno contrasta? »
« Noi acquisteremo de' grandi tesori pel cielo, se
sapremo tirar partito dalle piccole occasioni che si pre-
sentano ad ogni tratto. Un piccolo atto di virtù, fatto
con grande amor di Dio, è più eccellente e più me-
ritorio d'un atto sublime fatto con meno amore. S'in- .
gannano a partito coloro che credono essere poca cosa
un atto di accondiscendenza al volere del prossimo, un
dolcemente sopportare i difetti altrui, il rispondere
piacevolmente ad un rimprovero ingiusto ed amaro,
l'accettar con pace un rifiuto, il fare un atto che paia
metterci al di sotto della condìzion nostra ; tutte cose
piccole e da nulla agli occhi del mondo, il quale vuole
e cerca le virtù sublimi ed appariscenti ; ma agli occhi
di Dio sono cose grandi. »
Molte volte apriva con santa schiettezza il suo cuore
a mons. Camus e diceva: « Se sapeste, Monsignore,
se sapeste come tratta meco il Signore ! voi lo ringra-
ziereste della sua bontà, e lo preghereste di darmi lo
spirito del consiglio e della fortezza, per corrispondere
alle ispirazioni di sapienza ,e d'intelligenza che mi dà.
Oh quanto è buono Iddio,con coloro che hanno un
cuore così misero come il mio, così poco sollecito
delle sue grazie, e inclinato alla terra! Io talvolta
tremo pensando che Dio mi voglia dare il Paradiso in
questo mondo: io, a propriamente parlare, non so che
cosa sia avversità ; non vidi mai in volto la .povertà,

31.5 Page 305

▲back to top


aver goduto tanti suoi favori, gusti altresì un poco della
sua croce, poiché per poter giungere a regnare con
, bisogna con Lui patire ? »
Mirabili sono gli ammaestramenti che dava alle sue
dilette figlie, le monache della Visitazione ; ammaestra-
menti che, mentre fan vedere la sua santità, istruiscono
anche molto noi. Raccomandava loro di conservarsi
costantaneamente con animo tranquillo e sempre u-
guale a se stesse; tranquillamente unite alla divina
Provvidenza tra le contrarietà che occorrono nella vita
c le ripugnanze della natura.
Voleva che di quando in quapdo nella giornata
interrogasse se stessa per vedere se potesse
la coscienza risponderle : « Non sono io che vivo, ma è
Gesù che vive in me. » Inculcava di offerire con spi -
rito di pieno sacrificio la loro volontà a quella di Dio;
di sempre consigliarsi con Dio in ogni cosa; di ricevere
tutto dalle sue mani con lo stesso animo, sì i contrari
che i favorevoli eventi.
Voleva ancora che alla volontà ed ai desideri altrùi
accondiscendessero con amabile maniera, e che nelle
conversazioni nessuna si mostrasse aliena da quella santa
e moderata allegrezza che tanto piace. Niuno ci vegga
mai con sembiante malinconico e cupo; ma neppure
troppo svagato e trascurato. Si sopportino i difetti altrui
in guisa che altri non s'accorga noi averli notati. E
accadendo che i modi e l'indole altrui non ci vadano
a verso non darlo pur a dividere a loro, ed esser tut-
tavia pronti ad usar qualunque cortesia a quei tali,
pensando che, chi ha più difetti da emendare, facendo
quanto può per correggersene, avrà poi maggior premio
avanti a Dio.
Non la finirei più se volessi qui portare tutti i
principali insegnamenti del nostro caro Santo. Per ora
bastino questi pochi per farci capire che grande uomo,
e che gran santo egli fosse, e per invogliarci a prati-
carli, imitando così colui che vogliamo sia nostro pro-
tettore speciale.
CAPO XVII.
Principali miracoli operati da S. Francesco
dopo morte.
Piacque all'Altissimo, che è ammirabile ne' suoi
santi, glorificare un uomo di sì eminente santità, non
solo mediante la venerazione ed il culto dei popoli, ma
altresì con un gran numero di prodigi e di miracoli,
in modo che questo caritatevole pastore, che è stato
vivendo sì utile agli uomini, continuasse a far loro,
dopo morte, importanti benefizi.
Questo dei miracoli è il mezzo mirabile col quale
Iddio rende gloriosa al mondo la soprannaturale virtù
dei suoi servi; onde fa, a così dire, partecipi della sua
onnipotenza coloro che già, mediante la sua grazia, si
resero partecipi della sua santità. In tutti i tempi
nella Chiesa cattolica si ebbero ad ammirare molti mi-
racoli, ed è questo uno dei caratteri suoi distintivi, che
he accertano della sua santità e divina origine, per
cui può tenere la testa alta, contro tutte le altre reli-
gioni e sette, le quali non poterono mai constatare mi-
racoli propriamente detti.

