Bollettino_Salesiano_199011


Bollettino_Salesiano_199011



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2 · 1 NOVEMBRE 1990
Rivista fondata da san Giovanni Bosco nel 1877
Quindicinale di informazione e cultura religiosa edito
dalla Congregazione Salesiana di San Giovanni Bosco.
INDIRIZZO
Via della Pisana 1111 - Casella post. 9092 - 00163 Ro-
ma-Aurelio - Tel. 06/65.92.915.
Conto corr. post. n. 46.20.02 intestato a Direzione Ge-
nerale Opere Don Bosco, Roma.
DIRETTORE RESPONSABILE
GIUSEPPE COSTA
Redazione: Giuliana Accornero - Miela d'Attilia - Pier-
dante Giordano - Gaetano Nanetti - Angelo Paoluzi -
Cosimo Semeraro.
Collaboratori: Nino Barraco - Sergio Centofanti - Paolo
del Vaglio - Umberto De Vanna - Monica Ferrari - Maria
Galluzzo - Maurizio Nicita - Silvano Stracca.
Impaginazione: Ufficio Grafico SEI
Archivio: Guido Cantoni (Roma)
Diffusione: Arnaldo Montecchio (Torino)
Spedizione: Stabilimento Grafico SEI - Torino
Fotocomposizione, Stampa: ILTE - Torino
Registrazione: Tribunale di Torino n. 403 del 16.2.1949
IL BOLLETTINO SALESIANO SI PUBBLICA
* Il primo di ogni mese (undici numeri , eccetto agosto)
per tu~ti.
* 1115 del mese per i Cooperatori Salesiani .
Collaborazione: La Direzione invita a mandare notizie e
foto riguardanti la Famjglia Salesiana e s'impegna a
pubblicarle relativamente alle esigenze redazionali. Te-
sti e materiali inviati non vengono restituiti .
Edizione di metà mese. A cura dell'Ufficio Nazionale
Cooperatori (Alfano, Rinaldini) - Via Marsala 42 - 00185
Roma - Tel. (06) 49.50 .185.
IL BOLLETTINO SALESIANO NEL MONDO
Il BS esce nel mondo in 39 edizioni nazionali e 18 lingue
diverse (tiratura annua oltre 10 milioni di copie) in : Ari-
tille (a Santo Domingo) - Argentina - · Australia -
Austria - Belgio (in fiammingo) - Bolivia - Brasile - Ca-
nada - Centro America (in Guatemala) - Cile - Cina (a
Hong Kong) - Colombia - Ecuador - Filippine - Francia
- Germania - Giappone - India (in inglese, malayalam ,
tamil e telugu) - Irlanda e Gran Bretagna - Italia - Jugo-
slavia (in croato e in sloveno) - Korea del Sud - Litua-
nia (edito a Roma) - Malta - Messico - Olanda - Para-
guay - Perù - Polonia - Portogallo - Spagna - Stati Uni-
ti - Thailandia - Uruguay - Venezuela - Zaire.
DIFFUSIONE
Il BS è dono-omaggio di Don Bosco a chi lo richiede .
Copie arretrate o di propaganda: a richiesta , nei limiti
del possibile.
Cambio di indirizzo: comunicare anche l'indirizzo vec-
chio .
SOMMARIO
3 CRONACHE SALESIANE
6 VITA ECCLESIALE
Ripartire tutti insieme per la missione
di Angelo Paoluzi
10 PROTAGONISTI
Mons. Faresin cinquant'anni di missione nel
Mato Grosso
d i G .N .
38 I NOSTRI SANTI
Don Rinaldi mi è rimasto nel cuore
di Pietro Brocardo
RUBRICHE
Pigy di Del Vaglio, 3 - Solidarietà, 43
1 Novembre 1990
Anno 114
Numero 17
In copertina:
Alcune immagini
del calendario
1990, in omaggio
ai lettori
in questo numero
(le foto sono di
F. Marzi - Roma)

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-------s8-
LE IMMAGINI E I GIORNI
Da oltre cinquant'anni, fu il beato don Filippo Rinaldi a volerlo, il Bollettino Sa-
lesiano in coincidenza con la fine dell'anno, regala ai suoi lettori il calendario del-
l'anno successivo.
Si tratta per lo più di una composizione grafica dove parole, immagini e stagioni
vengono mescolate in un unico messaggio che il lettore può raccogliere ora come
memoria, ora come stimolante richiamo a valori che spesso rischiano di perdersi
nel fluire dei giorni.
Tutto questo in sintonia con la tradizione di un giornale che da più d'un secolo
cerca di unire informazione visiva e informazione scritta.
Cinema, televisione, stampa e pubblicità ci hanno abituato a bruciare immagini
con la stessa rapidità con cui da un treno in corsa è possibile sguardare filari di pioppi.
Ed allora? Noi non disperiamo e proponiamo un calendario, al tempo stesso nuovo
e antico, dove ancora una volta l'immagine vuol farsi fissare e in cambio donare
qualcosa. Sono dodici foto scattate in Brasile dal nostro fotografo collaboratore Fran-
co Marzi. Il Brasile, terra sognata da San Giovanni Bosco e paese dalle potenzialità
tutt'ora inespresse, è caro alla tradizione dei figli del Santo di Valdocco: qui Fuchs
e Sacilotti morirono per una missione e qui, ieri come oggi, salesiani di Don Bosco
e Figlie di Maria Ausiliatrice in una stragrande varietà di presenze giorno per giorno
vivono la loro avventura. Foto paesaggistica e foto sociale si uniscono così ad una
salesianità diffusa.
·
Qualcuno giustamente ha scritto: ciò che importa non è la macchina ma il foto-
grafo. Ebbene: dietro a questo calendario c'è la massima attenzione per l'uomo la-
tino americano. C'è la solidarietà fra il nord e il sud, c'è quel filo sottile e tenace
che unisce cucendole in unica anima i Salesiani d'Italia a quelli del Brasile ed a quel-
li di tutto il mondo.
Giuseppe Costa
alle Regioni : i 2/ 3 delle
risorse finanziarie in realtà
vengono gestiti dalla
presidenza del Consiglio dei
Ministri .
La figura del Prefetto -
operatore sociale ed il nuovo
organico di 200 Assistenti
Sociali; le competenze dei
vari Ministeri (ben 9 sono
direttamente interessati); le
tre Agenzie di Osservazione,
presentano sul piano
concreto molte difficoltà per
non parlare del rapporto
tra apparato
penale - amministrativo -
finanziario e servizi; delle
difficoltà di precisare la
figura del consumatore da
quella del consumatore-
piccolo spacciatore.
Particolare attenzione
abbiamo riservato al titolo
IX: « Interventi informativi
ed educativi».
L'attività dei Salesiani,
anche nel campo del disagio
e della devianza giovanile, è
imperniata sulla prevenzione
ITALIA
Torino
dedica un giardino
a don Filippo Rinaldi
Perplessità salesiane
nei confronti della
nuova legge sulle
tossicodipendenze
L'Amministrazione
comunale della città di
Torino ha intitolato al
nuovo Beato don Filippo
Rinaldi un'area pubblica
attrezzata a giardino e a
impianti sportivi delimitata
dal Corso Allamano, Via
Giuseppe Grosso, Via
Giovanni Palatucci e il
Corso Gaetano Salvemini.
La cerimonia di intitolazione
si è svolta il 17 luglio 1990
nella Chiesa Parrocchiale
« SS . Nome di Maria» e per
l'occasione ha illustrato la
figura del Beato, don Luigi
Basset, ispettore della
Subalpina.
Il 26 giugno 1990 è entrata
in vigore la legge n. 162
sulle tossicodipendenze. In
tale circostanza don Sergio
Pighi a nome delle
Comunità di Accoglienza
promosse dai salesiani ha
fatto pervenire un
comunicato nel quale si
manifestano numerose
perplessità sulla stessa legge
soprattutto nella sua fase
applicativa.
« Il livello di complessità
istituzionale, si legge fra
l'altro nel comunicato, è
particolarmente elevato e
soprattutto troppo
accentrato non lasciando
sufficiente spazio concreto
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4 1 NOVEMBRE 1990
ideata come Progetto
Educativo inteso come
tensione verso la vita e il
bene, la valorizzazione dei
propri doni in relazione ad
altre persone.
Anche il recupero viene
pensato in funzione della
prevenzione come momento
di presa di coscienza della
propria realtà storica e di
nuove progettazioni in
maniera positiva per e per
gli altri.
Ci sembra che il dettato
legislativo abbia dimenticato
la prevenzione negli
ambienti di lavoro, del
tempo libero, delle
aggregazioni spontanee e di
quelle formali; non abbia
precisato il quadro di valori
di riferimento, i criteri che
devono stare alla base delle
attività preventive: in una
parola che si sia rimasti
troppo sul generico.
Sono alcune tra le tante
difficoltà che possono essere
superate con l'apporto umile
di tutti, buona volontà e
professionalità.
Su un punto non possiamo
essere d'accordo con la
legge, quello relativo ad aver
trasferito nell'ambito
amministrativo e quindi
penale tutto l'aspetto che si
dichiara voler essere
dissuasorio .
Alla luce della nostra
esperienza possiamo
affermare che l'intervento
sanzionatorio relativo al
tossicodipendente di piazza
anche se diluito in una
specie di sentiero di guerra,
·ricaccia nell'anonimato
coloro che si stavano con
difficoltà accostando ai
servizi; rende problematica
l'esistenza di strutture di
prima accoglienza
(ricordiamo che il 70/ 80%
dei tossicodipendenti sono
sulla strada); intasa la
magistratura e le forze
dell'ordine .
Al contrario, con fermezza
ma con tanta pazienza,
bisogna cercare di
incominciato a realizzarsi nel
convincere con la propria
1989. Parte essenziale di
vita e quindi con le parole questo centro saranno un
che val la pena vivere una oratorio, una scuola
esistenza basata sui Valori professionale e una chiesa
Umani Universali richiamati costruita grazie all'aiuto dei
con autorevolezza nei
cattolici tedeschi. Qui verrà
Principi Costituzionali.
anche trasferita la Università
Non ci può essere
Uon "Bosco fondata
educazione dove non esiste
collaborazione.
Don Bosco ci ricorda che
« l'educazione è cosa di
cuore»
Non possiamo accettare
lezioni di moralità
presentateci da forze
politiche abituate ad
affrontare i gravi problemi
del disagio con decisioni che
penalizzano i più indifesi.
Dispiace che si sia informata
l'opinione pubblica solo
attraverso le disqu(sizioni di
alcuni personaggi; si siano
ascoltati solo i residenti nelle
Comunità Terapeutiche (non
sono più di 20.000 su
350/ 400 .000
tossicodipendenti stimati) i
quali vivono una giusta
repulsione nei confronti
della vita tossicomanica; si
sia strumentalizzato il dolore
e la disperazione di tante
famiglie ferite .
SAN SALVADOR -
A Soyapango
cresce
la «Ciudadela
Don Bosco»
Man mano che i lavori
vanno avanti a Soyapango
città salvadoregna con quasi
mezzo milione di abitanti
anche i più increduli
incominciano a credere.
L'idea, costruire in realtà
strutture per oltre 20 mila
studenti, venne subito dopo
il terremoto del 1986 ed ha
ITALIA
Da Palermo
per gli
immigrati
Da dieci anni trova lavoro a
migliaia di immigrati, li'
inserisce nelle famiglie , va
alla ricerca di case,
organizza spettacoli e
riunioni, si impegna per
l'integrazione degli
extracomunitari in una città
difficile come Palermo,
capitale della
disoccupazione. Don
recentemente grazie anche
all"aiuto dei cattolici nord
Iamericani.
Nella foto: Un servizio
che « La prensa grafica»
di El Salvador ha
dedicato ai lavori e alle
prime realizzazioni del
progetto
Salvatore Naselli, salesiano,
delegato della Conferenza
episcopale siciliana per la
pastorale del lavoro e
consulente ecclesiastico
dell 'Api-Colf (I' associazione
professionale dei
collaboratori familiari
italiani), è il più grosso
riferimento dei « coloured »
nella capitale siciliana.
Tanto più oggi, nel
momento in cui la corsa alla
regolarizzazione che si è
chiusa - con la nuova legge
- il 30 giugno, ha fatto
affluire in questura circa
duecento immigrati al
giorno. Tutti con problemi

