Bollettino_Salesiano_199302cooperatori


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RIVISTA FONDATA
DA S. GIOVANNI BOSCO
NEL 1877
ANNO 117 - N. 4 • 2" QUINDICINA 15 FEBBRAIO 1993 • SPEDIZIONE IN ABBONAM ENTO POSTALE GRUPPO (70)
1994 ANNO INTERNAZIONALE
DELLA FAMIGLIA
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Verso il Congresso Regionale
Quindicinale di informazione
e cultura religiosa edito
dalla Congregazione Salesiana
di San Giovanni Bosco
Anno 117 - N. 4 - 2• Quindicina
15 FEBBRAIO 1993
SOMMARIO
2 VERSO IL CONGRESSO
REGIONALE
Pasquale Massaro
3 QUESTIONE DI CUORE
Pompeo Santerelli
5 L'EDUCAZIONE ALL'AMORE
IN FAMIGLIA
Maria Pia e Nino Sammartano
7 Conosciamo il RVA Art. 8:
IN FAMIGLIA (I parte)
Lello Nicastro
10 GRAZIE , Sr. PIERINA!
11 Conosciamo i nostri santi
VENERABILE ANDREA BELTRAMI
Pasquale Liberatore
12 Invito del Pontificium
Consilium pro familia
13 Matrimonio:
Sacramento della Famiglia
14 ATTIVITÀ DEI CENTRI
15 Prepararsi al Pellegrinaggio
in Terra Santa
Direzione e Amministrazione:
Via della Pisana, 1111 - C.P. 9092
00163 ROMA Aurel io
te!. 06165.92.915 - Fax 06/65.92.929
Conto Corrente Postale 46 20 02
Direttore Responsabile:
UMBERTO DE VANNA
L'Edizione di metà mese, destinata ai
Cooperatori Salesiani , è curata dall 'Uffi-
cio Nazionale ACS (Pasquale Massaro)
Via Marsala, 42 - 00185 ROMA
te!. 06/44.60.945 - Fax 06144.63.614
Conto Corrente Postale 452 56 005
Per riceverla rivolgersi al proprio Centro
ACS, che, tramite l'Ufficio lspettoriale,
invierà la richiesta all'Ufficio Nazionale:
Registrazione:
Tribunale di Torino n. 403 del 16.2.1949
Officine Grafiche Subalpine • T orino
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Sapientemente stimolata dal
Coord inatore Generale Paolo San-
toni, anche la nostra Regione ACS
(Italia e Medio Oriente) ha iniziato il
cammino verso il CONGRESSO RE-
GIONALE, che si terrà a Roma Pisa-
na dal 4 all '8 Settembre 1993.
Secondo le indicazioni della Con-
sulta Mondiale, dal mese di Giugno
1993 al mese di Giugno 1994 si do-
vranno infatti svolgere o «celebra-
re» i Congressi nelle varie Regioni
del mondo in cui è divisa l'ACS.
Si tratta di un impegno settennale
e perciò molto importante e signifi-
cativo nella vita dell 'Associazione.
Dopo la lettera di convocazione
del Rettor Maggiore, è partita la
«macchina» organizzativa (in senso
ampio) e già si stanno innestando
le marce più alte perché tutto sia
pronto e, soprattutto, perché tutti i
Cooperatori sentano il Congresso
come «avvenimento ed evento» che
riguarda tutti e in cui tutti si sentano
coinvolti e partecipi .
I primi passi li abbiamo iniziati
alla Conferenza Nazionale di Rocca
di Papa, dove Paolo Santoni e Pie-
rangiolo Fabrini, Consultore Mon-
diale della nostra Regione, hanno
coinvolto tutti i Coordinatori lspetto-
riali e, loro tramite, tutti i Consigli
lspettoriali e i Cooperatori d'Italia.
È seguito il 23/24 gennaio e.a.
l'incontro del Gruppo di lavoro, di,
cui fanno parte un rappresentante
per ogni Consiglio lspettoriale ACS ,
Paolo Santoni, Pierangiolo Fabrini,
Sr. Maria Collino, Don Josè Reino-
so, Iolanda Masotti, Sr. Anna Ron-
chetti e Don Pasquale Massaro.
Anche i Delegqti e le Delegate
sono stati caldamente invitati a sta-
re accanto ai Cooperatori per un
fraterno sostegno nella fase di pre-
parazione e di realizzazione del
Congresso Regionale.
La scelta di svolgere nelle Regio-
ni il Congresso Mondiale è stata
\\
motivata dalla possibilità di offrire,
in questo modo, l'occasione di una
maggiore partecipazione, oltre che
una maggiore aderenza alle proble-
matiche e alle esigenze specifiche
delle varie Regioni.
Il Congresso Regionale, scrive
Pierangiolo Fabrini, deve essere
messo al primo posto tra gli impe-
gni di quest'anno. Tra i Delegati e i
Coordinatori è già circolata la pro-
posta di dedicare la Il Conferenza
annuale al tema del Congresso, che
farà riferimento alle povertà che
emergono, con forse maggiore am-
piezza, anche nelle nazioni extra-
europee, al dialogo interculturale
e alla cultura dell'accoglienza. Si
vuole offrire a ogni Cooperatore lo
stimolo perché, come Don Bosco,
apra il cuore alle nuove povertà,
soprattutto giovanili , e, come Mam-
ma Margherita, apra anche la pro-
pria casa.
Il Congresso vedrà anche la ele-
zione del nuovo Consultore Mon-
diale della nostra Regione: anche
per questo è stato predisposto un
piano di sensibilizzazione che
coinvolge tutti i Cooperatori, i Cen-
tri locali e i Consigli lspettoriali. _Il
cammino è iniziato. È il cammino
non solo di alcuni, ma di tutti i Coo-
peratori. Ciascuno si senta «in
marcia» verso una maggiore co-
scienza «regionale» e «mond iale»
per una adesione sempre più con-
vinta all'idea originale di Don Bo-
sco, che ha sognato «in grande» e
ha amato con predilezione i suoi
cari Cooperatori.
Pasquale Massaro

