Bollettino_Salesiano_198901


Bollettino_Salesiano_198901



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l
•I

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2 · 1 GENNAIO 1989
Rivista fondata da san Giovanni Bosco nel 1877
Quindicinale di informazione e cultura religiosa edito
dalla Congregazione Salesiana di San Giovanni Bosco.
INDIRIZZO
Via della Pisana 1111 - Casella post. 9092 - 00163 Ro-
ma-Aurelio - Tel. 06169 .31 .341 .
Conto corr. post. n. 46.20.02 intestato a Direzione Ge-
nerale Opere Don Bosco, Roma.
DIRETTORE RESPONSABILE
GIUSEPPE COSTA
Redazione: Giuliana Accornero - Marco Bongioanni -
Pierdante Giordano - Gaetano Nanetti - Angelo Paoluzi
- Cosimo Semeraro.
Collaboratori : Nino Barraco - Sergio Centofanti - Paolo
del Vaglio - Umberto De Vanna - Monica Ferrari - Maria
Galluzzo - Maurizio Nicita - Silvano Stracca.
Impaginazione: Ufficio Grafico SEI
Archivio: Guido Cantoni (Roma)
Diffusione: Arnaldo Montecchio (Torino)
Spedizione : Stabilimento Grafico SEI - Torino
Fotocomposizione, Stampa: ILTE - Torino
Registrazione : Trib unale di Torino n. 403 del 16.2.1949
IL BOLLETTINO SALESIANO SI PUBBLICA
Il primo di ogni mese (undici numeri, eccetto agosto)
per tutti.
1115 del mese per i Cooperatori Salesiani.
Collaborazione : La Direzione invita a mandare notizie e
foto riguardanti la Famiglia Salesiana e s'impegna a
pubblicarle relativamente alle esigenze redazionali . Te-
sti e materiali inviati non vengono restituiti.
Edizione di metà mese. A cura dell 'Ufficio Nazionale
Cooperatori (Alfano , Rinaldini) - Via Marsala 42 - 00185
Roma - Tel. (06) 49 .50.185.
IL BOLLETTINO SALESIANO NEL MONDO
Il BS esce nel mondo in 39 edizioni nazionali e 18 lingue
diverse (tiratura annua oltre 10 milioni di copie) in: An-
tille (a Santo Domingo) - Argentina - Australia -
Austria - Belgio (in fiamm ingo) - Bolivia - Brasile - Ca-
nada - Centro America (in Guatemala) - Cile - Cina (a
Hong Kong) - Colombia - Ecuador - Filippine - Francia
- Germania - Giappone - India (in inglese, malayalam,
tamil e telugu) - Irlanda e Gran Bretagna - Italia - Jugo-
slavia (in croato e in sloveno) - Korea del Sud - Litua-
nia (edito a Roma) - Malta - Messico - Olanda - Para-
guay - Perù - Polonia - Portogallo - Spagna - Stati Uni-
ti - Thailandia - Uruguay - Venezuela - Zaire.
DIFFUSIONE
Il BS è dono;omaggio di Don Bosco a chi lo richiede .
Copie arretrate o di propaganda: a richiesta, nei limiti
del possibile.
Cambio di indirizzo: comunicare anche l'indirizzo vec-
chio .
SOMMARIO
3 LETTERE DAL MONDO
di don Egidio Viganò
5 CRONACHE SALESIANE
8 CRONACHE DEL CENTENARIO
Un Don Bosco alto due metri e mezzo per la
repubblica del Titano
servizio redazionale
11 Il parlamento uruguayano rende omaggio al
«Querido » Don Bosco
servizio redazionale
14 EVANGELIZZAZIONE E SVILUPPO
Diritti umani: affermati sulla carta violati
nella pratica
di M.P.
17 VITA ECCLESIALE
Dalla libertà religiosa alle minoranze che
sono tra noi
di Angelo Paoluzi
20 PROBLEMI EDUCATIVI
Troppi dispersi nella scuola dell'obbligo (e
li attende spesso la strada)
diG.N.
23 A scuola fino a sedici anni, ma con pluralità
di scelte educative
di Gaetano Nanetti
26 REPORTAGE
Tra gli lndios Mapuches di Junin de los Andes
di Lucio Sabatti
30 OBIETTIVO BS
Organizzare la speranza tra gli scugnizzi
napoletani
di Giuseppe Costa e Silvano Stracca
35 EDITORIA
L'arte povera dei figurinai dava un volto alla
fiaba
di Monica Ferrari e Everardo Scotti
39 STORIA SALESIANA
La tenace testimonianza di otto coadiutori
in Terra Santa
diM.F.
RUBRICHE
Pigy di Del Vaglio, 6 - Cerchiamo di capire , 7 - Soli-
darietà, 43
1 Gennaio 1989
Anno 113
Numero 1
In copertina:
Alcune illustrazioni
che hanno arricchito
le numerose pubblicazioni
della SEI dedicate
ai ragazzi

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- - - -- - - - - - -s/J-
1 GENNAIO 1989 3
Don Viganò
ci parla
Nel tessuto
del popolo
Il Quarto Stato, Milano Galleria d'Arte Moderna
Il tema del «popolo» è affascinante e polivalente.
Lo è oggi, lo è stato ieri, lo sarà domani. Non si tratta
del popolo come l'insieme di tutti i cittadini di uno
Stato, ma della tradizione culturale dell'umile gente.
Avete visto «L'albero degli zoccoli»? si vede de-
scritto uno spaccato di popolo genuino - anche se è
quello di ieri - con realismo artistico nel suo caratte-
ristico stile impastato di religione e aderente al vissu-

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4 · 1 GENNAIO 1989
to: genuino, spontaneo, commovente, ricco di buon
senso e portatore di messaggi anche per domani.
Vi è inserta vitalmente una figura di prete. Si trova
non per fare letteratura, né politica, né tanto meno
ideologia. È portatore di criteri di saggezza in forma
semplice, pratica, gioiosa: parla più in dialetto che in
italiano. È un amico che fa cultura promuovendo con
semplicità i valori acquisiti nella sana tradizione delle
generazioni.
Non si tratta di far nostalgia, ma di imparare per un
nuovo futuro.
Purtroppo quello del «popolo» è anche un tema
ambiguo.
Per un certo tipo di politica il tema del «popolo»
indica i ceti meno smaliziati che si cerca di guadagna-
re con furbizia populista, per le sfide elettorali o per
svariate manifestazioni cittadine.
Inoltre c'è anche un popolo «ideologico», che si
identifica con una classe messianica di «coscientizza-
ti», lanciata all'esodo della rivoluzione, quasi come un
«Mosè comunitario». Per indottrinarlo, se ne sovver-
te la cultura tradizionale svuotandola di religiosità o
strumentalizzandola; in certe regioni è stata montata
persino una «chiesa popolare» animata da ideali so-
ciopolitici.
Così si assiste al degrado della cultura e della reli-
giosità popolari, con la conseguente perdita di tanti
valori morali. Ciò risulta catastrofico perché - come
qualcuno ha detto - la caduta della condotta morale
· nel popolo è più deleteria dell'uso delle armi nucleari.
Si frantuma la famiglia, aumenta ovunque una cre-
scente cultura di peccato e si assiste, in definitiva, al-
l'occaso dell'autentico popolo della patria.
Don Bosco era un caratteristico «figlio del popo-
lo», con le virtù della sua gente. Vi nacque e vi restò
sempre dentro, con intelligente impegno e con inizia-
tive magnanime e lungimiranti.
Il Papa Giovanni Paolo II lo ha ricordato recente-
mente a Torino, nell'Università degli Studi: Don Bo-
sco «senti fortissimo l'impulso di elaborare una cultu-
ra che non fosse privilegio di pochi, o una astrazione
della realtà sociale in evoluzione. Fu promotore di
una solida cultura popolare, formatrice di coscienze
civili e professionali di cittadini impegnati» (3 settem-
bre 1988).
Coltivò un linguaggio e uno stile adeguati alla sem-
plicità dell'umile gente. Cercò le vocazioni «tra la
zappa e il martello». Illustrò con immediatezza i
grandi eventi liberatori di Cristo. Difese e spiegò i va-
lori che fondano la moralità e nutrono la saggezza
delle coscienze. Si dedicò a formare i criteri della
buona condotta, a esorcizzare il peccato, a educare la
gioventù popolana, a promuovere il buon senso, l'o-
nestà, la cordialità, la franchezza, la laboriosità, il co-
raggio di vivere, l'amore fatto sacrificio nell'operare il
bene.
In una parola: promosse il popolo! Volle che non si
interrompesse, nell'incalzante evoluzione, la tradizio-
ne di assennatezza, accumulata lungo secoli tra la
gente semplice impastata di fede.
Non fece «politica»; fece sempre «pastorale». Per
questo lo si ricorda come il Santo dalla «missione gio-
vanile e popolare».
Oggi c'è tanto bisogno che l'umile gente sia così:
ricca di religiosità popolare, di tradizione popolare, di
cultura popolare, di creatività popolare, di buon sen-
so popolare e di concrete virtù popolari.
In questo modo la Chiesa si manifesterà più esplici-
tamente al mondo quale «Popolo di Dio». In essa la
parte più numerosa e privilegiata dal Signore sono
appunto i piccoli e i poveri, i protagonisti del quoti-
diano, i lavoratori, gli umili del «magnificat», che te-
stimoniano nella vita di ogni giorno il «senso comu-
ne» della fede, come sacramento di salvezza per tutti.
Il mistero del Natale, che abbiamo celebrato in di-
cembre, ci ha presentato Giuseppe, Maria e Gesù co-
me gente del popolo. Intorno a loro sono accorsi i pa-
stori. A Nazaret si respirava aria popolare. Dai pesca-
tori di Galilea sono poi stati scelti gli Apostoli.
La «nuova umanità» è sbocciata dalla grotta di
Betlemme e dal calvario di Gerusalemme, da un «fi-
glio dell'uomo».
La società secolarista ci vorrebbe far credere' ad al-
tre utopie allettanti, in se stesse effimere.
Invece il grande futuro erompe da questo tipo di
popolo: dalla sua concretezza di fede, dalla sua cultu-
ra di buon senso, dalla sua coscienza di fraternità, dal-
la sua quotidiana operosità nel bene.
Urge fare del patrimonio cristiano un vissuto dei
piccoli e dei poveri, una cultura dell'umile gente.
Don Bosco ci insegna che il tessuto popolare è la
miglior stoffa per la fede!
don Egidio Viganò

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- - - - - - - - --s/1-
1 GENNAIO 1989 5
EL SALVADOR
Rivera Damas parla
della situazione nel Paese
Da più di 7 anni la Chiesa salvadoregna
è impegnata in diverse iniziative con lo
scopo di porre fine alla guerra civile che
si protrae da oltre un decennio. In
questo modo ha favorito e patrocinato
tre incontri fra tutte le forze del Paese:
governative, opposizioni legali e
movimenti della guerriglia. Quest' anno,
da luglio a settembre, in modo
complementare l'arcivescovato della
capitale ha voluto promuovere con il
sostegno della Conferenza Episcopale
un processo chiamato «dibattito
nazionale» con l'obiettivo di
«conoscere tutte le proposte possibili e
far sentire la voce di tutti i settori della
nazione». Il processo ha avuto la sua
conclusione in una grande assemblea
con la presenza di 59 organizzazioni e
con la redazione di alcuni documenti di
consenso.
Per conoscere alcuni particolari del
post-dibattito nazionale e quindi della
situazione complessiva del Paese, alla
quale ha fatto riferimento il Papa nel
ricevere i presuli salvadoregni in visita
«ad limina» il 21 ottobre scorso, Luis
Badilla del Programma
Ispano-americano ha parlato con
monsignore Arturo Rivera Damas,
arcivescovo di San Salvador e
Presidente della Conferenza
Episcopale.
D. - I documenti del «dibattito
nazionale», in particolare le 18
proposte per mettere fine alla guerra,
come potranno essere realizzati...?
R. - NOSOTROS HEMOS
ENTREGADO EL DOCUMENTO
FINAL DEL DEBATE NACIONAL ...
Il documento finale del dibattito
nazionale lo abbiamo consegnato al
Presidente della Repubblica, ai
Presidenti del Parlamento e della Corte
Suprema, alle Forze Armate, ai
Segretari generali dei partiti politici,
poiché sono proprio loro che
dovrebbero dialogare con i fronti della
guerriglia. Il documento lo abbiamo
consegnato anche ad essi, direttamente
o ai loro rappresentanti politici.
Comunque si tratta di un testo che
contiene 18 proposte per «porre fine
alla guerra» e di una sintesi in 146 tesi di
tutto il processo di discussione. Lo
scopo nostro è che, nel futuro, in un
nuovo momento di dialogo e di
incontro, si tengano in considerazione
queste proposte che si sono raccolte.
Purtroppo, la salute del Presidente e la
vicinanza delle elezioni presidenziali
sono cause che ritardano questo
incontro ad alto livello fra tutti e che
sarebbe il quarto.
D. - Eccellenza, in questo processo di
discussione c'erano alcuni assenti: le
superpotenze. Ciò ostacola il
negoziato?
R. - Si. NOSOTROS SIEMPRE
HEMOS DICHO QUE PARA QUE EL
DIALOGO ...
Sì. Abbiamo sempre detto che nella
nostra regione, per risultare efficace, il
dialogo non deve essere soltanto
«domestico», non solo squisitamente
regionale, bensì geo-politico. Ma si
tenga in conto che il dialogo nazionale
iniziato da sette anni aveva un limite.
Noi avevamo precisato che si sarebbe
trattato di un passo precedente ad un
negoziato decisivo al più alto livello, da
farsi in seguito. Nonostante ciò
abbiamo detto: questo dialogo,
concretizzato in tre incontri, non ha
rappresentato tutte le forze sociali del
Paese, ed inoltre non ha tenuto in
considerazione quel che queste forze
opinavano. Allora, con il dibattito
nazionale del settembre scorso si è
cercato di rispondere a queste due
insufficienze o necessità. Queste voci
inascoltate dovevano avere un loro
posto legittimo e tempestivo.
D. - Nel discorso che vi ha indirizzato
giorni fa, il Papa ha ricordato un
appello dei vescovi centro-americani
rivolto alle superpotenze: non più armi
alla regione ...
R. - PRECISAMENTE NOSOTROS
A FINES DE NOVIEMBRE VAMOS A
TENERLA ...
Proprio alla fine di novembre ci sarà
l'assemblea del Segretariato episcopale
centro-americano (SEDAC), per
eleggere i nuovi rappresentanti. Come
sempre, sarà un'occasione per
analizzare complessivamente la
situazione dell'area. Noi, al riguardo,
manteniamo la posizione dichiarata
nell'incontro di Honduras prima, e poi
- due anni fa - ribadita in Guatemala,
e cioè: il conflitto dell'America Centrale
si sarebbe già risolto, se di mezzo non ci
fossero le grandi potenze mondiali.
Fino a che _le superpotenze non
toglieranno le loro mani dalla regione,
fino a che non si permetterà
l'autodeterminazione a questi popoli, il
conflitto continuerà ad esistere. Perciò i
vescovi centro-americani hanno detto
che i grandi devono levare le mani dai
nostri Paesi e devono smetterla di
mandare armi che servono soltanto per
uccidersi tra fratelli.
D. - Che posto occupa oggi la Chiesa
salvadoregna, non solo nel suo Paese,
ma anche nella regione
centro-americana? Poi, lei, eccellenza,
è responsabile del Segretariato
episcopale della regione (SEDAC) ...
R. - SI. MUCHOS NOS HAN DICHO
A NOSOTROS QUE NO PODEMOS
SER ...
Sì. Molti ci hanno detto che non
possiamo essere neutrali. Noi
rispondiamo di sl, che il nostro ruolo è
accanto all'uomo. Ma ciò non vuol dire
essere, come Chiesa, «da una parte».
Siamo vicini all'uomo nella misura in cui
vogliamo rispondere ai suoi bisogni,
soprattutto tramite i nostri programmi
di aiuti umanitari, e incoraggiando in
ogni istante la soluzione pacifica della
guerra, del conflitto : sul momento,
cercando di umanizzare questa guerra,
impedendo che si estenda... Ci interessa
che prevalga la ragione sulla forza.
Vogliamo il dialogo al posto delle
uccisioni. Da queste considerazioni è
nata l'idea del dibattito nazionale.
Siamo vicini a questo uomo affermando
il bisogno di riconciliazione con Dio e
tra fratelli. Tenendo in considerazione
che il conflitto ha delle cause
economiche e sociali, noi insistiamo sul
bisogno di fare adeguate riforme.
Denunciamo gli abusi contro i diritti
umani. Diciamo che gli aiuti economici
che arrivano devono servire per lo
sviluppo e non per la guerra. Non siamo
neutrali. La nostra causa è quella
dell'uomo.