31.6 Page 306

▲back to top


È bensì vero che vi 'sono dei miscredenti, i quali
anche alla Chiesa cattolica negano questa prerogativa;
ma questi tali fanno ciò, o per puro spirito di contrad-
dizione, o per ignoranza; poiché, generalmente, negano
ciò che a prima vista loro non pare possibile, senza
però darsi la pena di studiare le cose o di assicurarsi
se questi miracoli siano davvero avvenuti o no. Questo
modo di fare è comodo. Si dice: ciò è impossibile, e
tanto basta. Basta ad essi, che vogliono stare nella
loro ignoranza, non a noi. Dal momento che esiste
il fatto, è inutile strepitare e dire : non è possibile che
sia- avvenuto : se il fatto esiste, tutte le tue ragioni
cadono annientate. Ora questi fatti esistono, e sono
confermati con testimonianze irrefutabili; è dunque gio-
coforza c o n c h i u d e r e che Dio è onnipotente; che Egli,
il quale ha fatte le leggi della natura, le può anche
sospendere, e può, quando vuole, operare contro queste
leggi medesime. Essendo adunque constatato, che molte
volte Iddio sospese queste leggi ed operò contro quelle,
non vale ricalcitrare. E chi ancora si mostrasse restio
in credere a questi miracoli, non faccia che leggere
questi pochi, che qui sotto io porto, avvenuti per
intercessione di San Francesco di Sales, e se ne con-
vincerà.
D'altronde, come concepire il rispetto e la vene-
razione e fiducia, che le popolazioni, hanno avuto in
tutti i tempi e tuttora hanno verso la SS. Vergine ed
i santi, venerazione così diffusa, così costante, così'
universale, di tutti i tempi e di tutti i luoghi ? Non
avrebbe potuto nascere tale fiducia se non fossero av-
venuti fatti soprannaturali, che l'avessero prodotta e
la conservassero ; onde chi negasse i miracoli che la
Madonna ed i santi fecero, sarebbe come colui, il
quale negasse tutti i miracoli fatti da Dio nell'antico
Testamento e registrati nella Bibbia, quelli operati da
Gesù registrati nel vangelo, e tutti quelli operati per
istabifìre e propagare la fede, e cadrebbe in acconcio
di ripetere a costui i versi di Dante :
Se il mondo si converse al cristianesmo,
Diss'io, senza miracoli, quest'uno
v È tal, che gli altri non sono il centesmo.
i
Ma tu, o mio buorl lettore, che mi seguisti fin
qui nel legger la Vita di S. Francesco non hai certo
bisogno delle mie esortazioni su questo punto : ed io
non ho esposto quanto sopra se non per metterti in
bocca qualche parola da poter rispondere a chi volesse
contrariarti nelle tue credenze.
Or qui,- venendo direttamente a parlare dei mira-
coli operati dal Santo, prima di tutto ti ho da dire,
che Iddio si compiacque di glorificare il suo gran
servo con un numero immenso di essi. , L a madre
Ch.augy, superiora della Visitazione al tempo in, cuf\\
-si trattava della beatificazione di Francesco, nelle sue
testimonianze giurate certifica: « I miracoli operati
dal venerabile fondatore nostro, sì alla sua tomba come
in parecchi altri luoghi, sono in sì gran numero, che
io ho potuto constatare, dalle fedeli relazioni avutene
dai vari paesi, ch'egli ha risuscitati trentasette mor-
ti, guariti diciannove sordomuti, due lebbrosi, venti cie-
chi, centodue paralitici, quattordici pòdagrosi, trenta-
quattro infermi di mali insanabili, cinquantadue infetti
da ulceri incurabili, cinquanta ed uno storpio, diciannove
epilettici, tredici idropici e trentasette frenetici. ..A-7
questi s'aggiungano dieci persone liberate da immi-
nente pericolo di naufragare, ottantasette donne che
essendo sopra parto, invocatolo, di presente uscirono
dal pericolo di morte in cui erano. Più di seimila

