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ANNALI
DELLA
SOCIETÁ SALESIANA
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Sac. EUGENIO CERIA
ANNALI
DELLA SOCIETA SALESIANA
VOLUME SECONDO
IL RETTORATO DI DON MICHELE RÚA
Parte I
DAL 1888 AL 1898
SOCIETÁ EDITRICE INTERNAZIONALE
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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PROPRITETA. LETTERARIA RISERVATA ALLÁ SOCIETA EDITRICE INTERNAZIONALE DI TORINO
RISTAMPA APRILE 1 9 6 5 - (M. E. 3 4 9 1 2 )
OFF. GRAF. S.E.I.
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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AL REVERENDISSIMO
DON PIETRO RICALDONE
QUARTO RETTOR M A G G I O R E
DELLA SOCIETÁ SALESIANA
NEL SUO GIUBILEO D'ORO SACERDOTALE
27 MAGGIO 1943
PRIMO DEVOTO TRIBUTO
DELLA TIPOGRAFÍA CATECHISTICA
DA L u í CREATA
SUL COLLE S. GlOVANNI BOSCO
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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PREMESSA
Le pagine di questo volume furono scritte durante un periodo
ben trágico per la nostra Societá. Sciagure, quali mai per Yad-
dietro, piombarono su Case e su Soci in vari continenti. Ai oan-
dalismi e agli eccidi terribüi, sofferti gia dai nostri nella Spagna,
tenevano dietro confische, arresti e víolenze in piú partí dell'Eu-
ropa, fino ai posteriori campi di concentramento anche nell'África
e nelVAsia; poi vennero i barbari, feroci bombardamenti aerei sopra
cuta italiane ed estere. In simili trambusti potevano naufragare il co-
raggio e la costanza; invece la parola d'ordine di non abbando-
nare le posizioni é stata con ogni buon oolere e a costo di enormi
sacrifici rispettata, quanto, ben inleso, fu possibile nel far fronte agli
avvenimenti.
Oltre a ció, un fatto, del quale siamo direttamente testimonia
merita qui di essere segnalato, ed é ¡'agilita e la fermezza nel te-
ner testa a situazioni non solo ardue, ma affatto nuove. Parlo dei
luoghi, dove la vita di grandi collegi era diventata assolutamenté
impossibile. Erano e sonó tremende minacce diurne, ma piú spesso
notturne, di aeroplani nemici, che ¡anciano dalValto indistintamente
su tutu gli edifici grandini di spezzoni incendiari e uragani di bombe
dirompenti. Orbene, prima che nessun esempio oenisse da altre partí.
Don Ricaldone presentó un piano, diró cosi, di mobilitazione, che per-
mettesse di continuare ¡a regolarilá della vita in localitá lonlane da pe-
ricoli; ed é beUo oedere ivi i nostri giovani adattarsi con i propri
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Premessa
educatori alia rinuncia delle comodita godute per Vaddietro, atten-
dendo con non scemato ardore ai loro studi.
Per questo r i guardo, l'Oratorio di Valdocco merita di essere se-
gnalato in modo speciale. Gli studenti, rinuiati da prima alie fa-
miglie e poi tostó invitati a tornare per trasferirsi alia Scuola Agrí-
cola di Cumiana, disposta, pur con disagio, a ospitarli, risposero
quasi tutti con prontezza e gioia alia chiamata. Ma restavano gli
artigiani, per i quali non si potevano certo trasportare fuori di tiro
i laboratori. Si fece dunque sapere che, quanti non dimoravano trop-
po lungi da Torino, sarebbero potuti venire a riprendere i loro corsi,
recandosi in citta la mattina e ripartendone la sera. Piú di due-
cento, anche da punti abbastanza remoti, aderirono, sottoponendosi
volentieri ai gravi incomodi dei quotidiani pellegrinaggi. Si alzano
per tempissimo, corrono a Valdocco e rientrano a casa tardi, viag-
giando in treni e in corriere, dove si sta stipati, letteralmente que-
sta volta, come acciughe in barile. Cosi passano le loro giornatel
nelVOratorio, utilizzando, come meglio possono, le ore.
Nei giorni festivi questi artigiani rimangono a casa loro; ma in
certe feste, invitati a venire per una Comunione genérale, accorrono
quasi tutti, e con non heve sacrificio, perché a motivo delle distanze
debbono prolungare fino a tarda ora il digiuno eucaristico.
Ma giova ripeterlo: quello che maggiormente consola é Vaffetto,
col quale qui e altrove i nostri cari allievi si stringono intorno ai
propri Superiori, sopportando aliegramenté condizioni di vita, che
non presentano davvero le attrattive materiali tanto desiderate dalla
loro eta. Non sara lecito ravvisare anche in tutto cid i frutti del si-
stema educativo infórmalo alio spirito di Don Bosco?
Ora eccoci a noi. Si comprendera sempre meglio la natura e I'ef-
ficacia di questo suo spirito, studiando a fondo la storia della So-
cieta da Lui fondata, il cui evolversi é quasi sopravvivenza della
sua vita. Lo tocchiamo quasi con mano nello studiare il tungo Ret~
forato di Don Rúa. Non occorrono adornamenti letterari, ma basta
lasciar parlare i fatti. Per non pochi le cose nárrate in questa par-
te dei nostri " Annali" saranno una vera rivelazione. Di Don Bosco
fu scritto tanto che si stenta quasi a trovare delVinedito anche per
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Premessa
quello che si riferisce alie uicende della sua Congregazione; nui al-
Voperosita spiegata dal suo Successore nel reggere la Societá man-
cava finora una sintesi che permetíesse di ahbracciarla con un colpo
docchio tutta quanta, per non diré che gran numero di particolari
non era ancora venuto in luce. Ordinare una narrazione completa
delT'attivitá di Don Rúa nel governo della Congregazione é il com-
pito assegnatoci per questo seguito della nostra storia.
Divideremo la materia in due volumi, il primo dei quali andrá
dal febbraio del 1888 a tutto il 1898, e il secondo dal 1899 al marzo
del 1910, il mese e Vanno che segnarono il termine della laboriosa,
feconda e santa esistenza di Colui, che sará il protagonista del rac-
conto.
11 Reltorato di Don Rúa si svolse in tempo abbastanza lontano
da noi perché non torni troppo malagevole delineare la figura della
persona e tracciare il disegno dell'opera, inquadrate nella cornice
di quei ventidue anni, che rappresentano non solo un determinato
spazio cronológico, ma anche il progressivo sviluppo di unazione
sotio una forma caratteristica, improntata su quella di Don Bosco e
destínala a serviré di modello in ogni tempo,
Nulla sará mulato dal método seguito nel precedente volume,
rinviando al quale si userá il puro titolo di " Annali" senza Vag-
giunta di " volume primo ". Non si pensó a metiere tale indicazione
sul frontispizio di quelli, perché non si aoeoa in mente di dover
daré principio a una serie. Invece bisognó riprendere la penna per
continuare la fática senza piü interromperla, finché piaccia a Dio
di concederé vita e vigore e non suoni quindi Vora di cederé il po-
sto a chi saprá fare di meglio.
Torino, 20 marzo 1943.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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CAPO I
II primo Successore di S. Giovanni Bosco.
Nelle Congregazioni religiose il succedere ai fondatori non suol
essere cosa tanto facile, specialmente perché d'ordinario i fondatori
con l'autoritá ginridica recano puré in fronte un'aureola morale
che trascende e s'impone* Prendere poi il posto tenuto per pin
di nove lustri da un luminare come Don Bosco, cosi dotato di
rare qualitá naturali. cosi adorno di virtú acquisite, cosi ricco di
doni infusi, cosi conosciuto e ammirato in tutto il mondo, era cosa
veramente da far " tremare le vene e i polsi. " Eppure nel momento
della successione si avveró alia lettera ció che il Cottolengo aveva
fatto rilevare al Re Cario Alberto. II buon Sovrano, durante un'u-
dienza accordata al padre dei poveri, si mostrava impensierito per
quello che sarebbe potuto accadere della grande Opera di lui dopo
la sua morte. II geniale Servo di Dio, osservando dalla fínestra
il cambio della guardia sul portone del palazzo: — Ecco, Maestá,
disse, alia mía morte avverrá quello che succede laggiú adesso.
Un soldato viene, un soldato va: Tuno si mette nel luogo delFaltro,
ed é tutto come prima. Cosi, morto io, la Provvidenza manderá al
mió posto un nuovo Superiore, e le cose andranno innanzi lo stes-
so. — Partito Don Bosco per l'eternitá, gli sottentró nel governo
della Societá Salesiana Don Michele Rúa senza che vi fosse rot-
tura di continuitá né si avvertisse scossa di sorta nelFandamento
genérale. Fu un semplice cambio della guardia.
II fatto poté sul principio destare meraviglia in chi, conoscendo
bene Don Bosco, non conosceva abbastanza Don Rúa, non in chi,
vivendogli da anni a Banco o essendo stato comunque a contatto
con lui, aveva avuto agio di misurarne gli alti valori nascosíi. Non
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Capo 1
ci volle pero gran tempo, perché la sua luce risplendesse in faccia
a tutti. Apparve quasi luminosa stella polare, che, tramontato il
maggior astro, nel cui splendore aveva occultato i propri raggi,
brilla d'un tratto suU'orizzonte a gioia degli occhi e a guida sicura
dei naviganti.
Né poteva essere diversamente. Don Rúa non era un Rettor
Maggiore improvvisato. Tre cose lo raccomandavano: l'essere stato
uno dei primissimi a entrare nella Congregazione, l'avervi eser-
citato per lungo tempo uffici di preminenza, e il godere l'univer-
sale fiducia dei Soci. Appunto per questi motivi, su proposta di
Don Bosco, era stato dal Papa designato alia successione (1).
Nato nel 1837 e rimasto orfano di p a d r e nel 1845, incontró nel
1847 Colui che doveva essergli nuovo padre, e che era sul punto
allora di daré umile cominciamento alia grande sua Opera. Assiduo
all'oratorio di Valdocco, entró alunno interno nel 1852 per non allon-
tanarsi quasi piü dal fianco del Santo. Nel 1860 ricevette l'ordina-
zione sacerdotale; nel 1863, mandato a dirigere il primo Collegio
salesiano a Mirabello vi guadagnó in due anni la stima e l'affetto
di tutti. Richiamato accanto a Don Bosco nel 1865, vi esercitó Fuf-
ficio di Prefetto della Societá fino al 1885, quando venne dalla
Santa Sede nominato Vicario del Fondatore e designato a succe-
dergli. Queste sonó le date piú salienti della sua vita anteriore.
Ma quello che piü conta é la forza con cui l'anima del giova-
netto Michele Rúa si sentí irresistibilmente attratta dall'anima di
Don Bosco. Era una santitá in boccio che cercava per sopranna-
turale istinto il suo appoggio in una santitá adulta. Don Bosco,
che diede tante pro ve di vedere nel futuro, previde forse alcun
che di ció che doveva aspettarsi da quel fanciullo? Parrebbe di
si. I piú anziani della Congregazione sapevano di un gesto mi-
sterioso fatto ripetute volte dal Santo dinanzi al piccolo. Quando
altri ragazzi, e Rúa con essi, gli chiedevano un'immagine o una
medaglia, agli altri la dava, ma verso di lui stendeva la palma
della mano sinistra e facendo atto di tagliarla nel mezzo con la
(1) Verbali del Cap. Sup., 24 sett. 1885, Lett. dei Capitolari al Card. Protettore, 9 febbr. 1888
2
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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// primo Successore di S. Giovanni Bosco
destra a coltello e offrendogli la parte recisa: — Prendi, Miche-
lino, gli diceva, prendi. — II fanciullo, avvezzo a osservare e a
riflettere, avrebbe voluto indovinare il perché della cosa, ma non
vi riusciva, né ardi mai interrógamelo fino all'ottobre 1852 dopo
la vestizione chiericale. Allora pertanto, avendo giá molía confi-
denza con lui, gli rammento quell'atfo e gliene chiese umilmente
il signifícalo. Don Bosco, che se ne ricordava benissimo, gli rispóse:
— Intendevo dirti che con te un giorno avrei fatto a meta. — L'e-
nigma non si chiari ancora, se puré non si fece piú oscuro nella
mente deH'umile chierico. Bisognava pazientare e aspettare la spie-
gazione dai fatti.
Non certo un semplice sentimento, paterno da un lato e filíale
dall'altro, era il vincolo che stringeva le due anime. Se nel gio-
vane agiva la comprensione precoce e la profonda venerazione del-
l'Uomo di Dio, Don Bosco dal canto suo, in quell'anima eletta
scorgeva Índole felice e candore d'innocenza; onde si venne for-
mando fra loro una reciproca fusione di spiriti, che a poco a poco
doveva far vi veré il primo per il secondo e il secondo non mai
senza il primo.
Mi spiego. Chierico, Prete, Direttore, Prefetto della Societá, Vi-
cario Genérale, Don Rúa ebbe costantemente un'unica linea di con-
dotta: ben intendere e ben eseguire in tutto e per tutto il pensiero
di Don Bosco senza mai permettersi di fare a suo talento. Raro,
rarissimo il caso di un uomo che, pur possedendo si grande capacita
di lavoro, di azione e di governo, si riduca a spogliarsi in simil
guisa delle proprie vedute per adottare le vedute altrui. Don Bosco
osservava, ringraziava il Signore e in date circostanze esprimeva
a comune edificazione quali fossero i sentimenti che nutriva verso
il provvidenziale suo primo aiutante. Disse varié volte (1): «Se Dio
mi avesse detto: " Immagina un giovane adorno di tutte quelle
virtü e abilitá maggiori che tu potresti desiderare, chiedimelo e io
te lo daró ", io non mi sarei mai immaginato un Don Rúa. » Non
basta. Un giorno a Lanzo in presenza di parecchi disse con la sólita
(U Lo di>se al chierico Costamagna, che lo riferisce in Conferencias, Santiago, 1898. Pag. 22.
3
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo l
sua piacevolezza (1): «Se io volessi metiere un dito sopra Don
Rúa in un puntó, ove non vedessi in lui la virtú in grado perfetto,
non lo potrei fare, perché non saprei dove posarlo. » Massimo segño
di fiducia gli diede sul tramonto della vita, quando, invitato dal
Papa Leone XIII a indicargli un soggetto da potersi nominare suo
Vicario Genérale con diritto di successione, egli non esitó un istante
a fare il nome di Don Rúa, come abbiamo narrato altrove (2).
Dopo tali precedenti non é da stupire, se la successione venne
accolta universalmente con plauso. Sorsero bensi le due difficoltá
esposte nei luoghi citati, ma una fórmale, la irreperibilitá del de-
creto riguardante la successione, e l'altra sostanziale, il disegno di
aggregare la Congregazione ad un'altra affine, dubitandosi a Roma
della sua vitalitá dopo la scomparsa del fondatore; má entrambe
iuroño risolte in un batter d'occhio, sicché i Soci non n'ebbero
nemmeno sentore e appresero i fatti molto tardi dalle Memorie
Biografiche.
Ho detto la scomparsa di Don Bosco; ma l'ho detto perché cosi
si suol diré. Non cadremo nella pia esagerazione di chiamare Don
Rúa un altro Don Bosco: troppo ci sarebbe voluto a fare un se-
condo Don Bosco. Don Rúa fu una luminosa figura senza dubbio;
ma la luce propria avvivó nella luce di Don Bosco, la quale non cessó
di far risplendere agli occhi di tutti. Fuori di metáfora, egli visse in
pieno per sé e mantenne vivo nella Congregazione quello che di Don
Bosco era piü vítale, cioé il suo spirito, tanto da produrre l'impres-
sione che Don Bosco non fosse morto. Don Rúa non creo nulla di
nuovo; il creare fu compito del fondatore. II suo genio lo portava
invece a organizzare, e organizzó a meraviglia, consolidando, e svi-
luppando, come vedremo, le opere lasciate da Don Bosco.
Con quali sentimenti Don Rúa si fosse accinto a raccogliere Tere-
dita lasciatagli da Don Bosco, ce lo fece conoscere egli stesso in una
Circolare del 31 gennaio 1907, la dove, atto piú único che raro nella
sua vita, credette bene di sollevare un lembo del proprio interno.
(1) AMADEI, // Seroo di Dio M. R., vol. I, pag. 252
(2.» Annali delta Socieiu Salesiuna dalle origini alia rnoríe di S. G. B., pp. 525-33. Mern. Biogr..
vol. XVUI, pp. 614-19.
4
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

3.10 Page 30

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II primo Successore di S. Giouanni Bosco
Prendendo le mosse dalla data del suo scritto, dopo avere breve-
mente esordito, continua va:
ínsieme col 31 gennaio ricordo anche sempre co¿n ¡'animo' commosso quel-
l'altro giorne in cui, per non resistere alia manifesta volontá di Dio, mi fu
giocoforza piegar la fronte ed assumere il governo della nostra Pia Societá.
Oppresso da un peso che sembrava dovesse schiacciarmi, che poteva io fare
di meglio, che gettarmi come un bambino nelle braccia del nostro venerato Padre
Don Bosco e chiedergli quella forza che sentiva mancarmi? Prostrato infatti da-
vaiiti alia fredda sua salma, piansi e pregai lungamente. Gli parlai con la intima
persuasione ch'egli mi ascoltasse; gli coníidai tutte le mié ambasce, come le
mille volte aveva fatto quando egli ancora in vita dimorava fra noi ed io
a ve va la bella sor te di vivere al suo fianco. Mi parve che egli con la dolcezza
della sua parola, col mite suo sguardo sciogliesse le mié difficoltá, infondesse no-
vello coraggio alio sfiduciato mió cuore, mi promettesse il suo valido appoggio.
Egli é certo che mi alzai tutto mutato; torno la calma al mió spirito, mi sentii
abbastanza di vigore per abbracciare quella pesantissima croce, che in quel
momento veniva posta sulle deboli mié spalle.
Per diré tutta la veritá conviene che aggiunga che in ricambio feci al nostro
buon Padre solenni promesse. Poiché mi vedeva costretto a raccogliere la sua
ereditá ed a mettermi a capo di quella Congregazione, che é la piíi grande delle
sue opere, e che gli costo tan te fatiche e sacrifizi, gli promisi che nulla avrei
risparmiato per conservare, per quanto stava in me, intatto il suo spirito, i suoi
insegnamenti e le piú minute tradizioni della sua famiglia.
Ma come mai poté dunque accadere che in morte di Don Bosco
il Papa avesse un momento di sfiducia sull'avvenire della Societá
Salesiana e quindi sulla capacita di Don Rúa? Anzitutto Leo-
ne XIII, se aveva mostrato di comprendere la persona di Don
Bosco, tardó alquanto a valutare l'importanza e la consistenza della
sua Opera. Cominció a conoscere meglio questa, allorché da Governí
dell'America Meridionale e da rappresentanti della Santa Sede venne
ad apprendere quanto íossero in quei paesi apprezzate e deside-
rate le nostre scuole professionali. Riguardo poi al Successore de-
signato, bisogna tener presente che Leone XIII non aveva ancora
avuto occasione di formarsene un giusto concetto. Gli era stato pre-
séntate da Don Bosco nel 1887; ma l'esilitá della persona, la sem-
plicitá del tratto, l'umiltá del contegno, il parlare insignificante (la
circostanza e la brevitá del colloquio non permettevano manifesta-
5
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Capo 1
zioni caratteristiche), glielo avevano fatto giudicare uomo di troppo
modeste attitudini per sostenere il peso della successione. Ma non
ando guari che il Pontefice ebbe a formarsi di lui un concetto
meglio rispondente alia realtá.
Non ho ancora accennato a una difficoltá d'altro genere, la
quale poteva pararsi dinanzi a Don Rüa neU'esercizio del Rettorato
supremo. Fino allora egli aveva fatto quelle che si dicono le parti
odióse. É incredibile la delicatezza da lui usata nel voler rispar-
miata a Don Bosco qualsiasi necessitá di ammonire, di riprendere,
d'intervenire insomma con atti che riuscissero per chicchessia o
in qualunque modo a detrimento della confidenza filíale verso il
padre comune. Ora questo non di rado obbligava Don Rúa a dover
contrariare i singoli o le comunitá ed anche a mantenere un'abi-
tuale riserbo, cose non fatte certamente per suscitare nei cuori vive
simpatie. Si deve puré aggiungere che il suo costume volgeva piut-
tosto all'austero. Pensava forse a tutto ció Don Bosco, allorché pochi
giorni prima di moriré, guardándolo con affetto, gli disse all'im-
provviso: — Fatti amare. — É probabile che non fosse assoluta-
mente necessaria a Don Rúa tale raccomandazione; ma certo la
parola del morente gli risonó all'orecchio come testamento sacro.
Ció non toglie tuttavia che non gli costasse qualche f ática Tin ve-
stirsi di quella amabile paternitá, nella quale parve di veder rivi-
vere la paternitá stessa di Don Bosco. Per chi seriamente vuole,
dove non arriverebbe la natura, arriva e sovrabbonda la grazia.
La trasfigurazione, chiamiamola cosi, di Don Rúa si riveló sú-
bito agli occhi dei Salesiani e dei Cooperatori. Quindi espresse il
sentimento unánime uno degli affezionati e generosi amici francesi
di Don Bosco, il Márchese Remo di Villeneuve-Trans, quando. nella
festa di Maria Ausiliatrice del 1889, disse alia presenza di cospicui
personaggi, assisi a mensa intorno a Don Rúa (1): «É la seconda
volta che noi celebriamo la festa di Maria Ausiliatrice senza Colui
che c'insegnó ad amare e serviré questa Madre divina. Ma io m'in-
ganno e mi correggo, perché abbiamo oggi due Don Bosco: quello
(1) G. B. FKANCESIA, D. Michele Rúa, S. Benigno Canavese, 1911 (2a cd.). Pp. H5-6.
6
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.2 Page 32

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II primo Successore di S. Giooanni Bosco
che é nel cielo, e piü potente che non fosse quando viveva fra noi.
e quello che é la sua vívente immagine e si trova qui in mezzo
a noi. »
Concludendo diremo che con il compito di daré soliditá stabile
ed estensione sempre maggiore all'Opera, Don Rúa sentí di avere
dalla Provvidenza anche la missione di radicare profundamente
negli animi lo spirito autentico del santo fondatore e di fissare
in maniera definitiva la genuina tradizione salesiana. Nulla gli raan-
cava per raggiungere felicemente lo scopo. Aveva conosciuto Don
Bosco nelle sue piü intime fibre; se n'era meritata la piena appro-
vazione nel suo modo abituale d'interpretare e di attuare il pen-
siero del Santo; ne aveva per lunghi anni rispecchiato in sé e
irradiato negli altri le intenzioni, le direttive, le forme di zelo e di
apostolato fin nei minimi particolari: nessuno dunque avrebbe potuto
far valere un'autoritá pari alia sua nell'esercizio di si importante
mandato. Lo f a vori in questo anche la non breve durata del suo
Rettorato: in ventidue anni ebbe tempo e agio di esplicare am-
piamente tutto il suo programma, come ci accingiamo a mettere
nella miglior luce possibile con la nostra storia.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.3 Page 33

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CAPO II
Stato della Congregazione alia morte di Don Bosco.
Prima di procederé oltre sembra piú che mai opportuno daré
uno sguardo sintético alio stato della Congregazione nel 1888; si
a v r á COSÍ un p u n t o di partenza per giudicare dei progressi rag-
giunti sotto il Rettorato di Don Rúa. Cominceremo dal Capitolo
Superiore. Formato nel 1886 dal quarto Capitolo Genérale esso ri-
sultava composto nel modo seguente, com'é nel Catalogo:
Rettor Maggiore: Sac. RÚA MICHELE.
Prefetto: Sac. BELMONTE DOMENICO, Direttore dell'Oratorio Salesiano di
Termo.
Direttore spirituale: Sac. BONETTI GIOVANNI.
Ecónomo: Sac. SALA ANTONIO.
Consintiere: Sac. DURANDO CELESTINO, incaricato dell'ufficio di Prefetto.
Consigliere scolastico: Sac. CERRUTI FRANCESCO.
Consigliere professionale: Sac. LAZZERO GIUSEPPE, incaricato della corri-
spondenza per le Missioni.
Segretario: Sac. LEMOYNE Gio. BATTTSTA.
Circostanze particolari dell'Oratorio consigliavano di mettervi a
capo un Superiore di autoritá piú che ordinaria, quale era appunto
il secondo dei Capitolari (1). A Don Belmonte poi con l'altezza del
grado conferivano prestigio anche le esimie qualitá dellanimo. Com-
piuto il ginnasio nell'Oratorio e vestitovi 1'abito religioso nel 1863.
molto studio, lavoró moltissimo. Eccelleva nelle scienze fisiche e
naturali e in matemática. Diplomatosi nelle prime, le insegnó nel
liceo di Alassio. A vendo sortito da natura ottime disposizioni
all'arte dei suoni, fu buon maestro di música e piú che mediocre
(1) Di Don Belmonte scrisse una buona biografía Don CARINO {Cenni bio^uifici di D. B.,
sac. sul. Seconda cdiz Torino, 1907).
8
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.4 Page 34

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Staío delhi Congregazione alia morte di Don Bosco
compositore. Quando venne innalzato alia seconda carica della Con-
gregazione, dirigeva l'ospizio di Sampierdarena. Assai vivace per Ín-
dole, apprese da Don Bosco soprattutto una calma imperturbabile e
un'incantevole amabilitá, unita a intimo spirito di preghiera. Nel di-
sbrigo delle sue molteplici occupazioni gli si assegnó come aiutante
Don Durando, giá suo predecessore dal tempo della nomina di Don
Rúa a Vicario.
NelYElenco Genérale dei soci per il 1889 la stessa pagina che
recava il quadro dei Capitolari, presentava a una certa distanza
tre indicazioni speciali. Direüore Spirituale Emérito ed Onorario:
Mons. GIOVANNI CAGLIERO, Vescovo di Magida, Vicario Apostólico
della Patagonia e Vicario Genérale per tutte le Case Salesiane del-
F America Meridionale. — Maestro de gli Ascritti: Sac. BARBERIS
GIULIO, Direttore della Casa di Valsalice. — Procuratore Genérale:
Sac. CAGLIERO CESARE, Direttore dell'Ospizio del Sacro Cuore di
Gesü a Roma.
Mons. Cagliero, fatto Vescovo, aveva lasciato vacante il posto di
Catechista Genérale. Essendovi ragione di temeré che il Governo
Argentino gli vietasse di porre la sua residenza nella Repubblica (1),
non gli si era dato un successore, ma soltanto un sostituto nella
persona di Don Barberis (2); dileguatisi poi i timori, il quarto
Capitolo Genérale elesse Catechista effettivo Don Bonetti, accla-
mando il Vescovo Catechista ad honorem. L'anno innanzi Don Bosco
gli aveva di moto proprio affidato un nuovo incarieo. L'America
aveva i suoi Ispettori; tuttavia il Santo per agevolare il disbrigo
degli affari in quelle remote región i, l'aveva nominato suo Vicario o,
piú esattamente, fino al 1888, Provicario di Don Rúa per tutte le
Case Salesiane di la (3). Piú tardi Don Lasagna, venuto a Torino,
fu incaricato dal Capitolo di « scrivere in articoli uno schema di
regolamento per le relazioni fra il Provicario e gli Ispettori Ame-
ricani» (4). Monsignore copriva puré la carica di Direttore Ge-
(1) Metn. Biogr., p. 312 segg.
(2) Verb. del Cap. Sup., 24 ott. 1884; 9 fcbbr. e 24 sctt. 1885.
(3) Lcttcre di Don Bosco a Don Costamagna c a Don Fagnano, 10 agosto 1885.
(4) Verb. del Cap. Sup., 20 ottobre 1886.
9
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.5 Page 35

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Capo II
nerale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ael quale ufficio gli sot-
tentró Don Bonetti (1). Della condizione fatta allora al Maestro
degli Ascritti, si é detto nel precedente volume (2). Don Cesare
Cagliero, cugino del suo omonimo Monsignore, quando fu designato
a reggere la Procura, era Direttore di Valsalice (3). Succedette a
Don Dalmazzo, richiamato a Torino. Figlio dell'Oratorio, riuni nella
propria persona le tre cariche di Direttore, di Ispettore e di Procu-
ratore. Uomo di gran senno e di tatto finissimo, resé alia nostra So-
cietá segnalati servigi.
Veniamo ora alia statistica genérale dei Soci e delle Case, La
Societá contava nel 1888 professi perpetui 768, professi triennali
95, ascritti 276, aspiranti 181. I preti sommavano in tutto a 301.
Delle Case, quattro dipendevano direttamente dal Capitolo Su-
periore, cioé l'Oratorio e le tre di Valsalice, di S. Benigno e di
Foglizzo. Le altre si raggruppavano in sei Ispettorie, di cui quattro
nell'Europa e due nell'America.
Appartenevano all'Europa: Io L'Ispettoria piemontese. Ispettore
Don Francesia. Case secondo l'ordine cronológico della loro fonda-
zione: di Borgo S. Martino (succeduta a quella di Mirabello), Lanzo
Torinese, Mathi, Nizza Monferrato, Este, Penango, S. Giovanni
Evangelista, Mogliano Véneto. — 2o L'Ispettoria ligure. Ispettore Don
Cerruti, che continuó a reggerla fino al 1890, quando gli successe
Don Giovanni Marenco. Case di Varazze (trasportata da Cherasco),
Alassio, Sampierdarena, Vallecrosia, La Spezia, Lucca, Firenze. —
3o L'Ispettoria francese. Ispettore Don Albera. Case di Nizza, Mar-
siglia, Navarra, St. Cyr, Valdonne (cappella degli Italiani), La Ciotat
(cappella degli Italiani), Santa Margherita (Marsiglia), Lilla, Pa-
rigi. — 4o L'Ispettoria nominalmente romana. Ispettore Don D u r a n -
do. Case di Magliano Sabino, Roma, Faenza: piü, in Italia quelle di
Randazzo e di Catania, e, fuori d'Italia, quelle di Utrera, Barcel-
lona, Trento, Londra.
(1) Veri?, del Cap. Sup., 9 gennaio 1885.
(2) Annali, pagg. 195-6.
(3) Verb. del Cap. Sup., 24 agosto 1887.
10
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.6 Page 36

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Slato della Congregazione alia mor te di Don Bosco
Appartenevano aH'America: Io L'Ispettoria argentina. Ispettore
Don Costamagna. Case quattro a Buenos Aires (della Misericordia,
di Almagro, della Boca, di S. Caterina); una a S. Nicolás de los
Arroyos e una a La Plata. Ne dipendevano puré le Case del Vi-
cariato Apostólico della Patagonia (parrocchie e collegi a Carmen
de Patagones e a Viedma) e le tre Missioni di Santa Cruz, di Pun-
tarenas e delle Malvine nella Prefettura Apostólica di Mons. Fa-
gnano. Nella Terra del Fuoco, visitata a intervalli da Missionari,
non esistevano ancora residenze fisse. Alia medesima Ispettoria
erano annesse le due Case di Concepción e di Talca nel Cile. —
2o Ispettoria uruguaiana-brasiliana. Ispettore Don Lasagna. Case
di Villa Colon, Las Piedras e Paysandú nell'Uruguay: di Nictheroy
e S. Paolo nel Brasile. Piü la Casa di Quito nell'Equatore.
La mondiale rinomanza, che godevano le Opere di Don Bosco,
faceva supporre migliaia di operai con centinaia di fondazioni.
Invece i numeri che abbiamo visti, se si riguardano in sé, non erano
davvero stragrandi; ma bisogna mettere questi numeri in relazione
con le circostanze. Per non tener contó se non delle professioni per-
petué, Don Bosco aveva a' suoi ordini, fra Salesiani e Suore, piü
di novecento persone, distribuite in circa centodieci luoghi, per cin-
que Stati e su due Continenti. Orbene egli si creó tale famiglia reli-
giosa in tempi ávversissimi a simili istituzioni. Lo Stato italiano nel
suo formarsi le sopprimeva gradatamente, mirando con leggi dra-
coniane a impedirne il risorgere; nel che lo serviva una stampa
settaria, sempre in vedetta per denigrarle e stroncare qualsiasi ten-
tativo di rinascita. Eppure il Santo, scansando violenze ed eludendo
male arti, seppe trarre a se una si bella falange di volenterosi, che
sotto vesti nuove riproducevano la vita delle Istituzioni disperse.
Semplice prete e povero di mezzi materiali, si affidava alia Prov-
videnza, che egli serviva con tutte le forze delFingegno e del volere.
Ingegno sagace nel trovare e plasmare i soggetti che facevano per
lui, nell'escogitare espedienti contro minacce e assalti, e nel sol-
lecitare dalla carita del pubblico i sussidi necessari all'ardita im-
presa; volontá férrea di fronte agli ostacoli e invitta nel ripigliare
da capo ogni volta che un'iniziativa gli andava a vuoto. Sotto
11
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.7 Page 37

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Capo II
questo punto di vista i risultati numerici da lui conseguiti si deve
diré che hanno del prodigioso.
Ma qui é da cercare altro sotto il numero, che per sé varrebbe
poco; cío che vale é l'organizzazione. Poco giova l'accozzare per-
sone e il moltiplicare opere ove poi manchi la forza di coesione, che
faccia di tante membra un corpo solo, e se entro a questo corpo non
palpiti un centro di energia vitale, che lo mantenga in vigore e ne
promuova l'incremento. Ora qui soprattutto é da ammirare il sa-
piente lavorio di Don Bosco. Fin da principio non vagheggió castelli
in aria, ma si propose un piano ben definito, che venne via via
attuando in una coordinazione sistemática, meno apparente che rea-
le. Meno, anzi pressoché per nulla apparente agli stessi adepti nei
primordi della preparazione, ma resasi visibile ogni volta che lungo
il faticoso cammino il Santo riusciva a piantare una pie-tra mi-
liare; allora, chi volgeva lo sguardo indietro, scopriva come tutto
fosse stato fatto a ragione veduta per arrivare a quella meta. Ecco
perché al suo dipartirsi da questo mondo Don Bosco poté assi-
curare i suoi eredi e continuatori che per la Congregazione non
c'era niente da temeré: infatti egli le aveva dato una compattezza
orgánica, che l'avrebbe sicuramente mantenuta in essere ed una
possente vitalitá, íonte perenne di dinámica espansione.
, La sua ereditá spirituale passava dunque, ben assestata e ricca
di belle promesse, nelle mani dell'erede; ma che diré dell'ereditá
materiale? Vi furono giornali che, o per malignitá o per ignoranza,
lanciarono la notizia come qualmente il defunto avesse lasciato a
Don Rúa un'immensa fortuna; ma la veritá era ben diversa. Don
Bosco non aveva lasciato fondi, ma soltanto alcuni avvisi di carat-
tere económico, nei quali raccomandava fra l'altro queste quattro
cose: sospendere i lavori di costruzione, non " decantare " debiti, usare
comuni sollecitudini per pagare la successione, estinguere le passivitá.
Don Rúa si affrettó a comunicare queste raccomandazioni con la
clausola lacónica: «Tanto per norma a tutti i Salesiani e senza
commenti. » (1)
(1) Circolare 8. fcbbraio 1838.
12
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.8 Page 38

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Stalo della Congregazione alia morte di Don Bosco
Costruzioni. Gli incrementi edilizi dell'Oratorio, gli ampliamente
di Collegi salesiani e di Case delle Suore tanto in Italia che aH'estero
avevano inghiottito capitali, messi insieme per via di donazioni e
offerte, procuratesi da Don Bosco stesso o inviategli spontaneamente
da caritatevoli persone; ma allora la prudenza voleva che non si
ponesse mano per qualche tempo a lavori non urgenti. Urgeva solo
ultimare la chiesa e l'Ospizio del Sacro Cuore a Roma. É vero che
la fiducia genérale popolava di gioventú. gFIstituti maschili e fem-
minili e spingeva a ingrandire gli edifici; ma importava assai piü
per il momento pensare a un buon assetto delle opere esistenti,
COSÍ come si trovavano, senza dispendiose innovazioni. Tanto piíi
che, venuto a mancare Colui, il quale con l'illuminato consiglio e con
la mano soccorritrice arrivava a tutto, vi era da temeré che sce-
masse la beneficenza e si creassero rovinose situazioni finanziarie.
S'imponeva dunque una saggia economía. Senza diré che un pe-
riodo di maggior raccoglimento, libero da preoccupazioni del ge-
nere, appariva consigliabile anche per concentrare gli slorzi a ras-
sodare la formazione religosa de Soci (1).
Debiti. Con l'espressivo verbo " decantare" Don Bosco inten-
deva lo sciorinare clamorosamente in pubblico i debiti della Con-
gregazione alio scopo di far sorgere benefattori che aiutassero a
pagarli. Sarebbe stato un gettare il discredito su gli amministratori e
sul Superiore medesimo, quasi che egli avesse lasciato i suoi negli
imbarazzi per non aver agito con tutte le oculate cautele dettate
dalla prudenza. Don Bosco non pretendeva sicuramente che si
avesse paura di svelare le proprie necessitá; ma altro era esporre
bisogni, altro il rappresentare la Societá come oberata. É una cosa
qnesta che finisce con ingenerare sfiducia; onde a tanti, anziche
far aprire la borsa, la fa chiudere. In particolare, durante la malattia,
proibi perlino che dopo la sua morte si facessero conoscere esat-
tamente i grossi debiti gravanti sulla chiesa del Sacro Cuore a Roma.
Don Rúa nei Processi, accennando a tale proibizione, si limita a diré
(i) Le regolari autorizzazioni di fabbricazioni, demolizioni, compcre, permute e siutili, a ca-
rico della Societá, ricominciarono nel 1902 (Arch., 81-I1-F). Prima si autorizzavano soltanto lavon e
acquisti di poca cntitá c di impeliente necessitá.
13
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.9 Page 39

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Capo 11
che Don Bosco la fece " per vari motivi ". Si sarebbe forse poluto
sospettare che il danaro raccolto da molte parti per quell'impresa
fosse stato impiegato altrove o male amministrato, due dubbi poco ono-
revoli per la Societá. Comunque si fosse, egli assicuró il suo Suc-
cessore che la Provvidenza non sarebbe venuta meno per il com-
pimento di quell'Opera; e cosi realmente fu.
Successione. Le formalitá legali e gli oneri fiscali per la succes-
sione riguardavano soltanto l'Oratorio e altri immobili intestati a
Don Bosco. Non essendosi reso noto al pubblico l'ultimo testa-
mento, ignoriamo le disposizioni particolareggiate a questo riguardo.
Sappiamo únicamente che a prevenire eventuali sorprese e ad alleg-
gerire i pesi della successione Don Bosco riconobbe un suo debito
verso i prmcipali della Casa per servizi prestati e non retribuiti e
firmó un'obbligazione di pagamento da parte del proprio erede per
versamenti effettuati in sua mano di capitali a litólo di deposito.
Gl'interessati fecero tostó registrare legalmente i relativi documenti,
prendendo ipoteca sulFerede designato. Inoltre dichiaró con atto
légale depositi ricevuti da persone prívate e contrasse un prestito
bancario per centomila lire, ammortizzabili in cinquant'anni con
il solo pagamento dei frutti. Infine fece telegrafare a Villa Colon
e scrivere a Nizza Mare che si vendessero immediatamente da' suoi
procuratori legali quei due Collegi di sua proprietá a Societá Ton-
tinarie (1).
Passivitá. Sinónimo di debiti. Non decantare debiti non voleva
diré non darsi premura di pagarli. Ve n'erano di grandemente one-
rosi. Basti ricordare trentamila franchi per la casa di Ménilmon-
tant a Parigi e soprattutto le forti somme dovute per la chiesa del
Sacro Cuore a Roma. Allora si toccó con mano l'intervento della
Provvidenza. Per Parigi il danaro fu portato tutto in una volta
e a tempo giusto, da persona che volle mantenere l'incognito; per
Roma i soccorsi arrivarono in si gran copia che furon potute sbor-
sare, solo nel corso del 1888, ben 350.000 lire, somma che rappre-
senterebbe oggi il valore di circa due milioni e che in quei fran-
(1) Cfr. Annali, pag. 150 in nota.
14
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

4.10 Page 40

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Staio della Congregazione alia morte di Don Bosco
genti costituiva una passivitá enorme per la Congregazione. Era
poco piü che la meta del debito. Né le passivitá pesavano solo
sopra le Case d'Italia. Don Rúa scriveva a Don Cagliero il 4 ottobre:
« I nostri bisogni sonó immensi, anche le Case di Francia sonó
pressoché tutte in grandi necessitá ed io sonó in grande imbarazzo
per soccorrere alie piü urgenti.» Egli perció picchiava e faceva
picchiare alie porte della Divina Provvidenza. E alia Provvidenza
si andava incontro con la carita; onde al medesimo Don Cagliero,
desideroso di ripigliare i sospesi lavori dell'ospizio di Roma, rispóse
il 22 novembre che avrebbe dato il permesso, quando fosse piena la
Casa e sapesse che vi si avevano almeno cinquanta artigiani poveri o
quasi poveri. « Allora la Provvidenza non mancherá », soggiungeva.
Dopo la presentazione del nuovo Rettor Maggiore e dopo queste
necessarie premesse, entriamo ormai nel vivo della storia.
15
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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CAPO III
Primi atti del nuovo Rettor Maggiore.
Don Rúa entró ufficialmente in carica l'll febbraio 1888, giorno
in cui venne formato a Roma il decreto di conferma della sua no-
mina. Egli inauguro il proprio Rettorato con la visita di omaggio
al Vicario di Gesú Cristo (1). Partí con la massima sollecitudine
da Torino, ma dovette aspettare parecchio per avere l'udienza, es-
sendo il Papa molto occupato in ricevere coloro che giungevano a
Roma, attratti dal suo giubileo sacerdotale. Intanto, affezionato al-
líevo dei Fratelli delle Scuole Cristiane, ebbe la consolazione di as-
sistere in San Pietro alia Beatificazione del loro fondatore Giovanni
Battista de La Salle, celebratasi il 19 febbraio.
Fu ricevuto dal Papa la mattina del 21. Un'udienza privata
di Leone XIII non si dimentica piú neppure dopo lunghi anni.
QuelPaspetto fra maestoso e paterno, quegli occhi neri, vivi e pene-
trante que! diré misurato, grave ed espressivo ispiravano un misto
di riverenza e di confidenza, che, mentre non faceva moriré la pa-
rola sulle labbra a chi gli stava dinanzí, obbligava pero a riflettere
nel rispondere. Si usciva dalla sua presenza ammirati e soddisíatti.
II Pontefice accolse benignamente l'umile successore di Don Bo-
sco trattenendolo in vario colloquio, nel quale fra l'altro diede di-
rettive, fece un'importante dichiarazione e chiese notizie. Spigo-
liamo le cose piú notevoli.
Anzitutto disse che, continuando le sante imprese del fondatore,
si procurasse di assodarle bene; non si avesse quindi per qualche
tempo premura di estendersi, ma di sostenere e sviluppare le fon-
(1) Mem. Biogr., vol. XVIJI, pag. 619.
16
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

5.2 Page 42

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Primi atti del nuovo Retlor Maggiore
dazioni giá fatte. II consiglio rispondeva al preciso volere di Don
Bosco, il quale nel Promemoria del 1884 che doveva serviré dopo
la sua morte, aveva scritto: « É bene che almeno per un po' di
tempo non si aprano nuove case» (1). Poi il Papa soggiunse che si
procurasse di mandare nelle varié Case persone ben ferme nella
virtú; perció chi dirigeva il Noviziato attendesse alia riforma della
vita dei novizi. « Questi, osservó egli, portano con sé della scoria;
e quindi hanno bisogno di esserne purgati e venir rimpastati alio
spirito di abnegazione, di obbedienza, di umiltá e semplicitá e delle
altre virtú necessarie alia vita religiosa; e perció nel Noviziato lo
studio principale e direi único dev'essere di attendere alia propria
perfezione. E quando non riescono a correggersi, non abbiate ti-
more di allontanarli. Meglio qualche membro di meno che avere
individui che non abbiano lo spirito e le virtú religiose. » Anche su
di questo nel detto Promemoria Don Bosco raccomandava (2): «II
tempo di Noviziato per noi é come un crivello per conoscere il buon
frumento e ritenerlo se conviene. Al contrario si sarchi l'erba non
buona e quindi colla volva e colla gramigna si getti fuori del nostro
giardino. »
In principio e nel corso dell'udienza il Pontefice fece e ripeté
una dichiarazione della massima importanza sia per l'autoritá del
Capo della Chiesa che la proferiva, sia per il noto riserbo di
Leone XIII nella manifestazione del suo pensiero. Disse da prima:
< Don Bosco era un santo. » In seguito, essendo stata da Don Rúa
ricordata la devozione di Don Bosco al Papa, fatta palese ancora
sul letto di morte, il Papa ribadi: « Si vede che il vostro Don Bosco
era un santo simile in questo a San Francesco d'Assisi, che, quando
venne a moriré, raccomandó caídamente a' suoi religiosi di essere
figli devoti e sostegno della Chiesa Romana e del suo Capo. »
Infíne domando distinte notizie delle Case Salesiane, sofferman-
dosi con particolare interessamento sulle Missioni della Patagonia
e della Terra del Fuoco. Qui l'argomento lo portó a chiedere di
Mons. Cagliero, che, venuto in Italia per partecipare al giubileo,
(1¡ Mem. Biogr., vol. XVII, pag 260. Cfr. Circulare di Üon Rúa, 8 febbraio 1888
(2) loi, pag. 263.
17
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

5.3 Page 43

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Capo III
erasi provvidenzialmente trovato accanto a Don Bosco negli estremi
suoi giorni. Verso il termine dell'udienza il Papa disse, scandendo
le parole: « Tutto l'affetto e la benevolenza che portavamo a Don
Bosco, l'avremo per voi e per la Societá da lui fondata. »
Raggiante di gioia, Don Rúa, appena tornato all'Ospizio del Sa-
cro Cuore, stese una sommaria relazione dell'udienza e recátala
con sé a Torino, la fece stampare e nel giorno di S. Giuseppe ne
spedi copia a tutte le Case, accompagnandola con una circolare, la
prima che inviava nella sua qualitá di Rettor Maggiore.
La proclamazione della santitá di Don Bosco fatta dal Papa in-
coraggió Don Rúa a compiere i primi atti per l'introduzione della
Causa di Beatifícazione. II Card. Parocchi, protettore della Societá
Salesiana, erasi mostrato ancor piü esplicito del Papa, consigliando
di avviare súbito le relative pratiche presso la Curia arcivesco-
vile di Torino; anzi indirizzó Don Rúa da Mons. Caprara, Pro-
motore della Fede, o, come vulgarmente vien detto, avvocato del
diavolo, per avere da lui particolareggiate istruzioni in proposito.
Quegli lo soddisfece di buon grado, esibendoglisi anche per qual-
siasi occorrenza ed insistendo sulla necessitá di raccogliere senza
indugio il maggior numero di dati circa i miracoli ottenuti dai fe-
deli dopo la morte del Servo di Dio e di corredarli con tutti i mi-
gliori argornenti possibili (1).
Don Rúa adunque non pose tempo in mezzo. II 28 febbraio ri-
fen queste cose in Capitolo; quindi fu affidato, seduta stante, a
Don Bonetti l'incarico di redigere uno schematico riassunto dei fatti
e delle virtü di Don Bosco, procacciandosi notizie da quanti gliene
potessero fornire. Per agevolare la ricerca si deliberó d'interessare
a ció tutte le Case; il che fece Don Rúa nella circolare del 19 mar-
zo, esortando caídamente tutti i Confratelli a scrivere quanto essi
conoscessero di particolare sui fatti della vita di Don Bosco, sulle
sue virtú teologali, cardinali e morali, su suoi doni soprannaturali,
su guarigioni o profezie o visioni e simili, inviando poi ogni cosa
al Catechista Genérale. Conchiudeva avvertendo: « Per norma dei
(1) Lett. di Don Rúa a Don Bonetti, Roma, 20 febbraio 1888.
18
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

5.4 Page 44

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Primi aüi del nuovo Rettor Maggiore
relatori noto che a suo tempo essi potranno essere chiamati a pre-
stare giuramento su quanto riferiscono e perció raccomando la piú
grande fedeltá ed esattezza. »
L'invito ebbe larghissima eco nel mondo. Non passava quasi
giorno che non pervenissero relazioni di grazie straordinarie, ot-
tenutesi con preghiere rivolte a Don Bosco o per contatto di sue
reliquie. Commoveva poi il vero plebiscito di lodi alia santitá di
lui, né erano poche le insistenze da parte di persone autorevoli.
perché si mettesse presto mano alia Causa. Don Rúa si stimó in
dovere di accingersi all'impresa con la solerzia che la gravita del
negozio esigeva (1).
Intanto non pochi stupivano che in meno d'un anno dalla morte
di Don Bosco venisse Don Rúa facendo una, poi un'altra, poi una
terza spedizione missionaria, e quest'ultima piú numerosa di tutte
le dodici inviate dal Fondatore. Non si mirava ad aprire nuove
Case e residenze, il che sarebbe stato un andar contro al divieto
di Don Bosco, ma a rinforzare il persónate in quelle esistenti. Don
Bosco, spiegherá Don Rúa nella lettera di capo d'anno ai Coope-
ratori (2), « raccomandando che, avvenuta la sua morte, si sospen-
desse l'apertura di nuove Case, aveva escluso appositamente le Mis-
sioni estere, anzi aveva esortato tutti a sostenerle e promuoverle,
promettendo una speciale protezione di Maria Ausiliatrice a quanti
avessero cooperato in loro favore. » Piú che non di trovare i sog-
getti da mandare, si sentiva la difficoltá di raccapezzare le somme
necessarie per le spese dei viaggi e di tutto l'occorrente. Non c'era
altro mezzo che invocare la carita pubblica. A tal fine, anziché
redigere un appello suo, Don Rúa preferí diffondere nuovamente
quello diramato da Don Bosco nel novembre del 1887 (5), con una
sua lettera di accompagnamento, nella quale, in data 10 marzo, di-
ce va: «Chiamato dalla Divina Provvidenza alia grave responsa-
bilitá della direzione delle Opere del nostro compianto Fondatore.
non potrei far meglio che indirizzare alie anime caritatevoli la let-
(1) Cfr. Mem. Biogr., vol. XIX, p. 34 segg.
(2) Bollettino Salesiano, gennaio 1889.
O) Mem. Biogr., vol. XVIlí, pp. 429 e 785.
19
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5.5 Page 45

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Capo III
tera medesima di colui, il quale s'é dato tutto peí bene morale e
materiale di centinaia e migliaia di poveri infelici. sparsi in di-
verse parti del mondo. I bisogni non sonó meno urgenti oggi, che
al momento in cui Don Bosco s'é visto nella necessitá di rivolgersi
alia carita dei cuori generosi. » L'effetto gli dié modo di constatare
come non fosse diminuito nel mondo il favore per le Opere di
Don Bosco; invero, rendendone contó nella mentovata circolare del
Io gennaio, dichiaró: «Le spese fatte pei viaggi dei Missionari e
per le necessarie provviste furono grandi; ma, debbo pur confes-
sarlo, la carita dei Cooperatori e delle Cooperatrici, specialmente
nell'Italia, nella Francia e nel Belgio, ci sorresse e confortó come
nei bei giorni deH'incomparabile Don Bosco. »
Si trovavano in Italia, oltre a Mons. Cagliero, anche i Missio-
nari Don Cassini e Mons. Fagnano, ognuno dei quali guidó, par-
iendo, un proprio drappello. Tre volte si ripeté in dieci mesi la
cerimonia dell'addio; eppure fu sempre assai numerosa la parteci-
pazione del pubblico. Piccola avanguardia, parti l'll marzo Don
Cassini con sei compagni, destinati all'Argentina e all'Uruguay. Lo
seguí il 30 ottobre Mons. Fagnano, conducendo seco un maggiore
stuolo di dieci Confratelli e cinque Suore, assegnati alia sua Mis-
sione della Patagonia Meridionale e Terra del Fuoco. Finalmente
il 7 gennaio 1889 venne Ja volta di Mons. Cagliero, a capo di trenta
Salesiani e venti Figlie di Maria Ausiliatrice. Aveva egli percorso
molte cittá d'ltalia e dell'estero, suscitando, ovunque giungesse,
caldo entusiasmo per le Missioni di Don Bosco (1). Sul punto di
lasciare l'Oratorio e l'ítalia, parló ascoltatissimo nella chiesa di Ma-
ria Ausiliatrice ai Torinesi, indi in quella di S. Siró ai Cooperatori
genovesi. Aveva una sua eloquenza senza fronzoli. ma a impeti,
e assai pittoresca, che faceva grande effetto. Dall'udienza pontificia
avuta il 22 marzo porta va scolpite in cuore le parole con cui i I
Papa, ricordando la figura di Don Bosco, erasi compiaciuto di ri-
(1) Lett. a Don Barberis, Licgi, 4 diccnibre 1388: < Domani partiamo per L.ille e súbito dopo per
Parigi e dopo I'Immacolata per Torino. Le principali cittá del Belgio visítate saranno in futuro il
nostro sostegno. > Poi, alludendo a' suoi < cari Americani >, cioé ai nuovi Missionari che sarebben»
andati con lui: < Raccomanda a tutti che in questa solennitá di Maria limnacolata domandino la
grazia di essere veri missionari, santi missionari e perseveranti missionari. >
20
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5.6 Page 46

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Primi Mi del nuovo Relíor Maggiore
levare come continuasse dopo la morte del íondatore Funione am-
mirabile fra i Soci (1).
Un atto importante, che interessava tutta la Congregazione,
poté compiere Don Rúa nel primo anno del suo Rettorato. Se una
Congregazione religiosa si paragona a un edificio, non le deve man-
care quella parte che ne rappresenti il tetto. Come un palazzo che
abbia i suoi muri e le sue volte senza il coronamento del tetto non
offre bastante riparo a chi vi abita, cosi la Societá Salesiana, só-
lidamente eretta su buone basi e ben sistemata nel suo interno, non
avrebbe assicurato a' suoi membri tutta la possibilitá di vita e di
azione senza la salvaguardia dei privilegi. Va sotto questa deno-
minazione tutto un insieme di facoltá, favori e grazie, soliti a con-
cedersi dalla Santa Sede agli Istituti religiosi, i cui adepti. essendo
sparsi in diócesi e Stati diversi ed anche assai lungi dal centro
o in Missioni remotissime, hanno bisogno di tali mezzi, che ne man-
tengano l'unitá di spirito, agevolino loro il disbrigo degli affari e
ne tutelino la liberta. Ecco perché la Chiesa largheggió sempre con
i religiosi sodalizi in esenzioni dal diritto comune e nella conces-
sione di altre prerogative, conformi alia natura e alio scopo di ogni
lstituto, ed ecco perché Don Bosco, date le Rególe a' suoi, orga-
nizzata la famiglia e avutane l'approvazione apostólica, sollecitava
da Roma tale compimento dell'opera. Quanto egli abbia fatto per
conseguiré l'intento, é stato narrato altrove (2); ma, ottenuta lo co-
municazione ufficiale dei privilegi e incaricato il suo segretario per-
sonale di allestirne l'edizione autentica, non arrivó in tempo a ve-
dere la pubblicazione, perché la preparazione richiese lungo la-
voro, sicché la stampa non fu terminata se non nel giugno del
1888 (3). Toccó dunque a Don Rúa la gioia di farne la presenta-
zione ai Soci. La fece con lettera latina dell'8 giugno, nella quale
dichiarava: «Prima di licenziare il volume per la stampa, lo sotto-
(1; Boíl. Sal., maggio 1888.
(2) Mem. Biogr., voll. XI-XVII passim. Cfr. anche S. Giooanni Bosco nella Vita e nelle Opere,
p. 293 sgg.; Annali, p. 473 scgg.
(3; Elenchus privilegiorum, seu facultatum eí gratiarum spiriíualium, quibus poiitur Sociefas
S. Francisci Salesii, ex S. Sedis Apostolicae roncessionibus direcíe, et Congregationis SS. Redem-
píoris communicalione. S. Benigni in Salassis, MDCCCLXXXVIII.
21
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo 111
posero a rigorosissimo esame vari teologi della nostra Congrega-
zione, che attestarono nulla contenervisi di censurabile, ma tutto
essere ivi conforme alie leggi della Chiesa e alie analoghe conces-
sioni apostoliche in favore di altre Congregazioni religiose. » Ingiun-
geva poi severamente di non prestare il volume a estranei e di non
lasciarlo mai in giro; nel caso di contestazioni con Ordinari locali,
i Direttori agissero sempre d'intesa con i relativi Ispettori, e nei
dubbi si ricorresse al Rettor Maggiore. Ne mandó copia ai solí
Tspettori e Direttori. Esiste una sua minuta, della quale si serví chi
compiló il testo della lettera latina. Ne fo menzione, perché si legge
in essa una frase, di cui il traduttore non tenne contó: Don Rúa
chiamava i privilegi un " regalo della divina bontá ".
Quell'anno Don Rúa continuó una tradizione e sanci una no-
vita, alie quali guardava in qualche modo tutto il mondo sale-
siano. Coloro che ragionavano con mentalitá sorpassata, gratifica-
rono talvolta i Salesiani del titolo di festaioli. É vero, Don Bosco
amó e fece amare le belle feste nelle sue chiese e ne' suoi col-
legi; ma e anche vero che le feste, celébrate com'egli usava e in-
segnava, producevano frutti di benedizione e costituivano un ele-
mento prezioso della sua pedagogía. Lasciando stare le feste li-
turgiche e altre ordinarie e straordinarie, due emergevano su tutte
per la loro annua e larga ripercussione, sicche appartengono alia
tradizione storica della Societá: la solennitá di Maria Ausiliatrice
e l'onomastico di Don Bosco. II 24 maggio suscitava un movimento
grandissimo di anime, infervorandole nella pietá, e il 24 giugno toe-
cava un'infinitá di cuori. Ma in ambe le occasioni campeggiava la
figura di Don Bosco: di Don Bosco sacerdote con le sue benedizioni
apportatrici di conforti e di grazie nella prima, di Don Bosco edu-
catore e benefattore della gioventu nella seconda. Ma dopo, scom-
parso lui dalla scena, che ne sarebbe avvenuto?
II ritornare delle due date lo rivelarono. Nel giorno di Maria
Ausiliatrice Don Bosco era ancora negli occhi di tutti; eppure i
fedeli si accalcarono da mane a sera intorno a Don Rúa nella sa-
grestia per ricevere da lui, come giá da Don Bosco, la benedizione
e per implorare una sua preghiera nei loro bisogni, e i Cooperatori
22
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

5.8 Page 48

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Primi atti del nuovo Rettor Maggiore
lo assediavano fuori per diré e ascoltare una parola, come sole-
vano fare prima. II Successore del Santo aveva nel viso, nel tratto,
nell'accento qualche cosa che elevava, spirando dall'esile persona
un'aura di serenitá e di pace, donde traspariva l'uomo di Dio, ben
degno del Grande che l'aveva preceduto. Nulla s'arrestó, nulla s'ir-
rigidi, ma continuó il ritmo caldo e crescente, come per l'addietro,
sicché la festa di Maria Ausiliatrice si affermava sempre meglio
quale una delle maggiori e piü popolari Istituzioni salesiane.
Piü difficile invece parrebbe, per non diré impossibile, che so-
pravvivessero le manifestazioni devote e filiali, che nell'onomastico
di Don Bosco rallegravano tanto i cuori e facevano tanto bene ai
giovani. Ma non fu cosi, grazie a una forma escogitata dagli ex-al-
lievi dell'Oratorio. La festa di Don Bosco si svolgeva in due tempi.
La sera della vigilia e un po' anche la mattina appresso facevano
la loro comparsa gli ex-allievi con accademia e presentazione di
doní; nel pomeriggio del 24 si radunavano intorno al festeggiato
amici e benefattori in lieto trattenimentó: gli interni partecipa-
vano a tutto ed erano loro affidate> oltre alie declamazioni, le ese-
cuzioni musicali numeróse, varié e in parte nuove ogni anno. Non
si potrebbe immaginare nella vita di collegio una festa piü gio-
conda e piü desiderata. Durante l'anno di lutto sarebbe stata una
stonatura quella celebrazione, comunque la si potesse rinnovare,
quando non c'era piü il re della festa. Or ecco che gli ex-allievi
dell'Oratorio escogitarono il modo di perpetuare la dimostrazione,
dándole un carattere originale e geniale, che Don Rúa approvó, se
puré non ne fu egli stesso l'ispiratore. Riunitosi il loro comitato
nella casa parrocchiale di S. Agostino, dov'era párroco Don Fe-
lice Reviglio, il primo prete fatto da Don Bosco, si studió come
sarebbesi potuto d'allora in poi onorare la memoria dell'indimenti-
cabile benefattore e padre. Vennero ventilate diverse proposte: eri-
gergli un monumento, fare ogni anno una commemorazione o un
pellegrinaggio alia sua tomba, tenere un'accademia il 24 giugno,
formare di tutti gli ex-allievi dell'Oratorio una regolare associa-
zione con sede céntrale a Torino. Ma finalmente prevalse l'opinione
non potersi stabilire nulla di meglio che continuare l'annua di-
23
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo 111
mostrazione del 24 giugno nella persona di Don Rúa con il ti-
tolo di " dimostrazione filíale alia memoria di Don Giovanni Bo-
s c o " . L'idea piacque umversalmente, sicché nel 1889 furono per
la prima volta associati nell'omaggio della riconoscenza Don Bo-
sco e il suo Successore anticipandosi la festa di S. Michele per unirla
a quella di Don Bosco. « E questo va bene, disse Don Rúa nell'ac-
cademia del giorno 23. lo sonó contento che non si perda T u s o di
festeggiare Fonomastico di Don Bosco. É mió vivo desiderio che
la sua memoria sia sempre impressa nei nostri cuori, e sonó contcn-
tissimo che si colga ogni circostanza che possa contribuiré a ren-
dere pin vivo il ricordo delle sue virtú.»
Qui sta bene cederé la penna a un testimonio oculare, che in
una corrispondenza privatissima cosi descrive (1): «Alia sera del
23 non ci accorgevamo neppure che mancasse Don Bosco. G!i stessi
pensieri nelle letture, gli stessi canti e concerti delle bande dell'O-
ratorio e di S. Benigno Canavese; lo stesso concorso di forestieri,
le rappresentanze degli oratorii esterni, della Societá Operaia Cat-
tolica di S. Gioachino e via. Alia mattina del 24 all'ora sólita
degli anni antecedenti entrarono in bel numero gli antichi allievi,
accompagnati dalla música, si raccolsero nella sólita sala e tennero
un discorso di ossequio al Sig. Don Rúa, precisamente come si
faceva per Don Bosco. Finita questa cerimonia, si portarono a Val-
salice per lo scoprimento solenne d'una bellissima lapide di marmo,
grazioso ornamento al sepolcro di Don Bosco, loro óbolo per l'anno
1889. L'accademia ad onore e memoria di Don Bosco nella sera del
24 ebbe un esito imponente peí decoroso contegno con cui vennero
ascoltati i componimenti ad hoc, tanto da parte degli interni quanto
dei numerosi esterni intervenuti.» Quel primo saggio dunque in-
contró talmente il favore di tutti, che la cosa si ripeté con immu-
tata sodisfazione genérale fin oltre al Rettorato di Don Rúa.
Restava da adempiere un desiderio di Leone XIII, espresso giá
a Don Bosco e poi di nuovo últimamente ripetuto a Mons. Mana-
corda. II Papa desiderava di vedere nella Congregazione Salesiana
(1) Lctt. di Don Lazzero a Mons. Cagliero, Torino, 3 luglio 1889.
24
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Primi atti del nuovo Rettor Maggiore
un risveglio intellettuale mediante la formazione anche di uomini
che fossero eccellenti negli studi speculativi. Suggeriva perció di
mandare alcuni a Roma per frequentare l'Universitá Gregoriana (1).
Don Rúa decise di tagliar corto, secondando la volontá del Papa.
Quindi sul principio dell'anno scolastico fece inscrivere alia facoltá
teológica presso lo storico Ateneo Pontificio i due diaconi Giacomo
Giuganino e Angelo Festa, che andarono a prendere stanza nell'o-
spizio del Sacro Cuore. Corrisposero entrambi aU'aspettazione dei
Superiori. II primo, giovane d'ingegno e di virtú, si spense pur-
iroppo nel 1893 (2). Del Festa rimane il Manuale Bíblico del Vi-
gouroux, da lui ben tradotto e pubblicato in accurata edizione di
quattro volumi presso la Tipografía salesiana di Sampierdarena, In
seguito non solo non cessó piú l'invio di chierici alia Gregoriana
per lo studio della filosofía e della teologia, nía il loro numero crebbe
di anno in anno fino a toccare il centinaio. Da quelli che frequentarono
al tempo di Don Rúa, vennero fuori tre Vescovi e quattro Arci-
vescovi; spiccano su di tutti Mons. Piani, Delegato Apostólico alie
Filippine, e il Card. Hlond, Primate di Polonia.
L'ultimo atto pubblico di Don Rúa nel primo anno dalla morte
di Don Bosco fu la citata circolare del capo d'anno ai Coopera-
tori Salesiani e alie Cooperatrici. Ognuna di queste annue lettere
é per la Congregazione un documento storico da non doversi tra-
scurare. Oltre al giá detto, richiamano ivi la nostra attenzione due
particolari.
Sonó da notare anzitutto due periodi dell'esordio, dove, ringra-
ziando quanti avevano condiviso il lutto dei Salesiani per la irrepa-
rabile perdita, Don Rúa diceva: « In alcune famiglie, ricevuto il
doloroso annuncio, grandi e piccoli si son messi a piangere. come
se fosse morta la persona loro piü cara. In altre s'iñterruppe il
pranzo o la cena, si alzarono da tavola, e diedero in pianto dirotto.
Molte persone presero il lutto per piú mesi e si vietarono ogni diver-
timento. Le lettere poi di condoglianze, che mi pervennero in quei
(1) Verb. dei Cap. Sup., 21 ¿igosto 1888.
(2) Egli si fece súbito onore; infatti Don Rúa scriveva a Don Cagliero il 13 febbraio 1889: < Ci
rallegriamo tanto anche no¡ del trionfo riportato da D. Giuganino. »
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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Capo III
giorni, erano piene di cosi commoventi espressioni, che nel leggerle mi
si gonfiavano sovente gli occhi, e doveva piangere ancor io ed escla-
mare: — Oh caro Don Bosco, quanto mai tu eri stimato e amato
nel mondo! » Chi visse in quei giorni, puó attestare che qui non vi
é ombra di esagerazione.
In altro punto della lettera Don Rúa presentava ai Cooperatori
una proposta, anzi un proposito, meglio ancora un voto. Bisogna
ricordare le ore angosciose dei Superiori, quando si temeva di dover
portare la venerata salma di Don Bosco nel cimitero comune. In
quei trepidi momenti, mentre si mettevano in azione tutte le piú alte
influenze per iscongiurare il pericolo (1), la sera del 31 gennaio Don
Rúa ed i Capitolari fecero solenne promessa che, se Maria Ausilia-
trice concedeva la grazia di dar sepoltura alie amate spoglie nel-
l'Oratorio o almeno a Valsalice, ne avrebbero in ringraziamento de-
corata la chiesa (2). Era stato giá questo un disegno di Don Bosco,
il quale nel 1887 aveva interpellato un pittore e un decoratore, in-
vitandoli a fare gli studi opportuni. La chiesa ne aveva veramente
bisogno. Lasciata per un complesso di circostanze con una semplice
tinta, non appagava piü la pietá dei fedeli, che vi accorrevano anche
da lontano e la trovavano troppo inferiore alia fama. Ottenuta la
grazia, sorgeva il do veré di sciogliere il voto; Don Rúa dunque ne
informava i Cooperatori, dichiarando aperta una sottoscrizione col
titolo " Monumento al sacerdote Don Giovanni Bosco in Torino, ad
onore di Maria Ausiliatrice." Cosi contentava anche coloro, che lo
spingevano a iniziare invece una sottoscrizione per innalzare a Don
Bosco un monumento. « Avendo avuto, scriveva nella lettera, l'in-
vidiabile sorte di stare per tanti anni a flanco del sant'uomo, udirne
le parole, essere testimonio de' suoi pensieri e de' suoi desideri, io
sonó convinto che il monumento piü caro a Don Bosco si é di com-
piere il monumento, che egli stesso innalzó a Maria, rendendolo piü
adorno di pitture e di fregi, facendolo piü ricco di marmi e di ori,
piú degno di si eccelsa Regina. » Piovvero tostó le offerte, sicche
in breve tempo le decorazioni furono eseguite. Quanto pero si era
(1) Mem. Biogr., vol. XVIII, p. 562 segg.
(2) Verb. del Cap. Sup., 31 gennaio 1888.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6.2 Page 52

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Primi atii del nuooo Rettor Maggiore
lontani dagli abbellimenti ideati e intrapresi fra la Beatificazione
e la Canonizzazione di Don Bosco e non ancora condotti intera-
mente a termine! Oggi, si, la chiesa rifulge " d i marmi e di ori " e
risplende " di pitture e di fregi ". Quando la facciata armonizzerá con
1'interno, allora tutta la chiesa, in uesíiíu deaurato e circurndata va-
rietate, fará magnificamente onore alia Regina del Cielo, alia Ma-
donna di Don Bosco e anche a Don Bosco della Madonna.
Intanto si lavorava intorno a un altro monumento di piü mo-
deste proporzioni, ma assai bello e caro. Yeniva sorgendo sulla tomba
di Don Bosco una leggiadra cappella, dove sarebbe possibile, a quanti
lo volessero, fermarsi tranquillamente in preghiera. Don Sala, avu-
tone l'ordine da Don Rúa, vi attendeva con amorosa sollecitudine.
Appena n?era corsa la notizia, nacque una gara per contribuiré chi
in danaro, chi con gratuita prestazione d'opera, chi col dono di ma-
teriali. II pittore Rollini affrescó sopra all'altare u n a stupenda Pietá
e formó i disegni per la decorazione interna. Ne risultó un gioiello
di edificio, in uno stile agüe e armonioso, che, pur non avendo milla
di funéreo, infondeva un senso di mistico raccoglimento e faceva
pensare con mesto desiderio al grande sepolto. II sacro luogo fu inau-
gúrate da Don Rúa il 22 giugno 1889 alia presenza di duemila inter-
venuti. Quanti personaggi, quanta gioventü, quante schiere di pelle-
grini e quanti Salesiani vide in quarant'anni il bel mausoleo inginoc-
chiarsi a pregare, non si sapeva bene se per Don Bosco ovvero Don
Bosco stesso! Intorno al benedetto avello si svolgevano durante le
vacanze i principali corsi di esercizi spirituali, presieduti tutti da
Don Rúa, la cui parola faceva vibrare le anime con i ricordi vivi e
palpitanti degli esempi e degli insegnamenti paterni, da lui, piü che
semplicemente ridetti, santamente vissuti.
27
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6.3 Page 53

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CAPO IV
Fondazioni del 1888 e '89 in Europa e nelFAmerica.
(Gevigney, Rossignol, Talca, Buenos Aires - La Boca, Montevideo, Terracina)
La santa morte di Don Bosco, richiamando l'attenzione di tutto
il mondo sulFUomo di Dio. dilató oltremodo la conoscenza delle sue
Opere; fiocóavano quindi numeróse a Torino le domande di fonda-
zioni. Di tali domande la massima parte non ebbe seguito; per pa-
recchie si avviarono allora le trattative, che furono i primi passi
a positivi risultati in anni piü o meno vicini; pochissime Case ven-
ñero aperte nel biennio 1888-89, senza pero contravvenire alia con-
segna di non aprime per qualche tempo, giacché o erano giá state
accettate da Don Bosco o sottentravano ad altre chiuse.
Col cominciare del 1888 principio a Gevigney presso Besangon
nel circondario di Vesoul (Haute-Saóne) un Orphelinat Willemot,
cosi chiamato dal nome di colui che fece la donazione. Doveva essere
Scuola agrícola. Per questo affare la corrispondenza durava dal 1885
con varia vicenda. Dopo il primo scambio di lettere i Superiori
parvero raffreddarsi, cosicché soltanto nel 1887 si giunse alia conclu-
sione. Forse si giudicava soverchia la quantitá dei terreni offerti, non
essendovi possibilitá di aliéname, finché vivesse il donatore; forse
anche non si vedevano di buon occhio alcuni gravami, per sé non
onerosi, ma suscettivi di divenirlo con l'andare del tempo. Stanco di
aspettare, il Willemot, che aveva giá licenziato i vecchi coloni, diede
in affitto per 18 anni due grandi poderi. Si ripiglió allora Paffare.
terminato con atto légale di donazione. Cosi il Willemot cedeva
91 ettari di terreno coltivabile parte a prato, parte a pastura, parte
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Fondazioni del 1888 e '89 in Europa e nell America
a campo e parte a bosco, piü, naturalmente, alcuni edifici. Per Pim-
pianto avrebbe anticipato cinquantamila franchi. Don Bosco dal
canto suo si obbligava a fondare e sostenere un orfanotrofio a guisa
di colonia agrícola. Ma l'istituzione non era nata sotto buona stella.
Gravi dissensi resero impossibile la permanenza dei Salesiani, che
nel secondo anno si ritirarono. E fu un peccato, perché i giovani
s'incamminavano bene e a Vesoul Don Bosco e la Congregazione
godevano molte simpatie (1). A piü forte ragione Don Rúa avrebbe
potuto ripetere, dopo la chiusura, quello che aveva scritto dopoché
eransi interrotte le trattative: « En tout ceci il faut voir la main de la
Providence, qui n'a pas voulu donner a cette fondation Paccom-
plissement que vous et nous désirions. » (2)
Chiusa quella Scuola agrícola, alcuni del personale andarono a
inaugúrame un'altra. La signorina Luigia Jonglez aveva donato a
questo scopo 93 ettari di buon terreno in una localitá detta Rossignol,
territorio di Coigneux, distretto di Acheux, circondario di Doullens
(Somme). I Salesiani ne presero possesso 1'8 dicembre 1889 condu-
cendovi cinque orfani da Parigi. Gl'inizi della nuova Casa, intitolata
al Sacro Cuore, furono circondati da povertá piü che f rancescana.
La descrive cosi il Direttore Don Rivetti a Don Rúa: « Era tutte
le Case della Congregazione questa é certamente la piü simile alia
grotta di Betlemme. Nonostante pero la miseria, abbiamo passato
ieri la festa dell'Immacolata in santa allegria. Abbiamo per abita-
zione un edificio in rovina: vetri infranti, impannate rotte e fracide,
porte che non chiudono; nessun riparo dal freddo intenso con nevé
e vento da invernó alpino; non tavoli né sedie, solo qualche cassa o
asse per sedere. » Don Rúa, incoraggiandoli, osservava che i figli di
Don Bosco non vanno in cerca di comoditá e se manca il necessario.
si contentano egualmente. A tal vista i paesani, che avevano male
prevenzioni contro i Salesiani, quasi che venissero a far loro concor-
renza e a impoverirli, si convinsero presto che non avevano nulla da
temeré (3). Dio benedisse Popera, che si sviluppó e produsse un gran
(1) Lctt. del Direttore don Févre a Don Rua, Gevigney, 11 gennaio 1888 e 27 genn. 1889.
(2) Torino, 5 giugno 1885.
(3) Lett. di Don Rivetti a Don Rua, Rossignol, 9 e 20 dicembre 1889.
29
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6.5 Page 55

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Capo IV
"•
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•'''
*"
\\-. bené. Nel 1900 giá cinque di quei giovani, deposta la vanga e ben
* preparati, avevano abbracciato lo stato ecclesiastico (1).
Ripete puré le sue origini da Don Bosco la seconda casa sale-
siana del Cile, cioé Tospizio di Talca, aperto pero dopo la morte del
Santo. La s'intitoló e s'intitola Escuela Talleres del Salvador, perche
era stato Ospedale del Salvatore l'edificio comperato e donato ai Sale-
siani dal Can. Vittorio Giulio Cruz (2). Don Bosco era molto cono-
sciuto e amato dai Cileni. Aveva contribuito assai a farvelo conoscere
ed amare il dotto Don Raimondo Jara, giá ospite dell'Oratorio, uno
dei predicatori stranieri nelle feste per la consacrazione della chiesa
del Sacro Cuore a Roma e allora Vescovo di Ancud. Mons. Cagliero,
che nella sua escursione apostólica del 1887 aveva toccato con mano
i bisogni del paese e aveva udito le implorazioni d'insigni personaggi,
se ne resé interprete poco dopo presso Don Bosco, caldeggiando la
creazione di opere salesiane in varié cittá della Repubblica; ma solo
per Talca riusci a strappargli fórmale promessa, ch'ei s'incaricó
poi di tener presente alia memoria di Don Rúa. I primi Salesiani
giunsero a Talca il 19 febbraio 1888: erano quattro con il Direttore
Don Domenico Tomatis, che seppe guadagnarsi súbito la stima e
la benevólenza dei cittadini e conquistare molte simpatie alia Con-
gregazione.
Della casa di Talca figurava proprietario Mons Cagliero; ma
qui conviene conoscere un precedente. Quando Monsignore arrivó
nel Cile, trovó giá pronto un decreto, firmato dal Presidente della
Repubblica, con cui si attribuiva alia Societá Salesiana il giuridico
riconoscimento come ente morale; da chi aveva sollecitato quell'atto,
si era creduto di rendere ai Salesiani un onore e un servigio. Ma il
Cagliero fece restare sospesa la cosa per interrogare prima i I Capi-
tolo Superiore, poiché sarebbe stata un'innovazione nella tradizione
della nostra Societá. Venuto poi nell'anno medesimo a Torino, pro-
pose la questione in un'adunanza presieduta da Don Rúa, essendo
giá Don Bosco infermo. II Capitolo deliberó di non accettare appro-
,_ (1) XXV.me Ánnipersaire de VCEuore de Don Bosco en France. Ñire. Impr. de la Soc fndu-
, .strielle, 1902, pp. 66-?.
(2) Cfr. Annali, pp. 605-7.
30
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6.6 Page 56

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Fondazioni del 1888 e '89 in Europa e nelVAmerica (7¡>
vazioni legali, ma di attenersi al diritto comune, com'tóg
cato fino allora. Pochi giorni dopo Don Branda, Direttor^^Sk^ri^4^';*ffif
propugnó dinanzi al Capitolo la tesi del riconoscimento^lí^^f^'ií^
guardi del Governo spagnolo, disposto ad accordarlo; ma, nono-
stante le ragioni addotte dal proponente, anche in quel caso non se
ne fece nulla (1). E tale fu realmente sempre il pensiero di Don
Bosco (2).
A Talca tre mesi bastarono appena per ridurre a forma di col-
legio una parte dell'ex-ospedale. Scuole diurne e serali attrassero
buon numero di esterni; poi allestiti alcuni laboratori, cominciarono
le accettazioni di artigiani, i quali aumentavano di mano in mano
che si pote vano p r e p a r a r e posti. Solamente nel 1912 vi si associarono
studenti interni di classí elementan e di ginnasio interiore. Nel 1890
Mons. Fagnano, recatosi alia capitale del Cile per trattare col Go-
verno affari della sua Missione, da va queste notizie dei Salesiani di
la (3): «Sonó stato tre giorni in Concezione e quasi due in Talca,
consolandomi del bene che fanno i fratelli ed animandoci a vi-
cenda. »
Superiori ed alunni trovarono una vera mamma nella signora
Marianna Silva de Garcés, emula della carita di Donna Chopitea a
Barcellona. Al suo nome dopo la di lei morte, avvenuta nel 1923,
fu intitolato l'oratorio festivo, sorto per sua munificenza nel 1912
poco lungi dall'Istituto (4). La zelante benefattrice, visto che nel
Collegio l'oratorio stava a disagio per la ristrettezza del lócale, aveva
comperato un terreno nel borgo S. Gabriele e fattovi costruire chiesa,
scuole e altri ambienti, il tutto pero dipendente dalla direzione del
S. Salvatore.
Yolgiamoci ora dal Pacifico alie sponde dell'Atlantico. Nell'Ar-
gentina la parrocchia della Boca, la gloriosa conquista dei primi
Salesiani giunti a Buenos Aires, si ando arricchendo di opere be-
nefiche, le quali ne promossero i progressi religiosi, morali e sociali.<^tt^
(1) Verb. del Cap. Sup., 21 e 30 dicembre 1887.
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0£>\\Ql
(2) Cfr. Annali, pa{?. 364.
(3) Lett. a Mons. Cagliero, Santiago, 11 agosto 1890
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(4) Prima di quella data Toratorio portava il nome di Don Andrea Belírámi. , t 3^
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V ^ 31
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6.7 Page 57

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Capo IV
Certo, chi rivede oggi quel popoloso suburbio, distante tre chi-
lometri dal centro urbano, non lo riconosce piú; chi poi non vide
mai quale fu. non immagina che cosa sarebbe diventato senza lo
zelo infaticabile dei figli di Don Bosco e delle Figlie di Maria Au-
siliatrice (1). Queste ultime vi educano da piú di sessnnt'anni le
future madri di famiglia. Un collegio fondato per loro nel 1879 dal-
l'Ispettore Don Bodrato con l'aiuto dell'intraprendente Don Burlot
divenne tostó piccolo, sicché bisognó trasportarlo in un piú capace
edificio. Ma ivi puré i locali si rivelarono insufficienti e i padri di
famiglia che non vi trovavano posto per le figliuole, tempestavano
perché si provvedesse; onde Don Burloi nel 1888 arditamente pose
mano alia costruzione di un nuovo palazzo, prima che si sapesse
del divieto di costruire, e i lavori furono condotti con tale celeritá,
che nel 1889 s'inauguró l'attuale Collegio " Maria A u x i l i a d o r a " ,
focolare di vita intellettuale e religiosa per la gioventú femminile
del luogo. Nel mese di maggio PArcivescovo inizió dalla Boca la
visita pastorale delle parrocchie nella Capitale; in pochi giorni si
fecero 1700 comunioni. Un giornale cittadino (2) esprimeva cosi
l'impressione riportatane allora da chi conosceva il passato della Boca:
« fn altri tempi il solo nome della Boca faceva " tremar le vene e
i polsi " alie persone amanti del bene, tanto brutto ne era Taspetto,
covando nel suo seno esseri snaturati, nemici di Dio e della patria.
Ma che differenza adesso! la Boca di oggi non é piú la Boca di
ieri; essa é passata per una notevolissima trasformazione. »
Risale p u r é al 1889 l'inaugurazione di un Collegio per esterni
a Montevideo, capitale dell'Uruguay. Vi fioriva nella parrocchia della
Madonna del Carmine una pia Associazione di Signore, denominata
del Sacro Cuore di Gesü, la quale attendeva principalmente a pro-
muovere l'isíruzione religiosa della íanciullezza. L'íspettore Don La-
sagna formo di loro un Comitato, che, presieduto dal párroco Mons.
Stella, si adoperasse a cercare i mezzi per preparare la venuta
dei Salesiani nella cittá. Esse tanto fecero, che acquistarono un edi-
ficio, in cui, adattato un discreto lócale al culto, esposero alia vene-
(t) Cfr. Annali, pag. 258.
(2) La ooz de la Iglesia, 13 maggio 1889.
í2
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6.8 Page 58

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Fondazioni del 1888 e '89 in Europa e nelVAmerica
razione dei fedeli la Madonna di Don Bosco. Fu un'idea felice.
La popolazione accorreva numerosa. Riattata a poco a poco e
arredata la casa e fornitala degli attrezzi scolastici, vi entrarono i Sa-
lesiani nel febbraio del 1889. Per trent'anni essi tennero i vi scuole
parroccliiali con circa 300 alunni del corso elementare, finché la
vecchia dimora, omai fatiscente, cedette il posto all'attuale Istituto
del Sacro Cuore di Gesú. Per lo spazio di sei lustri ebbero il van-
taggio di preparare solennemente ogni anno schiere di ragazzi alia
prima comunione, cosa nuova da principio, e che offriva il modo
di diffondere nelle famiglie il senso della pietá cristiana e la fre-
quenza ai sacramenti. Primo Direttore fu Don Giuseppe Gamba,
succeduto poi a Mons. Lasagna nel governo dell'Ispettoria. Figlio
delFOratorio e vissuto fino a tarda vecchiaia, é venerato come uno
dei Salesiani piü benemeriti, che Don Bosco abbia mandato nell'A-
merica Meridionale. Fu in gran parte per mérito suo quello che
scrisse fin dal 14 aprile 1889 a Don R ú a : « Non avrei mai immagi-
nato che la nostra Congregazione venisse a godere tanta simpatía
in Montevideo. Non ci conoscevano. 11 clero é nostro amico e ci
aiuta. Le cose nostre qui cambiarono faccia. Don Bosco deve aver
lavorato molto. »
Una nuova fondazione dovette nel 1889 la sua origine ad un
trasferimento. Ricordino i lettori le condizioni disagiate, per dir
poco, in cui lavoravano i Salesiani a Magliano Sabino (1), dove
dirigevano e amministravano il Seminario diocesano in nome del
Cardinale Vescovo e un annesso Collegio-convitto per contó proprio.
Malattie di Confratelli, crescente déficit finanziario per cause da
loro indipendenti, ostilitá del clero e da ultimo anche lo scarso o nes-
sun favore del nuovo Cardinale Vescovo Serafini, nativo di Maglia-
no (2), erano tanti motivi che giá nel 1887 sembravano consigliare
il ritiro dei nostri (3).
Mancavano pero due anni alio spirare della convenzione; quindi
si cercó di barcamenarsi alia meglio fino al 1889. Allora dopo una
(t) Cfr. Annali, pp. 275-6.
(2) Lett. del Direttore Don Daghero all'Ispettore, 4 setiembre 1888.
(3) Verb. del Cap. Sup., 10 giugno e 6 luglio 1887.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

6.9 Page 59

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Capo IV
serie di dolorosi incidenti accadde l'incredibile. La mattina del 2
luglio ecco tutti i seminaristi affaccendati a fare in silenzio i pre-
parativi per partiré e recarsi alie loro famiglie. I superiori, da
prima sorpresi, vennero poi a sapere soltanto che l'ordine della par-
tenza era stato comunicato segretamente il giorno innanzi per mezzo
di alcuni compagni, da tempo incaricati di simili uffici.
II Direttore Don Daghero, non potendosi raccapezzare, inter-
pelló il Vicario Genérale su quanto avveniva, ma solo verso sera
ricevette risposta. Diceva: « Attesi i molteplici ordini di sfratto di
giovani Seminaristi dal Seminario, inviati da cotesta direzione ai
padri di famiglia della diócesi, ho creduto bene, anzi che vedere
questo parziale funesto smembramento, di autorizzare la completa
licenza, ordinando la chiusura del Seminario stesso; quindi domani
alie 6 antimeridiane la prego di lasciar liberamente venire tutti i
Seminaristi alFEpiscopio per loro daré quegli ordini e quelle istru-
zioni che saranno del caso. » I lamentati " molteplici sfratti " si ri-
ducevano a tre. Sfratti per modo di diré, perché, secondo i nostri
regolamenti approvati dallo stesso Vicario, quei chierici erano stati
mandati a sollecitare le loro famiglie rimaste da oltre un anno assai
indietro nei pagamenti della retta trimestrale. Di tutti i chierici in
genérale Don Daghero rendeva buone testimonianze, dicendoli « ec~
cellenti giovani e per istudio e per bontá di vita. »
II Direttore portó anzitutto al Cardinale una protesta scritta,
esigendone ricevuta con la sua firma. Poi, premendogli di far dileguare
ogni sospetto, che una misura cosi precipitata avrebbe potuto inge-
nerare nella mente di quanti volevano bene ai Salesiani, spedi una
circolare stampata, nella quale, esposti brevemente e pacatamente
i fatti, assicurava nulla essere avvenuto che valesse a compromet-
tere le persone o il luogo di educazione. Avvertiva inoltre che per
gli alunni del Convitto si sarebbe provveduto in modo e tempo
sicché né essi avessero a soffrire detrimento nella propria istru-
zione ed educazione, né le famiglie loro dovessero scapitarne per
interessi materiali. II Capitolo Superiore pero, che non era stato
consultato, non approvo il tenore dei due documenti, di cui per
altro riconosceva la necessitá, ma decise di mandare alcune norme
34
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Fondazioni del 1888 e '89 in Europa e nell'America
a Don Daghero e di daré una spiegazione al Papa (1). COSÍ Leo-
ne XIII fu informato della cosa; egli poi della notizia si valse nel-
Foccasione che ora diremo.
Nel marzo del 1888 era pervenuto a Don Rúa da parte del Conté
Antonelli un caloroso invito, perché volesse aprire un Collegio a Terra-
cina in un lócale del Municipio. La Rappresentanza municipale dava
voto íavorevole. II Vescovo Tommaso Mesmer univa le sue istanze.
II Capitolo Superiore tentennó a lungo, finché il Cardinale Pro-
tettore scrisse a Don Rúa (2): « Al Santo Padre preme infinitamente
la fondazione della Casa Salesiana in Terracina e m'incarica di
incoraggiarnela. Comprendo gli ostacoli; ma la carita che vince
tutto, saprá superarli nel nome di Gesü, con la benedizione del
süo Vicario. » L'anno dopo, perdurando le difficoltá, il Papa a mezzo
del Vescovo face va diré a Don Rúa che per Terracina fosse ado-
pera to il personale tolto da Magliano Sabino (3). Omai non resta va
piú che obbedire. Un gruppo di Salesiani passó da Magliano a
Terracina il 30 settembre. L'8 ottobre dopo lunghe discussioni fu
firmata una Convenzione fra la Societá Salesiana e quel Muni-
cipio. Nonostante la levata di scudi dei liberali terracinesi e le
occulte manovre massoniche presso la Regia Prefettura, il Regio Prov-
veditore agli studi Cammarato approvó l'apertura del Collegio e gl'in-
segnanti proposti (4). Ma purtroppo si dovette sperimentare una
(1; Verb. del Cap. Sup., 9 luglio 1889.
(2) Lett. 11 setiembre 1888.
(3) Lett. 7 luglio 1889.
(4) Decreto 50 dicembre 1889, Roma. Documenti atti a daré un'idca di quei tempi sonó due tra
fílelti della Tribuna, ispirati da Terracina. Nel primo del 10 agosto 1889 si diceva: « leri i! Consiglio
comuna le ad unanimitá accolse il progetto destituiré un ginnasio-convitto coi beni lasciati per l'istru-
zione laicale. I liberali, indignati della mostruosa deliberazione, manderanno una ()rotesta al Consiglio
scolastico, confidando che il prefetto Gravina, nel suo patriottismo e senno político, non consentirá che
quei frati, da lui espulsi da altri luoghi della provincia, piantino le loro tende a Terracina, ormai di-
ventata rifugio delle squadre volanti del Vaticano. Raccomandiamo al prefetto Gravina o\\ [)ortare
tulta la sua attenzionc sul fatto denunciatoci dal nostro corrispondente. II fatto vale la pena che le
speranze dei liberali di Terracina non restino deluse. » E nel numero del 10 settembre seguente: « So
da fonte autorevole che Ton. prefetto Gravina, interprete fcdele della política anticlericale del presi-
dente del Consiglio dci Ministri [Crispi], appena al suo ritorno conobbe la retrograda d'íiibcrazione
del municipio di Terracina, colla quale si insediavano nelle scuole i padri salesiani, non solo ebbe a
trovare tutti gli elementi per rcspingcrla, ma nella nobiltá del suo carattere non pote nascondere il
suo disgusto perché persona che gode la fiducia del Govcrno [forsc il deputato lócale Narducci favo-
revolc ai nostn'l non abbía impedito un compromesso tanto antipatriottico. I pochi, ma coraggiosi li-
berali terracinesi fanno plauso all'opera sapiente cd enérgica del senatore Gravina ¡1 quale volle daré
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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Capo IV
volta di piú la veritá dell'asserzione di Don Bosco, che le Convenzioni
con i Municipi in pratica restaño d'ordinario lettera morta. Con il Mu-
nicipio di Terracina i patti furono chiari, ma l'amicizia non fu né
lunga né breve. Cominciarono súbito le schermaglie. II Sindaco era ga-
lantuomo, ma debole. Fatto sta che la pazienza ebbe un limite nel 1893,
al terminare dell'anno scolastico. I Salesiani abbandonarono senza
rimpianto Tingrata residenza. Dico senza rimpianto dal canto loro;
perché il popolino li vide partiré con vero rammarico (1). II novello
Vescovo Cario Emilio Bergamaschi, che non aveva ancora preso
possesso della diócesi, addolorato per la loro partenza, tentó di scon-
giurare il doloroso provvedimento. Monsignore stesso nella sua let-
tera a Don Rúa metteva la pietra sepolcrale sull'affare scrivendo:
« Certo i Padri hanno tutte le ragioni per ritirarsi, vista l'indegna
condotta tenuta verso di essi da quel Municipio. »
Non vi é nulla da aggiungere al giá detto sul collegio di Par-
ma (2). Fu aperto nel 1888; ma tutto era giá stato predisposto da
Don Bosco, sicché presentammo la sua apertura con quelle da lui
fatte.
forza di veritá al motto che tra Joro di questi giorni ripeterá: Et salesiani non praeoalebunt. » Don
Daghero a DOD Durando (senza data, ma certo del dicembre 1889): «Le diffícoltá incontrate in Pre-
fettura furono gravissime, íu sempre in niezzo anche la framassoneria. > II medesimo al D¿j;utato (2^
ottobre 1890): «Mi dice il Sig. Sindaco, che buona parte del Consiglio e della Giunta sonó intimiditi
dalle minacce di pubblicitá sui giornali (ed egli forse piü degli altri); niuno osa in pubblico diré, o
proporre, o prendersi responsabilitá di cosa che possa tornare in nostro favore, se anche giustissima,
dovuta a promessa! Nell'aula stessa del Consiglio assiste sempre il sólito scribaccino, quasi minaccia
peipetua; e guai a chi parli pei Salesiani! > II " sólito scribaccino " un signor Vagnozzi, corrispon-
dente della Tribuna.
(1) Verb. del Cap. Sup., 3 novembre 1892.
(2) Annali, pp. 580-1.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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CAPO V
Quinto Capitolo Genérale.
(1889)
Nel 1889 terminava il triennio dopo il quarto Capitolo Genérale
della Societá, l'ultimo tenuto sotto la presidenza di Don Bosco. In
aprile Don Rúa diede l'annuncio ufficiale del quinto da tenersi nelle
vacanze autunnali. Vi dovevano di diritto intervenire, oltre ai mem-
bri del Capitolo Superiore, gl'Ispettori, il Procuratore Genérale, i
Direttori delle Case ed il Maestro dei novizi; dai luoghi di Mis-
sione fu convenuto che venissero gl'Ispettori od un loro delegato
e un Direttore per ogni Ispettoria, scelto dal rispettivo Ispettore
d'intelligenza col Rettor Maggiore: ma vi poterono essere soltanto
l'Ispettore Don Costamagna e i Direttori e Parroci Don Burlot e
Don Albanello. A Regolatore del Capitolo Don Rúa designava il
Consigliere Don Durando, che spedi alie Case gli schemi degli ar-
gomenti da trattare; a lui pertanto bisognava indirizzare osserva-
zioni, idee, considerazioni che paressero opportune, come puré nuove
proposte giudicate necessarie. In luglio Don Durando comunicó che
il Capitolo si sarebbe aperto a Valsalice la sera del 2 settembre e
chiuso la mattina del 7. Avverti inoltre che si sarebbero fórmate
Commissioni per esaminare le materie proposte e riferire poi nelle
sessioni generali.
Sonó stato un po' in forse circa il modo di presentare d'ora
innanzi i Capitoli Generali, se dovessi cioé limitarmi a riferirne le
particolaritá piü notevoli ovvero esporre anche con qualche lar-
ghezza la trattazione degli argomenti, che furono oggetto di studio
in quelle periodiche assise della Congregazione. Da ultimo parve
meglio abbondare nelle informazioni per piü motivi. I Salesiani, che
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

7.3 Page 63

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Capo V
il tempo di Don Rua chiameranno antico, guarderanno al Rettorato
di lui come a un secondo faro luminoso, in cui la luce di Don Bosco
brilló di vivo splendore e quindi ameranno conoscere senza limi-
tazioni quanto si fece sotto l'occhio e l'ispirazione deH'immediato
successore del Santo. Ma anche senza correré tanto lontano, oggi
puré é utile conoscere a fondo un periodo, il quale fermo e trasmise
le tradizioni, che si connettevano con le origini. D'altra parte non
andrá molto che sulla Societá Salesiana intensificheranno le ricerche
gli storici della Chiesa e delle grandi famiglie religiose; gioverá
pertanto offrire a tali studiosi un materiale non meno copioso che
sicuro. Spiccheremo dunque dai verbali notizie sull'andamento dei
Capitoli, e quelle manifestazioni di pensiero, che abbiano un con-
tenuto sostanziale.
La sera del lunedi 2 settembre 1889, tutti i convenuti al quinto
Capitolo Genérale si raccolsero in chiesa per invocare i lumi dello
Spirito Santo; dopo di che Don Rua, dichiarato aperto il Capitolo,
ne mostrava l'importanza per il progresso delle Case, per il mante-
nimento dello spirito, per il bene delle anime, e raccomandava vi-
vamente la preghiera per il buon esito. Letti quindi gli articoli delle
Rególe riguardanti il Capitolo Genérale e impartitasi la benedizione
eucaristica, sfilarono tutti nella sala delle adunanze.
SESSIONE PREPARATORIA. Don Rua aperse la seduta dando il ben-
venuto ai Direttori i quali aiutavano il Capitolo Superiore nel pro-
muovere le nostre Opere. Dopo il quale esordio proseguí (le sue pa-
role sonó sempre riferite riassuntivamente nei verbali):
Ma un pensiero addolora: manca Don Bosco! Pero consoliamoci, siamo vicini
alia sua salrna, e come le reliquie dei Santi sonó fonte di benedizione, cosí sará
per noi la salma di Don Bosco. E non solo la salma, ma il suo spirito ci gui-
derá e ci otterrá lumi nelle deliberazioni delle varié Commissioni e Sessioni.
Preghiamo, ma uniformiamoci ai suoi sentimenti, indaghiamo bene quali fossero
gl'intendimenti suoi; poiché si vide com'egli fosse guidato da Dio nelle sue im-
prese. Don Bosco cercava sempre in tutto hi gloria di Dio e il bene delle anime.
Ho raccomandato ali'Oratorio di pregare e far pregare, ma lo raccomando
in particular modo a voi, affinché nessuna passione faccia velo alFintelletto e
solo si abbia di mira il bene della gioventü e delle anime. Mettiamoci sotto il
patrocinio di Maria Santissima, come sede della sapienza; di S. Francesco di Sales,
perché ci ottenga che tutto facciamo col suo spirito. Con questi aiuti, uniti a
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

7.4 Page 64

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Quinto Capitolo Genérale
quelli di Don Bosco, tutto riuscirá bene. Con tale protezione tutte le nostre deli-
berazioni íorneraiino a vanfaggio della Chiesa e della civile societá ed a maggior
gloria di Dio.
Chiamati a fare da segretari Don Marenco e Don Rinaldi Gio~
vanni, letti gli articoli delle Deliberazioni sul modo di tenere le
sessioni e impartiti alcuni avvisi, la sessione preparatoria aveva
esaurito il suo compito. I membri del Capitolo Genérale risultarono
in numero di 42; furono assunti puré quattro consulenti.
SESSIONE PRIMA (martedi 3 settembre, mattina). Esame del Io
schema: Studi teologici e filosofíci. Se convenga mutare i líbri di
testo; quali si proporrebbero. Quali miglioramenti introdurre nello
studio della filosofía, della teología e delVermeneutica (1). D u e punti
dominarono nella discussione: il riordinamento degli studi filoso-
fíci e teologici e la scelta dei testi di teología.
Apriamo qui una parentesi. Per la filosofía esistevano studentati
appositi, dove i chierici, non distratti da milla, avevano scuola re-
gulare e bravi insegnanti. Usciti di la si applicavano súbito alia
teología; ma, non essendovi ancora studentati teologici quali si eb-
bero in seguito, le scienze sacre si apprendevano in vari modi.
Alcuni pochi andavano alia Gregoriana e altri frequentavano le
lezioni in Seminari; dov'era possibile riunire un certo numero di
allievi anche da Case vicine, come all'Oratorio, a Valsalice, a Mar-
siglia, a Buenos Aires, erano organizzate scuole con professori sa-
lesiani ed estranei. In case troppo isolate, s'impartiva ai pochi ivi
residenti un insegnamento domestico da sacerdoti nostri e non
nostri. Tutti poi tali studenti, anche questi ultimi, dovevano due
volte all'anno sostenere i loro esami dinanzi a esaminatori uffí-
cialmente autorizzati dal Consigliere Scolastico Genérale o dagli
Ispettori. I voti venivano mandati al detto Consigliere e debitamente
registran.
Fu dunque sentimento comune che urgesse far progredire gli
studi delle materie ecclesiastiche, formulandosi il voto che si acce-
(1) Commissione: D. Cerruti presidente, D. Bertello relatore; D. Marenco, D. Oberti, D. Ron-
thail, membri, D. Piscettu e D. Vota Domenico, consulenti.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

7.5 Page 65

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Capo V
lerasse l'istituzione di veri studentati. Nell'attesa che questo si at-
tuasse, vennero dettate norme perché siffatti studi riuscissero pro-
ficui; erano in sostanza direttive giá fissate nell'Oratorio in un'a-
d u n a n z a di competenti il 23 ottobre 1888 e comunicate da Don Rúa
alie case il 29 gennaio dell'anno appresso (1).
Piú dibattuta fu la questione dei testi, massime per quelli di
teología dogmática e morale, che erano il Perrone e il Del Vecchio.
Sul secondo non si disse gran che; ma del primo la gran maggioranza
si pronunció per la sostituzione. Quando pero si procedette alia
scelta fra i vari proposti, le opinioni si divisero talmente, che il
Capitolo decise che la Commissione continuasse Tésame. L'esame
si prolungó anche dopo la chiusura del Capitolo Genérale, termi-
nando con il voto che si adottasse la Medulla Theologica dello H u r -
ter. Discussa tale conclusione nel Capitolo Superiore il 24 ottobre
successivo, parve miglior partito che, prima di decidere, si spie-
gasse per un anno a titolo di prova nell'Oratorio il Sala, a Valsalice lo
Hurter, a Marsiglia lo Schouppe. Lo Hurter da ultimo prevalse.
Prima di levare la seduta Don Rúa, a imitazione di Don Bosco,
prese la parola per esporre alcune idee ai Direttori.
1 Direttori sonó come i luminari in mezzo agli altri: constituí te in lumen
gentium. I subalterni osservano il Uirettore in tutto, anche nelle piccole cose,
nel parlare, nel traítare, nel giuocare. L'ho sperimentato io stesso. Questo li
deve tenere in apprensione e metiere in guardia, affine di essere in tutto di buon
esempio. Pereió celebrino la Messa e dicano il Breviario pie, áltente ac deoote.
Simo esempiari insomma nelle pratiche di pietá.
Richiamo poi l'attenzione sul primo dei consigli confidenziali lasciati dal
caro Don Bosco ai Direttori: Niente ti turbi. Cosí usavano S. Teresa e S. Fran-
cesco di Sales. In tal modo conserveremo la serenitá in tutto per giudicare e
decidere sulle cose della casa e che ci appartengono.
Abbiate eguaglianza di umore, tanto necessaria e di tanto profitto. É una
cosa che ispira confidenza e guadagna i cuori dei dipendenti.
I Direttori precedano gli altri anche nel lavoro. Giá si fa assai e non posso
non ringraziare il Signore. Deo gralias. Avvertano pero di non voler fare tutto essi.
Jnvece si studino di distribuiré il lavoro agli altri. Questo é fondamento di buon
ordine. In un laboratorio, se il capo lavora lui solo, lavora con due braccia; se
distribuisce il lavoro, lavora con le mani di tutti.
Se il fare qualche cosa fuori di casa lo disturba nel disimpegno del proprio
(1) Lettere Circoluri di D. M. Rúa ai Saleskmi, Tormo, 1910. Pp. 30-31.
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Quinto Capitolo Genérale
ufficio, il Direttore se ne esoneri. Atienda a osservare i registri del Prefetto; veda
se il Catechista fa il suo dovere; attenda ai maestri, ai laboratori. Se potra te-
nersi esente da occupazioni fisse, avrá tempo a guidarli meglio. Questa fu sempre
raecomandazione di Don Bosco. Ció deve farsi massimamente con i nuovi Con-
fratelli che vengono dallo studentato filosófico. In tal modo il Direttore non istan-
cherá se stesso e fará ben contenti i subalterni.
SESSIONE SECONDA. Esame del 2o schema: Case di noviziato e
di studentato. Se debbano essere mantenute dalle Case ispettoriali.
Se col concorso proporzionato delle singóle Case di ciascuna Ispet-
toria. Se col continuo aiuto del Capitolo Superiore (1). Fino allora
aveva provveduto il Capitolo Superiore; ma col moltiplicarsi poi
dei noviziati e studentati in diverse e lontane regioni sarebbe an-
cora stato possibile continuare cosi? Buone ragioni militavano pro
e contro, né trovandosi via d'accordo, fu sospesa la decisione.
Esame del 3o schema: Assistenza dei Soci obbligati al servizio
militare (2). Questa assistenza doveva essere morale, intellettuale e
materiale. Una recente disposizione governativa tornava utile ai no-
stri. I congedati che avessero superato l'esame prescritto per gli
aspiraníi sergenti, avevano diritto d'insegnare nelle scuole elemen-
tari di grado inferiore tanto pubbliche quanto prívate. Teneva il
luogo della patente il foglio di congedo, dove fosse indicata la cosa.
SESSIONE TERZA (mercoledi 4, mattina e sera). Esame del 4o sche-
ma : Vacanze autunnali per i Soci, gli ascritti e gli aspiranti. Tempo,
luogo e modo opportuni (3). Riguardo ai Soci, chi osservó che Don
Bosco non voleva vacanze in famiglia. ma in Case salesiane; chi
aggiunse non potersi pretendere vacanze, perché i Salesiani non
hanno vacanze; Don Rúa ricordó che Don Bosco raccomandava sem-
pre qualche lavoro particolare durante il tempo delle vacanze, come
aveva fatto con lui stesso e con i giovani dei primi tempi: Don Fran-
cesia contermó, parlando della sollecitudine con cui Don Bosco occu-
pava durante le vacanze i suoi giovani: Don Rúa ribadi, ricordando
(1) Commissione: D. Costamagna presidente, D. Albera relatore; D. Bologna, ü. Branda, D. Le-
veratto, D. Bianchi, membri.
(2) Commissione: D. Sala presidente, D. Barberis Giulio relatore; D. Tamietti, D. Rocca Luigi,
D. Febbraro, Don Bordone, membri.
(3) Commissione: D. Francesia presidente, D. Nai relatore; D. Guidazio, D Barberis Giovanni,
D. Févrc, D. Cavatore, D. Varaia, membri.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

7.7 Page 67

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Ccipo V
che Don Bosco stesso spiegava allora le lettere di S. Girolamo o altro>
ma teneva tutti occupati.
Riguardo agli aspiranti, si soleva far fare loro gli esercizi súbito
dopo l'Assunta; quindi si mandavano a trascorreré un buon mese
nel Collegio di Lanzo, dove li aspettavano giá i chierici. Tutti per-
tanto riconobbero quanto fosse opportuno trattenere gli aspiranti
prima e dopo gli esercizi. Don Rúa fece il seguente rilievo: « Que-
st'anno su 54 delFOratorio che andarono agli esercizi, solo quattro
o cinque passarono al secólo e pochi altri al Seminario, e circa 42
alia Congregazione. Furono gli esercizi che li fecero decidere in
bene. Se fossero andati a casa, quanti forse non sarebbero tornátil »
Si deliberó conforme a queste considerazioni.
SESSIONE QTJARTA (parte della mattina e sera del 4). Esame del
5° schema: Reoisione del regolamento per le Parrocchie rette dai
Salesiani (1). Dopo lunghissima discussione sui rapporti fra Col-
legio e Parrocchia, fra Direttore e Párroco, si fini con chiedere la
votazione segreta sul rimettere tutto al Capitolo Superiore. Risul-
tato: voti positivi 34, negativi 7 (mancava un votante). I piíi at-
tribuirono i sette voti di minoranza ai membri del Capitolo Supe-
riore, che pero aderi e a suo tempo formuló il Regolamento.
Esame del 6o schema: Modo di metiere in prática gli articoli 2o
e 3o del Capo II delle nostre Costituzioni che trattano della pro-
prieta e della amministrazione dei patrimoni dei Confratelli. Non
fu cosíituita Commissione, perche il Capitolo Superiore si era ri-
serbato di esaminare la cosa con gli Ispettori e di riferire. Ma il
Regolatore, visto che i piú si dichiaravano incompetenti, propose che
si lasciasse fare interamente al Capitolo Superiore. La proposta fu
approvata per acclamazione.
Pensieri di Don Rúa prima di chiudere la sessione.
Avviene che i Direttori comandino ai dipendenti, mentre questi sonó giá oc-
cupati in alíro e per altri, e che li rimproverino ingiustamente. Prego che prima
di rimproverare o di togliere uno dal lavoro, il Direttore esamini bene, interroghi,
(1) Commissione: ü. Bclmonte presidente, D. Cagliero relatore; D. Costamagna, D. Dalmazzo,
I). Confortóla, D. Bourlot, D. Macey, D. Albanello, membri. Tutti parroci o cx-parroci o direttori
di collegi con parrocchia, compreso il presidente, giá direttore a Sampierdarcna.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Quinto Capitolo Genérale
e se il Coniratello dice di avere altri ordini, egli non li ritiri, ma parli poi con
l'altro Superiore e se occorre, lo faccia dispensare da lui. Altrimenti potrebbe
parere che vi sia scissura fra i Superiori e vi andrebbe di mezzo la stima.
Si aspetti a parlare, quando si sia tranquilli. Non si creda súbito che se uno
é fuori di posto, lo faccia sempre con malizia. Interroghiamo, e ci calmeremo
fácilmente. Quasi sempre hanno buone ragioni. Diversamente si disgustano i
Coníratelli e si fanno concepire cattive opinioni anche del Direttore, opinioni che
non si cancellano cosí presto.
Restringo tutto nelle parole di S. Paolo: Praebe te ipsum exemplum bonorum
operum in scientia, in iniegriiate, in gravitate. Quanto all'integritá, si badi anche a
certi termini che non istanno bene in bocea a noi e che le stesse madri buone vie-
tano ai loro bimbi, dando loro Fesempio. Procuriamo noi puré di precederé tutti
con le parole e con l'esempio.
SESSIONE QUINTA (giovedi 5 setiembre, mattina). Esame del 7°
e 8o schema: Sacre funzioni e pranche religiose nei tre ultimi giorni
della setíimana santa: uniformitá in tutte le nostre case (1). Uni-
formitá nelle preghiere, nel canto delle lodi sacre e nelle altre pra-
tiche di pietá; pie usanze nelle case degli ascritti. Nulla di notevole
intorno al secondo punto. Intorno al primo alcuni si mostravano
preoecupati della difficoltá di rendere accette ai giovani le fun-
zioni della settimana santa sia per la loro lunghezza sia perché sot-
traevano troppo tempo a quelle giornate di vacanza. Udiamo varié
risposte: — Noi siamo educatori e certuni, hadando troppo ai gio-
vani, non farebbero neppure diré le preghiere (D. Bonetti). Si badi
prima all'anima; tutto sta nelFanimare antecedentemente i giovani
(D. Rúa). Noi con la nostra educazione dobbiamo allevare anche
milizia per la Chiesa (D. Marenco). Parlando bene di quelle fun-
zioni, i giovani vi prendono gusto (D. Rúa). É bene far conoscere
che si tratta di vacanze religiose e che quindi non si deve fare
contro lo spirito della Chiesa (D. Rúa).
Furono eliminati definitivamente alcuni abusi che si commettevano
contro la sacra liturgia negli ultimi tre giorni della settimana santa.
SESSIONE SESTA (sera del 5). Esame del 9o schema: Regolamento
per le case degli ascritti e per gli studentati. Segregazione delle per-
(1) Comrtiissione: D. Bonetti presidente, D. Monatcri relatore; D. Pcrrot, D. Cibrario, D. Ve-
ronesi, membri, D. Piscclta e D. Berto, consulenli.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo V
soné non appartenenti alia Congregazione (1). La prima p a r t e fu
rimessa al Capitolo Superiore; per la seconda niente di rilevante.
Esame dello schema 10°: Música e canto fermo (2). Cominciava
ad accentuarsi in Italia e fuori il movimento per la riforma della
música sacra. In seno all'adunanza s'incontrarono le due correnti, ma
prevalse la tendenza moderata. Si era nel periodo di transizione.
II pensiero del Capitolo sulla música venne cosi espresso: «É uni-
versale il desiderio che essa debba essere grave, divota, facile, ed
in tutto conforme alie prescrizioni della Chiesa. I Salesiani, come
in tutte le altre cose, cosi anche in questa si mostrino docili ai co-
mandi e solleciti esecutori dei consigli e desideri del Sommo Pon-
tefice, e cerchino di essere a tutti modello nel governarsi conforme
alie Rególe da Lui date. » In armonía con questi sentimenti furono
prescritte varié cose, che agevolarono il passaggio gradúale alia
voluta riforma.
Esame dello schema 11°: Per le case di America. Concessioni
particolari (3). L'argomento piü discusso concerneva la concessione
del ritorno in patria ai Soci d'America per una visita ai Supe-
riori e ai Confratelli. Taluno propose di accordare tali licenze ogni
dieci anni. Don Barberis fece osservare che si era presentato giá
il caso a Don Bosco e che egli aveva risposto: — Quando vi sia
necessitá; ma non si stabilisca tempo. — In questo senso fu deli-
berato, rimettendo volta per volta la decisione agli Ispettori locali.
SESSIONE SETTIMA (venerdi 6 settembre, mattina). Schema 12°.
Proposte varié dei Confratelli (4). Se ne lessero solo sette; poi Don
Rúa disse: — Per discuterle tutte ci vorrebbe un altro Capitolo
Genérale. — Su proposta di parecchi, se ne esaminarono breve-
mente alcune; il resto fu rimesso al Capitolo Superiore. Allora Don
(1) Commissione: D. Lazzero presidente, D. Barberis Giulio relatore; D. Albera, D. Febbraro,
D. Scappini, D. Rinaltlí, D. Porta, membri.
(2) Commissione: D. Lazzero presidente, D. Bertcllo relatore; D. Veronesi, D Cibrario, Don
Furno, membri. Maestro Dogliani consiilenie.
(3) Commissione: D. Lcmoync presidente, D. Albanello relatore; D. Marcnco, D. Rocca Luigi,
D. Bianclii, D. Barberis Giovanni, membri.
(4) Commissione: D. Cagliero presidente, D. Tamietti relatore; D. Ronchail, D. Perrot, D. Ober-
ti. D. Carlini, membri.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

7.10 Page 70

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Quinto Capitolo Genérale
Rúa rivolse alFassemblea un paterno discorso, nel quale fece ira
le altre queste raccomandazioni:
Nelle vostre relazioni con i Confratelli vi raccomando le parole del Salva-
tore: Vos fr aires estis. Considerateli come fratelii, assistendoli nel materiale,
nello spirituale, in tutto.
Le occupazioni si distribuiscano proporzionatamente, se non sonó giá fissate
cal Capitolo Superiore. Si faccia il meglio che si puó, ma non si pretenda troppo.
Non si dica mai: — I tali non sonó buoni a niente. — Si compatiscano, si aiutino,
specie se nuovi. Regolateli e assisteteli, se maestri o assistenti, e senza mostrare di
sindacarli, osservate pero e date in bel modo i consigli necessari, e vedrete
che in breve diventeranno capaci a molto. Alcune volte ci vorrá un mese, un
anno e piü, ma poi spesso riescono i migliori, come io stesso ho sperimentato.
Non si carichino troppo i buoni, perché altri cercano di ritirarsi. II Diret-
tore aiuti anche quelli che fanno a scaricabarili e li riduca a lavorare, affinché
i piü buoni non abbiano a soffrirne. Anzi si badi che non si carichino essi
stessi di troppo; se no, ne soffrono e la durano poco. Avvertasi che chi va forte,
va alia morte. Aiutateli dunque da buoni confratelli, affinché siano di vantaggio
a.31a nostra Societá.
Vi raccomando caídamente d'impedire che si usino mezzi violen ti. Se nel
collegio vi fosse alcuno di parere contrario, s'impedisca assolutamente. A tal fine
si aiutino suggerendo loro come ottenere la disciplina con carita. Si mostri perció
sempre stima, quando fanno osservazioni sulla condolía dei giovani. Vedendosi
sostenuti, essi puré faranno sacrifici; se no, messi al cimento, spesso cedono.
Se pero raccomando di astenersi da mezzi violenti, tanto piú vi raccomando
d'impedire a qualunque costo le sdolcinature e le carezze. Vi sonó tali che
seno buoni in tutto, ma non in questo. I Direttori siano i primi a daré l'esem-
pio. La carita nostra sia forte e non femminea. Cosi si richieda anche dagli
altri. I ragazzi allevati con sdolcinatura diventano spesso i piü cattivi, insensibili
ed insolenti.
Raccomando ancora molta carita per i Confratelli coadiutori e i famigli. Non si
considerino come serví mai. Si trattino con dignitá, ma piü con carita. Richiedeteli
spesso di qualche cosa cosi alia buona. Don Bosco faceva ben conoscere che
li considerava.
Cosi puré si usi ogni cura per i giovani e in tutto, nella salute corporale e
spirituale. Non si badi solo all'istruzione. Se noi abbiamo di mira la sola istru-
zione, defraudiamo la massima parte del nostro compito e neppur ne otteniamo
la quarta parte. S'insegni a praticare la religione.
Badate poi di coltivare le vocazioni. Se ne parli spesso, ma piü ancora si
cerchi che vadano ai sacramenti. Don Bosco dedico molto tempo ad insegnare
a ben confessarsi. Imitiamolo. Se noi conseguiamo di allontanare. il malcostume,
avremo molte vocazioni. Ci aiuteranno anche le Compagnie.
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8.1 Page 71

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Capo V
SESSTONE ULTIMA (sera del 6). Rilevate alcune cose da osservarsi
ín un altro Capitolo Genérale, il Regolatore propose che si ac-
cettasse e si firmasse una dichiarazione análoga a quella con cui
erano stati chiusi i quattro Capitoli presieduti da Don Bosco. Tutti
i presenti aderirono, approvando una formóla, in cui posto il prin-
cipio che le Costituzioni della Societá Salesiana danno al Rettor
Maggiore la piú ampia facoltá su tutto ció che riguarda il benessere
e la prosperitá della Societá stessa, ne deducevano: « I membri
del Capitolo Genérale prima di separarsi, mentre ringraziano cor-
dialmente 1'amatissimo loro Superiore Don Rúa della bontá paterna
usata nell'assisterli, e fanno caldi voti per la sua preziosa conserva-
zione, dichiarano unánimemente di lasciargli pieni poteri di sviluppare
maggiormente quello che non fosse stato abbastanza largamente
trattato, ed aggiungere o modificare tutto quello che fosse da ag-
giungere o da modificare, al bene e al progresso della Pia Societá
Salesiana ed in conformitá delle nostre Costituzioni. » Don Rúa rin~
grazió e, terminatosi di firmare, tenne un ultimo discorso, nel quale,
ribadite le cose dette la mattina, parló della cultura dei chierici,
dello scambievole affetto fra Casa e Casa, del canto gregoriano e
dell'insegnamento catechistico. Chiuso cosi il Capitolo, s'andó in
chiesa per il Te Deum e la benedizione. « T u t t i partirono soddi-
sfatti del nostro Superiore Maggiore; ne sia ringraziato il Signore. »
Cosi scrisse Don Lazzero sette giorni dopo a Mons. Cagliero.
II Capitolo Superiore in quattro sedute dal 26 al 29 novembre
esaminó le deliberazioni prese, le ordinó in articoli <e sciolse le que-
stioni che gli erano state rimesse dal voto dei Confratelli; poi il 6 di-
cembre, uditane la lettura, le approvó e ne ordinó la stampa.
Questa stampa fu pronta neU'aprile dell'anno dopo (1). Vi pre-
cede una lettera di Don Rúa. Esortati i Soci tutti a mettere in pratica
quelle Deliberazioni, anche a costo di sacrificio, non solo per il mé-
rito dinanzi a Dio, ma anche per il bene genérale della Societá da do-
versi sempre anteporre al vantaggio e cómodo individúale, continua va:
« Per singolare grazia del Signore e per la protezione della Vergine
(1) Delibera7Áoni del quinto Capitolo Genérale della Pia Societá Salesiana. S. Ben Can., Tip
Sal., 1890.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Quinto Capitolo Genérale
Ausiliatrice la nostra Pia Societá va prendendo di anno in anno mag-
giore sviluppo; sia nostro studio di mostrarci grati per tanto bene-
ficio. L'osservanza esatta delle nostre Rególe, la pronta obbedienza,
la carita verso i confratelli ed i giovani alie nostre cure affidati,
siano le cose che piü ci stanno a cuore. Potremo in tal modo con-
servare in noi e comunicare agli altri il vero spirito religioso, secondo
la mente del nostro amatissimo fondatore e padre D. Bosco. »
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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C A P O VI
Nel Vicariato Apostólico di Mons. Cagliero.
(Patagones, Viedma, Chosmalál, Pringles, Roca, ospedale di Viedma)
Tre cose bisognava fare per promuovere la nórmale attivitá mis-
sionaria nella Patagonia: intensificare la vita religiosa al centro, vi-
sitare con la maggior frequenza possibile le fattorie dei coloni
e raggiungere i toldi degli Indi. Dieci anni di lavoro aveva no
giá dato consolanti frutti; il tempo di cui parliamo, segna un no-
tevole progresso in questo tríplice ramo di apostolato. Vediamolo
parte per parte.
Un mutamento di disposizioni verso le persone e le cose della
Chiesa si riveló al centro nel ritorno di Mons. Cagliero dall'Italia,
Mentre al suo primo arrivo non uno aveva mostrato di accorgersi
del Vicario Apostólico, quella volta invece (era la prima meta d?a-
prile del 1889) le due cittadine che si fronteggiano dalle opposte
sponde del Rio Negro, gareggiarono successivamente in rendergli
onore. A Patagones, dove ailora aveva la residenza, la popolazione
si affolló nella piazza, accogliendolo con ogni dimostrazione di ri-
spetto. II giorno dopo vennero da Viedma a fargli visita di cor-
tesía tulle le Autoritá e i maggiorenti del luogo; anzi, tanto dis-
sero, che gli strapparono la promessa di recarsi da loro a celebrare
le funzioni della prossima settimana santa; del che menarono
trionfo, perché da tempo si brigava per fargli stabilire la sua di-
mora in quella cittá, dichiarata dal Governo capitale della Pata-
gonia (1). Andatovi nel di delle Palme, la gente si era riversata
tutta ai molo per aspettarlo. II fratello del Governatore gli aveva
mandato la sua carrozza; per ordine del Governatore assente i sol-
(t) Lctt. di Don Milancsio a Monsignore, Patagones, 19 marzo 1889.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Nel Vicariato Apostólico di Mons. Cagüero
dati del presidio gli fecero ala, presentandogli le armi e scortandolo
fino alia chiesa. Presso la soglia un Dottor Arce gli lesse un affet-
tuoso e forbito discorso, nel quale fra l'altro gli diceva: « Eccel-
lenza Reverendissima, védete queste signore e queste fanciulle, que-
sti padri di famiglia, questi giovani e questi vecchi? védete queste
educatrici che dirigono la turba infantile? (1) É il popólo credente,
che, dal risveglio della fede attirato, corre affollato col giubilo nel
cuore a salutarvi per mezzo mió, come fedeli al loro Apostólo; e
nella vostra degna persona egli intende puré di onorare il nostro
Santissimo Padre, il Sommo Pontefice Leone XIII. Accettate, o Mon-
signor Cagliero, le spontanee oblazioni, con cui quest'umile popólo
vi accoglie; beneditelo e degnatevi di partecipare al Santo Padre i
suoi religiosi sentimenti. » Nella settimana il Vescovo confessó, pre-
dicó, pontificó. Numeróse furono le comunioni pasquali, non di solé
donne, ma anche, cosa prima inaudita, di non pochi uomini. Ebbe
ragione egli di esclamare: « Chi avrebbe mai creduto possibile iri
si breve tempo un mutamento cosi grande! » (2)
Prova piú eloquente di quel mutarsi di animi fornirono in luglio
le feste del Sacro Cuore di Gesú. Correva quell'anno il secondo cen-
tenario dell'apparizione. Monsignore volle cogliere l'occasione per
suscitare nel popólo una fiamma di pietá cristiana. Lo secondarono
i Salesiani con la gioventú maschile e le Figlie di Maria Ausiliatrice
con le fanciulle e le madri di famiglia. A Patagones durante il mese
di giugno fece di ventiquattro Signore Zelatrici tante apostóle, che
tirarono in chiesa un numero ogni giorno crescente di uomini alia
Messa, alia predica, alia benedizione. La festa volle che fosse ce-
lebrata con solennitá insólita. Vi furono molte comunioni. Dopo il
santo Sacrificio Monsignore, prostrato dinanzi alia statua del Sacro
Cuore, consacró al Cuore divino il suo popólo, leggendo una for-
mula, che i presentí ripetevano ad alta voce parola per parola. Nel
pomeriggio, gran processione, a cui presero parte le Autoritá civil i
e militari. Quindi egli tenne un infocato discorso e prima della be-
nedizione rinnovó la consacrazione delle famiglie. La giornata
(1) Le Figlie di Maria Ausiliatrice.
(2) f.ett. di Don Agosta a Don Rua, Vicdma, 23 aprilc 1889
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo Vi
riempi i cuori di sentimenti mai provati per l'innanzi. Anche a
Viedma lavorarono quattordici Zelatrici a preparare i fedeli per
le medesime pie pratiche, con risultato non inferiore che a Pata-
gones. Mulla mai di simile erasi visto sulle due sponde del Rio
Negro. Nella storia religiosa delle due cittá quei giorni scrissero
pagine d'oro, II Vicario Apostólico incominciava a raccogliere con
gaudio quei lo che aveva seminato fra dolori. II 28 luglio 1886 aveva
scritto da Patagones a Don Bosco: « Spero assai nell'Associazione
dell'Apostolato di orazione, inaugúrate con prospero successo e con
quindici zelatrici, le principali del paese, che hanno fatto prodigi
per attirare tutte le madri di famiglia, e vi riuscirono. Cosi. mediante
la divozione, l'amore del Sacro Cuore di Gesü ho potuto ottenere
,\\he molte famiglie compissero il precetto pasquale e si uniformas-
sero alio spirito cristiano. Naturalmente questo movimento alia
pietá e divozione suscitó fermento nei maligni, i quali giá stridono
di convulsioni e rabbia satánica. Ma noi zitti, calmi e prudenti, ti-
riamo innanzi, finché qualche Santo ci aiuti a guadagnare anche
gli uomini, schiavi molti del rispetto umano, dell'interesse altri e
delle passioni i rimanenti.»
Per trovare Indi da catechizzare non occorreva andaré molte
lontano: ne vivevano puré nei dintorni di Viedma e di Patagones,
alquanti dei quali rimasti fino allora refrattari. Conducevano un'e-
sistenza assai misera. Abitavano in ranchos (1) formati con quattro
rozze pareti di fango e coperti di paglia. Dentro, nessun mobile,
ma un mucchio di sucide pelli in un canto per giaciglio e in altro
canto un focherello sempre acceso, il cui fumo anneriva ogni cosa.
Appesi a chiodi qualche pentolino, pezzi di carne cruda e l'indi-
spensabile sacchetto del mate. Monsignore mandó le Suore a pé-
scame quanti piú potessero. Per un paio di mesi esse fecero ven i re
alia loro casa alcuni dei piú vicini, mentre parecchie s'internarono
nei deserto. Entravano a due a due in quelle capanne col pretesto
di portare qualche bagattella, aprendosi cosí la via al piú impor-
tante. Quando l'istruzione parve sufficiente, ando a esaminarli Pin-
(1) I capannoni dcjíli Indi si chiamano rundios, se fissi. con bassa e rozza muratura: toldos.
se mobili, fatti con pali c pelli.
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Nel Vicariato Apostólico di Mons. Cagüero
trepido Don Milanesio, che parlava a meraviglia il loro idioma. Egli
ne scovó diversi, che non s'erano fatti vedere, e li catechizzó. II
18 agosto, domenica dopo l'Assunta, le Suore si sparsero di buon
mattino a cercare di capanna in capanna i piü neghittosi, che con-
dussero alia chiesa. Erano in tutto trentasei fra uomini e donne.
piü due bambine. Furono battezzati e cresimati da Monsignore.
Dopo una buona refezione ascoltarono la Messa cantata dalle or-
fanelle. Finalmente, regalati di oggetti sacri e di abiti, fecero ri-
torno ai loro ranchos (1).
II Vicariato di Mons. Cagliero abbracciava un territorio vasto
come tre volte l'Italia. I Missionari si slanciavano in tutte le di-
rezioni alia caccia di anime da condurre o da ricondurre alia fede.
Percorrevano centinaia di chilometri a cavallo, su veicoli antedilu-
viani e per certi tratti anche a piedi, sopportando fatiche e priva-
zioni d'ogni genere. Bisognava attraversare immensi deserti, gua-
dare grossi fiumi, valicare monti altissimi e scoscesi, dormiré il
piú delle notti a ciel sereno e perfino sopra uno strato di nevé, ri-
pararsi dal cattivo tempo nella cavitá di una rupe o nel vuoto di
un albero, sfamarsi con un brano di carnaccia o in mancanza di
questa con avanzi di carne lasciata da una bel va. E poi capricci
di clima, veemenza di venti, furia di uragani, intensitá di freddo
e vampe di calore. II vento soprattutto é cola un gran ñagello. Sol-
leva nubi di polvere; se incontra terreni areaosi, innalza nembi di
sabbia e lapilli, scagliandoli con tanta violenza contro la faccia,
che vi si prova come un raschiare di lima. Guai se non si pro-
teggono bocea, occhi, orecchi! Tuttavia occhi e volto arrossano e le
labbra si screpolano; sopracciglia, capelli, abiti rimangono tutti in-
íarinati. Un uomo uscito da quel turbine non é piú riconoscibile.
In questo faticoso apostolato uno dei Missionari piü eroici fu
Don Milanesio. Nel 1889 condusse a termine un escursione durata piü
di un anno e mezzo per l'immensa vallata del Rio Negro e suoi af-
fluenti. In tutto o in parte Faveva giá perlustrata piú volte, ma senza
mai provvedere a rendere possibile un'azione continuata e sistema-
(1) Lctt. di Suor Borgna. Viedma. 27 setiembre 1889 e di D Milanesio al medesimo, Patagones,
5 novembre 1889.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo VI
tica sui luoghi. A tal fine ci volevan residenze permanenti. Egli ne co-
minció una a Chosmalal. É questa oggi una discreta borgata, mentre
a llora era un meschino paesucolo, nel punto, dove il fiume Neuquén,
lasciando il corso da ovest a est, volge a sud-est verso il Rio Negro
e accoglie nel suo seno le limpide acque del Curileo. É mérito
anche dei Missionari l'aver intuito che il luogo si prestava a dive-
nire, come divenne, un buon centro di civiltá a pié delle Ande pa-
tagoniche e l'averne favorito e promosso gli incrementi (1).
La fondazione di quella stazione missionaria dovette la sua ori-
gine a un caso ben singolare, per quanto provvidenziale. Don Mi-
lanesio nel 1887, accompagnato che ebbe Mons. Cagliero a Con-
cepción nel Cile dopo la nota caduta da cavallo alia frontiera ci-
lena (2), erasene tornato a Malbarco con un frate e due catechisti
per proseguiré la Missione ivi bruscamente interrotta a motivo del-
l'incidente occorso al Vescovo. I due Missionari predicavano con
gran frutto da piú mesi, quando il demonio tentó di attraversar loro
la via. Una calunnia portata dinanzi al Governatore Olascoaya li
rappresentava come esosi sfruttatori di quella buona gente, perché,
diceva l'accusa, esigevano diritti eccessivi nell'amministrazione dei
battesimi e dei matrimoni; onde si videro obbligati di scendere a
Chosmalal, e qui Don Milanesio rimase tre mesi in stato d'arresto:
con divieto di metter piede fuori del paese. Dell'imputazione fu
posta a suo tempo in evidenza la falsitá; ma intanto essa diede
ansa al Governatore di vendicarsi contro Don Milanesio per vecchi
suoi rancori, avendo questi, in tempo addietro, messo in non cale
una sua prpibizione di daré Missioni nel territorio del Neuquén.
Appunto la forzata permanenza di luí a Chosmalal fu causa che
si pensasse a gettar le basi per la costruzione della chiesa e di una
casetta attigua.
Gli dié mano forte nell'impresa Don Panaro, che, terminata una
Missione a Ñorquin, paese situato all'altitudine di 1200 metri sulle
Ande, era venuto a confortare il prigioniero. Otto lunghi mesi di
(1) Nel 1887 era stato scclto come rcsidenza del Governatore: dopo fu costituita capitale territo-
riale Neuquén, cittá cosí detta dal fiume omonimo.
(2) Annali, pp 594-5.
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Nel Vicariato Apostólico di Mons. Cagliero
íavoro bastarono appena a tirar su due edifici di umili proporzioni;
ma tutto mancava. Se vollero condurre legname dai boschi, furono
costretti ad aprire u n a strada di 150 chilometri. Inoltre, quanto
stentavano a trovare braccia che si unissero alie loro! Giacché quei
primi Missionari si adattavano a fare tutti i mestieri, anche i mu-
ratori, quando il bisogno lo richiedeva, il che avveniva sovente. Oltre
a ció, per procacciarsi danaro, Don Milanesio, ormai restituito in li-
berta, fece due viaggi nel Cile, valicando quattro volte la Cordi-
gliera. Come poi i lavori furono ben avviati, lasció il suo com-
pagno a proseguirli, ed egli spese quattro mesi in daré una Mis-
sione per largo tratto di territorio, fermandosi in otto punti cen-
trali: Missione rimasta memorabile per l'abbondanza dei frutti rac-
colti. Al ritorno poté benedire la chiesa, dedicándola alia Madonna
del Carmine. Era la vigilia dell'Immacolata. La propaganda fatta
da lui durante la Missione attiró alia cerimonia una folla di cri-
stiani, scesi giü dalle Ande a cavallo, percorrendo financo cento
chilometri. II Governatore, quello stesso che aveva trattato cosi
bene Don Milanesio, seppe mostrarsi cavaliere, accettando di farvi
da padrino e permettendo a una sua figlia di essere la madrina
nella benedizione della chiesa (1).
La chiesa era piccola, ma decente. Quanto alia casa, non si
pensi che offrisse agiatezze ai Missionari. L'anno dopo, Don Savio,
passato di la per andaré nel Cile, descriveva cosi i comodi ivi go-
duti (2): « Dormiamo nella stessa camera dove si mangia, si studia
e si riceve. Questa camera, piú che disadorna, con vari puntelli
al tetto perché non cada, serve inoltre da biblioteca, magazzino di-
spensa ed anche da cantina, essendovi depositato il vino da Messa.
Ho dovuto far portar via alcuni commestibili, non potendo nella
notte sopportarne l'odore. Non ci si vede che a gran pena; v'é un
único finestrino assai stretto e con tela ñera ñera in luogo di vetri. »
Don Milanesio, partito súbito da Chosmalal, si diresse a Pata-
gones, dando Missioni lungo un percorso di 1800 chilometri, sicché
(1) Non si mostró egualmcnte cavaliere l'anno dopo. Nel suo messaggio, facendo menzionc della
strada, tacque il nomc di chi l'avcva costruita a suc spese.
(2) Lctt. a Mons. Cagliero, Chosmalal, 5 novembre 1889.
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Capo VI
arrivó alia meta nel giugno dell'89. Com'ebbe preso un po' di ri-
poso, Monsignore gli ordinó d'intraprendere nuovamente una Mis-
sione con Don Savio e un catechista fra lo sbocco del Rio Negro
e del Rio Colorado e su per le rive di quest'ultimo. Fece in tale
direzione circa mille chilometri, spingendosi fino a Fortín Uno. Vi-
sitava famiglie sparpagliate a grandi distanze e dedite alia pasto-
rizia, ignorantissime di religione; ma non poté occuparsi degli Indi
ancora infedeli, perché questo richiedeva tempo ed egli aveva or~
diñe di fare una diversione a Balceta; passó per tale scopo a Choele-
Choél sul Rio Negro. Quivi incontró Don Gavotto (1), mandato
a Chosmalal per far compagnia a Don Panaro, e Don Stefenelli,
destinato a Roca, di cui diremo fra breve.
É Balceta una vasta e amena valle fiancheggiata da colline on-
deggianti. Prende il nome dal fiume, che scorre in fondo. Vi abi-
tavano da 450 a 500 Indi, meta dei quali giá cristiani dal 1885.
Disgrazia volle che fossero assenti gli uomini validi e i giovani, partiti
per un mese di caccia al guanaco e alio struzzo. Poté occuparsi quindi
solamente dei vecchi, delle donne e dei fanciulli. Raggiunto di nuovo
il Rio Negro, scese per Pringles a Patagones, dove giunse dopo circa
tre mesi di escursioni (2).
(1) Don Matteo Gavotto era un santo Missionario Veniva dai Figli di Maria. II Prefetto Genérale
Don Berrnti nel 1933 ne trovó ancora viva la memoria come di un santo. 11 buon vecchio, avendo sa-
puto che si pensava di mandarlo in altra casa per riposarvi, chiese per somma grazia di poter chiu-
dere gli occhi, dove aveva speso tutti i suoi 33 anni di vita sacerdotale. Mori a Chosmalal nel 1922
(2) Lett. di Don Milanesio a Don Rúa, Choele-Choél, 2 luglio 1889 e Patagones, 5 novembre 1889
Ecco una statistica presentata da lui in questa seconda lettera:
Missioni della Patagonia
date nell'anno 1889
sulle sponde del
nel
Chilo-
metri
percorsi
Battes itni di
indigeni bianchi
Matri-
moni
Istru-
zioni
Comunioni
1. Rio Negro
Gennaio e Febbraio
1800
190
50
12
80
140
- Aprile e Maggio
2. Rio Colorado, Bal- Maggio, Giugno, Lu-
2000
140
40
6
90
80
ceta
glio
3. Viedma e Patago- Agosto, Settembre,
300
80
5
38
20
nes
Ottobre
Tota le 1 4100
410
90
23
208
240
Non sembriuo scarsi qucsti risultati; le Missioni in quelle plaghe erano giá statc quattro dal 1883
al 1887. íl poco numero dei matrimoni dipendcva anche dalla difficoltá d'indurre gli indigeni a convi-
vcre con una donna sola, il che naturalmente rendeva impossibile il battesimo.
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Nei Vicariato Apostólico di Mons. Cagüero
Ho menzionato Pringles. Ecco una seconda residenza missionaria
stabilita nel 1889 sulla sponda sinistra del Rio Negro, a 90 ehilo-
metri da Patagones. II paese aveva cominciato a formarsi nel 1879,
quando l'esercito argentino, movendo alia conquista della Patagonia,
vi piantó un forte, donde tenere in rispetto gli Indi. Nel 1884 Mon-
signor Espinosa, fattavi fabbricare una chiesa in onore deU'Imma-
colata ed erettala in parrocchia, la affidó ai Missionari salesiani,
soliti a recarvisi di tratto in tratto per Fesercizio del sacro ministero.
Mons. Cagliero, considerando l'importanza del luogo, vi costrusse
anche le scuole. Gli abitanti, fra paese e campagna, non superavano
allora i 500. Gli uomini attendevano al bestiame per il Campo, ossia
a cento, duecento, trecento chilometri di distanza; gli adolescente
badavano a migliaia di buoi, vacche, cavalli, pecore. Cosi inselvati-
chivano e, lasciati a sé, sarebbero vissuti sempre nella piú supina
ignoranza religiosa. Si poteva dunque intanto esercitare un influsso
diretto e continúate solamente sui vecchi, sulle donne e sui fanciulli,
al che necessitava Topera delle Suore. Don Bonacina, mandato con
Don Pestarino a prendervi stanza, adattó in fretta un lócale per
loro. Vi giunsero in tre, traínate sur un umile carretto. Era la loro
prima dimora fuori di Patagones. Le mogli dei coloni un po' be-
nestanti prestarono loro materna assistenza. La popolazione le ac-
colse con grande cordialitá. II Consiglio Scolastico del territorio donó
i banchi per la scuola; Mons. Cagliero forni gli altri utensili sco-
lastici. Pochi giorni dopo il loro arrivo avevano 26 scolarette e Don
Pestarino 20 scolaretti. Non tardó a verificarsi quello che Don Bo-
sco diceva: i piccoli tirano i grandi. Sorsero le associazioni parroc-
chiali, si celebravano divotamente le feste, veniva dispensata con lar-
ghezza la parola di Dio. Pochi aiuti materiali si potevano sperare,
essendo quasi tutti, tranne poche famiglie di coloni, indigenti. Perció
Salesiani e Suore conducevano una vita di grandi sacrifici. II fo-
colare omai acceso avrebbe emanato luce e calore sui vicini, river-
berando riflessi salutari anche sui lontani.
Una terza residenza missionaria venne creata nel 1889 a Roca,
sulla medesima sponda del Rio Negro, fra quelle di Chosmalal e
di Pringles, a circa sette chilometri dalla confluenza del Limay e
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9.1 Page 81

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Capo VI
del Neuquén, ed a chilometri 600 da Patagones. II paese porta il
nome del Genérale che comandó la campagna del 1897. Una buona
guarnigione vi presidiava il forte, che era stato allora costruito. La
sicurezza attiró abitanti: nel 1889 salivano a 2000. Nelle terre all'in-
torno vi erano tolderie di Indi, i quali traevano il loro sostentamento
dalla cura del bestiame. Monsignore affidó l'incarico di quella fon-
dazione a Don Stefenelli, giovane sacerdote pieno di ardore (1). Vi
ando egli con pochi pesos in tasca e a cavallo di un vecchio q u a -
drupede. Si accinse con entusiasmo a fabbricare la chiesa e due col-
legi, uno maschile dedicato a S. Michele e l'altro femminile dato alie
Figlie di Maria Ausiliatrice, entrambi per la gioventú povera e ab-
bandonata: edifici poveri anch'essi e assai disagiati (2). Fórmate
le due famiglie, bisognava risolvere il problema económico. Per
dieci anni il Governo Argentino passó un assegno di mille pesos (3);
ma erano ben poca cosa. Perció Don Stefenelli durante le vacanze
andava a Buenos Aires in cerca di soccorsi, che col suo tatto riu-
sciva a ottenere in discreta quantitá. Qualche cosa si realizzava sul
posto in generi. Altra risorsa era lo spirito di povertá.
Vi fu anche la un periodo eroico, nel quale Salesiani e Suore
stavano alio stretto e vivevano a stecchetto, lavorando intanto di
buona lena, come nei primi tempi dell'Oratorio. Dovunque fissassero
la loro dimora, i Missionari facevano necessariamente una vita sa-
crificatissima. Basti pensare alPeterno isolamento dal loro mondo
spirituale e sociale, all'ambiente che li circondava assai primitivo e
alie enormi distanze che impedivano le comunicazioni, resé puré
difficili dalle intemperie dell'aria e dalle asperitá del suolo. Oggi
corre l'automobile, eppure i disagi sonó soltanto un po' diminuiti;
ma allora non c'era che il dorso del cavallo. Del resto, anche al
presente, la vita dei Missionari in quei luoghi e in altri simili, ri-
chiede grande spirito di sacrificio, se il Prefetto Genérale Don Ber-
ruti, durante la visita straordinaria da lui compiuta nel 1933 alie
(1) Annali, p. 575.
(2) 11 Bollelíino di luglio del 1890 reca tre curióse vignette, rappresentanti il collegio maschile, gli
alunni c il cacico Shayuhcque con la sua famiglia (Mem. Biogr., vol XVIH, p. 746).
(3) l_'unitá di moncta era il peso d'argenlo, che normalmente valeva finque lire oro; ma il suo
valore fácilmente cambiava.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Nel Vicariato Apostólico di Mons. Cagüero
Case d'America in rappresentanza del Rettor Maggiore Don Ri-
caldone, sentiva il bisogno di ripetere piü volte ne' suoi appunti di
viaggio osservazioni come le seguenti: « Questi grandi Missionari
prescindono dalla materia in una forma che non sembra umana. Tutto
ció che é conforto, comoditá, alie volte persino decenza, non entra
nel campo delle loro preoccupazioni: vivono di lavoro, di spirito di
sacrificio: la materia non esercita nessun influsso su di essi. Case
povere di personale e di mezzi, vitto povero, poveri ambienti; ed e
edificante vedere in tania povertá di cose materiali tanta ricchezza
di spirito. Quei sacerdoti anelano solo a lavorare per le anime» (1).
Ció che si dice dei Salesiani, va detto non meno delle Suore.
Come da Patagones e da Viedma, cosi da Pringles, da Roca e da
Chosmalal partivano di quando in quando Missionari con catechisti
e battevano la campagna, istruendo, battezzando, amministrando gli
altri sacramenti. Tali escursioni duravano regolarmente da tre a
quattro mesi; poi gl'inviati del Signore facevano ritorno alie loro sedi
per ristorarsi físicamente e spiritualmente e vi compilavano i resoconti
da presentare al Vicario Apostólico, riunendo tutti i dati delle loro
^postoliche fatiche, i qnali servivano a preparare le relazioni perio-
diche da inviare alia Santa Sede.
Torniamo anche noi a Viedma, dove ci attende una cosa da
milla, destinata a diventare cosa grande. Sotto la vigile sorveglianza
di Don Evasio Garrone stavano aperte in piü luoghi piccole, ma
ntilissime farmacie, che, offrendo al Missionario il modo di introdursi
in tante case, ove mai aveva potuto mettere il piede per l'addietro.
gli agevolavano assai il portarvi, insieme con quella dei corpi, an-
che e principalmente la salute delle anime; ma questo non bastava,
Soldati, lavoratori e Indi, allorché cadevano gravemente inferan, non
avevano d'ordinario chi li assistesse. Commosso alia vista di tanto ab-
bandono, Monsignore un giorno lanció l'idea di un ospedale retto da
Salesiani e amministrato dalle Figlie di María Ausiliatrice. Un caso
pietoso quattro giorni dopo fece che si passasse dal detto al fatto. Don
Garrone e Don Vacchina si accostarono caritatevolmente al letto di
(1) Da suoi appunti di viaggio incditi.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo VI
un pittore spagnolo, che, colpito da peritonite acuta, non aveva un
cuore che lo compatisse né una mano che lo soccorresse. Le sue
sregolatezze l'avevano ridotto nel fondo della miseria. Confortatolo
alquanto, i due sacerdoti decisero senz'altro di portarlo seco. Ma do ve?
Nel Collegio, no, perché non c'era posto; in una camera d'affitto,
neppure, perché non ve n'erano. Ma la carita é industriosa. Parlarono
con Monsignore, il quale, riflettendo un istante, additó loro un rancho>
vecchio e cadente capannone, che non serviva a milla e a nessuno.
Ottenuto di poterne disporre, lo fece ripulire, disinfettare e ammo-
biliare alia meglio, ed ecco pronto il posto per il malato. Don Gar-
rone, che di medicina non aveva fatto studi, ma che per via di certe
circostanze possedeva una discreta pratica terapéutica, si piglio l'in-
fermo in cura. Giá gran calunniatore dei Missionari, quel disgra-
ziato aperse gli occhi e. se non físicamente, guarí moralmente. Poi,
come suole accadere che da cosa nasce cosa, diffusasi la notizia
che i Missionari tenevano un ospedale, arrivavano ammalati da
piú partí. S'immagini che sorta di ospedalet Abbiamo una lettera
in cui COSÍ se ne scrive (1): «II povero ospedale nostro di Mercedes
de Viedma, se merita questo nome, contiene quattro lettiere vera-
mente mobili e pochi stracci. E p p u r e forma Pammirazione di tutti
ed é oggetto dei sospiri di quanti poveri ammalati si trovano non
solo nel circuito della popolazione, ma anche nel campo e a piú e
piú leghe distanti. Prestano le cure piú atiente e caritatevoli che mai
le ottime nostre Suore di Maria Ausiliatrice, e il nostro Don Evasio
ne é il dotíore e al tempo stesso il zelante cappellano. Lo vedesse
con quanto impegno vi si occupa e con quali buoni successi! Basti
diré che nella popolazione ed in ogni ceto di persone é in ottima
fama, e tutti hanno riposta in lui e ne' suoi consigli illimitata fiducia.
I militan' che formano lo squadrone di Polizia e lo stesso Capo
e primo Commissario, fratello dei Governatore, lo vogliono per
loro medico ordinario e propongono di domandare al Governo che
siano a lui concessi quei cento scudi mensuali che finora si pagano
al dottore inglese, (che é puré il farmacista, il ministro e non so che.
(i) Don Riccardi, scgrctario di Monsignore, a Don Rúa, 9 ottobrc 1889.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Nel Vicariato Apostólico di Mons. Cagliero
protestante, quantunque quasi nostro amico, e che consiglia agli am-
malati di chiamare il sacerdote), del quale sonó poco soddisfatti.
II Presidente di una Societá di Mutuo Soccorso, la quale festeggia
annualmente il Garibaldi e il 20 settembre con pranzo, música e
discorsi politici, ha puré esso domandato il nostro dottore sacerdote
per i suoi ammalati, corrispondendogli un equo onorario. » Ho vo-
luto riferire interamente il non breve tratto per due motivi: perché
si veggano meglio i progressi del sentimento religioso in una popoia-
zione piena di ostinati pregiudizi contro il clero, e perché meglio
si comprenda come mai da si umili principi sia potuta sorgere
una istituzione ospedaliera, che onora la Congregazione e che ha
sparso e sparge innumerevoli e considerevoli benefici e religiosi e
civili (1).
Nel settembre del 1889 Don Riccardi compiló un resoconto, che
andava dal 1885, anno dell'arrivo di Monsignor Cagliero nel Vica-
riato, fino a quella data, per inviarlo alie due Opere della Santa
Infanzia e Propagazione della Fede; ne fu spedita copia anche a
Don Rúa. Si puó in esso fácilmente tener dietro alio sviluppo e in-
cremento morale e materiale delle Missioni, al moltiplicarsi delle con-
versioni, al numero sempre crescente di giovanetti e giovanette, che
attingevano dai Missionari soda istruzione civile e religiosa, facendo
sperare che sarebbero un giorno riusciti a popolare di una genera-
zione cristiana quei deserti. Vi si scorgeva puré il cresciuto numero
di stazioni, collegi, chiese e cappelle ed il corrispondente aumento
di personale. Di molte cose Don Rúa restó veramente stupito; ma
per la storia é prezioso quanto egli scrisse in proposito. Diceva (2):
« Oh quanto aveva ragione il nostro Don Rosco! Voi ci ritornavate
dall?America sconfortati talora e ci assicuravate che quasi tutta l'A-
merica Meridionale era perlustrata; che quanto c'era di Patagonia,
era conosciuto; che la popolazione era nulla. E noi ricordiamo, come
fosse oggi, che il nostro buon padre sorrideva e ci assicurava del
contrario. — Guárdate, diceva, guárdate bene; cércate bene nei
(1) Don Carroñe era colui che, servendo la Mcssa a Don Bosco al suo altarino privaío, l'avovn
visto star sollevato da térra (Mem. Biogr., vol., XIII, pag 897).
(2) Lett. a Don Riccardi, 2 ottobre J889.
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Capo VI
monti delle Cordigliere, in certi piani, in certe gole, e vedrete, ve-
drete, credetelo a me. — Proprio lui che non c'era mai stato laggiú,
vedeva meglio di voi che eravate costi, e ne avete ora le prove: in
un sol luogo tróvate una moltitudine di 18 mila persone! » Lo stesso
errore. possiamo aggiungere noi, ispirava diffidenza in alti perso-
naggi romani, i quali, udendo la proposta di aprire Missioni nella
Patagonia, ridevano, anzi un Porporato disse perfino che Don Bosco
nella Patagonia voleva mandar ad evangelizzare l'erba.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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CAPO Vil
Nella Prefetíura Apostólica di Mons. Fagnano.
La Prefettura Apostólica, oltre che alia Terra del Fuoco, si esten-
deva puré alia Patagonia Meridionale e alie Isole Malvine. Diremo
prima di queste due ultime parti (1).
La Missione di Santa Cruz, iniziata nel 1885 (2), conduceva in-
nanzi la sua tríplice attivitá che era esercitare il sacro ministe.ro
con la piccola popolazione del centro, insegnare la dottrina cristiana
ai fanciulli e correré la campagna per catechizzare gli Indi. Data
¡'enorme distanza, il Superiore Don Beauvoir aveva la facoltá di
amministrare la cresima. Nel primo quinquennio i Missionari avevano
visitato di preferenza tutti quei punti del territorio, in cui una
maggior popolazione offriva speranza di poter giovare a maggior
numero di anime. Si noti che i luoghi abitati distano da 200 a 300
e piü chilometri fra loro. Nel 1888 erasi stabilita u n a seconda sta-
zione a sud-est del territorio di Santa Cruz, in Rio Gallegos, situato
sul fiume dello stesso nome. Non contava che 600 abitanti, in preva-
lenza spagnoli; ma per l'importanza della posizione, non possedendo
ancora l'Argentina un porto vicino alio Stretto di Magellano, il Go-
verno territoriale vi aveva trasferito la propria sede da Santa Cruz.
Non é pero un sorriso di natura il suo panorama, che si presenta
assai monótono e triste. Vinfuriano poi venti arrabbiati. Le Autoritá
governative non solo non favorivano i Missionari, ma ne inceppa-
vano sistemáticamente l'azione. II Governatore Lista proibiva loro
di far scuola in Gallegos. Per buona sorte Don Beauvoir non era
uomo da lasciarsi sopraffare.
(1) É utile rileggere il c. LVI degli Annali prec.
(2) Annali, pp. 539, 575, 593.
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Capo Vil
Alie Malvine Mons. Fagnano accompagnó nell'aprile del 1888 il
Salesiano inglese don Diamond, tanto aspettato (1). Si prese stanza
a Porto Stanley. II Prefetto restó con lui tre settimane per aver agio
di veder bene come si potesse lavorare in quella vigna, assegnata dal
Signore ai Salesiani. Si accorse tostó, quanto fosse necessaria ivi la
Missione. In passato il Missionario inglese vi soggiornava poco
tempo; perció, essendovi una bella chiesa dei Protestanti ed un mi-
nistro sempre fisso, talora i cattolici, allettati da ció e spinti da igno-
ranza o da maggior comoditá, vi mandavano i figli alie pratiche
del culto, facevano battezzare la i neonati e contraevano matri-
monio dinanzi al pastore anglicano. La venuta di un Salesiano
riempi di gioia le famiglie cattoliclie, le quali invocavano l'aper-
tura di un collegio. Si mise mano álacremente a costruirlo, sicche
nel giugno del 1889 conteneva 34 giovani. Entro il primo anno avven-
nero ben 25 conversioni di protestanti (2).
Ma la grande impresa di Mons. Fagnano era di organizzare la
Missione nella Terra del Fuoco. Bisognava pertanto prendere contatto
con gli Indi non piü solo di passaggio, come aveva giá fatto, ma
in modo permanente. Si accinse con questo scopo a un viaggio di
esplorazione, appena accennato nel volume precedente. Partí da Pun-
tarenas (3) nel 1887 súbito dopo la festa deU'Immacolata. Navi-
gava sopra una goletta, che faceva servizio di cabotaggio. Vi ca-
ricó pecore, cavalli, viveri per un paio di mesi ed anche roba da
distribuiré ai selvaggi; poiche giustamente riteneva che questi so-
lamente dal bene materiale sarebbero potuti venir condotti ad ap-
prezzare il bene spirituale recato loro dai Missionari. Meno con se
il coadiutore Audisio e tre uomini. Suo disegno era di sbarcare nel-
l'Isola Dawson e di la tragittare, se fosse possibile, nellTsola Grande.
La scelta del luogo di approdo fu il risultato di maturo studio.
Quell'isola occupa il centro dell'Arcipelago fueghino e dista solo
(h Cfr. Annali, pp. 503-4. Nel 1889 Don Diamond fu sostituito da Don 'O Grady (Ann., p. 618) con
Don Migone (ivi, p. 439), l'uno irlandcse, uruguaiano l'altro.
(2) Lett. di Mons. Fagnano a Don Rua, Puntarenas, 10 c 15 febbraio e 3 aprile; Porto Stanley,
13 maggio 1888; Puntarenas, 25 gennaio 1889; a Mons. Cagliero, Puntarenas, 5 giugno 1889.
(3) Dirento nuo va mente Puntarenas, perche il Coverno Cileno, dopo averie cambiato il nome fa-
ceiulola chiamare Magallanes, ordinó di far ritorno alia denominazione primitiva.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Nella Prefeítura Apostólica di Morís. Fagnano
50 chilometri da Puntarenas, residenza del Prefetto Apostólico; inol-
tre era punto di convegno agli Indi, che vi si fermavano per risalire
sulla terraferma a Nord o passare nell'Isola Grande a Est. Sbarcó
dunque nella Baia Willis, porto naturale a Nord-Est e molto ben
riparato dai terribili venti, che imperversano in tutti quei canali.
Con i suoi uomini e alcuni cavalli, con le provvisioni e altro, si
diede a percorrere Fisola. Boschi fittissimi obbligavano ad aprirsi la
strada con la scure; estesi pantani facevano affondare le gambe dei
cavalli. Sul far della notte un fumo lontano lontano riveló la presenza
di indigeni. Dormirono sotto gli alberi, disturbati sul mattino da
vento e pioggia. Rimessisi in marcia, verso le otto scopersero un
gruppo di Indi, che al vederli fuggirono. Monsignore li chiamó, li
persuase delle sue buone intenzioni, li regalo di galletta, di tabacco
e di fazzoletti rossi, esprimendosi con cenni e con qualche parola
spagnola da loro intesa. Bazzicando intorno ai vapori stranieri. essi
avevano imparato anche qualche termine inglese. Erano tre uomini,
quattro donne e quindici creaturine. Capi che in quelle vicinanze
ve ne doveva essere una quarantina. Li invitó a Puntarenas, ed
essi risposero che sarebbero andati. Lasciatili contenti, ripiglió il cam-
mino verso Nord con uno di essi, che sembrava un po5 navigato e
che si offerse ad accompagnarli un tratto. Per istrada gli presentó
un suo figlio, che era intento a cacciare. Allora si accomiató, soggio-
gato dalla bontá del Missionario, il quale lo animó a condurgli a
Puntarenas i suoi compagni. Posto il campo in luogo opportuno e
pernottato come la sera precedente, si diressero verso la Baia Willis,
dove era tomata ad aspettarli la goletta, secondo previa intelli-
genza. Monsignore si convinse che quegli Indi menavano vita nó-
made e che quindi a volerne procurare Fistruzione religiosa biso-
gnava indurli a riunirsi in sede fissa.
Ripreso il mare, volsero la prora a Sud, verso il seno dell'Am-
miragliato che s'interna profundamente nell'Isola Grande, cercando
intanto di vedere se lungo la spiaggia vi fossero Indi a raccogliere
molluschi, ma due giorni di burrasca resero la cosa impossibile. Av-
vicinatisi con gran difficoltá alia costa ovest, misero a térra derrate,
animali e uomini e si accamparono. Nei di seguenti fra ostacoli
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Capo y II
naturali indescrivibili visitarono i dintorni in traccia di Indi. Ebbero
con essi parecchi incontri. Monsignore ne studiava l'indole, i co-
stumi, il linguaggio, la vita, le razze. Alcuni che avevano acco-
stato i civili nei punti di approdo, gli resero qualche buon servigio.
Se ne formó un gruppo intorno a lui. Fece un tentativo d'insinuare
pensieri religiosi, ma senza profitto. Infine distribuí loro oggetti
di vestiario e cose mangerecce, e quando gli parvero ben disposti
verso la sua persona, li invitó tutti a Puntarenas con la goletta che
avrebbe mandato a prenderli dopo due lune; ma Monsignore non
poté mantenere la parola. Con il comandante, che proseguí la rotta,
si era inteso sul luogo e sul tempo del reimbarco. La goletta fu
puntúale. Ritornato a Puntarenas, gli vennero incontro Indi Theuel-
ches della Patagonia Meridionale, giunti per una Missione e insieme
per affidargli figliuoli da educare e istruire, naturalmente a spese
dei Missionari.
II Signore l'aveva aiutato; gli sarebbe potuto incogliere male. Gli
Indi dell'Isola Grande detestavano allora i bianchi. Dacche cercatori
d'oro scesi sul Rio Santa Maria e alcuni Inglesi stabilitisi nella Baia
Gente Grande per l'allevamento delle pecore avevano preso a uccidere
i loro guanachi, quei guanachi che fornivano ad essi vitto e vestito,
gli Indi si misero a fare altrettanto con il bestiame degli invasori.
DalPaltra parte gli stranieri, per impediré i furti, davano una caccia
spietata a quegli infelici, che cadevano quasi ogni giorno sotto i
fucili europei. Onde un odio mortale serpeggiava nell'isola contro
i civili; anzi una volta gli indigeni massacrarono parecchi mina-
tori (1).
Mentre stava compiendo la descritta escursione, il Prefetto Apo-
stólico era ben lungi dal pensare che fosse scomparso dalla térra il
suo amato padre Don Bosco. Ne ricevette la notizia solo in marzo;
con poco minor ritardo di lui l'avevano appresa anche i Salesiani
di Buenos Aires. Ne fu causa l'essere andato smarrito il telegramma
inviato da Torino la mattina del 31 gennaio. I giornali, e vero, an-
(1) Lett. di Mons. Fagnano a Mons. Cagliero, Puntarenas, 10 e 15 febbraio 1888. Gli Inglesi
uccidcvano i guanachi, perché qucsti danneggiavano l'allevamento delle pecore, divorando l'erba dei
migliori pascoli. Si dice la che un guanaco mangia quanto sette pecore.
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Nella Prefeítura Apostólica di Mons. Fagnano
nunciarono quella morte; ma i nostri non vi prestarono fede, sia
perché altre volte la stampa li aveva tratti in inganno con simile
notizia, tanto piú che sapevano del notevole miglioramento veri-
ficatosi in gennaio, sia perché non potevano concepire come mai i
Superiori, se la cosa fosse vera, non si facessero vivi. Cosi lo sep-
pero un mese dopo, quando cioé la posta reco loro la circolare di
Don Rúa, al quale Monsignore scrisse il 10 marzo: « Abbiamo ri-
cevuto la circolare, in cui ci partecipa la dolorosa notizia del!a
morte del caro Papa ed abbiamo pianto di cuore la sua perdita
tutti insieme, ma specialmente io che tanto gli doveva... Per nostra
parte ci adopreremo con tutte le forze a corrispondere ai desideri
dei nostri Superiori, raddoppiando lo zelo nelle opere intraprese
dalla Congregazione Salesiana, in particolare nelle Missioni ai sel-
vaggi del la Terra del Fuoco. »
Intanto urgeva accendere un focolare di vita cristiana nella po~
polazione della residenza prefetturale di Puntarenas. I Missionari vi
si adopera vano con tutti i mezzi insegnati da Don Bosco: cura della
gioventü, belle funzioni religiose, feste, mese mariano, pane della
parola di Dio, pane eucaristico, ogni tanto battesimi di Indi ammi-
nistrati con solennitá: tutte cose che attiravano gente alia chiesa.
Un Indio quindicenne fu tenuto al sacro fonte dal nuovo Governa-
tore, Genérale Samuele Valdivieso. A un altro fece da padrino per
procura Don Rúa. Quello era un superstite di undici fueghini ra-
piti da un incettatore írancese e messi in mostra all'Esposizione
di Parigi, poi imbarcato a Liverpool e spedito al suo destino. Non
avendo piú ritrovato i genitori, venne raccolto dai Missionari. Dei
suoi dieci compagni di sventura, cinque erano morti e cinque fini-
rono anch'essi nelle braccia dei Missionari, che li fecero cristiani (1).
A sciogliere il ghiaccio dell'indifferenza religiosa che assiderava
i cuori, giovó non poco il buon esempio dei Salesiani, preti e laici.
Inoltre fu vera fortuna che nel 1889 il Governo cileno avesse man-
dato a Puntarenas il detto Governatore, uomo esemplare, che non
mancava mai la domenica alia Messa (2). Qualche buon frutto
(1) Lctt. di Don Bcanvoir a Don Rúa, Puntarenas, 15 setiembre 1890.
(2) Lett. di Mons. Fagnano a Mons. Cagliero, Puntarenas, 7 luglio 1889.
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10.1 Page 91

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Capo Vil
cominciava a maturare. Quell'anno Monsignore scriveva. sottoli-
neando con visibile esultanza (1): « Domani primo venerdi del Sacro
Cuore faremo oenticinque Comunioni ed allargheremo il Regno di
Gesü. Si va adagio, ma sempre avanti. »
II nemico delle anime non poteva starsene inerte. NelFinverno
del 1889 correvano pubblicazioni contro i Salesiani e contro la loro
Missione, fucinate a Puntarenas. Ma: «La Madonna ci aiutó, scrisse
il Prefetto Apostólico. II silenzio, la preghiera, la pazienza furono
la nostra risposta. » Tre presunti autori di quegli scritti clandestini
morirono poco dopo a brevissimi intervalli. Chiesero pero i sacra-
menti (2).
Nel 1888 era volata al cielo la giovanetta fueguina, che, raccolta
da Mons. Fagnano nella Terra del Fuoco dopo l'uccisione di suo
padre, condotta a Patagones e di la accompagnata da due Suore
a Torino nel 1887, era stata presentata da Mons. Cagliero a Don
Bosco (3). Viveva a Puntarenas nella Casa delle Figlie di Maria
Ausiliatrice. L'ultimo giorno della malattia volle che Monsignore
le stesse continuamente accanto al letto. Poco prima di spirare
gli disse: — Andrai a cercare mia mamma, i miei fratelli; li bat-
tezzerai, perché possano venire anch'essi in paradiso con Gesú. —
Mori nel giorno dellTmmacolata. Fu il primo frutto inviato al Cielo
dalla Missione (4).
Una chiesa, anche piccola, ma decorosa e divota é pur sempre
un gran mezzo per suscitare nei cuori la fiamma della pietá. Fino
al 1890 Salesiani, Suore e fedeli si disputarono, per cosi diré, una
povera stanza messa a cappella; ma allora ebbero una chiesina
con campanile e tre campane, fatta di legno, come tutti gli edifici
del luogo. foderata esternamente con lastre di zinco e nell'interno
coperta di tela e carta ricamata. Troneggiava sull'altare una statua
di Maria Ausiliatrice, venuta da Parigi. Edificante e attraente riusci
la benedizione della prima casa di Dio sorta nella cittá. Nessuna del!
(1) Lcttcra di Mons. Fagnano a Mons. Cagliero, Puntarenas, 5 scttcmbre 1889.
(2) 11 med al metí., 7 luglio 1889
(3) Aniuiii, p. 398.
(4) Lett. di Mons. Fagnano a Don Rúa, Puntarenas, 25 gennaio 1889.
66
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Nella Prefetlura Apostólica di Mons. b agnano
Autoritá ricusó d'intervenire. Piacque il numeroso clero di giova-
netti. Vi si celebró il mese di Maria, che laggiú termina con la festa
dell'Immacolata, nel qual giorno una spettacolosa processione scosse
quel popólo fino allora insensibile alie cose di religione Vi furono
ben 115 comunioni. Le Suore fecero l'accettazione di 13 Figlie di
Maria, di 20 aspiranti e di 20 angioline (1). La grazia di Dio ope-
rava, nonostante gli ostacoli.
Tutto questo andava narrato di seguito; ora rifacciamoci un po'
addietro. Nel 1888, quando qui é estáte e la invernó. Mons. Fagnano
venne in Italia dopo 13 anni di lontananza. Arrivó a Genova il
26 giugno. Peroró la causa della sua Missione a Torino ed a Roma,
ne fece conoscere i bísogni di vario genere a quanti potevano pre-
stargli ahito e ottenne da Don Rúa un rinforzo di personaje in dieci
Salesiani e cinque Suore. II 3 dicembre rientrava giá nella rada di
Puntarenas.
Suo pensiero dominante furono súbito i preparativi per aífrontare
decisamente la Missione fueguina; ma non poté aver pronto tutto
l'occorrente se non a febbraio. II 3 salpó verso l'Isola Dawson sopra
una goletta, chiamata la Fueghina. Caricó vettovaglie per vari mesi,
vacche, cavalli, pecore e gli attrezzi piü necessari per impiantare
un piccolo villaggio. Destinó Direttore della stazione Don Ferrero.
al quale diede per ahitante il coadiutore Giovanni Silvestro. Face-
vano parte della spedizione dodici fra pastori e falegnami. Rag-
giunta la spiaggia nella Baia Willis, stabili di costituire ivi il centro
della Missione, ordinando di costruire immediatamente una casa di
legno. I pastori pero col bestiame li mandó a sbarcare nella Baia
Harris, piü a Sud, perché sapeva esserci la un grande e be! prato.
Egli quindi, dovendo tornare a Puntarenas, impartí le opportune
istruzioni e lasció l'isola.
Misura questa 13300 chilometri q u a d r a t i di superficie. La cinge
a Sud una lunga catena di montagne, quasi sempre coperte di nevé;
(1) Di questo c di altro fa una bella relazionc a Mons. Caglicro Suor Valiese. supcHora dcllc
Figlie di Maria Ausiliatrice a Buenos Aires, da Puntarenas (15 dicembre). dove si trovava di pas-
saggio, proveniente dall'Jsola Dawson, come diremo. Anche Mons. Fagnano ue seris.se al medesimo
addi 16.
6?
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo Vil
il resto é tutto folti boschi, modeste colime, vaste praterie. abbon-
danti corsi d'acqua, frequenti laghi e terreni paludosi. Appartiene
al Cile come tutte le altre dell'arcipelago, tranne circa meta dell'Iso-
la Grande, nella quale sventola la bandiera argentina.
Dopo la partenza di Monsignore, non compariva faccia di Indi;
solo al sesto giorno ecco venire una piroga e due giorni dopo un'altra
e poi un'altra ancora, tutte cariche di selvaggi- Si appressavano con
timore; ma tostó, regalati di galletta, tabacco e indumenti, piglia-
rono coraggio. Don Terrero, persuasili a fermarsi, improvvisó per
loro alcune casucce di tavole che riparavano dall'acqua, ma non dal
vento e dal freddo. Ce ne volle per indurli a pulirsi, a liberarsi da
insetti molesti, a lasciarsi tagliare i capelli, a buttar via sucide pel-
licce e indossare abiti nostrani! Fu dato a ognuno un nome e adagio
adagio si inizió 1'insegnamento religioso. A patrono della Missione
fu eletto l'Arcangelo S. Raffaele.
Ma la localitá prescelta parve ben presto disadatta, Oltre al resto,
la Baia Willis aveva un fondo buono solo per piccole imbarcazioni;
invece a poca distanza la Baia Harris poteva lasciar approdare
anche le maggiori navi, inoltre le faceva corona una zona piü bella,
piü cómoda, piü ricca di pascoli e piü riparata dai venti. Perció
dopo un primo mese tutti si trasferirono la con armi e bagagli;
anche la casa giá costruita venne smontata e portata via sopra una
zattera.
Monsignore mandó ancora un prete, Don Pistone, e parecchi ope-
rai che fabbricassero solide casette per gli Indi e una casa di certa
grandezza per i Missionari. Vi tornó egli stesso in maggio con rifor-
nimenti, con materiali da costruzione e roba per gli Indi, che presero
a chiamarlo il buen capitán. Q u a n d o venne via, era risoluto di recarsi
alia capitale del Cile e di chiedere al Governo la concessione del-
l'isola per vent'anni, a fine di attirarvi un sempre maggior nu-
mero di fueghini, affezionarli al luogo e tenendoli concentrati, or-
ganizzare una colonia dedita specialmente alia pastorizia.
Da sette mesi la vita trascorreva tranquilla, quando un trágico
incidente sopraggiunse a funestare quei principi, che si manifesta-
vano tanto lieti. Avendo tróvalo una lettera in cui una delle vittime
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Nella Prefettura Apostólica di Mons. Fagnano
narra il fatto, me ne serviró come di fonte principale nel racconto,
attingendo solo qualche particolaritá altrove (1).
II 7 setiembre 1889, t o m a t a all'isola la goletta Fueghina, operai
e pastori ottennero di andaré a godersi qualche giorno a Puntarenas
durante le feste patrie che si celebra vano dal 17 al 19. Ando con
ioro anche Don Ferrero, sicché alia Missione rimasero solo Don Pi-
stone e il coadiutore Silvestro con 17 Alacalufes. Orbene, la mat-
tina del 9 gli Indi erano tutti scomparsi. I Missionari supposero che
fossero andati alia pesca. Ma ecco sul fare della sera ricomparire
soltanto sei uomini, che si avanzavano mostrando alcune pell.i di
lontra come frutto della caccia. Tre si avvicinarono a Don Pistone
e tre a Silvestro, piantandosi uno davanti al prete e un altro davanti
al laico, mentre due si mettevano ai fianchi del primo e due ai
fianchi del secondo. Che questa fosse una manovra sospetta, lo po-
teva diré soltanto chi la osservasse un po' da discosto, non i due ac-
cerchiati, intenti ad ammirare le belle pelli. A un cenno selvaggio
entrambi si sentirono afferrare per le mani e vibrare fulmíneo un
colpo di arma affilata alia gola Don Pistone, di scure alia testa Sil-
vestro. Nel pronto svincolarsi dalla prima stretta gli aggrediti torsero
il capo, sicché quegli ricevette solo un taglio nel labbro inferiore
fino al mentó, e questi riportó una Heve scalfittura alia fronte, ma
una grave ferita al braccio. Si divincolarono atterriti e grondanti
sangue, mandando un forte grido: gli aggressori, fallito I'attacco,
si lasciarono cadere di mano le armi e presero la fuga. Allora Sil-
vestro, che era stramazzato al suolo, si trascinó in cucina, die' di
piglio a un fucile carico e sparó in aria. Alia detonazione, il com-
pagno di sventura, che correva all'impazzata verso la spiaggia, si
rianimó, avendo compreso chi fosse colui che aveva sparato: i sel-
vaggi ignoravano il maneggio delle armi da fuoco. Tornó dunque
indietro. Entrambi, assicuratisi che non vi era piú nessuno la intorno
e sparati vari altri colpi, badarono a curarsi le ferite.
Per l'impressione dello spavento provato e sotto Fincubo del ti-
more di essere sorpresi nel sonno, tutta la notte non chiusero occhio.
(1) Lett. di D. Pistone, Isola Dawson, 12 setiembre 1889. Manca il nomc del destinatario. — Ho
vonsultato puré Memorie inedite di Don Beaavoir.
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Capo Víl
Ma poi i furfanti, sapendoli soli in quel deserto, non sarebbero tornati
in compagnia di altri all'assalto? E come provvedere alia propria sicu-
rezza? In si tristi pensieri non ave vano miglior conforto che la pre-
ghiera. E la Provvidenza intervenne. L'll settembre verso le otto uno
scafo veleggiava nella Baia Harris. Respirarono, e scesero al mare.
Approdó un cutter proveniente dalle isolev Malvine e diretto a P u n -
tarenas. L'equipaggio si componeva di tre inglesi, che, disorientati
e senza viveri e privi d'acqua potabile, giungevano la spinti dal
vento. Si prestarono tostó scambievole soccorso.
L'indomani il cutter fece vela per Puntarenas, dove giunse il
14 con le brutte nuove. Monsignore addoloratissimo, non trovando
di meglio, rinvió quella stessa imbarcazione a Dawson con Don
Ferrero, recante viveri e medicamenti. Giunta poi una piccola go-
ietta Florencia, la affittó e la spedi a Don Ferrero con alcuni ope-
rai. II cutter, arrivato a Baia Harris il 17, ne riparti il 18, la-
sciando uno dei marinai a guardia della Missione e imbarcando
Silvestro, il cui braccio si temeva che andasse in cancrena.
La povera navicella dovette lottare tre giorni e tre notti con le
onde iníuriate, finché una raffica di vento la sbatté contro una
spiaggia arenosa senza infrangerla. II 21, sembrando placato il mare.
i tre naufraghi spinsero il cutter in acqua fino a 50 metri da térra,
dopo di che una barchettina capace appena di due uomini li avreb-
be trasportad fino alia nave. Nel primo tragitto vi montarono Sil-
vestro e un marinaio. La barchetta distava appena pochi metri dal
cutter, quando una grossa ondata la capovolse. I due sommersi
ricomparvero di li a poco alia superficie, nuotando verso la riva;
ma Silvestro, qualunque fosse la causa, spari inghiottito dai flutti
né fu possibile rintracciarne il cadavere. Allora il mare, di nuovo
ingrossato, scaglió con tanta violenza il cutter contro un punto pie-
troso della spiaggia, che lo ridusse in frantumi. I superstiti, percorsa
a piedi la lunghissima distanza, recarono alia Missione la luttuosa
notizia. Nel frattempo la Florencia era venuta a Dawson e t o m a t a
a Puntarenas e non avénelo incontrato il cutter né prima né dopo.
ne fece avvertito Mons. Fagnano. Questi ottenne dal Governatore
che fosse mandato un vaporino a cercarlo. Vi s'imbarcó egli puré
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Nella Prefeííura Apostólica di Mons. Fagnano
con il coadiutore Bergese. S'immagini il suo dolore, quando conobbe
tutta la dura realtá.
Uomo di fede, ricordó come Don Bosco avesse detto che la Mis-
sione sarebbe costata sudore e sangue e che a chi si fosse sacri-
ficato, Dio avrebbe fatto la grazia che il suo sangue fosse fecondo
di conversioni (1). Rincorato da questa Aducía, fece animo ai Mis-
sionari, i quali, anziché lasciarsi abbattere, si rimisero con buona
lena al lavoro.
E la Missione di S. Raffaele risorse. I fuggitivi, temendo di
essere presi a fucilate, non osavano piú mostrarsi; ma poi, ricer-
cati dai Missionari e vínti dai loro segni di bontá e di perdono,
ritornarono tutti, compresi gli assassini, tranne l'orditore della tra-
ma. Poiché, andando a fondo, si scoperse che istigatore dell'at-
tentato era stato un Indio, il quale ambiva di capeggiare quella
specie di tribu in formazione. Né costui cessó piú di causare mo-
lestie alia Missione, finché peri sgozzato da alcuni suoi compagni
di ribalderie.
II numero degli Indi raccolti ando vía via aumentando. Per rico-
verarli furono col tempo costruite fino a 60 case, in alcune delle
quali abitavano anche quattro famiglie. Ai ragazzi e alie ragazze
di oltre sette anni si dava ricetto in due collegi, sorti ivi stesso e
governati dai Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, Poiché
nel giugno del 1890, dopo che Suor Valiese era stata sul posto a pre-
disporre le cose, iré religiose furono inviate a d a r principio alia
loro comünitá sotto la direttrice Suor Luigina Rui fino. Dio solo sa
a quali sacrificí si assoggettarono esse per la redenzione di quelle
misere creature.
Intanto i Missionari si sforzavano di abituare gli Indi al lavoro,
a cui grandemente ripugnavano. Per le donne c'era il laboratorio
delle Suore; per gli uomini fu impiantata una segheria a vapore,
che serviva a utilizzare l'abbondantissimo legname della foresta.
I grandi venivano puré addestrati nella coítivazione della térra.
Alie donne s'insegnava il modo di cucinarsi le vivande. Ma sulle
(1) Lctt. a Don Riccarili, Puntaronas, 31 otíobrc 1889.
71.
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Capo Vil
occupazioni materiali primeggiava sempre l'insegnamento catechi-
stico. Anche gli usi religiosi penetravano a poco a poco nella vita
di ogni giorno.
Nel 1890 dopo la festa dellTmmacolata Mons. Fagnano e Suor
Valiese fecero una nuova visita alia Missione. Dalle festose acco-
glienze compresero súbito, che c'era qualche cosa di mutato. Monsi-
gnore trovó ben preparati al battesimo 33 Indi, tra cui 28 adulti.
La cerimonia, fatta a modo, produsse viva impressione. I battez-
zati uscivano dalla cappella allegri e saltellanti, cantando: « Ya
no somos Indianos, ahora somos cristianos» (1).
Fermo nel proposito di strappare gli Indi alia loro vita randagia
e concéntrame il maggior numero possibile a convivere, fosse puré
in grado mínimo, civilmente, quanto cioé lo permettesse loro la pro-
pria natura nómade, Mons. Fagnano, come ho detto, vagheggiava
l'idea di farsi accordare dal Governo la cessione dellTsola Dawson
per vent'anni. Con questo disegno in mente ando nel giugno del
1890 a Santiago, dove riusci a ottenere un decreto, in forza del
quale al Padre Giuseppe Fagnano, come Superiore dei Missionari
Salesiani stabiliti a Puntarenas, si concedeva per vent'anni l'uso
e l'usufrutto dellTsola Dawson. La motivazione si fondava su tre
considerando: primo, la convenienza che lo Stato favorisse e sti-
molasse le imprese aventi per oggetto d'incivilire gl'indigeni della
Terra del Fuoco; secondo, oltre ai fini umanitari, il contributo che
ne veniva per facilitare la colonizzazione di territori della Repub-
blica posti in cosi remote plaghe; terzo, il nessun onere finanziario
derivante dalla proposta, íl decreto poi disponeva che fossero pre-
stati 500 capi di bestiame vaccino per la stessa durata con Pobbligo
di consegnarne altrettanti al Governo, spirato il termine della con-
cessione. In caso che il Governo prima di dieci anni avesse biso-
gno dell'isola e la richiedesse, avrebbe dovuto sborsare il valore di
tutti gli edifici, a giudizio di periti. Monsignore riteneva impro-
babile tale prematura richiesta e godeva di avere finalmente la
possibilitá di radunare tutti i selvaggi della Terra del Fuoco per
(1) Lett. citata di Suor Valiese.
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Nelia Prefetlura Apostólica di Mons. Fagnano
dirozzarli, edúcame i figli e trasportarli poi in vari punti dell'Ar-
cipelago atti alia pastorizia (1). Come siasi valso della concessione
governativa, lo vedremo piú innanzi.
Prima di finiré il capo é necessario sfatare dicerie messe in giro
da persone malevole. Si ando blaterando che la concessione fosse
per i Missionari sorgente di sfondolate ricehezze. A smentire si
false asserzioni sarebbe bastato conoscere in che disastrose condi-
zioni finanziare si dibattesse per quella concessione il Prefetto Apo-
stólico. Essa lo ingolfó nei debiti. Tutte le éntrate, frutto únicamente
deH'industria, del lavoro indefesso e dell'economia dei Missionari,
viventi una vita di povertá e di privazioni, venivano assorbite da i
bisogni degli Indi e del personale addetto, né sarebbero state suffi-
cienti senza introiti d'altra origine. Furono letteralmente vent'anni
di déficit. Questa é la p u r a veritá che poté e per fortuna puó sempre
essere documentata in base a cifre di esattezza inoppugnabile. Degno
Missionario di Don Bosco, il Fagnano metteva fedelmente in pra-
tica uno degli ammonimenti lasciati dal padre ai pionieri del '75:
« Cércate anime, non danari » (2).
(í) Lett. di Mons Fagnano a Mons. Cagliero, Santiago, 11 agosto 1890.
(2) Annaii, p. 255 in nota.
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CAPO VIII
Prime visite di Don Rua alie Case d'Iíalia.
(Nizza Monferrato, Sampierdarena, Alassio, Borgo S. Martino, Lu, Penango, Faenza, Firenze,
Lucca, Roma, La Spezia, S. Benigno, Mathi, Lanzo, Mogliano, Este,
Lugo, Faenza, Parma, Trento)
Un biógrafo di Don Rua ebbe la pazienza di íare il calcólo dei
chilometri da lui percorsi in un ventennio, dal principio cioé del suo
Rettorato fino a quando, piú che gli anni, i malanni lo condannarono
a una vita non proprio sedentaria, ma di poco movimento. La somma
oltrepassó i centomila (1). I suoi viaggi, visitando le Case, avevano
molteplici scopi: mantenere vivo lo spirito di Don Bosco; avvicinare
i singoli Confratelli per sentirli, incoraggiarli, consigliarli; incontrarsi
con i Cooperatori per avvincerli sempre piú alia Congregazione;
trattare per nuove fondazioni. Come giá il santo Fondatore, cosi il
suo illuminato Successore considerava simili visite e incontri quale
elemento insostituibile a promuovere il bene della Societá; vogliono
quindi nella storia di questa un posto distinto. Qui dunque e altrove
seguiremo passo passo Fitinerante cominciando dall'Italia superiore
e media.
All'lstituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice Don Rua prodigó
ancora per alcun tempo le stesse paterne e vigili cure di Don Bosco
tanto nelle cose spirituali quanto nelle materiali Con particolare solle-
citudine egli guardava alia Casa Generalizía di Nizza Monferrato.
Vi si recó due volte nel 1889, cioe in maggio per le vestizioni religiose
e in agosto per un altro motivo. Vigeva cola l'usanza, introdotta da
Don Bosco, di offrire ogni anno a maestre e ad altre signore o coope-
ratrici la comoditá di fare un buon corso di esercizi spirituali. Don
(li A. A U I I K A Y . Le premier Successcur de Don Botco. Lyon, Vitte Ed., 1934. Parte IV, c. 6.
74
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10.10 Page 100

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Prime oisüe di Don Rúa alie Case d'Iíalia
Bosco medesimo ne mandava Finvito stampato e finché la sanitá glielo
permise, non mancó mai di andarli a chiudere. Ve ne intervenivano
sempre quante la casa ne poteva conteneré. Don Rúa imito il suo
esempio. Quella volta le esercitande arrivarono a duecento.
II 6 giugno visitó Fospizio di Sampierdarena, 6" la casa benedetta
dal Signore ", scriveva in proposito Don Lazzero (1). La trovó am-
pliata. II gran numero delle domande di ammissione aveva indotto
a praticarvi un ingrandimento mediante un piano rialzato sull'edificio
del 1886, sicché ne risultarono sei ambienti, capaci di conteneré tutte
le classi del ginnasio; la qual cosa age voló una migliore sistemazione
dei laboratori. Visitando Foratorio festivo, egli fece ai giovani una
promessa: l'anno dopo avrebbero avuto un cortile piú cómodo, piú
bello, con i migliori giochi e mezzi di ricreazione. Non diceva questo
tanto per diré, ma aveva il suo bravo perché. Si avviavano in quei
giorni alia conclusione le trattative per un importante acquisto.
Quanto non aveva fatto Don Bosco per comperare un'area, parte fab-
bricabile, parte fabbricata, attigua all'ospizio! Apparteneva ai Mar-
ehesi Durazzo-Pallavicini. La vecchia marchesa non glie Faveva mai
voluta cederé: onde pendeva continua la minaccia di qualche grave
servitú. Ma allora parve che Don Bosco facesse sentiré dal cielo
il suo nuovo potere ricevuto da Dio. L'urgente necessitá d'ingran-
dimento e l'imminente pericolo che si affacciasse altro compratore e
soff ocasse i Salesiani, privandoli di uno spazio per loro vítale, diedero
coraggio a ritentare la prova. La signora proprietaria questa volta non
fu sorda. Contrarietá ne saltarono fuori; ma l'affare fu conchiuso
come giammai si sarebbe osato sperare. Infatti, non veniva ceduta
solamente la parte chiesta giá da D. Bosco, ma tutto il tratto scoperto
ed anche un bel palazzone la accanto. Anzi, per un terreno che era il
doppio, non si dovette sborsare neppure la meta del prezzo offerto
anteriormente. II felice successo si attribui a grazia speciale ottenuta
da Don Bosco (2). L'anno dopo dunque Don Rúa, ritornato a Sam-
pierdarena, ricevette dai giovani delForatorio pubblici ringraziameníi
per Fampliato cortile.
(1) Lett. a Mons. Cagliero, Torino, 31 agosto 1889.
(2) Lett. cit.
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11.1 Page 101

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Capo VIII
Questa casa nel 1889 divenne sede ispeltoriale. Fino allora l'Ispet-
toria Ligure aveva avuto per Ispettore Don Cerruti; ma in quell'anno
vi fu nominato Don Giovanni Marenco.
Da Sampierdarena si volse ad Alassio, dove fioriva con il ginnasio
Fuñico liceo, che la Congregazione avesse allora, diretto da quell'uomo
incomparabile che fu Don Luigi Rocca, nel quale non si sarebbe sa-
puto che cosa maggiormente ammirare, se il senno pratico e la scienza
ovvero la squisita carita. Esiste un ricordo di quella visita in un
Álbum con le firme di tutti i Superiori e gli alunni, precedute da una
dichiarazione che comincia cosi: « Amatissimo Padre, la tua visita ci
ha falto passare tre giorni felici: la tua presenza, le tue parole hanno
destato in noi una purissima gioia, un santo entusiasmo. Oseremmo
diré che pareva venuto fra noi, non il Successore, ma Don Bosco me-
desimo. »
Verso gli ultimi di giugno era a Borgo S. Martino per festeggiare
con quegli alunni S. Luigi Gonzaga. II Direttore Don Bertello gli
aveva preparato un cordialissimo ricevimento. Lo accolse un mondo di
gente, venuta anche da paesi vicini. Vi si trovó puré il nuovo Vescovo
Mons. Pulciano, che dopo la festa lo condusse a Cásale per tenervi la
conferenza ai Cooperatori. Parló dal pulpito di S. Filippo, ben noto
giá a Don Bosco. Quanta moltitudine! quale trasporto! « Quello che
maggiormente consola, scrisse Don Lazzero che lo accompagnava (1),
é che Don Rúa incontra mirabilmente e si ha da tutti per lui grande
stima e venerazione. » Un giornale cittadino raccolse la voce comune
che Fereditá di Don Bosco passasse su braccia sicure ed esperte (2).
Ritornato a Borgo, ando a fare una conferenza a Lu, dove Don Ber-
tello per incarico del Capitolo Superiore doveva aprire un asilo mu-
nicipale da affidare alie Figlie di María Ausiliatrice (3); poi, fatla una
breve visita alie Suore di Quargnento, si portó a Penango, dov'era
atteso per celebrare la festa di S. Luigi. Anche qui volle esserci il Ve-
scovo, del quale scrisse Don Lazzero (4): « Sembra che egli abbia una
particolare simpatía per Don Rúa. »
(1) Lett. a Mons. Cagliero, Torino, 3 luglio 1889
(2) Gazzetía di Cásale, 3 luglio 1889.
(3) Verb. del Cap. Sup., 6 giugno 1890.
(4) Lett. cit.
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Prime Disite di Don Rúa alie Case d'Italia
Una delle Opere di Don Bosco che ha una storia piü ricca di vi-
cissitudini, é quella di Faenza. Generositá di cittadini e tracotanza di
settari, segnalatesi variamente nelle origini, continuarono a starsi di
fronte, finché il bene cantó vittoria su gl'intrighi e le violenze del male.
Chiamava Don Rúa in quel Collegio la benedizione di una nuova
chiesa, che il Direttore Don Giovanni Battista Rinaldi aveva intrapreso
a costruire per incoraggiamento ancora di Don Bosco fin dal 1885.
I lavori pero andarono in lungo, sicché ebbero termine solo nel 1889.
Intorno a Don Rúa dal 13 luglio vi furono tre giorni di splendide feste.
Dopo la benedizione rituale data dal A^escovo, Don Rúa fece la con-
ferenza ai Cooperatori. II concorso numeroso ed entusiástico del po-
pólo, se si prescinde dalle proporzioni, faceva pensare agli spettacoli,
che si ammiravano ogni anno a Torino nelle feste di Maria Ausiliatrice.
« Credo di non esagerare, afferma il compagno di viaggio (1), nel
diré che quasi i due terzi del popólo di Faenza passarono in casa nostra
e andarono a pregare nella nuova chiesa l'Aiuto dei Cristiani. Nulla
olico del clero che ci é piü che amico, e pensó che n e p p u r uno dei
sacerdoti lasció passare quei tre giorni senza darci tal segno di affet-
tuosa amicizia. II fatto sta che Don Taroni non poteva piü capire in
sé dalla gioia, non poteva credere a se stesso, e andava di tratto in
tratto esclamando: Sogno o son desto? » Noi conosciamo giá Don
Taroni, che Don Bosco chiamava il Santo di Faenza (2).
Alia sera del terzo giorno ci doveva essere una rappresentazione
drammatica nel nuovo teatrino accanto alia chiesa; ma si era riversata
in casa tale humana di gente, che nemmeno la decima parte vi sarebbe
potuta entrare; quindi s'improvvisó un trattenimento accademico al-
laperto. In tre quarti d'ora fu tutto finito; ma Don Rúa impiegó piü
di un'ora a svincolarsi da quella folla che gli si stringeva attorno. Chi
voleva la sua benedizione, chi una parola od un consiglio, chi solo
toccargli le vesti o baciargli la mano. « Insomma, notava il nostro in-
formatore, si fece niente di meno di quanto giá si faceva per l'amato
nostro Padre Don Bosco. »
LTstituto contava 180 alunni, di cui 43 mantenuti al tutto gra-
(1) Lett. a Mons. Cagliero, 25 luglio 1889.
(2) Annali, pag. 398.
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11.3 Page 103

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Capo VIH
tuitamente. Eppure un giornale faentino ebbe la sfacciataggine di
stampare che per Faenza era una macchia l'avere i Salesiani (1).
Dimostrazioni simili su per giü bisognerebbe descrivere per Firenze
e per Lucca, nelle quali cittá Don Rúa ando súbito dopo a visitare i
Collegi. A Firenze fu oggetto di speciali cortesie da parte del celebre
professore e scrittore Augusto Conti. Citiamo ancora una volta il buon
Don Lazzero, che nella sua mentóvata lettera tornava a diré: « Do-
vunque nelle nostre case Confratelli e giovani fecero a Don Rúa ac-
coglienze che per nulla si distinguevano da quelle che giá facevano a
Don Bosco. »
II 1890 si apri con l'andata a Roma, Giuntovi il 13 gennaio, spese
i primi giorni in visite a personaggi altolocati, trovando dappertutto le
piü benevoli accoglienze, La mattina del 22 era ai piedi del Papa. « Le
imprese di quel santo uomo che fu Don Bosco, gli disse il grande
Leone XIII, furono da Dio benedette nel corso della vita e conti-
nueranno ad essere protette anche dopo la sua morte. » Lodo il Santo
d aver portato a felice compimento limpresa del Sacro Cuore. Esortó
a lavorare senza posa. « Si vede, che dove si lavora, malgrado le dif-
ficoltá dei tempi, il popólo accorre, e si fa del bene » (2).
II di appresso fece la prima conferenza ai Cooperatori romani nella
chiesa del Sacro Cuore. Mostró come Don Bosco fosse stato l'uomo
della Provvidenza, perché la Provvidenza Taveva costantemente fa-
vorito in ogni impresa, anche dopo la sua morte, mediante la carita
dei Cooperatori.
Sehbene bisognasse spendere senza posa, e sempre a Roma la be-
neficenza fosse pressoché nulla. puré, ricordando quanto la cosa stessc
a cuore a Don Bosco, decise che si riprendessero entro l'anno i lavori
del tanto desiderato Ospizio, costruito solo in mínima parte, e che
venissero spinti innanzi con alacritá. Per trovare i mezzi diede corso
a una ístituzione detta Pia Opera del Sacro Cuore, permessa da I ni
dopo maturo consiglio, e giá nel giugno del 1888 approvata dal Car
díñale Vicario e benedetta dal Santo Padre (3). Consiste nella parte-
(1) // Lanwne di quoi g i o r n i .
(2) Lett. di Don Lazzero a Mons. C a g l i e r o , R o m a , 20 g e n n a i o . e C i r c o l a r e di Don R ú a . T o r i n o .
lo f c b h r a i o . IHOO
(3) Boíl. Sul., g e n n a i o 1800. La cosa era s t a t a i n i z i a t a dal P á r r o c o Don Cagnoli sotto il titolo di
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Prime visite di Don Rúa, alie Case d Italia
cipazione al frutto di sei Messe quotidiane in perpetuo mediante l'of-
ferta di una lira italiana.
Presa la via del ritorno, trascorse la mattina del 26 a La Spezia.
L'indomani tenne conferenza a Genova nella chiesa di S. Siró, par-
lando, scriveva un giornale (1), " c o n amore di padre e carita di fra-
íello ". Un'altra conferenza fece a Torino il Io febbraio nella chiesa di
S. Giovanni Evangelista. In quei giorni egli festeggió a S. Benigno
Canavese con i professi e gli Aspiranti Coadiutori il nostro patrono
S. Francesco di Sales, del quale disse puré le lodi.
Nello stesso anno 1890 visitó due altre Case vicine a Torino. e
prima quella di Mathi. I vi la cartiera non bastava piú al bisogno; se
n'erano quindi ampliati i locali, perfezionata la gran macchina, acere-
sciuto l'attrezzamento con l'introduzione dei migliori ritrovati. Quando
tutto fu in ordine, Don Rúa si recó il 4 giugno a benedire il rinnovato
opificio. Don Cerruti, Direttore Genérale degli studi, lesse un erudito
discorso su gli splendori del Cristianesimo nella storia della carta.
Non poté allora salire a Lanzo, poco distante da Mathi; ma per visitare
quei Collegio, tanto caro a Don Bosco, scelse u n a bella data, 1'8 di-
cembre, festa dellTmmacolata Concezione (2).
Nell'aprile dell'anno seguente venne la volta del Véneto. Visitó
anzitutto il Collegio di Mogliano, do ve convocó i Coopera tori. Di la,
dopo una corsa a Venezia per vedere il Patriarca Card. Agostini in-
fermo, che lo desiderava e che mori poco dopo, si recó al Collegio
Manfredini di Este. La cronaca dell'Istituto contiene questo parti-
colare: « La sua visita seguí ad una specie di rilassamento spirituale
nei giovani, rilassamento svelto e sradicato dall'esempio e dalle parole
del Superiore. » Vi ricevette, al sólito, il rendiconto dei Confratelli,
concesse numeróse udienze, udi a uno a uno gli alunni della quinta
e quarta ginnasiale e quanti altri giovani ne lo richiesero. Lo riempi
di gioia l'esecuzione di una Messa in canto gregoriano.
Su di questo argomento, discusso nel recente Capitolo Genérale,
Opera della Divina Provvidenza, a insaputa di Don Rúa, che se nc rammarico, perche « Don Bosco era
nemico degli obblighi perpetui. » Fu ingiunto al Bolleítino di attendere ordini prima di paríame. (Ver-
bali del Cap. Sup., 20 luglio 1888). Ecco la causa della ritardata pubblicazione.
(1) L'Eco ó'Iínlin, 28 gennaio 1890. La questua frutto 1342 lire.
(2) Lett. di Don Lazzero a Mons. Caglicro, Torino, 11 di ce mi) re 1890.
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Capo VIH
egli aveva fatto speciali raccomandazioni in una sua Circolare del
1° novembre 1890, lamentando la notevole trascuranza da lui risco n-
trata qua e la per il canto della Cliiesa. Raccomandatone dunque lo
studio, diceva: « N ostra santa ambizione dev'essere quella che le sacre
funzioni, ordinarie e straordinarie, siano eseguite con decoro, riguardo
al canto ecclesiastico. Si eviti l'usanza di scegliere le voci migliori per
la música, lasciando le meno belle peí canto fermo. Bensi le une e le
altre si avviino ad eseguire divotamente e decorosamente il canto gre-
goriano, non solo in coro o sull'orchestra, ma anche dalla massa degli
allievi. » Questo appunto aveva gustato e lodato al Manfredini.
Partito da Este, ando per Bologna e Imola a consolare della sua
presenza le Figlie di Maria Ausiliatrice, che si trovavano da poco
tempo a Lugo. Don Rúa si era occupato di quella fondazione per com-
piacere alia vedova del Márchese Borea (1). Da Lugo a Faenza é breve
il passo. Rivide cosí quella Casa, lasciandovi un ricordo, cioé l'auto-
rizzazione al prolungamento del fabbricato. « In quella eittá repub-
blicana, scrisse il Prefetto Genérale Don Belmonte (2), i Salesiant
trionfano malgrado la rabbia indicibile dei settari. » I giovani interni
erano 300, gli esterni dell'oratorio festivo piü di 400. Da Faenza Don
Rúa si diresse a Parma.
Nel settembre del 1888, come abbiamo giá narrato, i Salesiani a
Parma apersero l'oratorio festivo e presero possesso della parrocchia
di S. Benedetto; il Collegio cominció l'anno dopo. Di questo Collegio*
assurto ben presto a una delle glorie della Congregazione, é necessario
che ci fermiamo alquanto a discorrere.
Due cose richiamarono tostó su di esso l'attenzione della colta cit-
tadinanza: la scuola di religione e la scuola di música.
Al Direttore Don Baratta, che non aspettava altro, il Vescovo Mons.
Miotti propose una scuola di religione per studenti di Liceo, d'Isti-
tuto e di Universitá. Don Baratta la organizzó in un batter d'occhio.
Fu la prima scuola di tal genere sorta in Italia. Soffiava allora nel-
rinsegnamento medio e superiore un vento gélido di negazione e d'in-
differenza religiosa, che isteriliva nei giovani i buoni germi ricevuti
(1) Verb. del Cap. Üup., 24 higlio 1889.
(2) Lctt. a Mons. Cagliero, Torino, 14 maggio 1891.
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Prime oisite di Don Rúa alie Case d'Italia
in famiglia; quindi fece stupire sulle prime l'affluenza a quei convegni,
che si tenevano nell'Episcopio. Uomo di studio, ingegno vivace e spi-
rito coito, il bravo Salesiano, formatosi anche lui nell'Oratorio sotto la
direzione di Don Bosco, vi si preparava con serietá, esponeva senza
tono cattedratico, ma con ordine, con chiarezza e con efficacia le sante
dottrine e alimentava negli animi'un ardente desiderio di conoscere,
di approfondire, di ragionare. Nell'aprile del 1891 Parma vide lo spet-
tacolo di una comunione pasquale fatta senza rispetto uraano da un
numeroso stuolo di giovanotti studenti. In quelPambiente di luce e
di calore si venivano forgiando salde coscienze cristiane; uscirono
dalla scuola di Don Baratta anche uomini, che pur professando aper-
tamente la loro fede, raggiunsero nella vita pubblica i piü alti fastigi.
Se la scuola superiore fece maggior impressione, non era pero la
sola. 11 Vescovo pensó anche agli alunni delle classi elementan, tec-
niche e ginnasiali, affidandole a due altri Salesiani, che. come Don
Baratta, si recavano due volte alia settimana nell'Episcopio per inse-
gnare il catechismo a quella categoría di studenti. Le due sezioni in-
sieme avevano circa duecento frequentanti. II Vescovo ne gioiva puré
a motivo del buon esempio, che non avrebbe mancato di stimolare
altri ad occuparsi dell'insegnamento catechistico.
Spuntava insieme la scuola di música, ma non una scuola come
ve n'erano tante nei Collegi. Quella di Don Baratta fu una rivelazione
in Parma stessa, patria di musici e musicisti. Egli, che possedeva gusto
d'arte e buona cultura musicale, aveva creato una schola cantorum
capace di eseguire a perfezione composizioni dei piú insigni maestri
italiani e stranieri. AI 21 giugno 1891, per il terzo centenario della
morte di S. Luigi Gonzaga, nella chiesa dei Gesuiti i suoi cantori fecero
parlare molto di sé, e anche scrivere, con le loro esecuzioni pale-
striniane, ardita novitá in tempi di decadenza della música sacra,
quando comparivano appena i primi tentativi di reazione contro i I
mal vezzo imperante. Possiamo asserire che in Parma la mossa per
la restaurazione della música sacra partí dal S. Benedetto (1).
(í) Anche il Dogliani all'Oratorio di Torino entrava quell'anno a vele spiegate nel gran mare
della riforma, tetrágono agli assalti di non pochi avversari. Nel 1891 per la festa di Maria Áusiliatrice
fece eseguire la Missa Papae Marcelli. Per la storia della música sacra in si burrascoso periodo fu un
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Capo VIII
Dal fin qui narrato comprendíanlo quanta ragione avesse il citato
Don Belmonte di scrivere allora (1): « In Parma, il caro Don Baratta
é divenuto, si puó diré, Fidolo di tutti. » Oltre al resto anche la sua
virtú brillava agli occhi di quanti praticavano con lui. II Vescovo
stesso caduto infermo, arrivó a dichiarare, parlando con i suoi preti,
che era contento di essere egli ammalato, purché stesse bene Don
Baratta.
Don Rúa dunque vide e benedisse a Parma tante belle iniziative
salesiane. Intorno alia sua persona tutto era animazione e allegria.
Alie dimostrazioni in suo onore partecipó il meglio della cittadi-
nanza (2).
Per ragioni intuitive trattandosi di genti a noi étnicamente unite.
sta bene mettere qui le visite a due case sitúate in territori dall'ltalia
vero avvenimento. UOsseroatore Cattolico di Milano (9-10 giugno 1891) conchiudeva cosí un ponderato
arhcolo: * Noi ci congratuliamo con particolare affetto coll'egregio maestro Giuseppe Dogliani non solo
pe! felice esito onde furono corónate le sue fatiche, ma soprattutto perché fermó cosi la luminosa tra-
ína per la quale si camminerebbe d'or innanzi nell'Oratorio salesiano. Ci congratuliamo cogli egregi
Superiori della Congregazione di S. Francesco di Sales del íavore grande peí ritorno della música
sacra a' suoi principi e al suo santo scopo. E veramente la Societá Salesiana ha mezzi grandissimi a
ben meritare sotto questo rispetto specialmente dalla Chiesa e dalla civile societá, in mezzo alie cjuali
con tanto favore si estende e con tanta felicita fíorisce. La giornata del 24 maggio 1891, coronata da
si splendido successo, ce ne porge un pegno tanto consolante quanto indubitato. »
Allunghiamo questa nota peí diré qualche cosa di Don Rúa. La questione della música diede oc-
casione a Don Rúa di mettere in evidenza due caratteristiche della sua personalitá Quando fu ese-
ííuita quella Messa di Papa Marcello, egli fece i suoi rallegramenti ai Maestri Dogliani e Remondi
per la splendida esecuzione; ma con tutta semplicitá soggiunse che a lui piaceva piü la música di
Mons. Cagliero. Tanto poteva in luí l'attaccamento alie tradizioni salesiane! Ma non pote meno in
alíra circostan/.a, sempre a proposito di música, la sua docilita alie disposizioni della Santa Sede.
Dopo la detta Messa, il salesiano Don Ottonello, musicista di vaglia, mandó a Don Rúa una elabo-
rata relazione, nella quale dimostrava con forti argomenti la necessitá che, essendo inevitabile la
riforma, i Salesiani, con i mezzi di cui disponcvano, si mettessero alia testa del movimento, se non
vclevano poi trovarsi alia coda ed essere con poco onore rimorchiati. Don Rúa non gli rispóse Pas-
sarono dodici anni, ed ecco il celebre Motuproprio di Pió X suila riforma della música sacra Orbene,
poco dopo, Don Rúa, presiedendo una certa adunanza, a cui assisteva anche Don Ottonello, gli ri-
volse in principio la parola e pubblicamente gli disse: — Avevi proprio ragione, sai. Don Ottonello,
in ció che mi dicevi della música e del modo di esegmre il canto gregoriano. — Chi serive, udi
questo racconto da Don Ottonello stesso, il quale, lungi dal menar vanto come di un suo trionfo.
esprimeva la propria ammirazione per l'atto del huperiore Coerentc a se stesso, Don Rúa non solo
permise nel 1906 che si tenesse nelLOratorio il settimo Congresso di música sacra, ma proibi anche
di esegnire e di venderé música salesiana del vecchio stampo.
(1) Lett. a Mons. Cagliero, Torino, 13 aprile 1891.
(2) Veramente Don Rúa era giá stato a Parma nel marzo del 1889. fermandovisi tre giorni, dal
19 al 21; ne ha un cenno il Boíl. Sal. del giugno 1890. Vi fece la conferenza ai Cooperatori: no parló
A lócale Mentore del 23 marzo 1889. A Don Rúa stava moho a cuorc quella casa, la cui fondazion<"
aveva dato tanto da pensare a Don Bosco.
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Prime visite di Don Rúa alie Case (Vitalia
politicamente disgiunti. Una era la casa di Mendrisio, visitata riel
maggio del 1891; ne parleremo nel capo della Svizzera. L'alrra era I'or-
fanotrofio di Trento (1), visitato nel precedente aprile. Sotto la dire-
zione dei Salesiani quei giovanetti avevano fatto quasi cambiare fisio-
nomía alia casa. Venne da Innsbruck il Conté Brands, Governatore
della provincia, per pregarlo di mandare Salesiani anche in quella
cittá. Don Rúa riuni a Conferenza i Cooperatori trentini accorsi in
buon numero; poiché da tempo nella gloriosa cittá del Concilio re-
gnava grande simpatía per le Opere di Don Bosco. Don Rúa ottenne
che si modificasse la Convenzione in modo che fosse lecito associare
agli orfani della cittá anche studenti di la e d'altri luoghi. Lo mosse
a ció il sapere che da quelle parti vi era terreno propizio per le vo-
cazioni alio stato ecclesiastico e religioso.
Da queste sue visite alie case d'ltalia e da altre visite, di cui diremo,
anche fuori d'ltalia, Don Rúa sul principio del suo governo raccolse
due frutti principali. I Salesiani, vedendo da vicino ed ascoltando il
Successore di Don Bosco, provavano l'impressione che nulla fosse mu-
tato nella Societá per la morte del Fondatore; onde il loro attac-
camento alia Congregazione si mantenne stretto e cordiale come
prima. I Cooperatori poi, recandosi alie sue pubbliche conferenze e
avvicmandolo personalmente, ne riportavano un sicuro senso di fi-
ducia nell'Opera salesiana, sicché si confermavano nel proposito di
continuare a favorirla e aiutarla, come i fatti dimostrarono.
(1) Annali, pag 581.
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CAPO IX
Primi viaggi di Don Rúa aiPestero.
(Francia, Spagna, Inghilterra, Belgio)
I primi viaggi di Don Rúa all'estero ebbero l'importanza che e
propria delle cosi dette presentazioni. Presentarci e incontrar favore
vale guadagnare gli animi alia nostra persona e a tutto quello che in
noi rappresentiamo. In luoghi dove Don Bosco aveva suscitato tante
simpatie, quali accoglienze avrebbe avuto Don Rúa? E fra genti di
mentalitá spesso cosi diversa dalla nostra, alie quali Don Bosco non
erasi mostrato, quale fortuna avrebbe avuta la comparsa del suo
Successore? L'interesse della cosa trascendeva la persona. Noi lo
seguiremo per la Francia, nella Spagna, in Inghilterra e nel Belgio.
Furono quattro mesi di peregrinazioni dal principio di febbraio alia
fine di maggio del 1890. Prescindendo da quello che spetta pura-
mente alia biografía, coglieremo solo i fatti e gli elementi che toccano
la storia della Societá.
Cominció naturalmente dalla Francia piú vicina, e nella Francia
da Nizza. II Patronage St. Pierre aveva goduto le predilezioni di Don
Bosco sulle altre Case francesi. Era la prima aperta nella Repub-
blica. Uno stuolo di generosi cittadini vi formavano lo stato mag-
giore dei Cooperatori locali, sempre affettu osa mente vigile su i bi-
sogni e gl'interessi dell'Istituto (1); ognuno si faceva un dovere di
multiplicare gli amici dell'opera. Due distinti Comitati di signori e
di signore ser vi vano di tramite alia beneficenza in favore dei rico-
verati. Dirigeva la casa Don Cartier, venuto diciassettenne dalla sua
Savoia alFOratorio di Valdocco nel 1877 per fare gli studi e matu-
rare la propria vocazione. Don Rúa giunse a Nizza 1'8 febbraio.
(!) Annali, pag. 339.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Primi viaggi di Don Rúa alVestero
Tutto parla va ancora di Don Bosco, sólito a recarvisi ogni anno.
Quand'anche Don Rúa non avesse detto in pubblica conferenza che
egli intendeva imitarlo in tutto e per tutto, chi non se ne sarebbe
tostó accorto? Un eloquente oratore cappuccino, che aveva osservato
bene la cosa, espresse il suo pensiero dicendo che, se tutto era pro-
digioso nella vita e nelle opere di Don Bosco, quella sua continuitá
in Don Rúa gli sembrava il maggiore dei miracoli. Le accoglienze
dunque furono intonate a questa espressione genérale, che il tanto
amato Don Bosco fosse tornato redivivo in mezzo ai Nizzesi. II fe-
steggiato riassunse in un calembour il carattere di quelle dimo-
strazioni. Parlando in un ricevimento e alludendo a Vive Don Rúa
disse: « Vous m'avez re^u comme un Roi. »
A completare Topera di Nizza egli avrebbe voluto vedervi anche
l'oratorio festivo; tanto piú che la Casa di Nizza era cominciata,
come quella di Valdocco, da un oratorio, e le Figlie di Maria Ausi-
liatrice n'avevan uno assai frequentato. « Avete giá fatto molto per la
gioventú, disse in un'adunanza dei due Comitati. II Circolo Catto-
lico é un vero oratorio e io sonó certo che Don Bosco in Cielo si
rallegra del bene che fate ai giovani operai. Ma sonó ancora tanti
i fanciulli che abbisognano di assistenza! » Tornato a Nizza nel feb-
braio dell'anno seguente, ribadi la raccomandazione; ma cause in-
dipendenti dal buon volere dei Salesiani vi si opposero fino al 1908.
In certi luoghi il timore che l'oratorio sia di ostacolo alia vita par-
rocchiale, ne impedisce anche oggi l'apertura.
II 19 febbraio lasció Nizza per la colonia agrícola detta La Na-
varre. Una succinta e frammentaria cronachetta quasi contempo-
ránea cominciava a diré cosi in italiano sotto quelFanno: « Nel 1890
Maria Ausiliatrice per consolarci e incoraggiarci a imitare Don
Bosco ci face va il bel regalo della visita del nostro nuovo padre
che tanto amavamo e veneravamo, il Car.mo e Rev.mo Sig. Don
Rúa. » A questi sentimenti sispirarono Superiori e alunni nel festeg-
giare il sospirato visitatore. Quando egli vide i progressi compiuti e
le possibilitá di maggior bene, se vi fosse stata ampiezza maggiore di
locali, volle che si accelerassero nuove costruzioni, idéate da tempo,
ma appena iniziate e procedenti con estrema lentezza. Le sue parole
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12.1 Page 111

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Capo IX
diedero tale spinta ai lavori, che il 20 marzo fu benedetta solen-
nemente la pietra angolare e nel gennaio del 1892 l'edificio era ter-
mínate).
Per la Costa Azzurra Don Bosco aveva fatto un gran numero
di Cooperatori; perció il suo Successore li radunó in parecchi centri,
come a Nizza, a Tolone e a Cannes, e molti ne visitó individual-
mente. Per questo a Cannes si fermó quattro giorni. Prima di allon-
tanarsi da quei luoghi, dove quasi ad ogni passo fiorivano i ricordi
di Don Bosco, fece una breve visita anche a Saint-Cyr per osser-
vare come andasse quei piccolo orfanotrofio (1).
II 28 febbraio faceva la sua entrata nel Patronage Sí. Lean a
Marsiglia. Omai in tutti i ricevimenti si sentiva obbligato a difen-
dersi da coloro che lo uguagliavano a Don Bosco. « De Don Bosco,
il n'y en a qu'un, disse la. Vi potranno essere Salesiani suoi imi-
tatori, ma non saranno mai altri Don Bosco. » Come nelle altre Case,
anche al S. Leone ogni mattina sedeva al confessionale, sempre as-
siepato di penitenti. Molte ore poi della sua giornata se ne anda-
vano in fare e ricevere visite (2).
II suo pensiero volava di quando in quando al Noviziato di
S Margherita, poco lungi dalla cittá (3). Quanto gli oceupassero la
mente simili Case di formazione salesiana, l'aveva manifestato ai
Cooperatori nella circolare del capo d'anno, scrivendo: « Come senza
operai non si puó col ti vare un campo, né far la guerra senza sol-
dati, COSÍ se noi non ci formassimo degli aiutanti, dei sacerdoti. dei
catechisti, dei capi darte, non potremmo sostenere le nostre Case
(1) Annali, pp. 347-9, 446. 657.
(2) La famiglia Olive era s t a t a affezionatissima a Don Bosco I numerosi figli, q u a n d o il Santo
ar.dava a visitarla, gli l'acevano uno por uno il loro rondiconto. Una delle figlie scrisse un diario, in
cui d a l 1886 al 1891 nota t u t t e le c o n t i n u é relazioni a v u t e d a ' suoi con i Salesiani. Sotto il 6 marzo
1890 s c r i v e : « J'ai eu 1'immense g r á c e de pouvoir causer seule avec le successeur du Veneré Pero Don
Bosco. Au lieu de nrintimider coinme je le voyais d'abord, le Révérend Pére Don Rúa m'a mise do
suite á l'aise, ce qui fait que je lui ai parle avec une grande confiance. Ah! que j'étais bien, mon
eoeur jouissait d'une sainte tranquillité et s'épancha de ses peines. Je repartís avec maman, la joio
el la paix dans Tarne. » E sotto il 10: < Bolle journée et que do gráces olio a pu m'apporter; je voyais
uno seconde fots seule le si digne successeur du Veneré Pere Don Bosco; riinprossion que j'ai
sontie d a n s ees d e u x visites restora d a n s mmi cctMir. » Quosto D i a r i o si conserva nci nostri arcliivi.
(3) Annali, p. 517. E r a i n t i t o l a t o dolía Provvidonza. Allorclié Don Bosco, dcsideroso di a p r i r e un
Noviziato in Francia, ricevette l'offerta della Signorina Pastró e vido olio corrispondova a un suo
sogno, esclamó: « C'est la Providence! » Di qui il litólo.
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12.2 Page 112

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Primi oiaggi di Don Rúa all'estero
giá stabilite, né fondarne delle nuove; senza consimili aiutanti do-
vremmo chiudere i Collegi e gli Ospizi, far cessare i laboratori,
fermare le macchine tipografiche, abbandonare le Missioni. Per la
qual cosa Topera delle opere, cui i Salesiani ed i Cooperatori non
debbono mai perderé di vista, si é quella di formare un personale
acconcio ai bisogni [...]. Una buona parte alia carita dei Cooperatori
e delle Cooperatrici viene appunto impiegata a formare e a man-
tenere questo vivaio di operai per la vigna del Signore, a prepa-
rare maestri, e creare apostoli. » II Noviziato francese aveva allora
26 novizi; dimoravano nella stessa casa 11 chierici studenti di filo-
sofía. Li vide e rivide piü volte durante la sua permanenza a Mar-
siglia. II loro maestro Don Francesco Binelli instillava nei loro cuori
il vero spirito di Don Bosco, attinto da lui largamente alia fonte.
Nella citata circolare Don Rúa aveva detto che l'Ospizio di
S. Leone, nonostante gl'ingrandimenti, non poteva conteneré nem-
meno la decima parte dei giovani, che venivano raccomandati; per-
ció, parlando ai Cooperatori marsigliesi, comunicó loro l'acquisto
fatto di un terreno la presso e poi soggiunse: « A vous, chers Coopé-
rateurs, d'aider a la construction de nouveaux bátiments. » Si trat-
tava di costruire laboratori piü ampi e meglio attrezzati, special-
mente la tipografía, che mancava ancora. II fabbricato avrebbe co-
perto un'area di 640 metri quadrati, a due piani sul pian terreno.
Gli aiuti non si fecero sospirare; giá il 10 dicembre avveniva la*
posa della prima pietra.
II canónico Guiol, strumento della Provvidenza al tempo della
fondazione e quindi il piü indicato a prendere la parola in tale
circostanza, trasse dalle benedizioni passate lieti auspici di futura
prosperitá. I/augurio era destinato ad avere pronto e pieno effetío:
dopo dodici anni di vita relativamente rigogliosa, il S. Leone si
apprestava ad aprire un'éra novel!a.
Dato l'addio a Marsiglia, Don Rúa partí alia volta della Spagna.
Fino al 1889 le Case di Utrera e di Sarria stettero annesse all'I-
spettoria Romana, retta da Don Durando. Passata nel 1891 l'Ispet-
toria Romana sotto jl no vello Ispettore Don Cagliero, le medesime
Case con una terza, di cui ora diremo, vennero aggiunte alia Si-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

12.3 Page 113

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Capo IX
cula, costitnita allora e posta sotto il medesimo Don Durando. Ri-
masero cosi fino al 1892, quando, staccate dalPIspettoria Sicuia,
cominciarono a formare un'Ispettoria a sé, con Don Filippo Rinaldi
Ispettore, che dirigeva dal Í889 la Casa di Sarria. In questo modo
piú nessun membro del Capitolo Superiore aveva governi ispet-
toriali: provvedimento suggerito da somma prudenza, potendo altri-
menti nascere dubbi di preferenze a favore delle Ispettorie dipen-
denti da Capitolari. In realtá non consta che tali dubbi sussistessero;
ma la sola possibilitá che si desse corpo alie ombre, consigliava
di eliminare qualsiasi pretesto (1).
Le cose di Spagna da qualche tempo lasciavano alquanto a de-
si derare; soprattutto i benefattori barcellonesi, tranne Donna Do-
rotea, avevano " voltato le spalle " ai Salesiani. In un primo tempo
era parso bene mandarvi Direttore " quel buono, santo e dotto prete
cileno ", che era Don Ortuzar (2). Ma poi la scelta cadde su Don Ri-
naldi. Non é sminuirne, ma crescerne il mérito, se si dice che alia
sua etá piú che matura (aveva 33 anni) e con la sua mentalitá,
fatta di gran senno per la vita pratica, ma senza naturale dispo-
sizione ai forti studi, dovette sottoporsi ad improba fatica per ap-
prendere una lingua straniera, di cui per giunta gli sarebbe stato
necessario fare súbito uso quotidiano in privato e in pubblico. Dio
premió abbondantemente la sua eroica obbedienza.
La Casa di Sarria, che da principio stentava a conteneré un
centinaio di ragazzi, era stata ingrandita tanto da accoglierne tre-
cento. La presenza di Don Rúa ravvivó nei Barcellonesi il ricordo
degli entusiasmi svegliati da Don Bosco nel 1886. Intorno alia sua
persona si accentuó un movimento sempre piú intenso dei vecchi
amici. II fatto piú saliente fu per la nostra storia l'inaugurazione
di una nuova Casa entro la cittá di Barcellona.
Esisteva nella metrópoli catalana un rione popolato da circa
quarantamila abitanti, quasi tutti operai e povera gente, con una
sola chiesa fuor di mano e senza scuole. Tanto abbandono toccó
il cuore a Donna Dorotea che, fattoví erigere a sue spese un edi-
(1) I.eítera di D. Lazzero a Mons. Cagliero, S. Benigno, 19 setiembre 1889.
(2) Lett. cit. Cfr. Annali, pp. 607-8.
«8
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Primi oiaggi di Don Rúa all'esíero
ficio per scuole diurne e serali e per oratorio festivo, lo offerse ai
Salesiani. Questa é l'origine dell'Istituto S. Giuseppe nella capitale
della Catalogna. Tutto era in ordine alia venuta di Don Rúa. L'in-
tero Collegio di Sarria accompagnó il Rettor Maggiore alia solenne
cerimonia deU'inaugurazione. II Vescovo, benedetto redificio, parló
al popólo in catalano per essere meglio capito, enumerando i van-
taggi spirituali e materiali, che sarebbero derivati dall'opera dei
figli di Don Bosco. L'insigne benefattrice volle anche firmare un
contralto, con il quale si obbligava a depositare cinquantamila pé-
sete, il cui frutto servisse al mantenimento del personale. Ella
stessa il 7 marzo 1891 riferiva con gioia a Don Rúa sul gran bene
che faceva nella nuova casa il Direttore Don Aime con i suoi 400
e piü ragazzi inscritti alie scuole. La santa mamma dei Salesiani
voló al cielo il 3 aprile dell'anno seguente. Fu veramente la donna
forte, il cui pregio é come delle cose pórtate di lontano e dall'estre-
mitá della Ierra (1). Di lei é in corso la Causa di Beatificazione.
II 20 marzo Don Rúa prese le mosse per Utrera, soffermandosi
a Madrid e a Siviglia, nelle quali cittá fece conoscenza con persone
assai influenti. A Utrera gli alunni, che superavano i 200, vissero
intorno al Successore di Don Bosco due giorni di santa allegria. Ma
portare allegria nei Collegi con le sue visite sarebbe stato troppo
poco per Don Rúa; egli mira va a qualche cosa di piú intimo, a un
aumento di vita soprannaturale che raddoppiasse lo zelo dei Soci ed
elevasse le anime dei loro allievi: due salutari effetti da lui con-
seguid con Pesempio, con la parola e con il sacro ministero.
Tenuta in lingua spagnola una conferenza ai Cooperatori, nella
quale spiegó l'essenza e il valore dell'Opera salesiana, tornó a Bar-
cellona, dove intrattenutosi ancora alquanto nella Casa di Sarria,
si rimise in viaggio per Torino, con l'intenzione di passare i vi le
feste pasquali. Vi giunse proprio la domenica delle Palme.
Celebrata la settimana santa e trascorsa l'ottava di Pasqua, era
nuovamente in cammino verso la Francia del Nord. Su lie orme di
Don Bosco, si diresse per Lione a Parigi e a Lilla. Anche in que-
(1) Proo., XXXI, 10.
89
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Capo IX
sta parte della Francia la sua presenza ridestava le memorie lasciate
da Don Bosco in tanti e tanti, che, conosciutone da vicino il Succes-
sore, si sentivano attratti verso di lui da un affetto non dissimüe
da quello pórtate giá all'amabile Santo.
Nella gloriosa sede metropolitana delle Gallie egli aveva soprat-
tutto un dovere da compiere in nome della Congregazione. Risie-
deva a Lione il Consiglio genérale delI'Opera per la Propagazione
della Fede, che da parecchi anni inviava sussidi ai Missionari sa-
lesiani. Don Rúa non poteva andaré oltre senza porgere i suoi rin-
graziamenti al Presidente. Questi, invitatolo a visitare il Museo
missionario, gli procuro la gradita sorpresa di trovarsi dinanzi a una
vetrina, dietro la quale stavano esposti oggetti spediti dalla Pata-
gonia e dalla Terra del Fuoco.
Nella capitale franéese, allietato che ebbe quei della Casa di
Ménilmontant, visitó comunitá religiose, famiglie ragguardevoli e
persone distinte, che avevano veduto Don Bosco nel 1883. La cor-
tesía parigina spiecó notevolmente in tale circostanza, Parlando ai
Cooperatori nella chiesa dell'Assunzione, insistette forte sulla ne-
cessitá improrogabile d'ingrandire il Paíronage dei Santi Pietro e
Paolo. Con 800 domande di ammissione, non era fino allora stato
possibile esaudirne piú di 90. Decise pertanto che si facesse acqui-
sto di un terreno fabbricabile la vicino. Rimase assai consolato al-
l'udire dal Nunzio Apostólico Rotelli, che il Papa ringraziava lddio
del favore incontrato dalle Opere salesiane in Francia e del bene
che esse vi face vano.
Interruppe il suo soggiorno a Parigi per recarsi a Londra. Volle
portare tra gli Anglicani un soffio di romanitá, presentandosi in
abito talare, cosa che destava non poca meraviglia in coloro che
lo vedevano. A Battersea il Direttore e Párroco Don Macey. il
catechista Don Bonavia, santo e coito salesiano, e gli altri Confra-
telli (il Prefetto Don Eugenio Rabagliati gli era andato incontro alio
sbarco) lo accolsero con tutti i segni dell'affetto, con cui i figli ab-
bracciano il padre.
L'azione salesiana a Londra fu da prima esclusivamente parroc-
cJiiale. Neiringhiiterra la parrocchia é, come in tutti i luoghi di Mis-
90
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Primi uiaggi di Don Rúa all'estero
sione, Túnico centro della vita cattolica per i credenti e il punto di
richiamo per gli eterodossi; perció le parrocchie cattoliche inglesi
portano il nome di Missioni. La Missione di Battersea in poco pin
di un anno aveva giá al suo attivo trentatré conversioni dall'An-
giicanesimo e sette in preparazione.
In tali Missioni, attivitá cattolica di prim'ordine é la scuola par»
rocchiale, aperta a flanco della chiesa. A Battersea la scuola adem-
pieva egregiamente il suo compito. L'ultima relazione ufficiale, stesa
con imparzialitá dalPautoritá scolastica protestante, merita di es-
sere riferita. Per la scuola mista: « Questa scuola si trova in eccel-
lenti condizioni tanto dal punto di vista della disciplina, quanto
sotto il rapporto dell'istruzione. Le materie elementari vi sonó in-
segnate con i migliori risultati. La recitazione é perfetta nelle classi
superiori e convenientissima nelle classi inferiori. I lavori d'ago,
nell'insieme, sonó soddisfacentissimi e merita lode l'insegnamento
della música. » Per l'asilo infantile: « Questa scuola é ben disci-
plinata e sostenne un esame soddisfacentissimo. II successo otte-
nuto nelle materie elementari é degno di particolari elogi, ed il canto
e la recitazione sonó a un livello superiore. » Queste ispezioni con
relativi esami su materie fissate dai programmi dello Stato si fa-
cevano per l'assegno di sussidi annui, stabiliti dalle leggi per le
scuole prívate.
La stessa autoritá riconosceva il bisogno di ampliare il lócale,
perché il numero degli allievi stava per sorpassare il limite con-
cesso. Don Rúa, fidando nella Provvidenza, ordinó di costruire in
misura tale da poter raddoppiare la scolaresca. Don Macey comu-
nicó la notizia ai cattolici nel di della Pentecoste, dopo una proces-
sione di Maria Ausiliatrice, la cui statua, recata a Londra da Don
Rúa, venne collocata con solennitá nella chiesa del Sacro Cuore.
Dinanzi a si consolanti risultati non fa meraviglia che Mons. Butt,
Vescovo di Southwart (1), lodasse altamente a Don Rúa lo zelo dei
Salesiani.
Ma l'azione salesiana non poteva dirsi completa, finché man-
cassero l'oratorio festivo e l'ospizio, il primo per non lasciarsi sfug-
(1) Annali. j)ag 618.
91
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Capo íX
gire i giovani non piú frequentanti la scuola e il secondo per rico-
verare ragazzi orfani e moralmente abbandonati. L'oratorio era solo
agli inizi. Purtroppo l'angustia dello spazio metteva in pena il Di-
rettore, che avrebbe voluto fare assai di piú. II chiasso delle ri-
creazioni chiamava l'attenzione dei fanciulli protestanti, che si av-
vicinavano curiosi e con loro sorpresa venivano lasciati entrare li~
beramente. Don Rúa dispose anche per un oratorio femminile.
Quanto all'ospizio, si mantenevano per allora tre soli poveri giova-
netti nella piccola casa parrocchiale, in attesa che la Provvidenza
somministrasse maggiori possibilitá. Intanto le proposte di fonda-
zioni in Inghilterra, nella Scozia e nell'Irlanda persuadevano Don
Rúa che si apriva cola alia Congregazione ostium magnum et
eoidens (1), una porta ben grande e spaziosa: egli ripensava al ce-
lebre sogno in cui Domenico Savio magnificava a Don Bosco l'av-
venire religioso di quelle terre travagliate in massima parte dal-
l'eresia.
II 25 marzo, attraversata di nuovo la Manica, sbarcó a Calais,
dove con alcuni Cooperatori lo attendeva Don Bologna per accom-
pagnarlo alia sua Casa di Lilla. Nell'andare sostó a Guiñes e saluto
le Figlie di Maria Ausiliatrice, che vi avevano preso recentemente
la direzione di un orfanotrofio. Si fermó a Lilla dieci giorni. Quando
arrivó, i giovani comincíavano gli esercizi spirituali; egli fece loro
la predica d'introduzione e quella dei ricordi. Quante soavi me-
morie sopravvivevano di Don Bosco nella cittá! II suo Successore
ne sperimentava gli effetti nelle premure affettuose di cui lo cir-
condavano quei buoni amici.
Anche la Casa di Lilla era divenuta piccola. Nel 1888 un vio-
lento incendio aveva distrutto gran parte dei labora tori; ma Don
Bosco dal cielo parve stimolare la generositá dei benefattori, sicche
l'anno dopo i laboratori furono riaperti piú ampi e meglio attrezzati.
Tuítavia si invoca vano maggiori ingrandimenti. L'Ospizio albergava
180 ragazzi: ma altri 240 picchiavano per entrare. Don Rúa ap-
provó un appello ai Cooperatori, la cui carita forni i mezzi, con
cui rendere la Casa capace di 300 alunni.
(1) I Cor., XVI, 9.
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Primi oiaggi di Don Rúa all'estero
La Congregazione stava per fare il suo ingresso nel Belgio. Si
é giá narrato in che modo avvenne che Don Bosco, vicino a lasciare
la térra, deliberó d'esaudire gli ardenti voti del gran Vescovo Dou-
íreloux, piegando il suo Capitolo ad approvare l'apertura di una
Casa a Liegi. Morto Don Bosco, il Vescovo aveva scritto a' suoi
diocesani (1): « Quesí 'opera ci é si cara, che, quand'anche dovesse
costarci la vita, non ci parrebbe attuata a troppo alto prezzo, tanto
piú che diverrebbe in tal modo il testamento del nostro profondo
e santo affetto per il nostro gregge. » Mise quindi in Don Rúa tutta
la fiducia riposta giá nel Santo. Dovendosi nell'aprile dello stesso
anno recare a Roma, gli annunció una sua fermata a Torino per
vedere lui e per fare, diceva, " una visita alia tomba del nostro
tanto amato e compianto Don Bosco" (2). Dandosi d'attorno per
l'erigendo istituto, nulla faceva senza consultare Don Rúa. Egli ri-
tenne sempre che alLopera di Liegi fosse riservato un magnifico av-
venire (3); nel che i fatti gli diedero ragione. Don Rúa dunque,
senza prendere ancora commiato da Lilla, partí il 7 maggio per
Liegi, dove assistette alia posa della prima pietra.
La capitale industríale del Belgio prese viva parte all'avveni-
mento. La mattina dell'8 le strade che conducevano al luogo del-
YOrphelinat, erano imbandierate. Sul posto Don Rúa parló a un
eletto stuolo di personalitá e ad una folla di popólo. La sua allocu-
zione, scrisse un giornale, fu «cordiale, convinta e piena di una
fede comunicativa tale da produrre universalmente l'impressione
che Don Bosco non avrebbe potuto trovare un successore piú degno
e piú capace » (4). Seguí I'eloquente discorso di un valoroso oratore
sacro, Mons. Cartuywels, Vicerettore deH'Universitá di Lovanio, il
quale íece realmente provare, secondo la frase de! citato giornale,
(1) Mandemenl pour le Caréme de 1888.
(2) Liegi, 25 marzo 1888.
(5) Liegi, 8 aprile 1888.
(4) Gazeíte de Liégc, 10-11 mai 1890. II medesimo giornale diceva puré che Don Rúa si era
espresso < avec coeur et abondance, correctement et simplement, dans un accent oü le mot francais
s'enveloppc sans jamáis se déguiser, d'une prononciatjon franchement italienne. > Dello stemma che
.«piccava suH'ingresso del recinto, il medesimo giornale faceva questa descrizione: < Armoines un
peu compliquécs, a la composition desquclles un héraldiste trouvcrait peut-ctre á reprendre, tnais
oü le niélunge d'une bosquel — bosco — sorte d'oasis au milieu du désert, de la figure celeste de
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Capo IX
" l'emozione prodotta dall'assistere al cominciare di una cosa gran-
de ". II Vescovo celebro la Messa all'aperto e il Nunzio Apostólico
Francica-Nava compié i¡ sacro rito. Tre settimane dopo il Vescovo
a Don Rúa, appena tornato a Torino, scriveva ancora tutto com-
mosso (1): « La grande giornata fu sorgente di edificazione e di dolce
gioia spirituale per quanti vi ebbero parte. » In particolare, di Don
Rúa stesso aveva scritto a Don Durando (2): «Debbo dirvi quanto
egli ci abbia edificati con le sue belle maniere, unite alie virtú in-
terne? Le sue parole cosi piene di unzione e di pietá e la sua fisio-
nomía cosí soave gli guadagnavano i cuori di tutti. lo non saprei
benedire abbastanza la Prowidenza che abbia procurato la pre-
senza di lui alia benedizione della prima pietra dell'Orfanotrofio
S. Giovanni Berclimans. »
La Casa intitolata al giovane Santo del Belgio si costruiva in
un quartiere operaio su disegno del Sig. Helleputte, professore di
architettura all'Universitá Cattolica di Lovanio. Egli era venuto in
Italia appositamente per vedere Case salesiane e formarsi un giusto
criterio circa le esigenze di un edificio destinato a scuola salesiana
di arti e mestieri con piú centinaia di alunni interni. Non mancava
naturalmente lo spazio per Toratorio festivo; anzi, separa to, ma nello
stesso raggio si pose súbito mano a fabbricare un edificio per opere
femminili esterne da affidarsi alie Figlie di Maria Ausiliatrice. L'an-
no appresso Monsignore scriveva a Don Rúa (3): « Nutro fiducia che
quella di Liegi sará una delle vostre Case piú belle, degna perció
di essere stata Pultima fondazione dell'amatissimo e veneratissimo
Don Bosco. » Nelle copióse oííerte che gli pervenivano, ravvisava
tratti mirabili della bontá e potenza di Maria Ausiliatrice. L'8 di-
cembre del 1891 i primi Salesiani con il Direttore Don Francesco
Scaloni e le prime Suore erano giá sul posto (4). L'anno dopo il
Saint F'rancois de Sales, d'un cceur ardent, d'une étoile de lumiére et d'une ancre du salut, rapelle
bien á tous le nom, lo patrón eí le but des Salésiens de Don Bosco La devise n'esl pas moins heu
tense q u e le s e n s : Da mihi animas, celera toLle. Donnez nous des a m e s , ó nion Dieu, donnez-nou>
ce quj véritablemenl vit7 et ótez-nous tout le reste! >
(1) Liegi. 21 magffio 1890
(2) Liegi, 15 inaggio 1890
(3; Liegi. 24 a p r i l e 1891.
(4) Kaceva p a r t e del p e r s o n a l e il ch. Mederlet, futuro Arcivcscovo di M a d r a s .
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Primi oiaggi di Don Rúa all'estero
Vescovo si diceva contentissimo dell'Istituto S. Giovanni Berchmans,
perché il suo andamento inórale e spirituale aveva sorpassato tutte
le proprie speranze (1)
Prima di lasciare il Belgio, Don Rúa dal 9 al 18 maggio fece
una rápida corsa nelle principali cittá del Regno, cioé a Namur,
Lovanio, Bruxelles, Malines, Anversa, Gand, B ruges, Courtrai, Tour-
nai. Ve lo portava il desiderio di conoscere molti amici dei Sale-
siani sparsi un po' dappertutto in quei grandi centri, dove I'Opera
sociale di Don Bosco era altamente apprezzata, ma, come si con-
veniva in paese cosí cattolico, non era meno pregiato il valore so-
prannaturale di essa.
Rimesso piede in Francia e fatto di passaggio un ultimo sa-
luto ai Lillesi, proseguí per Rossignol, il luogo della recente colonia
agrícola, di cui abbiamo parlato sopra. Gli corsero incontro i primi
ragazzi, pochini ancora, perché la Casa non si presta va a ospitarne
di piú. L'opera, come tante altre di Don Bosco, cominciava in grande
semplicitá e povertá. L'importante era che si cominciasse con la
benedizione di Dio, e quanto a questo parve a Don Rúa che tutti
fossero santamente animati. Viste le urgenti necessitá, autorizzó la-
vori e spese indispensabili.
Dal 20 al 27 maggio fece un secondo soggiorno a Parigi. Quei
buoni Cooperatori, che avevano avuto agio di conoscere e apprez-
zare il Successore del loro indimenticabile Don Bosco, se lo dispu-
tavano a gara. In una riunione il Comitato del Patronage ci tenne
a protestargli per bocea del Presidente che tutti i membri amavano
nella sua persona la viva immagine e il figlio prediletto di Don
Bosco e che sarebbe loro costante impegno di attirare intorno ai
figli di Don Bosco in sempre maggior numero i giovani parigini.
La sera del 27, accomiatatosi da tutti, monto in treno per To-
rino> dove pero giun.se soltanto la mattina del 30, perché lungo il
percorso fece alcune fermate per appagare il suo e altrui desi-
derio d'incontrarsi con tante persone benemerite. Arrivó all'Ora-
torio giusto in tempo per la festa di Maria Ausiliatrice, che quel-
l'anno per ragioni lituvgiche era rinviata al 3 giugno. Cosí poté alia
(1) Lctt di Mons Doutrcloux a Don Rúa, Liegi. 16 marzo 1892.
95
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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Capo IX
vigilia ¿enere la sólita conferenza ai Cooperatori, facendo loro un'in-
teressante relazione de' suoi viaggi. Quegli amici di Don Bosco che
dopo la sua morte avevano trepidato e trepidavano ancora sulla
sorte delle sue Opere, uscirono grandemente confortati e rassicurati.
La prima volta che sui medesimi viaggi rifen al Capitolo Su-
periore, notó particolarmente il sempre maggiore sviluppo che pren-
devano le Case all'estero e come dappertutto si sentiva la necessitá
di fabbricare (1). Egli pero in Francia non si era occupato di questo
problema soltanto, ma anche di due nuove fondazioni.
Una distava pochissimo da Lilla. Nel 1889 il sig. D'Oresmieux
de Fouquiére, avendo udito in un Congresso Cattolico di Lilla una
relazione sulla Casa salesiana della cittá, della qual Casa si la-
mentava l'insufficienza, concepi l'idea di donare ai Salesiani un an-
tico suo casteilo con un parco e sue dipendenze, in tutto 76 ettari
di terreno, presso la stazione ferroviaria di Ruitz. Don Rúa vide ogni
cosa e approvó il disegno di Don Bologna, il quale pensava po-
tersi aprire cola una succursale che servisse a sf olí are la Casa di
Lilla. Eseguiti alcuni adattamenti, nel giugno del 1891 furono tolti
da Lilla e mandati a Ruitz gli studenti, una ventina appena II
loro numero crebbe presto fino a 60 e non piú per la ristrettezza dei
locali.
L'altra fondazione aveva origini remote. L'aveva promossa fin dal
1883 un abbé Martin a Diñan nella Bretagna. Direttore di un Cir-
colo Cattolico che non si poteva piü sostenere, divisava di metterne
i locali di sua proprietá a disposizione di un'opera giovanile. Ne
scrisse a Don Bosco, che fece alia proposta buon viso, piacendogli
mandare i suoi in una si cattolíca regione; anzi, protraendosi l'ese-
cuzione per difficoltá di varia natura, egli assicuró formalmente
l'Arciprete della cittá che a Diñan Topera salesiana sarebbe sorta (2).
La parola di D. Bosco incoraggió i fautori del disegno a non lasciarsi
vincere dagli ostacoli. Don Rúa diede Pultima spinta, sicche final-
mente il 31 dicembre 1890 i Salesiani vi andarono. Trovarono poco pin
di quattro mide pareti; ma la Provvidenza mosse persone benefiche,
(1) Verb. del Cap. Sup., 5 giugno 1890.
(2) Lctt. dcll'Arcipr. Daniel a Don Rúa, Diñan, 8 gennaio 1891.
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Primi uiaggi di Don Rúa all'estero
!.e quali non desistettero piü dal porgere aiuti materiali e morali. La
Casa, intitolata a Gesú Operaio, subi pronte trasformazioni, che per-
misero di accettare fino a 110 convittori, di cu i 60 studenti ginna-
siali e 50 artigiani. Nel primo decennio diede alia Chiesa 33 sacer-
dote II sapere che nella Bretagna fiorivano le vocazioni ecclesia-
stiche, era stato il motivo principale, che aveva indotto Don Bosco
a persistere nel volere quella fondazione.
Durante il soggiorno di Don Rúa a Marsiglia si afíacció il pro-
blema del Noviziato per le Suore. Crescendo il numero delle novizie
francesi, non conveniva piü mandarle a Nizza Monferrato. Lo studio
della questione, cominciato allora, fu continuato a Torino; ma non
si trovava il bandolo per risolverla. Scartata la proposta di fondare
il Noviziato a Brest, dove si offriva ai Salesiani una casa (1), ecco
piovere dal cielo un'altra offerta provvidenziale. Apparteneva al-
l'Arcivescovo di Aix pro tempore un vetusto monastero situato a
Saint-Pierre de Canon (Bouche-du-Rhóne), abbandonato dai Bene-
dettini nel 1887 ed esposto agli effetti dell'abbandono. Sedici ettari
di terreno coltivabile lo circondavano. Perché non utilizzare edificio
e terreno, concedendone l'uso e Pusufrutto ai Salesiani? si dissero fra
loro alcuni Cooperatori. Ne fanno parola all'Arcivescovo Gouthe-
Soulard, PArcivescovo fa sua la cosa, e la cosa fa il suo cammino.
L'Ispettore Don Albera, per ordine dei Superiori di Torino, ando a
vedere il luogo e a sentiré le condizioni. Biferi in senso favorevole.
QuelPangolo ameno e tranquillo della Provenza era un posto idéale
per novizi; inoltre la campagna poteva essere scuola di agricoltura
per un gruppo di orfanelli. L'Ispettore, avuta Papprovazione del Ca-
pitolo Superiore, in pochi mesi riattó alia meglio il vecchio edificio
monástico, non senza lasciare largo campo alia pratica della povertá
religiosa. Quando infatti i novizi ne presero possesso, contempla-
vano bensi al difuori la magnificenza del panorama, ma trovarono
dentro il vuoto. Dovettero aggiustarsi a poco a poco da sé il nido.
Parecchie settimane dopo la encina si faceva ancora all'aria aperta.
Leggendo la descrizione di quella vita, ci tornava in mente il poético
periodo d'un santo Vescovo, poi Cardinale e ora in via di beatifica-
(1) Verb. del Cap. Sup., 30 giugno 1890.
97
4
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13.3 Page 123

