Indicazioni e suggerimenti per la meditazione quotidiana nella societ%C3%A0 di san Francesco di Sales_it


Indicazioni e suggerimenti per la meditazione quotidiana nella societ%C3%A0 di san Francesco di Sales_it



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GIUSEPPE BUCCELLATO SDB
INDICAZIONI E SUGGERIMENTI
PER LA MEDITAZIONE QUOTIDIANA
NELLA SOCIETÀ DI SAN FRANCESCO DI SALES
CATANIA 2020

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Sommario
INTRODUZIONE
PER INIZIARE IL CAMMINO
Orazione vocale, mentale, meditazione, contemplazione
Gli insegnamenti sulla meditazione alle origini della Società
Con Don Bosco e con i tempi
Preghiera personale e preghiera liturgica
Valore antropologico della meditazione
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO
Da una circolare di Don Paolo Albera
SUGGERIMENTI E RIFLESSIONI GENERALI SUL "METODO"
I tre momenti fondamentali della meditazione
Il ruolo del corpo nella preghiera
I criteri adoperati per la scelta dei metodi proposti
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO
Da una circolare di Don Luigi Ricceri
I METODI PROPOSTI PER LA MEDITAZIONE
1. METODI SEMPLICI
Ripetizione semplice
La preghiera di Gesù o preghiera del cuore (esicasmo)
Composizione vedendo il luogo (Sant'Ignazio di Loyola)
Una parola sul ruolo della immaginazione nella meditazione
Mira que te mira (Santa Teresa d'Avila)
Esame del giorno che verrà
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO
Da una circolare di Don Egidio Viganò
2. METODI STRUTTURATI
La Lectio Divina (secondo il metodo di Guigo il Certosino)
La Lectio Divina (secondo Carlo Maria Martini)
La Lectio Divina. Sintesi di Don Pascual Chávez
La meditazione ignaziana
Metodo ignaziano semplificato
Il metodo insegnato dal Vade mecum di Don Giulio Barberis
Metodo dei "sette passi" (Lumko Africa)
Il metodo della ruminatio (secondo Clodovis M. Boff)
Il metodo del Centering Prayer di P. Thomas Keating
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO
Da una circolare di Don Juan Vecchi
CONCLUSIONI

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Introduzione
«Ho bisogno di fare una raccomandazione specialissima e ben distinta, intorno ad un mezzo
che ritengo indispensabile perché qualunque metodo di lavorio spirituale possa risultare
efficace. Intendo parlare della meditazioneSe il Signore non è con noi e non lavora con noi,
il nostro lavoro sarà inesorabilmente condannato alla sterilità. Tutto ciò significa che è
necessaria la preghiera e lo spirito di unione con Dio: dobbiamo pregare e meditare molto;
dobbiamo far pregare i novizi ed insegnare loro per tempo a meditare bene. I nostri ascritti
quando vengono al noviziato amano già la preghiera in genere… Ma di meditazione essi non
potevano avere idea di sorta. Sia perciò vostra prima grande preoccupazione, al principio del
noviziato, quella di insegnare a meditare, ben persuasi che solo quando avranno cominciato a
prendere gusto per la meditazione i novizi potranno iniziare veri progressi nella vita
spirituale»1 (Don Filippo Rinaldi).
Abbiamo scelto di iniziare questo nostro sussidio con una citazione, tratta da una lettera
del 1930, indirizzata dall'allora Rettor Maggiore ai Cari Maestri degli Ascritti, perché ci sem-
bra riassumere bene l'obiettivo fondamentale che ci siamo proposti: dare alcune indicazioni
e dei suggerimenti concreti per ritornare a rendere vitale ed efficace questa pratica di pietà che
le nostre Costituzioni prescrivono e che la Chiesa continua a indicare come essenziale nella
formazione iniziale dei giovani seminaristi e dei religiosi.
«Per formarsi allo spirito del Vangelo si legge nella ratio della Congregazione per il
Clero del 2016, dal titolo Il dono della vocazione presbiterale –, l’uomo interiore ha bisogno di
un’attenta e fedele cura della vita spirituale, centrata prioritariamente sulla comunione con
Cristo secondo i Misteri celebrati nell’Anno liturgico e nutrita dalla preghiera personale e
dalla meditazione sulla Parola ispirata. Nell’orazione silenziosa, che lo apre a una relazione
autentica con Cristo, il seminarista diviene docile all’azione dello Spirito, che progressiva-
mente lo plasma a immagine del Maestro»2.
Questa rinnovata esortazione della Chiesa all’orazione silenziosa e all'arte del meditare,
come risorse che ci consentono di conservare la nostra identità, ci raggiunge in un particolare
momento della nostra esperienza di credenti e di religiosi. Scriveva alcuni anni or sono Pa-
dre Clodovis Boff: «L’affanno quotidiano ci stordisce e ci sconcerta. Sempre agitati, viviamo
proiettati verso l’esterno. Siamo come una pensione popolare con il suo viavai di persone
d’ogni tipo. E così corriamo il rischio di perdere la nostra identità. Non sappiamo più chi
siamo e dove andiamo. Stiamo diventando vuoti e soggettivamente impoveriti e, come con-
seguenza, manchiamo di pace interiore, siamo preda di scoraggiamento, angoscia e, a volte,
depressione»3.
La fatica che ha attraversato la pratica quotidiana della meditazione, comunque, non è
recente, se è vero che già nel 1971 un altro Rettor Maggiore, Don Luigi Ricceri, affermava,
nella Relazione sullo stato della Congregazione presentata al Capitolo Generale Speciale: «Ci sem-
bra di poter affermare, in base ai dati esterni che possediamo, che nella Congregazione c’è
stato un notevole calo, un abbassamento molto sensibile del livello spirituale, soprattutto
nel settore della pietà e della vita spirituale»4; e due anni più tardi, nella circolare La nostra
1 F. RINALDI, Cari Maestri degli ascritti, in ASC A 384.01.15.
2 CONGREGAZIONE PER IL CLERO, Il dono della vocazione presbiterale. Ratio fundamentalis institutionis studiorum, 8
dicembre 2016, 42.
3 C.M. BOFF, Come fare meditazione. Il metodo della ruminatio, Cinisello Balsamo 2010, 8.
4 CGS, Relazione sullo stato della Congregazione, 32.

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preghiera scriveva: «La dolorosa sintesi di tutto però è qui: si prega poco e male»5.
Questo autorevole, coraggioso intervento del magistero salesiano è in linea, come
avremo occasione di dire, con altre voci che lo hanno preceduto e seguito. Lo stesso Don
Bosco, nella seconda edizione italiana delle Costituzioni (1877) volle inserire in una posi-
zione centrale, dopo l'introduzione Ai soci salesiani e prima del testo costituzionale, una
lunga lettera di San Vincenzo de' Paoli ai suoi religiosi (di vita attiva!) sull'importanza della
meditazione in comune e sulla necessità di alzarsi alla medesima ora per farla; un evidente
richiamo alla importanza di una pratica di pietà che, è lecito ipotizzarlo, fin da allora risultava
problematica nella giovane congregazione. «La grazia della vocazione è legata alla ora-
zione»6, aveva scritto San Vincenzo ai suoi religiosi; e con l'autorità di questo santo della
carità, don Bosco fa suo, inserendolo in una cornice di grande rilievo, il messaggio del santo
francese e lo affida alla nascente congregazione.
Questo nostro sussidio, rivolto a tutti i confratelli ma, in modo particolare, a coloro che
condividono la responsabilità della formazione iniziale, ai novizi e ai giovani salesiani, na-
sce dal desiderio di contribuire a rendere più vitali e condivise alcune regole del gioco che
sono alla base di una sana pedagogia alla preghiera, in linea con gli attuali insegnamenti della
Chiesa e con la nostra tradizione.
Ci sembra particolarmente importante sottolineare la necessità, durante la prima for-
mazione alla vita religiosa salesiana, di questa iniziazione alla preghiera da cui dipende, spesso
in modo permanente, l'atteggiamento stesso con cui vivremo, per il resto degli anni, i diversi
appuntamenti della nostra vita comunitaria e la nostra personale vita di preghiera. La man-
canza di questa graduale pedagogia, unita ad una prassi centrata sugli obblighi della vita reli-
giosa, più che sull'autenticità di una relazione d'amore che possa riempire di significato tutte
e singole le nostre pratiche di pietà, può rendere faticosa e poco vitale l'esperienza della pre-
ghiera, a volte in modo indelebile.
Dopo alcuni chiarimenti iniziali, necessari per intraprendere il cammino, abbiamo de-
dicato alcune pagine al ruolo e alla opportunità di un metodo che renda più efficace e frut-
tuosa la meditazione prevista dalle nostre Costituzioni. Passeremo, quindi, alla descrizione
pratica di alcuni metodi, dai più semplici e immediati ad alcuni altri più strutturati, che l'e-
sperienza della Chiesa e della Congregazione ci hanno consegnato.
Per la sua stessa natura e per lo scopo che si prefigge di raggiungere, questo sussidio
esige di essere "sperimentato" personalmente e comunitariamente, oltre che letto con cura.
I diversi metodi proposti andrebbero gradualmente verificati nella prassi, meglio se con
l'aiuto di una guida, in vista della maturazione di un metodo personale ed efficace.
Nella lettera di indizione del Bicentenario della nascita di Don Bosco l'allora Rettor
Maggiore Don Pascual Chávez esortava: «Urge conoscere e vivere la spiritualità di Don Bo-
sco. La conoscenza della sua vita e azione e del suo metodo educativo non basta. A fonda-
mento della fecondità della sua azione e della sua attualità, c’è la sua profonda esperienza
spirituale»7. La preziosa eredità carismatica che abbiamo ricevuto si ravviva per noi nel com-
pito di ritornare a leggere il passato, in particolare il nostro prezioso magistero, per scrivere un
futuro che sia coerente con il dono che ci è stato consegnato. In questa prospettiva abbiamo
5 ACS n. 269, 12.
6 Regole o costituzioni della società di S. Francesco di Sales secondo il decreto di approvazione del 3 aprile 1874, Torino
1877, 47.
7 ACG n. 394, 11.

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voluto inserire, nel testo, alcuni frammenti di magistero salesiano sul tema della meditazione.
Ha scritto Don Bosco nella biografia di San Vincenzo de' Paoli, pubblicata per la prima
volta nel 1848, e poi riedita nel 1876 e nel 1877, a ridosso delle prime edizioni italiane delle
nostre Costituzioni: «Non c’è cosa tanto conforme col Vangelo quanto il radunare dei lumi
e delle forze mediante l’orazione, la lettura e la solitudine, e quindi far parte agli uomini di
questo pascolo spirituale. È un imitare ciò che si fece dal nostro Signore, e dopo lui dagli
Apostoli; è un congiungere l’ufficio di Marta e quello di Maria; è un seguire l’esempio della
colomba, la quale digerisce la metà del cibo che ha inghiottito, e indi col proprio becco fa
passare il rimanente in quello de’ suoi pulcini per nutrirli»8.
Ci auguriamo che questo prezioso cibo spirituale possa continuare a nutrire e a rendere
sempre più feconda la missione affidata alla nostra Congregazione.
8 G. BOSCO, Il cristiano guidato alla virtù ed alla civiltà secondo lo spirito di San Vincenzo De' Paoli, Torino 1848, 39-
40

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Per iniziare il cammino
«Il Signore conduce ogni persona secondo strade e modi che a lui piacciono. Ogni fedele, a
sua volta, gli risponde secondo la risoluzione del proprio cuore e le espressioni personali della
propria preghiera. Tuttavia la tradizione cristiana ha conservato tre espressioni maggiori della
vita di preghiera: la preghiera vocale, la meditazione, la preghiera contemplativa. Esse hanno
in comune un tratto fondamentale: il raccoglimento del cuore. Tale vigilanza nel custodire la
Parola e nel rimanere alla presenza di Dio fa di queste tre espressioni dei momenti forti della
vita di preghiera» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2699).
La prima cosa da fare, prima di iniziare il nostro cammino, è cercare di intenderci sui
termini che adopereremo: orazione mentale, meditazione, contemplazione… Si tratta di sinonimi
o è opportuno qualche chiarimento? Queste prime precisazioni ci permetteranno di acco-
starci con maggiore consapevolezza alla nostra tradizione meno recente, e di interpretare
alcuni testi che il nostro magistero ci ha consegnato. Ogni autentica memoria, infatti, si traduce
in un compito, nella responsabilità di rimanere fedeli a noi stessi e al dono che abbiamo rice-
vuto.
Le nostre attuali Costituzioni, al n. 93, affermano: «Una forma indispensabile di pre-
ghiera è per noi l’orazione mentale. Essa rafforza la nostra intimità con Dio, salva dall’abitu-
dine, conserva il cuore libero e alimenta la dedizione verso il prossimo. Per Don Bosco è
garanzia di gioiosa perseveranza nella vocazione». Nei Regolamenti si legge invece: «Ogni
giorno i soci attenderanno in comune per almeno mezz’ora alla meditazione e per qualche
tempo alla lettura spirituale».
Chiariamo subito che la lettura personale di un buon libro può essere una grande ri-
sorsa per la nostra vita spirituale; in senso stretto, però, non può sostituire abitualmente il
tempo riservato alla meditazione che, come diremo, è innanzi tutto orazione silenziosa, dia-
logo personale ed intimo con Dio.
Queste prime precisazioni, anche se ci costringeranno a fare per qualche momento il
mestiere del farmacista, sono indispensabili al fine di accostarci con maggiore consapevo-
lezza alla tradizione della Chiesa, e di interpretare alcuni testi che la storia della spiritualità
cristiana ci ha consegnato.
Orazione vocale, mentale, meditazione, contemplazione
Nella sua accezione più comune e generale l'aggettivo mentale attribuito al termine
orazione (o preghiera), è antitetico all'aggettivo vocale; non dice dunque riferimento ad una
preghiera che coinvolga il ragionamento logico, ma ad una orazione che coinvolga gli affetti,
l'interiorità dell'uomo, e che non abbia bisogno di parole per esprimersi. Scrive il carmeli-
tano Padre Albino del Bambino Gesù, nel suo Compendio di Teologia Spirituale: «L’orazione
si chiama mentale quando si svolge nelle potenze dell’anima senza alcuna manifestazione
esterna. Ogni atto di fede, di speranza, di amore, ogni pensiero e affetto spirituale è orazione
mentale, cioè un incontro con Dio»9.
Il Cardinale Giacomo Lercaro, nel suo testo Metodi di orazione mentale, attribuisce in-
vece questo significato all’espressione orazione mentale diffusa, che definisce dunque come
9 ALBINO DEL BAMBINO GESÙ, Compendio di Teologia Spirituale, Torino 1966, 336.

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«qualunque pio pensiero che abbia per oggetto Dio o le cose in rapporto a Dio»10, distin-
guendola dalla orazione mentale formale, che è per lui «quel particolare esercizio della vita
spirituale, con cui quotidianamente o con regolare frequenza consacriamo, con esclusione
di ogni altra occupazione, un determinato spazio di tempo ad intrattenerci con Dio, senza
l’uso di formule verbali prefisse»11.
L'orazione mentale formale, dunque, sarebbe quella pratica di pietà a cui si riferiscono i
nostri Regolamenti. «L’orazione, che le Costituzioni ci prescrivono a nutrimento dello spirito
affermava Don Paolo Albera in una sua circolare dal titolo Don Bosco modello del Sacerdote
Salesiano – è la mentale, che secondo S. Teresa è "una pura comunione d’amicizia, per mezzo
della quale l’anima s’intrattiene da sola a solo con Dio12.
L'orazione mentale diffusa, l'attenzione costante e attuale alla presenza di Dio, è dunque
quel dono particolare che venne riconosciuto al nostro fondatore e che ordinariamente chia-
miamo unione con Dio, o anche grazia di unità.
In questo nostro sussidio, comunque, considereremo le due espressioni orazione men-
tale e meditazione come sinonimi. Nella storia della spiritualità cristiana, infatti, esse sono
state il più delle volte adoperate indifferentemente13 ed ambedue per indicare, secondo la
terminologia del Lercaro, l’orazione mentale formale, cioè quella particolare pratica di pietà,
raccomandata o prescritta nella vita religiosa o presbiterale, distinta dalla orazione mentale
diffusa, che può essere considerata la abitudine al pensiero di Dio, che dovrebbe accompagnare
anche la preghiera personale e, più in generale, tutta la nostra vita. In ogni caso ribadiamo
il fatto che l'espressione orazione mentale non intende fare riferimento ad una preghiera nella
quale sia coinvolta unicamente la mente, l'intelligenza, ma ad una preghiera che non si ri-
duca alla sola espressione vocale, ma che coinvolga tutte l'interiorità dell'orante. «Questo
popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me» (Mt 15,8).
Notiamo comunque che, in qualche caso, il termine "meditazione" è stato riservato
all’aspetto riflessivo, più che orante della pratica religiosa; in questa accezione, ad esempio,
viene utilizzato, come vedremo, per descrivere il secondo momento del metodo della Lectio
Divina di Guigo il Certosino, di cui parleremo.
L’uso del termine meditazione14 è comune a molte tradizioni spirituali e/o religiose,
di diversa origine. Quello che accomuna queste differenti prospettive è la ricerca di un
tempo o di una particolare tecnica che concentra le energie della persona sulla sua vita inte-
riore.
Il termine contemplazione, poi, spesso adoperato anche nella nostra prima tradizione
salesiana, dice riferimento, in modo più chiaro, all’obiettivo fondamentale di ogni espe-
rienza di preghiera e, in ultima analisi, al fine della vita di un credente, che è l’unione con Dio,
la deificazione di cui parlano i Padri e a cui si richiama più frequentemente la tradizione or-
todossa. Ha scritto Don Egidio Viganò: «L'orazione mentale evolve con gradualità dalla me-
ditazione alla contemplazione; è un atteggiamento interiore per cui si entra in rapporto con
l'amore di Dio. Santa Teresa l'ha descritta come un tratto amichevole con il Signore»15.
Narra lo stesso Don Bosco nella biografia di Savio Domenico: «Il suo apparecchio alla
comunione era il più edificante. La sera che precedeva la comunione prima di coricarsi egli
10 G. LERCARO, Metodi di orazione mentale, Milano 19693, 3.
11 Ibidem.
12 P. ALBERA, Lettere circolari ai salesiani, Torino 1922, 443.
13 Cfr. G. LERCARO, Metodi di orazione mentale, cit., 3.
14 Per evitare equivoci, tutte le volte che ci riferiremo alla particolare pratica di pietà, prevista nei Regolamenti,
useremo il corsivo meditazione.
15 ACG n. 338, 14.