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ITALIA
Ditelo con i fiori
È questo il fortunato slogan
pubblicitario di una nota ditta floreale
che distribuisce fiori in tutto il mondo. I
paesi dei Castelli Romani da oltre due
secoli costumano onorare la Madonna
e l'Eucarestia «infiorando» le strade al
passaggio dell'Eucarestia.
L'infiorata di Gerano che dal 1775
onora la Madonna e l'Eucarestia
quest'anno ha voluto ricordare l'anno
mariano e il centenario della morte di
Don Bosco, cosl come del resto è
avvenuto a Genzano dove da anni
soprattutto per l'attenzione degli
ex-allievi vengono presentati «quadri»
salesiani. Le opere sono realizzate
esclusivament~ a fiori e vegetali, si
premura far no'tare il parroco padre
Giovanni Censi della Parrocchia
S. Maria Assunta di Gerano, e ogni
quadro si estende per 25 metri quadrati.
Tra i quadri di Genzano ricordiamo
PIGN ~ l>U-VA6tuo
quelli dedicati ai Martiri salesiani
monsignor Yersiglia e don Caravario
proprio nell'anno della loro
beatificazione e quello dedicato a Don
Bosco nel cinquantenario della
canonizzazione.
I Nelle foto: Immagini delle
infiorate di Gerano sotto
e Genzano sopra
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1.7 Page 7

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- - - - -~ - - - - -s/1-
1 GENNAIO 1989 7
BRASILE
Ordinato vescovo
don Moser
Si è svolta a S. Paolo in Brasile,
l'ordinazione episcopale di don Ilario
Moser. La cerimonia si è svolta nella
Chiesa di Maria Ausiliatrice ed è stata
presieduta dal Nunzio Apostolico in
Brasile Monsignor Carlo Furno,
dall'arcivescovo di Olinda e Recife
monsignor Josè Cardoso Sobrinho e dal
erchiamo di capire
Valori come
«normalizzazione»?
Un recente so ndaggio condotto in Francia fra gli studenti universitari ha
fornito risultati che, dopo l'ubriacatura sessantottina, confermano la tenden-
za, delineatasi da almeno un decennio, verso la «normalizzazione». Recupe-
ro di alcuni valori tradizionali, rifiuto delle posizioni estremistiche, maggiore
tolleranza, almeno apparente, ripiegamento nel privato: sono questi gliele-
menti che sembrano in qualche modo rassicurare l'opinione pubblica laico-
borghese, cioè quella che - peraltro giustamente - apprezza l'ord ine e la
tranquillità. Un atteggiamento analogo a quello francese si ritrova (parliamo
della parte del continente retta da democrazie parlamentari) in Spagna, in
Italia, nelle società nordeuropee, anche se con modulazioni diverse.
Ci si deve certamente compiacere di alcuni dati di fondo, come il ritorno
alla famiglia, il rinnovato favore per l'istituto del matrimonio, l'a pprezza-
·mento del lavoro e di ogni ruolo positivo sul piano sociale. Tuttavia i sondag-
gi e le indagini non riescono a coprire realtà per altri versi deludenti. Se non
è necessario, infatti, che i giovani siano rivoluzionari per essere creativi, è pe-
vero che finalità puramente utilitaristiche riescono talvolta a dissimulare
la mancanza, per altri versi, di slanci ideali. Pare che appunto questo si verifi-
chi oggi in Europa.
Dobbiamo infatti cercare di capire che parallelamente all'accettazione di
buone prospettive economiche (anche se non per tutti), allo svolgimento di
funzioni produttive nella collettività, all'apprezzamento di fattori rassicuran-
ti , si constati un progressivo scadimento di altri elementi che forse a maggior
ragione potrebbero definirsi di una superiore qualità della vita.
Non corrisponde infatti nelle società occidentali (ma in proporzioni mino-
ri anche in quelle «socialiste») all'idilliaco quadro laico-borghese la progres-
siva denatalità, l'invecchiamento della popolazione, la famiglia mononuclea-
re (coppia + figli, e nient'altro), la tendenza verso atteggiamenti anarchico-
individualisti: divorzio, aborto, abbandono degli anziani, consumismo sfrena-
to che non sembra più una colpa in quanto si trasforma in abitudine.
Pensiamo alle folate di razzismo antiarabo che oggi percorrono la Fran -
cia, alla crescente intoll era nza verso gli zingari e gli immigrati terzomondiali
che si fa strada in Italia , all'indifferenza con la quale l'opinione pubblica ac-
cetta le manipolazioni genetiche, alla formazione di un a classe di «nuovi po-
veri» (in maniera macroscopica negli Stati Uniti), alla dequalificazione del
lavoro personale.
Ogni giornata di Totoca lcio, in Italia, dà un gettito superiore a tutto quello
che si raccoglie in un an no per le missio ni. È forse soltanto una piccola spia.
Ma produce un brivido di gelo lungo la schiena perché ci fa capire quanto
ogni nostro moto di soddisfazione per la ritrovata «normalità» dei giovani
sia illusorio, se gli stessi giovani , e tutti gli a ltri con loro, non compi ano poi un
salto di qu alità non soltanto verso i valori produttivi , ma verso quelli creativi :
altruismo, rispetto della vita, solidarietà. All'ombra di uno Spirito che trova,
deve trovare, la propria rispondenza nell'an imo dei credenti.
Angelo Paoluzi
presid1rnte della Conferenza Episcopale
Brasiliana monsignor Luciano Pedro
Mendez De Almeida.
Nel suo stemma episcopale il
neoprelato ha voluto ricordare il
particolare ruolo esercitato dalla
Madonna, madre di Gesù e madre degli
uomini, nel piano della salvezza. A
monsignor Hilario Moser, vescovo
ausiliare della non facile diocesi di
Olinda e Recife, vadano i nostri
rallegramenti ed auguri.
Nelle foto: Mons. Moser
ed il suo stemma episcopale.

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8 · 1 GENNAIO 1989
LA CONCLUSIONE
DEL CENTENARIO
Apertosi il 31 gennaio 1988 il centenario della morte di Don Bosco
si concluderà il prossimo 31 gennaio. Per tale data e circostanza sia-
mo a conoscenza di molte iniziative religiose e civili specie in quei
Paesi dove la presenza salesiana è più viva. La cerimonia ufficiale di
chiusura si terrà a Roma ed avrà due momenti distinti: uno civile e
l'altro religioso. La celebrazione civile si svolgerà in Campidoglio
alle 10,30 del 31 gennaio. Il discorso ufficiale sarà tenuto dal Ministro
degli Esteri italiano onorevole Giulio Adreotti. Alla celebrazione
capitolina, organizzata dal Sindaco di Roma Pietro Giubilo d'intesa
con i Salesiani, sono state invitate le massime cariche dello Stato
italiano, le Rappresentanze Diplomatiche dei Paesi dove opera la
famiglia salesiana, cardinali, ministri e parlamentari ex-allievi.
Nel pomeriggio dello stesso giorno poi, presso il tempio dedicato
a San Giovanni Bosco al Tuscolano, verrà concelebrata l'Eucarestia
presenti il Rettor Maggiore con il suo Consiglio, cardinali e vescovi,
famiglia salesiana. Si concluderà così con un rendimento di grazie
al Signore un anno che Giovanni Paolo II ha voluto fosse «di gra-
zia» e che ha visto il rilancio non soltanto della figura di San Gio-
vanni Bosco ma dello stesso carisma salesiano.
UN DON BOSCO ALTO
DUE METRI E MEZZO PER
LA REPUBBLICA DEL TITANO
La solenne celebrazione del centenario
a San Marino con la partecipazione
della Famiglia salesiana dell1spettoria
Adriatica. Presente il Rettor Maggiore.
Auspicata la riapertura della Casa salesiana.
Anche la Repubblica di
San Marino ha voluto ricordare il
centenario di Don Bosco e l'ha fatto
con la solennità degli atti pubblici
ed ufficiali di una Repubblica dall e
antichissime tradizioni. Per l'acca-
sione è stato inaugurato un monu-
mento al Santo voluto tenacemente
dagli ex allievi sanmarinesi che non
hanno dimenticato la presenza dei
figli di Don Bosco a Borgo Maggio-
re dal 1922 al 1964.

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~onache_
ae/C;7entenario
1 GENNAIO 1989 9
g- 18•9
e
~ POSTE
~~-
"o~
1988 o~
o
POstE ~
~
~'v
f' /Jionumeo"0
L'inaugurazione del monumento ha dato la pos-
sibilità alle Poste di S. Marino di dedicare a Don
Bosco un secondo annullo postale dopo il primo
realizzato a Torino in occasione della Mostra Fila-
telica organizzata dall'Associazione Gabriel nel
mese di maggio.
Fino all'ultimo gli ex allievi sanmarinesi hanno
sperato che venissero superate alcune difficoltà
burocratiche e si facesse a tutti la sorpresa di una
vera e propria emissione filatelica dedicata a Don
Bosco.
Non è arrivata. Ed è un peccato anche per la fi-
latelia della Repubblica che certamente ne avreb-
be guadagnato in pubblicità oltre ad affiancarsi ai
tanti Paesi che hanno voluto ancorare il Santo con
un francobollo .
Chissà che, uscendo da un rigidismo program-
matico che certamente non giova ad un vero e
proprio rilancio filatelico di S. Marino, gli Ammini-
stratori non cl ripensino.
Questa la cronaca delle celebra-
zioni culminate nella visita del Ret-
tor Maggiore con l'inaugurazione
del monumento il 18 settembre
1988 ma precedute da una serie di
conferenze organizzate dall'Unio-
ne locale degli ex allievi con il pre-
sidente signor Giuseppe Guidi.
La statua è alta due metri e mezzo
su un piedistallo di un metro e venti
centimetri, ed è in bronzo. Rappre-
senta Don Bosco in un atteggiamen-
to solenne, con la mano destra solle-
vata ed un bimbo che stringe a sé
con la mano sinistra. Il monumento
si presenta stilizzato ma nel rispetto
delle forme classiche.
«Questa immagine, ha detto lo
scultore iugoslavo Lujo Lozica pre-
sente all'inaugurazione, vuole rap-
presentare un senso di amicizia, fa-
miliarità e protezione, che il Santo
ha saputo così bene incarnare du-
rante la sua vita. La stessa mantelli-
na che ricopre le spalle e che è piut-
tosto pronunciata, vuole accentua-
re questo significato di protezione».
All'inaugurazione, svoltasi proprio
nel cortile del vecchio oratorio di
Borgo sotto gli occhi di numerose
persone, erano presenti le massime
autorità sanmarinesi: i Reggenti in-
nanzitutto, il vescovo di Rimini
monsignor Locatelli, l'ispettore dei
Salesiani don Galbusera con molti
membri della Famiglia Salesiana, il
Rettor Maggiore don Egidio Viga-
nò. Tra le Autorità pol_itiche sanma-
rinesi abbiamo notato il Segretario
di Stato per gli Affari Esteri Ga-
briele Gatti, il Segretario di Stato
per le Finanze Clara Boscaglia, il
segretario della DC Pier Marino
Menicucci, il capitano reggente de-
signato Luciano Cardelli. Lo svol-
gersi della cerimonia è stato ac-
compagnato dalla banda militare
che ha fra l'altro eseguito l'«inno di
San Marino» ed il consueto e popo-
lare «Giù dai colli». A nome degli
ex allievi ha parlato Gian Vito Me-
nicucci rievocando la presenza sa-
lesiana nella Repubblica ed auspi-
cando un prossimo ritorno. Subito
dopo ha parlato il Rettor Maggiore
auspicando che il desiderio degli ex
allievi si realizzi e sottolineando il
legame fra Don Bosco e i giovani:
«Questo monumento, ha detto il
successore di Don Bosco, dice a tut-
ti l'importanza dell'educazione». In
precedenza il Rettor Maggiore era
stato ricevuto in udienza a Palazzp
Pubblico dai Capitani Reggenti. E
stata una cerimonia che ha visto
parlare la dottoressa Clara Bosca-
glia e uno dei due Reggenti: ambe-
due hanno esaltato il ruolo di Don
Bosco per l'educazione giovanile e
l'importanza del suo carisma. A tut-
ti ha risposto ringraziando il Rettor
Maggiore.
La celebrazione centenaria a San
Marino ha ridestato entusiasmi e
nuovo impegno.
La grande partecipazione popo-
lare alla celebrazione eucaristica
tenuta in piazza, la stessa celebra~
zione del Palio di Don Bosco orga-
nizzato ormai da anni, la simpatia e
la cordialità della gente: tutto lascia
sperare che il seme salesiano possa
ancora dare frutti nella Repubblica
del Titano.
O

1.10 Page 10

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Cerimonia
di saluto al
Palazzo dei Reggenti
I Il Rettor Maggiore
tra il ministro Boscaglia
e i Reggenti
I Il vescovo di
Rimini benedice
il monumento

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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aelrf;:iJ!nonteancahreio_
1 GENNAIO 1989· 11
IL PARLAMENTO URUGUAYANO
RENDE OMAGGIO AL «QUERIDO»
,a SeS, .\\0'n
L~ ieo.a\\
L- 1
Clt:
DON BOSCO
I Il coro DB 88
nell'aula del
Parlamento
uruguayano
Fra le commemorazio-
ni e le cronache di quest'anno cen-
tenario non si può non ricordare
l'omaggio celebrativo voluto a
Montevideo in Uruguay. Con una
«sesi6n especial», il 16 agosto 1988
La Camera dei Deputati (con due
soli voti contrari su sessantasette
votanti) ha voluto che venisse ri-
cordato Don Bosco «pedagogo,
sociologo y fundador de la socie-
tad salesiana». La proposta era sta-
ta presentata il 9 agosto e firmata
da tutti i gruppi politici rappresen-
tati in Parlamento, partito comuni-
sta compreso.
Lo stesso giorno anche la Came-
ra dei Senatori ha reso omaggio a
Don Bosco con gli interventi di al-
cuni senatori e approvando la mo-
zione del senatore Cers6sino di in-
viare i testi pronunciati in aula al
Superiore della Congregazione Sa-
lesiana e ai vescovi di Montevideo,
Mercedes e Canelones. Considera-
ta la tradizione laicistica e rigoro-
samente aconfessionale della Re-
pubblica Uruguayana, si può certa-
mente affermare che si è trattato
veramente di una celebrazione ec-
cezionale.
La commemorazione alla Came-
ra dei Deputati si è svolta non sol-
tanto alla presenza dei deputati ma
anche di un numeroso e distinto
pubblico che ha affollato palchi e
tribune. Per tutti ricordiamo la pre-
senza del presidente della Supre-
ma Corte di Giustizia dott. Rafael
Addiego, ex allievo salesiano.
La cerimonia si è aperta dura-
ta dalle 16 del pomeriggio alle 18)

2.2 Page 12

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12 · I GENNAIO 1989
con le esecuzioni del Coro Don
Bosco '88 che ha fra l'altro esegui-
to a quattro voci «Salve Don Bo-·
sco santo» e il canto della giornata
mondiale della gioventù celebrata
nel 1987 a Buenos Aires «Un nue-
vo sol»; il presidente Ernesto
Amorin Larranaga ha quindi dato
la parola ai vari rappresentanti po-
litici iscritti a parlare. Tutti, concor-
demente, hanno esaltato la dimen-
sione sociale dell'impegno di San
Giovanni Bosco e della Famiglia
Salesiana operante in Uruguay da
oltre un secolo e con opere signifi-
cative. Per tutti i deputati interve-
nuti, alcuni sono ex allievi degli
stessi salesiani, riportiamo parte
del discorso del deputato comuni-
sta Gonzalo Carambula. «Gli
omaggi, ha detto Garambula, han-
no in genere una carica emotiva e
nello stesso tempo una componen-
te di razionalizzazione: è impre-
scindibile pensare le finalità per-
ché si fanno e perché ognuno di
noi sente quello che sente. Nel mio
caso oggi ho una carica emotiva e
sentimentale che viene da molto
lontano e dal più profondo della
mia coscienza. La mia stessa storia
personale mi ha portato a pensare
questo e a interrogarmi continua-
mente. Questo omaggio al caro
Don Bosco mi obbliga ad una
imprescindibile razionalizzazione...
Molti giornalisti, sorpresi, mi han-
no chiesto se era vero che io avessi
firmato questa mozione e se mi
fossi iscritto a parlare. Alcuni col-
leghi ed amici di questa stessa As-
semblea sorridendo mi hanno chie-
sto come potessi conciliare l'essere
comunista e l'omaggio a Don Bo-
sco. Certo riconosco che sono in
un ambiente politico, che questo è
un ambito politico e che quindi tut-
to quanto qui facciamo ha uno
spessore politico, ma io ho una
grande fiducia nel mio popolo e
nella Chiesa cattolica.
Sono presenti qui alcuni miei ex
insegnanti ed anche compagni di
classe del "Juan XXIII"...
Perché dunque un omaggio a
Don Bosco?...
1 11 palazzo del
Governo di Montevideo

2.3 Page 13

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- - - -- -- - - - --------,,~,~uerCo;7nenatencahrw~-
1 GENNAIO 1989· 13
111 collegio salesiano
«Colon» di
Montevideo
Per la sua grande opzione dei
poveri, dei perseguitati, degli umili
di un popolo disorientato dalla na-
scita della rivoluzione industriale
nella sua natia Italia. L'opera di
Don Bosco appare come una forza
enorme soprattutto quando biso-
gnò dare ad operai e lavoratori gli
strumenti necessari del loro desti-
no... Ll nasce la grande intuizione
delle scuole professionali. Questo
solo basterebbe per un omaggio in
qualsiasi ambito e sempre lo sotto-
scriverei e parlerei del caro Don
Bosco... Don Bosco è stato un pro-
tagonista, nell'unire la teoria e la
prassi, il dire e le sue conseguenze.
Don Bosco è stato il fondatore di
una Congregazione molto impor-
tante ed estesa in tutto l'Uruguay
con grande influsso nel Paese che
porta, anche nell'ambito in cui par-
liamo, con me i signori deputati
Sturla e Varela del partito nazio-
nale e Daverede per l'Unione Ci-
viva ...
Non posso dimenticarmi poi di
tante cose e meno ancora di Don
Taricco, profondamente salesiano
e coerente seguace delle idee e del-
la pratica di Don Bosco.
Le stesse critiche fatte ai Salesia-
ni sono in fondo un elogio ad una
comunità di educatori che ha sapu-
to formare ragazzi e uomini con
capacità critica nel seguire gli
orientamenti, confrontarli e sce-
gliere ...
li mio omaggio a Don Bosco è
un omaggio allo Spirito. Oggi sarei
felice di succhiare una tazza di ma-
te con Don Bosco e dirgli perché
ho smesso di credere; sarebbe co-
me parlare da amico a amico. Ed
anche questo è una pietra miliare
di questo omaggio che stiamo rea-
lizzando ... ».
O

2.4 Page 14

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14 · 7 GENNAIO 1989
EVANGELIZZAZIONE E SVILUPP
.l

