dolo, conservandolo e sviluppandolo
in casa, un ambiente di sicurezza dai
pericoli fisici, mentali, affettivi, mo-
rali e religiosi. Creare inoltre un am-
biente ricco di vita e di soddisfazione
affettiva. A questo fine i genitori de-
vono essere presenti e disponib,ili per
i figli; i figli devono essere liberi di
invitare amici. I genitori hanno poi il
compito di avvertire e sorvegliare gli
inevitabili influssi negativi riportati
dalla scuola, dalle compagnie, dai di-
vertimenti. Devono riprendere per
correggere questi influssi, e se è il
caso eliminarli.
Sull'esempio di Don Bosco, comun-
que, si può ricordare che: prevenire è
meglio che reprimere; la noia e l'ozio
sono cattivi consiglieri; il miglior
maestro è l'esempio; l'amor di Dio è
la massima forza di persuasione; ra-
gionare, convincere e far innamorare
del bene è l'unica via per la definiti-
va vittoria.
L'incontro col male infatti è oggi
inevitabile, e vincono solo i figli edu-
cati a una personalità positiva di ro-
busto valore.
2) L'amorevolezza e la confidenza
della vita in famiglia
Stile di parole e di azione, di «gui-
da» amichevole, paterna, educativa
di Don Bosco con i suoi giovani:
«Io non voglio che mi consideriate
tanto come vostro Superiore quanto
come vostro amico. Perciò non abbia-
te alcun timore di me, nessuna pau-
ra, ma invece molta confidenza, che è
quello che io desidero, che vi doman-
do, come mi aspetto da veri amici». E
ancora Don Bosco offre ai giovani
l'esempio del discorso ai figli in argo-
mento. «Noi non vogliamo essere te-
muti: desideriamo di essere amati e
che abbiate in noi tutta la confiden-
za. Che cosa vi è di più bello, in una
casa, di questo: che i genitori godano
la confidenza dei figli?» (Memorie bio-
grafiche, vol. VI, p. 320).
Era un ragazzo di grande ingegno;
frequentava le scuole pubbliche della
città di Torino, ma si mostrava svoglia-
to: non studiava. Suo padre, preoccu-
patissimo, ne parlò con alcuni amici:
come fare con quel ragazzo? Un amico
gli accennò una soluzione: «Conosco
un prete a Valdocco che ha aperto da
poco un collegetto».
«Si chiama?». «Don Bosco». «Ah, Don
Bosco, sì, ma ha un collegio da ragazzi
poverissimi; troppo umiliante per la
nostra condizione sociale. Mio figlio
non ci si adatta certamente». «Perché
no, papà - interloquì il ragazzo che
era presente al colloquio - . Mettimi in
quel luogo e vedrai che ci starò». La
notte, il ragazzo fece un sogno. Gli pa-
reva di essere in cortile con dei fogli in
mano; ed ecco una folla di ragazzi ap-
plaudire un prete che stava sul balla-
toio di una casa; e lui, su di corsa per le
scale per andare a baciare la mano di
quel prete. Che buono quel prete! Gli
faceva persino una lode meravigliosa:
«Tu sei un bravo ragazzo, non è vero?».
Dopo qualche mese, quel ragazzo en-
trò nell'Oratorio di Don Bosco. Il sogno
l'aveva quasi dimenticato. All'inizio
stentò a ingranare nella vita dell'istitu-
to. Don Bosco era fuori Torino. Un
giorno, il suo insegnante gli diede un
fascio di fogli da portare ad un altro
superiore. Mentre scendeva le scale, il
ragazzo senti uno scroscio di applausi
prolungati. Che succede? Corre in cor-
tile e trascinato dall'entusiasmo si met-
te ad applaudire anche lui e a gridare:
evviva. Tutti tenevano gli occhi e la te-
sta alzati verso Don Bosco che, tornato
da una lunga assenza, stava sul balla-
toio e rispondeva al loro saluto. Al ra-
gazzo si riaffacciò il ricordo del sogno:
il cortile, la massa giovanile, la casa,
quel prete e lui con un fascio di fogli in
mano. Ebbe un brivido di commozione.
Risalì le scale, corse sul poggiolo, baciò
la mano di Don Bosco e ne ricevette
una lode bellissima: «Tu sei un bravo
ragazzo, non è vero?». Non la dimenti-
cò più per tutta la vita.