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faceva una preghiera a questo scopo... Al mattino poi faceva una sufficiente preparazione;
ma il ringraziamento era senza limite. Per lo più, se non era chiamato, dimenticava la cola-
zione, la ricreazione, e talvolta fino la scuola, standosi in orazione, o meglio in contemplazione
della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli uomini i tesori della sua infinita
misericordia».
«La preghiera contemplativa si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica è sguardo
di fede fissato su Gesù. “Io lo guardo ed egli mi guarda” diceva al tempo del suo santo
curato, il contadino d'Ars in preghiera davanti al Tabernacolo. Questa attenzione a lui è
rinuncia all'“io”. Il suo sguardo purifica il cuore. La luce dello sguardo di Gesù illumina gli
occhi del nostro cuore; ci insegna a vedere tutto nella luce della sua verità e della sua com-
passione per tutti gli uomini»16.
Si tratta dunque, in ogni caso, della medesima caritas che, nel momento in cui ci rende
più intimi a Dio e a noi stessi, ci restituisce la consapevolezza del compito che ci è stato affi-
dato: quello di essere "un buon regalo" per tutti i nostri compagni di viaggio…
Gli insegnamenti sulla meditazione alle origini della Società
Le testimonianze più evidenti della rilevanza data da Don Bosco e dalla nascente con-
gregazione a questa particolare pratica di pietà sono probabilmente gli insegnamenti sulla
importanza della meditazione e sul modo per farla che verranno impartiti sin dal primo novi-
ziato canonico, che avrà sede per i primi cinque anni nella casa madre di Valdocco sotto lo
sguardo paterno di Don Bosco, dopo l'approvazione ufficiale delle Costituzioni della Società,
avvenuta il 3 aprile del 1874.
Nell’Archivio Salesiano Centrale si conservano i quaderni autografi dove il primo mae-
stro dei novizi, Don Giulio Barberis17, trascrisse, in modo ordinato e per esteso, il testo delle
conferenze, fatte ai novizi a partire dal 187518. Le prime pagine del primo quaderno sono
dedicate proprio ad una lunga conferenza dal titolo Meditazione e modo di farla; potremmo
dire che questo tema rappresenta proprio la porta di ingresso all'esperienza del noviziato.
Una breve citazione, tratta da queste pagine, esprime bene i sentimenti e le profonde
convinzioni di questo prezioso maestro di spiritualità boschiana: «Oh se potessi un po’ io in-
vogliarvi oggi in essa [nella meditazione]; se potessi un po' farvi penetrare nel cuore l’utilità
che da essa si ricava, potessi un po’ insegnarvi proprio bene a farla; sì che uscirei da questa
conferenza tutto contento e consolato e potrei dire: Oh Signore, ho messo sul buon sentiero
molti, ho dato in mano a molti altri la chiave della perseveranza; ho riacceso il fuoco del
fervore in chi non l’aveva. Faccia il Signore che così sia»19.
Il metodo insegnato da Don Barberis fin da quei primi anni, come vedremo, poi ripreso
e perfezionato nel suo Vade mecum dei giovani salesiani, è sostanzialmente quello ignaziano;
nessuna sorpresa, considerando che, qualche anno più tardi, il primo Capitolo Generale
della nascente congregazione (1877), affrontando la questione della scelta di un testo per la
meditazione dei confratelli, ribadirà l'opportunità di continuare ad usare il testo del gesuita
16 Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2715.
17 Don Giulio Barberis a partire dal 1874 e praticamente per tutto il resto della sua vita avrà in congregazione
responsabilità formative: maestro dei novizi fino al 1900, divenne poi Ispettore per nove anni e infine Direttore
Spirituale della Congregazione fino al 1927, anno della sua morte. Considerato il "garante" della fedeltà alla
spirito del fondatore, avrà anche l'incarico di ispezionare i noviziati della nascente congregazione.
18 Cfr. ASC B 509.03.01.
19 Ibidem.

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Padre Luis de la Puente20. «È da raccomandarsi si legge nei verbali specialmente la in-
troduzione. Introduzione che andrebbe letta cento volte ed imparata a memoria poiché vale
tant’oro. Chi segue bene quanto in quella si dice troverà immensamente facilitato il modo
di fare la meditazione; ma bisogna avere pazienza; i principianti vanno istruiti bene; bisogna
far in modo che abbiano tutti il libro alla mano, e farli imparare secondo quel metodo»21.
Ha scritto lo storico Don Eugenio Ceria, nel contesto dell’anno 1875: «In quell’anno il
noviziato venne sospinto molto innanzi sulla via della normalità… Nell’opera di normaliz-
zazione la pietà rappresentava la pietra basilare dell’edificio religioso, e nella pietà due pra-
tiche sono di capitale importanza: gli annuali esercizi spirituali e la quotidiana medita-
zione»22.
La fedeltà al carisma comporta, come diremo nel paragrafo successivo, la consapevo-
lezza dell'importanza data dal fondatore all'orazione mentale nella vita religiosa, ma non im-
plica una rigida ripetizione di forme e metodi che sono figlie e figli di un preciso momento
storico. Si tratta, come sottolineava la Optiones Evangelicae, «di una fedeltà dinamica aperta
all’impulso dello Spirito, che passa attraverso gli eventi ecclesiali e i segni dei tempi»23.
Con Don Bosco e con i tempi
Il mandato che il Concilio Vaticano II ha affidato alla vita consacrata è quello di un
continuo ritorno alle fonti e alla prima ispirazione degli istituti24. Sulla stessa linea l'esortazione
apostolica Vita Consecrata affermava: «Anzitutto è richiesta la fedeltà al carisma fondazionale e
al conseguente patrimonio spirituale di ciascun Istituto. Proprio in tale fedeltà all'ispira-
zione dei fondatori e delle fondatrici, dono dello Spirito Santo, si riscoprono più facilmente
e si rivivono più fervidamente gli elementi essenziali della vita consacrata» (n. 36).
Il carisma del fondatore, comunque, si presenta come una realtà viva che prolunga i suoi
effetti nella storia, attualizzando in modo creativo, nella fedeltà al dono ricevuto, l’espe-
rienza fondante. Progresso e ritorno alle origini, rinnovamento e fedeltà sono binomi che
vanno coniugati insieme. Possiamo dire che ogni carisma è destinato a rimanere fedele al
proprio patrimonio genetico, al proprio DNA, ma anche a crescere e a svilupparsi, come un
organismo vivente che cresce pur rimanendo fedele a se stesso.
In relazione al nostro tema ci sembra di poter individuare con chiarezza come elemento
carismatico irrinunciabile l'attenzione data, fin dalle origini, alla meditazione che Don Bosco
raccomandava costantemente ai primi salesiani ma anche ai laici e ai giovani.
Al cavaliere Ugo Grimaldi di Bellino nel 1862 scrive: «Ogni mattino messa e medita-
zione. Nel dopo mezzogiorno un po’ di lettura spirituale». A Don Giovanni Anfossi, exal-
lievo dell’Oratorio di Valdocco, scrive nel 1867: «La meditazione e la visita al SS. Sacramento
saranno per te due salvaguardie potentissime: approfittane». «Ti raccomando tre cose:
scrive in quel medesimo anno al chierico Luigi Vaccaneo attenzione nella meditazione del
mattino; frequenza di compagni maggiormente dati alla pietà; temperanza nei cibi». Al ca-
valiere Federico Oreglia, altro amico e benefattore dell’oratorio, nel 1868 scriverà: «Ella non
dimentichi di fare ogni giorno la sua meditazione e la sua lettura spirituale». «Nel tempo
20 Il suo diffusissimo Meditaciones de los misterios de nuestra santa fe, con la práctica de la oración mental sobre ellos,
pubblicato per la prima volta a Valladolid nel 1605, conobbe numerosissime edizioni in varie lingue.
21 ASC D 578, 116-117. Nella edizione italiana del 1875 da noi consultata, a cura della Marietti, questa lunga
Introduzione occupa 36 pagine.
22 MB XI, 273.
23 Optiones Evangelicae, 29.
24 Cfr. Perfectae caritatis, 2.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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che sarete a casa raccomanda ai giovani in partenza per le vacanze fate almeno la santa
comunione ne’ giorni festivi. Lungo la settimana non tralasciate ogni mattina la vostra me-
ditazione»25.
Si noti che Don Bosco distingue costantemente, qui come altrove, la meditazione dalla
lettura spirituale personale; quest'ultima, come dicevamo, è certamente utile alla vita spiri-
tuale, ma non è, in senso stretto, orazione, preghiera. Questa considerazione ci permette di
sottolineare che l'uso abituale di un testo durante tutto il tempo previsto dalle Costituzioni
per la quotidiana meditazione può essere assimilato ad una utilissima lettura spirituale perso-
nale, ma non assolve, in senso stretto, all'indicazione di dedicare almeno mezz'ora, nella no-
stra giornata, al dialogo intimo e personale con Dio.
Negli anni che precedettero la fondazione della Società di San Francesco di Sales e la
approvazione definitiva delle Costituzioni, Don Bosco seppe applicare ai religiosi della na-
scente congregazione il principio della gradualità, in relazione alle esigenze della vita religiosa.
Non dobbiamo dimenticare che nell'anno in cui ebbe inizio il cammino verso la istituziona-
lizzazione, alcuni dei suoi “religiosi” non raggiungevano neanche i sedici anni di età26. Un
sano realismo, oltre che il desiderio di evitare di caricare sulla coscienza di qualcuno di loro
degli obblighi morali superiori alle proprie forze, ispirò probabilmente a Don Bosco una
sana prudenza.
Ciononostante, come abbiamo visto, non mancano in tutti quegli anni i riferimenti
espliciti alla importanza della meditazione quotidiana, di cui le Costituzioni, approvate nel
1874, stabiliranno definitivamente la durata: saltem per dimidium horae27. Si legge, ad esem-
pio, in un foglio manoscritto del 1866, che Don Bosco adoperò più volte nella predicazione
dei primi corsi di esercizi spirituali della nascente congregazione, a partire dal 1866: «Medi-
tazione: più breve o più lunga farla sempre. Sia per noi uno specchio, dice S. Nilo, per cono-
scere i nostri vizi, e la mancanza delle virtù; ma non si ometta mai. L’uomo che non ha
orazione è uomo di perdizione (Santa Teresa). In meditatione mea exardescet ignis. All’anima
è come il calore al corpo»28.
Preghiera personale e preghiera liturgica
In questa prima parte del nostro sussidio abbiamo voluto accennare anche ad uno dei
possibili motivi della perdita di interesse, nella vita presbiterale e religiosa, della pratica
della meditazione nel periodo che ha seguito la conclusione del Concilio Vaticano II e, in par-
ticolare, la riscoperta della Liturgia come fonte e culmine della vita della Chiesa.
Se è innegabile che le diverse forme dell'orazione metodica sono nate e si sono sviluppate
prevalentemente in alcuni periodi della storia della spiritualità nei quali avevano perso di
rilevanza e di spessore la liturgia e la riflessione teologica sull'esperienza celebrativa, è anche
vero che in nessun caso la riforma liturgica avviata dal Concilio Vaticano II ha voluto smi-
nuire l'importanza della preghiera personale e di tutte le altre espressioni della pietà cristiana.
Hanno scritto i padri conciliari, al numero 12 della Sacrosanctum Concilium: «La vita
25 Le lettere a cui abbiamo fatto riferimento sono reperibili nel secondo volume dell'Epistolario curato da Don
Francesco Motto, rispettivamente alle pagine. 526, 446, 458, 494-5, 407.
26 Il 18 dicembre del 1859, quando viene firmato l’atto di adesione alla Società di S. Francesco di Sales, Francesco
Cerruti ha quindici anni, Luigi Chiapale sedici, Antonio Rovetto diciassette. L’età media di questo primo
gruppo di aderenti, fatta eccezione per Don Bosco e Don Alasonatti, è di meno di ventun anni.
27 Regulae seu Constitutiones Societatis S. Francisci Salesii juxta approbationis decretum die 3 aprilis 1874, Torino
1874, 37.
28 ASC A 225.04.03.

2.2 Page 12

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spirituale non si esaurisce nella partecipazione alla sola liturgia. Il cristiano, infatti, benché
chiamato alla preghiera in comune, è sempre tenuto a entrare nella propria stanza per pre-
gare il Padre in segreto; anzi, secondo l'insegnamento dell'Apostolo, è tenuto a pregare in-
cessantemente».
Molti anni prima, nella Mediator Dei, Pio XII aveva affermato: «Senza dubbio la pre-
ghiera liturgica, essendo pubblica supplica della inclita Sposa di Gesù Cristo, ha una dignità
maggiore di quella delle preghiere private; ma questa superiorità non vuol dire che fra que-
sti due generi di preghiera ci sia contrasto od opposizione. Tutte e due si fondono e si armo-
nizzano perché animate da un unico spirito».
La questione, comunque, non si risolve discutendo sulla maggiore o minore dignità delle
due forme di preghiera, ma a partire dalla convinzione che la preghiera personale, la medi-
tazione, le devozioni e i pii esercizi preparano all’azione liturgica e da essa hanno origine.
La liturgia, infatti, «è il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e, al tempo stesso, la
fonte da cui promana tutta la sua energia» (SC n. 10).
Il cuore della spiritualità liturgica, a cui fa riferimento la lettera apostolica Spiritus et
Sponsa, nel quarantesimo della promulgazione della Sacrosanctum Concilium, non è nell’uso
esclusivo dei mezzi offerti dalla liturgia, ma nella consapevolezza che tutti gli altri mezzi
sono orientati e subordinati ad essa.
In questa prospettiva affermiamo con forza che la quotidiana meditazione è una straor-
dinaria risorsa per valorizzare i testi della liturgia eucaristica e per rendere più efficace ed
autentica la partecipazione ad essa, fonte e culmine della vita di ogni credente.
L'abitudine, poi, di utilizzare il tempo della meditazione per la recita personale dell'Uf-
ficio delle letture, pratica a volte diffusa tra i confratelli, rischia di snaturare, per la lunghezza
e la varietà dei testi proposti, l'identità stessa di questo tempo destinato dalle nostre Costi-
tuzioni alla orazione mentale, ad un familiare, silenzioso intrattenimento con Dio. Sul piano
strettamente giuridico, poi, i due obblighi sono distinti e richiedono, ciascuno per le sue pe-
culiari caratteristiche, energie, modalità e tempi propri.
Valore antropologico della meditazione
Un'ultima riflessione di questa parte introduttiva è dedicata ad una questione fonda-
mentale. Il richiamo iniziale alle nostre Costituzioni, infatti, potrebbe rischiare di inquadrare
il tema della meditazione in una prospettiva giuridica, quella che abbiamo lasciato intravedere
anche nell'ultima parte del paragrafo precedente.
In realtà l'esperienza insegna che se teniamo lo sguardo fisso sull'obbligo, qui come
altrove, rischiamo di perdere di vista il valore e i benefici che scaturiscono da questa sana
abitudine.
«Conservare il silenzio, che strana espressione !? fa dire Bernanos al protagonista del
Diario di un curato di campagna È il silenzio che conserva noi!»29.
La constatazione della perdita di interesse, da parte di alcuni, nei confronti della pra-
tica della quotidiana meditazione non deve tradursi in una moralistica esortazione. Un simile
approccio risulterebbe perdente, perché farebbe leva su di un volontarismo incapace di co-
gliere il significato profondo delle cose e le motivazioni che dovrebbero illuminare il nostro
agire.
29 G. BERNANOS, Diario di un curato di campagna, Milano 1965, 240.

2.3 Page 13

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Il rischio che noi religiosi continuiamo a correre, nei periodici tentativi di fare una re-
visione della nostra vita spirituale, è quello di indulgere ostinatamente verso un’etica dell’ob-
bligo, piuttosto che ricercare le vere motivazioni che dovrebbero sostenere la nostra espe-
rienza umana e spirituale. In altre parole, sembra che a volte facciamo una grande fatica a
chiederci se una cosa “ci fa bene”, ma, piuttosto continuiamo a tormentarci pensando che
abbiamo il dovere di farla”.
L'abitudine, poi, a fare la meditazione in comune, fin dai primi anni dei nostri percorsi
formativi, ha reso probabilmente più difficile la maturazione di convinzioni personali sulla
importanza di considerare la nostra meditazione come una preziosa risorsa, più che come un
dovere. Il risultato è che, nella maggior parte dei casi, quando viene a mancare il sostegno
di un orario comunitario, la pratica dell'orazione mentale personale entra progressivamente in
crisi.
Ci sarebbe da chiedersi, in modo ancora più radicale, se la preghiera nella nostra reli-
gione possa essere considerata un obbligo. Sappiamo che questo accade in altri contesti reli-
giosi, mentre nel cattolicesimo il dovere di pregare, in senso stretto, sembra essere una prero-
gativa dei chierici e dei religiosi. In un recente passato, poi, si cercava di far leva sulla cosid-
detta virtù di religione per mostrare che dalla virtù della giustizia nei confronti di Dio scaturisce
per ogni credente l'obbligo morale di rispettare Dio, "restituendogli" la gloria e l'onore che gli
appartengono.
Comprendiamo oggi che una simile prospettiva è insufficiente a sostenere la nostra
vita di preghiera. Il dialogo e l'intimità tra due persone che si amano dovrebbe scaturire da
un'esigenza profonda, dalla immediatezza di una relazione che va custodita e alimentata da
momenti e tempi opportuni, ma che potrebbe essere addirittura minacciata da rigide regole
e da abitudini non sufficientemente interiorizzate.
I nostri percorsi di formazione iniziale, spesso, mettono in primo piano l'obbligo di ri-
spettare, fin dal primo ingresso nella comunità religiosa, i tempi della preghiera comune e
le sue diverse modalità senza aver lasciato crescere sufficientemente la relazione che dovrebbe
rendere gioioso questo dialogo e senza aver applicato il principio di gradualità che è alla base
di ogni autentica pedagogia alla preghiera; anche la quotidiana preghiera del salterio, nei primi
anni della esperienza religiosa, è spesso imposta senza una adeguata formazione biblica;
sembra che l'importante sia dire (o cantare) delle parole insieme, senza curarsi troppo di
guarire la nostra preghiera vocale coinvolgendo la mente ed il cuore.
L'esercizio periodico della libertà, che sostiene e motiva ogni relazione profonda, po-
trebbe accompagnare la crescita di consapevolezza da parte del giovane confratello della
bellezza e della gratuità di una vita di preghiera che possa sostenere il dono di noi stessi e
rinnovare le motivazioni che sono alla base del nostra scelta di essere religiosi per amore di...
Ci sarebbe qui da appellarsi ad una etica della felicità, cara ad Aristotele come a San
Tommaso, che metta al primo posto la convinzione profonda che la virtù e la felicità abitano
allo stesso indirizzo, o ai temi del magistero di Papa Francesco e ai suoi continui richiami
alla gioia; o, piuttosto, ai numerosissimi studi scientifici, cristiani e non cristiani, che met-
tono in relazione la pratica meditativa con la salute fisica e psicologica, oltre che spirituale.
Si dovrebbe annunciare con forza, anche in un ambito puramente antropologico, che
meditare fa bene e che il compito del cammino di formazione è quello di restituire ad ogni
confratello la consapevolezza del valore e della gioia che scaturiscono dalla preghiera perso-
nale, anziché farne un elemento di verifica o di valutazione.
È questo l'ideale a cui cerchiamo di tendere.

