Bollettino_Salesiano_196802


Bollettino_Salesiano_196802



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ATTI DEL 1° CONVEGNO NAZIONALE
DELEGATI E ASSISTENTI
Noi non oi fermiamo ma.i;
vi è sempre cosa. ohe inoa.Z.a. cosa...
Dal momento ohe noi oi fermassimo,
la nostra Opera
oomin.oerebbe a deperire
DON BOSCO
BOLLETTINO
SALESIANO
Spedizione in abbonamento postale - Gruppo 2• - 2• quindicina
EDIZIONE PER I DIRIGENTI
•A- XCII- N- 2 • 15 GENNAIO 1968. DIREZIONE GENERALE: 10100 TORINO, VIA MARIA AUSILIATRICE, 32. TELEFONO 43.29.24
I Delegati dei Cooperatori Salesiani d'Italia a convegno. Sopril: i Delègati del Nord a Como; sotto: I Delegati del Centro-Sud ad Ariccia (Roma)

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Programma del Convegno
COMO (27-30 dicembre 1967)
per il Piemonte, Liguria, Veneto, Emilia,
Lombardia
ARICCIA (2-5 gennaio 1968)
per le altre regioni
27 dicembre 1967
2 gennaio 1968
ore 17,30
Parole di apertura (Rev.mo don L. Fiora)
Introduzione al Convegno (D. A . Buttare/li)
« Un volto nuovo al laico del post- Concilio» (D. Mario Midali)
28 dicembre 1967
3 gennaio 1968
ore 9,30
« Il Cooperatore salesiano: un "salesiano" al servizio della Chiesa, con D. Bosco»
(Don Guido Favini - Don Buttare/li)
Comunicazioni :
1. Criteri per la formazione e l'aggregazione.
2. Attualità ed ecclesialità del Cooperatore.
Ore 16,30:
Comunicazioni: Esperienze dell'apostolato dei cooperatori negli Oratori e nelle Parrocchie.
Ore 18:
cc Delegato cooperatori : un servizio essenzialmente sacerdotale e salesiano per
la Terza famiglia» (Don Giovanni Busato)
29 dicembre 1967
4 gennaio 1968
ore 9,30
Riunione per Regioni
(Esame della situazione regionale)
Ore 16,30:
Saluto dei cooperatori.
Ore 18:
« Centri vivi » (Don A. Buttare/li)
30 dicembre 1967
5 gennaio 1968
ore 9
« IL RAMO GIOVANILE» della Terza Famiglia (Don Ferri Giuseppe)
Ore 12:
Conclusione del Superiore.
Al mattino: Meditazione sul tema « Spiritualità salesiana e sacerdotale» e Concelebrazione.
Dopo ogni Relazione, discussione del tema.
2 ■■••·······················

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Cronaca del Convegno
IL
1° CONVEGNO
NAZIONALE
DELEGATI
E
ASSISTENTI
••••••••••••
S i è svolto in due tempi e in due accoglienti
sedi: a Como (Salesianum, dal 27 al 30 dicembre)
e ad Ariccia, Roma (nella Casa~ Di vin Maestro»
dal 2 al 5 gennaio seguente).
Parteciparono complessivamente 134 sacerdoti, Dele-
gati locali e Assistenti di centri, e 15 Delegati Ispetto-
riali. Presiedette i lavori il Direttore Generale rev.mo
don Luigi Fiora. Fu presente a Como anche il Segre-
tario Generale don Guido Favini.
Diresse i lavori il Delegato Nazionale don Armando
Bunarelli, validamente coadiuvato nella segreteria da
don Giovanni Cher-ubin, dal coadiutore sig. Angelo
Fossati e dai tre solerti Cooperatori sigg. Erasmo Mon-
tano, Herbert Cambriu., Cesare Eogeni.
Ricordati con vivo piacere don Agostino Archenti
e il sig. Arezzo ~icola dell'Ufficio Centrale e don Pie-
tro Zerbino, Direttore del «Bollettino Salesiano•, as-
senti perchè indisposti o impegnati in altri lavori.
mIl saluto del Rettor M aggiore
Fu recato da don Fiora, il qmle tenne a sottolineare
come il rev.mo don Ric.:eri, rammaricato ùi non poter
essere presente, lo aveva espressamente incaricato di
salutare i convegnisti ai quali desiderava far giungere
la sua parola di plauso e di incoraggiamento e la sua
benedizione paterna.
mApertura del Convegno
Le sere dei giorni 27 dicembre e z gennaio il Diret-
tore Generale, con brevi parole di apertura, diede il
via ai lavori, mettendo in risalto quelle che dovevano
essere li: finalità da raggiungere nel convegno perché
esso non g facesse della pura e semplice accademia,>,
ma fosse concreto, chiarificatore delle idee, utile nelle
indicazioni.
AJ Deleg-.ito Nazionale fu riservato il compito di
"introdurre" i presenti al convegno. Presentato un
panorama della situazione in atto cl<>li'associazione,
sulla base di dati concreti (perchc se ne tenesse il
giusto conto durante tutto lo svolgimento dei lavori), 3

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richiamò l'attenzione dei presemi su quella che doveva
essere la linea madre, l'idea ce,ifrale dei lavori: idea
da tenersi sempre presente per uno svolgimento rego-
lare e proficuo del convegno cosl come era necessario
- precisò - osservare alcune norme di quel "giuoco"
tanto indispensabile che è la cliscussione dopo le rela-
zioni.
La prima relazione:
Un volto nuovo al laico del post-concilio
La s,•olse subito don ·Mario M.idali: e con essa fu
messa una base teologica ai lavori.
Non è retorica affermare che il relatore soddisfece
veramente i presenti i quali erano desiderosi di avere,
sin dall'inizio, orientamenti chiari e precisi (tutti infatti
avvertirono in seguito i risultati positi,•i della relazione
tanto utilizzata lungo il corso dei lavori).
Come Don Bosco era fiero cli desiderare di essere
«all'avanguardia del progresso)) così oggi i Cooperatori
dovrebbero poter affermare di camminare al passo di
quel progresso che la Chiesa del Vaticano II auspica
per i laici battezzati. Laicato maturo, adulto, consa-
pevole di «essere Chiesa•• corresponsabile della Chiesa;
laicato in co-gestione •; e conseguentemente sacerdoti
delegati i quali aiutano i Cooperatori in questa loro
maturazione, rispettandone i diritti e dando fiducia,
cosicchè attraverso l'opera del salesiano e del coopera-
tore il "carisma" suscitato dallo Spirito Santo con
Don Bosco possa sempre meglio arricchire il mondo
e la Chiesa: queste le idee fondamentali che furono
centrate, discusse e assimilate nella conversazione che
fece seguito alla interessante relazione.
~ Il Cooperatore: Un "salesiano"
lil,ììil al servizio della Chiesa, oggi
Questo l'enunciato del tema trattato da don Favini
a Como e da don Buttarelli ad Ariccia.
L'idea presentata da don Midali s'incarnava man mano
che veniva svolta la relazione sul concetto del Coope-
ratore Salesiano.
11 Segretario Generale, con la competenza che gli è
propria, volle che il pensiero di Don Bosco nel fondare
i Cooperatoci balzasse limpido e completo dalla sua
relazione, che, se chbe un carattere che si potrebbe
chiamare 'storico', tuttavia diede un ottimo contributo
di idee ai presenti. E se ne gioYb la conversazione che
seguì, la quale avvib i convegnisti alla ricerca di tutte
e singole le compo1u-11ti del Cooperatore Salesiano;
ricerca che diede origine ad una "definizione", frutto
di una interessante discussione che appassionò l'as-
4 semblea.
U termine oggi che figura nell'enunciato del tema fu
oggetto di una comunicazione di don Pietro Ceresa
tendente a dimostrare la «validità, l'attualità e l'eccle-
sialità del Cooperatore, mentre i Delegati Ispettoriali
della Lombardia e della Campania (don Tarcisio Strap-
pazzon e don Antonio Broggiato) esposero i criteri per
la formazione e l'aggregazrone del candidato a Coo-
peratore. E con la trattazione di questo ultimo argo-
mento si intese dare defit1itivamente per ac<;uisiti, da
parte di tutti i Delegati, i criteri e le norme che do-
vranno guidare i centri nella materia tanto delicata del-
l'aggregazione di nuovi elementi: la qualità, frutto di
una precedente accurata formazione, dovrà prevalere
sulla quantità numerica.
Alcuni orientamenti, basati su ' esperienze vissute,
furono offerte da don Luigi Pace, don Aldo Fantozzi,
e don Fruttuoso Momrasio (i primi due parroci
a Roma e a Torino, il terzo Dircnorc a Bologna) a
proposito dell'efficace collaborazione che possono dare
i centri Cooperatori nell'ambito della parrocchia e dcl-
i' oratorio.
~ Gradite visite
~ Saluto dei Cooperatori
Il vescovo di Como, S. E. mons. Felice Bonomini,
accolse con piacere l'invito a dare i.I saluto ai conve-
gnisti, i quali intesero cosi dimostrare la loro filiale
deferenza verso la gerarchia. Dopo essere stato pre-
sentato dall'Ispettore don Mario Bassi, giunto a Como
per una breve visita, il presule manifestò tutta la sua
soddisfazione per la trattazione di temi tanto attuali, e
volle esortare i presenti alla fedeltà agli insegnamenti
di Don Bosco, sempre validi ed attuali (con piacere
aveva poco prima ricordato i numerosi contatti avuti
con i salesiani nella sua non breve vita episcopale).
L'avvocato Umberto Casonato, Consigliere Ispct-
toriale (\\'eneta - S. Marco) ponò a Como il saluto
ufficiale dei Cooperatori, manifestando a loro nome
tutta la gratitudine per l'opera svolta dai solerti delegati.
Se una esortazione poteva fare il qualificato coope-
ratore era quella che i Delegati si dedicassero, come
sacerdoti e come Salesiani, alla formazione spirituale
dei laici, essendo appunto quello il principale compito
dei Delega.ti.
U1t gmppo di Coo{'er<1tori reduci dal viaggio apostolico
in India volle informare i convegnisti sulla buona riu-
scita dell'iniziatirn cd offerse. loro la proiezione del
film sul viaggio, realizzato dal dott. ,l1aruflo Fedencì,
consigliere ispettoriale.
Accolta con particolare piacere (anche perché fu
l'unica del genere) la visita dell'Ispettore dell'Ispettoria
Subalpina, don Amedeo Verdecchia, il quale, nono-
stante fosse indisposto, volle trascorrere qualche tempo

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a Como. Rivolse ai Delegati cordiali parole di incorag-
giamento e di fiducia nel loro lavoro, non sempre facile
e compreso.
mAltre Relazioni
La Terza Relazione (<e Il Delegato Cooperatori: utz
servizio escbtsivamente sacerdotale e salesiano) fu trattata
in ambedue i tempi del Convegno da don Giovanni
Busato, Rettore del Santuario di M. Ausiliatrice a
Torino. Il conferenziere mirò a creare nei presenti
questa convinzione: un Delegato non sarà mai vera-
mente all'altezza del suo compito se non darà il primato,
nel suo lavoro, alla formazione spirituale e salesiana
del cooperatore sia nella delicata fase che lo prepara
ad entrare nella Terza famiglia, sia dopo tale ingresso.
Insomma il "volto nuovo'' ai laici del post-concilio
lo deve dare principalmente il sacerdote. E ciò esige
competenza (e quindi preparazione), generosità, dispo-
nibilità.
Di questa esigenza che i Cooperatori banno voluto
esplicitamente presentare in due mozioni (il cui testo
era stato distribuito ai convegnisti) come irrimmciabile,
si discusse nella seduta plenaria ed anche nelle pro-
grammate Riunioni per Regioni, che furono presie-
dute dai rispettivi Delegati Ispettoriali.
Don Buttarelli parlò poi dei << centri vivi >>, auspicando
un:a certa... rottura con la prassi sclerotica attualmente
vigente presso non pochi centri, che si trascinano in
un.a vita più apparente che reale, e diede indicazioni
pratiche per la formazione di nuclei vivi e vitalizzanti,
che occorrerà creare ex novo.
mIl ramo giovanile
Dovrebbe essi:re oggetto della piu premurosa cura
del Delegato, principalmente per due motivi: «Coope-
ratore dice dinamismo, e il dinamismo è proprio dei
giovani» (don Ricceri). Ion si avrebbe pertanto un·au-
tentica Associazione di Cooperatori senza elementi
giovanili. Inoltre è da saggi preoccuparsi delle nuove
leYe per un domani piu apostolico. D'altra parte Don Bo-
sco non si rivolse subito ai giovani allorchè fondò le
tre Famiglie salesiane?
Queste idee furono esposte, con incisività che tutti
sottolinearono, da don Giuseppe Ferri, delegato ispet-
toriale per l'Ispettoria Adriatica. Uno scambio, tra i
presenti, di esperienze già vissute o in atto, mostrò la
reale possibilità di tradurre in pratica quanto era stato
detto. Infatti a Como i Delegati ispettoriali delle due
Ispettorie venete diedero ~otizia del Convegno giovanile
regionale da loro programmato per i giorni 5-7 gennaio
a Monteortone (Padova); fu letto poi all'assemblea un
telegramma di saluto pervenuto dai giovani coopera-
tori della Calabria, riuniti a Soverato proprio in quei
giorni, per il primo loro convegno regionale (ad Ariccia
ne fece una soddisfacente relazione don Giorgio Ca-
staldi), e si riconobbe che questi erano i pnm.1, ma
non isolati, frutti del co11veg110 interregionale di Grotta-
ferrata .
Don Fiora ribadì le norme ormai note a proposito
della fisionomia da dare ai Centri giovanili, e da tutti
fu preso l'impegno di dedicarsi a questo indispensabile
settore.
mSegni di crescente vitalità
Prima che il Superiore prendesse la parola (nei giorni
30 dicembre e 5 gennaio) per concludere i lavori del
Convegno, si parlò di alcune iniziative miranti a dare
una formazione più profonda ai cooperatori: La Scuola
di Formazione all'apostolato, avviata per la prima volta
quest'anno; la Collana «Q11ader11i per l'apostolato dei
laici >); I Convegni regionali giovanili: e la .formazione
di gruppi giovanili in ogni centro; i/ Co11siglio Nazionale
(provvisorio) ormai realizzato; la lettura di opere sulla
spiritualità salesiana; in.fi.ne lo stesso Pellegrinaggio Na-
zionale a Torino, fissato per il 25 aprile, salvo eventuale
spostamento di data, per le elezioni prossime.
Concludendo i lavori, il rev.mo don Fiora fissò in
alcuni impegni pratici quelli che dovranno essere, nel
prossimo futuro, i frutti del convegno; esortò ad avere
fiducia ncU'idca e nel lavoro per la Terza famiglia, e
ad avere coraggio ed ottimismo per superare le diffi-
coltà (che non sono soltanto della nostra Associazione),
e assicurò i presenti che i Superiori sono al loro fianco,
apprezzano il loro operato e non mancheranno di so-
stenerlo.
mSacerdoti oranti
Al Convegno non poteva mancare - e fu centrale
e vivo - il volto ed il tono di 'comunità orante'.
Le meditazioni al mattino (predicarono don P. Bro-
cardo e don F. Desramaut; sul sacerdozio il primo,
sulla spiritualità di Don Bosco il secondo); la recita
in cormme di alcune parti del Divino Ufficio, e soprat-
tutto le solenni co11celebrazio11i, furono tanti punti sacer-
dotali d'incontro, nei quali si volle offrire espressamente
la preghiera al Signore con questa• intenzione: per i
Centri e per ognuno dei Cooperatori affidati ai singoli
delegati. Ad Ariccia si volle anche offrire l'Adorazione
Eucaristica, sempre secondo la stessa i1;1tenzione. I De-
legati vollero così ribadire a se stessi ed ai cooperatori,
uno dei loro più importanti doveri: sostenere con la pre-
ghiera i laici militanti.
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Apertura del Convegno
Discorso del rev.mo don Luigi Fiora
Ha aperto il Convegno il Consigliere Superiore per
i Cooperatori, don Luigi Fiora, il quale ha portato
il saluto e l'incoraggiamento del Rettor Maggiore: in
questo paterno interessamento del Superiore egli indi-
cava una ragione di impegno e di responsabilità per lo
svolgimento dti lavori dell'incontro.
Ha rilevato quindi il fatto che era quello il primo
Convegno Nazi011ale dei Delegati locali e Assi.stenti ed
auspicava che, proprio per questo, esso fosse memo-
rabile e di sicuri risultati per il futuro dei Cooperatori
Salesiani.
Finora i convegni si erano svolti, a livello Nazionale,
solo per i Delegati Ispettoriali ed avevano già raggiunto
un ottimo risultato chiarendo le grandi idee che sosten-
gono l'Associazione dei Cooperatori, giungendo ad una
solida impostazione delle strutture e della organizza-
zione e promuovendo delle attività di buona efficacia
apostolica. li confronto tra il passato lontano e quello
degli ultimi decenni indica quale progresso sia stato
compiuto in questo settore dì azione salesiana e quale
merito si debba riconoscere agli organizzatori, incomin-
ciando dal sig. don Ricceri, vero rianimatore dei Coo-
peratori nel periodo post-bellico.
· Don Fiora notava però che, malgrado lo sforzo com-
piuto con evidenti successi nel campo delle idee e del-
}'azione, resta ancora molto da ottenere: non sempre è
compreso il vero concetto dei Cooperatori, non sempre
se ne riconosce di fatto l'importanza con un personale
adeguato, molte diffidenze permangono sulla attualità
e sulle reali possibilità dei Cooperatori. Se si deve essere
ottimisti per quanto già è stato fatto, si può constatare
che molto resta ancora da essere bene inteso e piena-
mente attuato.
Per ovviare a questa situazione era opportuno lo svol-
gimento dì questo primo convegno Nazionale dei Dele-
gati locali e Assistenti, cioè dì coloro che sono a contatto
più diretto con la realtà delle singole case e si rendono
conto maggiormente delle difficoltà di questo apostolato,
delle incomprensioni nei suoi riguardi e delle non esatte
impostazioni che ne sono state date.
Gli scopi che si dovevano prefiggere nell'incontro
erano i seguenti:
1. una conoscenza sempre più chiara dei principi, delle
strutture e delle attività dei Cooperatori, diffusa in forma
capillare tra i delegati locali (e non più solo sul piano
ispettoriale), cercando dì risolvere tutte le difficoltà
e le riserve che erano emerse da una ormai lunga espe-
rienza, e djmostrando la piena corrispondenza dell'apo-
stolato dei Cooperatori agli autentici ideali apostolici
della Congregazione Salesiana;
2. una convinzione più sicura della attualità dei Coo-
peratori nella vita della Chiesa presente, delle loro risorse
reali in ordine alle esigenze degli uomini del nostro
tempo e delle possibilità concrete di agire in forme dì
apostolato vive, moderne, dinamiche, attraenti;
3. una coscienza più responsabile dì assolvere, lavorando
tra i Cooperatori, un compito non inferiore a quello di
qualsiasi altra attività salesiana, oggetto di vera ubbi-
dienza religiosa, tale da saper suscitare nei confratelli
pienezza di entusiasmo e capacità di sacrificio.
Questo convegno infatti doveva mirare in modo
speciale, proprio per questo: a meglio qualificare i Dele-
gati locali per meglio qualificare i Ce11tri Cooperatori e
tutta l'azione dei Cooperatori stessi.
Era vera l'espressione scritta su uno dei cartelloni
affissi nella sala delle riunioni: che i<< Cooperatori non
vogliono zm Dele.gato qualu11que, ma il Delegato •>, il De/e-
6 ■■••·······················