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Capo IX
zione (1): « II Salesiano va dove lo mandano, prende e riceve le cose
come gliele danno, e si fabbrica il nido tanto fra i rami fioriti di
un albero quanto in cima a una rupe selvaggia e nuda. » II romito
cenobio poggiava appunto sopra un altipiano a ridosso di un gran
masso. Conservó il nome di Oratorio della Provvidenza. Intanto,
partiti i chierici, rimase libera la bella villa di Santa Margherita,
ma non fu a lungo disabitata; poiché vi sottentrarono quasi súbito
le novizie francesi delle Figlie di María Ausiliatrice.
Ed ora stringiamo le fila. II viaggio di Don Rúa fu davvero un
grande viaggio. Percorrere in tempo cosi limitato quattro nazioni non
era certo Heve impresa. I frutti compensarono il tempo e la fa-
tica? In quel delicato periodo di transizione ne vennero almeno quat-
tro vantaggi. Con il suo spirito di osservazione, al cui obiettivo nulla
assolutamente sfuggiva, Don Rúa prese conoscenza diretta delle
Case, delle loro attivitá e dei loro andamenti, elemento di giudizio
assai prezioso negli affari di governo. Vide da vicino i bisogni dei
Soci: bisogni che a distanza non si possono sempre valutare a pieno;
Soci a cui, in parti si remote dal centro, giovó grandemente sentiré
da presso il palpito paterno del nuovo Superiore per mantenersi af-
fezionati alia loro vocazione. Dovunque poi passó, lasciava un fer-
mento nuovo di vita spirituale tanto nei giovani quanto nei loro Su-
periori; poiché nessuno meglio di lui comprendeva il valore di certe
parole pronuncíate da Pió XII, mentre la penna scriveva queste
righe. « Le opere piü saggiamente idéate e piú accortamente costi-
tuite, diceva il Papa (2), non producono che scarsi frutti, se non
sonó animate dalla férvida e pro fonda vita interiore di coloro che
ad esse si consacrano, da una stretta unione di pensiero e di cuore
con Dio, da un costante spirito di preghiera, da una puritá d'in-
tenzione únicamente sollecita della gloria di Dio e del progresso
delle anime nella sua grazia. » C'erano infine i Cooperatori. Don
Bosco ne aveva saputo suscitare un numero straordinario, massime
in Francia. Dopo la sua scomparsa che sarebbe stato della fiducia
(l' Mons. SPINOI.A, Yescovo di Milo. Don Bosco y su Obra, pp. 89-90. Barcellona, Typ. cat., caite
del Pino, 1884.
(2) Discorso alie rapprcscntanzc della Pia Opera delle Dorotee {Ossero. Rom., 15-16 diccni-
l;re 1941).
98
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13.4 Page 124

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Primi oiaggi di Don Rúa allestero
da essi riposta nella santitá di lui e nella vitalitá della sua Opera?
Nei contatti con Don Rúa i Cooperatori delle quattro nazioni eb-
bero la prova provata, che la santitá del padre era passata nel
figlio e che le opere del fondatore non solo non cessavano di pro-
sperare sotto il Successore, ma accennavano invece a prendere me-
ravigliosi incrementi, sicché la loro nobile cooperazione non poteva
cadere in miglior terreno.
Don Rúa, rientrato alia fine nella calma operosa della sua ca-
meretta, che era quella medesima di Don Bosco, intendeva di la al
governo della famiglia salesiana con la chiaroveggenza del capi-
tano, che sa le vie del mare e dal ponte di comando guida sicura-
mente la propria nave anche attraverso gli scogli e in mezzo alie
burrasche.
99
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13.5 Page 125

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CAPO X
Giubileo delle Opere Salesiane.
C a d e v a n e l 1891 una data storica per la Congregazione: il cinquan-
tenar¿o delle Opere salesiane. Non la si poteva lasciar trascorreré
in silenzio: anzi Don Rúa, dandone l'annuncio alie Case, diceva ad-
dirittura essere dovere dei Salesiani celebrare con grande solennitá
la giubilare ricorrenza (1). É necessario dunque diré come si svolse
la commemorazione.
Per ben comprendere come le Opere salesiane avessero avuto
cominciamento nel 1841 bisogna non ignorare o non aver dimenti-
cato due affermazioni di Don Bosco. Una si legge nelle sue Me-
morie, lá dove, descritto il proprio incontro con l'orfano Bartolomeo
Garelli 1'8 dicembre 1841 e narrato della prima lezione di cate-
chismo da lui impartitagli previa la recita di un Ave María, il Santo
commenta: «Tutte le benedizioni piovuteci dal Cielo sonó frutto di
queila prima Ave María detta con fervore e con retta intenzione
insieme col giovanetto Bartolomeo Garelli, lá nella chiesa di San
Francesco d'Assisi. » Notisi la frase " tutte le benedizioni piovuteci
dal Cielo. " Sonó tutte le cose felicemente compiute con l'aiuto di
Dio fino al 1874, anno in cui scriveva. Anzitutto dunque l'Opera
degli oratori festivi, originata da quell'incontro, come da seme ra-
dice; poi l'amichevole Associazione nata da quell'Opera. come da
radice pianta; appresso le Istituzioni dei Salesiani, delle Suore e
dei Cooperatori, sviluppatesi li sopra, come su tronco rami con rela-
tivi fiori e frutti. Che tale fosse il genuino pensiero di Don Bosco,
lo argomentiamo da un'altra sua precedente affermazione, che non
(1) Ciro. 21 novembre 1891.
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Giubileo delle Opere Salesiane
potrebbe essere piú categórica. Infatti nel 1868, a vendo necessitá di
mettere in iscritto un cenno informativo sulla Societá Salesiana,
aveva pigliato le mosse dalla seguente asserzione (1): « Questa So-
cietá nel suo principio era un semplice catechismo. » Se é vero
pertanto che da cosa nasce cosa, la genesi delle Opere salesiane va
riportata su su, di fase in fase, fino a quella primigenia opera dei
catechismi che dovette la sua origine alia fortunata occasione del-
1'8 dicembre 1841.
Aveva mostrato di comprendere questo il geniale Vescovo di
Sarzana Giacinto Rossi, allorché nel 1888 chiudeva cosi il suo elogio
fúnebre di Don Bosco (2): « l o non sonó artista, ma se lo fossi e
avessi Fincarico di tramandare ai posteri con un monumento la me-
moria di questo mirabile prete, eccovi quale sarebbe il mió concetto.
Metterei in alto l'emblema della Croce, che é l'emblema dell'educa-
zione cristiana, perché é l'emblema del sacrificio; a' suoi lati, a destra
Maria Ausiliatrice, che fu sempre dopo Gesú il principale appoggio
di Don Bosco, a sinistra il Salesio, dal quale ricopió la dolcezza e in-
titoló l'Istituto. Ai piedi della Groce lui ritto, il grand'uomo, che si
tiene con una mano al divin tronco e chiama con l'altra i giovani al-
fombra dell'albero riparatore. Alia base del monumento poi il giova-
netto Bartolomeo Garelli in atto di incidere sul ricordevole marmo
le parole giá scritte in tutti i cuori: A DON GIOVANNI BOSCO LA RE-
LIGIONE E LA PATRIA RicoNOSCENTi. » É opportunamente evocato
qui il Garelli; checché infatti sia avvenuto in Don Bosco al mo-
mento dell'incontro, noi, guardando a tutto quello che seguí, pos-
siamo affermare che in quel punto la mano di Dio si posó sopra
il Santo, sicché allora egli conobbe distintamente la propria mis-
sione e contempló da lungi il succedersi delle sue Opere, come
Giacobbe la sua posteritá.
Con la celebrazione giubilare si fece coincidere una circostanza
che le dava forma, solennitá e significato. Dopo tre anni di sol-
lecitudini e di spese erano compiuti i lavori di restauro e di deco-
razione alia chiesa di Maria Ausiliatrice: lavori voluti come monu-
(1) Cfr. Annali, pag. 103.
(2) Sampierdarena, Tip. Sal., 1888. Pag. 39.
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Capo X
mentó a Don Bosco e come scioglimento di un voto, e chiesa da con-
siderarsi come espressione sintética e alto coronamento delle Opere
salesiane. L'inaugurazione dunque veniva a consacrare la semiseco-
lare ricorrenza, incidendone il ricordo nella storia non solamente del
caro Santuario di Valdocco, ma anche della Societá salesiana. Fu
veramente causa di grande giubilo il rimirare quel caro tempio cosí
vestito a nuovo. La veste non poteva dirsi proprio di lusso, ma aveva
puré il suo decoro. Anche li si procedette per gradi. Da prima, la
pressoché nuda architettura dei laboriosi inizi; allora gli abbelli-
menti consentanei ad un periodo di transizione; oggi la sontuositá
regale armonizzante con l'éra dei trionfi e con Tapoteosi del santo
Fondatore.
Non tutto pero era transitorio nel periodo di transizione. Al di
sopra del complesso di stucchi e emblemi, che coprivano le pareti e
che ora sonó interamente scomparsi per dar luogo alia stupenda poli-
cromía marmórea, omai imperituro decoro del tempio, si eleva la
grandiosa composizioné, con cui il Rollini, giá allievo dell'Oratorio,
affrescó nella cupola il trionfo deirAusiliatrice in cielo e sulla térra,
fra una moltitudine di Angelí e di Santi, che inneggiano alia Madre
di Dio. A glorificare la Vergine il pittore introdusse puré la Societá
salesiana, sorta e propagata per opera di Maria. Ecco Don Bosco
che riceve i Patagoni presentatigli da Mons. Cagliero; ecco in pió
atteggiamento le Figlie di Maria Ausiliatrice con le fanciulle della
Pampa. E poi Missionari in mezzo ai barbari, e proprio ai piedi
della Madonna altri Salesiani, dei quali chi fa scuola, chi assiste
nell'officina, chi accoglie poveri fanciulli. Nell'insieme é tutto un
mondo di figure variamente atteggiate, ben disegnate e ben colo-
rite, esprimenti ognuna a modo suo la propria ammirazione e il
proprio amore alia potente Ausiliatrice dei Cristiani. Nei peducci
della cupola quattro dottori della Chiesa, due greci e due latini:
S. Atanasio, quello con la croce in mano a sinistra di chi entra;
S. Ambrogio, di fronte a lui; S. Agostino, al di sopra del pulpito;
di rimpetto, S. Giovanni Crisostomo.
Prima delle feste si provvide all'organo, che doveva conferiré
maestá e decoro alie sacre funzioni. L'antico aveva súbito gravi
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Giubüeo delle Opere Salesiane
danni fin dal 1881 per causa di un incendio prodotto dalla rottura
di un tubo del gaz. II noto organaro Bernasconi lo rinnovo, ridu-
cendolo alia forma litúrgica e aggiungendovi ampliamenti, atti a
dargli grandiositá. Se ne fece solenne collaudo il 3 dicembre con
Tintervento di valorosi Maestri, quali il Remondi e il Galli.
Le feste si svolsero per tutto un ottavario, dalla domenica 6 di-
cembre alia domenica appresso. Furono prima tre giorni di inni e
cantici in onore di Maria; seguirono tre giorni di adorazione a Gesíi
Sacraméntalo nella pia pratica delle Quarantore; il settimo giorno
ando dedicato parte ai benefattori defunti, parte a Missionari; venne
ultimo il giorno del ringraziamento. Spiccarono allora quelle che
erano giá diventate le tre caratteristiche delle grandi occasioni nella
chiesa di Maria Ausiliatrice: magnificenza di sacri riti, esecuzioni
musicali come le sapeva volere e ottenere il maestro Dogliani, e
un mare continuo di divotissimo popólo. Invece di perderci in de-
scrizioni, raccoglieremo parole che ci sembrano meritevoli di restare
nella nostra storia, perché ce la illuminano.
Nei primi tre giorni parlarono successivamente dopo i Vespri
tre Vescovi. Aperse il turno quello di Fossano, Emiliano Mana-
corda, che, uomo di grande facondia, tenne pendente dal suo labbro
l'uditorio per piú di un'ora. Un punto notevole del suo discorso fu
questa sintesi, con cui chiariva il perché del giubileo: « Cinquan-
t'anni di operositá apostólica a salvezza di tante anime, cinquan-
t'anni spesi in sovvenire i poveri, nell'insegnare agli ignoranti, nel
diffondere la luce della veritá e la fiamma d'ogni piü eletta virtü,
cinquant'anni impiegati in un'attivitá portentosa e fenomenale a
implantare oratori, ospizi, collegi, missioni, a erigere chiese, tipo-
grafie, scuole e via via tante stazioni destínate a diffondere e man-
tenere il regno di Dio in mezzo ai popoli, costituiscono con giusta
ragione un forte argomento di giubilo e di festa. Si adorni adunque
il tempio di Maria, ove s'incentrano e fan capo tante mirabili
opere; s'inneggi a quel prode atleta, a queH'instancabile prete, che
fu strumento di grazie tanto sorprendente e si ringrazi il Cielo,
che cotanto benedisse e fecondó le opere di Don Bosco. » Parlo nel
secondo giorno Mons. Rosaz, Vescovo di Susa. Ricordando i! primo
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Capo X
catechismo fatto da Don Bosco nel giorno deü'Immacolata del 1841,
colse nel segno, allorché, narrato l'incontro col Garelli, si domando:
« Chi l'avrebbe detto in quel di che questa dovesse essere la prima
pietra d'un immenso monte? il granellino di senapa che doveva
svilupparsi in un albero mondiale? » L'8 dicembre montó in pul-
pito l'eloquente domenicano Mons. Pampirio, Arcivescovo di Ver-
celli. Esordi egli col fatto di Cristoforo Colombo, salpato alia sco-
perta e alia conquista di un nuovo mondo sulla nave Santa María,
e COSÍ ne fece l'applicazione: « Don Bosco anch'egli intravvide un
mondo da conquistare, un mondo morale e immenso, la gioventú
che tra le onde del secólo va perdendosi miseramente. Invocando
Maria, gettandosi fidente nella mística nave della divozione a questa
divina Madre, mosse alia grande conquista. » Predicó il triduo delle
Quarantore Mons. Pulciano, Vescovo di Cásale, pigliando lo spunto
da questo concetto: « Maria fu l'ispiratrice delle opere di Don Bosco
e FEucaristia fu Faumento, che alie medesime trasfuse lo spirito di
Gesú Cristo. »
Nel pomeriggio del settimo giorno vi fu la cerimonia dell'addio a
diciotto Missionari. Dall'altare di Maria Ausiliatrice negli ultimi se-
dici anni erano partiti giá tanti drappelli di Salesiani per lontane
Missioni; le feste giubilari furono dunque opportunamente contrasse-
gnate anche dal fatto di una partenza, e partenza per una de-
stinazione novissima e inattesa, per la Terrasanta. Di questa Mis-
sione diremo in un capo a parte. II Vescovo di Fossano, che nel
primo giorno aveva illustrato il passato delle Opere di Don Bosco,
quella sera parló del presente di esse, paragonandole a ben forniti
granai, che Don Bosco aperse qua e la per il mondo, perché grande
é la carestía morale in mezzo ai popoli.
II medesimo Presule nel giorno della chiusa completó la sua
trattazione, ragionando dell'avvenire delle Opere salesiaiie. Piacque
il pensiero che Don Bosco vive nella Societá salesiana, la quale
lo personifica e ne é la visibile perpetuazione; cosicché la Societá
salesiana e Don Bosco che vive, Don Bosco che opera, Don Bosco
che va estendendo ognora la sua azione nel mondo.
Durante l'ottavario edificarono il popólo nobili giovani del Cir-
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Giubileo delle Opere Salesiane
coló Beato Sebastiano Valfré, messisi a servizio del tempio, special-
mente per le questue. L'ultima sera fecero anche da ceriferi nel pre-
sbiterio. In tempi come quelli, giovani della loro condizione diedero
prova di un coraggio superiore a ogni elogio. Per concessione pon-
tificia Mons. Manacorda, prima della benedizione eucaristica, im-
partí la Benedizione Apostólica alia folla immensa dei fedeli, sti-
pati anche fuori sulla piazza della chiesa (1).
Molti Salesiani, moltissimi Cooperatori, assenti di corpo, erano
presentí in ispirito, unendosi a quelli di Torino nel magnificare la
Vergine benedetta, ispiratrice delle Opere di Don Bosco; durante
poi l'ottavario od anche nel corso dell'anno giubilare tutti i col-
legi e gli oratori salesiani, secondo il desiderio di Don Rúa (2), de-
dicarono una giornata a rievocare dinanzi ai giovani e agli amici i
fasti della Societá, intrecciati con i fatti della vita di Don Bosco.
Fra le tante altre celebrazioni vanno segnalate quelle di Mar-
siglia e di Buenos Aires, dove si ebbero manifestazioni caratteri-
stiche e ben degne di due Case importantissime, quali centri at-
tivi di vita salesiana in Francia e nella Repubblica Argentina. Pos-
siamo aggiungere per terza la Casa principale dell'Uruguay a Villa
Colon.
Le feste che Torino aperse, Marsiglia le chiuse alio spirar del-
Tanno giubilare. I molti amici marsigliesi vi si sentirono attratti
anche dal ricordo affettuoso che serbavano dei frequenti e non
brevi soggiorni fatti da Don Bosco nella loro cittá. Quanti di essi
l'avevano veduto e gli avevano parlato, quanti ne avevano ricevuto
consigli, conforti e aiuti spirituali! Prevedendosi il grande concorso
che vi fu, il benemérito Can. Guiol (3) mise a disposizione del Co-
mitato per i festeggiamenti la sua chiesa parrocchiale, che fece
addobbare con sontuositá e gusto. Gradirono l'invito i tre successori
dei Vescovi che avevano ottenuto da Don Bosco stesso i Salesiani
nelle loro diócesi; cioé, oltre al Vescovo di Marsiglia, quelli di Nizza
e di Fréjus e Tolone. Don Albera, Catechista Genérale e giá Ispet-
(1) Cfr. Boíl. Sal, gcnnaio 1892.
(2) Circol. 21 novcinbre 1891.
(3) Annali, pp. 284-5, 341, 365, 367, 468, 516-8.
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14.1 Page 131

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Capo X
tore in Francia, venne a rappresentare il Successore di Don Bosco.
Nelle varié funzioni Don Grosso (1) fece udire mirabili esecuzioni
in canto gregoriano e música classica. Un pubblico numeroso e
sceltissimo vi assisteva da posti assegnati. Dopo i Vespri tenne di-
scorso Mons. de Cabriéres, Vescovo di Montpellier, assunto poi al-
l'Accademia degli Immortali e creato Cardinale, oratore allora forse
il piü eloquente in Francia (2). Prese per tema un giudizio espresso
dal Vescovo di Nizza: « L a vita di Don Bosco fu u n a vita grande
e bella, una vita feconda, u n a vita santa, u n a vita merauigliosa. »
A proposito del cinquantenario rilevó che di tutte le Congregazioni
religiose i Salesiani erano i soli che potessero uniré in una me-
desima data l'ordinazione sacerdotale del loro fondatore e il comin-
ciamento della loro Istituzione. A un certo punto non seppe trat-
tenersi dall'osservare come l'uditorio, a cui rivolgeva la parola, fosse
uno dei piü belli da lui contemplati in vita sua. Gruppi di ex-
allievi si stimarono in dovere di prestarsi volentieri per i servizi
d'ordine e per aprire il passo a Don Albera e all'Ispettore Don Bo-
logna, mentre il mattino e la sera si aggiravano in mezzo alia folla
questuando, come molti dei presentí avevano visto piü volte fare
da Don Bosco.
Anche il pranzo piglió quasi l'aspetto di un solenne rito, non
per manco di allegria, ma per il decoro di tutto l'insieme. Ai Pre-
lati faceva corona lo stato maggiore dei Cooperatori marsigliesi.
Anche i brindisi del Can. Guiol, di Don Albera e di Mons. de Ca-
briéres portarono una nota d'interessante opportunitá. II primo non
volle omettere un saluto al ritorno di Don Bologna, nominato Ispet-
tore, dicendolo operaio della prima ora, il cui valore, arricchito da
un'esperienza di quindici laboriosi anni, diveniva ormai patrimonio
di tutte le Opere salesiane in Francia. II rappresentante di Don
Rúa toccó tasti delicati. Ricordó fra l'altro: « In ogni parte il clero
e fervorosi cristiani furono sempre per Don Bosco ausiliari preziosi
e devoti; ma a Marsiglia in questa forma di generositá il nostro
venerato Padre fu servito regalmente. » II Vescovo di Montpellier
(1) Annali, pp. 699-700.
(2. II Bull. Salésien ne diedc una larga rclazione nel numero di marzo del 1893.
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Giubileo delle Opere Salesiane
disse: «Mi sembra che questo giorno si debba considerare giorno di
speranza. Ecco, cinquant'anni fa un prete, un pastorello, senté in
fondo all'anima un impulso a consacrarsi tutto ai poveri. Lo fa
con non mai smentita passione, anche quando la fortuna venne a
tentarlo a segno che. se avesse voluto abbassarsi, gli sarebbero pió-
vuti ai piedi i milioni. Rimase fino al termine l'uomo della povertá,
deH'umiltá, della grazia soprannaturale, e quando 1'aureola gli
cinse la fronte, anche coloro che avevano osténtate piü orgoglio
e sussiego, si videro costretti a inchinarsi e a chiedergli elemosina
di consiglio e di benedizione. »
Vi fu un secondo giorno di festa nell'oratorio e per l'oratorio
S. Leone. In tal giorno richiamó all'Istituto Cooperatori e perso-
nalitá in buon numero la benedizione di nuovi, belli e vasti labo-
ratori. Li volle benedire il Vescovo stesso. L'abate Guiol, l'oratore
della circostanza, mostrato chi fu Don Bosco e che cosa era l'O-
pera sua, passó a definiré la parte che spetta in questa ai Coope-
ratori, stringendoli a favorire sempre piü l'Opera di Marsiglia. II
Vescovo nella sua allocuzione finale esaltó Don Bosco, lodo lo zelo
del párroco di S. Giuseppe e resé grazie alia famiglia salesiana
per il bene che faceva nella sua sede vescovile.
In quella circostanza si verificarono tre fatti da non doversi
passare sotto silenzio. Generosi Cooperatori fecero arrivare al San
Leone tutto quello che serviva per la festa in chiesa e fuori di chiesa;
tutti senza eccezione i Superiori religiosi di Marsiglia presero viva
parte alia festa salesiana; l'intera stampa lócale ne scrisse con uná-
nime simpatía. Sonó i miracoli della carita, praticata secondo lo
spirito di Don Bosco.
La capitale dell'Argentina, la prima Repubblica americana che
ebbe i figli di Don Bosco, rispóse come non si sarebbe potuto meglio
all'invito. Nella chiesa parrocchiale di S. Cario, annessa al col-
legio Pió IX in Almagro, si celebró un solennissimo triduo, pre-
sieduto da Mons. Cagliero. L'Arcivescovo Aneyros, eloquente ora-
tore, pronunció nel primo giorno un magnifico discorso, del quale,
per il suo valore di autorevole testimonianza storica, va segnalato
il seguente passo: « Una mano empia aveva scacciato da queste
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Capo X
terre il Missionario; scomparso il Missionario, si era rotta l'alleanza
stretta dai Cristiani con gli Indi, e questi nell'eccesso del loro fu-
rore andavano esclamando: — Con i Cristiani nemmeno in Para-
diso! — Di qui nuove battaglie, nuove guerre; i selvaggi assalta-
vano i paesi inciviliti, li mettevano a fuoco, e gl'inciviliti allora a
ritornare alie armi e coprire il campo di cadaveri. Eran massacri
che facevano inorridire tutti. L'America piangeva, piangeva la par-
tenza del Missionario. Ma ecco un uomo provvidenziale sorgere. in-
viare a questa térra i suoi figli ad asciugarne le lacrime, a con-
solarla... Chi e egli? É Don Bosco! Don Bosco che tanto amo 1'Ar-
gentina da asserire che dev'essere la seconda patria de' suoi figli. »
Cominciarono allora ad affluire offerte destínate alia costruzione
deU'edifieio per gli studenti, quale monumento giubilare a Don Bosco
nell'Argentina.
Anche il collegio Pió di Villa Colon neU'Uruguay celebro in sva-
riate maniere la grande data cinquantenaria. L'ex-allievo Dottor
Espalter, dopo l'allocuzione del Vescovo Ausiliare di Montevideo
Mons. Frassa, fece uno splendido discorso in lode della Societá sa-
lesiana. Descritta a vivi colori la vita di collegio " ingioiellata dal-
Finnocenza e dalla pietá, " protestava: « Prima di abbandonar cre-
denze cosi acquistate, noi dovremmo mutilare le nostre anime! L'a-
postasia dal culto della Fede e della Virtú é, per i giovani educati
nella Case salesiane, impossibile ed assurda. » Terminó auspicando
la redenzione della sua patria mediante Topera dei figli di Don
Bosco. « L'angelo dell'avvenire, disse, aspetta alia soglia delle scuole
di Don Bosco, de' suoi collegi, de' suoi molteplici istituti, la gio-
ventü che ricevette l'effluvio del suo zelo divino, della sua carita
inesauribile, per fare della nostra patria una nazione felice, i cui
figli abbiano sempre per guida nella vita il dovere e la giusti-
zia. » (1)
Don Rúa nella Circolare, con cui annunciava le feste giubi-
lari, quasi a prevenire il pericolo che si desse soverchia importanza
a manifestazioni esteriori, trascurando cose piü serie, raccomando
(1) Boíl. Sal, fcbbraio 1892, pag. 35.
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Giubileo delle Opere Salesiane
che i Salesiani durante quei giorni ravvivassero il loro fervore, ani-
massero gli allievi alia frequenza dei sacramenti e si adoperassero
« con le letture, coi sermoncini della sera e nelle prívate conversa-
zioni per accendere nei propri cuori e nei cuori degli alunni la
riconoscenza a Dio, la divozione a Maria Ausiliatrice e la venera-
zione al caro Padre Don Bosco ».
Inoltre, avendo nella lettera parlato delle decorazioni della
chiesa, come di monumento alia memoria di Don Bosco, invitava
tutti ad erigere un al tro monumento. « Noi, diceva, discepoli e figli
di Don Bosco, facciamo in modo che le nostre azioni, la nostra at-
tivitá, zelo e fervore nei servizio di Dio, il nostro spirito di sacri-
ficio a favore del prossimo, specialmente della gioventú, servano a
rammemorare le virtü e la santitá del nostro buon Padre, in guisa
che ciascuno di noi sia di Lui copia fedele. Questo sará certamente
monumento a Lui moJto gradito! »
A cose finite, il medesimo Don Rúa fra le maggiori benedizioni,
con cui il Signore aveva consolato la Congregazione nei 1891, met-
teva le tanto edificanti e tanto bene riuscite fes te giubilari (1). Scri-
vendo a Don Costamagna, gli diceva: « Sonó contento d'intendere
il vostro impegno per celebrare bene il giubileo di Don Bosco. Qui,
ringraziando Iddio, non so se si poteva riuscir meglio. » (2)
Egli aveva invitato a Torino per le feste giubilari il Cardinale
Protettore. L'Eminentissimo Parocchi, non potendo recarvisi per-
sonalmente, suppli con l'inviargli, 1*8 dicembre per lettera, i suoi piú
sentiti rallegramenti. Diceva (3): «L'opera dei Salesiani avviata,
or son cinquant'anni, daH'ammirabile Sacerdote, che fu D. Bosco.
promette nuove benemerenze per l'altra meta del secólo, che ab-
biamo oggi iniziata. A questo gioverá, dopo il patrocinio di Maria
SS. Immacolata, lo zelo, l'attivitá, la prudenza di Vostra Pater-
nitá. » (4)
(i) Circol. 51 dicembre 1891.
(2) Torino, 6 gennaio 1892.
(3) Roma, 8 dicembre 1891.
(4) Delle feste fu stampato un Ricordo, del quale Don Rúa mandó copia ai principali benefattori
con una circolare manoscritta, da lui fírmata. II volunictto conteneva la descrizione delle pitlure e de-
corazioni eseguite. Vi univa puré due mcdaglie, la commcmorativa della consacrazione del Santuario
fatta coniare da Don Bosco nei 1868 e quclla dei rcstauri coniata nei 1891.
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14.5 Page 135

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CAPO XI
Fondazioni in Argentina, Cile, Uruguay, Brasile ed Equatore
durante il quadriennio 1890-93.
(Rosario, Mendoza, Buenos Aires, Santiago, Paysandü, Mercedes,
Montevideo, Lorena, Riobaraba, Cuenca)
Le partenze di Salesiani per l'America Meridionale si sussegui-
rono a intervalli relativamente brevi. II Io dicembre 1889 ne par-
tirono 29 con Don Costamagna, 25 il 4 febbraio 1891 con Don
Evasio Rabagliati (vedremo nel capo seguente donde e perché
questi venne a Torino), e altri 19 il 16 agosto dello stesso anno
con Don Luigi Calcagno, venuto anche a fare acquisto di macchine
per i suoi laboratori di Quito. Contemporáneamente passarono ogni
volta l'Oceano stuoli di Suore, pórtate dalla brama di consacrare
la loro vita alia salvezza delle anime in quelle remote contrade.
Gli uni e le altre andavano, parte in Repubbliche dove le due Con-
gregazioni giá lavoravano, parte in Stati, dove i figli di Don Bosco
facevano allora il primo ingresso. Ecco la materia per due capi con-
secutivi. Diremo in questo dell'Argentina, del Cile, dell'Uruguay,
del Brasile e dell'Equatore durante il quadriennio 1890-93.
Centro propulsore dell'attivitá salesiana nell'Argentina era il
Collegio Pió IX di Almagro a Buenos Aires, modellato in tutto sul-
l'Oratorio di Valdocco, ma con in piú il Noviziato, L'oratorio fe-
stivo, che fu culla della Societá, vi era naturalmente in grande
onore. Vi si affollavano non meno di seicento giovani. Le Autoritá
civili e politiche vedevano di buon occhio quanto si faceva al
Pió IX. II 27 luglio 1892 vi comparve improvvisamente il nuovo
Presidente della Repubblica Saens Peña. Non aveva ancora un'idea
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14.6 Page 136

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Fondazioni in Argentina, Cile, ecc. durante il quadriennio 1890-93
di quello che la entro avveniva; perció, facendo il giro dei labora-
tori, rimaneva trasecolato al vedere, come senza il concorso del Go-
verno si fossero eseguiti tali impianti. Volle visitare anche il Col-
legio delle Suore, uscendone ammirato e commosso. Con l'Ispettore
Don Costamagna si congratuló vivamente del bene che operavasi
nei due Istituti a vantaggio della gioventü.
Come a sede ispettoriale, facevano capo al Pió IX i Soci di
Mater Misericordiae, della Boca e del S. Caterina- in cittá e quei di
S. Nicolás e di La Plata fuori. Tre Salesiani della Casa avevano
la direzione spirituale dei Collegi di Almagro in Buenos Aires, di
S. Isidoro e di Morón poco lungi, diretti dalle Figlie di María Ausi-
liatrice. Nel nostro quadriennio l'Ispettore procedette all'apertura
di tre nuove case.
La prima, in ordine di tempo, fu aperta a Rosario nella pro-
vincia di Santa Fe. La cittá aveva allora 70 mila abitanti, sempre
in aumento. I Salesiani vi giunsero desideratissimi al principiare
del 1890. Misero súbito alia prova la carita dei buoni; poiché, man-
cando di molte cose necessarie, ricorrevano un po' qua e un po' la
per aiuto. Essendo la Casa per artigiani, le venne assegnato a ce-
leste Patrono S. Giuseppe; piü tardi accolse puré studenti. G I L
taliani, che raggruppati a immense distanze in numeróse colonie,
rappresentavano tutte le regioni della penisola. giubilavano di avere
connazionali a cui affidare l'educazione dei loro figli, mentre si sen-
tivano rinascere in cuore l'antica fede, se non spenta, molto illan-
guidita per il lungo abbandono e per l'indifferenza religiosa del
paese.
Nell'anno dell'apertura Mons. Cagliero, che nella sua qualitá
di Vicario per i Salesiani d'America visitava le Case dell'Argentina,
vide in un umile edificio scuole diurne frequentate da 120 esterni,
scuole serali per artigiani e operai e un oratorio festivo popolato di
ragazzi. 11 Vescovo del Paraná, che, vecchio e infermo, non era pifi
stato da sette anni in quelle terre, gli accordó ampia facoltá di eser-
citare le funzioni episcopali; quindi Monsignore cresimó in sei
giorni circa seimila persone di varia etá. Ma alie cresime fece pre-
cederé un triduo predicato da Salesiani e da lui stesso. Dodici con-
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Capo XI
fessori, fra cui tre Francescani fatti venire da un vicino convento,
lavorarono di e notte. Chi aveva mai visto cose simili? Le Auto-
rita medesime, impressionate di tal movimento religioso, gareggia-
rono in attenzioni col Vescovo. Venuto poi il tempo pasquale, piíi
di mille italiani compierono il precetto ecclesiastico. Ormai dunque
la posizione si poteva diré conquistata.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice, arrivate nel gennaio del 1893,
trovarono il terreno ben preparato per aprire un loro Collegio con
l'immancabile oratorio festivo. In tre mesi tirarono su una bella
chiesina. Tutto questo mise in furore la malvagitá settaria. Al sa-
bato santo, nientre il Direttore dei Salesiani nella chiesa delle Suore
stava per intonare il Gloria, u n a mano sconosciuta gli sparó con-
tro dalla porta; se non che un'altra mano misteriosa fece deviare
il colpo, mandando la palla a daré nella párete laterale.
A Ovest di Rosario é Mendoza, ai piedi della Cordigliera. I vi
un'Associazione di buoni cattolici aveva fondato nel 1888 una Scuola
Cattolica; ma non si tardó a vedere che questa non avrebbe avuto
vita rigogliosa e duratura se non nelle mani di una Congrega-
zione religiosa: onde nel 1891 una zelante signora, recatasi a Buenos
Aires, ne trattó con Don Costamagna, senza pero venire a una con-
clusione. In novembre Mons. Cagliero, in un viaggio al Cile fer-
matosi a Mendoza, conobbe l'opportunitá di secondare l'invito, tanto
piú che una gentildonna regalava un lócale piü capace nel centro
della cittá. Fu dunque stabilito d'inviarvi il Direttore da Buenos
Aires e il personale dal Cile. Arrivarono tutti fra il gennaio e il
febbraio del 1892, ospitati generosamente per alcune settimane dai
Gesuiti, perché la casa c'era, ma non c'erano né mobili né utensilL
Messa in ordine l'abitazione e cambiato il nome di Scuola Cat-
tolica in quello di Scuola Don Bosco, si diede principio aH'opera.
Vi furono da prima due solé classi con 120 alunni esterni; ma molti
altri facevano ressa per entrare.
Quei Confratelli non conducevano davvero vita cómoda. I prin-
cipi dei Collegi rassomigliarono spesso alie origini dell'Oratorio di
Torino. A Mendoza avevano solo le aule scolastiche e tre povere
stanze prívate, una delle quali serviva anche da sala di ricevi-
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Fondazioni in Argentina, Cile, ecc. durante il quadriennio 1890-93
mentó. Dal febbraio al novembre, per celebrare o ascoltare la Messa,
ramingarono di chiesa in chiesa, fuorché nei giorni festivi, in cui
con la lunga fila dei ragazzi anda vano sempre alia parrocchiale (1).
Anime buone somministravano loro suppellettili e sovente anche
generi alimentari (2). Intanto la loro attivitá, che sfidava disagi e
fatiche pur di fare il maggior bene possibile, destava stupore nella
cittadinanza; quindi non fa meraviglia che persone facoltose si sen-
tissero mosse a portare il proprio contributo, affinché Topera acqui-
stasse una sistemazione definitiva. Gravi contrarietá si levarono ad
attraversare il cammino. Un individuo puntiglioso tiró in campo
cavilli legali per impediré una sopraelevazione, che gli dava noia;
presosi poi a fabbricare da un altro lato, bisognó sospendere per
la disonestá di un impresario. Erano le solite prove, contro cui deb-
bono lottare le opere di Dio. La pazienza e la fiducia nel Signore
sormontarono tutti gli ostacoli. Sorse anche la chiesa per l'oratorio
festivo, fu aumentato il personale, crebbe a dismisura il numero
degli scolari; venne poi anche il teatrino. Assediati da protestanti
e da massoni, i Salesiani cominciarono a ricevere abiure. Progre»
dendo passo passo, crearono un Istituto di somma importanza.
Mancava ancora chi attendesse con egual zelo e frutto alia gio-
ventú femminile, ed ecco nel 1895 stabilirsi le Figlie di Maria Ausi-
liatrice in una povera casetta, dove rinnovarono il si frequente
fatto evangélico del granello di senapa, che germoglia e cresce e
diviene albero fronzuto, delizia degli uccelli.
Fu felice idea quella di organizzare in Almagro un altro grande
oratorio festivo, quarto in Buenos Aires dopo i tre di S. Cario, di
Mater Misericordiae e della Boca; il nuovo, per altro, fu il primo
costituito, come Casa a sé, in America. Nel luogo dove se ne get-
tarono le fondamenta, aveva giá fatto qualche cosa Don Paseri
dal 1881; raa Topera visse di vita propria solo daJ 1893. Tutte le
industrie solite a usarsi negli oratorii per aítirare la gioventú vi
furono messe in opera. Che Tiniziativa fosse opportuna, lo dimo-
stró il numero dei ragazzi che vi accorrevano, arrivando in certe
(í) Relazionc di Don Lardi, uno dei primi andati a Mendoza, in Bollettino spagnolo, gii^no 1896.
(2) Bolletíino italiano, agosto 1892.
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Capo XI
domeniche a 1500. Quando si costruiva la cappella dedicata a S. F r a n -
cesco di Sales era bello vedere anche giovani d'ogni etá prestar
mano nei lavori. Vi si aggiunsero poi le scuole elementari esterne.
Le maestre delle scuole pubbliche da prima sollevarono ostacoli;
quando pero si avvidero che i loro allievi, frequentando l'oratorio,
diventavano piú docili e piü studiosi, se ne fecero patronesse.
L'oratorio di S. Francesco di Sales nel 1938 poté santamente
vantarsi d'aver dato alia Chiesa 39 sacerdoti, mentre parecchi erano
ancora alunni del santuario. Don Giorgio Serié, oggi membro del
Capitolo Superiore, venne di la. Del Direttore Don Luigi Costa-
magna, ñipóte dell'Ispettore, scrive Don Serié (1): «Non si limi-
tava a dirci: — Si fa cosi —, come l'indicatore stradale, che segna
la via e sta fermo, ma veniva lui con noi e in mezzo a noi. Tra-
scinava col suo esempio alia pietá, al lavoro ed anche al gioco:
cosa affatto nuova in quelle regioni vedere un prete giocare con
dei ragazzi alie stampelle, a barra rotta. » E detto di lui predicatore e
confessore, continua: « Fu il primo in America ad occuparsi degli
ex-allievi ed a formare il gruppo di catechisti volontari fra gli
amici e cooperatori che lo coadiuvavano a tirare innanzi, e come!.
nell'insegnamento della dottrina cristiana ad un migliaio di giovani. »
índice della prosperitá spirituale di cui godeva l'Ispettoria Ar-
gentina, puó essere il fatto, che nel 1893 vi si stavano innalzando
sei chiese, e cioé a Rosario e a Morón per le Figlie di Maria Ausi-
liatrice, a S. Nicolás per i coloni italiani, in Almagro per l'oratorio
testé descritto, a Bernal, e due navate laterali al santuario di Maria
Ausiliatrice puré in Almagro. La necessitá spingeva e la fiducia nella
banca della divina Provvidenza dava l'ardire. Cosa mirabile! Quei
Salesiani, che trovavano mezzi per moltiplicare chiese e case e per
ingrandire le giá esistenti, non ne cercavano per migliorare lo staio
di vera povertá, in cui vivevano. Un piccolo particolare dice molte
cose. Don Giuseppe Vespignani, sempre cagionevole di salute. era
íncaricato di andar a celebrare ogni giorno in una chiesa distante
quattro chilometri dal Pió IX; ebbene, Don Costamagna non gli
(1) Voci fraterne, febbraio 1942.
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Fondazioni in Argentina, Cile, ecc. durante il quadriennio 1890-93
poteva daré se non dieci centesimi per prendere il tram una volta
soltanto, o nell'andata o nel ritorno.
Nel Cile, paese abitualmente pacifico, i Salesiani di Concepción
e di Talca dal febbraio alF agosto del 1891 passarono ore tragiche.
La guerra civile insanguinava le cittá; ricchi e poveri, buoni e
cattivi ne sperimentarono le tristi conseguenze. Le due Case sud-
dette, benché sempre in pericolo di essere invase, porgevano rifugio
a donne, vecchi e bambini. Venivano arrolati perfino i giovani. che
avessero compiuto il dodicesimo anno di etá. Saccheggi, devasta-
zioni, uccisioni, incendi erano all'ordine del giorno. Ne derivavano
abbassamento di valori, caro di prezzi, carestia e fame. Nei mo-
menti piú critici le Autoritá cilene usarono speciali riguardi ai Sa-
lesiani e ai loro alunni, sicché almeno non si ebbero a lamentare
vittime.
Cessato il disordine e tomata la pubblica quiete, fu mandato ad >
effetto un disegno, che si ventilava da tempo. Mons. Jara, prima
di essere Vescovo di Ancud, ave va fondato nel 1880 a Santiago,
capitale della Repubblica, un Asilo delta Patria, dove accogliere
orfani della guerra detta del Pacifico, sostenuta vittoriosamente dal
Cile dal 1879 al 1882 contro il Perú e la Bolivia. II benemérito sa-
cerdote non cessó mai di far voti che i figli di Don Bosco assumes-
sero la direzione del suo orfanotrofio; anzi nel 1887 si presentó
supplice a Don Bosco stesso, che lo mandó dalla sua cameretta
consolato, rispondendogli con tutta semplicitá, ma in tono rassi-
curinte: — Abbiate un poco di pazienza; questa opera si fará. —
L di pazienza ce ne volle ancora una buona dose, tante furono le
difficoltá insorte. Solo due anni dopo la morte del Santo, Don Rúa,
per il quale i desideri di Don Bosco non cessavano di essere legge.
sollecitato dalFArcivescovo Casanova, acceleró la soluzione (1). Única
difficoltá si opponeva ancora la scarsezza del personale. Intanto i
risultati ottenuti a Concepción e a Talca, resi noti dalla stampa.
¿nfiammavano sempre piú gli animi. Mons. Jara, volendo troncare
(I) Nel novembre del 1889, in viaggio per Roma, l'Arcivcscovo si ero fermato due giorní all'Ora-
torio. Introdotto nella camera, dove morí Don Bosco, si p'rostró a térra e recitó un Paíer, Aoc e
(üoriu. (Lctt. di Don Lazzcro a Mons. Cagliero, Torino, 26 novembre 1889).
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Capo XI
gl'indugi, pensó di fare donazione della Casa all'Autoritá eccle-
stiastica, ma a condizione che vi si chiamasse una Congregazione
dedita alia cura della gioventü bisognosa. Allora FArcivescovo, sul
cadere del '91, incontratosi con Mons. Cagliero nel Cile, cedette nella
persona di luí ai Salesiani Fedificio e le sue adiacenze e insieme anche
la chiesa, intitolata La Gratitud Nacional, edificio e chiesa che erano
stati in antico chiostro e tempio dei Padri Mercedari. Era dunque
scoccata finalmente Fora della Provvidenza: i Salesiani arrivarono
sull'inizio del 1892, nel di dell'Epifania.
La cerimonia del ricevimento non poteva essere piú solenne.
Si svolse in una gran sala, scelta all'uopo e ornata, presente il Capo
dello Stato fra i Vescovi Jara e Cagliero e parecchi Ministri. I
primordi furono abbastanza duri. Quei Salesiani avrebbero dovuto
trovare nella casa tutto Foccorrente per Istituti di simil genere, e
Favrebbero trovato, se non ci fosse stata di mezzo la detta guerra
civile. Cinque battaglioni di soldati vi avevano bivaccato per otto
mesi, facendovi un de populo bárbaro. Anche nella chiesa avevano
profanato le immagini e dissipato i paramenti sacri. Nel momento
stesso, in cui Autoritá e cittadinanza davano il benvenuto ai Sale-
siani, Mons. Jara non esitó a diré la in pubblico, che essi iniziavano
la fondazione in condizioni di povertá e di miseria. Li invitava
quindi a ricevere la Casa in nome della Chiesa, della patria e del
popólo, ringraziandoli anticipatamente dei loro generosi sacrifici.
E di sacrifici ne fecero molti e gravi. La stampa lanciava ap-
pelli ai cuori caritatevoli e alie borse ben fornite, che rispondevano
come si puó rispondere in tempo di profonda crisi. Risposero pero,
sicché in pochi mesi la casa fu trasformata in collegio dall'im-
mondezzaio che era diventata. Vi si avviarono súbito i laboratori,
a cui si unirono in seguito scuole per studenti di modesta condi-
zione. Gli artigiani da 80 salirono nel 1893 a 120, aumentando a p -
presso fino a 150. Centinaia di ragazzi frequentavano Foratorio fe-
stivo. Tuttavia quel Collegio aveva ancora Faspetto di un grosso,
ma misero casolare. Muri di fango; tetti in lamine di ferro zincato.
bucherellate e corrose dalla ruggine; sotto la pioggia, acqua nell'in-
terno di non pochi ambienti poco meno che all'esterno. Consolava
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Fondazioni in Argentina, Cite, ecc. durante il quadriennio í890-93
pero il pensiero che in quell'affollarsi di ragazzi si cominciassero ad
avverare le profezie di Don Bosco (1).
Resta va da colmare una grave lacuna: chi avrebbe provveduto
alia gioventú femminile? 11 16 gennaio 1893 giunsero le Figlie di
Maria Ausiliatrice. Migliaia di cittadini si trovarono a riceverle. ac-
clamando a Don Bosco. Presero stanza presso la chiesa parrocchiale
di S. Michele, retta da Don Miguel León Prado, zelante e popolare
sacerdote, poi Vescovo di Linares, affezionatissimo a Don Bosco e
alie sue Opere. In maggio esse davano giá ricovero a 200 ragazze, or-
fane della guerra civile. Naturalmente si prodigavano anche nell'o-
ratorio festivo.
II Direttore Don Tomatis, uno dei pionieri del 1875, uomo in-
trépido, da bravo figlio dell'Oratorio di Valdocco, trovava anche il
tempo di percorrere la campagna, predicando Missioni. In un punto,
dove riusciva meno difficile radunar gente da luoghi lontani, una
buona signora aveva regalato ai Salesiani una villa con cavalli e
vettura, perché ogni domenica vi si andasse a celebrare, confessare,
predicare e fare ai ragazzi il catechismo. Una volta Don Tomatis
si spinse anche nelPAraucania, dove preparó un centinaio d'indi-
geni a ricevere il battesimo.
Rivalichiamo la Cordigliera e scendiamo nell'Uruguay. Qui iJ
Collegio di Villa Colon, sede dell'Ispettore Don Lasagna, manteneva
alto il suo prestigio. II Bollettino meteorológico, redatto ivi dai Sa-
lesiani, era strumento di cultura e di pubblica utilitá (2). La grande
attivitá di Don Lasagna, mentre faceva fiorire e progredire le Case
esistenti, diede vita a tre nuove: una a Paysandü, l'altra a Mer-
cedes e la terza a Montevideo.
A P a y s a n d ü i Salesiani dal 1882 amministravano la parrocchia,
che abbracciava un'estensione di 14 mila chilometri quadratL Pec-
cato che non esistano memorie scritte, da cui sia possibile appren-
dere per quali vie, dallo stato di cose del 1882, si fosse giunti a
quello che giá si vedeva nel 1890! Molto si dovette alio zelo di Don
Albanello, Párroco e Direttore. Orbene, la cittá nel 1890 si arricchi
(1) Annali, pp. 429, 506, 557-9.
(2) Annali, pp. 440-41.
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Capo XI
puré di un Collegio salesiano per alunni esterni, denominato da Don
Bosco, con annesso l'oratorio festivo. II ricordo del primo Direttore
Don Marchiori duro a lungo anche fra gli emigrati, circa quattro-
mila, quasi tutti italiani. La vicinanza del porto ne favoriva l'af-
fluire. A Don Marchiori ando debitrice di non lievi benefici l'isolata
e a b b a n d o n a t a colonia di Guariyú, composta di 150 famiglie pie-
montesi, venete, parmensi e cremonesi. Con la fondazione del Col-
legio coincise l'apertura di una chiesa, dedicata a S. Raimondo
e donata dal Vescovo Giacínto Vera fin dal 1886 (1). Tanto tempo
c'era voluto per adattarla al culto, perché senza tetto, senza fi-
nestre, senza pavimento, senza altari: non esistevano che i muri
fino al cornicione. Le Figlie di Maria Ausiliatrice avevano prece-
duto con il loro Collegio quello dei Salesiani. Tutti insieme reden-
sero la cittá: la presente generazione omai ne ignora il triste lontano
passato.
Dall'oratorio festivo esordi l'altro nuovo Collegio di Mercedes,
cittá principale nel dipartimento di Soriano. Don Lasagna lo de-
dicó a S. Michele in omaggio a Don Rúa. L'opera ebbe nascimento
il 16 marzo 1892. Alie solite strettezze economiche si studiavano di
rimediare due Comitati di signori e di signore; al resto sopperiva
lo spirito di sacrificio dei Salesiani. II primo anno terminó con
146 alunni. II Direttore Don Faustino aveva il dono di sapersi
cattivare la gioventü: del mondo giovanile la casa diventó il ritrovo
prediletto. Un novello soffio di vita cristiana si sentí ben presto spi-
rare in cittá.
La capitale Montevideo, che aveva giá un Collegio salesiano, ne
vide sorgere un secondo nel '93, i Talleres Don Bosco. I suoi principi
non potevano essere piú semplici e modesti: una casetta con il solo
pianterreno, un interno povero povero: calzolai, sarti, legatori la-
voravano tutti nel medesimo ambiente, che faceva puré da scuola
di música, da parlatorio e da refettorio; il personale, due preti e
un chierico. Nessuno avrebbe mai supposto che a un'opera cosí
meschina fosse riserbato nel breve giro di pochi anni un avvenire
(1) Amiüli, pag. 259.
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Fondazioni in Argentina, Cile, ecc. durante il quadriennio 1890-93
quale ebbe. Era alia testa Don Giuseppe Gamba, uomo dotato di
gran senno pratico e destinato a reggere per molto tempo l'Ispet-
toria, radicandovi lo spirito appreso direttamente alia scuola di Don
Bosco,
Moviamo ora verso il Nord, oltre la frontiera. Nel Brasile era
cambiato il regime. Una rivoluzione militare áveva nel 1889 ro-
vesciato la monarchia, proclamato la repubblica ed esiliato Don
Pedro II dopo 58 anni d'impero. Nel passaggio al nuovo ordine di
cose i Salesiani di Nichteroy e di S. Paolo non patirono danno,
portati com'erano da tutti in palma di mano. Specialmente il col-
legio S. Paolo, grazie all'impulso di Don Giordano, godeva tanto
crédito, che se ne poteva giá presagire la grandezza futura. II
6 marzo 1891, proveniente da Roma, fu all'Oratorio il nuovo Ve-
scovo di Goyas nel Brasile, giá canónico nella capitale. Egli, sup-
plicando che si mandassero Salesiani nella sua diócesi, levava a
cielo il bene che vi facevano le due Case di S. Paolo e di Nichte-
roy (1).
Non vi si attendeva solo alia gioventü. Nell'ospedale cittadino
il santo salesiano Don Varchi prestava l'assistenza spirituale agli
infermi, i piú dei quali erano italiani. Questi poveri connazionali,
capitando lá quasi sempre dopo inaudite sofferenze e poi abbando-
nati da tutti, si sentivano rinascere al trovarsi accanto un sacer-
dote che parlava la loro lingua e li richiamava ai religiosi senti-
menti da troppo tempo dimenticati.
Benedette dalle popolazioni, le Figlie di Maria Ausiliatrice nello
Stato di S. Paolo avevano Casa in tre luoghi: a Lorena, a Guaran-
tiguetá ed a Pindamonhagaba.
Mons. Cagliero visitó Salesiani e Suore nel 1890; rivide allora
per l'ultima volta il dotto e santo Arcivescovo di Rio de Janeiro
Mons. Lacerda, che cessó di vivere il 15 novembre dell'anno ap~
presso. Dobbiamo un tributo di riconoscenza a si benemérito Pre-
lato. Nel 1877 era stato ospite di Don Bosco, per il quaJe nutrí poi
sempre sviscerato affetto. Era per lui una festa ogni volta che figli
(I) Lett. di Don Lazzcro a Mons. Cagliero, Torino, 3 aprile 1891.
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Capo XI
di Don Bosco, navigando dall'Europa e toccando Rio, scendevano
a riverirlo. Ansioso da lungo tempo di avere i Salesiani nella sua
immensa diócesi, quando finalmente li ebbe, mantenne la promessa
fatta a Don Bosco dicendo: — I suoi figli saranno i miei figli. —
Veri sacrifici s'imponeva per la Casa di Nichteroy. Nel 1889 diede
una considerevole somma, perché quella tipografía potesse pubbli-
care le Letture Cattoliche in lingua portoghese (1). I Salesiani del
Brasile perdettero davvero in lui un tenero padre.
I Superiori non sarebbero stati alieni dal costituire nel Brasile
un'Ispettoria a sé, distaccandone le case dall'Uruguaiana, con cu i
formavano una cosa sola. Le enormi distanze lo consigliavano. Ma
sarebbero state necessarie almeno tre Case (2). Don Lasagna fondo
la terza a Lorena. La cittá, posta sul fiume Parahyba, dista quasi
altrettanto da S. Paolo e da Rio de Janeiro; era luogo di fermata
per chi andava dall'uno all'altro di questi due centri. Ivi il Conté
Moreira Lima aveva offerto nel 1887 un suo edificio con chique
ettari di giardino, modificandone poi la forma secondo un disegno
presentatogli.
Tutto fu in ordine per il 1890. Ebbe cosi cominciamento il col-
legio di S. Gioachino, cosi chiamato dai nomi del donatore e di
Leone XIII. II Direttore Don Peretto lo portó súbito a grande flo-
ridezza. II primo anno scolastico si chiuse con 20 giovani interni
e 124 esterni. Gli esami, sostenuti dinanzi a una Commissione uf-
ficiale, diedero risultati assai soddisfacenti, che accreditarono I I -
stituto. L'anno seguente gl'interni salirono a 80, quanti vi potevano
capire. Si mise tostó mano ai lavori per aumentare la capacita del-
l'edificio. Don Peretto gettó le basi di un'opera che divenne focolare
di cristiana e civile educazione. Di li a poco tennero dietro nella
stessa cittá le Figlie di Maria Ausiliatrice, che vi apersero una
Casa di beneficenza, arca di salvezza per tante povere fanciulle.
Visitate le case dell'Argentina, dell'Uruguay e del Brasile, Mons.
Cagliero avrebbe voluto visitare anche i Confratelli di Quito, che
(1) Lett. di Don Lasagna a Don Rúa, Villa Colon, 14 novembre 1889. Le Letture Cattoliche in
spagnolo si pubblicavano da parecchi anni a Buenos Aires.
(2) II med. al med., Lorena 6 settembre 1887.
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Fondazioni in Argentina, Cile, ecc. durante il quadriennio 1890-93
ne sospiravano la venuta; ma FEquatore era troppo lontano, e
quindi nel 1890 vi mandó come visitatore Don Costamagna. Egli si
contentava d'inviar loro con frequenza conforti e consigli per let-
tera. A Quito, trascorsi un anno e pochi mesi dall'arrivo dei Sale-
siani, le costruzioni primitive non si riconoscevano piú. II Collegio
albergava un centinaio di artigiani; ma si stava studiando il modo
di far posto a un maggior numero. Un decreto del Parlamento con-
ferí a ogni Deputato il diritto di collocarvi a spese del Governo
tre alunni, perché imparassero un mestiere. All'oratorio festivo si
presenta vano anche indietti, di cui nessuno si cura va, ignorante
sulla via dell'abbrutimento; eppure nel Collegio con un po' di pa~
zienza e di carita si trasformavano. In soccorso dell'oratorio si or-
ganizzó un Comüato, che provvedeva regali e premi e cerca va lavoro
ai disoccupati; alcuni signori facevano anche il catechismo; come
iiei primi tempi di Don Bosco. Nell'esposizione nazionale del 1891
i Talleres del Sacro Cuore, al quale era dedicata la Casa, ottennero
una medaglia d'oro per i falegnami, due d'argento per i fabbri e
tre di bronzo per i sarti, calzolai e sellai. Ai laboratori qui indicati
furono aggiunte la tipografía, la legatoria e la fabbrica di carrozze.
Del bene che tutti vedevano in Quito, la stampa diffondeva la
notizia nella Repubblica, onde arrivavano frequenti proposte per
fondazioni; una proposta pero la vinse su tutte le altre. Nel set-
iembre del 1890 il Cardinale Rampolla, Segretario di Stato, co-
municó a Don Rúa d'aver ricevuto una lettera, in cui il signor
Flores, Presidente della Repubblica equatoriana, in base a un de-
creto legislativo, con cui si stabiliva di fondare due scuole profes-
sionali, Fuña a Cuenca e Faltra a Riobamba, domandava Finvio
di alcuni Salesiani per commetterne loro la direzione. Don Rúa
rispóse limitandosi per allora ad accettare la scuola di Riobamba,
ma esprimendo intanto la fiducia di poter piú tardi accettare anche
quella di Cuenca.
Riobamba é situata a mezza strada fra Quito e Guavaquil.
Da piú anni i Salesiani vi erano aspettati per prendersi cura della
gioventü derelitta. Cinque dei Missionari partiti nell'agosto del 1891
con Don Calcagno eran destinati alia fondazione di Riobamba; la
121
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Capo XI
direzione fu affidata a Don Antonio Fusarini, che dal 1888 tro-
vavasi nelFEqu atore. Partirono dalla capitale il 5 novembre. Al
quarto giorno di viaggio mancavano due ore per arrivare alia meta,
quand'ecco venir loro incontro le persone piú qualificate del luogo
e accompagnarli a cavallo come in trionfo alia casa per loro prepa-
rata. Non si pensi a un palazzo o a qualche cosa di simile. Tro-
varono un piccolo edificio tutto di fango e per giunta con ven-
t'anni di esistenza, che gli pesavano sopra. Non parliamo poi di co-
moditá, anche delle piú necessarie. Quindici giorni di lavoro furono
appena sufficienti per allestire la cappella e il resto. II titolo era
Talleres de S. Tomás Apóstol. L'inaugurazione solenne ebbe luogo
1'8 dicembre. In quel giorno i Salesiani ricevettero, a dir vero, onori
principeschi. All'accademia della sera presero la parola i piú co-
spicui rappresentanti della cittá; alia buona riuscita del tratteni-
mento cooperarono attivamente Gesuiti e Fratelli delle Scuole Cri-
stiane. La popolazione vi partecipó con entusiasmo.
Bisognava dunque corrispondere a tanta aspettazione. I Sale-
siani si misero senz'altro al lavoro. D u r a n t e l'anno scolastico 1891-92
impiantarono i laboratori dei fabbri e meccanici, dei sarti e cal-
zolai, dei falegnami e sellai. Pero fino al 1896 il numero degli alunni
non arrivó mai a 60 e vi stavano pigiati. Le difficoltá dei tempi,
caúsate dalle frequenti lotte politiche, e le intromissioni estranee
nell'economia domestica intralciarono assai lo sviluppo dell'opera.
Tuttavia di buoni risultati se ne raggiunsero, come ne facevano
fede le esposizioni annuali dei lavori. La banda musicale, discipli-
nata dal Direttore, contribuí non poco a far apprezzare l'Istituto.
La volta di Cuenca venne due anni dopo Riobamba, nel 1893.
La Casa era un internato per scuole di arti e mestieri. Nei primi
nove mesi i Salesiani si acconciarono alia meglio in un'ala di fab-
bricato appartenente alia parrocchia; ma verso la fine di agosto
passarono a occupare un altro stabile, che offriva loro maggiori age-
volezze e soprattutto ne assicurava l'intera indipendenza. Al sólito,
Foratorio festivo trionfava.
La casa di Cuenca si trovava al margine di un territorio, le
cu i foreste erano popolate di certi Indi, dei quali i Salesiani avreb-
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Fondazioni in Argentina, Cile, ecc. durante il quadriennio 1890-93
bero presto ricevuto la missione d'occuparsi, come fra non molto
vedremo. Non si creda tuttavia che i figli di Don Bosco si fossero
fino allora disinteressati di quella razza sventurata, i cui rappre-
sentanti si aggiravano un po' dappertutto. La Casa di Quito nel
1892 ne aveva sette. Fu allestito appositamente per loro un labo-
ratorio di cappellai. Uno di essi diede occasione di rilevare come la
Capitale vedesse con simpatía il loro incivilimento. Questo fu ai
7 agosto, quando si fece la festa della premiazione. Al saggio as-
sistettero tutti i Vescovi Equatoriani, radunati a conferenza presso
il loro Metropolita; sedeva al posto d'onore lo stesso Presidente della
Repubblica Cordero. Venne chiamato a ricevere il premio anche
un indiotto proveniente dai dintorni di Quito. AlPudirne il nome e
la qualitá gli astanti rimasero sorpresi. Quando poi fu visto il figlio
della foresta avanzarsi tímido, vestito nel suo costume — capelli
cadenti sugli omeri, scalzi i piedi e nude fino al ginocchio le gambe,
calzoncini bianchi e poncho sulle spalle — l'assemblea scoppió
in un prolungato applauso. II poverino, confuso e commosso, si ac-
costó trepidante al Capo dello Stato. Questi nel consegnargli il pre-
mio — un utensile del suo mestiere — provó tale contentezza che
se lo strinse al seno, affettuosamente abbracciandolo, mentre il pub-
blico rinnovava i battimani, che accompagnarono il premiato fino
al suo posto.
Prima del Tindío il Presidente aveva premiato un giovanotto
sarto, rimettendogli il diploma di maestro nel suo mestiere. Ne lo
aveva giudicato meritevole una Commissione esaminatrice. II suo
trionfo fu oggetto d'ammirazione agli astanti, di soddisfazione ai
Superiori e di emulazione ai compagni. II Presidente nel discorso
di chiusura formuló, come Capo dello Stato, il voto che l'Opera di
Don Bosco estendesse i suoi benefici influssi in tutte le province
della Repubblica.
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CAPO XII
Entrata dei Salesiani nella Colombia,
nel Perü e nel Messico.
Nei primi tempi coloro che desideravano andaré nelle Missioni,
potevano, senza aspettare ordine o invito, farne domanda. e tali do-
mande non iscarseggiavano; anzi i richiedenti superavano sempre
di gran lunga il numero dei prescelti. A determinare le preferenze
contribuiva anche la gagliardia física. II desiderio di partiré so-
leva essere ispirato da alto idéale di apostolato; se poi a questo
idéale si accoppiava puré il pensiero di andar a portare il vessillo sa-
lesiano in qualche nuovo Stato, allora I'ardore missionario pigliava
maggior forza dall'amore per la Congregazione, al cui espandersi
era gloria recare il proprio contributo. Gli entusiasmi di cinquan-
t'anni fa, chi non li visse, oggi stenta a comprenderli. Un'alba ra-
diosa rapisce assai piú che non il solé meridiano. Animati dunque
da simili sentimenti, salparono dall'Europa i Soci che dal 1890 al
1892 entrarono primi nella Colombia, nel Perü e nel Messico, pren-
dendo stanza nelle Capitali di queste tre Repubbliche.
Rifacciamoci per la Colombia dalla narrazione del volume pre-
cedente (1), completándola e conducendola a termine. II primo do-
cumento risale al Io novembre 1886: é una lettera franéese del Ge-
nérale Velez, Ministro di Colombia presso la Santa Sede, a Don
Bosco. II Ministro esordiva cosi: «La fama meritatissima del be-
néfico Istituto che voi, pieno di carita, avete fondato per giovani
artigiani, studenti e orfani, é giunta fino a noi, e il mió Governo, i
Prelati e quanti s'interessano degli sventurati, sonó ansiosi di ren-
(1) Pp. 602-4.
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Éntrala del Salesiani nella Colombia, nel Perú e nel Messico
dere il popólo colombiano partecipe dei benefici da voi recatí alia
societá moderna. » Seguivano quindi le proposte. L'accenno ai Pre-
lat.i ave va buon fondamento; infatti il 21 gennaio dell'anno seguente
TArcivescovo di Bogotá Giuseppe Telesforo Paul scriveva per contó
suo a Don Bosco nel medesimo senso (1). Le risposte furono iden-
tiche: ringraziamenti, impossibilitá per mancanza di personale, pro-
messa per piú tardi.
Allora il Governo colombiano fece intervenire l'autoritá della
Santa Sede, come abbiamo narrato. Don Bosco promise, ma senza
determinazione di tempo. Morto Don Bosco. la pratica fu ripresa
nel febbraio del 1888. Mons. Cagliero, che si trova va a Roma e con
cui il Ministro colombiano aveva avuto da Don Rúa autorizza-
zione a trattare, si sforzó di chiarire anche in alto luogo, come il
Successore di Don Bosco e gli altri Superiori fossero tutti d'accordo
nel desiderare la fondazione di Bogotá; essere solo questione di tem-
po; avere Don Bosco ingiunto di non aprire per qualche tempo
nuove Case dopo la sua morte. ed essersi dato puré dal Santo Padre
iJ medesimo consiglio; inoltre non sapersi peí momento in che modo
trovare il personale necessario. Ma il Genérale Velez non volé va
sentiré ragioni. — Si é promesso, diceva, e bisogna mantenere la pa-
rola. Almeno si dia al mió Governo una risposta categórica ri-
guardo al tempo. II Governo é ora cattolico e desideroso del bene
della gioventü e vuole una decisione. — Monsignore ebbe la fran-
chezza di dichiarargli che personalmente egli non amava intavo-
lare trattative con Governi sudamericana oggi buoni e domani cat-
tivi; aggiunse che i Salesiani preferivano una Casa indipendente e
di loro proprietá. II Ministro rispóse che si sarebbe incaricato di
farla donare; solo si dicesse per quando (2). Non aveva cessato in-
tanto di premere presso la Santa Sede; onde la seconda lettera del
24 aprile 1888 del Card. Rampolla, citata nell'altro volume. per ri-
(1) Diceva fra Faltro: < Vos peres trouveront en moi un vrai pére. J'appartiens á la Com-
pagine de Jésus et j ' a i appris de mon Pére S. Ignace a vous aimer et á vous aider >. Monsignore rí-
scrisse il 19 ottobre, insisíendo e dicendo: « Le moment est tres favorable, l'opiníon aussi par rapport á
votre Congrégation. » Egli parlava anche di Missioni ai selvaggi, che avevano loro capanne nei din-
toini stessi della capitale.
(2) Lett. di Mons. a Don Rúa, Roma, 25 marzo 188S.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

16 Pages 151-160

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Capo XI1
chiamare a Don Rúa la promessa di Don Bosco. Don Rúa gli ri-
spóse il 2 maggio:
Onorato dalla venerata sua lettera del 24 spirato aprile relativamente alia
fondazione di casa Salesiana nella Colombia, ho il piacere di assicurare l'Em.
V. Rev.ma che noi abbiamo la stessa buona volontá del rimpianto nostro
Amat.mo Padre Don Bosco di venerata memoria; ma, come Lui, non possiamo
correré per varié imponenti ragioni, fra cui quelle che giá aveva il Sig. D. Bosco,
cine grande mancanza di personale, grandi strettezze materiali, e vari impegni
anteriori che da tempo aspettano Tadempimento loro. A queste poi ora s'ag-
giungono altre ragioni non meno stringenti, cioé la raccomandazione che prima
di moriré ci fece il nostro caro Padre, di non aprire cioé case nuove, oltre le
giá stabilite, fintanto che siano meglio consolídate le giá esistenti, che molto
difettano di personale; poi la stessa raccomandazione che ci ripeté últimamente
lo stesso S. P. Leone XIII. Per questi motivi siamo costretti ad andar adagio.
Tuttavia, fatti i nostri conti e fidati nel divino aiuto, speriamo poter soddisfare
il Governo Colombiano almeno nel 1891 e forse anche nel 1890, senza pero poterne
daré assicurazione.
Nello stesso mese il Velez, di ritorno da Parigi, si fermó all'O-
ratorio, dove fu compilato uno schema di Convenzione. Continua-
rono poi le discussioni su vari punti della medesima, orali a Roma
col Procuratore Don Cagliero e scritte con Don Rúa. S'arrivó cosi
al 30 marzo 1889, nel qual giorno p a r t í dal Vaticano questo biglietto
del Card. Rampolla a Don Rúa: « Avendo il S. Padre espresso il
desiderio di avere un colloquio con V. S. Rev.ma mi affretto a rén-
demela avvertita, sicuro che si recherá Ella sollecitamente in Ro-
ma. » Don Rúa si preparava al viaggio, quando ricevette dal Pro-
tettore Card. Parocchi la seguente lettera con la medesima data del
precedente:
Torno ora dall'udienza pontificia, dolente che i miei carissimi Salesiani
abbiano, senza volere, disgústate) la Santitá di N. Signore.
II Santo Padre ardentemente desidera che si accetti dalla riostra Congre-
gazione la nuova Casa in Colombia, e la Congregazione rifiuta. Comprendo
le difficoltá Helia fondazione, veduta la scarsitá de' soggetti e la moltitudine
de' bisogni da provvedere; ma dinanzi al Papa conviene piegarsi, per cosi diré,
anche all'impossibile, con la fede che porta via le montagne.
Sua Beatitudine pensava di chiamare per questo V. R. a Roma, ma a cessarLe
incomodo, ha preferito di scriverLe per mezzo mió il suo volere perentorio, e non
clubito che i Salesiani obbediranno súbito e allegramente.
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Éntrala del Salesiani nella Colombia, nel Perú e riel Messico
Ci possiamo ben figurare come rimase Don Rúa nel leggere
questa comunicazione. Aveva giá risposto al Segretario di Stato,
ma non conosciamo il tenore della lettera. Al Protettore rispóse cosi:
Ricevetti domenica scorsa 31 marzo invito da S. E. Rev.ma il Cardinal Ram-
polla di recarmi a Roma, che il S. Padre desiderava parlarmi. Risposi imme-
diatamente che sarei partito mercoledi, 3 del corrente, per trovarmi il giorno 4 in
Roma. Stava infatti facendo oggi i preparativi, quando mi giunse la venerata
Sua che mi dispensava da tale viaggio, indicandomi l'oggetto cui il S. P. avrebbe
voluto intrattenermi e notandomi che i Salesiani senza oolere lo hanno disgústalo.
Non puó immaginarsi quanta pena tale notizia abbia arrecato ai nostro cuore,
ed io mi affretto a rispondere per metiere in chiaro le cose e cosi togliere ogni
motivo di disgusto a Chi tutti i Salesiani desiderano recare ogni consolazione
e giammai il minimo dispiacere.
Da quanto possiamo rilevare, si cerca di far in tendere al S. Padre che noi
ci rifiutiamo di acceitare la nuova casa in Colombia. Voglia, di grazia, assicurare
Sua Santitá che, sapendo essere suo desiderio che accettassimo, non solo non ci
riíiutammo, ma fin dal Maggio scorso, parlando con S. E. il General Velez qui
nell'Oratorio abbiamo formulato una convenzione, in cui, dando alia Colombia
la preferenza a tutte le altre dimande, abbiamo fissato il termine piú breve che
ci fosse possibile e fra gli altri articoli si legge quanto segué: « Art. 12. In Gen-
naio 1891 partirá il primo drappello di Salesiani per Bogotá di Santa Fe' Capi-
tale della Colombia e, se sará possibile, si anticiperá tale partenza. »
Come vede, é giá cosa intesa l'accettazione di quella casa. II punto su cui
non si poté fin ora metterci d'accordo si é che il sullodato Signore vorrebbe che
andassimo in Gennaio del 1890, mentre noi teniamo fermo peí 1891. Come fare?
Nelle strettezze in che ci troviamo di personale, non sapremmo proprio come
risolvere il problema senza spogliare altre case del personale assolutamente
indispensabile. Diró di piú: nel sostenere la partenza peí 91 abbiamo sempre
creduto ferinamente di fare atto di obbedienza a S. S. che, quando l'anno scorso
ebbi la somma ventura di avere l'udienza dopo la morte del compianto nostro
Padre, mi raccomandó caídamente di andar molto adagio per qualche tempo ad
aprir nuove case, bensi pensare a bene stabilire le giá esistenti; e mi portó
l'esempio di altre Congregazioni religiose che, essendosi troppo presto diffuse
in tan te fondazioni senza un personale adatto, non poterono convenientemente
sostenersi. Dietro queste raccoinandazioni del S. P., che tostó comunicai a tutta
la nostra pia Sociefcá, ci siamo sempre fatti forti della parola del Sommo Pontefíce
ogni qualvolta ci giungeva qualcuna delle numerosissime dimande che ci si fanno
continuamente; ed anche quando il prelodato Cardinale Segretario di Stato ci
raccomandava qualche tempo fa quella casa della Colombia dicendoci che avrebbe
fatto piacere al S. Padre, abbiamo crédulo che ció si dicesse solo peí caso che
avessimo avuto il personale necessario; che del resto la volontá del S. Padre
rosse che ci tenessimo saldi alia calda raccomandazione fattami.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XU
Faccia, di grazia, l'E. V. le nostre scuse a Sua Beatitudine e chieda se sia
sua volontá che anticipiamo di un anno, malgrado qualunque diffícoltá. In tal
caso a costo di qualsiasi sacriíizio noi procureremo di provvedere a tale spedi-
zione peí gennaio prossimo e diremo anche noi: In nomine tuo laxabo vete» con
la ferma fiducia che la benedizione del S. Padre ci preserverá dagl'inconvenienti,
di cui nella paterna sua bontá ci parlava come avvenuti ad altre religiose Asso-
ciazioni per essersi troppo presto diffuse senza avere il personale adatto. Spero
che il S. Padre vorrá tuttavia benedirci ed amarci; come spero che l'E. V. vorrá
presto consolarci con una risposta che ci faccia c^. trámente conoscere la sovrana
sua volontá per nostra regola di condotta.
II Cardinale riscontró il 10 aprile, scrivendo fra l'altro: « II S. Pa-
dre, degnaíosi accogliere benignamente i sentimenti de' quali V. R.
desiderava che io me Gli íacessi interprete, mi ha incaricato signi-
ficarLe essere sua ferma volontá, che l'apertura della Loro Casa
in Colombia sia fatta nel 1890, anziche nel 1891. »
Succedette un nuovo scambio di corrispondenza col Ministro, fin-
ché questi l'ultimo di aprile, tornando dalla Francia, si trattenne
una seconda volta a Torino. Don Rúa gli usó la cortesia d'invitarlo
ad assistere alia seduta del Capitolo Superiore, nella quale si fis-
sarono definitivamente gli articoli della Convenzione (1).
(1) Alio scopo di provvedere aireducazione religiosa, scientifíca ed artística della gioventü Colom-
biana, tra il Governo della Repubblica di Colombia rappresentato dal suo Ministro presso la S. Sede
1 Eccellen mo Sign. Dott. Gioachino Fr. Velez ed il M. R. Sacerdote Michele Rúa, si conviene quanto
segué:
lo II Governo della Colombia cede al sacerdote Michele Rúa ed a' suoi Successori Tuso dei lo-
cali e adiacenze che tiene preparati per scuole d'arti e mestieri, e li provvederá a sue spese del mo-
bilio, macchine ed utensili necessavi per ogni impianto di laboratori che si fará. La riparazione dei
locali sará sempre a carico del Governo.
2o II medesimo provvederá alie spese di viaggio di tutto il personale che dovrá recarsi a quelli
lstituti nel corso di dieci anni, e di tutti i viaggi che si dovranno intraprennere nell'interesse dei me-
desimi mediante partecipazione al Governo; e stabilisce fin d'ora le spese di viaggio per ciascuna per-
sona a lranchi due mila in oro.
3o Sei mesi prima della partenza dei primi Salesiam il Governo anticiperá al Sac. Michele Rúa
per i'avviamento dello Stabilimento la somma di quarantamila franchi in oro.
4o II Governo dispenserá i Salesiani e le loro Case da ogni diritto di Dogana, e loro accorderá la
franchigia póstale e tutti gli altri privilegi che venissero accordati agli altri Ordini Religiosi.
5o Si térra un esatto inventario di tutti gli oggetti provvisti dal Governo, i quali dovrá il
Sac. Michele Rúa restituiré al Governo medesimo quando, quod Deus aoertat, dovesse abbandonare In-
stituto, nello stato in cui si troveranno.
Si converrá col Governo la somma annua che si dovrá pagare al Sac. Michele Rúa, od a chi lo
rappresenta, per le riparazioni delle macchine, utensili, ecc.
6o La Direzione ed Amministrazione interna dciristituto, la disciplina, l'orario delle diverse oc-
cupazioni spetteranno interamente al Sac. Michele Rúa od al Dircttore da lui nominato.
?o Oltre i giovani che saranno accettati dalla Direzione, sará in facoltá del Governo mandare al-
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Entrata dei Salesiani nella Colombia, nel Perú e riel Messico
Quanto il Papa ci tenesse a quella fondazione, lo diede a vedere
il 29 agosto in un'udienza a due Salesiani. Udito che uno di essi ve-
niva da Torino e che siava nelFufficio del Superiore Genérale, gli
disse teshialmente (1): « Dite a Don Rúa che mi tenga preparati co-
loro che devono andaré nella Colombia. lo contó molto su questa
Missione, di cui mi sonó inteso con lui. Questa Missione mi sta molto
a cuore. »
In novembre il Ministro Velez manifestó a Don Rúa un timore
del suo Governo circa difficoltá che sarebbero potute insorgere per
il prospero avviamento dell'Istituto. I laboratori salesiani non avreb-
bero fatto concorrenza agli operai della cittá? Don Rúa gli ri-
spóse il 16:
Potra l'E. V. assicurare l'Eccellentissimo Governo, che é nostro impegno,
ovunque ci troviamo, di non fare mai in alcun modo concorrenza cogli operai
della cittá; ci adoperiamo anzi con tutti i mezzi possibili per venir loro in aiuto.
i prezzi che fissiamo sonó regolarmente gli ordinari e correnti nelle officine e
nei negozi; nessuno puó ragionevolmente lamentarsi di ricevere danno dai giovani
operai dei nostri Istituti. Tra pochi anni, quando l'Istituto di Bogotá avrá preso
il necessario sviluppo e potra consegnare ai proprietari delle officine e dei negozi
della cittá bravi operai cristianamente educati, il Governo ne riceverá lodi e
ringraziamenti.
l'Istituto degli alunni interni, purehé forniti delle condizioni nchieste per l'accettazione, mediante una
pensione mensile di otto pesos in moneta del paese. Quanto riguarda gli alunni esterni, si concerterá
fra le parti.
8o Affinché un giovane sia accettato nell'Istituto, dovrá essere sano, robusto e ben disposto della
persona, nell'etá non inferiore ai 12 anni e non superiore ai 18; dovrá presentare gli attestati di nascita
e battesimo, di vaccinazioac e della condotta morale tenuta anteriormente, rilasciato questo dal Párroco.
9o Quando alcuno degli alunni raecomandati dal Governo fosse colpito da malattia contagiosa o
crónica, o tenesse una condotta immorale o per qualunque altra ragione riuscisse di danno ai com-
pagni, il Direttore sará in piena facolta di allontanarlo; solo avvertirá preventivamente il Governo, af-
finché occorrendo possa provvedere al suo collocamento.
10o Sara puré in facolta del Direttore dell'Istituto l'applicare ad un'arte o mestiere, oppure agli
studi qualunque degli alunni raecomandati dal Governo.
lio Nel mese di Gennaio 1890 partiranno i primi dieci Salesiani per andaré ad aprire il loro Isti-
tuto a Bogotá, e nel Gennaio del 1892 partiranno altri per fondare un'altra casa in Cartagena.
12o In ogni stabilimento vi saranno almeno questi quattro mestieri: fabbriferrai, falegnami, sarti e
calzolai. senza pregiudizio dell'insegnamento morale e scientifico in uso presso i Salesiani.
13o 11 Governo potra affidare i suoi lavori all'Istituto, che gli fará tutte le facilitazioni possibili.
14o Fuori di questo, tutti i benefizi che avrá lo stabilimento saranno devoluti alio sviluppo del
medesimo.
15o Qualora il Governo intenda rescindere il contratto, dovrá darne il diffidamento tre anni prima
e pagheru le spese di viaggio che i Salesiani dovranno fare.
(1) Lett. di Don Palmicn a Don Rúa, Roma, 30 agosto 1889.
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Capo XU
Se é desiderio di V. E. che sia aggiunto un articolo alia convenzione per
meglio assicurare il Governo che i Salesiani non faranno concorrenza cogli operai
della cittá nel prezzo dei lavori, ben volentieri io acconsentiró; se puré non sará giu-
dicato di maggiore convenienza fare poi particolari intelligenze col Direttore del-
l'istituto e fissare all'uopo norme pratiche.
II Velez, lodando lo spirito cristiano di questa risposta, preferí
l'inserzione di un articolo addizionale, che fu cosi concordato: « Per
tutto lo spazio di tempo, nel quale il presente Contratto avrá vi-
gore, i prezzi dei lavori affidati alie Case Salesiane stabilite nella
Colombia e dei prodotti delle medesime esposti in vendita saranno
fissati dal Governo, che adesso presta aiuti e sussidi, previo accordo
coi Direttori delle medesime, e tenendo per norma i prezzi ordinari
e correnti nelle officine e nei negozi della Repubblica. »
[ Salesiani salparono il 10 gennaio 1890 dal porto di Saint-Na-
zaire. Li guidava Don Michele Unia, in assenza del Direttore desi-
gnato, Don Evasio Rabagliati. Gran popolaritá erasi questi guada-
gnata non solo in Concepción, ma anche a Santiago e in altre cittá
cilene (1) specialmente con le sue predicazioni, sicché credeva di non
dover uscire mai piü da quella Repubblica; invece ricevette l'or-
dine di fare le valige, partiré per Bogotá in modo da precedervi gli
altri, e assumere la direzione del nuovo Collegio, che sarebbe inti-
tolato a Leone XIII. Egli, recatosi prima da Mons. Cagliero per rice-
verne le istruzioni, si mise tostó in viaggio verso il luogo assegnatogli
dall'obbedienza.
Gli iünerari erano stati concertati da ambe le partí; ma un do-
loroso incidente fece toccare con mano una volta di piü quanto sia
vero che a questo mondo l'uomo propone e Dio dispone. Uno del
drappello missionario, il bravo chierico Giuseppe Eterno, fu coito
sull'Oceano da fiera polmonite. Ricevette nel piróscafo tutte le cure.
Sembró rimettersi; ma, essendo la debolezza estrema, i medici di
bordo consigliarono di farlo sbarcare nel primo porto, perché po-
tesse riposare tranquillamente alcuni giorni. Entrata quindi la nave
(1) Mons. Cagliero a Don Rúa, Vicdma, 1890: < Mi giungono proteste da tutte le partí e da tutte
le classi di persone del Chili per questa traslocazione. >
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Éntrala dei Salesiani nella Colombia, nel Perú e nel Messico
nel porto venezuelano di La Guaira, D. Unía lo accompagnó a un
piccolo ospedale, fondato da un párroco Machado, Cooperatore sale-
siano; ma non gli bastó l'animo di lasciarvi solo l'infermo. Faceva con
i nostri per la sesta volta il viaggio a Bogotá un ingegnere romano,
impiegato del Governo di Colombia. Persona gentilissima e assai pra-
tica, prese sotto la sua protezione gli altri Salesiani, assicurando che
non avrebbe lasciato mancar loro nulla, finché non li avesse visti ben
collocati nella Capitale colombiana. Avvenuta la triste separazione, il
chierico, posto in un buon letto, parve che riposasse; ma dopo un paio
d'ore ecco aH'improvviso comparire sintomi allarmanti. Un languore
mortale s'impadroniva di lui. Gli si amministrarono i sacramenti, che
ricevette con edificante pietá, e di li a poco resé l'anima a Dio. II po-
vero Don Unia rimase impietrito. Sparsasi la dolorosa notizia, ac-
corsero dalla Capitale Caracas vari distinti ecclesiastici, fra cui il
grande benefattore dei Salesiani Don Arteaga (1). Tutta la popo-
lazione del sobborgo prese parte al lutto. II párroco Machado prov-
vide a ogni cosa. Giunta Tora del trasporto, l'Arcidiacono della Cat-
tedrale di Caracas Don Castro fece la levata del cadavere. Sacerdoti
della Capitale e del luogo si disputavano l'onore di recar sulle spalle
la bara al carro fúnebre; la stessa gara si rinnovó per portarla da!
carro in chiesa. Quattro carrozze, in cui presero posto membri del
clero e signori laici, scortarono il féretro fino al camposanto. II
sacrificio della giovane esistenza non doveva rimanere senza frutto,
come vedremo.
Compinto il mesto rito, non essendovi vapore per la Colombia, Den
Arteaga menó seco Don Unia a Caracas, trattandolo per circa sette
giorni come il piú caro dei fratelli. Don Unia, confortato da tante di-
mostrazioni di affetto, ma in cuor suo affranto dal dolore, s'imbarcó
il 5 febbraio per Cartagena, do ve pensava di trovare i suoi; ma an-
ch'essi avevano avuto le loro peripezie, né avevano potuto attendere.
Lasció la cittá il 22 senza sapere che stava per arrivare la Don Raba-
gliati, al quale puré varié altre peripezie avevano impedito di viag-
giare piú sollecitamente. II Direttore giunse a Bogotá sul principio
di marzo, quando c'erano giá tutti gli altri.
(1) Annali, pag. 601.
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16.7 Page 157

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Capo Xll
Dopo tante enfatiche promesse pareva a tutti, e parra anche ai
lettori, che a Bogotá i Salesiani dovessero trovare un piccolo para-
diso (1). Invece non TÍ era milla di prepárate, nemm'eno la casa. For-
tuna che apersero loro fraterna ospitalitá i Gesuiti! Ricorsero al
Ministro, che, fatto sgombrare un piccolo edificio insufficiente, sede
di scuola nórmale f emminile, ve li mise dentro. Don Rabagliati, appena
giunto, telégrafo al Capo del Governo, che era a Cartagena. Un mese
dopo arrivó la risposta: ossia un dispaccio con l'ordine di togliere i
soldati dal convento del Carmine e di adattare per i Salesiani que! ló-
cale, a spese del Governo (2). Una parte pero rimase ancora occupata
per qualche tempo dall'ospedale militare. II Vescovo diede loro la
chiesa del Carmine.
Don Rabagliati il 12 giugno invió a Don Rúa una relazione di
tante contrarietá e anche di malattie caúsate da infezioni del vicino
ospedale. Don Rúa gli rispóse il 30 luglio: « La prima spedizione colom-
biana per noi fu veramente violenta. Noi insistevamo per differirla
fino al 1891; ma il Ministro Velez tanto fece colie sue lettere e coll'in-
terporre l'aiitoritá del S. Padre, che ci trovammo obbligati nostro mal-
grado a fissarla peí Gennaio corrente anno. Pare proprio che tanta
premura e violenza che ci si faceva non fosse gradita al Signore: in-
fatti uno mori per viaggio, ció che mai ci era avvenuto, un altro non
poté recarsi alia sua destinazione; il Direttore che doveva arrivare
il primo, arrivó l'ultimo; giunti costa, eccovi assaliti da varié malattie
e ció che ci fece tanto pena, con si grande premura che ci si faceva,
costi nulla era prepárate. Speriamo voglia il Signore farla fiorire in
seguito, quanto piú e stata tribolata in principio. »
Nelle descritte condizioni non si poteva certo pensar ad aprire
l'ospizio per ricevere convittori; non si stette pero con le mani in mano.
L'oratorio festivo e la chiesa davano da fare. II Direttore incontrava
molto con la predicazione. Nel mese di luglio, sacro alia Vergine del
Carmine, si accalcava alie sue prediche tanta gente, che per evitare
disgrazie bisognó mettere sull'ingresso della chiesa un buon picchetto
di soldati. Due ore prima il popólo invadeva anche la sagrestia e l'or-
(1) Lett. di Don Lazzero a Mons. Cagliero, Torino, 29 luglio 1890.
(2) Verb. del Cap. Sup., 6 novembre 1890.
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Entrata dei Salesiani nella Colombia, nel Perú e nel Messico
chestra. E poi dopo confessioni senza fine. In seítembre la necessitá
di conferiré con i Superiori lo obbligó a partiré per Torino.
Egli fra l'altro sottopose al Capitolo Superiore tre nuovi articoli
che il Governo avrebbe voluto aggiungere alia Convenzione. In quelli
esso Governo si obbligava a passare 50 pesos mensili ad ogni Sale-
siano, a provvedere le materie prime per i laboratori e ad impiegare
i proventi dei lavori a vantaggio delPospizio. Ma non piacque al Ca-
pitolo che i Salesiani fossero stipendiati dal Governo; piuttosto si
aumentasse la pensione dei giovani pagata dal Governo. Anche gli
altri due articoli non parvero accettabili perché avrebbero sempre
potuto dar motivo a disturbi reciproci, a diffidenze e quindi a rotture,
secondo l'umore del Ministro pro tempore (1); perció non furono ap-
provati. Singiunse poi al Direttore, che avesse cura di far osservare
che nelle nostre case i laboratori sogliono essere passivi, e in genérale
tenesse presente la necessitá di evitare al possibile ingerenze gover-
native nelle nostre amministrazioni (2).
Prima della partenza per l'Italia Don Rabagliati aveva aperto il
Collegio con 50 interni di classi elementari e con i laboratori dei fa-
legnami, sarti e calzolai. L'anno dopo, grazie al nuovo personale con-
dotto dal Direttore e al macchinario portato dall'Italia, vi si aggiiBisero
i laboratori dei fabbri, meccanici, legatori e tipografi. Con le macchine
arrivarono puré gli strumenti della banda musicale, i cui concerti fu-
rono una bella sorpresa per la cittadinanza. Spettó al Ministro della
Pubblica Istruzione il mérito di aver compreso FOpera salesiana, di
averne apprezzato il Direttore, d'aver saputo mettere in valore Tuna
e l'altro dinanzi al Parlamento e infine d'aver favorito efficacemente
la costruzione di un nuovo edificio. In cittá la pia Unione dei Coo-
peratori, ottimamente organizzata, spalleggiava a tutto potere ogni
iniziativa, che movesse dai Salesiani.
In compagnia di Don Rabagliati viaggió fino a Lima Don Savio,
che andava ad esplorare il terreno per una fondazione voluta nella Ca-
pitale peruviana (3). I precedenti remoti si possono leggere nell'altro
(1) Verb. del Cap. Sup., 4 novembre 1890.
(2) Foglio di istruzioni, conservato nell'Archivio.
(3) Lett. di Don Savio a Don Rúa, Lima, 10 ícbbraio 1890.
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Capo XII
volume (1). La patria di S. Rosa, giá centro dell'apostolato di S. F r a n -
cesco Solano, antica residenza del Viceré di Spagna e dotata di una
famosa Universitá, aveva con 66 chiese moltissime Case religiose. Piíi
di tutti lavorano al bene della cittadinanza i Gesuiti, i Lazzaristi, i
Redentoristi e i Padri dei Cuori di Gesú e di Maria. Accanto a loro si
volevano a ogni costo i Salesiani, perché si prendessero cura della gio-
ventú povera e abbandonata. Piú di tutti ne caldeggiavano la ven uta
i buoni Padri Redentoristi.
Don Savio poté allora conoscere bene le disposizioni degli animi.
trattando con un Ente morale riconosciuto, denominato Societá di
Beneficenza, preposto in Lima a mol te opere di carita e ben f omito di
mezzi. Questo Ente aveva intenzione di stabilire nella cittá un Istituto
per povere fanciulle, affidandone la direzione alie Figlie di Maria Au •
siliatrice, assistite spiritualmente da tre Salesiani, i quali avrebbero
poi aperto, d'intesa col Governo, una scuola di arti e mestieri. Per il
detto Istituto aveva stanziato i fondi un munífico signore di Lima.
Don Savio scriveva il 10 febbraio a Don Rúa: « Vé molto entusiasmo
per le Opere salesiane e parecchi con cui ho parlato sonó quasi gelosi,
perché abbiate impiantato case al Chili, Equatore e Colombia prima
di pensare al Perú. » Anche liberali insistevano che si accettasse. Egli
pertanto avvió trattative officiose per fissare le basi d'un Contratto.
II signor Candamo, Presidente della Societá di Beneficenza e dive-
nuto nel 1904 Presidente della Repubblica, spedi in febbraio a Don
Rúa la domanda fórmale, unendovi uno schema di Convenzione con-
certato con Don Savio.
Don Rúa, quando giunsero queste lettere a Torino, andava facendo
il suo lungo viaggio per TEuropa; perció, non potendo consultare il
suo Capitolo, tardava a rispondere. Nel frattempo gli pervennero due
lettere importanti. Una era di Mons. Macchi, Arcivescovo di Amasea,
Delegato Apostólico al Perú (2). Scriveva dall'Equatore. Accennato a
due legati in favore dei Salesiani nella cittá di Lima, continuava:
Non so se Ella conosca con esattezza lo stato della chiesa e del laicato nel
IV.ru. lo come Delegato Apostólico ne sonó abbastanza informato per compian*
(1) Pp. 601-2.
(2) Quito, 15 marzo 1890.
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Éntrala dei Salesiani nella Colombia, nel Perú e nel Messico
gcrlo nella giusta misura e per lavorare con tutte le mié forze onde procurare
qualche rimedio a tanto male. Principalmente per ció che spetta al laicato, é
di prima ed assoluta necessitá migliorare la educazione morale e religiosa de' figli
del popólo, ponendola in mani sicure. II terreno, mi si assicura, é buono e puó
riuscire fecondo: poiché il Perú é una nazione che se presenta i vizi ed i difetti
piú o meno generali nel Sud-America, conserva nondimeno una energía di carat-
tere ed una virilitá di propositi che non sonó comuni alie popolazioni affini. Le
signore, grazie alia educazione che ricevono da religiose europee, sonó distin-
tissime per cultura e virtü: e la loro influenza, come la loro operositá per tutto
ció che puó migliorare moralmente il paese, é grande e degna di encomio. In una
parola, mió Rev. Padre, se vi é popólo che dovrebbe richiamare verso sé ed
incoraggiare il pietoso e caldo zelo dei figli di Don Bosco, é il Peruano; ed io come
rappresentante, sebbene indegnissimo, della S. Sede lo raccomando alia S. V. R.ma
con tutte le forze dell'animo. Per amor del cielo, invii in questo stesso anno alcuno
de' suoi Missionarii, magari per iniziarvi una scuola notturna; ed accetti peí 1891
o 92 al piú l'impegno della istituzione progettata dalla Societá di Beneficenza.
Solo desidererei che si affidasse la direzione a persona giá esperta della lingua e
de' cbstumi di queste Repubbliche, non solo perché possa il meglio possibile cor-
rispondere ai desideri ed aspettative generali, ma altresi perché invigili sopra i
Confratelli piú giovani e li guidi con mano ferma onde non inciampino ne' molti
pericoli che qui s'incontrano ad ogni passo, e facciano onore al nome veneratissimo
di D. Bosco.
L'altra lettera veniva dal Vaticano. In data 9 marzo il Card. Ram-
polla, informato dal Delegato Apostólico anche dei due legati, aveva
scritto: « II Santo Padre, a cui fu fatto di ció relazione, desideroso che
la magnanimitá di quei buoni fedeli, diretta a promuovere in quella
Repubblica una soda e morale educazione della gioventú, raggiunga
il suo intento, mi ha ordinato di scrivere alia S. V. R.ma interessandola
a mandare, al piü presto possibile, in Lima, alcuni Sacerdoti del be-
nemérito Istituto, a cui Ella degnamente presiede, perché abbiano a
compiere la fondazione di cui si tratta. » Don Rúa rispóse a Sua Emi-
nenza il 21 maggio da Parigi. Scusato il ritardo, proseguí va: « Puó
assicurare S. S. che dal canto nostro faremo quanto potremo per se-
condare i venerati suoi desideri. »
Don Rúa, ritornato a Torino per la festa di Maria Ausiliatrice, che
nel 1890 si celebró, come dicemmo, il 3 giugno, non poté r a d u n a r e
íl suo Capitolo prima del 6. II Capitolo, esaminato il disegno di
Convenzione, modificó alcuni punti, perché i Salesiani svolgessero
poi Topera loro in piena indipendenza e decise di esaudire la do-
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Capo XII
manda; intanto mandava la nota delle modificazioni desiderate (1).
11 Presidente della Societá non vi riscontró nulla che non fosse
accettabile; intanto notifico a Torino che il Ministro Plenipotenziario
del Perú in Italia aveva pieni poteri per conchiudere. II 25 luglio era
all'Oratorio il detto Ministro, accompagnato dal Segretario e dal Con-
solé, i quali tutti furono ammessi alia seduta capitolare, in cui si
doveva stipulare la Convenzione. II testo venne fissato di comune ac-
cordo (2); ma prima di spedire a Lima la risposta definitiva, si volle
aspettare l'approvazione ufficiale del Vescovo di Lima Mons. Yovar.
Tale approvazione arrivo solo nel maggio del 1891.
I Salesiani e le Suore partirono da Torino il 16 agosto seguente.
S'imbarcarono a Liverpool con altri, condotti da Don Calcagno. Era
stato nominato Direttore Don Antonio Riccardi, segretario di Mons.
Cagliero. Egli, venuto dalla Patagonia, precedette di un sol giorno a
(1) Verb. del Cap. Sup., f> giugno 1890. Possediamo la minuta della risposta, redatta da Don
Eonetti.
(2) Progetto di Convenzione fra Sua Eccellenza il Sig. D. Carlos Elias Ministro del Governo di
Lima ed il Rev.mo D. Michele Rúa per la creazione di un Orfanotrofio maschile in Lima: Animati dal
caritatevole scopo di provvedere all'istruzione e cristiana educazione della gioventü povera ed abban-
clonata della cittá e provincia di Lima, tra S. E. il Ministro del Governo ed il Rev.mo Sac. Michele Rúa,
líettor Maggiore della Pia Societá Salesiana si convenne:
lo Ll Governo dal canto suo cederá in proprietá assoluta od in uso perpetuo una casa con annessi
cortili e giardini capace di conteneré almeno trecento alunni.
2o Provveclerá tutti i mobili ed utensili necessari pei dormitori, laboratori, scuole, cucina, refet-
tori ecc. e la conveniente lingeria.
3o Provvederá puré tutti gli arredi sacri ed i banchi per la cappella; oppure, oltre il lócale come
sopra, dará per l'impianto la somma di L. 50.000. /// Governo preferí il secondo modo, depositando la
somma presto la Societá di Beneficenza, che la trasmise a Don Rúa in due rate per il tramite del Mi-
nistro peruano a Roma].
40 Per dieci anni il primo viaggio di ciascuno del personalc addetto alPorfanotrofio sará a carico
del Governo.
5o II Sig. D. Rúa si obbliga di aprire in Lima nell'anno
un istituto di arti e mestieri ed
eziandio di scuole elementan e di istruzione superiore per quelli che vi avessero attitudine.
6o 11 Direttore dell'Orfanotrofio, come rappresentante di D. Rúa, potra liberamente applicare ad
un mestiere oppure agli studi ciascuno dei giovani ricoverati.
7o L'aiiuuinistrazione e la disciplina dell'istituto sará interamente e liberamente affidata al mede-
simo Direttore.
8o Saranno sempre di preferenza accolti nell'istituto i giovanetti raccomandati dal Governo, pur-
cho siano ncll'etá non interiore ai 10 anni né superiore ai 14 e siano di sana costituzione física ed esenti
da difetti corporali.
9o Per ciascuno de' suoi raccomandati il Governo pagherá all'Orfanotrofio franchi 40 in oro cia-
scun mese. Quando alcuno tenesse cattiva condotta, per cui fosse di scandalo ai compagni, o fosse af-
fetto da malattia contagiosa o crónica, dovrá ritirarlo tostó che nc avrá ricevuto l'avviso dal Direttore.
10o Questa convenzione durerá cinque anni, e si intenrlcrá rinnovata per un altto quinqucniíio. se
daU'una delle parti non sará dato prcavviso due anni prima della seadenza.
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Éntrala dei Saíesiani nella Colombia, nel Perú e nel Messico
Lima Farrivo della spedizione, essendo il 27 setiembre a Callao, porto
principale del Perú. Componevano il gruppo due preti, fra cui Don
Pane, un coadiutore e nove Figlie di Maria Ausiliatrice. Piú tardi
venne ad aggiungersi Don Amerio da Concepción. Le suore fuirono
ospitate per venti giorni dalle Figlie della Carita ed i Saíesiani piú a
lungo dai Lazzaristi. Quelle il 15 ottobre iniziarono con le prime 30 gio-
vinette Ylstituto Sevilla, cosí detto dal nome del finanziatore; questi
si trasferirono il Io dicembre in una casa appartenente alia Societá di
Beneficenza. Veramente non fu come in Colombia: all'arrivo le case
c'erano, ma avevano bisogno di modificazioni per ben serviré alio
scopo, non avendo voluto la Societá che vi si mettesse mano prima di
conoscere le esigenze degli interessati; perció aveva pensato a far
trovare pronti i detti alloggi provvisori.
I Saíesiani, mentre esercitavano il sacro ministero all'Istituto fem-
minile, preparavano le basi della propria opera. L'8 dicembre inau-
gurarono l'oratorio festivo, frequentato anche nei giorni feriali. Le cose
durarono in questo modo fino al 15 agosto del 1892, nel qual giorno
fu ammesso il primo alunno interno, seguito poi da 39 altri nel primo
anno scolastico. Erano generalmente ragazzi poveri, che venivano ap-
plicati all'apprendimento di un mestiere. Si cominció con i laboratori
dei sarti, falegnami e calzolai; la carita privata veniva in aiuto. Le
feste religiose, celébrate alia maniera salesiana, parvero una novitá. che
destó vivo interesse, stimolando la beneficenza. Alia Casa fu dato per
titolare S. Francesco di Sales. L'ambiente cittadino si mostrava al tutto
favorevole.
Come rimontano in qualche modo a Don Bosco le origini remote
dell'Opera salesiana nella Colombia e nel Perú, cosi ha un certo qual
addentellato con le memorie del Santo l'andata de' suoi figli al Messico.
Trovandosi nel 1887 a Roma per Ja consacrazione della chiesa del
Sacro Cuore, egli ricevette la sera del 12 maggio una Camerata di
alunni del Collegio Pio-Latino Americano. Alcuni di essi gli doman-
darono quando i Saíesiani sarebbero andati nella capitale messicana.
II Santo rispóse: — Non saró io che manderó a Messico i Saíesiani;
fara il mió Successore quello che io non posso fare. Non ne dubitate. —
Questo si avveró quattro anni dopo la sua morte.
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Capo Xll
Notizie dei Salesiani e del bene che andavano operando in altre
Repubbliche dell'America latina si diffondevano anche a Messico, la
qual cosa fece si che il 23 giugno del 1889 sette soci del Circolo Cat-
tolico, desiderosi di procurare anche alia loro patria i benefici appor-
tati altrove dai figli di Don Bosco, si adunarono sotto la presidenza
del sig. Angelo De Lascurain per studiare i mezzi piú atti a conseguiré
1'intento. Udito da uno di essi, Cooperatore Salesiano, che cosa fosse
la pia Unione dei Cooperatori, deliberarono d'inscriversi tutti. Co-
stituito poi un Comitato promotore e avuta la benedizione dell'Arci-
vescovo Pelagio Labastida, si misero in relazione con Don Rúa, ren-
dendogli contó di quei primi passi. Don Rúa, dicendosene lieto, spedi
loro i diplomi di Cooperatori. Questo atto li riempi di gioia. Datisi poi
a propagare nella Repubblica la conoscenza di Don Bosco e dell'Opera
sua, raccoglievano sempre nuove adesioni; anzi i Vescovi messicani
gradirono di essere ascritti anch'essi fra i Cooperatori. La pia Unione
si estese tanto, che in breve il nome di Don Bosco divenne popola-
rissimo specialmente nella Capitale, dove molti si augurarono di vé-
d e m e presto i figli a lavorare per la loro gioventü.
Una si attiva propaganda aveva richiamato Fattenzione di Donna
Luisa García Cond. de Cosió, che, fattasi Cooperatrice, mise a dispo-
sizione del Comitato una sua casa, perché fosse trasformata in Col-
legio. Ma i Salesiani tardavano a venire. Allora quei buoni amici vol-
3eró affrettare l'apertura dell'Istituto, inaugurándolo essi senz'altro
sotto la direzione del sacerdote Enrico Pérez Capetillo, con le scuole
di tipografía e calzoleria e con le classi elementari notturne a vantaggio
prima di nove oríanelli, che poi diventarono 37, raccolti fra i piü poveri
e abbandonati dellá Capitale. Don Rúa, informato di tutto ció, be-
nedisse la santa iniziativa, prometiendo di mandare i Salesiani, non
eppena le circostanze glie l'avessero reso possibile.
Intanto il 4 febbraio 1891 moriva PArcivescovo, gran protettore e
benefattore dell'opera; poi si ritirava dall'opera il sacerdote Capetillo.
Parve che tutto dovesse croliare. Invece Don Rúa, cedendo alie reitérate
istanze dei Messicani, neü'ottobre del 1892 decise finalmente d'inviare
a Messico un primo drappello di Salesiani. Arrivarono il Io dicembre,
ricevuti con entusiasmo dai Cooperatori a Vera Cruz e da molti citta-
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Eníraía dei Salesiani nella Colombia, nel Perü e nel Messico
dini nella Capitale. Erano cmque, cioé tre preti col Direttore Don An-
gelo Piccono, un chierico e un coadiutore. Presentarono al nuovo Ar-
civescovo Alarcon una commendatizia del Card. Rampolla, nella quale
si leggeva: « Recherá questo mió foglio il capo dei Sacerdoti Salesiani
che vengono a prendere possesso della Casa che é stata per essi aperta
in cotesta Metrópoli. Sebbene io sia pienamente convinto che Ella fará
loro la piü paterna accoglienza e che si varrá del suo potere ed in-
fluenza per sostenerli e proteggerli nella loro missione e facilitare cosi
ad essi il conseguimento del nobile scopo per cui abbandonano la
patria, e si recano in coteste lontane regioni, con tutto ció non ho voluto
mancare di munirli di questa mia commendatizia, onde Ella sappia che
in tal modo fará cosa graditissima al Santo Padre ed a me. Imperocché
questi benemeriti figli di Don Bosco meritano tutto l'appoggio della
Santa Sede peí bene che f anno spiritualmente ed anche materialmente
in particolar modo con educare la gioventü alie lettere ed alie arti,
col prestarsi a soddisfare ai bisogni dei fedeli nelle loro svariate
forme.» A Don Rúa stesso era sembrato opportuno che andassero
muniti di un tale documento. Nel rimetterglielo Sua Eminenza gli
aveva scritto il 19 ottobre avere il S. Padre appreso con viva soddi-
sfazione la notizia della loro partenza e si diceva ben sicuro che essi
avrebbero dato cola luminose prove di quello spirito infuso dal fon-
datore nella sua Congregazione.
Ben presto i bisogni di una si grande Capitale, l'esiguo numero
d'Istituti per orfani, la turba innumerevole di fanciulli vaganti per
la cittá in braccio alia miseria e al vizio e le molteplici domande d'ac-
cettazione fecero comprendere la necessitá di un ingrandimento. Don
Piccono il 3 gennaio 1893, radunati i principali Cooperatori, espose
loro le sue intenzioni. Súbito la signora Giulia Gómez donó un terreno
di 20 mila metri quadrati; l'ingegnere Sozaya preparó gratuitamente
il disegno di un Collegio capace di 400 giovani; dopo una circolare del
Direttore cominciarono ad affluire le offerte. Le cose camminarono
cosi speditamente, che il 29 gennaio fu benedetta dall'Arcivescovo
la prima pietra dinanzi a una folla immensa, che mostrava di pren-
dere viva parte alia cerimonia e interessarsi grandemente dell'im-
presa.
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Capo Xll
In dicembre arrivarono sei Figlie di Maria Ausiliatrice e altri undici
Salesiani. Annunciando ai Cooperatori la venuta delle Suore, Don
Piccono non aveva esitato a scrivere il 23 novembre: « Esse verranno
qui non d'altro provviste che di buona volontá per fare del bene. »
Presero dimora provvisoriamente in una casa di Donna García, spe-
rimentando súbito la generositá dei benefattori.
Nell'anno stesso erano giá pronti alcuni saloni; ma l'inaugurazione
solenne fu rimandata al 9 giugno 1894. L'Arcivescovo benedisse locali
e macchine. II Collegio aveva allora sette laboratori e due scuole per
studenti. Due Arcivescovi e quattro Vescovi, inviando la loro ade-
sione, facevano voti che i Salesiani andassero anche nelle loro diócesi.
Nel 1897 furono terminati i due piani del Collegio offrendo ricovero
a un numero considerevole di ragazzi. I Salesiani lavoravano con ala-
critá, quando venne ad animarli una preziosa testimonianza. Nel mese
di ottobre l'Arcivescovo presiedeva il Sínodo diocesano. L'autorevole
assemblea approvó unánime una dichiarazione da lui proposta e cosi
concepita: « Questo Sinodo loda altamente la Congregazione fondata
da Don Bosco alio scopo precipuo di educare e istruire i fanciulli.
Don Bosco diede vita aU'istituzione chiamata Oratorio Festivo. Faccia
il Signore che i figli di un tanto Padre diffondano ognor piü questi
Oratori, dove i fanciulli ed anche gli operai possano nei giorni festivi
radunarsi, trattenendosi in oneste ricreazioni » (1). L'Opera di Don
Bosco, radicatasi nelle tre Capitali suddette, ramificó a poco a poco
in altre cittá, a bene della gioventü e a conforto degli emigrati
italiani.
(1) Hoc Concilium laudibus extollit Congregationcm a Reverendo Bosco institutam, quae potissi-
iíium pueris infoimandis atque erudiendis operam navat. Dominus Bosco coetum erexit, qucm Ora-
lorio festino nuncupavit. Faxit Deus, ut tanti Tatris filii hos coetus amplifícent, quo pueri atque
etiam operani diebus festis honestae recreationis causa possint conflucre. (Tit. VIH, v 11).
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CAPO XIII
Agua de Dios.
Questa denominazione riassume per la Societá salesiana tutta
una storia di eroismi, la cui prima pagina fu scritta nel 1891 e di
cui fino a oggi non é stata ancora scritta Fultima. In capo al libro
sta il nome di Don Michele Unia, divenuto sinónimo di apostólo
dei lebbrosi.
I lebbrosi nel mondo sonó in maggior numero che generalmente
non si creda. Secondo le piü recenti statistiche, se ne annoverano
circa tre milioni, dei quali due terzi vivono nell'Asia; dell'altro
terzo una meta appartiene all'Africa e il rimanente va disseminato
un po' dappertutto. L'America ne ha un trentamila, dei quali non
meno di seimila nella sola Colombia, dove oggi si trovano tutti riuniti
in lazzaretti. Uno di questi forma un piccolo paese, detto Agua de
Dios, a tre giorni di cammino da Bogotá. Fu chiamato cosi, perché
non aveva altr'acqua che quella mandata da Dio in forma di
pioggia.
II luogo é ameno. Monti e colli deliziosi lo circondano; folte
boscaglie e verdi prati rallegrano tutto all'intorno la vista. Ma gl'in-
felici abitatori, ivi concentrati, menano vita di esilio. Nel tempo
di cui dobbiamo discorrere, gl'infermi erano in numero di 730, piü
130 bambini inferiori ai dieci anni. II Governo assegnava a ciascuno
un tanto al giorno per il sostentamento. Parenti e amici si vergo-
gnavano persino di scrivere loro; chi vi si fosse recato, non sarebbe
piü potuto fácilmente rientrare in cittá; non si leggevano neppure
le loro lettere, benché fosse risaputo che venivano disinfettate: in-
somma era tanta la paura del contagio, che la gente inorridiva a
solo sentir parlare di lebbra. Contribuiva a tenerne lungi i sani
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Capo Xlll
anche la difficoltá della strada. Tolto un breve tratto di ferrovia,
bisognava viaggiare tre giorni a schiena di mulo, fra burroni e pre-
cipizi e sotto la sferza di un solé che abbrustoliva. Per colmo di
sventura, quei disgraziati non avevano un sacerdote che in tanto
dolore e avvilimento recasse loro Túnica consolazione possibile, i
conforti della religione.
All'udire la descrizione di tali miserie Don Unia provava una
pena, un'angoscia indicibile, finché ebbe il suo momento di grazia.
Era da poco piü di un anno a Bogotá, quando la tredicesima dome-
nica dopo Pentecoste, arrivato nel recitare l'ufficio divino al vangelo
dei dieci lebbrosi guariti da Gesü, si sentí venire dal fondo del cuore un
summovimento arcano, come una teñera compassione mista a desiderio
di alzarsi, di muoversi, di correré quasi in soccorso di chi stia per
affogare. Gli si affacció alia mente il pensiero di quei lebbrosi, di
cui aveva si spesso compianto la sorte, e per tutto il resto della
giornata non gli riusci di liberarsene. Gli pareva di vederli mostrare
le loro piaghe, udirli sfogare la loro desolazione, ascoltarne le grida
imploratrici. Se ne aperse con il Direttore Don Rabagliati e fini
chiedendogli licenza di partiré per Agua de Dios. — Se si trattasse
di me, gli rispóse il savio Superiore, acconsentirei súbito; ma esporre a
si evidente pericolo la vita altrui é cosa che non faro mai. — L'altro
ripeté piü volte la sua domanda, ma sempre con una calma che ri-
velava un sentimento profondo e quasi una celeste ispirazione. Fi-
nalmente il Superiore, uomo anche lui tutto zelo, gli permise di
andaré, ma a condizione che solo fosse disposto a rimanere o a ritor-
nare, secondoché avrebbe deciso Don Rúa.
La notizia si sparse in un baleno per la cittá. Don Unia, senza
che ne avesse fatto richiesta, si vide recapitare una lettera, con la
quale la Curia arcivescovile canónicamente lo istituiva cappellano
di Agua de Dios. Gli parve di scorgere in questo la mano di Dio.
Gli amici pero temettero che gli avesse dato volta il cervello. I
medici, trovándolo irremovibile, presero a suggerirgli precauzioni
e a prodigargli consigli. Prima di mettersi in cammino, la sera del
18 agosto 1891, scrisse una lunga lettera a Don Rúa, terminando
con queste parole: « Non voglia contrariare questa mia decisione,
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Agua de Dios
la quale io credo fermamente che mi sia stata inspirata da Dio.
Non pensi alia vita mia, no; useró tutti i riguardi che mi suggeri-
scono questi buoni amici, useró quelli che l'esperienza stessa mi
puó insegnare, e se poi Iddio vorrá che io sia colpito dal fatal
morbo, Egli che mi chiama mi dará la pazienza a sopportarlo ed
io ne andró lieto e consolato di aver recato qualche conforto a
quei poveri infelici. Sonó anime anch'esse rédente dal sangue di
Gesü Cristo, anime piü disgraziate di quant'altre sianvi al mondo,
perche, oltre al soffrire materialmente e moralmente, sonó puré ab-
bandonate dal sacerdote, non altrimenti che i poveri selvaggi della
Terra del Fuoco. »
Egli aveva dunque chiara la coscienza del pericolo, a cui espo-
neva la propria vita. Ando. I lebbrosi, al vederlo, da prima non
credevano ai loro occhi. Erano le undici del mattino: il solé scot-
tava. Quelli che non tenevano il letto, gli si affollarono intorno:
uomini, donne, un centinaio di ragazzini, un drappello di giovinette
con fiori e canti. Visitó gli altri che giacevano coricati. Non avevano
piü forma umana. Piaghe ributtanti li coprivano da capo a piedi:
sembravano scheletri in putrefazione. Egli passava pieno di orrore:
ma quelle povere creature al suo passaggio si sentivano rinvigorire:
il contrarsi delle consunte labbra a sorriso, i movimenti degli occhi
infossati, il gestire delle monche membra rivelavano quanto fosse
il contento suscitato loro nelFanima dalla sua venuta. Dinanzi a
si straziante spettacolo Don Unia formó in cuor suo il proposito di
stare sempre in mezzo a quei miseri.
Che fece in quei giorni di attesa? Fra lebbrosi, convalescenti
e ancora sani vi erano la circa 900 persone. Egli, único sacerdote, si
applicó tutto alia cura delle anime, celebrando il divin sacrificio,
amministrando sacramenti, consolando i doloranti, visitando varié
volte al giorno i piü gravi. Poi c'era da catechizzare buon numero
di fanciulli molto ignoranti. Ma se, nonostante tutte le cautele, l'a-
Aesse colpito la lebbra? Pensando a questa eventualitá, scrisse nuo-
vamente il 28 agosto a Don Rúa: « Se a lungo andaré avró a sot-
tostare anch'io a tale maíattia, sia puré. Se, con mió gran dolore, non
potro piü celebrare il santo sacrificio, mi sará tuttavia possibile
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Capo XU1
confessare e consolare queste anime anche coperto di piaghe. In-
tanto io vivo allegramente. »
Con una temperatura dai 28 ai 30 gradi, respirando un'aria pe-
stilenziale, non poteva non soffrire; ma si confortava sperando che
vi avrebbe fatto l'abitudine. Abita va una casuccia con due stan-
zette a pian terreno, coperte con foglie di palme. Due volte al giorno
un ragazzetto gli portava di che cibarsi. II pane era duro, perché
lá non se ne faceva e quello che vi si consumava, veniva da Bo-
gotá. L'acqua, recata da un'ora di distanza su asini, arrivava quasi
bóllente. Gran consolazione gl'infondeva la fiducia che Don Rúa
avrebbe approvato la sua risoluzione.
Ma ecco un fatto inaspettato. Le sue lettere s'incontrarono sul-
l'Oceano con una di Don Rúa, il quale gli ordinava di andaré a
Messico, prendere accordi per Faccettazione di quella Casa e fer-
marvisi a fare da Direttore. Don Rabagliati gli comunicó l'ordine
superiore. Don Unia non istette a pensare, che il Rettor Maggiore
aveva scritto cosi, perché ignorava ancora Taccaduto, ma obbedi
all'istante, offrendo a Dio il suo sacrificio; non furono pero tanto
facili a rassegnarsi i lebbrosi. Profondamente amareggiati, sfoga-
rono con Don Rúa il loro cordoglio in una lettera del 17 ottobre,
coperta di 54 firme. Descrivevano cosi Topera di Don Unia: « Questo
Sacerdote, che ha tesoreggiato nella sua anima e nel suo cuore virtú
eccelse, le mette in pratica con una dolcezza patriarcale per conso-
lare ed incoraggiare il disgraziato. La sua anima angélica ed il suo
cuore grande cercano il luogo, dove il dolore si rinviene nelle sue
supreme manifestazioni, perché qui egli si trova nel suo elemento,
esercitando la carita con amore evangélico, procurando consolazioni
e dolcezze agli afflitti [...]. Ci sorprende il suo disinteresse e la
nessuna importanza che da al sacrificio impostosi nel venire al
lazzaretto, e alie privazioni cui si é sottomesso, come puré la in-
trepidezza d'animo, con cui mira Tinfermitá fino ne' suoi ultimi
periodi. » Supplicavano quindi la carita di Don Rúa a non togliere
loro un tanto conforto. Nel medesimo tempo Don Unia scriveva al
Superiore protestandogli tutta la sua filiale sottomissione, non senza
esprimere quanto si sentiva lacerare il cuore dal distacco. 1 poveri
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Agua de Dios
lebbrosi, per iscongiurare il pericolo, cominciarono una novena alia
Madonna.
Intanto da Bogotá il 25 novembre anche la Societá di S. Lazzaro,
protettrice dei lebbrosi, inviava suppliche a Don Rúa, scongiuran-
dolo a revocare Fordine e a disporre che quelF" apostólo ispirato dalla
piú sublime carita" e " conforto único dei poveri lebbrosi " rima-
nesse fra loro a lenire " gli atroci dolori " con i conforti della fede.
Don Unía partí dal lazzaretto il 29 novembre. Gemiti, pianti,
strida, urli scoppiarono da ogni parte, appena venne il momento
della separazione. I degenti si fecero portare sui loro giacigli lungo
la via che egli doveva percorrere, e la gridavano pietá, misericordia.
Don Unia, insellata la muía, si mosse, seguito per un tratto dalla
moltitudine. L'eco delle voci lo accompagnó a lungo, affievolendosi
di mano in mano fino a spegnersi, quando egli entro nel silenzio
d'immensa solitudine.
A Bogotá, appena saputosi che Don Unia aveva lasciato Agua
de Dios, le Autoritá s'interposero immediatamente. Telégrafo FAr-
civescovo a Don Rúa, perché annuisse al comune desiderio; telégrafo
il Presidente della Repubblica al suo Ministro presso la Santa Sede,
perché agisse nel medesimo senso. Scrisse questi il 4 dicembre a
Torino: « Caratterizzare quest'importante avvenimento di carita e
accettarlo come un legittimo frutto degli ammaestramenti e della
pratica della Scuola Salesiana, é, a mió credere, una solennitá degna
delle feste cinquantenarie che in onore di uno dei piú illustri bene-
fattori dell'umanitá si celebreranno in questi giorni. »
Don Rúa, che era un santo della tempra di Don Bosco, non
aveva avuto bisogno di tanti incitamenti: conosciuto esattamente
lo stato delle cose, gli era bastato ascoltare Fimpulso del proprio
cuore. Infatti il 13 ottobre aveva risposto in questi termini a Don
Unia:
Avrai ricevuta la mia lettera nella quale ti incaricava di andaré al Messico
a trattare le cose riguardanti quella casa, aperta cola circa due anni sonó, sotto
il titolo di Casa Salesiana.
Puó essere che tu l'abbia ricevuta quando ti trovavi giá in Agua de Dios; in
tal caso non pretendo obbligarti a quel viaggio, anzi sonó contentissimo della ge-
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Capo XIII
nerosa risoluzione di sacrificarti in favore dei lebbrosi. Ti do il mió pieno consenso
e imploro da Dio per te le piü elette e abbondanti benedizioni. Tu sei disposto
a sacrificare la tua vita ed io me ne congratulo. Ti raccomando bensi di usare le
debite precauzioni per non contrarre quella terribile infermitá o almeno con-
traria il piú tardi possibile. Puó essere che qualche altro Salesiano, attratto dal
tuo esempio, si disponga ad andaré a farti compagnia per aiutarvi reciprocamente
nei bisogni spirituali e temporali.
Benché ti trovi coi lebbrosi, ti consideriamo sempre come nostro caro con-
fratello Salesiano; anzi consideriamo Agua de Dios come una nuova colonia Sa-
lesiana, e ben vorremmo ci fosse possibile aiutare in qualche modo cotesti infermi.
Con che piacere lo faremmo!
Per ora basta. Saluta affettuosamente i tuoi infermi da parte nostra e di' loro
che li amiamo assai e che preghiamo per loro.
Ti raccomando che la tua condotta e la tua vita sieno sempre da vero Sa-
lesiano e figlio di Don Bosco.
A questa lettera Don Rúa aveva imito un biglietto per i suoi
"cari lebbrosi ", ai quali dice va: « Ho ricevuto il vostro telegramma,
con cui prégate di lasciare costi il mió diletto figlio in Gesü Cristo
Don Michele Unia, e ne fui commosso fino alie lacrime. Sebbene
non vi conosca, tuttavia vi amo tanto e non saprei rifiutarvi il fa-
vore che mi domandate. Avrei bisogno di lui in altri siti; ma in
vista del vostro desiderio lo lascio in mezzo a voi. Egli si adopererá
a vostro spirituale vantaggio, a salvare le anime vostre; voi siate
docili alie sue parole, secondate le sue esortazioni e sopportando con
pazienza e rassegnazione i vostri incomodi, adoperatevi a procac-
ciarvi molti meriti peí Paradiso. »
Ma intanto dalla data della lettera del Ministro Velez, come
anche da quella del telegramma dell'Arcivescovo, capi che la sua
a Don Unia, un mese e mezzo dopo essere stata spedita, non era
giunta ancora a destinazione. Allora spiacentissimo telégrafo all'Ar-
civescovo e scrisse al Ministro (1), il quale, ringraziandolo, gli fece
sapere d'aver mostrato la sua lettera al Segretario di Stato e al
Prefetto di Propaganda, i quali gli avevano manifestato il loro
gradimento circa la determinazione presa a riguardo di Don
Unia (2).
(1) Torino, 7 dioembre 1891.
(2) Roma, 12 dicenibre 1891.
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Agua de Dios
A tali notizie si fece gran festa al lazzaretto: quel giorno i lebbrosi
parvero dimenticare il loro male, tanto fu il clamore che levarono
da ogni parte. Ringraziarono tostó Don Rúa. « Ci avete fatto la
piú preziosa concessione, dicevano (1), ci avete dato un tesoro ine-
stimabile: a cotesta santa Congregazione dobbiamo uno dei suoi piú
cari membri, alia vostra nobile patria uno dei suoi diletti figli e al
cielo uno dei suoi eletti. Dio vi benedica per aver consolato il nostro
giusto e sincero dolor e, ascoltando la nostra umile voce e cambiando
il cordoglio che contristava i nostri petti, in vera allegria. Dal Su-
periore di una Congregazione tanto benéfica non si poteva aspettare
che questo generoso risultato. » Seguivano 186 firme. Piü di quat-
trocento adulti non firmarono, perché non sapevano o non pote-
vano scriyere.
Don Unia senza perderé tempo ritornó fra i suoi protetti per
il Natale. II genérale tripudio é piú facile a immaginarsi che a de-
scriversi. Non si creda che egli potesse vivere appartato o almeno
evitare contatti pericolosi. Per comprendere tutto il suo sacrificio
bisogna tener presente un lato della psicología dei lebbrosi. La leb-
bra rende le sue vittime sensibili alPeccesso. I medici gli avevano
ben detto e ripetuto: — Non li tocchi! Non si lasci toccare! — Se
egli si fosse mostrato con loro schifiltoso, invece di amarlo, come lo
amavano, l'avrebbero odiato. A volte i morenti. quando cioé erano
piü ributtanti, lo abbracciavano; se per innato ribrezzo li avesse
respinti, sarebbero morti maledicendolo. Quindi non ricusava mai
neppure di stringere le misere maní, che gli venivano stese. « Questa
é un'opera, scriveva l'Arcivescovo a Don Rúa (2), che certamente
richiede una vocazione speciale e una straordinaria carita, e basta
da sola a formare un suggello di gloria per i figli di Don Bosco in
Colombia e meritar loro le piú speciali grazie di Dio. »
Si avveró piú presto di quello che non si sarebbe creduto il pro-
nostico • di Don Rúa, che forse altri avrebbe seguito l'esempio di
Don Unia. Infatti con una spedizione partita da Torino il 9 di-
(1) Lazzaretto di Agua de Dios, 18 dicembre 1891.
(2) Bogotá, 13 aprile 1892.
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Capo XIII
cembre 1892 ottennero di unirsi un prete, Don Raffaele Crippa, e
un coadiutore per andar ad aiutare l'intrepido apostólo.
Don Unia viveva nel suo lazzaretto e per il suo lazzaretto, non
dandosi tregua nel promuovervi il bene materiale e spirituale dei
derelitti abitatori. Come si sentí padrone del campo, cominció a oc-
cuparsi di opere consistenti e permanenti. II 4 marzo 1892 colloco
la p r i m a pietra di un Asilo Santa María, destinato alia popolazione
infantile e che intendeva affídare a Suore. Un giornale, accen-
nato ai fanciulli che durante la cerimonia avevano cantato un inno
all'Addolorata, usciva in questa patética osservazione (1): « Quanta
pena al pensare che i visetti paffuti e rosei di quei cento bambini
saranno fra non molto deturpati daH'inesorabile morbo, come le
facce mostruose di quei poveri infermi che li circondano! »
II numero dei piü colpiti andava crescendo, sicché l'ospedale
del lazzaretto diveniva sempre piü angusto. Egli ne ideó uno nuovo
e magnifico. Per raccogliere fondi, avuto il consenso dal Presidente
della Repubblica e dall'Arcivescovo, aperse una sottoscrizione fra i
Colombiani, facendo poi arrivare la sua voce anche piú lungi (2).
Chi l'avrebbe mai creduto? I primi a rispondere furono trecento
detenuti nelle carceri, che con licenza della Direzione si sottoscris-
sero ognuno per un piccolo óbolo.
La chiesa non aveva di chiesa che il nome, squallida com'era
e priva di tutto il necessario. Per gli abbellimenti fatti fare da Don
Unia sarebbe poi potuta stare decorosamente accanto a quelle della
Capitale. Provvide puré un oratorio festivo, erigendo un edificio
che gli costó non pochi sacrifici di tempo e di danaro.
Ma due benemerenze la vincono su tutte le altre di ordine ma-
teriale. Una fu l'acqua che bevevano i lebbrosi. Prima l'avevano
da lontano, scarsa, costosa e cattiva. Don Unia non si diede pace
finche non trovó un Cooperatore che gli regalasse i tubi di ghisa,
con cui da una collina distante vari chilometri condurre nella térra
senz'acqua la salutífera linfa a zampillare abbondante, gratuita,
pura e purificatrice. L'altra benemerenza fu d'introdurre nel lazza-
(1) Revista Bogotana, II marzo 1892.
(2) Unitá Cattolica, 27 luglio 1892.
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Agua de Dios
retto le Figlie della Carita, le eroiche madri dei sofferenti. Cosi
grazie all'intraprendente suo zelo sparivano a poco a poco da Agua
de Dios le tristi condizioni proprie dei lebbrosari lasciati nell'ab-
bandono.
Tutto il fin qui detto era molto; ma la vinceva su tutto la quoti-
diana immolazione personale. Pagando di persona, come vuole la
perfetta carita, superiore alia filantropía come il cielo alia térra, egli
quindi sacrificava tempo, comodi, forze e salute immerso di e notte in
quel mare di sofferenze per alleviare i travagli di coloro che conside-
rava e amava come figli e specialmente per alimentare in essi la vita
spirituale. Anzitutto con lo scopo di distogliere le menti dai cupi
pensieri, sempre causa di funeste conseguenze, abituava al lavoro
chi ne era capace, allietava l'aria con la música vocale e strumen-
tale e sollevava gli spiriti con belle feste. A renderle piú solenni
intervenivano spesso il Direttore Don Rabagliati e altri sacerdoti
salesiani da Bogotá. La festa di Maria Ausiliatrice metteva in moto
p e r una settimana tutta la popolazione. Nel 1895 la solennitá del-
rimmacolata diede luogo a entusiastiche manifestazioni di fede e
di pietá; fu chiusa con una processione mai veduta, svoltasi nel
cuore della notte, perché il caldo cocente del giorno l'avrebbe resa
impossibile. In tale circostanza inauguro l'adorazione perpetua;
d'allora in poi piú di duecento persone si succedevano quotidia-
namente in chiesa per tener compagnia a Gesú Sacramentato, attin-
gendo dal tabernacolo conforto nella loro sventura e forza e costanza
a sopportarla con rassegnazione. Quando ebbe seco Don Crippa e
un chierico, celebró anche le funzioni della settimana santa con grande
soddisfazione dei lebbrosi. Fece puré la lavanda dei piedi la sera
del giovedi a dodici ragazzi, alcuni dei quali erano giá attaccati dal
male. Assai numeróse divennero le comunioni. Ma il fiorire della
pietá non sarebbe stato concepibile senza i sacrifici straordinari nel-
l'ascoltare le confessioni. Si richiedeva davvero una sovrumana for-
tezza d'animo per vincere la ripugnanza causata dal fetore orrendo
che emanava da corpi cosi in isfacelo.
Molto otteneva Don Unia col narrare fatti della vita di Don
Bosco, sempre ávidamente ascoltati. Di tali impressioni sussiste un
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monumento parlante. Vi era fra i lebbrosi un bravo scultore, che a
forza di sentiré quei racconti concepi il disegno di scolpire le sem-
bianze di Don Bosco nel marmo. Ma come fare, se non aveva piú
che due ruderi di mani, incapaci di stringere i ferri? L'affettó lo resé
ingegnoso e perseverante. Si faceva legare scalpello e martello alie
palme corrose e dágli oggi dágli domani, fece un busto rasso-
migliante. L'opera d'arte, collocata nel salone delPospedale, é an-
cora la ad attestare quanto possa la riconoscenza vivificata dal-
l'amore.
Nel 1893 la salute di Don Unia andava di male in peggio. Ebbe
un bel resistere, ma alia fine si dovette arrendere ai consigli dei
benefattori e specialmente dell'Arcivescovo e del Delegato Apostó-
lico, che lo esortavano a intraprendere un viaggio in Italia per ri-
temprare le forze. Troppo premeva a tutti la conservazione di une-
sistenza cosi preziosa. Egli si rassegnó piú volentieri, perché sapeva
di lasciare omai il lazzaretto in buone mani: Don Crippa era degno
di farne le veci.
Giunse a Torino nel mese di novembre. Lo travagliava una ter-
ribile idropisia con altre complicazioni. Nelle lettere che scrivevano
i lebbrosi dopo la sua partenza, ci commuove la sinceritá di un do-
lore che non trova lenimento se non nella speranza di un pronto ri-
torno dell'amato padre. Scriveva sul Heraldo di Bogotá il sullodato
scultore lebbroso Enrico Aguilera: « Dio volle cosi, poiché tutti gli
sforzi per il ristabilimento della sua preziosa salute riuscirono inu-
tili; e questo pensiero dovrebbe consolare un poco il nostro terribile
abbandono. Ma siccome il vuoto causato dalla sua assenza é di
quelli che lasciano nel cuore solamente le persone amate come il
padre e la madre, il benessere e Fallegria non faranno ritorno a
noi, se non quel giorno in cui il Cielo, avendo compassione del nostro
duolo, ci restituirá quell'anima privilegiata, degna per tanti titoli
della nostra ammirazione, del nostro amore e rispetto. »
Dio esaudi questi ardenti voti. Don Unia ritorno alia cittá del
dolore nelPagosto del 1894. Ma non era quasi piú luí. II male vinto,
ma non debellato, riapparve minaccioso. Dovette per ordine dei me-
did lasciarsi trasportare a Bogotá, ripiombando nella desolazione i
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Agua de Dios
suoi cari lebbrosi. Un ottimo signore mise a disposizione sua una
sontuosa villa in luogo, dove si respirava un'aria salubérrima. Quella
cura gli fece bene; appena riebbe forze sufficienti, rivoló ad Agua
de Dios.
Un episodio singolare gettó alcuni mesi dopo lo scompiglio nel
lazzaretto. Chi crederebbe che in un ambiente simile potessero ac-
cendersi cruente lotte politiche? Sul principio del 1895 scoppió contro
il Governo cattolico una rivoluzione di liberali, che mise a soqquadro
la Colombia. Si trovava fra i lebbrosi un Genérale libérale, che
durante una breve assenza di Don Unia e di Don Crippa assoldó
una trentina di lebbrosi del medesimo partito, li armó e li con-
dusse alia battaglia. Don Unia, súbito che ne fu informato, ac-
corse, ma non riusci a fermare gl'insorti. Tre caddero nel primo
scontro; gli altri se ne tornarono scornati, meno il caporione e un
gregario, che vollero unirsi ai combattenti, finché il Governo non
debelló i suoi avversari. Allora miseria e fame, soliti effetti di si-
mili disordini, si fecero sentiré anche ad Agua de Dios. Quali vie
crucis dovette fare Don Unia, andando in cerca di soccorso! Per
muovere a pietá le persone caritatevoli si valse anche della stampa.
Un giornale, pubblicando un suo caloroso appello, salutava nell'a-
postolo dei lebbrosi della Colombia colui che " sulla térra tutto
aveva abbandonato per innalzarsi con le ali della carita e dell'a-
mor divino nelle regioni immortali" (1). La sua voce ebbe un'eco
in molti cuori.
Ma verso la fine di luglio lo assali un secondo attacco del male.
D o n Rabagliati, recatosi ad Agua de Dios per la festa del Corpus
Domini, lo trovó molto giü. Dopo se lo prese con se per condurlo
a Bogotá; ma, fatto un giorno e mezzo di viaggio, gli cadde in de-
liquio senza piü riaversi. Restava un altro giorno e mezzo di strada
a cavallo. II Direttore, affidatolo a due Confratelli, che erano an-
dati con lui al lazzaretto, corsé alia Capitale per consultare i me-
did. Questi, che conoscevano giá lo stato deH'infermo, dichiararono
gravissimo il caso. Come Dio volle, si pote portarlo fino al Collegio;
(1) El Correo Nacional, 18 fcbbraio 1895.
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ma era assai piú di la che di qua. Parve in fin di vita: sembrava
questione di poche ore. II Direttore ebbe un lampo di fede: in~
disse una novena a Maria Ausiliatrice, invitandovi il pubblico.
II terzo giorno Don Unia si sveglia come da profondo sonno, si
guarda attorno per conoscere dove si trovi: non sa nulla del
viaggio, nulla degli ultimi sacramenti amministratigli. Dal 2 all'lí
agosto era stato sempre fuori di sé. Quel giorno venne a visitarlo il
General Reyes, il domatore della rivoluzione. Gli domando se lo
conoscesse: rispóse di si. Ma a un'altra sua domanda su Agua de
Dios. Don Unia senza poter proferiré parola si mise a piangere.
II visitatore, commosso, si ritiró all'istante.
II miglioramento continuó, sicché nel di dell'Assunta celebro la
Messa. Tutti videro un intervento soprannaturale, compresi i me-
d i d ; sei di essi in un consulto l'avevano dichiarato per spedito (1).
Dopo due mesi di convalescenza, era opinione dei sanitari che per
evitare immancabili ricadute egli doveva abbandonare il lazzaretto.
Allora l'obbedienza lo obbligó a ritornare in Italia. Piegó il capo.
Sul punto di lasciare il suolo della Colombia scrisse da Cartagena
una lettera, che rivela tutto il fondo della sua beU'anima. La indi-
rizzó il 25 ottobre al chierico Luigi Variara, votatosi da poco nella
sua verde etá al servizio dei lebbrosi. Diceva al suo " carissimo
Luigi ":
Non posso abbandonare la Colombia senza mandarti un ultimo addio da questa
ierra, piena per me di tante vicende. Solo il Signore sa quanto mi costi fare questo
viaggio. Ti assicuro che lascio qui la meta del mió cuore. Deus ita ooluit, non pos-
sum obsistere. Quaiche altro piü degno di me riporterá la palma. Coraggio, Don
Luigi, tale sorte é riserbata a te. Procura di essere buono, molto studioso e molto
pió: cosi otterrai la palma. lo non ti dimenticheró nelle mié povere preghiere:
fallo anche tu per me.
Speravo e desideravo grandemente di vederti salire all'altare; ma il Signore
non me lo concesse. Mi rallegrerá sempre l'udire, come spero, buone nuove di te,
della tu a pietá, del tuo studio. II primo breviario te lo manderó io; é molto bello
c cómodo: preparati a rice verlo. Salutami moltissimo Giovannino (2) e i ragazzi
dell'oratorio. Fallo andaré bene; mi é molto caro, come puré é carissimo a Don Rúa.
(1) Dichiarazione del Dott. A. Perrea, 12 setiembre 1895. Cfr. Boíl. Sal, dicembre 1895.
(2) II coad. Giovanni Lusso.
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Agua de Dios
Se ne andava proprio alia vigilia di una nuova impresa, nella
quale egli avrebbe potuto prestare valido aiuto. Esistevano nella
Colombia due altri lazzaretti, alia Contratación e a Caño de Loro.
Nel novembre del 1895 Don Rabagliati visitó il primo, ferman-
dovisi quindici giorni ad esercitare in lungo e in largo il sacro mi-
nistero. Dopo percorse anche le terre deU'intorno, scoprendo che
moltissimi infetti vivevano in mezzo ai sani e circolavano libera-
mente con grave danno della pubblica salute. Secondo i dati da lui
raccolti, in quel solo dipartimento i lebbrosi ammontavano a pa-
recchie migliaia. Fu cosi che gli nacque l'idea di proporre al Go-
verno il concentramenti di tutti i lebbrosi in un grande lazzaretto
nazionale, da impiantarsi in una localitá adatta. II disegno arrise
al Governo; ma dopo una serie di pratiche si amó meglio creare
lazzaretti dipartimentali, cominciando dall'organizzare con questo
scopo il lazzaretto della Contratación. Vedremo piü innanzi come
si svolse la cosa, nella quale ebbe una parte principalissima Don
Rabagliati, e come venne ai Salesiani nel 1897 anche la direzione
del lazzaretto della Contratación.
II viaggio a Don Unia non fece ne bene né male. Pose piede
nella Casa Madre il 3 dicembre, alquanto abbattuto, ma senza
che milla desse a temeré. La vigilia dell'Immacolata, oppresso da
stanchezza, non comparve alia mensa comune. II giorno dopo lo
presero dolori acuti di stomaco. Pronti rimedi lo sollevarono un
po'; ma il giorno 9 le sue condizioni si aggravarono al punto che
lasciavano scorgere evidenti i segni di prossima fine. Infatti verso le ore
dodici, assistito dal Superiore e circondato da Confratelli, si addor-
mentó nel Signore.
La notizia della sua morte, telegrafata all'Arcivescovo di Bogotá
e al Governo di Colombia, arrivó presto anche ad Agua de Dios.
Che pianti fra i poveri lebbrosi! Nell'Oratorio di Valdocco la salma
era visitata da un mondo di persone. Giunsero tostó condoglianze
da ogni parte. Le piú onorevoli furono quelle partite dal Vaticano;
fatta eccezione di Don Bosco, a nessun Salesiano né prima né poi
era stato mai tributato tanto onore. Scrisse il Card. Rampolla al
Procuratore: «Con vero dispiacere appresi la triste notizia che
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Capo XIII
la S. V. mi ha comunicata colla sua lettera dell'll corrente, della
morte di D. Michele Unia, Missionario Salesiano; e sebbene vi sia
luogo a sperare che i meriti di Lui, acquistati coll'esercizio della
piü sublime carita, servendo ai lebbrosi di Agua de Dios, gli ab-
biano procurato la grazia della misericordia divina, io non ho man-
cato di innalzare al Signore pii suffragi per quella bell'anima. An-
che il Santo Padre provó dispiacere per tale morte. »
II rimpianto nella Colombia fu genérale e pari all'ammirazione
che si aveva delPestinto. Solenni riuscirono i funerali a Bogotá,
commoventissimi ad Agua de Dios. Una lapide di marmo con iscri-
zione e ritratto apposero i lebbrosi a ricordo perenne delle opere
e della figura di colui, che aveva reso loro tollerabile e meritoria
l'esistenza. Dal Parlamento nazionale il 10 dicembre 1896 in segno
di riconoscenza se ne onoró la memoria con un decreto che ordi-
nava l'esecuzione di un ritratto a olio per la Societá di S. Lazzaro
e l'erezione di una statua marmórea, nella piazza di Agua de Dios
con l'iscrizione: Al R. P. Michele Unia, apostólo dei lebbrosi in
Colombia, la graíitudine nazionale. Ma il monumento piü glorioso
fu la riconoscenza dei beneficati ed é il perpetuarsi degli eroismi
che ripetono la loro origine dal suo sublime sacrificio.
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C A P O XI V
Allargamenti del Vicariato Patagónico e nuovi centri di Missione.
(Bampa: Pahia Blanca, General Acha, Santa Rosa, Victorica. Chubut, Rawson.
Conesa, Choele-Choél, Junin de los Andes, Fortín Mercedes)
II Governatore del Territorio del Rio Negro, Dott. Benavidez, in
una Memoria presentata sul principio del 1894 al Ministro degli ínter-
ni, parlando dellTstruzione pubblica in quella zona, diceva che « non
era trascurata grazie al grande aiuto apportato dall'ístituzione Sale-
siana, i cui sacerdoti inculcavano ai fanciulli e agli adulti con la Fede
Divina i principi di una morale e civilizzatrice educazione. » Ed a
maggior encomio dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice met-
teva in rilievo quanto venivano facendo con chiese, scuole e laboratori
in Viedma, Patagones, Pringles, Conesa, Choele-Choél, Roca e Cho-
smalál: otto cappelle aperte al divin culto, nove ospizi, un ospedale,
e poi sacerdoti ambulanti che andavano a dar Missione nei centri ab-
bandonati (1). Dava speciale risalto a queste benemerenze dei Missio-
nari un particolare, che non isfuggi talora nemmeno a uomini del
Governo. Lo riferisce Mons. Cagliero in una lettera a Don Rúa (2).
Parlando di una sua visita al Presidente della Repubblica e al Ministro
della Pubblica Istruzione, scrive: « Tanto lui quanto il Ministro non
sanno darsi pace di tanto propagarsi delle Case Salesiane, mentre
(dissero a me essi stessi) il Governo ha fatto poco o niente per pro-
pagarle. » Anzi, il Governo lócale aveva messo non di rado sbarre
fra le ruóte.
Nei luoghi menzionati dal Governatore del Rio Negro compaiono
due nomi nuovi per noi: Conesa e Choele-Choél. Ne parleremo alia
(1) Boíl. Sal., otfobre 1S94.
(2) Sonza data, ma ccríamcnte del 1890. E poiché un'indicazione d'altra mano segna che fu ri-
sposto da Toriiio il 16 febbraio, la missiva parti dalla Patagonia ai primi di quell'anno.
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Capo XIV
fine del capo, dopo che avremo veduto di tre grandi apporti fatti al
Vicariato Patagónico fra il 1890 e il 1895, due a Nord del Rio Colorado
e uno a Sud del Rio Negro. II Rio Colorado segnava il limite setten-
trionale del Vicariato; ora, al di la della riva sinistra di questo fiume
si estendeva la Pampa, estremamente bisognosa di operai evangelici.
Non meno bisognoso ne era un altro territorio della Patagonia Céntrale,
il Chubut, che di diritto faceva parte del Vicariato, ma di fatto il Vi-
cario non vi poteva mettere piede. Ecco i nuovi campi di Missione
dischiusi ai Salesiani nel suddetto periodo di tempo.
L'aggiunta della Pampa fu fatta in due volte. Della prima Mons.
Cagliero informa va Don Rúa il 25 marzo 1890: « Abbiamo una nuova
parrocchia ed una nuova popolazione da convertiré e da salvare; ed é
la cittá di Bahía Blanca con tutto il territorio della bassa Pampa. »
Parrocchia vuol diré centro di Missione, come abbiamo visto a pro-
posito deiringhilterra. Per bassa Pampa Monsignore intende tutta la
parte costiera, che la capo a Bahia Blanca. Questa cittá, sorta presso
un magnifico golfo dell'Atlantico, fu fondata nel 1828 per fronteggiare
le incursioni degli Indi. Oggi conta circa 100.000 abitanti con tutti i
portati del progresso moderno; ma negli anni di cui parliamo, i suoi
abitanti non oltrepassavano di certo i settemila con un agglomerato di
case aggiuntesi le une alie altre senza piano regolatore e senz'ombra
di eleganza. II territorio della Missione, di cui Bahia doveva co-
stituire il centro, era vasto come il Piemonte, con abitanti disse-
minati a grandi distanze e raggruppati in colonie nascenti. Molti ve-
nivauo dalFltalia. Giunti la buoni e semplici, perdevano a poco a
poco ogni idea di religione e financo di dignitá umana. La cittá poi,
a detta del Cagliero nella citata lettera, era « scostumata, empia e Ion-
tana dalla Chiesa e dai Sacramenti. » Vi pullulavano Associazioni
d'ispirazione massonica, guidate da capi senza fede né legge. Primeg-
giava quella chiamata dei settembrini, che ad ogni 20 settembre in-
scenavano clamorose dimostrazioni contro il Papa e contro il Párroco.
Insegnamento, ospedale, tutto era laico nel peggior senso della parola.
Nel 1885 ando l'Arcivescovo di Buenos Aires per fare la visita pa-
storale; ma dovette rinunciarvi, perché non lo lasciarono discendere
dal treno, Invió un Párroco, che fu fatto fuggire a sassate. Nel 1890
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Aliargamenti del Vicariato Patagónico e nuovi centri di Missione
un secondo Párroco, un buon prete spagnolo, sfiduciato di non poter
conchiudere milla di fronte al cinismo di quella gente, rinunció
nelle mani delFArcivescovo la parrocchia. Allora questi, non vedendo
altra via di salvezza che aprire buone scuole e allevare cristianamente
una nuova generazione, fece scrivere al Cagliero che, se fosse dispo-
sto ad accettare, avrebbe offerto la parrocchia ai Salesiani, Monsi-
gnore, considerando Bahía come territorio appartenente al Vicariato
per essere limite fra la Pampa del Nord e il Colorado, senza esita-
zione accettó e senza indugio agi. Mandó súbito Don Milanesio,
perché mettesse in assetto la casa (1); intanto chiamó da Montevi-
deo per farlo párroco Don Borghino, " uomo attivo, enérgico e buono
con tutti ", come lo definisce una nota di cronaca domestica. Con la
lettera di obbedienza gl'invió puré una bella croce con il motto: In
hoc signo vinces. Si a n d a v a realmente a ingaggiare battaglia contro
la potestá delle tenebre, troppo bene rappresentata dalle sétte. Spedi
anche da Patagones Don Cavalli in qualitá di Viceparroco. Ai primi
di aprile erano entrambi al loro posto. Vi si aggiunse piú tardi per
terzo il chierico Franchini, come maestro.
Trovarono casa e chiesa in pessime condizioni; quando cadeva la
pioggia, pioveva in casa, pioveva in chiesa. Eseguite le piú urgenti
riparazioni, Don Borghino pensó alie future scuole, facendo costruire
un grande salone, che, diviso con tramezzi, servisse poi per varié classi.
Aveva puré fatto tirar su alia meglio due stanzette accanto alia sua,
e fu savio consiglio, perché cosi poté ospitare un po' decentemente
Mons. Cagliero, andato a visitarli nella prima meta di maggio. I Con-
fratelli non arrivarono in tempo a incontrarlo; ma ben li precorse la
loro avanguardia, i giovani. — Ecco, disse Monsignore, le primizie
salesiane! Ecco il frutto giá raccolto dopo un mese appena dall'essersi
stabiliti a Bahia Blanca i nostri cari Missionari! — La sua meraviglia
crebbe nella chiesa, dove una bella corona di fanciulli e di fanciulle
aspettavano ansiosi di vedere il Vescovo salesiano venuto dalla Pata-
gonia. Promise loro di fermarsi alcuni giorni per prepararli alia prima
(1) Don Milanesio, rendendo contó a Don Rúa di una sua Missione nella Pampa Céntrale, rin-
graziava la Provvidenza d'avergli fatto trovare a Bahia un caro compagno in < un giovanetto per nome
Nicola Esandi, fíglio di ottimi geuitori > (Lett. 20 ottobre 1890). É l'attuale Vescovo Salesiano di Vicdma.
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Capo XIV
comunione ed alia santa cresima. Vi stette difatti una settimana con
molto frutto di piccoli e di grandi. Comprese tutta la necessitá di met-
ter mano a fabbricare chiesa e scuole, al quale scopo acquistó sen-
z'altro un vasto terreno, spendendo 11.400 scudi raggranellati da lui a
Buenos Aires. Previde che, se avesse tardato, avrebbe presto dovuto
sborsare il doppio; poiché Bahia Blanca, a parer suo, s'incamminava a
di ventare gran porto militare (1).
II 23 ottobre giunsero le Figlie di María Ausiliatrice, condotte da
Suor Giuseppina Torta. Venne affittata per esse, a duecento metrí
dalla parrocchia, una casa, in cui aprirono poco dopo le loro scuole.
Le prime íatiche dei Salesiani e delle Suore non furono sterili. Si
cominció a notare una certa frequenza alia chiesa da parte degli
Italiani, allettati dalla presenza di sacerdoti e di Suore loro conna-
zionali. DaH'aprile a tutto il 1890 si contarono 3350 comunioni. Ma
quante contrarietá! Un tale, presentatosi come padrino e respinto per-
ché viveva scandalosamente. scatenó contro il párroco una guerra
giornalistica, che duró molto a lungo. In gennaio un furioso uragano
atterró il muro principale delledificio per le scuole; tuttavia al prin-
cipio dell'anno scolastico, che la comincia in marzo, le aule erano
pronte. Nel medesimo tempo giunsero a rinforzare il personale due
preti e un coadiutore.
Mons. Cagliero, quando, reduce dal Brasile, ripassó di la nel marzo
del 1891, trovó nelle scuole maschili 160 alunni e intorno alie Suore
un nugolo di ragazze. Gli avversari si accanivano specialmente contro
le Suore, assalendole nei giornali con titoli ributtanti e nere calunnie.
La visita del Vescovo le lasció piene di buon volere e di coraggio nelle
difficoltá non solo esterne, ma anche interne, dovute all'incomoda ri-
strettezza dei locali (2). II lavorio di penetrazione intenso e assiduo
produsse i suoi eífetti. In meno di un anuo le Suore ebbero un'altra
casa piü capace, in cui svolgere a pieno il loro molteplice programma;
poi nel 1893 Mons. Cagliero benedisse un loro nuovo e grande edificio
scolastico, innalzato dalle fondamenta in tempo relativamente breve.
(1) Lett. di Mons. Cagliero a Don Rúa, Villa Colon, 22 luglio 1890. Cominciarono poco dopo gli
síudi per la crcazione del porto, la cui costruziono ebbe principio nel 1896.
(2) Lett. di Suor Torta a Don Rúa, 5 maggio 1891.
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Aliargamenti del Vicariato Patagónico e nuoüi centri di Missione
Una terza opera salesiana si aggiunse ben presto alie due prece-
denti. I coniugi d'Abreu, desiderosi di contribuiré efficacemente al
vero progresso della loro cittá, donarono a Mons. Cagliero una casa e
un terreno, disponendosi a fornirgli le somme necessarie, affinché
aprisse una scuola gratuita, erigesse una chiesa alia Madonna della
Pietá e fondasse un ospizio per artigiani. La scuola esterna cominció
súbito a funzionare; súbito si diede principio alia costruzione della
chiesa; Tospizio invece tardó parecchio a formare il compimento del-
Topera, ma, guando Dio volle, arricchi Bahia Blanca di una scuola
professionale degna delle tradizioni salesiane. La chiesa, giá terminata
nel 1894, riusci un monumento d'arte: " un enorme diamante sperduto
nelle arene del deserto ", la definí un giornale (1).
La benedizione e l'inaugurazione costituirono per Bahia Blanca
un avvenimento storico di prim'ordine. V'intervenne il Presidente della
Repubblica Luigi Saenz Peña, accompagnato da numerosa e scelta
comitiva di governatori, ministri, generali, comandanti della squadra,
dottori, capi di associazioni, direttori di scuole, giornalisti. V'inter-
venne l'Arcivescovo Aneyros con l'Ausiliare Espinosa e con un seguito
di membri insigni del clero metropolitano. Né vi mancó Mons. Cagliero,
che precedette di alcuni giorni gli altri ospiti, oggetto di ovazioni cor-
diali da p a r t e del popólo. La schola cantorum e la b a n d a del collegio
Pió IX di Almagro sostennero con maestria la loro parte, curando le
svariate esecuzioni musicali. ln una cittá priva ancora di agi cittadini
i Salesiani seppero fare cosi bene i preparativi per tanti e si illustri
ospiti, che tutti dovettero rendere omaggio alia loro abilitá organiz-
zatrice.
Le feste durarono quattro giorni, dal 12 al 15 aprile. I personaggi
della Capitale vi rimasero dal principio alia fine, partecipando ai trat-
tenimenti giovanili e alie funzioni sacre. All'inaugurazione del Col-
legio il Presidente volle parlare. Disse che si teneva altamente onorato
di assistere a quell'atto, perché con chiese, collegi e ospizi si promuove
il progresso dei popoli; lodo poi la Societá di Don Bosco, a cui la Re-
pubblica intera doveva giá tanti benefici. II predicatore, P. Jordán
(!) La Nación, 20 febbraio 1894.
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Capo XIV
gesuita, nel suo discorso alia Messa solenne a ve va toccato felicemente
il punto dei vantaggi, che derivano sempre dall'armonia dei due po-
teri (1). Un'unione maggiore in quei quattro giorni non si sarebbe
potuta desiderare; né si fecero aspettare i salutari effetti. La stampa
di Buenos Aires ne prese occasione per dedicare molti e lunghi arti-
coli alia piccola cittá, propugnando la convenienza di favorirne con
ogni mezzo gl'ingrandimenti. Si gran fervore di proposte segnó il prin-
cipio di quello che doveva divenire Bahia Blanca. Riguardo alio spi-
rituale, Mons. Cagliero, che prima la soleva chiamare Bahia Ñera, le
restituí d'allora in poi il suo vero nome.
Meglio ancora la dovette chiamare con il suo bel nome tre anni
dopo nel 1897, allorché la rivide al ritorno da una Missione, di cui di-
remo qui sotto. Don Vacchina, che lo accompagnava, descrisse cosí
quello che osservó con i propri occhi (2): « L'opera salesiana con la be-
nedizione di Dio diede abbondanti frutti. Le Suore di Maria Ausi-
liatrice vi hanno un grandioso Collegio-convitto con 400 ragazze, che
arrivano a 600 nei giorni festivi; i Salesiani, oltre la parrocchia, hanno
un'altra bella chiesa di N. S. della Pietá con annesse scuole: vi ten-
gono puré il Collegio Don Bosco con 300 alunni ed un numeroso ora-
torio festivo. Gli studi vi fioriscono e con gli studi fiorisce la pietá
e la virtü. Anche le Associazioni Cattoliche sonó numeróse: vi hanno
gli Operai cattolici, le Conferenze Yincenzine per signore, la Pia
Unione del Sacro Cuore, quella delle Figlie di Maria Immacolata e
la Compagnia di S. Luigi, tutto in prosperitá e fervore. »
A Bahia Blanca l'Arcivescovo Aneyros aveva dato ai Salesiani una
delle ultime e piü luminose prove del suo affetto. Nella notte sul 4
settembre Dio quasi improvvisamente lo chiamó a sé. Aveva retto per
ventiquattro anni con zelo apostólico la sconfinata diócesi. Tre cose
particolarmente ne raccomandano il nome alia storia della Societá
Salesiana: la sua affettuosa venerazione per Don Bosco, che in gior-
nate memorande del giugno 1877 volle visitare a Torino; la sua bontá
inesauribile per i figli e le figlie del Santo, che trovarono sempre in
(1) Lett. di Don Dállera a Don Rúa, 20 aprile 1894. Cfr. anche Bodas de Plata, nel 25o dell'opcra.
Bahía Blanca, Panzini, 1919.
(2) Boíl. Sal, luglio 1898.
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Aliar gamenti del Vicariato Patagónico e nuovi centri di Missione
lui un benefattore, un amico, un padre; l'evangelizzazione della Pa-
tagonia, in cui mercé il suo favore poté Leone XIII erigere il Vica-
riato e affidarlo ai Salesiani. II suo antecessore, quando il nome di
Don Bosco era ancora sconosciuto neU'America, gli aveva narrato d'a-
ver visto in sogno una falange di Missionari, che, venuti da oltre l'O-
ceano, si avanzavano nella diócesi bonarense a prendersi cura della
gioventü; ond'egli si dice va lieto che fosse toccata a lui la sorte di ac-
coglierli, proteggerli e aiutarli.
Non ando molto che passó nelle mani dei Missionari salesiani
anche la grande Pampa, quella denominata Pampa Céntrale, perché
occupa precisamente il centro della Repubblica Argentina. É un va-
stissimo territorio, che ha una superficie superiore alia meta dell'I-
talia peninsulare (1); ma la sua popolazione non arriva oggi a 200
mila abitanti, mentre nel 1895 era appena di 25.900. Qui domino il
famoso cacico N a m u n c u r á (2) fino alia campagna del 1879; qui s'in-
contrarono allora per la prima volta i Salesiani con gli Indi. Dopo
la sconfitta i superstiti vissero dispersi in modo da non poter piú for-
mare tribu. Nel tempo di cui parliamo, popolavano il paese in mino-
ranza indigeni araucani e patagonici e gauchos (3) e in maggioranza
coloni emigrati dalla Spagna, Germania, Russia e dal Piemonte. Ne
avevano la cura religiosa i Francescani; ma nel 1895 per difetto di
personale si ritirarono, rimettendo la Missione nelle mani delFArci-
vescovo Castellanos, il quale, non avendo altro modo di provvedere,
pregó Mons. Cagliero di aggiungerla al suo Vicariato. II Cagliero aderi
di buon grado, costituendovi tre centri parrocchiali o di Missione:
a General Acha, a S. Rosa di Toay ed a Victorica. Da questi punti
con escursioni periodiche i Missionari avrebbero provveduto ai biso-
gni religiosi degli indigeni e dei coloni disseminati per la campagna.
Si cominció da General Acha nel gennaio del 1896. Questa era
allora la capitale del territorio; le fu imposto un tal nome in memo-
ria di un Genérale segnalatosi nelle lotte contro gli Indi. Don Orsi
(1) Kmq. 144,183.
(2) Annali, pp. 420-2.
(3) I gauchos sonó i disccndenti degli antichi Spagnoli, dcditi alia cura del bestiame, uomini in-
durati alia vita del campo.
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Capo XIV
vi portó tutto il suo ardore giovanile. Per buona sorte si trovo at-
torno un gruppo di persone assai ben disposte, compreso il Governa-
tore con la sua famiglia, e desiderose di a veré in mezzo a loro il
Missionario. Anche la popolazione in genérale non si mostrava indiffe-
rente. Don Orsi non era alie sue prime armi, essendo giá stato sette
anni nella Patagonia, donde venne puré il suo aiutante Don Mán-
gano. Si allogarono in un'abitazione provvisoria poverissima. Aloune
pie signore avevano appena finito di ripulire e rimetter in ordine la
vecchia cappella, da tempo abbandonata. Esisteva anche una cliiesa
fatta costruire dal Governatore nel 1890, ma non ancora aperta al
culto. Don Orsi fu autorizzato dalPArcivescovo a benedirla il 2 aprile.
Era la domenica delle Palme; si poterono perció compiere le funzior.i
della settimana santa con grande contento, edificazione e frutto dei
fedeli. Poi i Missionari si diedero a percorrere il territorio, invitando
quanti piú poterono alFadempimento del precetto pasquale. Si rivol-
sero puré, cosa nuova, ai cinquanta carcerati del luogo, che si la-
sciarono persuadere a ricevere i sacramenti; ma bisognó addirittura
evangelizzarli con un lavoro apostólico di diciassette giorni. In se-
guito questa pratica fu ripresa ogni anno. Una scuola parrocchiale,
aperta con la massima sollecitudine, ebbe nel primo anno 40 alunni.
Secondo le istruzioni ricevute da Mons. Cagliero, Don Orsi preparo
il terreno a un Collegio dedicato poi airimmacolata, collocandovi,
come si esprime Mons. Tavella (1), per prima pietra la carita, rice-
vendo cioé fanciulli poveri. II sistema di Don Bosco ben applicato
fece impressione e guadagnó molte simpatie.
Nello stesso mese di aprile Don Franchini principió la Missione
di Santa Rosa, borgata di 1500 abitanti, ma oggi cittá capitale del ter-
torio. Dista 120 chilometri da General Acha. Nella campagna, abba-
stanza popolata, l'apatia religiosa regnava sovrana, effetto special-
íñente d'ignoranza. Gli emigrati vi menavano una vitaccia, scandaliz-
zando gli indigeni. Nel paese una brava insegnante aiutó assai il Mis-
sionario: ma nella campagna tutto era da fare. Don Franchini. dotato
di robusta costituzione, galoppava le giornate intere a cavallo per
(1) B. 1. TAVELLA, Las Misiones Scilesianas de la Pampa. Buenos Aires, Rosso y Cía., 1924
Pag. 184 11 salesiano Mons. Tavella e ora Arcivescovo di Salto.
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Altar gamenti del Vicariato Patagónico e nuoui centri di Missione
andar a istruire, a battezzare, a regolare matrimoni. In una sola
estancia battezzó piü di 70 giovanetti.
A Victorica, residenza della terza Missione, lontana 200 chilometri
da Santa Rosa, fu mandato nel giugno del 1897 Don Luciani, sosti-
tuito otto mesi dopo da Don Roggerone. É sempre edificante vedere
con che spirito di sacrificio quei primi Missionari si adattavano ad
una vita non solamente laboriosa, ma anche resa piü dura dalle pri-
vazioni. Non parlo della solitudine, a cui li condannavano le distanze
immense e i mezzi di trasporto molto primitivi; dico della mancanza
di tante cose necessarie alia vita. Don Luciani, per esempio, dormiva
in un bugigattolo che faceva da sagrestia, coricandosi sopra un sac-
cone steso ogni sera sopra due banchi della scuola. Li consolavano
pero abbastanza i frutti spirituali del loro apostolato.
Nella Pampa Céntrale Mons. Cagliero durante l'ottobre e il no-
vembre del 1897 fece la sua prima visita pastorale o escursione mis-
sionaria, e che escursione! Fra le tre residenze visítate corre la me-
desima distanza che fra Genova, Milano, Bologna. Non era da pensare
non dico a treni, ad automobili, ma nemmeno a veicoli un po' da cri~
stiani e a strade carreggiabili. Si viaggiava sulle cosi dette galere,
specie di diligenze tírate da una dozzina o piú di cavalli, che correvano
a furia per cammini, in cui le ruóte della carrozzaccia e le zampe dei
quadrupedi avevano scavato solchi profondi. Che scosse! che sbalzi!
che saltelloni! Nubi di polvere e di arena, spinte da venti formidabili,
vi si rovesciavano sopra senza interruzione, penetrando nelPinterno,
nonostante qualsiasi riparo. Agli arrivi i viaggiatori ne uscivano con
una vera cappa di polverume, che copriva loro abiti, volto, man i,
come se sbucassero da una miniera. Né l'aspetto del paese ricreava
loro la vista: pianura a perdita d'occhio con ondulazioni arenóse o
sparse di fiocchi derbaccia amara (1); qua e la immense boscaglie con
basse piante dal tronco tozzo, dai rami intricati e spinosi con rare
foglie rachitiche. Non fiumi, né rii, né fonti: ogni tanto qualche la-
ghetto d'acqua salata. Di tratto in tratto macchie nere, rosse, biauche:
(1) Da tale configurazionc é denvato al territorio il nome di Pampa per antonomasia; poiché col
nomo, di Pampas, si indiano generalmente ncll'America Mcridionalc le pianure prive di boschi o ri-
\\estile di una grossa vegetazione erbacea.
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Capo XIV
armenti di buoi, cavalli, pecore; poiché il suolo é un po' adaíto alia
pastorizia. Al presente, ben coltivato, si vede quanto sia anche fer-
tile. Monsignore si era preso seco il gagliardo e vivacissimo Don Vac-
china e Don Roggerone, che per fare il missionario ambulante fra
i coloni e gli Indi non aveva chi lo superasse. Si fermó da dieci a
quindici giorni in ognuna delle tre residenze, occupando ininterrot-
tamente il suo tempo in prediche, confessioni e cresime, Dopo passó
per Bahia, donde sulla famosa galera rifece la strada di Viedma, ao-
colto ivi a gran festa dai Salesiani, dai loro giovani e dal popólo, come
i! padre che ritorna.
Cera, dicevamo, nella Patagonia una parte, che veniva contesa a
Mons. Cagliero: questa parte era la céntrale, il Chubut. Chi brigava
sotto sotto per soppiantarlo, stava giá per ottenere che Roma stac-
casse il Chubut dal Vicariato esistente. formandone uno nuovo. Ma
quando Roma conobbe meglio le sue mire non disinteressate, il di-
segno crolló issofatto. Lo disse esplicitamente Leone XIII a Don Rúa
nell'udienza del gennaio 1892. « Nulla, furono sue parole, sará rinno-
vato nella Patagonia, essendosi saputo che erano poco onorevoli i
precedenti di chi vi faceva la guerra nel Chubut per impiantarvi un
Vicariato a parte ed essere lui il titolare » (1).
Perché la storia sia meno incompleta, aggiungeró qualche altra
notizia. II Card. Simeoni, Prefetto di Propaganda, teneva giá pronto
il Decreto in favore di un tal Can. Vivaldi, che da tempo brigava
perché fosse costituito il Vicariato del Chubut e ne venisse egli in-
vestito. In Roma preti e chierici disposti ad accompagnarlo andavano
a dirlo ingenuamente ai Salesiani del Sacro Cuore. Ma sul piú bello
il Cardinale fu chiamato all'eternitá. Allora Mons. Pérsico che sosti-
tuiva pro tempore il defunto, assicuro a voce Don Rúa che non se
ne sarebbe piü parlato; tale era certo il volere del Papa, come é dato
argüiré dalla sua dichiarazione riferita or ora. Venne cosi rimosso
un vero flagello per le terre della Patagonia, giá tanto infelici, come
scriveva Don Rúa in quei giorni. Chi aiutó i Salesiani in questa fac-
cenda fu il P. Rondina, gesuita (2).
(1) Verb. del Cap. Sup., 9 marzo 1892. Lett. di D. Rúa a Don Savio, Nice, 17 marzo 1892.
(2) Lctt. di Don Rúa a Don Costamagna, Marsala, 2 febbraio 1892.
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Aliargamenti del Vicariato Patagónico e nuovi centri di Missione
II Chubut prese il nome dal suo maggior fiume. Ha una super-
ficie di poco inferiore a tutta la penisola italiana dalle Alpi alia Ca-
labria, ma scarsissima popolazione (1). Se oggi i suoi abitanti sonó
su per giú 40 mila, mezzo secólo addietro erano poco piü della meta.
Si estende dalle Ande alF Atlántico. Quanto a religione vi spadro-
neggiava il protestantesimo, che aveva il suo centro vivo e attivo in
una colonia fondata da Inglesi del Galles nel 1875. Pare che fosse loro
intento di stabilirvisi in regione indipendente, come per diritto di con-
quista in nome di Sua Maestá britannica; ma Ja bandiera argentina
issatavi nel 1888 ne smorzó gli ardori. Erano circa 2500, divisi in
varié sétte e attaccatissimi ognuno alia propria.
I Salesiani dopo nove anni d'inutili tentativi poterono finalmente
penetrare anche in questo territorio. Vi entrarono nel maggio del 1892
con a capo Don Bernardo Vacchina. I tre giorni di viaggio da Buenos
Aires furono tre giorni di spaventosa burrasca, nella quale la goletta
su cui navigavano, era sballottata sulle onde come un guscio di noce.
Veramente alcuni luoghi erano giá stati visitati da Missionari sa-
lesiani; ma senza una residenza stabile si sarebbe ottenuto poco o
nulla. Per questa residenza fu scelta la minuscola capitale Rawson
di circa mille abitanti, in buon numero italiani, che, come i piü ca-
paci, avevano il monopolio del commercio, delle arti e delle industrie.
Era ancora priva di posta regolare e di telegrafi; la visitava soltanto
si e no ogni cinquanta giorni una nave a vela.
I nuovi arrivati incontrarono un'accoglienza glaciale e si vedevano
guardati di mal occhio. Vivevano in estrema povertá. Abitavano una
casa senza mobili, perché messa poco prima a sacco. Tornava diffi-
cilissimo procurarsi i mezzi di sussistenza. L'anno seguente Don Mi-
lanesio, andato la per una Missione, scriveva (2): « Presentemente
la povertá in questa Missione é grande, piü grande che in tutte le
Missioni da me viste, ma si va avanti passabilmente, limitandoci di
qui, privandoci di la di molte cose anche d'uso piü comune. » Per
un mese Don Vacchina e i suoi compagni avevano dormito sul pa-
vimento di legno in una stanzetta al fondo della cappella. Facevano
(1) Kmq. 241.966; íib. 44.000.
(2) Lett. a Don Rúa, Rawson, agosto 1893.
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Capo XIV
un solo pasto al giorno, perché non potevano spendere di piü (1).
Tutte le Autoritá, meno il Governatore e il Giudice, appartenevano
a sétte protestanti. Ogni setta aveva chiesa, scuola e ministro lauta-
mente stipendiato. I cattolici non oltrepassavano i 200. Gli Indi occu-
pavano un tratto lungo le sponde del fiume, collegati in una inno-
cua tribu, la piü numerosa della Patagonia. Purtroppo questi in-
digeni avevano continué relazioni con i gallensi, scambiando pelli e
piume di struzzo.
Per aprirsi la strada i Missionari cominciarono dai ragazzi, con
scuole elementan maschili e oratorio festivo. Dopo quasi sei mesi di
f atiche ebbero il conforto di avere alie loro scuole quasi tutta la gio-
ventü maschile cattolica; un tentativo di scuola serale per giovanotti
lavoratori non riusci a causa delle distanze. La chiesuola, piccolina
ma decente, attirava nei giorni festivi i cattolici, massime per il decoro
con cui vi si celebrava la Messa e vi si facevano le funzioni. Negli
Italiani si risvegliava la fede non morta, ma sopita. Le Quarantore
si chiusero con ben cinquanta comunioni, le prime per parecchi adulti.
Un ex-allievo del Collegio di Lanzo aiutó a dipingere le tele per il
teatrino. Alia prima rappresentazione assistettero le Autoritá, i prin-
cipali del luogo e quattro famiglie protestanti, che permisero alie fi-
glie di rallegrare la festa con la loro perizia musicale sopra un piano-
forte imprestato.
L'accennata Missione di Don Milanesio cadde nell'agosto del 1893
e duro un mese. É interessante il ricordo dell'incontro con D. Vacchi-
na, rievocato da questo cinque anni dopo. « Nel Chubut, scriveva
egli (2), dovetti stare un anno intero senza poter vedere un sacerdote;
ma quando ci capitó Don Milanesio e ci potemmo rallegrare a vicenda,
come S. Antonio e S. Paolo nel deserto, mi confessai effusive et dif-
fusive covam populo, maravigliato, compunto e contento di poter ve-
dere il povero Pastore battersi il petto e diré il mea máxima culpa,
sicuí el ceteri peccatores. Ah! q u a n t a consolazione provai allora! Ma
é certo che Iddio, quando ci mette in queste circostanze, sta con noi, e
tanto ci basta. » L'apostolo degli Indi D. Milanesio cercó allora quelli
(1) Memorie medite di Don Vacchina.
(2) Boíl Sal, maggio 1898.
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Aliargamenti del Vicariato Patagónico e nuovi centri di Missione
del Chubut, appartenenti tutti alia razza dei Tehuelches. Fra gio-
vani e adulti ne battezzó 200.
Ed ecco nel novembre arrivare a Rawson le Figlie di Maria Au-
siliatrice. Direttrice era Suor Anna Panzica, siciliana, che s'inten-
deva di medicina e di farmacologia; le altre erano americane. I
Salesiani fecero trovar loro una casa migliore della propria. Esse
iniziarono con tutta sollecitudine scuole, oratorio festivo e labo-
ratorio.
Famiglie cattoliche, mischiate ai protestanti nella colonia gállense,
sospiravano un prete. Don Vacchina ando da loro nel mese di dicem-
bre. Non essendovi chiesa, improvvisarono una cappella nel salone
di un negoziante ligure. Era la prima volta che si praticava il culto
cattolico in quella térra. Nessuno mancó. Alia vista dei templi pro-
testanti che spesseggiavano nelPamenissima vallata, mentre i cattolici
non avevano un altare, il Missionario si sentí stringere il cuore;
onde prima di lasciarli impartí loro opportune istruzioni sul modo
di regolarsi. Io Nessuno portasse i neonati a protestanti per il batte-
simo; venissero dai Missionari o li mandassero a chiamare. In caso
di necessitá, battezzassero essi stessi. Tuttavia ne incaricó uno, di cui
fece il nome e che istrui. 2o Avvisassero per i malati; mancando il
tempo, si rivolgessero ad una certa signora, che avrebbe saputo pre-
pararli al gran passo. 3° Per le sepolture non chiamassero il ministro
protestante, ma si riunissero fra loro, recitassero il Rosario e cosí
accompagnassero la salma al cimitero. Non dimenticassero di mettere
la croce sulla tomba. 4o Ai fanciulli in etá della prima comunione
cominciassero a insegnar bene le orazioni e le principali veritá della
Fede, in attesa che tornasse il Missionario. Se volessero mandare a
Rawson i ragazzi dai Missionari e le ragazze dalle Suore per una
settimana, non costerebbe loro nulla. 5o Mai protestanti per pa-
drini o per testimoni in atti religiosi, mai cattolici ai riti del loro
culto. Rispettassero, ma non comunicassero. 6o Santificassero le feste.
Vivendo fra gente avvezza a osservarle, la loro trascuratezza avrebbe
dato scandalo. Abbandonassero in tali giorni non solo il lavoro, ma
anche i divertimenti rumorosi e prolungati; esercitassero invece opere
di carita e di misericordia, massime verso gl'infermi, senza distin-
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Capo XIV
zione di razza, di religione o di persone. 7° Mancando la chiesa, fosse
santuario la casa, la famiglia; facesse da sacerdote il capo.
Con l'andare del tempo, la vita stessa dei Missionari, confrontata
con quella dei ministri protestanti, costituiva un'apologia in azione.
Molto salutare fu l'esempio del nuovo Governatore, cattolico con-
vinto e senza rispetto umano. Fece impressione il vedere come i
Salesiani si occupassero dei figli del popólo, istruendoli, ricoveran-
doli, se orfani, e riunendoli le domeniche nei loro ricreatori. Impres-
sionó ancor piü un'altra opera. Tanti poveri coloni senza famiglia,
senza tetto, senz'altro mezzo che il lavoro delle braccia, cadendo in-
fermi, venivano abbandonati come cani. Senza lasciarsi scoraggiare
dalle strettezze economiche, Don Vacchina mise in piedi un piccolo
ospedale, aperto a tutti indistintamente. « Fui allevato, scrisse (1),
alia scuola di Don Bosco, ho veduto, anzi fui parte nella fondazione
dell'ospedale di Viedma, e non temo; e tanto piü che cerchiamo d'as-
sicurarcene l'esito con la rettitudine d'intenzione e con la benedi-
zione del nostro veneratissimo Mons. Cagliero. » Oltre alia santa gra-
zia di Dio, crediamo che lo zelo e il disinteresse dei Missionari siano
stati le cause per cui dal 1895 presero a moltiplicarsi le conver-
sioni dei dissidenti.
Certo é intanto che questo atteggiamento fini col chiudere la bocea
ai nemici. Cessó la guerra spietata che ferveva contro i Salesiani; non
piü lettere procaci, luridi anonimí, cartelli infamanti esposti in luoghi
frequentati; non piü canzonature e insulti ai piü noti amici della
Missione. Si era insomma rasserenato l'orizzonte.
Dopo tanti anni, fu una buona volta permesso al Vicario Apo-
stólico d'inserire nella periódica relazione ufficiale del Vicariato alia
Santa Sede anche i dati riferentisi a questa porzione del suo gregge,
fino allora sottrattagli dall'altrui prepotenza. Ció fu nell'aprile del
1895. Ecco il punto: « In Rawson, capitale del Chubut, i nostri Sa-
cerdoti e le Suore di Maria Ausiliatrice sonó martello all'eresia in-
vadente e salvaguardia ai cattolici Argentini, i cui figli frequentano
la Chiesa ed i due Collegi della Missione. E poiché si sentí la man-
co Lctt. a Don Rúa, 28 maggio 1893.
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Aliargamenti del Vicariato Patagónico e nuovi centri di Missione
canza di un Ospedale in quelle remote plaghe, si sta giá innal-
zando coi soccorsi della popolazione della Missione e si spera anche
del Governo. I dintorni di questa Missione sonó popolati dalle tribu
degli Indii Tehuelches, i quali ascoltano volentieri la voce del Van-
gelo, predicato a quando a quando da qualcuno dei nostri MissionariL »
Cosi riferiva, fondandosi sopra le informazioni fornitegli dai Mis-
sionari; ma nell'ottobre seguente lo constató de visu. Quali fossero
diventate le disposizioni degli animi, lo significo immediatamente il
contegno genérale verso la sua persona. II Governatore si stimó ono-
rato di andaré a porgergli il benvenuto a 18 chilometri da Rawson;
i principali della colonia italiana si presentarono con lui ad osse-
quiarlo; durante il mese di soggiorno nella capitale tutte le Autoritá
gli dimostrarono simpatia e venerazione. II Governatore, saputo che
voleva recarsi ira i gallensi per visitare le quattro o cinque famiglie
cattoliche, ve lo accompagnó con la sua carrozza, A Rawson poi Mon-
signore s'interessó di tutto e di tutti. Stabili una conferenza Vincen-
zina fra le signore; animó le signore, le quali Don Vacchina aveva
riunite in una fervorosa Associazione del Sacro Cuore, e le Figlie
di Maria, presiedendo due volte le loro riunioni. Non perdette di
vista gli Indi; ma, approfittando della venuta del cacico Salpo, gli
parló dell'istruzione religiosa e del battesimo per la sua gente. II
cacico acconsenti, e Monsignore senza perder tempo vi mandó lo
stesso Don Vacchina. Partendo ricevette attestati di rispetto da tutta
la colonia, dai connazionali e dalle Autoritá. Quelli che piü ne sen-
tirono la partenza, furono i fanciulli e le fanciulle delle scuole, ai
quali Monsignore aveva dato molte prove di tenerezza paterna.
Un buon termómetro per misurare la vita spirituale in una popo-
lazione é il numero delle comunioni. Per Rawson abbiamo la sta-
tistica di quattro anni consecutivi, da quando cioé l'azione missio-
naria cominció a produrre frutti sensibili, vale a diré dai 1894. In
quell'anno le comunioni furono 382; nel 1895 crebbero a 747; nel
1896 arrivarono a 1249; nel 1897 raggiunsero la bella cifra di 2021.
Entro il giro degli anni, di cui abbiamo parlato qui sopra, Mons.
Cagliero, per daré consistenza all'opera di evangelizzazione compiuta
dai Missionari con le loro lunghe, pericolose e faticosissime pere-
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Capo XIV
grinazioni, stabili in due altri punti del Rio Negro, in uno del Neu-
quén e in uno del Colorado, quattro nuove stazioni missionarie. Una
stazione missionaria fissa é come nell'arsura del deserto un punto, dove
rampolli una vena d'acqua: vi si forma un'oasi, in cui vicino cresce
la bella vegetazione e da lontano vengono le carovane a cercar re-
frigerio.
Le due del Rio Negro sorsero a Conesa e a Choele-Choél. Co-
nesa era una piccola colonia sulla sponda destra del gran fiume, a piú
di 200 chilometri da Viedma, con una popolazione mista. Nella spe-
dizione militare del 1879 Don Costamagna vi aveva battezzato un
certo numero di Indi, deportati dal Colorado. Dal 1881 in poi Don
Milanesio visitava una o due volte all'anno quella rancieria o gruppo
di ranchos, istruendo e battezzando. Qui egli cominció il suo studio
della lingua araucana per farsi intendere da quanti poco o nulla
capivano di spagnolo. Ma vedeva puré la necessitá che vi si fissasse
u n a casa di Missione per tutta la zona. Monsignore nel 1891 incaricó
lui stesso di condurvi i primi Salesiani e le prime Figlie di Maria
Ausiliatrice, allogandoli in locali presi a pigione, di cui, finché fu
necessario, pagarono il fitto i vicini. Vi si arrivó all'apostolica, sprov-
visti di tutto; ma la gente della colonia venne in aiuto, imprestando
mobili e portando viveri. Alia Messa e alie piccole funzioni inter-
venivano molti. La prima festa, in onore del Patrono S. Lorenzo, si
celebró con la maggior pompa possibile mediante il concorso di tutti,
ricchi e poveri. Seguirono poi le altre, che elevarono a poco a poco il
tono della vita religiosa o piú semplicemente della vita, in un luogo,
dove per l'addietro le giornate si succedevano grige grige, senza che
nulla mai facesse vibrare lo spirito e lo portasse in alto. Don Mila-
nesio in procinto di lasciare Conesa per lanciarsi alie sue corsé apo-
stoliche scrisse (1): «La casa salesiana di Conesa, sebbene al pre-
sente umile come la grotta di Betlemme, spargerá, speriamo, bene-
fizi spirituali e temporali sopra una vastissima zona popolata la
maggior parte da indigeni e semindigeni.» La sua speranza non
ando delusa (2).
(1) Lott. a Don Hua. lo setiembre 1891.
(2) Cfr. Boíl. Sal., setiembre 1898.
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Aliargamenti del Vicariato Patagónico e nnovi centri di Missione
SulFopposta sponda del fiume, a ovest di Conesa e alia distanza di
circa 200 chilometri, é Choele-Choel. Riuniti aveva un 200 abitaníi,
ma piü di 2000 sparpagliati in uno spazio immenso. Mons. Cagliero
e i Missionari, evangelizzando lungo il Rio Negro, ne facevano un
centro d'irradiazione. II luogo, indicatissimo per una stazione per-
manente, la ebbe nel 1891 da Don Bonacina, che nella sua vita di
privazioni vi gustó molte consolazioni spirituali, frutto delle sue apo-
stoliche fatiche.
Nel territorio del Neuquen la stazione missionaria fu stabilita a
Junin de los Andes, distante circa 400 chilometri dalla confluenza, che
da origine al Rio Negro, e piü di 1000 da Viedma, dov'era la Casa
Madre della Patagonia Salesiana. É una localitá andina molto pit-
toresca. Qui soleva piantare le tende Don Milanesio, allorché per-
correva la regione. Nel 1895 Mons. Cagliero gli ordinó di gettarvi
le fondamenta di una Casa salesiana, destinata a spargere la luce
del Vangelo e della civiltá in mezzo a cinquemila indigeni di quelle
terre. Egli vi soggiornó due anni, avendo per abitazione due capanne
di fango col tetto di paglia. Trascorreva le lunghe serate invernali
nel fare la dottrina e un po' di scuola ai fanciulli, che poteva racco-
gliere; ma nei mesi della buona stagione dava Missioni lungo le rive
del Limay e de' suoi affluenti, scoprendo ogni tanto nuclei d'indigeni
sperduti in seno alie immense valli (1). Nel 1897 ricevette da Mon-
signore l'ordine di cercare a Buenos Aires e altrove il danaro oc-
corrente per fabbricare a Junin un collegio. Non uno, ma due ne fece
sorgere la ai piedi della Cordigliera, essendovisi eretto puré queJ
delle Figlie di Maria Ausiliatrice. É indescrivibile quante fatiche e
quanti sudori costó tale impresa. Basti pensare alie infinite distanze,
ai mezzi di trasporto consistenti in solé bestie da soma, alie strade
pressoché impraticabili, alia somma povertá degli abitanti ed an-
che alie conseguenze delle calamita che turbavano di tratto in tratto
la tranquillitá della Repubblica. Ma non si sarebbe potuto escogitare
altro di meglio per radicare nel territorio del Neuquen la fede e la
vita cristiana. Non molto lungi da Junin de los Andes, nei quaranta
(1) Lctt. n Don Rúa, Buenos Aires, 5 febbraio 1897.
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Capo XIV
chilometri di terreno ceduti a lui e alia sua famiglia dal Governo
argentino, nella vallata del fiume Aluminé, aspettava malinconica-
mente la fine de' suoi giorni il bellicoso e debellato vecchio cacico
Namuncurá, il cui nome resterá nella nostra storia associato a quello
del suo figlio minore, alunno dei collegi Pió IX a Buenos Aires e di
Villa Sora a Frascati, Fangelico Zefirino (1).
D a t a p u r é dal 1895 la stazione di Fortin Mercedes sulla riva si-
nistra del Rio Colorado, a meta strada fra Bahia Blanca e Pata-
gones. É il centro di una estesissima e poco popolata regione; ma
godeva allora una fama niente invidiabile. I Salesiani conoscevano
da un pezzo la zona, avendola esplorata piü volte nelle loro escur-
sioni evangeliche; nel 1888 Don Savio l'aveva percorsa tutta in lungo
e in largo, facendovi gran bene e lasciando di sé bella memoria. Don
Pietro Bonacina nel 1892 vi stette otto mesi, perlustrandola da capo
a fondo. Finalmente nel 1895 Mons. Cagliero vide la necessitá di sta-
bilirvi una residenza fissa, donde si potesse esercitare su quei coloni
un'azione continua e piü efficace. Ne nomino capo il detto Don Bo-
nacina, anima di apostólo. Egli gettó súbito le fundamenta di due
orfanotrofi, uno maschile e l'altro femminile. Alie forti spese per le
costruzioni provvedeva una sottoscrizione fra quei coloni, molti dei
quali abbastanza forniti di beni. Per tutto il rimanente c'era il suo
spirito di sacrificio. Alzatosi per tempissimo e celebrata la Messa, si
metteva a fabbricare mattoni crudi, con cui costruire le prime ca-
sette; quindi faceva scuola, esercitava il ministero, lavorava fino a
tarda notte. Di forme atletiche e di forza erculea, non aveva paura
della fatica e sapeva far stare a dovere certi malviventi, che avreb-
bero voluto attentare alia tranquillitá delle Suore. Appena ebbe pronte
tre camere, raccolse una ventina di orfanelli. Inizió puré qualche
laboratorio. Altrettanto fecero le Figlie di Maria Ausiliatrice, arri-
vate nel 1896. Monsignore visitó le due Case durante la sua accen-
nata peregrinazione del 1897. Trovó scarso personale e molta povertá;
tuttavia il suo occhio sagace v'intui un avvenire grande e sicuro.
Infatti il Collegio S. Pietro, progredendo di anno in anno, venne
(1) Di luí ha pubblicato rccentcmcnte una biografía il salcsiano Don Castaño (S.E.I., 1934).
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Aliargameníi del Vicariato Patagónico e nuoui centri di Missione
a formare da sé un piccolo paese, riunendo tutte le comoditá indi-
spensabili per le condizioni del luogo e per Tuso a cui era destinato.
Nel 1900 scriveva di la un Cooperatore (1): « II passeggiero che p a r t e
da Bahia Blanca o da Patagones, dopo 18 o 20 ore d'incomodissimo
viaggio fra campi incolti, disabitati e deserti, si senté allargare il
cuore, quando comincia a scorgere da lontano quel bianco edificio.
Sara fantasía, ma io provo una sensazione di piacere e di contento,
quando, lasciati i míei lavori di casa, mi avvio al Fortín Mercedes.
Non c'é paese, né autoritá, né famiglie, niente di tutto ció, ma c'é
il Collegio S. Pietro, vi sonó cola i Salesiani intenti ai loro doveri e
tanto mi basta, e basta puré a moltissimi altri, perché in loro noi
troviamo l'amico per fare quattro chiacchiere, il padre che ci da savi
consigli, il medico che ci cura nelle malattie corporali e spirituali, il
maestro che c'insegna, ci consola, ci fortifica e ci aiuta. »
Ma questo era ancor poco; i presagi di Mons. Cagliero si vedono
oggi avverati in una forma, che egli certo non si poteva immagi-
nare. Toccherá ad altra penna il compito di scrivere questa pa-
gina degli Annali (2). Nel sogno missionario del 1885 (3) Don Bosco
vide « una casa con molti Confratelli salesiani, i quali si esercita-
vano nella scienza, nella pietá, in varié arti e mestieri e nell'agri-
coltura». Questi dati corrispondono alia Casa di Fortin Mercedes,
qual é al presente: Casa di formazione nell'Ispettoria di S. Francesco
Saverio, con numeroso studentato di chierici, scuole professionali,
scuola di agricoltura, museo regionale e santuario di María Ausi-
liatrice, meta di pellegrinaggi. «A Sud era la Patagonia», sog-
giungeva Don Bosco: particolare topográfico che conferma l'identi-
ficazione.
(1) Sig. Secondino Brassetti, Fortin Mercedes, 20 agosto 1900, in Boíl. Sal. di novembre 1900.
(2) Lo stato attuale dell'opera si deve all'Ispettore Don Manachino. Cfr. la voluminosa mono-
grafía: Misiones de Patagonia; Fortin Mercedes.
(3) Annali, pag. 506.
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CAPO XV
I Salesiani nella térra di Gesü.
Terrasanta! Questa mágica parola ha risvegliato sempre nelle
anime cristiane viví sentimenti di amore, di riconoscenza, di de-
siderio. Piange il cuore al pensare quale scempio abbiano fatto di
quei luoghi santificati dalla vita, passione e morte del Salvatore
i scismatici, gli eretici, i protestanti ed i mussulmani. I cattolici
che resistettero alia nefasta penetrazione, sonó ridotti purtroppo
a una minoranza quasi sperduta nel maremagno delle sétte av-
verse, alie quali bisogna aggiungere oggi la fiumana degli Ebrei.
Lavorare nella térra di Gesü per difendere e propagare quella fede,
che di la Gesü irradio su tutto il mondo, fu sempre considerato
come una gloria, che ambirono in ogni tempo cuori generosi. in-
fiaminati d'amor di Dio. Anche ai Salesiani la Provvidenza volle
concederé tanta grazia.
In Terrasanta i Salesiani non entrarono di propria iniziativa,
ma vi iurono chiamati ad assumere un'Opera giá esistente, a cui
diedero consistenza, sviluppo ed estensione. Vedremo nel presente
capo i precedenti dell'Opera, diremo della sua cessione alia Societá
salesiana e toccheremo delle sue varié parti, rimandando ad altro
luogo il parlare degli incrementi.
In tutto questo periodo di tempo primeggia la persona del Canó-
nico Antonio Belloni, salutato generalmente in Palestina col titolo
di Padre degli orfani. Nacque il Belloni a Borgo S. Ágata nella
diócesi di Albenga il 20 agosto 1831. Chierico in Seminario, sen-
tendosi chiamato alie Missioni, passó nel 1855 al Collegio Brignole
Sale di Genova. Ordinato sacerdote il 19 dicembre 1857, fu de-
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1 Salesiani nella térra di Gesü
stinato da Propaganda al Patriarcato latino di Gerusalemme, dove
si recó nel 1859. Quella sede patriarcale, vacante da secoli, era
stata ricostituita da Pió IX il 18 gennaio 1848 nella persona di
Mons. Valerga. L'insigne Prelato, intuendo le rare doti del giovane
levita, lo assegnó al Seminario patriarcale di Betgiala, presso Geru-
salemme, come professore di Sacra Scrittura e direttore spirituale.
Mentre esercitava con zelo il suo ufficio, il giovane sacerdote os-
servava l'infeliee condizione di tanti poveri giovanetti, vittime di
sfruttatori, ignoranti di religione, pervertiti da gente viziosa e insi-
diati da protestanti. Provandone gran pena, studiava il modo di soc-
correrli. Lo scarso stipendio non gli lasciava margine per spese
non necessarie; ma la carita é coraggiosa. II Io gennaio 1863, fa-
cendo il suo bilancio, verificó un risparmio di appena 20 franchi;
tuttavia, confidando nella Provvidenza, decise di tentare qualche
cosa. In quello stesso giomo prese a oceuparsi di un fanciullo de-
relitto, figlio di un povero cieco, procurandogli cibo e vestito. Nei
mesi seguenti estese la sua beneficenza a tre altri meschinelli. II
suo collega Don Braceo, succeduto poi a Mons. Valerga, fu il
primo a porgergli un módico sussidio. Intanto trovo lavoro a'
suoi protetti presso un coronaio e nei di festivi faceva loro scuola.
Un giorno i Superiori lo avvertirono che i suoi ragazzi distur-
bavano la quiete del luogo; il che equivaleva a un ordine di
non piú introdurveli. Afflitto per tale contrarietá, s'imbatté in un
quinto fanciullo abbandonato, che era fuggito via dai protestanti.
Che fare? Affittó senz'altro nelle vicinanze del Seminario una ca-
succia, in cui gli diede ricovero, pane e di che coprirsi. Poco dopo
gli aggiunse uno di quei cinque; poi si vide costretto a mettervi
dentro anche gli altri quattro, piú un altro ancora che faceva
sette.
I debiti crescevano, ma cresceva puré il suo coraggio. Dei sa-
cerdoti, chi lo animava a proseguiré, chi gli dava dell'imprudente.
chi perfino lo motteggiava. II Patriarca, da prima contrario, gli
accordó in seguito la sua approvazione, accompagnata da un di-
screto sussidio. L'atteggiamento del Patriarca gli guadagnó be-
nefattori, sicché un bel giorno risolvette di creare un orfanotrofio.
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21.1 Page 201

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Cupo XV
Mosso da questo proposito, affittó un lócale piú capace; indi, prov-
veduto alia sorveglianza nelle ore in cui egli doveva recarsi al Se-
minario, vi condusse ad abitare i suoi ricoverati, giá in numero
di dieci.
Un'opera che sarebbe vissuta di elemosina, non poteva re-
stare in un angolo appartato, ma aveva bisogno di una ubica-
zione, che la mettesse in vista. Trovó il luogo adatto a Betlemme,
in una casa puré d'affitto, nella guale trasportó i suoi poveri
figliuoli, cresciuti a dodici. Cola, sulla strada che conduceva al
Presepio, i pellegrini non sarebbero passati senza darvi uno sguar-
do, préndeme conoscenza e lasciare qualche elemosina, ricordan-
dosene poi forse anche dopo il ritorno in patria.
Occupava guei ragazzi, oltreché con la scuoia, nel far corone:
embrione di laboratorio, a cui col tempo aggiunse i calzolai e i
falegnami, piú un negozietto per la vendita di oggetti divoti. Ma
quell'andare avanti e indietro da Betlemme a Betgiala e viceversa
(otto chilometri in tutto), non poteva durare. II Patriarca, che lo
favoriva, lo dispensó dal servizio nel Seminario, incaricandolo di
una cappellania, che gli permise di fissare la propria dimora presso
il suo caro orfanotrofio. Questo si veniva ampliando; nel 1874 aveva
45 ricoverati. Anno importante il '74 per l'Opera; poiché Don Bel-
loni, mirando a fondare una Congregazione diocesana col nome
di Fratelli della Santa Famiglia, vesti allora, nella festa del Pa-
trocinio di S. Giuseppe, l'abito religioso ai primi tre aspiranti, ve-
nuti dai ricoverati stessi.
L'anno seguente, tornando da un viaggio in Europa, menava
seco un prezioso collaboratore nel sacerdote Raffaele Piperni con
cingue giovani europei, desiderosi di abbracciare la carriera ec-
clesiastica e disposti a far parte della sua religiosa famiglia.
L'Opera progrediva: nel 1878 egli inauguró a Beitgemal una
Scuoia Agrícola, metiéndola sotto la direzione di un sacerdote ar-
rivatogli dall'Italia. Nel 1885 i giovanetti che godevano della sua
carita, erano 80 a Betlemme e 56 a Beitgemal. In Betlemme aveva
dato principio a un esternato, che contava 150 alunni.
A compiere l'Opera di Betlemme mancava una chiesa. Don Bel-
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/ Salesiani nella térra di Gesú
loni aveva giá tutto pronto per innalzarla in onore del Sacro Cuor
di Gesú; ma non poteva metter mano ai lavori, finché non ne avesse
il firmano. Firmano é parola turca, che significa decreto imperiale.
La Sublime Porta aveva riservato a sé il diritto di concederlo
o no agli stranieri, che sul suolo turco volessero fabbricare chiese
0 istituti di pubblica utilitá. Alio scopo d'impedire il condominio
straniero su parti del territorio nazionale, una legge proibiva la
vendita di terreni a cittadini d'altre nazionalitá; e questo, perché
in grazia delle Capitolazioni gli stranieri godevano in Turchia pri-
vilegi senza oneri, e diritti senza do veri. Cosí almeno giudicavano
i Turchi. Ma falta la legge, trovato l'inganno. I terreni venivano
comprati a nome dei nazionali e usufruiti dagli stranieri, che,
pazientando, aspettavano il momento per girare l'atto di proprietá
al proprio nome. Venuto questo momento, il firmano riconosceva uf-
ficialmente come legittima la cosíruzione giá fatta. A ottenerlo ci
volevano anni, protezioni, lunghissime pratiche e molte manee. Don
Belloni lo strappó nel 1886, nel quale anno inauguró anche una
terza Casa a Cremisan, destinata agli aspiranti e ai novizi della
Santa Famiglia.
Ora sarebbe da diré degli ostacoli, che il progressivo sviluppo
dell'Opera incontrava a ogni passo. Ce ne spicceremo in breve.
1 principali di questi ostacoli derivavano dalle peculiari condizioni
in cui vengono a trovarsi le Istituzioni religiose nei Luoghi Santi.
Di tali Luoghi fino dal principio del secólo xiv presero la custodia
in nome della Chiesa i Francescani, mandati prima da Giacomo II
di Aragona e dopo una breve interruzione rimandati da Roberto
di Napoli. La presa di possesso fu consacrata da Clemente VI con
due Bolle del 1342, dopo che erano intercedute lunghe trattative
dei Reali di Napoli con il Sultano d'Egitto. I diritti cosi acquisiti
vennero poi confermati ed ampliati dai successivi Sultani. Per tal
modo i Frati Minori conseguirono a poco a poco una preminenza
assoluta di fronte a qualsiasi altro ente religioso su tutti i Luoghi
Santi, e la protezione delle Potenze cattoliche, sollecitata anche
dai Papi contro atti ostili del Governo o delle sétte. Dopo il man-
dato britannico sopra la Palestina la questione dei Luoghi Santi
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Capo IV
venne rimessa alia Societá delle Nazioni. Riguardo dunque all'O-
pera belloniana, ci fu qualche zelante che vide in essa un ten-
tativo di mitíere falcem in alienam messem, di ledere cioé i diritti
della Custodia, e non se ne dava pace. Sorto rorfanotrofio di Be-
tlemme, ecco sorgerne un altro a Gerusalemme per soppiantarlo;
inaugurato a Betlemme l'esternato, ecco aprirsene un altro nella
stessa cittá per far moriré il primo. In tutto questo agiva sotto sotto
la lunga mano del suddetto zelante. Non basta: si lanciavano anche
gravi accuse. Ai pellegrini, che domandavano che cosa fosse quel
vistoso edificio, si rispondeva che era di un mistificatore, il quale,
pigliando in casa quattro straccioni, dava a intendere di tenervi un
orfanotrofio per ingannare la buona fede delle persone caritatevoli
e carpirne le elemosine. Se ne fece eco anche la stampa spagnola.
Non tutti pero abboccavano. Due illustri belgi, il canónico Verdure
di Tournai e il professore universitario Schwatz di Liegi, insospet-
titi, vollero sincerarsi personalmente delle cose, facendosi poi pa-
ladini dell'Opera. Passando questa nelle mani dei Salesiani, vi passó
con tutto il bagaglio delle opposizioni.
II passaggio ebbe luogo nel 1891. Don Belloni vi pensava pero
da molto tempo, preoccupato dal bisogno di assicurare alia sua
Opera la continuitá. Tenendo dietro alie sante imprese di Don Bosco,
ne studiava lo spirito e cercava di innestarlo fra i suoi. Manifestó
il suo divisamento due volte a Don Bosco stesso, nel 1875 e nel
1887 (1). La prima volta Don Bosco gli rispóse semplicemente di
non poter accettare per difetto di personale; ma la seconda gli disse:
— Ora no; dopo si.
II dopo venne, morto che fu Don Bosco (2). NelFagosto del 1890
il Canónico fece a Don Rúa per iscritto in forma confidenziale la
proposta d'incorporare la sua Opera con la Societá Salesiana, ce-
dendo a questa tutte le sue proprietá; diceva essere in ció d'accordo
con i suoi principali collaboratori e annunciava una sua prossima ve-
nuta in Europa. Presentata la cosa al Capitolo Superiore, gli si rispóse
(1) Mein. Biogr., voll XI, p 411, e XVT1. p 896.
(2) Certi particolari. che si troveranno qui sotto sonó desunti dai Verb. del Cap. Sup (25 ag.t
6 c 9 ott., 1890; 7 fcl)b., 22 mar., 11 ag., 11 e 29 sett., 12 nov. 1891; 15 apr., 3 nov. 1892).
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che s'acconsentiva in massima e che si aspettava la sua presenza per
deliberare. Venne a Torino in ottobre e ammesso a una seduta ca-
pitulare, presento fórmale domanda di fusione, specificando le sin-
góle parti dell'Opera che intendeva cederé. II Capitolo assenti. Fu
incaricato Don Durando di stendere la relativa Convenzione da
presentare a Propaganda. II testo, letto tre giorni dopo nel Capitolo,
presente Don Belloni, ebbe l'approvazione da ambe le parti. Si
deliberó intanto d'inviare nella Palestina Don Barberis, come vi-
sitatore. Allora Don Belloni si recó a Roma. In un'udienza privata
espose a Leone XIII il suo piano. II Papa approvó, gli disse d'in-
tendersi con Propaganda e gli fece daré settemila lire per i suoi
orfani. A Propaganda il Prefetto Card. Simeoni pose per condizione
che il Patriarca di Gerusalemme non avesse nulla in contrario.
Don Belloni, saputo che il Patriarca Piavi francescano era a Roma,
ando a trovarlo e a chiedergli il suo beneplácito. Monsignore glielo
diede non solo a voce, ma anche per iscritto. Presentato quel do-
cumento, la pratica fece con tanta rapiditá il suo corso, che il 9 no-
vembre il rescritto era giá bell'e pronto. Non si creda pero che
alPatto pratico si sia proceduto con eguale speditezza. Furon do-
lori! S'arrivó al punto che un giorno il Capitolo Superiore, nono-
stante la pubblicitá mondiale data all'ingresso dei Salesiani in Ter-
rasanta, prese la deliberazione di richiamarli tutti quanti.
Nel gennaio del 1891 il Canónico, che andava pellegrinando per
l'Europa in cerca di sussidi, scrisse chiedendo che con il Visitatore
si mandassero due Salesiani, i quali si stabilissero súbito a Be-
tlemme. II Capitolo esaudi la domanda. Verso la fine di maggio
Don Barberis salpó con lui da Marsiglia; partirono insieme Don
Useo, incaricato dell'amministrazione genérale, e Don Corradini.
Sbarcarono a Giaffa la mattina del 15 giugno. A Qoluniah, lontana
tre ore di cammino da Betlemme, furono incontrati dai maggiorenti
betlemiti; piú avanti, alia distanza di un'ora dalla cittá. stavano
schierati gli allievi, circa 300 fra interni ed esterni. Man mano
che si avvicinavano a Betlemme la folla aumentava, prorompendo
in grida di evviva. II piú autorevole fra i collaboratori di Don Bel-
loni, il giá menzionato Don Piperni, fattosi salesiano nel 1893, chia-
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Capo XV
mó quel 15 giugno " la data di un avvenimento ben grande negli
annali dell'Opera della Santa F a m i g l i a " (1). Poi continuava:
« Quello fu giorno di vera allegrezza per quanti conoscono i Sale-
siani, l'altezza della loro missione nel mondo e i bisogni della Pa-
lestina. » ínfine faceva questo rilievo: « Con la fusione delle due
famiglie, l'Opera di Betlemme ha acquistato una cosa di piú. e di
piü alta importanza, cioé la sua perpetuitá! Quante opere decadono
e scompaiono dalla faccia della térra con la morte dei loro fonda-
tori! quante per lo meno perdono di vista lo scopo primitivo della
loro fondazione! Ora invece l'Opera nostra, che tanti sacrifizi ha co-
stato a' suoi fondatori e benefattori si di Europa che del Messico,
l'Opera della Santa Famiglia di Betlemme vivrá la vita dei secoli,
come tutte le lstituzioni dirette da Congregazioni religiose appro-
vate dalla Chiesa, com'é quella dei Salesiani; e questa vita sará
feconda di bene, perché giá si sa che la do ve la Chiesa mette il suo
suggello, zampillano fonti di prosperitá e salute. »
II Patriarca, rientrato in sede, trovó chi gli fece cambiar parere.
Inteso il ritorno di Don Belloni e l'arrivo dei tre Salesiani, mani-
festó per iscritto il suo nuovo punto di vista, non in forma esplicita,
ma subordinando la sua approvazione a tre condizioni inaccettabili.
10 Non alienare beni e proprietá, perché appartenenti al Patriar-
cato, essendosi date le elemosine iníuiíu Patriarchatus e quindi ri-
chiedendosi per l'alienazione la licenza di Propaganda. 2o Spettare
al Patriarcato il diritto di controllo sulle elemosine che i Salesiani
avrebbero ricevute. 3o Non riconoscere altra bandiera che la franéese.
11 Belloni puré per iscritto rispóse, provando la propria indipendenza
dal Patriarcato quanto alie possessioni e quanto alie elemosine date
a lui intuitu personae.
II medesimo rilasció senz'altro al Visitatore l'atto di cessione as-
soluta di tutte le sue proprietá a Don Rúa, cioé delle Case di Be-
tlemme, di Beitgemal e di Cremisan con i loro vasti terreni; di tre
(1) Art. nel Tiempo di Messico, riportato in Boíl. Sal., settembre 1893. Di Don Piperni avcva
scritto Don Belmonte a Don Durando il 16 agosto 1892: « Don Piperni di giorno in giorno si senté cre-
scere in cuore la mcraviglia nell'osservare 1'andanierito della Congregazione e i tratti della Divina
Provvidenza. Egli pare proprio uno di noi e come fosse scmpre con noi vissuto. Quanto é buono! >
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1 Salesiani nella ierra di Gesü
terrení a Nazareth, a Gerusalemme e a Madaba nella Transgior-
dania; di una vigna nel territorio di Betlemme. Inoltre fece dinanzi
a Don Barberis i voti privati, riserbandosi di farli a suo tempo
nelle forme consuete.
Era facile prevedere che i Salesiani non avrebbero potuto ac-
cettare le imposte condizioni e quindi se ne sarebbero andati; ma
sul finiré di luglio la questione fu portata dalle due parti a Roma.
La vertenza si trascinó con varia fortuna per una lunga sequela
d'incresciose vicende, che non é qui il caso di rinvangare. Diró
soltanto che la guerra moveva da chi in tanti modi aveva ostacolato
TOpera in passato e continuava a ostacolarla con il medesimo stile,
come accenneremo piú avanti.
Intanto la novitá dell'aggregazione non piacque a tutti i membri
dell'Opera. II Belloni aveva messo al corrente della pratica sol-
tanto i collaboratori piú seri e piú fídi; quanto agli altri, chi accolse
la notizia di buon animo, chi se ne adontó. Quindi alcuni sacerdoti
collaboratori si ritirarono, aggregandosi al clero del Patriarcato, e
cosi puré si allontanarono vari Fratelli della Santa Famiglia. Dei
sacerdoti si fecero Salesiani Don Piperni, Don Bergeretti, Don Jo-
sephidi, Don Vercanteren, nomi noti e cari, e parecchi altri; anche
i migliori Fratelli, rifatto il noviziato, professarono: di questi al-
cuni divennero sacerdoti, come Don Belloni Giovanni, ñipóte di Don
Antonio.
II giorno 8 ottobre 1891 arrivarono a Betlemme quattro chie-
rici, fra cui Mezzacasa, tre coadiutori e cinque Figlie di María Au-
siliatrice. Altri 16 Salesiani con a capo Don Varaia giunsero il 29 di-
cembre, cioé sei chierici, fra i quali Gatti, Puddu e Rosin, e nove
coadiutori. Fu saggio consiglio quello di mandare giovani chierici,
perché, mentre compivano i loro studi, imparassero bene sul posto
la lingua araba (1). Dei coadiutori quattro erano abili maestri d'ar-
te; Arrobio condusse cosi innanzi la sua scuola di sartoria, che le
(1) Di essi, Don Gatti s'é fatto un arabista autorevole e prepara un dizionario arabo-italiano;
un altro, Don Mezzacasa, vi si perfezionó non solo nell'arabo, ma nell'ebraico, nel siriaco e nel copto,
come diede prova allorche, primo fra gli Italiani, si laureó in Sacra Scrittura dinanzi alia Cominis-
sione Bíblica istituita da Lcone XIII. Don Puddu vi divenne poi Ispettore.
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persone piú ragguardevoli della cittá la onoravano volentieri delle
loro ordinazioni. Le Suore presero a Betlemme il posto di certe Figlie
di Maria, che avevano coadiuvato Don Belloni per la guardaroba
e la cucina; di la poi, cresciute di numero, svilupparono grandemente
Topera loro educativa in Oriente.
La Chiesa del Sacro Cuore a Betlemme era terminata nel maggio
del 1892; quindi fu benedetta il 23 e inaugurata nella festa di Maria
Ausiliatrice. II sólito zelante, pauroso di non so quale indebita con-
correnza, metteva in giro le voci piú strampalate. Quella chiesa
non essere propriamente cattolica; non avere validitá i sacramenti
i vi amministrati; insegnarvisi dal pulpito eresie. Quanti dispia-
ceri per i Salesíani! quanti richiami dalle superiori Autoritá eccle-
siastiche, basati su false denunce! Ma il buon senso stesso della po-
polazione fece giustizia di si losche manovre.
Intanto i Salesiani non nuotavano davvero nell'abbondanza, ma
versavano anzi in gravi strettezze nnanziarie per i forti debiti che
gravavano sull'Opera. Senza i ripetuti e rilevanti soccorsi della
Casa Madre non sarebbe stato possibile durarla. Per di piü vari
soggetti del regime precedente mordevano il freno, turbando la
pace domestica. Soprattutto poi rimanevano aperte le controversie
col Pátriarcato. Per aggiustare le cose Don Rúa mandó a Betlemme.
come Visitatore straordinario, Don Durando, che arrivó il 23 lu-
glio 1S92. Dotato di una calma imperturbabile, era proprio l'uomo
che ci voleva. Al suo giungere fu salutato con gioia da Don Bel-
ioni e da tutti i Confratelli, quale rappresentante di Don Rúa. Af-
frettatosi a rendere omaggio al Patriarca, questi gli domando a bru-
ciapelo, e non per ischerzo: — Siete dunque venuto per ritirare
i Salesiani dalla Palestina? — Vediamo, vediamo! — rispóse egli
pacatamente. Ma Don Belloni: — Se i Salesiani partiranno dalla Pa-
lestina, partiró anch'io con loro. — II che equivaleva a diré che gli
orfanotrofi sarebbero rimasti a carico d'altri. L'antifona produsse
immediatamente il suo effetto. Chi mai in Palestina avrebbe tolle-
rato in pace la partenza di un Don Belloni, all'infuori di pochi
male ispirati? E se i Salesiani rimanevano, come non venire a un
benévolo accordo? L'accordo da parte dei Salesiani si ridusse al
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I Salesiani nella térra di Gesü
compromesso di continuare le varié sezioni dell'Opera belloniana
e all'impegno di tenere permanentemente fra i ricoverati non
meno di venti orfani del Patriarcato latino di Gerusalemme. L'e-
pilogo fu poi Tingiunzione al Canónico di restituiré le insegne cano-
nicali, dategli da Mons. Valerga: la qual cosa egli esegui nelle mani
di due inviati, mostratisi meno cortesi nel richiederle di quello
che Don Belloni si mostrasse tranquillo e sereno nel rimetterle.
Don Durando con la sua dolcezza e prudenza ricondusse nella
famiglia la quiete turbata da coloro che mal si adattavano al mu-
tamento avvenuto. Udito da Don Belloni quali fossero le disposi-
zioni di ognuno e ascoltati tutti individualmente, al termine degli
esercizi spirituali diede le istruzioni che giudicó opportune e prese
i provvedimenti necessari, facendo partiré per l'Europa i perturba-
tori dell'ordine. Composte le cose, tornó a Torino, dove resé contó
della sua missione.
Durante le vacanze del 1893 vi fu una terza visita, diremmo cosí,
di constatazione. La fece Don Marenco, predicandovi gli esercizi.
Nelle sue mani Don Belloni emise la professione perpetua con
tutta la solennitá richiesta dalle Rególe. Finalmente il Rettor Mag-
giore, finito di regolare le ultime passivitá dell'Opera, assegno per
le Case della Palestina un sussidio annuo di ventimila franchi, ver-
sati fino al 1911.
Venendo ora a parlare delle singóle Case, non occorre vera-
mente aggiungere gran che al fin qui detto. La casa di Betlemme
era scuola di arti e mestieri. Denominata dal fondatore Orfano-
trofio cattolico del Bambino Gesü, conservó la stessa denominazione
anche dopo il passaggio alia Societá Salesiana, sebbene il popólo
comunemente la chiamasse e la chiami Orfanotrofio di Don Bel-
loni. Questi, fattosi salesiano, fu lasciato alia direzione della Casa
di Betlemme. Si occupava pero sempre dei bisogni delle altre due
Case; anzi continuó a essere superiore delegato di esse e centro
di partenza per i pagamenti; continuó puré a diramare in suo
nome le circolari per domandare soccorsi. Ma nel 1902, travagliato
dal diabete, chiese e ottenne da Don Rúa di essere messo a riposo.
Allora fece la consegna di tutto a Don Nai, primo Ispettore dell'I-
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Capo XV
spettoria denominata Oriéntale; per tale ufficio era stato designato
da Don Rúa, su indicazione del medesimo Don Belloni, che ne
aveva grande stima.
La Scuola Agrícola di Beitgemal, intitolata a S. Giuseppe, poté
essere fondata mercé la generositá del cattolico inglese Márchese
de Bute, che nel 1868 ne somministró a Don Belloni i mezzi. É
a sei ore di cammino da Gerusalemme. Don Belloni impiegó dieci
anni a consolidare la proprietá e a preparare i terreni. Ha vigna3
oliveto e campo di cereali. Nell'intenzione del fondatore avrebbe
dovuto serviré non solo per il mantenimento e il progresso della
Scuola, ma anche per i bisogni dell'orfanotrofio di Betlemme. II
numero dei ricoverati negli anni della cessione oscillava fra i 30 e
i 35, tutti gratuitamente mantenuti. II bilancio d'allora rivela notevoli
passivitá annue. II primo Direttore salesiano fu Don Varaia, venuto
dalla casa di Saint-Cyr. La sua pietá e vigilanza porto frequenza
di sacramenti, decoro del culto e buona disciplina. Resse la casa dal
1891 al 1894, nel qual anno fu destinato all'orfanotrofio di Be-
tlemme e cedette il posto a Don Corradini, che prima dirigeva la Casa
di Cremisan. Questi intensificó molto la produzione. Dal Í891 al
1914 vi si contarono circa 400 ricoverati, 70 abiure di giovani greci
e 7 vocazioni ecclesiastiche.
La fondazione di Cremisan, localitá del territorio di Beitgiala nei
dintorni di Betlemme, é del 1886, frutto di un faticosissimo viaggio
del Belloni attraverso l'Italia, la Francia, il Belgio e l'Olanda per
questuare a favore delle sue Istituzioni. La localitá, scelta per
una Casa di aspiranti all'Opera della Santa Famiglia, offriva un
soggiorno ameno e tranquillo, adatto al raccoglimento e alio studio.
Accanto agli aspiranti Don Belloni mise un piccolo noviziato. Per
il mantenimento organizzó ivi stesso una Scuola di agricoltura, i
cui alunni erano orfani e poveri. II terreno misurava 80 ettari, dei
quali una trentina coltivati a vigna, oliveto, frutteto e cereali; il
resto, essendo roccioso, fu abbandonato o tenuto a bosco. Sotto i
Salesiani divenne Casa di Noviziato, con un ginnasio per giovanetti
quasi tutti indigeni, poveri od orfani, provenienti dalle varié Case
deirispettoria Oriéntale e desiderosi di passare al Noviziato.
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1 Salesiani nella térra di Gesú
Cessati i malumori mterni, la vita nelle tre Case si svolgeva pa-
cificamente. A rinsaldare l'unione nulla poteva giovare meglio che
una visita di Don Rúa. Egli intraprese quel viaggio con animo
di pió pellegrino nel 1895. S'imbarcó a Marsiglia il 16 febbraio,
accompagnato da Don Albera, allora Catechista Genérale, e dal
Márchese di Villeneuve-Trans. Questo Cooperatore marsigliese, giá
affezionatissimo a Don Bosco, aveva avuto la sventura di perderé
un figlio diciannovenne, né trovó miglior conforto al suo dolore
che facendo il pellegrinaggio di Terrasanta insieme col Successore
di Don Bosco. Approdarono a Giaffa il 28 febbraio. Ve li atten-
devano Don Belloni e vari altri Salesiani. Proseguirono súbito
per Gerusalemme, senza pero entrare nella santa cittá, premendo
a Don Rúa di giungere in giornata a Betlemme. Un gran numero
di antichi allievi andati loro incontro a cavallo, li avevano aspet-
tati alia stazione di Deir Al^an. Di qui con cinque grandi car-
rozze, nellultima delle quali era Don Rúa, presero la via di Be-
tlemme. I giovani facevano scorta d'onore al Superiore dei Sale-
siani, galoppando ai lati e a tergo della sua carrozza. Calava la
notte. A un chilometro da Betlemme, ecco gli alunni delForfa-
notrofio con lanterne accese; formarono con gli altri un corteggio
fantástico. Alie porte della cittá stava radunata la folla. Don Rúa
fu condotto processionalmente alia chiesa, dove si cantó il Te Deum
e simparti la benedizione eucaristica. Nei giorni che vi dimoró, ri-
cevette numeróse testimonianze di aífetto e di venerazione tanto da
quelli di casa che da quelli di fuori. Volle un giorno dedicato al-
Tesercizio della buona morte, nel quale parló a tutta la comunitá
e attese alie confessioni. Fra le altre dimostrazioni di giubilo
va ricordata la recita del d r a m m a di Don Lemoyne La Patagonia,
con intermezzi di música e di scene comiche francesi.
Partí per Gerusalemme il 4 marzo, con l'anima ancora vibrante
delle soavi emozioni provate nel visitare la santa Grotta. A Ge-
rusalemme avrebbe voluto andaré súbito a prostrarsi dinanzi al
Santo Sepolcro; ma stimó suo dovere prima rendere omaggio a
varié personalitá ecclesiastiche e laiche. Alia visita del Santo Se-
polcro e del Calvario destinó le ore del pomeriggio. Vi si recó
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22.1 Page 211

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Capo XV
accompagnato dal Regio Consolé italiano, fermandovisi a lungo in
férvida preghiera. L'indomani celebró al Sepolcro del Redentore,
fece la Via Dolorosa e ascese il Monte degli Qlivi, venerando lungo
il cammino i luoghi santificati dalla presenza di Gesü. Sul tardi rien-
trava a Betlemme.
Dedicó poi cinque giorni alia Casa di Cremisan, dal 6 all'lí
marzo. Ivi puré cordiali feste, pratiche di pietá speciali e udienze
ai Confratelli. Nella rappresentazione di un lavoro drammatico del
Reffo intitolato Manuelito Gomales ammiró la correttezza, con cui
quegii arabetti pronunciavano l'italiano. Visitata in lungo e in largo
la colonia, lasció scritti per il Direttore Don Pompignoli illuminati
consigli sul modo di farla fruttare a comune vantaggio.
II 12 era a Beitgemal. Atteso con impazienza dai Salesiani e
dai loro alunni e ricevuto con vive testimonianze di allegrezza, volle
formarsi un'idea esatta di quella grande Casa e dei lavori che si
facevano nella vasta proprietá. Anche la tracció varié norme pra-
tiche per la buona direzione del fondo. II Márchese regaló un
torchio e un frantoio per olio.
Si recó quindi a Nazareth, dove Don Belloni aveva acquistato
un terreno per una nuova opera non ancora attuata. Andato a
visitare il Monte Carmelo e detta la Messa nel santuario dell'An-
nunciazione, fece ritorno a Betlemme per celebrare ivi 1'indomani
la festa di S. Giuseppe. Festa lieta per la presenza del Padre,
ma anche un po' velata di tristezza per essere la vigilia della
sua partenza. II 20, lasciati gli ultimi ricordi e data l'ultima be-
nedizione, diede puré i'ultimo addio alia térra di Gesú. Ultimo,
com'egli credeva; ma ultimo non fu, come si vedrá nel volume
seguente.
Passando per le tre Case, al loro nome aveva aggiunto una specie
di cognome, suggeritogli dalle tre virtü teologali. Chiamó quella di
Betlemme Casa della fede; la sua esistenza infatti poteva considerarsi
come un effetto evidente di una gran fede nella Provvidenza di-
vina. Quella di Cremisan chiamó Casa della speranza, forse perché
destinata a formare le speranze della Congregazione in Oriente. A
quella di Beitgemal riserbó il nome di Casa della carita, probabil-
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/ Salesiani nella térra di Gesü
mente perché pensava che, conducendosi bene la tenuta, avrebbe
potuto aiutare le altre Case esistenti e le future.
II viaggio di mare gli fu reso meno monótono dalla compagnia
di parecchi Cooperatori e amici delle Opere salesiane, che na-
vigavano con lui ed erano contentissimi dell'incontro. Approdó a
Marsiglia il 29 marzo. La Cronaca dell'Ispettoria Oriéntale, dopo
aver dato puramente e semplicemente la notizia dell'arrivo di Don
R ú a in Palestina (1), commenta: «L'uomo di Dio passa benedi-
cendo e consolando tutti in ciascuna Casa e, sorvolando sulle mi-
serie umane, cementa l'unione, la carita e la stabilitá dell'unione.
Le popolazioni della Palestina rimasero meravigliate della devo-
zione, con la quale Don Belloni (che era sempre l'uomo del giorno
in Palestina) accolse il venerando Don Michele Rúa: e ció serví per
accrescere in ogni parte l'entusiasmo per la stessa persona di Don
Rúa; e tutti ebbero agio di conoscere la santitá che risplendeva chia-
ramente nel Successore di Don Bosco. » Di Don Belloni non si loderá
mai abbastanza lo zelo nel curare la formazione religiosa e scien-
tifica dei giovani chierici affidatigli. Li chiamava spesso a rendi-
conto, procuró loro professori di lingua araba e insegnanti di filo-
sofía e ne vigilava l'applicazione e il profitto.
La visita di Don Rúa giunse in un momento molto opportuno.
Era quello il punto culminante dell'assestamento fra l'Opera bel-
loniana e l'Opera salesiana. I Salesiani, rispettando le tradizioni
che costituivano la caratteristica esterna della prima, venivano
armonizzando le cose in modo conforme ai Regolamenti della se-
conda. La parola illuminata di Don Rúa segnó definitivamente
il passo per allora e per sempre.
(1) II cronista é incorso in un errore di data. Don Rúa giunse in Palestina non il 3 marzo, ma
il 28 febbraio. (Cfr. Boíl. Sal., giugno 1895, pag. 152).
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22.3 Page 213

