LA PRATICA DELLA MEDITAZIONE_ITA_DEFINITIVO %40 3 XI 2020


LA PRATICA DELLA MEDITAZIONE_ITA_DEFINITIVO %40 3 XI 2020



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LA PRATICA DELLA MEDITAZIONE
NELLA PREGHIERA DEI SALESIANI DI DON BOSCO
Atti del Seminario sulla Meditazione Salesiana
San Callisto - Roma, 10-12 maggio 2018
a cura di Giuseppe Buccellato SDB

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Sommario
Introduzione (Ivo Coelho)
***
Appunti per un “trattatello” sulla meditazione alle origini della Società
di San Francesco di Sales (Giuseppe Buccellato)
***
Imparare a meditare con San Francesco di Sales
(Eunan McDonnell)
***
La meditazione come Lectio Divina: condivisione di una semplice espe-
rienza (Giuseppe Mariano Roggia)
***
Tre prospettive sull’importanza della meditazione cristiana (Xavier
Blanco)
***
Conclusione (Giuseppe Buccellato)
***
Lettera circolare sul seminario di studio sulla meditazione salesiana, San
Calisto - Roma, 10-12 maggio 2018 (Ivo Coelho)
***
Appendice: Il programma del seminario

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Abbreviazioni e sigle
ASC Archivio Salesiano Centrale
AGFMA Archivio Generale Figlie di Maria Ausiliatrice
c.
capitolo
CC Costituzioni della Società di San Francesco di Sales
Cfr./cfr. confronta, vedi
cit. volume già citato nelle note precedenti
ed./edd. curatore/curatori
Ibidem nello stesso volume precedentemente citato
L.c. nello stesso volume e pagina precedentemente citati
MB Memorie Biografiche di San Giovanni Bosco
n./nn. numero/numeri
OEA ST. FRANÇOIS DE SALES, Oeuvres, Édition d'Annecy.
par. parte
[autore] autore non segnalato in copertina

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Introduzione
Ivo Coelho SDB
Potremo formare comunità che pregano solo se diventiamo personalmente uo-
mini di preghiera. Ciascuno di noi ha bisogno di esprimere nell’intimo il suo
modo personale di essere figlio di Dio, manifestargli la sua gratitudine confidar-
gli i desideri e le preoccupazioni apostoliche. Una forma indispensabile di pre-
ghiera è per noi l’orazione mentale. Essa rafforza la nostra intimità con Dio,
salva dall’abitudine, conserva il cuore libero e alimenta la dedizione verso il pros-
simo. Per Don Bosco è garanzia di gioiosa perseveranza nella vocazione (CC 93).
La pratica della meditazione nella preghiera dei salesiani di Don Bosco è il frutto di un
piccolo seminario sulla meditazione salesiana organizzato dal dicastero per la forma-
zione a San Callisto, Roma, dal 10 al 12 maggio 2018. L’obiettivo del seminario è stato
quello di fare luce sul posto che la meditazione ha nella tradizione e nella vita dei sa-
lesiani di Don Bosco e di offrire delle linee guida per la crescita in questo campo.
Il seminario è nato da un suggerimento di Xavier Blanco, direttore della casa sa-
lesiana di Santiago de Compostela, Spagna, ai partecipanti della Consulta Mondiale
della Formazione nel febbraio 2016. Durante una messa da lui presieduta, Xabi ci ha
sorpreso dicendo: “Perché non ci insegnate a meditare?”. Alla luce del fatto che sta-
vamo rivedendo il manuale di preghiera salesiana su richiesta del 27° Capitolo Gene-
rale, abbiamo pensato che un piccolo seminario dedicato a questo tema sarebbe stato
più che opportuno. Ci siamo trovati insieme l’équipe del dicastero (Cleofas Murguia,
Silvio Roggia, Francisco Santos, José Kuttianimattathil ed io) con Eunan McDonnell,
Giuseppe Buccellato, Giuseppe M. Roggia e lo stesso Xavier Blanco.
Il seminario si è svolto in quattro fasi: la condivisione delle nostre esperienze per-
sonali di meditazione; l’illuminazione dell’esperienza attraverso la tradizione sale-
siana; un tempo per lo scambio di opinioni e il dialogo; la raccolta dei frutti. Un reso-
conto più dettagliato sul seminario si trova nel programma del seminario, in appen-
dice. Qui mi limito a presentare i contributi di Giuseppe Buccellato, Eunan McDonnell,
Giuseppe M. Roggia e Xavier Blanco, grazie al cui intervento ha avuto luogo la “illu-
minazione dell’esperienza”.
L’obiettivo di Giuseppe Buccellato è quello di offrire un “trattatello” sulla medi-
tazione boschiana prendendo spunto dallo stesso Don Bosco e dalla prima tradizione
salesiana, soprattutto dalle annotazioni di Giulio Barberis, primo maestro dei novizi
della Congregazione. Il trattatello è presentato sotto forma di decalogo: la necessità
della meditazione; la distinzione tra meditazione e lettura spirituale; la meditazione e
il progresso nelle virtù teologali; l’importanza della meditazione al mattino; opportu-
nità di fare la meditazione in comune; la durata della meditazione; meditazione, ora-
zione affettiva e immaginazione; importanza e utilità di un metodo; rendiconto e me-
ditazione. Attingendo alla sua vasta conoscenza delle fonti, Buccellato dimostra che il
metodo seguito per la meditazione dai primi salesiani era decisamente ignaziano. Don
Bosco vedeva nella meditazione un colloquio intimo e personale con Dio, in cui la di-
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mensione affettiva era preponderante, a differenza dalla lettura spirituale, che coin-
volgeva soprattutto l’intelligenza. Paolo Albera, secondo successore di Don Bosco, non
esitava a riferirsi alla meditazione come a una preghiera affettiva che portava alla pre-
ghiera unitiva o «orazione contemplativa ordinaria», assicurandoci che «fu sempre suo
(di Don Bosco) desiderio di vedere i suoi figli elevarsi, per mezzo della meditazione, a
quell’intima unione con Dio ch’egli aveva così mirabilmente attuata in se stesso, e a
questo non si stancò mai d’incitarci in ogni occasione propizia».
In Imparare a meditare con San Francesco di Sales Eunan McDonnell si rivolge al
nostro principale patrono in persona. Ancora una volta troviamo una forte enfasi sulla
dimensione affettiva: la meditazione è la preghiera del cuore, una risposta a Dio che ci
ha amato per primo. L’obiettivo della meditazione cristiana è incontrare Cristo e cre-
scere in amicizia con Lui. Facendo eco agli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio, Francesco
parla della meditazione come di un movimento di gioia o di compiacenza in Dio.
McDonnell prosegue proponendo un metodo di meditazione in sei fasi, e tuttavia in-
siste con Francesco sulla libertà di spirito: se Dio ci riempie il cuore di affetto, dob-
biamo essere più che felici di rimanere lì, senza preoccuparci di “seguire il metodo”.
Degna di nota è la rilevanza della Parola di Dio (piuttosto che delle “dottrine” o delle
“verità della fede” o di qualche libro spirituale) e della risoluzione conclusiva, senza
la quale, per Francesco, «la meditazione spesso non solo è inutile, ma anche dannosa».
Laddove i nostri contemporanei tendono a guardare con interesse a stati di coscienza
alterati o al “sentirsi bene”, Francesco è chiaro nell’identificare il criterio guida della
preghiera nel «fare ciò che amore chiede» cioè nei frutti dello Spirito (Gal 5,22). Inte-
ressante è anche l’insistenza di McDonnell sull’utilità di un diario che accompagna il
proprio cammino di preghiera; a mio avviso è un ulteriore proficuo mezzo per pro-
muovere il “fare esperienza”, che è al centro della nostra esperienza formativa (cfr. CC
98).
Giuseppe M. Roggia, che come McDonnell è esperto di Francesco di Sales, parla
della meditazione come lectio divina. Nella sua condivisione segnala un dono impor-
tante del Vaticano II: il passaggio dall’uso dei libri spirituali alla Parola di Dio (lectio
divina). Insiste, tuttavia, sul fatto che la lectio divina deve essere specificata "dal" e "nel"
carisma, anziché restare generica. Ciò avviene principalmente nella meditatio, che è il
momento di incontro a tu per tu con il Cristo vivo, che comporta non solo un’eco bi-
blica ma anche un’eco carismatica: la Parola si confronta con la nostra realtà e diventa
il “impasto di lievitazione” della nostra esperienza. Nel contesto dell’operatio Roggia,
come McDonnell, ricorda l’insistenza di Francesco di Sales sul fatto che la meditazione
senza un proposito è segno di superbia spirituale. Segue una significativa insistenza
sulla collatio, o condivisione fraterna, perché lo Spirito è attivo in ogni discepolo del
Signore e parla a noi attraverso i nostri fratelli. Tale condivisione è un modo formida-
bile di costruire una comunità capace di fare discernimento, che vive veramente della
Parola. Per quanto riguarda l’esegesi e il ricorso ai commenti alla Parola di Dio, il loro
posto è nella preparatio, piuttosto che in una lectio dove finirebbe con invadere gli spazi
di meditatio, oratio e contemplatio.
Infine abbiamo Xavier Blanco, che fa il grande servizio di collegare il tema della
meditazione salesiana alla ricerca contemporanea di silenzio e contemplazione, una
vera sete che si riscontra in questo nostro tempo, come testimonia, ad esempio, il
5

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grande interesse per la Biografia del silenzio di Pablo d’Ors. D’Ors racconta la sua espe-
rienza di imparare a rimanere nel silenzio e di come ha incontrato Cristo proprio in
questa esperienza. Costruendo attorno a questo nucleo, Blanco descrive Gesù come
l’uomo “dei tre tempi” in cui azione, preghiera e comunità si fondono in una sintesi
indissolubile. Gesù è stato l’uomo più unito a Dio che sia mai esistito. Perché dunque
pregava? Questa è una domanda che mi ha sempre affascinato, e mi piace che la rispo-
sta di Xabi è in sintonia con quella di Eunan: gli innamorati non si chiedono perché
devono stare insieme... Gesù sentiva il bisogno di stare da solo con suo Padre. Da
quanto ci hanno detto nel Sinodo, sembra che i giovani di oggi sentano questo bisogno,
e sicuramente i salesiani di oggi non possono essere insensibili a questo grido. L’inte-
resse nato attorno a Pablo d’Ors ci dice che è possibile comunicare con gli uomini del
nostro tempo, e allo stesso tempo ci invita ad entrare sempre più profondamente nella
pratica della meditazione per poter condividere questa esperienza con i giovani e con
i tanti che condividono la missione e lo spirito di Don Bosco.
Ecco quanto questo libro vi offre: quattro contributi sulla meditazione in una ten-
sione creativa e fruttuosa. Incontriamo un Don Bosco che è profondamente in sintonia
con Ignazio e Francesco di Sales, nella loro insistenza sulla dimensione affettiva della
meditazione e forse anche nel ruolo assegnato alla immaginazione. Il recupero post-
conciliare della centralità della Parola di Dio è come un meraviglioso ritorno ad una
insistenza già cara a Francesco di Sales. L’integrazione dell’“eco carismatica” nella lec-
tio divina è un altro arricchimento importante, perché la Parola di Dio ci raggiunge
nella realtà concreta del nostro carisma e della nostra missione. L’intuizione di Don
Albera, che coglie in ciò che è “affettivo” l’apertura al “contemplativo”, è sicuramente
un invito a dare maggiore attenzione alla contemplatio. La collatio, o condivisione, è
profondamente in sintonia con il recupero della dimensione comunitaria e il supera-
mento di un individualismo che non ha risparmiato la nostra vita di preghiera. Infine,
c’è l’operatio, l’estasi dell’azione, dove dall’ “affettivo” si approda all’ “effettivo”. Non
solo la risoluzione quotidiana, ma tutta la nostra vita di preghiera si estende e tocca la
realtà dei giovani e del mondo del nostro tempo - se solo imparassimo l’arte di fer-
marci, di stare in silenzio, e ci lasciassimo guidare di più dallo Spirito!
Il nostro piccolo seminario ha avuto degli echi sorprendenti da parte di confratelli
impegnati attivamente su molti fronti della pastorale giovanile e della formazione, e
forse anche questo è un segno dei tempi, o semplicemente del fatto che il Padre è sem-
pre all’opera, attirandoci a sé.
Spero che questo lavoro ci aiuti anche a rafforzare gli aspetti pedagogici della
formazione: è urgente accompagnare chi è in formazione iniziale nella sua vita di pre-
ghiera, aiutandolo a “fare esperienza” dei valori della vocazione salesiana, non solo
durante il noviziato, ma anche in tutto l’arco della formazione. Forse è più corretto dire
che il nostro seminario ha dimostrato la necessità che tutti noi abbiamo di essere ac-
compagnati per tutta la vita. La meditazione è crescita nell’intimità con Cristo, e tale
crescita non si esaurisce certo con la professione perpetua o con l’ordinazione sacerdo-
tale. Permettetemi di suggerire che la condivisione delle nostre esperienze di medita-
zione con cui il nostro seminario è iniziato è qualcosa di davvero prezioso, da va-
lorizzare. È un modo semplice con cui i confratelli possono continuare a imparare
dall’esperienza, nelle diverse stagioni della loro vita.
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Una parola di gratitudine a chi ha contribuito con questi interventi, come anche
a Jose Kuttianimattathil che ha coordinato il seminario, agli altri membri del settore
per la formazione, a Gianni Rolandi e Joseph Kunle, che hanno dato un aiuto prezioso
per la traduzione, e alla comunità di San Callisto, per la loro accoglienza e ospitalità.
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Appunti per un “trattatello” sulla meditazione
alle origini della Società di San Francesco di Sales
Giuseppe Buccellato SDB
Premessa
Il termine trattatello è caro alla tradizione salesiana, perché richiama alla memoria
le poche pagine nelle quali Don Bosco traccia le linee portanti del suo sistema preventivo;
in queste pagine abbiamo voluto “prenderlo in prestito” per cercare di raccogliere, in
modo sistematico ma essenziale, la concezione boschiana della meditazione, pratica di
pietà costantemente raccomandata nella tradizione delle origini e nel primo magistero
salesiano.
Tra i numerosissimi scritti spirituali di Don Bosco non si trovano opere che ab-
biano il rigore di una trattazione sistematica. Egli non scrive mosso da intenti letterari
o scientifici, ma soltanto per diffondere il messaggio della Chiesa, la buona stampa, in
ogni ambiente sociale; il suo stile è semplice ed il suo metodo è “descrittivo”, piuttosto
che teorico. Con una felice espressione di Don Caviglia possiamo dire che egli «insegna
con i fatti a produrre altri fatti»1; è per questo che il genere letterario da lui preferito è
certamente la biografia.
Ciononostante è certamente possibile, a partire da alcuni suoi scritti editi e inediti
e dalle indicazioni date alla nascente Società di San Francesco di Sales, tracciare alcune
linee e ritrovare alcune costanti che ci permettano di compilare a posteriori una sorta di
trattatello sull’orazione mentale formale o meditazione secondo la tradizione boschiana
delle origini. L'aggettivo "mentale", è importante chiarirlo, non dice riferimento alla
intelligenza, alla mente, ma, nella storia della spiritualità, viene attribuito ad una pre-
ghiera silenziosa che non si serve di parole (orazione vocale), ma che coinvolge l'interio-
rità dell'uomo, principalmente la sfera affettiva.
Il nostro scopo, lungi dall’avere intenti “archeologici”, è quello di mettere in evi-
denza alcuni elementi carismatici consegnati, come preziosa eredità, alla famiglia spi-
rituale che da lui ha avuto origine. Ogni autentica memoria si trasforma inevitabilmente
in un compito…
In queste pagine cercheremo di valorizzare anche alcuni insegnamenti del primo
noviziato “canonico” che, sotto lo sguardo vigile ed amorevole di Don Bosco, ebbe
inizio a Valdocco, subito dopo la approvazione delle Costituzioni della Società, nel
1874. Primo maestro dei novizi (o ascritti) fu Don Giulio Barberis, che ebbe un ruolo
fondamentale nella nascita e nello sviluppo della nuova fondazione.
Don Barberis divenne maestro degli “ascritti” all’età di 27 anni e conservò questo
incarico per più di un quarto di secolo, sino al 1900; fu poi ispettore per nove anni e
infine Direttore Spirituale della congregazione, carica che sino tenne alla morte avve-
nuta nel 1927. Visitò i primi noviziati della Società, come vero garante dello spirito del
fondatore. Raccolse le sue meditazioni ai novizi in numerosi quaderni autografi, che si
conservano nell’Archivio Centrale Salesiano (ASC) e a cui abbiamo avuto la fortuna di
1 A. CAVIGLIA (ed.), Opere e scritti editi e inediti di Don Bosco. Nuovamente pubblicati e riveduti secondo le
edizioni originali e manoscritti superstiti. A cura della Pia Società Salesiana, IV, Torino 1965, XXXIX.
8

