1152 ricaldone |
1152 / Ricaldone Pietro / 1933-9-10 /
1 a Don Pietro Ricaldone, Rettor Maggiore dei salesiani |
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Oita, 10 settembre 1933
Rev. ed amat.mo Sig. Don Ricaldone,
Mi trovo di passaggio ad Oita, venuto a consolare il nostro Don Marega che è un po’ in ansia per alcune cose relative all’andamento della casa, e non potendo più dormire (sono le tre) passo alcuni istanti con Lei, amato Padre, e per rispondere all’ultima sua carissima e per passare spiritualmente qualche istante con Lei. Grazie dei suggerimenti, delle tirate d’orecchie e della confidenza che mi eccita ad avere con Lei. Mi pare non sia mai mancata e spero che per quanto dipenderà da me non mancherà mai.
Voglio chiarire quanto mi dice sui giudizi espressi nei rendiconti, trovati un po’ neretti, motivando che Don Cimatti vorrebbe la perfezione… Le confesso che Don Cimatti conosce di essere ben altro di quello che pensano i Superiori e confratelli. Non parlo perché non sarei né creduto né compreso – l’ho fatto in altre occasioni – mi si obbligò al silenzio. Qui judicat me Dominus est e so benissimo che il giudizio sarà severissimo. Desidero ad ogni modo ripetere a tranquillità di mia coscienza che Don Cimatti se è relativamente sano di corpo, nonostante gli studi profani fatti, in cui è meno che mediocre, è debolissimo, per non dir nullo in studi ecclesiastici (ed è il mio massimo cruccio nell’attuale posizione)1 – ha un carattere sensibilissimo e di fuoco per il cuore – corpo eccitabilissimo – facoltà di comando nulla – di amministrazione peggio.
L’estendersi del lavoro in missione – e dell’opera nostra, con queste doti personali fa sì che Don Cimatti non possa in pratica più trovarvisi e orientarsi – dice di sì a tutti, perché ha la convinzione che quanto fanno o suggeriscono gli altri è il meglio – non ne azzecca una, e se non siamo a terra, è dovuto alla grazia di Dio, al lavoro dei confratelli.
Dal 1926 in cui sono qua, non so che abbia fatto – mi sono buttato in mano di Dio – mi affogai nei debiti (e Lei sa che è costato ai Superiori per tenermi a galla) – ho tentato di gridare ai confratelli: “Carità, Regola…”, stimo tutti come santi. Che devo dirle? Il risultato delle osservazioni un po’ nerette è quanto i confratelli mi dicono nei rendiconti orali o per lettera, e che desidero trasmettere ai Superiori affinché ci conoscano bene.
Non sono – questo mi preme dire – mio pensiero, mie vedute particolari in disfavore di loro, ma il risultato dei loro rendiconti o delle osservazioni che i capi-residenza fanno, e che trasmetto ai Superiori.
Sono quasi quarant’anni che ho dovuto fare relazioni di confratelli ai superiori, ed ho adottato sempre tale sistema a scanso di rimorsi di coscienza: mi pare di non essermi pentito.
Può essere che in qualche momento la parola, la frase suoni critica per quello che si sarebbe potuto o dovuto fare precedentemente dai responsabili – non c’entra il mal animo, no; ma solo il desiderio di cooperare (come mi sembra lo richiede lo spirito nostro) a che le cose nostre vadano sempre meglio.
Ad es. non ho avuto timore di dire ai Superiori: “Ho un chierico che non ci vede da un occhio – ne ho uno che balbetta… Mi pare che ai novizi avrebbero dovuto…” perché fossero informati e perché, se non erro, non trovo nulla sui dati informativi… che non sempre si riesce ad avere, anche dopo reiterate domande. Ma, amatissimo Don Pedro, escluda recisamente che ci sia in cuore di Don Cimatti malanimo, critica o altro verso i Superiori o verso chi lavorò in precedenza queste care anime. No, no. Ripeto: “Davanti a Dio, quando mi presenterò a Lui, voglio poter dire: ho detto tutto ai miei Superiori”. Come Don Cimatti conosce i suoi confratelli – non dico di conoscerli intus et in cute – desidero che così li conoscano i Superiori.