2.5 Page 15

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- - - - - - - - - - - -sB-
I GENNAIO 1989 · 15
D1RITII UMANI:
AFFERMATI SULLA CARTA
VIOLATI NELLA PRATICA
A quarant'anni
dalla Dichiarazione
universale, tortura,
intolleranza politica,
fanie, analfabetismo
sono ancora
largamente presenti
nella scena mondiale.
Ma c'è chi lotta
contro i soprusi.
La Dichi arazione uni-
versa le dei diritti dell 'uorr:io co mpie
40 anni. Fu approvata dall'A ssem-
blea generale dell e Nazio ni Uni te il
IO dice mbre 1948. Fin dal so rge re
dell a civiltà, i diritti umani trovaro-
no pensatori, filosofi, gi uristi, uomi-
ni politici dispò sti a sos ten ern e la
causa. M a solo quarant'a nni fa que-
sti diritti ebbero organica sis tema-
zione in un documento - la Dichia-
razione universale, appunto - sot-
toscritto da tutti i membri delle N a-
zioni Unite, cioè da Paesi di tutti i
co ntin enti spesso fra loro differenti
per tendenze politi che, co ndizioni
economiche e culturali, ordinamen-
ti giuridici.
Insomma, quell a dichi arazione
stava a significare che tutti i go-
ve rni aveva no fina lmente raggiun-
to la co nsapevo lezza che i loro po-
poli erano tito lari di diritti, e i im-
pegnav ano a r ispettarli. All e spalle
dell'un anim e adesione c'erano le in-
numerevo li violazioni dei diritti
umani co mm esse du rante la secon -
da guerra mondi ale. Milion i di per-
sone ne aveva no fatto dura espe-
ri enza sulla propri a pel le, molti era -
no morti spesso in modo atroce,
tanti aveva no patito so fferenze. Da
qui era na ta la vo lontà di fissare al-
cuni prin pi -base su cu i si sa rebbe
dovuta fo ndare la convivenza fr a
gli uomini all'interno dell a comuni -
mondiale, all o scopo di garant ir-
ne l'ordinato sviluppo verso il pro-
gresso e la pace.
Non c'è dubbio : l'uomo aspira a
un a vita degna e civi le, che co nsen-
ta ad ogni esse re umano di godere
del ri spetto e della pro tezione do-
vuti all a sua perso na. Se un indivi -
duo è privato dei suo i diritti cessa cl i
vivere ,co me essere umano. Diritti,
certo. E - si potrebbe chiedere - i
doveri ? So no l'a ltra faccia dell a
stessa medaglia. Se esigo il rispetto
dei miei diritti automaticamente mi
impegno al dovere cli r ispettare
quelli degl i altri.
Sulla ca rta il quadro è pe r fino
idill iaco. M a la doccia fredda viene
dalle Associazio ni nate all o sco po
cli gara ntire la tutela dei diritti uma-
ni, Amnesty ln ternational in te ta.
Secondo le loro denunce, almeno
117 dei 151 Paes i che oggi sono
membri dell e Nazioni Un ite viola -
no i diritti dell 'uomo, attentano alle
libertà civili, po li tiche, economiche,
religiose, cul tu rali. Alc uni di es i lo
fanno add irittura in modo sfaccia to,
se nza alcun ritegno. Altri più di -
screta mente, ma con lo stesso im-
pegno demolitore. A farne le pe e
è co munqu e e semp re l'uomo, cioè

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16 · I GENNAIO 1989
proprio il soggetto che di quei dirit-
ti è titolare e che dovrebbe essere al
centro dell'agire in tutti i settori.
Dove è finita la volontà di tutela-
re i diritti umani tanto calorosa-
mente espre_ssa quarant'anni fa con
la Dichiarazione universale? Certo,
la Dichiarazione non ha forza di
legge, è priva di ogni carattere
coercitivo. Ma la sua adozione ave-
va fatto sperare che i Paesi sotto-
scrittori si sarebbero impegnati a
promuovere con fermezza la tutela
dei diritti in essa affermati. Così non
è stato. Per richiamare in termini
più pratici gli Stati a mantenere fe-
de al loro impegno, le Nazioni Uni-
te predisposero i Patti Internazio-
nali sui diritti umani, che traducono
nella realtà in cui ogni individuo si
trova a vivere i princìpi ideali con-
tenuti nella Dichiarazione. I Patti
hanno valore giuridico. Ma neppu-
re questi sono bastati.
Non sono bastati al Sudafrica per
porre fine alla discriminazione raz-
ziale, tuttora praticata addirittura in
forma istituzionalizzata e in spregio
al principio sancito dalla Dichiara-
zione secondo cui «tutti gli uomini
nascono liberi ed eguali in dignità e
diritti». In Sudafrica, per discrimi-
nare basta il colore della pelle, per
cui ai bianchi sono riconosciuti tutti
i diritti negati invece ai neri. li caso
clamoroso del Sudafrica non deve
far dimenticare gli episodi di razzi-
smo che accadono qua e in Euro-
pa e di cui sono vittime gli emigrati
di colore come in passato lo sono
stati gli italiani o gli spagnoli.
I Patti internazionali affermano
che tutti sono liberi di lasciare qual-
siasi Paese, compreso il proprio. La
violazione di questo principio è re-
sa palese dal «boat people», dai
vietnamiti che per lasciare il loro
Paese sono costretti ad agire nella
clandestinità e ad affidarsi alle fra-
gili imbarcazioni con le quali af-
frontano gli immensi oceani, e che
spesso incontrano la morte per fa-
me o per sete prima di raggiungere
un approdo. È un dramma che ri-
corda quello dei tanti fuggiaschi dai
Paesi dell'Est europeo, dei tentativi
di fuga stroncati da raffiche di mitra
lungo il muro di Berlino. Ed è tutto-
ra il dramma di tanti ebrei ai quali
l'Unione Sovietica nega il diritto di
trasferirsi altrove.
Che dire poi del diritto all'auto-
determinazione? È il diritto rico-
nosciuto ai popoli di darsi un pro-
prio statuto politico e di garantire
il proprio sviluppo economico, so-
ciale, culturale. Ebbene, c'è un po-
polo, quello eritreo, che chiede inu-
tilmente l'autodeterminazione da
25 anni. E ce n'è un altro, quello
palestinese, che continua a vivere
- e spesso anche a morire - sen-
za aver conosciuto una propria Pa-
tria.
La condizione di clandestinità in
cui è costretto in Polonia il sindaca-
to «Solidarnosc» testimonia la vio-
lazione del diritto «di ogni indivi-
duo di costituire con altri dei sinda-
cati». Il diritto di «non essere mole-
stato per le proprie opinioni politi-
che» e il diritto «alla libertà di
espressione orale e scritta» sono
violati nei molti Paesi dove si di-
chiara fuori legge chiunque esprima
opinioni diverse da quelle ufficial-
mente sancite. Se ne trovano in
Europa, in Asia, in America, in Afri-
ca. A causa delle loro idee politiche,
innumerevoli persone patiscono
lunghe pene detentive. Peggio an-
cora: sono spesso sottoposte a tor-
tura. Secondo Amnesty Internatio-
n·a1, l'associazione supernazionale
particolarmente attiva nella difesa
dei diritti, insignita l'anno scorso del
Premio Nobel per la pace, sono al-
meno 60 i Paesi che ricorrono alla
pratica della tortura.
Ma l'elenco delle violazioni non
si ferma qui. Anche se nessuno
sembra volersene fare carico, ci so-
no al mondo milioni di persone che
soffrono la fame e vivono nella mi-
seria, mentre uno dei princìpi fon-
damentali dei Patti internazionali
sancisce il diritto alla libertà dalla
fame. Analogo discorso può essere
fatto per l'analfabetismo. Il diritto
all'istruzione è negato su vasta sca-
la come attestano gli ottocento mi-
lioni di analfabeti presenti nel
mondo.
C'è poi il vasto settore del diritto
alla libertà religiosa, ma di questo
aspetto ci occupiamo diffusamente
in altra parte del giornale. E c'è l'al-
tro grande campo dei diritti dei fan-
ciulli. L'Assemblea generale dell'O-
NU ha addirittura riservato ad essi
e ai loro diritti una Dichiarazione
nella quale si afferma che l'umani-
tà ha il dovere di dare ai ragazzi il
meglio di se stessa. Ma, come è sta-
to ampiamente dimostrato anche
durante il recente convegno sulla
tutela dei diritti dei minori promos-
so dall'Ateneo salesiano, le viola-
zioni delle norme contenute in
quella Dichiarazione non si conta-
no e ai ragazzi vengono inflitte sof-
ferenze inaudite.
Questo pur sintetico panorama
può indurre al pessimismo. Davve-
ro l'uomo non imparerà mai a ri-
spettare i diritti dei suoi simili? Bi-
sogna però dire che, nonostante
tutto, il cammino verso un migliore
sistema di tutela dei diritti umani
prosegue. Ci sono aree geografi-
che, prima fra tutte quella che ri-
comprende il mondo occidentale,
dove questo movimento è più evi-
dente. Ma ovunque nel mondo_agi-
sce un esercito di uomini scono-
sciuti che si batte con tenacia per
l'affermazione dei diritti umani, e
non tralascia occasione per d~nun-
ciare gli abusi del potere. E un
esercito che va sostenuto con la
solidarietà di quanti hanno a cuore
le sorti dell'umanità.
M.P.
I

2.7 Page 17

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- - - - - --
VITA ECCLESIALE
- - - -~ -
1 GENNAIO 1989· 17
XXII Giornata Mondiale della Pace
DALLA LIBERTÀ RELIGIOSA
ALLE MINORANZE
CHE SONO TRA NOI
Il tema annuale
riproposto per una
pedagogia della
conoscenza, della
condivisione e
dell'impegno.
Se ci guardiamo attor-
no, il panorama è tutt'altro che con-
fortante. Popoli di antica cultura
sono privi di identità politica: curdi,
armeni, palestinesi, tartari di Cri-
mea, baschi. Costretti a guerre, a re-
sistenze, a esili che spesso durano
da decenni, accumulano nella loro
Foto Archivio SEI - Martino
memoria storica risentimenti che
esplodono alla fine in atti di violen-
za, ingiustificabili certamente, ma
comprensibili come prodotti di al -
trettante costrizioni delle quali so-
no vittime.
Ma persecuzioni del genere non
si limitano al piano etnico, toccan-

2.8 Page 18

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18 · I GENNAIO 1989
do in molti casi altri livelli, e in par-
ticolare quello religioso. Non sarà
necessario spendere molte parole
per ricordare il genocidio compiuto
in passato dal regime nazionalso-
cialista in Germania e fuori contro
ebrei e zingari (di questi ultimi si
parla meno, ma furono sterminati in
proporzione uguale ai primi e senza
che nessuno abbia pianto per loro).
Fanno parte delle vergogn·e del-
l'umanità le stragi, a volerci limita-
re al nostro secolo, perpetrate dai
turchi contro gli armeni e i greci,
dai sovietici contro i tedeschi del
Volga, dagl i sciiti contro i seguaci
della religione ba'hi. E ancora: la
decimazione -a ttuata in anni recenti
dal fanatismo dei khmer rossi in
Cambogia, l'annientamento dei
contadini indipendenti nell'Unione
Sovietica ordinato da Stalin, la «so-
lu zione finale» programmata dai
nazisti, oltre che contro gli ebrei,
anche nei confronti dei polacchi (e
l'altra in prospettiva contro le chie-
se cristiane).
Del resto data al secolo scorso la
qu asi scomparsa degli indiani d'A-
merica e degli aborigeni d'Austra-
lia, l'una e l'a ltra provocata, non di
rado con mezzi violenti, dai colo-
ni zzatori bianchi. Mentre continua
ancora ad essere attuata in Sudafri-
ca, da parte di una minoranza di
bianchi impostasi con la forza, una
forma di depredazione contro la
maggioranza di colore che ha al-
trettanti, se non maggiori, diritti a
usufruire dei beni materiali della
terra nella quale ha avuto origine.
Ed è frequente che, in terra islami-
ca, sia richiesto ai cristiani il silen-
zio per la pura e semplice sopravvi-
venza.
Questi sono i casi più evidenti, sui
quali giornali, televisione e radio in-
formano l'o pinione pubblica con
regolarità e precisione. Ma decine e
decine di altre situazioni sono meno
note e costituiscono altrettanti
esempi di violenza su gruppi etnica-
mente, culturalmente e spiritual-
mente individuati, anche se incapaci
di farsi ascoltare per la loro relativa
esiguità numerica.
Che cosa possono interessare al
mondo i 150.000 indios delle foreste
amazo niche brasiliane condannati
alla sparizione come conseguenza
della deforestazione selvaggia
Foto Archivio SEI - Martino
compiuta in nome e a vantaggio dei
profitti di industrie multinazionali e
governi co rrotti? Si salveranno dal-
la scomparsa soltanto se il mondo,
in un soprassalto di consapevolez-
za, associerà il loro destino a rischi
ecologici di natura planetaria : que-
sto sta accadendo, ma probabil-
mente solo per paura, non per soli-
darietà.
Ogni tanto un esquimese, un mi-
squito, un falasha , un tamil, un
oaxaca, un nepalese, un timorano,
un eritreo, un tigrino, un aborigeno
australiano, un pellerossa, un ebreo
irakeno emerge per chiedere giusti-

2.9 Page 19

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- - - -- - - - - -- - s B -
1 GENNAIO 1989· 19
zia, o quanto meno tolleranza, o
tutt'al più il respiro per poter vive-
re. Un attimo all 'a ttenzione dell'at-
tualità, e poi il ritorno al purgatorio
- se non peggio, per aver avuto il
coraggio della denuncia -. Chi
pensa ai perseguitati a causa della
fede, della razza, della cultura, delle
ingiustizie già subite? La protezio-
ne delle minoranze non sembra una
faccenda che tormenti le coscienze
dei più.
Eppure qualcuno rivendica per
tutti, e per gli oppressi in particola-
re, la dignità di uomini, in specie per
que1li che ipocriti silenzi, tacite
complicità, ragioni di stato e sordidi
interessi vogliono condannati all'o-
blio. «Per costruire la pace, rispet-
tare le minoranze»: questo è lo slo-
gan della XXII Giornata mondiale
della Pace in occasione della quale,
ogni anno, il Papa lancia un mes-
saggio agli uomini di buona vo-
lontà.
La parola d'ordine del 1989 ap-
pare come la continuazione logica
di quella dell'anno precedente, che
esortava a rispettare, in nome della
pace, chiunque volesse praticare li-
beramente un culto religioso. Ri-
cordiamo che nel 1987 il mondo
aveva assistito a ll'avve nimento, che
conteneva un annuncio di grande
novità, di Giovanni Paolo Il circon -
dato ad Assisi dai ca pi di confess io-
ni religiose e movimenti spirituali.
Molti di quegli esponenti vivevano
in condizioni di esilio (si pensi a uno
dei più autorevoli fra loro, il Dalai
Lama), o di sospetto o in libe rtà vi-
gilata nei rispettivi Paesi, dove l'e-
sercizio delle loro credenze era ed
è ostacolato, impedito o addirittura
proibito.
Una logica, dicevamo: spesso la
minoranza da rispettare è una mi-
noranza religiosa e, in ogni caso,
ogni gruppo ha il diri,tto di mante-
nere la propria identità etno-etieo-
culturale. Rispettare, tutelare le lo-
ro ragioni costituisce un contributo
essenziale alla pace.
Lo si fosse fatto per i palestinesi,
oggi Israele non si troverebbe nella
crisi più grave dal momento, qua-
rant'anni fa, dalla costituzione de llo
Stato ebraico. Avessero avuto più
larghe autonomie baschi e 2&,'rsi,
oggi Spagna e Francia non dovreb-
bero confrontarsi, di quando in
quando, con fiammate di rivolta e
terrorismo. Non sarebbe degenera-
ta in guerra civile l'attuale situazio-
ne nell'Ulster, l'Irlanda del Nord , se
le due comunità, protestante e cat-
tolica, si fossero sentite garantite
nella loro cultura e non avessero
permesso l'allargamento · del co n-
flitto (pretestuosamente religioso)
nello scambio di opposte violenze,
di odio e di morte.
Individui e popoli - questo può
essere considerato in sintesi il signi--.
ficato del messaggio per la Giorna-
ta della Pace - ha nno diritti e di-
gnità inalien abi li, c he vanno tutelati
in ogni situazione storica. Non a ca-
so nei confronti delle minoranze
esistono garanzie internazional-
mente riconosciute e sottoscritte
ma, ahinoi, non sempre rispettate.
Eppure le legittim e di:Versità ha nno
contrib uito in molti casi (si conside-
ri l'ese mpio degli Stati Uniti d'Ame-
rica) alla prospe rità delle nazioni
nel dispiegarsi clel genio proprio a
ogni gruppo etnico, culturale, id eo-
logico o religioso.
Giovanni P ao lo Il ha ricordato
nell a sua ultima Enciclica «Solleci-
tudo Rei Socialis» c h<'l «la pace è di
tutti o di nessuno»; e di tutti è quin-
di la responsabilità nella costruzio-
ne di un dialogo al quale ciascuno
apporti la ricchezza dei propri doni
sp iritu ali. Non a caso si è notato co-
me, in periodi di emergenza nazio-
nale, le minoranze abbiano saputo ·
fornire il proprio contributo all a ri-
costruzione materiale o moral e di
un Paese. E come, di converso, l'op-
pressione di gruppi minoritari, etni-
ci o religiosi, a bbia costituito l'inne-
sco (dramm atico, fra i tanti, l'esem-
pio dell a disintegrazione libanese)
per un processo distruttivo i cui esi-
ti so no difficili da prevedere.
Giovanni Paolo II prosegue così,
in un solenne documento del Magi-
stero, nell'esposizione dei princìpi
dei quali si è fatto diffusore, sulla
scia dei predecessori, in particol are
di Paolo VI. In differenti modi ha
affrontato, in viaggi, discorsi, mes-
saggi, il tema delle minoranze, par-
lando del diritto alla patria, della
positività della convivenza, della
giustizia verso chi chiede asilo, del-
l'accettazio ne delle diversità e delle
culture «a ltre».
Si è rivolto ai negri americani, ai
profughi ungheresi della Transilva-
nia, agli italiani e sudtirolesi dell'Al-
to Adige, ai vescovi africani, e in
particolare sudafricani, agli abori-
geni australiani, ai contadini delle
etnie minori del Messico e del Pe rù,
e in ogni altra occasione utile. A noi
tutti - specie agli europei sazi e
ricchi - indirizza il messaggio di
una lezion e di accoglienza, in un
momento in cui si pone il problema
delle immigrazio ni , nei Paesi indu-
strializzati, della gente del Terzo
Mondo, in cerca di lavoro, di più
um ane condizioni di vita, forse di
rel ativ a libertà dall'oppressione po-
liti ca.
Anche quegli ospiti, lega li o clan-
destini che siano, sono «prossimo».
Costituiscono il banco di prova per
la traduzione in segni e gesti di un
apprezza me nto per gli insegna-
menti pontifici che rischia alt rime n-
ti di rim a nere teorico senza una
reale partecipazione. Ma diventa
addirittura un astuto strumento di
collaborazione per costrui re, attra-
verso il rispetto per le minoranze,
qualsiasi minoranza, il comune edi-
ficio dell a pace.
Angelo Paoluzi