31.7 Page 307

▲back to top


altre persone guarirono da Febbri pestilenziali, e molti
borghi e villaggi furono preservati dalla peste, quando
questo flagello desolava la Savoia. Io posseggo le rela-
zioni di tutti questi miracoli, e so che oltre a questi,
molti altri ve n'hanno de' quali non fu fatta la rela-
zione. » 1
Di tutti questi miracoli noi riferiremo solo quelli,
che passarono pel gravissimo giudizio della Congrega-
zione dei Riti, che li esaminò nella causa della sua
beatificazione e della canonizzazione. Coloro i quali
sanno con quanta severità si procede in tali esami a
Roma, non hanno bisógno che altro si aggiunga.
Risurrezione di Gerolamo Genin. — Metteremo
per primo la risurrezione di un morto. Gerolamo Genin
era un giovinetto sui quindici anni, che imparava la
lingua latina dal curato di Ollières, al quale i suoi
parenti l'avevano affidato ; ma non piacendogli la seve-
rità del maestro, un bel dì abbandonò la casa parroc-
chiale, per ritornarsene alla paterna. La via che far
doveva era tagliata dal fiumicello Fier ; il quale in' quel
giorno, per lo sciogliersi repentino delle nevi, era in-
grossato così, che le sue onde scorrendo minacciose
sotto il ponticello di. legno, sul quale si doveva pas-
sarlo, arrestarono il giovinetto sulla riva, dubbioso se
avesse da proseguire oltre o ritornare indietro. Alla
fine inginocchiatosi, e fatto voto di andare a sentire
una Messa alla tomba di S. Francesco di Sales quando
gli fosse venuto di passar sano e salvo, s'alza e s'av-
via sul fragile ponticello. Era giunto a metà, quando
alla vista delle onde infuriate e muggenti, sulle quali
stava sospeso, preso da capogiro, non potè più reggersi
e cadde miseramente nel fiume!' Il suo fratellino Fran-
cesco, che l'accompagnava, ed era rimasto sulla riva,
l'udì a gridare tre volte: Beato Francesco di Sales,
Salvatemi! e poi le onde inghiottitolo, più noi vide.
Còrso in fretta il fratello al vicino villaggio d'Ar-
nay e narrata l'avvenuta disgrazia, tosto una gran turba
/gente accorse, sul luogo del fatto, ed un esperto
otatore gettatosi coraggiosamente nell'onde si diede
'a cercarlo qui e colà. Trovollo alfine, dopo otto ore
ch'era caduto: era morto e ridotto in deplorevole-
Astato! La forza dell'onde avendolo sbalzato ed urtato
contro lé pietre, il poveretto era tatto pesto e orri-
1 ! bilmente livido; aveva la faccia nera, la bocca piena
di sangue e di sabbia, il corpo enfiato per la molta
acqua introdottavisi. Si trattò di tosto seppellirlo; ma
a ''poi si risolvè d'aspettare alquanto, per dare avviso al
| curato d'Ollières, il quale all'udire la triste novella,
^ essendo venuto ad Arnay di quella sera stessa, come
Lyy.vide lo sventurato discepolo ridotto in quel termine,
s'inginocchiò e fece voto di celebrare la Messa alla
tomba del beato Francesco di Sales per nove giorni
consecutivi, se Dio, per tratto di sua singolare miseri-
cordia, si degnava, ad intercessione del suo gran servo,
Ridonare la vita a quel disgraziato fanciullo. Altre ora-
jzioni intanto facevansi intorno al cadavere del povero
defunto, ch'era stato messo in una vicina capanna.
Il cadavere mandando già cattivo odore, il giorno
appresso s'andò per toglierlo di là e dargli sepoltura.
Ora mentre gli stavano attorno jper cominciare la fu-
nebre cerirtlonia, ecco che lo si vide alzare un braccio
ti; esclamando : O beato Francesco di Sales ! il sacerdote
interrompe le preci e gli si accosta per veder che cosa
fosse avvenuto, e stupefatto e trepidante vede il fanciullo
^veramente vivo, e l'ode esclamare ad_ alta voce: Il
beato Francesco di Sales mi ha risuscitato ! Era stato
morto per lo meno ventisei ore. Era involto in un len-
K
"V
!
19 — BAKU KRIS, Vita di S. Francesco di Sales. Voi. II.