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QUESTIONE
DICUORE
Mercoledì sera, 20 gennaio, da una came-
retta del Gemelli di Roma Don Nicola
Palmisano ha spiccato il volo verso la
casa del Padre. I Cooperatori Salesiani,
che tanto hanno ricevuto dal suo cuore
sacerdotale e salesiano, lo ricordano con
affetto e riconoscenza.
L chiamavamo scherzosamente «don Colino»,
diminutivo tronco di Nicolino. L'ho conosciuto
per la prima volta durante la settimana di forma-
zione per Cooperatori salesiani nell'estate '91 a
Fontanazzo, in val di Fassa. Ed è stato subito in-
tesa.
Un carattere essenzialmente allegro. Un sorri-
so costante, visibile, contornato da una folta bar-
ba. Dietro gli occhiali vecchio stile due occhi az-
zurri penetranti: calamita nei momenti di gioia e
di serenità, scandaglio nei discorsi seri e riflessivi.
La voce decisa sul respiro un po' affannato dalla
sofferenza fisica non tradiva la trasparenza del suo
sapere, del suo studio, delle sue convinzioni, del
suo rapporto con il mondo in vista e in base al
rapporto con il soprannaturale. Insomma, un in-
namorato della natura, della vita e della gioia sale-
siana, delle capacità dell'uomo e dell'uomo capace
di Dio.
Così è cominciato e così è finito , almeno mo-
mentaneamente.
«Arrivederci mio vecchio alpino» mi scrisse su
una cartolina qualche tempo fa. Volevo risponder-
gli, ma ormai era vicino Natale e pensai diversa-
mente: gli telefono. Ma, poi .. :
***
Roma 1O gennaio 1993
Carissimo don Nicola,
quando ho telefonato per farti gli auguri di buon
Natale non ho avuto la gioia di udire la tua voce. A
chi mi ha risposto ho delegato il compito - non so
se assolto - di darti un caloroso abbraccio .
Ho trascorso il periodo natalizio nella mia Li-
mosano, quest'anno anche con la neve, e al mio ri-
torno a Roma zi' Ponzo mi ha riferito sulle tue con-
dizioni: questione di cuore.
Non mancava che questo! Alla sofferenza quoti-
diana, che ti vede comunque concentrato nel tuo
prezioso lavoro, si è aggiunto un quoziente di pena.
E che pena!
È il carcere duro della «passione». Un calvario
non mitigato dalla tenerezza del Natale. Tu sai che
Pasqua è tutti i giorni, come Natale è tutti i giorni.
Questo connubio ti è stato concesso di incarnare, ti
è stato donato per con-dividere.
Se ( è soltanto un 'espressione, non un dubbio) le
tue parole di insegnamento non sono fru tto di un
mero studio delle cose umane in relazione a quelle di
Dio, certamente il Regolatore di tutte le cose ti ha
portato nel suo «laboratorio» e ha voluto sperimen-
tare sulla tua pelle, sulla tua vita, sulla tua fede
quelle cose che non ci sono date da capire, ma da
accettare, affrire, da ringraziare.
----+
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E quando il grazie sgorga dall'intimo vuol dire
che il crogiuolo è soltanto quello dell'Amore . Que-
stione di cuore, appunto!
Il Signore deve volerti molto bene perché questo
Natale è voluto nascere nella tua grotta. Nella grot-
ta del tuo cuore dove hai dovuto fare spazio ai nuovi
ospiti: i Magi, i pastori, i semplici, gli umili, i consi-
derati ultimi.
Una stretta di qua , un 'allargatina di là e fa' un
po ' male.
Il Bambino, Maria e Giuseppe hanno sempre
avuto un posto fisso, sono «residenti».
Ma la con-divisione , l'accoglienza senza riserve ,
l'accettazione anche del «bue» e dell'«asinello» sono
il passaggio epocale dell'anima che si evolve, che si
affina. È il rogo che brucia sulla cima del monte in
attesa del sacrificio di Abramo.
C'è un figlio da sacrificare!
C'è qualcosa che Lui non può chiedere?
Nulla.
Ma nell'atto supremo arriverà una «voce» a fu-
gare ogni dubbio, a liberare dall'angoscia e dal do-
lore.
Allora, però , sarai sulla vetta dove avrai ri-
conquistato il tuo cuore e conquistato il Suo.
Questione di cuore, appunto!
Riscenderai a valle con uno stuolo di figli da cre-
scere, da educare, a cui insegnare le cose di Dio.
Ti aspettiamo.
Ti aspetto.
Sii forte.
Al tuo ritorno sarà festa, sarà canto, sarà gioia.
E sarà anche un bicchierino di «quella buona»
conservata per le grandi occasioni, portata a casa
dalle propaggini dolomitiche.
A presto!
Pompeo
PS. Scusami. Ho scritto di getto ciò che mi è venu-
to in mente. Sono riflessioni che avrai fatto chissa,
quante volte , ma prendile così come sono scivolate
sul petto.
Questione di cuore, appunto!
***
Questa lettera scritta e spedita dieci giorni pri-
ma della morte di don Nicola Palmisano l'ho con-
servata per caso o, se volete, per ispirazione.
Non sono solito fare fotocopie delle lettere che
spedisco agli amici, ma questa volta accorgendomi
4/20
che forse avevo espresso pensieri non comuni ho
voluto tenere il testo.
La risposta, a tutt'oggi non è arrivata.
Riguardando, però, la trascrizione delle sue le-
zioni dell'estate '92 le ultime parole sono quelle di
seguito riportate. E sono più che una risposta.
«...Ma adesso vorrei dire qualche cosa sulla so-
cietà e su come vivere l'amore in questa società.
Questa nostra cellularità nel versante dell'orga-
mismo sociale ci mette a dura prova, certamente.
Perché abbiamo a che fare con gente che ha altre
anime o non ne ha nessuna o ne cambia una ogni
giorno, con la quale è necessario rapportarsi, fare i
conti per tanti motivi.
E allora con questi noi dobbiamo usare quei
«non»; non li disprezziamo , non ci vendichiamo, non
andiamo in collera. Perché il cristiano vince il male
con il bene. E non giudichiamo il cuore di nessuno.
Del cuore solo Dio è padrone. È una riserva di Dio,
il cuore. Solo Lui ne ha l'esclusiva».
Ricordiamolo così: in scarpe da tennis, con i
pantaloni di velluto a coste larghe, un cappelletto
stile alpino e sotto la camicia a scacchi un cuore
grande da ragazzo di don Bosco.
Roma, 31 gennaio 1993
Pompeo Santorelli
Hai camminato
per sentieri poco battuti;
hai tracciato
nuove strade
per indicare
ai giovani e ai poveri,
col cuore di Don Bosco,
l'unica méta
che vale la pena
di raggiungere: CRISTO .

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L'EDUCAZIONE ALL'AMORE IN FAMIGLIA
Nella 16a Settimana di Spiritualità della Famiglia Salesiana, che si è
svolta al Salesianum di Roma Pisana dal 25 al 29 gennaio scorso e
che ha avuto per tema EDUCARE ALL'AMORE, i coniugi Maria Pia e
Nino Sammartano, cooperatori salesiani di Marsala, hanno offerto la
loro testimonianza. Pubblichiamo per ora la prima parte della relazione.
La nostra testimonianza
S iamo una coppia relativa-
mente giovane: io Maria Pia,
quasi 39 anni; Nino, 41 anni.
Siamo sposati da 13 anni e mez-
zo e abbiamo due figli: Gian Pie-
ro, di anni 11, che frequenta la
1" media, e Francesco, di 8 anni,
che frequenta la 3a elementare.
Viviamo in Sicilia, a Marsala,
e lavoriamo entrambi: io inse-
gno in una scuola media, Nino
al Liceo. Io, naturalmente, fac-
cio anche la casalinga e spesso
diventa arduo il compito di con-
ciliare impegni esterni e impegni
iterni alla famiglia; tuttavia que-
sti impegni cerchiamo di condi-
viderli, materialmente e moral-
mente.
Da 1O anni siamo cooperatori
Salesiani e insieme siamo impe-
gnati in alcune attività di aposto-
lato.
Con i nostri figli abbiamo un
rapporto sostanzialmente sereno
e positivo, improntato alla reci-
proca fiducia e al dialogo, anche
se questo non significa assenza,
nel nostro rapporto con loro,
della normale conflittualità della
dialettica generazionale o che
non si rendano necessari a volte,
da parte nostra, decisi e forti in-
terventi correttivi.
La nostra testimonianza è
quella di una coppia ancora vi-
vamente e pienamente impegna-
ta nel compito dell'educazione
dei propri figli, per cui non pos-
siamo riferire di risultati educa-
tivi sicuri, già consolidati; pos-
siamo constatare degli esiti an-
cora in fieri, ancora in evoluzio-
ne, che hanno perciò ancora bi-
sogno della conferma del tem-
po, degli anni avvenire, per po-
ter essere assunti come precisi
elementi di riferimento o di va-
lutazione.
Il disagio di educare, oggi
Educare all'amore non è uno
dei tanti aspetti del processo
educativo. Se un aspetto lo si
vuol considerare, è senza dub-
bio un aspetto ampiamente
comprensivo, quasi totalizzante,
perché riassume, in un certo
senso, e finalizza l'intero proces-
so educativo.
La capacità di amare, infatti,
è un traguardo educativo che
unifica e presuppone tante altre
capacità, a livello mentale, psi-
co-affettivo, spirituale.
Viviamo in una società carat-
terizzata dal pluralismo cultura-
le e dal relativismo etico, in una
società cioè in cui non esistono
più una «visione delle cose» e un
ordine di valori unitari, ricono-
sciuti e condivisi dall'intero
gruppo sociale.
Nel pluralismo culturale è ine-
vitabile che si affermi anche il
pluralismo educativo. La società
in cui viviamo, infatti, è pure ca-
ratterizzata dalla pluralità delle
«agenzie educative» (pensiamo,
oltre alla famiglia e alla scuola,
anche alla stampa, alla televisio-
ne, al cinema, al gruppo dei pa-
ri, ai gruppi giovanili parroc-
chiali, ai club privati, ai luoghi
di ritrovo e di divertimento, alle
spontanee aggregazioni intorno
a specifici interessi), agenzie che
offrono una varietà di messaggi,
di modelli, di proposte.
Il giovane è oggi raggiunto,
spesso precocemente, da una
molteplicità di sollecitazioni
che, se non riesce o non viene
aiutato a valutare e a ordinare,
lo disorientano e lo spingono il
più delle volte al facile e rassicu-
rante adeguamento ai compor-
tamenti di massa.
Non minore è il disorienta-
mento dei genitori, che avverto-
no il peso e la forte influenza
esercitata sul comportamento e
sulle scelte dei loro figli dalle
agenzie esterne alla famiglia, e
spesso cedono e si rassegnano a
un ruolo educativo marginale,
quando non desistono addirittu-
ra rendendosi educativamente
non presenti.
La pluralità delle agenzie edu-
cative, in effetti, rende oggi più
arduo e più consistente l'impe-
gno educativo dei genitori, il cui
compito non consiste più tanto
nell'offrire ai figli la propria pro-
posta educativa, quanto nell'ac-
compagnarli, nel guidarli a me-
diare e a ricomporre unitaria-
mente, con un attento discerni-
mento, il molteplice e il vario
delle sollecitazioni e delle propo-
ste che essi ricevono fuori dalla
famiglia .
_
5/ 21