2.10 Page 20

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20 · 1 GENNAIO 1989
PROBLEMI EDUCATIVI
TROPPI «DISPERSI»
NELLA SCUOLA
DELL'OBBLIGO
(E LI ATIENDE
SPESSO LA STRADA)
Gli abbandoni superano i 130.000 all'anno.
Per molti ragazzi il rischio della devianza.
Altissimi i costi sociali e umani.
Foto Archivio SEI - Demarie
Sono a,lmeno 130.000
ogni anno i ragazzi che gettano alle
ortiche libri e cartella ed escono
dalla scuola senza aver conseguito
la licenza media dell'obbligo. Il fe-
nomeno dell'abbandono è ormai un
dato che le indagini statistiche, qua-
le che sia l'ente che le promuove, ri-
portano con puntualità sconcertan-
te. Un dato preoccupante che deve,
o dovrebbe, preoccupare in misura
ben maggiore di quanto in realtà
non accada. Non si tratta soltanto
di un problema che investe il detta-
to della nostra Costituzione, secon-
do cui «l'istn.J,Zione inferiore, impar-
tita per almeno otto anni, è obbliga-
toria e gratuita».
Volendosi spingere ancora in
avanti, si potrebbe perfino arrivare
per assurdo a dire che non è neppu-
re una questione di istruzione, visto
che per decenni milioni di italiani

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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- - -- - - - -- - -sB-
non sono andati oltre la licenza ele-
mentare, e che ancora oggi il 64 per
cento dei cittadini è fermo a quel li-
vello mentre il 22 per cento della
popolazione adulta è addirittura
privo di qualsiasi titolo di studio. Al
di là di questi aspetti, sulla cui gravi-
è inutile insistere, emerge una
domanda che suscita angoscia an-
che solo a pronunciarla: dove van-
no, che cosa fanno i ragazzi che di-
sertano la scuola? La risposta ce la
danno i ragazzi che a Napoli ven-
dono sigarette di contrabbando agli
angoli delle strade, o che altrove si
dedicano a scippi o a piccoli furti, o
che entrano nei malefici circuiti del -
lo spaccio di droga, o che lavorano
clandestinamente e sottopagati in
piccole aziende a loro volta semi-
clandestine, o che in località di
montagna sorvegliano il gregge al
pascolo.
Ecco: contrabbando, lavoro nero,
criminalità sono le strade, le brutte
strade su cui sfocia spesso l'abban-
dono scolastico. È questo uno dei
motivi che fa dell'abbandono un
problema di pertinenza non soltan-
to della scuola, ma di molti altri
segmenti dei pubblici poteri, sia a li-
vello nazionale che locale.
1 GENNAIO 1989 · 21
spende per un alunno di scuola me- tampone, continue proposte di ri-
dia inferiore poco meno di forma che stentano a venire alla lu-
2.400.000 lire all'anno (ed è una ci- ce. In queste condizioni, il «prodot-
fra che si alza se si conteggiano le to» non può non risentirne. E pur-
spese sostenute dagli enti locali). troppo la conferma ci viene, in sede
Sono 240 miliardi investiti sen za . internazionale, dall'OCSE, l'Orga-
che da essi scaturisca alcun frutto. nizzazione per la cooperazione e lo
Ma questo è, nonostante tutto, l'a- sviluppo economico, che colloca l'I-
spetto minore, anche perché la cifra talia, qua nto ad apprendimento
è relativamente modesta se si con- scolastico, al 14.mo posto fra le Na-
sidera che il bilancio della Pubblica zioni europee per le materie scien-
Istruzione è oggi attestato sui tifiche e al 21 .mo per quelle scienti-
43.000 miliardi.
fiche.
Ben più grave, ovviamente, è il Quanto ai costi umani, l'abbando-
costo sociale e umano. Se il feno- no ha conseguenze gravissime, an-
meno dell'abbandono persiste e an- che per gli stessi soggetti che, la-
zi tende ad aggravarsi, è difficile sciati i banchi di scuola, hanno la
non arrivare alla conclusione che fortuna di non imboccare le strade
«qualcosa» nella scuola pubblica della devianza o addirittura della
non va. «La scuola che perde», co- delinquenza. Quale futuro può
me diceva don Milani. li malessere aspettarsi oggi un ragazzo che non
che pervade da tempo la scuola poss iede neppure la licenza delle
pubblica in tutte le sue componenti medie inferiori in una società che
ne è la testimonianza più drammati- propone tipi di lavoro sempre più
ca. Ad esserne coinvolti sono le strettamente legati alla continua
strutture, gli" operatori, le famiglie, evoluzione tecnologica? Egli non
gli studenti. La scuola ha finito per potrà che andare incontro a delu-
essere quasi risucchiata da una vor- sione, frustrazione, umiliazione, tut-
ticosa girandola in cui si rincorrono te condizioni laceranti per un ani-
freneticamente agitazioni, scioperi, mo giovanile.
istanze corporative, provvedimenti
Foto Archivio SEI
Le aree
de Il 'abbandono
Vediamo qualche dato. Nella pri-
ma classe delle medie inferiori ab-
bandona la scuola il 4,1 per cento
dei ragazzi, nella seconda il 3,7 per
cento, nella terza il 3,1 per cento. Al
solito, a risentire più in profonqità
del fenomeno sono le regioni del
Sud: 7,6 per cento contro 1'1,5 per
cento al Nord con riferimento alla
prima classe. Le aree dove la diser-
zione è più vistosa sono la Campa-
nia, la Sardegna, la Sicilia e la Cala-
bria. Al Nord, la regione che accusa
il maggior numero di abbandoni è il
Piemonte.
Un freddo calcolo del costo fi-
nanziario ci dice che i «dispersi»
della scuola mandano in fumo ogni
anno 240 miliardi dì lire. Infatti, me-
diamente, la Pubblica Istruzione

3.2 Page 22

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22 · 1 GENNAIO 1989
Fuga dalle «superiori»
È vero che il triennio post-ele-
mentare dà una preparazione insuf-
ficiente per inserirsi nel mondo del
lavoro, ma completare il ciclo della
scuola dell'obbligo apre, almeno in
linea di diritto, la possibilità di con-
tin uare gli studi. Anche nell a scuola
secondaria superiore, tuttavia, il fe-
nomeno dell'abbandono è presente,
e in misura massiccia. A lasciare le
au le - secondo un dato del Censis
- so no altri 160.000 ragazzi fra il
primo e il secondo anno. Nel trien-
nio successivo gettano la spugna al-
tri 55.000 giovani. Se ai 100.000 che
lasciano la scuola dell'obbligo, si
aggiungono i 200.000 che abbando-
nano le «superiori» e i 165.000 che
non si iscrivono ad altre scuole do-
po la licenza media, ci si avvicina al
mezzo milione di ragazzi che, in un
modo o ne ll 'altro e sia pure con
conseguenze diverse, escono dal si-
stema dell'istruzione. E sono vera-
mente tan ti.
Se poi vogliamo dare un sia pur
fuggevole sguardo all'Univers ità,
l'elemento che balza più ev idente
è quello del basso numero di st u-
denti che arrivano all a laurea ri-
spetto ag li iscritti. All'Ateneo di
Roma, per ogni studente che si lau-
rea ce ne so no almeno tre che ab -
bandonano anz itempo gli studi. li
punto più alto di fughe dall'Univer-
sità si registra fra il primo e il se-
condo anno, quando almeno il 30
per cento non rinnova l'iscrizione.
Significativi i dati che riguardano
la relazione fra provenienza scola-
stica e compimento degli stud i. Chi
proviene dai licei scientifici e clas-
sici, al traguardo della laurea, più o
meno brillantemente, ci arriva. Al
contrario, chi proviene dagli istituti
tecnici è più incline all'abbandono:
otto ragionieri su dieci non vanno
oltre il secondo anno di Universi-
tà. Sullo stesso livel lo la percentua-
le dei geometri o dei periti indu-
st riali. La cosa si spiega in parte
col fatto che chi è in possesso di un
tito lo di studio che abilita all'eser-
cizio di una professione, quando
trova un posto in banca o in un en-
te pubblico, spesso non se la se nte
di sobbarcarsi alla duplice fatica
del lavoro e dello studio. Lo dimo-
stra il fatto che le fughe dalla Fa-
coltà di scienze economic he rag-
giungono il 70 per cento. Chi, inve-
ce, ha frequentato i licei sa che la
laurea è il naturale compimento di
quell'indirizzo di studi.
Tornando al problema dell'ab-
bandono della media dell 'obbligo
- di gra n lunga il più grave perché
colpisce ragazzi che ancora non
hanno raggiunto un soddisfacente
livello di maturità e sono quindi
più faci lmente esposti a grossi peri-
coli - esso non può essere lasciato
in sospeso. Va affrontato con l'im-
pegno che merita e soprattutto in-
quadrandolo nel più ampio conte-
sto della scuola in generale. Si parla
con insistenza del prolungamento
dell'obbligo fino ai 16 anni, provve-
dimento caldeggiato dal ministro
della P.I. Galloni e iscritto nell'a-
genda del governo De Mita. È un
passo che prima o poi dovrà essere
fatto se si vuole adeguare il nostro
sistema scolastico a quelli vigenti in
alt ri Paesi della Comunità europea
(Inghilterra e Francia, per citare
due casi, ci sono arrivati da tempo).
Ma quale valore attribuirgli se poi
l'obbligo viene disatteso da tanti ra-
gazzi? Se non si creano le condizio-
ni - ovviamente anche sociali -
perché tutti completino un ciclo di
studi ritenuto il minimo indispensa-
bile?
Purtroppo, qualsiasi cosa riguar-
di la scuol a, in Italia è condannata
ai tempi lunghi. Basti pensare alla
lunghissima gestazione della rifor-
ma dell'esame di maturità. Eppure,
nel suo programma di governo, il
presidente De Mita ha scritto che
«scuola e formazione professionale
debbono rappresentare un impe-
gno prioritario». Con la scuola non
si può scherzare. Da una sua cattiva
conduzione, nascono danni che ri -
cadono sull'intera società. Si posso-
'no forse constatare con ritardo, ma
il loro effetto si riverbera su intere
generazio ni.
G.N.
A SCUOLA FINO
A 16 ANNI
MA CON PLURALITÀ
DI SCELTE EDUCATIVE
Il biennio aggiuntivo
rigidamente unitario
metterebbe in crisi
il patrimonio culturale
realizzato dalla
formazione
professionale.
Intervista
all'on. Giancarlo Tesini.
Roma - Incontriamo
l'on. Giancarlo Tesini alla Camera
dei Deputati. L'aula è a due passi e il
parlamentare democristiano l'ha
abbandonata solo per il tempo
strettamente necessario a risponde-
re ad alcune nostre domande. E di -
fatti tende l'orecchio al gracidare
dell'altoparlante che esorta i «si-
gnori deputati» a tenersi pronti
«per la votazione con il sistema
elettronico». Insomma, Tesini non
vuole venir meno ai suoi doveri di
parlamentare, ma non rinuncia ad
approfondire con noi un tema che

3.3 Page 23

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- - - - - - - - - - -#1-
1 GENNAIO 1989 23
Simposio sulla elevazione dell'i-
Istruzione obbligatoria, Roma 22
novembre 1988.
Da sinistra: la prof.ssa Cesarina
Checcacci, il prof. Domenico Ca-
vallaro, l'on. Francesco Casati, la
prof.ssa Carmela di Agresti
Jpunti di contrasto
gli sta molto a cuore: l'elevazione a
16 anni dell'istruzione obbligatoria
e le modalità del prolungamento. Il
deputato emiliano - da quattro le-
gislature gli elettori gli confermano
la loro fiducia - dirige l'ufficio na-
zionale scuola e ricerca della De-
mocrazia Cristiana, e nell'assolvi-
mento di questo co mpito ha matu-
rato un'esperienza che pochi, nel
settore politico, posso no vantare. Il
suo nome figura, con quello clell'o n.
Casati, tra i primi firmatari della
proposta di legge per il prolunga-
mento dell 'istruzione obbligatoria.
Onorevole Tesini, partiamo dal
problema generale. Perché pro-
lungare l'istruzione obbligatoria
di altri due anni?
«Le ragioni sono molte. C'è in-
tanto l'esigenza cli mettersi al passo
con gli altri Paesi della Comunità
europea. Tutti hanno chi nove chi
dieci anni di istruzione obbligatoria,
mentre l'Italia continua ad averne
otto. Ma questa è solo una questio-
ne, per così dire, tecnica. C'è dell'al-
tro. Oggi si parla moltissimo della
scadenza del 1992, quando i Dodici
della CEE realizzeranno gli obbiet-
tivi previsti dall 'Atto Unico. Ora io
credo che quella parità di condizio-
ni che si cerca di raggiungere nei di-
versi campi economico-finanziari a
maggior ragione vada perseguita
nel settore della formazione. So-
prattutto se vogliamo evitare che i
nostri giovani vengano a trovarsi in
una posizione di svantaggio quan -
do, con la libera circolazione delle
merci, ci sarà la libera circolazione
delle persone e, quindi, delle qualifi-
che professionali di cui quelle per-
sone potranno disporre».
Perciò è un problema di «conte-
nuti», in altre parole di una mag-
giore istruzione....
«Certamente. In riferimento alle
prospettive che si vanno delinean -
do nel mercato del lavoro, è pro-
prio il tipo di preparazione profes-
sionale richiesto che presuppone un
più alto livello culturale. È vero che
si tende sempre cli più a forme di
specializzazione sul piano profes-
siona le, ma queste stesse specializ-
zazioni nascono e in qualche modo
muoiono o si rinnovano sempre
più rapidamente. Chi si trova all'in-
terno del mercato del lavoro sarà
costretto sempre più cli frequente a
dover fronteggiare problemi nuovi
di aggiornamento, di riqualificazio-
ne. Senza contare l'aspetto della
mobilità, che tende a dilatarsi. Un
tempo, quando una persona sce-
glieva un lavoro, la scelta durava
per tutta la vita. Oggi si tende a
cambiare con maggiore frequenza,
specie nei Paesi industrialmente
avanzati, gli Stati Uniti per esem-
pio, dove si pensa che attorno al
r;>uemila i cambiamenti non saran -
no meno di tre o quattro nella vita
di un lavoratore. Tutto ciò: specia-
lizzazione in rapido mutamento e
mobilità a ritmi sostenuti, richiede
con insistenza il possesso di una
adeguata formazione culturale cli
base».
Sono considerazioni che hanno
pieno riscontro nella realtà, tanto
è vero che sull'innalzamento del-
l'istruzione obbligatoria sono più
o meno tutti d'accordo. Ma i pro-
blemi nascono proprio a partire
da questo punto. E anche le diver-
genze. Difatti la domanda è: come
articolare i due anni aggiuntivi
della scuola dell'obbligo?
«È vero, le divergenze insorgono
su questa tema. Dico subito e con
chiarezza che noi, intendo noi della
Democrazia Cristiana e presentato-
ri della proposta di legge, sostenia-
mo che l'elevazione dell'obbligo
debba attuarsi non su un solo cana-
le formativo, come invece sosten-
gono altri, ma offrire una risposta
articolata».
Come siete arrivati a questo
convincimento?
«Face ndo tutta una serie di valu -
tazioni radicate nella realtà ogget-
tiva. Per spiegarmi debbo partire da
una constatazione: non è affatto
detto che stabilendo una norma si
ottenga automaticamente da tutti
l'adempimento dell'obbligo. Già
oggi c'è una non irrilevante fascia di
giovani che disattendono l'obbligo.
Noi dobbiamo chiedercene la · ra-
gione. Ecco allora venire in eviden-
za fattori legati a situazioni sociali
perché risulta che c'è maggiore ina-
dempienza scolastica in certe aree
del Sud, in zone più povere e so-
prattutto in determinate categorie
sociali. La fuga dall a scuola è a li-
velli preoccupanti. E stiamo parlan-
do di un obbligo che ora è di otto
anni. Figuriamoci qu ando sarà a
dieci! Ma non dobbiamo dimentica-
re altre ragioni , quelle di carattere
psicologico, per esempio, che pos-
sono arrivare fino all 'handicap.
Non è forse vero che oggi c'è tutta