31.8 Page 308

▲back to top


zuolo, quando improvvisamente risuscitò. Gli si reca-
rono gli abitii i quali egli prontamente vestì e subito\\
uscì dalla capanna sano e salvo. Pubblicò per tutto le
lodi di S. Francesco, assicurando che nell'istanti del
suo risorgimento gli era apparso il Santo vestito \\ o '
suoi abiti pontificali, con volto raggiante, pien di b o n t \\
Se non che il giovane sentivasi ancora dolere la vita, -per\\
le molte ammaccature sofferte; ma di queste ancora
guarì perfettamente, allorché andò ad Annecy a ringra-v
ziare il beato Francesco alla sua tomba. Di questo fatto
furono testimoni pressoché tutti gli abitanti da Arnay,
il curato e molti abitanti di 011ières,x non che molti
altri..
Guarigione di un cieco nato. — Non meno ma-
ravigiiosa fu l'istantanea guarigione d' un cieco nato
della parrocchia d'Arit, di nome Claudio Marmof.
Per testimonianza di tre medici' di Annecy costui nom
aveva, nonché la vista, ma nemmeno gli occhi: n^ljie
sue occhiaie null'altro avendovi che alcune ' bianche
pellicole. Portato alla tomba del beato Francesco es
incominciatavi una novena, al nono giorno, e precisa|
mente nel punto che gli fu fatta toccare la^tomba de|
Santo, appressandovi la fronte, di tratto gridò, fuojf
di sè dalla gioia : Mio Dio, io vedo ; mi sembra di e »
sere in Paradiso. E quindi in poi, la vistasi miraco-
losamente ottenuta, durogli perfettamente sana. W
Di una paralitica. — Viene per terza la j p » a r i "
gione di Pierina Evraz di Sallanches, paralitica dalia
nascita. Era costei sì perduta delle gambe, che^non sof>
non la potevano sostenere, ma le sue gambe, cape
morte membrane, glie le si potevano ripiegare di dijiro,
fino a farle toccare la testa coi piedi e sovrappone
Alle, spalle. I medici l'avevano data per insanabile, e da
/ a r t e umana, nulla era più a-sperare. Ma suo padre,
fatto;voto di visitare la tomba del Santo, e "di farvi
celebrare una Messa, recossi pieno di fede ad Annecy
a/sciogliere il voto, raccomandandosi caldissimamente
Valla pietà del gran Santo. Nel punto stesso ch'egli
/ scioglieva il voto alla tómba di Francesco, la sua fi-
' gliuola riceveva a Sallanches la grazia, e, perfetta-
mente guarita, corre subito da sè alla madre. Visse
poi ancora a lungo, pubblico testimonio della potenza
dell'intercessione del beato Francesco.
Di un giovane paralitico. — Claudio Juliard,
della parrocchia di Mieussy, fanciullo di dieci anni,
era infermo di paralisia, da lui portata nascendo, che
l'avea intieramente privo dell'uso delle coscie e delle
gambe. Sua madre lo portò tre volte al sepolcro di S.
Francesco, per farglielo baciare. La terza volta sentì
improvvisamente la forza e il vigore animare le sue
membra, che sino allora erano prive di moto: si alzò,
si tenne in piedi, e la grazia della guarigione fu così
pnrfnttu, che camminò francamente, e di sue gambe
poi è fare gran parte della via da Annecy a Mieussy,
suo paese nativo.
Francesca della Pesse. — Francesca della Pesse,
giovinetta, figlia del signor di Viallon, consigliere del
din a di*Savoia, fu occasione che altra volta si mostrasse
quunto grande fosse in cielo la potestà di S. France-
sco. Scherzava la fanciulla, ch'era in età di ànni nove,
nel paterno giardino, sollazzandosi a coglier fiori e a
lume ghirlande; ma queste avrebbero fatalmente dovuto,
quando men sei pensava, adornar la sua bara; poiché,
miseramente caduta nel torrente che scorreva presso

31.9 Page 309

▲back to top


al giardino, vi si era annegata. Alla nuova del fiero
caso la madre raccomandatala al beato Francesco, e
fattogli voto d'un cuor d'oro, mandò nuotatori a
cercarla, e finalmente la ritrovarono sott'acqua, col^e
gambe impigliate fra l'erbe della riva. L'acqua, dov'èrà
giaciuta per ben due ore, era gelata ; onde tra per que-
sto e per la caduta, e la troppa quantità d'acqua in-
goiata, essendo morta non valse esperienza che facessero
i medici per farla rinvenire: e per morta fu lasciata dai
medici medesimi. La madre non di meno, punto non
avendo perduta la fiducia che aveva nel beato Fran-
cesco, inginocchiata, seguitava a pregare con tutta la
forza che può dare l'amore d'una madre, dicendo con
le lagrime: « O beato Francesco di Sales, rendetemi la
figliuola. » Erano intanto soppravvenute alcune dame,
amiche della desolata madre, per confortarla in sì fiero
accidente : or avvenne che essendo andate a veder la
morta figliuoletta prima che fosse portata a seppellire,
tornarono addietro tutte sopraffatte, gridando: Mira-
colo! miracolo! Imperciocché la defunta fanciulla, loro
presenti, aveva improvvisamente, prima aperti gli occhi,
e giunte le mani, e poi postasi senz'altro a sedere sul
letto. A tal nuova la fortunata madre rinnovò il voto, e
volata alla figlia la trova in effetto non solo risuscitata,
viva ed allegra, ma, per un altro miracolo, sana ed
intatta, che non rimanevale più segno alcuno delle livi-
dure, delle contusioni, delle gonfiezze e degli altri segni
deformi, che erano stati conseguenza di quella disgrazia;
Questa fanciulla entrò poi monaca della Visitazione,
e visse lunga ed esemplarissima vita.
wmm
— 293 —
CAPO XVIII.
À• •
Sua solenne beatificazione
•ì ^
e canonizzazione.
La venerazione di cui il beato Francesco fu og-
getto era già grande e maravigliosa mentre esso era
in vita. Da tutte le nazioni d'Europa venivangli te-
- stimonianze altamente gloriose; Francia, Italia, In-
ghilterra, Germania, Spagna facevano a gara d'esaltarlo
con titoli vie più magnifici l'uno dell'altro: tutti lo
dicevano santo, apostolo, uomo inspirato da /Dio, ri-
pieno del suo santissimo spirito. I vicini- vedendolo
passare per le vie riguardavanlo con ammirazione e
salutavamo come angelo di Dio, fino a stimare come
somma ventura il vederlo, l'udirlo, esserne benedetti.
I lontani scrivevangli, ricorrendo a lui come a oracolo,
e ricevendone le risposte le tenevano come dettate dalla
bocca stessa di Dio. I medesimi suoi parenti e famigliari
10 veneravano talmente, che il suo fratello Luigi di Sa-
les e la madre di Chantal altrimenti non si permettevano
4i leggejre le sue lettere, che stando in ginocchio; ed
11 presidente Favre raccoglieva e poneva in serbo le
cose appartenenti a Francesco o da lui usate, colla
ferma fede, che un dì sarebbero state reliquie. S. Vin-
cenzo de' Paoli poi diceva che la maniera di vita che
Francesco aveva tenuto, rappresentavagli quella di
nostro Signor Gesù Cristo, del quale non solo era
rivestito, ma soprabbondantemente ripieno.
'J
< ' <"