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~------s/J-
1 NOVEMBRE 1990 5
erchiamo di capire
di sopravvivenza, in pieno accoglienza, pomeriggi di
trauma di espatrio. « Nuovi svago, recite, cultura, e
arrivati», dice don Naselli, anche le celebrazioni
« che provengono in
religiose in lingua diversa
prevalenza dall'Africa
dall'italiano. A Palermo la
settentr-ionale e
domenica pomeriggio una
rappresentano l'ultima
serie di messe vengono
ondata immigratoria, la più celebrate in inglese,
precaria, ancora da
portoghese, tamil. Alle 17. 30
sistemare in ogni senso,
nella chiesa di Santa Lucia
mentre si avviano ormai a in via Principe Belmonte,
un buon indice di
dove le suore salesiane
integrazione coloro che negli mettono a disposizione i
anni passati sono venuti
locali per le attività
dalle Filippine, dallo Sri-
ricreative, c'è la messa in
Lanka, Mauritius, Capo
inglese. I tamil hanno la
Verde: circa diecimila
loro funzione nella chiesa di
immigrati storici, oggi
San Pietro e Paolo, gli
impiegati nei negozi della immigrati di Capo Verde
città, nelle famiglie, nelle presso le Ancel1e del Sacro
officine ma soprattutto
Cuore in via Marchese Ugo,
nell'assistenza domiciliare gli eritrei a San Michele i
agli anziani e ai malati».
provenienti dal madagascar
Un salesiano che ha messo a Casa Professa, i circa
allo scoperto una
ottocento dal Ghana si
contraddizione: nella città riuniscono con Baldassarre
dei centomila disoccupati il Meli nella casa salesiana di
lavoro c'è. È forse un
Santa Chiara.
lavoro di tipo non
I risultati di un'attenzione
gratificante, si trova solo in «speciale» si vedono nei
settori che i residenti
lunghi pomeriggi della
rifiutano, ma offre una serie domenica: « In passato»,
di occasioni, e chi le prende spiega don Naselli, « gli
al volo è don Naselli, il
immigrati bivaccavano in
quale poi le smista ai suoi centro città, a piazza
protetti tramite !'Api-Colf. Politeama che veniva
Ma è proprio la stessa
definita "piazza Manila".
organizzazione sindacale che Oggi, nei pomeriggi e nelle
diventa, con il trascorrere sere di festa se ne vedono
degli anni, una molla di
sempre meno girovagare
emancipazione per gli
disperati e senza meta.
immigrati. A presiederla
Hanno affittato
infatti, da un paio di anni, è appartamenti, si riuniscono
una signora filippina,
a cena, stabiliscono amicizie,
Santiago Rizalina. Anche molti si sono sposati, i loro
Santiago quando è arrivata, bambini frequentano le
nei primi anni '80, era una scuole. Non hanno un
sperduta immigrata. Entrata destino obbligato, di essere
nell'orbita dell' Api-Colf, si è cioè solo a servizio nelle
inserita in una famiglia, ma famiglie. Coloro che
ha continuato a impegnarsi frequentano i corsi
per il sindacato e poi è
professionali dell' Api-Colf
subentrata all'ex presidente, conquistano una competenza
Lidia Dominici.
che è molto ricercata, ma
Che cosa offre
molti altri si inseriscono
l'organizzazione di don
negli spazi occupazionali
Naselli che ruota intorno
dell'assistenza e della sanità
ali' Api-Colf? Non solo
non pubblica che pure ci
lavoro, ma anche
sono e notevoli: piazza
compagnia, assistenza,
Manila è sparita».
SEMPRE E ANCORA
SUI PIÙ DEBOLI
Gli effetti perversi della crisi del Golfo si faranno sentire, come
abituale, triste conseguenza, sui bambini. Economie impazzite e
difficoltà finanziarie, necessità di investimenti in spese militari ri-
cadranno sugli elementi più deboli di ogni società. Già oggi è pub-
blica la costatazione che ogni giorno muoiono di stenti quarantamila
bambini. Un genocidio di quindici milioni di esseri umani all'an-
no . La_costatazione è stata fattazimassimi livelli, in quel << verti-
ce» convocato alla fine di settembre dall'UNICEF (l'agenzia delle
Nazioni Unite che si interessa della sorte dell'infanzia nel mondo),
e al quale si sono precipitati un po' tutti - 71 capi di stato e di
governo, 70 ministri degli esteri -, fra buona fede, propaganda
e lacrime di coccodrillo.
Perché, per esempio, con tanti bei discorsi sul futuro dell'uma-
nità, sono appena 49, fra i 160 Paesi che aderiscono all'ONU, ad
aver firmato la Convenzione per i diritti del bambino approvata
quest'anno a Ginevra dopo un lungo e tormentato iter (e gli Stati
Uniti non l'hanno sottoscritta, perché in contrasto con la pena di
morte prevista in alcuni stati per i minori). O, se vogliamo girare
il ferro nella piaga, perché non mancherebbero mezzi e danaro per
fornire, in ogni parte del mondo, ai fanciulli che ne abbiano biso-
gno le necessarie cure sanitarie, le vaccinazioni preventive, stru-
menti per l'educazione degli adulti, e solidarietà.
È stato infatti calcolato che sarebbero sufficienti due miliardi
e mezzo di dollari l'anno sino al 2000 per salvare i milioni di bam-
bini condannati a morte. Si dirà: sono tanti, quei soldi, corrispon-
dono a tremila miliardi di lire. Si risponde: è il costo annuo della
pubblicità per le sigarette negli Stati Uniti, quello mensile per il
consumo della vodka in Russia, quello quotidiano per gli eserciti
che girano qua e per il mondo. Si pensi che in soli due mesi la
crisi in atto nel Golfo ha bruciato diciotto miliardi di dollari.
II diritto alla vita per il quale si battono meritoriamente i catto-
lici non si limita soltanto alla condanna dell'aborto ma viene este-
so a tutte le forme nelle quali l'esistenza viene minacciata. II
problema - è stato scritto - dei bambini di questa terra non è
la maggiore o minore felicità durante la prima età, è la morte. In
Sudan, nell'anno in corso, nella guerra civile che insanguina quel-
lo sfortunato Paese africano, per ogni soldato caduto sono morti
quattordici bambini. Bambini vengono mandati a combattere,
ovunque infuri la violenza. Altri sono fatti schiavi. E nessuno può
chiamarsi fuori: negli Stati Uniti tre milioni di fanciulli vivono sotto
la soglia della fame. La metà di tutti i bambini del mondo beve
acqua sporca.
Se cerchiamo di capire le ragioni di tutto ciò, difficilmente po-
tremo dare una risposta. Ma se guardiamo nei nostri cuori aridi,
vedremo che ognuno è in qualche modo corresponsabile di ciò che
avviene, per viltà, silenzio o quieto vivere. Si chiama, questo, pec-
cato di omissione.
Angelo Paoluzi