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Dialogo, unica via
Se in passato il dialogo è stato
considerato la via maestra del-
1'educazione dei figli, oggi, in un
clima di pluralismo educativo,
esso si rivela sempre più come
l'unica via percorribile.
Eppure, nonostante si siano in
genere superate o si vadano su-
perando le barriere mentali del-
1'autoritarismo dei genitori, non
per questo il dialogo fra genitori
e figli è oggi più facile. A livello
educativo, il dialogo è oggi sem-
pre più impegnativo: richiede ai
genitori capacità e sforzo di im-
medesimazione, di comprensio-
ne, di ascolto, di apertura al
nuovo, di ricerca insieme ai figli
di soluzioni sempre nuove; im-
pegna al confronto e alla revisio-
ne delle proprie posizioni o delle
scelte e degli orientamenti consi-
derati già acquisiti; comporta in-
somma più fatica, più dispendio
di energie, ed esige una disponi-
bilità che non facilmente i geni-
tori si ritrovano. Anche perché
spesso viene a mancare il tempo
da trascorrere insieme ai figli,
nel ritmo accelerato della vita di
oggi Caratterizzato dall'accaval-
larsi e dal moltiplicarsi degli im-
pegni.
Educare ali' amore della vita
«La paura - diceva qualche
anno fa Carlo Carretto - abita
la città». È facile oggi avvertire
intorno a noi, nel quotidiano
rapporto con le persone, un cli-
ma di pessimismo, di sfiducia, di
delusione, di paura, di rassegna-
ta indifferenza, che influisce ne-
gativamente e non incoraggia le
nostre migliori energie.
Anche i ragazzi, i giovani, na-
turalmente inclini all 'ottimismo
e alla gioia di vivere, vengono
raggiunti e condizionati da que-
sto clima sociale: anche in loro e
fra di loro circolano stanchezza,
sfiducia, paura, rassegnazione.
Spesso mancano anche le pre-
messe educative per un fiducio-
6/22
so atteggiamento di apertura
alla vita, di amore alla vita.
Sappiamo che gli anni dell'in-
fanzia sono determinanti per la
formazione del carattere, per la
strutturazione degli atteggia-
menti psicologici di fondo della
persona. Sappiamo pure che è
importante, che è indispensabi-
le, perché si formino nel bambi-
no positivi atteggiamenti di
apertura alla realtà e agli altri,
un sereno clima familiare, fatto
di amore percepito (dell'amore
dei genitori fra di loro e dei geni-
tori per lui), di gioia comunica-
ta, di fiducia, di incoraggiamen-
to e sostegno, di condivisione di
momenti di gioco e di festa.
Ma un simile clima familiare
non si improvvisa: richiede la di-
sponibilità, interiore e di tempo,
dei genitori, la loro presenza e
dedizione. È qui una delle diffi-
coltà maggiori, una delle caren-
ze più gravi oggi nell'impegno
educativo dei genitori. Gli anni
in cui una coppia ha i bambini
piccoli sono in genere gli anni in
cui essa è maggiormente assor-
bita da impegni esterni e si ritro-
va meno tempo da poter dedica-
re ai propri figli. Sono gli anni
della sistemazione, a volte del
completamento degli studi, del
concorso, dell'inizio del lavoro
magari in una sede diversa da
quella di residenza; sono anche
gli anni o dell'acquisto della
casa o del completamento del
suo arredamento, e perciò un al-
tro introito, una seconda attività
si rende utile o addirittura ne-
cessaria.
Si tratta di situazioni e di diffi-
coltà oggettive, senza dubbio,
per affrontare le quali si richie-
derebbero anche più coraggiosi
interventi politici a sostegno del-
la famiglia. Ma anche le coppie,
intanto, debbono e possono fare
qualcosa: possono e debbono,
coordinando e programmando
meglio gli impegni esterni, rita-
gliare e trovare del tempo da de-
dicare alla loro coniugalità e al
loro rapporto con i figli. Come
programmiamo la visita medica
o prendiamo appuntamento con
gli amici o col consulente, così
possiamo di quando in quando
prendere appuntamento col no-
stro coniuge e con i nostri figli
per trascorrere insieme, a casa o
fuori, due ore in maniera spen-
sierata, occupandole magari
come meglio piace ai nostri figli :
essi, stiamone certi, sono felici e
disponibilissimi a simili propo- ·
ste.
Un altro fattore che agisce da
ostacolo nell'educazione dei figli
all'amore della vita è l'atteggia-
mento iperprotettivo dei genito-
ri, che non consente ai figli
un'esperienza piena della vita.
Viviamo nella società del benes-
sere, degli agi, dei confort, e i
genitori sono tentati e indotti ad
assicurare ai figli, sempre e co-
munque, la comodità, la vita fa-
cile, e a risparmiare loro ogni
forma di fatica, di disagio, di sa-
crificio, di sofferenza. Se un ge-
nitore propone ai figli dei sacrifi-
ci, delle rinunce, viene criticato
dagli altri e magari scambiato
per un padre senza cuore. .
Crescendo in mezzo alle co-
modità e ai confort, tenuti lonta-
no da tutto ciò che può compor-
tare sofferenza o rinunce, i gio-
vani non vengono aiutati a for-
marsi un carattere forte e sicu-
ro, anzi si ritrovano spesso insi-
curi, con un carattere debole,
vacillanti di fronte alle difficoltà,
incapaci di affrontare un sacrifi-
cio quando una situazione im-
prevista o l'amore per gli altri lo
richiede.
Da qui gli scoraggiamenti e la
fuga di fronte a certe responsa-
bilità o a certe situazioni della
vita; da qui a volte il suicidio,
più spesso morale (evasione dal-
la realtà, droga, ecc.), qualche
volta anche fisico.
Va da sé che l'educazione al-
l'amore richiede ai genitori la
determinazione di favorire e di
consentire ai figli un'esperienza
ampia della vita, secondo criteri
di gradualità, e soprattutto di
non risparmiar loro 1'esperienza
del lavoro e del sacrificio. -

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ARTICOLO
Conosciamo il REGOLAMENTO DI VITA APOSTOLICA
IN FAMIGLIA
Consapevole dei valori della famiglia, ogni Cooperatore forma con i
propri familiari una «chiesa domestica»; contribuisce alla crescita
umana e cristiana dei suoi membri, favorendo il dialogo, il mutuo af-
fetto e la preghiera comune; cura i legami di parentela con partico-
lare attenzione verso i più giovani e gli anziani; è generoso e ospi-
tale, soccorre quanti sono b isognosi di aiuto, e si apre alla collabo-
razione con le altre famiglie.
Una delle accuse che molti
Cooperatori (ma non solo lo-
ro) , specie giovani , si sento-
no ripetere con maggior fre-
quenza è di trascurare la pro-
pria famiglia a vantaggio di
quello che potremmo definire
«il prossimo più largo» .
È fuor di dubbio che in mol-
ti casi il rilievo è certamente
giustificato.
Sarà per una sorta di con-
dizionamento psicologico non
meglio identificato, o perché
si danno per scontate (e quin-
di non necessarie) certe ma-
nifestazioni di affetto e certi
gesti di disponibilità: fatto sta
che spesso risulta più facile
un impegno apostolico fuori
che non dentro il proprio nu-
cleo familiare.
Eppure la situazione socia-
le che stiamo vivendo, la
complessità e a disgregazio-
ne della società stessa sono
in gran parte frutto di questa
rivoluzione in negativo che
ha riguardato la struttura fa-
miliare e che dimostra di
quanta attenzione essa abbia
bisogno .
L'art. 8 del Regolamento
di Vita Apostolica, partendo
dalla consapevolezza che
ciascuno deve avere dei veri
valori della famiglia, invita i
Cooperatori tutti a forma re
con i propri familiari , secon-
do una felice espressione
conciliare , una «Chiesa do-
mestica», cioè una comunità
fraterna dove possano trova-
re concretizzazione valori
fondamentali del proprio es-
sere cristiani: l'Accoglienza,
la tolleranza, la condivisione,
il dialogo; elementi che con-
tribuiscono alla crescita uma-
na e cristiana dei membri
della famiglia.
Fra questi membri, anche
se risulta difficile in tale si-
tuazione fare delle distinzio-
ni , il RVA invita a essere par-
ticolarmente disponibili verso
i giovani e gli anziani , cioè
verso quelle categorie che ri-
sultano più deboli e più biso-
gnose di aiuto.
Già la realizzazione di tutto
questo comporta non poche
difficoltà da superare; ma la
parte finale del l' art. 8 RVA
pone l'accento su un ulterio-
re elemento: l'apertura alla
collaborazione con le altre
famiglie.
Da quest'apertura deriva
quell 'arricchimento reciproco
che ci fa essere, nello stesso
tempo , persone in continua
formazione e testimoni credi-
bili di una «comunione sem-
pre più profonda e intensa»
(Familiaris Consortio, n. 18).
Lello Nicastro
N.B.
Per l 'approfondimento del
Capitolo Il del RVA si consi-
glia anche il testo «Profeti del
quotidiano» edito dall 'ACS
della Sicilia e curato da Nino
Samma r tano.
7/23