31.10 Page 310

▲back to top


— 294 —
Ma, dopo la morte, la gloria del beato Francesco
si crebbe ancóra a mille doppi; poiché, oltre all'es-
sere la morte ordinaria rivelatrice delle virtù de' grandi
uomini, i continui miracoli che avvenivano al suo se-
polcro mirabilmente, conferivano a far crescere l'opi-
nione che già era in tutti, della sua santità. Il duca
di Savoia Carlo Emanuele I, detto il Grande, col
quale Francesco aveva avuto occasipne di trattare di
molte cose, appena morto il Santo prelato, ne fé' porre
il ritratto nel suo gabinetto, e non mai gli passava
innanzi senza scoprirsi il capo e fargli inchino. Da
tutte le parti poi si innalzavano suppliche all'Al-
tissimo, e si porgevano istanze alle autorità compe-
tenti perchè il gran vescovo di Ginevra fosse innal-
zato agli onori degli altari. I vescovi di Francia fu-
rono i primi che, in generale assemblea, per tre volte
raunata, con pubbliche lettere, facessero opera effica-
cissima per ottenere al suo nome e alla sua memoria
quell'onore supremo, che in terra concedesi dalla
_ Chiesa a virtù straordinarie esercitate da santo.
Intanto altri pensarono a raccogliere i documenti
sovra cui fondar^ si doveva il solenne giudizio della
Sede Apostolica. Si intrapresero giudiriche informa-
zioni in tutti i luoghi ne' quali fosse memoria di lui,
e se ne fece la dovuta relazione alla Santa Sede, af-
finchè da questa si spedissero apostolici delegatici
quali autorevolmente verificassero i fatti ne' luoghi
dove erano accaduti.
Fu adunque indrodotta la causa della sua beatifi-
cazione ; si delegarono tre commissari apostolici, che
vennero ad Annecy nel 1627; e dopo ascoltato piùf'
di cinquemila testimoni, sì intorno alle virtù che ài
miracoli, proòedettero all'apertura della tomba, e tro-
varono il corpo sempre intatto. Le cose procedevano
295
con una prestezza e sollecitudine consolante, quando
i giansenisti suscitarono tante difficoltà, p posero tanti
ostacoli, che la curia di Roma credette bone sospen-
dere il processo.
Salito nel 1655 sulla cattedra di S. Pietro, col no-
me di Alessandro VII, il Cardinal Fabio (ìliitfl, «he
aveva conosciuto personalmente Francesco, 11 mollo
l'aveva venerato mentre"viveva, diè l'ordine eliti noi
lecitamente si riprendesse e si spedisse la cauftu titilla
beatificazione del Santo prelato, ordinando ttlllavlii
che si usasse estremo rigore, acciocché ben cci'll de!
l'esito, il mondo intiero sapesse, la glorificiialoilt' di
Francesco essere, non favore che gli fosse fatto, beiihl
dovere di strettissima giustizia.
Ma, mentre con gran zelo e fervore tiravaal «olir
citamente la causa a buon fine, ecco nascere duo ini
pedimenti, che di nuovo la ritardarono. Il primo fu
effetto d'empia malizia ; poiché in quel medesimo ulln
in concistoro si trattava dai Padri intorno alla boati
sficazione di lui, uno sciagurato gettò una cartel dilli!
matoria, colla quale asseriva, che il Santo * VONCOV"
non aveva neppure ricevuto il battesimo: Era calmi
nia, sapevanlo tutti; ma non si poteva ribattere CO|l
facilmente, essendo stati bruciati i registri dì Torelli
da incendio, che consumò anche la Chiesa, doVe Fruii
cesco ricevette il battesimo.
/
Pur, come volle Dio, anche a questo si ebbe l'I
medio,' mediante legittime prove. Trovòssi da prlniii
nel castello di Sales carta, che del battesimo di Frali-
cesco faceva ampia fede; poi si ebbe la giurata imiI
monianza d'un contadino di Torens, il quale attentava
d'aver sovente udito suo padre narrare d'aver avuto
l'onore di suonare le campane al battesimo del beato
Francesco.