Ecco i motivi delle osservazioni forse minute, apparentemente pedanti o nerette dei rendiconti miei e dei confratelli. Di me, dei miei giudizi non mi fido – non vorrei darne, ma se devo desidero siano tali da rendere la fotografia più reale dei miei ai miei Superiori.
Quando lavoravo in Ispettoria col Sig. Don Manassero ebbi, per ufficio, in mano dei rendiconti. “…Fa bene… va bene…”. Via, amat.mo Sig. Don Ricaldone, a me tutto questo dice molto poco.
Per il personale, piglio quanto la bontà dei Superiori mi manda – non posso però nascondere ai Superiori le cose, specie le difficoltà intime di carattere, affinché i Superiori mi aiutino a far un po’ di bene a queste anime. Vorrei essere per esse come Don Bosco – ma sono di terra e senza comando. Vorrei essere Gesù – ma c’è Lui e per Lui, solo per Lui sul rendiconto si può dire “fa tutto bene!”.
Grazie ad ogni modo di tutto – non tema di dirmi le cose – come le pensa e vede – ma non dica più quella brutta parola: “…Certe cose si perdonano però di gran cuore. Ricordati che io perdono e dimentico sul serio e totalmente” perché non mi è mai venuto in mente che se uno perdona, non dimentichi. Ah, guai se il Signore perdonando non dimenticasse!… Mi dispiace di essere stato causa di dispiacere per l’accenno al non avere potuto i Superiori inviare personale – la frase non rese – mi pare di non avere accennato alla nuova opera salesiana di Tokyo, poi… Tutta la relazione è salesiana dato che sono missionari salesiani che lavorano, e non intendo certo di cessare di esserlo perché debbo anche fare il Superiore ecclesiastico. D’altra parte dalle mie lettere precedenti sanno i Superiori come Don Cimatti la pensi in relazione alle dignità ecclesiastiche e non.
Deo gratias! Don Margiaria potrà chiarire molte cose, ed anche il nostro Don Antonio, che fra qualche mese accompagnerà il ch. Baratto. Insisto sempre presso i confratelli a che scrivano ai Superiori – godo quando ricevo osservazioni dai Superiori che mi fanno capire che i confratelli hanno scritto – godrò delle relazioni che Don Margiaria e Don Antonio faranno. Interroghi, investighi – sono del Consiglio. Ma per la casa di formazione se non viene personale è l’eterno circolo… Attendo con fiducia le risposte ufficiali e gli scritti del caris.mo Sig. Don Berruti.
La parola d’ordine di quest’anno “Carità e purezza”. Preghi per noi. Prevedo quest’anno molto doloroso – odor di polvere in aria… Il Giappone s’incammina male – cambio del Delegato – l’Università cattolica agonizzante – Marianisti in forti dolori – cattolicismo combattuto assai. Ah, avessimo in mano la gioventù operaia! Animo adunque… Ma che cosa si aspetta? Mah! Non capisco proprio. E pensare che c’è nessuno che lavora per gli operai!
Nessuna novità speciale. Tokyo bene. Domenica passata l’Arcives. fu da noi tutto il giorno (400 giovani). Era fuori di sé dalla gioia e disse: “Qui a Mikawajima scuola e tipografia sono impossibili, data la strettezza del locale ed il bene immenso che fate a questa poveraglia”. Deo gratias! In questi giorni Don Tanguy (che ho inviato a Tokyo – Don Cimatti è legato in modo che non può muoversi) e Don Piacenza forse tenteranno la questione di cui parlai. Pregare Monsignore che invece di pagargli le case, ci permetta di comprare un vasto terreno. Vedremo!
Ed ora basta davvero. Preghi per me. Non pensi alle mie parole come autodifesa… Oh, per carità! È il figlio che parla col cuore alla mano per essere conosciuto, guidato. Ricordo ai Superiori che il sessennio è passato per me. Ah!, che buon esempio si darebbe e quanto vantaggio ne verrebbe alla missione e all’opera nostra… Mi benedica e con me noi tutti che più lontani, credo, le siamo i più vicini.
Tutto suo aff.mo
Don V. Cimatti, sales.
1 Da notare che, come si usava spesso in quei tempi, anche Don Cimatti aveva fatto gli studi di Teologia a Valsalice, mentre aveva gli impegni di insegnante e contemporaneamente frequentava l’Università di Torino.