2.4 Page 14

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LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO: Da una circolare di Don Paolo Albera
La circolare dal titolo Don Bosco modello del Sacerdote Salesiano di Don Paolo Albera del 1921 è certamente una
delle più interessanti per «riconoscere» alcuni tratti della spiritualità e della pietà salesiana delle origini. I due
paragrafi centrali di questa lunga lettera, il numero 15 ed il 16, portano rispettivamente il titolo Come dev’essere
la nostra orazione e Metodo per far bene l’orazione.
15. Come dev'essere la nostra orazione
L'orazione, che le Costituzioni ci prescrivono a nutrimento dello spirito, è la mentale, che se-
condo S. Teresa è «una pura comunione d'amicizia, per mezzo della quale l'anima s'intrattiene da
sola a solo con Dio, e non si stanca di manifestare il suo amore a Colui dal quale sa di essere amata»;
e secondo S. Alfonso de' Liguori è «la fornace dove le anime s'infiammano d'amor di Dio». «Se giova,
dice S. Agostino, vivere con uomini saggi, perché dalla loro conversazione c'è sempre da guadagnare;
che dovrà dirsi di coloro che vivono abitualmente in compagnia di Dio?». Noi perciò, miei cari, per
conformarci allo spirito delle Costituzioni, dobbiamo dare all'orazione mentale il carattere di vero
trattenimento intimo, di conversazione semplice ed affettuosa con Dio, sia per manifestargli il nostro
amore, sia anche per venir meglio a conoscere le opere necessarie per la nostra santificazione e per
animarci a praticarle con maggior generosità. Quest'esercizio, preso nel suo significato più largo, è
non solo moralmente necessario alla conservazione della vita spirituale conveniente ad un prete, ma
assolutamente indispensabile al progresso nella vita soprannaturale. Dobbiamo dunque attendere ad
esso con costanza, non lasciandoci scoraggiare dalle difficoltà che possiamo incontrarvi; e possibil-
mente farlo in comune, durante l'intera mezz'ora prescritta.
16. Metodo per far bene l'orazione
Nel far l'orazione mentale seguiamo il metodo appreso durante il noviziato e gli anni della
nostra formazione religiosa, e le norme contenute nel libretto: «Pratiche di pietà in uso nelle Case
Salesiane». Evitiamo di aggravar la mente e il cuore con minute divisioni e suddivisioni: queste cose
intralciano l'opera dello Spirito Santo, e tolgono all'anima la libertà dei movimenti che le è necessaria
per elevarsi a Dio. La nostra meditazione però sia attiva, cioè un vero lavoro delle potenze dell'anima,
che non degeneri tuttavia in arida speculazione, ma limiti l'attività dell'intelletto soltanto alle consi-
derazioni necessarie per muovere la volontà, ed eccitare in essa gli affetti soprannaturali. I maestri di
spirito dichiarano essere dottrina comune dei Santi che a ciascun grado di perfezione corrisponda un
modo speciale d'orazione. Quindi, finché l'anima nostra è assorbita dalle cure e occupazioni esteriori,
per quanto buone siano, fino a tanto che è esposta a gravi pericoli di peccare, e insieme poco esperta
delle cose spirituali, avremo bisogno di molte riflessioni e considerazioni per elevare la nostra mente
e il nostro cuore a Dio, e muovere la nostra volontà a sante e forti risoluzioni. A misura però che la
forza delle passioni va in noi scemando, si fa più vivo il desiderio del progresso spirituale e più ardente
l'amor di Dio, il lavoro dell'intelletto avrà una parte sempre minore nella nostra orazione, mentre
prevarranno i movimenti del cuore, i santi desideri, le domande supplici e le risoluzioni fervorose.
Questa è la cosiddetta orazione affettiva, che è superiore all'orazione mentale, e che a sua volta con-
duce all'orazione unitiva, chiamata dai maestri di spirito orazione contemplativa ordinaria.
Qualcuno forse penserà che un Salesiano non debba mirare tant'alto, e che D. Bosco non abbia
voluto questo dai suoi figli, giacché da principio egli non impose loro neanche la meditazione metodica
in comune. Ma io posso assicurarvi che fu sempre suo desiderio di vedere i suoi figli elevarsi, per
mezzo della meditazione, a quell'intima unione con Dio ch'egli aveva così mirabilmente attuata in se
stesso, a questo non si stancò mai d'incitarci in ogni occasione propizia.

2.5 Page 15

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Suggerimenti e riflessioni generali sul "metodo"
«"Signore, insegnaci a pregare!" (Lc 11,1). I discepoli vogliono pregare, ma non sanno farlo.
Può diventare un grande tormento il voler parlare con Dio senza sapere come, l’esser costretti
al mutismo davanti a lui, il rendersi conto che l’eco di ogni nostra invocazione resta confinata
all’interno del nostro io, che il cuore e la bocca parlano una lingua stravolta, cui Dio non vuole
prestar ascolto. In questa penosa situazione ricorriamo ad uomini che possono aiutarci, che
sappiano qualcosa della preghiera. Se uno che sa pregare ci coinvolgesse, ci consentisse di
partecipare alla sua preghiera, ne avremmo un aiuto! Certamente qui possono aiutarci molto
quei cristiani che hanno già percorso molta strada, ma solo per mezzo di colui che deve aiutare
anche loro e al quale essi ci indirizzeranno, se sono autentici maestri di preghiera, cioè per
mezzo di Gesù Cristo» (Dietrich Bonhoeffer).
La preghiera è dialogo, incontro, scambio di sentimenti. L’iniziativa è sempre di Dio, del
suo Spirito. Nessuno può giungere a questo incontro se Dio non lo “innalza”. «Chi potrà
mai liberarsi esclama San Giovanni della Croce dal suo modo di agire e dalla sua condi-
zione imperfetta, se tu, o Dio mio, non lo sollevi a te in purezza di amore?»30.
La preghiera cristiana, nella sua più profonda espressione non è dunque il risultato di
uno sforzo o di una tecnica umana, quanto piuttosto un dono. Tuttavia questo, come ogni
altro dono della Grazia, richiede una accettazione attiva, una collaborazione all’azione di Dio
in noi. Oltre a ciò, questo dono si “iscrive” nella nostra natura, ne rispetta le leggi fonda-
mentali e i dinamismi.
In quanto atto umano, dunque, la preghiera è “educabile”. Gli stessi Vangeli testimo-
niano questa possibilità; molti sono gli insegnamenti sulla preghiera in essi contenuti.
È possibile, in questa prospettiva, una pedagogia alla preghiera che ci aiuti a giungere
sino "alla soglia del mistero"; il resto è "oltre", è Grazia, è dono dello Spirito.
La storia della spiritualità cristiana, dalle origini ai nostri giorni, è ricca di indicazioni
e insegnamenti sulla preghiera e, più in particolare, sulla meditazione o orazione mentale.
Santi, fondatori, maestri di spirito hanno dato vita a delle scuole di spiritualità, insegnando
anche dei metodi per la preghiera personale profonda.
Il metodo, comunque, non è la preghiera; non è possibile alcun automatismo. Esso
però, nel rispetto delle esigenze della natura umana e delle sue leggi, può presentarsi come
una efficace introduzione alla preghiera, un aiuto, un avviamento; rimane il fatto che, quando
la preghiera, in alcuni momenti della nostra vita, sgorga spontanea e immediata, l'utilizzo
forzato di un metodo diverrebbe addirittura un ostacolo alla preghiera.
È opportuno ripeterlo. Il metodo si iscrive nella concretezza della nostra vita. Il suo
compito fondamentale, la sua stessa natura è quella di aiu-
tarci ad organizzare il tempo della preghiera rispettando i nostri
dinamismi antropologici.
È significativo, a questo proposito, rileggere l'inizio
della nota lettera di Guigo il Certosino all'amico Gervaso.
«Un giorno mentre ero occupato nel lavoro manuale, presi a
riflettere sull’attività spirituale dell’uomo. Allora improvvi-
samente quattro gradini si offersero all’intima mia rifles-
sione e cioè la lettura, la meditazione, l’orazione e la contempla-
zione». Mentre era occupato nel lavoro manuale… È in questo
30 GIOVANNI DELLA CROCE, Orazione dell'anima innamorata, 25.

2.6 Page 16

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contesto pratico, concreto, che si iscrive l'intuizione di Guigo, riconosciuto ideatore del me-
todo della Lectio Divina.
La scelta di un metodo è soggettiva e, nella nostra vita, temporanea, mai definitiva.
«Ogni fedele si afferma nel documento Orationis formas al n. 29 dovrà cercare e potrà
trovare nella varietà e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria
via, il proprio modo di preghiera».
Non esiste, dunque, un metodo che possa essere universale (per tutti) ed immutabile
(per sempre). Ciascuno di noi è chiamato, in modo dinamico, a costruire la propria, personale
pedagogia alla preghiera.
La conoscenza di alcuni dei metodi che la tradizione ci ha consegnato, ci consente co-
munque di conoscere le “regole del gioco” e di scegliere le indicazioni che meglio si coniu-
gano con la nostra situazione attuale o le nostre difficoltà.
Si potrebbe aggiungere, paradossalmente, che la funzione di questi metodi di orazione
mentale è quella di… condurci a fare a meno di un metodo, introducendoci gradualmente in
uno stato di orazione teologale che può segnare la fine di ogni complicazione metodologica.
Scrive a questo proposito San Francesco di Sales nella Introduzione alla vita devota:
«Qualche volta ti potrà capitare di sentirti trascinare dalla commozione immediatamente
dopo la preparazione: in tal caso, Filotea, allenta le briglie e non pretendere di seguire il
metodo che ti ho indicato; è vero che ordinariamente le considerazioni devono precedere gli
affetti e i propositi, ma se lo Spirito Santo ti concede gli affetti prima delle considerazioni,
non devi insistere a voler correre dietro alle considerazioni, visto che hanno il solo scopo di
muovere gli affetti. In breve; in qualunque momento ti si presentano gli affetti, devi acco-
glierli e far loro posto, poco importa se prima o dopo le considerazioni»31
Nella nostra tradizione questo particolare dono carismatico, ricevuto dal fondatore e
invocato quotidianamente, viene definito come unione con Dio. Come ha affermato Don
Luigi Ricceri questo «per noi rimane un vertice, un ideale verso il quale tendere, ma non
ancora pienamente raggiunto; pertanto non ci deve servire di pretesto per privare la nostra
anima di quel solido nutrimento che l'incontro con Dio può darle»32.
Vogliamo ribadire, alla luce di quanto abbiamo fin qui detto, che il metodo non ag-
giunge nulla, dal punto di vista teologico, alla nostra concezione della preghiera, ma rappre-
senta invece, su un altro piano, quello antropologico, un ausilio valido soprattutto nel tempo
ordinario o in quello della aridità, della stanchezza.
Sarebbe impossibile entrare, in breve tempo, nel dettaglio degli innumerevoli metodi di
meditazione che la tradizione della Chiesa ci ha consegnato33 e di quelli che, anche nella storia
più recente, costituiscono il prezioso contributo che fondatori e uomini di spirito propon-
gono, nelle diverse scuole, ai movimenti che da loro hanno avuto origine.
Il nostro compito sarà quello di tracciare semplicemente alcuni principi generali e di
proporre alcuni metodi che riteniamo più confacenti alla nostra spiritualità e coerenti alle
nostre tradizioni, alla sensibilità della Chiesa nel postconcilio e al progresso delle scienze
31 S. FRANCESCO DI SALES, Introduzione alla vita devota, II parte, capitolo VIII.
32 L. RICCERI, La nostra preghiera, Editrice SDB, Roma 1973, 58.
33 Lo strumento più idoneo per conoscere i metodi classici della tradizione cattolica rimane ancora oggi il testo
del Cardinale Giacomo Lercaro (1891-1976) dal titolo Metodi di orazione mentale, pubblicato per la prima volta
a Genova nel 1947 dagli editori Bevilacqua & Solari - Apostolato. Esistono molti testi interessanti e più recenti,
ma meno sistematici; tra gli altri, in lingua italiana, G. COMOLLI, La senti questa voce? Corpo, ascolto, respiro nella
meditazione biblica, Torino 2014; F. JALICS, Esercizi di contemplazione, Milano 2018; S. WELCH, Mindfulness cri-
stiana. 40 semplici esercizi spirituali, Cantalupa 2018; F. LENOIR, Rallenta, ascolta, respira - La meditazione che apre il
cuore al mondo, Milano 2020.

2.7 Page 17

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antropologiche.
I tre momenti fondamentali della meditazione
Un primo tentativo di unificare questi metodi e di ridurli all'essenziale ci porta alla
costatazione che, nella maggior parte dei casi, il tempo della meditazione viene ordinaria-
mente organizzato in tre momenti: preparazione, corpo della meditazione, conclusione:
1. PREPARAZIONE: la preparazione costituisce una sorta di ingresso nella preghiera. Po-
tremmo dire che l'essenza di questo primo momento è costituito dall'acquisizione della
consapevolezza della presenza di Dio. È una sorta di riappropriazione delle nostre energie
interiori, che vengono raccolte nella fiduciosa certezza che qui e ora il Signore vuole
riprendere il suo dialogo di amore con noi.
Nella nostra congregazione è accaduto, in tempi recenti, che questo primo momento
sia stato accompagnato o guidato, nella meditazione comunitaria, da una preghiera
vocale di introduzione alla meditazione; questo potrebbe essere un aiuto alla concen-
trazione, ma in qualche caso rischia di diventare una "delega", una distratta abitudine,
e dunque, paradossalmente, un ostacolo ad un autentico raccoglimento personale.
2. MEDITAZIONE: Il corpo della meditazione rappresenta il cuore dell'esperienza; crediamo
che, alla luce della riflessione conciliare e della tradizione patristica, la Parola di Dio
debba sempre esserne il centro. «Nei libri sacri, infatti si legge nella Dei Verbum al n.
21 , il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra
in conversazione con essi; nella parola di Dio poi è insita tanta efficacia e potenza, da
essere sostegno e vigore della Chiesa, e per i figli della Chiesa la forza della loro fede,
il nutrimento dell'anima, la sorgente pura e perenne della vita spirituale».
Perché la meditazione sia autentica orazione mentale, e non puramente una riflessione in-
tellettuale sui temi della Parola, essa deve aprirsi ad un dialogo, ad una risposta di amore
alla iniziativa di Dio che ci parla; deve introdurci nella preghiera e suggerirci la materia
di questa. «Si ricordino però ribadisce a questo proposito la Dei Verbum che la let-
tura della Sacra Scrittura dev'essere accompagnata dalla preghiera, affinché si stabili-
sca il dialogo tra Dio e l'uomo» (n. 25).
3. CONCLUSIONE: La conclusione è il tempo in cui la efficacia trasformante della Parola di
Dio si incarna nella concretezza del nostro quotidiano itinerario di crescita nella fede
e nell'amore a Dio e ai fratelli. Una nuova consapevolezza, un sentimento vivo di
amore, un proposito (con la dovuta attenzione ad evitare ogni moralismo), un angolo
della nostra vita quotidiana da illuminare…; Francesco di Sales lo chiamava mazzolino
spirituale, mentre nella Lectio Divina è indicato con il nome di actio. «Per preghiera
scrive Don Bosco negli appunti adoperati per le istruzioni degli esercizi del 1870 s'in-
tende tutto ciò che solleva i nostri affetti a Dio. La meditazione al mattino è la prima.
Ciascuno la faccia sempre, ma, scendendo alla pratica, concluda sempre colla risolu-
zione di ricavarne frutto, di evitare un difetto, di praticare qualche virtù»34.
Prima di addentrarci nella presentazione di alcuni metodi per la meditazione o orazione
mentale, ci sembra importante spendere qualche parole sul ruolo che il nostro corpo ha nella
preghiera e nella meditazione in particolare. Anche queste considerazioni, come quelle sul
metodo, non hanno alcuna particolare rilevanza teologica, ma appartengono alla concretezza
di una saggia pedagogia alla preghiera.
34 MB IX, 708.

2.8 Page 18

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Il ruolo del corpo nella preghiera
Nella preghiera è tutto l'uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche
il suo corpo deve assumere la posizione più adatta e consona a questa particolarissima rela-
zione; qualcosa di analogo avviene anche nelle ordinarie relazioni con i nostri fratelli.
La posizione del corpo, inoltre, può esprimere in modo simbolico il contenuto stesso
della preghiera. Il pubblicano della parabola di Lc 12 rimane in piedi e a distanza, esprimendo
la sua orazione con l'umiltà dell'atteggiamento; Stefano, negli Atti degli Apostoli, piega le
ginocchia e grida a gran voce a Dio di non imputare alcuna colpa a coloro che lo stanno lapi-
dando (cfr. At 7, 60). Gesù stesso, nei Vangeli, incarna spesso, con l'atteggiamento del corpo,
la sua preghiera: alzando gli occhi al cielo prega durante l'episodio della resurrezione di Laz-
zaro (cfr. Gv 11,41) o all'inizio della preghiera sacerdotale (cfr. Gv 17,1); si prostra con la
faccia a terra al Getsemani, mentre il suo sudore diventa come gocce di sangue (cfr. Lc 22,44).
Nella nostra tradizione, forse in conseguenza di un certo dualismo antropologico che
ha quasi contrapposto il corpo all'anima, non si è data generalmente grande importanza al
ruolo del corpo nella preghiera e, più in particolare, nella meditazione. Non mancano, co-
munque, nella storia della spiritualità cristiana, insegnamenti e tradizioni che valorizzano il
ruolo del corpo, recuperando le istanze di una antropologia unitaria. Basta citare, a titolo di
esempio, la antica tradizione dei nove modi di pregare di San Domenico (si tratta della descri-
zione delle nove diverse posizioni che il santo assumeva nelle sue orazioni), o le indicazioni
che costantemente Ignazio di Loyola dà a coloro che hanno intrapreso il cammino degli eser-
cizi spirituali ("…entrare nella contemplazione in ginocchio o prostrato per terra o supino
con il volto in alto o seduto o in piedi, sempre alla ricerca di ciò che voglio…" [n. 76]).
In questi ultimi decenni e in alcuni particolari contesti, è cresciuta la consapevolezza
di quanto l'atteggiamento del corpo possa favorire (o ostacolare) la preghiera. Ne è prova la
preoccupazione che ha animato nel 1989 un intervento della Sacra Congregazione per la
Dottrina della Fede dal titolo Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della me-
ditazione cristiana. In questo importante documento, l'unico del post-concilio che sia stato
dedicato unicamente ai temi della preghiera, vengono tracciate le caratteristiche dell'ora-
zione cristiana alla luce della Rivelazione, per poi mettere in evidenza alcuni errori o asso-
lutizzazioni legati ad alcune tecniche o pratiche di meditazione provenienti da altre tradizioni
religiose, che potrebbero esercitare un'attrattiva sull'uomo di oggi.
Nel medesimo tempo, però, il documento affermava, con grande equilibrio, che «l'e-
sperienza umana dimostra che la posizione e l'atteggiamento del corpo non sono privi d'in-
fluenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. È un dato al quale alcuni scrittori
spirituali dell'Oriente e dell'Occidente cristiano hanno prestato attenzione […]. Questi au-
tori spirituali hanno adottato quegli elementi che facilitano il raccoglimento nella preghiera,
riconoscendone al contempo anche il valore relativo: essi sono utili se riformulati in vista
del fine della preghiera cristiana» (n. 26).
Dunque, in definitiva, queste tecniche di rilassamento, di concentrazione, di raccogli-
mento psico-fisico non vengono, in alcun modo, condannate o demonizzate, ma viene messo
in risalto il loro valore strumentale e relativo: «L'amore di Dio, unico oggetto della contem-
plazione cristiana, è una realtà della quale non ci si può "impossessare" con nessun metodo
o tecnica; anzi, dobbiamo aver sempre lo sguardo fisso in Gesù Cristo, nel quale l'amore
divino è giunto per noi sulla croce» (n. 31).
In conclusione proviamo a riassumere alcune indicazioni che riteniamo utili e attuali
in una sana pedagogia alla meditazione:

2.9 Page 19

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- l'esperienza insegna che la posizione e l'atteggiamento del corpo non sono privi d'in-
fluenza sul raccoglimento e la disposizione della persona;
- la scelta della posizione più adatta alla concentrazione è del tutto soggettiva. In gene-
rale, però, possiamo affermare che tale posizione, per essere un aiuto al raccoglimento,
non deve essere né troppo comoda, perché favorirebbe un eccessivo rilassamento,
troppo scomoda, perché ostacolerebbe la concentrazione. In ogni caso la posizione scelta
andrebbe ragionevolmente mantenuta per il tempo della meditazione;
- le tecniche di rilassamento psico-fisico, in particolare quelle che si riferiscono al controllo
del respiro o a forme di vero e proprio training, possono essere un utile aiuto, una in-
troduzione alla meditazione, ma non vanno assolutizzate e dipendono dalla sensibilità
e dalle esperienze pregresse, dal vissuto di ciascuno;
- di particolare importanza è anche la scelta di un ambiente tranquillo e adatto al racco-
glimento. Per qualcuno e in alcuni momenti può essere di aiuto una musica di sotto-
fondo, oppure la penombra dell'ambiente o il profumo dell'incenso, o un'icona o una
candela accesa… Si tratta, anche in questo caso, di elementi relativi, che possono certa-
mente essere un aiuto per alcuni (come un ostacolo per altri…); vale anche qui il prin-
cipio che va evitato ogni automatismo, e che la meditazione è semplicemente, nella sua
essenza, come affermava Santa Teresa d'Avila, pensare a Dio amandolo…
- nella nostra tradizione salesiana la meditazione si fa ordinariamente in comune. Questa
particolare circostanza può costituire un valore aggiunto, perché sostiene la nostra fe-
deltà alle Costituzioni e contribuisce a rafforzare la comunione attraverso una testimo-
nianza vicendevole di fede. Rimane il pericolo, già messo in evidenza, di una routine
che potrebbe non favorire l'autonomia e la maturazione di un personale itinerario alla
preghiera, indebolendo, a lungo andare, la autenticità delle nostre motivazioni.
I criteri adoperati per la scelta dei metodi proposti
Questo sussidio si propone di presentare alcuni metodi che possono essere proposti, an-
cora oggi, alla nostra congregazione e, in particolare, ai novizi e ai giovani confratelli.
La scelta che abbiamo fatto ha alla base alcuni principi, risponde ad alcuni criteri che
riteniamo possano incarnare le esigenze e le caratteristiche dei nostri percorsi formativi e,
nel medesimo tempo, della nostra identità carismatica. Proviamo ad enunciarli:
1. un primo criterio ci sembra vada ricercato nella necessaria sintonia con i progressi
attuali delle scienze teologiche e, in particolare, con la consapevolezza della centralità della Pa-
rola di Dio nella vita di ogni credente. «Le persone consacrate saranno fedeli alla loro mis-
sione nella Chiesa e nel mondo, se saranno capaci di rivedere continuamente se stesse alla
luce della Parola di Dio» (Vita consecrata, n. 85);
2. un secondo criterio può essere considerato la consonanza con la tradizione della no-
stra famiglia religiosa. Il ritorno alle nostre fonti, richiesto dal Concilio come premessa indi-
spensabile per il rinnovamento della vita religiosa, ci permetterà di valorizzare alcune tra-
dizioni spirituali ed alcune indicazioni che possono rivitalizzare la nostra meditazione. A que-
sto proposito può essere interessante sottolineare, con riferimento anche al primo criterio,
che i testi di meditazione dei gesuiti De la Puente e Rodriguez, che per circa un secolo hanno
accompagnato la meditazione dei salesiani, fanno continuo riferimento ai misteri della vita
di Cristo, cosi come emergono dai racconti evangelici;
3. un terzo, irrinunciabile criterio è la fedeltà alle nostre Costituzioni. «Ogni giorno i soci
attenderanno in comune per almeno mezz’ora alla meditazione», si legge nei Regolamenti

2.10 Page 20

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al n. 71; analogamente nel primo testo costituzionale, approvato nel 1874, si leggeva:
«Singulis diebus unusquisque praeter orationes vocales saltem per dimidium horae orationi
mentali vacabit»35. Si dovrebbe, probabilmente, sottolineare più spesso l'avverbio saltem (al-
meno mezz'ora…!). In ogni caso affidiamo a Don Paolo Albera l'esegesi del nostro dettato
costituzionale: «L’orazione, che le Costituzioni ci prescrivono a nutrimento dello spirito
afferma in una sua circolare dal titolo Don Bosco modello del Sacerdote Salesiano - è la mentale,
che secondo S. Teresa è "una pura comunione d’amicizia, per mezzo della quale l’anima
s’intrattiene da sola a solo con Dio, e non si stanca di manifestare il suo amore a Colui dal
quale sa di essere amata" […]. Per conformarci allo spirito delle Costituzioni, dobbiamo dare
all’orazione mentale il carattere di vero trattenimento intimo, di conversazione semplice ed
affettuosa con Dio»36;
4. l'ultimo criterio di cui vogliamo tener conto è la semplicità e l'immediatezza del
metodo. È un criterio relativo, che nasce dal buon senso, ed anche dalla convinzione che una
struttura eccessivamente articolata può diventare un ostacolo, anziché un aiuto, nel breve
tempo previsto dalle nostre Costituzioni per questa pratica di pietà.
35 «Ogni socio, oltre alle orazioni vocali, concederà ogni giorno non meno di mezz'ora all'orazione mentale».
36 P. ALBERA, Lettere circolari ai salesiani, Torino 1922, 443.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO. Da una circolare di Don Luigi Ricceri
Risale al 1973 questa appassionata lettera del Rettor Maggiore Don Luigi Ricceri dal titolo La nostra preghiera
(ACS n. 269). Il contesto è quello del Capitolo Generale Speciale, il primo celebrato dopo la conclusione del Con-
cilio Vaticano II, e della beatificazione di Don Michele Rua. Si tratta di una circolare scritta "con autorità", di
una parola forte sul tema vitale della preghiera, scritta alla luce dei dati raccolti nella Relazione generale sullo
stato della Congregazione preparata per l'apertura del CG XXI. La crisi e le molte defezioni di quegli anni trovano
così una chiave di lettura nelle gravi e profonde deficienze della vita di preghiera dei confratelli. Le cause di
questa carenza, secondo Don Ricceri, affondano le radici nel periodo della prima formazione, dove spesso si è
verificato un vuoto nella pedagogia della preghiera, aggravato da convinzioni inesatte sul ruolo della preghiera nella
vita salesiana.
Gravi e profonde si presentano le deficienze nella linea della preghiera personale: diserzione o
abbandono totale, in molti casi, della meditazione, della lettura spirituale; lo stesso si dica della visita
al Santissimo, del Rosario, ecc. In altri casi si deve lamentare lo svuotamento della meditazione come
«orazione mentale» attraverso la sua sostituzione arbitraria con forme diverse, magari all’insegna
della novità, ma che non sono affatto vera preghiera. Impoverimento apostolico del lavoro, fatto a volte
soltanto «professionalmente», senza intenzionalità e proiezione apostolica.
Potrei aggiungere altre constatazioni. La dolorosa sintesi di tutto però è qui: si prega poco e
male. Un Ispettore fotografava così la situazione della sua Ispettoria: «Una certa assenza di Dio nei
nostri discorsi e nelle nostre azioni. Una fede ferita. Cuori stanchi o eccitati. Insufficiente spazio di
pace e di calma per la preghiera e la gioia. Le motivazioni del nostro agire difettano di radici evange-
liche e di forza. Ci manca troppo l’interiorità». In queste sincere e coraggiose constatazioni forse pos-
sono vedersi rispecchiati non pochi confratelli.
Le cause sono molteplici.
Dinanzi al quadro abbozzato sopra, viene naturale una domanda: quali sono le cause di questa
situazione? Sono molte e convergenti, seppure di natura diversa. Alcune hanno radici molto lontane,
complesse, non facilmente rilevabili, poiché si tratta in buona parte di una realtà interiore che si iden-
tifica con la storia intima della vita spirituale di ognuno.
Ci sono quelle di indole generale dipendenti dall’ambiente sociologico, dal cambio di cultura, da
correnti di pensiero, specialmente attorno alla concezione dell’uomo e del mondo, da certe ipotesi o
tesi teologiche o pseudo-teologiche accettate acriticamente, almeno di fatto. Altre invece hanno più
diretta attinenza alla nostra Congregazione, come ad esempio i notevoli cambiamenti nel campo pa-
storale-educativo, i diversi e nuovi ritmi della vita comunitaria, oppure la mancanza reale di uno
«spazio» di tranquillità per il raccoglimento e il dialogo con Dio.
Non poche cause affondano le radici nel lontano periodo della formazione, dove sovente si può
constatare che c’è stato un reale vuoto nella pedagogia della preghiera, aggravato in seguito dal nostro
genere di vita eminentemente attivo e dalle idee molto approssimative e inesatte sul ruolo della pre-
ghiera nella vita salesiana.

3.2 Page 22

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I metodi proposti per la meditazione
«La preghiera cristiana è sempre determinata dalla struttura della fede cristiana, nella quale
risplende la verità stessa di Dio e della creatura. Per questo essa si configura, propriamente
parlando, come un dialogo personale, intimo e profondo, tra l'uomo e Dio. Essa esprime
quindi la comunione delle creature redente con la vita intima delle Persone trinitarie. In questa
comunione, che si fonda sul battesimo e sull'eucaristia, fonte e culmine della vita della chiesa,
è implicato un atteggiamento di conversione, un esodo dall'io verso il tu di Dio. La preghiera
cristiana, quindi, è sempre allo stesso tempo autenticamente personale e comunitaria. Rifugge
da tecniche impersonali o incentrate sull'io, capaci di produrre automatismi nei quali l'orante
resta prigioniero di uno spiritualismo intimista, incapace di un'apertura libera al Dio trascen-
dente. Nella chiesa la legittima ricerca di nuovi metodi di meditazione dovrà sempre tenere
conto che a una preghiera autenticamente cristiana è essenziale l'incontro di due libertà, quella
infinita di Dio con quella finita dell'uomo»37
Afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2707: «I metodi di meditazione sono
tanti quanti i maestri spirituali. Un cristiano deve meditare regolarmente, altrimenti rasso-
miglia ai tre primi terreni della parabola del seminatore (cfr. Mc 4,4-7.15-19). Ma un metodo
non è che una guida; l'importante è avanzare, con lo Spirito Santo, sull'unica via della pre-
ghiera: Cristo Gesù».
Abbiamo scelto di presentare alcuni di questi metodi che la storia della spiritualità ci
ha consegnato dividendoli in due grandi gruppi: esistono dei metodi semplici, di immediata
comprensione ed utilizzo, che possono essere adoperati senza particolari complicazioni, e
dei metodi strutturati, con uno schema più complesso, articolato, che contiene numerose
suddivisioni e fasi.
1. METODI SEMPLICI
Questi primi metodi, dunque, non richiedono una complessa organizzazione del tempo
della meditazione. Alcuni possono anche essere considerati come propedeutici ad un metodo
più articolato o anche come parte di esso.
Questo non deve far credere, comunque, che questi metodi semplici siano anche facili,
perché in alcuni casi richiedono un cuore da fanciullo e una buona abitudine alla concentra-
zione e alla consapevolezza dell'obiettivo fondamentale di ogni pratica meditativa, che ri-
mane sempre una introduzione alle soglie del Mistero.
Scrive Don Bosco stesso nel suo Il Cattolico Provveduto: «Pregare vuol dire innalzare il
proprio cuore a Dio, e intrattenersi con lui per mezzo di santi pensieri e devoti sentimenti.
Perciò ogni pensiero di Dio e ogni sguardo a lui è preghiera, quando va congiunto ad un
sentimento di amore […]. Il pregare è perciò cosa assai facile. Ognuno può in ogni luogo, in
ogni momento sollevare il suo cuore a Dio per mezzo di pii sentimenti. Non sono necessarie
parole ricercate e squisite, ma bastano semplici pensieri accompagnati da devoti interni af-
fetti. Una preghiera che consista in soli pensieri, per esempio in una tranquilla ammirazione
della grandezza ed onnipotenza divina, è una preghiera interna, o meditazione, oppure con-
templazione. Se si esterna per mezzo di parole si chiama preghiera vocale. Sia l’una che
l’altra maniera di pregare deve essere cara al cristiano, che ama Iddio. Un buon figlio pensa
volentieri al proprio padre, e sfoga con Lui gli affetti del proprio cuore»38.
37 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Alcuni aspetti della meditazione cristiana, 15 ottobre 1989, n. 3.
38 G. BOSCO, Il Cattolico Provveduto per le pratiche di pietà, Torino 1868, 2-3.

3.3 Page 23

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Ripetizione semplice
Sono molte le tradizioni spirituali che fanno ricorso alla ripetizione di una parola o di
una frase per favorire la concentrazione e, nelle grandi religioni, la preghiera. Nello yoga o
nella meditazione trascendentale si raccomanda l'uso di un mantra (dalle radici sanscrite man,
che sta per “mente” e tra, che significa “proteggere”) per concentrare e liberare le energie
interiori da ogni distrazione; ma, lo ribadiamo, il punto di arrivo della meditazione cristiana
non è "svuotare la mente" (no pensar nada), ma pensare a Dio amandolo (Santa Teresa) 39.
Nella tradizione cristiana dei secoli scorsi era spesso raccomandato l'uso delle giacula-
torie, vera sintesi tra orazione vocale e orazione mentale ed efficace strumento per acquisire
l’abitudine al costante pensiero di Dio. Le nostre prime Costituzioni le indicano come una
opportunità nel caso in cui, per ragioni di ministero, non si possa fare la meditazione in co-
mune: «Ciascheduno si legge al n. 3 del capitolo sulle Pratiche di pietà del testo del 1875 ,
oltre le orazioni vocali, farà ogni giorno non meno di mezz'ora di orazione mentale, ad ec-
cezione che ne sia impedito dal sacro ministero. Nel qual caso supplirà colla maggior fre-
quenza di giaculatorie, indirizzando a Dio con gran fervore di affetto quei lavori, che lo
impediscono dagli ordinari esercizi di pietà».
In concreto, dopo l'introduzione alla meditazione si potrebbe scegliere una o più invoca-
zioni contenute nella liturgia del giorno (nel salmo responsoriale o nelle letture) e ripeterla
silenziosamente con la mente ed il cuore attenti al Mistero… Non si tratta, dunque, di una
ripetizione puramente meccanica di una preghiera, ma di una interiorizzazione che, nel mede-
simo tempo, può raccoglierci e consegnarci ad una semplice e profonda intimità.
Al termine della mezz'ora si può concludere nel modo solito (Preghiera di affidamento a
Maria Ausiliatrice).
Molti maestri di spirito suggeriscono di legare questa ripetizione al ritmo del respiro.
Lo stesso Sant'Ignazio nei suoi Esercizi propone: «Ad ogni anelito o respiro si prega mental-
mente dicendo una parola del Padre nostro o di un'altra preghiera che si vuole recitare; così,
tra un respiro e l'altro, si pensa principalmente al significato di quella parola»; insegnamento
ripreso anche da Don Barberis nel suo Vade mecum: «Si può prendere utilmente per soggetto
della meditazione la formula d'una preghiera che si sa a memoria, per esempio il Pater, l'Ave
Maria, gli atti di Fede. In tal caso si recita una di queste preghiere, fermandosi qualche tratto
su ogni parola a riflettere, per penetrarne il senso e nutrirne l'anima. Facendo così ti passa
la mezz'ora di meditazione, anche col solo scorrere il Pater noster»40.
Per le possibili, ordinarie distrazioni vale un principio generale: è sufficiente ritornare
dolcemente al versetto o alla invocazione scelta.
Una delle particolari applicazioni della ripetizione semplice può essere considerata la
tradizionale preghiera della comunità di Taizé. I canti che ritmano i tre appuntamenti quo-
tidiani sono semplici, formati da una sola frase ripetuta a lungo, spesso in lingue diverse,
tratta da salmi o passi biblici, con andamento sillabico (una sillaba per ogni nota). Sono mo-
duli estremamente orecchiabili, sempre incisivi, spesso armonizzati in più voci; per questo,
favoriscono l'interiorizzazione e la preghiera profonda.
39 Era questa la concezione della meditazione del francescano Francisco de Osuna, a cui si oppose Teresa d'A-
vila. La meditazione cristiana non consiste nel non pensare a nulla, ma nel pensare a Dio amandolo.
40 G. BARBERIS, Vade mecum dei giovani salesiani, Torino 1931, 1176.

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La preghiera di Gesù o preghiera del cuore (esicasmo)
Tra le ripetizioni semplici, quella certamente più diffusa ha origine nell'oriente cristiano
ed è conosciuta come Preghiera di Gesù o Preghiera del cuore. Divulgata da Evagrio Pontico
(IV sec.) e da altri maestri spirituali come Giovanni Climaco (VI sec.), la pratica dell'esicasmo
(dal greco hesychia che vuol dire quiete, pace), è ancora viva nella tradizione ortodossa, ma si
è diffusa, nel secolo scorso, anche in molti ambienti cattolici.
Consiste nella ripetizione incessante della formula Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi
pietà di me peccatore, che viene divisa in due dal ritmo del respiro (inspirazione: Signore Gesù
Cristo Figlio di Dio; espirazione: abbi pietà di me peccatore…). La preghiera è spesso ritmata
con l'ausilio di un particolare rosario di lana o di corda, generalmente con cento nodi, detto
komboskini. La leggenda narra che sia stato Sant'Antonio Abate, ispirato da una visione della
Madre di Dio, ad inventare il modo di fare i nodi di questo rosario ortodosso.
Tale preghiera è stata resa celebre in Europa, nel secolo scorso, dalla pubblicazione dei
Racconti di un pellegrino russo di un anonimo del XIX secolo. L'esordio di questi Racconti è
particolarmente suggestivo: «Per grazia di Dio io sono un uomo e cristiano, per azioni gran
peccatore, per vocazione un pellegrino senza terra della specie più misera, sempre in giro
di paese in paese. Per ricchezza ho sulle spalle un sacco con un po’ di pane secco, nel mio
camiciotto la santa Bibbia e basta. La ventiquattresima domenica dopo la Trinità sono en-
trato in chiesa per pregare mentre si recitava l’Ufficio; si leggeva l’Epistola dell’Apostolo ai
Tessalonicesi, in quel passo dove è detto: "Pregate senza posa". Quella parola penetrò pro-
fondamente nel mio spirito, e mi chiesi come sarebbe stato possibile pregare senza posa dal
momento che ognuno di noi deve occuparsi di tanti lavori per sostenere la propria vita».
Una delle descrizioni più dettagliate della "preghiera del cuore"41 è contenuta in uno
scritto anonimo, probabilmente opera di un monaco del Monte Athos, Niceforo il Solitario
(XIV sec.). «Posa il tuo mento sul petto scrive Niceforo nel suo Metodo della preghiera , sii
attento a te stesso con la tua intelligenza e i tuoi occhi sensibili. Trattieni il respiro il tempo
necessario perché la tua intelligenza trovi il luogo del cuore e vi resti integralmente. All'ini-
zio tutto ti sembrerà tenebroso e molto duro, ma col tempo e con l'esercizio quotidiano sco-
prirai in te una gioia continua».
Per queste sue caratteristiche e secondo la terminologia del documento Alcuni aspetti
della meditazione cristiana, questo metodo può essere definito come psico-fisico; quest'ultimo
aspetto, comunque, è inessenziale al metodo e dipende dalla sensibilità di ciascuno.
Anche il Catechismo della Chiesa Cattolica fa riferimento alla Preghiera di Gesù. «Questa
invocazione di fede si legge al n. 2667 estremamente semplice è stata sviluppata, nella
tradizione della preghiera, sotto varie forme in Oriente e in Occidente. La formulazione più
abituale, trasmessa dai monaci del Sinai, di Siria e dell'Athos, è l'invocazione: “Gesù, Cristo,
Figlio di Dio, Signore, abbi pietà di noi, peccatori!”. Essa coniuga l'inno cristologico di Fil 2,
6-11, con l'invocazione del pubblicano e dei mendicanti della luce [cfr. Mc 10,46-52; Lc 18,13].
Mediante essa il cuore entra in sintonia con la miseria degli uomini e con la misericordia del
loro Salvatore».
Nella tradizione ortodossa la ripetizione della Preghiera di Gesù non è soltanto un me-
todo per la meditazione quotidiana, ma apre gradualmente il cuore dell'orante alla preghiera
continua, secondo l'indicazione di Paolo ai Tessalonicesi: «Pregate incessantemente, in ogni
41 Notiamo qui che l'espressione "preghiera del cuore" viene adoperata in altri contesti e da altre tradizioni
spirituali con un significato diverso, in molti casi col significato più generico di "orazione affettiva".