1.9 Page 9

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attingere.
Facendo tesoro della sua lunga esperienza e degli ordinati e meticolosi appunti
delle conferenze fatte agli ascritti, pubblicò in due volumi, nel 1901, il Vade mecum degli
ascritti salesiani2. Ammaestramenti e consigli esposti agli ascritti della Pia Società di S. Fran-
cesco di Sales.
Il Vade mecum dedica due dei sedici capitoli del secondo volume al nostro tema:
Della meditazione (XII) e Del modo pratico di fare la meditazione (XIII). Questi due lunghi,
preziosi e articolati capitoli contengono tutte le risposte alla questione che ci siamo
posti: quali insegnamenti hanno ricevuto i nostri primi confratelli sul tema della me-
ditazione? Quale metodo utilizzavano?
Siccome è comunque opportuno che un trattatello si esaurisca in poche pagine,
proveremo a sintetizzare questi ed alcuni altri contributi, per buona parte inediti, che
ci sono stati consegnati da Don Bosco e dalla prima tradizione della Società. Sarebbe
facile dimostrare che le nostre considerazioni sono in perfette sintonia con i due capi-
toli del Vade mecum, di cui raccomandiamo caldamente la lettura.
Abbiamo scelto di mettere in evidenza alcune principali consapevolezze o carat-
teristiche della meditazione alle origini della Società di San Francesco di Sales; una sorta
di piccolo decalogo che rimanda a ben altri approfondimenti3.
1. Necessità della meditazione nella vita religiosa
Negli appunti autografi di Don Bosco utilizzati agli esercizi spirituali di Trofa-
rello (1866), i primi della nascente congregazione4, leggiamo: «Meditazione. Più breve
o più lunga farla sempre»5. «Tutti quelli che si diedero al servizio del Signore fecero
costantemente uso dell’orazione mentale, vocale, giaculatorie»6.
Le pratiche di pietà, per Don Bosco, rappresentano il nutrimento che rende forte
l’animo di un religioso.
«Perciò – scrive nell’introduzione alle Costituzioni fino a tanto che noi saremo zelanti nella
osservanza delle pratiche di pietà, il nostro cuore è in buona armonia con tutti e vedremo il sale-
siano allegro, contento della sua vocazione». «Diamoci la massima sollecitudine di non mai tra-
scurare la meditazione, la lettura spirituale, la visita quotidiana al SS. Sacramento, la confessione
ebdomadaria, il rosario della s. Vergine, la piccola astinenza del venerdì. Sebbene ciascuna di
queste pratiche separatamente non sembri gran cosa, tuttavia contribuisce efficacemente al
2 Nelle edizioni successive, a partire dal 1905, la parola ascritti fu sostituita con il termine giovani, inten-
dendo l’autore estendere i suoi insegnamenti a tutto il periodo della formazione, e non soltanto al novi-
ziato. Il vade mecum dei giovani salesiani è stato riedito sin oltre la seconda metà del novecento; l’ultima
edizione in un solo volume (1965), ridotta rispetto alle precedenti, è di quasi 1200 pagine! Costituisce, a
parer nostro, l’unico vero manuale completo di spiritualità boschiana che sia mai stato scritto, per quanto
molte delle sue pagine risentano dei limiti della teologia del tempo.
3 Per uno studio approfondito sul tema in esame si veda G. BUCCELLATO, Alla presenza di Dio. Ruolo
dell’orazione mentale nel carisma di fondazione di San Giovanni Bosco, PUG, Roma 2004.
4 Si tratta della prima esperienza di esercizi “autogestiti” della Società, celebrati nella casa di Trofarello
a questo specialmente dedicata da Don Bosco. Nella percezione dei primi salesiani, questi esercizi se-
gneranno un nuovo inizio della vita della congregazione. «Noi abbiamo visto si legge infatti nei verbali
del primo Capitolo Generale (1877) che qui si può dire la Congregazione aver preso uno sviluppo un
po’ marcato solo dal tempo in cui cominciarono a fare gli Esercizi Spirituali appositamente» (ASC D
578, 304).
5 ASC A 225.04.03; cfr. MB IX, 997.
6 L.c.
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grande edifizio della nostra perfezione e della nostra salvezza»7.
La necessità8 della meditazione nella vita religiosa, oltre che il modo pratico per farla,
costituirono, sin dall’inizio, materia degli insegnamenti di Don Barberis in tutto il
primo periodo del noviziato regolare; lo testimonia la cronologia dei suoi numerosi
quaderni.
Scorriamo, passim, alcuni di questi ordinatissimi appunti, utilizzati per le confe-
renze ai novizi. «Per comprendere le cose di Dio, penetrarne il midollo, mostrarci pieni
dello Spirito Santo è di tutta necessità l’orazione mentale»9. «Niente più necessario
all’uomo che la meditazione. E prima di tutto G.(esù) Cr.(isto) ce ne diede l’esempio.
Erat pernoctans in oratione Dei. Lungo il giorno predicava, guariva, ecc., lungo la nottata
meditava e si noti bene: tutto quello che fece G. Cr. è a nostra istruzione. Stette qua-
ranta giorni in meditazione continua ed in silenzio»10. «S. Ignazio di Loyola: che cos’è
che compì la sua conversione, che lo innalzò a tanta vita? La meditazione!»11. «Medi-
tando si riaccende il fervore come ferventissima pianura di fuoco. Ma che la medita-
zione abbia proprio questa virtù? Che sia tanto utile? Così necessaria? Oh, è proprio
così, è proprio così! Ce lo fa sempre più rassicurare il Signore per David nel salmo:
Beatus vir qui in lege Domini meditatur in die ac nocte»12.
Ancora più esplicito è un brano del 1882, tratto da un quaderno di appunti del
chierico Ducatto e relativo ad una istruzione13 pronunciata da Don Bosco durante gli
esercizi spirituali di quell’anno.
«Miei cari confratelli vi leggiamo la meditazione è cosa, è pratica di pietà non dirò solo im-
portante, non solo utile, non solo utilissima, ma sto per dire necessaria a noi religiosi. Or non è
mio compito il discorrervi di questa importanza, di questa necessità; ma pur veggo che non se ne
può fare a meno e quindi spero di potervene parlare proprio di proposito in qualcuna delle re-
stanti istruzioni future ed intanto parlarvi della necessità che noi religiosi abbiamo di farla, dei
beni grandissimi che ci arreca, quando è ben fatta e come uno si deve regolare per farla veramente
bene»14.
2. La meditazione va distinta dalla lettura spirituale personale
La lettura spirituale, personale o comunitaria, in quanto riflessione su di un testo
scritto, coinvolge soprattutto l’intelligenza, e non è, in senso stretto, preghiera, orazione
mentale, dialogo intimo con Dio; qui il ruolo principale è assegnato agli affetti.
Questa distinzione emerge chiaramente negli insegnamenti di Don Bosco e nella
prassi della nascente congregazione. Persino nelle indicazioni date ai giovani questa
diversificazione è sempre evidente. Negli avvisi per le vacanze, dettati ai convittori fin
7 [G. BOSCO], Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales. Secondo il decreto di approvazione del
3 aprile 1874, [Tipografia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales], Torino 1875, XXXII-XXXIV.
8 Si tratta, qui, di una necessità di ordine morale. Si veda su questo tema il testo di G. LERCARO, Metodi di
orazione mentale, Ancora, Milano 19693, 5-6; 11-114.
9 ASC B 509.03.01.
10 ASC A 000.01.08.
11 ASC A 000.01.08.
12 ASC B 509.03.01.
13 Durante gli esercizi spirituali, in quegli anni, veniva proposta una meditazione al mattino ed una istru-
zione al pomeriggio. Don Bosco solitamente sceglieva di riservare a sé le istruzioni del pomeriggio, che
dedicava alle strutture portanti della vita religiosa.
14ASC B 509.04.12.
10

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dalla metà degli anni cinquanta e costantemente replicati negli anni successivi, Don
Bosco consiglia: «Ogni giorno: servire la santa messa se si può, meditazione ed un po’
di lettura spirituale»15.
Al cavaliere Ugo Grimaldi di Bellino nel 1862 scrive: «Ogni mattino messa e me-
ditazione. Nel dopo mezzogiorno un po’ di lettura spirituale»16. A Don Giovanni An-
fossi, exallievo dell’Oratorio di Valdocco, scrive nel 1867: «La meditazione e la visita
al SS. Sacramento saranno per te due salvaguardie potentissime: approfittane»17. «Ti
raccomando tre cose: scrive in quel medesimo anno al chierico Luigi Vaccaneo at-
tenzione nella meditazione del mattino; frequenza di compagni maggiormente dati
alla pietà; temperanza nei cibi»18. Al cavaliere Federico Oreglia, altro amico e benefat-
tore dell’oratorio, nel 1868 scriverà: «Ella non dimentichi di fare ogni giorno la sua
meditazione e la sua lettura spirituale»19.
Nel sogno raccontato il 3 maggio del 1868 Don Bosco descrive, in maniera dram-
matica, gli oscuri disegni del nemico di Dio, che «tende dei lacci per far cadere i miei
giovani nell'inferno».
«Guardando ancora più attentamente vidi che fra questi lacci vi erano molti coltelli sparsi qua e
là da una mano provvidenziale che servivano a tagliarli o romperli. Il coltello più grosso era con-
tro il laccio della superbia e simboleggiava la meditazione. Un altro coltello assai grosso, ma più
piccolo del primo, significava la lettura spirituale ben fatta. Vi erano di più due spade. Una di
esse indicava la divozione al SS. Sacramento, specialmente colla frequente comunione; l'altra la
divozione alla Madonna. Vi era pure un martello: la confessione. E v'erano altri coltelli, simboli
delle varie divozioni a S. Giuseppe, a S. Luigi, ecc., ecc. Con queste armi non pochi rompevano il
loro laccio quando erano presi o si difendevano per non essere legati»20.
La distinzione, fatta qui come in molti altri testi, tra meditazione e lettura spirituale
ci permette di comprendere che né nel suo sentire né in quello dei suoi uditori, ci fosse
una confusione teorica o reale tra le due differenti pratiche di pietà.
La meditazione nella mente di Don Bosco, per la formazione ricevuta al Convitto
Ecclesiastico nel solco della tradizione ignaziana e da lui sperimentata nel corso dei
trenta e più anni di esercizi spirituali al Santuario di Sant’Ignazio sopra Lanzo, è ora-
zione mentale, colloquio intimo e personale con Dio, e non può essere confusa, come
forse accade oggi, con la lettura, per quanto utile e spirituale, di un testo.
3. Meditazione e progresso nelle virtù teologali
Alla meditazione è riconosciuto il compito di favorire il progresso nelle virtù teo-
logali. Le Memorie Biografiche ci riportano una istruzione di Don Bosco a conclusione
degli esercizi spirituali di Trofarello del 1867.
«Tale meditazione afferma Don Bosco è anche l'esame di coscienza. Alla sera prima di coricarci
esaminiamoci se abbiamo messo in pratica i proponimenti già fatti su qualche difetto determi-
nato: se siamo in guadagno o se siamo in perdita. Sia un po' di bilancio spirituale; se vediamo di
15 Fondo Don Bosco 446 A 3.
16 G. BOSCO, Epistolario, Introduzione, testi critici e note a cura di Francesco Motto, LAS, Roma 1991, II,
526.
17 Ibidem, 446.
18 Ibidem, 458.
19 Ibidem, 494-495.
20 MB IX, 169-170.
11