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CA PO XVI
Fondazioni nell'Italia peninsulare dal 1890 al 1892,
(Trino, Fossano, Piova, Ivrea, Chieri, Treviglio, Verona, Lugo, Macerata,
Loreto, Roma, proposta per Valle di Pompei)
Le Case che si aprivano, non rappresentavano la centesima parte
delle domande che s'incalzavano a Torino da ogni parte del mondo
e che rimanevano inesaudite. II diré da ogni parte del mondo sem-
brerá espressione iperbolica; ma, se si sfogliano i verbali del Capi-
tolo Superiore, nei quali le richieste per fondazioni, indícate nei mar-
gini, sfilano per essere sottoposte a esame, su certe doppie facciate
ci sonó da fare dei zig-zag vertiginosi fra i punti piú disparati d'I-
talia, d'Europa e di vari continenti. Dove non era giunto sul finiré
del secólo scorso il nome di Don Bosco? II triennio indicato nei titolo
di questo capo ha fra grandi e piccole 11 fondazioni nella sola Italia»
Procederemo topográficamente dal Nord al Sud.
Nei Piemonte i Salesiani vanno a Trino, Fossano, Piova, Ivrea,
Chieri. La Casa di Trino Vercellese fu accettata il 7 novembre 1889
e aperta nell'ottobre deU'anno appresso. L'Opera salesiana di Trino
si potrebbe paragonare a una di quelle fontanine che zampillano
modeste e silenziose nell'angolo di un paese. A vederle, non si da-
rebbe loro alcuna importanza; ma da tempo immemorabile la gente
del luogo va la a dissetarsi e ad attingere, e guai se non ci fosse
la loro linfa benéfica! A Trino quella chiesa del Sacro Cuore, quel
collegetto, quell'oratorio festivo, ignoti oltre qualche chilometro di di-
stanza, sonó una vera provvidenza per la piccola cittá e per le terre
vercellesi all'intorno. Tutto venne su a poco a poco. Verso il 1878
due buoni amici, un Prevosto Don Nervi e un Padre Dessi dome-
nicano, pensavano che, mutati com'erano i tempi, non bisognava la-
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Fondazioni nelVItalia peninsulare dal 1890 al 1892
sciare crescere cosi la gioventü trinese senza istruzione religiosa.
Lanciata l'idea, spuntarono i benefattori fra gli uomini di antico
stampo e affluirono le oblazioni minute. II Prevosto provvide alia
costruzione di una chiesa alia periferia della cittá e il Domenicano
v'inizió un oratorio festivo, in cui i suoi Terziari s'improvvisarono
catechisti. Nel 1881 la chiesa era fatta, benedetta e aperta al p u b -
blico. I ragazzi si affollavano entro un sempliee recinto. In quel modo
pero non si poteva continuare a lungo: ci voleva una comunitá sta-
bile di religiosi dediti alia cura della gioventü. Un bel giorno al Pre-
vosto venne in mente di scrivere a Don Bosco per chiedergli i Sa-
lesiani. Ma Don Bosco gli rispóse che per allora non aveva chi man-
dare; se mai, piü tardi... Don Nervi non cessó di fabbricare e di
sperare.
Morto Don Bosco, un valido intercessore si levó presso Don Rúa:
Mons. Leto, predecessore di Don Nervi nel governo parrocchiale, poi
Vescovo di Biella, infine ospice dei Salesiani nella Casa di S. Gio-
vanni Evangelista a Torino. Don Rúa si arrese. Mandó prima a Trino
il Prefetto Don Belmonte e l'Economo Don Sala a vedere come stes-
sero le cose. Essi trovarono accanto alia chiesa una casetta e li vi-
cino un oratorio festivo assai frequentato. Esito della visita fu l'ac-
cettazione definitiva. I primi Salesiani giunsero a Trino il 19 otto-
bre 1890, ricevuti trionfalmente dalla popolazione. Alia festa del-
l'inaugurazione andarono Mons. Riccardi, Vescovo di Novara, e Mons.
Leto; l'Oratorio di Valdocco mandó i cantori e la banda musicale.
Quei Confratelli si misero súbito alFopera con lo stile salesiano. La
loro Casa diventó la casa della gioventü di Trino. Funzioni religiose,
recite drammatiche, giochi, canti, suoni entusiasmavano piccoli e
grandi. I nomi dei Salesiani piü in vista correvano popolari sulle
bocche di tutti: alcuni di essi non potevano uscire senza che per
le vie stuoli di ragazzi li seguissero, accompagnandoli clamorosa-
mente. Avevano insomma conquistato talmente le simpatie gene-
rali, che, dinanzi al bisogno d'ingrandire il fabbricato per rendere
piü ordinata e completa Topera dell'oratorio, fu una gara a pre-
stare gratuitamente il lavoro delle braccia e a portare materiali da
costruzione.
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Capo XVI
Non si creda tuttavia che a Trino fossero tutti di pasta dolce.
Autentici barabba, sobillati da anticlericali, scendevano perfino a vie
di fatto contro l'oratorio e gli oratoriani. Ma i nostri vinsero con la
pazienza, a segno che, dov'era il covo dei malviventi, si stabilirono
col tempo le Figlie di Maria Ausiliatrice con laboratorio, asilo e ora-
torio femminile. ln una lettera del 1893 scritta da un testimonio
oculare e pubblicata a Vercelli, si parlava di 700 ragazzi, che ogni
domenica e festa avevano nelForatorio Messa, predica, catechismo
e ricreazione (1).
Ma l'oratorio non era tutto: anche il Collegio vi si aggiunse a fare
la parte sua. Non un gran Collegio: un centinaio di giovani vi stavano
quasi appollaiati. Si studiava pero e il ginnasio fioriva, come lo dimo-
stravano gli esami di licenza. Tanto l'oratorio che il Collegio diede
alia Chiesa buon numero di sacerdoti secolari e religiosi, con parecchi
distinti Salesiani. Tre volte vi si recó Don Rúa nei primi quattro
anni.
Nel dicembre del 1890 Don Rúa pote finalmente appagare anche
il desiderio del Vescovo Manacorda, inviando nella sua sede di Fos-
sano alcuni Salesiani a prendere la direzione di un Collegio con
scuole elementan e oratorio festivo. Essi occuparono un edificio, in
cui aveva cessato di esistere un Convitto laico. L'oratorio fu giudicato
una benedizione del Cielo per la cittá: lo frequentava una piena di
ragazzi. Questa Casa venne chiusa nel 1911, quando da due anni il
Municipio di Fossano aveva ceduto ai Salesiani il Convitto Civico.
Gli alunni interni andarono quasi tutti al Collegio di Lanzo.
La Casa di Piova era una di quelle che si chiamavano succur-
sali, perché non avevano il canónico numero di sei Soci, necessario
a costituire una regolare comunitá religiosa. Piova non é un paese,
ma la localitá di un santuario della Madonna, posto nel territorio di
Colleretto e di Cintano nella diócesi d'Ivrea. Accanto alia chiesa
sorge un vasto e massiccio fabbricato, che nell'intenzione di chi l'a-
veva costruíto doveva essere ospizio per i divoti pellegrini; ma che
ormai serviva soltanto ad albergare una volta all'anno i sacerdoti
(1) Jl VesAÜlo di S. Ensebio, 21 ottobre 1893.
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Fondazioni nell'Italia peninsulare dal 1890 al 1892
diocesani, desiderosi di partecipare a un corso di esercizi spirituali in
comune. Nel 1889 il Vescovo Richelmy, ottenuto da Don R ú a che i
Salesiani vi assumessero l'ufficiatura della chiesa, gli lasció in usu-
frutto redificio e i terreni annessi. Offrendo il luogo tutti i vantaggi
di una stazione climática a pié delle Prealpi, i Superiori lo desti-
narono a soggiorno dei chierici studenti di filosofía durante il pe-
riodo delle vacanze estive. In quelle arie fresche e ossigenate anda-
rono dunque per cinquant'anni le giovani speranze della Congre-
zione a ritemprare le forze esauste in dieci mesi d'intensa applicazione
mentale, ricordando poi per tutta la vita i bei giorni ivi trascorsi
nella piu serena e santa letizia. La loro presenza non passava inútil-
mente per la vita religiosa delle popolazioni circonvicine. Si continuo
COSÍ fino al 1939, quando la Curia vescovile eporediese rivendicó
a sé ogni cosa.
Non erano trascorsi interamente tre anni dalla cessione del san-
tuario di Piova, che Mons. Richelmy faceva fare una donazione, la
quale diede origine a un Istituto salesiano di primaria importanza.
La madre del Vescovo possedeva nei pressi d'Ivrea una villa con
un terreno circostante, luogo a lei molto caro per avervi abitato da
piccina; voleva quindi, morendo, lasciarlo in buone mani con lo sta-
bilirvi una famiglia religiosa. II figlio, che da giovanetto aveva av-
vicinato piü volte Don Bosco, ne aveva sempre aiutato generosa-
mente l'Opera, e professava la massima stima per il suo Succes-
sore, le suggeri di rivolgersi a Don Rúa. Non poteva Don Rúa non
secondare il pió desiderio della madre e del figlio, sicché furono
presto intesi.
I Salesiani ne presero possesso il 23 agosto 1892, conducendovi
parecchi Figli di Maria. Ma la villetta di una famigliola non bastava
certamente aU'impianto di un'opera seria; perció essi prepararono
quanto occorreva per ingrandire l'abitazione con un nuovo corpo di
fabbrica, del quale fu posta e benedetta la prima pietra il 9 maggio
1893. La mamma di Monsignore versó la prima calce. II sacro rito
porse occasione a ricordare un fatto storico, il quale faceva pensare a
un bel tratto di Provvidenza. Nel 1492 il santo Vescovo Irlandese
Taddeo Machar tornava da Roma, quando, arrivato alie sponde della
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Capo XVI
Dora, anímalo gravemente ed ebbe ricovero nell'ospedale Viginti unum,
COSÍ chiamato perché disponeva di solí ventun letti. Orbene quel-
l'ospedale si trovava proprio nel sobborgo di S. Antonio, la dov'era
la villa. L'infermo dovette fare ivi il sacrificio della vita a Dio e
mentre moriva, una luce prodigiosa ne illuminó il letto, rivelando chi
fosse. II popólo non cessó mai di venerarlo, mosso anche dai miracoli
attribuiti alia sua intercessione. Nel 1896 la Santa Sede ne approvó il
culto col titolo di Beato. II quarto centenario di quella morte fu uno
straordinario avvenimento a lvrea anche per la presenza di quattro
Veseovi irlandesi. I figli di S. Giovanni Bosco venivano dunque a
preservare da ogni profanazione quel luogo santifícate da un gran
Servo di Dio; anzi non vi mancarono quasi mai giovani rappresen-
tanti della cattolicissima Irlanda: in dette feste uno di questi ne ce-
lebró le lodi nella sua lingua gaelica; poiche dal 1892 al 1901 la
Casa d'Ivrea fu aperta ad aspiranti, a novizi e chierici di varia na-
zionalitá.
Ma non vi era solo questo. 11 fondo primitivo, arrotondato di molto,
resé possibile la forinazione di una Scuola Agraria per alunni esterni
provenienti da tutti i paesi del Canavesato. Anche i chierici vi fre-
quentavano il corso pratico di agraria, di orticoltura e di frutticol-
tura. Inoltre i maestri e le maestre iscritti in cittá al " Corso di lavoro
manuale " venivano condotti per le lezioni pratiche, come a podere
modello, alia colonia salesiana. É interessante poi conoscere in che
modo i Salesiani conquistarono alia feconda coltivazione un luogo
sterile e tanto roccioso, che i nostri gli avevano dato il nome di Sas-
sonia. I chierici stessi. sotto la guida di Don Eugenio Bianchi, lavo-
rarono con energía a trasformarlo. I contrafforti che ora si vedono
sostenere i ripiani della collina, sonó opera loro. Staccavano dalla
roccia blocchi di pietra a forza di mine. Dalla cima del poggio li pro-
teggeva nel pericoloso lavoro la Madonnina dei minatori.
Fino alio scoppio della prima guerra mondiale si formarono nella
Casa d'Ivrea e di la si sparsero per il mondo 1915 giovani figli di
Don Bosco. Oggi chi vi entra non la riconosce piü, tanto é trasfor-
mata, dacché per volontá di Don Rinaldi cominció a essere 1'Istituto
Missionario " Cardinal Cagliero ".
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Fondazioni nell'Italia peninsulare dal 1890 al 1892
L'opera salesiana a Chieri ha una storia molió lunga e ricca di vi-
cende; ma é storia piú propriamente dell'altra famiglia di Don Bosco.
sebbene i Salesiani vi abbiano avuto la loro parte. Questi pero vi
si stabilirono solo nel 1891 con un oratorio maschile quotidiano.
C e r a angustia di locali, cortile poco ampio, un salone che fungeva
successivamente nello stesso giorno da cappella e da teatrino; ep-
pure il Direttore Don Davico e il suo aiutante Don Dadone, uniti e
concordi nel lavoro e nel sacrificio, seppero rendere il luogo attraente
ai giovanetti, il cui numero cresceva ogni giorno " spaventosamente ",
dice la cronaca, e si capisce il perché dello strano avverbio. I piccoli
cantori oratoriani venivano chiamati da piú parti ad abbellire le
sacre funzioni con le loro voci argentine; i piú ragguardevoli cittadini
gradivano gFinviti a essere padrini nella festa di S. Luigi, protettore
dell'oratorio. Un nuovo fabbricato, imposto dalla necessitá, fu adibito
anche a pensionato per liceisti. La guerra mondiale causó un periodo
di sosta; ma dopo la vita riprese ancor piú rigogliosa di prima. Dico
vita d'istruzione religiosa, vita di pietá cristiana, vita di allegria, la
dove Giovanni Bosco studente di ginnasio aveva fondato la famosa
societá, che portava ques ¿'ultimo nome. Festeggiandosi il trentennio
di quell'oratorio, la férvida partecipazione degli ex-oratoriani fece
vedere quanto l'opera fosse stata feconda di bene.
NelFalta Italia vi furono ancora due Case aperte da Don Rúa du-
rante questo triennio: una nella Lombardia a Treviglio, Faltra nel
Véneto a Verona. Quella di Treviglio si puó considerare come la prima
nella regione lombarda, senza tener contó di una cremonese, che ebbe
effimera durata, motivo per cui nel precedente volume non ne feci
neppure menzione (1); invece quella di Verona veniva terza nella
regione véneta dopo le due di Este e di Mogliano.
(1) L'Opera pia che aveva chiamato i Salesiani a Cremona, offerse un edificio in buono stato,
ma sufficienle appena per l'abitazione della comunitá: mancavano affatto le aule scolastiche. Cosí mi
quindi una casa dai niuri sottili sottili, nella quale i Salesiani cominciaiono Topera. Nel rigidissimo in-
vernó del 1878 i muri freschi sudavano e gocciolavano e l'acqua gelava fuori e dentro, sicché il ghiac-
eio formatosi snl pavimento bloccava la porta e ci voleva il piccone per poter uscire. Tultavia i ra-
gazzi disertarono le scuole comunali e accorsero a quclle dei Salesiani; inde irue (Cfr. Mem. Biogr.,
vol. XIV, pp. 336-7). Un fatto che sembrerebbe incrcdibile, e attestato da Don Gresino, persona molió
seria. L'oratorio festivo riuniva le domeniche piü di 500 giovani. Nel cortile vi erario alberi fruttiíeri.
Quei ragazzi, assistiti solo dal Direttore e da due chierici rispettarono quclle frutte, che poterono,
com'era costume, essere pórtate al Consiglio dell'Opera Pia, proprictaria degli stabili.
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Capo XVI
II Collegio di Treviglio nella provincia di Bergamo deve la sua
origine alio zelo di parecchi sacerdoti della cittá, preoccupati della
nefasta azione esercitata dal Deputato socialista Engel contro l'in-
segnamento religioso in ogni ordine di scuole. Nel febbraio del 1887
Don Bosco ricevette una prima proposta, fattagli a nome del clero
trevigliese, di mandare cola i Salesiani; ma rispóse che, pur essendo
suo desiderio di aprire una Casa in Lombardia e nominatamente a
Treviglio, come in luogo piü opportuno, tuttavia esortava ad aver
pazienza qualche anno per ragione del personale che allora non c'era.
A Treviglio si rassegnarono, ma non perdettero tempo. Un gruppo di
sacerdoti, per opporre efficace rimedio aH'irreligiositá delle scuole
comunali, organizzó una scuola elementare parrocchiale; anima di
tutti e di tutto erano la pietá, la dottrina e lo zelo del Curato Mons.
Francesco Rainoni. L'opera, provveduta di lócale proprio, andava
avanti con soddisfazione dei buoni; ma dopo quattro anni i mezzi
pecuniari disponibili erano esauriti. Allora, auspice e ispiratore Mons.
Rainoni, si rinnovarono le istanze a Don Rúa, che decise di rispondere
favorevolmente (1). Infatti con regolare Convenzione stipulata nel
giugno del 1892 Don Rúa accettava la direzione di quelle scuole par-
rocchiali e di un oratorio festivo, e nel mese di ottobre Don Sala vi
condusse il primo manipolo di Salesiani con il loro Direttore Don Cot-
trino, accolti a braccia aperte da Mons. Rainoni. Gli esordi furono duri
per la povertá che li circondava; ma erano buon compenso i frutti
delle fatiche. Mons. Rainoni spezzava con i poveri Salesiani il suo
pane, sottraendone alia sua giá parca mensa e intanto battendo alie
porte dei ricchi, suscitava loro grandi benefattori. In Don Cottrino
egli trovava il Salesiano modesto e operoso, degno in tutto della sua
fiducia.
Nell'anno scolastico 1892-93 le cinque classi elementari funzio-
navano regularmente. L'insegnamento impartito dai Salesiani richiamo
l'attenzione della cittadinanza, sicché s'inscrissero alie loro scuole,
benché prívate, anche fanciulli delle migliori famiglie; anzi ve ne
accorsero puré dai paesi vicini. II saggio finale, molto ben preparato,
(1) Lettere di Don Francesco Rainoni a Don Bosco, Treviglio, 17 ottobre 1887; a Don Rúa,
22 marzo 1889; 25 giugno c lo luglio 1891.
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Fondazioni nelVItalia peninsulare dal 1890 al 1S92
fece rumore in cittá, rassodando la riputazione dei nuovi insegnanti.
L'oratorio festivo si popólo di ragazzi come non mai per l'addietro.
Ma da principio quanti fastidi! Scarsezza di personale, poca o nessuna
abitudine di ordine, chiesa troppo stretta, imposizione di un orario
impossibile mettevano in croce i poveri Salesiani. Solo nel secondo
anno le cose presero miglior piega.
Intanto gli amici tempestavano che bisognava fabbricare un col-
legio, dove poter sviluppare tulte le attivitá proprie della Congre-
gazione. II medesimo parere espresso da Mons. Cagliero in una sua
visita inñammó gli animi. Egli manifestó il proprio pensiero con quel
suo linguaggio franco, enérgico e immaginoso, dicendo: — Se non si
procura tostó ai figli di Don Bosco un lócale piü adatto, io li metto
tutti in tasca e me li porto in Patagonia. — II buon Rainoni prima si
turba e trema, poi riflette e risolve, infine spinge all'opera. Lo sor-
regge la mente e il cuore di un altro generoso, il Prevosto Mons. Na-
zari. Sorsero i benefattori. Nel 1893 il Capitolo Superiore approvó un
progetto presentato da Don Sala, il quale per ingraziarsi i Signori del
Comune quasi tutti anticlericali ne affídó l'esecuzione all'ingegnere
municipale. Benedetta e collocata la prima pietra, i lavori procedevano
álacremente, quando in giugno un infortunio che costó la vita a un
operaio e ne lasció feriti quattro, obbligó a sospendere; ma nel 1894,
al riaprirsi delle scuole, 1'edificio, condotto a compimento, poté acco-
gliere 60 interni, distribuiti nelle tre classi del ginnasio inferiore. In
seguito un nuovo corpo di fabbrica permise non solo di completare
il ginnasio, ma di affiancargli un pensionato per alunni che frequen-
tavano il corso técnico nella scuola regia. Don Rúa, al quale, come
a Don Bosco, non piacevano le scuole tecniche nei nostri Istituti,
vinto da ragioni di opportunitá, diede il suo assenso ad annum e ad
experimentum. A vendo avuto lo sperimento buon risultato, si con-
tinuó cosi per parecchio.
Nel 1895 il Nestore dei Salesiani a Treviglio, daU'anima profonda-
mente salesiana, scriveva a Don Rúa (1): « Questa casa e eviden-
temente benedetta da Dio e noi tutti e Proposto e Clero e Cooperatori
(1) II giá citato Don Rainoni, tctt. 11 giugno 1895.
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Capo XVI
siamo mille yolte grati a V. S. delFinsigne favore della preferenza data
a Treviglio, cedendo alie nostre istanze per avere tra noi i figli di
Don Bosco. L'opera é progredita sopra le speranze. » E continuo a
progredire, a dispetto degli attacchi anticlericali, che ebbero un'eco
anche in Parlamento (í). L'Istituto, pigliata la sua fisionomía, si man-
tenne e si mantiene lustro e vanto della industre cittadina.
Anche per Verona Don Bosco aveva detto che ci voleva pazienza,
e gli amici veronesi pazientarono; di pazienza pero ne dovettero avere
e molta e lunga i Salesiani per assestarvisi. Ma la pazienza, virtü dei
forti, non suol fare le cose a mezzo, come dice 1'Apostólo S. Gia-
como (2).
Nei Verbali del Capitolo Superiore, sotto il 12 maggio 1891, il Segre-
tario, riassumendo la relazione fatta da Don Rúa di un suo recente
viaggio, a un certo punto scriveva: « A Verona fu aspettato e ospitato
da D. Bricolo. Vide puré D. Serenelli. Vide la piccola casa per l'oratorio
festivo, destinata a noi dal Cardinale, il quale fece affettuose acco-
glienze a D. Rúa. In quanto al tempo non ci siamo obbligati. In quanto
al mantenimento non c'é nulla di stabilito, ma si spera nella carita dei
cittadini. » In questo tratto si puó diré che sia ricapitolata la storia
delle origini della Casa di Verona. Abbiamo il Cardinale Vescovo
Luigi di Canossa, che, avendo conosciuto e amato Don Bosco vivo e
venerandone la memoria come di un santo, nutriva « un antico deside-
rio che i figli di lui avessero a stabilirsi anche nella sua diócesi, dove
certo troverebbem favore e appoggio non solo, ma anche un campo
ben vasto a fare del bene » (3). Nelle righe citate incontriamo i due
maggiori esponenti dei Cooperatori veronesi, di cui uno, Don Bricolo,
vecchio e intraprendente amico, e l'altro, Don Serenelli, zelantissimo
Direttore diocesano dei Cooperatori, entrambi poi pronti sempre ai
fianchi dei Salesiani ogni volta che questi avran bisogno di consiglio*
di conforto e di ahito. Ad essi sará da aggiungere il nome del Prof. Don
Grancelli. II " nulla di stabilito quanto al mantenimento " lascia giá
intravedere, che non ci si andrá a vivere nell'abbondanza. La " pic-
(1) Alti jjmlam., 30 aprilc 1912.
(2) lac, I, 4: Palieniia opus peifecíum habet.
(3) Lett. di S. E. a Don Rúa, Verona, 23 gennaio 1890.
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Fondazioni nellItalia peninsuiare dal 1890 al 1892
cola casa" prenuncia anche l'incomoda abitazione. L'accenno poi
alia " carita dei cittadini " esprime una fiducia, che non sará smentita:
non troppe volte infatti i Salesiani piantarono le tende in luoghi dal-
Patmosfera, fui per diré, cosi ossigenata di benevolenza come a Verona.
Iníine, " l'oratorio festivo": qui é necessario soffermarci.
A Verona, per provvedere alPistruzione morale e religiosa dei fan-
ciulli piü negletti, alcuni sacerdoti della cittá avevano eretto in un
modesto lócale un Patronato, ove da parecchi anni ogni domenica
si raccoglievano circa due centinaia di giovanetti per il catechismo e
le funzioni di chiesa e ogni sera per scuole serali e di música. Si chia-
mava " Patronato dei fanciulli del popólo ". Era questo l'oratorio fe-
stivo destinato ai Salesiani; ma cosi il Cardinale come i Cooperatori
veronesi intendevano che fosse i vi una stazione non di fermata. bensi
di passaggio. Con Pandare del tempo le eircostanze avrebbero indicato
il da farsi.
I Salesiani, giunti a Verona il 17 novembre 1891, non essendo an-
cora allestita la loro abitazione, accettarono la córtese ospitalitá of-
ferta loro dai Padri Camillini. II 23 poterono installarsi nel Patronato.
Vi stavano molto a disagio, in veri bugigattoli; ma per essi, sacrificio
piü sacrificio meno, non c'era da preoecuparsi; preoecupava piuttosto
il rimanente, poiché si vide súbito che lá si sarebbe potuto fare ben
poco. ínfelice la posizione; cortile quasi inservibile; regolamenti e
tradizioni disformi dal nos tro spirito né fácilmente modificabili; una
banda musicale autónoma né disposta alia rinuncia della sua indi-
pendenza; allontanatesi persone che non potevano piü continuara le.
loro valida collaborazione nella sorveglianza e nell'insegnamento.
Queste e altre difficoltá, come scrisse quell'altro grande amico dei
Salesiani Don Grancelli (1), « mentre rendevano piü raro l'intervento
de' giovani, spingevano a maturare Pidea di una Casa Salesiana, ove,
lavorando su terreno novissimo, senza confronto e richiamo di prece-
denti sistemi, si potesse, quantunque in altra forma, operare del gran
bene per la gioventü e non si addebitasse a insufficienza dei Salesiani
quello, ch'era piuttosto l'effetto d'inesorabili eircostanze. »
(i; P. M. GRANCELLJ. Decennio SaJesiano ÍH91-Í90Í. Tip. Vcsc, Verona, 1902. Pag. 14.
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Capo XVI
Tale era l'intonazione delle lettere, che il Direttore Don Ciprandi
scriveva a Torino. Nel marzo del 1892 Don R ú a con Don Cerruti
venne, vide e autorizzó a provvedere quanto prima. Dove pero tro-
vare lo spazio necessario, se Verona non offriva aree libere di suffi-
ciente estensione? e donde cavare i mezzi? II luogo fu trovato in un
punto dei piü salubri, dove esisteva un edificio adattabile alio scopo;
anche i primi mezzi per dar principio ai lavori non si fecero aspettare.
I restauri e la costruzione della cappella terminarono verso la fine di
novembre del 1893. La Casa, inaugurata il 23, prese per volontá del
Cardinale il nome di " Istituto Don Bosco " (1). In quel giorno i Sa-
lesiani, trasportando ivi i loro penati, fissarono la propria dimora la,
dove con tutta veritá, se fossero stati profeti, avrebbero potuto ripetere
il celebre hic manebimus optime.
In quell'anno si ottenne l'autorizzazione di istituire un corso ele-
mentare superiore, frequentato da 18 alunni interni, che nell'anno dopo
salirono a 40 e poi a 90 e a 145 con le due prime classi ginnasiali, e cosí
il numero ando via via crescendo. Nel giugno del 1896 un'altra visita di
Don Rúa portó il permesso di cominciare un nuovo fabbricato per
camere, scuole e laboratori. Si, anche laboratori, perché la Casa di
Verona doveva essere come ¡'Oratorio di Torino. A ottobre entrarono
160 studenti e 20 artigiani. Minuscoli apparivano quei laboratori, ma
erano umile principio di cose grandi. Intanto con 1'introduzione del-
Finsegnamento professionale lTstituto raggiungeva la sua forma em-
brionale completa, la cui evoluzione procedette lenta e laboriosa.
Ma l'idra anticlericale non dormiva; solo aspettava l'occasione per
schizzare il suo veleno. La Cassa di Risparmio soleva mettere ogni
anno a disposizione del Municipio una somma da assegnare a qualche
Opera Pia. Nel Í896 la Giunta municipale propose 500 lire per lTsti-
tuto Don Bosco. Apriti cielo! Un consigliere scattó. Come mai sussi-
diare un Istituto che aveva voce di essere il semenzaio dei preti rea-
zionari di Verona? Gli tenne bordone la stampa del medesimo colore.
Un giornale cittadino ebbe la spudoratezza di scrivere (2): « Si edu-
cano e si preparano nellTstituto Don Bosco i biechi nemici della pa-
(1) I Superiori avrebbero voluto intitularlo al Cardinale; ma egli non lo permiso.
(2) L'Adige, 12 giugno 1896.
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Fondazioni nelVItalia peninsulare dal 1890 al 1892
tria, i fanatici intransígenti, i mestatori dell'intrigo, in congiurati della
sagrestia. » Si fecero inchieste; anche il detto Consigliere volle fare la
sua. Le denunce andarono in fumo. II portavoce stesso dei denigratori
lealmente e pubblicamente ritiró la propria accusa, la proposta del
sussidio passó, e l'incidente serví a mostrare quanto sia vero che non
ogni male viene per nuocere, poiché giovó a far meglio conoscere e
maggiormente amare l'Istituto.
Questo ormai posava sopra solide basi morali, didattiche ed eco-
nomiche. In una vita di povertá e di sacrifici i Salesiani immolavano
se stessi al bene degli alunni, che formavano con i loro Superiori una
vera famiglia, sperimentando i buoni effetti derivanti da un tal affia-
tamento. Nel 1896 l'Istituto presentó agli esami di licenza i suoi primi
candidati, che avevano compiuto il corso in soli quattro anni: erano 33
e riuscirono promossi tutti nella sessione estiva, cosa che fece stra-
bigliare. I Cooperatori, riguardando con orgoglio, quasi come cosa
propria, l'Istituto, incoraggiavano, difendevano, aiutavano. Cosí l'Isti-
tuto Don Bosco, oggi residenza dell'Ispettore véneto, e divenuto uno
dei piü rappresentativi fra gl'Istituti Salesiani d'Italia, e non della sola
Italia.
Avviandoci ora verso l'Italia céntrale, ci si fanno incontro le fon-
dazioni di Lugo in Romagna, di Macerata e di Loreto nelle Marche.
Quando i Salesiani partirono per Lugo il 7 ottobre 1892, vi erano
aspettati, sospirati da quattordici anni; aspettati, intendiamoci, so-
spirati, non da tutti i Lughesi, ma dai non molti benpensanti, che non
mancano mai anche in ambienti avvelenati da spirito settario. Le
prime pratiche rimontano al 1877; furono dunque intavolate con Don
Bosco. La distinta famiglia di Don Giuseppe Yespignani, gloria della
Congregazione, era il centro dell'iniziativa. Ma Don Bosco, che difet-
tava di personale, rispondeva sempre pigliando tempo. Non essen-
dovi buoni collegi in Romagna, vari signori di Lugo mandavano i
figli al Collegio Salesiano di Alassio; i felici risultati ottenuti acuivano
il desiderio di possedere anche in cittá una Casa di Don Bosco. Alcuni,
stanchi di attendere, nel 1880 si rivolsero agli Scolopi. Vennero questi
religiosi; ma nel 1889 furono cacciati a furore di plebe per istigazione
dei maniaci anticlericali. Ardevano in Romagna e fortemente a Lugo
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Capo XVI
le lotte politiche, foméntate dalle logge massoniche contro il clero.
Nella corríspondenza con Don Bosco aveva certo fatto capolino qual-
che spunto di carattere político, se egli si era indotto a scrivere cola (1):
« Si ritenga bene che se vogliamo andaré avanti bisogna che non si
parli mai di politica né pro né contro; il nostro programma sia fare del
bene ai poveri fanciulli. »
Lo sfratto degli Scolopi stimoló maggiormente i buoni Lughesi a
sollecitare da Don Rúa 1'invio dei figli di Don Bosco. Entró in sceua
la vedova del Márchese Borea. Sortirono lieto esito le trattative con lei
per mandare a Lugo le Figlie di Maria Ausiliatrice nel 1890; ma essa
aveva posto per condizione che le dovessero seguiré i Salesiani (2). E
i Salesiani le seguirono due anni dopo.
Non sembra fuori di proposito far conoscere quali sacrifici accom-
pagnarono i primordi di certe Opere. La buona Marchesa aveva corn-
perato per i Salesiani una casa; perció Don Rúa disse loro: — Ándate
puré che la signora ha preparato tutto. — E diede al Direttore Don
Nardi solo 100 lire per il viaggio in cinque con biglietto di riduzione.
Ma la vecchia signora era stata mal servita. Ecco infatti come tro-
varono tutto preparato: pavimenti sfondati, finestre spezzate; in cu-
cina pochi piatti mezzo rotti, qualche pentolino di terracotta, alcuni
bicchieri disuguali; letti che parevano canili, quattro sedie sganghe-
rate, due panche di legno. Mangiavano pane e insalata dell'orticello.
In paese non conoscevano nessuno; poi si avvidero che i piü non íi
guardavano di buon occhio. Tuttavia si misero senza sgomentarsi al
lavoro, cominciando l'oratorio. II 9 ottobre comparvero una ventina
di giovanetti. Serviva da cappella una sala capace di 25 persone. II
cortile era un buco. In novembre avevano otto interni. Dopo si anda-
rono aggiustando; ma i due primi anni furono un Calvario.
Chi semina in lacrime, miete in gaudio, dice il Salmo. Buona parle
della gioventú lughese si affezionó ai Salesiani; le prevenzioni cad-
dero; anime generóse largheggiarono. Nel 1896 furono gettate le fon-
damenta di una chiesa, in cui Don Rúa celebró per il primo nel 1898.
Non era ancora terminata la chiesa, che giá spuntavano dal suolo i
(1) Lelt. al Sig. Cario Vespignani, fratello di Don Giuseppc, Torino, 11 aprile 1877.
(2) Verb. del Cap. Sup., 24 luglio 1889; 10 setiembre, 1890.
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Fondazioni nell Italia peninsulare dal 1890 al 1892
muri di due imovi edifici, uno per i Salesiani e l'altro per le Suore.
Alie scuole per convittori e semiconvittori si aggiunsero tre laboratori.
L'influsso benéfico esercitato dall'Opera Salesiana eccitó le iré del-
i'elemento anticlericale massonico, sempre forte e in vedetta. Una
pubblica manifestazione del 1898 con le solite grida intimidatrici non
scosse i Salesiani né arrestó Fonda giovanile, che si riversava nella loro
Casa. Un ricreatorio laico, messo su nella speranza di svuotare l'altro,
benché favorito da qualche pezzo grosso, fini nel ridicolo. Invece To-
pera temuta e insidiata si perfezionó, dilatando la sua sfera di azione
fino alia guerra europea, durante la quale il collegio fu occupato.
Dopo la vittoria, riprese la sua vita nórmale, aggiornandosi con le
nuove esigenze dei tempi.
La corrispondenza per la fondazione di una nuova Casa a Macerat¿i
cominció con Don Bosco nel 1886; ma il Santo non poté mai daré se
non belle promesse. Anima dell'iniziativa fu il Maceratese Can. Sar-
nari, poi Vescovo della sua cittá natale. Anche altri ragguardevoli
Cooperatori del luogo condividevano la sua idea, disposti, come lui,
a non contentarsi di solé parole. Dal tempo dei rivolgimenti politici.
che sfociarono nell'unitá d'Italia, spadroneggiava da quelle parti la
Massoneria, prendendo di mira specialmente le scuole di ogni ordine
per laicizzarle ossia per scristianarle. Parve miracolo che in tanta
guerra ai religiosi insegnanti Don Bosco riuscisse ad aprire Collegi
suoi nella penisola; perció coloro che ci tenevano alia tradizionale
educazione cristiana dei fígli, guardavano a lui come a un inviato
del Cielo e lo assediavano di domande. Egli pero non ave va perso-
nale fuorché per un limitato numero di Case. Noi lo udimmo pin
volte ripetere dinanzi a un centinaio di chierici, che, se fossero giá
tutti in grado di essere fatti Direttori, avrebbe avuto súbito do ve
inviarli. Ecco perche egli si vedeva costretto a temporeggiare, del che
gl'interessati non sapevano rendersi ragione e talora s'impazientivano,
come avvenne a quei di Macerata. Finalmente Don Rúa pose ter-
mine alia loro aspettazione. Nel 1889 incaricó un Salesiano di andaré
a Macerata per dirigervi i lavori intrapresi. Con la massima solen-
nitá il 12 maggio 1889 fu collocata e benedetta la prima pietra di un
Collegio abbastanza grande; il 4 novembre del 1890 si procedette giá
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Capo XVI
allinaugurazione di una parte notevole. A tale notizia molti geni-
tori delle Marche respirarono: avevano finalmente dove mettere al
sicuro i loro figliuoli. Nel 1892 Don Rúa, tornando dalla Sicilia, ando
a fermarsi a Macerata, dove si vide circondato da una bella corona
di Cooperatori, che gli fecero un mondo di feste e vollero da lui una
conferenza. La notizia, nonostante il tempo pessimo, gli procuro
un magnifico uditorio, con alia testa il Vescovo. Nel Collegio, al
terzo anno dall'apertura, il numero dei convittori sali a 140, quanti
ne poteva allora conteneré. Significativa una dichiarazione di gente
estranea, anzi avversa. íl 12 giugno 1894 ad u n a festa di famiglia
un Capitano Beretta, che volle diré la sua in pubblico, alludendo a
un colloquio avuto con persone di sentimenti tutt'altro che cleri-
cali, esordi cosi (1): « Andiamo a vedere che cosa hanno fatto i
nostri nemici, mi fu detto ieri sera. E stamane da una persona assai
colta e ben pensante, alia moda, s'intende, mi venne testualmente
risposto che han saputo fare e molto bene.» Chi ben comincia,
dicono, é a meta dell'opera: resta a vedere se al buon cominciamento
tiene dietro la buona continuazione. II Collegio di Macerata con le
sue elementari superiori, con Tintero ginnasio e con un núcleo di ar-
tigianelli continuó come aveva cominciato, cioé progredendo. Toccó
l'apogeo nel lungo periodo che va dal 1905 al 1924 sotto la direzione
di Don Giovanni Simonetti.
II Collegio in cinquanta e piü anni di vita ha fatto un bene in-
calcolabile ai giovani di fuori; ma agli amici maceratesi, ai quali
stava soprattutto a cuore la gioventü della cittá, premette sempre
specialmente Toratorio festivo. Si suol diré, e l'esperienza l'ha con-
fermato e lo conferma, che chi fa l'oratorio festivo, é il suo Direttore,
Ebbene a Macerata vi fu chi seppe farsi la personificazione dell'ora-
torio festivo: Don Luigi Baldi, che pieno di vero zelo e di energia,
gl'impresse un indirizzo sicuro, portándolo al massimo splendore. As-
serire che aveva abitualmente 500 ragazzi a saltare e a correré nel
cortile e a gremire la chiesa, non é affatto cadere in una esagerazione.
Buono, semplice, dolce, pare va la calamita dei fanciulli. Dovunque si
(t) Boíl Sal., setiembre 1894.
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Fondazioni nelVltalia peninsulare dal 1890 al 1892
presentasse a perorare la causa de' suoi ragazzi, le porte gli si apri-
vano, ed anche le borse. Sotto di lui nulla mancava di quanto tiene
avvinti i giovani ad un oratorio festivo: giochi, ginnastica, teatrino,
carnevale santificato, fanfara, premiazioni, lotterie, funzioni religíose,
parola di Dio, catechismi, frequenza ai sacramenti riempivano i giorni
del Signore secondo i vari tempi delFanno. Qualcuno ha detto che
alia scuola si va per dovere, all'oratorio per amore. Per Foratorio di
Don Luigi, come tutti chiamavano il Direttore, era proprio cosi. La
cittadinanza intera apprezzava Fopera filantrópica, dicevano gli uni,
l'opera altamente cristiana, correggevano altri.
Da Macerata Don Rúa si portó a visitare il Collegio di Loreto,
facendo il viaggio con lo spirito degli antichi pellegrini, che andavano
a venerare la Santa Casa.
Quel Collegio, benché desiderato e ben veduto dai Loretani, non
ebbe quasi mai fortuna. iVperto nel 1891 da Don Rúa con grande sua
consolazione al pensiero che, dopo aver mandato i Salesiani presso
la culla di Gesú a Betlemme, li poteva mandare anche vicino alia
Santa Casa di Nazaret ivi custodita, soggiacque a vicende poco liete,
sicché nel 1910 fu presa la deliberazione di chiuderlo. Miglior ven-
t u r a toccó all'oratorio festivo, che, cominciato nel 1896, non seguí le
sorti del Collegio, ma continuó la sua opera di bene fino al 1924 (1).
Ora ci richiama a Roma FOspizio del Sacro Cuore. La chiesa era
fatta e diventava ogni giorno piü un focolare di pietá; ma FOspizio
era ancora in embrione. Don Bosco, avendo comprato fin da principio
una palazzina sull'angolo attuale di Via Marsala e Via Marghera,
aveva costruito il lato delFOspizio che congiunge la chiesa alia detta
palazzina. cioé una mínima parte del disegno. Vi stava giá dentro un
centinaio di interni; ma rimaneva da fare la parte maggiore, vale
a diré i due lati che fiancheggiano Via Marghera e Via Magenta.
Don Rúa, memore delle intenzioni di Don Bosco che voleva un
Ospizio capace di 500 giovani, e visto il bisogno ognor crescente, come
finí di estinguere i maggiori debiti rimasti dalla costruzione della
chiesa, ordinó nel 1891 di metter mano senza indugio a fabbricare.
(1) Mentre rivediamo le bozze, volgono al termine le pratiche per un'opera affidata ivi dalla
.^anta Sede ai Salesiani.
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Capo XVI
Nella lettera di capo d'anno del 1889 aveva detto ai Cooperatori:
« Opera molto raccomandata da Don Bosco e che io ricordo alia vo-
stra pietá é il compimento dell'Ospizio del Sacro Cuore di Gesú in
Roma. L'Ospizio é giá bene avviato e raccoglie circa cento giovanetti:
ma cento non sonó ancora 500, quanti voleva poterne radunare il pre-
lodato nostro fondatore e padre, per sollevarne un maggior numero,
conducendoli a Gesü Cristo. » E l'anno dopo aveva ripetuto: « Ve lo
raccomando di nuovo. Mi fu pocanzi presentato Tintero disegno e
confido che la vostra divozione al Sacro Cuore di Gesü inspirerá e
muoverá i vostri cuori a somministrarmi i mezzi per eseguirlo. » Al-
lora dunque si venne all'opera. I lavori principiarono il 6 giugno 1891.
In meno di due anni l'edificio era giá tutto coperto e in parte abi-
tabile: due corpi di fabbrica a tre piani, oltre il terreno e i sotterranei.
A cose fatte, Don Rúa ebbe una bella idea: pensó che, come la
chiesa era stata dedicata a Pió IX, cosi l'ospizio si potesse presentare
quale monumento di devozione e di affetto della Societá salesiana a
Leone XITI. E l'occasione giungeva propizia, poiché nel 1893 il mondo
festeggiava il giubileo episcopale del grande Papa. Con questo fine
fu accelerato il ritmo dei lavori, sicché s'arrivó in tempo. II 7 marzo
1893 dal Card. Parocchi, assistito da Mons. Cagliero, fu fatta la so-
lennissima inaugurazione. A perenne ricordo dell'omaggio, si proce-
dette alio scoprimento di una lapide con una elegante iscrizione latina
dettata da Don Cerruti (1). Súbito il numero dei giovani prese ad
aumentare. Da 119 che erano nel 1891, ascesero nel '92 a 186, nel '93
(1)
204
LEONI XJII PONT. MAX.
ANIM1 ET RERUM GESTARUM MAGNITUDINE
DECESSOR1BÜS OPTIMIS COMPARANDO
XI KAL. MARTIAS AN. MDCCCXC1I1
POST EPISCOPATUM EIUS QUINQUAGES1MO
SODALES SALESIANI
IOANNIS BOSCO
SUAVISSIMI PARENTIS LEGÍFER1
VOTIS OBSECUTI
AEDES SS. CORD1S JESU
PUERIS ALENDIS ÍNSTITUENDIS
EIDE1 P1ETATIS AMORIS MONUMENTUM
IN AEVUM MANSURUM
D. D. D.
AN MDCCCXCIII
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Fondazioni nelVItalia peninsulare dal 1890 al 1892
a 317, nel '94 a 385 e nel '95 a 448, divisi nelle due sezioni di studenti
e di artigiani. I mezzi di sussistenza, tolta la esigua entrata sulla
pensione dei giovani che potevano pagare qualche cosa, e tolto il
provento della modesta librería interna, venivano dalla carita dei
benefattori.
Non mancó un segno di gradimento da parte del Pontefice. Don
Rúa in quell'anno giubilare, il 15 agosto, vigilia dell'onomastico di
Leone XIII, gli aveva umiliato una lunga lettera, nella quale, resegli
grazie della paterna benevolenza in piü modi manifestata ai Sale-
siani, dava un succinto ragguaglio di quanto la Societá aveva compiuto
nei due ultimi anni; accennato quindi alie varié maniere con cui si
era dato forma tangibile alFespressione dei sentimenti che la Congre-
gazione professava verso il Sommo Pontefice, soggiungeva: « Ma il
monumento piú grande di devozione e di affetto della Pia Societá
Salesiana verso F augusta persona della Santitá Vostra é quello che
sará cara e dolce memoria del faustissimo Giubileo Episcopale di
Vostra Santitá, cioé l'Ospizio del Sacro Cuore di Gesü in cotesta alma
cittá, all'ombra di quel Santuario del Sacro Cuore che Don Bosco
eresse di gran cuore per ottemperare all'augusto mandato della Santitá
Vostra. L'Ospizio del Sacro Cuore, testé compiuto e inaugúrate, com-
prenderá pressoché tutte le opere e sará come un quadro vivo di
quello che la Provvidenza suggeri a Don Bosco ed ai suoi figli a ser-
vizio della Chiesa e del Papa. » II Papa un mese dopo gli diresse in
risposta il magnifico Breve seguente:
Con grande piacere facciamo manifesti i sentimenti del nostro cuore paterno
verso la vostra Societá, della quale tu recentemente per lettera ci comunicasti e i
dcvoti rallegramenti e i progressi nel suo lavoro per il Signore. Certo si ha da
rendere alta lode a Dio, che per sua ispirazione e sotto la sua guida quell'insigne
sacerdote, fondatore della vostra Famiglia, abbia potuto a gloria del suo nome e
per il bene della gioventü e la salvezza delle anime iniziare e condurre a compi-
niento in tutta quanta la vita tante e cosi utili imprese. E questo bisogna continuar
a fare con larghezza ognor maggiore, affinché lo spirito di lui, conservandosi in-
tegro in te e in tutta quanta la Societá, sproni a sempre nuove e sante imprese,
dalle quali risultino i piú grandi vantaggi alia vita religiosa e civile. Noi stessi
piu d'una volta abbiamo dimostrato quanto ci torni gradita la vostra devozione
n questa Sede Apostólica e quanto confidiamo nell'opera vostra, soprattutto allorche
di nostra autoritá vi afñdammo fra lontani popoli altre terre da condurre, come
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24.1 Page 231

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Capo XVI
álacremente avete cominciato, alia fede e alia civiltá. Ma fra tutte le vostre inizia-
tive quella che ci reca il maggior conforto é l'abbondante frutto che raccogliete in
molti luoghi nell'educare la gioventú, mentre vanno facendosi quotidianamente piú
gravi i pericoli, dai quali purtroppo é circondata e assalita questa incauta e teñera
etá. Quindi ci é puré di sommo gradimento che abbiate in questa stessa cittá
condotta a termine 1'ampia casa annessa al tempio che dedicaste al Sacro Cuore,
nella quale molti potranno essere santamente educati alie lettere e alie arti e in-
sieme, quel che piú importa, alia religione e alia morale. A cotesta opera dunque e
a tutte le altre deliberazioni e imprese della vostra Societá benedica e sia propizio
íddio, ispiratore e autore d'ogni bene, mentre in nome di lui con grande effusione
di cuore a te anzitutto, diletto figlio, e a tutti quanti i Soci ed alie sacre Vergini
della medesima Societá e a tutti coloro che in qualsiasi modo lavorano con voi
impartiamo rApostólica Benedizione.
Dato a Roma, presso S. Pietro, il 18 setiembre deH'anno 1893, XVI del nostro
Pontií'icato.
Sta bene serbare qui memoria di una proposta, che risale al tempo,
di cui ci siamo occupati in questo capo. Quale essa fosse, si vedrá
da una interessante lettera scritta a Don Rúa il 6 gennaio dall'in-
faticabile apostólo della Madonna del Rosario in Valle di Pompei.
Reverendissimo Don Rúa,
Quel che vado a comnnicarvi in questa lettera intendo che sia posto sotto il
suggello della confessione. Scrivo a Voi, ma parlo innanzi a Dio e al venerato
Don Bosco, che mi é presente in ispirito. Da Voi, come uomo di Dio, e come
successore di un santo, mi aspetto una risposta franca, decisiva, aperta, quale
sogliono i santi.
Son sette anni che io vagheggiava nel pensiero la fondazione qui di una casa
per orfanelli, dopo compiuta quella per le orfanelle. L'intendimento mió era non
solo di strappare al peccato gli abbandonati fanciulli, ma anche farne dei preti
per questo Santuario e per le cittá donde essi provengono.
La Madonna invece disponeva per tratto di sua compiacenza, che ora é lungo
citare, che io non dovessi spendere le mié forze agli orfani della natura, ma si
bene agli orfani della legge e cioé ai íigli dei carcerati, che sonó fanciulli piú ab-
bandonati degli stessi orfani.
II pensiero era fisso, ma il momento dellattuazione io non vedeva, quando,
nell'entrare il Cuor di Gesú a prendere possesso del suo altare in questo Santuario.,
agli 8 maggio del passato anno, io m'intesi neU'animo una forza potente che spin-
geva la volontá ad operare, abbandonandosi tutta nel potere onnipotente del Cuore
di Gesú; e alia fine di quel mese di maggio io misi fuori nel mió periódico un
nrticolo iutitolato "Un voto del Cuore".
Quel voio fu benedetto da Dio e dagli uomini, perché fece breccia nel cuore
di tutti, i quali particularmente mi mandano le loro offerte per la costruzione del
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Fondazioni nellltalia peninsulare dal 1890 al 1892
nuovo collegio. Ma se io ho lavorato per sedici anni alia costruzione materiale e
morale del Santuario, dell'orfanotrofio femminile, delle scuole d'arti, oggi non mi
sentó piú nelle forze di sopraccaricarmi novelli pesi di corpo e di spirito. Son ve-
nuto quindi nella determinazione di affidare ad altri la nuova fondazione per la
educazione morale e civile dei figli dei carcerati.
É un auno che prego voglia Id dio manifestaran a chi consegnare la nuova
opera di rigenerazione e di creazione. Finalmente nel giorno di Natale mi é parso
che il Cuore di Gesú voglia affidare questa nuova fondazione ai Figli di Don Bosco.
Se questa e stata un'illuminazione o un'ispirazione del cielo, me lo dirá la Pater-
nitá Vostra Reverendissima.
Innanzi di rispondere, sentó il dovere che sappiate tutto l'animo mió. Io in-
tendo mettere a profitto la popolaritá del nome che il Signore mi ha data, per
raccogliere offerte e incominciare la fabbrica del collegio, che io cederei a Voi per
perpetuare Topera. II collegio dovrebbe avere tre sezioni. Una per interni, figli di
carcerati, che si addicono alie arti e mestieri. Una seconda per interni, che si av-
viano al sacerdozio. Una terza per gli esterni, fanciulli porapeiani, con le scuole ele-
mentan e col loro oratorio festivo. Comune sarebbe una chiesa da costruirsi, seb-
bene con divisione tra interni ed esterni. Formerebbe paite del fabbricato una
in fermeria.
Le o fí i cine, che io ho giá impiantate a fianco del Santuario, sarebbero traspór-
tate alia nuova casa pei figli dei carcerati; esse sonó la scuola tipográfica con
tutto il macchinario azionato da movimento a vapore, la legatoria con le sue mac-
chine, l'officina elettrica con la dinamo per la luce elettrica. A cui si dovrebbero
aggiungere le officine per falegnami, ferrai, calzolai, sarti, coniatori di medaglie.
Non dovrebbe andaré disgiunta una scuola agrícola.
Io ho al presente cinquanta operai alia tipografía e alie macchine e centoventi
fanciulli pompeiani nel catechismo festivo oltre le fanciulle pompeiane. Sicché, dal
primo giorno che noi potessimo aprire il nuovo collegio, potremmo allogare di botto
ottanta fanciulli soltanto alia tipografía e alia legatoria: poiché io stampo ogni mese
due giornalini, oltre ad opere moltissime che in gran parte rifíuto.
Premesse queste cose, io intendo ad ogni costo di cominciar la fabbrica, avendo
giá disponibile il terreno per millecinquecento are. Ho giá pronti due disegni. Ma se
il Signore vuole qui i Figli di Don Bosco, desidero che il disegno sia da essi appro-
vato, e so tío la loro ispezione eseguito. Ieri seppi che cosí si é fatto a S. Paolo del
Brasile, dove il dott. Luigi Lasagna, salesiano, ha diretta la costruzione dell'edificio
con le scuole di arti e mestieri.
Aspetto di conoscere se la R. V. crede che questa sia la volontá di Dio, e se ac-
cetta la mia proposta. In caso affermativo io ne farei súbito inteso innanzi tutto
il mió superiore ecclesiastico, che c rEm.mo Card. Monaco La Valletta, e poi il
Santo Padre, che é il gran protettore di questo Santuario e delle mié opere di be-
ndicen za.
Accogliete i sensi della mia maggior osservanza, con cui mi credo fortúnate) di
potermi diré
Dev.mo e obbl.mo
Aw. BARTOLO LONGO
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Capo XVI
In linea di massima, Don Rúa accettó la proposta, rimandando le
trattative concrete a un incontro che si riprometteva di avere con
l'Avvocato fra non molto, incontro avvenuto, non sappiamo quando
né dove. Risultato dell'abboccamento fu in appresso un progetto
di Convenzione. Nel corso delle trattative, Bartolo Longo sottopose
l'affare aU'approvazione del Cardinale La Valletta, costituito da
Leone XIII nel 1890 Protettore del Santuario di Pompei con ampie
facoltá, e del Cardinal Parocchi, Protettore della Societá; ma il
primo gli rispóse che, trattandosi di affare privato fra lui e Don
Rúa e su materie di fatto, com'erano quelle riguardanti scuole, edu-
cazione e indirizzi professionali per i figli dei carcerati, poco vi po-
tevano vedere tanto Tuno che l'altro Cardinale Protettore; ne trat-
tassero quindi fra loro e poi la faccenda si sarebbe definita fra Su a
Eminenza e l'Avvocato (1).
Sembrava che le cose prendessero buona piega; infatti Mons. Car-
cani, Vicario del Card. La Valletta per gli affari del Santuario, aveva
scritto il 5 aprile 1893 a Bartolo Longo: « Sonó solo i Salesiani quelli
che possono daré l'indirizzo che voi volete, e sanno darlo. » Si abbozzó
anzi il detto schema di Contratto in dieci articoli cosi intitolato: Pro-
getto di convenzione tra l'Avv. Bartolo Longo e il Rev. D. Michele
Rúa per la fondazione e direzione duna Casa di Ricovero pei figli
dei carcerati in Valle di Pompei. In esso era espressamente stabilito:
« L'amministrazione, la disciplina e la direzione interna del pió Isti-
tuto é affidata al signor Sac. D. Michele Rúa, che ben volentieri ac-
condiscende al grato invito dell'Avv. Longo di venirgli in aiuto nella
caritatevole istituzione, ed a tal fine nel mese di ottobre 1893 man-
derá due sacerdoti, due chierici e due maestri d'arte. »
Se la faccenda si fosse potuta sbrigare fra le due partí, dato il
reciproco buon volere, la pratica sarebbe giunta in porto; ma biso-
gnava fare i conti anche con altri, che non dimostravano ugual pre-
mura, sicché s'andó in lungo piú del tempo voluto senza conchiudere
nulla; onde l'iniziativa fallí. Tuttavia il recente autorevole biógrafo
(1) Lcttera di B. L. a Don Rua, 26 aprile 1893. Pariendo da un altro punto di vista, il
Card. Parocchi, interpellato da Don Sala, aveva risposto: — Che bisogno avete voi di andar a ser-
viré gli altri? (Verb. del Cap. Sup., lo maggio 1893).
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Fondazioni nellItalia peninsulare dal 1890 al 1892
di Bartolo Longo scrive (1). « Quegli ottimi religiosi concorsero non-
dimeno assai altivamente alia compilazione del progetto architettonieo
del novello Istituto e ai complessi studi relativi. Da Torino venne ap-
posta due volte a Pompei l'i]lustre architetto Don Giovanni (sic) Sala,
costruttore di tanti coUegi salesiani, il quale insieme all'Ing. Rispoli
fece accurati rilievi sul luogo e tracció le linee della nuova fondazione.
poi attuata per le ali oriéntale e meridionale.» La parte avuta da
Don Sala trova conferma in documenti conservati nei nostri archivL
(1) PIER MARINO FRASCONI Don Bartolo Longo Alba, Pía Societá S Paolo. Pag 243 II Ca-
gliero che rappresentó Don Rúa nelle Irattaíive nou fu il futuro Cardinale, come dice ¡1 biógrafo, uia
Don Cesare Cagliero, Procuratore gencrale della Societá a Roma.
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24.5 Page 235

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CAPO XVII
Seconda fase delle fondazioni in Sicilia.
Primo viaggio di Don Rúa nell'isola,
(Catania, Messina, Ali, Bronte, Marsala, S. Gregorio)
Da Roma in giü non esistevano ancora Case salesiane fino alia
Sicilia; in Sicilia poi non c'erano che il Collegio S. Basilio a Ran-
dazzo e POratorio S. Filippo Neri a Catania: ma nell'isola princi-
piava ormai a formarsi la bella pleiade di Case salesiane oriéntate
verso quella importante cittá, che doveva divenirne il centro. Dal
Capitolo Superiore furono prese il 5 aprile 1890 tre deliberazioni
riguardanti la Sicilia; eseguire súbito una parte del disegno giá
pronto per un Collegio a Catania, cominciare lo spianamento del
terreno e qualche lavoro per una Casa a Messina e mettere ad Ali
Marina le Suore con un laboratorio e l'oratorio festivo.
Di un'ereditá sfortunata si serví la Provvidenza per iniziare il Col-
legio di S. Francesco di Sales in Catania. Un Can. Piccioni catanese
aveva lasciato da tempo tutta la sua proprietá del valore di circa
350 mila lire per un Istituto di beneficenza nella sua patria, no-
minando con quest'obbligo quattro eredi fiduciari. Egli non designó
i Salesiani per tale opera, perché allora non li poteva conoscere;
li chiamarono i detti eredi dopo aver fatto inútilmente varié al tre
ricerche. La loro corrispondenza, conservata nei nostri archivL passa
dalle umili suppliche alie vive insistenze e da queste ai rimbrotti per
gPindugi ed anche alie minacce. Intanto pero da vano solo i I fondo
per Pedificio con atto di vendita; ma quanto al resto si contenta-
vano di semplici promesse. Dopo lungo aspettare, anche per le
preghiere del santo Cardinale Arcivescovo Dusmet, Don Rúa de-
cise che si intraprendesse la costruzione in attesa che venisse il
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Seconda fase delle fondazioni in Sicilia - Primo viaggio di Don Rúa nelVisola
grosso dell'ereditá; ma quelli man mano che vedevano elevarsi la
fabbrica, si ritiravano e non davano nulla. Promisero bensi di man-
tenere nel Collegio a loro spese quattro giovani, per ciascuno dei
quali sborsarono realmente 200 lire all'anno; ma dopo il setiembre
del 1893 non si fecero piü vivi. II Procuratore Don Cagliero nelFagosto
del 1893 reclamó presso la Santa Sede. II Cardinale Segretario di Stato,
d'ordine di Sua Santitá, trasmise il reclamo alia Sacra Congregazione
dei Vescovi e Regolari, dando incarico al Card. Dusmet di intimare
agli eredi, suoi dipendenti, che entro un preventivo termine, e ció no-
mine Sancíae Sedis, facessero ai Salesiani cessione di tutto quanto
costituiva Fereditá. II mitissimo Arcivescovo, conscio del buon di-
ritto, moveva frequenti rimproveri ai quattro; ma o non gli basto Fa-
nimo di costringerli al dovere o mori prima di potervi riuscire. Causa
civile non si poteva intentare, perché Fobbligo ingiunto era stato
solo órale e di coscienza. Conosciuta questa circostanza, saltarono
su gli eredi naturali del defunto, dando con litigi molte brighe a
quei signori, che li tacitarono con parecchie decine di biglietti da
mille; poi tutto fini la, cosicché i Salesiani, se vollero proseguiré
i lavori, dovettero attingere ad altre sorgenti benefiche.
E proseguiré bisognava, non foss'altro per il buon nome della
Societá. La fabbrica dunque procedette con tanta rapiditá che la
parte designata, una meta circa del presente corpo principale, poté
giá nel novembre del 1891 essere abitata dai primi Salesiani e da
una ventina di artigianelli, con il Direttore Don Luigi Chiesa, che
fino allora aveva diretto Foratorio S. Filippo; ma Finaugurazione
solenne si compié il 10 maggio del 1892, presente il Cardinale, che
lodo pubblicamente Fefficace gagliardia con cui avevano operato i
Salesiani, facendo sorgere quell'edificio quasi all'improvviso. II se-
condo braccio del fabbricato é del 1900 e di dieci anni dopo la Casa
ispettoriale; poiché nel collegio aveva posta la sua residenza il primo
Ispettore siculo Don Giuseppe Bertello fin dal 1895.
Non va taciuta una terza opera eminentemente salesiana ini-
ziata a Catania nel 1893. Chi scrive, vide allora nel suburbio una
localitá, che sembrava un grosso villaggio di zingari: abbandono,
squallore, miseria. Essendo numerosa nelle famiglie la prole, vi bru-
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Capo XVII
licavano i ragazzi mal vestiti, mal puliti, mal educati. La in mezzo
i Salesiani andarono a piantare un oratorio festivo, denominándolo
della Salette. Ogni domenica un torrente di fanciulli vi irrompeva
dentro. Bisogna aggiungere pero che quei poveri figlioli si porgevano
docili a quanto comandavano i catechisti e soprattutto il Direttore.
Dopo qualche anno se ne scorgevano i buoni effetti. 1 pionieri che vi
portarono con tanta umiltá i loro sudori e sacrifici, hanno ben meri-
tato di quella popolazione: l'umile Don Savini in particolare sarebbe
degno di un monumento. Ma il monumento egli se l'é eretto da sé,
e imperituro, nel cuore di centinaia e centinaia di figli del popólo,
oggetto delle sue paterne cure.
Un'altra ereditá, ma piü fortunata della precedente, diede ori-
gine al collegio S. Luigi in Messina. I coniugi Marino, padroni di
vistose sostanze e privi di eredi necessari, meditavano di destinare
il proprio avere a un'opera di bene, quando l'Arcivescovo Guarino,
amicissimo di Don Bosco, li consiglió di rivolgersi a lui. In una let-
tera del 3 gennaio 1884, diretta a Don Bosco e tracciata con mano
senile, il signor Marino dice: « Volendo ritirarmi dagli affari, com-
presa la Presidenza di questo Consiglió d'Ordine avvocatoriale e
trovandoci io e questa mia in spirito indivisibile consorte senza figli
e senza rappresentanti di nostra famiglia, siamo stati ispirati ad
implorare l'aiuto, la carita e la beneficenza della Signoria Sua Reve-
rendissima, di fama mondiale, nel fine di ottenere che andassero
in futuro le nostre possidenze alia fondazione ed al sostentamento di
un oratorio festivo salesiano, che la Signoria Sua Reverendissima si
farebbe ad istallare in Messina nei nostri fabbricati. » Ma nessuno
dei due arrivó a vedere attuato il comune desiderio; il testamento
pero, redatto nelle debite forme, chiamava puramente e semp!ice-
mente eredi di tutti i loro beni mobili ed immobili Don Rúa, Don
Durando e Don Chiesa (1). Trascinatesi poi le cose piú a lungo di
quanto si sarebbe pensato, solo nel 1890 s'intrapresero i lavori, come
rileviamo da una lettera del 22 marzo 1890, nella quale l'Arcivescovo
informava Don Rúa: « Compio il grato dovere di annunciarle che
(1) I.ctl. clell'Arcivescovo a Don Rúa, 24 aprile 1884.
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Seconda fase delle fondazioni in Sicilia - Primo viaggio di Don Rúa nell isola
D. Chiesa nelle sua grande attivitá ha dato mano all'opera. Attual-
mente si sbarbano gli alberi del terreno comprato in bel sito, nelle
cui vicinanze abita moltissima povera gente, per poi iniziarsi la
fabbrica. Lo stabilimento costera molto secondo il disegno. che ho
veduto, e sarebbe necessario che la Provvidenza di Dio muovesse
altri cuori a daré aiuti. Intanto ad appagare la febbrile aspettazione
di questa difficile cittá, é mestieri che in tempo non lontano si
veda qualche cosa. » Fu aperto per primo l'oratorio festivo nel 1892
nei locali stessi del Collegio, che pero non fu pronto se non nel 1894.
Anzi un secondo oratorio festivo, sotto il nome della Sacra Famiglia,
venne cominciato poco appresso in un altro punto della cittá, dov'era
grande il bisogno dell'assistenza religiosa per la gioventü.
Al Collegio accorrevano alunni anche dalla vicina Calabria. Don
Lovisolo, che lo diresse molti anni, lo portó a grande rinomanza, il
che fíni con daré sui nervi ai soliti anticlericali. Costoro gongolarono
di gioia nel 1901, quando un incidente ne minacció l'esistenza. Un
alunno della terza ginnasiale agli esami pubblici si lasció sfuggire
nelForale di storia qualche frase inesatta. Si levó immediatamente
un gran clamore, intervennero le Autoritá scolastiche e fu decre-
tata la chiusura dell'Istituto. La stampa di partito, impadronitasi
della cosa, ne fece un casus belli nell'isola e sul continente. Ma l'al-
legrezza dei malvagi duró poco. La chiusura si protrasse solo da
luglio a dicembre, dopo di che vi s'andó meglio di prima. Oggi del
fatto non rimane che un voluminoso incartamento, il quale servirá,
occorrendo, a documentare fra quanti scogli si navigasse allora con
gli Istituti di educazione tenuti anche da religiosi che puré non po-
tevano essere sospetti di antipatriottismo.
L'ereditá Marino non doveva essere impiegata tutta a Messina.
GPimmobili della signora, che si trovavano ad Ali Marina, non molto
lungi dalla cittá, erano destinati in parte a un'opera femminile nelle
mani delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Rúa cedette poi loro
anche un fondo di sua spettanza. Le Suore a poco a poco diedero
vita a un grandioso Istituto, parí a quello di Nizza Monferrato. La
sua íloridezza si consolidó sotto il prolungato governo della Serva
di Dio Maddalena Morano. I Salesiani vi prestarono e vi prestano
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Capo XVII
tutta l'assistenza religiosa; inoltre, coadiuvati dalle Suore, vi aper-
sero un oratorio festivo maschile. Le salme dei due benefattori ri-
posano ora nella chiesa pubblica dell'Istituto,
Tre altre fondazioni ebbero cominciamento in Sicilia nel 1892,
cioé a Bronte, a Marsala e a S. Gregorio di Catania.
Bronte é un centro notevole nella regione subetnea, a circa dieci
chilometri da Randazzo. Vi stavano giá dal 1880 le Figlie di Maria
Ausiliatrice alia direzione dell'ospedale e delle scuole elementari, ol-
treché dell'oratorio festivo. Gloria lócale era stato da circa cent'anni
un Collegio-convitto con ginnasio pareggiato, che portava il nome
del Ven. Ignazio Capizzi, brontese, Filippino dell'Oratorio palermi-
tano. Lo tenevano preti secolari; ma ormai precipitava verso la
rovina. La presenza delle Suore e la vicinanza dei Salesiani di Ran-
dazzo fecero nascere il pensiero, che i figli di Don Bosco potessero
rimettere in auge il vecchio Istituto. Nel 1881 il Card. De Luca, na-
tivo di Bronte e giá alunno di quel Collegio, raccomandó personal-
mente la cosa al nostro Santo in Roma. Don Bosco, non potendo ri-
spondere con un rifiuto al Prelato in un momento, nel quale rice-
veva da lui segni molto positivi di benevolenza, gli manifestó tutto
il suo buon volere, ma senza vincolo di tempo. I Brontesi, saputo
questo, s'immaginarono che la sua fosse una fórmale promessa e a
brevissima scadenza; onde reitérate istanze per la pronta venuta. Ma
Don Bosco non fece in tempo a esaudirli.
II suo Successore, tenendo, come sempre, nel debito contó la pa-
rola del Padre, vi diede corso nel 1892. L'arrivo dei Salesiani fu il
toccasana per il Collegio, che rápidamente si riempi di giovani. Ma
la condizione dei Salesiani non era soddisfacente. Un sacerdote bron-
tese, rappresentante della Deputazione del Collegio, non solo risie-
deva in casa col titolo di Rettore, ma, pur non ingerendosi nella Di-
rezione, amministrava, faceva le accettazioni e anche senza volerlo
legava le mani al Direttore, rendendo oltremodo difficile per vari
motivi la disciplina secondo il nostro spirito. La magnanimitá del
Direttore Don Fascie per lungo periodo di tempo attuó un modus vi-
vendí non fissato da nessuna convenzione, ma del tutto intoDerabile.
Peggiorarono le cose non appena comparvero in cittá preti brontesi
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Seconda fase delle fondazioni in Sicilia - Primo viaggio di Don Rúa nell isolti
forniti di laurea e aspiranti a qualche cattedra nell'Istituto. Di qui
presero realmente le mosse due questioni di ordine giuridico accam-
pate contro i Salesiani, che essi cioé si fossero infeudata una fonda-
zione lócale e che allora, rinnovando la Convenzione, mirassero ad
assorbirla anche económicamente a proprio esclusivo vantaggio. La
situazione giá poco sostenibile peggioró ancora, quando, chi sa come
e chi sa da chi. fu provocata l'ordinanza superiore di ammettere
alunne alie scuole. Dopo una snervante serie di manovre avversarie
e di contromanovre dei nostri, i Superiori di Torino ordinarono nel
1916 il ritiro. É degna di nota, perché rispecchia lo spirito di Don
Bosco, la formula stesa da Don Cerruti e rimessa all'Ispettore Don
Minguzzi, per annunciare, sul finiré di aprile, le irrevocabili dimis-
sioni.
É certamente a conoscenza di cotesta Spett. Amministrazione e del suo Rev.mo
Presidente Padre Prestianni (1), come i Salesiani fino dalla loro venuta al R. Col-
legio Capizzi si siano adoperati in ogni modo e abbiano fatto del loro megiio per
le sorti del Collegio e per eorrispondere cosi a quello che era desiderio del P. Pre-
stianni e del Rev.mo Sig. Don Rúa di santa memoria.
Allora, nel 1892, quando furono inviati cola i primi Salesiani in adesione al-
l'invito del P. Rettore, erano assai diverse le condizioni del Collegio da quelle che,
grazie a Dio, ora puó esso vantare e per la vita prosperosa e per il regolare fun-
zionamento delle Scuole. Ora é indicato come uno dei primi Istituti di educazione
deirisola.
Si potrebbe quindi tenere che omai Topera nostra a pro del Collegio Capizzi
sia compita e il Collegio in grado di continuare la sua vita ascendente sotto la
direzione dell'Amministrazione medesima.
Ció posto, coscienti di aver fatto per ventitre anni nel miglior modo possibile
il nostro dovere d'insegnanti e di educatori e di avere preparato un felice avve-
nire al Collegio, desiderosi di lasciare libera 1'Amministrazione di prendere que'
provvedimenti che crede piú utili nell'ora presente, stremati per di piü di personale
per tante chiamatc sotto le armi, abbiamo deciso di ritirarci, come effettivamente
intendiamo ritirarci, dalla direzione del Convitto e dall'insegnamento del Collegio-
ginnasio Capizzi. Mentre direttore e professori presenteranno le loro dimissioni in
tempo utile, preghiamo cotesta Spett, Amministrazione che voglia prendere nota
del nostro ritirarci, che avverrá nel luglio prossimo e di provvedere quindi alia
vita avvenire del R. Collegio Capizzi, che auguriamo ogni di piú rigogliosa e
Jiorente.
Grati delle attestazioni di fiducia usateci, con ogni ossequio mi raffermo ecc, ecc.
(1) Era il cosi dctto Rettore.
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Capo XV11
II caritatevole augurio di Don Cerruti ando a vuoto; cosi puré
rimasero senza effetto posteriori tentativi di riavere i Salesiani, Se-
condo il pensiero e la pratica del fondatore, essi per isvolgere effica-
cemente il loro programma debbono avere piena liberta di azione,
Fu aperta nel 1892 anche la Casa di Marsala, sebbene le relative
pratiche fossero cominciate con Don Bosco nel 1879. Un sacerdote
Sebastiano Alagna aveva gettato le basi di un ospizio per fanciulli
poveri, raccogliendoli in un ex-convento di Francescani; la bene-
ficenza pubblica gli somministrava i mezzi di sussistenza. Ma, non
sentendosi piú di continuare, ricorse a Don Bosco per " consiglio, di-
rezione, aiuto ". La risposta esprimeva solo buone intenzioni a lunga
scadenza. Frattanto Don Alagna intraprese la costruzione di un
edificio, modellato sul disegno del collegio di Mogliano Véneto che
Don Bosco gli aveva spedito, suggerendogli di denominarlo Casa
della Divina Provvidenza. Col crescere della famiglia P Alagna mol-
tiplicó le istanze per avere i Salesiani, finché Don Rúa, che nel 1892
era stato, come diremo, a Marsala, decise di esaudirlo. É un ospizio
di beneficenza per ragazzi anche esterni, di classi elementari, e per
giovani artigiani; gl'interni si aggirano ordinariamente intorno al
centinaio. La Casa fino al 1908 ebbe molte piú vicende tristi che Hete.
Da quell'anno in poi vi si lavoró abbastanza in pace.
Importantissima fra le importanti fu in questo tempo la fonda-
zione della Casa di S. Gregorio, il bel Noviziato dell'Ispettoria si-
cula. Veramente la Casa di S. Gregorio accolse i novizi nel setiembre
del 1894; ma il Noviziato, che esisteva giá da due anni, fece due
tappe prima di arrivare alia meta.
Ecco in breve la storia. Nell'oratorio S. Filippo Neri, intorno al-
Tanima grande di Don Piccollo (1), si era formato un gruppo di gio-
vani studenti, che aspiravano a farsi Salesiani. Parve inopportuno
mandarli in Piemonte, sia per prevedibili opposizioni familiari, sia
per troppa diversitá di clima; Don Rúa quindi consentí che s'iniziasse
un Noviziato nell'Isola. Questo nelPanno scolastico 1892-93 trovó rifu-
gio provvisorio in una casa di Máscali Nunziata, comune non molto
(1) Annali, pag. 579.
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Seconda fase delle fondazioni in Sicilia - Primo viaggio di Don Rúa nellisola
lontano da Catania, la qual casa, appar ten ente alia parrocchia, veniva
messa a disposizione da un benemérito ecclesiastico. Don Piccollo,
creato Maestro dei novizi, vi condusse nel mese di ottobre la sua bri-
gatella di 21 giovani, parecchi dei quali vivono tuttora e onorano
la Congregazione. Ma per l'anno dopo la casa non bastava piú a
conteneré una seconda schiera piú numerosa della prima. Un no-
vello nido era giá assicurato, ma non ancora pronto. Allora Mon-
signor Caff, Vescovo ausiliare di Catania e Rettore del Seminario,
avénelo fabbricato una villa per i Seminaristi a S. Giovanni la Punta,
ne concedette per un anno Tuso ai Salesiani, che vi ricevettero ospi-
talitá nell'autunno del 1893, intanto che si ultimavano i preparativi
nella definitiva sede.
Questa sede era un dono della Provvidenza. Viveva a S. Gregorio
di Catania con due sorelle nubili un sacerdote Antonino Mignemi.
tutt'e tre vecchi e facoltosi e senza eredi necessari, II prete, imbattutosi
in un Salesiano del Noviziato, che distava di la solamente un paio
di chilometri, venne a diré che volentieri avrebbe offerto ai Sale-
siani i suoi fabbricati e poderi, purché essi esercitassero a S. Gregorio
in vece sua i ministeri parrocchiali. Don Piccollo, entrato nelle grazie
del venerando sacerdote, fece presto a intendersi con lui: onde,
messo mano ai riattamenti e alie modifiche, l'abitazione fu ben presto
allestita, sicché 1'8 setiembre del 1894 si poté compiere il trasferi-
mento. II paese con a capo il Sindaco aveva preparato ai Salesiani
un'accoglienza cordiale. Un altro sacerdote del luogo imitó la gene-
rosita del Mignemi. Nuovi benefattori si aggiunsero a loro; né va di~
menticata la provvida assistenza materiale e morale presiata con-
tinuamente a Don Piccollo da Don Guidazio, Diretiore del Collegio
di Randazzo; egli offriva inoltre ai chierici paterna ospitalitá nel
periodo delle vacanze estive.
II diré dei successivi incrementi di questa Casa ci porterebbe lungi
dal nostro assunto; due cose per altro sembrano meritevoli di speciale
menzione. I chierici studenti, mentre attendevano alia loro formazione
si dedicavano all'opera degli oratori festivi, addestrati da Don Pic-
collo, maestro insuperabile anche in questa parte dell'attivitá sale-
siana. Uno di detti oratorii si faceva a S. Gregorio, un secondo a
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Capo XVII
S. Giovanni La Punta, e il terzo a S. Ágata di Battiati. L'altra
cosa é che finora ebbero nella Casa di S. Gregorio la loro prima
formazione religiosa una cinquantina di Missionari, fra i quali
emerge la figura di Mons. Luigi Mathias, Arcivescovo di Madras.
II successore di Don Bosco fece il suo primo viaggio in Sicilia
nel febbraio del 1892. Tale andata gli porse l'occasione di rivedere
Roma e di essere ricevuto in udienza da Leone XIII. II Papa, che
era infermiccio, gli si mostró oltremodo benévolo, fino a dirgli che
sarebbe stato disposto a riceverlo anche da letto. Chiamó " suoi
cari Salesiani" i figli di Don Bosco. Sapendo del valore di Don
Francesia nella lingua latina, parló di cantori classici; anzi, levatosí
da sedere, ando a prendere un magnifico volume, che conteneva tutte
le sue poesie latine, e dinanzi a loro ne volse e rivolse con le pro-
prie mani le pagine e ne lesse alcuni tratti p e r circa dieci mi~
nuti (1).
Don Rúa, sbarcato a Palermo, proseguí direttamente per Mar-
sala, dove esaminó le proposte circa la fondazione, di cui abbiamo
parlato; quindi, attraversando l'isola, sostó a Caltanissetta. Don
Francesia attesta (2) che in questa cittá si sentiva ancora ripetere
con affetto il nome di Cesare Chiaia. Non é fuor di proposito una
digressione che serva a ravvivare fra noi il ricordo di questa cara
figura.
Nato da distinta famiglia a Ivrea nel 1837 e trasferiiosi con i suoi
a Torino, avvicinó Don Bosco quando da poco il randagio oratorio
aveva fissato le tende a Valdocco. Conoscere Don Bosco e volergli un
gran bene fu una cosa sola. Se lo scelse per direttore spirituale, nulla
facendo d'importante senza il suo consiglio. Piacendogli molto la
maniera usata da Don Bosco nel trattare i fanciulli, si prestava vo-
lentieri a fare sotto di lui il catechismo. Con il chierico Rúa ando
per alcun tempo le domeniche all'oratorio dell'Angelo Custode in
(1) Verb. del Cap. Sup., 9 marzo 1892. Don Francesia in una sua Autobiografía inédita completa
queste notizie date da Don Rúa ai Capitolari, scrivendo: « All'udienza del Santo Padre Leone XIII
fumino ricevuti regalmente, e con meraviglia sentii che il Papa cono^ceva Don Francesia e quel po'
di latino che aveva studiato. Mi volle regalare una copia de' suoi versi últimamente stampati a Udine
con lusso, e me ne lesse alcuni con arte e gusto speciale. Omai eravamo intimi. >
(2; Aulob. cit.
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Seconda fase delle fondazioni in Sicilia - Primo viaggio di Don Rúa riell'isola
Vanchiglia, dove si scelse la classe dei piccoli spazzacamini. Alto
della persona, signorilmente vestito, di modi gentili, destava edi-
ficazione e ammirazione vederlo seduto in mezzo a una trentina di
quei piccoli valdostani fuligginosi e tutto intento a insegnar loro le
cose di Dio. A 29 anni era giá Direttore delle Regie Poste in Pie-
monte. Nel 1864 il trasporto della capitale a Firenze lo obbligó a
staccarsi dal suo amato Don Bosco, che aiutava anche nella prepa-
razione dei fascicoli per le Letture Cattoliche. Rimasto nella metro-
poli toscana fino al 1870, dovette passare in Sicilia a dirigere le
Poste della Provincia di Caltanissetta. Ivi i suoi dipendenti e molti
cittadini furono cosi tocchi dalla sua virtuosa condotta e sincera
religiositá, che alFannuncio della sua morte gli fecero fare un so-
lenne funerale, sebbene giá da quattro anni avesse lasciato quella
cittá.
L'aveva lasciata rinunciando alFimpiego, perché deciso di ab-
bandonare il mondo e vivere con il padre della sua anima. Gli costó
non poco superare gli ostacoli oppostigli dalla famiglia; il fratello
Luigi, scrittore político e poi Senatore del regno, non se ne poteva
dar pace. Ma alia fine fece il suo ingresso nell'Oratorio, dove rice-
vette da Don Bosco l'abito chiericale e diede principio al suo novi-
ziato. Nell'aprile del 1875 fu ordinato sacerdote. La sua nutrita
cultura religiosa gli aveva permesso di abbreviare il cammino. Nel-
FOratorio fu modello di Prefetto. Operava un gran bene in mezzo
agli artigiani. Dirigeva le Letture Cattoliche. Ma purtroppo la sa-
lute non secondó il suo zelo. Cadde ammalato nel 1876 e nel giugno
dello stesso anno mori. Nel dicembre successivo Don Bosco lo vide
nella gloria con altri Salesiani al seguito di Domenico Savio»
Da Caltanissetta Don Rúa riprese il viaggio per Catania. Qui fu
una vera festa per lui vedere quei nuvolo di ragazzi che frequenta-
vano l'oratorio festivo detto dei Filippini, diretto da D. Piccollo. Que-
sto degno figlio di Don Bosco, partito chierico per Randazzo nel 1879,
quando si apriva quei Collegio, si era fatto, diremmo cosi, siciliano,
spiegando nelFambiente giovanile della cittá uno zelo instancabile,
ingegnoso, efficacissimo. Rápidamente Don Rúa visitó le Suore a
Catania, a Bronte, a Trecastagni, a Mascali, ad Ali Marina. Non po-
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Capo XVll
teva naturalmente andaré a Bronte senza spingersi fino a Randazzo.
II Collegio S. Basilio, dopo il trastoco del primo Direttore Don Gui-
dazio, era decaduto alquanto (1); ma nel 1889 col ritorno di lui, che
tanta stima si era cattivata in tutta l'isola, risorse a vita novella
né piú venne meno fino al presente. Don Rúa partí consolato per
essere stato testimonio della visibile ripresa.
Di la scese a Messina, dove, sebbene l'Arcivescovo gli avesse
offerto rospitalitá, non poté fermarsi; quel Collegio era ancora ¡n
costruzione. A Reggio Calabria ospitó dall'Arcivescovo Casanova.
poi Cardinale. Di qui per Squillace, dove la Marchesa Scopa lo
colmó di cortesie, per Taranto e per Bari ando a Macerata, nella
qual cittá giá lo trovammo. Del Collegio maceratese Don Francesia
ci dá queste notizie (2): « La Casa era stata inaugurata da poco,
ed era giá piena e riboccante. Pareva l'Arca di Noé: c'erano studenti,
artigiani, giovani dell'oratorio. L'ordine lo teneva soltanto l'amore. »
Da Macerata prese per Ancona, Rimini e Venezia, donde partí di-
rettamente per Novara. Qui era prossimaTandata dei Salesiani: il
Vescovo Davide dei Conti Riccardi, giá promosso alia Sede di To-
rmo, gli fece cordialissime accoglienze. Di lui scrive Don Francesia
nel citato documento: « Egli si mantenne costante nell'amare la no-
stra cara Congregazione. » Don Rúa rientró all'Oratorio quasi senza
che alcuno se ne accorgesse. L'indomani 9 marzo fece con santa esul-
tanza la relazione del suo viaggio al Capitolo Superiore.
Un profano che scorra queste pagine, non puó a meno di porsi a
quando a quando il quesito, donde mai si cavassero i mezzi finanziari
per condurre a termine tante e si costóse opere. Risponda per noi il piú
qualificato di tutti a chiarire l'enigma, cioé il Prefetto Genérale Don
Belmonte. Abbiamo una sua preziosa lettera del 13 aprile 1891, nella
quale espone a Mons. Cagliero in complesso il passivo e l'attivo di
quel momento. Scrive: « Veramente ci troviamo sempre smunti e sfi-
niti di danaro. Abbiamo ai fíanchi tante sanguisughe, che disseccano
aífatto le vene. Oltre alie tre Case di noviziato gravitano sul Capitolo
(1) Lett. di Don Lazzero a Mons. Cagliero, 19 setiembre 1889.
(2) Autob cit. É qucsto Túnico documento, che ci faccia conoscere l'itinerario del ritorno di
Don Rúa dalla Sicilia.
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Seconda fase delle fondnzioni in Sicilia - Primo Diaggio di Don Rúa nell'isou*
Superiore l'Oratorio, S. Giovanni e parecchie Case di Francia. I ri-
stauri a Maria Ausiliatrice ascendono giá ad una cifra assai superiore
alia stabilita, e non siamo ancora a termine. L'Ospizio in Roma assor-
bisce decine di migliaia di lire ogni quindici giorni. Ci sonó le fab-
briche della Spezia, di Parma, di Macerata e di Catania, che progre-
discono mediante i sussidi del Rettor Maggiore. Faenza continua puré
ad allargarsi, e Sampierdarena presentó un progetto di nuove edifi-
cazioni per la spesa di lire 150 mila. lo stesso sonó sbalordito alia vista
di si enormi spese, per far fronte alie quali si richiederebbero i fondi
di uno Stato; e nel medesimo tempo sonó sorpreso profondamente
alio spettacolo dei continui sussidi, che giungono non piú solo dalla
Francia, ma dalle piú lontane regioni della térra. Dal Capo di Buona
Speranza, dall'Isola di Ceylan, dal Tonchino, dall'Australia, dall'In-
dostan e da parecchi punti piú remoti degli Stati Uniti dell'America
Settentrionale provengono delle elemosine. Sonó offerte inviate per
grazie ricevute da María SS. Ausiliatrice e sonó accompagnate da
lettere le piú affettuose e confidenti quali d'un tenero figlio al proprio
padre. » Egli e tutti i Superiori ne provavano grande conforto nelle
immancabili tribolazioni quotidiane. A tal vista si persuadevano
essi maggiormente, come ci persuadiamo anche noi, essere veramente
la nostra Congregazione opera voluta da Dio.
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CAPO XVIII
La Causa di Don Bosco.
Come si arrivó al Processo ordinario e alia sua chiusura.
Fra i molti e grandi meriti di Don Rúa verso la Congregazione
uno dei piü insigni fu l'oculata sollecitudine, con cui avvio la Causa
di Don Bosco, preparando cosí i gloriosi trionfi della Beatificazione
e della Canonizzazione, ai quali egli non poté assistere in térra. Vis-
suto tanti anni a flanco del Servo di Dio, aveva constatato piü d'ogni
altro quanto fosse reale, realissima la santitá di lui ed anche quanta
opinione di santitá ne circondasse universalmente la persona. Persuaso
quindi che senza dubbio si sarebbero un bel giorno cominciati i Pro-
cessi di Beatificazione e Canonizzazione, si fece premura di metter
mano agli opportuni preparativi, sicché, scoccata Tora, nulla
sopraggiungesse d'impreveduto a ritardare o a intraiciare l'andamento
delle cose. Perció súbito il giorno dopo che la salma di Don Bosco era
stata tumulata a Valsalice, raccolti intorno a sé i membri del Capitolo
Superiore, fece dar lettura dei decreti di Urbano VIII sul modo di
comportarsi riguardo ai fedeli morti in fama di santitá.
A sospingerlo su questa via si unirono diverse circostanze. Erano
le relazioni di fatti, umanamente parlando, prodigiosi, attribuiti al-
l'intercessione di Don Bosco; erario le voci che si levavano a coro
da ogni parte, proclamanti la santitá di lui e confermanti su vasta
scala l'opinione di santitá, in cui l'aveva trovato la morte; erano
gli eccitamenti di uomini gravi, concordi nel diré che bisognava
iniziare presto le pratiche per dar principio ai Processi. II Cardinale
Parocchi, Vicario di Sua Santitá a Roma e Protettore dei Salesiani,
lu il primo a scrivere positivamente in tal senso, poco dopo avve-
nuto il decesso; egli consigliava di trattare senz'altro con l'Arcive-
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La Causa di Don Bosco - Come si arrivo al Processo ordinario e alia sua chiusura
scovo di Torino, perché non volesse indugiare a compiere gli atti
preliminari.
Don R ú a poi, recatosi a Roma il 9 febbraio 1888 per rendere il
primo omaggio al Papa, nella sua qualitá di nuovo Rettor Mag-
giore, raccoglieva dalla bocea di eminenti Prelati raccomandazioni
autorevoli a non porre tempo in mezzo. Anche Mons. Caprara.
Promotore della Fede o, come dice il popólo, avvocato del diavolo,
perché nei Processi dei Servi di Dio solleva iutte le obbiezioni pos-
sibili e immaginabili, gli forni preziose istruzioni al riguardo, esi-
bendosi per qualunque occorrenza in seguito. Egli insistette molto
sulla necessitá di raccogliere il maggior numero d'informazioni su
presunti miracoli ottenuti dopo la morte, ma documéntate a do-
vere (1). II Card. Parocchi gli raccomandó a sua volta di riunire
súbito in uno scritto le cose piú notevoli della vita di Don Bosco.
Tornato all'Oratorio e riferito al Capitolo quanto gli era stato
detto a Roma, Don Rúa incaricó Don Bonetti, Catechista Genérale,
di redigere un riassunto dei fatti e delle virtü di Don Bosco. Per
aiutarlo in questo lavoro esortó caídamente tutti i Salesiani a scri-
vergli quello che essi conoscevano sulle azioni della sua vita, sulle
virtü teologali, cardinali e morali da lui praticate, sui suoi doni so-
prannaturali, su guarigioni o profezie o visioni e simili (2).
Prima di andaré oltre, affinché tutti possano comprendere bene
ció che si dirá, giova premettere qualche nozione circa la procedura
seguita nell'avviare e condurre i Processi di questo genere. Le Cause
di Beatificazione hanno due fasi distinte, che si svolgono in due
tempi successivi. La prima parte incombe alia Diócesi, dove un
Servo di Dio ha terminato il corso della sua vita, ed é preparazione
alia seconda, che viene trattata a Roma dinanzi alia Sacra Con-
gregazione dei Riti. Di questa seconda parte non dobbiamo ora oc-
cuparci, né cade nel tempo che visse Don Rúa. La prima fase si
divide in due periodi. Si ha primieramente un Processo che si dice
ordinario o diocesano o informativo; viene poi un secondo Processo,
detto apostólico. La differenza sostanziale fra i due Processi é che
(1) Lctt. di Don Rua a Don Bonetti, Roma, 20 febbraio 1888.
(2) Circolare 19 marzo 18S8.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XV111
uno si apre e si svolge per mandato e autoritá dell'Ordinario dio-
cesano, l'altro per delegazione della Santa Sede. Ora, poiché il Ve-
scovo é giudice ordinario nella sua diócesi, a lui bisogna avan-
zare l'istanza per l'introduzione di una Causa, ed egli giudica an-
zitutto se la Causa voluta abbia o no buon fondamento. A tenore
clelle norme indirizzate agli Ordinari il 12 marzo 1631 dalla Sacra
Congregazione dei Riti per ordine di Urbano VIII, il favorevole giu-
dizio del Vescovo dipende principalmente da una condizione, che
cioé la figura del Servo di Dio, del quale si tratta, appaia circondata
dalla fama di santitá, massime se confermata da miracoli.
Dunque il primo passo da fare consisteva nel presentare all'Ar-
civescovo di Torino una petizione, perché si degnasse di ordinare
il cominciamento del Processo diocesano. Tale petizione, conforme-
mente al Diritto Canónico, puó partiré da qualunque Istituto reli-
gioso, Capitolo, diócesi o comunitá. Benché a tenore dei Canoni
l'Arcivescovo avesse facoltá di decidere indipendentemente da altrL
tuttavia Don Rúa credette di agevolare il cammino procacciandosi
anzitutto l'appoggio degli Ordinari diocesani del Piernón te e della
Liguria, come quelli che di Don Bosco avevano una piü diretta e
larga conoscenza. Quindi il 16 giugno 1889 spedi loro una lettera
redatta in termini comuni, pregandoli di manifestare a lui ovvero
all'Arcivescovo il proprio modo di vedere. Accludeva insieme copia
deH'istanza che intendeva di umiliare al Card. Alimonda, Arcive-
scovo di Torino, non appena venisse il momento opportuno. Inoltre
si dichiarava pronto a inseriré nella supplica quelle modificazioni
o aggiunte che piacesse alie Eccellenze Loro di suggerire. Terminava
cosi: « Confido che la E. V. per la grata memoria che conserva del
compianto nostro Don Bosco, per il benéfico influsso che le sue
Opere di carita e di zelo esercitarono anche in cotesta Diócesi, e
specialmente peí vivo desiderio che ha di propagare la gloria di
Dio e la edificazione dei fedeli, cooperando all'onore di questo suo
Servo, vorrá essermi largo de' suoi consigli e del suo aiuto, e fin
d'ora ne la ringrazio cordialmente. »
Le risposte vennero pronte e amplissime. Incoraggiato da si au-
torevoli commendatizie, Don Rúa, nel secondo anniversario della
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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La Causa di Don Bosco - Come si arrivd al Processo ordinario e alia sua chiusura
morte di Don Bosco, presentó all'Arcivescovo la domanda. Questa
pero non aveva forma personale. Conviene sapere che durante il
quinto Capitolo Genérale, tenutosi nel settembre del 1889 a Val-
salice, Don Rúa aveva proposto che i presentí, prima di sciogliersi
firmassero una supplica da presentarsi all'Arcivescovo per ottenere
l'apertura della Causa di Don Bosco. Tutti plaudirono alie sue pa-
role. Perció nella seduta antimeridiana del 6 settembre Don Rúa
invitó Don Bonetti a dar lettura della lettera di postulazione a tal
uopo preparata. Dopo alcune osservazioni di forma, tutti vi appo-
sero la loro firma. Era appunto la petizione, di cui Don Rúa aveva
comunicato copia ai Vescovi subalpini e liguri. Non avendovi i Pre-
lati trovato milla da cambiare, il 31 gennaio 1890 fu dal medesimo Don
Rúa inviata all'Arcivescovo con una lettera di accompagnamento,
nella quale fra l'altro diceva:
Si compie oggi Panno secondo dalla morte del Servo di Dio Don Giovanni
Bosco, ed io aderendo al consiglio di rispettabili persone giudico propizia l'occasione
di presentare alia Em. Y. la qui unita supplica dei principali Superiori della Con-
gregazione di S. Francesco di Sales.
In essa si fa umile domanda alia Em. V. per la costruzione del processo dio-
cesano sopra la vita e le virtú del prelodato Servo di Dio, e sulle guarigioni mi-
racolose, che dopo la sua morte diconsi opérate da Dio per sua intercessione.
La Em. V. tempo fa conficlava come avesse intenzione di parlare di detto pro-
cesso in una prossima adunanza dei Vescovi. Sarei lietissimo che le ragioni addotte
in questa supplica fossero tolte ad esame in tale Consesso, perché comunque si ri-
solvesse poi la cosa, potremmo sempre diré ai presentí e agli avvenire che la grave
risoluzione fu presa a norma della cristiana prudenza.
Alia supplica unisco per copia conforme due relazioni di guarigioni, che a fede
umana sembrano miracolose, redatte da Monsignor Basilio Leto dopo aver ndito
personalmente i testimonii oculari, da lui stesso sottoscritte e autentícate da cotesta
Curia Arcivescovile.
Le due guarigioni miracolose qui accennate erano avvenute a
Torino nel 1889. Marina Dellavalle, sofférente da cinque anni di
cancro all'utero e ridotta agli estremi, invocó Don Bosco e si alzó
guarita. Cosi puré Luigia Piovano, affetta da piaga uterina, senten-
dosi alia fine de' suoi giorni, udita la guarigione della precedente,
pregó anch'essa Don Bosco e fu immediatamente esaudita (1).
(í) Cfr. Mem. Biog.. vol. XVIII, pp. 604-7.
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8
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Capo KVU1
La supplica del Capitolari metteva in rilevo come si verificas-
sero nel caso le condizioni volute da Roma, perché si potesse pro-
cederé alFatto invocato, e accennava ai motivi che consigliavano
di agiré con sollecitudine.
Erninenza ReDerend.ma,
T sottoscritti Sacerdoti della Congregazione Salesiana raccolti a Valsalice in
Capitolo Genérale a norma delle loro Costituzioni, colgono la propizia occasione
per pregare umilmente l'Em. V. R.ma, che, usando delle facoltá dall'Apostólica
Sede lasciate agli Ordinarii, voglia degnarsi di cominciare il Processo Diocesano
sulla fama di santitá, sulle virtü e sui miracoli del Servo di Dio Don Giovanni
Bosco, morto in questa cittá il 3Í gennaio dell'anno 1888 e qui sepolto; processo ri-
chiesto per la introduzione della causa di sua Beatificazione a Roma.
Nel doman daré all'Em. V. la costruzione di questo Processo, noi ci appoggiamo
specialmente alie seguenti considerazioni, delle quali l'Ein. V. fará quel contó, che
neila sua saviezza giudicherá nel Signore.
Io II Sac. Don Giov. Bosco in tutto il corso di sua vita ha dato prove di una
virtü eminente, quale Urbano VIII nella lettera circolare, fatta dalla S. Congre-
gazione dei Riti indirizzare ai Patriarchi, Arcivescovi e Yescovi in data del
12 Marzo 1631, esige, perché gli Ordinari debbano addivenire alia composizione del
Processo Diocesano (V. LAMB., De serv. Dei Beaíif., lib. II, cap. 43, n. 10). Di questa
virtü eminente fanno fede migliaia di persone, che lo hanno conosciuto e prati-
cato; ne fanno fede eziandio le molte e grandi opere di religione e di carita uti-
lissime alia Chiesa, alie quali con un zelo veramente apostólico il Servo di Dio ha
dato vita e sviluppo in tempi difficilissimi. Tali sonó fra le altre la fondazione
della Pia Societá di S. Francesco di Sales, le Missioni Estere estese sino agli ul-
timi confmi della térra; piü di un centinaio di collegi, Ospizi ed Oratori fcstivi
impiantati per la cristiana educazione della gioventü di ambo i sessi; migliaia di
Sacerdoti dati alia Chiesa, specialmente del Piemonte, in tempi che piü ne scar-
seggiava; tali eziandio i molti scritti da lui composti e dati alie stampe a sostegno
delle veritá cattoliche, nonché le numeróse cappelle e magnifiche Chiese, erette
dalle fondamenta e inaugúrate al divin culto; e piü altre gesta private e pubbliche
ben note allEm. V. R.ma.
2o II prelodato Servo di Dio era arricchito di doni soprannaturali, e lo dimostró
piü volte, predicendo avvenimenti privati e pubblici, che umanamente non si po-
tevano prevedere e che successero nel tempo e colle circostanze da lui prenuncíate;
lo dimostró ancora scrutando e svelando il segreto delle coscienze, e sanando malati
da vicino e da lontano col solo benedirli.
3o Per le sue eccellenti virtü, per le sue grandiose opere di zelo e di carita, pei
suoi non ordinari carismi, godé presso il popólo gran fama di santitá in vita, la
quale non venne meno dopo sua morte, che anzi accrebbe vie maggiormente, come
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La Causa di Don Bosco - Come si arrioó al Processo ordinario e alia sua chiusura
dimostrano le persone innumerevoli, che privatamente si raccomandano alia sua in-
tercessione e le freqiienti visite dei fedeli al suo sepolcro, presso il quale noi siarn
raccolti.
4o Dopo la morte del Servo di Dio molte persone afflitte per gravi disastri,
oppure gravemente ammalate e dichiarate anche incurabili, essendosi raccoman-
date alia sua intercessione, ne ricevettero sollievo e guarigione istantaneamente o
iii brevissimo tempo, e domandano che le loro attestazioni siano ricevute giuridi-
camente.
5o Benedetto XIY, nell'Opera: De Seruorum Dei Beatificañone et Beatorum
Canonizatione, nota in piíi luoghi l'utilitá che, poste le condizioni sopra indícate,
si costruisca il Processo Diocesano dum testes de oisu supersunt; e segnatamente il
Decreto genérale in data 23 aprile 1741, in occasione della causa del Venerabile
Servo di Dio Francesco Caracciolo (ora Santo), disapprova che il Processo Ordi-
nario per colpevole negligenza sia dilazionato sino a che non restino piü testes de
oisu (L. III, c. 3o, n. 24 e 25). Ora nel caso del Sacerdote Giov. Bosco, il pericolo
che i testimoni oculari vadano deperendo é evidente, perché essendo morto nella
grave etá di 73 anni, i compagni e conoscenti dei primordii di sua vita ancora
superstiti sonó piü pochi, e di qui a qualche tempo o mancheranno affatto, op-
pure per vecchiaia saranno ridotti all'impossibilitá di presentarsi a deporre giu-
íidicamente.
6o Per le grandi e svariate opere del Servo di Dio, pei tempi difficili in cui
visse, e per le questioni e contraddizioni, a cui ando anche soggetto puó darsi
che sorgano dubbi e incertezze nel portar giudizio sopra fatti e detti, che gli sonó
attribuiti. Se questi fatti e detti si prendono giuridicamente ad esame mentre sonó
ancora in vita i testimoni, che vi hanno assistito o preso parte, sará molto piü
facile scoprire e mettere in chiara luce la veritá, facilitando in pari tempo il
compito ai giudici futuri nei Processi Apostolici.
7o Senza Apostólica dispensa, prima che si aprano gli atti del Processo Ordi-
nario e si introducá la causa di Beatifícazione a Roma, deve trascorreré un de-
cennio, devono poscia intervenire lettere postulatorie dei Vescovi al Papa, deve
farsi la ricerca e la revisione degli scritti attribuiti al Servo di Dio (la qual ri-
cerca e revisione, stante i molti suoi manoscritti ancora inediti e moltissime operette
gik pubblicate puó esigere un tempo anche lungo); quindi pare conveniente che
si cominci al piü presto possibile il Processo Diocesano lasciato in piena liberta
dell'Ordinario, affinché il tempo, che rimarrá dopo la sua presentazione a Roma,
possa essere meglio impiegato nelle altre pratiche necessarie.
8( Di parecchi Servi di Dio defunti a memoria nostra con fama di santitá, si
cominció poco dopo la loro morte il Processo Diocesano; cosi fra gli altri si praticó
in fatti peí Ven. Giovanni Vianney, Curato d?Ars, peí P. Bernardo Clausi e peí
P. Lodovico da Casoria.
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Capo XVIU
Noi speriamo che la Em. V. vorrá accogliere benignamente questa nostra do-
manda. La nostra speranza é animata dal vedere che anche i Rev.mi Vescovi del
Piernón te e della Liguria, i qnali furono in grado di ben conoscere le virtü emi-
tienti del Servo di Dio, sonó del nostro avviso, e nutrono lo stesso desiderio, come
l'Em. V. puó rilevare dalle lettere che le presentiamo..
Pregando perianto Iddio che la illumini sul da farsi, c'inchiniamo riverenti al
bacio della Sacra Porpora, e siamo e saremo sempre lieti di poterci professare
colla piü alta stima e colla piü profonda venerazione
DelFEm. V. R.ma
Torino, 6 setiembre 1889.
Umil.mi e Obb.mi figli in G. C.
(seguono 49 firme)
II Card. Alimonda rispóse 1'8 febbraio 1890, dicendo che, presa
in esame la supplica, si faceva dovere di assicurare che ne avrebbe
tenuto il debito contó, riservandosi di daré le disposizioni che sa-
rebbero del caso. Egli, pur potendo fare tutto da sé, non volle. Cosí
dettava la sua umiltá, unita alia prudenza. D'altra parte Don Rúa
non si nascondeva il pericolo che un qualche Vescovo, ritenendo
prematura la pratica, facesse opposizione, la qual cosa avrebbe cau-
sato difficoltá e forse anche rinvii. II momento propizio per la con-
sultazione si presentó tre mesi dopo. Ai primi di maggio i Vescovi
delle due province ecclesiastiche di Torino e di Vercelli convennero
presso il Cardinale per la trattazione di affari del loro governo.
Erano in venti e tenevano le adunanze nel palazzo arcivescovile.
II giorno 8, interpellati in piena assemblea, risposero a unanimitá
essere opportuno daré principio al Processo diocesano; anzi parecchi,
fra i quali i due Vescovi Manacorda e Richelmy, fecero i piú alti
elogi del Servo di Dio. Da quel punto fu per il Cardinale cosa de-
cisa, che si desse immediatamente corso alia domanda dei Salesiani.
Mentre questo avveniva a Torino, i due che all'inizio della pra-
tica avrebbero dovuto sostenere la parte principale, erano assenti
da piü di un mese. Don Rúa, in giro per l'Europa, si trovava allora
nel Belgio, come abbiamo narrato, e Don Bonetti, compiuta una vi-
sita in Sicilia, sbrigava altre faccende nellTtalia céntrale. Entrambi
furono di ritorno solo per la festa di Maria Ausiliatrice, celebratasi
in quelFanno il 3 giugno; ma non perdettero tempo. Alia vigilia
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La Causa di Don Bosco - Come si arriad al Processo ordinario e alia sua chiusura
e nel giorno stesso della solennitá, mentre dentro e fuori del San-
tuario fervevano le preci alia Madonna di Don Bosco, dall'Oratorio
e dalla Curia si espletarono rápidamente gli atti preliminari.
II primo atto preliminare consistette nella nomina del Postula-
tore, ossia di colui che doveva promuovere gli atti della Causa,
provvedere a tutte le spese necessarie, presentare i nomi dei testi-
moni da escutere, tener pronti i documenti che occorressero, curare
la stesura dei cosi detti Articoli, ossia dei punti su cui sarebbero
interrogati i testi, e consegnarli al Promotore della Fede presso il
tribunale diocesano. La funzione di Postulatore sarebbe spettata di
diritto a Don Rúa, perché attore della Causa; ma l'attore che non
possa disimpegnare personalmente quella parte, ha facoltá di sce-
gliersi uno che lo sostituisca. Egli dunque emano mandato di pro-
cura a Don Bonetti, autorizzandolo anche a designarsi per ogni
evenienza un vicepostulatore presso qualsiasi altra Curia, dinanzi
a cui dovesse intraprendersi Tésame giuridico di cosa avente re-
lazione con il Processo.
Don Bonetti, avuta la detta procura, procedette tostó, il giorno 3,
al secondo atto preliminare, presentando all'Arcivescovo fórmale
domanda per l'iniziamento del Processo informativo. Sua Eminenza
accettó l'istanza e con suo rescritto del medesimo giorno costitui il
tribunale, intimando la prima sessione per il di appresso. E questo
fu il terzo atto preliminare.
Tutto compreso dell'importanza e gravita di ció che era av-
venuto, Don Rúa tre giorni dopo ne informava ufficialmente la Con-
gregazione. Nella circolare, esposto per sommi capi quanto erasi
fatto, proseguiva: « Giudico cosa superflua farvi rilevare l'impor-
tanza e la gravita del negozio, che ora, per ragione di tale Processo,
abbiamo tra mano; imperocché, oltre alie serie preoccupazioni che
questo ci apporta, a niuno di voi puó sfuggire che la sua buona riu-
scita, mentre tornera della maggior gloria di Dio e di splendore alia
Chiesa Cattolica, gioverá pur grandemente alia salvezza delle ani-
me, specialmente della povera gioventü, campo prediletto del nostro
Fondatore, e a noi tutti sará di forte stimolo alia propria santifica-
zione [...]. Scopo precipuo di questa mia é di esortare i Confratelli
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Capo XV1U
e gli alunni delle nostre Case ad implorare ogni giorno in pubblico
od in privato i lumi dello Spirito Santo e la protezione di Maria Au-
siliatrice sopra l'Eminentissimo Arcivescovo di Torino, sopra il Tri-
bunale da lui eletto a quest'uopo, sopra il Postulatore della Causa,
sopra i testimoni chiamati a deporre, affinché, assistiti dal Cielo,
nulla dicano, nulla facciano, nulla omettano in contraddizione ai
savi Decreti, emanati in proposito dalla Santa Madre Chiesa, e per
tal guisa si venga a conoscere la veritá e a compiere il volere di
Dio.» Ordinate quindi speciali pregbiere da recitarsi quotidiana-
mente in tutte le Case salesiane, conchiudeva: « Ma se raccomando
la preghiera, molto piü caídamente vi esorto che a questa uníate
la pratica delle virtü, per renderla efficace presso al trono di Dio
e della SS. Vergine. Si, miei carissimi Figliuoli, facciamo tutti ve-
dere che non siamo indegni di un Maestro, del quale la Chiesa giu-
dicó di cominciare cosi presto la Causa di Beatificazione. Atten-
diamo ognuno con ardore all'osservanza della santa Regola, che
Egli ci ha data per santificarci. Pratichiamo con esattezza le virtü,
che formano un buon religioso; siamo obbedienti per motivo di fede;
siamo casti, perché la castitá deve essere la gemma piü splendida
nella corona dei Salesiani; siamo caritatevoli, pazienti, mansueti
verso il prossimo, specialmente verso la gioventü, che ogni anno il
buon Dio cosi numerosa invia alie nostre Case. Se poi per riu-
scire tali ci tocca fare dei sacrifici, facciamoli generosamente, ri-
cordando che il nostro Don Bosco, ad imitazione del Divin Salva-
tore, per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime, sacrificó
ogni giorno se stesso, facendosi nostro modello e nostro stimolo
sino alia morte. »
Alia prima sessione presiedette il Cardinale. Prestato da tutti
e sottoscritto il giuramento non solo di compiere ognuno il suo uf-
ficio con fedeltá e diligenza, ma anche di osservare il segreto sia
sulle domande che si sarebbero fatte ai testimoni sia sulle depo-
sizioni dei medesimi, il Cardinale, prima di sciogliere Tadunanza,
volle diré alcune parole. Rilevata l'importanza dell'affare, a cui si
metteva mano e accennato al giuramento di attendervi col dovuto
impegno, esorto a pregare, affinché per intercessione della Santis-
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La Causa di Don Bosco - Come si arrivó al Processo ordinario e alia sua chiusura
sima Vergine tutto si compisse a maggior gloria di Dio e a de-
coro della santa Cliiesa.
La seconda sessione, presieduta puré dal Cardinale, si tenne il
27 giugno. Don Bonetti presentó al tribunale gli Articoli. Si indica
con questo titolo un breve e chiaro prospetto della vita, delle virtü.
delle opere e dei miracoli del Servo di Dio, il tutto in forma di
piccoli paragrafi numerati ed espressi non in modo definitivo, ma
a modo di proposizioni da studiare, ossia come elementi da sotto-
porsi a esame. Costituiscono essi la base fondamentale della Causa
e debbono essere provati veri per mezzo delle testimonianze. Vi si
segué un ordine prestabilito, uguale per tutti i casi: vita e opere,
virtú teologali, virtü cardinali, virtü morali (povertá, umiltá,
castitá), eroismo delle virtü in genere, doni soprannaturali, fama
di santitá in vita, morte preziosa, funerali e sepoltura, fama di
santitá dopo morte, miracoli post obitum. Gli Articoli presentati per
Don Bosco erano 807. II Postulatore presentó inoltre una prima nota di
testi, riservandosi la facoltá di preséntame altri all'occorrenza.
Prestó infine il cosi detto iuramentum calumniae (sott. evitandae
in causa), giuró cioé non solo di diré la veritá, ma di non usare
inganno né frode e di non corromperé i giudici. Con questa ses-
sione il Processo ordinario era definitivamente impostato.
II tribunale cominció dunque veramente i suoi lavori il 23 lu-
glio 1890 col rice veré il giuramento dei testimoni indotti dal Po-
stulatore e di altri citati d'ufficio. Vennero chiamate a deporre,
secondo il prescritto, persone convissute con Don Bosco, le quali
o avevano visto con i propri occhi la pratica delle virtú o ne ave-
vano sentito parlare da testimoni oculari. In capo a tutti figu-
ravano i due Vescovi Bertagna e Cagliero, Don Rúa e Don Mu-
rialdo, il fondatore dei Giuseppini. Nel corso del Processo se ne
aggiunsero poi ancora, sicché alia fine risultarono interrogati 32
testi e 13 contesti, i quali ultimi sonó quelli invitati a testificare
insieme con un teste ufficiale sopra un qualche punto particolare.
Finito Tésame di Mons. Bertagna, i giudici sospesero le adu-
nanze, chi per le ferie, chi per sue occupazioni, chi per motivi
di salute. Alcuni si ritirarono del tutto, onde per consiglio di Mon-
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Capo XV111
signor Caprara e col consenso dell'avvocato fiscale, l'Arcivescovo
scrisse fra il gennaio ed il febbraio del 1891 alia Sacra Congre-
gazione dei Riti per ottenere dal Santo Padre certe facoltá che
servissero a facilitare lo svolgimento del Processo. Una di queste
facoltá era di poter eleggere a giudici anche ecclesiastici non costi-
tuiti in dignitá né forniti di laurea, come vogliono i Canoni, non
essendo sempre facile tróvame tanti che bastino di cosi qualificati;
facoltá inoltre di nominare giudici in maggior numero di quello
richiesto, affinché, venendo taluno a mancare, vi fosse súbito modo
di supplirlo con un altro. Tutto questo avrebbe reso possibile mul-
tiplicare senza intervalli le sessioni.
Mons. Caprara si prese egli stesso l'assunto di farne parola col
Papa il 16 febbraio; ma, contrariamente all'aspettazione comune,
il Papa, pur non disapprovando il célere cominciamento del Pro-
cesso diocesano, giudicó allora inopportuno accondiscendere, per-
ché, iniziata la Causa a tanto breve scadenza dalla morte di Don
Bosco, non conveniva che la Santa Sede vi entrasse cosi presto; vi
entrerebbe, occorrendo, in progresso di tempo; non essere quindi la
concessione delle chieste facoltá negata, ma solo differita. Monsignore
intanto suggeri il da farsi per poter proseguiré: i giudici prima eletti
rinunciassero al mandato e il Cardinale Arcivescovo ne eleggesse
altri non dignitari, ma soltanto laureati, come esigevano le pre-
scrizioni canoniche. Cosi fu fatto e le sedute si ripresero il 9 aprile
seguente.
Ma sopravvennero ben presto due gravissimi contrattempi. II
30 maggio moriva l'Arcivescovo, e il 5 giugno lo seguiva nella
tomba il Postulatore. Non possiamo passare oltre senza dedicare
un cenno alia loro memoria, tanto forte é il légame che li stringe
entrambi alia storia della Societá Salesiana.
L'Alimonda vide la prima volta Don Bosco da Canónico di Ge-
nova nel 1864; ma si conoscevano giá entrambi per fama. Creato
nel 1877 Vescovo di Albenga, nella qual diócesi trovó il fiorente
Collegio di Alassio, non vi fu segno di bontá che per amore di
Don Bosco non desse a quei Salesiani. Elevato poco dopo all'o-
nore della Porpora e stabilitosi in Roma, resé a Don Bosco in-
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La Causa di Don Bosco - Come si arrioo al Frocesso ordinario e alia sua chiusura
numerevoli servigi, soprattutto in tre cose; nell'agevolargli l'ardua
pratica per la concessione dei privilegi, nel favorire la sistema-
zione definitiva delle Missioni Patagoniche mediante la nomina di
un Vicario e di un Prefetto Apostólico, e nel fargli scudo della
propria autoritá di fronte a formidabili avversari. Sonó di quel
tempo queste sue espressioni (1): « Giá dissi a voce e ripeto per
iscritto che, dove io possa e sempre che io valga, la Congregazione
Salesiana, diletta figliuola dello Spirito di Vostra Signoria M. Rev.,
puó a sicurtá giovarsi di me. Mió dolcissimo Don Giovanni, Dio sa
quanto Le voglio bene e quanto La stimi; é per me un onore,
una consolazione il potermi annoverare fra i suoi servi. » Quando in-
fine la Provvidenza dispose nel 1883, che egli fosse mandato Arcive-
scovo di Torino, allora cominció una nuova serie di favori, di amo-
revolezze, di attenzioni, che consolarono ineffabilmente gli ultimi quaí-
tro anni di Don Bosco. Né si puó rileggere l'elogio fúnebre che fece del
Servo di Dio nella chiesa di Maria Ausiliatrice, senza esclamare:
Ecce quomodo amabat eum! Ben a ragione d u n q u e Don Rúa nella
circolare per la morte di Don Bonetti scrisse del Cardinale Gae-
tano Alimonda, che « fu per tanti anni amico, protettore, padre
del nostro amatissimo Don Bosco >>.
Chi sarebbe stato il suo successore? avrebbe questi, come l'A-
limonda, preso a cuore la Causa di Don Bosco? e dove la Congre-
gazione aveva la Casa Madre e i suoi piü vitali interessi, quali
sentimenti avrebbe egli nutrito verso i Salesiani? Tali pensieri oc-
cupavano le menti dei Superiori, quando da parte del Cardinale
Parocchi pervenne a Don Rúa il suggerimento di presentare al
Santo Padre una lettera a guisa di memoriale intorno a chi gli pa-
resse opportuno che venisse mandato a reggere l'archidiocesi (2).
Don Rúa, aderendo all'invito, umilió a Leone XIII il 17 novem-
bre 1891 la seguente lettera:
L'Archidiocesi di Torino geme tuttora vedovata del suo Pastore, ed il suo af-
fanno si fa di giorno in giorno piü doloroso in quanto che, essendo ormai passati
(1) Lett. do Roma, 7 ottobre 1879.
(2) Lclt. vü Don Rúa a Don Cesare Caglicro, Torino, 16 novembrc 1891.
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Capo XVUI
sei mesi dalla perdita deH'indimenticabile Cardinal Alimonda, non ancora si vede
sull'orizzonte alcun segno di prossima elezione di altro Arcivescovo.
Lo scrivente, sebbene il piü indegno fra i membri del Clero di questa cittá e
Diócesi, animato da personaggi degni di tutta considerazione, fidando nella pa-
terna bontá della Santitá Vostra, chiede umile venia se osa far presente un soggetto
che pare riunire in sé tutti i requisiti per divenire un cornpitissimo Arcivescovo di
questa insigne Archidiocesi. Egli sarebbe l'attuale Vescovo di Novara, Monsignor
Davide dei Conti Riccardi di Netro. La sua etá di 56 anni per cui comparisce né
troppo giovane né troppo attempato, la sua nobiltá, la sua presenza, il suo tratto
squisito, la sua bontá, non disgiunta all'uopo dalla necessaria fermezza, la sua
scienza e fioríta parola come scrittore e come oratore, il suo coraggio, il suo at-
taccamento alia S. Sede, la sua prudenza nell Amministrazione e Direzione, il cora-
plesso delle altre sue virtü, tutto contribuisce a fare di Lui un Pastore secón do il
cuore di Dio e gradito ad ogni ceto di persone, epperó atto a procacciare il bene
deJle anime.
Tutto cío lo scrivente espone facendo affatto astrazione dalle testimonianze
di affetto date alia nostra umile Societá Salesiana, la quale lo annóvera fra i piü
benevoli suoi amici. Egli giá volle stabilite nella sua diócesi due case dirette
dalle nostre Suore, Figlie di Maria Ausiliatrice, e nel corso di quest'anno fece dono
ai Salesiani di un terreno e fabbricato ad uso di Oratorio festivo da inaugurarsi
in Novara nel 1893 come monumento del Giubileo Episcopale di V. Santitá. Par-
lando perianto nellinteresse della nostra Pia Societá, noi confíderemo di avere in
lui qui a Torino un amico, un protettore, un Padre, quale lo avemmo nella dió-
cesi d'Ivrea e nella diócesi di Novara.
Perdoni, Santitá, l'ardimento dello scrivente ecc.
II suo voto fu esaudito. II novello Arcivescovo crebbe lustro
alia gloriosa Sede di S. Massimo ed aumentó di molto le sue pas-
sate benemerenze verso la Societá salesiana.
Don Bonetti fu un grande figlio di Don Bosco. Non istaro qui a
ripetere cose giá dette nel corso della nostra storia; diró solo che
dirigeva bene, predicava bene, scriveva bene. Questi tre " bene"
non si riferiscono solo alia parte fórmale, raa all'elemento sostan-
ziale di siffatte attivitá. Governando, annunciando la parola di Dio,
maneggiando la penna, egli mirava in primo luogo al frutto spi-
rituale nei dipendenti, negli uditori, nei lettori. Chi lo conobbe, ri-
corda q u a n t a confidenza sapesse ispirare, né dimentica con che
unzione tutta sua parlasse della Madonna. Chi non lo conobbe di
persona, lo puó conoscere attraverso i suoi libri, come 11 Giardino
degli eletti, sul Sacro Cuore, e La Rosa del Carmelo, su S. Te-
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La Causa di Don Bosco - Come si arrivó al Processo ordinario e alia sua chiusura
resa. La vivacitá del naturale lo resé polemista irresistibile; lo spe-
rimentarono i protestanti e i massoneggianti a Torino e i denigra-
tori del Collegio di Randazzo a Catania. Quei brevi scritti, tutto
nerbo, colpivano inesorabilmente nel segno e, distribuiti a profu-
sione, chiudevano la bocea ai tristi e davano ardire ai buoni. Lo
animava l'amore a Don Bosco, al quale eresse un vero monumento
con i suoi Cinque lustri di storia dell'Oraiorio di S. Francesco di
Sales, bel volume letto ávidamente quando usci e considerato sem-
pre come documento di non comune autoritá. Coito nell'esercizio
del suo zelo da lungo malore, né potendo adempiere, come
avrebbe voluto, i suoi doveri di Catechista Genérale, compose da
letto per i Soci una Esortazione alia pratica dell'amor di Dio: opu-
scoletto che vale tant'oro, ma che fu il canto del cigno. Don Rúa
nelFannuncio della sua morte repentina ne fece menzione, racco-
mandandone la lettura ai Soci.
Dopo l'annuncio della morte, Don Rúa il 15 giugno indirizzo
alie Case una circolare, in cui, nárrate minutamente le circostanze
che accompagnarono quella santa fine, lodava Don Bonetti come
« uno de' piú antichi collaboratori di Don Bosco, operaio apostó-
lico indefesso, campione valoroso nel promuovere la gloria di Dio e la
salvezza delle anime, consigliere amorevole per chiunque a lui si ri-
volgesse per conforto o per consiglio ». Ringraziava quindi quei mol ti,
che gli avevano scritto, esprimendo delicati sentimenti di commise-
razione verso di lui, rimasto privo «di un amico cosi fido, cosi
pió, cosi sagace, di un appoggio cosi pronto, cosi potente, di un
confratello cosi caro ». Raccomandato da ultimo di pregare per il
riposo della sua anima, passava ad alcune comunicazioni.
Don Bonetti era Direttore spirituale della Societá, Direttore ge-
nérale delle Figlie di María Ausiliatrice e Postulatore della Causa
di Don Bosco. Ora Don Rúa, dopo un triduo di preghiere per in-
vocare i lumi del Signore e consultati i membri del suo Capitolo,
determinó di supplirlo nella carica di Catechista con Don Bar-
beris, Maestro genérale degli ascritti; ma, dandone partecipazione,
notava che in forza di tale sua nomina Don Barberis sarebbe du-
rato in carica fino al prossimo Capitolo Genérale, in cui avrebbe
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Capo XVIII
avuto luogo l'elezione dei membri del Capitolo Superiore. Nell'uf-
ficio di Postulatore ló suppli con Don Belmonte, Prefetto della So-
cietá; ma nella qualitá di Direttore genérale delle Figlie di Maria
Ausiliatrice per allora non designava nessuno in particolare: si sa-
rebbe promisoriamente fatto aiutare in questo da qualche confra-
tello, che gli paresse piü opportuno.
II Processo, grazie alia buona volontá dei componenti il iri-
bunale, non sottostette a notevole interruzione. L'Arcivescovo Mon-
signor Davide dei Conti Riccardi vi pose attorno non minor cura
del suo Predecessore. L'esame dei testimoni proseguí lungo e la-
borioso. Le infinite vicende incontrate da Don Bosco nella sua vita,
le molteplici sue relazioni e le numeróse sue Opere, imponevano
indagini varié e talora complícate; nessuna meraviglia quindi se
le cose si protrassero per circa sette anni. La chiusura si fece il
1° aprile 1897 nell'Oratorio alia presenza di Mons. Riccardi. Rian-
dando la settennale fatica, Don Rúa scrisse in una sua eircolare
del 6 agosto 1907: « I lavori del tribunale nominato dal Card. Ali-
monda furono continuati con alacritá per ben sette anni. I giudici
diedero prova di molta dottrina nel raccogliere le deposizioni dei
numerosi testimoni e, cosa degna d'essere ben considerata, lungi
dall'essere annoiati dalla lunghezza e gravita del lavoro, se ne mo-
stravano ogni giorno piü entusiasti. »
Le sedute del tribunale furono 562. Le deposizioni riempirono
22 volumi, 5178 pagine di carta protocollo. Le deposizioni di Don
Rúa e di Don Berto vi ebbero una parte preponderante, il primo
per la durata e l'intimitá della convivenza con Don Bosco, il se-
condo per le tante contestazioni a cui dovette rispondere circa i
fatti soprannaturali e le controversie con qualche Ordinario. Di
tutto l'enorme mcartamento si fece una copia autentica, che, chiusa
in cassa di legno suggellata, venne portata a Roma e consegnata
alia Sacra Congregazione dei Riti, la quale doveva esaminare se
il Processo ordinario informativo si fosse svolto secondo le leggi
canoniche ed eventualmente proporre al Santo Padre l'introduzione
della Causa mediante il Processo apostólico. Don Rúa, in una eir-
colare del 31 gennaio 1897, dando la lieta notizia che erasi ulti-
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La Causa di Don Bosco - Come si arriuó al Processo ordinario e alia sua chiusura
mato nella Curia torinese il Processo informativo e raccomandato
che ebbe di pregare con maggior fervore, affinché la Causa po-
tesse continuare a procederé álacremente per il restante corso, espri-
meva questo suo convincimento: «Tengo per certo che se saremo
fedeli nella pratica dell'obbedienza, quale ci venne inculcata da
Don Bosco, nell'osservanza delle nostre Rególe e Deliberazioni, e
se inoltre uniremo una preghiera umile, fervorosa e piena di con-
fidenza, interponendo l'intercessione di Maria SS. Ausiliatrice, non
sará troppo lontano il giorno, in cui [...] saranno soddisfatti i vivi
nostri desideri. » Vedremo, se cosi piacerá a Dio, nel seguente vo-
lume la continuazione.
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C A P O X IX
Sesto Capitolo Genérale.
(1892)
Le manifestazioni di carattere ufficiale avvenute nella Societá in
tempi vicini a Don Bosco e per opera di coloro che ne avevano cono-
sciuto direttamente il pensiero per essere vissuti con lui o sotto di luí,
hanno un'importanza di prim'ordine, non foss'altro perché all'occor-
renza, meglio di qualsiasi elucubrazione posteriore, gioveranno sempre
a individuare la buona tradizione. Sonó come quegli affioramenti, che
servono di traccia per iscoprire una miniera. Manifestazioni di tal
natura dobbiamo considerare i Capitoli Generali, che continuarono a
tenersi di tre in tre anni dopo la morte di Don Bosco. Per il detto
motivo dunque, almeno fino a un certo punto, non ometteremo di
réndeme contó, spigolando le cose piú degne di nota.
Nel 1892 fu celebrato il sesto Capitolo Genérale. Fine di esso. se-
condo le istruzioni diramate da Don Rúa nella circolare di convo-
cazione il 19 marzo, doveva essere di studiare quello che fosse piú
giovevole al consolidamento e sviluppo delía Societá e al profitto spi-
rituale e scientifico de' suoi membri. AU'ufficio di Regolatore designo
Don Cerruti, Consigliere Scolastico Genérale; a lui quindi i Soci spe-
dissero le osservazioni e le proposte che intendessero di fare, e le spe-
dissero al piú presto, affinché si potessero in tempo ordinare e pre-
sentare aH'esame delle Commissioni da formarsi per le varié materie.
Rilevato ivi come la Societá, benedetta da Dio, avesse negli ultirni
tempi allargato il suo campo di azione, penetrando in nuove terre,
ammoniva: « Ma non bisogna che noi dimentichiamo che l'avversario
d'ogni bene vigila sempre e non desiste dalle maligne sue imprese
anche a danno nostro. Sorge quindi naturalmente in noi la necessitá
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Sesto Capitolo Genérale
di tener viva la nostra fede per rendere inutili i suoi malvagi intenti,
e provvedere al nostro progresso, assicurando cosi ogni giorno piíi la
nostra santificazione. A ció sará mezzo efficace il nuovo Capitolo
Genérale. »
Quella volta si dovevano puré eleggere i membri del Capitolo Su-
periore. A tale elezione allora partecipavano da ogni Casa il Direttore
e un Socio eletto dai professi perpetui della comunitá; questo Socio
pero, compiuta l'elezione, aveva esaurito il suo compito, mentre il
Direttore faceva parte del Capitolo Genérale. Ricordato ció, Don Rúa
nella circolare esortava tutti a raccogliere il pensiero su coloro che
in Domino sembravano meglio adatti all'ardua missione di essere i
Superiori deH'intera Societá. Per raggiungere gl'intenti, a cui col Ca-
pitolo si mirava, raccomandava particolari fervide preghiere.
in una comunicazione del 17 maggio il Relatore avvertiva che luogo
del Capitolo sarebbe il Collegio di Valsalice, data dell'apertura il
29 agosto e della chiusura il 7 setiembre, giorno delle elezioni il 31 ago-
sto. Spediva insieme gli schemi delle materie da trattarsi. Di quegli
schemi i Direttori dovevano distribuiré copia ai singoli membri dei
loro Capitoli particolari.
Era stato presentato il quesito se anche i Direttori di case succur-
sali, aventi cioé meno di sei Soci, dovessero intervenire al Capitolo
Genérale e partecipare all'elezione, II Relatore comunicava: « II
Rettor Maggiore, rinviando al prossimo Capitolo Genérale la ri-
soluzione del detto quesito, decise che per quest'anno si segua la
tradizione degli anni antecedenti, e che quindi i Direttori delle dette
case prendano parte cosi al Capitolo Genérale, come all'elezione del
Capitolo Superiore, dispensandoli dal condurre con sé un Socio pro-
fesso. »
Gli schemi erano sette, di cui ecco i titoli: I. Studi teologici. —
II. Revisione e coordinamento in un volume delle Deliberazioni dei
vari Capitoli Generali. — III. Manuale di pietá. — IV. Regolamento
dei noviziati e studentati. — V. Regolamenti del provveditore ispet-
toriale e del capo-ufficio nella direzione dei laboratori. — VI. Come
applicare nei nostri ospizi ed oratori gl'insegnamenti pontifici sulla
questione operaia. — VII. Proposte varié dei Soci.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XIX
I membri del Capitolo Genérale fnrono 69. Del Capitolo Superiore
mancava Don Durando, che, come abbiamo narrato, era in missione
nelle case di Palestina. Vi assistette Mons. Cagliero, giunto a Torino
1'8 agosto (1). Altri dalFAmerica vennero soltanto Don Lasagna, Ispet-
tore neU'Uruguay e Brasile; Don Piróla, Párroco e Direttore a Pata-
gones, e Don Milanesio. Dalla Palestina, Don Useo, Maestro dei novizi
a Betlemme, e Don Piperni, Direttore a Beitgemal.
29 Agosto. Sólita cerimonia in cappella. Dopo, i membri del
Capitolo Genérale e gli elettori passarono nell'aula delle adunanze.
Ivi Don Rúa, accennato al duplice oggetto della convocazione, e rac-
comandata molto la preghiera, ricordó come fosse la prima volt a
che si compiva l'elezione senza la presenza di Don Bosco. « Ma tut-
tavia, soggiunse, la sua memoria é cosi viva in mezzo di noi, che lo
possiamo considerare come presente. » Commemorato poi Don Bo-
netti. fece rilevare lo sviluppo dell'Opera salesiana; infatti i cata-
loghi dimostravano che nel sessennio dal 1886 al 1892 i Soci erano
piú che duplicati, piú che duplícate le Case. In questo egli vedeva la
mano di Don Bosco e l'avveramento di una parola da lui detta ad
alcuni Cooperatori nel dicembre del 1887, pochi giorni prima del-
l'ultima sua malattia: — Prégate affinché io possa fare una buona
morte, perché, andando in Paradiso, potro fare per i miei figli e per
i poveri giovani molto di piü che non possa fare qui in térra. —
Dopo il breve discorso, nominó segretari del Capitolo Genérale Don
Erminio Borio, Direttore a Sampierdarena, e Don Giovanni Bensi,
Direttore a Trino Yercellese; segretario minutante, Don Lemoyne.
30 Agosto. La giornata fu lasciata libera per i primi lavori
delle varié Commissioni. Sul tardi Don Rúa, raccolti tutti in chiesa,
disse prima della benedizione alcune parole per rispondere a tre
osservazioni che si erano udite fare qua e la. Parló con quella bo-
narietá paterna, nella quale si rispecchia lo spirito di famiglia che
presso i figli di Don Bosco regna fra Superiori e sudditi. lü Pareva
(1) Don Cerruti gli aveva scritto il 17 febbraio: « Vi é proprio bisogno che i veterani si rac-
colgano a Torino. Che lo spirito di Don Bosco si conservi, non solo nella regolaritá esteriore, che
c pur doverosa, ma anche e soprattutto nella sua sostanza, che fu la carita Non voglio con questo
accennare a lamenti; Maria Ausiliatrice ci assiste e continua a proteggerci visibilmente. Ma chi
ama, teme. »
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Sesto Capitolo Genérale
a taluni che il Capitolo Superiore avesse troppo grandi braccia nel-
Faccogliere domande per aperture di Collegi, Ospizi ed Oratori,
onde poi si trovava talora nelFimpossibilitá di avere il personale
necessario da mandare alie Case. Bisogna notare che allora il mo-
vimento del personale dipendeva interamente dal Capitolo Superiore,
il quale, fatte le designazioni, affidava al Consigliere Scolastico la
cura di comunicarle agli interessati. Don Rúa spiegó come si resistesse
enérgicamente alie richieste di nuove Case; ma osservó puré che si
presentavano a volte circostanze tali da non essere possibile daré ri-
fiuti. Noi abbiamo visto sopra, per esempio, le ingiunzioni della Santa
Sede per varié fondazioni nell'America. 2o Alcuni avrebbero voluto
che il Capitolo Superiore, nel fornire ad ogni casa il personale conve-
niente, studiasse meglio i bisogni locali per fare bene le scelte. Don
Rúa mostró quanto fosse umanamente impossibile conoscere i bi-
sogni in modo da mandare ogni volta Soci adatti in tutto e per
tutto ai vari uffici. 3o C e r a chi dubitava che il método seguito fino
allora nella formazione dei chierici non rispondesse all'aspettazione
comune. Don Rúa spiegó come la formazione dei chierici venisse
fatta a dovere; deficienze individuali essere talora inevitabili; spet-
tare agli anziani nelle Case compier l'opera, instradando i novelli
quando entraño in azione.
Queste spiegazioni di Don Rúa tornarono senza dubbio opportune
per chiarire certi dubbi, i quali avrebbero potuto esercitare influssi
non desiderati né desiderabili nelle elezioni del giorno seguente.
31 Agosto. Elezione del Capitolo Superiore. Don Rúa prospettó
in brevi parole agli elettori il dovere di posporre ogni considerazione
meramente personale nel daré il voto, ma di votare per chi paresse
loro meglio davanti a Dio. Mons. Cagliero volle anche lui far sen-
tire una sua parola sulla necessitá di aderire a chi piü da vicino aveva
accolto in sé lo spirito di Don Bosco. Dopo Tufficio provvisorio si
formó l'ufficio definitivo, composto di Don Bertello, Don Guidazio
e Don Tamietti, con i segretari Don Monateri 3 Don Bianchi Eugenio.
Gli elettori erano 101. Le operazioni elettorali procedettero con la mas-
sima calma e regolaritá. Riuscirono rieletti tutti i membri scaduti (1).
(1) Cfr. Annuli, pag 501.
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Capo XIX
In luogo di Don Bonetti venne eletto Don Paolo Albera, Ispettore delle
case di Francia. L'alto contingente di voti toccato a ciascuno e la ele-
zione di Don Albera sonó due prove che dimostrano in che seria
considerazione fossero state prese le parole di Don Rúa e di Mons. Ca-
gliero. Anche due non eletti, che riportarono un numero notevole
di voti erano ben designati: voglio diré Don Bertello con 26 voti e
Don Lasagna con 25. Certi voti dispersi rivelarono la poca matu-
ritá di alcuni elettori.
Melle adunanze generali seguenti Don Rúa apri sempre le sedute
leggendo dall'autografo, a mo' di preambolo, alcuni dei ricordi scritti
da Don Bosco nel 1884. II mernoriale, essendo ancora ruteramente
sconosciuto, produceva grande impressione. Oggi si puó leggere nel
volume XYII delle Memorie Biografiche, al capo décimo.
Io Settembre. Studi teologici. Era giá pronta la relazione, per-
ché la Commissione, presieduta da Don Cerruti, aveva anticipato i
suoi lavori, essendosi giá radunata, oltreché al 30 agosto, anche nei
giorni 25, 26 e 28 antecedenti. Deü'argomento si era trattato nel Ca-
pitolo del 1889, ma senza definiré alcuni punti. Ecco in riassunto le
conclusioni.
Io Quesito: il testo per la teología dogmática. Qualunque testo
si volesse adottare, sarebbe stata illusione il credere di poterne tro-
vare uno, il quale soddisfacesse a tutti e in tutto; bastava quindi sce-
glierne uno che si adattasse in genere alie condizioni allora attuali
della Societá salesiana. Si posero quindi tre condizioni alia scelta:
a) che l'autore fosse sicuro nella dottrina; b) che fosse chiaro; c) che
fosse adatto ai piíi. La proposta di un testo speciale per le singóle
nazioni fu respinta o meglio rimandata ad altri tempi. Dei quattro in
uso, cioé Perrone, Hurter, Sala, Schuppe, fu proposto lo Hurter, nella
cui Medidla, oltre agli altri pregi, si ravvisava copia e ordine mag-
giore che nello Schuppe; poi era un autore dal nome piú illustre
e dalla riputazione piú fondata che non il Sala; l'adottarlo sarebbe
quindi tornato di maggior decoro alia Congregazione. Venutosi alia
votazione, si ebbero 53 voti favorevoli, 6 contrari e 6 nulli. Fu dunque
prescritto lo Hurter.
2° Quesito: studio della Sacramentaría. Con voti 46 contro 14 e 6
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Sesto Capitolo Genérale
astenuti. si deliberó che lo studio della Sacramentaria si facesse sopra
il testo di Morale del Del Vecchio, ad eccezione del trattato De Ma-
trimonio, conforme alie deliberazioni antecedenti, dove era detto che
la parte morale del De Matrimonio e De Sexto si studiasse dopo il pre-
sbiterato.
3Ü Quesito: studio dell'Ermeneutica sacra. II Capitolo raccomandó
d'intensificare tale studio. Riguardo al testo, si convenne di togliere il
Jannsens, come assai insufficiente di fronte ai grandi progressi fatti
da tale scienza, e di sostituirvi il Lamy o meglio il Cornely.
Nello stesso giorno si discusse sul Rivedere e coordinare in un
sol volume le varié deliberazioni dei Capitoli GeneralL Nelle edi-
zioni correnti furono riscontrati quattro difetti: a) confuse insieme de-
liberazioni, che sarebbero dovute andar distinte, anzi divise; b) inseriti
come Deliberazioni molti articoli giá contenuti tali e quali nelle Costi-
tuzioni; c) disposta la materia in un ordine non corrispondente a quello
contenuto nelle Costituzioni, di cui le Deliberazioni non possono es-
sere se non interpretazione o commento; d) alcune Deliberazioni an-
cora ineseguibili, altre non ancora bene maturate. Dopo lunga discus-
sione sul come fare il rimaneggiamento, il Capitolo rivolse al Rettor
Maggiore la preghiera di eleggere una Commissione, che nel corso di
un anno compisse il lavoro e che, fattolo esaminare e approvatolo de-
finitivamente, lo presentasse poi aU'esame e all'approvazione del pros-
simo Capitolo Genérale.
2 Setiembre. Manuale per le pratiche di pietá. Si sarebbe vo-
luto che fosse único, da serviré per i Salesiani e per gli alunni; ma
la cosa fu giudicata impossibile. Conclúsioni. a) II Giovane Provve-
dutob il manuale di pietá piü rispondente ai bisogni dei nostri alunni;
ma sia ritornato alia sua antica parsimonia, specie nella parte delle
Laudi sacre, b) AU'estero si faccia la traduzione dell'edizione ita-
liana, tolte le parti che sonó esclusive per l'ltalia o che malamente si
possono volgere in altra lingua, come le Lodi, e aggiunte le divozioni
speciali di ogni nazione. Nessuna pero di queste divozioni potra esservi
introdotta senza l'esplicita approvazione del Rettor Maggiore. c) Poi-
che in certe Case si é introdotta qualche varietá nelle preghiere e nei
vari esercizi di divozione, si ristabilisca l'uniformitá genérale. II Pa-
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Capo XIX
ter, Y Ave, il Credo e la Salve Regina si facciano imparare anche in
latino. Essendo caduto il discorso sulla lettura spirituale, si fecero
voti che fosse compilato un libro per i Salesiani, seguendo il método
del Rodríguez, con citazioni e considerazioni cávate dalle nostre Re-
góle, dalle Deliberazioni dei Capitoli Generali, da lettere e circo-
lari dei Superiori e con esempi e detti di S. Francesco di Sales, di
Don Bosco e di Soci. Vi si sarebbero potuti aggiungere trattatelli
sul lavoro, sugli studi e sopra altri argomenti propri della vita sa-
lesiana.
L'accenno alie preghiere in latino porse a Don Rúa il destro di
osservare come fosse da favorire dappertutto lo studio del latino, an-
che come mezzo per aprire la via alie vocazioni, e aggiunse: « Co-
me i despoti mirano ad aboliré la lingua propria di un popólo per
ridurlo in servitú, cosi i nemici della Fede cattolica vorrebbero abo-
lito il latino per romperé l'unitá della Chiesa. Perció é da insistere
nell'opera nostra, anche contrastando con la consuetudine di certi
paesi e facendo che si comprenda, quanto é possibile, il latino usato
nella liturgia della Chiesa Romana. L'esempio che in questo noi
daremo, potra tornare molto utile, dove vige una consuetudine con-
traria. »
Nel medesimo giorno si discusse sul Regolamento per il provve-
ditore ispettoriale e per il capo-ufficio nella direzione dei laboratori.
Don Rúa, nel sólito preambolo sui Ricordi di Don Bosco, trovó modo
di fare tre raccomandazioni ai Direttori: a) Spiegare la massima sol-
lecitudine per ben conoscere le relazioni degli assistenti e maestri
fra loro e con gli alíievi e tra gli allievi stessi. b) Nei rendiconti in-
terrogare col Regolamento alia mano i subalterni per conoscere le
diffícoltá che questi incontrano nei rispettivi uffíci. c) Inculcare co-
stantemente le divozioni a Maria SS. e al SS. Sacramento, che sonó
due fonti inesauribili di grazie.
Riguardo alie due parti dello schema, la discussione fu molto
protratta. Un progetto di Regolamento venne approvato ad experi-
mentum fino al prossimo Capitolo Genérale.
3 Setiembre. Nel preambolo Don Rúa p a r l ó del le vocazioni.
«Dio chiamó la Congregazione Salesiana a promuovere e coltivare
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Sesto Capitolo Genérale
le vocazioni ecclesiastiche. Queste vocazioni, sebbene siano comuni
per ogni classe di persone, tuttavia riescono meno tra le famiglie
agiate, dove entra di piü lo spirito del mondo, di cui vengono im-
bevuti i figli. Sia dunque nostra cura di preservare i giovani da
questo maléfico spirito mondano. I giornali, i libri cattivi, i com-
pagni, i discorsi sonó spesso la causa, per cui vanno soffocate in
germe le vocazioni, ed anche quando sonó giá dispiegate, vanno
inesorabilmente in rovina. Quando si presenta l'occasione, si racco-
mandi anche ai parroci od ai semplici preti Topera delle vocazioni.
Ma per altro non si consigli lo stato ecclesiastico ad un giovane,
che non dia sicurezza dell'angelica virtü. Si puó ben sperare che
uno si emendi, quando non si tratti di cose serie, ma di cose nelle
quali puó talora cadere per pura fragilitá, anche quando fosse giá
iniziato negli ordini; ma chi é irretito da ostinata abitudine, per
carita, non si spinga alia professione e tanto meno si promuova
alie ordinazioni. Si transiga fácilmente sulla mediocritá dell'inge-
gno, ma siamo rigorosi per quanto riguarda l'angelica virtü. Uno
dei mezzi per coltivare le vocazioni si e l'Opera di Maria SS. Au-
siliatrice o dei Figli di Maria. Si presti dunque tutto Faiuto, perché
siffatti giovani riescano alia meta. Quando si hanno buoni indizi
di vocazione, si favoriscano in ogni modo, e niuno si respinga solo
perché manca di mezzi. II lavoro e la buona condotta dei Salesiani
sonó mezzi efficaci per tirare al bene i giovanetti e farli inclinare
alia vocazione ecclesiastica o salesiana. Perció non é sufficiente che
si facciano sacrifici pecuniari, se poi non si fa uso del sistema pre-
ventivo, che, preservando i giovani dal male, li salva. Non potendo
aboliré, almeno adoperiamoci a scemare i giorni delle vacanze au-
tunnali. La pazienza e la dolcezza guadagnano molte vocazioni. Chi
é disposto al bene, s'inviti alie pratiche di pietá, a far qualche co-
munione. per esempio, in suffragio dei parenti defunti, il Direttore
si raccomandi alie sue preghiere, lo assicuri che prega per lui. Ter-
minando il ginnasio, lo persuada a scegliere quello stato che piü lo
abbia a consolare in punto di morte. Confronti le cose passate
della sua coscienza, ed osservi se meglio fece a casa o nel Collegio.
Infine si dissuadano i giovani dallo stato ecclesiastico, quando in-
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Capo XIX
tendono abbracciarlo per l'utile della famiglia, ricordando la mas-
sima di Don Bosco: " Meglio ciabattino che prete del quattrino. " »
Pomeriggio: Regolamento per le Case degli ascritti e per gli
Studentati dei chiericL Questo schema fu rimandato airultimo
giorno; ma allora, "per difficoltá insorte e calorosamente sostenute ",
dice il verbale, Don Rúa credette piú opportuno rinviare la cosa;
quindi l'assemblea deliberó che tutto fosse rimesso al Capitolo Su-
periore per un piú maturo esame. Nel corso della discussione Don
Rúa espose quanto segué: « Si possono annoverare tra gli aspiranti
quei giovani, che desiderano formarsi un tal tenore di vita cri-
stiana da poter essere ammessi fra i chierici o fra i coadiutorí. Si
facciano loro almeno due conferenze al mese, avendo per guida il
Giovane Prooveduto, e si tratti quanto sia da praticare e da fug-
gire per essere buoni cristiani; ma non si parli di voti né di Con-
gregazione. S'inculchi bene questo, che bisogna darsi a Dio per
tempo e che il mondo si ha da lasciare ad ogni modo. Gli aspi-
ranti COSÍ provati e conosciuti si possono fácilmente ricevere; ma
non cosi coloro che vivono fuori di casa nostra. Tuttavia il tempo
di prova per noi é come un crivello, che scevera la pula dal buon
grano. II buon grano si tenga, la pula si getti. La Congregazione
non é per quelli che hanno giá condotto vita mondana: noi abbiamo
bisogno di Soci sicuri, che vengano a noi col fine di raggiungere la
cristiana perfezione. I fanciulli invece che giá furono vittime delle
miserie umane, non siano ammessi piú per lo stato ecclesiastico, ma
siano di preferenza mandati ad ordini claustrali o penitenti. Av-
vertano dunque il Maestro dei novizi di non presentare ai voti e i
Direttori di non presentare alie ordinazioni, quando non siano ben
sicuri sulla moralitá degli individui. »
Si passó quindi al sesto schema: Come applicare nei nostri Ospizi
ed Oratorii grinsegnamenti pontifici sulla questione operaia. Era
uscita nel 1891 la celebre Encíclica Rerum novarum di Leone XIII
De conditione opificum, sulla questione operaia; molto se ne par-
lava, moltissimo se ne scriveva. Per mettere gli alunni artigiani
dei nostri Collegi ed Oratori festivi al corrente delle idee ivi
espresse e per attuarne fra essi i possibili insegnamenti, si die-
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Sesto Capilolo Genérale
dero queste direttive: a) Per premuniré i giovani artigiani contro gli
errori moderni, fare loro di quando in quando conferenze di indi-
rizzo sociale sopra il capitale, il lavoro, la mercede, il riposo fe-
stivo, gli scioperi, il risparmio, la proprietá ecc, evitando sempre le
suscettibilitá politiche, e spargere fra gli operai periodici e libretti di
buono spirito, che trattino di questi argomenti. b) Far consistere i prin-
cipali premi degli Ospizi e Oratorii in libretti delle pubbliche casse
di risparmio. c) Nelle cittá, ove esistono Societá Operaie Cattoli-
che, accompagnarvi o personalmente o con buone commendatizie
i giovani artigiani uscenti dalle nostre Case e i piü adulti degli
Oratori festivi; essere a questo buona preparazione la Compagnia
di S. Giuseppe. d) Dove tali Societá non vi siano, vedere d'impian-
tarle, col beneplácito delFAutoritá ecclesiastica, e, occorrendo, fon-
darle negli stessi Oratori festivi secondo le norme seguite da Don
Bosco nei primi tempi. e) Favorire e aiutare, per quanto lo com-
portano le nostre Costituzioni, tutte le Associazioni Cattoliche co-
stituite col beneplácito dell'Ordinario e indirizzarvi il maggior nu-
mero possibile d'individui.
4 Setiembre. Proposte varíe dei Soci. A differenza del prece-
dente Capitolo Genérale, in cui le proposte varié furono ridotte
ai minimi termini, qui si esaminarono tutte, dedicandosi ad esse un
tempo considerevole; il verbale pero si limita a riferire le proposte
senza diré milla delle discussioni. Mattino e sera tali proposte fu-
rono oggetto di esame.
5 Settembre. Tutta la giornata se n'andó nuovamente nell'esame
di proposte varié e in raccomandazioni di vario genere, proposte
e raccomandazioni che non contengono gran che di notevole. Ac-
cenneró solo alia questione dei Direttori di Case succursali, riman-
data da Don Rúa al giudizio del Capitolo Genérale, come si é detto
in principio del capo. Proposto il quesito, se tali Direttori avessero
diritto di voto nelle elezioni, risposero si 45 voti contro 18, piü
3 nulli. Tuttavia si propose un secondo quesito, se in dette Case si
dovesse eleggere il Socio che accompagnasse il Direttore. Rispo-
sero no 56 voti contro 4, piü 4 nulli.
Don Rúa chiuse la seduta con questa esortazione: « Dobbiamo
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28.4 Page 274

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hola Damson e hola Grande - Mostra Miss. a Genova nel IV Cent. Colombiano
giorno infine agli uni e alie altre s'impartiva una lezione di cate-
chismo. I ragazzi e le ragazze avevano scuola. Per questi apparve
presto indispensabile isolarli dai grandi, perché non ne fossero con-
taminati. Perció fu organizzata una vita di collegio adatta alia loro
condizione. Si avevano ordinariamente da 40 a 45 fanciulli e un
35 fanciulle. Una memoria conservata nei nostri Archivi contiene,
specialmente sui piccoli, la relazione seguente di Don Camino, che
nei primordi della Missione lavoro sedici anni a S. Raffaele.
Giungevano generalmente coperti con una pelle di guanaco, che portavano a
guisa di mantello. Bisognava lavarli con sapone da capo a piedi, súbito recidere
loro la capigüatura e pulirne la testa con una spugna inzuppata di paraffina. Solo
COSÍ si riusciva a finiría con i parassiti. Appena compiuti questi atti indispensabili,
si davano loro capi di vestiario e d'allora in poi venivano ammessi alia vita co-
iriune, con l'obbligo di uniformarsi strettamente al regolamento e all'orario della
Missione.
Si alzavano alie 6 d'inverno, alie 5,30 d'estate. L'indio fu sempre riluttante a
far pulizia; quindi per ottenere che non opponesse la mattina tante difficoltá a
lavarsi, gli si metteva vicino durante la notte l'acqua calda.
La Messa era obbligatoria ogni giorno per i ragazzi e le ragazze. In genérale,
specialmente gli Onas, recitavano volentieri le orazioni. La maggior parte dei rico-
verati si accostava le domeniche alia sacra mensa e lo facevano con vera divozíone,
profondamente compresi dell'atto che compievano. Quindi nessuna meraviglia che
nella Missione si trovassero tante animucce candide, tanti indietti che vivevano la
vita della grazia come la vivono in maggioranza giovani dei nostri collegi. Nel le
pratiche di pietá alternavano le orazioni con i canti piú facili delle raccolte sa-
lesiane. Per altro talvolta alcuni non capivano il senso di quello che recitavano o
cantavano, come lo prova il fatto che, avvicinandosi il vapore Torino alia Missione,
una buona parte credeva di vedervi realizzata una petizione del Padre Nostro,
esclamando commossi: — Si, si, venga a noi il Torino —, quasi fosse lo stesso che:
« Venga a noi il tuo Regno ».
Dopo la Messa vi era la colazione, consistente in caffé, latte e pane d'estate, e
in caffé e pane d'inverno. Benché gli Indi nella loro vita randagia per spiagge e
boschi non avessero mai assaggiato il pane, questo tuttavia era l'alimento che piú
appetivano, venen do alia Missione, a segno che, quando vedevano diminuiré i
sacchi di fariña nella dispensa, si avvicinavano al direttore e gli dicevano: — Pa-
dre, poca fariña, poca fariña! Non mancare fariña, perché mancare pane. —
Questo perché una volta per difetto di trasporti rimase la Missione piú d'un mese
senza pane.
Le lezioni di aritmética, lettura e scrittura si avvicendavano con le ricrea-
zioni molto animate; non fa poi meraviglia che in una Casa di Missione la materia,
su cui maggiormcnte s'insisteva, fosse la religione, la quale bisognava insegnare a
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Capo XX
forza di ripetere spesse volte il testo, spiegandolo dopo con similitudini e para-
goni semplici cavati da cose loro note e familiari. D'ordinario si ammettevano alia
prima comunione sui dieci anni, osservandosi maggior inclinazione alia pietá e
alie cose di Dio negli Onas che negli Alacalufes. Distingue vano i giorni festivi e
desideravano essi stessi vestirsi meglio in quellí. Grazie alia costanza dei buoni
confratelli Coadiutori, poterono arrivar a cantare i vespri in latino tutte le cío-
meniche.
Quasi ogni anno si faceva la processione di Maria Ausiliatrice. Gli Indi pro-
fessavano gran divozione a Maria Santissima sotto questo titolo, non essendo estra-
neo questo sentimento all'idea formatasi che fosse Maria Ausiliatrice Colei che pe-
riódicamente inviava loro la goletta dello stesso nome, con la stiva ben fornita
di riso, pasta, zucchero, caff'é e indumenti. Per loro la Vergine era una signora
molto ricca e molto buona, Madre di Dio, e che come tale stava nel cielo e si ri-
cordava molto spesso di loro, specialmente quando si trovavano in bisogno.
Don Camino non dice nulla della música; ma quei ragazzi im-
p a r a vano a cantare e a sonare. Nel 1894 la b a n d a degli Indietti di
S. Raffaele porto una nota assai interessante alie consuete feste pa-
triottiche del settembre a Puntarenas, facendo stupire sia per la
precisione con cui eseguivano il loro modesto repertorio, sia per il loro
modo di comportarsi in pubblico e per il loro contegno in cliiesa.
Pendeva pero sempre sulla Missione un pericolo assai grave. Ogni
mese bisognava mandare da Puntarenas i viveri per i Missionari e
per gli Indi. Se le provvigioni tardavano troppo a giungere, questi
ultimi perdevano la pazienza e sospettosi com'erano, si sentivano
tentati a insorgere o a fuggire, e addio lunghe fatiche dei Missionari,
se puré non ne andava di mezzo anche la vita. Don Borgatello ci fa co~
noscere molto bene gl'incidenti che quasi ogni volta causavano con-
trattempi e impedivano o ritardavano i trasporti (1): « Ora non si tro-
vano carri od uomini per la condotta della merce sino alia spiaggia; ora
mancano marinai o barche per metterla a bordo; ora non si fanno im-
barchi per molto tempo oppure si ricevono solé persone, e per po-
ter imbarcare viveri bisogna lasciarsi tirare peí eolio nel prezzo; ora,
quando ogni cosa é a bordo e si é sui partiré, l'equipaggio tutto si
ubbriaca e conviene aver pazienza ed aspettare che passi la sbor-
nia.» L'unico mezzo per prevenire irreparabili conseguenze sa-
rebbe stato, che la Missione avesse un proprio battello, necessario
(i) Letl. a Don Rúa, Isola Dawson, 18 aprile 1891.
252'
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Iwla Dawson e hola Grande - Mostra Miss. a Genova nel IV Cent. Colombiano
anche ai Missionari per aggirarsi nelle acque dei Canali, avvicinare
selvaggi e metiersi con essi in relazione; e appunto Mons. Fagnano
faceva appello a Don Rúa e ai Cooperatori perché lo aiutassero in
si urgente bisogno (1).
Nel febbraio del 1892 la Missione ricevette la cara visita di Mon-
signor Cagliero. Nel suo passaggio per Santiago egli aveva maní-
festato al Presidente cileno il desiderio di fare quella escursione.
II Presidente non solo se ne disse contento, ma si propose di facili-
targliela; infatti mise a sua disposizione una corvetta, che trovavasi
di stazione nelle acque di Puntarenas. Per questa cortesía Monsi-
gnore poté compiere il viaggio cómodamente, accompagnato dal Go-
vernaíore e da altri signori. Alio sbarco gli Indi lo aspettavano ri-
partiti in due schiere e assistiti dai Missionari e dalle Suore. Puliti,
vestiti, col cappello in mano, sarebbero sembrati gente civile, se non
fossero stati senza scarpe: non c'era mai stato verso di persuaderli
a imprigionare i piedi in quegli arnesi. Squadravano il Vescovo, come
se fosse un essere non di questo mondo. Com'erano stati ammaestrati,
gli si avvicinavano, gli prendevano la mano e gli baciavano l'a-
nello; ma bisognava vedere con che smorfie e con che gesti!
Dalla spiaggia si diressero tutti alia chiesa, dove, recitato il Te
Deum, i ragazzi fecero udire le loro voci cantando. Poi si visitó la
scuola. Qui alia presenza del Vescovo, del Governatore e degli altri
cominció un breve esame. Quei signori, quando udirono leggere cor-
rentemente e con franchezza e rispondere a tono su cose di cate-
chismo, di aritmética e di nomenclatura, quando videro i quaderni
di calligrafia nitidi e corretti, non poterono nascondere la loro me-
raviglia e commozione: non avrebbero mai creduto di trovare tanto in
poveri selvaggetti, pocanzi abbandonati a se stessi nell'angolo piú
remoto della térra. II medesimo dicasi delle fanciulle, assai aván-
zate anche nei lavori di cucito. Osservarono puré gli adulti, appli-
cati alie diverse loro occupazioni. Prima di lasciare l'isola si diver-
tirono alio spettacolo degli Indietti che attruppavano e mungevano
le vacche, gettavano il laccio ai vitelli, tiravano al bersaglio con
(1) Lett. a Don Rua. Puntarenas, 20 luglio 1891.
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Capo XX
frecce e lanciavano con la mani arpioni di legno attraverso cerchi
posti a grande altezza. Come tutti manifestarono cola a viva voce
le loro impressioni, cosi fecero alcuni dopo nei giornali della Ca-
pitale. Mons. Cagliero ne ragguaglió Don Rúa serivendogli il 3 luglío
seguente: « Rimasi veramente stupefatto del progresso compiuto da
loro nella dottrina cristiana, nel canto, nell'idioma, nella lettura,
scrittura e calcólo aritmético. L'arco e la freccia cedono il loro posto
al libro ed alia penna; il rozzo dialetto e la selvaggia loro articola-
zione si cambia in dolce e melodioso accento spagnolo, la tana in
modesta capanna, la pelle di foca e del guanaco in povero, ma pu-
lito indumento da uomo, e la pianta silvestre ed il mollusco indigesto
in saporito pane, carne e latte, che dan loro gli armenti delle vacche,
buoi e pecore, introdotti e mantenuti a spese della Missione nell'isola
Dawson. Questa trasformazione l'hanno con me constatata le Autoritá
della Repubblica Argentina e quelle del Chili in amendue le coste
dello Stretto di Magellano. »
L'altra costa dello Stretto era quella di Puntarenas, dove Monsi-
gnore aveva avuto occasione di rilevare, quanto si fosse guadagnato
terreno nel campo religioso. II Prefetto Apostólico andava facendo
breccia nell'indifferenza trovata al suo arrivo. Egli volle una chiesa.
che non fosse troppo indegna di essere chiamata Casa del Signore.
La volle e l'ebbe e Mons. Cagliero la benedisse con tutta la pompa
del rituale romano. I gravi ostacoli incontrati, massime per la pe-
nuria di soccorsi, fecero spiccare l'invitta costanza di Mons. Fa-
gnano. Tutta la popolazione partecipó con giubilo alia cerimonia. Mai
a Puntarenas erasi contemplato lo spettacolo di una processione
come quella sfilata allora per le vie della cittá. II Governatore e la
sua consorte fecero da padrino e da madrina, circondati da tutte le
Autoritá. Nella Messa, in cui fu ordinato sacerdote un diácono sa-
lesiano, cantarono le alunne delle Suore. L'allocuzione finale del Ve-
scovo elevó gli spiriti nelle piü alte regioni della fede. II Vescovo di
Ancud Mons. Lucero il 6 giugno del 1893 rendeva a Don Rúa questa
testimonianza: «Veramente pare che ai figli di Don Bosco, i quali
vanno improntando tutte le loro opere col sigillo della benedizione
divina, siano riservate ancora molte e molto grandi conquiste. Quello
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Jsola Daroson e lsola Grande - Mostra Miss. a Genova nel IV Cent. Colombiano
che lian fatto finora vale a dimostrare che la loro missione é visi-
bilmente provvidenziale. »
Anche la desiderata nave si poté col permesso di Don Rúa avere.
11 su o acquisto diede origine a un episodio, che rivela quali tem-
pre d'uomini Don Bosco avesse formato neU'Oratorio e mandato
nelle Missioni. II Prefetto Apostólico incaricó dell'affare Don Beau-
voir, ma gli disse d'ingegnarsi, perché non aveva denaro da dargli
nemmeno per il viaggio (1). Ruminando sul modo di obbedire a quel-
l'ordine, gli venne una prima idea. Stavano per essere ritirate da Pun-
tarenas e imbarcate le truppe, mandatevi durante la rivoluzione del
1891 a soffocare eventuali tentativi di rivolta. A bordo del vapore che
doveva trasportarle, non vi era cappellano. Domando e ottenne d'im-
barcarsi lui in tale qualitá, accompagnato dal coadiutore Forcina
Partí dunque per Santiago col borsellino vuoto, ma con molta fiducia
nella Provvidenza.
Giunto nella capitale, picchió a molte porte, incontrando sempre
grandi cortesie, come Salesiano, ma ricevendo poco: la crisi
económica, effetto della rivoluzione che aveva sconvolto il paese,
gravava sui cittadini. Allora una seconda idea gli balenó alia
mente: rivolgere i suoi passi in alto luogo. Domando inútilmente
un'udienza dal Presidente della Repubblica. Non iscoraggiato dal ri-
fiuto, tentó di arrivare al Presidente dei Ministri Emanuele Matta.
Tutti ne lo sconsigliavano, perché quell'uomo era in voce di grande
massone e grande anticlericale; eppure con la semplice qualifica di
Missionario salesiano fu ricevuto senza difficoltá, trattato córtese-
mente e ascoltato con interesse. Gli espose lo stato della Missione,
i bisogni per Fisola Dawson e gl'intendimenti di Mons. Fagnano.
Quando gli raccontó il caso di Don Pistone, il Ministro l'inter-
rogó se i Missionari avessero armi. Alia risposta negativa: — Male,
molto male! — esclamó e gli profferse 500 fucili con le munizioni.
Don Beauvoir in bel modo si schermiva dal ricevere tale dono; ma,
visto che egli insisteva, tanto per compiacerlo, s'indusse ad accet-
tarne 25 con alcune casse di cartucce.
(1) Memorie inedite di Don Beauvoir e Boíl. Sal., dicembre 1&92. Don Beauvoir era torinese.
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Capo XX
In un'altra udienza, vedendolo non solo ben disposto, ma ad-
dirittura entusiasta dell'opera missionaria tra i Fueghini, azzardó
la richiesta, per la quale era venuto a Santiago. Immediatamente il
Ministro gli diede un biglietto per il suo collega della Guerra e Ma-
rina, ordinandogli di consegnare al Missionario una goletta che fosse
di suo gradimento. Se non che dovendosi per tale consegna atten-
dere una ventina di giorni, Don Beauvoir propose al Capo del Go-
verno che invece di un'imbarcazione gli facesse assegnare una sov-
venzione equivalente al prezzo di essa. Piacque la proposta. II Mi-
nistro ne parló dinanzi alie Camere, magnificando Topera filantró-
pica dei Salesiani, sicche fece votare 6000 pesos annui a favore
della Missione, finche questa durasse. Mancava ancora una cosa.
Per navigare occorrevano le carte nautiche, di esclusiva proprietá
governativa. Osó domandarle. II Ministro ordinó aH'ufficio idrogra-
fico della Marina militare di consegnargliele. Insomma, Don Beauvoir
era entrato tanto nelle sue grazie, che quegli spontaneamente gli
regaló per giurita sei biglietti gratuiti di prima classe sulle ferrovie
e sui vapori dello Stato, affinché potesse recarsi senza spesa nei porti
a cercare l'imbarcazione da acquistare. Súbito dopo partí per Valpa-
raíso, principale porto del Cile.
A Valparaíso non trovó quello che desiderava; quindi proseguí
di porto in porto fino ad Ancud, sede vescovile. Qui dovette fer-
marsi pin che non avrebbe immaginato, ma non stette inoperoso.
Munito delle debite facoltá, si dedicó all'attivitá missionaria, con-
fessando e predicando un po' dappertutto e facendo col coadiutore
il catechismo ai fanciulli e alie fanciulle nella Cattedrale. Dopo qual-
che giorno essi non potevano andaré per le strade senza che stuoli di
ragazzi li circondassero gridando: — Los Padres salesianos! los
Padres salesianos! — Da prima la gente, che non aveva mai visto
una cosa simile, diceva che quei due erano pazzi; ma poi Don
Beauvoir diventó l'idolo della popolazione.
Finalmente riusci a comprare per 2500 pesos una goleüa, che
stazzava circa 35 tonneílate. Le mise nome María Auxiliadora. Ca-
licó viveri in tanta abbondanza, come se il viaggio dovesse protrarsi
vari mesi. La ciurma si componeva di sei marinai, uno dei quali
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Isola Dawson e Isola Grande - Mosíra Miss. a Genooa nel IV Cent. Colombiano
faceva da nostromo: erano tutti ben pagati. Egli sarebbe stato il ca-
pitano. Solo i documenti del Governo, che portava con sé, valsero
a strappare dalle autoritá il permesso di prendere il mare. II primo
di aprile del 1892 levarono le ancore e issarono le vele. Quanti
sapevano a quali rischi andassero incontro e per le difficoltá di
quelle acque e per l'inesperienza del capitano, avevano fatto di
tutto, ma invano, per distoglierlo da un'impresa che chiamavano
folie; piü d'ogni al tro il Vescovo, che aveva preso a volergli un
gran bene, e che dovette finiré con chiedere a Dio di mandargli i
suoi Angeli.
Facevano rotta verso il Golfo de Penas (1). II vento spirava fa~
vorevole. Ma alluscire dal Gánale Darvvin si scatenó improvvisa
una furiosa burrasca; onde agítate, pioggia torrenziale, nubi.nere,
cupa oscuritá incutevano spavento. Un fulmine fece scorgere a poca
distanza uno scoglio, contro il quale la goletta filava come una
freccia. Invocarono Maria Ausiliatrice, tentando con sforzi immani
di governare la nave: ma la furia delle onde era tale, che vana riu-
sciva la lotta. La Madonna non fu sorda alie loro preghiere: un'onda
enorme caccia repentinamente tutta la prua sott'acqua e quando
si crede omai di andaré a fondo, ecco un'altra onda alzare la nave
di flanco e spingerla lontano, sfiorando appena lo scoglio. Poterono
COSÍ dirigersi in alto mare, dove ballarono ancora terribilmente, ma
furono salvi. La lotta duró trenta ore.
Non era pero tutto finito. Li attendevano ancora scogli, banchi
di sabbia mobili, temporali, pericoli senza numero; ma li supera-
rono. Giunti a Puntarenas, in vista omai del porto, mentre il po-
vero Don Beauvoir, oppresso dalla stanchezza, dormiva, la goletta
si arenó in un banco di sabbia. II terribile vento sud-ovest ve la
spingeva sempre piú dentro, né vi era modo di liberarla dalle morse
dell'arena. Le onde la scotevano talmente che ogni momento sem-
bravano doverla sconquassare. I marinai, vedendosi in procinto di
perire, volevano caricare di viveri una delle barchette e abbando-
nare la nave al suo destino. Don Beauvoir non volle. Fece sca-
(1) Si trova spesso scritto erróneamente Peñas.
9
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29.1 Page 281

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Capo XX
ricare viveri e mercanzie sulle due barchette per alleggerire il ba-
stimento, ordinó di spingerlo con larghi remi appoggiati ai fianchi
di esso, scese in cabina e inginocchiato davanti al quadro di Maria
Ausiliatrice, disse l'orazione di S. Bernardo: Memorare, piissima
Virgo Maria. Aveva appena terminata la preghiera, che la goletta
galleggió dritta e sicura. La ricaricarono e proseguirono per Pun-
tarenas, dove giunsero ventitre giorni dopo la partenza da Ancud.
Prima di tornare al Prefetto Apostólico, diciamo ancora una pa-
rola di questo suo intrépido aiutante. Quanti conobbero Don Beau-
voir, furono unanimi nel diré che egli, dimentico di se stesso,
si occupava únicamente del bene delle anime, a questo subordi-
nando ogni altro pensiero: di ció gli resero pubbliche testimo-
nianze uomini insigni. Tn mezzo alie sue fatiche apostoliche trovó
tempo di scrivere varié operette, fra le quali un dizionarietto della
lingua Ona e un dizionario indigeno, che ebbero dai competenti
alte lodi. Don Bosco nell'Oratorio l'aveva avuto molto caro per la
su a pietá, esemplaritá di condotta e applicazione alio studio. É il
giovane che nel 1871 pregó Don Bosco di fare al P a p a una mi-
steriosa commissione, che aveva tutta l'aria di una comunicazione
dall'alto (1).
Mons. Fagnano si doveva interessare anche degli Indi Onas piü
lontani, di quelli cioé che vivevano nella parte oriéntale dell'Isola
Grande e che non sarebbero mai venuti all'isola Dawson; donde
la necessitá di creare anche la un centro di attivitá missionaria.
II punto da lui designato come piü adatto, perché piü céntrale,
era presso la foce del Rio Grande, Túnico vero fiume della Terra
del Fuoco. Al principio di febbraio del 1893, dettati gli esercizi
spirituali ai Salesiani e alie Suore di S. Raffaele, si accinse ai pre-
parativi per una spedizione esploratrice. Sarebbero andati con lui
Don Beauvoir, due coadiutori, un giovane, piü due Indi, che, sa-
pendo lo spagnolo, avrebbero fatto da interpreti. Caricarono nove
cavalli, alcuni cani, e poi galletta, riso, pasta, zucchero, caffé e una
piccola tenda: questo per loro; per gli Indi che avrebbero incon-
(1) Mem. Biogr., vol. X, pp. 38-39. Cfr. lcttera mortuaria di Don Beauvoir.
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hola Dawson e hola Grande - Mostra Miss. a Genooa nel IV Cení. Colombiano
trati, molte coperte di lana e oggetti religiosi. Si prese p u r é Val
tare portatile. Nel pomeriggio del 15 sbarcarono con tutto l'equi-
paggio neirisola Grande sulla sponda opposta del Canale, di fronte
alia missione S. Raffaele e si accamparono alie falde d'una monta-
gna. II giorno appresso, di buon mattino, celebrata la Messa e corn-
piute le ordinarie pratiche di pietá, sellarono i cavalli e si misero
in marcia verso Finterno, mirando a raggiungere le sorgenti del Rio
Grande. Dopo sei giorni di fortunoso cammino, guidati dalla bus-
sola fra valli, colline e ruscelli, arrivarono a 40 chilometri dalla
foce del fiume nelFAtlantico.
Costeggiando la corrente, incontrarono un accampamento di
Onas. I due interpreti andarono a parlamentare. Persuasili delle
loro intenzioni pacifiche, tornarono con il capitano della tribu, che
Monsignore rimando dandogli due coperte e mettendogli una rae-
daglia di Maria Ausiliatrice al eolio. L'indomani colui condusse la un
gruppo de' suoi uomini. Monsignore distribuí loro coperte e medaglie;
poi diede ordine di sellare i cavalli e di muovere verso il campo, Vi
trovó altri Indi, ai quali fece i medesimi regali; dopo riprese il viag-
gio, prometiendo di rivederli piü tardi. Quelli si mostrarono molto
soddisfatti. Non li trattavano giá cosi quegli altri Europei, di cui
abbiamo parlato sopra.
II giorno appresso comparve un'altra tribu piú numerosa e al-
quanto bellicosa; ma gFinterpreti e i doni la resero tranquilla. Giun-
sero finalmente a un luogo, che sembró loro adatto a fondarvi la
nuova Missione, sulla sinistra del Rio Grande. II punto prescelto, si-
tuato in riva a un lago, distava mezzo chilometro dal margine del
fiume e cinque dalla foce. Vi erano acqua dolce e comoditá di
trasporti. Monsignore trovó che gli Onas, oltre a essere ben for-
mati della persona, mostravano capacita a imparare; vide puré che
non conveniva unirli con i Yaganes di S. Raffaele, perché questi
erano affetti da malattie ereditarie, impórtate loro dagli Europei,
Raggiunto cosi lo scopo dell'escursione, la caro vana provvide al ri-
torno. Riattraversata l'isola e raggiunto il luogo del precedente
sbarco, innalzarono tre grandi fuochi: era il segnale convenuto con
la Missione di S. Raffaele, perché si venisse a prenderli con la María
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Capo XX
Auxiliadora. Avevano camminato un mese intero fra disagi e pe-
ricoli d'ogni fatta.
Mons. Fagnano, uomo dinámico quant'altri mai, non indugió a
fare i preparativi per l'impianto della nuova Missione. Noleggio
perianto un vapore, Amedeo, caricandovi tutto quello che credette
utile alio scopo. II nolo gli costó 765 sterline, pari allora a 19.125 lire
italiane. II 9 giugno 1893 salparono da Puntarenas per la foce del
Rio Grande Don Beauvoir, un altro prete, tre coadiutori, tre gio-
vani e quattro operai assoldati. La spedizione incontró una serie di
peripezie straordinarie. Arrivati che furono al Rio Grande, non po-
terono entrarvi, né gettare le ancore, tanto imperversavano le onde.
Bisogna anche sapere che la foce del Rio Grande é pericolosis-
sima per la navigazione. Innumerevoli scogli, secche e bassifondi
pietrosi insidiano i navigli, perché non appaiono a flor d'acqua du-
rante Taita marea, quando soltanto é possibile la navigazione. Nu-
merosi velieri e vaporini, che avevano voluto avventurarvisi, erano
naufragati. Ora, il capitano delYAmedeo rifiutó di accostarsi alia
foce, se prima Don Beauvoir non gli assicurasse il veliero. Don
Beauvoir naturalmente si ribelló a si arbitraria pretesa. Non avreb-
be potuto il capitano farlo naufragare a bella posta per carpiré
il premio? Indispettito dunque, riprese la rotta per Puntarenas.
Indieireggiati fino alia Baia S. Sebastiano, Don Beauvoir ottenne
almeno di poter sbarcare sul lido il materiale destinato all'erigenda
Missione, sebbene il luogo non fosse punto adatto a uno sbarco.
Per giunta i marinai ci si misero di cosi cattiva voglia, che tremila
tavole da costruzione, numeróse lastre di zinco, parecchi capi di
bestiame e molti viveri andarono alia deriva. Ando puré perduta
Túnica barca di proprietá della Missione. Presero térra Don Beau-
voir, i coadiutori e due pastori, attendandosi provvisoriamente presso
il fiumicello Gama. II resto del personale rinavigó col vapore a Pun-
tarenas per informare il Prefetto Apostólico e sollecitare soccorsL
Possiamo bene immaginare con quale ansietá i rimasti aspet-
tassero aiuto; ma i viveri si assottigliavano e da Puntarenas non
veniva nulla. Don Beauvoir decise di andarvi in persona. Viaggió
a cavallo fino alia Stretto di Magellano, montó sopra un battello e
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Isola Dawson e Isola Grande - Mostra Miss. a Genova nel IV Cent. Colombiano
fece in quattro giorni la traversata a Puntarenas. Qui prese la
goletta Maria Auxiliadora, ne noleggio p u r é un'altra, caricandole
entrambe di viveri, tavole e cavalli, e si lanció nuovamente in
mare. Le due golette. supérate varié burrasche, arrivarono alia baia
S. Sebastiano, donde, imbarcata tutta la roba possibile, veleggiarono
alia volta del Rio Grande. AlFimboccatura del fiume le diffícoltá
non furono minori delPaltra volta; nía finalmente con l'aiuto di
Dio 1*11 novembre, dopo cinque lunghi mesi, risalirono la corrente
durante Taita marea e gettarono le ancore in una piccola insena-
tura. Due giorni dopo avanzarono ancora circa cinque chilometri,
finché trovarono un porto abbastanza fondo e riparato. Lo chiama-
rono Maria Auxiliadora dal nome della goletta, la prima che si
fosse arrischiata a rimontare il fiume. La attorno stabilirono di
piantare le tende. Diedero alia Missione il nome di Candelara, per-
ché la localitá era stata designata sul principio di febbraio del
1893, nel qual tempo cade la festa della Purificazione di Maria
Santissima, festa che il popólo suol chiamare la Candelara (1).
Non seguiremo i nostri valorosi Missionari nella loro opera di
sistemazione, che costó ad essi infiniti sacrifici. Per concessione del
Governo Argentino, a cui appartiene la parte piú oriéntale dell'Isola
Grande, poterono occupare larga superficie di suolo, niente ar-
borato, ma ottimo per pascólo, e li rizzarono le proprie baracche.
Pareva loro ogni giorno mille di poter cominciare la Missione, per
cui avevano tanto sofferto e per cui continuavano a vivere una
vita di sofferenze, tagliati fuori dal mondo civile, privi di qualsiasi
conforto, sorretti solo dalla fede, dalla preghiera e dalla speranza
di fare del bene. Per alcuni mesi rimasero soli; avevano tuttavia il
loro da fare per costruire abitazioni e cappella. Poi finalmente
sbucarono timorosi di mezzo ai cespugli i primi selvaggi. Dopo
sembró che una mano invisibile ne spingesse la continuamente dal
Sud e dal Nord. Nel maggio del 1894 piü di 350 stavano accampati
intorno ai Missionari consumandone le provviste, sicché Don Beau-
voir era costretto a invocare spesso aiuto da Puntarenas. Per questo
(1) Lettere di Don Beauvoir in Boíl. Sal. del giugno e dicembrc 1894.
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Capo XX
íraffico attraverso un mare cosi diffieile la goletta non serviva piü:
ci voleva un vaporino. Mons. Fagnano non era uomo da indietreg-
giare di fronte a questa esigenza, che dava il tracollo alie sue fi-
nanze. Fece comprare a Buenos Aires un vapore, che, registrato
per 200 tonnellate, ne poteva caricare da 250 a 300. Fu pagato con
una somma di pesos argentini equivalente a circa centomila lire
italiane. Lo chiamó Torino dalla sede principále della nostra So-
cietá; per capitano si scelse un buon torinese. L'equipaggio si com-
poneva di tredici individui, appartenenti a undici nazionalitá. Que-
sto vapore nel luglio del 1894 portó al Rio G r a n d e il Prefetto Apo-
stólico per la prima visita alia Missione. Egli menava seco alcuni
altri Confratelli. La navigazione ebbe dieci giorni di continua bur-
rasca. I Missionari lo accolsero come un messaggiere celeste, che
venisse a confortarli. Per maggior facilita di sbarco gli parve con-
veniente far trasportare la casa, tutta di legno, piü vicino all'iín-
boccatura del Rio Grande, in luogo piü acconcio a stabilire una
grossa colonia di Indi ed anche a guardarsi da sempre possibili im-
boscate. Tornato a Puntarenas, spedi un monte di legname, che ser-
visse a fabbricare un centinaio di casette per gli indigeni, edifiei per
scuole e laboratori, chiesa e ospedale, si da formare un paesello.
L'anno prima che facesse i suoi due viaggi al Rio Grande, Don
Beauvoir ne aveva fatto un altro con una missione di diverso ge-
nere. Cadeva nel 1892 il quarto centenario dalla scoperta dell'A-
merica; perció la cittá di Genova aveva preparato festeggiamenti
alia gloriosa memoria di Cristoforo Colombo. Era la prima volta che
il mondo civile rendeva solenne tributo d'onore al glorioso Geno-
vese, a quel Colombo che, « nel soleare e risoteare gli spazi immensi
dell'Oceano, aveva la mira a maggior segno che gli altri non aves-
sero, cioé aprir l'adito al Vangelo per mezzo a terre nuove e nuovi
mari» (1). I Cattolici non solo vi fecero plauso, ma, essendo in
programma anche un'Esposizione Colombiana nella capitale della
Liguria, decisero di parteciparvi con una Mostra Missionaria Ame-
ricana. Un Comitato a tal fine costituito aveva preso ad agiré fin
(1) Encicl. di Leone XIJI Quarto obeunto saeculo.
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hola Dawson e hola Grande - Mostra Miss. a Genova nel IV Cent. Colombiano
dal 1890, quando si cominciava a parlare di feste colombiane. Ap-
punto sul finiré di quell'anno il segretario del Comitato Luigi Cor-
sanego Merli si rivolse a Mons. Cagliero (1), pregándolo di far in-
viare oggetti da esporre. Don Rúa, aderendo ad analoghe istanze,
indirizzó alie principali Case salesiane deH'America una lettera, in
cui invitava i Direttori a secondare l'iniziativa dei Cattolici ge-
novesi. II 16 febbraio 1892 Don Cerruti rinnovó l'invito, rilevando
quanto fosse conveniente che le Missioni salesiane facessero " an-
ch'esse la loro santa comparsa nel centenario dell'ardito quanto pió
scopritore dell'America ". Lamentando poi che gli oggetti pervenuti
fino aflora dalle varié Missioni Cattoliche d'America fossero assai
pochi, osservava: « Sarebbe cosa troppo dolorosa che un'opera cosi
santa dovesse falliré. D'altronde la Massoneria lavora a tutta possa
per questo quarío centenario coll'intento di scristianizzare Colombo
e la santa sua impresa, sfruttandoló come giá fece di Dante
nel 1865. »
Ma i Salesiani non meritarono rimprovero d'indolenza o di scarso
interessamento; infatti, non limitandosi a spedire oggetti, concepi-
rono financo l'idea di creare in seno alia Mostra un villaggio fue-
guino. Don Beauvoir dunque partí per Genova, conducendo seco
una famiglia di Fueghini, composta di padre, madre, un bambino
sui cinque anni e una bimba latíante, piü due vispi ragazzetti sui
dieci anni, uno Ona e Taltro Alacaluf. Disgraziatamente la donna,
per il cambiamento del clima, soccombette a Montevideo, lasciando
in maní caritatevoli la sua creaturina. L'uomo, ancora solamente
catecúmeno, non mostró di affliggersi della perdita; ma, accompa-
gnata la salma al cimitero, non ne parló piú. Ai quattro fueghini
rimasti si unirono poi a Torino tre indigeni della Patagonia, ossia
un giovane di 17 anni, condotto da Mons. Cagliero, e due modeste
e pie giovanette, Tuna figlia del Cacico Sayueque e l'altra cugina
di questa, accompagnate dalle Suore.
L'Esposizione fu inaugúrala il 21 agosto. II piccolo villaggio, co-
struito sotto la direzione di Don Beauvoir, era un pittoresco ag-
io Lett. 26 diccmbrc 1890.
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Capo XX
gregato di capanne, fatte con rami dalberi e coperte di cannucce
o di pelli e specchiantisi in un laghetto, popolato di pesci, dei quali
facevano pesca gli Indi. Una delle capanne, rustica come le altre.
ma con un altarino, era la cappella. Accanto a questa si vedeva
l'abitazione del Missionario, consistente in una stanzina con letto
e sedia formati di rami d'alberi. Nel giorno dell'inaugurazione i.1
Presidente del Comitato, prendendo la parola nell'atto di riceverli,
salutó Missionari e Suore e disse rivolto agli indigeni: « Non vi
chiamammo perché foste spettacolo all'altrui vana curiositá. Que-
sto mércalo sarebbe stato indegno di noi e di voi. Ma volemmo che
qui veniste per rendere viva testimonianza di quell'opera grande-
mente cristiana e civilizzatrice, che l'immortale Colombo inauguro,
e che per il non interrotto corso di quattro secoli la Chiesa Cat-
tolica prosegue nelle regioni da lui scoperte. Éntrate dunque con
animo tranquillo nelle capanne che vi abbiamo preparato.» Sú-
bito dopo Don Beauvoir celebró la Messa, servita da un indigeno,
mentre una Suora, sedendo all'armonio, faceva udire alcune sa-
cre melodie. Terminato il divin Sacrificio, gl'indigeni presero pos-
sesso delle loro capanne. Don Beauvoir faceva da cicerone ai vi-
sitatori. La Mostra Missionaria formó la sezione piú interessante
dell'Esposizione, e nella Mostra il villaggio fueguino era il punto
piú attraente. II Re Umberto, visitándola, volle fermarvisi a par-
lare con quei figli della foresta.
Oltre ai tipi viventi, i Missionari Salesiani esposero, molto bene
ordinati, curiosi oggetti, o singoli o collettivi, venuti 53 dalla Terra
del Fuoco e 58 dalla Patagonia. Con qualche ritardo ne giunsero
poi anche dal Paraguay, dal Brasile e dalPEquatore. Dopo l'E-
sposizione tali oggetti furono riuniti e chiusi in grandi vetrine sem-
pre visibili nel Seminario delle Missioni salesiane a Valsalice.
II 15 novembre tutti gl'indigeni attendevano in Vaticano di
essere ammessi alia presenza di Leone XIII. Vennero introdotti al
seguito di Mons. Cagliero, di Don Milanesio, di Don Beauvoir e
di tre Suore Missionarie. Al momento opportuno, il giovane pa-
tagone, ottenutane la licenza, lesse in buon italiano il seguente
indirizzo:
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hola Dawson e hola Grande - Mosira Miss. a Genova nel IV Cent. Colombiano
BEATISSIMO PADRE!
Permettete che un vostro figlio devoto, venuto dalle piú remote terre australi,
prostrato ai vostri piedi, a nome di íutti i suoi conterranei della Patagonia e della
Terra del Fuoco, faccia palesi i sentimenti di devozione, di riconoscenza e di fi-
líale affetto che nutriamo in cuore per la Santitá Vostra.
Noi eravamo poco tempo fa selvaggi, tribu erranti e figli della morte. Non co-
noscevamo Dio, nostro Creatore, né Gesü Cristo, nostro Redentores né il suo Vicario
in Terra. Ora siamo ñgliuoli di Dio, della Chiesa, eredi del Paradiso, siamo membri
della famiglia cristiana, siamo pur figli della civiltá.
A Yoi, Beatissimo Padre, dobbiamo questi immensi benefici; a Voi che ci avete
mandato i Missionari Salesiani, i quali ci hanno istruiti nelle veritá della fede, ci
lianno dato la vita dello spirito e ci hanno liberati dalla morte dell'errore e del
peccato.
Grazie a Dio e a Voi, Beatissimo Padre, di questo immenso beneficio. Vogliate
ora benedirci tutti: benedite noi che siamo qui presenti ed i nostri fratelli lontani,
le nostre terre e le nostre capanne. Benedite quelli che giá Vi conoscono e quelli
che ancora non Vi conoscono, affinché, illuminati ancor essi dalla fede, possano
possedere la grazia di Dio e conseguiré la loro eterna salvezza.
Ed ora facciamo voti per la vostra preziosa salute in queste feste Giubilari.
Preghiamo Iddio che voglia alleggerire le vostre tribolazioni e voglia conservarvi
peí bene della Chiesa e per la salvezza della Societá.
II Santo Padre, che aveva ascoltato con attenzione il lettore. alia
fine gli prese dalle mani il foglio, dicendo che voleva conservarlo
ira i ricordi del suo Giubileo. Indirizzó quindi la parola agli indi-
geni, ai Missionari e alie Suore, terminando con la benedizione
apostólica. Avuto poi a sé il fueghino di cinque anni, giá grandetto
per la sua etá, se lo strinse al cuore e postagli la destra sul capo,
disse: — Oh! questo sará poi il piíi grande cattolico dei Fueghini.
II fueghino padre, della razza degli Alacalufes, era ancora, co-
me dicevamo, semplice catecúmeno. Nella Mostra stessa Don Beau-
voir ne completó l'istruzione religiosa; dopo di che poté fargli ri-
cevere il battesimo nella chiesa di Maria Ausiliatrice dalle mani
dell'Arcivescovo Riccardi il 6 dicembre 1892. II sacro rito prece-
dette immediatamente la cerimonia di addio dei Missionari, che in
numero di 29 con 12 Suore partirono quel giorno stesso, guidati
da Don Beauvoir. Con lui fecero ritorno i suoi Fueghini. I Pata-
goni tornarono in America il 30 novembre dell'anno dopo con Mon-
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Capo XX
signor Cagliero che conduceva un'altra schiera numerosa di Sa-
lesiani e di Suore. Quando il Vicario Apostólico entrava nell'A-
tlantico da Nord, il nostro Don Beauvoir sopra un'opposta riva
australe del medesimo Océano cominciava con i suoi aiutanti ad
allestire la sede di quella Missione. che, mentre scriviamo (1942),
si appresta a festeggiare il cinquantenario della propria fondazíone.
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CAPO XXI
II secondo Vescovo Salesiano e una nuova Missione.
Nella relazione al Papa, della quale abbiamo parlato sopra,, Don
Rúa metteva tra i recenti benefici largiti da lui ai Salesiani l'elevazio-
ne di un loro conf ratello alia dignitá vescovile, considerándola come
" prova di benevolenza insigne " da parte del Vicario di Gesü Cristo.
II secondo Vescovo salesiano era Don Lasagna, Ispettore delle Case
salesiane neU'Uruguay e nel Brasile. É senza dubbio una figura
delle piü eminenti nella storia della Congregazione.
Anche Luigi Lasagna fu un trionfo del sistema educativo di Don
Bosco. II sommo educatore, scortolo fra piü altri ragazzi nel 1862 a
Montemagno durante una delle escursioni che soleva fare in autunno
attraverso il Monferrato con frotte di giovani dell'Oratorio, ne intuí
súbito le rare doti, tanto che lo invitó a venire con lui. Luigi puré ri-
mase talmente affascinato dai modi e dalle parole del prete scono-
sciuto, che non lasció piü in pace il tutore (suo padre era morto), finché
non gli strappó la licenza di partiré. NelFOratorio la sua Índole ec-
cessivamente vivace stancava talora la pazienza dei maestri e degli
assistenti. Egli stesso ci raccontava di certe sue scappatelle per farci
rilevare la sapiente indulgenza di Don Bosco a suo riguardo. Un
giorno perfino fuggi dall'Oratorio. A poco a poco si abbandonó tutto
nelle mani del suo benefattore, che ne governó il forte ingegno e il ga-
gliardo volere fino a renderlo modello di docilita da studente, specchio
di religiosa virtú da chierico, avvampante di zelo da giovane sacerdote.
II suo spirito intraprendente aveva bisogno di un vasto campo di
azione. Lo trovó neU'America, dove ando Missionario nel 1876. Prima
come Direttore a Villa Colon neU'Uruguay, poi come Ispettore, pa-
reva che avesse il dono deirubiquitá. Andava e veniva, faceva lui e
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Capo XXI
faceva fare agli altri, moltiplicava le opere e le consolidava. In mezzo
a si grande fervore di attivitá lo raggiunse la mano del Pontefice, che
aveva necessitá di un valoroso apostólo per una missione importante
e difficile.
Due mali affliggevano l'immenso impero del Brasile, allorché Don
Lasagna vi pose piede la prima volta: la schiavitü e il maltrattamento
degli Indi. Nel 1888 l'Enciclica In plurimis di Leone XIII ai Vescovi
brasiliani sull'emancipazione degli schiavi sorti il migliore degli ef-
fetti; poiche un decreto imperiale in omaggio al Papa nel suo giu-
bileo sacerdotale pose termine all'ignobile mercato di carne umana.
Succeduta poi all'Impero la Repubblica, rimaneva la barbarie contro
i selvaggi, fatti segno alie carabine dei civili. Solo un intrépido apo-
stólo che fosse anche accetto in alto, avrebbe potuto portarvi rimedio.
II Papa lo trovó in Don Lasagna, la cui bravura e il cui crédito gli
erano certamente noti attraverso alie relazioni dei rappresentanti
della Santa Sede in quei paesi. Appunto perché avesse maggiore au-
toritá per trattare coi pubblici poteri, lo insigni del carattere episco-
pale, creándolo Vescovo Titolare di Trípoli (1) e mandándolo non a u n a
cittá, né a un territorio, ma a tutto il Brasile, nelle cui sconfinate fo-
reste vergini scorazzavano migliaia di Indi. Gli disse il Papa nelFu-
dienza dopo la consacrazione: « Voi siete giovane e pieno di attivitá.
É per questo che vi abbiamo eletto Vescovo. Cola vi é grande bisogno
di operositá; spero che oltre al bene che farete voi stesso, il vostro zelo
servirá puré di esempio agli altri Salesiani per lavorare efficace-
mente in quella porzione della Vigna del Signore. » (2)
Si avveró allora una tacita predizione di Don Bosco. Nel 1886
Don Lasagna era tornato in Italia. Prima che lasciasse l'Oratorio per
andaré di nuovo in America, sebbene si fosse giá congedato da Don
Bosco, questi lo fece richiamare, e con aria di mistero gli porse una
scatoletta, sulla quale aveva scritto di proprio pugno: A D. Lasagna.
Credendo che contenesse qualche oggetto divoto, Don Lasagna non
(1) Sonó parecchie le scdi episcopali di questo nome. La Trípoli di Mons. Lasagna era quella deíta
di Barbería, ossia di Libia. II suo nome ricorda le tre cittá che in antico la componevano: Sábrata,
Leptis magna, Oea.
(2) Sac. PAULO ALBFRA. Mons. Luigi Lasagna. Mcmorie Biografiche. S. Benigno Canavese, 1900.
Pag. 264.
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11 secondo Vescovo Salesiano e una nuova Missione
hadó ad aprirla, ma, perche non andasse perduta, la ripose in fondo
a una valigia né piü vi fece caso. Solo assai piü tardi in America,
avuta la scatoletta fra mano, ne levo il coperchio e rimase di stucco
al trovarvi una catena d'oro con un foglietto, che da un lato portava
scritto: Per grazia ricevuta da María Ausiliatrice, e dall'altro: Peí
secondo Vescovo Salesiano.
Consacrato dal Card. Parocchi con l'assistenza di Mons. Cagliero
il 12 marzo 1893 a Roma nella chiesa del Sacro Cuore, partí il 2
aprile con una schiera di Salesiani e di Suore. Raggiunta la meta,
conservó la sua residenza ordinaria nel Collegio Pió IX a Villa Colon
e continuó nel suo ufficio di Ispettore per FUruguay e per il Brasile;
ma si considerava e si proclamava il Vescovo dei selvaggi.
A Villa Colon, mentre i suoi figli e amici gli facevano festa intorno
per l'esaltazione all'episcopato, egli ruminava il suo piano di battaglia.
Appena poté, si mise in viaggio per cercare donde e come pigliare
le mosse. Dopo infiniti giri e rigiri per mare, per térra, su per i fiumi,
conchiuse che il suo centro di azione doveva essere nel cuore del
Brasile, in fondo alie sue interminabili foreste, in quello Stato della
Confederazione che appunto dall'essere tutto una foresta prese il
nome di Matto Grosso.
Matto Grosso significa foresta grande; infatti folti boschi ne co-
prono in gran parte il suolo. Fra i 21 Stati Uniti del Brasile e per
vastitá il secondo: misura 1.477.000 chilometri quadrati di superficie,
é vasto cioé quanto cinque volte l'Italia; ma la sua popolazione civile
raggiunge si e no i 428.000 abitanti con grandi ricchezze naturali ed
esuberante fertilitá di suolo. Ha per capitale Cuyabá, posta sul
fiume omonimo. I selvaggi, appiattati nelle foreste e scorrazzanti lun-
go le rive dei fiumi, non si possono enumerare, ma devono toccare
gli 80.000. Di una ferocia primitiva, si mostravano riluttanti ad ac-
cogliere qualsiasi forma di civiltá. La loro lingua fundaméntale é il
guaraní/, suddiviso in mol ti dialetti. Bestie feroci, coccodrilli. ser-
penti e miriadi di insetti congiurano con il clima caldissimo e malsano
a rendere dura ivi la vita ai civili, massimamente agli Europei.
Mons. Lasagna scelse a suo quartiere genérale il territorio di Cuya-
bá, perché piü céntrale e piü vicino alie regioni abitate dai selvaggi.
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Capo XXI
Su C u y a b á egli aveva posto Focchio da lunga data. Nel 1883, ve-
ñuto da luí a Montevideo l'Arcivescovo di quella cittá Cario De
Amour con proposte concrete per la fondazione di Scuole profes-
sionali e per Fevangelizzazione degli Indi, la cosa gli ando talmente
a genio, che ne scrisse a Don Bosco in senso favorevole; ma Don Bosco,
a vendo allora da pensare al nuovo Vicariato apostólico della Patagón ia
e alia nuova Prefettura della Terra del Fuoco, non volle addossarsi
súbito un'altra impresa di simil fatta fl). Nel 1890 l'Arcivescovo, di
ritorno dalla visita ad limina, conferí con Don Rúa, che gli promise
di esaudirlo non appena fosse possibile trovare il personale. Monsi-
gnore insistette per lettera nel 1891, informando delle disposizioni
prese dal Governo per sussidiare Fopera. Di nuovo si rispóse che
bisognava aspettare. Finalmente l'Arcivescovo nel luglio del 1893 si
rivolse al Card. Rampolla, pregándolo di ottenere dal Santo Padre
una parola autorevole che facesse troncare gl'indugi. L'intervento
del Papa c'era giá stato nella recente elevazione di Don Lasagna alia
dignitá vescovile per lo scopo che sappiamo. Questi pertanto, ritornato
in America e pigliati gli opportuni accordi con il Governatore e con
l'Arcivescovo, attendeva solo gli aiuti promessigli da Don Rúa per
organizzare la spedizione. Quali dovessero essere questi aiuti, ce lo
dice un suo brano di lettera del 9 setiembre 1893 da Botucatü a
Don Rúa.
Anzilutto ci vorranno dei robusti e santi sacercloti, se dovran reggere a quei
climi, a quei cibi ed a quelle intemperie; se dovran trattare per mesi e per anni
con quelle creature abbrutite dall'ubbriachezza e dalle guerre sanguinose, ripu-
gnanti per la loro nuditá ecl ignoranza spaventosa. Con loro non c'é da sfoggiare
di eloquenza, sibbene di carita paziente ed eroica, faticando senza scoraggiamenti
per lunghi anni prima di raccogliere qualche frutto, Oltre a ció bisognerá lavo-
rare la térra, seminare, sarchiare ecc. se si vorrá a veré qualche alimento. Ed é
per questo che noi avremo immenso bisogno di buoni laici, che ci accompagnino e
ci sosten gano. Come si sa, i selvaggi sonó d'indole pigra ed infingarda assai, riot-
tosi al lavoro di qualsiasi genere. Ogni loro esercizio si riduce tutto alia corsa, alia
caccia ed alia guerra: cose tutte, nelle quali acquistano agilita e forza incredibile.
I servizi neccssari nei trasporti, nel raccogliere frutta, nel prepararla li prestano
le loro donne, che per essi sonó, piü che schiave, bestie da soma. Qui non vi sonó
(1) Verb. del Cap. Sup., 28 diccmbre 1883.
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// secondo Vescouo Salesiano e una nuova Missione
praterie, dove la Missione possa maníenere mandre di buoi e di pecore, affin di
provvedere carne e lana per i Missionari e i neofiti. Tutto il suolo é coperto di
foreste secolari, di alberi giganteschi. 11 solé é cosi cocente e le pioggie cosi co-
pióse, che a vista d'occhio crescono gli arbusti e le piante, riuscendo in pochi giorni
ad ingombrare affatto il terreno. Quindi per ottenere qualche frutto bisogna in-
cendiare prima le foreste, poseía cavare la térra per seminare, e poi sarchiare
ben spesso i seminati; che altrimenti in poco tempo ricrescerebbero fitte le boscaglie
a soffocare ogni sementé. Erbe fine per pascoli qui non nascono punto; bisogna
formare prati artificiali a forza di zappa, d'irrigazioni, concimi e cure d'ogni ge-
nere. Da ció si puó congetturare quanti sacrifici verrebbe a costare qualche vac-
oherella per il latte e qualche pécora per la lana. Onde si fa sempre piü evidente
che, per avviare queste genti al lavoro della térra, ci vorrá Topera dei buoni Coa-
diutori secolari, che possano stare sul lavoro con assiduitá e con vero amore, affin
di ammaestrare praticamente i selvaggi e procurare il vitto necessario alia Mis-
sione.
Gli aiuti tanto aspettati partirono da Torino il 30 novembre. I primi
cinque lasciarono Villa Colon per C u y a b á il 20 maggio 1894 dopo
un'intima e commovente cerimonia di addio nella cappella dell'Isti-
tuto. Don Turriccia, vicedirettore, scrivendo il 29 a Don Rúa. prono-
sticava che il ricordo di qnel giorno sarebbe risplenduto di vivissima
luce nella storia della Congregazione e che su quelle Missioni si sa-
rebbero poi forse dovute scrivere pagine di gloria per i Salesiani. Co-
noscendo bene i propositi, i preparativi e le qualitá personali di Mon-
signore, fu fací le e felice profeta. II Vescovo li aveva preceduti da
due settimane. Imbarcatisi sul fiume Paraná, lo raggiunsero all'As-
sunción, capitale del Paraguay. Egli era andato via prima, perché vo-
leva daré cola una Missione. Ebbe splendido ricevimento; il Presi-
dente stesso della Repubblica lo accompagnó in piü circostanze e prese
a stimarlo tanto, che strinse con lui vera amicizia. Imponente della
persona, affabile di modi e tutto sinceritá, si guadagnava gli animi
di chiunque lo avvicinasse.
II 6 giugno con i nuovi arrivati rimontó le onde del Rio Paraguay
alia volta di Cuyabá. II caldo soffocante rendeva ogni di piü penoso
il viaggio. Dopo tredici giorni passarono dal Rio Paraguay nel S. Lo-
renzo, sulle cui lontane rive stavano accampati quegli Indi Coroados,
a cui Monsignore intendeva mandare primamente i Missionari; dal
Rio S. Lorenzo tragittarono nel C u y a b á e su su fino alia capitale,
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Capo XXI
dove entrarono trionfalmente il 18 giugno. Da dieci anni Mons. La-
sagna sospirava quel momento.
Prima di andaré ai selvaggi era indispensabile fissarsi bene neí
centro dei civili e addestrarsi neU'uso della lingua nazionale. II Ve-
scovo diede súbito principio alForatorio festivo, che nella solennitá
di S. Pietro contava giá 170 giovanetti. I Salesiani ufficiavano u n a
chiesa di S. Gonzalo. Monsígnore dispensó largamente la parola di
Dio, ascoltatissimo da ogni qualitá di persone, compresi il Governa-
tore e il Vescovo, sebbene non avesse ancora intera la padronanza
del portoghese. Aperse poco dopo accanto alia chiesa un CoUegio con
laboratori e con una scuola di agricoltura pratica e di orticoltura.
Ebbe la grande soddisfazione di vedersi umversalmente assecondato.
Ció fatto, rivolse tutti i suoi pensieri agli Indi. Le tribu erano
molte. La sua attenzione si concentró, per cominciare, sulla colonia
Teresa Cristina, creata e amministrata dal Governo, composta di Bo-
roros Coroados (1) e distante solo sei ore di cavallo da Cuyabá. I Co-
roados, razza assai vendicativa, erano sempre alie prese con le tribu
vicine. Vivevano nomadi, detestavano il lavoro e imprevidenti com'e-
rano, non miglioravano mai la loro condizione. II Governo vi teñe va
una piccola guarnigione di soldati, ma non otteneva proprio nuil a.
Si convenne con le Autoritá, che, rimosso il regime militare, tutto ve-
nisse posto nelle mani dei Missionari.
Ardua si affacciava l'impresa per molte e gravi difficoltá che si
prevedevano doverla ostacolare, come diremo a suo tempo; il biso-
gno poi di mezzi materiali superava i limiti del credibile. Monsi-
gnore perció decise di fare appello a tutti gli uomini di cuore e aman ti
del paese. Scrisse dunque una lettera, diró cosi, pastorale, quale po-
teva aspettarsi da chi si qualificava Vescovo dei selvaggi. Espone va
in questi termini il suo titolo per presentarlo al pubblico: « Quello
che piü fortemente mi spinge a ricorrere a voi, ve lo diró senza am-
bagi, é la voce deirimmortale Pontefice Leone XIII, il quale mi feee
consacrare Vescovo in Roma, e mi colmó delle piü grandi e paterue
dimostrazioni di affetto per animarmi a lavorare con zelo ed effi-
(1) Cosi detíi perché sogliono farsi una specie di tonsura (coioa).
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II secondo Vescovo Salesiano e una nuova Missione
cacia sempre crescente aH'incivilimento delle numeróse orde di sel-
vaggi che vanno vagando per le vergini foreste deirimmenso terri-
torio Brasiliano. II grande Pontefice, clie presiede ai destini morali
e religiosi di tutti i popoli del mondo e che tutti gli uomini abbrac-
cia nell'immensa sua carita, vide con gioia infinita gli splendidi ri-
sultati ottenuti dai Salesiani durante questi ultimi anni nella Pa~
tagonia e nella Terra del Fuoco per la conversione e l'incivilimento
degli Indi Onas, e mandó me al Brasile, perché anche qui io mi
sforzassi a tutto potere per estendere a questi Indi i benefici in™
flussi della civiltá. » Descritte poi le condizioni miserrime dei Coroa-
dos, spiegava il programma che intendevano svolgere i Salesiani e
le Figlie di María Ausiliatrice. Infine conchiudeva:
Per amor di quel Dio che ci impone d'aver pietá del povero e dell'abban-
donato, per amor delFumanitá cotanto decaduta e degradata nella persona di
questi indigeni sfortunati, non vi incresca di proteggere i Missionari Salesiani,
che con ammirabile abnegazione si consacrano alia salvezza di quegli infelici.
Degnatevi farvi propagatori di quest'opera fra i vostri paren ti ed amici; colla
parola e coll'esempio fate si che molti si associno almeno con qualche ofíerta
ai meriti di questa santa Crociata. Gesú Cristo, che promise solennemente di non
lasciar senza guiderdone neppur un bicchier d'acqua dato ad un povero per
amor di Lui, di quante benedizioni non coimera quelle anime generóse che con-
corrono per condurre alia Fede e alia civiltá quegli Indi sventurati! I buoni Mis-
sionari e le intrepide Religiose che a giorni li raggiungeranno in quelle lontane
foreste, non cesseranno neppur un istante d'implorare le ricompense del Cielo
su di voi, sulle vostre famiglie, su tutti gl'interessi materiali e morali dei bene-
fattori di questa Missione. Ed io stesso, quando mi recheró in quei sperduti deserti
per visitare e confortare i miei Confratelli; quando cola mi recheró per battez-
zare e coní'ermare nella Fede di Gesü Cristo quei nostri cari neofiti, mi uniró
anch'io a loro tutti, pregando con le lacrime della riconoscenza, perché Iddio
ncompensi largamente tutti coloro che promuovono ed aiutano questa prima ed
importantissima Missione Salesiana dei Matto Grosso.
Dell'effetto prodotto da questa lettera Monsignore scriveva al-
cuni mesi dopo averia diramata (1): «La mia lettera circolare ebbe
accoglienze entusiastiche. II Presidente della Repubblica del Brasile
mi scrisse una magnifica lettera di congratulazione, ed in un'udienza
ebbe parole e promesse lusinghiere per noi. Essendo uomo di nessuna
(t) Lett. a Don Albera, Isola di Flores, 16 gennaio 1895.
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Capo XXI
credenza religiosa, tutti ne furono sbalorditi. É la Provvidenza che
guida ogni cosa. » Anche il Governo dello Stato del Matto Grosso
se ne interessó al punto di emanare il seguente decreto (1): « L'Eccmo
Sig. Presidente dello Stato, vista la convenienza di affidare la Colonia
Teresa Cristina, fondata sulle rive del S. Lorenzo, ai Missionari Sa-
lesiani, venuti a questo Stato, tra gli altri fini per catechizzare e in-
civilire gli Indi, risolve di nominare Direttore di detta Colonia il
Rev. D. Giovanni Bálzola e Vicedirettore D. Giuseppe Solari, am-
bidue degli stessi Missionari, i quali disimpegneranno le rispettive loro
cariche in conformitá delle Rególe della Congregazione a cui appar-
tengono e delle istruzioni date da questa Presidenza. »
Riguardo alie Figlie di Maria Ausiliatrice, i Superiori di Torino
temevano i pericoli che esse avrebbero corsi in mezzo ai selvaggi.
A Don Albera, che erasi reso interprete di questi timori, il Vescovo
diceva nella lettera citata: « Vedrá che le cose sonó al punto, che nel
Matto Grosso le Suore devono precederé i Salesiani e non seguirli,
e questo per vera necessitá. In quei climi caldi le donne non vanno
che in costume molto primitivo. Come vuole che i Missionari si met-
tano al contatto con loro? É questo l'ufficio delle Suore: i Missio-
nari faranno la parte loro con gli uomini e con i ragazzi. É una vera
Provvidenza per quelle Missioni, che noi possiamo avere l'appoggio
delle Suore, senza cui io non oserei arrischiare i miei confratelli. So
di altri che andarono e non tornarono piü, abbrutendosi essi stessi
nella poligamia. »
Chiamato da urgenti impegni a Montevideo, non poté fermarsi a
Cuyabá fino alia partenza dei Missionari. Aveva pero provvisto a
tutto. Si privó dell'ottimo suo segretario Don Bálzola per metterlo
alia testa della Missione, Questi, infiammato dello zelo infusogli da I
suo Vescovo, ardeva di consacrare tutto se stesso al grande apo-
stolato.
Partito da C u y a b á T i l luglio di quel 1894, Monsignore vi lasció
un gran desiderio di se. Alia sua partenza colpi i cittadini lo spet-
tacolo di 200 ragazzi dell'oratorio festivo che, poveri e ignoranti, av-
(1) Gazzeita uffíciule, num. 610 (9 aprile 1895).
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11 secondo Vescovo Salesiano e una nuova Missione
vezzi a girovagare per le strade, si affollavano intorno a lui augu-
randogli buon viaggio con segni evidenti di vero affetto. 11 Vescovo
e il Governatore lo abbracciarono piangendo. Tutte le persone piú
ragguardevoli e numerosa folla di popólo l'accompagnarono al porto.
Navigando giü per vari fiumi, i soli mezzi di comunicazione che esi-
stessero, lo attristava il pensiero di tribu sperdute in quelle vaste so-
litudini, né cessava di sognare e di chiedere a Dio per tanti infelici
Tora della redenzione. II 5 agosto era di ritorno al caro Collegio
Pió IX. « Oh! aveva scritto sei giorni prima a Don Rúa (1), sia be-
nedetto Iddio, che mi riconduce salvo in mezzo ai cari confratelli,
dopo a ver toccato con mano quanto siano profonde le piaghe di que-
ste popolazioni delPalto Paraguay e del Matto Grosso! »
II Signore gli mandó una dura prova, non facendogli piú trovare
al ritorno Don Cipriano, Direttore del Collegio di Las Piedras, so-
lito a governare in sua vece le Case dell'Uruguay durante le lun-
ghe sue peregrinazioni; la morte I'aveva rapito aH'improvviso il 14
maggio. Don Cario Cipriano, nativo di Front nella provincia di To-
rino, vestito chierico all'Oratorio nel 1870, ordinato prete nel 1875,
partí per l'America nel 1879 con la q u a r t a spedizione. Modello di
obbedienza per molti anni in vari uffici, convertí da Direttore la
sua Casa di Las Piedras, che era anche noviziato, in un giardino di
virtú. Monsignore lo disse " anima veramente bella e fervorosis-
sima, esemplare in ogni suo atto " e " uomo di molta esperienza e
prudenza " (2).
Appianate tutte le vertenze e compiuti i preparativi, Don Bál-
zola e i suoi poterono avviarsi alia Colonia Teresa Cristina solo il 20
maggio 1895. La si assoggettarono alie piú rudi fatiche, " renden-
dosi, scrive Don Aibera (3), selvaggi con i selvaggi per trarli a Gesú
Cristo ". Insegnavano, lavorando essi stessi, a fabbricar meglio le ca-
panne, a maneggiare gli strumenti agricoli, a coltivare la térra, ad
atterrare alberi. Ostico si presentó l'idioma; puré bisognava impa-
(1) Da bordo del Centauro sul fiume Paraguay, 31 luglio 1894. II Bolleüino pubblicó in sei pun-
tate un'interessante corrispondenza di Monsignore su quei viaggi (novembre, dicembre 1894; gennaio,
febbraio, marzo, aprile 1895).
(2) Lett. a Don Rúa, Assunzione, 19 maggio e da bordo del Centauro, 31 luglio 1894.
(3) Op. cit-, pag. 344.
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Capo XXI
rarlo a ogni cosió e in fretta. Don Solari compiló un dizionario di
circa 500 vocaboli, quasi tutto il tesoro lingüístico della tribu. Po-
tendo capire e farsi capire, i Missionari la facevano da governatori,
da delegati di polizia, da giudici di pace e soprattutto da ministri di
Dio. Scriveva Don Solari un mese dopo l'arrivo a Monsignore (1):
« Quando V. E. ci yerra a visitare e speriamo sia presto, si vedrá
certamente obbligata a mandarci altro personale.» Ma purtroppo
S. E. non doveva tornare piú né presto né mai!
Infaticabile sempre, come finí di assestare le cose nel Collegio
Pió e di visitare le altre Case dell'Uruguay, egli riparti per Rio de
Janeiro. Qui il Presidente della Repubblica lo encomió, come ab-
biamo visto, per quanto stava facendo a pro dei Coroados. Dal 20
agosto 1894 al 20 gennaio 1895 lo tenne occupato la visita degli Isti-
íuti del Brasile. Ritornato, prese a dettare esercizi spirituali ai Con-
fratelli, finché fu chiamato d'urgenza dal Presidente del Paraguay.
Si trattava di porre il suggello a un'opera buona, compiuta da Mon-
signore, la quale tornava di sommo vantaggio alia Chiesa para-
guaiana. Era quel Governo e la Santa Sede erano state interrotte !e
relazioni diplomatiche con la conseguenza che da gran tempo non si
poteva provvedere alia vedovanza della sede vescovile dell'Assun-
ción, rúnica per tutta la Repubblica. Monsignore, prima del suo ul-
timo viaggio in Italia, aveva eccitato il Presidente, suo amico, a rian-
nodare quelle relazioni, inducendolo a scrivere lettere di scusa e a
richiedere un Vescovo. A Roma poi, esponendo al Papa le tristi con-
dizioni religiose del paese, peggiorate per la prolungata mancanza
di un Pastore, vide che il Santo Padre ascoltava con interesse le sue
parole e riportó l'impressione che le lettere del Presidente avessero
ottenuto il bramato effetto. Invero poco dopo uscí la nomina del Ve-
scovo nella persona del giovane, dotto e virtuoso sacerdote Sinfo-
riano Bogarin. Orbene, giunte le Bolle pontificie, tutti desideravano
che la consacrazione fosse fatta da Mons. Lasagna; onde il Presi-
dente stesso lo invitó a compiere il solenne rito. Benché sentisse estremo
bisogno di riposo e fosse alquanto scosso nella salute, puré non
(1) Lett. 17 Iuglio 1895.
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// secondo Vescovo Salesiano e una nuova Missione
seppe rifiutarsi. Vi fu acclamatissimo dal popólo, molto onorato da
tutte le Autoritá, trattato con ogni distinzione dal Presidente.
Non lo seguiremo in altri viaggi per altri affari e altre occupa-
zioni: ma prima che sopraggiunga la omai prossima catástrofe, ci
fermeremo qualche poco a considerare la figura del nostro eroe. La
vita di Mons. Lasagna, dacché nel 1876 giunse in America, si puó
benissimo compendiare nelle tre parole di S. Paolo (1): Jmpendam
et superimpendar pro animabus. Per la salvezza delle anime diede
tutto il suo e in piú tutto se stesso. Sacrifico in primo luogo predi-
lette inclinazioni. Insegnante nel Liceo di Alassio, amava intensa-
mente gli studi letterari e le scienze fisiche, né avrebbe mai supposto
di dover rinunciare a si geniali occupazioni. Allorche Don Bosco
lo chiamó per mandarlo Missionario, provó una scossa, prese tempo
e lottó con se stesso; ma alia fine, cedendo al consiglio del suo Di-
rettore Don Cerruti, rispóse a Don Bosco che era pronto. Direttore
del Collegio Pió, sacrificó tutti i suoi comodi per dedicarsi intera-
mente a' suoi allievi, a' suoi confratelli, al ministero della parola,
all'apostolato della penna. Ispettore, sacrifico la sua salute in fatiche
di governo, in disagi di viaggi per visitare Case lontanissime e di
di fucile accesso, in frequenti e laboriose predicazioni. Vescovo, sa-
crificó la sua vita, abbreviandosi l'esistenza con l'esporsi per amore
de' suoi cari selvaggi a tutti i pericoli e travagli enumerati da S. Paolo
nella seconda lettera ai Cristiani di Corinto (XI, 26-7). Anzi l'esi-
stenza fu talora pronto a immolarla, come quando predicó una dif-
ficilissima Missione a Guaratinguetá nel Brasile (2). Allora il furore
di alcuni forsennati trascese a orrende minacce, sicché egli l'urti-
mo giorno, teniendo per il suo compagno Don Albanello, gl'impose
di allontanarsi e rimase solo sulla breccia, rassegnatissimo anche a
moriré vittima dei nemici di Gesú Cristo; pregó perlino questi di-
sgraziati a volgere contro di lui le armi, purché non facessero piú
male alie anime. Ma doveva venir puré il giorno, in cui gli sarebbe
bastato appena il tempo di fare realmente a Dio l'olocausto della
propria vita.
(1) II Cor., XII, 15.
(2) Era avvenuto quivi un gravissimo scandalo peí falto di un disgraziato sacerdote, per il quale
parteggiavano accaniti nemiei della Chiesa.
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Capo XXI
E in vent'anni quanto fece! Avvió a rápido sviluppo il magni-
fico Collegio Pió IX5 attirandovi gran numero di giovani e infon-
dendo nei loro cuori verace amore alia virtü e alia scienza; creo
poi ivi stesso il fiorente Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Assunse la parrocchia di Las Piedras, fondando cola un collegio
maschile e uno femminile. In condizioni difficili per disagi e pericoli
accettó un'altra parrocchia a Paysandú. Aperse oratori festivi non
solo, ma ne trasfuse lo spirito nella classe dirigente di Montevideo,
formando ivi una Societá intesa a sostenerli. reggerli e moltiplicarli.
Promosse, dovunque passava, Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli
e Societá Cattoliche. Collaboró potentemente in giornali cattolici.
Si slanció nel campo a catechizzare i gauchos. Rianimo a Ro-
sario di Santa Fe e altrove la fede languente in migíiaia di emi-
grati italiani. II suo Osservatorio meteorológico di Villa Colon resé
servizi incalcolabili alia navigazione e divenne centro di una rete
d'altri Osservatorii; le sue sollecitudini per l'agricoltura e la viti-
coltura conseguirono splendidi successi: nel che mirava a tenere alto
Fonore del clero, accusato anche da quelle parti di essere nemico
della scienza e del progresso. Tutto debbono a lui gli Istituti di
Nictheroy, di S. Paolo e di Lorena nel Brasile. Coltivó con assidue
cure le vocazioni ecclesiastiche e religiose, eresse belle chiese, altre
artísticamente restauró, lmpiantó tipografie, stampando anche e dif-
fondendo assai largamente le Letture Cattoliche in lingua porto-
ghese. Ne tante opere esaurirono la sua attivitá; contemporánea-
mente infatti l'animo suo era teso alie migíiaia e migíiaia di selvaggi,
ne si acquietó, finche non gli fu concesso di daré buon principio
alia loro evangelizzazione.
Ma importa conoscere donde attingesse le energie che mettevano
in moto la sua cosí incessante e molteplice attivitá. La sorgente
era di origine soprannaturale. Mons. Lasagna viveva una vita di
fede, alimentata quotidianamente dalla pietá. Questa fede gli fa-
ceva avere un sublime concetto del suo carattere sacerdotale, che
portava con la massima dignitá in qualsiasi occasione. Questa fede
gli faceva considerare la sua Missione come un mandato del Cielo,
significatogli prima dal suo legittimo Superiore e poi direttamente
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// secondo v escovo Salesiano e una nuova Missione
dal Capo della Chiesa. Questa fede gli faceva concepire il proprio
zelo non come volontá umana di azione, ma come impulso di carita
divina. Ora, se questa fede era fiamma ardente e illuminante, la
pietá era l'olio che la nutriva. Messa celebrata sempre e bene, an-
che a tardissima ora, dopo lunghi ed estenuanti viaggi; sempre il
primo alia meditazione con la comunitá, anche da Vescovo; sem-
pre un crocifisso nel libro nello studiare o presso il breviario nel
diré l'ufficio; mai rinviata la confessione settimanale, anche se, man-
cando il proprio confessore, fosse necessario presentarsi a un subal-
terno; tenerissima divozione alia Madonna; mortificato a mensa, mai
nulla fuori di pasto, e per un'ora ogni venerdi in onore della Pas-
sione di Gesü una cintura intessuta di finissime punte.
Vediamo ora le ultime irradiazioni di questo astro luminoso. Com-
piuto quanto abbiamo detto nella parte occidentale del Brasile, si
accinse a fare altrettanto nella parte oriéntale. Dal novembre del
1893 aveva stabilito di aprire u n a scuola di agricoltura a Cachoeira
do Campo e due educatorii femminili a Ouro Preto e a Ponte Nova
nello Stato di Minas Geraes; ma solo nel 1895 poté avere 17 per-
sone fra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice per m a n d a r e ad ef-
fetto il suo disegno. Nell'agosto li condusse tutti a S. Paolo, per-
ché attendessero alio studio del portoghese. Guidava le religiose Suor
Teresa Rinaldi. Visitatrice del Brasile, circondata da grande e me-
ritata stima. Fu detto che nel partiré da Villa Colon si leggesse
sul volto di Monsignore un insólito misterioso senso di mestizia
Stupirono tutti al sentiré che faceva testamento. A chi gli manifestó
la propria sorpresa, rispóse: — In viaggi cosi lunghi non si sa mai
che cosa possa capitare. — Impartendo ordini, mostrava speciale
tenerezza verso i Confratelli e gli alunni (1).
Al Liceo del Sacro Cuore di Gesü in S. Paolo arrivarono il 25
agosto. Egli spese il suo tempo nel predicare Missioni in piü luoghi,
fino al 5 novembre, nel qual giorno terminó l'ultima, quella tal
Missione di Guaratinguetá. Qui lo raggiunsero Salesiani e Suore
e tostó partirono. La comitiva passó la notte alia Barra do Piraky.
(1) I,a narrazione che segué, si fonda su lettere indirizzate da testúnoni oculari a Don Rúa nel
mese di novembre.
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Capo XXI
riprendendo il viaggio l'indomani sul direttissimo di Lafayette e
Ouro Preto. Alie ore Í5 giunsero a Juiz de Fóra, cittá notevole
dello Stato di Minas Geraes. Fatta ivi una breve fermata, il treno
ripiglió la corsa a tutta velocitá. Questa era la disposizione delle
carrozze: dietro la macchina veniva un vagone merci, poi il car-
rozzone speciale messo dal Governo a disposizione di Monsignore,
indi quel della posta, e appresso le carrozze di prima e seconda
classe.
Mossosi il treno, alcune Suore dicevano il rosario e le altre fa-
cevano Tora di guardia al Sacro Cuore; due sacerdoti, Don Zatti
e Don Albanello, recitavano il breviario; Monsignore puré stava
occupato con il suo segretario in pie pratiche: quand'ecco a un chi-
lometro da Juiz de Fóra apparire un treno misto proveniente da
Lafayette. I due macchinisti, appena scorto il pericolo, diedero il
controvapore; ma a si breve distanza non era possibile evitare lo
scontro. Tuttavia il macchinista del direttissimo ardi, con rischio
della vita, íermare di botto la sua macchina per prevenire maggiori
disgrazie. L'urto fu tremendo; in pochi secondi la tragedia era av-
venuta. Le due macchine sáltate in pezzi; il vagone della posta en-
trato violentemente per il contraccolpo nel vagone della comitiva;
spazzate via prima le Suore, poi il Vescovo e il segretario. ferman-
dosi a un metro di distanza da Don Albanello; ai piedi di questo
stramazzati un chierico e una suora coperti di sangue. Don Alba-
nello, invocata Maria Ausiliatrice, diede l'assoluzione alie vittime;
quindi egli e Don Zatti misero fuori dal finestrino la suora e il chie-
rico e balzarono giú anch'essi. Che terribile spettacolo! Sotto un
mucchio di rottami, il Vescovo sfracellato, e tutto ali'intorno silen-
zio di morte.
Accorsero migliaia di persone. Pioveva dirotto. Dopo due ore di
sforzi furono estratti i cadaveri di Monsignore, del segretario, di
quattro suore, compresa la Rinaldi, e di un fuochista. Gli altri respi-
ravano ancora, ma avevano tutti ferite piü o meno gravi. Una si-
gnora Lusso, madre di un Salesiano, addetta alie Case delle Suore,
campó ancora otto soli giorni. Una Suora, ferita alia testa, a un
piede e a un braccio, sopravvisse. Le altre Suore e il chierico ri-
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•// secondo Vescovo Salesiano e una nuoua Missione
poriarono ferite guaribili in quindici giorni. I Padri Redentoristi,
veri angelí di carita, diedero ricetto nella vicina loro Casa alie salme;
i feriti trovarono generosa ospitalitá presso due eccellenti famiglie.
Molti medici prodigarono loro tutte le cure possibili.
La costernazione invase Juiz de Fóra e poi tutto lo Stato di
Minas. Non vi fu persona di qualche autoritá o importanza che non
esprimesse telegráficamente o di presenza il proprio cordoglio. Vo-
larono sul posto da Lorena il Direttore Don Peretto e da Guaratin-
guetá tre Suore. I funerali, fatti a spese dello Stato, non pote vano
essere piü imponenti né piü religiosi. Tre cose confortarono lo stra-
ziante dolore di tutti i Salesiani: la preghiera per le vittime, il ri-
cordo delle loro virtú e la gara dei Cooperatori e delle Cooperatrici
nel rendere ai defunti tributo di lacrime e di suffragi.
Don Rúa ricevette il telegramma íérale a Foglizzo súbito dopo
terminata la vestizione di 140 ascritti. Lo lesse in silenzio, si fece
serio, alzó gli occhi al cielo, li chiuse e stette alcuni istanti pensie-
roso con le mani incrociate sul petto; quindi esclamó rivolto ai pre-
sentí : Dominus dedit, Dominus abstulit; sit nomen Domini bene-
dictum (1). Nel daré poi súbito partecipazione del fatto ai Salesiani,
scriveva: « L'ambascia che a voi medesimi, o figli carissimi, cagio-
nerá questo funesto annuncio, vi dará un'idea deU'immenso dolore
che provarono il vostro Rettor Maggiore e gli altri membri del Ca-
pitolo Superiore. E ció che ancor piü accresce la nostra angoscia si
é il non conoscere i particolari del disastro, poiché le lettere che
ce li faranno noti, non ci giungeranno che verso la fine di novembre.
Quanto ci dovranno parer lunghi questi giorni! » Tornando poi l'anno
dopo sull'argomento, rinnovata Tespressione del suo dolore, e rin-
graziati i Confratelli delle molte loro lettere di condoglianza, ripi-
gliava (2): « Ora e tempo di mostrarci uomini provetti e addestrati
alie varié vicende clella vita religiosa. Comunque volgano le nostre
sorti, siano prospere od avverse le cose nostre, a noi tocca sotto-
metterci in tutto alia divina volontá, inchinarci dinanzi agli imper-
io Cfr. testimonianza riferita in A. AMADEI, 11 Servo di Dio M. Rúa, vol. I, Torino, S. E. I.
Pag. 701
(2) Circ. 29 gcnnaio 1896.
28 í
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31.5 Page 305

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Capo XXI
scrutabili giudizi di Dio, rimaner fermi e ferventi nel suo santo
servizio, ripetendo le parole di Giobbe: Sit nomen Domini bene-
dictina. »
Intanto la Casa di Cuyabá e la Missione del Matto Grosso sta-
vano in buone mani. Don Malan, Direttore della prima, era sale-
siano di ottimo spirito e col tempo fu fatto Vescovo di una diócesi no-
vellamente creata nel Brasile; il capo della seconda, Don Bálzola, fu
" p e r lunghi anni l'anima di quella nobile i m p r e s a " (1). Per tutte
le opere di civiltá e di religione sviluppatesi cola in seguito spetta a
Mons. Lasagna il gran mérito di chi apre una via, segna un indirizzo
e trasfonde nei seguaci il suo spirito realizzatore. La sua tomba
a Juiz de Fóra, piú che un monumento, é un altare, al quale van no
a ispirarsi i valorosi Missionari chiamati a battere le orme del grande
apostólo.
(1) Prof. Emilio Malesani, in Enciclopedia Italiana, vol. XXII, voce " Matto Grosso ".
282
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31.6 Page 306

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CAPO XXII
II terzo Vescovo Salesiano e una terza Missione.
S. Giovanni Bosco diceva con una delle sue colorite espressioni,
che, quando aveva tre Salesiani, apriva due case. II suo Su cees-
sore sembrava non voler essere da meno; tuttavia, come anche al
tempo di Don Bosco, capitavano momenti, in cui s'imponeva la
necessitá di non fare il passo piú lungo della gamba. Appunto di questa
necessitá ragionavano i Superiori un giorno del marzo 1889, quando
Don Rúa per tutta risposta passó al segretario una iettera, accen-
nandogli di darne lettura. La Iettera veniva da Roma. La Sacra
Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari a mezzo del
suo Segretario Mons. Agliardi manifestava da parte della Santa
Sede il desiderio che i Salesiani accettassero nella Repubblica del-
l'Equatore il Vicariato Apostólico di Méndez e Gualaquiza, e chie-
deva se ci fosse personale ad hoc. II Capitolo non solo non addusse
nulla in contrario, ma osservó che sarebbesi potuto proporre per
la consacrazione episcopale Don Costamagna; si deliberó in tanto
di domandare spiegazioni a Roma e consiglio a Mons. Cagliero (1).
11 di stesso Don Rúa rispóse in questo senso alia Sacra Congre-
gazione.
Le spiegazioni si fecero aspettare; ma invece di esse i I 6 set-
iembre dell'anno dopo scriveva direttamente il Card. Rampolla, Se-
gretario di Stato, a Don Rúa dicendogli: « Sua Eccellenza il Signor
Flores, Presidente della Repubblica Equatoriana, mi ha diretto non
ha guari una Iettera, in cui implora dalla Santa Sede che la Mis-
il) Verb. del Cap. Sup., 26 marzo 18S9.
283
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31.7 Page 307

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Capo XX11
sione di Méndez e Gualaquiza sia affidata ai Sacerdoti della be-
nemérita Congregazione presieduta dalla P. V. Rev.ma. » Soggiunto
inoltre della richiesta per Cuenca e Riobamba, di cui abbiamo giá
parlato, Sua Eminenza, ricordando la risposta affermativa di Don
Rúa riguardo alia Missione, continuava: « Spero che in questo frat-
tempo non sia sorta alcuna circostanza, per la quale Ella sia co-
stretta a mutare consiglio in proposito.» Allora fu dato incarico
al Procuratore Don Cagliero di trattare a voce con il Cardinale
per esporre le difficoltá incontrate in quei paesi, specialmente dal
lato dei sussidi promessi e non dati (1).
La pratica ando tanto a rilento, che solo nel gennaio 1892 Don
Rúa, passando per Roma nel suo viaggio in Sicilia, ricevette dal
Card. Rampolla comunicazione órale, confermata poi circa sei mesi
dopo per iscritto (2), che la Santa Sede affidava definitivamente
detta Missione ai Salesiani.
Intercaliamo qui un po' di storia dell'antefatto. La gigantesca
muraglia delíe Ande, che divide geográficamente in due parti la
Repubblica delPEquatore, separa anche nettamente una parte ci-
vile da un'altra selvaggia. La prima si trova a ovest della Cordi-
gliera lungo il litorale dell'Oceano Pacifico e la seconda a est. co-
perta d'immense foreste e solcata da numerosi fiumi. Qui regnava
la barbarie; tribu molte, abbrutite e feroci resistevano accanita-
mente a qualunque sforzo si facesse per recar loro la civiltá del
Vangelo. II Governo Equatoriano, animato da nobili intendimenti,
si adoperava con buona volontá per agevolare Topera dei Missio-
nari; infatti il Presidente Flores aveva ottenuto che si stabilissero
cola i Gesuiti, i Domenicani e le Suore del Buon Pastore, onde
sorsero le Missioni del Ñapo, di Canelos e di Macas. Affine pero
di spingere innanzi piü efficacemente l'evangelizzazione, Pll ago-
sto del 1888 le due Camere deliberarono di chiedere alia Santa Sede
Terezione di quattro Vicariati Apostolici: uno nel Ñapo, un altro
in Macas e Canelos, un terzo a Méndez e Gualaquiza e un quarto
a Zamora. Per i due primi si proponeva che continuassero a restare
(1) Verb. del C. S., 10 setiembre 1890.
(2) Lett. 6 luglio 1892.
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II terzo Vescooo Sale si ano e una terza Missione
nelle mani dei Gesuiti e dei Domenicani; per i due ultimi si espri-
nieva il desiderio che quello di Méndez e Gualaquiza fosse dato
ai Salesiani di Don Bosco e quello di Zamora ai Padri France-
scani. Si domandava in fine che detti Vicariati fossero retti non da
semplici preti, ma da Vescovi titolari o, secondo l'espressione di
allora, in partibus, come pin atti a far progredire Topera dell'a-
postolato. II Decreto legislativo venne spedito a Leone XIII il 6 ot-
tobre 1888, accompagnato da una supplica del Presidente Flores,
il quale con sensi di pietá cristiana di amore per i poveri selvaggi
e di devozione verso la Santa Sede interponeva i suoi buoni uf-
fici, affinché avessero esaudimento i voti espressi dai rappresentanti
della nazione.
II Papa, com'era da aspettarsi, il 30 gennaio 1889, altamente en-
comiando l'atto del Governo, assicurava il Presidente della Repub-
blica, che la petizione formava l'oggetto delle sue maggiori solle-
citudini e che egli aveva giá dato l'incarico a persone prudenti di
esaminare la cosa e di cercare il miglior mezzo per condurla a
felice esito. Pratiche di tal natura esigono tempo, giacché in simili
negozi la Santa Sede suole andaré con pié di piombo; onde, per li-
mitarci a quello che riguarda noi, soltanto 1'8 febbraio 1893 la Se-
greteria della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straor-
dinari, dipendente dalla Segreteria di Stato, emetteva il decreto
di erezione del nuovo Vicariato Apostólico di Méndez e Guala-
quiza, facendolo pervenire a Don Rúa proprio all'apertura del
Giubileo Episcopale di Leone XIII. II documento ne delimitava i
confini nel modo seguente: a nord il fiume Apatenoma, a sud
lo Zamora, a est il Morona e il Marañon, a ovest le diócesi di
Cuenca e di Loja. La quale vicinanza di Cuenca presentava per
i Salesiani un grande vantaggio; poiché dal marzo del 1892 esi-
steva in quella cittá una loro Casa, la quale offriva un luogo di
preparazione, di ricovero e di riposo ai Missionari.
Per iniziare e avviare la difficile Missione parve a Don Rúa
che nessuno si prestasse meglio di Don Angelo Savio, Missionario
provetto e rotto alie fatiche delle peregrinazioni apostoliche in quei
paesi, come piú volte abbiamo avuto occasione di vedere nel vo-
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Capo XI11
lume precedente. É vero che con tanti strapazzi sofferti le forze
gli cominciavano a scemare, tanto che il 26 febbraio 1890, reduce
da un faticoso viaggio nel Perú, aveva scritto da Talca a Don
Rúa: « Son vecchio, e gli acciacchi si presentano per dirmi che non
posso piú d u r a r l a a lungo.» Tuttavia, venuto in Italia nel 1892
e ricevuto quell'incarico, obbedi, proponendosi di fare súbito una
prima visita alia regione dei Jivaros, come si chiamano i sel-
vaggi di Méndez e Gualaquiza. Giunto a Panamá con un piccolo
stuolo di Missionari destinati aH'Equatore, il giorno prima di ri-
prendere il mare per Guayaquil, il 4 gennaio 1893, scrisse all'O-
ratorio: « Cí raccomandiamo alie preghiere dei compagni e Supe-
riori e preghiamo Don Rúa a volerci benedire. » Ma quando la su a
lettera arrivó a Torino, Don Savio non era piú: aveva cessato di vi-
vere il 17 gennaio in una solitaria capanna, alie falde del Chim-
borazo.
Che era dunque avvenuto? Sbarcati a Guayaquil e montati a
cavallo, i Missionari si dirigevano a Riobamba passando per Gua-
randa, donde poi proseguiré per Quito. Sorpresi dalla notte a Gan-
guis, dovettero dormiré sul suolo, a un'altitudine dove l'aria e molto
fredda. Don Savio l'indomani non poté continuare il viaggio, ma
fatti partiré gli altri, rimase la con un coadiutore. Volarono tostó
da Riobamba un prete e un chierico; ma arrivarono solo in tempo
per assistere un morente. Don Calcagno, appena informato, ottenne
dal Presidente della Repubblica, ohe telegrafasse al Governatore di
Guaranda, affinché spedisse súbito un medico a Ganguis. I! me-
dico, accorso, lo trovó morto. Una polmonite fulminante l'aveva
spento. Nelle sue ultime ore l'infermo non aveva piú aperto bocea
se non per isfogare i suoi sentimenti di viva fede e di santa ras-
segnazione. La salma fu trasportata a Guaranda, dove a spese
dello Stato gli si celebrarono solenni funerali. Piú solenni si ri-
peterono a Quito coll'intervento del Presidente. La Missione di Mén-
dez e Gualaquiza principiava cosi fra amare lacrime.
Don Savio appartenne alia piccola, ma fortunata e gloriosa
schiera degli antesignani. Visse e lavoro vicino a Don Bosco dal
1850 al 1885, nel qual anno ando Missionario. Piú di vent'anni prima,
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31.10 Page 310

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// lerzo VescoDO Salesiano e una terza Missione
nel sogno della ruota, Don Bosco l'aveva scorto in lontanissime
regioni (1). Vera tempra di apostólo, corsé la Patagonia, il Brasile
e il Paraguay, affrontando pericoli e sostenendo fatiche indicibili,
divorato sempre dalla sete di salvare anime. Quello che fece
é infinitamente meno di quello che avrebbe voluto fare. In
a n a sua lettera del 16 luglio 1892 dal P a r a g u a y , alia vista dell'ab-
bandono in cui vivevano migliaia di selvaggi nel Gran Ciaco, escla-
mava (2): « Peccato essere nato troppo presto e non essere venuto
prima quaggiü! » Qui c'é tutto Don Savio Missionario. Sulla sessan-
tina, con un físico logoro dagli strapazzi, accettó dócilmente da
Don Rúa l'obbedienza di quell'ardua e ardita impresa, che Dio
gli permise di compiere solo col desiderio. Cadendo sul campo quasi
alie porte della nuova Missione, segnó a chi venne dopo il cam-
mino del Missionario, che é la via crucis del sacrificio per amor
di Dio e delle anime.
Dell'esplorazione fu incaricato allora Don Gioachino Spinelli.
sacerdote giovane e robusto, che, dimorato alcuni anni a Quito,
erasi da poco stabilito nella Casa di Cuenca. Gli si assegnó per
compagno il coadiutore Giacinto Pancheri, venuto poc'anzi da To-
rmo con Don Savio (3). Lasciarono Cuenca ai primi di ottobre del
1893. II viaggio duró 36 giorni, di cui 30 passati a Gualaquiza, né
si ando piú innanzi; Don Calcagno aveva proibito loro di oltre-
passare quei limiti per timore di disgrazie da parte dei selvaggi
Jívaros. Raggiunsero la meta cavalcando per sentieri, che rasen-
tavano paurosi abissi lungo le valíate della Cordigliera, nelle quali
scorrevano fiumi ricchi d'acqua e vorticosi.
Non si pensi che Gualaquiza sia una cittá o qualche cosa di
simile. É una localitá, un territorio o un'immensa vallata, in fondo
alia quale il fiume dello stesso nome si é scavato nella roccia lo
stretto álveo. Gli abitanti sonó coloni che dimorano in capanne
sparse qua e la, e famiglie di selvaggi in tambi disseminati per le fo-
(1) Mem. Biogr., vol. VI, pag. 923.
(2) Boíl. Sal, ottobre 1892.
(3) Aveva fatto studi d'ingegneria. É sua un'ampia relazione del viaggio, pubblicata nel Boíl. Sal.
di aprile e di iraggio del 1894 ed anche in opuscolo a parte (Torino, Tip. Sal., 1894).
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32.1 Page 311

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Capo XXII
reste. II paese é uno dei piú belli e incantevoli dell'oriente equa-
toriano. Si eleva a 780 metri sul li vello del mare. Ha clima sano e
gradevole, essendo la sua temperatura media di 22 gradi.
Esisteva a Gualaquiza u n a popolazione cristiana dal 1816, per
opera del P. Prieto, francescano del convento di Ocopa ne.lla Spa-
gna. Di tanto in tanto vi penetrarono sacerdoti secolari, inviati da
Cuenca o da Sigsig. 11 celebre Presidente Garcia Moreno vi aveva
mandato Missionari Gesuiti, che pero vi stettero poco, perché i sel-
vaggi non volevano sapere di qualsiasi giogo. I Jívaros sonó real-
mente terribili, benché a prima vista sembrino simpatici e intel-
ligenti. Astuti, egoisti, vendicativi, amanti dell'ozio e del piacere, fa-
natici della loro indipendenza, si credono superiori a tutti. Né gli
incas né gli Spagnoli riuscirono mai ad assoggettarli. Praticano il
culto dei morti e professano la credenza in una vita futura. Am-
mettono l'esistenza di due spiriti, uno buono e l'altro cattivo. Molto
possono su di loro gli stregoni.
A Gualaquiza i nostri trovarono alcuni di questi selvaggi, sulla
cui índole aveva influito un po' il contatto con i civili. Non pochi
parlucchiavano lo spagnolo, ma usando nei verbi sempre e solo la
forma del gerundio. Sparsasi la voce della venuta di Missionari con
bei regali, se ne avvicinarono da varié parti. I regali consistevano
in gingilli, che li facevano andaré in visibilio. Dopo questa pre-
messa Don Spinelli e il suo compagno presero a visitarli di capanna
in capanna, non mai a mani vuote, accolti generalmente con segni
di benevolenza.
Nel loro breve soggiorno si persuasero della necessitá di grandi
aiuti spirituali e materiali per condurre con frutto la Missione. In
primo luogo, vi era estremo bisogno dell'assistenza divina, essendo
straordinarie le difficoltá e gravissimi i pericoli. Poi ci voleva buon
personale che risiedesse sul posto, e danaro non poco per impian-
tare laboratori e scuole in cui istruire i' figli dei bianchi e dei
selvaggi. A questo disegno si diede esecuzione senza indugio. Don
Spinelli tornó a Gualaquiza per le feste natalizie; ma il 5 febbraio
1894 due sacerdoti, d u e coadiutori e tre operai provetti parti roño
da Quito con religiosa solennitá per andar a stabilire la Missione
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// terzo Vescovo Salesiano e una íerza Missione
di Gualaquiza. Capo della spedizione era Don Francesco Mattana.
A Cuenca presero altri tre operai specializzati. A Gualaquiza la
notizia della loro venuta li aveva preceduti, sicché passarono sotto
archi trionfali preparati con rami d'alberi da selvaggi non piú in-
teramente selvatici. Si diedero súbito a costruire casa e cappella,
godendo intanto delFospitalitá di un proprieiario, molto amico dei
Salesiani.
Qualche giorno dopo i Missionari furono testimoni di un'usanza,
che fece loro toccare con mano di qual barbara natura fosse la
razza dei Jívaros. Quei di Gualaquiza da una spedizione belli-
cosa avevano trascinato seco prigioniera un'india di Zamora, dai
parenti della quale erano stati offesi; uccisala quindi per vendetta,
facevano intorno alia sua testa un'orribile baldoria, che duró cin-
que giorni. La testa pero non é in simili casi lasciata nel suo stato
naturale, ma viene mummificata in modo strano. II Jívaro ucci-
sore, spiccatala dal busto, le taglia la pelle dal vértice alia cervice.
con ambo le mani la rovescia, togliendone il cranio, ed estrattone
ogni osso la mette nelFacqua bóllente mista di certe erbe per di-
struggere ogni principio di putrefazione. Dopo la colloca in forma
sopra una pietra rotonda arroventata, grossa come un arancio. II
calore ne contrae a poco a poco le fibre, riducendone il volume
alia piccolezza della pietra. Infine, toltala dalla forma, la riempie
di sabbia ardente e la cuce; la figura cosi ottenuta conserva in-
tatta la capigliatura e mantiene riconoscibili le fattezze della per-
sona. Dopo la festa di rito, FIndio si tiene cara come un gioiello
quella specie di mummia, conservándola infíssa a una lunga asta
nella sua capanna e contemplándola con venerazione, quasi genio
tutelare della famiglia.
Ho parlato di laboratori e scuole, di casa e cappella. Erano po-
veri capannoni, fatti con pali e canne e rivestiti di foglie Innal
zata si meschina dimora e aperti gli umili laboratori, tutti i figli
dei bianchi presero a frequentare le scuole professionali, attendendo
puré ai primi elementi del sapere; anche vari selvaggetti impara-
vano qualche cosa. Alia fine si fece una distribuzione di premi
ai migliori, accompagnata da una microscópica mostra dei lavori
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Capo XXII
eseguiti (1). Assestate che furono le cose, i Missionari si dedica-
rono all'assistenza spirituale dei coloni e iniziarono le esplorazioni
fra i selvaggi dei dintorni. Era una parrocchia di Missione, vasta
quanto una volta e mezzo il Piemonte.
Non trascorse l'anno, che sperimentarono purtroppo a loro spese
la innata cattiveria dei Jivari. Bisogna sapere che tempo addietro
a Gualaquiza stanziava un picchetto di soldati per tenerli in ri-
spetto, che non molestassero i coloni. Naturalmente gl'indomiti si-
gnori della foresta ne avrebbero fatto volentieri carne da ma-
cello, se non fosse stato delle carabine, che erano il loro spa-
vento. Allora abitava presso una cappelletta uno zelante P. Pozzi,
Missionario della Compagnia di Gesü, che i selvaggi sospetta-
vano essere d'intesa con gli armati per opprimere la loro liberta;
onde un bel giorno gl'incendiarono la casa e quanto in essa si
conteneva. Per questo e per altri motivi il Gesuita si allontanó
di la né piü si fece vedere. Venuti poi i Salesiani, sebbene non
vi fossero piü militari, tuttavia alcuni Indi entrarono in dubbio
che anch'essi avessero intenzione di attentare alia loro indipen-
denza; percio, coito il momento propizio, il 17 dicembre, mentre
in chiesa si cantavano le Profezie del Natale, appiccarono il fuoco
al laboratorio dei fabbri. Le fiamme investirono il tetto di mate-
ria combustibile e in men di dieci minuti invasero l'intera casa,
incenerendovi quanto vi stava dentro, come se fosse un gran muc-
chio di paglia. Per fortuna la cappella, essendo un po' distante,
rimase intatta. Ma il peggio si fu che viveri per due mesi, mo-
bilia per una cinquantina di ragazzi interni, una biblioteca dei
libri piü necessari, una discreta farmacia, i paramenti sacri, stru-
menti di meteorología e di astronomía, attrezzi per falegnami,
sarti, calzolai, il vino da Messa, quantitá di oggetti per gli Indi,
tutto, tutto si ridusse in cenere. I bianchi, temendo di essere ab-
bandonati, si diedero súbito d'attorno per costruire altre abita-
(1) Eccone l'elenco datone da Don Mattana {Boíl. Sal., aprile 1895). Scrittoio, sedie. attaccapanni,
tavole e pancho, per parte dei falegnami. Lavatoio, lance, compassi, ferramenta per parte dei fabbri.
Abiti interi, giubbe, giubbetti, calzoni, berretti, camicie, per parte dei sarti. Fazzoletti bianchi e copri-
altare confezionati dalle ragazze.
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32.4 Page 314

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// terzo Vescovo Salesiano e una terza Missione
zioni e portare alia Missione ogni bene di Dio. Ma l'accaduto,
non che sbigottire i Missionari, ne accrebbe il buon volere, per-
ché essi non vedevano nel fatto se non uno sforzo del demonio
contro chi veniva a contrastargli il dominio di un luogo, dove
aveva signoreggiato per tanti anni.
I Missionari pero sospiravano la venuta del Vicario Apostó-
lico, che sapevano non dover tardare, ma non sapevano chi fosse
il designato. D o n Rúa nelPagosto del 1894 aveva comunicato con-
íidenzialmente al suo Capitolo, che il Presidente Flores chiedeva
per il Vicariato di Méndez e Gualaquiza Don Giacomo Costa-
magna, Ispettore nella Repubblica Argentina (1). Don Costama-
gna si era fatto conoscere a Quito nel 1890, quando visitava le
Case salesiane sul versante del Pacifico. Parlandosi giá allora di
chiamare in quel Vicariato i figli di Don Bosco, vari Senatori
lo avevano pregato di andar a vedere quei luoghi; ma egli,
pur desiderando di compiacerli, non poté. Alia sua conferenza sa-
lesiana, la prima che si facesse nell'Equatore, eransi recati il
Presidente del Senato e parecchie Autoritá ecclesiastiche e ci-
vili. Era naturale quindi che si pensasse a lui per queU'alta
dignitá.
Espletate a Roma le formalitá che sogliono precederé le no-
mine dei Vescovi, Don Rúa comunicó sotto l'obbligo del segreto
la cosa al designato, con l'ordine di partiré al piü presto possi-
sibile per Torino. Don Costamagna ricevette la lettera il 24 no-
vembre e il 3 dicembre diede l'addio al suo tanto caro Collegio
di Almagro. Rimesso il governo interínale delFIspettoria a Don
Vespignani, conforme alie istruzioni avute. per evitare emozioni
a sé e disturbi agli altri, scomparve di nascosto. Fece poi le scuse
da Montevideo, spiegando come fosse stato chiamato da Don Rúa
a Torino. Nel suo diario personale furono trovati due sfoghi, che
ci rivelano l'uomo. II primo é del 24 novembre: « Oggi é arrivata
una fatalissima lettera di Don Rúa. Oh Dio! questa é vita passeg-
gera! Devo partiré e súbito! Che terribile obbedienza! il mese di
(1) Verb. del Cap. Sup., 28 agosto 1894.
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Capo XXII
Maria (1)! II personale stremato! Gli esercizi! T a n t a messe! Fiat
voluntas Dei. » L'altro suo sfogo é del 3 dicembre:
Si parte alia sordina per non aver coraggio di affrontare un mar di lacrime e
climostrazioni. Addio San Cario! Addio generosi e sacrificati Salesiani! Addio
Suore benedette, ragazze e ragazzi del mió cuore! Vi benedicano Gesú, Maria, San
Giuseppe e Don Bosco! Ah! non ho davvero forse mai sofí'erto tanto. Sonó dieci
giorni che soffro un martirio occulto. Ah! carissimi Salesiani e Suore, perdona-
temi tutti i cattivi esempi che vi ho dato, e prégate per l'anima mia che non sa
amar Dio e trova adesso tanto difficile lo staccarsi da questo pezzo di térra, il
mió caro Almagro! Deh tu, o padre mió Don Bosco, sovvieni ai tuoi figli d'Al-
magro, manda loro soccorsi di personale, ne han troppo bisogno! I debiti poi
sonó tremendi: senza un miracolo tuo non si puó andaré piü avanti. Soccorrili
presto, affinché i collegi siano sempre ripieni di ragazzi che abbiano il timor santo
di Dio, sicché quanti qni vengono, tutti si salvino con te, padre carissimo,
coi Salesiani e Suore e con me tuo cattrvo figlio, che adesso devo partiré col cuore
schiantato... Almagro, 3-12-1894. Sac. Giacomo Costamagna. Fiat voluntas Dei.
Poneva piede nell'Oratorio proprio nella notte di Natale. Nel
Concistoro segreto del 18 marzo 1895 Leone XIII lo preconizzó Ve-
scovo della sede titolare di Colonia neirArmenia. Fu consacrato
il 23 maggio nella chiesa della sua fanciullezza, in Maria Ausi-
liatrice, da Mons. Riccardi, Arcivescovo di Torino, con l'assistenza
dei Monsignori Leto e Bertagna. Oggi ab assuetü non fit passio:
ma allora un terzo Vescovo Salesiano suscitó nell'Oratorio e nei
Collegi grandi manifestazioni di gioia.
Giacomo Costamagna nacque a Caramagna di Piemonte il 23
marzo 1846. La svegliatezza dell'ingegno mosse la buona madre
a farlo studiare; ma, non permettendole la scarsitá dei mezzi di
sobbarcarsi a spese, lo condusse da Don Bosco, che nel 1858 lo an-
noveró tra i suoi figli dell'Oratorio. Durante il ginnasio imparó
dal Cagliero la música, per la quale sentiva una tendenza innata.
Dopo il ginnasio, obbedendo a un'intima voce del Signore, scelse di
star sempre con Don Bosco. Trascorsi i primi sei anni di sacerdozio,
fu dal Santo mandato Direttore spirituale alia Casa Madre delle Figlie
di Maria Ausiliatrice in Mornese, quando la Beata Mazzarello ve-
(1) Nel!'Argentina si fa in novcmbre. Dopo coniinciano le vacanze.
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32.6 Page 316