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cosa rendete grazie» (1 Tess 5,17-18). È quella grazia di unità che viene quotidianamente in-
vocata, nella nostra tradizione recente, nella Preghiera di affidamento a Maria Ausiliatrice: «In-
segnaci, tu che sei stata la Maestra di Don Bosco, a imitare le sue virtù, in particolare l’unione
con Dio…».
Composizione vedendo il luogo (Sant'Ignazio di Loyola)
La composizione vedendo il luogo costituisce forse l'elemento più caratteristico della pe-
dagogia ignaziana alla preghiera.
Essa consiste nel portarsi, con l’ausilio dell'immaginazione e mediante la applicazione dei
sensi spirituali, all’interno della scena del Vangelo che stiamo contemplando. Lasciamo al
santo basco di descriverci questo cammino interiore: «Il primo punto è vedere le persone con
la vista immaginativa, meditando e contemplando in particolare le circostanze in cui si tro-
vano, e ricavando qualche frutto da tale vista. Il secondo, udire con l’udito quello che dicono
o possono dire e riflettendo in se stesso ricavarne qualche frutto. Il terzo, odorare e gustare,
con l’odorato e con il gusto, l’infinita soavità e dolcezza della divinità, dell’anima e delle sue
virtù e di tutto, secondo la persona che si contempla; riflettere in se stesso e ricavarne frutto.
Il quarto, toccare con il tatto, per esempio abbracciare e baciare i luoghi dove tali persone
camminano e siedono; sempre procurando di ricavarne frutto»42.
Lo scopo della composizione vedendo il luogo è dunque quella di “collocare” l’orante nel
cuore dell’episodio evangelico, suscitando in lui emozioni e sentimenti che gli permettano di
ricavarne un frutto spirituale. Il ruolo della immaginazione si spinge oltre: l’orante viene invi-
tato a trovare anche un suo posto, un suo ruolo nella storia che contempla. Scrive ad esempio
Ignazio, in relazione alla contemplazione della Natività nella seconda settimana degli Esercizi: «1.
Il primo punto è vedere le persone: vedere cioè nostra Signora e Giuseppe e l’ancella e il
bambino Gesù, dopo che è nato; 2. facendomi io poverello e indegno servitorello che li
guarda, li contempla e li serve nelle loro necessità come se fossi presente a, con ogni possi-
bile rispetto e riverenza; 3. e dopo riflettere in me stesso per ricavare qualche frutto».
La facoltà della immaginazione diviene così fantasia creativa, sempre al solo scopo di su-
scitare in chi medita la consapevolezza di un evento che non è lontano nel tempo, ma che
avviene per me e di generare in lui sentimenti di amore e di gratitudine, di autentica e pro-
fonda partecipazione interiore. «Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima aveva scritto
Ignazio nella seconda annotazione dei suoi Esercizi ma il sentire e gustare le cose interna-
mente».
Una parola sul ruolo della immaginazione nella meditazione
Questo metodo per la meditazione o contemplazione dei misteri della vita di Gesù non
costituisce una novità nella storia della Chiesa, ma si inserisce in una corrente spirituale che
prende le mosse dalle riflessioni di Bernardo di Chiaravalle e di San Bonaventura43.
Ignazio, in modo provvidenziale, venne a contatto con questa tradizione spirituale at-
traverso la Vita Christi di Ludolfo di Sassonia44, durante la sua convalescenza a Loyola. Ha
scritto Luigi Tucillo in un interessantissimo articolo dal titolo La scena della passione tra visio
42 IGNAZIO DI LOYOLA, Esercizi spirituali, nn. 122-125.
43 Cfr. ibidem, nn. 179-188.
44 Altri nomi illustri potrebbero essere citati, oltre a quello Ludolfo, come Vincenzo Ferrer († 1419) o Tommaso
da Kempis († 1471).

3.6 Page 26

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e actio nella letteratura meditativa e nell’arte tardomedievali: «Ciò che distingue l’opera di Lu-
dolfo è lo straordinario coinvolgimento fisico cui è chiamato il lettore all’interno degli epi-
sodi: egli adotta una prospettiva interna alla scena, si cala fisicamente nello spazio e agisce
in prima persona. Ad esempio, quando, a casa di Anna, Gesù è circondato dai suoi nemici,
il devoto è invitato ad avvicinarsi al suo Maestro e a sedersi accanto a Lui. Analogamente,
durante la flagellazione, nel momento in cui Cristo è rappresentato in un fiume di sangue,
chi medita è spinto a gettarglisi addosso: lo tocca, lo abbraccia e riceve su di sé i flagelli
destinati al Condannato. Egli fa sentire la sua presenza fisica, si fa attore, co-protagonista
degli eventi, compagno di Gesù e quasi una sua controfigura»45.
Sullo stesso tema Giovanni De Caulibus († 1376) nel suo Meditationes vitae Christi
scrive: «Se vuoi profittare di queste meditazioni, renditi presente alle parole e alle azioni del
Signore Gesù, che si trovano riportate, come se tu lo sentissi con le tue orecchie e lo vedessi
con i tuoi occhi, con tutto il fervore del tuo spirito, con diligenza, con gioia, e lungamente»46.
Il metodo della composizione vedendo il luogo si presta ad essere utilizzato nella medita-
zione dei racconti evangelici. Scrive Don Giulio Barberis nel suo Vade mecum dei giovani sa-
lesiani: «Sant'Ignazio c'insegna anche a fare in certe circostanze l'applicazione dei cinque
nostri sensi, aiutando con la nostra immaginazione la debolezza dello spirito nostro. Ciò si fa
rimovendo i nostri sensi da ogni sensazione terrena, e immaginandoci di vedere con gli occhi
la bellezza del celeste sposo e di quanto stiamo meditando; di assaporare col palato il cibo
spirituale delle sue parole; di udire la dolcezza della sua voce colle orecchie; di sperimentare
la soavità dei suoi profumi coll'odorato; e col tatto la felicità dei suoi amplessi. E così tutte le
potenze nostre occuparle del Signore o dei misteri che meditiamo»47.
In molti altri casi il nostro primo maestro dei novizi suggerisce ai giovani salesiani di
ricorrere alla immaginazione per rendere viva la fiamma della vita spirituale. «Guarda il taber-
nacolo scrive ad esempio , e immaginati che veramente Gesù da esso ti osservi. Egli è là
vivo e vero, col suo cuore ardente di amore per noi, e che si dispone a farti maggiori o minori
grazie secondo il maggiore o minor impegno che porrai nel far bene la meditazione. Oh!
immaginati proprio di vedere Gesù con gli occhi tuoi: immaginati che egli tenga gli occhi suoi
per tutto il tempo della meditazione sopra di te: allora la meditazione ti riuscirà certamente
bene […]. Guarda il crocifisso e concentrati in te stesso, immaginati di vedere realmente Gesù
in croce, mentre è in agonia per immensi spasimi che soffre e che volga gli sguardi a te, e
trovi qualche sollievo se tu fai con gran devozione la meditazione, mentre gli si aggiunge-
rebbero nuovi dolori ai tanti che già soffre, se ti vedesse distratto e freddo nel meditare»48.
Può costituire un motivo di interesse e di ricerca lo studio di alcune tecniche, utilizzate
in ambito psicologico, che valorizzano il ruolo terapeutico che può essere attribuito all’uti-
lizzo della cosiddetta immaginazione creativa49. Un’altra tecnica psicologica che può essere,
per alcuni aspetti, accostata alle riflessioni fatte è quella dello psicodramma50.
45 L. TUCILLO, La scena della passione tra visio e actio nella letteratura meditativa e nell’arte tardomedievali, in
www.academia.edu/26145843/ (09/01/2020).
46 Ibidem.
47 G. BARBERIS, Vade mecum dei giovani salesiani, Torino 1965, 1195-1196.
48 Ibidem, 1194-1195. Nell'originale si legge figurati; abbiamo preferito il verbo equivalente immaginati.
49 La bibliografia su questo tema è molto nutrita. Segnaliamo, tra gli altri volumi: N. DEL LONGO, La rêverie in
psicoanalisi. Immaginazione e creatività in psicoterapia, Milano 2018; F. PRESUTTI, Educazione alla creatività e alla
immaginazione, ISPEF 2015; P. RICE, L' immaginazione costruttiva, Milano 2012.
50 L’inventore dello psicodramma è Jacob Moreno, psichiatra, il quale sviluppò questo metodo nei primi anni
del ‘900. (Cfr. J. LEVI MORENO, Principi di sociometria, psicoterapia di gruppo e sociodramma, Milano 1980).

3.7 Page 27

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Anche in ambito cristiano alcuni autori51 affermano il grande valore di alcune immagini
bibliche che possono conferire al nostro agire una profondità nuova, aprire nuove prospet-
tive, dischiuderci la ricchezza della nostra vita interiore. Ha scritto Eugen Kästner: «La ve-
rità vuole avere una casa. E non può abitare se non nell’immagine, nella parola, nella poesia.
Solo allora è collegata con la terra, soffre, gioisce; solo allora può crescere e fiorire. Le im-
magini sono finestre… Nelle immagini c’è la chiamata dell’alto per tutte le cose. Nell’imma-
gine, nella parabola tutto è concatenato con anelli d’oro lucente. La metafora è l’amore tra
le cose; tutto è tenuto insieme mediante la rappresentazione»52.
Se ci lasciamo coinvolgere da alcune di queste immagini di guarigione, esse produrranno
in noi degli effetti e modificheranno il nostro essere e il nostro comportamento, senza nem-
meno bisogno di passare attraverso dei propositi concreti; agendo sull’inconscio, queste rap-
presentazioni possono modificare anche i presupposti del nostro operare.
Non si tratta, dunque, di un gioco fine a se stesso, ma di un coinvolgimento affettivo al
di dentro della pagina evangelica, da cui può scaturire una conversione del cuore.
Mira que te mira (Santa Teresa d'Avila)
Anche questo antico metodo fa ricorso alla immaginazione dell'orante.
Osservalo mentre ti guarda… Il metodo consiste nell'immaginare la seconda persona
della Santissima Trinità dinanzi a noi, con l'aiuto dei sensi spirituali e poi fermarsi ad analiz-
zare il suo sguardo, per sentirne i benefici influssi sulla nostra vita.
Così Teresa esorta le sue sorelle ne Il cammino di perfezione: «Non vi chiedo di concen-
trare il vostro pensiero su di lui, né di fare molti ragionamenti né profonde e sublimi consi-
derazioni con la vostra mente, vi chiedo solo di guardarlo. E chi può impedirvi di volgere
gli occhi della vostra anima, anche solo per un attimo, se non potete di più, a lui?» (26,3). E
nella sua autobiografia, che Maria Mazzarello leggeva e rileggeva a Mornese alle giovani
del laboratorio, scrive: «Chi l’ha cominciata [l’orazione] non la lasci; e chi non l’ha comin-
ciata, io lo scongiuro per amor di Dio a non privarsi di tanto bene; se persevera io spero
nella misericordia di quel Dio che nessuno ha mai preso invano come amico; giacché l’ora-
zione mentale non è altro per conto mio che un trattare con amicizia, intrattenendosi
molte volte da soli con Chi sappiamo che ci ama» (Vita 8,5).
Come gli altri metodi semplici anche questo richiede un cuore di fanciullo e coinvolge
gli affetti; ma, molto al di là di un vuoto sentimentalismo, un tale coinvolgimento esige, ancora
una volta, di diventare operativo, di trasformare la nostra vita.
La religiosità del nostro secolo rischia di dimenticare questa componente affettiva, di
essere molto intellettuale; eppure sono proprio i sentimenti che muovono la volontà ed anche
l'intelligenza, che rendono vivo il desiderio di conoscere più in profondità l'Amato. Forse è
proprio questo coinvolgimento affettivo che è venuto a mancare nella esperienza spirituale di
molti religiosi e religiose in questi ultimi decenni. Scriveva Antonio Rosmini nel suo Le cin-
que piaghe della Chiesa: «La predicazione e la liturgia erano ne' più bei tempi della Chiesa le
due grandi scuole del popolo cristiano. La prima ammaestrava i fedeli colle parole, la se-
conda colle parole insieme e coi riti»53.
51 Citiamo, tra gli altri il benedettino Anselm Grün e la sua ricchissima produzione letteraria e, in particolare:
A. GRÜN, La forza terapeutica delle immagini interiori. Attingere a sorgenti fresche, Brescia 2012; ID., Scoprire la ric-
chezza della vita. Immagini bibliche per una cura d'anime che guarisce, Brescia.
52 E. KÄSTNER, Die Stundertrommel vom Heiligen Berg Athos, Wiesbaden 1956, 104-105.
53 A. ROSMINI, Delle cinque piaghe della Santa Chiesa, Rizzoli, Milano 1996, 33.

3.8 Page 28

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Questi due fondamenti della esperienza cristiana, afferma Rosmini, erano "completi":
non si rivolgevano, infatti, solo all'intelligenza o al ragionamento, ma a tutto l'uomo. «Non
erano delle voci scrive che si facessero intendere alla sola mente, o de' simboli che non
avessero altra potenza che sui sensi; ma sia per la via della mente, sia per quella de' sensi, le
une e gli altri ungevano il cuore, e infondevano nel cristiano un sentimento alto su tutto il
creato, misterioso e divino; il qual sentimento era operativo, onnipossente come la grazia che
lo costituiva»54.
Esame del giorno che verrà
Si tratta di una sorta di esame preventivo, alla luce della Parola di Dio del giorno, adatto
alla meditazione del mattino.
Dopo un'introduzione comunitaria e personale, che rappresenti un vero ingresso nella
preghiera, si legga con attenzione la liturgia del giorno. Quindi, partendo dal momento pre-
sente, si cerchi di pensare alla giornata che è appena iniziata, agli impegni che ci aspettano,
alle persone che incontreremo, ai singoli eventi che, con ogni probabilità, ci accadranno, alla
celebrazione eucaristica, ai viaggi, ai pasti, alle situazioni ordinarie che ci attendono.
Si tratta, innanzi tutto, di osservare, in clima di preghiera, ciascuno di questi avveni-
menti, di considerarli nella loro concretezza, anche alla luce delle esperienze fatte nei giorni
o nelle situazioni precedenti.
Quindi proveremo a spostare la attenzione, più in particolare, su ciascuna delle per-
sone che incontreremo, su quelle che fanno parte della nostra storia quotidiana (confratelli,
giovani, collaboratori…), in particolare sulle relazioni più difficili o problematiche.
Rinnovando la nostra consapevolezza della presenza dello Spirito nel tempio di ogni
cuore, proviamo a illuminare ciascuna di queste relazioni, alla luce anche della Parola del
giorno, a prevedere le difficoltà che incontreremo, a chiedere allo Spirito di suggerirci, fin da
adesso, le parole da dire e i gesti da compiere, affinché le nostre relazioni possano essere
nuove e significative; impariamo ad affidare a Dio, fin dal mattino, uno per uno i nostri
compagni di viaggio e lasciamoci suggerire dallo Spirito la maniera migliore per servirli e
amarli, o, se fosse necessario, per sopportarli e non offenderli.
Concludiamo con una invocazione allo Spirito Santo perché ci assista nel giorno che
verrà e ci aiuti ad essere un buon regalo, una benedizione per coloro che incontreremo.
Suggerisce San Francesco di Sales nel capitolo X della seconda parte della Introduzione
alla vita devota, dal titolo Esercizio del mattino: «Tu sai bene che il giorno presente ti è concesso
perché tu possa acquistare quello futuro nell’eternità; a questo fine farai un fermo proposito
di spendere bene la giornata. Cerca di prevedere gli affari, gli incontri, le situazioni in cui ti
troverai nel corso della giornata, per servire Dio, e quali tentazioni potranno sopraggiungere
per offenderlo: a causa della collera, della vanità o di qualche altra mancanza di controllo;
e, con un fermo proposito, preparati a impiegare bene i mezzi che ti saranno offerti di servire
Dio e progredire nella devozione; per contro, preparati a evitare, o combattere e vincere,
tutto ciò che potresti incontrare e che sia contro la tua salvezza e la gloria di Dio».
54 Ibidem.

3.9 Page 29

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LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO: Da una circolare di Don Egidio Viganò
In un contesto storico in cui parecchi confratelli avvertivano una particolare attrazione verso alcuni nuovi
movimenti ecclesiali, Don Viganò scrive nel 1991 la lunga circolare Carisma e preghiera (ACS n. 338), dove riba-
disce la ricchezza della spiritualità di Don Bosco e afferma con decisione che «per riflettere sulla preghiera
dobbiamo trasferirci prima e più in là dei carismi». «Per parlare adeguatamente della preghiera infatti –, c ’è
da rifarsi anzitutto all’atteggiamento orante di Cristo». Alla luce di alcune riflessioni di S. Francesco di Sales,
Don Viganò ribadisce la convinzione che carisma del nostro fondatore e preghiera salesiana costituiscono
un’unità vitale, così che nessuno dei due aspetti ha senso senza l’altro. Il riferimento alla contemplazione è cer-
tamente in linea con il magistero dei suoi predecessori.
L'autenticità della preghiera è radicata, come inizio primo di risposta, in un 'esperienza perso-
nale di Dio: pensiamo, per es., a Mosé davanti al roveto ardente. Si tratta di un atteggiamento di
scoperta e quasi di sorpresa. È il Signore che dice: «Ascoltate, io sto alla porta e busso. Se uno mi
sente e mi apre, io entrerò e ceneremo insieme, io con lui e lui con me» (Ap 3,20).
Questo atteggiamento di attento ascolto si rivela particolarmente fecondo nella forma di pre-
ghiera che chiamiamo "orazione mentale", alla quale i grandi Santi del cinquecento spagnolo hanno
dato la forma più compiuta.
L'orazione mentale non è affatto un esercizio riservato ai monaci e agli eremiti, ma è il fonda-
mento stesso di ogni preghiera; infatti la fede è innanzitutto ascolto. Non c'è preghiera - come non
c'è vita di fede - senza l'intervento della coscienza e della libertà di ognuno.
La nostra stessa esperienza conferma che i momenti, spesso più intensi, della preghiera sono
quelli dell'interiorità personale: quelli della meditazione più che dei sentimenti; quelli del silenzio più
che della loquacità; quelli della contemplazione più che dei ragionamenti; infatti: «la Parola di Dio è
viva ed efficace. È più tagliente di qualunque spada a doppio taglio» (Eb 4,12). «Tu quando vuoi
pregare - dice il Vangelo - entra in camera tua e chiudi la porta. Poi, prega Dio; e Dio, tuo Padre, che
vede anche ciò che è nascosto, ti darà la ricompensa» (Mt 6,6).
Questo non va contro la preghiera comunitaria, tanto importante, che ha nella celebrazione
eucaristica l'espressione ecclesiale più perfetta, ma sottolinea qual è la condizione previa e l'autenti-
cità di partecipazione anche a quella.
L'orazione mentale evolve con gradualità dalla meditazione alla contemplazione; è un atteggia-
mento interiore per cui si entra in rapporto con l'amore di Dio. Santa Teresa l'ha descritta come un
tratto amichevole con il Signore...
Non dobbiamo pensare che la "contemplazione", in cui sfocia la meditazione, sia un atteggia-
mento di pochi privilegiati. Non si tratta qui di presentarla con difficili definizioni astratte, né di
elencarne i diversi modi e gradi con i loro delicati problemi, bensì di guardare all'esempio di quei
Santi che hanno vissuto la stessa nostra spiritualità […].
La meditazione diviene contemplazione quando l'amore, nato nell'ascolto, prende il soprav-
vento e fa entrare direttamente nel cuore del Padre (cfr. CC 12).