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Se, peraltro, si intraprende
per tempo, prima dell'adole-
scenza, questa via, non sarà dif-
ficile (l'esperienza lo conferma)
trovare i figli disponibili, perché
la naturale generosità dei ragaz-
zi e il loro bisogno di afferma-
zione personale li porta a dire di
sì anche a prove per loro impe-
gnative e faticose.
Un'esigenza da non sottovalu-
tare, nell'educare i figli ad ama-
re la vita, è anche quella di svi-
luppare in loro il gusto e l'amore
del Bello. Purtroppo la nostra
cultura, improntata all'efficien-
tismo e all'utilitarismo, trascura
la dimensione estetica del vive-
re. Il rapporto pragmatico, ,poi,
col Creato, sempre più caratte-
riggato dal dominio dell'uomo
su di esso, non favorisce e non
sviluppa la sensibilità alle bellez-
ze della Natura. Non abbiamo
tempo per fermarci a contem-
plare un prato fiorito o un tra-
monto in riva al mare, oppure
non lo riteniamo utile. Eppure la
contemplazione del Creato ci
può aiutare a superare uno stato
di amarezza, a risanare una feri-
ta, a riconciliarci con la vita.
Anche per questa esigenga, è
saggezza educativa dei genitori
saper trovare il tempo per un'e-
scursione familiare in campagna
o in qualche tipico ambiente na-
turalistico (il bosco, il lago, la
montagna, ecc.) e qui suscitare
nei figli atteggiamenti di esplora-
zione, di ricerca e di meraviglia
di fronte alle varie forme di vita
e alle bellezze della Natura.
Educare all'amore di se stessi
L'amore di se stessi può sem-
brare un dato indiscutibile,
scontato, oggi che la mentalità e
i comportamenti sono spesso se-
.gnati o eiettati dall'ecocentrismo
e dall'egoismo. Ma l'egocentri-
smo e l'egoismo non sono sino-
nimo di un vero amore di sé, ne
sono anzi una degenerazione. Il
vero amore di sé esige l'impe-
gno di conoscersi, di costruire la
8/24
propria identità, di scoprire, svi-
luppare e mettere a frutto le
proprie capacità e i propri talen-
ti, di realizzarsi pienamente nel-
1'apertura agli altri e alla socie-
tà.
E questo non è frutto di una
semplice inclinazione naturale,
ma di un'attenta educazione, di
atteggiamenti educativi che han-
no la loro sede più propria nella
famiglia, nella responsabilità dei
genitori.
Ma quante difficoltà lungo
questa direzione! Anzitutto il
forte condizionamento del con-
formismo sociale, che agisce
non solo sui ragazzi, ma anche
sui genitori. In una società di
massa, il peso dei comporta-
menti collettivi, massificati inci-
de non solo nella sfera materiale
del vivere (gli acquisti, l'arreda-
mento della casa, il modo di ve-
stire, ecc.), ma anche, e più pe-
ricolosamente, nella sfera del-
l'interiorità, della personalità,
«dettando» norme sul modo di
pensare (o di non pensare), sui
valori e sulla loro gerarchia, sul
linguaggio, fissando quasi dei
«modelli di personalità» social-
mente legittimati. noto che
oggi, per certi lavori, si richiedo-
no non solo le specifiche compe-
tenze, ma anche precisi requisiti
di carattere, di personalità).
Una forma di mentalità massi-
ficata è, per esempio, quella che
identifica la realizzazione perso-
nale con la carriera, con lo sti-
pendio, col prestigio sociale: si
crede di essere o di valere di più,
se si sta più in alto nella scala so-
ciale, se si guadagna di più, se si
è più considerati e ammirati da-
gli altri. Quanto non pesa questa
mentalità sulle scelte dei giovani
e soprattutto sugli atteggiamenti
educativi dei genitori! Quante si-
tuazioni esistenziali compromes-
se dall'aver considerato, in certe
scelte, solo questi parametri,
questi criteri!
Né le agenzie esterne alla fa-
miglia agevolano validamente il
compito dei genitori di aiutare i
figli a sviluppare la loro identità,
la loro personalità. La scuola,
ovviamente, un certo contributo
in tal senso lo dà; ma la scuola
superiore, che accoglie i giovani
nell'età dell'adolescenza, in
un'età cioè particolarmente deli-
cata per lo sviluppo dell'identità
personale, è troppo centrata e fi-
nalizzata all'acquisizione di un
sapere specifico, al raggiungi-
mento di precisi traguardi cultu-
rali, per poter aiutare il giovane
a costruire la propria identità.
Forse un contributo maggiore
lo danno i gruppi giovanili eccle-
siali, almeno quelli il cui cammi-
no formativo si apre al discorso
vocazionale (nel senso e nell'ac-
cezione più ampia del termine
«vocazione») .
Il compito dei genitori, dun-
que, per questo aspetto dell'edu-
cazione all'amore, è piuttosto
arduo e spesso si scontra con
una realtà ostile o che non age-
vola. Ma alcuni orientamenti
crediamo che possano aiutare
ad assolvere questo compito.
Si tratta, in primo luogo, di
essere attenti alle inclinazioni,
alle attitudini e alle reali capaci-
tà dei propri figli, non sottovalu-
tandole né sopravvalutandole.
Sopravvalutarle, invece, è la
tentazione e l'errore più facile
per i genitori: credere cioè che i
propri figli possano raggiungere
qualsiasi traguardo, e restare
magari poi delusi (facendo pesa-
re tale delusione) se qualche tra-
guardo non riescono a raggiun-
gerlo. Si rischia così di far incor-
rere i figli in insuccessi spiacevo-
li (che vengono a volte dramma-
tizzati e che hanno sempre, co-
munque, un effetto umiliante
per la persona), insuccessi che
una valutazione realistica delle
possibilità potrebbe evitare.
Sdrammatizzare, invece, e ri-
dimensionare (ed è questo un al-
tro orientamento) eventuali in-
successi dovuti a limiti personali
dei figli o a oggettive difficoltà,
cercando possibilmente insieme
di individuare i motivi, è un at-
teggiamento che incoraggia, che
sostiene e fiducia, che aiuta a