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6 • 1 NOVEMBRE 1990
VITA ECCLESIALE
RIPARTIRE
TUTTI INSIEME
PER LA MISSIONE
La Chiesa italiana ha svolto a Verona
dal 12 al 15 settembre 1990
un importante convegno dedicato
alla dimensione missionaria dei cristiani.
Presentiamo la cronaca dei lavori.
C'erano tutti nella ca-
vea del Teatro Romano di Verona,
venerdì 14 settembre, di sera. I mil-
le partecipanti al Convegno nazio-
nale missionario che si stava te-
nendo nella città scaligera (dal 12
al 15 del mese), e i veronesi, altri
mille e più. È stato il momento uni-
tario dell'appuntamento ecclesiale:
la veglia di preghiera dava un pre-
ciso senso spirituale all'incontro,
il primo di questo genere, di tutte
le componenti della Chiesa che è
in Italia coinvolte nell'impegno mis-
sionario.
A una voce, nella notte, si innal-
zava il canto. Con un cuore solo si
ascoltavano le testimonianze. Di una
sorella su suor Teresa Dalle Pezze,
religiosa comboniana veronese di 46
anni, martire nel 1985 in Mozambi-
co della fedeltà al Vangelo. Su mons.
Salvatore Colombo, vescovo di Mo-
gadiscio, ucciso da mano ignota nel
1989 dopo 42 anni di missione in So-
malia. Di suor Giuseppina Cavasino,
evangelizzatrice in un totale, appa-
rente silenzio di Dio in Paese islami-
co. Di mons. Aldo Gema, vescovo
missionario di Sao Mateus in Brasi-
le, nel suo impegno per i poveri che
ne fa una potenziale vittima nella li-
sta dei condannati a morte. Tutti as-
sieme, i presenti innalzavano verso il
cielo le fiammelle delle candeline in
un coro di luce, pregando per i qua-
ranta fra sacerdoti, religiosi, religiose
e laici della chiesa veronese ai quali
veniva consegnato il crocifisso del-
l'invio a predicare il Vangelo.
Novecentottanta i partecipanti al-
le quattro giornate del Convegno,
dal calendario faticosissimo. Ma non
si è sprecato un minuto nelle sale del
Seminario di San Massimo dove han-
no aperto e chiuso i lavori due car-
dinali, Jozef Tomko Prefetto della
Congregazione per l'Evangelizzazio-
ne dei Popoli, e Bernardin Gantin,
Prefetto di quella per i vescovi. Con
la partecipazione di 192 sacerdoti
(quindici dei quali vescovi), 160 reli-
giosi, 150 religiose, 480 laici.
Erano rappresentate le quattro
forze principali impegnate nella mis-
sione, le chiese locali attraverso l'Uf-
ficio nazionale per la Cooperazione
missionaria dipendente dalla Confe-
renza episcopale italiana, le Pontifi-
cie Opere Missionarie (che da sole
hanno portato quasi la metà dei con-
vegnisti), gli Istituti missionari e le
organizzazioni del laicato e del vo-
lontariato cattolico. A nome e per
iconto dei 17.700 missionari italiani
sparsi per il mondo : 6.600 religiosi,
9.100 religiose, 753 sacerdoti «fidei
donum », 1.300 laici, 700 dei quali
della FOCSIV (Federazione degli Or-
ganismi Cristiani di Servizio Interna-
zionale Volontariato). Complessiva-
mente in testa, gli italiani, prima dei
14.000 americani e dei 13.000 fran-
cesi; terzi, dopo USA e Germania,
nella solidarietà attiva e concreta (si
parla di It).ille miliardi di lire distri-
buiti ogni anno). Con un salto qua-
litativo e quantitativo, se si pensa che
nel 1960 i missionari erano poco più
di 10.000.
Il Convegno era stato preceduto
da un lavoro di consultazione a livel-
-lo locale, espresso in un centinaio di
relazioni a loro volta servite come
orientamento per l'articolazione del
dibattito. A partire dalla relazione
introduttiva del cardinale Tomko su
«Annunciare Cristo oggi», con la
quale si sono volute precisare in una
prima parte le basi teologiche, spe-
cificamente trinitarie, dell'invio in
missione; dall'altra, si sono delinea-
ti i compiti che spettano all'evange-
lizzatore.
Il relatore ha voluto prospettare la
necessità di una strategia missiona-

1.7 Page 7

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-------#-
1 NOVEMBRE 1990 7
-~- ----·
.~ 1 - i , - - ~ • , -
,_
.
.
DI
1/EGUA
TESTIMONIANZE
E D'INVIO
ria globale riferendosi a concrete si-
tuazioni, in Africa, Asia, America
Latina, e sulla necessità di sempre
più stretti legami di cooperazione e
coordinamento. Ha esortato a« non
perdere mai di vista la dimensione
mondiale e universale del problema»
e la collaborazione « tra le diverse
forze missionarie a livello della Chie-
sa italiana e delle singole diocesi»,
nel superamento di ogni eventuale
tensione.
Un cordiale riconoscimento è an-
dato alle singole forze missionarie:
agli Istituti religiosi, che ha definito
le « task forces » della Chiesa, ai preti
diocesani, invitati a offrirsi per alcu-
ni anni di ministero nelle missioni co-
me « fidei donum », ai religiosi, ai
laici. E non si è mancato di citare le
potenzialità dei movimenti ecclesia-
li, le varie possibilità di animazione
missionaria e di cooperazione, la
sempre migliore utilizzazione dei
mass media, l'aiuto che può venire
dall'esperienza delle Pontificie Ope-
re Missionarie.
Nella seconda giornata il prof. Ro-
mano Prodi ha tracciato il quadro di
riferimento sui « Cambiamenti in.at-
to nel mondo contemporaneo», con
i suoi dati sconfortanti di aumento