1.7 Page 7

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gato ideale, idoneo per le sue doti salesiane e disponibile
per tempo e per mezzi di afostolato.
La fonna...-i.one del Delegato poteva costituire l'intento
essenziale delle giornate di studio e il fine che ognuno
doveva proporsi con il suo impegno personale.
m
Don Fiora concludeva con tre rilievi particolari che
chiedeva cli tenere ben presenti nelle discussioni che
sarebbero state fatte:
1. Si stesse atte11ti a giudicare i Cooperatori secondo
l'idea genuina che ,i.e aveva avuto Do11 Bosco istituendoli
nel secolo scorso, e non secondo il cliché che si venne
purtroppo formando attraverso una non esatta tradi-
zione di decenni passati: l'opera dei Cooperatori, come
forse qualche altro settore di vita salesiana, deve essere
riscoperta nel suo volto autentico, quello solo che le
il sigillo di salcsianiLà e che impone a noi il dovere
di abbracciarla con generosa dedi7ione.
2. È in atto il ridimensionamento delle opere della
11ostra Congregozwne. In tale revisione non deve man-
care l'attenzione ai Cooperatori Salesiani perché essi
prendano, nel lavoro della nostra Congregazione, il
giusto posto che loro ha assegnato Don Bosco.
Nella impostazione delle nostre case e nella program-
mazione delle attività era raro il caso che si badasse con
vera fiducia ai Cooperatori ed essi erano quasi sempre
in posizione marginale e trascurabile: l'apostolato dei .
laici, a cui la Chiesa del Concilio ci invita con urgenza,
deve superare questa sbagliata valutazione.
li momento è importantissimo per rivalutare i Coo-
peratori nel quadro generale delle nostre opere.
3. L'opera dei Cooperatori Salniam ,um deve mere
visto isolatamente dalle altre attività delle Case sale-
sia,ie: essa anzi le integra essenzialmente, le sviluppa,
loro una dimensione che le inserisce validamente
nella vita della società per una sua cristiana animazione.
Don Bosco non ha pensato le Case Salesiane come
chiuse e quasi arroccate in se stesse. Le ha volute come
un luminoso centro di vita spirituale, nella esemplarità
di una regolare osservanza, ma ha sempre inteso, come
dimostrano le sue parole e il suo esempio, che esse
fossero un centro di irradiamento di apostolato cri.stiano.
Tale irradiamento deve realizzarsi in vari modi, ma egli
ha pensato soprattutto a ciò mediante i Cooperatori,
vera longa mam,s dei Salesiani nel mondo, proiezione
dell'Opera salesia11a ,i.ella società per assi.curare il buo,i
esito dell'ed11cazio11e dei giovà11i e per moltiplicare l'effi-
cacia del nostro lavoro apostolico.
Si riconosce che l'opera tra i giovani è la nostra
prerogativa caratteristica, ma si pensa che Don Bosco
non sarebbe l'autentico Don Bosco della storia della
Chiesa nel secolo scorso se si prescindesse, nel giudi-
carlo, dall'azione apostolica che egli ha esercitato nel
mondo. Fu un santo aperto, cd oggi le Case S(l/esiane
11011 sarebbero attleutiche opere di Dor1 Bosco se si limitas-
sero ad 1111a a=io11e all'interno delle loro mura e 11011 pen-
sassero ad allargarla al di fuori, 11ella società e 11ell'am-
bie11te cli.e le circonda. Tra l'altro ne resterebbe anche in
parte paralizzata l'opera educati\\'a tra i giovani.
C'è tanta simpatia attorno al nome di Don Bosco e
alle Case Salesiane: sarebbe improvvido spreco non
orientare questa simpatia verso una organizzazione che
ne sfrutti tutte le possibilità di bene. I Cooperatori
sono l'associazione che Don Bosco ha creato a questo
intento.
L'argomemo pili valido per far credere nei Coopera-
tori Salesiani è forse proprio questo: dimostrare come
essi integrino, in modo vitale cd essenziale, le nostre
opere proieuandone e moltiplicantlone l'efficacia, anche
m per quanto riguarda i giovani, nella società.
Do.n Fiora concludeva augurandosi che tutti i Delegati
locali raccogliessero il grande insegnamento di Don Bo-
sco sull'apostolato dei L~ci e lo diffondessero: è più
che un sentimento filiale di devozione a Don Bosco
che ci deve spingere a questo; è un dovere verso Dio
e verso la Chiesa, è una responsabilità di coerenza verso
l'ideale di vita, apostolicamente aperta sul mondo, che
noi abbiamo ufficialmente accettato alla scuola di
Don Bosco.
••••••••••••••••••••••••••• 7

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Introduzione al ·Convegno
Discorso di don Armando Buttarelli
Uno sguardo alJ'Associazione
La "linea" del Convegno
li Delegato Nazionale presentò subito all'inizio del
Convegno il "panorama'' dei Cooperatori come oggi
sembrano essere in Italia, in modo che i presenti aves-
sero sempre la mente volta alla realtà con cui hanno
quotidianamente a che fare.
L'Associazione Cooperatori, secondo le ultime stati-
stiche, è formata in llalia da 63~ Centri.
Per quanto riguarda il numero degli ascritti, si parla
di una cifra elevata che si aggira attorno alle 300.000
unità, ma di 'luesti molti di meno si possono consi-
derare coscienti ed impegnati.
Vi sono 20 Delegati Ispcuoriali e quasi ogni Opera
Salesiana ha il suo Delegato locale.
L'andamento dell'Associazione presenta alcuni aspetti
positivi che possono cosi essere espressi:
l. Una maggiore presa di coscienza da parte degli
ascritti, dovuta ad una migliore preparazione dei can-
didati. Questo comporta anche una diminuzione nel
numero delle iscrizioni annuali; alla quantità supplisce
la qualità.
2. Una maggiore chiarezza di idee e consapevolezza
dell'importanza che riveste la Terza Famiglia nei sale-
siani delle nostre comunità.
3. I 1111111erosi corsi di esercizi spi rituali che si svolgono
ogni anno in tutta Italia (quest'anno 6o).
4. 1 Gruppi e i Centri giovanili che stanno sorgendo
qua e là, a seguito all'appello ri\\'olto dni superiori, e
che costituiscono una massa per un domani più dinamico
e valido per l'Associazioné.
5. Lo stesso Convegno Nazio11ale dei Delegati: (mai
in Italia si fecero Convegni del genere).
6. La costituzione del Consiglio Na~ionale (prov-
visorio).
?. La Scuola di Formazione all'Apostolato che inizia
quest'anno.
8. Infine i frutti dell'albero, cioè l'apostolato, nei
vari settori, svolto in maniera organizzata o individuale,
nota o sconosciuta, che non è valutabile sul piano delle
statistiche, ma che è consolante.
Ma c'è anche un rovescio della medaglia da tener rre-
sente: Sono i "residuati" di un passato che non si riesce
ancora a scuotere di dosso del tutto:
un considerevole numero di iscritti che appesantisce
il lavoro del centro, si fa trascinare, non è cosciente
del valore della propria appartene111a alla famiglia
salesiana;
la spiritualità salesiana ed il metodo educativo poco
conosciuti, assimilati e utilizzali;
~ mancanza di soda c1dt11ra religiosa e di formazùme
all'apostolato (molti hanno solo molta buona volontà...);
delegati poco disponibili e talvolta sfiduciati (tempo limi-
tato per le eccessive occupazioni; due o più incarichi,
spesso contrastanti, nella stessa persona; scarsi risultati
che demoralizzano...);
ùico111pre,1sio11e, i11differe11za, mancato appoggio ai Dele-
gati, proprio da parte di chi dovrebbe invece spronare,
incoraggiare... ;
troppo scarso ancora il mm,ero dei giovani rispetto
agli adulti e agli anziani, e quello dei cooperatori rispetto
alle cooperatrici, di molto più numerose. Si sta lavorando
però per equilibrare questa situazione...
Questo lo "sguardo" ali'Associazione.
I lavori del Convegno poi, prosegui don Bultare!H,
si sarebbero sviluppati secondo questa linea:
approfondimento delle idee: a) sul laico così come
emerge dalla dottrina conciliare; b) s11l laico che risponde
alla vocazione a cooperatore; e) s11/la jigllra del Delegato
(anima e guida spirituale del cooperatore e del centro);
d) sulle condizioni perche un centro sia vivo {in parti-
colare modo si sarebbe discusso il problema del «Ramo
Giovanile •).
Il Delegato Nazionale concluse con queste parole:
Il disegno, originale, grandioso e tuttora valido, con-
cepito da Don Bosco nel fondare i Cooperatori non
è stato ancora realizzato, è soltanto allo stato di ab-
bozzo. Da chi e quando sarà realizzato ? A voi Delegati
la risposta. Ognuno di voi può concorrere a realizwre
il progetto, se convinto, se entusiasta, se generoso~-
•s I ■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■

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Relazioni * Comunicazioni
Un volto nuovo al laico del post-Concilio
Don Mario Midali, docente di ecclesiologia al PAS
P rima di entrare nel vivo del
tema pare opportuno premet-
tere alcune osservazioni miranti
ad una chiarificazione di idee parti-
colarmente necessaria in un momento
in cui tanto si scrive su questo argo-
mento non sempre con profitto del-
l'oggettività e della chiarezza.
Perchè parlare
di un volto 'nuovo' al laico
del post- Concilio 7
Alcune pubblicazioni recentissime
- ad esempio il volume Concilio
vivo, ed. Ancora 1967, apparso con-
temporaneamente in diverse lingue -
si pronunciano in questo senso, e
parlano di un nuovo tipo di Papa,
di Vescovo, di Sacerdote, di Dia-
cono, di Laico, di Religioso, usciti
dal Vaticano Il.
Di fatto il Concilio nel suo aspetto
tanto dottrinale che pastorale ha vo-
luto essere un Concilio di riforma,
di rinnovamento, di aggiomame11to:
era quindi naturale che concentrando
la sua attenzione sulla Chiesa, pro-
iettasse nuova luce su questo argo-
mento e ponesse in evidenza quei
nuovi lineamenti che i membri di
essa devono assumere in fedeltà al
volto che Cristo le ha impresso e
alle esigenze della sua missione nel
mondo di oggi.
Questo d'altronde corrispondeva
alle intenzioni ed aspettative di Gio-
vanni XXIII, di Paolo VI e del
Concilio. È quindi del tutto giusti-
ficabile parlare di un volto 'nuovo'
al laico del post-Concilio.
In che senso si parla
dì volto "nuovo"
Senza dubbio non si intende qui
seguire una certa moda corrente e it'\\-
dulgere al desiderio della ricerca della
novità per la novità. si intende
parlare di un,_1. novità radicale o rivo-
luzionaria, eccetto che si voglia ri-
condurre la concezione del laico
entro il quadro evangelico: il Van-
gelo è rivoluzionario, di una rivolu-
zione pacifica ma crocifiggente. Il
confronto fra il laico quale è comu-
nemente oggi e quale dovrebbe es-
sere secondo l'ideale evangelico coin-
volge un capovolgimento di certe
concezioni e mentalità correnti, ca-
povolgimento però del tutto neces-
sario, giustificabile, anzi auspicabile.
Il volto 'nuovo' del laico delineato
dal Concilio va appunto ricercato da
un lato nella più assoluta fedeltà
al Vangelo e alla più antica ed au-
tentica tradizione - fedeltà che è
esigenza costante e stimolo perrna-
nente di rinnovamento - e d'altro
lato nell'adesione piena alle neces-
sità impellenti dei tempi presenti,
intesi come espressione della presenza
operativa di Cristo e dello Spirito
Santo nell'umanità di oggi e nella
storia contemporanea, presenza ope-
rativa che si suole ormai designare
con l'espressione biblica «segni dei
tempi ►>.
Occorre ancora notare che il nuovo
tipo di laico voluto dal Vaticano Il
è venuto delineandosi man mano e
ancor prima del Concilio, in seno
a diversi movimenti laicali cattolici so-
prattutto degli ultimi decenni. Tali
movimenti di pensiero e di vita
sono poi entrati in Concilio, hanno
animato i lavori dell'assise ecumenica
e ne sono usciti come canonizzati.
Questa costatazione ci porta a par-
lare, per brevi cenni, delle cause e
condizioni che sono alla base della
cosiddetta promozione dei laici che
è in pieno sviluppo.
Cause e condizioni
della promozione dei laici
Due fatti ci paiono degni di es-
sere qui menzionati: il fenomeno mo-
derno della 'secolarizzazione', e l'ap-
profondi mento della coscienza della
Chiesa operato dal Vaticano II.
<< Dal punto di vista storico - scri-
ve lo Schillebeeckx in Concilio vivo,
P:-247 - la notissima questione 9

1.10 Page 10

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della posizione propria e positiva
del laico nella Chiesa si presenta
come conseguenza del fatto che
l'uomo nei tempi moderni ha sco-
perto il mondo come tale; ed è questo
un fenomeno che generalmente i chia-
mato secolarizzazione. li termine è
storicamente difficile da giustificare.
Poich6 durante l'Ancie,i Régime la
Chiesa era quasi identificata con la
cristianità, la • società cristiana •, il
riconoscimento dei valori interni e
specifici dell'ordine di vita terreno,
cioè del settore di vitn primaria-
mente determinato da valori terreni,
era O\\'viamente considerato come pro-
fanazione, come separazione del mon-
do dalla Chiesa. In fondo, questo
processo è un sincero riconoscimento
dei valori del mondo e solo in rap-
porto alla precedente situazione storica
esso pub essere chiamato secolariz-
zazione; una giusta emancipazione
del mondo dal patrocinio della Chiesa.
Non ci deve sorprendere il fatto
che, con le nuove esprienze umane,
si è sviluppata anche la coscienza
del laico cristiano rispeuo al proprio
compito nella Chiesa e nel mondo.
~eRli ultimi quarant'anni e soprat-
tutto nel Concilio, la Chiesa ha ap-
profondito la coscienza di se stessa.
Tale approfondimento riguarda il mi-
stero della Chiesa (e in tale sede si
sonolinea il primato del divino sul-
l'umano), la missione della Chiesa
(e in tale campo si supera la con-
cezione di una Chiesa chittsa, tutta
ripiegata su se stessa, e si rilancia
l'idea di Chiesa aperta e a sermzio
dell'umanità), la struttura gerarchica
della Chiesa e la sua realtà carisma-
tica, la sua vocazione alla santità,
i suoi destini ultimi e i suoi rapporti
con i Cristiani non cattolici, i cre-
denti non cristiani e gli atei in buona
fede.
Questa nuova coscienza che la
Chiesa degli anni sessanta ha rag-
giunto di se stessa comporta una vi-
10 sione rinnovata, più completa e più
vera della pos1z1onc, dignità, fun-
zione e spiritualità di tutti i suoi
membri.
Superare una concezione
c o n c o r r e n z i al e
Prima di porre termine a queste
osservazioni preliminari, vorrei an-
cora metter in guardia da un certo
atteggiamento che "iene assunto assai
di frequente nella descrizione del
posto e del ruolo dei diversi membri
della Chiesa, atteggiamento che qua-
lificherei come «concezione concor-
renziale >1, come • visione classista »dei
membri della Chiesa. Tale mentalità
fu presente ed ostacolò non poco i
lavori conciliari ed è stata, mi pare
superata nei documenti definitiva-
mente approvati. Essa consiste nel-
l'esaltazione della dignità, funzione,
missione e compiti di una determi-
nata categoria di membri della Chiesa
fatta con poca considerazione e, a
volte, a scapito delle altre categorie di
membri.
Dal punto di vista storico tali
concezioni unilaterali, e sovente inte-
ressate, hanno dato origine a devia-
zioni dottrinali, pastorali e strutturali
che si sono rilevate, anche se in pro-
porzioni e in forme diverse a secondo
dei tempi e dei luoghi, sempre dan-
nose per iJ bene della Chiesa e del-
!'Umanità. Si potrebbe accennare al
Papalismo di determinati periodi del
Medioevo e del Rinascimento e a
certe forme di centralizzazione e au-
toritarismo di tempi più recenti af-
fermatesi su.Ila base di una certa
concezione del primato pontificio;
alle diverse forme storiche dell'Epi-
scopalismo, alle molte sfumature di
clericalismo, alle conseguenti rea-
zioni e ripercussioni in campo lai-
cale che vanno sotto il titolo di
laicismo t , di infantilismo eccle-
siale * del laicato cattolico...
Durante i lavori conciliari venne
maturandosi tra i Padri una menta-
lità molto equilibrata su questo
punto. li Vaticano I l è ormai pas-
sato aJJa storia come un Concilio di
equilibrio, che è stato raggiunto
non solamente per motivi di mode-
razione o per necessità di compro-
messo, ma soprattutto e innanzi tutto
per l'esigenza incontestabile di ade-
sione piena e totale al dettato del
Vangelo e della tradizione viva ed
autentica della Chiesa e per la vo-
lontà decisa di aderenza ai segni dei
tempi.
Di qui nasce la necessità di ab-
bandonare quella concezione con-
correnziale dei membri della Chiesa
cui si è accennato, e di considerare
Papa, Vescovi, Sacerdoti, Diaconi,
Laici, Religiosi unitamente alla loro
vocazione, funzione, responsabilità,
compiti e rapporti propri e specifici
in una visione più ampia, più illu-
minata e più genuina della Chiesa
stessa.
È quanto tenterò di fare, in forma
necessariamente sommaria, cercand.9
di presentare i principali nuovi li-
neamenti del laico riportati in luce
dal Concilio, nella cornice di alcuni
nuovi lineamenti che il Yaticano II
ha impresso a tutta la Chiesa.
NB. Dovendomi limitare in questa
sede ad una presentazione quasi te-
legrafica delle principali componenti
della Chiesa maggiormente · rimar-
cate dal Concilio, rimando coloro
che avessero desiderio di una cono-
scen2à più ampia delle medesime a
quanto ho scritto su tale argomento
nell'articolo U Yolto rinnovato della
Chiesa • apparso in Laici sulle vi.e
del Concilio ed. cittadella, Assisi 1966,
pp. 47-70.
D Primato della Grazia
sul potere e la funzione
Uno dei fatti di maggior rilievo
operato dall'ecclesiologia del Vati-
cano II va sicuramente visto nello

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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spostamento di accento dal potere
alla Grazia. NeUa Chiesa il valore
supremo, primo, essenziale e fonda-
mentale non è rappresentato dai po-
teri sacri, dal diritto anche se divino,
ma dalla Grazia. Di conseguenza
nella Chiesa il primato non va ascritto
al potere, alla funzione ovvero al
diritto, ma alla Grazia di Cristo in-
tesa come comunione intima e per-
sonale con il Padre, il Figlio e lo
Spirito Santo e con l'umanità sulla
base della comune partecipazione mi-
steriosa ma reale all'unica ed iden-
tica vita trinitaria.
Questo spostamento di accento
operato dal Concilio e rimarcato
molto nei commenti ai documenti
conciliari, appare innanzi tutto nella
collocazione della trattazione riser-
vata al Popolo di Dio, che come è
noto, viene fatta nel capitolo II della
Lumen Gentium e precisamente prima
della trattazione dedicata alla strut-
tura gerarchica della Chiesa.
Uno dei motivi principali che in-
dussero i Padri conciliari a esporre
in un apposito capitolo quanto con-
cerne il Popolo di Dio, inteso come
comunità cristiana composta di fedeli
e di Pastori, e ad anteporre detto capi-
tolo a quelli dedicati alla Gerarchia
della Chiesa, al Laicato e ai Reli-
giosi, fu quello di sottolineare gli
elementi, che, nell'unico Popolo di
Dio, sono comuni al Clero, ai Laici
e ai Religiosi, ossia l'unità, la socia-
lità, anzi l'uguaglianza essenziale.
In altre.. parole, con l'inserimento
di un capitolo intero sul Popolo di
Dio prima del capitolo sulla Ge-
rarchia, il Concilio ha inteso collo-
care in primo piano, perché valori
primari e comuni, la dignità propria
dell'esistenza cristiana, la realtà on-
tologica della grazia, valore supremo
nella Chiesa, la qualità di discepolo
di Cristo, comune a tutti i membri
del Popolo di Dio, la loro fratellanza
di base, in ragione della quale la
Chiesa è prima di tutto e soprattutto
<i una comunione di fratelli in Cristo J>,
una comunione creata dall'amore fra-
terno suscitato in tutti i membri
del Popolo della nuova alleanza
dall'Amore sussistente del Padre e
ciel Figlio: lo Spirito Santo. Esso
ha voluto inoltre sottolineare la
partecipazùme comune al sacerdozio
regale e profetico di Cristo, in virtù
del quale l'intero Popolo di Dio è
missionario.
Si è cosl evitato di trattare, prima
di tutto, ciò che può differenziare i
membri dell'unico Popolo di Dio,
ossia i diversi uffici (Gerarchia e
Laicato) o stati di vita (sacerdotale,
verginale e matrimoniale), e di sug-
gerire l'idea che il primo valore
ne!Ja Chiesa sia l'organizzazione ec-
clesiastica, ovvero la distribuzione dei
membri in ragione di un ordinamento
di superiorità e subordinazione.
È vero che la Gerarchia ecclesia-
stica, da un determinato punto di
vista, precede i fedeli, in quanto
attraverso il suo molteplici; mini-
stero introduce nel seno della Ch.iesa
sempre nuovi membri, li istruisce,
li santifica e li guida, ma ciò non
toglie che essa faccia parte assieme
ai semplici cristiani dell'unico ed
identico Popolo di Dio. Nel piano
divino infatti, il Popolo di Dio e i
suoi destini eterni rappresentano una
grandezza dell'ordine dei fini, desti-
nata quindi a sublimarsi e a perdu-
rare eternamente; l'ufficio e il potere
gerarchico invece sono una gran-
dezza dell'ordine dei mezzi, impor-
tante sì e da tenersi in gran conto,
ma da considerarsi essenzialmente
in funzione della salvezza del Popolo
di Dio e come tali destinati a scom-
parire con l'avvento del Regno di
Dio finale.
Alla base di questa sistemazione
c'è una nozione di Chiesa, conce-
pita non più come una specie di
<< piramide clericale», ma come una
sfera, meglio come una «comunione
di fratelli in Cristo, uniti e animati
dallo stesso Spirito, servitori gli
uni degli altri >l. Con questo il Con-
cilÌo ha definitivamente abbando-
nato la tanto deprecata riduzione
della Chiesa alla Gerarchia.
Questo spostamento di accento
trova formulazioni eloquenti, ine-
quivocabili e sicuramente molto avan-
zate ed avveniristiche nel n. 32 della
Costituzione Lume11 Gentium dedi-
cato alla dignità dei Laici nella
Chiesa, e nel n. 9 del decreto Pre-
sbyterorum Ordinis riservato alla de-
scrizione dei rapporti tra Sacerdoti
e Laici. I due numeri non possono
esser qui riportati, ma vanno letti
per intero e soprattutto assimilati.
Sullo sfondo di questa dottrina
conciliare secondo la quale nella
Chiesa <e fra tutti vige una vera ug1t0-
glia11za riguardo alfa dig11ità e al-
i'azione comune a tutti i fedeli nel-
1'edìfìcare il Corpo di Cristo» (Lu-
1ner1 Gentium, n. 32b), il laico ac-
quista un suo posto, una sua dignitu,
che gli vanno riconosciute pienamente
e gioiosamente, perché sono un posto,
una dignità ricevuti da Cristo e daUo
Spirito Santo per tramite del Bat-
tesimo e della Confermazione. Questo
discorso ci introduce a trattare di
una seconda compone'lte dell'eccle-
siologia nel Vaticano II: l'ecclesio-
logia dì presenza sacramentale di
Cristo e del suo Spirito.
fJ Ec.clesiologia di presenza
sacramentale
Seguendo gli indirizzi program-
matici formulati da Paolo VI nei
suoi discorsi di apertura del II e
III periodo, il Concilio riconduce
tutta la realtà divina propria della
Chiesa alla presenza in essa di Cristo
e deUo Spirito Santo. li mistero della
Chiesa come la sua vocazione e mis-
sione, l'intera sua vita ed attività
hanno senso e valore unicamente
se rapportati a Cristo e allo Spirito
Santo. Nella Lumen Ge11tium come 11