32 Pages 311-320

▲back to top


32.1 Page 311

▲back to top


L'altro impedimento fu la peste che sopravvenne
a desolare in .quel tempo tanti paesi. Pur alla fine,
nel 1659 fu dichiarato valido il processo. Allora fu
dal Papa data dispensa de' tredici anni, che tuttavia
mancavano ai cinquanta dalla morte di lui (tempo pre-
fisso, prima del quale, senza pontificia dispensa, non
si può procedere a dichiarare beato alcun servo di
Dio). E finalmente nel giorno 28 dicembre 1661 si
pubblicò il breve pontificio della sua beatificazione.
Lo zelo però del sommo Pontefice Alessandro VII
versò del nostro Francesco non si fermò già alla sem-
plice beatificazione; ma nell'anno seguente, radunati
in solenne concistoro i cardinali, i patriarchi, gli ar-
civescovi e i vescovi, raccoltine i voti ordinò che si
procedesse alle solite formalità per la solenne cano-
nizzazione.-
Fatte pertanto nuove ricerche ed inchieste e di-
scussioni, e verificata e appurata rigorosamente ogni
cosa, il 19 aprile 1Ó65 promulgossi dal medesimo sommo
Pontefice Alessandro VII il decreto, col quale, tra
amplissime lodi e testimonianze della provatissima san-
tità del beato Francesco di Sales, se ne collocava il
nome, per sempre glorioso, in quel canone, ossia ca-
talogo, dove da tanti secoli la Chiesa cattolica regi-
stra i nomi di que' suoi figliuoli, che colle loro stu-
pende opere la mostrano al mondo sposa unica ed
avventurata dell'autore d'ogni santità, Gesù Cristo, fi-
gliuolo di Dio.
C A K ) XIX,
Francesco proclamato Dot toro di S. Chiesa
e Protettore della stampa periodica Cattolica,
In una battaglia, quando I Moldttii delle prime l'ile;
hanno tentato eli sfondare le ordinatine del nemico, per
disordinarlo e metterlo In fuga, e non vi riescono, ni
suole far avanzare i veterani e le schiere ilei Soldati
più esperti delle battaglie e di gìh provato valore, e
il loro aiuto generalmente decide della vittòria, Con)
fece in ogni tempo la Chiesa nella guerra -«'Ile II de
monio ed il mondo, alleati insieme, hanno stoltamente
impegnato contro l'incrollabile rocca drlla verllh l'ai
tolica e contro Dio stesso che vorrebbero scoronai'
Pei primi dieci secoli del cristianesimo ad ululare
gli atleti che combattevano per stabilire sodamente la
fede cattolica, la Chiesa propose a guida ijuegll no
mini insigni, che con grande apparato di solen/a e di
santità avevano combattuto prima, decorandoli col ti-
tolo di Santi Padri, affinchè così, con maggior sicu-
rezza di* non isbagliare, potessero essere consultati n
servire da antesignani, da guida, d'aiuto, (Juestl santi
Padri, testimoni, maestri, giudici delle Inalterabili tra-
dizioni apostoliche, quasi astri del Armamento della
Chiesa, ed immortali maestri dell'umanità, ebbero line
con S. Bernardo. Ma essi non cominciarono che a
raggruppare le cattoliche verità in un sol corpo di dot-