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// íerzo Vescovo Salesiano e una terza Missione
niva quivi maturando la sua santitá. Nel 1877 prese parte alia
terza spedizione missionaria. Della sua operositá neirArgentina
abbiamo detto nell'altro volume. Dio gli largi il dono della pa-
rola, che ebbe efficace specialmente nel predicare gli esercizi a
religiosi ed a religiose, e il dono del consiglio soprattutto per di-
rigere nello spirito comunitá di Suore. Introdusse a Buenos Aires
le Letíure Caítoliche in lingua spagnola. Durante il suo Ispetto-
rato ingrandi mirabilmente le Scuole Professionali di Almagro,
eresse chiese e fondo nella Repubblica Argentina dodici Case,
parte di Salesiani e parte di Suore- Fece lunghi viaggi come visi-
tatore dei Salesiani nella Patagonia, nell'Uruguay, nel Cile, nel
Perú, nell'Equatore, donde tornó attraverso la Bolivia per trat-
tare cola di una fondazione. Infervorato per le cose del culto di-
vino, zelava l'esatta osservanza delle prescrizioni liturgiche. Cul-
tore di música, non solo propugno dappertutto lo studio del canto
ecclesiastico e propagó Tuso dei divoti canti popolari, ma com-
pose per cliiesa, per teatrino, per trattenimenti accademici. La
nuova dignitá aperse un campo piú vasto al suo zelo. Se a volte,
anche da Vescovo, il carattere gli prendeva la mano, nessuno du-
bitó mai mínimamente delle sue sante intenzioni, tanto piú che
in tali casi non esitava a umiliarsi e a chiedere scusa. Don Bosco
gli aveva detto dodici anni prima che sarebbe stato Vescovo; ma
egli non ne fece mai parola ad anima viva prima della nomina.
Chi lo praticó da vicino e a lungo, pensa che solamente un tale
preannuncio abbia avuto forza di vincere la sua reale modestia,
inducendolo ad accettare la dignitá vescovile (1).
Mentre a Torino Mons. Costamagna nella chiesa e nella festa
di Maria Ausiliatrice faceva il suo primo pontificale, la Madonna
di Don Bosco prendeva possesso del suo Vicariato Apostólico.
Premetto che laggiú i Missionari si sforzavano con ogni mezzo
di sviluppare la vita cristiana fra i coloni e i pochi Indi bat-
tezzati; celebravano quindi con la maggior solennitá possibile le
feste e le funzioni liturgiche, comprese le cerimonie della set-
(1) D. ROBERTO TAVELL*. Vita di Mons. G. Costamagna (Trad. dallo spagnolo di G. GALLO)
Torino, S.E.I., 1929. Pag. 71.
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Capo XX11
timana santa. Anche i selvaggi non battezzati vi assistevano con
curiositá, sgranando gli occhi e, benché chiacchieroni per natura,
osservandovi perfetto silenzio. Ora nel 1895, fatto il mese mañano
piü o meno secondo il consueto e celebrata solennemente la no-
vena, ecco alia vigilia della festa spuntare una piccola banda mu-
sicale, ma di grossi strumenti, e far echeggiare suoni mai uditi in
quelle valli e foreste. L'aveva chiamata da Sigsig un benefattore
per nome Guglielmo Vega, il quale piü volte aveva sovvenuto i
Missionari. Fu un fragoroso richiamo per gli Indi. II 24 accorsero
coloni anche da punti lontani e Jivari dalle Jivarie dei dintorni.
Alia prima Messa, comunione genérale e quattro prime comu-
nioni; a quella cantata, intervento del Governatore con tutte le
Autoritá: poiché da poco tempo Gualaquiza era stata eretta a
provincia; dopo, gran processione con statua di Maria Ausilia-
trice, scortata da picchetti di soidati, che ogni cinquanta passi
sparavano il fucile. Infine il Governatore passó in rivista la
truppa al suono dell'inno nazionale; appresso Don Mattana e tutti
si radunarono intorno a lui per un atto di sommo rilievo. II
Governo nazionale aveva decretato che la capitale della nuova
provincia fosse costituita dalla popolazione, la quale dimorava
o sarebbe venuta a dimorare la dove risiedeva il centro della
Missione e che pigliasse il nome dal fiume Gualaquiza. Bisognava
allora daré alia cittá un celeste Protettore. Si stabili dunque che
Maria Ausiliatrice ne fosse la Patrona e che il 24 maggio fosse
festa ecclesiastica e civile. Della cosa si redasse lo strumento, a
cui i presentí apposero le loro firme. Ecco il testo del documento
tradotto dallo spagnolo.
Nella cittá di Maria Ausiliatrice di Gualaquiza, ai ventiquattro di maggio del
mille ottocento novanta chique, presieduti dal Governatore della Provincia Sig. An-
tonio Moscoso C., si radunarono i RR. Sacerdoti Salesiani D. Francesco Mattana,
Superiore della Missione e del Collegio, e D. Gioachino Spinelli, Párroco il primo
c Viceparroco il secondo della chiesa matrice di questa nuova cittá, unitamente al
consiglio dei Sigg. Giudici Nicola Guillen e Gioachino Bravo e l'infrascritto Se-
gretario, con lo scopo di deliberare sopra al titolare civile e religioso, sotto cui
clebba rimaner fondata questa cittá di recente erezione, e per unánime consen-
timentó risolvettero: — Che la nuova capitale Gualaquiza resti dedicata d'or in-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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II terzo Vescooo Salesiano e una terza Missione
nanzi politicamente e religiosamente al Patrocinio della Santissima Vergine cono-
sciuta ed onorata col titolo e sotto il nome di Maria Ausiliatrice dei Cristiani, la
cui festa si deve celebrare al 24 maggio di ciascun anno; e con tal fine la si di-
chiara festa civile provinciale in azione di grazie alia Madre di Dio, patrona di
questa cittá, ed in memoria della fondazione ufficiale di questa data; doversi per
eonseguenza portare a conoscenza del Supremo Governo per la sua approvazione
e pubblicazione con editto nel primo giorno festivo.
La fanciullesca curiositá dei Jivari aspettava con ansia di sa-
pere che cosa stessero a fare la certe file di globi appesi a fíli
di ferro, certe ruóte attaccate a pali e altre cose per loro piene
di mistero. Lo compresero a notte, quando videro l'illuminazione,
quanto trasalirono agli scoppi improvvisi e gagliardi, quando re-
starono abbagliati dai bengala e dai lanci di stelle e seguirono
con Focchio i razzi nell'aria e accompagnarono con lo sguardo
attonito i vortici delle girándole. Tutta quella fantasmagoría im-
presse nelle loro immaginazioni puerili un ricordo indelebile
della giornata, contribuendo a ispirar loro una straordinaria idea
dei Missionari e della Missione.
La Madonna prese possesso della Missione, ma non lo poté
prendere per sette anni Mons. Costamagna. Condotto seco in
America un centinaio di Missionari da ripartirsi in vari luoghi,
si sentí diré che per luí non c'era posto nella Repubblica Equa-
toriana. Una di quelle frequenti rivoluzioni, in cui i partiti po-
litici mettono sossopra le Repubbliche Sudamericane, aveva sol-
levato al potere un Governo anticlericale, il cui programma por-
tava il bando delle Congregazioni religiose. Dovremo paríame
piü innanzi.
Giunto dunque a Buenos Aires il 23 novembre, Mons. Costa-
magna fu ricevuto al porto da Mons. Cagliero, da Mons. Fagnano
e da Madre Daghero, Superiora Genérale delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, venuta a visitare le sue Suore nell'America. Quando
vide che tutte le porte dell'Equatore per allora gli stavano chiuse,
domando a Roma istruzioni sul da farsi. Gli fu risposto che, fin-
ché durasse il divieto, aveva facoltá di dimorare in un luogo di
sua scelta. Egli, avvezzo a una docilita di novizio verso i Supe-
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Capo XXII
riori, si rimise interamente alie loro decisioni, ed essi determi-
narono che risiedesse a Santiago del Cile, come Visitatore delle Case
Salesiane dalla parte del Pacifico. Cure di governo, brighe ammi-
nistrative, visite ai novizi, organizzazione degli studi, conferenze
morali e liturgiche, scuola di canto sacro, corrispondenza con le
Case dei Salesiani e delle Suore, viaggi lunghi e frequenti non
gli lasciavano un momento di riposo. Sua preoccupazione con-
tinua era di tener ín fiore dappertutto lo spirito genuino di Don
Bosco. I suoi scritti contengono tesori di quella dottrina schietta-
mente salesiana, che andava spargendo a voce nelle comunitá, in-
fiorata di ricordi personali su Don Bosco e l'Oratorio (1).
Nell'aprile del 1897 gli p a r v e scorgere un b a r l u m e di speranza,
che le barriere stessero per venire rimosse; ma fu illusione. Al-
lora chiese a Roma il permesso di prolungare la sua permanenza nel
Cile. II Procuratore Don Cagliero presentó a suo nome la domanda il
18 maggio, dando di lui alia Santa Sede le seguenti notizie:
« Mentre queste dolorose circostanze lo tengono lontano dalla sua
Missione, Mons. Costamagna non resta inattivo. Da una parte
tiene Falta direzione delle Case del Cile, Perú e Bolivia e, per
lettere, anche dell'Equatore; dall'altra é a intera disposizione de-
gli Ordinari di quelle Repubbliche, facendo la da vero apostólo
in tutti i suoi viaggi. Basti diré che nell'anno decorso cresimó nel
Perú e Bolivia piú di 40 mila persone, in luoghi dove gli Or-
dinari non avrebbero potuto arrivare.» La risposta non poteva
essere che affermativa. Cosi egli continuó nella descritta sua at-
tivitá fino al 1902; ne per questa lontananza del Pastore la Mis-
sione di Méndez e Gualaquiza fu abbandonata dai Salesiani, come
vedremo a suo luogo.
(1) Eccone l'elenco. io Conferencias para los Hijos de D. B. 2 voll Santiago 1898. — 2o Conf.
para las Hijas di M. A. Valparaíso 1897. — 3o Traduz. it. dei tre voll. Santiago 1899 e Valparaíso 1900.
— 4o Lettere confidenziali ai Direttori delle Case Salesiane. Santiago 1901. — 5o Brevi istruzioni alie
F. di M. A. Guayaquil 1903. — 6o Caridad fraterna. El Salvador 1907. — 7o Conferencias a los Religiosos
de vida actioa. S. Tecla 1907. — 8o Conf. a las Reí. de v. act. El Salvador 1907. — 9o Conf. spintualcs
para los Aspirantes. Sarria (Barcelona) 1908.
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CAPO XXIII
Nell'Inghilterra, nel Belgio e nella Francia dal 1891 al 1895.
(Londra, Liegi, Tournai, Montpellier, Nizas, Courcelles, Tolone)
É tempo che torniamo a vedere che cosa facevano i Salesiani nei
vari Stati d'Europa dopo la prima visita di Don Rúa nella sua qua-
litá di Rettor Maggiore. Dico dopo la prima visita, perché a quella
ne seguirono altre. ín veritá egli fu un grande viaggiatore al co-
spetto di Dio. Non saprei qual Superiore Genérale abbia fatto tanti
viaggi per il bene della sua Congregazione. Chi poi volesse descri-
vere come viaggino i Santi, avrebbe in Don Rúa un esemplare incom-
parabile. Viaggiava con i mezzi piú economici. Viaggiando trovava
sempre modo di occupare utilmente il tempo; non consta che siasi
obbligato anche lui con voto a non perderé mai un briciolo di tempo,
ma agiva come se cosi fosse. Nelle fermate non visiiava monumenti,
ma Cooperatori; nelle Case dimorava solo quel tanto che era neces-
sario e non un'ora di piú. Tornando all'Oratorio, portava seco i suoi
appunti ed altri ne aggiungeva, traendoli dalla sua fedele memo-
ria, il che tutto quindi gli veniva in taglio nella corrispondenza con
i Direttori e í Confratelli delle varié Case.
In Inghilterra non ineontriamo nuove fondazioni, ma progressi
rilevanti nell'unica di Londra a Battersea. Qui i Salesiani lavoravano
con visibili frutti spirituali. Su 20.000 abitanti che popolavano la
parrocchia, vi erano duemila e piú cattolici. Lo spirito di Don Bosco
attraverso lo zelo dei suoi figli operava efficacemente su cattolici e
non cattolici. Dacché tenevano essi il governo parrocchiale, la vita
cristiana vi era di niolto progredita; anzi avveniva di frequente che
intere famiglie abbracciassero la vera fede, conducendo poi una vita
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Capo XXJU
edificante. L'acquisto di uno stabile adiacente alia chiesa aveva non
solo fornito alia comunitá un'abitazione piü decente, ma anche reso
possibile la convivenza di giovani aspiranti al sacerdozio. Sulle spalle
pero del párroco gravavano forti debiti, contratti specialmente con
l'erezione di nuove scuole e per il loro mantenimento. Quella delle
scuole é questione vitale a Londra. Affinché genitori cattolici non
siano da bellezza di locali e da migliori comoditá tentati di mandare
i figli alie scuole protestanti, i parroci devono sottostare a gravis-
sime spese per sostenere scuole proprie. Alie scuole parrocchiali di
Battersea a n d a v a n o 550 fra alunni e alunne, di cui 140 appartene-
vano a famiglie protestanti. II párroco Don Macey non giudicava
opportuno di fare, come gli altri, collette domenicali in chiesa per le
scuole; doveva anzi soccorrere spesso indigenti che le frequentavano,
essendo i suoi parrocchiani quasi tutti poverissimi. Eppure oltre a
tutto ció urgeva anche sostituire alia baracca che faceva da chiesa.
una casa di Dio solida, decorosa e ampia, né stracalda d'estate e
freddissima d'inverno; tanto piü che il popoloso sobborgo era troppo
ben fornito di templi, cappelle e sale per sétte d'ogni colore.
Don Rúa, persuaso egli puré di tale necessitá, non solo venne in
aiuto al párroco, ma fece sua l'iniziativa, cosi scrivendone ai Coope-
ratori nella lettera del gennaio 1892: «La cappella di legno e ferro
che serviva fin qui di chiesa parrocchiale, é divenuta insufficiente
per il numero sempre maggiore di fedeli. Di piü, le Autoritá di
quella Capitale non permettono piü che si funzioni in simile chie-
suola, ma pretendono che se ne costruisca una in muratura. Vano é
sperare notevoli soccorsi la dove le opere cattoliche sonó tutte one-
rate di debiti, e dove puré, in mezzo ai protestanti, non é a diré quanto
sia necessaria Topera nostra; epperció io non ho altra speranza che
nella Divina Provvidenza e in voi, benemeriti Cooperatori e pie
Cooperatrici. »
Dopo questo appello autorizzó senz'altro l'inizio dei lavori; ne
le speranze di Don Puia furono deluse. Trovata un'area adatta e
scavate le fondamenta, il 3 agosto venne collocata con tutta solen-
nitá la prima pietra di una bella e grande chiesa da dedicarsi al
Sacro Cuore di Gesü. La funzione attrasse per curiositá anche pro-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Nell'Inghilterra, nel Belgio e nella Francia dal 1891 al 1895
testanti, non avvezzi al maestoso spettacolo dei riti romani. Com-
piuta la cerimonia, il sacerdote Hampton Wick, ottimo cooperatore,
la illustró prendendo le mosse dal seguente testo biblico (1): Que-
sti sonó coloro che fauno i vasi di Ierra e che abiíano nelle case del
re, lavorando per lui. Applico le parole scritturali ai sacerdoti, operai
evangelici, che lavorano, unitamente al loro Re Gesü Cristo e al suo
Vicario, a plasmare i vasi destinati a ornare la Chiesa Cattolica qui
in térra e per essa la Gerusalemme celeste. Sceso poi dal genérale al
particolare, riferi le stesse parole a Don Bosco e a' suoi figli, esortando
tutti ad aiutare Topera da essi incominciata (2). II Bollettino nel nu-
mero di setiembre pubblicó il disegno della chiesa e in quello di ot-
tobre la lista delle principali spese necessarie.
Le offerte pervenute da molte parti permisero di spingere innanzi
COSÍ álacremente i lavori. che il 14 ottobre 1893 tutto l'essenziale era
pronto per la consacrazione. Pare va un sogno! La chiesa, lunga 42
metri su 22 di larghezza, a tre navate, era in stile románico di tran-
sizione, con il bel campanile elevantesi sulla fronte e dominante il
quartiere. Giornali cattolici e protestanti ne dissero bene. Don Rúa
volle recarvisi, accompagnato da Mons. Cagliero. II Vescovo Missiona-
rio fece la consacrazione, assistito da Don Albera, da Don Barberis. da
Don Bologna e da altri. II Rettor Maggiore vi celebró súbito dopo per
la prima volta la santa Messa dinanzi a fedeli accorsi da ogni parte
di Londra. Due sentimenti, come appare da una sua lettera scritta
in quel giorno stesso (3), lo accompagnarono durante la celebrazione:
gioia riconoscente che la Maestá di Dio discendesse a prendere pos-
sesso del nuovo tempio in mezzo a un quartiere quasi tutto prote-
stante, e viva speranza che il Cuore di Gesü volesse trarre a se
molte migliaia di anime, anzi ricondurre presto al suo ovile tutta
l'Inghilterra. L'accorrere dei Londinesi continuó tutto il giorno e du-
rante 1'ottavario. Molti sacerdoti secolari e regolari andarono a con-
gratularsi con Don Rúa e col Direttore dell'opera generosamente
intrapresa e felicemente compiuta. II Vescovo Butt pontificó la do-
(1) I Paral., IV, 23: Isli sunt figuli habitantes apud regem in operibus eius.
(2) Lctt. di Don Bonavia a Don Rúa, Londra, 7 agosto 1892.
(3) Lctt. a Don Costamagna, Londra, 15 ottobre 1893.
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Capo XXIII
menica 15. Al mattino il predicatore, Rev. Flecher, protestante
convertito, batté sul concetto che Flnghilterra era diventata come
l'India inglese, cioé térra di Missione, e che quindi Topera esplica-
tavi dai sacerdoti somigliava a quella dei Missionari mandati a por-
tare il Vangelo nella colonia imperiale; perció lo spirito che aveva
mosso Don Bosco a inviare i suoi figli nella Patagonia e nella Terra
del Fuoco, essere il medesimo che gli aveva suggerito d'inviarli a
Battersea. La sera il Rev. Bourne, allora Rettore del seminario e
poi Arcivescovo di Westminster e Cardinale, stato giá per qualche
tempo da chierico alia scuola di Don Bosco, tenne la conferenza ai
Cooperatori. Chiudendosi infine l'ottavario, il Rev. Whreat, párroco
alia vicina Madonna del Carmine, ragionó dell'amore e dei benefici
del Sacro Cuore di Gesü, specialmente verso quella Missione. Furono
otto giorni ricchi di grazie, nei quali i protestanti mostrarono di gu-
stare le bellezze del culto cattolico. Intanto la generositá dei ricchi
e Fobolo dei poveri non cessarono di contribuiré anche da lontano
a far si che la chiesa risplendesse per decorazioni, avesse un corredo
di bei paramenti sacri, e fosse provvista di un grandioso órgano.
Nel ritornare da Londra Don Rúa attraversó il Belgio, do ve, vi-
sitati Cooperatori a Namur e a Bruxelles, si fermó men di due giorni
nella Casa di Liegi; ma partendo promise che sarebbe venuto di
nuovo Fanno dopo. Quei Salesiani stavano innalzando a Maria Au-
siliatrtce presso Flstituto una sontuosa chiesa, che doveva serviré
anche per il pubblico; orbene si prevedeva che entro il 1894 Fe-
dificio, almeno nelle sue parti piü importanti. sarebbesi compiuto:
ecco la buona occasione per il promesso ritorno di Don Rúa. Giunse
la infatti il 13 luglio. Ci sará ancora nell'ospizio S. Giovanni Berch-
mans chi abbia serbato memoria di un episodio? Don Rúa, posto
piede nella cappellina privata dei Salesiani, vide gFinginocchiatoi
guerniti di cuscini abbastanza ordinari. Ne chiese il perché. Udito
che inginocchiatoi e cuscini erano dono del párroco lócale, non mosse
osservazione; ma dopo disse di togliere i cuscini, affinché nessuno
prendesse Fabitudine di usarli, cosa non conforme a povertá. Assi-
stette il 16 alia consacrazione fatta da Mons. Doutreloux e al pon-
tificale del Nunzio Apostólico Francica-Nava. 11 di appresso, chia-
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ftell'lnghilterra, nel Belgio e nella Francia dal 1891 al 1895
mati a raccolta i Cooperatori e le Cooperatrici di Liegi, colse I'oc-
casione per esprimere con semplici e cordiali parole la sua viva
riconosceuza al Veseovo, al clero e a tutti i benefattori. I festeg-
giamenti continuarono dopo la sua partenza, producendo nei cuori,
dicono le memorie contemporanee, un aumento di pietá, di fede
e di attiva e generosa carita.
Nel dicembre del 1895 u n a seconda Casa salesiana veniva ad
aggiungersi nel Belgio: la Casa di Tournai. La storia di questa fon-
dazione, se fosse opportuno raccontarla, darebbe motivo a malin-
coniche riflessioni sulla sorte che puó toccare a opere di carita non
compiute in vita, ma lasciate in balia d'altri dopo morte. É vero
che ci sonó i testamenti; ma chi non sa che troppe volte sui te-
stamenti si fa a tira tira, finché le migliori intenzioni dei testa-
tori rimangono piú o meno frústrate? Nel caso nostro al vedere
un monte di corrispondenza durata cinque anni e conchiusa con
un risultato non interamente conforme alie ultime volontá di chi
a ve va avuto il diritto di disporre a suo talento della propria roba,
si comprende come anche sotto questo aspetto valga piú una can-
dela accesa in vita che non quattro dietro la bara. Qui l'importante
per noi é sapere che un ricco signore lasció nel 1890 un capitale
per aprire a Tournai un orfanotrofio maschile sotto il ti tolo di
S. Cario e che l'orfanotrofío venne aperto su! finiré del 1895. All'a-
pertura aveva cinque interni, che tre anni dopo erano saliti a 80
Ira artigiani e studenti, numero piú tardi triplicato. Gli studenti
formavano due sezioni: alunni di classi elementan e alunni di gin-
nasio. Questi ultimi, secondo le disposizioni del testatore, sonó in
parte giovani, i quali, aspirando al sacerdozio ma essendo privi di
mezzi, non potrebbero giungervi, se la carita non li prendesse sulle
sue braccia. Gli artigiani, per essere accettati, debbono essere or-
fani e poveri. Primo Direttore fu Don Albino Ronchad.
L'Opera Salesiana si dilatava in Francia, estendendosi anche
alia sua piú vicina colonia d'oltremare. Sul suolo francese ci ri-
chiama l'attenzione la fondazione di Montpellier. L'idea di far ve-
nire- i Salesiani, appena conosciuta, desto grande entusiasmo. So-
pravviveva il ricordo del passaggio di Don Bosco nel maggio del
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Capo XXIU
1886, quando al suo arrivo commoía est universa civüas (1). Vi fio-
riva la Pia Unione dei Cooperatori. Una pietosa «¡Lrcostanza fece
pensare ai figli di Don Bosco. La carita di un buon sacerdote aveva
raccolto un certo numero di orfani, di cui il pió benefattore per mo-
tivi di salute non poteva piü occuparsi. Abbandonarli non voleva:
parve ottimo partito metterli nelle mani dei Salesiani. Si diede al-
lora il caso che un signore cercasse di venderé a buone condizioni
una sua villa, circondata da vasti e ameni giardini. II proprietario,
sebbene protestante, preferiva cederla anche a minor prezzo per
un'opera cattolica. Perché non offrirla al Vescovo per i Salesiani?
Era Vescovo il Mons. De Cabriéres, che incontrammo a Marsiglia
nelle feste giubilari, celébrate ivi nel 1892. II Vescovo vi s'infervoro
talmente, che non ismise d'insistere finché non ricevette da Torino
una parola rassicurante. Ma dove trovare la somma necessaria per
l'acquisto e per i lavori di adattamento? Monsignore riteneva che
una pubblica sottoscrizione, in una cittá ricca come Montpellier,
sarebbe bastata alio scopo. Insofferente d'indugi, nell'incontro con
Don Albera a Marsiglia, accennando in pubblico alie sue speranze,
aveva detto che la casa di Montpellier era giá stata troppo sulle nu-
vole e che bisognava ormai farla scendere a térra. E a térra scese
nel marzo del 1893. Giunsero allora i primi Salesiani col Direttore
Don Paolo Babled, che, rilevati quegli orfani, andarono ad abitare
nella villa non ancora pagata. A fine di raccogliere il denaro occor-
rente fu aperta la sottoscrizione, in capo alia quale figurava il Ve-
scovo per mille franchi. Ma non si tardó a capire, che la spesa totale
avrebbe imposto alia carita sacrifici troppo gravi; e poi, a dir vero,
i Salesiani si sentivano a disagio in una dimora cosi sontuosa. Si
diede giusto il caso che una generosa Cooperatrice donasse loro un suo
terreno, situato in una localitá detta Route du Pont Juvénal.
Coita al voló quell'occasione, fu deliberato che le offerte della sot-
toscrizione s'impiegassero a fabbricare cola un orfanotrofio. La cosa
incontró il favore genérale, sicché il 2 febbraio del 1894 Monsignore
collocó la prima pietra, circondato da un'eletta di cittadini. Ottima
(1) MATTII., XXI, 10
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nell'Inghüterra, nel Belgio e nella Francia dal 1891 al 1895
impressione fecero i giovani della schola cantorum e della banda
musicale, venuti dall'oratorio S. Leone di Marsiglia. Arrivarono offerte
in copia maggiore di prima. Un anno dopo il corpo céntrale dell'edi-
ficio poté giá albergare ottanta orfani. Nel 1896 gli sorse accanto
Tala sinistra e nel 1900 la destra, ma nel frattempo era puré sorta
la presso una grande chiesa, dedicata al Santo di Padova. Studi
eíassici, scuola di orticoltura, quattro laboratori e oratorio festivo,
ecco le attivitá che ben tostó vi si presero a svolgere. Non si creda
che quella scuola di orticoltura fosse una lustra o qualche cosa di
simile: il 26 aprile 1896 la Societá degli agricoltori di Francia ri-
lasció ai nostri orticoltorelli un diploma d'onore con un sussidio di
300 franchi.
Una vera colonia agrícola invece o meglio una scuola specia-
lizzata di agricoltura stava per aver principio poco lungi da Mont-
pellier. La si do ve va a una ricca vedo va, che vagheggiava di fon-
dare ne' suoi poderi di Nizas un orfanotrofio agricolo, dove giova-
netti orfani e poveri trovassero con la religione anche il mezzo di
guadagnarsi il pane; e poiché il circondario di Beziers, a cui la lo-
calitá appartiene, é paese eminentemente vinicolo, essa mirava a
creare una scuola di viticoltori. Voleva con questo intendimento
cederé ai Salesiani i suoi vigneti, ma a patto che la nuova Casa fosse
come succursale all'altra di Montpellier. La benefattrice, appena
termínate le brevi trattative, dispose che s'intraprendessero i lavori.
Era il novembre del 1893 e Mons. Cagliero faceva un giro da quelle
parti in cerca di aiuti per le sue Missioni; le recó quindi grande
consolazione il sapere che sarebbe andato il Yescovo Missionario a
benedire la prima pietra. Monsignore vi trovó un ricevimento, che
non si sarebbe aspettato. Alia prossima stazione ferroviaria una
folla di tremila persone lo attendeva per accompagnarlo fra alte
acclamazioni e col suono della banda fino alia casa della signora e
poi al luogo della cerimonia. Fu una vera dimostrazione popolare.
Sul posto vi erano i Salesiani di Montpellier con i loro 46 primi
alunni. La funzione non sarebbe potuta riuscire piü compita né
piü edificante. Coloro poi che dove itero eseguire gli ordini della
signora, spinsero avanti i lavori con tanta buona volontá, che 1'8
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33.7 Page 327

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Capo XX11I
dicembre del 1894 si procedette giá all'maugurazione dell'orfano-
trofio. A prenderne possesso sciamarono da Montpellier dodici di
quegli orfanelli con due Salesiani. L'opera si completó in seguito
con due laboratori per giovanetti non atti ai lavori campestri e con
una sezione di studenti secondari, alio scopo soprattutto di colti-
vare vocazioni ecclesiastiche. A poco a poco i vini di S. Giovanni,
come si chiamava la localitá, salirono in rinomanza; ma non meno
i frutti dell'educazione morale e professionale che vi s'impartiva
ai giovani ricoverati.
Di una fondazione del 1893 si potrebbe anche tacere, perche
duró cinque anni appena; ma giova farne cenno per una lezione di
esperienza che ne risultó. Don Rúa nella lettera del 1894 ai Coo-
peratori ne aveva dato l'annuncio in questa forma insólitamente so-
lenne: «L'ultima volta che ebbi la consolazione di prostrarmi ai
piedi di S. S. Leone XIII, cioé nell'occorrenza delle feste peí suo
Giubileo Episcopale mi feci ardito di chiedergli una speciale bene-
dizione su d'una opera permanente che si stava preparando a Cour-
celles, non lungi da Parigi. Quella Casa é stata terminata e fornita
di tutto il necessario dalla carita d'un insigne Cooperatore sale-
siano. Giá fin dai primi di ottobre si apersero le scuole, ed i nostri
confratelli cola stabiliti nutrono speranza di far in quel paese tutto
il bene. per cui vi furono chiamati ». Era un orfanotrofio con classi
elementan e scuola di orticoltura; vi si faceva puré l'oratorio festivo.
Ma nel 1898 il benefattore, per daré ascolto alia moglie, non si
mostrava piú contento dei Salesiani. «Sonó nostri insigni bene-
fattori, fu detto in Capitolo, ma loro non piacciono i nostri sistemi;
sonó di difficile contentatura». Prevedendosi che in agosto il si-
gnore li avrebbe licenziati, Don Rúa gli fece scrivere pregándolo di
permettere che i nostri si ritirassero anziché infligger loro Tonta di
un congedo. Si sentiva tanto il bisogno di personale in altre Case,
che torna va assai opportuno avere disponibile tutto quello di Cour-
celles. II signore accettó le dimissioni. Congedo puré le Figlie di
Maria Ausiliatrice per ragioni, diceva, di convenienza, pur essendo
di esse contento. La lezione del fatto consistette nel toccare con
mano quanto importi « non accettare Case, dove il benefattore abbia
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NeU'Inghilterra, nel Belgio e nella Francia dal 1891 al 1895
piena e n t r a t u r a e dominio si da considerarci come servi ». (1) A
Courcelles perfino l'ammissione dei giovani avevano riservata a sé
i signori fondatori.
Per compiacere al Vescovo di Tolone, nel novembre del 1893
venne aperto un oratorio festivo nella patria di quei grandi amici
e benefattori di Don Bosco, che furono i Conti CoUe. Nella cittá era
vivo e caro il ricordo del Santo. Da principio vi si recavano ogni
domenica due Salesiani dalla Navarre, che trovavano valido aiuto
in parecchi ex-allievi della stessa Casa. Nel 1895 vi si pose stabile
dimora, aggiungendo all'oratorio scuole elementan esterne, frequen-
tate súbito da 62 allievi, e un internato per Figli di Maria. Le scuole
servirono ad aumentare notevolmente il numero degli oratoriani:
l'oratorio rimase sempre Topera principale, facendo sentiré i suoi
benefici effetti sopra una gran parte della gioventú cittadina. Quella
casa fu perduta per la legge Combes contro le Congregazioni religiose.
Piú tardi se ne aperse un'altra in diverso punto della cittá.
(1) Verb. del Cap. Sup., 4 luglio, lo e 25 agosto 1898.
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CAPO XXIV
I Salesiani in África.
Dal 1891 al 1895 i Salesiani si stabilirono nell'África setten-
trionale franéese, prima in Algeria e poi in Tunisia. La notizia
che si dava la precedenza all'Algeria, causó rammarico al Car-
dinal Lavigerie, Arcivescovo di Cartagine e Primate dell'África;
egli si pensava di avere lui quel diritto per la Tunisia, basandosi
specialmente sopra una promessa fattagli da Don Bosco a Parigi
nel 1883 (1). Allora in u n a pubblica chiesa dinanzi a numeroso
uditorio Sua Eminenza aveva calorosamente invitato il Santo a
mandargli i suoi figli in África e il Santo gli aveva fra l'altro
risposto: « lo sonó nelle vostre mani, Eminenza, per compiere in
África tutto quello che la Provvidenza divina domanderá da me-
Si, Eminenza, siate pur persuaso che, se noi possiamo fare qualche
cosa in África, tutta la famiglia salesiana é con me a disposizione
dell'Eminenza Vostra. Manderó cola i miei figli.» A Don Rúa
dunque, che per delicatezza l'aveva informato della fondazione
di Oran, il Cardinale rispóse il 2 luglio 1891: «Sonó rimasto, ve
lo confesso, molto sorpreso al vedere come due santi (veramente
non ancora canonizzati) quali Don Bosco e Don Rúa, abbiano
potuto mancare verso di me a parole pubblicamente date per
la fondazione di una loro Casa in Tunisia e che Vostra Pater-
nitá mi annunci oggi con tanta calma e serenitá la fondazione
di una tal Casa nella diócesi di Oran. lo posso ben perdonare i
torti, e debbo farlo, perché Nostro Signore ce ne ha lasciato l'e-
(1) Mem. Bwgr., vol. XVI, pp 252-4.
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I Salesiani in África
sempio e il precetto; ma il ringraziarne o felicitarne gli autori
é cosa che supera la mia virtú, certo troppo debole. » Don Rúa
gli replicó in termini di somma cortesia, facendogli osservare che
Don Bosco non aveva fissato una data precisa per un'opera sa-
lesiana nella sua provincia ecclesiastica; quanto poi a sé, nulla
stargli COSÍ a cuore come di soddisfare anche ai menomi impe-
gni presi da Don Bosco, e assicurarlo che non aveva mai per-
duto di vista rimportantissima sua promessa. II non averia an-
cora mantenuta essere dipeso dal fatto che Sua Eminenza nelle
replicate manifestazioni del suo desiderio non era mai scesa al
concreto, determinando le condizioni dell'opera voluta; essersi
perció nel frattempo accettata la proposta molto positiva del Ve-
scovo di Oran, in attesa che da Sua Eminenza venisse qualche
cosa di simile; se dunque si degnasse di perseverare nell'inten-
zione di avere i Salesiani, volesse significare le condizioni, la-
sciando solo il tempo indispensabile per avere pronto il perso-
nale. II Cardinale nella sua lettera si era dichiarato a Don Rúa
«umilissimo e obbedientissimo, ma non disperato servitore»; ma
non poté veder realizzate le sue speranze, perché rapito dalla morte
nell'anno seguente.
Chiamó i Salesiani a Oran il Vescovo Geraldo Soubrier, Pre-
lato insigne per pietá e zelo. Avutone da lui l'incarico, ne trattó
il suo Vicario Genérale con Don Albera a Marsiglia nell'ottobre
del 1889. S'imponeva la necessitá di avere chi si occupasse della
gioventú oranese. In una cittá di 60 mila abitanti di varia nazio-
nalitá, specialmente spagnoli, molti fanciulli erravano per le
strade come bestiole, ignorando anche le cose piü essenziali per
poter essere ammessi alia prima comunione (1). Don Rúa, infor-
mato della proposta, concepi súbito il disegno di accoglierla; solo
fece pregare il Vescovo, che specificasse distintamente le sue in-
tenzioni. Siccome poi, venuti i chiarimenti, Don Rúa tardava a
rispondere, Monsignore il 31 agosto 1890 lo sollecitava: «Conosco
le vostre grandi occupazioni, perció non mi meraviglio della vo-
(t) Lett. di Don Albera a Don Rúa, Marsiglia, 22 ottobre 1889.
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Capo XXIV
stra tardanza. Ma ora io muovo a voi la domanda fatta dai cli-
scepoli di Giovanni Battista al divin Maestro: Tu es, qui ven-
turus es an alium exspectamus? Non dubito che non abbiate in
animo di rispondere alia mia implorazione; ma permettetemi di
rivolgervi la p r e g h i e r a del Macedone a S. Paolo: Transiens ad
civitatem episcopalem nostram adiuva nos. » In risposta Don R ú a
gli notificó che avrebbe mandato a Oran due Salesiani per visitare
le case, che Monsignore divisava di daré.
Andarono difatti nel dicembre del 1890 Don D u r a n d o e Don
Bellamy, allora Maestro dei Novizi a Marsiglia. Di ritorno dalla
loro gita Don Durando riferi avere il Vescovo desiderio di ce-
deré ai Salesiani la proprietá assoluta di due case, delle quali
una nel centro della cittá e l'altra a Eckmühl sul punto piü alto
di essa. La prima era un ex-palazzo di giustizia e aveva una
sala, giá aula delle udienze, cosi vasta da potersi trasformare in
bellissima cappella. In quella casa vi starebbero l'oratorio festivo,
la maítrise della cattedrale e le scuole esterne di corso superiore
e inferiore; il Vescovo l'avrebbe restaurata o avrebbe dato per tale
scopo 12 mila franchi. S'intendeva per maítrise un gruppo di circa
trenta giovani scelti, inclinati alia pietá, aventi attitudine alie ce-
rimonie e al canto sacro, capaci perció di aiutare il clero nel-
l'esercizio del culto e del ministero; potevano cosi formare un
vivaio di vocazioni sacerdotali o religiose. L'altra casa, occupata
temporáneamente da alcune monache, doveva serviré per colle-
gio. Confinava essa con la proprietá di due sorelle Cooperatrici
salesiane e benefattrici, pronte a rilasciare un bel tratto di ter-
reno, il quale sarebbe stato necessario per il completamento del-
l'opera. II Capitolo, udito e approvato, deliberó che si formulas-
sero gli articoli della convenzione (1), abbozzati giá da Don Du-
rando col Vescovo. Le parti li discussero rápidamente, sicche rá-
pida fu puré l'apposizione delle firme. Vi si esordiva cosi: « Sua
Ecc. Mons. Soubrier, desiderando di provvedere alia cristiana edu-
cazione della gioventú, specialmente povera e abbandonata, ¿leíla
(1) Verb. del Cap. Sup., 22 aprilc e 17 setiembre 1890; 7 febbraio 1891.
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I Salesiani in África
cittá di Oran, propone al Rev.mo Don Rúa di aprire in detta
cittá opere dirette secondo lo spirito e le rególe della Societá
fondata da Don Bosco, di santa e venerata memoria. Don Rúa
accetta con gratitudine questa proposta, lieto anche di poter cosi
a t t u a r e il desiderio del compianto Don Bosco, che i suoi figli pe-
netrassero e si stabilissero nella terre africane. »
Avendo antecedentemente Don Rúa fatto sapere al Vescovo
che Direttore di quelle opere sarebbe stato Don Bellamy, Mon-
signore gli aveva risposto (1): « Spero che i Salesiani faranno
gran bene a Oran. A me pare che Don Bellamy sia uomo do-
tato di ottime qualitá. » Egli non si sbagliava: anche tutto Peste-
riore della sua persona lo diceva. Era venuto giá prete dalla dió-
cesi di Chartres nel 1883. Nel primo incontro con Don Bosco i I
Santo gli aveva detto che Pavrebbe fatto fabbricante di Salesiani
e che sarebbe mandato in missione al nord... Ma non aveva ter-
minato la frase. Don Bellamy, non conoscendo ancora i doni so-
prannaturali del Servo di Dio, non fece caso di quelle parole,
che tuttavia portó impresse nella memoria. Vi rifletté invece, quando,
dalla direzione della casa di Parigi mandato Maestro dei novizi a
Marsiglia, sospettó che in quello fosse Pavveramento della prima
parte di quanto gli aveva detto Don Bosco; quando poi si sentí
destinato a Oran, intese chiaramente anche la seconda parte. Fu
religioso di vita esemplare, profundamente devoto a Don Bosco e
attaccato quant'altri mai alia regolaritá per sé e per i suoi di-
pendenti.
I primi Salesiani designati a partiré per PAfrica furono sette.
Don Rúa volle che venissero tutti a Torino per pregare sulla tomba
di Don Bosco e visitare i luoghi santificati dalla sua nascita e
dalla sua etá giovanile. Prima di rimandarli in Francia per im-
barcarsi a Marsiglia, li radunó nella cappellina accanto alia ca-
meretta di Don Bosco, celebró per essi il santo sacrificio e poi,
rivolgendo loro familiarmente alcune paterne parole, prese a diré
cosi: — Ecco che io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. —
(1) Oran, 4 gennaio 1891.
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Capo XK1V
Li per li quel celebre detto del Signore applicato a chi andava
a lavorare fra gioventú cristiana, genero una certa sorpresa; ma
uno dei partenti, Don Cipriano Beissiére, allora semplice chie-
rico, scriveva cinquant'anni dopo, stando ancora sempre nell'A-
frica (1): «Forse lo sguardo profetico, giá da lui manifestato in
altre occasioni, gli fece scorgere in un avvenire abbastanza vi~
ciño le persecuzioni prima sorde, poi violente che un giorno, a
guisa di formidabili simún, avrebbero devastato il giardino sa-
lesiano oranese.» Quale il movente di queste persecuzioni? II
livore settario. Alia vista del gran bene che i Salesiani facevano
e della genérale simpatía che li circondava, i massoni li denun-
ciarono nella loro stampa come stranieri o amici degli stranieri
e quindi avversi alia Francia. Ogni lettore indovina fácilmente gli
effetti di simile accusa.
A Marsiglia Tlspettore Don Albera volle daré solennemente
I'addio ai partenti, tre dei quaÜ erano stati allievi dell'Oratorio
S. Leone; perció egli stesso in un bellissimo discorso, davanti a
numeroso e scelto uditorio, fece vedere la grandezza sopranna-
turale dell'opera evangelizzatrice e poi con tenerezza paterna sa~
lutó ed abbracció fra la commozione degli astanti quei cari Mis-
sionari. Dopo li accompagnó al porto, tenendo loro compagnia
sulla nave, finché non si cominciarono a levare le ancore.
Sbarcarono a Oran il 24 agosto. Non vi furono a riceverli se
non, dice la cronaca domestica, "gli angeli custodi della cittá e
gli arabi scaricatori del porto". Le primarie Autoritá ecclesia-
stiche trascorrevano ancora le loro ferie in Francia; per questo
forse mancó chi comunicasse l'avviso del loro arrivo, A buon contó
essi, visitato il Signore nel duomo, volsero i passi verso la loro
casa, che Don Bellamy ben conosceva, all'ex-palazzo di giustizia.
Ma qual palazzo! Trovarono un'abitazione da far pietá. Per met-
terla un poco all'onor del mondo si accinsero súbito a fare tutti
i mestieri. Un giorno, mentre stavano tutti intenti ai loro lavori
manuali, ecco il Vescovo. Al vederli cosi affaccendati come tanti
(1) CYP. BEISSIÉRE, 50 ans d'Aposíolat Salesien en Afrique du Nord. Tunisi, 1941. Pag 21.
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/ Salesiani in África
operai, rimase commosso; poi, mentre si accomiatava, lasció ca-
dere nelle mani del Direttore una generosa offerta.
II 5 ottobre s'iniziarono le scuole, non pero nel cosi detto pa-
lazzo, non ancora in condizione da accogliere gli allievi, ma nella
scuola parrocchiale, messa dal Vescovo a loro disposizione. Qui
aveva sede anche la maítrise. O t t e n u t a l'autorizzazione légale,
Don Bellamy aveva fatto annunciare dal pulpito ai fedeli il pros-
simo aprirsi della nuova scuola e invitare i genitori a inscrivervi
i figli. All'apertura erano presenti 40 alunni, che furono classi-
ficati in due corsi, elementare e medio.
Avviate le scuole, premeva cominciare l'oratorio festivo, opera
della quale nessuno a Oran aveva ancora l'idea. Qualche cosa si
fece nella festa d'Ognissanti, aturando per primi i ragazzi della
maítrise e gli altri scolari; ma si anelava di aprire le porte agli
alunni delle scuole laiche. Bisognó per altro aspettare che fosse
adattata a cappella l'aula dell'ex-tribunale. Ció fu per la festa
deirimmacolata. II Vescovo ando a benedirla e ad inaugurarla,
dedicándola a Maria Ausiliatrice, la cui statua, dono di una Coo-
peratrice parigina, sorrideva dall'alto alia gioventü oranese. Per
quella sera i nostri Confratelli avevano preparato una rappresen-
tazione con mezzi molto primitivi nella messa in scena e con piccoli
attori pressoché improvvisati. Questi, facendo miracoli di buona vo-
lontá, portarono a termine il noto drammetto di Don Bosco La casa
della fortuna, tradotto in franéese. Erano fra gli spettatori il Ve-
scovo, i membri del suo clero e vari amici dei Salesiani. Sparsasi
la voce che presso i Salesiani ci si divertiva, alquanti ragazzi ven-
nero, pigliarono familiaritá con le vesti nere, ne condussero altri e
poi altri, sicché a poco a poco fu organizzato un oratorio in re-
gola, dedicato a S. Luigi. Si associavano in esso pietá e allegria,
istruzione religiosa e ricreazione, música e canto; ne risultó un
ambiente pieno di attrattive, dove maturarono anche belle voca-
zioni per la nostra Societá e per la diócesi. Oratoriano della prima
ora fu Don Antonio Candela, del Capitolo Superiore; egli ricevette
con due compagni l'abito chiericale nel 1894 da Don Albera, man-
dato da Don Rúa a visitare le Case di África. La ebbe origine nel
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XXIV
1895 la Joyeuse Union, modellata sulla Societá delVAllegria che
Don Bosco studente di ginnasio aveva fondata a Chieri; tale As-
sociazione ha fatto un gran bene e continua a farne.
La convenzione fra il Vescovo e Don Rúa conteneva un arti-
coló COSÍ concepito: « Essendo scopo principale della Societá sa-
lesiana di Don Bosco prendersi cura della gioventü povera e ab-
bandonata, i Superiori faranno in modo che si apra per questo un
orfanotrofio, non appena la divina Provvidenza ne somministrerá
loro i mezzi indispensabili. Per tale fondazione il Vescovo cederá
legalmente ai Salesiani la proprietá assoluta e libera di una casa
e di un attiguo terreno che gli appartengono presso la chiesa parroc-
chiale del Sacro Cuore a Eckmühl. » Eckmühl era un villaggio si-
túate sopra un'altura, che dominava la cittá di Oran e prospet-
tava sul mare; ora fa parte della cittá, ingranditasi fin lassü. La
proprietá, come é detto, comprendeva una casa e un vasto giar-
dino. I Salesiani ne presero possesso il 31 gennaio 1893. La signo-
rina Anais Brassens, a cui accennava Don Durando nella sua reía-
zione, li tolse da un grave imbarazzo, offrendo loro un terreno
adiacente tanto esteso da potervisi fabbricare, come esigeva il bi-
sogno. Ogni anno, per non diré ogni mese, si aveva qualche modi-
ficazione o nuova costruzione. Piantagioni d'alberi, dormitori, re-
fettori, cappelle; laboratori, scuole, sale; viali per difendere i fab-
bricati dall'infuocato solé africano; vasca circondata da un giar-
dino di aranci, di palmizi, di banani, di caoutchoucs, e nel centro
il busto di Don Bosco sopra una graziosa colonna. La casa si
chiamó Oratorio di Gesü Adolescente. Aveva artigiani, studentú
Figli di María e oratorio festivo. Nel 1894 vi fu eretto canónica-
mente un Noviziato, a cui piü tardi fece seguito lo Scolasticato di
filosofía e di teología. Fino al 1896 le due Case di Orano dipesero
da un único Direttore; ma in quell'anno furono istituite due diré-
rezioni distinte: vollero pero i Superiori che Don Bellamy fosse il
solo autorizzato a rappresentare la Congregazione in pubblico (1).
L'Opera di Don Bosco non sarebbe stata completa senza le Fi-
(1) Verb. del Cap. Sup., 4 dicembre 1896.
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1 Salesiani in África
glie di Maria Ausiliatrice. Esse vi apersero due Case, la prima nel
villaggio di Mers-el-Kebir 1'8 dicembre 1893 e l'altra a Eckmühl il
24 maggio 1898.
Nuove opere salesiane s'iniziarono a Tunisi nel 1894. Perven-
nero quelFanno a Don Rúa due proposte. Esisteva in quella cittá
un orfanotrofio privato femminile destinato a figlie di Italiani,
diretto dalla fondatrice e sussidiato dalla Regina Margherita. Ora
colei, volendosi ritirare, aveva fatto pratiche per cederé la Casa
alie Suore di Carita; ma il Ministro Crispí si oppose. suggerendo
invece egli stesso di chiamare le Figlie di Maria Ausiliatrice. L'altra
proposta partiva da Mons. Combes, succeduto al Card. Lavigerie.
Egli desiderava affidare ai Salesiani un piccolo orfanotrofio maschile,
che aveva solo una decina di ragazzi, avviati all'agricultura. Era stato
fondato nel sobborgo di La Marsa da un signor Perret lionese, del
quale l'umile casa portava il nome, chiamandosi Orphelinat Agri-
cole Perret. Anche nell'accettare queste due fondazioni africane
Don Rúa si mostró oltremodo arrendevole; prova ne sia la rapi-
ditá, con cui vennero condotte a termine le trattative. I Salesiani
s'incaricarono dell'Istituto Perret, mentre le Suore aprirono l'anno
dopo un Educandato a La Manuba, ove i primi assunsero anche la
cura della parrocchia, creata quello stesso anno dall'Arcivescovo. (1)
La Marsa dista va dieci chilometri da Tunisi; ma l'Arcivescovo,
che aveva sempre desiderato i Salesiani nella cittá, non cessava
d'insistere che si decidessero a stabilirvisi. Ecco perché nel 1896
comprarono in Tunisi una casa, detta poi del Rosario, dove aper-
sero un piccolo orfanotrofio per artigianelli, e accanto l'oratorio
festivo; in seguito Monsignore nella cappella medesima della scuola
professionale eresse una parrocchia. Venuto piú tardi a Torino e
rammaricandosi con Don Rúa della scarsitá di preti nella sua dió-
cesi, Don Rúa gli disse con tutta semplicitá: — Perché non ne
potrebbe fornire la nostra Casa di La Marsa? — Queste parole, giunte
all'orecchio del Direttore, gli parvero autorizzarlo senz'altro ad ac-
crescere le possibilitá della Casa; onde, acquistato un terreno vi-
(1) Verb. del Cap. Sup., 11 agosto 1894.
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Capo XXIV
ciño, vi fece innalzare un edificio che potesse conteneré un mag-
gior numero di giovani. Cosi accolse anche siudentí ginnasiali, fra
cui si presero a eoltivare vocazioni alio stato ecclesiastico. Al Rosario
fioriva intanto l'oratorio festivo, che per qualche categoría di gio-
vani si doveva diré quotidiano, perché aperto tutte le seré. Quanta
istruzione catechistica e pietá cristiana ne sia scaturita a gran be-
neficio di tutta la popolazione circostante, lo potrebbe descrivere
a pieno solamente chi fosse in grado di paragonare le condizioni
religiose di prima con quelle di poi; certo é voce comune che i Sa-
lesiani vi operarono in questo campo una prodigiosa trasforma-
zione. Quanto all'attivitá delle Suore, bisognerebbe dedicar vi una
capo a parte, se Fargomento entrasse nel nostro disegno (1).
Don Rúa ando in África nel 1899, ma visitó soltanto le Case di
Oran, fermandovisi cinque giorni, compresi i due delParrivo e del la
partenza. Quei Confratelli si moltiplicarono per procurargli le piú
filiali dimostrazioni di affetto. A dargli il solenne benvenuto si ra-
dunarono dalle varié Case nelFOratorio S. Luigi Salesiani, Suore,
alunni, amici, ex-allievi, Cooperatori. S'inneggió al Successore di
Don Bosco con canti, suoni e indirizzi; ma ció che maggiormente
lo rallegró fu l'offerta di un tesoro spirituale, consistente in 11.760
opere buone e atti di virtü compiuti nelFOratorio Gesú Adolescente
durante il mese del divino Titolare, per ottenere la grazia che fosse
accelerata la Causa di Beatificazione di Don Bosco. Egli divise il
suo tempo fra le Case dei Salesiani e delle Suore e in fare visite a
persone di riguardo. NelFultimo giorno i Salesiani convennero di
nuovo tutti nella Casa di Eckmühl per fare con Don Rúa Fesercizio
della buona morte. II buon Superiore, saputo che i giovani avevano
imparato una Messa del Palestrina, volle, anziché solamente cele-
brare, anche cantare la Messa della comunitá per procurare ai mu-
sici una gradita soddisfazione e per mostrare in quale contó tenesse
il vero canto sacro. Al porto Faddio dei Confratelli, dei giovani e degli
ammiratori diede luogo a tenerissime scene. II nuovo Vescovo Mon-
(1) Cfr. Corrispondenza di Don Josephidi comparsa con istraordinario ritardo nel Boíl. Sal.
di aprile 1897.
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I Salesiani in África
signor Cantel, che l'aveva colmato di cortesie, alia fine dichiaró
d'aveve scorto in lui un vero figlio di Don Bosco, ripieno dello spi-
rito del Padre venerato, e divenuto quasi la sua incarnazione.
Con il dilatare le tende dei Salesiani in África Don Rúa mi-
rava all'attuazione di un pensiero del santo Fondatore. Verso il
termine della sua vita Don Bosco aveva detto: « Se io fossi giovane,
prenderei Don Rúa e gli direi: Andiamo al Capo di Buona Spe-
ranza, nella Nigrizia, a Kartum, al Cairo; meglio a Suakin, come
suggerisce Mons. Sogaro, perché c'é l'aria buona; il noviziato si po-
trebbe mettere per questo dalla parte del Mar Rosso. » Nell'Egitto
e alia Cittá del Capo Don Rúa mandó i Salesiani dieci anni dopo.
Don Bosco aveva parlato cosi il 26 maggio 1886 in u n ' a d u n a n z a
del Capitolo Superiore (1), presentando una proposta di fondazione
africana. A nome del Conté di Robilant, Ministro degli Esteri in
Italia, il Direttore genérale di quel Ministero sig. Malvano gli aveva
in via confidenziale proposto di aprire una casa al Cairo; al Mi-
nistro ne aveva scritto il celebre Missionario Mons. Sogaro, Vicario
Apostólico del Sudan, e il lócale Vicario Apostólico Mons. Chicaro.
II Governo italiano aveva giá antecedentemente pensato a Don
Bosco, vedendo com'egli riuscisse sempre in tutto quello che intra-
prendeva; anzi prometteva di largheggiare in danaro per aiutare
l'impresa. Ma Don Bosco nel Governo non riponeva alcuna fiducia.
Anche per la Patagonia il Depretis e altri Ministri gli avevano pro-
messo di fare e di daré; ogni volta pero che Don Bosco chiese sus-
sidi, n'ebbe in risposta lodi, scuse e poi nulla (2). L'anno dopo gli
vennero puré sollecitazioni dal Vaticano. Conosciutosi nelle alte
sfere che egli sarebbe stato disposto a mandare Salesiani in Egitto
per aprire una scuola, che provvedesse all'istruzione e all'educa-
zione cattolica della gioventú, il Card. Simeoni, Prefetto di Pro-
paganda, nel desiderio che la cosa avesse effetto quanto piü presto
fosse possibile, gli scrisse di mettersi in relazione con Mons. Chi-
caro, il quale anelava di veder aperta tale scuola, affinché fosse
(1) Verb. del Cap. Sup., 26 maggio 188b.
(2) Verb. del Cap. Sup., come sopra.
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Capo XXIV
tolta la gioventü italiana dall'ozio e dal pericolo di corruzione, che
la s'incontrava ad ogni passo (1).
II Cardinale, cosi scrivendo, pensava ad Alessandria. Qui viveva
una numerosa colonia di circa 30.000 Italiani, che invocavano un
Istituto professionale cristiano per i figli del popólo. Scuole non
ne mancavano in cittá; ma le une aceoglievano di preferenza alunni
provenienti da classi elévate della societá e avevano alti corsi
di studi, altre si limitavano alia gioventü di una data nazionalitá, al-
cune non ispiravano fiducia alie famiglie cattoliche, perché esclu-
devano l'istruzione religiosa. Mancava invece un Istituto che, reli-
giosamente diretto, aprisse le porte a giovanetti di ogni nazionalitá,
massime poveri o meno agiati di fortuna, per avviarli alie arti
e ai mestieri, e avesse cura specialmente di istruire nella lingua
e nelle tradizioni d'Italia i figli di genitori italiani (2).
Nel 1890 e n t r a in scena il valoroso egittologo prof. Ernesto
Schiaparelli, Segretario dell'Associazione Nazionale per soccor-
rere i Missionari italiani cattolici. Quest'Associazione, sorta in Ita-
lia per opera di illustri personaggi che si professavano cattolici e
favorita dal Governo, agiva ancora senza alcun légale riconosci-
mento; ma il 12 novembre 1891 venne con Regio decreto ricono-
sciuta in ente morale. Ne era presidente il Senatore Fedele Lam-
pertico. Lo Schiaparelli dunque, che a motivo de' suoi studi íre-
quentava l'Egitto e vedeva l'urgenza di un Istituto salesiano in
Alessandria, per suggerimento di Don Febbraro, Direttore a Fi-
renze, si mise a questo scopo in corrispondenza con Don Durando.
« Vi sonó in Alessandria d'Egitto, gli scriveva, centinaia di fan-
ciulli abbandonati, di ogni nazionalitá e religione, ma special-
mente italiani e maltesi, cattolici, pei quali l'imparar un mestiere
e il ricevere un po' di educazione vorrebbe diré la loro salute. »
Scuole professionali non vi esistevano affatto. Essendo poi consi-
derata Alessandria come luogo di Missione, egli prevedeva che l'a-
pertura di un nuovo Istituto religioso italiano avrebbe suscítalo
difficoltá da parte del Governo francese, il quale, com'é noto, eser-
(1) Lettera a Don Rosco, Roma, 26 febbraio 1887.
(2) Lett. del P. Lodovico Rossi Dcsideri, Miss. Apost. Franccscano, 28 setiembre 1888.
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I Salesiani m África
citava la protezione dei Missionari in tutto l'Oriente. Per trovar
modo di evitare tali difficoltá, egli suggeriva di entrare diretta-
mente in relazione col nuovo Vicario Apostólico Mons. Corbelli
e con un avvocato Veritá, da lui qualificato " ottima e degna per-
sona, protettore dei religiosi italiani e influentissimo nella colonia ".
Avvertiva pero che l'Associazione non poteva promettere se non
appoggio e aiuto indiretto, con raccomandazioni ai numerosi amici
di la, con invio di materiale scolastico, libri di premio e simili.
La risposta di Don Durando fu favorevole, ma dilatoria. Lo Schia-
parelli appresso, indotto dalle continué istanze che riceveva da
Alessandria, non cessava di raccomandare caídamente la cosa a
Don Rúa, a Don Belmonte e a Don Cagliero (1).
Finalmente nel 1895 Don Rúa, avvicinandosi il tempo in cu i si
proponeva di procederé a quella fondazione, incaricó Don Belloni,
venuto allora in Italia, di cercare ad Alessandria un'area atta a
fabbricarvi la casa salesiana. Don Belloni pose gli occhi sopra un
terreno situato nel quartiere Bab-Sidra. Cosi ne lo informa va (2):
« Questo terreno é nelle antiche fortificazioni distrutte ed appar-
tiene al Governo egiziano. Ha metri 250 di lungo e 40 di largo, ed
é affatto isolato, circondato cioé da quattro strade in un quar-
tiere pulito, nuovo, ventilato e salubre. La térra che sopravanza da
una parte servirebbe per empire il fosso che trovasi accanto ed
entro la proprietá (3), cosi che il livellamento costerebbe poco e la
spesa di questo come puré forse anche delle fondazioni sarebbe
compensata dalla grande quantitá di buone pietre che ivi si tro-
vano: sonó metri cubi 9000. » II luogo era stato giá messo in ven-
dita per circa 60 mila franchi; ma, trattandosi di un'opera di be-
neficenza, si sperava di averio per meno, con una certa latitu-
dine al pagamento in varié rate: si sarebbero fatte valere per
questo raccomandazioni di persone influenti. Lo spazio pareva ab-
bastanza vasto per organizzarvi un grande stabilimento con la-
boratori, scuole esterne, oratorio festivo; la localitá mancava an-
(1) Lettere dello Schiaparelli a Don Durando, Firenze, 3 e 21 giugno e 6 diccmbre 1890.
(2) Alessandria d'Egitto, 15 ottobre 1895.
(3) Vuol diré il terrapieno e il fossato, che solevano circondare le mura.
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35.1 Page 341

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Capo XXIV
cora di chiesa e di scuola esterna. L'avv. Veritá giudicava il ter-
reno assai conveniente e ben volentieri si sarebbe adoperato presso
persone autorevoli per farlo ottenere a buone condizioni.
Purtroppo la missione di Don Belloni era trapelata, onde corsé
voce che altri avesse intenzione di aprire in quella vicinanza una
scuola análoga. Urgeva quindi ottenere il beneplácito del Santo
Padre e agiré con celeritá, prima che altri si rivolgesse a Roma
per il medesimo scopo (1). Don Rúa dunque fece súbito istanza per
implorare la facoltá di acquistare quel terreno, e la grazia gli fu
concessa (2). Passo quindi procura all'avv. Veritá, il quale ottenne
che da 48 mila franchi precedentemente richiesti il prezzo fosse
ridotto a 35 mila.
Ma le cose si erano complicate. Un giornale di Alessandria (3)
la sera del 2 marzo 1896, sotto la rubrica Ecole Professionelle p u b -
blicava che i Fréres si disponevano ad aprire uno stabilimento idén-
tico. II Vicario Apostólico fece tostó osservare a chi di ragione
che, essendo ormai certa e nota la venuta dei Salesiani e la crea-
zione di una loro Scuola professionale, non poteva capire come
altri si accingessero a fare altrettanto senz'averne fatto motto al-
l'Autoritá Ecclesiastica. La risposta avutane non lo appagó; quindi
rimise a Propaganda la soluzione dell'affare, esprimendo il giu-
dizio che vi fosse sotto una manovra del Governo francese per im-
pediré l'impianto di un Istituto italiano in Egitto (4). Un Con-
gresso di Propaganda tenuto avanti al Cardinale Prefetto Ledo-
chowski approvó pienamente l'operato di Mons. Corbelli, esortan-
dolo a tener fermo e assicurandolo che avrebbe sempre avuto I'ap-
poggio della Sacra Congregazione (5).
Una lettera cosi concepita era giá pronta per la firma dell'E-
minentissimo Prefetto, quando gli pervenne dalla Segreteria di
Stato uno scritto del Card. Rampolla con allegata una nota ver-
il) Lett. dell'avv. Veritá a Don Rúa; Alessandria, 18 ottobre 1895.
(2) Lett. di Mons. Cavagnis, prosegr. della S. C. per gli affari Ecclesiastici Straordinari, 9 no-
vembre 1895.
(5) 11 Phare d'Alexandrie.
(4) Lett. di Mons. Corbelli con quattro allegati al Card. Ledochowski, Alessandria, 5 marzo 1896.
(5) Lett. di Don Caglicro a Don Rúa, 24 marzo 1896.
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I Salesiani in África
bale dell'Incaricato d'affari di Francia presso la Santa Sede, il quale
sosteneva che il permesso delFAutoritá Ecclesiastica per una fon-
dazione era necessario quando un Istituto religioso si andasse a
stabilire nel Vicariato Apostólico dell'Egitto, ma non lo potesse pin
essere per fondazioni posteriori, che il medesimo Istituto intendesse
di fare nello stesso luogo, e quindi pregava l'Eminentissimo Segre-
tario di Stato, perché s'interponesse presso Propaganda a togliere
ogni ostacolo. "Nota verbale di una semp licita volpina ", commen-
tava Don Cagliero (1). In essa i Salesiani non erano neppure no-
minad. II Card. Rampolla chiedeva al Prefetto di Propaganda in-
formazione in proposito, pregándolo di appianare ogni difficoltá. Co-
me si vede, la pratica dei nostri per Alessandria era stata elevata
a incidente diplomático.
II Card. Ledochowski nella sua risposta fece la storia delle due
progettate fondazioni, accennando alia concorrenza troppo evidente
e all'impossibiltá dell'esistenza di due Case l'una presso l'altra; ri-
vendicava al Vicario Apostólico il diritto di concederé o negare il
permesso di fondazioni nuove anche agli Istituti giá esistenti nel
Vicariato; terminava con diré che nell'interesse dell'Autoritá con-
veniva non far milla contro all'Istituto e cercar di togliere ogni op-
posizione alia fondazione salesiana in Alessandria. Questa risposta
fu portata all'Agente francese, che naturalmente replico. Una
volta che la diplomazia aveva messo lo zampino nell'affare, la so-
luzione della pratica doveva andaré necessariamente in lungo.
Mentre queste trattative facevano il loro corso, il 29 giugno ar-
rivó ad Alessandria Don Bertello, Ispettore in Sicilia, accompa-
gnato dall'ingegnere Caselli di Torino, con l'incarico di esaminare
il terreno acquistato per elaborare posteriormente i progetti delle
costruzioni. Vi si fermarono dieci giorni. Durante la loro perma-
nenza il sostituto di Mons. Corbelli, richiamato in Italia, infor-
mandone il Prefetto di Propaganda, scriveva (2): « Voglia il Cielo
che l'impianto in Alessandria di una Casa salesiana non sia di
molto ritardato, e cosi prestare un momento prima un rimedio ef-
(1; Lett. di Don Cagliero a Don Rúa, 24 marzo 1896.
(2) Lett. 2 luglio 1S96.
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Capo XXIV
ficace all'invadente incredulitá di questa gioventü operaia. D'al-
tronde poi sarebbe bene che i menzionati Padri Salesiani non ri-
tardassero a stabilirsi definitivamente per far cessare le voglie che
altri, spinti dal Governo francese, hanno di stabilire in Alessan-
dria un consimile stabilimento. »
I Salesiani vi andarono nel dicembre del 1896. Era Direttore
Don Angelo Festa. Nei primi mesi, finché non ebbero allestita la
loro abitazione, furono ospiti dei Francescani. Quest'abitazione
venne preparata in un edificio, di cui non fe' cenno Don Belloni.
A un'estremitá dei terreno, sull'area acquistata, sorgeva una mas-
siccia costruzione, giá fortezza, poi carcere e allora in totale ab-
bandono. Entro a quelle muraglie si misero in assetto gli ambienti
necessari per daré cominciamento all'Istituto. II programma, dato
alie stampe, conteneva questi due periodi: « L'Associazione Nazio-
nale per soccorrere i Missionari cattolici italiani, col concorso di
benevoli e generóse persone di Alessandria, ha aperto in questa
cittá Vlstituto S. Marco ossia Scuola professionale d'arti e mestieri.
L'Istituto sará destinato particolarmente agli orfanelli, alia cui edu-
cazione ed istruzione non possono altrimenti provvedere i loro ge-
nitori in modo soddisfacente. »
La Scuola doveva avere una sezione di studi e una sezione in-
dustríale. Nella prima si sarebbe impartito l'insegnamento prepa-
ratorio delle classi elementari inferiori e superiori, piii il disegno
applicato alie varié arti, gli elementi di física e chimica applicata
all'industria e l'insegnamento della música vocale e strumentale.
Nella seconda sezione, di mano in mano che la Provvidenza ne
avrebbe somministrato i mezzi, vi sarebbero stati i seguenti inse-
gnamenti industriali pratici con veré officine: Io Arti del legno
(falegnami, stipettai, ebanisti, intagliatori ecc.); 2o Sartoria; 3o Cal-
zoleria; 4o Legatoria di libri; 5o Fabbri meccanici, ottonieri ecc;
6o Pittura, scultura, plástica; 7o Tipografía (compositora stampatori,
litografi, stereotipi ecc); 8o Elettro-tecnica. L'apprendimento del-
l'arte sarebbe graduato e durerebbe cinque anni. II programma era
cosi firmato: «Don Angelo Festa, dei Salesiani di Don Bosco, Di-
rettore delllstituto S. Marco dell'Associazione Nazionale.»
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1 Salesiani in África
Come si vede, i Salesiani agli occhi del pubblico rilevavano dal-
l'Associazione, da essa dipendevano e per contó di essa aprivano
r i s t i t u t o . In tal senso il Io marzo 1897 fra Don R ú a e il prof. Schia-
parelli si convenne quanto segué:
L'Associazione Nazionale si obbliga a pagare l'affitto del lócale di arti e me-
stieri e le spese tutte occorrenti per l'insediamento e mantenimento del sopraddetto
Istituto. A sua volta il Rev.mo Signor Superiore della Congregazione Salesiana
prende obbligo di provvedere il personale idóneo per detto Istituto, che l'Asso-
ciazione Nazionale intende isíituire in Alessandria d'Egitto.
Io In detto Istituto per tutti gli alunni sará obbligatorio lo studio della lingua
italiana.
2o Come esterni saranno ammessi fanciulli di ogni nazionalitá e religione.
3o Saranno commemorati i giorni anniversari della nascita di S. Maestá il Re
e la Regina d'Italia e il giorno dello Statuto.
In ogni altra cosa ristituto godrá piena autonomía.
La presente convenzione ha la durata di un anno, decorrendo dal presente
piorno, e s'intende rinnovata indefinitamente di anno in anno, se non venga disdetta
da una delle parti, non meno di tre mesi prima della sua scadenza annuale.
Qui le parole affitto, spese d'insediamento e mantenimento non
vanno pigliate alia lettera. Nel 1896 il bilancio dell'Associazione si
chiuse con un disavanzo a motivo dei sacrifici dovuti fare per l'E-
ritrea; quindi l'Associazione non poteva fare per l'Istituto di Ales-
sandria quello che faceva per le sue Scuole. Ora, condizione indi-
spensabile perché un istituto si potesse ritenere dell'Associazione,
era il risiedere in un lócale che risultasse appartenere o per effet-
tiva proprietá o per pagata pígione aH'Associazione stessa, A tale
effetto l'acquisto venne intestato all'Associazione, figurando nel bi-
lancio attivo come offerta anónima la somma anticipata dalla Con-
gregazione, mentre nei bilanci passivi ulteriori si dovevano inseriré
come sussidio le successive rate di estinzione. Per il mantenimento
sarebbe figurata nel bilancio passivo una somma proporzionata,
dall'Associazione non pagata, a cui corrisponderebbe nell'attivo
un'offerta anónima parimente nomínale, sicché sostanzialmente sa-
rebbe la Congregazione a fare l'offerta e a riceverla. Per l'insedia-
mento Don Rúa aveva chiesto cinque o sei mila franchi, la qual
somma puré fu anticipata dalla Congregazione, con facoltá all'As-
sociazione di rimborsarla a rate annuali, a seconda delle sue pos-
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Capo XXIV
sibilitá (1). Tutte cose che, diciamolo súbito, restarono poi sempre
in figura.
Negli Istituti COSÍ amministrati dall'Associazione i religiosi ad-
detti non compaiono come Missionari, ma semplicemente come in-
segnanti, e l'Associazione ha la rappresentanza delle Scuole sia verso
le Autoritá Apostoliche, sia verso il Governo lócale e le Autoritá
consolari italiane. Perció i religiosi vivono in una condizione di auto-
nomía da tutte le Autoritá consolari, limitandosi verso il Consolato
italiano al puro atto di ossequio, che é doveroso per ogni buon
cittadino.
Tale stato di cose liberava i Salesiani dalla necessitá di rinun-
ciare alia nazionalitá propria per accettare la protezione, a cui
tanto teneva allora la Francia nelle Missioni d'Oriente, ma che li
avrebbe resi sommamente invisi alia colonia italiana, ostacolandone
Topera di bene a pro dei connazionali. Don Cerruti, Direttore ge-
nérale degli studi, con il suo occhio lungimirante guardava anche
all'avvenire, intuendo giá i vantaggi che ne avrebbe tratti col tempo
per la sistemazione giuridica di certe scuole delle due Congrega-
zioni in Italia, come vedremo a suo luogo.
Torniamo ora all'affare diplomático. I Freres fino al 13 gennaio
1897 non avevano fatto alcuna istanza relativa all'ideata fonda-
zione. Da Propaganda non erasi nascosto loro che non si poteva
darne il permesso, perché il Santo Padre aveva concesso fin dal-
l'ottobre 1895 a Don R ú a d'istituire u n a Scuola professionale e
Don Rúa aveva acquistato il terreno e se ne stava occupando (2).
Ma la notizia del Capitolato surriferito, che sarebbe dovuto rima-
nere segreto, trapeló; inoltre nel programma di Don Festa l'Isti-
tuto era presentato come opera dell'Associazione Nazionalc affi-
data ai Salesiani. Agli oechi della Francia tutto questo assumeva
aspetto político, sicché veniva a crearsi una situazione delicatissima
con pericolo di rappresaglie da parte di quel Governo verso la
Santa Sede (3). O n d e si spiega la nota 12 giugno 1897 del Car-
(1) Lett. dcllo Schiaparelli a Don Rúa, Torino, 13 dicembre 1896.
(2) Lett. del Card. Ledochowski a Don Rúa, 13 gennaio 1897.
(3) Lett. di Don Cagliero a Don Rúa, Roma, 28 giugno 1897.
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I Salesiani in África,
dinal Rampolla al Card. Ledochowski: « In seguito a nuove p re-
mure fatte a S. S. per la fondazione di una Scuola professionale
in Alessandria d'Egitto da affidarsi ai Fratelli delíe Scuole Cri-
stiane, il S. Padre, tutto considerato e specialmente in vista delle
assicurazioni avute riguardo agli inconvenienti che se ne teme-
vano, si é benignamente degnato di permettere che la suindicata
fondazione possa a ver luogo. II sottoscritto Card. Segretario di
Stato per ordine di S. S. rende di ció consapevole l'Eminenza Vostra,
affinché voglia daré in proposito le necessarie disposizioni. » E il
Prefetto di Propaganda ne resé tostó informato il nuovo Vicario
Apostólico Bonfigli. I Fréres apersero poi la loro Scuola; ma dan-
nosa concorrenza non poté sorgere, perché essi dopo qualche anno,
chiusi i laboratori, si restrinsero alia tipografía, nella quale pre-
sero a pubblicare i loro testi scolastici.
Nell'lstituto S. Marco i nostri Confratelli, come sappiamo dai
superstiti, condussero per alcuni anni una vita di estrema povertá,
fra disagi straordinari, occupati in un intenso lavoro. Tuttavia
nel primo anno scolastico avevano 70 alunni, gli uni accolti gra-
tuitamente, gli altri con tenue retta, ripartiíi in cinque laboratori.
Un saggio accademico, dato nel marzo del 1898 e onorato da un
uditorio scelto e numeroso, riscosse l'ammirazione genérale; nes-
suno si sarebbe mai aspettato che in si breve tempo l'Istituto po-
tesse daré una si buona prova. Don Cerruti, reduce dalla visita agli
Istituti Salesiani della Palestina, vi tenne un discorso ascoltato con
grande favore. Dio benedisse i sacrifici di quei generosi, che, di-
mentichi di sé, si struggevano per compiere il loro dovere. Trascor-
so il duro periodo di assestamento, l'Istituto, largamente favorito
dalla colonia italiana, si venne ingrandendo e perfezionando fino
a diventare uno dei meglio quotati di tutta la grande cittá.
Negli stessi giorni che ad Alessandria d'Egitto, i Salesiani si da-
vano da fare per Fimpianto di una Scuola professionale all'estre-
mitá opposta dell'Africa, a Cape Town o Cittá del Capo, il centro
piú progredito, il cuore anzi della ricchissima colonia inglese nel-
l'Unione sud-africana. La popolazione era in massima parte pro-
testante; il numero dei cattolici non sorpassava i 2500, compresi i
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Capo XXIV
bambini. Vi aveva chiamato i figli di Don Bosco il Vicario Apo-
stólico Leonard, vecchio e malazzato Prelato. Giunsero in cinque:
il Direttore Don Federico Barni, italiano, da tre anni catechista
nella casa di Londra, un chierico inglese e tre maestri d'arte per
tre laboratori voluti dal Vescovo, uno cioé maestro falegname, uno
tipógrafo e uno legatore. Attraversata l'elegante e moderna cittá
dalle belle vie e dai sontuosi palazzi, essi immaginavano di dover met-
ter piede in una dimora che non disdicesse al resto degli abitati;
invece arrivarono a due casette del Vescovo, capaci appena di 15
ragazzi in tutto, poverissime e sprovviste di ogni cosa: non un
letto, non un tavolo, non una sedia. Come si siano potuti aggiu-
stare, Dio lo sa.
Ma il peggio venne dopo. Monsignore in due lettere del 12
agosto 1895 e 28 luglio 1896 aveva messo innanzi condizioni, che
parevano accettabili; se non che sul luogo le sue interpretazioni
furono tali, che, stando a queste, egli sarebbe diventato mate-
rialmente e moralmente padrone e superiore dell'lstituto, e tutto
l'immobile presente e futuro un'appartenenza del Vicariato. Inol-
tre non permetteva neppure di andaré attorno in cerca di ele-
mosine, perché diceva essere i cattolici giá impegnati per il man-
tenimento del clero, di un orfanotrofio diretto dalle Suore di Na-
zareth e delle loro scuole. Richiesto dell'autorizzazione di tenere
una conferenza per fare una colletta, consentí, ma a patto che
il danaro fosse lasciato a sua disposizione. Non basta: egli aveva
dato e voleva daré, ma intendeva che fosse solo a titolo di pre-
stito e che di tutto si pagasse l'interesse del sei per cento fino
all'estinzione del debito. Se infine si desiderava conchiudere qual-
che cosa, era di assoluta necessitá metter mano a costruire sul pro-
prio; ma donde trarre i mezzi?
Pensare di tirare innanzi in simili condizioni, sembrava un'u-
topia. I Confratelli si sentivano demoralizzati; il Direttore stesso,
dopo vani tentativi di aggiustamento con Monsignore, cominciava
a persuadersi che fosse da tagliar corto e ritornare a Torino. Ma
Don Rúa, informato di queste vicende e di questa intenzione, fece
rispondere a Don Barni di aver pazienza; cercasse di procurarsi
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1 Salesiani in África
limosine da privati; non facesse udire critiche sulla condotta del
Vescovo in quell'affare; si rimettesse pazientemente alia Provvi-
denza divina, la quale avrebbe saputo cavarli dai fastidi (1).
E il Direttore ebbe pazienza, e molta e lunga pazienza. Piü
tardi una veneranda signora Grath, vera mamma dei Salesiani
e dei loro alunni, quando parlava della povertá di quei primi
arrivati, non poteva dalla commozione frenare il pianto. Ma chi
la dura, la vince. Succeduto nel governo del Vicariato il giá Coa-
diutore Rooney, le cose cambiarono a segno che neppure la
guerra anglo-boera del 1899, la quale seminó infinite rovine, ab-
batté Topera salesiana. Grazie a buon numero di generosi bene-
fattori, furono prima affittati nuovi locali, gremiti sempre di ra-
gazzi; poi si fabbricó un vasto edificio. I numerosi italiani sta-
bilitisi nella colonia ricevevano dai Salesiani amorosa assistenza.
Oggi anche su queirultimo lembo africano la Scuola professio-
nale S. Beda Venerabile tiene alto il nome di Don Bosco.
(1) Verb. del Cap. Sup., 3 marzo 1897.
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CAPO XXV
Fondazioni nella Spagna dal 1891 al 1894.
(Gerona, Santander, Siviglia, Rialp, Malaga, Vigo)
Che Topera dei Salesiani fosse altamente e largamente apprez-
zata nella Spagna, lo dicono abbastanza chiaro le molte domande
di fondazioni; un fatto anche lo conferma. La recente legislazione
spagnola accordava agli Ordini e alie Congregazioni religiose i) ri-
conoscimento giuridico, senza che questo importasse piü, come in
antico, la loro costituzione in enti morali da parte dello Stato. Ve-
niva a essere una forma di contratto bilaterale, in cui un'Associa-
zione dichiarava, per esempio, avere i suoi membri lo scopo dell'in-
segnamento gratuito o delle Missioni exira ruare nelle colonie spa-
gnole, e il Governo riconosceva legalmente il corpo, concedendo agli
mdividui che venissero presentati, l'esenzione dagli obblighi di leva,
e le íerrovie largivano a tutti il ribasso del cinquanta per cento sulle
tariffe ordinarie. Chiunque poi abbandonasse la vita religiosa prima
che fossero trascorsi sei anni, o per sua volontá o perché espulso
dai Superiori, era senz'altro arrolato nell'esercito e mandato a pre-
star servizio nelle Filippine. Tale approvazione non dava al Governo
neppure il diritto di visitare le Case religiose. Don Branda, Diret-
tore a Barcellona, proponeva di farne domanda. Si discusse dell'op-
portunitá nel dicembre del 1887, presente anche Mons. Cagliero, il
quale, preoccupato dell'innovazione che ció avrebbe prodotto nelle
tradizioni salesiane, esitava a pronunciarsi in senso favorevole. É
vero che valenti giureconsulti, appositamente interrogati, dopo averci
studiato sopra, avevano escluso qualsiasi possibilitá d'inconvenienti
per Tavvenire; tuttavia parve prudenza attendere, e intanto vedere
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Fondazioni nella Spagna dal 1891 al 1894
gli effetti di un tal passo presso coloro che giá l'avevano fatto (1).
Si lasciarono passare cosí sei anni, dopo i quali, non essendosi ve-
rifícate spiacevoli conseguenze, fu data facoltá all'Ispettore Don Fi-
lippo Rinaldi d'inoltrare la richiesta al Ministro di Grazia e Giu-
stizia. Lo appoggiavano il Vescovo di Barcellona, il Senatore Bosch
e il Nunzio Apostólico (2). La cosa ebbe esito favorevole. Fu ema-
nato il 25 ottobre 1893 un decreto, in cui si affermava l'efficace con-
tributo recato dalla Congregazione Salesiana alia soluzione della
questione operaia, uno dei piü ardui problemi sociali, e perció le
si riconosceva ufficialmente anche il diritto di esistere e di esten-
dersi in tutta la Spagna (3). Se con ció non si fosse ottenuto altro
vantaggio che di non dover piü esporre i novizi e i professi ai pe-
ricoli della caserma, sarebbe giá stato da ringraziarne il Signore.
Questo privilegio venne accordato con un secondo decreto gover-
nativo del 15 giugno 1894.
La prima fondazione, della quale per ordine di tempo dobbiamo
parlare, é una colonia agrícola, con carattere di ospizio. Nella Spagna
si sentiva grandemente la necessitá di promuovere Fagricoltura. mas-
sime con una piü larga applicazione di principi scientifici, che da-
vano giá fecondi risultati in altre nazioni. Fu perció bene ispirato
il barcellonese Márchese De la Cudra nel Jasciare per testamento
(1) Verb. del Cap. Sup., 30 dicembre 1887.
(2) Lett. del Nunzio a Don Branda, Madrid, 24 apriie 1889.
(3) « Vista l'istanza presentara a questo Ministro dalla S. V. come Superiore della Congregazione
di S. Francesco di Sales nella Spagna, per ottenere che venga riconosciuta in tutta la Penisola l'esistenza
légale della medesima, il cui fine principale é l'esercizio della carita a vantaggio della classe povera e
della gioventü, procurando a questa Tesercizio di un mestiere che le permetta di rendersi utile alia fa-
miglia e alia Societá; viste le favorevoli informazioni fornite dal Vescovo di Barcellona, nella cui Dió-
cesi quella si c stabilita, del Governatore civile di cotesta Provincia e dell'Alcalde di Sarria; visto che
tanto la Santitá di Pío IX quanto quella di Leone XÍI1 ne approvarón le rególe e costituzioni; consi-
derando che la realizzazione del fine principale della Congregazione, che é il bene morale della classe
operaia, puó essere un potente mezzo per risolvere uno dei problemi sociali che debbono richiamare
l'attenzione degli uomini di Stato, come garanzia di pace genérale; considerando che, oltre alie favorevoli
iniormazioni fornite, lo sviluppo della sopracitata Congregazione nelle altre Nazioni e la protezione ac-
cordatale é una prova del bene che fa: Sua Maestá la Regina (che Dio conserví), Reggente del Regno, in
noiiie del suo Augusto Figlio si é degnata di autorizzare lo stabilirsi della Congregazione religiosa di
S. Francesco di Sales a Barcellona ed a Sarria, dove tiene due case, e negli altri punti della Spagna,
a giudizio dei Superiori, previo il consenso dei rispettivi Vescoví e Covernatori Civili, del che si tra-
smetterá copia a questo Ministero, e restando intcso che tanto la presente autorizzazione quanto le suc-
cessive non importano alcun grávame per lo Stato. Ció comunico d'ordine Reale alia S. V. per sua
informazione c per gli effetti conseguenti. Dio conservi la S. V. molti anni, 25 ottobre 1893. >
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Capo XXV
ai Salesiani un vasto podere che aveva a Gerona, perché vi fon-
dassero una loro colonia agrícola. Don Durando, che aveva visi-
tato il tenimento, ne diede favorevole giudizio (1). La Casa fu
aperta nel 1891, cominciando, per volere del testatore, con l'ac-
cettazione gratuita di sei giovani poveri e con l'obbligo in seguito
di accettarne gratuitamente uno ogni dieci che pagassero pensione.
Quest'uno doveva essere scelto tutte le volte dagli esecutori testa-
mentari. I Superiori si rassegnarono a tale clausola, ma posero per
condizione assoluta che il diritto di scelta spettasse ai soli esecu-
tori testamentari, loro vita naturale durante., né passasse in verun
modo agli eredi (2).
Lo zelante Direttore Don Giacomo Ghione, accanto all'inter-
nato agricolo, organizzó scuole gratuite primarie e complementari
per alunni esterni. Ma al sólito si trovó a dover lottare con ¡'angu-
stia dei locali, quindi gli toccó súbito pensare a un nuovo fab-
bricato. Ci si mise con ardore e con molti sacrifici, sicché lo poté
inaugurare giá nel maggio del 1893. Vi ando l'Ispettore Don Rinaldi
e il Direttore della Casa di Sarria con la banda. Benedisse l'edificio
un rappresentante del Vescovo. 11 Superiore dei Gesuiti P. Mare-
sma fece un elevato discorso.
11 Direttore, buon discepolo di Don Bosco, non aveva aspettato
tanto a creare l'oratorio festivo. Nel 1892, mancando ancora un ló-
cale adatto, fisso un complesso di giuochi in uno spazioso campo,
dove attirava i ragazzi; ma quello che valse maggiormente ad al-
lettare i giovani ed a guadagnare le simpatie del pubblico, fu il
vedere i Salesiani non solo fraternizzare con gli oratoriani, ma an-
che giocare con quei poveri figlioli. Si toccó súbito con mano quanto
fosse provvidenziale l'oratorio: venivano giovanotti sui 15 e 16 anni,
che non ave vano ancora fatto la prima común ione, anzi non sape-
vano neppure il Paíer noster. Anche la si allesti fin da principio il
teatrino, sulla cui scena, come ad Oran, ebbe l'onore della prima
rappresentazione la Casa della Fortuna. Nella penuria di documenti
sulle origini della Casa di Gerona non trascureremo due note in-
(1) Verb del Cap. Sup., 7 febbraio 1891.
(2) Ivi, 18 marzo 1891.
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formative dell'ispettore Don Rinaldi. Sonó entrambe del 1895 (1).
Una riguarda specialmente lo stato dei giovani, di cui dice: « Ci
costó molto conciliare la pietá con la vita campestre; ma il Direttore
ha lavorato ed ora si va abbastanza bene. » L'altra osservazione si
riferisce personalmente al Direttore, del quale scrive: « Solamente
Don Ghione pote mantenersi in un mare di miseria, ed aumentare
il numero degli alunni fino a circa 50. Si merita una lode per il suo
lavoro incessante ed umile. » L'opera, da lui bene impiantata a Ge-
rona, duró e progredi. Nel 1901 le sorse da presso u n a graziosa chiesa,
che divenne un piccolo santuario di Maria Ausiliatrice. Piü tardi
nella pace di quel romito soggiorno fu trasferito da Barcellona il
Noviziato salesiano.
Non pochi \\escovi spagnoli guarda vano con inquietudine frotte di
giovani vagabondare per le vie delle cittá o del tutto abbandonati o
privi delle necessarie cure e quindi esposti a crescere neU'ignoranza e
peggio ancora nell'irreligione e nel vizio. La beneficenza ufficiale non
arrivava a porvi efficace rimedio; i santi Pastori facevano da parte
loro tutto il possibile per ovviare al male, ma si sentivano sempre
piü impari al bisogno; perció invocavano l'aiuto dei figli di Don
Bosco. Tutti dicevano: — Ci sonó molte istituzioni; ma non ce n'e
altra che abbia il fine che avete voi altri (2). — Uno di essi, il Ve-
scovo di Santander, avendo visitato i laboratori di Sarria e osservato
come quei giovani lavorassero contenti e progredissero nelle loro
rispettive arti, studiava fin dal 1888 in qual modo procurare un si-
mile beneficio al suo popólo (3); onde fece per questo scopo un
caloroso appello alia carita dei buoni. Finalmente i suoi voti furono
appagati nel maggio del 1892, quando ebbe la consolazione di ab-
bracciare sei Salesiani e il loro Direttore Don Angelo Tabarini, Egli
mise a loro disposizione una casa non grande, ma sufficiente per co-
minciare.
É Santander una elegante, ricca e popolosa cittá sul golfo di
(1) Resoconto della visita ispettoriale.
(2) Lett. di Don Rinaldi a Don Rúa, Sarria, 10 agosto 1891.
(3) Circolare del 18 dicembro 1888, riportata in Boletín Sal del luglio 1892. Lett. a Don Rinaldi,
Santander, 20 luglio 1890; 16 giugno 1891.
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Capo XKV
Guascogna. II nome di Don Bosco non solo vi era conosciuto, ma vi
esercitava un vero fascino; si leggeva con vivo interesse la bio-
grafía del Servo di Dio. I Salesiani si diedero corpo e anima a orga-
nizzare scuole esterne diurne per giovanetti di classi elementari e
serali per operai, e principiarono l'oratorio festivo, affollatosi tostó
fino all'inverosimile. Era quello che il Vescovo aveva aspettato con
santa impazienza; poiché in una cittá cristianissima certe scuole
pubbliche facevano gran male alia gioventü (1).
Tutti pero vedevano quanto fosse inadeguata all'uopo la casa,
stretta e mal costruita; perció si raccolse danaro sufficiente. af-
finché, demolendo qua e innalzando la, si ottenesse un buon edificio,
capace di 300 giovani. Premeva non meno avere una cappella, che ba-
stasse a conteneré piccoli e grandi nei di festivi. Anche per questo
la pubblica beneficenza soccorse, sicché nel giugno del 1893 fu inau-
gurata una cappella provvisoria sotto il titolo di María Ausiliatrice.
Era bello in tale circostanza vedere ragazzi, giá sbarazzini di strada,
affaccendarsi volonterosi nei preparativi della festa inaugúrale, úni-
camente per far piacere ai Superiori. La loro allegria, la loro pietá,
i loro canti produssero un'impressione straordinaria, come appare
dalle cronache dei giornali, che ne scrissero a lungo. Quel giorno
stesso parecchi signori, radunatisi per studiare con quali mezzi far
argine alia crescente immoralitá giovanile, non poterono levare la
seduta senza portare un pensiero all'opera salesiana e col pensiero
Tobólo, che fu un'abbondante colletta versata súbito nelle mani del
Direttore. Al chiudersi poi del primo anno scolastico il saggio finale,
rallegrato anche dalla banda musicale dell'oratorio, incantó la cit-
tadinanza, che non aveva mai immaginato possibile ottenere tanto
da elementi di quella fatta.
La casa nel 1893 superó miracolosamente, era la voce comune,
una tremenda prova. II 3 novembre, una vera macchina infernale,
una nave cioe che porta va 1700 casse di dinamite del peso di 55 chi-
logrammi ciascuna, piú alquanti barili di petrolio e di spirito e
varié tonnellate di travi metalliche, scoppió nel porto. II piróscafo
(1) Lctt. di Don Rinaldi a Don Rúa, Sarria, 10 agosto 1891.
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ando in mille pezzi, seminando lo sterminio; il petrolio, come pioggia
di fuoco, si riversó sulla cittá, sviluppando per ogni dove incendi;
travi di ferro del peso di una tonnellata furono balestrate alia di-
stanza di oltre un chilometro, producendo nella caduta il crollo di
solidissimi edifici. Oltre a 700 furono i morti e piú del doppio i fe-
riti. La cittá arse quasi due giorni e due notti. Sul tetto di legno
della casa salesiana precipito una furia di tizzoni infocati senza
causare incendio; una trave di ferro, piombata come un bolide. tra-
passó il medesimo tetto, perforó una volta e penetró nella scuola di
música durante la lezione di canto, ma non fece male a nessuno.
Fu rilevato puré in cittá che moltissimi Cooperatori salesiani soffri-
roño lievi danni nella roba, ma niente nelle persone.
Nella casa stette esposto alcuni anni il disegno di un grandioso
progetto per scuole professionali, ma rimase un pió desiderio. Al-
l'ultimo si comprese che, date le condizioni delle pubbliche scuole.
tornava piü opportuno intensificare Fazione preservativa a pro degli
studenti tanto con Tinsegnamento primario quanto con l'oratorio
festivo; per i garzoni operai poteva bastare quello che si faceva a loro
vantaggio con l'oratorio e con le scuole serali. Perció nel 1907 venne
aperta u n a seconda Casa, detta Isíituío di María Ausiliatrice, con
scuole interne elementan e commerciali e con pensionato di studenti
secondari, mentre l'altra Casa, chiamata Oratorio Don Bosco, pro-
seguiva nella sua duplice attivitá iniziale. Ma nel 1937 la piü recente,
ingrandita, assunse anche l'esternato, mentre la piü antica cessó di
esistere, perché violentemente requisita dal regime rosso, che ne fece
u n a prigione di donnacce. Habent sua faía non solo i libri, ma anche
le case.
Una fondazione destinata a grande avvenire fu fatta in questo
periodo a Siviglia. Nella capitale dell'Andalusia si desideravano da
tempo i Salesiani. Li desideravano i suoi Cardinali Arcivescovi per
la cristiana educazione della gioventü bisognosa; li desideravano
clero e nobiltá per la redenzione d'innumerevoli figli del popólo, che
crescevano in assoluto abbandono; li desideravano anche le Auto-
ritá civili, preoccupate di quelle turbe di ragazzi che infestavano
la cittá e si preparavano a diventare una minaccia per l'ordine pub~
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blico. Abbiamo giá visto quanto fosse conosciuta e apprezzata l'O-
pera di Don Bosco nella Spagna e particolarmente a Siviglia. La
Casa di Utrera, appartenente alia diócesi ispalense, faceva parlare
molto di sé, accendendo negli animi una tal quale gelosia di posse-
dere un simile Lstituto anche nella metrópoli andalusa. Né tuito
si esauriva in aspirazioni e voti. Parecchi insigni Cooperatori si ado-
peravano positivamente per l'attuazione del disegno. Spiccava fra
essi l'avv. Romero, uomo assai coito, stimatissimo nei circoli eccle-
siastici, specchio di prudenza e sempre disposto a sostenere ini-
ziative di bene. Non meno zelante si mostrava il virtuoso e autorevole
avv. Muñoz, genero di quel Márchese di Casa Ulloa, a cui si doveva
la fondazione di Utrera. La ñglia di quest'ultimo, Madre Conso-
lación delle Suore Riparatrici, che spiegava un'attivitá straordinaria
in favore della classe operaia e godeva immenso crédito nel ceto
aristocrático, riguardava la venuta dei Salesiani nella cittá quasi
come un interesse di famiglia. Ben tre furono i Cardinali che si pre-
sero successivamente a cuore l'impresa. II Card. Lluch (1) caldeggio
a tutto potere la fondazione; il Card. Sanz y Forés forni la casa;
i i Card. Spinola (2) amplió notevolmente il campo d'azione. Ma ve-
niamo ai faiti.
II secondo dei detti Arcivescovi trovó chiuso il piccolo Semi-
nario, che aveva avuto cómoda sede in un antico convento di Tri-
nitari, a fianco di una chiesa monumentale. II vasto e disabitato
edificio pareva ai Cooperatori che si prestasse magníficamente al-
l'uopo, tanto piú che sorgeva in una zona, dove pullulava una gio-
ventü veramente abbandonata. L'avv. Romero, coadiuvato dalla su a
pia consorte e da altri, riusci a ottenere dall'Arcivescovo il con-
senso d'installarvi un oratorio da affidare ai Salesiani. Allora II-
spettore Don Rinaldi, d'intesa con Don Rúa, incaricó delle trattative
Don Oberti, Direttore a Utrera, salesiano dotato di profonda pietá,
di esimia prudenza e di straordinario prestigio: era proprio fatto
per guadagnarsi i cuori. Vinte le prime difficoltá, si convenne in via
provvisoria che la Curia avrebbe ceduto ai Salesiani l'ex-convento
(1) Annali, pag. 450.
(2) IDÍ pp. 452, 543.
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della SS. Trinitá, perché vi aprissero un oratorio festivo; intanto si
piglió tempo per studiare e fissare una convenzione definitiva. 11 co-
mínciare cosi senza una base sicura ispiró dapprima qualche legittimo
timore. L'avv. Romero, a chi gli manifestava giuste apprensioni, ri-
spóse argutamente: — Le cose provvisorie a volte sonó le piú stabili.
Q u i in Andalusia é molto in voga il salmo Beaíus qui possidet, benché
non compreso fra quelli del Salterio.
Nel pomeriggio dunque del 23 luglio 1892, partiti dalla Casa di
Utrera e accompagnati dalle preghiere e dai voti dei Confratelli, giun-
gevano a Siviglia Don Atzeni e il ch. Pietro Ricaldone per dar prin-
cipio all'oratorio. Dovevano andaré la ogni sabato e tornare a Utrera
il lunedi o martedi seguente. Vitto e alloggio non poterono avere nel-
l'ex-convento; ma ricevettero allora e poi caritatevoíe ospitalitá dai
Padri Francescani. L'indomani dopo la Messa si misero all'opera per
attirare giovani. Ne radunarono un gruppetto, a cui dopo il mez-
zodi fecero il catechismo. II giorno appresso, gran festa di S. Gia-
como, Patrono della Spagna, ne accorsero 62. Don Atzeni fece loro
il panegírico dell'Apostolo in una forma adattata all'uditorio. Erano
presenti l'avv. Romero e la sua signora, commossi fino alie lacrime,
vedendo finalmente cosi ben realizzato il loro sogno. Non dimenti-
carono mai piü quella predica, una vera novitá oratoria per en-
trambi.
Ma novitá assai piü grande parve loro l'aver saputo l'oratore
incatenare l'attenzione di quei diavoletti, dei quali bisogna che fac-
ciamo la conoscenza. Si ergeva il massiccio convento fra due dei
piü derelitti sobborghi di Siviglia. Di lá dai muri che cingono il sa-
crato della chiesa, si stendeva a perdita d'occhio una spianata, che in
certe ore del giorno presentava uno spettacolo singolare. Si trasfor-
mava letteralmente in un campo di battaglia, nel quale si affronta-
vano, armati di robuste fionde, due orde di ragazzi, risolvendo a
colpi di pietra le loro eterne competizioni rionali. Nel furore di tali
mischie neppure i carabinieri a cavallo riuscivano a disperdere i
combattenti, perché contro la forza pubblica le due masnade si avvi-
cinavano e ne formavano in un attimo una sola. Queste le prodezze
collettive; ma ve n'erano anche altre alia spicciolata, con le quali
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i piccoli scavezzacolli disturbavano qua e la i cittadini e perpetra-
vano atti di precoce delinquenza; poiché nelle loro baruffe mette-
vano mano anche ai coltelli. Un giorno Don Ricaldone vide, pas-
sando, una fiera zuffa tra quelle canaglie. Cacciatosi in mezzo, fece
sospendere la mischia. Uno grondava sangue da una larga ferita. Lo
prese in braccio e lo portó in una barbieria e mentre lo si medicava,
fuori gli avversari accaniti sbraitavano, brandendo i coltelli. Non par-
liamo poi d'ignoranza religiosa e di libertinaggio. Ecco gli elementú
su cui dovevano operare i Salesiani, con il método insegnato loro
dall'esempio e dalla parola di Don Bosco.
In porfíe domeniche il ch. Ricaldone si trovo a capo di oltre 500
sbarazzini, che si sforzava di dominare, anzi di domare con la sua
energía, accompagnata da invitta pazienza. Ma Don Oberti comprese
ben presto l'impossibilitá di agiré efficacemente su quella massa
senz'avere cola stabile dimora. Ne trattó con la Curia, la quale finí
con permettere che i Salesiani occupassero, sempre provvisoriamente,
il convento; quindi la sera del 5 gennaio 1893 Don Atzeni e il suo
aiutante di campo vi s'insediarono non allontanandosene piü nel
corso della settimana. Arrivarono cola con molto buon volere, ma
sirte sacculo. Don Oberti aveva dato loro poco piü che il danaro del
viaggio; non essendovi poi né cuoco, né cucina e nemmeno una se-
dia per sedersi, recítate le preghiere, anticiparono l'ora del riposo.
La Provvidenza pero non li abbandonava. I Salesiani erano ivi
da pochi giorni, quando si presentarono due nobili giovanetti, con-
dotti dal loro precettore con l'aria di voler far loro visitare il con-
vento; ma in realtá la veneranda loro nonna, Donna Agnese Ben-
jumea aveva mandato la i due nipotini, affinché intanto il loro
nestore osservasse e riferisse. Osservó egli un'estrema povertá e ri-
feri cose che impietosirono la buona signora, sicché tostó invió ogni
ben di Dio. Da quel punto Donna Benjumea, secondata dalla figlia
Dolores, divenne la m a m m a dei Salesiani, che riscontrarono in lei una
copia fedele della barcellonese Donna Dorotea Chopitea. I suoi fra-
telli Diego e Paolo, non meno doviziosi che caritatevoli, le si asso-
ciarono poi sempre e generosamente nella carita.
Frattanto furono improvvisate scuole diurne per i giovani piü
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abbandonati dei due popolosi sobborglri. A poco a poco le buone ma-
niere, Fistruzione religiosa e la pratica dei sacramenti venivano am-
mansando quei branchi di selvaggi. La cittá guardava stupefatta.
Parrebbe leggenda, ma é pura storia ció che accadde sul finiré del
primo mese mariano. Ogni giorno funzioni e canti richiamavano alia
chiesa folie di ragazzi. Al diácono Ricaldone venne un'idea origí-
nale. Bisognava assolutamente disarmare quella turba bellicosa e
farla finita con le non incruente sassaiole. Una sera, dopo una con-
veniente preparazione degli animi, svolta da alcuni giorni, esorto
tutti a fare un fioretto, che sarebbe tornato graditissimo alia Ma-
donna: offrire a lei le fionde. Lo spagnolo porta in fondo all'anima
qualche cosa di atávico, che lo muove ad amare la Madre di Dio.
Forse neppure Don Ricaldone si aspettava Feffetto prodotto dalla
sua proposta: decine e decine di fionde si ammonticchiavano quo-
tidianamente ai piedi della Vergine, sicché per la chiusa del mese
se ne contarono parecchie migliaia, giacché ognuno ne aveva pin
d'una. Allora con grande solennitá i pericolosi strumenti furono por-
tati nel mezzo del cortile e sotto gli occhi della gente trasecolata
vi si appiccó il fuoco, quasi sacrificio in onore di María Ausiliatrice.
E sacrificio fu, perché, sebbene intorno al bel falo tripudiassero i mo-
nelli, non pochi di essi lasciavano trasparire il rincrescimento di ve-
der ridotti in cenere i cari ordigni, fabbricati con le loro mani. Im-
maginare i commenti che corsero a lungo per le bocche di tutti in
cittá.
Un altro frutto conseguí l'oratorio festivo, col porre termine a un
vandalismo, contro cui non c'era stato mai mezzo che valesse. II
Municipio non sapeva piú come provvedere all'impianto delFillu-
minazione a gaz, perché i piccoli devastatori, non paghi d'infran-
gere i vetri, staccavano anche le intelaiature metalliche e divelle-
vano e portavano via i pali di sostegno. Con Pammansarsi dei gio-
vani tale saccheggio ando scemando, finché non ne rimase piú se
non il triste ricordo. Nel 1899, trovandosi Don Rúa a Siviglia, l'al-
cade, nel porgergli l'omaggio della cittadinanza, volendo puré se-
gnalargli il proficuo lavoro compiuto da' suoi figli, raccontó per filo
e per segno la storia dei fanali.
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Del resto, anche la Infante ebbe allora le sue da contare. Una
volta, azzardatasi a passare di la in carrozza, era stata assalita da
un nuvolo di quei malandrini, che le avevano fracassato i cristalli;
ma piú tardi, volendo sperimentare la veritá di quanto sentiva diré,
ripassó e tornó a palazzo con la carrozza incólume. Un'altra volta,
rifacendo quel cammino, si fermó ed entro in casa. Era sul tardi: i
giovani rimasti la conobbero e corsero a Don Ricaldone vociando:
— Don Pedro, la Infante! Don Pedro, la Infante! — Don Pedro stava
allora occupato in un'operazione che discordava in genere, numero
e caso con il ricevimento di una Principessa reale; nettava le ritirate
dell'oratorio. Ella manifestó il desiderio di vedere tutta la casa: en-
tró anche nelle squallide camerette, do ve s'accorse che sui letti serví-
vano da coperte misere stuoie. Tocca alia vista di tanta povertá, l'in-
domani fece pervenire una buona quantitá di mobili e di bianche-
ria; fu un primo atto della sua regale munificenza verso l'Istitutb.
Per due anni Topera ando avanti senza un Direttore fisso, ma a
dirigerla si succedettero, sempre provvisoriamente, Don Atzeni, Don
Pertile, Don Castellano, Don Buil, essendo la Casa considerata come
succursale di Utrera; ma nell'estate del 1894 l'Ispettore propose e
mise alia testa il giovane sacerdote Don Ricaldone, che la duró
ivi, prima quale Direttore e poi quale Ispettore, oltre diciassette anni.
Veramente nell'oratorio nominare Don Ricaldone sarebbe stato
come fare il nome di un ¡Ilustre sconosciuto. Don Pedro era il suo
nome di battaglia. I ragazzi vedendolo acclamavano a Don Pedro;
nelle loro contese si appellavano a Don Pedro; era Don Pedro una
parola mágica, che aveva la virtú di ricondurre l'ordine nella mol-
titudine a volte turbolenta o di muoverla come una persona sola per
dove si aveva da andaré. Quando imperversavano ancora le guer-
riglie delle fionde, bastó talora che egli si avanzasse in mezzo ai con-
tendenti, perche al grido di — Don Pedro! Don Pedro! — abbas-
sassero le armi e gli si serrassero intorno mansi come agnelli. Cosi
anche fra la cittadinanza il nome di Don Pedro venne ad acquistare
una larga popolaritá; anzi fino a tutt'oggi il Rettor Maggiore é dai
Soci spagnoli designato abitualmente con il familiare appellativo di
Don Pedro, ricordo vivo di tempi eroici.
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Fondazioni nella Spagna dal 1891 ai 1894
Anche a Siviglia da cosa nacque cosa. Don Bosco nelle sue Rególe,
dopo aver parlato degli oratori festivi, soggiunge: « Siccome poi av-
viene spesso che s'incontrino giovanetti talmente abbandonati, che per
loro riesce inutile ogni cura, se non sonó ricoverati in qualche ospi-
zio; COSÍ, con la maggior sollecitudine possibile, si apriranno case,
nelle quali, con l'aiuto della Divina Provvidenza, verrá loro sommi-
nistrato ricovero, vitto e vestito. » Ora, quanti giovani vagavano per
le vie e per le piazze di Siviglia orfani e derelitti! Per loro si or-
ganizzarono scuoíe professionali. Alie ingenti spese sopperi la Prov-
videnza. Le famiglie Benfumea e Armero, i signori Quijano, Alpe-
ríz e Ybarra ne furono gli strumenti principali. Un Comitato di
Dame Patronesse agiva in permanenza, presieduto dalla Contessa
di Casa Galindo; vi era rappresentata gran parte deiraristocrazia
cittadina. II fabbricato, ingrandito poi con nuove costruzioni. per-
mise di sistemarvi un corso completo di scuole esterne e di stabilirvi
Tinternato anche per gli studenti. Insomma le Escuelas Salesianas de
la SS. Trinidad di Siviglia diventarono in proporzioni un po' minori
un altro Oratorio di Torino.
Vita effímera toccó invece a una fondazione del 1893 in Rialp. É
Rialp un importante villaggio situato in una valle dei Pirenei, nella
provincia di Lérida, Diócesi di Urgel. L'occasione a confinarsi in
quellangolo remoto venne offerta da un signore, che, volendo do-
tare il suo paese nativo di un'utile opera religiosa, dopo molte ricer-
che si era fissato sulla Societá Salesiana, alia quale regaló una casa.
Lo scopo che mosse i nostri ad andarvi, fu di portare il beneficio
dell'istrüzione religiosa e civile alie popolazioni della vallata, che ne
sentivano gran bisogno. Vi aprirono quindi un Convitto con scuole
anche esterne diurne e serali e con l'oratorio festivo. A Don Rinaldi,
recatosi a vedere il luogo, i valligiani fecero un ricevimento come
se arrivasse il Vescovo. Ma tostó purtroppo si dovette sperimentare
che non sempre basta la volontá per fare del bene. Cappella e casa
insufficienti al bisogno; nessuna possibilitá di ampliamenti; molta
difficoltá a provvedere il necessario per i giovani e per la comu-
nitá; comunicazioni disagiate; svanita la speranza della ferrovia;
previsioni di debiti ognor crescenti; un'opera condannata a restare
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Capo XIV
perpetuamente rachitica. Tre anni di prova furono bastanti per far
prendere la decisione di abbandonare quel posto.
Un bell'avvenire era riserbato a un'altra fondazione sorta da
umili inizi in Malaga, la nota cittá della provincia di Granata,
posta sul Mediterráneo e fiorente di commerci. I Salesiani vi ave-
vano giá fatto una comparsa nel 1880 per rilevare un orfanotrofio,
dal quale dopo alcuni mesi furono costretti a ritirarsi (1). Primo pen-
siero del santo Vescovo Spinola (2), appena preso possesso della
Diócesi, fu quello di preparare il terreno alia venuta de' suoi " buoni
amici Salesiani ", couTegli soleva chiamarli. Trovandosi poi nel 1894
da quelle parti Don Rinaldi, lo pregó di andar a vedere un ampio
lócale, che una vedova signora, zelante Cooperatrice, offriva per ista-
bilirvi un'opera di Don Bosco. L'Ispettore, che non poté resistere
alie istanze di un si degno Prelato, promise di contentarlo entro
l'anno.
I Salesiani giunsero infatti a Malaga la vigilia deH'Immacolata.
Una cosa li impressionó súbito pro fonda mente: il gran numero dei
fanciulli lasciati in balia di se stessi, cioé abbandonati. « Non l'a-
vrei mai creduto, se non l'avessi visto con i miei occhi », scrisse il
Direttore Don Epifanio Fumagalli (3). La prima sera, percorrendo
la cittá in compagnia di un signore, ne incontrava gruppi ozianti
sulle gradinate delle chiese e dinanzi a case particolari. Ne inter-
rogó qua e la non meno di trenta, se non avessero padre, madre, oc-
cupazioni. Non avevano milla e nessuno. Ecco il vivaio dei sovver-
sivi! Un periódico diocesano diceva essere un male gravissimo a
Malaga e da tutti deplorato la fanciullezza abbandonata; in pubblica
conferenza un oratore la proclamó una macchia, una piaga, un pe-
ncólo sociale.
1 Salesiani si misero súbito al lavoro con l'oratorio festivo, del
quale pero fecero l'inaugurazione solo il 20 gennaio seguente, es-
sendo la casa troppo sprovvista. Vi avevano trovato padrona as-
ió Anche i Fatebenetratelh vennero via nel 1S% e si torno a chiamarvi i Salesiani, che, avendo
altri impegni. non poterono adcrire (Verb. de] Cap., 22 giugno 1896. Bolleüino Sal, marzo 1896).
(2) Cfr. Annali, pag. 543.
(3) Lett a Don Rúa, Malaga, 7 diccmbre 1894 (in Boletín Sal., gennaio 1895).
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Fondazioni nella Spagna dal 1891 al 1894
soluta la povertá; tutto il mobilio consisteva in due brande, quaf-
tro coperte e uno sgabello di legno.-II rinvio delFinaugurazione diede
agio alie persone caritatevoli di conoscere quei bisogni e di venire
in soccorso, sicche per la data prefissa la cappella era pronta, la casa
in ordine e le aule arredate. Intanto i Salesiani avevano preso puré
a fare scuole diurne e serali e apersero finanche due laboratori, ac-
cogliendovi 22 artigiani internL Laboratori modesti modesti; ma que-
sto era lo stile di Don Bosco: cominciare come si puó, senza aspet-
tare di avere prima tutto il necessario.
AH'inaugurazione intervennero l'Ispettore Don Rinaldi, varié Au-
toritá cittadine e il Vescovo, che pronunció un magnifico e cordial e
discorso, dicendo chi erano i Salesiani, che cosa poteva Malaga aspet-
tare da essi e che cosa Malaga doveva fare per loro. Terminata
quella funzione, ve ne fu unaltra da Terra del Fuoco. Sbucó nel
cortile un branco di ragazzacci cenciosi, sudici, carichi di parassiti.
Li spingevano i membri di un'Associazione contro la mendicitá. I
Salesiani non si mostrarono inferiori alia loro missione. Fecero buona
cera a quei disgraziati; ma poi, venuta la notte, dove metterli? Non
certo nel dormitorio comune. Condottili dunque in uno stanzone, che
aveva il pavimento coperto di trucioli, ve li posero a dormiré. La
mattina appresso fu chiamato il barbiere che li tosasse ben bene e
man mano che uno usciva di sotto alie forbici, lo si tuffava in una
vasca del giardino e poi con abiti nuovi portati da quei signori lo si
vestiva da capo a piedi. Finita Foperazione, i medesimi signori li
menarono lindi e puliti altrove (1).
II buon Vescovo tornó all'oratorio il 3 febbraio per la festa di
S. Francesco di Sales. Egli rimase consolato, ma non sorpreso al ve-
dere un duecento poveri fanciulli accostarglisi riverenti, baciargli
l'anello e quindi in tre lunghe file accompagnarlo in cappella per la
benedizione. prima della quale gl'interni cantarono il Tantum ergo.
Dopo, la turba giovanile, aspettatolo all'uscita, gli fece un'ovazione,
che da ragazzi di quella fatta nessuno si sarebbe mai sognato di aspet-
tare. Cominciava la trasformazione.
(1) Cfr. Boletín Sal., giugno c luglio 1893.
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Capo XXV
Nel la festa di Maria Ausilia trice tre novitá diedero occasione a
commenti ammirativi. Alia Messa del!a comunitá il Vescovo ammi-
nistró la prima comunione a 25 ragazzi dell'oratorio. Persone rag-
guardevoli presentí andavano dicendo: — Che metamorfosi! Un mese
o due fa questi ragazzi erano tanti granujas, monellacci, senza un
briciolo di religione e di educazione. Trovata una mano pietosa che
li raccogliesse e insegnasse loro i doveri che hanno verso Dio, verso
il prossimo e verso se stessi, eccoli la docili, mansueti e raccolti. —
A mezzogiorno vi fu uno spettacolo ancor piü singolare per Ma-
laga. Circa 200 ragazzi nel cortile dell'oratorio, chi seduto in térra
e chi stando in piedi, consumavano allegramente una succolenta re-
fezione, distribuita loro dai Superiori, che servivano e mangiavano,
confusi con essi in una sola famiglia. La gente diceva: — Ecco il
modo di farsi amare dai fanciulli: farsi piccoli con loro. — Alia
sera infine dinanzi al Vescovo e a un pubblico civile i giovani in-
terni rappresentarono un dramma intitolato Domenico Savio. Che
in pochi mesi di collegio quegli imberbi attori, pocanzi ignoranti e
rozzi, si fossero resi capaci di sostenere cosi bene ognuno la sua
parte, sembró poco meno che un prodigio. Omai Topera santa era
in cammino; il lavoro e lo spirito di sacrificio Pavrebbero condotta
a piü alte mete.
Don Rinaldi dopo la regolamentare ispezione del 1895 annotava
sul contó dei Soci: « Si vogliono bene, soffrono insieme e sonó con-
tenti. Non posso diré di piü, perché sonó privi affatto di comoditá
e carichi di lavoro. » Mentr'essi cosi f ática vano sacrificandosi, la
malvagitá di certuni moveva loro una vera guerra morale per iscre-
ditarli. II popólo pero li rispettava, ed anche le Autoritá pare che
non dessero ascolto ai denigratori; infatti nel 1896 il Municipio de-
nominó da Don Bosco una fra le principali vie della cittá.
Nei precedenti di questa deliberazione risplende un nobilissimo
particolare. II Consiglio Municipale di Malaga aveva deliberato di
daré a una via il nome di Ventura Terrado per onorare Donna Ven-
tura Terrado vedova Sandoval, che nella via designata aveva ceduto
ai Salesiani parle di un edificio, giá proprietá di suo marito. La
signora, piü che sorpresa, rimase confusa di quell'atto; quindi pre-
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Fondazioni nella Spagna dal 1891 al 1S94
sentó al Consiglio una serie di considerazioni, con cui dimostrava
che tale onore spettava molto piü a Don Bosco che non a lei, tro-
vandosi in detta via Topera benéfica de' suoi figli. « Qual para-
gone vé mai, diceva terminando il memoriale, fra l'uno e l'altro
nome? Chi conoscerebbe ancora e che potrebbe significare il nome
di Ventura Terrado alio scomparire della presente generazione? Al
contrario, il nome di Don Bosco sará ogni di piü conosciuto ed a p -
prezzato a misura che la sua Opera andrá estendendosi e produ-
cendo i suoi frntti salutari. Perció una decisione in questo senso
mi sarebbe di maggior gradimento che non l'altra. » II Consiglio, che
aveva giá stabilito di daré a un'altra via di minor contó il nome di
Don Bosco, riformó, come piaceva alia signora, la propria delibe-
ra zione.
Da Vigo, cittá dell'antica Galizia, un buon sacerdote Casimiro
Vasquez scriveva a Don Bosco sul finiré del 1884, supplicandolo
di mandar vi i suoi figli a fondare scuole professionali per la gio-
ventú povera e abbandonata. Ma era ancora troppo presto per tale
opera; il Santo gli fece rispondere che pregasse il Signore d'inviare
alia Congregazione molti soggetti spagnoli: soltanto cosi potersi age-
volare l'andata dei Salesiani nella sua patria (1). Dieci anni dopo,
nel 1894, ve li mandó il Successore di Don Bosco, grazie alio zelo
costante e generoso del Cooperatore Leopoldo Gómez. Primamente
essi dimorarono in un quartiere dannato, detto El Arenal. Lo abi-
tava una popolazione in massima parte povera e ignorante, e, quel
che era peggio, data all'irreligione e aU'immoralitá. Per colmo di
sventura, vi si erano piantati in mezzo i protestanti, formandovi
un loro centro di azione: azione che si riduceva quasi solo ad ac-
cendere odio contro la Chiesa Cattolica, i suoi ministri e il suo culto.
É facile immaginare quale gioventü dovesse crescere in un ambiente
di simil fatta. Ma alia fine una piissima signora era riuscita a far
sloggiare di la gli emissari di satana, comprandone essa la casa e
il tempio e aprendovi una scuola cattolica, posta sotto la direzione
di un bravo ecclesiastico.
(1) Mem. Biogr., vol. XVII, pag. 82?.
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Capo XXV
Stavano a questo punto le cose, quando arrivarono in quel quar-
tiere di Vigo i Salesiani, che, aderendo al desiderio del Vescovo,
si presero la cura della scuola e della chiesa. Ma per aprirsi la
strada cominciarono a predicare una Missione di otto giorni al po-
pólo con risultati che nemmeno i piü ottimisti avrebbero osato spe-
rare: uomini che da anni non si confessavano, si riconciliarono aper-
tamente con Dio. Súbito dopo si pensó all'oratorio festivo, il vero
toccasana in casi di tal genere. A questo fine i Salesiani affittarono
un pezzo di terreno, in cui le domeniche e feste radunavano una
turba di ragazzi, finché, sorte difficoltá coi vicini, trasportarono quelle
adúnate nella piazza grande. « Quivi, all'aria libera, scriveva un
anno e mezzo dopo un Cooperatore (í), i Salesiani davano un su-
blime spettacolo di carita non mai veduto da quella gente, che si
fermava ammirata a contemplarlo: facendosi piccoli con i piccoli,
correvano e saltavano con essi, mettendo animazione e moto nella
fanciullesca moltitudine, che aumentava, si puó diré, ogni momen-
to, attratta, come da forza irresistibile, dalle dolci maniere dei Sa-
lesiani, che li divertivano e li facevano stare allegri. » Cosi per opera
dei giovani il disgraziato quartiere veniva cambiando aspetto.
Essendo poi troppo insufficiente la casa e la chiesa, i Salesiani
passarono in un edificio piü adatto, in cui c'era modo di svilup-
pare tutte quante le risorse di un oratorio; ampliarono inoltre e abbel-
lirono la casa di Dio, sicché vi si potevano decorosamente compiere
le sacre funzioni e celebrare le varié feste. La trasformazione per-
tanto del quartiere progrediva a vista d'occhio: persone che poco
prima covavano un diabólico odio contro i preti, si vedevano av-
vicinare familiarmente i Salesiani, andaré in chiesa e accostarsi ai
sacramenti. II bene operato fu si grande, che duró anche dopo che
i Salesiani, senza abbandonare del tutto l'oratorio, si erano trasfe-
riti in altra parte della cittá per occupare il Collegio ivi costruito,
nel quale avevano agio di svolgere un piü ampio programma di at-
tivitá religiosa e civile.
Nell'ottobre del 1894 vi fu nella Spagna per la Societá Salesiana
(1) Boletín Sal., novembre 1896.
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Fondazioni nella Spagna dal 1891 al 1894
una manifestazione, della quale la nostra storia non puó non con-
sacrare il ricordo. Si celebrava a Tarragona il quarto Congresso Na-
zionale Cattolico, e vi si erano dati convegno clero e laicato, no-
biltá e scienza: i piú di quattromila Congressisti tenevano le loro
adunanze generali nella maestosa Cattedrale, dinanzi al Card. Sanz
y Forés, Arcivescovo di Siviglia, assistito da 21 Prelati. In una delle
sezioni particolari formava oggetto di studio la questione sociale, che
in pratica si ridusse quasi esclusivamente alia questione operaia; vi
si parló anche dell'Opera salesiana. In rapporto a tale argomento un
Congressista barcellonese, Narciso Pascual, tenne davanti all'intera
assemblea un discorso, in cui trattó il tema " La Congregazione Sa-
lesiana e gli o p e r a i , " mostrando l'utilitá dei talleres salesiani, come
quelli che curano dalla radice i mali della classe operaia, poiché,
mediante i precetti e la pratica dell'insegnamento cattolico, l'amore
al lavoro e Fesercizio di un'arte, gli Istituti salesiani formano il vero
operaio cristiano, il cittadino amante della patria, fedele osserva-
tore di tutti i suoi do veri. L'oratore citó due esempi: la Casa di
S. Giuseppe in Barcellona e il grande Stabilimento di Sarria. Nella
Casa di Barcellona s'impartiva istruzione gratuita a 500 ragazzi di
giorno ed a 150 adulti la sera; vi era p u r é annesso Foratorio festivo
frequentato ogni domenica da 500 a 600 fra ragazzi e giovanotti. A
Sarria fuori di Barcellona nei laboratori di tipografía, legatoria, fab-
briferrai, falegnami ed ebanisti, calzolai, sarti, disegno, pittura, scul-
tura lTstituto conteneva piú di 200 giovani artigiani, senza con-
tare i 150 studenti, che dalle scuole elementan venivano avviati agli
studi superiori del Seminario o dell'Universitá. Donde egli tirava la
conseguenza che FOpera di Don Bosco, educando cristianamente i
fígli del popólo con i suoi Collegi ed oratori festivi, era se non Fuñico,
certo uno dei mezzi principali per raggiungere la soluzione del gran
problema che agitava il mondo, contribuendo insieme potentemente
a procurare quel morale e materiale miglioramento, a cui Fonesta
classe lavoratrice aveva diritto di aspirare; e che quindi quest'Opera,
appoggiata e favorita, avrebbe dato senza dubbio alia Spagna gli
eccellenti risultati, che giá produceva in Italia, in Francia e in Ame-
rica. I Prelati che componevano la presidenza, plaudirono alie idee
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Capo XXV
esposte dalForatore, facendo eco ai Prelati l'unanime entusiástico
consenso di tutta l'assemblea.
Don Rinaldi, che aveva mandato al Congresso un rappresentaníe
de' Salesiani nella persona di Don Aime, Direttore a Sarria, gli
aveva puré dato l'incarico di ossequiare da parte sua i Cardinali
Arcivescovi di Siviglia e di Valenza ed altri Prelati. Orbene tutti
vollero da lui piú particolari informazioni. manifestando chi la
propria soddisfazione per il lavoro compiuto dai Salesiani nelle loro
Diócesi, chi il vivissimo desiderio di aver presto i figli di Don Bosco
entro i confini della loro giurisdizione episcopale.
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CAPO XXVI
I Salesiani nel Portogallo.
Alia storia dell'ingresso dei Salesiani neJ Portogallo conviene
premettere un po' di preistoria. Una larga propaganda di Don
Bosco e della sua O p e r a e r a stata fatta nel 1877 a Lisbona da
Mons. Lacerda. Vescovo di Rio de Janeiro (1). Scrivendo al Santo
gli diceva fra I'altro (2): «Eccomi I'apostolo dei Salesiani qui a
Lisbona o, per parlare piü veramente ed umilmente, l'amico dei
Salesiani e dei Portoghesi. Ho parlato qui di Lei, de' suoi figli e
de' suoi stabilimenti, e tutti si son mostrad contenti e benedi-
cono Iddio, che divide i suoi doni prout vult. Ancora ho fatto ve-
dere che sarebbe gran cosa e gran bene di domandare a Lei che
mandasse qui alcuni de' suoi. » Tracciato quindi un quadro scon-
fortante delle condizioni religiose del paese, conchiudeva: «La
cosa che piace molto é di sapere che i suoi non solo insegnano
lettere, ma a leggere e scrivere e sopra tuíto arti e mestieri, e mu-
sica. A h ! Don Bosco mió: arti e mestieri... gran cosa nei giorni
nostri: arti e mestieri é la primaria istruzione per i figli del po-
pólo. Per me sonó questi punti di grande importanza. Per l'istru-
zione superiore vi sonó buoni Collegi diretti da Comunitá Reli-
giose; ma per i ragazzi, per i figli del popólo, bisogna lavorarvi e
molto; e chi meglio dei Salesiani? Carissimo Don Bosco, vi sonó
molte cose e persone buone in questo regno e in questa Lisbona;
ma quanti mali! »
Tre anni dopo, nel 1880, cominció da Oporto una lunga e nu-
trita corrispondenza alio scopo di ottenere una fondazione sale-
en Cfr. Annali, pp. 456, 458-9.
(2) Lisbona, 23 novembre 1877. Pubblicata in Mem. Biogr., vol. XIII, p. 945
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Capo XXVI
siana in quella seconda cittá del Portogallo, Ai piú zelanti eccle-
siastici piangeva il cuore di vedere le miserrime condizioni reli-
giose del popólo. I protestante profittando dell'ignoranza genérale,
lavoravano a tutto potere per isradicarvi la fede. Alcuni del clero,
volendo far argine alia loro azione deleteria, tenevano aperte
scuole primarie cattoliche, i cui frutti pero duravano ben poco. I
giovanetti, usciti da quelle scuole, passavano a imparare un me-
stiere in officine o botteghe, dove non respiravano che irreligione
e immoralitá, sicché perdevano quasi súbito ció che di buono ave-
vano insegnato loro i preti. Emergeva in quest'opera lo zelo di
un sacerdote ragguardevole per nobiltá di sangue, Sebastiano Leite
de Vasconcellos, il quale fu poi Vescovo di Beja. Egli, meditando
di creare un'istituzione, in cui i giovani, lasciate le scuole catto-
liche, potessero apprendere un'arte senza correré pericolo di per-
deré il tesoro della fede, si era fissato nell'idea di organizzare con
tale intendimento unOfficina di S. Giuseppe; ma i primi tentativi
non lo soddisfacevano. Allora venne a sapere di Don Bosco e delle
sue scuole professionali. Gli parve una rivelazione del Cielo. Pose
súbito mano alia penna e gli scrisse scongiurandolo senz'altro di
mandargli almeno tre Salesiani ad aprire tre laboratori di sarti, cal-
zolai e falegnami. Da quel giorno fu per lui un continuo scrivere
e riscrivere senza perderé mai né la pazienza né la speranza. Gli
rispondeva ogni tanto Don Durando, incaricato delle pratiche per
fondazioni; ma le sue risposte, varié nella forma, tornavano sem-
pre al sicut erat nella sostanza, essere cioé impossibile per qualche
anno esaudirlo, sperarsi pero di potere con l'andar del tempo. Non
si leggono oggi senza commozione le calde pagine strappate al
buon sacerdote da qualche mezza frase, in cui gli sembrasse di
travedere un barlume di promessa.
Don Bosco certamente non era insensibile a tanta fiducia e a
tanto buon volere; perció nel 1881 dispose che Don Cagliero, do-
vendo andaré a Siviglia per trattare della fondazione del Col-
legio di Utrera, desse una capatina a Oporto e vedesse e sen-
tisse. Quell'incontro infuse coraggio al de Vasconcellos, che non
molto dopo restituí la visita. Venuto a Torino, fece la conoscenza
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/ Salesiani nel Porto gallo
di Don Bosco, osservó da vicino le sue Istituzioni e s'intrattenne
piü volte con lui. II Santo lo ascoltava con la sólita bontá, gli dava
utili consigli e alia fine gli disse: — lo credo davanti a Dio che
ora dobbiate aprire voi quell'Istituto a beneficio della gioventú; i
Salesiani li manderemo poi. — Quegli intese le sue parole nel senso
che dipendesse da sé l'accelerare la venuta dei sospirati Salesiani;
perció, tornato in patria, attenendosi alie istruzioni avute e confor-
mandosi a quanto aveva osservato nell'Oratorio di Valdocco e
negli Ospizi di Sampierdarena e di Marsiglia, costitui una Com-
missione di buoni cittadini, con la cooperazione dei quali inizió
l'ideata Officina di S. Giuseppe, ponendo la riserva esplicita di ce-
derla ai Salesiani, non appena fossero a Oporto.
Diciamo qualche cosa delPandata di Don Cagliero nel Porto-
gallo. Stando ancora a Utrera, egli aveva ricevuto da Lisbona,
per il tramite della Nunziatura Apostólica, un plico raccoman-
dato, in cui il Presidente di una Associazione operaia lo invitava
a recarsi in quella Capitale per convincersi dell'urgente neces-
sitá di accorrervi per salvare i figli del povero popólo. Anche
da Oporto, una lettera scritta a nome di quel Cardinale lo in-
formava della grande aspettazione che vi era la di una sua visita
per istabilirvi senza indugio i Salesiani. Egli che aveva appunto
ordine di andarvi, comprese fácilmente chi fosse l'ispiratore della
lettera.
Don Cagliero fu prima a Lisbona e poi a Oporto. Nella Capi-
tale lo accolse cordialmente il Nunzio Aloisi-Masella, grande am-
miratore di Don Bosco, le cui istituzioni chiamava opera del Si-
gnore. Ebbe puré udienza dalla Regina Maria Pia, figlia di Vit-
torio Emanuele II, la quale gli raccomandó di diré a Don Bosco,
che pensasse anche al Portogallo, ma presto presto. A Oporto
trovó nel Card. Amerigo Ferreira dos Santos Silva un sincero
amico dei Salesiani. Si puó ben immaginare, quanto lo assedias-
sero il de Vasconcellos e i suoi amici; ma Don Cagliero per tema
di compromettersi, dopo un esame sommario della situazione, af-
frettó la partenza, pur ritenendo in cuor suo che sarebbe stata
carita insigne sobbarcarsi a quell'impresa, tanto piü che la puré,
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38.1 Page 371

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Capo XXVI
quasi non bastassero le altre miserie morali e religiose, si erano
installati molto bene i protestanti.
Anche la stampa cominciava a occuparsi di Don Bosco. Nell'a-
prile del 1881, quando Don Cagliero trovavasi in Portogallo, stava
per uscire a Oporto, tradotta in portoghese, la breve monografía
f ranéese delF abate Mendre (1). Alcuni mesi dopo un settimanale
di Lisbona in quattro numeri (2) parló di Don Bosco, narro Ir
origini dell'Oratorio, recensi l'opuscolo suddetto e diede un sue~
cinto ragguaglio delle Missioni salesiane.
A Lisbona Don Cagliero non aveva potuto vedere i] Card. Neto,
Patriarca; ma sua Eminenza che si teneva al corrente di quanto fa-
cevasi ad Oporto per avere i Salesiani, come intese una voce se-
condo la quale Don Bosco li avrebbe mandati nel 1884, incaricó il
Barone Gómez di notificare a Don Bosco esservi nella Capitale a
sua disposizione una discreta somma di danaro e un edificio co-
struito giá per uso di seminario, ma rimasto vuoto. II Cardinale,
non soddisfatto della risposta dilatoria che ricevette da Torino, re-
plicó di suo pugno in franéese il 29 settembre, scrivendo fra Faltro:
« Vogliate fare ancora uno sforzo per daré favorevole riscontro alia
mia domanda. Forse il Signore nella sua misericordia per il Por-
togallo vi somministrerá i mezzi che vi mancavano e che forse vi
mancano tuttora. Cercateli, ve ne prego; la vostra carita, cosi be-
nedetta dalla Provvidenza, faccia di scoprirli per destinarli al mió
paese i cui bisogni religiosi sonó tanto grandi. Vi prego di met-
tere il Patriarcato di Lisbona nell'elenco dei paesi protetti da Maria
Ausiliatrice. Oh, quanta necessitá abbiamo di tale soccorso e delle
vostre preghiere per ottenerlo! Deh, consacrate Voi stesso a Maria
Ausiliatrice questa diócesi, domandando a Dio la conversione e la
riforma del suo clero! » Un si vivo appello dovette commuovere
tanto piú il cuore di Don Bosco, perche allora purtroppo vedeva
di non potervi rispondere con la sollecitudine voluta (3).
(1) Typ. Da Palavra. CFr. Annnh, pag. 341.
(2) A Cruz do Operaio, 23 luglio, 6 e 13 agosto, 3 setiembre.
(3) Nel 1S85 Don Bosco mandó al Consiglio particolare lisbonese il diploma di Cooperatore Sale-
siano che fu ricevuto « avec una joie vive >. Nella risposta di ringraziamento la Presidenza gli diceva:
* Les OEuvres du Patronage dont il [le Conseil Particulier etc.] s'occupe lui procurent mainte occasion
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I Salesiani nel Porto gallo
Don Bosco aveva realmente promesso l'apertura della Casa di
Oporto per il 1884 (1). Memore di ció il Conté Samodaes sul prin-
cipio deU'anno aveva rinnovato l'istanza, sempre per YOfficina
S. Giuseppe. Alia sua lettera a n d a v a unita u n a commendatizia del
nuovo Nunzio Vincenzo Vannutelli; ma quando si venne al punto
di decidere, fu forza ancora una volta prendere tempo, non sapen-
dosi come trovare il personale. Tuttavia il P. Sebastiano, come
chiamavano il de Vasconcellos, non si perdette d'animo; ma, colin-
dando solo nella Provvidenza e nella carita pubblica, tiró su un
beiredificio, nel quale accoglieva i ragazzi piü derelitti. Tutto vi
ordinó alia salesiana. II ritratto di Don Bosco occupava un posto
d'onore; Maria Ausiliatrice vi era fervorosamente venerata e in-
vocata; vi si frequentavano i Sacramenti come nei collegi salesiani.
Le due cittá che furono le prime a domandare i Salesiani, li eb-
bero, ma non furono le prime ad averli; anzi quella che precedette
di molto l'altra nel chiederli, aspettó ancora 13 anni dopo di essa
per poterli finalmente ottenere. A entrambe ando innanzi !a cittá
di Braga, a cui seguí Lisbona. Oporto dovette attendere troppo,
sicché non se ne puó parlare in questo volume.
Una pia Associazione del Sacro Cuore amministrava a Braga
un collegio di orfani, fondato nel 1791 dall'Arcivescovo Brandáo
e intitolato a S. Gaetano. I Soci nel maggio del 1888, per provve-
dere al miglior andamento dell'opera, firmarono una supplica al-
l'Arcivescovo Primate, pregándolo d'interessare il Nunzio Apostó-
lico, affinché cercasse di ottenere che i figli di Don Bosco venis-
sero a préndeme la direzione. L'Arcivescovo rimise la supplica al
nuovo Nunzio Vannutelli che, ricevutala a Roma, quand'era in pro-
cinto di partiré per la Nunziatura, la portó personalmente al Pro-
curatore Don Cesare Cagliero. Egli osservava che una Casa sale-
siana in Portogallo sarebbe stata ben vista dal Governo, poiche un
de sentir le besoin pressant que Lisbonne éprouve de ees écoles si bien inspirées, que vous établissez
avec tant de bonheur, sous la conduite d'une Providence qu'il faut mille fois bénir pour ees bienfaits
si evidents. Que nous serions heureux de vous confier un jour nos enfants avec des moyens abondants
pour en faire des chrétiens instruit, útiles, bons travailleurs! Nous appelons ce jour de tous nos vceux >
Lett. 20 marzo 1885. Don Bosco scrisse sulla lettera: « D. Durando veda. >
(1) Verb. del Cap. Sup.. 28 febbraio 1884.
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Capo XXVI
Deputato della Camera e lo stesso Ministro degli Esteri avevano
fatto elogi di Don Bosco e della sua Istituzione; che sarebbe vista
bene anche dalla popolazione e graditissima a! clero. Dal canto suo
prometteva ogni appoggio. II Procuratore non mancó di disporre il
Nunzio anche a ricevere una negativa; puré diede corso alia pra-
tica. Don Rúa ordinó di rispondere direttamente all'Arcivescovo
che non c'era personale.
Della cosa non si parló piü per circa quattro anni. Nel 1892
due preti portoghesi studenti alia Gregoriana, passando per Torino,
portarono una seconda supplica; ma la risposta fu che per alcuni
anni non si poteva far nulla. II tentativo venne rinnovato per la
terza volta nel 1894. Allora Don Rúa diede incarico all'Ispettore
spagnolo di fare un viaggio d'esplorazione in Portogallo. Don Ri-
naldi, rendendo contó del suo giro, scrisse il 21 maggio a Don Rúa:
« In Portogallo senza cercarle trovai sei Case, che vogliono essere
salesiane e che aspettano i figli di Don Bosco. Tre in Braga: la
prima un piccolo seminario, il cui Direttore mi fece vedere una
promessa di V. S. di accettarlo fra due anni; la seconda un ospizio
per studenti ed artigiani poveri, pero con rendita abbondante; la
terza alcuni laboratori con giovani ed alcuna rendita. Una in
Oporto di quel sacerdote che fu a Torino tanti anni fa e che ora
diresse l'apertura di un'altra Casa in un'altra piccola cittá. La
sesta é in Lisbona. Le cinque prime sonó tutte soggette all'Ammi-
nistrazione di una Commissione di cinque individui, ai quali il Di-
rettore della Casa deve daré i conti della sua gestione. Queste non
possono piü sostenersi per mancanza di personale. Quella di Li-
sbona é la piü povera, vive di limosina e l'anno passato raccolse
50.000 lire ed é indipendente, non approvata né soggetta a nessuno.
II Patriarca Cardinale mi fece promettere che io scriverei a V. S.,
dando buone informazioni, perché egli presto farebbe la do-
manda fórmale. Mi pare che, se vogliamo cominciare in Porto-
gallo, sia un'occasione opportuna. Anche il Nunzio Mons. Jacobini
lo desidera. »
La seconda delle Case di Braga, indicata da Don Rinaldu era
quella di S. Gaeiano, la Casa sulla quale Don Rúa fissó l'atten-
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I Salesiani nel Portogallo
zione e di cui chiese ulteriori informazioni. Avutele, ne trattó
in Capitolo il 13 agosto. Governava l'Istituto una Commissione
presieduta dall'Arcivescovo, che aveva autoritá assoluta sui mem-
bri di essa. Questi amministravano tutte le rendite, dichiarando
di lasciare pienamente libero il Direttore in tutto quanto si ri-
ferisse al regime interno. Vi erano 140 fra studenti e artigiani. II
personale dirigente, insegnante e assistente riceveva stipendio. II
Capitolo diede voto favorevole all'accettazione, sostenuta puré da
Don Rinaldi, ed approvo la nomina di Don Pietro Cogliolo a Di-
rettore.
I Salesiani partirono per Braga l'ultima settimana di ottobre. In-
barcatisi a Genova, sbarcarono a Barcellona, donde proseguirono
per térra, prendendo le vie di Madrid e di Salamanca. Giunsero
sul far della notte. Alia stazione li attendevano gli alunni con il
loro Direttore Don Francesco da Cruz, parecchi altri sacerdoti,
vari laici e molto popólo, curioso di vedere i Salesiani, dei quali
da gran tempo si parlava tanto. L'edificio del Collegio era illu-
minato a festa. Quando arrivarono, la banda degli alunni diede
fiato alie trombe. Tutti entrarono prima in chiesa. Qui il Diret-
tore Don Cogliolo ringrazió i presenti e spiegó il fine della ve-
nuta dei Salesiani, dicendo che volevano essere, anziché i Supe-
riori, gli amici dei giovani e i collaboratori delle ottime persone,
le quali fino allora avevano tenuto il governo della Casa. Nei
giorni seguenti non cessava l'andirivieni dei visitatori. II Diret-
tore prese a restituiré le visite, dopo di essersi recato a ossequiare
l'Arcivescovo, che gli si mostró oltremodo cordiale.
Gli alunni fecero nel 1895 la loro prima comparsa in pubblico
per la festa di S. Gaetano, andando in pellegrinaggio ad un vi-
cino santuario. Vestivano da marinaretti. Don Vasconcellos aveva
condotto tutto il suo Collegio con la banda. Sfilarono tutti in-
sieme per le vie della cittá, divisi in due compagnie con relativi
corpi musicali alia testa. II contegno dei giovani piacque assai alia cit-
tadinanza. Chi aveva potuto vederli in casa e in chiesa durante
la vita di tutti i giorni, ne lodava la disciplina, la pietá e l'alle-
gria. Un Cooperatore, scrivendone a Torino il 15 dello stesso mese,
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Capo XXVI
diceva dei Salesiani: «La loro savia e benéfica direzione nel-
l'anno scolastico testé finito diede maggior lustro al primo trionfo
in Portogallo di una Congregazione, che giá colmó di grandi bene-
fici tante parti dell'orbe cattolico. » Nel maggio dell'anno appresso
fu portata processionalmente per le vie principali di Braga la Ma-
donna di Don Bosco, ricevendo gli omaggi divoti della popolazione;
s'inauguró cosi nel Portogallo il culto di Maria Ausiliatrice.
Non una, ma due Case furono aperte a Lisbona. La domanda,
a cui accennava Don Rinaldi nella sua lettera, venne spedita a
Don Rúa nel gennaio del 1896, ma sottoscritta da quattro signore.
Esse stavano a capo di un Comitato, che aveva lo scopo di rac-
cogliere elemosine p e r sostenere u n a Officina S. Giuseppe. II
Nunzio Apostólico, che presentava la loro petizione, attestava che
il Collegio era stato fino allora ben diretto da due ottimi sacer-
doti portoghesi; ma aggiungeva che senza la direzione di un Isti-
tuto religioso non avrebbe potuto continuare a esistere. Si univa
dunque alie supplicanti nel pregare il Rettor Maggiore che accet-
tasse, e mandasse intanto una persona di sua fíducia a pigliar
cognizione delle cose. « Confido, conchiudeva, che Lisbona non
sará da meno di Braga e che vi dará non piccole consolazioni la
nuova missione. » (1)
Non occorreva mandare nessuno a vedere, perché Don Rinaldi
conosceva perfettamente YOfficina S. Giuseppe, avendola visitata
bene due anni innanzi. Era forse l'unico Istituto del Portogallo
non soggetto al Governo. La Casa, tenuta in affitto, albergava
una cinquantina di ragazzi poveri, che lavoravano in laboratori
di sarti, calzolai e falegnami, sotto la direzione di un Mons. Cor-
deiro. Don Rinaldi riteneva che a Lisbona si potesse far maggior
bene che nelle stesse Missioni e adducendone le ragioni, veniva
a confermare quanto aveva giá scritto il Vescovo di Rio de Ja-
neiro sulle condizioni religiose e morali del Portogallo in genere
e di Lisbona in specie; ma consigliava di destinarvi un Direttore
" giovane e di polso " (2). Don Rúa rispóse a! Nunzio che si accet-
(1) Lisbona, 17 gennaio 1S96.
(2) Lett. a Don Durando, Sarria, 27 gennaio 1890.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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/ Salesiani nel Portogallo
lava e che Don Rinaldi era incaricato di condurre le trattative.
Queste trattative si svolsero senza incagli e rápidamente. Una
sola difficoltá di qualche rilievo parve il titolo di Direttore da
conservarsi a Mons. Cordeiro. Chiari la cosa il Nunzio stesso, spie-
gando che quegli, continuando a far parte del Comitato protet-
tore, avrebbe con quel titolo messo al coperto i Salesiani di fronte
al Governo e non avrebbe lasciato cessare le offerte dei passati
benefattori; ma che non sarebbe dimorato in casa, né si sarebbe
immischiato per milla in faccende di disciplina (1).
Sette Salesiani ricevettero la consegna delYOf fitina S. Giuseppe
il 10 novembre. Direttore era Don Cogliolo, che ave va rimesso
a Don Luigi Sutera la direzione della Casa di Braga. Uomo na-
vigato, Don Cogliolo seppe far conoscere, stimare e amare l'O-
pera Salesiana nella classe sociale piú elevata. La stessa famiglia
reale, specialmente la Regina Amelia, si pregiava di beneficare l'Isti-
tuto. Sua Maestá accolse con benevolenza il Direttore e per Na
tale si ricordó degli alunni. Giorno poi di grande festa fu l'Epi-
fania dell'anno seguente, in cui si fece la distribuzione dei premi sotto
la presidenza del nuovo Nunzio Aiuti e con largo intervento del-
l'aristocrazia lisbonese. Nello stesso giorno i Salesiani ebbero la
visita del Principino erede del trono e del suo fratellino l'infante
Don Manoel, che, appena entrati, si recarono alia cappella, ove
Don Cogliolo diede loro a baciare il Bambino Gesú; poi si fer-
marono piú di mezz'ora nel sottostante salone, in cui nobili dame
avevano allestito una lotteria di bellissimi oggetti a favore della
Casa. Anche i Principini largheggiarono a pro dei poveretti. II
salesiano maestro di música Don Concina faceva furore in cittá
con la sua schola cantorum, tanto che attiró l'attenzione della
Reggia e nel 1899 fu invitato a prestare servizio nella cappella
reale. A crescere il crédito dei Salesiani valse grandemente la pra-
tica del sistema preventivo, una vera novitá a Lisbona, che destava
in tutti alta ammirazione. E, sia detto a sua lode, quel Direttore
vi si atteneva mordicus, fedele anche alia consegna personale da-
to Lett. a Don Rinaldi, Usbona, 15 giugno 1890.
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Capo XXVI
tagli da Don Bosco, quando a tergo di un'immaginetta gli aveva
scritto queste parole: « Studiare, lavorare, faticare per farsi amare
e non temeré. »
Ma a Lisbona quella casa era troppo piccola e scomoda: dormi-
tori angusti, laboratori pochi e stretti, mancanza di luce e di
aria. In una Capitale ci voleva ben di meglio; se non che per
questo bisognava poter disporre di locali propri. Intervenne la
Provvidenza, mettendo in cuore a un ricco italiano, il Márchese
di Liveri e di Valdansa, il generoso proposito di donare ai Sa-
lesiani un esteso terreno, sul quale poter costruire un nuovo edi-
ficio con ambienti vasti, adatti e sani. II progetto fu studiato nel
Í899 dall'architetto Mario Ceradini, professore all'Accademia Al-
bertina di Torino; egli lo elaboró secondo le istruzioni ricevute
dall'Economo Genérale Don Luigi Rocca. Ne riparleremo.
La seconda fondazione lisbonese trasse origine da una contra-
rietá. A Braga l'ingerenza della Commissione amministra trice
nelle cose della Casa disturbava alquanto. Ecco un caso. Ad as-
sicurare l'avvenire della Societá nel Portogallo si rendeva neces-
sario avere Soci nazionali e quindi bisognava coltivare vocazioni di
Portoghesi; perció il Direttore teneva parecchi giovani aspiranti,
mirando a costituire la un Noviziato salesiano. Ma quei signori,
che non volevano nell'Istituto elementi estranei al programma, tem-
pestavano perché questi fossero allontanati. Don Rinaldi pro bono
pacis fini con accondiscendere alie loro pretese; onde nel 1897 ac-
quistó poco lungi da Lisbona in luogo appartato e tranquillo una
casa con molto terreno alio scopo di stabilirvi un Noviziato re-
golare (1). Col Noviziato si poteva diré assicurato un buon a^v-
venire alia Congregazione nel Portogallo.
(1) Lettcre di Don Rinaldi a Don Durando, Sarria, 14 tnaggio e 4 giugno 1897.
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CAPO XXVII
I Salesiani nella Svizzera.
II 1889 é l'anno in cui i Salesiani entrarono nella Svizzera. Si
stabilirono a Mendrisio nel Cantón Ticino. Le trattative attraversa-
rono due fasi con Fintervallo di dodici anni. La fase piú remota dun-
que non appartiene a questo periodo; tuttavia non sembra doversi tra-
scurare, perché fa conoscere cose utili a sapersi.
La gioventú ticinese aveva estremo bisogno di sana educazione.
Que] popólo, messo prima sossopra dai Massoni, era stato poi per
piü anni tiranneggiato dai radicali. Anche a Mendrisio la ripercus-
sione della lotta si faceva fortemente sentiré: il Mazzini vi aveva
casa. Nonostante le avverse condizioni, il partito conservatore si
mantenne sempre talmente in forze, che nel 1877 riportó vittoria
alie elezioni e salí al potere. Ecco perché in quell'anno il Governo
cantónale favoriva le proposte miranti a riformare il Collegio can-
tónale di Mendrisio per mezzo dei Salesiani (1).
Tali proposte furono preséntate a Don Bosco per il tramite di
un sig. Croce, che aveva tenuto un fíglio nell'Oratorio; dietro di
lui agiva il deputato lócale, ma chi brigava presso i] Governo e
presso Don Bosco perché i Salesiani si stabilissero nella sua patria,
era il Croce. Don Rúa, dopo una breve corrispondenza epistolare,
ando il 30 aprile 1877 sul posto per visitare il lócale e procurarsi
informazioni precise. Ne riferi al Capitolo Superiore il 3 maggio.
Serie difficoltá stavano di fronte. Laico doveva essere il personale
per non aizzare i radicali; era indispensabile un professore di te-
desco; quel sistema di studi differiva troppo dai nostro; il rápido
(1) Tutto quello che qui si narra, é cavato da un'abbondante documentazione, conservata nci
nostri Archivi.
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Capo XXVII
succedersi dei partiti al Governo dava poco affidamento di stabilitá,.
II Capitolo esitava. Ma Don Bosco, fermo nell'idea di aiutare la
Svizzera a risorgere (1), parló cosi: « Certamente noi ci gettiamo
in un labirinto molto intricato; ma sará questo un vero passo della
nostra Congregazione. D'altra parte noi avremo la delle vocazioni;
personaje laico ne troveremo fácilmente e in tutti i casi per un
bisogno cosi pressante potremo anche mandar chierici vestiti da
secolari sino al tempo delle ordinazioni. II vestito non impedisce
che studino teologia e facciano le loro pratiche di pietá secondo la
Regola. Bisogna pero scrivere a quel signor Croce che veda se ci
fosse qualche professore di quelli che attualmente fanno scuola,
purché buon cattolico, il quale desiderasse di continuare con noi.
Questi tali bisognerebbe allora invitarli a passare alcune settimane
qui nell'Oratorio, affinché ci mettano al corrente dei metodi di
studio seguiti in quelle parti. Quando tutto sia fatto, si scriva al
Direttore presente che noi non vogliamo in nulla danneggiarlo né
essere a lui eontrari, ma che, chiamati, andremo, sapendo aver egli
dato definitivamente le sue dimissioni. Si facciano venire imme-
diatamente i programmi d'insegnamento. Riguardo alio stipendio
per il corpo insegnante, il Governo dava diecimila lire; ora vor-
rebbe darne solo seimila. Ne chiederemo ottomila per far fronte alie
prime spese, e poi si vedrá di diminuiré alquanto. La Capitola-
zione sia di cinque anni, e il diffidamento di ambe le parti si
dovrá fare cinque anni prima. Pero si esamini la Costituzione poli-
tica e si veda quanti anni puó durare il Governo cantónale esistente:
ad esso si mandi una copia del Capitolato di Alassio. »
Si deliberó pertanto di continuare le trattative. L'affare stava giá
per giungere in porto, quando si levó contro uno scoglio: l'assuntore
légale del Collegio, sempre per ragioni di tattica, non sarebbe dovuto
essere Don Bosco, ma un altro individuo di sua fiducia, svizzero
o italiano che fosse. Ebbene Don Bosco neppure in questo vide un
ostacolo insormontabile; trattó infatti successivamente con tre sa-
cerdoti secolari, perché facessero da prestanome. Se non che per uno
(1) Aíii del Cap. Sup., 3 maggio 1877. Quanto Don Bosco avesse a cuore la conservazione della
i'cde nel Cantón Ticino, si puó vedere nei due ultimi capi del vol. IX delle Mem. Bwgr.
3%
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7 Salesiani nella Soizzera
si oppose il Vescovo di Como, alia quale diócesi apparteneva allora
quella parte del Cantón Ticino; un altro dopo aver accettato si ritiro
per motivi personali. II terzo fu PArciprete di Mendrisio, il cui nome
Don Bosco mise in testa all'abbozzo di Capiíolato spedito da Torino
il 7 agosto; ma questi puré alPultima ora si tiro indietro. Le cose
erano a questo punto, quando il Governo stesso nominó Passuntore
nella persona di un prof. Cattaneo, laico, del resto ottimo cristiano.
Sulla lettera, in cui gli si chiedeva il suo benestare, Don Bosco
scrisse queste parole, che tracciavano a Don R ú a la risposta: « Non
expedit: un assuntore di fatto ci toglierebbe Pautonomia. » Diceva
44 di fatto ", perché nel concetto suo e degli amici ticinesi i prece-
denti assuntori sarebbero stati tali solamente di nome. Perció, come
scrisse parecchi anni dopo un Cooperatore salesiano (1), ricordando
questo episodio, « tutto ando in fumo per velleitá di partito e per
pusillanimitá dei buoni. » I conservatori si erano lasciati forse ec-
cessivamente impressionare da disordini provocati dai radicali a
Lugano e a Chiasso, ma sedati presto dalla milizia fedérale; avevano
quindi temuto che la presenza dei Salesiani nel Collegio cantónale
offrisse il pretesto di peggiori manifestazioni.
II Cattaneo, prima di assumere il suo ufficio, si raccomandó alie
preghiere di Don Bosco, al quale scriveva (2): «Le dico candi-
damente che nei frangenti ricorreró a Lei puré per consiglio e giá
fin d'ora, sentendo qual grave responsabilitá mi pesi sulle spalle,
io La supplico di voler raccomandarmi qualche volta alia infinita
carita del Sacro Cuore di Gesü Salvatore e del Sacro Cuore di María
Ausiliatrice, acció io abbia quei lumi e quella forza morale e física
che si richieggono per fare molto bene alia mia Patria tanto ro-
vinata dall'immorale radicalismo. »
Ma nonostante ogni buon volere, il Collegio, che aveva puré
il Convitto, decadde al punto, che si parló piú volte di chiuderlo.
Finalmente il 3 giugno 1889, Mons. Vincenzo Molo, Amministratore
Apostólico del Cantón Ticino, mandó all'Oratorio il Dott. Carella,
(1) Don Ferretti, forse a Don Durando, Rivera, 5 giugno 1883.
(2) Locarno, 7 setiembre 1877. La lettera e pubblicata nell'Appendice del vol. XIII delle Mem.
tiiogr., pag. 952.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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39.1 Page 381

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Capo XXVII
Consigliere di Stato del dipartimento di Pubblica Istruzione, per
rioffrirne ai Salesiani la Direzione. II Capitolo Superiore accettó
in massima, nella speranza che quello fosse il principio di una
Casa salesiana cola (1). Si chiedeva un solo sacerdote titolato e
al piú un secondo come Direttore spirituale. Venne destinato Don
Costantino Carlini, che oltre alia direzione avrebbe avuto anche la
cattedra di italiano e latino nel ginnasio superiore. Tutti gli altri
docenti erano laici e ticinesi, di principi cattolici, come puré gli
addetti al Convitto. Ma purtroppo Don Carlini, giunto sul posto,
provó un amaro disinganno. La Convenzione preparata a Torino
torno dal Governo cantónale con tali modificazioni, che egli non
si credette autorizzato a firmarla. Non essendo prese in conside-
razione le difficoltá da lui accampate, scrisse al Carella: «A man-
tenere un Convitto con decoro del Governo od anche solo secondo il no-
stro sistema di educazione, le condizioni proposte non ci offrono mezzi
sufficienti. » Intanto informó il Municipio che apriva l'oratorio fe-
stivo. Benché la maggioranza fosse radicale, l'atto di deferenza
piacque, sicché n'ebbe in risposta una lettera di congratulazione
e d'incoraggiamento. A quella sua mossa i conservatori fecero mal
viso; ma egli continuó a trattare con tutti indistintamente.
Pian piano le cose si accomodarono tanto bene, che il Con-
vitto rimase tutto nelle mani dei Salesiani, i quali vi si costitui-
rono in comunitá regolare. Nel maggio del '91 Don Rúa fu a visi-
tarli e ottenne dal Ministero buone concessioni. A Torino riíeri
in Capitolo il 12 maggio: « I Salesiani sonó ben visti da tutte
le autoritá e da tutti i partiti, specialmente a causa dell'oratorio
festivo.» Ma nel 1893, saliti al Governo i radicali, era prevedibile
che si sarebbero obbligati i Salesiani ad andarsene (2); perció, presi
in tempo gli opportuni provvedimenti, il Collegio fu trapiantato a
Balerna.
Ció fu nel 1893. Venne ivi trasformato in Collegio il palazzo
della villeggiatura vescovile, concesso in uso, col consenso della Santa
Sede, da Mons. Molo, Amministratore Apostólico del Cantón Ti-
(1) Verb. del Cap. Sup., 9 luglio 1889.
(2) Ibid., lo maggio 1893.
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1 Salesiani nella Soizzera
ciño, nel desiderio che la Societá Salesiana continuasse a prestare
Topera sua alia cristiana educazione della gioventü studiosa ticinese.
Una convenzione riconosceva nei Salesiani il diritto a piena liberta
in cose di disciplina, amministrazione e insegnamento. Precedette i
Salesiani la rinomanza acquistatasi nel collegio di Mendrisio, dove
il numero delle domande era superiore alia capacita del Convitto,
cosa ben lungi dall'accadere in passato. La notizia del trasferi-
mento rallegró i Ticinesi, che tenevano a Mendrisio in educazione
i fígli. II Collegio si riempi in un batíer d'occhio. II Vescovo ne at-
tribuiva l'apertura a un'ispirazione di Dio (1). Non parve piú cosí
al suo successore Peri Morosini, che nel luglio del 1904 rivocava
bruscamente a sé Tuso del palazzo. I Salesiani avevano il diritto di
restare ancora un anno; quindi, trascorso questo, nel 1905 traspor-
tarono i loro penati a Maroggia, dove sonó tuttora.
Contemporáneamente al collegio di Balerna se ne apriva un al-
tro a Gravesano, paesello a pochi chilometri di distanza. Un pro-
fessore Matteo Rusca di quelle valli, morendo a Parma, aveva la-
sciato erede fiduciario del suo pingue patrimonio il compaesano av-
vocato Tognetti, che, eseguendo una volontá del testatore, im;:iego
quei beni a vantaggio della gioventü lócale. Fece fra l'altro innal-
zare un grande edificio per istabilirvi una scuola di arti e mestieri,
chiamando a dirigerla i Salesiani; ma nella Convenzione essi fu-
rono obbligati a tenervi classi elementan e ginnasiali, piíi la scuola
di disegno professionale, e ad ammettervi gratuitamente i giovani
valligiani di quattro comuni. Grande promotore di questa e della pre-
cedente Casa fu l'ottimo Dottor Carella, " uomo dominato da
vero zelo di religione " (2).
Nei primi quattro anni s'andó innanzi osservando la lettera della
Convenzione; ma nel 1897 il Tognetti, persona religiosissima, sentí
qualche scrupolo circa la fedele esecuzione delle intenzioni manife-
stategli dal testatore, parendogli che quelle importassero l'impianto
di laboratori per scuole di arti e mestieri. Ma come istituire scuole
simili in un paesello dentro a una valle alpina? E poiché egli in-
(1) í..elt. del Direttore Don Carlini a Don Rúa, Balerna, 20 gcnnaio 1894.
(2) Lett. di Don Carlini a Don Durando, 22 gcnnaio 1893.
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Capo XXVll
sisteva su questo punto di vista, da Tórino si credette megiio accettare
la diffida (1). Allora l'avvocato scrisse a Don Durando (2): «Nel
mentre piglio atto di tale risoluzione, non posso che esser grato a
cotesta Onorevolissima Congregazione per tutte le cure, diligenze e
bene operati e che al caso é disposta a prestare nell'Istituto di
Gravesano, assicurando la prelodata Congregazione che Essa sará
sempre per me di dolce e soave rimembranza. »
Nel 1894 Mons. Molo face va appello alia carita di Don Rúa,
perché lo cavasse da un grave imbroglio. II Collegio Pontificio di
Ascona, posto sotto la sua amministrazione, perdeva in una volta
quattro professori, senza che vi fosse alcuna speranza di poterli so-
stituire. Quel Collegio sorge sulla riva svizzera del Lago Maggiore.
Aveva allora una sessantina di alunni; vi s'impartiva l'istruzione
elementare, técnica e ginnasiale. Lo amministrava il Vescovo., per-
ché i capitali stavano a Roma presso la Santa Sede. La sua fonda-
zione rimontava a Gregorio XIII, che ne aveva dato incarico a
S. Cario Borromeo. « So che Ella ha molti impegni, scriveva Mons.
Molo a Don Rúa (3); ma il bisogno di questa mia diócesi é di tutta
urgenza. Faccia dunque un atto generoso, e mi dica un bel si. » Don
Rúa disse il bel si (4). I Salesiani andarono, lavorarono fino al 1910,
poi si ritirarono, perché la nuove condizioni economiche loro im-
poste torna vano a danno della Societá: non é giusto fare la carita
a chi ha mezzi propri per provvedere a sé. Anche la necessitá
di personale per sostenere opere interamente salesiane consiglió il
ritiro di fronte a tali esigenze del successore di Mons. Molo.
Anche nella Svizzera tedesca erano desiderati i figli di Don
Bosco. II 6 ottobre 1897 a Lucerna gl'insegnanti, che formavano la
" Societá dei Maestri Cattolici ", in una loro adunanza, rallegrandosi
che i Salesiani aprissero una Casa a Muri nel Cantone di Argovia e
volendo cooperare essi puré al suo incremento, deliberarono ad una-
n i mita di aggregarsi in corpo alia Pia Unione dei Cooperatori; chie-
(1) Verb. del Cap. Sup., 24 luglio 1897.
(2) Badano, 51 agosto 1897.
(3) Lugano, 2 giugno 1894.
(4) Vevb. del Cap. Sup., 13 agosto 1894.
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39.4 Page 384

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1 Salesiani nella Svizzera
sero quindi in sessanta di esservi inscritti e di ricevere il Bolle/tino
in lingua tedesca.
La Casa di Muri era una Scuola di arti e mestieri e di agricul-
tura. Due signorine, Ágata ed Elisa Frey, che ne caldeggiarono presso
Don Rúa la fondazione, s'imposero gravi saerifici per ottenerla.
L'opera prese il nome di " Istituto S. Giuseppe ". Occupó una parte
di un antichissimo convento di Benedettini, soppresso nel 1841: a
pié della quercia annosa, schiantata da violenta procella, nacque il
rampollo che in certo modo ne avrebbe continuata la vita, Quella
popolazione vedeva con vera gioia riconsacrato un luogo, dal quale
erano venuti tanti benefici nel corso dei secoli. L'apertura si fece
nella festa dell'Immacolata. Direttore fu Don Eugenio Mederlet.
Arcivescovo poi di Madras.
Dalla Casa di Muri prese tostó a partiré ogni sabato Don Au-
gusto Amossi per Zurigo, dove si fermava fino al lunedi. prestando
un po' di assistenza religiosa agli operai italiani, parte residenti,
parte dimoranti solo nella buona stagione. In certi mesi toccavano
i dodicimila. Un pericoío correvano i primi, due i secondi. Quelli
che avevano residenza stabile, si lasciavano fácilmente adescare dai
protestanti, ma senza vivere piú né da cattolici né da protestanti;
la parte fluttuante, che emigrava periódicamente, era insidiata dagli
Evangelici italiani, che avevano impiantato le loro tende a Zurigo,
e ancor piú dai socialisti, che vi esercitavano, e non invano, un'at-
tivissima propaganda. Corifei del partito, come il famoso Ferri, ve-
nivano dall'Italia a tenere conferenze incendiarie. Gli operai, tor-
nando in patria, vi seminavano l'irreligione, 1'immoralitá e il sov-
versivismo. I ragazzi italiani crescevano abbandonati a se stessi ed
esposti al pericoío continuo di passare nelle file protestantiche; ri-
sultava che dal 1879 al 1894 nella sola cittá di Zurigo la Chiesa
Cattolica aveva perduto cinquemila fanciulli, caduti nelle reti dei
protestanti e dei vecchi cattolici. É vero che uno zelante sacerdote,
Don Luraghi, lottando contro opposizioni e difficoltá di vario ge-
nere, era riuscito a costituire una " Lega Operaia Cattolica ", che
faceva gran bene; ma, dovendosi egli ritirare, s'invocava la venufa
dei Salesiani, purché vi prendessero stanza; il Vescovo Battaglia re-
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39.5 Page 385