2.2 Page 12

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nella costituzione sulla liturgia (n. 7),
il Vaticano I I parla di diversi modi
di presenza di Cristo nella Chiesa
ad opera del suo Spirito, e ripetu-
tamente mette a fuoco le relazioni
vitali e dinamiche che esistono tra
il Cristo glorioso, il Cristo di oggi,
nostro contemporaneo, e la sua Chiesa
pellegrina in terra, che per questo
contatto intimo e vitale col suo Si-
gnore, Fondatore e Capo viene ad
essere la sua attuale emanazione
misteriosa, la sua continuazione sulla
terra, la sua comunità pienamente
animata dal suo Spirito. Fin dal
proemio la costituzione sulla Chiesa
afferma in maniera esplicita che la
Chiesa vive in totale riferimento a
Cristo, sia per la sua origine che
per la sua sopravvivenza nel tempo.
Essa non ha luce propria: come
luna misteriosa unita al suo sole
(Cristo), deve riflettere sugli uomini
la luce che risplende sul suo volto,
ma che deriva da Lui, luce del
mondo, luce delle genti (n. 1 ). La
dottrina della costituzione relativa al
Regno di Dio, alle immagini bibliche
della Chiesa, al Corpo ~listico e al
Popolo di Dio sottolinea costante-
mente i rapporti interpersonali e vitali
che attualmente intercorrono tra il
Cristo glorioso e la sua Chiesa so-
prattutto ad opera dello Spirito Santo.
Nel pensiero del Concilio si può
dire che la Chiesa non è ecclesio-
e centrica, ma cristocentrica, non
centrata sulla propria volontà, ma
sulla persona di Cristo e del suo
Spirito; la sua esistenza è fedeltà,
la sua attuazione è obbedienza, la
sua vita è rivivere Lui, perché ani-
mata dallo Spirito Santo deve es..«crc
pura trasparenza o sacramento di
Cristo.
La Chiesa, quale sfera in cui so-
pravvive e diventa efficace l'opera
redentrice e santificatrice di Cristo
nello Spirito Santo, è il segno e
il veicolo umano di verità e di sal-
12 vezza, cioè il , sacramento primor-
diate» della grazia di Dio per gli
uomini. li Sah~.1tore risorto e asceso
al Padre ha privato la sua comu-
nità della sua presenza visibile e tan-
gibile; tuttavia ha voluto che la ri-
velazione da Lui fatta, che la reden-
zione e la salvezza da Lui operate
venissero manifestate e comunicate
agli uomini, nel susseguirsi delle ge-
nerazioni, in forma umana, visibile
e sensibile, cioè in forma sacramen-
tale, secondo la legge fondamentale
dell'incarnazione che ha portato il
Verbo a manifestarsi, a vivere e ope-
rare come uomo tra uomini.
Xella cornice generale della Chiesa
sacramento, il Concilio, annullando
una precedente «riduzione giuridica»
della Chiesa, ha operato una «ridu-
zione sacramentale» di essa, in quanto
ha ricondotto lutta la realtà ecclesiale
alla presenza e operazione sacr.:imcn-
tale di Cristo, presenza cd operazione
che vengono visibilizzate in modo
particolare e tipico nei sette sacra-
menti. Si è parlato, e molto giusta-
mente, a questo proposito di un ca-
povolgimento copernicano in campo
ecclesiologico operato dal Vaticano Il,
in quanto esso, sulla base del Nuo,o
Testamento e della Tradizione, fa
derivare la dignità, la missione, le
funzioni e i doni propri dei Vescovi
come dei Sacerdoti, dei Diaconi
come dei Laici, dai Sacramenti e
non già dalla missione canonica, che
peraltro da quelli prende origine,
senso e valore.
Ai fini del nostro tema occorre
qui chiarire alcune espressioni ti-
piche della presenza di Cristo comu-
nemente designate con i vocaboli:
consacrazione o santificazione, mis-
sione o apostolato, funzioni o mi-
nisteri, doni o carismi. La presema
di Cristo nella Chiesa e r.ei membri
e di essa presenza di santificazione,
di missione, di qualificazione e di
gratificazione.
La chiave di interpretazione di que-
sta realtà misteriosa ma vera e reale
ci viene ofTcrta da un'espressione di
S. Giovanni integrata col pensiero
di S. 1\\fattt.'O e S. Luca; essa è stata
ripresa ripetutamente dal Concilio
in tema <li descrizione della situa-
zione esis1em:io.le e missione di Cri-
sto e della Chiesa. Può essere cosi
ricostruita nei suoi elementi essen-
ziali: Cristo Cesù, «che il Padre
ha sa11tifirnto o consacrato e inviato
nel mondo• (C·v. 101 36), é stato
unto dallo Spirito Santo (MT. 31 16)
<( per portare 111 buona 11ovella ai po-
veri... » (Le. 4, 18). Compaiono qui
i 9uattro concetti sopra indicati cl1e
ri!ssumono nella scia di Cristo la
situazione e ht missione della Chiesa
e in essa di ogni membro. Si vedano
a questo proposito i numeri 280
della L11111e11 Gentium, 3b del de-
creto Ad Gmles, 2a e r2b del de-
creto Presbytrrorum ordù1is.
Soprattuuo in considerazione della
confusione di idee al riguardo si
rendono necessarie alcune osserva-
zioni chiarific:mici.
a) CONSAC'RAZJO~ E i\\lISSIONE
11 ,•ocabolo consacrazione •• da
cui deriva il sostami,·o •sacro•, non
,·a inteso in senso puramente ritua-
listico, cio~ di oggetto o persona
sottratta al suo norm~le uso profano
per esser sep~.rata e riservata ad un
uso sacro, come si ha ad esempio
nel caso di oggetti o arredi sacri;
ma nel senso biblico più profondo
e completo meglio espresso dai ter-
mini wsantificazione• e t santo •, che
significano una particolare unione
o relazione o intimità con Dio in
vista di un servizio divino verso
l'umanità o verso Dio stesso.
Il vocabolo •missione• (dal la-
tino missio) e quello sinonimo «apo-
stolato ~ (dal greco aposlolé) nel loro
significato biblico religioso molto
generale indicano l'intera attività di
una persona inviala da Dio per com-
piere con efficacia un determinato
compito di ordine sahifico.

2.3 Page 13

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:,._ell'espressione di S. Giovanni
sopra citata si afferma in terrruru
inequivocabili che Cristo è stato
consacrato o santificato «in vista di
una missione •· Non si può quindi
contrapporre, come a volte si è fatto,
consacrazione a missione, santità ad
apostolato. La consacrazione la
santità sono fondamenLo, sorgente e
stimolo alla missione e all'apostolato.
La missione a sua volta non è altro
che consacrazione o santità, cioè in-
tima unione con Dio, attuata dina-
micamente nel divenire della propria
esistenza. Cristo ha realizzaro la sua
consaci:azione al Padre nell'adem-
pimento della missione che il Padre
gli aveva affidato.
Attraverso i sacramenti Cristo, in
modi e forme differenti, rende par-
tecipi tutti i membri della sua co-
munità della sua consacrazione e
missione. (Cf. Lumen Ge11tium 10a,
33ab, Apostolicam actuositatem 2 1 3,
PresbyteroTllm Ordir1is 20 ecc.). Tutti
nella Chiesa sono delle persone con-
sacrate, dei «santi », nel senso bi-
blico del termine tanto usato da
S. Paolo; tutti nella Chiesa sono
degli • apostoli •·
Come si è appena detto, per vo-
lontà di Cristo, ci sono modi o
forme differenti di partecipazione
alla consacrazione e missione del Sal-
vatore.
C'è innanzi tutto la consacrazione
comune a tutti i membri della Chiesa
che viene posta in esistenza dai sa-
cramenti del Battesimo e della Con-
fermazione: i due sacramenti che
costituiscono i fondamenti dell'apo-
stolato di tutti i fedeli. I Laici sono
costantemente considtirati dal Con-
cilio persone 'sacre', 'consacrate' ed
'apostoli' sulla base appunto dei due
sacramenti dell'iniziazione cristiana.
(Cf. i numeri dei documenti sopra
indicati).
C'è . poi la consacrazione propria
dei membri della Gerarchia, Dia-
corti, Sacerdoti e Vescovi, che viene
posta in esistenza dal sacram.ento del-
l'Ordine e che sta alla base della
missione particolare, potestativa, della
Gerarchia stessa. Sarà bene osser-
vare che tale nuova consacrazione
non sopprime la consacra?ione e mis-
sione battesimale, ma si integra ad
esse. Com'è noto, la vita religiosa con
i tre voti viene considerata dal Con-
ci!io come per~zionarnento della con-
sacrazione ricevuta nel Battesimo e
nella Cresima (cfr. Lumen Ge11ti111n
-14).
carismatici offidati dallo Spirito di
Cristo a membri della Gerarchia
come a semplici fedeli in vista del
bene della Chiesa. È in questa cor-
nice che vanno collocate le funzioni
proprie nella vita e nella missione
della Chiesa svolte daUe famiglie re-
ligiose e anche da particolari movi-
menti laicali, tra cui penso si debba
collocare anche la terza famiglia sale-
siana, i Cooperat~ri salesi0~i, quali
partecipi e portatori della funzione
di Don Bosco nella Chiesa.
b) MISSJONE E PUNZIONI O MlNJSTF.RI
Nel pensiero del Nuovo Testa-
mento, ripreso dal Concilio soprat-
tutto nella costituzione sulJa Chiesa
e sulle missioni, la missione di Cristo
è unica ed unitario. Egli l'ha reali:r-
zara nell'esercizio delle tre funzioni
regale, sacerdotale e profetica. Nella
sua persona Cristo ha radunato cd
unificato la missione e le funzioni
che nel Yecchio Testamento veni-
,•.ino esercitate da persone e isti-
tuzioni differenti, quelle del profe-
tismo, del sacerdozio e della regalità.
Unica è pure la missione della
Chiesa derivante da Cristo, comune
a tutti e vincolante tutti e da attuarsi
nell'esercizio delle stesse funzioni di
Cristo, però in modi, forme e con
sistenza differenti.
Ci sono le funzioni (dette anche
ministeri perché si risolvono in un
servizio verso altri) della testimo-
nianza, del culto e del servizio cri-
stiano comuni a tutti i fedeli in virtù
della consacrazione battesimale.
Ci sono poi le funzioni o ministeri
qualificati di magistero, culto e cura
pastorale propri della Gerarchia ec-
clesiastica, in virtù della particolare
consacrazione ricevuta nel sacramento
dell'Ordine.
Ci &ono ancora nella Chiesa fun-
zioni o ministeri messi in esistenza
non da un sacramento, ma dalla li-
bera azione di Cristo e dello Spirito
Santo: sono le funzioni o 111i11isteri
e) CONSACRAZIONE, MISSIONE, FON-
ZIONJ E DONO DELLO SPlRITO
La consacrazione al Padre di Cri-
sto uomo, e l'attuazione della sua
missione nell'esercizio delle tre fun-
zioni cui si è accennato fu possibile
perché Cristo venne unto nell'In-
carnazione dallo Spirito, perché fu
ripieno di Spirito Santo e dei suoi
doni e perché venne costantemente
guidato dallo Spirito del Padre (cfr.
Ad Gentes 4).
Donato da Cristo alla Chiesa in
forma piena e definitiva nel giorno
della Pentecoste, lo Spirito Santo è
costantemente presente nel Corpo
:Mistico di Cristo, nel popolo di Dio
divenuto Tempio vivente appunto
dello Spirito, ed in esso adempie
gli stessi compiti che compì nella
persona e nella vita di Cristo Signore.
La consacrazione, la missione, le
funzioni dei membri della Chiesa
non si possono concepire senza la
presenza operativa ed efficace dello
Spirito Santo e dei suoi doni o ca-
rismi. È lo Spirito di Cristo che san-
tifica e consacra, che muo\\e all'apo-
stolato e qualifica le diverse funzioni;
è Lui che sostiene, rettifica e fo-
menta l'intero svolgersi della mis-
sione della Chiesa. Come nel caso
della consacrazione e delle funzioni,
occorre allora distinguere:
1. il dono dello Spirito Santo e
dei suoi carismi, detti irtit1vsionali
(perché derivanti da un sacramento 13

2.4 Page 14

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di istituzione divina), donato a tutti
nel Battesimo e nella Cresima in
vista dell'esercizio delle tre funzioni
comuni a tutti i fedeli;
2. il dono dello Spirito Santo e di
particolari carismi istituzionali fatto
ai membri della Gerarchia in vista
dell'esercizio delle tre funzioni ciuali-
ficate di magistero, di culto e di guida
pastorale dei fedeli;
3. il dono dello Spirito Santo e
di suoi carismi del tutto liberi e non
istituzionali fatto in modi differenti
a tutti i membri della Chiesa e in
particolare sia a membri del Clero
e del Laicato sia ai Religiosi, in
vista dell'adempimento di particolari
compiti a beneficio della Chiesa.
Va sottolineato a questo propo-
sito che il Concilio, nel capitolo Vl
del De Ecclesia dedicato ai Religiosi
e nel relativo decreto, considera gli
Ordini e congregazioni religiose come
un fenomeno carismatico suscitato in
seno al Popolo di Dio dallo Spirito di
Cristo per incrementare la vita e la
missione della Chiesa.
Va ancora richiamato che il Vati-
cano II ha dato grande risalto ai
carismi o doni sia molto semplici
e largamente diffusi sia più appari-
scenti che lo Spirito Santo distri-
buisce tra i fedeli in vista di una
loro presenza-fisionomica particolare
nella Chiesa. (Cfr. Lttmen Gentium
12b, Apostolicam actuositatem 4, Pres-
byterorum Ordinis 9b).
Come si è già accennato il movi-
mento dei Cooperatori salesiani va
collocato nel quadro del <1 carisma
salesiano » donato da Dio alla Chiesa
in Don Bosco e con Lui alle tre
famiglie componenti il movimento
salesiano nel mondo.
d) LA MISSIONE E IL CAR1SMA
Dl DON BOSCO
In che cosa consiste il carisma e la
missione che Dio ha dato a Don
14 Bosco e in Lui alle sue tre famiglie?
Evidentemente la descrizione di tale
carisma non è compito del teologo,
quanto piuttosto del competente in
salesianità. Tuttavia, pur lasciando
agli specialisti in materia offrirne
una descrizione adeguata e storica-
mente documentata, perché le affer-
mazioni di ordine dommatico appena
fatte non restino troppo generiche e
piuttosto vaghe, mi pare necessario
indicare almeno per mmma capita
quello che penso costituisca il nu-
cleo centrale e caratterizzante tale
carisma.
Non mi pare che il «carisma sale-
siano ~ debba esser ricercato nella
Linea della concezione teologica e
morale di Don Bosco. Come altri
ha già dimostrato, Don Bosco in
questo settore è figlio del suo tempo
e presenta una teologia, una cristo-
logia, una mariologia, un'antropologia,
una ecclesiologia ed una morale co-
muni al suo tempo.
Credo invece che il <1 carisma di
Don Bosco» debba esser ricercato
nella linea della missione che ha
svolto nella Chiesa, e precisamente
nella linea del tipo particolare di
apostolato giovanile da lui svolto.
Cosa comporta tale missione gio-
vanile ? Innanzi tutto la delimitazione
di una determinata clientela verso
cui viene esercitata la missione della
Chiesa: i giovani e la cerchia di
persone in cui questi vivono ed ope-
rano. L'apostolato verso i giovani
comporta nell'apostolo, sia esso sa-
cerdote o coadiutore, suora o coo-
peratore, una vocazione e dotazione
umana e cristiana particolari, assolu-
tamente necessarie per un contatto
umano e cristiano rispondente alle
esigenze proprie del mondo giova-
nile. L'apostolato giovanile comporta
ancora l'assimilazione di un deter-
minato comportamento e stile di vita
ed un appropriato impiego ed uso di
tutti quei mezzi e sussidi che possono
contribuire efficacemente alla forma-
zione umana e cristiana della gioventù.
Intendo alludere al vasto settore dei
mezzi audiovisivi, dello sport ecc.
Da ultimo l'apostolato giovanile com-
porta la creazione di determinate
strutture e forme organizzative sul
tipo familiare, amicale ecc., rispon-
denti alle valide esigenze associative
d~I mondo gi.ovanile. Tutto questo
fa •·parte del ~ carisma di Don Bo-
sco>) e dà una impronta fisionomica
particolare alla missione e funzione
del movimento salesiano nella Chiesa
e nel mondo. Salvo meliori iudicio,.
il posto e il ruolo specifico dei Coo-
peratori salesiani credo debba es-
sere ricercato nell'ambito di questo
ca.risma, pena la conformazione di
questo movimento di tipo prevalenJ
temente laicale ad altri carismi e
funiioni presenti ed operanti nella
Chiesa. In questo Cli.so non avremmo
però più i Cooperatori salesiani, ma
un'altra organizzazione apostolica.
e) DIGNITÀ E RESPONSABlLJTÀ
DEL LAICO
Dalle affermazioni di indole dom-
matica fatte in tema di ecclesiologia
di presenza piove un principio pa-
storale della massima importanza ai
fini del nostro tema: è assolutamente
necessario richiamarsi costantemente
alla situazione ontologica ed esisten-
ziale propria di ogni fedele in seno
alla Chiesa. TI laico è pieno jure
membro della Chiesa, i laici sono
Chiesa. A questo riguardo occorre
evitare l'espressione (che purtroppo
ricorre anche in qualche documento
conciliare, e che rispecchia una situa-
zione di transizione) «anche il laico
è Chiesa >l, ove quel!'<• anche i> sug-
gerisce che la Chiesa è prima di
tutto la Gerarchia e poi, quasi in
secondo piano, anche il laicato. Tutti
nella Chiesa, Pastori e fedeli, for-
mano l'unica famiglia di Dio, il
Corpo Mistico di Cristo, il T empio
vivente delJo Spirito e sono Chiesa
insieme, salve restando le differenti