3.10 Page 30

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2. METODI STRUTTURATI
Il primo metodo che viene presentato in questa sezione è, probabilmente, la strada mae-
stra che la Chiesa oggi indica a laici e religiosi per imparare a pregare la Parola e permettere
che essa trasformi, giorno dopo giorno, la nostra esistenza di credenti; ne daremo tre diverse
"varianti", vista la particolare importanza e attualità del metodo. Presenteremo comunque,
per conoscenza e per fedeltà alla nostra tradizione, anche alcuni altri metodi strutturati, che
probabilmente, per la loro complessità, sono meno adatti ad essere adoperati nella mezz'ora
prevista per la meditazione quotidiana, ma che possono essere utilizzati in altre particolari
occasioni della nostra vita (ritiri, meditazioni comunitarie, esercizi spirituali…).
La Lectio Divina secondo il metodo di Guigo il Certosino
L'espressione lectio divina è molto antica ed è spesso presente nell'insegnamento dei
Padri. Nella Lettera a Gregorio, Origene raccomanda: «Impegnati nella lectio con l’intenzione
di credere e di piacere a Dio. Se durante la lectio ti trovi davanti ad una porta chiusa, bussa
e te la aprirà quel custode del quale Gesù ha detto: “Il guardiano gliela aprirà” (Gv 10, 3).
Applicandoti così alla lectio divina cerca con lealtà e fiducia incrollabile in Dio il senso delle
scritture divine, che in esse si cela con grande ampiezza. Non ti devi però accontentare di
bussare e di cercare: per comprendere le cose di Dio ti è assolutamente necessaria l’oratio»55.
Nell'insegnamento dei Padri, la lettura delle Scritture, dunque, non si accontenta di
una "comprensione intellettuale", ma deve introdurre alla preghiera, alla relazione personale
con Dio.
La sistemazione del metodo della Lectio Divina56, così come viene conosciuto e diffuso
oggi, risale al monaco certosino Guigo che nel 1174, sulla scia della grande tradizione mo-
nastica che ebbe origine da San Benedetto, sarà designato a guidare la Grande Certosa57.
In una sua lettera all'amatissimo fratello Gervaso, inviata probabilmente intorno al 1150,
Guigo traccia con straordinaria sapienza le linee di un metodo, caro inizialmente soltanto alla
tradizione certosina, ma che sarà riscoperto e si diffonderà nella seconda metà del secolo
scorso grazie alla nuova sensibilità post-conciliare e al contributo di alcuni autori e maestri
di spiritualità58.
Le esortazioni del magistero salesiano nei confronti dell'utilizzo di questo metodo sono
numerosissime. Già nel 1986 Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, la guida alla lettura
delle Costituzioni Salesiane, commentando l'articolo 93 affermava: «La Regola ci chiede una
forma quotidiana di orazione mentale: quella che la tradizione chiama meditazione (così è
chiamata nell'art. 71 dei Regolamenti generali) e che corrisponde ad una forma di lectio di-
vina, secondo l'espressione caratteristica della vita monastica».
Sono molte le pubblicazioni recenti che spiegano nel dettaglio il metodo della Lectio59;
salvo restando il fatto che il punto di riferimento fondamentale rimane la lettera di Guigo,
nota sotto il nome di Scala claustralium o Lettera sulla vita contemplativa.
55 Sources Chrétiennes 148, 192-193.
56 Quando si fa riferimento al metodo e non soltanto alla lettura assidua delle Scritture, si userà la lettera
maiuscola (Lectio Divina anziché lectio divina).
57 Per le poche notizie che si hanno sulla sua vita si può consultare A. WILMART, Auteurs spirituels et textes
dévotes du moyen âge latin, Paris 1991, 230-240.
58 Tra gli autori italiani citiamo Carlo Maria Martini, Enzo Bianchi, Mariano Magrassi e Benedetto Calati.
59 Vanno distinte dai semplici commentari ad un libro della Scrittura.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Cercheremo qui di tracciare brevemente, adattandoli al nostro contesto, i momenti es-
senziali del metodo:
1. INTRODUZIONE
Di ordinario nelle nostre comunità questo momento è accompagnato da una preghiera
o dalla invocazione dello Spirito Santo. Queste formule possono essere utili, ma non devono
sostituire un esercizio personale di consapevolezza, la volontà di essere presenti a noi stessi
raccogliendo le nostre energie interiori, la scelta di trovare una adeguata posizione del corpo
(statio); in sostanza si tratta di metterci personalmente alla presenza di Dio, e di invocarlo con
confidenza (colloquio).
2. IL CUORE DELLA LECTIO
Secondo lo schema classico di Guigo, dovremo immaginare di organizzare il tempo della
nostra meditazione dividendolo preventivamente in quattro parti, che possono anche essere
di eguale durata o privilegiare, a secondo delle nostre particolari esigenze, l'uno o l'altro
momento del metodo.
A. LETTURA DEL BRANO (lectio)
Di ordinario il brano scelto sarà il Vangelo o una delle letture del giorno; la nostra
meditazione sarà certamente più efficace se questo brano sarà letto, anche se per pochi mi-
nuti, la sera precedente (preparazione remota). Questa abitudine ci pone già in un fecondo
atteggiamento di ascolto. Ci rendiamo consapevoli del fatto che Dio prende l'iniziativa e ci
fa dono della sua Parola.
Questo primo momento ha come principale obiettivo la comprensione di quello che il
brano dice in sé (senso letterale); il brano va letto con attenzione, magari con una matita in
mano che ci permetta di sottolineare i verbi (azioni) o gli aggettivi (qualità) che più ci colpi-
scono. Volendo usare una metafora, potremmo dire che si tratta di fare il lavoro della formica
che, con pazienza, raccoglie ogni piccolo frammento che possa costituire un nutrimento per
la sua vita. L'utilizzo di un commentario e dei brani biblici suggeriti a fianco del testo possono
essere molto utili in questa fase, come anche nella successiva.
Utile sarebbe avere le competenze per poter leggere i testi nella loro lingua originale;
ma poiché questo privilegio è riservato a pochi, si può ricorrere al confronto di due o tre
diverse traduzioni disponibili nella propria lingua; questo talvolta aiuta a cogliere differenti
sfumature.
B. MEDITAZIONE O RIFLESSIONE SUL TESTO BIBLICO (meditatio)
In questo secondo momento l'obiettivo è quello di scoprire quello che dice il brano a
me (senso spirituale); in modo più esplicito si tratta di comprendere quanto Dio vuol dirmi,
oggi e nella concreta situazione in cui mi trovo, attraverso questo testo.
La metafora che potrebbe essere utilizzata è quella dell'ape regina, capace di rielaborare
quanto le api operaie hanno pazientemente raccolto. Un'altra immagine usata dai Padri è
quella della lenta masticazione del cibo precedentemente ingerito (ruminatio).
Anche in questa seconda fase il lavoro è affidato prevalentemente all'intelletto, ma an-
che alla memoria che ci permette di ricostruire alcuni collegamenti tra il nostro brano ed altri
testi della Scrittura o letture precedentemente fatte, ed agli affetti che ci coinvolgono nella
comprensione di quello che Dio vuole dirmi, qui ed oggi, attraverso la sua Parola.
C. PREGHIERA (oratio)
Questa terza fase ci introduce nella esperienza dell'orazione mentale vera e propria. Non

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si tratta più di leggere (lectio) e comprendere (meditatio) il brano, ma di trasformarlo in pre-
ghiera (oratio), utilizzando in un colloquio diretto le espressioni contenute nel testo biblico e,
insieme i movimenti del cuore, i nostri sentimenti (affetti). La nostra meditazione diviene in
modo più esplicito dialogo personale; la nostra attenzione non è più rivolta a ciò che la Parola
dice in sé e nemmeno a ciò che dice a me, ma questa volta sono io che mi metto in dialogo
con la Parola, lasciandola risuonare in me con l'ausilio dello Spirito Santo e provando ad
esprimere a Dio i miei sentimenti.
D. SILENZIO CONTEMPLATIVO (contemplatio)
In quest'ultima fase il testo sacro viene anche "fisicamente" messo da parte. Qualcuno
ha detto che il vertice della comunicazione è proprio il silenzio che spesso si crea, senza alcun
imbarazzo, tra coloro che si amano. È un tempo in cui la Parola che abbiamo letto (lectio),
meditato (meditatio) e pregato (oratio) scende più in profondità (contemplatio) e si confronta
con il qui e ora della nostra vita per portare luce e calore. La nostra vita, così, si apre silen-
ziosamente e con commozione al dono che Dio vuol farci di se stesso.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la contemplazione, come la preghiera in genere,
non può essere considerata il frutto dei nostri sforzi; a noi compete soltanto il creare le con-
dizioni per poter accogliere il dono (accoglienza attiva) che Dio vuol farci. Ha scritto, a questo
proposito, Don Pascual Chávez: «Dal desiderio di fare la volontà di Dio si passa poco alla
volta, quasi senza accorgersene, all’adorazione, al silenzio, alla lode, "all’abbandono umile
e povero all’amorosa volontà del Padre in unione sempre più profonda con il Figlio suo
diletto" (CCC 2712). Dal contemplare se stessi e il proprio mondo alla luce di Dio, dal vedersi
come Dio ci vede si passa al contemplarsi veduti da Dio, al sapersi davanti a colui che è
l’oggetto del nostro desiderio, l’interlocutore unico della nostra preghiera. A differenza
delle tappe precedenti, che sono esercitazioni che richiedono forza di volontà, "la preghiera
contemplativa è un dono, una grazia" (CCC 2713), né normale né dovuta; la si può attendere
e desiderare, chiedere ed accogliere, mai avere automaticamente» (ACG n. 386).
Utilizzando uno dei piccoli, efficaci sommari della lettera di Guigo il Certosino pos-
siamo dire che: «La lettura è lo studio assiduo delle Scritture, fatto con spirito attento. La
meditazione è una diligente attività della mente, che cerca la conoscenza di verità nascoste,
mediante l'aiuto della propria ragione. La preghiera è un fervoroso anelito del cuore verso
Dio per allontanare il male e ottenere il bene. La contemplazione è una certa elevazione della
mente al di sopra di sé verso Dio, gustando le gioie dell'eterna dolcezza […]. La lettura è un
esercizio dei sensi esterni, la meditazione è un lavoro dell'intelletto, la preghiera è un desi-
derio, la contemplazione è un superamento di ogni senso. Il primo grado è dei principianti,
il secondo dei proficienti, il terzo dei devoti, il quarto dei beati»60.
CONCLUSIONE
A. PERSONALE
È il momento più importante e insostituibile, quello che ci permette quotidianamente
di raccogliere il frutto della nostra meditazione, individuando un particolare angolo della
nostra vita su cui la Parola vuole far luce. Nel contesto del metodo della Lectio viene da molti
indicata con il termine Actio61. Un testo di Isaia ci illumina sulla dinamica che può accom-
pagnare ogni quotidiana meditazione: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e
non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,
60 Si può leggere per intero questo piccolo "capolavoro" della spiritualità cristiana nel sito dei certosini italiani
(https://www.certosini.info/guigo_ii.htm).
61 In questo caso, dunque, i momenti sarebbero sei: Statio, Lectio, Meditatio, Oratio, Contemplatio, Actio.

4.3 Page 33

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perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia
bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver
compiuto ciò per cui l'ho mandata» (Is 55,10-11).
B. COMUNITARIA
La conclusione comunitaria della meditazione, nella nostra tradizione recente, è scan-
dita dall'invito Beati quelli che ascoltano la Parola di Dio e poi dalla preghiera all'Ausiliatrice.
La Lectio Divina secondo Carlo Maria Martini
Il 6 novembre 1980 più di duemila giovani si ritrovarono nel Duomo di Milano per
ascoltare il loro Vescovo, che raggiunse i cuori e le menti di quei ragazzi spiegando il me-
todo della Lectio Divina per imparare a pregare con la Bibbia. Iniziava così quella Scuola della
Parola, che proseguirà fino al 2002, una delle esperienze più innovative e ricche del ministero
del cardinale Martini.
Il metodo gradualmente proposto riprende i quattro gradini di Guigo, arricchendoli
della tradizione ignaziana, in relazione, in particolare, alla esperienza del discernimento spi-
rituale. In definitiva lo schema si presenta arricchito di altri momenti che cercheremo di chia-
rire brevemente, sorvolando sugli altri gradini di cui abbiamo già detto.
1. STATIO = INTRODUZIONE
2. LECTIO = LETTURA
3. MEDITATIO = MEDITAZIONE
4. ORATIO = PREGHIERA
5. CONTEMPLATIO = CONTEMPLAZIONE
6. CONSOLATIO = CONSOLAZIONE
Il primo frutto dell’incontro con Dio è quella intima gioia e pace che l’uomo sperimenta
dinanzi al mistero dell’Amore di Dio. Questo è il momento propizio per prendere le grandi
decisioni della vita, decisioni da non mutare in momenti di scoraggiamento o di desola-
zione. Lo spirito cattivo cerca di spingerci alla sfiducia totale e alla tristezza; "Il frutto dello
Spirito è invece amore, gioia, pace..." (Gal 5,22).
7. DISCRETIO = DISCERNIMENTO
Con il dono del Consiglio, lo Spirito mi suggerisce come interpretare la situazione della
vita personale, familiare, comunitaria e sociale. Si tratta di sintonizzarsi con i pensieri di
Dio, di leggere con fede anche il libro della storia che la Provvidenza divina compone con
sapiente amore. È lo Spirito che mi insegna a capire dove e come posso agire nel mondo per
preparare la strada del Signore.
8. DELIBERATIO = DECISIONE
La preghiera non deve fermarsi ad una contemplazione inerte, che gratifichi il mio
desiderio di religiosità senza trasformarmi il cuore. Chiedo allo Spirito il dono della for-
tezza, perché sappia decidermi a realizzare le scelte evangeliche e i propositi scaturiti dal
discernimento. Spesso si tratta di piccole decisioni; ma è con la fedeltà nelle piccole cose di
ogni giorno che si costruisce una piena fedeltà alla chiamata di Dio a compiere la sua vo-
lontà.
9. COLLATIO = CONDIVISIONE
Quando è possibile, risulta di grande utilità condividere il frutto della preghiera con i
fratelli nel cammino di fede. Non sono da solo a cercare il volto di Dio: siamo invece Chiesa,

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comunione di persone chiamate a crescere insieme nella carità. Le grazie spirituali che il
Signore concede a ciascuno non sono possesso privato dei singoli, ma doni offerti per l’uti-
lità comune. In alcune delle nostre comunità la collatio è già inserita, con frutto, nella gior-
nata della comunità o nel ritiro mensile.
10. ACTIO = PROPOSITO, AZIONE
La maggiore complessità di questa struttura in dieci passi la rende, probabilmente,
poco adatta alla mezz'ora di meditazione quotidiana. La presenza poi della collatio la indica
come più idonea, come dicevamo, ad un ritiro comunitario mensile o trimestrale.
Rimane il fatto che questo schema mette bene in evidenza la relazione che intercorre
tra la meditazione della Parola e le concrete scelte che siamo chiamati a fare nella nostra vita.
Il discernimento è, infatti, il punto di incontro tra preghiera e azione. Ogni decisione personale o
comunitaria andrebbe illuminata dalla Parola; la dimensione morale del vissuto cristiano
può essere ricompresa e posta nella sua giusta luce se pensata come vita sotto la guida dello
Spirito; questa prospettiva rappresenta il reale superamento di ogni sterile moralismo.
La Lectio Divina. La sintesi di Don Pascual Chávez
Le pagine che seguono sono tratte dalla circolare «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv
6,69). Parola di Dio e vita salesiana oggi, dell'estate del 2004 (cfr. ACS n. 386). Costituiscono un importante docu-
mento del magistero salesiano che fonda la scelta di questo particolare "metodo" per la meditazione dei salesiani.
Strumento di eccezione per la crescita nell’ascolto della Parola è la Lectio Divina; essa è
un metodo di lettura credente della Scrittura, utilizzato fin dagli inizi della vita religiosa,
che in essa ha sempre goduto della «più alta considerazione. Grazie ad essa, la Parola di Dio
viene trasferita nella vita, sulla quale proietta la luce della sapienza, che è dono dello Spi-
rito»62. A ragione il CG25, nel primo orientamento operativo circa la testimonianza evange-
lica, esorta la comunità salesiana a «mettere Dio come centro unificante del suo essere ed a
sviluppare la dimensione comunitaria della vita spirituale, favorendo la centralità della Parola
di Dio nella vita comunitaria e personale mediante la ‘lectio divina’»63.
Spero che nessuno di voi pensi che con questo orientamento il CG25 abbia introdotto
un elemento estraneo alla nostra spiritualità; «l’antica e sempre valida tradizione della lectio
divina»64 ha trovato casa nella vita religiosa fin dagli inizi ed attualmente essa risulta quanto
mai necessaria: «oggi un cristiano non può diventare adulto nella fede, capace di rispondere
alle esigenze del mondo contemporaneo, se non ha imparato a fare in qualche modo la lectio
divina»65.
Per diventare familiare, la Lectio Divina, come qualsiasi metodo di preghiera, richiede
esercizio, ma chiede soprattutto volontà di ascolto e disponibilità di obbedienza. Nella più
solida tradizione presenta quattro tappe o “gradi spirituali”: la lettura (lectio), la medita-
zione (meditatio), la preghiera (oratio), la contemplazione (contemplatio). Più recentemente,
secondo lo spirito della modernità, si è aggiunta un’altra tappa: l’azione (actio); sono pure
indicati con frequenza altri elementi (discretio, deliberatio, collatio, consolatio, ecc.), ma in realtà
essi non sono altro che aspetti che di solito accompagnano le tappe fondamentali.
- Lettura. Si inizia la Lectio Divina leggendo con attenzione, meglio sarebbe dire rileg-
gendo a più riprese, il testo nel quale cerchiamo di ascoltare Dio. Il testo scelto ci può sem-
62 Vita Consecrata, 94.
63 CG25, 31.
64 Novo Millennio Ineunte, 39
65 CARLO M. MARTINI, Programmi pastorali diocesani 1980-1990, Milano 1991, 440-441.

