Se, peraltro, si intraprende
per tempo, prima dell'adole-
scenza, questa via, non sarà dif-
ficile (l'esperienza lo conferma)
trovare i figli disponibili, perché
la naturale generosità dei ragaz-
zi e il loro bisogno di afferma-
zione personale li porta a dire di
sì anche a prove per loro impe-
gnative e faticose.
Un'esigenza da non sottovalu-
tare, nell'educare i figli ad ama-
re la vita, è anche quella di svi-
luppare in loro il gusto e l'amore
del Bello. Purtroppo la nostra
cultura, improntata all'efficien-
tismo e all'utilitarismo, trascura
la dimensione estetica del vive-
re. Il rapporto pragmatico, ,poi,
col Creato, sempre più caratte-
riggato dal dominio dell'uomo
su di esso, non favorisce e non
sviluppa la sensibilità alle bellez-
ze della Natura. Non abbiamo
tempo per fermarci a contem-
plare un prato fiorito o un tra-
monto in riva al mare, oppure
non lo riteniamo utile. Eppure la
contemplazione del Creato ci
può aiutare a superare uno stato
di amarezza, a risanare una feri-
ta, a riconciliarci con la vita.
Anche per questa esigenga, è
saggezza educativa dei genitori
saper trovare il tempo per un'e-
scursione familiare in campagna
o in qualche tipico ambiente na-
turalistico (il bosco, il lago, la
montagna, ecc.) e qui suscitare
nei figli atteggiamenti di esplora-
zione, di ricerca e di meraviglia
di fronte alle varie forme di vita
e alle bellezze della Natura.
Educare all'amore di se stessi
L'amore di se stessi può sem-
brare un dato indiscutibile,
scontato, oggi che la mentalità e
i comportamenti sono spesso se-
.gnati o eiettati dall'ecocentrismo
e dall'egoismo. Ma l'egocentri-
smo e l'egoismo non sono sino-
nimo di un vero amore di sé, ne
sono anzi una degenerazione. Il
vero amore di sé esige l'impe-
gno di conoscersi, di costruire la
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propria identità, di scoprire, svi-
luppare e mettere a frutto le
proprie capacità e i propri talen-
ti, di realizzarsi pienamente nel-
1'apertura agli altri e alla socie-
tà.
E questo non è frutto di una
semplice inclinazione naturale,
ma di un'attenta educazione, di
atteggiamenti educativi che han-
no la loro sede più propria nella
famiglia, nella responsabilità dei
genitori.
Ma quante difficoltà lungo
questa direzione! Anzitutto il
forte condizionamento del con-
formismo sociale, che agisce
non solo sui ragazzi, ma anche
sui genitori. In una società di
massa, il peso dei comporta-
menti collettivi, massificati inci-
de non solo nella sfera materiale
del vivere (gli acquisti, l'arreda-
mento della casa, il modo di ve-
stire, ecc.), ma anche, e più pe-
ricolosamente, nella sfera del-
l'interiorità, della personalità,
«dettando» norme sul modo di
pensare (o di non pensare), sui
valori e sulla loro gerarchia, sul
linguaggio, fissando quasi dei
«modelli di personalità» social-
mente legittimati. (È noto che
oggi, per certi lavori, si richiedo-
no non solo le specifiche compe-
tenze, ma anche precisi requisiti
di carattere, di personalità).
Una forma di mentalità massi-
ficata è, per esempio, quella che
identifica la realizzazione perso-
nale con la carriera, con lo sti-
pendio, col prestigio sociale: si
crede di essere o di valere di più,
se si sta più in alto nella scala so-
ciale, se si guadagna di più, se si
è più considerati e ammirati da-
gli altri. Quanto non pesa questa
mentalità sulle scelte dei giovani
e soprattutto sugli atteggiamenti
educativi dei genitori! Quante si-
tuazioni esistenziali compromes-
se dall'aver considerato, in certe
scelte, solo questi parametri,
questi criteri!
Né le agenzie esterne alla fa-
miglia agevolano validamente il
compito dei genitori di aiutare i
figli a sviluppare la loro identità,
la loro personalità. La scuola,
ovviamente, un certo contributo
in tal senso lo dà; ma la scuola
superiore, che accoglie i giovani
nell'età dell'adolescenza, in
un'età cioè particolarmente deli-
cata per lo sviluppo dell'identità
personale, è troppo centrata e fi-
nalizzata all'acquisizione di un
sapere specifico, al raggiungi-
mento di precisi traguardi cultu-
rali, per poter aiutare il giovane
a costruire la propria identità.
Forse un contributo maggiore
lo danno i gruppi giovanili eccle-
siali, almeno quelli il cui cammi-
no formativo si apre al discorso
vocazionale (nel senso e nell'ac-
cezione più ampia del termine
«vocazione») .
Il compito dei genitori, dun-
que, per questo aspetto dell'edu-
cazione all'amore, è piuttosto
arduo e spesso si scontra con
una realtà ostile o che non age-
vola. Ma alcuni orientamenti
crediamo che possano aiutare
ad assolvere questo compito.
Si tratta, in primo luogo, di
essere attenti alle inclinazioni,
alle attitudini e alle reali capaci-
tà dei propri figli, non sottovalu-
tandole né sopravvalutandole.
Sopravvalutarle, invece, è la
tentazione e l'errore più facile
per i genitori: credere cioè che i
propri figli possano raggiungere
qualsiasi traguardo, e restare
magari poi delusi (facendo pesa-
re tale delusione) se qualche tra-
guardo non riescono a raggiun-
gerlo. Si rischia così di far incor-
rere i figli in insuccessi spiacevo-
li (che vengono a volte dramma-
tizzati e che hanno sempre, co-
munque, un effetto umiliante
per la persona), insuccessi che
una valutazione realistica delle
possibilità potrebbe evitare.
Sdrammatizzare, invece, e ri-
dimensionare (ed è questo un al-
tro orientamento) eventuali in-
successi dovuti a limiti personali
dei figli o a oggettive difficoltà,
cercando possibilmente insieme
di individuare i motivi, è un at-
teggiamento che incoraggia, che
sostiene e dà fiducia, che aiuta a