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aver mancato ai proponimenti si ripetano per l'indomani, fintantoché non siamo giunti ad acqui-
stare quella virtù e ad estinguere o fuggire quel vizio o quel difetto»21.
Gli appunti di Don Gioachino Berto, allora segretario di Don Bosco, relativi alle
istruzioni del fondatore durante gli esercizi di quello stesso anno, in modo ancora più
esplicito avvalorano questa convinzione del fondatore: «Uno che abbia fede e che fac-
cia questa visita a G(esù) S.(acramentato) e che faccia la sua meditazione tutti i giorni
purché non faccia questo per qualche fine mondano è impossibile che pecchi»22.
La medesima dottrina, anche questa volta, trova corrispondenza negli insegna-
menti del noviziato: «Quel che è più per noi religiosi scrive Don Barberis nel 1875
che di professione tendiamo a perfezione si è questo che senza meditazione non si
viene nemmanco a capire che cosa sia perfezione, parlando in modo pratico; invece
non può essere che uno il quale mediti bene e non s’invogli non tenda gravemente alla
perfezione»23.
«Pertanto al mattino scrive egli stesso qualche anno più tardi allorché si fa la meditazione,
nessuno sen vada per le proprie occupazioni, se prima non si sarà ben impresse nella mente al-
cune di queste verità e non avrà con se stesso fermamente proposto di ben ricordarle durante la
giornata che sta per incominciare e di osservarle puntualmente. Ad ogni pranzo, quando si va
per la visita a Gesù Sacramentato, allora ai piedi dell’altare rinnoviamo i proponimenti del mat-
tino, ricordiamo le massime imparate, le verità conosciute, e persuasi sempre del gran bene di cui
ci è apportatrice la Santa Meditazione, proponiamo sempre più fermamente di volerci regolar
meglio nel resto della giornata, terminarle nella grazia del Signore, compiendo tutti quegli atti a
cui siamo tenuti per dovere. Alla sera poi dopo la cena, quando abbiam detto le nostre preghiere,
all’ascoltar queste parole: Fermiamoci alcuni istanti a considerare lo stato di nostra coscienza,
subito raccogliamoci in noi stessi, pensiamo alla meditazione del mattino, riandiamo nella nostra
mente (al)le risoluzioni prese e ricordate il dopo pranzo, e se con siffatto esame vediamo di averle
praticate, continuiamo a far altrettanto per l’avvenire»24.
Questa pratica doveva essere particolarmente considerata tra i primi salesiani, se
il biografo del chierico Pietro Scappini scrive nel suo necrologio:
«In ispecial modo lo aiutò a progredire nella via della virtù ed a star costante nella vocazione la
quotidiana meditazione delle verità eterne. Era solito dire che senza meditazione non mai
avrebbe potuto vincersi dei tanti e radicati suoi difetti. Assai sforzi gli costò la pratica di questo
esercizio, poiché la viva immaginazione lo portava naturalmente ad altri pensieri; ma colla co-
stanza riuscì a farla così bene da poter dire che molte meditazioni le passava senza alcuna distra-
zione»25.
Analogamente, leggiamo nella piccola biografia del chierico Giacomo Vigliocco:
«Fu nella frequente Comunione e nella meditazione, che imparò a vincere talmente se stesso, che
i suoi compagni e superiori non trovavano neppure la più piccola cosa da appuntargli! Fu a que-
ste due fonti che attinse quell'amore ai disprezzi, per cui non solo non si offendeva quando era
ingiuriato o disprezzato, ma che gli fecero domandare più volte al suo maestro licenza di fare
qualche stranezza, per poterne aver dispregio dai compagni»26.
21 MB IX, 355-356.
22 ASC A 025.01.03.
23 ASC B 509.03.01.
24 ASC B 509.04.12.
25 [G. BOSCO], Società di S. Francesco di Sales. Anno 1880, Tipografia Salesiana, Torino 1881, 51.
26 [G. BOSCO], Società di S. Francesco di Sales. Anno 1877, Tipografia Salesiana, Torino 1878, 43- 44.
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4. Importanza della pratica quotidiana della meditazione
L’orazione mentale per essere efficace deve essere quotidiana. La perdita di questa
abitudine può essere gravida di conseguenze per la vita religiosa.
Il verbale del terzo Capitolo Generale ci riporta questa convinzione del fondatore
dei Salesiani:
«Nemo repente fit summus, nemo fit malus avrebbe affermato Don Bosco nella terza delle sei rac-
comandazioni finali, secondo il verbale del segretario Don Giovanni Marenco . Quindi attendere
ai principi per impedire il male grande dell’avvenire. Lo dice l’esperienza. Se taluno ha messo
negli imbrogli il Dir.(ettore) e la Casa, cominciò a lasciare la medit(azione), le pratiche di pietà,
poi qualche giornale, qualche amicizia particolare, disordini insomma»27.
Egli stesso, secondo gli appunti di Don Berto, aveva affermato alcuni anni prima
agli esercizi di Trofarello: «Per preghiera s’intende tutto ciò che solleva i nostri affetti
a Dio. Come la meditazione del mattino è la prima. Ciascuno la faccia sempre»28.
L’insegnamento di Don Barberis ricalca il pensiero del fondatore: «Voi siete quasi
tutti Salesiani o vi entrate ora e qui la meditazione si fa. Bene, fatela volentieri. Ma
vivono di coloro che non lo sono e che sono liberi di sé o lo saranno: vi interessa d’an-
dare in paradiso? Volete condurre vita cristiana, non avere poi i rimorsi in morte? Fate
sempre un po’ di meditazione quotidiana»29.
5. Convenienza di fare la meditazione al mattino
È conveniente che la meditazione sia fatta al mattino, prima di dare inizio alle
occupazioni della giornata. La cronichetta di Don Barberis riporta questa opinione di
Don Bosco:
«È vero che nel mondo vi sono molti buoni cristiani ma vi sono anche molti pericoli, e quante
difficoltà si devono superare per fare un po’ di bene! Poniamo per esempio i cristiani che fanno
la meditazione, pochissimi sono nel mondo, ma cerchiamo quali dei cristiani la possono fare più
bene. Qui per avventura si ha la santa usanza di fare la meditazione, ebbene se la vogliamo fare
tutti insieme ci tocca solo di alzarci presto al mattino. Ci leviamo alle cinque e la facciamo tutti
insieme senza che alcuno ci disturbi. Nel mondo invece farla in molti non si può; lungo la giornata
non si sa qual momento prendere ché le faccende di casa incalzano da tutte parti. Non parliamo
del levarsi di buonora, che da alcuni si aspettano le 7 o le 8 e perfino le dieci…. Se facessimo anche
noi questa cosa, della meditazione, che ne sarebbe? Non si parlerebbe più di meditazione!»30.
La lunga lettera di San Vincenzo de’ Paoli, annessa per la prima volta all'edizione
italiana delle Costituzioni nel 1877, è una conferma della volontà di Don Bosco di ri-
badire questo principio.
Il ricordo di questa lettera è praticamente scomparso, con gli anni, dalla memoria
della congregazione, nonostante essa sia rimasta per tutta la vita del fondatore e per
circa trent'anni anni ancora, insieme alle Costituzioni dei Salesiani.
Per espressa volontà di Don Bosco, essa fu collocata in una posizione "strategica",
proprio al centro del libretto delle Regole, tra l'introduzione Ai soci salesiani e il testo
27 ASC D 579. Si tratta della pagina 2 del foglio dei verbali dal titolo 7 Settembre sera. Ultima conferenza.
28 ASC A 025.01.10.
29 ASC A 000.01.08.
30 ASC A 000.04.06.
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delle stesse. «Si metta dopo l’introduzione e prima del testo delle Regole»31, scrive di
suo pugno Don Bosco, sulla copia preparata a mano da Don Barberis per il tipografo,
coniando anche un titolo che accompagnerà l’edizione a stampa delle Costituzioni:
Lettera di S. Vincenzo de’ Paoli indirizzata ai suoi religiosi sul levarsi tutti all’ora medesima.
Il messaggio della lettera, che Don Bosco evidentemente fa sua, è semplice: la fedeltà
alla vita religiosa dipende dalla meditazione del mattino, e la meditazione dalla vo-
lontà di alzarsi tutti alla stessa ora. Esaminiamone un brano:
«La grazia della vocazione vi si legge è legata alla orazione, e la grazia dell'orazione a quella
di levarsi. Se noi siamo fedeli a questa prima azione, se ci troviamo insieme ed avanti al nostro
Signore, ed insieme ci presentiamo a lui, come facevano i primi cristiani, egli si darà reciproca-
mente a noi, ci rischiarerà co' suoi lumi e farà egli stesso in noi e per noi il bene che abbiamo
obbligo di fare nella sua chiesa e finalmente ci farà la grazia di giungere al grado di perfezione
che egli desidera da noi, per poterlo un giorno pienamente possedere nell'eternità dei secoli»32.
Per ribadire con forza ai suoi salesiani l'importanza della meditazione, Don Bosco
invoca l'autorità non di un mistico, ma di un apostolo della carità. Questa scelta è cer-
tamente sorprendente e aumenta il valore oggettivo delle indicazioni che la lettera e
l’esortazione di Don Bosco contengono.
6. Meditazione in comune o in privato
La prassi della meditazione, come pratica di pietà da compiere in comune, di-
venne regolare probabilmente a partire dagli anni settanta. Pochi anni prima, sempre
a Trofarello, Don Bosco aveva affermato: «Chi può faccia questa visita e questa lettura
in comune, chi non potesse in comune anche in privato. La meditazione può anche
farla in camera»33.
Alcuni insegnamenti del noviziato ribadiscono, oltre all’importanza della medi-
tazione, la necessità di farla in privato, quando non si potesse farla in comune con gli
altri.
«Dopo la levata leggiamo tra gli appunti di Don Barberis del 1877si venga insieme a fare la
meditazione; e questa si faccia bene. Alcuni non sapranno ancora guari il modo, questo si impa-
rerà quanto prima; ma l’impegno si veda fin d’ora e si faccia volentieri ed il meglio possibile. Si
sappia che è proprio di regola farne mezz’ora al giorno da tutti. Chi può venga a farla qui con gli
altri; chi non potesse farla in comune veda il modo di trovare il tempo di farla in privato; ma si
faccia sempre»34.
E ancora sullo stesso tema:
«Invero svariatissime sono le occupazioni a cui devono attendere i soci salesiani nelle singole
case; e chi fa scuola, chi assiste nei laboratori, e chi assiste o nelle elementari o nel ginnasio o nel
liceo; e chi esce sempre a far compere e chi lavora da artigiano…; oltre di che ne viene per conse-
guenza che non tutti possono uniformarsi ad un solo e medesimo orario, stante che i bisogni
richiedono altamente e quindi le regole non obbligano punto che tutti e singoli i soci salesiani
prendano sempre parte insieme a tutte e singole le pratiche di pietà. Ad esempio la meditazione
si fa al mattino al tempo della levata, oppure alle nove; la lettura spirituale alle 2 pomeridiane,
l’esercizio della buona morte al fine di ogni mese; ebbene vi sarà uno che non potrà andare alla
meditazione perché forse si sentirà male; neppure potrà andare a quella delle nove, poiché avrà
31 ASC D 473.04.01.
32 [G. BOSCO], Regole o Costituzioni…, [1877], cit., 47.
33 ASC A 025.01.03.
34 ASC B 509.03.02.
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da far scuola, da assistere nei laboratori, da uscire per commissioni e via dicendo… Or bene,
stando così le cose, perché non si ha il tempo necessario, perché non si può praticare questa o
quell’altra pratica di pietà in comune, dimando io, si potrà per questo tralasciarla del tutto? No
certamente; imperciocché se badiamo allo spirito della regola, questa ci avverte che se non pos-
siamo adempiere alle pratiche di pietà in comune, il dobbiamo fare privatamente, ciascuno da sé
appena che può e non mai tralasciarla»35.
Anche la prassi dei salesiani dovette orientarsi verso questo principio, se è vero
che di Giovanni Battista Caraglio il biografo scrive: «Non tralasciava mai la Medita-
zione e la Recita del santo Rosario; e fatto sacerdote, lorché le sue occupazioni non gli
permettevano di prendervi parte in comune non mancava mai di supplirvi privata-
mente prima di andare a riposo. Era solito dire che la Meditazione ed il S. Rosario sono
pratiche indispensabili al Religioso ed al Sacerdote»36.
Ci sembra si possa affermare che nel sentire comune del fondatore e della con-
gregazione, è, comunque, da preferirsi la meditazione in comune, probabilmente an-
che a motivo di una sana “prudenza", o per l'abitudine di leggere i punti della medita-
zione da un unico libro, che non tutti possedevano. Questo concetto è contenuto nella
Lettera di San Vincenzo de’ Paoli, che abbiamo già menzionato. In un passo di questa,
San Vincenzo dice di avere individuato il motivo del decadimento di alcune case della
sua congregazione proprio nello smarrimento dell’habitus della meditazione in co-
mune:
«Per iscoprirla afferma il fondatore della Congregazione per la Missione è stata necessaria un
po’ di pazienza e di attenzione dalla parte nostra; infine Dio ci ha fatto vedere che la libertà d’al-
cuni a riposare più che la regola non accordi ha prodotto questo cattivo effetto; col di più che non
trovandosi all'orazione cogli altri, essi erano privati de' vantaggi che si hanno dal farla in comune,
e spesso poco o nulla ne facevano in privato»37.
Il desiderio di mantenere la prassi della meditazione in comune è testimoniato
anche da alcune deliberazioni del quarto Capitolo Generale del 1886, a proposito
dell’orario della giornata da praticarsi nelle parrocchie. Per salvare, infatti, la opportu-
nità di partecipare insieme a questa pratica di pietà si stabilì di collocarla nel pomerig-
gio o in qualsiasi altro orario più opportuno38.
7. Durata della meditazione
La durata della meditazione, prescritta dalle Costituzioni, viene definitivamente
fissata dal testo approvato nel 1874: Singulis diebus unusquisque praeter orationes vocales
saltem per dimidium horae orationi mentali vacabit, nisi quisquam impediatur ob exercitium
sacri ministerii39.
Una precisazione di Don Barberis, che risale al 1882, esplicita il dettato costitu-
zionale: «L’articolo terzo del capo XII discorre della orazione mentale, altrimenti detta
35 ASC B 509.04.12.
36 [G. BOSCO], Biografie dei Salesiani defunti nel 1882, Tip. S. Vincenzo, S. Pier d’Arena 1883, 49.
37 [G. BOSCO], Regole o Costituzioni della Società di S. Francesco di Sales. Secondo il decreto di approvazione del
3 aprile 1874, [Tipografia dell’Oratorio di S. Francesco di Sales], Torino 1877, 43-44.
38 Cfr. ASC D 579; Fondo Don Bosco 1865 D 10; Deliberazioni del terzo e quarto Capitolo Generale della Pia
Società Salesiana tenuti in Valsalice nel settembre 1883-86, Tipografia Salesiana, S. Benigno Canavese 1887,
7.
39 G. BOSCO, Regulae seu Constitutiones Societatis S. Francisci Salesii juxta approbationis decretum die 3 aprilis
1874, Augustae Taurinorum 1874, 185.
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meditazione, di cui se ne deve fare mezz’ora almeno, tutti i giorni. E questo "almeno"
indica che se ne può fare anche di più, secondo che ci sentiamo, ma che però non siamo
tenuti a farne di più; però tutti dobbiamo sempre farne almeno una mezz’ora tutti i
giorni»40.
Ancora una volta può essere utile uno sguardo alla prassi. Del chierico Giovanni
Arata così scrive Don Luigi Deppert, suo compagno al primo corso di filosofia:
«Per quanto fosse occupato non tralasciava mai e poi mai la meditazione quotidiana per una
buona mezz'ora. Oh! quante volte il vidi rinchiuso nel suo laboratorio tutto assorto in profonda
meditazione! E per vieppiù concentrarsi nelle cose che leggeva, teneva sempre davanti a sé un
piccolo crocifisso, benedetto dal Papa, e di tanto in tanto fissava in quello gli occhi bagnati di
lacrime»41.
8. Meditazione, orazione affettiva e immaginazione
L’ultima citazione del paragrafo precedente ci introduce ad una riflessione sul
ruolo degli affetti nella meditazione “salesiana”.
«In meditatione mea exardescet ignis (Salmo 38,4). All’anima è come il calore al
corpo»42. Questa convinzione, espressa da Don Bosco negli appunti autografi di Tro-
farello e spesso ripetuta nella letteratura salesiana delle origini, assegna alla medita-
zione il ruolo specifico di eccitare gli affetti.
«Dobbiamo anche eccitarci ad affetti di amore leggiamo negli appunti di Don Gioachino Berto
presi durante una istruzione di Don Bosco , di riconoscenza, di umiltà verso Dio; chiedergli tante
grazie delle quali abbisogniamo; e domandargli colle lagrime perdono dei nostri peccati. Ricor-
diamoci sempre che Dio è Padre e noi siamo i suoi figliuoli. Raccomando adunque l'orazione
mentale»43.
Nella meditazione ignaziana, che veniva insegnata nel noviziato di Valdocco
dopo l’approvazione delle Costituzioni44, il ruolo degli affetti è particolarmente sotto-
lineato. Scrive il Padre Secondo Franco, uno dei due gesuiti invitati al primo Capitolo
Generale della Società, dopo aver parlato del ruolo dell’intelletto e della memoria nella
meditazione: «Dietro a tutte queste considerazioni viene finalmente la volontà, la quale
deve prorompere in affetti proporzionati a quel che si è meditato, ed in risoluzioni
generose di quello che si dovrà in avvenire poi praticare. E questa è la parte più im-
portante della meditazione»45.
La consapevolezza di questa influenza attraversa molti degli insegnamenti di
Don Giulio Barberis: «L’anima nostra non si trova nelle stesse circostanze? Perché è
40 L.c. Abbiamo usato qui la prima traduzione del 1875.
41 ASC B 196.33.01. Si tratta di una lettera su un foglio solo, scritto su tre facciate e datato 21/1/79, che
porta l’intestazione della Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice.
42 ASC A 225.04.03; cfr. MB IX, 997.
43 MB IX, 355-356.
44 Si veda la lunga conferenza del 1875 di Don Giulio Barberis sul modo di fare la meditazione in ASC B
509.03.01.
45 S. FRANCO, Istruzioni per le religiose in tempo di esercizi, Tipografia Pontificia ed Arcivescovile, Modena
(manca l’anno di pubblicazione). Si tratta del ventitreesimo volume della collana che raccoglie le opere
del gesuita Padre Franco, che partecipò al primo Capitolo Generale dei Salesiani nel 1877 insieme ad un
altro gesuita, il Padre Giovanni Battista Rostagno. «Con essi - afferma Don Ceria nelle Memorie Biogra-
fiche (Don Bosco) aveva in sere precedenti tenute parecchie conferenze allo scopo di concertare le cose
nel modo più conforme ai sacri canoni e alle consuetudini delle congregazioni religiose» (MB XIII, 253).
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desolata, perché non ha virtù, perché ha tante imperfezioni? Nemo est qui recogitet corde.
Adunque come fare per rimetterci noi nel fervore? Ce lo dice Davide ne’ suoi salmi: In
meditazione mea exardescet ignis, meditando si riaccende il fervore come ferventissima
pianura di fuoco»46. In un’altra occasione egli stesso scrive:
«Ricordiamoci di quelle parole: In meditatione mea exardescet ignis; s’accende sempre maggiore il
fuoco del mio spirito nel meditare… Ci sarà pur vantaggioso il portarci in spirito sul monte Cal-
vario, quando Cristo vi sta pendente in croce, in mezzo a due ladroni, carico e coperto di piaghe,
incoronato di spine, trafitto da mille punture e mille, insanguinato per ogni parte, sicché, ohi, più
non ha aspetto di uomo; ed allora diciamo a noi stessi: Anima mia, il tuo Dio sta appeso ad un
duro tronco di croce; or meditare il perché»47.
Quest’ultimo insegnamento di Don Barberis ci offre anche la possibilità di met-
tere in evidenza anche il ruolo assegnato alla immaginazione, un altro tratto caratteri-
stico della meditazione secondo il metodo di Sant’Ignazio. «Bisogna immaginarsi pre-
senti al mistero insegnava Don Barberis nel 1875 in una delle prime conferenze
dell’anno di noviziato 75-76 e considerare, le persone, le azioni, le parole, che inter-
vengono o si dicono ponderando quel mistero»48.
Il portarsi in spirito sul monte Calvario, ha evidentemente lo scopo di muovere la
volontà ed il cuore, oltre a quello di tenere concentrate tutte le altre potenze. È la cosid-
detta composizione vedendo il luogo di cui parla Ignazio nei suoi Esercizi Spirituali49.
La meditazione del chierico Giacomo Vigliocco sembra mettere in pratica questi
insegnamenti. L’effetto segnalato dal biografo è, ancora una volta, una crescita nella
virtù teologale della carità verso Dio e verso il prossimo.
«Un suo secreto per far bene la meditazione era questo: sul principio, nel porsi alla presenza di
Dio, si figurava proprio che gli comparisse visibilmente Gesù Crocifisso, e che dalla Croce stesse
osservandolo se la faceva con tutto l'impegno possibile… Il pensare continuamente a Gesù Cro-
cifisso nelle sue meditazioni, era ciò che gli faceva prendere le grandi risoluzioni pratiche, le quali
cercava poi con ogni possa di eseguire, che gli faceva scrutare ogni più recondito ripostiglio del
suo cuore, per vedere se vi fosse ancora il germe di qualche vizio da estirpare, o di quali virtù
maggiormente abbisognasse per arricchirsene. Oh quanto volte non potendo contenere la piena
del cuore andava poi sfogandosi col maestro, indicando il desiderio di dare la vita per salvar
anime; il desiderio di patire per amor di Gesù Cristo, più che tutti gli uomini del mondo; il desi-
derio di slanciarsi tra gli uomini procurando la loro conversione!»50.
9. Importanza e utilità di un metodo
Un metodo, essenziale ma ben strutturato nelle sue parti, viene suggerito già nel
1867 da Don Bosco ai giovani salesiani di Trofarello: «La meditazione leggiamo negli
appunti di Don Berto si potrebbe fare in questo modo. Scegliere il soggetto con
scienza, mettendosi prima alla presenza di Dio, quindi meditarvi bene sopra, quindi
venire a scegliere quelle cose per applicarle a noi, venire alla conclusione cioè risolvere
a lasciar quei difetti o a praticar quelle virtù, eccitarci ad affetti. Ringraziare poi Iddio
e praticare o fuggire lungo il giorno quel che abbiamo risolto al mattino»51.
46 ASC B 509.03.01.
47 ASC B 509.04.12.
48 ASC B 509.03.01.
49 Cfr. IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, nn. 194-197.
50 [G. BOSCO], Società di S. Francesco di Sales. Anno 1877, cit., 43- 44.
51 ASC A 025.01.03.
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Saranno poi gli insegnamenti del primo noviziato canonico a dare ampio spazio
alle istruzioni sul modo per fare la meditazione. I testi di Don Barberis, fin dall’inizio,
sono di evidente derivazione ignaziana52.
Il primo Capitolo Generale, infatti, indicherà, in relazione al metodo per fare la
meditazione, un comune riferimento teorico nella lunga introduzione al testo di medi-
tazioni del gesuita Padre Luis de la Puente (1554-1624)53. Leggiamo infatti nei verbali:
«Si chiamò in seguito qual libro si conoscesse come più atto a fare la meditazione ai principianti.
Per gli altri si ha il Da Ponte e può continuarsi in quello stante la materia immensa, e finito si può
ricominciare anche molte volte. (La meditazione) non è altro che un esercizio delle tre facoltà
intelligenza, memoria, volontà come insegna il medesimo Da Ponte nella sua introduzione. In-
troduzione che andrebbe letta cento volte ed imparata a memoria poiché vale tant’oro. Chi segue
bene quanto in quella si dice troverà immensamente facilitato il modo di fare la meditazione; ma
bisogna avere pazienza; i principianti vanno istruiti bene; bisogna veder modo che abbiano tutti
il libro alla mano, e farli imparare secondo quel metodo»54.
La citata Introduzione, la quale andrebbe letta cento volte ed imparata a memoria poiché
vale tant’oro, occupa, nella edizione italiana della Marietti del 1875, ben trentasei fitte
pagine. Si tratta di un vero e proprio trattato sull’orazione mentale, secondo il metodo
di Sant’Ignazio.
Un altro testo che si diffonderà in congregazione nei decenni successivi sarà l'E-
sercizio di perfezione e di virtù cristiane del gesuita Alfonso Rodriguez (1541-1616); testo
che Don Bosco aveva adoperato anche nella composizione della introduzione Ai soci
salesiani alle Costituzioni della Società.
10. Rendiconto e meditazione
Uno dei punti che deve essere oggetto del periodico rendiconto del salesiano al
suo superiore, secondo quanto afferma il primo Capitolo Generale, riguarda il «come
(egli) si diporti nelle Orazioni e nelle Meditazioni»55.
Analogamente, nella prima bozza di Costituzioni delle Figlie di Maria Ausilia-
trice, che risale al 1871, troviamo scritto:
«Per avanzarsi nella via della virtù e della perfezione religiosa gioverà loro molto una grande
apertura di cuore colla Sup(erio)ra siccome quella che dopo il Confessore è destinata da Dio a
dirigerle nella via della perfezione. Pertanto almeno una volta al mese le manifesteranno il loro
interno con tutta semplicità e chiarezza, e ne riceveranno avvisi e consigli per ben riuscire
nell’esercizio dell’orazione mentale, nella pratica della mortificazione e nell’osservanza delle
52 Cfr. ASC A 000.02.05.
53 Il suo diffusissimo Meditaciones de los misterios de nuestra santa fe, con la práctica de la oración mental sobre
ellos, pubblicato per la prima volta a Valladolid nel 1605, conobbe numerosissime edizioni in varie lin-
gue. Anche il suo cognome viene erroneamente tradotto, in diverse edizioni successive: in italiano “Da
Ponte” o in francese “Dupont”. La casa editrice Marietti di Torino, proprio due anni prima di questo
primo Capitolo Generale dei salesiani, aveva pubblicato un’ottava edizione di quest’opera, tradotta
dallo spagnolo da Giulio Cesare Braccini e corretta dal Padre Giacomo Bonaretti.
54 ASC D 578, 116-117.
55 Deliberazioni del Capitolo Generale della Pia Società Salesiana tenuto in Lanzo Torinese nel settembre 1877,
Tipografia e Libreria Salesiana, Torino 1878, 49-50.
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2.9 Page 19

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Sante Regole dell’Istituto»56.
Un rendiconto del chierico Giovanni Arata, fatto per iscritto al suo direttore Don
Giulio Barberis, ci conferma il fatto che la meditazione quotidiana costituiva, nella
prassi, oggetto di periodica verifica.
«Le cose di cui mi ricordo scrive egli – e mi sembrano atte all’importanza del rendiconto men-
sile, sono le seguenti. In verità (non saprei per quali particolari accidenti, ma certo sarà per mia
negligenza) non sono contento della condotta che ho tenuta in questo mese. Cosa che mi addolora
grandemente è la distrazione che ho avuta nell’orazione. Nella meditazione non posso senza
grande difficoltà raccogliermi in me stesso, considerarmi veramente alla presenza di Dio, pensare
seriamente alla materia, svolgerla, e quel che è più, mi commuove poco il soggetto che medito.
Ben poco mi sembra il profitto della meditazione; intorno a ciò poi influirà forse molto questo,
che lungo il giorno di rado mi ricordo di ciò che ho meditato al mattino»57.
Conclusioni
Certamente la vita attiva a cui tende la Società di San Francesco di Sales implica il
fatto che Don Bosco non abbia prescritto molte pratiche in comune, ma tra queste è co-
stantemente raccomandata l’orazione mentale formale o meditazione. È molto indicativo
il fatto che alla sua importanza e al metodo per farla con profitto vengano dedicati, nella
tradizione delle origini, gli insegnamenti dei primi mesi del noviziato.
Ben oltre la prospettiva dell’obbligo emerge la proposta del fondatore che si
muove verso una concezione della vita di preghiera che incoraggia l’orazione mentale
diffusa, il continuo pensiero di Dio, l’orazione affettiva e silenziosa “senza limiti di
tempo”; lo testimonia il ruolo assegnato alla preghiera nelle tante biografie scritte da
Don Bosco58. «Orazione vocale senza che intervenga la mentale si legge negli appunti
autografi preparati per gli esercizi di Trofarello – è come un corpo senz’anima - La-
mento del Signore: Populus hic labiis me honorat: cor autem eorum longe est a me (Marco
7,6)».
In questo nostro contributo abbiamo cercato di valorizzare soprattutto dei docu-
menti inediti. Meglio di ogni trattazione teorica, infatti, essi possono restituirci il vissuto
della nostra congregazione, il modo di sentire delle prime generazioni di salesiani, la
prassi concreta, i “gusti” del fondatore.
Di grande interesse sarebbe proseguire la nostra ricerca per interrogare il magi-
stero dei primi successori di Don Bosco; scopriremmo nei loro scritti la medesima sen-
sibilità del fondatore e la testimonianza viva della importanza da lui data alla medita-
zione. Riportiamo qui soltanto due frammenti di questo prezioso magistero.
Don Paolo Albera, secondo successore di Don Bosco scrive in una circolare del
1921:
«A misura […] che la forza delle passioni va in noi scemando e si fa più vivo il desiderio del
progresso spirituale e più ardente l’amor di Dio, il lavoro dell’intelletto avrà una parte sempre
56 [G. BOSCO], Costituzioni Regole Dell’Istituto Delle figlie di Maria Ausiliatrice. Sotto la protezione di S. Giu-
seppe, di S. Francesco di Sales e di Sa. Teresa, in Archivio Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice (AG-
FMA), Regole manoscritte, Quaderno n. 1, 42.
57 ASC B 196.33.01.
58 Su questo tema si veda, oltre allo studio già citato, la voce di G. BUCCELLATO, Giovanni Bosco: il geloso
custode della sua vita con Dio, in L. BORRIELLO E. CARUANA M.R. DEL GENIO R. DI MURO (edd.), Nuovo
Dizionario di Mistica, Città del Vaticano 2016.
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2.10 Page 20