1.9 Page 9

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vedere ·nel modo giusto le cose.
Un terzo orientamento (che
per noi è un comandamento) è
quello di evitare la tentazione di
prefigurarsi l'avvenire dei figli e
di orientarli secondo aspettative
o progetti nostri. E, una tenta-
zione facile, che .ci può prendere
anche non rendendocene piena-
mente conto.
È importante ancora che i ge-
nitori credano e testimonino di
credere alla dignità della perso-
na umana in qualunque condi-
zione, indipendentemente dal
ceto sociale, dal ruolo, dalla car-
riera, dalla professione, e che
abituino i loro figli a socializza-
re, a fare amicizia, con coetanei
di qualsiasi condizione sociale.
E, questo un atteggiamento cul-
turale-educativo non facile, a
cui si oppongono resistenze do-
vute a condizionamenti vari, an-
che familiari (i nonni, per esem-
pio), ma che certamente non
trovano ostacoli nell'animo dei
bambini e dei ragazzi.
Non va, infine, dimenticata
l'importanza di un atteggiamen-
to dei genitori attento a svilup-
pare nei figli (e questo fin dalla
fanciullezza), la capacità di scel-
te personali convinte, perché
motivate da precise ragioni e fi-
nalità, e libere: libere sia dal
condizionamento degli altri che
dalla preoccupazione di piacere
ai genitori. Le occasioni sono
tante nella vita di ogni giorno:
dal modo di vestire o di sistema-
re la propria cameretta al modo
di festeggiare un compleanno,
dalla risposta all'invito di un
amico alla scelta se aderire o no
alla manifestazione studentesca,
alla decisione di partecipare o
meno a un gruppo giovanile
d'impegno, e così via.
Educare all'amore degli altri
Il vero amore di sé si apre
sempre agli altri: l'uomo non si
realizza nella chiusura, nell'iso-
lamento, ma nell'apertura, nella
relazione, nella donazione. An-
che questi, però, non sono at-
teggiamenti naturali, ma frutto
di scelte educative, che impe-
gnano in primo luogo i genitori.
Il loro compito, in questa di-
regione, è quello di far maturare
progressivamente nei figli la
consapevolezza che non è possi-
bile una vera e piena realizzazio-
ne di sé senza l'apertura e la do-
nazione agli altri, e che questa
costituisce un'esigenza e una di-
mensione del nostro essere per-
sona.
È chiaro che una visione edo-
nistica della vita di per sé educa
all'individualismo, induce ad
avere di mira solo il proprio pia-
cere, a considerare il proprio be-
nessere e i propri interessi o,
che è lo stesso, quelli della pro-
pria famiglia. Non c'è attenzio-
ne agli altri, anzi può capitare di
guardare gli altri in funzione dei
propri interessi, di strumentaliz-
zarli.
Figlia diretta della visione
edonistica è una mentalità e una
prassi consumistica, che indivi-
dua nel consumo dei beni la fon-
te del piacere e pone in essere
perciò l'equazione: maggiore
consumo = maggiore piacere.
Per cui, oltre a quelli naturali,
diventano bisogni anche tutta
una serie di esigenze indotte
proprio dalla logica del piacere-
consumo. E, il trionfo del con-
sumismo. E questa mentalità
consumistica raggiunge anche il
mondo dei ragazzi. Giocattoli,
motorini, divise sportive, capi di
abbigliamento, zaini per la scuo-
la, apparecchi stereofonici e vi-
deogiochi: è un moltiplicarsi di
prodotti sempre nuovi e di arti-
coli prestigiosi, firmati ormai
quasi tutti da affermati stilisti. A
questo sono da aggiungere le
sempre più numerose opportu-
nità di divertimento, a casa e
fuori casa: gli onomastici, i com-
pleanni, le promozioni, le ricor-
renze varie, tutte occasioni di di-
spendiosi festeggiamenti.
È chiaro che diventa difficile
proporre ai figli stili di vita di-
versi, nei quali ci sia spazio per i
bisogni degli altri, se anche nel
loro gruppo dei pari è radicata
una mentalità consumistica (e
noi sappiamo quanto è incisiva
sui ragazzi l'influenza del grup-
po dei pari).
Nella nostra società, poi, (ed è
questo un altro ostacolo) domi-
na generalmente un clima di
concorrenza, di competitività, a
volte esasperata; e questo un po,
in tutti i settori: nel lavoro, nella
politica, nell'economia, nelle re-
lazioni sociali, persino nella
scuola. E, una corsa a farsi
avanti con ogni mezzo e in ogni
modo, ignorando a volte, e addi-
rittura calpestando, i diritti degli
altri (appoggi, favori, raccoman-
dazioni, sono all'ordine del gior-
no).
Si va facendo avanti, per la
verità e per fortuna, anche per
lo spazio che trova oggi nei
mass-media, un certo discorso
sulla solidarietà, sia all'interno
della società che nel rapporto
fra i popoli. Si tratta però, anco-
ra, per lo più di una solidarietà
episodica e consistente più nel
donare qualcosa che nel donare
se stessi; di una solidarietà che
considera più i bisogni materiali
e di salute degli altri che i biso-
gni psico-affettivi e spirituali.
Per educare i figli all'amore
degli altri, crediamo che i geni-
tori debbano avere soprattutto il
coraggio di qualche significativa
scelta di fondo che, opportuna-
mente fatta conoscere nelle sue
motivazioni, acquisti il valore e
la forza della testimonianza.
Una scelta che crediamo ne-
cessaria è quella di un tenore di
vita, personale e familiare, im-
postato sulla semplicità, che evi-
ti lo spreco e il superfluo di mol-
ti consumi. E, una scelta contro-
corrente, in linea con il richia-
mo evangelico alla povertà, che
non può passare certamente
inosservata. Solo scegliendo per
sé e per la famiglia un tenore di
vita semplice, è possibile pro-
porre ai figli di aprire il cuore ai
bisogni degli altri.
Maria Pia e Nino Sammartano
9/25