2.5 Page 15

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funzioni volute da Cristo per il bene
della Chiesa stessa. Nella Chiesa il
laico è, al pari di ogni membro, per-
so11a co11sacrata che ha un rapporto
personale ontologico e vitale con
la Trinità in vista di una missione.
Il laico nel Popolo di Dio è per
vocazione apostolo, inviato per con-
tinuare la missione di Cristo; è ri-
vestito di f1mzio11i o ministeri sacri
di testimonianza, di culto e di ser-
vizio all'umanità. li laico nella Chiesa
ha rice\\'UtO il dono dello Spirito
di Cristo, che lo grati.fica dei suoi
carismi sia di tipo istituzionale sia
di tipo libero, personale.
Il nuovo volto che il Vaticano II
ha dato al laico e che il laico del
post-Concilio deve far proprio, va
quindi ricercato prima di tutto nella
direzione dell'interiorità, della pro-
fondità, cioè nella linea di una co-
scienza cristiana più illuminata, più
convinta della dignità, dei compiti e
delle responsabilità connesse alla si-
tuazione di membri del Popolo di
Dio. Il rinnovamento del laico,
come peraltro di ogni membro della
Chiesa, tanto auspicato dal Vaticano
II, è prima di tutto e sopra tutto
interiore, cioè spirituale, religioso,
morale e apostolico, e solo successi-
vamente esteriore, cioè strutturale, or-
ganizzativo e operativo.
Il Ecclesiologia di comunione
Accanto ad un'ecclesiologia di pre-
senza sacramentale, il Concilio ci
ha offerto un'ecclesiologia di comu-
nione: la presenza sacramentale di
Cristo e del suo Spirito nella Chiesa
fa di essa una comunione, una tra-
sposizione terrena della comunione
trinitaria.
Nei documenti conciliari il co11-
cetto di «comunione • assume il ruolo
di tcostante • presente in tutti glì
aspetti della Chiesa e di «principio
supremo» cui il Vaticano II s'ispira
per dare alle sue dichiarazioni di
indole pastorale e alle progettate ri-
forme organizzative un fondamento
teologico valido e solido.
a) IL CONCETI"O BIBLICO
Dl COMUNION2
Per non rimanere nel vago occorre
innanzi tutto chiarire il concetto bi-
blico di comunione (koino11ìa). Il vo-
cabolo è utilizzato soprattutto da
S. Giovanni e da S. Paolo. In en-
trambi assume tre sensi, secondo che
esso evochi: 1. l'azione di dare una
parte o di contribuire; 2. quella di
aver parte o di partecipare; 3. l'es-
sere comunità e il vivere come co-
munità. Non si tratta di tre concetti
differenti, ma di un unico concetto
le cui ,rirtwilità ogni volta non sono
utilizzate che parzialmente. Al primo
senso viene ricondotta la comu-
nione nei beni temporali e spirituali
che una Chiesa partecipa ad altre
Chiese (ad esempio con la colletta
di cui ci parlano gli Atti e le lettere
paoline). Al secondo senso viene ri-
condotto il testo della I Cor. 10,
16 relativo alla comunione eucari-
stica • comunione col sangue di Cri-
'sto •• «comunione col corpo di Cri-
sto•· Il terzo senso è impiegato ad
esempio da S. Giovanni nel famoso
testo della sua prima lettera: «quello
che abbiamo veduto ed udito, lo
annunciamo a voi, affinché pur voi
abbiate comunione con noi e la co-
munione nostra sia col Padre e col
Figlio suo Gesù Cristo ».
Il concetto di comunione ricopre
l'intera missione ed atùvità di Cristo.
-La sua missione ha origine dalla co-
munione sua col Padre nello Spirito
Santo; tale comunanza di vita di-
vina diviene volontà di «comuni-
carsi ~. di donarsi all'umanità; la sua
attività terrena è un continuo do-
narsi al Padre e al bene dell'umanità,
è vita di comunione con Dio e con
i figli di Dio; l'obiettivo della sua
missione è la costituzione di una
comunità, di un Popolo vivente in
comunione con Dio attraverso il
Nuovo Patto, vivente in comunione
in se stesso attraverso la presenza
unificante dello Spirito di Cristo,
e destinato ad essere il centro di at-
trazione e di unificazione dell'intera
umanità. L'idea di koi11011ìa, di co-
munione, sta cosi al centro del mi-
stero della Chiesa in quanto qualifica
una maniera di vivere, di essere e di
agire propria e caratteristica della
comunità cristiana, in quanto cioè
definisce da un lato la comunicazione
dei cristiani col Padre per mezzo
di Cristo nello Spirito Santo, d'altro
lato la situazione di unione reciproca
dei cristiani tra loro e la loro voca-
zione ad essere in comunione con
l'intera umanità.
b) LA CIIIESA LOCALE
11 concetto di comunione definisce
l'essenza non solo della Chiesa uni-
versale, ma anche delle singole Chiese
locali, delle comunità religiose, delle
comunità parrocchiali come infrapar-
roccltiali, delle diocesi. Ora, secondo
la dottrina concjfjare, la comunione
costitutiva dell'essenza e della vita
della Chiesa tanto locale che uni-
versale, presenta una gamma assai
varia di aspetti.
La Chiesa è innanzi tutto ~ co-
munità di fratelli in Cristo, animati
dallo stesso Spirito, per cui in essa
- fermo restando la diversità di
ministeri gerarchici - Yige una
vera <i uguaglianza» quanto a VIta
divina. a dignità, a vocazione alla
santità. (Cfr. Lumen Ge11ti11m nn. 6,
18, 27, 32, 37).
La Chiesa è una comunione di
fede: essa nasce e ,·ive della fede in-
timamente accettata nella sua inte-
rezza e testimoniata esternamente nel-
l'assemblea liturgica e nella vita.
(Cfr. Lg 9).
La Chiesa è una comunione di
speranza, ossia una comunità esca-
tologica, nel senso che è già irt pos-
sesso di beni spirituali ed eterni ed
è in cammino verso il regno di Dio
finale (LG 9, 5, 48-5 1).
15

2.6 Page 16

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La Chiesa è una comunione di
carità e di servizio: essa è una comu-
nità in cui t1uti, pastori e fedeli,
sono al servizio gli uni degli altri,
in cui ogni attività ecclesiale si ri-
solve in ultima istanza in un ser-
vizio differenziato ai fratelli; la ca-
rità, legge suprema della Chiesa,
postula necessariamente questi rap-
porti dinamici di mutua dedizione.
(Cfr. LG 7, 8, 9, 10, 12, 13, 23,
27, 31-33, 36, 40, 41, 45).
La Chiesa è una comunione sa-
cramentale o di culto, nel senso che
la comunione di fede, speranza e ca-
rità dei fratelli viene alimentata at-
traverso i sacramenti e trova la sua
espressione più alta nella comune
partecipazione al sacrificio eucari-
stico che è contemporaneamente co-
munione con Cristo e comunione
con i fratelli. li vero spirito di co-
munità trova la sua sorgente e il
suo vertice nella vita. liturgica. (Cfr.
Presbyteromm ordinis 6e).
La Chiesa è comunione sacerdo-
tale, regale e profetica, perché pos-
siede un comune sacerdozio regale e
m.agisteriale, partecipazione del Sa-
cerdozio sommo ed eterno di Cristo.
(Cfr. LC ro-12, 34-36).
La Chiesa è comunità carismatica,
poiché in essa c'è la pienezza dei
doni dello Spirito e tutti i suoi
membri hanno ricevuto almeno dei
carismi ordinari e comuni da utiliz-
zare a bene della comunità stessa.
(LG nn. 7, 12, 30).
La Chiesa è comunità missionaria,
perché tutti i membri del Popolo di
Dio, innestati vitalmente nel Corpo
Mistico di Cristo, sono partecipi
della missione di Cristo, per cui a
tutti incombe l'obbligo della testi-
monianza, dell'evangelizzazione, e
tutti devono essere segno e veicolo
di redenzione, santificazione e ricon-
ciliazione in modo che l'intera uma-
nità diventi Chiesa (LG 17; Ad
Ge11tes 35-37; Apostolicam actuosi-
tatem 2).
La ChieS;ll è ancora una comunità
strutturata, in quanto in essa i mi-
16 nisteri qualificati o potestativi ven-
gono esercitati da un gruppo parti-
colare di persone, i Pastori della co-
munità locale, che debbono essere
in comunione gerarchica con il col-
legio episcopale.
Benché Popolo di Dio, Corpo mi-
stico di Cristo, Tempio vivente dello
Spirito ed unita in comunione mi-
steriosa ma reale con la Chiesa ce-
leste e purgante (comunione dei santi),
la Chiesa pellegrina in terra è pec-
catrice, è in perenne stato di riforma
e di rinnovamento, scandisce ogni
giorno il suo confiteor, il suo nobis
quoque peccatodlms.
In particolare la Chiesa locale,
sia essa la comunità religiosa, la
parrocchia, o la diocesi deve essere
in rapporto di comunione piena, sia
spirituale che giuridica e operativa
con tutte le Chiese locali nell'ambito
dell'unica Chiesa universale, che si
definisce appunto (( comunione di
chiese locali» (LG 2-3).
c) IL LAICO,
UOMO DELLA COMUNIONE
Essere membro della Chiesa, vuol
dire essere un fedele in comunione
col Padre per mezzo di Cristo nello
Spirito Santo e in comunione con
tutti gli altri membri della Chiesa.
Vivere da membro della Chiesa si-
gnifica vivere in comunione totale
con la Trinità, in comunione con i
membri della propria comunità ec-
clesiale, e della Chiesa universale.
11 laico, quindi, al pari di ogni
altro membro della Chiesa, è uomo
di comunione, è credente che vive,
lavora e opera in piena comunione
con Dio, con la Chiesa e con l'uma-
nità. I suoi rapporti di comunione
con i membri della sua comunità
sono quelli che caratterizzano la
Chiesa stessa come comunione, di
cui si è appena trattato: sono cioè
rapporti di fratellanza, di fede, spe-
ranza e carità, di dedizione e di ser-
vizio, di missione o di apostolato,
di testimonianza e di culto...
L'essere e il vivere in comunione
comporta sul piano della me11talità
il superamento di ogni forma di
classismo, di antagonismo, e la co-
scienza di appartenenza, di essere
«con altri », di essere <• per gli altri •>,
di essere <• a servizio di altri », di
vivere e lavorare« con•►, «per>► e a ser-
vizio di altri, la coscienza di essere
effettivamente e fattivamente un<< noi».
Essere e vivere in comunione com-
porta sul piano operativo la colla-
borazione e il lavoro in sinergia.
Evidentemente tale collaborazione as-
sumerà gradazioni differenti a se-
condo che si tratta di compiti da
assolvere unicamente col contributo
dej componenti di una comunità o
gruppo senza particolari rapporti con
la Gerarchia, o di compiti da assol-
vere in una più o meno stretta col-
laborazione con la Gerarchia stessa
secondo, quanto è stabilito nel capi-
tolo V del decreto sui Laici.
Per quanto riguarda in particolare
il movimento dei Cooperatori sale-
siani che si pongono come organismo
laicale operante su <• mandato della
Gerarchia», rappresentata dai Su-
periori salesiani, si impone qualche
chiarificazione. Occorre in questo
settore evitare atteggiamenti estre-
misti contrari agli indirizzi che ci
vengono dal Nuovo Testamento. Oc-
corre da un lato evitare di concepire
la collaborazione in termini e con
uno spirito democratico e rivendi-
cativo, caratteristici della nostra e-
poca, che giungono praticamente alla
eliminazione dell'autorità, in quanto
anche la «decisione» verrebbe presa
effettivamente dal gruppo organiz-
zato e non da chi in esso ha tale
compito, che però è un servizio qua-
lificato. Occorre d'altro lato evitare
certe forme di autoritarismo che si
verificano ad esempio nel caso in
cui l'autorità competente restringe
il campo della. collaborazione alla
sola fase di esecuzione, e non per-
mette l'intervento effettivo dei mem-
bri del gruppo o della comunità
ad esempio nella fase di progettazione,
di studio delle soluzioni, dei mezzi e
dei metodi, di bilancio e di critica
dei risultati ottenuti o non raggiunti.

2.7 Page 17

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Nel pensiero e nello spmto del
Vaticano II, anche l'autorità e la
decisione che da essa emana devono
rispettare l'intima sostanza della
Chiesa come comunione. TI che com-
porta che «la decisione l>, pur ri-
manendo di competenza dell'autorità
gerarchica, venga tuttavia - ai di-
versi livelli e a seconda dei casi -
preparata, illuminata, incoraggiata nel
suo nascere e formularsi; sostenuta
ed attuata nel suo svolgersi e nel suo
cammino verso l'obiettivo da raggiun-
gere; fraternamente valutata nel suo
attuarsi e ad obiettivo raggiunto, con
l'apporto effettivo dei carismi di
tutti i componenti la comunità o
gruppo apostolico.
Essere e vi.vere in comunione
comporta sul piano strutturale delle
strutture cli comunione, cioè forme
apostoliche organizzate, organismi di
studio, di consulta, gruppi operativi
ecc. La forma organizzata dell'apo-
stolato dei laici trova la sua sorgente
e il suo fondamento dommatico nella
sostanza comunitaria della Chiesa.
(Cfr. Apostolicam actitositatem 18).
Da ultimo, essere e vivere in co-
munione comporta sul piano morale
l'obbligo umano e cristiano fonda-
mentale della corresponsabilità e della
solidarietà che legano ed impegnano
tutti i membri della Chiesa.
d) ELIMINAZIONE
DI ALCUN1 GROSSI MALI
La realtà 'comunione' che caratte-
rizza la situazione di ogni membro
della Chiesa esige l'eliminazione di
alcuni grossi mali che hanno inciso
più o meno negativamente nella vita
deila Chiesa anche negli ultimi se-
coli. Sono mali denunciati espressa-
mente e a più r.iprese da numerosi
Padri conciliari• soprattutto in sede
di discussione del tema dei laici.
Si tratta innanzi tutto del «cleri-
calismo » nelle sue molteplici mani-
festazioni; tra esse occorre qui ri-
cordare le seguenti: il timore di
vedere i laici giungere a maturità
nella Chiesa; la tendenza del clero di
sostituirsi ai laici in compiti loro
propri; l'inclinazione molto comune
tra i sacerdoti di considerarsi in una
<< condizione di eccezione» rispetto
agli altri cittadini; un certo «com-
plesso braminico o cli casta >> che
sarebbe proprio di larghi strati del
clero e che è frutto di determinate
condizioni socio-culturali ricevute in
eredità dal passato; l'abuso di potere
e l'esercizio del medesimo a proprio
vantaggio.
Si tratta in secondo luogo di un
certo «infantilismo laicale » dovuto
al fatto che la stragrande maggio-
ranza dei fedeli è stata per lungo tem-
po considerata come puro oggetto
di cura pastorale, e mantenuta in
tutela e al sicuro dietro lo scudo
e le mura della Chiesa impersonifi-
cata nel Clero e nei Religiosi. Il
Concilio ha voluto una promozione
dei laici nel senso di una loro ma-
turazione cristiana; ha voluto che
siano dei membri attivi e responsa-
bili, dei veri collaboratori in seno
alla comunità locale, come alla.Chiesa
particolare e a quella universale a
seconda delle loro possibilità e vo-
cazioni.
Si tratta ancora cli certo << individua-
lismo ecclesiastico e laicale >) alla cui
base c'è il desiderio cli affermarsi,
cli raggiungere una posizione di po-
tere, o semplicemente l'inclinazione
ad operare in modo autonomo, con
non curanza per i necessari rapporti
cli comunione con gli altri membri
della comunità locale o della par-
rocchia o della diocesi ecc.
Si tratta, da ultimo, delle molte
forme di 'paternalismo' e soprat-
tutto di quella che considera conces-
sione benigna oppure un regalo
quanto invece è dovuto e costituisce
un diritto da riconoscere francamente
e da rispettare.
Il Ecclesiologia di missione
Tocchiamo qui un tema che per
la prima volta un Concilio ecumenico
ha affrontato in forma sistematica:
quello dei rapporti della Chiesa con
il Mondo, inteso nel senso della co-
stituzione Gaudimn et spes n. 2.
Come la missione di Cristo ha
avuto per obiettivo la redenzione
dell'umanità e la ricapitolazione del-
l'intero creato in se stesso, cosl la
Chiesa, che rappresenta la Nuova
Umanità riconciliata con Dio e con
se stessa, è stata voluta dal suo
Fondatore in vista dell'umanità ed
è stata inviata all'umanità. La Chiesa
e quindi a servizio dell'umanità, se-
condo l'indovinata espressione tante
volte usata dal Vaticano II e sovente
ripresa da Paolo VI nei suoi cliscorsi,
ad esempio anche nel discorso di
chiusura del Sinodo. La Chiesa ha
come fine quello di costruire un
mondo e un'umanità più degna, più
giusta, più fraterna e di operare
perché tutti gli uomini, nel susse-
guirsi delle generazioni, divengano
Popolo di Dio, Corpo cli Cristo,
Tempio vivente dello Spirito in
modo che l'intero cosmo sia ricapi-
tolato in Cristo Signore.
a) LA PARTECIPAZIONE PROPRIA DEL
LAICO ALLA MISSIONE DELLA CHIESA
VERSO IL MONDO
Il laico partecipa a questa missione
della Chiesa verso l'umanità in un
modo •particolare che qualifica e ca-
ratterizza il suo apostolato. Di tale
nota specifica della missione del laico
nel mondo parlano in termini molto
chiari la Lumen Gentium ai nn. 31b,
35-36, e il decreto Apostolican ac-
tuositatem soprattutto ai nn. 3 e 7.
Per necessità di cose debbo qui limi-
tarmi ad alcuni accenni molto som-
mari.
La missione propria del laico nel
mondo non consiste semplicemente
nel vivere in ~ una situazione mon-
dana» comune peraltro a tutti i cit-
tadini di questo mondo, e neppure
nell'apporto materiale che egli offre
e può offrire con il suo lavoro al
progresso della cultura, della politica,
dell'economia, e alla costruzione in
genere cli un mondo e di una umanità 17

2.8 Page 18

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migliore. Tutto questo non lo dif-
ferenzi.erebbe, da qualsiasi altro laico
non cristiano e non credente.
La missione specifica del laico nel
mondo consiste invece nel costruire
il mondo e nel contribuire a creare
un'umanità secondo l'ordine voluto
dal Creatore, ed inoltre nell'inserire
nell'umanità i valori spirituali, mo-
rali e sociali tipicamente cristiani,
quali la verità, la giustizia, la fratel-
lanza umana e cristiana, la carità,
la libertà dei figli di Dio, la reden-
zione dal male operante nel mondo,
lo spirito delle beatitudini, la pace.
In altre parole, la presenza del
laico nel mondo non deve essere
una presenza ~qualunque>>, ma « cri-
stiana •• ovvero ecclesiale •• cioè
espressione della presenza della
Chiesa.
Come attua il laico questo suo apo-
stolato specifico? Nell'esercizio delle
funzioni assunte nel Battesimo e
nella Cresima. Innanzi tutto attra-
verso la testimonianza della parola
e della vita vissuta nelle condizioni
proprie di eh.i vive nel mondo del
lavoro, nell'ambiente di famiglia e dei
rapporti sociali ecc.
In secondo luogo attraverso il
culto, che deve essere non puramente
rituale, cioè, fatto di formule e di
preghiere che restino a1 margine e
alla corteccia della sua esistenza quo-
tidiana, ma persu11ale, consistente
nell'offerta della sua persona e del-
l'intera sua attività e vita in unione
con la Chiesa. Nella contemplazione
del mistero di Cristo, perfetto ado-
ratore del Padre con l'offerta totale
di se stesso quale vittima di ricon-
ciliazione, il Concilio supera una
concezione estrinsecista del culto,
e presenta il culto cristiano come
l'offerta dell'intera Chiesa unita al-
l'offerta di Cristo Capo; tale offerta
trova la sua espressione qui in terra
più alta e più gradita al Padre nel
sacrificio eucaristico. (Cfr. LG 34,
Presbyterorum Grdi11is 2d).
In terzo luogo attraverso il ser-
vizio verso gli altri, ovvero attraverso
18 la cosiddetta «animazione cristiana
delle realtà terrestri», che si ottiene
con l'innesto nel tessuto umano dei
valori tipicamente cristiani.
Sembra opportuno ricordare an-
cora che questa presenza propria,
anche se non esclusiva, del laico
nel mondo esige da parte sua una
competenza professionale, una ma-
turità cristiana e un impegno apo-
stolico non indifferenti. Richiede
inoltre da parte della Gerarchia che
lasci al laico il margine di autonomia
e di libertà di azione necessari perché
egli possa svolgere la sua attività nel
mondo nel modo più efficace e più
rispondente ai doni largitigli dallo
Spirito di Cristo, salvi restando, ov-
viamente, i rapporti di comunione
vigenti in seno alla Chiesa come
comunità gerarchicamente struttu-
rata. (Cfr. LG 33, 37; Apostolicam
actuositatem, capitolo V; Presbytero-
mm ordini.s 9).
b) LA SPIRITUALITÀ SPECIFICA
DEL LACCO
Nel capitolo V della Lumen Gm-
tium e nei decreti relativi alle sin-
gole categorie di membri della Chiesa,
il Concilio ha delineato a larghi
tratti la spiritualità che, nel quadro
dell'unica santità cristiana, è carat-
teristica dei Vescovi, dei Sacerdoti,
dei Laici e dei Religiosi. È una
spiritualità saldamente ancorata alle
diverse forme e gradi di consacrazione
e alle funzioni difTerenti e proprie
di dette categorie di membri. Anche
in questo settore il Vaticano JI ha
supcr.ito una certa contrapposizione
che a volte si è voluto porre tra
missione e santificazione, tra voca-
zione alla santità e vocazione all'apo-
stolato.
Nel suo nucleo centrale l'insegna-
mento conciliare si riduce a questo:
la santità e la santificazione sono
strettamente unite all'esercizio della
missione propria di ogni categoria
di membri della Chiesa. La santità
di un membro del Popolo di Dio deve
realizzarsi non «ai margini », o «ac-
canto•• ma nell'esercizio della fun-
zione o ministero che esso è chia-
mato a compiere nell'ambito della
missione generale della Chiesa.
La spiritualità del laico, comune-
mente qualificata come • spiritualità
di incarnazione >1, è fondata cd è esi-
gita dalla sua vocazione cristiana e
dalla consacrazione ricevuta nei sa-
cramenti dell'iniziazione; è vital-
mente legata alle funzioni di teb'timo-
nianza, di culto e di servizio di cui
è stato investito nel Battesimo e nella
Cresima; viene realizzata pratica-
mente nell'esercizio di dette fun-
zioni in una situazione di vita 'se-
colare' che gli è propria, cioè nell'am-
biente di famiglia, di lavoro e in
tutti quei settori della vita umana
in cui egli vive ed opera. (Cfr. Aj><>-
stolicom achlositotem 4).
Rilievi conclusivi
Tentando di riassumere quanto
abbiamo esposto, potremmo dire che
il laico del Vaticano II è. una persona
consacrala, la quale nel Popolo di
Dio possiede una posizione di ugua-
glianza in rapporto a tutti gli altri
membri quanto a dignità, a missione
e a vocazione alla santità; è una
persona che partecipa delle funzioni
di testimonianza, di culto e di ser-
vizio proprie di Cristo Sacerdote,
Maestro e Signore cd è quindi in-
vestita di una missume cui è abilitata
dalla presenza operativa dello Spirito
Santo e dai doni o carismi che dal
medesimo Spirito vengono libera-
mente largiti per il bene della Chiesa;
è una persona chiamata a vivere ed
operare in com1mio11e con altre per-
sone, a esercitare il suo apostolato
e a realizzare una particolare norma di
santità nella condizione 'secolare' in
cui quotidianamente vive ed opera
quale membro attivo e responsabile
della Chiesa.
Sono questi alcuni tratti nuovi che
il laico del post-Concilio deve fare
propri per essere all'altezza della
missione che l'intera Chiesa è chia-
mata a svolgere oggi nel mondo.