La lode per un cuore giovanile è
come il sole: se non la riceverà, il ra-
gazzo non può crescere né fiorire.
Una domenica Giuseppe Brosio, un
giovanotto molto affezionato a Don Bo-
sco, notò che il Santo non era in corti-
le. Strano! Si mise subito a cercarlo in
ogni angolo della casa. Cerca e ricerca,
finalmente lo trovò in camera. Don Bo-
sco era triste, molto triste, sembrava
che stesse per piangere.
- Che succede Don Bosco? - Gli
chiese premuroso. Don Bosco taceva,
chiuso nel suo dolore. Il giovane insi-
stette perché gli facesse conoscere il
motivo di tanta sofferenza.
- Uno dei nostri ragazzi - disse in-
fine Don Bosco - mi ha oltraggiato e
svillaneggiato. Per quel che mi riguar-
da, non mi importa punto; ma il peggio
è che lui si trova su una brutta strada e
chissà che fine fara.
Brosio si sentì toccato sul vivo. Con
una vampata di collera mostrò i pugni
e assicurò Don Bosco che ci avrebbe
pensato lui a vendicarlo. Don Bosco lo
guardò fissamente: - Tu vuoi vendica-
re Don Bosco, non è vero? Hai ragione;
ma a un patto: la vendetta la faremo in-
sieme. Sei contento?
- D'accordo - gli rispose Brosio.
- Allora vieni con me - lo invitò
Don Bosco.
E lo condusse in Chiesa a pregare
per quel ragazzo insolente che lo aveva
offeso.
«Credo che Don Bosco abbia pregato
anche per me - ricordava più tardi
Brosio - perché in un momento mi
sentii un altro, letteralmente cambiato.
Lo sdegno contro quel mio compagno
si era mutato in perdono».
Don Bosco era solito dare questi
consigli:
«Ricordatevi che perdonare vuol
dire dimenticare per sempre».
«Se volete ottenere molto dai vostri
allievi non mostratevi mai offesi con-
tro qualcuno. Perdonatelo sempre».
C'è qualcosa di divino, di miracoloso
nel modo in cui il perdono riesce a con-
ciliare ciò che sembra assolutamente
inconciliabile. ·
Il perdono è il vertice della carità. Se
la carità è un dono, il perdono è un
raddoppio di dono. È una grazia che re-
dime. La psicologia moderna insegna
che la capacità di perdonare e di accet-
tare il perdono è l'indice di un caratte-
re ben equilibrato.
3) Sviluppare per far amare
Don Bosco diceva così: «Non basta
che il primo cerchio, cioè la famiglia,
sia sano, bisogna che sia sano anche
quel secondo cerchio, inevitabile che
è formato dagli amici del fanciullo .
Cominciate a dirgli che vi è gran
differenza tra compagni e amici. I
compagni non se li può scegliere: li
ritrova nel banco della scuola e nel
luogo di lavoro o di adunanze. Gli
amici invece li può e li deve scegliere.
Non ostacolare la naturale vivacità
del fanciullo e non chiamatelo catti-
vo perché non sta fermo.
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Però questo non basta; il giuoco e il
moto potranno occupare metà, ma
non tutta la vita del fanciullo. Il cuo-
re ha bisogno di nutrimento suo, cioè
ha bisogno di amare.
E qui lo zelo dei genitori e degli
educatori deve essere buon consi-
gliere.
Le cose del cuore procedono come
le cose della salute fisica. È possibi-
le guardarsi dalle mille cause che ci
assediano e che insidiano la nostra
salute; anche se ci mettessimo sot-
to una campana di vetro non sarem-
mo sicuri.
Ogni cristiano deve essere un coo-
peratore di Dio, perché a tutti disse il
Signore: avrai cura del tuo prossimo e
lo amerai come te stesso.
Se vuoi però avere fiducia di quan-
to Don Bosco diceva e faceva e volete
lavorare con il suo spirito, voi diven-
tate cooperatori con Don Bosco.
Badate bene: coopererete con Don Bo-
sco e non già, coopererete per Don Bosco.
L'opera salesiana vive di sola cari-
tà e quindi ha bisogno di coloro che
l'aiutano e costoro si dicono BENE-
FATTORI; ma essa è anche ed essen-
zialmente, un esercito di apostoli che