3.4 Page 24

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24 1 GENNAIO 1989
Alcunl partecipanti al simposio
colata dell'obbligo soprattutto
perché il sistema della formazio-
ne professionale vede una .larga
presenza del mondo cattolico.
Che cosa risponde?
«Che è una critica del tutto infon-
data. Sia chiaro: noi riconosciamo
questa presenza, e anzi la rivendi-
chiamo come merito del mondo
cattolico. Ma non è certo per difen-
dere interessi settoriali che noi ci
muoviamo. Del resto, la dimostra-
zione più chiara l'abbiamo guar-
dando a ciò che succede negli altri
Paesi europei. Le soluzioni adottate
mostrano che c'è sempre un certo
grado di diversificazione soprattut-
to nella fase terminale dell'obbligo
scolastico. In alcuni sistemi è più ac-
centuato, in altri meno. Però in tutti
non vi è una soluzione unica, come
alcune forze politiche vorrebbero
attuare in Italia».
una cultura dello svantaggio? E
non è altrettanto vero che essa ri-
chiede differenziazione nei tipi di
intervento per l'educazione dei gio-
vani? Altro motivo è la disaffezione
verso l'impegno scolastico, che col-
pisce la fascia giovanile che va pro-
prio dai 14 ai 16 anni, perché negli
anni successivi tende a modificarsi
con il desiderio di istruzione. Situa-
zioni diverse, dunque. Ora noi rite-
niamo che offrire ai giovani un uni-
co canale formativo, solo in appa-
renza risponda a una scelta eguali-
taria, di giustizia dice qualcuno. In
realtà, finisce per trasformarsi in
una risposta inadeguata a soddisfa-
re esigenze molteplici e differenzia-
te. Qui noi vediamo una sorta di pe-
nalizzazione dei giovani».
Percorsi diversificati
Parliamo allora della «risposta
articolata».
«Noi l'abbiamo scelta dopo
un'attenta riflessione. E siamo giun-
ti alla conclusione che l'obiettivo
generale di dare ai giovani una
maggiore cultura di base può essere
raggiunto meglio se il percorso vie-
ne offerto in forme diverse, appun-
to articolate. Possiamo anche ipo-
tizzare che l'assolvimento dell'ob-
bligo all'interno della scuola secon-
daria superiore possa trovare mag-
giori consensi da parte dei giovani.
Però noi riteniamo che ci siano al-
tre valide soluzioni, quella della for-
mazione professionale per esem-
pio. A questo proposito niente vieta
di valutare criticamente il sistema
della formazione professionale an-
che allo scopo di migliorarlo. Ma
già ora esso presenta delle realtà
innegabilmente positive proprio
per ciò che offrono al giovane co-
me cultura generale. Faccio un
esempio. l centri di formazione pro-
fessionale attivati dal mondo sale-
siano sono senza dubbio, per chi li
conosce, una risposta pienamente
valida anche sotto questo profilo.
Assieme a quelli di altri enti costi-
tuiscono un ricco patrimonio che
soddisfa le esigenze. Una scelta po-
litica che cancellasse questa realtà
per imporre un metodo che ha in
sé i rischi cui ho accennato prima,
mi sembrerebbe decisamente sba-
gliata. In altri termini, e senza vo-
lerci chiudere all'interno di soluzio-
ni rigide, noi riteniamo non accetta-
bile il rifiuto di un discorso che ri-
guarda l'assolvimento dell'obbligo
attraverso forme di integrazione
con la formazione professionale e
quindi con la piena utilizzazione di
questo sistema».
La DC viene accusata di aver
sposato questa impostazione arti-
Maggiore elasticità
Una soluzione rigidamente uni-
taria rischia di mettere in crisi la
formazione professionale, di farla
sparire?
«Certamente la sposta in avanti.
Qui si apre una valutazione che è di
natura pedagogica. Bisogna pensa-
re a quei ragazzi che è più facile re-
cuperare anche sul piano della for-
mazione culturale, attraverso un'at-
tività legata alla formazione pro-
fessionale. Di qui l'esigenza di ordi-
namenti che abbiano un grado di
elasticità maggiore in modo che
possano adattarsi alla varietà delle
situazioni presenti nel mondo gio-
vanile. Non vogliamo certo creare
nella scuola due sistemi formativi,
uno di serie A e l'altro di serie B,
che assicurino privilegi a una parte
e infliggano danni all'altra. No, la
nostra filosofia è tutta l'inverso. Vo-
gliamo realizzare un sistema in cui
si attui veramente l'uguaglianza
delle opportunità formative, che
non può essere realizzato se non si
tiene conto delle diversità di cia-
scun giovane. Questa è l'imposta-
zione di fondo scelta dalla DC».
· Le posizioni sono rigide?
La nostra non lo è. Abbiamo sen-
tito il dovere di presentare un pro-

3.5 Page 25

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- - - - - - - - --s/1-
getto di legge per dire chiaro e fino
in fondo qual è la nostra posizione,
e cioè quello che noi crediamo sia
giusto nell'interesse dei giovani. Ma
siamo aperti al confronto.
Le questioni della scuola in Ita-
lia si muovono spesso sui tempi
lunghi. È questo il destino anche
del prolungamento dell'obbligo?
Tutti riconoscono l'urgenza del
provvedimento e lo stesso governo
lo pone tra le priorità. Al tempo
stesso tutti, noi democristiani ma
anche le altre forze politiche, sono
concordi nel ritenere che il proble-
ma dell'elevazione dell'obbligo non
può realizzarsi fuori di un quadro di
riferimento rappresentato dalla ri-
forma degli ordinamenti della scuo-
la secondaria superiore. E sappia-
mo bene quanto lunga sia la lista
dei tentativi di arrivare alla riforma
1 GENNAIO 1989 25
in questo settore naufragati in Par-
lamento negli ultimi venti anni. Tut-
tavia vorrei aggiungere che questo
lungo travaglio è comunque servito
a chiarire le idee, a realizzare un ap-
proccio diverso, forse più realistico
al problema. E oggi è in atto un'ini-
ziativa del governo che consente di
essere più ottimisti sui tempi rispet-
to al passato.
Gaetano Nanetti
NON BISOGNA PENALIZZARE
LA PARTE PIÙ DEBOLE DEI GIOVANI
Un simposio a Roma sulla proposta
di legge della DC sull'innalzamento
a 16 anni dell'obbligo scolastico.
Sul prolungamento dell'obbligo scolasti€o fino a 16
anni , si è tenuto a Roma un simposio organizzato con-
giuntamente dalla Confederazione nazionale per la
formazione e l'aggiornamento professionale e dall'U-
nione cattolica italiana insegnanti medi. L'incontro ha
visto la presenza di numerosi insegnanti, dirigenti
scolastici, operatori della formazione professionale,
nonchè del ministro della pubblica istruzione Galloni,
del sottosegretario Beniamino Brocca, del responsa-
bile dell'Ufficio scuola della DC, Giancarlo Tesini. Per
la Congregazione salesiana, che è in larga misura
coinvolta nel settore della formazione professionale
come servizio reso ai giovani, è intervenuto don Felice
Rizzini, presidente del Centro Nazionale Opere Sale-
siane (CNOS) . Inoltre, don Guglielmo Malizia, docente
dell'Università pontificia salesiana, ha tenuto tma delle
relazioni in programma, sul tema: «La sperimentazio-
ne condotta entro la formazione professionale regio-
nale» .
Il simposio si è articolato intorno alla proposta di
legge presentato dalla Democrazia Cristiana, e che ha
come primi firmatari i deputati Francesco Casati e
Giancarlo Tesini. La proposta raccoglie l'esigenza pri-
maria di portare l'obbligo scolastico a 16 anni, ma al
tempo stesso indica le linee lungo le quali dovrà svol-
gersi il prolungamento. È quest'ultimo, in realtà, il no-
do da sciogliere . A scontrarsi sono due tendenze . L'u-
na vorrebbe che il biennio aggiuntivo si svolgesse in
modo più o meno rigidamente unitario, ma in ogni ca-
so uguale per tutti. L'altra, invece, propone percorsi
formativi differenziati. Quest'ultima è la strada che se-
gue la proposta della DC, nella quale si riconoscono,
oltre ai salesiani, le associazioni e gli enti cattolici che
operano, in un modo o nell'altro, nel delicatissimo set-
tore della scuola.
L'on. Casati, anche nella sua qualità di presictente
della CONFAP, ha illustrato nel dettaglio la proposta di
legge, per poi affermare che «un innalzamento dell'ob-
bligo solo all'interno del biennio unitario della scuola
superiore sarebbe fortemente penalizzante e discri-
minatorio nei confronti della parte più debole della po-
polazione giovanile» . Di qui l'esigenza di «individuare i
percorsi formativi adeguati a tutti i ragazzi, offrendo
opportunità diverse». Per la professoressa Ce~arina
Checacchi, presidente dell'UCIIM, non si tratta di fare
una scuola dell'obbligo fino a 16 anni, bensì di sancire
l'obbligo della formazione fino a quell'età in diverse
istituzioni a ciò deputate e riconosciute dalla Repub-
blica Italiana». Svolgendo un'analisi comparata delle
situazioni in altri Paesi Europei, la prof. Carmela Di
Agresti, dell'Università di Bari, ha messo in evidenza
che tutti i Paesi prevedono ormai periodi di istruzione
obbligatoria più lunghi di quello italiano, ma nessuno
di essi adotta, nelle fasce di età fra i 14 e i 16 anni, so-
luzioni unitarie, bensì articolazione di indirizzi e di op-
zioni. Il prof. Mauro Laeng, dell'Università di Roma, ha
a sua volta ricordato che la società e il mondo del lavo-
ro non si accontentano ormai di una preparazione po-
co più che elementare. Il momento della formazione
professionale assicura «equipollenza formativa tra
corsi di formazione professionale e corsi scolastici».
Nella sua relazione, il prof. Guglielmo Malizia ha af-
fermato che una formazione professionale di base va-
lida può contribuire in modo significativo a ridurre le
disparità educative di cui soffrono i giovani di più bas-
sa condizione sociale. Una formazione professionale
qualificata nei contenuti e nei metodi deve mirare al-
l'inserimento nel mondo del lavoro con una prepara-
zione adeguata a svolgere mansioni complesse . Essa
inoltre può portare i giovani a conseguire sul piano
culturale livelli standard almeno pari ai livelli degli stu-
denti della scuola secondaria superiore sperimentale.
Sulla necessità di stringere i tempi ha insistito l'on. Te-
sini. In questo stesso numero del BS pubblichiamo
un'ampia intervista con il responsabile dell'Ufficio
scuola della DC.
O

3.6 Page 26

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26 · 1 GENNAIO 1989
REPORTAGE
TRA GLI INDIOS
DI JUNIN DE LOS
2
La recente beatificazione di Laura Vicuiìa
ha portato all'attenzione
dei nostri lettori questo lembo
di terra a sud del mondo.
Junìn de los Andes è in
piena Cordigliera delle Ande al sud
della provincia argentina del Neu-
qu èn. Geograficamente è situata
sulla destra del fiume Chimehuìn in
un'ampia vallata circondata a nord
dal vulcano Lanìn alto quasi tremila
e ottocento metri, a sud dalla serra
del Chapelcò e ad occidente dalla
imponente catena della Ande. Oggi
è una ridente cittadina di frontiera
dove insieme co n gli indios Mapu -
ches, autoctoni, convivono i «criol-
los» e molti immigrati dalle zone li-
mitrofe. La gente vive di terziario,
lavori artigianali e allevamento. A
tutt'oggi, ne lle grandi fattorie,
estancias, per lo più proprietà di
stranieri, si conduce una vita feuda-
le dove il mapuche è un «servo del-
la gleba». I primi salesiani vi giun-
sero sul finire del secolo dicianno-

3.7 Page 27

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- - - - - - - - - -- #1-
1 GENNAIO 1989 · 27
MAPUCHES
ANDES
I•1.11 Santo Padre saluta con effusione un giovane
della missione «Celerino Namuncurà»
2. Bambini e giovani Mapuches con suor Teresa
3. Panoramica della missione
4. Le ragazze del collegio Maria Ausiliatrice
3
vesimo ad opera di don Domenico
Milanesio giunto in Argentina con
la terza spedizione missionaria in-
viata da Don Bosco. Quando, nel
1892, accompagnato da don Gio-
vanni Roggerone, vi giunse don
Milanesio era stata consumata da
pochi anni, 1879, la matanza de los
Indios che aveva costretto gli abi-
tanti del luogo, gli indios Mapu-
ches, a rifugiarsi nelle aspre pie-
traie della Cordigliera dove non
soltanto la scarsità dei pascoli ma
anche il vento e la steppa patagoni-
ca mettono a dura prova la salute
dell 'uomo. A sette anni della prima
venuta, i salesiani con l'aiuto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice, il 15
marzo del 1899, aprono un colle-
getto con una dozzina di ragazzi.
«Per molto belli che siano altri cie-
li , annotò in quegli anni il Milane-
sio, non dubito di affermare che dif-
ficilmente potrà essere superata la
magica bellezza di questo cielo se-
reno nel momento del tramonto
del sole riverberante i suoi ultimi
raggi sulle onde dei laghi e le puris-
sime nevi che rivestono le alte cime
della Cordigliera».
Da quell'ormai lontano fine No-
vecento, la Famiglia Salesiana è an-
cora a fianco dei Mapuches che a
tutt'oggi conservano il loro idioma,
le loro tradizioni ed i loro riti con
una organizzazione tribale che con-
sente un ritmo di vita semplice e
rrimitivo in netto contrasto con la
crescente civiltà dei consumi. Che
tipo di lavoro svolgono Salesiani e
Figlie di Maria Ausiliatrice?
4
Il campo-base del lavoro salesia-
no è, ovviamente, Junìn de los An-
des; da qui il lavoro si spinge fino al
piccolo centro di San Martìn de los
Andes a 45 chilometri. In quest'ulti-
ma cittadina, 18.000 abitanti e sta-
zione turistica invernale, il lavoro
salesiano si sviluppa nella parroc-
chia e in un centro di accoglienza
per una settantina di ragazze per lo
più senza genitori ed estremamente
bisognose. La comunità salesiana
di Junìn de los Andes poi nella
sua azione pastorale è articolata in
tutta una serie di inizi ative e centri
che hanno il loro punto di incontro
proprio nel comune servizio ai po-
veri. Vediamole una per una queste
iniziative.

3.8 Page 28

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28 · 1 GENNAIO 1989
I 1. Don Viganò saluta don
Celestino Namuncurà capo
della comunità
2. Ragazzi elle prese con la
saldatrice
Servizio missionario
itinerante
È un servizio animato da don An-
tonio Mateos totalmente consacra-
to al lavoro tra i Mapuches. Li ac-
compagna, li visita, cammina con
loro e scopre con loro la grandezza
della natura e del suo Creatore, il
valore dell'amicizia e della fratel-
lanza in una completa apertura al-
l'ospitalità e al rispetto reciproco. I
Mapuches lo considerano padre,
amico e fratello. In questo suo pere-
grinare è accompagnato dall-a pre-
ziosa presenza di suor Rosita e suor
Teresa nonché da quella di ragazzi
e ragazze impegnate apostolica-
mente. Questo lavoro è anche favo-
rito dalla crescita presso i Mapu-
ches di un laicato sempre più consa-
pevole e impegnato.
1
Una scuola
professionale per
giovani Mapuches
È una casa per ragazzi molto po-
veri provenienti da località monta-
ne con seri problemi di sopravvi-
venza. Ospita 120 ragazzi in forma
completamente gratuita fornendo
loro una formazione integrale ed
orientandoli ad accedere alle forme
comuni dell'educazione. In questo
sforzo educativo si svolge presso il
giovane mapuche un lavoro di
orientamento esortandolo innanzi-
tutto a frequentare il primo ciclo
scolastico e quindi a scegliere se
proseguire gli studi o imparare un
mestiere. La scuola ha laboratori di
falegnameria, saldatura, meccanica,
esistono anche corsi di muratura,
giardinaggio e orticoltura, di alle-
vamento bestiame. li tutto si svolge
in un ambiente educativo molto fa-
miliare mirante a realizzare una in-
tensa vita di gruppo e favorendo il
dialogo, la riflessione, la comunione
degli ideali e la fiducia in Dio e ne-
gli altri.
2
Una attenzione particolare viene
data al mantenimento della cultura
autoctona. L'insegnamento dell'i-
dioma mapuche, l'apprendimento
dell'artigianato locale e delle
espressioni artistiche, il ballo fol-
kloristico tradizionale, le celebra-
zioni delle feste e delle Rogazioni:
ecco tanti momenti di un cammino
culturale che ha come obiettivo
fondamentale quello di dare all'in-
dio soprattutto l'autentico senso
della sua dignità.
Centro culturale
Con l'aiuto dell'Ambasciata del
Canada e la generosa collaborazio-
ne del gruppo «Amici di don Mario
Rizzini» è stato possibile costruire
un centro culturale. Esso è innanzi-
tutto una casa-albergo che accoglie
quanti dalla montagna vengono in
città per compere, visite mediche,
ritirare la pensione. Consta di una
cucina e di alcuni dormitori con re-
lativi servizi; il tutto è gestito da una
famiglia mapuche. Presso il centro
esiste anche un museo che raccoglie

3.9 Page 29

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- - -- - --sB-
I GENNAIO 1989 29
I3. Ragazzi In
falegnameria
4. L'antica
cappella dove
pregava Laura
Vicui\\a
3
4
preziosi reperti ed elemento di arte tivo centro il collegio dove visse la
e storia mapuche. Il museo è affida- beata Laura Vicuna. Il collegio di
to all'Ufficio turistico del luogo. li Junln de los Andes ha una scuola
centro serve ancora come deposito elementare, dei corsi medio-supe-
viveri per il rifornimento degli stes- riori ed un grande laboratorio dita-
si Mapuches ed è anche sede di un glio, cucito, ricamo, maglia e alta
gruppo giovanile impegnato in una moda. Proprio in questo collegio il
serie di iniziative miranti alla salva- 29 febbraio del 1988 don Viganò ha
guardia della cultura locale, alia re- detto: «Quello che Don Bosco ha
visione dei testi di storia e a pro- realizzato a Valdocco facendo san-
muovere leggi per garantire una ri- to da altare Domenico Savio, si
forma agraria e una forma di auto- prolunga qui in Patagonia con Lau-
nomia amministrativa.
ra Vicuna e Zeferino Namuncurà.
«Certo, dicono i salesiani, non è Io giro il mondo intero però debbo
facile, però è molto importante per- venire qui in Patagonia per parlare
ché questo cammino fatto insieme di questo tema con testimoni reali.
abilita l'indigeno a far da sé».
Quelli che sono venuti qui hanno
portato con sé lo spirito genuino, il
metodo autentico e la costanza che
/t collegio dove
visse Laura
hanno appreso alle fonti di Valdoc-
co e di Nizza Monferrato».
Altri due centri con oratorio e at-
tività varie arricchiscono la presen-
za salesiana a Junìn de los Andes.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice Nel centro del Barrio Lanìn poi è
hanno creato unà casa-focolare per stata costruita una nuova cappella
le ragazze del Campo situato nel dedicata a Laura Vicufia. Qui è si-
Malleo al centro della Comunità tuata proprio quella statua dell'Au-
Mapuche dei Painefilu. Qui le Sale- siliatrice davanti alla quale la picco-
siane di Don Bosco svolgono una la Laura pregò per la salvezza di
intensa attività educativa cosi come sua madre.
continua ad essere ùn vivace ed at-
Lucio Sabatti