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minore nella nostra orazione, mentre prevarranno i movimenti del cuore, i santi desideri, le do-
mande supplici e le risoluzioni fervorose. Questa è la cosiddetta orazione affettiva, e che a sua
volta conduce all’orazione unitiva, chiamata dai maestri di spirito orazione contemplativa ordi-
naria. Qualcuno forse penserà che un Salesiano non debba mirare tant’alto, e che Don Bosco non
abbia voluto questo dai suoi figli, giacché da principio non impose loro neanche la meditazione
metodica in comune. Ma io posso assicurarvi che fu sempre suo desiderio di vedere i suoi figli
elevarsi, per mezzo della meditazione, a quell’intima unione con Dio ch’egli aveva così mirabil-
mente attuata in se stesso, e a questo non si stancò mai d’incitarci in ogni occasione propizia»59.
E Don Rinaldi, in una circolare ai maestri di noviziato del 1930, conservata
nell’Archivio Centrale Salesiano:
«Senza la meditazione non si può ben comprendere e gustare la vita spirituale. E notate che per
meditazione Don Bosco non vuole intendere solo quel raccoglimento o concentrazione nella pre-
ghiera che fuga le distrazioni volontarie: egli intende parlare della meditazione vera e propria
così come ora noi la facciamo, quella cioè che è fatta di riflessioni e di pie considerazioni su verità
della fede, sulla Vita di Gesù Cristo, sulle virtù cristiane e religiose, per ricavarne pii sentimenti
ed efficaci propositi di vita migliore. E sappiamo come egli abbia poi sempre continuato a far la
sua meditazione, anche in mezzo alle peripezie di quegli anni così duri e difficili»60.
Abbiamo esordito, nella premessa, affermando che i nostri intenti non erano, in
nessun modo, storico-archeologici.
Parecchi anni or sono il salesiano Don Pietro Brocardo, a conclusione del suo stu-
dio sul tema del rendiconto, lo definiva coraggiosamente «un dato carismatico irrinun-
ciabile»61, denunziando con garbo quanti, troppo semplicisticamente, ne giustificano
l’abbandono nella prassi.
Siamo convinti del fatto che un corretto percorso ermeneutico permetterebbe di
recuperare alcuni elementi fondamentali della preziosa eredità che ci è stata conse-
gnata dal fondatore.
Crediamo fermamente che il futuro della nostra famiglia religiosa dipenda da
questa attenta ricerca, animata da un sincero amore a Don Bosco, e dalla convinzione,
espressa dal Concilio, che «il rinnovamento adeguato della vita religiosa comporta allo
stesso tempo il continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e all’ispirazione primi-
genia degli istituti e l’adattamento di questi istituti alle mutate condizioni dei tempi»62.
Pensiamo che la fedeltà ad un metodo o ad una particolare scuola di spiritualità
non costituisca un vincolo irrinunciabile; le mutate condizioni dei tempi, l’importanza
data oggi alla Sacra Scrittura e i progressi della teologia possono aprirci nuovi percorsi.
Forse le mutate condizioni di vita potrebbero anche aprire un dibattito sulla concreta
possibilità di fare ancora la meditazione in comune.
Tante altre cose potrebbero essere discusse e approfondite. Rimane il fatto che, a
parer nostro, la necessità della orazione mentale formale o meditazione nella vita religiosa
salesiana rimanga, utilizzando la felice espressione di Broccardo, un dato carismatico
irrinunciabile…
59 Lettere circolari di Don Paolo Albera ai Salesiani, SEI, Torino 1922, 406-407
60 ASC A 384.01.15. La lettera, dal titolo Cari maestri degli ascritti non è datata, ma collocabile tra il 1930
(viene citata una circolare di Don Luigi Tirone di quell’anno) e il 1931 (anno di morte di Don Rinaldi).
È una preziosa testimonianza personale del quarto successore di Don Bosco, oltre a contenere impor-
tanti indicazioni e direttive per i maestri di noviziato.
61 Cfr. P. BROCCARDO, Maturare in dialogo fraterno. Dal “rendiconto” di Don Bosco al “colloquio fraterno”,
LAS, Roma 1999, 210.
62 Perfectae Caritatis, 2.
20

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Imparare a meditare con San Francesco di Sales
Eunan McDonnell SDB
Non smetterò mai di pregare Dio perché porti a perfezione la Sua opera in te, cioè
perché dia sempre più vigore al tuo eccellente desiderio e progetto di raggiungere la
pienezza della vita cristiana, un desiderio che devi nutrire e coltivare teneramente nel
tuo cuore. Considera che questa è opera dello Spirito Santo; è una scintilla del suo
fuoco divino 1.
Che cos’è la meditazione?
La parola meditazione ha la stessa radice greca di medicina che indica la nostra capa-
cità di dare attenzione e prenderci cura. Ne consegue che la meditazione è l’impegno che met-
tiamo nel prestare attenzione a qualcosa, consentendole di diventare il nostro focus. È stato
scientificamente provato che esiste anche una componente biologica nella meditazione, che
aiuta a ridurre lo stress e la pressione che viene dal vivere quotidiano. A livello semplice-
mente umano, quindi, fa bene meditare. Tuttavia, quando parliamo di meditazione all’in-
terno della tradizione cristiana, non stiamo parlando di prestare attenzione a qualcosa, ma
di prestare attenzione a qualcuno. Parlando della meditazione salesiana2, Devasia scrive:
«La meditazione salesiana è una formazione regolare e sistematica dell’attenzione, così da dirigersi
verso l’interno e soffermarsi persistentemente su un singolo punto focale: Gesù. L’obiettivo è quello di
essere così assorbiti dalla persona di Gesù che dopo molti anni di meditazione e contemplazione ci di-
mentichiamo totalmente di noi stessi»3.
Il ruolo del gaudio o del compiacersi è essenziale per questa comprensione della me-
ditazione: stiamo imparando a rallegrarci del mistero che è Cristo. San Francesco di Sales
parla spesso di gioia. Questa delizia non è altro che la via della mente che si libera per essere
conquistata dal mistero divino.
Nella meditazione cristiana, quindi, il nostro obiettivo è quello di prestare attenzione
alla presenza di Dio che dimora in noi. Arriviamo anche alla consapevolezza che siamo noi
a dimorare in Dio. Noi non conteniamo Dio; è Lui che ci contiene. La meditazione cristiana
«mette in azione il pensiero, l’immaginazione, l’emozione e il desiderio» nella preghiera4.
Le pratiche di meditazione non cristiane mirano a svuotare la mente, ma la meditazione cri-
stiana impegna la mente nella preghiera. Il compito non è quello di svuotare la mente, ma di
riempirla con «tutto ciò che è vero, nobile e puro» (Fil 4,8).
Come cristiani, crediamo che la nostra vera vita è nascosta in Cristo e che attraverso il
battesimo siamo partecipi fin d’ora della sua relazione con il Padre attraverso lo Spirito. La
meditazione, intesa come consapevolezza della presenza di Dio che dimora in noi, rivela
una verità fondamentale: essa non è qualcosa che facciamo, è il rispondere a Dio che ci ha amato
1 Lettera di San Francesco di Sales a Giovanna Francesca di Chantal, 3 maggio 1604, in OEA XII, 263-64. I riferimenti
sono presi da Oeuvres Édition d’Annecy e abbreviati come segue: OEA, seguito dal volume (numeri romani) e
dalla pagina (numeri arabi).
2 L’aggettivo salesiano/a dice riferimento, in questo articolo, in modo eminente al pensiero di Francesco di Sales;
per evidenziare questo lo scriveremo in corsivo nelle pagine successive.
3 D. MANALEL, Spiritual Direction. A methodology, SFS Publications, Bangalore 2005, 157.
4 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2708.
21

3.2 Page 22

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per primo. La nostra preghiera scaturisce sempre dall’iniziativa di Dio, perché è Lui che ci
attira a sé. Cristo sta già pregando in noi il Padre e abbiamo accesso a questa incessante
preghiera attraverso il dono del loro amore reciproco, lo Spirito Santo, che è stato riversato
nei nostri cuori. Ci stiamo sintonizzando con Dio che già sta pregando in noi. Di conse-
guenza, quando non sappiamo come pregare, «lo Spirito stesso intercede con gemiti ine-
sprimibili» (Rm 8, 26), perché «lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità
di Dio» (1Cor 2,10).
Perché meditiamo?
La semplice risposta alla domanda perché meditiamo, è che meditiamo per sviluppare
l’amicizia con Cristo5, perché Dio è l'«amico del cuore umano»6. La meditazione salesiana rac-
comanda caldamente la Scrittura come mezzo privilegiato attraverso il quale incontriamo
la persona di Gesù. Di conseguenza la meditazione cristiana è relazionale, perché è attra-
verso la pratica della meditazione (preghiera mentale) che sviluppiamo e approfondiamo il
nostro amore reciproco7. San Francesco di Sales aggiunge che è attraverso la nostra fedeltà
alla meditazione che siamo trasformati dall’amore fino ad attirare il cuore di Dio nel nostro8.
Nella meditazione salesiana non lasciamo mai da parte l’umanità di Cristo, Lui infatti rimane
il nostro costante punto focale:
«Ti consiglio in particolare di praticare la preghiera mentale, la preghiera del cuore, e in particolare ciò
che in essa si incentra sulla vita e sulla passione di nostro Signore. Volgendo spesso lo sguardo su di lui
in meditazione, tutta la tua anima si riempirà di lui. Imparerai a conoscere e percorrere le sue vie e
modellerai le tue azioni secondo il suo stile di vita»9.
Questa è più che un’imitazione di Cristo, questa è un’esperienza trasformativa
che consente a Cristo di vivere in noi. Francesco di Sales la riassume sinteticamente nella
frase vivere Gesù. Questo Gesù che vive o lasciare che Gesù viva in noi significa che diven-
tiamo un’altra umanità dove Lui può di nuovo rendere presente il suo mistero10: può vivere
di nuovo in noi e amare attraverso di noi.
Seguendo le orme di San Bernardo, San Francesco di Sales mantiene la distinzione tra
amore affettivo (preghiera) e amore effettivo (servizio). Qui si incapsula il doppio comanda-
mento dell’amore di Dio e dell’amore del prossimo. Singolarmente né l’uno l’altro possono
assorbire l’altro comandamento dentro di sé: l’uno esiste solo con e non indipendentemente
dall’altro. Esprimiamo il nostro amore per Dio in modo affettivo attraverso la preghiera
ed efficacemente attraverso il servizio al prossimo.
San Francesco ha affermato che dobbiamo imparare a lasciare Dio per Dio. Ciò implica
che se siamo disturbati dal nostro prossimo mentre preghiamo, allora dobbiamo imparare
5 «La preghiera secondo me non è altro che una condivisione intima tra amici; significa prenderci spesso del
tempo per stare da soli con Colui che sappiamo ci ama» (TERESA D’AVILA, in The Life, Collected Works of St Teresa
of Avila, I, c. 8, par. 5, traduzione di K. Kavanaugh O. Rodriguez, ICS Publications , Washington 1976, 167).
6 OEA IV, 163-164. Cfr. anche IV, 295; IV, 319; IV, 331; V, 19; V, 196.
7 Per una migliore comprensione della preghiera salesiana, vedi Affairs of the Heart in J.F. CHORPENNING T. F.
DAILEY D.P. WISNIEWSKI (edd.), Love is the Perfection of the Mind, De Sales University, Pennsylvania 2017, 65-
82.
8 OEA IV, 116. 162. 164. Ci sono più riferimenti, nel Trattato, che alludono a Dio come all’origine delle ispira-
zioni che egli invia nei nostri cuori. OEA IV, 117. 128. 230. 232. 234; OEA V, 89. 91. 100. 103. 344.
9 FR. DI SALES, Introduzione alla vita devota, par. II, c. 1, nn. 1-2
10 Cfr. A. KANE (trad.), Complete Works of Elizabeth of the Trinity, I, ICS Publications, Washington 1984, 183-184.
22

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a lasciare Dio che stiamo adorando nella preghiera e rispondere allo stesso Dio che ora ci
disturba nel nostro prossimo. Tuttavia, va anche detto che, quando siamo presi dalla frene-
sia delle nostre attività, dobbiamo imparare a ritirarci nei nostri cuori per riconoscere che
Dio dimora in noi. Come «gli uccelli hanno nidi sugli alberi, dove possono cercare rifugio»
o «cervi che si nascondono nelle macchie e cespugli, cercano riparo e trovano il fresco della
loro ombra in estate. Allo stesso modo, Filotea, i nostri cuori devono trovare e scegliere un
posto ogni giorno, per essere vicino a lui. Lì dobbiamo cercare rifugio in ogni occasione»11.
In breve San Francesco ci sta incoraggiando a diventare più consapevoli del fatto che siamo
davvero con Dio e ad esercitarci a vivere nella Sua presenza.
Questo è ciò che sta alla base della pratica salesiana di fare brevi preghiere spontanee
durante il giorno. La parola chiave qui è “ritirarsi” nel nostro cuore. Senz’altro anche San
Giovanni Bosco ha sostenuto questo ritiro (ritiratezza) che dice «soprattutto riferimento ad
una vita interiore, a una solitudine feconda che va coltivata nel segreto della propria camera
e che favorisce il raccoglimento e la preghiera»12. Questo ritirarsi nel nostro cuore nel mezzo
della frenesia delle attività e interazioni è reso possibile solo se vi è già una buona base,
costruita attraverso la pratica fedele della meditazione cristiana. Questa pratica fondamen-
tale della meditazione è essenziale per la nostra preghiera vocale, come ricorda San Gio-
vanni Bosco, perché «l’orazione vocale senza che intervenga la mentale è come un corpo
senz'anima»13. Santa Teresa d’Avila concorda con questo perché afferma che un’adeguata
attenzione alla preghiera vocale ci conduce inevitabilmente alla preghiera contemplativa,
man mano che diventiamo più attenti a Dio a cui ci stiamo rivolgendo14. È per la mancanza
di questa attenzione che la nostra preghiera vocale spesso rimane in balia delle mutevoli
emozioni del momento. Al contrario, una relazione personale sviluppata attraverso la me-
ditazione ci rende sempre più consapevoli e sensibili verso la presenza di Dio, anche du-
rante la preghiera vocale. Diventiamo più coscienti di Colui al quale ci stiamo rivolgendo.
Se Gesù ha ritenuto necessario ritirarsi per poter entrare, fino ad esserne assorbito,
nell’amorevole comunione con il Padre, non ne consegue che noi come suoi discepoli dob-
biamo fare altrettanto? È questa qualità relazionale o affettiva della preghiera che è incap-
sulata nella comprensione salesiana della preghiera come un «cuore a cuore»15.
San Francesco di Sales ci ricorda lo scopo della meditazione che è quello di risvegliare
nei nostri cuori un amore affettivo per Dio. La vera meditazione cristiana ci conduce sul
sentiero che ci fa passare dal pensare a Dio all’entrare in amorevole comunione con
Dio. Meditiamo per risvegliare l’amore, contempliamo perché amiamo. La meditazione che
richiede il nostro sforzo, lascia il posto alla contemplazione dove la grazia di Dio prende il
sopravvento. San Francesco di Sales lo comunica attraverso la seguente metafora. Quando
meditiamo è come se remassimo a forza di muscoli in una barca; quando contempliamo è
Dio che con il suo soffio ha riempito le vele della nostra nave e non è più necessario spingere
sui remi16. Tuttavia, una volta che il vento cala, dobbiamo ricominciare a remare. Il chiaro
obiettivo della meditazione cristiana è di incontrare Cristo, specialmente attraverso la sua
11 FR. DE SALES, Introduzione alla vita devota, par. II, c. 12.
12 G. BUCCELLATO, Appunti per una storia spirituale del sacerdote GioBosco, Elledici, Leumann 2008, 38. Don Bosco
scrive nelle Memorie dell’Oratorio: «Amerò e praticherò la ritiratezza» (MO, 123).
13 Ibid., 28.
14 TERESA D’AVILA, Via della perfezione, in Collected Works of St. Teresa of Avila, II, traduzione di K. Kavanaugh e
O. Rodriguez, ICS Publications, Washington 1980, 152.
15 OEA V, 30. Nel mondo di lingua inglese il detto cor ad cor loquitur è stato reso popolare dal cardinale John
Henry Newman, ma gli è stato ispirato dalla sua conoscenza di San Francesco di Sales.
16 Cfr. OEA IV, 234
23

3.4 Page 24

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Parola. Questo incontro ci porta a godere della sua presenza (preghiera contemplativa) che
è un dono di Dio, totalmente dipendente dalla sua grazia. Man mano che la nostra preghiera
si approfondisce, c’è meno bisogno di parole e pensieri; diventiamo presenti a Dio che è
sempre presente a noi.
La pratica della meditazione
La meditazione si occupa di incontrare Cristo e approfondire la nostra amicizia con
Lui, risvegliare il nostro amore per Dio e diventare attenti a Dio che ci trasforma attraverso
questo incontro amorevole. La pratica della meditazione, quindi, è di suprema importanza
in quanto manifesta la nostra attitudine di fondo: ‘dare tempo’ a Dio. Più «diamo a Dio il
nostro tempo, meglio saremo in grado di trovare anche il tempo per gli altri. Prestando at-
tenzione a Dio, impariamo a prestare attenzione agli altri. La preghiera ci dà la grazia di
vivere ogni momento della vita con sempre maggiore fecondità»17.
Le difficoltà che incontriamo con la meditazione sono sempre dovuti a «problemi ‘car-
diaci’. Il nostro cuore non è lì; troviamo scuse. Non ci approssimiamo al tempo della medi-
tazione con vivo desiderio ed entusiasmo, ma stancamente e a malincuore... Due persone
che si amano profondamente non avranno certo problemi a immaginare come trascorrere
tempo insieme. Stare insieme il più spesso possibile è tutto quel che cercano! Purtroppo non
arriviamo lì perché il nostro amore per Dio è debole. Non riusciamo a coinvolgere appieno
il nostro cuore»18. La mediazione si propone di risvegliare il nostro amore per Dio. Sebbene
sia un percorso molto personale, meditare insieme in comunità o con altri fa a noi molto
bene, come corpo di Cristo, perché «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in
mezzo a loro» (Mt 18, 20).
Nelle prime fasi della meditazione, è necessario disporre di alcune linee guida, come
si fa quando si impara a suonare uno strumento o in qualsiasi sport. La pratica costante ci
consente di acquisirne l’abilità o l’arte. Successivamente, le impalcature necessarie per l’ini-
zio dell’edificio possono essere rimosse e saremo in grado di adottare un “metodo senza
metodo”. Come osserva santa Jane Frances de Chantal, «il miglior metodo per la preghiera
è di non avere alcun metodo, perché la preghiera non si ottiene attraverso una tecnica ma
attraverso la grazia». Se pertanto non possiamo fare affidamento su di un metodo, ci sono
tuttavia alcuni atteggiamenti o disposizioni interiori che possono prepararci a ricevere il
dono della preghiera: fede e fiducia; fedeltà e perseveranza; purezza di intenzione; umiltà e
povertà spirituale, che ci portano a donarci completamente a Dio19.
La meditazione salesiana richiede una certa liberté d’esprit (libertà di spirito), ragion per
cui San Francesco di Sales consiglia di abbandonare le linee guida sulla meditazione se trovi
che lo Spirito di Dio ti sta guidando in una sua direzione particolare. Egli scrive:
«A volte può succedere che subito dopo la preparazione sentirai che i tuoi affetti sono totalmente attratti
verso Dio. In questo caso, devi lasciarli andare a briglia sciolta e non seguire il metodo che ti ho mo-
strato. Di solito, la considerazione deve precedere affetti e risoluzioni. Tuttavia, quando lo Spirito Santo
ti dà gli affetti prima della considerazione, non devi cercare la considerazione poiché è usata solo per
suscitare gli affetti. In una parola, ogni volta che gli affetti si presentano, devi accettarli e far loro spazio,
17 J. PHILIPPE, Time for God, St Paul’s, Londra 2005, 30.
18 E. MC CAFFREY, Pray as you can, not as you can’t, the best and only advice, in Mount Carmel 59/3 (Sept. 2011), 66.
19 Cfr. J. PHILIPPE, Time for God, cit., 30.
24

