1435 salesiani


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1435 / Circolare Salesiani / 1935-6-5 /


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1.1 ai Confratelli della Visitatoria salesiana S. Francesco Saverio

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Tokyo, 5 Giugno 1935


Carissimi confratelli,


È piaciuto al Signore chiamare alla vita eterna il suo servo fedele, il buon soldato


SAC. PIETRO PIACENZA

Professo perpetuo – Economo Ispettoriale

Direttore-Parroco dell’Opera salesiana a Tokyo – Mikawajima


È il primo confratello salesiano che si è presentato da questa terra di martiri al tribunale di Gesù, e tutti abbiamo la ferma speranza in cuore di aver acquistato un ottimo rappresentante in Cielo: vi prego di renderla certezza con gli abbondanti suffragi, che imploro per quest’anima cara ed a conforto dei parenti, a conforto dei tanti amici di Don Pietro e di noi tutti.

La vita di Don Piacenza si viene svolgendo dal 25 marzo 1894 al 3 giugno 1935 in poco più di 41 anni. Dalla piissima educazione di famiglia “dove ha sempre tenuto ottima condotta, e promette un felice avvenire”, entra il 15 Ottobre 1906 all’Oratorio: vi compie le quattro ginnasiali, e “per la condotta esemplare in tutto” per “l’ardente desiderio di vivere e morire per la nostra e nell’amata nostra Congregazione” è annoverato definitivamente tra i figli di Don Bosco coi voti perpetui il 27 dicembre 1920. Già negli anni della sua formazione a Valsalice, colla serietà degli studi, col lavorio di perfezionamento della sua anima, col magnifico e promettente lavoro, di cui diede prova all’Oratorio San Giuseppe (oh, come lo ricordano i bravi giovani del XV Maggio!) preludeva al lavoro futuro.

Dal Luglio 1915 all’Ottobre 1918 compie con onore i suoi doveri militari, e tanto come semplice soldato che come ufficiale “è di edificante pietà e sincero attaccamento alla famiglia di Don Bosco – ha un contegno che non smentisce ma afferma senza rispetti umani la sua decisa volontà di rimanere fedele ai suoi doveri – e si attira la benevolenza di tutti”. Nel 1922 è sacerdote, e dopo aver lavorato esemplarmente in varie mansioni all’Oratorio e a Lanzo, fa parte della prima spedizione missionaria in Giappone nel 1925. Direttore di Nakatsu, vi inizia l’Oratorio e il Piccolo Seminario indigeno (1927-1930). Economo oculatissimo della Visitatoria e prezioso insegnante al nostro studentato filosofico, dà vigoroso impulso all’Oratorio di Takanabe (1931-32) e finalmente inizia l’Opera Salesiana a Tokyo (l933), e sempre dappertutto si dimostra il sacerdote zelante, il missionario che si dona alle anime con amore sacrificato – il salesiano che ama svisceratamente i grandi amori di Don Bosco, l’Eucaristia, Maria A. e il Papa, propagandandone a tutto potere le devozioni e le opere – il salesiano che vuol far conoscere Don Bosco e l’Opera sua, e che lavora indefessamente per le vocazioni, per la organizzazione dell’Opera dei Cooperatori e specialmente per l’opera più cara ad ogni salesiano, l’Oratorio festivo. Oh, bisognava vederlo in mezzo ai suoi fanciulli! Come fu felice nel giorno di Natale di averne attorno a sé oltre duemila, e mi scriveva giocondamente: “…e all’anno prossimo saranno tremila”.

A Don Bosco affidava le opere di apostolato che aveva fra mano; le raccomandava ai confratelli nelle buone notti, e per iniziarle e compierle sceglieva sempre le date più care al cuore del Salesiano.

Aveva poi un modo tutto caratteristico per domandare la carità, per cui nessuno si rifiutava. Gongolava di gioia quando poteva acquistare qualche buon benefattore per le opere che aveva tra mano.