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8 • 1 NOVEMBRE 1990
delle situazioni di indigenza soprat-
tutto in Africa e America Latina,
mentre per i Paesi poveri i soli inte-
ressi sui debiti mangiano la metà del
reddfto nazionale. Prodi (che pur-
troppo è stato volutamente malcom-
preso dall'inviato di un quotidiano
cattolico) ha indicato nella valoriz-
zazione delle risorse umane il punto
sul quale far leva, purché tale valo-
rizzazione sia inserita in criteri di
cooperazione i cui modi e tempi so-
no però ancora tutti da inventare.
A lui è seguito mons. Domenico
Calcagno, organizzatore e cerniera
del Convegno, con« L'impegno mis-
sionario e il piano pastorale della
Chiesa italiana». Un lungo, artico-
lato «rapporto» che ha tenuto con-
to anche di suggerimenti espressi nei
documenti di base, riferendosi fra
l'altro a un mutato contesto genera-
le, di approfondimenti teologici e di
nuovi criteri di intervento missionari.
In questo senso, dopo l'esposizio-
_ne storico-dottrinaria, mons. Calca-
gno - per arrivare al nodo del
ragionamento - ha sottolineato la
riscoperta delle nuove problematiche
dell'impegno missionario da parte
della Chiesa italiana che quindi ritie-
ne di poter offrire strumenti per per-
fezionare i cammini di evangeliz-
zazione. Tre, in particolare, le scelte
pastorali per la testimonianza del
vangelo della carità: i giovani, il ser-
vizio ai poveri, la presenza respon-
sabile nella -società civile.
L'intervento di mons. Calcagno è
molto. più ricco-di-quanto lo-spazio
tiranno ci permetta di riferire e, in ef-
fetti, ha dato più di una sollecitazio-
ne al dibattito che si è svolto nella
seconda e terza giornata all'interno
dei gruppi di lavoro, dieci per ognu-
no dei tre «ambiti» nei quali era sta-
ta offerta una« lettura» di situazioni
e linee di tendenza mancata però,
va notato, la possibilità specifica di
una riflessione sui mass media e sul-
le vocazioni). Il primo dei tre ambi-
ti, « Impegno missionario universale
della Chiesa italiana», è stato intro-
dotto da p. Giordano Cabra, presi-
dente della Conferenza italiana
Superiori Maggiori, il secondo,
« Missione: annuncio e solidarietà»,
da Amedeo Piva, presidente della
FOCSIV, il terzo, «Animazione mis-
sionaria della pastorale della Chiesa
particolare», da don Rocco Maglie.
Possono sembrare semplici enun-
ciazioni tematiche. Hanno datd' in-
vece lo spunto nell'ambito dei gruppi
a un animato confronto, anche tra
«filosofie» diverse nell'attuazione
dell'animazione missionaria, con
qualche sospetto di tentata occupa-
zione di spazi a danno di questa o di
quell'altra, ben viva, realtà. Ma il
senso complessivo della «adunata»
missionaria è stato quello di una
straordinaria vitalità, sia pure alla ri-
cerca di nuovi e più adeguati cammi-
ni di testimonianza.
Ciò è riflesso nelle conclusioni -
peraltro non da tutti condivise - dei
COSÌ UN GRUPPO
DI PARTECIPANTI FMA
Al Convegno di Verona hanno partecipato un
discreto numero di membri della Famiglia Salesiana.
Si è distinta la presenza di un gruppo di Figlie di
Maria Ausiliatrice che Mieta Fagiolo d'Attilia ha
· intervistato.
Una presenza giovane, dinamica, piena di entusiasmo. Ma anche di sano reali-
smo, tipico di chi ha maturato dentro di sé la scelta della missione come stile di
vita. Sono le dodici giovani Figlie di Maria Ausiliatrice che stanno per partire per
vari Paesi africani. Sedute a-prendere appunti tra gli oltre mille partecipanti al Con-
vegno Missionario Nazionale presso il Seminario S. Massimo, hanno vissuto que-
sta esperienza con particolare attenzione. La stessa attenzione con cui stanno seguendo
il corso di « preparazione missionaria per l'Africa» organizzato dal CUM (Centro
Unitario per la cooperazione Missionaria tra le Chiese) di Verona.
« Perché è importante oggi fare un corso sulla missione? - si chiede sorridendo
~ or Elena.27 anni, italiana -...Forse una volta i missionari partivano in un'altra
maniera, ma in questi giorni anche nel Convegno ·èemerso con chiarezza l'impor-
tanza di curare la formazione. Questo corso (a cui partecipiamo in 50 tra religiosi,
religiose e laici provenienti da Istituti di tutta Italia) ci aiuta a scavare più in pro-
fondità nella conoscenza della terra africana. Ecco perché, con l'aruto di professo-
ri universitari, esperti e studiosi delle varie discipline, studiamo la sua storia,
n~ o~ a,ikammin _cclmale..,"'tlltti:grossi.temi, emersi anche dalle relazioni
principali di questo Convegno. Sì, questo ci aiuta ad essere molto più realisti sulla
nostra partenza e sul piccolo aiuto che possiamo dare al futuro culturale e religioso
del continente africano. Impariamo ad accogliere questa cultura, questa Chiesa,
questa gente, senza andare all'arrembaggio ma molto più ridimensionati nel senso
del nostro servizio missionario. Ridimensionati, attenzione, nel calarci nei proget-
ti. Ma allo stesso tempo più consapevoli del grosso scambio che ci prepariamo ad
accogliere: un modo più maturo di fare inculturazione. Mi sembra che il corso la-
vori proprio in questo senso, senza dare ricette su "come arrivare in Africa e risi-
stemare tutto". Non dà ricette ma alcune chiavi di lettura per aiutarci a capire in
che modo si può fare missione nel Paese a cui siamo destinate».
L'Africa è per queste giovani suore una meta che si avvicina. Alcune partiranno
appena il mese prossimo, sulla linea dell'impegno globale del Progetto Africa va-
rato per le Figlie di Maria Ausiliatrice nel 1982. « Sì, noi siamo le braccia, le gam-
be, il prolungamento di quel Progetto - aggiunge Suor Elena -. II progetto di
essere missionarie dei giovani di tutto il mondo. Ecco perché è molto bello che qui
ci siano sorelle della Korea, dell'India, delle Filippine, dell'America Latina, del-
l'Europa, che vanno per essere missionarie in Africa».
Sul grande crocevia internazionale della missione si incrociano continuamente
nazionalità, provenienze e mete di arrivo incredibilmente lontane tra loro. Ma le