3.5 Page 25

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sia prima che dopo la considerazione»20.
Se abbiamo risvegliato l’amore attraverso la meditazione, allora non dobbiamo rima-
nere ancorati alle linee guida, quanto piuttosto volgerci verso la presenza di Dio. Tenendo
conto di ciò, presenterò ora alcune di queste linee guida riguardanti la meditazione salesiana.
Come meditiamo?
Di seguito sono riportati sei passi proposti come aiuto per la meditazione:
1. Preparazione
2. Mettiti alla presenza di Dio
3. Concentrati sulla Parola di Dio
4. Atteggiamento di ascolto
5. Concludere con la risoluzione e la gratitudine
6. Revisione della preghiera.
1. PREPARAZIONE
In un’intervista sulla preghiera, il cardinale Basil Hume ha scioccato il suo intervista-
tore quando ha risposto che pregava solo cinque minuti al giorno. Ha continuato chiarendo
che era solito trascorrere cinquantacinque minuti in preparazione per i suoi cinque minuti
di preghiera! Proprio come qualsiasi sport fisico richiede esercizi di riscaldamento, anche la
disciplina della meditazione richiede preparazione. Questa preparazione può essere remota
o prossima. La preparazione remota è scegliere il brano della Scrittura la sera prima e fami-
liarizzare già con esso. Si può scegliere la lettura del Vangelo del giorno seguente o della
domenica successiva. Si può essere letto, studiato ed esplorato con l’aiuto di un com-
mento. È particolarmente fruttuoso per la mediazione leggerlo prima di andare a dormire,
poiché il subconscio continuerà a lavorare su di esso durante la notte.
La preparazione prossima è il momento che precede immediatamente l’inizio della
nostra meditazione. È importante arrivare con un buon anticipo sull’inizio della medita-
zione, in modo da beneficiare al meglio della preparazione prossima. A questo punto pos-
siamo rivisitare il passaggio che abbiamo scelto e tornare a una determinata parola o
frase che ci attira, permettendo a questo di diventare il nostro focus. Tale preparazione può
essere di notevole aiuto contro le distrazioni, che spesso sorgono quando manchiamo di
concentrazione e troviamo difficile prestare attenzione al Signore. Una parte importante
della meditazione è il calmare e placare l’andirivieni della mente, liberarla dai tanti pensieri,
percepire i sentimenti e le emozioni e lasciare che anch’essi si allontanino, in modo da di-
ventare più ricettivi alla presenza di Dio. La meditazione ci immerge nell’ora (qui ed ora) in
cui Dio è presente. I nostri pensieri e sentimenti sono spesso associati a ciò che è accaduto
(passato) o ciò che accadrà (futuro), e ciò ci impedisce di essere presenti a Dio che è l’eterno
ORA. Questo spiega perché la mattina presto è spesso il momento migliore per la medita-
zione prima che la nostra mente abbia avuto il tempo di impegnarsi sul suo tapis roulant di
tanta attività e movimento.
Pur riconoscendo che la preghiera è soprattutto un dono di Dio, ci sono cose che pos-
siamo fare per renderci più aperti a ricevere il dono della preghiera da Dio. San Francesco di
Sales ci paragona in modo umoristico ad un orologio (ovviamente della sua epoca) che «non
20 FR. DE SALES, Introduzione alla vita devota, par. II, c. 8.
25

3.6 Page 26

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importa quanto possa essere buono, deve essere ricaricato e rimesso a tempo due volte al
giorno: una volta al mattino e una volta alla sera»21. Inoltre, in risposta alla domanda posta
a riguardo di coloro che sono tanto impegnati nel lavorare per Dio, ha affermato scher-
zando: «É necessaria mezz’ora ma se sei molto occupato, allora c’è bisogno di un’ora». È
importante rimanere fedeli alla pratica di meditazione e non alzarsi prima del tempo asse-
gnato.
2 . METTITI ALLA PRESENZA DI DIO
Mentre ci mettiamo alla presenza di Dio, permettiamo alla nostra mente di cooperare
con noi nel cammino della meditazione. Stiamo consapevolmente scegliendo di mettere da
parte questo tempo per Dio e stiamo impegnando le nostre varie facoltà (intelletto e volontà)
per entrare in questo cammino spirituale. È utile iniziare con un’invocazione allo Spirito
Santo ricordando a noi stessi che senza lo Spirito non possiamo pregare. Le seguenti invo-
cazioni possono essere utili:
a. Vieni Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli, accendi in essi il fuoco del tuo
amore.
b. Spirito Santo mi dirigimi, guidami e illuminami.
c. Vieni, Spirito Santo, vieni e rendi il mio cuore casa tua; dona la tua eterna grazia
eterna a noi che grazie al tuo essere ci muoviamo e viviamo.
Insieme alle invocazioni allo Spirito Santo, la meditazione cristiana richiede che ci
muoviamo gradualmente verso l’interno e verso il profondo, lasciando andare i pensieri e i
sentimenti, fino ad arrivare al nostro centro più profondo, al nucleo del nostro essere. Esi-
stono vari esercizi che facilitano questo movimento interiore, come il concentrarsi sul nostro
respiro o come lo spostarsi in modo immaginativo dalla nostra mente (pensieri) attraverso
il nostro petto (sentimenti) al centro del nostro essere (nucleo). San Francesco di Sales, in
linea con la tradizione biblica, si riferisce a questo centro più profondo come al nostro
CUORE. È in questo sacro spazio interiore, dove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno
già fatto la loro casa in noi, che portiamo la nostra attenzione alla presenza di Dio che ci
inabita. San Francesco di Sales ci ricorda:
«Considerando questa verità risveglierai nel tuo cuore una profonda reverenza per Dio che è
così intimamente presente lì»22.
Ricorre all’immagine del tempio ebraico per aiutarci a percepire meglio questo sacro
spazio interiore23. Proprio come c’erano molti cortili esterni nel tempio ebraico, così anche
noi dobbiamo attraversare diversi livelli per arrivare al Santo dei Santi, all’interno del quale
Dio abita il centro del nostro essere, il nostro cuore.
Una volta che siamo arrivati al nostro cuore e diventiamo attenti a Dio che vi dimora
all’interno, una delle seguenti frasi può essere utile:
1. Il Signore nostro non è distante ma molto vicino a me24.
2. Dio non è solo vicino a me: dimora in me.
3. Dio mi guarda e mi desidera.
21 OEA III, 340.
22 FR. DE SALES, Introduzione alla vita devota, par. II, c. 2.
23 San Paolo descrive sinteticamente questa realtà spirituale nel profondo della persona umana come segue:
«Siete tempio di Dio» (1 Cor 3, 16).
24 «Guardalo - scrive Santa Teresa Non distoglie mai gli occhi da te», in Via della Perfezione 26, 3.
26

3.7 Page 27

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4. Dio è presente ovunque ma soprattutto nel mio cuore25.
5. Dio ha creato il mio cuore perché fosse il suo paradiso26.
6. Anch’io ti amo.
7. In Dio viviamo, ci muoviamo e da Lui e in Lui abbiamo il nostro essere.
Molte difficoltà, in particolare distrazioni, emergono se omettiamo questo aspetto della
nostra preparazione. Uno dei problemi principali nel metterci alla presenza di Dio è l’errata
presupposizione che Dio sia distante. Prendi ad esempio la frase ti amo. Nella spiritualità
salesiana, mi sembra che quando si tratta di Dio non si può mai davvero dire che ti amo per-
ché Lui arriva sempre prima; è colui che mi ha amato nel mio esserci (il mio vero esistere è
suo amore). E quindi, penso che la risposta appropriata, e unica, che possiamo dare a Dio
sia dire anch’io ti amo. Questo mantra ha l’effetto di permetterci di sintonizzarci sull’amore
che Dio ha già riversato nei nostri cuori prima che prendiamo l’iniziativa di rivolgerci verso
di Lui. Immediatamente, attraverso questo mantra, siamo immersi nella preghiera rispon-
dente, che cioè nasce realisticamente dal ricevere sempre e prima di tutto.
Attraverso il battesimo, Dio ha già fatto la sua casa in noi, e così, stiamo semplicemente
diventando consapevoli di questa verità fondamentale: il regno di Dio è qui, in noi. Ricorda
il precedente avvertimento sulle linee guida, se a questo punto della nostra preparazione,
diventiamo consapevoli della presenza di Dio che dimora in noi, allora, abbiamo piena li-
berté d’esprit (libertà di spirito) per rimanere sintonizzati con Dio, senza neppur sentire l’im-
pulso di completare il percorso con i passi che seguono.
3. FOCALÍZZATI SULLA PAROLA DI DIO
Seguendo la mia invocazione allo Spirito Santo, dirigendoci verso il nostro cuore e
mettendoci alla presenza di Dio, l’invito ora è di incontrare il Signore che dimora in noi. Ri-
visitiamo la parola o la frase della Scrittura, che ci aveva colpito nella nostra preparazione,
e la ripetiamo lentamente come un mantra. La chiave è permanere con ciò che ci ha attratto
o ci ha come avvinti. Ruminiamo questa Parola fino a quando non genera una risposta affet-
tiva. Se dovessero sorgere buoni affetti - ad esempio gratitudine per la misericordia di Dio,
timore reverenziale per Sua Maestà, dolore per il peccato, desiderio di essere più fedeli
lasciati da loro portare. Ricorda che lo scopo della preghiera cristiana non è pensare molto
ma amare molto.
Nella meditazione cristiana ci prepariamo, diventando interiormente calmi e posati
(fermiamo ogni fuga), e quindi impegniamo le nostre facoltà in modo da incontrare il Si-
gnore nei nostri pensieri, desideri e sentimenti. Per consentire questo coinvolgimento con la
Parola, San Francesco di Sales raccomanda il metodo ignaziano che chiede l’uso dell’imma-
ginazione. Rimanendo con il brano evangelico scelto, visualizzi la scena e diventi presente
a Gesù sia come osservatore che come partecipante.
Un osservatore osserva, guarda e nota cosa sta succedendo, mentre un parteci-
pante prende parte, assumendo qualche ruolo, identificandosi ad esempio con uno dei per-
sonaggi nella scena. Sia che tu ti inserisca come un osservatore o come un parteci-
pante, guardi le persone, senti ciò che stanno dicendo e consideri ciò che stanno facendo. Usi
i tuoi cinque sensi per vedere, sentire, gustare, annusare, toccare. A volte, la storia diventa
la tua storia.
25 Cfr. FR. DE SALES, Introduzione alla vita devota, par. II, c. 2.
26 Cfr. FR. DE SALES, Trattato sull’amore di Dio, Libro V.
27

3.8 Page 28

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Durante il periodo della meditazione o prima di alzarti, fai una conversazione. Questo
è un momento di impegno Io-Tu; è un incontro diretto; è un momento di intimità; può es-
sere con o senza parole27. Lo scopo della meditazione cristiana è di portarci dalla riflessione
alla relazione. Una volta che entriamo in conversazione con il Signore, iniziamo questa fase
di comunione nell’amore, in cui la meditazione varca la soglia e entra nella contemplazione.
4. UN ATTEGGIAMENTO DI ASCOLTO
Il punto di arrivo della meditazione cristiana non è pensare a Dio, ma diventare pre-
senti o attenti a Dio che è lì presente, andare oltre le parole, per entrare in un atteggiamento
di ricettività e di apertura a ricevere da Dio. Ci lamentiamo spesso che Dio non ci ascolta, o
potremmo erroneamente credere che stiamo parlando solo con noi stessi! Ma a dire il vero
il problema non è affatto di Dio, ma nostro. «Troppo spesso i nostri cuori sono predisposti
per la sola trasmissione e le chiamate in arrivo non vengono recepite»28.
Quando finalmente siamo riusciti a far fare silenzio alla nostra mente e ai nostri senti-
menti, allora eccoci entrare in un atteggiamento di ricettività verso Dio. Sviluppiamo un
atteggiamento di ascolto più che di elaborazione di pensieri. Lasciamo da parte parole, pen-
sieri, sentimenti e semplicemente restiamo in ascolto. Quando ascoltiamo, siamo aperti a
ricevere qualcosa di nuovo, non siamo più noi a tenere il controllo; abbiamo un atteggia-
mento di accoglienza, che ci consente di essere presi di sorpresa dallo Spirito. Ci permet-
tiamo di essere guidati da Dio. Proprio come in ogni esperienza di amicizia, man mano che
la relazione si approfondisce, vogliamo semplicemente restare insieme, senza preoccuparci
delle parole, godendoci la reciproca compagnia.
Un importante cambiamento avviene a questo punto della nostra meditazione, quando
il centro di gravità si sposta da noi stessi all’essere presenti a Dio. L’enfasi non è più nei pen-
sieri su Dio, ma nell’essere presente a Dio. Siamo contenti della comunione con Dio e in Dio
siamo assorti (potremmo dire assorbiti!). In questo stato di ricettività e passività, l’invito è
«lasciarsi amare da Dio»29. Ciò che è iniziato come sforzo da parte nostra diventa sempre
più grazia di Dio, mentre ci lasciamo condurre dallo Spirito in una sempre più profonda
comunione con Dio. San Francesco di Sales definisce questa fase contemplativa della medi-
tazione preghiera della quiete. È una preghiera ovviamente senza bisogno di parole, ed
esprime la comunione con Dio che si coglie guardando a Giovanni evangelista che riposa
sul petto di Gesù nell’ultima Cena30. È la preghiera in cui ascoltiamo il battito del cuore di
Dio31.
È Dio che prega dentro di noi dopo aver riversato il suo Spirito nei nostri cuori; ci
stiamo sintonizzando con la sua preghiera dentro di noi, che inizia con pensieri e parole, ma
ci porta al silenzio e a un atteggiamento di ascolto e ricettività. Questo silenzio interiore è
un viaggio verso il nostro cuore, inteso come il nucleo più profondo del nostro essere, in cui
Dio è già presente. Paolo ha detto: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gal
2,20). Avrebbe potuto ugualmente dire: «Non prego più io, è Cristo che prega in me». Aprire
27 Cfr. F. LYNCH, When You Pray, Messenger Publications, Dublino 2016.
28 E. MC CAFFREY, Patterns of Prayer, Paulist Press, New York 2003, 29.
29 ELISABETTA DELLA TRINITÀ, Ho trovato Dio, in The Complete Works of Elizabeth of the Trinity, I, traduzione di A.
Kane, ICS Publications, Washington 1984, 179.
30 Cfr. OEA IV, 332-333.
31 Cfr. J.P. NEWELL, Listening for the Heartbeat of God, Paulist Press, New Jersey 1997, 1.
28

3.9 Page 29

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il nostro cuore per permettere a Gesù di pregare in noi: ecco ciò che intendiamo per contem-
plazione32.
Dio come Spirito mi incontra al livello del mio spirito, che è più profondo delle parole
o delle immagini. Non facciamo più affidamento sui sensi, mentre ci muoviamo nel regno
dello spirito. Questo lasciar da parte emozioni, o potremmo quasi dire aridità e oscurità del
sentire, indica che la parte più emozionale della persona (gratificazione sensoriale) sta ini-
ziando a prosciugarsi, e le ricchezze dell’anima vengono trasferite nello spirito. Piuttosto
che essere un indicatore di diminuzione della preghiera, lo sperimentare questo è un segno
del fatto che Dio sta diventando sempre più l’attore o agente principale, mentre la persona
si rende sempre più ricettiva, aperta all’azione della grazia. Indica una maggiore purezza
della preghiera perché la nostra preghiera non dipende più da ciò che ne ricaviamo; cer-
chiamo ora «il Dio delle consolazioni e non le consolazioni di Dio»33. Questo è uno sviluppo
normale all’interno della meditazione e non dobbiamo preoccuparci della mancanza di
emozioni, facendone quasi una fissazione. San Francesco scrive: «Non perdere tempo du-
rante la preghiera, cercando di capire esattamente cosa stai facendo o come stai pre-
gando; perché la migliore preghiera è quella che ci tiene così presi da Dio che non pensiamo
più a noi stessi né a ciò che stiamo facendo». Non essere come «la sposa che è così catturata
dal rimirare il suo anello di fidanzamento che non degna più di uno sguardo lo sposo che
glielo ha donato»34. Quando nella nostra meditazione non sembra accadere nulla degno di
rilievo, è importante spostare l’obiettivo sulla qualità della vita al di fuori della preghiera -
ad esempio, se sto diventando più generoso, paziente, disponibile nell’accettare le cose, ca-
pace di perdonare, ecc. In questa preghiera, Dio è colui che è in controllo del mio ‘stato
orante’ e questo abbandonarsi a Lui continua ad avvenire anche al di fuori del momento
della preghiera, dentro la vita. È preghiera de-centrata (non centrata su di sé) e si riversa e
riverbera sulla qualità della vita. È uno stato che non è indotto da metodi, ma è dono diretto
di Dio.
5. CONCLUDERE CON RISOLUZIONI E GRATITUDINE
Vediamo chiaramente nell’Introduzione alla Vita Devota, come San Francesco sia ansioso
di trasformare il semplice desiderio di Filotea di vivere il Vangelo in una ferma determina-
zione a farlo. Questo è il motivo per cui sottolinea la necessità di risoluzioni che derivano
dagli affetti di cui si è fatta esperienza durante la meditazione. Affinché tali affetti produ-
cano buoni frutti, pertanto, dobbiamo decidere di farli diventare azione, altrimenti la medi-
tazione rischia di essere soltanto un momento di auto-assorbimento. Le risoluzioni tradu-
cono la preghiera in vita. Ad esempio, si può decidere di essere più fedeli nella preghiera, o
più pronti a perdonare, più desiderosi di condividere la fede con gli altri, o più determinati
a resistere al peccato, e ciò nel modo più pratico e concreto possibile.
Soprattutto, dopo che ti sei alzato dalla meditazione, devi ricordare le risoluzioni e le
decisioni che hai preso e metterle in pratica con attenzione proprio quel giorno lì. Questo è
il grande frutto della meditazione e senza di esso la meditazione spesso non solo è inutile,
ma può diventare persino dannosa. Le virtù meditate ma non praticate a volte gonfiano le
nostre menti e il nostro crederci coraggiosi, finendo col ritenerci di essere veramente come
abbiamo solo pensato e deciso mentalmente di essere35.
32 Cfr. M.FALLON, Yielding to Love, reperibile all’indirizzo http://mbfallon.com/prayer.html [31/10/2020].
33 OEA V, 142.
34 OEA IV, 336.
35 Cfr. OEA III, 83.
29