2.9 Page 19

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Il Cooperatore Salesiano è un u Salesiana''
al servizio della Chiesa con Don Basca
Don Guido Favini
D on Favini iniziò la tratta-
zione del tema assegnatogli
chiedendo scusa ai Delegati
anziani che avrebbero dovuto riudire
cose già loro note.
Precisò poi subito che la Pia Unione
dei Cooperatori Salesiani non è una
associazione laicale, ma un Terz'Or-
di11.e moderno composto, come tutti i
Terzi Ordini, di Ecclesiastici e di
Laici, di anime religiose e consacrate,
che vivono nel loro stato particolare
uniti ai Salesiani e alle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice con lo stesso spirito
di apostolato in servizio della Chiesa
secondo le loro condizioni.
L'associazione nacque storicamente
così, formata dai primi collaboratori
di Don Bosco nell'opera degli Ora-
tori, Sacerdoti e Laici.
E cosi la definì Pio XI nel de-
creto de tuto per la canonizzazione
di Don Bosco: <, Nec sil.entio praeter-
eunda est Cooperatorum institutio:
fideli"um plerumque laicomm videlicet
consociatio, qui Salesianae Socie-
tatis spiritu animati, et cum ea ad
omne caritatis opus parati, validum
auxiliwn Parochis, Episcopis, immo
ipso Summo Pontifici pro rerum ad-
junctis praeberent. Actionis Catho-
licae nobile rudimentum, Pius IX
consociationem liane adprobavit. B.
Johanne ad.bue vivente, octoginta
milia Cooperatorum adnumeraban-
tur ». (M. B. XIX, 242). Ma fu costi-
tuit;i come «terziariato salesiano>>
- per usare un'espressione del Santo
fondatore - solo nel 1876, quando
la S. Congregazione dei Vescovi e
Regolari impose lo smembramento dei
Cooperatori dalla Società Salesiana.
Don Bosco infatti aveva ideato
un'unica Congregazione religiosa com-
posta di religiosi legati da voti a vita
comune e semplici collaboratori (eccle-
siastici e laici) viventi nel secolo senza
voti, secondo la propria condizione.
Gli uni e gli altri, Salesiani internì
e Salesiani esterni, a servizio della
Chiesa.
Egli stesso documentò la costitu-
zione primigenia all'arcivescovo di
Torino mons. Lorenzo Gastaldi, con
un memoriale di sette facciate auto-
grafe, del 1876, riportato nelle M. B.
XI, 84-86, in cui, tra l'altro, si legge:
<< La storia dei Cooperatori Salesiani
rimonta al 1841, quando si cominciò
a raccogliere i ragazzi poveri ed ab-
bandonati, nella città di Torino. Si
raccoglievano in appositi locali e
chiese; erano tr_attenuti in piacevole
ed onesta ricreazione, istruiti, av-
vtatl a ricevere i santi Sacramenti
della Cresima, della Confessione e
della Comunione. Al disimpegno
dei molti e svariati uffizi unìronsi
parecchi signori che coll'opera per-
sonale e con la loro beneficenza so-
stenevano la cosi detta opera degli
Oratori festivi. Essi prendevano il
nome dell'uffizio che coprivano, ma
in generale èrano detti benefattori,
promotori cd anche cooperatori della
Congregazione di San Francesco di
Sales.
Il superiore di questi Oratori era
il sac. Bosco, che, operando in ogni
cosa sotto alla immediata direzione
ed autorità dell'Arcivescovo, eser-
citava il suo ministero ricevendo le
opportune facoltà oralmente e per
lettera. Ogni volta che si presen-
tavano diflìcoltà, l'Ordinario le ap-
pianava per mezzo del Sac. ]fosco.
Le facoltà di amministrare i santi
Sacramenti della Confessione e Co-
munione, soddisfare al Precetto Pa-
squale, ammettere i fanciulli alla
S. Comunione, predicare, fare tridui,
novene, esercizi spirituali, cantar
Messa furono le prime concessioni di
mons. Arciv. Fransoni.
I cosiddetti promotori e coopera-
tori Salesiani, costituiti come io vera
Congregazione sotto al titolo di
S. Francesco di Sales, cominciarono
ad ottenere anche dalla S. Sede al-
cuni favori spirituali con rescritto
r8 aprile 1845 (sottoscritto: pro Do-
mino Card. A. del Drago, L. Ave-
rardi, Substitutus...). Nel 1850 il
Sac. Bosco esponeva a S. S. essere
stata legittimamente eretta in quella
città una congregazione sotto al ti-
tolo e protezione di S. Francesco di
Sales e si dimandavano più ampi
favori agli aggregati ed altri ai non
aggregati. Tali favori erano concessi
con rescritto 28 settembre 1850, fir-
mato: Dominicus Fioramonti SS.mo
D.no N. ab epistol. latinis. La Con-
gregazione dei Promotori Salesiani
essendo così di fatto stabilita in
faccia alle autorità ecclesiastiche locali
ed anche della S. Sede, atteso la
moltitudine di poveri fanciulli che
intervenivano, fu necessario di aprire
altre scuole, altri Oratori festivi in
altre parti della città. Affinché fosse
poi conservata l'unità di spirito, di
disciplina e di comando, e si fon-
dasse stabilmente l'Opera degli Ora-
tori, il Superiore ecclesiastico con
Decreto o patente 31 marzo 1852
ne stabiliva il Sac. Bosco Direttore
Capo con tutte le facoltà che fossero
a tal uopo necessarie o semplicemente
opportune».
Dopo questa dichiarazione la Con-
gregazione di Promotori salesiani si
giudicò sempre come canonicamente
eretta e le relazioni con la S. Sede
furono sempre praticate dal Superiore
di quella.
Dal 1852 al 1858 furono concessi
vari favori e grazie spirituali; ma
in quell'anno la Congregazione fu
d ivisa in due categorie o piuttosto
in due famiglie. Coloro che erano
liberi di se stessi, e ne sentivano vo-
cazione, si raccolsero a vita comune,
dimorando nell'edificio che fu sem- 19

2.10 Page 20

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pre avuto per casa ma.dre e centro
della pia associazione, che il Sommo
Pontefice consigliò di chiamare Pia
Società, con cui tuttora è denominata.
Gli altri, ovvero gli esterni, conti-
nuarono a vivere in mezzo al se-
colo in seno alle proprie famiglie;
ma proseguirono a promuovere l'o-
pera degli Oratori conservando tut-
tora il nome di Unione o Co11grega-
.:::io11e di S. Francesco di Sales, di pro-
1110/ori e di cooperatori; ma sempre dai
soci dipendenti, e con i medesimi uniti
a lavorare per la povera gioventù.
• el 1864 la S. Sede commenda,·a
la Pia Società Salesialla e ne:. costi-
tuiva il Superiore. Xcll'approvazione
di questa, avvi la parte che riguarda
gli esterni, che furono sempre detti
promotori o benefattori, ulcimarncnte
Cooperatori Salesiani. Nel 1874 ne
approvava definitivamente le Costitu-
zioni, sempre sotto il nome di Pia
Società. l\\la, considerando sempre i
membri dell'antica Congregazione Sa-
lesiana come cooperatori e promotori
delle opere che i soci intraprende-
vano, e a cui essi prestavano aiuto
nelle scuole, nelle funzioni religiose,
e ricreazione festiva e alle cose che
solevano compiersi in mcz1,0 al se-
colo, nel 30 luglio 1875, la Sacra
Congregazione dei Brevi concede,·a
al Superiore della Società Salesiana
che potesse concedcrt: I11dulgm1ias et
gratias !pirituales socie/ali rpsia S. Sede
concessas, ai suoi antichi cooperatori,
i1m'g11is be11efactorib11s co1m1m11ic011di
perinde tic si Iertiarii esseni, iis exceptis
quae ad vilam commu11em prrti11e11t.
Questi benefattori sono quelli stessi
che furono sempre deni Promotori o
Cooperatori e che nelle costitu1,ioni
Salesiane antiche hanno un capo a
parte e sono detti esterni. Pertanto
quando per benigna concessio1te della
S. Sede si concedevano novelli e più
ampi favori ai cooperatori salesiani e
si accennava alla pia Christijidelium
Sodalitas, ca11011ice instituta, ruius so-
dQ/es praeserlm1 pauperum ac dere-
liclor11111 puerorum curam mscipere
sibi propo111111t, si riferiva:
1. A quegli antichi Promotori di
20 fatto approvati e riconosciuti per
dieci anni come veri Cooperatori
dell'Opera degli Oratori, formalmente
costituita colla patente del 1852, e
che contimsarono ad essere aggregati
viventi nel secolo, quando alcuni di
essi cominciarono a far vita comune
con le regole proprie nel 1858.
2. Questi associati o la Pia Società
Salesiana fu sempre la direttrice di
quei benefattori che, secondo le regole
loro proposte, si prestavano con zelo
e carità ad aiutare moralmente e ma-
terialmente i Congregati (XI, 8+-86).
Merita rilievo anche un bigliettino
che Don Bosco mandò a don Rua
da Roma me1ttre studiava questa ri-
sposta all'Arcivescovo. Insistendo per-
ché si facesse restituire dalla Curia
il Breve di Pio IX, che la Curia
tratteneva: «•.. manda qualcuno che
di.mandi il Breve, affinché non si
perda... non si stamperà a Torino
e quin<li non occorrono quistioni...
Se poi dimandano con insistenza do,e
e chi istituì i Salesia11i Cooperatori,
dirai che qui a Roma da una persona
di autorità grande mi si disse: Quando
una Congregazione Romana emana un
Breve o un Decreto, non suole dare
se non le ragioni tspresse in questi ; e
che le auiorità locali de,•ono solamente
esaminare l'autenticità dell'atto, ma
non le ragioni preventive• (XI, 82).
Va ben sottolineato quel Salesiani
Cooperatori, perché specifica il co-
mun denominatore: Salesiani; e la
differenza: Cooperatori.
Chiaro dunque che i Cooperatori
sono veri confratelli dei salesiani per
Don Bosco; la loro missione è di
cooperare con i Salesiani.
Nel seroizio della Chiesa. Tutta
la Congrcg.i.zione con la sua triplice
famiglia è a servizio della Chiesa:
Salesiani, Figlie di Maria Ausi-
liatrice, Cooperatori.
Ma c'è un altro rilievo da fare.
Ed è che Don Bosco concepi dapprima
la Società Salesiana solo per la dire-
zione di Oratori parrocchiali, in
aiuto ai Parroci ed ai Vescovi. Lo
ricordò espressamente dopo il primo
Capitolo Generale di fronte alla que-
stione dei voti triennali che non gli
davano sufficiente fiducia. li 18 ot-
tobre 1878 confidava a don Bar-
beris e don Guidazio: • Avevo messo
i voti triennali perché da principio
avevo in menre di formare una Con-
gregazione che venisse in aiuto ai
Vescovi (offrendo loro il personale per
gli Oratori); ma siccome non fu possi-
bile e mi costrinsero a fare altrimenti,
i voti triennali ci tornano più d'in-
ciampo che di vantaggio» (XIV, 47).
Infatti le prime regole abbozzate
nel 1857 e portate a Roma nel 1858
avevano i seguenti articoli: « I voti
saranno per due volte rinnovati di
tre in tre anni. Dopo sei anni ognuno
è libero di rinnovarli di tre in tre
anni, oppure farli perpetui, cioè ob-
bligarsi ali' 'adempimento dei voti
per tutta la vita'>► (c. XIII, art. 4).
~ I voti obbligano l'individuo finché
egli dimorerà in Congregazione. Co-
loro che, o per ragionevole motivo o
dietro prudente giudizio dei supe-
riori, panono dalla Congregazione,
possono essere sciolti dai loro voti
dal Superiore Generale della Casa
Maestra» (c. IV, art. 9).
Si legga anche quel che ripeté ai
Direttori radunati ad Alassio nel 1879
quando decise che si preferissero i
noYizi disposti a far subito i voti per-
petui (XIY, 47-47). Dal 1879 la mag-
gioranza prese a farl_i subito perpetui.
«Se avvcng-.i di dover stabilire
qualche nuova casa, il Superiore
Generale concerti prima quanto ri-
guarda allo spirituale cd al temporale
col Vescovo della Diocesi in cui quella
intende aprirsi, secondo le regole del
governo di casa come infra» (c. Xli,
art. 1), (l\\I. B. XIV, 48).
«Se poi la novella casa fosse un
piccolo seminario od un seminario
per chierici adulti, allora, oltre alla
dipendenza nelle cose del sacro mini-
stero, vi sarà cziandio piena dipen-
denza dal Superiore ecclesiastico nella
scelta della materia di insegnamento,
nei libò da usarsi, nella disciplina
e anche nell'amministrazione tem-
porale nei modi stabiliti dal Rettor
Maggiore t (c. XII, art. 2).
~ I soci destinati per una casa no-
vella non devono essere meno di due,

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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di cui almeno uno deve essere sacer-
dote. Il Superiore prenderà il nome
di Direttore. Ma la sua autorità è
limitata alla casa al medesimo affi-
data» (c. XII, art. 3).
Per il testo completo di questo
primo abbozzo delle regole della So-
cietà Salesiana si può vedere il vo-
lume VII delle M. B., pp. 87r-886.
A p. 885, ecco il capo XVI con i
primitivi cinque articoli riguardanti
i Cooperatori: lìSTERNr
1. Qualunque persona anche vi-
vendo nel secolo, nella propria casa,
in seno alla propria famiglia può ap-
partenere alla nostra Società.
2. Egli non fa alcun voto; ma pro-
curerà di mettere in pratica quella
parte del Regolamento, che è com-
patibile con la sua età, stato e con-
dizione, come sarebbe fare o pro-
muovere cetechismi a favore dei po-
veri fanciulli, promuovere la diffu-
sione di buoni libri, dare opera perché
abbiano luogo tridui, novene, eser-
cizi spirituali od altre opere di ca-
rità che siano specialmente dirette
al bene spirituale della gioventù o
del basso popolo.
3. Per partecipare dei beni spi-
rituali della società bisogna che il
socio faccia almeno una promessa al
Rettore d'impiegarsi in quelle cose
che egli giudicherà tornar a maggior
gloria di Dio.
4. Tale promessa per altro non
obbliga sotto pena di colpa nem-
meno veniale.
5. Ogni membro della Società che
per qualche ragionevole motivo uscisse
dalla medesima, è considerato come
membro esterno, e può tuttora par-
tecipare dei beni dell'intera Società,
pùrché pratichi quella parte del re-
golamento prescritta per gli esterni.
(M. B. VII, 885).
Questo capitolo fu contrastato dal
Consultore della S. C. dei Vescovi
e Regolari, il quale fin dal 1864
impose la eliminazione del 5° ar-
ticolo e propose la soppressione di
tutto il capitolo (VII, 626).
Don Bosco, preparata la traduzione
in latino, la ripresentò a Roma nel
1867, col capitolo XVI in appen-
dice, ridotto ai primi quattro articoli
leggermente ritoccati, scongiu-
rando che «Cum fere omncs Congre-
gationes et Ordines religiosi ha-
beant tcrtiarios quos amicos vel be-
nefactores vocamus, quique, spe-
cialiter bonum Societatis promovcn-
tes, sa.nctiorem vitam appetunt, at-
que Constitutiones religiosas in sae-
culo, quoad fieri poterit, observare
satagunt, ideo humiliter postulatur
ut hoc caput, si non in textu, saltem
in fìnem constitutionum tamquam
appendix approbetur >> (VII, 715). Nel
1869 Don Bosco ottenne l'approva-
zione della Società Salesiana; ma non
delle Costituzioni, che venne ri man-
data per uno studio più accurato.
Quando nel 1873 la S. C. dei Ve-
scovi e Regolari riprese lo studio per
l'approvazione, il Consultore P. Bian-
chi, dei Domenicani, richiese l'assoluta
esclusione del cap. XVI, già richiesta
dal primo Consultore P. Savini, Car-
melitano. H si impose a Don Bosco
l'immediata espunzione. Don Bosco,
che aveva già fatto stampare a Torino
il testo integrale, s'affrettò a curare una
nuova edizione senza il capo XVI alla
tipografia di PropagandaFide in Roma.
Lo ripresentò ed ottenne l'approvazio-
ne delle Costituzioni, il 3 aprile 1874.
Tornato a Torino si mise subito a
varare l'organizzazione dei Coopera-
tori sotto forma di Terz'Ordine mo-
derno, ma col semplice titolo di Pia
Unione. Presentò il testo diretta-
mente al Santo Padre Pio IX, che
accettando lo smembramento, volle
incluse anche le Cooperatrici e, sen-
;r.'altr;:a procedura, commendò la Pia
Unione col l3reve del 9 maggio 1876
arricchendola di tutti i favori spiri-
tuali dei Terziari Francescani.
La documentazione è ormai di
dominio pubblico nelle Memorie Bio-
grafiche e nei volumetti:
CER1A, I Cooperatori Salesiani
FAVINJ, Don Bosco e l'aposttJl.ato dei
laici
FAVINt, Il cammino di una grande
idea
FAvmr, I Cooperatori Salesiani di
Don Bosco.
Inoltre: nelle varie annate del << Bol-
lettino Salesi;rno J>, negli Annali della
Società Salesiana; nel «Bollettino
Dirigenti>>; negli atti dei Congressi
Mondiali, cui si rimanda. Per il ri-
conoscimento definitivo si legga il
discorso di Pio XII aJ Congresso
Mondiale di Roma, 12 settembre
1952.
Da tutte le fonti risulta ben chiaro
che:
r. Don Bosco ha istituito i Coo-
peratori Salesiani e li ha organizzati
fin dal 1876, non per avere dei sem-
plici benefattori delle sue Opere, ma:
a) dei collaboratori dei Salesiani
nello sviluppo del programma di apo-
stolato proprio della Società Salesiana;
b) delle anime apostoliche da met-
tere a servizio dei Vescovi, dei par-
roci e dello stesso Sommo Ponte-
fice, sotto l'alta (cioè molto generica)
direzione dei Salesiani per l'aposto-
lato sociale e specialmente per la
cura della gioventù;
c) per offrire, con l'esercizio del-
l'apostolato, un mezzo efficace di san-
tificazione ai buoni cristiani, secondo
lo spirito salesiano.
Tre affermazioni inequivocabili:
I. Al 1 Capitolo Generale della
Società Salesiana nel 1877 egli pre-
sentò i Cooperatori Salesiani come
(( l'anima della nostra Congregazume
che ci serve di legame per operare il
bene d'accordo e con l'aiuto dei buoni
fedeli che vivono nel secolo... prati-
cando tulio lo spirito dei Salesiani...
nostri collaboratori ili quello che si
prese11la da farsi per la maggÙJr gloria
di Dio... » (vedi FAVINI, Il cammino
di una grande idea, p. 90). Furono
poi i Capitolari ad alterare l'idea
di Don Bosco, sostituendo nelle de-
liberazioni la definizione << anima del-
la nostra Congregazione>> con que-
st'altra «braccio forte della nostra
Congregazione J>, che venne inter-
pretata come sostegno materiale. Tut-
tavia il senso genuino lo salvarono
con la deliberazione stessa all'art. 4:
«I Cooperatori e le Cooperatrici Sa-
lesitme non sono altro che buoni cri- 21