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Capo XXV U
sidente a Coira era persuaso che fosse questa una necessitá, e dai
Salesiani egli si aspettava miracoli.
II detto Vescovo, per incarico dell'Episcopato svizzero, umilió a Leo-
ne XIII la domanda che si dessero disposizioni affinché un Ordine re-
ligioso e preferibilmente l'Istituto dei Salesiani vi fosse invitato per
l'assistenza religiosa degli emigrati italiani. A tal fine quei Prelati eran
venuti nella decisione di erigere una Missione Italo-Elvetica. II Papa
ordinó che della richiesta si desse súbito partecipazione a Don Rúa, al
quale il Card. Rampolla comunicava il desiderio del Santo Padre
il 12 gennaio 1897, dicendogli: « Per i presenti bisogni degli emigrati
non si richiederebbero per ora che due soli Sacerdoti Missionari, di-
moranti in Zurigo, dove piü affluiscono gl'Italiani e da dove po-
trebbero espandersi anche nei luoghi circonvicini secondo i bisogni,
ed in progresso di tempo anche aumentare il numero, atteso il la-
voro della Missione e la forza della Congregazione medesima. » II
3 febbraio seguente Sua Eminenza ringraziava Don Rúa del pronto
assenso dato all'invito del Papa, dicendogli di mettersi in comuni-
cazione con il Vescovo di Coira. L'urgenza dei bisogni esigeva un
sollecito provvedimento; perció il 23 settembre Sua Eminenza inte-
ressava vivamente il Rettor Maggiore a voler fare in modo che i
sacerdoti designati si recassero quanto prima a Zurigo.
I due Salesiani pero andarono a Zurigo solo nel dicembre del
1898. Da principio la loro azione fu piuttosto ristretta e non pro-
porzionata alia incalzante necessitá. Mancavano di chiesa propria,
sicché dovevano nei di festivi mendicare dal párroco tedesco 45 mi-
nuti, e in ora incomoda, per celebrare un'unica Messa e diré due
parole agli Italiani; quindi scarseggiava l'intervento. Mancavano puré
di lócale, dove gli emigrati potessero riunirsi, conoscersi e sentirsi
quasi in un lembo di patria. Ma dopo circa due anni di una vita
COSÍ soffocata, Topera entró in u n a fase migliore.
II nuovo impulso partí da Don Giovanni Branda, che ne aveva
ricevuto da Don Rúa la direzione. Uomo ricco di esperienza, ca-
rattere amabile, dalla parola facile e suadente, si accinse con ar-
dore giovanile all'ardua impresa. Si ebbe casa fornita di ampi lo-
cali; si ebbe chiesa propria, sempre aperta, con Messe, prediche.
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/ Salesiani nella Svizzera
benedizioni, catechismi per i due sessi. Entrambi i Missionari erano
continuamente in faccende. Visitavano gl'infermi a domicilio e ne-
gli ospedali; andavano ogni due mesi a predicare e a confessare
nelle carceri; uno di loro si recava di quando in quando a trovare
gli emigrati anche nei paesi fuori del centro zurighese. Tenevano
inoltre un segretariato del popólo, che dava loro molto da fare. Veni-
vano parroci per cause matrimoniali degli emigrati, e sindaci che a
nome dei parenti cercavano individui italiani; veni vano operai di-
soccupati che attendevano una raccomandazione o un pane, e altri
che, ingiustamente vessati, bisognava difendere, giustificare e pro-
teggere. Cosi la casa della Missione era considerata come la casa
di ogni Italiano. Cure speciali erano necessarie per quelli che ave-
vano stabile dimora, perché molti di essi vivevano ormai senza re-
ligione, tanto che i loro figliuoletti non sapevano neppur fare il
segno di croce. Tornava di grande consolazione ai Missionari il sen-
tirsi diré talvolta: — Dacché si sonó aperte la nostra chiesa e la
casa della nostra Missione, siamo tornati cristiani. — II Vescovo di
Coira e Amministratore Apostólico per le Missioni cattoliche del
Cantone protestante di Zurigo, dopo una sua visita, manifestó pub-
blicamente la sua alta soddisfazione, giungendo a diré che i Sale-
siani avevano fatto tutto quanto si poteva fare (1).
(1) Boíl. Sal, ottobre 1901.
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CAPO XXVIII
Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia e in cittá di lingua
italiana nelFImpero austro-ungarico.
(Savona, Novara, Trecate, Torino-Martinetto, Lombriasco, Avigliana, ülzio, Occhieppo,
Cavagliá, Trento, Gorizia, Comacchio, Colle Salvetti, Orvieto, Trevi, Gualdo Tadino,
Castellammare di Stabia, Catanzaro)
Era naturale che abbondassero in Italia piü che altrove le
fondazioni, avendosi qui maggior copia di soggetti nazionali. II
Noviziato di Foglizzo vestiva ogni anno da 130 a 150 chierici e
circa 40 quello di S. Gregorio in Sicilia; inoltre fra questi due No-
viziati e l'altro di S. Benigno gli ascritti coadiutori arrivavano an-
nualmente alia trentina. É vero che alquanti si perdevano ogni volta
per via o a motivo della salute o perché non giudicati idonei; ma
rimaneva sempre un buon contingente a ingrossare le file dei Soci,
Quindi vedremo aumentare di mano in mano il numero delle nuove
Case fondate; del che avremo qui sotto un saggio per il triennio
1893-95. Procederemo dal Nord al Sud della Penisola, cominciando
dalla Liguria.
Ho nominato i novizi coadiutori. Mi é necessario fare qui una
breve digressione. II bisogno di maestri d'arte, come abbiamo vi-
sto e come piü ancora vedremo, cresceva di anno in anno; percio
neU'Oratorio durante il primo decennio del Rettorato di Don Rúa
si coltivavano molto tali vocazioni. Vi era allora annualmente fra
gli artigiani un gruppo di giovani chiamati aspiranti, da 40 a 50,
che facevano vita comune con i loro compagni, ma avevano dor-
mitorio proprio, detto di S. Francesco di Sales, dove oggi sonó gli
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
uffici dell'Economo Genérale. Ogni settimana il loro Catechista Don
Anacleto Ghione li riuniva a conferenza. I piú andavano poi al
Noviziato. Né si facevano misteri: del farsi salesiani si parlava li-
beramente come di cosa naturale. Eppure non regnavano a quei
tempi fra gli artigiani la pietá, l'ordine e la disciplina che vediamo
al presente. Su di essi come su gli studenti i Catechisti esercita-
vano un'autoritá indiscussa. Basta sentiré come parlano del suddetto
Don Ghione e di Don Stefano Trione coloro che vissero sotto di
loro. Del resto, vigeva ab antico nell'Oratorio la consuetudine. che
il Direttore badasse quasi solo ai Confratelli, tanto numerosi, e af-
fidasse i giovani di ambe le sezioni ai Catechisti rispettivi, i quali,
stando da mane a sera in mezzo ai propri dipendenti, li seguivano,
li studiavano, li conoscevano, ne guadagnavano la confidenza e al-
l'occasione sapevano daré mónita salutis.
In Liguria alie cinque Case fondate da Don Bosco non se ne
aggiunse un'altra se non nel 1893 a Savona, che fu Fuñica aperta
da Don Rúa in quella regione d'Italia. Con la crescente prosperitá
económica ed anche demográfica andava alquanto a ritroso nella
cittá il sentimento cristiano, giá si gagliardo nel cuore dei padri :
nella nuova generazione s'insinuava ognor piú l'indifferenza reli-
giosa e la sfrenatezza morale. Vedendo il pericolo che correva la
gioventü, alcuni eletti cittadini studiavano il modo di mettervi ri-
paro e credettero di averio trovato, rivolgendo lo sguardo al padre
dei giovani Don Bosco. Qualche passo aveva fatto il cooperatore
Mons. Ponzoñe presso il santo educatore, ma senza potergli strap-
pare se non una promessa a tempo indeterminato. — Savona, dis-
se (1), non é ancora una térra per noi. Prégate la Madonna della
Misericordia, da voi tanto venerata, e un giorno verremo a Sa-
vona. — Ritentó la pro va, spalleggiato dal Vescovo Boraggini,
presso il Successore di Don Bosco, insistendo tanto che fu conso-
lato: il 2 ottobre 1892 presero a venire ogni sabato da Sampier-
darena alcuni Salesiani a fare l'oratorio festivo; la qual cosa accese
vie piú il desiderio di averli stabilmente in cittá. Questo avvenne
(1) Sac. L u i d CASANOVA, L'oratorio Salesiano di Nostra Signora della Misericordia in Saoona.
Sampierdarona, Tip. Sal , 1902 Pag. 10.
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Capo XXV1U
il 2 marzo 1893, auspice il medesimo Mons. Ponzoñe, coadiuvato
dall'ottimo sacerdote Don Andrea Martinengo e mediante la coope-
razione di buoni cittadini e di esimie dame. Fu allora iniziato l'o-
ratorio quotidiano, sotto il patrocinio e la denominazione di Nostra
Signora della Misericordia. La carita che aveva suscítalo Topera,
si sforzava di mantenerla. Passato nel 1894 a miglior vita Mon-
signor Ponzoñe, anima di tutto, sottentró un Comitato di signore,
che avevano a capo le Márchese Livia Multedo e Delfina Gavotti.
Non dovevano mancare le vessazioni, crogiuolo ordinario delle
opere di Dio. II Direttore Don Giuseppe Descalzi, descritto come
" figlio degnissimo di Don Bosco, pió, modesto, ma pieno di zelo
e di carita" (t), fu costretto a inghiottire bocconi molto amari.
Maligne dicerie erano messe in giro contro l'oratorio, voci calun-
niose si spargevano sul contó del Direttore. Sebbene la stima, l'a-
more e la fiducia dei buoni non lo abbandonassero, puré le Au~
toritá lo guardavano con sospetto. Tre volte lo respinse il Prefetto
di Genova, quantunque gli si presentasse con una splendida com-
mendatizia del Deputato di Savona Paolo Boselli, tanto odióse im-
putazioni gravavano sopra di lui e dell'opera sua. Ma finalmente
la veritá venne a galla: bastó al Capo della Provincia ascoltarlo
una buona volta, perché cambiasse la diffidenza in ammirazione.
Allora sinceri amici per temperargli il ricordo dei dispiaceri sof-
ferti diedero alie stampe e diffusero a centinaia di copie in cittá e
fuori un Numero Único intitolato: II XIX marzo nelVoratorio sale-
siano di Savona. Quel giorno r a m m e n t a v a la data dell'inaugura-
zione. Erano poche pagine che mettevano assai bene le cose a posto.
Ma l'apologia piü efficace balzava dalla tangibilitá dei fruttL
che l'oratorio produceva. Numerosa e assidua frequenza non di
soli ragazzi, ma anche di giovani studenti e operai; pietá e al-
legria nell'interno e manifestazioni religiose in pubblico senza ri-
spetto umano, il grande spauracchio di allora e di poi, ma di allora
piü che mai; circoli attivi di studenti con i loro giochi, diporti e
teatri, ma anche con biblioteca, conferenze fatte da loro stessi per
(1) L. cit-, pag. 12.
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
turno, e música; nel primo decennio, oltre 200 prime comunioni di
giovanotti operai sui vent'anni e piü: che anche a Savona lavorava
il socialismo ad allontanare la gioventü dalla Chiesa e da' suoi
ministri.
Venne ben tostó il giorno, in cui si sentí il disagio della chiesetta
provvisoria costruita in legno e della casetta tirata su alia svelta
e con molta economía. Ampliare bisognava, ampliare presto e senza
stare sui tirato. Nel sesto anno di vita il nuevo Vescovo Scatti co-
stitui un Comitato di ecclesiastici e di laici alio scopo di solleci-
tare aiuti per l'impresa. II 26 febbraio 1899 egli benedisse la prima
pietra e il 6 maggio 1900 assistette all'inaugurazione. Cosi la sfera
dell'attivitá salesiana si allargava, associando all'oratorio il pen-
sionato per giovani specialmente del corso técnico inferiore e su-
periore, che vi affluivano dal contado. Posizione dell'edifício in vista
del mare e delle colline, grande cortile, spaziosi dormitori, vasti cor-
ridoi, aule luminose e aérate, tutto contribuiva a rendere loro gra-
dita la dimora. Ne guadagno anche assai l'oratorio festivo, consi-
dérate sempre come Topera principale.
Mentre quei lavori progredivano, era accaduto un incidente ina-
spettato: il timore del Vescovo e di altri, che i Salesiani un bel
giorno lasciassero in asso i Savonesi, vendendo tutte le proprietá
avute da benefattori per fini ben determinati. Di queste appren-
sioni si fece interprete Don Martinengo presso il Direttore, cer-
cando d'indurlo a rilasciargli una dichiarazione, mediante la quale
si obbligasse a cederé al Vescovo pro tempore le proprietá intestate
ai Salesiani in Savona, compreso l'edificio in costruzione; mentre
il Vescovo dal canto suo si sarebbe obbligato a tenere sempre i
Salesiani alia direzione delle opere, di cui si erano assunto l'impe-
gno. Don Descalzi non essendo autorizzato a fare un simile alto,
interpelló i Superiori, che rispettosamente ricusarono. Oltre al resto,
l'accedere a quel desiderio avrebbe creato un precedente, grave di
antipatiche conseguenze. II Vescovo e Don Martinengo si arresero,
piü rassegnati che soddisfatti; tuttavia non cessarono di mostrarsi
benevoli.
L'erezione della chiesa non si compie cosi rápidamente come
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Capo XXV1U
quella della casa, sebbene fin dal 1895 vi fosse una somma depo-
sitata da persona benéfica a tal fine. Per servirsene mancó a lungo
il consenso dell'Ordinario, che il 16 giugno 1911 scriveva a Don De-
scalzi: « Non posso per ora consentiré alia edificazione di una
chiesa pubblica, quale e da Lei intesa e voluta. In avvenire si ve-
drá. » La chiesa vasta e decorosa che oggi si ammira accanto a.l-
l'oratorio, fu aperta al culto solo nel 1931, durante l'Episcopato di
Mons. Righetti.
In Piemonte sopra sette altre minori spicca la fondazione di
Novara, originata p u r é dall'oratorio festivo. Nel 1891 il Vescovo Ric-
cardi domando per la sua cittá un oratorio maschile: il femmi-
nile, tenuto dalle Figlie di Maria Ausiliatrice, stava giá aperto. Nel
mese di aprile Don Rúa, recandosi nella Svizzera, sostó a Novara,
do ve prese gli accordi col Vescovo: costruisse egli l'oratorio, e i Sa-
lesiani sarebbero andati (1). II Vescovo fece sul serio; ma, essendo
egli stato nel frattempo trasferito a Torino, l'edificio rimase chiuso
per piü di un anno. Non appena il suo successore Mons. Pulciano
rinnovó la richiesta, Don Rúa mantenne la parola, mandando il
giovane sacerdote Don Giovanni Ferrando, che tanto buon ricordo
doveva lasciare di sé a Novara. Egli aperse l'oratorio il Io dicem-
bre 1893, ponendolo sotto la protezione di S. Giuseppe.
Mons. Riccardi aveva fatto le cose da gran signore. Vasto lócale
per chiesa, altro lócale pur vasto per teatrino, e, sopra, le sale per
la direzione; cortile immenso, ben soleggiato e libero da ogni sog-
gezione. I giovani afíluirono in si gran numero che il Vescovo sentí
la necessitá di mandare in aiuto ogni domenica sei chierici del se-
minario, fino a che non giunse da Torino personale di rinforzo.
Nell'ottobre del 1894 nuove costruzioni permisero di accogliere
una ventina di studenti per le due prime classi ginnasiali. Gli ora-
toriani toccavano il migliaio. Vi si tenevano puré corsi di confe-
renze, fatte non da oratori comuni, ma dai migliori esponenti del-
l'Azione Cattolica, quali il Conté Medolago Albani, l'Avvocato Rez-
zara e il giovanissimo avvocato Meda: le lotte sociali e religiose
(1) Verb. del Cap. Sup., 22 marzo e 12 maggio 1891.
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Fondazioni dal Í893 al Í895 in Italia ecc.
anche questo imponevano. Col fiorire dell'oratorio e con l'aumen-
tare dei giovani pigliava vita la música vocale e strumentale. che
portava Fentusiasmo nelle parrocchie della diócesi; ma soprattutio
in una cittá che vantava celebri Maestri della Cattedrale, tutti pero
formati secondo il gusto allora prevalente, cagionó sorpresa ed
anche ammirazione, non disgiunta da polemiche astiose, la noviíá
del canto litúrgico, per la cui riforma fervevano pro e con tro le
discussioni, come abbiamo giá narrato. Anche a Novara i nostri en-
trarono risolutamente nella via del ritorno all'antico.
Ma una novitá di gran lunga maggiore si affacciava all'orizzonte.
Nel gennaio del 1895 la signora Agostina Pisani aveva, morendo,
chiamato suo erede universale Don Rúa con Fonere di edificare
un Istituto che riproducesse in piccolo FOratorio di Valdocco. II Ve-
scovo era nominato esecutore testamentario. Don Rúa avrebbe de-
siderato che s'impiegasse quel capitale parte nell'ampliare Foratorio
festivo per farlo rispondere alio scopo, parte in soccorrere le Mis-
sioni Salesiane; ma il Vescovo mise il veto all'una e alFaltra cosa
e tenne duro a volere che si edificasse ex novo un Istituto con chiesa
pubblica, per la quale contribuiva anche lui. I lavori, intrapresi nel
1896 e condotti con tutto fervore, diedero termínate nel giro di circa
venti mesi la chiesa e una parte dell'Istituto, che fu dedicato a San
Lorenzo, prete e protomartire novarese. Si poté cosi completare il
ginnasio e unirvi la sezione degli artigiani.
Una felice congiuntura avrebbe somministrato il mezzo d'im-
piantare anche la scuola tipográfica, e fu Fofferta della tipografía
vescovile, con Fobbligo di stampare il settimanale cattolico, religio-
so-politico, di Novara. Ma questa condizione mando a monte la pro-
posta. Giá nel maggio del 1888 Don Albertario, Direttore delFO.s-
servatore Cattolico di Milano, aveva fatto a Don Rúa Finvito di
rilevare la sua tipografía, cogliendo cosi la propizia occasione per
stabilirsi nella capitale lombarda. Don Rúa, sapendo quanto desi-
derasse Don Bosco di mandare i suoi a Milano, propendeva per il
si; ma Mons. Cagliero, presente nel Capitolo, vi si oppose, ricor-
dando come Don Bosco non volesse assolutamente che i Salesiani
stampassero giornali. Tutti finirono con Fapprovare quanto Monsi-
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Capo XXVIII
gnore sosteneva; anche Don Rúa si dichiaró nettamente contrario (1).
Circa tre mesi dopo un caso simile si presentó per la Francia. Don
Cerruti mosse interpellanza, perché la tipografía di Lilla stampava
il periódico Progrés e domando se vi fosse stata licenza di farlo.
Don Rúa rispóse non esservi stata alcuna licenza; ma scusó quel Di-
rettore, dicendo che egli forse non ave va creduto necessario di ricor-
rere ai Superiori. Furono presi quindi opportuni provvedimenti (2).
A Novara l'edificio venne completato nel 1899. Allora la ven-
dita del primitivo lócale forní con che pagare i debiti, e l'oratorio
festivo piantó la sua sede nell'Istituto. Sulle prime Don Rúa temeva
che per questo trasferimento l'oratorio avesse a scapitare; invece la
cronaca domestica nota: « Non ne risenti gran danno, grazie ai sa-
crifici personali dei sacerdoti e chierici salesiani, che non badavano
a fatiche anche straordinarie. » É doveroso aggiungere che in questo
il Direttore Don Ferrando precedeva tutti con l'esempio.
L'Istituto pertanto aveva raggiunto un alto grado di sviluppo.
Chiesa pubblica ben uffíciata e frequentatissima; pensionato per
alunni di scuole tecniche; tre ultime classi elementan; ginnasio al
completo; laboratori di legatori, sarti e calzolai; laboratorio dei fale-
gnami assai ben quotato; scuola di scultura in legno e scuola di librai
con bottega pubblica nel recinto del Vescovado; oratorio fe-
stivo modello con isvariate associazioni giovanili. Un centro in-
somma di molteplice e provvida attivitá. La benefícenza teneva un
posto distinto nell'amministrazione; dal 1897 al 1901 vi furono in
media cinquanta giovani ogni anno ricoverati gratuitamente (3).
In queste opere, si sa bene, tutto dipende da chi é alia testa. Don
Ferrando dalle origini diresse l'Istituto per 12 anni. Ricco di doti or-
ganizzative e pronto al sacrificio, diede costante incremento all'opera
affidatagli da Don Rúa; con il suo tatto poi riusci a cattivarle le sim-
patie delle Autoritá religiose e civili e a conquistarle la benevolenza
della popolazione. Molto lavoró, molto soffri; ma lavoró únicamente
per Iddio e soffri con pazienza per amor di Dio.
(1) Verb. del Cap. Sup., 25 maggio 1888.
(2) L. c, 28 agosto 1888.
(31 Cfr. L'Istituto Salesiano di Novara e la Benefícenza. Novara, Tip. S. Gaudenzio, 1912.
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
Nella provincia di Novara, a Trecate, la signora Gerolimina Moro
diede prova di una bella costanza! Per nove anni non si stancó di scri-
veré, di supplicare, di portarsi ai piedi di Don Bosco e di Don Rúa.
mettendo a loro disposizione i mezzi per una fondazione salesiana
nella sua patria. Finalmente nel 1894 ebbe la consolazione di vedere
un Istituto per Figli di Maria, ai quali fece da madre; vide puré la
accanto una chiesa pubblica e Foratorio festivo. Nell'oratorio, a cui ella
teneva grandemente, non mancava nulla, meno che meno i frequen-
tatori: in una cittá di 10.000 abitanti, mercé lo zelo dell'Arciprete Don
Luigi Terruggi, i giovani vi si affollavano financo in numero di 600. II
collegio fu dal Vescovo di Novara Mons. Pulciano dichiarato con ap-
posito decreto Seminario Diocesano; il che procurava puré il vantaggio
di non aver che fare con le esigenze legislative scolastiche. Questa
condizione lo assoggettava alia dipendenza dal Vescovo quanto a disci-
plina e studi, come qualsiasi altro Seminario. Nel suddetto decreto
Monsignore spiegava cosi lo scopo: « II bisogno di clero, specie per
le parrocchie di montagna, facendosi di giorno in giorno sentiré piü
vivo, ci muove a prenderci cura di quei giovani giá adulti che mani-
festaño inclinazione alio stato ecclesiastico, ed abbisognano perció di
corsi di studio piü accelerati, e di una educazione separata e distinta
da quella che s'imparte ai giovani che vi entraño fin da fanciulli. » La
benefattrice, morta nel 1898, ebbe tempo di vedere un bel numero di
giovanotli vestiré l'abito chiericale; ma Iddio le risparmió il dolore
di assistere alia fine di un'opera che le stava tanto a cuore. Gravi dif-
ficoltá insorsero a inceppare il lavoro dei Salesiani; crescevano puré le
angustie finanziarie. II Vescovo scriveva in proposito a Don Rúa (1):
« Siccome vedo le gravi difficoltá in cui versa il Collegio e d'altronde
vedo che il bisogno di chierici per questa diócesi va diminuendo, cosi
io non intendo di imporre nessuna mia volontá e rimetto interamente
la cosa al suo giudizio. » La cosa rimessa al giudizio di Don Rúa n-
guardava il chiudere o non chiudere. I Superiori, scorgendo in queste
parole e in altre manifestazioni una sintomática freddezza, ordina-
rono nel 1901 la chiusura (2).
(1) Novara, 13 ottobre 1900.
(2) Verb. riel Cap. Sup., 19 sctt. 1901.
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Capo XXV111
Torino ha una parte sua nelle fondazioni di questo periodo. Quella
di che intendiamo parlare ebbe un preludio oratoriano. Diceva Don
Rúa che i figli di Don Bosco non potevano sentirsi paghi, finche non
avessero a Torino almeno dodici oratori íestivi. Allora ne ave-
vano quattro soli, tre maschili e uno femminile; quindi nel 1891
egli fu ben lieto di aprime un quinto al Martinetto, sobborgo al-
lora con rari edifici, oggi incorporato nella cittá. I vi sotto l'alto
patronato di Mons. Richelmy, Vescovo dTvrea, alcuni preti dio-
cesani tenevano un istituto detto delle Scuole Apostoliche, perché
avviava al sacerdozio giovani di modeste condizioni. Ora i diri-
genti, volendo provvedere ai bisogni spirituali della gioventü la
attorno, pregarono Don Rúa di mandarvi ogni domenica da Val-
docco persone capaci di reggere un oratorio festivo. Don Rúa annui
senza sapere che altro maturava nella mente dei promotori. Quando
videro che l'oratorio era bene incamminato, Monsignor Richelmy e il
Can. Casalegno, comproprietario e confondatore delle Scuole Aposto-
liche, esposero tutto il loro disegno. Preoccupati dall'idea di assicu-
rare Tavvenire della loro opera, avevano deliberato di cederla in as-
soluta proprietá alia Societá Salesiana. Ne fecero dunque nel 1894
fórmale proposta. Don Rúa dopo qualche esitazione (1) fini con l'ac-
condiscendere.
Le modalitá del passaggio vennero regolate in si breve tempo,
che al principio del nuovo anno scolastico 1894-95 tutto sembrava giá
belPe pronto. Dico sembrava, perché nessuno si era accorto di ció che
covava sotto. II 1° ottobre dunque il Direttore Don Luigi Brunelli si
presentó la con i suoi aiutanti per insediarvisi, quand'ecco farglisi in-
contro il precedente Direttore e cantargli chiaro che né egli né al-
cuno del corpo insegnante, un persónate raccogliticcio, per nessun mo-
tivo avrebbero mai lasciato luogo e ufficio. I Salesiani avevano l'ob-
bligo di continuare Topera esistente; quindi dovevano tenere gli alunni
delle Scuole Apostoliche, e quei tali non cessavano d'immischiar-
visi. II Prefetto Genérale Don Belmonte, che accompagnava il nuovo
Direttore a prendere possesso, si rivolse al Canónico, perché facesse
sgombrare il campo; ma il Canónico non riusciva a spuntarla. Final-
(!) Verb. del Cap. Sup., 11 aprilc 1894.
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
mente un bel giorno Don Brunelli, sangue romagnolo, senza tante am-
bagi disse ai giovani: — Da questo momento il vostro Direttore sonó io
e nessun altro. — A un atto cosi risoluto gli oppositori compresero che
non c'era piü posto per essi la entro; tuttavia complottavano ancora,
non rassegnandosi a sgombrare. Finalmente p per amore o per forza
dovettero arrendersi.
II vecchio Direttore nicchiava ancora ne voleva fare la con-
segna e poi ritirarsi. Ma una parola enérgica di Mons. Richelmy
pose termine alia questione.
Don Brunelli veniva da dirigere i Figli di María a San Gio-
vanni Evangelista. Quei giovanotti si erano sentiti sempre piíi
o meno a disagio in quell'ambiente troppo chiuso e ne pativano
anche nella salute; perció il loro Direttore ricevette l'ordine di
condurli seco alie Scuole Apostoliche, sitúate allora quasi in aperta
campagna, e di fórmame una sezione a parte nell'Istituto. La Casa
di S. Giovanni divento cosi collegio con scuole elementari e gin-
nasiali. L'anno dopo nelle Scuole Apostoliche furono trasportati i
tre laboratori dei sarti, falegnami e calzolai, che si trovavano a
S. Giovanni. Questo indirizzo della nuova Casa, duró immutato
per gli otto anni seguenti.
Al Martinetto il primo anno fu durissimo. Quei signori che si
ostinavano a restare, non erano stati colti all'improvviso; infatti,
avuta notizia del cambiamento, avevano in un batter d'occhio ven-
duto tutto il vendibile; perfino i caloriferi erano stati divelti e
«lienati. Fortuna che i buoni Figli di María, chi in un modo chi
in un altro, diedero mano volonterosi e con spirito di sacrificio
a sistemare le cose.
Tre paesi della provincia di Torino accolsero fondazioni sale-
siane nel biennio 1894-95: Lombriasco, Avigliana e Ulzio. Tutte
queste fondazioni s'assomigliarono nell'andar soggette durante il
corso degli anni a svariati mutamenti di destinazione.
Lombriasco, villaggio di circa mille anime a 30 chilometri da
Torino, sulla strada di Saluzzo, é un centro agricolo di meritata
fama. I Salesiani vi occupano un castello medievale, acquistato per
contratto di compra-vendita nel 1894 dagli ultimi proprietari. La
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Capo XXVIII
Casa, che gode oggi rinomanza di grande Istituto agrario, fu an-
tecedentemente Noviziato e prima ancora, per otto anni, aspiran-
tato polacco.
Diciamo una parola di questa originaria destinazione. II ful-
gido esempio del Principe Augusto Czartoryski che, rinunciato alie
grandezze della famiglia terrena, si era fatto umile figlio di Don
Bosco (1), suscitó una corrente di entusiasmo ne' suoi giovani con-
nazionali, determinando fra essi un moto ininterrotto verso la So-
cietá salesiana. Da prima per munificenza del Principe stesso i Su-
periori fecero ingrandire il collegio di Valsalice, allestendovi un ap-
partamento completo per accogliere quanti venivano dalla Polonia.
Ma poi, crescendo il numero, vista la necessitá di procurar loro una
sede propria, dove potessero ricevere bene tutta la dovuta pre-
parazione, si fondo il collegio di Lombriasco, nel quale entrarono
d'un colpo 89 aspiranti di quella nazione. Quell'aspirantato con-
tinuó COSÍ, finché non se ne creó uno in Polonia. Di la uscirono i
Salesiani polacchi, mandati poi a trapiantare nella loro patria l'O-
pera salesiana, che rigogliosamente crebbe e si dilató.
Della fondazione di una Casa ad Avigliana vi era stata una
discussione in Capitolo dinanzi a Don Bosco nel 1887 (2). Don Rúa
proponeva che si accettasse per questo scopo l'offerta di un convento
dei Cappuccini; chiederlo i frati stessi; desiderarlo i parroci e la
popolazione; esservi chi voleva dar il danaro occorrente. Don Bosco
domando a quale uso dovesse serviré la Casa. — Per i novizi, ri-
spóse Don Rúa, se crescessero tanto da non poter piü stare tutti a
Foglizzo. — Per Casa di salute —, replicó Don Durando. Ma l'E-
conomo Don Sala osservó che sarebbero stati troppi i lavori da fare
e poco il lócale. Don Rúa affermó invece esservi tre cameroni e
largo tratto di terreno, coltivabile a orto. Don Bosco decise, e il Ca-
pitolo aderi, che andassero Don Sala e Don Barberis a vedere, se
il luogo fosse sano e se il lago continuasse ancora a rodere le sponde
con danno del podere e pericolo per la chiesa.
II detto convento era annesso a un veneratissimo santuario, de-
(1) Annali, pag. 737
(2) Verb. del Cap. Sup., 25 maggio 1887.
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
dicato alia Madonna dei Laghi, cosi salutata perché due sonó ivi i
laghi, il grande e il piccolo, che prendono il nome dal paese. Con-
vento e santuario sorgono a specchio del lago grande, sul fianco
della strada provinciale che va da Susa a Pinerolo. Dopo la sop-
pressione degli Ordiiii religiosi Tuno e Faltro diventarono proprietá
del Demanio, che li cedette al Municipio; questo pero vi aveva con-
servato H Cappuccini, i quali nel 1887 stavano per essere richiamati
dal Provinciale e mandati dove c'era maggior bisogno. Tutto in-
duceva a temeré che i due edifici sacri cadessero in mani profane e
venissero adibiti a usi non convenienti. Perció Don Bosco si mo-
stró disposto ad acquistarli, ricorrendo alia Santa Sede per otte-
nere la debita licenza, che venne accordata P8 luglio del medesimo
anno. Ma poi i frati rimasero ancora fino al 1892. Allora il 20 oi>
tobre per compromesso fra un Salesiano a nome di Don Rúa e il
Can. Casalegno a nome della Societá di ecclesiastici che posse-
deva le Scuole Apostoliche sotto la presidenza di Mons. Richelmy,
i Salesiani fecero acquisto del convento e del santuario con due
obblighi: la custodia e ufficiatura di questo, e l'istituzione di qual-
che opera a vantaggio della gioventü aviglianese. I lavori di re-
stauro e di adattamento portarono via del tempo, sicché i nuovi
abitatori vi entrarono nel 1894. II santuario riprese novella vita.
II convento, fatto serviré a vari usi, fu luogo di esercizi per ordi-
nandi, valetudinario salesiano, colonia estiva per studenti, rifugio
di novizi scacciati dalla Francia, finché rimase definitivamente col-
legio per Figli di Maria. Non vi mancó mai l'oratorio festivo con
le sue varié attivitá, nel che consistette Topera a vantaggio della
gioventü di Avigliana, voluta dalle tavole di fondazione.
Ulzio, giá O u l x (1), é una borgata montana presso la confluenza
della Dora Riparia e del torrente Bardonecchia. Nel 1881 e nel
1882 pervennero a Don Bosco domande, perché volesse aprire lassú
un Convitto con scuole ginnasiali a beneficio di quelle valíate; ma
erano semplici inviti senza nulla di consistente. Altri invece furono
piú positivi: un Canónico Chareux lasció per testamento una casa
(1) Si pronunciava Oulz.
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Capo XXV1U
e una cospicua somma, e la famiglia Tournoud donó l'antichissima
chiesa abbaziale e una casa, affinché i Salesiani ufficiassero questa
chiesa, tenessero un oratorio festivo, aprissero un Collegio-convitto
e prestassero aiuto di ministero nelle parrocchie dei dintorni, I Sa-
lesiani dunque vi andarono nell'ottobre del 1895, cominciando con
un pensiónate per studenti che venivano a frequentare le scuole
del paese, e con l'oratorio festivo. II Convitto, che non poté mai
avere piü di 30 giovani, vivacchió fino alia guerra del 1915, allor-
ché per le chiamate di Salesiani sotto le armi venne a difettare
anche la il personale, sicché non si ricevettero piú interni. Tale
stato di cose si protrasse anche dopo. D'altra parte il pensionato non
poteva attecchire sia per la lontananza delle scuole dalla casa, sia
per la rigidezza dei lunghi inverni. L'oratorio festivo poi si dovette
chiudere, perché il párroco non lo voleva. É certo pero che gli
oratori festivi stanno assai meglio nelle grandi cittá, dove ai par-
roci recano preziosi aiuti. Due cose solé non patirono simili traver-
sie: l'ufficiatura della chiesa e l'esercizio del sacro ministero nelle
parrocchie. La Casa in seguito albergó prima Figli di Maria e poi
novizi esuli dalla Francia. Piü tardi ospitó e ospita i chierici studenti
della Crocetta di Torino nei mesi di vacanza. Notevole data storica fu
quella del 4 giugno 1904. In tal giorno la chiesa abbaziale, rimessa
a nuovo dai Salesiani, venne solemnemente consacrata da Mons. Mo-
rozio, Vescovo di Susa.
II medesimo biennio 1894-95 vide apparire successivamente due
Case nel Biellese, delle quali una sola esiste tuttora, quella di Ca-
vagliá, mentre l'altra di Occhieppo Superiore ebbe un'esistenza di
appena sei anni. Curiosa la condizione di quest'ultima! Un signore
fa dono di un edificio piccoletto, affinché i Salesiani impartiscano
gratuitamente l'istruzione obbligatoria a fanciulli poveri, usciti dal-
l'Asilo d'infanzia, in numero da 20 a 30, nominati dal donatore o
in suo difetto dal Párroco lócale d'accordo con l'Ordinario, e ció
in perpetuo. Nel caso che detta scuola per qualunque motivo non
si possa piú fare, i Salesiani useranno l'edificio per iscopo d'istru-
zione o di beneficenza a vantaggio dei poveri di Occhieppo, nel
modo da concertarsi con l'Ordinario. Nel primo anno basta un sa-
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
cerdote, al quale il donatore provvederá ailoggio e vitto conveniente;
si, anche Palloggio, perché nel primo anno una parte dell'abitazione
sará ancora occupata; sgombrata che sia, i Salesiani potranno an-
che accogliere altri giovani, come stimeranno meglio. S'andó d'a-
more e d'accordo per qualche anno; ma poi il donatore con molta
disin voltura passava sopra al Contratto, finché i Salesiani, angu-
stiati dalla difficoltá di procacciarsi i mezzi di sussistenza, mor-
tificati per il contegno di chi li aveva voluti, disanimati al vedere
l'impossibilitá di svolgere mai un'azione salesiana di qualche ri-
lievo, scossero la polvere dai calzari e se ne vennero via.
Nella patria del Gersen fu un altro affare. Lo fece presagire sú-
bito la festa delFinaugurazione nell'ottobre del 1894. Poche inau-
gurazioni rivestirono un tale carattere di solenne festivitá. Ci si
trovarono con Don Rúa l'Arcivescovo Pampirio di Vercelli e i Ve-
scovi Cumino di Biella e Richelmy d'Ivrea; vi presero parte attiva
nobili signori, come il Conté Oliviero di Vernier e il Genérale
Solino. Autoritá vicine e lontane si fecero premura d'intervenire
o di farsi rappresentare. Non mancó neppure la banda dell'Ora-
torio di Valdocco. Una nota speciale diede risalto alia celebra-
zione: la perfetta concordia manifestatasi fra le Autoritá religiose
e civili, cosa rara a quei tempi in Italia.
A Cavagliá i Salesiani rilevarono un'opera giá esistente. II sa-
cerdote Gaetano Decaroli aveva aperto nel 1885 una scuola ele-
mentare in casa sua, mantenendola a proprie spese e predispo-
nendo per testamento che dopo la sua morte eredi fiduciari prov-
vedessero alia continuazione. Avvenuto nel 1886 il decesso, quelli
curarono il proseguimento della scuola con maestri e maestre pri-
vati fino al 1894, quando mediante regolare contratto cedettero sta-
bile e fondazione ai Salesiani con l'obbligo di tenere in perpetuo
almeno due classi elementan prívate per giovanetti del paese. In-
vece di due, i Salesiani tennero tutt'e tre le classi inferiori e con
risultati cosí buoni e palesi, che dopo due anni il Comune licenzió
tre maestre per affidare interamente ai Salesiani l'istruzione elemen-
tare. Se non che dopo altri due anni, per opera di un consigliere
comunale dell'opposizione, uomo influentissimo, il Comune rivoco
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Capo XXVIIJ
a sé le scuole, nominando tre maestri laici. Allora i Salesiani apri-
rono per contó loro le due classi di quarta e quinta, alie quali in
seguito aggiunsero anche le tre precedenti. Intanto lavoravano
puré neU'oratorio festivo, che dovettero abbandonare nel 1910, per»
che un nuovo Párroco lo volle per sé.
La Casa Decaroii, come fu chiamata, subi poi radicali trasfor-
mazioni per essere ridotta a Collegio, nella quale condizione ebbe
tre fasi. Come giá in Francia, in Inghilterra e in Polonia, cosí
puré in Germania e in Ungheria la Societá non poté da prima
avere aspirantati e noviziati propri; quindi fu obbligata ad accogliere
in Italia figli di quelle nazioni, scegliendo poi fra di essi i pio-
nieri dell'apostolato salesiano presso i rispettivi popoli. Ecco per-
ché quella casa nel 1899 aperse le sue porte ai Figli di Maria te-
deschi, che si trovavano a Foglizzo, tenendoveli finché, cresciuti
assai di numero, furono trasferiti a Penango. Ne presero allora
il posto nel 1902 i Figli di Maria ungheresi, a reclutare i quali la
Provvidenza si valse di Don Zafféry, che, da preside del liceo di
Fiume fattosi salesiano, si adoperava a cercare nel regno di S. Ste-
fano aspiranti, inviandoli alia Casa di Cavagliá per esservi infor-
man alio spirito di Don Bosco. LTstituto ungherese duró undici
anni, fino a quando cioé venne trapiantato nelPUngheria, Final-
mente nel 1915 la Casa fu adibita a ospizio coif scuole elementan,
specialmente per figli di richiamati o di profughi e per orfani di
guerra. Trascorso quindi il tempo, in cui si poteva attendere a questo
benéfico scopo, la Casa é rimasta finora Collegio per giovanetti di
scuole elementan, con ammissione anche di alunni esterni.
Ora ci dovremmo volgere alia Lombardia, ossia alia sua capitale;
ma a Milano dedicheremo un capo a parte. Spingiamoci invece a
due delle tre attuali Venezie, cioé alia Tridentina e alia Giulia, giá
province austriache; l'Euganea non presenta nulla di nuovo,
A Trento i Salesiani non erano in casa loro (1); quindi i Su-
periori per avere una sede che fosse in tutto e per tutto dipendente
dalla Congregazione, accettarono una costituzione di rendita vita-
(i) Cfr. Anndi, pp. 581-2.
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
lizia che serví all'acquisto di un lócale (1), dove stabílirono un
pensiónalo di studenti, dando cosí principio all'Istituto María Au-
siliatrice. Taluno proponeva che si chiudesse ¡'orfanotrofio; ma
Don Rúa protestó che non avrebbe mai permesso questo, apparte-
nendo gli orfani alia classe di giovani, ai quali dev'essere rivolta
lazione salesiana (2). Orfanotrofio e Istituto rimasero chiusi du-
rante la guerra del '14; poi, riaperti, procedettero uniti di spirito,
come se fossero un collegio solo. Ma nel 1927, essendo l'Orfano-
trofio proprietá della Provincia, la Prefettura per necessitá ammi-
nistrative lo requisi. Gli orfani passarono all'Istituto, al quale la
Provincia pagava un tanto per il loro mantenimento.
Nell'attuale Venezia Giulia troviamo a Gorizia una fondazione,
che risale al 1895. Dai tempi di Don Bosco c'era in quella cittá
chi voleva i Salesiani, specialmente il Barone Somaruga e Mons.
Alpi, professore di teología morale nel Seminario; entrambi ven-
nero anche a parlare col Santo. Nei primi anni del suo Successore,
sotto la guida di detto Prelato, Direttore dei Cooperatori Salesiani,
si costitui a Gorizia un Comitato, che a forza di istanze ottenne
l'invio di alcuni Salesiani per assumere la direzione di un Con-
vitto dedicato a S. Luigi. Al loro arrivo, che fu ai 15 di ottobre
del 1895, ricevettero onorevoli e cordiali accoglienze; anche il Prin-
cipe Vescovo Zorn si mostró contentissimo della loro venuta.
II Convitto S. Luigi era destinato a giovani di lingua italiana
residenti nella Provincia di Gorizia e aspiranti alio stato ecclesia-
stico. Frequentavano il Ginnasio imperiale, in numero allora di
40. Lo dirigeva una Commissione di sacerdoti prescelti da Mons.
Alpi. Le condizioni finanziarie erano piuttosto ristrette; non man-
cava qualche debito. Ottime le disposizioni di detta Commissione
verso i nuovi venuti; Mons. Alpi, angelo tutelare della Casa; il Di-
rettore Don Giovanni Scaparone, tenuto in molta stima.
Don Rúa aveva accettato l'Istituto alia condizione che vi si re-
sterebbe un anno in pro va sotto la dipendenza della Commissione;
trascorso il qual termine, se da ambe le partí si fosse soddisfatti,
(1) Vprb. del Cap. Sup., 3 novembre 1892.
(2) Lctt. del Direttore Don Deambrosis a Don Rinaldi, Trento, 15 aprile 1910.
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Capo XXVlll
la Commissione avrebbe ceduto completamente le cose alia Societá
Salesiana, continuando ad esistere soltanto per rappresentarla da-
vanti alie Autoritá austriaclie e alia legge. II tutto si verificó nel
miglior modo. Allora i Salesiani, pienamente liberi nella loro azione,
costrussero nuovi locali e adattarono meglio i vecchi. Poi nel 1905
fabbricarono un altro edificio capace di 150 giovani. A tale effetto
la Commissione alienó il Convitto S. Luigi, consegnandone loro il
ricavato, al solo patto che continuassero a coltivare le vocazioni eccle-
siastiche e mantenessero in perpetuo gratuitamente un alunno. L'Au-
toritá política non nascose qualche diffidenza a motivo della na-
zionalitá; ma a poco a poco depose ogni sospetto. Guerra accanita
mossero invece i giornali di lingua italiana, imbevuti di anticleri-
calismo; ma la condotta prudente dei Salesiani e i buoni risultati
dei loro alunni costrinsero gli avversari a rimettere le trombe nel
sacco.
La guerra cagionó rovine al caseggiato. Passato l'uragano, il Go-
verno dTtalia, assai benévolo ai Salesiani, ricostrui le parti abbat-
tute e riparó le danneggiate; fece inoltre parecchie larghezze, di
modo che lTstituto ripiglió intera la sua attivitá, anzi la intensificó,
non trascurando l'oratorio festivo.
Avviciniamoci ora allTtalia céntrale. C'imbattiamo per via in
due Case Salesiane sitúate in due punti opposti, una sull'Adriá-
tico a Comacchio e l'altra sul Tirreno a CoUe Salvetti non lungi
da Livorno.
Veramente la Casa attuale di Comacchio ripete la sua origine
dal 1899, quando per volere di Don Rúa e mediante la carita di una
persona che volle serbare l'incognito, vi si aperse l'oratorio festivo
tuttora esistente; ma nel 1894 vi ando un Salesiano per prendere la
direzione del Seminario. Quel pió luogo aveva estremo bisogno di
sollecito soccorso. II Vescovo Sericci picchió, picchió, finche non gli
fu aperto. Chiese a Don Bosco una comunitá. la chiese e richiese a
Don Rúa, poi limitó le sue richieste a un sacerdote come Direttore
de' suoi seminaristi. Don Rúa mandó prima come visitatore Don
Sala, indi fece fórmale promessa di esaudire le istanze del Vescovo.
La Santa Sede intanto autorizzava Monsignore a mettere un Sale-
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
siano alia direzione del Seminario, intendendo per altro che questo
fosse a modo di esperimento e perció senza compromesso di mante-
nere tale provvedimento, quando l'esperienza non lo mostrasse van-
taggioso. Al Vescovo poi che desiderava sapere quale resterebbe l'a-
zione sua nel Seminario, quando vi fosse il Salesiano, Don Rúa pro-
pose, ed egli consentí, che, serbando per sé il Rettorato, desse al Sa-
lesiano il titolo di Vicerettore (1). A coprire tal carica fu inviato sul
cadere del 1894 Don Antonio Notario, forse perché, avendo com-
piuto i suoi studi nel Seminario d'Ivrea, si presumeva che facesse
piü d'ogni altro al caso; ma vi rimase solo due anni. Nell'ottobre
del 1896 gli succedette Don Natale Brusasea, del quale Monsignore
non íiniva di lodarsi (2). Per mezzo di lui Don Rúa, mercé la ca-
rita della persona benéfica accennata sopra, fece aprire un oratorio
festivo, che attraverso a milíe peripezie ha prolungato fino a oggi
la sua dura esistenza.
Nell'agosto del 1891 Don Rúa ricevette u n a deputazione di Colle
Salvetti, composta del pievano, di un altro sacerdote, del medico
condotto e del notaio consigliere comunale e incaricata dalla Giunta
municipale di presentare la proposta di una fondazione in quel
paese. II Capitolo, discussa con gTinviati la cosa, accettó in mas-
sima con alcune condizioni, stabilendo che verso la meta di setiem-
bre Don Sala andasse a vedere. A Colle Salvetti i Salesiani eran o
molto conosciuti per il collegio di Lucca, dove si trovavano sempre
giovani del paese e donde venivano a quando a quando quei colle-
giali in occasione di gite collettive. Gran crédito vi godeva quel Di-
rettore Don Giovanni Battista Barberis.
Pensando e ripensando, i Superiori presero la deliberazione di
trasferire a Colle Salvetti il Collegio di Lucca: Collegio che andava
benone (3), ma che era un " b u c o " (4). Sparsasi lassú la notizia, la
(1) Lett. del Vescovo a Don Durando, Comacchio, 9 dicembre 1891, e a Don Rúa, 9 dicembre 1894.
(2) Lntt. del Vescovo a Don Rúa, Comacchio, 25 agosto 1897 e 13 setiembre 1901.
(5) Aveva ginnasio inferiore, scuole elementari e artigianelli. Nel luglio del 1891 presentó sei alunni
per gli esaini di terza in quarta ginnasiale al R. Liceo. Sopra 96 candidati, 29 soli furono promossi, fra
i quali i nostri sei riuscirono i primi, mentre dcgli altri privatisti si fece strage. Di tutti gli altri can-
didati nessuno riportó oíto in italiano, uno solo Tcbbe in latino; i nostri invece ottennero cinque otio
e un nove in italiano e tre otio e un nove in latino.
(4) Per la storia del collegio di Lucca, cfr. Annali, pag. 328
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Capo XXV1I1
popolazione diede manifesti segni di contentezza, mentre un grup-
petto di arrabbiati socialisti sfogó il suo livore contro gli ospiti
importuni; ma la gran maggioranza lasció cantare. II Collegio con
largo concorso del paese venne fabbricato in un anno e mezzo;
quello di Lucca fu venduto. Nell'ottobre del 1893 con otto Supe-
riori, una sessantina d'interni e un centinaio di esterni le scuole
funzionavano giá regolarmente dalle classi elementari al ginnasio
e al corso técnico. Professori deU'Universitá di Pisa, in primis il
Toniolo, del quale é in corso la Causa di Beatificazione, godevano
di recarsi al Collegio di Colle Salvetti per osservare l'applicazione
del sistema educativo di Don Bosco. Dopo si apersero anche scuole
serali. II 5 dicembre 1898, con gioia di tutti e soddisfazione propria,
Don Rúa visitó la Casa, festeggiato puré dalla popolazione.
NeU'ltalia céntrale, in tre cittá umbre, a Orvieto cioé, a Trevi e
a Gualdo Tadino, sorsero in due anni tre collegi. A Orvieto, quando
vi andarono i Salesiani, trovarono un Confratello che ve li aveva
preceduti da un anno: Don Matteo Ottonello, Rettore del Semi-
nario e professore di teologia dogmática. Egli sostenne quel doppio
incarico per sei anni, dal 1892 al 1898. Allorché i Superiori notifi-
carono che avevano intenzione di richiamarlo, il Vescovo Bucchi
Acica scrisse al Procuratore Don Cagliero (1): « II ritiro di Don Ot-
tonello da Rettore di questo Seminario sarebbe un'irreparabile scia-
gura. É questo il sentimento comune del clero e del popólo di tutta
la diócesi. Egli non potra, per molte ragioni, né ora né per altri
anni, essere surrogato da un nuovo Rettore, che abbia le doti non
comuni dell'attuale. » Don Rúa rimando il richiamo. Realmente Don
Ottonello meritava quelle lodi. Oltreché versato in teologia, filosofia
e letteratura, era musicista di vaglia e gran promotore della con-
trastata riforma della música sacra.
La storia del Collegio orvietano va presa da alto. Moriva nel-
l'ottobre del 1891 a Orvieto una signora Lazzarini, lasciando erede
con testamento notarile il Papa e manifestando in un foglio pri-
vato e riservato le sue intenzioni. Fra queste la prima era che si
(i) Orvieto, 17 luglio 1695.
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
erigesse un Convitto per artigianelli, diretto da una Congregazione
religiosa. II Vescovo, chiamato a Roma per gli affari di questa ere-
dita, propose al P a p a che la direzione del voluto Convitto fosse af~
fidata ai Salesiani. 11 Papa approvó la sua proposta, suggerendogli
di mettersi in relazione con Don Rúa. Ma dopo un istante si riprese
e disse: — No, che a voi potrebbero daré una ripulsa, come l'hanno
data ad altri Vescovi, essendo da molti ricercati. Quindi me ne in-
caricheró io stesso. Diró al Cardinal Vicario loro protettore: " Vo-
glio che i Salesiani vadano a Orvieto," e a me non dirán di no (1).
II Card. Parocchi fe' cenno della cosa a Don Rúa, ma senza
fornire spiegazioni (2); venute queste, s'intavolarono le trattative.
Leone XIII con suo Motuproprio del 5 gennaio 1893 dichiarava di
destinare Fereditá alia fondazione di due Istituti, uno per artigia-
nelli poveri e l'altro per studenti di agíate famiglie e nominava
protettore delPopera pontificia il Card. Serafino Vannutelli. Una
Convenzione quinquennale determinava doveri e diritti. In único
edificio, due sezioni sepárate e distinte: Ospizio Lazzarini gratuito,
con scuole professionali, agricole ed elementan per giovani poveri
nati e domiciliati in Orvieto, e Collegio a pagamento per giovani di
civile condizione; direzione e amministrazióne interna indipen-
dente; una Commissione eletta dal Vescovo amministratrice del
capitale, erogatrice delle rendite e controllatrice del bilancio con-
suntivo; scelta de' giovani ricoverandi nell'Ospizio fatta dal Ve-
scovo su parere del Direttore e della Commissione; titolo dell'o-
pera, Istituto Leonino.
II 30 ottobre 1893 la Commissione ottenne un'importante udienza
da Leone XIII per ringraziarlo e per rendergli contó. II Papa, fra
l'altro, profuse encomi alia Societá salesiana per le benemerenze
acquistatesi in pochi anni. — Questi buoni Salesiani, disse, sonó
veramente una benedizione di Dio, dovunque essi volgano le loro
cure. — Egli manifestava inoltre la sua soddisfazione, perché il
Rettore del Seminario, insidiando nei seminaristi una pietá soda e
mantenendo la perfetta osservanza della disciplina, corrispondesse
(1) Lett. del Vescovo a Don Rúa, Orvieto, 2 gennaio 1892.
(2) Lett. a Don Rúa, Roma, 8 dicembre 1891.
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Capo XXV111
aU'aspettazione del Vescovo e delle famiglie cristiane. Sentí con pia-
cere essere i vi sorta recentemente una scuola di música sacra,
modellata sulle norme dei grandi maestri antichi.
I Salesiani arrivarono verso la fine di novembre. Era Direttore
Don Arturo Conelli, un vero valore, formatosi alia scuola di Don
Bosco. L'Istituto fu solennemente benedetto e inaugurato il 10 di-
cembre. A benedirlo il Papa mandó Mons. Misciatelli, suo Prelato
domestico e patrizio orvietano. Sotto la direzione di Don Conelli
le cose andarono a gonfie vele.
In una solenne circostanza Collegio e Seminario si fecero gran-
demente onore. Nel settembre del 1896 fu tenuto in Orvieto il XV
Congresso Eucaristico. Era stata scelta quella sede, perché, come é
noto, la cittá custodisce un prezioso tesoro eucaristico nel celebre
corporale intriso del Sangue, che stilló dall'ostia franta durante la
celebrazione del divin sacrificio. Don Conelli, designato segretario
genérale, fu 1'" anima del Congresso". 11 concertó de' suoi arti-
gianelli, sotto la direzione di un maestro salesiano, salutó i Con-
gressisti al loro mettere piede nel luogo delle adunan ze. « Era un
diletto, scrisse la Ciuillá Caltolica (1), il vedere que' bimbi, poco piú
alti dei loro strumenti, maneggiarli con la destrezza e il garbo di pro-
vetti sonatori! » Nella processione poi "i giovanetti dell'Istituto Leo-
nino davano di sé edificante spettacolo di modestia e di devoto rac-
coglimento". Da ultimo l'accademia finale, data dagli alunni del
Seminario " sotto la direzione del loro bravo Rettore " venne anche
" rallegrata da scelta música che fu il fiocco della festa ".
L'abilitá di Don Conelli portó dunque l'Istituto Leonino a grande
floridezza. Ma quanto aveva ragione Don Bosco di non volere nelle
sue Case ingerenze estranee! La Commissione, che diede sempre filo
da torceré, sullo spirare del quinquennio eominció ad accampare pre-
tese perché si rivedesse la Convenzione del 1893. I Superiori, non
vedendovi alcuna ragione, si opposero. Partito Don Conelli, le esi-
genze della Commissione si facevano sempre piü imbarazzanti. Per
la veritá si deve diré che il succedere a Don Conelli non era tanto
(1) An. 1896, vol. IV, pp. 20-26. Sonó del periódico le partí virgolate.
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Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia ecc.
facile. II Collegio decadeva. Finalmente nel 1904 i Superiori, tutto
ben considérate, ne ordinarono la chiusura (1).
II Collegio Lucarini di Trevi nella provincia di Perugia derivó il
nome dal nobile trevano, che nel 1644 lasció per testamento i fondi
necessari alia fondazione. Dopo molte e svariate vicende nel 1883 il
Collegio, trasportato dall'antico lócale nell'ex-convento di S. Fran-
cesco, venne affidato agli Scolopi. Primo Rettore fu il celebre P. Pi-
stelli. Partiti i figli del Calasanzio, l'Amministrazione comunale e la
Congregazione di Carita nel 1893 chiamarono i Salesiani per tenervi
scuole ginnasiali e tecniche. Ci vennero quelli emigrati da Terracina
con il loro valente Direttore Don Daghero, che risuscitó il Collegio,
facendolo vivere di una vita costantemente florida e tranquilla, per-
petuatasi piü o meno cosi fino al presente. Solo nel 1896 vi fu un
po' di fermento anticlericale, secondo lo stile di quei brutti tempi.
Alcuni frenetici sparsero ai quattro venti un foglio volante, in cui
qualificavano per " il piú infame dei delitti " Tintroduzione dei Sale-
siani nel Convitto Lucarini; ma nel 1898 una pacata relazione redatta
da persone autorevoli e pubblicata in forma di opuscolo rilevava il
numero sempre crescente degli alunni, gli ottimi risultati degli esami,
Topera indefessa dei Salesiani nel primo quinquennio ammirata dai
cittadini, e i vantaggi morali conseguiti con il loro apostolato edu-
cativo cristiano. Questo chiuse per sempre la bocea agli anticlericali.
Nel corso degli anni i Salesiani eseguirono lavori che accrebbero la
capacita e le comoditá dell'Istituto.
Anche il collegio di Gualdo Tadino, non molto distante da Trevi
e sulla stessa linea ferroviaria di Ancona, svolge dal 1895 senza ru-
more la feconda sua vita. II fondatore Mons. Roberto Calai, che dieci
anni prima aveva chiesto a Don Bosco i Salesiani, non cessó di chie-
derli a Don Rúa, finché non li ebbe ottenuti. Si volevano special-
mente l'oratorio festivo e le scuole tecniche, delle quali l'industre
cittadina e i paesi all'intorno sentivano il bisogno. Appresso fu in-
trodotto puré il ginnasio. Per tre anni il Collegio risiedette in un ex-
convento, fintanto che il munífico Mons. Calai non terminó di far
íl) Vcrb. del Cap Sup., 15 giugno 1900 e 11 setiembre 1904.
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Capo XXVIU
costruire l'apposito edificio fuori dell'abitato, nella quiete di uno spia-
nato solitario, sul declivio di un colle, in faccia alia bella campagna
umbra. Le successive costruzioni, richieste dal numero crescente
degli alunni interni ed esterni, ne attestano la perenne vitalitá, con-
fermata anche nel 1938 dal Regio Provveditore agli Studi di Pe-
rugia, il quale dichiarava per iscritto che l'Istituto di Gualdo " fun-
ziona da molti anni ottimamente con risultati veramente lusinghieri ".
Andiamo a chiudere questa rassegna nell'Italia Meridionale, a
Castellammare di Stabia ed a Catanzaro. Quello di Castellammare
fu il primo ed é tuttora assai fiorente Collegio Salesiano nel Sud della
Penisola. Due conferenzieri salesiani vi avevano fatto udire prece-
dentemente la loro parola infiammata: Don Albino Carmagnola,
che nell'agosto del 1892 trattó delle Opere salesiane, e il Missio-
nario Don Lasagna, che nel 1893 disse delle Missioni salesiane. In
tutt'e due le occasioni il santo Vescovo Sarnelli manifestó la sua
viva aspettazione, che venissero nella diócesi " alcuni discepoli di
quell'uomo provvidenziale che fu Don Bosco"(l). Della fondazione
seguita poco dopo il maggior mérito spetta a Don Raffaele Sta-
race, sacerdote del luogo. Aveva egli fabbricato e manteneva un
orfanotrofio, che offerse a Don Rúa nel 1892. Gli orfanelli erano
una quarantina; i mezzi di sussistenza provenivano dalla carita
pubblica, sollecitata da certi questuanti, che andavano in giro e
che all'arrivo dei Salesiani nel 1894 furono messi in liberta. II
fondatore avrebbe avuto in animo di organizzarvi una scuola pro-
fessionale. Se ne fece il tentativo, ma, toccatane con mano l'estrema
difficoltá, i Superiori locali col permesso dei Superiori maggiori e
col pieno consenso di Don Starace, mutarono programma, dando al-
l'Istituto la forma di Collegio per studenti secondari e pur conser-
vando alcuni piccoli laboratori. Súbito dopo F apertura, Don Starace
entró nel Noviziato di Genzano, facendo la professione religiosa
nel 1895.
II cambiamento d'indirizzo obbligó a sviluppare ampiamente il
primo núcleo della fabbrica ed a costruire una cappella di discrete
(1) Boíl Sal, diccmbre 1894.
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Fondazioni dal 1895 al i895 in Italia ecc.
dimensioni. In questi lavori, non fatti di seguito, ma a intervalli.
ogni nuovo Direttore porto il suo sasso, mirando chi a rendere il
Collegio piü capace, chi a fornirlo di quelle parti che meglio ser-
vono all'igiene e alia comoditá di un Istituto educativo. Tra le for-
tune toccate al Collegio bisogna mettere l'aver avuto sempre buoni
maestri di música: cosa non indiff érente in paesi, dove si nasce con la
passione dei suoni e dei canti. II simpático Don Calligaris. alunno
dell'Oratorio di Valdocco, vi tenne vivo in questo il costume sale-
siano, al quale si era informato fin da fanciullo sotto il Maestro
Dogliani. I saggi dati dai giovani in non rare occasioni attirarono
presto all'Istituto l'affettuosa ammirazione dei cittadini e la stima
delle Autoritá.
Non abbiamo fatto parola di oratorio festivo, " di quest'aposto-
lato, scrive Don Rúa (1), che diede occasione a tutte le Opere sa-
lesiane, ed alia stessa nostra Pia Societá. " Parecchi tentativi, quattro
almeno, per istituirlo andarono falliti, anche un po' a cagione della
mancanza di un lócale adatto, mista al timore di disturbare il Col-
legio. Giusta lode sia data dunque a Don Tittarelli, che finalmente
nel 1934, quasi monumentum aere perennius nella Canonizzazione
di Don Bosco, lo seppe rendere non solo possibile, ma anche ope-
roso, frequentato e ben ripartito.
Don Bosco aveva espresso piü volte il suo gran desiderio di
mandare Salesiani nell'estrema parte della Penisola, allora molto
t r a s c u r a t a . Don R ú a p o t é e s a u d i r e nel 1894 le mol te istanze di
Mons. De Rio, Vescovo di Catanzaro, inviandone alcuni a pren-
dersi cura di quel Seminario e ad impiantare un oratorio festivo.
Una Convenzione semplice e chiara ne regolava i reciproci rapporti.
Ma purtroppo un luttuoso incidente troncó ben presto le liete
speranze concepite. Pochi mesi dopo l'arrivo il Direttore Don
Francesco Dalmazzo, " vittima del suo dovere," cadeva il 27 feb-
braio 1895 gravemente ferito " da un assassino che mentiva il nome
e le sembianze di fratello " (2). Cálmate le prime ansietá, quando
la ferita sembrava vicina a rimarginarsi, una violenta emorragia
(1) V.v.ti e(Jif., 29 gcnnaio 1893.
(2) COSÍ Don Bcrlellor Ispcítoro siculo, ncll'annuncio fúnebre, Catanzaro, 10 marzo 1893
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Capo XXV1U
lo spense. Le sue prime parole appena ricevuto il colpo erano state
di perdono verso il suo aggressore. Mons, Dell'Olio, Arcivescovo di
Rossano, in una lettera di condoglianza a Don Rúa (1), seriveva:
« II sacrilego attentato compiuto contro uno dei nostri piü cari figli,
e che finiva in dolorosa e fatale catástrofe, mi commuove profun-
damente l'animo. Adorabili giudizi di Dio! Ci voleva un battesimo di
sangue, perché la Calabria imparasse a conoscere la Famiglia Sa
lesiana! » Piú di tutti rimase " commosso, trangosciato ed atterrito "
il Vescovo di Catanzaro, il quale si diceva " assai compiaciuto del
buon indirizzo " che aveva preso il Seminario e supplicava che non si
prendesse nessun provvedimento definitivo sino alia chiusura del-
Fanno scolastico; nel che fu accontentato (2).
Povero Don Dalmazzo! Primo Direttore del nobile Collegio di
Valsalice, primo Procuratore a Roma e insieme primo Párroco e Di-
rettore al Sacro Cuore, aveva avuto gli ultimi sei anni di vita ama-
reggiati da forti dispiaceri, ai quali mise il colmo la trágica fine.
Di lui si parla piü volte nel volume precedente e spessissimo in
tutti i volumi delle Memorie Biografiche dal III al XVIII.
Qua e la abbiam visto alcune fundazioni ben várate arenarsi ed
anche fare naufragio. Nessuna meraviglia: un popolarissimo pro-
verbio toscano avverte che non tutte le ciambelle riescono col buco
É la sorte che puó toccare a qualsiasi impresa umana, anche sa-
pientemente architettata; non c'era dunque e non ci sará mai da
perdersi d'animo per simili insuccessi. Di Dio soltanto si dice as-
solutamente che perfecta sunt opera (3).
(1) Rossano, 14 marzo 1895.
(2) Lett. a Don Rúa, Catanzaro, 15 marzo 1895.
(5) Deuter., XXXII, 4.
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CAPO XXIX
I Salesiani a Milano.
Nel settembre del 1886 Don Bosco, benché " debole, cadente e
quasi sfínito ", come apparve a Don Lasagna (1), volle andaré a Mi-
lano. Quale il motivo? AU'arcivescovo Nazari di Calabiana, che gli
diede onorata e cordiale ospitalitá nel suo palazzo, egli disse che
aveva desiderato di rivederlo ancora una volta e di riceverne Ful-
tima benedizione prima di moriré. Si, certo, grandi obbligazioni lo
legavano realmente a lui, che durante il suo episcopato casalese Fa-
veva in anni critici colmato di benefici; ma solamente per atte-
stargli la sua imperitura riconoscenza non c'era proprio bisogno di
tanta pubblicitá, accompagnata da tanto disagio. É ovvio piuttosto
pensare che il Santo volesse, insieme con un fine diretto, raggiun-
gerne anche uno indiretto, ma che non gli stava meno a cuore. Da
gran tempo egli bramava di mandare i suoi figli a Milano. Tornato
di la nel 1850 dopo avervi studiato Forganizzazione degli oratori fe-
stivi istituiti da tre secoli per opera dei due Borromei, andava ripe-
tendo essere suo vivo desiderio di aprire una Casa in mezzo ai Lom-
bardi. Ora nel 1886 zelanti Cooperatori avevano organizzato una
conferenza salesiana, a cui sembrava loro quanto mai opportuno che
Don Bosco fosse presente. Egli contro il parere di Don Rúa e degli al-
tri Superiori, trepidanti per la sua minacciata esistenza, decise di con-
tentare gli amici milanesi: era un sacrificio che avrebbe potuto ac-
celerare Fandata dei Salesiani nella capitale lombarda. Ma intanto
Fandata sua gli porgeva Foccasione di conseguiré un terzo intento.
Non ignorava egli infatti quanto FArcivescovo fosse divenuto segno
(1) Lett. a Mons. Gaguera S. Benigno, 26 agosto 1886.
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Ga-po XXIX
di contraddizione da parte dei cosí detti intransigenti o temporalisti,
i quali lo consideravano come liberaleggiante né gli risparmiavano
amarezze talora crudeli. In tali circostanze un omaggio di Don Bo-
sco, che metteva la sua popolaritá a servizio del perseguitato, non
era piü soltanto un atto di pura cortesía né di semplice riconoscenza
personale, ma una solenne, benché tacita riparazione in faccia agli
accaniti avversari.
Don Bosco, dicevamo, anelava di mandare a Milano i Salesianí;
ma attendeva dalla Provvidenza il segno, quando fosse venuta l'ora.
Nel 1875, parendogli che quel segno cominciasse a manifestarsi,
aveva preso a coltivare una pratica che mirava appunto a tale ri-
sultato. Don Giuseppe Usuelli, párroco deU'Incoronata, trattava col
Santo per cedergli la cura e l'amministrazione di un Collegio, che, da
lui fondato e diretto, portava il suo nome. Dopo molti parlari nel
1877 le cose si strinsero in modo, che si affacciava prossima la con-
clusione desiderata. Allora Don Bosco volle sapere anzitutto, come
la pensasse l'Arcivescovo. « lo, gli scrisse nel dicembre di quell'anno,
non sarei giammai per mandare alcuno dei nostri preti o maestri in
qualche diócesi, senza il pieno gradimento dell'Ordinario, da cui in-
tendo ora e sempre ognuno debba dipendere. » Mons. Calabiana gli
espresse la sua piena adesione; soltanto gli raccomandó di " assumere
la direzione esclusioa ", e perció " patti chiari, amicizia lunga " » (1).
Ma i patti chiari non furono mai possibili, perché Don Usuelli la-
sciava intravedere che non avrebbe cessato di esercitare nel Col-
legio tutta la sua ingerenza. Passati altri due anni, la pratica venne
ripresa, ma con esito idéntico. II Santo dunque dovette con rincre-
scimento rinunciare a queli'occasione di andaré a Milano, né altre
se ne presentarono nel rimanente della sua vita.
A Milano vi era chi lavorava con ardore a preparare il terrenc
per una fondazione salesiana. Fra gli ultimi anni della vita di Don Bo-
sco e i primi del Rettorato di Don Rúa vi si era formato uno stuok
di Cooperatori numeroso, scelto, unito e attivo. Avevano per Diret-
tore Diocesano Don Pasquale Morganti, Direttore spirituale nel Se-
(1) Milano, 22 dicembre 1877. La parola sottolincata é dcll'Arcivcscovo.
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I SaJesiani a Milano
urinario Maggiore, ex-alunno dell'Oratorio e affezionatissimo alia
Congregazione, zelante nel sacro ministero, e stimato da tutti. Egli sa-
peva benissimo quanti lstiíuti giovanili la metrópoli lombarda posse-
desse e antichi e recenti; ma vedeva puré come lo sviluppo dell'istru-
zione popolare e dell'industria venisse dimostrando che non bastayano
piú al bisogno della cittá e provincia i prosperi Istituti esistenti. Perció
faceva propaganda per una Casa Salesiana, che fosse adeguata al-
l'uopo e degna della cittá di S. Ambrogio. A tal fine in seno all'U-
tiione dei Cooperatori costitui uno di quei Comitati, che intorno ai Di-
rettori Diocesani si cominciarono a creare qua e la nel 1892, denomi-
nandosi Comitati promotori delle Opere di Don Bosco (1); ma al
suo assegnó il compito specifico di promuovere la fondazione mi-
lanese. Questo Comitato si produsse la prima volta in pubblico il
17 gennaio 1893, radunandosi sotto la presidenza di Mons. Cagliero
nella magnifica sagrestia di S. Marco. II Vescovo Missionario, udita
la relazione del Dottor Angelo Mauri sul lavoro compiuto dal Co-
mitato e sulle sue speranze, e ascoltate le spiegazioni di Don Mor-
ganti, parlo del bene che avrebbe ricevuto Milano da una Casa di
Don Bosco. Qui lo interruppe Don Albertario, il quale, enumerando
gli Istituti milanesi per Feducazione e Fistruzione della gioventú,
aífermó che una Casa di Don Bosco non solo non sarebbe stata un di
piú, ma avrebbe dato impulso alia carita cittadina e giovato alie
altre Case. Monsignore, ripresa la parola, propose che si formasse
anche un Sottocomitato di signore e suggeri di cominciar ad ac-
quistare intanto un terreno, dove fosse possibile costruire un Isti-
tuto di grandi dimensioni. Don Rodolfo Dossi, uno dei piú insigni be-
nefattori dei Salesiani, espresse la fiducia che le proposte fatte sa-
rebbero assecondate, essendo grande la generositá dei Milanesi.
La mattina appresso, domenica, FApostolo della Patagonia tenne
una conferenza sulle sue Missioni, commovendo Fuditorio talora fino
alie lacrime e dando, a chi giá non Faveva, un'alta idea dell'Opera
di Don Bosco. Anche questo serviva a preparare gli animi della cit-
tadinanza. Fu costituito senza indugio il Sottocomitato. Poi per in-
(1) Boíl. Sal., ciuerno 1892.
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Capo XXIX
tensificare l'azione il Comitato con felice pensiero lanció un Nu-
mero Único, L'Eco Salesiana, copiosamente illustrato e ricco di op-
portune informazioni sui caratteri e su gli scopi delle Opere di Don
Bosco. II Bollettino di febbraio, riprodotta la lunga relazione del
giornale cattolico (1) sulla conferenza di Mons. Cagliero, vi faceva
seguiré questo rilievo: « Che diremo ora ai Milanesi? Milano superó
affatto la nostra aspettazione. I nostri benefattori ed amici di quella
illustre cittá diedero tale una dimostrazione di stima e di affetto per
le Opere Salesiane, da rinnovare le entusiastiche scene che contem-
plammo talvolta al comparire di Don Bosco stesso negli ultimi anni
della sua vita. »
II 31 gennaio 1894, sesto anniversario della morte di Don Bosco,
i due Comitati rivolsero un caloroso appello non solo ai Cooperatori
e alie Cooperatrici della cittá e provincia, ma anche a tutti i buoni
Lombardi, chiedendo sussidi per apprestare ai Salesiani una sede
conveniente. Chiudevano l'invito queste parole: « Non mostriamoci
meno preoccupati dei bisogni morali e religiosi dei nostri figli che
delle imprese artistiche o industriali, per cui é tanto sensibile e ar-
dua Milano. Qui dove l'orfanello, il sordomuto, il cieco, il rachitico,
il discolo hanno un apposito ricovero aperto dalla sagace carita cit-
tadina, non manchi ormai un Istituto, ove guarentire in mezzo a tanta
corruzione l'innocenza dei poveri figli del nostro popólo! »
Venivano infine le approvazioni e raccomandazioni di Don Rúa
e del Can. Mantegazza, Vicario Genérale. Don Rúa diceva: « II sot-
toscritto, erede dei sentimenti di affetto e di riconoscenza, che l'amatis-
simo suo Antecessore Don Giovanni Bosco nutriva verso la cittá
di Milano, fin d o r a aderisce al pressante invito e si dispone e man-
darvi Salesiani ad occuparsi con la miglior volontá a beneficio della
gioventü, appena sia preparato un lócale adatto a qualche «ututo
od opera in di lei f avore. » E il Vicario Genérale: «Memore dell af-
fetto e della stima che il compianto nostro Arcivescovo Mons. Nazarx
di Calabiana sempre manifestó verso l'illustre Don Bosco e tutte le
sue opere, e del voto espresso dal medesimo Prelato di veder stabdite
1) Osservatore Cattolico, 18-19 gennaio 1893.
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I Salesiani a Milano
anche nella Diócesi di Milano alcune di si benefiche istituzioni, il
sottoscritto ben volentieri appoggia il Comitato presieduto dal
M. R. Don Pasquale Morganti e lo raccomanda caídamente al R. Clero
ed a tutti i fedeli. » L'appello, com'era da attendersi, fu accolto con
pronto e largo favore.
L'idea camminava. A darle una buona spinta venne il 29 mag-
gio, nel qual giorno si fecero a Milano tre cose: inaugurazione del-
l'annua festa di Maria Ausiliatrice, prima conferenza annuale re-
golare di tutti i Cooperatori secondo il prescritto del Regolamento,
e presentazione ufficiale del Comitato e Sottocomitato a tutto il
corpo dei Cooperatori. Tutto ció tornava evidentemente molto a pro-
posito per la propaganda; la presenza di Don Rúa, che da Rettor
Maggiore visitava la prima volta Milano, aggiunse stimolo a chi giá
correva. La festa, celebrata nella chiesa di Santa Maria Segreta,
ricevette lustro dal panegirico del Cooperatore Don Luigi Bignami,
prevosto di S. Lorenzo e futuro Arcivescovo di Siracusa. Parló puré
Don Rúa, che, come si esprimeva il giornale (1), « con la sua voce lle-
vóle, ma límpida disse carissime cose su Maria Ausiliatrice, su Don Bo-
sco e il suo amore ai Milanesi ». Nelle prime ore del pomeriggio una
folla di Cooperatori, venuti anche da fuori, gremiva la sala del Comi-
tato diocesano di Azione Cattolica in via S. Maurilio. Presiedette Mon-
signor Mantegazza, non piü semplice Canónico, ma Vescovo titolare,
assistito da Don Rúa e da Don Trione. Sedevano puré al banco della
presidenza il Duca Scotti, il Principe Emanuele Gonzaga, il Conté
Belgioioso e altri personaggi, i quali, come fu ben detto, rappresenta-
vano in Milano Faristocrazia della carita.
Prese per primo la parola Don Rúa, che, felicitato il neovescovo
e ringraziatolo della sua bontá verso la Pia Unione, sviluppó le cose
esposte brevemente la mattina. Monsignore rispóse riuscirgli gradito
il trovarsi tra i figli del grande Don Bosco e il sapere che avrebbero
preso stabile dimora tra i Milanesi. Conferenziere fu Don Stefano
Trione, che " abilissimo, rápido, nitido, pratico e concludente ", come
lo elogiava il citato giornale, si fece ascoltare con vivo interesse per
(I) Osservatore Catlolico, 29-30 maggio 1894.
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Capo XXIX
piú di un'ora. I Cooperatori impararono da lui Faltezza, il mérito
e la portata del loro compito. Infine toccó a Don Morganti fare la
presentazione del Comitato e Sottocomitato, dopo di che egli riferi
con schematica brevitá sullo stato delle cose riguardo all'erigendo
Istituto: tutto procederé benissimo; il lócale giá acquistato in via
Commenda; giá versato un terzo del pagamento; ma essere conve-
niente procurare presto la somma necessaria a pagare gli altri due
terzi; perció i presenti non si limitassero a portare essi il loro óbolo
personale, ma interessassero anche parenti e conoscenti, massime
diffondendo sempre piú l'appello del Comitato. Si chiudeva cosi l'ar-
ticolo del giornale: « Avvenne poi una gran ressa attorno alia esile
e pallida figura di Don Rúa; tutti volevano baciargli le mani, par-
largli, consegnargli offerte. Egli non poté conteneré dopo un'espres-
sione, che su quelle labbra parche e dignitose ci fece senso: — Oh
quante brave e buone Signore ha Milano! — Tornato quindi alia
sua dimora, fu anche lá un andirivieni di personaggi, che vollero
parlargli e raccomandarsi alie sue preghiere, sicché a stento poté
trovare un quarticello per volare in via Commenda e daré uno sguar-
do fuggevole alia futura dimora de' suoi figli. »
In quei giorni due membri del Comitato, i coniugi Luigi e Giu-
seppina Petazzi, recatisi a Roma e avuta un'udienza speciale dal
Papa, gli domandarono una benedizione particolare per la santa
impresa. II Papa, secondoché essi narrarono (1), rispóse loro: —
Sentó diré da Torino che Don Rúa zela molto quest'opera. Sperano
a Milano di potería istituire? Hanno raccolto i mezzi sufficenti? —
Udito che si stavano raccogliendo e che si sperava per il prossimo
ottobre di aprire i'Istituto, il Papa ripiglió: — Oh! i Salesiani fanno
molto bene nell'educazione dei giovanetti. Benedico ben volentieri
il Comitato milanese per Flstituzione salesiana. — La notizia di si
benevoli sentimenti del Santo Padre diede nuovo impulso a favorire
l'impresa.
Cinque mesi dopo venne un'altro incoraggiamento da piú vicino.
11 3 novembre faceva l'ingresso il nuovo Arcivescovo Card. Andrea
(1) Boíl. Sal., setiembre 1894.
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/ Salesiani a Milano
Ferrari, succeduto a Mons. Calabiana. I signori e le signore del Co-
mitato si affrettarono a rendergli omaggio, significandogli quanto si
era fatto e si andava facendo per aprire la via ai figli di Don Bosco.
Sua Eminenza mostró di gradire assai quell'incontro; poi, a signifi-
care meglio il suo gradimento, nel giorno del suo onomástico, che
cadeva al 30 del mese, invió al Comitato una sua offerta di 500 lire.
Don Morgan ti ne lo ringrazió con una lettera aperta (1). Non era
la prima prova che il Card. Ferrari dava della sua benevolenza per
le Opere salesiane in genere e per la futura Casa di Milano in specie.
Nel settembre precedente, trovandosi a Torino per il Congresso Eu-
caristico, aveva fatto parecchie visite all'Oratorio e in una di queste,
rispondendo a un saluto rivoltogli dagli allievi, aveva lodato Fef-
ficace attivitá, a lui ben nota, dei Salesiani di Parma, dov'era da
attribuirsi alia loro influenza il rapidissimo e quasi prodigioso mu-
tamento del piú miserando quartiere che vi fosse in cittá; donde
prese motivo per dichiarare quanto lo consolasse il pensiero che
anche nella popolosa Milano avrebbe visto fra breve aprirsi un
Istituto della medesima natura.
II lócale acquistato in via Commenda era quello di un antico ora-
torio S. Stefano, trasferito altrove. Qui arrivarono i primi Salesiani
la sera del 7 dicembre 1894, festa di S. Ambrogio, del quale la loro
Casa avrebbe portato il nome. Erano tre soli e avevano per com-
pagna la povertá. Partiti da Torino con 25 lire per il viaggio, ne
rimanevano loro appena 2,80. Don Morganti li ricevette alia stazione
e li condusse alia loro dimora. Anche qui povertá francescana. Nulla
piú dello stretto necessario, anzi qualche cosa di meno: tre letti, due
o tre tavoli, qualche sedia e non una stoviglia. II bettolino la presso
serví loro per alcuni giorni i pasti, finché la carita del Comitato e
del Sottocomitato non ebbe sistemato un po' meglio il lócale. Don
Morganti avvertiva della venuta la cittadinanza e raccoglieva soc-
corsi. La sera del terzo giorno comparve un tipo singolare di prete
lombardo. Cridó dalla soglia in pretto meneghino: — Dove sonó
questi Salesiani? — Corsé il Direttore e menó lo sconosciuto a vi-
(1) Osseroatore Caitolico, 1° dicembre 1894
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Capo XXIX
sitare la casa. Ogni tanto quegli borbottava che era troppo stretta.
Alia fine per tutto saluto disse brusco brusco: — Ben, ben, s'aggiu-
stino! — II Direttore rimase la a guardarlo, mentre con fiero ci-
piglio se ne andava. Chi avrebbe mai immaginato che sotto quella
ruvida tonaca battesse un cuore largo come la capacita della sua
borsa, la quale non era davvero angusta, e che sotto quel fare bur-
bero si nascondesse un affezionato e generoso benefattore quale fu
Don Andrea Trombini? Aveva voluto fare a modo suo un sopra-
luogo per esplorare il terreno, dove poi avrebbe esercitato a piene
mani la sua carita.
Ma e questo Direttore chi era? Si chiamava Don Lorenzo Sa-
luzzo, uno dei tanti figli dell'Oratorio che, mandati a Don Bosco
giovanetti dalla Provvidenza e cresciuti a immagine e somiglianza
del Padre, dovevano poi essere strumenti del suo apostolato nel
mondo. II suo curriculum vitae fu molto semplice: studente di gin-
nasio, chierico, segretario aggiunto di Don Bosco, prete e consi-
gliere scolastico, indi prefetto a Mogliano Véneto. Qui lo raggiunse
l'obbedienza per TOratorio S. Ambrogio a Milano. Sulle prime si
smarri e tentó stornare l'oneroso incarico, mettendo innanzi l'ine-
sperienza della sua giovinezza, ma Don Rúa non mutó volere. Partí,
dicevamo, con poche lire in tasca; ma chiudeva in sé tesori piü che
d'argento e d'oro: prontezza e vivacitá d'ingegno, spirito d'intra-
prendenza, facilita di parola, dignitá di tratto e soprattutto attacca-
mentó agli insegnamenti e agli esempi di Don Bosco: tutto ció non-
dimeno sotto un esteriore piuttosto modesto. Con uomini di questa
stoffa Don Bosco fece non solo i miracoli che fece, ma ne preparó
anche altri simili per il suo Successore.
É bello seguirlo nei primi passi, dopo quello dell'uscio, che suol
essere il peggio, come dice il proverbio. Don Morganti non perdette
tempo. Súbito per il 9 dicembre, domenica, indisse un'adunanza del
Sottocomitato, che egli presiedette assistito dal chierico seminarista
Luigi Olivares, oggi Salesiano e Vescovo di Nepi e Sutri; ma prima
aveva avvertito Don Saluzzo che si tenesse pronto per parlare a
quelle signore. — Che cosa devo diré? — domando. — Dica che
e senza quattrini —, fu la risposta. Don Saluzzo, da lui presentato
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1 Salesiani a Milano
aU'assemblea, parló cosi (1): « Sonó qui mandato dal mió venerato
Superiore Don Rúa, che, come si esprime nella sua lettera (2), con-
fida molto nella generositá dei Milanesi, tanto benevoli verso l'O-
pera di Don Bosco. Quando mi congedai da lui, mi disse: — Fa
quello che puoi nel nome del Signore, e sta' sicuro che, quantunque
ancora giovane e inesperto, non ti mancherá l'aiuto di Dio e degli
uomini. Conosco il cuore dei Milanesi, mi affido alia loro bontá. —
E per rammentarmi súbito che ero figlio di Don Bosco, mi lasció
partiré con i soli denari per il viaggio mió e dei miei due com-
pagni. — Va' la che ne troverai —, mi disse Don Rúa nel conge-
darmi. » Un linguaggio cosi semplice e schietto commosse talmente
le uditrici, che li per li raccolsero tremila lire. Poi nei giorni se-
guenti era un viavai di visitatori e visitatrici, che portavano cíii
una cosa chi un'altra. Vi fu una vecchietta che, chiesto di visitare
il lócale e accompagnata da Don Saluzzo, dopo gli domando quando
avrebbe detto la Messa. — Domani alie sei —, rispóse. L'altra lo guardó
trasecolata. L'esile persona di quel pretino le aveva fatto credere
che fosse un chierichetto. — Bene, conchiuse, e si cerchi una buona
balia. — Cosi dicendo, gli aveva messo in mano 200 lire; ma di li
a poco gli mandó dieci volte tanto.
Don Morganti, appena fu possibile, lo accompagnó dall'Arcive-
scovo, al quale Don Saluzzo presentó una lettera commendatizia di
Don Rúa. Sua Eminenza con bontá paterna s'informó di ogni cosa,
benedisse il Signore che i Salesiani venissero a lavorare nella sua
vigna, anzi nella porzione piú eletta di questa, e confortó il Diret-
tore, assicurandolo che la Provvidenza c'era dappertutto, ma speeial-
mente a Milano.
II lunedi dopo l'adunanza delle signore, si radunó il Comitato
dei signori, che, fatte cordialissime accoglienze a Don Saluzzo, si
accinsero a studiare i mezzi piú opportuni per daré cominciamento
all'Istituto. Furono prese due deliberazioni: inaugurare l'oratorio nel
di dell'Epifania e far venire per l'occasione Don Rúa. II giorno 16,
(1) Don Bosco. Bollettino mensile dell'Istituto Salesiano di Milano, aprile 1941. TI periodichetto ri-
íeriscc cose udite dalla bocea di Don Saluzzo.
(2) Una lettera di raccomandazione al Comitato e Sottocomitato.
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Capo XXIX
Comitato e Sottocomitato, in tutto una cinquantina di persone, eb-
bero udienza dal Cardinale, che ne elogió lo zelo, disse loro alte pa-
role d'incoraggiamento e manifestó la sua gioia per la prossima
inaugurazione.
Nei giorni che precedettero immediatamente l'Epifania, la tran-
quilla via Commenda era corsa di continuo da vetture prívate e
pubbliche di persone che gareggiavano a provvedere quanto pote va
occorrere per mettere un po' in assetto la povera casa si da non
tare troppo magra figura nella solenne circostanza. « Solenne per
modo di diré, scrive un testimonio oculare (1), come e possibile in
un ambiente ristretto, con programma quasi improvvisato; ma il
cuore vi e; il cuore dei Milanesi rappresentati dal Comitato, il
cuore dei giovani che giá apprezzano ed amano i figli di Don
Bosco, il cuore del venerato Padre, il Cardinale Ferrari, che, at-
traversando il palco, ha uno strappo alia porpora e sorride bona-
riamente, quasi lieto di far sacrificio del manto prezioso, pur di in-
coraggiare Topera incipiente. »
La mattina dell'Epifania Don Rúa benedisse la cappella e vi ce-
lebró la Messa per i benefattori. Nel pomeriggio vi si tenne l'adu-
nanza inaugúrale, presente l'Arcivescovo. Avrebbe dovuto parlare
Don Morganti, anima di tutto; ma, essendo egli indisposto, lo
sostitui Don Saluzzo, leggendo una relazione di quanto erasi fatto
dal Comitato. La relazione, scritta da Don Morganti stesso, esposta
la cronología del movimento milanese a favore dei Salesiani e resé
grazie ai benefattori e alia stampa cittadina, terminava cosi (2):
Ed ora che la mia esposizione é finita, mi si consentirá ancora una parola di
esortazione. £ vero che i Salesiani non possono né amano decorare di ciondoli i
loro benefattori, né ripagarli altrimenti con retribuzioni umane, come si usa cola
frammezzo ai cosi detti filantropi; ma ben meglio sanno ringraziarci non solo
con le onnipotenti preghiere dei loro innocenti ricoverati, ma piü ancora coll'e-
ducarci i nostri fanciulli buoni cittadini e ferventi cattolici. E dovró io spender
puré una parola per dipingere il bisogno, che senté Milano di altri e numero^ i
(1) Mons. LUIGI M. OLIVARES. Elogio fúnebre di Mons. Pasquale Morganti, Ardo, di Raoe na e
Vesc. di Ceroia, Milano. Scuola tip. Sal. 1922.
(2) Osseruíitore Cuttolico, 6-7 gennaio 1S95.
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/ Salesianí a Milano
ricoveri per la sua gioventü maschile, massime operaia? Chi di voi non pro va ogni
giorno un frémito d'orrore quando s'imbatte in quelle torme di giovinetti, che escorio
dalle officine con sul labbro la bestemmia, con alia mano un fogliaccio che li educa
a gridare " Né Dio né padrone" secondo il decálogo anarchico? Forse mezzo se-
cólo fa potevamo contare ancora sulla bonarietá e religiositá Ambrosiana e reputare
pressoché inammissibili certi eccessi; ma dopoché a Lione cade fulminato Carnot
e tutt'Europa n'é sgomentata, noi Lombardi nel purtroppo nostro Caserío dobbiamo
ravvisare quanto in questa metrópoli sia insidiata e tradita la nostra gioventü (1).
Qui, quel povero figlio di si buona madre veniva in nome del progresso e delFuma-
nitá tramutato in una belva, qui nella gentile e cattolica Milano, ove purtroppo
la esecranda scuola della setta prosegue ad avvelenare i cari nostri giovani.
Come non iscuoterci? come non appigliarci all'unico rimedio di sottrarre tante
innocenti vittime a quegli artigli, per adagiarli nelle braccia amorose dei fígli di
Don Bosco? Oh divario fra l'artiere anarchico e l'artigiano di Don Bosco! Dch!
rniei concittadini, nel nostro Padre Ambrogio, sotto i cui auspici apresi oggi questo
pió ostello, infuochiamoci di zelo ardentissimo contro gli Ariani odierni, che Ven-
tano svellere dal cuore dei nostri figli la fede e l'amore a Gesü Cristo, vero Dio e
vero Domo, e riconduciamoli ai piedi del Crocifisso, senza hadarla a sacrifíci, me-
mori della sollecitante sentenza d'Ambrogio: Accogliendo con carita il fandullo,
immagine di Cristo, voi accoglierete Gesü medesimo. Ci sproni a generositá verso
i poveri figli del nostro popólo, la presenza e piü l'amore, l'esempio, di questo
degno successore di S. Ambrogio, il veneratissimo ed amatissimo nostro Cardinale
Arcivescovo, che nella sua povertá ha pur trovato come splendidamente soccorrerci,
e nell'opprimente, vastissimo ed urgentissimo suo ministero sa multiplicar se stesso
e venir in persona a condecorare anche la nostra umilissima adunanza e ad in-
fiammare vieppiü la nostra carita col fuoco della sua parola. E finalmente ci com-
muova anche la presenza del degno successore di Don Bosco, cotanto parziale
nel suo affetto per i Milanesi, il quale vorrá dirvi ció che a' suoi figli commette di
fare in seguito per i nostri.
Seguí un vigoroso discorso del dottor Mauri sull'importanza so-
ciale della nuova istituzione. Poi sorse a parlare Don Rúa, che, come
scrisse il sullodato giornale, " con quella sua evangélica affettuo-
sitá che tanto ricordava in lui il venerato Antecessore ", disse del
dise°;no costante vagheggiato da Don Bosco, di fondare anche a Mi-
lano una Casa salesiana, e ringrazió quanti avevano contribuito
all'aftuazione di esso. Dopo. alcuni giovanetti, primizie dell'oratorio,
presentarono al Cardinale un ritratto di Don Bosco. Quindi il Car-
0) Francesco Carnot, Presidente della Repubblica Tráncese, era stato ucciso a Lione il 25 giugno
1894 daü'anarchico italiano Sante Caserío.
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Capo XXIX
dinale nella sua allocuzione esordi con queste parole: « Se voi go-
dete, o buoni Milanesi, se siete lieti, non certo meno gode, non certo
meno é lieto il vostro Arcivescovo. Se voi siete contenti, io non la
cedo, io sonó piü contento di voi. » Tessé quindi un discorso apo-
stólico ed efficace, che, oltre a dimostrare quanto egli amasse e ap-
prezzasse l'Opera di Don Bosco, destó negli ascoltanti un vero en-
tusiasmo. Sul finiré, rammentando la famiglia salesiana di Treviglio,
fece voti di poter presto irovarsi ad altre inaugürazioni simili in Busto
Arsizio e in Somma Lombardo, due luoghi della sua Diócesi, dove
si aspettavano i Salesiani. Appresso, tenendogli tutti dietro, s'entró
nella cappella, dove fu cantato un Te Deum di ringraziamento.
Nei due luoghi menzionati dal Cardinale vennero fatte entro
l'anno le inaugürazioni; ma le opere inaugúrate non ebbero lunga
durata. Erano due oratori festivi. Quello di Somma Lombardo campo
a mala pena un anno; l'altro di Busto Arsizio protrasse una vita
piü o meno stentata fino al 1905. Difettavano i mezzi, crescevano
i debiti e soprattutto mancó la liberta di azione.
L'indomani Don Rúa, prima di lasciare la cittá, scrisse una let-
tera a Don Morganti, che la resé di pubblica ragione. In essa ü
Successore di Don Bosco, fatti i dovuti ringraziamenti a lui e a tuttu
diceva: « L'opera é ora inaugurata; la generositá e alacritá finora
dimostrata dai Milanesi non si arresterá certo a mezza via; ma, son
persuaso, continuerá in guisa da veder fra breve sorgere locali adatti
per accogliere buon numero di poveri giovanetti bisognosi di so-
stentamento, distruzione religiosa e civile e di apprendere un me-
stiere con cui campare onestamente la vita. L'impresa é eviden-
temente opera sommamente gradita a Dio. »
I locali adatti sarebbero dovuti sorgere la stesso in via Com-
menda, ben diversi da quelli che allora si vedevano. Questo igno-
ravano alcuni Cooperatori e alcune Cooperatrici che andavan di-
cendo non dover restare Topera soffocata in quel bugigattolo e rim-
brottavano Don Morganti, che si fosse conténtate di quella miseria;
tutti insomma reclamavano qualche cosa di meglio, qualche cosa
che s'assomigliasse all'Oratorio di Torino e che meritasse di alzare
la fronte nella grande Milano. Gl'impazienti non sapevano essere
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/ Salesiani a Milano
giá pronto un disegno di vaste proporzioni che aspettava solo il
momento propizio per essere esposto al pubblico, e che quel mo-
mento dipendeva dalla necessaria permissione governativa, la quale
non veniva mai. Aspettatosi indarno per piü di un anno, final-
mente, urgendo il bisogno di dar ricetto a tanti giovani bisognosi,
fu presa l'energica risoluzione di cercare altrove un'area adatta e la
fabbricare, senza per questo rinunciare all'oratorio S. Ambrogio.
Questo importava un onere assai maggiore al Comitato; ma necessitá
non ha legge. L'Arcivescovo e Don Rúa, persuasi che bisognava avere
una casa assai piü ampia e non restare troppo a lungo in sulla corda,
incoraggiavano a fare. II Comitato deliberó dunque l'acquisto d'un
terreno di 20.000 metri quadrati in via Galvani presso la Stazione
céntrale. L'architetto Cecilio Arpesani tracció il disegno non solo
di un ampio Istituto, ma anche di una monumentale chiesa. Nella
festa di Maria Ausiliatrice del 1895, la seconda che si celebrava dai
Cooperatori milanesi, Mons. Costamagna fece la conferenza, infiam-
mando talmente gli animi, che le ultime esitazioni caddero, si molti-
plicarono le offerte e parve scoccata l'ora di metter mano ai lavori.
I Milanesi sonó gente positiva: prima studiano bene i loro pro-
getti e poi, venuto il momento di cominciare, non li ferma piü
nessuno. Cosi fu che giá il 4 settembre 1895 TArcivescovo procedette
con tutta la pompa del rito alia benedizione della prima pieíra.
Occasione piü opportuna non si poteva desiderare. Erano i giorni,
in cui si svolgeva a Milano con solennissime feste il XIII Con-
gresso Eucaristico; la cerimonia quindi vi si veniva a inseriré quale
giocondo episodio. Assistettero sua Eminenza sei Prelati con Don
Rúa; il Duca Tommaso Gallarati Scotti e la Contessa Carlotta Par-
ravicini fecero da padrino e da madrina. Numerosa la folla plau-
dente. II Cardinale nel suo discorso, manifestata la propria compia-
cenza per la funzione compiuta, che prometteva a Milano un nuovo
Istituto, dal quale era lecito sperare un gran bene mediante Papo-
stolato dei figli di un tanto amico della gioventú, rivolse calde espres-
sioni a Don Rúa e agli altri personaggi e raccomandó al párroco e
ai parrocchiani di S. Gioachino che ai Salesiani volessero bene. In-
dicando poi se tramutato in muratore e mostrando le mani incalci-
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Capo XXIX
nate, si compiacque che a fargli imparare quell'arte fosse stato
il caro pensiero, che presto sarebbe sorta una nuova chiesa con un
grande Istituto per molti fanciuUi del popólo. Spiegó quindi in che
consistesse Feducazione salesiana. Brevi parole finali di Don Rúa,
proferite con umile semplicitá, furono ascoltate con la piú viva at-
tenzione.
Dopo la posa della prima pietra il Comitato e il Sottocomitato di-
ramarono un secondo appello, nel quale, reso contó del loro ope-
rato, chiarivano cosi la necessitá e l'urgenza deH'Istituto.
Tutti ormai vedono e rimpiangono la sorte disastrosa, imminente ai poveri
figli del popólo avviati ad apprendere un'arte, onde poi campare. Devono per
questo pigiarsi in vasti fondachi o stabilimenti e accomunarsi cosi con ogni fatta
di persone, troppo spesso corrotte di mente e di cuore, e la sorbirsi il duplice
veleno di dottrine sovvertitrici per la mente, e quello ancor piü deleterio del pes-
simo esempio peí cuore. A rinfocolare poi ancor piü tanta carruzione concorre
sgraziatamente la stampa empia e sguaiata, da cui il povero giovanetto, giá solle-
ticato dalle conversazioni coi tristi, attinge nuova esca con ogni facilita e liberta
perché sorvegliato e corretto da nessuno neppur della famiglia, a cui diventa estra-
neo, standosene lontano volentieri per un cotale spirito d'indipendenza inseritogli
nel cuore da indegni maestri e compagni. Di qui perianto la trascuranza ed anzi
il disprezzo delle pratiche religiose anche piü gravi, il turpiloquio, il libertinaggio
precoce, l'insubordinazione privata e pubblica; di qui l'affigliamento a congreghe
esiziali alio stesso ordine materiale e civile, la resistenza all'autoritá, le violazioni
delle leggi, il delitto, le cospirazioni ed i piú audaci attentati anarchici, col funesto
codazzo delle prigionie, del suicidio e mille altri disordini.
Non temiamo affatto che alcüno scorga in quanto diciamo pur un'orhbra di
esagerazione; ma se c'ingannassimo, vorremmo si pensasse e si credesse alio spet-
tacolo formidabile, cui assistiamo noi tutti i giorni d'una turba specialmente di
madri, zie, sorelle od altre persone, comunque tutrici, che ci si presentano in lacrime,
domandando un bugigattolo, ove rinchiudere il loro ragazzo gih corrotto, beluino,
o prossimo al depravamento a cagione dell'ambiente avvelenato, in cui passa i
giorni per addestrarsi ad un mestiere. Ripetiamolo! non sonó piü i tempi, in cui
tanto si poteva contare sulla salutare influenza della famiglia ancora cristiana, né
su quella di maestri d'arte timorati di Dio. Chi non vede che il gran mostró
dell'industria, colle sterminate sue cupidigie, ormai non si accontenta di logorare
innanzi tempo la vita física del povero popolano, ma ne uccide anche lo spirito
col materialismo, che trascina poi il proletario alia disperazione? E qual altro
freno a tanta depravazione, se non il Crocifisso col suo Catechismo? Sonó questi
appunto gli ordigni che i'immortale Don Bosco sostituiva nelle mani del giovane
alie macchine infernali, che gli esibiscono i socialisti e gli anarchici. E questo pro-
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/ Salesiani a Milano
seguon a fare i degni suoi figli, i Salesiani, dovunque richiesti e assediati da uña
turba di fanciulli, ai quali coll'arte e colla scienza insegnano anche il Timor di Dio.
II Card. Ferrari, a sempre meglio confermare il suo férvido
gradimento, nella festa deirimmacolata indirizzó al Comitato una
lettera, nella quale il vigilante pastore fra l'altro diceva:
L'opera santa intrapresa deve compiersi e compiersi presto, perché s'addimostra
ogni di piú necessaria. Crescono a dismisura i pericoli per tanta povera gioventíi,
specie della classe operaia. £ veramente spaventoso quello che rileviamo da una
staíistica dei delinquentí, pubblicata, non é molto tempo, per la stampa qui in
Milano, che cioé parecchi di questi erano fanciulli al di sotto di 14 anni. Infeliei,
che non hanno forse genitori o congiunti che di loro prendano cura! E quando
questi pur vogliano compiere il loro dovere, non sempre vi riescono a bene. E sonó
forse pochi quelli che, impensieriti deH'avvenire dei loro figliuoli, hanno giá rivolta
istanza alio zelante Sacerdote Salesiano, che peí primo inauguro qui la dimora
dei Figli di Don Bosco, per avere un asilo ai loro figli? Certo é che, se doma ni
potesse aprirsi Tlstituto, esso rigurgüerebbe di giovinetti, che vi cercherebbero la
salvezza, non potencióla. ottencre fuorché all'ombra della religione.
Siccome adunque io so, come continui álacremente Topera vostra, o egregi
Signori e Signore, e siccome al giorno d'oggi null'altro piii preme che salvare la
gioventü, perché siano salve e la famiglia e la societá, e perché si provvegga al-
l'acquisto della vita futura e al maggior bene della vita mortale, non posso non
rallegrarmi con voi, e pregare il Signore Iddio che voglia benedire ai vostri sforzi
e coronarli di lieto successo. Voi siete altamente benemeriti a riguardo della no-
síra cittadinanza, incomparabilmente piú di coloro, i quali hanno la vana preten-
zione di educare bene la gioventü e di formare degli onesti cittadini senza Religione
e senza Dio. Voi fate appello alia carita dei pii e generosi cittadini: il vostro ap-
pello lo faccio mió...
Fece suo il programma non solo con l'alta parola, ma anche con
fatti positivi; avevano invero preceduto questa lettera due offerte
di lire mille ciascuna, e continué si ripeterono poi le prove del suo
favore. II Comitato e il Sottocomitato sentivano il dovere di espri-
mergli di tutto la propria gratitudine; perció il 17 giugno 1896 si
presentarono a lui circa 70 membri. II Cardinale non tacque la sua
soddisfazione di vedersi circondato da quel fiore di gentiluomini e
di gentildonne, che formavano lo stato maggiore dei Cooperatori e
delle Cooperatrici milanesi. Nel suo cuore di Vescovo godeva che si
innalzasse un Istituto, dove sarebbero ricoverati tanti giovanetti pe-
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Capo XXIX
ricolanti. In quei giorni egli aveva udito da un gravissimo magi-
strato, come sempre piü si elevasse a Milano la cifra della delin-
quenza nei minorenni, né a tanto male egli scorgeva altro rimedio
fuorché l'educazione cristiana, quale appunto con esito si splendido
impartivano dappertutto i figli del grande Don Bosco. Tutti i mem-
bri del Comitato raddoppiassero dunque di alacritá e di zelo nella
ricerca dei mezzi sufficienti e pronti. All'adunanza era presente
Don Saluzzo, che si guadagnava sempre piü la benevolenza e la
fiducia dei Cooperatori.
Intanto nell'oratorio di via Commenda non si rallentava l'atti-
vitá dei Salesiani. II 20 dicembre vi fu una visita del Cardinale. I
membri del Comitato, avutone preavviso, convennero la in buon
numero. Egli conosceva le difficoltá, le opposizioni, le prove anche
imbarazzanti, che intralciavano la loro opera; li animó quindi a non
lasciarsi abbattere, ma a considerare le contrarietá degli uomini
come segni che l'impresa era voluta e benedetta da Dio (1).
II fabbricato in costruzione si componeva, secondo il disegno del-
l'Arpesani, di due grandi corpi con la chiesa nei centro; l'ala si-
nistra di chi lo guarda, erasi voluto che fosse terminata per il 1897,
anno di grandiose feste centenarie in onore di S. Ambrogio, ricor-
rendo il XV centenario della sua morte. Orbene quel braccio della
fabbrica nei 1897 si ergeva la ampio, solido e sobriamente elegante,
sicché nei programma dei festeggiamenti santambrosiani fu inclusa
anche l'inaugurazione dell'Istituto, denominato dal Santo cosi caro
ai Milanesi. Ma il completamento della costruzione non significava
che fosse compiuto il pagamento dei debiti. La generositá dei Mi-
lanesi aveva superato le aspettative; ma non aveva potuto fare tutto,
essendovi puré in cittá altre opere che abbisognavano contemporá-
neamente di aiuto. Le somme raccolte rimanevano molto al disotto
delle spese incontrate. Nuove e forti spese si richiedevano inoltre
per ammobiliare la casa e per attrezzare i laboratori. Perció Don
Morganti a nome del Comitato pregó Don Rúa che dicesse una
parola speciale a tutti i lettori del Bollettino. Don Rúa lo fece
(1) Osseroaíore Cattolico, 18 gennaio 18%
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/ Salesiani a Milano
con una lettera comparsa sul periódico nel mese di aprile. Diceva:
« Ho visitato pocanzi il nuovo fabbricato erettosi pei Salesiani in
Milano e sonó rimasto altamente maravigliato e soddisfatto nel ve-
derlo cosí presto e cosi bene condotto quasi a termine; ne ringrazio
in cuor mió il Signore, pregándolo a ricompensare largamente con
la rugiada delle sue grazie i generosi Oblatori, e non tralasciai di
esprimere i sentimenti della mia riconoscenza anche all'eletta di
Signori e Signore del Comitato e Sottocomitato che si trovarono
presentí in quella cireostanza, come puré alia dimane nella riu-
nione che ebbe luogo nell'Oratorio di via Commenda. Sentó tut-
tavia il bisogno di manifestare a tutti in genérale la viva grati-
tudine che noi Salesiani proviamo per chi si mostra generoso ad
aiutarci nelle opere a favore della povera gioventú. Si abbiano tutti
i nostri piú cordiali ringraziamenti. Siccome poi, come dice il Presi-
dente dei due Comitati, restaño ancora a pagarsi molti debiti e a
compiersi i lavori, non vengano meno i Milanesi ed i Lombardi spe-
cialmente nell'ardore della loro carita, giacché a vantaggio dei figli
di Milano e di tutta la Lombardia s'innalza il nuovo Istituto di
Sant'Ambrogio. » La visita, alia quale Don Rúa alludeva, era av-
venuta il 1° giugno 1896, inizio di un suo viaggio per Verona, Vi-
cenza. Este, Roma fino a Caserta.
Dal canto suo il Comitato replica va le proprie adunanze e mol-
tiplicava le forze per disporre quanto potesse occorrere all'inaugu-
razione. Fece stampare 30 mila copie di un Ricordo: una bella im-
magine rappresentante in basso l'Istituto intero, in alto S. Ambrogio
che stendeva su di esso la sua protezione, e nel rovescio una pie-
cola figura di Don Bosco con un suo elogio del Santo (1). Pubblico
puré in 10 mila copie uno splendido Numero Único. Si assunse
inoltre la stampa di una Vita di S. Ambrogio, lavoro di Don F r a n -
cesia, edito con eleganza e adorno di 20 quadri del celebre Pogliaghi.
Nella penuria del tempo i tecnici lavoravano infessamente ad alie-
stire il lócale. Nel gran giorno, che fu il 15 maggio, il Cardinale ce-
lebró la Messa nella cappella dell'Istituto; vi assistettero i membri
(1) Dalla sua Stona Ecclesiasiica, pag. 108 (ediz. del 1938).
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Capo XXIX
del Comitaío e molte altre persone ragguardevoli. Nel pomeriggio,
grande accademia. A parteciparvi erano stati invitati con apposita
circolare e con un grazioso biglietto che dava diritto a posti ri-
servati, i benefattori e le Autoritá. La via che metteva all'Istituto, si
apriva con un arco recante un'iscrizione. L'interno deH'edificio si
presentava tutto addobbato con sobria eleganza. Nella sala di ri~
cevimento gl'intervenuti potevano esaminare il plástico dell'lstituto
intero; in un'altra sala attigua due macchine tipografiche in azione
fornivano a tutti, in elegante foglietto, il programma del tratteni-
mentó.
Onorarono Padunanza i tre Porporati Ferrari, Sarto e Svampa,
dodici fra Arcivescovi e Vescovi, il Sindaco Vigoni, il Procuratore Ge-
nérale del Re, il Presidente della Corte d'Appello, il Senatore Porro,
otto Consiglieri Comunali, e poi sacerdoti, seminaristi, rappresen-
tanze di Associazioni Cattoliche e della Stampa di vario colore,
il Capitolo Superiore e parecchi Direttori salesiani. Suoni e canti,
poesie e discorsi s'intercalarono con saggia varietá e senza lungag-
gini. Com'ebbe parlato Don Rúa, si alzó il Card. Svampa, Arcive-
scovo di Bologna, a svolgere il tema essere un dovere dei Salesiani
e dei Milanesi la fondazione del nuovo Istituto. Disse in sentenza:
— I Salesiani hanno un grande mandato: migliorare la gioventú in
Italia e fuori. Non includere in quest'opera Milano, la capitale inó-
rale, la cittá dell'industria e del commercio, bisognosa di chi in-
fonda lo spirito cristiano agli operai, sarebbe una colpa. — Ecci-
tando poi l'ilaritá genérale, ricordó il fatto di Pietro e Giovanni,
che vanno al sepolcro per vedere Gesú, e nel secondo, che pur
correva, ma che entró dopo Pietro nel sepolcro, raffíguro se stesso
che, pur precorrendo, si vedeva avanzato dal Cardinale di Milano,
inaugurante allora la Casa Salesiana, mentre a Bologna si era an
cor alie fondamenta. L'ultima parola spettava all'Arcivescovo. Detto
che il lócale inaugurato rappresentava solo il settimo deH'edificio
completo, sollecitó tutti ad aiutare Topera di Don Bosco, i cui figü,
additando il Cielo, avrebbero mostrato alia gioventü come si deve
vivere in térra. Confortó il suo diré, ¡Ilustrando l'esempio di Pariría,
giá accennato altra volta. Dopo l'ultimo applauso, tutti i presentí si
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/ Salesiani a Milano
dispersero per la casa nella visita dei locali. Durante il resto di
quei giorno e per tutto il giorno seguente fu un continuo pelle-
grinaggio di Milanesi a vedere FIstituto.
Corsero anni prima che Tintero fabbricato facesse l'imponente
mostra di sé che oggi s'ammira, con la sua grandiosa chiesa e con
la seconda ala; ma, nella parte eseguita fin da principio, del bene
se ne fece e moho. Fiorivano con Nstituto due oratorii fesíivi,
quello di Sant'Ambrogio in via Commenda e un altro di S. Gioa-
chino in via Copernico. Quest'ultimo nacque dopo giorni di tra-
gedia. Nel maggio del 1898 gravissimi disordini rivoluzionari scop-
piati nei pressi dell'Istituto, avevano sconvolto la vita cittadina, in~
sanguinando le strade. Calmatasi la burrasca, una Commissione di
ottimi signori, tocchi dallo spettacolo di ragazzi e ragazze che co-
stituivano I'avanguardia delle orde tumultuanti, pensó súbito al-
l'erezione di un oratorio festivo annesso all'Istituto. II preventivo
della spesa ammontava a 100 mila lire; ma la somma non isgomentó
quei volonterosi, né alia loro fiducia mancó il successo. Cappella
e lócale erano pronti per l'anniversario dei torbidi.
Nel 1904 si festeggió il primo decennio. Mons. Morganti, assunto
giá alia sede arcivescovile di Ravenna. pronunció in un tratteni-
mento parole, che vengono molto in taglio per chiudere questo capo.
Disse (1): «Sonó oggi dieci anni, e dall'Oratorio di Torino, accom-
pagnato da un solo chierico e da un coadiutore, arrivava fra noi
il Direttore dei Salesiani, Don Lorenzo Saluzzo. Fui io, io solo ad
accoglierlo alia stazione. La giornata era uggiosa, e non sapevo ove
condurlo a rifocillarsi. Si ando in una povera osteria. Oggi Don
Lorenzo avrebbe in Milano e in qualsiasi ora la mensa imbandita
presso molte delle piü nobili famiglie. E che cosa fecero i figli di
Don Bosco in questi dieci anni? Non occorre che io mi dilunghi in
parole. Basta osservare questo grandioso Istituto, le sue scuole e i
suoi laboratori, i 350 giovanetti che vi sonó raccolti, e la risposta
l'abbiamo eloquentissima. Da questi laboratori giá uscirono molti
giovanetti che onestamente ora si guadagnano il pane; giovanetti
(1) Boíl Sal, marzo 1905.
40?
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Capo XXIX
che con la loro condotta e il loro lavoro rendono paghi e soddi-
sfatti i loro principali; giovanetti che senza l'Istituto S. Ambrogio
oggi sarebbero forse disoccupati per le vie di Milano, d'aggravio e
di pericolo alia cittadinanza. Nei nostri Seminari annoveriamo giá
parecchi giovani usciti dalle scuole dell'Istituto e avviati alia via
del sacerdozio. Ma il bene che i Salesiani fecero alia nostra Mi-
lano é di gran lunga maggiore, e maggiore ancora riuscirá, quando
essi, se non verrá a mancare l'aiuto dei buoni, ora piü che mai
necessario, potranno aprire al culto divino la loro chiesa di S. Ago-
stino, i cui lavori con mia grande soddisfazione veggo procederé ála-
cremente. »
Don Bosco, quando si trattava di lar del bene, non ave va, di-
remo cosí, accettazione di luoghi; ma, se dobbiamo tener contó di
sue manifestazioni esteriori, dopo Roma, in nessun altra cittá d'I-
talia anelava di stabilire i suoi piü che a Milano. Consci di questa
aspirazione paterna, i Successori del Santo, da Don Rúa a Don Ri-
caldone, sonó stati unanimi nel concorrere a far si che il desi-
derio di lui avesse un'attuazione veramente degna.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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C A P O XXX
II Congresso Salesiano di Bologna.
Don Bosco nello scritto, in cui esponeva il sogno sull'avvenire
della Societá, avuto durante la notte fra il 10 e 1*11 setiem-
bre 1881 (1), faceva seguiré alia sua esposizione una nota spiegativa,
nella quale fra l'altro diceva: « Circa il 1895 gran trionfo. » O r a
durante il Congresso Salesiano tenutosi nel 1895 a Bologna vi fu chi,
trasportato dall'entusiasmo, senza saper nulla né del sogno né del com-
mento, proclamó quelPassemblea un trionfo, anzi un'apoteosi della So-
cietá Salesiana. Lo stesso Don Rúa, sempre cosi misurato nelie sue
espressioni, manifestó a voce e per iscritto il medesimo sentimento, sic-
ché affermó che tale Congresso avrebbe segnato « una delle piü belle
pagine negli Annali della nostra Societá » (2). Di questo Congresso
diremo la preparazione, lo svolgimento e gli echi.
Oggi veramente l'entusiasmo per i Congressi é di molto sbollito
da quello che era fino a trent'anni fa. Polemizzare pro o contro la
utilitá loro, sarebbe tempo perso dal momento che parlano abba-
stanza i fatti. Quei tanti Congressi, quand'erano organizzati a do-
vere e si svolgevano intorno a programmi ben scelti e ben definiti,
non si riducevano a mere párate, ma producevano effetti reali e du-
raturi. Unirsi, intendersi, animarsi, non si puó diré che siano tre cose
inutili; e questi tre frutti almeno possono venire dai Congressi. Certo
e che il Congresso Salesiano di Bologna apportó sodi vantaggi. Non
diremo che tutti ne comprendessero súbito il valore e la portata; ma
a cose fatte non si udi una voce a contéstame i felici risultati.
(1) Annali, pag. 402.
(2) Circolare si Salcsiani, Torino, 30 aprilc 1895.
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Capo XXX
PREPARAZIONE.
L'idea nacque molto semplicemente. Nel setiembre del 1893 si
erano riuniti per la prima volta a convegno presso la tomba di Don
Bosco in Valsalice numerosi Direttori Diocesani dei Cooperatori.
II ricordo di quelle feconde e gioconde adunanze, rievocato un anno
dopo con il Card. Domenico Svampa, ospite dell'Oratorio durante il
Congresso Eucaristico di Torino, fece sorgere nella mente dell'Arci-
vescovo di Bologna il pensiero che giovasse convocare non piú sol-
tanto un gruppo di Cooperatori, ma tutti i Cooperatori d'Italia e di
altre nazioni. Quel pensiero rimase campato in aria, finché nel mese
di novembre fu fatta al Cardinale la proposta concreta di tenere
un Congresso internazionale salesiano nella sua cittá. Sua Eminenza
non si contentó di darvi la propria approvazione, ma si profferse a
occuparsene come di cosa sua.
Allora entró in campo Don Trione. Trattavasi anzitutto di lan-
ciare l'idea nel pubblico, per il che egli era l'uomo adatto. Recatosi a
Bologna, vi tenne dal pulpito di S. Domenico un discorso sul tema
Don Bosco e la gioventú del secólo XIX. Erano ad ascoltarlo il Car-
dinale e i membri piú ragguardevoli del clero cittadino, patrizi e
matrone, studiosi e impiegati, uomini e donne del popólo. L'oratore
non diceva novitá per molti dei Bolognesi, perché nei due anni antece-
denti due conferenze salesiane avevano destato in cittá un crescente
interesse verso le Istituzioni di Don Bosco, interesse che quella volta
parve estendersi e intensifícarsi. Don Trione dunque, profittando di
si favorevoli disposizioni, propaló il disegno d'indire il Congresso
per la prossima primavera del 1895. L'Arcivescovo, sempre fermo
nei sentimenti giá manifestati, gl'indicó varié persone influenti, alie
quali rivolgersi per mettere súbito mano all'impresa. Queste persone
aderirono volentieri all'invito fatto loro di occuparsene, ne invita-
rono altre e poi tutte si adunarono la mattina del 27 novembre nel
Seminario, dove ascoltarono da Don Trione una prima esposizione
orgánica del disegno. L'approvazione fu genérale, ma si riconobbe
insieme la difficoltá della cosa e la necessitá di allargare la cerchia
dei collaboratori. Intanto la sera dello stesso giorno tutti quei si-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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// Congresso Salesiano di Bologna
gnori si recarono dall'Arcivescovo per pregarlo che volesse accettare
la presidenza onoraria del Congresso, permettere la formazione di
un Comitato promotore e approvare che il Congresso si tenesse nei
giorni 23, 24 e 25 aprile dell'anno successivo.
Don Trione, chiesta e ottenuta la facoltá di parlare, presento
quello stuolo di personalitá, espose quanto si aveva in animo di con-
certare e chiari lo scopo da prefiggersi: far conoscere cioé maggior-
mente il fine delle Opere di Don Bosco, che é la cristiana e civile
educazione dei giovanetti del popólo mercé gli oratorii festivi. i col-
legi, gli ospizi, gli educatorii, le scuole di arti e mestieri: inoltre l'as-
sistenza agli emigrati italiani, specialmente neU'America del Sud, e
le Missioni in Asia, in África e tra i selvaggi dell'America; mirarsi
puré a ravvivare lo zelo e l'attivitá dei Cooperatori Salesiani, che
debbono propagare nel mondo lo spirito di Don Bosco e imítame
le opere. Pregó il Cardinale di assumere la presidenza onoraria e di
consentiré che Don Rúa avesse l'effettiva. Tenendo poi giá in pronto
lo schema degli argomenti da discutere e avendo in vista alcuni ora-
tori da scegliere, ne domando il benestare. Accennó all'opportunitá
d'invitare prelati e altri personaggi illustri, di costituire un Comitato
promotore e un Sottocomitato femminile e di darne l'annuncio nel
Bollettino Salesiano. Supplicó infine Sua Eminenza a dichiarare sen-
z'altro costituito il Comitato dai signori presentí, accordando loro
la facoltá di aggregarsene altri; lo richiese infine di approvare Fuf-
ficio di Presidenza del Comitato, secondoché erasi concordato prima,
cosi composto:
Presidente. Mons. Nicola Zóccoli, Vescovo di Sebaste, Vicario Ge-
nérale.
Vicepresidenti. Mons. Evaristo Zanasi, Cancelliere Arcivescovile
e March. Achule Sassóli-Tomba.
Segretario. Dott. Don Giacomo.Carpanelli, Párroco della SS. Tri-
nitá.
Tesoriere. Sig. Raffaele Righi, Cassiere della Cassa di Risparmio,
II Cardinale lodo quanto si era fatto e si aveva in animo di
fare. Quanto a sé, giacché Don Trione aveva accennato alia sua
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Capo XXX
benevolenza verso i Salesiani e le loro opere e alio splendore che
la sacra Porpora avrebbe recato al Congresso, si disse lieto di po-
ter consacrare Tuna e l'altra al buon esito dell'impresa, interamente
conforme alie sue vedute e da lui giudicata di grande opportunitá.
Lietissimo poi era che Don Rúa avesse la presidenza effettiva. Sog~
giunse che costituiva i presentí in Comitato promotore e da va gli
uffici direttivi alie persone proposte.
Terminato che ebbe Sua Eminenza di parlare, il Segretario co-
municó il testo di una lettera, che nell'adunanza mattutina erasi
riconosciuto doveroso scrivere a Don Rúa sia per notificargli la deli-
berazione presa sia per offrirgli la presidenza effettiva. Approvata
la lettera, i trentaquattro presentí vi apposero le loro firme e il
Cardinale vi scrisse in fondo: «Domenico Card. iVrcivescovo di
Bologna, plaudendo alia iniziativa presa da tanti egregi sacerdoti e
laici Bolognesi, unisce le sue preghiere alie loro, ed é fiducioso
che l'ottimo successore di Don Bosco faccia paghi i comuni desi-
deri. Sin da ora offre tutta Topera sua alia buona riuscita del primo
Congresso dei Cooperatori Salesiani. » Don Rúa rispóse il 4 dicem-
bre, indirizzando la lettera al Presidente del Comitato promotore.
primo firmatario della lettera.
Apportatore di grande consolazione per me e per i miei confratelli fu il ve-
nerato foglio in data 27 novembre indirizzatomi da V. E. e dall'eletta schiera d'in-
signi personaggi che con Lei si firmarono. Noi ringraziamo di cuore il Signore
per aver ispirato si bella idea d'un primo Congresso Salesiano nell'illustre cittá di
Bologna, ed in pari tempo presentiamo i sentimenti della piü viva riconoscenza
all'E. Y. R.ma e a tutti gli altri che a Lei si unirono in tale divisamento. In modo
particolare umiliamo i ringraziamenti piü cordiali a S. E. Rev.ma il Card. Svampa,
loro amatissimo Arcivescovo, per le parole piene di bontá, con cui volle accom-
pagnare il precitato foglio. Yoglia l'E. V. Rev.ma farsi interprete di questi nostri
sentimenti presso gli altri membri del Comitato e specialmente presso l'Em.mo Car-
dinale.
Lascio immaginare a V. E. con qual piacere io approvo si bel disegno, dan-
dovi a suo tempo tutta la pubblicitá e tutto l'appoggio di cui posso essere capace
presso i nostri Benemeriti Cooperatori. Se poi pare conveniente che come Supe-
riore dei Salesiani io assuma la presidenza effettiva di tale Congresso, sebbene
con qualche trepidazione, ne accetto il benévolo invito, confidando a mia volta
sull'appoggio del Comitato e sulla benignitá dei Cooperatori, che vi prenderanno
parte.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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11 Congresso Salesiano di Bologna
Nutriamo pur noi fiducia che da tale riunione di persone di buona volontá,
quali sonó i Cooperatori Salesiani, abbiano a risultare abbondanti frutti peí bene
delle anime e specialmente nuovo e potente impulso all'educazione cristiana della
gioventú e pero alia vera rigenerazione della societá, come giustamente si fa risal-
tare nell'accennato foglio. A tal fine fin d'ora raccomandiamo il progetto al Si-
gnore, da cui ogni bene procede, non senza ricorrere alia protezione di S. Fran-
cesco di Sales, nostro patrono, ed alia potentissima intercessione di Maria SS.
Ausiliatrice che, come fu il continuo sostegno del nostro venerato Padre Don Bosco
e delle opere sue, vorrá, fermamente lo speriamo, esserlo puré per la felice riuscita
di questo primo Congresso dei Cooperatori Salesiani, da lui fondati.
Proprio nel giorno, in cui Don Rúa spediva la lettera di risposta.
avvenne a Bologna un simpático episodio. Si facevano queU'anno
grandi feste a Loreto per il sesto centenario dalla traslazione della
Santa Casa e vi erano stati invitati i giovani cantori dell'Oratorio.
Sapendosi che nel viaggio bisognava sostare alcune ore a Bolo-
gna, Don Rúa ordinó al Maestro Dogliani di preparare un tratte-
nimento in onore del Card. Svampa. L'aula magna del Seminario
accolse quella sera intorno all'Arcivescovo il fiore della cittadi-
nanza. Al suo giungere fu eseguito con maestría dai giovani e gu-
stato assai dall'uditorio un mottetto; quindi un alunno lesse un in-
dirizzo di omaggio al Cardinale. Poi un secondo alunno lesse a
nome di Don Rúa parole improntate a vivo affetto verso l'Arci-
vescovo e i Cooperatori bolognesi, terminando col presentargli da
parte del medesimo Don Rúa un ritratto di Don Bosco. Dopo, fu
cantata una Salve Regina del Dogliani, lavoro che gl'intenditori giu-
dicarono di buona fattura e nel quale i giovani dimostrarono tutta
la loro valentía. Insomma, data l'occasione del momento, non si
poteva escogitare nulla che tornasse piú a proposito.
E come non profittare della circostanza per parlare del Con-
gresso a chi non ne fosse ancora informato? Lo fece molto bene il
Segretario. « Questi fanciulli, disse, hanno portato qui Teco della
festosa gioconditá, con la quale fu ricevuta a Torino la lettera, in
cui si chiedeva a Don Rúa il consenso per tenere il Congresso. »
Definiva poi il Congresso " l'adunanza in spirito e la conoscenza piü
perfetta delle opere fondate e ispirate da Don Bosco " esprimendo
Taugurio che il Congresso apportasse " germi di quella vera re-
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Capo XXX
staurazione sociale e cristiana " che " a beneficio specialmente della
gioventú tutti di gran cuore " desideravano.
Infine sgorgó dal cuore del Cardinale un'allocuzione piena di
sentimento e di ricordi. Rammentati i giorni per lui indimenticabili
che aveva trascorsi nell'Oratorio, continuó: «Si viveva la in un
mondo di allegrezza santa, di pura e sincera benevolenza reciproca,
come in una oasi, in un'isola benedetta in mezzo a questo mondo
pieno di tribolazioni e di passioni. » Affidó infine ai giovani la com-
missione di diré tante cose per lui a Don Rúa, " a quel veneratissimo
Padre, la piú bella continuazione di Don Bosco". Dopo un mot-
tetto finale l'adunanza si sciolse, diffondendosi in cittá la piú viva
fiducia, che il Congresso sarebbe riuscito qualche cosa di grande (1).
La risposta di Don Rúa, arrivata a Bologna il giorno seguente, fu
letta e accolta con la massima soddisfazione nella seconda adu-
nanza del Comitato, tenuta alia preseñza del Cardinale Con pari
solennitá si succedettero a non lunghi intervalli altre adunanze si-
mili, a cui partecipó sempre o Don Trione o Don Giovanni Ri-
naldi, Direttore a Faenza.
II Comitato promotore fra i suoi primi atti compiló la Circu-
lare d'invito al Congresso, invocando da parte del Cardinale l'aiuto
di tutti i Cooperatori Salesiani e di tutti quei savi cittadini, i quali
" soltanto dal risveglio religioso si ripromettevano per la patria un
avvenire migliore". Vi si specificava il fine del Congresso: " far
conoscere piú largamente lo spirito da cui fu informato Don Bosco,
farlo vie meglio penetrare e crescere, segnatamente nelFanimo dei
Cooperatori e delle Cooperatrici, e moltiplicarne le istituzioni".
Firmarono la lettera i 49 membri presentí, tutti nomi di persone
assai qualificate. Anche qui il Cardinale appose alcune righe, in cui
diceva: « Mentre accettiamo la presidenza onoraria del primo Con-
gresso dei Cooperatori Salesiani nella cittá di Bologna, ci uniamo di
buon grado al presente invito del Comitato Promotore e su tutti
quelli che si degneranno di aderire, invochiamo le piú copióse be-
nedizioni del Cielo. » Si volle puré la parola di Don Rúa, il quale
(1) Cfr. Bol!. Sal., gonnaio 1895.
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Congresso Salesiano di Bologna
scrisse: « Di gran cuore e con la piú sentita gratitudine applau-
diamo alia lodevolissima opera del benemérito Comitato promotore.
e ringraziamo vivamente rEminentissimo Presidente Onorario, pieni
di fiducia che, con l'aiuto di Dio, tutto sará per riuscire alia sua
maggior gloria ed al maggiore sviluppo delle opere del nostro indi-
menticabile Don Bosco. » Questa Circolare venne spedita verso la
meta di gennaio.
Si era stabilito di far presto a costituire il Sottocomitato fem-
minile, voluto fin dalla prima adunanza. Si temette un istante che
la cosa dovesse riuscire difficile; invece il fatto dimostró il con-
trario. Sua Eminenza invitó con apposita lettera a stampa buon
numero di Signore per un'adunanza del 9 gennaio presso la chiesa di
S. Giovanni dei Fiorentini. Nonostante il pessimo tempo, ne con-
vennero molte: il patriziato bolognese vi contava le piú alte rap-
presentanti. Presiedette il Cardinale. Don Trione, presentato dal Se-
gretario, parló ad esse con quel senso di opportunitá, del quale si
direbbe che egli godeva un singolare privilegio. Dopo di lui il Car-
dinale, ringraziate le presenti per il loro interven to, conchiuse: « Ho
veramente la convinzione che il Congresso sia assicurato nella sua
riuscita. Tenendo dietro a quanto in fretta e con amore s'é fatto
in brevissimo tempo, ho veduto che tutte le diffícoltá si sonó dile-
guate, mi sonó persuaso che Iddio benedetto lo vuole, e lo san-
cirá con la sua speciale benedizione, in guisa che il Congresso
tornera glorioso per Bologna, memorando per coloro che vi pren-
deranno parte, glorioso per la famiglia salesiana, vantaggiosissimo
per tutto il mondo, nel quale Topera di Don Bosco va ognor piú
producendo benefici effetti per la santificazione delle anime e in
particolare della gioventú. »
Don Trione aveva spiegato nel suo discorso la natura del Sot-
tocomitato, invitando le uditrici a darvi il nome dopo Padunanza;
neppure una si ricusó. Allora Don Carpanelli, costituitone capo,
stese una circolarina con un breve cenno sulla riunione e poche
parole sopra un tríplice compito delle inserirte, di divulgare cioe
la notizia del Congresso, di daré e raccogliere offerte, anche se te-
nui, per sopperire alie spese, e di provvedere alloggi, offrendone
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Capo XXX
ognuna di loro uno per un Vescovo o un sacerdote salesiano o
qualche oratore designato. oppure, chi non l'avesse, cercándolo presso
famiglie di propria conoscenza. Ma soprattutto ritenessero loro stretto
dovere il pregare.
Restavano a fare due cose: suddividere il Comitato promotore in
Commissioni per la divisione del lavoro e fissare definitivamente il
programma. Si fecero dunque sei Commissioni: Ia per la ricerca e
l'adattamento dell'aula; 2a per raccogliere offerte e ottenere i ribassi
ferroviari: 3a per gli alloggi; 4a per la stampa quotidiana; 5a per
Tésame e Fordine dei discorsi; 6a per le funzioni religiose e i festeggia-
menti (1), Quanto al programma, si distinsero quattro sezioni: edu-
cazione e istruzione, Missioni salesiane, stampa, organizzazione dei
Cooperatori.
Alcune Norme statutarie determinavano chi e quali erano i mem-
bri del Congresso: tutti i Cooperatori Salesiani che comprovassero
tale qualifica, tutti i Salesiani, tutte le persone raccomandate da un
Superiore salesiano o da un Direttore diocesano, tutti i sacerdoti.
tutti gli appartenenti ad Associazioni Cattoliche i quali documentas-
sero tale appartenenza, tutti coloro che fossero raccomandati dalle ri-
spettive Curie Yescovili. Detti membri si dividevano in tre categorie:
patroni con tessera da lire 15, benefattori con tessera da lire 10 e
semplici congressisti con tessera da lire 5. Ognuno, ritirando la
tessera, doveva dichiarare di quale sezione desiderava far parte. Un
Regolamento interno precisava minutamente quanto si riferiva al-
l'iscrizione dei membri, alia consegna delle tessere d'ammissione;
(1) Le Commissioni erano cosi costituite: T. Ingegneri Giambattista Filippetti, Presidente, Conté
Annibale Bentivoglio, Enrico Rossi, Cav. Luigi Donini, Giuscppe Gualandi. — II. Can. Cario Gallini,
Presidente, Conté Giambatíista Acquaderni, Raffaele Righi, Avv. Pompeo Pili, March. Annibale Marsigli,
March. Girolamo Malvezzi, Avv. Annibale Rossi, Cav. Giambattista Foresti, Nobil Uomo Francesco De
Maria Cesari. — III. Duca Lamberto Bevilacqua, Presidente, Giovanni Farne, Conté Vincenzo Ranuzzi,
March. Francesco Malvezzi Campeggi, March. Antonio Scarselli, March. Luigi Zacchia Rondinini,
Dott. Don Tietro Gaiani Párroco a S. Martino, Dott. Don Giovanni Nardi Párroco a S. Gregorio,
Dott. Don Luigi Pedrelli Párroco ai Santi Vítale e Agrícola. — IV. March. Tommaso Crispolti, Presi-
dente, Comm. Dott. Marcellino Venturoli, Avv. Raimondo Ambrosini. — V. Mancano i nomi dei compo-
nenti. — VI. Funzioni: Sacerdoti Antonio Grassigli, Ferdinando Franchi, Francesco Buttazzi, Padre
Priore di S. Domenico; March. Gius. Guido Sassoli de* Bianchi. Música: Can. Cario Gallini, Conté
Maestro Pió Ranuzzi, Maestro Alfonso Milani. Parte letíeraria dell'Accademia: Can. Francesco Masotti,
Cav. Ettore Lodi, Dott. Don Pietro Guermandi. Dott. Don Giacomo Carpanelli.
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// Congresso Salesiano di Bologna
indica va le sedute, gli uffici e l'ordine delle adunanze; provve-
deva al buon ordine del Congresso; da va l'orario genérale.
Era stato aperto un Concorso musicale per un Inno inaugúrale
e commemoraiivo. Pervennero alia Commissione cinquanta lavori,
fra i quali fu prescelto quello del Sig. Oreste Liviabella, Maestro
di Cappella del Duomo di Macerata. Si voleva una música facile e
di brillante effetto (1).
In gennaio il Presidente del Comitato invió all'Episcopato ita-
liano due Circolari, una per notificare ufficicílmente il Congresso e
invitarvi i Presuli, l'altra per pregarli di deputare nelle singóle
diócesi una persona, con la quale il Comitato potesse corrispon-
dere e che si adoperasse a distribuiré le Circolari e gl'inviti, che
si sarebbero diramati. Con una sua Circolare ai parroci della
cittá e del contado l'Arcivescovo, che nella pastorale della quaresi-
ma ai diocesani aveva dato notizia del Congresso e raccomandato
preghiere per il buon esito, annunciava che il 26 aprile vi sarebbe
stato un pellegrinaggio al Monte della Guardia e ordinava di por-
tarlo a conoscenza dei loro fedeli nella domenica di Pasqua, esor-
tando ognuno a intervenirvi con un gruppo almeno de' suoi par-
rocchiani.
Man mano che il tempo del Congresso si avvicinava, mentre il
Comitato e il Sottocomitato spiegavano con alacritá e costanza il
(1) Le parole da mettersi in música erano le seguenti:
Dall'orto alToccaso — piü viva del lampo
Rifulge, o Don Bosco — tua santa bandiera;
L'impresa vi splende — A/ione e preghiera,
Che il Dito del Somruo — Pastore segnó.
Ci accoglie vittrice — intorno al vessillo,
Esercito immenso — del Ciel la Regina.
Siam pronti! Di grazia — giá Tora é vicina:
Dei giorni piíi belli — l'aurora spuntó.
Del popólo i fígli — ci tendón la mano,
Ci appellan per nome — vetuste nazioni;
Tra glcbe e olficine, — fra mi lie garzo ni
Apostoli nnovi — ci addita il Signor.
Si muova al trionfo, — si forniin le schiere;
Dei presuli nostri — sien gtiida le Croci;
Si elevino al ciclo — dei fígli le voci:
A Dio sol rimperio, — la gloria, l'onor.
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Capo XXX
loro zelo nel disimpegno de' vari uffici, bellissime lettere di plauso
e di adesione giungevano al Cardinale Svampa da Porporati, da
Vescovi, da laici illustri, da Ordini religiosi, da capi di Associa-
zioni cattoliche, dalla Stampa italiana ed estera. II consenso si dila-
tava ognor piü, un consenso cordiale e a volte entusiástico. Taluno
aveva esitato a chiamare internazionale il Congresso nel timore che
non sarebbero accorsi Cooperatori da altre nazioni; ma quando
nacque la certezza che non ne sarebbero mancati almeno da sette
Stati d'Europa, allora non si ebbe piú ritegno: il titolo di inter-
nazionale entró nel dominio del pubblico. Dinanzi a si eloquenti
manifestazioni, la Presidenza del Comitato sentiva e proclamava,
che l'impulso a promuovere un Congresso di Cooperatori Salesiani
era disceso dall'alto (1).
O r a vediamo le Commissioni al lavoro. Quella del tesoro rice-
vette moltissime oblazioni sulle classi prima e seconda, poche sulla
terza di lire 5, e ottenne il ribasso del cinquanta per cento sui
prezzi dei biglietti ferroviari, con una validitá di 13 giorni. La
Commissione técnica dei cinque ingegneri scelse per aula delle adu-
nanze generali Fartistica chiesa del Corpus Domini, detta della San-
ta, per il corpo della bolognese S. Caterina De' Vigri, che ivi si
conserva da cinque secoli incorrotto. Tale chiesa, ricchissima di
pitture, marmi, intagli e bassorilievi smaglianti d'oro, offriva un
ambiente capace di circa duemila persone. Sopra l'altar maggiore
un vasto palco a parecchi ordini di file e decorato con gusto atten-
deva i Cardinali, gli Arcivescovi e i Vescovi; un po' sotto era il
banco della Presidenza. In alto, sotto ampio panneggiamento rosso-
cupo, sormontato dallo stemma della cittá, campeggiava il bianco
busto di Leone XIII; ai lati, i r a fogliami di felci e giovani palmizi,
sorgevano le statue di Pió IX e di Don Bosco. Le quattro maggiori
cappelle laterali erano convertite in ampie tribune; delle due piú
vicine, una per le Cooperatrici, per i rappresentanti di Vescovi, per
i membri del Comitato promotore e per i Salesiani, l'altra per la
Schola cantorum del collegio di P a r m a e per la b a n d a del collegio
(1) Circolare di Mons. Zoccoli ai corrispondenti diocesani, Bologna, 26 febbraio Í895.
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// Congresso Salesiano di Bologna
di Faenza. Sotto queste due tribune si allineavano i banclii della
Stampa. Le altre due tribune verso il fondo e la parte céntrale della
chiesa erano per tutti i Congressisti.
La Commissione per gli alloggi riusci a provvederne a suffi-
cienza e convenienti per tutti coloro, per i quali aveva incarico,
compresi i giovani dei due collegi suddetti. Stabili puré con gli al-
bergatori un prezzo equo per alloggio e vitto. La Commissione per
la Stampa divulgó a mezzo di giornali l'annuncio del Congresso,
mettendone in rilievo l'importanza e indicando i vantaggi sociali
e religiosi, che i promotori se ne ripromettevano. Pubblicó puré
due Numeri Unici con articoli d'occasione e illustrazioni. La Com-
missione p e r le funzioni religiose ed i festeggiameníi scelse la ba-
silica di S. Domenico, dove riposano i resti mortali del fondafore
dei Domenicani e che é abbellita da capola vori di sommi artisti.
La vastitá del presbiterio permetteva di collocarvi conveniente-
mente tutti i Prelati. II tempio poteva conteneré quattordicimila
persone.
La Commissione dei discorsi fu quella che ebbe meno da fare.
II programma delle materie da trattarsi era stato preparato assai
per tempo a Torino sotto la sorveglianza di Don Rúa. Da Torino
puré avevano ricevuto l'invito i principali oratori con l'assegnazione
dei temi. Ma prevedendosi che altri oratori avrebbero mandato altri
lavori con pericolo che gli argomenti s'incontrassero, la Commis-
sione doveva farne con delicatezza l'esame; doveva puré stabilire
l'ordine, con cui i discorsi avevano da pronunciarsi.
Frattanto in molti luoghi d'Italia si tenevano speciali adunanze
di Cooperatori alio scopo di preparare il Congresso. Due meritano
particolare menzione: quella di Torino, presieduta da Don Rúa, e
una di Buenos Aires, tenutasi con istraordinaria solennitá.
Nel pomeriggio del 21 aprile arrivó a Bologna Don Rúa, accom-
pagnato dall'Ispettore di Spagna Don Filippo Rinaldi. Lo atten-
devano alia stazione molti membri del Comitato. Si recó súbito dal
Cardinale e poi passó all'ufficio di Segreteria; indi dai medesimi
Signori, ai quali volle unirsi Sua Eminenza, fu condotto a visitare
l'aula del Congresso. Gli offerse gentile ospitalitá nel suo palazzo la
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Capo XXX
¿ignora Teodolinda Pilati5 giá insigne benefattrice di S. Giovanni
Bosco (1).
Difficilmente si sarebbe potuto fare piü di cosi per una buona
preparazione del Congresso; prova sia di questo il perfetto anda-
mento, che ne fu la diretta conseguenza. Ora nel seguirne lo svol-
gersi sorvoleremo su particolari d'importanza secondaria, compresi i
lavori delle sezioni, dei quali pero poco o nulla ci é pervenuto (2); ci
limiteremo dunque a quanto di piü essenziale si fece e si disse nelle
adunanze generali e accenneremo alie funzioni religiose, non che a
qualche festeggiamento.
Svoi CIMENTO.
Prima giornata. II 23 aprile cominció con la funzione di aper-
tura a S. Domenico. La basílica presentava un aspetto imponente;
la ricchezza degli addobbi era quella delle maggiori occasioni. Alie
ore otto, fra immensa folla, sfiló dalla sagrestia una lunga proces-
sione: chierici, sacerdoti, parroci, canonici, Don Rúa, ventun Ve-
scovi e Arcivescovi in piviale con mitra e pastorale, gli Eminentis-
simi Galeati di Ravenna, Mauri di Ferrara, Ferrari di Milano e
Svampa, che celebro pontifícalmente la Messa dello Spirito Santo.
La música del Palestrina, eseguita in modo inappuntabile dai can-
tori di Parma sotto la direzione di Don Baratta, apparve davvero
intonata alia grandiositá della circostanza; se in quel mare di popólo
si trovava chi fosse ancora vago di effetti teatrali e di sonoritá,
ebbe di che ricredersi all'udire quelle soavi melodie corali senza
accompagnamento (3).
(1) Cfr. Mein. Biogr., vol. XVIII, pp. 250, 372-4, 770-1.
(2) II Boíl. Sal. di luglio pubblicó alcune delle deliberazioni. Tutte si possono leggere nel volurae
degli AHi (Tormo, Tip. Sal., 189?).
(3) Anche giornali ultraliberali ne dissero mirabilia. II Resto del Carlino l'indomani scrisse: c La
Messa Iste Confessor del Palestrina fu cantata con grande diligenza dalla Schola cantorum di Parma:
una scala di voci perfettamente graduata, se non molto sonora, e capace dei migliori effetti nella dispo-
s¡7Íone contrappuntistica. Oltre alia perfetta omogeneitá di suono e alia inappuntabile precisione degli
attacchi e delle riprese nelPavviccndarsi delle parti, abbiamo notato gradazioni di colorito de-
licotissime, nítidczze sorprendenti nel disegno monódico dei temi e soprattutto Parte di sfumare
il melisma con quella chiara dolcezza che sola puo far gustare nella música del Palestrina Pindefinito
carattere della melodía. Nel momento attuale di ristaurazionc degli studi di música religiosa, Pau-
dizione di questo capolavoro é stata per noi un avvenimento di importanza non secondaria, a cui
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// Congresso Salesiano di Bologna
Terminata la funzione, i Congressisti si affrettarono alia chiesa
della Santa per l'adunanza inaugúrale; in breve tutti i posti furono
occupati al completo. Ai banchi della Stampa sedevano i rappre-
sentanti di 39 giornali italiani di vario colore, 4 spagnoli, 7 au-
striaci (quattro di lingua italiana e tre di lingua tedesca). 4 fran-
cesi, 1 germánico, 3 svizzeri (uno italiano e due tedeschi), 2 in-
glesi. Nessun Congresso ne aveva mai avuti tanti.
L'ingresso dei venticinque Prelati fu salutato da fragorosi bat-
timani, mentre il corpo musicale salesiano intonava il brioso inno
del Congresso; il che si ripeté per ogni altra adunanza genérale.
L'entrata di Don Rúa é cosi descritta in un periódico milanese (1):
«Mentre s'andava chetando il susurro e l'ultimo battimani, ecco
di bel nuovo fragorosamente applaudire, tutti levarsi in piedi, al-
lungare il eolio, appuntare le ciglia: un povero prete, magro, maci-
lento, stecchito, dimesso ed umile, ma con il volto tutto raggiante
di riso bonario, ascenderé al banco della presidenza. Era Don Rúa,
colui che ha raccolto l'ereditá di Don Bosco, e che ricopiando in
sé le virtü del suo padre, non ci ha fatto tanto a lungo lacrimare
sulla tomba dell'apostolo di Torino.» Quando egli, inchinatosi ai
Prelati, si assise e tutti tacquero protesi verso il gran palco, l'aula
presentava un aspetto di mirabile imponenza. Allora il Cardinale
Svampa pronunció questo discorso:
Giocondo e sublime spettacolo si presenta al mió sguardo, e l'animo mió
rimane cosi commosso, che non potrebbe il mió labbro esprimere ció che il cuore
senté, Eminentissimi Principi, Venerandi Arcivescovi e Vescovi, benemeriti figli
di Don Bosco, e voi specialmente, o caro padre, che con l'uffício ne avete ereditato
lo spirito, illustri signori e gentili dame che qui siete convenuti, ricevete tutti il
mió riverente e cordiale saluto. lo vi esprimo la riconoscenza del mió cuore e vi
dico in nome della dotta ed ospitale Bologna che la vostra presenza ci onora gran-
demente, soavemente ci rallegra e ci riempie l'animo di gratitudine. In Bologna é
aggiungevano interesse le recenti feste centenarie di Pier Luigi Palestrina e le polemiche risuscitate
da una critica ingiusta, che si ostina ad accusarlo di profanitá. L'errore dev'essere apparso ma-
nifestó agli ascoltatori della Messa di ieri. Mai il sentimento della fede potra sgorgare piú puro come
dal canto palestriniano, in cui la severa liturgia gregoriana si ravviva con l'espressione umana d'una
elevatezza idéale. >
(1) La Scuola Cattolica di MiJano, maggio Í895 (art. del Sac. Alfonso Ferrandina, oggi Vescovo
Ausiliare a Na poli).
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Capo XXX
tradizionale il férvido slancio per le nobili imprese e le grandi iniziative, né ancora
é spento quel sacro fuoco, che in tempi di barbarie resé Bologna maestra di sa-
pienza e di civütá cristiana.
Sonó pochi mesi che sorse in alcuni il pensiero di convocare qui in Bologna il
primo Congresso dei Cooperatori Salesiani, pensiero che parve ed era ispirazione
di Dio. In men che nol dico, questo pensiero si comunico, si diffuse, piacque, incon-
tró le simpa tic, suscitó rentusiasmo genérale dei buoni. Egregi signori del clero e
del laicato posero il contributo della loro attivitá alia riuscita del Congresso, e le
signore cooperarono anch'esse in larga misura con grandi offerte e con la loro
benévola influenza.
E come non avrebbe potuto incontrare tutto il favore dei buoni questa nobi-
lissima idea? S'intendeva di daré un plauso a quel benemérito ed insigne benefat-
tore deirumanitá che fu Don Giovanni Bosco; s'intendeva di studiare l'Opera sale-
siana in tutte le sue manifestazioni, per promuoverne il maggiore sviluppo; s'in-
tendeva di preparare anche qui in Bologna la fondazione di una Casa salesiana.
Tutto ció doveva naturalmente sorridere al pensiero e commuovere il cuore dei
cattolici bolognesi. Ed io sonó lieto ed ho la soddisfazione di dirvi, che, avendo
seguito il lungo e di fucile lavorio di preparazione, ammirai con esultanza di spi-
rito lo zelo dei figli miei, che vollero preparare le cose in modo da riuscire meno
indegne del grande scopo che si a ve va in vista.
Per me, mi sia consentito il dirlo, la memoria e la venerazione profonda che
sentó per Don Bosco e per Topera sua é antica, perché si riannoda ai miei primi
anni. Incominció da quando, appena trilustre, ebbi la fortuna di incontrarmi con
qiieH'uomo straordinario, ne intesi la calda parola, ricevetti dalle sue mani la santa
Eucaristía, la santa benedizione, e fui regalato di una piccola medaglia, che tuttora
porto sul petto. E quando l'anno scorso ebbi la ventura di prender parte alio splen-
didissimo Congresso Eucaristico di Torino per l'invito fattomi dallo zelantissimo
e venerando Arcivescovo di quella cittá, non mancai di recarmi a Valsalice, e la
m'inginocchiai commosso sulla tomba di Don Bosco, ed alie preci di requie ag-
giunsi quelle di patrocinio: a lui mi affidai, a lui domandai conforto per Falto
Ministero che stavo per intraprendere.
Ed i miei voti furono soddisfatti, giacché me ne sta pegno questo Congresso,
che ho avuto Tonore di convocare e che ora ho la soddisfazione, la letizia di vedere
felicemente adunato.
Le nostre sedute saranno quiete, tranquille, soavi, e Topera nostra arriverá a
splendido fine. Tutta la cittadinanza é con noi e ci circonda di simpatia. Tutte le
pubbliche Autoritá ci hanno dimostrato tanto favore, che io mi credo in dovere
di esprimere a loro la mia piü viva, la piú sentita riconoscenza (applausi pro-
lungati).
La cara Santa, presso le cui incorrotte spoglie ci siamo adunati, Essa che ci ha
offerta Tospitalitá, Essa dal cielo ove siede in gloria, s'interessa di noi; ed insieme
alia preghiera di S. Francesco di Sales e di Don Bosco, la preghiera di S. Caterina
de' Vigri ci assicura la protezione e la benedizione di Dio. Dal sacro monte della
Guardia, la Vergine di S. Luca, Protettrice suprema dei Bolognesi, ci guarda e ci
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II Congresso Salesiano di Bologna
sorride. Essa, che fu l'ispiratrice della mente e del cuore di Don Bosco, Essa, che
ci atiende venerdi al suo Santuario per giocondarci di santa letizia, Essa ci assiste
e ci guida con la su a materna benedizione.
Che se mai si volesse altra pro va del favore celeste, se non bastasse il suffragio
dell'Episcopato che numeroso qui convenne, o qui si fece rappresentare e mandó
lettere di piena adesione, mi é grato dirvi che dal Vaticano ci guarda e ci bene-
dice l'immortale Sommo Pontefice Leone XIII (immensi applausí). Egli ha voluto
essere qui fra di noi con una lettera, nella quale manifesta la sua paterna
soddisfazione e ci da i suoi dolci incoraggiamenti. Quindi come proemio, come
discorso veramente preliminare di questo nostro Congresso, desidero e voglio si
abbia a dar pubblica lettura di questo splendido Breve Pontificio a me diretto,
si nel testo latino che nella versione italiana; e mentre prego il Segretario gené-
rale a volerne daré súbito lettura, esterno anche il mió sentimento che a questa
bellissima lettera, novella prova dell'animo soavemente paterno di Leone XIII, si
mandi per telegramma l'espressione del nostro ossequio, della nostra devozione e
della nostra gratitudine, implorando ancora una volta 1'Apostólica Benedizione.
Un tríplice applauso coronó le parole del Cardinale. Intanto sa-
liva alia tribuna il Segretario genérale Don Carpanelli per leggere il
Breve Pontificio, che da tutta l'assemblea fu ascoltato reverente-
mente in piedi (1).
Con sommo piacere apprendemmo che a Bologna, sotto i tuoi auspici, si
adunerá un Congresso di quei cattolici che, denominati Cooperatori della Societá
Salesiana, ne hanno comune lo spirito e ne promuovono con la preghiera e con
l'azione le opere. Una lunga esperienza ha fatto palese con quanta alacritá e
abbondanza di frutti i Soci Salesiani attendano alia buona educazione della gio-
ventú e a dif'fondere puré fra i popoli pagani la civiltá e la fede cristiana. Onde non
h dubbio che chiunque con il favore e con Topera asseconda le imprese e le fatiche
(1) Libenter admoclum agnovimus Bononiam, te anspice, catholicorum coetum cogendum, qui, ti-
tulo adnitorum Salesianae Sodalitatis, eadem illa fovent studia eiusque operibus provehendis pre-
cando agendoquc adlaborant. Etenim diuturno constat experimento, quam álacres quamque uberi fru-
ctu Sodales Salesiani incumbant in iuventutem rite excolendam et ad humanum cultum cum chrislia-
na fide ethnicis gen ti bus inferendum. Quamobrem praeclare de religione ac civitate promeren eos nia-
niíestum est, qi;i Salesianae Familiae coepta ac labores favore utilique opeía prosequantur Quum igilur
IJononiensis huius coetus celebritas huc demum spectet, ut catholicorum voluntates in id impensius ex-
citcntur, de inito consilio gratulamur volentes. Ominamur autem ex animo, ut studiis vestris Deus
benigne obsecundet quaeqv¡e communí sententia decreveritis. optato fortunet exitu. Nos interim caele-
stium gratiarum auspiccm praecipuaeque benevolentiae Nostrae testirnonium Apostolicam benedictionem
tibi, Dilecte Fili Noster, universae Salesianae Sodalitati cunctisque, qui coetui adfuturi sunt, peramanter
in Domino ¡mpertimus.
Datum Romae apud S. Petrum die II Aprilis anno MDCCCXCV, pontifícatus Nostri décimo
octavo.
LEO PP. XIII
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Capo XXX
della Famiglia Salesiana, si rende in modo luminoso benemérito della religione e
della civile societá. Giacché dunque la celebrazione di questo Congresso bolognese
é diretta appunto a eccitare piü viva nell'animo dei cattolici questa fiamma, Ci
congratuliamo ben di cuore del concepito disegno, e facciamo fervidi voti che Dio
rLuardi benigno le vostre sollecitudini, e alie comuni vostre deliberazioni faccia
rispondere il desiderato successo. Noi intanto a pegno delle grazie celesti e a testi-
monio della Nostra speciale benevolenza, a te, diletto Figlio Nostro, a tutta la
Societá Salesiana e a quanti sonó per intervenire al Congresso, impartiamo ben di
cuore nel Signore 1'Apostólica benedizione.
Dato a Roma presso S. Pietro il giorno 2 aprile dell'anno MDCCCXCV, décimo
oitavo del Nostro Pontificato.
LEONE PP. XIII
Súbito dopo il medesimo Segretario die' lettura del seguente te-
legramma di rísposta al Santo Padre.
Cardinali, Arcivescovi, Vescovi, Prelati, il Sac. Michele Rúa, Salesiani e Coo-
peratori di varié nazioni riuniti a Congresso per diffondere le istituzioni di Don
BUSCO, rivolte alia salvezza morale della gioventü e al bene degli operai, ringra-
7 i ano dal piú profondo del cuore la Santitá Vostra per la preziosissima lettera
che si é degnata inviare.
Mentre l'eco della parola sapiente e amorosa di Vostra Beatitudine risuona
ancora al nostro orecchio, noi tutti vogliamo pervenga al Vostro Trono l'eco dei
nostri cuori che Vi amano come il piü dolce dei Padri, Vi riveriscono Vicario di
Gcsü Cristo, Maestro Infallibile della Chiesa, Padre dei principi e del popoli, vera
steHa di Giacobbe, in cui si confondono gli splendori di una fede divina coi fulgori
deila sapienza e della civiltá, le glorie dei secoli passati e i rosei albori di un paci-
fico a v ven i re.
Benediteci di nuovo,, Padre Santo, di quelle benedizioni che Voi solo possedete,
poiché Voi solo riceveste da Cristo in Pietro la potestá di aprire e chiudere il cielo.
Card. SVAMPA
A comprendere sempre meglio l'origine, Porganizzazione e lo spi-
rito del Congresso, gioverá riportare ancora due documenti. Uno é
il discorso tenuto dal Presidente del Comitato súbito dopo che fu
letta la risposta del Congresso al Papa.
In nome del Comitato Promotore del Congresso, del quale per tratto di cor-
tesía si volle a me affidare la Presidenza, sentó il dovere di esprimere le piü vive
azioni di grazie, anzitutto all'E.mo c Rev.mo Sig. Card. Aricivescovo Domenico
Svampa. perche si degnó non puré di acceüare d'essere Presidente di onore del
Primo Congresso dei Cooperatori Salesiani, ma lo orno e favori di tutta la sua
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// Congresso Salesiano di Bologna
piotezione, profuse per esso tutte le sue sollecitudini, non risparmió sacrifici, seppe
trasfondere in tutti la sua attivitá, la sua abnegazione, il suo slancio, il suo zelo
sapiente e illuminato.
Dopo dirigo i piü sentiti ringraziamenti agli Em.mi Cardinali, agli Ecc.mi Ar-
civescovi e Vescovi, i quali con tanta cortesía accolsero e corrisposero all'invito d'ín-
tervenire a questo santo convegno. Parimente rivolgo speciali ringraziamenti a tutti
questi benevoli Signori e gentili Signore, che in numero si grande vollero prendere
parte al nostro Congresso.
Noi non avremmo mai osato sperare che il piccolo seme, gettato quattro mesi or
sonó, dovesse attecchire si bene e divenire tanto fruttifero. Se ció e a v ven uto,- vuolsi
a buon diritto darne gloria a Dio, il quale, col! aiuto validissimo prestatoci. ha dato
a vedere che questo Congresso Egli lo vuole. Infatti questo pensiero che una spe-
ciale assitenza ci abbia sostenuti c ci abbia felicemente condotti fino a questo punto,
porge fiducia non puré, ma inspira sicurezza che questo Congresso otterrá copiosi ed
ottimi frutti. E ne é pegno e auspicio la benedizione e la lettera del Santo Padre.
Ora non resta che accingerci alacri al lavoro. E questo lavoro otterrá sien la-
mente consolantissimi risultati, perché vi contribuiscono insigni Oratori, Eminentis-
simi ed Eccellentissimi Prelati.
Cornpiuto questo ufficio, il Comitato Promotore, benedicendo di tutto cuore il
Signore, dirige a tutti i Cardinali, Arcivescovi e Vescovi presentí reverente e grato
il suo saluto.
Appresso il Segretario comunicó la costituzione deH'ufficio di pre-
sidenza e delle sezioni (1). Poi (ed é il secondo degli accennati do-
cumenti) parló Don Rúa, il cui discorso fu cosi riassunto:
Esordi manifestando la sua commozione e confusione di trovarsi in mezzo a
tanti eccelsi personaggi, convenuti in uno stesso luogo per prendere parte al Primo
Congresso Salesiano, e ne ringrazió anzitutto i\\ Signore, dal quale ogni bene e ogni
buona ispirazione procede.
Resé grazie alie Autoritá locali, agli Ordini religiosi e alie famiglie prívate, che
si erano degnati di favorire il Congresso, e disse che tutta la Congregazione Sale-
si ai] a ne sarebbe stata riconoscentissima.
(1) Ecco l'uffício di presidenza:
Presidente Onornrio. Card. Svarnpa.
Presidente efíettioo. Don Rúa.
Vicepresideníi, Márchese di Villeneuve Trans (Marsiglia), March. SassóÜ-Toinba (Bologna),
Bar. Manno (Torino), March. T. Crispolti (Bologna), Don Cerruti (Torino), Bar De Alber (Inerte),
Mons. De T'Serclaes (Belgio).
Segretario genérale, Don Carpanelli.
Segrelari. Don Trione, Sig Berti, Don Lucchelli, Sig. Minghctti, Don Dones, Sig. Sarti. Don
Saluzzo.
Presidenti di Sezioni. I. Educazione e istruzione Don Marenco, — II e III Stampa e Missioni
Salesiutie, Don ConeJli. — IV. Organizzazione dei Cooperatori e proposte varié, Don Pasquuh
Morganti.
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Capo XXX
Fece osservare l'importanza del Congresso: tuíto quello che si stava per diré
e discutere sarebbe promulgato in tutte le parti del mondo e avrebbe a validi so-
stenitori e sostenitrici tutti i Salesiani, le Suore di Maria Ausiliatrice e un numero
grandissimo di Cooperatori e Cooperatrici Salesiane.
Porto un saluto speciale agli illustri Prelati, che con lo splendore della loro
dignitá avevano voluto rendere piü solenne il Congresso, e un sentimento partico-
lare rivolse i I Card. Svampa, il cui nome diceva tutto l'ardore del suo cuore (ap-
ptausi eníusiastici).
Ricordó con delicato pensiero come Sua Eminenza avesse cominciato a inneg-
giare a Don Bosco assai per tempo; giacché quando Don Bosco tan ti anni prima vi-
si lava il Seminario di Fermo, veniva scelto dai Superiori il Seminarista Chierico
Domenico Svampa a esprimere in poesia gli omaggi e il plauso del Seminario al
caro apostólo della gioventú. Notifico di aver giá ricevuto piü domande per l'im-
pianto di Case Salesiane nella cittá e archidiocesi di Bologna e dichiaró che sarebbe
assai lieto se potesse presto assecondarle, anche per dimostrare sempre piü l'affetto
che lo legava ali'Em.mo Svampa ed alia insigne Cittá e Archidiocesi di Bologna.
Termino chiedendo umilmente di baciare la mano all'Em.mo Porporato.
Un immenso applauso si levó, mentre Don Rúa andava a baciar
la mano al Cardinale, che lo abbracció e bació affettuosamente in
Yolto. Tornato il silenzio, Sua Eminenza comunicó d'aver ricevuto
un nuovo pegno della bontá, con la quale il Papa mirava allora a Bo-
logna; giacche un telegramma del Card. Rampolla, Segreiario di
Stato, gli annunciava di avere spedito, d'ordine del Santo Padre,
trenta esemplari della recente Lettera Apostólica al popólo inglese,
affinche fossero distribuiti ai Cardinali e Vescovi presentí. Era la
Amantissimae voluntatis del 14 aprile agli Inglesi, che cercavano il
Regno di Cristo nell'unitá della Fede.
Quella mattina vi fu ancora tempo per due brevi discorsi, uno di
Don C a r p a n e l l i su Don Bosco e Vopera sua, e l'altro del Card. Mauri
sui Cooperatori Salesiani. F r a Tuno e l'altro si lessero le adesioni
del Card. Sarto, Patriarca di Venezia, a nome anche dei Vescovi
della regione véneta riuniti a conferenze episcopali, e del Card.
Parocchi, Vicario di Sua Santitá, Protettore dei Salesiani e giá Ar-
civescovo della contrastatagli sede bolognese.
Nell'adunanza genérale pomeridiana il March. Sassóli-Tomba ri-
feri siüYEducazione dei giovani operai. F r a le conclusioni da luí
preséntate riscosse i maggiori applausi quella invocante che i Coope-
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// Congresso Salesiano di Bologna
ratori salesiani, padroni di officine o capi di botteglie, dessero salu-
iare esempio di rimunerazione degli operai secondo il principio so-
ciale cristiano del salario familiare, solennemente proclamato nella
Rerum novarum. II prof. Luigi Olivi, dell'Universitá di Modena,
fece la sua relazione sui Collegi e ospizi salesiani, Detto dell'edu-
cazione in genérale ed esaltata la figura di Don Bosco educatore,
del quale disse di non poter mai pronunciare il nome senza un senso
di profondissima venerazione, conchiuse cosi:
Fu dunque una vera provvidenza quella Casa di Don Bosco a Torino, punto
primo e massimo in cui si concentra e dal quale irradia il fervore di lui e de' suoi
cornpagni, suscitati da Dio a porre riparo alia corrente educatrice malsana dell'etá
riostra. Tale mi rabile impresa ha potuto serbare integro e sano il senso deireduca-
zione cristiana in un'epoca in cui tutte le conseguenze del sistema di laicizzazione
clella scuola, prodotte dal liberalismo, storicamente prevalsero, ed ora a no-
stro conforto ineffabile quella impresa ha la fortuna singolare d'intrecciarsi
con altri prodromi e messaggeri di rinnovamento cattolico e di avviarsi in loro
compagnia verso una serie di trionfi inattesi. E cosi Topera di Don Bosco avrá
contribuito, come opportuna preparazione, a ció che sará il secólo ventesimo, in cui
se ne raccoglieranno i frutti soavi ed abbondanti. Poiché siccome nulla nel mondo
va perduto, cosi siamo certamente nel vero affermando che l'Opera di Don Bosco,
mercé de' suoi collegi ed ospizi, per le vie poten ti e misteriose dell'esempio, spe-
cialmente con l'aiuto dei Cooperatori Salesiani, riuscirá a provocare una sana cor-
rente educativa rivelantesi al di fuori e informante altre imprese ed opere a bene
della nostra societá moderna.
In una terza relazione Don Barberis riferi sulle Missioni sale-
siane, delle quali tessé con ordine e chiarezza la storia. Fini doman-
dandosi: « Se con pochi mezzi personali e finanziari si poté com-
piere tanto in vent'anni, con un numero íuaggiore di Missionari e
con piú abbondanti aiuti che cosa si fará in altri vent'anni? » Egli
non volle rispondere con vane congetture; ma la risposta s'inca-
ricó di darla il tempo.
Mons. De T Serclaes, Pettore del Collegio Belga a Roma, parló
in francese a nome del celebre Mons. Doutreloux, Vescovo di Liegi,
e dei Cooperatori suoi connazionali. Chiuse la seduta il Card. Fer-
rari. — lo, disse, ho sempre amato Don Bosco e le sue opere. —
Egli vedeva in queste Opere un mezzo provvidenziale per la re-
staurazione della societá.
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Capo XXX
Seconda giornata. Alia Messa del Card. Ferrari in S. Dome-
nico assistettero e fecero in gran numero la comunione i Congres-
sisíi. Scoccata poi Tora della terza adunanza genérale, le porte del-
l'aula furono prese d'assalto. Comparvero altri sei Vescovi. Dei laici
ricevettero festose accoglienze il March. di Villeneuve marsigliese,
che, presentato al pubblico da Don Rúa, sedette al banco della pre-
sidenza, e la famiglia Uriarte, venuta appositamente dalla capitale
deH'Uruguay. Delle comunicazioni furono le piü notevoli un te-
legramma del Card. Rampolla in risposta a quello inviato il giorno
innanzi, e i telegrammi del Card. Goosens, Arcivescovo di Malines,
e del Cardinale Arcivescovo di Siviglia.
Sali poi alia tribuna l'avv. Ambrosini di Bologna per riferire
sulle Scuole primarie e secondarie in rapporto all'educazione ed istru-
zione religiosa, battendo sulla necessitá di reclamare con tutti i
mezzi legali l'insegnamento religioso nelle scuole e di fondare in-
tanto Scuole di religione, secondando le mirabili opere di Don Bosco
in questo campo.
Gli succedette Don Trione, che spiegó YOrigine e la Missione
dei Cooperatori salesiani, argomento nel quale godeva di u n a spe-
ciale competenza. Don Cerruti lesse un'elaborata relazione sulla
Stampa scolastica. Considerato Don Bosco quale salvatore della fede
e della morale fra la gioventü che attende agli studi, mostró quanto
per impulso di lui si fosse fatto e si continuasse a fare in riguardo
dei testi scolastici e dei libri di educazione popolare e di pietá cri-
stiana.
Dopo lette numeróse adesioni dalNtalia e dall'estero, pose ter-
mine alia seduta Mons. Riccardi, Arcivescovo di Torino. Allora fu
che pronunció quelle parole, che vennero poi frequentemente cí-
tate: « Intorno ai Salesiani si sonó dette cose stupende: che sonó
invadenti, che invadono tutto; ed io vi dico che invadono special-
mente le borse. A qualcuno ció potra produrre un effetto non
molto grato, ed io dico invece che fanno benissimo e debbono
fare cosi. A Torino abbiamo due prodigi: il Cottolengo e Don Bosco;
Tuno e l'altro hanno il proprio spirito e lo debbono mantenere. La
Casa della Provvidenza non deve mai domandare niente e fa be-
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// Congresso Salesiano di Bologna
nissimo, perché ci pensa la Provvidenza a mandare le migliaia di
lire occorrenti a mantenere quotidianamente i cinquemila ricoverati.
Don Bosco invece fu ispirato a ricorrere alia beneficenza pubblica.
Guai se il Cottolengo adottasse il sistema di Don Bosco, guai se
Don Bosco invece adottasse il sistema del Cottolengo. »
Nella seduta pomeridiana affollatissima erano presenti l'avvo-
cato Paganuzzi, Presidente dell'Opera dei Congressi, e il tanto sti-
mato prof. Toniolo delFUniversitá di Pisa. Don Marenco riferi sul-
VEducazione delle fanciulle, esponendo quanto fece Don Bosco per
mezzo delle Figlie di María Ausiliatrice. Raccolse da ultimo come in
uno specchio alcune cifre a conferma del suo diré, cifre oggi su-
peratissime, ma per allora giá sorprendenti.
Salutato da mille battimani e accompagnato dal Segretario, ascese
Mons. Costamagna, pocanzi nominato Vescovo e Vicario Apostólico
di Méndez e Gualaquiza nell'Equatore. L'argomento delle Missioni,
sempre attraente, trascina quáñdo chi parla dice cose viste e fatte
da lui; invero eccitó ammirazione e commozione vivissima. Súbito
dopo, pieno di sacro fuoco, il prof. Olivi, Presidente del Comitato
S. Raffaele per la protezione degli emigranti veneti, descrisse i
dolori dei poveri paria della térra, che esulavano in cerca di lavoro
e ne raccomandó la tutela alia carita dei Salesiani d'America. Don
Rúa gli rispóse con promesse che lo consolarono assai. II discorso
di chiusura fu fatto da Mons. Toti, Vescovo di Val d'Elsa, mo-
strando la parte che spettava alie Opere salesiane nello sciogli-
mento della questione sociale. Elettrizzó l'uditorio con un'eloquenza
immaginosa e ardita.
Alia funzione vespertina nella basílica di S. Domenico fu dato
di ascoltare un'allocuzione del Card. Ferrari, il quale, fatto vedere
come la Societá salesiana fosse stata suscitata dalla Provvidenza
per restaurare nel mondo la cristiana liberta del bene, con l'affran-
care la gioventü dalla invadente corruzione, peroró cosi: «Un inno
di ringraziamento dobbiamo tutti innalzare stasera al Sacramentato
Signore, con un voto che Topera dei Cooperatori salesiani dilatan-
dosi porga ai figli di Don Bosco i mezzi per sempre piü estendere
la loro santa missione. Promettiamo tutti di concorrere a questa
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Capo XXX
impresa santissima. E frattanto ecco giá un frutto di questo Con-
gresso nell'affermarsi dei nostri diritti di caítolici, purtroppo con-
culcati per lungo tempo, e nella vitioria di quel rispetto umano, che
avvilisce talvolta i cristiani e da argomento di baldanza ai nemici.
La vostra frequenza, o Bolognesi, ci dimostra che la Fede si riaf-
ferma e che il coraggio rinasce e ci da lietissime speranze in nn
prossimo avvenire. » Alia benedizione, ottima música sacra, ottima-
mente eseguita dalla Schola caníorum di Don Baratta.
Terza giornata. A S. Domenico, Messa celebrata dal vegliardo
Card. Galeati, e nuovi capolavori di música ispirata alia sacra li-
turgia ed eseguita alia perfezione.
Nella quinta adunanza genérale Don Rúa, entrando, era tratte-
nuto dai molti che gli volevano baciare la mano ed esprimere par-
ticolari saluti. Per primo salutó l'assemblea in sloveno Don Smre-
char, del cui discorso il Segretario lesse súbito dopo la traduzione.
Disse fra l'altro: « Come noi cattolici sloveni dividiamo coi fratelli
italiani gioie e dolori, cosi noi speriamo che l'lstituto Salesiano,
nato in Italia e con la sede in Italia, si riversera benéfico anche in
mezzo a noi. É questo il mió voto, in nome anche de' miei Coope-
ratori, che cioé vengano quanto prima fra noi i figli di Don Bosco.
il che sará di grande vantaggio per noi sloveni e per tntta l'Au-
stria. » II suo voto fu esaudito non tanto presto come egli si augu-
rava, ma al disopra di ogni sua aspettazione.
Quindi il March. Tommaso Crispolti riferi sulla Stampa popu-
lare, trattando l'argomento da provetto pubblicista e cosi terminando:
« In sul finiré della sua vita, Don Bosco ci rivolse la parola vi-
brante d'affetto, e ringraziandoci dell'aiuto prestato alie Opere sue,
diceva riguardo alia Stampa: "Colla vostra carita abbiamo im-
piantato tipografie, diffusi fra il popólo a piü milioni libri e fogli in
difesa della veritá, a fomento della pietá e a sostegno del buon co-
s t u m e . " In quel suo testamento a noi diretto. Don Bosco, ricor-
dando il passato, tracciava il nostro programma avvenire. E noi
con l'aiuto di Dio lo compiremo, e il compierlo ci sará mezzo di
santificazione, e sará puré il nostro granel!ino di sabbia alia grande
opera instauratrice che il primo fra i Cooperatori SalesianL Taugusto
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// Congresso Salesiano di Bologna
Pontefice Leone XIII, tutta abbraccia nel suo vasto pensiero e nella
sua azione sapiente e feconda, opera instauratrice che ha per meta
sublime di ricondurre la societá traviata in braccio a Dio. »
La voce dei Cooperatori francesi risonó nel Congresso per bocea
del March. di Villeneuve. Dal suo discorso spicchiamo qua e la tre
periodi: ••« Dando il nome dinternazionale a questo Congresso, voi
¿ivete affermato ancora una volta che il bene non ha frontiere e
che la carita cristiana é di tutte le patrie [...]. Nel nostro secólo
Iddio ha suscitato Don Bosco per richiamare i ricchi al dovere della
carita, per formare artigiani cristiani in un'epoca nella quale l'of-
ficina é divenuta un focolare d'empietá, per mantenere in onore
il lavoro manuale in un tempo nel quale é disprezzato, per strap-
pare ai pericoli che la eircondano l'infanzia abbandonata in un
tempo nel quale i genitori non sorvegliano piú i loro figli, per ecci-
tare tante creazioni religiose in un tempo nel quale mancano o ven-
gono spente dalla vantata civiltá presente [...]. La Francia cattolica
si associa tutta intera a questa grandiosa manifestazione e vi rin-
grazia ancora per tutto il bene fattole da Don Bosco. »
II Sistema educativo di Don Bosco formo l'argomento della re-
lazione di Don Albino Carmagnola, salesiano Notevole questo trat-
to: « Rendersi non solo accessibili agli allievi, ma diportandosi fra
di loro come padri amorosi, fratelli e amici affezionati, far si che
torni loro spiacevole la nostra assenza di mezzo a loro, e che milla
torni loro di maggior contento che stare con noi, con noi parlare e
manifestare i sentimenti del loro animo, con noi ricrearsi, e persino
saltare, correré, giocare: tale é nella sua sostanza il sistema pre-
ventivo adoperato da Don Bosco e da' suoi figli nella educazione
delia gioventü. Taluni diranno: ma questo sistema genererá l'irri-
verenza e fará perderé l'autoritá in faccia agli allievi. Tutt'altro, o
Signori. Se questo sistema mira a impadronirsi del cuore dei gio-
vani, che si potra temeré da un cuore che ama? Ah, io per me ri-
cordo di me e de' miei compagni, che, essendo giovani studenti
alPOratorio di Torino, di milla maggiormente si era solleciti che
di evitare ogni cosa che tornasse spiacevole a Don Bosco ed agli
altri Superiori, tanto era grande l'affetto che sentivamo nel cuore
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Capo XXX
per essi, e che nulla di piü ci affliggeva che quando, caduti in
qualche fallo, ci nasceva in cuore il timore di perderé l'affetto di
Don Bosco e degli altri Superiori. »
Piglió quindi la parola il Can. Alessi sulle Scuole superiori di
Keligione. Tempi assai peggiori dei nostri quelli! II divorzio fra
Stato e Chiesa, fra scuola e famiglia faceva si che il giovane di
sólito prendesse un bagno di fede in casa e un bagno d'incredulitá
in classe. Onde la necessitá di dette Scuole. L'Alessi ne dirigeva
una a Padova; ma la prima sorta in Italia era stata quella diretta
da Don Baratta a Parma.
Per guadagnare tempo, Don Trione fece una schematica rela-
zione sui tre temi: Catechismi ed oratori festivi, Pie associazioni
fra giovanetti, Colonie agricole salesiane. Su questi argomenti avreb-
bero dovuto riferire Don Grancelli di Verona, Don Baratta» e i I
Dott. Angelo Mauri di Milano. Dopo egli comunicó nuove adesioni
dalla Francia, dalla Spagna e dal Portogallo. Infine pose il suggello
all'adunanza Mons. Caputo, Vescovo di Aversa, il quaie fece no-
tare come nulla fosse mancato a cosi singolare Congresso, e si spie-
gó: « lo dissi singolare, perché tale é Topera il cui sviluppo esso
ha inteso promuovere, Topera cioé singolare e provvidenziale di
Don Bosco. Gusto di arte nel disporne la sede, attivitá febbrile nel
benemérito Comitato promotore ed esecutivo, solennitá di sacre fun-
zioni, eloquenza di oratori, contegno ammirabile degTintervenuti,
squisite delicatezze nelle cose piü piccole. » Largheggió poi in lodi
e ringraziamenti ai Bolognesi, le cui gentilezze racchiudevano un
alto significato religioso e sociale.
Don Rúa, vincendo, com'era suo costume, la fatica, ando quindi
a tenere nella chiesa dei Barnabiti una speciale conferenza per le
Signore.
L'ultima adunanza genérale riusci piü breve delle altre. Tutti i
discorsi furono di addio da parte dei maggiori rappresentanti: Don
Carpanelli, March. Sassóli-Tomba, Don Rúa, Card. Svampa. Quella
sera a S. Domenico la funzione di ringraziamento, ufficiata dal Card.
Ferrari, si tradusse in una sublime manifestazione di fede e di
amore: le piü alte dignitá della Chiesa, i ministri del santuario, le
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// Congresso Salesiano di Bologna
individualitá piü spiccate del patriziato catcólico, tutto un popólo
credente confondevano insieme affetti e voti appié di Gesú Sa-
cramentato nel canto del Te Deum. Cardinali e Vescovi, alFuscire
dal tempio, erano corteggiati e applauditi da una massa di po-
pólo. Tutti dicevano che Bologna non aveva mai assistito a un
simile spettacolo di entusiasmo religioso.
Ma la giornata non fini la. Alie dieci e mezzo un trattenimento
accademico attendeva i Congressisti nella sólita aula, splendida-
mente illuminata. II pubblico invase ogni spazio disponibile. L'e-
secuzione del programma riscosse encomi per la varietá e la fini-
tezza (1). Nelle parole che apersero il trattenimento i! Can. Ma-
sotti salutó enfáticamente cosi Don Rúa: « Tu, Michele Rúa, che
rivesti il pallio del Profeta rapito; tu, che alia culla di Betlemme
rinfiammavi testé i'amore dei pargoli (2); e da quella Nazaret, che
vide incallite le mani di Gesú e di Giuseppe, sei venuto pur ora
tra noi a continuare la santificazione delle officine e dei sudori
del povero; vedi tu sorriderti, qui intorno effuso, uno stuolo di figli,
tuo gaudio e tua corona? Sonó gregari della tua mística legione;
eterni amici degli operai e de' fanciulli; taluno, forse, atleta della
fede, che ha seminata col sangue. Duce e militi, figliuoli e padre.,
(1) Ecco il programma:
PARTE PRIMA
1. SALUTÓ Prosa del Can Francesco Masotti.
2. LAUDE SPIRITUALE. Coro a quaítro parti (Anónimo del sec. XV).
3. L/EPOPEA DI DON BOSCO. Ocle di Don Luigi Lepori.
4. HAYDN. Quartetto in Sol minore per due violini, viola e violoncillo (Allegro - Largo assai -
Minuetto - Allegro con hrio).
5. VENITE, FiLii. AUDITE ME. Elegía latina del P. Rosati, Provinciale dei Barnabiti, con versione
del Can. Masotti.
6. LAUDE SPIRITUALE. Coro a quattro parti (Anónimo del sec. XVI).
PARTE SECONDA.
1. ADORAMUS TE, C H R I S I E . Coro a quattro parti del Maestro Perti (Scuola bolognese del
sec. XVIII).
2. BOLOGNA E IL CONGRESSO. Canzone libera del March. Filippo Crispolti.
3. MENDELSSOHN. Canzonetta ÍDal Quartetto Op 12).
RAFE. Dichinrazione d'amore (Dal Quartetto Op. 192).
GRIEG. Saltarello (Dal Quartetto Op. 27)
4. SUPER FLUMINA BABILONIS. (Parafrasi). Coro a quattro parti di C. Gounod.
(2) Don Rúa era reduce da Terra Santa.
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Capo XXX
Bologna vi addita alia riverenza e alLamore dei popoli, vi tributa
il plauso della perenne sua gratitudine. »
Restava da porre il solenne coronamento al Congresso col pel-
legrinaggio al santuario della Madonna detta di S. Luca, che sorge
sulla vetta di un colle poco lungi dalla cittá. I giornali bolognesi
scrissero che non si era mai vista tanta gente per quella salita.
Molti venivano da paesi della diócesi. La folla seguiva i PrelatL
rispondendo con essi al Rosario guidato dal Cardinale. La iimpi-
dezza del cielo abbelliva lo spettacolo. Lassú numeróse comunioni
alia Messa dell'Arcivescovo. Gli allievi di Don Baratta fecero udire
ancora una volta le loro celestiali melodie. Nel pomeriggio la proces-
sione pose termine alie pratiche divote. La partenza del Cardinale
e dei Vescovi avvenne fra una entusiástica ovazione. Una giornata
cosi pia e lieta fu la miglior conclusione del Congresso.
Erano intervenuti personalmente 4 Cardinali, 4 Arcivescovi e
24 Vescovi. Avevano inviato rappresentanti o l'adesione dall'Italia
8 Cardinali, 17 Arcivescovi, 80 Vescovi; dall'estero 3 Cardinali (Pa-
rigi, Malines, Siviglia), un Arcivescovo (Chambéry), 18 Vescovi (do-
dici dall'Europa e sei dall'America). Avevano aderito Associazioni
cattoliche in numero stragrande, e piü di 2000 personalitá d'ogni
nazione.
II Congresso, attuato dopo una preparazione non lunga, fu detto
da Filippo Crispolti « splendido saggio di generositá finanziaria, di
magnificenza, d'ordine, di cooperazione delle varié classi, di con-
corso del pubblico; splendido saggio soprattutto di fervore reli-
gioso, perché delle trentamila persone che peregrinarono alia Ma-
donna di S. Luca, una buona parte fece le sue divozioni; tutti par-
teciparono con profonda pietá alie funzioni che a piü riprese occu-
parono le giornate » (1). Quanto al suo oggetío, poté parere a prima
vista che il Congresso propugnasse un interesse particolare, cioé la
maggior diffusione della Societá salesiana; invece il Congresso Sa-
lesiano raggiunse un obiettivo piü vasto, sintetizzato da taluno in
queste parole: La sahezza sociale per mezzo della religione e della
Chiesa.
(1) Riportato dalla Scuola Cattolica, in /. c.
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II Congresso Salesiano di Bologna
ECHI.
Era appena terminato il Congresso, che i Prelati presentí, il 26
aprile, inviarono al Papa una lettera latina, da tutti firmata, in cui
nella loro qualitá di Cooperatori salesiani dicevano fra l'altro:
... II voto nostro da gran tempo vagheggiato di adunarci per conferiré insieme
dei comuni interessi, alfine fu dalla benignitá divina esaudito. Per eff'etto di questo
soavissimo convegno abbiamo avuto agio di trattare e discutere intorno alie svariate
opere della Societá Salesiana. Abbiamo esposti i frutti fin qui, per grazia di Dio.
eííenuti, non giá a pompa di ostentazione, essendo noi servi inutili, ma affinché fos-
sero a noi di sprone, agli altri di soave attrattiva.
Ma assai piú abbondante si presenta al nostro sguardo la messe da racco-
gliersi; e perció con maggiore alacritá abbiamo rivolto a questa le nostre cure.
L educazione della gioventü, il miglioramento della classe operaia, la necessitá della
buona stampa furono i precipui oggetti, intorno a cui con la piú diligente soíerzia
si aggirarono i nostri consigli, le dispute e le deliberazioni nostre. Da queste cose
principalmente, come bene intravide lo stesso Fondatore dell'Opera, potra avere
salvezza la pericolante societá.
E poiché la carita di quell'uomo, cui nessun confine arresta va, né atterriva
alcuna difficoltá, voló puré ai miseri, che seggono nelle tenebre e neU'ombra di
morte, perció con la massima sollecitudine ci occupammo delle Missioni presso i
popoli infedeli.
Finalmente prendemmo a trattare della stessa Associazione dei Cooperatori
Salesiani, la cui soliditá e floridezza é, come ognun vede, di somma importanza,
poiché da questa opera, in apparenza tenue, come da radice deriva tutta la vita
della Famiglia Salesiana.
Ora ci allieta la speranza che non rimangano infruttuose le fatiche sostenute
per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Del che ci affida il patrocinio della
Vergine, di S. Francesco di Sales e dello stesso nostro Fondatore, la cui santitá
fu tanta, che, mentre assicura della sua potente intercessione in cielo, ci fa coli-
ndare che anche in térra sará sollevato fra non molto all'onore degli altari...
II Santo Padre rispóse con un Breve del 4 maggio, indirizzato
al Card. Svampa (1).
(1) Qiiem faustum Nos exitum nuper conventui vestro auspicati fuimus, eum re ipsa con-
tigisse vobis ex tuis ceterorumque. qui aderant, Antistitum sacrorum litteris libentissime acce-
pirnus. Ñeque dubiis de ea re Nobis esse licebat, quippe qui et navitatem tuam in coetu disponendo
noramus et congredientium studia ad Religionis utilitates promovendas et Bononiensis civitatis má-
xima cuín humanitatc hospitalitatem. Id igitur modo supercst, ut, quod scntentia unanimi proposuistis,
hoc cfficaci opere persequamini; clernentissimus vero Dominus, cuius est incrementum daré, benignitatis
suae muneribus fovcat. fortunct laclisque fructibus augcat. Haec ut feliciter contingant, dum tibi et
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Capo XXX
Somma fu la nostra letizia nell'apprendere dalla leftera tua e degli altri Ve-
scovi adunati, che il recente vostro Congresso ha di fatto ottenuto quel felice esito
ch«k Noi avevamo augurato. Né giá potevamo dubitarne, ben conoscendo e la so-
lerzia tua nel preparare il Congresso e lo zelo degli intervenuti nel promuovere i
vantaggi della Religione, e la cortesissima ospitalitá dei Bolognesi. Ora dunque
altto non resla se non che attendiate con efficace perseveranza ad eseguire ció che
con voto unánime a vete deliberato. Voglia il clementissimo Iddio, a cui si appar-
tieíie daré l'incremento, favorire con la sua grazia e prosperare e coronare di lieti
frutti Topera vostra. E a questo fine, mentre ringraziamo te e gli altri Vescovi
ríelia lettera ¡nviataci, a voi primieramente, indi a quanti presero parte al Con-
gresso impartíanlo nel Signore con tutto l'affetto l'Apostolica Benedizione.
Dato a Roma presso S. Pietro il giorno 4 maggio dell'anno 1895, décimo ottavo
del Nostro Pon tificato.
LEONE PP. XIII.
Anche Don Rúa, quale Presidente effettivo del Congresso e Ret-
tor Maggiore dei Salesiani, umilió, il 7 maggio, al Papa una rela-
zione scritta in latino, facendola pervenire nelle mani del Santo Pa-
dre a mezzo di Mons. Tarozzi, segretario di Sua Santitá per le
lettere latine. II Papa si degnó di accoglierla con benevolenza e di
manifestarne soddisfazioné. Anzi il sullodato Monsignore scrisse tra
l'altro a Don Rúa: « II Santo Padre ne ha ricevuta nuova conso-
lazione e se ne consola insieme col medesimo Superiore e con In-
stituto; ne spera poi abbondanza di frutti in ogni parte di quelle
opere salutari che sonó loro proprie, favorite d'ora innanzi con
viemmaggiore alacritá dai molti Cooperatori »
II medesimo Don Rúa alcuni giorni prima di scrivere al Papa,
cioé il 30 aprile, appena ritornato a Torino, posponendo molte e
pressanti occupazioni che richiedevano tutta la sua sollecitudine,
aveva sentito il bisogno di aprire l'animo suo ai Salesiani con
una lunga Circolare. Fatto un riepilogo delle cose e manifestate
le sue impressioni, discendeva cosi alia pratica:
Questo rápido sguardo al Congresso Salesiano di Bologna deve ispirarci an-
zitutto un sentimento di viva gratitudine verso Dio. A Lui ci rivolgemmo con fer-
vide preghiere, all'intercessione di Maria SS. Ausiliatrice ricorremmo per implorare
Antistitibus rcliquis gratias de datis liltcris refcrhnus, Apostolicam bcnedictionem vobis in primis,
liim univcrsis. qui coeíui mtcrfunre. amantissunc in Domino impertiiniis
Datum Homae apud S. Petruní die IV Maii MDCCCXCV, Pontificatus Nostri anno décimo octavo.
LEO PP. X1U
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¿7 Congresso Salesiano di Bologna
mi esito felice all'ardua impresa che stava per incominciare. A Dio, a Maria SS.
siano resé grazie ora che la riuscita supero di gran lunga la nostra aspettazione.
II ciel ci guardi dall'attribuirci una benché minima parte di ció che é únicamente
1'opera di Dio. A Lui solo tutto l'onore, e Lui la gloria!
Esiiltino poscia di santa gioia i nostri cuori nel pensare che il nostro primo
Congresso Salesiano ha rallegrato l'Augusto Vegliardo del Vaticano, che volle es-
sere minutamente tenuto informato d'ogni atto delle nostre assemblee. Sia uno dei
frutti del nostro Congresso il rendere sempre piú stretti quei vincoli che uniscono
la famiglia Salesiana al Vicario di Gesú Cristo.
Rallegriamoci nel vedere che coloro che Spiritus Sancius posuit Episcopos re-
gare Ecclesiam Dei, si compiacciono degli sforzi che noi facciamo per secondare
il loro zelo, per combattere al loro fíanco le battaglie del Signore. Diamo ovunque
Tesempio nel rispetto verso le sacre loro persone e nell'ubbidienza ai loro comandi
Lo splendido risultato del Congresso ci rende ognor piü cara la Pia Societá, a
cui Iddio per tratto di sua singolare misericordia ci ha chiamati. Se giá per mille
prove sapevamo che Iddio benedice e protegge in modo speciale l'Istituto a cui
apparteniamo, questo Congresso valga a rendercene ognor piü persuasi, e ci sproni
a sempre meglio meritare i celesti favori.
Vi confesso, carissimi Figli in Gesü Cristo, che fui coperto di confusione nel
vedere quale alta stima si abbia ovunque dei poveri Salesiani. Essi furono rap-
presentati al Congresso quali modelli di religiosi, come ardenti di santo zelo per
la salvezza delle anime, come valenti maestri nell'arte difficilissima di educare
la gioventü, nell'in formarla alia pietá. Piú vivo divenne in molti Vescoví e Coo-
peratori il desiderio di vedere sorgere nelle loro cittá Istituti Salesiani, ripromet-
tcndosi da loro veri miracoli per la rigenerazione della odierna societá. Ma voi mi
scuserete se in fondo al cuore io chiedeva a me stesso se noi siamo realmente quali
siamo creduti?... M'assali piú volte il dubbio sconfortante che non avessero i nostri
troppo benevoli Cooperatori a ricredersi, se loro si porgesse il destro di esaminare
da vicino la condotta di certi Confratelli... Ah! se coloro che sonó rilassati nella
pietá, poco osservanti della Santa Regola, negligenti nei loro doveri, fossero stati
presen ti al Congresso, non ne dubito, avrebbero fatto il proposito di mutar vita.
Ve ne scongiuro, uniamoci tutti per sostenere l'onore della nostra Pia Societá,
viviamo dolió spirito di Don Bosco e rappresentiamolo meglio che per noi si possa
ovunque abbia a condurci la mano di Dio.
Non vi furono proprio note stonate? Qualche punta di anticle-
ricalismo non poteva mancare. Ce n'era tanto a quei tempi nel-
l'aria! In Bologna poi, venti anni innanzi centro dell'azione catto-
lica, l'intestina divisione degli animi aveva prodotto antipatía e
indifferenza, accresciuta da una prolungata vacanza arcivescovile
per mene settarie contro il Card. Parocchi, Arcivescovo eletto. L'ul-
tinio Congresso Cattolico italiano tenutosi a Bologna era stato stroz-
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Capo XXX
zato nel nascere dal Prefetto della Provincia, causando nei buoni
un senso di tristezza e sgomento. Eppure il Congresso Salesiano
non solo non fu fatto segno a canagliate, quali eransi viste per l'ad-
dietro in simili occasioni, ma aveva incontrato un'atmosfera di tol-
leranza che i piü non si sarebbero aspettata; anzi il Congresso me-
desimo esercitó un'influenza benéfica in vari settori. Molto poté in
questo il tatto squisito del Cardinale Svampa, che fin da quei primi
mesi del sacro ministero aveva saputo conciliarsi il rispetto delle
Autoritá civili e politiche e far quasi tacere la stampa avversaria.
Lo spirito poi del Congresso, che era lo spirito di Don Bosco, non
poteva allarmare. Tuttavia, come dicevo, qualche eco poco simpa-
tica risonó dopo, ma lasciando il tempo che trovó.
Ne tenne contó la Civiltá Catíolica per stigmatizzarne gli au-
tori (1). L'autorevole periódico romano nella sua parsimoniosa Cío-
naca Contemporánea stimó opportuno dedicare al Congresso Sale-
siano una pagina abbondante, che cominciava cosi: « II Congresso
internazionale dei Cooperatori salesiani a Bologna é stato uno splen-
dido saggio di operositá religiosa, d'ordine e di magnificenza riel
campo cattolico, e i Salesiani riportarono la bella lode d'aver co-
nosciuto i tempi e di lavorare in essi, avendosi scelto a materia de!
loro lavoro i poveri e gli operai. Tutta Bologna é concorsa all'esito
felice di questo Congresso, e gli stessi liberali ne hanno par lato
con rispetto. » Dopo un cenno storico sul Congresso, la pagina ter-
minava riportando da un articolo della Tribuna intitolato Fioritura
clericale il seguente periodo: «Cosi in mezzo all'esauriente indif-
ferenza del partito libérale e mentre i maggiorenti del Parlamento
ammanniscono scandali bancari e pubblici spettacoli di reciproche
denigrazioni, maturano i futuri destini con una generazione di gio-
vani, i quali o in nome del socialismo rinnegano la patria ovvero
l'accettano nell'interesse del clero e per il trionfo del Papato. »
Eco duratura del Congresso doveva poi essere un'opera sale-
siana in Bologna; ma di quella parleremo piú avanti. Altra eco
non meno duratura, ma piü es tesa fu tutto un complesso di salu-
(t> Ntim. di maggio 1895 (Serie XVI, vol. II, fase. 107S), pp. 485-6.
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II Congresso Salesiano di Bologna
tari effetti derivatine per la diffusione della Societá saíesiana, per
l'organizzazione de' suoi Cooperatori e per una piü larga compren-
sione de' doveri sociali nel campo cattolico. " Eco fedele del Con-
gresso " Don Rúa chiamó un'assemblea tenuta a Valsalice l'll set-
iembre di quell'anno (1). La componevano quattro Vescovi e circa
200 fra Direttori diocesani, Decurioni, Zelatori e Zelatrici sotto la
presidenza di Don Rúa. Vi era puré Don Albertario, Direttore del-
VOsservatore Cattolico. Scopo dell'adunanza fu chiarire sempre me-
glio il concetto della cooperazione saíesiana e determinare i mezzi
per attuare le deliberazioni prese a Bologna.
Quali fossero queste deliberazioni, formúlate e approvate dopo
che erano state discusse in seno alie assemblee generali, si possono
leggere nei citati " Atti " del Congresso. Costituiscono esse l'eco pe-
renne di queile adunanze, perché sonó la parte solida e costruttiva.
Lasciati da parte i " Considerando ", riportiamo qui le solé conclu-
sioni nell'ordine in cui furono pubblicate. Se in Italia qualche cosa
é superata, si pensi che il Congresso era internazionale; e poi que-
sto é un documento storico, che deve restare.
I. SISTEMA EDUCATIVO DI DON Bosco. — Io I Cooperatori, ove ne abbiano
oecasione, si consacrino di buon grado e con zelo sinceramente cristiano alia
f-ducazione della gioventíi. — 2o Nell'esercizio di cosi nobile e benéfico apostolato
traggano ammaestramenti e conforto dalle massime e dagli esempi del venerando
fonclatore Don Bosco. — 3o Si preparino a tempo i fanciulli alia prima Comu-
nione. — 4o Si abbia cura di avviarli con opporíune istruzioni ed esortazioni alia
Confessione frequente ed anche settimanale ed alia frequente Comunione. — 5o Co-
loro i quali ne siano in grado, come é detto nel 2o articolo del Regolamento dei
Cooperatori. prendano cura speciale di quei giovinetti ed anche degli adulti, che
forniti delle necessarie qualitá morali e di attitudini alio studio, dessero indizio di
essere chiamati alio stato ecclesiastico, giovandoli coi loro consigli, indirizzandoli
a queile scuole, a quei collegi o a quei piccoli seminan, in cui possono essere col-
tivati e diretti a questo fine.
II. ORATORII FESTIVI E CATECHISMI. — IO I Cooperatori Salesiani annoverino
tra le principali opere, nelle quali é loro inculcato di esercitarsi, 1'insegnarnento
del Catechismo in famiglia, se genitori ai figliuoli, se padroni ai dipendenti, e age-
colino cosi rintelligenza delle veritá, che i sacerdoti spiegheranno nelle periodiche
(1) Boíl Sal., ottobrc 1895.
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Capo XXX
jsíruzioni dei giorni íestivi. — 2o Ove ne sia d'uopo, procurino con tutto lo zelo di
aiutare i parroci nell'insegnamento del catechismo e nella sorveglianza sui gio-
vani negli Oratorii festivi e ai Catechismi parrocchiali. — 3o A seconda delle
proprie forze, concorrano per il mantenimento e lo sviluppo degli Oratorii fe-
stivi, ove esistono, e alia fondazione di altri, ove se ne abbia il bisogno, spe-
cialmente nelle popolose cittá. — 4o Si facciano impreteribile obbligo di non
mandare né fígli né dipendenti in giorno festivo a quegli spettacoli, i quali, pur
in.nocui e leciti, si tenessero nelle ore degli Oratorii e dei Catechismi.
II[. SCUOLE DI RELIGIONE. — Io II Congresso loda altamente quanto giá si
é fatto dalla Societá Salesiana, dalle Suore di Maria Ausiliatrice e dai Coope-
ratori, per ttmpianto e lo sviluppo di Scuole di Religione a pro della gioventa
studiosa d'ambo i sessi. — 2o I Cooperatori zelino la fondazione di siffatte Scuole,
dove ancora non si trovino impiantate, e he favoriscano lo sviluppo e la propa-
ganda, curando specialmente di mandarvi i giovani, per qualsiasi titolo, da loro
dipendenti. — 3o I Direttori degli Oratorii festivi fon din o tali Scuole negli stessi
Oíatorii, affinché i giovanetti, che ivi accorrono, essendovi attirati da vari argo-
menti di ricreazione e diletto, possano ricevervi quell'insegnamento religioso,
che é la prima e solida base della loro riuscita morale e civile.
IV. SCUOLE PRIMARIE E SECONDARIE. — Io Si procuri l'introduzione nelle
pubbliche scuole primarie deirinsegnamento religioso impartito nelle forme e nel
modo voluti dalla Chiesa, a norma delle leggi dello Stato; promovendo anche per
mezzo di petizioni e di ricorsi alie autoritá governative e comunali l'applicazione
di quelle leggi dello Stato, le quali assicurino, che tale insegnamento venga ade-
guatamente impartito. — 2o I genitori procurino la continuazione di tale inse-
gnamento pei giovani studenti delle scuole superiori e secondarie, specialmente
facendoli frequentare le Scuole di Religione. — 3o Nella scelta delle scuole e del col-
legi i genitori procedano con criteri e con coscienza ispirati pienamente alia fede
e alia morale cattolica.
V. COLLEGI ED OSPIZI. — Io I Cooperatori Salesiani pongano somma cura
nella scelta dei collegi in cui collocare i loro fígliuoli e dispieghino tale zelo sa-
hitare anche verso i loro amici e conoscenti. — 2o AlToccasione prendano cura
dei giovanetti abbandonati o pericolanti e ne sollecitino il ricovero in qualche
ospizio od oratorio ispirandoli alio spirito della cristiana carita. — 5o Sosten-
gano generosamente la Societá Salesiana nell'oprra dei Collegi e degli Ospizi
e la aiutino non solo per mantenere in llorido stato le Case a tal uopo fondate,
ma per facilitare i progressi delle nuove numeróse fondazioni, che dovunque
si moltiplicano per la grazia del Signore.
VI. EDIJCAZIONE DELLE FANCUTLLE. — Io I Cooperatori e le Cooperatrici Sa-
lesiane affidino le loro íiglie educande solo a quegli Istituti, dove l'insegnamento
religioso e le pratiche di pietá sonó messi come base della educazione; cosí puré
facciano conoscere tali Istituti e li raccomandino ai parenti, agli amici ed ai co-
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// Congresso Salesiano di Bologna
noscenti. — 2o Favoriscano in tutti i modi possibili i Catechismi parrocchiali
per le fanciulle, offerendo, se é neccssario, Topera loro le Cooperatrici ai Par-
roci come Catechiste; si prendano cura che vi intervengano le fanciulle loro di-
pendenti e quelle sulle quali possono in qualche modo avere ingerenza. — 3o Fac-
ciano valere tutta la loro autoritá od influenza, acciocché nei rispettivi muni-
cipii vengano preferite al concorso quelle insegnanti che per educazione, studi e
lodevoli doti dánno migliore speranza che abbiano a. compiere bene il loro
ufficio tanto dal lato pedagógico quanto dal lato religioso. — 4o Nelle cittá e
nei centri operai, dove maggiormente se ne manifesta il bisogno, si fondino ora-
torii festivi, scuole domenicali e scuole di lavori femminili per le fanciulle, af-
fidandone la direzione a religiose, e si sostengano simili opere dove sonó giá
fondate. — 5o Promuovano l'idea d'introdurre le suore in certi stabilimenti in-
dustriali come assistenti delle fanciulle e giovinette nei medesimi occupate, fa-
cendo rilevare Putile morale e materiale che ne avrebbero i padroni e le operaie.
— 6° Si facciano conoscere e si aiutino le varié opere promosse dall'Istituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, fondate dal compianto nostro Don Bosco e dipen-
<lenti dalla Societá Salesiana, come quelle che e per la forma e per lo spirito
sonó adatte ai tempi presentí e si riconoscono praticamente efficaci a promuo-
vere il benessere morale e religioso tra Je figlie del popólo.
VIL EDUCAZIONE DEI GIOVANETTI OPERAI. — Io I Cooperatori Salesiani si
colleghino a tutti gli uomini di cuore e di buona volontá per ottenere, dove e
possibile, disposizioni legislative che moderino le esigenze delle grandi industrie,
conciliando i soli veri interessi legittimi di queste con l'obbligo che hanno di
rispettare i sacri diritti e doveri della maternitá. — 2o Favoriscano le asso-
tiazioni che abbiano per iscopo il miglioramento delle case operaie. — 3o Ze-
lino e facilitino con la loro influenza il collocamento dei bambini negletti od
abbandonati delle classi operaie nei presepi créches od asili d'infanzia, mas-
sime in quelli diretti da persone religiose, in quei casi in cui la prima buona
educazione dei medesimi per mezzo della madre nei domicilio domestico i?
resa impossibile. — 4o Zelino il collocamento degli operai in quelle officine,
nelle quali si rispettano le rególe della fede e morale cristiana. — 5o I Coope-
ratori Salesiani padroni di officina o capi botteghe prendano interesse dei gio-
vani apprendisti loro affidati, come se questi fossero loro figliuoli, e porgano
loro l'esempio di una vita effettivamente cristiana. — 6o Ne curino perció non
solo l'istruzione técnica, ma anche l'educazione religiosa e morale e l'igiene del
loro corpo. — 7o Promuovano Posservanza del riposo e della santificazione del
giorno festivo, appoggiando anche in ogni miglior modo le iniziative che al-
l'uopo fossero prese da altri. — 8o Curino quindi la loro frequenza ai Cate-
chismi parrocchiali, agli Oratorii festivi ed alie scuole cattoliche serali e fe-
stive, vigilando perché non manchino all'adempimento dei loro doveri religiosi.
— 9o Lungi dal permettere loro occasione di scandalo col turpiloquio, be-
stemmia o gozzoviglie, loro inculchino con la parola e con l'esempio il rispetto
di Dio e di se stessi, la fuga dell'ozio e l'amore del lavoro. — 10° Si facciano
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Capo XXX
ascrivere fin da giovanetti alie societá cattoliche di m u t u o soccorso e di "pre-
videnza, e li abituino al risparmio, poiché non manchino dei necessari provve-
diraenti nei giorni delle infermitá, della veccliiezza e della sventura. — 11° Nel
determinare la mercede od il salario ai loro lavoratori, si uniformino alie mas-
sime solennemente proclámate dal Sommo Pontefice Leone XIII neU'ammira-
b ü c Enciclica Rerum nooarurn. - 12° T Cooperatori Salesiani esercitino ogni
loro influenza e concorrano col consiglio, col denaro e con le opere a sostenere,
a far sorgere, ove non esistano, le scuole d'arti e mestieri, le scuole serali e fe-
stive non che le altre fondazioni di Don Bosco per la educazione dei giovanetti
operai, massime nelle grandi cittá; e dove giá esistono, le sostengano con so-
lerte beneficenza.
VIH. COLONIE AGRICOLE SALESTANE. — Le giá fiorenti colonie agricole isti-
tuite dai Salesiani, mercé Fappoggio generoso e giá felicemente sperimentato
dei Cooperatori e dei Governi, incontrino sempre maggiore incremento e diano,
specialmente alie terre di Colombo, una laboriosa pnpolazione di cittadini e
lavoratori cristiani.
IX. PROTEZIONE DEGLI EMIGRANTI. — Io Tutti i Cooperatori Salesiani si
prestiño con premura e con la massima carita all'assistenza di quegli emigranti,
che in viaggio per porti d'imbarco, passassero e fermassero nel loro paese, pro-
curando loro alloggi onesti e faccndosi loro scudo e guida in tutti i loro bisogni.
— 2o Tutti, e specialmente i Parroci, inculchino loro, e li inducano ad accostarsi
ai santi Sacramenti, a far cresimare i loro figliuoli, e a munirsi prima di par-
tire dalla patria per la térra straniera e viceversa, di tutti i documenti che al-
lVstero o al loro ritorno potessero loro essere indispensabili per la celebrazione
del Matrimonio, come: atti di nascita, di battesimo, stati liberi ecc.
X. STAMPA POPULARE. — Io II Congresso offre tributo di profonda venera-
zionc alia venerara memoria di Don Bosco, che santamente studioso dei bisogni
dell'etá nostra comprese nel largo ciclo della sua azione di tanto presidio alia
restaurazione religiosa e sociale l'apostolato della Stampa, prestandovi opera
indefessa dagli inizi del suo saccrdotale ministero, sino al piorno che la sua
belFanima voló a riposarsi in seno a Dio. — 2o A p p l a u d e ai figli e discepoli di
Don Bosco che accesi dello zelo e della carita del loro padre e Maestro, con
lena intaticata si adoperano a promuoverc ed allargare progressivamente la dif-
fusione di libri e di letture utili e sane. — 3o Si augura che sull'esempio di
altre nazioni, si spanda anche in Italia, sovratutto nei centri operai, il Giorna-
lismo popolare cattolico quotidiano, efficacissimo richiamo delle classi operaie
alia Religione e alia Chiesa. — 4° Rivolge a tutti i Cooperatori Salesiani un
caldo appello, perche con la parola e col grande magistero dell'esempio inse-
gni.no a tenersi lontani da ogni sorta di cattive letture, ed ispirino affetto alia
Siampa Cattolica, facendosene propagatori operosi, e perché sostengano e dif-
fondano i giornali cattolici, indispensabile mezzo di salutare apostolato. —
5" R a c c o m a n d a caídamente alia carita ecl alio zelo dei Cooperatori la S t a m p a
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II Congresso Salesiana di Bologna
Salesiana, quale un tesoro di famiglia da dispensarsi in larghissima misura. ed
in ispecie ricorda loro le Leliure Caüoliche fondate da Don Bosco con tanto
studio ed amore. — 6o Con piü speciale e piü vivo interesse raccomanda ancora
la lettura del Bollettino Salesiano, peí quale rivive ogni giorno il venerato Don
Bosco nelle opere sue, e raccomanda vivamente che la propagazione e la let-
tura del Bollettino trovi per lo zelo dei Cooperatori aiuto anche fuori di loro,
sicché la diffusione non abbia alcun limite. — 7o Raccomanda che diano vigo-
roso impulso alie biblioteche circolanti per la gioventü e peí popólo, e che l'at-
tivitá dei Cooperatori si affermi in ogni Juogo con tale fondazione, sicché con le
industrie della carita procurino che ogni biblioteca provveda alia piü larga
irradiazione nelle cjttá e nelle campagne. — 8o Fa voti perché l'azione Salesiana
anche nell'ambito della stampa continui ed accresca la sua prodigiosa espansione.
XI. STAMPA SCOI.ASTICA. — 1° I Cooperatori e le Cooperatrici, in ispecie i
padri e le madri di famiglia e i Capi d'Istituto veglino attentamente sui libri
<-he vengono imposti come testi, o di cui viene consigliata la lettura nelle scuole,
ed in ispecie sulla storia civile e letteraria, sulla storia naturale, e per le scuole
eiementari, sul libro di lettura per le singóle classi e sul testo dei diritti e dooeri
del cittadino. Per determinare maggiormente quali siano i libri di testo piü si-
curi da adottarsi, e nello stesso tempo rispondenti al programma governativo.
si fa voto che la Congregazione Salesiana faccia conoscere in tempo opportuno.
per mezzo del Bollettino, i testi che suole adottare anno per anno nelle proprie
scuole primare e secondarie. — 2o Conoscendo per sé o per altri, che si adottinn
<• si raccomandino libri nocivi od anche solo pericolosi alia fede o alia mora le,
ne facciano o ne promuovano enérgicamente reclami presso l'Autoritá compe-
tente, civile e scolastica, che ha il dovere di tutelare cosi la moralitá, come la
Religione Cattólica, specialmcnte in Italia, ove la Religione Cattolica, secondo
lo Statuto fondamentale del Regno, é tuttora la sola religione dello Stato. Ove
questo non basti, si ricorra alia Stampa, perché il male sia, come di dovere,
pubblicamente conosciuto e debitamente riprovato. — 3o I Cooperatori e le Coo-
peratrici si adoperino con tutti i mezzi, che sonó in loro potere, perché non
penetriuo nelle famiglie, né corrano fra le mani della gioventü deH'uno e del-
l'altro sesso, a scopo di lettura, non solo libri apertamente anticristiani od im-
morali, ma neppure quelli che sotto una larva di Cristianesimo cosi detto ci-
vile, o con tinte poco riguardose o soverchiamente accarezzatrici della piü tre-
menda delle passioni, riescono assai spesso piü rovinosi dei primi. — 4o Poiché
Topera dei Cooperatori non deve essere solo negativa, ma pur anche positiva,
cosi promuovano, per quanto é in loro potere, l'introduzione nelle Scuole e
uegli Istituti educativi di libri, che, rispondendo ai programmi governativi, siano
sicuri in fatto di religione e morale. — 5o Siccome la voglia di leggere, nella
gioventü studiosa soprattutto, é diventata un bisogno, una necessitá prepotente,
cosi i Cooperatori e le Cooperatrici si adoperino, perché siano conosciute e
largamente diffuse quellc letture, che, mentre arricchiscono la mente di buone
ed utili cognizioni letterarie e scientifiche, educano il cuore alia virtú e alia re-
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Capo XXX
ligione. — f>° 11 Congresso, mentre fa plauso alia venerata memoria di Don
Bosco ed alia operositá de' suoi íigli per le innumerevoli edizioni scolastiche
e per le sanissime letture da loro pubbiicate a pro della gioventú, raccomanda
ai Cooperatori e alie Cooperatrici che in tutti i modi sostengano e favoriscnno
questo provvido apostolato Salesiano e ne estendauo sempre piü largamente
la benéfica azione.
XII. ORGANIZZAZTONE DEI COOPERATORI. — In qneíle Diócesi e Parrocchie,
nelle quali i Cooperatori sonó gia regularmente organizzati secondo il Regola-
mentó ed il Manuale dell'Associazione, si perseveri nella via intrapresa con spi-
rito e zelo sinceramente Salesiano. — 2o Ove gia son vi Cooperatori in numero
discreto e tale organizzazione non siasi ancora inírodotta, la si introducá quanto
prima, previo il consiglio e la protezione delle rispettive Autoritá EcclesiastK he
locali; e ció si faccia anche solo per iniziaíiva privata di qualunque tra i Coo-
peratori o le Cooperatrici piü zeíanti. — 5o In quelle regioni nelle quali l'As-
sociazione é difíusa, si zeli perche ogni Parrocchia abbia ii Decurione, ogni cittá
minore abbia un Condirettore ed ogni cittá vescovile abbia il Direttore Dioce-
sano, e che il Direttore, quando il bisogno lo richiegga, fon di in suo ahito
un Comitato di Cooperatori ed un Sottocomitato di Cooperatrici. — 4o Si ten-
gano annualmente le regolari Conferenze Salesiane, a norma di quanto e prc-
scritto e spiegato riel Regolamento e nel Manuale dellAssociazione; e tali Con-
ferenze si promuovano anche in quei luoghi nei quali non vi fossero ancora
Direttori e Decurioni Salesiani. — 5o Ognuno si adoperi per l'ascrizione di nuovi
zelanti Cooperatori e Cooperatrici.
Don Rúa nel resoconto annuale del gennaio 1896 ai Cooperatori
e alie Cooperatrici poteva gia constatare l'abbondanza dei frutti pro-
dotti dal seme gettato a Bologna. A ragion ved uta, e non per sem-
plice atto di cortesía, egli nell'adunanza di chiusura aveva affer-
mato che nella storia della Societá Salesiana le date 23-24-25 aprile
1895 sarebbero state segnate a caratteri d'oro.
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CAPO XXXI
Settimo Capitolo Genérale.
(1895)
II Congresso di Bologna centuplico, per cosi diré, nel mondo
l'aspettazione, che generalmente si aveva giá dei Salesiani. Questo
aveva in mente D. Rúa, quando nella Circolare di aprile 1895, spin-
gendo lo sguardo al prossimo setiembre, in cui si doveva radu-
nare a Valsalice ü settimo Capitolo Genérale, si augurava che la
presso la tomba di Don Bosco i Direttori attingessero dalle riu-
nioni molto zelo e fervore da portare poi nelle loro Case peí comu-
nicarlo a tutti i Soci; in questo egli fondava la sua speranza che
non si rimanesse troppo inferiori a quanto in ogni parte si at-
tendeva dai fígli di Don Bosco. Noi vedremo in una breve ras-
segna i lavori di detto Capitolo, non procedendo cronológicamente,
come le altre volte, ma andando per materie. Daremo ancora una
volta in nota gli elenchi dei membri che componevano le varié
Commissioni, perché agli anziani piace incontrare i nomi di an-
tichi Confratelli che conobbero o di cui sentirono sovente parlare.
Dei 93 che firmarono il verbale di chiusura, ne sopravvivono ancora
sette in questo aprile del 1943 (1).
Don Cerruti, nominato Regolatore da Don Rúa, mando in mag-
gio alie Case gli schemi delle materie da trattare, stampati con
larghi margini, dove i professi perpetui potessero scrivere le pro-
poste, che loro paresse opportuno di fare. Al qual proposito egli
scriveva (2): «Certo importa assai, per l'affetto alia nostra So-
(1) II Hedor Maggiore Don Ricaldone c i Sac. Brunelli, Cartier, Garassino, Grosso G. B , Ron-
chail Albino. Saluzzo.
(2) Tormo, 24 mnggio 1895.
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Capo XXXI
cietá, che ognuno esponga con tutta liberta quel che a lui sembri
piú giovevole al bene e alPincremento di essa. Arrivano talvolta
(ció che fu notato nei Capitoli precedenti) proposte molto assen-
nate e di una grande importanza, le quali, mentre offrono campo
al Superiore di conoscere sempre meglio lo stato delle cose, sug-
geriscono puré il modo di trame vantaggio a conseguiré quel mag-
gior perfezionamento nostro, individúale e collettivo, che é nei voti
di tutti. » índicava quindi i mezzi che avrebbe usati per guarentire
il segreto sui nomi dei proponenti.
Un mese prima dell'apertura diede partecipazione di nove Com-
missioni, i cui membri sarebbero incaricati di trattare le varié cose
nelle adunanze particolari per riferirne poi all'assemblea genérale.
II Capitolo, com'erasi annunciato, fu aperto il 4 setiembre e
chiuso il 7. Vi presero parte, oltre i membri del Capitolo Supe-
riore, gli Ispettori delle Case d'Europa, i Direttori delle Case d'I-
talia, Francia, Spagna, Svizzera, Portogallo, Inghilterra, Austria,
África e Asia e alcuni rappresentanti delle Ispettorie d'America (1).
Mons. Costamagna e Mons. Fagnano sedevano ai fianchi del Rettor
Maggiore, il quale nominó tre segretari: Don Lemoyne, Segretario
del Capitolo Superiore; Don Bianchi, Direttore a Foglizzo; Don
Luchelli, Direttore a Varazze. Don Rúa al principio delle sedute
commentava qualche parte dei Ricordi confidenziali, scritti da Don
Bosco per i Direttori.
I. RETTORI E DIRETTORI (2).
Le Case Ispettoriali, per quanto concerneva il regime interno,
continuavano a modellarsi sull'Oratorio di Torino; come qui il Ret-
tor Maggiore portava il titolo di Rettore eserciíandovi una certa
autoritá, e aveva alia sua immediata dipendenza un Direttore, cosi
la gl'Ispettori. Ora l'esperienza faceva sentiré la necessitá di rego-
(1) Quattro soli: Mons Fagnano, Mons. Costamagna, Don Diamond, Direttore a S. Nicolás e
Don Piccono, Direttore a Mcssico.
(2) Sac. Durando Presidente, Tamietti Relaiore; Don Bensi, Bordone, Borio, Chiesa, Fariña Cario
Chigliotto, Grosso G. B., Hermida, Laureri, Scappini, membri; Don Branda, Don Bussi, consulenti.
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47.10 Page 470

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Setíimo Capitolo Genérale
lare in ogni Casa Ispettoriale la posizione del Rettore in modo che
fosse lasciata al Direttore tutta la liberta di azione richiésta dal
suo ufficio. I pareri dei Confratelli furono 28, che pero si pote-
rono ridurre a pochi capi. La Commissione, non volendo disfare il
giá fatto, studió a fondo la maniera di conciliare i due uffici. L'as-
semblea genérale ne discusse le proposte; ma la questione presentó
punti notevolmente difficili. Ben poco serviva l'esempio di altre fa-
miglie religiose, perché l'Ispettore salesiano non ha soltanto le in-
combenze di un Provinciale nei rapporti col Superiore della Casa
di sua dimora. Si conchiuse dunque con decidere di rimettere al
Rettor Maggiore la formazione di un Regolamento delle relazioni
fra Ispettore e Direttore nelle Case Ispettoriali. Di questo Regola-
mento comparve poi un abbozzo in 14 articoli, ma con la riserva
che fosse da praticare ad experimenium fino all'ottavo Capitolo Ge-
nérale (1).
II. REGOLAMENTO DELLE C A S E SALESIANE (2).
Lo sviluppo della Societá e le nuove qualitá di certe Case esi-
gevano aggiunte e modificazioni al Regolamento in vigore. Non vi
s'innovó gran che; piuttosto si fermó l'attenzione sul bisogno di cin-
que Regolamenti nuovi, resi omai indispensabili: Io Nei Regola-
mento esistente non erano considérate le colonie agricole, alie quali
certo non si potevano applicare le rególe dei laboratori. La Com-
missione elaboró e lesse all'assemblea genérale un Regolamento in
10 articoli per il Capo agricoltore, denominazione análoga a quelle
di Capo sarto, Capo falegname e simili. Don Rúa pero, lasciata ter-
minare la lettura, per evitare una notevole perdita di tempo nella
discussione di quegli articoli, disse che avrebbe fatto esaminare piü
attentamente tali rególe a fine di correggerle, dove facesse d'uopo,
e che poi sarebbero praticate ad experimenium (3). — 2o La Corn-
il) Fu pabblicato in appendice alie Deliberazioni del setíimo Capitolo Genérale della Societá Sa-
lesiana. S. Benigno, 1896. Pp. 121-8.
(2) Sac. Lazzero Presidente, Bologna Giuseppe Relatore; Don Carlini, Garassino, Ghione Giacomo,
f.everatto, Macey, Ottonello, Tcrrot, Riccardi Luigi, Rivetti, Ronchail Giuseppe, membri; Don Ghione
Añádelo, Don Ghivarello, consulenti.
(3) Stanipate in appendice alie Deliberazioni, pp. 128-30.
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48.1 Page 471

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Capo XXXI
missione, accolta la proposta di un Regolamento speciale per il re-
fettorio, lo preparó; ma Don Rúa, dispensato il Relatore dal leg-
gerlo in assemblea, si riserbó di prenderlo in esame per farlo pra-
ticare ad experimeníum (1). — 3° e 4o Due altri Regolamenti vennero
presentati alquanto lunghi, riguardanti i Noviziati e gli esercizi spi-
rituali. Per entrambi fu deciso che si sottoponessero a piü maturo
esame per cominciarne in seguito la pratica ad experimeníum (2). —
5o Esisteva giá un Regolamento per il Capo-ufficio dei laboratori e
per il provveditore ispettoriale, approvato ad experimeníum per un
biennio. La Commissione domandava se potesse venire definitiva-
mente approvato. Si credette meglio prorogare la prova. Questo si-
stema di sperimentare prima di definiré rispecchiava fedelmente lo
spirito di Don Bosco, che ne fece sempre uso, perlino quando intro-
dusse nella Societá il regime ispettoriale (3). Perció Don Rúa, man-
dando alie Case il volumetto delle Deliberazioni, scriveva (4): «Nel
resoconto di questo ultimo Capitolo vi sonó di nuovo vari argo-
menti, che si propongono ad esperimento. Mi sta a cuore che tutti
poníate cura di studiarli e di praticarli e farli praticar bene, tali
quali sonó, ed intanto notarvi le difficoltá che s'incontrano nella
pratica, affinché si possano a suo tempo modificare a dovere e ap-
provarli poi definitivamente. »
I I I . ISTRUZIONE RELIGIOSA NELLE SCUOLE SALESIANE (3).
L'importanza deirargomento diede luogo a un'ampia discussione,
sostenuta dal Relatore con la sua particolare competenza in materia.
II problema era di trovar modo che l'istruzione religiosa nelle scuole
salesiane fosse sempre piü rispondente ai bisogni speciali del tempo
(1) Appcndiee alie Deliberazioni, pp. 130-2.
(2) L'uno formó poi un volumetto a parte; l'altro fu stampato nell'acccnnata appendice (pa-
gine 133-148).
(3) Arinali, pag. 335.
(4) Circolare 3 luglio 1S06.
(5) Sac. Aibera Paolo Presidente. Baratía Relatore; Don Aime, Bellamy, Conelli, Giordano, Pic-
cono, Roeca Angelo, Konehail Albino, Talice, membri; Don \\f olla no, Paglia, Roussin, consulenti.
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48.2 Page 472

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Settimo Capitolo Genérale
e ai do veri attuali di un giovane cattolico. Don Baratta esordi in-
sistendo molto sulla distinzione fra istruzione ed educazione reli-
giosa e mostrando il dovere che aveva ogni Direttore di prendersi
somma cura non solo della prima, ma anche della seconda. « Ogni
giorno piü, disse poi, si fa sentir vivo il bisogno di daré alia gio-
ventú di qualunque condizione un'istruzione religiosa ben fondata
e per quant'é possibile completa, corrispondente alie esigenze spe-
ciali dei nostri tempi. E noi Salesiani potremmo diré d'aver fatto
ben poca cosa, se non ci dessimo la massima sollecitudine per pre-
venire e preparare seriamente i giovani uscenti dalle nostre Case
contro i pericoli e gli assalti sempre piü incalzanti deH'incredulitá.
A quest'uopo, sull'esempio del nostro Padre Don Bosco, dobbiamo
anzituito servirci di ogni occasione, della scuola in modo speciale,
per inculcare opportunamente le veritá della nostra santa religione,
per farle penetrare profundamente nella mente e piü ancora nel
cuore del giovanetto e riuscire cosi a dargli una vera educazione
religiosa. É pero necessario che venga anche consacrato un tempo
sj)eciale alio studio ed alia spiegazione di queste medesime veritá;
ed é necessario che tale studio sia ordinato e adattato alie intelli-
genze dei giovani. » A ottenere questo egli fece in nome della Com-
missione undici proposte, che dalla discussione uscirono formúlate
nei termini seguenti:
Io Oltre all'istruzione ed al catechismo festivo, che ogni Direttore deve pro-
curare che venga fatto in modo conveniente e regolare, siavi in ogni classe un'ora
per settimana di scuola di religione nel corso ginnasiale, e un'ora o anche piü nel
corso elementare e per gli artigiani, fino aH'esaurimento del programma.
2o Queste lezioni nelle scuole secondarie vengano, secondo il Regolamento deile
nostre Case, sempre riservafe al Catcchista o, quando egli non possa, ad un altro
insegnante veramente idóneo.
5o Lo studio della teología pei nostri chierici sia fatto in modo tale da riu-
scire praticamente utilc per l'insegnamento religioso e per la predicazione popóla re.
4o Onde valerci delle risorse del método oggettivo anche per fare penetrare
le veritá di religione, i nostri catechisti per mezzo di uno studio ben ordinato di
Sacra Liturgia siano in caso di fare ai propri alunni una conveniente spiegazione
dei riti e delle varíe cerimonie della Chiesa.
5o Nel ginnasio, nelle elementan e tra gli artigiani il catechismo si studi alia
lettera.
44Q
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Capo XXXI
6o Inoltre e da tutti riconosciuta la neccssitá di un testo apposito per le classi
superior! Si raccomanda pero anche Tuso di un formulario da mandarsi a me-
moria, che riassuma le veritá spiegate piú ampiamente ncl testo. Per ora si propone
il volumetto estratto in massima parte dal Caiiolico nel Secólo di Don Bosco.
7o Nelle spiegazioni, piuttosto che procederé per via di obbiezioni, si abbia
sempre di mira la chiara esposizione delle veritá piú opportune per prevenire i
giovani contro gli errori móderni.
8o L'insegnamento della Storia Sacra venga impartito per un'ora alia settimana
nelle classi del ginnasío inferiore, e nelle classi elementan anche piü, fino al com-
pleto esaurimento del programma stabilito.
9o Si applichi anche per gli studenti l'articolo 483 delle precedenti Delibe-
razioni.
10° Come mezzo efficacissimo per promuovere lo studio della religione si racco-
mandano le gare di catechismo sull'esempio di quanto vien giá praticato in alcune
nostre Case. Per le classi superiori del ginnasio e del liceo sembrano molto oppor-
tuni i concorsi a premi con esami scriiti.
11° Pei giovani piü adulti studenti ed artigiani nelle cittá s'istituiscano scuole
di religione o catechismi di perseveranza.
A proposito di quest'ultimo articolo la Commissione ed il Capi-
tolo dichiararono che intendevano con esso di fare proprio un voto
emesso in tal senso dal Congresso di Bologna. L'articolo 9o estese
agli studenti questa deliberazione che riguardava gli artigiani: « Per
ravvivare lo studio del catechismo si stabilisca un apposito esame
e premi speciali da distribuiré con certa solennitá a coloro, che me-
glio profittarono » (1). Intorno all'articolo 2° il Capitolo emise il voto
che il Catechista fosse libero dalla scuola regolare, af finché potesse
meglio attendere al suo ufficio.
Degno di attenzione é quello che si disse nel discutere sul 1° ar-
ticolo. Si mirava a distinguere fra istruzione religiosa e catechismo.
Don Marenco, Vicario delle Suore, propose una netta distinzione di
tutto l'insegnamento in tre parti: Io Catechismo insegnato in chiesa
fra i banchi; 2o istruzione fatta dal Direttore o da chi per esso a
tutta la Casa; 3o catechismo insegnato nella scuola tanto per gli
studenti quanto per gli artigiani.
Sul primo punto, Don Rúa fece osservare la grande importanza
che Don Bosco vi annetteva, avendo egli stesso voluto che quel ca-
li) Delibera7Aoni dei sei Capitoli Generali ecc. S. Benigno, 1894. Pag. 311.
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Settimo CapUolo Genérale
íechismo si facesse in chiesa. Sul modo poi di farlo Don Rúa disse di
evitare le lunghe spiegazioni, ma di esigere la recitazione ad litteram,
spiegando le espressioni piü difficili.
Circa il secondo, fu respinta la proposta di un programma, che
dovesse svolgersi in tutte le Case; si suggeri invece di seguiré la
trattazione del catechismo del Concilio di Trento ad parochos, fa-
cendovi le aggiunte richieste dai bisogni dei tempi. Molto si disse
intorno a questo argomento; ma in conclusione tutto tendeva a
mettere in evidenza la grande importanza di tale istruzione e il do-
vere d'impartirla con buon ordine e con buona preparazione.
Riguardo al terzo, nulla fu osservato sul tempo da assegnarsi agli
studenti secondari. Ma per gli artigiani il tema accese un'animata
discussione. In alcune Case, massime nell'Oratorio, la scuola di
catechismo durava appena sei mesi e aveva solo un'ora per set-
timana. II Rettor Maggiore lamento questa infrazione del Regola-
mentó, che impone tassativamente un'ora settimanale per tutto Fan-
no, oltre, s'intende, al catechismo domenicale. La Commissione avreb-
be voluto due ore per settimana; ma l'assemblea non consentí, per-
ché allora, avendo gli artigiani soltanto un'ora al giorno assegnata
alio studio, non avrebbero potuto profittare sufficientemente nelle
altre materie. iUcuni Direttori fecero notare che nelle loro Case
bastava.no a stento tre quarti d'ora al giorno per la scuola di cate-
chismo (Casa della Navarra) e altri (Cile) che non erano sufficienti
due ore settimanali, distribuite in quattro lezioni di mezz'ora cia-
scuna. Tuttavia l'assemblea tenne fermo a voler soppressa la dici-
tura delle « due ore», limitandosi a sostituirvi l'inciso " o anche
piü fino ail'esaurimento del programma ".
Nel corso della discussione alcuni avevano insistentemente ri-
petuto che l'istruzione religiosa da noi impartita era troppo scarsa
e che in altri Istituti era maggiore il numero delle ore d'inségna-
mento. Alia fine Don Rúa rispóse a tali osservazioni facendo pre-
sente che, se puré altrove si hanno piü ore, noi abbiamo altri mezzL
come prediche, sermoncini della sera, esortazioni ecc, in grazia di
che la nostra istruzione riesce completa quanto quella impartita
da altri. La ragione perció di certi lamentati traviamenti non de-
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Capo XXXI
rivare da ignoranza, ma da passioni e da pervertimenti del cu ore;
essere, del resto, consolante il ritorno anche dei traviati a migliori
consigli nel momento piú decisivo della vita.
IV. OBBEDIENZA, POVERTÁ, ECONOMÍA (1).
Oggetto della quarta Commissione era di cercare e proporre
mezzi pratici che fossero da giudicare i migliori per formare e
conservare lo spirito di obbedienza, di povertá e di economía nelle
Case salesiane. II Relatore, riassunte le osservazioni dei Confratelli
sull'argomento, proseguí: « Quanto fu stabilito nelle Costituzioni e
nei Capitoli precedenti sembra piú che sufficiente a guidare i Con-
fratelli nella pratica dell'obbedienza, della povertá e della saggia
economía. Se nascono inconvenienti, questi traggono la loro origine
dalFignoranza, dall'oblio e dalla poco fedele osservanza delle norme
stabilite. » Ció posto, lo studio della Commissione si ridusse a ri-
chiamare l'attenzione su quelle norme stabilite, delle quali biso-
gnasse fare maggior caso. Una raccomandazione particolare fu
quella di p r o m u o v e r e t r a i Confratelli la cultura religiosa, tanto
efficace a conservare lo spirito religioso, e questo con inculcare lo
studio della Teología dogmática e morale, delle Sacre Scritture, della
Storia Ecclesiastica, delle opere ascetiche e delle vite dei Santi,
le quali ultime dovrebbero essere materia ordinaria delle let-
ture fatte a mensa. II Capitolo volle che vi aggiungesse la lettura
delle Biografíe dei Confratelli e del Bolleííino Salesiano.
Né in questa Commissione, nella quale si trattó di economía, né
altrove compare piú un nome tanto caro ai Salesiani: il nome del-
l'Economo Genérale Don Antonio Sala. Egli aveva cessato di vi-
vere il 21 maggio precedente, nell'etá di appena 59 anni. Figura
indimenticabile di Salesiano! Venne da Don Bosco a tarda ora nel
1863: aveva giá 23 anni. Sua intenzione era di tentare gli studi
(1) Sac. Bclinonte Presidente, Bertello Relatore; Don Bclloni Antonio, Bianchi Eugenio, Binelli,
P.retto, Chiavcri, Gallo Pietro, Guidazio, Piccollo, Riccardi Roberto, Rinaldi G. B., membri; Don Con-
fortóla, Zanone, Coad. Rossi Giuseppe, consulenti.
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Seitimo Capitolo Genérale
per farsi prete. Come mai un giovanotto della sua etá e condizione
potesse adattarsi alia vita dell'Oratorio, é un mistero solamente per
chi non sa che cosa fosse Don Bosco in questa benedetta Casa. Du-
rante il ginnasio, che compié in tre anni, quando il suo spirito non
era ancora definitivamente orientato, Don Bosco un giorno gli disse:
— Aiutami, e vedrai ció che il Signore fará di te. — Di Congrega-
zíone o comunque di vita religiosa allora il Santo non poteva par-
lare in termini espliciti. Quelle parole produssero in Sala l'effetto
del Veni, sequere me, con cui il Signore chiamava gli Apostoli alia
sua sequela. Da quel punto i pensieri e i sentimenti della sua anima
si polarizzarono, per dir cosí, verso la persona e Topera di Don
Bosco. Egli fu il primo lombardo entrato a far parte della Societá
Salesianci.
Di lui ancora semplice chierico Don Bosco mise a profitto l'a-
bilitá amministrativa in materia económica, dandogli a disimpe-
gnare l'ufficio di prefetto nel Collegio di Lanzo. Divenuto prete. lo
costitui ecónomo dell'Oratorio. Volendolo chiamare da Lanzo per
tale incarico, gli scriveva il 3 luglio 1869: « Ci troviamo in assoluto
bisogno di un ecónomo, giacché Don Savio non puó piü occuparsi
della Casa di Torino. Ora, dimmi se tu potresti anticipare la tua
venuta senza sconcerti nel tuo ufficio [...]. Tu potresti venire non
come cosa definitiva, ma per aiutarmi [...]. Per tua norma ti dico
che nimio sa che ti scrivo questa lettera, perció dimmi liberamente
il tuo parere. » Don Sala poco dopo prese possesso della carica, che
tenne fino al 1882, nel qual anno Don Bosco lo sostitui aH'Economo
Genérale Don Ghivarello, destinato ad altra mansione. I Confra-
telli poi lo confermarono nelle elezioni del 1886 e lo rielessero nel
1892. Da Ecónomo, amava ricordare l'esempio di Don Bosco, che
cercava la stretta economía, ma per sé, non per operai e artisti che
eseguissero lavori di sua ordinazione: quelli non voleva che avessero
a patire.
Quanta parte Don Sala abbia avuta nella costruzione delle chiese
di S. Giovanni Evangelista a Torino e del Sacro Cuore a Roma,
nei restauri di Maria Ausiliatrice e generalmente in tutti i lavori di
qualche importanza, poche tracce purtroppo rimarranno a tenerne
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Capo XXXI
viva la memoria nei posteri, tanto scarseggia la documentazione.
Ben a ragione Don Rúa nell'annuncio della mor te comunicato ai
Confratelli diceva aver egli ben meritato della Societá Salesiana,
curandone gl'interessi con indefesso zelo e con detrimento perlino
della sua sanitá. Spiccó in lui, quale dote caratteristicav un'umiltá
bonaria e disinvolta, con cu i riusci a guadagnarsi la benevolenza di
tutti (1).
Don Rúa chiamó a succedergli Don Luigi Rocca, Direttore del
Collegio di Alassio. Nel far cadere la scelta sopra di lui ebbe non
poco peso la designazione dei Confratelli nelle elezioni del 1892;
poiclié allora, trattandosi dell'Economo Genérale, Don Rocca aveva
avuto il maggior numero di voti dopo Feletto (2).
V. COOPERATORI SALESIANI (3).
Con Festendersi della Societá andava puré continuamente au-
mentando il numero delle persone, che, conosciutane la natura e lo
scopo, si movevano ad aiutarla e sostenerla, associandosi per tale
scopo alia Pia Unione dei Cooperatori salesiani. Parve quindi con-
veniente proporre alio studio del Capitolo Genérale la ricerca dei
mezzi per promuoverne lo sviluppo e per réndeme piú efficace Fo-
perá. Le deliberazioni piü importanti sonó quelle comunícate da
Don Rúa ai Direttori Fanno seguente (4): «Al solo Rettor Mag-
giore, come Superiore della Pia Unione dei Cooperatori, appartiene
di conferiré e di firmare i Diplomi; e sia comune Fimpegno di favo-
rire la relazione dei Cooperatori con esso. — II Direttore designi un
Confratello, non potendo per se stesso, che in suo nome si occupi
dei Cooperatori. Curi la trasmissione alia direzione del Bollettino
o al Rettor Maggiore dei nuovi inscritti, delle correzioni, cambia-
menti o sospensioni degli indirizzi, delle notificazioni dei Coopera-
(1) Una sua vita fa parte di un volume, nel quale Don Franccsia riuni parecchie Biografíe di
Confratelli (Memorie biografiche di Salesiani defunti. S. Benigno, 1898).
(2) Circolare di Don Rúa, Torino, 29 gennaio 18%.
(1) Sac. Marcnco Presidente, Rocca Luigi Relatore; Don Bielli Alberto. Gayde, Lovisolo, Oberti,
Saluzzo, Scaloni Francesco. Useo, Veronesi, membri; Don Dones, Minguzzi, Trione, consulenti.
(4) Torino, 12 aprile 1896.
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Settimo Capitolo Genérale
(ori defunti per il Necrologio mensile, con ispecial menzione dei
Cooperatori piü benemeriti. Si tenga in relazione con la Direzione
del Bollettino per quanto puó occorrere alio sviluppo della Pia
Unione. Proponga d'accordo col Direttore, Felezione dei Decurioni o
Zelatori o Zelatrici, per mezzo dei quali si potra diffondere FArci-
confraternita di María Ausiliatrice e la Pia Opera del Sacro Cuore.
— II Bollettino, promovendo, quale órgano di t u t t a la Societá Sa-
lesiana, non solo il bene genérale di essa, ma anche il particolare
di ciascuna Casa, venga sostenuto col contributo comune nel modo
e nella inisura che il Rettor Maggiore giudicherá. »
Durante il Capitolo Genérale, nel desiderio di procederé d'ac-
cordo con gli Ispettori e Direttori, Don Rúa tenne particolari con-
ferenze, nelle quali circa Fapplicazione di quest'ultimo punto fu
stabilito in via d'esperimento quanto segué: «Io Ciascuna Casa
presterá concorso alia Direzione del Bollettino per le spese che essa
sostiene, in ragione del numero di copie che la direzione invia alia
Casa od ai Cooperatori di quella Provincia o Dipartimento in cui
la Casa si trova. — 2o Per i dipartimenti o le Provincie in cui tro-
vansi piü Case salesiane, l'Ispettore determinerá la quota di con-
corso per ciascuna. — 3° La quota di concorso sará di una lira an-
n u a per copia. — 4° La Direzione del Bollettino aprirá un Contó
corrente con ciascuna Casa e térra nota di quanto ciascuna avesse
a sborsare per il recapito del Bollettino ai Cooperatori. — 5o La
Direzione del Bollettino somministrerá quanto venisse dalle Case ri~
chiesto per la diffusione ossia propaganda. Le spese per i Bollettini,
che vanno ai Cooperatori di Nazioni o Provincie, nelle quali non
v'é Casa salesiana, come puré quelle per Diplomi, Libri o Bol-
lettini di diffusione. sonó a carico della Direzione medesima. » Su
questa ultima parte molto si discusse al Capitolo, volendosi da al-
cuni maggiore sovvenzione; ma Don Rúa stimó bene che si stesse
al mínimo di una lira, perché non s'avesse a cagionare aggravi.
Non si mancó di fare appello all'esempio di Don Bosco sulla
cura che bisogna avere dei Cooperatori, che egli riguardava come
strumenti della divina Provvidenza, nutrendo verso di loro viva ri-
conoscenza, sia per Fofferta del ricco che per Fobolo della vedova.
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Capo XXXI
VI. PROPOSTE VARÍE (1).
Anche questa volta il Relatore dispose che la trattazione delle pro-
posie varié si facesse con la maggior larghezza e comoditá possi-
bile. Occupó essa una lunga seduta pomeridiana del secondo
giorno. Le proposte furono molte e svariate. La Commissione ne
eliminó tre categorie: quelle riguardanti casi individuali, per cui
era da ricorrere piuttosto all'Ispettore od al Capitolo Superiore;
quelle che, pur essendo buone ed utili in sé, non presentavano al-
lora possibilitá di attuazione; quelle per le quali si era giá provve-
duto abbastanza nei Capitoli precedenti. Compiuta questa opera di
eliminazione, la Commissione classifícó le rimanenti proposte sotto
i seguenti titoli: Noviziati, Case, Periodici, Congregazione. La ma-
teria contenuta sotto il terzo capo fu rimandata alia Commissio-
ne VIL Della materia degli altri tre capi le parti che ebbero l'ap-
provazione, o sonó oggi supérate per mutamento di circostanze o in
ogni caso non presentano elementi d'importanza tale che valga la
pena di tenerne contó in questa rassegna.
VIL LETTURE (2).
Cresceva la necessitá di provvedere buone e utili letture per
il popólo e in particolare per la gioventú. Quali le proposte pra-
tiche piú adatte a questo scopo? La Commissione riassunse le pro-
poste sotto due capi: letture per il popólo, letture per la gioventú.
Quanto al primo capo, la discussione si aggiró quasi esclusivamente
intorno alie Letture Cattoliche, delle quali si deplorava la deca-
denza. La ragione era in sostanza che non vi si camminava con i
tempi o vi si cacciavano dentro troppi numeri di poco sugo tanto
per tirare avanti Fannata. Osservó molto bene Don Rúa che Don
(1) Sac. Lemoyne Presidente, Cagliero Cesare Relatore; Don Armelonghi, Barberis G. B., Bologna
Angelo, CorJay. Fumagalli, Nardi, Notario, Porta Luigi, Tabarrini, Turco, membri.
(2) Sac. Ccrruti Francesco Presidente, Monateri Relatore; Don Babled, Cartier, Daghero, Febbraro,
Turno, Lucchelli, Piscetta, Rossi Francesco, membri; Don llufíino, Ch. Pioton, Coad. Boccaccio e Pe-
lazza, consulenti. Don Febbraro sostitui Don Monateri.
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Seitimo Capitolo Genérale
Bosco aveva adattato le sue alie convenienze e ai bisogni del mo-
mento, la qual cosa venne affermata come punto di partenza in un
articolo COSÍ concepito: « Alie Leííure Caítoliche sia conservato il ca-
rattere primitivo impresso loro da Don Bosco, che era di svolgere
in modo popolare e in buona lingua quei punti di dottrina reli-
giosa, di morale e di storia, che interessano veramente il popólo
dei nostri giorni. » Si credette poi bene di mettere queste Leíture
sotto la dipendenza diretta del Rettor Maggiore per continuare la
tradizione lasciata da Don Bosco, che volle sempre avocata a sé
Taita direzione di tale periódico. Dimostrarono tutti un grande fer-
vore nel sostenere la necessitá di dedicarvi maggiori cure per ridonar
loro l'antica popolaritá. Si ritenne pero che non si sarebbe mai con-
chiuso milla senza un Direttore zelante e intelligente. Né la discus-
sione si restrinse all'Italia, ma si estese anche ai paesi di lingua
francese, spagnola e portoghese, nei quali da poco o da molto si era
intrapresa con frutto la stessa pubblicazione mensile secondo lo spi-
rito di Don Bosco.
Riguardo alie letture per la gioventü, si caldeggiarono spe-
cialmente due proposte: che fosse istituita una nuova collezione di
Leííure amene e che dalla Biblioíeca della Gioventü si cavasse fuori
una nuova serie che per scelta di autori, per correttezza di stampa,
per forma e per prezzo non fosse inferiore a collezioni edite da al-
tri. Le due collezioni ebbero súbito principio durando senza fossi-
iizzarsi, ma aggiornandosi di tempo in tempo e quindi passando
per varié fasi fino al presente.
Parecchi propugnarono la necessitá di un periódico didattico e
informativo. Quanti interloquirono, dissero cose belle e buone; ma
in ultima analisi, nulla di concreto. Partí da quel concetto la pub-
blicazione del Gymnasium, iniziato quattro anni dopo per opera di
Don Laureri a Roma in umile forma, quale appendice al rinato
Giornale Arcadico; poi nel 1904 molto ampHato e vivente di vita
propria (1).
(1) L'sci COSÍ tre volte al mese in 20 facciatc, sempre a Roma, per nove anni; la pubblicazione, in-
terrotta nel 1913, fu ripresa nel 1932 a Torino dalla S. E. I.
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Capo XXXI
VIII. ORATORII FESTIVI (1).
La trattazione era divisa in quattro parti: oratorii festivi in ge-
nérale, cura delle vocazioni, istituzione di compagnie religiose, col-
locamento dei giovani operai oratoriani presso buoni padroni. La
Commissione presentó una serie di proposte cosi numeróse e op-
portune, che rivelavano essersi compresa tutta Fimportanza del tema
aífidatole, come di cosa che stava tanto a cuore a Don Bosco e che
diede origine alia Societá Salesiana. Don Rúa trovó il lavoro ben
eseguito ed espresse la sua grande soddisfazione per la diligenza
adop&rata; ma la ristrettezza del tempo non permise di discutere le
proposte ampiamente e con comoditá. In vista di ció Don Rúa fu
di parere che si praticassero per tre anni acl experimentum; si
diede voto affermativo. Tuttavia un po' di discussione si fece, come
sull'articolo che diceva: « Al principio d'ogni anno il Direttore della
Casa d'accordo con FIspettore stabilirá una somma da erogarsi in
pro dell'oratorio festivo. » Qui fu mossa la domanda intorno all'am-
montare della somma. Don Rúa cominció a ricordare che il buon
andamento dell'oratorio festivo non dipende tanto dal danaro, quanto
dalle buone maniere e dallo zelo del personale addetto; poi soggiunse
che egli lasciava tutto alia prudenza del Direttore della Casa, presso
del quale doveva essere depositata ogni somma rimasta al Direttore
dell'oratorio, qualunque ne fosse la provenienza. Taluno domando
puré quale condotta bisognasse tenere con i Parroci, i quali esiges-
sero che i giovani andassero alie funzioni in parrocchia; Don Rúa
rispóse che conveniva assecondarli, per quanto fosse possibile, quan-
tunque la cosa tornasse a danno dell'oratorio, e raccomandó caí-
damente il buon accordo fra il Direttore e il Párroco. Conchiuse il
Regolatore, osservando che durante il triennio di pro va dovevano i
Direttori non discostaisi dal Regolamento giá approvato, ma tenerlo
per norma da seguirsi.
Abbiamo incontrata qui sopra una frase di Don Rúa, la quale
richiede un po' di commento. Egli disse che Foratorio festivo " diede
(1) Sac. Barhcris Giulio Presidente, Nai Relatore; Don Bilicni, Ciprandi, Cogliolo, Cottrino, Da-
vico, Dcscalzi, Fasuni, Ferrando, Sammory, membri; Don Gribaudi, Pavia, consulenti.
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Settimo Capitolo Genérale
origine alia Societá Salesiana ". Questa proposizione " diede origine "
va intesa nel senso di " segnó l'inizio, il principio ". Nel 1841 l'ora-
torio non diede il nascimento alia Congregazione, ma ne fu la fase
primordiale o iniziale, ossia il cominciamento. Solo cosi é possibile in-
terpretare quella affermazione di Don Bosco: «Questa Societá nel
sao principio era un semplice catechismo» (1). L'oratorio festivo
dunque non fu il germe, da cui sbocció la Congregazione, ma i!
primo germogliare di essa; era insomma la Congregazione bambina,
nata dalla mente di Don Bosco.
IX. DIVOZIONE A M A R Í A AUSILIATRICE (2).
La Commissione doveva studiare il modo di promuovere quella
che é la divozione propria della Societá Salesiana. Essendosi natural-
mente trattato anche della Confraternita di Maria Ausiliatrice (3),
Don Rúa mostró essere sua intenzione che la si erigesse in ogni
Casa, che vi venissero ascritti gli allievi prima che alie varié Com-
pagnie, e che tale ascrizione si facesse fin dal principio dell'anno
scolastico.
Prima che quest'ultima discussione fosse chiusa, si fece fórmale
domanda al Capitolo Genérale, se nel coordinare le varié proposte
fosse concesso al compilatore di introdurvi le modificazioni che si
credessero opportune. Tutti risposero concedendo piena liberta. Al-
lora Don Rúa lesse una bellissima lettera scrittagli da un ottiino
amico dei Salesiani, il quale, manifestato il suo entusiasmo per l'e-
sito splendidissimo del Congresso di Bologna e per il gran bene che
la Societá andava compiendo, rivolgeva saggi suggerimenti a tutti
i fígli di Don Bosco, ai quali raccomandava specialmente umiltá,
purezza di costumi e grande carita. Infine fu letto e firmato il ver-
bale di chiusura.
(1) Annali, p. 103.
(2) Sac. Franccsia Presidente, Rinaldi Filippo Relntore; Don Allcrino, Brunelli, Cibrario, Colom-
bara, Cometti, JoscphirJi. Pistamiglio, membri; Don Berto consulenie.
(3) Annali, pp. 91 e 134.
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Capo XXXI
Nel luglio del 1896 Don Rúa spedi alie Case il volumetto delle
Delíberazioni in forma diversa dalla consueta, traendo dai verbali
insieme con le proposte i sommari delle discussioni, anche per far
conoscere il método che si tiene in queste periodiche assemblee.
Nella lettera di presentazione il Rettor Maggiore diceva ai Con-
fratelli: « Non si tratta di nuovi pesi da imporvi, sibbene di procurare
lo svolgimento di quei principii pratici che Don Bosco stesso in-
culcó tante volte a voce e per iscritto, in pubblico ed in privato, nelle
Costituzioni e nelle prime Delíberazioni, perché in questi sta lo spi-
rito di perfezione che animó Lui stesso, e del quale ci volle anima ti
e stretti nel vincolo di carita e per la santificazione nostra e delle
anime a noi affidate ». Don Albera, allora Catechista Genérale, in
certe sue Note personali inedite scrisse: « II Capitolo e terminato
bene: esso unisce gli spiriti e rianima lo zelo ».
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C A P O XXX II
In Argentina, Uruguay e Cile dal 1894 al 1898.
(Buenos Aires, Rosario, Uribelarrea, Bernal; Manga; Valparaíso, Santiago, Macul, Melipilla
Iquique, scampato pericolo a Concepción)
L'albero, piantato dalla mano espería di Don Bosco e fatto cre-
scere dalla mano onnipotente di Dio, radicandosi sempre piü nel
suolo, moltiplicava e dilatava ogni anno i suoi rami in varié parti
della térra. NeU'America, come altrove, le opere salesiane progre-
divano in vitalitá e aumentavano di numero. Ci limiteremo in questo
capo a osservare quello che avveniva nell'Argentina, nell'Uruguay e
nel Cile durante il quinquennio indicato dal titolo.
Nel 1895, assunto all'Episcopato l'Ispettore argentino Don Costa-
magna, il governo ispettoriale passo nelle mani di Don Giuseppe
Vespignani, che fino allora aveva lavorato al suo naneo nella dire-
zione del Collegio Pió IX di Almagro in Buenos Aires. Dalle laco-
niche note della cronaca domestica di quel Collegio traspare eviden-
temente quanto tale nomina, fatta da Don Rúa, incontrasse il gra-
dimento univérsate; quel "querido", quel "queridísimo Padre José",
che vi si legge ripetute volte, non esprime solo il sentimento del cro-
nista. Infatti Don Vespignani godeva da molto tempo grande stima
di viríü, di zelo illuminato, di bontá paterna e di buona cultura sa-
cra; ma sopra ogni altra cosa gli anziani ammiravano in lui la per-
fetta salesianitá. Venuto giovane sacerdote da Faenza all'Oratorio e
partito per l'America un anno dopo con la terza spedizione, in si
breve tempo passato presso Don Bosco si era assimilato a meravi-
glia gli elementi essenziali del suo spirito, elementi che coltivó in se
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Capo XIXll
e resé santamente fecondi sino al termine della vita. É vero che por-
tava all'Oratorio l'animo ben disposto dalla scuola di quel santo
Cooperatore faentino, che fu Don Taroni, suo Direttore spirituale (1);
ma sará sempre indizio di molto acume e buon volere l'aver nello
spazio di pochi mesi compreso tanto a fondo Tanima, il método, le di-
rettive del Fondatore, come diede a vedere in appresso. Aveva poi
una facile comunicativa, fatta di semplicitá, sinceritá, calore e forza
lógica, sicché moveva al bene ed espugnava le resistenze (2).
II suo predecessore piangeva, come vedemmo, i debiti della Casa;
ma qúesti a poco a poco furono pagati, anzi lavori edilizi sospesi
poterono essere ripigliati e condotti a termine. Con particolare so-
lennitá venne inaugurato nel Collegio al 24 giugno 1896 un gran-
dioso Osservatorio meteorológico, che accrebbe in questo ramo !e
benemerenze dei Salesiani d'America. Fu dedicato alia memoria di
Mons. Lasagna, iniziatore laggiü di tale movimento. Lo benedisse
l'Arcivescovo; padrino e madrina della cerimonia accettarono di es-
sere il Presidente della Repubblica Uriburu e la sua consorte, Don
Vespignani, cogliendo la buona occasione, riferi dinanzi a cospicuo
uditorio sull'avanzamento progressivo dell'Opera Salesiana nell'Ar-
geníina. II Salesiano Luigi Morandi, Direttore dell'Osservatorio cén-
trale di Villa Colon e competentissimo in materia, pronuncio un dotto
discorso sulla storia e sull'importanza degli studi meteorología. Del
nuovo Osservatorio prese la direzione il giovane sacerdote Don
Adolfo Del Carría.
Nei due anni seguenti le Case di Buenos Aires perdettero tre Con-
fratelli, che lasciarono dietro di sé largo rimpianto e prezioso retaggio
di buoni esempi. Don Giovanni Battista Tsabella partí il primo per
l'eternitá dal Collegio Pió IX il 18 febbraio 1897, Aveva appena
39 anni. D'ingegno assai versatile, triunfa va soprattutto nella sa-
cra eloquenza; ma i trionfi nell'arte oratoria non recavan nocu-
mento né alia sua esemplare modestia e pietá, né alia sua religiosa
dipendenza dai propri superiori. La cronaca lo dice " umile, al-
(1) Annali, pag. 398.
(2) Prezioso documento del suo spirito c il caro libriccino Un auno alia scuola di Don Bosco,
S. E. 1., 1930.
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In Argentina, Uruguay e Cile dal 1894 al 1898
legro, laborioso ed eloquentissimo oratore". II secondo fu Don
Agostino Mazzarello, morto quarantacinquenne il 27 giugno del me-
desimo anno. Dirigeva la Missione dei connazionali italiani dalla
chiesa Mater Miscricordiae. Vero figlio di Don Bosco, Padre Agu-
stín, come lo chiamavan tutti, si fece amare dagli emigrati per la sua
operositá, abnegazione e inesauribile carita. Ultimo scomparve nel
1898 dopo breve malattia in etá di soli 27 anni il mentóvato Don
Del Carria. Nell'Oratorio di Torino durante il ginnasio aveva ri-
cevuto da Don Bosco prove tangibili di predilezione. La svegliata
intelligenza, il carattere soave, le ingenue maniere l'avevano reso
Fidolo de' suoi numerosi discepoli; ma all'esito brillante delle sue
sante fatiche accoppiava una singolare modestia e schietta noncu-
ranza delle lodi, che gli venivano profuse da ogni parte. La pietá
condiva tutti gli atti della sua vita. Di questi tre Confratelli Don
Vespignani giá vecchio parlava e riparia va ancora con paterno af-
fetto e dolorosa rassegnazione.
Due nuove Case si aggiunsero nell'Argentina alie nove esistenti.
Non teniamo contó di una terza per esterni durata poco piü di due
anni a Rosario. Don Costamagna l'aveva voluta nel 1894, sebbene
in quella cittá vi fosse giá la Scuola professionale S. Giuseppe, an-
che perché fosse di lá piü agevole l'assistenza religiosa delle Suore.
Ma, aperta nel 1895, si vide presto che non poteva sostenersi; onde
Don Vespignani la chiuse nel 1898.
La prima delle suddette nuove fondazioni fu a Uribelarrea, vil-
laggio a Sud-est di Buenos Aires, dalla quale dista appena 79 chi-
lometri. La poca distanza dalla Capitale facilitó Faccettazione, Un
signor Michele Uribelarrea, grande ammiratore dei Salesiani, aveva
donato loro 202 ettari di terreno, divenuti in seguito 408, affinché
vi stabilissero una colonia agrícola, nella quale raccogliere giova-
netti della Repubblica poveri e abbandonati, per istruirli, educarli
e addestrarli ai proficui lavori campestri. II donatore, oltre al be-
stiame e agli strumenti agricoli, aveva bensi regalato centomila mat-
toni per cominciare le necessarie costruzioni; ma intanto i Sale-
siani, mentre attendevano a fabbricare e a mettere in efficienza la
campagna, non avevano dove abitare e di che mantenersi; fatto sta
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Capo XXXU
che i primi vi fecero un duro noviziato, vivendo in una penuria,
nella quale quante privazioni abbiano sofferte, Dio solo lo sa.
Benedisse e pose la pietra fondamentale Mons. Cagliero il 28
gennaio 1894. Quella campagna non aveva mai visto tanta molti-
tudine di persone altolocate: Prelati, Autoritá politiche e civili, im-
piegati dello Stato, uomini d'affari. La ragione era che il Governo
vedeva molto di buon occhio tutto ció che fosse atto a promuovere
il progresso agricolo del paese. Lo stesso Presidente della Repubblica
Luis Saenz Peña e la sua signora avevano accettato l'invito a fare
da padrino e da madrina nella cerimonia; se non che, sopravvenuto
alPultima ora un impedimento, il Capo dello Stato si scusó con
Monsignore, scrivendogli un biglietto che é puré un bel documento:
« Circondato da grandi affari del Governo, mi affretto a chiedervi
scusa per non avervi mandato a salutare prima, ed ora incarico
un mió aiutante di campo, il latore della presente, perché vi faccia
una visita a mió nome, porgendovi un cordiale e sincero benvenuto
a questo nostro paese per continuare le opere tanto benefiche del
vostro Istituto, ripetendovi una volta di piü Palta mia simpatía per
la Congregazione Salesiana, che tanto bene irradia con le grandi
sue imprese. »
Tutta la popolazione del luogo partecipó alia funzione, rendendo
grazie al generoso benefattore, per la cui liberalitá arrideva al paese
un lieto avvenire. E lieto rispóse davvero 1'avA^enire. La colonia pro-
dusse gli effetti aspettati, non solo allevando buoni e utili agricol-
tori, non solo fecondando una zona pressoché deserta, la quale otto
anni dopo offriva agli occhi dei visitatori tanti " prati ameni, vasti
campi di gialle e dórate messi, estensioni di alberi carichi d'ogni
ben di Dio " (1), ma fece conoscere e adottare largamente i metodi
razionali di coltura. Assai benemérito dell'opera fu il bravo Coa-
diutore Pietro Torrero, che lavoró finché cadde sulla breccia; ma
intanto con le sue faticose e intelligenti cure aveva dato alia colonia
un sicuro avviamento.
LTspettoria Argentina aveva il suo Noviziato ad Almagro ne!
(1) Cristoforo Colombo, seüimanalc di Rosario, 13 febbraio 1902.
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In Argentina, Uruguay e Cile dal 1&94 al 1898
collegio Pió IX; ma urgeva procurargli un ambiente piü appartato
e tranquillo, lungi dalle distrazioni inevitabili in un cosi grande
Istituto. All'Ispettore Don Vespignani, che andava in cerca di un
luogo adatto, ma non troppo lontano, il padre del nostro Don Pe-
demonte fece dono di un terreno in una sua proprietá a Bernal, per-
ché vi fabbricasse una cappella alia Madonna della Guardia, di cui
da buon ligure, nativo della Polcevera, continuava a essere divoto;
ma Don Vespignani, scorto la il luogo idéale per il Noviziato, ot-
tenne da lui liberta di azione per istabilirvelo.
Bernal non era ancora la cittadina odierna, anzi non era neppure
un villaggio, ma una zona popolata di famiglie che vi ve vano molto
sparpagliate per le loro fattorie e si componevano in massima parte
di Italiani o di figli d'Italiani; nel luogo poi, dove sorse la cittá,
si estendeva una vasta prateria, in cui pascolava libero il bestiame.
Quando vi giunsero i Salesiani, vi esistevano soltanto la stazione fer-
roviaria e una quindicina di casine, nelle quali si recavano a pas-
sare Téstate famiglie benestanti della Capitale, che distava soltanto
15 chilometri. II Collegio con i suoi progressivi sviluppi valorizzó la
proprietá immobile e serví di richiamo, sicché, come intorno agli
antichi monasteri benedettini, edificio aggiungendosi a edificio, s'ar-
rivó alio stato presente, ancora sempre in vía di progresso.
Mons. Cagliero, quando fu sul posto per vedere il terreno do-
nato, lo trovó naturalmente troppo limitato per il nuovo scopo;
quindi, valendosi della confidenza che aveva col donatore e ricor-
rendo a una delle sue tróvate, gli propose di amplíame i confini
per tutto il tratto che egli avrebbe misurato a occhi bendatL Quegli
annui di buon grado. Allora Monsignore, fattosi bendare. si avanzó
quanto gli parve e s'arrestó. Di la pertanto si cominció a tirare il
muro di cinta, nel cui perímetro fu elevato il primo corpo di fab-
brica. Don Bourlot, párroco di S. Giovanni Evangelista alia Boca,
si addossó il carico di venire in aiuto dell'Ispettore, facendo innal-
zare a spese della propria Casa quel fabbricato e piü tardi anche
la chiesa, che il Vescovo della Plata eresse in parrocchia.
I Salesiani andarono a Bernal il 18 gennaio 1895. I novizi, tutti
chierici, erano sei; ma accanto a loro vi dovevano essere anche gli
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Capo XXX11
aspiranti, che nel primo anno furono 27, proyenienti dalle Case
di Buenos Aires.
Nell'elenco del personale figura assistente il chierico Nicola
Esandi, oggi Vescovo di Viedma. Don Antonio Scasso, presente-
mente Direttore a S. Nicolás de los Arroyos e allora noyizio, rias-
sume in tre frasi la yita di quei primordi: poca chiesa, molto la-
yoro, scarso pane (1). Poca chiesa, perché, non essendovi cappella
in casa, dovettero nei due primi anni fare ogni mattina mezz'ora di
strada fino a Quilmes per ascoltare la Messa e riceyere la comu-
nione, dopo di che in chiesa non s'andaya piü. II cronista del la
Casa, testimonio oculare, scrive: « In mezzo a tanta povertá e con
tanto lavoro noi eravamo felici e viveyamo contenti» (2).
La trágica scomparsa di Mons. Lasagna lasció un gran vuoto
nell'Ispettoria Uruguaiana-Brasiliana. Era purtroppo scomparso
anche in Don Cipriano colui che ne avrebbe senza dubbio rac-
colto degnamente la successione; ma quante yolte si poté ripetere
dei primi discepoli di Don Bosco in casi simili il yirgiliano: Uno
¿ivulso non déficit alter! Anche questo tenga presente chi yorrá mi-
surare tutta la grandezza di Don Bosco, quale plasmatore d'uo-
mini. Don Gamba, che fu il designato a succedere, sostenne con
onore l'oneroso carico, sebbene alleggerito della parte soggetta al
Brasile, avendo giá in entrambi gli Stati l'Opera salesiana rag-
giunto un grado di maturitá sufficiente da poter costituire due
distinte Ispettorie. Del nuovo Ispettore durato in carica 27 anni, si
legge in un autorevole documento del 1908 (1): « II Sig. D. Giuseppe
Gamba ha ottime qualitá per ben dirigere l'Ispettoria. Conoscitore
dello spirito salesiano, osseryante, lavoratore, difensore acérrimo del-
l'autoritá dei Superiori, ha layorato immensamente per ben organiz-
zare FIspettoria secondo le prescrizioni delle Costituzioni. »
Fino al 1898 Don G a m b a non fece nuove fondazioni; solo in
quell'anno inizio la Scuola Agrícola Jackson nel Manga, a 17 chi-
lometri da Montevideo. Non fu certamente inerzia la sua, ma dura
(t) Ispeitoria Argentina. Cronistoria delle singóle Case. Pag. 1 (inédita).
(2) En medio de tanta pobreza y trabajo éramos dichosos y estábamos contentos. >
(3) Arch. Sal., 6-XVl-l.
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In Argentina, Uruguay e Cile dal 1894 al 1898
necessitá per sistemare la situazione económica. A Mons. Lasagna
non avrebbero fatto difetto i mezzi per estinguere i debiti da luí
contratti, tanta era la sua valentia e tanto il suo crédito; ma ehi
venne dopo non godeva ancora di tanta popolaritá. Quindi, per
usare una frase del citato documento, dovette fare " sforzi tita-
nici" per pareggiare le partite.
La Casa suddetta prese il nome da Giovanni Jackson, membro
di una famiglia che aveva benefícato molto i Salesiani al loro primo
giungere nella Repubblica. Egli aveva donato nel Manga 405 ettari
di terreno a religiosi di una comunitá franéese affinché vi istituis-
sero una Scuola Agrícola a vantaggio di giovanetti poveri; ma pochi
anni dopo, scioltasi quella comunitá, Mons. Soler, Arcivescovo di
Montevideo, mediante lunghe e laboriose pratiche, ottenne che fosse
ceduto a lui ogni diritto sulla proprietá. Allora egli invitó i Sale-
siani a formare ivi la voluta Scuola; al quale scopo fece atto di
vendita della possessione in favore di Don Gamba, che, cedendo
alie sue vive istanze, vi mandó i Salesiani nel 1898. Incomincia-
rono essi a fare i primi tentativi per attuare il disegno del Jackson;
ma sorsero non lievi difficoltá. Anzitutto la mancanza di personale
técnico; poi la scarsezza di mezzi pecuniari; infine la necessitá di
trasferire aspiranti. novizi, studenti di filosofía e di teología da
Las Piedras in luogo che offrisse condizioni piü vantaggiose, quali
presentava Fedificio sorgente nel mezzo della proprietá del Manga.
Tutto questo fu causa che si mettesse un po' a dormiré l'adempi-
mento dell'obbligo assunto di formare la Scuola Agrícola. In un
edificio provvisorio si teneva bensi un piccolo numero di giovani ad-
detti ai lavori della campagna, ma non era una Scuola orgánica e
regolare. Tale stato di cose si protrasse finché le circostanze, piú
che favorire, non imposero la soluzione dell'annoso problema.
L'Ispettoria cilena, terzo oggetto di questo capo, ne' suoi inizi
non era autónoma, ma imita alia Prefettura Apostólica della Pa~
fagonia Meridionale e perció dipendente da Mons. Fagnano. Cosí
rimase dal 1892 fino al 1896, quando Mons. Costamagna, fatto nel
1895 dalla Santa Sede Vicario Apostólico di Méndez e Guaiaquiza
e Fainio dopo dal Retíor Maggiore Don Rúa suo Vicario Genérale
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Capo XXXII
per le Case Salesiane sul versante del Pacifico, divenne anche, per
le ragioni che diremo fra breve, Ispettore del Cile, con residenza
provvisoria a Santiago.
Cinque Case vennero aperte in questa Ispettoria fra il 1894 e
il 1897; la prima fu quella di Valparaíso. Nell'ultimo sogno mis-
sionario, fatto da Don Bosco a Barcellona nel 1886, Valparaíso a p -
pariva come futuro centro di attivitá salesiana sulle sponde del
Pacifico, e i Salesiani vi erano molto aspettati. Pochi mesi prima
della morte di Don Bosco la signora Antonia Ramirez de Rabusona
aveva lasciato per testamento un legato di terre e case, affinché la
rendita andasse a favore della Scuola professionale, che essi avreb-
bero fondata nella sua cittá. Gl'immobili stavano nelle maní del-
l'Arcivescovo, che aveva l'obbligo di conservarli e di deposítame
i frutti, finché venissero i figli di Don Bosco. Questo si portava a
conoscenza di Don Rúa nel febbraio del 1888, come puré che la
signora aveva depositato seimila pesos per il viaggio dei Missio-
nari dall'Europa a Valparaíso (1). Don Rúa rispóse che si sarebbe
fatto tutto il possibile per soddisfare al desiderio espresso, ma che
allora la scarsezza del personale e l'ordine di Don Bosco di non
aprire Case nel primo anno dopo la sua morte, lo impedivano; che
se intanto si spedisse la somma depositata, ció sarebbe servito di
stimolo a far presto.
II presto fu relativo; i Salesiani vi poterono andaré nel febbraio
del 1894, fondandovi un Istituto semigratuito per artigianelli. In tale
circostanza Mons. Fagnano prese possesso del legato. Due anni dopo
vi si aggiunsero una sezione di studenti per giovani di media con-
dizione con scuole elementari e piú tardi anche un Corso Com-
merciale. L'oratorio festivo cominció puré nel 1896. La Casa subí
v a r i é modificazioni; finché nel 1902, lasciato il primitivo edificio in-
teramente per le Scuole Commerciali interne ed esterne, che erano
volute dalle necessitá del luogo e dallándole del paese, ne fu inau-
gurato un secondo con soli laboratori, che presero notevole svi-
luppo, riportando parecchie onorificenze in pubbliche Esposizioni.
(i) Lcit. <h Manuel Hidalgo Carrasco, 25 febbraio 18S8.
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In Argentina, Uruguay e Cile dal 1894 al 1898
Alie povere casette del 1894 con 16 ragazzi era sottentrato allora un
grandioso fabbricato con 400 alunni. Molto fecero sempre quei Con-
fratelli a pro degli Italiani emigrati nella metrópoli commerciale
del Cile. Non va dimenticata colei, nella quale i Salesiani trovarono
sempre una vera mamma, la ricchissima e caritatevolissima signora
Giovanna Ross de Edwards, che dopo averli assistiti e soccorsi con-
tinuamente in vita, pensó puré ad essi in morte, legando al Colle-
gio S. Agostino la somma di centomila pesos. Né si deve tacere
del primo Direttore Don Spirito Scavini, figlio dell'Oratorio. Aveva
lavorato giá dieci anni nell'Uruguay ed era succeduto a Don Ra-
bagliati nella direzione della Casa di Concepción. Uomo attivis-
simo, attaccato alie tradizioni salesiane, paterno e gioviaie, mo-
delló la vita di quei primi anni su quella dell'Oratorio, massime
nello spirito di famiglia.
A Santiago esisteva giá il Collegio Gratitud Nacional, di cu i ab-
biamo parlato; ma nella popolosa Capitale c'era posto anche per un
altro. Come il precedente, cosi questo non sorse ex novo, ma con-
tinuó e sviluppó un'opera precedente, che senza l'intervento dei
Salesiani sarebbe venuta meno. Un sacerdote del Cile, Don Blas
Cañas, mosso dalla sua carita, aveva fondato una Casa di bene-
ficenza detta del Patrocinio di S. Giuseppe, nella quale faceva im-
partiré a ragazzi poveri un insegnamento professionale sufficiente
a procurar loro il mezzo di guadagnarsi onestamente il pane. Per
questo lo chiamavano il Don Bosco di Santiago. Morto íui, l'Ospizio
passó all'Autoritá diocesana, che lo trasformó, destinándolo a Col-
legio per scuole secondarie; ma dopo qualche tempo nel 1894, per
assicurarne l'esistenza, lo affidó ai Salesiani. Essi ne accrebbero la
capacita, ammettendovi con gli interni anche alunni esterni e man-
tenendone ogni anno fra i primi una trentina gratuitamente e altri
con riduzione di retta. Qui come alia Gratitudine Nazionale si co-
minció súbito Poratorio festivo. Quanto ve n'era bisogno! Ancora
nel 1902 Don Albera, che visitó entrambi gli oratori, provó insieme
gran pena e gran consolazione a vedere quei ragazzi: pena, per-
che sdrusciti, sporchi da non si credere e ignorantissimi di religione;
consolazione, pensando alia bontá di Dio, che aveva suscitato Don
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Capo XXXII
Bosco per aiutare quei miseri figli del popólo, dei quali allora nel
Cile, e non solo nel Cile, nessuno si occupava (í).
Due Case sonó del 1895. Una, non molto distante da Santiago,
ai piedi della gran Cordigliera andina, in mezzo a una ridente cam-
pagna, fuori dei centri abitati, fu il Noviziato e aspirantato di Ma-
cül. Oggi é puré studentato filosófico. Bisogna pero confessare che
neU'Ispettoria non abbondarono mai le vocazioni; l'ambiente sociale
nella maggioranza della popolazione non vi sembra guarí propi-
zio (2). Anche il poco o nessun contó che si fa degli studi classici,
latino e greco, nei programmi delle scuole secondarie nell'America
latina, contribuisce, dove piú dove meno, a straniare la gioventíi
dallo stato ecclesiastico. Tuttavia Macúl ha dato e da un certo con-
tingente di buoni soggetti alia Congregazione (3); i quadri per altro
vengono completati con personale mandato da Torino. F r a il 1894 e
il 1898 Torino invió al Cile 37 Salesiani, dei quali 12 coadiutori,
22 chierici e 3 sacerdoti; senza contare naturalmente quelli desti-
nan alia cilena Terra del Fuoco.
L'altra Casa del 1895 era una Scuola pratica di Agricoltu ra,
aperta presso Melipilla, a unora di ferrovia da Santiago. Promossa
dal sacerdote Emmanuele de la Cruz Flores e da altri personaggi,
fu veduta con gran favore dal Gobernó, tanto che alia posa della
prima pietra intervenne con l'Arcivescovo il Presidente della Re-
pubblica, accompagnato da un gran seguito di Autoritá e di citta-
dini. Purtroppo taluno aveva fatto imprudentemente pubbliche pro-
messe esagerate di " un personal de especialistas en las diversas
y mas importantes ramas de la industria agricola, como agrónomos,
horticultores, veterinarios e t c . " (4). Ce n'era giá d'avanzo senza
laggiunta di quelFeccetera. Questo creó un'aspettazione straordi-
(1.) Boíl. Sal., setiembre Í903. Circa cose previste da Don Bosco, cfr. Annali, pp. 558-9.
(2) Ancora nel 1920 l'Ispettore Don Nai nel suo resoconto annuale scriveva: « La coltura delle vo-
cazioni é la raccomandazione che piú volte all'anno fa l'Ispettore e che ripete in ogni visita che fa alie
singóle Case; ma non s'incontra che raramente qualche alunno che dia segnali di vocazione religiosa. >
(3) Uscirono da quei Noviziato Mons. Abramo Aguilera, Vicario Apostólico di Magellano e poi Ve-
scovo residenziale di Anctid, uomo di grande zelo, di pietá escmplare, di forte ingegno e di spirito sein-
pre interamente salesiano, e Mons. Arturo Jara, Vicario Apostólico di Magellano.
(4) Escuela Practica de Agricultura de Melipilla bajo la directión de los RR. PP. Salesianos.
Santiago, Imprenta Roma, 1886. Pag. 22.
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In Argentina, Uruguay e Cile dal 1894 al 1898
naria con le conseguenze facili a immaginarsi. Dopo nove anni di
vita stentata, non sapendosi ancora dove trovare il personale pro-
messo, la Casa venne chiusa. Don De la Cruz continuó a reclá-
mame il ritorno, finché liberó ufficialmente i Salesiani da qualun-
que obbligazione.
NelVottobre del 1886 Don Bosco ricevette da Roma u n a lettera,
scritta da un cileno, nella quale gli si parlava di una proposta per
Iquique, cittá marittima a Nord del Cile; il Santo fece rispondere
che si rimandava a piü tardi la pratica e che intanto si trattasse
con Mons. Cagliero. Dopo non sappiamo pin nulla fino al dicembre
del 1893, quando la stessa domanda pervenne a Don Rúa da parte
del Vicario Apostólico della provincia di Tarapacá, il quale risie-;
deva in Iquique. Tutto quel territorio, compresa la cittá. aveva solo
sei preti, e non una Congregazione religiosa, non un Collegio cat-
tolico. « Questa provincia, diceva lo scrivente, perde la fede per
mancanza di operai evangelici.» Mons. Fagnano, che aveva visi-
tato due mesi prima il luogo, conveniva circa la straordinaria ne-
cessitá di aprirvi una Casa Salesiana. Nel gennaio dell'anno se-
guente il nostro venerando Confratello Don Camillo Ortuzar (1).
giá primo Vicario di Tarapacá, ma non Vescovo, informato della
pratica, scriveva da Valsalice a Don Durando: «Mi sembra che i
Salesiani potrebbero fare un bene immenso, forse piü grande che
in qualunque altra cittá, che abbia egual numero di abitanti. Iqui-
que a motivo della sua grande ricchezza (2) é la cittá piü immortale*,
é un carnevale permanente," diceva un signore che fu Ministro
di Stato. Gli stranieri, che son numerosi, dicono anzi che nessuna
cittá la eguaglia sotto questo aspetto. I ragazzi poi sonó veramente
piü abbandonati che in qualunque altra parte e piü esposti ai
maggiori pericoli. Tutto quello che'Lei immaginerá intorno a que-
sto punto, sará sempre poco.» Don Durando, pur esprimendo il
vivo desiderio di esaudirlo, accampava l'impossibilitá per man-
canza di personale; gli consigliava intanto di rimettere la cosa a
Mons. Fagnano.
(1) Annali, pp. 607-8.
(2) üovuta specialmente al commeicio del salnitro.
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Capo XXXII
Aspettandosi che Fimpossibilitá scomparisse, fino al 1896 da
Iquique non s'insistette oltre; allora invece vi fu uno scambio di
corrispondenza fra il Vicario Apostólico Cárter e Don Rúa. II mo-
mento parve buono. Giovó una relazione di Mons. Costamagna, che,
essendo in viaggio per FEquatore, si era trattenuto un po' a Iqui-
que. Scriveva (1): « Se vi é un luogo bisognoso di Salesiani, Iqui-
que é desso. É cittá di 36 mila anime, tutte riunite nel negozio del
salnitro, di cui é ricchissima la provincia di Tarapacá. In questa
cittá si vedono tutti i progressi materiali, la luce elettrica in ogni
strada, l'acqua corrente, il telégrafo, il telefono, i tramwais, varié
stamperie e librerie ecc; e non vi é una scuola cattolica, non una. I
Protestanti hanno un grande Collegio, i Massoni idem, gli incre-
duli idem. Non c'é che il povero Vicario con due preti per 36 mila
anime, tutte raggruppate intorno all'idolo oro, mentre una gran
parte corre forsennata alie Case di Protestanti, di cui Iquique é
zeppa. Don Camillo Ortuzar che fondo questa Chiesa e Vicariato,
certamente supplica dal cielo gemitibus inenarrabilibus, perché ven-
gano presto i Salesiani. lo faccio eco a lui. »
Don Rúa, che aveva ignorato fino allora tanta invasione prote-
stantica a Iquique, non ebbe bisogno di altro stimolo per affret-
tare quella fondazione. Fu inviato Direttore Don Luigi Quaini, che
dirigeva la Casa di Riobamba nell'Equatore. Egli arrivó a Iquique
da solo nel gennaio del 1897. Convisse un mese e mezzo col Vica-
rio Apostólico, ahitándolo nel sacro ministero, finché gli giunse da
Valparaíso il personale, composto di un prete e due chierici. Allora
andarono ad abitare nella casa preparata e ammobiliata da Mon-
s ignore, che di tutto fece légale donazione. La casa, abbastanza
bella, si prestava bene per laboratori; aveva annessa una chiesa.
I Salesiani apersero súbito l'oratorio festivo e presero a ufficiare
decorosamente la chiesa; poi iniziarono la scuola di arti e mestieri
prima per soli esterni, appresso anche con interni. A poco a poco
persone facoltose si avvicinarono loro, soccorrendoli. Nel 1898 fu
celebrata per la prima volta la festa di Maria Ausiliatrice. prece-
lo [quiquc, J3 luglio 1896.
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In Argentina, Uruguay e Cile dal 1894 al 1898
duta da novena. Un ricco protestante inglese aveva donato la statua.
I giovani cantarono alia Messa solenne. Non era ancora prudente
tentare la processione; ma l'insieme della celebrazione, tenuto contó
dell'indifferenza religiosa che regnava in cittá, produsse buoni ef-
fetti. Ben presto pero si vide che con " Artes y Officios" non si
sarebbe mai fatto nulla di serio; perció nel 1900 si tennero soli stu-
denti. COSÍ di anno in anno la Casa si affermó e s'ingrandi fino
a divenire un bel Collegio capace di 250 alunni.
Nel 1897 accadde nel Cile un fatto che per fortuna, come scrisse
Don Rúa (1), era "Túnico e del tutto nuovo nella nostra Societá. "
La Casa di Concepción, la prima aperta nel Cile, erasi dovuta
sciogliere sotto la minaccia di fallimento. I Superiori e i Direttori
d'America non avevano lasciato nulla d'intentato per iscongiurare
un tale disastro, che avrebbe gettato la sfiducia e il disprezzo su
tutti i Salesiani; ma puré quella spada di Damocle pendeva tut-
tora sul capo. Per mettersi al riparo bisognava disporre di una
somma enorme. Quali erano state le cause di tanta catástrofe?
II Direttore, obbedendo solo al suo entusiasmo e al suo buon
cuore, aveva concepito l'idea di fare della sua Casa un Istituto di
prim'ordine, dove allargare senza limite la beneficenza. Perció aveva
edificato locali di solida costruzione, fornito i numerosi laboratori
di molte e grandi macchine provenienti dall'Europa, affollati i la-
boratori di capi e di operai esterni, che curavano i propri inte-
ressi e non il profitto degli alunni, sciupando roba e smungendo
le finanze; inoltre manteneva gratuitamente 150 giovani. Si capisce
che in questo modo i debiti montavano alie stelle. I creditori, su-
bodorato il dissesto, cominciarono da tutte le parti a esigere e poi
a minacciare. Mons. Costamagna mandó la un Confratello di sua
fiducia, dandogli carta bianca, purche salvasse l'onore della Con-
gregazione. Quegli, messosi all'opera, sospese il movimento delle of-
ficine, congedó gli esterni, restituí alie loro famiglie i giovani della
cittá e dei vicini sobborghi, cercando intanto di tacitare i credi-
tori con acconti ricavati dalla vendita di mobili e di lavori corn-
il) Circolare 20 gennaio 1898.
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Capo XXXII
piuti; infine, chiamato un ottimo amico e benefattore e valente av-
vocato, gli consegnó il libro dei debiti, pregándolo d'intendersela
lui con gl'interessati, mentre si farebbe il possibile e rimpossibile
per cercar danaro.
Le cose erano a questo punto, quando Don Rúa diramó l'accen-
nata circolare nella quale diceva ai Direttori: «Mettiamoci tutti,
viribus unitis, a praticare Feconomia per soddisfare quei creditori.
Se col rinviare ad altro anno una costruzione o qualche miglioria
nel vostro Istituto, col risparmiare qualche cosa nel vestiario o
nei viaggi e nelle passeggiate, riuscite a raggranellare qualche soc-
corso da inviarmi per quella Casa, avrete contribuito ad alleviare
di non poco le pene del vostro Rettor Maggiore. Sara pur questa
una prova di quella vera e ben intesa solidarietá, per cui i bisogni
e le pene di un confratello sonó bisogni e pene di tutti.»
L'ingente somma doveva essere pronta per il prossimo marzo. II
tributo della fraterna carita giunse a tempo e in misura bastevole
per impediré che venisse dichiarato il falimiento. Appresso un nuovo
Direttore Don Luigi Salaberry con la prudenza, con la saggia am-
ministrazione, con le buone maniere riusci a ricuperare l'antica
stima e benevolenza da parte dei benefattori. Le scuole interne ed
esterne furono riaperte, i giovani attratti dall'abnegazione e dalla
bontá dei Superiori tornarono ad afíluire, e le cose ripigliarono adagio
adagio il loro corso nórmale.
Quell'altro Direttore Don Alessandro Garbari non aveva agito
per megalomania o per altro movente di simil genere, Mosso a pietá
di tanta gioventú estremamente bisognosa e guardando solo da un
lato alio zelo di Don Bosco, aveva creduto di poterlo imitare senza
seguiré puré la sua illuminata prudenza e senza possedere i suoi
carismi soprannaturali. Accettava quindi gratuitamente assai piü gio-
vani poveri che non lo permettesse un'amministrazione oculata e
mise mano a costruire e a tutto il resto che dicevamo. Del su o
buono spirito diede prova chiedendo in grazia di andar a espiare
il proprio errore ad Agua de Dios, pronto al sacrificio della vita
nella cura dei lebbrosi. Don Rúa, che ne aveva riconosciuto le ot-
time intenzioni, lo mandó alia Contratación, di cui diremo piü ¡n-
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In Argentina, Uruguay c Cile dal 1894 al 1898
nanzi. Visse cosi sedici anni in mezzo a quegli infelici, edificando
tutti con l'eroismo della sua carita.
Anche la gara di solidarietá suscitata dall'appello di Don Rúa
ha diritto di essere consacrata alia storia della Congregazione e con
le parole stesse del Successore di Don Bosco. Nella " Lettera edifi-
cante " del 24 giugno 1898 scriveva:
lo vidi una gara tra voi per soccorrere quella casa, che mi ha proprio con-
solato. Le case delJ'antico continente gareggiarono con quelle del nuovo, che giá
prima si erano quotate per soccorrerla, e tra tutti si poté ben presto scongiurare
il pericolo che andasse all'asta pubblica; ed ora, sebbene i debiti non siano ancora
tutti estinti e vi sia ancora bisogno di soccorso, i creditori si sonó accontentati pe!
momento di quanto si fece, e giá si poté riaprire il collegio, benché con un numero
di giovani molto limitato, non permettendo ancora le finanze di tenerne un numero
maggiore.
La suddetta mia raccomandazione suscito in vari Collegi atti veramente ge-
nerosi, che mi consolarono anche di piü giungendo alcuni a fare veré privazioni
per venire in soccorso dei Confratelli. Un Direttore, che mi mando una somma se-
cundo le sue forze, unitamente mi scriveva le seguenti parole, che, vi assicuro, mi
intenerirono proprio, e ve le riporto qui a comune edificazione: « II proposito che
abbiam fatto nell'esercizio di buona morte del mese é stato questo: — Ad onore di
Don Bosco e per amore della Congregazione osserveremo in special modo il santo
voto di povertá custodendo con ogni possibil cura gli oggetti d'uso ed evitando non
solo ogni spesa superílua, ma anche limitando le necessarie. — Spero che la pra-
tica di tale proposito ci metiera in grado di poter mandare alia fine del mese
qualche altra sommetta. »
Un altro Direttore d'una Casa incipiente ed assai povera, mandando la sua
piccola quota, mi scriveva: «Quanto a noi le diré che il Signore sembra davvero
benedirci. Non siamo circondati da ricchi, che altrimenti potremmo raccogliere
molto piü danaro pei bisogni della Congregazione, ma siamo molto amati da tutti,
e tutti mandano qualche cosa. Ci raccomandiamo sempre a Don Bosco, e di tanto
in tanto riceviamo qualche offerta in ringraziamento di grazia ottenuta per Ínter-
cessione del venerato nostro fondatore |...|. Speriamo che la Provvidenza ci manderá
tanto danaro da poter fare presto un'altra bella offerta alia S. V. che ne ha tanto
bisogno; noi continueremo a pregare ed a far sempre tutta reconomia possibile, »
Questa gara nella carita reciproca, come dissi, e queste lettere mi consolarono
molto.
É dello stesso anno e dello stesso Collegio uno di quei casi, che
si esiterebbe a chiamar casi. Un giorno in nn'aula del vecchio edi-
ficio al pianterreno stava riunita una numerosa scolaresca di pie-
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Capo XIXU
coli, intenti a copiare dal sillabario per esercizi di scrittura. Uno
di essi, avvicinatosi alia cattedra, domando al maestro di uscire.
11 maestro, non persuaso della necessitá per essere da poco tempo
cominciata la lezione, gli negó il permesso. Passati pochi minuti,
il medesimo fandullo ripeté la domanda; a lui si aggiunsero altri,
pregando l'insegnante che li lasciasse andar fuori, perché non si
sentivano piú di rimanere la entro. In quella mossa il maestro so-
spettó che vi fosse un capriccio o un puntiglio per amor del com-
pagno; tuttavia, osservando nei fanciulli la modestia del contegno.
senza nemmeno rendersi ragione del perché, si sentí spinto ad aecon-
discendere. Li mandó dunque tutti nel cortile. L'ultimo ragazzo ac-
canto al precettore aveva appena messo il piede fuori della soglia,
che s'udi uno scroscio formidabile e si vide un nembo di polvere
oscurare l'aria: un muro, cedendo alia pressione, erasi piegato su se
stesso, e la volta era piombata sul pavimento. Chi aveva fatto evi-
tare in modo cosi singolare quella strage d'innocenti? Ai Confra-
telli dopo le passate afflizioni tornó di non Heve conforto il pen-
sare che Maria Ausiliatrice continuasse a mostrarsi loro Madre pro-
pizia. In onore di Lei dopo la sistemazione delle cose avevano ce-
lebrato una giornata di ringraziamento, portandone per la prima
volta l'immagine processionalmente attraverso la cittá; nel misterioso
episodio parve dunque ad essi di scorgere un tratto della sua bontá
materna verso la loro Casa.
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CAPO XXXIII
Nel Brasile dal 1894 al 1898.
(Recife, Cachoeira, Campiñas, Coxipo, Cuyabá, Missione dei Bororos)
La fulmínea scomparsa di Mons. Lasagna turbo gli animi, ma
non arrestó nemmeno per breve tempo l'attivitá dei Salesiani nel
Brasile; dietro di lui c'era la Congregazione, che, rimediato alie
conseguenze della sciagura, riassestó le cose, ultimando le opere ri-
maste in tronco. Anzitutto Don Rúa riuni in Ispettoria a sé le Case
del Brasile, preponendovi Don Cario Peretto, Direttore del Colle-
gio S. Gioachino a Lorena, il quale divenne sede ispettoriale. II no-
vello Ispettore aveva fatto i primi studi nell'Oratorio, donde an-
cora chierico era partito per l'America nel 1878. Portava in sé, ap-
presa alia scuola di Don Bosco, una fede salda, semplice e quasi in-
fantile, che ne doveva alimentare la pietá per tutta la vita. Nel
giorno della partenza Don Bosco gli aveva detto una parola mi-
steriosa. É antica consuetudine che in tale circostanza i Missio-
nari seggano alia mensa dei primari Superiori. Allora dunque Don
Bosco, dopo aver annunciato al nostro chierico che avrebbe avuto
molto da lavorare, tolse dalla fruttiera un arancio e glielo porse di-
cendo: — Prendilo. Te ne ricorderai quando sarai nel paese degli
aranci. — Nell'America fu destinato all'Uruguay, dove non c'erano
piante di quei frutti; quindi pensava che non fosse la i\\ suo posto.
Infatti venne mandato presto nel Brasile, i cui immensi aranceti lo
persuasero essere ivi il campo di lavoro indicatogli da Don Bosco.
Fatto poi Ispettore nel 1896, la conoscenza delle persone e delle cose
e resperienza di molti anni gli giovarono grandemente per continuare
le belle tradizioni di Mons. Lasagna, del quale aveva goduto a lungo
la familiaritá.
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Capo XXXU1
L'ultimo e fatale viaggio di Mons. Lasagna aveva avuto per
iscopo, come dicemmo nel capo ventunesimo, di fare alcune fonda-
zioni, che dopo la sua morte non furono abbandonate, anzi vennero
attuate entro l'anno. Intendo le due Case di Ouro Preto e di Ponte
Nova per le Figlie di Maria Ausiliatrice, presso ognuna delle quali
risiedette un solo Salesiano per l'assistenza spirituale. Ora dobbiamo
diré di una fondazione che fu ancora fatta da lui. ma della quale
non poté piü vedere gli inizi; voglio alludere alia Casa di Pernam-
buco, aperta sul cadere del 1894.
Perhambuco é propriamente il nome di uno Stato fedérale del
Brasile; ma all'estero si suol chiamare cosi la capitale Recífe, terzo
porto della Confederazione dopo Rio de Janeiro e Santos, sulla costa
nord-orientale. II Vescovo di Olinda, Giovanni Esberard, dal quale di-
pendeva allora la cittá, avendo visto i Salesiani all'opera nei Collegi
di Rio de Janeiro e di Nietheroy e conosciuto personalmente Don Bosco
e Don Rúa, nutriva grande stima e affetto per la Congregazione,
né vedeva il momento di a veré una Casa salesiana a Pernambuco.
Ne parlava con persone influenti, diresse ai diocesani un caloroso
appello perché gli venissero in aiuto (1) e costitui una Commis-
sione di nobili signori, affinché cercassero i mezzi necessari. Tale
Commissione era presieduta dal pió e zelante Dottor Cario Alberto
de Menezes, le cui lettere a Don Rúa rivelano un'anima grande e
disinteressata. Invitato dal Vescovo, Don Lasagna era stato a Per-
nambuco, nel 1891, dando fórmale promessa, anzi indicando puré
la casa da acquistare per aprirvi il Collegio. La casa, comprata con
le offerte raccolte dalla Commissione, fu poi intestata con scrittura
pubblica ai Salesiani Don Lorenzo Giordano e Coadiutore Cario
Roasetti. Era un antico edificio, giá residenza clei governatori pro-
vinciali portoghesi prima dell'indipendenza, Quante e quali solle-
citazioni non si susseguirono per implorare da Don Rúa che si
troncassero gl'indugi! Don Rúa, fin da principio favorevole alia
fondazione, non poté mettere insieme il personale voluto se non nel
1894. I Confratelli designati lasciarono Torino il primo novembre, fa-
(1) Appello para a fundando de um Collegio Salesiano, 1892.
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'Nel Brasile dal 1894 al 1898
cendo parte di una numerosa spedizione capitanata da Don To-
matis. II vapore clie li portava giunse in vista di Pernambuco il
9 dicembre sul far della notte. Uindomani un Lazzarista italiano
e il signor de Menezes andarono con un vaporino a prenderli. La
piccola carovana si componeva di due preti, tre chierici e un coa-
diutore; dei due preti uno era il Direttore Don Giordano, ex-diret-
tore del Liceo Sacro Cuore a S. Paolo. Alio sbarco li aspettavano i
membri della Commissione e altri signori. Introducendo i Salesiani
nella casa loro destinata, il Presidente de Menezes ci tenne a diré
forte in italiano: — Questa e casa di Don Bosco. — Delicato pen-
siero, per far intendere ai Salesiani che non entravano in casa al-
trui, ma in casa propria.
Si era allora nel cuore dell'estáte, ne le scuole si sarebbero aperte
fino a marzo; perció i nuovi venuti ebbero agio e tempo di assue-
farsi al clima, di esercitarsi nella lingua portoghese e di orientarsi
nel loro nuovo mondo. Non trovarono piü Mons. Esberard. promosso
alia sede metropolitana di Rio de Janeiro; ma il suo successore li
accolse con i segni della piü cordiale benevolenza; i benefattori poi.
amantissimi di Don Bosco, dimostravano la massima fiducia ne'
suoi figli e buone disposizioni ad aiutarli. II Direttore, d'accordo
con tanti cari amici, cominció circa alia meta di gennaio l'oratorio
festivo, disponendo cbe la solenne inaugurazione del Collegio si
facesse il 10 febbraio. Quel giorno fu cantata la Messa con assi-
stenza pontificale e con l'intervento di rappresentanze delle Autoritá
civili e militari, del Commercio, delle Congregazioni religiose e della
Stampa. Don Giordano tenne un discorso su Don Bosco e le sue
Opere. Dopo arrivó il Governatore con grande seguito, visito tutto
il Gollegio, fece i migliori auguri e invitó il Direttore a passare da
lui per ricevere una somma da impiegarsi nell'impianto idraulico e
sanitario; concesse puré i mobili, gli arredi sacri e l'altare di una
cappella chiusa.
La prima idea dei promotori era stata di fondare un Collegio di
arti e mestieri; ma non essendovi in cittá nemmeno una Casa di
educazione cristiana, la Commissione ottenne dal Direttore che con
gli artigiani vi fosse anche la sezione degli studenti; perció si aper-
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Capo XXXI1 i
sero súbito le scuole primarie, mediante l'aiuto p u r é di qualche ¡asi-
gnante esterno.
Le difficoltá, come sempre, non tardarono a farsi sentiré; la piü
grave di tutte fu per causa delle malattie, che piü volte diedero
seri fastidi. Una volta, sul principio, quasi tutti i Confratelli erano
a letto, né si sapeva come provvedere all'assistenza degli infermi.
Ció inteso, parecchi buoni signori se li presero nelle loro famiglie,
circondandoli delle piü premurose cure. Per qualche tempo manca-
rono cose indispensabili, come tutto l'occorrente per Filluminazione
notturna. II riattamento della casa importó debiti. Alcuni scoraggiati
susurra vano all'orecchio del Direttore di chiudere e andar via; nía
la tempra virile di Don Giordano superó le dure prove. Le pri-
marie famiglie vi mandavano i fígli e si mostravano soddisfatte. Col
tempo gli alunni usciti rimanevano affezionati al luogo e ai Supe-
riori, ritornandovi spesso e volentieri. Lo sviluppo edilizio, l'orga-
nizzazione degli studi e i progressi dei laboratori resero i] Collegio
salesiano una delle piü importanti istituzioni cittadine (1),
Nel trágico 6 novembre 1895 Mons. Lasagna aveva per p r i m a
meta del suo viaggio Cachoeira do Campo, dove si recava ad aprire
un Collegio da intitolarsi Escolas Dom Bosco; egli conduceva seco
anche il Direttore designato, Don Domenico Albanello. II villaggio
di Cachoeira appartiene al Minas Geraes, uno degli Stati piü sim-
patici, piü popolati e piü religiosi del Brasile. Don Lasagna Paveva
percorso nel 1893, incontrandovi molti Italiani. In quella circostanza
si era inteso con il Governatore per la fondazione del Collegio di
Cachoeira (2); ma colui che da lungo tempo caldeggiava tale fon-
dazione era il Vescovo di Marianna Silverio Gomes Pimenta. Ap-
p u n t o nel 1895 egli aveva ottenuto dal Governo dello Stato che fosse
ceduta ai Salesiani nella persona di Don Lasagna un'estensione di
circa 1800 ettari nei dintorni di Cachoeira, a 24 chilometri da Ouro
Preto, capitale allora del Minas Geraes. Si trattava di una proprieta
a p p a r t e n u t a aH'Imperatore D o n Pedro II, il quale nel 1889. clopo
(1) Enciclopedia Italiana sotto le voci Pernambuco e Recife (prof. Emilio Malesani).
(2) Lett. al prof. Olivi dell'Universitá di Modena, Guaratinguetá, 23 novembre 1893. La loffcra,
comparsa nelYEco tVUalia, fu riportaía dal ñollettino Salesiano del marzo 1S94.
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Nel Brasile dal 1894 al 1898
la rivoluzione che lo detronizzó, e sul punto d'imbarcarsi per 1'Eu-
ropa, l'aveYa lasciata al Governo, affinché servisse a fondare una
Casa di educazione.
Vestigia di antica grandezza vi restavano le rovine di un quar-
tiere d'inverno per i soldati portoghesi; uno stemma sormontato dalla
corona del Portogallo reca tuttora la data di fondazione, che é il
1779. II mastodontico edificio, costruito sopra suolo instabile, du-
rante il lungo abbandono era andato in isfacelo: una parte sola dei
muri esterni si reggeva in piedi. Sui ruderi lussureggiava una ve-
getazione tropicale; la sotto stavano intanati rettili e fiere; in alto
entro i crepacci si annidavano civette e pipistrelli. Cosi press'a poco
trovó ancora il luogo Don Albanello, portatovisi súbito dopo la
dolorosa catástrofe. Per arrivarvi guadó fiumi, discese in burroni
infestati da serpi e da lupi, oltrepassó pantani assai pericolosi. si
arrampicó su per monti, dove non c'era cammino praticabile né orma
di piede umano. Quel piccolo prete piemontese aveva un coraggio
da leone.
Al suo arrivo incontró la sopra un confratello, che lo aspettava.
Monsignore aveva mandato Don Zanella a improvvisare una mi-
nuscola dimora, e questi s'era tanto ingegnato da allestire un rifugio,
in cui il Direttore poté mettersi al riparo dalle intemperie e anche
celebrare ogni mattina la Messa. La sua dinámica presenza acce-
leró i lavori di sgombro e di costruzione. Piú di venti carri, tirati
ciascuno da una dozzina di buoi, per una strada fatta fare apposi-
tamente, trasportavano giü tonnellate di pietre e di macerie, men-
tre altrettanti portavano su mattoni, calce, legname e altri materiali,
e Don Albanello, sempre la sotto la pioggia e il solé a vigilare, a
dirigere e a veder crescere casa e debiti. A diría in breve, l'anno
dopo il Collegio poteva giá aprire le porte ai primi 50 giovani.
II fabbricato sorge a 1200 metri sul livello del mare. L'acqua
potabile vi giunge pura e fresca da due chilometri e mezzo di di-
stanza; il clima é mite e températe, il paesaggio incantevole. " Mi
pareva di essere in Liguria", scriveva Don Lasagna nella lettera
citata. Vi si allestirono aule scolastiche, sale di studio, refettorio, ca-
merate, laboratori, teatro ampi e arieggiati, una cappella modesta.
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Capo XXK1U
ma divota. La fama voló per i dintorni, sicché nel 1897 gli al un ni
salirono a 212. II Governo dello Stato, che non aveva lesinato i sus-
sidi nel periodo preparatorio, e il Consiglio municipale di Ouro
Preto vi mantenevano un certo numero di giovani bisognosi; pa~
recchi orfani accettava la Casa gratuitamente; gli altri paga vano
pensione.
I convittori si dividevano in tre sezioni: studenti, artigiani e
agricoltori. Fin dai primi anni, gli studenti, presentati in sempre
maggior numero agli esami pubblici nella capitale dello Stato, ri-
portavano lusinghieri risultati; basta leggere quello che scrivevano
i giornali del tempo. Nel 1901 il Collegio fu pareggiato al Ginnasio
Nazionale, come la si dice. Gli artigiani progredirono fino a eseguire
lavori che riscuotevano le piú alte lodi. Che diré poi degli agricol-
tori? Dati positivi ci mettono in grado di presentare questo spec-
chietto per il 1899: dodicimila viti e frutteti vari; cereali, legumi,
patate, cucurbitacee, ortaglie in abbondanza; buoi, mucche, vitelli,
cavalli, muli, pecore, animali di cortile in numero considere volé, In-
somma una scuola pratica di agricultura ben attrezzata, donde i
giovani uscivano esperti in ogni sorta di lavori agricoli (1).
Ma un Collegio di Don Bosco ha per fine di daré agli alunni
con l'insegnamento scientifico e professionale una buona educazione
cristiana. Una cosa sola voglio rilevare dai dati statistici della Casa,
come índice dello spirito dominante: le Escolas Dom Bosco forni-
rono buon numero di candidati alio stato ecclesiastico, fra i quali
emergono un Vescovo di Caratinga, Perreira Lara, e un Arcive-
scovo di Belem del Para, de Almeida Lustosa.
A Nord di S. Paolo, capitale dello Stato omonimo, é la cittá di
Campiñas, la seconda ivi per popolazione e importanza. In essa da
un'ameníssima altura un Collegio salesiano domina tutto l'abitato.
L'idea della fondazione venne alia pia signora Mari a Umbelina Al-
ves Contó nel 1892. Fine dell'Istituto doveva essere dar ricovero,
educazione e istruzione ai fanciulli rimasti orfani per una fiera e
lunga epidemia scoppiata nel 1889. Era desiderio della fondatrice
(1) Lett. di Don Ferrario in Boíl. Sal, aprile 1900. Repertorio di notizie sonó Memorias dos cinco
lustros das Escolas Dom Bosco (1395-1920). Nictheroy, Typ. Sal., 1921.
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Nel Brasile dal 1894 al 1898
che la Scuola fosse in tutto e per tutto come quella salesiana di
S. Paolo. Essa pero, madre di famiglia, non pote va incaricarsi per-
sonalmente dell'impresa; ne affidó quindi l'esecuzione al Can. Cor-
rea Nery, assicurandogli il suo appoggio in tutto quello che avreb-
be potuto.
II 9 ottobre 1892 venne posta la prima pietra, presentí le rap-
presentanze di ogni classe sociale. Del grandioso edificio aveva fatto
il disegno l'ingegnere salesiano Domenico Delpiano, sotto la cui di-
rezione procedettero i lavori. Le spese venivano coperte con i pro-
venti di tombole, lotterie e feste organizzate daH'infaticabile Can.
Correa.
Questi, consacrato Vescovo nel 1896. non poteva piú occuparsi
dell'opera; rivolse quindi lo sguardo ai Salesiani. Di ritorno da Roma
dopo la consacrazione, condusse con sé due Salesiani concessigli da
Don Rúa. Uno di essi era Don Alessandro Fia, primo Direttore
della Casa. Egli nel 1897 aperse l'oratorio festivo. Di piú non si
poteva fare, consistendo ancora il fabbricato nelle solé pareti col
tetto. Bisognó completarlo a poco a poco. La popolazione vedeva
di buon occhio la nuova istituzione, corrispondendo generosamente
agli appelli rivolti dal D i r e t t o r e . Nel febhraio del 1898 un rin-
forzo di personale permise di organizzare regularmente le scuole
elementan per interni e semiconvittori e le scuole professionali, con
un totale di 64 allievi, che nell'anno seguente oltrepassarono sú-
bito i 150.
Come per tutte le opere di Dio, cosi anche per questa insorsero
contrarietá, tenute vive da certa stampa lócale. Si pretendeva so-
prattutto che l'Istituto adottasse un'amministrazioné mista: i Sa-
lesiani avessero la parte religiosa, cultúrale e disciplinare, e i laici
quella económica. La paziente e costante opera di persuasione svolta
da Don Fia riusci a calmare negli oppositori i bollenti spiriti. con-
vincendoli che tutte le Case salesiane non hanno e non possono
avere se non un solo e idéntico Regolamento, quello dettato e vo-
luto da Don Bosco, il quale fondo Collegi interamente salesiani.
non mezzo salesiani e mezzo non si sa che.
Anche il Matto Grosso vide nel 1897 iniziarsi in Coxipo, a selle
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Capo XXXI11
chilometri da Cuyabá, un'opera che, se non si affaccio con un gran-
de programma, tuttavia fece del bene, come si puó rilevare da una
una pubblicazione del 1919 (1). Fino al 1911 rimase annessa, come
Casa succursale, al Collegio di Cuyabá, il cui Direttore vi esercitava
l'autoritá ordinaria. Prima di quell'anno si chiamó Oratorio di S. An-
tonio; dopo, Scuola Agrícola S. Antonio: poiché vi si presero a educare
e ad addestrare nei lavori campestri giovani poveri, gran parte dei
quali per un notevole periodo di tempo furono soli Bororos, pro-
venienti da vari luoghi di Missione. I Salesiani, usando della cap-
pella pubblica delle Figlie di Maria Ausiliatrice, prestavano larga-
mente il servizio religioso a vantaggio degli abitanti di quei din-
torni. Di mutamento in mutamento, oggi la Casa si é fissata in
quattro attivitá: Scuola Agricola, Scuole elementari, chiesa pubblica
e oratorio festivo. Eresse puré un Osservatorio, le cui periodiche
relazioni sonó state sempre molto apprezzate dalla Direzione me-
teorológica di Rio de Janeiro; l'aveva preceduio l'Osservatorio Don
Bosco di Cuyabá, elevato alia categoría di prima classe.
II Collegio S. Gonzalo a Cuyabá fu una vera provvidenza in
quell'estremo lembo del mondo civile, a pochi chilometri dalla bar-
barie. La cittá contava 18 mila abitanti. Con l'andare del tempo la
Casa salesiana divenne il miglior centro di cultura e focolare di
rinnovamento cristiano. Prima che vi arrivassero i Salesiani, spiri-
tisti e settari avevano talmente pervertito la popolazione, che tre
uomini soli facevano la Pasqua! Lo dissero nel 1901 a Don Albera
due di essi ancora superstiti; ma il Visitatore straordinario poté con-
statare allora il cambiamento sopraggiunto. Egli vi trovó fiorenti
Confraternice ed Associazioni e nei 40 giorni ivi trascorsi distribuí
la santa comunione a centinaia e centinaia di fedeli. Piü ancora:
ricevé sette professioni religiose nel noviziato di Coxipó, e quattro
di quei novizi provenivano da Cuyabá; benedisse a cinque ascritti
l'abito talare; parimente assistette alia vestizione di alcune Figlie
di Maria Ausiliatrice, esse puré del luogo. A detta di persone an-
ziane, nessuno prima che venissero i figli di Don Bosco, avrebbe
(1) Cinco lustros da Missáo Salesiana em Matto Grosso. Cuyabá, Typ. Calháo, 1919. Pp. 33-4 e
Appondice 6.
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Nel Eradle dal 1894 al 1898
niai sognato che da quelle parti potessero spuntare vocazioni alio
stato religioso. Un fiore del Collegio S. Gonzalo fu Mons. Francesco
d'Aquino Correa, salesiano, Arcivescovo di Cuyabá e per alcun
tempo anche Governatore del Matto Grosso.
Vedemmo nel Matto Grosso i Missionari alie loro prime fatiche
apostoliche per la rigenerazione dei Bororos. Mons. Lasagna, che li
aveva mandati, li seguiva affettuosamente col consiglio, con Tinco-
raggiamento e con promesse di aiuti. Sei giorni avanti l'irrepara-
bile disgrazia scriveva per Fultima volta a Don Balzola (1): «Non
puoi immaginarti quanto interesse io pigli ai tuoi lavori e alie tue
fatiche. Adesso ho giá visto il Dott. Murthino (2) e bisogna che mi
metta d'accordo con lui per ottenere tutti i soccorsi possibili per la
tua colonia. lo verró e non voglio venire a mani vuote; quindi
cereheró, come tu mi dici, falcetti e scuri, ecc. e anche la pompa,
se é possibile. Mi rallegro che cotesti fanciulloni di Indi si vadano
addestrando a poco a poco al lavoro. Spero di condurti anche qual-
che buon coadiuiore. Prega e fa' pregare perché il Signore m'aiuti,
e non lasceró di pensare a te. » Quanto zelo traspare da queste ri-
ghe, vergate pressoché alia vigilia della morte!
Díciamo qualche cosa di questi " fanciulloni ", il puro necessario
per avere un'idea della Missione (3). I Bororos, che formavano giá
una sola tribu, rimasero separati in due sottotribú, quando la cittá
di Cuyabá e la popolazione civile s'intercaló nel loro territorio;
cosi abbiamo oggi i Bororos occidentali e gli orientali, per rispetto
alia capitale. I Salesiani si dedicarono a questi ultimi, che occu-
pano un immenso altipiano a est e sud-est di Cuyabá, sulle sponde
del Rio S. Lorenzo e de' suoi affluenti e sull'alto corso del Rio
Araguaya e de' suoi affluenti. Dall'accertamento eseguito per ordine
del Governo mattogrossense da una Commissione di Missionari sa-
lesiani nel 1910 risultó che i Bororos orientali erano 1500. Sonó Indi
ben formati, alti, svelti, di buona fisionomía. Abituati a vi veré di
(1) D. ANTONIO COJAZZI. Don Balzola. Torino, S. E. I. Pag. 42.
(2) Nuovo Covernatore del Maito Grosso.
(3) ANTONIO COLBACCHINÍ. 1 Bororos orientali. Torino, S. E. í. Edizione di lusso, ricca d'illustra-
/íoni, ma sopratüitto di grande valore scieníifico.
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Capo XXXlll
caccia e di pesca, rifuggono da ogni sorta di lavoro; se non fosse
stata la pazienza eroica dei Missionari, che precedevano con l'e-
sempio, non se ne sarebbe mai oítenuto nulla, come nulla aveva
mai ottenuto la guarnigione militare, stabilitavi allorché venne co-
stituita la colonia Teresa Cristina, dove furon mandati i Salesiani.
Purtroppo quegli inf elici selvaggi avevano imparato ben altro dai
civili, i loro sozzi vizi.
II Governo concesse alia Missione 24 mila ettari di terreno a usu-
frutto, da ripartire poi fra gli Indi, quando si venissero incivilendo,
e 1800 ettari in proprietá. Anche le Figlie di Maria Ausiliatrice so-
stenevano bene la loro parte, sotto la direzione della brava Suor
Federica Husamer, che oltre a tutto il resto sapeva fare anche da
medico e da farmacista. Sul principio i sospettosi Indi avevano in
odio le medicine; ma col tempo, a un cenno di Don Baízola, le in-
ghiottivano, andando essi stessi dalla Suora, quando la Suora non si
recava da loro.
1 Missionari dovevano pensare anche alia vita materiale della co-
lonia. I Bororos vestivano tutti in perfetto costume adamitico; ma
non disdegnavano grindumenti, anzi assediavano di domande per
avere con che coprirsi. Nei primi diciotto mesi Don Balzola aveva
distribuiio piú di 400 abiti da uomo, 500 camice, circa 500 vestí da
donna, 450 fazzoletti, 300 coperte di lana. Per daré poi da mangiare
a tante bocche la Missione aveva 700 bestie bovine. Quante noie per
mantenerle e per impediré che si sbandassero per le foreste! La col--
tivazione del terreno cominciava a rendere; la meliga, per esempio,
cresceva sei metri con tre o quattro enormi pannocchie per pianta.
Ma era necessario procurare gli strumenti agricoli, insegnare e invo-
gliare a maneggiarli e ripararne i frequenti guasti. L'istruzione re-
ligiosa, che teneva il primo posto nell'attivitá missionaria, stentava
a penetrare in quei cervelli, non avvezzi a occuparsi di ció che non
fosse materiale. Certo finalmente il Missionario aveva bisogno di
grande confidenza in Dio per non iscoraggiarsi, confínate) in quelle
immense foreste, circondato da centinaia di selvaggi, con la respon-
sibilitá di una si vasta e importante Missione.
NeU'otíobre del 1896 il Governatore dello Stato visitó la Missione,
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Nel Brasile dal 1894 al 1898
accompagnato da Don Antonio Malan. Si mostró assai contento di
quanto aveva veduto, ammirando soprattutto come gli Indi, che pochi
anni innanzi erano il terrore dei civili viciní, stessero cosi sottomessi
a un povero prete. Poiehé, come dicemmo, Don Balzola era Túnica
autoritá ecclesiastica e civile non solo per gli Indi, ma anche per una
settantina di bianchi ivi dimoranti. In si breve tempo progressi se
n'erano fatti. II Missionario era giá riuscito a distogliere la massima
parte degli indigeni da certe abitudini contrarié al buon costume ed
a far imparare le principali orazioni; ma urgeva un aumento di per-
sónate.
A questo avrebbe provveduto Don Malan, che, Direttore a Cuya-
bá e Superiore della Missione, emulava lo zelo di Mons. Lasagna. La
storia della sua vocazione, narrata da lui stesso, contiene particolari
interessanti. Mi limiteró all'esseríziale. Nato in Italia ed emigrato
quindicenne con la famiglia a Tolone, aveva omai deposto Fidea di
farsi prete, concepita da fanciullo. A vent'anni quell'idea si risveglió.
Chiamato in patria per la leva militare, fu da una signorile famiglia,
presso cui viveva, consigliato di visitare Don Bosco. Che egli vagheg-
giasse di rendersi sacerdote, non l'aveva palesato ad anima viva.
Giunto a Torino sul far del giorno, voló a Maria Ausiliatrice. Era il
29 ottobre 1882. Don Bosco aveva finito la Messa all'altare di S. Pie-
tro. Nello scendere i gradini, il Santo vide'una fiammella staccarsi
dal quadro della Madonna, attraversare la chiesa e arrestarsi sul
capo di un giovanotto sconosciuto. Don Bosco, soffermatosi a osser-
vare, proseguí in sagrestia, dove si mise a confessare i giovani, Dopo,
uscito nel cortile, ravvisó ivi lo sconosciuto che stava in atiesa. Era il
Malan, che, fattosi avanti, gli bació la mano. Don Bosco lo guarda e
come ad una vecchia conoscenza esclama: — Oh! — Poi senza la-
sciargli aprir bocea lo invita a salire con lui in camera.
Qui il Santo prese a leggere molte lettere di Cooperatori francesi
portategli da Malan. Vedendolo cosí oceupato. il giovane non osava
parlare. Avrebbe voluto domandargli di essere accettato nel)'Orato-
rio, ma non sapeva come cominciare. Aveva il cuore in agitazione.
Don Bosco finalmente, voltatosi verso di lui, gli disse: — Presto ver-
rete a siare con me, non é vero? — Malan scoppió in pianto. Poi,
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Capo XKXU1
fattosi animo, gli chiese se avesse parlato sul serio. — Molto sul se-
rio. Maria Ausiliatrice lo vuole. — Egli, confuso e commosso, non
sapeva piü né dove fosse né che cosa facesse. Quindi, calmatosi e
postosi in ginocchio si confessó. « Gli dissi tutto, narra egli stesso. Oh
quale consolazione, quale felicita! »
Riformato dal Consiglio di leva, fu mandato da Don Bosco alia
Navarre. Tre mesi dopo arrivó il Santo a quella Casa. Appena lo
vide, lo riconobbe, ed: — Oh Antonio, sei dunque finalmente in pri-
gione? — gli domando. — Je suis en Paradis —, rispóse Malan. Che
prevedesse in lui un futuro Vescovo del Brasile, non consta affatto:
ma post eventum si puo ben affermare che tali precedenti preludes-
sero a qualche cosa fuor dell'ordinario.
Don Balzola non aveva ancora cominciato a visitare i Bororos
della dispersione, viventi cioé lontano dalla colonia. Non lo poteva
fare, non avendo chi lo sostituisse durante la sua assenza; ma, giun-
togli da Torino il sant'uomo di Don Raffaele Traversa, che si fece sú-
bito voler bene dagli Indi, decise di perlustrare l'alto S. Lorenzo.
Fatta preparare una grossa croce di legno e radunati oggetti da di-
stribuiré in regalo, piü alcune cose mangerecce per quando non fosse
possibile la pesca, partí il 31 agosto 1897, imbarcandosi sopra una
canoa formata di un grosso tronco d'albero, scavato e lavorato in
modo da pofer portare una trentina e piü di persone. Prese con sé
un catechista salesiano, un'ordinanza assegnatagli dal presidio e sei
Indi con il loro capitano, giá tutti battezzati, che con remi e lunghi
pali spingevano avanti la barca.
Trascorsa la notte sulla canoa, il giorno seguente scorsero gl'in-
dizi delle prime capanne. Quivi approdarono e, mezz'ora prima di
raggiungere Taccampamento, Don Balzola fece daré alcune salve
di fucile e innalzare razzi in segno di saluto ai capi e di amicizia
per tutti. Alcuni Indi che giá lo conoscevano, gli furono preziosi
introduttori. Fu accolto con clamorosi segni di allegrezza. II capitano
del seguito spiegó il motivo della venuta, enumero i regali da di-
stribuiré e promise che il Padre ne avrebbe portati ancora di piü
in una seconda visita. Fatta la distribuzione fra la pazza gioia di
quei fanciulloni, Don Balzola visitó le capanne dei malati, delle
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Nel Brasile dal 1894 al 1898
donne e dei fanciulli. L'indomani. messisi in marcia di buon'ora,
andarono a vedere i terreni, che quegli Indi, seguendo le istruzioni
del Missionario, avevano preparati per seminarvi meliga, fagioli.
riso e canne da zucchero; ma piü di tutto Don Balzola mirava a
trovare un punto, dove avrebbe potuto in seguito stabilire una re-
sidenza.
Ritornato alie capanne, si fermó nel centro e fe9 segno di avere
un grande atto da compiere: l'erezione della croce, che prendesse
fin d'allora possesso del luogo. Allorché, ordinato di scavare una
fossa per piantarvi il sacro segno, tre dei pin tarchiati alzarono il
tronco e lo lasciarono piombare nella buca, gli Indi che non capivano
milla, ridevano come matti. Don Balzola parló commosso della nostra
Redenzione, indi pronunció una preghiera infocata; allora gli Indi stet-
tero ad ascoltare in silenzio. Dopo stampó sulla croce un forte bacio,
spiegandone il significato e invitando tutti a fare altrettanto. Vi fu
un momento d'incertezza; ma tostó sull'esempio di uno dei capitani
tutti lo imitarono. Don Balzola raccomandó ai capitani di rispettare
e far rispettare l'augusto segno della Redenzione. Infine pose a quel
villaggio il nome di S. Francesco di Sales e ad un altro il nome di
S. Giovanni. Promettendo di ritornare e di visitare anche gli accam-
pamenti piü lontani, e regálate sementi varié, fatta un'ultima pre-
ghiera a pié della croce, riparti per la colonia.
Che fu di quella croce? É commovente il ricordarlo. Tre anni
dopo Don Balzola si trovava a Cuyabá, perché, come diremo, il
Governo aveva tolto bruscamente ai Salesiani la colonia Teresa Cri-
stina. Un giorno del 1900 giunsero alia capitale quindici Bororos, suoi
conoscenti, per pregarlo di tornare nella colonia, dove dopo la sua
partenza non c'era piü nulla di bene e donde gli Indi se n'erano
andati, ritirandosi tutti intorno alia grande croce da lui piantata. La
essi lo aspettavano. Come sentivano i poverini che nella croce era
la loro spes única!
Un bel giorno Don Balzola, scelti tre autentici rappresentanti della
trubü, fece far loro un viaggio in Italia, impresa facile a concepirsi,
ma difficilissima ad attuarsi. Ed ecco perché e come fu voluta ed
eseguita.
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Capo XXXlll
Nel 1898 Torino celebrava con un'Esposizione nazionale il cin~
quantenario del quarantotto, dei cui avvenimenti era stata teatro
principale. I Cattolici torinesi, secondando una bella idea dell'Arci-
vescovo Davide dei Conti Riccardi, stabilirono di commemorare con-
temporáneamente i quindici secoli della Gerarchia cattolica in Pie-
monte e il quarto centenario della riedificazione del loro Duomo (1);
a tal fine ottennero che un reparto dell'Esposizione fosse destinato a
una mostra di Arte sacra e delle Missioni. Don Rúa, conosciuto i! pro-
gramma del Comitato Esecutivo, invió ai Direttori delle Missioni sa~
lesiane una Circolare, esortandoli a p r e p a r a r e oggetti da spedire per-
tale scopo (2). « Non sonó una vana pompa, scriveva, queste Cattoli-
che Esposizioni, ma un saggio di quello che fanno i generosi Mis-
sionari a pro dei fratelli sepolti nella barbarie e nell'ignoranza ed
un invito ai buoni a sostenerli nella pia impresa. Anche il nostro
mdimenticabile Fondatore e Padre incoraggiava si fatte mostré, af-
finché si potesse conoscere il frutto della carita dei benemeriti Coope-
ratori. » I Salesiani risposero largamente all'invito, sicché giunsero in
copia oggetti, che fecero bella mostra di sé con quelli inviati da
altri enti missionari.
Nel reparto dell'Esposizione a ció destinato furono eretti per i prin-
cipali territori di Missione edifici nello stile dei paesi, di cui dovevano
ricettare gli oggetti; inoltre per ogni padiglione furono mandati
indigeni, che vestiti alia loro maniera vi s'intrattenevano con i vi-
sitatori. Tutto questo costitui per il pubblico l'attrattiva piü notevole
dell'Esposizione. Nel padiglione americano vi eran solo i tre Bororos
condotti da Don Balzola, ma con questa differenza, che mentre gli
altri erano giá cristiani e civili e intendevano o parlavano 1'ita-
liano, questi, semplici catecumeni, ritenevano le abitudini dei sel-
vaggi da cui provenivano e parlavano soltanto il loro guarany, in-
telligibile únicamente per Don Balzola.
(1) Lo síabilimento della Gerarchia ccclesiastica in Piemonte awennc nel 398, anno in cui vi fu
a Torino un Concilio di Veseoví, prcsieduto da S. Simpliciano, successore di S. Ambrogio; la cittá ebbe
allora il suo primo Vescovo nella persona di S. Massimo. II Duomo attuale fu inau^urato nel 1498; era
stalo riedificato dalla munifícenza del Card. Domcnico della Rovere c col concorso dei Principi di Casa
Savoia.
(2) Tormo, 17 novembre 189?
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Nel BTasile dal 1894 al 1898
Nulla diremo delle difficoltá incontrate dal Missionario per ve-
stirli all'enropea; é da notare piuttosto l'incredibile ostruzionismo
fatto dalle Autoritá, quando si trattó d'imbarcarli a Rio de Janeiro.
Tutti quegli impiegati sembrava che avessero ricevuto una parola
d'ordine di tirare in campo pratiche illusorie e di menarle in lungo
fino a far perderé il piróscafo. Nulla diremo neppure degli episodi,
parte comici e parte semitragici, ai quali i tre selvaggi diedero ori-
gine sia durante la traversata dell'Oceano sia dopo a Torino e in
varié cittá d'Italia (1). Don Balzola li condusse anche a Roma dal
Papa, dove non mancarono scene non mai viste in quegli ambientii
A chi osservava che sarebbe stato meglio condurre indigeni giá in-
civiliti, come avevano fatto gli altri Missionari, Don Balzola rispon-
deva che egli aveva voluto far toccare con mano le difficoltá contro
cui dovevano lottare i Missionari per ammansare i selvaggi e disporli.
al battesimo. E il battesimo ricevettero i nostri prima di partiré. Lo
amministró loro D. Rúa il 16 ottobre 1898 nel Santuario di Maria Ausi-
liatrice, dinanzi a una folla immensa di fedeli. Otto giorni dopo la-
sciarono, cosi rigenerati, Torino per far ritorno al loro Matto Grosso.
Arrivati il 13 novembre a Rio de Janeiro, una brutta notizia at-
tendeva Don Balzola: i Salesiani erano stati costretti a ritirarsi dalla
colonia Teresa Cristina. Fu per lui uno schianto al cuore. II se-
natore Generoso Ponce, capo político del Matto Grosso, gli confidó
che aveva ordinato di aspettare sue lettere prima di allontanare i
Salesiani dalla colonia, ma che non era staío obbedito. Si accam-
pava a pretesto che i Salesiani in tre anni non avevano fatto nulla,
In una Missione di selvaggi come quella ci vogliono ben pin di tre
anni per conseguiré risultati seri! Ma per restare nel campo mate-
riale, che solo interessa certa gente, era innegabile che prima dav-
vero non c'era niente: non una pannocchia di meliga, non una caima
da zucchero, non un arbusto di mandioca, mentre allora tutto que-
sto abbondava; si erano puré costruiti depositi per la conservazione
dei prodotti. Ma tre anni potevano appena bastare per conoscere i
costumi e la lingua dei selvaggi e procacciarsi le nozioni piú ele-
(1) Cfr. COJAZZI, Op. cü., pp. 59-67.
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Capo XXX1U
mentari sulle condizioni agricole di quei luoghi ignoti. II Governo
di Cuyabá avrebbe preteso che i Salesiani operassero in si breve
tempo una miracolosa trasformazione di quegli indigeni e di quelle
terre. Del resto la direzione militare vi aveva lasciato sussistere e
fomentato enormi disordini morali, né era riuscita affatto a ridurre
i selvaggi al lavoro. Se aveva ottenuto qualche cosa, l'aveva otte-
nuto dando agli Indi bevande alcooliche che li abbrutivano, E quei
mili tari continuavano a essere per i Missionari un gravissimo osta-
eolo. Quale fosse il movente vero e occulto dell'odioso e insano prov-
vedimento, non fu di li a poco un mistero. Uomini desiderosi di sfrut-
tare la colonia per contó loro avevano saputo manovrare cosi bene
da indurre le Autoritá ad allontanare i Missionari per lasciare ad
essi mano libera nelFagognato territorio; le medesime autoritá poi,
che per fini politici avevano interesse a secondarli, non ebbero scru-
polo di fare quello che fecero. Ma Dio puní tutti gli autori dell'i-
niquo atto, perché ben presto tutti finirono male, sicché della colo-
nia costituita giá dal Governo non rimase piíi se non un simulacro,
rappresentato da un esiguo presidio militare, il quale non valse a
impediré che i selvaggi si sbandassero. Don Balzola riporta nel suo
Diario queste parole di Mons. Lasagna: « Di un governo democrá-
tico, per buono che sia, non ci si puó mai fidare, perché domani di-
strugge quello che fa oggi. »
I tre neofiti, giunti a Cuyabá, si caricarono sulla schiena alcuni
bauli e partirono da soli per i loro boschi in cerca delle famiglie.
Certo Don Balzola, accompagnandoli con lo sguardo, deplorava che
un tal disastro fosse toccato alia sua diletta Missione; ma non ando
molto che scorse nel fatto un disegno della Provvidenza; ripiglió in-
fatti la Missione altrove, con misure piü serie suggerite dall'espe-
rienza, in modo da stabilirla su basi stabili e sicure, come nar-
reremo nel prossimo volume.
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CAPO XXXIV
Le Figlie di M. A. nel primo periodo del Rettorato di Don Rúa.
Visita della Madre Genérale alie Case d'America.
Ai tempi della Beata Mazzarello, come abbiamo veduto nell'al-
tro volume, le due famiglie di Don Bosco procedevano unite sotto la
dipendenza del Fondatore e di suoi rappresentanti. In seguito, mol-
tiplicandosi le opere, la Madre Genérale prese ad esercitare sempre
piú largamente la sua autoritá, ma pur sempre subordinatamente al-
l'autoritá del Fondatore stesso e poi del suo Successore. Non pos-
siamo quindi nemmeno per questo primo decennio del Rettorato di
Don Rúa prescindere dall'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Don Bonetti, Direttore Genérale dell'Istituto, aveva scritto il 26 ago-
sto 1886 a Mons. Cagliero: « Don Bosco desidera che [le Suore] si
propaghino molto, poiché ne ebbe avviso in proposito ex alto, » Al
desiderio di Don Bosco rispóse in questo periodo la reaitá con un
crescendo meraviglioso.
Alia morte di Don Bosco le Case delle Suore facevano capo a
quattro Case centrali, dette nel Catalogo Case ispettrici: la Casa di
Nizza Monferrato per l'Italia superiore (32 case), per la Francia (tre)
e per la Spagna (una); la Casa di Trecastagni per la Sicilia (7 case):
la Casa di Almagro a Buenos Aires per 1'Argentina, compresa la
Patagonia (5 case); la Casa di Villa Colon presso Montevideo per
l'Uruguay (2 case). Le 28 Case lasciate dalla Beata Confondatrice
erano dunque salite a 50, con 98 opere, cioé oratorii festivi 46, edu-
candati 9, orfanotrofi 2, esternati 2, colonia agrícola 1, Case di assi-
stenza ai CoUegi salesiani 11, Noviziati 2, cioe uno a Nizza e I'altro
ad Almagro. Le spedizioni di Suore per l'America erano state sei
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Capo XIX1V
con un totale di 50 Suore; per le nazioni europee n'erano state in-
viate 94. Le professe di tutta la Congregazione sommavano a 393 con
105 novizie. Nella Superiora Genérale Suor Caterina Daghero la Con-
gregazione a ve va u n a mulierem fortem (1) che governava con polso
íermo, con occhio sicuro e con cuore di madre. Nei quarantun anní
del suo regime l'Istituto, sempre in auge, doveva prendere la sua
forma definitiva.
La notizia della morte di Don Bosco raggiunse la madre a-Mar-
siglia, mentr'era di ritorno da un secondo viaggio nella Spagna. \\n-
trapreso ancora per ordine del Santo. Desolata qual figlia che abbia
perduto il miglior dei padri, voló a Torino, arrivando in tempo per
prostrarsi dinanzi alia venerata salma. Verso ivi il suo cuore come
avrebbe fatto se l'avesse ritrovato vivo e gli facesse, come le alíre
volte, la sua relazione. Dopo i funerali ritorno a Nizza. La nella
pace della Casa Madre sentí ancor piú dolorosamente la gravissima
perdita; ma tostó, rimesso in calma lo spirito e inviata alie figlie la
sua materna parola, rivolse tutto il pensiero a chi d'allora in poi
avrebbe rappresentato per lei Don Bosco. A far conoscere i senti-
menti che ella nutriva per il successore del Santo e le disposizioni
d'animo che voleva mantenute nella Congregazione dopo la dipar-
tita del Fondatore, nessun documento é piú eloquente della lettera
da lei indirizzatagli poco dopo: lettera che sta a testimoniare un
modo di sentiré formatosi nell'Istituto fin dalle origini. La Beata
Mazzarello era salita agí i eterni riposi da meno di sei anni.
Rev.mo Superiore e Padre,
Sonó, grazie a Dio, arrivata felicemente a casa, e sebbene abbia avuto pochi
giorni or sonó la somma ventura di ossequiarla personalmente, pero mi sentó il bi-
sogno e il dovere di indirizzarle queste poche righe. Dirá, e con ragione, o Pa-
dre carissimo, che potevo dirle a voce e liberamente i miei pensieri... Ma che
vuole? Mi sentivo troppo debole, temevo di tradire me stessa e cagionare cosi, con
le mié lacrime, niiovo e piú crudo dolore al cuore suo cosí acerbamente ferito...
Perció mi perdoni, ottimo Padre e Superiore, e voglia, benché troppo tardi, gradire
le profonde condoglianze mié e di tutta la Congregazione.
(I) Prov., XXXT, Í0. Di lei scrisse un'ampia biografía Suor MAINETTI. Madre Caterina Daghero.
Torino. S. E. )., 1940.
494
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Le Figlie di M. A. nel primo periodo del Reiíorato di Don Rúa
lo non mi dilungo su questo argomento, o Padre rev.mo, perché non mi regge
il cuore; solo la prego consolarsi pensando che dal Cielo Don Bosco la proteggerá
m modo singolarissimo e le otterrá dalla celeste nostra Madre Maria Ausiliatrice
di poter vedere prosperare sempre piú le due Congregazioni ch'egli le ha confidate.
Del resto io la assicuro, o buon Padre, che in mezzo a tanto dolore sonó con-
solata. Si, Faver a Superiore la S. V. Rev.ma é per me, per il Capitolo e per tutte
e singóle le Figlie di Maria Ansiliatrice, tale un conforto, una consolazione, che
non gliela posso a parole manifestare.
Di questo insigne favore che ci fece Iddio noi lo ringrazicremo per tutto il
tempo di nostra vita, e a rendercene meno indegne procureremo di corrispondere
con la maggior fedeltá alia nostra santa vocazione.
Caro rev.mo Padre, lo so che la carica di nostro Superiore le costera sacrifici
e le apporterá non pochi pensieri, raa noi pregheremo tanto Gesü che voglia,
anche in questo, compensarla adegualamente.
Dal canto mió poi le prometió che faro del mió meglio per renderle meno grave
il peso della direzione nostra, inculcando sempre a tutte le buone Direttrici e Suore
una pronta obbedienza, una confidenza illimitata, un affetto santo, riverente, filiale,
verso la P. V. Rev.ma che dora innanzi terremo tutte, dopo Dio, per nostro Padre,
guida, appoggio, consigliere, tutto!
Colla presente, adunque, o caro Padre, io mi metto con tutta la povera cara
Congregazione, nelle sue mani; applaudo alia sua elezione; le protesto la nostra
completa filiale obbedienza e servitú e la supplico a voler anch'ella considerarci
come sue figlie.
Benedica i nostri buoni propositi; benedica le Suore Professe e Novizie; be-
nedica le Postulanti, e soprattutto all'ultima fra tutte, alia povera scrivente che con
la piú profonda venerazione le bacia per tutte la sacra mano, onoranclosi di potersi
ripetere
Figlia obbedientissima
Nizza Monferrato, 9 febbraio 1888.
Suor CATERINA DAGHERO
Questi sentimenti, ereditati direttamente dalla Beata Mazzarello.
venivano condivisi dalle Madri, che componevano con lei il Capitolo
Superiore. Erano le Suore Sorbone Enrichetta Vicaria, Tamietti Anua
Economa, Mosca Emilia pruna Assistente, Roncallo Elisa seconda
Asústenle, elette nel 1881 e rielette nel 1886. Tutte erano state accet-
tate nella Congregazione da Don Bosco e tutte dovevano la loro
formazione religiosa alia umile, forte e illuminata Maria Mazzarello.
La Vicaria tenne Fufficio fino alia morte, a v v e n u t a solo nel 1942. Eu-
rono sue cure assidue condurre le Suore alia Madre e interessarsi
maternamente dei loro bisogni. Godette sempre la stima e la confi-
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Capo XXXIV
denza genérale. Nel 1908 fece il giro delle due Americhe per visitarvi
in cinque anni tutte quelle Case. Negli ultimi decenni pareva la
voce vivente della tradizione. L'Economa, tutta umiltá e semplicitá,
possedeva nondimeno un buon criterio pratico nel maneggio degli af-
fari. Allorché nel 1892, cagionevole di salute, non poté essere rie-
letta, riprese, come se milla fosse, il suo posto fra le semplici Snore.
La prima Assistente di nobile famiglia ridotta in minor fortuna, era
stata mandata da Don Bosco quale insegnante di lingua franéese
nella Casa di Mornese, nel tempo in cui lá si viveva di stenti e di
sacrifici. Essa, benché rivolgesse nella sua mente tutt'altri ideali. a
poco a poco si sentí talmente presa dalla santitá della Mazzarello,
che fini con decidere di restarsene sempre con lei, pigliando il velo.
Questa risoluzione le costó assai, ma perseveró, attese all'acquisto
della perfezione e rendette all'Istituto preziosi servigi nel campo de-
gli studi, massime quando le scuole delle Figlie di Maria Ausilia-
trice assunsero un grandioso sviluppo. Ebbe ognora a consigliere e
guida Don Cerruti, dal quale attinse il sagace indirizzo pedagógico e
lo spirito di organizzazione (1). La seconda Assistente fu per 45 anni
salda colonna dell'Istituto. Con Madri di tanta altezza morale le
Figlie di Maria Ausiliatrice si moltiplicarono e si diffusero, por-
tando ovunque una fisionomía inconfondibile, ammirate e benedette
in un complesso di opere, che le misero a contatto con i bisogni
dei tempi e dei luoghi senza che mai venissero meno alia missione
affidata loro dal Fondatore per il tramite della Confondatrice. Sorto
dal granelíino di senapa, l'albero cresceva, offrendo a sempre mag-
gior numero di ucceíli le sue fronde ospitali.
Alia morte di Don Bosco le Figlie di Maria Ausiliatrice nell'Fn-
ropa erano solo in Italia e in Francia, e fuori d'Europa nell'Argen-
tina e nelFUruguay; ma durante il primo periodo del Rettorato
di Don Rúa entrarono nel Belgio, nella Spagna, nell'África, nella
Palestina, nel Perú, nel Brasile, nel Cile, nel Messico, nella Co-
lombia. Quelle destínate all'Equatore erano giá in viaggio per la
loro destinazione; ma i rivolgimenti politici del paese le obbliga-
(1) Di leí pubblicó iin'intorcssante biografía Suor MAINETTI: Un'educatrice secondo lo spirito di
Don Bosco. Torino, Berruti.
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Le Figlie di M. A. riel primo periodo del Redondo di Don Riui
che abbiamo di essere riconoscenti ai Salesiani. Scrivendo a Nizza.
dillo puré, che per quanto noi facciamo per dimostrare loro la
riostra riconoscenza, non faremo mai abbastanza. »
Ora vengono le tre parti piú ardite del viaggio. La prima fu per
il procelloso stretto di Magellano fino a Puntarenas, poi di la al-
l'isola Dawson e all'Isola Grande o Terra del Fuoco. le altre due
furono al Chubut e al Matto Grosso. Giunta dal Nord alio stretto,
si preparava a una traversata poco piacevole: invece qui Nettuno
tanto tanto tenne sospeso il suo tridente. II fatto parve cosi ecce-
zionale, che Mons. Fagnano, parlandone alie Suore e alie loro ahume
di Puntarenas, credette d'indicarne la ragione col el iré che la nave
portava una merce ben preziosa. Fosse stata la e nell'arcipelago egnal-
mente benigna la temperatura! Invece dappertutto nevé e gelo.
Durante la sua dimora a Puntarenas vi approdó il Duca degli
Abruzzi, che volle onorare di una visita i Salesiani. V'incontró un
ricevimento degno. Mons. Fagnano gli si fece innanzi con il fiore
della cittadinanza. Diede in suo onore uno svariato trattenimento.
a cui il Duca assistette con tutta Tufficialitá. Allontanandosi a tarda
sera, manifestó ripetutamente la sua ammirazione per i benefici
effetti dell'Opera di Don Bosco.
II Io luglio la Madre si accostava con il Prefetto Apostólico al-
l'isola Dawson. Qui cedo la penna a Suor Fauda, la diarista; sará
letta volentieri la relazione di chi fu testimone oculare É un do-
cumento, che illumina la storia di quella Missione.
Al fischio del nostro Torino risponde da Ierra un allro j'ischio; e poi un bat-
tagliar di campane, uno sventolar di bandiere, un avanzarsi al suolo di due, tre.
quattro file di persone festanti. II vapore si ferma e da una barchetta la nostra
Madre é portata a térra tra le braccia delle sue piü valoróse Missionarie, tra cen-
tinaia di Indi. Uomini, donne, fanciulli e fanciulle quali a lei, quali a Monsignore
e con segni di grande giubilo van ripetutamente gridando: Viva Jesús! Viva Jesús!
mentre la banda musieale, interamente formata di Indi, fa echeggiare le circo-
stanti foreste delle piú allegre note. Era uno spettacolo da far piangere di conso-
lazione. Una turba di selvaggi che, ammansati, inciviliti, resi uomini insomma dalla
forza della religione e della carita, correva al passaggio di Monsignore, della Madre.
Ln Madre ricambiava i saluti alie une e alie altre, carezzava i bimbi che le
mamme le presen tavano, voltandole delicatamente le spalle su cui li porta vano
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Capo XXXIV
legati; mirava con particular compassionc quelle che per essere venute últimamente
alia Missione, si trovavano solo coperte da una misera pelle di guanaco; finche,
añrettando il passo, onde non avessero a soffrire sulla nevé, si traverso la piazza,
in mezzo alia quale elevasi una grande croce, si giunse in chiesa e da questa si
passo all'abitazione delle Suore.
Deposte quivi le valigie, la Madre volle portarsi. senz'altro a visitare gli Indi
nelle loro capanne. Sonó queste costrutte in legno, disposte in q u a t t r o file ai due lati
della piazza, a cui fa capo la chiesa, fiancheggiata a destra dalla casa delle Suore
ed a sinistra da quella dei Salesiani; piü di alcune altre " sparse come branco di pe-
core pascenti " sulla collina, che a guisa di semicírculo forma la baia. É un pa-
norama stupendo; ma il terreno, sebbene giá prosciugato di molto, é tuttavia assai
paludoso, sicché per arrampicarsi sulla collina e portarsi da una capanna aH'alfra
non bisogna temeré né fatica né pantani. E la Suoia che ha la missione delle
donne fa queste strade due o tre voíte al giorno, senza hadare se piova o nevichi.
II meglio pero si trova nelle capanne. Oggi il paese intero fa festa per la
venuta della Madre; quindi trovammo ciascuna famigíia in casa. Ma in che stato!
Per quanto si lavori a lavarli e pettinarli, a infonder loro amorc all'ordine ed alia
pulizia, di questo, i piü veechi specialmente, ne capiscono poco. 11 loro piü gran
sollievo físico e mangiar molta carne e starsene seduíi per térra intorno al fuoco.
I piú inciviliti, all'apparire della Madre, si alza vano con fare tímido e rispeltoso;
tutti poi p r e n d e v a n o i confetti, di cui li regalava, coi segni della piú sentita ri-
conoscenza.
Suonó la campana della distribuzione della carne e fariña per la cena. Peí
pranzo si distribuisce inoltre pane e fagiuoli; per la colazione e mercnda una specie
di the. Mentre le donne andavano a preparare la cena, no i ce ne tornammo a casa.
Qui ci aspettava una cara improvvisata. Una cinquantina di bambine, le figlie
delle Indie viste pocanzi, raccolte ed edúcate come in collegio dalle Suore, avevano
anch'esse studiato dialoghi e poesie, fatto componimenti in lingua castigliana ed ita-
liana per fesíeggiare la nostra e loro Madre. Le presentarono finalmente i loro re-
gali: lavori in cucito ed in ricamo, eseguiti con precisione mirabile. Essa era com-
mossa oltre ogni diré. Compi la fesla vestendole tuíte di una bella mantellina pór-
tala loro da Puntarenas. Esse guardavano meravigliafe il ñero che dava maggior
risalto al loro vestito rosso che le riparava dal freddo, e battevano le maní, fa-
cendo saíti di contentezza.
La mnttina dopo un'altra scena piü commovente ancora. Si radunarono in casa
tulle le donne della Missione, oltre un centinaio, e ciascuna si ebbe dalla Madre un
bel vestito. La loro gioia é indescrivibile. A n d a v a n o g r i d a n d o : Padre (non sanno an-
cora clir Madre), aymere olchen, cioé Madre, cuore buono.
Súbito dopo Monsignore amministró il santo battesimo a 23 di esse e ad una
educanda. Ne fu naturalmente madrina la Madre, che pero volle portassero il nome
di alcune nostre buone Cooperatrici e di varié Suore. Alia sacra funzione seguí un
pranzo di festa in casa delle Suore, ove le educande, figlie delle neofite, gafeggia-
rono con la Madre in serviré le loro mamme.
11 i-imánente della giornata si passo terminando di visitare la Missione: il labo-
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Capo XXXIV
damiate a non gravi pene; vi erano per giunta le classi elementan,
frequentate da allieve esterne. Sembrava un piceolo Cottolengo.
Finiti gli esercizi, la Madre con due Suore e due Salesiani corsé
il deserto sulla sólita galera, recandosi fra strapazzi d'ogni genere
alie Case piú lontane, delle quali abbiamo fatto menzione al tro ve:
Pringles, Conesa, Choele-Choel, Roca. Vide e misuro i sacrifici delle
sue Missionarie, che senza speciali aiuti divini non avrebbero po-
tuto durarla fra tante fatiche e privazioni. In andata e ritorno im-
piegó 20 giorni, percorrendo 600 chilometri. Una genialissima acea-
demia, preparata durante la sua assenza sotto la personale diré-
zione di Mons. Cagliero, le fece dimenticare le noie della lunga
e disastrosa peregrinazione.
Da Viedma rifece 1'8 marzo la poco divertente passeggiata fino
a Babia, donde proseguí per Buenos Aires e infine per La Plata,
II 30 nella Capitale erano di nuovo pronte le valige* bisognava
partiré per il Cile, valicando le Cordigliere, viaggio non solo dif-
ficile, ma. pieno di pericoli. Dopo due notti e due giorni di treno,
visito a Mendoza le Suore ivi residenti; poscia parte a schiena di
muía, parte in barroccio, prese d'assalto l'ardua catena, giungendo
a Santiago 1'8 aprile. Madre e Suore nella faccia, nelle labbra e
nel naso mostravano ben visibili i segni del freddo sofferto all'altezza
di 3900 metri. Trascorsi ivi 17 giorni con le Suore di due Case e
del Noviziato, partí per Valparaiso, dove s'imbarco per Lima. Giunse
nella Capitale del Perú dopo dieci giorni di mare. Nel Collesno
delle Suore il Nunzio Apostólico fu dei primi a farle visita, L'i-
tinerario prestabilito portava poi Quito; ma diremo piú innanzi dei
fatti che turbarono la pace religiosa nell'Equatore e impedirono
quella visita. Riparti dunque il 20 maggio per Santiago, recandosi
in seguito a Talca e a Concepción. In ognuna di queste cittá, come
giá nelle altre mentovate fin qui e come sempre in appresso, i Di-
rettori salesiani fecero ognora del loro meglio, perche la Madre
fosse ricevuta con onore e le agevolarono ogni volta le praiiche ine-
renti agli arrivi e alie partenze per térra e per mare. Quindi a Con-
cepción disse alia segretaria (1): «Sempre piú conosco il dovere
(1) Diario, 10 giugno 1896.
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Le Figlie di M. A. nel primo periodo del Reüorato di Don Rúa
merica, fu accolta come angelo sceso dal cielo. Volle esserci a rice-
verla anche Mons. Cagliero. Di la passó quindi alie case di Uribe-
larrea, La Boca e Barracas; poi a quelle di Morón, S. Isidoro, S. Ni-
colás e Rosario. Dovunque andasse, teneva conferenze alie Suore.
battendo specialmente su cinque cose: grazia preziosa della voca-
zione; divozione a Maria Ausiliatrice, senza invocare la Madonna
sotto altri titoli, essendosi Ella sotto questo rivelata a Don Bosco;
spirito della Regola, ricordando che questa fu dettata a Don Bosco
dalla Madonna; pratica della sinceritá, che fa diré le cose come
sonó, e della semplicitá, che le fa diré senza secondi fini, ma solo
per compiere il proprio dovere e per piacere a Dio; istruire le fan-
ciulle nella scuola e nel laboratorio non in modo superficiale o su-
periore alia loro capacita e insieme educarle con materna e saggia
indulgenza. Oltre a queste raccomandazioni generali, trattava puré
delle piú essenziali virtú religiose, massime della carita, umiltá e
obbedienza. Con il suo diré pieno di bontá e di unzione produceva
effetti salutari, come appare dai documenti.
Tornó a Montevideo per presiedervi gli esercizi spirituali delle
Suore, cominciati il 25 dicembre. Non si dimentichi che quando
qui é invernó, laggiü é estáte. II 3 gennaio 1896 era di bel nuovo
ad Almagro per lo stesso scopo. II 22 si recó a trovare le Suore
di Bahia Blanca e di la, accompagnata da Mons. Cagliero, da un
Salesiano e da varié Suore, sulla famosa galera affrontó il viaggio
della Patagonia, attraversando per 14 ore di seguito sotto la sferza
del solé l'immenso deserto fino al Rio Colorado e passando la notte
a. Fortín Mercedes. L'indomani di buon mattino, via nuovamente
in galera per un'altra giornata fino a Patagones. II di appresso, tra-
ghettato il Rio Negro, giunsero a Viedma, centro della Missione,
dove si riunirono le Suore delle due Case a fare gli esercizi, nei
quali la Madre, al sólito, si prodigó in conferenze e in udienze alie
sue figlie missionarie. Le sue compagne di viaggio sostituivano le
esercitande nei loro uffici. La Casa delle Suore a Viedma era un'arca
di Noe: oltre alie Suore, alie novizie, alie postulanti e alie edu-
cande, albergava infermi, scemi, orfanelle, bimbi dell'asilo, giova-
nette minorenni pericolanti ed anche povere donne carcerate, con-
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Capo XXXIV
miava nel rispondere ai frequenti quesiti epistolari e orali delle
Suore, nel daré norme alie Superiore per sempre piú frequenti e
profícue visite alie case dell'Italia e dell'estero, e neiranimare tutte
le figlie deiristituto con I'invio di lettere circolari. Nei tanti suoi
viaggi poi, visitando Case salesiane, non dimenticava mai le Suore,
ma si soffermava anche per esse, secondo il bisogno e la possi-
bilitá, e con la paterna carita di Don Bosco dispensava loro esor-
tazioni, consigli e conforti.
Nel suo molto viaggiare per il bene della Congregazione Don
Rúa ebbe un'imitatrice instancabile nella Madre Caterina Daghero.
Viaggió ella senza posa in Italia, viaggió ripetute volte in Francia
e nella Spagna, ando in Terra Santa e in África; ma il viaggió dei
viaggi fu quello dell'America meridionale. Non sará senza utilitá
per la storia delle due famiglie salesiane il seguirvela con la mag-
gior rapiditá possibile (1).
Prese térra a Montevideo il 19 novembre 1895. Non s'immaginava
di trovare Salesiani e Suore immersi nel lutto piú sconsolato: da
pochi giorni era avvenuta la catástrofe di Juiz de Fora. Don Rua
le scrisse poi da Torino il Io dicembre: « Quando dal trópico del
Cancro mi scrivevate le buone notizie del vostro viaggió, certo non
pensavate che v'aspettasse una cosí triste notizia al porre piede in
térra ferma. Sia fatta la divina Volontá! Forse era disposizione
della Divina Provvidenza il vostro viaggió, per poter con la vostra
presenza e con le vostre sante parole porgere conforto a coteste
buone consorelle, disponendo quanto occorre a rimpiazzare quelle
che furono chiamate da Dio all'eternitá. »
Visítate le sue figlie del Collegio Pió nella capitale deUTJruguay,
indi le altre di Las Piedras e Canelones (Paysandü per allora era
troppo lontano) partí alia volta di Buenos Aires, dove giunse il 23.
Osservo una volta per sempre che ella, sebbene parlasse solo in ita-
liano, sapeva tuttavia farsi capire tanto dalle Suore Americane che
da altre persone ignare della sua lingua.
Nel Collegio e Noviziato di Almagro, la Casa Madre per l'A-
(1) Mi servo di un voluminoso diario manoscritto, redatto giorno per giorno da una compagna di
viaggió e gentilmente favoritomi dall'Archivio della Casa Generalizia.
500
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Le Figlie di M. A. ncl primo periodo del Rettorato di Don Rúa
dalle alíre rendono impossibile a me e al . mió Vicario il visitarle
e provvedere alie loro necessitá con quella prontezza che é conve-
niente. COSÍ gl'íspettori in nos tro aiuto resteranno incaricati di pren-
dersi cura di esse specialmente per ció che concerne il vosíro pro-
fitto spirituale, la scelta dei Direttori delle vostre anime e dei con-
fessori straordinari. Questo non impedisce che abbiate anche delle
Visitatrici con cui possiate corrispondere e a cui rivoígervi in cose
particolari riguardanti l'amm.i.nistrazione delle vostre case, le re-
íazioni fra esse e col vostro Capitolo Superiore. Anzi é nostra in-
tenzione che anche fra voi si mantengano sempre piú vive le rela-
zioni personali ed epistolari. »
Don Rúa, oltre all'opera sua diretta, offriva alie Figlie di Maria
Ausiliatrice quella de' suoi collaboratori, quali Don Cerruti per la
parte scolastica (1); Don Sala e Don Rocca per la parte económica;
Don Francesia, Don Bretto e altri per la spirituale. Né si rispar-
(1) Quante e quali fossero le cure che Don Cerruti dedicava alie Figlie di Maria Ausiliatrice, si
pvió argüiré da un brano di una sua lettera a Don Rúa (Torino, 6 dicembre 1901). Don Rúa si trovava
a Roma, dove dette Suore cominciavano a frequentare il Magistero superiore. Scriveva: « La prego,
trovandosi costi sul posto, di prendere in attento esame la condizione difficile di coteste Suore studenti
del Magistero in fatto di studi. Due difficoltá gravissime loro si presentano a questo riguardo, e due
conscguenti bisogni, a cui provvedere, se si vuol salvare la vocazione loro e far in pari tempo che fati-
c-he e spese non riescano inutili Hanno bisogno cioé per prima cosa di chi le ascolti su ció che fu loro
detto nella scuola e sulle opere loro proposte da leggere o consultare, veda le dispense ov'é il nassunto
delle lezioni del professori, le aiuti col consiglio affinché facciano una felice riuscita e loro suggcrisca
a modo di antidoto qualche opera sana, che mentre gioví loro effícacemente per letteratura. storia ci
oile, psicología e pedagogía ecc, le premunisca contro le tcorie irreligiose ed mimorali sulle dette ma-
terie. Se no, se ne avranno due danni, l'uno cioé degli studi non bene riusciti o con pregiudizio della
sanitá, l'altro che fatte professore spargano, anche senza volerlo, insegnamenti pericolosi e fatali a tutta
quanta la loro Congrega/Jone. La seronda dilficoltá gravissima vien loro dalla preparazione alia tesi di
laurea, che per esse, soprattutto per la laurea di storia e geografía, s'impone in modo veramente inquie-
tante, COSÍ da metiere a repentaglio la loro vocazione. la sanitá e la riuscita stessa deü'esame, se non
hanno costi sul posto una guida seria, intelligente, pratica e volonterosa. Quel che accade ora, cioé quel
dover consultare persone o non abbastanza pratiche del genere di studi o pratiche si, rna pericolose,
quel dover andar su e gin dall'una all'altra biblioteca, spesso con lo scoraggiamento del trovar poco o
nulla, piú spesso esposte a gravi pencoli, con innanzi lo spettro del non riuscire e della conscgucntc
umiliazione, conturba tremendamente gli uomini e assai piú le donne. Guai se chi le dirige non intende
questi turbamenti, che poi si riflettono su tutta la loro vita morale e física! lo ho fatto e lo volentien
quel che posso ed é compatibile co' mici doven, che debbono andar innanzi a tutto, perché si tratta d?
carita fraterna. Procurai anche loro qualche aiuto in altri confratelli durante le vacanze; ma tutto
questo non basta. Occorre loro un direttore di studi costi sul posto e possibilmente salesiano, .serio, si-
curo di principi, intelligente, oolenteroso e... pi ático del mestiere. Chi riunirebbe possibilmente questo
qualitá sarebbc D. Conclli, che potrebbc ad es. venir a Roma \\era direttore a Frascati] ogni quindioi
giorni, vederc, sentiré, rispondere, consignare ecc, far insomma il da fare per coteste studenti. Se no,
si avrá colla peste di cattivi insegnamenti in casa la mala riuscita dehésame e la perdita della sanita.
Yoda Lei; io ho voluto adempicre un dovere di coscienza. >
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Capo XXXIV
esercitare la cura e sorveglianza genérale Don Cagliero, Catechista
genérale dei Salesiani, tenendola finché, fatto Vescovo, partí per la
Patagonia nel 1884. Alia sua partenza la Direzione genérale delle
Suore venne affidata a Don Bonetti, che era uno dei tre Consi-
glieri del Capitolo Superiore, divenuto poi Catechista genérale.
Morto Don Bonetti nel 1891, Don Rúa chiamo a queU'ufficio Don
Marenco, sebbene non fosse membro del Capitolo Superiore, ma
solo Ispettore nella Liguria.
Don Rúa, come Don Bosco, un paio di volte all'anno visitava la
Casa Madre, in occasíone di esercizi spirituali e di vestizioni e
professioni religiose. Diede egli nel 1892 l'avviso ufficiale del terzo
Capitolo Genérale alie Suore (1), nominandone il Regolatore, come
volevano le Costituzioni, nella persona di Don Cerruti e raccoman-
dando d'inviare a lui osservazioni e proposte; egli fu che presie-
dette il Capitolo con Tassistenza di Mons. Cagliero, ne notificó l'e-
síto (2) e ordinó la stampa delle deliberazioni. In quel Capitolo
vi erano state anche le elezioni; ora, in detta notificazione fece co-
noscere una deliberazione presa prima che si procedesse alie elezioni.
« Si é notato, scriveva che la coincidenza del Capitolo Genérale dei
Salesiani con quello delle Figlie di Maria Ausiliatrice nello stesso
anno riusciva causa di grave intralciamento nelle occupazioni delle
vacanze, di ritardi negli esercizi spirituali e per conseguenza di di-
sturbi nelle varié Case al principio dell'anno scolastico. Ad ovviare
tali inconvenienti si é deliberato che le Suore che verrebbero elette
debbano per questa volta durare sette anni in carica e cosi il vostro
Capitolo Genérale non abbia piíi a tenersi fino di qui a sette anni,
cioé nel 1899. » Partecipava inoltre la nomina di Don Marenco a
Direttore genérale e informava della creazione di nuove Ispettorie
dei Salesiani e delle Suore. Al qual proposito avvertiva: « Giudico
qui opportuno notificarvi che d'ora in avanti anche le Case delle
Figlie di Maria Ausiliatrice saranno divise in Ispettorie con lo stesso
ordine delle Case salesiane, come apparirá dal vostro catalogo. L'au-
mento maraviglioso delle vostre Case e la grande distanza delle une
(1) Circolarc 19 marzo 1892.
(2) Circol. 21 novembre 1892
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Le Figlie di M. A. nel primo periodo del Reüorato di Don Rúa
roño a fermarsi altrove nell'attesa di migliori eventi. Nel 1898 le
professe erano 1505, con 342 novizie e 170 case, nelle quali si svol-
gevano 472 opere. In 16 spedizioni partirono 148 Suore per l'A-
merica; altre 133 si divisero per Tantico continente fuori d'Italia.
Questo diffondersi delle fondazioni resé ben presto necessario non
solo moltiplicare le circoscrizioni ispettoriali, ma anche definir bene
i poteri delle Suore ispettrici. Veramente i termini di Ispettorie e
di Ispettrici non compaiono se non nel 1889; ma fin dal 1886 .un re-
gime ispettoriale esisteva giá in embrione, come abbiamo ved uto
piü sopra. I Superiori salesiani parlavano giá allora, é vero, di Ispet-
torie delle Suore, ma si esprimevano in tal modo per analogia con
quelle della Societá. Cosi nei verbali del Capitolo Superiore sotto la
d a t a del 20 ottobre 1886 é detto: « II Capitolo decide di dividere
l'Ispettoria americana delle Suore in due: quella dell'Argentina e
quella dell'Uruguay. Ad al tro tempo si studierá come regolare le
loro Ispettorie e le attribuzioni da darsi alie Ispettrici.» Questo
studio si fece poi nei Capitoli Generali delle Suore. Nel 1898 vi
erano 13 Superiore ispettoriali, ma col titolo di Visitatrici.
Le parole pocanzi riferite fanno desiderare un chiarimento sulle
relazioni ufficiali che passavano allora fra i Superiori salesiani e
le Suore* Tali relazioni erano fondate sul seguente articolo delle
loro Rególe (1), scritte da Don Bosco: «L'Istituto é sotto Falta ed
immediata dipendenza del Superiore Genérale della Societá di
S. Francesco di Sales, cu i dánno il nome di Superiore Maggiore
In ciascuna Casa egli potra farsi rappresentare da un sacerdote
col titolo di Direttore delle Suore. Direttore genérale sará un
membro del Capitolo Superiore della Congregazione salesiana. »
Questa Direzione genérale dipendente dal Rettor Maggiore in prin-
cipio fu esercitata da Don Pestarino; indi da Don Costamagna,
Direttore lócale a Mornese. Intanto, avendo l'Istituto preso mag-
giore sviluppo, si pensó di lasciare soltanto la Direzione partico-
lare al Direttore lócale della Casa Madre in Mornese e poi in Nizza
Monferrato, e cominció, per incarico avutone da Don Bosco, ad
(1) Tit. II, art. I.
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Le Figlie di M. A. nel primo periodo del Rettorato di Don Rúa
raíorio delle donne, la panetteria, il collegio dei fanciulli, l'ospedale, il laboratorio
degli uomini con la sua grande macchina per segare alberi, piallare, ecc, macchina
che mette in movimento questi fortunati Indi.
Ma lo spettacolo piü commovente si compié la mattina del 3, la comunione
genérale di tutte le Indie istruite e battezzate. Ripetevano con fervore le preghiere,
andavano e venivano con divozione dall'altare e ascoltavano con attenzione il ser-
raoncino di Monsignore, E pensare che un anno prima vivevano come bestioline! —
Se le vedesse ora il Sig. Don Rúa, qual conforto ne proverebbe, va dicendo la
nostra madre, qual consolazione!
Lasciata l'isola Dawson e tomata a Puntarenas, la Madre si ri-
mise in mare per recarsi dalle Missionarie della Candelara nell'I-
sola Grande. Orbene si legge nel Diario: « Solo il Signore puó cal-
colare le diffícoltá che Mons. Fagnano dovette superare, i pericoli
che dovette affrontare per studiare e trovare il cammino buono.
Lo trovó, grazie al divino aiuto, alia sua energía e alia sua costanza
nei sacrifici piü gravi. » In quella Missione si rinnovarono press'a
poco le scene dell'altra. Quando la Madre vide la povertá, in cui
vivevano quelle sue figlie, pianse; eppure esse erano allegre (I). La
navigazione si svolse, andando e tornando, con giornatacce assai bur-
rascose.
Al 31 luglio un vapore discreto, un po' migliore di altri prece-
denti, porto una terza volta la Madre a Montevideo, dove incontró
Mons. Cagliero e donde con lui, col suo segretario e con alcune
Suore partí per il Brasile. L'Atlantico regaló ai naviganti giornate
pessime. II 15 agosto sbarcarono a Santos, ricevuti dal nuovo Ispet-
tore Don Peretto, dal Direttore di S. Paolo Don Foglino e da al-
cune Suore. Dopo una breve fermata, si diressero a S. Paolo. Quivi
la Madre si trattenne cinque giorni, andando in seguito a Guara-
tinguetá, Lorena, Pindamonhagaba, Ouro Preto, Ponte Nova, nomi
a noi giá noti, che ricordano gli ultimi giorni di Mons. Lasagna.
Si fermó in ogni Casa il tempo necessario a esplicare Topera sua.
Lungo il tratto da Ouro Preto a Ponte Nova sostó con le sue com-
pagne a Juiz de Fora per pregare sulle tombe segnate coi nomi
delle vittime del 6 novembre 1895. Ve li accompagnó il Superiore
(1) Appuníi di viaggio inediti di Don Bcrruti.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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54.1 Page 531