3.10 Page 30

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La nostra buona intenzione non è sufficiente; dobbiamo tradurla in azione. Questo è il
motivo per cui San Francesco è molto diffidente nei confronti di coloro che vedono la spiri-
tualità semplicemente in termini di un diverso stato di coscienza o del sentirsi bene. Po-
tremmo non essere in grado di controllare come ci sentiamo, ma possiamo controllare come
scegliamo di agire. Non è indispensabile sentirci infiammati dall’amore per fare ciò che
l’amore richiede. Sentirsi bene o fare un’esperienza religiosa straordinaria non è il criterio
per giudicare l’autenticità della propria spiritualità. Come se volesse assicurarci solide ra-
dici ben piantate nella terra, San Francesco ci ricorda che non è il volare sulle ali di espe-
rienze mistiche a garantire la santità, ma piuttosto agire così come l’amore chiede. Di con-
seguenza è la persona che amiamo meno che più ci sfida e spinge ad amare, piuttosto che
qualsivoglia sentimento mistico che potremmo anche nutrire dentro di noi. In questo Fran-
cesco è molto in sintonia con santa Teresa d’Avila, che ribadisce che non sono le esperienze
mistiche garanzia di santità, quanto piuttosto le buone opere36.
I proponimenti sono necessari, perché in questo modo il pregare (amore affettivo) va a
toccare il nostro comportamento e le scelte concrete che in quello stesso giorno ci portano al
servizio (amore effettivo). San Francesco di Sales ci consiglia di ritornare durante il giorno
a ciò che ci ha colpito nel tempo della nostra meditazione e alla nostra risoluzione, in modo
che la giornata possa essere “profumata” dalla nostra meditazione e «nel bel mezzo delle
attività, possiamo così appartenere a Dio». Infine, raccomanda di terminare il tempo della
meditazione-preghiera con espressioni di gratitudine a Dio per la luce e gli affetti che ci ha
dato durante la preghiera; quindi fare un’offerta di noi stessi a Dio in unione con l’offerta di
Gesù; infine, un tempo di intercessione per noi stessi e per gli altri.
6. REVISIONE DELLA PREGHIERA
È utile tenere un diario della preghiera in modo da poter ripercorrere il movimento
della tua preghiera. Col tempo certi schemi emergono e così si impara la verità su se stessi,
ed è come percepire il modo con cui Dio personalmente comunica con voi. Ci aiuta anche a
ricordare e approfondire la nostra relazione con Dio che abbiamo incontrato nella medita-
zione. Questo è utile anche per la direzione spirituale, perché permette a chi guida di poter
aiutare ad approfondire la vita di preghiera.
Qui una domanda fondamentale da porsi è: hai incontrato Dio? In altre parole: Sei pas-
sato dalla riflessione alla relazione? La revisione della preghiera non è un esercizio per valutare
la “qualità” della nostra preghiera in termini di buona o cattiva. È il nostro ego che vuole
valutare le cose come un successo. La fecondità della preghiera non dipende da ciò che sen-
tiamo o non sentiamo, percepiamo o non percepiamo mentre siamo in preghiera. Ciò che ci
può sembrare “cattivo” può essere più fecondo di quanto potremmo immaginare. Non dare
voti alla tua preghiera. Ciò che conta è la nostra fedeltà alla preghiera meditativa. È questa
fedeltà che permette al nostro rapporto con Dio di crescere. Come dice San Francesco di
Sales: Se tutto ciò che fai è tornare alla presenza di Dio dopo le distrazioni, allora questa è un’ottima
preghiera. La tua persistenza mostra quanto vuoi davvero stare con Dio.
In molte delle sue parabole Gesù sottolinea questo atteggiamento di perseveranza, il
non mollare mai. La nostra attenzione non deve essere su ciò che sentiamo o non sentiamo,
36 La più alta dimora nel cammino della preghiera per santa Teresa è identica all’estasi dell’azione di Francesco
attraverso la carità: «Se il cuore rimane vicino al Signore, dovrebbe dimenticarsi completamente di sé; così
dimentico di sé che la propria mente è totalmente presa dal piacere a Lui e dalla scoperta di nuovi modi per
esprimere il proprio amore per Lui ... questo matrimonio spirituale dà costantemente vita a buone
opere». Cfr. Collected Works of St. Teresa of Avila, cit., II, 446.
30

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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sulla nostra esperienza durante la preghiera perché, se così è, vuol dire che abbiamo già
smesso di pregare e ci siamo fatti prendere dal preoccuparci e occuparci di noi stessi. «Se
cerchiamo la nostra soddisfazione, abbandoneremo la preghiera non appena diventa troppo
difficile, o quando sperimentiamo aridità o insoddisfazione, o quando non tiriamo più fuori
dalla preghiera quel piacere che ci aspettavamo»37. L’amore sa trarre profitto dalle belle
emozioni come dalla aridità, dalle ispirazioni e dai tempi di silenzio e oscurità, dalla virtù e
dal peccato. Come ricorda San Francesco di Sales, anche quando non sentiamo nulla e siamo
in uno stato di aridità possiamo ancora esclamare: Signore, non sono altro che un pezzo di legno
rinsecchito: incendiami.
Domande per aiutare la revisione
Come descriverei il movimento nella mia preghiera?
C’è qualcosa che mi aiuta a dare una attenzione prolungata al Signore?
C’è una parola o una frase o un desiderio che mi ha conquistato?
Ho compreso o almeno ho avuto la sensazione di avere compreso?
Ho avuto una conversazione con il Signore?
In che modo Dio e io ci siamo resi presenti /assenti l’uno all’altro?
C’è qualcosa su cui desidero ritornare?
Quale risoluzione sono stato invitato a prendere?
Per San Francesco, la preghiera e la vita sono una cosa sola, proprio come il modo con
cui espiriamo segue necessariamente l’inspirare dei nostri polmoni. Inspiriamo l’amore di
Dio attraverso la preghiera (amore affettivo) ed espiriamo l’amore nel servire il nostro pros-
simo (amore effettivo)38. La preghiera genuina conduce abbastanza naturalmente a un servi-
zio disinteressato, innescando un amore che è vera carità. Proprio come in qualsiasi rela-
zione umana, attraverso la preghiera, siamo trasformati e plasmati da Dio con cui stiamo
comunicando. «La preghiera ci porta oltre i nostri limiti nell’amare e, così facendo, ci tra-
sforma sempre più nel rassomigliare a Gesù, unendoci a lui»39. Questo spiega perché la pre-
ghiera è essenziale nel cammino spirituale salesiano per lasciare che “Gesù viva” in
noi. Nella preghiera siamo trasformati in Dio attraverso l’amore, assumendo il cuore di Cri-
sto in modo da poter rispondere alle situazioni della vita con l’amore e la compassione di
Cristo. Nella terminologia salesiana questo movimento estatico che ci porta fuori da noi
stessi e ci riempie di amore per gli altri si chiama estasi dell’azione.
Difficoltà durante la meditazione
Molti di noi rinunciano alla preghiera prima di iniziare davvero il cammino, perché
non succede nulla e siamo troppo impazienti per riuscire ad imparare ad attendere Dio. Il
problema con l’attesa sta nel non avere a nostra disposizione tutti i dettagli. Rimanendo nel
nostro punto di vista, siamo abituati ad avere tutto sotto controllo e vogliamo che Dio si
muova entro i nostri tempi40. È proprio a questo punto che si inizia ad imparare per espe-
rienza pratica che non sono io che ho il controllo, ma Dio. Dio viene quando Dio sceglie, non
37 J. PHILIPPE, Time for God, cit., 21.
38 Cfr. OEA IV, 301-302.
39 A. REGO, Holiness for all: Themes from St Thérèse of Lisieux, Teresian Press, Oxford 2009, 100.
40 Cfr. D. TORKINGTONS, How to Pray. A Practical Guide, McCrimmons, Great Wakering 2002.
31

4.2 Page 32

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quando noi scegliamo. Il nostro compito è essere pronti in ogni momento a riceverlo.
Perché Dio ci fa attendere?
Per mettere alla prova i nostri veri motivi: ho il desiderio e l’energia per andare fino
in fondo?
L’attesa crea pazienza, sfidando di solito le nostre limitate aspettative e cambiando
la nostra prospettiva.
L’attesa costruisce l’anticipazione: di solito apprezziamo tanto più le cose quanto più
a lungo dobbiamo aspettarle.
L’attendere trasforma il nostro temperamento.
Attendere fa crescere l’intimità e il dipendere da Dio.
Risoluzione dei problemi
Quando la meditazione è difficile, chiediti:
Mi precipito nella preghiera meditativa impreparato?
Sto semplicemente seguendo i miei movimenti interiori e dimenticandomi di colui al
quale sto prestando attenzione?
C’è qualcosa nel mio modo di vivere di incoerente con la preghiera?
È emersa una ferita che deve essere portata al Signore perché sia guarita?
Sono diventato io il centro della mia preghiera?
Nonostante l’aridità o l’oscurità, c’è ancora un desiderio dentro di me di perseverare
nella preghiera?
Cosa sta succedendo nella mia vita al di fuori della preghiera.
32

4.3 Page 33

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La meditazione come Lectio Divina.
Condivisione di una semplice esperienza
Giuseppe Mariano Roggia SDB
Un piccolo aneddoto per iniziare
Siamo nel 1965. Pochi mesi dopo la mia prima professione del 16 agosto 1965 a Villa
Moglia presso Chieri, nelle mani di Don Luigi Ricceri, fresco di nomina come Rettor Mag-
giore.
A Foglizzo comincio il postnoviziato e i formatori sono preoccupati che interioriz-
ziamo bene la riforma liturgica; per questo invitano sovente dei liturgisti per degli interventi
formativi.
L’iniziazione alla meditazione ricevuta in noviziato, molto ben curata dal maestro Don
B. Listello, è tutta incentrata sui libri di meditazione, soprattutto curati da salesiani: oltre gli
scritti di Don Bosco e dei Rettori Maggiori, il famoso Vade Mecum di Don G. Barberis, le
conferenze sullo spirito salesiano di Don Alberto Caviglia, i libri di meditazione di Don D.
Bertetto; poi naturalmente l’Esercizio di perfezione del gesuita A. Rodriguez, le opere di
Sant'Alfonso M. De Liguori e quelle di San Luigi M. Grignion de Monfort.
I liturgisti di turno, in particolare Don Giuseppe Sobrero, insistono particolarmente sul
dettato del Concilio di porre al centro, sullo stesso piano dell’Eucarestia, la Parola di Dio, in
specifico quella continua di ogni giorno, in base alla distribuzione delle letture che la riforma
liturgica ha predisposto. Anche la meditazione personale dovrebbe convergere su questa
più che su tanti libri di meditazione.
Io personalmente rimango affascinato e folgorato. Vado dal direttore (allora non era
possibile prendere decisioni autonome di questo tipo) e gli chiedo di potere lasciare da parte
i libri di meditazione e di concentrami invece sulle letture della Parola di Dio del giorno. Il
superiore mi guarda tra l’attonito e il faceto per la “stranezza” della richiesta ma con il cuore
largo che aveva, mi risponde: «Fai, fai pure! … Comunque ti stuferai in fretta e tornerai ai
libri di meditazione...».
Dopo 52 anni di vita salesiana devo dire che non mi sono stufato e non sono tornato
alla prassi precedente, con tutto il rispetto per il valore dei libri di meditazione; anzi, la
passione per la Parola di Dio e la Lectio Divina si è radicata in me via via in maniera espo-
nenziale, per cui non avrebbe senso per me ormai impostare la meditazione giornaliera su
altro che non sia la Lettera d’Amore del Padre per il nutrimento quotidiano dei figli che è la
Parola di Dio del giorno.
Quale Lectio divina?
Oggi abbiamo una chiara indicazione di cammino per tutto il popolo di Dio, con una
Lectio che deve contenere non solo le linee fondamentali del metodo classico ma anche i
connotati tipici della propria spiritualità carismatica. Ciò è da ritenersi sommamente impor-
tante e significativo. Non può sussistere infatti una Lectio Divina generica.
33

4.4 Page 34

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L’esperienza di questi anni, se annovera positivamente un grande interesse per la Pa-
rola di Dio e la Lectio Divina (diventata una delle espressioni magiche più utilizzate nel lin-
guaggio ecclesialese e nel gergo della vita consacrata), ha messo in evidenza anche due derive
preoccupanti: la prima è aver più di qualche volta trasformato la Lectio in una specie di
moda, che, in definitiva, non va ad innervare il cammino quotidiano delle persone e poi, in
moltissimi casi, l’averla ridotta ad una imitazione pedissequa della Lectio monastica, cau-
sando polemiche tra fautori ed oppositori all’interno degli Istituti e critiche anche aspre da
parte dei monaci stessi per la superficialità ed inadeguatezza, sia in termini di tempi da
dedicarvi, sia per la maniera piuttosto “scimmiottante” di realizzarla. Ed invece, sia per la
maturazione della riflessione conciliare che per l’intervento del Sinodo, c’è oggi la presa di
coscienza che la Lectio non è né monastica (nonostante i grandissimi meriti che essi possono
vantare in questo campo) né monopolio di qualsiasi altro gruppo di credenti, ma è sempli-
cemente un impegno primario di ogni vita cristiana seria. Bando dunque alle polemiche ed
ai vari distinguo ed immergiamoci nell’importanza / responsabilità della Lectio, sia come
convinzione personale e comunitaria della sua rilevanza, sia andando a trovare e sperimen-
tare in essa lo specifico carismatico, contro ogni Lectio generica o “fotocopiata” da altri cari-
smi e spiritualità.
L’itinerario della Lectio è essenzialmente educativo
Il metodo della Lectio è già in sé essenzialmente pedagogico, perché si può dire che
quasi prende per mano sia il principiante sia colui che è già iniziato a questa scuola, per
condurlo alla ricchezza abbondante del nutrimento della Parola, in modo tale che possa es-
sere percepita con i sensi spirituali, cioè quelli idonei, con l’assistenza dello Spirito Santo,
ad accogliere la teofania di Dio e l’antropofania di sé, degli altri e del mondo intero.
Si tratta dunque di un problema di metodo da curare ed avviare seriamente, fin dai
primi passi della formazione. É molto frequente, infatti, trovare dei/lle giovani religiosi/e,
che, al termine del cammino della prima formazione, non sanno fare una vera meditazione
e meno che meno una vera Lectio o, ancora continuano imperterriti a fare meditazione su
altri testi, che non sono il libro per eccellenza della meditazione, cioè la S. Scrittura.
Vogliamo sottolineare soltanto alcune cose, tra quelle che tutti ormai conosciamo e
spero… pratichiamo.
La prima cosa riguarda la PREPARAZIONE: la ricca tradizione della vita consacrata,
sulla linea della migliore scuola dei maestri spirituali, ha sempre consigliato la cura molto
oculata della preparazione alla meditazione. Non mi soffermo, a questo proposito, sull’esi-
genza del silenzio, della disciplina dell’orario, sul digiuno dell’uso eccessivo / abuso e di-
pendenza dai mezzi di comunicazione… Credo sia importante riscoprire invece un’altra
cosa, quella cioè di preleggere, fin dalla sera innanzi, la Parola del giorno seguente, magari
attraverso la presentazione di qualche utile sussidio e commento, al fine di ambientarla nel
suo contesto e nella sua comprensione sia letterale che storica.
E poi il percorso con i famosi 4 gradini:
1° LECTIO (lettura del testo, raccolta degli elementi più significativi, ricerca di qualche
espressione o parola che mi “ferisca”, colpisca il cuore).
34

4.5 Page 35

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2° MEDITATIO (ripetizione / ruminazione di questa espressione / parola attraverso una
specie di impasto di lievitazione e di comprensione, per dare la possibilità di un confronto
“corpo a corpo” con la propria esperienza di fede e la propria situazione esistenziale).
Incontro col Cristo vivo (una Parola che da cristallizzata nella scrittura di un libro è di-
ventata Parola ardente, che lascia trasparire la persona del Cristo).
3° ORATIO (trasformazione in preghiera di lode, di ringraziamento, di pentimento, di
supplica, …).
4° CONTEMPLATIO / OPERATIO (visitati dal mistero di Dio, ci immergiamo in esso e
quindi traduciamo la meditazione nella concretezza di un proposito, per vivere la Parola
lungo la propria giornata).
Questo perché la Lectio è essenzialmente un circolo sapienziale, che, partendo dal Li-
bro, dalla Parola scritta, attraverso la Lectio e la Meditatio mi deve permettere l’incontro vivo
con il Cristo vivo e, di conseguenza, confluire nella preghiera, per tradurre in vita concreta
quello che ho meditato, in maniera tale che la mia giornata, fra santità, impegno, fragilità e
debolezza, diventi un camminare in avanti nella crescita e maturazione, rendendomi pronto
per un nuovo ulteriore incontro con Cristo attraverso una nuova Lectio; una specie di scala a
chiocciola dell’assimilazione progressiva a Cristo stesso.
LIBRO
VITA
INCONTRO
CON CRISTO
ORATIO
Lo specifico carismatico
A me sembra che lo specifico carismatico (qui si intende riferito ad ogni carisma di
Vita Consacrata) deve intervenire soprattutto in due punti del metodo: nella Meditatio e nella
Contemplatio. Vediamo brevemente.
A. MEDITATIO
Dicevamo che il passaggio dalla parola scritta (attraverso la frase/ parola che mi col-
pisce particolarmente) al corpo a corpo personale e all’incontro vivo con Cristo è permesso
da una specie di “impasto di lievitazione”. Di che si tratta? La tradizione spirituale ebraica
e cristiana, soprattutto dei Padri, ha sempre ritenuto che la Bibbia si dovesse spiegare con la
Bibbia, prima che attraverso commenti e studi di altro genere.
35

4.6 Page 36

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Questa operazione la possiamo chiamare eco biblica e consiste nel comprendere e dare
vivacità alla Parola, che mi ha colpito attraverso alcuni altri fatti e parole del testo sacro (es.
frase particolare:
- PAROLA: Gesù andava predicando ed annunciando la buona novella del Regno di Dio.
- ECO BIBLICA: Va’ e annuncia quanto ti dirò – Bisogna che annunci il regno di Dio anche
alle altre città Annunciando dovunque la buona novella Andate in tutto il mondo e
predicate il Vangelo ad ogni creatura Allora essi partirono e predicarono dappertutto
Guai a me se non evangelizzo -).
- ECO CARISMATICA: Ma poi deve intervenire anche l’eco carismatica, perché la voca-
zione cristiana si esprime in un numero straordinario di vocazioni particolari.
Questo vuol dire che non è sufficiente la pura eco biblica. Ci dovrà pur essere anche
qualcosa che sia un po’ la traduzione della Bibbia per questa specifica vocazione. È interes-
sante notare che i monaci stessi fanno la Lectio Divina facendosi aiutare anche da testi spiri-
tuali, specie dei Padri della Chiesa (che in gran parte erano monaci) e dello stesso ordine.
Dunque, insieme con l’eco biblica ci vorrà anche l’eco carismatica dei “Padri carismatici”.
Per noi chi sono questi? É la vita di Don Bosco, il nostro fondatore e il testo della nostra
Regola di vita, a cui, se si vuole, si può aggiungere il magistero del nostro Istituto. Ecco,
allora. Dopo aver fatto un po’ di eco biblica farò anche un po’ di eco carismatica, chiedendomi
dove e come trovo nella vita di D. Bosco e nella Regola di vita la comprensione della frase /
parola che mi ha colpito e questo diventa l’apporto particolare della mia meditazione, per il
confronto con la mia vita.
B. CONTEMPLATIO
Alla scuola di S. Francesco di Sales siamo convinti che una meditazione che non con-
fluisce in un proposito concreto di vita è una specie di accademismo dai chiari connotati di
superbia spirituale1. La nostra Contemplatio allora deve diventare estasi dell’azione. Il che av-
viene se curo la memoria Dei durante la giornata e vivo un impegno concreto, che sia il risul-
tato di questa mia meditazione. Il ricordare sovente nella giornata, il ripetere nel cuore
quella frase / parola della meditazione mi richiamerà la presenza di Dio, mi terrà desta la
retta intenzione ed incanalerà il proposito, da curare durante il mio impegno quotidiano.
La collatio fraterna
Già San Paolino da Nola affermava nel IV° secolo che è importante, nell’ascolto della
Parola di Dio, pendere, oltre che dalla bocca di Dio, pendere anche dalla bocca di tutti i
fedeli, perché in ogni discepolo del Signore soffia lo Spirito di Dio2. E qui entra in campo
allora tutta la ricchezza della Collatio fraterna o Lectio comunitaria.
Si tratta di un ascolto comune del Signore, attraverso il quale ogni fratello/sorella
(della comunità, del gruppo parrocchiale, …) è invitato/a a manifestare agli altri con sem-
plicità di cuore la sua reazione di fronte all’interpellanza della Parola e anche il suo percorso
con il metodo della Lectio. Se è vero che la vita ci forma soprattutto attraverso la relazione,
ciò significa che questa è la mediazione normale, quotidiana, della vera relazione con Dio,
perché Egli continua così a prolungare il mistero dell’Incarnazione e ci raggiunge attraverso
1 Cfr. Fr. di SALES, Filotea, par. II, c. VIII.
2 PAOLINO di NOLA, Lettera 23 a Sulpicio Severo, in G. SANTANIELLO (ED.), Lettere, T.1°, LER, Marigliano (NA)
1992, 697.
36