3.10 Page 30

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30 · 1 GENNAIO 1989
OBIETIIVO BS
Napoli
ORGANIZZARE LA SPERANZA
TRA GLI SCUGNIZZI
NAPOLETAN-I-----=-
Il Rettor Maggiore
in visita ai ragazzi
del «Don Bosco» di Napoli
La realtà napoletana e
le sue sfide al carisma
salesiano. Un «oratorio
dai mille mestieri» per
rendere efficace una
presenza tradizionale.
Volontari e aiuti.
La Doganell a, zona po-
polare e popolosa all'estrema peri-
feria di Napoli.
L'Istituto Don Bosco si staglia
imponente sullo sfondo della «tan-
genziale», l'arteria sopraelevata
che era stata progettata per risolve-
re tutti i problemi del congestio na-
to traffico cittadino. Davanti all'edi -
ficio la via omonima, un fiume in
piena di lami ere e di passanti ad
ogni ora del giorno e della notte.
Alle spalle il rione Amicizia, uno
dei quartieri più feriti dal fenomeno
della tossicodipe nd e nza.
Un ra pido «spaccato» su l carat-
tere caotico ed ab usivo dell'espa n-
sione urbana del più grande ce ntro
del Mezzogiorno. Una chiave di le t-
tura per comprende re il « Progetto
N a poli Don Bosco 1988», che si in-
se risce co n una nota di origina lità
nel ve ntaglio delle iniziative per il

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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- - - - - - - - - - -.5'1-
1 GENNAIO 1989 31
La speranza corre sulfilo
440048?Co/ «pronto» dell 'operatore di turno al telefono di via Don Bo-
sco si apre ogni volta un nuo vo spiraglio sulle tante situazioni nascoste di
abbandono. di maltrattamenti e di violenza sui minori, che sono una pe-
sante realtà della vita quotidiana di quella «città di ragazzi>> che è Napoli.
Il «telef ono azzurro» del Centro di aiuto al minore in difficoltà fun zio-
na da un paio di anni. Tutti i giorni, eccetto la domenica. dalle nove alle
tredici e dalle quindici alle diciannove. I volontari - giovani e anziani -
che ricevono e filtran o le telef onate, annotano i di versi casi. Un 'équipe
ristretta esamina le schede, chiede ulteriori ragguagli all'operatore che le
ha compilate, decide il da farsi. Segnalando la cosa a/l'uJficio territoriale
competente oppure intervenendo diretlamente per mezzo di propri opera -
tori socia/i.
Il Centro, che è un 'associazione di volontariato costituitasi con atto no-
tarile e con proprio statuto, può a vvalersi di un gruppo di consulenti spe-
cializzali:psicologo, medico, a vvocato, pedagogista, assistente sociale, sa-
cerdote ed altri educatori. Il loro apporto va al di là del parere o dell 'inter-
vento m omentaneo per tradursi in una serie di valutazioni e di stim oli
per un 'adeguata politica dei giovani, dei minori e dell 'assistenza in gene-
ra/e.
l e telef onate sono sempre anonim e; le sole «firmate» sono per lo più
per sottoporre casi di semplice assistenza materiale in situazioni di estre-
ma m iseria. l '«anonimato» è una spia di come fim ziona una città come
Napoli, do ve i ragazzi sono spesso abbandonati al loro destino ancor pri-
ma di a.tfacciarsi alla soglia dell'adolescenza. Fare appello al coraggio
civico della denuncia aperta e <(f irmata » potrebbe signU'icare non a ver
pilì telef onate o sentirsi abbassare la com e/la.
centenario. Punto di partenza: non
ridurre la ricorrenza ad una cele-
brazione puramente. accademica,
bensì farne una celebrazione nel
senso reale e concreto del termine e
nella dinamica dello spirito del fon -
datore.
La comunità salesiana si è a lun-
go interrogata sul proprio ruolo e
sull'efficacia del proprio intervento
socio-educativo in una zona pro -
fondamente segnata dal degrado,
dall'abbandono, dal sovraffolla-
mento, dalla di soccupazione, dalla
violenza. Dove la subcultura della
strada tende a riprodurre nei ragaz-
zi modelli camorristici quali l'omer-
tà, la protezione, la tangente... Un
fertile humus, insomma, per l'espan-
dersi di organizzazioni delinquen-
ziali e per lo spaccio e il consumo di
droga.
Alcuni dati al riguardo. Dall'ini-
zio del 1988, nel territorio metropo-
litano di Napoli, si registra una me-
dia di un morto per droga ogni due
giorni. Gli ospiti del carcere di Pog-
gioreale sono per quasi un terzo
tossicodipendenti. Infine, secondo
una valutazione empmca basata
sulle siringhe recuperate ogni mat-
tina dagli operatori ecologici del
Comune, si può calcolare che il giro
di affari della camorra legato al
traffico di stupefacenti abbia supe-
rato i mille e duecento miliardi sol-
tanto negli ultimi undici mesi.
li «Progetto Napoli DB '88» è la
risposta della comunità salesiana
alla sfida dei nuovi tempi. La rispo-
sta ribadisce «la tradizionale voca-
zione cli servizio al mondo gio vani-
le e popòlare», dando «una nuova
dignità culturale alla propria espe"
rienza» e qualificando «maggior-
mente il proprio servizio pref eren-
ziale d ragazzi "a rischio " che già
percorrono itinerari di disadatta-
mento e di emarginazione». Guar-
dando a questi ragazzi concreti, gli
operatori del Don Bosco hanno ri-
pensato l'Istituto come un centro
socio-educativo polivalente.
«L'idea-guida», spiega don Nico-
la Palmisano, animatore del «pro-
getto», «è la centralità del ragazzo
e del giovane, in un contesto educa-
tivo organico-dinamico, secondo il
quadro di valori contenuto nel pro-
getto educativo delle comunità sa-
lesiane del Sud e secondo il criterio
permanente dell'Oratorio di Don
Bosco a Valdocco, «che fu per i gio-
vani casa che accoglie, parrocchia
che evangelizza, scuola che avvia
alla vita e cortile per incontrarsi da
amici e vivere in allegria».
«Il concepirsi come un unico ora-
torio, l'oratorio dai mille mestieri»,
continua don Palmisano, «significa
una riconversione interna, compor-
ta un'integrazione più intensa, è te-
stimonianza di un radicale passag-
gio dal vecchio tipo di collegio, ca-
ratterizzato da grandi camerate,
grandi studi, grandi refettori, ad una
gestione a dimensioni più umane di
piccole comunità-famiglia. Questo
per sostenere l'esigenza fondamen-
. tale di demassificare, di evitare la
spersonalizzazione del ragazzo,
privilegiando un tipo di educazione
con programmi individualizzati».
«In realtà», sottolinea ancora
don Palmisano, «è facile mettere
sulla carta un progetto rinnovato
nelle dimensioni, nelle strutture,
nelle prospettive economiche. Più
difficile è invece creare una menta-
lità; e questo processo educativo ri-
guarda in primo luogo noi salesiani.
Anche noi siamo entrati in un pro-
cesso dinamico, ne l senso in cui
Freire ama parlare di "pedagogia in
cammino". Oggi siamo ancora mol-
to condizionati dal passato, mentre
dobbiamo puntare ad un'educazio-
ne "mirata" sui bisogni e sulle risor-
se dei singoli ragazzi. Perché ogni
ragazzo ha alle spalle una "sua" sto-
ria, una storia spesso carica di soffe-
renze : genitori divorziati, separati,
conviventi; genitori in carcere o in
manicomio o emigrati o morti o
semplicemente spariti dalla circola-
zione».
Al Centro si lavora sulle grandi
direttrici della cultura, del lavoro e
dello sport per offrire al ragazzo
una serie di opportunità, di crescita
e di autorealizzazione. E un orato-
rio-centro giovanile non autosuffi-
ciente, ma dalle porte aperte al ter-
ritorio attraverso un tessuto di rap-
porti di solidarietà, di integrazione
e di collaborazione coi vari servizi
sociali, il tribunale per i minori, le
unità sanitarie locali e tutte le altre
realtà che si occupano dei ragazzi e

4.2 Page 32

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32 · 1 GENNAIO 1989
«L'aiuto pubblico è indispensabile»
Sessantotto anni, originario di Treviso, una vasta esperienza tra i giovani alle
spalle, don Bruno Bertolazzi cosi racconta le origini del suo «mezzo secolo» di
fedeltà al Mezzogiorno d'Italia: «Sono sceso al Sud per fare il militare dopo la
laurea. Ho fatto il corso allievi ufficiali in una caserma in questo popoloso e po-
polare rione di Napoli. Proprio ad un passo da questa casa di Don Bosco. Ho
conosciuto i salesiani che lavoravano in quest'estrema periferia della città.
Congedato, a venticinque anni, sono rimasto qui».
Economo ispettoriale per quindici anni, sei per l'area pugliese-lucana e nove
per tutta l'Italia meridionale, don Bruno è ora il più stretto collaboratore del di-
rettore del Centro sociale, don Nicola Palmisano. Vicario e addetto alle pubbli-
che relazioni, questo trevigiano che ama il Sud come la sua terra, mette a fuoco
con poche battute, estremamente concrete, alcuni nodi centrali del rapporto
con l'ente pubblico e, in definitiva, di una presenza salesiana viva, efficace e
stimolante nel territorio.
La risposta dell'Iniziativa pubblica consente di guardare con fiducia al fu-
turo del progetto Napoli DB '88?
Se si dovesse far conto esclusivamente sull'assistenza pubblica, faremmo
un fallimento completo. Già da tempo ci siamo rivolti al Comune di Napoli per
chiedere una sowenzione maggiore per il lavoro che svolgiamo. Attualmente il
Comune ci dà 14.100 lire al giorno per ragazzo convittort!, mentre gli altri enti
pubblici danno di meno, fino al minimo di L. 8750. Una cifra irrisoria. Occorre-
rebbe che gli enti pubblici intervenissero in torma ben più consistente.
E perché questo non si verifica?
Gli amministratori locali sono letteralmente oppressi dalle domande di aiuto.
C'è una quantità di gente che va a chiedere il contributo pubblico. Gli ammini-
.stratori hanno il problema d'accontentare un po' tutti. Ed accontentare tutti si-
gnifica attingere sempre allo stesso fondo che è owiamente limitato. Per que-
sto non possono andare incontro a tutte le necessità dei vari istituti assisten-
ziali.
Non è possibile Ipotizzare una rinuncia ali'aluto pubblico, puntando sulla
generosità della gente?
lo ritengo tuttora indispensabile l'aiuto pubblico, perché non c'è una benefi-
cenza - almeno una beneficenza corrente - che possa sostenere opere co-
me la nostra. Pensare ad un'opera educativa che ignori completamente il rap-
porto con gli enti assistenziali, è assolutamente fuori dai tempi. Tanto più che la
gente ha spesso il falso concetto che i salesiani sono ricchi. noi siamo handi-
cappati, per esempio, dal fatto che questa costruzione sia venuta su con l'aiuto
di una fondazione del Banco di Napoli. In base all'accordo concluso a suo tem-
po, siamo anche impegnati a pubblicizzare questo titolo. Cosi la gente, pen-
sando che «tanto i salesiani hanno alle spalle il Banco», si fa la diffusa idea che
navighiamo nell'oro.
Che cosa si può fare per modificare un'opinione del genere?
Sensibilizzare sempre di più la gente, affinché ognuno si renda conto della
realtà. Quindi, parlare, scrivere sui giornali, rilasciare interviste alle radio e alle
televisioni locali, invitare le persone a visitare la nostra opera, ad intrattenersi
coi ragazzi. Spesso accade che chi si ferma a parlare con uno dei nostri minori,
io tratta come un ragazzo di prima media. Poi, alla domanda «Quanti anni hai?»,
subentra lo stupore al sentirsi rispondere: tredici, quattordici. Di ragazzi in
queste condizioni che ripetono una classe per la seconda o la terza volta, ce ne
sono tanti. La scuola non interessa i nostri ragazzi e, purtroppo, neppure i loro
genitori.
' Avete anche problemi di personale per seguire da vicino, come vorreste,
questi ((minori a rischio»?
Naturalmente. Anzi, io vorrei rivolgere un appello a quei fratelli coadiutori che
hanno operato nel CNOS (Centro Nazionale Opere Salesiane) e che, superati i
sessant'anni, sono adesso in pensione. Tra loro ce ne sono tanti che soffrono
la sindrome del pensionato, sentendosi vivi, attivi. Alcuni vanno a lavorare in
Africa. Il mio appello è che vengano anche qui, a lavorare coi nostri ragazzi co-
me volontari, come «maestri dei mille mestieri». Farebbe bene a loro e benissi-
mo ai giovani che si sentirebbero più seguiti nella loro maturazione professio-
nale e umana.
dei giovani. Una sorta di osmosi
continua, in altre parole, con le for-
ze vive della società e della Chiesa.
La pedagogia del cuore ispira sa-
lesiani e laici. Il ragazzo è conside-
rato la prima vittima di un sistema
sociale spesso ingiusto. Questa pe-
dagogia del sistema preventivo di
Don Bosco sa accogliere con bon-
tà, è incline alla comprensione, le
tenta tutte perché non perde mai la
speranza, sa perdonare, è pronta a
ricucir~ ogni strappo ed a ricomin-
ciare. E una pedagogia costruttiva
di una nuova cittadinanza, promuo-
vendo realmente la persona come
cellula del corpo sociale. La presen-
za dell'adulto in quest'animazione
è quella di chi, più che maestro e
guida, è compagno di viaggio dei
ragazzi e dei giovani, disposto ad
imparare e crescere con loro.
«Centro sociale Don Bosco»
vuol quindi dire in concreto un or-
ganismo dinamico con ruoli e per-
sone, strutture e mezzi, organi di-
versificati di governo e di anima-
zione, gruppi e aree di · intervento
differenti. Tutto ciò costituisce l'os-
satura del «Progetto Napoli DB
'88». I ragazzi accolti al Centro ap-
partengono a due fasce di età: la
prima comprende adolescenti dagli
11 ai 14 anni e l'altra giovani dai 15
ai 18 anni, di varia tipologia e pro-
venienza, distribuiti in vari ambien-
ti educativi, atti ad elaborare per
ciascuna situazione una risposta
adeguata.
I grandi refettori, le grandi sale,
hanno così ceduto il posto ad ap-
partamenti - tuttora in fase di alle-
stimento - opportunamente at-
trezzati, con ingresso, soggiorno,
sala di libere attività, salone di stu-
dio, box insonorizzati, camere con
quattro posti-letto, servizi.
Le comunità famiglia sono in tut-
to sei. Ognuna ospita non più di
venti ragazzi ed è affidata a due
animatori, che sono corresponsabili
nell'elaborazione del programma
educativo di ciascun ragazzo. Ogni
comunità porta un nome particola-
re che fa riferimento alla vita ed ai
sogni di Don Bosco: la zattera, il
pergolato, la collina, la casetta, ecc.
Il progetto prevede, inoltre,
gruppi di intervento diurno che si
occupano di quei ragazzi compresi
tra gli 11 ed i 14 anni che, non po-

4.3 Page 33

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- - - - - - - - --s8-
tendo essere accudhi dai genitori
durante il giorno per svariati moti -
vi, potrebbero diventare vittime di
situazioni ambientali a rischio. I
gruppi sono per ora otto. I ragazzi,
venticinque circa per gruppo. Ogni
gruppo è affidato ad un animatore
con gli stessi compiti e le medesime
responsabilità degli animatori delle
comunità-famiglia.
I giovani dai 15 ai 18 anni, che si
trascinano frustranti storie di soli-
tudine, abbandono, violenza, emar-
ginazione, rifiuto sociale, vengono
accolti nella comunità «La Palazzi-
na». Il loro numero si aggira sui
t 2-15. «La Palazzina», oltre ad ope-
rare come centro di accoglienza, di
aggregazione e di contatto con le
famiglie di origine dei ragazzi, si
prodiga in concreto per inserire i
giovani nel mondo del lavoro, sti-
pulare opportuni contratti di for-
mazione-lavoro, «agganciare» per
la strada i ragazzi in difficoltà, col-
legarli con l'oratorio e il centro so-
ciale.
Per i ragazzi temporaneamente
privi di un ambiente fam il iare ido-
neo, infine, è stata formata l'Asso-
ciazione di (amiglie affidatarie
«Mamma Margherita». Secondo la
legge 184 del 1983, e nel carisma sa-
lesiano della missione educativa tra
i giovani, l'associazione può acco-
gliere ragazzi per affidi giornalieri
(alcune ore al giorno), per il perio-
do delle vacanze (massimo due me-
si), a breve o a lungo termine (dal
tempo necessario perché la fami -
glia d'origine superi le sue difficol -
tà a più anni).
Il Centro si avvale, naturalmente,
di un'équipe di specialisti, composta
da un medico, uno psicologo, un pe-
dagogista, un'assistente sociale e un
salesiano. Il Centro è pure dotato di
un servizio salute che vuole avviare
un discorso di medicina preventiva
nonché terapeutica, di servizi di se-
greteria ed archivio per seguire an-
che burocraticamente la vita del ra-
gazzo, di un centro di aiuto al mino-
re in difficoltà - CAM-telefono az-
zurro - al fine di far emergere si-
tuazioni di violenza, informare i
servizi competenti e favorire un in-
tervento quanto mai immediato o
costante.
Gli animatori della vasta gamma
di iniziative del «progetto» sono
1 GENNAIO 1989 · 33
Il «sogno» di un awenire diverso
Il progetto Napoli DB '88 non resta chiuso sul presente, ma si apre al futuro .
Nello stile di Don Bosco «si sogna» un awenire diverso per i 120 minori accolti
in «comunità famig lia», per i 180 ragazzi dei «gruppi di intervento diurno», per i
circa 500 «oratoriani» che convengono al Céntro Sociale per un'intelligente ed
utile occupazione del tempo libero.
Per questi ragazzi, però, la presenza educativa dei salesiani viene a cessare
proprio nel periodo più delicato della loro vita: quell'adolescenza che inizia con
la licenza media. Pochi trovano lavoro nell'apprendistato, qualcuno accede alla
scuola media superiore, una quindicina viene accolta nella comunità «La Palaz-
zina», altro supporto offerto dai salesiani di via D0n Bosco a minori ultraquat-
tordicenni In stato di particolare abbandono.
La maggioranza dei ragazzi rimane abbandonata per le strade, con il rischio
della vanificazione del precedente impegno educativo e del conseguente spre-
co del sostegno economico degli enti pubblici preposti all'assistenza minorile.
In pratica, i giovani vengono rimessi nell'ambiente pericoloso dal quale erano
stati tratti con l'intento di una reale promozione, prima che abbiano raggiunto la
maturità sufficiente a renderli autonomi.
Il progetto Napoli DB '88 è una finestra aperta sull'awenire che si chiama
anche qualificazione professionale. Il Centro Sociale Don Bosco può offrire, in-
fatti, un concreto contributo alla soluzione del problema con l'attivazione di
corsi di formazione professionale nei locali dell'istituto, ancora sufficientemen-
te attrezzati, già sede per 35 anni di corsi fino alla pubblicizzazione del settore
nel 1984.
È carisma particolare dei salesiani la formazione di giovani al làvoro ; ed è una
vera e stridente anomalia che, nell'anno centenario della morte del loro fonda-
tore, mentre in molte regioni d'Italia fioriscono i centri di formazione professio-
nale salesiani {nel 1987-88 : 42 centri, 453 corsi, 9459 allievi), solo la gioventù
della Campania e di Napoli vènga esclusa da quest'impegno tanto apprezzato
ed utile alla società.
Di qui la pressante richiesta alla Regione Campania per l'assegnazione al
Centro di nuovi corsi, nella convinzione che due-tre anni di formazione profes-
sionale nell'età adolescenziale - secondo il «progetto educativo salesiano»
così ben collaudato - non possano non incidere profondamente sulla prepa-
razione alla vita di minori che dalla famiglia e dall'ambiente hanno ricevuto poco
o niente. _
una trentina: diplomati, universitari,
qualche laureato. Sono per lo più
giovani-anziani, per così dire, del -
l'oratorio e elementi provenienti
dalla famiglia salesiana: ex allievi,
cooperatori. Per la loro preparazio-
ne di base è stata organizzata una
settimana di studio. L'incontro set-
timanale per ciascuna articolazione
del «progetto» diventa inoltre un
momento di formazione permanen-
te. Il ruolo degli animatori è impor-
tantissimo : tanto più essi saranno
veri animatori culturali e relaziona-
li, e non semplici custod i o guardia-
ni dei ragazzi, e tanto più il «pro-
getto» avrà successo.
Il «Progetto Napoli DB '88» è un
progetto nuovo che si rifà alle radi-
ci della più schietta salesianità: il
cuore oratoriano di Don Bosco.
L'oratorio della Doganella è luogo
di incontro, confronto, integrazio-
ne, dove i ragazzi del Centro posso-
no incontrarsi con i coetanei del