1.10 Page 10

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GRAZIE Sr. PIERINA!
Pubblichiamo con commossa riconoscenza la lettera con cui
Sr. Pierina Pelizzari dà il saluto al/'ACS dopo 40 anni di servizio
come Delegata lspettoriale. La ricorderemo sempre con stima,
simpatia e riconoscenza.
C arissimi,
per limite di età è giusto
che io dia spazio ai 'giovani'
e mi ritiri dall'impegno di
tutta una vita (circa 40 anni)
al servizio dell' ACS .
Il distacco da un aposto-
lato diretto, dalle persone
da cui ho ricevuto tanto be-
ne, mi torna assai penoso.
È un momento difficile
ma tanto prezioso per l'ani-
ma mia, per cui tento di
mettermi in sintonia d'amo-
re con la volontà di Dio,
senza nostalgici rimpianti,
fiduciosa nell'aiuto della
Madonna.
Vorrei trovare parole
adatte per esprimervi quan-
to sia profonda la mia rico-
noscenza.
GRAZIE! per la cordialità
con cui mi avete accettata
come sono e circondata di
tante premure, sfumature
autentiche della carità del
vostro cuore.
GRAZIE! p er la vostra ge-
nerosa dedizione nei miei
confronti. Davvero, siete
stati «LUCE di SPIRITO
ro/26
SANTO» nel mio lungo
camminare con voi.
GRAZIE! perché con voi
ho potuto esperimentare
quanto è bello stare insieme
e, uniti, cantare la gioia di
lavorare con Don Bosco,
nella grande Famiglia Sa-
lesiana. Insieme abbiamo
camminato e cantato, ac-
cordando il nostro passo in
direzione della meta prefis-
sa: IL RINNOVAMENTO
DELL'ACS.
Quanti momenti felici di
vita associativa, quanti in-
contri di spiritualità salesia-
na! Quante volte abbiamo
superato con sano ottimi-
smo le difficoltà insidiose
alla crescita dell'ACS che,
nonostante tutto, è sempre
più viva, sempre più forte,
più chiara nella sua missio-
ne, sempre più grande nel-
l'amore ai nostri Santi.
Da tempo constatiamo
questo meraviglioso cammi-
no, vero? È un cammino
atto ad alimentare il nostro
entusiasmo, a farci sentire
di essere ancora «giovani tra
i giovani» come ci vuole il
nostro Santo Fondatore
Don Bosco. Questa forza sa-
lesiana ci anima a impe-
gnarci sempre più e sempre
meglio per dare un volto
giovane alla nostra ACS.
Ora, per conto mio, non
mi resta che la possibilità di
accompagnarvi con la mia
preghiera: ve l'assicuro
quotidiana e affettuosa per
tutti e per ciascuno.
Il buon Dio vi conceda
un'adeguata ricompensa
per il vostro prezioso servi-
zio e colmi dei suoi doni di
«Grazia» la nuova Delegata
ispettoriale la cara Sr. Lucia
Bugnano, già forza viva nel-
la Chiesa e vivificante nella
nostra ACS.
Non ho benemerenze par-
ticolari. Soltanto questa: vi
ho voluto molto bene, v1
amo e vi amerò sempre in
Cristo Gesù!
La Madonna, nostra Ma-
dre, Maestra e Guida vi so-
stenga nel vostro lavoro, lo
renda fecondo di ogni bene
e vi benedica!
In Lei, sentitemi sempre
la vostra aff.ma
Sr. Pierina Pelizzari F.M.A.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Conosciamo i nostri santi
VENERABILE ANDREA BELTRAMI
Dei sette nostri Venerabili, il pri-
mo , in ordine di tempo, è Don An-
drea Beltrami .
Nacque ad Omegna (Novara) sul
lago d'Orta il 24-6-1870. A tredici
anni entrò nel collegio salesiano di
Lanzo . Vi trascorse tre anni, passan-
do dagli studi commerciali iniziati ad
Omegna agli studi classici che con-
cluse con ottim i risultati . Rivelò subi-
to una spiccata volitività.Tra le sue
pubblicazioni, c'è un prezioso libret-
to dal titolo: «I l vero volere è pote-
re» . Furono anni felici quelli trascor-
si nella casa di Lanzo. «In questo
collegio - scriveva alla mamma -
io ci sto bene» . Perchè? Nella casa
Salesiana egli trovava la risposta
giusta ad alcune sue aspirazioni pro-
fonde: un cammino spirituale serio,
una forte esperienza sacramentale,
un corroborante clima di famiglia ...
Erano i segni di un 'autentica voca-
zione . Dopo un lungo colloquio , con
D. Bosco decise per la vita sale-
siana.
«La grazia della vocazione - scri-
verà in seguito - fu per me una gra-
zia del tutto singolare ... Il Signore mi
aveva messo in cuore la ferma per-
suasione, l'intimo convincimento,
che la sola via a me conveniente era
di farmi salesiano». Nell '86 iniziò il
Novi ziato e fece la vestizione per le
mani dello stesso Don Bosco. «Da
questo istante, io le prometto - dirà
al suo Direttore Don Giulio Barberis
- di raddoppiare -l'impegno di farmi
santo. Niente e mai quello che piace
a me; tutto e sempre quello che pia-
ce al Signore». Nei due anni (88-89)
che trascorse a Torino-Valsalice por-
tò a termine i due corsi triennali con-
cludendoli con le rispettive maturità
come privatista. Risale a questo pe-
riodo la conoscenza del Principe po-
lacco, Augusto Czartorysski, da poco
entrato in Congregazione. Questi si
ammalerà presto di TBC e sarà Don
Beltrami - che era entrato subito in
sintonia spirituale con lui - a fargl i
da angelo custode sia a Valsalice sia
nelle altre località dove l'ammalato
soggiornò. Quando poi a sua volta
Beltrami si ammalerà della stessa
malattia , tra le probabili cause , biso-
gnerà annoverare anche questa di-
mestichezza di vita con l'amico infer-
mo. Per il tirocinio pratico è inviato a
Foglizzo tra i novizi. La mole di lavo-
ro diventa davvero eccezionale: do-
cente di Italiano e Latino a 80 chieri-
ci, studente di teologia, iscritto al la
facoltà di Lettere e Filosofia nell'Uni-
versità di Torino ... Ma ancor più ec-
cezionale era il lavoro spirituale che
egli compiva su se stesso. Più tardi
parlando di questo periodo, dietro in-
vito del suo Direttore, dirà: «L'un ione
con Dio era intensa, profonda, aveva
raggiunto un grado tale che io crede-
vo di morirne ... Il freddo , il ghiaccio,
la neve , i venti gradi sotto zero per-
chè quell'inverno fu rigid issimo -
non bastavano a calmare gli ardori
interni. .. » Fu proprio in una fredd issi-
ma giornata del Febbraio '91, che si
rivelaro no i primi sfntomi della ma-
lattia che lo avrebbe condotto alla
morte: aveva solo 21 anni! So ll ecita-
mente curato, sembrò che miglioras-
se. Ma fu per poco: la malattia pro-
gredì inesorabilmente.
Nel 1893 - cent'anni fa - anche
in vista della sua prossima fine, fu
ordinato sacerdote nelle camerette
di Don Bosco, da Mons. Cagliero . Ed
eccolo sul calvario: un calvario lun-
go cinque anni . Fu il quinquennio in
cui maturò la sua santità, grazie a
una sofferenza accettata, amata, of-
ferta.
La sua camera dava sul coretto
della cappella: gli era possibile scor-
gere il Tabernacolo. Davanti a quel
Tabernacolo egli trascorreva lunghi
periodi di adorazione silenziosa.
«Son persuaso che soffrire e pregare
sia più utile per me e per la Congre-
gazione che non il lavorare». Ma il
lavoro non gli mancò. Anzi, a dare
uno sguardo all'orario della sua
giornata di ammalato, si resta allibi-
ti. Dalle cinque del mattino alle nove
in preghiera:celebrava su un altarino
allestito nella sua cameretta; la Mes-
sa durava due ore e in quel periodo
veniva completamente liberato dalla
tosse, egli che tossiva in continua-
zione; dalle 12 e mezza alle 17 di
nuovo in preghiera; dalle venti a
mezzanotte ancora in preghiera di
adorazione davanti al Santissimo.
Negli altri periodi studiava e scrive-
va. Aveva scoperto la vocazione del-
lo scrittore e l'asseco ndava volentie-
ri. «La parola mi viene facile ed ele-
gante. Sarei contento se potessi traf-
ficare questo ta lento che Dio mi ha
dato, a sua gloria e ono re. Le malat-
tie di petto non danno disturbo al la
mente; anzi pare che tolgano le forze
al corpo per aggiungerle allo spirito,
che acquista maggior lucidità e pe-
netrazione. Almeno se non c'è feb-
bre, come nel mio caso». L'elenco
dei suoi scritti è lungo: biografie, stu-
di ascetici, lavori storici, opere nar-
rative ...
Il 20 Febbraio 1897 - anniversario
della sua malattia - volle andare a
celebrare ne lla Basilica di Maria Au-
siliatrice. Fu l'ultima sua uscita. Poi
andò man mano peggiorando. Il 29
dicembre la situazione precipitò . Du-
rante la notte si alzò da solG e indos-
sò la talare adagiandosi poi sul letto.
Così lo colse la morte, il mattino del
31, presenti vari confratelli. Aveva 27
anni. Appena tre mesi prima era
morta, a 24 anni, Teresa di Lisieux,
consumata anch'essa dalla stessa
malattia.
Don Beltrami lancia alla Famiglia
Salesiana il difficile messaggio della
sofferenza redentiva anzi di una sof-
ferenza che può diventare misterio-
samente gaudiosa in proporzione
dell 'amore con cui la si accetta.
«Creda - scrisse un giorno al suo
Direttore Don Scappini - in mezzo
ai dolori, io sono felice di una fe]icità
piena e compiuta, sicché mi vien da
sorridere quando mi fanno condo-
glianze e auguri di guarigione»!
Pasquale Liberatore
11 /27

2.2 Page 12

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PONTIFICIUM CONSILIUM
PRO FAMILIA
Città del Vaticano, 5 gennaio 1993
Don PASQUALE MASSARO:
Vorrei ringraziarla per la sua lettera del 24 novembre
scorso dove ci indica il piano pastorale dell'Associazione ·
Cooperatori Salesiani per il triennio 1994 - 1996. È molto
gradito per noi sapere che avete scelto la Famiglia come tema
centrale di questi anni.
Tenendo conto che proprio l'anno 1994 è stato procla-
mato dalle Nazioni Unite come l'Anno Internazionale della
Famiglia, il tema scelto da voi risulta come una continuazione
di tutto ciò che sarà fatto con occasione del suddetto Anno
Internazionale.
Un sussidio per la vostra preparazione potrebbe essere
anche il lavoro preparatorio per l'Anno della Famiglia, di cui
noi siamo i responsabili da parte della Santa Sede. Perciò vor-
rei invitarLa a partecipare ad alcuni dei nostri incontri prepa-
ratori. Allego l'invito ad un prossimo incontro che avremmo
nel mese di gennaio.
Profitto dell'occasione per augurarle un anno nuovo
1993 pieno della grazia e della benedizione del Signore.
t LOy~- c_"-"cl
l Lr-
Card. Lopez Trujillo
12/ 28

2.3 Page 13

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MATRIMONIO:
Hanno parlato della coppia
e della loro relazione coniu-
SACRAMENTO DELLA FAMIGLIA gale; dei motivi di successo
ed insuccesso presenti in ogni
matrimonio.
Nella seconda sessione
~ Associazione
hanno discusso sulla coppia e
nazionale fine davanti a Dio e agli uo- il loro rapporto con i figli.
australiana dei cooperatori mini.
Chris e Jahe hanno avuto
salesiani ha tenuto un corso Essi hanno dato prova di l'eccezionale abilità di tra-
di formazione sul tema: Ma- un grande amore per la loro durre i concetti espressi dal
trimonio, Sacramento della fede . Ogni cosa che hanno documento papale in realtà
Famiglia. Chris e Jane Mil- fatto o stessero facendo ema- vivente e palpitante.
ross, una giovane coppia di nava da essa.
ANS
sposi che hanno una la figlia,
Catherine, di undici mesi,
sono stati i relatori. Chris,
exallievo salesiano, è oncolo-
CHI SONO LE VBD
go. Jane insegna alla scuola
primaria Don Bosco di Enga-
dine.
Chris e Jane hanno dedica-
to du e sessioni ai ruoli di spo- F ondate il 20 maggio del Le VDB sono attualmente
so/ a e di genitore/ trice. La 1917 da Don Filippo Rinaldi, 1156 divise in 20 Regioni. Ap-
coppia ha basato il proprio rimasero durante lungo tem- partengono a 39 nazionalità.
intervento sulla lettera pasto- po nell'ombra. Si riprendono Il gruppo più numeroso è
rale di Giovanni Paolo II Fa- nel 1943 e, nel 1959 adottano quello delle italiane, ma la
miliaris Co;,,_sortio.
il nome di Volontarie di Don loro presenza si estende a
Essi hanno trasformato i Bosco. L'Istituto ottenne il ri- qu attro continenti. Si deve
concetti teologici della sacra- conoscimento di Diritto Pon- sottolineare che durante il re-
mentalità del matrimonio in tificio il 5 agosto del 1978 da gime comunista si sono svi-
testimonianza vissuta. È stata Paolo VI, il giorno prima del- luppate nei Paesi dell'Est Eu-
una conferma della teologia la sua morte.
ropeo, in modo particolare in
dei valori coniugali: amore L'Istituto delle VDB si ca- Cecoslovacchia. Il loro nu-
reciproco e fedeltà.
ratteriza per la sua secolarità: mero è pure aumentato sen-
«La più grande testimo- sono consacrate che vivono sibilmente nel Venezuela,
nianza cristiana che io abbia nel mondo, esercitano una Cile e Perù. Sono presenti an-
mai sentito su questi valori», professio ne per provvedere al che nel Vietnam e si spera
ha esclamato don Martin proprio sostentamento. Pro- possano crescere rapidamen-
McPake, Consigliere regiona- fessano i consigli evangelici, te.
le, presente al congresso, ma non vivono in comunità. Le VDB, come tutte le con-
parlando dell'intervento dei Sono legate fra loro da un sacrate secolari, sono «fer-
due coniugi.
vincolo di profonda comunio- mento nel mondo» e con il
La storia di J ane e di Chris ne fraterna nello stile di Don loro esempio vogliono semi-
non e qualcosa di insolito o Bosco. Sono Salesiane, viven- nare il Vangelo e dar testimo-
eccezionale. Ma soltanto il do l'impulso del «da mihi ani- nianza di vita cristiana.
racconto di due persone mas» negli impegni giornalie-
qualsiasi, il cui affetto reci- ri di una vita immersa nella
proco è sbocciato quando si realtà e nelle strutture della
sono promessi amore senza società.
****
13 / 29