1.9 Page 9

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-----,---------~-
1 NOVEMBRE 1990 9
tre ambiti, che sono state portate in
assemblea. E che hanno fatto rico-
noscere a mons. Camillo Rumi, se-
gretario generale della CEI, nel
proporre la sintesi del Convegno, che
non ci si devono « nascondere le di-
verse articolazioni esistenti». Egli ha
sottolineato la ricchezza complessi -
va dei carismi nella Chiesa, partico-
larmente rispetto alla missione; una
chiesa che <{ deve sposare, deve co-
struire una pastorale più missionaria,
per inserire la fede nello sviluppo del-
la nostra società».
Mons. Calcagno ha sintetizzato gli
orientamenti emersi dal dibattito nei-
distanze e le differenze si sa, non hanno mai spaventato nessun missionario. Anzi,
per chi parte per annunciare Cristo, nessun fratello è mai troppo lontano. «So già
che partirò presto per l'Angola - spiega suor Zvonca Mikec, che ha 28 anni, è
iugoslava, ma parla perfettamente l'italiano - in una delle due comunità che le
Figlie di Maria Ausiliatrice hanno in questo Paese, a Luanda e a Cacuaco. Mi sono
sentita chiamata alla missione fin da quando ero piccola. Poi crescendo ho cono-
sciuto le suore e nella maturazione della mia scelta religiosa, la missione ha preso
un posto sempre più importante. E sono contenta, sempre di più, man mano che
vado avanti perché mi rendo conto della grandezza del compito che ci poniamo
di fronte. Cosa farò in Angola? Ancora non so bene. Il campo che ci aspetta è mol-
to impegnativo, specialmente a causa della realtà politica. Dopo i miei studi ali' Au-
xilium penso che mi occuperò di catechesi, di preparazione dei catechisti, ma anche
di promozione umana e di alfabetizzazione (anche se in quello stato non si possono
aprire scuole religiose). Penso che soprattutto nei primi tempi il lavoro sarà molto
vario e che dovrò guardarmi intorno per capire quale è il mio posto».
Suor Mary John Vallopallil invece viene dall'India e sta per partire per il Kenya.
Ha 27 anni e sarà impegnata a fare l'infermiera. Parla poco l'italiano, ma con gli
occhi e soprattutto con il suo sorriso aperto e disarmante, racconta molte cose sul-
la storia della sua vocazione missionaria. Dice di avere conosciuto le suore salesia-
ne per caso, quando era piccola nella città di Kerala, e di essere rimasta colpita
dal loro modo di stare in mezzo ai giovani, di essere allegre e di saperli educare.
«Ho sentito amicizia per quelle suore, il desiderio di essere come loro, tra altri gio-
vani. E poi leggevo spesso le riviste missionarie, mio•padre ci parlava sempre dei
missionari, dei loro viaggi verso chi non conosce Cristo. Da quando sono suora
ho sempre detto che anche io volevo essere missionaria. E quando mi hanno chie-
sto di partire ho risposto subito di sì».
Miela Fagiolo d'Attilia
gruppi di lavoro. Quattro, a suo pa-
rere, le idee di fondo sulle quali il
Convegno ha voluto riflettere. In
primo luogo la missione precede la
Chiesa e non è riducibile all'attività
missionaria: quindi ciò che facciamo
testimonia l'opera dello spirito in
noi. Poi, la missione è la « carta di
identità» della Chiesa, e perciò tutti
hanno un compito missionario. Inol-
tre la missione è senza limiti e confi-
ni . Infine è la fede in Cristo che fa
nascere in noi la missione e, poiché
noi siamo in quanto veniamo dal Cri-
sto, quella missione va vissuta e te-
stimoniata.
Potremmo indicare il risultato po-
sitivo di questo primo Convegno uni-
tario nei suggerimenti che ha dato,
nella presa di coscienza che ha solle-
citato, nella gente che ha fatto incon-
trare, e forse scontrare, nelle certezze
che ha confermato sul ruolo di que-
sta o quella istituzione. Ha offerto
il prezioso contributo del Centro uni-
tario missionario, una istituzione di
collegamento inaugurata dal card.
Tomko, ha ricordato il cammino
percorso dalla Chiesa italiana, - in
particolare con il documento pasto-
rale del 1986, « Comunione e comu-
nità missionaria», e con le due note
pastorali, sempre della CEI, sul te-
ma missionario, del 1984 sui sacer-
doti e dal 1990 sui laici - , ha
riproposto il ruolo della stampa mis-
sionaria.
« Lo spirito missionario - ha det-
to in una intervista Mons. Settimio
Todisco, Presidente della Commis-
sione CEI per la Cooperazione tra le
Chiese - non è un elemento sovrap-
posto all'insieme della formazione
ma dimensione essenziale della pre-
parazione e del ministero sacerdota-
le, poiché la conoscenza intima e
l'amore di Gesù suscitano il deside-
rio e il bisogno di farlo conoscere e
amare, condividendo pienamente
la missione evangelizzatrice della
Chiesa per il mondo intero». Non
si dimentichi, per esempio, che l'En-
ciclica « Fidei Donum » del 1957
nacque in soccorso delie vocazioni
per la Chiesa africana, germoglian-
do poi per quella universale.
Darà gli stessi frutti, nelle pro-
porzioni che gli sono proprie, guesto
primo Convegno unitario? E una
speranza della Chiesa italiana.
Angelo Paoluzi

1.10 Page 10

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1,0 • 1 NOVEMBRE 1990
PROTAGONISTI
MoNs. FARESIN
CINQUANT'ANNI DI MISSIO_NE
N·EL MATO GROSSO
Nella Diocesi di Guira-
tinga, nel Mato Grosso, in Brasile,
lo conoscono tutti come il vescovo
dell'evangelizzazione e della cateche-
si, delle scuole, degli ospedali, delle
case per i poveri. E tutti lo amano e
lo stimano: i giovani e gli anziani, gli
indigeni e gli ebrei. E questo perché
a tutti e alle opere che ha realizzato
per chi è nel bisogno, mons. Camil-
lo Faresin ha dedicato l'intera sua vi-
ta di salesiano e di missionario.
Ripercorrere i 76 anni di mons. Fa-
resin è come veder scorrere - e lo
hanno detto in molti, anche in occa-
sione del cinquantesimo di sacerdo-
zio celebrato nel giugno scorso - un
film d'azione, denso d'intreccio e di
intense emozioni, la cui sceneggiatu-
ra fluisce lungo due filoni fondamen-
tali, la salesianità e la missionarietà,
due vocazioni che egli ha coltivato
con identico entusiasmo.
Eu durante glianni del liceo_nel se-
minario vescovile di Vicenza - do-
ve era entrato nel 1927 - che maturò
la sua decisione di diventare missio-
nario di Don Bosco. Attese con im-
pazienza che giungesse il tempo della
partenza per le terre lontane dove vo-
leva testimoniare la sua fede e impe-
gnarsi per la diffusione del Vangelo.
Quel giorno giunse il 14 novembre
1934. Il chierico Camillo, vent'anni,
con un gruppo di coetanei, .ricevuta
la paterna benedizione del Rettor
Maggiore don Ricaldone, si imbar-
cò per il Brasile . È, questo, per chi
parte missionario, il momento in cui
avverte più intenso - come scrisse
nel suo diario il giovane Camillo -
« il sacrificio, fatto a Gesù, della Pa-
tria, dei parenti, degli amici, di quan-
to si ama nella bella Italia» .
Foto SAF

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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-----------yl-
1 NOVEMBRE 1990 35
La nuova patria
Il Brasile doveva diventare la nuo-
va patria di adozione di Camillo Fa-
resin e, in Brasile, la regione del
Mato Grosso la terra dove avrebbe
svolto per tanti anni, senza rispar-
miarsi, il suo apostolato. Nel Mato
Grosso, i salesianLc:erano_arriYati
-per la -prima volta nel 1894, guidati
dall'intrepido mons. Luigi Lasagna
(secondo vescovo salesiano dopo
mons. Cagliero, l'apostolo della Pa-
tagonia) e da don Balzola. Nel 1901,
dalla capitale della Regione, Cajubà,
una pattuglia di salesiani e di Figlie
di Maria Ausiliatrice si mise in viag-
gio per raggiungere Taxos, 480 chi-
lometri verso oriente. Un viaggio irto
di difficoltà, durato 31 giorni, sotto
piogge spesso torrenziali, che mise a
dura prova la tenacia dei salesiani e
superato solo grazie alla fede incrol-
labile che li animava. Scopo della
spedizione era di raggiungere gli in-
dios Bororos, che vivevano nella
giungla in quasi totale isolamento,
per aiutarli spiritualmente e mate-
rialmente.
Se fu relativamente facile farsi ac-
cettare dai Bororos - che pure ave-
vano motivo di diffidare dei bianchi
a causa del crescente numero di « fa-
zenderos » preoccupati solo di au-
mentare l'estensione delle loro terre
- impossibile fu il contatto con
un'altra tribù indios, quella dei Xa-
vantes, che nutriva verso i bianchi un
odio mortale. Dovettero passare
molti anni di ripetuti tentativi, costati
la vita a due missionari salesiani, don
Giovanni Fuchs, e don Pietro Saci-
lotti, prima di poter intraprendere
un'azione pastorale fra questi indi-
geni. Ci riuscì, ma solo nel 1950, don
Colbacchini, vecchio missionario dei
Bororos. Nel 1957 ha avuto inizio la
catechesi permanente degli indios
Xavantes.
Il primo periodo di permanenza
in Brasile, il chierico Faresin lo tra-
scorse dedicandosi con entusiasmo
all'assistenza dei giovani e all'inse-
gnamento. Si rese conto che se le
prospettive di una vasta opera di
evangelizzazione in quelle terre era-
no promettenti, ciò di cui si aveva
pressante bisogno era la presenza di
sacerdoti, « di sacerdoti santi -

2.2 Page 12

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36: 1 NOVEMBRE 1990
o
ù
..J
;..._
scrisse - di missionari intrepidi e
pieni di spirito di sacrificio» . E ag-
giunge:v.a, iILunaJettera..ai..famiglia:
ri: «manca il personale, mancano i
mezzi, ma il cielo ci aiuterà a supe-
rare tutte le difficoltà».
Terminati i tre anni di tirocinio,
Camillo Faresin torna in Italia (1937)
ed è ordinato sacerdote il 9 giugno
1940, nella chiesa del Sacro Cuore,
in via Marsala a Roma. Il giorno do-
po l'Italia entrava in guerra. E fu
a causa degli eventi bellici che al
novello sacerdote di Don Bosco fu
impedito di riprendere, come desi-
derava, la via del Brasile, per con-
tinuare la sua opera di missiona-
rio . Ma negli anni della guerra non
rimase inattivo. Riprese gli studi lau-
reandosi all'Università Gregoriana,
e si dedicò all'assistenza dei ragazzi
nell'oratorio salesiano di via
Marsala.