4.4 Page 34

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34 · I GENNAIO 1989
La disoccupazione giovanile
Sul finire del 1988, con una lettera aperta indirizzata alla
classe dirigente napoletana, il cardinale Michele Giordano
ha manifestato le sue impressioni e preoccupazioni sulla
realtà sociale della città. L'arcivescovo non intendeva prima-
riamente fare una denuncia particolareggiata dei «mali» di
Napoli, ma offrire un orientamento etico per uno sviluppo
qualitativo della città, a partire dai meno privilegiati. La lette-
ra poneva al centro il problema del lavoro e la gravità del fe-
nomeno della disoccupazione, specialmente giovanile, che
non possono certamente essere ignorati dalla Chiesa che vi-
ve a Napoli.
«I rapporti della Svimez sull 'econo-
mia del Mezzogiorno negli ultimi anni
documentano... l'incremento del tas-
so di disoccupazione a Napoli ed in
Campania. Per richiamare un solo da-
to , nel 1986 era concentrato a Napoli
il 520/o dei disoccupati di tutta la re -
gione Campania... Tale disoccupazio-
ne ha alcuni caratteri degni di atten-
zione : a) la maggiore incidenza in età
giovanile (14-29 anni) , testimoniata
dall 'alto numero di iscritti alle liste di
collocamento, di cui la maggioranza
alla ricerca di una prima occupazione ;
b) la dimensione massiccia del feno-
meno ; c) la sua connotazione urbana.
Si configura, pertanto, un 'esclusione
dal lavoro ufficiale per le giovani ge-
nerazioni, in attesa di un posto.di la-
voro per canali ufficiali e non , che col -
pisce i vari strati sociali , con un pro-
trarsi della dipendenza economica
dalle famiglie e del tempo di ingresso
nelle attività lavorative . Si deve quindi
sottolineare la persistenza a Napoli,
come in tanta parte della società meri-
dionale , del disagio , dell'umiliazione e
della violenza che derivano dalla man-
canza cronica dì lavoro per le giovani
generazioni. .. Bisogna quindi affron-
tare la grave situazione derivante dalla
mancanza di lavoro con interventi che
promuovano lo sviluppo delle <;1ttività
produttive e con una politica che ten-
da ad incentivare e ripartire il lavoro.
Ciò è conforme all'insegnamento del-
le due Encicliche sociali di Giovanni
Paolo Il , la " Laborem exercens" e la
" Sollicitudo rei socialis " . Perciò , pro-
prio a partire dal Sud , ancora una volta
occorre porre in campo una nuova
centralità dell'occupazione, che ob-
bliga a ripensare radicalmente che
cosa si debba intendere per crescita
e sviluppo e quali debbano essere gli
strumenti per rispondere al problema
principale del Mezzogiorno : la man-
canza di lavoro» .
qu artie re per affrontare e vivere le
problema tiche di gruppo. «L'orato-
rio», afferma don Palmisano, «è un
punto strategico tra territorio e
Chiesa, con una forte valenza di
prevenzione primaria e secondaria
su un territorio a rischio. Per questo
l'abbiamo definito oratorio dai
mille mestieri».
Un'autentica fucina, dove i ra-
gazzi ed i giovani della Doga nell a
e di tante altre zone dell a città pos-
so no dedicarsi ad attiv i_tà sportive,
manu ali , lavorative e cultura li (dal
teatro alla banda, dal cin efo rum al-
le ini ziative eco logiche). La cate-
chesi è affidata a due catechisti e al
coordinatore pastora le di tutto il
Centro sociale. Sono allo studio
speciali itinerari di iniziazione cri-
stia na per questi ragazzi e la pre-
parazion e di sussidi adeguati alla
tipologia particolare dei destin ata-
ri , alla loro vita, a i loro probl emi.
L'iniziativa del la com unità sale-
siana ha già avuto il pl auso dei po-
teri pubblici, l'interesse de l mo ndo
culturale e universitario, il soste-
gno della Chiesa. Il cardinale Gior-
dano ha definito il progetto «una
concreta risposta ad un mare di bi -
sog ni giovanili». «Organizziamo la
speranza è il motto del nostro si-
nodo», ha ricordato l'arcivescovo
di Napoli. «Il progetto che i sale-
siani offrono alla Chiesa locale e
alla città è uno dei modi di orga -
nizzare la speranza. E "speranze"
sono i ragazzi e i giovani. Più che
un monumento di pietra vale qu e-
sto germoglio di vita».
«A me pi ace rico rdare», co nclu -
de don Palmisano rico ll egandosi
alle paro le del cardin a le sul cente -
na rio «che Don Bosco morente ha
fatto togliere i so ldin i che a ncora
poteva avere nella veste per mori-
re povero. Anche noi aveva mo dei
soldini nell a veste. l nostri so ldi, i
nost ri rispa rmi , li abbiamo tutti in -
vestiti per i nostri ragazz i. Ora, pe-
rò, per and are ava nti abbiamo bi-
sogno dell 'a iuto dell a co munità sa-
lesiana a livello nazion a le. Il nostro
progetto riguarda Napoli, ma
esige un a so lid a rie tà be n più vasta
proprio nel momento in cu i a nche i
vescovi ita li a ni , prende ndo ulterio-
re coscienza de ll a qu estione. me ri -
dion a le, stanno per pubblicare un
documento unitario sul Mezzo -
giorno».
Giuseppe Costa
Silvano Stracca

4.5 Page 35

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- - - - - - - - - - - - -s/1-
1 GENNAIO 1989 35
EDITORIA
Molti fra i più f aniosi
illustratori di libri per ragazzi
hanno lavorato per la SEI
Il ruolo dell'immagine
nel mondo fantastico
dei bambini.
L' ARTE POVERA
DEI «FIGURINAI»
DAVA
UN VOLTO
ALLA
FIABA
Se ci fermiamo un atti-
mo a pensare a quando eravamo
bambini, tra i primi ricordi che si af-
facciano alla nostra mente ci sono
senz'altro le illustrazioni che allie-
tavano i libri delle fiabe o delle av-
venture. Per qualcuno sarà un Pi-
nocchio dal vestito rosso e il bianco
cappello a cono, oppure un gatto
travestito da pirata che indossa un
enorme paio di stivali. Altri si ricor-
deranno delle pagine illustrate del
sillabario oppure dell'orco la cui
immagine non li faceva dormire !a
notte, altri ancora un personaggio
del «Corriere dei Piccoli». Ma nes-
suno di noi, bambino in un'epoca in
cui la televisione non esisteva o non
aveva. ancora assunto il ruolo da
baby sitter che ha ai giorni nostri,
risulterà immune da questi ricordi.
Sono immagini che si riaffaccia-
no alla memoria con baldanza spa-
valda, illustrazioni che con il passa-
re degli anni non hanno perso né
smalto colore, anzi sostituiscono
egregiamente il ricordo un po' sbia-
dito del racconto o della fiaba. Sen-
tendo parlare di Pinocchio è sem-
pre l'immagine che i nostri occhi da
bambino hanno catturato a venire
rievocata e la giungla, nonostante i

4.6 Page 36

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36 I GENNAIO 1989
Bozzetto da «Le nuovissime awenture
di Capperina» di Attilio Mussino
I Bozzetto da «Novelle toscane»
di Carlo Chiostri
numerosi documentari visti, è anco-
ra quella delle illustrazioni dei pri-
mi libri di Salgari. Risulta quindi
motivata la cura e l'attenzione con
cui molte case editrici scelgono le
illustrazioni che corredano i libri
per l'infanzia. Tra queste la SEI, che
a partire dai primi anni del '900 si è
valsa dell'opera di più di trecento
artisti, famosi non spio nel campo
dell'editoria, ma anche in quello
delle arti figurative.
Panoramica storica
Sfogliando· le numerose pubbli-
cazioni che la SEI ha dedicato ai ra-
gazzi possiamo ammirare le opere
degli illustratori italiani _che hanno
fatto epoca e tentare quasi una bre-
ve panoramica storica in questo
campo dell'arte così poco conosciu-
to. I «figurinai»: così erano chiamati
agli inizi del secolo gli illustratori
dei libri per l'infanzia. I loro lavori
erano quotati su per giù «quanto gli
svolazzi per i ricami e i fregi per le
etichette» e spesso la prolifica atti-
vità era dovuta alla necessità di
sbarcare il lunario.
Ma il compito del «figurinaio»
non era facile. «L'immagine serve
ad accompagnare il testo, non deve
quindi ripeterlo o esaurirlo, ma la-
sciare aperta o meglio ancora sti-
molare la creatività e l'interpreta-
zione di chi l'osserva», scrivono
Eynard e Aglì nel saggio Tanti libri
per tanti bambini L'illustratore,
quindi, è chiamato a porsi di fronte
al testo in posizione creativa e ad
essere nello stesso tempo anche di
stimolo nei confronti del lettore.
Diventa così in un certo senso
coautore, contribuendo con la pro-
pria interpretazione ad ampliare e a
proporre nuovi spazi al lettore. Ri-
spetto agli illustratori attuali, atten-
ti troppo spesso a cogliere le sfu-
mature di un gusto che segue gli
schemi della televisione e dell'im-
magine pubblicitaria, falsamente
edulcorata, il figurinaio dei primi
anni del '900 «non esitava ..., scrive
Antonio Faeti, in Guardare le figu-
re - a spaventare i bambini, come
un autentico pifferaio magico tra-
scinava inspiegabilmente i bambini,
attirati da immagini remote, che es-
si non riuscivano a decifrare intera-
mente». Si apre davanti ai nostri oc-
chi un mondo popolato di orchi,
streghe, nani, animali parlanti, che
ha affollato i sogni di generazioni di
bambini.

4.7 Page 37

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1 GENNAIO 1989 37
Capita a volte che la parte illu-
strata dei libri diventi la più effica-
ce, quella determinante ai fini d~lla
resa complessiva di un'opera. E il
caso delle immagini di Carlo Chio-
stri, che ha legato il suo nome al
più famoso «ritratto» di Pinocchio.
Le sue tavole con gli affascinanti di-
segni che incantarono l'Italia, pos-
sedevano una tale personalità da
prevalere spesso su quella degli
scrittori. Il giudizio più lusinghiero
sul Chiostri l'ha espresso uno dei
più grandi scrittori di questi anni,
Italo Calvino, secondo il quale «il
Chiostri diede il volto alla fiaba ita-
liana che, prima che egli la illustras-
se, il nostro popolo vedeva in modo
diverso o addirittura "non vede-
va"». In oltre mezzo secolo di attivi-
tà illustrò qmisi trecento volumi, di
cui un cospicuo numero per i tipi
della SEI.
Presenza femminile
Erano gli anni della Belle Épo-
que, in cui l'ottimismo e la fiducia
che avevano accolto il nuovo seco-
lo apparivano tutt'altro che ingiu-
stificati: il «progresso» era la paro-
la magica che sembrava avrebbe
aperto tutte le porte. Trionfava
l'Art Noveau, il liberty, che si carat-
terizza come lo stile particolare
dell'~poca, grazie anche alla sua dif-
fusione in tutti i campi: dall'archi-
tettura all'oreficeria alle arti figura-
tive. Anche nell'ambito degli illu-
stratori per l'infanzia il liberty ha
numerosi seguaci che riprendono
nelle immagini la linea flessuosa,
lunga e delicata tipica di quello sti-
le: i bambini guardavano le illustra-
zioni e la loro fantasia si popolava
di eroine dalle chiome lunghe e on-
dulate, da cattivi dall'aria partico-
larmente sinistra, da cigni dai colli
flessuosi e dalle candide ali sinuose.
Tra gli artisti di questo periodo pos-
siamo ricordare Antonio Nardi, le
cui chine raffinate illustrano oltre
venti libri SEI e Aleardo Terzi, che
trae dal liberty una linea sottilmen-
te deformata che lo rende efficace
illustratore.
Nel felice clima artistico dell'Art
Noveau operano anche molte don-
ne illustratrici, ancora legate però
alla pubblicazione di albi e fiabe
per la primissima infanzia. La pre-
senza femminile si assottiglia fino a
scomparire nelle opere di avventu-
ra e nella letteratura destinata ai ra-
gazzi più grandi. Lavorano per la
SEI, tra le tante, Adelina Zandrino e
Luisa Fantini. Negli anni successivi
operano Marina Battigelli, autrice
oltre che illustratrice e Brunetta,
Bruna Mateldi, il cui talento esplo-
de soprattutto nell'ambiente della
moda e del giornalismo.
Ma torniamo al viaggio storico
nel mondo delle illustrazioni dei li-
bri SEI. Davanti ai nostri occhi il se-
gno grafico sta cambiando, così co-
me sta definitivamente tramontan-
do la Belle Époque. L'artista che
meglio di tutti rappresenta il pas-
saggio verso le nuove problemati-
che, simbolo di un'età serena solo
esteriormente ma in realtà in piena
crisi, è Attilio, celeberrima firma
dietro cui si nasconde Attilio Mussi-
no. Illustratore particolarmente
prolifico e dotato di un'impronta
stilistica chiara e riconoscibile, ere.a
un segno deciso basato su prepo-
tenti contorni e chiari contrasti. So-
no gli anni che precedono l'instau-
rarsi della dittatura e le tensioni che
il Paese vive traspaiono dai disegni
dei «figurinai» che da sempre han-
no portato nell'ambito volutamente
rigido, asettico della letteratura .per
l'infanzia l'eco del mondo esterno.
Tra le varie opere che Mussino
illustra per la SEI, ricordiamo Pi-
nuccio di Cassano e Le nuovissime
avventure di Capperina di Dadone.
Con l'affermarsi della dittatura fa-
scista si assiste a un cambiamento
della narrativa per ragazzi: i bam-
bini si trovano di fronte, sempre
più spesso, a soorie collocate nel-
l'ambito della Roma pagana, corre-
date da illustrazioni dai segni sten-
torei e dai contorni netti e precisi.
È lo scoperto tentativo di installare
nelle coscienze.infantili il mito del -
la latinità: nelle illustrazioni si fa
più viva la volontà di convincere,
usando didatticamente gli spazi, e
di comunicare in senso pedagogico
con il proprio pubblico. L'immagi-
ne, però, può diventare anche una
silenziosa voce di protesta: l'uni-
verso di sempliciotti campagnoli di
Gino Baldo (per la SEI, illustra le
opere di Bartolini} irride il mito
della tecnica che domina gli anni
Trenta.
Nascono in questi anni alcuni dei
più famosi personaggi a fumetti.
Chi non conosce il sig. Bonaventura
I Illustrazione di Sergio Totano
da «Il castello delle carte»

4.8 Page 38

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38 · 7 GENNAIO 1989
e il suo famoso creatore Sergio To-
fana? La sua firma, «Sto», ha fatto
fantasticare generazioni di lettori
del «Corriere dei Piccoli» e compa-
re anche sui libri della SEI, tra cui Il
castello delle carte di Fanciulli. Le
avventure del sig. Bonaventura e
del suo leggendario milione comin-
ciano ad essere pubblicate in questo
periodo e non possiamo non imma-
ginare come l'ottimismo di cui sono
soffuse fosse spietatamente ironico
e costringesse il lettore adulto a un
immediato paragone tra le proprie
vicende e quelle del personaggio.
Ai piccoli lettori Bonaventura pia-
ceva, invece, perché era un signore
un po' bislacco e tanto fortunato ,
così come piaceva il prof. Pier Clo-
rulo dei Lambicchi, l'inventore del-
I Bozzetto da «Pinocchio»
di G.B. Galizzi
la arcivernice che - per chi non lo
sapesse - era un liquido capace di
rendere vivi i personaggi effigiati
sui manifesti o sui libri. Il prof. Clo-
rulo era la famosa creatura di Gio-
vanni Manca che con Nat, Domeni-
co Natoli, ha rappresentato uno dei
simboli degli anni più gloriosi del
«Corriere dei Piccoli». Entrambi
sono fra i co ll aboratori della SEI,
per cui hanno illustrato, fra l'altro,
Pace pace di Drovetti, il Manca, e f
racconti di nonna Pierina di Bazini,
il Natoli.
Mai come in questa occasione,
comunque, la parola deve farsi da
parte e lasciare più spazio possibile
alle immagini. Le illustrazioni ri-
prodotte in questo numero del BS
per qualcuno rappresenteranno un
viaggio a ritroso nel mondo della
propria infanzia, per altri saranno
una piacevole scoperta. Che si
può amp li are : perché non andare a
rovistare nei bauli, nelle soffitte o
nelle cantine alla ricerca di quei
preziosi vecchi volumetti che un
tempo costavano pochi centesimi o
poche lire? Forse si avrà la sorpre-
sa di scoprire qualcuno degli artisti
ricordati. È un invito a ritrovare
una fetta della propria infanzia o di
quella dei propri cari e a rendersi
conto dell'amore e della cura che
gli Editori hanno sempre dato al
libro.
Monica Ferrari
Everardo Scotti