4.7 Page 37

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gli altri, al di là di tutti i loro limiti, mancanze e delusioni. La collatio fraterna vuole essere
ascolto della Parola di Dio, che passa attraverso la povertà della parola umana, non solo dei
predicatori, ma anche dei fratelli di fede e di carisma.
È una sorta di “magistero” del fratello, sulle cui labbra, più o meno pure non importa,
risuona la santità e la grazia del Verbo eterno di Dio. Le intuizioni di uno infatti diventano
luce per tutti e la fraternità comunità riscopre così, sempre più, la propria valenza educa-
tiva e formativa, in cui ognuno può arricchire l’altro. Ognuno diventa testimone per l’altro
raccontando la propria esperienza di corpo a corpo con la Parola. E ciò ha delle ricadute for-
midabili per l’abilitazione a camminare insieme, cercando ciò che, oltre tutte le difficoltà
comunitarie, ci convoca e ci unisce, la Parola di Dio appunto. E di qui, quale apporto ric-
chissimo e prezioso per il discernimento comunitario, per le decisioni sia comunitarie, oltre
che di Consigli a vario livello (locale, parrocchiale, provinciale, di istituto…). La collatio di-
venta allora non solo un’operazione interessante ma una vera metodologia di cammino per-
sonale e di comunità fraterne.
Almeno una volta o due alla settimana è un tempo privilegiato da dedicare al condi-
videre con i fratelli della comunità le piccole schegge di Parola di Dio, che ci hanno colpito
personalmente. È fondamentale aver capito che lo scambio frequente sulla Parola aumenta
la mia ricchezza personale, la forza persuasiva della Parola e la forza unitiva di rapporto
profondo tra i fratelli.
Tutto questo è solo un insieme di linee di avvio, un insieme dettato più che altro
dall’esperienza di questi anni. Si apre anche per noi dunque un fecondo cantiere immenso
di costruzione personale e comunitario attorno alla Parola di Dio per mezzo di una Lectio
Divina, che sia davvero e finalmente carismatica.
Ipotesi di percorsi formativi
Presento qui qualche linea indicativa, appena degli appunti, tutti da discutere, ma con
la preoccupazione che per la Lectio occorre una formazione seria molto curata durante tutta
la 1a formazione, al fine di garantire un’abilitazione vera al cammino con la Parola.
A. Nelle varie fasi della prima formazione
PRENOVIZIATO: primi esercizi guidati passo passo dal formatore su testi scelti, pre-
ceduti da una buona presentazione. Curare particolarmente la Preparazione e la Collatio
NOVIZIATO: iniziazione sistematica, completa e molto curata a tutto il metodo. Si dà
per presupposto una buona introduzione alla Bibbia. Curare molto la preparazione remota
e prossima al tempo della Lectio e la Collatio (pressoché quotidiana). Introdurre frequenti
revisioni di gruppo sulla propria esperienza con il metodo della Lectio
POSTNOVIZIATO: ripassare il metodo, anche studiandolo sui numerosi testi che or-
mai sono disponibili. Curare molto specificatamente l’impatto della Parola con la propria
vita personale e la propria coscienza (si spera educata e in fase di ulteriore educazione), il
mondo della cultura che si porta avanti nello studio, le esperienze apostoliche o di contatto
con la società. Per questo concentrarsi molto sulla Meditatio. Anche la Collatio sia molto fre-
quente.
37

4.8 Page 38

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ULTIMA TAPPA (studi teologici / professione perpetua / ordini): curare molto l’abi-
litazione al discernimento attraverso la Lectio ed avviarsi a fare esercizi guidati di Lectio Di-
vina con la gente e con i giovani. Frequente Collatio e scambi di esperienze su questo.
B. Nella formazione continua
Non avrei molte altre cose da aggiungere a quanto abbiamo prospettato. Credo che ci
sia da rompere il guscio duro della mentalità che fa ancora molta resistenza e fa fatica a
cambiare le proprie abitudini del passato, per dare un vero primato e la centralità alla Pa-
rola, con un tempo privilegiato all’ascolto quotidiano, alla Collatio e ad immettersi con sem-
plicità nella pedagogia della Lectio Divina. Credo che i Responsabili di Comunità e di Pro-
vincia debbano dedicare un’attenzione particolare ad insistere su questo cambio di menta-
lità, che ormai è indilazionabile, e ad offrire opportunità di istruzione e formazione concreta,
almeno come impegno fruttuoso dopo il Sinodo sulla Parola.
Conclusione
Mi piace concludere con alcune battuta del Cardinale Martini prese da una intervista:
«Non mi stanco di ribadire che occorre fare della Parola lo strumento principale di forma-
zione della vita cristiana odierna. Uno dei guadagni più importanti dell’evento conciliare e
di tutto il suo cammino di assimilazione da parte della Chiesa è stata la capacità di assumere
la Parola di Dio come un luogo e una palestra di educazione cristiana, uno strumento di
formazione che andava ad integrare la forma più classica e tradizionale della catechesi [ …];
aver riscoperto le potenzialità che la Parola di Dio possiede in termini educativi e di matu-
razione della fede cristiana è sicuramente un dono prezioso, un’intuizione densa di frutti »3.
3 C.M. MARTINI, Intervista a cura di L. Bressan, in Rivista del Clero Italiano 10 (2008) 664.
38

4.9 Page 39

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Tre prospettive sull’importanza della meditazione cristiana
Xavier Blanco SDB
I. Gesù, l’uomo dei “tre tempi”
Il rinnovamento della vita cristiana passa attraverso l’integrazione armonica dei “tre
tempi” che hanno scandito la vita di Gesù: azione-preghiera-comunità.
Gesù è l’uomo dei tre tempi. Così lo ha definito il cardinale Martini.
Nei Vangeli Gesù appare parlando e agendo, guarendo e uscendo a difesa e soccorso
degli indifesi. È il suo “primo tempo”. Senza questo suo “tempo”, Gesù sarebbe irriconosci-
bile per noi.
Ma la sua vita non è tutta qui. I Vangeli lo presentano spesso mentre prega il Padre
suo, sia quando è in cammino, sia ritirandosi da solo sulla montagna a pregare. È il “secondo
tempo” di Gesù. Se togliessimo questa componente, Gesù ugualmente sarebbe irriconosci-
bile. Pregare il Padre non è un additivo secondario; fa intimamente parte di lui.
E il “terzo tempo”? È il tempo della comunità, dei suoi discepoli e amici, il tempo che
dedica a formarli, ma anche a riposare e a divertirsi con loro... È il tempo delle sue uscite
fino a Betania. Anche questo terzo tempo è parte importante della vita di Gesù.
Vogliamo concentrarci sulla preghiera di Gesù, che è il suo secondo tempo, ma prima
propongo un’osservazione. Se Gesù è vissuto così, potremmo noi vivere o due o anche uno
solo di questi “tempi”? Non credo proprio. Questi tre tempi - azione, preghiera, comunità -
fanno parte della struttura della fede cristiana. La vita di fede non potrebbe essere sostenuta a
lungo senza armonizzare bene insieme questi tre elementi e facendoli fluire in modo che si alimentino
reciprocamente, l’uno con l’altro. Questa è una prima riflessione.
Non vogliamo che i salesiani pretendano di essere meglio di Gesù, e che vivano solo
per un tempo o per due. Cerchiamo di essere come lui “uomini dei tre tempi”, e la preghiera
è senz’altro parte di essi. Una preghiera che ci connette meglio e di più con Lui, con la co-
munità e con il mondo.
II. L’importanza del “tempo della preghiera”.
Perché e per cosa prega Gesù? È curioso. Gesù è l’uomo più unito con Dio che sia mai
esistito. Egli vive “del” Padre e con Lui, agisce nel Suo nome, si sente unto dallo Spirito
Santo per compiere la missione del Regno di Dio, è Colui che è inviato dal Padre, totalmente
e pienamente consacrato a quella missione. Perché allora va sulla montagna tutto solo per
pregare, se tutta la sua vita è già sulla stessa lunghezza d’onda del Padre?
Gesù cerca il faccia a faccia con Colui dal cui seno è stato mandato nel nostro mondo.
Vuole incontrarlo come un Tu amato da cui riceve interamente se stesso, vedere il suo volto,
ascoltare la sua Parola, sentire il suo amore e il suo invio, e tutto ciò “in diretta”, a tu per tu.
La preghiera di Gesù è apostolica, vale a dire ha a che fare con la sua missione. È cu-
rioso notare che Gesù non va sulla montagna a pregare quando non ha niente da fare, ma
quando è immerso in tante necessità o quando c’è qualcosa di importante da decidere. E,
come uomo, ha bisogno di condividere e discernere con il Padre le situazioni che affronta e
il modo di agire in esse. Gesù prega di vedere più chiaramente, di essere confermato davanti
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a Dio in ciò che Dio gli chiede. Come scrisse un teologo qualche tempo fa: «Gesù, che incon-
tra Dio mentre porta avanti il suo cammino, a volte lascia il sentiero per incontrare Dio (in
un altro modo)».
Nel mezzo della sua intensa attività di profeta itinerante, Gesù si è sempre preso cura
della sua comunicazione con Dio nel silenzio e nella solitudine. I Vangeli hanno conservato
il ricordo di un suo modo di fare che ha lasciato una profonda impressione: Gesù era solito
ritirarsi di notte per pregare.
L’episodio narrato da Marco (1,29-39) ci aiuta a conoscere cosa significava la preghiera
per Gesù. Il giorno prima era stato un giorno impegnativo. Gesù “aveva guarito molti che
erano malati”. Potremmo dire che si era trattato di un grande successo. L’intera Cafarnao
era sotto shock per l’accaduto: “Tutta la città era riunita davanti alla porta” della casa di
Simone dove lui stava. Tutti parlavano di lui.
Quella stessa notte, “all’alba”, tra le tre e le sei del mattino, Gesù si alzò e, senza dirlo
ai suoi discepoli, si ritira in aperta campagna “e là pregava”. Ha bisogno di stare da solo con
suo Padre. Non vuole lasciarsi frastornare dal successo. Cerca solo la volontà del Padre: conoscere
bene la strada che deve percorrere.
Sorpresi dalla sua assenza, Simone e i suoi compagni corrono a cercarlo. Non esitano
a interrompere il suo dialogo con Dio. Vogliono riportarlo indietro con loro: «Tutti ti cer-
cano». Ma Gesù non si lascia programmare dall’esterno. Pensa solo al progetto di suo Padre.
Niente e nessuno lo porterà via dal suo cammino.
Non è affatto interessato a rimanere e a godersi il suo successo a Cafarnao. Non cede
all’entusiasmo popolare. Ci sono villaggi che non hanno ancora sentito la Buona Novella di
Dio: «Andiamocene altrove … perché io predichi anche là».
Una delle caratteristiche più positive del cristianesimo contemporaneo è vedere come
si sta svegliando la necessità di prendersi più cura della comunicazione con Dio, del silenzio e della
meditazione. I cristiani più perspicaci e responsabili vogliono spingere la Chiesa di oggi a
vivere in modo più contemplativo. Sicuramente anche i salesiani più perspicaci e responsa-
bili vorranno far sì che la Congregazione viva in modo più contemplativo.
È urgente. Come cristiani in genere non siamo più capaci di stare da soli con il Padre.
Noi teologi, predicatori e catechisti parliamo molto di Dio, ma parliamo poco con Lui. Questo modo
di fare di Gesù è stato dimenticato da molto tempo. Nelle parrocchie ci sono tanti incontri
di lavoro, ma non sappiamo come ritirarci per riposare alla presenza di Dio e riempirci della sua
pace.
Siamo sempre di meno a fare sempre più cose. Il nostro rischio è di cadere all’attivismo, e finire
con l’esaurirci e cadere nel vuoto interiore. A ben vedere il nostro problema non è avere molti
problemi, ma il non avere la forza spirituale per affrontarli.
III. La meditazione cristiana (e salesiana) come momento chiave del
tempo della preghiera.
La meditazione è una pratica che favorisce il “possesso” di quella forza spirituale ne-
cessaria per affrontare la vita con tutte le sue gioie e difficoltà... La meditazione aiuta a creare
salesiani “contemplattivi”, come direbbe Don Tonino Bello.
1. L’IMPORTANZA DI IMPARARE A MEDITARE”. LA TESTIMONIANZA DI PABLO D´ORS.
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«Cominciai a sedermi per meditare in silenzio, fermo, a mio rischio e pericolo, senza
che nessuno mi desse qualche nozione di base o mi accompagnasse nel processo. La sempli-
cità del metodo - sedersi, respirare, mettere a tacere i pensieri... - e, soprattutto, la semplicità
della sua pretesa - di riconciliare l’uomo con ciò che è - mi ha sedotto fin dall’inizio. Essendo
di temperamento tenace, sono rimasto fedele per diversi anni a questa disciplina del sem-
plice sedersi e del raccoglimento; e ho subito capito che si trattava di accettare con buona
grazia qualsiasi cosa venisse, qualsiasi essa fosse.
Durante i primi mesi ho meditato male, molto male; tenere la schiena dritta e le ginoc-
chia piegate non è stato facile per me, e, come se non bastasse, respiravo con una certa agi-
tazione. Ero perfettamente consapevole che stare seduto a non fare nient’altro era tanto
estraneo alla mia formazione e alla mia esperienza, quanto, per quanto possa sembrare pa-
radossale, era connaturale con ciò che io ero nel profondo di me stesso. Tuttavia, c’era qual-
cosa di molto potente che mi trascinava: l’intuizione che la via della meditazione silenziosa
mi avrebbe portato a un incontro con me stesso tanto quanto o anche più della letteratura,
a cui ero sempre stato molto affezionato.
Nel bene e nel male, fin dalla mia prima adolescenza sono stato una persona molto
interessata ad approfondire la mia identità. Per questo sono stato anche un lettore accanito.
Per questo ho studiato filosofia e teologia in gioventù. Il pericolo di un’inclinazione di que-
sto tipo è, naturalmente, l’egocentrismo; ma grazie al sedersi, al respirare e a nient’altro, ho
cominciato a capire che questa tendenza poteva essere sradicata non con la lotta e la rinun-
cia, come mi era stato insegnato nella tradizione cristiana, alla quale appartengo, ma con
quella del ridicolo e dello sfinimento. Perché tutto l’egocentrismo, compreso il mio, portato
al suo estremo più radicale, mostra quanto sia ridicolo e impercorribile. Improvvisamente,
grazie alla meditazione, anche il narcisismo ha mostrato un lato positivo: grazie ad esso, ho
potuto perseverare nella pratica del silenzio e della quiete. Perché anche per il progresso
spirituale bisogna avere una buona immagine di sé.
Durante il primo anno, ero molto inquieto quando mi sedevo a meditare: mi faceva
male la schiena, il petto, le gambe... A dire il vero, mi faceva male quasi tutto. Mi sono presto
reso conto che non c’era quasi un momento in cui non sentissi dolore in qualche parte del
mio corpo; il fatto è però che solo quando mi sedevo a meditare mi rendevo anche conto di
quel dolore. Così ho preso l’abitudine di pormi domande del tipo: “Cosa mi fa male? Come
mi fa male?”, e mentre mi ponevo queste domande e cercavo di rispondere, il dolore se ne
andava, o semplicemente si spostava.
Ne ho tratto subito una conclusione: la pura osservazione è trasformativa; come di-
rebbe Simone Weil - che ho iniziato a leggere all’epoca - non c’è arma più efficace dell’atten-
zione.
L’inquietudine mentale, che era ciò che percepivo subito dopo il disagio fisico, non era
per me una battaglia minore o un ostacolo più sopportabile. Al contrario: una noia infinita
si annidava in molte delle mie sedute, come iniziai a chiamarle allora. Ero tormentato da
qualche idea ossessiva, che non riuscivo a sradicare, o da qualche ricordo sgradevole, che
persisteva nel presentarsi proprio durante la meditazione. Respiravo armoniosamente, ma
la mia mente era bombardata da un desiderio insoddisfatto, dal senso di colpa per uno dei
miei tanti fallimenti, o dalle mie paure ricorrenti, che si presentavano ogni volta sotto nuove
sembianze. Sono fuggito da tutto questo in modo piuttosto maldestro: accorciando i miei
periodi di meditazione, per esempio, o grattandomi compulsivamente il collo o il naso -
dove spesso si concentrava un irritante prurito; immaginando anche scene che sarebbero
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potute accadere - perché sono molto fantasioso -, componendo frasi per testi futuri - dato
che sono uno scrittore -, redigendo liste di compiti da svolgere; ricordando episodi della
giornata; sognando il domani... Devo continuare? Ho scoperto che stare in silenzio con se
stessi è molto più difficile di quanto immaginassi, prima di introdurmi su questo sentiero.
Non mi ci volle molto prima di trarne una nuova conclusione: era quasi insopportabile per
me stare con me stesso, ed era per questo che fuggivo continuamente da me stesso. Questa
percezione mi ha portato alla certezza che, per quanto ampia e rigorosa fosse la mia analisi
della mia coscienza durante il mio decennio di formazione universitaria, la mia coscienza
rimaneva, in fondo, un territorio poco esplorato.
La sensazione era quella di qualcuno che si agitava nel fango: ci sarebbe voluto un po’
di tempo prima che il fango si sedimentasse e l’acqua cominciasse a ripulirsi. Ma sono un
tipo determinato, come ho detto, e così continuando, con il passare dei mesi ho capito che
quando l’acqua si è ripulita, ha cominciato a popolarsi di piante e pesci. Con ancora più
tempo e determinazione, mi sono anche reso conto del fatto che questa flora e fauna interiore
si arricchisce tanto più si osserva. E ora, mentre scrivo questa testimonianza, mi stupisco di
come ci potesse essere così tanto fango dove ora scopro una vita così varia ed esuberante.
Finché non ho deciso di praticare la meditazione con tutto il rigore di cui ero capace
ho avuto così tante esperienze nel corso della mia vita. Sono arrivato a un punto in cui, senza
timore di esagerare, posso dire che non sapevo nemmeno più chi fossi: avevo viaggiato in
molti paesi; avevo letto migliaia di libri; avevo un diario con molti contatti e mi ero innamo-
rato di più donne di quante ne potessi ricordare. Come molti miei contemporanei, ero con-
vinto che più esperienze facevo e più erano intense e folgoranti, prima e meglio sarei diven-
tato una persona completa. Oggi so che non è così: il numero di esperienze e la loro intensità
servono solo a stordirci.
Troppe esperienze sono non di rado dannose. Non credo che l’uomo sia fatto per la
quantità, ma per la qualità. Le esperienze, se si vive solo per farne collezione, ci sconquas-
sano, aprono orizzonti utopici, ci fanno ubriacare e confondere... Ora direi addirittura che
qualsiasi esperienza, anche la più innocente, è di solito troppo vertiginosa per l’animo
umano, che si nutre solo se il ritmo di ciò che gli viene offerto è lento.
Grazie a questa iniziazione alla realtà che ho scoperto attraverso la meditazione, son
venuto a sapere che i pesci colorati sul fondo di quell’oceano che è la coscienza, e quella
flora e fauna interiore di cui ho prima parlato, si possono distinguere solo quando il mare è
calmo, e non con le ondate e la tempesta delle esperienze. E sapevo anche che, quando quel
mare è ancora più calmo, ciò che si percepisce non sono più pesci, ma solo l’acqua, l’acqua
stessa. Ma per gli esseri umani i pesci di solito non bastano, tanto meno semplicemente l’ac-
qua; noi preferiamo le onde: ci danno l’impressione di essere vive, quando la verità è che
non sono vita, ma solo vivacità.
Oggi so che è bene smettere di fare esperienze, qualunque sia la loro natura, e limitarsi
a vivere: lasciare che la vita si esprima così com’è, e non riempirla con gli artifici dei nostri
viaggi o letture, relazioni o passioni, spettacoli, intrattenimenti, ricerche... tutte le nostre
esperienze tendono a competere con la vita e quasi sempre riescono a spiazzarla e persino
ad annullarla. La vita vera è dietro ciò che chiamiamo vita. Non viaggiare, non leggere, non
parlare... son tutte e tre meglio del loro opposto per la scoperta della luce e della pace.
Naturalmente, per poter intravedere qualcosa di tutto ciò, che così velocemente si
scrive e così lentamente si impara, ho dovuto diventare familiare con le mie sensazioni cor-
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5.3 Page 43