2.4 Page 14

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ATTIVITÀ DEI CENTRI
CONVEGNO REGIONALE
a Bologna
La partecipazione al Convegno
Ispettoriale ha suscitato la cordiali-
tà, la soddisfazione di rivedersi e di
sapersi parte della medesima Fami-
glia di San Giovanni Bosco. L'impe-
gno per partecipare è stato notevole
ed è stata anche ammirata e lodata
la bella preparazione raggiunta per
presentare alla fraternità di tutti i
presenti una sintesi delle iniziative
più significative di ciascun Centro.
«I cooperatori - ha detto il Dele-
gato Nazionale - sono il capolavo-
ro di Don Bosco: cristiani, religiosi,
collaboratori a piena disponibilità in
tutte le situazioni del mondo.
Ha poi ricordato l'impegno asso-
luto di ogni collaboratore di Don
Bosco verso i più giovani: Educare i
giovani alla fede. Con la parola, con
l'esempio, con la vita di grazia, con
t'aiuto . I giovani chiedono la fede,
anche se non sanno ancora perce-
pirne il valore. I genitori e gli Inse-
gnanti spesso non vi badano più!
Ha continuato, suddividendo il suo
discorso:
• Ricorda il volumetto LDC
«Conversava con noi lungo il cam-
mino... », che riassumeva i cammini
suggeriti dagli ultimi Capitoli Gene-
rali dei Salesiani e delle Figlie di
Maria Ausiliatrice.
• Occorre sempre, tuttavia, che
vi sia una comunità, un gruppo edu-
cante: famiglia - chiesa scuola -
associazione ...
2. Impegno principe per ogni
Centro deve essere quello di vivere
con sensibilità salesiana, e non con
solo iniziative pratiche personali o
di altri gruppi...
• Il fenomeno giovanile deve es-
sere anche conosciuto, sperimenta-
to, non fuggito: in famiglia, in par-
rocchia... Esige persone sperimen-
tate e, qualche volta, anche qualifi-
cate... Capire i giovani, accettarli...
nelle loro insoddisfazioni.
• Rileggere il trattatello sul «Si-
stema Preventivo» stampato alla
fine delle RVA.
• La loro cultura religiosa spesso
si ferma alla Prima Comunione -
Cresima; mentre la cultura profana
prosegue facilmente fino al livello
universitario ...
1. Non è facile parlare di fede ai
giovani. Ha letto alcuni brani del
volume «Caro Dio, io ti scrivo... ».
Eppure deve essere il primo impe-
gno: secondo lo spirito di Don Bo-
sco (vedere ultimo «Sussidio» Bol-
lettino Salesiano, pag. 5; e altre, per
gli articoli della RVA).
3. Diceva Don Bosco ai suoi gio-
vani: «Voi siete i padroni del mio
cuore». - Dobbiamo lasciarci con-
quistare dai giovani. «Io ho fiducia
nei giovani», dice spesso Giovanni
Paolo II.
Credere che, con l'aiuto di Dio, po-
tranno fare quello che proponiamo.
Leggere in RVA articolo 45 -
29 - 31 ... Anche nella formula della
«Promessa» diciamo: «dopo essermi
preparato... ». Prepariamoci anche a
stare con i giovani ...
4. Benché sia praticamente indi-
spensabile il «gruppo»... , la Fede si
trasmette generalmente da persona
a persona... Don Bosco ha iniziato
con uno solo: Bartolomeo Garelli...
5. Ricordiamo la funzione del no-
stro Centro: formarci ed educarci
alla salesianità.
Ma poi, ognuno, fa il Cooperatore
che è e dove è... , privilegiando l'o-
pera salesiana.
Il Delegato Nazionale si è compia-
ciuto anche delle relazioni udite al
pomeriggio. Ho colto una sua im-
pressione: «Si nota che sono persone
che operano molto nel senso del be-
ne; anche se non amano molto l'or-
ganizzazione e la comunicazione di
quello che fanno ... ». È proprio così.
Ma stiamo migliorando anche
nella comunicazione e negli incontri
vicendevoli.
ACS E MGS
a Catania
Organizzato dall'ACS e dal MGS
della Sicilia, si è svolto a Catania un
interessante Convegno/ Confronto.
Nell'ambito del tema generale «Una
nuova coscienza morale nell'impe-
gno sociale e politico», il Cooperato-
re Salesiano, Coordinatore Ispetto-
riale dell'IME, Giuseppe Ceci, ha
parlato su «DON STURZO: UN
PROFETA».
ASSEMBLEA
CONSIGLI LOCALI
a Milano
14/ 30
Lo scenario è quello dell'istituto
salesiano di Milano Don Bosco, la
giornata è uggiosa con rovesci tem-
poraleschi; non è proprio il clima
del lago di Como al quale ci erava-
mo abituati con i precedenti raduni,
ma una forza viva fa ben sperare
per una giornata meravigliosa: è la
presenza dei cooperatori.