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Capo XXXIV
dei Redentoristi, che ufficiavano la cappella del cimitero, Egli narro
fra Faltro: «I cadaveri, alcuni a pezzi, dalle tre pomeridiane alie
sei della mattina seguente giacquero nella strada ferrata, fra i rot-
tami della macchina e del treno, sotto una pioggia che veniva giü
come il Signore la manda va. Alcuni dei superstiti gridavano, altri
giravano come inebetiti, altri facevano sforzi disperati per salvare
le Suore, che pareva gemessero sotto le macerie. » Soddisfatto alia
loro pietá, le nostre viaggiatrici, mute dal dolore, ripresero il loro
cammino.
Tutta questa peregrinazione, piena di disagi e oppressa dal caldo,
si chiuse col ritorno a S. Paolo. " Oh, che viaggi, che viaggi tre-
mendi! " esclama la diarista. Vi si era impiegato un buon mese e
mezzo, dal 20 agosto all'8 ottobre. Dedicati altri 18 giorni alie Case
di S. Paolo, Araras, Guaratinguetá e Pidamonhangaba, la Madre ando
alia Capitale della Repubblica, Rio de Janeiro, donde scese a Monte-
video, consolando ancora una volta con la presenza e con la parola le
Suore accorse dalle varié Case; volle pero rivedere Villa Colon, Las
Piedras, Canelones, e Paysandü. Siffatti ritorni le giovavano a con-
statare i frutti ed a completare Topera dei passaggi antecedenti. La
diarista raccolse cola questa voce: « La visita della Madre non solo ci
ha portato gioia e festa, ma ancora pace e unione. Dopo che ella
fu qui, passó giá lungo tempo; eppure noi non abbiamo cessato
un istante di godere tranquillitá e armonía ammirabile. » Invero
la sua parola, dispensata largamente in comune e in privato. pro-
duceva ottimi effetti; la sua esperienza le faceva intuiré le neces-
sitá e la sua prudenza le indicava i mezzi con cui rimediarvi. Don
Rúa il 13 setiembre le aveva scritto al Brasile: « Quanti viaggi,
quanti disagi e quante feste! Ricevo da varié partí notizie del le vo-
stre visite coi ringraziamenti di avervi mandata, ed io rivolgo a Dio
i ringraziamenti per la buona salute che vi accorda, per i pericoli
che vi fa sormontare e per le dolci ed infuocate parole che v'i-
spira ad eccitare in tutte le vostre figlie lo zelo a lavorare per
le anime e l'impegno a santificare se stesse [...1- Date loro la no-
tizia che il Signore le destina a fare un bene immenso nelle ster-
minate provincie di cotesta repubblica; si facciano coraggio a farsi
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Le Figlie di M. A. nel primo periodo del Reitorato di Don Rúa
molto buone e fornirsi di grande zelo per corrispondere ai disegni
di Dio sopra di loro. Devono esse conlídare in Maria Ausiliatrice
e Don Bosco ed inoltre avere puré gran fiducia nella protezione
di Mons. Lasagna e delle loro sorelle, rimaste vittime della loro
obbedienza e carita in Juiz de Fora. »
L'anniversario del disastro fu commemorato con molte preghiere
di suffragio e con un solenne funerale nel duomo di Montevideo.
« Mons. Lasagna specialmente, riferisce il Diario, é ricordato da tutti,
buoni e cattivi, come un benefattore, un padre, un santo. »
Ritornata a Buenos Aires, si accingeva a partiré per il Chubuí;
ma la mancanza di piroscafi naviganti in quella direzione la co-
strinse ad aspettare dal 25 novembre al 25 gennaio 1897. Ne pro-
fittó per rivedere le Suore della Boca, di Bernal, Barracas, S. Isidoro,
S. Nicolás, Rosario e fare ancora una capatina a Montevideo du-
rante gli esercizi spirituali. Qui la sua segretaria e diarista ricevette
da Don Rúa un biglietto, in cui le si diceva: « Sonó persuaso che
ogni ora che la Madre passa nelle Case é una benedizione: ed é
per questo che, malgrado sia piú di un anno che manca, non le
fo premura peí ritorno. » Poté di li a poco presiedere nuovamente
gli esercizi anche a Buenos Aires.
II 25 gennaio finalmente, recatasi in treno a Bahia Blanca e ri-
masta alcuni giorni con quella comunitá, rifece in galera la via
crucis di Patagones, incalzata da un pampero, che sollevava lungo il
percorso veré colline di sabbia e térra. Si sarebbe potuta imbar-
care a Buenos Aires; ma preferí daré ascolto a Mons. Cagliero, che
la desiderava a Viedma durante gli esercizi spirituali. II vapore
per il Chubut giunse 1'8 febbraio, e l'indomani, partenza. Molti
e gravi disagi dovette sopportare prima di raggiungere Rawson, il
centro della Missione, che i lettori giá conoscono. Don Vacchina e
due Suore le andarono incontro a Trelew. Dopo tanti travagli un
giorno solo poté passare intero cola, perché il vapore non aspet-
tava oltre e clii sa quando ne sarebbe venuto un altro. La naviga-
zione comincio con una bnrrasca tremenda, in cui le povere navi-
ganti si videro piú volte la morte da presso.
Monsignore trattenne la Madre a Vieclma in riposo. Questo ri-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

54.3 Page 533

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Capo XXI1V
poso, necessario anche per disporsi a un altro viaggio piú lungo e
non ;meno faticoso, duró dal 17 febbraio al 26 marzo. Furono bei
giorni per le Missionarie, che non si saziavano d'interrogare e di
sentir parlare, dice il Diario, " di Don Bosco, dei Superiori, di Nizza,
dello spirito salesiano, delle Suore lontane". Vide cosi il bene che
facevano le sue figlie; vide puré ia guerra accanita che le principali
Autoritá movevano alie scuole dei Salesiani e delle Suore. dando
non poco fastidio a Mons. Cagliero (1).
II Io aprile s'incamminava da Buenos Aires verso il Matto Grosso
con la prospettiva di trascorreré circa tre mesi su e giü per fiumi di
difficile navigazione, attraverso a interminabili foreste, fra calori
tropicali; eppure con animo virile superó tutte queste difficoltá.
A due ore di notte del 20 aprile Suore, alunne, oratoriane e signore
di Cuyabá le facevano festose accoglienze alio sbarco dal fiume
omonimo. Dopo dieci giorni di sosta, si avvió con un Coadiutore
salesiano e alcune Suore alia colonia Teresa Cristina, ln nove lunghi
giorni e altrettante lunghissime notti di navigazione fluviale, ebbe
di giorno solé cocente, di notte rugiada copiosa, e sempre zanzare
in quantitá. II vitto era di gallette; unici conforti, pregare, cantare
laudi sacre e rammendare calze per i Salesiani, delle quali erasi
fatta abbondante provvista. Assistita premurosamente da Don Bal-
zola e dalle sue Missionarie, visse quattro giorni la vita delle sue
Missionarie fra i Bororos. Rifatta la medesima via, fu di nuovo a
Cuyabá, donde il 9 giugno, raccomandandosi a tutti i Santi, in ira-
prese il viaggio di ritorno a Buenos Aires. Rientró nella Casa di
Almagro il 27 fra il tripudio delle abitatrici. Qui la attendeva una
graditissima sorpresa. Lasciamo che narri Suor Fauda.
Nel penúltimo passaggio in questa casa benedetta essa aveva dimostrafo alia
Visitatrice il desiderio che si fosse formata una squadra di fanciulle da educarsi in
modo speciale ai doveri della vita di famiglia, nell'esercizio delle virtü cristiane,
del lavoro, della pietá, cosi da renderle a suo tempo massaie sagge, operóse e pie,
capaci di guadagnarsi onestamente il pane, di provvedere a sé e agli altri, nella
condizione in cui le avrebbe chiamate il Signore. Tali fanciulle sarebbero dovute
venire scelte fra le piú povere e bisognose e di buon volere, essere tenute come le
(1) Diario, 7 e 16 marzo 1897.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Le Figlie di M. A. riel primo periodo del Reítorato di Don Rúa
piü care al cuore di Dio e di Don Bosco, con ogni preferenza di cure e di solle-
citudini máteme.
Non ci volle di piü. per questa tanto buona Visitatrice. Ecco la squadra bell'e
formata: una cinquantina di care fanciulle, tutte contente e felici nella loro ben
ordinata e graziosa divisa. E vederle con quale grazia e gioconditá si prestano agli
insegnamenti delle Suore, alternando le ore fra la preghiera, la scuola, i lavori di
cucina, di bucato, di soppressatura, di cucito, ecc! NelFaccademia di commiato
diedero una rappresentazione, nella quale, in atto di brave massaie, rievocavano
lietamente i tempi dei primi artigianelli di Don Bosco e di Mamma Margherita.
La Visitatrice che sapeva secondare cosi bene i desideri del la
Madre, era Suor Vaschetti, la presente Superiora Genérale dell'I-
stituto.
II 28 giugno 1897, benedetta da Mons. Cagliero e accompagnata
dai voti cordiali di tutte le Suore, rivalicó 1'Atlántico. Per due anni
non ave va fatto altro che subordinare al compimento del la sua
missione qualsiasi ríguardo personale, affaticandosi senza riposo,
prodigandosi senza risparmio e sacrificandosi senza limite. Un
sereno spirito soprannaturale, che le era diventato, se cosi posso
esprirnermi, quasi seconda natura, aveva animato abitualmente il
suo agiré e patire.
II Io agosto la Casa Madre di Nizza era in gran festa per il
suo sospiratissimo ritorno. Ve l'aveva preceduta di pochi giorni una
lettera di Mons. Cagliero, il quale dice va fra l'altro alie Suore: « La
Madre fa ritorno all'Europa! Le sorelle d'America ve la restitui-
scono dopo averne assaporato i pensieri, gli affetti, i consigli ma-
terni, per lo spazio di quasi due anni. Essa parte, ma lascia nelle
sue figlie brasiliane, uruguayane, argentine, cilene, peruviane ri-
cordi indelebili, salutari esempi, affetti incancellabili.»
La presenza della Madre a Nizza era attesa per daré principio
a grandi festeggiamenti. Nel 1897 si compivano 25 anni dall'inizio
dell'Istituto. 11 5 agosto 1872 le prime 15 Figlie di Maria Ausilia-
trice ave vano ricevuto a Mornese abito e nome; era giusto che alia
ricorrenza giubilare si desse la massima solennitá. Le celebrazioni
pero furono differite al 1898, dopoché con la Madre si fosse concer-
tato un programma e si fossero prese con la medesima le disposi-
zioni per i convenienti preparativi. Don Rúa a sua volta fin dai
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XXXIV
27 aprile 1897 aveva umiliato al Santo P a d r e Leone XIII una rela-
zione suirístituto con il duplice scopo di conseguifne dalla Santa
Sede un riconoscimento canónico e di ottenere alcuni particolari
favor i.
Non era suo intendimento di far passare le Figlie di María
Ausiliatrice sotto l'immediata dipendenza della Sede Apostólica,
costituendone una Congregazione di diritto pontificio, ma si con-
tentava che venisse ufficialmente riconosciuta cosi com'era per vo-
lunta di Don Bosco e col beneplácito di Pió IX. Questo amabile
Pontefice aveva oralmente consentito che le Figlie di María Ausi-
liatrice rimanessero dipendenti dai Salesiani, come le Figlie della
Carita dipendevano e dipendono dai Preti della Missione, Ma con
Testendersi della Congregazione nascevano talora difficoítá da parte
di Ordinari, i quali non vedevano bene che queste si sottraes-
sero in certo modo alia giurisdizione loro. Occorreva dunque un
atto esplicito che desse forma giuridica alio stato di fatto. Ad avva-
lorare la richiesta poteva essere addotta un'espressione che si leg-
geva nel Breve del 1893 riportato sopra. Ivi infatti il Pontefice par-
lava anche delle "sacre vergini appartenenti alia stessa Societá"
salesiana: sacrisque Virginibus eiusdem Socieíaíis. Don Rúa dun-
que, incaricando il Procuratore Don Cagliero di inoltrare la rela-
zione. gli raccomandava di fare i passi necessari al fine vagheg-
giato. Ma a Roma si affacciarono difficoítá si gravi da non potersi
venire ad una sollecita decisione; perció Don Rua il 16 luglio in-
vió alie Case delllstituto una circulare, in cui, annunciata la pros-
sima fausta ricorrenza, enumerava le ragioni collettive e individuali
che avevano e l'lstituto intero e le singóle Suore di commemorarla
in modo condegno; ne metteva pertanto in chiaro i fini, che erano
questi quattro: Io Ringraziare Tddio d'avere inspirato a Don Bosco
la fondazione dell'lstituto di María Ausiliatrice per la salute delle
anime. 2° Ringraziarlo ancora dfavere nella sua bontá e provvi-
denza ch¡amato le religiose aH'fstituto stesso. 3o Impetrare le be-
nedizioni di Dio sopra tutti i Benefattori e sopra tutti coloro che
avevano lavorato o lavoravano alia prosperitá di esso e al vantaggio
delle anime che lo componevano. 4° Ottenere finalmente da Dio per
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Le Figlie di M A. nel primo periodo del Retíorato di Don Rúa
mezzo di Maria SS. la continuazione delle celesti benedizioni per
tutto l'Istituto, e per ogni Suora la santa perseveranza.
I f a vori spirituali invece furono accordati. II documento romano
che ne dava comunicazione, recava la data anteriore di un giorno
alia data della circolare suddetta. Era una lettera del Card. Ram-
poíla a Don Rúa cosi concepita:
In relazione alFistanza, che in data del 27 aprile la S. V. Rev.ma indi-
rizzava al Santo Padre al fine di ragguagliarlo intorno aH'Istituto delle Figlie di
Maria Ausiiiatrice in occasione del suo 25° anno di fondazione, specie per quello
che ne riguarda lo sviluppo interno e il bene ottenuto dal medesimo, sonó lieto di
portare a di Lei conoscenza che Sua Santitá accolse con vera e paternale soddi-
sfazione tali notizie che tornano di sempre maggior elogio per il fondatore, il deguo
Servo di Dio Don Bosco, vero Apostólo di carita.
II Santo Padre neirencomiare altamente Topera del medesimo Istituto cosi be-
nemérito delFumanitá e che ha oramai giá prese le stesse vaste proporzioni della
Pia Societá Salesiana, di gran cuore concede la sua speciale benedizione a tutte le
Suore, alie loro alunne, e alie loro intraprese di Apostolato.
In segno di particolare benevolenza si é degnato ancora concederé le implórate
grazie, cioe: Io Una speciale Indulgenza plenaria, nelle consuete forme della Chiesa
ría lucrarsi il giorno in cui celebreranno il 25° anniversario della loro istituzione a
favore delle Suore e loro alunne in tutte le loro case; 2° Che nello stesso giorno si
possa cantare la Messa propria di Maria SS. sotto il titolo di Auxilium Chri-
stianorum.
Aggiungo di bnon grado i miei voti di sempre crescente prosperitá in tutte le
opere dirette dai Salesiani ecc.
Don Rúa ne diede partecipazione alie interessate il 15 ottobre,
quando cioé, chiusi gli esercizi spirituali, le Suore erano rientrate
nelle proprie residenze e avevano cominciato Fanno scolastico. « Al
ricevere questa graziosa lettera, scriveva egli del riferito documento,
vi assicuro che nel mió cuore ho sentito tutta la riconoscenza che
puó sentiré un padre nel vedere cosi benedette le sue figlie dal
Vicario di Gesú Cristo. » Raccomandava quindi alie Direttrici di
pregare i rispettivi Ispettori, Direttori o Parroci a voler fissare il
giorno piú opportuno per celebrare la festa straordinaria. Natural-
mente, com'egli aveva cura di avvertire, la Messa propria non era
solo per le Casa Madre, ma per tutte le altre, e delFIndulgenza po-
íevano fruiré con le Suore anche le alunne senza eccezione.
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Capo XXXIV
Tutte le Case d'Italia e dell'estero festcggiarono con solennitá
il lieto giubileo, prima fra esse la Casa Madre, che vi destinó il 13
giugno 1898 (1). V'intervenne Don Rúa. Noi riviviamo tutte quelle
candide e gioiose dimostrazioni, sfogliando i numerosi incartamenti,
in cui alie relazioni vanno unite le copie, calligraficamente tra-
scritte, delle cose lette, declámate, cántate, recítate, come anche i
discorsi tenuti e le adesioni giunte da cento parti. Un tal lavoro
costó fática; ma chi ne prende visione, ammira in quale contó fosse
tenuta dalle Suore la parola di Don Rúa. Egli infatti uella Circolare
del 15 ottobre 1897 aveva detto: « Di quanto si fará in ogni Casa
desidero che sia fatta relazione al mió Vicario, onde se ne conservi
memoria. » Meglio di cosi non si poteva fare per secondarne il de-
siderio. Medesimamente era stato esaudito a pieno il suo voto, che
si cercassero piü che altro i frutti spirituali; onde in ogni luogo la
festa fu preceduta da novena o da triduo e celebrata con il maggior
numero possibile di comunioni. La Madre Genérale, dando rannun-
cio dei festeggiamenti e mandando inviti alie ex-allieve di Nizza,
profittó dell'occasione per formare di esse un Comitato permanente,
che stringesse ognor piü i vincoli delle antiche alunne con l'lstituto.
Porro termine a questo capo riportando una fra le tante adesioni,
quella del terzo successore di Don Bosco, Don Filippo Rinaldi; mi
p a r e che sia la conclusione piü opportuna del fin qui detto. Scri-
veva egli fra Faltro dalla Spagna, dov'era Ispettore: « II vost.ro
Istituto é per me oggetto di ammirazione e di venerazione, nel suo
nascimento, nel suo progredire, nel suo spirito. La sua debolezza,
le sue difficoltá me lo fanno comparire piü bello, e l'avvenire é suo,
se, fedele alio spirito e al nome di Don Bosco, seguita cercando la
maggior perfezione possibile dei suoi membri. »
(1) Non il 23 agosto, come é asserito altrove. Cfr. Boíl Sal., luglio 18%
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CAFO XXXV
I Salesiani nel Venezuela,
(Caracas, Valencia, Curacao)
In nessuna delle Repubbliche americane i Salesiani furono pre-
ceduti da piü lunga e insieme piú larga aspettazione che nel Ve-
nezuela. Nel 1886 l'Arcivescovo di Caracas Uzcátegui visitó Don
Bosco all'Oratorio, descrivendogli a vivi colorí la desolazione spiri-
tuale della sua Diócesi e supplicandolo di mandargli i Salesiani.
II Santo, preso a cuore il desiderio del pió Prelato, delibero d'inviare,
appena fosse possibile. anche in quella remota térra i suoi figli. In-
tanto un sacerdote zelantissimo, che era stato al seguito dell'Ar-
civescovo, Don Riccardo Arteaga, conoscendo assai bene e amando
molto l'Opera salesiana, intensificó il suo ardore nel moltiplicare i
Cooperatori venezuelani, l'organizzazione dei quali forma l'argo-
mento di tre lettere indirizzategli da Don Bosco nel 1887 (1); di
essi il Santo lo nominó Direttore. In breve tempo ne inscrisse alia
Pia Unione piú di 600, che nel 1891 Don Evasio Rabagliati trovó
essere cresciuti a oltre 2000 (2). " I I mió cuore é interamente sale-
siano ", aveva scritto il buon Cooperatore (3).
Nel 1890 parve che la Provvidenza volesse rendere piü stretti i
vincoli, che legavano i Salesiani a quella nazione, disponendo, secon-
do l'espressione di Don Rúa, che si riponesse in grembo al suo suolo
un seme destinato sicuramente a germogliare in una istituzione sa-
lesiana. Alludeva alie spoglie del ch. Giuseppe Eterno, morto du-
(1) Mem. Biogr., vol. XVIIT, pp. 779-81.
(2) Boíl. Sal, luglio 1891, pag. 134.
(3) Lett. a Don Rúa, Caracas, 3 aprile 1891.
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Capo XXXV
rante il viaggio per la Colombia e sepolto in un cimitero poco
lungi dal porto della Guaira. Nelle dimostrazioni di fraterna pietá
verso il defunto e di grande simpatía verso la Societá salesiana,
date dal clero e dal popólo in si luttuosa circostanza, egli intrav-
vedeva un indizio della divina volontá, traendone un forte stimolo
a esaudire anche con sacrifici le reitérate istanze per avere cola
i Salesiani (1).
Nel luglio dello stesso anno sedici pellegrini venezuelani ven-
nero a Roma per recare a Leone XIII l'omaggio dei loro conna-
zionali. Dall'Arcivescovo di Caracas essi ebbero ordine di tratte-
nersi a Torino e di consegnare a Don Rúa una sua lettera, con cui
rinnovava le proprie istanze. Con evidente intenzione egli aveva
messo a capo della pia carovana il párroco Machado, colui che
pochi mesi prima, ospitando il nostro confratello infermo. l'aveva
circondato di amorevoli cure e ne aveva onorato con ogni mezzo
i funerali. Arrivati il 13 luglio e andati a Valsalice per invocare
da Don Bosco sulla sua tomba la grazia, ricevettero nell'Oratorio
le piú festose accoglienze. L'Arcivescovo nella sua lettera presen-
tava Don Machado come autorizzato a stabilire le basi della fon-
dazione (2). Don Rúa rimise al medesimo sacerdote la risposta, in
cui, ringraziato Monsignore della fiducia da lui riposta nei Sale-
siani. soggiungeva: « Solo ci rincresce che le opere da noi intraprese
e gl'impegni assunti pei prossimi anni c'impediscano di aderire sú-
bito ai suoi pii desideri: speriamo pero che nel 1893 od al piü tardi
nel 1894 saremo in grado di spedire personale per incominciare
qualche opera in codesta cittá di Caracas. »
L'anno dopo ecco una nuova proposta da parte di Propaganda (3).
La Sacra Congregazione indirizzava a Don Rúa il sacerdote Ni-
canore Riveno, che per incarico dell'Arcivescovo di Caracas an-
dava in cerca di Missionari, che volessero consacrarsi all'evange-
lizzazione degli infedeli ancora esistenti nel territorio della Repub-
blica venezuelana. II Segretario di Propaganda scriveva al Rettor
(1) Boíl. Sal., agosto 1890, p. 118.
(2) Lett. 26 maggio 1890.
(3) Lett. 28 aprile 1891.
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54.10 Page 540

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/ Salesiani nel Venezuela
Maggiore dei Salesiani: «Sua Santitá, prendendo vivo interesse a
quest'opera di evangelizzazione promossa dal summenzionato Prelafo,
per mezzo del sottoscritto Le fa conoscere essere di suo gradimento
che V. R. corrisponda nei limiti possibili alie richieste che Le ver-
ranno fatte sull'oggetto. » Don Rúa rispóse che si sperava di po-
ter corrispondere entro pochi anni. Ma i pochi anni diventarono
molti: solo nel 1932. per disposizione della Santa Sede, i Salesiani si
addossarono la difficile Missione dell'Alto Orinoco.
Nel 1893 si era ancora sempre nell'attesa; ma a un dato mo-
mento sembró che l'attesa dovesse riuscire proficua; un improvviso
colpo di scena fece cadere i progetti antecedenti, compresa la pro-
posta di affidare ai Salesiani la direzione del Seminario di Ca-
racas. II Governo manteneva una Scuola di arti e mestieri, nella
quale i maestri erano molto teorici e poco pratici, mentre a ben di-
rigere laboratori di tal fatta ci volevano persone che nell'insegna-
mento sapessero uniré alia teoria la pratica. La persuasione di que-
sta necessitá e il convincimento che i maestri d'arte salesiani ap-
plicassero con frutto questo método, come lo dirnostravano i ri-
sultati conseguiti nei diversi paesi, dove esercitavano il ioro ufficio,
mosse il Governo a decretare che la sua Scuola professionale avesse
maestri salesiani, obbligandosi a sborsare le spese di via^gio da To-
rino a Caracas (1). II Delegato Apostólico Tonti accettó Pincarico
di trattare con Don Rúa l'invio di quattro Salesiani, rimettendogli
la somma di 4000 franchi per le spese di viaggio. 11 Delegato adem-
pie personalmente il mandato nell'agosto del 1894; dopo di che Don
Rúa il 10 di quel mese scrisse all'Arcivescovo: « Sappiamo che
!'E. V. Rev.ma ebbe gran parte nella deliberazione presa dal Go-
verno di chiamare i Salesiani, e pero a V. E. Rev.ma rendiamo vive
grazie della sua benevolenza verso di noi ed in pari tempo La
preghiamo a voler presentare, se lo crede opportuno, aH'Ecc.mo Go-
verno della Repubblica i sentimenti della nostra riconoscenza col-
Fassicurazione che faremo dal canto nostro il possibile per inviare i
quattro soggetti aspettati non piú tardi del novembre prossimo e
(1) Decreto 23 setiembre 1893.
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55.1 Page 541

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Capo XXXV
che si fará quanto si puó per corrispondere alia fiducia in noi ri-
posta. Siccome poi Mons. Delegato Apostólico ci lasció intravedere
che non sia ancora tutto regolarmente disposto quanto riguarda l'in-
stallazione dei nostri confratelli per l'alloggio, peí sostentamento e
altro, COSÍ alia sperimentata bontá della E. V. Rev.ma ricorriamo ri-
spettosamente, affinché voglia adoprarsi, perché ogni cosa possa es-
sere ben ordinata e sistemata prima del loro arrivo. »
I Salesiani, secondo la data parola, salparono da Genova il Io no-
vembre. Erano in sette, quattro per Caracas e tre per Valencia, come
diremo. 11 primo gruppo si componeva del Direttore Don Enrico
Riva, chiamato da Sarria, di due chierici e di un coadiutore. Giun-
sero alia Guaira il 29. La e nella Capitale andarono di trionfo in
trionfo (1). Ma non appena quei di Caracas posero piede nella
Scuola professionale, cominciarono le dolenti note.
Nel decreto del 23 setiembre 1893 nessuno aveva posto mente,
che vi si parlava solo di maestri d'arte, ma non si face va motto di
direzione. 11 Delegato Apostólico riteneva che direzione e insegna-
mento dovessero passare nelle mani dei Salesiani e ne trattó in que-
sto senso con Don Rúa. Invece fu presentato ai Salesiani un de-
creto del 23 ottobre 1894, che non solo fissava il programma didat-
tico, ma metteva direzione e amministrazione nelle mani di laíci
sotto Passoluta dipendenza del Governo, riserbando ai Salesiani i!
puro e semplice insegnamento professionale. I Salesiani si videro
giocati. Certo, se si íossero conosciute a tempo simili intenzioni, né
Don Rúa avrebbe agito come agi, né Mons. Tonti avrebbe fatto la
parte che fece. A dir vero, il Ministro della Pubblica Istruzione non
divideva tali intenzioni; ma nel Consiglio non aveva saputo resi-
stere alia corren te che voleva i Salesiani alia totale dipendenza da!
Governo.
II Direttore dichiaró inaccettabili quelle condizioni; tuttavia, non
giudicando opportuno intavolare discussioni e aspettando ordini dai
Superiori, si ritiro con i suoi in una piccola casa di carnpagna. do-
(0 11 Bollelttno spagnolo del marzo 1894 ha una pariicolareggiata descrizione di questi íesteg-
giamenti.
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1 Salesiani nel Venezuela
nata dalla famiglia Ayala. L'Autoritá ecclesiastica offerse loro i vi
presso per l'esercizio del sacro ministero una chiesetta del Carmine
Casa e chiesa erano in un suburbio chiamato " El Rincón de El
Valle" con una popolazione di 2000 abitanti. Si applicarono puré
all'insegnamento elementare. Intanto I'Arcivescovo, annunciando a
Don Rúa il felice arrivo dei Salesiani, gli scriveva il 6 dicembre:
« Sonó sorte alcune difficoltá, come Le diranno i Padri. che prima
di entrare a dirigere la Scuola di arti e mestieri credettero meglio
mettersi bene al corrente delle cose e soprattutto aspettare perso-
nale. Del resto nulla é mancato loro fino al presente e spero nel
Signore che nulla mancherá. lo mi sonó profferto loro per tutto ed
essi debbono trattarmi con la massima confidenza. » Lo stesso Presi-
dente della Repubblica General Crespo con sua lettera autógrafa
del 10 dicembre ringrazió Don Rúa della benévola accoglienza fatta
alia proposta governativa.
Evidentemente la partenza dalla Scuola non era definitiva; ma
ogni decisione rimaneva sospesa fino al ritorno del Delegato Apo-
stólico, il quale, avendo avuto parte diretta nella pratica, avrebbe
chiarito le cose e cercato un accomodamento. Monsignore, tornato a
Caracas nel gennaio del 1895, si mise súbito all'opera. Sembrava
trovata una via di accordo, quando sul finiré di aprile, avvenuto un
cambio di Ministri, successe alNstruzione un avvocato notoriamente
anticlericale, che tiró dalla sua il Presidente Crespo, facendogli fir-
mare un altro decreto peggiore del primo e offensivo per la Con-
gregazione. Vi si diceva infatti che erano venuti dall'Europa mae-
stri salesiani privi delle necessarie cognizioni e quindi inetti all'in-
carico. Era una calunniosa menzogna. I Salesiani non avevano con-
dotto seco nessun maestro d'arte, perché a guisa di avanguardia dove-
vano prendere prima la dirézione morale e disciplinare e intanto esplo-
rare il terreno. Come supporre che fosse possibile sostituire la su
due piedi gli antichi maestri? I maestri nuovi sarebbero venuti dopo.
Un Decreto cosi ingiurioso era stato dettato dal dispetto. Don
Riva, allorché aveva toccato con mano l'inutilitá di ogni sforzo per
arrivare a un'intesa circa la Scuola di arti e mestieri con carattere
d'Istituto salesiano, se ne era definitivamente ritirato e secondo le
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Capo XXXV
istruzioni dei Superiori si occupava della fondazione di un Istituto
salesiano privato. Questo fu che irritó il Ministro.
I Salesiani stettero al "Rincón de El Valle" fino al mese di ago-
sto. Allora si trasferirono in una casa presa a pigione presso il centro
della cittá, aprendovi un Collegetto per studenti interni ed esterni
di media condizione, denominato di " S. Francesco di Sales. " Con-
íinuarono cosi fino agli ultimi del 1897, quando poterono inaugu-
rare un edificio di loro proprietá, costruito ex novo con l'aiuto
dei Cooperatori. Qui, essendo giunto un rinforzo di personale, alie
scuole precedenti ne aggiunsero puré di gratuite per giovani po-
veri sotto la denominazione di " Scuole gratuite Don Bosco ". A suo
tempo, ingrandito il fabbricato, vennero anche le Scuole profes-
sionali.
Ma i Cooperatori venezuelani volevano e chiedevano anche al tro.
Lo zelo di Don Arteaga e la gran diffusione del Bollettino in lingua
spagnola, redatto a Torino, avevano moltiplicato straordinariamente
i divoti della Madonna di Don Bosco; onde i Salesiani erano conti-
nuamente pressati da suppliche, affinché erigessero una chiesa a
Maria Ausiliatrice. Essi, appena le circostanze lo permisero, comin-
ciarono a ordinarne il disegno. Un giovane architetto di Caracas
seppe ideare un tempio che univa alia sempÜcitá e alia soliditá la
bellezza. La prima pietra fu benedetta daH'Arcivescovo il 4 luglio
1897, assistito dal Vescovo di Barquisimeto Rodríguez e con l'in-
tervento dei piú cospicui membri del clero secolare e regolare di
Caracas; ma quello che maggiormente colpi il pubblico fu la pre-
senza delle maggiori Autoritá civili e militarí: un Genérale rappre-
sentava ufficialmente il Presidente della Repubblica. Nelle alte sfere
governative non si era tardato a comprendere che i Salesiani col
favore popolare avrebbero fatto da sé la loro strada; onde parve
buona política non ignorarli. Disgraziatamente pero la guerra civile,
scoppiata all'improvviso poco dopo, impedí che s'intraprendessero
súbito i lavori, i quali tuttavia poterono essere terminati giá nel
maggio del 1901.
I tre destinati a Valencia, cioé il Direítore Don Felice Andrea Ber-
geretti con due chierici, non ebbero a incontrare ingrate sorprese
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

55.4 Page 544

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/ Salesicini nel Venezuela
come i loro fratelli di Caracas. Erano un po' pochini veramente; ma
era nello stile di Don Bosco incominciare con modesti principi. Si
presentó alia cittadinanza, accorsa a riceverli, Don Vittore Aroeha,
altro sacerdote dall'anima salesiana, che da alcuni anni si adoperava
per quella fondazione. L'Arcivescovo di Caracas, la cui giurisdi-
zione abbracciava anche Valencia, l'aveva mandato a Torino per
trattarne con Don Rúa. Egli non si stancó di aspettare quasi un anno
all'Oratorio; alia fine, ottenuto il suo intento, partí con i Missionari
nel novembre del 1894. I tre pionieri, raggiunta la meta, si alloga-
rono in casa d'affitto, aprendovi una scuoletta elementare; ma, poi-
ché non possedevano ancora bene la lingua, si fecero aiutare nei
primi mesi da maestri della cittá. L'affluenza dei ragazzi li obbligó
tostó a cercare locali piü ampi. Acquistarono quindi un terreno, in
cui sorgevano alcune vecchie, ma spaziose e solide abitazioni. Senza
seguiré un piano architettonico v'introdussero adattamenti3 che le
rendessero atte ad albergare il maggior numero di giovani e nel mi-
nor tempo possibile. A poco a poco, di mano in mano che aumentava
il personale, aggiunsero alie scuole primarie anche le secondarie di
grado inferiore e superiore per alunni interni ed esterni e l'oratorio
festivo. Le belle feste salesiane attiravano l'attenzione e le simpa-
tie del pubblico; la stampa abbondava in articoli d'informazione e
di plauso; i Cooperatori aiutavano; il Governo stesso, vedendo che
si faceva sul serio, regalo cento barili di cemento per i lavori sud-
detti. Nel gennaio del 1897 il Ministro della Pubblica Istruzione,
recatosi a A^alenza e salutato alia stazione dalle note della banda
musicale salesiana, visitó le scuole. II Collegio Don Bosco si affer-
mava ogni anno piú con gioia dei buoni, che ne constatavano i frutti
Un episodio di carita eroica vi resé popolare e benedetto il nome
salesiano. Sul principio del 1898 infieriva talmente in cittá il vaiolo,
che PAutoritá municipale improvvisó lungi dall'abitato un lazzaretto,
dove concentrare i colpiti. Nacque fra i Salesiani una gara per de-
dicarsi aU'assistenza religiosa degli infermi; ma il Direttore non volle
toglierli alie loro occupazioni e ando egli solo a rinserrarsi nell'o-
spedale, disposto a rimanervi fino alia cessazione del flagello. Men-
tre quaitro Suore francesi apprestavano le cure materiali, egli di-
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Capo XXXV
spensava i conforti religiosi. Le sale erano talmente gremite che i
letti quasi si toccavano e fin tre vaiolosi della stessa famiglia occu-
pavano qua e la un medesimo letto. I posti dei morti venivano sú-
bito presi da altri. II Direttore non usciva da quel luogo di dolore
se non per correré al capezzale di vaiolosi per le case della cittá; se
altri sacerdoti vi si fossero accostati, non avrebbero piü potuto av-
vicinare persone affette da diverse malattie, o introdursi in qualsiasi
famiglia, tanta era la paura del contagio.
Né i Salesiani del Collegio stavano inoperosi. Uno presiedeva la
Commissione di vaccinazione, passando di casa in casa con i me-
did che compivano tale operazione, divenuta obbligatoria per tutti;
un altro attendeva all'ospedale civile e alia beneficenza; un terzo
faceva da párroco in una parrocchia rimasta senza pastore; un
quarto aiutava nella cattedrale; un quinto era collettore di sussidi
per l'apprestamento di un nuovo lazzaretto, non bastando piú quello
esistente: alcuni lavoravano in casa attorno ai pochi giovani che non
avevano parenti in grado di ricoverarli.
II nuovo lazzaretto fu inaugurato il 17 agosto, né tardó a popo-
larsi di poveri vaiolosi. II Direttore correva dall'uno alPaltro ospe-
dale, cavalcando un ronzino donatogli a questo scopo daS Muni-
cipio e fermandosi a dormiré dove lo sorprendesse la notte. Scri-
veva a Don Rúa il 29 dello stesso mese: « Le scene strazianti, che suc-
cedono in questi giorni di calamita e di spavento genérale, sonó
senza numero. Piü non la finirei, se volessi accennare pur solo quelle
che accadono sotto i miei occhi. Benché omai avvezzo a simili spet-
tacoli di dolore, il cuore non puó abituarsi e ne rimane sempre pro-
fundamente commosso. »
II Governo faceva ogni sforzo per rimediare a tanti malí; ma,
dovendo fronteggiare una rivoluzione scoppiata proprio allora, non
arrivava a tutto. La guerra civile devastava la Repubblica, A Va-
lencia, mentre da un lato uscivano i prigionieri politici per essere
trascinati alia Capitale, dall'altra entravano i feriti. Vari generali,
fra cui l'ex-presidente Crespo, erano morti per ferite toccate in
baitaglia. Dappertutto s'incontravano insorti e soldati, dappertutto
scaramucee e vittime. Viaggiare non si poteva senza pericolo di lu-
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/ Salesiani nel Venezuela
cilate. La gioventü era pressoché tutta sotto le armi. gli uni obbli-
gati, gli altri volontariamente. La cittá viveva in trepidazione per
tema di veder entrare gli insorti e le truppe governative. Le case
sospette visítate, le aziende distrutte o abbandonate, il bestiame ru~
bato, paralizzato il commercio, il prezzo del pane e del sale in con-
tinuo aumento: lo spettro della carestía era alie porte. Quante di-
sgrazie, quale martirio per i poveri Valenciani!
La mortalitá dopo sette mesi cominció in settembre a diminuiré
e i casi anda vano facendosi sempre piú rari, anche la guerra fra-
tricida era finita. Intanto si riapriva il Collegio; ma il Direttore con
suo grande sacrificio doveva star separato da' suoi compagni di
lavoro e da' suoi giovani. La sua presenza continuava a essere ne-
cessaria nel lazzaretto e in casa avrebbe potuto portare Pinfezione.
Comunicava tuttavia con i Confratelli per telefono ed anche incon-
trandone talora per via.
Finalmente Dio ebbe misericordia dei poveri Valenciani. II 29
ottobre Don Bergeretti con le Suore lasció il lazzaretto. Al loro en-
trare in cittá furono accolti a festa dalle Autoritá e dal popólo ira
un uragano di evviva, con lo scoppio di mortaretti e sparo di razzi.
Si formó un corteo. Precedevano e circondavano le Suore ín vet-
ture scoperte varié comunitá religiose; Don Bergeretti a cavallo era
attorniato dal Clero e dalle Autoritá cittadine; seguiva una lunga
fila di carrozze e un'infinita moltitudine di popólo. Per Je vie prin-
cipali si propagavano le manifestazioni di giubilo. Nella chiesa dei
Collegio il Vicario della cittá disse dal pergamo parole piene di
sentimento, invitando tutti a ringraziare il Signore con il canto del
Te Deurn, e il Direttore impartí la benedizione eucaristica.
Se tutti i ben pensanti avevano dimostrato solennemente quanto
apprezzassero l'eroismo cristiano e sacerdotale, non la pensarono
cosí i massoni, che, appiattati nell'ombra, spiavano un'occasione qua-
lunque per buttar fuori il loro veleno; e l'occasione venne. Don
Bergeretti in una lettera del Io giugno a Don Rúa, accennando alie
cause che avevano provocato i castighi di Dio, metteva fra le prin-
cipali " il liberalismo con le sue leggi contro il matrimonio catto-
lico, col divorzio, con concordati che cercavano d'impcdire l'influenza
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Capo XXXV
del Papato sulle popolazioni" (1). Orbene, chi tradusse la lettera per
il Bollettino spagnolo, accoppió a "liberalismo " un aggettivo di suo
gusto, facendo diré a Don Bergeretti maldito liberalismo (2). Chia-
mare maledetto il liberalismo? Era un vilipenderé le istituzioni. do-
minando nello Stato il partito libérale. Fu quindi una levata di
scudi nella stampa massonica di Valencia e di Caracas (3). S'invo-
cavano i rigori del códice pénale, aggravati nella fattispecie dal-
l'essere straniero l'accusato. Le Autoritá invece, assai piú savie, la-
sciarono sbraitare; poi non solo il Municipio lócale conferí a Don
Bergeretti una medaglia d'oro in riconoscimento delle sue beneme-
renze, ma anche il Presidente della Repubblica gli decretó la mag-
gior onorificenza accordata dallo Stato agli stranieri, il Busto del Li-
bertador di terza classe.
Scomparso il morbo, cessato il guerreggiare, perduravano le
conseguenze, non ultima una turba di fanciulli rimasti orfani. II
Direttore, confidando nella Provvidenza, risolse d'iniziare a loro van-
taggio la Scuola di arti e mestieri. Perció fece acquisto di una ti-
pografía, che il proprietario gli cedette a buone condizioni, e ovvió
alia ristrettezza dei locali, comperando una casa attigua. Aggiunse
in seguito altri laboratori. Nonostante il cumulo di sventure, che
pesava suH'infelice cittá, non gli venne meno il soccorso dei Coopera-
tori; anche dall'Italia anime caritatevoli, mosse da' suoi appelli sul
Bollettino, gl'inviarono sussidi. Intanto con la buona riputazione dei
Salesiani cresceva il numero delle richieste di nuove fondazioni. In-
fatti Don Bergeretti scriveva a Don Rúa (4): « Sonó assediato da
domande di Collegi da tutti i lati; se avessimo personale sufficiente,
si potrebbe fare un gran bene in Venezuela. L'unico mezzo per sal-
varlo dalla corruzione in che si trova é attaccarci alia gioventü e ri-
generarla nella religione e nella moralitá! »
Appartengono geográficamente al Venezuela le Antille olandesi
nel mare Caraibico. L'isola maggiore é quella di Curasao, sede del
(1) Boíl. Sal, agosto 1898, pag. 207.
(2) loi, dicembre 1898, pag. 300.
(3) 11 bello íü che q-uei giornali citavano un numero 32 del Bollettino, scambiando il noto numero
di Via Cottolcngo per quello del periódico.
(4) Valencia, 24 gennaio 1899.
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7 Salesiani nel Venezuela
governo coloniaje. La abita u n a popolazione di razza mista, di-.-
scendente da Negri, Indiani e Bianchi. Vi si parla il papiamento.
lingua creóla, formata dal negro-portoghese, portatovi dagli schiavi
di colore e fusosi con lo spagnolo. I Bianchi sonó un'esigua, molto
esigua minoranza. GFindigeni praticano tutti la religione cattolica,
sotto la direzione spirituale dei Padri Domenicani, con un Vicario
Apostólico dello stesso Ordine. Un loro santo confratello, il P. Frie
olandese, aveva fondato e dirigeva un orfanotrofio con Scuole pro-
fessionali, che voleva rimettere ai Salesiani. Egli amava molto Don
Bosco e ne ammirava FOpera, della quale scriveva (1): «Della
vostra eccellente Congregazione mi hanno affascinato lo spirito che
vi regna, la pietá e l'osservanza, l'attivitá e l'energia. il disinteresse e
la prontezza al sacrificio, la grande fiducia nella Santa Provvidenza. »
Don Rúa inclinava ad accettare l'offerta anche perché, a motivo dei
continui rivolgimenti politici che agitavano il Venezuela e la Colom-
bia, poteva in qualche caso esservi bisogno di un rifugio vicinoe si-
curo, quale avrebbe offerto il tranquillo possedimento olandese (2).
Don Bergeretti fu incaricato di fare un sopraluogo. La casa, in-
teramente isolata da altre abitazioni e ben situata, distava un'ora di
carrozza dalla cittá di Willemstadt, capitale della colonia. Aveva
un'estensione di terreno da potersi ridurre a coltivazione mediante
lo scavo di pozzi artesiani. I laboratori erano discretamente attrez-
zati. Ció che piü colpi il visitatore fu la gran pulizia, tutta propria
degli Olandesi (3).
Le pratiche non andarono in lungo. Un Confratello rególo la ces-
sione a vedute abbastanza larghe; la firmarono il Vicario Apostólico
e Don Rúa. Giá il 29 dicembre 1897 Don Bergeretti vi accom-
pagnava i primi Salesiani. II buon P. Frie aveva compilato per loro
un dizionarietto e u n a grammatichetta del papiamento, dialetto non
difficile ad apprendersi né a parlarsi.
I Salesiani lavorarono nell'isola per vent'anni. Ma dopo la morte
(1) Lctt. a Don Durando, Curasao, 30 otíobre 1897.
(2) Verb. del Cap. Sup., 26 maggio 1896. Leít. di Don Aime a Don Rinaldi, Curasao, 10 ot-
tobre 1896.
(3) Rclazione a Don Durando, Valencia, 28 aprilc 1896.
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Capo XXXV
del P. Fríe i Domenicani vollero trasformar Topera, sopprimendo
Tinsegnamento professionale e sostituendovi scuole pubbliche per
ragazzi della parrocchia; intendevano inoltre chiamarvi religiosi laici
della loro patria, perché non vi s'insegnasse piü in spagnuolo, ma
in olandese. Un si radicale cambiamento di condizione importava
la rescissione del Contratto e il ritiro dei Salesiani. L'Ispettore Don
Aime prospettava cosi la situazione (1): «É il Vescovo domeni-
cano, non noi, che vuole la chiusura. Egli ce Tha imposta, egli la
vuole; quindi a noi non resta che accettarla, tanto piü che col per-
sonale di quella Casa possiamo fare un bene molto maggiore al-
trove. » Infatti Tattivitá dei Salesiani si trovava la pressoché sof-
focata e nelTassoluta impossibilitá di evolversi. Se ne partirono
dunque nelTautunno del 1917, ma, oltreché con le indennitá loro
dovute, anche con Tonore delle armi. II domenicano Vicario Apo-
stólico Vuylsche resé sul contó loro questa solenne testimonianza al
Rettor Maggiore (2): « Mi é grato constatare che i Rev. Padri Sa-
lesiani e i loro Coadiutori e Cooperatori durante questi vent'anni
hanno adempiuto in modo soddisfacente e degno di ogni elogio il
difficile compito della educazione degli orfani. Inoltre si sonó gua-
dagnata la simpatía dei cattolici di questa Missione, e financo di
quelli che non appartengono al cattolico ovile. Piü ancora, quello
che merita speciale menzione si é che sonó stati modello di vita
veramente sacerdotale e abnegata, degna dei figli del Ven. Don
Bosco. »
(1) Lett. a Üon Rinaldi, Bogotá, 30 marzo 1917
(2) Letí. a Don Albera, 21 novembre 191?.
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55.10 Page 550

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CAPO XXXVÍ
I Salesiani in Bolivia.
(La Paz, Sucre >
Don Bosco, nel sogno missionario avuto durante la notte che
precedeva la festa di S. Rosa da Lima, il 30 agosto del 1883, per-
correndo 1'America meridionale da Cartagena a Puntarenas sopra un
treno rápido come l'immaginazione e osservando i luoghi riserbati
alie fatiche apostoliche de' suoi figli, fece una fermata anche nella
Bolivia e precisamente forse a La Paz (1). I Salesiani vi andarono
tredici anni dopo, fondandovi contemporáneamente due Collegi, dei
quali diremo in questo capo. Per rendersi contó di tutto, bisogna
tener presenti le condizioni demografiche del paese. Secondo un
calcólo del 1929 la Bolivia avrebbe tre milioni e mezzo di abitanti, i
quali sonó il 54 per cento Indiani puri, il 32 Meticci, il 13 Bianchi e
l'uno Negri. Capitale effettiva dello Stato é La Paz, nomínale o lé-
gale Sucre.
L'anno dopo la morte di Don Bosco, Mons. Borgue, il Vescovo
di La Paz, con una lettera, dalla quale traspariva il suo zelo per
il bene delle anime e l'affetto che nutriva verso la Societá sale-
siana, si appellava alio spirito apostólico di Don Rúa, perché vo-
lesse fare buon viso alia proposta della fondazione di una Scuola
d'arti e mestieri nella sua cittá episcopale; ma Don Rúa dovette li-
mitarsi a dargli buone speranze per l'avvenire (2). L'anno seguente
Mons. Cagliero, quale Vicario del Rettor Maggiore nell'America,
ordinó all'Ispettore argentino Don Giacomo Costamagna di visi-
(1) Mem. Biogr., vol. XVI, pag. 391.
(2) La Paz, 23 settembre 1889.
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56.1 Page 551

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Capo XXXVL
tare le case del Cile e dell'Equatore, di passare nel Perú a trattarvi
di una fondazione in Lima e da ultimo di penetrare in qualsiasi
modo nella Bolivia, spingendosi fino a Sucre, dove l'ex-presidente
della Repubblica Pacheco diceva di voler fondare una Casa salesiana.
Ma poi Monsignore, considerando quante difficoltá e quali pericoli
importerebbe un viaggio in Bolivia, gli mandó appresso un contror-
dine, perché finite le visite, tornasse indietro; se non che la lettera
gli pervenne due mesi dopo, quando fra innumerevoli stenti e ri-
schi aveva giá toccato la meta. Quel disguido parve una disposi-
zione della Provvidenza.
Varcate dunque le frontiere boliviane e giunto a La Paz, Don
Costamagna visitó il Presidente della Repubblica Aniceto Arce a
fine di ossequiarlo e di esporgli lo scopo della sua ven uta. II Presi-
dente, che non sapeva ancora affatto chi fossero i Salesiani, lo ascoltó
con tanta benevolenza, che gli fece mostrare due case del Coverno,
perché ne scegliesse una, in cui aprire una Scuola professionale, da
lui ritenuta non solo utile, ma necessaria, e lo volle seco a pranzo;
poseía lo obbligó a parlare in un'adunanza di almeno duecento ope-
rai e dinanzi a vari Ministri, i quali tutti insistettero, perché stabi-
lisse presto cola un Collegio di arti e mestieri.
Rimessosi in cammino e giunto a Sucre, gli toecó un'amara de-
lusione: si sentí diré freddamente dal Sig. Pacheco che aveva cam-
biato idea. — Pazienza! — esclamó egli da buon piemontese. E
ando in cerca dell'Arcivescovo De la Lloza. L'Arcivescovo era in
visita pastorale. Lo raggiunse dopo lungo cavalcare sopra una bella
muía bianca regalatagli dal Presidente. Quel santo Prelato lo trat-
tenne seco due giorni, esponendogli i suoi progetti per una fon-
dazione a Sucre. Don Costamagna rientrava nella sua casa di
Almagro sul finiré di agosto, non avendo potuto al Presidente e al-
l'Arcivescovo lasciare altro fuorché la promessa di riferire a Mons.
Caglíero, Superiore genérale delle Missioni.
Nel frattempo il Presidente aveva incaricato il Sig. Mariano
Baptista, Ministro plenipotenziario della Bolivia a Buenos Aires, di
mettersi in relazione con Don Costamagna e di combinare con lui
un piano per introdurre i Salesiani nella Repubblica. Don Cosla-
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56.2 Page 552

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/ Salesiani in Bolioia
magna definisce queiruomo " la perla piú preziosa della Bolivia,
scrittore celebérrimo, artista della parola e sovratutto gran catto-
l i c o " (1). Non tornó dunque difficile intendersi. In noine del suo
Governo il Ministro abbozzó le linee generali di una Convenzione,
che migliore non si sarebbe potuta desiderare. Ció fatto, si rivolse a
Don Rúa, chiedendo personale sufficiente per due Collegi da aprirsi
uno a La Paz e l'altro in luogo da determinarsi d'accordo col Go-
verno.
Don Rúa decise d'iniziare le trattative. Poco dopo il Baptista
riusci eletto Presidente della Bolivia, sicché l'affare andava a gonfie
vele, sebbene richiedesse il suo tempo. Al Ministro della Bolivia in
Francia Manuel de Argandoña furono da lui dati pieni poteri per
fissare i termini di un Contratto definitivo. Questo finalmente venne
firmato 1'8 ottobre 1895. Gli articoli erano cosi limpidi, che non po-
tevano dar luogo a tergiversazioni o stiracchiature di sorta, come
abbiamo visto essere accaduto altrove. Giova conoscerli.
Io II Rev. Sacerdote Don Michele Rúa s'impegna ad aver pronto un personale
di almeno dieci Salesiani, che possano partiré per la Bolivia al piü tardi entro il
novembre di quest'anno 1895.
2o II Superiore destinato alia Bolivia, d'accordo con il rappresentante del Go-
verno di questo paese, acquisterá e invierá tutti gli attrezzi e utensili necessari
per i due Istituti da fondarsi.
3o II Governo di Bolivia pagherá le spese di viaggio per tutto il personale che
dovrá essere mandato ai collegi di Bolivia durante i primi dieci anni, e anche dei
viaggi che l'interesse dei singoli Istituti potra richiedere.
4o II Governo della Repubblica di Bolivia fará cessione al sacerdote o sacerdoti
preposti dalla Societá di S. Francesco di Sales dell'uso del lócale o locali con i
relativi connessi, dal suddetto Governo stabiliti per la fondazione dei collegi di
arti e mestieri, con tutto il mobilio, macchinario e attrezzi da comperarsi in Europa.
5o II Governo provvederá al Superiore destinato in Bolivia, oppure al sacerdote
da lui indicato, tutta la somma necessaria per le spese d'installazione.
6o La Societá Salesiana e le sue case verranno esentate dalle imposte doganali
e dalle altre tasse fiscali e godranno delle immunitá e di tutti gli altri privilegi
concessi alie altre Associazioni Religiose.
7o Se, per cause impreviste, i Salesiani dovessero abbandonare gli stabili li
restituiranno al Governo nello stato in cui si trovino e avviseranno del loro ritiro
un auno prima.
(1) Lettcra a Mons. Cagliero, Almagro, 17 ottobre 1891.
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56.3 Page 553

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Capo XXXV1
8o Se il Governo volesse rescindere il contratto, dovrá avvisarne il Superiore
quattro anni prima e pagare le spese necessarie per il trasferimento del personale.
9o Gli alunni esterni saranno tutti gratuiti e per il loro insegnamento il Go-
verno stabilirá una sovvenzione mensile a ciascuno stabilimento, oppure assegnerá
un onorario a ogni salesiano o impiegato assunto dai Salesiani.
10° Gli alunni interni pagheranno una pensione che dovrá stabilirsi d'accordo
fra il Governo e il Superiore del collegio rispettivo.
11° La direzione e amministrazione interna e cosí puré tutte le disposizioni
disciplinan dipenderanno únicamente ed esclusivamente dalla Societá Salesiana.
Questo Contratto duro in vigore fino al 1911, tempo notevole, se
si riflette alia frequenza dei mutamenti politici che sconvolgevano
le Repubbliche dell'America latina. Per la seconda casa il Governo
propose la cittá di Sucre, e cosí fu stabilito.
Don Rúa, fedele all'impegno, aveva giá designati prima della
firma i soggetti da mandare. Erano quattordici, sette dei quali de-
stinati a La Paz, cioé il Direttore Don Luigi Costamagna, ñipóte
di Monsignore, un altro prete, un chierico e quattro coadiutori, mae-
stri d'arte. Arrivarono a Buenos Aires il 23 novembre con i Mon-
signori Costamagna e Fagnano e con la Madre Daghero, Superiora
Genérale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. II Vescovo aveva Pinca-
rico di guidare Pintera carovana, pariendo senza troppo indugio;
ma la sciagura di Ruiz de Fora, avvenuta sedici giorni prima, scon-
certó i piani prestabiliti. Essendo necessario che Monsignore si re-
casse a Montevideo, il proseguimento del viaggio si dovette ritar-
dare fino al 13 gennaio 1S96. Prima di lasciare Almagro, i Missionari
implorarono da Dio con una bella funzione nel santuario di Maria
Ausiliatrice un fecondo apostolado in Bolivia. Cosi aveva no fatto an-
che i primi Salesiani mandati nel Cile. Súbito dopo, per la via di
Mendoza, si portarono ai piedi delle Ande, imprendendone la tra-
versata, diretti a Santiago. Qui la comitiva si divise: i destinati a
Sucre si fermarono e gli altri s'imbarcarono col Vescovo.
Da Valparaíso a La Paz impiegarono 17 giorni. Dopo i primi
quattro, sbarcarono ad Antofagasta, nel nord del Cile, accolti con
fraterna cordiaütá dal Vicario Apostólico Etcheverrin. Un ordine del
Presidente Baptista ingiungeva al consolé boliviano ivi residente di
trattare i Missionari da veri amici; il che egli esegui a puntino. Di
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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1 Salesiani in Bolivia
la, un trenetto li condusse in altri quattro giorni a Oruro, capo-
luogo di provincia, a sud-ovest della Bolivia. Ma che viaggio! At-
traversarono un deserto interminabile, sempre in salita fino all'al-
tezza di 3956 metri sul livello del mare; poi cominciarono a discen-
dere per un altro suolo árido, a cui succedette un altipiano egual-
mente brullo. Lungo il percorso fecero alcune fermate fra popóla-
zioni composte in massima parte di Indi inciviliti. tutti ferventi
cattolici, che, condotti dalle Autoritá, si affollavano intorno al Ve-
scovo per riceverne la benedizione e qualche ricordo sacro. II Pre-
sidente aveva ordinato che dappertutto gli si rendessero i maggiori
onori possibili. Alia sera del quarto giorno arrivarono alia stazione
di Oruro, dove terminava la ferrovia.
La, tutti coloro che rivestivano qualche grado, in compagnia del
Consolé italiano Nannetti bolognese, mossero loro incontro, dando
segni di sincero affetto e di vivo compiacimento. L'onda del popólo,
specialmente i ragazzi, indi e non indi, quasi indovinassero che
erano giunti i loro amici, si precipitavano loro addosso, gridando
evviva e baciando le mani ai preti e l'anello e la croce pettorale
al Vescovo. Come Dio volle, si liberarono da quella stretta, pro-
seguendo il cammino ed entrando nella cittá, dove di tratto in
tratto piogge di fiori cadevano a coprirli e talora quasi a soffo-
carli. Un gran ricevimento era preparato nel palazzo della Prefet-
tura. Qui giunse a Monsignore un telegramma del Ministro della
Pubblica Istruzione Ochoa che diceva: « Saluto rispettosamente
nella persona di Vostra Signoria Ill.ma la degna Congregazione. che
promoverá in Bolivia il progresso e l'avanzamento intellettuale e
morale della nostra classe operaia. II Supremo Governo si compiace
di cosi fausto avvenimento e io mi pongo a' suoi ordini come af-
fezionatissimo servitore. » Monsignore rispóse súbito ringraziando a
nome di Don Rúa e assicurando che i Salesiani consideravano fin d'al-
lora la Bolivia come loro seconda patria.
Fecero altri due giorni di strada, sopra una diligenza trainata
da sei mulé. A dieci chilometri da La Paz dovettero fermarsi e
scendere: c'erano quattro Senatori e il Rettore dell'Universitá, ve-
nuti a incontrarli in nome del Governo. Montati poi in carrozze
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Capo XXXVI
tírate da briosi cavalli, ecco ad un certo punto FIntendente di Pub-
blica Sicurezza e il Consolé italiano De Tommasi. L'entrata in cittá
passó quasi inavvertita dal pubblico, perche la popolazione era in
preda alie baldorie carnevalesche. A evitare tale inconveniente la
Commissione per il ricevimento avrebbe voluto che Fingresso fosse
ritardato di qualche giorno; ma Monsignore non poté consentiré. I
Missionari, cantato il Te Deum nella chiesa dei Minori Riformati e
ritiratisi in sagrestia, ascoltarono il forbito e religioso discorso di un
Senatore, al quale Monsignore rispóse; indi questi e i suoi si reca-
rono al convento dei Minori Osservanti, che li ospitarono per una
settimana. II di appresso, lunghissima processione di visitatori.
II Vescovo Valdiria, che aveva deciso di portarsi a inconírarli in
Oruro, ma n'era stato impedito dal suo mal di cuore, li ricevette
il giorno delle Ceneri, piangendo di consolazione e dicendo che or-
mai intonava il Nunc dimittis. Fatti poi venire i suoi sacerdoti che
stavano raccolti negli esercizi, e presentatili a Monsignore, li in-
vitó a inginocchiarsi e s'inginocchió egli stesso, chiedendo con grande
sentimento la benedizione al Vescovo di Don Bosco, Infíne disse a'
suoi canonici e preti: — Adesso abbiate la bontá di accompagnarli
alia loro casa questi carissimi figli di Don Bosco e figli miei diletti,
che il Cielo oggi mi ha dato e che devono riformare la nostra gio-
ventü tanto mal avviata. — Fu compiaciuto alPistante con vive
manifestazioni di simpatia.
Nello stesso giorno il Prefetto della cittá condusse Monsignore a ve-
dere la casa data dal Governo ai Salesiani. La circondava un terreno
di circa 20 mila metri quadrati, a pochi passi dalla cittá. AlFintorno
profumavano Faria molti eucalipti. L'edificio era nuovo, solidissimo,
capace per allora di sessanta interni. Monsignore ne rimase soddi-
sfatto. La prima domenica di Quaresima il Direttore cominció Fora-
torio festivo e nella settimana seguente le scuole elementan. Quando
Monsignore partí, quello aveva giá non meno di mille ragazzi e que-
ste un 200 alunni. I laboratorii cominciavano a muoversi. La Casa
s'intitoló " Collegio Don Bosco per arti e mestieri ". NelFottobre del
1897 egli. visitando nuovamente La Paz, trovó molto progresso nel
Collegio e riscontró il medesimo buon volere in tutti i cittadini. II
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/ Salesiani in Bolioia
Direttore era stato nominato membro nato del Consiglio Universitario,
una specie di Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione.
Installati i Confratelli a La Paz, Monsignore partí per incontrare
gli altri sette rimasti a Valparaíso e condurli a Sucre; ma prima di
lasciare La Paz fu testimonio di fatti che egli ritenne di buon au-
gurio, perché dimostravano quanta paura avesse di quella Casa l'av-
versario di ogni bene. Un giorno, mentre alcuni Salesiani assiste-
vano i ragazzi in ricreazione, echeggiarono due colpi di fucile: due
palle sfiorarono loro la faccia. Piü tardi la povertá fece capolino
COSÍ minacciosa che si temette seriamente !a fame. Inoltre vi fu
un'irruzione di duecento giovinastri, i quali, penetrando a viva forza
nel Collegio, gridavano: Abbasso! abbasso! Ma tutto ció serví solo
ad aumentare la fama dell'Istituto e il prestigio dei Salesiani. Si
levarono a difesa non solo le Autoritá, ma anche i cittadini. Riguardo
alia fame, gli Indi stessi portarono legumi d'ogni specie; inoltre le
caritatevoli Suore di S. Anna e quelle dei Sacri Cuori di Picpus ne
scongiurarono affatto il pericolo. Aveva avuto ragione Monsignore di
raccomandare al Direttore che fidasse puré nella gran buona vo-
lontá degli uomini, ma prima di tutto fosse fidente in Dio.
Partí egli ai primi di marzo verso il Sud, alia volta di Sucre, ri-
facendo il cammino a ritroso fino a Challapata e amministrando
per via migliaia di cresime ai bambini, com'é permesso nelle Mis-
sioni, ai ragazzi e alie persone adulte in grossi villaggi di Indi. Nes-
suno dei viventi aveva mai visto un Vescovo da quelle parti. I Sale-
siani arrivarono a Challapata il giorno 11. Nove giorni duró il
resto del viaggio, fatto sul dorso di mulé. In ogni centro abitato
fiumane di popólo si riversavano loro incontro con fiori, grida e
canti. II 20 cavalcavano nel tortuoso álveo del fiume Jotála, quando
videro spuntare dal lato opposto alcune carrozze: erano il Ministro
della Pubblica Istruzione Ochoa ed altri cospicui personaggi, che
portavano loro il primo saluto della Capitale, Poco dopo un altro
gruppo di carrozze apparve, ed ecco scendere l'ex-presidente Arce e
ínvitarli a rifocillarsi in una vicina sua villa. Obbedirono ben vo-
lentieri, tanto piü che il solé cocentissimo, i venti e la polvere li
avevano ridotti in uno stato da muovere a compassione.
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Capo XXXVI
L'ingresso in cittá era fissato per le tredici; ma a mezzogiorno il
non breve tratto che andava dalla villa a Sucre, rigurgitava giá di
gente. Al loro seguito non cessavano di aggiungersi sempre nuove
carrozze; musiche si succedevano a musiche. Tutti i Ministri mossero
incontro ai Missionari. II Presidente Baptista, benché ansioso di ve-
dere i suoi Salesiani, come li chiamava, aveva dovuto farsi rappre-
sentare dai Ministri perché alquanto indisposto. Vennero puré i Ca-
nonici della cattedrale, recanti la notizia che l'Arcivescovo, inchio-
dato da un suo male sopra un seggiolone, aspettava impaziente i
figli di Don Bosco, da lui chiamati suoi figli.
II corteggio avanzando lento lento, giunse alia porta della cittá.
Una folla immensa si stipava nelle lunghe, dritte e spaziose vie. Le
assordanti ovazioni impedivano di udire i complimenti dei maestri e
degli alunni delle Scuole comunali. Da ogni finestra, da ogni bal-
cone piovevano o meglio diluviavano fíori, che, riempito il cocchio di
Monsignore, ne coprirono fino agli occhi la persona. Si avviarono
alia cattedrale. Per entrarvi ci fu bisogno della forza armata, che
aprisse il vareo e tenesse sgombro il passaggio. Cantato il Te Deum
e impartita la benedizione, Monsignore parló alia moltitudine; poi
con i Missionari venne condotto in trionfo alia casa provvisoria-
mente loro apprestata. La per vari giorni ricevettero visite senza fine.
Intanto quei buoni Confratelli non vollero stare oziosi, ma ivi
stesso la domenica dopo cominciarono l'oratorio festivo, nel quale,
nonostante la ristrettézza dello spazio, ebbero súbito un 250 ragazzi.
Monsignore riparti prima che i Salesiani prendessero possesso del
Collegio, intitolato come l'altro di La Paz a Don Bosco. Con quei
grande edificio ricevettero puré da ufficiare una chiesa di S. Ago-
stino, restituita cosi al culto dopo 70 anni di profanazione.
Sull'esordire dell'Opera salesiana a Sucre abbiamo una testimo-
nianza di Mons. Costamagna, tornato, come dicevo, in Bolivia nel-
l'ottobre del 1897. Scopo del viaggio era la consacrazione di Mons.
Taborga, nuovo Arcivescovo di Sucre, essendo passato a miglior vita
íl suo predecessore. La consacrazione non si poté fare se non 1'8
maggio 1898, perché tanto tardo ad arrivare da Roma il Breve di
nomina. Nella sua prolungata permanenza Monsignore ebbe agio di
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1 Salesiani in Boliuia
osservare l'andamento della casa, informandone poi cosi Don Rúa (1):
« Tanto le Scuole come Poratorio festivo nostro di Sucre vanno avanti
a passo di gigante. Non si é ancora potuto ottenere, come a La
Paz, una sezione di soli ragazzi indi, per poterli educare con piü
facilita ed efficacia; ma quod differtur, non aufertur. I progressi
fatti da questi artigianelli nelle arti e mestieri stanno alia vista di
tutti. NelPidioma nazionale poi, in aritmética e specialmente in geo-
grafía e storia patria, sonó avanti assai. Bisognerebbe udirli con qual
rapiditá essi descrivono le bellezze che possiede la fauna e la flora
del suolo boliviano, di quel suolo, dicono essi, tanto favorito dalla
divina Provvidenza, che sembra conteneré in sé la sintesi di tutta
la Creazione. Ma con la scienza di quei nostri Sucrensi va di pari
passo, se pur non precede, la dolce pietá. La nostra chiesa di San-
t'Agostino, pocanzi tanto misera e disadorna, mostrasi ogni giorno
piü incantevole alio sguardo dei fedeli; ma certamente Pornamento
piü bello di essa é la divozione di quei nostri cari alunni, che sonó
per il popólo una continua eloquente predica. Ah! se li avesse visti,
carissimo Padre, con qual impegno santo cominciarono e prosegui-
rono il mese di maggio per onorare Maria Santissima! »
Del loro progresso chi piü ne godeva, dopo il Direttore, era il
nuovo Presidente della Repubblica Severo Fernandez Alonso, che si
andava facendo quasi di casa. Vi tornava spesso, assisteva a tratte-
nimenti accademici ed a funzioni religiose, e talora sedeva anche
alia modesta mensa dei Salesiani. Durante la presenza di Monsi-
gnore, alia vigilia di Pasqua, mandó un bue vivo in regalo, perché gli
alunni potessero passare allegramente la festa Mosso dall'ottima sua
consorte, fece costruire nella chiesa di Sant'Agostino un bell'altare a
S. Giuseppe.
I due Collegi di La Paz e di Sucre ebbero anch'essi le loro pe-
ripezie. A quante burrasche politiche dovettero assistere nei primi
anni! Ma qualunque partito salisse al Governo. le due Case furono
sempre protette, sicché poterono prendere uno sviluppo meraviglioso,
come constató Don Albera durante la sua visita ai Salesiani d'A-
(1) Buenos Aires, 10 giugno 1898.
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Capo XXXV1
merica (1). Si mostrava di comprendere laggiii lo spirito animatore
dell'Opera sociale di Don Bosco mediante l'istituzione delle sue scuoie
di arti e mestieri, spirito che mira ad abituar l'uomo fin dalla fan-
ciullezza a considerare il lavoro come elemento indispensabile della
virtü.e della moralitá.
(i) Boíl. Sal., gennaio 1904, pag. 15.
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CAPO XXXVII
I Salesiani nel Paraguay.
(Asunción, Chaco Paraguaio, Villa Concepción)
Vedere dinanzi a sé biondeggiare abbondanti le messi e non tro-
vare chi mandarvi a mietere, non so se avvenga mai per campi di
frumento; ma in varíe parti del campo evangélico é quest* purtroppo
una realtá quotidiana. Lo sperimentava bene Don Rúa. Quante
volte, assediato da domande, alzava gli occhi al Cielo pregando: Oh
Signore, mandatemi operai per la vostra messe! Ma insieme non
si stancava di raccomandare a Direttori e Ispettori che coltivassero
con ardore le vocazioni fra i loro giovani. Ció faceva specialmente
scrivendo alie Case d'America, donde gli pervenivano in gran nu-
mero richieste che erano invocazioni. Nonostante pero la scarsezza
del personale, aveva giá potuto inviare Salesiani in tuttt le Repub-
bliche del Sud, fuorché in una, nel Paraguay; ma si disponeva a
mandarveli, e non solo cola, ma anche in due Stati dell'America cén-
trale e settentrionale, come vedremo in un capo seguente. Diremo qui
del Paraguay.
La prima volta che un Salesiano mise piede nel Paraguay per
lavorarvi a vantaggio delle anime fu nel 1879. II paese e dalle guerre
esterne e dai rivolgimenti interni era stato ridotto in condizioni di
vera anarchia. Pió IX nell'ottobre nel 1876 aveva delegato Mons
Roncetti, Nunzio Apostólico presso 1'Imperatore del Brasile, a trat-
tare con il Presidente Gillo per trovar rimedio a si funesto stato di
cose (1). La Repubblica formava allora un'unica diócesi, disgra-
ziatamente usurpata da un infelice ecclesiastico. che aveva ucciso il
(t) Breve 20 luglio 1876 al Presidente; risposta di questo, Asunción, 30 otíobrc 1876
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57.1 Page 561

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Capo XXXVU
Vescovo. Le trattative con la Santa Sede si avviarono bene, quando
il Presidente cadde egli puré vittima di un assassinio, al quale non
fu estraneo il sacrilego usurpatore. Perito colui, presso il quale il
rappresentante pontificio era accreditato, fini p u r é la missione affi-
datagli. Allora il Papa volle che Mons. Di Pietro, Delegato Apo-
stólico nell'Argentina, si portasse nel Paraguay e cercasse di met-
iere un po' d'ordine in quella povera Chiesa. II Delegato, affezio-
natissimo alia riostra Societá, ricorse alia Santa Sede, chiedendo
aiuto di Salesiani. Venuto intanto poi a morte Pió IX, il suo suc-
cessore Leone XIII ordinó al Card. Nina, Segretario di Stato, che
ne trattasse con Don Bosco. Sua Eminenza ne scrisse al Santo il 28
dicembre 1878 in questi termini:
La deplorevole condizione in cui versava la Repubblica del Paraguay, rela-
tivamente ai bisogni spirituali del popólo, commosse il paterno cuore della Santa
Memoria del Pontefice Pió IX, il quale poco prima di riposarsi nel Signore vi ar-
recó opportuni rimedL inviando cola un Delegato Apostólico, in compagnia di
zelanti ecclesiastici, affinché provvedessero alia salute di quelle anime presso che
derelitte per la mancanza di idonei sacerdoti. Dalle notizie pervenute alia Santa
Sede si é rilevato con vera soddisfazione che il Signore si é degnato di benedire alie
premure del compianto Pontefice, e fecondare Topera di quegli operai evangelici,
avendo solo a lamentarsi con dispiacere che gli inviati ecclesiastici sonó insufficienti,
mentre il bisogno di aiuto va tuttora crescendo per conservare in ispecie i frutti
giá raccolti.
Desiderando perció l'attuale Pontefice, che é animato dal piú ardente zelo
a vantaggio dei fedeli affidati alFuniversale sollecitudine che esercitar deve su tutte
le Chiese, non risparmiare qualunque mezzo che sia atto alio indicato scopo, mi
ha ordinato di rivolgermi alia S. V. 111.ma, affinché Ella si cornpiaccia con qualche
sollecitudine informarmi, in quale misura puó venire in soccorso e della diócesi
del Paraguay e del Pontificio Delegato, sia inviando da costi un numero di Mis-
sionari da lei diretti, sia facendoli partiré da Buenos Aires, dove giá hanno dato
prova di intelligente zelo e di operositá veramente apostólica.
In attesa perianto di conoscere se ed in qual modo la S. V. 111.ma potra pre-
starsi a secondare le intenzioni di Sua Santitá, che si é degnata associarla con tale
invito alie paterne sue cure, mi é grato confermarmi con sensi di distinta stima ecc.
Una lettera cosi onorifica per la Congregazione accese piú che
mai in Don Bosco il desiderio di secondare Tinvito. Rispóse dunque
il 3 gennaio 1879, che per ottobre avrebbe messo a disposizione del
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

57.2 Page 562

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7 Saíesiani riel Paraguay
Papa dieci Saíesiani e dieci Figlie di Maria Ausiliatrice; quindi
scrisse a Don Bodrato, Ispettore nell'Argentina, di notificargli quanti
Confratelli potesse destinare al Paraguay; egli poi avrebbe mandato i
rimanenti da Torino. L'Ispettore, udito il suo Capitolo e rassegnandosi
a ben duro sacrificio, rispóse con edificante prontezza che teneva a'
suoi ordini tre sacerdoti. Mons. di Pietro avrebbe voluto avere súbito
un Vicario Genérale, un Rettore del seminario e un prete per Villa
Rica, la parrocchia piú importante fuori della Capitale. Frattanto
per il tempo pasquale del 1879 poté ottenere da Buenos Aires Don
Giovanni Allavena, che attendesse specialmente al ministero delle
confessioni. All'ultimo ne rimase cosi soddisfatto, che ebbe perfino in
animo di nominarlo senz'altro Vicario Genérale.
Avvicinandosi poi il termine prefisso da Don Bosco e rinnovan-
dosi le insistenze dal Delegato Apostólico, la Segreteria di Stato il
10 setiembre sollecitó ad allestire la spedizione; avvertiva pero che i
Missionari si fermassero a Buenos Aires, finché avessero preso gli
accordi col Delegato e che, quanto alie Suore, se ne sospendesse la
partenza, convenendo che fossero precedute dai Saíesiani. Tali
istruzioni movevano dalla fiducia che Don Bosco fosse in grado di
adempiere alia promessa, tomata di vivo gradimento al Papa (1).
Ma circostanze impreviste erano sopraggiunte a intralciarne i di-
segni. Cosi ne rendeva contó al Card. Nina il 13 settembre.
In riscontro alia rispettabüissima lettera della Em. V. in data 10 corrente Set-
iembre mi affretto a comunicarle quanto segué.
Come avevo giá avuto Tonore di rendere noto all'Em. V., era stabilito che due
nostri religiosi partissero da Buenos Aires col primo Agosto per recarsi a reggere
almeno la parrocchia della cittá dell'Assunzione nel Paraguay. Pochi giorni prima
della loro partenza furono consigliati da qualche autoritá di differire, per motivo
della rivoluzione scoppiata in quella repubblica. Non so se le nuove dimande del
Delegato Pontificio siano di recente data, oppure anteriori al 12 Agosto; ad ogni
modo io scrivo immediatamente al Superiore dei nostri Missionari stanziati in
Buenos Aires, perché mi ragguagli sullo stato delle cose, e se pare conveniente,
partano fastamente i due mentovati religiosi, affinché vadano al loro ufficio e pre-
parino quanto occorre per quelli che saranno di prossima partenza daH'Europa.
Sarebbe pero indispensabile di poter ricorrere a qualche fonte di beneficenza sia
(1) Lett. di Mons. Cretoni, Prosostituto alia Segreteria di Stato, a Don Bosco, ÍO settembre 1879.
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57.3 Page 563

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Capo XXXV11
per fare il corredo personale che va ad una cifra assai rilevante, sia per fare
tutte le altre spese di viaggio.
Al 20 di quisto mese attendo novelle notizie dalla Repubblica del sud e pro-
babilmente dallo stesso Paraguay. Ove ne sia d'uopo, daro súbito comunicazioüe
di ogni cosa all'Iím. V.
Ma nel frattempo il Delegato Apostólico, vedendo che la pratica
minacciava di andaré in lungo, si era rivolto ai Lazzaristi, che pron-
tamente accettarono.
Un secondo Salesiano visitó il Paraguay nel giugno del 1892. L'ar-
dito Missionario dalle grandi escursioni apostoliche, Don Angelo
Savio, " armato solo della croce ", come é detto in un documento, e
munito di tutte le facoltá dalFAmministratore diocesano, si avven-
turó nel Chaco Paraguaio, popolato di selvaggi (1). Si chiama Gran
Chaco una vastissima regione, che appartiene parte all'Argentina,
parte alia Bolivia e la parte principale al Paraguay. Misura circa
700.000 chilometri quadrati. Lo abitano nomadi tribu di Indi. Benché
circondato da molte cittá e da popoli civili, rimaneva ancora tutto
nel suo stato primitivo ed era avvolto nelle ombre del mistero. Dif-
ficoltá gravissime rendevano temerario l'azzardarvisi: terribili inon-
dazioni altérnate da spaventevoli siccitá, belve feroci, rettili vele-
nosissimi, insetti d'ogni specie, tribu niente disposte a trattare con
i civili. Don Savio dunque ebbe l'ardire di arrischiarsi in una térra
cosí maledetta. Come poi fu di ritorno, invió a Don Rúa una re-
lazione, nella quale gli esponeva le condizioni e i bisogni di que-
gli Indi.
... Migliaia di indigeni selvaggi si trovano alie sponde dei fiumi. E quanti sa-
ranno a 100, a 200, a 300 miglia nell'interno? Vi sonó tribu numerosissime ed
alcune mi pare abbiano conservato q nal che remoto ricordo delle antiche Missioni;
ma ora sonó nuovamenté selvagge, non essendovi tra loro il sacerdote che insegni
la rcligione, única fonte di civiltá. Gli sciocchi Governi del passato han cacciato il
prete, han no ucciso Vescovi e pretendevano di governare senza Dio ed hanno tmo-
vamente introdotto le barbarie, come giá anticamente nell'Asia e nell'África i
Turchi. Pare ora che popoli e Governi vogliano porsi sul buon cammino, almeno
non osteggeranno come per lo passato. Ii Governo paraguaio a me diede un biglittto
di passaggio gratuito fino a Baia Ñera, confine nord del Chaco, e í'autoritá mili-
(1) Lett. deirAmministratore al Prefetto di Propaganda, 24 luglio 1892.
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57.4 Page 564

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/ Salesiani nel Paraguay
tare desidera la venuta del sacerdote. Comprendo che agiscono molte volte cosi
per fini politici, ma é alta política quella della religione, perché risparmiano uomini,
munizioni e milioni.
Di ritorno dall'alto Paraguay, ho dato contó alia Curia per ritornare a Buenos
Aires a raggiungere Mons. Cagliero; pero desiderano che dia un'altra missione al-
! alto Paraná, dov'é ugual bisogno. Nessun prete attende a quelle antiche Missioni;
anche la i popoli son ritornati gentili con qualche resto di Cristianesimo. Ho fatto
una gita dal lato di Villa Rica e Pirapó; ma non potei seguir oltre per mancanza
di comunicazioni. Ora proveró da Coricate; v'é facile comunicazione peí fiume.
Se i quattrini sonó sufficienti, andró a Incarnazione e Posadas, ultimo punto do ve
ce sacerdote e di la scriveró se vado piú in sü; se non mi sará possibile rimontare
il fiume, volgeró la prua al sud, lasciando la Missione per miglior occasione, cioe
qLiando Dio vorrá.
II Paraguay era stato il campo delle glorióse Missioni dei Gesuiti.
Chi non conosce le loro celeberrime Riduzioni? Ma, disciolte queste
dopo la barbara espulsione dei Padri nel 1769, gl'indigeni furono
dispersi, né avendo piü chi si prendesse cura di loro, ripiombarono
nello stato selvaggio dei loro antenati. Grava anche sui partiti che
si succedettero al Governo della Repubblica, la responsabilitá di
tanto sfacelo.
II valoroso Missionario aveva tutto un programma per l'evan-
gelizzazione del Chaco; ma, come narrammo, nel gennaio del 1893
egli soccombette nell'Equatore ad altre sue eroiche fatiche. Tuttavia
qualche effetto avevano prodotto le sue informazioni. L'Ammini-
stratore della diócesi, udito quanto egli esponeva, scrisse al Cardi-
nale Prefetto di Propaganda, supplicandolo umilmente che per pietá
di tante migliaia d'anime gementi sotto il giogo di Satana, per-
mettesse alia Congregazione Salesiana lo stabilimento di una Mis-
sione fra i selvaggi del Chaco (1). A lui si associó, in nome del
Governo, il Consolé genérale paraguaiano a Montevideo Matías Alon-
so Criado, rivolgendosi per lo stesso motivo alia Santa Sede. Egli
assicurava che gli alti poteri dello Stato non solo non ponevano osta-
colo all'incremento del Culto e al ristabilirsi degli Ordini Religiosi,
ma li desideravano ardentemente; informava puré essersi piantata
nel Chaco una Missione protestante, la quale, sostenuta dalla Societá
(1) Lett. cit
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Capo XXXVU
Bíblica di Londra, faceva propaganda in modo, che nessun centro ri-
maneva esente da si funesto contagio. In vista di tanto male i I
Consolé supplicava il Santo Padre che si degnasse d'inviare cola i
Salesiani, dichiarandosi autorizzato ad aggiungere che all'uopo ver-
rebbero loro offerti gli opportuni terreni. Avendo il Card. Ram-
polla fatto relazione di tutto ció al Santo Padre, la Santitá Sua, do-
lorosamente impressionata della descrizione di un si grave stato di
cose, lo incaricó d'interessare Don Rúa, affinché vedesse se e in
quale proporzione avrebbe potuto accederé al desiderio manifestato
dal detto Consolé (1). Questo era anche il desiderio carezzaío da
Don Lasagna; ma purtroppo Don Rúa non poté fare di meglio che
manifestare tutto il suo buon volere, non consentendogli la man-
canza di personale impegni precisi e a breve scadenza.
Nel 1893 a Don Lasagna fatto Vescovo, Leone XIII raccomandó
caídamente in udienza il Paraguay. Monsignore non fu sordo alia
raccomandazione del Papa. Si studió di moltiplicare e di rendere
sempre piü intimi i suoi contatti col Governo paraguaiano. Nel
1894, visitando la Capitale Asunción, si vide ricolmo di atten-
zioni e di finezze; anche il popólo gli dié prova di grande simpatía.
Nell'andare poi e tornare quell'anno dal Matto Grosso, viaggiando
sul fiume Paraguay, navigó lungo i confini del Chaco Paraguaio
e vide la condizione lacrimevole di quegli Indi. Fermatosi il vapore
in un porto, un Cacico prese tanta confidenza con lui, che voleva
ad ogni costo tirarlo a visitare la sua gente; ma Monsignore, faiii-
gli alcuni regali, lo congedó. II poveretto partí tutto mesto e col capo
chino. « Oh, esclamava il Vescovo con sentimento di apostólo nar-
rando l'episodio (2), se egli avesse mai potuto leggermi in cuore e
vedere che io me ne rimaneva piü triste assai, piü mortificato di
lui! » Nel seguito del viaggio, ad un'altra fermata, un Indio gi-
gante e quasi tutto nudo, che capeggiava un gruppo della sua razza
e nello stesso costume, ascese a bordo e gli fece capire che egli e tutti
i suoi volevano essere cristiani, volevano il battesimo. Ma Monsi-
gnore vedendo che non avevano un minimo dell'istruzione ricliiesta
(1) Leii. del Card. Rampolla a Don Rúa, 14 dicembre 1892.
(2) Lott. a Don Rúa, da bordo del Centauro, 31 luglio 1894.
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1 Salesiani nel Paraguay
dalla Chiesa negli adulti né essendovi tempo d'impartirla, dovette
limitarsi a contentarli con semplici regalucci. Parti invocando Tora
di Dio, che traesse fuori dall'abiezione e dall'abbrutimento quelle
razze sventurate, contro le quali i civili si credevano in diritto di
poter commettere assassini e infamie col diré che quelli non erano
uomini (1). Possiamo ritenere come cosa certa che se i disegni di
Mons. Lasagna non fossero stati travolti con lui nel disastro di Juiz
de Fora, il Chaco Paraguaio, per essere costituito da Propaganda
in territorio di Missione e affidato ai Salesiani, non avrebbe dovuto
aspettare fino al 1924.
Ma nel Paraguay stringeva puré grandemente la necessitá di
ben educare la gioventú. Sei anni di guerra contro i tre Stati alleati
del Brasile, Argentina e Uruguay avevano nel 1870 lasciato il pae-
se talmente abbattuto e indebolito, che gli bisognarono sforzi er-
culei per rialzarsi dalla prostrazione e riorganizzarsi; nel tempo di
cui parliamo urgeva ahitarlo a formare nuove generazioni; quindi
Mons. Lasagna, mentre si preoccupava della sorte degli Indi, spin-
geva Don Rúa a fondare nella Capitale qualche ospizio per ragazzi
poveri (2). Avutone il consenso, mise a profitto le sue buone intel-
ligenze col Governo, sicché il 19 agosto 1895 il Parlamento votó
una legge con la quale veniva dato in proprietá a Monsignore, come
Superiore dei Salesiani, un vecchio e ben costrutto edificio, giá ca-
pace di cento interni, ed i terreni adiacenti per stabilirvi una Scuola
di arti e mestieri sotto la totale dipendenza dei Salesiani. Soltanto
un articolo del decreto non piaceva a Don Rúa, il quarto, che diceva:
«La presente concessione decadrá, se entro due anni dalla promul-
gazione del presente decreto non funzionasse la detta Scuola con
almeno 50 alunni o se in seguito cessasse di funzionare per un
anno. » Anche a Monsignore non garbava questa disposizione, onde
si disponeva a chiederne l'annullamento; ma era affare delicato, do-
vendosi alPuopo riunire la Camera e il Senato (3). Col tañe l'oppor-
tunitá, fece pervenire al Governo le sue osservazioni, che furono ben
(1) Leít cit.
(2) Lotl. a Don Rúa, Asunción, 19 maggio 1894.
(3) Lctt. a Don .Rúa, Guarantinguetá, 24 aprile 1895.
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Capo XXXV11
accolte; infatti il Ministro di Giustizia, Culto e Pubblica Istruzione
gli rispóse con una lettera assai rassicurante. Quella lettera porta
la data del 5 novembre 1895!!
La morte di un uomo cosi stimato e amato fece temeré che do-
vessero restare paralizzate chi sa fino a quando le pratiche per
l'apertura del Collegio. II giá mentovato Consolé della Repubblica a
Montevideo, abboccatosi con Mons. Costamagna, che tornava dal-
l'Europa, e da lui consigliato, scrisse a Don Rúa il 25 novembre,
supplicandolo di mandare presto ad effetto i desideri e le speranze
della sua infelice patria, estremamente bisognosa dei figli di Don
Bosco per la sua rigenerazione morale e sociale. « La mia disgra-
ziata Repubblica, diceva, e la principal vittima dinanzi alia spa-
ventosa morte di Mons. Lasagna, che tutti deploriamo con immenso
dolore. Solamente la S. V., come degnissimo Rettore genérale dei Sa-
lesiani, puó attenuare per il Paraguay le conseguenze di si grande
sventura.» II medesimo benévolo signore, indirizzandosi un mese
dopo a Don Turriccia, Direttore del Collegio Pió a Villa Colon, " como
mayor investidura salesiana en el P a r a g u a y " , gli annunciava avere
il Governo concesso i fondi per le spese di viaggio del personale de-
stinato all'Asunción e che egli li teñera a sua disposizione (1).
Ma c'era sempre quell'articolo quarto che non andava; anche
Mons. Cagliero mastica va amaro. Bisognava levar di mezzo quel-
l'imbarazzo. II Consolé e Don Turriccia in uno scambio di note esco-
gitarono un emendamento da proporre al Governo. Sottoposto al-
l'approvazione di Mons. Cagliero e di Don Rúa, fu trovato accetta-
bile; il Governo lo accettó. La massoneria iníanto lavorava. Un suo
portavoce, un tal deputato Baez, quando la proposta venne in di-
scussione alia Camera, sfoderó un lungo discorso, in cui dimostrava
che i Salesiani neU'aprire il Collegio di arti e mestieri avevano per
único scopo d'insegnare la religione cattolica. Bella scoperta! Ma la
sua diatriba lasció il tempo che trovó; anzi, diró di piú, che ottenne
un effetto da lui non sospettato: entrambe le Camere legislative vo-
tarono addirittura la soppressione dell'articolo.
(1) Montevideo, 24 dicembre 1805.
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/ Salesiani nel Paraguay
Eliminato cosí l'ultimo ostacolo, furono esauditi i voíi di Mons.
Lasagna, compiuti i desideri di molte anime generóse e premiati gli
sforzi del Consolé Genérale, che tanto aveva fatto in favore di quella
fondazione. I primi Salesiani partirono da Montevideo per Asunción
il 14 luglio 1896. Erano quattro: il Direttore Don Turriccia, un altro
sacerdote, un chierico e un coadiutore. Appartenevano tutti allTspet-
toria uruguaiana. Li guidava il nuovo Ispettore Don Giuseppe Gamba.
Navigarono da prima fino a Buenos Aires, dove ricevettero la bene-
dizione di Mons. Cagliero, e poi su per i fiumi Paraná e Paraguay
fino alia meta. Da Villa del Pilar, distante 24 ore di viaggio dalla
Capitale, l'Ispettore salutó con telegramma il Presidente e il Vescovo.
L'arrivo ad Asunción con cinque ore di anticipo impedí le dimostra-
zioni prepárate per il loro ricevimento. Sbarcati il 23, si portarono
súbito da Mons. Bogarin, che diede loro il piú cordiale benvenuto;
passarono quindi al palazzo del Governo, dove poterono ossequiare il
Presidente e i suoi Ministri, i quali tutti si rallegrarono del loro ar-
rivo, manifestando le grandi speranze da essi riposte nei Salesiani
per il bene del paese.
Compiuti questi doveri di convenienza, salirono a vedere la casa.
La trovarono ancora in parte occupata da militari, che pero si sa-
rebbero ritirati ai primi di agosto. Si accomodarono perció in altra
parte di essa, dove poterono stare tranquilli e sicuri. Quell'edificio,
costruito un secólo e mezzo prima dai Gesuiti, aveva avuto dopo la
loro cacciata varié successive destinazioni: occupazione spagnola,
soggiorno del Dittatore Francia dopo la costituzione della nuova Re-
pubblica nel 1813, quartiere di cavalleria, ospedale militare e final-
mente Collegio salesiano. Don Turriccia non poté a meno di correré col
pensiero ai primi abitatori; onde, scrivendo a Don Rúa ne! giorno
stesso dell'arrivo, forma va questo nobile augurio: « Conceda Iddio
che noi, gli ultimi venuti in questa porzione della vigna del Signore,
possiamo almeno fare la millesima parte del gran bene che fecero
gl'illustri figli del Loyola. Ancor adesso, dopo tanti anni dalla loro
espulsione, ben si vede la gran fede che essi seppero infundere in
queste nazioni. »
Loro prima contubernale fu la povertá; ma non si sgomentarono,
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Capo XXXV11
perché si vedevano circondati da gente buona, sempiice, piena di
fede e di carita. La prima domenica di ottobre inaugurarono l'ora-
torio festivo; nello stesso mese diedero principio all'internato con
30 orfanelli artigiani. Avuto un aumento di personale, misero in at-
tivitá i laboratori dei sarti, calzolai, falegnami e fabbri, ai quali
aggiunsero poco dopo i legatori. All'apertura del nuovo anno sco-
lastico, che da quelle partí av viene in marzo, iniziarono con 85 alunni
tutte le classi elementan e le due prime delle scuole secondarie.
D'accordo con l'Ispettore e per secondare i desideri della popola-
zione, che amava tanto Mons. Lasagna, avevano intitolato il Col-
íegio al suo nome. E il Direttore commentava nella lettera citata:
« Sara questa una ragione di piü per raddoppiare il nostro zelo e
la nostra buona volontá. Noi che fummo per tanti anni figli di Mons.
Lasagna, noi che da lui abbiam ricevuto speciali benefíci, ed io in
modo particolare che sonó stato tanti anni nella Casa di Colon, la
quale senza dubbio occupava un bel posto nel cuore di questo ge-
neroso Salesiano e valoroso Pastore, noi tutti desideriamo con la no-
stra virtü, col nostro zelo e con le nostre fatiche onorare la memoria
di quest'uomo di Dio, che i buoni Paraguaiani presero a considerare,
dacché lo conobbero, come un angelo di benedizione per la loro
patria. »
1 Salesiani, quando si preparavano ancora all'apertura del Col-
legio, non avevano dimenticato le fervide aspirazioni di Mons. La-
sagna a procurare la salvezza degli Indi; chi era vissuto al suo flanco,
non poteva non a ver condiviso quel suo entusiasmo per l'evangelizza-
zione dei selvaggi e non riviverlo poi come un sacro ricordo dell'in-
dimenticabile Estinto. Don Turriccia, quasi vinto da santa impazienza,
fece súbito in settembre un'esplorazione nel Chaco. Dalle indicazioni
di Don Savio si sapeva che si aggiravano cola numeróse tribu, ira
le quali primeggiavano i Tobas, non meno di quattromila. Prese a
guida e interprete un loro ex-cacico. Questo Indio, nato e battez-
zato in Asunción, ma condotto da ragazzo fra i Tobas e rinselvati-
chito, ne era divenuto il Cacico; indi, tediato di quella vitaccia, era-
sene appartato, stando con la famiglia in una capanna fattasi co-
struire non lungi dalla riva del hume. Tuttavia i Tobas non cessavano
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/ Salesiani nel Paraguay
di riguardarlo come loro capo e quasi loro padre, ricorrendo a lui
nelle proprie relazioni col Governo e nelle loro faccenduole com-
merciali con la cittá. Un soggetto simile apparve utilissimo: infatti
allora, se non fosse stato di lui che fece deporre le armi, i Tobas
avrebbero accolto la comitiva a colpi di frecce e anche di fucili. Si
componeva questa comitiva del Direttore, dell'altro sacerdote Don
Domenico Queirolo, del chierico Pietro Foglia, di tre loro amici e di
un tenente; il presidio militare, stanziato sul confine per impediré
le aggressioni degli Indi, non che per difesa delle frontiere, aveva
prestato i cavalli. I Missionari non poterono far altro che osservare.
Videro quella parte del Chaco: il paese della miseria piú ñera; esa-
minarono la condizione degli abitatori: una massa d'infelicissime
creature. Si trattennero familiarmente con loro; promisero per bocea
dell'interprete che col tempo sarebbero andati a vivere in mezzo ad
essi, li regalarono di medaglie con la raccomandazione di non per-
derle mai. perché sarebbero apportatrici di grande fortuna. Si al-
lontanarono con l'ambascia nel cuore, pregando Iddio che non tar-
dasse troppo a spuntare il giorno, in cui fosse dato per quei rae-
schini trovare uomini atti a comprenderli e disposti a sacrificarsi
nel cristiano intento di sollevarli da tanta abbiezione.
Mons. Lasagna, costeggiando il territorio del Paraguay, aveva
fermato lo sguardo sopra Villa Concepción, alio scopo di stabilirvi
una Casa, che a non lungo andaré, secondo i suoi ardimentosi di-
segni, servisse di centro alie Missioni del Chaco, specialmente fra gli
Indi Lenguas e Kainguá, oceupati nella preparazione delPerba mathe.
Questo si sapeva daí cittadini; perció, udito che i Salesiani avevano
aperto il Collegio di arti e mestieri nella Capitale, persone influenti
di Villa Concepción súbito brigarono, scrissero, interposero la media-
zione del Vescovo a fine di ottenere che vi andasse uno per trattare
dell'apertura di un secondo Collegio nella loro cittá. Con il bene-
plácito dellTspettore vi ando il 16 settembre 1897 Don Turriccia.
Concepción era ed é la cittá piú importante del Paraguay dopo
la Capitale. Don Turriccia vi giunse aspettatissimo; vide perfino ma-
nifesti affissi ai muri e firmati dai primari cittadini per invitare tutti
a riceverlo. Gli diede cordiale ospitalitá una ricca famiglia Fer-
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Capo XXXVII
nandez, che aveva giá ospitato pochi anni innanzi Mons. Lasagna.
il cui nome correva sulle labbra di tutti. II Municipio offriva un ter-
reno e una casa; ma il terreno parve insufficiente e la casa troppo
vecchia e troppo piccola. Allora un privato, il sig. Luigi Miltos, chiese
che si volesse accettare la sua offerta di un'area spaziosa nella parte
piü alta, piú igienica e piú bella di Concepción. La generosa offerta
fu accettata. Ma chi avrebbe pensato a costruirvi sopra il Collegio?
Don Turriccia indisse una conferenza, alia quale invitó tutti i citta-
dini senza distinzione di classe o di partito. Quello che espose su
Don Bosco e la sua Opera infiammó talmente gli animi, che alPu-
scita molti signori lo attesero per mettersi a' suoi ordini. Egli ¡n ap-
posita adunanza concertó la nomina di una Commissione. che avesse
Pincarico di raccogliere i fondi e di cominciar a fabbricare.
Per allora il compito di Don Turriccia era terminato; ma poiche
doveva aspettare sette giorni l'arrivo del vapore, che Pavrebbe ricon-
dotto ad Asunción, trovo modo di occupare utilmente il suo tempo:
organizzó un'escursione nel Chaco: quella térra svegliava in lui Par-
dore dell'apostolato con il fascino, che aveva giá esercitato su Mons.
Lasagna. Vi si avvió il 20 settembre: lo accompagnavano varié ot-
time persone. Si viaggió parte in vapore, soleando il Rio Paraguay
e il Rio Verde, parte a cavallo. Al contrario dei luoghi visitati Pal-
tra volta, qui lussureggiava la vegetazione, abbondava la pesca e
vivevano in copia animali da caccia; v'impeiversava pero anche il
flagello delle vipere, che, grosse e velenosissime, erano le micidiali
nemiche dei poveri Indi. Due Cacichi gli fecero buone accoglienze,
radunando intorno al Missionario quanto poterono della loro gente,
che egli s'ingraziava con regalucci e medaglie di Maria Ausiüatrice.
Intanto ne studió Pindole e i costumi, ne indagó le idee religiose
(quanto rudimentali e quanto soffocate da grossolane superstizioni!)
e s'informó della missione protestante, cosa che formava l'oggetto
principale della sua andata. Chiamare missione quella era profanare
un nome sacro per tanti sacrifici e per tante glorie. Tutto si ridu-
ceva a puro commercio e ad insegnare Pinglese. Interesse e política:
erano quindi prevedibili opposizioni senza scrupoli ai Missionari
cattolici. Non gli fu possibile pero internarsi quanto avrebbe desi-
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1 Salesiani nel Paraguay
derato, perche l'acuirsi di un suo malessere lo costrinse ad antici-
pare il ritorno. Obbligato ad alcuni giorni di letto, lascio gli amici di
Villa Concepción pieni di buon volere in far i preparativi per co-
minciare la fabbrica. E noi puré li lasciamo a quisto punto, giacché
il Collegio non si poté aprire se non nel 1904; ma quello era l'anno,
in cui nel mondo si celebrava il giubileo dell'Immacolata, dalla quale
la cittá aveva preso il nome. I Salesiani tuttavia vi lavoravano giá
da quattro anni con Toratorio festivo.
Prima che l'anno finisse, Don Turriccia aveva fatto per il Chaco
qualche cosa di piú positivo. In ossequio a un desiderio espressogli
dal Presidente della Repubblica, nel dicembre del 1897 invió due
Salesiani a Fuerte Olimpo ed a Bahía Negra, incaricandoli di stu-
diare che cosa vi fosse di fattibile in quelle localitá. 1 punti sud-
detti erano due forti assai bene armati e validamente presidiati
contro chiunque si azzardasse di attentare all'integritá del territorio
nazionale. Avevano aumentato il timore certe concessioni fatte lá nei
dintorni dal Governo boliviano ad una Compagnia inglese. Ora av-
veniva che quelle terre, a motivo dell'immensa distanza che le se-
parava da Asunción, fossero considérate dai soldati come luoghi d'e-
silio. In che modo ovviare al gravoso isolamento? Ecco il problema
che i due Missionari dovevano aiutare a risolvere.
Essi rimasero cola 54 giorni. Prima loro cura fu di avvicinare i
bianchi sparsi nella zona, battezzare bambini, legittimare maírimoni,
esercitare insomma a vantaggio di tutti il proprio ministero. In ogni
dove si vedevano accolti con vivissima gioia. Fecero puré varié punte
fra alcune tribu di Indi, specie fra le piü vicine dei Ciamacocos e dei
Caduveos. Osservarono infine le condizioni iocali in prossimitá dei
forti. Da ultimo, tornando, presentarono al Governo tre pratiche con-
clusioni: agevolare l'impianto di una colonia militare, aprire un Col-
legio per ragazzi e trarre nell'orbita civile i selvaggi delle due men-
tovate tribu. Una chiesa, l'impianto di qualche industria redditizia,
uno stabilimento pecuario e premi assegnati al lavoro avrebbero
attirato e aumentato la popolazione dei coloni. Un Collegio avrebbe
preparato una generazione nuova, formando i piccoli Indi delle due
tribu al lavoro, dal quale rifuggivano i grandi. Questi, piuttosto
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Capo XXXVII
mansi, potevano impiegarsi a tagliar legna, dando loro in compenso
vitto e vestito, e guadagnarsene con ció la fiducia, sicché si riuscisse
ad ottenere i loro figli per educarli. II Governo prese nella dovuta
considerazione le proposte. II Presidente della Repubblica chiese a
Don Rúa la fondazione di una Casa salesiana nel Chacó; ma fu de-
ciso che a quei cristiani provvedesse il Direttore di Asunción, man-
dando ogni domenica un sacerdote fino a che non apparisse la neces-
sitá di stabilirvi una casa regolare (1). I Salesiani continuarono a in-
teressarsi saltuariamente degli Indi; ma fácilmente in certe Repub-
bliche americane Governi succedono a Governi e di regola un Go-
verno disfa quello che un altro Governo ha fatto. Insomma, nulla di
orgánico e di stabile poté ottenersi, come dicevamo, finché non entro
in campo .Fautori-tá e Topera della Santa Sede.
(1) Verb del Cap. Sup., 9 geanaio 1899.
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CAPO XXXVIII
I Salesiani esiliati dalFEquatore (1).
Le cose nostre andavano troppo bene nell'Equatore, perche il genio
del male non volesse contrástame il camraino. Non é giá da credere
che non si fosse navigato talora in cattive acque; ma la valentía del
capitano aveva saputo sempre superare i marosi: {'ultima burrasca
invece fu cosi terribile, che cagionó il naufragio. Premetteremo una
notizia sull'andamento della Scuola professionale di Quito prima
che scoppiasse la tempesta.
Nel 1894, anno in cui venne creata l'Ispettoria equatoriana, la Casa
di Quito faceva veramente mirabilia. Quattordici laboratorii in piena
attivitá (2); la tipografía con tre grandi ed eccellenti macchine e due
piccole; motori elettrici, cosa nuova cola; il livello della cultura ne-
gli artigiani molto elevato; una sezione di studenti; circa 350 con-
vittori. Riguardo all'insegnamento professionale, si deve tener contó
che a Quito e in altre cittá i Municipi vietavano agli operai di aprire
pubbliche botteghe, se non possedessero la patente di maestri nel-
larte, il qual titolo si conseguiva mediante un esame teórico e pra-
tico sostenuto dinanzi a una Commissione uffíciale. Pochissimi riu-
scivano a conquistare quel diploma. Don Calcagno organizzó le scuole
degli artigiani in modo da portare gli alunni alPambito riconosci-
(1) Fonti: lo Relazioni e cronache manoscritte consérvate nei nostri archivi. 2o Giornali del tempo.
3o Una Vita inédita di Don Calcagno, quad. 6o e 6o bis (manca un 5o bis). Anónima 4o KKANCESIA. /
nosiri Misswnari di Quito. Quattro fascicoli delle Letture Cattoliche, 1899. 11 Bollettino per misura pru-
denziale non fíató. Solo Don Rúa fece udire un lamento nella lettera del 1897 ai Cooperatori: < Mi
strapparono le lacrime le sofferenze cd i pericoli dei Salesiani delle Case dell'Equatore nei torbidi della
rivoluzione. >
(2) Non sembri esagerato questo numero; oltre ai soliti vi erano quelli di scultura. cerámica, con-
celia, cappelieria, Anche la panettcria aveva alunni, che non si distinguevano dagli altri.
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Capo XXXVIU
mentó. 11 programma comprendeva scienze con applicazione alie
varié arti, storia genérale e storia delle singóle industrie, geografía
con riferimento particolare ai luoghi donde venivano materie prime.
E poi Riviste artistiche e industriali in piú lingue per i maestri, e
obbligo per questi di mettere in iscritto le loro lezioni. 11 Direttore
inoltre compiló un " Programma d'insegnamento teorico-pratico "
che suscitó molto interesse dentro e fuori della Repubblica.
Nelle Esposizioni Nazionali il Protectorado, come chiamavasi il
Co,llegio, figura va con onore. In veritá si poteva diré che i labora tori
presentassero un'esposizione permanente, la quale attirava la curio-
sita di chiunque li visitasse.
Pezzi grossi del lo Stato e della borghesia mandavano per qualche
settimana i loro rampolli, anche studenti universitari. a indossare la
blusa nei laboratorii del Protectorado católico, affinché imparassero
come si debbono trattare gli operai. Famiglie ragguardevoli non giu-
dicavano umiliante mettere figli o parenti a studiare, dove tanti po-
veretti godevano sovvenzioni governative.
I due Presidenti della Repubblica Flores e Cordero amavano vi-
sitare spesso il Collegio, trattando molto familiarmente con i Su-
periori e con gli alunni; cosi puré altri personaggi autorevoli nello
Stato.
Ma Don Calcagno, pieno dello spirito di Don Bosco, non si con-
tentiva del profitto scientifico de' suoi giovani; si adopera va con
non minor zelo a crescerli morigerati e pii. La prova che le sue sol-
lecitudini non rimanevano sterili, si aveva nelle vocazioni salesiane,
che sbocciavano ogni anno fra gli studenti e gli artigiani, sicche si
resé necessario creare un Noviziato. Lo aperse a Sangolqui, villag-
getto distante 15 chilometri dalla Capitale. Un Cooperatore donó il
terreno con un villino: fu il primo lembo di suolo libero e indipen-
dente che i Salesiani ebbero all'Equatore. Altri Cooperatori sommi-
nistrarono i mezzi per cominciare. Da prima non era gran cosa; ma
le continúate oblazioni permisero di tirar su un fabbrica abba-
stanza capace. Stavano racchiuse in quel vivaio le piü care spe-
ranze.
1V1 entre a Quito, a Cuenca, a Riobamba si lavorava con buona
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/ Salesiani esiliati dall'Equatore
volontá, i numerosi Cooperatori e amici appresero con viva gioia che
la Santa Sede, d'accordo col Governo, aveva istituito il Vicariato Apo-
stólico di Méndez e Gualaquiza, affidando quelle Missioni ai Sale-
siani; plaudirono puré alia scelta di Don Costamagna come Vi-
cario Apostólico, essendo egli la favorevolmente noto fin dal 1890,
quando aveva visitato le Case salesiane dell'Equatore e di altre Re-
pubbliche sul versante del Pacifico.
I progressi dell'Opera salesiana nell'Equatore indussero Don Rúa
a costituirvi un'Ispettoria a sé, mettendovi a capo Don Calcagno,
che godeva grande autoritá presso i Confratelli e grande stima in
ogni ceto di persone. Da Torino gli fu data comunicazione della
nomina il 20 marzo 1894. Gli giunsero felicitazioni da tutte le parti,
e tutti i Salesiani residenti nell'Equatore si affrettarono ad attestargli
ossequio, obbedienza ed affetto. A Quito gli si fecero dimostrazioni
solenni nel giorno di S. Luigi, suo onomástico. All'accademia assi-
stettero con i Cooperatori cospicue rappresentanze delle Autoritá ec-
clesiastiche e civili; anzi il Presidente Cordero si compiacque di
partecipare al banchetto d'onore.
Durante il trattenimento accademico vi fu una singolare sor-
presa. I laboratorii, i benefattori e gli ex-allievi avevano presentato
all'Ispettore i loro doni, quando si fece avanti il Direttore dell'ora-
torio festivo, tenendo per mano un fanciullo umilmente vestito e
disse: — L'oratorio festivo non ha ricchi presentí da offrire; offre
questo fanciullo che é senza nessuno al mondo e chiede per mió
mezzo che lTspettore sia il suo angelo tutelare. Ha buona volontá
e tiene esemplare condotta. — Don Calcagno, chiamato a sé il pic-
colo e rivoltegli alcune domande, gli disse: — Da quanto odo, tu
hai le qualitá per essere accolto in una casa di Don Bosco; da qn.e-
st'oggi farai parte della nostra famiglia e i Salesiani faranno le
parti de' tuoi cari che non hai piú. — Indi lo consegnó al nuovo
direttore Don Santinelli, e questi al Catechista, che lo menó a se-
dere fra gli alunni, in mezzo a calorosi applausi dell'assemblea. II
poeta Reña, commosso, proruppe in un impeto di eloquenza, che
sublimó ancor piú la bella scena.
Vorremnio davvero che nulla fosse mai venuto a turbare tanta
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Capo XXXV1U
pace di operositá benéfica; ma non fu cosi. Gli ex-allievi avevano
fondato un Circolo Cattolico degli Operai con scuole serali su cose
di arti e mestieri; i soci partecipavano in corpo a funzioni religiose;
conferenze d'argomento religioso si tenevano nella loro sede. Per isti-
gazione di gente turbolenta venne costituito un altro Circolo Operaio
in antagonismo col primo; ma la lotta si estendeva anche contro
i Salesiani, spacciati come profittatori, come intenti ad arricchire
e a fare gl'interessi di stranieri, come autori di accanita concor-
renza alia mano d'opera cittadina. A che dunque continuar loro gli
assegni governativi? La stampa settaria propalava ai quattro venti
le male voci. La cosa preoccupava il Governo. Sorta la minaccia
di guerra col Perú e quindi la necessitá di economie per fare pre-
parativa i sussidi alie opere di beneficenza furono radiati dal bi-
lancio. Allora le case salesiane, e piú di tutte la casa di Quito, ven-
ñero a trovarsi in gravi strettezze. L'Ispettore per Tésame della si-
tuazione convocó il primo Capitolo ispettoriale, che deliberó quattro
cose: licenziare durante le vacanze gli alunni mantenuti dal Go-
verno, tranne gli abbandonati; ricorrere ai benefattori per i bisogni
piú urgenti; proporzionare tutte le attivitá ai mezzi disponibili; con-
correre con qualsiasi sacrificio al mantenimento delle Missioni di
Méndez e Gualaquiza, che erano da considerarsi come Topera piú
importante delTIspettoria.
Cosi passó il 1894, ma il 1895 fu un anno burrascoso. II radi-
calismo massonico, Teterno nemico delle tradizioni di García Mo-
reno, rialzava la testa, smanioso di prendere la rivincita contro il
partito delTordine; le logge si movevano e si moltiplicavano; la stam-
pa anticlericale soffiava nel fuoco. Si aspettava solo un'occasione.
Questa fu offerta dal pericolo di guerra. Si misero in giro contro
il Governo due accuse: malversazione dei fondi di guerra e offesa
alTonore nazionale nelle trattative col Cile per Tacquisto di un in-
crociatore. Gli animi si accendevano.
Intanto un uomo battagliero stava in agguato: il Genérale Eloy
Alfaro, capo del partito radicale, da molti anni in esilio. Riusci-
togli un colpo di mano contro la piazzaforte di Esmeraldas, chiamó
alie armi tutti i suoi partigiani contro coloro che, seguendo la política
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Capo XXXVIII
partenendo gli edifici al Governo, si doveva temeré da un giorno
all'altro un ordine di sfratto; perció, senza perdersi in tanti pro-
getti, il 19 marzo 1896 compró un terreno con casina nelle vici-
nanze di Quito, in una localitá detta La Tola, a fine di costruirvi una
Scuola professionale e un Istituto técnico di proprietá della Congre-
gazione. La compra fu intestata a Don Luigi Calcagno, a Don Ci-
ríaco Santinelli e al signor Giacinto Pancheri coadiutore, in societá.
Da tempo si mira va a questo senza poter mai venirne a capo; onde
il buon esito dell'affare fu attribuito a una grazia di S- Giuseppe
nei di della sua festa. II giorno dopo Don Calcagno con Don Santi-
nelli e Pancheri ne presero possesso, mandando alcuni mobili e il
quadro di Don Bosco, al quale s'intendeva intitolare la fondazione.
II 23 principiarono i lavori di costruzione sotto la direzione di
Pancheri.
L'Ispettore si recó in seguito ad assicurare le cose a Riobamba e
a Cuenca. Nelle memorie del tempo sonó lodate la serenitá e la
calma, che non lo abbandonavano mai in si delicati frangenti. La
sua parola incorava i timidi e conteneva le impulsivitá sia nei con-
fratelli che nei giovani piü grandi. Lontano com'era dai Superiori,
li informava di tutto; se mai le loro risposte tardassero a giungere,
pregava e poi agiva con risolutezza e prudenza.
Nonostante la bonaccia che dicevamo, c'era nell'aria odor di
polvere. L'Intendente di Polizia compariva ogni tanto in casa a per-
quisire e a inquisire, sempre sospettando che si nascondessero armi
e si tenesse mano a ordire una cospirazione. In cittá, assembramenti
di gentaglia raccozzata ad arte sbraitavano contro i religiosi. Per-
ché i poteri pubblici potessero agiré, bisognava bene che si facesse
udire la voce del popólo! Una sera i Salesiani furono avvertiti che
vi sarebbe stato un assalto al Collegio. Non ci fu verso di mandare
a letto i giovani, che, dato di piglio ai bastoni della ginnastica, si ap-
postarono in atiesa degli assalitori. Questi sulla mezzanotte, trovato
molto popólo qnasi a guardia della casa e visti accesi nell'interno
i lumi, non si arrischiarono a fare atti di violenza, ma, urlando
parolacce da trivio, presero il largo. L'indomani Don Calcagno si
recó dal Genérale per sapere se sarebbe tutelata la sicurezza de*
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I Salesiani esiliali dall'Equatore
di Garcia Moreno, avevano convertito l'Equatore in un convento di
frati e di monache. Da ogni punto della Repubblica si rispóse al-
l'appello, sicché l'Alfaro poté occupare Portoviejo, prendere Guaya-
quil e prepararsi cosi a piombare sulla Capitale. Qui la stampa
radicale lanciava fuoco e fiamme, e il Circolo libérale le teneva bor-
done, puntando contro i Salesiani. Don Calcagno credette venuto il
momento di romperé il silenzio osservato fino allora. Nel mese di
agosto, alia solenne distribuzione dei premi, presenti l'Arcivescovo
di Quito, il Yescovo scampato da Portoviejo e parecchi Ministri, pro-
nunció un eloquente discorso veramente pro domo sua, dándolo poi
alie stampe, affinché fosse diffuso.
Si avanzava furiosa la bufera. 11 General Alfaro, fiaccate le forze
costituzionali nella battaglia di Gatazo, si avvicinava a Quito, dove
regnava grande confusione. II pió e pacifico Cordero, abbandonato
anche da una parte di politicanti cattolici, si dimise dalla presi-
denza. Si videro allora eroismi che hanno dell'incredibile nella di-
fesa della buona causa. Battaglioni di giovanetti fin quattordicenni
marciarono contro i nemici di Dio e della Chiesa; le madri stesse
incoraggiavano questi loro figli alia santa crociata. L'Alfaro, tra-
volte le ultime resistenze, penetró in cittá da conquistatore. Reli-
giosi e pubblicisti cattolici subirono onte ignominiose e morti cru-
deli. Don Calcagno, risoluto di non abbandonare nessuna delle Case
salesiane se non cedendo alia violenza, faceva di tutto perché i suoi
non si mescolassero di politica; a tal fine temperava gli aspri giu-
dizi che udisse proferiré sul contó del Dittatore.
I nemici dei Salesiani non si lasciarono sfuggire il momento buono.
Appena l'Alfaro afferró le redini del potere, si diedero attorno per in-
durlo a far piazza pulita. Non soddisfatti súbito, come essi brama-
vano, misero in giro la voce che nel Protectorado si tramasse contro
il regime. 11 Dittatore pero anche dopo tali accuse si guardó dal-
l'essere corrivo, anzi visitó personalmente l'ístituto, esprimendo da
ultimo la propria soddisfazione. Fosse astuzia ovvero prudenza, la
sua moderazione sinorzó li per li le bramóse voglie degli avversari.
Succedette nella casa un periodo di quiete, sicché si poté riaprire
il Collegio dopo le vacanze. Vedeva bene Don Calcagno che, ap-
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7 Salesiani esiliati dalVEquatore
suoi giovani. II Genérale gli rispóse constargli che si ordiva uim
cospirazione contro il Governo. Don Calcagno gli domando se ore-
desse che fra i cospiratori vi fossero anche i Salesiani. — Non so,
rispóse. Ammiro i vostri sacrifici e non mi mostreró insensibile. —
COSÍ dicendo, lo licenzió. Si poteva dunque argüiré che, se in torno
a lui vi era chi vedeva di malocchio i Salesiani, egli non pareva
dello stesso sentimento.
Pochi giorni dopo una persona privata avverti al Protectorado
che si stesse all'erta, perché la Polizia aveva ordine di catturare tulti
i Salesiani di notte e condurli in esilio. Don Calcagno mando súbito
dal Consolé germánico, amico del la Casa, pregándolo che difendesse
i Salesiani da siffatte persecuzíoni. II Consolé ando tostó in persona
da Alfaro per appurare la cosa. — lo non ho nulla contro i Sa-
lesiani, rispóse, e desidero che si sappia. — A vendo poi soggiunto
il Consolé che si buccinava dover essi venir esiliati di notte come
i Cappuccini, replico: — Se fossero colpevoli, non di notte, ma
in pieno giorno li farei uscire dalla Repubblica. — Belle parole,
ma la voce correva insistente e prendevano corpo i timori.
Un fatto accrebbe le apprensioni. Una mattina irruppero nel cor-
tile del Collegio molti sbirri, comandati da un uffíciale famoso per
atti sanguinari. Costui esigeva la consegna delle armi. Si aveva un
bel diré che armi la dentro non ve n'erano! Egli strepitava e chiese di
vedere certe casse piene di cartucce. Gli mostrarono alcuni cassoni
accatastati presso un muro. I suoi uomini si buttarono sopra e le
scassinarono. Le trovaron piene di mattonelle refrattarie, con le quali
si dovevano fare riparazioni al forno. Si sarebbe potuto ridere dello
smacco; ma simili sospetti facevano pronosticare poco di buono.
Tanto tuonó che piovve, anzi fece gran tempesta. La notte sul
24 agosto avvenne simultáneamente una tríplice irruzione della Po-
lizia: al Protectorado, a La Tola e al Noviziato.
Al Protectorado l'ufficiale, che comandava la pattuglia, fatti ra-
dunare i Salesiani, intimó loro che s'incamminassero verso il Pa-
lazzo di Polizia, accordando pochi minuti per fornirsi di abiti. Don
Calcagno ieníb di opporsi; ma poiché vide inutile, anzi pericolosa
ogni resistenza, desistette, e tutti scortati a guisa di malfattori, usci-
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Capo XXXVIll
roño. I giovani, una cinquantina che non erano andati in vacanza,
precipitad giú dalle camerate, strillavano, piangevano, pregavano
la Madonna. Le loro grida, echeggiando nel silenzio notturno, si ri-
percuotevano dolorosamente nel cuore dei Superiori, mentre si al-
lontanavano in mezzo a 60 soldati. Nel Palazzo di Polizia> senza nes-
suna formalitá d'interrogatorio, gli stranieri furono rinchiusi in una
angusta celia, dove stentavano a respirare; gli Equatoriani invece
vennero obbligati con la forza a ritornare. Alcuni protestarono enér-
gicamente di voler seguiré i loro Superiori. Sopraggiunto il coman-
dante e saputo che il piü accanito a resistere era il chierico Vit-
torio Emanuele Egas, lo prese con sé e ricondusse alia Polizia, or-
dinando ai soldati di far fuoco, non appena qualcuno tentasse an-
cora di opporre resistenza. Giunti in Collegio, li cacciarono nel par-
latorio con guardie alia porta. Che fare? Gli uni, avendo breviari,
recitarono i sette salmi penitenziali, gli altri il rosario. Dovettero
stare la fino alia mattina. Erano due coadiutori e dieci chierici.
Egas, il primo Salesiano dell'Equatore, trasportato dall'esuberanza
del suo temperamento e sfidando le minacce, non volle assolutamente
staccarsi dai propri Superiori; fu quindi trascinato nella sorte co-
mune. Alie quattro, fatti montare a cavallo, attraversarono la cittá
ancora sepolta nel sonno. Precedeva un picchetto di artiglieri; li
stringeva ai fianchi e serrava alie spalle una squadra di gendarmi.
Un uffíciale della scorta, quando si passava dinanzi al palazzo di
Álfaro, si accostó al portone e attraverso lo sportello apertosi scambió
alcune parole con chi daH'interno stava in attesa. Fuori di cittá, in
luogo deserto, venne ordinato Valí, il cui prolungarsi metteva ango-
sciosi dubbi nell'animo degli arrestati.
Cominciava a quelFora l'ansioso travaglio del coadiutore Pan-
cheri. Egli, sólito a passare la notte presso il cantiere di La Tola,
erasi sentito bruscamente svegliare da concitati colpi alia porta.
Disceso in gran fretta, si trovó di fronte a otto armati, che si precipi-
tarono dentro, intimandogli di precederli, perché dovevano perqui-
sire l'abitazione e cercare le armi. Dopo l'inutile fatica se n'anda-
rono. Q u a n d o poi egli prima del consueto si reco al Protectorado per
fare con gli altri le sue pratiche di pietá, trovó la casa in subbuglio
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/ Salesiani esiliati dalVEquatore
e molte guardie poste la a impediré che nessuno uscisse o entrasse.
Con la forza si spinse oltre. Chierici e giovani lo attorniarono, gri-
dandogli confusamente le vicende di quella notte. Corsé al Palazzo
della Polizia, ove domando dei Salesiani. Gíi fu risposto con mal
garbo che erano partiti. Allora il suo amore ferito espióse in parole
di fuoco senza risparmiare nessuno dei responsabili. All'improvviso
quattro mani lo afferrarono e lo spinsero a viva forza dentro un vano
stretto come un armadio; emparedar dicevano il rinserrare a quel
modo un cristiano fra quattro anguste pareti. Nel buio di quella
segreta, riflettendo che Don Bosco non avrebbe agito cosi, ne provó
rimorso e prese a diré il rosario. Verso le nove, tratto di la e pa-
droneggiando i suoi nervi, sufei un lungo e insultante interrogatorio,
finito il quale fu scortato al Collegio, do ve sotto i suoi occhi si ap-
posero su tutto i suggelli, con l'ordine a lui di presentarsi allTnten-
dente di Polizia dopo pranzo. Provvisto alia refezione dei giovani,
tornó alia Polizia; ma con sua sorpresa fu dichiarato libero. II Mi-
nistero si affrettó a mandare nel Collegio un Direttore laico. Vole-
vano fare lo stesso a La Tola; ma le proteste di Pancheri contro
la violazione della proprietá privata valsero a far desistere: gli venne
pero imposto di custodire sotto la sua responsabilitá e a disposizione
del Governo quanto ivi si trovava. Da quel giorno al buon Coadiu-
tore toccó la sorte di difendere da solo l'onore e gli interessi della
Congregazione.
Mentre Don Calcagno e i suoi aspettavano quale decisione si pren-
desse sul contó loro, ecco arrivare dal Noviziato in mezzo a un plo-
tone di gendarmi il Direttore Don Guido Rocca e il Catechista
Don Felice Tallachini. Li avevano strappati brutalmente ai loro ven-
tiquattro novizi, che indarno supplicavano di poterli accompagnare.
Pancheri portó anche a Sangolqui la sua provvida assistenza.
Questo bravo Salesiano si diede con tutta attivitá e zelo a in-
vocare protezione dai Consoli tedesco, francese, peruano in favore
dei deportati e dei chierici rimasti; il Consolé italiano era assente.
Correva poi da una all'altra delle tre Case, cercava mezzi di sussi-
stenza, nel Protectorado parlava financo dopo le orazioni della sera.
Scrive un testimonio: « L'udire quelle sue parole, quel vedere un
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Capo XXXF111
secolare d'alta statura, con tanto di barba, tutto comrnosso, pro-
duceva in tutti noi una grandissima impressione. Esortava alia per-
severanza nella vocazione; il che la prima sera ci commosse fino alie
lacrime e si sarebbe sacrificata la vita per trionfare in mezzo a tan te
difficoltá. » Questo trionfare si riferiva alia vittoria contro le male
arti úsate dai persecutori per indurre i chierici equatoriani a de-
porre l'abito e abbandonare la vocazione. Persone pie largheggia-
vano in soccorsi, primo fra tutti l'Arcivescovo Pietro Raffaele Con-
zales-Callisto.
Nel Collegio c'era un viavai continuo di guardie e di sóida (i,
come se la si fosse perpetrato chi sa qual grande misfatto. La sera
del secondo giorno fu recapitata a Pancheri una lettera. La porta va
il padre di un ex-allievo. L'aveva scritta il Direttore Don Santirielli.
ma dettata e firmata l'lspettore. Un'altra ne giungeva a Sangolqiii
dove Pancheri aveva ottenuto che la custodia della casa fosse af-
fidata a un coadiutore di la. In entrambe si diceva che i chierici,
se volessero, poíevano mettersi in viaggio e passare alia vicina Ispet-
toria peruana. Quasi tutti assecondarono Tin vito; alcuni pochi, ee-
dendo alie pressioni delle famiglie, restarono presso i parenti. Pan-
cheri, mentre si affaccendava a far prestiti e a chiedere ümosine
per le spese di questi viaggi, era assalito dai creditori che volevano
essere pagati, mentre nessuno dei debitori si faceva vivo. « Povero
Sig. Pancheri, leggiamo in una breve cronaca, in quali angustie
dovette frequentemente trovarsi! »
Non molto dopo la trágica giornata del 24 agosto usci un de-
creto, che vietava qualsiasi riunione dei Salesiani in comunitá, sicche
i chierici professi e novizi, vestiti da secolari, si dovettero disperdere,
andando chi presso la famiglia, chi presso benefattori, ma risoluti
a mantenersi fedeli. Anche Pancheri prese dimora in casa di un
generoso Cooperatore. 11 28 agosto in un bollettino straordinario, in-
titolato "Documentos oficiales," si pretendeva di dimostrare, in
base a false testimonianze, che i Salesiani si erano resi colpevoli
di macchinazioni politiche, donde la prudente misura governativa di
cacciarli in esilio. come stranieri pericolosi. Allora si comprese, per-
ché il Ministro deirinterno avesse detto al Consolé colombiano, che
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/ Salesiani esiliati dall Equaíore
intercedeva per le vittime: — Signor Consolé, domandatemi altri
favori, ma non mi paríate dei Salesiani. Se il Consiglio dei Ministri
fosse stato del mió parere, io li avrei fucilati tutti.
Torniamo ora ai nostri prigionieri. Eran nove: i sacerdoti Luigi
Calcagno, Ciríaco Santinelli, Alfredo Sacchetti, Giuseppe Taricco,
Cario Ghiglione, Guido Rocca e Felice Tallachini; il diácono Giu-
seppe Reyneri e il chierico Vittorio Egas. Trascorse due lunghe ore
di trepida aspettazione, durante le quali si tenevano stretti intorno
allTspettore, che infondeva calma ed esortava alia preghiera, la
squadra si mosse. Causa dell'indugio era stato il dover aspettare
i due ultimi, che avevano tardato piü del convenuto. Fu un contrat-
iempo che guastó il piano prestabilito, perché cominciava a farsi
giorno, mentre si sarebbe voluto percorrere buon tratto di strada
senza incontrare anima viva. Invece dalla campagna veniva gente,
sbalordita alia vista di quei poveri Padri che avanzavano su mi-
sen ronzini in mezzo a soldati pettoruti sui loro superbi cavalli. Gli
uomini sbarravano tanto d'occhi, e le donne, non osando manifestare
la loro pena, si coprivano il volto.
Dopo varié ore di cammino, nessuno pensava a un po' di ri-
storo, di cui i nostri sentivano prepotente il bisogno. Don Calcagno
con il suo contegno calmo e dignitoso aveva attirato l'attenzione
del capitano, se non anche la sua compassione, perché appariva
sofferente. Accortosi di questo, gli venne un'idea. Si scorgeva poco
lungi la elegante villa di una veneranda signora Pastora Alarcon, la
marama dei Salesiani, sempre sollecita a soccorrerli in ogni neces-
sitá. Domando dunque al capitano che permettesse una breve fer-
mata per andaré da lei a rifocillarsi. Quegli accondiscese. Dolce
sorpresa nella signora; ma tostó acerbo dolore. Muta e in pianto,
fece allestire prontamente la mensa, alia quale furono invitati anche
gli ufficiali. II suo occhio materno vide che quei suoi poveri figli,
come soleva chiamarli, non avevano portato nulla con sé. Voló
súbito a prendere indumenti. Accorsero puré altre pie donne, re-
cando cappelli, stivali, camicie, fazzoleíti; diedero di forbici in alcuni
scialli per improvvisare cravattoni contro gli assalti del vento;
condussero perfino qualche buon cavallo. Al momento della separa-
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Capo XXXVIII
zione, la signora, struggendosi in lacrime, si pose in ginocchio, bació
la mano a Don Calcagno, ne chiese la benedizione e con alti sin-
ghiozzi li accompagnó al cancello. Le altre erano scomparse: te-
mevano di non poter reggere alio schianto.
Si marció tutto il resto della giornata sotto la sferza del solé equa-
toriale. Sull'annottare entrarono in un paesello, dove furono confi-
nati in stanze senza letti. Rotti della persona e spossati dal caldo,
com'ebbero consúmate quel poco che aveva potuto somministrar loro
la buona mamma, e dette insieme le orazioni, si coricarono sul nudo
pavimento.
II 25, dopo un galoppare estenuante per la durata e per la-ca-
lura, giunsero verso le quattordici a Otávolo. La notizia del loro ar-
rivo li aveva preceduti. Alunni in vacanza si avventarono per awi-
cinarli; ma il capitano fece accerchiare dai soldati i prigionieri.
Tuttavia due, passando fra cavallo e cavallo, sgusciarono davanti a
loro. Come rimasero al vederli tutti sfigurati! I militari usavano
moderazione, perché gli abitanti in folla facevano ala riverente al
passaggio. I nostri scorgevano sui volti una commozione che li in-
teneriva.
Furono segregati nella gran sala municipale; un corpo di guardia
alia porta d'ingresso al palazzo e sentinelle nell'interno impedivano
a chicchessia di accostarsi ad essi. A siento la madre del chierico
Egas, che era di Otávolo, poté ottenere di abbracciare il figlio.
Visto che avevano bisogno di tutto, corsé a casa, portando loro di
li a poco di che sfamarsi. Con la scusa poi di recare alimenti
entrarono congiunti del chierico, alunni e amici dei Salesiani, che
tutti fecero a gara per mandare vivande, parte da consumarsi sú-
bito, parte da serbare. Per la notte avevano provveduto gli alunni,
procurando materassi, guanciali, lenzuola e coperte. Un sonno risto-
ratore ne rinnovó le energie fisiche e morali.
Al mattino le Suore di S. Vincenzo fecero chiedere l'onore di
servir loro il caffé. Don Calcagno, colta la propizia occasione. le
prego di ottenere dal capo político del paese che potessero diré
la Messa. Erano ancora i tempi, in cui nell'America nessuno ar-
diva clare un rifiuto a una signora; le Suore poi erano onnipotenti,
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/ Salesiani csiliati dalVEquaíore
In men di mezz'ora tornarono con il permesso e con tutto Poccor
rente. Due soli celebrarono; gli altri ricevettero la comunione. Alia
cerimonia assistettero le Suore, i Fratelli delle Scuole Cristiane e
parecchi amici. Compiuti i doveri religiosi. le Suore fecero trovar
pronta una seconda refezione.
Quando furono soli, si affacció un grave problema. Don Calcagno
aveva inteso che si voleva condurli alia frontiera a piedL attraverso
la foresta del Paylon, regione cosi denominata dal suo fiume. Ora
quella foresta era uno spavento. Bisognava ottenere un cammino piü
praticabile. Non essendovi a Quito il Consolé italiano Nicoló No-
rero, Don Calcagno scrisse a quello tedesco. La nota fu spedita a
mezzo di persona fidata. Anche il capitano, che aveva dato segni di
umanitá, mosso a compassione, telégrafo al Governo. La risposta fu
che egli era uomo inetto e codardo; si dimettesse dunque e partisse.
Appresso ecco arrivare un rinforzo di truppa a cavallo dalla vicina
cittá di Ibarra con un comandante che aveva pocanzi compiuto Pim-
presa di menar via i Cappuccini. Uno specializzato. Ostentava ine-
sorabile severitá. Triplicó le sentinelle. Non poté pero impediré che
la folla stazionasse dinanzi al palazzo del Municipio. Ai prigionieri
si facevano pervenire biancheria e coperte di lana; le Suore facevano
arrivar loro consigii di precauzione contro il pericolo di febbri ma-
lariche; la popolazione mandó danaro. Si, anche danaro, frutto di
una questua. Venuta Pintimazione di partiré, i nostri, raccoltisi un
istante, si abbandonarono nelle mani di Dio e rassegnati discesero.
Al chiarore della luna quella loro aria sorridente e amorevole ca-
vava dai presentí fremiti d'indignazione contro i persecutori. La ma-
dre del chierico, abbracciato il figlio, lo animó alia perseveran za
nella sua santa vocazione. Uno squillo di tromba diede il segnale
della marcia. Dalla torre della prossima chiesa scoccava la mezza-
notte.
Dove si andrá? Due strade si parano davanti, una buona e Pal-
tra cattiva. É infilata la buona. Speranze. Ma ahi! A un certo punto,
un comando secco, un'evoluzione, e la strada del Paylon. Sia fatta
la volontá di Dio. Alie quattro, fermata alia casetta di un colono. I!
capitano sveglia Puomo, perche dia un po' di riposo ai prigionieri
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Capo XXXVIII
Ne hanno estremo bisogno. Quegli comprende e si dice lieto di al-
bergare i Padri. Vengono stipati nell'unica stanzuccia disponibile,
sicclié coricandosi, cadono uno sull'altro. Ma piü che il disagio, poté
il sonno. La notizia del loro arrivo si propaga fra la gente delFa-
zienda. Quando escono dallo stambugio, vedono un gruppo di donne
con ciotole colme di latte. Parevano Madonne addolorate. Inoltratesi
tra le file dei soldati, porgono con fare materno ognuna Torio della
propria tazza a uno dei Padri, invogliandoli a bere. Era tepido, sa-
poroso e ristoratore.
Verso il tramonto giunsero nel paesello di Salinas, abitato da
negri; quivi si dovette pernottare. Capitó la, ignaro, uno zio del chie-
rico Egas. Fu una provvidenza. In un batter d'occhio fece portare
minestra, carne, uova, formaggio, frutta. Una processione di bianchi
e di negri recó doni, commiserando la loro sorte. Spettacolo di fede
e di carita. Furono condotti nella casa del párroco. Povero párroco!
Aveva in tutto due camerette; di una si fece quartiere, dell'altra
prigione. La gente non finiva di portare stuoie pulite, distenden-
dole per térra. La notte, come Dio volle, passó. Non poterono ce-
lebrare. Fatta orazione, Don Calcagno chiese e ottenne dal capitano
licenza di scrivere al Governatore di Ibarra. Diceva fra l'altro:
... Síamo nove individui, quasi tutti deboli di salute, ed alcuni veramente am-
malati. ínfatti uno dei sacerdoti usci da Quito in uno stato compassionevole, poiché
é tocco nei polmoni (1); inoltre durante i] viaggio gli si sonó gonfiate le gambe.
Un altro sacerdote é infermo di corpo; io soffro di dispepsia e gran debolezza. Un
aítro ha frequenti emorragie al naso e un altro non é ancora libero dall'influenza.
D'altra parte il cammino di Esmeraldas (2) é noto: foreste impenetrabili al cavallo;
fiumi da guadare per mancanza di ponti; clima umido, malsano; luoghi deserti
Noi lo sappiamo che e un esporsi a certa morte, se ci mettiamo per quella vía.
Supplico perianto la V. S. che voglia avere la bontá di inviare qui due medici a
visitarci, perché dichiarino se siamo o no in condizione d intraprendere la marcia di
Esmeraldas. Siccome essi dovranno fácilmente convincersi, che noi siamo nell'as-
soluta impotenza física d'intraprcndcre tale viaggio, prego V. S. che si degni ordi-
nare che il nostro esilio si compia per la via del Norcl, che di qui conduce a San
Gabriel Turcan e Tuguerra.
Da parte nostra diamo la nostra parola d'onore a V. S. che ci comporteremo
in modo da non cagionare alcuna molestia al Governo.
(I) Don Taricco.
(2> Capitale dolía provincia omonima c terzo porto della Repubhlica sul Pacifico.
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1 Salesiani esiliati dall Equatore
Come noi abbiamo la coscienza tranquilla di non esserci mai immischiali me-
nomamente nc lia política del Governo, cosi supplichiamo V. S. che, se non potesse
aeconsentire a questa nostra domanda, ci conceda almeno di a veré una conferenza
telegráfica con il Consolé di Germania, residente a Quito, per l'aggiustamento dei
aostri interessi.
Non partiremo quindi prima di ricevere una sua risposta. Se questa sará ne-
gativa, ubbidiremo fin dove si potra, cedendo solo alia violenza armata, ma pro
testando, come realmente protestiamo, contro l'atto violento, se si mette in opera;
protestando come cittadini italiani e invocando la protezione della nostra pal ría,
oltraggiata nella persona de' suoi figli e facendo rcsponsabile, innanzi ad essa, di
tulte le disgrazie personali, che possano succederc a ciascuno di noi, il Governo
dell'Equatore, che diede Tordine e le disposizioni del nostro esilio...
Di questa esposizione Don Calcagno fece fare altre due copie,
una delle quali mandó al Consolé Genérale d'Italia e si portó la
terza con se. Scrisse puré al Vescovo di lbarra Federico González
Suarez, pregándolo d'intercedere presso il Governatore. Poi cercó a
sue spese un corriere, che andasse a lbarra. Intanto caló la notte.
Alie 23 il messo era di ritorno, con le risposte del Governatore e del
Vescovo. II capitano le consegnó súbito ai Missionari, che, seduti
sulle loro stuoie, ne ascoltarono la lettura. II primo negava che Pi-
tinerario fissato fosse tanto pericoloso; aecusava di troppa fierezza
alcune frasi; infine lasciava trapelare il dubbio che in una Casa sa-
lesiana fosse entrata la política. Permetteva pero che si fermassero
qualche tempo, finche gl'infermi stessero meglio. II Vescovo diceva:
« Saputo Parrivo a Salinas di V. R. e de' suoi confratelli, mi diressi im-
mediatamente al Consiglio dei Ministri, dimandando che sia rivo-
cato Pordine di esilio; ma finora il Governo non mi ha risposto, In
questa medesima notte mi rivolgeró per telégrafo al sig. Genérale
Franco per ottenere da lui quanto mi sia possibile a loro vantaggio. »
II Genérale Franco era la lancia spezzata del Genérale Alfaro nella
persecuzione contro i religiosi. I prigionieri si adagiarono di nuovo
rassegnati sul duro giaciglio. Fu di sommo conforto la mattina dopo
ai preti il poter celebrare tutti e sette la santa Messa e gli altri due
il comunicarsi. Anche la gente godette del beneficio di tante Messe.
Come si sará giá intravediito, quel fiero capitano si era araman-
sito. Doveva essere persona intelligente. Osservando la condotta dei
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Capo XXXV111
Missionari, si era persuaso che fossero degni di miglior sorte; per-
ció, deposta la ruvidezza militaresca, si fece con essi gentiluomo,
specialmente col loro capo, con il quale entró in rispettosa familiaritá.
Finite le Messe e tornati alia prigione, trovarono un eccellente
caffe e latte. Le buone persone, che l'avevano servito loro, li guar-
davano silenziose e meste. Diverse popolane, improvvisata presso
la casa una cu ciña, cuocevano vivande, che la carita pubblica do-
nava. Ma quella tranquillitá fu interrotta. Voci misteriose prove-
nivano fin da Otavolo, che si organizzasse una sollevazione popo-
lare per liberare i prigionieri. II capitano si mostrava preoccupato.
Con la scusa che non c'era erba per i cavalli, propose a Don Cal-
cagno di cambiare dimora. Egli aderi. Lo zio del chierico e altri por-
tarono in copia alimenti necessari per un lungo tragitto. AU'aiba
del 29, partenza. Non si celebró per mancanza di vino; si diede loro
tuttavia tempo di fare la comunione. Venuta Tora, gli abitanti di
Salinas, prostrati al suolo, gridavano: — Padre, benediteci. — Don
Calcagno alzó la mano e quelli si segnarono singhiozzando.
Allora nella marcia s'aveva da lottare con tre nemici: il solé, i I
vento e la polvere. Verso sera giunsero a Cuajara, vastissimo podere
appartenente alia signora Josefa León, cooperatrice salesiana. Vi la-
voravano quattrocento negri, le cui casette formavano un paesello. Di
bianchi vi erano solo la famiglia dell'Amministratore e due o tre altri
uomini. Qui i Missionari si sentivano come in casa propria. L'Ammi-
nistratore, secondo gli ordini ricevuti, non lasció loro mancare nulla.
Quante cautele, perché non si buscassero le febbri! La sera del 30
un corriere da I barra consegna al capitano un dispaccio del Gover-
natore, il quale designa lui único capo della spedizione, gli ordina
di proseguiré e lo avverte di custodire bene i prigionieri senza la-
sciarsi da essi ingannare. Effetto forse della minaccia di sollevazione.
Quel po' di riposo fra amici e il buon ristoro li avevano rinvigoriti.
Provvisti di abbondante viatico e pieni di coraggio, inforcarono gli
arcioni, e avanti per Guallupi.
Le strade cominciavano a farsi piú difficili tra folte boscaglie
e passi pericolosi. Piovigginava. Galopparono dalle dieci alie di-
ciotto. Guallupi consisteva in quattro abiturL piü le capanne dei
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/ Salesiani esiliañ dall Equaíore
negri su per le colline. Anche la molto cuore in quella povera
gente.
L'impazienza di raggiungere la meta ancora lontana faceva si
che i Missionari quasi quistionassero coi soldati per riprendere presto
la marcia. La mattina del 31 agosto si rimisero in cammino. Tra
pioggia e fango, con fame e stanchezza, per sentiero ingombro di
sassi e di tronchi spronarono avanti tutta la giornata fino a Pa-
rambas, immensa azienda di un tal Fleming, ingegnere tedesco, ami-
co dei Salesiani, che li accolse a festa e con tutti gli onori di una
signorile ospitalitá. Alio spuntare del Io setiembre, provveduto bene
all'anima e al corpo, montarono in sella, e via verso la foresta.
Ora ci avviciniamo alia parte cruciale del viaggio, che si svolse
in quattro fasi: per l'anteforesta, attraverso la foresta del Paylon,
in canoa e lungo la costa del Pacifico. Non sarebbe stato desiderabile
combinare un itinerario meno incomodo? Desiderabile e possibile.
Ma il Governo, secondo alcuni, sperava che i Missionari perissero
per istrada o per effetto della strada; secondo altri, temeva il malu-
more delle popolazioni, se fossero visti portati via dalla forza.
Chiamo anteforesta la zona selvosa percorsa nella giornata del
Io settembre, quasi allenamento al molto peggio, che li attendeva
dopo. Boscaglia da nessun sentiero segnata, ma canali stretti e tor-
tuosi, burroni dirupati, discese sdrucciolevoli, passaggi ingombri di
ciottoli arrotondati, dove bisognava andaré a piedi, tirando per mano
le bestie. I viaggiatori si dirigevano al fiume Lita, che segna il li-
mite del Paylon. Procedendo in lunga fila rompevano con allegre
voci il silenzio della selva, chiamandosi, facendosi coraggio, lan-
ciando motti arguti. Al fondo di una valle dovettero passare un
ponte di tronchi mal connessi, sopra un fiumicello che si sentiva.
ma non si vedeva, tanto giú era sepolto l'alveo. Guai a chi patisse
di vertigini! Due cavalli, toccata l'opposta sponda e perduto I'e-
quilibrio, piombarono nell'abisso; poco dopo due altri, caduti a térra
dallo sfinimento, si dovettero abbandonare. Alia fine comparvero
indizi di uomini vicini: piante di banane, poi pedate di mueca, poi
un gioioso chicchirichi. Benedissero il Signore, Ecco una casa soli-
taria, che trovarono abitata da due bianchi e due negri. Erano en-
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Capo XXXVIII
trati in una fattoria del Governatore di Ibarra, condotta da uno
Svizzero, il cui nome va conservato: si chiainava Modesto Endora.
Seopersero che aveva un ñipóte chierico salesiano. Appena gli dis-
sero che il capitano li conduceva a Esmeraldas, quell'uomo paci-
fico si fece di tutti i colorí e prese a inveire contro il capitano, Ma,
compresa l'inutilitá delle sue invettive: — Ebbene, disse, verro con
voi. lo conosco i luoghi. — Parole alleviatrici. I Missionari, rin-
graziato il Signore, si buttarono sulle stuoie prepárate per loro.
L'indomani si mandarono indietro i cavalli, diventati inutili;
partirono conducendoli molti dei soldati. A guardia degli esuli ne
rimasero ventitré col capitano. Due giorni di riposo restituirono le
forze agli affranti. Intanto Don Modesto, com'essi lo chiameranno.
faceva i preparativi. Caratteristici i sacchetti con fariña di segala
e di granturco arrostita, zucchette piene di aleóle, mezze zucchette
per serviré da bicchieri, da piatti, da tazze; e una seggiola, secondo
Tuso, per portare chi non potesse piú reggere. II 4 setiembre, rac-
comandatisi a Dio e a Maria Ausiliatrice, scesero al Lita. Parecerá
Indi li accompagnavano, agli ordini di Don Modesto, re della ca-
rovana.
11 ponte sul fiume metteva spavento. Altissimo, legname infra-
cidito e quasi tutto scomparso, funi di ferro scostate, da lato una
specie di gomena vegetale a guisa di ringhiera, in fondo il cupo
rumoreggiare delle acque. Don Modesto ordinó di levarsi scarpe
e calze: solo cosi potevano fermare i piedi in quella acrobática tra-
versata, dopo la quale entrarono davvero nella " selva selvaggia ed
aspra e forte". Vi tribolarono dentro tre giorni e tre notti. Giorni
brutti, brutte notti. Dall'alba al tramonto, l'immane travaglio del-
l'avanzare; nelle ore del riposo notturno, piogge a torrenti e pericoli
di fiere.
Di giorno i piedi guazzavano nel fango e nell'acqua, pestando
fogliame fracido e puzzolente. L'umiditá dell'aria andava fino alie
ossa. Ora lontano ora vicino, feriva le orecchie l'urlo di bestie feroci.
Penzoloni dalle piante, certi scimmioni, dondolandosi, venivano quasi
a sbaltere sulla faccia e, se non si stava in guardia, facevano peri-
colosi scherzi. Assai temibili le serpi, tutte velenose. Spine, erbacce
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/ Salesiani esiliati dall'Equatore
e sterpi da ogni parte. Al suolo, tronchi caduti, radicacce enormi e
ritorte; sul capo, alberi giganteschi, avvüuppati e fra loro quasi in-
catenati da possente vegetazione parassita. Inondati di sudore, i
viaggiatori ingannavano la stancliezza recitando il rosario, motteg-
giando e cantando lodi sacre o canzoni dell'Oratorio italiane e pie-
montesi. L'Ispettore, dissimulando il suo male alie gambe, parlava e
celiava. Nel terzo giorno gli Indi del seguito dovettero portarlo, le-
gato, sulla seggiola. I soldati non avevano tanta pazienza; tuttavia
non bestemmiavano piíi come una volta. II capitano ammirava. Al-
Fidea di rifare lo stesso cammino nel ritorno, disse: — Piuttosto mi
lascerei fucilare.
Di notte, tanto tanto si dormiva. Al sopraggiungere della sera,
Don Modesto, dato mano alia scure, troncava rami e arbusti, for-
mando una capanna, che copriva con foglie di palma. Sembrava
tenda di campagna. Egli, che conosceva una qualitá di legno facile
ad arderé anche verde, ne faceva una catasta davanti alia capanna
e vi appiccava il fuoco, che serviva ad asciugare i panni, a bol-
lire l'acqua e a tener lungi le belve. Aveva portato un recipiente
di latta, nel quale metteva acqua, sale, strutto e di quella tal fa-
riña; una minestra scodellata nelle mezze zucchette e sorbita senza
cucchiaio. In altre ore intridevano nell'acqua fredda la fariña ar-
rostita. Si mangiava, si scherzava, si contavano storielle e infine,
dette le orazioni, buona notte. Accoccolati dentro la capanna sopra
uno strato di foglie, si raccomandavano ai loro Angeli Custodi e
pigliavano sonno. Nella seconda e terza notte li molestó grandemente
una dirottissima pioggia. Ogni mattina, svegíiati dalla gazzarra che
facevano mille svariati uccelli, si levavano anch'essi a lodare il Si-
gnore, bevevano un buon caffé preparato da Don Modesto e, presa
la consueta refezione, ricominciavano la via crucis.
Le loro pene ebbero fine la mattina del quarto giorno. Sbucati
dalla foresta, li accolse la casetta espítale di un signor Lino Bedon.
Piú morti che vivi, non avevano quasi piú figura umana. I loro ve-
stiti erano inzuppati d'acqua, coperti di fango e sbrendolatí. II
padrone tiró fuori roba da cambiarsi. Mentre, trasformaíi, piglia-
vano un boccone da cristiani, le donne negre lavoravano a nettarne
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Capo XXXV111
e racconciarne gli abiti. A tavola uno di loro. Don Reyneri, contó
un suo caso singolare. Quella mattina gli si era rotta una scarpa
in modo tale da doverla smettere. Come eamminare ancora un paio
d'ore a pié nudo fra spine e punte? Si sforzava bene di farsi ani-
mo, pensando che poco mancava al termine; ma era un affar serio.
Dopo un centinaio di passi, ecco la in térra una scarpa. La prende,
la prova, sembra fatta per il suo piede. La mostrava allora con
aria di trionfo, chiamandola scarpa della Provvidenza. E la mano
della Provvidenza nel fin qui detto e in quello che si dirá, é vi-
sibile, anzi tangibile.
Pernottarono ivi, dormendo finalmente all'asciutto sulle stuoie.
II di appresso, dolorosa separazione dal caro Don Modesto. LTspet-
tore volle fargli gradire un po' di compenso; ma egli rifiutó di-
cendo: — Mi toglierebbe la gioia che sentó.
La casetta del Bedon era situata poco lungi dalla sponda del
fiume Caciabi, sulle cui acque i Missionari proseguirono il viaggio.
imbarcati con i soldati sopra sette piccole canoe. La minuscola
flotta si fermó varié volte, mettendo a térra i naviganti; dapper-
tutto, persone caritatevoli, che per lo piü a motivo di prudenza si
tenevano nascoste, facevano pervenire loro abbondanza e varietá di
commestibili ed anche specialitá, buone per il viaggio di mare. A
Concepción abitava una figlia maritata del crudele General Franco;
ebbene non si crederebbero le materne finezze da lei segretamente
úsate ai poveri profughi. II 10 setiembre sbarcarono a La Tola.
II popolaccio, ebbro di anticlericalismo, preparava loro accoglienze
né oneste né Hete; ma quando ne vide il contegno raccolto e Tari a
sofferente, le iré diedero luogo alia compassione. Tutto Til stettero
chiusi sotto sorveglianza. La sera, benché il tempo fosse minaccioso.
fu inlimato di prendere il mare. Una grande canoa imbarcó tren-
tacinque persone. Si doveva navigare un giorno e due notti fino alia
cittá di Esmeraldas. Si levó un vento furioso, che sconvolse tremen-
damente le acque. La canoa era zimbello delle onde. I Missionari
pregavano, come se fosse giunta Tora estrema. La lotta contro i
marosi duró la notte intera. Sbattuti senza posa, non si orientavano
piü. Don Calcagno gettó in mare Túnica medaglia di Maria Au-
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/ Salesiani esiliati dall'Equaíore
siliatrice, che aveva. Poco dopo non s'andava piú né avanti né in-
dietro: la canoa si era arenata. La mattina del 12 s'avvidero di es-
sere tornati nelle acque di La Tola, donde erano partiti. Alia gente
affollatasi sul lido il pilota ripeteva: — Siamo salvi per le preghiere
di questi Padri. — Le Autoritá politiche avrebbero preteso che s'im-
barcassero di nuovo quella sera stessa; ma i soldati si ribellarono.
Fu concesso di compiere il tragitto per térra.
Ma per térra ci volevano cavalli e denari: il capitano non si
credeva autorizzato a fare quella spesa. Chi lo avrebbe pensato?
II genero di Franco, desideroso di procurare una gradita sorpresa
alia moglie, combinó ogni cosa. Mossero dunque lungo la costa fra
il mare e la foresta. Incontrarono nuovi pericoli e vi fu qualche
caduta. II giorno 16 settembre arrivarono a Esmeraldas, loro meta,
donde licenziarono i cavalli e dove aspettarono il vapore per Guaya-
quil. A Esmeraldas un bottegaio piemontese somministró loro co-
pióse e gradite provvigioni, e un luterano di Prussia, segretario nel
palazzo del Comando militare, dov'erano alloggiati, indispettito dei
soprusi ad essi inflitti, avesse o no autoritá di farlo, li libero una
buona volta dall'odiosa sorveglianza dei soldati. L'allegrezza del
sentirsi padroni di sé fece loro obliare " la noia e '1 mal della passata
via ". Sperimentarono ancora in piü maniere l'intervento della Prov-
videnza nel trovare i mezzi per giungere a Guayaquil.
In questa cittá ebbero tre incontri. II primo con il Genérale Al-
faro, che tornava dalla vittoria riportata a Cuenca sulle forze av-
versarie. Don Calcagno, presentato da persone autorevoli e amiche,
venne da lui ricevuto. Da Esmeraldas aveva avuto agio di stendere
e indirizzargli una protesta, nella quale scagionava sé e i suoi delle
calunniose accuse. Di li prese le mosse un lungo colloquio, L'Lspet-
tore difese cosi abilmente la propria causa, che il Genérale nell'ac-
comiatarlo fece uso della formóla cristiana: " Dio vi conservi nella
sua santa custodia". Sara stato sincero? Uno di coloro che avevano
accompagnato Don Calcagno all'udienza, il Capitano del Porto, gli
disse schiettamenté: — Siamo ancor lontani dal poter diré di es-
sere in porto. Speriamo nell'opera del tempo.
L'altro incontro fu ben doloroso. Mentre la Missione di Guala-
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Capo XXXV111
quiza non subiva molestie, i Salesiani di Riobamba e di Cuenca
avevano dovuto abbandonare le loro Case. Per Riobamba le cose an-
darono meno male. Mentre il Direttore Don Fusarini con gli altri
Confratelli esiliati viaggiava verso Guayaquil per rifugiarsi nel
Perú, un ordine del Governatore lo trattenne, ingiungendogli di tor-
nare per rendere stretto contó della sua amministrazione. Fu di-
sposizione della Provvidenza. Quando il povero Don Fusarini si
stava arrovellando per risolvere le difficoltá sollevategli, un decreto
di amnistía concedeva che rimanessero nell'Equatore i religiosi allora
ivi residenti. Cosi egli, autorizzato dai Superiori, restó a Riobamba.
ospite dei Redentoristi. Invece i Salesiani di Cuenca dovettero esu-
lare; ma Don Giovanni Milano, arrivato a Guayaquil, ammaló gra-
vemente e venne ricoverato nell'ospedale. II fermento rivoluzio-
nario non permetteva allora di daré ricetto in case private a re-
ligiosi espulsi. Nell'ospedale lo incontró Don Calcagno, che, non po-
tendo rimandare la partenza per la capitale del Perú, lasció Don
Santinelli ad assisterlo. Don Santinelli, vestito da secolare, dovette
giocare di astuzia per compiere il caritatevole ufficio. Egli Til ot-
tobre raccolse Tultimo respiro della cara vittima.
Due motivi specialmente dissuadevano Don Calcagno dal pro-
trarre la sua dimora a Guayaquil per aspettare l'arrivo di un a Uro
piróscafo: i pericoli del momento e la spesa. Se egli era potuto sfug-
gire all'attenzione dei rivoluzionari nel recarsi da Alfaro, ció era
dipeso dall'avere a' suoi fianchi tre personaggi nelle loro fiammanti
divise: il Capitano del Porto, il Viceconsole e un Agente consolare
d'Italia. Per vivere poi in cittá gli toccava giá spendere non poco
allora che erano in dieci, essendosi aggiunto Don Luigi Yaletto,
prófugo da Cuenca; ancor piü si richiedeva dopoché si trova vano
con lui parecchi dei chierici di Sangolqui, e questo fu il terzo in-
contró. Egli da Guayaquil li aveva invitati a seguirlo nel Perú ed
essi, sparpagliati, come dicevamo, si erano intesi fra loro e alcuni
eransi portati la attraverso a dure prove, altri seguirono qualche
tempo dopo. Dei chierici di Quito tre, venuti via piü tardi, avendo
trovato la cittá di Guayaquil pressoche distrutta da un íormidabile
incendio e la popolazione in preda a una moria spaventosa, im-
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I Salesiani esiliaíi dáll'Equatore
pauriti, si rifugiarono a Riobamba; i rimanenti, tranne uno solo,
parí i roño poi dopo per Lima. Con Don Calcagno il gruppo si cora-
poneva di 23 fra professi e novizi. Per i chierici l'Arcivescovo non
solo si era adoperato a conservare in essi il dono della vocazione,
ma forni anche in gran parte il danaro del viaggio.
I nove eroici perseguitati, " usciti fuor del pelago alia riva,"
approdarono al Callao, porto di Lima, il 4 ottobre, dopo un'odissea di
41 giorni. II Direttore Don Riccardi aveva messo a festa la sua Casa:
confratelli e alunni li salutarono entusiásticamente come tanti stre-
nui confessori della fede. Tutti risentirono a lungo gli effetti de lie
sofferenze patite, massime Don Calcagno. Egli ne riportó nel corpo
e nell'anima un trauma cosi profondo, che n'ebbe accorciata la vita.
Per lui, che aveva tanto lavorato e saputo far lavorare, nessuna
tribolazione poteva essere maggiore del vedere la sua opera disfatta,
i suoi confratelli dispersi e i suoi dilettissimi giovani in mano ai
nemici delle loro anime. Durante gli ultimi giorni della malattia? nel
delirio della febbre, gli pareva di vedere l'Alfaro, che lo inseguisse
a mano armata e gridando faceva mosse e gesti per sottrarsi a'
suoi colpi. Frattanto nella quiete del Collegio " Santa Rosa " tutti ri-
tempravano con lui le forze e lo spirito, aspettando da Torillo gli
ordini dei Superiori sul loro avvenire.
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CAPO XXXIX
II capo di accusa contro i Salesiani a Quito,
Don Bosco ai Salesiani insegnó con la parola e con l'esempio
il dovere di rispettare le Autoritá costituite. ma senza mai im-
picciarsi di política. I Salesiani delPEquatore vennero forse raeno
all'insegnamento paterno? L'essere stati puniti in modo cosi severo;
anzi bárbaro, únicamente su tale capo di accusa, non é una ragione
bastevole per giudicarli in colpa; anche a Don Bosco infatti, no-
nostante tutta la sua scrupolosa attenzione ad astenersi da quanto
sapesse di política, non furono risparmiati sospetti, minacce e per-
quisizioni, quasi fosse un orditore d'intrighi contro il Governo del
suo paese. Sta bene che spendiamo alcune pagine per far cono-
scere la realtá delle cose.
Fortunatamente abbiamo dove mettere le mani con sicurezza
per formarci un giudizio ben fondato: sonó i citati " Documentos
Oficiales", pubblicati a Quito il 28 agosto e destinati non solo a
giustificare dinanzi ai molti amici dei Salesiani lo spietato provve-
dimento preso contro di essi, ma anche a tener viva l'agitazione
che serpeggiava nella Repubblica contro i religiosi. Le accuse con-
tenute in quei cosi detti documenti si fecero talmente strada. che
perfino il Consolé d'ltalia a Guayaquil, Sig. Ruggieri, scriveva al
suo collega tedesco nella seconda meta di settembre: « Sto trattando
col Sig. Alfaro per giungere a comporre meglio che possa l'af-
fare dei Padri Salesiani. Spero che essi potranno ritornare in Quito,
ma pero con la condizione che non si metteranno mai piú in poli-
tica né neH'amministrazione del paese, ma attenderanno alia loro
pacifica missione. Credo puré che il Governo non sará disposto a
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11 capo di acensa contro i Salesiani a Quito
continuare la sovvenzione come prima. Mi faccia il favore di par-
tecipare queste notizie al Sig. Pancheri. »
Pancheri, l'oculato Pancheri, vedendo cosi radicata la cattiva
opinione, stimó necessario comporre una confutazione ai suddetti
documenti ufficiali. Bastava leggerli siffatti documenti per convin-
cersi quanto poco servissero a documentare; tuttavia, affine di con-
seguiré meglio l'intento, egli chiamó in segreto quattro giá inser-
vienti del Protectorado e li condusse dinanzi al giudice, perché giu-
rassero se avessero mai visto che i Salesiani tenessero riunioni in
casa contro il Governo. Costoro fecero dichiarazioni in tutto fa-
vorevoli alia causa. Forte di questa prova, Pancheri scrisse la sua
confutazione, mandandone copia a Don Calcagno per mezzo del
Consolé di Colombia e l'originale al Consolé d'Italia.
A giustificare la condanna dei Salesiani all'esilio il Governo non
addusse altre aecuse fuori di quelle sciorinate nei "Documentos";
dunque smentirli era vincere la causa. Esaminiamone brevemente
il contenuto e il valore.
I documenti si dividevano in due parti: deposizione del 13 marzo
e deposizione del 23 agosto 1896. II 13 marzo deposero contro i Sa-
lesiani tre loro alunni, i quali stavano nel Collegio da poco piú di
un mese, collocati ivi dallo stesso Alfaro. Essi affermavano che i
Salesiani li maltrattavano oltre ogni diré, perché erano alfaristi:, as-
serivano che i Salesiani avevano stampato nella loro tipografía fogli
volanti, ingiuriosi al Capo dello Stato; sostenevano che i Salesiani
predicavano in chiesa e fuori contro il nuovo Governo.
Per ribattere la prima aecusa fu lanciata inútilmente la sfida
a dimostrare che nel Collegio si fosse mai inflitto a qualche alunno
un solo castigo corporale; risultó invece che i denunciati maltrat-
tamenti consistevano in rimproveri, e non pochi e ben meritati per-
ché i tre ragazzi a ogni occasione insultavano i loro compagni con-
servatori. Gli assistenti e maestri ne li redarguivano, come trasgres-
sori del Regolamento interno, il quale proibiva che si quistionasse
di política, tanto piú abbandonandosi a violenze. Quei giovani, im-
bestialiti, decisero di vendicarsi e lo fecero aecusando i Superiori
di cospirazioni antigovernative.
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Capo XXXIX
Quanto poi fosse falsa la seconda accusa, lo dimostrarono le
dicliiarazioni di allievi tipografi e specialmente di due maesiri della
tipografía, i quali tutti asserirono con giuramento che né compo-
sitori né stampatori avevano mai veduto fogli volanti né con tro il
Governo né contro il Genérale Alfaro. Le costoro testimonianze acqui-
stavano valore dal fatto che essi erano maggiorenni e tipografi,
mentre gli altri non avevano mai avuto nulla da fare con la ti-
pografía e poi non avevano raggiunto ancora Teta maggiore, sic-
ché giuró per essi il loro " a p o d e r a d o " o procuratore, un ufficiale
di polizia e sempre il medesimo. Si aggiunga infine che prima della
cacciata una minuziosissima perquisizione eseguita nella tipognifia
e nelle sue dipendenze per iscoprire le tracce dei fogli incriminati
aveva avuto risultato assolutamente negativo.
La terza accusa finalmente venne sfatata mediante una prote-
sta scritta e non mai smentita, che recava le firme di tutti gli alunni
e dei maestri d'arte esterni, non che dalle testimonianze dei men-
tovati ex-inservienti.
Quanto poco fondamento attribuisse a tal i accuse lo stesso Al-
faro, che certo le conobbe, si fece palese dall'aver egli, pochi giorni
dopo la loro pubblicazione, ricevuto benevolmente alcuni Salesiani
e promesso di aiutarli nell'impiantare un nuovo laboratorio destí-
nalo a promuovere l'industria della maiolica. Né ando molto che
ebbero luogo le visite di Don Calcagno e del Consolé di Ger-
mania al medesimo Alfaro, il quale proferí le parole riportate nel
capo antecedente.
Conviene ancora conoscere chi fosse il principale dei tre accu-
satori minorenni. Si chiamava Raffaele Serrano. Egli, quantunque
asseverasse d'aver súbito inauditi maltrattamenti in Collegio, non
seppe spiegare perché nondimeno vi fosse rimasto. Erasene fug-
gito, é vero, un giorno, ma per tutt'altro motivo che per non poter
piú resistere nel Protectorado. Una sera, ottenuta licenza di uscire
per sue necessitá, ando a casa sua e poi súbito alia Polizia, dove
fece la denuncia delle casse di munizioni, delle quali abbiamo nar-
rato. Egli, presente all'operazione poliziesca, divise la propria onta
di falso delatore con la vergogna di suo padre, impiegato alia Po-
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60.10 Page 600

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II capo di accusa coníro i Salesiani a Quito
lizia, e con l'avvilimento dei perquisitori. Qual crédito dunque po-
teva meritare un disgraziato simile? Eppure. dopo tutto, la sua
delazione con quelle de' suoi degni compagni ebbe Fonore di fi-
gurare nei " Documentos Oficiales ".
Si voleva ad ogni costo che venisse fuori il grande capo d'accusa;
perció in quel torno di tempo i birri fermarono un inserviente del
Protectorado, lo condussero alia Polizia e la un impiegato lo inter-
rogó a bruciapelo: — Tu devi dirmi dove i Salesiani tengono na-
scoste armi e munizioni. — II povero uomo cascó dalle nuvole. Ma
Paltro gl'intimó: o parlare o venticinque nerbate. II servo ripeté che
egli non ne sapeva nulla, e dovette essere ben evidente la sua sin-
ceritá, se fu licenziato senza che gli si torcesse un capello. Idéntica
scena alcuni giorni appresso con un operaio della casa.
Passiamo alia seconda serie di documenti. Sonó denunce rac-
colte il 23 agosto. II primo accusatore fu un certo Luis Valles, ladro
matricolato, che era potuto fuggire dal carcere alia caduta del Go-
verno di Cordero. Costui disse che i Salesiani avevano tenuto riu-
nioni di gente armata in una stanza attigua alia tipografía; che par-
tecipava alie riunioni un certo José Velasco Rubio; che a un'adu-
nanza avevano assistito Don Calcagno, Don Ciríaco, Don Santi-
nelli, Don Guido, Don Rocca, Don Taricco e due altri salesiani. di
cui ignorava i nomi; che Don Calcagno aveva offerto ai cospi-
ratori una tazza di caffé; che il medesimo aveva tenuto un discorso
infuocato; che tutti avevano giurato di andar a combatiere contro
i liberali; e via di questo passo. Lo sdoppiamento di Don Santi-
nelli e di Don Rocca dice giá qualche cosa. Bisogna aggiungere che
il secondo non poteva essere presente quella volta, giacche, come
sarebbe stato facile dimostrare, si trovava a SangoIquL nel Novi-
ziato, di cui era Direttore. II Velasco poi, dato dal Valles come pre-
sente anche alia riunione con i Salesiani, protestó di non aver mai
assistito a ritrovi di tal genere, di non averne mai saputo nulla, di
non aver mai conosciuto il Valles, il che tutto egli confermó con
giuramento. Queste cose si leggono nei " Documentos Oficiales " in-
sieme con le denunce del suo accusatore: era il verbale dell'inter-
rogatorio, pubblicato tale quale, non si capisce perche.
575
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61.1 Page 601

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Capo XXXIX
Smascheravano le menzogne del Valles anche i quattro testi-
moni giurati, condotti da Pancheri dinanzi al giudice; ma questo
episodio giudiziario rimase sepolto nell'oblio. Essi a motivo degli
uffici che avevano in casa, non avrebbero potuto non vedere en-
trare, fermarsi e uscire tante persone estranee. Altri testi fanno la
figura di pappagalli del Valles. Insistiamo suH'assurditá delle ac-
cuse. Due misteri avrebbero richiesto qualche spiegazione. II primo,
come mai si fossero tenute riunioni cosi pericolose in una stanza
aperta, con porta sulla pubblica strada, espostissima ai segugi della
Polizia, in tempo di rigorosa vigilanza, e non invece in una stanza
segreta. quali ve n'erano tante al Protectorado, e donde con facilita
i convenuti potevano andarsene per la via dei monti, senza essere
visti da nessuno. Altro mistero, come mai tutti i presunti congiu-
rati, fra cui il Velasco, furono rimessi in liberta la mattina del
24, mentre i Salesiani andavano in esilio. Se vi fosse stata la liberta
di stampa che decantavano i liberali, sarebbero venute alia luce
valide difese, corrobórate da testimonianze di cittadini superiori ad
ogni sospetto e desiderosi di rendere omaggio alia veritá; ma nes-
suna tipografía si arrischiava di stampare cose simili per non in-
contrare la sorte toccata alia tipografía del Clero, che era stata
messa a soqquadro. In tutta questa tragedia impero occultamente
l'odio della Massoneria, che sotto il nuovo Governo spadroneggiava
a Quito e fomentava la guerra contro i religiosi. Solo in tal modo si
spiega un procedimento cosi sommario e fuori d'ogni legge e co-
scumanza civile a danno dei Salesiani. Altrimenti perché non imba-
stire nemmeno un fantasma di processo? Una condanna in piena
regola avrebbe prodotto un effetto assai maggiore nell'opinione pub-
blica; ma un processo regolare si prevedeva bene come sarebbe
and ato a finiré. Invece ecco quello che accadde: l'ultimo interrogato
dalla Polizia, il Velasco, fu chiamato alie 18 del 23, e poche ore dopo
avveniva tumultuariamente nel cuore della notte l'arresto e la cac-
ciata delle vittime desígnate. Cosi 1'iniquitá fu consumata: i buoni
piansero in segreto e gli avversari menarono scalpore; ma il trioiifo
dell'empio non é eterno.
L'Arcivescovo di Quito il 4 setiembre alzó la sua voce con una
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11 capo di accusa contro i Salesiani a Quito
nobilissima protesta al Ministro del Culto, deplorando che si fosse
agito contro i Salesiani in una maniera, che aveva costernato viva-
mente la ciitadinanza della Capitale al ricordo del tanto bene da
essi compiuto con plauso genérale fin dal primo giorno della loro
venuta. Detto poi dei gravi affronti fatti al Clero diocesano, ritor-
nava sui Salesiani scrivendo: « Giudico d'insistere sulle grandi be-
nemerenze acquistatesi da quei sacerdoti, artefici di civiltá e og-
getto di amore e di benedizioni da parte di tutti i popoli, presso i
quali fu trapiantato il loro benéfico Istituto. Poteva il Governo
senza dubbio, ma previo avviso tre anni prima, rescindere il Con-
tratto che aveva con essi per la direzione di un Istituto dal me-
desimo dipendente; ma non poteva privare il pubblico della valida
opera prestata dai figli di Don Bosco, i quali l'avrebbero continuata
in forma del tutto privata e sostenuta dal pubblico stesso. Levando
la mia voce in occasione di questo deplorevole avvenimento, io non
ho la menoma intenzione di mettere ostacoli alPazione del Governo:
lungi da me tale proposito. Se i Padri Salesiani, se altri sacerdoti o
religiosi del Clero diocesano fossero iricorsi in responsabilitá penali,
arei il primo io a giudicarli secondo il diritto ed a punirli confor-
memente alie vigenti leggi. Ma catture, ma carcerazioni, ma esilii
3enza formal itá di processo, ecco quello che non tollera senza
orotesta la coscienza pubblica. » II Procuratore Genérale Don Ce-
jare Cagliero, presa conoscenza di tutte le cose esposte qui sopra
in una relazione di Pancheri e scrivendone a Don Rúa, aveva ben
ragione di osservare (1): « Davvero che i nostri dovevano fare molto
del bene nelFPJquatore, se il demonio si é tanto contro di loro sca-
•enato. »
(1) Roma, 2 noverabre 1896.
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CAPO XL
I Salesiani nel Salvador e negli Stati Uniti.
Lo Stato piü piccolo e lo Stato piü grande nel continente ameri-
cano. Questi due Stati furono gli ultimi che ebbero i Salesiani du-
rante il primo periodo del Rettorato di Don Rúa.
A richiamare l'attenzione di Don Rúa sulla Repubblica del Sal-
vador fu nel 1895 il Vicario Genérale dell'unica diócesi, Mons. Mi-
chele Vecchiotti, italiano, da cinque lustri residente nella Capitale
San Salvador. Egli domandava una fondazione nella sua cittá, seb-
bene sperasse poco nel buon esito della domanda. Si faceva da
parecchi anni un gran parlare di una grandiosa opera da alfid are
ai Salesiani nella vicina Costa Rica, fondazione ostacolata dalla Mas-
soneria; non sembrava quindi probabile che si volesse tentare, a si
breve distanza di luogo, un'altra prova simile. Invece le cose anda-
rono a rovescio. La proposta di Costa Rica aspettó ancora dieci
anni e venne attuata in proporzioni ridotte, mentre quella de! Sal-
vador cominció assai piü presto, con principi modesti e contrástate
ma con maggiori sviluppi.
Nel 1895 le condizioni pubbliche vi si presentavano propizie.
Una rivoluzione del 1894, rovesciato un Governo persecutore, aveva
sollevato al supremo potere il Genérale Raífaele Gutiérrez, uomo
ben disposto verso le Istituzioni cattoliche ed entusiasta delle Opere
salesiane, che conosceva attraverso le notizie provenienti dalle Re-
pubbliche del Mezzogiorno. Allora i buoni, ripreso animo, costitui-
rono, con Fappoggio del Governo, un Comitato avente per iscopo di
preparare il terreno alia venuta dei figli di Don Bosco, dando al Vi-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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/ Salesiani nel Salvador o negli Staíi llniti
cario Genérale il mandato di trattare con Torino (1). Don Rúa ri-
spóse asserendo l'impossibilitá d'inviare personale prima del 1898;
consigliava intanto Monsignore di mettersi in relazione con i Di-
rettori di Messico e di Puebla. Ma tale risposta non quieto i richie-
denti, che, com'erasi fatto in altre Repubbliche, ricorsero al Papa
con l'effetto di procurare a Don Rúa la sorpresa di una lettera da
parte del Card. Rampolla, nella quale si diceva (2): « TI Signor Pre-
sidente della Repubblica di San Salvador ha recentemente fatto co-
noscere al Santo Padre quanto da lui si va compiendo per promuo-
vere la istruzione ed educazione della gioventú, ed ha in particolar
modo mostrato di aver grande fiducia nell'opera dei Salesiani, e di
volerne affrettare il definitivo stabilimento in quella nazione; onde
sarebbe suo vivo desiderio che la S. V., anziché attendere il 1898
per effettuare l'invio di alcuni padri, come gli ha promesso, si de-
termini a disporne l'immediata partenza. Pertanto, a secondare le
lodevoli disposizioni del mentovato signor Presidente della Repub-
blica, Sua Santitá ha giudicato conveniente recarle a conoscenza di
V. S., affinché col suo sólito zelo e prudenza possa adottare quei
provvedimenti, che giudicherá piü convenienti alia buona riuscita
dell'opera. » Don Rúa chinó la fronte, prometiendo di fare il possi-
bile per anticipare e dicendo che per concretare si aspettava una
lettera dal Presidente.
Invece della lettera presidenziale arrivó una seconda missiva
dalla Segreteria di Stato. Era giunto a Roma il Sig. Miguel Yudice,
Tesoriere della Repubblica salvadoriana, con raccomandazioni del
Presidente e del Vescovo e con speciale incarico di trattare quanto
fosse necessario ed utile per la istituzione di una Scuola, che sa-
rebbe affidata ai Salesiani. Da Roma cletto Signore venne a Torino,
munito di una commendatizia del Card. Rampolla, affinché tutto si
facesse riuscire « secondo i comuni desideri, per il bene della gio-
ventú in quella lontana Repubblica» (3). Don Rúa s'impegnó a
mandare i Salesiani non dopo il 1897. Per tale anticipo militava una
(1) Lett. di Mons. Vecchiotti a Don Rúa, San Salvador, 25 gennaio 1895.
(2) Vaticano, Segreteria di Stato, 22 giugno 1895.
(3) Vaticano, 23 agosto 1895.
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Capo XL
ragione abbastanza forte: col finiré del 1898 finiva p u r é la Presi-
denza del Genérale Gutiérrez.
In tutta la Repubblica non esisteva nemmeno una Congregazione
religiosa maschile. La popolazione buona, caritatevole e religiosa
riempiva le ehiese, mostrandosi ávida della parola di Dio e dei
sacramenti; ma la scarsitá dei sacerdoti non arrivava a soddisfarla.
L'insegnamento pubblico risentiva del massonismo, che spirava nelle
alte sfere, sebbene la setta non riuscisse a fare tutto il male che
avrebbe voluto; perfino il Governo, nel quale abbondava l'elemento
massonico, non vedeva l'opportunitá di urtare la coscienza popo-
lare con misure violente e odióse. II Presidente stesso era notoria-
mente massone, ma non meno notoriamente se la intendeva molto
bene col Vescovo e favoriva la Chiesa. Uomo di buon senso e di ca-
rattere enérgico, non guardava in faccia a nessuno, né alcuno ar-
diva fargli opposizione, se voleva ad ogni costo i Salesiani.
Mons. Yecchiotti, secondo il consiglio di Don Rúa, tenne fre-
quente carteggio con Don Piccono, Direttore a Messico, il quale, alio
stringersi delle pratiche, fu mandato a San Salvador per vedere le
persone, rendersi contó delle cose e conchiudere. Approdó il 25
luglio 1896 alia r a d a di Acajutla. Sceso a térra, gli si fece incon-
tro il Direttore della Dogana, che aveva ricevuto l'ordine di ren-
dergli i primi onori e di mettersi a sua disposizione. Questi, fattolo
entrare nel suo ufficio, non solo non gli permise di aprire le valigie.
ma gli offerse un gradito ristoro e poi lo accompagnó fino al treno,
collocandolo in uno scompartimento di prima classe. Alia stazione di
Sonsonate bisognava scendere per pranzare; ma ecco il Vicario Fo-
ráneo del luogo con un altro sacerdote, che le conducono alia canó-
nica, dove trova apparecchiato quanto v'é di meglio per lui. Dopo,
rimontato in treno, prosegue in compagnia di un buon prete, venuio
espressamente a tal fine. A Seiba il prete torna indietro e Don Pic-
cono monta in diligenza, costeggiando orrendi precipizi e internan-
dosi nella Cordigliera. Arrivó sul tardi a Sania Tecla, che é a mez-
z'ora di ferrovia dalla Capitale. Qui, nonostante l'imperversare della
pioggia, fu incontrato da una Commissione, guidata dal Ministro
Plenipotenziario del Messico nel Salvador, che egli aveva conosciuto
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I Salesiani nel Salvador e negli Stati Uniti
nella Capitale di quello Stato. Giunto finalmente alia meta, lo ab-
bracció per primo con grande effusione di affetto il venerando Mons.
Vecchiotti, lieto di Yeder vicino a realizzarsi il suo sogno. Dalla
stazione una carrozza lo portó in pochi minuti al palazzo vescovile,
dove ricevette cordialissima ospitalitá. II Vescovo era assente, per-
ché chiamato a una funzione in altra cittá; ma l'indomani gli diede
telegráficamente il benvenuto. Nello stesso giorno Mons. Vecchiotti
10 accompagno dal Presidente, il quale gli fece un'accoglienza assai
córtese e gli disse tante cose belle sul contó dei Salesiani.
Si voleva dai Salesiani una Scuola di arti e mestieri, con in-
cluso specialmente il ramo dell'agricoltura. II Governo destinava
loro per questo un podere di oltre dieci ettari nei pressi della cittá.
11 Presidente con un Aiutante di Campo ando a prendere Mons.
Vecchiotti e Don Piccono e col cocchio presidenziale li portó a vi-
sitare la tenuta. Terra fertilissima, abbondanza d'acqua, bella po-
stura, ottima vista, nessuna soggezione. Vi stavano giá raccolti ot-
tanta giovanetti. Strettina la casa.
II Vescovo, impaziente di vederlo, appena fu di ritorno, lo trattó
con la tenerezza di un padre. Si preparava in quei giorni la festa
della Trasfigurazione, titolare della cittá e della cattedrale. Don
Piccono accettó di cantare la Messa e di predicare ogni mattina per
una settimana. Con una popolazione di 40.000 abitanti, vi erano
appena dodici preti, compresi cinque Canonici, dei quali alcuni
vecchi e invalidi. Don Piccono predicava bene: ebbe uditorio nu-
meroso e attento.
Sull'affare, oggetto della sua andata, non occorsero tante discus-
sioni. Visto e considerato il tutto, egli sottopose al Governo quat-
tro proposte: Io Stabilitá della fondazione, assicurata con la pro-
prietá della Colonia Agrícola o almeno con l'usufrutto o l'affitto per
il termine piü lungo che la legislazione concedesse. 2o Mantenimento
dei giovani e del personale in ragione di dieci o quindici scudi men-
sili caduno per i primi e del doppio per ogni Salesiano, a carico del
Governo. 3o Completa liberta di azione senza dipendenza da Con-
siglio Amministrativo o d'altra natura. 4o Facoltá di erigere nella
stessa Colonia una Scuola di arti e mestieri. II Presidente, dinanzi
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Capo XL
al Ministro delle Finanze, ottimo cattolico e caldo fautore dell'o-
pera, gli disse che accettava tutte e singóle queste proposte; anzi ag-
giunse: — Vengano i Salesiani e qualunque difficoltá ci fosse, la
appianeremo. — L'8 agosto fu redatta su tali basi e firmata da ambe
le parti u n a convenzione ad referendum. Don R ú a pero, q u a n d o
l'ebbe esaminata, volle alcune modificazioni, che il Governo dichiaro
ufficialmente di accettare il 28 aprile 1897 (1). Cosi tutto era fatto:
non restava piú che mandare entro l'anno il personale.
I Salesiani arrivarono a San Salvador il 3 dicembre 1897. Li
guidava un glorioso veterano delle Missioni, Don Luigi Calcagno.
Componevano il gruppo Don Giuseppe Misieri, giá Direttore del
Collegio Sacro Cuore a Montevideo, Don Giuseppe Menichinelli, tre
chierici e tre coadiutori. Don Calcagno, Ispettore delle Case equa-
toriane, conservava lo stesso titolo anche dopo l'espulsione dei Sa-
lesiani dall'Equatore; alia sua giurisdizione veniva allora ad ag-
giungersi la Casa del Salvador. Fra le distinte persone recatesi a
riceverli mancava Mons. Vecchiotti: Dio l'aveva chiamato a sé nel
mese di agosto. Egli fu vero amico dei Salesiani, e come ecclesia-
stico, onoró la Chiesa con il suo zelo, con la virtú e col sapere.
U Vescovo li tenne seco quattro giorni nell'episcopio. Furono
poi condotti al Collegio la vigilia dell'Immacolata. I giovanetti ri-
coverati li ricevettero in uniforme. Nei giorni seguenti si fecero gli
esami finali, a cui seguirono le vacanze. Restarono solo quindici dei
piü poveri. Con veniva principiare cosi con pochi per aver agio di
organizzare i locali e per daré tempo ai chierici di esercitarsi nello
spagnolo. II Governo si riprometteva molto dalla Scuola di agri-
cultura. Nel fondo si coltivavano piante fruttifere assai preziose; ma
i Salesiani intendevano di rivolgere le loro maggiori cure all'inse-
gnamento teorico-pratico di tutti i rami, con particolare riguardo ai
prodotti di prima necessitá. E ci si misero súbito dopo le ferie, fa-
cendo fare contemporáneamente i primi passi ai laboratorii dei fa-
(1) lo Fissare a 30 od a 40 anni la durata del Contratto. 2o Denunciarlo eventualmente due anni
prima. 3o Pagare una volta all'anno il viaggio a un Superiore che andrá a visitare con un compagno.
4o Facoltá al Direttore di accettare giovani oltre a quelli presentati dal Governo e alie condizioni che
creciera conveniente 5o Faculta di applicare alio studio quelli che giudicherá atti. 6o Indennizzare, in
caso di ritiro, dei miglioramenti ed ampliamcnti.
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1 Salesiani nel Salvador e negli Stati Uniti
legnami, sarti e calzolai. L'insegnamento professionale si sarebbe
ordinato secondo i nostri programmi, quando gli artigianelli avessero
acquistato sufficiente destrezza nel maneggiare i ferri del mestiere
e fossero un po' piú avanti nelFistruzione primaria. Nell'autunno
del 1898 fu inaugúrate l'oratorio festivo.
Don Calcagno portava il titolo di Rettore, Don Misieri quello di
Direttore. Entrambi si guadagnarono súbito stima e fiducia. Molti
della cittá s'inscrivevano fra i Cooperatori Salesiani. Preparandosi
la prima festa di Maria Ausiliatrice, un Comitato di Signore Coope-
ratrici s'incaricó di far celebrare la novena in una chiesa cittadina,
sostenendone le spese. Nel di della festa gli alunni seppero giá can-
tare la Messa del Cagliero detta della Santa Infanzia. L'opera sa-
lesiana era guardata con compiacenza da nazionali e da stranieri.
II Presidente Gutiérrez andava con certa frequenza a trovare i
Salesiani, conducendo quasi sempre qualche personaggio, massime
diplomatici stranieri di passaggio, quasi per vantare la sua Istitu-
zione prediletta.
Don Calcagno pero non si faceva illusioni, II 17 gennaio 1898
aveva scritto a Don Rúa: «Sapendo per esperienza dove vanno
a finiré le Case dipendenti dal Governo, dobbiamo temeré che que-
sta, la quale attualmente occupiamo, finisca come le altre: la sua
esistenza é precaria. » E da capo nel febbraio seguente: « Vi é con-
tinuo pericolo di rivoluzione in questo benedetto paese. Gli arti-
giani della cittá anche qui sonó riuniti in Societá e politicanti. I!
Governo é composto quasi in totalitá di framassoni. L'essere consi-
derad come impiegati del Governo é un pericolo. Veda: giorni fa il
Capo dei Ministri mi domando il Regolamento interno della Casa!
II Ministro Lemas, buon cattolico, quegli che lavoró per farci ve-
nire, non é piú al Ministero! Rev.mo Padre, ho un po' d'esperienza
(e che esperienza!!) di Case dipendenti da Governi in America e
sarei d'opinione di non accettarne mai piú, perché la loro esistenza é
effimera. Da un momento all'altro possiamo vederci obbligati a chiu-
dere o per opposizione di chi non la pensa come noi o per mancanza
dei mezzi dovutici. Anche V. R. sa quanto abbiamo lavorato nel-
l'Equatore per avere una Casa indipendente; Mons. Costamagna
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Capo XL
puré, nella sua visita, ave va notato questo bisogno ». Una si vivace
insistenza doveva essere presto giustificata dai fatti.
Frattanto la Provvidenza sembrava venire incontro alia temuta
eventualitá. Viveva a Santa Tecla un medico Manuel Gallardo, buo-
nissimo cattolico, ricco, molto istruito e di carattere adamantino,
tanto che i suoi concittadini lo chiamavano cal y canto, noi direm-
mo calcestruzzo. Gli era toccato soffrire persecuzione ed esilio per
le sue convinzioni religiose. Don Piccono l'aveva segnalato a Don
Rúa, che gli mandó il Diploma di Cooperatore Salesiano, ricevuto
con profonda riconoscenza. Ringraziandolo gli scriveva (1): «Sto
facendo il possibile per meritare l'alto onore concessomi da V. R. e
a tale effetto fra pochi giorni sará terminato un edificio che fo co-
struire per accogliervi fanciulli orfani, che spero educare sotto la
direzione dei Padri Salesiani, purché V. R. mi voglia accordare que-
sto insigne favore. »
Don Calcagno, che era al corrente delle sue intenzioni, caldeg-
giava Topera, non solo perché divenendo proprietá dei Salesiani,
sarebbe libera e indipendente, ma anche perché Santa Tecla an-
dava meno soggetta che San Salvador ai terremoti e alie febbri
malariche. II Gallardo era dispostissimo a fare la cessione dell'im-
mobile, anzi pensava di dar puré i fondi per il mantenimento di
giovani interni. La inoltre con gli artigiani si sarebbero potuti ac-
cettare studenti, fra i quali coltivare vocazioni, C'erano poi brave
e ricche persone che si mostravano dispostissime ad aiutare i Sale-
siani. Don Calcagno, nella seconda lettera testé citata, descriveva
cosi la casa e il terreno adiacente: « II Collegio, che egli fa costruire
sotto la direzione dell'architetto italiano Borlasca di Parma, é quasi
finito: un po' piccolino, ma cómodo. V'ha la cappellina, il cui altare
sará rivestito di marmo. II terreno annesso é bellissimo, molto esteso,
coltivato tutto a caffé ed ombreggiato da molti alberi. É prossimo
alia cittá su via carrozzabile, in sito ameno, con aria non tanto ap-
pestata come nella Capitale.» Egli intravvedeva anche la possi-
bilitá di stabilirvi col tempo un aspirantato e poi il noviziato. Si
(1) Santa Tecla, 15 fcbbraio 1893.
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61.10 Page 610