3.2 Page 22

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stioni, i quali, vivendo in seno alle
proprie famiglie, mantengono in nzezzo
al 111011do lo spirito della Congregazione
di S. Frmicesco di Sales, e l'aiutano
co11 mezzi morali e materiali, allo
scopo di favorire specialmente la cri-
slia11a educazione della gioventù. Essi
formano come un terz'Ordine e si
propongono l'esercizio di opere di ca-
rità verso il prossimo, sopraftuUo verso
lo giove71tù pericola11te » (ibìd., p. 94).
della Chiesa «cou D011 Bosco e co11 i
tempi,>.
Per questo i Cooperatori sono stati
ammessi nelle organizzazioni aposto-
liche della Chiesa, nelle consulte e
nelle organizzazioni di apostolato
dei laici.
Ultimi rilievi
2. Dopo la conferenza ai Coope-
ratori di Padova, tenuta da don
Pozzan, sottolineando l'intervento di-
retto del vescovo mons. Callegari
che spiegò personalmente aJ suo clero
il vero scopo della Pia Unione, Don
Bosco dichiarò, tra gli altri, a don
Lcmoyne, il t6 febbraio 1884: << Ho
studiato molto sul modo di fondare
i Cooperatori Salesiani. TI loro vero
scopo direi/o non è quello di coadiu-
vare i Salesiani, ma di prestare aiuto
alla Chiesa, ai Tfescovi, ai Parroci,
sollo l'alta direzione dei Saluiani, nelle
opere di beneficenza, come catecl1ismi,
ed11ca::ione di fanciulli poveri, e simili.
Soccorrere i Salesiani non è altro
che aiutare una delle tante opere che
si trovano nella Chiesa cattolica. È
vero che ad essi si farà appello nelle
urgenze nostre, ma essi sono stm-
me11to nelle mani del Vescovo• (Af. B.
XVII, 25).
Riguardano l'atrualità Conciliare
dell Pia Unione:
1. Don Bosco è un pioniere dello
spin.io e delle di.posizioni apostoliche
del Concilio. Egli ha vissuto inten-
samente, con anticipazione di oltre
un secolo, i'l misttro della salvezza
(Da mihi animas) e il Mistero della
Chiesa. Basterebbe ricordare che nel
1867 egli avviava il primo grande
dialogo tra il nuovo Regno d'Italia
e la Santa Sede. Difendere la Chiesa,
dillondere il Regno Dio.
2. Don Bosco è un pumiere della
orga11izzazio11e dei Laici ali'Aposto-
lato, uniti in stretta e fraterna col-
laborazione col clero, senza ambi-
zioni di cariche, ma con generosità
di servizio e concorde prestaiione
secondo i bisogni dei tempi. Nessuna
carica fra i Cooperatori: tutti io
servizio.
3. Al convegno Exallievi del 15 lu- 3. Con profondo se11,so di fa miglio,
glio 1886: <i/ Cooperò.tori sono il so- vivissimo senso ecclesiale, amplissima
.ugno delle opere di Dio per mezzo apertura sociale. Si studi bene il Re-
dei Salesia11i... Verrà un giar110 i11 golamento, se ne analizzino i ,'llri
cui il. nome di Cooperatore vorrà dire abbozzi, si meditino le sue parole
vero cristiano... I Cooperatori sa- ai salesiani, si rivedano le sue confe,
ranno quelli che aiutera,mo a pro-
muovere lo spirito cattolico (M. B.
XVIII, pp. 160-61).
renze.
4. Niente patemalismo. Don Bosco
ha compilato Regole e Regolamento,
Non devono quindi fuorviare gli consultando i suoi collaboratori, ra-
appelli di Don Bosco al soccorso gazzi cresciuti nelle sue case, Sacer-
ed agli aiuti materiali nelle confe- doti secolari e Laici dei suoi primi
renze e attraverso il «Bollettino Sa- Oratori. Le regole del 1857 le ha
lesiano»: ai Cooperatori, membri vivi proposte a studio ad otto dei più
della famiglia, si possono chiedere volenterosi; rivedute e sottoposte al
anche questi aiuti in casi urgenti, Sommo Pontefice Pio IX, le ha ri-
perché sentono i bisogni della fa- messe in mano a tutti i suoi prnru
22 miglia; ma il loro scopo è il seroizio aspiranti rcr un anno intero, acco-
gliendo difficoltà, osservazioni e con-
sigli ; le ha poi inviate a Roma con
la firma di tutti loro, come confon-
datori. Così ha fatto pei Cooperatori:
ne ha vagliato le possibilità e le
forze e le disponibilità. Non una
imposizione nel Regolamento, che è
solo direttivo e non precettivo. Si
legga bene l'avvertenza messa in fine
cd anche si ricordi il sistema da lui
tenuto nella organizzazione, così poco
burocratica, da potersi dire dome-
stica e familiare.
5. [11, co11tinuo dialogo. Basta leggere
l'art. 1 del capo IV del Regolamento
(originariamente, capo VI): t 1 mem-
bri della Congregazione Salesiana
considerano tutti i Cooperatori come
altrettanti fratelli i1L Gesù Cristo, e a
loro s'indirizzeranno ogni volta che
l'opera di essi può giovare alla mag-
gior gloria di Dio e a vantaggio delle
anime. Con la medesima libertd,
essendone il caso, i Cooperatori si ri-
volgeranno ai membri della Congre-
gazione Salesiana•·
Le strutturazioni susseguenti com-
pletarono l'opera organizzatrice di
Don Bosco senza alterarne lo spirito,
curando la formazione e l'abiHta-
zione apostolica dei Cooperatori con
senso veramente cattolico ed un'unica
preoccupazione: l'ortodossa rettitu-
dine dello spirito e dello zelo. Poi,
campo aperto e fervida generosa
cooperazione all'apostolato univer-
sale della Chiesa, secondo l'acuta
valuta7.ione di P. Larraona, oggi
Cardinale: Don Bosco si distingue
da tutti gli altri fondatori nella co-
stituzione della sua Terza Famiglia
spirituale, la Pia Unione dei Coo-
peratori, per: a) una somma discre-
ziorze nel proporre pratiche di pietà
ed esercizi spirituali (il necessario per
far dei buoni cristiani); b) per la
111msima ampiezza di apertura all'apo-
stolato: tutto il campo dell'apostolato
universale della Chiesa 1>.
Secondo le loro specifiche personali
attitudini ed inclinazioni - possiamo
conchiudere - con lo spirito e lo
zelo di S. Giovanni Bosco.

3.3 Page 23

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Il Delegato Cooperatori: un servizio essenzialmente
sacerdotale e salesiano per la Terza Famiglia
Schema della conferenza tenuta da don Giovanni Busato,
Rettore della Basilica di Maria Ausiliatrice in Torino.
leggere e rileggere e tener ben presente nella propria
attività apostoIica;
lumen gentium: cap. IV « I laici».
Apostolicam actuosltatem: in modo speciale:
cap. Il (< I fini dell"apostolato dei laici».
cap. IV « Vari modi di apostolato».
cap. VI « La formazione all'apostolato».
Alti del Capitolo Gen. XIX: cap. Xlii « Cooperatori Sa-
lesiani».
Manuale per i Dirigenti.
Spunti di riflessione
Importanza del Delegato: I Cooperatori Salesiani dipen-
dono da Lui: normalmente prendono il grado della sua
temperatura apostolica salesiana.
Aspetti del Delegato:
I ... giuridico: « In ogni casa salesiana il superiore re-
sponsabile del Centro é il Direttore... ll (M. D . pag. 57).
Quindi il sacerdote responsabile, non Direttore, non é sem-
plicemente un incaricato, ma un delegato del Direttore...
Il ... ecclesiale: missione dalla Chiesa... « La cura della
Terza Famiglia Salesiana é un dovere ecclesiale, oltre che... »
(Atu Cap. Gen. - pag. 155).
Attraverso l'obbediem:a la Chiesa...
missione nella Chiesa e per la Chiesa: « L'apostolato dei
laici é quindi partecipazione alla stessa salvifica missione
della Chiesa...
sono soprattutto chiamati a rendere presente e ope-
rante la Chiesa in quei luoghi e in quelle circostanze, in
cui Essa non può diventare sale della terra se non per mezzo
loro... l> (L. G. num. 33).
È I·ora dei Laici: fu detto... ed é quindi l'ora dei Delegati...
lii .. salesiano. in una situazione di eccezionale posizione
apostolica, spiccatamente salesiana, se rettamente inteso e
attuato il programma di lavoro.
Ricorda il perchè Don Bosco ha istituito i Cooperatori
<< E dovere dei Superiori (Ispettori e Direttori) provvedere
il personale che abbia le doti, il tempo e i mezzi necessari
per esplicare il suo mandato. Nell'lspettoria non deve con-
siderarsi ·sciupato' o 'non sufficientemente occupato' il
personale solo perché non é impegnato in attività scolastiche
o similari... La missione della Congregazione attraverso la
cura dei Cooperatori. oggi specialmente, non è qualcosa
di supererogatorio: essa si esplica con molto vantaggio an-
che fuori della Casa, che diviene cosi centro d'irradiazione
apostolica e salesiana (Atti Cap. Gen. pag. 155).
Da questo aspetto ecclesiale salesiano, che scaturisce
dalla mIss1one ricevuta,
IV ..• l'aspetto pastorale (sacerdotale salesiano)
nella cura di formazione dei Cooperatori all'apostolato
ecclesiale e autenticamente salesiano (nota specifica che
distingue il movimento dagli altri...) Ved. Decreto sull'apo-
stolato dei Laici. Cap. VI « La formazione all'apostolato l>.
M. D. pag. 15 e 16...
nel qualificare in questa prospettiva gli iscritti
nel graduare dinamicamente la maturazione e !"attività
dei Centri dal potenziale base necessario:
<< I Direttori ed in genere tutti i Soci Salesiani si adope-
r lno per accrescere il numero dei Cooperatori...
... Ma non se ne faccia mai proposta se non a persone
già conosciute da noi o da altre di nostra fiducia per la loro
pietà e probità» (Don Bosco, M. B. XVI, 605-607; 1877).
« Gli elementi più qualificati per diventare Cooperatori
Salesiani ll (Atti Cap. Gen. pag. 158-159).
V ... l'aspetto ascetico personale: l'obbedienza mi situa
nella volontà di Dio, che è Amore in atto per me e per coloro
che Lui mi affida e per tutta l'umanità.
Saper quindi cogliere nel lavoro, nel sacrificio per essere
apostoli generosi, nelle difficoltà inevitabili e talvolta ab-
bondanti, negli scoraggiamenti. nelle incomprensioni... l'ele-
mento necessario per partecipare alla vita redentiva di Cristo
in noi, proprio, in modo specifico, come Delegato.
Da questi aspetti giuridico, ecclesiale, salesiano, pasto-
rale, ascetico i
Compiti (qualche cenno):
sapersi creare uno stile di lavoro,
per non perder tempo,
per essere efficaci,
per essere veramente apostoli salesiani.
Vedi Decalogo del Delegato Cooperatori M. D. pag. 59
sapersi scegliere Il potenziale apostolico come persone
e come luoghi.
« È dovere dei Superiori... acquistare, mediante uno
studio sistematico, un concetto genuino dei Coope-
ratori, degli scopi essenzialmente ecclesiali e aposto-
lici, e dei requisiti necessari per divenire Cooperatori ll
(Atei Cap. Gen. pag. 157)
saper conoscere personalmente i componenti e le ne-
cessità locali per
saper qualificare sempre più in senso spirituale e apo-
stolico, ecclesiale salesiano, Cooperatori e Centro.
Perciò: il Delegato è guida spirituale e apostolica dei
Cooperatori (non direttore spirituale in quanto Delegato)
e del Centro.
saper dirigere: non sostituirli (se non in casi... di estrema
necessità e non In modo permanente, altrimenti é segno che
il Centro non è vitale),
non fare direttamente, ma
saper animare tutto il movimento
con intelligenza (quindi bisogna aggiornarsi, studiare
i vari problemi, le varie situazioni, ecc.)
con sano ottimismo
con vivace d inamismo; « Non basta gridare che i tempi
son cattivi, che i malvagi... >l Boli. Sales. gennaio 1878
con una profonda fiducia nella sua missione in Cristo,
nella Chiesa, in Don Bosco, perché la Congregazione
è Chiesa...
con una filiale sicurezza nella operante presenza ma-
terna di Maria Ausiliatrice, Mater Ecclesiae e quindi
Auxilium Christianorum...
saper pregare per il Centro e i suoi componenti e il suo
lavoro, e far pregare...
Vedi : « Gli elementi più qualificati per diventare Coope-
ratori Salesiani ll:
g) I membri di Comunità religiose anche contemplative.
Atti Cap. Gen. pag. 1 59.
Per l'organizzazione vedi Manuale per i Dirigenti, Bol-
lettino Salesiano (edizior.'! dirigl;lnti), direttive del Centro
nazionale e ispettoriale.
23

3.4 Page 24

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Il Ramo Giovanile
Don Giuseppe Ferri, delegato lspettoriale per l'lspettoria Adriatica
1. Argomento necessario a trattarsi
perchè la cura di giova11i apostoli
è dovere ecclesiale, richiamatoci
dallo Spirito Sunto...
è dovere di amore verso la Con-
gregazione Salesiana e ,-erso Don Bo-
sco, se vogliamo la sopravvivenza e
la vitalità rinno,~Jta della Terza Fa-
miglia se \\'ogtinmo che non muoia
per vecchiaia e si estingua... non sa-
prei proprio con quale utile vantaggio
delle altre due Famiglie!
È necessario p.irlame, studiare as-
sieme - con senso di serietà e di
responsabilità, con ansia apostolica, -
le possibili soluzioni di rilancio, per-
ché, come in ogni campo, anche qui
non esistono solu7,ioni perfette pre-
fabbricate, immediate... 11è c'è da acce-
lerare imprudentemente i tempi, solo
per arrivare ad inquadrare e fare
numero... correndo rischi già corsi
da altri e da noi stessi... ad es.:
Unioni Uomini di Azione Cattolica
imposte alle Parrocchie... Iscrizioni
irresponsabili ai Cooperatori Sale-
siani (Schedario 1) ... polli di alle-
vamento accelerato: deludono!
2. Parlare di Cooperatori Gioi•ani,
significa parlare di "ri11giova11ire" la
'ferza Famiglia; significa "preparare"
i giovJni all'Apostolato Cristiano, in
stile salesiano, e buttarveli dentro.
Ma questo per i salesiani di Don
Bosco non è, non dovrebbe essere
una novità tale da creare chissà quali
apprensioni... perché non è che fare
quello che faceva Don Bosco, il
Fondatore... cd è, quindi, un do,·c-
roso, opportuno ritorno alle origini! a
Don Bosco.
Il quale, lo sappiamo bene, è u11
"inviato speciale" di Dio per una
"missione speciale": aiutare il Signore
a salvnre la Società, meglio, a costruire
il Regno di Dio, "salvando i giovani,
e per mezzo dei giovani" I
E proprio pPr questo lddio gli ha
dato 1m carisma particolare, da espe-
rimentare lui per primo e poi da
consegnare alla Chiesa tutta.
Sappiamo hene anche questo: che
lo Spirito Santo, datore di ogni dono,
ha dato a Don Bosco un carisma
speciale, che resterà, per sempre or-
24 mai, la sua l'.ardtterit-tirn originale.
Tale carisma è stato descritto come:
~ una nuova forma di presenza in
mezzo ai giov,mi: una presenza fatta
di bontà affettuosa, di amore\\'olezz1,
che costruisce con essi l'amicizia piil
vera, per poi intessere con loro un
dialogo di salvezza, e guidarli a
Cristo».
È 1111 1UW'UO stile pastorale da usarsi
con i giovani: quello del rapporto
personale, amichevole, con loro.
Stile che Don Dosco traduce in
uno spi.rito, in un modo moderno
di vivere il Vangelo, tale che piace
ai giovani cd alla gente di oggi.
Stile e spirito che altri non hanno,
stile e spirito che altri, pure impe-
gnati nell'apostolato, ci invidiano e si
sforzano di ricopiare...
D'altra parte questo carisma, stile,
spirito Do11 Bosro sa di averlo rice-
vuto non come dono personale per sé,
ma per metterlo a disposizione della
Chiesa ttttta;
ed è proprio in vista di questo
che egli fu ispirato dall'alto di dar
vita ai tre grandi eserciti <li apostoli
che costituiscono la Congregazione
Salesiana:
i Salesiani, religiosi, viventi in
comunità maschili,
le F.M.A., religiose, viventi in
comunità femminili,
e<l i Salesiani Cooperatori, senz,1
voti, viventi nel mondo.
Per mezzo loro Don Bosco intende
offrire la ricchezza del suo carisma
alla comunità ecclesiale.
3. Dicevamo: Don Bosco è cosciente
che la sua missione speciale è: dare
una mano a costruire il Regno di
Dio «salvando i giovani e per mcz:ro
dei giovani ~- Egli - prevenuto da
personali illustrazioni - sa che 11e
m;rà a milioni!
E allora ecco: egli li raccoglie ac-
canto a sé nei suoi Oratori, Isti-
tuti, Parrocchie, Missioni... li tiene
con 3, 5, 8 ... anni
li lievita, li fermenta cristianamente,
con il suo stile...
poi Li rihulfa nella massa più estesa
della vita sociale, nei vari campi
azione della vita ordinaria, fra tulle
le dassi sociali:
famiglia, fabbrica, impiego, campi,
commercio, sindacati, politica, sport...
perchè vi agiscano come "veri cristiani"
e "onesti cittadini" e lo lievitino; lo
fermentino a loro \\'Olta,
ripetn,do essi stessi ciò che hanno
visto fare da lui.
Cioè: Don Bosco si preoccupa di
averli accanto a
per farli "essere" cristiani, affinchè
poi "agiscano" da cristiani, ossia,
siano Cooperatori di Dio, nello spi-
rito che loro insegnai
4. Ecco, tra l'altro, perchè - quan-
do Don Bosco studia come organiz-
zare il suo terzo esercito <li apostoli
Laici: i Salesiani esterni i Coope-
ratori, - decisamente, fin dall'inizio,
pensa ai suoi ragazzi:
di lì vuole che escano, soprattutto
i Cooperatori.
!11/otti nei tre "abbozzi" di Rego-
lamento per i Cooperatori, ed in
quello "dcfinitivo", è costante nel
fissare l'età per la iscrizione: 16 anni
compiuti: t' ciò 110n solo per esigenze
di Diritto Canonico,
111<1 perchè pensa ai suoi giovani
che circa a 16 anni - finito il ginna-
sio e il corso di qualifica professio-
nale, - entravano nel mondo, biso-
gnoso di apostoli!
l,a con/erma ci viene:
1) dalla raie/a raccoma11da::io11e fissata
pcr iscritto, nel 1886, al n · Capitolo
Generale, relativa ~i giovani che fini-
vano il corso: È conveniente., se la
loro condotta fu abbastanza buona,
ascriverli tra i Cooperatori Salesiani~;
2) e da/I'invi/o da lui stesso più. wlle
ripetuto negli ultimi anni, perché i
suoi exallievi mi~liori e più vicini
a lui, passassero 111 massa nelle file
dei Cooperatori.
5. D1111q11e il pensiero di Don Bosco
è cMaro:
11011 solo persone esterne ed adulte,
per i Cooperatori;
ma a11d1e - forse soprattutto -
forze giovani I... e gli alJievi, le allieve
delle opere nostre e delle F.M.A.
do\\'Tebbero dare il mi~lior contin-
gente, come quelJi che, in tanti
anni di educazione salesiana vissuta,
ne hanno assorbito meglio lo spirito
e lo srilel

3.5 Page 25

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Son-0 essi che, entrando nel mondo...
vi portano, quasi inavvtrtitamente il
carisma, lo · spirito, lo stile affidato
dallo Spirito Santo al nostro fondatore.
Così che dove Don Bosco, i Sale-
siani, le F.M.A. non possono arrivare
direttamente, ci arriveranno con i
loro giovani, divenuti Cooperatori
di Cristo, in stile salesiano.
Ecco perclzè Don Bosco chiamava
i Cooperatori la sua longa matms!
Ecco pere/tè si può dire senza timore
di smentita, che Don Bosco ci teneva
tanto agli Oratori ed Istituti quanto
ai Cooperatori, e vedeva quelli come
riserve di questi!
E potrebbero essere sue queste pa-
role:
«Con gli Oratori ed Istituti... sal-
viamo centinaia, migliaia di giovani,
ma con i Cooperatori inondiamo il
mondo di salvatori di giovani >>.
6. Morto Don Bosco... battuta d'ar-
resto I
Lui: Santo, illuminato in maniera
particolare... per missione speciale...
vedeva lontano...
I Salesiani accanto: non altret-
tanto...
Lui: il battistrada ardito e pronto...
Gli altri: non altrettanto agili...
... e una penosa battuta d'arresto
ci fu!
Ci fu perfino chi- sprovveduto! -
suonò a morto... sui Cooperatori-
Apostoli (come Don Bosco li aveva
pensati ed avviati!),
per farne solo dei "benefattori"
delle opere Salesiane!...
... e parecchia polvere si posò sulla
figura genuina, originale del Coope-
ratore Salesiano1
Poi - è storia di ieri - toccò a
don Ricceri ricominciare a togliere
coraggiosamente quella polvere dalla
figura del Cooperatore Salesiano, e
ridare... ossigeno alla Terza Famiglia
di Don Bosco.
7. Poi... poi c'è stato 1t11 avveni-
me11to straordinario: un intervento
straordinario di Dio nella vita della
sua Chiesa: il Concilio Vatica,10 Il.
È stato un vento Pentecostale che
ha arieggiato la casa di Dio, dissi-
pando la cenere che aveva ricoperto
tanti doni e carismi dati da Dio
alla sua Chiesa ;
è stata una lztce divi11a che ha aiu-
tato a comprendere gli sviluppi della
Verità insegnata da Gesù Maestro;
è stato wi fuoco ardente che ha
incenerito ciò che era caduco, ed ha
riscaldato ciò che era diventato freddo.
Non "tutto da rifare" o "rotture
con il passato",
111a: "percepire meglio" ciò che
fu detto e fatto da princi~io, per
essere fedeli ai propri imzi, alJe
origini... e così rinnovarsi, svilup-
parsi in una perenne giovinezza.
Questo, per la grande Chiesa di
Gesù Cristo,
e questo anche, di conseguenza, per
la piccola Congregazione Salesiana.
8. Tra le cose e/te il soffi.o potente
dello Spirito Santo ha liberato dalla
polvere e restituito al suo primitivo
splendore, ce n'è una cne, ora, ci
riguarda direttamente: Da vocaziorze
dei Laici dell'Apostolato!
Ecco alcu11i passi del Concilio:
<< Questo è il fine della Chiesa: con
la diffusione del Regno di Dio su
tutta la terra a gloria di Dio Padre,
rendere partecipi tutti gli uomini
della salvezza operata dalla redenzione,
e per mezzo di essi ordinare effetti-
vamente il mondo intero a Cristo...
La Clzfrsa esercita questa attività,
chiamata "apostolato", mediante tutti
i suoi membri, naturalmente in modi
diversi... perché "la vocazione cti-
stiana è per sua natura anche voca-
zione all'apostolato"))... (Apostolato
Laici, n. 2).
Dunque, ogni Battezzato è per na-
tura un apostolo
Dunque ogni Battezzato deve essere
educato all'apostolato!... ed infatti:
«.•. tutti i battezzati, divenuti una
nuova creatura, siano educati cristia-
namente. L'educazione cristiana: "ten-
de soprattutto a far sì che i battezzati,
prendano sempre maggior coscienza
del dono della fede... si preparino a
vivere secondo l'uomo nuovo... e diano
il loro apporto all'aumento del Corpo
mistico di Cristo... Questo Santo
Sinodo ricorda ai Pastori di anime il
d(J'()ere gravi-Ssimo di provvedere a che
tutti i fedeli ricevano questa educa-
zione cristiana, specialmente i giovani,
che sono la sper~nza della Chiesa o
(Educaz. Crist., .(1. 2).
<< ... perché, sl, 'l'apostolato nella
Chiesa missionaria è di tutti i Battez-
zati, e già "ciascuno deve fattiva-
mente prepararsi all'apostolato, cosa
che urge maggiormente nell'età adul-
ta..." 1> (Apost. Laici, n. 30),
ma in modo speciale ai giovani è
rivolto l'appello perché << l'accolgano
con alacrità e magnanimità» (idem,
n. 33),
«Essi debbono divenire i primi ed
immediati apostoli dei giovani, eser-
citando da loro stessi l'apostolato fra
di loro... ».
<< Anche i fanciulli hanno la loro
attività apostolica. Secondo le pro-
prie forze, sono veri testimoni viventi
di Cristo tra i compagni» (idem, n. 12).
Da tutto ciò non può che scaturire
il dovere della educazione all'Apo-
stolato: ed ecco il n. 30 del Decreto
Apost. Laici:
«La formazione all'apostolato deve
iniziarsi fin dalla prima educazione
dei fanciulli.
In modo speciale siano iniziati al-
l'apostolato gli adolescenti e i giovani,
e siano pervasi da spirito apostolico...
1s chiaro dunque clte coloro ai quali
spetta l'educazione cristiana, sono
anche tenuti al dovere della forma-
zione all'apostolato 1>. E il Decreto,
uno per uno, nomina:
i genitori nella educazione fami-
liare;
i Sacerdoti, nella catechesi e nel
ministero della parola e nella dire-
zione delle anime;
le scuole, i collegi e gli altri isti-
tuti cattolici di educazione;
gli insegnanti, e gli educatori;
i gruppi e le associazioni di Laici,
che abbiano per scopo l'apostolato in
genere o altre finalità soprannaturali...
Tutti << devono promuovere nei gio-
vani il senso cattolico e l'azione
apostolica 1> !
9. Sotto la spinta del concilio
anche la Congregazione Salesiana, si
è mossa, ed anche al Capitolo Gene-
rale Xl X il soffio dello Spirito Santo
ha disperso la polvere che aveva
ricoperto alcuni valori primari!
Ci fermiamo soltanto a ciò che ci
riguarda in questa sede: l'educazione
dei nostri giovani all'apostolato e la
riscoperta dei Cooperatori Salesùmi.
I princìpi operativi autorevolmente
enucleati dal Capitolo Generale sono
particolarmente brillanti, promettenti,
e tali da impegnare ogni Salesiano
responsabile. Ecco11e alcuni:
a pag. 158 si afferma solennemente
che: «il traguardò della nostra opera
educativa deve essere il "cristiano
apostolo". La nostra Congregazione,
fin dai tempi di Don Jlosco, risponde
a questo ideale mediante l'organi:-.-
zazione della Pia Unione dei Coope-
ratori Salesiani•>;
25