32.2 Page 312

▲back to top


trina. Condurre a perfezione quest'opera e fondare la
scienza teologica era riservato, ai Dottori. E questi ap-
punto la Chiesa propone, quai veterani, a guidare ai
giorni nostri, coi santi Padri> le religiose battaglie.
Il cattolicismo ha, senza dubbio, anche ai nostri gior-
ni campioni in gran numero, bravi, generosi, instan-
cabili, che ne difendono la santa causa, e che combat-
tono con ardore, perchè il nemico ha messo fuori tutte
le sue batterie ; ma, sebbene valenti, sentono bisogno,
per vincere le odierne, e per preparare i Vincitori delle
future battaglie, di essere spalleggiati dai trionfatori
delle guerre passate.
Tra questi gloriosi veterani della milizia cristiana,
colui che può adesso, meglio che ogni altro, dirigere
e secondare la guerra difensiva, a cui la tristizia dei
tempi mette in angustie la Chiesa perseguitata slealmen-
te, è S. Francesco di Sales. Oggi si combatte il cattoli-
cismo a nome della logica e della scienza, e la Chiesa ci
addita un campione, il quale, con irresistibile dialettica,
e con vastissima scienza, ha già mirabilmente confutati
gli errori del protestantesimo e dell'ipocrito gianse-
nismo e ci insegna a trionfare degli altri errori.
La Chiesa nel concedere a Francesco il nobilissimo
titolo di Dottore intende di dichiararlo maestro di tutta
l'umanità, poiché un dottore di santa Chiesa è un uomo
preparato da Dio, e variamente arricchito da Lui dei
doni di scienza, di consiglio, d'intelletto, di sapienza,
per diffondere su tutta la terra quello splendore della
fede, il quale in parte è ciò che fi mondo combatte,
cioè il dogma; in parte ciò che il mondo non giunge
ad intendere, cioè la mistica; in parte quello che
il mondo odia, cioè l'ascetica ; ed in parte quello che
il mondo costantemente calpesta, cioè la morale. Per
fare un dottore basta che un santo sia riuscito eccel-
Salesio, averle tutte quattro ili
non
dottrina.
ed i dotti da lungo tempo tenevano S.
cesco di Sales in pregio sommo, e ne lodavano l'ec-
celsa sapienza che compariva dai suoi scritti ; ma fi-
, / nora questo luminare non era ancor stato abbastanza
generalmente conosciuto, e per anco noh era stato
proclamato dottore di santa Chiesa. IMI nel Concilio
„r'" Vaticano che i padri radunati, proni dal fulgore della
sua dottrina già prima a tutti nota, ma in quel tempo
straordinariamente aumentata per un iuanoscritto, che
pur allora si trovò, in riguardo all'autorità del gommo
Pontefice ; manoscritto che nervi come di guida alla
definizione del dogma dell'infallibilità pontificia, con-
cordemente implorarono dal sommo Pontefice Pio IX,
che decorasse S. Francesco di Sales dell'aureola di
dottore di S. Chiesa.
Il santo Padre, prese benignamente in considera-
- zione quella domanda: commise, come di regola, alla
sacra Congregazione dei Riti, che procedesse agli studi
necessari per venire al gran d'atto. La sacra Congrega-
zione, presieduta dal dottissimo cardinal Hi Ilio, ben
presto eseguì il suo mandato, ed il sommo Pontefice
Pio IX nell'anno 1877., ebbe la consolazione di firmare
il decreto, col quale solennemente dichiarava doversi
tenere, per tutto l'orbe, S. Francesco di Sales quale
dottore di santa Chiesa.
Il breve pontificio in cui era emanato il decreto
del suo dottorato, dopo aver annoverate le opere prin-
cipali del. Santo, ed i motivi che spinsero la Chiesa a
venire a quell'atto, dà ragione della Tosa con queste
parole: « La sua celeste dottrina, a guisa di fiume di
acqua viva, nell'irrigare il campo della Chiesa, si di£-

32.3 Page 313

▲back to top


fuse così utilmente a salute del popolo, che appari-
scono verissime quelle parole tolte dal libro dei Pro-
verbi, le quali il nostro predecessore Clemente V i l i
di santa memoria, quasi profetando, indirizzò al Sale-
sio nell'atto d'innalzarlo alla dignità episcopale:—Va,
o figliuolo, e bevi l'acqua della tua cisterna e della
viva sorgente del tuo pozzo; sieno diffuse di fuori le
tue fonti, e nelle piazze dividi le tue acque. -—- Queste
acque di salute pertanto attingendo con gaudio i fe-
deli, ammirarono la scienza , del vescovo di Ginevra, e
lo stimarono insino a questi tempi degno del dotto-
rato della Chiesa. E in vero, da questi argomenti per-
suasi, moltissimi fra i Padri del Concilio Vaticano, con
voti ardenti, e con unanime voce, ci pregarono, che
ci piacesse onorare S. Francesco di Sales del titolo di
dottore. I quali voti per verità, e i cardinali di s. Ro-
mana Chiesa, e i molti prelati di tutto il mondo addop-
tiarono; ed a questi aggiunsero le loro supplicazioni
ioit.4 collegiate di canonici, dottori di grandi università,
accademie di scienze, principi augusti, nobili perso-
naggi» e finalmente una grande moltitudine di fedeli.
« Noi dunque avendo a grado di assentire a tante e
sì calde preghiere...... colla nostra apostolica autorità,
pel tenore delle presenti conferiamo e concediamo,
che in tutta la Cniesa cattolica, egli sia sempre tenuto
in conto di Dottore.
v
«Inoltre decretiamo che i libri, i commentari, e
le opere tutte dello stesso dottore, non solamente in
privato, ma ancora pubblicamente... sieno citate, pro-
dotte, e, secondo il bisogno, adoperate, npn altrimenti
da quel che si faccia degli altri dottori della Chiesa...
« Per la qual cosa a tutti i venerabili fratelli pa-
triarchi, primati, arcivescovi, vescovi, ed altri diletti
figli, prelati di altre Chiese costituiti per tutto' il mondo,
ordiniamo colle presenti, che le cose di sopra stabilite
sieno solennemente pubblicate nelle loro provincie, cit-
tà; Chiese e diocesi, e procurino, che da tutte le per-
sone ecclesiastiche, secolari e regolari di qualsiasi or-
dine, sieno inviolabilmente e perpetuamente. osservate
in ogni luogo e fra tutti i popoli. » y
Questo decreto fu ricevuto con grande gaudio da
tutta la^éristianità, e da ogni parte vennero congra-
tul^i^ni al sommo Pontefice l'Io IX, per aver.così in-
coronato come di nuova aureola il Santo della dolcezza
e dell'umiltà.
I Ma ancora una gloria mancava a Francesco. Ai
nostri- tempi il male più grande viene dalla cattiva
stjampa, che, propaga Idee irreligiose e sovversive con
una vertiginosa celerità, specialmente per mezzo dei
giornali. Gli scrittori cattolici escogitarono essi pure
a collegarsi più strettamente insieme, mettendosi sotto
up vessillo comune, ed a questo scopo pensavano qual
sànto scegliere per protettore, il quale fosse loro mo-
dello, loro guida, loro antesignano.
/Non è S. Francesco di Sales, dissero, che non solo
vide il bisogno di una tipografia cattolica, ma che insi-
stette presso il papa Clemente VIII, per essere aiutato
eà autorizzato a metterne una a Tonone, « affinchè, sog-
giungeva, le nostre risposte ai protestanti non facen-
dosi aspettare, noi possiamo con maggior successo
discendere nell'arena e rispondere con certo successo
alle provocàzioni degli apostoli dell'errore?» Non
S. Francesco di Sale» che in realtà, con grandi spese
e. fatiche, aperse questa prima tipografi* in Savoia ?
pronta fucina di bei libretti e di opportunlJo^ll vo-
lanti, contro le calvinistiche ingiurie ed alle luterani'
improntitudini?, Non è S. Francesco di Sales, cita* yln
prima che aprisse la tipografia, e più ancora dopo