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- Giuseppe Ceci mentre parla con foga meridionale di Don Sturzo.
Dopo l'accoglienza, calorosa e
familiare come sempre, ha inizio
la conferenza per presentare il tema
di quest'anno: «L'IMPEGNO APO-
STOLICO DEL COOPERATORE
SALESIANO CON PRECISO RI-
FERIMENTO ALL'EDUCAZIONE
ALLA FEDE DEI GIOVANI E PRO-
MOZIONE DELLA DONNA». Il re-
latore è don Pasquale Massaro e il
messaggio è chiaro sin dalla prima
frase: «.. .ogni cooperatore deve es-
sere anche evangelizzatore per far
riscoprire ai giovani il gusto di
Dio... », essere cooperatori, infatti,
significa educare i giovani alla fede,
è giunto il momento di qualificare il
proprio impegno: «siamo promossi
ad educatori della fede».
Ma come iniziare, dove, da chi?
Don Pasquale sostiene che i giovani
oggi vivono in una condizione di
orizzontalità praticamente assuefat-
ti al modo di essere degli adulti, dei
genitori, manca una verticalità ver-
so la vita, verso la fede, verso Dio.
Ma se è vero che, come dice il Papa,
«la mezzanotte è, come qualcuno
ha detto, già l'inizio del nuovo gior-
no», allora dobbiamo partire per far
riscoprire ai giovani la nuova alba,
educarli ad una vita onesta, coeren-
te e dignitosa. E allora? Allora biso-
gna andare per le strade a raccoglie-
re i giovani, ci sono, dobbiamo sa-
perli vedere, cogliere i loro proble-
mi; non lasciamo che accettino pas-
sivi il mondo degli adulti: appiattiti,
orizzontali e senza ideali.
Non è un lavoro semplice, ma
dobbiamo prepararci, essere prepa-
rati sulle problematiche giovanili,
leggere, studiare, riflettere.
I cooperatori devono essere quel-
le persone a cui si fa riferimento
quando si trattano i problemi dei
giovani.
Dobbiamo creare una cultura gio-
vanile come terreno fecondo ricor-
dando che dove c'è un cooperatore
li c'è Don Bosco, anche nei luoghi
dove i sacerdoti e le suore salesiane
non sono istituzionalmente presen-
ti. E dove la testimonianza persona-
le non è sufficiente ci aiuta il centro
in quella precisa formazione aposto-
lica che poi dobbiamo portare a ter-
mine anche singolarmente.
I cooperatori devonò assumere
autonomia pastorale, devono inven-
tare qualcosa per svolgere l'attività
di educatori alla fede. Don Bosco ci
ha invitati ad affrontare i giovani
singolarmente, attraverso un con-
tatto personale (Bartolomeo Garelli)
come esempio e stimolo, e proprio
da questa spinta nasce un impegno
personale affinché ogni cooperatore
trovi il suo Bartolomeo Garelli.
Possiamo e dobbiamo farcela, con
semplicità, accogliendo i giovani con
quelle piccole furbizie salesiane che
hanno permesso ai nostri educatori di
avvicinarsi a suo tempo.
...Andiamo, fuori c'è un giova-
ne che ci sta già aspettando.
Alessandro Giusti
NOZZE
in Calabria
«Il giorno delle mie nozze è stato
stupendo: avevamo attorno proprio
quella corona di giovani che deside-
ravamo. Invio la foto di gruppo che
abbiamo fatto dopo la «festicciola»
nel nostro Oratorio. Ho promesso ai
ragazzi che sarebbe stata pubblicata
nel Bollettino Salesiano Quindicina-
le. La pubblicazione farà felici tutti
e mi permetterà di ringraziare tutta
la Famiglia Salesiana della Calabria
che ha tanto pregato per me e per
Santo».
Annamaria e Santo
Villa S. Giovanni
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PREPARAZIONE AL PELLEGRINAGGIO
IN TERRA SAN A
Il cristiano che attualmente si reca in Israele, vi si
reca da «pellegrino» , alla ricerca cioè di quei luoghi nei
quali Dio si è reso in un certo modo visibile «nel la storia
umana» facendosi riconoscere dagli uomini.
L'attuale Israele presenta evidentemente tutto l'inte-
resse turistico di una regione subtropicale, per il suo cli-
ma temperato sia d'estate che d'inverno la bellezza di al-
cuni paesaggi, la misteriosa suggestione del deserto, le
limpide e trasparenti acque del golfo di Elat e le mille al-
tre attrattive di un paese nuovo.
Quello invece che maggiormente attira, è la storia
che si è svolta in quel piccolissimo angolo del Medio
Oriente. Quella storia che pur incominciata da un piccolo
popolo, arriva ad essere determinante nella storia del
mondo. Tre grandi religioni si sono sviluppate da tale
storia: l'ebraismo, il cristianesimo e l'islamismo.
Il cristiano in particolare si sente attirato alla ricerca
delle radici spirituali della propria fede, sulle orme di Ge-
che là visse morì e donde la sua Chiesa iniziò la sua
storia di portatrice di salvezza dopo la sua risurrezione.
Questo ci sembra il primo e autentico interesse che
deve guidare un cristiano in «pe llegrin aggio» verso quei
«luoghi santi».
I «Luoghi» Sacri
È indispensabile un'altra precisazione, il rapporto
cioè che esiste fra un «luogo» ed il «fatto» che tale luogo
ci ricorda.
Va precisato, prima di tutto, che nessuno degli autori
dei libri dell'Antico Testamento ha inteso raccontare la
storia con quella mentalità con la quale scriveremmo noi
oggi. La scrupolosa esattezza del luogo e della data,
preoccupazione di fondo nella stesura di un fatto attuale
di cronaca, esulava dal loro intento. Gli autori sacri ave-
vano la coscienza di scrivere un fatto nel quale Dio ave-
va manifestato una sua volontà; questo era l'essenziale
per loro. Quello che veramente importava era la rivela-
zione che Dio aveva fatto di sé nel compiersi di un deter-
minato evento; questo era quanto doveva essere ricorda-
to dalle generazioni future.
Il luogo nel quale il fatto era avvenuto, serviva a con-
servarne la memoria, e, una volta raccolto l'episodio per
iscritto, l'importanza del luogo diventava subito seconda-
ria. Questa preoccupazione di fondo ha avuto anche un
grandissimo vantaggio: nella riflessione sui fatti straordi-
nari che Dio aveva compiuto o guidato, gli autori sacri
hanno scoperto sempre meglio quale fosse il significato
più profondo dell'intervento di Dio. In questo modo la loca-
lizzazione precisa dell'episodio stesso a volte si è persa,
a volte fu addirittura soppressa intenzionalmente. È que-
sto il caso in cui un luogo era magari diventato un centro
religioso idolatrico in questo caso era molto più importan-
te salvare l'integrità della fede che non il ricordo del luo-
go, il quale poteva invece minacciarne la purezza.
Non vanno infine dimenticati i lunghi secol i che ci se-
parano da quegli avvenimenti. La Palestina ha sofferto
molte invasioni, la fede fu a volte deliberatamente com-
battuta ed i luoghi sacri distrutti quasi per cancellarne la
memoria.
Tutto questo evidentemente non significa che i rac-
conti biblici si fondino sul vago o sull'indeterminato. La
fede del popolo ebraico si è sempre fondata sulla storia,
su precisi eventi storici nei quali esso ha colto la volontà
di Dio tesa a salvarlo. E un evento storico non può evi-
dentemente prescindere da un determinato luogo.
La determinazione dei luoghi biblici è stata frutto di
un lungo lavoro di ricerche archeologiche; soprattutto in
questo secolo moltissime missioni vi hanno lavorato.
Forse in nessun altro paese come in Palestina l'archeo-
logia ha operato così tanto e con tanto amore. Va ricono-
sciuto il grande e paziente impegno con il quale conti-
nuano i Padri Francescani di Terra Santa e lo stesso go-
verno israeliano, anche se con intenti comprensibilmente
diversi e non meno ammirevoli.
Il pellegrino cristiano che visita i «l uoghi » sacri deve
avere la medesima preoccupazione che ha guidato l'au-
tore del testo sacro. Non tanto una minuziosa ricerca ar-
cheologica, che è compito della scienza e non della fede,
quanto un'interiore e umile ricerca della parola di Dio
che si è incarnata in un particolare avvenimento che quel
luogo, magari totalmente trasformato, continua a ricor-
darci.
Visita ai Luoghi Sacri
È innegabile che la conoscenza dei luoghi rievoca in
modo più concreto i fatti storici ivi accaduti o narrati.
Alcuni episodi della Bibbia li abbiamo appresi nella
nostra prima infanzia dai racconti del catechista, racconti
colorati di immagini luminose e fantastiche, ascoltati con
l'intenso stupore dell'infanzia. Per la maggior parte dei
cristiani, co loro almeno che non ebbero la possibilità di
un approfondimento più attento, la coloritura leggendaria
non ha mai abbandonato i racconti della «storia sacra».
Ora la conoscenza visiva del luogo dove si svolse un
determinato fatto mentre non rende l'accadimento meno
grandioso, nello stesso tempo ce lo concretizza meglio con
l'intima impressione che il fatto ci tocchi più da vicino. Dio
non ha parlato in un mondo fantastico, a uomini che appar-
tengono alla leggenda, bensì in luoghi ben definiti, vicino
ad un pozzo, su un'altura ben visibile, ad uomini che vive-
vano la storia del loro tempo, con quell'impegno umano
con il quale siamo chiamati a vivere anche noi.
L'ambiente storico e sociale in cui essi vissero era
evidentemente molto diverso dal nostro, era certamente
più sereno e più disteso. Ma i problemi umani che agita-
vano i loro spiriti sono gli stessi interrogativi che ci po-
niamo ancora noi con l'unica differenza che noi tali inter-
rogativi li sentiamo in modo più drammatico e a volte più
esasperato . La presenza di Dio nella storia aveva preci-
samente la finalità di aiutarli , nel groviglio dei problemi
umani, a trovare quelle soluzioni che sono le uniche ri-
spondenti a quella natura che Dio stesso ci ha creato.
Una lettura della storia biblica sul luogo dove l'episo-
dio è avvenuto, è certamente uno degli aiuti più validi per
comprendere cosa significhi «Dio si è rivelato nella sto-
ria» . L'espressione non è così facile da capire come po-
trebbe sembrare a prima vista. La sua comprensione sa-
rà frutto anche di una lettura costante ed umile, carica di
preghiera e di meditazione. Questo aiuterà la fede, che è
sempre atto d' intelligenza, ad approfondire il senso del-
l'opera che Dio compie ancora oggi negli eventi concreti
della storia umana e negli avvenimenti più comuni della
vita quotidian_a d~-ognuno.
{da GUIDA BIBLICA E TURISTICA DELLA TERRA SANTA -
I.P.L. Milano 1992, pag. 777-78)
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