4.5 Page 35

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brare facile da capire, o ben conosciuto; non importa; lo si deve ripassare finché diventi fa-
miliare, quasi ad impararlo a memoria, «mettendo in rilievo gli elementi portanti»66. Non si
va oltre questo primo passo finché non si può rispondere alla domanda: cosa significa in realtà
quel che ho letto?
- Meditazione. Scoperto il senso del testo biblico, il lettore attento cerca di coinvolgersi
personalmente, applicando il significato afferrato alla propria vita: che cosa mi dice il testo?
«Meditare quanto si legge porta ad appropriarsene, confrontandolo con se stessi. Qui si apre
un altro libro: quello della vita. Si passa dai pensieri alla realtà. A misura dell’umiltà e della
fede che si ha, vi si scoprono i moti che agitano il cuore e li si può discernere»67. La Parola
sentita chiede consenso, non viene accolta se non arriva al cuore ed opera conversione. Ca-
pire il testo porta a comprendersi alla sua luce; così il testo letto e compreso diventa norma
di vita: cosa fare per attuarlo, come fare per dare quel senso alla propria esistenza?
- Orazione. Conoscere, indovinare, anche solo immaginare quello che Dio vuole porta
naturalmente alla preghiera; così diventa ardente desiderio quello che deve diventare la vita
quotidiana. L’orante non chiede tanto ciò che gli manca, ma piuttosto ciò che Dio gli ha fatto
vedere e capire. Si incomincia ad anelare a quello che Dio ci chiede: si fa del volere di Dio
su di noi l’oggetto della nostra preghiera.
- Contemplazione. Dal desiderio di fare la volontà di Dio si passa poco alla volta, quasi
senza accorgersene, all’adorazione, al silenzio, alla lode, «all’abbandono umile e povero
all’amorosa volontà del Padre in unione sempre più profonda con il Figlio suo diletto»68.
Dal contemplare se stessi e il proprio mondo alla luce di Dio, dal vedersi come Dio ci vede
si passa al contemplarsi veduti da Dio, al sapersi davanti a colui che è l’oggetto del nostro
desiderio, l’interlocutore unico della nostra preghiera. A differenza delle tappe precedenti,
che sono esercitazioni che richiedono forza di volontà, «la preghiera contemplativa è un
dono, una grazia»69, né normale né dovuta; la si può attendere e desiderare, chiedere ed
accogliere, mai avere automaticamente.
Vi posso rivelare che personalmente mi sento obbligato con la scelta del CG25 di «rav-
vivare continuamente ed esprimere il primato di Dio nelle comunità», orientando la Con-
gregazione a centrare la vita personale e quella comunitaria sulla Parola di Dio, in primo
luogo «mediante la lectio divina»70. Questo è molto importante per me ve lo dico con parole
del Card. Martini -, perché «non mi stancherò mai di ripetere che la lectio è uno dei mezzi
principali con cui Dio vuole salvare il nostro mondo occidentale dalla rovina morale che
incombe su di esso per l’indifferenza e la paura di credere. La lectio divina è l’antidoto che
Dio propone in questi ultimi tempi per favorire la crescita di quella interiorità senza la quale
il cristianesimo… rischia di non superare la sfida del terzo millennio»71.
La meditazione ignaziana
Il termine meditazione è riservato da Ignazio agli esercizi spirituali proposti durante la
prima settimana (meditazione sul peccato, meditazione sull’inferno…). Per Ignazio la medita-
zione è un metodo di preghiera con cui si applicano, su una verità di fede, le tre potenze o facoltà
66 CARLO M. MARTINI, La gioia del vangelo. Meditazione ai giovani, Casale Monferrato 1988, 12.
67 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2706.
68 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2712.
69 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2713.
70 CG25, 30.31.
71 CARLO M. MARTINI, Programmi pastorali diocesani 1980-1990, 521.

4.6 Page 36

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dell’anima: memoria, intelligenza e volontà. Nella seconda, terza e quarta settimana degli eser-
cizi Ignazio privilegia il termine di contemplazione.
Il metodo è apparentemente molto complesso; soltanto la pratica può renderlo fami-
liare a colui che volesse utilizzarlo nella meditazione personale. I tre momenti fondamentali
sono sempre i medesimi: la preparazione, il corpo della meditazione, che è costituito dai cosid-
detti tre punti, e la conclusione.
Facendo riferimento al testo del Cardinale Lercaro possiamo riassumere così lo
schema del metodo ignaziano72:
A. PREPARAZIONE:
1. PROSSIMA
1.1 Preparare la sera precedente i «punti» e fissare la grazia da chiedere nel Preludio.
1.2 Pensarvi brevemente prima di addormentarsi fissando l'ora della sveglia.
1.3 Ripensarvi appena svegliati.
2. IMMEDIATA:
2.1 Avanti il luogo ove si deve meditare, sostare un momento e mettersi alla pre-
senza di Dio; fare un atto, se possibile anche esteriore, di Adorazione.
2.2 Orazione preparatoria.
2.3 Preludi.
2.3.1 Preludio storico: richiamare brevemente il fatto su cui si medita.
2.3.2 Preludio immaginativo o composizione di luogo: immaginare il luogo ove
si svolge il fatto; si supplisce, se si può, con altra immaginazione, quando la
Meditazione non è su di un fatto.
2.3.3 Preludio di petizione: domandare la grazia in cui consiste il frutto della Me-
ditazione.
B.CORPO DELLA MEDITAZIONE
Per ognuno dei tre punti:
1. Esercizio della Memoria
Richiamare le parti della materia da meditare e quasi scorrerle con l'occhio della
mente.
2. Esercizio dell'Intelletto
Riflessioni: Fare propria, approfondendola, la materia della Meditazione. Applica-
zioni: Se ne traggono le conclusioni pratiche per la propria condotta e si prevedono
i mezzi da usare.
3. Esercizio della Volontà
Affetti: Sono i pii sentimenti (di adorazione, lode, amore, pentimento, suscitati in
noi dalle riflessioni. - Si fanno lungo tutta la Meditazione, più specialmente in fine,
Propositi: Pratici, particolari, relativi al presente, umili.
C. CONCLUSIONE
COLLOQUIO: Discorso con Dio (o N. S. o la Vergine), in cui si chiedono grazie e si
comunicano le cose proprie; può essere intercalato nella Meditazione; non deve
mancare in fine.
72 Cfr. G. LERCARO, Metodi di orazione mentale, cit., 353-354.

4.7 Page 37

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PREGHIERA VOCALE: Breve (Pater, Ave, Anima Christi…).
DOPO LA MEDITAZIONE:
Esame sullo svolgimento della Meditazione.
Prendere nota delle illustrazioni e mozioni avute.
È il caso di notare che questa struttura, apparentemente rigida, contiene in sé alcune
attenzioni antropologiche, tutte orientate alla efficacia della esperienza di preghiera; pos-
siamo dire che la meditazione ignaziana presuppone una antropologia fortemente unitaria,
coinvolgendo anche il corpo, oltre alle potenze dell'anima. La preparazione remota, la scelta del
luogo, la breve sosta per raccogliersi e fare un atto esteriore di adorazione, la richiesta contenuta
nella orazione preparatoria, i preludi, l’esame finale, il consiglio di prendere nota per iscritto della
esperienza fatta, rappresentano tutti elementi ordinati alla “riuscita” di un dialogo capace
di produrre una effettiva crescita nella vita cristiana.
Metodo ignaziano semplificato
Ci limitiamo qui a riportare il contenuto del metodo ignaziano, così come viene pre-
sentato attualmente nel sito ufficiale della Compagnia di Gesù. Contiene, in modo sintetico,
tutti gli "ingredienti" del metodo precedente.
«La preghiera è un incontro personale con il Signore. Scegli un tempo e un luogo che
aiuti a questo incontro. E poi osserva le tappe seguenti:
1. PRESENZA. Mi metto in presenza del Signore mendicando il dono della preghiera
e della concentrazione. Chiedo al Signore che tutte le mie energie convergano verso questo
incontro. Penso con quanto amore mi sta conoscendo e guardando in questo momento. Poi:
Composizione guardando il luogo: utilizzo la mia immaginazione per farmi una “icona
interiore” della scena che sto per meditare.
Chiedo ciò che voglio e desidero: entro in relazione diretta col Signore chiedendo un
dono ben preciso, in una formulazione che posso ripetere spesso.
2. MEDITAZIONE. Leggo e rileggo il brano. Mi fermo dove una parola mi colpisce,
dove “trovo gusto”, senza fretta di andare avanti. “Non è il tanto sapere che riempie e sod-
disfa l’anima ma il sentire e gustare le cose interiormente”. Sulla parola che mi colpisce
metto in moto la mia memoria (che cosa mi ricorda?), la mia intelligenza (che cosa mi fa
capire?), la mia volontà (che desideri fa nascere in me?).
3. COLLOQUIO. Parlo col Signore “come un amico parla con l’amico”. E non ho paura
di “versare” in Lui tutta la mia “morte” del cuore affinché Lui versi in me la sua vita. È la
“conversazione”.
REVISIONE. Dopo la preghiera, in un altro luogo, ripercorro per alcuni minuti il suo
andamento. Mi chiedo come è andato il metodo, che parola mi ha colpito di più, e cerco di
dare un nome ai sentimenti che mi hanno attraversato»73.
Il metodo insegnato dal Vade mecum di Don Giulio Barberis
Il metodo insegnato da Don Barberis fin dal primo noviziato è sostanzialmente quello
ignaziano, come è facilmente dimostrabile dal confronto del primo testo manoscritto di Bar-
beris74 e di quello del suo Vade mecum con lo schema generale della meditazione ignaziana.
73 https://gesuiti.it/metodo-di-preghiera-ignaziano/ [06/06/2020].
74 L’originale si trova in ASC A 000.02.05.

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Il Vade mecum, in particolare, dedica due interi capitoli a questo tema; il primo, dal
titolo La meditazione, è un piccolo trattato sull'orazione mentale, sulla sua efficacia e impor-
tanza, sulla sua necessità e sui suoi frutti nella vita religiosa, ricco di citazioni prese dalla
Scrittura e dalla storia della spiritualità; il secondo, dal titolo Del modo pratico per fare la me-
ditazione, spiega in dettaglio il metodo proposto per farla, dopo una premessa, di grande sa-
pienza pedagogica, dal titolo Fare il possibile. «Quando si ha buon volere afferma Don Bar-
beris si riesce sempre nella meditazione, perché essa dipende più dall'ispirazione dello
Spirito Santo che dalla nostra industria, e lo Spirito Santo è sempre con chi fa quel che può».
La materia successiva si presenta molto articolata e poco adatta alla mezz'ora di ora-
zione mentale prevista dalle nostre Costituzioni. Nella tradizione salesiana della prima metà
del secolo scorso, i tre punti della meditazione venivano spesso letti da una guida, anche per
la difficoltà di avere, da parte di tutti, la disponibilità di una copia del testo. Il silenzio e
l'orazione personale si riducevano a pochi minuti e diventava, in alcuni casi, predominante
la fedeltà alla forma più che l'attenzione al dialogo intimo e personale. La nostra ipotesi è che
in molti casi la eccessiva fedeltà allo modello ed una certa mancanza di elasticità possano
aver nociuto alla qualità della meditazione e ridotto al minimo, soggettivamente, le motiva-
zioni che ne giustificano l'importanza e la pratica.
In sintesi lo schema presentato da Don Barberis era il seguente75:
1) PREPARAZIONE
PREPARAZIONE REMOTA
PREPARAZIONE PROSSIMA
a) Mettersi alla presenza di Dio
b) Chiedere perdono dei propri peccati
c) Chiedere la grazia di poter ben meditare
d) Rappresentazione del soggetto
2) PUNTI DI MEDITAZIONE (tre)
a) Esercizio dell’intelletto
b) Rappresentazione del luogo
c) Applicazione dei sensi
d) Esercizio della volontà
e) Propositi
f) Affetti e colloqui
3) CONCLUSIONE
a) Risoluzione
La risoluzione sia pratica
b) Ringraziare il Signore
c) Esaminarsi e pentirsi
«Facendo in questo modo concludeva Don Barberis spero che anche tu potrai trarre
dalla meditazione quei frutti che ne ricavava un San Bernardo, un Sant'Ignazio, un San
75 Cfr. G. BARBERIS, Vede mecum dei giovani salesiani, cit., 1180-1206. Le successive edizioni si presentano, sostan-
zialmente invariate. L'ultima edizione di questo prezioso trattato di spiritualità donboschiana è del 1965.

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Luigi, un Don Beltrami. Essi dopo la meditazione si sentivano tutti accesi di amore pel Si-
gnore, non sentivano più gusto per nessuna cosa terrena, si sentivano pronti a fare qualun-
que cosa, anche la più difficile, anche a subire il martirio per amor del Signore»76.
Metodo dei "sette passi" (Lumko Africa)
Gli ultimi tre metodi che presentiamo sono di origine più recente.
Il metodo dei Seven Steps si presenta più adatto ad una meditazione comunitaria, ma
può essere valorizzato anche nella meditazione personale, con alcune modifiche. Ha la sua
origine in Sud-Africa, precisamente a Lumko, un istituto cattolico di Del Menville, ma si è
diffuso anche in Europa, soprattutto in Germania. Anche in questo metodo, come in quello
di Guigo, sono fortemente voluti e promossi il contatto prolungato e personale con il testo,
il silenzio, la preghiera77.
Si legge nell'Instrumentum laboris del Sinodo del 2008 su La Parola di Dio nella vita e nella
missione della Chiesa: «La novità della Lectio Divina nel popolo di Dio richiede una opportuna
pedagogia di iniziazione, che faccia capire bene di che cosa si tratta e contribuisca a chiarire
il senso dei diversi gradi e una loro applicazione tanto fedele quanto saggiamente creativa.
Di fatto, esistono diversi procedimenti, come quello detto dei Sette Passi (Seven Steps), pra-
ticato presso molte Chiese particolari in Africa. Si chiama così perché l’incontro con la Bibbia
è come un cammino costituito da sette momenti: presenza di Dio, lettura, meditazione, so-
sta, comunicazione, colloquio, preghiera comune».
Presentiamo brevemente il contenuto dei singoli passi, adattandoli al contesto di una
comunità religiosa.
1. ACCOGLIENZA E PREGHIERA INTRODUTTIVA
Accoglienza e preghiera costituiscono il primo passo. Ognuno deve avere la Bibbia in
mano ed essere cosciente del cammino da fare.
2. LA LETTURA DEL TESTO SACRO
Un confratello legge ad alta voce il Vangelo o uno dei brani della liturgia del giorno. Il
testo può essere letto anche una seconda volta, in un'altra traduzione.
3. LA RISONANZA TESTUALE
Ciascuno sceglie una parola o delle brevi frasi che lo hanno colpito, e la pronuncia a
voce alta, in tono orante, lasciandosene «compenetrare». Dopo ciascuna esternazione si fa
un momento di silenzio. Alla fine il testo biblico viene letto di nuovo con calma.
4. MEDITAZIONE SILENZIOSA
Seguono una pausa di silenzio (almeno dieci minuti); è questo il vero cuore della me-
ditazione. Ciascuno può anche ripetere silenziosamente nel suo cuore quello che più lo ha
toccato, trasformando la Parola in preghiera.
5. LA CONDIVISIONE DI QUANTO HA COLPITO
Terminato il quarto passo ciascuno, se lo desidera, può comunicare agli altri quello che
ha colto come monito e come speranza, come impegno e come conforto. Non si tratta sol-
tanto della comunicazione di una riflessione intellettuale, ma di condividere emozioni, sen-
timenti e l'atteggiamento che ha suscitato in noi la meditazione del brano.
6. LO SCAMBIO SULLA VITA QUOTIDIANA
76 Ibidem, 1205.
77 Per un approfondimento sul metodo si veda A. HECHT, Passi verso la Bibbia, Leumann 1995.

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Come viene interpellata la vita della comunità dalla Parola? È possibile decidere una
determinata azione comune, ma si tratta innanzi tutto di condividere le situazioni e i pro-
blemi attuali della comunità, interpretati alla luce della Parola.
7. LA PREGHIERA CONCLUSIVA
L'incontro si conclude con una preghiera o un canto di ringraziamento, in analogia con
il settimo giorno della creazione, tempo di contemplazione orante. Ha scritto Mons. Hirmer,
Vescovo di Umtata: «I sette passi hanno come scopo di educare alla tranquillità interiore e
di aprire il cuore all'ascolto della Parola di Dio».
Il metodo della ruminatio (secondo Clodovis M. Boff)
Si tratta del metodo presentato dal teologo brasiliano, religioso dei Servi di Maria, nel
suo Meditação. Como Fazer? pubblicato per la prima volta in portoghese nel 2006. Lo ripor-
tiamo qui per le sue caratteristiche di sintesi tra alcuni metodi e tecniche della tradizione
antica e recente.
Esaminiamolo in dettaglio.
1. INTRODUZIONE
a. Mettersi alla presenza di Dio. L'autore suggerisce, per questa introduzione, il ricorso
alla immaginazione. «Possiamo immaginarci afferma seduti ai piedi del Maestro, come
Maria di Betania, per ascoltare la sua parola, o come ospiti commensali della SS. Trinità,
come suggerisce l'icona di Rublev»78. Questo primo momento può essere collegato ad una
tecnica di rilassamento, per favorire il silenzio interiore.
b. Chiedere la luce dello Spirito Santo. È Lui il vero Maestro Interiore. Solo lo Spirito può
aprirci ai tesori nascosti della Parola.
2. CORPO CENTRALE DELLA MEDITAZIONE
a. Lettura lenta ed attenta del brano
b. Ruminatio. Si tratta di ripetere lentamente, e più volte, la parola o la breve frase che
nella fase immediatamente precedente ha colpito la nostra mente o il cuore, per digerire la
Parola. Questa metafora, spesso usata dai Padri, è catturata dal mondo animale. Così come
gli animali ruminanti assumono cibo per poi masticarlo a lungo perché venga assimilato
dall'organismo, così l'uomo di preghiera si nutre, assaporandola lentamente, della Parola di
Dio. Sant'Agostino afferma, nel suo commento al Salmo 37: «Chi ingoia facendo sparire ciò
che divora dimentica ciò che ascolta. Chi invece non dimentica, pensa, e pensando rumina e
ruminando gusta»79.
Scrive Clodovis Boff: «La cosa interessante di questo recupero del metodo della rumi-
natio è la sua somiglianza con diversi metodi di origine orientale basati sulla ripetizione di
un mantra e che oggi acquistano sempre maggiore prestigio in un Occidente sempre più
preda del razionalismo e dell'attivismo»80. E più avanti: «Il progresso spirituale passa attra-
verso la diminuzione dei pensieri e l'aumento dei sentimenti, intesi nel senso più profondo di
"affetti dell'anima" […]. Si passa dalla semplice meditazione alla contemplazione propriamente
detta»81.
78 C.M. BOFF, Come fare meditazione. Il metodo della "ruminazione", Milano 2010, 76.
79 SANT'AGOSTINO, Esposizione sui Salmi, Roma 1967, 819.
80 C.M. BOFF, Come fare meditazione, cit., 6.
81 Ibidem, 78.