2.3 Page 13

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-----------s/1-
Premiato dagli ebrei
Ma c'è dell'altro. Chiamato a col-
laborare all'Ufficio informazioni per
i prigionieri e i profughi di guerra,
istituito da Papa Pio XII per lenire
le sofferenze di tanta gente dispersa
nel mondo dall'immane conflitto,
don Faresin dedicò particolare cura
alla protezione e alla salvezza della
vita di ebrei perseguitati dai nazifa-
scisti. Tutto in gran segreto, natural-
mente, a quell'epoca, per non
incorrere in rappresaglie. Ma anche
in seguito, don Faresin non fece mai
cenno a questa sua attività, secondo
uno stile improntato alla modestia e
all'umiltà. E tuttavia, dopo molti an-
ni, le sue benemerenze vennero alla
luce, segnalate proprio da un ebreo
a una Associazione di Belo Orizon-
te, in Brasile: il Consiglio di frater-
nità cristiano-ebraico, che ogni an-
no sceglie sette persone, quattro ebrei
e tre cristiani, considerati benemeri-
ti della convivenza ebraico-cristiana,
ai quali conferisce uno speciale atte-
stato. Il premio è stato consegnato
solennemente a mons. Faresin il 1°
luglio 1989.
Finita la guerra e tornato in Bra-
sile, il giovane sacerdote riprende la
sua attività: insegna, assiste i giova-
ni, raggiunge sperdute località prive
di sacerdote, fa il confessore in una
casa correzionale per ragazzi, sempre
animato dal fervore del suo aposto-
lato missionario. Poi, nel 1954 è ve-
nuta la nomina a vescovo. «La
dignità episcopale a cui il Signore mi
ha chiamato - scrisse in quell'occa-
sione - è un grande dono di Dio, ma
al tempo stesso è una grande respon-
sabilità cui devo rispondere con ge-
nerosità. Perciò, oltre a ringraziare
1 NOVEMBRE 1990 37
il Signore, ho bisogno di preghiere,
perché mi aiuti a essere degno della
grazia e capace di corrispondervi» .
Nella Diocesi di Guiratinga, mons.
Faresin divenne successore di illustri
e spesso eroiche figure di salesiani,
entrati a far parte della storia della
Congregazione di Don Bosco. Attor-
no ad essi, come oggi attorno a
mons. Faresin, si è mosso uno stuo-
lo di missionari, suore di Maria Au-
siliatrice, fratelli laici, sempre in
prima linea, instancabili nel lavoro
apostolico. In tutta la vastissima re-
gione - 50 mila chilometri quadrati
- si sono moltiplicate negli anni le
iniziative per la catechesi, l'educazio-
ne e la promozione umana, l'assi-
stenza sanitaria.
Un grande ospedale
. Foto SAF
Nelle foto di queste pagine
alcuni momenti della vita missionaria di Mons. Faresin.
In alto, a sinistra, riceve il collare di Cavaliere dal Governatore del
Mato Grosso nel 1989, a destra inaugura la campana a Vale Rico nel 1967;
in basso Mons. Faresin è davanti all'ospedale di Guitaringa in compagnia
di alcuni membri del personale
Mons. Faresin ha dato nuovo im-
pulso a queste attività, allargandole
e consolidandole. Per aiutare i più
poveri e i sofferenti, egli ha edifica-
to un ospedale intitolato a santa Ma-
ria Bertilla, con annessa casa di
riposo per gli anziani. Inaugurato nel
1970, _l'ospedale accoglie i malati del-
la regione, supplendo alle carenze
dell'assistenza sanitaria pubblica.
Pur dedicandosi interamente ai
suoi figli brasiliani del Mato Gros-
so., mons. Earesin.ha.semp.r.e.mante-
nuto saldissimi legami con la sua
terra natale, e in particolare con Ma-
ragnole di Breganze, in provincia di
Vicenza, dove è nato il 22 maggio
1914, da una famiglia di contadini
« povera di mezzi - come egli ha
scritto - ma ricca di virtù umana e
cristiana». E la sua terra ha voluto
onorarlo, nel 1977, con il premio
Provincia di Vicenza.
Nel giugno scorso, è stata la comu-
nità cristiana di Maragnole a strin-
gersi esultante attorno all'illustre
concittadino in occasione delle sue
nozze d'oro sacerdotali. Ha ricono-
sciuto in lui l'autentico figlio di Don
Bosco, che di Don Bosco - come ha
annotato il nipote don Giovanni Fa-
resin nel volume che ha curato per
l'occasione -«ha seguito e applica-
to gli insegnamenti, i quali sono poi
gli insegnamenti del Vangelo».
G.N.

2.4 Page 14

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38 1 NOVEMBRE 1990
I NOSTRI SANTI
Do~RINALDI~
Ml È RIMASTO
N·ELCUORE
Il mio ricordo indiretto,
quasi umbratile ma autentico, del
Beato Filippo Rinaldi risale agli an-
ni del collegio salesiano, trascorsi a
Benevagienna (Cuneo), come alunno
delle classi ginnasiali (1925- 1919).
Anni nei quali il terzo successore
di Don Bosco aveva mobilitato le ca-
se dei Salesiani e delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice ad intensificare la
preghiera affinché venissero supera-
te le ultime difficoltà che ancora si
frapponevano alla beatificazione del
fondatore della famiglia salesiana.
Ma la sua beatificazione era nel-
1' aria; si viveva - superiori e giova-
ni - come elettrizzati dall'immi-
nenza dell'evento. Oggi, alla distan-
za di sessant'anni, la glorificazione
di don Rinaldi mi rimanda specular-
mente a quella di Don Bosco. E c'è
una buona ragione. La mia « chia-
mata» alla vita salesiana è infatti ma-
turata nel clima esaltante della bea-
tificazione del Santo dei giovani. Di
certo, solo la libera iniziativa di Dio
è all'origine di ogni vocazione; ma al

2.5 Page 15

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-----------s/1-
La recente
beatificazione di
don Filippo Rina/di
ha fatto rivivere
a tanti testimoni
che l'hanno
conosciuto incontri
e sensazioni.
Pubblichiamo
i ricordi personali di
don Pietro Brocardo.
Foto Archivio Salesiano
di là e al di sopra delle numerose me-
diazioni con le quali lo spirito mi ha
raggiunto, determinanti furono sen-
za dubbio le giornate della beatifica-
zione di Don Bosco.
Ho avuto la fortuna di assistere in
S. Pietro alla proclamazione del nuo-
vo Beato, di contemplarlo nella glo-
ria del Bernini (2 luglio 1929), di
prendere parte alla speciale udienza
concessa da Pio XI - il « Papa di
Don Bosco! » - ai soli pellegrini to-
rinesi, ai quali - unici giovani -
eravamo aggregati. Quando il Pon-
tefice, accompagnato dal piccolo
corteo, con a fianco il card. A.
Hclond salesiano, raggiunse il nostro
gruppo, sostò alquanto e rivolse pro-
' prio a me, che ero il primo della fi-
la, alcune domande (chi le ricorda?)
alle quali risposi, infilando uno do-
po l'altro dei «Sissignore», appena
I Alcune immagini di .Don Rinaldi,
giovane ispettore in Spagna
e come Rettor Maggiore
fra i giovani
1 NOVEMBRE 1990 39
sussurrati ma che fecero sorridere il
« grande Papa» e chi gli era vicino.
Ad udienza finita tutti - superiori
e compagni - mi saltarono addos-
so dandomi del maleducato. Forse
era vero: avevo maldestramente vio-
lato, né più né meno, che le regole
di un cerimoniale vecchio di secoli:
«Dovevi rispondere: Sì Santità». Ma
mi sentivo felice; avevo parlato col
Papa! Penso che Don Bosco mi
avrebbe detto «bravo!» tanto ap-
prezzava la spontaneità giovanile.
Dopo Roma fu la volta dell'apo-
teosi della traslazione dell'urna del
Beato dalla casa di Valsalice alla Ba-
silica di Maria Ausiliatrice. Ma po-
co prima, e più ancora, avevo visto
Don Bosco. Proprio così: alludo al-
la contemplazione, quasi estatica,
della sua salma - quel tanto che di
lui è rimasto - ricomposta con cu-
ra in una tersissima cassa di cistallo.
Esposta alla venerazione dei fedeli
nell'atrio della chiesa del Liceo Val-
salice - prima di essere definitiva-
mente sistemata nella forma attuale
- fu visitata da migliaia di persone
convenute da ogni dove; il 2 giugno
le sfilarono attorno più di 50.000 pel-
legrini.
Quell'immagine mi accompagna
sempre. Come sempre mi accompa-
gna il profilo dei miei migliori mae-
stri di vita salesiana - dal 1925 al
1945 - i quali non solo conobbero
ancora Don Bosco, ma furono anche
suoi figli spirituali. A mia volta so-
no, oggi, tra i non moltissimi che
hanno conosciuto don Filippo Rinal-
di; uno di quelli che possono dire -
con tutto il rispetto per il libro sacro
e senza alcuna intenzione di profa-
narlo - «io l'ho udito», i «miei oc-
chi lo hanno visto», le « mie mani lo
hanno toccato» (Gv. I 1-2).
E trovo naturale che si attenda da
me un ricordo, una reminiscenza,
una parola di lui, non importa se ap-
pannata dal tempo.
Dirò subito che di don Rinaldi ser-
bo una immagine come sdoppiata.
Per un verso quella dell'uomo dal-
l'apparenza imponente, quasi solen-
ne, estremamente calmo, concen-
trato in sé stesso, mitissimo, dallo
sguardo più che paterno. Si poteva
trattare con lui a cuore aperto; mai
che si sentisse il bisogno di assumere
atteggiamenti di difesa, o comunque
mascherati .