4.9 Page 39

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- - - - - - - - - - -~ -
STORIA SALESIANA
1 GENNAIO 1989 39
LA TENACE
TESTIMONIANZA
DI OTTO
COADIUTORI
IN TERRA SANTA
Palestina 1893: i Sale-
siani sbarcano in Terra Santa. Cir-
condati da un clima ostile, con la
malaria sempre in agguato, provati
dalla mancanza d'acqua, i primi
passi dei Salesiani non furono certo
facili. Lavoro e preghiera si alterna-
vano incessantemente nella costru-
zione degli oratori e delle case: bi-
sognava saper manovrare la caz-
zuola, costruire cisterne per l'acqua,
riuscire a provvedere ai più piccoli
bisogni della comunità. Accanto a
sacerdoti e ad educatori troviamo
impegnati in prima fila, con grande
disponibilità e fede, i coadiutori. Ma
chi sono i coadiutori?
Secondo una nota e delicata im-
magine, sono tanti i rami che rendo-
no accogliente e confortevole l'al-
bero piantato da Don Bosco: sacer-
doti e coadiutori salesiani, Figlie di
Maria Ausiliatrice, cooperatori, ex
allievi e tanti altri costituiscono la
famiglia salesiana e lavorano per-
ché questo albero risulti particolar-
mente carico di fronde. Uno dei ra-
mi più nascosti, ma certo tra i più te-
naci del nostro albero, è rappresen-
tato dai coadiutori, laici che hanno
scelto di consacrare la loro vita alla
causa di Don Bosco. Li troviamo
nelle case salesiane di tutto il mon-
do, in cascun oratorio o istituto, im-
pegn ati in attività di servizio alla co-
munità e in particolare ai giovani,
co n una notevole dedizione in cui
spiccano la modestia e l'ubbidienza.
Per conoscere meglio questi reli-
giosi salesiani - e convinti che le
migliori lodi nascono dalle testimo-
nianze dirette - vogliamo raccon-
tare le esperienze di alcuni coadiu-
tori che hanno operato dalla fine
del secolo scorso ai giorni nostri
nell'ispettoria medio-orientale. È
qui, tra Betlemme, Cremisan e Ge-
rusalemme che sono fiorite alcune
tra le figure più significative di co-
adiutori. Provenivano da diverse
regioni italiane, con differenti espe-
rienze dietro le spa lle : contadini,
fornai, falegnami, ex emigranti. Per-
sone semplici, a volte dalla «sco r-
za» rude, che non esitarono ad ab-
bandonare i parenti, gli amici, il
proprio tranquillo paese per dedi-

4.10 Page 40

▲back to top


40 I GENNAIO 1989
care la loro vita alla comunità di
Don Bosco. Arrivati in Terra Santa
erano chiamati a svolgere i più di-
versi servizi all'interno delle case
salesiane. Ad alcuni veniva richie-
sto di mettere a frutto la loro passa-
ta esperienza di lavoro. Tra questi
Giovambattista Ughetti, il «primo
fornaio d'Italia», come scherzosa-
mente si definiva, dato che il suo
forno si trovava a Susa, a pochi chi-
lometri dal confine con la Francia.
Sistemati i dieci fratelli, di cui era
responsabile dopo la morte dei ge-
nitori, Ughetti era partito come no-
vizio, alla bella età di quarantacin-
que anni, per Betlemme, dove gli fu
chiesto di continuare a fare il for-
naio per la comunità. A chi gli chie-
deva - durante la sua vecchiaia -
cosa avesse amato maggiormente,
Ughetti inevitabilmente risponde-
va: «Fare il pane giorno e notte per
amore del Signore». Sarà dichiara-
to «il cieco delle vocazioni» per lo
spirito di sacrificio con cui accettò
la menomazione subìta proprio a
causa del suo amato lavoro. Negli
ultimi anni della sua vita fu afflitto
anche da una grave forma di parali-
si: ma la sua serenità era tale che
chiunque lo visitasse ne usciva con
l'animo edificato.
Ci fu, invece, chi tra i coadiutori
dovette imparare dal nulla un nuo-
vo lavoro, e ci riuscì talmente bene
da arrivare a risultati straordinari.
Come Giovanni Guarino, chiamato
da tutti «Giuanin», affettuoso ap-
pellativo dovuto alla sua piccola
statura. Mai come in questo caso,
però, è valido il proverbio «Botte
piccola fa il vino buono»! Ex calzo-
laio di Cuneo, dopo aver esercitato
il suo mestiere prima ad Alessan-
dria d'Egitto e poi tra Cremisan e
Beitgemal, dopo la prima guerra
mondiale, Giuanin si ritrovò -
«provvisoriamente», lo rassicurava
l'ispettore - a fare il cantiniere.
All'inizio di vino sapeva solo quel
poco che era riuscito a capire dalle
norm_ali operazioni della vinifica-
zione, ma si mise di buona lena e
cominciò a studiare i migliori pro-
cessi, i tagli, le erbe aromatiche,
finché ottenne quel tocco magico
che rese e rende tutt'oggi il vino di
Cremisan apprezzato dai buongu-
stai. E cantiniere «provvisorio» ri-
mase ·per cinquant'anni, affinando
Ila qualità dei vini e creandone tipi
A sinistra Il coadiutore
Stefano Ongher e sotto da destra
seduti Il Slg. Luigi Ghezzi;
il secondo, Il Sig. Giovanni Gerino
inediti e pregiati, tanto da meritare
nel 1970 la Stella al merito del la-
voro all'estero e il titolo di «Mae-
stro del lavoro». Chi l'ha conosciu-
to ricorda ancora la sua personali-
tà semplice e spontanea. Era sem-
pre pronto a scherzare e a mettere
allegria e sono rimaste famose le
sue farse, le sue macchiette, spe-
cialmente quelle che avevano luo-
go in cantina: ogni botte aveva il
suo bravo nome, «madama Gio-
vanna», «madama Scarpetta», e
con esse Giuanin intesseva i suoi
discorsi, intramezzati da giaculato-
rie e da commenti spirituali.
D'altra pasta, ma di uguale gran
cuore, erano invece altri due coa-
diutori di quegli anni, Antonio Bac-
cara e Nicola Biagi. Li ricordiamo
insieme, sia perché furono grandi
amici, sia per una certa somiglian-
za di «carattere». Tanto per capire
subito con chi abbiamo a che fare,
ecco un episodio dei primi anni
della vita di Baccara a Beitgemal.
Da buon contadino veneto amava
la terra che coltivava ed era al-
quanto infastidito dai beduini locali
che vi portavano le loro pecore a
pascolare danneggiando buona
parte del raccolto. Dopo aver cer-
cato in ogni maniera di allontanarli

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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- - - -------s/J-·
1 GENNAIO 1989 41
I
A sinistra il coadiutore Giuseppe Flssore,
in alto il Sig. Giovanni Garino a 81
anni e sotto a 89 anni
con le «buone», senza ottenere al-
cun risultato, arrivò il giorno in cui
il nostro fu visto partire di gran
corsa con un tridente in resta, co-
me un'alabarda, e infilzare la prima
pecora che si trovò per sua sventu-
ra a capitargli tra i piedi. La fuga
frettolosa di greggi e pastori dimo-
strò che per almeno un po' Bacca-
ro avrebbe potuto star tranquillo.
Dopo diciannove anni di lavoro a
Beitgemal gli venne chiesto un atto
di obbedienza non indifferente: ab-
bandonare quella che ormai senti-
va come la s4a terra e trasferirsi a
Cremisan per un differente servi-
zio. Dopo la prima guerra mondia-
le, infatti, la casa salesiana era an-
cora più povera. Tra le poche ri-
sorse era la produzione della canti-
na. Il vino però doveva essere ven-
duto a Gerusalemme, distante tre
ore di cammino. E fu Baccara che
cominciò a partire ogni mattina. Il
mulo carico all'inverosimile, Bac-
caro si avviava a piedi su sentieri
impraticabili, distribuiva casa per
casa il vino ai clienti e, sbrigate al-
cune commissioni per la comunità,
tornava infine a sera talmente
stanco da barcollare sui piedi dolo-
ranti. Disponibile a tutti e ubbi-
diente in tutto, non si poteva «toc-
carlo» solo su una questione: il suo
amore per Gesù. Una volta che
era, come sempre alla fine di una
giornata di lavoro, in raccoglimen-
to in chiesa, passò un superiore per
una visita, vide Baccara al suo po-
sto, ma notò che la lampada votiva
era spenta e pensò di richiamarlo
durante la predica prima della
«buona notte». Dopo le preghiere
della sera, ecco il superiore esordi-
re: «Bisogna essere delicati come
Gesù... Quel confratello che era in
chiesa da tanto tempo e non si cu-
rava di riaccendere la lampada,

5.2 Page 42

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42 · 1 GENNAIO 1989
amava davvero il Signore?». Allo-
ra si sentì un pugno possente sul
banco. Baccaro, che prima era pie-
gato su se stesso per la stanchezza,
balzò in piedi esclamando: «Io
amo Gesù... ma non avevo i fiam-
miferi!».
Un altro bel carattere fu senz'al-
tro Nicola Biagi. Figlio di emigran-
ti , emigrante lui stesso prima in
Brasile e poi in Alsazia e Lorena,
dove sperimentò ogni genere di
mestiere, diede ascolto a una voce
interna che si era fatta più volte
sentire e si presentò alla casa sa le-
siana di Milano. Dopo il noviziato
fu inviato prima ad Alessandria
d'Egitto, poi a Cremisan in qualità
di cuoco. Dotato di una semplicità
incantevole era anche esuberante e
volitivo. Per questo sono tanti gli
episodi d ivertenti che lo vedono
protagonista, a cominciare da quel-
la volta che si presentò in falegna-
meria con µna forma di parmigiano
particolarmente tenace e pretese
che venisse tagliata con la sega a ·
nastro! Biagi, com unqu e, oltre ad
organizzare pranzi sostanziosi e
appetitosi , era abi le anche a ma-
neggiare cazzuola e piccone e co-
struì a Cremisan una capace cister-
na per l'acqua, tuttora funzionante.
Quella dell'acqua era per il nostro
una vera e propria «idea fissa». Ca-
pitava a volte di vederlo girare, a r-
mato del pendolino da radioestesi-
sta, esp lo rando tutta la proprietà
per cercare di scopri re qualche ve-
na sotterranea. Quando, dopo an ni
di duro e instancabile lavoro, una
malattia lo costrinse al riposo, sep-
pe dedicarsi all a pietà e alla pre-
ghiera con tanto ardore di rivelare
come quello fosse per lui lo sbocco
spontaneo di tutta una vita dedica-
ta al Signore.
Giovambattista Ughetti, Gio-
vanni Guari no, Nicola Biagi, Anto-
nio Saccaro, quattro figure di «san-
ti» un poco originali pronti ad al-
ternars i tra le preghiere .e i lavori
più umili, nello sforzo di costruzio-
ne e solidificazione di una comuni-
tà, sono comunque solo alcuni tra i
tanti coadiutori presenti in tutto il
mondo. Per esempio, come non ri -
cordare, sempre nell'ambito dell'l -
spettoria orientale, Angelo Bormi -
da, uno dei primi coadiutori a giun-
gere in Terra Santa? A lui, provet-
- Il coadiutore G.B. Ugetti
to falegname ebanista, si devono il
portale d'entrata de ll a ch iesa del
Sacro Cuore di Gesù a Betlemme e
le numerose decorazioni al suo in-
terno. Alunno di Don Bosco per
sette anni , seppe mettere in pratica
i suoi insegnamenti, istituendo un
vero laboratorio-officina dove tan-
ti ragazzi impararono questo bel
mestiere. D'altronde questo si ngo-
lare fa legname era anche un pro-
vetto musicista e scrisse un metodo
bilingue, arabo-francese, per far
conoscere i primi rudimenti della
musica. Le novantadue pagine del-
l'operetta, intitolata «Principes élé-
mentaires de musique avec métho-
des pratiques pour piston, bariton,
alto e trompette», rivelano abilità
didattiche e grande amore per la
gioventù.
Un altro «maestro» di bottega fu
Giuseppe Fissare, che insegnò a
tanti ragazzi la difficile arte dell a
legatoria. Nel suo laboratorio arri-
vavano libri da numerose bibliote-
che oltre che dalla famosa Scuola
Biblica dei Domenicani di Gerusa-
lemme.
E ancora: Stefano Ongher, che
per tutta la vita attese alla distribu-
zione dell'acqua, compito partico-
larmente delicato in quei luoghi ;
Luigi Ghezzi, soprannominato «i l
mago dell'aceto», e tanti altri anco-
ra, ma come citarli tutti in queste
poche righe? Rimarranno sempre
presenti nella memoria della fami-
g li a salesiana e di chi li ha cono-
sciuti e ha potuto insieme a loro far
crescere e fortificare uno dei tanti
rami dell'albero piantato da Don
Bosco.
Condensa to da.Ernes to Forti, Fedeli a Don
Bosco in Terra Santa, Ell edici, Leumann
(TO) 1988

5.3 Page 43

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-------5'1-
1 GENNAIO 1989 43
Borsa : Gesù Sacramentato, Maria
Ausiliatrice e S. Giovanni Bosco, a
cura di Bombardieri Musuraca Maria
- Reggio Calabria, L. 1.500.000
Borsa: Don Bosco, in suffragio dei
defunti Famiglia Favara, a cura di Fa-
varo Bartolomeo - Torino, L.
1.000.000
Borsa: Maria Ausiliatrice e S. Gio-
vanni Bosco, in memoria e suffragio
di Bruno Raimondo, a cura della mo-
glie Lilia, L. 1.000.000
Borsa: in memoria di una congiunta
devota di Maria Ausiliatrice, a cura di
Bersani Maria Rosa, L. 1.000.000
Borsa: Maria Ausiliatrice e Don Bo-
sco, per protezione del figlio Anto-
nio e della sua famiglia , a cura di Va-
gliasindi Maria, L. 1.000.000
Borsa: Ven. Don F. Rlnaldl, per rin-
graziamento, a cura di Zannini Anna,
L. 1.000.000
Borsa: in memoria di Campari Pie-
tro, a cura di N.N., L. 500.000
Borsa: S. Giovanni Bosco, in' me-
moria di Don Guido Favini, a cura di
P.B., L. 500 .000
Borsa: Don Bosco, in memoria e
suffragio di Costa Bucchi Anna, a
cura di N.N., L. 500 .000
Borsa: Gesù Sacramentato, Maria
Ausiliatrice, Don Bosco, per ringra-
ziamento e protezione, a cura di
M.V.G. - Torino, L. 300.000
Borsa: Maria Ausiliatrice, Don Bo-
sco, in suffragio di Dario Di Nardo e
Giacinta Sabtilli, a cura di Di Nardo
Prof. Dott. Ubaldo, L. 300.000
Borsa: Don Bosco, a cura di Moffoli-
ni Serafina, L. 300 .000
Borsa: S. Giovanni Bosco, implo-
rando protezione per la salute mia e
dei familiari, a cura di Basso Teresa,
L. 250.000
Borsa: Maria Ausiliatrice e S. Gio-
vanni Bosco, per ringraziamento e
protezione, a cura di N.N. - Imperia,
L. 200.000
Borsa: Maria Ausiliatrice, Don Bo-
sco, Domenico Savio, per ringrazia-
mento, a cura di Tibaldi Bernardo , L.
200.000
Borsa : Maria Ausiliatrice, S. Gio-
vanni Bosco, per grazia ricevuta, a
cura di Cabodi Caterina, L. 200.000
borse di studio
per giovani Missionari
pervenute
alla Direzione
opere Don Bosco
Borsa: Maria Ausiliatrice, per grazia Borsa: Beato D. Rua e Papa Gio-
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cura di N.N.
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cura di Angela Gallo
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vanni Bosco, a cura di Navarra Ber-
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do protezione, a cura di G.V.
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vanni Bosco, invocando protezione
sui miei figli, a cura di Guidotti Vitto-
rio e Zerbina
Borsa: S. Domenico Savio, per atte-
sa evento, a cura di Barzaghi Giu-
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sco, Domenico Savio, invocando
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cura di Gianuzzo G. Mario
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suffragio di Marco e Gaudio Cesare,
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sco, Don Rua, in suffragio di Vaglia-
sindi Giovanni, a cura di Vagliasindi
Cav. Michele
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vanni Bosco, per ringraziamento e
invocando ancora protezione, a cura
di Pomati Margherita
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vanni Bosco, per grazia ricevuta, a
cura della Famiglia Pavan
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sco, per ringraziamento, a cura di A.
Quadri
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cura di Dal Fosso Umberto
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lesiani, in memoria di nostra madre
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Elvira Trinchieri
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Alessio, a cura di linda
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goli Adolfo
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cola Domenica e famiglia , a cura di
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compleanno, a cura di Cerra Cristina
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sco, Domenico Savio, per ricono-
scenza e invocando protezione, a
cura di Deidda Giuseppina
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zia ricevuta, a cura di Pini Antonio
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cura di Dal Pane Adriana
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graziamento e protezione sui nipoti,
a cura di Vola Maria

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