E mi permetta il nostro Don Pietro che possiamo edificarci anche delle sue virtù. Lo conosco dai suoi anni di studentato a Valsalice, e da tempo l’avevo capito a fondo, godendone l’amabile confidenza. Ha operato tutta la vita IN SILENTIO ET IN SPE, ma parlano eloquentemente di lui le opere e le manifestazioni esterne della sua vita religiosa.

È Salesiano tutto di un pezzo, che non ammette né per sé, né per gli altri confratelli dei mezzi termini o tentennamenti o compromessi nell’osservanza della regola; gioisce nel vedere la missione e l’opera nostra in Giappone ricca di povertà, è per questa che affluiscono a lui da ogni parte gli aiuti; custode integerrimo della purezza sua e di quelli a lui affidati, difende con maschia e rude fortezza sé ed i suoi dal paganesimo che lo circonda – ed è tale il suo riserbo, che nelle manifestazioni stesse della carità con tutti appare piuttosto ritenuto, di poche parole, poco espansivo, in qualche occasione quasi freddo.

Eppure chi ne conosceva il gran cuore, spalancato a tutte le manifestazioni della carità, che non dice mai basta quando si tratta del bene, comprendeva che sotto la corazza di difesa della purezza albergava un cuore materno. Oh, sì, per Don Piacenza: “SANTITÀ È PUREZZA”. Ed è un frutto della sua carità casta, prudente, silenziosa, la simpatia generale saputa attirare fin dagli inizi sull’opera nostra a Tokyo. La stampa locale, le autorità civili e scolastiche della zona di Mikawajima, il R. Ambasciatore d’Italia in persona e il personale dell’Ambasciata vollero partecipare al nostro cordoglio intervenendo ai funerali – le massime autorità ecclesiastiche, S. E. il Delegato Apostolico, S. E. l’Arcivescovo di Tokyo che alle esequie si degnò di tesserne l’elogio funebre, i Missionari e Congregazioni religiose della città in ogni maniera ci fecero comprendere quale larga attività di affetti aveva saputo suscitare il nostro Don Piacenza – la famiglia cristiana di Mikawajima, che nei due anni e mezzo di lavoro suo fu da trenta elevata a trecento, ne vegliò con cura filiale la salma e con largo tributo di preghiere manifestò la sua riconoscenza al padre delle anime loro – la buona popolazione del rione e specialmente i suoi piccoli amici, che lo chiamavano come l’avevano proclamato fin dagli inizi del suo lavoro i giornali “il santo della strada, il santo della barba”, in una processione interminabile accorse a visitare la salma, circondandola di fiori vaghissimi, tanto cari al nostro Don Piacenza; volevano vederlo e manifestare nelle forme d’uso il loro affetto.

I funerali riusciti imponenti e per il concorso delle autorità religiose e civili che vi parteciparono, e per la larga rappresentanza dei confratelli salesiani ed opere della missione di Miyazaki, e per la rappresentanza degli Ordini e Congregazioni religiose ed Opere cattoliche di Tokyo, e per la numerosa partecipazione dei fanciulli dell’Oratorio e della popolazione pagana, ebbero la caratteristica di cordiale cordoglio, di stima affettuosa, di universale rimpianto, che strappava calde lacrime anche ai pagani.

Ma a meglio comprendere la personalità del caro Don Piacenza e la direttiva del suo lavoro, occorre conoscere quanto scrisse il 29 dicembre 1925, giorno della sua partenza pel Giappone, quasi programma della nuova vita che stava per cominciare:

Distacco doloroso da Valdocco; dalla nostra buona Mamma Maria A.; dai carissimi Superiori; dai molti amici; da quei luoghi che mi videro fanciullo, che mi fortificarono nelle incertezze del dopoguerra; da quell’altare che mi vide tante volte prostrato in dolce abbandono e tante volte in preda ai più disparati sentimenti, sempre però tendenti a compiere la volontà santa di Dio. Maria SS.ma mi continui la sua protezione nei momenti difficili che mi attendono ed accetti il mio ardente desiderio: LA MIA NUOVA VITA SIA UNA CONTINUA IMMOLAZIONE A GESÙ PER LA SALVEZZA DELLE ANIME, in isconto dei miei peccati. Mi manca tutto; sono buono a nulla. Gesù, Maria che almeno possa soffrire e così fare un po’ di bene a me e agli altri… Che nessuno abbia a soffrire per me. A ME TUTTI I MALI, TUTTE LE SOFFERENZE, O SIGNORE. SOLO COSÌ, CON LA VOSTRA S. GRAZIA, POTRÒ ESSERE UTILE ALLA NUOVA MISSIONE...”.

È con lacrime di consolazione che scrivo dallo stesso tavolo di Don Piacenza, dalla stessa camera sua, testimone in parte dei dolori che con sacrificio eroico domandò al Signore, e che con pazienza inalterabile seppe sopportare in dieci anni di lavoro, e di qual lavoro!, lacrime di consolazione, ho detto, perché penso alla bontà del Signore, che, prediligendolo, lo esaudì abbondantemente, e perché penso al bene immenso che da queste sofferenze venne all’anima sua, che si veniva perfezionando quotidianamente in questo purificatoio, e perché penso al bene immenso che ne venne alla Missione ed opera salesiana in Giappone, irrorata e alimentata da tale linfa vivificatrice.

Dieci anni di sofferenze per malattie intestinali di vario genere e per reliquati di guerra; per flebite cronica con ripercussioni al cuore, che non gli lasciava requie specie di notte e per curare le quali si dimostrarono inefficaci le cure più energiche; per emicranie fortissime, e recentemente per tre dolorosissime operazioni intestinali, col seguito di ripercussione sanguigna al cervello; sofferenze che non derogano al costante lavoro né al ritmo regolare dei suoi doveri sacerdotali, missionari e religiosi nella vastissima zona affidata alle sue cure evangeliche (cinquecentomila abitanti), sofferenze sostenute fino all’ultimo dalla pietà e dal conforto dei sacramenti, e che ebbero fine all’Ospedale internazionale di Tokyo in un placidissimo sonno di quasi tre giorni, dal quale si svegliò all’eternità. Forse presentiva la fine; ordinò difatti definitivamente tutte le cose sul come non aveva fatto per le precedenti operazioni, mi scongiurò solo che lo lasciassi al suo posto di lavoro fino al giorno dell’Ascensione, dovendo preparare al battesimo quindici persone, la retata più bella e numerosa capitatagli di colpo a Mikawajima; ed avuta questa consolazione che gli inondò l’anima della gioia più pura, si abbandonò nelle mani dei medici, disposto alla volontà di Dio, che fu sempre il sospiro della sua vita.

Le cure paterne dei medici, di cui si era avvinto il cuore; le solerti attenzioni delle Francescane di Maria che dirigono l’Ospedale; le visite frequenti di S. E. l’Arcivescovo di Tokyo, dei suoi fratelli di apostolato i missionari della Diocesi, di benefattori, amici ed ammiratori e specialmente l’assistenza amorosa dei Salesiani di Tokyo, confortarono il nostro Don Pietro fino agli ultimi momenti.

A tutti il più vivo ringraziamento per tanta carità che Dio solo può ricompensare. Ai parenti e congiunti, e specialmente al fratello Arciprete Don Amabile la più viva partecipazione di condoglianze e assicurazione di preghiere da parte di quanti conoscono Don Piacenza in Giappone. Ai miei amatissimi confratelli l’augurio che possiamo tutti essere salesiani e missionari della tempra di Don Pietro.

Pregate per noi, potete ben comprenderlo, più che addoloratissimi, e specialmente pel

Vostro aff.mo nel Signore

Don Vincenzo Cimatti, sales.1


1 La lettera mortuaria inviata a tutte le case Salesiane è stata riportata con alcune correzioni introdotte da Don Cimatti stesso nella relazione che mandò al Bollettino salesiano. Giugno 1935. R. M. 689.