3.6 Page 26

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a pag. 188 c'è uo monito preciso
ai Salesiani impegnati nell'insegna-
mento: <l Si ricordino tutti i Salesiani
che le nostre scuole sono chiamate a
preparare 11011 solo dei cristiani con-
vinti, ma i fut11ri apostoli laici... »;
a pag. 200 parlando, in generale,
dei Gruppi giovanili, si dice che:
Le Associa::ioni della Gioventu Sale-
siana sono "chiave della pietà", "pa-
lestra di apostolato", "espressione di
sano attivismo",
in quaJ1/o dispongono il giovane
ad una vita di pietà spontanea, con-
vinta; alla graduale assunzione di
responsabilità; all'apostolato di am-
biente; alla collaborazione con i Supe-
riori; allo spirito di iniziativa; al
senso di lavoro in gruppo,
prepMando in tal modo il "laico
cristia110'', come lo esige oggi la Chiesa o;
e ancora si fa pressione perché: • Si
cttri attentamefl/e l'inserimento dei
Soci nelle organizzazioni di Azione
Cattolica e di apostolato dei Laici,
delle diocesi e delle parrocchie di
provenienza, e nella Pia Unione dei
Cooperatori Salesiani~-
Più particolarmente a pag. 155 il
Capitolo Generale riconosce che: « l
Cooperatori salesiani... rispondono Ùl
pieno allo spirito e alla lettera• dei
più recenti Documenti Conciliari su
l'Apostolato dei Laici,
e da ciò passa ud ~ uno specinle in-
vito a organizzare seriamente il lavoro
apostolico dei Cooperatori e a poten-
ziarlo concretamente •·
Infine a pag. 158, il Capitolo Ge-
nerale dispone espressamente: , La
Terza Famiglia Salesiana sia orga-
nizzata in ogni Casa, nelle forme
opportune. Essa poi deve trovare
la sua migliore e pili completa realiz-
zazione nelle Parrocchie affidate alla
nostra Congregazione »;
indica che, lm ~li «elementi più
qualificali per diventare Coopera-
tori Salesiani ci sono: a) i Soci dt.lle
Compagnie e Circoli Giovanili, sia
degli Istituti che degli Oratori, debi-
tamente orientati e preparati; b) /
Catechisti dei nostri Oratori. En-
trando nella Pia Unione riceveranno
una qua1ificazione canonica e sale-
siana per il loro lavoro... che da
figliuoli li trasforma in confratelli dei
loro educatori »... E per facilitare la
loro iscrizione <( ,fi suggerisce di costi-
tuire nel Centro Cooperatori una
apposita Sezione giovanile, che offra
loro forme e stile di apostolato più
26 rispondenti alla loro mentalità •·
Questi i princìpi brillanti, pro-
mettenti enucleati dal Capitolo Ge-
nerali XIX, offerti alla riflessione ed
attuazione di tutti i Salesiani, amanti
della loro Congregazione!
1O. Fa poi piacere constatare che
questi princìpi generali, sia del Con-
cilio che del Capitolo Generale, sono
~ià stati calati nel « Regolamento per
i giovani degli Istitziti Salesiani», che
deve costituire In base di attività e di
vita di ogni nostra Comunità educa-
tiva.
art. 47: Il sistema educativo di
Don Bosco favorisce nei giovani la
formazione all'apostolato, iniziandoli
all'azione nello stesso ambiente in cui
si trovano, secondo le loro C(!-pacità ».
art. 48: «I giovani vengono avviati
all'apostolato in modo particolare
nelle Associazioni della Gioventù Sa-
lesiana, Compagnie e Circoli... •.
a1t. 50: e L'Opera educativa sale-
siana non si conclude col finire del
ciclo scolastico, ma intende prolun-
garsi nella vitn...
Gli alunni che lasciano definitiva-
mente l'Istituto sono invitati ad iscri-
,·ersi alla Federazione Exallievi, e,
quelli che ne abbiano i requisiti,
alla Unione dei Cooperatori sale-
siani».
E la CTSI nel Documento sugli
Oratori, dove si parla di Laici diri-
genti, a p. +3, afferma: «I dirigenti
adulti siano invitati ad iscriversi tra i
Cooperatori Salesiani. Così pure tra
i giovani che s,·olgono il loro aposto-
lato all'Oratorio si costituisca il
gruppo dei giovani Cooperatori sotto
la guida del Direttore stesso•·
11.... Se son rose fioriranno... ma
c'è, io penso, da essere ottimisti!
Fino a qualche 011no fa: Coopera-
tori giovani non c'erano, né se ne
parlava.
Oggi se ne parla autorevolmente,
fortemente.
E già, appena dato il via, sappiamo
che si sono formati Gruppi di Gio-
vani Cooperatori, che ci sono stati
Convegni per loro, cittadini e per-
fi110 uno interregionale, che ha su-
scitato non poco entusiasmo tra i
partecipanti.
Sì, qualcosa comincia a muoversi;
e le premesse sono buone I
E una grande speranza è 4/l'oriz-
zonte: che tra ro-15-20 anni ci sarà
il gettito di Cooperatori giovani, e
sarà continuo, fresco, abbondante, e
verrà proprio dalle nostre opere gio-
vanili...
Però ciò si avvererà ad u11a co11di-
zione:
Se i Salesiani e le F.M.A. (le
altre due Famiglie) entreranno dav-
vero nello spirito del Concilio e del
Capitolo Generale, cioè se opereranno
un purificato ritorno alle sorgenti
originali del Fondatore;
se essi stessi vorranno 'essere « edu-
catori apostoli * impegnati nella for-
mazione di «giovani apostoli ;
e se, in particolare, la Pastorale
Gi01Janile, l'organismo che è stato
preposto alla formazione dei nostri
giovani, li avvierà concretamente al-
l'apostolato, ma non generico, bens-l
se, salesianamcnte, li condurrà al tra-
guardo di maturazione apostolica pre-
parato da Don Bosco per loro: l'eser-
cito apostolico laico, i Salesiani Coo-
peratori I
Sì, bisogna che tutti noi Salesiani ci
rifacciamo la mentalità su questo
punto, e che cominciamo ad agire
- gradualmente ma decisamente -
in conseguenza... per rispondere agli
impegnativi appelli del Concilio, ed-
a11che per ridare a Don Bosco quello
che, negli anni della battuta di ar-
resto, gli abbiamo tolto!
12. Intanto, co11cretame11te, c/u, fare
nel campo dei Cooperatori giovani?
perché ormai il via è stato dato, cd
ogni Delegato - con un po' di co-
raggio e di zelo - de,·e pure met-
tersi al lavoro!...
Le indicazioni date in proposito
sono ormai numerose, almeno per
il reperimento dei Cooperatori gio-
vani. Le potremmo sintetizzare cosl:
r. Gruirdare all'esterTIO delle nostre
opere, ad elementi non direttamente
educati nei nostri ambienti: fJÌ tro-
fleremo giovanotti e signorine già
buoni cristiani, anime che lo Spirito
Santo forma direttamente e predi-
spone all'apostolato, anime ormai
disponibili e che aspettano solo l'in-
vito, la spinta] Ad esempio:
figli e figlie di famiglie a noi ,•i-
cine...;
giovanotti e signorine, privilegiati
per sensibilità morale e di bella vita
spirituale, ma non associati ad al-
cun movimento;
alunni ed alunne delle scuole statali
superiori...
universitari ed universitarie...

3.7 Page 27

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ma.estri e maestre, insegnanti delle
scuole medie: categoria sana, ideal-
mente vicini a noi per la loro stessa
missione, gradiscono conoscere Don
Bosco ed il suo sistema educativo,
e gradiscono da noi indicazioni suJ
modo di educa1·e cristianamente i
loro allievi...
Di fatto di tali Cooperatori gio-
vani già ne esistono,
sia come singoli immessi nella massa
dei Cooperatori adulti, e dànno brio,
fresche't.za, senso di giovinezza ~i
Centri;
sia come gruppi a sé: di sole signo-
ri.ne, e misti... con attività scelte tra
loro e il loro Delegato, sulla base
del Regolamento generale.
2. Pw1tate, intelligentemente, e la-
vorando in buona intesa tra Sale-
siani, sui Gruppi Dirigenziali, ma-
schili e femminili, che già lavorano
con 11oi negli Orntori, Parrocchie,
Istituti... guardare all'interno delle no-
stre opere.
Si tratta di gi()'l)anotti e signori11'e:
catechisti e catechiste - assistenti di
gruppo - dirigenti delle Associazioni
dei ragazzi - Dirigenti dell'Azione
Cattolica - delle varie branchie dello
s_port - delle filodrammatiche - dei
Gruppi del Vangelo - della S. Vin-
cenzo - degli Scouts - dei Circoli -
dei gruppi giovanili ExaUievi ...
tu/1a gente che già di fatto lavora
accanto a noi, in una attività apo-
stolica e nello spirito e stile sale-
si0.no;
cioè tutta geute che già di fatto
agisce da Cooperatore, ma senza
saperlo e senza esserlo di diritto!...
Prepariamoli! Iscriviamoli I Diamo
loro la qualifica canonica e salesiana
per il loro apostolato I Diamo loro
le nostre ricchezze spirituali! Fac-
ciamo loro il dono di essere Figli
di Don Bosco e nostri confratelli!
13. In pratica, le linee indicative
per . la organizzazione e vita di un
gruppo di Cooperatori giovani, po-
trebbero essere queste:
preparazione conveniente...
iscrizione cosciente e responsabile...
Ritiro mensile, nello stile e nello
spirito dei Cooperatori...
partecipazione alle due Conferenze
annuali...
invito agli Esercizi Spirituali chiusi,
per alimentare la loro qualificazione
cristiana, apostolica e salesiana.
Invece:
le <1 attività pratiche di apostolato ~
restano le stesse che già stanno svol-
gendo nell'Oratorio, Parrocchia, Isti-
tuto...
altre eventuali attività apostoliche,
formative, caritative ecc. saranno da
loro stessi stabilite di volta in volta.
Il << Ritiro me11s1Je >> dive11ta anche
per i Cooperatori giovani, oltre che
per gli adulti,
vero centro di riferimento per la
fonnazione personale;
e continua scuola di apostolato in
stile salesiano;
poi ognuno ritorna al suo campo
abituale di apostolato.
Ad ammaestrare e dirigere tale
gruppo giovanile, in questa scuola ed
attività pratica di apostolato,
potrà essere, secondo una intelli-
gente intesa tra salesia:ni:
o il Delegato locale Cooperatori;
o il Parroco salesiano;
o il Direttore dell'Oratorio stesso...
Ricordando che anche ove il
Parroco e il Direttore dell'Oratorio
curasse i Cooperatori della sua opera
dovrebbe sempre esserci un Delegato
locale, che organb:zafuori delle nostre
opere e che coordina - suJ piano
delle idee e dei suggerimenti - anche
i Cooperatori curati dal Parroco e dal
Direttore dell'Oratorio.
NB. È' chiaro che il gruppo Coope-
ratori giovani:
non ha scopi ricreativi, quindi
non nasce e vive come un bis di
Oratorio o di Circolo ricreativo; in
concorrenza con essi...
ma ha scopi essenz-ialmente for-
mativi, apostolici, caritativi... quindi
è un gruppo che nasce e vive per
una cooperazione apostolica, come
lievito che vuole fermentare cristia-
namente la massa, cominciando da
quella presso cui vive.
Ed è chiaro che tali gruppi aposto-
lici, comprendenti giovanotti e si-
gnorine dai 18-20 anni in su, pos-
sono essere misti, là dove già esiste
una vita mista.
Mentre in un ambiente puramente
maschile o femmillile (collegi, ora-
tori) si costituiranno gruppi solo ma-
schili o femminili.
14. I va11taggi di tali gmppi di
giovani Cooperatori sono evidenti e
non pochi:
questi giovani entrano in un movi-
mento Apostolico che assicura con-
tinuità e vitalità, accompagnandoli
per tutta la vita;
si ha modo di prepararli meglio,
con riunioni periodiche, ad un apo-
stolato più qualificato. (Cfr. Scuola
di formazione a11'apostolato);
si favorisce una forma.zione sale-
siana più sicura;
realizzando così il tanto invocato
ringiovanimento dei Centri con l'in-
serimento di elementi "vivi c qua- .
lificati".
Se ne sente wi gran bi.sogno di questi
elementi "vivi e qualificati", che di-
ventino "qualificanti" e "diano tono"
al Movimento!
Elementi di tal fatta galvanizzano
un Centro, sono calamite per atti-
rare altri generosi, diventano "te-
stimoni" efficaci dell'idea che ab-
0
bracciano, sanno t rascinare all'azione
gli altri.
Sono gli uomini-chiave, gli uo-
mini-guida di cui il mondo ha bi-
sogno.
... E so110 un autentico "dono" per
wi Centro che li abbia!
... E potremmo averne parecchi,
facendoli maturare dai gruppi gio-
vanili!
Ma... bisogna meritarseli, e ciò par-
ticolarmente:
con la preghiera a Dio: che ce
li mandi;
con la serietà della nostra organiz-
zazione: che li attiri;
con la cura sacerdotale e fraterna
attorno alle bo anime: per formarli!
Dunque Cooperatori giovani: campo
allettante, ma quasi: nuovo per 11oi.
Gli indirizzi generali della Chiesa
ci sono;
i principi operativi, dinamici del
Capitolo Generale, anche;
ma le esperienze dirette sono an-
cora poche, personali, locali...
Perciò utilissima sarà la discussione
sull'argomento:
per sentire i tentativi, le soluzioni,
i metodi, i risultati ottenuti,
e per arricchirci della esperienza
e dei suggerimenti più validi, sopra-
tutto per quanto riguarda: il reperi-
mento, la formazione e la attivazione
di questi giovani apostoli, nostri
"confratelli": i "Salesiani Coopera-
tori''.
27

3.8 Page 28

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AttualHà - Validità - EcclesialHà
del Cooperatore salesiano
Don Pietro Ceresa
Introduzione
Scopo preciso di questa comunicazione e del suo titolo:
non è « difesa ad oltranza» di una realtà ormai superata
e divenuta inefficace (come spesso si sente dire).
Neppure è « trionfalismo ad ogni costo», quasi che le
idee e realizzazioni di Don Bosco avessero il carisma della
«stabilità perpetua J> (tutto ciò che Lui ha pensato. voluto,
realizzato deve andare bene sempre, ovunque e senza cor-
rezioni ed adattamenti).
Ma una visione serena, ottimista ed aderente alla realtà
e bisogni spirituali del mondo di oggi. di un movimento
spirituale pensato, voluto, sofferto e realizzato da un Santo
molto posirivo e concreto e buon conoscitore dei suoi tempi.
A) Attualità del cooperatore salesiano
Una libera associazione di individui si dice ·attuale" o
di 'attualità' quando può venire capita, accettata e vissuta
con relativa facilità ed attrattiva da persone di ogni ceto
sociale che ne abbiano i requisiti fondamentali.
Si sa che i requisiti del Movimento Cooperatori sono i
seguenti:
Vita di fede e grazia ben vissuta.
Capacità e volontà di apostolato secondo le proprie
possibilità e condizioni di vita.
Avere gli ideali spirituali ed apostolici di Don Bosco:
gioventù, vocazioni. stampa. catechismo. missioni ecc.
Questi requisiti sono certamente attuali; siamo proprio nel-
l'anno delle Fede, vissuta ed operante. Attualissimi gli ideah
apostolici proposti dal Fondatore al Movimento... il quale
perciò presenta veramente le caratteristiche della attrattiva
ed anche della facilità (nulla di gravoso, imposto. esclusi-
vista, imbarau:ante, come quote e tesseramento, divise,
cordoni, scapolari. gonfaloni, posti e privilegi speciali In
Chiesa. proibizioni e restrizioni ecc.): può quindi essere
ben capito. accettato e vissuto.
B) Validità del movimento cooperatori
Se il movimento Cooperatori è di attualità nella vita spi-
rituale crisnana della società moderna, vuol dire che ha
diritto di appartenere a quel movimenti di vita e di aposto•
lato validi oggi nella Chiesa e come tah da Lei accettati.
Ora la Chiesa anche ogg,, come ai tempi passati, accetta
Il movimento Cooperatori. Baste pensare a:
Discorso di Pio Xli del 12 settembre 1952 a Castel Gan-
dolfo.
Discorso di Giovanni XXI Il del 1u giugno 1962 a Roma.
La sintonia moltissime volte fatta rilevare e sottolineata
del pensiero di Don Bosco con i documenti conciliari che
trattano dei ' Laici'. specialmente il Decreto Apostolato Laici.
E qui vale la pena tentare di rispondere ad una comune
osservazione che interessa specialmente questo punto: non
basterebbe nelle Opere Salesiane curare e potenziare. con-
28 vogllandov1 tutte le energie valide, l'Azione Cattolica 7 Il
movimento Cooperatori, come altri del genere, non è di-
spersivo 1
Rispondo che:
1. Nulla impedisce che i Cooperatori Salesiani convo-
glino le loro energie e siano anche dirigenti, comunque sem-
pre fermento vivo, dell'Azione Cattolica.
2. L'Azione Cattolica è una organizzazione molto viva
in Italia, ma non fuori: il Movimento Cooperatori è mon-
diale. come e più della Congregazione.
3. Convergenza di intenti e finalità apostoliche, di la•
voro e di impegni e sempre disponibilità alle urgenze della
Chiesa, sl; livellamento ed amorfismo, sia pure spirituale ed
apostolico, no.
4. Anche nel campo del bene va nspsttata la Libertas
Dei che chiama ognuno ad un determinato posto nella sua
vigna (mu/tae mansiones...) e va pure rispettata la libertà
degli adulti coscienti nelle loro scelte spirituali ed aposto-
liche: non tutti si sentono e vogliono entrare in una forma
di apostolato che sia pressata o quanto meno imposta.
C) Ecclesialità del cooperatore salesiano
Per 'ecclesialità' di un movimento si Intende:
1. La sua rispondem:a ideale. organizzativa e pratica
alla attuale situazione della Chiesa Universale e delle Chiese
particolari.
2. La sua aperta e completa 'disponibilità' alle chiamate
della Chiesa: quella generale del movimento Apostolato Laici;
quelle particolari secondo i luoghi, le circostanze e le
necessità.
Si può immaginare qualcos;i di ptù rispondente alla
attuale situazione e necessità della Chies3 Univarsale, del
movimento Cooperatori, specialmente psr quegli apostolati
di particolare sensibilità che Don Bosco hl indicato e pro-
posto 7 E che dire delle «spirito di cooperazione» alla Chiesa
che Don Bosco ha voluto a ragion veduta nel nome stesso,
e che è come il clima di respiro del movimento?
Inoltre il ~ Cooperatore» come tale è nato per coope-
rare con Parroci, Vescovi e lo stesso Sommo Pontefice in
tutto quello che la Gerarchia propone da attuare.
É appunto questa disponibilità che souolinea la eccle-
sialità del movimento.
Naturalmante la Chiesa sa e conosce la struttura. la
spiritualità e l'origine salesiana dal Movimento stesso e
terrà conto dei compiti di apostolato che sono di sensibi-
lità propria per i Cooperatorì.
In casi particolari, non generalizzablll, sarà il caso di
illuminare I singoli Vescovi e Parroci su quello che Il Mo•
vimento Cooperatori è.
Cari fratelli : capire, curare. e dirigere i Cooperatori Sale•
siani spetta a noi; fa parte del nostro lavoro, col quale ci
guadagnamo pane e Paradiso. Se ml è concessa una tra-
terna esortazione, sia questa:
Ogni giorno attingiamo con amore di figli alla fonte a cui
trasse origine tutta l'Opera nostra: la Vergine Ausiliatrice.
Madre nostra e della Congregazione perché Mater Ecclesiae.
Allora li nostro lavorare sarà sempre fresco e sereno.