2.6 Page 16

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40 1 NOVEMBRE 1990
Nulla però che facesse pensare im-
mediatamente al santo, e, meno che
mai, all'immagine oleografica di cer-
ta agiografia allora ancora in auge.
Eppure, per altro verso, devo dire
che qualcosa della sua stupefacente
intimità con Dio, - diciamo pure
della sua santità - mi colpiva. Nel-
la mia mente di adolescente e di gio-
vane- la sua persona mi appariva
oltremodo «grande» « fuori misu-
ra». Non riuscirò a circoscriverla in
un piccolo ovale, a dissociarla da
quella di Don Bosco che mi portavo
dentro. Se era - pensavo - il suo
successore perché avrebbe dovuto es-
sere diverso da lui, meno grande, me-
no santo?
Il primo incontro «diretto» con
don Rinaldi reca la data di 15 settem-
bre 1929. Era domenica e la città di
Chieri - nella quale la personalità
di Giovanni Bosco studente e semi-
narista (1834-1841) era esplosa in tut-
ta la sua ricchezza - celebrava con
grande solennità la sua beatificazio-
ne. Gli antenati di Don Bosco erano
di origine chierese, ma forse nessu-
no lo sapeva. I chieresi di allora -
e di oggi - sono fieri di averlo avu-
to concittadino per lunghi dieci an-
ni, tra i più determinanti della sua
formazione di futuro apostolo della
gioventù.
In quella circostanza i 11 O novizi
di Villa Moglia - località poco di-
stante da Chieri - fra i quali mi
trovavo dal 16 agosto 1929, vi par-
teciparono in grande. Delle manife-
stazioni religiose e civili m'è rimasta
in mente la commemorazione uffi-
ciale; dei rituali alati discorsi noio-
sissimi, non ricordo nulla. Mi attirò
invece il parlare semplice e convinto
di don Rinaldi, il quale disse fra l'al-
tro: «Don Bosco ritornava sovente
col pensiero a questa città per rin-
francare il suo spirito. Noi salesiani
veniamo col cuore a Chieri per tro-
varvi quel calore di carità senza il
quale la nostra pratica sarebbe
vana».
Solo più tardi ho compreso la pro-
fondità di queste sue parole allusive
al misterioso e bellissimo viaggio
compiuto da Giovanni Bosco nella
ridente cittadina - detta la « Roma
del Piemonte» per le numerose e
splendide chiese - all'insegna dell'a-
more senza limiti verso Dio e verso
il prossimo.
La mia vestizione chiericale porta
il nome di don Rinaldi. Alla funzio-
ne era presente la mia buona mam-
ma la quale, mille volte più ricca di
me di Spirito Santo, non perse silla-
ba del discorso del Beato di cui ave-
va compreso pienamente la bellezza
e la profondità: non finiva di dirme-
lo. A mia confessione devo confes-
sare che non ricordo più nulla.
Quella veste, desiderata, mi stava
stretta, mi sentivo come ingessato
dentro; ma ero anche impressionato
dal valore simbolico di quella divi-
sa: bisognava rompere - come ave-
va spiegato il maestro - con un
certo modo di vita e viverne un altro .
Rammento invece con edificazio-
ne le genuflessioni del Beato, fino a
terra, perfette: mi sono sempre do-
mandato come potesse, lui malato di
cuore, trovare la forza per risolleva-
re il suo grave peso. Anche i miei pri-
mi voti li ho resi a Dio nelle sue
mani. E quando penso che il forte
abbraccio datomi in quel momento
era quello di un santo provo una se-
greta gioia. Ho detto che devo la mia
«chiamata» alla beatificazione di
Don Bosco; devo aggiungere che la
I Nella foto in alto un'immagine di
Don Rinaldi
a Matarò, in Spagna nel 1926
mia «nascita» alla vita salesiana è
avvenuta tramite l'autorità di don
Rinaldi rappresentante della chiesa.
Nel discorso rivoltoci in quella me-
morabile giornata ci disse tra l'altro:
« Coltivate intensamente la vita inte-
riore, l'intimità con Cristo e il Padre.
Vivete in carità con tutti, ma prima
amatevi tra di voi; siate un cuor so-
lo e un'anima sola. Quelli che sono
nel primo banco amino quelli che
stanno nell'ultimo, ma prima anco-
ra i propri vicini sopportandone i
difetti».
Dunque una carità concreta, vera,
non velleitaria e sognante. E poi, an-
cora, per strano che possa apparire,
un invito ad essere «padri» fatto a
giovani coadiutori e a chierici in er-
ba: « Siate padri anche voi dei gio-
vani che vi saranno affidati. Il padre
è responsabile, sacrificato, vive per
i suoi figli, li ama, sa farsi amare».
Parole più grandi di noi! Di cui solo
il tempo ci avrebbe rivelato lo
spessore.

2.7 Page 17

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- - - -- --s/J-
1 NOVEMBRE 1990 41
Foto
Archivio
Salesiano -
Alla Moglia don Rinaldi veniva poesia che avevo imparato bene ed
volentieri, anche per riposare il suo i'o stesso gustavo . Senonché giunto a
cuore stanco. Con quanta riverenza metà mi impappinai e non ci fu ver-
entravamo nel suo studio, bellissimo so di poter decollare ancora. Scesi
- opera del Juvara - quanto spo- dal piccolo podio col cuore che mi
glio di tutto, se si eccettua il croci- batteva forte: baciai lo stesso la ma-
fisso ed un quadro di certo valore. no a don Rinaldi che mi sorrise con
La festa del Sacro Cuore, in que- benevolenza.
gli anni, si celebrava nel noviziato Non so dire fino a che punto avessi
quasi fosse Pasqua; lui la onorava · compr~so che le umiliazioni, ben di-
con la sua presenza e non mancava gerite, sono un ottimo nutrimento
di rivolgerci la parola adatta, lenta, dell' umiltà.
penetrante.
Ma le astuzie della superbia sono
La solennità si concludeva con la sottili ed infinite se penso alla rispo-
tradizionale « accademia ». A me era sta che, un giorno, dopo aver man-
stata affidata la recita di una bella dato in frantumi la più bella oliera
del noviziato, dissi al mio caro mae-
stro don Gioffredi: «Se era volontà
di Pio che si rompesse, che ci pote-
vo fare?». « Te la do io la volontà
di Dio! », fu la risposta, seguita
da una _paterna lezione di ascetica
pratica.
Un episodietto posso ancora ri-
chiamare del quale fui testimone in-
diretto.
Don Rinaldi aveva disposto che in
congregazione non si introducesse
l' usanza di prendere il caffè dopo
pranzo.
Il maestro invece lo faceva porta-
re e lo prendeva insieme ad un grup-
petto di 5-6 confratelli. Quando il
beato venne a trovarci la prima vol-
ta, il caffè fu servito come sempre.
Il maestro rivolto a don Rinaldi dis-
se: « Vada, io so di non assecondare
un suo ordine; ma qui c'è don Cot-
trino - nostro simpatico confesso-
re già alunno di Don Bosco - che
ne ha bisogno per i suoi molti anni;
vi è il coadiutore tale che non gode
buona salute, per tutti insomma c'è
una ragione che mi pare valida. Io mi
accoscio per non essere scortese».
Don Rinaldi non si scompose, e
non tanto perché quello era un caffè
per modo di dire, bensì perché il
buon senso e carità portavano a fa-
re così: « Fai bene, fai bene, conti- _
nua pure! ». I santi non hanno
complessi perché conoscono meglio
-clegli altri -!e-esigenze sovrane -della
fragile condizione umana. Il passag-
gio dal noviziato allo studentato fi-
losofico di Foglizzo diradò gli
incontri con don Rinaldi ma il Bea-
to dimostrò sempre una particolare
benevolenza verso i suoi chierici.
Nel maggio - credo - del 1931
siamo andati a passare una giornata
a Valdocco. Il pranzo fu servito nel
grande refettorio degli studenti. Sul
finire della mensa ecco affacciarsi
dalla porta principale don Rinaldi
accompagnato da qualche altro su-
periore.
Siamo scattati in piedi con slancio;
un mio compagno della ispettoria na-
poletana, tipo spontaneo e ardente
come il suo Vesuvio che allora fuma-
va sempre, lanciò con quanto fiato
aveva in gola un « Viva il Rettor
Maggiore! » al qual.e abbiamo rispo-
sto con un possente «Evviva!» don
Rinaldi avanzò lentamente e quando
fu a metà refettorio, ci fece zittire