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/ Salesiani nel Salvador e negli Stati Uniti
sarebbe puré avuto ivi un provvidenziale luogo di convalescenza.
II Dott. Gallardo, interpellato da Don Calcagno, dichiaró che avreb-
be dato tutto alie condizioni volute da Don Rúa.
Don Rúa, esaminata la cosa, rispóse che non si prendessero im-
pegni per prima del 1901. La risposta spiacque alquanto al gene-
roso Signore; si disse pero rassegnato ad aspettare, finché vi fosse
personale disponibile.
Ma l'uomo propone e Dio dispone. Sul principio del 1899, rin-
novatosi il Governo, ecco apparire i prodromi di serie difficoltá. Si
trascurava di soddisfare a obblighi finanziari sanciti nella Conven-
zione. Ai richiami, orecchie di mercanti. Insomma si vide chiara-
mente che i nuovi Governanti non istavano ai patti e che si sa-
rebbe andati di male in peggio. A un vento cosi infido non si aspettó
lo scatenarsi del temporale. A^erso la fine di gennaio, d u r a n d o an-
cora le vacanze estive, una parte dei confratelli passó con Don
Calcagno a Santa Tecla, dando cominciamento a quel Collegio, po-
sto sotto la protezione di S. Cecilia, nome portato dalla defunta
consorte del Dott. Gallardo; l'altra parte del personale rimase con
Don Misieri a San Salvador in attesa degli eventi. E gli eventi pre-
cipitarono, sicché nel 1900 i Salesiani si riunirono tutti a Santa
Tecla, con l'intento di formare un Istituto, che svolgesse tutte le
attivitá proprie della Congregazione con studenti e artigiani, con
alunni interni ed esterni, con scuole gratuite, con i corsi primario e
secondario, con l'oratorio festivo. E a grado a grado 1'intento fu
raggiunto in pieno. Né si abbandonó interamente la Capitale. Fuori
dell'abitato le Cooperatrici, fatto acquisto di un terreno, vi fecero
costrurre un padiglione che servisse per l'oratorio festivo, diretto
da Salesiani che vi si recavano ogni domenica da Santa Tecla. Ve-
nute poi nel 1903 le Figlie di Maria Ausiliatrice, vi prese stanza
un personale fisso, che poté dar vita a svariate opere esterne.
« Abbiamo giá aperto il Collegio, e vi sonó una cinquantina di
alunni, tra interni ed esterni. Speriamo inaugurarlo verso la meta
di aprile con una festa [...]. lo sonó contento. La mia salute va ab-
bastanza bene: posso lavorare un po' peí bene di questi poveri fan-
ciulli e consola veramente il vedere come si fanno poco a poco
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62.1 Page 611

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Capo XL
buoni cristiani. » Quanta serenitá in queste parole di Don Calca-
gno alia madre, il 23 febbraio 1899! Eppure egli covava in seno da
tempo il male, che con violenta esplosione doveva proprio verso la
meta di aprile tróncame la preziosa esistenza. Mori in etá di 42
anni, lasciando nello smarrimento i suoi giovani confratelli, che
riposavano in lui con il piü confidente abbandono: « Nella solitu-
dine in cui siamo rimasti, ci siamo riuniti piü strettamente aiutan-
doci gli uni gli altri, come meglio possiamo. » A Don Misieri, che
cosi scriveva a Don Rúa (1), aveva Don Calcagno raccomandato
negli estremi, che, se egli venisse a moriré, si prendesse cura delle
due case fintantoché i Superiori di Torino stabilissero altrimenti: e
Don Misieri cosi fece.
II largo compianto che seguí quella morte, dimostró quanta ere-
dita di affetti avesse il defunto lasciato dietro di sé dopo men di
due anni della sua dimora in quella Repubblica. Non solo il clero
e i piü cospicui cittadini, ma tutte le maggiori Autoritá civili dello
Stato presero parte al lutto dei Salesiani: al seguito del féretro scom-
parve ogni distinzione di partito. La ricca e caritatevolissima Si-
gnora Beatriz de Eteves ottenne dal Governo che la salma fosse
iumulata nell'importante chiesa del Carmine. Questa buona mam-
ma dei Salesiani aveva con grandi spese chiamato al capezzale del-
l'infermo le prime celebritá mediche della Capitale, mandando tutti
i giorni dalla sua casa quanto giudicava conveniente affinché milla
mancasse aU'infermo. Dopo non vi fu finezza che non usasse con
quei nostri desolati confratelli.
Don Rúa ricevette la dolorosa notizia a Marsiglia. Parlandone
con cuore trafitto ai giovani nella " buona notte ", come riferisce un
testimonio, raccomandó di pregare il Signore che inviasse numeróse
vocazioni come quella di Don Calcagno. — Fu una vocazione, disse,
piü única che rara.
Don Calcagno partí, giovane chierico, per l'America nel 1878.
Quanto Don Bosco lo amasse, traspare da qualche frase di una
letterina scrittagli nel gennaio del 1881: « Sei sempre buono, o mió
(1) San Salvador, 16 aprile 1899.
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/ Salesiani nel Salvador c negli Stati Uniti
caro Calcagno? lo spero di si: ma non volgere indietro lo sguardo.
Miriamo il cielo che ci atiende. Lavora. guadagna anime, e salvami
la tua. » Fece le sue prime armi sotto la direzione del grande Don
Lasagna nel Collegio Pió a Villa Colon, dove lavoró fino al 1887,
anno in cui ando a fondare e dirigere la prima casa salesiana nel-
l'Equatore a Quito. Sviluppatasi sotto il suo vigoroso impulso To-
pera di Don Bosco nella Repubblica, si da potervisi costituire un'I-
spettoria, egli vi fu preposto. La rivoluzione del 1896 ne lo strappó
violentemente con gli altri confratelli; l'anno dopo, come abbiamo
visto, venne destinato al Salvador. Figura física e morale indimen-
ticabile! Alta statura, taglia slanciata, volto aperto, sguardo pene-
trante, parola franca ed espressiva, tratto dignitoso e disinvolto,
abilitá negli affari. Santamente affezionato a Don Bosco, ne posse-
dette e ne portó, dovunque andasse, il vero spirito. E poi fede
vivissima, zelo ardente, obbedienza a tutta prova, molta orazione.
La sua immatura fine privó la Societá di uno de' suoi membri piú
insigni, quando le poteva rendere ancora segnalati servigi,
Nel sogno missionario dell'agosto 1883 Don Bosco interroga la
sua guida: — A Boston, dove ci attendono, quando andremo? —
La guida rispóse: — Ogni cosa a suo tempo — (1). Un párroco di
Boston Mons. Bouland aveva ideato l'istituzione di una Confraternita,
la quale, governata da sacerdoti missionari, promovesse la conver-
sione dei protestanti, il culto mariano, l'onore della Chiesa Cat-
tolica e Tobólo di S. Pietro. II celebre abate Moigno di Parigi venne
pregato di aprire trattative con Don Bosco. II Santo approvó Tidea.
ma concepi la cosa a modo suo: Cooperatori salesiani sotto la di-
rezione di suoi preti avrebbero costituito la Confraternita. Si di-
scusse a lungo, ma senza risultato. II tempo di andaré agli Stati
Uniti, come insinuavano le parole del sogno, non era ancora giunto,
né giunse prima del 1896. In quell'anno pervennero due domande.
una da Filadelfia e Taltra da San Francisco di California. La pri-
ma, perche non potuta esaudire súbito, rimase senza seguito; non
COSÍ la seconda.
(i) Mein. Biogr., vol. XVI, pag. 389.
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Capo XL
Nel giugno del 1896 Don Piccono visitó a San Francisco la nu-
merosissima colonia italiana ivi stanziata. L'Arcivescovo Riordan si
aperse con lui circa ropportunitá che i Salesiani avessero ivi una
Casa. Entrambi ne scrissero tostó a Don Rúa. Monsignore gli di-
ceva (1): «Credo che vi sia un gran campo per i Salesiani in
questa cittá e diócesi e grande speranza per l'avvenire. » Avuta ri-
sposta favorevole, si affrettó a riscrivere: « Ringrazio Iddio che la
S. V. Rev.ma si trovi in grado di mandare Missionari a questo lon-
tano paese. » Le trattative furono molto spiccie. Ecco i tre sem-
plicissimi punti fondamentali: Io L'Arcivescovo offriva alia Con-
gregazione la parrocchia degli Italiani esistente in San Francisco,
2o II medesimo sopperiva alie spese di viaggio e delle prime indi-
spensabili provviste. 3o I Salesiani si sarebbero limitati ad eserci-
tare il sacro ministero in favore dei loro connazionali. Questa li-
mitazione era voluta dall'Arcivescovo, il quale aveva scritto a Don
Rúa (2): «Non posso permettere che i Salesiani abbiano alcun che
da fare con le parrocchie inglesi della cittá. C'é assai da fare tra
gl'Italiani, ed i Salesiani otterran risultati splendidi, se si limite-
ranno a quella parte della vigna loro affidata. Se s'immischiassero
negli affari delle parrocchie d'altri, ne seguirebbero fastidi e dispia-
ceri. » Don Rúa non ebbe nulla da opporre. Anche i Gesuiti, che si
trovavano lá fin dalla scoperta della California, ritenevano che i
Salesiani avrebbero fatto un bene grandissimo in San Francisco.
Essi parlavano con venerazione di Don Bosco, del quale avevano
nella loro biblioteca il ritratto e la Vita del D'Espiney tradotta in
inglese (3).
Firmata senza perditempi una Convenzione, i Salesiani, arri-
varono lá T i l marzo 1897 e presero immediatamente possesso della
parrocchia dei Santi Pietro e Paolo. Erano in quattro: due preti,
un chierico e un coadiutore. 11 Direttore Don Piperni, che giá co-
nosciamo, aveva lasciato la direzione della Casa di Puebla nel Mes-
sico. La scelta non poteva essere migliore, perché egli sapeva Tin-
(1) S. Francisco, 2 luglio 1806.
(2) S. Francisco, 11 agosto 1896.
(3) Lctt. di Don Piccono a Don Rúa, San Francisco, 2 luglio 1896.
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/ Salesiani nel Salvador e negli Stati Uniti
glese, conosceva bene la vita degli Stati Uniti e l'indole del paese,
era attivo, prudente e napoletano. Quest'ultima particolaritá aveva
puré la sua importanza provenendo in gran numero gl'Italiani di
S. Francisco dal Mezzodi della penisola. Fu persona assai gradita
all'Arcivescovo. Anche Faltro prete, Don Valentino Cassini, si tro-
vava giá in America, Direttore a Uribelarrea nell'Argentina.
La chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo, la prima aperta
per gl'Italiani in San Francisco, era stata eretta nel 1884. Da quel-
l'anno fino al 1897 l'avevano amministrata successivamente due sa-
cerdoti andati la dall'Italia. Súbito i Salesiani si diedero a organiz-
zare le opere parrocchiali, ottenendo una frequenza straordinaria
alie Messe e alie funzioni della domenica. Decorarono artística-
mente la casa di Dio, costruirono ampie sale per catechismi, cir-
coli giovanili, scuole serali d'inglese a beneficio degli emigrati e
ben tostó, nel 1898, videro la necessitá di una chiesa succursale per
comoditá degli Italiani, che abitavano in altra parte troppo Ion-
tana. Sorse COSÍ la chiesa del Corpus Christi, fatta di poi parroc-
chiale. Don Rúa ai ÍS figli suoi dilettissimi in Gesü C r i s t o " aveva
scritto il 16 febbraio 1897: « Nell'inviarvi a San Francisco di Cali-
lifornia per intraprendere un grande lavoro, vi accompagno con la
mia paterna benedizione. Si degni il Signore di benedire voi e le
vostre intraprese; vi faccia crescere e moltiplicare come le stelle
del Cielo e le arene che sonó sul lido del mare, affinché possiate
salvare numerosissime anime e il regno di Gesü Cristo si estenda
fino agli ultimi confini della térra. » Scorrendo oggi anno per anno
la cronaca dell'attivitá salesiana in San Francisco, si puó consta-
tare che la parola d'ordine, nonostante dure pro ve, fu fedelmente
trasmessa e non mai perduta di vista.
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CAPO XLI
Ritorno dei Salesiani nell'Equatore.
Non esprimeva soltanto un sentimiento suo personale, ma anche il
segreto rammarico di molte anime buone l'Arcivescovo di Quito,
quando seriveva a Don Rúa (1): « Dal giorno funesto, in cui gli ze-
lanti sacerdoti salesiani furono bárbaramente espulsi da questa citiá,
non ho cessato di supplicare Iddio, che si degni ricondurre alia
mia diócesi questi degni e utili collaboratori, l'assenza dei quali e
insostituibile. » All'opera salesiana dell'Equatore doveva accadere
come alia pianta dantesca (2)
che flette la cima
nel transito del vento, e poi si leva
per la propria virtú che la sublima.
Solo che, a passare, il vento impiegó parecchio.
Bisognava anzitutto lar presto a salvaguardare le proprietá, pri-
ma che andassero a finiré nelle mani del fisco. Vi erano le posses-
sioni di La Tola e di Sangolqui, i materiali dei laboratorii, le mac-
chine e tutto il mobilio del Protectorado. A La Tola il Goveruo
permise quasi a titolo di favore che Pancheri abitasse nella casa,
costituendolo responsabile di tutto quanto era stato abusivamente
inventariato, sebbene poi egli a maggior sicurezza della sua per-
sona spesso minacciata riparasse presso un benefattore; a Sangolqui
(1) Quito, 20 agosto 18%.
(2) P a r . , XXVI, S5-7.
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Ritorno dei Salesiani nell'Equaiore
invece stava un rappresentante del Governo. Panclieri dunque non
perdette tempo, ma súbito cominció a interessare il Consolé d'I-
talia in Guayaquil, perché, se non potesse assolutamente ottenere
che fossero restituiti tutti i mobili del Protectorado, insistesse per-
ché venissero almeno pagati dal Governo tutti i suoi debiti con la
Scuola professionale; pregava quindi Don Rúa che invitasse tutte
le Case salesiane aventi crediti verso quella di Quito a farsi pa-
gare senza indugio. Per ricuperare la possessione di Sangolqui do-
vette presentare il Contratto di donazione, accompagnato dalle pro-
cure legali di Don Rúa e di Don Calcagno. Don Calcagno dal canto
suo non aveva tardato a preoccuparsi per mettere in salvo le cose
nostre; infatti da un luogo di fermata sul principio del viaggio per
resilio, quando non si sapeva ancora quale sarebbe la meta, aveva
trovato modo d'invocare l'intervento del Consolé tedesco con una
lettera, in cui diceva:
I sottoscritti, cittadini italiani, che pieriamente godono di tutti i diritti di cit-
radinanza, essendo semplici sacerdoti riuniti in Societá senza costituire una Con-
gregazione religiosa vera e propria, alia E. V., consolé dell'Impero Germánico, che
in virtü della Tríplice Alleanza fra Italia, Germania e Austria, custodite e di-
fendete gl'interessi dei cittadini italiani dove non risiede il Consolé proprio, trovan-
doci nella presente situazione, esponiamo quanto segué:
II giorno 23 di questo mese, alie ore IIV2 di notte, forze della pubblica sicu-
rezza ci intimarono di lasciare la nostra casa e di presentarci alia Polizia per
avere con I'Inlendente (cosi dicevano) una breve conferenza. Appena arrivati la,
fummo súbito separati dai nostri compagni equatoriani e lasciati senza comuni-
cazioni. Alie ore 3 del mattino del giorno 24, ben custoditi da doppia scorta, ci
portarono in direzione Nord senza permetterci la menoma osservazione e neppure
di prendere le cose piü indispensabili per tale viaggio.
Io Noi, in qualitá di liberi cittadini che mai ci siamo occupati della politica di
questo paese, protestiamo dinanzi a V. E. con la piü ferma energía contro questo
cosi violento e repentino provvedimento deirAutoritá che ha decretato il nostro
esilio, e domandiomo alia E. V. che esiga dal Governo della Repubblica le prove
delle accuse a noi mosse.
2o Essendo noi venuti a dirigere le Scuole di Arti e Mestieri della Capitale.
perché chiamati dalle pubbliche Autoritá con mutuo contratto fra il Superiore
della nostra Societá e il Governo della Repubblica, domandiamo a V. E. che voglia
esigere da questo Governo l'adempimenro di tutte le clausole del Contratto, essendo
stata violata specialmente la prima che dice cosi: « Nel caso che il Governo volesse
riprendersi la Scuola di Arti e Mestieri, dovrá darne avviso tre anni prima». E
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Capo XL1
poi continua: «Se un giorno dovesse accadere (quod Deus auertai) che i Salesiani
dovessero lasciare la Repubblica, il Superiore Coverno si obbliga a pagare a tutti
il viaggio fino a Torino. » Ora é tanto piü necessario che dalla E. V. venga richia-
mato il Governo aH'adempimento di questa secón da parte della clausula, perche
noi, data la fulmineitá della nostra espulsione e il lunghissimo viaggio che ci
aspetta, difettiamo assolutamente di ogni cosa indispensabile.
3o Essendoci noi impegnati in Europa con debiti considerevoli, contratti per
la fondazione delle nuove Scuole di tipografía, legatoria, conciatura di pelli, ecc.
e per stubilire la nuova industria della maiolica, avendo firmato contratti con diversi
operai di Europa e con moltissimi negozi sia equatoriani che stranieri ed essendo
di nostra csclusiva proprietá tutti i materiali dei laboratori, i fabbricati e gl'im-
pianti eseguiti, una gran parte della Biblioteca, la tipografía e quasi tutto il mac-
chinario últimamente importato dall'Europa, é indispensabile che la E. V. faccia i
debiti reclami diplomatici, a meno che il Governo permetta che i Salesiani scelti
dal Superiore ritornino con le debite garanzie a Quito per regola re un mutuo ac-
comodamento su tutte queste cose. Supplichiamo perianto la E. V. che voglia fare
al Superiore Governo questa domanda a nome nostro e comunicarcene il risultato.
4o Ci han lio detto, ed é molto probabile, che ia via del nostro esilio sará quella
che porta alia provincia di Esmeraldas, attraverso i sentieri impraticabili e pesti-
lenziali del Paylón. Portiamo a vostra conoscenza che noi protesteremo contro simile
disposizione e che soltanto trascinati dalla forza bruta ci porteranno attraverso
quelle localitá impervie, dove siamo certi che parecchi di noi trcveremo la morte per
la nostra cagionevole salute, specialmente tre che versano in condizioni abbastanza
gravi.
5o Dovendoci arrivare dall'estero e dalla Repubblica comunicazioni importanti,
preghiamo la E. Y., che é Túnica persona che le potra ricevere, di volercele comuni-
care nei luoghi dove ci porteranno...
Nella certezza di potersi ritenere tutto quello che si trovava nei
Protectorado, gli occupanti vi facevano da padroni, disponendo per
se e per altri di molta roba, perlino dei p a r a m e n t i sacri e degli og~
getti religiosi, che mandavano alie loro case o davano agli impie-
gati, ai militari ivi di servizio, ai giovani rimasti, a chi insomma ne
voleva e a chi non ne voleva. Aprivano casse segrete e non segrete.
asportandone il contenuto come roba propria; anzi, per arrogarsi
maggior liberta su tante cose, molte non ne posero nemmeno nei-
1'inventario; del resto anche di inventaríate ne portarono non p.oche
dove loro piacque. Non parliamo poi delle rubate e lasciate rubare
a man salva.
Don Rúa, avuta relazione di quello che succedeva laggiü, solle-
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Ritomo dei Salesiani nelVEquatore
citó l'intervento del Ministro italiano degli Esteri Visconti-Venosta,
il quale fece scrivere al Consolé a Guayaquil e al Ministro Ple-
nipotenziario in Lima Comm. Castelli, che appurassero i fatti e in-
tanto appoggiassero con ogni mezzo i Salesiani. II Ministro Castelli
chiese a Don Calcagno una relazione particolareggiata di tutto. An-
che il Delegato Apostólico Macchi aveva manifestato al Ministro
il desiderio che egli agisse in tal senso; poiché Don Rúa aveva
messo al corrente degli avvenimenti la Segreteria di Stato. L'im-
presa non era pero fácile per la mancanza di regolari relazioni di-
plomatiche fra l'Italia e l'Equatore, motivo per cui il Governo ita-
liano teneva nella Repubblica non un Ministro, ma un Consolé Ge-
nérale (1). Don Calcagno rimise al Castelli la voluta esposizione.
scrivendogli fra l'altro:
... Noi siamo stati condannati all'esilio innocentemente, giacché le accuse lan-
ciate contro di noi sonó prette calunnie, come apparisce chiaramente dai documenti
irrefragabili e dalle osservazioni che presento alia fine del mió scritto.
Noi siamo stati posti fuori della legge e, senza forma di giudizio, fummo esposti
a mille sofferenze e ad una morte quasi sicura. A nulla valsero le nostre suppliche
e le nostre proteste dirette alie Autoritá. Eravamo poveri sacerdoti indifesi, non
avevamo in Quito un Rappresentante della lontana Patria che potesse proteggerci,
e perció i nostri nemici hanno fatto di noi e dei nostri beni ció che han voluto.
Pero adesso che il nostro Governo ha incaricato Y. E. di studiare i fatti e di pren-
dere le nostre difese, spero che si aggiusterá ogni cosa secondo giustizia e con ono-
re del nome italiano. Ho piena fíducia nella conosciuta attivitá di V. E. e spero che
Ella indurrá il Governo deH'Equatore:
Io A lasciarci immediatamente il pieno dominio dei beni di nostra esclusiva pro-
prieta che possediamo nella Repubblica dell'Equatore, principalmente nella Scuola di
arti e mestieri o Protectorado Católico di Quito, conforme alia lista che presentera
il nostro Rappresentante Sig. Giacinto Pancheri.
2o A restituirci almeno il valore di quelle cose nostre che per di lui colpa si sonó
smarrite o furono sottratte dai Protectorado Católico di Quito, secondo la lista del
Sig. Pancheri.
3o A restituirci tutti i manoscritti, registrí e documenti particolari appartenenti
ai Salesiani, la cui lista presentera puré il nostro Rappresentante.
4o A pagarci almeno i settemila sucres corrispondenti alia meta di ció che il Go-
verno ci deve per pensioni arretrate, quantunque il Sig. Gen. Alfaro alia presenza
(t) Lettcrc di Don Cesare Cagliero, Procuratorc Genérale dei Salesiani, Roma, 2 novembre, e del
Comm. Castelli, Lima, 23 novembre 1896 al Min. Visconti-Venosta.
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Capo XLl
dei Viceconsole d'Italia Sig. Alfonso Roggiero abbia promesso di consegnarmi tutto.
5o Ad osservare quelle clausole del contratto celebrato fra il Governo dell'Equa-
tore ed il Rettor Maggiore della Societá Salesiana che non furono ancora viólate od
a risarcire i danni che ci sopravvennero per la violazione delle altre.
6o A risarcire i danni sofferti dagli operai italiani Vanzo Angelo, Vanzo Pietro,
Baggio Ernesto, Annibale Salomone, impiegati nel Protectorado Católico.
7o A concederé le necessarie guarentigie ai Salesiani residenti tuttavia nell'E-
quatore.
Noi non dimandiamo che il Governo dell'Eqiíatore ci dia soddisfazione alcnna
peí disonore a cui ci espose e pei patimenti che ci fece soffrire durante il nostro
esilio. Siamo sacerdoti e sappiamo perdonare e dimenlicarci delle offese e dei dolori
sofferti peí nome di N. S. Gesú Cristo. Se abbiamo fatto udire la nostra voce di di-
fesa e di protesta, fu solo per mettere in salvo l'onore della nostra Societá e del
nome italiano...
Questa lettera faceva come da prefazione a uno scritto di 22
pagine, corredato da tre annessi: i "Documentos Oficiales", le di-
chiarazioni giurate dei quattro ex-inservienti e una nota ufficiale
dellArcivescovo al Ministro degli Esteri equatoriano.
Nella sua lettera Don Calcagno accenna a una promessa del
Gen. Alfaro. Questi di promesse ne aveva fatte parecchie nell'u-
dienza concessagli a Guayaquil: che avrebbe dato ai Salesiani al-
meno 7000 scudi, corrispondenti a meta di quanto doveva per il
mantenimento di giovani nei sette ultimi mesi; che avrebbe lasciato
ai rappresentaiiti di Don Calcagno la liberta necessaria per ven-
deré al Governo o per ritirare nelle Case di proprietá dei Sa-
lesiani macchine, merci, mobiiie, libri, le cose insomma assoluta-
mente loro. Piú ancora: il Ministro delFInterno, dinanzi ad Alfaro
ed al Viceconsole d'Italia, aveva dichiarato a D. Calcagno che tutte
le cose di proprietá dei Salesiani esistenti nel Protectorado vi erano
rimaste intatte e che nessuno aveva toccato nulla. Invece due mesi
dopo la cacciata continuava la dilapidazione: venduti a vile prezzo
i migliori libri della ben provvista biblioteca: alienati i piü bei la-
vori in porcellana; fatti scomparire tutti in finimenti della selleria;
suole e pelli vendute o rubate; ammobiliata un'abitazione con i
mobili piú eleganti esposti in vendita; ladrerie insomma perpétrate
o lasciate perpetrare da impiegati governativi. Ció inteso, nuova
spinta di Don Calcagno al Consolé di Guayaquil, che, essendo il
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Ritorno dei Salesiani nell'Equatore
piü vicino, poteva piü presto intervenire (1): «So che i miei Su-
periori d'Italia hanno interpellato direttamente il nostro Governo e
che il Ministro degli Esteri scrisse al Sig. Castelli ed a S. V. che
s'informassero dei fatti. lo da parte mia sonó deciso di condurre
la cosa a termine a quahmque costo: con calma si, ma con energia. »
11 ricorso di Don Rúa al Ministro degli Esteri italiano, seguito
dalle informazioni de' suoi Rappresentanti nell'Equatore e nel Perú,
sembró produrre il suo effetto, poiché Pancheri notificava a Don
Rúa che mediante i buoni uffici del Consolé Norero pareva il Go-
verno dell'Equatore piegarsi alie giuste esigenze dei Salesiani. Don
Cagliero, ringraziando a nome di Don Rúa il Ministro Visconti-Ve-
nosta, gli diceva (2): « I! fin qui ottenuto ci é arra per quanto resta
a conseguiré. Noi abbiamo viva speranza che per la forte azione
di V. E. le riparazioni materiali precederanno di poco quelle mora I i
che noi anzitutto desideriamo. 1 nostri furono esiliati dalFEqua-
tore, dietro accuse affatto insussistenti, e soggiacciono tuttora sotto
tali imputazioni. Sarebbe piú che giusto che il nuovo Governo Equa-
toriano, appurate spassionatamente le cose, desse ascolto alia istanze
ed agli indirizzi che gli vengono presentati da vari ceti di persone,
di richiamare i Salesiani alia direzione delle Case che erano af-
fídate alie loro cure, o almeno ne permettesse il ritorno. Che se quel
Governo non amasse piú tenerli come suoi dipendenti alia cura
di stabilimenti dello Stato, almeno concedesse di esercitare a contó
proprio gli uffici di prima sotto la garanzia della legge comune.
Cosi sarebbe risarcito il loro nome e la loro riputazione. »
II Ministro rispóse il 6 marzo, assicurando che con la stessa
data scriveva nuove istruzioni tanto al Ministro a Lima quanto
al Regio Consolé in Guayaquil, perché proseguissero ad appoggiare
presso il Governo dell'Equatore le varié domande dei Salesiani.
Agendo a questo modo l'Italia evitava un intervento in forma di-
plomática, che avrebbe fatto indispettire il Governo Equatoriano,
indisponendolo maggiormente verso i nostri. Fu dunque di comune
accordo stabilito che per quanto si rinvenisse mancante, come anche
(1) Lett. di Don Calcagno a luí, Lima, lo dicembre 1896.
(2) Roma, 28 febbraio 1897.
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63.1 Page 621

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Capo XL1
per i crediti in denaro verrebbe nomínala una Commissione di ar-
bitri estimatori con l'incarico di formare un contó genérale, del
cui importo il Governo dell'Equatore ordinerebbe il pagamento im-
mediato o, al piü, entro un breve termine. Nel frattempo con i
quattro operai italiani rimasti al Protectorado si erano regolati i
conti. Restavano poi a risolversi le questioni relative agli altri im-
mobili salesiani. Si sarebbe detto che la veritá veniva a galla e che
si cominciava a riconoscere l'innocenza dei perseguitati; infatti al
Consolé Norero sembró di scorgere nel Genérale Alfaro buone e con-
cilianti disposizioni, che gli davano speranza di arrivar a definiré
ogni cosa (1).
Del venire pero a qualche atto ufficiale che sapesse di ripara-
zione, non era nulla. II Norero lottava con fervore, secondato puré
dal Vicepresidente della Repubblica Manuel Cueva, che aveva in
mano il Potere Esecutivo; ma non si riusciva a trovare una via
per giungere a un'intesa. II Norero, dovendo partiré da Quito, pre-
sentó al Vicepresidente il Pancheri e Don Fusarini, venuto da qual-
che tempo al Collegio Don Bosco in La Tola, e furono ricevuti con
tutta cortesía; ma il Governo tiró avanti con vane promesse e lun-
ghe tergiversazioni, senza che facesse mai capolino la volontá di
venire a una conclusione soddisfacente. Quindi, partito il generoso
Consolé, i Salesiani restavano in balia dei loro nemici e forse anche
in pericolo di nuovi maltrattamenti.
Di fronte a tale condizione di cose Don Rúa pregó il Ministro
italiano degli Esteri che volesse nominare a rappresentante officioso
dTtalia per l'aggiustamento della questione salesiana presso il Go-
verno dell'Equatore il Genérale Villa, Ministro di Colombia presso
quella Repubblica, ben disposto ad accettare l'incarico; che se il Go-
verno Equatoriano opponesse che i Salesiani erano colpevoli per
aver preso parte alia política del paese, Don Rúa pregava il Mi-
nistro italiano di richiedere ed esigere da quel Governo un légale
giudizio, essendo il Superiore dei Salesiani dell'Equatore prontis-
simo a ritornarvi per presentarsi ai tribunali equatoriani, purché il
(1) Lettere di Don Calcagno al Viceconsole, Buenos Aires, 2 marzo, e di Visconíi-Venosta, Roma,
11 marzo 1897.
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63.2 Page 622

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Ritorno dei Salesiani nell'Equatore
Governo del Re potesse dargli le necessarie garanzie. Ma il Mi-
nistro Visconti-Venosta credette piü opportuno affidare al Ministro
di Spagna in Quito l'incarico di rappresentare e difendere gl'inte-
ressi dei Salesiani (1).
II Ministro spagnolo si prese a petto l'affare, sicché finalmente il
29 marzo 1898 il Governo Equatoriano convenne con Pancheri nella
nomina degli arbitri che furono i Dottori Martino Andrade e Gen-
naro Larrea; ma le operazioni andarono molto, molto in lungo. Rial-
lacciatesi intanto le relazioni diplomatiche con l'Italia, il Ministro
Plenipotenziario Giuseppe Pizzoni, quello di Spagna, il Direttore del
Collegio Don Bosco e Pancheri ebbero il 6 agosto 1900 u n a prima
conferenza, il cui esito fu che il Ministro italiano richiese la pre-
senza delPAgente fiscale del Governo nel termine di otto giorni per
intelligenze necessarie a far si che gli arbitri potessero daré la sen-
tenza. II Ministro italiano non lasció piü dormiré l'affare, ma con
energía moltiplicó le conferenze, finché una buona volta venne pub-
blicato il lodo. Si era arrivati al febbraio del 1902! Eccone il rias-
sunto. Io Obbligo al Governo dell'Equatore di pagare ai Salesiani
14.800 scudi per saldo di pensioni, che erano a carico dello Stato;
scudi 1196 con l'interesse del nove per cento in restituzione di 800
scudi di un legato sottratto dal medesimo Governo; scudi 200 per
indennizzo del lucro cessante e danno emergente a causa dell'occu-
pazione dei terreni. 2o Invito a Don Rúa di mandare entro sei mesi
al Governo Equatoriano i documenti comprovanti la somma supe-
riore a scudi 12.300 dati dallo stesso Governo a Don Calcagno per
l'acquisto e il trasporto di macchine della tipografía, legatoria e
conceria, somma che il Governo sará obbligato di sborsare ai Sa-
lesiani, a meno che non preferisca consegnar loro dette macchine,
ricevendone scudi 12.300 con lo sconto del dieci per cento a motivo
del deterioramento causato dall'uso. Di mobili e materiali mancanti
non si faceva parola, perché quelli di maggior valore erano stati
restituiti per interposizione di persone amiche e influenti e su gli
altri i Salesiani non insistettero. Di questo risultato la stampa non
(1) Letlere del Cons. Norero a Visconti-Venosta, Guayaquil, lo setiembre; di D. C. Cagliero alio
siesso, Roma, 24 novcmbre; di Visconti-Venosta, Homa, 30 novembre 1897.
597
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63.3 Page 623

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Capo XL1
settaria si rallegró con i Salesiani, come di riportato trionfo (1).
Yediamo ora brevemente che cosa in quel lasso di tempo avve-
nisse del Collegio Don Bosco in La Tola e delle tre altre Case sa-
lesiane; della Missione di Gualaquiza diremo a parte.
I Cooperatori di Quito non si volevano rassegnare a restar privi
dei Salesiani; ma, finché le condizioni politiche non fossero avviate
a moderazione, sarebbe stato per loro mutile e pericoloso schie-
rarsi apertamente in favore degli sbanditi. Due cose intanto biso-
gnava che i nostri cercassero di fare a La Tola: riprendere la eo-
struzione dell'edificio e iniziare il Collegio, imprese quanto mai
ardue entrambe.
Per proseguiré nella costruzione ci volevano quattrini, e il po-
vero Pancheri non sapeva da che parte voltarsi per pagare i de-
biti; non cessavano intanto le diffamazioni né le improvvise visite
domicilian della Polizia. Nel dicembre 1896, Don Fusarini, Diret-
tore a Riobamba, recatosi a Quito per intendersi col Governo circa
quella Casa, dovette fermarsi a La Tola quale Direttore temporáneo
del nascente Collegio Don Bosco. Nel gennaio del 1897 vennero a
riunirsi sotto la sua direzione alcuni dei chierici equatoriani rifu-
giatisi nel Perú; ma nel novembre seguente egli tornó a Riobamba,
sicché Pancheri si trovo di bel nuovo solo. Don Fusarini, sgomen-
tato dalle gravi difficoltá finanziarie, gli aveva ordinato di ven-
deré tutto e di andarsene ad Arequipa nel Perú; ma la Provvi-
denza in quel medesimo giorno arrestó l'esecuzione del comando,
poiché venne allora notificato avere il defunto Cooperatore Ferdi-
nando Polit fatto un lascito di 800 scudi da impiegarsi nella fab-
brica del Collegio. Si poterono cosí ripigliare i lavori.
NeU'anno appresso la repentina notizia della morte di Don Cal-
cagno ravvivó nel cuore degli amici lo zelo per Topera salesiana.
La Cronaca della casa, sotto il Io aprile 1899, ci tramanda Teco del
rimpianto causato da tale scomparsa: « Questa triste nuova ricolmó
d'amarezza pro fonda tutti i Confratelli di Quito, di dolore e sco-
raggiamento il Sig. Pancheri e di lutto il cuore degli alunni che
(1) La Patria di Quito, 6 febbraio 1902
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Riiorno dei Salesíani neU'Equalore
erano stati educati sotto la sua direzione. Tutti perdevano nell'a-
mato Don Calcagno non solo il Superiore, ma il Padre amoroso» la
colonna su cui poggiavano tutte le loro speranze e l'avvenire della
Congregazione Salesiana nella Repubblica del Sacro Cuore di Gesú?
mentre la Repubblica stessa perdeva in lui uno de' suoi piú af-
fezionati ammiratori e benefattori. » Essendosi ormai entrati in un
periodo di relativa calma, il favore dei Cooperatori, quasi ridesto dal
caro ricordo del passato, si manifestava con oblazioni sempre piü
frequenti, che spronavano ad accelerare i lavori della fabbrica.
Lo stato di isolamento si protrasse per Pancheri fino al dicembre
del 1899. Nell'agosto di tale anno Don Guido Rocca, uno dei nove
profuglii, che dirigeva allora il " Patrocinio di S. Giuseppe " a San-
tiago del Cile, aveva ricevuto l'obbedienza di partiré per Quito, come
Direttore del " Collegio Don Bosco "5 nel quale sembrava potersi
ormai tentare qualche cosa. Non tutto era ancora ben rassicurante;
ma Don Rúa, sapendo quanto il Governo italiano fosse impegnato
a proteggere i propri sudditi salesiani, non esitó a ordinare che si
facesse; tanto piú che la parziale amnistia, che permetteva l'ul-
teriore permanenza ai religiosi allora presentí, vietava l'ingresso a
membri soltanto di Congregazioni, le quali non vi tenessero giá sog-
getti. Si poteva dunque sperare di non vedersi chiuse in faccia
le porte.
Tuttavia la prudenza non é mai troppa, massime se non si voglia
pregiudicare fin da principio un tentativo di bene. Perció Don Rocca
si mise in viaggio vestito da borghese, sotto falso nome e qualifican-
dosi per ingegnere meccanico. Con tali precauzioni non destó so-
spetti al suo giungere in Guayaquil; ma da poi egli ignorava di
essere pedinato dalla questura. Infatti, fermatosi a Riobamba, senza
pero metter piede in Collegio, ma alloggiando presso una famíglia
árnica, fu avvisato che correva voce star nascosto in quella casa
un sacerdote venuto dal Cile come spia. Don Fusarini, per tagliar
corto e prevenire disgustosi incidenti, decise di presentarsi al Gover-
natore della Provincia ed esporgli senz'altro il fatto. II colpo riusci a
meraviglia. Allora Don Rocca indossó i suoi abiti ecclesiastici e
alia partenza oitenne dal medesimo Governatore un passaporto, nel
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63.5 Page 625

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Capo XL1
quale si diceva recarsi egli a Quito per ristabilirsi in salute. Di
tappa in tappa, dopo circa tre giorni di viaggio, arrivó il 13 di-
cembre alia Capitale. Molti amici ed ex-alunni vennero a incon-
trarlo. Nel Collegio fu ricevuto con festose dimostrazioni. Scrive egli
stesso nella Cronaca sotto quella data: « Non é facile descrivere la
contentezza che provai nel toccare il suolo di Quito dopo tre anni
e piü di esilio e nel rivedere alcuni dei giá nostri alunni. » Non
mancarono gli zelanti che invocavano i fulmini del Governo; ma il
Governo non vi diede ascolto.
11 Direttore, non avendo ancora la possibilitá di tenere interni,
si dedicó all'oratorio festivo, cominciato giá da Don Fusarini e con-
tinúate dopo di hii dai sopraggiunti chierici equatoriani. In breve
se lo vide fiorire in modo stráordinario. Con Faumento del perso-
nale e con l'aiuto morale e materiale dei Cooperatori, in primis del-
TArcivescovo, furono aperti alcuni laboratori, ai quali se ne aggiun-
sero altri e altri, sicché la Casa s'incamminava a diventare quello
che siam soliti a chiamare ospizio salesiano.
La situazione della Casa di Sangolqui, detta " La Providencia '*
venne regolata presto: il 23 ottobre 1896 fu restituita e consegnata
con tutte le formalitá legali a Pancheri, com'erasi fatto per quella
di La Tola pochi giorni prima. Trattandosi di proprietá assoluta-
mente prívate di cittadini italiani, non tornava contó al Governo
lasciare che si adissero le vie giudiziarie, perché certo i tribunali
avrebbero sentenziato in favore dei Salesiani. Don Rocca estese poi
anche la le sue sollecitudini. Prima che vi si ristabilisse il novi-
ziato, " La Providencia" era meta di passeggiate generali per gli
alunni del Don Bosco e luogo di vacanza per quegli interni, che
non potevano andarle a passare altrove.
La Casa di Cuenca dipendeva dal Governo, che aveva obbligato
i suoi laboratori a fabbricar armi destínate a serviré nella guerra
dei conservatori contro i liberali; perció, quando Al faro entró trion-
fante nella cittá, i Salesiani ne temettero le vendette. Le sue mi-
lizie occuparono I'Istituto, costringendo i Salesiani ad andaré ramin-
ghi. Se avessero seguito il consiglio di Don Rúa, avrebbero avuto
meno da soffrire. Poco prima che scoppiasse la rivoluzione, quando
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Ritorno dei Salesiani nelTEquatore
se ne sentivano giá i padroni, egli aveva scritto al Direttore Don
Bruzzone: «Voi di Cuenca non abbiate nessun timore: ándate a
Gualaquiza ». Gualaquiza si trovava nella circoscrizione ecclesia-
stica di Cuenca. Tre soli seguirono tale indicazione, cioé Don Spi-
nelli e due chierici. Due, Don Valletto e Don Milano, scesero a
Guayaquil per unirsi ai Confratelli di Quito; abbiamo veduto come
il secondo soccombesse ivi ai gravissimi disagi del viaggio. Anche
il Direttore si rifugió nel Perú. La Casa rimase affidata a persona
árnica fino al maggio del 1898, allorché venne proprio da Guala-
quiza Don Mattana a riaprirla.
La Casa di Riobamba prima della rivoluzione alfarista era di
proprietá della Curia Vescovile. Nell'agosto del 1895 fu invasa dalle
truppe di Alfaro, che la trasformarono in caserma; ma nell'ottobre
seguente Alfaro la restituí, dopo aver pero soppresso ogni pubblica
contribuzione. Se non che nell'ottobre del 1896 un decreto di esilio
colpi anche quei Salesiani, Parve disposizione della Provvidenza che
il Direttore Don Fusarini, giunto al fiume Cimbo, venisse obbli-
gato, come dicemmo, a ritornare per rendere i conti; poiché Fim-
provvisa amnistía gli permise di restare, alloggiando dai Redento-
risti, e di recarsi a Quito per far valere i suoi diritti e difendere
gl'interessi della Societá. Fu per lui un anno intero di lavoro, di
disinganni e di pene; pur nondimeno il Consiglio di Stato gli resé
giustizia, ordinando il 23 setiembre 1897 la restituzione deU'immo-
bile. che dal 15 luglio 1896, in lorza di un Contratto legalmente
stipulato col Vescovo Arsenio Andrade, era divenuto proprietá as-
soluta dei Salesiani. Con l'edificio venne anche il risarcimento dei
danni e l'autorizzazione di aprire u n a Scuola autónoma. Nel 1900
il Governatore della Provincia, facendo la sua relazione ufficiale
al Supremo Governo, dichiarava: « Delle tre Scuole fondate in que-
sta Provincia é degna di menzione solo quella diretta dal Salesiano
Don Antonio Fusarini, la quale annovera in questa cittá 210 alunni,
di cui 60 sonó interni. II profitto tanto degli interni quanto degli
esterni soddisfa la maggioranza della Societá Riobambese. »
Post nubila Phoebus. Passata la tempesta, ecco tornato il se-
reno sulle Case salesiane dell'Equatore. I Salesiani a poco a poco,
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Capo XL1
riparati i daimi sofferti, senza tare recriminazioni, ma perdonando
e dimenticando, si rimisero al lavoro, di null'altro solleciti che della
gioventü e delle anime, come i.n loro seconda patria. II vero apo-
stolato missionario fa nascere nel cuore di chi lo esercita, un grande
amore verso il paese straniero, anche il piü remoto, amore non
meno schietto e intenso di quello che ognuno nutre per la propria
patria di origine, essendo amore soprannaturale.
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CAPO XLII
Nella Missione di Gualaquiza e Méndez.
Dopo la cacciata dei Salesiani il nuovo Governo fece facoltá
ai Missionari di Gualaquiza di restare o di andaré; ma soppresse
il sussidio che passavano i Governi antecedenti alia Missione. Na-
turalmente i Missionari, benché prevedessero le privazioni che li
attendevano e per la chiusura degli lstituti salesiani, dai quali trae-
vano i principali mezzi di sussistenza, e per l'isolamento in cui si
sarebbero venuti a trovare, stettero fermi al loro posto. II loro so-
spiro era sempre che il Vicario Apostólico potesse giungere presto e
mettersi alia testa della Missione; ma purtroppo il loro giusto desi-
derio doveva ancora per circa sette anni rimanere inesaudito.
Nel 1895 Mons. Costamagna non indugió a mettersi in viaggio
per raggiungere il campo dell'apostolato affidatogli dalla Santa Sede.
Ma arrivato al porto del Callao nel Perú, mentre si accingeva a
entrare nell'Equatore, un decreto del nuovo Governo proibiva ai
Vescovi stranieri l'entrata nella Repubblica. Egli tuttavia volle che
in proposito fosse interpellato direttamente il Genérale Alfaro, il
quale fece rispondere: Io Essere nel programma del suo Governo
di affidare le Missioni a sacerdoti nazionali. 2o Non essere neces-
sario un Vescovo, spettando piú a un Missionario semplice sacer-
dote che non a un Prelato 1'incombenza di catechizzare e istruire i
selvaggi. 3o Stante la scarsitá delle pubbliche éntrate, temeré il Go-
verno di non poter disimpegnare debitamente i compromessi che
contrarrebbe col nuovo Vescovo. 4o Essere intenzione del Governo di
non creare nuovi Vescovati.
Queste furono comunicazioni orali date a Don Calcagno, che
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Capo XLH
aveva fatto quel passo; ma egli volle avere anche un documento
scritto. Perció stese una nota per il Ministro del Culto, nella quale
spiegava quello che faceva il Missionario salesiano in altre parti
dell'America a vantaggio della religione e della civiltá ed esponeva
i suoi disegni circa Fevangelizzazione e la prosperitá di Guala-
quiza, mettendo bene in rilievo il giá fatto fino allora, Infine for-
mulava due domande: se potrebbero Salesiani equatoriani avere a
loro carico le Missioni e se Mons. Costamagna potrebbe ottenere
dal Governo il consenso per reggere il Vicariato. La risposta al-
Tuna e all'altra domanda fu negativa ed espressa in termini dispo-
ticamente laconici. Come si vede, la risposta scritta contraddiceva
alia dichiarazione órale. Verba volani! Dinanzi a un divieto cosi
categórico, non rimase a Monsignore altro partito che tornarsene in-
dietro e attendere gli ordini della Santa Sede, come abbiamo detto
alia fine del capo ventiduesimo.
Don Mattana, capo della Missione, non si perdette d'animo ne
per questo doloroso accidente né per i tristi avvenimenti che segui-
rono nel 1896. Confidando nella Provvidenza, non rallentó il suo
zelo. Egli si trovava come in mezzo a due mondi: al centro i civil i,
alia periferia i selvaggi. I civili erano o coloni sparsi per la val-
lata o cittadini propriamente detti, il cui numero veniva crescendo
dopo che Gualaquiza costituiva una Provincia a sé col suo Go-
vernatore. Sorgeva anche a poco a poco un abitato céntrale in forma
di cittá.
Qui i Missionari avevano il Collegio, risorto dalle sue ceneri,
come abbiamo veduto, dopo l'incendio del 1894. Non si potranno
mai lodare abbastanza gli sforzi che, in queH'angolo remoto dal vi-
vere sociale, andavano facendo i Missionari, perché tutto nell'edu-
cazione dei giovani riproducesse il tenore delle nostre consuetudini.
Accademiole dei ragazzi erano saggi, a cui di tratto in tratto assi-
stevano volentieri gli abitanti del luogo. Ogni anno si rinnovava l'e-
sposizione dei lavori, descritta da noi precedentemente. Anche la
finale distribuzione dei premi aveva le sue attrattive. Alie feste poi,
celébrate con la maggior solennitá possibile, intervenivano puré i
cristiani di fuori, non solo a pascólo di curiositá, ma accostandosi
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Nella Missione di Gualaquiza e Méndez
ai sacramenti. Essendo il 24 maggio festa anche civile dopo la con-
sacrazione di Gualaquiza a María Ausiliatrice, non mancavano mai
di partecipare alia processione tutte le Autoritá. Le celebrazioni del
Collegio erano le uniche manifestazioni civili e, diciamo cosi, cul-
turali del luogo. Talora il Direttore regalava agli alunni lunghe
gite per quelle amenissime valli, popolate di Jivari, le cui fami-
glie si mostravano assai cordiali e recavano vettovaglie in copia,
godendo dei canti e suoni eseguiti dai giovani; e quando si stava
fuori anche la notte, davan mano a costruir per loro il capannone.
Tutte cose che rendevano sempre piü viva la familiaritá degli Jivari
con i Missionari, agevolando Fazione benéfica di questi su quelli.
Una chiesa, che fosse vera chiesa, cioé decorosa casa di Dio,
focolare di vita religiosa e aperta al pubblico, sarebbe diventata
anche naturale punto di attrazione per lo sviluppo edilizio. Or-
bene il 15 agosto 1897 segnó per questo u n a data memoranda nella
storia della Missione: fu benedetta in quel giorno e collocata con
tutte le formalitá consuete la prima pietra di una chiesa da de-
dicarsi a María Ausiliatrice. Lo straordinario concorso di bianchi,
d'indigeni e di selvaggi nella varietá dei loro costumi, mentre ac-
crebbe solennitá alia cerimonia, dimostró puré quanto l'erigendo
tempio rispondesse a un sentito desiderio e bisogno della popo-
lazione. Un gruppo di animosi cattolici faceva e cercava contribu-
zioni per somministrare ai Missionari i mezzi occorrenti a un'opera,
che doveva promuovere la religione e la civiltá nelle foreste del-
l'Azuay.
I primi bagliori di vita religiosa avevano illuminato le Jivarie
del Gualaquiza nel maggio del 1895, quando, come abbiamo nar-
rato, María Ausiliatrice prese possesso della Missione. Da quel pun-
to cominciarono a rendersi piú visibili gli effetti della grazia di-
vina fra i selvaggi. É di quell'anno un battesimo che impressionó
grandemente gli Jivari: la rigenerazione cristiana di un vecchio
brujo. Si chiamano cosi certi stregoni, che godono cola un crédito
straordinario e nei quali gli Jivari non ancora cristiani hanno la
piü cieca fiducia. Ogni tribu ha il suo. Tutte le malattie, a loro
modo di vedere, sonó caúsate da qualche maleficio; perció a cu-
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64 Pages 631-640

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64.1 Page 631

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Capo XllI
rare gli ammalati fanno venire il brujo, che possiede la virtíi di
neutralizzare l'influsso maléfico. Egli opera nelle tenebre dopo aver
tracannato un'infusione inebriante e invocato con grida e can ti
l'aiuto di iguanchi, che é poi il diavolo. Applicata quindi la bocea
sulla parte inferma, succhia e sputa, succhia e sputa, finché, fatti
accendere i lumi, mostra ai presentí un ragno, un dente, una spina
o altro oggetto, che da a intendere d'aver estratto dal malato e con
esso la causa del male. II nostro brujo pero era diverso da' suoi
simili. Non aveva mai praticato la poligamia e non esercitava piú i I
suo mestiere. Affezionatosi fin da principio ai Missionari, li visi-
tava spesso e faceva battezzare tutti i suoi figli; desiderava since-
ramente di ricevere anche lui il battesimo, ma in fin di vita, per
non fare'piü peccati, diceva, dopo di quello e andaré súbito con
Taita Dios in paradiso. 11 Missionario non avrebbe voluto aspettare
tanto; ma non lo poté mai indurre a passare una settimana nella
casa della Missione per istruirlo. Ammalatosi seriamente e sdegnando
le cure de' suoi ex-colleghi, mandó a chiamare in fretta Padre Fran-
cisco, che accorse sull'istante. L'infermo, baciatagli la mano, lo sup-
plicó di battezzarlo. Don Mattana, fattegli capire le cose piú essen-
ziali, quando gli pareva sufficientemente preparato, alia presenza
di due brujos e di molti altri Indi, lo battezzó secondo il rito pre-
scritto per gli adulti. Campo ancora un mese. Era cosa edificante
vedere come sopportasse non solo rassegnato, ma quasi contento le
sue sofferenze. L'azione della grazia era visibilissima in quell'anima.
11 neófito mori a 110 anni; si chiamava Taita C u r a Shacayman.
La fine cosi cristiana di un Jívaro tanto influente serví ad avvi-
cinare maggiormente ai Missionari gli uomini della sua tribu.
Ma purtroppo la rovina degli Jivari e uno dei maggiori ostacoli
alia loro evangelizzazione era lo spirito ferocemente bellicoso della
razza. Bisogna narrare qualche episodio, perché si comprenda fra
quali enormi difficoltá dovevano i Missionari esercitare il loro apo-
stolato.
Nella vallata del Gualaquiza due fazioni di Jivari stavano con-
tinuamente in armi, pronte ogni momento a trucidarsi fra loro.
1 rispettivi capi Ramón e Naranza pensavano sempre ad astuzie e
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Nella Missione di Gualaquiza e Méndez
tradimenti, con cui sopraífarsi a vicenda: lo spirito di vendetta era
il movente degli assalti. Nel 1895 la fazione piü potente, quella di
Naranza, aveva ucciso il brujo della parte avversaria e feritone lo
stesso condottiero. Questi giuró vendetta. Impiegó un anno a prepa-
rarvisi. Nell'aprile del 1896 un finto ammalato, obbligato da luí,
fece chiamare il brujo dei Naranziani come per farsi curare. Du-
rante le solite operazioni al buio, colui con un proditorio colpo di
lancia lo freddó. La fazione offesa decretó la morte di Ramón: si
minacciava un eccidio. Una mattina numerosi Jivari di Naranza an-
darono ad accamparsi nel cortile del Collegio, dove solevano avere
libero accesso. Sembravano calmi, tanto che Don Mattana impartí
loro un po' d'istruzione religiosa. A mezzodi ecco giungere Ramón
con la sua turba. S'ingiuriano, si affrontano, incrociano le lance.
I Missionari, che tranquilli pranzavano, udito il rumore, bal-
zarono fuori e si gettarono in mezzo, facendo uso di tutta la loro
autoritá per impediré spargimento di sangue; anzi Don Mattana,
alto, vigoroso, barbuto, con la sua voce tonante chiamó ad aiutarlo
cristiani accorsi e riusci a far deporre le armi. I due partiti, che d'or-
dinario nella casa dei Missionari non osavano commettere eccessi,
s'allontanarono pieni di vicendevole livore. La notte trascorse senza
violenze e il di appresso si presentarono i piü influenti a domandare
scusa. D'allora in poi non passava giorno che sciami di Jivari non
andassero in casa. A volte i Missionari davano loro ospitalitá du-
rante la notte, riunendoli in uno stanzone. Un mese dopo quel
fatto si fermarono a dormiré uomini di ambe le parti. Un individuo
di Ramón durante il sonno tentó di uccidere gli avversari; ma sor-
preso in tempo da chi, poco fidandosi, non dormiva, e minacciato dei
ceppi, se la svignó. L'indomani tornó pentito e divenne poi amico
dei Missionari. In genérale ci tenevano a non guastarsi con loro.
L'autoritá morale dei Missionari guadagnava terreno; ma la fe-
rocia dei selvaggi non disarmava. II 28 luglio 1898 una ventina di
Jivari Naranziani con alia testa un Santiago Visuma, battezzato, ma
cattivo soggetto, arrivarono al Collegio, dove sapevano giacere in-
fermo Ramón. Questi, veduto Visuma, divenne furente e se non era
del Missionario, l'avrebbe ammazzato; lo fece pero assassinare sulla
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

64.3 Page 633

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Capo XLll
strada del ritorno. Súbito dopo Ramón fuggi dal Collegio. Parenti e
partigiani dell'ucciso incolparono i Missionari di non aver impedito
la morte di Visuma e corsero armati alia casa, urlando che pareva
il finimondo. I giovani scapparono. Don Mattana, affacciatosi dalla
cappella, li arringó con energía, manifestando il suo dolore per la
vittima e invitando tutti per 1'indomani alie esequie. Persuasi del la
sua innocenza, si placarono e vennero. Ma che funerali! Intorno
alia salma era un coro di dannati: pianti, urli, imprecazioni. giura-
menti di vendetta. Forme selvagge di esprimere il dolore. Dopo, il
ÍVlissionario serví loro un'abbondante refezione, rimandandoli soddi-
sfatti.
Ma la pace duró poco. Non era trascorso un mese, che di nuovo
vennero alie armi. La fazione di Naranza, aiutata da altre tribu,
assali la dimora di Ramón, lerendo, uccidendo, incendiando. La
parte contraria, con il concorso puré di tribu amiche, attaccó bat-
taglia. Anche quella volta Don Mattana arrivó in tempo per arre-
stare il conflitto e quietare i belligeranti. Con esseri simili non é
meraviglia, se scarso frutto si ottenesse negli adulti. L'attivitá mis-
sionaria si rivolgeva invece utilmente ai battezzati, civili o semicivili,
massime poi alia gioventü, speranza dell'avvenire.
Nulla ancora si poteva fare nelle J i varíe di Méndez, dove piíi
numerosi erano i selvaggi. Nel 1898 vennero tre volte da Don Mat-
tana Jivari di la per condurlo fra loro. Egli dava buone promesse
e niente piü. Ma nel dicembre dello stesso anno intraprese una
lunga e avventurosa escursione, nella quale si spinse fino ad essi.
La piccola carovana incontró giaguari, fu assalita da nugoli di vespe,
val ico ardui monti, passó a nuoto fiumi vorticosi. II Missionario,
sempre alia testa, ammansó capi inferociti, catechizzava i grandi,
battezzava i fanciulli e diceva Messa all'aperto in vergini foreste,
dove nessuno aveva mai celebrato il divin Sacrificio. Quello fu
soprattutto un viaggio di ricognizione per rendersi contó delle dif-
ficoltá da vincere, dei pericoli da evitare e dei mezzi da mettere in
opera per estendere anche la il regno di Dio.
La rivoluzione che aveva sbanditi i Salesiani dai Collegi della
Repubblica, produsse un grave contraccolpo a Gualaquiza. Le con-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

64.4 Page 634

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Nella Missione di Gualaquiza e Méndez
dizioni dei Missioiiari, giá dure per sé, lo divennero ancor piú dopo
che mancó loro il principale appoggio avuto fino a quel punto. Don
Mattana nel maggio del 1897 ebbe la quasi ispirata idea di man-
dare a tutte le parrocchie di Cuenca e dei dintorni una circolare
in favore della Missione. Non fu voce al deserto; gli giunsero offerte,
con cui poté pagare una parte dei debiti incontrati per la fabbrica
della nuova casa dopo la distruzione dell'altra a causa deil'incen-
dio e per prepamre l'occorrente a intraprendere l'erezione della
nuova chiesa. Fruttarono anche le conferenze da lui tenute in prin-
cipali cittá e popolazioni. Ma questo non bastava: ci voleva qualche
cosa di permanente, su cui si potesse contare. Perció Don Mattana,
quando nel 1898 ando a riaprire la casa di Cuenca, profirió del-
Poccasione per creare un'opera, la quale riuscisse vantaggiosa e avesse
durata. Istitui a tal fine una " Societá protettrice delle Missioni Sa-
lesiane di Gualaquiza ". La componevano signore e signorine delle
primarie famiglie. L'inaugurazione si fece solennemente il Io maggio
nella Cattedrale con Pintervento di un pubblico numeroso ed eletto.
Parló prima PArcidiacono Giusto León, insistendo sul dovere dei
cattolici di pensare ai fratelli d'Oriente, vittime ancora della barba-
rie. Dopo il canto di un inno il salesiano Don García, figlio di Cuenca,
lesse u n a corrispondenza di Don Mattana al Bollettino Salesiano su
quelle Missioni. Infine montó in pulpito lo stesso Don Mattana, del
quale scriveva un foglio cittadino (1): « La virile sua statura, la lunga
e fitta sua barba e l'insinuante suo sguardo si accaparrarono tostó le
generali simpatie. » Egli espose lo stato di quelle Missioni; dipinse le
condizioni che presentava POriente della Repubblica con gli Jívaros
feroci e indomiti; terminó dichiarando istituita la Societá protettrice.
« Per parte nostra, scriveva il detto periódico, mandiamo con il cuore
commosso per viva contentezza le nostre felicitazioni a Cuenca, che
ha la fortuna di possedere nel suo seno i mirabili figli dell'Apostolo
del secólo XIX Don Giovanni Bosco; come puré alie signore e si-
gnorine che, anímate dallo spirito di carita, hanno intrapresa la gran-
de opera di proteggere le Missioni di Gualaquiza, opera che esige
(1) La Prensa libera, num. 36.
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Capo XLU
grandi sacrifiei, perché opera di Dio. Illustri dame deU'Azuay, Relu-
cía in Dio, e avanti! »
Isolati dicevo i Missionari di Gualaquiza, ma non abbandonati a
se stessi. Mons. Costamagna, se non vi poteva esercitare la sua giu-
risdizione ecclesiastica, mentre da Santiago del Cile aspettava che ea-
dessero le note barriere, pensava a loro, li confortava con sue lettere,
dava loro salutari consigli, spediva ad essi le elemosine che riceveva
in compenso delle sue fatiche apostoliche, viveva insomma in comu-
nione spirituale con quelli che erano i suoi rappresentanti riel Vi-
cariato.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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CAPO XLIII
Fondazioni del 1896 in Italia.
(Canelli, Cuorgné, Intra, Legnago, Genzano, Frascati, Ferrara, Modena, Bologna)
Nella consueta lettera di gennaio del 1896 ai Cooperatori Don Rúa,
indícate le difficoltá di vario genere che obbligavano la Congrega-
zione a circoscrivere la sua attivitá entro limiti troppo inferiori al
bisogno, venendo a parlare delle proposte per il nuovo anno, credette
bene di tacere su quelle riguardanti l'Europa; certo lo fece, perche
gli doleva di dover scontentare molti di coloro che avevano presen-
tato domande e si sarebbero visti mettere da parte. Tuttavia non
furono relativamente poche in Europa le fondazioni di quell'anno;
diremo qui soltanto di dieci fatte in Italia.
Cominciando dal Piemonte, viene primieramente la Scuola Agrí-
cola di Canelli in provincia di Alessandria. Compiendosi il primo
decennio della sua fondazione e inaugurandosi ivi un monumento
all'avv. Luigi Faravelli, Don Bertello, Consigliere professionale del
Capitolo Superiore, dinanzi alie persone piú ragguardevoli del paese
e dei dintorni salutava il commemorato "vero filántropo cristiano";
egli infatti, avendo conosciuto i Salesiani per mezzo di un'umile fan-
tesca che riceveva il Bollettino, si era talmente invaghito deila loro
Opera, che li aveva chiamati eredi delle sue sostanze, affinché isti-
tuissero una Scuola di agricoltura a vantaggio della sua patria pie-
cola e grande. II grosso del suo patrimonio consisteva appunto in
una vasta tenuta. La prudenza di Don Rúa ne cedette una parte al
Municipio, il che valse a creargli sul posto un ambiente favorevole.
Quei terreni si prestavano soprattutto a una Scuola di viticoltura,
p u r non escludendo altri rami. La Scuola fu iniziata nel 1896, espli-
cando puré, secondo la volontá del testatore, opera di beneficenza con
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XLIll
l'accogliere anche giovani poveri e derelitti. Vi s'imparte un inse-
gnamento teorico-pratico rispondente ai progressi della scienza agra-
ria. Lo studio, associato al lavoro, si conforma ai programmi gover-
nativi, sicché gli alunni, uscendo, si trovano in grado di dirigere
aziende proprie o altrui. La Scuola progredi a segno che si resero
necessari ampliamenti di locali. In Esposizioni enologiche italiane ed
estere riportó attestati di benemerenza per specialitá vinicole di sua
produzione. La Casa diede alia nostra Societá parecchi Coadiutori ed
ha recato sempre un valido contributo alia vita religiosa del paese.
La provincia di Aosta vide aprirsi nel 1896 il Collegio di Cuorgné.
Questo Collegio deriva il suo nome da Giusto Morgando, che negli
stessi locali odierni l'aveva fondato vent'anni prima. Eretto poco dopo
in Ente morale, l'Istituto dipendeva da un'Amministrazione di sette
membri, ira cui il Direttore. L'esperimento di una direzione laica non
diede risultati soddisfacenti; perció il Consiglio amministrativo deli-
beró di affidarla alia Societá Salesiana, stipulando con Don Rúa una
Convenzione, in forza della quale economía domestica, insegnamento
e disciplina fossero esclusivamente nelle mani dei concessionari. Le
trattative per giungere all'accordo non furono né brevi ne fácil i. Pre-
meva ai Superiori di assicurare al Collegio un grado indispensabile
d'autonomia, perche vi si potessero applicare senza limitazioni i no-
stri Regolamenti. Don Stefano Trione ebbe molta parte nell'otte-
nere per la sua térra nataie un si segnalato beneficio, A fine di pre-
parare bene l'ambiente non si ricevettero da prima alunni interni od
esterni, che andassero oltre la prima e la seconda ginnasiale; cosi il
ginnasio si venne completando di anno in anno. II primo Direttore
Don Giacomo Ruffino, che esercitó il suo ufficio per otto anni conse-
cutivi, si guadagnó la benevolenza di tutti. Umile, laborioso, geniale
nella poesía e nella música, ripieno dello spirito di Don Bosco, avvió
magníficamente in Cuorgne l'Opera salesiana. Don Bosco gli aveva
scritto da Roma il 17 aprile 1880: « II mío affetto per te fu sem-
pre grande. »
Porliamoci ora sulla riva occidentale del Lago Maggiore, all'in-
dustre cittá di Intra. Nell'incartamento che riguarda i precedenli di
quella fondazione, si trovano proposte di vario genere fino dal 1883;
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Fondazioni del 1896 in Italia
ma su tutte le lettere é indicato il tenore delle risposte con un ine-
sorabile " Impossibile ". L'impossibilitá scompare soio nel 1896.
Vivacchiava a Intra un Collegio municipale, che fini con essere
messo a disposizior*e di chi offrisse qualche seria garanzia di rial-
zarlo. II grandioso edificio, capace di circa 80 interni, sorgeva in po-
sizione salubérrima e si prestava ad eventuali ampliamenti. Capito a
Intra nel gennaio del 1896 Don Ferrando, Direttore del Collegio sa-
lesiano di Novara e, incontratosi con il Cooperatore lreneo Ceretti,
questi richiamó la sua attenzione sulla possibilitá che il Municipio
fosse disposto a disfarsi del lócale, vendendolo ai Salesiani, affinche
risuscitassero il Collegio. Don Ferrando si lasció condurre a visitare
il palazzo in compagnia del Sindaco. Sembrategli convenienti le pro-
poste, ne riferi ai Superiori, che apersero senz'altro le trattative. Com-
parsa in un giornale la notizia della probabile vendita (1), si fecero
avanti due benefattori, Mons. Imperatori e il Cav. Ottina. che s'im-
pegnarono a offrire uno venti e l'altro venticinque mila lire. In breve
l'affare fu conchiuso. Gli anticlericali intresi tentarono di sollevare
opposizione in Municipio; ma una pubblica sottoscrizione raccolse
un numero cosí schiacciante di firme, che li ridusse al silenzio. In
febbraio il Consiglio a grande maggioranza votó la vendita ai Sa-
lesiani; per la qual cosa il popólo manifestó il suo sentimento, facendo
una clamorosa dimostrazione al Sindaco. Tuttavia questi nell'istru-
mento trovó modo d'introdurre una clausola finanziariamente un
po' onerosa: offa all'opposizione.
L'ingresso dei Salesiani avvenne il 14 ottobre. Fecero i primi
passi con l'oratorio festivo e col Convitto e semiconvitto per alunni
di classi elementan; poi iniziarono il ginnasio, fiancheggiato dal
corso técnico. Scorrendo le cronache delle origini, si raccolgono dati
sufficienti per giudicare che l'andamento religioso e didattico del
Collegio S. Luigi si affermó fedele alie tradizioni salesiane. Don Rúa
lo trovó fiorente nel 1902.
Nel Véneto, in provincia di Verona, e Legnago, cittadina che sullo
scorcio del secólo passato contava 17.000 abitanti. Di la Don Davide
(1) La Voce, 14 gennaio 1896.
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Capo XLHl
De Massari Arciprete, consigliato dall'Arcivescovo Card. di Canossa*
ricorse nel 1881 a Don Bosco, chiedendogli due preti che andassero
ad aprirvi un oratorio festivo. Che la carita di Don Bosco abbrac-
ciasse, com'egli scriveva, tutto il mondo, era vero; ma col desiderio,
non di fatto. Modificó in seguito il suo disegno, recandosi due volte
dal Santo per ottenere un Istituto di artigianelli. Benché non esau-
dito, non cessó di accarezzare quell'idea, finché nel 1891 presentó
a Don Rúa proposte piú concrete, in grazia di due sorelle Scrami,
che destinavano una discreta somma a tale scopo. N'ebbe in risposta
che il progetto, cosi come lo presentava, era accettabile, ma non at-
tuabile fino al 1895; tuttavia fu invitato a Torino per daré maggiori
schiarimenti. Avuti questi, Don Rúa dichiaró che accettava, promet-
iendo di mandare i Salesiani entro il piú breve termine possibile.
Venne incaricato delle pratiche con le oblatrici l'Arciprete stesso, che
ci si mise di buona voglia e con buon criterio. L'Economo Don Sala
in una sua visita autorizzó il cominciamento dei lavori di costru-
zione sopra un'area appositamente acquistata. II fabbricato veniva
su grande e bello, sebbene un po' a rilento, non avendosi sempre da-
naro disponibile; ma il ritardo tornava gradito a Don Rúa, perche gli
dava tempo di p r e p a r a r e il personale occorrente. Nel giugno del 1896
era ultimato il braccio principale, sicché a ottobre si poté comin-
ciare. II Direttore Don Carlini aperse súbito l'oratorio festivo, al-
lesti alcuni laboratori e diede principio al ginnasio con le tre prime
classi. II Collegio s'intitoló di S. Davide, del quale il benemérito
Arciprete portava il nome.
Don Rúa visitó la Casa nel dicembre del 1897. Incontró festose
accoglienze anche da parte della cittadinanza, Volle vederlo puré il
Delegato di Pubblica Sicurezza. Gli disse Don Rúa: — Noi 'non fac-
ciamo politica. Nostro scopo é il bene, ed io mi sonó mosso per rac-
cogliere offerte a favore dei nostri orfanelli e delle nostre Missioni.
Ella sará annoverata fra i nostri benefattori. — Cosi dicendo, trasse
di tasca il taccuino e prese nota del suo nome. Tenne una conferenza.
che produsse grande impressione. Si lesse nel giornale cattolico (1):
(1) Verona Fedele, 9 (licombre IRQ7
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Fondazioni del 1896 in Italia
« La sua parola é quella di un santo. Fu una conferenza che com-
mosse. Don Rúa ci apparve l'uomo che senza arte, senza ricerca-
tezza, ma con una semplicitá tutta sua, con eloquio caldo sa trovare
le vie del cuore. »
II 1896 portó due fondazioni nel Lazio, in due dei cosi detti Ca-
stelli Romani. Una fu a Genzano, a pochi passi dal celebre lago di
Nemi. Delle chique Ispettorie d'Italia due solé avevano il Noviziato,
la Piemontese, che accoglieva puré gli ascritti di altre Ispettorie, e la
Sicula, come abbiamo veduto; in quell'anno l'ebbe puré la Romana e
J'ebbe appunto a Genzano. Fin da principio gli fiori accanto un rigo-
glioso oratorio festivo, affollatissimo di ragazzL ottima palestra ai gio-
vani chierici. Primo Direttore e Maestro fu Don Luigi Versiglia, il
Vicario Apostólico di Shiu-Chow, martire della carita. Uno dei mag-
giorenti, il nobile Flavio Jacobini, offerse il terreno, su cui edificare
la casa. Anche la Mons. Cagliero ricorse a uno spediente, riuscitogli
giá in America: propose al donatore che ne desse quanto ne avreb-
bero misurato cento suoi lunghi passi, che meglio avrebbe chiamato
salti, e quegli di buon grado acconsenti. Risultarono 2500 metri
quadrati. Due piissime sorelle Pagliaroli concorsero generosamente
nelle spese di costruzione.
Le occasioni, di cui si serví la Provvidenza per far sorgere quella
Casa, furono un terremoto e una gita scolastica. Nel gennaio del
1892 una fortissima scossa tellurica fece traballare il suolo, danneg-
giando fabbricati e spaventando la popolazione. Parve buono il mo-
mento per daré alia cittá una missione. Ando a predicarla il salesiano
Don Albino Carmagnola, oratore di grido. Dopo si parlava molto del
Salesiano e dei Salesiani. Nello stesso anno salirono da Albano, dove
terminava la linea ferroviaria, e penetrarono nella cittá incolonnati
e a suon di banda un duecento ragazzi dell'Ospizio del Sacro Cuore»
che da Roma face vano la loro annuale passeggiata scolastica. Tu tío
il giorno riempirono di allegria e di edificazione quella tranquilla
cittadina. Prima l'eloquenza del predicatore e allora la vista dei
baldi giovani colpirono i Genzanesi; da questo a volere lassü una
Casa salesvana fu breve il tratto.
Ma non furono cosi brevi le pratiche. Passarono due anni avanti
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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65.1 Page 641

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Capo XLIII
che si potesse collocare la prima pietra, benedetta dal Card. Parocchi,
Vescovo di Albano, dalla quale sede suburbicaria Genzano dipende.
Altri due anni durarono i lavori, sicché il 17 giugno 1896 Don Rúa
benedisse Fedificio. I Genzanesi, cordiali come sonó ed espansivi,
manifestarono rumorosamente la loro contentezza. Veramente, giá
mentre si fabbricava, andavano da Roma ogni sabato due Salesiani
a fare ¡'oratorio festivo; ma la comunitá non vi si stabili se non
nell'ottobre de] 1896, con 19 ascritti. A fianco del Noviziato si mise
poi anche lo Studentato filosófico. I chierici dovevano necessaria-
mente rinnovarsi di tratto in tratto; ma durava in immutato vigore
l'oratorio festivo, dal quale derivó un bene incalcolabile a quella
gioventú e possiamo diré anche a tutta la cittá.
II secondo dei Castelli Romani che accolse i figli di Don Bosco
nel 1896 fu il re dei Castelli, ossia F r a s e a n , altra delle sei sedi
suburbicarie. Li chiamó sulle amene pendici tuscolane il Cardinale
Vescovo Serafino Vannutelli. Egli aveva chiuso nel 1894 il Semi-
nario, ma con l'intenzione di riaprirlo sotto migliori auspici. Mosso
da questo desiderio, pregó l'anno dopo Don Rúa di accettarne per
la nostra Societá la direzione, a cominciare dall'ottobre 1896: « L'af-
fare e serio, scriveva il Procuratore D. C. Cagliero (1). Dir di no,
rincresce; dir di si, come si fa? » Don Rúa disse di si. II Cardi-
nale, riferendosi a tale promessa, gli scrisse il 31 ottobre 1895: « II
Clero di questa cittá e la parte piú distinta del laicato cattolico
hanno in questi giorni di nuovo affermato il vivo desiderio di ve-
dere quanto prima riaperto il Seminario sotto la direzione dei be-
nementi figli di Don Bosco.» Infatti 119 cittadini, fra cui figurano
alcuni nomi cospicui, firmarono un indirizzo a Don Rúa. esprimen-
dogli la loro gioia al vedersi cosi " in grado di procacciare ai loro
figliuoli una educazione cristiana e in pari tempo una efficace istru-
zione ". Donde si rileva che il Seminario nell'ordine inferiore delle
sue scuole aveva la forma di una scuola privata, soggetta quindi
alie Autoritá scolastiche governative e all'esigenza dei titoli richie-
sti per l'insegnamento.
(1) Lett. a Don Rúa, 19 novembre 1894.
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Fondcizioni del 1896 in Italia
Nella prima meta di maggio del 1896 fu stipulata fra il Cardi-
nale e Don Rúa una Convenzione, che in dieci articoli regolava
quanto concerneva le condizioni finanziarie, 1'amministrazione, Fin-
segnamento e la disciplina. Nelle due classi elementari superiori e
nel ginnasio erano ammessi anche alunni esterni, mediante il pa-
gamento di una tassa annua. In dette scuole avrebbero insegnato i
Salesiani, mentre la filosofía e la teología sarebbero riservate a in-
segnanti del Clero diocesano. Ai Salesiani spetterebbero interamente
ramministrazione interna, Feconomia domestica e la disciplina, sotto
la dipendenza del Vescovo.
Verso la fine di ottobre i Salesiani erano al loro posto: Direttore,
Don Tommaso Chiappello. Sua Eminenza li aveva accolti con la
piú squisita bontá e cortesía. II 5 novembre principiarono le le-
zioni. Ufficiavano puré una chiesa pubblica., annessa al Seminario.
Si presentarono all'alta cittadinanza con una solenne accademia in
onore del Cardinale dopo gli esami semestrali, di cui fu proclamato
allora pubblicamente Fesito, ricevendo congratulazioni a voce e per
la stampa; al popólo si presentarono in occasione del mese mariano
e della festa di Maria Ausiliatrice.
Tre Case furono aperte nel 1896 in tre principali cittá delFEmi-
lia, cioé a Ferrara, a Modena e a Bologna. Per Ferrara era arri-
vata una parola da Roma. Nel giugno del Í893 Don Rúa riceveva
dal Card. Rampolla una lettera del 31 maggio precedente, nella
quale gli si diceva: «É venuto a notizia del Santo Padre, che
V. S. Ill.ma, secondo i desideri del compianto Arcivescovo di Ferrara,
il Cardinale Giordani, si mostró tempo addietro disposto ad in-
viare in quella cittá alcuni membri della sua Congregazione per
assumere la direzione di un Collegio di fanciulli. Si é riferito in
pari tempo alia Santitá Sua, ció essere molto a cuore anche alFat-
tuale Vicario Capitolare dell'anzidetta Archidiocesi, alia quale, come
si assicura, tornerebbe di grande vantaggio Fopera dei Sacerdofi
Salesiani. Debbo quindi significarle per incarico di Sua Santitá che
vedrebbe Essa col massimo piacere tradotto al piú presto in esecu-
zione questo progetto. » Tali comunicazioni sogliono esprimere assai
piú che non dicano le parole. Le parole suonano desiderio che si
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Capo XLIII
faccia, ma pero vanno intese come se contenessero un preciso volere.
Esisíeva a Ferrara un Collegio S. Cario, che doveva la sua ori-
gine all'Arcivescovo Andrea Ferrari e il cui scopo era di racco-
gliere ragazzi, dai quali trarre allievi per il Seminario archidioce-
sano; ma con Fandare del tempo si rendeva sempre piú difficile
sostenerlo per difetto specialmente di soggetti adatti e all'insegna-
mento e all'assistenza degli alunni. II Direttore Don Andrea Baldi
venne a Torino da Don Rúa per pregarlo di assumere FIstituto,
dal quale si sarebbero ririrati tutti gli aspiranti al sacerdozio, la-
sciandosi libera la Casa, affinclié vi si avviasse un Collegio di ceto
medio. A Ferrara si mancava affatto di Istituti cattolici maschili.
II Direttore avrebbe ceduto assolutamente la casa, che era di sua
proprietá, libera da ogni impegno, mobiliata, ma senza rendite; si
sarebbe riserbati soltanto i debiti che rimanevano da soddisfare. L'e-
dificio era di buona costruzione, un po' fuori del centro, in posi-
zione sana e tranquilla, con cortile, loggia, orto, ambienti spaziosi
e illuminati, e tutto in buono stato. Don Rúa dopo varié conferenze
con Don Baldi fini dicendogli: — Per ora facciano loro da Sale-
siani; quando poi loro si troveranno in maggior bisogno e la no-
stra Congregazione potra disporre all'uopo, non mancheremo di dar
loro mano.
Parve giunto questo tempo nel 1892; perció il Direttore ricordó a
Don Rúa la promessa. Ma allora il sólito difetto di persónate im-
pedí che si venisse súbito all'esecuzione. Quegli rinnovó nel 1894
la domanda per incarico dell'Arcivescovo Card. Mauri: Don Rúa
rispóse con buone speranze fra due anni (1). Nell'aprile del 1895
Don Marenco, Vicario di Don Rúa per le Figlie di Maria Ausi-
liatrice, visito la casa e consiglió un ampliamento, che permettesse
di accettare almeno un centinaio di convittori; l'Arcivescovo vi fece
súbito mettere mano (2). Anzi, purché non s'indugiasse oltre, offriva
Faiuto di diecimila lire (3). Deliberatasi allora Fapertura, egli rin-
grazio con viva riconoscenza (4); anche Don Baldi, al quale sembró di
(1) Lcttcrc di Don Baldi a Don Rúa, Ferrara, 7 marzo 1892 e 8 diccmbre 1894.
(2) 11 med. al ined., lo maggio 1895.
(5) Lctt. a Don Rúa, 2 ottobre 1895.
(4) Lctt. del Scgretario a Don Rúa, 21 ottobre 1895.
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Fondazioni del 1896 in Italia
toccare il cielo col dito, si profuse in ringraziamenti a Dio, alia
Madonna e a Don Rúa, perché le lunghe preghiere fossero state
accolte (1). Venuto a morte pochi mesi dopo il Cardinale, l'Ammini-
stratore Apostólico Grazioli, giá Vescovo Ausiliare, si diede premura
di assicurare Don Rúa che nulla sarebbe rimasto in sospeso; pia-
cergli anzi che si facesse súbito ció che s'aveva a far presto (2). II
28 setiembre 1896 ¡'apertura del Collegio era un fatto compiuto (3).
L'opera comincíó con le elementari, il ginnasio inferiore e l'oratorio
festivo. Don Pietro Signorelli, primo Direttore, trovó in Mons. Gra-
zioli un benefattore insigne e in Don Baldi un consigliere prudente
e affezionato.
Modena abbondava di Cooperatori, frutto dei vari soggiorni di
Don Bosco, al quale soleva daré córtese ospitalitá il Conté Ferdi-
nando Tarabini. Fu la prima delle grandi citiá, in cui i Coopera-
tori organizzassero da sé una conferenza, secondoché vuole il Re-
golamento della Pia Unione. Avvenne questó nel 1879. Quei Coope-
ratori si dividevano in attivi e benefattori. Quelli attivi si occupa-
\\ano personalmente di opere giovanili, come oratorio festivo, cate-
chismi parrocchiali, biblioteca cattolica gratuita; gli altri si ob-
bligavano a una quota mensile e contribuivano nelle collette straor-
dinarie per sopperire alie spese. Si venne cosi preparando il terreno
ai Salesiani, desiderati e chiesti per lunghi anni a Don Bosco e al
suo Successore.
Quando parve non lontano il tempo, in cui i comuni voti sareb-
bero appagati, si costitui in seno ai Cooperatori un " Comitato Pro-
motore delle Opere di Don Bosco" alio scopo di predisporre uno
stato di cose, che permettesse di passare finalmente dal diré a!
fare. Anzitutto il Comitato deliberó l'acquisto di una casa, che pre-
sentava sufficiente ampiezza e comoditá di locali. Quindi lanció il
Io novembre 1894 un appello, accompagnato da u n a calda racco-
mandazione dell'Arcivescovo Borgognoni e insieme aperse una sot-
toscrizione per raccogliere fondi. Don Rúa, informato di cosi serie
(1) Lett. a Don Rúa, 29 novembre 1895.
(2) Modena, 20 marzo 1896.
(3) L?i Voce el el l'o per uio, 4 ottobre 1896.
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Capo XLIIl
disposizioni, fece all'Arcivescovo promessa fórmale, che avrebbe man-
dato i Salesiani nell'ottobre dell'anno successivo (1).
L'Istituto doveva cominciare assorbendo due opere coesistenti in
un Ospizio di beneficenza chiamato " Piccola Casa di S. Giuseppe ",
che aveva una Scuola professionale in embrione e una Scuola cat-
tolica per studenti elementari e ginnasiali. La Casa, sostenuta dalla
carita pubblica, versava in gravi angustie per difetto di personale,
Superiori inviati da Don Rúa diedero in parecchie visite opportuni
suggerimenti per la sistemazione dei locali. Del fabbricato dove-
vano avere la proprietá i Salesiani.
Questi vi s'installarono il 12 ottobre 1896. Era Direttore Don
Eugenio Armelonghi, uomo intelligente e attivo, di maniere simpa-
tiche, bravo predicatore. Egli seppe far amare Topera anche nel-
l'alta aristocrazia modenese. Don Rúa, pregatone, si compiacque
di concederé che si assumessero come aiutanti Don Enrico Adani,
che aveva portato fino allora il peso della responsabilitá dirigendo
e assistendo con zelo e con bontá paterna, e il Prof. Don Celeste
Ferrari, santo sacerdote, che aveva rappresentato le Scuole presso
TAutoritá scolastica (2). Tali scuole, avendo forma di Scuole pa-
terne, potevano sotto la passata legislazione essere rappresentate da
una sola persona, che possedesse titolo légale per l'insegnamento.
All'uno e all'altro era stato di valido aiuto il sig. Luigi Baracchi, che
aveva sostenuto un po' tutte le parti, facendo a tempo e luogo da
ecónomo, cassiere, assistente, infermiere, servo, operaio e fínanco
da direttore, avendo i due principali anche altre incombenze a
cui attendere fuori della Casa. Ritiratisi gli altri del vecchio per-
sónate, egli rimase, da tutti ben voluto e quasi sacerdote in abito
borghese.
Nel 1897 l'Arcivescovo diede novella prova della fiducia da lui
riposta nei figli di Don Bosco, affidando loro una Scuola di religione,
della quale scrivendo ai Parroci diceva: « La Scuola da Noi fon-
data avrá la sua sede nelFIstituto dei benemeriti Sacerdoti Sale-
en Loii. 9 setiembre 1895.
(2) Aiii del Cap. Sup. 26 maguió 1896.
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Fondazioni del 1896 in Italia
siani, che rendiamo grazie al Signore di aver potuto finalmente in-
trodurre in mezzo a noi, acciocché animati dallo spirito del vene-
rando loro Padre Don Bosco, ne continuino le opere a vantaggio
specialmente della cristiana gioventü. » I Salesiani, coadiuvati da
Cooperatori, nulla omisero per secondare le aspirazioni e le spe-
ranze del venerando Pastore.
A Bologna non bastava un Collegio come i precedenti, ma era
necessario un Istituto che fosse degno della grande metrópoli emi-
liana. L'inaugurazione ufficiale si fece nel 1899; i Salesiani pero vi
lavoravano giá da tre anni. Nel Congresso del 1895 nessuno pote va
dar torto a' suoi promotori, se, mentre lo scopo genérale dello straor-
dinario convegno era d'illustrare, dinanzi a rappresentanti interna-
zionali, le Opere di Don Bosco, essi vi univano l'intento particolare
di trame vantaggio per una fondazione salesiana nella loro cittá.
E certo i Bolognesi, venuti a conoscere meglio la natura, l'oppor-
tunitá e l'efficacia delle Istituzioni di Don Bosco, anelavano di ve-
derle trapiantate in mezzo a loro, disposti a favorirne il disegno. Né
l'Eminentissimo Svampa, ideatore e anima del Congresso, aveva fatto
mistero del suo desiderio circa quel proposito.
Quanto possono le impressioni giovanili! Seminarista quindi-
cenne, il futuro Cardinale di Santa Chiesa. incontratosi con Don
Bosco, n'era rimasto affascinato, né mai piú se ne poté togliere
dalla mente il ricordo. Ricordo non sterile, ma fattivo. D'allora
in poi leggerne i libri, cercar di conoscere la sua vita, parlare di lui
in ogni occasione divenne quasi un bisogno del suo spirito. Tal i
disposizioni d'animo grandeggiarono quando fu Vescovo di Forli
e Arcivescovo di Bologna. Appena nominato a questa sede, concepi
l'idea di darle un grande Istituto salesiano. Con tale pensiero in
mente, profittando deH'occasione offertagli dal Congresso Eucari-
stico di Torino, gradi l'ospitalitá dell'Oratorio, per procacciars:
presso la culla della Societá una conoscenza esatta e pratica delle
Opere di Don Bosco; poi, di ritorno a Forli, poco prima di andaré a
prendere possesso dell'Archidiocesi felsinea, scrisse a Don Rúa (1):
(1) Forli, 7 setiembre 1894.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XLIII
« lo spero che Don Bosco dal Paradiso mi riguardi come uno de*
suoi figli, e che mi dará a Bologna la sospiratissima consolazione di
vedere impiantata la sua opera per la salvezza dei poveri figli del
popólo. » E poco dopo l'ingresso, scrivendo al medesimo Don Rúa
di una prossima conferenza salesiana (1), manifestava la sua viva
brama che in tale occasione si gettassero le prime basi di un im-
pianto e soggiungeva: « Spero che Ella mi secondi e mi consoli
colla sua ben conosciuta ed apprezzata bontá. » Infine al chiüdersi
del Congresso strappó a Don Rúa la pubblica promessa che gli
avrebbe mandato sollecitamente i Salesiani.
Don Rúa era tanto risoluto a mantenere la data parola, che nel
marzo del 1896, ignaro di quanto erasi giá fatto a Bologna, usci in
queste espressioni con il Cooperatore bolognese Don Pederzini. re-
catosi a visitarlo (2): « A Bologna che si sta facendo per i Sale-
siani? Dopo il Congresso che riusci meraviglioso, imponente, piú
poco io ho saputo. Si é parlato, é vero, di San Carlino e di qualche
altro posto, ma niente si é concluso. Dica puré al Signor Cardinale
che sonó dolente che a Bologna non si sia ancora fatto nulla, ni en-
tre in tante altre cittá abbiamo giá iniziato con felice esito Topera
nostra. Si, glielo dica puré apertamente che io non mi atiento piú
a passare per Bologna, e non vi passeró finché non vi sia aperta
una Casa salesiana. » Chi conobbe Don Rúa, indovina il tono fa-
ceto, con cui furono dette da lui queste parole.
Ma ecco quanto si era giá fatto. Sull'avanzo del Congresso erasi
prelevata una somma da assegnarsi come primo fondo per l'im-
pianto di una Casa salesiana. Questo pero sarebbe stato poco. Di-
scioltosi il Comitato Promotore del Congresso, era stato con le stesse
persone costituito un " Comitato per l'erezione di un Istituto Sa-
lesiano in Bologna ", e tale Comitato andava in cerca di una casa
o di un terreno adatto. Dopo quella specie di intemerata fatta da
Don Rúa il Segretario del Comitato Mons. Carpanelli lo pregó di
mandare a Bologna un uomo pratico, che il Comitato stesso avrebbe
(1) Bologna, 11 novembre 1894.
(2) La riferisce il Dircttore dei Cooperatori Mons. Carpanelli in una lettcra a Don Rúa dvl
28 marzo 1896.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Fondazioni del 1896 in Italia
cercato d'illuminare e di aiutare per il raggiungimento dello sco-
po. « COSÍ, conchiudeva Monsignore (1), la cambíale da Lei accet-
tata nel Congresso, che corre grande pericolo di rimanere in soffe-
renza, comincerá dopo un anno ad essere pagata. » Ando l'Economo
genérale Don Luigi Rocca. Parve il miglior partito l'acquisto di
un terreno fuori porta Calliera, in quartiere operaio e in prossi-
mitá della stazione céntrale.
Don Rúa aveva accennato a San Carlino. Ecco di che si trat-
tava. 11 Cardinale, persuaso che a stimolare la generositá dei Bo-
lognesi nulla valesse piú del cominciar a fare. ritenne conveniente
che si desse súbito principio ad un oratorio festivo, destinando a
tal uopo la chiesa dei Santi Ambrogio e Cario, detta di San Car-
lino. Don Rúa, non appena fu informato che il luogo era pronto,
invió nell'ottobre del 1896 Don Cario Viglietti, Tultimo segretario
di Don Bosco dal 1883 al 1888. La Marchesa Zambeccari ammobi-
lió l'abitazione e ne paga va il fitto; rnani caritatevoli, per lo piü mi-
steriose, somministravano il pane quotidiano, poiché la entro man-
cava quasi tutto.
Don Viglietti aperse ivi l'oratorio nel di dell'Immacolata. Súbito
al primo giorno accorsero non meno di 300 ragazzi, il qual numero
ben presto si raddoppió. II Cardinale mandava chierici del Semi-
nario in aiuto; piú tardi si unirono loro anche studenti universi-
tari. Cera palestra, teatrino, scuola di canto, anche scoletta di la-
tino per aícuni giovanetti poveri chiamati alio stato ecclesiastico;
ma soprattutto catechismi, funzioni religiose, sacramenti. In meno
di quattro mesi nel sobborgo si notava una sensibile trasforma-
zione morale (2). La sera di Pasqua un fatto causó tristezza, ma poi
arreco gioia. II fanciullo Ferruccio Zambonino, cadendo malamente
dalla giostra, si fece una grave ferita alia lingua. I suoi compagni
furono condotti in chiesa a pregare Maria Ausiliatrice, e rindomani
il ragazzo tornó all'Oratorio risanato. Si vide in ció una prova della
benedizione di Dio. II Cardinale si compiaceva d'aver scritto a Don
(1) Lett. ci't.
(2) Aooenire (Vitalia, 3 aprile IS97.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XLIU
Rúa (1): « Dopo aver ringraziato Iddio e la Madonna, vengo a rin-
graziare l'ottimo e amabilissimo Don Rúa, che ha fatto un vero e
grosso regalo a Bologna, mandandoci l'egregio Don Viglietti ad ini-
ziare Topera salesiana. É una vera perla di sacerdote e un de-
gno figliuolo di Don Bosco. Tutti noi abbiamo apprezzato le sue
virtú, e ci ripromettiamo assai dalla sua carita e dalla sua pru-
clenza. »
A San Carlino dunque si lavorava sul serio, né Bologna rima-
neva a tal vista indifferente. Le offerte per l'erigendo lstituto ve-
nivano. Ne vennero ancor piü dopo una conferenza in S. Dome-
nico, nella quale alia presenza dell'Arcivescovo e di vari Prelati,
di molto clero e di moltissimi signori e signore Don Vigüetti espose
con candida ed efficace eloquenza che cosa intendevano di fare i
Salesiani a Bologna. Era entrato negli uditori il convincimento, che
in cittá le opere benefiche a pro della gioventü bisognosa non erano
piü sufficienti, dato lo sviluppo della popolazione e il mutamento
delle condizioni sociali, ma richiedersi qualche cosa d'altro, qual-
che cosa di nuovo e adatto ai tempi, e questo qualche cosa poter
essere appunto un'Lstituzione di Don Bosco.
Intanto fuori porta Galliera gli sterratori facevano nel suolo i
primi scavi per le fondamenta. Un'area di circa 18.000 metri qua-
drati, acquistata per 52.000 lire, fu pagata con poche oblazioni, tre
solé delle quali raggiunsero la somma di lire 40.000, cioé 20.000
della Contessa Donini, 10.000 del Cardinale e 10.000 della Marchesa
Zambeccari. L'intero fabbricato doveva riuscire vastissimo ed ele-
gante; ma lo si sarebbe costruito a poco a poco, limitando in un
primo tempo i lavori a circa meta del braccio principale. con un
preventivo di 700.000 lire (2).
La posa della prima pietra, compiutasi il 22 febbraio 18()7, ri-
vesti un carattere speciale per le persone intervenute, per le cose
dette e per gli effetti conseguiti. Un particolare che saltó súbito
(1) Bologna, 23 novembre 1806.
(2) Lunghczza totale della fronte 145 metri, larghezza 15, altezza 22. Stile misto. Braccio trasver-
í a n di 80 metri fia due cortili destinato ai servizi. Fabbrichctte minori da lato per l'oratorio festivo
Cliicsa romántico-bizantina, lunga 60 metri. Tutto in mattone, sccondo la tradizione pacsana.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Fondazioni del 1896 in Italia
agli occhi di tutti fu il trovarsi ivi unite, come forse mai dal 1859
in poi a Bologna, le Autoritá civili con le ecclesiastiche. II Ministro
delTInterno aveva telegrafato al Prefetto di tutelare con deferenza
la cerimonia; inoltre i due supremi Presidenti della Magistratura vi
parteciparono in persona. Intervenne Don Rúa. che, alia vigilia, di-
nanzi ai numerosi uditori d'ogni ceto, sotto la presidenza del Car-
díñale, nella chiesa della Trinitá, parló di Don Bosco, del suo si-
stema educativo e dell'opera bolognese. Quella sera i giovani del-
l'oratorio di San Carlino recitarono le Pistrine di Don Lemoyne,
presentí il Cardinale, Don Rúa e molti deH'aristocrazia. II di ap-
presso si svolse la cerimonia. Faceva immensa corona al Cardinale,
al clero e alie personalitá una moltitudine di diecimila persone. II
Cardinale tenne un'allocuzione senza fronzoü, buona a conoscersi
per il suo contenuto documentario (1).
II fondamento morale dell'Istituto Salesiano a Bologna fu posto nelTaprile del
1895, quando fu tenuto il Congresso internazionale dei Cooperatori Salesiani. In
que! fausto avvenimento di sempre cara memoria, Bologna ebbe tutto l'agio di com-
prendere e veramente comprese Topera salutare e benéfica déH'immortale Don Bosco.
Fu allora che in tutti i cuori sorse vivo il desiderio (del quale io stesso mi feci in-
teiprete) di avere fra di noi i figli di quel grande Benefattore deü'umanitá, a van-
taggio del popólo, a salute della gioventú.
E questo desiderio si convertí in aspettazione ansiosa, quando il venerato Don
Rúa, degno successore di Don Bosco, diede pubblicamente e solennemente la sua pa-
rola che, nell'anno seguente, i Salesiani sarebbero a Bologna. Quella promessa fu
mantenuta.
Nello scorcio del 18% i Salesiani erano a Bologna e iniziavano a San Carlino
Topera loro a vantaggio di piü che seicento fanciulli. Omai il tempo é maturo. Pieni
di fede in Dio c sicuri delle simpatie universali della nostra cittá, noi osiamo dar
oggi principio ad una impresa ben grande, collocando la prima pietra d'un vasto
Istituto, nel quale come in arena adeguata, Tazione salesiana si svolga in tutta la
sua pienezza e riveli tutta la sua efficacia.
lo sonó ben lieto di vedere che questa cerimonia, presagio di piü Iieto avvenire,
ha destato Tinteresse di tutta la cittá, e si compie in mezzo a tanto popólo che ac-
corse numeroso malgrado la contraria stagcione.
Son felice di veder presente la pubblica autoritá giudiziaria, alia quale porgo
vivi ringraziamenti.
(1) Pubblicata nel 2o vol. di Venii anni di Episcopaio del Card. Domenico Soampa, Bologna,
Garognaní, 1908.
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66.1 Page 651

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Capo XLIII
Mi é grato in particolare di veder qui il dotto e valente giureconsulta, che,
inaugurando testé l'anno giuridico, iamentava giustamente raumento del la delin-
quenza dei minorenni, ed esprimeva il voto che a sanare questa terribile piaga cre-
scente sorgessero provvide istituzioni educatrici degli abbandonati figli del popólo,
lo sonó sicuro che cosi egli, come tuíti gli altri che sonó presenti, benediranno in
cuor loro ai nostri intendimenti, e affretteranno col desiderio il giorno in cui il no-
bile e santo scopo sará finalmente raggiunto (1).
L'edificio, che noi vogliamo qui costrutto, é símbolo di ristorazione morale della
societá, che deve esser rifatta dai suoi fondamenti, ossia nell'etá giovanile, e deve
tornare onesta e virtuosa basandosi sulla pietra fondamentale di ogni moralitá e
gmstizia, che é Gesú Cristo.
Finché Gesü Cristo non rientri nelle officine, nelle scuole, nelle istituzioni, nei
costumi, negli animi, insomma in tutte le fibre sociali, é follia sperare onesta di
vita, fermezza di carattere, abnegazione, carita, eroismo, osservanza dei doveri re-
ligiosi, domestici, sociali. Don Bosco ben comprese questa veritá e senza pompa di
teorie astratte, mosso solo dalla carita e dallo spirito di Gesü Cristo, in questa
carita e in questa spirito trovo il segreto di formare giovani alia virtü, e fu il
primo educatore non solamente d'Italia, ma di tutto il mondo civile. E i figli di I ni,
che raccolsero la preziosa ereditá de' suoi esempi, del vero método educativo e delle
sue dottrine, nell'erigendo Istituto Bolognese cureranno con zelo e con amore la
saggia educazione dei figli del nostro popólo, e prepareranno a Bologna una gene-
razione migliore.
Forse alcuno domanderá se, prima di gittare la pietra fondamentale, noi ci
siamo assisi in consiglio, ed abbiamo verificato se siano in pronto i mezzi necessari
per la non facile impresa. A chi ne rivolgesse tale domanda, francamente rispon-
diam^ che noi, invece di assiderci a consiglio, ci siamo inginocchiati dinanzi a
Dio: Lo abbiamo pregato con tutta í'umiltá del nostro cuore: abbiam confidato
nella sua Provvidenza, in quella Provvidenza che é tanto piü larga, quanto piü urge
il bisogno e quanto é piü fiduciosa la speranza che in Lei si ripone. A noi, dopo aver
pregato, parve certa che Iddio fosse con noi, e che non ci avrebbe abbandonati a
meta dell'opera.
Con questa fede ci accingemmo coraggiosamente all'impresa. I Bolognesi sa-
ranno i ministri visibili della Provvidenza divina a cui ci appoggiamo. Essi ci aiu-
teranno, come abbiamo giá incominciato a sperimentare, persuasi che l'Istituto
Salesiano sará una gloria di questa cittá, un rifugio de' poveri figli del popólo, il
palladio di salvezza della gcnerazione crescente.
Animati perianto da santi intendimenti, e confortati da legittime speranze, noi
poniamo la prima pietra fondamentale dell'Istituto Salesiano nel nome della SS.ma
Trinitá, sotto gli auspici della B. Vergine di S. Luca, che dai suo Santuario ci sor-
(1) Allude al Comm. Cario Lozzi, Procuratore genérale. Egli nel gennaio dell'anno seguente, nel-
Tanaloga circostanza, esaminando le forme, le cause c i ninedi della crescente delinquenza ricordo
con grato animo l'Istituto Salesiano, sotto licti auspici fondato in Bologna, perché tutto dedito alia
preservazione dei figli del popólo da quella precoce corruzione che é insanabile e produce i grandi
malfattori.
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Fondazioni del 1896 in Italia
ride e benedice, colla protezione di S. Petronio, principale Patrono della cíttá di
Bologna, e con un riverente saluto alio spirito immortale di Don Bosco, che aleggia
ira di noi, ci rivolge il paterno suo sguardoe ci assicura che il suo celeste favore
non ci mancherá mai.
Compiute le solite formalitá, Sua Eminenza invió un telegramma
al Papa, implorando Tapostolica benedizione sull'opera intrapresa.
Quindi il Comitato Promotore convocó le piú elette dame e signore
bolognesi alio scopo di costituire un Comitato femminile. II Car-
dinale, che assistette con Don Rúa all'adunanza, disse fra l'al-
tro (1): « Don Rúa ha acquistato il diritto di essere riconosciuto uno
dei principali benefattori di Bologna, col mandare qui i suoi figli
e col prendere tanta cura dell'Istituzione Salesiana fra di noi. In
questo io son sicuro d'interpretare Panimo della Diócesi intera e di
Bologna, che senté profundamente in cuore tutta la gratitudine per
Don Rúa, Padre dei Salesiani, per Don Viglietti che ha iniziato
Topera con tanto cuore ed abnegazione, per Don Rocca che in abi-
litá técnica é certamente una delle migliori ruóte della gran mac-
china salesiana. »
Altre iniziative sbocciarono dopo la cerimonia. II Comitato no-
minó una Commissione speciale, che in ogni parrocchia eercasse
persone disposte a recarsi di casa in casa per chiedere Tobólo Un
" Appello ai cittadini e diocesani di Bologna per TIstituto Sale-
siano", recante il disegno delTArchitetto Collamarini, fu diffuso a
migliaia di copie. UAvvenire d'Italia, diretto dal Márchese Cri-
spolti e amministrato dal Conté Grosoli, tenne aperta una sotto-
scrizione, che si protrasse fino al 28 gennaio 1900. In tale circo-
stanza si toccó quasi con mano, che il popólo bolognese era tutto.
si puó diré, cooperatore salesiano.
Ferveva giá da otlo mesi la vita nella parte edificata, quando
il 30 maggio 1899 se ne fece dal Cardinale, assistito da Don Rúa,
la solenne inaugurazione. I convittori fra studenti e artigiani era no
220. II popólo chiamava quella Casa la Casa del miracolo: difatli
era sorta come per incanto. Dei progressivi ampliamenti non é qui
(J) ADoenire d'Italia, 23 febbraio 1897.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XLIII
il luogo di parlare. AUorché il 14 giugno 1901 fu collocata la pietra
fondamentale della chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesú, il Car-
dinale disse nel suo discorso: « L'Istituto Salesiano e il Tempio del
Sacro Cuore realizzano nel mió pensiero un passo avanti nel pro-
gresso del bene: son quasi il segnale di nuova alleanza fra il cielo
e la térra nella diócesi bolognese. »
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

66.4 Page 654

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CAPO XLIV
Fondazioni del 189? in Italia.
(Alessandria, Pavia, Sondrio, Pisa, Iesi, Terranova-Gela, Pedara, Caserta)
Don Bosco in fronte al Bollettino Salesiano aveva scritto di su o
pugno le parole evangeliche: Messis quidem multa, operarii autem
pauci. II detto si suole applicare alie terre degli infedeli; ma egli
evidentemente lo estendeva puré ai paesi cristiani, perché delle
une e degli altri si occupava l'organo dei Cooperatori. Anche
presso di noi infatti abbondava la messe di anime, alia cui salvezza
non erano troppi davvero gli operai del Signore. Certo nel campo
affidato dalla Provvidenza alia Societá Salesiana non bastavano mai
i lavoratori, da tante parti salivano le invocazioni di aiuto spe-
cialmente per salvare la gioventú. Don Rúa nella lettera annuale ai
Cooperatori, dando contó delle opere intraprese nel 1897, scriveva (1):
« II timore di vederci crescere intorno una generazione priva dell'i-
nestimabile beneficio della fede cattolica, il desiderio di paralizzare,
per quanto torni possibile, le mire degli empi, che vorrebbero ban-
dir dalla mente della gioventú l'idea d'un Dio e d'una eternitá, sug-
geriscono a molti Vescovi e Sacerdoti ed a pii secolari il pensiero
di associare i Figli di Don Bosco ai loro lodevoli sforzi ed alie loro
sollecitudini per operare il bene. Di qui quelle numerosissime pro-
poste che ad ogni momento ci vengono fatte, di aprir qua e la no-
velle Case Salesiane. » Sfogliando incartamenti dei nostri archivi, si
vede in modo impressionante quanto la penuria di personale legasse
le mani al Successore di Don Bosco, obbligandolo ogni anno a mul-
tiplicare oltre ogni credere le risposte negative. Otto richieste sol-
io Boíl. Sal., gcnnaio 1898, pag. 3.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XL1V
tanto egli aveva potuto esaudire in Italia nel 1897, aprendo otto
Case disseminate a larghe distanze, dal Piemonte alia Sicilia. Due
la vincono in importanza sulle altre sei: la prima e l'ultima, di cu i
parleremo in questo capo.
Nel 1871 l'agostiniano P. Capecci, prevosto della Consolazione a
Genova, incontrato Don Bosco che stava per cominciare la sua opera
a Marassi, sobborgo della cittá, gli rappresentó il bisogno di un
suo istituto o almeno di un oratorio festivo ad Alessandria, dov'egli
si recava spesso e vede va turbe di ragazzi in giro per le strade.
Don Bosco, che puré conosceva molto bene le condizioni della gio-
ventü alessandrina, lo assicuró che col tempo si sarebbe fatto anche
la qualche cosa. Passarono 26 anni, e qual non fu la sorpresa del
detto Padre, quando, nominato nel 1897 Vescovo di Alessandria, vide
in quell'anno medesimo aprirsi cola l'oratorio festivo e quale la
sua contentezza due anni dopo nel benedire l'annesso Istituto! En-
trambi i suoi voti restavano cosi appagati.
Ad Alessandria i Salesiani erano da tempo vivamente desiderati.
Giá il Vescovo Salvai avrebbe voluto mettere nelle loro mani il
Convitto vescovile di S. Chiara; ma per buoni motivi bisogno lasciar
cadere la proposta. Piü tardi s'incalzavano insistenze accompagnate
da promesse di offerte per una fondazione salesiana. Don Rúa non
ignorava l'antica parola di Don Bosco; ma per sapere se fosse venuta
Tora, volle interpellare il Cooperatore Conté Giulio di Groppello,
che. essendo alessandrino, conosceva bene l'ambiente, se giudicasse
opportuna la cosa. II Conté gli rispóse che la credeva non solo op-
portuna e utile, ma assolutamente necessaria, dato l'abbandono in cui
vivevano i figli del popólo e la depravazione delle piü umili classi
sociali; una Casa salesiana sarebbe stata una provvidenza (1). Un
altro Cooperatore, l'ingegnere Alberto Buffa, ribadendo il medesimo
concetto, aggiungeva che a motivo degli elementi corrotti in cui
crescevano i fanciulli, se non andava in soccorso la Congregazione
salesiana. fra vent'anni si sarebbe avuta una generazione di gente
senza fede e senza costume (2).
(1) Lett. a Don Rúa, Zinasco Nuovo (Lomellína), 30 oltobre 1895.
(2) Lett. al metí., Alessandria, 9 novembre 1895
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Fondazioni del 1897 in Italia
Nel 1895 d u n q u e si costitui, sotto la presidenza onoraria del Ve-
scovo e la eífettiva del Vicario Genérale Vittorio Rolla, un Comitato
per raccogliere i fondi occorrenti all'apertura di un oratorio fe-
stivo, sospiro del clero alessandrino. Una sottoscrizione per azioni da
lire 500 caduna ebbe súbito un esito rassicurante. D u e conferenze sa-
lesiane tenute verso la meta di giugno del 1896 portarono, come si
dice, legna al fuoco. Tostó Don Rúa pronunció l'ultima parola, che fu
la promessa di un oratorio festivo. Allora il Comitato fece acquisto di
un lócale, una vecchia filanda, che, convenientemente adattata, fu
fatta passare in proprietá alia Congregazione con atto di vendita.
ínoltre il Can. Giuseppe Villa cedette molto opportunamente ai Sa-
lesiani una sua chiesina, dedicata alia Madonna di Monserrato. I Sa-
lesiani vi andarono nel maggio del 1897. Mentre l'oratorio dava fiori
e frutti in sempre maggior copia, gli si elevava di fianco il Collegío.
che nel 1898 cominció ad accogliere alunni interni di ginnasio e delle
due classi elementari superiori. Nella prima visita che Don Rúa fece
alia Casa tre anni dopo Fapertura, il Vescovo dinanzi a lui e di-
nanzi a buon numero di cittadini dichiaró con immensa soddisfazione
che egli vedeva per opera dei Salesiani migliorare la sua gioveníü
raccolta nell'istituto e nell'oratorio festivo (1).
S. Bernardo, prevenendo leggi piü recenti della Chiesa, benedi-
ceva chi aveva abolito Casette religiose, nelle quali vivevano cosi
pochi individui da non poter formare quella che si dice una comu-
nitá; il Santo sapeva bene quanto fosse impossibile la regolaritá in
siffatte condizioni (2). Eppure si danno tuttora circostanze, che met-
tono i Superiori nella necessitá di tollerare fondazioni con uno, due,
tre soggetti, sebbene sempre col voto tácito od espresso che, tolte
di mezzo le cause, si possa provvedere alia normalitá della vita
comune. É il caso di Pavia, per il quale pero, nonostante i tentativi
in contrario, le cause persistettero e persistono.
Da piü di tre secoli i Pavesi veneravano grandemente un san-
tuario dedicato alia Madonna delle Grazie. La bellissima chiesa, af-
fidata giá ai Carmelitana, dopoché questi monaci vennero espulsi nel
(1) Boíl. Sal, giugno 1900, pag. 190.
(2) Ep. CCLIV, 1.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

66.7 Page 657

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Capo XL1V
1799, cadde in mani profane, che ne fecero il mal governo. U ce-
lebre Vescovo Tosi la riscattó e la restituí al culto nel 1824; ma era
in condizioni pietose. Un altro Vescovo non meno celebre, Agostino
Riboldi, curatine i piü urgenti restauri, pensó a chiamarvi i Sa-
lesiani. Le prime pratiche, rimaste infruttuose, risalgono al 1888. In-
tanto, organizzatisi nella cittá i Cooperatori, Monsignore mandó a
Torino nel 1897 il loro Direttore diocesano Don Francesco Mariani,
prevosto del Carmine, a ritentare la prova. Lo zelante sacerdote
tornó a Pavia pieno di giubilo per aver strappato a Don Rúa una
fórmale promessa. Mons. Riboldi era tale un Prelato, che parve duro
non secondarne i disegni; vi si aggiungeva il numero e la qua-
litá dei Cooperatori, che alie porte di Milano facevano sentiré il
loro influsso anche nel centro della provincia salesiana lombarda,
ed essi appunto premevano, affinché i Salesiani si stabilissero presso
il loro caro santuario. NelPottobre dunque di quell'anno fu mandato
alie Grazie Don Luigi Porta con un chierico ed un coadiutore. i
quali col servizio della chiesa si addossarono puré l'oratorio festivo,
dedicato a S. Teresa. Noi non possiamo oggi non ammirare la pa-
zienza di quei primi Salesiani, che per cinque anni seppero soste-
nere, oltre i disagi della povertá, anche noie e ostilitá di vario
genere, diportandosi ognora con calma e dignitá. II ridestarsi della
divozione alia Vergine delle Grazie avvicinó loro a poco a poco la
popolazione, che, quanto piü li conosceva, tanto piü li apprezzava e
li amava. Prodigi di bene operava l'oratorio. II Vescovo, che nel
periodo cruciale li aveva sempre confortati con manifestazioni di
fiducia, non li dimenticó neppure da Arcivescovo di Ravenna e Car-
dinale, finche, morendo nel 1902, volle che la sua salma venisse
tu mu lata presso di loro nel santuario delle Grazie. Da molti anni
Don Árese é diventato a Pavia quasi un'istituzione.
Un altro collegio venne aperto nel 1897 in Lombardia, a Son-
drio. Gran propulsore fu il cooperatore Don Miotti con l'appoggio
del Vescovo di Como Valfre di Bonzo, Ordinario del luogo, e con
lo stimolo del Metropolitano Card. Ferrari. Entrambi i Prelati guar-
da vano con interesse speciale a quel comune, il quale, rara avis, aveva
una rappresentanza municipale quasi tutta di parte cattolica. II Sin-
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66.8 Page 658

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Fondazioni del Í897 in Italia
daco, Avv. Toccalli, grande galantuomo, sollecitando Don Rúa ad
*' appagare il piú presto e il piú largamente possibile i desideri"
della cittadinanza, gli scriveva nel settembre del 1896: « In tutta
la Valtellina non avvi un solo ricovero per l'infanzia abbandonata,
e questa Sondrio, che io ho l'onore di rappresentare, creda, ha as-
soluto ed estremo bisogno dell'opera dei Salesiani. » Un Comitato
promotore, come abbiamo visto piú volte altrove, raccolse 30.000 lire,
che bastarono per costruire Tala principale di un ampio edificio,
condotto poi a termine pochi anni dopo.
L'opera non trovó súbito la sua forma definitiva. I Salesiani, giunti
a Sondrio il 18 ottobre 1897, rilevarono un oratorio festino, tenuto
fino allora da alcuni sacerdoti della cittá, presso una chiesa di San
Rocco, che sorgeva sopra una parte del terreno ceduto ai Salesiani
per l'erezione del Collegio. Poi nel corso del primo anno accolsero
una quarantina di alunni interni, che erano fra i piú poveri, con-
segnati loro dai dirigenti il Comitato. Ma ben presto si vide che
mancavano affatto i mezzi per il loro mantenimento; quindi col
consenso del medesimo Comitato si cambió indirizzo allTstituto, so-
stituendo all'orfanotrofío il corso elementare e il ginnasio inferiore.
Ma anche cosi non si concludeva gran che; onde il Comitato pro-
pose ed i Superiori approvarono, che si facesse un pensionato per
studenti di ginnasio, liceo, scuole tecniche e istituto técnico. 11 Col-
legio sotto questa forma prese súbito vita, di modo che fu possi-
bile rimettere in ordine la chiesa alquanto malandata e ultimare
la fabbrica. Quei Confratelli, se vollero daré il conveniente sviluppo
materiale alia Casa, si dovettero sottoporre a lunghi sacrifici, com-
pensati, se non dalla comprensione di tutti, certo dai buoni risultnti
morali e didattici, che ottenevano dai convittori, affluenti da tutta
la regione.
Commuove laccento accorato, con cui da Pisa si prega va e scon-
giurava Don Bosco di mandare Salesiani in quella cittá. Le lettere
cominciano dai 1880. Era il santo Arcivescovo Micaleff, che, vecchio e
accidéntate: — Venga, venga Don Bosco, esclama va, e intoneró il
Nunc dimittis. — Erano due Gesuiti, il P. Bardocchi e il P. Gon-
nella, che a voce e per iscritto gli rappresentavano i bisogni re-
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Capo XL1V
ligiosi di Pisa. Erano piü di tutti i Cooperatori, specialmente il
Servo di Dio prof. Toniolo, che s'ingegnava di concertare con essi
il modo di affrettare la sospirata venuta. Anche le Suore della Vi-
sitazione supplicavano " con le lacrime agli occhi", mostrando la
necessitá di neutralizzare il deleterio lavorio dei protestanti. Che
diré poi del nuovo piissimo Arcivescovo Capponi? Egli nel 1887,
rispondendo ai ringraziamenti di Don Bosco per la cordiale ospi-
talitá da lui concessagli nel suo ultimo ritorno da Roma, lo rin-
graziava a sua volta con la massima effusione della promessa avu-
tane di appagare il suo desiderio circa la fondazione di un Istituto
salesiano, dal quale si aspettava immenso vantaggio a tanti poveri
giovani. Deus et dies! scriveva egli, manifestando la sua fiducia nel-
Faiuto di Dio e nel beneficio del tempo, che avrebbe permesso di
trovare il personale allora mancante. Ma, avvenuta pochi mesi dopo
la morte di Don Bosco, il tempo parve ben lungo al suo aspettare.
Nel 1896 ecco finalmente presentarsi u n a propizia occasione, che
il Toniolo fu pronto a cogliere. Scriveva il 2 luglio al Direttore
della Casa di Lucca: « Finalmente sembra che la Provvidenza voglia
soddisfare uno degli ardenti voti dei Cattolici pisani. » Era posta
in vendita una casa ampia, nel centro della cittá, contigua alia
bella chiesa di S. Eufrasia. Per mezzo del Professore la signora
Maria Mannini, donna pia, caritatevole e colta, fece sapere a Torino
di essere disposta ad acquistarla per Topera salesiana. Le pratiche
si svolsero con la massima celeritá e segretezza per il timore che
si presentassero altri concorrenti, facendone salire il prezzo. In pari
tempo l'Arcivescovo promise di affidare ai Salesiani l'ufficiatura di
detta chiesa, che tornava opportunissima per l'oratorio festivo. E
dall'oratorio non solo festivo, ma quotidiano diede cominciamento
all'opera il Direttore Don Chiarinotti, che con pochi altri confratelli
arrivó a Pisa nell'ottobre 1897. Egli aperse inoltre scuole elementan,
scuole serali per piccoli operai analfabeti ed una librería onorata
del titolo di arcivescovile. Si ando avanti in questo modo fino al 1907.
Allora, avendo il Comune provveduto piü largamente alie scuole ele-
mentan, queste vennero chiuse, dandosi invece sviluppo maggiore
alie serali, frequentate da oltre cento alunni, ai quali, divisi in
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Fondazioni del 1897 in Italia
tre corsi graduati, la Casa somministrava gratuitamente tutto il ne-
eessario in libri e carta. Continuarono queste scuole fino all'entrata
deiritalia nella guerra europea, quando il lócale fu trasformato in
Casa del soldato, primo esempio di si utile istituzione nel periodo
bellico. Dopo Ari sottentró il pensionato per studenti di scuole supe-
riori, accorrenti da ogni parte in quel centro di studi che é Pisa, e
bisognosi assai di chi li preservi da facili e gravi pericoli. In tanti
mutamenti non mutó mai, se non in meglio, Tora torio.
Nelle Marche l'apertura delle Case di Macerata e di Loreto sve-
glió a Jesi una specie di gelosia, che riaccese in quella importante
cittá marchigiana il desiderio di avere essa puré i Salesiani. Ho detto
riaccese, perché un buon Canónico Bosi ne aveva giá trattato con
Don Bosco nel 1886, ricevendone incoraggiamento e promessa. Ac-
caduta poi la morte del nostro Santo, egli non cessó mai di perorare
la propria causa, finché nel 1894 volle quasi tentare la Provvidenza.
Aiutato da buoni cittadini, si accinse arditamente a fabbricare. Era
sua intenzione di preparare il luogo per un oratorio festivo e per
un convitto di artigianelli con i tre mestieri fra i piú utili alia vita
dei fígli del popólo, cioé sarti, calzolai e falegnami. Nel 1895 a Bo-
logna durante il Congresso Don Rúa confermó a Don Bosi le spe-
ranze giá dategli, anzi le cambió poco meno che in assicurazione.
Erasene interessato anche il Card. Svampa, pregato dal Vescovo di
Jesi Aurelio Zonchi, suo grande amico. Terminato e ammobiliato re-
diticio senza che la Societá salesiana dovesse spendere un cente-
simo e provvisto modestamente al mantenimento dei Salesiani, se
ne fece l'inaugurazione il 27 ottobre 1897. Vi ando Direttore Don
Luigi Baldi, che abbiamo conosciuto a Macerata. Col tempo si ri-
veló l'impossibilitá di uniré nello stesso lócale internato ed ester-
nato, com'erasi preso a fare; i laboratori languivano per mancanza
di lavoro; anche l'oratorio festivo stava a disagio e arrecava disagio.
Onde i Salesiani rinunciarono al Convitto, il cui edificio, come esi-
geva il contratto, passó all'Ordinario. L'oratorio, a cui tenevano
moltissimo il Vescovo Candolfi e altri, poté sopravvivere ancora
qualche anno; ma nel 1920 per l'assottigliarsi del persónate causato
dalla recente guerra, s'impose la necessitá di richiamare anche
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Capo XL1V
di la, come si era giá fatto da altre parti, il sacerdote rimastovi.
Un'altra opera che, iniziata nel 1897, scomparve dalla carta sa-
lesiana, anzi ebbe vita piü breve della precedente, fu il Liceo-con-
vitto di Terranova, oggi Gela, in Sicilia. Verso la meta del secólo
scorso la Principessa Pignatelli di Roviano lasció un vistoso legato,
perché si fondasse a Gela un Collegio-convitto, nel quale avrebbe
voluto che fossero chiamati i Gesuiti; ma quando la sua pia vo-
lontá si traduceva in atto, la mala politica allontanó i figli di San-
t'Ignazio dall'isola e l'istituto ricevette una direzione laica, che lo
fece deviare dal primo scopo, sebbene il Card. Riario Sforza, ese-
cutore testamentario della defunta, si adoperasse a tutto potere per
raddrizzarlo e avvicinarlo all'idea prefissasi dalla testatrice. Le cose
andarono parecchi anni zoppicando, senza che la cittá ne godesse al-
cun vantaggio. II Collegio é un ente autónomo, rappresentato da una
Commissione rinnovantesi ogni cinque anni e composta di cinque
membri, di cui quattro eletti dal comune e uno dal Vescovo di
Piazza Armerina, Ordinario del luogo. Stanca la cittá di vedere
manomesse tante rendite e frustrato lo scopo dellTstituzione. re-
clamó fortemente, né senza effetto; poiché nel 1883 il Consiglio co~
múñale nell'eleggere una nuova Commissione deliberó di chiudere
il Collegio, dando agli eletti l'incarico di cambiarne l'indirizzo. Tostó
il Cav. Rosario dei Conti Panebianco, membro della Commissione
e per mandato di essa, domando aiuto a Don Bosco. La fama del
Collegio di Randazzo, la quale dopo meno di quattro anni riempiva
giá la Sicilia, aveva suggerito tale espediente. II Vescovo di allora
Saverio Gerbino, delegato del Cardinal Riario, interpose i suoi fer-
vidi uffici; Don Guidazio era tutto per l'esaudimento. Ma non fu
possibile daré favorevole risposta.
La Commissione, punto scoraggiata dal diniego, non depose l'i-
dea, ma rinnovó la proposta in forma ufficiale nel 1891: riserbando
a sé Pamministrazione genérale del patrimonio, essa avrebbe la-
sciato mano libera ai Salesiani nella direzione del convitto e del-
l'annesso liceo. LTstituto possedeva un grande edificio, situato in
luogo ameno e dotato di buoni ambienti; nello stesso lócale c'era
posto per le cinque classi elementari maschili comunali, il regio gin-
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Fondazioni del 1897 in Italia
nasio, la regia scuola técnica ed il liceo, per una ben fornita biblioteca
e per un completo gabinetto scientifico. II liceo era Túnico pareg-
giato in tutta l'isola. Andarono a visitare la casa Don Barberis
e Don Chiesa nel dicembre del 1892, riportando favorevole im-
pressione. A questa visita tenne dietro una nutrita corrispondenza
fino al 1896, nel qual anno Don Rúa fini con accordare il suo as-
senso limitato. Egli accettó Fintera direzione del convitto; ma
quanto al Liceo, la Commissione darebbe al Direttore salesiano un
mandato speciale di vigilanza, e per l'insegnamento i Salesiani non
assumevano alcun impegno determinato, riserbandosi la facoltá, non
l'obbligo, di surrogare con professori propri i professori esterni ogni
volta che venisse a vacare qualsiasi cattedra. Approvate che furono
queste e altre condizioni, i Salesiani con il Direttore Don Domenico
Ercolini giunsero a Gela nell'ottobre del 1897.
Finché stette in carica la Commissione, che aveva conchiuso le
trattative, si procedette d'amore e d'accordo; ma nel 1901, rinno-
vatisi i membri di essa, si cambió puré lo spirito. L'antecedente
aveva fatto onore alia sua firma; l'altra invece cominció a Gavil-
lare su alcuni articoli della Convenzione. Poi elementi anticlericali
dal suo seno stesso agirono sulle maggiori Autoritá amministrative
e scolastiche della Provincia di Caltanissetta, anticlericali la parte
loro, e queste, non contente di rescindere il Contratto come illegale,
chiamarono in aiuto l'anticlericalismo del Governo, sicché il Mi-
nistro della Pubblica Istruzione revocó il pareggiamento del liceo.
Di qui per i Salesiani l'alternativa: o ritirarsi o rifare il Contratto
sulla base dell'esclusione loro dal liceo. Giustamente Don Ercolini
osservava a Don Durando il 18 maggio 1901: «II mió parere sa-
rebbe che é inutile star qui a coprire col nostro nome un Istituto
che ha un baco alie radici. Star qui poi senza aver che fare nel
liceo mi sembra fatica non rimunerata abbastanza. » Tuttavia un
senso di condiscendenza verso il Vescovo e il desiderio di non rom-
perla bruscamente consigliarono a Don Rúa di consentiré che nel
1902 fosse rinnovato il Contratto per un altro quinquennio, il quale
fu Tul timo.
Rappresentava il Vescovo nella Commissione TArcidiacono Gur-
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Capo XL1V
risi, santo sacerdote, che aveva rinunciato due volte all'Episcopato
per non abbandonare l'Istituto prima d'introdurvi i Salesiani. Egli,
deplorando la loro partenza, scriveva il 26 ottobre 1908 a Don R ú a :
« Non puó figurarsi il bene che i figli di Don Bosco fecero nel mió
paese sia con l'oratorio festivo sia con le scuole serali e con la col-
tura della chiesa. » Poiché non ho ancora detto che essi tenevano
nel medesimo lócale un frequentato oratorio festivo, pruno negli
occhi del Provveditore agli studi, e ufficiavano una chiesa pub-
blica, amore della popolazione. Nonostante pero ogni buon volere da
parte di Torino, sussisteva sempre un motivo di carita per rimuo-
vere i Salesiani da quella Casa: i Superiori non potevano tollerare
piü oltre che i Confratelli continuassero a dimorare in un luogo
infestato dalla malaria, della quale giá parecchi avevano súbito le
funeste conseguenze.
Prima di lasciare la Sicilia dobbiamo diré una parola di una
fondazione modesta, ma vítale e oggi ancora feconda. A Pedara.
importante villaggio dell'Archidiocesi catanese nelle vicinanze del-
l'Etna, la famiglia Barbagallo, ridotta al prete Don Alfio e a due so-
relie di lui nubili, volendo impiegare le proprie sostanze in un'opera
di bene, decise per consiglio dell'Arcivescovo Card. Dusmet di fon-
dare una Casa salesiana nel proprio paese; perció nel 1895, venduti
i suoi terreni, fece costruire con il denaro ricavato un edificio, che
servisse al fine desiderato. La fabbrica era a buon punto, quando,
venuti meno i fondi, si dovettero sospendere i lavori. Don Rúa, ac-
cogliendo l'istanza degli interessati, autorizzó Don Bertello, primo
Ispettore salesiano in Sicilia, a terminar la costruzione, inviandogli
puré sussidi da Torino. Largheggiava cosi il Successore di Don Bo-
sco, perche stimava utile destinare quella Casa a col ti vare le vo-
cazioni ecclesiastiche con l'introdurvi i Figli di Maria. Appena i
Salesiani neU'ottobre del 1897 vi posero piede e si conobbe il loro
scopo, presero ad accorrere giovanotti non solo dalla Sicilia, ma
anche dalle Calabrie, sicché Topera venne fornendo ogni anno buoni
chierici a Seminari diocesani, a Istituti religiosi e particularmente
al Noviziato salesiano di S. Gregorio.
La fondazione italiana che supero in importanza tutte le altre
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Fondazioni del 1897 in Italia
del 1897, é quella di Casería. Colei che ne fu Tispiraírice e la
prima finanziaírice volle che il suo nome fosse noío solíanío a Don
Rúa e a Don Durando, i quali ne rispeííarono fedelmeníe la volontá;
ma, superaíe omai le ragioni del riserbo, nulla vieía oggi di farlo co-
noscere. L'idea e i fondi piü cospicui vennero dalla Signorina Las-
serre, che dimorava a Pau nei Rassi Pirenei. Essa aveva faíío paríe
della Casa del Duca di Parma in qualitá di isíiíuírice. Da 23 anni
capiializzava i fruííi de' suoi rispar mi su d'una pensione passa-
íale annualmente dal Duca, perché aveva in animo di fonda re
un'opera, che servisse a onorare degnamente la memoria della pus-
sima Principessa Maria Immacolaía di Borbone, Contessa di Bardi.
figlia di Ferdinando II, Re delle Due Sicilie. Intendeva che fosse
un'opera di beneficenza, essendo stata la Principessa molió carita -
tevole; la voleva a Casería, dimora preferíía della defunía; la de-
siderava iníiíolaía al Purissimo Cuore di Maria dal nome di lei.
Siccome poi era vivo nella Casa Ducale il ricordo di Don Bosco
e conosciuía la sua Congregazione, la benefaíírice, quando ebbe un
capiíale sufficieníe, espose nei giugno del 1895 il suo disegno a Don
Rúa, che lo approví) e senza indugio dispose che si meííesse mano
all'opera. Oííenuío l'assenso del Vescovo di Casería Gennaro Co-
senza, dopo aver speso inuíilmeníe un anno nella ricerca di un
edificio, o di un'área fabbricabile, si fece acquisío di un íerreno
presso il prolungamenío di via Colombo, dove l'estendersi dell'¿i-
biíato rendeva necessaria un'adeguaía assisíenza religiosa.
Una volía írovaío il suolo adaíío, i la vori furono inírapresi sú-
bito e condoííi senza lungaggini. A cose faííe, ne vennero tre opere
in una: Collegio-conviíío, chiesa pubblica e oratorio fesíivo. II Col-
legio, grandioso edificio, inauguraío nei 1897 con le scuole elemen-
t a n e il ginnasio inferiore, vi aggiunse nei 1908 le due ulíime classi
ginnasiali e il corso íecnico. La chiesa, di vasíe dimensioni e ben
ufficiaía, profuse e profonde íesori di benefíci spiriíuali non solo
nella popolazione circosíaníe, ma neü'iníera ciííá. L'oraíorio, che
é síaío sempre quoíidiano, si maníenne cosíaníemeníe in floride con-
dizioni, accenírando in sé le piü proficue aííiviíá giovanili di Ca-
sería. L'auírice prima di íanío bene non poté vedere il fruíío della
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Capo XLIV
sua generositá, perché era divenuta cieca dieci anni avanti che To-
pera avesse inizio; ma ne seguiva con santa passione i progressi
e le vicende, di cui Don Rúa procurava con frequenza di renderla
informata. L'opera lontana era, si puo diré, la sua vita e formó la
consolazione de' suoi ultimi anni (1).
(1) Tanto appare da una voluminosa corrispondenza con Don Rúa e con Don Durando, la qunle
va del 14 giuguo 1895 al 7 aprile 1903.
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C A P O XLV
Ultime fondazioni in Italia durante questo período.
(Desenzano, Castelnuovo, Perosa Argentina, Biella, Bova, Lanusei)
Degna di nota é l'insistenza con cui ripetutamente Don Rúa
nelle lettere annuali ai Cooperatori raccomandava l'Opera di Ma-
ría Ausiliatrice per le vocazioni tardive, l'Opera cioé dei Figli di
María. Certo gli stava dinanzi alia mente l'esempio di Don Bosco,
che amava tanto quell'Opera; ma lo stimolava il crescente bisogno
tiniversale di sacerdoti e particolare di Missionari nostri. Né le sue
raccomandazioni rimasero sterili; grazie infatti al moltiplicarsi de-
gli inscritti, l'Opera prese notevole incremento. La sola Casa di
Trecate diede nel 1898 trenta chierici a Seminari o alia nosfra
Societá; altrettanti ne uscirono dalle Scuole Apostoliche del Mar~
tinetto a Torino. Nuclei di tali aspiranti al sacerdozio si prepara-
vano al chiericato nelle Case di Valsalice, Chieri, Lombriasco. Fo-
glizzo, ívrea, Sampierdarena, Lugo, Genzano, Pedara e venivano
emulate le sorelle italiane da parecchie Case della Francia, della
Spagna, della Repubblica Argentina e di altri Stati d'America. Ma
benché i Figli di María offrissero un contingente prezioso anche alia
Congregazione, non bastava pero mai il personale ad appagare un
quinto delle domande; tanto piú che gl'Istituti esistenti s'ingran-
divano e quindi esigevano sempre rinforzi proporzionati. Ecco per-
ché soltanto cinque nuove fondazioni italiane troviamo nel 1808,
quelle cioé di Castelnuovo Don Bosco, Perosa Argentina, Biella,
Bova e Lanusei. Bisognerebbe aggiungere anche il nome di Desen-
zano sul Lago di Garda, se non fosse stata cosa di poco rilievo sia
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Capo XLV
per la scarsa attivitá potutasi spiegare, sia per la durata; vi dedi-
cheró tuttavia un breve cenno.
Di un oratorio a Desenzano nella diócesi di Verona Don Rúa
annuncio l'apertura come avvenuta due anni prima che realmente
avvenisse (1); la ragione fu che dal dicembre del 1896 ogni vigilia
di feste vi si recava da Verona Don Angelo Caimo con un chierico
a farvi l'oratorio festivo. Se non che i giovani accorrevano cosí nu-
merosi, che poco si poteva fare senza dimora stabile; inoltre i fre-
quentanti erano in massima parte studenti di scuole elementari e
medie, desiderosi di passare quotidianamente nell'oratorio le ore
libere e i molti giorni di vacanza, ed a questa categoría di oratoriani
si fa ordinariamente maggior bene lungo la settimana che la do-
menica, quando il Direttore é meno preoccupato per il numero e
per le funzioni. O n d e nel 1898 vi presero stanza due Salesiani, ora
preti entrambi, ora uno solo. Svanita intanto la speranza di daré
all'opera un piú ampio sviluppo e poco garbando ai Superiori quell'i-
solamento di Confratelli, tenuto contó inoltre della necessitá di so-
stenere opere di maggiore importanza, si deliberó nel 1907 di sacri-
ficare quella cosi piccola, utilizzandone meglio il personaje. Fu cosa
spiacevole per ambe le parti, ma inevitabile. Una corrispondenza
da Desenzano comparsa in un giornale di Brescia, manifestando il
dolore di tale partenza ed esprimendo l'augurio di un possibile ri-
torno, rendeva questa testimonianza (2): « Al primo Salesiano ne
successero altri, vari d'indole ma tutti egualmente inspirati all'alto
programma educativo del loro Fondatore, instancabili nell'attuarlo
con amore, con ampiezza di vedute, con la schiettezza di chi pone
único scopo alia propria attivitá la salvezza morale dei giovani e non
risparmia sacrifici per ottenere che questi crescano validi nel corpo
e cristiani nello spirito. I buoni Salesiani si erano assicurati la stima
e l'affetto della popolazione e s'eran mostrati meritevoli della fama
che li rende ovunque desiderati e riveriti. »
Fece meraviglia ai Castelnovesi stessi, che si fosse arrivati fino
(1) Boíl. Sal, gennaio 1897, pag. 2.
(2) // Citladino, 22 ottobrc 1907.
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Ulüme fondazioni in Italia durante questo periodo
al 1895 senza che la patria di Don Bosco, la quale doveva a luí
tanta sua celebritá nel mondo, avesse ancora un istituto salesiano.
Ma il pubblico ignorava che diciassette anni prima il Municipio
aveva intavolato pratiche con il suo grande cittadino, perche aprisse
in Castelnuovo un ginnasio e vi mandasse le Figlie di Maria Ausi-
liatrice a fare le scuole elementari femminili e a dirigere l'asilo
infantile. Don Bosco, che desiderava un invito di tal genere, incaricó
súbito Don Rúa e Don G. Cagliero, castelnovese questi puré, di esa-
minare un progetto abbozzato dal párroco d'accordo con la Giunta
municipale. Corsero proposte e controproposte, si scrisse e riscrisse
da tutt'e due le parti, ma si conchiuse con un bel nulla.
Quest'altra volta invece le cose si fecero con un po' pin di
serietá. Giá si era veduto molto buon volere a proposito del monu-
mento, che oggi é Topera d a r t e piü attraente in Castelnuovo. Fu i!
Municipio a volerlo e a bandire il concorso nel 1895, e fu il Sindaco
Musso a organizzare quanto doveva occorrere per raggiungere I'in-
tento. Ma nel medesimo tempo mol ti si domandavano, se non conve-
nisse meglio dedicare a Don Bosco, anziché una semplice statua, un ri-
cordo di pubblica utilitá. Maturo cosi l'idea di un Istituto. II paese,
non avendo sufficienti risorse all'uopo, non poteva certo bastare da
solo a costituire i fondi necessari; ma sopperi Don Rúa. Intenzione dei
Superiori era che da principio il Collegio impartisse rinsegnamento
secondario classico soltanto a giovani esterni e semiconvittori; ma
súbito un anno dopo l'apertura, nel 1899, consentirono che fossero
accettati anche alunni interni e insieme che al ginnasio si facesse
precederé la quinta elementare. 11 Collegio fu presentato all'Au-
toritá scolastica come Istituto paterno, nel qual genere di scuole
la legge, come abbiam giá avuto occasione di osservare, esigeva
solo che fosse titolato colui che ne assumeva la responsabilitá. II Re-
gio Provveditore degli studi di Alessandria intimó al Direttore di
recarsi a daré spiegazioni; ma a differenza di tanti altri suoi col-
leghi d'allora, che osteggiavano le scuole prívate dirette da religiosi,
si mostró benévolo; si deve anzi credere che abbia inviato a Roma
una favorevole relazione, poiche comunicó di li a poco che il Mi-
nistero permetteva la continuazione deU'Istituto, purche conservasse
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Capo XLV
Tindirizzo paterno: solo ingiunse che ogni anno gli si mandasse la
lista dei padri di famiglia, che affidavano ai Salesiani i loro figli.
II Municipio si mostró grato verso Don Rúa, porgendogliene una
solenne testimonianza. Nell'ottobre del 1901 ricorreva il cinquan-
tenario della sua vestizione chiericale, avvenuta in quel comune.
II Municipio, colta quell'occasione, gli conferí la cittadinanza ono-
raria di Castelnuovo, il che diede luogo a una cordiale dimosira-
zione popolare in suo onore. Quel Collegio fu poi per alcun tempo
quasi il beniamino del Capitolo Superiore, tanta era la frequenza,
con la quale i membri di esso andavano a visitarlo e intervenivano
alie sue feste. Ebbe infine accoglienza umversalmente simpática il
Decreto firmato da Vittorio Emanuele III e da Mussolini il 14 feb-
braio 1930, col quale si modificava la denominazione del Comune.
non piü Castelnuovo d'Asti, ma Castelnuovo Don Bosco.
Dalla sacra térra di Don Bosco trasportiamoci in térra di Val-
desi. Una delle valli di Pinerolo popolate di questi eretici é quella
dove giace Perosa Argentina, che ne ha da due a trecento sopra due
migliaia di abitanti; ma comunitá piú numeróse vivono nei villaggi
limitrofi, dove tengono puré scuole secondarie, alie quali per ra-
gioni di comoditá e d'interesse accedono anche figli di genitori cat-
tolici. II paese nella seconda meta del secólo scorso subi una tra-
sformazione che cambió le abitudini della popolazione, mutandola
di agrícola in industríale per l'avvenuto impianto di setifici, del
che risentiva le conseguenze specialmente la gioventú, frastornata
nei giorni festivi da nuove distrazioni. Preoccupato di ció, il párroco
Don Giuseppe Paolasso scriveva a Don Bosco il 23 ottobre 1881:
«Mi rivolgo a Lei ed a' suoi Salesiani, che Dio scelse in questi
tempi a ministri delle sue Misericordie, onde voglia studiar modo di
aprire in questo paese ed in sito acconcio un oratorio festivo, non
che un piccolo Collegio. » II Santo, che era stato giá martello dei
Valdesi a Torino dopo la loro emancipazione, riconobbe tutta la
convenienza di contentare il buon cooperatore; ma dovette rimet-
(ere la cosa a quando avesse personale disponibile, non che i mezzi
necessari. Purtroppo dovettero passare diciassette anni prima che
il desiderio di lui potesse venir messo in atto dal suo successore.
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Ultime fondazioni in Italia durante questo periodo
I mezzi cominciarono ad afíluire dopo l'occasione di un'ereditá.
11 perosese Filippo Martinoia legó ai Salesiani tutti i suoi beni. con-
sistenti in una casa e in un terreno attiguo, affinché si fondasse nella
sua patria un collegio e un oratorio festivo, intitolato a S. Fi-
lippo, per curare Fistruzione ed educazione cristiana della povera
gioventü, cattolica o non cattolica, purché la non cattolica si mo-
strasse disposta ad abbracciare la vera religione. Mal prestandosi
pero la casa a collegio e per l'ubicazione e per la disposizione degli
ambienti, quegli immobili furono posti in vendita e con il danaro
ricavato s'intraprese una nuova fabbrica altrove, su disegno di Don
Ernesto Vespignani e su área donata dall'avvocato Bertolotti. L'edifi-
cio era pronto nel settembre del 1898, sicché il 27 di quel mese ne
fu fatta l'inaugurazione con Fintervento dei Vescovi Rossi di Pi-
nerolo, Ressia di Mondovi e Cagliero, ricevuti dal Prefetto Gene-
rale Don Belmonte e dal Direttore Don Fracchia.
Al principio della cerimonia accadde un incidente, che sarebbe
potuto diventare un disastro. Sotto il peso degli intervenuti che sti-
pavano la chiesa, la chiave mediana del pavimento si rállente, pro-
ducendo una fessura larga circa un centímetro. Ne nacque un gran
pánico e relativo parapiglia. La gente si precipitó urlando alia porta.
Per buona fortuna non vi furono disgrazie. La funzione s'andó á
compiere in parrocchia.
Fatte le debite riparazioni e avuto il certificato di collaudo da
parte del Genio Civile, la Casa inizió la sua azione con le tre ul-
time classi elementan per convittori, semiconvittori ed esterni, e
con l'oratorio festivo. Nei tre anni successivi si vennero introducendo
anche le tre classi del ginnasio inferiore. La modicitá della pen-
sione contribuí a renclere il Collegio molto accetto alie famiglie. Al-
l'oratorio si stentó sulle prime ad attirare i giovani. La ritrosia dei
genitori a mandarveli dipendeva dalla spietata campagna che con-
duceva contro i Salesiani il furioso anticlericaüsmo di un Consigliere
comunale, che in Municipio e fuori si arrovellava con ogni sorta
di accuse per ottenere che fossero sbanditi da Perosa. Ma i Sale-
siani seppero guadagnarsi a poco a poco la fiducia del paese, sicché
la frequenza all'oratorio crebbe in modo consolante. Don Cerruti
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Capo XLV
carezzava molto quel ginnasio, volendolo contrapporre al vicino gin-
nasio di Pomaretto, tenuto dai Valdesi, ma aperto a tutti.
In Piemonte fu fatta nel 1898 una terza fondazione a Biella. I
Biellesi vennero a Don Bosco assai prima che Don Bosco andasse ai
Biellesi. Non parlo di ándate personali, poiché il Santo si reco piü
volte a Biella fino dai primordi dell'Oratorio; dico dell'andarvi con
sue opere. A cominciare dai 1846 u n a buona parte degli oratoriani a
Valdocco era di piccoli operai biellesi, con i quali Don Bosco ere-
dette utile perfino formare classi distinte. Solo nel 1876 m a n d ó a
Biella da Mornese le Figlie di Maria Ausiliatrice, chiamate dai santo
Vescovo Basilio Leto per aver cura del Seminario; ma vi rimasero
appena un decennio, cioé fino alia partenza del Vescovo che le aveva
chiamate. Una ventina d'anni dopo il Successore di Don Bosco man-
dó i Salesiani ad aprire riel circondario la precaria casetta di Oc-
chieppo ed il fiorente collegio di Cavagliá, come abbiamo narrato.
II capoluogo ricevette i figli di Don Bosco nel 1898, promotore il
Direttore diocesano dei Cooperatori Can. Maia, amico generoso e fe-
dele il Can. Buscaglia, e araldo 1'eloquente Don Simonetti. II Cav.
Anselmo Poma donó ai Salesiani ventimila lire e il terreno, conti-
nuando poi a beneficare Topera; il Vescovo Cumino diede loro a uf-
ficiare la chiesa di S. Cassiano. Essi attesero nei primordi soltanto
all'oratorio festivo, nel quale adagio adagio vennero organizzando un
centro di molteplice e feconda attivitá giovanile.
Ma vi era anche un altro bene da fare. I Salesiani non tardarono
a comprendere quanto urgesse provvedere a una categoría di gio-
vani, che accorrevano in cittá dai paesi del circondario per fre-
quentare le scuole cittadine. Tali studenti durante l'anno scolastico
\\ivevano d'ordinario in balia di se stessi, esposti a pericoli che fá-
cilmente si possono immaginare. Quanto sarebbe tornato opportuno
un istituto che avesse lo scopo di accoglierli, assisterli ed aiutarli!
Ecco l'origine deiredificio che oggi da ricetío a un 150 convittori
provenienti dalle parti del Biellese piü lontane dalla cittá. Questo
fabbricato fu condotto a termine non tutto d'un tratto, ma a misura
che la beneficenza ne somministrava i mezzi. I convittori vi trovano
tutte le cure richieste alia loro formazione morale, religiosa e cul-
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Ultime fondazioni in Italia durante questo periodo
turale secondo il método di Don Bosco. Saranno poi un giorno di
quei tanto celebrati Biellesi, che, arditi, intelligenti e laboriosi por-
tano, come é noto, in cento direzioni per il mondo le loro sane e vi-
goróse energie.
Fra l'oratorio e l'istituto grandeggia la chiesa di S. Cassiano. Que-
sta chiesa, dalle eleganti linee classiche, fu eretta nella prima meta
del secólo XVII da una Confraternita dello stesso nome. Prima che
Tavessero i Salesiani, stava quasi sempre chiusa, né, quando si apri-
va, presentava alcuna attrattiva alia pietá dei fedeli, fuorché un
poco nel giovedi e venerdi santo; dopo invece sembró passare da
morte a vita, alia vita litúrgica di sacri riti con canti, suoni, predi-
cazione, sacramenti e pratiche divote. Tutto questo indusse nel 1918
l'Ordinario ad erigerla in sede parrocchiale.
Ora dobbiamo fare due grandi balzi, uno in fondo allTtalia. a
Bova, sull'estremitá dell'Appennino calabro, e l'altro di la dal Mar
Tirreno, a Lanusei, in Sardegna.
La Casa di Bova Marina porta il nome di Seminario, ma in
realtá é un Collegio, nel quale si pone particolare studio a colti-
vare i germi di vocazione ecclesiastica, che i giovani avessero in
cuore. Nel primo articolo della Convenzione fra l'Ordinario Raf-
faele Rossi e Don Rúa, rinnovata poi dai successori, si dice che il
Vescovo " desiderando daré al suo Seminario il maggiore sviluppo
possibile ed assicurare ai giovani che lo frequentano, la cristiana
educazione ed istruzione, ne affida la Direzione" ai Salesiani. II
Seminario ha le classi elementan superiori e le cinque classi gin-
nasiali. Avendo la diócesi una popolazione di appena 30.000 anime,
divisa in dodici parrocchie, esso ha ricevuto sempre anche giovani
extradiocesani. Veri seminaristi erano i chierici studenti di filosofía
e di teología, che raramente arrivarono al numero di otto e che
nel 1906 furono trasportati a Catanzaro e a Reggio. Gli altri per
molto tempo vestirono da borghese in casa e indossavano la talare
uscendo a passeggio o recandosi a funzioni. Non si puó nascondere
che la coltura delle vocazioni riesce da quelle parti oltremodo dif-
ficile e da risultati poco felici, perché gli alunni perdono nell'am-
biente del paese e della famiglia quello che hanno acquistato nel
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Capo XLV
Seminario. Fare una statistica degli ex-allievi sacerdoti torna mala-
gevole, perché, terminato il corso, parecchi passarono in altri Semi-
nan e alcuni in famiglie religiose, e mancano le relative indica-
zioni. Tuttavia fino al 1923 sembra che ne siano giunti al sacerdozio
32, dei quali 29 nel clero secolare e tre nella nostra Congregazione.
Per diversi motivi i Salesiani manifestarono piü volte il propo-
sito di ritirarsi da Bova; ma i Vescovi fecero sempre di tutto per im-
pedirlo. Anche le Autoritá civili si misero in mezzo, scrivendo per-
fino al Papa. Certo i Salesiani non si risparmiarono mai, prestando
Topera loro non solo nell'oratorio festivo, ma anche nel ministero
parrocchiale. II Io agosto 1923, Mons. Paolo Albéra, trasferito dalla
sede di Bova a quella di Mileto, scriveva al Direttore del Semina-
rio bovense: « Prima di lasciare definitivamente 1'Amministrazione
di cotesta Diócesi di Bova, sentó il bisogno e il dovere di rendere
sentite grazie a Lei e per Lei alia Pia Istituzione Salesiana. L'a-
zione che lTstituzione Salesiana da venticinque anni svolge sia nel
Seminario sia nell'oratorio festivo, che nella parrocchia della Ma-
rina con sempre piena soddisfazione dei miei predecessori, mia e
della intera popolazione, merita davvero l'elogio e la profonda grati-
tudine. Ma la miglior soddisfazione loro, son certo, é il sentirsi con-
fermare dal Vescovo, che si é andato per mezzo loro sempre for-
mando la coscienza cristiana, religiosa nel popólo e soprattutto nei gio-
vani. É mió particolare dovere poi riconoscere e ringraziarli, perche
hanno mantenuto l'oratorio festivo alia Marina, quasi tutto a loro
spese e si sonó in tempi eccezionali accontentati della stessa ri-
compensa, neU'Amministrazione del Seminario, giá determinata dai
miei predecessori. »
La Casa di Lanusei in provincia di Nuoro non ebbe nome di
Seminario, come quella di Bova, ma ottenne decreti dagli Ordinari
deH'Ogliastra e di Cagliari che ne riconobbero le scuole come sus-
sidíarie ai loro Seminari, e questo alio scopo di sottrarle alie esigenze
dei titoli; ma lo spediente serviva e non serviva, tanto che col tempo
lo si lasció cadere. Negli esordi del Collegio un uomo coito e au-
torevole, scrivendo a Torino, profeto: «Se il Collegio vivrá, vivrá
vita tísica». Mestiere pericoloso quello di profeta! Nonostaníe le dif-
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Ultime fondazioni in Italia durante questo periodo
ficoltá, che avevano suggerito la pessimistica previsione, il Collegio
visse e vive di vita rigogliosa.
Siede Lanusei, capoluogo di circondario, nel cuore dell'Ogliasfra,
in una conca immensa di montagne, ricoperta a ridosso da grandiose
boscaglie e rallegrata dalla vista del mare, che le si distende davanti
incantevole. Tutto in giro é coltivato a vigneti e olivi; piü sotto,
giardini e verzieri pieni di limoni, aranci, cedri, alberi fruitiferi e
ortaglie scendono mollemente fino alie spiagge tirreniche. Alto 450
metri sul livello del mare, é paese ventoso, ma sanissimo e con
acqua eccellente: due cose queste da notarsi, perché abbondano in
Sardegna luoghi malsani e di acqua cattiva.
II Collegio fece la prima stazione in lócale non suo. Lanusei
aveva una Regia Scuola Nórmale, única in Sardegna, ma quasi
senza allievi (1). II Consiglio comunale, ottenutane dal Ministero la
soppressione, piglió in affitto per cinque anni 1'edificio e ne cedette
Tuso ai Salesiani, affinché v'impiantassero un ginnasio per alunni
interni ed esterni. I Salesiani arrivarono a Lanusei il 27 ottobre 1898.
Li attendevano alia stazione il Vescovo Depau, il Sindaco Mameli,
tutto il Municipio e l'intera popolazione. La personcina del Diret-
tore Don Matteo Ottonello, spirante dall'atteggiamento energia e da-
gli occhi intelligenza, presentó a quei Signori sé e i suoi con una
dignitosa disinvoltura che piacque. Tutta la comitiva li accompagno
alia chiesa, dove il Vescovo dall'altare felicito Lanusei della singo-
lare fortuna di avere per primo in Sardegna i desideratissimi figli
di Don Bosco.
Alia poesía, come spesso avveniva, tenne dietro la prosa. Non
essendosi dal Municipio íatti i lavori indicati dall'Economo Gene-
rale D. L. Rocca, che aveva visitato il luogo, ci si stava con intol-
lerabile disagio. I] Comune, si capisce, non aveva voluto fare spese
in casa altrui, cioé del Governo, e questo se ne lavava le mani.
Ristrettezza di am bien ti dentro, difetto di spazio fuori, suggezione
straordinaria dairesterno e, per diré tutto, esalazione pestífera degli
(1) Peggio ancora, scriveva il Vescovo Dcpau il 13 agosto 1896 a Don Durando: « Dal Collegio sa-
Icsiano si avra maggior profitlo che non si ebbe dalle scuole, mi lascí diré, anormali e di empietá
che vi furono. >
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Capo XLV
agiamenti mancanti di scolo obbligavano quei Confratelli a vivere
la rannicchiati, con pochi convittori e molti incomodi.
Cosi stando le cose, trapeló la notizia certa che nelFagosto del
1900 si sarebbe dovuto sloggiare. L'autoritá superiore, appigliandosi
ad una clausola inserita nel Contratto di fitto, che cioé il palazzo
si locava al Comune per uso di scuole pubbliche, quali non erano
quelle dei Salesiani, minacciava lo scioglimento del Contratto. Le
ostilitá partivano da Cagliari, cioé dal Provveditore agli studi e
per lui dal Ministero della Pubblica Istruzione, motívate natural-
mente da ragioni politiche. Questa minaccia, imita alie cause dette
sopra, fece si che i Superiori, desiderosi di non abbandonare l'isola,
inclinassero ad accogliere proposte venute dal Municipio di Isili.
Sparsasi in cittá la voce che i Salesiani pensavano di trasportare
le tende altrove, la popolazione si mise in orgasmo, finché ragguar-
devoli elettori politici investirono dell'affare il loro deputato Merello.
II Deputato, uomo di onesti principi, riusci a sventare le trame
settarie: era giá un bel guadagno.
Rimanevano due anni a terminare il quinquennio, e poi? Gli
amici lanuseini avanzarono addirittura il progetto di costruire un
nuovo Collegio a spese della Congregazione. II Municipio delibero
unánime di concorrere con l'offerta di un vasto terreno; altri s'inte-
ressó per ottenere dal Merello un prestito a favorevoli condizioni. Un
secondo prestito simile Don Rocca si teneva sicuro di poter avere dal
Prevosto di Alassio Don Airaldi. Don Rúa, erede dei sentimenti di
Don Bosco verso la Sardegna, si piegó ad approvare quella proposta.
La cosa ha tanto dell'insolito, che richiede qualche chiarimento. Due
ordini di considerazioni mossero Don Rúa a tale decisione. Lo zelo di
alcuni professionisti di Lanusei, ex-allievi di Alassio, specialmente
gli avvocati Ciua e Piroddi, che per mezzo del loro antico Direttore
Don Rocca facevano pervenire a lui le loro pressanti suppliche e
le implorazioni di altre ottime persone, lo commoveva; ma so-
prattutto riflettendo al bene che, nonostante i disagi, si compieva
giá dal Collegio, il solo che esistesse nell'isola e assai stimato e ri-
cercato, giudicava doversi tenere a ogni costo la posizione e mi-
gliorarla. Non poco peso avevano avuto su di lui le osservazioni
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Ultime fondazioni in Italia durante questo periodo
fattegli dal Procuratore e Ispettore D. C. Cagliero, che, riferendo di
una sua visita a Lanusei, gli dieeva (1): «Se il trovarsi giá in un
luogo e la benevolenza che tutta una cittadinanza ci porta ha un
valore, si puó prendere in considerazione il progetto dei Signori di
Lanusei, benché contrario alie nostre consuetudini [...]. L'ipofesi
affatto da escludersi é quella di abbandonare la Sardegna, QuclPi-
sóla é giá tanto disgraziata e per altro lato vi sonó tante buone
qualitá negli abitanti, oltre al bisogno grande che vi é di un Col-
legio religioso, che merita un qualche riguardo. »
La decisione fu pigliata in modo irrevocabile. L'impresa Rosa di
Torino assunse Fappalto dei lavori. II terreno prescelto e offerto
era vicino alia stazione. L'edificio sarebbe sorto in luogo isolato,
sul declivio di un colle, nel mezzo di un vigneto, avendo di fronte
la cittá, in giro una pittoresca catena di montagne e in lontananza
il mare. Appena ultimata e resa abitabile una parte del fabbricato,
si procedette all'inaugurazione. La si fece il 14 giugno 1902, II col-
mo deH'avvenimento fu la venuta di Don Rúa, che giunse la vigilia,
salutato da numerosa folla. II di appresso arrivarono il Vescovo di
Iglesias Ingheo e l'Arcivescovo di Cagliari Balestra, accompa-
gnati da altre personalitá. Solenne pontificale, trattenimenti acca-
demico e drammatico, discorsi, esecuzioni musicali, nulla mancó
alia cornice del fatto e alie onoranze degli ospiti. Niente di sirnile
erasi mai visto in quell'angolo remoto della Sardegna. L'avvenire
del Collegio poteva dirsi assicurato. Da esso usci omai una falange
di ex-allievi, molti dei quali sonó dei bravi professionisti, altri ono-
rano il clero sardo o lavorano nella Congregazione, alcuni raggiun-
sero alti gradi nella vita pubblica. In genérale si nota che conser-
van o viva la riconoscenza e caldo l'affetto al luogo e agli autori della
loro prima educazione.
Ma una Casa salesiana senza oratorio festivo é come un villa
che abbia soltanto la porta della strada senza un po' di giardino
intorno, dove la famiglia possa spaziare all'aperto e godersi la va-
rietá dei fiori e il refrigerio delle ombre. II Collegio di Lanusei do-
(1) Castellaniinare di Stabio, 13 luglio 1899
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Capo XLV
vette aspettare fino al 1911 per aver modo di fare l'oratorio; ma quei
Confratelli, non mai in soverchio numero e sempre sovraccarichi di
lavoro, vi si dedicarono con tutto l'ardore. L'Ispettore Don Conelli
dopo u n a sua visita d'ufficio scriveva ¡1 24 maggio 1914 nella rela-
zione al Capitolo Superiore: «L'oratorio festivo é fiorente. La pietá
é edificante. Vi si fa il catechismo e sovrattutto esso viene studiato
dagli allievi. Quest'opera dell'oratorio ci ha guadagnato piü simpatie
in tre.anni che non ce ne avesse procurata il Collegio in quindici! »
Egli intende parlare della cittá; perché giá allora le simpatie ve-
mvano al Collegio fin dalle estremitá della Sardegna.
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CAPO XLVI
Nuove fondazioni in vari Stati d'Europa dal 1895 al 1898.
(Burwash; Tournai, Hechtel; Romans, Rueil; Trieste, S. Vincenzo degli Orti, Bejar, Ecija,
Carmona, Baracaldo, Salamanca, Valencia, Siviglia)
— Avanti, avanti sempre! — Era questa una voce che sembrava
risonare incessantemente all'orecchio di Don Rúa. Voce stimolatrice
d'oltretomba nel ricordo degli esempi e delle parole di Don Bosco;
voce echeggiante dal cielo nella missione affidata dalla Provvidenza
alia Societá, senza limiti di spazio né di tempo; voce mondiale
elevantesi dal concertó di domande numeróse, pressanti, talora ac-
corate, con cui s'imploravano aiuti che solo per opera dei Salesiani
si pensava di poter avere. Docile al richiamo, Don Rúa multipli-
ca va gli sforzi per dilatare ognor piü la sfera delFattivitá salesiana
non soltanto nell'Italia, ma anche nel resto dell'Europa e in Ame-
rica. Diremo qui di fondazioni da lui fatte sullo scorcio del pe-
riodo, di cui parliamo, in Inghilterra, Belgio, Francia, Austria e
Spagna.
I Salesiani di Londra fecero nel 1897 il primo passo fuori della
Capitale. Presso il villaggio di Burwash, nella contea di Sussex.
diócesi di Southwark, a un'ora e mezzo di ferrovia da Londra, vi-
vevano circa trenta cattolici, stretti intorno a una bella chiesa de-
dicata a S. Giuseppe. L'aveva costruita nel 1880 e provvedeva alie
spese di culto un'ottima signora, che dopo diciassette anni, trovan-
dosi in cattive acque, dovette venderé tutto il suo. AUora vennero
a mancare i mezzi di sussistenza per il sacerdote che attendeva alia
Missione, né l'Ordinario aveva modo di rimediare. Coadiutore del
Vescovo era Mons. Bourne, appresso Cardinale Arcivescovo di West-
minster, che aveva tanto cari i Salesiani. Egli delibero di offrire tutto
ad essi, ponendo la condizione che si assumessero la cura parrocchiale
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Capo XLVI
e tenessero aperta una scoletta per i fanciulli cattolici del paese.
Don Rúa, su proposta di Don Macey, accettó senz'altro, disponendo
súbito che in febbraio vi andasse un sacerdote. Ma poi si fece
di piú; furono trasferiti a Burwash il noviziato e lo studentato
filosófico, iniziati giá a Battersea, con Don Enea Tozzi Direttore,
maestro e párroco. II luogo si prestava a meraviglia, essendo u n a -
mena campagna, lungi dai distraenti rumori dei centri popolosi. Se
ci fu da praticare la povertá, la cosa tornava a bene per giovani
chierici, che dovevano addestrarsi alia vita religiosa. E per opera
di quel " pió e zelante figlio di Don Bosco ", come é chiamato Don
Tozzi in una memoria domestica, la Casa di Burwash divenne un
modello di Casa salesiana.
Nel Belgio le fondazioni nuove furono due. Nel dicembre del
1895 venne aperta la Casa, detta Oratorio Sr Cario, a Tournai. Non
si puó svolgere il grosso incartamento che ci tramanda la corrispon-
denza intercorsa anteriormente all'apertura di questa Casa senza
pensare un'altra volta quanto sia meglio che chi vuol fare del bene,
lo faccia da sé in vita anziché lasciare che lo facciano altri dopo
la sua morte. Cario Verdure e la sua sorella Aglae nubile avevano
deciso da gran tempo di fondare un orfanotrofio e affidarlo ai Sa-
lesiani; ma quegli passó aH'eternitá, quando non aveva ancora fatto
milla, e la sorella, temendo che le capitasse la medesima sorte, in-
vece di perder tempo, mise la somma di 400.000 franchi destinati
all'opera, nominalmente nelle mani del Vescovo, ma realmente in
quelle di un signor Desclée, rappresentante del medesimo. Se non
che in seguito, venuta in diretta relazione con i Salesiani e parti-
cularmente con Don Rúa, rivolle il suo deposito per curare essa
stessa l'esecuzione dell'impresa. II Vescovo pero, sebbene colei dalle
molte sue lettere ci appaia donna enérgica e di buon criterio, non la
giudicava capace di custodire e tanto meno di amministrare un si
vistoso capitale; inoltre egli riteneva che Topera fosse tutta del
defunto senza che ella c'entrasse né punto né poco e che quindi,
trattandosi di opera pia, ne spettasse a lui la vigilanza. Per altro
s'indusse a consentiré che il suo rappresentante s'intendesse con i
Salesiani. Allora il Desclée, conservando il deposito e rifacendosi con
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Nuove fondazioni in vari Stati d'Europa dal 1895 al 1898
esso, offerse ai Salesiani in nome del Vescovo un suo edificio, do ve
stabilire l'orfanotrofio. Quanto inchiosíro si versó prima di arrivare
a una conclusione! Da ultimo fu stipulaío fra il Vescovo e Don
Rúa un Coníraíío, in forza del quale i Salesiani avrebbero ricevuío
Tuso dello síabile, i mezzi pecuniari per il suo adaííamento e 12 000
franchi annui, rappresentanti gli iníeressi del capiíale, per il man-
íenimenío di írenía orfani. Qualora i Salesiani si fossero col tempo
ritirati, la casa doveva essere resíiíuiía aU'Ordinario, previo l'in-
dennizzo delle migliorie da essi inírodottevi.
La benefatírice, rassegnaíasi di mala voglia a íale accomoda-
menío, deíerminó di fare anch'essa qualche cosa, ma nel massimo
segreto. Potendo disporre di 141.000 franchi, invece di affidarli ad
alíri, li depositó presso un noíaio con l'obbligo di consegnarli a
colui che dopo la morte di lei gli presenterebbe la ricevuía dei ti-
íoli depositati. Quesío sconosciuío, il solo che fosse al correníe del la
cosa, era Don Giuseppe Bologna, Direííore allora della Casa di Lilla.
Moría dunque la donatrice, Don Bologna, divenuío nel fraííempo
lspeííore, si presentó per riíirare il depositó; ma Falíro da prima
fece lo gnorri, poi cominció a íergiversare e non fíniva piú di me-
nare il can per l'aia. Quel pover'uomo aveva perduío interamente
la roba sua al gioco. i\\ farla breve, valendosi della sagacia di un
banchiere, Don Bologna riusci una buona volía a sírappargli, se non
íuíía la somma, almeno la maggior paríe.
Meníre si brigava a disíricare quesía maíassa, l'Oratorio S. Cario
spiegava la sua aííiviíá soíío la direzione di Don Albino Ronchail.
1 conviííori erano nel massimo numero fanciulli orfani, divisi in íre
sezioni: alunni di scuole primarie, síudeníi di ginnasio con prefe-
renza per quelli che aspirassero al sacerdozio, e artigiani. La casa
divenne ben presto insufficiente, sicché bisognó ingrandirla con am-
pliameníi e con nuovi acquisíi. Nei primi íre lusíri si guadagnó una
larga ripuíazione. In seno al Consiglio comunale di Courtrai, írat-
íandosi di sciogliere un orfanoírofio e disíribuirne i giovaneííi in
vari Isíituti, il Consigliere Ruyssen disse (1): « Ho visitato l'Istituto
(1) Courrier de l'Escaut, 24 febbraio 1911
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Capo XLVI
di Tournai. É un lstituto modello, mirabilmente attrezzato secondo
tutte le esigenze. Un fanciullo, per poco che abbia d'intelligenza,
vi fa sicura riuscita. » Tre anni prima il nuovo Vescovo, scrivendo
a Don Rúa, gli aveva detto (1): «Benedico la divina Provvidenza
che vi abbia ispirato la buona idea di fondare a Tournai Forfano-
trofio S. Cario e sonó testimonio ammirato e riconoscente del bene
che vi fanno i vostri cari religiosi. »
Ormai in ogni nazione si tendeva dai Salesiani a crearsi No-
viziati propri, tendenza che i Superiori favorivano, curando di met-
tervi a capo Confratelli capaci di trasfondervi lo spirito di Don
Bosco. Nel Belgio fino al 1896 provvide la Casa di Liegi a pla-
smare annualmente piccoli nuclei di giovani chierici e coadiutori,
che aspira vano a far parte della Societá; ma dall'ottobre di quel-
l'anno i novizi ebbero una casa a sé nella diócesi di Liegi. ed ecco
come. II Vescovo Doutreloux, assai contento del Collegio S. Gio-
vanni Berchmans, ne avrebbe voluto ancora un altro nella sua dió-
cesi. Alcuni anni prima l'abate Mallet, párroco di Desthan, gli aveva
detto: — Noi siamo tre fratelli e avremmo intenzione di fondare
una Scuola agrícola nella nostra proprietá di Hechtel. — Monsignore
pensó súbito ai Salesiani; perció, quando nel 1894 Don Rúa di ri~
torno da Londra passó a fargli visita, lo pregó di andar a vedere.
Don Rúa ando, ma ne la casa ne il podere circostante gli parvero
adatti alio scopo. Per due anni quindi non se ne parló piü. Rinacque
nel 1896 quel desiderio, ma con la differenza che invece di una
Scuola agrícola si voleva una Casa di noviziato. Nulla di piü oppor-
tuno: la tranquilla dimora campestre dei fratelli Mallet era proprio
un nido idéale di raccoglimento e di quiete, quale si richiede per
un soggiorno di novizi. In breve tutto fu conchiuso, allestito e messo
in ordine. II Vescovo si offerse con gran piacere a fare l'inaugura-
zione. II villaggio di Hechtel, che non aveva ancor avuto l'onore di
accogliere Ira le sue mura il proprio Vescovo, gli fece un ricevi-
mento solenne e cordiale. Gli diede in casa il benvenuto il Direttore
Don Francesco Tomasetti, al quale Mons. Doutreloux si mostró poi
(1) Tournai, 6 maggio 1908.
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Nuove [ondazioni in vari Stati d Europa dal 1895 al 1898
sempre largo di p a t e r n a benevolenza. In quel Noviziato vissero cTa-
more e d'accordo fino alia prima guerra mondiale novizi non solo
belgi, ma anche olandesi, francesi, lussemburghesi, tedeschi dell'AI-
sazia, e perfino qualche inglese e italiano, tutti fraternamente uniti
nell'unico intento di santificare se stessi, informandosi alio spirito
di Don Bosco.
In Francia puré la Societá dilató la sua sfera d'azione con íre
nuove Case, non di grande importanza, ma ognuna con un suo ca-
rattere speciale. Anzitutto quella di Romans nel Delfinato. Uno dei
motivi addotti dall'Ispettore Don Bologna per consigliarne l'aper-
tura fu Fopportunitá di prender posizione anche in localitá piú cen-
trali della nazione. A Romans, cittá molto industríale, Don Bosco
era conosciutissimo. Un tal Marco Girard, vedendo quanto fosse i vi
necessario un buon oratorio festivo, invocava da Don Bosco nel 1887
l'invio dei Salesiani; ma allora i danni del terremoto ligure assor-
bivano la piü gran parte della beneficenza: tuttavia il Santo pro-
metteva di mandarli al piú presto possibile. Tre anni dopo il Girard
mori, lasciando alia sorella visitandina 30.000 franchi, perché pro-
curasse di far eseguire la sua intenzione. Quella religiosa, forte
della promessa contenuta in una lettera di Don Bosco al fratello,
ne scriveva con gran calore a Don Rúa; Mons. Cario Cotton, Ve-
scovo di Valenza, nella qual diócesi é Romans, appoggiava la do-
manda, scrivendo al successore di Don Bosco il 2 giugno 1891: «La
presenza dei Salesiani nella mia diócesi sarebbe certo una benedi-
zione per noi. » Egli informava puré di una casa pronta a riceverli.
Don Rúa incaricó Don Ortuzar, che si trovava in cura a Aix-les-
Bains con Don Czartoryski e Don Beltrami, di andar a vedere; ma
quegli ne fece una descrizione proibitiva. 11 rifiuto arrestó la corri-
spondenza e alia detta somma fu data un'altra destinazione.
La promessa pero di Don Bosco non doveva rimanere senza ef-
fetto. La Provvidenza suscitó a Romans un'anima generosa, che,
ripigliate le trattative, le condusse felicemente in porto. Egli e il
Sig. Ippolito Chopin, che, occupandosi con vero zelo di azione gio-
vanile ed essendo grande ammiratore delle opere salesiane, si sentí
lieto e onorato, quando le circostanze lo misero in relazione con Don
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Capo XLV1
Rúa. Ottenuta una risposta incoraggiante, non ristette piú dal cer-
care i mezzi, con cui fare acquisto di un terreno e cominciarvi a
costruire. Don Bologna, recatosi sul luogo per ordine di Don Rúa,
COSÍ conchiudeva la sua relazione: « l o sarei di parere che si ac-
cettasse senza timore. II paese é buono. Vi si ama assai Don Bosco e
si guarda con istraordinaria simpatía ai Salesiani. Vi difettano le
istituzioni giovanili; la massima parte dei fanciulli ignora le prime
nozioni del catechismo. » II buon Vescovo non si era punto intie-
pidito nel suo affettuoso desiderio di avere i Salesiani.
E Don Rúa pronunció l'ultima parola, assicurando che i Sa-
lesiani sarebbero andati a Romans non dopo quell'anno 1896. Tale
notizia apportó allegrezza a molti e raddoppió Fardore di chi ve-
niva facendo i preparativi. II Chopin impaziente aveva preso a
dirigere egli stesso un oratorio, frequentato da un centinaio di gio-
vani, e questa era anche una buona preparazione. Intanto egli dif-
fondeva largamente una Vita di Don Bosco e aumentava il numero
dei Cooperatori salesiani. Nel luglio del 1896 ando a Romans Don
Albera, che, esaminate le costruzioni in corso, non trovó gran che
da osservare. La sua visita produsse ottima impressione in quanti
lo avvicinarono o lo udirono.
I Salesiani arrivarono la vigilia dellTmmacolata, presentati dal
medesimo Don Albera, quale inviato speciale di Don Rúa. Si sen-
tirono súbito come in famiglia. Era una gara dei Cooperatori a
portare mobili, biancheria, utensili di cucina, paramenti di chiesa,
vasi sacri; una gara delle Cooperatrici a preparare le celle e i letti
per i Salesiani, ornare la cappella e Faltare, provvedere vivande.
L'indomani assistettero alia Messa di Don Albera. Nel pomeriggio la
banda dei Fréres venne a salutare fraternamente la nuova famiglia
religiosa. II giorno 10 Monsignor Vescovo, benche infermiccio, volle
venire da Valenza a benedire l'oratorio. All'agape fraterna di oltre
quaranta commensali fra ecclesiastici e laici parló magníficamente
il Sig. Chopin, anima dei Cooperatori romanesi. Don Albera chiese
al Vesvovo di permettere che l'oratorio fosse posto sotto il patro-
cinio di S. Cario, di cui egli portava il nome; ma il Vescovo rispóse,
esprimendo il desiderio che lo si dedicasse a S. Ippolito, nome
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Nuove fondazioni in vari Stali d Europa dal 1895 al 1898
del Sig. Chopin, che era stato lo strumento della Provvidenza in
quella fondazione. Poco dopo riunitasi dinanzi a Monsignore un'e-
letta di cittadini, gli alunni delle scuole dirette dai Figli del La
Salle diedero un grazioso trattenimento musicale, intramezzato da
un discorso del Sig. Chopin sulle opere di Don Bosco e chiuso da
un'allocuzione del Vescovo, che, facendosi un vanto d'aver cono-
sciuto personalmente D. Bosco, raccomando ai Cooperatori di esten-
dere sempre piü la loro provvidenziale Associazione e di aiutare ef-
ficacemente i Salesiani nell'esplicazione del loro apostolato. Sempre
cosi: chi era stato anche per brev'ora vicino al nostro Santo, rima-
neva affezionato alia sua persona e alia sua Opera per tutta la vita.
II Chopin fu per i Salesiani un vero papá, specialmente nell'aiu-
tarli a sormontare le difficoltá che ostacolavano i progressi dell'ora-
torio. I preti esigevano che i ragazzi assistessero alie funzioni par-
rocchiali; i Fratelli delle Scuole Cristiane non vedevano bene che i
loro allievi andassero la a mescolarsi con quelli delle scuole laiche,
per la qual ragione essi non avevano mai voluto avere oratorio; i
genitori, in massima parte operai delle industrie, non si curavano
generalmente che i figli si recassero o no dai Salesiani; gl'insegnanti
laici facevano di tutto per allontanare da essi i propri scolari. Ma
tante contrarietá non impedirono all'opera di gettare salde radici,
ramificando a poco a poco in circoli, societá ginnastiche e sportive,
compagnie musicali e drammatiche, tutti mezzi per allettare la gio-
ventü, tenerla avvinta alPoratorio e formarla alia vita cristiana.
Per desiderio di Don Rúa, vi si iniziarono presto scuole elementan
esterne ed un pensionato per giovani artigiani che, venendo a
Romans in cerca di lavoro, non avevano domicilio nella cittá o che
in cittá erano privi di genitori. La fiorente Associazione degli ex-al-
lievi, rappresentanti oggi di parecchie generazioni, é prova evidente
del bene operato in tanti anni dai Salesiani alia gioventíi románese.
Una seconda fondazione francese fu fatta puré nel 1896 a Rueil,
non lungi da Parigi. Quell'anno, costituitasi una nuova Ispettoria per
la Francia del Nord, si studiava come darle un proprio Noviziato,
quando un insieme di circostanze parve rivelare Pintervento della
Provvidenza. II March. Latour Mauburg stava fra due, se venderé con
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Capo XLV1
ottime condizioni la sua proprietá di Rueil ai Salesiani ovvero ai Pa-
dri Maristi. Le sue preferenze propendevano per i primi in memoria di
Don Bosco, da lui conosciuto e amato; ma alcuni riguardi non gli
permettevano di trascurare i secondi. Tardando a giungere da To-
rino una risposta, il Márchese fece con lTspettore Don Giuseppe
Ronchad una novena a Maria Ausiliatrice per conoscere quale deci-
sione fosse da prendere. Dopo la novena la risposta venne e di
pieno assenso. Immediatamente si fece l'apporto della proprietá alia
Societá Beaujour, secondo il sólito. II prezzo di acquisto in franchi
43.000 doveva essere pagato con gli interessi; ma occorreva aver
pronti súbito 12.000 franchi, parte da anticipare al Márchese, parte
da sborsare per l'atto di apporto, ed ecco una persona offrire pre-
cisamente tale somma a Don Ronchad, che con tutto disinteresse la
destino a Rueil, sebbene gli facesse cómodo per Ménilmontant a mo-
tivo clelle spese incontrate nell'erezione di un vasto edificio, neces-
sario complemento di costruzioni anteriori. Restava da mettersi in
regola con l'Autoritá scolastica per l'apertura delle scuole. Ebbene,
un buon prete si profferse a far valere gratuitamente i suoi ti-
toli accademici. Con quale paterna sollecitudine Don Rúa pensasse
alia vita di quel noviziato, ci é dato scorgere dalla prontezza con
cui faceva rispondere favorevolmente dal Prefetto Don Belmonte,
ogni volta che il Direttore Don Févre picchiava alia Casa Madre
per sussidi. Tanto appare da documenti d'archivio.
In Francia l'esodo degli agricoltori dalla campagna, presi dalla
smania d'inurbarsí, cominciava a preoccupare le classi dirigenti. che
vi intuivano il principio di una piaga sociale, come poi i fatti di-
mostrarono. Non si spiega altrimenti la frequenza di domande
per l'impianto di Scuole agricole. Tre ne furono aperte fra il 1897 e
il 1898: una a Lons-le-Saunier nella diócesi di Saint-Claude, l'altra
a Etagnac in quella di Angouléme e la terza a Saint-Genis-de-Sain-
tonge in quella di La Rochelle. Ma la seconda era un orfanotrofio
femminile, affidato alie Figlie di Maria Ausiliatrice; la prima e
Tultima, avuto appena il tempo di sormontare le difficoltá e le con-
trarietá degli inizi, soggiacquero alia legge di soppressione del 1901,
scomparendo senza lasciar trácela.
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Nuove fondazioni in oari Stati d Europa dal 1895 al 1898
Nello scacchiere étnico dell'Impero Austro-ungarico, vi furono due
nuove Case, una in paese di lingua polacca e l'altra nella cittá di
Trieste. Della Polonia diremo a parte; parliamo qui di Trieste. Nel-
líndustriale cittá litoranea difettava Fassistenza religiosa sia per l'in-
sufficiente numero di sacerdoti (trenta soli ín una popolazione di
160.000 abitanti) sia perché le cinque uniche parrocchie si trovavano
tutte nella stessa meta di quel grande centro; quindi la mistica
vigna del Signore s'infittiva di rovi e sterpi e stava troppo aperta
a quanti volessero penetrarvi e farvi bottino. Gli Ebrei vi abbon-
davano e il socialismo vi si radicava come la gramigna. La trascu-
ratezza poi delle famiglie operaie nell'educazione dei figli era cau-
sa che le strade e le piazze brulicassero di una ragazzaglia abban-
donata a se stessa e oltremodo seapestrata. Esisteva poi la un rione
detto di S. Giacomo, che, popolatissimo di lavoratori dei cantieri na-
vali e del porto, presentava uno spettacolo desolante per una maggior
turba di ragazzi procaci, violenti, sboccati e bestemmiatori. Qui era il
posto dei Salesiani. A questo pensavano alcuni buoni cittadini, i quali,
animati da carita cristiana, volsero lo sguardo a Torino, chiedendo al
Successore di Don Bosco un oratorio festivo; intanto nell'attesa costi-
tuirono un Comitato, che si adoperasse a preparare conveniente-
mente il terreno. Di coloro che vi appartenevano. quattro uomini
sonó degni di particolare menzione: il Prepósito capitolare della
cattedrale Mons. Francesco Petronio, il Segretario vescovile Don
Cario Mecchia, il rinomato scrittore Don Ugo Mioni e il Barone Au-
gusto De Alber. Essi cercarono un luogo adatto da prendersi in un
primo tempo a pigione e stimolavano la generositá di tutti a venire
in aiuto.
Allorché Don R ú a diede fórmale parola per l'ottobre del 1898, il
Comiiato íece i passi necessari per ottenere ai Salesiani dalFimpe-
riale reale Luogotenenza il permesso di stabilirsi in Trieste, secon-
doché prescrivevano le leggi. In tale istanza bisognó indicare lo
scopo che si prefiggeva la Casa, cioé un oratorio festivo per ragazzi,
precisare il numero dei Salesiani che sarebbero andati a occuparla,
dích¡arare che la Casa Madre di Torino si assumeva ogni onere e
responsabilitá riguardo al loro mantenimento. Ció si doveva di re,
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Capo XLV1
non giá perché essi non avessero da trovare in Trieste tutto il bi-
sognevole (al che venivano fin d'allora provvedendo i Cooperatori
triestini), ma per essere quella una fórmale garanzia richiesta dalla
legge. L'istanza cosi formulata si accludeva con un'altra diretta al
Vescovo, affinché egli la inoltrasse alia Luogotenenza. La permis-
sione giunse il 14 ottobre 1898. In forza d'essa l'Istituto poteva avere
soltanto due sacerdoti e al massimo tre chierici, con divieto di ri-
guardare tale licenza come equivalente a concessione di qualche
diritto corporativo e con la prescrizione di esercitare ogni attivitá
limitatamente all'oratorio, senza che la Congregazione salesiana
avesse mai diritto di comparire esteriormente come tale. Tanto
venne partecipato al Vescovo con preghiera di darne comunica-
zione al Comitato, osservando che per ogni aumento di membri
occorreva chiedere di caso in caso la rispettiva autorizzazione.
I primi Salesiani arrivarono a Trieste il 20 ottobre 1898; erano
il Direttore Don Alessandro Veneroni, un chierico e un coadiutore.
Ne fece la presenta zione 1'Ispettore véneto Don Veronesi, e li ac-
compagnarono alia loro abitazione provvisoria i piü cospicui rap-
presentanti del Comitato. Un giornale avverso aveva quindici giorni
innanzi dato fiato alia tromba anticlericale con uno squillo su questo
tono (1): «I Salesiani, venendo a Trieste, vi troveranno preparata
la Casa col refettorio lautamente imbandito e la cassa di ferro
con entro fior di monete lampanti di zecca. » Invece essi trova-
rono in via dellTstria 27 un modestissimo alloggio, dove scarsitá di
pecunia li obbligava a mensa arcifrugale. Ma gaudio e corona loro
furono súbito i birichini del quartiere, quei birichini che forma-
vano la muleria triestina, come vengono la collettivamente designati
tutti quanti i ragazzi, individualmente detti muli. II 23 ottobre. do-
menica dell'apertura, ne comparvero solo dodici; ma la domenica
dopo ve ne furono 200. Poi il numero si duplicó, si triplicó (2):
si correva ai Salesiani da ogni parte della cittá. Col numero andava
(1) II Corriere di Gorizia, 4 ottobre 1898.
(2) Non sembri esagerato il numero di 600. Vi furono anni in cui, Direttore Don Alessandro
I'rank, i frequentatori dell'Oratorio raggiunsero ed anche sorpassarono la cifra di 1200. Egli l'aveva
riccvuto in fiorcnti coiulizioni da Don Michelangclo Rubino.
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Nuooe fondazioni in vari Stati d Europa dal 1895 al 1898
crescendo la letizia del bene. Giá nel terzo anno un foglio citta-
dino (1), ammirando i frutti ottenuti, constatava: « In tempo rela-
tivamente breve, dei monelli indisciplinati, petulanti, rozzi, raecolti
sulle vie, i buoni Padri hanno fatto ragazzi composti, mansueti,
rispettosi, volti al bene; ne hanno fatto piccoli ed intelligenti artisti
di drammatica, di canto, di música.»
Affiorarono tostó due novitá, che sorpresero Don Rúa e alie
quali egli, risoluto a non decampare mai dalla linea delle paterne
tradizioni, stentó non poco ad acconciarsi. Incamminato che fu l'o-
ratorio, il detto Comitato senza consultare i Superiori di Torino sí
mutó in Associazione salesiana legalmente riconosciuta, con un sao
statuto dato alie stampe. II Capitolo Superiore negó l'approvazione,
sia perché nel Consiglio direttivo era escluso ogni membro sale-
siano effettivo, sia per l'ingerenza assoluta di esso nell'impiego delle
offerte fatte a pro delTopera salesiana. É doveroso pero aggiun-
gere che i soci, animati dalle migliori intenzioni del mondo, ave-
vano avuto ottimi fini, come di rendere sicura e stabile Topera di
fronte alia legislazione austríaca, che non permetteva nell'lmpero
oblazioni raccolte a vantaggio di opere straniere, non approvate
dallo Stato; di garantiré i legati a pro delToratorio, che altrimenti
sarebbero incorsi neirannullamento; di avere sussidi certi in da-
naro per il mantenimento dell'oratorio; d'impedire con un mezzo
légale che, qualora anche in Austria si promulgassero leggi di sop-
pressione, Topera o almeno gli stabili dei Salesiani non cadessero
nelle mani del fisco. Per altro la detta Societá non faceva spese senza
il parere del Direttore salesiano ed i soci erano cattolici seri e ga-
rantí sotto ogni aspetto. Tuttavia Don Rúa tenne fermo nelle sue
riserve fino al 1908. Anche allora TAssociazione dié prova di schietto
buon volere, modificando legalmente lo statuto con il mettersi sotto
la presidenza del Vescovo e con Taccettare che i Direttori salesiani
fossero membri effettivi soprannumerari, ma aventi tutti i diritti de-
gli altrí membri della Direzione, compreso quello di intervenire sein-
pre alie sedute con voto deliberativo.
(1) II Trieste, 12 agosto 1901
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Capo XLV1
Laltra questione verteva sulle convenienza o meno che i Sa-
lesiani si facessero riconoscere dal Governo austríaco. Vantaggi del
riconoscimento erano l'esenzione dalle imposte, riduzioni nei viaggi
ferroviari, dispensa degli studenti di teología dal servizio militare,
possibilitá di tenere scuole, facoltá di raccogliere limosine e di acqui-
stare beni immobilí, non essere piú alia merce dei Luogotenenti. Si
esigeva pero che Ispettori e Direttori fossero sudditi austriaci.
Nella supplica, da presentarsi al Ministro per il tramite dell'Ordi-
nario, faceva d'uopo indicare lo scopo delia Societá Salesiana, di-
chiarare che i Salesiani avevano la rendita sufficiente per man-
tenersi, allegare copia delle Costituzioni. La legge poi disponeva
esplicitamente che quelle Congregazioni, i cui membri potevano se-
condo le loro Rególe possedere, godessero il medesimo diritto anche
dopo il riconoscimento. Tutti, a cominciare dal Vescovo, consiglia-
vano di fare l'istanza, suU'esempio di tutte le altre Congregazioni
esistenti in Austria. Ma Don Rúa non era dello stesso parere> es-
sendo cosa contraria alie massime di Don Bosco; dopoché poi a ma-
lincuore vi s'indusse, le prime due domande vennero respinte, nei
1902 per difetto di forma e nei 1904 per pretesti politici. II ricono-
scimento fu accordato nei 1911, grazie ai buoni uffici di eminenti
personalitá, specialmente di Mons. Nagl, Arcivescovo di Vienna, giá
Vescovo di Trieste e molto affezionato ai Salesiani (1).
Mentre duravano queste controversie, la vita deiroratorio pro-
grediva, sicché si resé indispensabile una dimora stabile e con ampi
locali. Fu acquistato a tale scopo un terreno, sul quale nei 1901
venne sorgendo u n a casa ben capace e nei 1909 una bella chiesa
dedicata a Maria Ausiliatrice, la cui divozione poteva dirsi omai
popolare a Trieste. Nemici invasati di settarismo satánico tentarono
a piü riprese di soffocare prima e poi di sopraffare Topera; ma
viceversa i loro conati servirono a consolidarla, perché il popólo,
vedendo il bene che ricevevano i giovani, si stringeva maggiormente
ai Salesiani. Nei 1923, festeggiandosi il venticinquesimo della fon-
(1) A Vienna, finché non si ebbe il riconoscimento sovrano, non fu possibile ai nostri ottenere la
facoltá di celebrare Mcssa e di conservare il Santissimo nella cappella interna, supponendo quosto
l'csislcnza di una comunitá, cosa incoinpatibile senza l'approvazione giuridica della Societá.
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Nuóoe fondazioni in oari Staíi d Europa dal 1895 al 1898
dazione, si levó un coro plebiscitario di lodi per quanto erasi ope-
rato dall'oratorio " Don Bosco " in tal periodo di tempo. Riportero
due testimonianze come le piü significative, perché provenienti da
persone non solo autorevoli, ma meglio infórmate. Don Fedele Gi-
raudi, oggi Ecónomo Genérale e allora Ispettore véneto, scriveva:
« L'Oratorio di Trieste é tra le opere piü fiorenti della nostra Ispetto-
ria e vanta una tradizione di attivitá e di popolaritá, dovuta soprat-
tutto alio zelo instancabile dei Salesiani. » E il Vescovo di Trieste
Luigi Fogar: « A voi, Salesiani carissimi, che giá dalla mia infanzia
influiste benéficamente suH'anima mia ed ognora foste seguiti dal
mió vivo interesse, ammirati per il vostro zelo e per le buone opere,
giunga il férvido saluto della mia piú viva ed affettuosa solida-
rietá [...]; a voi il commosso ringraziamento per il gran bene pro-
digato ai miei carissimi Triestini. » (1)
LTspettoria spagnola, sotto il governo di Don Filippo Rinaldi,
procedeva nel suo nórmale sviluppo: cresceva il numero dei Soci e
delle Case. Di mano in mano che si estendeva la conoscenza della
Societá, aumentavano le domande di fondazioni; ma per sostenere
le Case giá esistenti e aprime di nuove occorreva personale nume-
roso e ben formato. Le vocazioni cominciavano a spesseggiare: si
faceva quindi sentiré il bisogno di una Casa apposita, nella quale
gli ascritti si potessero seriamente preparare all'apostolato proprio
della Congregazione. Ottimi benefattori, avuta notizia di questa ne-
cessitá, oñersero i mezzi e la Casa fu trovata a S. Vincenzo degli
Orti presso Barcellona. La d u n q u e il 9 dicembre 1895 convennero
da varié partí i primi novizi in numero di venticinque. Cosi anche
la Spagna salesiana ebbe il suo Noviziato e poi insieme lo Stu-
dentato dei chierici.
É del gennaio delTanno seguente l'andata dei Salesiani a Befar,
diócesi di Plasencia, provincia di Salamanca. Per una domanda
esaudita ne restarono allora 47 inesaudibili. Promotore della fon-
dazione era il sacerdote Evaristo Carabias e fondatrice la nobile
donna Felisa Esteban Rodríguez. Ella non abbandonó la Casa a se
(1) L'Oratorio Salesiano " Don Bosco " in Trieste nel XXVo della sua fondazione. Pp 10 e 7.
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Capo XLVI
stessa, ma si mostró ognora mamma dei Salesiani in vita e nelle
disposizioni testaméntame. Scopo originario della Casa da lei vo-
luto, mantenere alcuni orfanelli interni, tenere scuole elemen-
tari esterne per poveri, fare l'oratorio festivo e col tempo aggiun-
gere laboratori.
Tre furono le fondazioni spagnole del 1897: a Ecija, a Garmona
e a Baracaldo. A Ecija, diócesi di Siviglia, i Salesiani erano stati
preceduti nel 1895 dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. D u e anni dopo
venne inviato per la loro assistenza religiosa un Salesiano, al quale
tostó se ne unirono due altri, aprendovi scuole elementari esterne
per poveri e l'oratorio festivo. In seguito FArcivescovo Card. Spi~
ñola, vedendo che vi stavano a disagio e che avrebbero potuto im-
piegare meglio le loro forze, cedette ai Salesiani la chiesa del Car-
mine, dove i nostri si trasferirono in una casa donata da un buon
Cooperatore. I mezzi forniti dalla beneficenza permisero loro pri-
mieramente di far fronte alie necessitá della vita e appresso di am-
pliare i locali e allargare assai il campo della propria attivítá. L'o-
ratorio, a dir vero, stentó alquanto prima che la Casa accogliesse
puré Figli di Maria, che vi diedero poi mano forte e lo fecero
fiorire.
Nell'archidiocesi ispalense é anche Carmona, che nel 1897 vide
iniziarsi Ira le sue mura un'opera simile alie due precedenti, cioe
scuole elementari per poveri e oratorio festivo. II mérito di essa
risaliva a Donna Dolores Quintanilla y Montaya, che nel 1881
aveva disposto per testamento una fondazione di tal genere; ma fu-
rono gli esecutori testamentan a volere nel 1896 i Salesiani, p u r c h e
non indugiassero oltre il settembre del 1897. Si dava la casa e tutto
il materiale scolastico necessario, piú 6000 pesetas all'anno per un
Direttore e tre maestri, e al tre 9000 annue per la manutenzione
e per tutto quanto occorresse a favore degli alunni, con la clau-
sola pero che riguardo a questa seconda somma si rendesse contó
del come sarebbe stata spesa. I Conti di Casa Galindo, e soprattutto
la Contessa, che era la Presidentessa delle Dame Patronesse di Si-
viglia, sostennero validamente la fondazione con il generoso intento
di promuovere il vantaggio cultúrale, morale e religioso della gio-
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Nuoue fóndazioni in vari Stati dEuropa dal 1895 al 1898
ventü carmonese. ] Salesiani andarono nel termine stabilito; Don
Ricaldone, il Don Pedro di Siviglia, la cui fama era giunta puré a
Carmona, fu invitato a benedire i locali ed a pronunciare il discorso
di apertura.
I detti signori comprendevano i bisogni de! popólo. A quei tempi
l'istruzione primaria popolare non era obbligatoria, né i Municipi
generalmente se ne davano gran pensiero; onde la piaga della gio-
ventü povera, come abbiamo notato altrove, vagante a frotte per le
strade e le piazze, con grave disturbo dei cittadini e con piü grave mi-
naccia di mali futuri. Ecco quindi persone veramente illuminnte
suscitare e sussidiare scuole elementan per poveri, scuole che i Sa-
lesiani accettavano ben volentieri, come parte essenziale della loro
missione. Anzi alcuni Collegi sorti senza quello scopo cercavano
di aprire anche scuole di tal natura, come fece nel 1896 il fioren-
tissimo collegio di Utrera con viva soddisfazione della ciitá. In sif-
fatte scuole i Salesiani curavano in modo particolare l'insegnamento
religioso e la preparazione alia prima comunione, nel che mediante
il sistema di Don Bosco ottenevano assai. Ma bisognava che faces-
sero presto, perché purtroppo spesse volte i genitori, quando i figli
arrivavano ai, nove o dieci anni, li ritiravano dalla scuola. Vi sop-
periva pero abbastanza l'oratorio festivo, al quale alunni ed ex-
alunni accorrevano di buon grado per l'affetto che ordinariamente
portavano ai loro maestri.
L'opera di Baracaldo a Bilbao era come le clue, di cui abbiamo
parlato or ora. Dovette la sua esistenza alia generositá delle Si-
gnorine Gioachina e Luisa de Echavarri. L'edificio da esse fatto
costruire sorse nel mezzo di una densa popolazione operaia, circa
30.000 fra minatori e lavoranti di ferriere. Di quanti ragazzi formi-
colavano le vie! Non mancavano pubbliche scuole, ma non erano
in numero bastante a conteneré una gran parte dei monelli, che
facevano gli sbarazzini lungi dalFocchio paterno, e questi forma roño
il copioso contingente delle scuole salesiane; a tutti poi stava sem-
pre aperto l'oratorio. Quei Confratelli, come anche gli altri delle
Case menzionate qui sopra, inferiori per numero al bisogno, guar-
davano con impazienza a San Vincens deis Horts, al vivaio spa-
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Capo XLV1
gnolo della Congregazione, dal quale aspettavano in un non Ion-
tanto avvenire i necessari rinforzi.
D u e fondazioni del 1898 presentano gli identici caratteri delle
ultime accennate fin qui: segno evidente che rispondevano davvero
a un bisogno largamente sentito. A Salamanca si assunse la di-
rezione del Protettorato S. Giuseppe, che continua oggi a fare gran
bene. Fu consegnato ai Salesiani dalla Societá di S. Vincenzo de'
Paoli per volontá del dotto Vescovo agostiniano Tommaso Cámara.
Essi migliorarono di molto le scuole esterne per poveri e vi accom-
pagnarono uno spettacoloso oratorio festivo. L'altra fondazione di
carattere idéntico fu fatta a Valencia; ma non si arrestó alia forma
primitiva, poiché prese in seguito grande sviluppo, abbracciando
scuole ginnasiali, professionali, convitto e parrocchia.
Ci chiama ora a sé un'altra volta Siviglia. Nella Casa della Tri-
nitá si lavorava sul serio. L'Ispettore Don Rinaldi dopo aver com-
piuta la visita d'ufficio alia Casa, fece gli elogi di essa e del suo
Direttore scrivendone a Don Rúa il 10 gennaio 1897. Date le me-
ritate lodi a quella di Utrera, entrava a parlare della ispalense cosi:
« Questa casa fece puré grandi progressi; Don Ricaldone é proprio
un uomo ed é molto amato. » La vista del bene che si faceva, unita
alia simpatía che circondava la Casa, acceleró Tesecuzione di un
disegno concepito giá da tempo.
In un rione a oriente del sobborgo, dov'era il collegio della Tri-
nitá, si trovava una chiesa di S. Benedetto con accanto un caseg-
giato, residuo di un antico edificio appartenuto in secoli remoti ai
Cavalieri di Calairava (1). Quel quartiere versava nelle identiche
condizioni di abbandono morale descritte piü addietro a propo-
sito dell'altro. La il Card. Sanz aveva divisato di creare un'opera
salesiana, che lavorasse a redimere quella popolazione. Con questo
intendimento egli stava conducendo pratiche, delle quali teneva in-
formato Don Ricaldone; ma quando le trattative erano giá a buon
punto, lo sorprese morte prematura. 11 suo successore Mons. Mar-
(1) Ordine militare istituito nel 1158 dall'Abate Raimondo, al quale il Re Sancio III di Castiglia
avcva dato da di Tendere Calatrava contro i Mori. Ebbe l'approvazione da Alessandro III nel 1165. con-
íermata da Gregorio VII? nel 1187.
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Niiove fondazioni in vari Staíi d Europa dal Í895 al Í898
cello Spinola, venuto a conoscenza della cosa, volle che chiesa e
iocali fossero ceduti ai Salesiani, perché vi aprissero scuole diurne
e serali e un oratorio festivo. La nuova Casa fu aperta nel 1898.
L'inaugurazione riusci tanto piü solenne, perché la si fece serviré
a commemorare il décimo anniversario della morte di Don Bosco.
Per questo l'Arcivescovo non solo ando a benedire la Casa, ma
volle presiedere alia commemorazione e tessere l'elogio del Servo
di Dio. In seguito la Casa ebbe nuovo incremento. Mediante il
gradúale acquisto di fabbricati e di terreni adiacenti accolse un
numero sempre maggiore di giovani, mettendo in azione tutti i mezzi
che sonó propri della nostra Societá per rialzare le sorti della gio-
ventú povera e abbandonata.
E qui é bene mettere nel dovuto rilievo la larga porzione di mé-
rito che spetta a Don Rinaldi nei progressi della Congregazione in
Ispagna. Le Case spagnole per parecchio tempo fecero parte di
un'lspettoria denominara Sicula-Ispana, che comprendeva le Case
di Sicilia, Spagna, Austria, Inghilterra, Belgio, Svizzera, África e
Palestina. Ne era Ispettore Don Durando. Ma il moltiplicarsi delle
fondazioni sotto l'impulso di Don Rúa portó la necessitá di divi-
dere in gruppi regionali e nazionali quei diversi Istituti extrava-
gantes. COSÍ ebbe principio nel 1892 l'Ispettoria Spagnola, affidata
a Don Rinaldi, che allora dirigeva la Casa di Sarria, la piü impor-
tante delle opere salesiane in quella nazione. Don Rinaldi seppe
eccitare efficacemente i suoi a coltivare con zelo le vocazioni. Questo
gli permise di far sorgere in pochi anni numerosi Istituti, nei quali
infuse il genuino spirito di Don Bosco. In ció Topera sua fu prov-
videnziale e se ne risentirono poi sempre i salutari effetti. Quando
nel marzo del 1901 egli venne chiamato da Don Rúa a prendere
presso di lui il posto del defunto Don Beimonte, come Prefetto
Genérale e Vicario del Rettor Maggiore, le fondazioni nella Spagna
erario giá tante e tal i, che poterono essere divise in ben tre Ispettorie,
come si vedrá a suo luogo.
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CAPO XLVII
I Salesiani in Polonia.
Delle tre parti, nelle quali le Potenze avevano smembrato la
Polonia, abbastanza accessibde a Congregazioni di origine straniera
era l'austriaca, non poco malagevole la prussiana, assolutamente im-
pervia la russica. Tuttavia anche nella Polonia russa si conosceva
Don Bosco e la sua O p e r a : il Bollettino tráncese e le immagini di
Maria Ausiliatrice, nonostante le disposizioni poliziesche che ne vie-
tavano 1'ingresso, vi penetravano di contrabbando dalla Polonia au-
stríaca, e con si buoni effetti che nel 1884, anno critico per l'Ora-
torio a motivo del colera, i rubli mandati da quei buoni Polacchi
furono una vera provvidenza. Una volta giunse di la a Don Bosco
una busta contenente alcuni rubli con questo solo scritto: « La Po-
lonia ai piedi di Maria Ausiliatrice in Torino. Quando si spezzeranno
le nostre catene? ». Dalla Polonia austríaca poi si guardava con
molta simpatía ai Salesiani. Nel 1887 il gesuita P. Ladislao Czencz.
redattore di Missyi Katolickch, indirizzava a Don Bosco da Cra-
covia una lettera scritta in latino per rispondere alia circolare mis-
sionaria del 4 novembre inviata alia stampa mondiale (1). In essa
egli diceva fra l'altro: « Noi faremo di tutto per favorire le Mis-
sioni salesiane. Ci sta sommamente a cuore il progredire della vostra
Congregazione [...]. Sarebbero necessarissimi Salesiani polacchi. Qui
coglierebbero copiosi frutti non solo neireducazione dei fanciulli,
ma anche nelle vocazioni, essendo la gioventú polacca docile di ín-
dole e piena di ardore. » Egli chiedeva una risposta autógrafa per
(1) La leltera c pubhlicata in Memorie Biografíente, vol. XVIII, pag. 803.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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*
7 Salesiani in Polonia
essere certo che la sua lettera era giunta nelle mani di Don Bosco,
ma forse piü, come spesso avveniva, per avere una preziosa reli-
quia dell'uomo di Dio. I lettori pero sanno che di quei giorni Don
Bosco non era in grado neppur di leggere, nonché di serivere (1),
Senza dubbio, come ben rilevava il detto Padre, la mancanza
di soggetti polacchi costituiva aflora il massimo impedimento a fon-
dare Case in quella nazione; ma la Provvidenza disponeva giá le
cose in modo, che a non lungo intervallo di tempo tale difficoltá
dovesse scomparire. Infatti con la venuta de! Principe Czartoryski
alia Congregazione si determinó un afflusso di giovani polacchi, i
quali, bramosi di seguirne l'alto esempio e superando talora incre-
dibili osiacoli, da soli, senza sapere un eite di italiano si mettevano
in viaggio alia volta di Torino, dove prima venivano riuniti a Valsa-
lice nel Seminario delle Missioni e da ultimo a Lombriasco, nel Col-
legio fatto per loro. Si preparavano cosi elementi destinati a portare
nella Polonia ed a farvi grandeggiare le Opere di Don Bosco; il che
tuttavia non fu possibile su vasta scala se non dopo la ricostituzione
dello Stato polacco al termine della prima grande guerra.
Disgraziatamente non aveva piü l'etá né ebbe il tempo che
sarebbero stati necessari per ricevere un'adeguata formazione sale-
siana colui che precedette gli altri Confratelli connazionali nella sua
patria; purtroppo quindi la sua andata non recó allegrezza alia Ma-
dre Congregazione, ma le divenne causa di grande rammarico. Par-
lo di Don Bronislao Markiewicz. Vediamo anzitutto in poche parole
quali furono i suoi precedenti.
Nato nel 1842 a Pruchnik di Galizia, fece gli studi classici e teo-
logici a Przemysl, dove nel 1866 fu ordinato sacerdote. Inviato súbito
come viceparroco a Harta e dopo tre anni trasferito nella stessa
qualitá alia Cattedrale di Przemysl, vi rimase solo un altro triennio,
perché volle iscriversi alia facoltá di lettere nell'Universitá di Leo-
poli, dalla quale l'anno appresso passó a quella di Cracovia; ma
senz'aver finito il corso universitario ritornó nel 1875 alia cura d'a-
(1) Nella basílica del Sacro Cuore a Roma, sulla base del pilastro presso Faltare di María Ausi-
lialrice, Don Bosco aveva fatto inciderc il nome di Kalar/yna Adamowa Potocka.
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Capo XLVIi
nime, quale párroco a Gac. Trascorsi ivi tre anni, lasció tale parroc-
chia per un'altra a Blazowa; ma anche la resto solo quattro anni,
dopo i quali venne nominato professore di teologia pastorale nel Se-
minario diocesano di Przemysl l'anno 1882. Neanche questa nuova
occupazione lo soddisfece, poiché nel 1886, recatosi a Roma, entro dai
Teatini. Se non che la vita piuttosto quieta e ritirata di questi re-
ligiosi non gli andava a genio; onde, ammonito da Dio in visione,
come egli raccontó a un sacerdote della diócesi di Przemysl, che lo
riferi poi a Don Augusto Hlond, quando questi era Direttore cola,
abbandonó i Teatini e si rifugió dai Salesiani. Qui, fatti i voti per-
petui, visse alcuni anni in diverse Case del Piemonte, finche nel
1892 fu inviato nella sua Polonia, ed ecco perche e come.
Era rimasta vacante la parrocchia di Miejsce Piastowe, villaggio
soggetto alia giurisdizione ecclesiastica di Przemysl e parrocchia di
patronato laicale. II patrono, vecchio amico di Don Markiewicz, si
rivolse a Don Rúa per avere lui párroco. Tanto il Vescovo Solee k i
quanto il suo Ausiliare Glazer si dissero lietissimi della scelta, so-
prattutto perché speravano cosi di ottenere presto un'opera di Don
Bosco nella diócesi. Un autorevole Canónico scriveva a Don Mar-
kiewicz il 27 dicembre 1891: « Nobiltá e clero sonó grandemente fa-
vorevoli ai Salesiani e ne desiderano la venuta. La nostra societá ha
molti bisogni, che soltanto i Salesiani possono soddisfare. In prin-
cipio troveranno delle difficoltá, che pero la Congregazione, pene-
trata dallo spirito del suo Fondatore, potra con l'aiuto di Dio supe-
rare. » Le difficoltá spuntarono realmente, ma donde meno si sa-
rebbe pensato. A ben comprendere i fatti che esporremo, converrá
tener presente che la parrocchia non fu data alia Congregazione, ma
alia persona, sia perché si trattava di un beneficio secolare e non re-
ligioso, sia perché i patroni guardano volta per volta aH'individuo e
non una volta per sempre a un Ente morale.
Don Markiewicz, giunto alia sua residenza. non facendone nep-
pur parola ai Superiori, cominció tostó ad accogliere allievi e poi
anche allieve nella casa parrocchiale, applicandoli ai lavori agri-
coli nella campagna appartenente al beneficio. Pervennero tostó ai
Superiori lagnanze, che egli trascurasse la parrocchia, che accogliesse
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I Salesiani in Polonia
iroppi giovani, che non procedesse d'accordo con le Autoritá; onde
Don Rúa ordino una visita, dandone rincarico aH'Ispettore véneto
Don Veronesi, come meno lontano. Questi ando, osservó atenta-
mente ogni cosa, parló con lui, col Vescovo, col patrono e con altri
personaggi e infíne gli fece presenti le doglianze udite, esortandolo
che si volesse rimettere a quanto i Superiori avrebbero disposto.
Quindi, venuto all'Oratorio, espose lo stato di quella Casa e le os-
servazioni che si facevano sul contó di Don Markiewicz e sul suo
istituto. Don Rúa, avuto riguardo ai desideri espressi specialmente
dal Vescovo, con tutta carita lo avvisó di limitare il numero de' suoi
ricoverati per non agglomerarli troppo nei dormitori con pericoli
d'immoralitá e di poco belle dicerie; di porre una ben visibile se-
parazione fra i giovani e le donne e zitelle; di occuparsi maggior-
mente dei parrocchiani; di curare il decoro della sua chiesa e di ha-
dare alia pulizia di questa e di tutta la casa. Gli diceva poi che
venisse a Torino per gli esercizi spirituali che erano imminenti, dando
COSÍ comoditá a intendersi meglio di presenza.
Agli esercizi egli non venne, alia lettera di Don Rúa non rispóse,
e senza punto recedere dal suo proposito allontanó dalla casa il sa-
lesiano D. Pietro Sikora mandatogli in aiuto e con lui anche alíre
persone che conosceva piú affezionate alia Congregazione e tiró in-
nanzi ad accogliere giovani oltre il numero voluto, mettendosi in
istato di aperta ribellione. Nelle lettere poi che scriveva qua e la
(non mai ad alcun Superiore) e nei discorsi che vennero riferiti, pro-
testava che non intendeva di seguiré altra Regola che quella vera
della Societá Salesiana, quasi che lo spirito di Don Bosco e del le Co-
stituzioni si potesse conoscere meglio da chi era vissuto solo qualche
anno in Case salesiane, e non da coloro i quali fin dalla prima etá
erano stati con Don Bosco, divenendone piú tardi gli aiutanti e
quindi i principali Superiori della Societá.
Di fronte a un caso si grave di ostinata disobbedienza il Ret-
tor Maggiore scrisse al Vescovo pregándolo che volesse fare qualche
atto per ricondurre il traviato a buoni sentimenti; ma purtroppo non
ottenne la risposta che si sarebbe aspeftata, che Monsignore credette
opportuno approvare l'operato del povero sacerdote, osservando a
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Capo XLVI1
Don Rúa che, come altri Ordini religiosi eransi scissi in varié ra-
mificazioni, cosi potevasi anche lasciar passare la scissura di Don
Markiewicz. Intanto, non essendo piú possibile ritenere in Congre-
gazione chi se n'era da se stesso separato, il Rettor Maggiore, va-
lendosi dell'autoritá che gli veniva conferita dalle Costituzioni, di-
chiaró il ribelle sciolto da qualsiasi vincolo con la nostra Societá,
notificando la sua deliberazione al Vescovo con lettera del 27 mar-
zo 1898.
Ma la faccenda non ebbe termine qui. II Markiewicz si accinse
a fondare una sua Congregazione religiosa e per provvedersi piú fá-
cilmente dei mezzi pecuniari continuava ad usurpare pubblicamente.
anche con periodici e immagini sacre, il nome di Don Bosco e della
Societá Salesiana, il che causava a questa grave discapito e vivo
dispiacere a quei Cooperatori, i quali, dopo aver dato a lui le loro
offerte per aiutare le Opere salesiane, si avvedevano di essersi in-
gannati.
Naturalmente dunque egli cercava di far proseliti. Per riuscirvi
con maggior facilita, si adoperava con lettere a smuovere dalla loro
fedeltá alia Congregazione Salesiani polacchi, incaricandoli anche
di allargare la propaganda. Ingannó cosi un certo chierico Orlemba.
professo perpetuo, sollecitandolo tanto che lo indusse a fuggire dal
collegio di Lombriasco e costituendolo poi, benché non ancora in
sacris, Direttore di quella tal sua Casa.
Per ovviare al duplice disordine Don Rúa fece ricorso al Card.
Serafino Vannutelli, Prefetto della Sacra Congregazione dei Vescovi
e Regolari, affinché si degnasse provvedere che, se Don Markiewicz
intendeva fondare una nuova Congregazione, la intitolasse da qua-
lunque altro Santo e se ne chiamasse pur fondatore, ma non usur-
passe il nome di S. Francesco di Sales e di Don Bosco, e cessasse
inoltre dallo screditare con scritti e discorsi suoi e dei propri dipen-
denti la nostra Societá, non che dal subornare i Polacchi professi,
novizi ed altri in qualsiasi modo addetti alia Congregazione Sale-
siana, poiché tutto ció recava grave confusione, scandalo e danno.
Istruzioni giunte da Roma al Vescovo posero fine all'abuso pubblico;
infatti chiamó la sua fazione "Societá Temperanza e Lavoro " sotto
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I Salesiani in Polonia
il patrocinio di S. Michele Arcangelo: ma in privato non cessó di
spacciare sé e i suoi per Salesiani, anzi per i veri Salesiani, i Sale-
siani della stretta osservanza.
Tre erano gli addebiti che da lui si facevano alia Congregazione.
Anzitutto sarebbe tralignata dallo spirito di Don Bosco per la so-
verchia lautezza nel vitto, contro la volontá e gli esempi del Fonda-
tore. II Markiewicz avrebbe preteso che i Salesiani tornassero alia
povera mensa dei primordi, essendo stata sempre intenzione di Don
Bosco, per diría con parole sue, che essi dovessero nutrirsi come i
contadini dei luoghi ove dimorano. Ma chi se non Don Bosco mo-
dificó e miglioró il vitto meschino di quei primi tempi? E lo fece
non solo perché quel método di vita allontanava da lui coloro che
desideravano essere suoi collaboratori, ma anche perché altrímenti
non avrebbe mai avuto la possibilitá di formare una comunitá di
persone dedite al lavoro, alio studio e al sacro ministero. II Santo
diceva inoltre di essere stato indotto a mitigare l'austeritá del vitto
anche daH'esempio di tutti gli altri Ordini religiosi. Don Bosco dun-
que, e non altri, prescrisse un apprestamento comune, al quale po-
tessero e dovessero adattarsi quanti si sentissero chiamati a lavorare
nella sua Societá. Del resto una volta non la pensava diversamente
nemmeno Don Markiewicz. Esiste infatti una sua lettera, trovata fra
Je carte del salesiano polacco Don Grabelski, ancora studente a
Innsbruck, uella quale gli scriveva da S. Benigno il 10 aprile 1886:
«Non vi sonó presso di noi rigori esterni: non cilici, non discipline,
non digiuni straordinari; anzi talora nei mercoledi di quaresima man-
giamo carne per dispensa. Abbiamo sempre vino a pranzo e a cena ».
Invece allora, delirando a quel modo, dimenticava d'aver visto con
i propri occhi Don Bosco stesso partecipar proprio al regime ali-
mentare, che egli qualificava alieno dal suo spirito.
In secondo luogo Don Markiewicz, vantandosi di non far pagare
nulla a' suoi aluuni, chiamava in colpa i Salesiani, perché contro
il volere di Don Bosco esigevano qualche pagamento dai giovani ac-
cettati. Ma non é Don Bosco medesimo che nel Regolamento delle
Case proclama non essere cosa giusta che goda della carita altrui
chi possiede qualcosa di proprio? Nella citata lettera il Markiewicz
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Capo XLVII
diceva puré: « Abbiamo anche una Casa di nobili con ginnasio e
liceo. » Egli dunque non trovava allora niente di strano che da si-
mili convittori si richiedesse una retta adeguata: l'aveva stabilita
Don Bosco, il quale non rifiutava la carita morale deiia cristiana
educazione anche a figli di famiglie benestanti. 11 vero é che nem-
meno i Collegi salesiani per fanciulli di classe media e paganti una
pensione si possono escludere dal novero degli Istituti di benefi-
cenza, non solo per l'accennato beneficio morale, ma anche per la
modicitá della retta e perché non vi mancano mai alunni a pensione
ridotta o mantenuti gratuitamente.
La terza accusa colpiva in pieno petto i Superiori, compreso Don
Bosco: essi avrebbero raccolto danaro dalla Polonia senza fare mai
niente per la gioventú polacca. Nulla di piú falso. Fin dal 1887
venivano a Torino, come dicevamo, in numero sempre crescente gio-
vani polacchi, i quali aspiravano al sacerdozio. I Superiori prodi-
gavano loro ogni cura, riunendoli prima a Valsalice, a Foglizzo e ad
Ivrea e comprando in seguito a Lombriasco esclusivamente per essi
una casa, dove formarono un Collegio polacco, fornito di tutto quanto
potesse occorrere a tale scopo. I giovani generalmente portavano un
po' di danaro; ma toccava sempre al Capitolo Superiore arrotondare
il bilancio. Nel tempo che Don Markiewicz andava cosi blaterando,
i piú maturi dei primi arrivati attendevano giá agli studi filosofici
e teologici, e non vivevano d'aria, aspettando Tora propizia per es-
sere inviaíi a trapiantare l'Opera salesiana, non una sua volgare
contraffazione, nella loro patria.
Sotto mendicati pretesti egli tentava di mascherare la vera causa
della sua defezione, che era da ricercarsi nella smania grottesca di
fare da sé, nel non voler dipendere da nessuno, nell'ambizione di
presentarsi come il Don Bosco della Polonia e forse nel patriotismo
esagerato. Mandándolo a reggere una parrocchia, é ben probabile che
i Superiori pensassero che egli potesse preparare il terreno per fu-
ture fondazioni, ma certo non gli affidarono in alcun modo l'incarico
di aprire un Istituto. Cessate le sue relazioni con i Superiori, prese
a ostentare comunicazioni con Dio, anche a mezzo di una sua mo-
naca visionaria, sicché le parole di lui producevano magici effetii
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I Salesiani in Polonia
¡bulle ingenue fantasie giovanili. II nuovo Vescovo pero, Giuseppe
Sebastiano Pelczar, tórnate inutili le sue esortazioni e le sue mi-
nacce, ricorse alia Santa Sede. Ecco la sua lettera del 13 dicembre
1902 al Papa Leone XIII.
Fra i sacerdoti della diócesi di Przemysl si annovera Bronislao Markiewicz, pár-
roco di Miejsce Piastowe, moralmente irreprensibile, ma privo di prudenza e di
obbedienza, il quale dopo aver sostenuto vari uffici in diócesi entro nella Congre-
gazione Salesiana a Torino, indi ritorno in patria e quale membro di detta Congre-
gazione e insieme párroco di Miejsce Piastowe per mezzo di pubbiiche oblazioni co-
strui un ospizio a favore della gioventü povera e abbandonata. Dopo alciini anni
abbandonó la Congregazione, col pretesto che i Superiori di essa si fossero allonta-
nati dalla Regola primitiva, data loro da Don Bosco, cambiando lo scopo della
Congregazione. Non contento della cura pastorale e della direzione dell'ospizio, si
accinse a formare una nuova Congregazione religiosa, aturando a sé da ogni parte
giovani, ai quali dava a intendere di essere un secondo Don Bosco ehiamato da
Dio a istituire una nuova famiglia salesiana della stretta osservanza sotto il titolo
di " Temperanza e Lavoro ". II mió predecessore di santa memoria Luca Solecki ri-
petutamente lo ammoni, anzi sotto pena di sospensione gli vietó di ricevere da'
suoi giovani i voti religiosi prima di ottenerne l'approvazione dalla Sede Apostólica.
Ma egli, metiendo in non cale questo divieto, ebbe I'ardire d'imporre la veste talare
a giovani senza istruzione e senza attitudini necessarie a tale ufficio, di ammetterne
alia professione religiosa anche perpetua e di prepárame alie sacre ordinazioni. Uno
di questi ultimi per nome Stanislao Orlemba, ordinato quest'anno a mia insaputa
dal Vescovo di Spalato, é tornato a Miejsce Piastowe per essere Superiore della
nuova Congregazione, come eletto da un " Capitolo Superiore " composto di pochi
giovani. Inoltre Bronislao Markiewicz radunó a Miejsce Piastowe piü di ven ti zi-
relle per formare una seconda Congregazione religiosa e senza licenza di alcuno
ne vincoló parecchie con i voti religiosi.
Prevedendo che da siffatte Congregazioni messe su contro i Canoni e le Costi-
tuzioni Apostoliche sarebbe derivato grave danno, giudicai di ricorrere ai rimedi
opportuni, ma senza pro, poiché il Markiewicz disprezzó ordini e consigli, confi-
dando sia nella protezione di un Eminentissirno Cardinale, da cui si vanta di aver
ricevuto promessa che la sua Congregazione sará fra breve approvata, sia in visioni
e rivelazioni certamente iilusorie di una giovane della stessa Congregazione, alia
quale egli presta cieca fede.
Affinche non nascano maggiori inconvenienti, con decreto 6 dicembre 1902
ordinai e pubblicai che io non solo non permetteva di fondare in Miejsce Piastowe
una nuova Congregazione contro le leggi ecclesiastiche, ma intimavo anche sotto
pena di sospensione daH'ordine e daH'ufficio che non si ricevessero i tre voti reli-
giosi sia da uomini sia da donne. Non é tuttavia lecito sperare che Bronislao Mar-
kiewicz ottemperi ai miei ordini e atienda únicamente alia cura delle anime e alia
direzione dell'ospizio; sonó anzi certo che egli ricorrerá con insistenza alia Santa
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Capo XLVI1
Sede per ottenere che queste due mal idéate Congregazioni, passando sopra ali'au-
toritá dell'Ordinario, yengano approvate.
Percio chieggo umilmente alia Santitá Yostra un decreto della Sacra Con-
gregazione dei Vescovi e Regolari che proibisca a Broneslao Markiewicz pár-
roco in Miejsce Piastowe, di pensare alia fondazione di nuove Congregazioni e di
ammettere tanto in pubblico che in privato qualsiasi uomo o donna ad emeítere i
tre voti religiosi.
Qualunque sia stato l'esito di questo passo, sappiamo che l'uo-
mo non mutó registro. Nel 1903 Monsignore, ricevute varié denunce,
invió a Miejsce Piastowe una Commissione d'inchiesta; ma i Com-
missari, basandosi sulle deposizioni dei giovani e delle ragazze, ri-
ferirono di non aver trovato notevoli disordini. Se non che, scoper-
tosi che le deposizioni erano false, la Commissione vi fece una se-
conda inchiesta, dalla quale risultó che Don Markiewicz aveva in-
dotto molti giovani e molte zitelle a emettere i voti religiosi tem-
poranei e perpetui, donde scrupoli senza numero e numeróse do-
mande al Vescovo di dispensa per uscire dall'Istituto. Quindi il
Vescovo mandó a Miejsce un sacerdote come Rettore dell'ospizio.
perché ordinasse le coscienze della gioventú sedotta; ma questi in-
contró da parte di Don Markiewicz e de' suoi fidi aiutanti tali dif-
ficoltá, che fu costretto a farsi richiamare. Allora il Vescovo mi-
nacció Don Markiewicz di censure, perché nonostante le proibizioni
continuava a ricevere i voti; dovette poi, sembra per decreto di Roma,
togliere la veste a' suoi chierici. Intanto la visionaria mandava scritti
ingiuriosi al Vescovo, il quale con infinita carita tentó ancora piú
volte d'indurre il colpevole a tornare in Congregazione, posto che i
Superiori lo volessero riammettere.
Ma che Congregazione! Non cessó mai di tenere verso di essa
un contegno ostile, calunniandola e denigrándola in tutti i modi;
a voce e negli scritti privati e pubblici. Nulla d'intentato lasció
per impediré che i Salesiani si stabilissero in Polonia e poi perché vi
si estendessero, agitando lo spaventapasseri del patriottismo; poiché
in pubblici documenti chiamava Italiani i Salesiani e diceva che i
Superiori spillavano il sangue e il denaro della Polonia (1). Né que-
(1) Lettcra di Don Markiewicz al Municipio di Oswiccim, 15 agosto 1898.
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1 Salesiani in Polonia
sta guerra cessó dopo la sua morte. Nonostante le reitérate smentite,
i suoi adepti continuarono a lanciare su giornali e periodici le me-
desime calunnie contro la Congregazione. I nostri finirono con la-
sciarli abbaiare alia luna.
Prepariamoci ora ad altra sgradita sorpresa.
La prima Casa salesiana in Polonia, la prima di mol te molte
altre, fu quella di Oswiecim, cittadina poco lungi da Cracovia ed
a pochissima distanza dai confini della Polonia prussiana e della
Polonia russa: posizione favorevole quindi, perché anche giovani di
quelle due regioni potessero accederé al Collegio salesiano. Volle i
nostri a Oswiecim il Principe Vescovo di Cracovia Giovanni Puzyna,
che l ' l l novembre 1895 aveva scritto a Don R ú a : « L a belle ed útil i
opere fondate nei diversi paesi del mondo dalla Congregazione Sa-
lesiana mi fanno supporre che anche in questa mia diócesi riusci-
rebbe a gran bene per la salute delle anime uno stabilimento di co-
testo Ordine. » Fatte poi le sue proposte, ripigliava: « Non dubito
che la Paternitá Vostra vorrá ben prendere in considerazione queste
notizie e ne spero un favorevole esito, tanto piü che la fondazione
di una Casa dei Padri Salesiani alcuni anni fa in un'altra diócesi
della Galizia da luogo alie piú belle speranze per lo sviluppo di
cotesta Congregazione nel nostro paese (1), e poi i riguardi dovuti
alia pia memoria del defunto Principe Czartoryski, il quale avrebbe
certamente assai goduto della piü grande estensione deH'Ordine Sa-
lesiano in Polonia, mi fanno credere che a tutti i suoi membri piacerá
il pensiero di contribuiré alPeducazione cristiana della gioventíi ed
alia salute delle anime in queste contrade. » Don Rúa rispóse fa-
cendo rilevare esser necessario uno spazio abbastanza lungo di tem-
po, non minore di quattro anni, per formare un certo numero di
soggetti capaci di tale missione. II Vescovo, nonostante il bisogno di
stabilire al piú presto un Istituto di educazione cristiana per la gio-
ventü operaia nella sua diócesi, considerando la ragionevolezza del
motivo allegato, si rassegnó ad aspettare. ma non quanto Don Rúa
avrebbe voluto; poiché il 9 giugno 1897 tornó a scrivere: « D u r a n t e
(1) La Casa di Miejsce, dolía qtialo Monsignore ignorava le condi/.ioni.
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Capo XLVII
la mia ultima visita canónica, avendo soggiornato in Oswiecim e nei
paesi vicini, acquistai la convinzione ben ferina, che aspettare an-
cora, se fosse anche per breve tempo, sarebbe esporre questa popola-
zione alia peste del socialismo, che si estende di piü in piú in tutta la
nostra provincia. Per questo vengo a reiterarle la mia domanda di
mandaran almeno due membri del suo Ordine per iniziare la fonda-
zione di una Casa nella suddetta cittá, aggiungendone un'altra che
questo possa effettuarsi al piú presto e senza nessun ritardo. Se an-
che gli individui da Lei scelti a tale scopo non avessero un'educa-
zione interamente terminata, li accoglierei con vera soddisfazione,
perché il male si sviluppa e cresce con velocitá incredibile. » E rie-
vocata nuovamente la memoria del Czartoryski, senza piú unirvi
ia menzione di quella tal Casa, conchiudeva: « Non mi ricusi di
aiutarmi nei miei imbarazzi: come Vescovo dovró rendere contó a
Dio di COSÍ gran numero di anime, che stanno in pericolo di clan-
narsi. » La risposta fu che, sebbene non si potesse prometiere, tut-
tavia si sarebbe fatto il possibile per anticipare.
II Vescovo si proponeva di daré ai Salesiani un'antica chiesa.
la quale insieme con una cappella di S. Giacinto e il convento at-
tiguo, era appartenuta dal secólo XIV ai Domenicani. Dopo infinite
peripezie la chiesa e tutto, essendone stati espulsi i monaci, eran ca-
duti nelle mani degli Ebrei, che ne ave vano fatto e ne facevano il
mal governo. La chiesa, insigne monumento architettonico del pri-
mitivo stile gótico, sebbene rovinatissima, poteva pero, data la ro-
bustezza dei muri perimetrali, essere rimessa in buone condizioni;
anche il convento era in piú punti diroccato. Nei 1894 si costitui a
Oswiecim un Comitato alio scopo di riscattare anzitutto dagli Ebrei
edifici e terreni circostanti e poi restaurare il tempio e la casa mo-
nástica. Acquistate pertanto quelle rovine, il Comitato per prima
cosa rimise perfectamente a nuovo la graziosa cappella ogivale, de-
corándola anche all'esterno con Topera di un bravo pittore, si da
renderla un ornamento della cittá; quindi adattó un piccolo corpo
di fabbricato per abitazione provvisoria: era questa la casa pro-
messa dal Vescovo.
Inseriró qui un particolare. 11 venerando párroco di Oswiecim
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/ Salesiani in Polonia
per nome Andrea Knycz, molti anni innanzi caduto gravemente in-
fermo a Polanka Wielka, dove esercitava la cura parrocchiale.
aveva scritto a Don Bosco, raccomandandosi alie sue preghiere. II
Santo nel rispondere gli faceva sperare la guarigione e soggiungeva:
« Vi raccomando poi di usare benevolenza a' miei figli. » Guarito e
trasferito a Oswiecim, allorché si formó il detto Comitato, dovette
accettarne la presidenza. Da principio il Comitato invitó i Domeni-
cani a tornare per richiamare in vita le glorie del passato, incarican-
dosi dei restauri della chiesa; ma essi ricusarono assolutamente. Al-
lora il párroco, rammentando le parole di Don Bosco, fece la pro-
posta d'invitare i Salesiani, proposta che incontró, come abbiamo
veduto, il gradimento anche del Vescovo. Diró súbito che il buon
párroco mise in pratica la raccomandazione di Don Bosco, assistendo
sempre con l'opera e col consiglio i Salesiani. i quali gli profes-
sarono ognora la piú sentita riconoscenza. Se il primo Direttore
avesse compreso qual tesoro d'uomo aveva da presso, non sarebbe
incorso negli error i, che dovremo qui deplorare.
I Salesiani andarono a Oswiecim nell'ottobre del 1898; ma Don
Rúa li aveva fatti precederé dal loro Direttore Don Francesco Tra-
winski con una lettera latina di presentazione per il Vescovo (1),
nella quale gli diceva che il latore aveva incarico di trattare con
lui della fondazione di quella prima Casa salesiana da quelle partí.
Non sappiamo che cosa passasse fra il Vescovo e il Direttore. Que-
sti, sacerdote da pochi mesi, fu ospitato a Oswiecim in casa del pár-
roco. Era inteso che i Salesiani avrebbero curato i restauri della
chiesa e del convento. II Direttore si buttó neU'impresa súbito e a
corpo perduto. Ottenne perció dal Vescovo lettere di raccomanda-
zione per tutti i Vescovi della Galizia e cominció a recarsi in molte
cittá e villaggi, dove con la sua abilitá oratoria e con il suo spirito
d'intraprendenza fece prediche, tenne conferenze e raccolse offerte.
Intanto giunsero dall'Italia i suoi primi aiutanti. che erano un prete e
tre chierici, tutti polacchi; si unirono poi anche altri sacerdoti e chie-
rici, i quali recandosi a visitare le loro famiglie, si fermavano qual-
(1) La minuta é di Don Franccsia.
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Capo XLVI1
che tempo a Oswiecim ed essi puré prendevano parte a quel giro
di propaganda, " portando a casa quattrini a cappellate," scrive Don
Emanuele Manassero, che presto incontreremo, Allora spunto in capo
al Direttore l'idea di organizzare una colossale lotteria, il cui pro-
vento bastasse a finiré la chiesa, a costruire un grande ospizio e a
depositare un capitale sufficiente peí mantenimento dei ricoverati.
A diría in poche parole, si prefisse di ricavare un milione di corone
con un milione di biglietti ad un fiorino ciascuno, e con mezzo mi-
lione di premi (1).
Mons. Puzyna, che s'intendeva di affari, essendo entrato nello
stato ecclesiastico dopo aver percorsa la carriera civile fino a rag-
giungere un grado molto alto nel Ministero delle Finanze, si dichiaro
contrario al progetto; ma Don Trawinski, accordatosi con un fur-
fante di avvocato, riusci a strappare il permesso governativo, met-
iendo la lotteria ufficialmente sotto la protezione del Conté Pininski.
governatore e viceré della Galizia. Commise puré l'imprudenza di
mandare al Vescovo un grosso pacco di biglietti da acquistare o da
esitare, del che Monsignore si sentí fortemente offeso. Non é il caso
di descrivere qui il traffico immenso, i viaggi intrapresi e gli acci-
denti occorsi con o senza il malvagio consigliere a flanco, S'arrivo a!
punto che ü Vescovo intimó a Don Rúa di sciogliere quella comu-
nitá e di provvedere.
Don Rúa, che era aH'oscuro di tutto, nel mese di dicembre del
1899 mando a Oswiecim Don D u r a n d o e il nominato Don Manas-
sero. II giorno 6 furono a Cracovia per visitare il Vescovo, Don Ma-
nassero venne trattenuto nella prima anticamera e Don Durando
solo fu introdotto. S'udiva risuonare per le ampie sale del palazzo la
voce irata di Monsignore; ma Don Durando con la sua calma ca-
ratteristicamente imperturbabile lo ammansó lasciandolo sfogare e
poi dicendo poche parole di rincrescimento per l'accaduto e implo-
rando benevolenza. Dopo Monsignore lo accompagnó fin dov'era
Don Manassero, rivolse a questo qualche parola sorridendo e li ac-
comiató. Don Durando aveva informato il Vescovo, che Don Ma-
' i.'iriuo = lirc it. 2,53; corona austríaca = 1. 1,05.
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/ Salesicini in Polonia
nassero veniva per prendere la direzione della Casa di Oswiecim.
11 giorno appresso egh ripani per 1 Italia, íacendo all'altro due solé
raccomandazioni: che usasse nelía corrispondenza il piemontese per
eludere le possibili cunositá e che tenesse sernpre a portara di mano
la rivoltella, perché non gli pare vano fidate certe persone. Fu di
gran conforto per il povero Direttore il trovare un intimo consi-
gliere nel santo curato Knyez, che senz'ombra di animositá lo ve-
niva metiendo al corrente delle cose. Grandemente poi lo aiutó
Mons. Anatolio Nowak, Vicario Genérale e Vescovo Ausiliare di
Mons. Puzyna; amantissimo della Congregazione, egli metteva sern-
pre volentieri la sua influenza a tavore dei Salesiam negii afíari con
ía Curia.
11 Vescovo alia partenza di Don Durando fece seguiré una sua
lettera. Accennato alia venuta di luí e di Don Manassero, ripeieva
a Don Rúa quanto aveva giá detto loro sopra la necessitá, l'urgenza
e la maniera di rimediare al maloperato, specialmente assumendosi
dalla Congregazione i'obbligo di soddisfare alia celebrazione delle
tante Messe, di cui era stata ncevuta Telemosina, e rimettendo tutto
il danaro raccolto per i restauri della ehiesa e del convento e mala-
mente speso. Dopo di questo egli prometteva che avrebbe con ogni
cura e sollecitudine favorito lo stabilirsi e il consolidarsi dell'opera
salesiana in Oswiecim. Don Rúa gli rispóse il 21 dicembre con una
lettera in un latino candido come il suo animo e di un contenuto
nobile come il suo cuore. Ne possediamo la minuta tutta di suo pu-
pugno. Traduciamo.
II diletto nostro in Cristo confratello Don Celestino Durando ci aveva giá infor-
man della vostra bontá con noi e del vostro desiderio di ricevere da me una let-
tera, nella quale rendere contó a Voi, Eccellentissimo Principe Vescovo, di certe cose,
quando mi giunse la venerata vostra del 12 corrente. Avrei voluto rispondere súbito,
ma parecchie circostanze me l'hanno impedito. Vi prego di scusarmi.
Anzitutto Vi debbo ringraziare delle buone disposizioni, con cui avete ricevuto i
miei confratelli, e spero che vorrete essere sempre largo della vostra carita verso
il nuovo Direttore e verso tutti quelli che manderemo. Forse giá sapete che non
era nostra volontá di venire giá in questi anni; ma le domande pervenuteci da
varié parti della Polonia ci hanno in certo modo costretti ad affrettare la nostra
venuta. Da non pochi ci fu proposto di restaurare la ehiesa di Oswiecim: con-
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Capo XLVII
discendendo al loro desiderio, noi ci assumemmo un'impresa tanto gravosa, incari-
candone l'unico sacerdote allora disponibile, che sapesse bene il polacco e che,
stando con noi, si era sempre diportato da buono e fervente religioso; ma lasciato
per necessitá di cose in balia di se stesso, purtroppo non fu perseverante. Spero
dalla vostra indulgenza l'oblio dei suoi demeriti, avuto riguardo a tutte le circo-
stanze, in cui avvenne quello che avvenne.
Ora poi ci preséntate le vostre intenzioni circa il risarcimento dei danni e l'a-
dempimento degli obblighi. Ben volentieri eseguiremo ogni cosa secondo i vostri
desideri e con tutta l'esattezza possibile.
Riguardo al nostro sacerdote polacco, che si trova ancora a Oswiecim, Yi no-
tifico che noi, se permettete, lo lascieremo la solamente fino a che l'attuale Direttore
possa senza il suo aiuto fare tutto ció che rimane da compiere (1). 11 Direttore,
quantunque dotato di eletto ingegno e di ottima volontá, non potrebbe certo venir
a sapere e a fare ogni cosa senza l'aiuto di lui, massime non conoscendo egli ancora
la lingua polacca. Sara nostra cura di richiamarlo non appena tale necessitá
scompaia.
Le ultime parole della vostra lettera mi hanno recato grandissima consolazione
e come Vi posso assicurare che Don Manassero sará lietissimo dei consigli vostri
e di quell'uomo insigne e piissimo, che é il párroco di Oswiecim, cosi ne sonó con-
tento anch'io, ritenendo per certo che egli trovera sempre in Voi un Padre sa-
piente e che con l'aiuto di Dio e la protezione della Beatissima Vergine Ausiliatrice
condurrá a buon termine secondo i comuni voti le opere intraprese e altre con la
Divina Provvidenza da intraprendersí.
Da Voi, Eccellentissimo Principe Vescovo, domando per me e per tutti i miei
la vostra pastorale benedizione, mentre, baciandovi il sacro anello, con la massima
venerazione mi professo ecc.
Paulo maiora canamus. D o n Manassero fece miracoli. Mise le
mani nella matassa d'imbrogli connessi con la lotteria e la sgroviglió;
cscogitó metodi sbrigativi per eseguire le estrazioni dei numeri, che
altrimenti avrebbero richiesto mesi di lavoro; si libero da un'infinitá
di noie, che lo assediavano da ogni parte. A conti fatti, i'incasso
fu ben lontano dal coprire le spese, anche perché moltissimi biglietti
rimasero invenduti; fortuna volle che fossero ira questi i numeri dei
premi di maggior valore, poiché ve n'erano in danaro anche di 50.000
e 100.000 corone: se non fosse stato cosi, si sarebbe reso inevitabile il
fallimento. Egli intanto veniva studiando la lingua polacca, aiu-
(1) Don Giíjscppe Kopczynski, che il Vescovo voleva puré rimosso quanto prima, perché rite-
mito da lui non sine gravi culpa, saltem qua tacens et peroersam agendi raíionem Trawinski, quam
bene nooerat, occultans.
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1 Salesiani in Polonia
iandosi nel frattempo con il latino, che aveva imparato a maneg-
giare in Roma all'Universitá Gregoriana, e col francese. Merita-
tasi la fiducia universale, si dié con ardore giovanile e senno virile
a eseguire il programma assegnatogli da Don Rúa, sempre in per-
fetto accordo con i Superiori di Torino. La chiesa monumentale ri-
sorse con grande gioia della cittadinanza e intorno le si levó gran-
dioso un edificio capace di 400 convittori, fra studenti e artigiani.
Lo disegnó l'architetto Ceradini sotto l'ispirazione dell'Economo ge-
nérale Don Rocca (1). Si perpetuava cosi la tradizione degü archi-
letti italiani, che arricchirono la Polonia di chiese e di palazzi. for-
manti l'ammirazione dei secoli.
La Casa di Oswiecim diventó in pochi anni la culla delle Opere
salesiane in Polonia. Opere imponenti per numero e per efficacia di
bene. Nel maggio del 1934, anno della Canonizzazione di Don Bosco,
il grande Papa Pió XI, ricevendo un gruppo di pellegrini polacchi,
fece distribuiré loro una medaglia con Peffigie del nuovo Santo e
disse: « Siamo lieti di daré a voi una piccola medaglia, alia quale
uniamo una speciale raccomandazione, non solo perche viene data
dal Padre comune, ma anche perché porta l'immagine di S. Giovanni
Bosco, di quel Don Bosco che ha tanti particolari titoli alia ricono-
scenza della Polonia per tanto bene che i suoi figli hanno fatto in
mezzo ad essa. »
(1) II nuovo hlituio Salesiano per la Polonia in Oswiecim. Memoria dell'ing. Valentino Ravizza
Milano. Tip. e litogr. degü Ingegneri, 1902.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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72.1 Page 711