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poree e, cosa ancora più difficile, classificare i miei pensieri e i miei sentimenti, le mie emo-
zioni. Perché è facile dire che si hanno delle distrazioni, ma molto difficile rendersi conto
del tipo di distrazioni che si hanno» (PABLO D’ORS, Biografia del silenzio).
2. LA FORZA DELLA MEDITAZIONE CRISTIANA. TESTIMONIANZA DI PABLO D’ORS:
«Alcuni di noi hanno avuto quella che viene definita un’esperienza mistica, un mo-
mento di contatto con una sfera soprannaturale. Il criterio per verificare l’autenticità di tali
esperienze è il loro potere di trasformare la propria vita. Il destinatario di una tale esperienza
non è più la stessa persona dopo di essa. Neanche questo è sufficiente a dimostrare il suo
carattere soprannaturale, ma gli conferisce grande credibilità. La prima esperienza mistica
che ho avuto - e quella fondamentale - è stata a 19 anni e mi ha spinto a entrare in una
congregazione religiosa e, anni dopo, ad essere ordinato sacerdote.
Questa esperienza spirituale è stata caratterizzata da questi tre movimenti dell’anima:
il sentimento di essere riconosciuto e amato (c’era qualcosa o Qualcuno per cui io ero dav-
vero importante); il bisogno di donarmi a quella Fonte di significato che unificava la mia
vita; la gioia profonda. Insomma: sentire di essere amati; un desiderio ardente di donarsi; la
gioia dell’esserci, che non è solo un movimento interno dell’animo.
Non è difficile interpretare questa esperienza con le categorie proprie della fede cri-
stiana: il Padre mi ama; il Figlio mi spinge a donare me stesso, ad essere un altro Cristo per
il mondo; lo Spirito infonde la gioia di essere. Il potere della teologia cristiana, tuttavia, non
è così decisivo fino al punto di condizionare l’esperienza stessa.
Voglio dire che la religione cristiana mi ha aiutato a capire ciò che ho vissuto, ma non
il come l’ho vissuto. È molto probabile che nel corso della storia ci siano stati tanti che hanno
avuto un’esperienza molto simile a quella descritta e che non l’hanno interpretata partendo
da Cristo, ma da altri dei, profeti o mediatori divini.
Per quanto riguarda Gesù Cristo, devo dire che in nessun’altra figura della storia ho
trovato un così sublime e convincente ponte verso il trascendente. Di nessuno, se non di Lui,
ho avuto la percezione che fosse veramente vivo. E questa è la seconda esperienza mistica a
cui vorrei fare riferimento, che è evidentemente un esplicarsi della prima: è da amare una
persona e ci si sente amati da questa stessa persona che è stata in questo mondo e che ora
non lo abita più».
Questa è esperienza autenticamente cristiana, mentre la precedente può essere vissuta da qual-
siasi confessione religiosa o senza alcuna appartenenza confessionale.
C’è un’altra esperienza mistica che vorrei raccontare in questo scritto: quella del silen-
zio. Essere riconosciuti e amati, avere bisogno di donarsi, di relazionarsi con Cristo e di
provare una gioia profondamente spirituale..., tutto questo tende a diluirsi e persino a scom-
parire se non viene nutrito e ravvivato nel silenzio interiore.
Tendiamo per natura a preservare ciò che abbiamo vissuto attraverso il pensiero e
l’azione. Ma né il pensiero né l’azione possono mantenere viva ed efficace qualsiasi espe-
rienza spirituale, per la semplice ragione che le esperienze dello Spirito possono essere man-
tenute vive solo dallo Spirito stesso. Abbandonare tutto ai Suoi piedi, tutto senza eccezioni,
fino alla povertà e alla nudità più assoluta, questo è ciò che nel cristianesimo è conosciuto
come contemplazione. Ed è su questo che si basa l’esperienza del silenzio e della medita-
zione.
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Per concludere, dirò che in ogni esperienza spirituale c’è una tappa del Padre, che è
l’Origine dell’avventura umana; una tappa del Figlio, che è il Logos – parola - che si dona
al mondo; e una tappa dello Spirito, che rinnova la vita sempre nel silenzio della preghiera,
l’unico spazio-tempo che noi esseri umani riserviamo esclusivamente per Dio. La mia espe-
rienza di meditazione è molto semplice e potrebbe essere riassunta in questi tre punti:
1. Non è una tecnica, ma un’arte, il che significa che il metodo non conta tanto quanto
la purezza o la rettitudine dell’intenzione.
2. Costanza e semplicità - recitando con attenzione e amore un mantra - sono sufficienti
a produrre effetti sorprendenti, che, tuttavia, non dovrebbero essere cercati o attesi.
3. Questi effetti non sono quasi mai percepiti nella meditazione in sé, ma nella vita
quotidiana, e sono: lucidità, coraggio e benevolenza, cioè chiarezza di pensiero, libertà di
azione e compassione per il genere umano.
Chi vive in questo modo sperimenterà la gioia di essere di cui ho parlato prima. Che
queste poche parole siano una testimonianza della mia umile ma straordinaria esperienza
di figlio di Dio» (PABLO D’ORS, La alegria de ser)1.
1 In https://it.scribd.com/document/396270551/d-Ors-Pablo-La-alegria-de-ser-pdf [31/10/2020]
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Conclusione
Giuseppe Buccellato SDB
A conclusione di questo lavoro esprimiamo la nostra personale gratitudine al Consi-
gliere Generale per la Formazione, Don Ivo Coelho, e ai suoi collaboratori per aver concen-
trato l’attenzione della Congregazione e, in particolare, di quanti sono impegnati nei per-
corsi della formazione iniziale e permanente, su un tema di straordinaria importanza per la
vita spirituale e l’efficacia pastorale delle nostre comunità.
L’invito che lo stesso Don Ivo ci rivolgeva nella Introduzione di «rafforzare gli aspetti
pedagogici della formazione» appare urgente, in particolare, come egli stesso afferma, per
chi ha il compito di «accompagnare chi è in formazione iniziale nella sua vita di preghiera,
aiutandolo a “fare esperienza” dei valori della vocazione salesiana».
Questo invito si radica sulla consapevolezza che, come affermava Don Chavez nella
lettera Testimoni della radicalità evangelica, il salesiano oggi «è chiamato a essere un mistico: in
un mondo che comincia a far sentire sempre più chiaramente la sfida del secolarismo, ab-
biamo bisogno di "trovare una risposta nel riconoscimento del primato assoluto di Dio", attra-
verso la "totale donazione di sé" e nella "conversione permanente di un’esistenza offerta
come vero culto spirituale"» (ACG 413). Molti anni prima un altro Rettor Maggiore, Don
Pietro Ricaldone, si augurava: «Si degni il Signore di concedere la grazia della contempla-
zione a molti figli di Don Bosco, affinché imitino sempre più perfettamente il loro Padre e
Fondatore col ravvivare nell'orazione contemplativa le fiamme del proprio zelo» (La pietà,
185).
Affidiamo all’Ausiliatrice, questo nostro piccolo contributo alla valorizzazione del
ruolo della meditazione quotidiana nella vita salesiana. La Vergine del Silenzio ci aiuti a con-
servare nel cuore e a far fruttificare la Parola affinché la nostra vita diventi, fin dai primi anni
della nostra professione religiosa, un riflesso di quella grazia di unità che ha caratterizzato
l’esperienza umana e spirituale del nostro Don Bosco. Che ciascuno di noi possa dire, con il
pensiero rivolto al fondatore e parafrasando le parole di una bella poesia di Liliana De Mari,
mi guardo allo specchio e spero di vedere te…
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5.6 Page 46

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SOCIETA’ DI SAN FRANCESCO DI SALES
SEDE CENTRALE SALESIANA
Via Marsala 42 - 00185 Roma
Consigliere generale per la formazione
icoelho@sdb.org
A: Cleofas Murguia
Eunan McDonnell
Francisco Santos Montero
Giuseppe Buccellato
Giuseppe Mariano Roggia
Jose Kuttianimattathil
Silvio Roggia
Xavier Blanco
Roma 9 gennaio 2018
OGGETTO: SEMINARIO DI STUDIO SULLA MEDITAZIONE SALESIANA, 10-12 MAGGIO 2018
Carissimo confratello,
Un saluto fraterno e caloroso dalla Sede Centrale, Roma.
Tra i compiti affidati al dicastero per la formazione in questo sessennio c’è il rinnovo
del manuale per la preghiera salesiana. Mentre questo lavoro sta progredendo si vorrebbe
dedicare una riflessione specifica sulla meditazione, per poter offrire aiuti e orientamenti in
modo speciale alle case di formazione iniziale, ma senza tralasciare le altre case, così da
valorizzare al meglio questo momento fondamentale nella vita di preghiera dei Salesiani di
Don Bosco.
Un primo passo in questa direzione si vorrebbe porre attraverso un momento di con-
fronto di esperienze, per cogliere insieme partendo dalla esperienza personale di ciascuno
di noi - ciò che la meditazione porta con sé nella nostra tradizione carismatica e nel cammino
che la Chiesa, la vita religiosa e la congregazione stanno facendo in questi ultimi anni.
Ti chiedo la disponibilità a partecipare all'incontro che il dicastero per la formazione
dedicherà a questo tema tra giovedì 10 maggio e sabato 12 maggio 2018 (arrivo mercoledì 9
sera; conclusione sabato 12 con il pranzo). Ci ospita la comunità di San Callisto, presso le
omonime catacombe, qui a Roma.
Più avanti ulteriori dettagli ti saranno comunicati sul programma, unitamente ad al-
cune schede di preparazione, in vista della condivisione che ci proponiamo di fare.
Saremo una decina di confratelli; dunque un lavoro circoscritto, che rende la tua pre-
senza ancora più importante e apprezzata.
Colgo l'occasione per i migliori auguri di buon anno a nome dei membri del dicastero.
Ivo Coelho, SDB
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Appendice
IL PROGRAMMA DEL SEMINARIO
RIFERIMENTI:
1. Costituzioni 93
«Potremo formare comunità che pregano solo se diventiamo personalmente uomini di
preghiera. Ciascuno di noi ha bisogno di esprimere nell’intimo il suo modo personale di
essere figlio di Dio, manifestargli la sua gratitudine confidargli i desideri e le preoccupazioni
apostoliche.
Una forma indispensabile di preghiera è per noi l’orazione mentale. Essa rafforza la
nostra intimità con Dio, salva dall’abitudine, conserva il cuore libero e alimenta la dedizione
verso il prossimo. Per Don Bosco è garanzia di gioiosa perseveranza nella vocazione».
2. Regolamenti 71
«Ogni giorno i soci attenderanno in comune per almeno mezz’ora alla meditazione e
per qualche tempo alla lettura spirituale.
Spetta alla comunità locale favorire la varietà delle forme e incoraggiare i confratelli
nel loro impegno».
DATA: Giovedì 10 maggio, venerdì 11 maggio, sabato 12 maggio 2018, fino a pranzo.
SEDE: Comunità di San Callisto (Catacombe), Roma.
OBIETTIVO: Chiarire il luogo e il ruolo della meditazione nella vita e nella tradizione
salesiana e offrire aiuto e linee guida per crescere nella pratica della mediazione.
NUMERO DI PARTECIPANTI: circa 10.
I SEI MOMENTI CHE HANNO SCANDITO IL LAVORO DEL SEMINARIO
1. CONDIVISIONE DI ESPERIENZE PERSONALI (LA REALTÀ VISSUTA)
Ognuno dei partecipanti arriva già pronto al seminario con un breve scritto (massimo
due pagine) con cui presenta la sua esperienza personale sulla meditazione.
Come è avvenuta l’iniziazione alla mezz’ora di meditazione quotidiana in comune
(Reg 71).
Come mediti? Cosa fai durante la mezz’ora di meditazione quotidiana in comune?
Qual è l’impatto della meditazione quotidiana sulla tua vita e sul tuo apostolato?
Quali sono le sfide/difficoltà che incontri durante la meditazione e a riguardo di
essa?
2. TRADIZIONE SALESIANA
Contributi di esperti/persone con esperienza sui fondamenti e sui metodi di medita-
zione nella tradizione salesiana [45 minuti di contributi e 45 minuti di condivisione]
(“l’ideale”):
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EUNAN MCDONNELL - Contributi incentrati su queste due domande: a) Dalla tua cono-
scenza degli insegnamenti e della spiritualità di Francesco di Sales, quali considere-
resti come elementi fondamentali della meditazione? b) Quali sono le cose essenziali
a cui un giovane in formazione dovrebbe prestare attenzione per rendere fruttuosa
la meditazione?
GIUSEPPE BUCCELLATO - Un intervento incentrato su queste due temi: a) Elementi fon-
damentali della meditazione nella pratica e nell’insegnamento di don Bosco. b) Ele-
menti della meditazione salesiana che devono essere salvaguardati, mentre i sale-
siani rendono il loro modo di fare meditazione e i metodi seguiti, più consoni con
la cultura e la sensibilità di oggi.
GIUSEPPE MARIANO ROGGIA - Un contributo incentrato su queste due domande: a) Sulla
base della sua esperienza di iniziazione alla meditazione e di accompagnamento di
chi apprendeva passo dopo passo quest’arte, quali consideri come elementi fonda-
mentali per vivere la meditazione nella vita ordinaria delle comunità salesiane? b)
Quali sono le insidie comuni nella pratica della meditazione, e quali lacune/ele-
menti carenti nel nostro processo formativo potrebbero esserne la loro causa princi-
pale?
XAVIER BLANCO - Un contributo che si concentra su queste due domande: a) Prestando
attenzione ai cammini di rinnovamento che si stanno attuando in Spagna e del rin-
novato interesse per la contemplazione, quali sono secondo te gli elementi principali
per vivere oggi la meditazione? b) Alcuni suggerimenti che potresti offrire per aiu-
tare i salesiani a fare oggi una meditazione fruttuosa.
3. VISITA MEDITATIVA ALLE CATACOMBE
Visita guidata alle Catacombe, in forma meditativa … camminare pregando sui passi
di milioni di pellegrini.
4. DIAGNOSI BRAINSTORMING
Cosa spinge molti salesiani a disinteressarsi o a rinunciare alla meditazione, anche
nelle prime fasi della formazione iniziale?
Esiste un metodo di meditazione specificamente “salesiano-boschiano”?
Ci sono metodi di meditazione che entrano più facilmente in sintonia con la spiri-
tualità salesiana? Se sì, quali sono?
Risultati/osservazioni delle risposte emerse nella ricerca sull’Accompagnamento
Personale Salesiano (APS).
5. PASSI PER MIGLIORARE LA MEDITAZIONE BRAINSTORMING
– Cosa si può fare per rinvigorire la stima e l’amore per la meditazione tra i salesiani
nella formazione iniziale e permanente?
Quali passi si possono compiere per avviare una buona iniziazione alla medita-
zione “salesiana” per chi sta vivendo le fasi iniziali della formazione?
La meditazione salesiana tra i vari tipi di meditazione (Lectio divina, Centering
prayer, l’esicasmo o preghiera del cuore...).
– Risultati/osservazioni delle risposte dell’APS.
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6. PER OFFRIRE ORIENTAMENTI E LINEE GUIDA
Cogliere i frutti della nostra condivisione così come si è sviluppata in questi giorni.
Siamo in grado di offrire almeno alcune linee guida preliminari o dobbiamo ulte-
riormente attendere?
Prossimi passi da compiere.
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Indice
SOMMARIO...................................................................................................................................... 2
ABBREVIAZIONI E SIGLE ................................................................................................................. 3
INTRODUZIONE (Ivo Coelho)...........................................................................................................4
APPUNTI PER UN TRATTATELLOSULLA MEDITAZIONE ALLE ORIGINI DELLA SOCIETÀ DI SAN
FRANCESCO DI SALES (Giuseppe Buccellato)..................................................................................8
Premessa .......................................................................................................................... 8
1. Necessità della meditazione nella vita religiosa .................................................... 9
2. La meditazione va distinta dalla lettura spirituale personale ........................... 10
3. Meditazione e progresso nelle virtù teologali......................................................11
4. Importanza della pratica quotidiana della meditazione .................................... 13
5. Convenienza di fare la meditazione al mattino ................................................... 13
6. Meditazione in comune o in privato ..................................................................... 14
7. Durata della meditazione........................................................................................15
8. Meditazione, orazione affettiva e immaginazione .............................................. 16
9. Importanza e utilità di un metodo.........................................................................17
10. Rendiconto e meditazione.....................................................................................18
Conclusioni.................................................................................................................... 19
IMPARARE A MEDITARE CON SAN FRANCESCO DI SALES (Eunan McDonnell) .......................... 21
Che cos’è la meditazione? ........................................................................................... 21
Perché meditiamo? ....................................................................................................... 22
La pratica della meditazione ...................................................................................... 24
Come meditiamo? ........................................................................................................ 25
Domande per aiutare la revisione..............................................................................31
Difficoltà durante la meditazione .............................................................................. 31
Perché Dio ci fa attendere?..........................................................................................32
Risoluzione dei problemi ............................................................................................ 32
LA MEDITAZIONE COME LECTIO DIVINA (Giuseppe Mariano Roggia) .......................................33
Un piccolo aneddoto per iniziare .................................................................................... 33
Quale Lectio divina?..........................................................................................................33
L’itinerario della Lectio è essenzialmente educativo.....................................................34
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6.1 Page 51

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Lo specifico carismatico .................................................................................................... 35
La collatio fraterna .............................................................................................................. 36
Ipotesi di percorsi formativi.............................................................................................37
Conclusione ........................................................................................................................ 38
TRE PROSPETTIVE SULLIMPORTANZA DELLA MEDITAZIONE CRISTIANA (Xavier Blanco) .......... 39
I. Gesù, l’uomo dei “tre tempi” ....................................................................................... 39
II. L’importanza del “tempo della preghiera”. ............................................................. 39
III. La meditazione cristiana (e salesiana) come momento chiave del tempo della
preghiera. ........................................................................................................................... 40
CONCLUSIONE …………….......................................................................................................... 45
APPENDICE ………………...........................................................................................................47
INDICE …………………. ............................................................................................................. 50
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