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42 · 1 NOVEMBRE 1990
I Una veduta d'insieme del paese natale di Don Rinaldi,
Monferrato (Foto Marzi - Roma).
con un cenno della mano, poi disse
un: «No, no» che per mi ragge-
lò il cuore. E soggiunse « Dite viva
don Rinaldi ». Confesso che non
scorsi nessuna differenza, se non
quando il buon superiore ci fece ca-
pire che Don Bosco, prima che su-
periore, era rimasto sempre Don
Bosco e sempre padre; nessuno mai
aveva gridato « Viva il Rettor Mag-
gior~», sempre e solo « Viva don Bo-
sco». Così si facesse con lui: « Viva
Don Rinaldi». Un «fioretto» che ci
riporta all'infé!OZia della congrega-
zione certamente, ma anche qualco-
sa di più.
·
A pochi mesi dalla sua morte don
Rinaldi venne a Foglizzo a conclude-
re gli esercizi spirituali intrattenen-
doci per più di un'ora nella sua
« Predica dei Ricordi». Prese a tema
il « Sogno dei diamanti» fatto da
Don Bosco a S. Benigno Canavese
nel 1881. Il suo dire già affannoso,
lentissimo, lasciò in tutti - superio-
ri e chierici - profonda impressio-
ne. Rivedendo gli appunti presi in
quel giorno vi trovo, alla distanza di
anni, una delle più lineari ed alte in-
terpretazioni dell'identità dello spi-
rito salesiano, della nostra ascesi,
della nostra mistica.
Su questo sogno sono ritornati un
po' tutti i successori di Don Bosco.
Don Egidio Viganò, attuale Rettor
Maggiore dei salesiani, lo ha svisce-
rato a fondo con acuta sintonia con
don Rinaldi, durante un intero cor-
so di esercizi spirituali dettato alle
Superiore delle Figlie di Maria Au-
siliatrice, e ad esso rimando. (Cf.
VIGANÒ E., Un progetto evangelico
di vita attiva, Torino (LDC) 1982).
Un altro vivo ricordo di don Ri-
naldi è legato ad una epidemia di ti-
fo che colpì - durante le vacanze
trascorse a Piova (diocesi di Ivrea)-
quattro dei miei compagni di scuola
ed un nostro professore, il caro don
Bondrano, da poco defunto.
I malati furono subito rispediti a
Foglizzo con un gruppetto di chieri-
ci messi a disposizione dall'infermie-
re; tra gli aiutanti avevano anche
scelto me che mi credevo coraggioso
ma che, alla resa dei conti, ho avuto
più di un brivido di paura. Il malato
più grave era don Bondrano: occor-
reva vegliarlo, a turno, giorno e notte
e misurarsi con le grida, gli incubi,
le allucinazioni che la febbre altissi-
ma gli procurava. Come Dio volle,
dopo quaranta giorni, si riprese; ma
fu cosa di poco tempo perché ebbe
una ricaduta che per la medicina di
allora voleva dire avere le ore conta-
te. Don Rinaldi lo seppe e venne a
trovarlo; si intrattenne alquanto con
lui, gli impartì la benedizione di Ma-
ria Ausiliatrice, lo assicurò del suo
vivo ricordo a Dio. Da quel momen-
to il paziente cominciò a riprender-
si; in breve fu fuori pericolo.
« Se sono vivo - non si stanca di
ripetere - lo devo a don Rinaldi, a
quella sua benedizione ». Qualcuno
gridò al miracolo. Era dire troppo,
ma è bello pensare che tra i doni con-
segnati dal Signore alla sua chiesa c'è
quello delle «guarigioni». Don Bo-
sco, specialmente nell'ultimo venten-
nio della sua vita, lo possedette in
grado sommo; perché negarlo in que-
sto - ed in altri casi - al suo fedele
e santo successore don Rinaldi? A
buon conto dopo due lunghi mesi
don Bondrano, uomo arguto e gio-
viale, poté lasciare l'infermeria e tor-
nare in comunità. La sera il direttore
lo invitò a darci la «Buona Notte».
La sua fu un elevato inno di rin-
graziamento a Dio e alla bontà di don
Rinaldi, un grazie sincero a tutti i
confratelli. Terminò - tanto per non
smentirsi - raccontando la storiella
dell'elefante buono il quale, essendosi
imbattuto in un nido di piccole uova
abbandonate - l'uccellino che le ave-
va deposte, spaurito alla sua vista, era
volato su un ramo vicino - in uno
slancio di tenerezza « si sedette sopra-
e le covò. Buona notte!». Il riso, che
fa buon sangue, colorava le dense
giornate di studio, che io le rammen-
to come un tempo felice.
Non erano trascorsi tre mesi da
quando don Rinaldi era venuto a Fo-
glizzo che, nella tarda mattinata di
5 dicembre 1931, ci fu comunicata la
notizia della sua morte. La numero-
sa comunità - circa 180 chierici -
si raccolse subito in preghiera nella
bella chiesa dello studentato . Quel
trapasso improvviso ci aveva molto
impressionato. Ricordo in fine il so-
lennissimo funerale al quale parteci-
pammo, pensosi, in una grigia
giornata torinese che sapeva già di
inverno.
Il terzo successore di Don Bosco
- un suo figlio prediletto che ne ave-
va assimilato al massimo grado la
bontà e lo spirito - ci aveva lascia-
to per sempre.
A tanti anni da quella morte la su-
prema autorità della chiesa ha rico-
nosciuto l'eroicità della sua vita, lo
ha proclamato Beato. Un nuovo
punto luce arricchisce il firmamento
della santità salesiana.
Quella luce la sento brillare, inten-
sissima, sul mio capo come verticale
dall'alto che mi attira e mi dice
«Vieni! ».
Pietro Brocardo

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--------s8-
1 NOVEMBRE 1990 43
borse di studio
per giovani Missionari
pervenute
alla direzione
opere Don Bosco
Borsa: Maria Ausiliatrice, Don Bo-
sco, Sr. Eusebia, in suffragio dei miei
defunti e per protezione della famiglia,
a cura di Fossati Tiziana, L. 2.200.000
Borsa: Maria Ausiliatrice e Don Bo-
sco, in memoria di Papà Felice e
Mamma Anna , a cura dei figli
Raffaele-Rosetta-Elia-Pippo-Savio-
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sco , per protezione della famiglia, a
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to, e in memoria di Zane/lo Maddale-
na , a cura di Novarese Caterina , L.
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ria di Padre Josè M. Berto/a , ·a cura
della nipote Laura, L. 500.000
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vanni Bosco, per ringraziamento e in-
vocando protezione sui nipotini Dino
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nostri bisogni spirituali, a cura di Scri-
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vico e di Nicolao Giacobba, a cura di
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cevuta , a cura di C.P. , L. 300.000
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ria del Sac. don Carlo Vinciguerra, a
cura delle sorelle Teresa e Giovanna,
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Ausiliatrice, Santi Salesiani, ringra-
ziando e invocando protezione in vita
e in morte, a cura di B.P.C. , L.
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ne e grazie per la famiglia, a cura di
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mio figlio , a cura di N.N., L. 200.000
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rando continua protezione per me e
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nipoti, a cura di N.N. - Vercelli
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sco, per grazia ricevuta e per prote•
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TAXE PERçUE
TASSA RISCOSSA-
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corso Regi~a Margherita, 176
10152 Torino
C'era una volta un telefono
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Ma si perdevano nel cielo
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M. Guarracino R.Y. Quintavalle D. Volpi
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