5 Pages 41-50

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3. CONCLUSIONE
a) Scrivere in un foglio di carta una parola o una frase da ricordare durante il giorno. La nostra
preghiera, per essere autentica, deve sempre confrontarsi con la vita reale per trasformarla.
b) Ringraziamento.
Ritroviamo, anche in questo metodo, lo schema tripartito, la centralità della Parola, la
fedeltà ai Padri e alla tradizione della Chiesa, la ripetizione (ruminatio) di un versetto o di
una formula, che ci riporta alla tradizione esicastica, la concretezza di una conclusione che
renda viva ed efficace la pratica della meditazione.
Il metodo del Centering Prayer di P. Thomas Keating
Thomas Keating (1923-2018), monaco cistercense, è stato abate dell'Abbazia di ST. Jo-
seph a Spencer, in Massachussets, ed è il fondatore del movimento Centering Prayer (lette-
ralmente Preghiera centrante)82.
Come in tutti i metodi ordinati alla preghiera contemplativa, la base teologica di que-
sto metodo sta nella consapevolezza della inabitazione della Trinità in noi. Essa si ispira in
particolare agli scritti di coloro che hanno contribuito in modo decisivo alla tradizione con-
templativa cristiana, in particolare: Giovanni Cassiano, l’autore ignoto della Nube della non
Conoscenza, Francesco di Sales, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Teresa di Lisieux e
Thomas Merton.
Quattro sono le linee direttive o i momenti suggeriti dal metodo83: Li descriviamo qui
brevemente:
1. Scegli una parola sacra come simbolo della tua intenzione di acconsentire alla presenza e
all’azione di Dio in te.
Questa parola sacra viene scelta all'inizio, in un breve momento di preghiera, chiedendo
allo Spirito Santo di ispirarci su quella più adatta per noi. Esempi di parole sacre sono: Dio,
Signore, Gesù, Padre, Madre, Maria; o anche, in altre lingue: Abbà, Kyrie, Jesu, Mater. Altre
possibilità sono: Amore, Pace, Pietà, Silenzio, Calma, Fede, Shalom, Amen
2. Seduto comodamente, con gli occhi chiusi, prenditi un breve momento per acquietarti, poi
introduci silenziosamente la parola sacra come simbolo del tuo acconsentire alla presenza di Dio e alla
sua azione in te.
Comodamente significa in modo relativamente comodo, ma non tanto da incoraggiare
il sonno durante la preghiera. Qualunque posizione adottiamo, la schiena deve essere ver-
ticale. Chiudiamo gli occhi come segno di distacco da ciò che sta attorno a noi e dentro di
noi. Introduciamo la parola sacra dolcemente, come se posassimo una piuma su uno strato di
bambagia. Se dovessimo assopirci, appena ci risvegliamo, riprendiamo tranquillamente la
nostra preghiera
3. Quando ti accorgi di essere preso dai pensieri, ritorna molto dolcemente alla parola sacra.
Pensiero è un termine generico per indicare ogni percezione: percezioni sensoriali,
emozioni, immagini, ricordi, progetti, riflessioni, concetti, commenti, esperienze spirituali,
82 Sono molti i libri pubblicati da Keating e tradotti in diverse lingue. In italiano si vedano: T. KEATING, La
preghiera del Silenzio, Assisi 1995; ID., Risvegli. La pratica della lectio divina, Roma 2003.
83 Cfr. www.antidemalta.org/uploads/5/7/2/6/57264959/centerprayer-italian.pdf

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ecc… È normale e inevitabile avere pensieri ed essi fanno parte integrante della Centering
Prayer. Dicendo: “ritorna molto dolcemente alla parola sacra” si indica il fatto che questa
azione deve avvenire dolcemente, senza sforzo. È questa la sola attività volontaria durante
il tempo della Centering Prayer.
4. Alla fine del periodo di preghiera, resta in silenzio con gli occhi chiusi per un paio di minuti.
Questi minuti addizionali ci danno modo di portare l’atmosfera di silenzio nella vita
quotidiana. Per qualcuno un semplice sguardo a Dio, o l’attenzione al proprio respiro, po-
trebbero rivelarsi più confacenti della parola sacra. Dopo aver scelto una parola sacra, non
la cambiamo durante il periodo di preghiera: questo sarebbe iniziare di nuovo a pensare.
Padre Keating suggerisce, per l'esercizio di questo metodo, una durata minima di venti
minuti, e due ripetizioni al giorno. La Centering Prayer, così, ci familiarizza con il linguaggio
di Dio, che è il silenzio.
La caratteristica peculiare di questo metodo è che non si tratta di una meditazione di-
scorsiva ma di un semplice riposo in Dio.

5.3 Page 43

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LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO: Da una circolare di Don Juan Vecchi
Nella circolare «Quando pregate dite: Padre Nostro...» (Mt 6,9). Il salesiano uomo e maestro di preghiera per i giovani,
del 2001 (ACG n. 374), Don Vecchi dedica pagine vibranti all'importanza della preghiera nella vita del sale-
siano. All'inizio della lettera segnala alcuni luoghi comuni tra cui «quello che vuole che al centro della vita del
salesiano ci sia l ’azione». «A volte, quando parliamo di Dio, con riferimento a noi stessi e più ancora ai nostri
interlocutori religiosi, ci mettiamo una maschera, indossiamo il costume, che si addice al ruolo, e scegliamo
parole esatte e ben proclamate. Queste maschere non corrispondono a ciò che noi siamo». Solo una vita di pre-
ghiera più profonda e autentica può permetterci di "guarire" le motivazioni del nostro agire. Può essere interessante
notare che in questa lettera Don Vecchi cita ripetutamente alcuni dei maestri di preghiera contemporanei (Carlo Carretto,
Enzo Bianchi, Carlo Maria Martini, José Maria Castillo, Manuel Ruiz Jurado, Maurizio Costa, Romano Guardini…).
Da parte dell’uomo, questa disponibilità all’obbedienza e all’ascolto della Parola costituisce la
condizione indispensabile per scoprire il progetto che Dio affida ad ogni persona, nel tempo e nel luogo
dove è stata chiamata a vivere. Sarà anche la condizione fondamentale per rinnovare l’impegno con-
tinuo di conversione a Dio: «Come infatti la pioggia e la neve scendono dal Cielo e non vi ritornano
senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore
e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto,
senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Is 55,10-11).
Il luogo privilegiato per l ’ascolto è quindi la meditazione della Parola: «Sedutasi ai piedi di
Gesù, [Maria a Betania] ascoltava la sua parola» (Lc 10,39). Tutto quindi comincia con l’attenzione
interessata alla Parola che si svilupperà poi in meditazione, preghiera e contemplazione.
L’ascolto di Dio, con le sue dimensioni di silenzio, decentramento da sé e ricentramento sull’Al-
tro, diviene accoglienza o, meglio, disvelamento in sé di una presenza intima a noi più ancora di
quanto lo sia il nostro stesso “io”.
Il silenzio è la dimensione speculare della Parola. Silenzio e Parola si completano e si rafforzano
a vicenda. Senza il silenzio difficilmente si arriva sia alla conoscenza di sé, sia al discernimento del
progetto di Dio nella propria vita. Il silenzio dà profondità ed unifica.
La sobrietà salesiana nel parlare non è distanza o controllato dominio di sé; è sempre attenzione
all’altro, comprensione e desiderio di dare e di ricevere. Si passa così ad una dimensione interiore, allo
stare bene con se stessi, alla visione serena delle persone e delle situazioni, alla pace interiore, al gusto
della presenza dell’altro. Si genera pure un atteggiamento di dominio di sé e di resistenza per far
tacere i sentimenti disordinati verso gli altri, le immagini arbitrarie su se stessi, le ribellioni, i giudizi
non valutati, le mormorazioni e le leggerezze, che nascono dal cuore.
Un composto silenzio è il custode dell’interiorità e rende possibile l’ascolto e l’accoglienza di
colui che parla. Il Dio che vogliamo ritrovare è dentro di noi, non fuori.
L’io interiore ha bisogno di tempi e di spazi per confrontare e valutare. Riguardo ai primi, non
dovremmo aver paura di riservare, nell’orario, periodi di tempo da dedicare alla meditazione perso-
nale, allo studio, alla preghiera e - perché no? - alla contemplazione: quell’atteggiamento totale quasi
soggiogato dalla verità o dalla bellezza.
Il Vangelo ci consiglia di «entrare nella propria camera e, chiusa la porta, pregare il Padre nel
segreto» (Mt 6,6). Si tratta di scegliere un luogo dove l’attenzione e lo spirito trovino meno ostacoli
per andare a Dio […].
Chi è sperimentato nella vita spirituale sa che questo cammino esige pazienza e perseveranza,
che non lo si percorre da soli, perché lo Spirito ci precede e ci accompagna. Conoscerà poi, a mano a
mano che procede, anche i frutti della progressiva pacificazione, dell’allargamento della libertà, della
mitezza e della carità, che sono i frutti di un cammino di preghiera.

5.4 Page 44

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Conclusioni
«Dunque Gesù nascosto nel tabernacolo è chiamato da Isaia una fonte d’acqua viva; una fon-
tana sempre tramanda fuori, sempre scaturisce e non mai si rivede il recipiente da dove sgor-
ghi e quanto si cava acqua, tanto più in abbondanza zampilla limpida e chiaraChe dirgli
andandolo sovente a visitare? Il parlare così è un fare una grave ingiuria a Gesù quasi che non
sia ricco da potere appagare ogni nostra domanda. Una zelante serva di Dio ... che per l’amore
a Gesù Sacramentato era chiamata la sposa del Sacramento, domandata che facesse in tante
ore che si tratteneva innanzi al Venerabile, rispose: Io starei delle ore e starei per tutta una
eternità e non è quivi l’essenza di Dio, che è la delizia dei beati in Cielo? Buon Dio, che cosa si
fa innanzi a Lui, e che cosa non si fa? Si ama, si loda, si ringrazia, si domanda. E che cosa fa
un ammalato avanti al Medico? Che fa un assetato avanti una fontana chiara? Che fa un affa-
mato avanti ad una Santa Mensa?» (Don Bosco)84
A conclusione di questo nostro cammino ci rimane la sensazione che tante altre cose
potevano esser dette su di un tema di così vitale importanza; ma uno degli obiettivi che ci
eravamo proposti era quello di preparare un sussidio, per quanto possibile, agile e di facile
lettura. Su ciascuno dei metodi proposti non è difficile reperire informazioni più ampie per
fare altri approfondimenti personali.
Sarebbe stato interessante, ad esempio, visitare l'esperienza spirituale dei primi gio-
vani salesiani, attraverso alcuni loro scritti, conservati in archivio, o attraverso le lettere che
raccontano la loro, a volte breve, vita in congregazione. «Fu sorpreso nella sua adolescenza
afferma il manoscritto del necrologio del chierico Giacomo Vigliocco, certamente rivisto
da Don Bosco più volte ad orare di notte ed anche molto prolungatamente»85. «Appena
conobbe l’importanza della meditazione pel progresso della vita spirituale afferma ancora
il biografo più avanti – l’abbracciò con tale amore, che più non lasciò di farla… Era bello il
vederlo al principio di ogni meditazione raccogliersi talmente in sé da non udire o vedere
più altro»86. Un altro importante campo di approfondimento potrebbe essere costituito dalla
rivisitazione degli scritti del fondatore, alla ricerca della sua concezione della preghiera, ol-
tre che della sua esperienza spirituale e della su eredità carismatica87.
Vogliamo però concludere il nostro cammino, nella speranza di aver offerto, in parti-
colare ai novizi e ai giovani confratelli, alcuni stimoli e riflessioni che permettano a ciascuno
di trovare il proprio metodo, per rendere più incisiva, gioiosa e vitale la meditazione che le
nostre regole ci prescrivono. Questo obiettivo, come accennavamo nella Introduzione, potrà
essere raggiunto soltanto se le pagine di questo sussidio e i diversi metodi proposti saranno
gradualmente sperimentati nella prassi: è questa la caratteristica di ogni efficace pedagogia
alla preghiera. Nella pratica paziente e costante della meditazione si acquisiscono gradual-
mente e naturalmente quelle regole del gioco che rendono sempre meno formale e faticosa
l'esperienza della preghiera.
Vi lasciamo, al termine del viaggio, in compagnia di due testimonianze.
- La prima, più conosciuta, è tratta dalla lettera di Don Rinaldi ai maestri dei novizi,
84 Questa citazione è tratta da un Discorso per le Quarantore, pronunciato da Don Bosco, secondo quanto risulta
dal frontespizio del manoscritto inedito, nel 1859 nella chiesa di Santa Croce di Cavallermaggiore e nel 1861 a
Provonda, frazione di Giaveno, sempre nella provincia di Torino. Si conserva in ACS A 225.02.08.
85 Società di S. Francesco di Sales. Anno 1877, Torino 1877, 36. Il manoscritto porta delle correzioni di Don Bosco.
86 Società di S. Francesco di Sales. Anno 1877, cit., 42-43.
87 A questo proposito si vedano, in particolare, G. BUCCELLATO, Alla presenza di Dio. Ruolo dell'orazione mentale
nel carisma di fondazione di San Giovanni Bosco, Roma 2004 e gli studi presenti nel sito www.ritornoadonbosco.it.

5.5 Page 45

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già citata nella nostra Introduzione. «Recatomi a far visita al caro Padre nell’ultimo anno –
scrive questo autorevole interprete del carisma del fondatore , anzi negli ultimi mesi della
sua vita e desideroso di fare, ancora una volta, da lui, la mia confessione, lo pregai a volermi
ascoltare. Sapevo bene che era stata fatta proibizione a tutti di recarsi da Don Bosco per le
confessioni; ma io pensai che non avrei trasgredito l’ordine, regolandomi come ora vi dirò.
- Ella non deve stancarsi, - dissi a Don Bosco, - non deve parlare: parlerò io; lei poi mi dirà
una sola parola. - Notate la mia preghiera, una sola parola. Il buon Padre, dopo che mi ebbe
ascoltato, mi rivolse proprio una parola, una sola parola: e sapete quale? Meditazione! Non
aggiunse proprio nulla, nessuna spiegazione o commento. Una sola parola: Meditazione!
Ma quella parola per me valeva più di un lungo discorso. E dopo tanti anni mi pare ancora
di vedere il Padre in quell’atteggiamento di santo e tranquillo abbandono e di sentirlo a
ripetere: Meditazione!»88.
- La seconda è tratta da una pagina di Carlo Carretto, religioso contemplativo con i
Piccoli Fratelli di Charles De Foucauld, morto nel 1988; era fratello di un Salesiano che è stato
Vescovo in Tailandia e di due Figlie di Maria Ausiliatrice.
Ad una delle sorelle, Suor Dolcidia, Fratel Carlo all'età di quarant'anni, pochi mesi
dopo l'inizio del suo noviziato nel deserto, scrive: «Ti faccio un esempio fisico che ho qui di
fronte nel deserto. C'è un pezzo di deserto, tutto è sabbia e morte, tutt'al più qualche spino.
Gli uomini vogliono trasformare il deserto in un'oasi verdeggiante. Incominciano a lavorare.
Si fanno strade, stradette, canali, ponti, case, etc, etc... Non cambia nulla: tutto rimane de-
serto. Manca l'elemento base: l'acqua. Allora chi ha capito incomincia a lavorare, ma non
sulla superficie: si mette a scavare in profondo! Cerca l'acqua, fa un pozzo. La fecondità
dell'oasi non dipenderà dai canali fatti, dalle strade, dalle case, ma da quel pozzo. Ecco ciò
che io vidi in Europa. Un esercito di matti cattolici costruisce, fa case, collegi, associazioni,
partiti e quasi nessuno si preoccupa di scavare i pozzi. Conclusione: tristezza, scoraggia-
mento, vuoto interiore e qualche volta disperazione. Si pretende di costruire per Dio senza
Dio. E non dirmi, sorella, che si prega. No, non si prega, anche se si dicono cento rosari al
giorno, anche se si va regolarmente a Messa. La preghiera è ben altra cosa! La preghiera è
respiro, è libertà, è amore, è colloquio inesausto, è soprattutto pensare a Dio. È questo che
manca nella nostra vecchia cristianità, la quale quando vuol pregare incomincia ad infilar
formule»89.
È questa l'unica, concretissima strategia per tornare a far fiorire il deserto: ritornare a
scavare i pozzi per attingere con gioia l'acqua alle sorgenti della salvezza (cf. Is 12,3).
88 F. RINALDI, Cari Maestri degli ascritti, in ASC A 384.01.15
89 C. CARRETTO, Lettere a Dolcidia, Assisi 1989, 46-7.

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Indice
SOMMARIO ................................................................................................................................. 3
INTRODUZIONE........................................................................................................................... 4
PER INIZIARE IL CAMMINO ......................................................................................................... 7
Orazione vocale, mentale, meditazione, contemplazione ......................................... 7
Gli insegnamenti sulla meditazione alle origini della Società ................................... 9
Con Don Bosco e con i tempi ....................................................................................... 10
Preghiera personale e preghiera liturgica .................................................................. 11
Valore antropologico della meditazione .................................................................... 12
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO: Da una circolare di Don Paolo Albera ................ 14
SUGGERIMENTI E RIFLESSIONI GENERALI SUL "METODO" ........................................................ 15
I tre momenti fondamentali della meditazione ........................................................... 17
Il ruolo del corpo nella preghiera................................................................................18
I criteri adoperati per la scelta dei metodi proposti ................................................. 19
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO. Da una circolare di Don Luigi Ricceri...................... 21
I METODI PROPOSTI PER LA MEDITAZIONE ............................................................................... 22
1. METODI SEMPLICI ............................................................................................................ 22
Ripetizione semplice ..................................................................................................... 23
La preghiera di Gesù o preghiera del cuore (esicasmo)............................................. 24
Composizione vedendo il luogo (Sant'Ignazio di Loyola) ...................................... 25
Una parola sul ruolo della immaginazione nella meditazione ............................... 25
Mira que te mira (Santa Teresa d'Avila) ....................................................................... 27
Esame del giorno che verrà .......................................................................................... 28
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO: Da una circolare di Don Egidio Viganò .............. 29
2. METODI STRUTTURATI.....................................................................................................30
La Lectio Divina secondo il metodo di Guigo il Certosino ....................................... 30
La Lectio Divina secondo Carlo Maria Martini...........................................................33
La Lectio Divina. La sintesi di Don Pascual Chávez .................................................. 34
La meditazione ignaziana.............................................................................................35
Metodo ignaziano semplificato ................................................................................... 37
Il metodo insegnato dal Vade mecum di Don Giulio Barberis..................................37

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Metodo dei "sette passi" (Lumko Africa) ................................................................ 39
Il metodo della ruminatio (secondo Clodovis M. Boff) ............................................. 40
Il metodo del Centering Prayer di P. Thomas Keating .............................................. 41
LEGGERE IL PASSATO PER SCRIVERE IL FUTURO: Da una circolare di Don Juan Vecchi .................. 43
CONCLUSIONI ........................................................................................................................... 44
INDICE....................................................................................................................................... 46