32.4 Page 314

▲back to top


.' ; V • '
, -' 1
— 3°2
'. '
. - <1 |
l'impianto di quella,'faceva correre, tra fedeli ed infe-
deli foglietti volanti, i quali poi radunati formar -
il libro delle Controversie? Dove trovare un santo •
opportuno ed energico, un santo, il quale ad un ten
sapesse aggiungere alle sue battaglie contro l'emp
e l'errore maggior mansuetudine e dolcezza? Dove
vare un santo più congiunto all'unità cattolica, al sa
Padre, cosa in tutti i tempi necessaria, ma in questi u^ '
stri necessarissima, perchè solo quest'unità può dare 1
quella forza, che è assolutamente necessaria per combi
tere le battaglie del Signore? Dove trovare adunque ui.
più compiuto modello per i generosi campioni della
stampa, specialmente periodica? Fu perciò ben a ragio-
ne scelto a quest'uopo S. Francesco di Sales e proposto
al santo Padre. Il grande Pio IX benedisse il pensiero e
applaudì alla scelta, e negli ultimi tempi del suo. trava-
glioso pontificato mandò fuori un Rescritto, con cui
approvava S. Francesco di Sales Protettore della stamp
periodica cattolica.
Conclusione.' — Ecco adunque, S. Francesco /
Sales, dopo una vita tanto santa ed operosa, dopo un-'
vita così eccellentemente apostolica, dopo una vita <.
altre mai simile alla vita di Gesù Cristo, eccolo venerat-
da tutto il mondo, eccolo innalzato agli onori d< n
altari, eccolo decorato della più bella aureola di de
tore di santa Chiesa, eccolo proclamato protettore de' A
stampa periodica cattolica, eccolo cercato da tutti co * ij
protettore, eccolo proposto come modello di dolce/
di carità, di umiltà; eccolo proclamato come apostoh <
della divozione al S. Cuore di Gesù; e c c o l o cercato * V.%I
gonfaloniere di varie congregazioni ; ed eccolo aneli'1*
scelto, dal nostro gran padre il Ven. Dpn Bosco, a pro-
tettore e titolare della nostra Pia Società.
AJJ®
1
'V>
i;
Ora possiamo capire molto chiaramente,
rJ;ile fin da giovane si mette sulla via
iJ èolui«il quale imperterrito segue la sua vocazione
in mezzo ai più grandi contrasti, che colui il
¥• mantiensi f e d e r i l a grazie di Dio, viene dal
}?ére certamente benedetto, e che perciò di lui av-
^quello/che dicpno le sacre Scritture, che cioè
itfrà a>^(ntt.qual gigante nel Correre? le vie della virtù ;
- èara^rtib prosperate tutte le COHC elio egli intra-
-ifrdféra, e che coi giunti rUplonilcrà in Paradiso come
per tutta l'eternità,
E con questo ammaestramento mi c dolce chiudere
la Vita efi S. Francesco di Sales, Se giunto fin qui, tu,
o mio buon lettore, ti sentirai di apprezzare di più que-
sto gran santo; se ti sentirai animato a ricorrere piti
fid ucioso al suo patrocinio ; se ti sorgerà desiderio di
ffroCacciarti un pascolò salutare negli aurei scritti del
re della divozione; se ti sentirai spinto ad imi-
. e questo tuo celeste protettore, io crederò di essere
. munerato esuberantemente di quel poco che ho fatto
-jìrr la sua gloria.
Un % ' .,