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CAPO XLVÍII
Ancora un giro per 1'America.
Nuova York, Puebla, Fontibón, Contratación, Piani di S. Martin, Arequipa, Callao. - Os-
servatorii salesiani; benemerenze dei Salesiani nel campo scientifico, agricolo e soctele.
- Viedraa: ospedale. Spirito di Mons. Fagnano. Candelara: incendio. Dawson: fatti straordinari)
Percorriamo ancora una volta 1'America da Nord a Sud, racco-
gliendo notizie di Case e di Missioni, a coronamento di quanto fu
detto a piú riprese in questo volume sulle Opere salesiane nel nuova
continente.
Nel mare magno di Nuova York, al finiré del secólo scorso, flut-
tuava giá una popolazione italiana di 200.000 anime. La corrispon-
denza di quegli anni, conservata nei nostri archivi, rappresenta gli
emigrati italiani come quasi tutti meridionali, poveri in canna la
massima parte, poco o nulla istruiti nella dottrina cristiana, indif-
ferenti per le cose di religione, intenti solo al guadagno, facile preda
di connazionali rinnegati che vi facevano da ministri protestante
esposti al pericolo di ogni peggiore pervertimento. Vi erano bensi
sacerdoti venuti daü'ltalia meridionale; ma non avevano la neces-
saria preparazione per quel ministero. L'Arcivescovo Michele Ago-
stino Corrigan ne era seriamente preoccupato. Giá due volte, da
semplice Vescovo Ausiliare, firmandosi " Cooperatore," aveva ma-
nifestato queste sue preoccupazioni a Don Bosco (1). « Ahimé! escla-
ma va. Debbono tutti quanti gli emigranti italiani perderé la Fede? »
Assunto poi al governo dell'Archidiocesi, stabili di costruire nuove
chiese esclusivamente per gli Italiani, ma da affidarsi a Istituti re-
ligiosi, come quelli che offrivano maggiori garanzie di buon esito:
(1) Roma, 15 dicembre 1883; Nuova York, 7 marzo 1884.
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Ancora un giro per VAmerica
ripensó quindi anche ai Salesiani. « Conscio, scriveva a Don Rúa (1),
del felice successo dellMstituto del Rev. D. Bosco di b. m. sia nelle
opere intraprese in Europa sia anche nella Patagonia, ardisco ri-
volgermi a lei come Superiore Genérale dei Salesiani e proporle l'im-
presa di una chiesa italiana nella cittá di New York. » Mettersi
súbito a fabbricare una chiesa non era certo possibile; ma Don
Rúa accettó d'iniziare presto la missione. Avuta questa risposta.
l'Arcivescovo informó: « Giá furon prese tutte le disposizioni ne-
cessarie per collocare i Padri Salesiani e per incontrarli al porto.
Peí momento la situazione sará precaria, e dopo qualche tempo verrá
definitivamente sistemata. Mi auguro che gli eredi dello zelo e dello
spirito di Don Bosco abbiano a operare enérgicamente nella mia dió-
cesi.» Tuttavia non nascose che si andava incontro a non lievi sa-
crifici sia per quello che riguardava la vita sia per la p a r t e fi-
nanziaria; soggiungeva pero: « Conosco bene che un Istituto reli-
gioso quale quello dei Salesiani puó lar fronte a sacrifici piú che
il sacerdote secolare » (2).
Ecco i Salesiani a Nuova York il 28 novembre 1898. Esiguo il
primo gruppo con a capo Don Ernesto Coppo. L'Arcivescovo aveva
tutto predisposto. Aveva preso in affitto una casa, rifornendola de!
bisognevole. A ciascuno dei due sacerdoti assegnó una cappellania,
il cui mensile bastava alie spese della vita. Per l'esercizio del mini-
stero mise a loro disposizione sotto la chiesa di S. Brigida una grande
cripta, in un quartiere dove gl'Italiani si calcolavano sui 10.000. I
Salesiani andarono súbito in giro per le case, distribuendo avvisi
stampati in italiano e facendo la maggior propaganda possibile. La
cripta era capace di 1200 persone; ma alia prima solennitá, quella
del Natale, ne comparvero appena 12; la domenica dopo; a causa del
íreddo e della nevé, quattro di meno. La cosa parve poco incorag-
giante; puré senza perdersi d'animo, continuarono a girare di casa
in casa, invitando tutti gli Italiani a profittare della chiesa aperta per
essi. A poco a poco le funzioni furono frequentate. Nella seguente
(1) New York. 26 ottobro 1897.
(2) New York, 50 novembre 1897; 24 febbraio, 13 aprile c 25 novembre 1S98.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

72.3 Page 713

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Capo XLVlll
quaresima una missione predicata diede parecchie centinaia di comu-
nioni pasquali. Nei giorni festivi ando crescendo il concorso alia
Messa e alia predica: a volte la chiesa era proprio zeppa da non
capirci piú neppur uno. Nel mese di maggio, preparazione dei ra-
gazzi alia cresima e catechismi quotidiani. Poi istituzioni di varié
Societá, organizzazione dei catechismi domenicali, battesimi, matri-
moni, proprio tutto come nelle parrocchie.
Parte della missione erano gli ospedali, numerosi nella stermi-
nata cittá e quasi tutti non cattolici, ma aperti a infermi d'ogni
credenza. Nessun cappellano. I nostri, chiamati da Italiani, venivano
ricevuti a qualunque ora e gentilmente trattati; anzi, mentre ammi-
nistravano i sacramenti, perché non vi fosse pericolo di profana-
zione, i dirigenti prestavano loro un paravento mobile, che cir-
condava ü letto e lo nascondeva agli occhi degli acattolici. L'opera
dei Salesiani soleva essere richiesta anche da Istituti di Suore, dai
Fratelli delle Scuole Cristiane e da parroci viciniori.
Non basta. Essi assistevano puré gli emigrati Italiani, quando
venivano trattenuti in massa dalle Autoritá nell'ufficio di verifica,
per esaminarne la condizione sanitaria, pecuniaria e morale prima
di lasciarli metter piede sul suolo degli Stati Uniti. Sovente pur-
troppo non avevan tutto in regola ed erano trattenuti la parecchio
m gran disagio. Allora crucci, pianti e lamenti. Quei sacerdoti che
parlavano la loro lingua e si mostravano tanto benigni, apparivano
ad essi come angelí mandati dal cielo.
I Salesiani si guadagnarono presto la stima, la fiducia e l'af-
fetto genérale, sicché gl'Italiani stavano sempre loro attorno perché
edificassero una chiesa; ma scriveva il Direttore (1): « II terreno
costa un occhio, e l'altro il materiale e Topera; nulla si puó fare senza
somme íavolose. Aspettiamo la provvidenza. » E, pur tardando, la
provvidenza venne. II ritardo era naturale, perché d'ordinario la
provvidenza viene per mezzo degli uomini, e non di rado gli uo-
mini a muoversi sonó piuttosto lenti. Lentissimi furono gl'Italiani
a Nuova York. Negli Stati Uniti le chiese si fabbricano raccogliendo
(1) Boíl. Sal., ottobre 1900, pag. 282.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Ancora un giro per VAmerica
l'obolo tra i fedeli, mentre gl'Italiani non solevano mostrarsi ge-
nerosi per le cose del culto, sia perché nella massima parte erano
poveri, sia perché non avevano imparato in Italia a sostenere le
chiese. Tuttavia un bel giorno una grande chiesa italiana dedicata
a Maria Ausiliatrice venne aperta in quel quartiere: ció fu il 10
febbraio 1918, e all'uso americano fiancheggiavano la chiesa ampie
e decoróse scuole parrocchiali.
II Messico accolse una seconda Casa salesiana nel febbraio del
1894 a Puebla, capitale dello Stato omonimo e cittá allora di circa
100.000 abitanti. La s'intitoló a S. Ignazio per riconoscenza verso
Ignazio Martínez, che molto aveva fatto per quella fondazione. Era
destinata a Collegio di arti e mestieri per ragazzi poveri, piü le
scuole elementan, che furono sostituite nel 1901 con il ginnasio. e
poi vennero insieme con questo rimesse nel 1913. La Casa aveva la
sua sede nella parte della cittá, dove maggiormente si sentiva i I
bisogno dell'opera salesiana: quartiere povero, abbandonato, popu-
loso e di mala fama. Non s'immagini un edificio come sogliono es-
sere i nostri ospizi o convitti; vi si cominció invece umilmente con
un gruppo di casette a un solo piano. II Vescovo annunció ai par-
roci della diócesi la venuta dei Salesiani con parole di giubilo e di
grande aspettazione. Per l'inaugurazione Don Piccono mandó da
Messico la banda musicale, che rimase la tre giorni, facendo tra-
secolare la cittá, che non aveva mai visto un corpo di musicaníi
composto di ragazzi.
1 due primi Direttori diedero al Collegio una salutare impronta,
che il tempo non cancelló piü. Basti diré che quei Confratelli nel
corso degli anni arrivarono a stabilire e dirigere simultáneamente
tre e poi cinque oratori festivi. Aperse la Casa Don Piperni, i I
collaboratore di Don Beiloni in Palestina: una Casa che viveva ói
pura beneficenza. II buon Direttore picchiava senza posa alie porte
dei Cooperatori e delle persone ricche, ma con tale umiltá, che non
venne mai a noia, fuorché una volta. Un sabato, non avendo con
che daré la paga a certi operai, mandó un alunno fidato con un
suo biglietto da un signore, che lo respinse con male parole. Don
Piperni lo mandó di nuovo: minacce e parolacce peggio di prima.
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Cupo XLVI1I
Allora tornó a mandarlo una terza volta con un altro biglietto ne!
quale diceva: « Accetto per me le sue dure parole; ma per i miei
ragazzi lio bisogno di pane. » Colui, giá sul punto di andaré su
tutte le furie, com'ebbe posato gli occhi su quelle espressioni, si
sentí rabbonire, entró un istante e usci con una busta rigonfia, che
mise nelle maní del giovane, raccomandandogli di scusarlo presso
il Direttore. Nel 1895 il miglior tipógrafo della cittá, desideroso di
vivere tranquillo i suoi ultimi anni, gli fece dono delle macchine
e di tutto il relativo materiale, che servirono aU'impianto di una
bella scuoia tipográfica. 1 clienti del donatore divennero clienti del
Collegio, sicché non mancava mai il lavoro, come il lavoro non
mancava nei laboratori dei falegnami, fabbri, sarti e calzolai.
Don Piperni, mentre curava con ogni niezzo i progressi mate-
riali della Casa, si occupava ancor piü dell'andamento spirituale.
Si respirava la entro un'aria di allegria e di pietá. Furono ricor-
date a lungo dai Soci e dagli ex-allievi le sue " buone notti, " ispi-
rate a senso di opportunitá e condite di piacevolezza, non esclusa
la paterna severitá, ogni volta che il caso lo richiedesse. Fnori, anche
le persone piü altolocate si recavano a onore di visitarlo e di con-
sultarlo. Si vide quanto fosse circondato di stima e di affetto, quando
nel 1897 gli giunse l'ordine di trasferirsi a S. Francisco di Cali-
fornia. Appena la notizia si sparse in cittá, fu una processione con-
tinua di cittadini, che venivano a manifestargli il loro rincresci-
mento, mentre egli calmo e pacifico attendeva, come se milla fosse,
al disbrigo delle sue ordinarie faccende, impedendo che si spedis-
sero telegrammi o lettere a Torino per far revocare l'ordine. A suo
tempo partí fra le lacrime dei giovani e dei confratelli e salutato da
numeroso stuolo di amici. Una particolaritá notata dai Soci fu che le
dimostrazioni pubbliche in suo onore egli non lasciava mai che si
fermassero alia sua persona, ma le sapeva sempre rivolgere a Don
Bosco e alia Congregazione.
Gli succedette Don Clodoveo Castelli, Prefetto a Messico. Piac-
que a tutti il suo entusiasmo per il miglioramento della Casa e il
progresso dei laboratori, poiche s'intendeva di costruzioni e di scuole
professionali; ma piacque ancor piü il suo atteggiamento verso chi
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Ancora un giro per lAmerica
l'aveva preceduto. Infatti fu sua premura di mettere in valore l'o-
perato di Don Piperni e di seguiré la sua linea di condotta; seppe
anzi farsi una forza delFaffetto che vedeva acceso nei cuori verso
di lui. Questo notarono súbito Cooperatori e amici, che non s'in-
tiepidirono nel favorire Topera. Sotto di lui si venne sostituendo
alie meschine casette un vero Collegio e fu eretta una chiesa dedi-
cata a Maria Ausiliatrice; grazie poi alia sua abilitá, si fecero nei
laboratori passi da gigante. Nel 1900 alTEsposizione Internazionale
di Parigi la scuola del libro mérito una medaglia d'argento dorato,
onorificenza rinnovata in seguito alTEsposizione Internazionale di
Chicago. Nella chiesa Teleganza dei banchi, del pulpito e dei con-
fessionali mostravano a che punto fossero gli alunni falegnami.
II ciclone rivoluzionario di questi ultimi tempi non ischiantó del
tutto Topera salesiana a Puebla. Purtroppo la casa e la chiesa, che
costarono tanti sudori e in cui si fece tanto bene, non sonó piú
nostre; ma mentre quelle aspettano che la Provvidenza le faccia
restituiré a chi ha il diritto di possederle, alcuni Soci messicani
ufficiano un'altra chiesa assegnata loro dalTArcivescovo e si fanno
in quattro per accudire gli oratori festivi.
A Bogotá Don Rabagliati si era fatto colombiano di affetto: un
nazionale non avrebbe potuto sposare con piú ardore gTinteressi
del proprio paese. Dio l'aveva arricchito di tre doti: energía, co-
stanza ed eloquenza. Egli le pose a servizio della sua patria adot-
tiva. Non gli bastavano piú il Collegio Leone XIII, la chiesa pub-
blica, Toratorio festivo e Agua de Dios; meditava nuovi disegni. Ma
gli bisognava personale. Quello che veniva dalTItalia non sarebbe
mai stato sufficiente alie sue iniziative. Volle quindi un Noviziato.
Aveva giá incaricato il suo fratello Silvestro chierico di chiamare
a sé gli ottimi fra gli artigiani, invitarli alio studio del latino e di
altre materie del ginnasio e intanto di vedere se fosse possibile cá-
vame fuori buoni novizi; ma il tutto senza menar rumore. 11 ten-
tativo riusci. Nel maggio del 1893 quattro ricevettero Tabito chie-
ricale dal delegato Apostólico Sabatucci. Don Maggiorino Olivazzo
divenne il loro Maestro. Ma il Direttore non si quietó, finché non gli
riusci di aprire una vera Casa di Noviziato a Fontibón, distante
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Capo XLV1II
appena 14 chilometri dalla Capitale. L'Arcivescovo diede ai Sale-
siani la parrocchia del luogo. Nel 1894 a quei primi quattro ne suc-
cedettero 18. La Casa non abbondava di comoditá, tutt'altro; sem-
brava nondimeno fatta apposta per conciliare il raccoglimento, di
cui hanno bisogno i novizi per ricevere la loro formazione religiosa.
Don Rabagliati, che mandava da Bogotá il necessario al manteni-
mento, era la il piú sovente possibile a infervorare le sue giovani
speranze con l'idea dell'apostolato, che ne esaltava gli animi. Un
giorno in quella pacifica dimora capitó il Genérale Reyes, reduce
da una battaglia vittoriosa contro i rivoluzionari. Accorse gente.
Egli parló e disse fra l'altro d'aver conosciuto in Europa tre per-
sonaggi: Gladstone, Leone XIII e Don Rúa, ma che Don Rúa gli
aveva fatto impressione piü di tutti (1).
L'amore per la Colombia e lo zelo delle anime ispirarono a Don
Rabagliati un'idea grandiosa. Poiché, come dicemmo, la lebbra era
una piaga terribile della nazione, piaga che senza misure energiche
si sarebbe ognor piü dilatata, formó il disegno di un lazzaretto
único, dove concentrare tutti i lebbrosi, da fondarsi in luogo iso-
lato (e lo spazio non mancava davvero), fomito di tutti i mezzi
di assistenza, di cura e di relativo benessere. Parló, scrisse, trasse
dalla sua il Governo, studió con una Commissione governativa, fece
víaggi, recandosi anche a Bergen in Norvegia dal celebre lebbrologo
Hansen; ma alia fine dopo tanti travagli le mene politiche man-
daruno a monte ogni cosa. Tuttavia la sua iniziativa determinó nel-
l'opinione pubblica una corrente in favore dei poveri lebbrosi e
spinse i pubblici poteri a occuparsi piü seriamente del grave pro-
blema.
Ma se svani il magnánimo suo sogno, rimase una santa opera,
che ne fu effetto. Egli aveva concepito il pensiero dell'unico laz-
zaretto durante una visita fatta nel 1894 al lazzaretto della Con-
tratación. Vi si era fermato quindici giorni, ne aveva esaminate
le condizioni e venne via col proposito di mandarvi Salesiani, che
(1) Lo atiesta uno di quei novizi, ora sacerdote, Don Rodolfo Fierro, nel suo El Padre Eoasio
Rabagliati (Soe. Edit. Ínter.), pag. i42.
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Ancora un giro per VAmerica
facessero lá quello che facevano Don Unia e i suoi aiutanti ad Agua
de Dios. Gli ammalati lo sapevano e nel loro triste abbandono gli
rinnovavano supplichevoli istanze, perché si ricordasse di essi; an-
che le Autoritá ecclesiastiche e civili ve lo spingevano. A lui non
difettava il volere, ma il potere; quando ebbe a sua disposizione
il personale, erano trascorsi ben tre anni.
Vivevano alia Contratación 800 lebbrosi; ma vi dimora vano
p u r é 1200 sani. Erano o parenti che assistevano e accompagnavano
gli ammalati o donne mercenarie che li servivano o speculatori che
li sfruttavano. Centinaia di casupole o raggruppate o sparse ne
formavano le abitazioni. II luogo distava un'ora e mezzo di cavallo
dalla cittá di Socorro, capitale della provincia omonima; ma presen-
tava difficoltá di accesso straordinarie. II Governo dipartimentale in-
viava settimanalmente tremila scudi per il mantenimento degli in-
fermi bisognosi. Rendevano durissima la vita non solo le sofferenze
del male, ma anche l'umiditá del clima, la difficoltá delle comuni-
cazioni e la mancanza di qualsiasi svago offerto da amenitá di
paesaggio.
II 9 setiembre Don Rabagliati partí a quella volta da Bogotá
con Don Alessandro Garbari e un chierico. II viaggio duró dieci
giorni fra disagi e pericoli quasi continui. L'arrivo é cosi da lui de-
scritto.
Erano tre anni che piú non vedeva quei cari lebbrosi, e fu una festa per
loro al vederrai nuovamente, non piü solo come la prima volía, ma accompagnato
da due altri Salesiani, che sarebbero restati con loro. L'entrata in un lazzaretto
di lebbrosi fa sempre una grande e profonda impressione, anche a chi é uso a ve-
derli con frequenza írattandoli da vicino; profondissima pero é l'impressione per chi
vi entra la prima volta e non vide mai siffatti infermi. Oh! il vederli d'improvviso
dinnanzi centinaia e centinaia di esseri di ambo i sessi, di tutte le etá, gli imi
mutüdti nelle mani e nei piedi, gli altri con la faccia squarciata e coperti di piaghe,
questi potendo a siento reggersi in piedi, quelli sdraiati al suolo o portati fra le
braccia di persone sane; tutto ció produce un'impressione da commuovere le piú in-
time fibre del cuore, e le lacrime sgorgano dagli occhi abbondanti quasi senza che
uno se ne avveda. Cosi avvenne al caro Don Garbari: al vedere in lontananza quei
paese della Contratación, futuro campo delle sue fatiche, al sentiré le campane di
quella chiesuola che sonavano a festa e piü ancora al discoprire il primo gruppo di
lazzarini, che venivano a darci il benvenuto, io lo vidi quei mió caro Confratello
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Capo XLVIU
daré un frémito, commuoversi tutto e piangere. Era naturale; non aveva visto un
lebbroso in sua vita; con le descrizioni che io gliene aveva fatte durante il viaggio,
qualche cosa sapeva giá: la sua fantasia glieli aveva fatti brutti assai; ma al vederlí
poi faccia a faccia la cosa riusci assai diversa; di qui l'impressione violenta che non
poté nascondere.
Fu veramenu grande l'allegrezza dei lebbrosi al vedere i Sale-
siani e al sapere che sarebbero rimasti sempre in mezzo a loro. Sta-
vano ammassati davanti alia casuccia preparata per essi. Don Ra-
bagliati e Don Garbari predicarono una missione di dieci giorni. 1
lebbrosi che non potevano andaré alia chiesa con le proprie gambe,
vi erano portati a braccia e sopra sedie o barelle. I frutti consola-
roño i predicatori. Súbito dopo Don Rabagliati ritornó al suo nido
di Bogotá e gli altri due con un nuovo venuto, sacerdote, che li
raggiunse di li a poco, si fecero del lazzaretto come un edén, l'eden
della carita. Non mancarono piü fino a oggi volontari continua-
tori dell'eroico sacrificio.
Ad un'altra impresa volse la mente Don Rabagliati: alia Mis-
sione dei Piani di San Martin. Vanno sotto questo nome pianure
immense che dalle Cordigliere Orientali della Colombia si esten-
dono fino all'Oceano Atlántico per migliaia e migliaia di chilometri
in lunghezza e larghezza. Vi erano a grandissime distanze cinque
popolazioni cristiane senza un prete, note sotto i nomi di Villavi-
eencio, San Martin, San Juan de Arama, Uribe e Jiramena. Nu-
merosi selvaggi si aggiravano nei dintorni, aspettando Tora della
propria redenzione. San Martin occupava il centro ed era piú pros-
simo alie tribu selvagge; fu quindi preferito per la residenza. L'Ar-
civescovo da gran tempo sospirava che sorgessero operai evangelici
disposti a dissodare que!la parte sconfinata della sua vigna. Don
Rabagliati, col consenso di Don Rúa, rispóse all'appello. Egli co-
nosceva giá quelle plaghe, avendole corsé nel 1895 insieme con la
Commissione incaricata dal Governo di cercare il luogo per il grande
lazzaretto.
La partenza avvenne il 3 febbraio 1896 fra i saluti e gli auguri
dei Confratelli e dei giovani della Casa di Bogotá; il Direttore con-
duceva la spedizione, composta di due preti, un chierico e un coa-
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Ancora un giro per VAmerica
diutore: pocliini in veritá, ma pieni di buon volere e sicuri che
altri li avrebbero seguiti poi. Arrivarono alia meta con dieci giorni
di viaggio a cavallo per orribili strade. Súbito la mattina dopo toccó
loro una grande sorpresa. Turbe di Indi sbucavano da ogni parte,
gli uomini armati di archi e di írecce e le donne recando in braccio
i loro bambini, e si affollavano tutti intorno alia dimora dei Mis-
sionari. Venivano a salutare i Padri. Chi li aveva avvertiti del la
loro venuta? Non si poté mai sapere. Che si avverasse cosi un detto
di Don Bosco? Egli aveva affermato che un giorno non piü i Sa-
lesiani avrebbero cercato gli Indi, ma gli Indi i Salesiani. Forse
per la prima volta, dacché i Salesiani erano in America, accadeva un
fatto simile. Alcuni, intendendo un poco lo spagnolo, facevano da
interpreti. 1 Missionari li trattennero tutta la giornata, distribuendo
loro regali e invitandoli a dar prova del la propria valentia in trar
d'arco. Alia sera si allontanarono, perché i selvaggi non si fida-
vano allora di passare la notte con i bianchi; ma l'indomani, tor-
nati in maggior numero, si fermarono a lungo, promettendo nel
partiré che sarebbero rivenuti con frequenza alia Missione.
11 di appresso Don Rabagliati riprese la via di Bogotá, affí-
dando la Missione a Don Ernesto Briata. A Bogotá lo aspettava una
lettera di Don Rúa, che gli notificava l'erezione deH'lspettoria co-
lombiana e la sua nomina a Ispettore. Rimise quindi la direzione
della Casa a Don Olivazzo. che sostiíui al Noviziato con il tra
tello Don Silvestro. Intanto i Missionari, fra privazioni d'ogni ge-
nere, davano principio alie loro fatiche apostoliche. Dopo i primi
quattro mesi Don Briata, rendendo contó a Don Rúa delle sue escur-
sioni e dej frutti raccolti, lo iníormava della loro vita (1): « Certo,
per poter fare un po' di bene bisogna esser disposti a tutto. Si
figuri, Sig. Don Rúa: la nostra posizione é un vero deserto, e noi
siarno giorno per giorno in mano della Provvidenza. Siamo affatto
isolati, perché alie spalle abbiamo le Cordigliere, a destra e si-
nistra piú di trenta fmmi impossibili a guadarsi, e di fronte una
estesa pianura tutta coperta di erbe e boscaglie pericolose. Cosi in
(1) Boíl. Sal, fcbbraio 1897. pag. 4?.
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Capo XLV1I1
tempo di piogge, se non abbiamo in riserva qualche po' di ben
di Dio, la fame ci viene súbito a far visita. Aggiunga inoltre che
é assai difficile conservare i viveri per la troppa umiditá. »
Nel secondo anno l'lspettore vide la necessitá di aumentare il
personale e di stabilire due nuove residenze, una a Villavicencio e
l'altra a Uribe, il che arrecó grande consolazione a quei coloni. oc-
cupati specialmente nella coltivazione del cacao, della canna da
zucchero, del banano, del mais, del tabacco e nella pastorizia. 1
Missionari si spingevano dovunque sapessero esservi nuclei di po-
polazioni, sparsi a enormi distanze; avvicinavano puré tolderie di
selvaggi lungo le remote rive dei fiumi. Perché si conosca la du-
rezza dei loro sacrifici, da una relazione che Don Rabagliati spedi a
Don Rúa il 2 febbraio 1895, cioé dopo la sua prima escursione
nei Piani di San Martin, spigoleró alcuni dati sulla natura del ter-
ritorio che i Missionari erano obbligati a percorrere.
Prima, foreste vergini, che pare non abbiano limiti; la mano dell'uomo ha tro-
vato tuttavia il modo di aprirsi una strada almeno per alcune di esse, dove pero,
non arrivando mai i raggi del solé per la grande spessezza del bosco, e piovendo
mesi e mesi senza interruzione, la strada si forma torrente e pantano, sicché il
viandante deve passare sopra una bestia con una lentezza tale, che mortifica e ea-
vallo e cavaliere. Cosi ci toccó viaggiare 24 ore per passare da Villavicencio a
San Martin.
A ció si aggiungano i fiumi grossi e rapidi che si devono traghettare. In queste
regioni i ponti non si conoscono; quindi per passare da una riva all'altra é giuoco-
íorza depone ogni timore, assicurarsi bene sugli arcioni, scalzato e denudato fino
al ginocchio. aggrapparsi alia criniera della bestia, e fattosi il segno della croce
e raccomandatosi alTAngelo Custode, gettarsi fra le onde e lentamente fare la tra-
versata. La ínula tra le gambe piü robuste e la vista piú chiara difficilmente in-
ciampa e cade; non cosi il cavallo, il quale fácilmente mette il piede in falso od
inciampa in grosse pietre, ed a llora siamo ai guai. Ai viaggiatori novelli occorre un
altro pericolo. Nella traversata dei fiumi grossi che hanno rápida corrente, la vista
s'intorbidisce, uno non sa piú dove si trovi: si crede fermo e cammina; pare che le
acquc trascinino la povera bestia, e il cavaliere si crede perduto.
Altro pericolo assai grave nel passaggio di questi fiumi, pericolo che trattit.ne
anche i piü valenti dal gettarsi a nuoto, si trova nei coccodrilli, i veri padroni di
queste acque In queste terre ardenti i coccodrilli si trovano a migliaia in tutti i
fíumi. Quando poi uno, esténuato dalla fatica e dal calore, desidcra bagruirsi
in alcana di queste acque, deve evitare un allro pericolo. Vi sonó in questi fin mi
anche di piccolo corso cine pesci, la cui morsicatura é quasi sempre moríale. Vi-
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Ancora un giro per l America
vono sepolíi nella sabbia e si fanno invisibili; al mettervi il piede sopra feriscono.
Per dormiré ogni viaggiatore porta seco Yhamaca, pezzo di tela ben forte, che
ha alie due estremitá una corda; si lega questa a due tronchi di alberi; uno di
fronte all'altro, a certa distanza, di modo che la tela resti sospesa a certa altezza
clal suolo. Se vi é troppo calore, si preferisce il chintorro, rete fatta con fili duris-
sirai estratti dalle palme; ha la lunghezza della persona, alie estremitá raolte
cordicine fatte puré di palma, che tutte poi si raccolgono in una sola. Per dormiré
o riposare, si assicurano i due capi del le corde a due alberi, di modo che la rete
resti sospesa; uno si avvolge in essa e dorme. Somma imprudenza sarebbe dormiré
sul nudo suolo, prima per l'umiditá e poi per i rettili velenosi che pullulano per
ogni dove. Se piove, non vi é altro rimedio: lasciar piovere e bagnarsi.
Le bestie feroci abbondano in questi deserti; sonó molte le tigri e i leoni. ma
non assaltano mai quando le persone sonó molte.
É veramente infuocato íl solé di questi deserti, specialmente in certe ore della
giornata. Bastí diré che queste pianure di San Martin sonó poste ai 4o grado di
latitudine Nord, cioé vicinissime alia linea equatoriale, e che quasi si trovano al
livello del mare, non essendo che a 200 metri sopra questo; quindi il ralore é sof-
focante.
Si lavorava con ardore e 1 avvenire si prospettava lusinghiero. La
guerra civile, scoppiata nel 1895 e d u r a t a tre anni, sconvolse la
Colombia e disturbó anche le Missioni, ma non le impedí. Dopo la
pace arrivó Don Albera, che a nome di Don Rúa visitava tutte le
Case d'America. Era il 1902. Giungevano contemporáneamente a
Bogotá religiosi della Compagnia di Maria, ovvero Monfortiani, pro-
fughi dalla Francia per effetto della legge Combes. II Delegato Apo-
stólico Antonio Vico invitó Don Albera a scegliere fra due pro-
poste: o destinare dieci preti alie Missioni o cederé qtieste ai Padri
francesi. Poiche alie Missioni c'era modo di provvedere, non sarebbe
stato buon consiglio indebolire al'tre opere per rafforzare quelle;
onde, sebbene con vivo rincrescimento, fu scelto il secondo partito.
COSÍ dopo sei anni di ardui sacrifici i nostri si ritirarono. Don
Briata stesso presentó i nuovi Missionari alie popolazioni. Don Ra-
bagliati ci sofferse, ma si rassegnó; anzi agevoló ai nuovi venuti il
loro compito, mettendoli a parte delle esperienze fatte nel passato
sessennio.
I Salesiani, che la rivoluzione aveva scacciati dall'Lquatore e
che si erano rifugiati a Lima, rimasero quasi tutti nel Perú, ren-
dendo possibile l'apertura di due Case, una ad Arequipa e l'altra
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Capo XLVIII
al Callao. Nel 1896 Mons. Costamagna, impedito dal Governo equa-
toriano, mentr'egli si trovava giá nel Perú avviato a Gualaquiza,
di portarsi al suo Vicariato, ricevette da Don Rúa Fordine di pas-
sare ad Arequipa per trattarvi della fondazione di una Casa. La
chiedevano con vive istanze i principali cattolici arequipeni ed i
piü ragguardevoli ecclesiastici. Monsignore ando, trattó, accettó, ma,
non avendo personale, promise per il 1897. Quando pero stava in
Bolivia diretto al Cile, ecco arrivare a Lima i profughi dall'Equa-
tore. 11 dinámico Don Calcagno, saputo dell'accettazione, condusse
la senz'altro alcuni de' suoi a cominciare. II Municipio diede la casa;
Cooperatori e amici aiutarono largamente e ridussero al silenzio i
malevoli, che per mezzo della stampa tentavano di sollevare osta-
coli. L'8 dicembre fu inaugurata con solennitá la Escuela Salesiana
per artigiani e studenti, tutti esterni: l'edificio non poteva conteneré
convittori. Le feste salesiane e le pratiche religiose proprie dei nostri
Istituti agivano visibilmente sull'animo dei giovani, massime in oc-
casione di prime comunioni. NelFottobre del 1897 Mons. Costamagna,
visitando la Casa e vedendone il buono spirito, osservando puré i ge-
nerosi sentimenti dei benefattori, permise che si cominciassero sú-
bito i lavori per la costruzione di un collegio. Nel lócale del Muni-
cipio non sarebbe mai stato possibile l'internato: ambienti angustí,
disposizione disadatta. cappella meschina. Intanto al termine del
primo anno scolastico gli alunni sostennero i loro esami dinanzi a
una Commissione municipale con un esito, che fece onore agli in-
segnanti e rallegró e incoraggió i Cooperatori. Mancava ancora un
Direttore effettivo; Mons. Costamagna vi mandó nel novembre del
1897 Don Santinelli, il prófugo dall'Equatore.
I lavori per il nuovo edificio, che doveva diventare il " Collegio
Don Bosco," principiarono nel luglio del 1898 e si proseguirono con
tanta rapiditá, che il 30 dicembre si poté giá fare il trasloco; ma
Tinaugurazione fu rimandata al 25 marzo, quando ricominciavano
le scuole. Nel frattempo era nata una geniale e provvida idea. Nel
1899 si escogitava da ogni parte del mondo cattolico in quali ma-
niere onorare il Divin Redentore e il suo Vicario al tramonto del
secólo e all'aurora deU'altro. Ad Arequipa la Giunta provinciale
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Ancora un giro per l America
cattolica delibero che il Collegio salesiano eretto e l'erigenda chiesa
di Maria Ausiliatrice costituissero il monumentale omaggio della
cittá per la fausta occasione. La proposta piacque ai Salesiani e alia
cittadinanza. Tostó si formarono Comitati urbani e rurali con l'in-
carico di raccogliere i nomi di coloro che versassero il contributo
di una lira. Per tal modo come il Collegio, cosi la chiesa sorse senza
che la Congregazioné dovesse sobbarcarsi a spese di sorta.
Dio benedisse Topera salesiana di Arequipa. Con le classi ele-
mentari e commerciali fioriva la Scuola teorico-pratica di agricol-
tura ed era perfettamente organizzata una Stazione meteorológica,
che corrispondeva con le prime del mondo. Quanto poi alia cosa
piú importante, a cui debbono mirare i Salesiani, ecco come si
espresse il Vescovo Secondo Bailón dinanzi al fiore della cittadi-
nanza, r a d u n a t a intorno a Don Albera nel 1902 (1): «Come potrei
non amare ed appoggiare una Congregazioné, dei cui frutti bene-
fici voi qui siete tutti testimoni? come potrei lasciare di ringraziar
Dio di avermi inviato questo stuolo di apostoli? come non daré
questo pubblico e solenne attestato al rappresentante del Succes-
sore delFiminortale Don Bosco? Bisognerebbe non aver cuore di pa-
store per non sentiré tutta la gratitudine del beneficio che riceve
il gregge. Continúate dunque, Signori, a tener questo Istituto come
la pupilia degli occhi vostri, continuategli generosamente ogni ap-
poggio morale e materiale. »
Mons. Costamagna T i l agosto 1896 scriveva a Don Rúa da Lima:
« Prima di qualunque altra fondazione in questo Perú, é d'uopo pen-
sare al Callao. Nelle scuole dei Terziari, che darebbero a noi, vi sonó
appena quindici ragazzi, mentre le chique scuole italiane ed i sette
collegi protestanti (2) rigurgitano. Ció non puó essere. Ció fa male
al cuore, ed io, se V. P. non si oppone, mi metteró a tutt'uomo per
far fronte a tal ñera cúrrente. Padre mió! é d'uopo aprir presto quella
Casa. Ci faccia questa carita, che Dio ne la premierá. Ca sia brao,
Papá, che cativ i son gih mi. [Sia buono, caro padre, che cattivo sonó
(1) Boíl. Sal., gennaio 1904, pag. 13.
(2) L.e scuole italiane sonó appaiatc cou le protestanti, perche allora Scuole all'estero italiane
voleva diré troppo sovente laiche, cioe sen/a religionc e peggio.
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Capo XLVII1
giá io].» COSÍ fra accorato e faceto rivelava quanto fosse ardente il
desiderio acceso in lui dal suo zelo.
II Callao é il porto principale del Perú sul Pacifico. Si sa bene
che cosa pulluii nei bassifondi dei porti di mare. Ma fermiamoci al-
l'elemento che a noi maggiormente interessa. Tra l'altro, imperver-
sava cola una grossa banda di ladruncoli, dai 10 ai 15 anni, che ne
f acevano d'ogni colore. Tutti i giorni, per esempio, assaltavano il treno
merci, che dal Callao andava a Lima, salendo lento lento, e scaglio-
nati lungo il binario, si slanciavano sopra, squarciavano a colpi di col-
tellacci i sacchi di carbone, riso, frumento, e poi, discesi, si buttavano
su ció che era caduto, lo raccoglievano e corre vano a venderlo in cittá.
lnvano la polizia li perseguitava, invano qualcuno di essi a volte ri-
maneva con le gambe rotte o ci rimetteva ia vita: i piccoli delin-
quenti continuavano imperterriti.
L'unica scuola cattolica era quella accennata da Monsignore. La
tenevano i Terziari francescani; ma decade va sempre piü ne si vedeva
modo di ritornarla in buono stato; donde l'idea di passarla ai Sale-
siani. Monsignore pero, non sapendo ove prender il personale, lo chie-
deva a Don Rúa, il quale gli rispóse essere assolutamente impossibile
mándame. Ma l'esilio dei nostri dall'Equatore serví a risolvere anche
questo problema. II 17 novembre 1897 d u n q u e Monsignore, presente il
Delegato Apostólico Giuseppe Macchi, a nome della Societá Salesiana
firmó con il Commissario Genérale del Terz'ordine una convenzione
per un tempo indeterminato; in virtú di quella i Terziari del Callao
cedevano ai Salesiani, oltre l'uso di una chiesa, la proprietá del loro
Collegio coi terreni annessi, a patto che eglino impartissero l'insegna-
mento primario a non meno di cento fanciulli poveri. Cessando di
fare questo, avrebbero perduto issofatto la proprietá senza diritto a
indennizzo per migliorie introdotte; se per altro vi fossero costretti
da forza maggiore, avrebbero conservato la proprietá, purche, ap-
pena scomparso l'impedimento, ripigliassero come prima.
La presa di possesso avvenne il 31 gennaio 1898. Gli alunni si in-
scrissero numerosi: i piü erano figli di emigrati italiani. L'oratorio fe-
stivo cominció il suo lavorio di trasformazione. In settembre una ce-
rimonia mai vista cosí solenne, la prima comunione di cinquanta fan-
700
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Ancora un giro per l America
ciulli, produsse grande impressione; la amministró il nuovo Delegato
Apostólico Pietro Gasparri, giunto appositamente da Lima. « Ilrappre-
sentante del Romano Pontefice, scriveva quel Direttore, in queste lon-
tane terre ci fece vi veré un giorno di vita romana. » Clii conobbe i!
grande Cardinale, comprende tutto il valore di questa parola. Egli
reggeva allora la Delegazione Apostólica del Perú, della Bolivia e
dell'Equatore.
Ma quanti sacrifici nei primi anni sia per la ristrettezza dei locali
sia per la scarsitá dei mezzi di sussistenza! Con la parola e con l'e-
sempio sosteneva i Coníratelli il Direttore Don Antonio Sani, giá
alunno di Don Taroni a Faenza. Disgraziatamente un fiero male ne
troncó l'esistenza a 33 anni di etá, dopo soli quattro anni di diret-
torato. Una memoria domestica lo proclama " santo salesiano, apostólo
della religione e del bene nel Callao, angelo di carita, padre e mae-
stro dei fanciulli, eroe e martire del lavoro, benefattore della societá. "
Quanti l'avevano conosciuto esclamavano: — É morto l'apostolo del
Callao! (1)
Anche qui sopra si é fatta menzione di un osservatorio meteoro-
lógico; a compimento del giá detto altrove sugli Osservatorii salesiani
neirAmerica del Sud (2) aggiungeremo ora qualche cosa. Per giudicare
della loro importanza bisogna tener presente che dalla parte piü meri-
dionale dell'America pigliano la spinta bufere e uragani spaventosi, i
quali poi influiscono sullo stato genérale dell'atmosfera. Orbene gli
Osservatorii salesiani abbracciarono nella loro rete specialmente tutta
la zona che va dal grado 30 di latitudine Sud aH'estrema punta del-
l'America meridionale. A forza di siudi e di costanza s'arrivó a racco-
gliere frutti preziosi. L'Osservatorio di Villa Colon, per limitarci a que-
sto, sul quale cercarono di modellarsi gli altri, portó la palma fra tutti.
11 sao Direttore Morandi con osservazioni di fatti e con ricerche di ar-
chivi riusci a scoprire la periodicitá di quattro grandi temporali, che
ogni anno si scatenano sui lidi uruguaiani ad época fissa, onde il fe-
nómeno fu battezzato col nome di " Legge Morandi. " Indagini spe-
(1) La obra de Don Bosco en el Perú y Bulioia. Esc. Tip. Sal., Lima, 1903. Pag. 26.
(2) Annali, pag. 440.
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Capo XLVlll
ciali si fecero puré sui grandi cicloni, che talora mettono a soqquadro
i seminati, schiantano alberi, atterrano edifici, sbattono e affondano
navi. II Morandi prevedeva spesso, parecchie ore innanzi, l'arrivo di
simili uragani, dandone avviso in tempo utile alie Autoritá del porto
di Montevideo, che con l'innalzare la bandiera di pericolo impedivano
naufragi e disgrazie incalcolabili. Perció il Governo, affinché giunges-
sero piú presto gli avvisi, impiantó una linea telefónica, lunga dieci
chilometri, dall'Osservatorio al palazzo delle Poste di Montevideo, per
uso esclusivo delFOsservatorio stesso. Delle benemerenze dei Sale-
siani in questo campo di attivitá la storia é ancora da scrivere.
Altri meriti spettano loro anche nel campo scientifico ed agricolo.
Don Nicoló Badariotti a Lorena nel Brasile raccolse, descrisse e clas-
sificó la piü bella collezione di coleotteri che quella Repubblica pos-
sedesse; scoperse anzi l'esistenza e ia struttura di nuovi insetti della
zona tropicale. Scienziati specialmente tedeschi usavano tenersi in
corrispondenza con lui e le Riviste scientifiche diedero a parecchi di
tali insetti il suo nome, come al myrmicophüus Badariottii. Con
l'aiuto di altri Confratelli ricercó a fondo la geologia e la minera-
logia delFUruguay, formandosi un ricco museo, nel quale figurano
fossili di animali primitivi, agate e onici in grande quantitá. Tutto
questo era il risultato di sea vi condotti con buon criterio e con molta
pazienza.
Riguardo aíFagricoltura, quando i Salesiani arrivarono nelle Re-
pubbliche del Plata, gli abitanti, disseminati sopra una sterminata su-
perficie, si oceupavano quasi esclusivamente di pastorizia; milioni di
buoi, vacche, cavalli e pecore popolavano le uniformi Pampe argentine
e le ondeggianti pianure uruguaiane. L'agricoltura si riduceva a pochi
cereali e legumi. Neppure il frumento veniva in misura bastevole, ma
bisognava impórtame dagli Stati Uniti. Al Manga neU'Uruguay i Sa-
lesiani migliorarono e promossero la coltivazione del frumento, nel
qual ramo furono segnalati come maestri; buon agrónomo vi era con-
siderato Don Paolo Peruzzo.
Non bisogna lasciare che si perda la memoria delle straordinarie
benemerenze acquistatesi in questo campo da Don Stefenelli, che
trovammo Direttore e Párroco a Roca. Dimentico di sé, invece di pro-
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Ancora un giro per l America
curarsi un'abitazione fornita delle cose almeno piú indispensabili, si
sacrifícava fino all'eroismo nel sollevare le miserie estreme degli abi-
tanti. A tal fine si rivolse al Presidente della Repubblica Evaristo
Uriburu per avere i mezzi necessari alia fondazione di una Seuola
agrícola, che servisse di modello. Ottenne un'assegnazione di 400
pesos. La somma non gli bastava certo a fronteggiare le spese, alie
quali doveva andaré incontro; ma era pur qualche cosa. Si mise
dunque aü'opera. In una térra, dove scarseggiano assai le piogge, bi-
sognava pensare anzitutto all'irrigazione. Che fece egli? Compró a
Buenos Aires un motore a vapore della forza di 14 cavalli e una
pompa centrifuga del diámetro di 25 centimetri, atta a elevare
300.000 litri d'acqua all'ora. Ma il busilli stava nel trasportare fino a
Roca quel peso di sei tonnellate. Volere é potere, dice un proverbio
non sempre vero, ma che quella voha si dimostro verissimo.
Motore e pompa giunsero a Patagones per via di mare; ma di
la a Roca vi sonó oltre 600 chilometri, né esistevano allora strade da
quelle parti, e folti cespugli di erbacce legnose e spinosi arbusti co~
privano tutto il terreno. Eppure Don Stefenelli riusci a compiere
l'epica impresa di trasportarvi le sue sei tonnellate. Procuratisi 18
buoi, ne aggiogava per turno sei alia volta, viaggiando insieme con
essi, seduto sul timone del carro. Impiegó un mese.
A Roca, terminato 1'impianto, fece innalzare terrapieni. eseguire
scavi e condurre canali. Quando l'acqua inalveata prese a scorrere
e diramarsi in ogni direzione, si cominció la coltivazione di alberi
fruttiferi, di cereali e di legumi. I risultati superarono le aspettative;
da quel punto l'agricoltura progredi a meraviglia in tutta la plaga.
Oggi I'Alto Rio Negro é una delle regioni piú fertili e piú ricche
nelFArgentina; le sue frutte la vincono in squisitezza su tutte le altre
che si vendono a Buenos Aires (1).
Ben pochi forse degli abitanti sopravvenuti in quei luoghi dopo
che il valoroso Missionario fece ritorno in Italia, sanno oggi di míe-
tere nei campi resi fecondi dai sudori di lui. Altre scuole di agri-
coltura furono aperte dai Salesiani nell'Argentina; ma Don Stefenelli
(1) Cfr. Las Misiones Salesianas de la Pdlagonia. Pp. 88-9 Imprenta de la Misión Salesiana.
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Capo XLVU1
fu l'antesignano. Onde per interessamento degli ex-allievi il Governo
autorizzó la stazione ferroviaria " Los Perales " nel territorio del Rio
Negro a denominarsi da Don Alessandro Stefenelli (1), tributo di ri-
conoscenza davvero meritato.
Ma dove lasciamo la viticoltura? Negli stessi paesi la vite, quasi
pianta di giardino, veniva coltivata da pochi ricchi per la loro mensa.
Era ostinatamente radicato il pregiudizio che la vite non comportasse
il clima d'America. Don Lasagna diede un esempio, che fu imitato
in piú luoghi da altri Salesiani. Cominció a costituirsi un vivaio di
magliuoli presi da chi possedeva qualche rara vite o fattisi spedire
dalFItalia; quindi a forza di prove ottenne ottime qualitá di uva.
Alcune specie di viti davano un'esorbitanza di frutto. La cosa desto
meraviglia: moltissimi signori si recavano al Collegio Pió per osser-
vare il prodigio. Da queU'uva poi si cavava un vino eccellente, si da
meritare medaglie alie Esposízioni di Genova, di Chicago e di Mon-
tevideo.
Ma Don Lasagna voleva anche procurar lavoro e guadagno agli
emigrati italiani. A quanti di essi avevano un po' di térra al solé,
dava gratuitamente viti, istruzioni e incoraggiamenti, il che fu causa
che sorgessero magnifici vigneti. Svegliato che fu l'entusiasmo, offriva
ai ricchi, che non se ne intendevano, famiglie italiane con patti di
mezzadria, redigendo e firmando egli stesso per garanzia i contratti. Si
moltiplicarono cosi vigne stupende, che fecero la fortuna di emigrati
e di proprietari, aprendo una nuova sorgente all'economia nazio-
nale. L'esempio produsse i suoi effetti prima nelle vicinanze e poi
anche Ion taño.
Nella Patagonia é richiamata la nostra attenzione dall'ospedale
di Yiedma, dedicato a S. Giuseppe. QuelFumile e men che ospeda-
luccio da campo, del quale abbiamo narrato l'origine nel capo sesto,
ando prendendo di anno in anno le proporzioni di un vero ospe-
dale, non certo come avrebbe richiesto una grande cittá, ma in
forma adatta e in misura sufficiente ai bisogni locali. Sempre lo stile
di Don Bosco cominciare dal poco e progredire a mano a mano
(I) Cfr. Osseroalore Romano, 9 marzo 1934.
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Ancora un giro per ¡'America
che le circostanze consigliavano e i mezzi permettevano. GPinfermi
di tutto il vasto territorio, indigeni, creoli e stranieri vi trovavano,
se poveri, gratuito ricovero, e se fossero abbienti, il loro contri-
buto serviva alia cura dei poveri. Le Figlie di María Ausiliatrice
vi operavano prodigi di carita. I cattolici, guadagnati dalle loro
cure amorevoli e dalle religiose conversazioni dei Missionari, o gua-
rendo si convertivano o morendo spiravano nel bacio del Signore;
i non battezzati ricevevano nell'ora della morte il battesimo, gli
eretici abiuravano i loro errori e i poveri riportavano frutti di
cristiana pietá. Sopra tutto e tutti domina va la figura aperta, agüe,
gioviale di Don Garrone. « L'abilitá del nostro Don Garrone, scri-
veva Mons. Cagliero (1), e i suoi rimedi sonó di un'efficacia me-
ravigliosa senza dubbio; ma in moltissimi casi malattie gravissime
e spedite dall'arte hanno trovato nel solo ricorso soprannaturale
della grazia il loro felice scioglimento. » E narrava alcuni di tali
casi piü recenti che avevano davvero dello straordinario.
La fama di Don Garrone come di abile clínico passó da Viedma
a Patagones e si diffuse per la campagna, sicché si ricorreva a lui
anche da luoghi remoti. Ma perché potesse fare il medico, era ne-
cessario che regolasse la sua posizione di fronte alia Chiesa e alio
Stato. II Diritto Canónico proibisce ai preti di esercitare, senza in-
dulto pontificio, la medicina e la chirurgia. Provvide a questo Mon-
signor Cagliero, quando nel 1892 venne in Italia. II 20 ottobre timi-
lió a Leone XIII una supplica, nella quale esponeva quanto segué:
Con non pochi sacrifici in Viedma, capitale del territorio nazionale del Rio
Negro, abbiamo aperto una farmacia e costrutto un ospedale per ricoverarvi gli
infermi nostrali, indigeni e stranieri. É Fuñico ospedale in tutto quel vasto territorio
e gli infermi vi trovano con la salute del corpo parimente quella dell'anima.
Nella Missione havvi un nostro Sacerdote Missionario, Don Evasio Garrone,
giá provetto assai, il quale possiede nell'arte medica la scienza e la pratica in grado
competente. Supplico quindi la Santita Vostra a voler concederé al nominato Don
Garrone la facoltá di esercitare la medicina in quelle Missioni, sectionibus exclusis
tuque adustionibus, nisi in graoibus aíque rnagnae necessitatis casibus [escluse le
operazioni chirurgiche, fuorché in casi gravi e di grande necessitá]. Le ragioni sonó:
(1) Lctt. a Don Rúa, Viedma, 15 marzo 1891.
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Capo XLVIII
Io Perché é spessissimo richiesto dell'opera sua e consiglio dai poveri, dal po-
pólo e dalle stesse Autoritá governative.
2o Perché la esercita gratuitamente e con vera carita evangélica, ottenendo cosi
che si ricevano dai cattolici i santi sacramenti e dagli mfedeli il santo battesimo.
3o Perché non havvi altro medico se non uno protestante, nel quale il popólo
non ha nessuna confidenza sia perché dissidente, sia perché non ha le qualitá scien-
tiííche del Padre Missionario.
Nel seguente 6 novembre Monsignore ricevette un rescritto della
Sacra Congregazione di Propaganda, col quale gli si accordava la
grazia, sempreché tuttavia si verificassero queste condizioni: che il
Missionario avesse competenza neU'arte medica; che la esercitasse
gratuitamente; che le sue cure non esigessero taglio o cauterio:
che nel luogo della sua dimora non esistessero medici e chirurgi
laici, a meno che questi fossero eretici od ebrei.
Da parte sua, il Consiglio Nazionale d'Igiene della Repubblica
Argentina, in vista di servigi prestati, sul principio del 1895, gli
concesse la facoltá di esercitare pubblicamente la medicina. Questo
era tanto piü necessario, perché, avendo Pospedale preso la forma
di vero nosocomio, si sarebbe da taluno potuto insorgere contro l'e-
sercizio abusivo della professione. L'ospedale aveva allora una far-
macia fornita di medicinali d'ogni specie, una sala per i conva-
lescenti e tre spaziosi padiglioni per gl'infermi.
Ed ora uno sguardo finale alia Terra del Fuoco, ossia a Mon-
signor Fagnauo. Diciamo anzitutto di due suoi primati nella sede
céntrale della Missione, primati in cose di secondaria ¡mportanza,
se si vuole, rispetto all'attivitá missionaria vera e propria. ma iin-
portanti per il progresso della vita civile. Puntarenas, allora cíttá
appena in erba, aveva tutte le sue abitazioni costruite in legno,
quindi facile esca a voraci incendi, com'era accaduto della chiesa
parrocchiale. Monsignore si mise in capo di reedificarla con mattoni.
Tutti dice vano che cola non si trova va térra adatta; ma egli tanto si
ingegnó che trovó la térra, trovó uomini esperti e fece la prima for-
nace. I primi risultati furono scadenti, ma quei mattoni serviroro
per fare una fornace migliore, che diede mattoni discreti. Allora,
nel luglio del 1893, ando a Santiago, mostró al capo dell'officina
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Ancora un giro per VAmerica
governativa di architettura due mattoni cotti a Puntarenas e chiese
un sussidio per erigere con quei materiali la sua chiesa Giungeva
proprio in buon punto. Dovendosi costrurre a Puntarenas il palazzo
del Governatore, si sarebbe voluto edificarlo di mattoni; ma come
ottenerli sul posto? Ecco la diffícoltá caduta d'incanto. Con l'aiuto
del Governo, Monsignore miglioró la produzione e fabbricó la
chiesa; il Governo stesso, profittando delle sue esperienze, tiró su
in mattoni il palazzo; poi di mattoni sorsero altri edifici pubblici e
privati. La cittá a poco a poco cambió interamente aspetto.
L'altra iniziativa fu piú semplice, ma non meno utile. 11 fiume
delle Miniere (rio de las Minas) divide va in due la cittá; a destra il
vero núcleo della popolazione, a sinistra casolari isolati. Per tra-
gittare da una sponda all'altra bisognava passare su due travi, pó-
sate sopra massi e unite con listoni; quindi avveniva che ora la cor-
rente portasse via le travi, ora i passanti scivolassero nella sempre
gélida acqua. Nessuno pensó mai a provvedere, finché Mons. Fa-
gnano, aperta una sottoscrizione per raccogliere il danaro neces-
sario, non gettó sul fiume in poche settimane un solido ponte di le-
gno, che benedisse e offerse alia popolazione. Dal 1893 al 1919 <6el
puente de los Padres " fu il primo e único ponte, tramite del maggior
traífico, a Puntarenas.
Delle Missioni di Mons. Fagnano abbiamo descritto i meravigliosi
progressi. Mons. Cagliero, quando visitó quella di S. Raffaele nell'i-
sola Dawson, tocco dalla vastitá e genialitá dell'impresa, non pote
trattenersi daH'esclamare a Mons. Fagnano che aveva avuto un bel
coraggio a creare un'opera che nessun Governo sarebbe stato in grado
di condurre a compimento. La sua ammirazione si dovette rad-
doppiare, quando conobbe anche una seconda opera consimile, la
Missione della Candelara. Ma per organizzare creazioni di tal na-
tura non bastava lo zelo apostólico: era necessaria anche un'attitu-
dine speciale agli affari nel campo económico. E questo appunto,
cioe la sua intraprendenza in tale sfera di attivitá, colpi qualche spi-
rito dalla vecluta corta di una spanna e potrebbe forse anche aver
prodotto una certa impressione nell'animo di qualche lettore. Per
buona sorte vive, ed e vicino, chi conobbe Mons. Fagnano non dalle
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Capo XLVIU
biografíe, ma e personalmente e nelle narrazioni dei Confratelli vis-
suti al suo fianco e attraverso le sue carte dopo morto: Don Pietro
Berruti, che prima di essere Prefetto Genérale della Societá fu molti
anni Direttore e Ispettore nel Cile. Egli per ben due volte percorse le
due Missioni in qualitá di Visitatore. Ispirandomi dunque a sue di-
rette informazioni, sfioreró ora questo punto.
Mons. Fagnano si sentiva anzitutto Missionario ed era uomo di
carita, di grande carita. La bontá del suo cuore era nota a tutti,
Salesiani ed esterni; il suo cuore riboccava naturalmente e sopran-
naturalmente di amore per i Confratelli, per gli Indi e per i bi-
sognosi. Gli eroismi poi della sua vita dal 1875 al 1916 non eb~
bero altra origine che il suo zelo per la salvezza delle anime.
Egli, oltreché Ispettore salesiano, era anche Prefetto Apostólico
e come tale non solo poteva, ma doveva provvedere al presente
e all'avvenire delle sue Missioni, conforme alie direttive della Chie-
sa, la quale vuole che si costituiscano beni ecclesiastici, i cui pro-
venti servano al sostentamento del personale e alia creazione e svi-
luppo delle opere. Ma rispetto ai negozi, a cui Mons. Fagnano si
dedicó, bisogna tener presente che avevano una ragione particolare
nelle condizioni civili ed economiche del paese. La regione é vasta,
pochissimo abitata, gélida físicamente e ancor piü moralmente. Coo-
peratori sul luogo non ne poteva affatto trovare; li cercó dunque a
Santiago e a Buenos Aires, dove si recava con certa frequenza. Se
non che per avere gran parte almeno del bisognevole sarebbe do-
vuto risiedere in quelle Capitali, contro il disposto della legge canónica
sulla residenza e in tutto discapito dell'organizzazione missionaria.
C'erano bene i sussidi di Propaganda; ma erano tanto esigui! Non
vide perció altro mezzo che ridurre le Missioni a paesi, opera gran-
diosa e dispendiosa. A fine di riuscirvi fece quello che aveva ap-
preso dalla storia di quasi tutte le Missioni: procuró di ottenere il
necessario per via di attivitá industriali e agro-pecuarie. Pote er-
rare talvolta; ma dubitare del suo buon volere sarebbe infliggergli
un'ingiuria sanguinosa e gratuita.
Talora la sua grande carita lo spinse a prestar danaro, che, come
accade purtroppo a questo mondo, non sempre gli veniva resfi-
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Ancora un giro per lAmerica
tuito. Non si pensi per questo che scarseggiasse in lui il senso della
responsabilitá amministrativa. Don Berruti, che preparó la Con-
venzione per la divisione dei beni fra il Vicariato Apostólico di Ma-
gellano e la Societá Salesiana e dovette quindi esaminare minu-
ziosamente la contabilitá di Monsignore, ne ammiró la scrupolosa
esattezza; trovó registrati, e nel libro dei conti, con le offerte e le
spese grandi e piccole anche i centesimi del t r a m e i francobolli po~
stali. Tale esattezza non rivela davvero propensione alio sperpero.
Né si puó pensare che tutto questo provenisse da un concetto
inadeguato della povertá religiosa. Quanti lavorarono con lui, fu-
rono testimoni della sua povertá vissuta, perche amata. Non mai
per sé una comoditá, della quale gli altri fossero privi; abnega-
zione assoluta senz'alcun agio; nella casa ispettoriale di Puntarenas
per sua abitazione una povera stanza dalle pareti di legno, attra-
verso le quali il rígido vento gli sollevava perlino le carte sparse
sullo scrittoio. Durante i viaggi, anche nella piü tarda etá, i Con-
fratelli erano edificati alia vista delle privazioni e dei sacrifici. ai
quali si sottoponeva. Único movente insomma di tutte le sue intra-
prese, una carita senza limiti, ammirata da quei di casa e dagli
estranei, dai civili e financo dai niente impressionabili Indi, che lo
salutavano " Padre bueno ".
La Provvidenza, inviando i Missionari salesiani alia Terra deJ
Fuoco, aveva mandato a quegli Indi un gran mezzo non solo per
salvarsi l'anima, ma anche per incivilirsi. Difatti a poco a poco
si lasciavano aggregare in due villaggi, do ve impara vano a guada-
gnarsi la vita col lavoro, mentre i loro figli venivano cristianamente
educati. Consolava assai il vedere uomini e donne di quella fatta,
avvezzi alia vita nómade, applicati secondo le forze e le attitudini
in svariate occupazioni, l'assistere alie loro preghiere e pratiche re-
ligiose e il sentirli rispondere allegri e contenti al saluto Viva Gesú,
Viva María! " Ma quanto costano! " scriveva Mons. Fagnano (1).
Espressione che dice molto e molto spiega.
Costavano per le spese, diciamo cosi, di ordinaria amministra-
(1) Left. a Don Rúa, Puntarenas, 16 novembre 1899.
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Capo XLVIII
zione; ma sopraggiungevano puré casi, nei qiiali all'eccezionale gra-
vita si aggiungeva l'urgenza di provvedere. Fu un accidente di
questo genere l'incendio avvenuto alia Candelara II 12 dicembre
1896 le varié costruzioni, tutte in legno, che formavano gli edifici
destinan alie Suore, alie donne e alie ragazze indie, la chiesa. la
casa dei Salesiani e Fospizio dei giovanetti, furono da voraci fiamme
ridotti in cenere. Qualche cosa si strappó al fuoco distruttore; ma
che era mai in confronto del resto? Per colmo di sventura, una
banda di selvaggi, piombata sul luogo del disastro, menó via tutti i
capi di bestiame, única risorsa della Missione. Nondimeno di 165
Indi, che vivevano riuniti alia Candelara, neppur uno fuggi; anzi
a quelli poco dopo se ne aggiunsero alcune decine d'altri. I Mis-
sionari, passato il primo sgomento, ripigliarono animo. Con le poche
lastre di zinco mezzo bruciate e con i travicelli risparmiati dal
fuoco si costruirono alia meglio due capannoni, che pero lasciavano
libero ingresso al vento, al polverone e alia pioggia. Accorse, ap-
pena pote, Mons. Fagnano. « Oh quanto mi strinse il cuore, scrisse
a Don Rúa (1), la vista di tanto squallore in una stagione si rí-
gida! Eppure i nostri cari Missionari e le Suore di Maria Ausilia-
trice erano contenti e allegri come tante pasque! » Egli aveva con-
dotto seco falegnami, che eressero nuove dimore, ma in migliore
localitá. Nella medesima lettera il Prefetto Apostólico descriveva
COSÍ la vita della Missione:
Gli Indi della Terra del Fuoco, che si mostrano tanto fieri con gli abitanti dei
(íintorni, con noi sembrano tanti mansueti agnelli. E fa piacere vederli, specialmente
i fanciulli e le ragazze, andaré man mano civilizzandosi sotto le amorevoli e pa-
zienti cure dei Missionari e delle Suore. Gli adulti sonó teneri dei loro figli, ma
sonó assai contenti di lasciarli al Missionario, perché li vedono ben trattati, ben
vestiti e che sanno parlare e trattare coi civilizzati.
Quei cari fanciulli recitano giá assai bene le preghiere in lingua spagnola ed
finche in latino; quando sonó in cappella, pare di trovarsi in qualunque dei nostri
Ccllegi. Studiano volentieri il catechismo, anzi ora se ne stanno preparando una
quarantina alia prima comunione.
Le ragazze hanno molía disposizione ad ogni sorta di lavori femminili. I gio-
vani andrebbe bene per ora abituarli alia vita pastorizia. Ció sarebbe piu con-
(1) Puntarcnas, lo agosto 1897.
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Ancora un giro per VAmerica
forme al loro genere di vita randagia all'aperta campagna, mentre assai conferí-
rebbe alia loro salute materiale e darebbe loro in mano il mezzo di guadagnarsi
la vita. II terreno per questo non ci mancherebbe presentemente; sarebbe necessario
inirodurvi del bestiame, prima che vengano altri a impossessarsene, con pericolo
deJla vita degli Indi stessi.
Per tal modo potremmo anche qui impiantare un lanificio e fornir cosi un'oc-
cupazione alie donne, come giá si pratica a Dawson, e provvedere agli abiti neces-
sari per coprire questi Indi e tanti altri, che speriamo di tirare alia Missione. TI
loro numero é in coniinuo aumento. Soli pochi di prima che arrivassi alia Cande-
lara, vi erano stati tre Indi chiedendo rifugio per sé e per la loro tribu, che conta
oltre a cento individui. Se talvolta paressero ingenti i sacrifici che per que-
sta Missione dobbiamo sostenere, ricordiamoci che essa era il sogno piü dorato del-
l'indimenticabile nostro Padre Don Bosco e che é diretta a rendere a Gesü Cristo
migliaia di anime comperate a prezzo del suo preziosissimo Sangue.
Anche Don Borgatello, di ritorno dalla Candelara, dov'era stato
per ragioni di ministero, scrivendo a Don Rúa il 3 dicembre suc-
cessivo, osservava: « I progressi delle ragazze edúcate dalle Suore
sonó mirabili, molto piü se si considera la scarsa capacita di questa
gente, il poco tempo che sonó ricoverate e la loro avversione al
lavoro. »
Nelle Cristianitá incipienti, Dio con anime semplici largheggio
spesso in doni soprannaturali, che avevano per effetto di radicare
profundamente la fede e di trasmetterla viva e ferma alie genera-
zioni successive. É quello che sembra essersi verificato nelPisola
Dawson. Narreró qui alcuni fatti, appurati sul posto da Don Ber-
ruti, allorché visitó d'ufficio la Missione nel 1933. Egli poté udirne
il racconto da testimoni superstiti, specialmente da Suor Giovanna
Valgimigli, religiosa di esimie virtü e di perfetto equilibrio mentále.
La grazia divina, a quanto pare, operava in modo sensibile fra
quei battezzati, che, duri d'intendimento e dall'immaginazione gros-
solana, avevano talora momenti di elevazione estática e di trasporti
mistici, il cui carattere sovrumano nei Missionari non lasciava adito
a dubbio di sorta. Tuttavia esporró le cose come ci sonó storicamente
note, senza pretendere di portar giudizio sulla loro natura.
L'india ona Ester Dañoso, contratta una terza polmonite, non
dava piü speranza di guarigione. Suo marito, vedendo che le cure
di Suor Giovanna Valgimigli non le recavano alcun giovamento,
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Capo XLVIII
s'indispettiva ogni di piü con la curante, sicché questa fini con so-
spendere le sue visite. Un giorno il Missionario Don Giovanni Ber-
nabé, andato a trovare rinferma, fece sapere alia Suora che la si
desiderava in quella casa. La Suora va e incontra sulla porta della
casetta Tindío che le dice: — Questa notte la donna ha parlato
molto. Ora so che non voi volete che muoia, ma lassü. — Appena
fa Suora le fu accanto, l'ammalata le afferró una mano, esclamando
tutta agitata e lieta: — Sorella, ho visto la Vergine col Bambino
Gesü e Angeli e molti Padri, uno molto bello che sorrideva, e un
Vescovo. La Vergine mi disse che morro e che mi preparassi a
ricevere i sacramenti. lo le domandai di star poco in Purgatorio, e
la Vergine mi disse di si. — Confessatasi e ricevuto il Viatico e l'E-
strema Unzione, un'ora dopo mori (1).
II marito si risposó. La seconda moglie ebbe tre visioni, una
delle quali duro 22 minuti, alia presenza di quattro o cinque Suore,
di un sacerdote e di alcune donne. Giaceva a letto inferma. Don
Bosco le aveva detto di mandar a chiamare tutte le Suore con
Suor Giovanna. Queste sentivano la donna dialogare. Vedeva la Ver-
gine, San Giuseppe, le indie morte prima. Si meraviglió che una
fosse stata cosi poco in Purgatorio, e quella rispóse: — Mi liberó la
Vergine dal Purgatorio. — Poi continuava dicendo di vedere intorno
¿día Vergine Don Bosco, Suor Virginia (— Com'é bella Suor Vir-
ginia, com'e bella! — ripeteva) (2), molti Sacerdoti, molte Figlie
di Maria Ausiliatrice. L'india si chiamava Candida. Era molto
buona. Le sue ultime parole furono: — Gesü, vado? Gesú, vado?
vado?... Si... — Chiuse gli occhi e spiró. Aveva parlato con voce vi-
brata e il suo volto appariva raggiante e pieno di vivacitá.
La quindicenne Marcellina, ñipóte di Candida, nell'ultima notte
diceva al papá: — Com'e bello! Guarda, papá, guarda! Com'é bella
la Vergine! G u a r d a ; p a p á : viene a prendermi (3). — II p a p á guar-
dava, ma non vedeva nulla. Yo mirar, diceva poi, pero no ver nada.
(1) Don Berruli no' suoi appuníi di viaggio raccolsc qui e piü innanzi le parole dirette, come gli
crano riferite, nella stentala forma spagnola usata dagli Indi.
(2) Qué linda, Sor Virginia! qué linda! Suor Virginia Florio, di una ricca famiglia romana, fu
iré anni a Dawson, dove mori, dicendo poco prinra di spirarc clie vedeva tre Vcrgini.
(3) Qué lindo, mira, papú, mira! qué linda la Virgen! mira, papa, viene a buscarme!
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Ancora un giro per l America
La piccina, dicendo quelle parole, era vivace, lieta, sorridente. Cosi
serena spiró. La Suora la vide giá morta, angélica in viso.
L'indio ona Luis, infermo, fatta chiamare la Suora che accudiva
alia cucina, le disse: — Ho parlato molto con Gesú, con la Ver-
gine. — Tutto il giorno vedeva la Madonna. Le Suore al sentiré
queste cose dalla consorella sorridevano; ma quando le condusse a
vedere, non sorrisero piú, anzi rimasero incaútate, udendolo diré:
— Com'é bello il Paradiso, sorella! La Vergine mi ha detto che
viene a prendermi. Com'é bello Gesú, com'é bello! S. Giuseppe com'é
bello! Un santo Padre, anche un Vescovo, com'é bello! — Domando
alia Vergine, quando sarebbe morto. — A mezza notte — gli rispóse.
La Suora chiamo Don Crema e si stava a vedere se morrebbe a
quell'ora. A mezza notte in punto cessó di vivere.
L'india ona Bernardita Hallada, ammalata, vide la Madonna se-
duta la da presso per un'ora. Aveva la figura dell'Immacolata: senza
il Bambino, vestita di bianco, con una fascia d'oro alia cintura. Le
annunció che a mezza notte morrebbe; si preparasse dunque, che
la porterebbe in cielo. Era la vigilia dell'Immacolata. La Suora non
ci credette e ando via. Un quarto d'ora dopo le donne corsero a
chiamarla, perché la Bernardita era morta. L'orologio segnava la
mezza notte e qualche minuto.
L'indietta alacaluf Josefina di nove anni era una buonissima fi-
gliola. Una volta vennero a mancare le provviste; da una diecina
di giorni non c'era piú né pane né zucchero né cafre e si davan solo
carne e fagioli. Suor Giovanna le disse di andarlo a diré a Don
Bosco. Essa non voleva andaré; poi disse: — Si, vado, ma lascia-
temi sola con Don Bosco. — Mandata sola nel refettorio delle Suore,
prego davanti al quadro di Don Bosco. Dopo usci piangendo. La
Suora le domando, che cosa le avesse detto. Rispóse: — Dijo que
si, movió asi la cabeza. — La bimba aveva chiesto fariña e zuc-
chero, e disse che Don Bosco aveva fatto di si col capo. II giorno
dopo arrivó a Dawson il vaporino con le provviste.
Suor Giovanna diceva che, quando aveva bisogno di qualche cosa,
pregava le sue indie volate al cielo e che sperimentava l'efficacia
della loro intercessione. Essa attestava puré essere stati molti gli
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Capo XLVII1
indi, le indie, i ragazzi morti dopo aver avuto visioni, come quelle
descritte sopra. Questi fatti tornavano di soave conforto ai Missio-
nari e alie Missionarie nella loro vita di continui sacrifiei, riferiti poi
a Mons. Fagnano, uomo di gran fede, lo riempivano di consolazione
in mezzo a tanti fastidi, parendogli di scorgere che Dio benediceva
Topera sua e de' suoi.
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CAPO XLIX
Nel primo decennio dalla morte di Don Bosco.
AI principiare del 1898 Don Rúa richiamó l'attenzione dei Sale-
siani sul prossimo decennio dalla morte di Don Bosco, Fatto me-
morando egli chiamava quell'anniversario, perché offriva l'occasione
di constatare quanto Colui, che durante la sua vita in térra era stato
a' suoi guida, amico, benefattore e padre, continuasse dal cielo ad
esercitare la sua ardentissima carita verso di essi. Scriyeva: « Ad
ogni momento noi ci avvediamo che lo spirito di Don Bosco aleggia
in mezzo di noi, che prega per noi, che non cessa di sorreggere e
guidare la sua cara Societá. » Infatti sembrava non potersi spiegare
altrimenti lo straordinario sviluppo delle Opere salesiane ed i pro-
gressi compiuti negli ultimi due lustri. Tale era puré il convinci-
mento di moltissimi Cooperatori, anzi dello stesso Leone XIII, il
quale in un'udienza aveva detto a Don Rúa: — Non v'ha dubbio,
Don Bosco continua a lavorare per la sua Congregazione. — Don
Rúa quindi eccitava tutti i Soci alia riconoscenza verso di lui, esor-
tandoli intanto a un tenore di vita sempre piú conforme alio spirito
del fondatore (1).
Due pubblici appelli avevano preceduto questo paterno invito
domestico a commemorare il decennale, uno diretto ai Cooperatori
e l'altro a una cerchia ancor piú ampia di persone. Un Comitato
costituitosi a Verona per opera dei due grandi Cooperatori Don
Serenelli e Don Grancelli aveva il 28 dicembre antecedente indiriz-
(1) Circohire 20 gennaio 1898.
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75.1 Page 741

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Capo XLIX
zato a tutti i Cooperatori d'Italia una circolare, stimolandoli a fare
qualche cosa di speciale per onorare la memoria di Don Bosco nel
décimo anniversario dalla sua morte e dicendosi mosso a promuovere
questa dimostrazione dal considerare che il propagarsi dell'Opera
salesiana poteva dirsi un trionfo della Chiesa fra le tan te difficoltá
d'allora. II Comitato, tenendosi pago d'aver preso l'iniziativa, la-
sciava liberta a tutti di scegliere i mezzi giudicati migliori; tutta-
via faceva tre proposte: Io Celebrare una funzione di suffragio negli
Istituti salesiani, ove fossero, oppure in una pubblica chiesa od ora-
torio, il 31 gennaio od in un giorno prossimo. Chi non sentiva nell'a-
nimo una voce che diceva essere Don Bosco giá in Paradiso? Ma
fino al giorno auspicato della glorificazione bisognava ottemperare
alie prescrizioni della Chiesa, pregando per gli estinti, com'essa vuole.
2o Tenere un discorso commemorativo, nel quale esporre i punti piu
salienti della vita di Don Bosco e le sue alte benemerenze verso la
Chiesa e la societá civile. 3o Promuovere offerte per gl'Istituti sale-
siani, ove esistessero, per le Missioni e le Opere salesiane, alie quali
Don R ú a avrebbe posto mano nel 1898 in omaggio alia memoria
di Don Bosco. La circolare soggiungeva: « II Comitato salesiano ve-
ronese, promovendo la commemorazione suddetta, soddisfa ad un
sentimento di gratitudine verso la Congregazione salesiana, che per
il bene dei nostri giovani piantó da qualche anno le sue tende anche
ira noi. E fa voti che lo spirito del santo fondatore si conservi nei
figli e si trasmetta anche ai piü lontani, perché l'Opera salesiana é
opera di Dio e non deve né puó perire. »
A pochi giorni di distanza seguí il secondo appello. Nel numero
del Io gennaio comparve sull7/aZía Reale - Corriere Nazionale un'al-
tra proposta, concertata dal suo Direttore Avv. Stefano Scala con
parccchi amici: costituire un Comitato Internazionale che s'impe-
gnasse a promuovere un omaggio speciale alie Opere di Don Bosco
da parte non solo degli Italiani, ma di tutti i popoli, che ne sperimen-
tavano i benefici, omaggio da rendersi in Torino, dove quelle Opere
erano sorte e dove avevano la sede madre, il centro da cui si espan-
devano in tutto il mondo. L'omaggio doveva consistere nell'erezione
di una chiesa presso il Seminario delle Missioni salesiane a Valsalice.
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Nel primo decennio dalla morte di Don Bosco
Una circostanza si presentava propizia per inquadrare l'omaggio in
un grande avvenimento cittadino: l'Esposizione Nazionale per il cin-
quantenario della prima guerra dell'indipendenza italiana, e l'Espo-
sizione di Arte sacra antica e moderna e delle Missioni cattoliche.
Ne abbiamo parlato nel capo XXXIII. Orbene, sembró che nei fe-
steggiamenti potesse toccare un posto importante alia posa della
prima pietra di detta chiesa da erigersi nel Seminario delle Missioni
estere salesiane, tanto piú che nel reparto missionario dell'Esposi-
zione le Missioni dei Salesiani avevano una sezione cospicua. Sic-
come poi cadeva nello stesso anno il decennio di carica del su cees-
sore di Don Bosco, nel programma del Comitato se ne sarebbe vo-
luto tenere contó; ma Don Rúa fu di parere contrario. Egli, inviando
alia Direzione del giornale copia delFappello veronese, scriveva al-
l'Avv. Scala:
Ricevo or ora l'iinito appello del Comitato Salesiano Veronese, che mi ha ve-
ramente commosso. Ne sia benedetto il Signore, e siano puré sentitamente ringra-
ziati quei buoni benefattori! Lo mando a Lei, riconoscente se vorrá pubblicarlo.
Dal canto mió, mentre ringrazio con la piü viva gratitudine la S. V. dell'ini-
ziativa COSÍ nobile e pietosa, di commemorare il decennio della morte di Don Bosco»
accolgo con non minor riconoscenza l'idea che questa iniziativa si attui e si compia
nell'erezione di una chiesa nel Seminario delle Missioni di Valsalice presso la tomba
deH'amatissimo Don Bosco, e ció quando appunto sta per aprirsi la Esposizione
deli'operositá cattolica nell'arte e nelle missioni.
Da quella tomba partono i poveri figli di Don Bosco per portare a lontane e
spesso barbare regioni la luce della Religione e della civiltá e il nome stesso del-
ritalia. Sta bene adunque che presso quella tomba s'innalzi un monumento, che
dica nel suo mesto ma eloquente linguaggio come dalla fede e dalla carita cristiana
abbia attinto Don Bosco l'ispirazione e la forza dell'opera sua sublimemente cat-
tolica ed umanitaria.
Provveder di pane i poveri giovani, e provveder di chiesa quel Dio, da cui ci
viene ogni bene, era il suo motto e questo idéale intendono puré di far proprio i
Salesiani e i Cooperatori di Don Bosco. II monumento, eretto con questi sentimenti,
sará certo il piú rispondente a questo concetto e il piü conforme aH'amatissimo
Padre.
Mi permetta ora, Sig. Avvocato, di pregarla che tutto si concentri nel comme-
morare il decennio dalla morte di Don Bosco, non giá il decennio di carica del suo
successore. Noi non facciamo che raccogliere quel che Don Bosco ha seminato con
tanti sudori; sia dunque a lui, a hii solo, dopo Dio e Maria Ausiliatrice, il mérito
e la glorificazione.
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Capo XLIX
II Comitato veronese, appena conosciuta la proposta del giornale
di Torino, fece senz'altro una ristampa della sua circolare alio scopo
di caldeggiarvi l'idea. Intanto Vitalia - Corriere con una serie di ar-
ticoli su Don Bosco e l'Opera sua andava concretando la cosa; con-
temporáneamente in frequenti riunioni d'insigni personaggi del clero
e del laicato torinese si ventilavano le proposte di maggior rilievo.
fra cui la costituzione di un Comitato genérale promotore delYo-
maggio internazionale alVOpera di Don Bosco riel décimo anniver-
sario dalla sua morie con la creazione in seno ad esso di una Com-
missione esecutiva. II Comitato cosi costituito deliberó che, permet-
tendolo Don Rúa, l'erigenda chiesa fosse dedicata a S. Francesco di
Sales, Patrono della Societá Salesiana e della buona stampa e che
per questo secondo riguardo si movesse la stampa cattolica mon-
diale a farsi la gran proclamatrice dell'omaggio. Si credette quindi
necessario indire una solenne commemorazione ufficiale di Don Bosco
per il 3 febbraio.
Tale commemorazione, detta única per la maniera con cui venne
tratteggiata la multiforme figura di Don Bosco, fu fatta, mercé la
córtese concessione del Municipio e dell'Accademia Stefano Tempia,
nella sala Vincenzo Troya, il luogo piú adatto che si trovi in To-
rino per simili adunanze. L'aula presentava un aspetto imponente;
non un posto rimase libero: i maggiori esponenti dell'aristocrazia.
deH'autoritá, della scienza, dell'industria, delle istituzioni benefiche
o intervennero o si fecero degnamente rappresentare. Dal suo quadro,
fra nobili drappeggiamenti e sopra un trionfo di verzura e di fiori>
Don Bosco posava lo sguardo placido e profondo su quel gran pub-
blico, che lo rimirava con la soddisfazione di chi si compiace di
rivedere un volto amato e recentemente scomparso dalla vista co-
mune; tutti i presenti infatti, a cominciare dall'Arcivescovo Ago-
stino Richelmy, l'avevano conosciuto e gíi avevano voluto bene. Canti
e suoni, versi e discorsi intrecciarono un serto vivo e vario di ritmi
e di lodi a gloria del suo nome. Nelle parole di apertura l'avv. Scala
non poteva non toccare l'argomento dell'omaggio. Detto dunque che
il saluto augúrale " Sia lodato Gesü Cristo " riassumeva la vita e
Topera di Don Bosco e compendiava lo scopo della commemorazione,
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Nel primo decennio dalla moríe di Don Bosco
continua va: « E noi, che dalla commemorazione odierna di Don
Bosco prendiamo le mosse, nel primo decennio dalla sua morte, per
fargli erigere, come omaggio internazionale, sulla collina torinese,
presso alia sua tomba, il monumento piú degno della sua pietá, a che
altro miriamo se non a questo, che Gesü Cristo sia lodato come la
grand'aiiima di Don Bosco voleva e vuole? Se Valdocco é la testa
dell'Opera salesiana, Valsalice ne é il cuore; ed é cosa commovente
e provvidenziale che nel cuore della sua Opera riposi la salma del
fondatore. Ma come la dove la natura é piü olezzante di fiori e piü
serena di luce crescono i nuovi germogli del cuore di Don Bosco.
COSÍ é bello che vi sorga un altare donato dai popoli riconoscenti al
cuore della sua Opera. »
ln uno smagliante discorso il Márchese Crispolti spiegó quali fos-
sero le ragioni della commemorazione e perché se ne fosse fatta
promotrice la stampa cattolica. Riferiamo la parte céntrale del punto
che r ¡guarda la stampa (í).
Questa commemorazione é fatta dalla stampa cattolica. Gli uomini che parlano
o che scrivono debbono sempre ricordare il loro légame con gli uomini che fanno;
e sentiré che la parola e lo scritto sonó connessi e subordinan" all'azione.
Questo era sufficiente motivo perché il giornalismo nostro si facesse una gloria
di ricordare a parte e solennemente il nome di Don Bosco. Se non che il nesso tía
la parola e Topera non é soltanto nell'atto, con cui noi modesti parlatori o scrittori
ci inchiniamo dinanzi al grande operatore; quel nesso era ín lui medesimo; poiche
non gli parve di fare abbastanza in pro delle anime con la straordinaria attivitá
educatrice, volle corroborarla col divenire scrittore e pubblicista. Chi immagina
Don Bosco, come diceva un suo sacerdote, ora attorniato dai suoi fanciulli, ora er-
rante a. cercar loro alloggio e vitto, ora questuante di porta in porta per innalzare
chiese, collegi, oratorii; ora istitutore di quei suoi sacerdoti che dovevano molti-
plicare lui stesso oltre i monti ed oitre i mari, non ha di lui un'immagine piena.
Bisogna figurárselo ancora studioso e scrittore, creatore anzi della prima e piíi
diffusa stampa popolare che si sia vista in Italia. E se in quest'anno fra tante ri-
•cordanze si celebrasse il 45° dalla fondazione delle sue Letiure Cattoliche, si ri-
chiamerebbe alia memoria comune una gran data della stampa italiana, quella ín
cui si comprese che oggimai i'edueazione del popólo non si puó fare, se il gior-
naiismo non l'aiuta; quella in cui il giornalismo acquistó piü chiara missione e
dignitá di cooperare al ritorno e al ravvivamento della religione nei poveri. E
sarebbe un bcne per tutti che quella data e rautoritá deH'uomo che la segnó fossero
(1) II discorso intero si puó lc^gerc nel Boíl. Sal. del marzo 1898.
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Capo XLIX
tenute presentí, perché né agli uomini d'azione caritatevole accadesse mai piü di
considerare la stampa come un guastamestieri fragoroso; né alia stampa accadesse
mai piü di considerarsi come un semplice onesto sfogo alia curiositá degli uomini
colti, raa come un mezzo al rinascimento ed alia redenzione genérale.
Che se agli uomini della pubbhciíá rimordesse a volte quel far fracasso che é
inseparabile dal loro ufficio: se essi si lasciassero sgomentare dall'imperfetta mas-
sima di Madama Swetchine: « il bene non fa rumore, e ció che fa rumore non é un
bene, » essi potrebbero tranquillarsi nell'esempio di Don Bosco, che a seconda delle
circostanze opero in silenzio e con strepito, che non temette uniré alia tranquilla
e diretta opera personale 1 opera pubblica e fragorosa della stampa; che tacque tan ti
suoi beneficii e tanti altri utilmente ne riveló; che innovó cosi quella perpetua
tradízione della Chiesa, per cui l'agire celatamente o in pubblico, con ardore o con
calma, lottando o pacificando, tutto ha il suo tempo, tutto é secondo le vie di Dio,
tutto conduce al bene e alia santitá, se un'istessa umile ed ispirata intenzione regge
in varii modi d'apostolato. In un tempo come il nostro, in cui troppo si giudicano
le forme esteriori, in cui chi ama le civili battaglie pubbliche spesso sorride delle
quiete opere nascoste, e chi ama queste spesso si scandalizza di quelle; in cui chi
ha un temperamento, un indirizzo, una maniera tendc fácilmente a proclamare
che nella societá odierna non c'é né posto, né ragione, né convenienza per tempe-
ramenti, indirizzi, maniere diverse; in un tempo come questo, ben venga il ricordo
d'un uomo che tutte le varié attivitá e in vari modi íaccolse in sé, riuscendo a
giudizio comune uno dei piü efficaci fattori di bene. Egli ci richiama a quel Mar-
tirologio, ove sonó consacrate e impersonate le vocazioni, le virtü, le strade piü
svaríate e piü libere; egli ci ammonisce coi fatti che chi é indistintamente benigno
verso le mille maniere che i buoni scelgono per fare buone opere, non é né un in-
di ff eren te, né un eclettico, ma un animo che attinge una nuova equitá da una
comprensione piü profonda e piü vasta.
Nella commemorazione era puré riserbata al popólo la sua parte.
TI Comitato infatti aveva organizzato antecedentemente un dWoto
pellegrinaggio di operai alia tomba di Don Bosco, compiutosi il 30
gennaio. Una colonna di 500 autentici lavoratori percorse la strada
di Valsalice cantando sacri cantici, e riempi lo spazioso cortile di-
nanzi al mausoleo. Parló ad essi Mons. Filippello, Vescovo eletto
d'Ivrea. Dopo fervide dimostrazioni di pietá, i presentí, invitati da
uno dei loro capi, diedero il primo óbolo raccolto per l'erezione
della chiesa.
Intanto il Comitato promotore si era accresciuto di nuovi mem-
bri fino a raggiungere il numero di novanta. Allora esegui quello
che il titolo di internazionale dato al suo omaggio significava, co-
stituendosi come primo núcleo di un Comitato mondiale e invitando
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Nel primo decennio dalla morte di Don Bosco
a farvi parte tutti gli ammiratori di Don Bosco, a qualunque na-
zione appartenessero. Chiamó puré in aiuto una Commissione di 45
Signore Patronesse. Era tempo omai di mandare per il mondo la
parola d'ordine. Una circolare, tradotta in varié lingue, chiariva
la natura e lo scopo delFomaggio, recava la brillante serie di nomi dei
signori e delle signore che componevano il Comitato e la Commis-
sione e aveva in fondo l'approvazione del successore di Don Bosco
e la benedizione dell'Arcivescovo, il quale cosi si esprime va: « Le-
gati da forti vincoli di riverenza e di affetto al Venerando Don Bosco
ed all'Opera Salesiana, facciamo plauso alia pia e sapiente delibe-
razione, benediciamo di cuore a tutti i Promotori, e caídamente rac-
comandiamo l'adesione al presente omaggio. » Ogni copia della cir-
colare aveva uniti cinque moduli, nei quali gli aderenti avrebbero
posta la loro firma, dichiarando d'inviare la propria quota di ade-
sione in una lira. Queste circolari andavano ai Cooperatori salesiani
con preghiera di raccogliere adesioni, ed ai giornali e periodici dei
diversi paesi con una lettera manoscritta, nella quale si proponeva
loro di farsi i portavoce del Comitato genérale presso i connazionali.
In Italia il Comitato pubblicó uno splendido Numero Único inti-
tolato CHARITAS.
Dopo la dimostrazione operaia e la dimcstrazione civile, se ne
aspettava a Torino una terza, che fosse salesiana. La si ebbe il 16
marzo nell'Oratorio di Valdocco. Attiravano la curiositá genérale i
Bororos condotti da Don Balzola; con lui era venuto il dotto sale-
siano argentino Don Lino Carb¿ijal. Entrambi i Missionari, pregati
di far udire una loro parola all'eletta adunanza, si dissero ben lieti
di portare il contributo dell'America civile e selvaggia alFomaggio
internazionale. Sebbene il trattenimento avesse impronta tutta sa-
lesiana, tuttavia non era stato organizzato dai Salesiani, ma da
Cooperatori torinesi secondo le direttive del Canónico Eugenio Val-
lega.
Fuori di Torino, tanto in Italia che all'estero, dovunque fosse
un'opera salesiana o un gruppo di attivi Cooperatori o un núcleo
d'intraprendenti ex-allievi, si fecero dappertutto pubbliche comme-
morazioni con solenni Messe funebri, trattenimenti accademici e
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Capo XLIX
conferenze. Due note caratteristiche distingue vano tali dimostrazioni.
Non occorrevano sforzi per radunar gente, ma bastava la notizia,
perché l'accorrere fosse pronto e numeroso; e poi, dove piú dove
meno, si vedcva sempre negli accorrenti un sentimento di cordiale
partecipazione. Sebbene la Chiesa non avesse ancora pronunciata
la sua sentenza, il nome di Don Bosco esercitava il fascino di un
santo universalmente venerato, amato ed anche pregato. II popólo
cristiano ha un senso, direi, istintivo del divino, per il quale di-
nanzi alia santitá antiviene il giudizio della Chiesa; ecco perché la
Chiesa nelle Cause dei Servi di Dio fa tanto caso deU'opinione di
santitá da essi goduta in vita e dopo morte. Qui si verifica davvero
il vox populi, vox Dei.
Sopra tutte le nazioni estere si segnaló la Francia. La Corpora-
tion des Publicistes chréliens fece propria l'iniziativa. Un Coopera-
tore di vecchia data e presidente della Corporazione, il sig. De Ma-
rolles indirizzó a 870 fra quotidiani e non quotidiani, periodici e ri-
viste la circolare seguente:
Permettetemi che in nome della Corporazione dei Pubblicisti Cristiani ío rac-
comandi alia vostra benévola sollecitudine Topera seguente.
Si é costituito sotto la presidenza onoraria di S. E. il Cardinale Arcivescovo di
Parigi un Comí tato nazionale f ranéese per raccogliere i fondi necessari alia co-
struzione di una chiesa sotto il titolo di San Francesco di Sales la dove sta se-
pulto Don Bosco, a Torino-Valsalice.
11 nome di questo venerando religioso é cosi noto che sarebbe inutile ricordarne
le Opere, il viaggio a Parigi nel 1883, i soggiorni a Nizza, Marsiglia, Montpellier,
Lilla, Amiens. Egli ha fondato in Francia una trentina di Orfanotrofi, diretti dai
Salesiani e dalle Figlie di Maria Ausiliatrice. In tutte queste Case i fanciulli rice-
vono una soda educazione professionale e vengono aecuratamente coltivate le vo-
cazioni ecclesiastiche. É doveroso per la Francia onorare la memoria del Fondatore
di Opere cosi eminentemente sociali.
S. Francesco di Sales poi, figura cosi francese e cosi popolare, é stato assegnato
da Sua Santitá Pió IX come Patrono alia stampa cattolica.
Per questo doppio motivo non dubitiamo che voi siate ben contento di prestare
il concorso della pubblicitá di cui disponete, all'appello che sará tostó lanciato dal
Comitato nazionale francese. Le sottoscrizioni (un franco a testa) si mandano a ecc.
II Comitato a cui la circolare allude, era costituito a Parigi
sotto la presidenza onoraria dell'Arcivescovo Card. Richard. Lo com-
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Nel primo decennio dalla mor te di Don Bosco
ponevano 16 membri, tutte persone molto qualificate. Presiedeva il
Márchese Costa de Beauregard, dell'Accademia francese, coadiuvato
alia vicepresidenza da Mons. Péchenard, Rettore dell'Istituto cat-
tolico di Parigi, e dal Conté De Guébriant; tesoriere il banchiere
Dosseur. Trasmessa al Comitato promotore torinese la notizia della
propria costituzione, il Comitato parigino lanció un caloroso appello,
con il quale rendeva ragione dell'omaggio, ne spiegava la forma, pre-
sentava una lettera di Don Rúa ed animava tutti all'opera col riem-
pire e far riempire i moduli annessi. Don Rúa aveva scritto al Pre-
sidente effettivo:
11 Comitato promotore dell'Omaggio internazionale a Don Bosco, costituitosi
per iniziativa di nostri amici a Torino sotto la presidenza dell'Arcivescovo, mi
comunica la íormazione di un Comitato nazionale francese a Parigi, il quale ha
l'onore di a veré voi a Presidente.
Questo titolo vi spettava a buon diritto. lo so che piú volte Don Bosco vi scrisse
con la sua venerata mano per attestarvi la sua riconoscenza e dirvi in quale affet-
luosa stima egli avesse voi e i vostri; d'altra parte, come compatriota insigne di
S. Francesco di Sales (1), eravate naturalmente designato ad aiutare i Salesiani nel-
l'erigere presso la tomba del nostro amatissimo Padre e Fondatore una chiesa de-
dicata al nostro glorioso Patrono, il dolce e santo Vescovo di Ginevra. Proclamato
da Pió IX Protettore della stampa cattolica, S. Francesco di Sales ha ben ragione
di guardare con compiacenza il vostro apostolato della penna e della parola. Quanto
appieno ne abbiate raccolta l'ereditá letteraria, l'ha detto últimamente l'Accademia
francese, nel giorno in cui si diceva felice di accogliervi nel suo seno. II vostro nome,
Signor Márchese, sará dunque certamente di lieto auspicio al Comitato nazionale
francese o meglio alia sua iniziativa, che avrá per effetto di daré a S. Francesco di
Sales un santuario di piú e presso la tomba di un sacerdote che fu imitatore fedele
della sua dolcezza, del suo zelo e della sua carita.
A cura di detto Comitato sta per essere diramato un appello non solo ai Coo-
peratori salesiani, ma anche agli altri amici di Don Bosco in Francia, ossia a tutte
le persone chiaroveggenti, che cercano la vera soluzione della questione sociale. Un
appello di tal natura doveva partiré da Parigi, dov'é ancor vivo il ricordo del
viaggio trionfale di Don Bosco nel 1883, dei favori d'ogni specie che si asseiivano
ottenuti dalle sue preghiere, deirenlusiastica venerazione di cui fu l'oggetto, delle
sue prediche d'incantevole semplicitá, alie quali tuttavia accorreva in folla il fior
üore della capitale.
La composizione del Comitato nazionale francese mi fa rivivere i giorni indi-
menticabili, nei quali, a fianco del nostro venerato Padre, mi fu dato di vedere quali
eneigie di fede, quali slanci di preghiera e quali ardori di carita possa suscitare
(1) Lo storico Costa de Beauregard era di La Mottc-Servolex, in Savoia.
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Capo XLIX
nella cattolica anima francese la semplice vista, il rápido passaggio, la parola d'un
nomo di Dio.
Mi é quindi singularmente caro il ritrovare nell'elenco dei membri che compon-
gono il Comitato, i nomi di persone, che avvicinarono Don Bosco e gli si dichia-
rarono con riconoscenza soprannaturalmente obbligata, che hanno dedicato alia
sua benedetta memoria una religiosa venerazione, che ne ammirano e generosamente
ne sostengono con limosine le Opere.
UiTultima ragione di contentezza si aggiunge a questa gioia: la notizia che un
Comitato si cordialmente salesiano ha per Presidente onorario S. E. il Cardinal
Richard, Arcivescovo di Parigi. Tanto io mi riprometteva dai ben noti sentimenti di
cotesto Principe della Chiesa verso il nostro venerato Fondatore e Padre, e dalla
paterna sua benevolenza per i Figli di Don Bosco.
Preziositá di elementi, altezza di patronato e importanza di concorso sonó le
tre caratteristiche del Comitato nazionale francese, e questo giustifica le piú ga-
gliarde speranze di buoni risultati. Permettetemi, Signor Márchese, di vedere ancora
nella formazione del Comitato un frutto della benedizione estrema, che per desi-
derio di S. E. il Card. Richard, di passaggio per Torino al suo ritorno da Roma nel
gennaio del 1888, Don Bosco morente ebbe la consoiazione d'inviare a Parigi e alia
Francia intiera.
Con tutto il cuore ed in virtü della dolce autoritá datami sui nostri cari Coo-
peratori dalia loro benevolenza a tutta prova, io li prego di rispondere genero-
samente all'appello del Comitato nazionale francese.
La voce autorevole della stampa inviterá a sua volta tutti gli amici della vera
rigenerazione sociale; io invoco su cotesta voce e sui lavori del Comitato una spe-
ciale benedizione.
Gradite, Signor Márchese e caro Cooperatore, l'omaggio di tutto il mió rispetto
e della mia viva riconoscenza.
Le risposte all'appello, cordiali risposte, non tardarono a giungere
da ogni parte. Don R ú a nella lettera per il capo d'anno del 1899 ai
Cooperatori, lettera che suol essere idéntica all'italiana in tutte le
traduzioni, volle inseriré per la lingua francese il tratto seguente:
« Voglio che questa edizione francese del Bollettino porti una nuova
espressione della mia vivissima gratitudine al Comitato nazionale
francese, costituitosi a Parigi sotto la presidenza onoraria di S. E. il
Card. Richard, Arcivescovo di Parigi. Quasi tutte le alte personalitá
che lo compongono, furono in relazione con il nostro venerato Padre
Don Bosco. II ricordo di ció mi assicura che il Comitato continuerá a
raccogliere intorno aWOmaggio internazionale a Don Bosco nume-
róse simpatie e che le largizioni potranno affrettare la costruzione
della chiesa di Valsalice. »
724
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

75.10 Page 750

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Nel primo decennio dalla morte di Don Bosco
La forma popolare data alTomaggio e il costituirsi di comitati na-
zionali e locali in molte parti d'Europa e d'America suscitarono un
vero plebiscito mondiale alia memoria di Don Bosco, sicché le offerte
fioccavano e si poteva fondatamente sperare che fra breve Topera
sarebbe stata condotta a termine.
11 3 settembre, alia benedizione della prima pietra parteciparono
il Card. Manara, Vescovo di Ancona, TArcivescovo di Torino, sei
Vescovi e numerosi altri personaggi. L'invito era stato rivolto anche
alie Autoritá civili e militari. Chi non venne, giustificó Tassenza con
espressioni di somma cortesía, cosa piú única che rara a queitempi,
tanto distacco divideva il mondo laico dal mondo ecclesiastico; ma
il nome di Don Bosco sembrava fatto apposta per concillare gli
estremi. Rechiamo qualche saggio. II Comando Militare di Torino
scusó per lettera Tassenza del suo capo Genérale Besozzi, che, tro-
vandosi fuori di cittá per ragioni di servizio, non aveva potuto con
suo rincrescimento assistere alia funzione. II Senatore Casana, sin-
daco di Torino, scrisse alTAvv. Scala: « Sonó gratissimo alia S. V. per
il córtese invito alia funzione di posa della prima pietra per la
nuova chiesa di S. Francesco di Sales nel Seminario delle Missioni
Estere in Valsalice. Con vivo rincrescimento e per impegni assunti
in precedenza non potei intervenire, come era mió vivo desiderio. »
II Deputato Paolo Boselli, Presidente del Consiglio Provinciale. lon-
tano in quel giorno egli puré da Torino, scrisse un'affettuosissima
lettera di scusa, nella quale tra Tal tro diceva: « Volentieri avrei
partecipato alia funzione solenne dedicata ad opera tanto mirabile
di redenzione e di civiltá cristiana, di cui sará insigne testimo-
nianza in Torino codesto monumento, aggiungendo nuovo lustro
alTarte ispirata dalla religione e dal sentimento della fratellanza
umana. »
DelTomaggio ebbe a interessarsi un'importante assemblea di
Cooperatori nei tre giorni che seguirono alia detta cerimonia. Si ce-
lebrava a Torino un grandioso Congresso Mariano: ottima occasione
per Don Rúa di convocare i Direttori diocesani, i Decurioni e Ze-
latori, venuti per la circostanza da molte parti dTtalia. II convegno
si svolse nei giorni 5, 6, 7 con due adunanze nelTOspizio di S. Gio-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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76.1 Page 751

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Capo XLIX
vanni Evangelista e una terza all'Oratorio di Valdocco. Vi erano
rappresentate 40 diócesi con 150 dirigenti dei Cooperatori: prima di
separarsi s'impegnarono tutti a moltiplicare intorno a sé nelle loro
cittá e paesi le adesioni all'omaggio.
Gl'intrapresi lavori della chiesa non rallentarono, fuorché per
sospensioni dovute ai rigori invernali. Nel 1901 restavano solo da
ultimare alcune parti interne. Allora il Comitato promotore, a fine di
preparare gli animi alie feste dell'inaugurazione, rivolse una sup-
plica a Parroci e Rettori in cittá, pregandoli di permettere nelle loro
chiese una serie di conferenze sull'Opera di Don Bosco. II corso, ini-
ziato nel santuario di Maria Ausiliatrice dal Can. Bennet, Prefetto
della Real Basílica di Soperga, fu chiusa da Don Rúa nella chiesa
di S. Giovanni Evangelista; nell'intervallo, dal 3 febbraio al 30 mar-
zo, si tennero dodici conferenze da esimii oratori in chiese principali,
compresa la Cattedrale. Vi si prestarono volentieri anche parecchi
quaresimalisti.
Diamo ora uno sguardo a tutto il complesso della costruzione.
L'architetto salesiano Don Ernesto Vespignani, nell'ideare la chiesa,
aveva mirato a completare il grande fabbricato esistente, che fa
corona all'edicola eretta sulla tomba di Don Bosco, e che sorge su
di una zona elevata rispetto al piano genérale degli edifíci. Percio
l'edificio nuovo si presenta a tre piani: al secondo piano é la chiesa,
mentre il primo e il terreno sonó rispettivamente adibiti a uso sco-
lastico ed a sala di riunioni. Uno scalone comodissimo mette dal piano
ierreno al piano della chiesa, a cui in facciata fa da baldacchino un
balcone protendentesi a guisa di tribuna. La cupola con lo snello
cupoli.no domina in altezza su tutti i circostanti edifíci, e grazie
alia sua elevazione la chiesa si discopre a chi percorre la strada di
Valsalice, nonostante l'ampio e ombreggiato cortile che ne la separa.
L'interno, é un bel vaso; ampio e alto. Corre ai due lati una spa-
ziosa ed elegante gallería, doppio prolungamento delForchestra che
occupa il fondo. Sotio la gallería sonó collocati da ambe le parti
quattro graziosi altarini, dopo i quali verso il centro se ne er-
gono due altri assai piú grandi, ornati di ampie tele del Reffo. che
rappresentano l'Immacolata Concezione e il transito di S. Giuseppe.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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i\\el primo decennio dalla mor te di Don Bosco
L altar maggiore, ricco di preziosi mosaici e di colonnette d'a-
labastro oriéntale e adorno di statue, é tutto in pietra di Rezzato;
su nel centro si apre la nicchia, nella quale spiccano tre statue raf-
figuranti S. Francesco di Sales e S. Margherita Alocoque ai piedi
del Sacro Cuore di Gesú. Dietro la cinge un'abside semicircolare.
La cupola é istoriata con otto figure angeliche, recanti gli attributi
delle otto beatitudini. Sorvoliamo su gli altri particolari architet-
tonici e ornamentali. La cliiesa fu detta un gioiello delFarte sacra
moderna.
U 12 aprile l'Arcivescovo, creato due anni inrianzi Cardinale,
compié la cerimonia della benedizione; vi assisteva fra gli altri la
Duchessa vedova d'Aosta Letizia Bonaparte con le Dame Patronesse
deirOpera salesiana da lei presiedute. L'indomani Mons. Bertagna con-
sacró l'altar maggiore, indi vi celebró per primo la santa Messa; con
questo la chiesa era definitivamente aperta al culto. Gran festa il
14, domenica in Albis, per l'inaugurazione. Molte Messe. moltissime
cómunioni, numeróse rappresentanze degli oratorii salesiani di To-
rino. Pontificó Mons. Manacorda, Vescovo di Fossano. Erano pre-
sentí anche tre Principesse di Casa Savoia: Letizia, Elena Duchessa
d'Aosta, e Isabella Duchessa di Genova. Lo splendido pomeriggio
favori il pió pellegrinaggio di Torinesi, che vi ascesero in folla.
Coronó le feste una solenne accademia, tenutasi a Valsalice e
onorata dalla presenza dell'Arcivescovo e di Don Rúa. Le arti della
parola, del canto e del suono si unirono in rendere tributo di onore
a Don Bosco e nell'illustrare il significato dell'omaggio internazio-
nale. Alia fine il Cardinale, togliendo argomento dal titolo di una
poesía " Di visione in visione", richiamó la visione in cui S. Vin-
cenzo de' Paoli contempló due globi di fuoco raffiguranti S. Fran-
cesco di Sales e S. Francesca di Chantal e ne trasse un paragone con
il globo di fuoco dell'Opera salesiana, che, immedesimandosi con
l'altro globo della Chiesa universale, avvia innumerevoli anime alia
eterna salvezza.
La coincidenza del decennale di Don Bosco con il cinquantenario
político del '48 e con i centenari religiosi del Piemonte offerse lo
spunto ad accostamenti oratorii dell'Opera di Don Bosco con l'og-
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo XLIX
getto delle altre commemorazioni; ma con le due Esposizioni, la ge-
nérale e la religiosa, ebbe la stessa Opera riferimenti reali, poiché la
Societá salesiana e contribuí alia loro splendida riuscita e ne ri-
portó vari premi. II reparto specialmente delle Missioni salesiane
riscosse.il plauso dei visitatori. Parecchie medaglie furono assegnate
ai lavori dei Salesiani, come puré medaglie, menzioni e un premio
in danaro vennero destinati alie Figlie di Maria Ausiliatrice. Questo
da parte dell'Esposizione di Arte Sacra; ma un diploma di medaglia
d'oro fu decretato alie Opere salesiane anche dall'Esposizione ge-
nérale. Una pia* persona aveva stabilito un premio di lire 5000 da
destinarsi a " queH'istitiizione italiana, che, ispirandosi alia religione
cattolica ed alie necessitá dei tempi moderni meglio provvedesse ai
bisogni morali e materiali delle classi meno abbienti in Italia ". Or-
bene la Giuria dell'Esposizione genérale italiana, oltre al diploma di
medaglia d'oro, credette giusto assegnare tale premio ai Salesiani; il
che consoló grandemente Don Rúa soprattutto per il vedere l'Opera
salesiana cosi altamente riconosciuta ed apprezzata. Ció, scriveva
egli ai Salesiani (1), « deve farci animo a perseverare nella via trac-
ciataci da Don Bosco e con Topera nostra corrispondere ai bisogni
dei tempi, procurando di rendere le nostre povere fatiche di gradi-
mento al Signore, a cui únicamente ora e sempre vogliamo sia onore
e gloria. » Epilogo finale delle commemorazioni fu la partenza di
130 fra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice per le diverse nostre
Missioni. Era la spedizione piú numerosa che si fosse mai fatta
fino allora.
Nel primo decennio dalla morte di Don Bosco e del Rettorato di
Don Rúa la storia della Congregazione deve registrare due date glo-
rióse, quelle del natalis rispettivamente di Don Augusto Czartoryski
e di Don Andrea Beltrami, i due noti e santi Salesiani, dei quali e
in corso la Causa di Beatificazione e di Canonizzazione: 1'8 aprile
1893 e il 30 dicembre 1897. La loro memoria vive tuttora, insieme
con il ricordo delle loro grandi virtü. Entrambi raggiunsero il colmo
della santitá proprio in un giro di anni compreso nel detto periodo
(1) Circolarc 15 dicembre 1898.
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Nel primo decennio dalla morte di Don Bosco
di tempo. Ben inteso che noi parliamo di santitá per quanto com-
porta l'umano modo di vedere: solo la Chiesa, che é santa e madre
dei Santi, puó autorevolmente giudicare chi sia stato santo.
Della straordinaria vocazione di Don Augusto abbiamo narrato
nel volume precedente. Egli fu davvero un angelo inviato da Dio
per la nostra comune edificazione. Chi lo vedeva privarsi di tutto,
adattarsi serenamente ai disagi della vita salesiana, obbedire con
puntúale esattezza fin nelle cose piü minute, ammirava in lui To-
pera della grazia, che aveva trasformato un principe dovizioso, cor-
teggiato e servito in un povero e umile figlio di Don Bosco, non
d'altro vago che di essere considerato e trattato alia pari con tutti.
Delicatissimo di salute, non era certo in grado di esercitare !e labo-
riose attivitá salesiane; ma edificava i fratelli con l'avanzare nella
perfezione e li soccorreva con Faiuto della incessante preghiera.
Quando le infermita si aggravarono, prese per legge la norma trac-
ciatagli da Don Rúa nel 1890 (1): « Approfíttate degli incomodí a van-
taggio dell'anima vostra. Domani comincia la novena dei Santi. Fra
essi parecchi si santificarono con le infermitá; anche voi potete santi-
ficarvi malgrado le infermitá. Fate buon pro dei vostri incomodi. »
II suo seráfico ardore nella pietá s'infervoró ogni di piú, dopo
i I 3 aprile 1892, quando fu ordinato sacerdote. Non sempre gli era
agevole celebrare; ma fino agli ultimi due giorni della sua vita trovó
in sé la forza per non privarsi di tanta consolazione. Avvicinandosi
l'anniversario della sua ordinazione, Don Rúa nella sua grande
amabilitá gli scrisse ad Alassio (2): «Fra pochi giorni si compie il
primo anno del vostro sacerdozio; vi auguro di cuore che arriviate
a fare il vostro giubileo sacerdotale. Mancan piú solamente 49 anni;
fatevi coraggio per arrivarvi. » Cosi dicendo, Don Rúa pensava
forse al giubileo che Don Augusto avrebbe poi celebrato in Paradiso,
al quale voló cinque giorni dopo.
Un'amicizia santa aveva legato 1'anima di Don Augusto all'anima
di Don Beltrami. Appena si conobbero da chierici, s'intesero, come
se si leggessero uno nel cuore dell'altro. Che angélica gara fra loro
(1) Torino. 22 ottobre 1890.
(2) Torino, 22 marzo 1893.
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Capo XL1X
per crescere neU'amore di Dio! La malattia li disgiunse di persona,
ma non di spirito. Sette anni Don Andrea doloró, mantenendo fede
al suo motto: « Non moriré né guariré, ma vivere per patire. » Fiam-
me di amore lo bruciavano piü delle ardenti febbri, che lo consu-
mavan quasi di continuo. Nei patimenti trovava la su a contentezza,
tanto che faceva festa nell'anniversario del giorno, in cui il male
l'aveva colpito. II 24 marzo 1896 descriveva cosi la sua felicita: « Qui
nella mia stanzetta, all'ombra profumata dell'altare, o dinanzi al
Santissimo Sacramento, io sonó Fuomo piü felice del mondo; qui
non arrivano che gli ultimi rumori del mondo, e si odono le prime
armonie del cielo, Teco lontana di quelle gioie sempiterne, che occhio
umano non vide e mente umana non puó concepire. » Cosa mirabile!
Mentre non poteva durante il resto della giornata reggersi neppur
un minuto in piedi, e tossiva, tossiva continuamente, durante la ce-
lebrazione della Messa stava ritto e immobile, genufletteva fino a
térra e non tossiva mai.
Nella sua celia solitaria di Valsalice dunque soffriva e pregava,
ma insieme lavorava. Sembra incredibile che abbia trovato tanta
energía da scrivere tutto quello che scrisse. Quei suoi libri e opuscoli
sonó specchi della sua anima fervente di fede e di carita e accesa
di zelo per la gioventú, come voleva la sua vocazione di Salesiano.
Chi legge, non immagina fra quali spasimi furono scritte certe pa-
gine. Quando corsé per casa la notizia che quel cuore innamorato di
Dio aveva cessato di battere, si levó unánime la voce: É morto un
santo. Don Barberis, suo Direttore spirituale, che ne scrisse un'ab-
bondante biografía, dice nella Prefazione: « lo sonó da oltre cin-
quant'anni nella Societá Salesiana, sonó stato oltre venticinque anni
Maestro dei novizi: quanti san ti confratelli ho conosciuto, quanti
buoni giovani sonó passati sotto di me in questo tempo! quanti fiori
eletti si compiacque il Signore trapiantare dal giardino salesiano in
Paradiso! Eppure se ho da diré tutto il mió pensiero, sebbene non in-
tenda far paragoni, mia convinzione si é che nessuno abbia sorpas-
sato in virtü e santitá il carissimo nostro Don Andrea. » Onde non
dubiiava di asserire: « lo certo lo giudico tale da far ottima com-
pagnia a Don Bosco. »
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Nel primo decennio dalla mor te di Don Bosco
Se l'albero si deve giudicare dai frutti, ecco anche solo da que-
sti due frutti la riprova che l'albero piantato da Don Bosco é ve-
nuto su irrorato dalla copia della grazia celeste e fecondato da
ottima cultura di suolo, de rore caeli el de pinguedine terrae. Un
simile pensiero soprannaturale ispirava molto probabilmente Don
Rúa, quando, approssimandosi il decennale della morte di Don Bo-
sco, scriveva ai Salesiani (1): « Erompano dai nostri cuori 1'affetto
e la riconoscenza che noi nutriamo verso il nostro carissimo Padre. »
(I) Circolare 20 gennaio 1S98.
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CAPO L
L'ottavo Capitolo genérale. Rielezione di Don Rúa.
(1898)
Un Capitolo genérale é sempre in una Congregazione un fatto
di alta importanza, sia per il fecondo incontro di molte personalitá
fra le piü cospicue in essa, sia per le deliberazioni di comune in-
teresse che é chiamato a prendere concernen ti la conservazione e i I
consolidamento di quella. Oltre a ció il nostro ottavo Capitolo ge-
nérale, che veniva a coincidere col primo decennio dalla morte di
Don Bosco, inserendosi in questo fatto giá per sé memorabile, gli
dava lustro ancor maggiore. Né poteva sfuggire a Don Rúa il va-
lore di una tale coincidenza; infatti, come scrisse nelPatto di con-
vocazione (1), egli scorgeva in questa simultaneitá un tratto parti-
colare della bontá divina.
I tre anni dall'ultimo Capitolo genérale terminavano in agosto. II
nuovo Capitolo assumeva il carattere di una speciale solennitá a
motivo delle elezioni, che lo dovevano precederé, chiudendosi col 31
agosto il sessennio di carica per i membri del Capitolo Superiore. Non
basta: bisognava anche procederé all'elezione del Rettor Maggiore.
Veramente il suo dodicennio sarebbe scaduto soltanto l'll febbraio
1900; ma egli ragionava e stabiliva cosi nella Circolare citata: « In
quest'anno il nostro amato Padre Don Bosco compirebbe il secondo
dodicennio dalla sua conferma a Rettor Maggiore, avvenuta nel 1874,
quando furono approvate dalla Santa Sede le nostre Costituzioni.
lo, eletto dal Santo Padre Leone XIII a succedergli durante il se-
(1) Circolare 20 gennaio J898.
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Oítavo Capitolo genérale - Rielezione di Don Rúa
condo dodicennio, compio in quest'anno il mió mandato, col com-
piersi del periodo dodieennale. Che se avessi da compiere dodici anni
in carica, si porterebbe ad un tempo troppo incomodo Telezione
del Rettor Maggiore, il che sarebbe causa di gravissimi disturbi alie
nostre Case. Invito adunque i membri dell'ottavo Capitolo genérale
all'elezione del Rettor Maggiore nel tempo stesso che a quella degli
altri membri del Capitolo superiore. » A ogni modo era di suo pieno
diritto la rinuncia a due anni della carica.
Tuttavia, perché la cosa procedesse con tutta regolaritá e per non
aver l'aria di volersi sottrarre all'incarico affidatogli dal Papa il 7
novembre 1884, scrisse al Procuratore Don Cagliero che vedesse di
farne parola al Santo Padre o al Prefetto dei Yescovi e Regolari o a
chi altri bisognasse, aífinché fosse sancito con la Suprema Autoritá
quello che per convenienza egli proponeva. II Procuratore umilió al
Papa un'istanza, nella quale, esposto il desiderio di Don Rúa, conchiu-
deva: « Questo il Signor Don Rúa domanda instantemente non giá per
desiderio di esonerarsi dal peso della sua carica, ma per ovviare al
grave disturbo di convocare altra volta circa 300 Soci da tutte le
parti del mondo, e alia spesa di molte e molte migliaia di lire occor-
renti peí viaggio di tante persone. » La risposta giunse il 20 agosto per
il tramite del Card. Parocchi, Protettore della Congregazione, il
quale informava che Sua Santitá, attentis specialibus casus adiun-
cüs atíentoque insuper consensu Rectoris Maioris Sodalium Salesia-
norum, accordava tutte le facoltá necessarie e opportune all'uopo.
Sette giorni dopo il Card. Rampolla, Segretario di Stato, comuni-
cava una speciale benedizione del Papa, scrivendo al medesimo Pro-
curatore: « II Santo Padre ha appreso con piacere l'adunanza che
avrá luogo a Torino il prossimo 29 agosto, di tutti i Direttori e i
soci aventi diritto, per la elezione del Rettor Maggiore e dei Membri
del Capitolo Superiore. Apprese altresi con aggradimento, che dopo
ció, si térra il Capitolo Genérale della Congregazione Salesiana di
Don Bosco. Volendo pertanto la Santitá Sua daré alia Congregazione
stessa un attestato della Sua benevolenza, si compiaeque impartiré a
tutti i soci che all'una e all'altra adunanza assisteranno Papostolica
benedizione, pregando Iddio che voglia diffondere sopra di essi larga
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Capo L
copia di grazie. onde tutto riesca a maggior gloria di Dio e a van-
taggio della Chiesa. »
Messo ben in chiaro questo punto, ritorniamo la donde siamo
partiti. A Regolatore del futuro Capitolo Don Rúa designó un'altra
volta Don Cerruti, il quale il 18 aprile, com'era di sua eompetenza,
notificava che l'apertura si sarebbe fatta la sera del 29 agosto presso
la tomba di Don Bosco a Valsalice e mandava a tutte le Case per i
Confratelli dieci schemi delle materie da trattarsi, affinché qual-
siasi socio professo perpetuo potesse inviargli le proposte che gli pa-
ressero giovevoli al bene della Societá. Ma ammoniva: « In tutto que-
sto abbiamo sempre innanzi alia mente gl'insegnamenti di Don Bosco.
cioe che tutto quello che si propone " sia conforme al fine ed alie
ragioni per cui le Rególe furono approvate " (1). [...]. Non il prurito
della riforma, ma il desiderio del meglio sia quello che ci guidi in
un'opera di cosi capital importanza.» Poi, il 30 giugno, spedi la
nota delle Commissioni desígnate a studiare le diverse materie, pre-
gando ognuno dei membri di esaminare a fondo quanto lo riguardava.
Un corso di esercizi spirituali fu la preparazione prossima al Ca-
pitolo. Tutti i membri si radunarono per l'apertura la sera del 29
agosto sotto la presidenza di Don Rúa e con l'assistenza di Mons.
Cagliero e di Mons. Costamagna. Vi erano i membri del Capitolo
Superiore, meno Don Lazzero infermo; i due Vescovi, Vicari di Don
Rúa per le Case dei due versanti dell'America meridionale; il Pro-
curatore Cenerale, il Maestro dei Novizi, il Vicario moniale, dieci
Ispettori (mancavano Mons. Fagnano, anche Ispettore nella Pata-
gonia Meridionale, e Don Peretto, Ispettore nel Brasile), 124 Diret-
tori e 71 soci delegati. Tutte le Case che non avevano almeno sei
soci, fossero triennali o perpetui, non mandarono rappresentante in-
sieme col Direttore.
Don Rúa, recitata la preghiera di rito, espose il caso suo persó-
nate, come l'abbiamo riferito sopra; poi si passó a leggere le Rególe
e le Deliberazioni riguardanti le elezioni. A un certo punto Don
Berto fece osservare che ira il testo manoscritto delle Rególe appro-
(1) Costit., VI, 4 (XI, 3 = n. 124 in cdiz. del 1923).
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Otlavo Capitolo genérale - Rielezione di Don Rúa
vato dalla Santa Sede e tutti i testi stampati, compreso il latino,
correvano discrepanze notevoli. Queste parole destarono una certa
impressione in tutta l'assemblea. Furono prese nella debita conside-
razione. A detta di Don Francesia, le varianti sarebbero derívate
dal fatto che Don Bosco, do vendo stampare la prima edizione latina
delle Rególe, si fece aiutare nel suo lavoro dal barnabita Padre
Giobbio, suo amico e buon latinista, il quale, invece di limitarsi a
semplici ritocchi di forma, lasció correré la penna piú del dovere, in-
troducendo modificazioni e aggiunte, che sfuggirono al nostro fon-
datore (1).
Finita la lettura, prese la parola Mons. Cagliero, per invito del
Rettor Maggiore. Raccomandó calma e serenitá di giudizio nelle
imminenti elezioni. Egli avrebbe voluto che fossero rispettati i " mo-
numenti antichi ". II suo immenso affetto per Don Bosco gli mise
sulle labbra questa immaginosa espressione a significare quanto giu-
dicasse opportuno che nel daré il voto si tenesse contó di coloro, i
quali, avendo condiviso con Don Bosco il governo della Societá, ri-
manevano di lui quasi viventi reliquie, meritevoli di singolari ri-
guardi.
Alzatosi Mons. Costamagna, non ebbe nulla da aggiungere a
quanto aveva detto Mons. Cagliero circa il Capitolo e le elezioni;
volle solo profíttare dell'occasione per ringraziare di cuore i Confra-
telli della generositá, con cui avevano soccorso la Casa di Concepción,
raccomandando in pari tempo di non fare troppo a fidanza con le
Banche, perché questo puó essere causa di veré calamita e gravi
iatture per la Congregazione.
L'indomani mattina, elezioni. Presiedeva il Prefetto Don Bel-
monte; ascesero al seggio presidenziale anche i due Monsignori. Don
Rúa, pregato con vive insistenze a salirvi, ringraziando, non aderi,
ma prese posto nel primo banco, vicino ai segretari. Cantato il
Veni Creator, Mons. Cagliero lesse fra il piú religioso silenzio la
lettera del Card. Rampolla, che comunicava la benedizione del Papa.
(1) Atti e deliberazione dellVl.il Capitolo Genérale della Pia Societa Salcsiann. S Benigno Ca-
navese, 1890. Pagg. 140-41.
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77.1 Page 761

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Capo L
Dopo, il Regolatore fece Fappello nomínale di tutti gli elettori. Di
227 chiamati risposero i 217 indicati sopra, essendo stati gli altri
dieci legittimamente impediti d'intervenire. Poi diede lettura di un
biglietto di Don Rúa, il quale avvertiva non essere eleggibili i Ve-
scovi e che a Rettor Maggiore si poteva convenientemente eleggere
un Confratello non tanto avanzato in etá, perché cosi avrebbe avuto
maggiori forze per sostenere il peso d'un tanto ufficio.
Costituito l'ufficio definitivo di tre scrutatori e due segretari e
stabilito che alia richiesta maggioranza assoluta sarebbero stati ne-
cessari 110 voti, s'intrapresero le operazioni. A Rettor Maggiore ri-
sultó eletto Don Rúa con voti 213. Come si seppe dopo, due elet-
tori, impressionati della udita dichiarazione, avevano votato per Don
Bertello, uomo certamente assai prestante per dignitá di carattere
ed esemplaritá di vita. Un terzo, il buon coadiutore Giacomo Ceva,
delegato del Collegio Don Bosco di Montevideo, aveva ingenua-
mente scritto sulla scheda " Viva Don Giovanni Bosco". Dunque
il quarto voto dato a Don Marenco, Vicario per le Figlie di Maria
Ausiliatrice e futuro Vescovo di Massa e delegato Apostólico del
Centro America, era di Don Rúa.
Le seguenti votazioni diedero questi risuliati:
D O N DOMENICO BELMONTE. Prefetto. Voti 130.
D O N PAOLO ALBERA. Catechista. Voti 200.
D O N LUIGI ROCCA. Ecónomo. Voti 135.
D O N FRANCESCO CERRUTI. Consigliere. Voti 209.
D O N CELESTINO DURANDO. Consigliere. Voti 158.
D O N GIUSEPPE BERTELLO. Consigliere. Voti 143.
Don Giulio Barberis venne rieletto Maestro dei Novizi con voti
131. Rieletti erano puré tutti i Capitolari, eccetto Don Lazzero. tra-
vagliato da penosa infermitá. TI Capitulo riconfermó a Mons. Ca-
gliero il litólo di Catechista emérito e onorario. Un senso di pro-
fonda pietá e di viva simpatía corsé per tutta la sala all'udire il
nome di Don Lazzero, che fra ripetuti applausi venne acclamato
Consigliere Professionale Onorario ad vitam. Fu questo un atto spon-
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Otlaoo Capítol o genérale - Rielezione di Don Rúa
íaneo di filíale venerazione alia memoria di Don Bosco, che aveva
avuto sempre molto caro il suo Consigliere Professionale (I).
Don Giuseppe Lazzero era amato da tutti per la bontá e sem-
plicitá, che lo rendevano singolarmente caro. Sapeva a tempo e
luogo anche ammonire con energia; ma nessuno partí mai da lui
disgustato. Entrato ventenne nell'Oratorio, vi passó quarant'anni
continui, dal 1857 al 1897. Figura giá come chierico nella celebre
conferenza di adesione alia Societá, tenuta il 18 dicembre 1859 (2),
Prima assistente degli artigiani, che furono sempre i suoi prediletti,
poi Catechista, Prefetto e Direttore dell'Oratorio, infine dal 1874
membro del Capitolo superiore, faticó, edifico, dimenticó se stesso
per il bene altrui, studiandosi di riprodurre dovunque la santa
paternitá di Don Bosco. Chi lo conobbe, non puó passare sotto si-
lenzio quanto lustro desse alie funzioni di chiesa con la sua magni-
fica e potente voce da tenore, ammirabile anche neH'etá matura.
Una terribile malattia viscerale lo tormentó dal 1897 al 1910. Visse
quei tredici anni una vita di sofferenze a Mati, eroicamente prati-
cando le virtú della pazienza e della conformitá alia volontá di Dio.
Terminata l'elezione, Don Rúa ringrazió i presentí per il mera-
viglioso accordo nella sua rielezione, dicendo non saperlo interpre-
tare altrimenti che come omaggio a Don Bosco, il quale lo aveva
voluto suo Vicario, e di devozione al Sommo Pontefice, dal quale era
stato eletto successore di Don Bosco. Esortó alia costanza in tali
sentimenti, validissimo coefficiente alia prosperitá della Congrega-
zione. Attribui infine il bene operatosi negli anni antecedenti, dopo
l'aiuto di Dio e la protezione di Maria Ausiliatrice, alia efficace
cooperazione e instancabile operositá degli altri membri del Capitolo,
dei quali fece il piú cordiale elogio.
La mattina del 31 seguente cominciarono le conferenze. Ogni
Commissione presentava alia discussione i risultati dell'esame com-
piuto sullo schema affidatole e sulle proposte relative inviate da
(1) II 23 aprile 1884 Don Bosco, scrivendogli da Roma, incominciava cosí la Ictícra: < E forse la
prima lettera che scrivo dopo la mía partenza da Torino, e voglio scriverla a te, o mío sempre caro
I). Lazzero. >
(2) Mem. Biogr., vol. VI, pag 335.
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Capo L
Confratelli. Mai tali proposte erano giunte in cosi gran numero come
quella volta. Sara utile conoscere tutti i dieci schemi, quali vennero
formulati dal Capitolo Superiore e diramati dal Relatore.
I. Qnali sonó gli articoli delle Rególe, e soprattutto delle Delib. dei Capitoli pre-
eedenti, che sonó generalmente meno osservati? Quali paiono essere le cause di
tiuesta non osservanza e quali i rimedi che a tal effetto si suggeriscono? Quali cose
in modo particolare si propongono per la pratica esecuzione dei cap. IV e V Dist.
VI delle Delib. Cap., che tanta attinenza hanno col voto di povertá?
II. Perseveranza nella vocazione. — Quali delle Delib. giá adottate su questo
punto parrebbe bene particularmente richiamare, e quali altre aggiungere per
mantener vivo in tutti lo spirito religioso ed ovviare alie defezioni eventuali?
III. Come regolare il passaggio de' nostri chierici e dei nostri coadiutori dallo
studentato e dal noviziato professionale alie Case particolari, sicché e mantengano
il buono spirito religioso e adempiano nel miglior modo possibile le occupazioni,
che in esse Case sarán loro affidate, ossia, come si esprime la santa Regola, riescano
aííi a compiere i doveri della Congregazione?
IV. Proposte varié. — Quali proposte parrebbero soprattutto praticamente
adottabili, perché tra noi figli di Don Bosco si mantenga sempre il vincolo di fra-
ternitá e la medesimezza d'intenti del nostro fondatore e padre, qualunque sia il
luogo e qualunque la nazionalitá a cui apparteniamo?
V. É ogni di piü sentita la necessitá che l'insegnamento della Teologia e Filo-
sofía e del Latino sia dato bene e con método uniforme in tutte le nostre Case,
qualunque sia la regione e la nazionalitá a cui appartengano. Quali cose si pro-
pongono al conseguimento di questo fine cosi importante per la nostra Pia Societá?
VI. Coordinare quanto fu stabilito dalla Commissione VIII del VII Cap. Gen.,
trattante degü Oratorii festivi, a quello che giá trovasi nel Regolamento pe' detti
Oratorii, approvato dal IV Cap. Gen., sicché se ne formi un Regolamento único
possibilmente completo.
VIL Quali osservazioni intorno al Regolamento del Capo Uff. per la direzione
de laboratorii, accettato ad experimentum per tre anni nel VI e prorogato per altri
tre nel VII Capitolo Gen.? Quali cose parrebbero giovare a render maggiormente
produttivi i nostri laboratorii, e il piü possibilmente completa l'istruzione profes-
sionale de' nostri artigiani?
VIII. Quali osservazioni intorno al Regolamento de' Noviziati e Studentati
anualmente ad experimentum? Quali altre sul Regolamento, riguardante le rela-
zioni tra il Rettore e il Direttore nelle Case Ispcttoriali, puré ad esperimento?
Come si potrebbe atinare la proposta di un Noviziato agricolo, fatta dalla VI Com-
missione deH'ultimo Cap. Gen.?
IX. La VI Commissione dell'ultimo Cap. Gen. propose la compilazione di un
Regolamento peí Vicario moniale, particolarmente nelle sue relazioni con gl'Ispet-
tori e i Direitori delle singóle Case. Parecchi Direttori poi desiderano sapere quali
sonó i loro doveri, e quali i loro diritti verso le Suore di Maria Aus. le cui cuse
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Oítaoo Capitolo genérale - Rielezione di Don Rúa
sonó annesse a quelle clei Salesiani. Come provvedere a questo? Quali osservazioni
intorno al ílegolamento dell'íspettore per la direzione delle Figlie di Maria Aus.,
proposto ad esperimentó?
X. Si senté ogni di piü il bisogno e il dovere che lo spirito di D Bosco si con-
servi intatto e dappertutto fra di noi suoi figli. Quali proposte parrebbero piü con-
ducenti a questo fine cosi santo e di capital importanza per la riostra Pia Societá?
Dalla lettura di questi schemi si puó fácilmente rilevare che tre
furono gli scopi speciali prefissi all'ottavo Capitolo genérale: Io rí-
chiamare alia mente Deliberazioni giá definitivamente approvate,
ritornarvi sopra e studiare il modo di renderle piü pratiche; 2° riesa-
minare disposizioni e Regolamenti approvati ad experimentum e ve-
dere come si avessero a rendere definitivi; 3° chiarire meglio e svol-
gere piü largamente alcuni punti giá stabiliti, svolgimento reso ne-
cessario dal moltiplicarsi dei Confratelli e dai dilatarsi delle Case, a
fine di mantenere e rafforzare I'unitá di spirito, come fra religiosi
si conviene, e l'unif ormitá di método, come é desiderabile fra edu-
catori. Detto questo in genérale, non sembra opportuno rendere contó
delle discussioni fatte e delle deliberazioni prese. Una cosa sola
giova accennare per la storia.
Nell'elezione del Maestro dei Novizi una scheda senza voto re-
cava Tosservazione che non si sarebbe dovuto fare elezione alcuna
di un Maestro genérale dei Novizi; non potersi infatti gli uffici e i
doveri imposti dallo spirito e dalla lettera delle Rególe convenien-
temente adempiere da un solo Maestro genérale dei Novizi, risiedente
presso il Capitolo Superiore; esser necessario eleggere tanti Maestri,
quanti sonó i Noviziati. La questione venne in campo quando si
discuteva lo schema nono, rilevandosi una discrepanza fra il Rego-
lamento e ie Costituzioni latine: secondo il primo, sarebbe dovuto
esservi un único Maestro per tutti i Noviziati della Congregazione,
mentre a tenore delle seconde i Maestri si sarebbero dovuti molti-
plicare col moltiplicarsi delle Case di Noviziato. Don Rúa aveva giá
preso in considerazione la cosa, promettendo di consultare, se fosse
stato necessario, la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari, af-
finche venisse troncato ogni dubbio. Intanto il Capitolo genérale de-
liberó che si facesse un'edizione delle Rególe in latino, perfetta-
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Capo L
mente conforme all'originale approvato dalla Santa Sede. Quella
iu Fultima elezione di un Maestro genérale dei Novizi.
I due Vescovi giovarono molto al buon audamento. Stavano con
grande cordialitá assisi in mezzo ai Confratelli, erano assidui alie
conferenze e con il loro zelo e la loro esperienza aiutarono grande-
mente a cercare i mezzi pratici per mantenere sempre in fiore il vero
spirito di Don Bosco. In una Circolare indirizzata il 15 dicembre
da Roma a tutte le Case Don Rúa affermava su tale andamento:
« Tutto riusci bene; l'ordine delle sedute, l'operositá delle Commis-
sioni, la carita nelle discussioni, la compattezza delle deliberazioni
hanno superato quanto si poteva aspettare. »
II Capitolo terminó alie 13 del 3 settembre. Fu onorato nel suo
finiré dall'intervenlo del Card. Manara, Vescovo di Ancona, che be-
nedisse l'assemblea, e dell'Arcivescovo Richelmy, che con affettuose
espressioni evocó la memoria di Don Bosco, augurando ai Salesiani,
che camminassero sempre sulle orme del loro Padre.
La rielezione di Don Rúa ricevette la conferma dalla Santa Sede,
come esigono le Costituzioni, con Rescritto del 26 novembre ema-
nato dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari. Partecipando
la cosa ai Confratelli, egli scriveva nella detta Circolare: « Vi posso
assicurare che la quasi unanimitá, con cui mi si volle rieleggere,
malgrado la mia pochezza, mi persuade sempre piú della vostra
venerazione peí nostro amatissimo Fondatore Don Bosco, che mi
aveva eletto suo Vicario negli ultimi anni di sua vita, come puré
del vostro pieno ossequio al Vicario di Gesú Cristo, che si degnó
súbito dopo la morte di lui designarmi a suo successore. Questa
vostra fiducia mi anima sempre piü ad occuparmi con coraggio peí
bene della Congregazione. Caídamente mi raccomando alia carita
delle vostre orazioni, affinché meno indegnamente possa compiere
il mió ufficio. » II 13 dicembre era stato ammesso all'udienza del
Santo Padre, il quale, fattolo sedere presso di sé, dopo essersi con-
gratulato per la rielezione, lo interrogó con paterno affetto e vivo
interesse sull'andamento della Societá, mostrando gran desiderio che
si coltivassero con ardore gli studi filosofici e teologici.
Nella stessa Circolare faceva puré conoscere l'esito delle altre
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Ottdoo Capítol o genérale - Rielezione di Don Rúa
elezioni, comunicando ufficialmente la costituzione del nuovo • Capi-
tulo Superiore. Encomiata " la carita, la concordia, il desiderio della
gloria di Dio e del bene della Congregazione ", che avevano diretto
ogni mossa degli elettori, diceva in particolare dei rieletti: « Essi
mi avevano aiutato potentemente negli anni precedenti e godo pó-
teme fare di nuovo solenne testimonianza, come giá feci nel Ca-
pitolo genérale súbito dopo la loro elezione, lieto che siano stati
rieletti senza che neppure su di uno sia stato necessario un secondo
scrutinio. Son certo che essi continueranno ad aiutarmi effieace-
mente con la loro opera e col loro consiglio, e che tra tutti si pro-
muoverá la gloria di Dio e il bene delle anime, L'essere stati rieletti
tutti i membri del Capitolo precedente, ad eccezione del Sig. Don
Lazzero, impedito da infermita, mi pare un segno chiaro che la
Congregazione cammina bene, animata da sentimenti di reciproco
affetto e confidenza. »
Nella piú volte citata circolare rendeva noto che confermava Don
Cerruti nelFufficio di Consigliere Scolastico, che eleggeva Don Ber-
tello a Consigliere Professionale e che aveva nominato Don Giu-
seppe Monateri Ispettore per le Case della Sicilia in luogo di Don
Bertello, e Don Giuseppe Bologna e Don Pietro Perrot rispettiva-
mente Ispettori per le Case della Francia del Nord e del Sud.
Toccó ancora di un argomento particolare. Nel 1898 si era di molió
accresciuto il numero degli oratorii festivi e nelle deliberazioni del
Capitolo eransi precísate sempre piü le norme per farli fiorire e
convenientemente dirigere. Una cosa tuttavia volle accennare súbito,
perché del massimo valore. Ecco le sue parole: « Vedo in genérale
che si propende molto a daré grande importanza alia parte musi-
cale ed alia drammah'ca e ció in alcuni luoghi anche a scapito dei
catechismi. Bisogna far bene attenzione di non dimenticare i I mo-
tivo per cui vennero fondati dall'indimenticabile nostro padre Don
Bosco gli oratorii. II fine principale, principalissimo é per far im-
parare il caíechismo ai giovani, far loro santificare la festa e te-
nerli lontani in detti giorni dai cattivi compagni. La música, il
teatrino ed altri simili divertimenti sonó mezzi e non al tro; perció
specialmeníe nelle cittá possono esser utili, nei paesi talvolta non
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Capo L
sonó neppur conveniente Dove sonó utili, si possono metiere in ope-
ra; ma sempre con parsimonia e solo come mezzi per aturare i gio-
vani e renderli perseveranti nel loro intervento. Mentre invece il far
imparare il catechismo é il fine per cui si tengono aperti gli oratorii;
perció mi raccomando che non si lasci mai di fare il catechismo e
che non se ne riduca il tempo. Questo deve essere almeno di mez-
z'ora, senza contare la recita od il canto del Pater prima, e degli
atti di fede dopo. Anzi neppure l'esposizione dell'esempio, dove
¡odevolmente si usa, non dovrebbe entrare nella mezz'ora di cate-
chismo. »
Quanti motivi si avevano di ringraziare il Signore per le grazie
fatte negli ultimi tempi alia Congregazione! Ma Don Rúa voleva
che i Salesiani, corrispondendo alia bontá di Dio e alia fiducia degli
uomini, si stabilissero saldamente neU'umiltá. « Iddio é che fa tutto-,
scriveva, e noi non siamo che strumenti nelle mani sue, i quali bene
spesso non facciamo che impediré il maggior bene che il Signore
vorrebbe da noi. Basterebbe un atto di vanitá e di superbia da parte
nostra, perché Iddio ritirasse la sua mano; allora in noi la luce si
convertirebbe in tenebre e diventeremmo abbietti agli occhi di Dio
e degli uomini. »
Era genérale l'aspettazione di conoscere quanto aveva il Capitolo
trattato e deliberato; Don Rúa fu sollecito ad appagare questo de-
siderio, facendo redigere senza dilazione gli atti, sicché vedessero al
piú presto la luce. Orbene nella festa di S. Giovanni, giorno allora
ancor sempre sacro alia memoria di Don Bosco, il volume, edito a
S. Benigno, poté essere presentato ai vicini e spedito ai lontani. Nel-
l'ottavo Capitolo, per il modo come si era svolto, egli aveva ravvi-
sato, e lo notava nella lettera di presentazione degli atti. una prova
perentoria, che la Congregazione possedeva una rigogliosa vitalitá e
che lo spirito di Don Bosco era conservato e praticato fra i Sa-
lesiani.
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CAPO LI
Interno alia spiritualitá, alia personalitá
e al governo di Don Rúa.
L'ascendente morale di Don Rúa, giá grande in vita di Don Bo~
seo, toccó il vértice durante il suo Rettorato. Questo ascendente gli
veniva dall'alta spiritualitá che informava le sue azioni e relazioni,
Tutti vedevano in lui l'uomo di Dio, non d'altro sollecito che di pro-
muovere la divina gloria nella santificazione di sé e de' suoi. Erna-
nava poi da lui una paternitá che, come la luce del solé, si dilatava
su tutto e su tutti. Aveva presentí le condizioni delle singóle Case
anche piü remote e i bisogni, i desideri, talora perfino le fantasie di
ogni socio, e nella sua frequente corrispondenza aveva sempre quel
rilievo, quell'espressione, quello spunto che faceva al caso. Le nu-
meróse sue lettere, pervenute ai nostri archivi dalle carte di con-
fratellr defunti, che le avevano religiosamente consérvate, ci mettono
sott'occhio con quanta accortezza, premura e carita facesse giungere
in qualsiasi occorrenza la sua parola saggia, opportuna e buona. Don
Rúa non era quello che diciamo un sentimentale: nulla di piü estra-
neo alia sua Índole ferma e alia sua mente vigile e acuta; ma scor-
gevasi ognora in lui il Superiore oculato, il cui linguaggio, il cui
tratto, il cui sembiante medesimo rivelavano costantemente una pu-
rissima volontá di bene.
La pietra di paragone per giudicare delle Case e delle opere sa-
lesiane, non che dei vari confratelli, era per Don Rúa Posservanza
delle Rególe. Compreso della necessitá e del valore della regolaritá
religiosa sia nell'andamento genérale sia nella condotta individúale,
aveva cjuasi occhio di lince nel ravvisare le infrazioni anche piú
minute e con delicatezza ispirata a bontá, ma insieme con la riso-
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Capo Ll
lutezza di chi compie un sacro dovere, interveniva pronto dovunque
occorresse, né perdeva di vista l'oggetto de' suoi richiami fintantoché
non fosse sicuro che l'avvertimento aveva raggiunto l'atteso risultato.
II concetto che aveva della Regola non poteva consentirgli compro-
messi di fronte all'obbligo dell'osservanza; poiché egli considerava
la Regola, secondoché la descrive in una Circolare (1) come « il libro
della vita, il midollo del Vangelo, la speranza della nostra salvezza.
la misura della nostra perfezione, la chiave del Paradiso ».
La presentava cosi agli altri, perché cosi l'aveva sempre vissuta.
Quella che con termine oggi molto in voga chiameremo la spiri-
tualitá di Don Rúa, sembra essere stata definita da Don Bosco, quan-
do affermó del suo Vicario che era la " Regola vi vente". L'asser-
zione del Santo mirava certamente allora a una Regola in concreto,
alia Regola salesiana, che Don Rúa non solo conosceva a menadito
nella lettera e nello spirito, ma che praticava puré con tanta fedeltá
da farne quasi la vita della sua vita. Don Bosco inoltre lo rappresentó
cosi nel periodo della sua esistenza, nel quale e per maturitá d'anni e
per effetto di abitudine la regolare osservanza splendeva in lui
di luce meridiana. Ma a vivere di regola egli non aveva aspettato
che Don Bosco gliene desse una, ispiratagli dall'alto, approvata dalla
Santa Sede e abbracciata con voto. A si esemplare regolaritá l'aveva
preparato e condotto un'idea balenatagli alio spirito non appena
questo gli si aperse all'aspirazione verso la santitá. Egli infatti sentí
da prima per intuito soprannaturale e poi comprese per via di ri-
ílessione che nell'Oratorio, dove entro fanciullo, gli articoli del Re-
golamento non andavano riguardati come coercizioni o costrizioni
della liberta, ma come indicazioni della volontá di Dio, la quale si
deve cercare, amare e seguiré da chi brama veramente di piacere a
Lui e santificarsi. Onde le memorie remote della sua fanciullezza
ce lo dipingono obbedientissimo agli ordini dei suoi maestri e supe-
riori e docilissimo alie prescrizioni del Regolamento domestico. Non
per nulla uno dei motti latini che si leggono in capo ai suoi quaderni
scolastici é quello del profeta: Bonum esl viro, cum portaverit iu-
(1) Torino, lo gennaio 1895. Veramente le parole qui riferite sonó di S. Francesco d'Assisi, il
quale terminava chismando ancora la Regola « il patío di allcanza fra noi e Dio >.
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Intorno alia spiritualitu, alia personalilá e al gouerno di Don Rúa
gum ab adolesceníia sua. Fatto chierico, crebbe in lui con i mag-
giori lumi anche la disposizione d'animo, a portare amorosamente
il giogo della legge. Scrisse Mons. Costamagna (1): « l o lo conobbi
fin da quando era chierico, e vi so diré che Trio sempre visto quale
egli é adesso. » E in genere sullo spirito informatore della sua vita
spirituale attesta D. G. Barberis nei Processi: «Bisogna essergli stato
familiare cinquant'anni per comprendere di poter diré che non mo-
veva un dito senza essere persuaso che quel movimento piacesse al
Signore e che era il piü conforme alia volontá di Dio. »
Né per raggiungere tale persuasione aspettava rivelazioni o ispi-
razioni particolari: gliela forniva di per sé la Regola, che osservó
quindi fino all'estremo respiro, financo in circostanze, nelle quali nes-
suno si crederebbe obbligato a fare altrettanto. Allorché nella malattia
che lo portó alia tomba, il suo Vicario Don Rinaldi volle dissuaderlo
dal praticare il digiuno quaresimale, si udi rispondere: — Lasciami
osservare i precetti della Chiesa. — E la mattina del 5 aprile, vi-
gilia della morte, benché gli rimanesse appena un filo di vita, chiese
di fare la regolare meditazione. A chi gli osservava che il suo stato
non lo permetteva, cedette solo in p a r t e ; poiché, detto il Veni, Sánete
Spiritus, si fece leggere della meditazione il tema e le risoluzioni, e
dopo stette dieci minuti in raccoglimento. É nota la dichiarazione
di Benedetto XIV, il Papa che formuló le norme per la Canonizza-
zione dei Santi. — II maggior miracolo, disse, che possa fare un re-
ligioso é di osservare perfettamente le sue Rególe, e se vi fossero le
prove di questa esatta osservanza, accompagnata dalle convenienti
disposizioni interne, lo si potrebbe canonizzare senza esigere altre
prove della sua santitá. — Don Rúa senza dubbio potrebbe essere
candidato a questa sommaria Canonizzazione. É antico assioma della
sapienza religiosa che vivere in conformitá della Regola é vivere
per Iddio: qui regulae uivit, Deo vivit.
Oggi si parla molto di vita interiore, espressione che nessuno udi
mai dalle labbra di Don Bosco e di Don Rúa, avvezzi a discorrere
di cose spirituali con la massiina semplicitá di linguaggio. Essi in-
(1) Leltere confidenziaü ai Direííori delle Case del Vicarialo sul Pacifico. Pag. 58.
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78.1 Page 771

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Capo Ll
dubbiamente la possedettero in sommo grado. Questa vita risiede
soprattutto nell'unione con Dio. Senza adoperare né insegnare metodi
complican, Don Bosco e Don Rúa praticarono tale unione cosí come
ci é insinuata nel Paier noster, dove chiediamo al Signore la grazia
di fare in tutto e sempre, cioé in ogni atto della nostra vita, la su a
santa volontá. Dunque, abituale unione di volontá con Dio nella
maniera descritta ampiamente da S. Francesco di Sales nei libri ottavo
e nono del Teotimo, donde basti qui spiccare il seguente periodo (1):
« La vita, dice il Salmista (2), é nella volontá di Dio; non solo per-
ché la nostra vita temporale dipende dalla volontá divina, ma anche
perché la nostra vita spirituale consiste nell'eseguire questa volontá,
per la quale esecuzione Dio vive e regna in noi e ci fa vivere e sus-
sistere in sé. »
Tanto attaccamento di Don Rúa alia Regola non lo irrigidi, come
potrebbe sembrare, in un tenor di vita schematizzato, ossia í'reddo e
duro. La sua regolaritá, vivificata daU'amor di Dio e del prossimo,
non gl'impediva di essere affabile e accogliente. Austero con sé, ave-
va con gli altrí indulgenza e compatimento. Nell'incoraggiare e nel
correggere, nel consigliare e nel comandare teneva contó dello stato
d'animo altrui e condiva il suo diré in modo che chi da lui si di-
partiva, non se n'andava malcontento. Diró di piú: a tempo e luogo
non rifuggiva nemmeno da quelle manifestazioni di temperata e se-
rena gioia, che formano la bella eutrapelia.
Questo discorso della regolaritá religiosa mi spinge ad allargare
l'argomento. Si dice e si scrive comunemente che Don Rúa mise ogni
suo studio nell'imitare Don Bosco: é diventato quasi un luogo co-
mune, quando si parla o si scrive di lui. La cosa per sé non ha niente
di singolare: basta intenderla come la intendeva S. Paolo, il quale
scriveva ai fedeli di Corinto (3): Imitatores mei estofe, sicut et ego
Christi. Único, supremo, universale nostro modello é Gesú Cristo. I
Santi, modellatisi sopra di Lui, c'insegnano nei piú differenti stati
di vita come possa e debba ognuno, secondo la sua vocazione, ripro-
(1) L. Vtlí, c. 7.
(2) Salmo XXIX, 6.
(3i I Cor., IV, 16 c XI, I.
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Iníorno alia spiritualitá, alia personalüá e al governo di Don Rúa
durre in se stesso l'immagine ossia la vita del Salvatore. « I Santi,
scrive un recente agiografo (1), si rassomigliano e si differenziano,
pur avendo tutti qualcosa di Gesü Cristo, il Santo dei Santi. La san-
titá non puó avere altra sorgente che quella, »
Ora, ecco il punto: con quali suoi occhi Don Rúa mira va Don
Bosco? Egli contemplava nel suo Superiore e Padre soprattutto l'in-
carnazione della Regola di vita salesiana. La forma delle sue virtú,
massime di certe virtú, la sua maniera di vedere e di giudicare, i
modi suoi di parlare e di scrivere, di agiré e di trattare, rivestivano
agli occhi di Don Rúa il carattere di norme pratiche, alie quali si
studiava di conformare se stesso e uniformare gli altri. Onde quel
suo caratteristico fermarsi su di sé ogni volta che doveva prendere
una decisione importante, riandando rápidamente il ricordo di casi
o di istruzioni, da cui potesse argüiré che cosa e come avrebbe fatto
Don Bosco in tale e tale circostanza, e quel continuo appellarsi ai
suggerimenti, ai voleri, alie direttive del medesimo, ogni qualvolta
stimasse necessario richiamare l'attenzione su qualche irregolaritá
o inculcare qualche dovere o stimolare a maggior perfezione o indi-
rizzare speciali attivitá dei Soci. Per Don Rúa insomma camminare
sulle tracce di Don Bosco era come obbedire a una Regola viva e
compiere la volontá di Dio.
E qui torna a proposito un'osservazione. Don Rúa, da Rettor
Maggiore, nelle sue conferenze, esortazioni e paríate non soleva
esporre sogni, visioni, miracoli, profezie di Don Bosco; anzi é note volé
a questo riguardo la misura e la cautela, con cui si esprimeva anche
nei Processi, quando gli accadesse di dover toccare di fatti straor-
dinari attribuiti al Servo di Dio. Amava meglio andaré al sodo, cioé
descrivere virtú, ricordare insegnamenti, narrare esempi del Fonda-
tore alio scopo precipuo di animare i suoi a cálcame fedelmente le
orme per tener in fiore la vita salesiana.
Dopo il fin qui detto guardiamoci dall'incorrere nel duppio errore
di credere, che Don Rúa non avesse una personalitá propria e che
volesse costringere la Congregazione airimmobilitá delle montagne.
(1) P. Grcmigni M. S. C. 7/ Sanio Curato d'Ars. Firenze, Salani, 1941. Pag. 251.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Capo LI
L'individualitá di Don Rúa emerge anche solo dal confronto del
suo esteriore con l'esteriore di Don Bosco. II nostro santo Fondatore,
p u r COSÍ unito a Dio, aveva di consueto un viso aperto, uno sguardo
sorridente, un fare che di primo tratto guadagnava la confidenza di
chiunque lo accostasse, e in tutte le congiunture si comportava con
una naturalezza che non lasciava trasparire il minimo sforzo. In Don
Rúa invece era visibile un'abituale tensione per mantenersi al disopra
di ció che fosse umano e contingente; la sua presenza poi infondeva
riverenza e venerazione, ma non quell'abbandono, col quale ognuno
versava súbito l'anima nel cuore delFincomparabile Santo. Per altro
negli ultimi anni lo spirito aveva, diró cosí, spiritualizzato anche il
corpo, sicché il suo stesso esteriore rapiva chi lo guardava.
Dote personale insigne fu poi in Don Rúa l'abilitá organizzativa
e amministrativa. Fece le sue prime armi nell'Oratorio. Don Bosco
creó FOratorio, vale a diré ne concepi l'idea, gli plasmó le membra
e v'infuse la vita; Don Rúa ne rególo le funzioni e ne alimentó le
energie vitali. Senza Don Rúa disciplinatore del tutto, Don Bosco,
se si fosse assunta intera la responsabilitá diretta dell'Oratorio, o ne
sarebbe stato assorbito a segno da non potersi piü dedicare abba-
stanza liberamente ad opere lontane o dedicandovisi avrebbe dovuto
lasciar andaré troppo spesso la nave senza nocchiero. Al contrario,
riserbando per sé l'alta direzione, riposava in Don Rúa, che, sempre
sul ponte di comando, portava in palma di mano persone e cose, tutto
ordinando, coordinando e curando in guisa da far onore a Don Bo-
sco. Bastarono due anni di necessaria sua lontananza per modellare
il primo Collegio salesiano fuori di Torino, perché si sentisse impe-
riosa l'urgenza del suo ritorno. Quando poi, come Prefetto Genérale,
dilató sempre piü la propria sfera di azione, si trovó ben allenato
a quella solerzia, con la quale vegliava sulla disciplina morale e sul-
Tamministrazione materiale delle Case. Era proprio I'uomo dai
cent'occhi, alio sguardo del quale nulla si sottraeva di quanto fosse
per giovare o nuocere ai Soci e alie loro sante imprese. Perció, scoc-
cata Tora di prendere la successione, non ebbe che da avvivare
queste sue attitudini con l'alito della paternitá, che aveva ereditata
da Don Bosco, come Elíseo da Elia il prodigioso mantello.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Intorno alia spiritualitá, alia personalitá e al gooerno di Don Rúa
Anche nella vita spirituale scorgiamo del proprio in Don Rúa.
Limitiamoci a un essenziale elemento della vita spirituale, la mor-
tificazione. Mortificato, mortificatissimo, come sappiamo, fu S. Gio-
vanni Bosco; ma Don Rúa fu uomo di penitenza, di grande, di stra-
ordinaria penitenza. Sopportó, come, se non quanto Don Bosco, in-
comodi fisici; al pari di lui si piegó a un lavoro assiduo e sostenne
spesso enormi fatiche, assottigliandosi ció nonostante il riposo nottur-
no; non meno di lui si negó ogni piú piccola soddisfazione a mensa,
nei viaggi e anche nella positura della persona. Ma Don Rúa quasi
torturó il suo corpo. Chi non lo vide qualche volta per buona parte
di una predica soffrire intorno a' suoi occhi infiammati Finsoppor-
tabile prurito di una mosca, senza muovere una mano per discac-
ciarla? Chi non sa che da quando divenne Rettor Maggiore, fino
alFultima malattia, prese i suoi sonni sopra un povero e incomodo
divano, trasformato ogni sera in lettuccio?
Ma questo, benché molto come indizio, e il meno. Se massima peni-
tenza é la vita comune, la vita di Regola, che pensare di Don Rúa che
per tanti e tanti anni non si dispensó mai dalla menoma osservanza?
Eppure avrebbe potuto farlo non poche volte senza venir meno alia
mortificazione e senza veruno scrupolo, sia per reale bisogno, sia
perché, chi ha Pautoritá di dispensare altri, puó legítimamente di-
spensare se stesso. Invece l'energia della volontá teneva luogo di
tutte le piü legittime concessioni alia natura. Un'arte speciale met-
teva poi nel nascondere le sue penitenze, sicche ne aveva sentore
solo chi da lungo tempo gli viveva accanto, e forse piú d'ogni altro
il santo coadiutore Balestra, addetto alia sua persona e fedelissimo
a qualsiasi consegna. Questi, segreto come una tomba finche Don
Rúa fu in vita, dopo depose nei Processi e all'occasione rivelava,
fino a che santi eccessi arrivasse in Don Rúa lo spirito di penitenza.
Chiamare tanta austeritá martirio prolungato non e punto iperbole.
Pago di questi cenni, senza addentrarmi in un esame piú sottile,
passo súbito all'altro punto. Don Rúa sapeva benissimo di non aver
ricevuto un fossile, ma un organismo vívente, che nel suo sviluppo
avrebbe preséntate esigenze nuove, le quali sarebbe lorza tenere ne!
debito contó. Don Bosco medesimo gliene aveva dato Pesempio.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

78.5 Page 775

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Capo IA
Quando la Congregazione era ancora in fasce, essa veniva trattata
da lui in maniera ben diversa da quella usata da poi, di mano in
mano che se la vedeva crescere e farsi gagliarda. Onde Don Rúa
scriveva a un Maestro di Noviziato (1): «11 nostro caro Don Bosco
ei venne formando poco alia volta. Guai se avesse preteso fin da
principio l'ordine e la perfezione negli esercizi spirituali e nei novi-
ziati, che ora con facilita si ottiene; forse pochi gli sarebbero stati
fedeli. » A introdurre sempre maggior ordine e perfezione Don Rúa
aveva cooperato efficacemente con Don Bosco e quindi aveva ben
notato come mosso dalla necessitá di adattamenti, richiesti da leggi
della Chiesa e dello Stato, da esigenze di tempi e da bisogni inerenti
alia debolezza umana, Don Bosco, sull'esempio di altri Fondatori,
fosse andato applicando nella vita della Societá successive modifi-
cazioni, senza mai uscire dall'ambito della sua missione. Cosi con-
tinuó a fare Don Rúa in piena armonía con lo spirito, le vedute e i
piani di Don Bosco.
Alcune modifícazioni le volle la Chiesa, altre le impose lo svi-
luppo della Societá. Per obbedienza alia Chiesa, come avrebbe fatto
Don Bosco, tronco la tradizione a lui tanto cara, perché era stata
cara a Don Bosco, che confessori dei Confratelli e dei giovani fos-
sero i Direttori delle Case e provvide che le attribuzioni circa il foro
interno venissero affidate ad altre persone. Volle pero conservato
nei Direttori il compito della direzione spirituale dei Confratelli e
lo ripeté le mille volte, perché cosa formalmente e costantemente vo-
luta da Don Bosco. Per obbedire alia Chiesa, quando PIstituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, mirabilmente cresciuto, di vento un orga-
nismo a sé e lo si volle retto alia maniera di quasi tutte le Congre-
gazioni religiose femminili, egli si spoglio dei poteri giurisdizionali
esercitati fino allora verso le Suore conformemente agli statuti det-
tati da Don Bosco.
Riconobbe inoltre parecchie necessitá derivanti daü'ingrandirsr
della Societá, e quindi nel décimo Capitolo Genérale propose e fece
approvare articoli organici, che modifica vano la Regola in punti di
(1) Riferito da D. Amadei, op. cit., vol. I, pag. 403.
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Inlorno alia spiritualitá, alia personalitü e al gooerno di Don Rúa
gran rilievo. Tale il triennio pratico per i chierici, af finche potessero
compiere per tempo un fecondo tirocinio di vita salesiana. Tale
il cambiamento nella costituzione del Capitolo Genérale, supremo
órgano legislativo della Societá: riduzione del numero dei compo-
nenti, diverso titolo al diritto dintervento, convocazione non piú
ogni tre, ma ogni sei anni. Tale l'ordinamento delle Ispettorie. Que-
ste cessarono di esistere solamente di fatto, ma acquistarono veste
giuridica. da semplici delegazioni diventando poteri ordinari della
Societá, sicché gli lspettori non facessero piú semplicemente le veci
del Rettor Maggiore sulle Case loro affidate. ma possedessero una
giurisdizione ordinaria con facoltá assai piú estese che per laddietro
e suggerite da un ampio criterio di discentramento.
Sonó cose che, a Dio piacendo, vedremo partitamente in un al tro
volume, ma che era opportuno prospettare qui, dove si abbozza la
figura di Don Rúa. L'importante per ora é di avvertire che nel suc-
cedersi di questi mutamenti il genuino spirito salesíano non solo
non pati l'eclisse di un istante, ma rifulse ognora di viva luce, gra-
zie all'impegno di Don Rúa a tenersi costantemente nelTorbita se-
gnata da Don Bosco, sicché egli, morendo, lasció la Societá salesiana
quale l'avrebbe lasciata Don Bosco, se di tanto la Provvidenza ne
avesse prolungata la vita.
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ÍNDICE
DI PERSONE, LUOGHI E COSE NOTEVOLI
Abreu (coniugi). Coop. a Bahia Blanca,
159.
Agliardi (card.): 283, 285.
Agostini (card.): 79.
agricoltura: 327.
Agua de Dios: 141-154.
Aguilera (mons. Abramo): 470 (nota).
Aguilera (Enrico). Scultore lebbroso:
150.
Aime (don Antonio): 89, 544, 524.
Aiuti (mons.). Del. Ap. in Colombia:
353.
Alagna (don). Coop. di Marsala: 216.
Alarcon (mons.). Arciv di Messico: 139-
140.
Alarcon (Pastora). Coop. di Quito:
559.
Alassio. Collegio Municipale: 76, 199.
Albanello (don Domenico): 117, 277, 280,
480-1.
Albera (don Paolo): 19, 97, 105-6, 185,
242, 299, 302, 307. 310-1, 460, 469, 484,
533, 658, 687, 736.
Albera (mons. Paolo). Vesc. di Rova:
648.
Albertario (don). Dir. dell'Oss. Catt:
369, 591.
Alessandria d'Eg. Istituto di Arti e Me-
stieri: 316-323.
Alessandria d'It. Scuole e Oratorio San
Giuseppe: 630-1.
Alessi (can.): 432.
Alfaro (gen.): 552-3, 563, 569, 571-3, 594.
596, 601.
Ali Marina. Collegio femminile M. A.:
213-4.
Alimonda (card.): 224-5, 228, 232-3.
Allavena (don Gio.): 537.
Almagro. V. Buenos Aires.
iUmeida (mons. de Lustosa). Areiv. di
Belem: 482.
Aloisi-Masella (mons.) Nunzio in Por-
togallo: 347.
Alonso. Pres. della Bolivia: 533.
Alpi (mons.). Coop. di Gorizia: 379.
Alves (Maria Umbelina). Coop di Cam-
piña: 482.
Ambrosini (avv.): 428.
Amelia. Regina del Portogallo: 353.
Amerio (don C a r i o ) : 137.
amministrazíone económica: 42.
Amossi (don Augusto): 361.
Andrade (mons.). Vesc. di Riobamba:
601.
Aneyros (mons.). Arcjv. di Buenos Ai-
res: 107, 156, 159, 160.
anticlericalismi: 35-6 (nota 4), 112. 156-8,
190, 198-9. 201, 213, 366, 382. 458,
521-2, 531, 542, 552, 568, 576, 580, 613,
637, 645, 650, 662, 699.
A r a u c a n i a : 117.
Arce. Pres. della Bolivia: 526, 531.
Arequipa. Colegio Don Bosco de Artes
y Oficios: 697-9.
Armelonghi (don Eugenio): 620.
Arocha (don). Coop. del Venezuela: 519.
Arpesani. Architetto: 404.
Arrobio (Franc). Coadiutore: 181.
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índice di persone, luoghi e cose notevoli
Arteaga (don). Coop. del Venezuela:
131, 513, 518.
Ascona. Collegio Pontificio: 360.
aspiranti: 42.
Associazione Naz. protett. dei Missio-
nari it.: 316-323.
Asunción (Parag.): 541-4.
Atzeni (don F r a n c ) : 333-4.
Audisio (Cario). Coadiutore: 62.
Auffray (don Augusto): 74.
Avigliana. Santuario della Mad. dei La-
ghi: 374-5.
Babled (don Paolo): 302.
Badariotti (don Nicoló): 702.
Bahia Blanca. Parroquia de N. S. de la
Mercede. Colegio Don Bosco: 156-9,
- Iglesia y Colegio de N. S. de la
Pietad: 159-160.
Balceta: 54.
Baldi (don). Coop. di Ferrara: 618-9.
Baldi (don Luigi): 202-3, 635.
Balerna. Collegio Don Bosco: 358-9.
Balestra (mons.). Arciv. di Cagliari: 651.
Balestra (Gius.). C o a d i u t o r e : 749
Bailón (mons.). Vesc. di Arequipa: 699.
Balzola (don Gio.): 274-5, 485-492, 721.
Baptista. Pres. della Bolivia: 526-9, 532.
Baracaldo. V. Bilbao.
Baratta (don Cario M.): 80-2, 420, 450,
432, 434, 449.
Barbagallo (don). Coop di Pedara: 638.
Barberis (don G. B.): 381.
Barberis (don Giulio) • 9. 179, 181, 235,
299, 374, 427, 637. 730 736. 745.
Barcellona. Istituto Salesiano S. José:
88-9, 343. — Sarria. Colegio de Artes
y Oficios: 345.
Barnabiti: 432, 735.
Barni (clon Federico): 324-5.
Battaglia (mons.). Vesc. di Coira: 361,
363.
Battersea. V. Londra.
Beaujour (Socictá): 660.
Beauvoir (don Gius.): 61, 255-258, 260-6.
Beissiere (don Cipriano): 310.
Beitgemal. Scuola Agrícola S. Giuseppc:
176-7, 180, 184, 186.
Bejar. Oratorio de S. Franc. de Sales:
665.
Bellamy (don Cario): 308-312.
Belloni (don Antonio): 174-187, 317-8.
Belloni (don Gio.): 181.
Bellotti (don Faustino): 118.
Belmonte (don Domenico): 8-9, 80, 189,
220, 236, 372, 735-6.
Beltrami (don Andrea)- 729-730.
Benavidez (dott.). Govern. del Rio Ne-
gro: 115.
Benedettini: 97, 361.
Benedetto XTV: 745.
Benjumea (doña). Coop. di Siviglia: 334,
337.
Bergamaschi (mons.). Vesc. di Terra-
cina: 36.
Bergeretti (don Felice Andrea): 181,
518-522 (assistenza al lazzaretto di
Valencia), 523.
Bergese (Antonio). Coadiutore: 71.
Bernál. Colegio de la Sagrada Fami-
lia: 465-6.
Bernasconi. O r g a n a r o : 103
Berruti (don Pietro): 56. 708. 713.
Bertagna (mons.). Vesc. Aus. di Torino:
231, 292, 727.
Bertello (don Gius.): 211, 242, 319, 611,
638, 736, 741.
Berto (don Gioachino): 236, 734-5.
Besozzi (gen ): 725.
Betlemme. Orfanotrofio Cattolico: 176,
178, 180. 182-5, 185,
Biblioteca della Giooentú Italiana: 457.
Biella. Oratorio S. Cassiano: 646-7.
Bignami (mons.). Arciv. di Siracnsa:
593.
Bilbao. Oratorio S. Paulino de Ñola:
667.
Boca (La). V. B. Aires.
Bodrato (don F r a n c ) : 52, 537.
Bogarin (mons.). Vesc. di Asunción
(Par.): 276, 543.
Bogotá. Escuela León XIII de Artes y
Oficios: 132, 691.
Bolivia: 525-534.
Bollettino Salesiano: 455, 611, 629.
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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Índice di persone, luoghi e cose notevoli
Bologna. Congresso: 410-444. — S. Car-
lino: 622-4. — Istituto B. V. di San
Luca: 621-8. — Chiesa del S. Cuore:
627.
Bologna (don Angelo): 370.
Bologna (don Gius.): 92, 96, 106, 248,
299, 655, 658, 741.
Bonacina (don Pietro). 55, 171-2.
Bonavia (don Giovenale): 90.
Bonetti (don Gio.): 9, 10, 18, 223, 225,
228-9, 234-5, 240.
Bonfigli (mons.). Vic. Ap. in Egitto: 323.
Boraggini (mons.). Yesc. di Savona:
365, 367.
Borbone (princ. Maria Immac. di): 639.
Borgatello (don Maggiorino): 252.
Borghino (don Michele): 157.
Borgognoni (mons.). Arciv. di Modena:
619-620.
Borgo S. Martino. Collegio S. Cario: 76.
Borgue (mons.): Vesc. di La Paz (Bol.):
525.
Bororos: 275, 485, 488-492.
Bosco (S. Gio.): 1-7, 9, 11, 25, 31, 59,
64-5, 78, 86, 89, 92, 101, 157, 173, 178,
189, 193, 200, 201, 214, 222-57 (Causa),
268, 501-2, 306, 315 (poca fiducia nei
Governi), 341, 346 7, 356 (Svizzera),
389-390 (Milano), 471 (Iquique), 487,
513, 536-7, 614, 621, 722.
Boselli (on.): 566, 725.
Bosi (can.). Coop. di Jesi: 635.
Boston: 587.
Bouland (mons.). Párroco a Boston: 587.
Bourlat (Don Stefano): 32, 465.
Bourne (card.): 300, 655.
Bova Marina. Seminario Vescovile:
647-8.
Braceo (mons.). Patr. Lat. di Gerusa-
lemme: 175.
Braga. Collegio dos Orphaos de S. Cae-
tano: 349-352, 354.
Branda (don Gio.): 51, 562.
Brassens (Ana'is). Cooperatrice a Oran:
512.
Brest: 97.
Bievi Pontifici: 205, 423. 435.
Briata (don Ernesto): 695.
Bricolo (don). Coop. veronese: 196.
Bronte. Real Collegio Capizzi: 214-6.
Brunelli (don Luigi): 572-5.
Brusasca (don Natale): 581.
Bruzzone (don Agostino): 601.
Buenos Aires. La Boca. Casa Parroquial
de S. Juan Ev.: 31-2, 111. — Alma-
gro. Colegio Pió IX: 107-8, 110, 111.
— Chiesa Mater Misehcordiae: 111.
— Colegio S. Catalina: 111. — Ora-
torio de S. Fr. de Sales: 113.
Bufia (ing. Alberto). Coop. di Alessan-
dria: 650.
Burwash (Ingh.). St. Joseph's Presby-
tery: 655-4.
Buscaglia (can.). Coop. di Biella: 646.
Busto Arsizio: 400.
But (march. de). Coop. inglese: 184.
But (mons.) Vesc. di Southwart: 91,
299.
Cabriéres (mons. de). Vesc. di Mont-
pellier: 166-7, 502.
Cachoeira do Campo. Escolas Dom Bo-
sco: 480-482.
Caff (mons.). Vesc. Aus. di Catania: 217.
Cagliero (don Cesare). P r o a Gen.: 9-10,
15, 87, 126 211, 284, 296, 519, 549, 582,
577, 595, 616, 651, 755
Cagliero (mons. Gio.): 9-10, 20, 50. 48-
50, 52, 55, 58, 111-2. 116, 119, 120-1,
125, 155, 156-161, 163. 169, 172, 195,
204, 241, 255-4, 264, 269, 299. 503, 326.
346-8, 369, 391-2, 464-5, 615, 754-6,
740.
Caimo (don Angelo): 642.
Cairo: 515.
Calabiana (mons. Nazari di). Arciv. di
Milano: 389-390.
Calai (mons.). Coop. di Gualdo Tadi-
no: 385.
Calcagno (don Luigi): 110, 121, 156 286
287, 549, 571, 582-7, 595-5, 598, 603,
698.
Caligaris (don Luigi).
Callao. Colegio Don Bosco: 699-701.
Caltanissetta: 218.
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79 Pages 781-790

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79.1 Page 781

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índice di persone, luoghi e cose noteooli
C á m a r a (mons.). Vesc. di Bilbao: 668.
Camillini: 197.
Campiñas. Lyceu de N. S Auxiliadora:
482-3.
C a n d a m o . Pies, del Perü: 134.
Candela (don Aníonio): 311.
Canelli. Colonia Agrícola: 611-2.
Canossa (card. di): 196, 198, 614 (Ve-
rona).
Caníel (mons.). Vesc. di O r a n : 315.
Capecci (mons.). Vesc. di Alessandria:
630-631.
Capiíoli Generali: V (1889), 37-44; 226.
— VI (1892), 238-249. — VII (1895),
445-460. — VIH (1898), 732-742.
Capiíolo Superiore: 8, 241-2, 736.
Capizzi (ven. Ignazio): 214.
Cappella nella lomba di Don Bosco: 27.
Capponi (mons.). Arciv. di Pisa: 634.
C a p p u c c i n i : 374, 375, 555 561.
C a p r a r a (mons.). Prom. della Fede: 18,
223, 232.
Capuío (mons.). Vesc. di Aversa: 432.
Caracas. Colegio de S. Franc. de Sa-
les: 513-8.
Carbajal (don Lino): 721.
Carella (doíí.): 257, 259.
carismi di crisíianiíá nasceníe: 711-4.
cariíá: 15.
Carlini (don Cosíantino): 358-9, 614.
Cario Alberío: 1.
Carmagnola (don Albino): 386, 431, 615.
Carmeliíani: 631.
Carmino (don Luigi): 251.
Carmona. Escuelas Sal. del SS. Sacra-
menío: 666-7.
Carpanelli (don). Coop. bolognese: 415,
423, 426, 622.
Cáríer (mons.). Vic. Ap. di Iquique: 472.
Caríier (don Luigi): 84.
Caríuywels (mons.). Vicereíí. deH'Uni-
versiíá di Lovanio: 95-4.
Casalegno (can.): 572, 575.
Casana (sen.): 725.
Casanova (card.): 220 (Reggio Calabria).
Casanova (mons.). Arciv. di Saníiago
(Cile): 115-6.
Caselli (ing.): 519.
Casería. Istiíuto S. Cuore di Maria:
658-9.
Cassini (don Valentino): 20, 589.
Casíellammare di Síabia. Istituto S. Mi-
chele: 586-7.
Castellanos (mons.). Arciv. di B. Aires:
161.
Castelli (don Clodoveo): 690-1.
Castelli. Mia. d'Italia a Lima: 595.
Castelnuovo Don Bosco. Istituto Pater-
no: 642-4.
Catania. Istiíuío S. Fr, di Sales: 210-1.
— Oraíorio Madonna della Saletíe:
211-2. — Oraí. S. Filippo Neri: 216,
219.
Caíanzaro. Seminario Vescovile: 587-8.
Catíaneo (prof.): 557.
Causa di Don Bosco: 18-9, 222-257.
Cavagliá. Scuole Decaroli: 577-8.
Cavalli (don C a r i o ) : 157.
Ceradini (archiíí.): 554, 685.
Cereííi (Ireneo). Coop. inírese: 615.
C e r r u í i (don F r a n c ) : 10, 76, 79, 198, 204,
215, 258, 240 (nota), 265, 277. 525,
570, 445, 496, 499, 645, 754, 756, 741.
Chiala (don Cesare): 218-9.
Chiappello (don Tommaso): 617.
Chiarinotti (don Andrea): 654.
Chicaro (mons.). Vic. Ap. in Egiíío* 515.
Chieri. Oraíorio S. Luigi Gonzaga- 195.
Chiesa (don Luigi): 211, 657.
chiese salesiane nell'Argentina: 114.
Chopin (Ippoliío). Coop. di Romans:
657-9.
Ciprandi (don Luigi): 198.
Cipriano (don Cario): 275, 466.
Circolo giovanile B. Valfré: 104-5.
Ciííá del Capo (Cape Town). Scuola di
Arti e Mestieri: 523-5.
Coadiuíori: 79. — Aspiraníi: 564-5.
Cogliolo (don Pietro): 55, 555.
Collamarini (archiíí.): 627.
Colle (coníi), Coop. Tolonesi: 505.
Colle Salveííi. Collegio S. Quirico:
581-2.
Colombo (Crisíoforo). Quarío ceníena-
rio: 262.
Comacchio. Seminario Vescovile: 580-1.
756
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.2 Page 782

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índice di persone, luoghi e cose notevoli
Combes (mons.). Arciv. di Cartagine:
313.
Comitato parigino per il decennio: 723.
comunitá incomplete: 632.
Concepción (Cile). Talleres S. José: 115,
473-6, 735-
Concepción (Par.). Instituto S. José:
545-6.
Concina (don Gius.): 353.
Conelli (don Arturo.): 384, 652.
Conesa. P a r r o q u i a : 155, 170.
Congregazione. Stato nel 1888: 8-15. —
Principio: 100-1, 458-9.
Congressi: 342-344 (Naz. Catt., Tarra-
gona), 384 (Eucar., Orvieto), 401 (Eu-
car., Milano), 410 (Eucar., Torino),
725 (Mariano, Torino).
Congresso Salesiano di Bologna: 410-
420 (preparazione), 420-434 (svolgi-
mento), 435-8, 445 (echi), 421 (Stam-
pa), 434 (Prelati), 439-444 (delibera-
zioni).
Conti (prof. Augusto): 78.
Contratación. L a z z a r e t t o : 149, 150.
Convenzioni: 36 (con Municipi e Go-
verni), 128-9 (Colombia), 135-6 (Pe-
rú), 208 (Pompei), 312 (Oran), 321-2
(Associaz. protettrice dei Miss. it.),
358 (Cantón Ticino), 383-4 (Orvieto),
527 (Bolivia), 581, 583 (Salvador).
Cooperatori: 86, 95-6, 98-9, 107, 133, 138,
187, 199, 202, 281, 337, 360, 391, 454-5,
614, 619, 715-8, 721, 725.
Coppo (mons.). Vesc. di Paleopoli: 687.
Corbelli (mons.). Vic. Ap. in Egitto:
317-9.
Cordero. Pres. delFEquatore: 123, 550,
551.
Corporation des Publicistes Chrétiens:
722.
C o r r a d i n i (don Ruggero): 179, 185.
Correa Nery (mons.). Vesc. di Cam-
piñas: 485.
Corrigan (mons.). Arciv. di New York:
686.
Coseuza (mons.). Vescovo di Castell. di
Stabia: 639.
Costa de Reauregard (march.): 723.
Costamagna (mons. G i a c ) : 11, 110-112,
121, 170, 283-296, 401, 429, 467, 472,
525-6, 528-532, 551, 603-4, 610, 698.
734-5, 740, 745.
C o s t a m a g n a (don Luigi): 114, 528.
Costa Rica: 758.
Costruzioni: 13.
Cottolengo (San Gius. Ben.): 1, 428.
Cotton (mons.). Vesc. di Valence: 657-9.
Cottrino (don F r a n c ) : 194.
Courcelles: 304.
Coxipó. Oratorio S. Antonio: 483-4.
Cremisan. Ospizio S. Luigi Gonzaga:
177, 180, 185-6.
Cremona. O r a t o r i o S. Lorenzo: 193 (no-
ta).
Crespo (gen.). Pres. del Venezuela: 517,
520.
C r i p p a (don Raffaele): 149, 150.
Crispolti (march. Filippo): 434, 719.
Crispolti (march. Tommaso): 430, 627.
Cruz (can. Vittorio). Coop. di Talca: 30.
Cuenca. Colegio de Sagr. Cor. de Ma-
ría: 121-2. 284, 285, 287, 570, 600.
Cueva. Vicepres. dell'Equatore: 596.
Cuy aba. Collegio de Sao Congalo: 269-
270, 272, 484.
Cumino (mons.). Vesc. di Biella: 646.
Cuorgné. Collegio-Convittj Giusto Mor-
gando: 612.
Curcao. Asilo de S. José: 522-4.
Custodia dei Luoghi Santi: 177.
Chaco: 287, 538, 540-1, 544-8.
Choele-Choel: 54, 155, 171.
Chopitea (doña Dorotea). Coop. Bar-
cellonese: 88-9, 334.
Chosmalal. P a r r o q u i a : 52, 155.
Chubut. Parroquia y Colegio de N. S.
de los dolores: 164-9.
Czartoryski (don Augusto): 374, 671,
679, 680, 728-9.
Czencz (p. Ladislao): 670.
Dadone (don Gius.): 193.
Daghero (don Giuseppe): 34.
Daghero (madre Caterina): 295, 494 (in
morte di Don Bosco), 500-509 (in A-
merica).
757
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.3 Page 783

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índice di persone, luoghi e cose noieooli
Dahnazzo (don Franc. i°): 387-8.
D'Aquino Correa (mons.). Arciv. di Cu-
yabá: 485.
Davíco (don Modesto): 193.
Dawson (is.). Missione S. Rafíaele: 62,
67-73, 250-4, 504, 711-714.
De Alber (bar.). Coop. triestino: 661.
De Amour (mons.). Arciv. di Cu y aba:
270.
debiti: 13, 14, 220-1.
Decennio della morte di Don Bosco:
715-731.
decorazíoni della chiesa di M. A.: 26.
Del Carría (don Adolfo): 462, 463.
Deliberazioni (Stampa di) dei Capitoli
Generali: 46, 249, 459, 742.
De Luca (card.): 214.
Dell'Olio (card.): Arciv. di Rossano:
388.
Delpiano (ing. Domenico). Coadiutore:
483.
De Marolles. Coop. parigino: 722.
De Massari (don). Coop. di Legnago:
614.
De P a n (mons.). Vesc. di Ogliastra: 649.
De Rio (mons.). Vesc. di Catanzaro:
387-8.
Descalzi (don Gius.): 366-8, 370.
Desenzano. Oratorio S. Luigi: 642.
Diamond (don Patrizio): 62.
Diñan. Oratoire de Jésus Ouvrier: 96-7.
Di Pietro (mons.). Del. Ap. in Argen-
tina: 536-7.
direzione delle Figlie di M. A.: 497-500,
510.
divozione a Maria Ausiliatrice: 459.
decumentos oficiales contro i Salesiani
di Quito- 572-5.
Dogliani (maestro Gius.) Coadiutore:
81-2 (nota), 413.
Domenicani: 284-5, 419, 523-4. 680.
Donini (contessa). Coop. bolognese: 624
D'Oresmieux de Fouquiére. Cooper. di
Ruitz: 96.
Dossi (don). Coop. milanese: 391.
Doutreloux (mons.). Vesc. di Liegi: 93,
300, 427, 456.
Duca degli Abruzzi: 503.
Duca di Parma: 639.
Duchesse: Letizia di Aosta (vedova),
727; Elena di Aosta, ioi; Isabella di
Genova, ivi.
D u r a n d o (don Celestino): 10, 37, 87-8,
179, 182-3, 308, 316-7, 328, 346, 471,
682-3, 736.
Durazzo-Pallavicini (march.): 75.
Dusmet (card.): 210-1, 638 (Catania),
Ecija. Oratorio Salesiano: 666.
Eckmühl. Oratoire de Jésus Adolescente
312.
Echavarri (Gioachina e Luisa de). Coop.
di Bilbao: 667.
Egas (ch. Vittorio): 556, 559, 560, 562.
emigra ti: 111, 161-2, 429, 469, 588-9,
687-8, 700.
Endora (Modesto). Coop. equatoriano:
566-8.
Engel (on.): 194.
E q u a t o r e : 284, 549-571 (esilio), 572-7
(aecuse), 590-602 (ritorno).
Ercolini (don Domenico): 637.
Esandi (mons. Nicola). Vesc. di Vied-
m a : 466.
Esberard (mons.). Vesc. di Olinda (Bra-
sile): 478.
esercizi spir. per sigpore: 74-5.
Esmeraldas: 569.
Espalter (dott.). Ex-allievo uruguaiano:
108.
espansione salesiana: 28, 188, 201, 220-i,
241, 283, 315, 326, 461, 611, 629. 653,
715.
Espinosa (mons.) Vesc. Aus. di B. Ai-
res: 55, 159.
Esposizioni. Colombiana: 262-4. — Na-
zionale Italiana: 490, 717, 727-8.
Este. Collegio Manfredini: 79.
Etagnac: 660.
Etcheverrin (mons.). Vic. Ap. di Anto-
fagasta (Cile): 528.
Eterno (ch. Gius.): 130-1, 513.
Eteves (Bcatrix de). Coop. di S. Sal-
vador: 586.
ex-allievi: 23.
758
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.4 Page 784

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Índice di persone, luoghi e cose noteooli
Faenza. Istituto S. Fr. di Sales: 77, 80,
419.
Fagnano (mons. Gius.): 20, 31, 61-73,
249, 250-266, 467, 706-714, 708-710.
Faravelli (avv.). Cooperat. di Canelli:
611.
I* ascie (don Bartolomeo): 214.
Febraro (don Stef ano): 316.
Ferrando (don Gio.): 368-9, 613.
Ferrara. Collegio S. Cario: 617-9.
Ferrari (card.): 394-5, 397-8, 401, 403-6,
420, 427, 429, 432-3, 618, 632 (Mila-
no).
Ferreira (card.): 347 (Oporto).
Ferrero (don Antonio): 67-9.
t e s t a (don Angelo): 25, 320.
festa di M. A. 22-3, 49.
Févre (don G. B.): 660.
Fia (don Alessandro): 483.
Figlie della C a r i t a : 137, 149, 560-1.
Figlie di M. Aus.: 20, 32, 55, 57, 58,
67, 71, 74, 76, 80, 85, 92, 94, 97-8,
110-113, 117-120, 134, 136-7, 140, 155,
158, 160, 168, 170-172, 181-2, 190, 200,
201, 211, 213-4, 219, 236, 248-9, 253,
264, 274, 278-281, 292, 295, 304, 312-4,
368, 429, 478, 484, 486, 493-512 (stato
dell'Istituto, viaggio della Madre Da-
ghero in America, venticinquesimo),
646, 660, 666, 750.
Figli di Maria: 305, 312, 371, 373, 375,
378, 638, 641, 666.
Filadelfia: 587.
Filippello (mons.). Yesc. d'Ivrea: 720.
Firenze. Oratorio deH'Immac. Conce-
zione: 78.
firmano: 177.
Flores. Pres. dell'Equatore: 121, 283-5,
291, 550.
Fogar (mons.). Yesc. di Trieste: 665.
Fontinbón. Casa Parroquial: 691-2.
Fortin Mercedes. Colegio San Pedro:
172-3.
Fossano. Collegio Don Bosco: 190.
Fracchia (don Pietro): 645.
Francescani: 111, 161, 177, 285, 288, 320,
333, 530, 700.
I rancesco di Sales (San): 746.
Francesia (don Gio.): 10, 218, 220, 405,
475.
F r a n c h i n i (don Gio.): 157, 162.
Francia. Nel decennio della morte di
Don Bosco: 722-4.
Francica-Nava (mons.). Nunzio nel Bel-
gio: 98, 300.
Franco (gen. equatoriano): 563, 568-9.
t r a n t i (don Alessandro): 662 (nota).
Frascati. Coliegio di Villa Sora: 172. —
Seminario-Convitto Tusculano: 616-7.
Frassa (mons.). Yesc. Aus. a Montevi-
deo: 108.
Fratelli delle Scuole C r i s t i a n e : 16, 122,
318, 322-3, 561, 658, 659, 688.
Frey (sorelle). Coop. di Muri: 361.
Frie (padre). Coop. di C u r a s a o : 523-4.
Fumagalli (don Epif anio): 338.
F u s a r i n i (don Antonio): 122, 570, 596,
598, 601.
Galeati (card.). 420, 430 (Ravenna).
galera: 163.
Galindo (conti di Casa): Cooperatori
di C a r m o n a : 666.
Gallarati Scotti (Duca). Coop. milane-
se: 401.
Gallardo. Coop. di S. Tecla (Salvador):
584.
Gallegos: 61.
Gállese. Colonia ingl. nel C h u b u t : 165.
Galli (maestro): 103.
G a m b a (don Gius.): 33 119. 460. 543.
Gandolfi (mons.). Vesc. di Jesi: 635.
Garbari (don Alessandro): 473-4, 693.
García (Luisa). Coop. di Messico: 138.
García Moreno: 288, 552.
Garelli (Bartolomeo): 1005 101, 104.
Carroñe (don Evasio): 57-8, 705-6.
Gasparri (mons. Pietro). Del. Ap. in Pe-
rú, Bolivia, Equatore: 701.
Gatti (don Cario): 181.
Gavotto (don Matteo): 54.
Gela. Collegio Principessa Pignatelli:
636-8.
General Acha. Parroquia: 161-2.
Genova. Conferenza: 79.
759
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.5 Page 785

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índice di persone, luoghi e cose notevoli
Genzano. Istituto S. Gio. Ev.: 615-6.
Gerbino (mons.). Vesc. di Piazza Arme-
rina: 636.
Gerona. Granja Salesiana de S. Isidro:
327-9.
Gesuiti: 81, 122, 125 (nota), 132, 134,
160, 164, 284, 285, 288, 290, 328, 539,
543, 588, 633, 636, 760.
Cevigney. Orphelinat Willemot: 28-9.
Ghiglione (don Anacleto): 365.
Ghione (don Giacorno): 328-9.
Ghione (don Cario): 559
Gillo. Pres. del Paraguay: 535.
Giobbio ,padre): 735.
Giordani (caid.): 617 (Ferrara).
Giordano (don Lorenzo): 119, 478-480.
Giooane Proooeduto: 245, 246.
Girard (Marco). Coop. di Roinans: 657.
Giraudi (Don Fedele); 665.
Giua (avv. Antonino). Coop. di Lana-
sei: 650.
Giubileo delle O p e r e Salesiaue: 100-
109.
Giuganino (don Giacorno): 25.
Gymnasium: 457.
Glazer (mons). Vesc. Aus. a Pzemysl:
672.
Gomes Pimenta (mons.). Vesc. di Ma-
rianna (Bras.): 480.
Gómez (Giulia). Coop di Messico: 139.
Gómez (Leopoldo). Coop. di Vigo: 341.
Gonzales-Callisto (mons.). Arciv. di Qui-
to: 558, 571, 576-7, 590. 600.
Gonzalez-Suarez (mons.). Vesc. di íbar-
ra Equat.): 563.
Gorizia. Convitto S. Luigi: 379-380
Gouthe-Soulard (mons.). Arciv. di Aix:
97.
Grabelski (don Vittore): 675.
Grancelli (don). Coop. veronese: 196-7,
452, 715.
Grath (sig.ra). Coop. di Cape Tuwn:
325.
Gravesano. Istituto Rusca: 359.
Grazioli (mons.). Vesc. Aus. a Ferrara:
619.
Groppello (conté Giulio di). Coop. A-
lessandrino: 630.
Grosoli (conté): 627.
Grosso (don G. B.): 106.
Gualaquiza. Missiones Salesianas: 287,
294 (consacrazione a M. A.), 604-610.
Gualdo Tadino. Oratorio S. Roberto:
385-6.
G a y a q u i l : 569.
Guidazio (don Pietro): 217, 220, 656.
Guiol (can.). Coop. marsigliese: 87,
105-7.
Guttierez {g^n.). Pres. del S a l v a d o r : 578-
580, 582-3.
Gurrisi (arcid.). Coop. di Gela: 637.
Hansen. Lebbrologo: 692.
Hechtel. Instituí St. Louis de Gonzague:
656.
Helleputte (archit): 94.
Klond (card.): 25, 672.
Imperatori (mons.). Coop, intrese: 613.
I n d i : 50, 64, 161 (Patagonia); 166 (Chu-
but); 63-4, 250-2 (Terra del Fuoco):
123, 288-9 (Equatore); 275, 488-492
(Matto Grosso); 544-7 (Paraguay),
índipendenza da estranei: 663.
Infanta: 336.
ingheo (mons.). Vesc. di Iglesias: 651.
Innsbruck: 83.
Intra. Collegio-Convitto S. Luigi Gon-
zaga: 612-3.
Iquique. Colegio Don Bosco de Artes y
Oficios: 471-3.
lsabella (don G. B.): 462.
Isola Grande Missione della Candela-
ra: 62-4 258-262, 505, 710.
Ispettorie dH Salesiani: 10, 11, 87, 88,
248-9, 461, 477, 551, 695, 741.
Ispettorie delle Suore: 249.. 497.
istruzione religiosa: 448-452.
lvrea. Casa della Nativitá di M V.:
191-2.
Jackson (Gio.). Coop. di Montevideo:
468.
Jacobini (nob. Flavio). Coop. genzane-
se: 615.
760
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.6 Page 786

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Índice di persone, luoghi e cose noteooli
j a r a (mons. Arturo). Vic Ap. di Ma-
gellano: 470 (nota).
Jara (mons. Raimondo). Vesc. di An-
cud: 30, 115-6.
Jesi. Oratorio María Ausiliatrice: 635.
[ivaros: 286, 288, 605-7.
Jonglez (Louise). Coop. di Rossignol: 29.
Josephidi (don Antonio): 181.
Junín de lo Andes. Parroquia: 171.
Knycz (mons. Andrea). Coop. di Oswie-
cim: 681.
Labastida (mons.). Arciv. di Messico:
138.
Lacerda (mons.). Arcivesc. di Rio de
Janeiro: 119-120, 345, 352.
La Marsa. V. Tunisi.
Lanusei. Collegio S. Eusebio: 648-652.
Lanzo. Collegio S. Filippo Neri: 66, 79,
190.
Las Piedras. Colegio S. Isidro: 647.
Lasagna (mons. Luigi): 9, 11, 32, 117-
118, 120, 242, 267-282, 277-9 (profilo),
279-80 (morte), 386, 466, 477-8, 485,
507, 540-2, 544-6, 704.
Lasserre (mad.lle). Coop. di P a u : 639.
latino (studio del): 244.
Latour Maubourg (mareh.). Coop. di
Rueil: 659-660.
La Yalletta (card. Monaco): 207-8.
Lavisgerie (card.): 306-7 (Cartáge).
Lazzaristi: 134, 137, 479, 538.
Lazzero (don Gius.): 24, 75-8, 734, 736-7.
lebbrosi: 141, 692-3.
Ledochowski (card.): 318-9, 323.
Legnago. Istituto S. Davide: 613-5.
Lemas. Ministro del Salvador: 583.
León (Josefa). Coop. equatoriana: 564.
Leonard (mons.). Yic. Ap. del Capo di
Buona Speranza: 324-5.
Leone X I I I : 4-5, 16-8, 20, 24, 78, 129,
161, 164, 179, 204-5. 218, 232-3, 246,
264-5, 268, 270, 272-3, 276, 285, 292,
304, 362, 383, 394, 424-6, 435-6, 514,
536, 560, 677, 715, 732.
Leto (mons.). Yesc. di Biella: 189, 292,
646.
Letture amene: 457.
L e t t u r e cattoliche: 120 (spagnole di
B. Aires); 120, 278 (porteghesi di Rio
de Janeiro); 219, 248, 256-7, 719 (ita-
liane).
Liegi. Orphelinat St. Jean Berchmans:
93-5, 300.
Lilla. Orphelinat St. Gabriel: 92, 95.
Lima. Escuela de S. Rosa: 133-7, 571,
697.
Lione: 90.
Lisbona. Officinas de S. José: 352. —
Collegio do Sogrado Caragáo de Je-
sús: 354.
Liveri (march.). Coop. di Lisbona: 354.
Liviabella (maestro): 417.
Lloza (mons. de la). Arciv. di Sucre:
526, 532.
Lluch (card.): 332 (Siviglia).
Lombriasco. Casa S. Gioachino: 373-4.
678.
Londra. Ospizio e Parrocchia del Sa-
cro Cuore di Gesü: 90-2, 297-300.
Longo (avv. Bartolo): 206.
Lons-le-Saunier. Orphelinat Agricole:
660.
lorena (Bras.). Collegio S. Joaquim:
120, 702.
Loreto. Collegio della Madonna: 203. —
Sesto centenario: 413.
Lovisolo (don Angelo): 213.
L u : 76.
Lucca. Oratorio S. Croce: 78, 381-2.
Lucero (mons.). Yesc. di Ancud: 254,
257.
Luciani (don Luigi): 163
Lugo. O r a t o r i o S. G i u s e p p e : 80, 119.
Luraghi (don). Coop. di Muri: 361.
Macchi (mons.). Del. Ap. al P e r ü : 134,
593, 700.
Macerata. Istituto S. Giuseppe: 201-3,
220.
Macey (don Cario): 90, 91, 298, 654.
Machor (beato Taddeo). Yesc. irlande-
se: 191-2.
Macúl. Casa della Sagrada Familia:
470.
761
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.7 Page 787

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índice di persone, luoghi e cose notevoli
Maestro dei novizi: 739,
Magliano Sabino. Seminario e Collegio-
Convitto: 33-5.
Maia (can. Eliseo). Coop biellese: 636.
Malaga. Asilo de S. Bartolomé: 338-
341.
Malan (don Antonio): 282, 487-8.
Mal vine (isole): 62.
Manacorda (mons.). Vesc. di Fossano:
103-5, 190, 228, 727.
M a n a r a (card.): 725, 740 (Ancona).
Manassero (don Emanuele): 682-5.
Manga. V. Montevideo.
Mannini (Maria). Coop. pisana: 634.
Mantegazza (mons.). Vic. Gen. a Mila-
no: 392.
Manuale di Pietá: 242-3.
Marchiori (don Luigi): 118.
Marenco (don Gio.): 76, 183, 248, 429,
450, 618, 736.
Maria Auxiliadora. Goletta: 256.
Mariani (don). Coop. pavese: 632.
Maria Pia. Regina madre del Portogal-
lo: 347.
Marino (coniugi). Coop. messinesi: 212.
Markiewicz (don Broneslao): 671-9.
Marsala. Casa della Divina Provviden-
za: 216.
Marsiglia. Oratoire S. Léon: 86-7, 105-
107, 303.
Martin (abbé). Coop. di Diñan: 96.
Martinengo (don). Coop. savonese: 366,
367.
Martínez (Ignazio). Coop. di Puebla
(Messico) 689.
Martinoia (Filippo). Coop. di Perosa
Arg.: 645.
Mascali Nunziata: 216.
Masotti (can.). Coop. bolognese: 453.
Mati. Cartiera S. Franc. di Sales: 79.
Matta. Pres. dei Ministri nel Cile: 255-6.
Mattana (don F r a n c ) : 289, 294, 601,
604-610.
Matto Grosso: 269-275.
Mauri (card.): 420, 426, 618 (Ferrara).
Mauri (dott. Angelo): 391, 399, 432
Mazzarello (beata): 292.
Mazzarello (don Agostino): 463.
Meda (avv. Filippo): 368.
Ivtederlet (mons. Eugenio). Arciv. di Ma-
dras: 361.
Medolago Albani (conté): 368.
Melipilla. Colonia Agrícola di S. Isi-
dro: 470.
Méndez: 608.
Mendoza (Arg.). Colegio Don Bosco:
112.
Mendre (abbé): 348.
Mendrisio. Collegio Cantónale: 355-8.
Menichinelli (don Gius.): 582-3.
Ménilmontant. V. Parigi.
Mercedari: 116.
Mercedes (Urug.). Colegio S. Miguel:
118.
Mesmer (mons.). Vesc. di Terracina: 35.
Messico. Colegio de Artes y Oficios:
137-140, 144.
Messina. Oratorio S. Luigi Gonzaga:
212-3.
Mezenes (Alberto de). Coop di Pernam-
buco: 478-9.
Mezzacasa (don Giacomo): 181.
Micaleff (mons.). Arciv. di Pisa: 633.
Miejsce Piastowe: 672-9.
Mignemi (don). Coop. di S. Gregorio
(Catania): 217.
Milanesio (don Domenico): 51-4, 157,
165-7, 264.
Milano. Istituto S. Ambrogio: 389-408.
Milano (don Gio.): 570, 600.
Miltos. Coop. di Concepción (Par.): 546.
Mioni (don Ugo). Coop. triestino: 661.
Miotti (mons.). Vesc. di Parma: 80-1.
Mirabello. Piccolo Seminario: 748.
Misieri (don Gius.): 582, 586,
Missionari. Rimpatrii provvisori: 4. —
P a r t e n z e : 20, 104, 110, 124. 271. —
Vita: 51, 56-7, 112, 114, 165, 170,
172, 252, 258, 323, 602. — Beneme-
renze sociali: 701-4, 706-7, 709
Modena. Istituto S. Gmseppe: 619-621.
Mogliano Véneto. Collegio-Convitlo A-
stori: 79.
Moigno (abbé): 587.
Molo (mons.). Ammin. Ap. del Cantón
Ticino: 357-8, 360.
762
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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Índice di persone, luoghi e cose noteooli
Monateri (don Gius.): 741.
Montevideo. Colegio del S. Corazón de
Jesús: 32. — Talleres Don Bosco:
118. — Manga. Escuela agricola
Juan Jackson: 466-7, 702.
Montfortiani: 697.
Montpellier. Oratoire de St. Antoine
de Padoue: 301-3.
Moran di (prof Luigi). Meteorólogo: 462,
701.
Morano (madre Maddalena): 213.
Moreira (conté). Coop. di Lorena (Bra-
sile.): 120.
Morganti (don Pasquale): 390-407.
Moro (Gerolimina). Coop. di Trecate:
370.
Morozio (mons.). Vesc. di Susa: 376.
Muri. Instituí St. Joseph: 360-1.
Murialdo (Teol. Leonardo): 231.
música sacra: 44, 79-80, 81-2, 420-1.
Nagl (mons.). Are. di Vienna: 664.
Nai (don Luigi): 183.
N a m u n c u r á . Cacico: 161, 172.
Nardi (don Venerio): 200,
Navarre (La). Orphelmat St. Joseph:
85, 305, 488.
Nazareth. Orphelinat de Jésus-Adole-
scent: 186.
Nazari (mons.). Coop. trevigliese: 195.
Neto (card.): 348 (Lisbona).
New York. Parroccliia di María Aus.:
686-9.
Nictheroy. Collegio S. Rosa: 119.
Nina (card.). 536, 537.
Nizas. Orphelinat St. Jean Bapt.: 303-4.
Nizza Mare. Patronage St. Pierre: 84-5.
Nizza Monferrato. Educatorio Mad. delle
Grazie: 274.
Norero. Cons. dTtalia a Quito: 596.
Notario (don Antonio): 381.
Novara. Istituto S. Lorenzo Prete e Mar-
tire: 220, 368-9.
Noviziati: 41, 364. — África: 312. —
Argentina: 464-5. — Belgio: 656. —
Cile: 470: — Colombia: 691. — Equa-
tore: 550. — Francia: 86-7, 97-8
(Sud); 659 (Nord). — Inghilterra: 654.
— Italia: 364 (S. Benigno, Coad.);
216 (Sicilia); 615 (Genzano). — Por-
togallo: 354. — Spagna: 329, 665. —
Uruguay: 467.
Nowak (mons.). Vesc. Aus. a Cracovia:
683.
Oberti (don Ernesto): 332, 334.
Occhieppo Superiore. Istituto S. Ago-
stino: 376-7.
Ochoa. Ministro in Bolivia: 529, 531.
Olivares (mons.). Vesc. di Nepi e Sutri:
396.
Olivazzo (don Maggiorino): 691, 695.
Olive (famiglia). Coop. marsigiiesi: 86.
Olivi (prof.): 427, 429
Omaggio internaz. a Don Bosco: 716-
731.
Onomástico di Don Bosco: 23.
Oporto: 345-7.
Oran. Oratoire St. Louis: 307-312, 314.
Oratori festivi: 741. — Alessandria:
631. — Bejar: 665. — Biella: 646. —
Bilbao: 667. — Bogotá: 691. — Bo-
logna: 623. — Bova: 648. — Buenos
Aires: 113. — Callao: 700 — Car-
mona: 666. — Caserta: 639. — Ca-
stellammare di Stabia: 387. — Cata-
nia: 211-2, 216. — Comacchio: 381.
— Desenzano: 642. — Gela: 638. —
Genzano: 615. — Jesi: 635. — La-
nusei: 651. — La Paz: 530. — Pon-
drá: 92. — Macerara: 202-3. — Ma-
laga: 338-341. — Mendrisio: 358. —
Milano: 398, 407. — Novara: 368,
370. — O r a n : 311. — Pavia: 632. —
Perosa: 645. — Pisa: 634. — Q u i t o :
121, 551. — Romans: 658. — Sala-
manca: 668. — San Gregorio: 217-8.
— Santiago (Cile): 469. — Savona:
366. — Siviglia: 331-7, 668-9. — Sucre:
532. — Torino: 372. — Trecate: 371.
— Trieste: 661-5. — Tunisi: 314. —
Ulzio: 376. — Valencia: 668. — Ve-
rona: 197. — Vigo- 342.
Oratorio S. Franc. di Sales: 22-4, 364-5,
748.
763
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.9 Page 789

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índice di persone, luoghi e cose noteooli
Orlemba (don Stanislao): 674
Orsi (don Pietro): 162.
O r t u z a r (don Camillo): 88, 471-2, 657.
Orvieto. Seminario Vescovile: 382. —
Istituto Leonino: 382-4.
Ospedali: Viedma: 57-9, 704-6. — Raw-
son: 168.
Osservatorii: 462 (Almagro), 484 (Co-
xipó), 462, 701 (Villa Colon), 699
(Arequipa).
Oswiecim. Zaklad X. Jama Bosko (Isti-
tuto Don Bosco): 679-684.
Ottina (cav.). Coop. intrese: 613.
Ottonello (don Matteto): 82 (nota), 382,
649.
Oulx. V. Ulzio.
Pacheco. Ex-pres. di Bolivia: 526.
Padri dei Sacri Cuori di G. e M.: 194
Pagliaroli (sorelle). Coop. genzanesi:
615.
P a m p a : 156, 161.
Pampirio (mons.). Arciv. di Vercelli:
104.
P a n a r o (don Bartolomeo): 52.
Pancheri (Giacinto). Coadiutore: 556-8,
573, 590, 596-9.
P a n e (don C a r i o ) : 137.
Paolasso (don). Coop. di Perosa: 644.
P a r a g u a y : 275-6, 535-548.
Parigi. Oratoire St. Pierre St. Paul:
14, 90.
Parma. Collegio S. Benedetto: 36, 80,
395, 418, 420.
Parocchi (Card.): 18, 109, 126, 204, 208,
222, 223, 269, 383, 426 437.
parrocchie di Missione: 90-91.
Parravicini (cont. Carlotta). Coop. mi-
lanese: 401.
Pascual (Narciso). Coop. barcellonese:
345.
Paseri (don Antonio): 115.
Patagones. Collegio S. José: 48-9, 155.
Patagonia: 48-60.
Paul (mons.). Arciv. di Bogotá: 125.
Pavia. Santuario S. M. delle Grazie:
651-2.
Paysandú. Parroquia del Rosario: 117.
— Colegio Don Bosco: 117-8.
Paz (La) in Bolivia. Colegio Don Bo-
sco de Artes y Oficios: 525-530.
Pedara. Istituto S. Giuseppe: 638.
Pedemonte (sig.). Coop. argentino: 465.
Pederzini (don). Coop. bolognese: 622.
Pedro II. I m p . del Brasile: 119, 480.
Pelczar (mons.). Vesc. di Przemysl: 677.
Penango. Collegio S. Pió V: 76.
Peretto (don C a r i o ) : 120, 477.
Peri-Morosini (mons.). Amm. Ap. del
Cantón Ticino: 359.
Pernambuco. Collegio do S. Cor. de
jesús: 478-480.
Peí osa Argentina. Istituto S. Fr. di Sa-
les: 644-5.
Perreira Lara (mons.). Vesc. di Cara-
tinga (Bras.): 482.
Perrot (don Pedro): 741.
Pérsico (mons.). Segr. di Propag.: 164
Peruzzo (don Paolo): 702
Pestarino (don Andrea): 55.
Petazzi (coniugi). Coop. milanesi: 594.
Petronio (mons.). Coop. triestino: 661.
Piani di S. Martin. Casa Parroquial:
694, 696-7.
Piavi (mons.). Patr. latino di Gerusa-
lemme: 179, 180, 182.
Piccioni (can.). Coop. catanese: 210.
Piccollo (don Francesco): 216-7, 219,
Piccono ídon Angelo): 159-140, 580-2,
588, 689.
Pignatelli di Roviano (Principessa): 656.
Pilati (Teodolinda). Coop. bolognese:
419.
Pió IX: 204, 535-6.
Pió XI: 683.
Pió XII: 98.
Piova. Santuario N. S. delle Grazie:
190-1.
Piperni (don Raffaele): 179 (sopprimere
nel testo " il giá menzionato"), 181,
588, 689-690.
Piroddi (avv. Fr.). Coop. di Lanusei:
650.
Pisa. Oratorio M. SS. di sotto gli Or-
gani: 655.
764
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

79.10 Page 790

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Índice di persone, luoghi e cose notevoli
Pisani (Agosüna). Coop. novarese: 369.
Pistelli (padre): 385.
Pistone (don Bartolomeo): 68-70, 255.
Pizzono. Min. d'Italia a Quito: 597.
Polacchi. Aspiranti: 374, 671.
Polit (Ferdinando). Coop. di Quito: 598.
Polonia: 670-683.
P o m a (cav.). Coop. di Biella: 646.
Pompei. Santuario: 206-9.
Pompignoli (don Gius.): 186.
Ponzoñe (mons.). Coop di Savona: 365.
Porta (don Luigi): 632.
Portogallo: 345-354.
Pringles. Parroquia: 55, 155.
privilegi. 21.
processi ordinari e apostolici: 223-4.
Propagazione della Fede (Opera della):
90.
Protestanti: 62, 165, 167-8, 341, 348, 361,
472, 539, 546, 634, 644.
Puddu (don Salvatore): 181.
Puebla. Colegio S. Iñazio de Artes y
Oficios: 689-690.
Pulciano (mons.). Vesc. di Cásale e di
N o v a r a : 104, 368, 371.
Puntarenas. Colegio de la Misión Sale-
siana: 65, 250, 254, 706-7.
P u z y n a (card.): 679-682 (Cracovia).
Quaini (don Luigi): 472.
questione operaia: 246 7.
Quito. Protectorado Católico: 121, 123,
288, 291, 549-552, 555, 573. — La
Tola. Colegio Don Bosco: 354. 590,
598-600.
Rabagliati (don Eugenio): 90.
Rabagliati (don Evasio): 110, 130, 131-3,
142, 144, 149, 151, 153, 691-6.
Rainoni (mons.). Coop. di Treviglio:
194-5.
Ramirez (Antonia). Coop. di Valparaí-
so: 468.
Rampolla (card.): 121, 125, 126. 135,
139, 153, 211, 270, 283, 284, 318-9.. 323,
362, 426 428, 511, 540, 579, 617, 733.
Randazzo. Collegio S. Basilio: 217, 220,
636.
Bawson. Parroquia y Colegio de N. S.
de los Dolores: 165-9, 507.
Recífe. V. Pernambuco.
Redentoristi: 134, 281. 570.
Reffo (pittore): 726.
Regolamenti. Parrocchie: 42. — Novi-
ziati e Studentati: 43-4, 246. — Case
Ispettoriali: 446-7. — Capo agricol-
tore: 447. — Ad experimentum:
447-48.
Rególe. Varianti nei testi stampati:
734-5.
Remondi (maestro): 103.
íesoconti delle Missom: 59.
Ressia (mons.). Vesc. di Mondovi: 645.
restauri al Santuario di M. A.: 101.
Reviglio (don Felice): 23.
Reyes (gen.): 692.
Reyneri (don Giuseppe): 559, 568.
Rezzara (prof.): 368.
Rialp: 337.
Riario Sforza (card.): 636 (Napoli).
Riboldi (card.): 632 (Ravenna).
Ricaldone (don Pietro): vil, 333-7, 666,
668.
Riccardi (don Antonio): 59, 136, 571.
Riccardi (mons. Davide). Arciv. di To-
rino: 189, 220, 234, 236, 265, 292, 368,
428, 490.
Richelmy (card.): 191, 228, 372-3, 375,
721, 727, 740 (Torino).
riconoscimenti giuridici: 301, 326-7, 663.
rielezione di don R ú a : 732-3, 736-7, 740.
Rinaldi (don Filippo): 88, 192, 249, 327,
328, 332, 337, 338, 340, 350, 419, 512,
665, 668, 669, 745.
Rinaldi (don G. B.): 77, 414.
Riobamba. Talleres Sal. de S. Tomás
Apostólo: 121-2, 284, 570, 600.
Rio Grande: 260-261.
Riordan (mons.). Arciv. di S. Franci-
sco: 588.
Riva (don Enrico): 516-7.
rivoluzioni: 115 (Cile), 151 (Colombia),
520 (Venezuela), 552-3 (Equatore),
691 (Messico).
765
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80 Pages 791-800

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80.1 Page 791

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índice di persone, luoghi e cose noteooli
Robilant (conté di). Min. ital. degli Este-
ri: 315.
Roca. Casa p a r r o q u i a l : 55-6, 155, 702-5.
Rocca (don Guido): 557, 559, 599-560.
Rocca (don Luigi): 76, 354, 454, 623, 627,
649, 650, 736.
Rodríguez (doña). Coop. di Bejar: 665.
Roggerone (don Gio.): 163, 164.
Rollini (pittore): 27, 102.
Roma. Chiesa e Ospizio del Sacro Cuo-
r e : 14, 15, 18, 78, 203-5, 615. — Pia
Opera del S. C: 78-9.
Romans. Oratoire St. Hippolyte: 657-9.
Romero (avv.): Coop. di Siviglia: 332-3.
Roncetti (mons.). Del. Ap. al Paraguay:
535.
Ronchail (don Albino): 301, 655.
Roncha il (don Gius.): 660.
Rondina (padre): 164.
Rooney (mons.). Vic. Ap. del Capo di
Buona Speranza: 325.
Rosario di S. Fé. Colegio S. José: 111.
Rosaz (mons). Vesc. di Susa: 103.
Rosin (don Mario): 181.
Rossi (mons. Giacinto). Vesc. di Sar-
zana: 101.
Rossi (mons. G. B.). Yesc. di Pinerolo:
645.
Rossi (mons. Raffaele) Vesc. di Bova:
647.
Rossignol. Ferme du Sacré-Coeur: 29,
95.
Rotelli (mons.). Nunzio a Parigi: 90.
R ú a (don Michele): 1-7 (successione),
16-27 (primi atti); 29, 59 (lettere); 74,
297 (viaggi); 74-83 (viaggi in Italia);
84-99 (viaggi in Francia, Spagna. Jn-
ghilterra, Belgio); 12, 17, 108-9 (cir-
colari); 126-8, 132, 145-6; 185-7 (viag-
gio in Palestina); 202, 204: 218-220
(viaggio in Sicilia), 222. 223-4, 281;
314 (viaggio in África); 324, 558
(viaggio in Svizzera); 594-400 (a Mi-
lano); 412, 421, 475; 651 (in Sarcle-
gna); 660, 685, 692, 717, 725; 745-7,
749 (spiritualitá); 749-751 (governo).
Rubino (don Michelangelo): 662 (nota).
Rueil. Oratoire St. Maurice: 659-660.
Ruffino (don Giacomo): 612.
Ruggeri. Consolé d'ltalia a Guayaquil:
572.
Ruitz. Orphelinat St. Joseph: 96.
Rusca (prof.): 559.
Sabatiicci (mons.). Del. Ap. in Colom-
bia: 691.
Sacchetti (don Alfredo): 559.
Sacro Cuore. Divozione: 49-50.
Saens Peña. Pres. dell'Argentina: 110,
159, 464.
Saint-Cyr. Orphelinat St. Isidore: 86.
Saint-Genis. Colonie Agricole de St An-
toine: 660.
Saint-Pierre de Canon. Oratoire Salé-
sien de la Providence: 97.
Sala (don Antonio): 189, 195, 209, 374,
380, 452-4, 614.
Salaberry (clon Luigi): 474.
Salamanca. Patronato de la Juventud:
668.
Saluzzo (don Lorenzo): 395-8, 407.
Salvador: 587.
Salvaí (mons.). Vesc. di Alessandria:
650.
Sampierdarena. Ospizio S. Vincenzo: 75.
San Benigno Canavese. Oratorio e Ospi-
zio Salesiano: 79.
San Francisco. SS. Pater and Paul's
C h u r c h : 587-9, 690.
San Giovanni la P u n t a : 217.
Sangolqui. Colegio Salesiano: 550, 557,
570, 590, 600.
San Gregorio. Oratorio S. C. di Gesü:
216-7.
Sani (don Antonio): 701.
San Nicolás. Colegio Don Bosco: 111.
San Paolo. Lyeceu do S. Cor. de Jesús:
119, 279.
San Salvador. Escuelas de Artes. Ofi-
cios y Agricultura: 578-587,
Santa Cruz. Colegio de la Misión Sale-
siana: 61.
Santa Margherita. Oratoire de la Pro-
vidence: 86.
Santander. Oratorio ele Don Bosco: 529-
551.
766
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80.2 Page 792

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Índice di persone, luoghi e cose noteuoli
S a n t a Rosa de Toay. P a r r o q u i a : 162.
Santa Tecla. Escuela de Artes y Ofi-
cios: 584-7.
Santiago (Cile). Talleres Sal. de N. S.
del C a r m e n : 115-7. — Colegio del
Patrocinio de S. José: 469-70.
Santinelli (don Ciriaco): 551, 558, 559,
569.
Sant Vicente deis Horts. Oratorio del
S. C. de J.: 665.
Sanz y Forés (card.): 332, 668 (Siviglia).
Sarnari (mons.). Vesc. di Macerata: 201.
Sarnelli (mons.). Vesc. di Castelleinma-
r e : 386.
Sarria. Talleres Salesianos: 88-9.
Sarto (card.): 406, 426 (Venezia).
Sassóli-Tomba (march.). Coop. bologne-
se: 426.
Savini (don Francesco): 211-2.
Savio (don Angelo): 53, 54, 133-4, 172,
285, 538, 544.
Savona. Oratorio N. S. clella Miseri-
cordia: 365-8.
Scala (avv. Stefano): 716, 718.
Scaloni (don F r a n c ) : 94.
Scaparone (don Gio.): 379.
Scasso (don Antonio): 466.
Scavini (don Spirito): 469.
Schiaparelli (prof. Ernesto): 316, 317.
schiavitü riel Brasile: 268.
Scolopi: 199, 385.
Scopa (marchesa). Coop. di Squillace:
220.
Scuole di Religione: 80-81, 432, 620.
Scuole Tecniche: 195.
Serafini (card.): 35 (Magliano Sabino).
Serenelli (don). Coop. Veronese: 196,
715.
Sericci (mons.). Vesc. di Comacchio:
380.
Serié (don Giorgio): 114.
settimana sarita: 43.
Sicilia: 210.
Signorelli (don Pietro): 619.
Sikora (don Pietro): 673.
Silva (Marianna de Carees). Coop. di
Talca: 31.
Silvestro (Gio.). Coadiutore: 67-70.
Simeoni (card.): 60, 164, 179, 315 (Pro-
paganda).
Simonetti (don Antonio). Coop. biel-
lese: 646.
Simonetti (don Gio.): 202.
sistema di Don Bosco in atto: 45, 267,
529, 545, 451, 554, 667.
Siviglia. Instituto de la SS. Trinidad:
551-7. — Oratorio de S. Benito de
Calatrava: 668-9.
Smrechar (don). Coop. sloveno: 450.
Societá Salesiana. V. Congregazione.
Sogaro (mons.). Vic. Ap. del Sudan: 515.
Solari (don Gius.): 274, 276.
Soleki (mons.). Vesc. di Przemysl: 672-5.
Soler (mons.), Arciv. di Montevideo: 467.
Somaruga (bar.). Coop. di Gorizia: 579.
Somma Lombardo: 400.
Sondrio. Istituto S. Rocco: 652-5.
Soubrier (mons.). Vesc. dí O r a n : 507-
511 {passim).
spedizioni missionarie súbito dppo la
morte di Don Bosco: 19.
Spagna: 526-544.
Spezia (La). Scuole di S. Paolo: 79.
Spinelli (don Gioachino): 287, 288, 294.
Spinola (card.): 97, 552, 558-540, 667,
668 (Siviglia).
Stampa salesiana 569-570, 450.
Starace (don Raffaele): 586.
Stati Uniti: 587-9.
Stefenelli (don Alessandro): 56, 702-5.
slemma della Congregazione: 95 (nota),
studentati di chierici: 41.
studi ecclesiastici: 59-40, 242-5, 452.
successioni: 14.
Sucre. Colegio don Bosco de Artes y
Oficios: 551-5.
Suore del Buon Pastore: 284.
Sutera (don Luigi): 555.
S v a m p a (card.): 406, 410-458 (passim),
621-8 (Bologna).
Svizzera: 555-565.
Tabarini (don Augusto): 529.
Taborga (mons.). Arciv. di Sucre: 552-5.
l a i c a . Talleres Sal. del Salvador: 50-
51, 115.
767
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80.3 Page 793

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Índice di persone, luoghi e cose noíeooli
Tallachini (don Felice): 557, 559,
Tamietti (don Gio.): 248.
l a r a b i n i (conté). Coop. ferrarese: 619.
l o r i c c o (don Gius.). Coop. faentino: 77,
462, 701.
Tarozzi (mons.). Segr. di Leone XIII
per le lett. l a t : 436.
Tarragona: Congresso: 343.
l a v e l l a (mons.). Vesc. di S a l t a : 162.
Teatini: 672.
Teresa Cristina. Colonia (Matto Grosso):
272, 274, 275, 486-92.
Terracina. Collegio Municipale: 35-6.
I e r r a del Fuoco: 62, 706.
Terrado (doña). Coop. di Malaga: 340.
Terranova. V. Gela.
T e r r a s a n t a : 104, 174-187.
Tittarelli (don Enrico): 387.
Toccalli (avv.). Coop. di Sondrio: 633.
1 ognetti (avv). Coop. svizzero: 359,
Tolone. Patronage S.te Famille: 305.
Tomasetti (don F r a n c ) : 656.
Tomatis (don Domenico): 30, 117.
l o n i o l o (prof.): 382, 429, 634.
Tonti (mons.). Del. Ap. al Venezuela:
515-7.
Torino. Martinetto. Scuole Apostoliche:
372-3. — Ospizio S. Gio. Ev.: 373.
— Valsalice. Seminario delle Mis-
sioni: 716-8, 725, 726-7.
Torrero (Pietro). Coadiutore: 464.
l o s i (mons.). Vesc. di Pavia: 632.
Toti (mons.). Vesc. di Val d'Elsa: 429.
Tournai. Orphelinat St. Charles: 301,
654-5.
Tournoud. Coop. di Ulzio: 376.
Tozzi (don Enea): 654.
Traversa (don Raffaele): 488.
7'rawinski (don F r a n c ) : 681-4.
Trecate. Seminario Vescovile S. Anto-
nio: 370-1.
1 rento. Istituto M. Aus.: 83, 379. — Or-
fanotrofio maschile: 378-9.
Trevi. Collegio Lucarini: 385.
Treviglio. Istituto S. Famiglia: 194-6.
Trieste. Oratorio S. Fr. di Sales: 661-4
Trino. O r a t o r i o S. Cuore di Gesíi: 188-
190.
Trione (don Stefano): 365, 393, 410-411,
414-5, 428, 612.
1 romhini (don) Coop. milaniise: 395-6.
TSerclaes (mons.). Rettore del Semi-
nario Belga a Roma: 427.
Tunisi. Eglise de N. D du Rosaire:
313-4. — La Marsa. Orphelinat Agri-
cole Perret: 313.
Turriccia (don Ambrogio): 271, 542-8.
Ulzio. Oratorio S. Cuore di Gesü: 375-6.
Umberto 1: 264.
u m i l t á : 742.
Ungheresi. Aspiranti: 378.
Unia (don Michele): 130-1, 141-154.
Universitá Gregoriana: 25
Uribelarrea. Escuela Agrícola Don Bo-
sco: 463-4
Uribelarrea (Michele). Coop. argentino:
463.
Uriburu. Pres. dell'Argentina: 462.
Useo (don Gio.): 179,
Usuelli. Collegio: 390.
Utrera. Colegio de N. S. del Carmen:
89, 332, 333, 346, 667, 668.
Uzcátegui (mons.). Arciv di Caracas:
513, 514, 519.
vacanze: 41-2.
vacchina (don Bernardo): 57, 110, 164,
165-9.
Valdivia (mons.). Vesc. di La Paz (Bol.):
530.
Valencia. Colegio Don Bosco: 518-522,
668.
Valerga (mons.). Patr. lat. di Gerusa-
lemme: 175, 182.
Valetto (don Luigi): 570, 600.
Valfré di Bonzo (mons.). Vesc. di Co-
mo: 632.
Valiese (suor): 67, 71, 72.
Valparaíso. Talleres Salesianos de S. A-
gustin: 468-9.
Vannutelli (card. Serafino): 383, 616-7
(Frascati).
Vannutelli (card. Vincenzo): 349, 352.
Varaia (don Antonio). 184.
768
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80.4 Page 794

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Índice di persone, luoghi e cose noteooli
Varchi (don Antonio): 119.
V a r i a r a (ch. Luigi): 152.
Vaschetti (madre Luisa): 508-9.
Vasconcellos (mons. Leite de). Vesc. di
Be j a : 346-7, 349.
Vecchiotti (mons.). Coop. di S. Salva-
dor: 578, 580-2.
Vega (Guglielmo). Coop. di Gualaqui-
za: 294.
Velez (gen.). Min. di Colombia presso
la S. S.: 124-130, 132, 145, 146.
Veneroni (don Alessandro): 662.
Venezuela: 513-524.
Vera (mons.). Del. Ap. nell'Uruguay:
118.
Verdure (Cario e Aglae). Coop. di Tour-
nai: 454-5
Verganteren (don Cario): 181.
\\ e r i t á (avv.): 518.
Verona. Istituto Don Bosco: 196-9.
Veronesi (don Moisé): 662, 673.
Versiglia (mons.). Vic, Ap. di Shiu-
Chow: 615.
Vespignani (don Ernesto): 645, 726.
Vespignani (don Giuseppe): 114, 199,
291, 461-2.
Vicariato di Gualaquiza e Méndez: 283.
603-610.
Vico (mons.). Del. Ap in Colombia:
697.
Victoria. P a r r o q u i a : 162.
Viedma. Colegio y Escuela de Artes y
Oficios: 48, 57, 155, 171.
Viglietti (don Cario M.): 623-4, 627.
Vigo. Instituto S. Matías: 341-2.
Villa (gen.). Min. di Colombia a Quito:
596.
Villa Colon. Colegio Pió IX: 108, 117,
269.
Villavicencio. Casa Parroquial: 696.
Villeneuve-Trans (march. Remo di): 6,
185, 428, 431.
Visconti-Venosta. Min. ital. degli Este-
ri: 593, 595, 596, 597.
Visitandine: 634, 657.
visite di Don Rúa alie Case: 74, 83, 98.
Vivaldi (can.): 164.
vocazioni: 45, 114, 190, 216, 244-5, 313,
408, 482, 484-5, 535, 665.
Vuylsche (mons.). Vic. Ap. delle An-
tille Olandesi: 524.
Yudice. Min. del Salvador: 579.
Zafféry (don Cario): 378.
Zambeccari ímarchesa). Coop. bologne-
se: 623, 624.
Zanella (don Agostino): 481.
Zatti (don Domenico) • 280.
Zefirino ( N a m u n c u r á ) : 172.
Zonchi (mons.). Vesc. di Jesi: 635
Zurigo. Missione Catt. Italiana: 361-3.
769
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80.5 Page 795

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Pag. linea
359 17
» 26
427 32
469 9
613 8
Errata-corrige
Busca
Casella
T Lerclaes
Savini
Cerruti
Rusca
Carella
T Serclaes
Scavini
Ceretti
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80.6 Page 796

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ÍNDICE
Premessa
. . . . , . . . , pag v n
CAPO Í. - II primo Successore di S. Giovanni Bosco
.» 1
CAPO II. - Stato della Congregazione alia morte di Don Bosco . . . » 8
CAPO III. - Primi atti del nuovo Rettor Maggiore . . . . . . . > 16
CAPO IV. - Fondazioni del 1888 e '89 in Europa e neU'America . . . » 28
CAPO V. - Quinto Capitolo Genérale ,
. > 37
CAPO VI. - Nel Vicariato Apostólico di Morís. Cagliero
* 48
CAPO Vli. - Nella Prefettura Apostólica di Mons. Fagnano . . . . » 61
CAPO VIH. - Prime visite di Don Rúa alie Case d'Italia
. . . » 74
CAPO IX. - Primi viaggi di Don Rúa all'estero
. » 84
CAPO X. - Giubileo delle Opere Salesiane
» 100
CAPO XI. - Fondazioni in Argentina, Cile, Uruguay, Brasile ed Equatore
durante il quadriennio 1890-93 , ,
> 110
CAPO XII. - Entrata dei Salesiani nella Colombia, nel Perü e nel Messico . » 124
CAPO XIII. - Agua de Dios
> 141
CAPO XIV. - Allargamenti del Vicariato Patagónico e nuovi centri di Mis-
sione
> 155
CAPO XV. - I Salesiani nella térra di Gesü
. » 174
CAPO XVI. - Fondazioni nell'ltalia peninsulare dal 1890 al 1892
. > 188
CAPO XVII. - Seconda fase delle fondazioni in Sicilia - Primo viaggio di
Don Rúa nell'isola
» 210
CAPO XVIII. - La Causa di Don Bosco - Come si arrivó al Processo ordi-
nario e alia sua chiusura
> 222
CAPO XIX. - Sesto Capitolo Genérale
» 238
C A P O XX. - Isola Dawson e Isola Grande - Mostra Missionaria a Genova
nel IV Centenario Colombiano
» 250
CAPO XXI. - II secondo Vescovo Salesiano e una nnova Missione . . > 267
C A P O XXII. - II terzo Vescovo Salesiano e una terza Missione . . . » 283
CAPO XXIII. - Nell'Inghilterra, nel Belgio e nella Francia dal 1891 al 1895 > 297
CAPO XXIV. - I Salesiani in África
» 306
CAPO XXV. - Fondazioni nella Spagna dal 1891 al 1894
> 326
CAPO XXVI. - I Salesiani nel Por toga lio » 345
771
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80.7 Page 797

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Índice
CAPO XXVII. - I Salesiani nella Svizzera . . . . . . . . .png.555
CAPO XXVIII. - Fondazioni dal 1893 al 1895 in Italia e in cittá di lingua
italiana nell'Impero austro-ungarico
* 364
CAPO XXIX. - I Salesiani a Milano
» 389
CAPO XXX. - II Congresso Salesiano di Bologna
» 409
CAPO XXXI. - Settimo Capitolo Genérale
. . . » 445
CAPO XXXI i. - In Argentina. Uruguay e Cile dal 1894 al 1898 . . . . » 461
CAPO XXXIII. - Nel Brasile dal 1894 al 1898 .
» 477
CAPO XXXIV. - Le Figiie di M. A. nel primo periodo del Rettorato di
Don Rúa - Visita della Madre Genérale alie Case d'America . . » 493
CAPO XXXV. - 1 Salesiani nel Venezuela
. » 513
CAPO XXXVI. - I Salesiani in Bolivia
» 525
CAPO XXXVII. - I Salesiani nel Paraguay
» 535
CAPO XXXVIII. - I Salesiani esiliati clalFEquatore . . . . . . . * 549
CAPO XXXIX. - II capo di accusa contro i Salesiani a Quito . . . . - » 572
CAPO XL. - I Salesiani nel Salvador e negli Stati Uniti . . . . . . > 578
CAPO XLI. - Ritorno dei Salesiani nell'Equatore . . . , . . . . * 590
CAPO XLII. - Nella Missione di Gualaquiza e Méndez
» 603
CAPO XLIII. - Fondazioni del 1896 in Italia
> 611
CAPO XLIV. - Fondazioni del 1897 in Italia
* t>29
CAPO XLV. - Ultime fondazioni in Italia durante questo periodo
. » 641
CAPO XLV!. - Nuove fondazioni in vari Stati d'Europa dai 1895 al 1898 . » 6^3
CAPO XLVIL - I Salesiani in Polonia
» 670
CAPO XLVIII. - Ancora un giro per 1'America
* 686
CAPO XLIX. - Nel primo decennio dalla morte di Don Bosco
. » 715
CAPO L. - L'ottavo Capitolo Genérale - Rielezione di Don Rúa . . » 732
CAPO LI. - Intorno alia spiritualitá, alia personalitá e al governo di Don
Rúa
» 743
772
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80.8 Page 798

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ÍNDICE DELLE ILLUSTRAZTONl
Don
Mi
chele
Maestro Giuseppe Dogliani
Serva di Dio Dorotea Chopitea
Don Michele Unia
Mons. Giovanni Cagliero
Don Antonio Belloni
Don Giuseppe Beauvoir
Mons. Luigi Lasagna
Servo di Dio Don Augusto Czartoryski
Don Luigi Rocca
Don Giuseppe Vespignani
Madre Enrichetta Sorbone
Madre Luisa V^aschetti
Don Luigi Calcagno
Don Evasio Rabagliati
Servo di Dio Don Andrea Beltrami
Don Giuseppe Bertello
Rúa
png. ni
» 82
» 89
» 153
» 172
» 185
* 257
» 276
» 376
» 454
* 461
» 496
» 505
» 551
. . . » 689
» 729
» 736
CARTINE GEOGRAFICHE
Argentina (Patagonia Settentrionale)
Terra del Fuoco
Patagonia Meridionale e Terre Magellaniche
Missioni Salesiane del Matto Grosso (Brasile) 1924
Equatore (Méndez y Gualaquiza)
» 160
* 249
» 265
> 273
¿> 288
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

80.9 Page 799

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Capo XIX
ringraziare il Signore, che continuo a benedire la nostra Congre-
gazione, non lasciandola mai incagliata, tanto da potersi diré che
siamo nihil habentes e non ci manca nulla. Con tutto ció é neces-
sario tenerci umili e bassi e di fronte alie altre Congregazioni ri-
guardarci per ultimi. Non censurarle mai; anzi esser loro rico-
noscenti, che tutte in qualche modo abbiano cooperato a darci ahito
dappertutto e in Europa e in America. Perció non mai censurarle e
tanto meno disprezzarle. Questo ci puó fare del bene e salvare da
tante noie. »
6 Setiembre. Si terminó Tésame delle proposte varié. Don Rúa
nelle due sedute impiegó molto tempo a ¡Ilustrare altri Pucordi
di Don Bosco; ma il verbale indica solo gli argomenti senza aggiun-
gere parola sulle cose dette per dilucidarli. Ne riferisce invece tre
raccomandazioni: promuovere la Pia Unione dei Cooperatori Sa-
lesiani, far conoscere e diffondere le Letture Cattoliche, far cono-
scere e diffondere la Pia Opera del Sacro Cuore. Firmato infine il
verbale di chiusura, tutti i presentí scesero in cappella per il Te
Deum e la benedizione.
L'U novembre, Don Rúa invió alie case una relazione sul Capi-
tolo Genérale, comunicando in pari tempo ufficialmente l'esito delle
elezioni del Capitolo Superiore e alcune recenti deliberazioni da lui
prese d'accordo con il suo Capitolo. Dopo oltre un anno di aspettazione
e di preghiera aveva giudicato conveniente nel Signore di affidare
a Don Marenco, Ispettore nella Liguria, l'ufficio, tenuto giá da Don
Bonetti, di suo Vicario Genérale riguardo all'Istituto delle Figlie di
Maria Ausiliatrice (1). Aveva poi nominato quattro nuovi Ispettori,
dei quali uno per la Liguria al posto di Don Marenco nella persona
di Don Tamietti, Direttore del Collegio di Este; un secondo per la
Francia al posto di Don Albera nella persona di Don Giuseppe
Bologna, Direttore della casa di Marsiglia; e due altri per nuove
(1) Nella lctt. cit. Don Cerruti diceva delle Suore a Mons. Caglicro: « Le Suore vanno esten-
dendo ogni di piú la loro missione benéfica. Mi pare che si mantengano abbastanza bene, malgrado
oualche inevitahile miseria, e vi si mantennero anche piíi e mcglio. finché durerá in loro la memoria
e l'affetto a Don Bosco. Ma si senté la neccssitá che abbiano un Direttore genérale, e questi faccia
parte del Capitolo Superiore Salesiano o almeno conviva con esso, ma con quella sola occupazione
el nihil aliud. >
248
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81 Pages 801-810

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Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

81.6 Page 806

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Visto per la Congregazione Salesiana
D. R. ZlGGlOTTl
Torino, 12 maggio 1943-XXI
Con approvazione ecclesiastica
Annali Società Salesiana Vol. II. Don Rúa 1888 1898

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