3.9 Page 29

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Criteri per la formazione e la aggregazione dei
Cooperatori salesiani
Don Tarcisio Strappazzon e don Antonio Broggiato
Formazione
La nostra associazione tende al bene
dei soci in una dinamica apostolica; ha
un contenuto comune alle altre associa-
zioni cattoliche ed un contenuto pro-
prio, che si risolve in una formula speci-
fica di esplicazione della vocazione bat-
tesimale.
Chi si iscrive deve conoscere il nostro
contenuto specifico, sapere chi siamo e
che cosa ci proponiamo e se siamo an-
cora attuali in questo clima conciliare.
Preparazione (supponiamo un pub-
blico x):
siali (case di formazione) o apostolico-
educative (i nostri istituti);
d} impegnando in attività ben coor-
dinate e che siano in linea con le fi-
nalità proprie dell'associazione; offrendo
occasioni formative di altro genere,
come pellegrinaggi, laboratori, ecc.
Iscrizione
Vi sono i moduli di domanda, che
si consiglia di usare affinchè il richie-
dente sì senta maggiormente impegnato.
L'iscrizione dovrebbe essere comu-
nicata come un momento importante; e
il "diploma" consegnato con la rela-
tiva serietà, in clima religioso.
Concludendo
Un periodo di illuminazione e di
frequenza alle attività, preceda sempre
l'aggregazione. Non si iscrivano per-
sone non pronte, non mature, non
consapevoli. La qualità insomma ci
preoccupi più della quantità.
a) parlarne in generale, illustrando
quanto sopra;
b) proporre la lettura del Bollettino
Salesiano per alcuni mesi;
c) a quanti hanno aderito al Bollet-
tino Salesiano suggerire la lettura di
una buona biografia di Don Bosco
(Salotti, 2 voli. di D. Lemoyne, ...);
d) invitarli ad iscriversi spiegando
contemporaneamente il Regolamento di
Don Bosco (qui è necessaria l'opera
del delegato, il quale deve i/lustrate il
contenuto dell'idea di cooperatore).
(Dobbiamo escludere un costume di
massa, una "retata" alle porte di uscita
dopo una conferenza, ecc.).
Una definizione
Al Convegno Nationale i Delegati elaborarono, in un breve lavoro di ri-
cerca, una definhione del Cooperatore, semplice nell'enunciato, ma com-
pleta di tutti gli elementi essenziali per avere il genuino e autentico
laico della Terza famiglia Salesiana.
Servi da base per la formulazione la definizione che appare nella Mozione
finale del Convegno Interregionale Giovanile di Grottaferrata.
La riportiamo in questi «Atti». come sussidio utile a chi deve presentare,
senza distorsioni o incompletezze, la figura del Cooperatore: essa non
vuole essere una definizione ufficiale (per dare la quàle non ha autorità
un Convegno di delegati locali), ma rappresenta uno sforzo ed un con•
tributo per arrivarvi.
Si procede:
a) raccogliendoli periodicamente e si-
stematicamente con incontri formativi
basati su temi specifici per la nostra
Il Cooperatore Salesiano
può definirsi...
associazione entro il quadro della Chiesa;
b) organizzando "ritiri" ed "esercizi",
i q'uali siano fondamentalmente tali, e
UN CRISTIAIIIO IMPEGNATO
A SERVIZIO DELLA CHIESA
solo marginalmente abbiano anche il
CHE SI PROPONE LE STESSE FINALITA
loro momento che riguarda l'associazione
negli aspetti specifici;
c) suggerendo strumenti validi per lo
sviluppo della formazione: conoscenza
dello spirito di Don Bosco negli aspetti
DELLA CONGREGAZIONE SALESIANA
SECONDO IL PROPRI O STATO :
PERCIÒ TENDE ALLA PERFEZIONE CRISTIANA
DEDICANDOSI ALL'APOSTOLATO
più concreti; nutrimento della dottrina
PREVALENTEMENTE GIOVANILE
di S. Francesco di Sales; conoscenza
NELLO SPIRITO DEL FONDATORE DON BOSCO
diretta delle nostre opere sia nelle
espressioni devozionali (Santuari, ecc.),
SOTTO L'ALTA DIREZIONE DEI SALESIANI
come in quelle più chiaramente eccle-
29

3.10 Page 30

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I Cooperatori nella Parrocchia
Don Aldo Fantozzi
La Parrocchia è uscita dai docu-
menti conciliari rinvigorita non tanto
come istituzione quanto come co-
munità di fede e di carità, per cui
diventa non l'unico ma uno dei più
normali tramiti con il quale l'uomo
entra a far parte della Chiesa, e
attraverso essa l'apostolato diventa
ecclesiale, integrandosi nel piano pa-
storale della diocesi e cioè del Ve-
scovo.
Penso appartenga all'intui2ione di
Don Bosco una pastorale unitaria
quando presagiva l'identificazione dei
Cooperatori con il cattolico impe-
gnato, naturale collaboratore del par-
roco e <lei Vescovo nelle opere della
catechesi e della carità tra il popolo.
Se non mi sbaglio egli intendeva la
cooperazione più che un movimento
chiuso con fìnalità estranee alla ra-
storale parrocchiale e diocesana, un'a-
nimazione della comunità ecclesiale
in quelle iniziative che sono come
il carisma delle Congregazioni: diver-
samente i Cooperatori non potrebbero
considerarsi <( s~lesiani esterni •>.
ln una Parrocchia le associazioni
assolvono al compito di formazione
ai:ostolica dei fedeli e di creazione
della comunità: anche la presenza
dei cooperatori nella P2.rrocchia si
inquadra in questa duplice auività.
D La formazione
Dicono gli esperti che la parrocchia
ricupererà la sua convincente vita-
lità se riesce a trasformarsi da massa di
battezzati in comunità e poi in co-
munione fraterna di credenti: oc-
corre quindi che la formazione re-
ligiosa, morale e spirituale dalla
catechesi ai ritiri e alla vita lin1rgica,
di coloro che operano nell'aposto-
lato della Parrocchia sia unitaria: le
stesse idee, la stessa meta formativa
devono circolare a beneficio di tutti.
Questo comune comportamento re-
ligioso dà origine alla comunità, se-
gno della presenza di Cristo nel quar-
30 tiere della città, nel paese. Quindi
al livello parrocchiale la differenzia-
zione della unione dei Cooperatori
dalle altre associazioni deve trovarsi
su altro terreno; appunto su quello
dell'apostolato, della missione che
la Chiesa ha loro affidato.
fJ La creazione della comunità
nello spirito salesiano
L'apostolato dei Cooperatori ri-
calca quello dei Salesiani e lo ravviso
nella direzione seguente: suscitare il
dinamismo salesiano nel lai~to cat-
tolico più impegnato nel nostro am-
biente.
Il capitolo XIX caratterizza la
Piirrocchia salesiana per la sua. atti-
vità popolare, giovanile e catechistica.
I Cooper2tori salesiani devono ren-
dersi responsabili col presbiterio lo-
cale di questa realtà pastorale e nel
Consiglio parrocchiale (;.,.llorchè sia
effcttu:Ho) rappresentano queste esi-
genze sempre vive del popolo di
Dio. In conseguenza della program-
mazione pastorale che deve colle-
gare attraverso la Parrocchia tutto il
personale che lavora nell'apostolato
esterno, i dirigenti di tutti i gruppi
associati che facciano proprie queste
direttive, con animo e praticità s:i-
lesiana, possono essere preparati ad
inserìrsi nell'associazione dei Coo-
peratori. Nessuno pensi che i diri-
genti di Oratorio ed Exallievi - an-
che di spiccate doti tecniche - con-
dividano le nostre preoccupazioni
apostoliche se non assumono il no-
stro spirito.
D'altra p,•rtc, secondo il Concilio,
le associazioni che emanano dalla
\\"olontà e dalla approvazione della
Chiesa hanno ragion d'essere per
le loro finalità apostoliche e mis-
sionarie: diversnmente hanno il va-
lore di "supplenza" alle strutture
educative, ricreative proprie anche ad
altre associazioni pubbliche o pri-
\\·ate.
Questa è la scelta di fondo che si
deve fare per dare un esatto contenuto
all'espressione di cooperatore «sale-
siano esterno» e all'unione dei Coo-
peratori come una associazione lai-
cale moderna di apostolato.
E in una strutturazione simile non
ci sarà sovrapposizione di iniziative
e frustrazione di altre energie che
lavorano in Parrocchia perché il
campo di apostolato è ben precisato:
i Cooperatori si inseriscono nella
Parrocchia per accentuare il suo ca-
rattere popolare, giovanile e mis-
sionario.
Come oggi l'Azione Cattolica si
caratteriz7..a per l'apostolato religioso
e familiare secondo le quattro carat-
teristiche del Concilio, cosi i Coope-
ratori valorizzano l'aspetto popolare
ddla Parrocchia assumendosi la re-
sponsabilità materiale e missionaria
dell'orntorio maschile e femminile;
accentuano la vocazione giovanile della
Parrocchia impegnandosi con i sale-
siani e le F.:\\I.A. a risolvere in senso
formativo la problematica dei ra-
gaz-.ii promovendo, dibattiti di idee,
incontri tr-.i giovani e anziani, so-
stenendo con intenti educativi il tu-
rismo e il tempo libero della vita par-
rocchiale.
Evidentemente si tratta di cambiare
le prospettive delle organizzazioni
p:urocchiali dei Cooperatori: da as-
sociazione devozionale ad apostolica,
da cenacoli di pii :m1miratori a grupfi
responsabili.
Queste prospettive saranno valide
se ci educheremo ad una mentalità
nuova nell'affrontare le realtà che
sorgono nella Chiesa e nella nostra
stessa Congregazione: le associazioni
laicali VÌ\\•ono nella miura con cui
riescono a vivere nel loro tempo.
Bisogna introdurre i cooperatori nel
travaglio della nostra vila e del nostro
rinnovamento: per questo occorre far
circolare fr~ loro e noi, tra le nostre
associazioni, tra i gruppi dirigenti,
lo· spirito del Concilio che è quello
della corresponsabilità e del dialogo,
cioè mettere in comune le nostre
esperienze, i nostri p11nti di vista
per arrivare ad un piano unitario di
lavoro e di evangc:lizzazione della
Parrocchia.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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I Cooperatori in aiuto al Parroco
Don Luigi Pace
Daremo innanzi tutto alcuni principi
generali: in secondo luogo alcune. con-
siderazioni e, infine, alcuni suggerimenti
per l'azione.
ALCUNI PRINCIPI
1. I Cooperatori Salesiani formano
una associazione che affianca - come
Tena Famiglia - la Congregazione Sale-
siana e /'Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice. Essa è una delle tre possi-
bilità offerte da Don Bosco agli uomini
e riguarda coloro che lo vogliono se-
guire da vicino senza però l'impegno
solenne dei voti. Ora, tutta l'opera di
Don Bosco è a servizio della Chiesa:
lo diceva egli stesso e lo ripeteva ai
Salesiani: sempre con il Papa: ogni de-
siderio del Papa per noi è un comando...
Sappiamo come, sia durante la vita
di Don Bosco sia dopo la sua morte.
i Salesiani abbiano in tante forme messo
a disposizione della Chiesa la loro at-
tività e in modo particolare il loro in-
teressamento per la educazione e for-
mazione della gioventù non solo, ma
anche si sono dati, invitati dai Vescovi,
alla assistenza diretta di moltissime
Parrocchie portandovi la loro caratte-
ristica, cercando di vivificare le Par-
rocchie attraverso la gioventù e preci-
samente:
a) attraverso i figli arrivare ai genitorì.
b) Sensibilizzare i genitori alla for-
mazione del figli con lo stile e il metodo
di Don Bosco.
c) Alimentare la Congregazione at-
traverso vocazioni suscitate nell"ambito
deUa Parrocchia stessa.
Cosi, come tutta la Congregazione- è
sensibile alla vita della Chiesa nelle sue
varie articolazioni, fino a quelle a ca-
rattere locale, parrocchiale, -anche i
Cooperatori, che, come abbiamo detto
della famiglia salesiana sono parte in-
tegrante, sono automaticamente inseriti
nelle attività parrocchiali.
2. Don Bosco stesso ha voluto
(prima ancora che tutta la Congrega-
zione) che i Cooperatori fossero inseriti
nella vita della Parrocchia. Basta dare
uno sguardo ai regolamenti per ren -
dersene conto:
<{ L'Associazione è umilmente racco-
mandata alia benevolenza e protezione
del Sommo Pontefice, dei Vescovi, dei
Parroci. dai quali avrà assoluta dipen-
denza in tutte le cose che si riferiscono
alla Religione».
« Scopo fondamentale d ei Coopera-
tori Salesiani è di •·prestare aiuto alla
Chiesa, ai Vescovi, ai Parroci, sotto
l'alta direzione dei Salesiani; e questo,
nelle opere di beneficenza, quale i ca-
techismi, l'educazione dei fanciulli po-
veri, e simili.. » (vedi Reg.).
Don Ceria nel suo libro sui Coopera-
tori, a pag. 22 dice: « Con l'istituzione
dei Cooperatori Salesiani, Don Bosco,
come più volte si espresse, intese di
suscitare manipoli di zelanti cattolici,
che nelle diocesi e nelle parrocchie
prestassero aiuto ai pastori di anime,
specialmente quando fosse da pro-
muovere il bene religioso e morale della
gioventù».
Anche nel « Manuale dirigenti>> a
pag. 91 viene ripetuta questa disponi-
bilità dei Cooperatori verso la Parroc-
chia quando si dice, a proposito di
apostolato, che essi « sono invitati ad
offrire la loro opera ai Parroci per i
catechismi domenicali e quaresimali>>.
3. L"inserimento dei Cooperatori nella
vita della Parrocchia è inculcato oltre
che da Don Bosco e dai suoi successori,
anche e in modo eloquente, dall'ultimo
Capitolo Generale.
Pag. 158: « La Terza Famiglia Sale-
siana sia organizzata In ogni casa in
forme opportune. Essa poi deve trovare
la sua migliore e più completa realizza-
zione nelle Parrocchie affidate alla no-
stra Congregazione».
ALCUNE CONSIDERAZIONI
1. In ogni Parrocchia c'è il Centro
Cooperatori?
Forse talora la risposta è negativa.
In questo caso è necessario provvedere
al più presto cominciando con un pie-
colo gruppo senza scoraggiarsi degli
insuccessi iniziali.
2. Dove c'I! il Centro è esso inserito
nella vita della Parrocchia ?
Talora funziona nell"Opera Salesiana,
ma essa ignora la Parrocchia ed è da
essa ignorata... Non si conoscono le
varie iniziative locali. non si affiancano.
Si segue un binario del tutto se non di-
verso, distinto da quello delle altr.e As-
sociazioni parrocchiali.
3. Dove il Centro è inserito nella
vita della Parrocchia, si distingue per
le sue caratteristiche, continuando anche
le attività che gli sono proprie ?
Nell'applicare le varie attività sugge-
rite dalla vita parrocchiale non deve
trascurare quelle che le vengono asse-
gnate dai Superiori Salesiani.
ALCUNI SUGGERIMENTI
1. Sarebbe bene che il Delegato dei
Cooperatori di un·opera dove c·è la
Parrocchia sia il parroco o il vice-parroco.
Si realizzerebbe meglio l'inserimento che
si desidera.
2. Dove ci fosse già un Centro fun-
zionante ma non inserito nella Parroc-
chia, nessuno impedisce che si inizi un
nuovo Centro che faccia capo alla Par-
rocchia stessa.
3. Si inseriscano due elementi del
Centro (Zelatori) nella consulta par-
rocchiale.
4. Tutte le attività proprie del Centro
vengano valorizzate per il bene della
Parrocchia e vengano estese. possibil-
mente, anche alle altre Associazionì.
5. Tutti gli iscritti alle varie Associa-
zioni dovrebbero gradualmente acqui-
stare le doti del Cooperatore.
A coloro che sono sufficientemente
preparati venga fatta la proposta della
iscrizione ufficiale al Centro e, se lo
desiderano, venga loro dato il diploma.
Questi naturalmente dovranno par-
tecipare alle manifestazioni principali
del Centro.
31

4.2 Page 32

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Conclusione del Convegno
Parla don Luigi Fiera
Il Convegno fu concluso, nei suoi due tempi, da
don Fiora che espresse il suo sincero compiacimento
per lo svolgimento dei lavori: non solo si erano trattati
a Como e ad Ariccia gli stessi temi quasi dagli stessi
relatori, ma i problemi erano stati proiettati nella stessa
luce nei diversi interventi, si era prospettata la stessa
soluzione ai quesiti proposti e, soprattulto, si era notato
lo stesso spirito sereno e costruttivo da parte di tutti
i partecipanti. Se non erano mancate espressioni di
ra=arico per una certa incomprensione e freddezza
di fronte ai Cooperatori in vari ambienti salesiani,
tutto era stato detto con fraternità e zelo.
11tfotivi di soddisfazione per l'incontro erano l'essersi
meglio conosciuti direttamente nella grande Famiglia
dei Cooperatori, l'aver scambiato le proprie esper;e11ze
con quelle degli altri per un -vicendevole arricchimento,
l'essersi sentiti più animati nel proprio lavoro per aver
meglio compreso, proprio per i contatti del Convegno,
la grandezza e l'urgenza dell'apostolato tra i laici.
Particolari elementi positivi erano poi fissati nei
punti seguenti:
1. 11 Convegno dei Delegati locali, per la prima volta,
era un fatto compiuto, e felicemente: ciò indicava che i
Cooperatori sono organizzati, destano l'attenzione apo-
stolica dei Confratelli, hanno davanti a sé promesse
di miglioramento. Ci possono essere vuoti e deficenze,
ma c'è pure una realtà concreta su cui si può contare.
2. Tutti i Delegati, con espressioni dj sincero e spon-
taneo entusiasmo, avevano ripetutamente affermato che
il Convegno era servito per chiarire le loro idee sulla
natura, la struttura e le attività dei Cooperatori come non
avevano mai potuto fare per l'innanzi. Ciò costituisce
un ottimo risultato perchè le idee chiare sono la vera
forza di ogni associazio,oe e di ogni azione apostolica
e questo appunto ci si riprometteva per la formazione
e la qualificazione dei Delegati.
3. Su un punto specialmente, per comune asserzione,
era stata conquistata una più salda convinzione nel
Convegno: quella della salesiallilà più. atttentica del movi-
mento dei Cooperatori, i quali rappresentano una
attività integrante delle Opere Salesiane, essendo veri
animatori dell'ambiente in cui devono inserirsi i nostri
giovani con lo spirito salesiano e diffusori nel mondo
di quegli ideali e di quelle opere che costituiscono la
missione speciale della Congregazione. Don Fiora,
come nella prolusione del convegno, esortava a presen-
tare sempre in questa luce l'attività dei Cooperatori,
senza dei quali la Congregazione perde una dì quelle
caratteristiche essenziali di cui Don Bosco volle do-
tarla.
I Cooperatori non sono un'attività marginale nel-
l'Opera Salesiana, ma un modo di presentarsi, distfr1tivo
e non rinunciabile, dell'Opera Salesiana stessa. Così
Don Bosco in tutta la sua vita non fu un apostolo iso-
lato, ma accompagnato dalla simpatia, dall'aiuto mate-
riale e dalla collaborazione di apostoli laici. Fu 1a
stia forma propria di apostolato nella quale armoniosa-
mente si fondevano, con moltiplicata efficacia, le forze
del sacerdote e gt1.elle dei laid. Tale formula è oggi incul-
cata dal Concilio Vaticano IL
4. Altro elemento emerso nel Convegno era quello
dell'attualità dei Cooperatori nella Chiesa del nostro
tempo. La cura dei giovani, delle vocazioni, della
catechesi e della stampa sono le forme specifiche di apo-
stolato proposte ài Cooperatori: a nessuno sfugge quanto
questi settori richiedano oggi apostoli laici particolar-
mente preparati cd animati a ben fare.
Come è viva ed attuale la Congregazione, così lo
sono i Cooperatori. Don Fiora sì soffermava a dimo-
strare, esemplificando, che cosa sono chiamati a fare i
Salesiani oggi col loro prestigio e con la loro attività,
per esempio, nell'Istituto di Pedagogia del P.A.S.,
nei centri catechistici, nel settore delle vocazioni.
Egli esortava a due impegni:
1. dare ai Cooperatori un carattere vivo, moderno,
dinamico, aderente alle reali condizioni dei tempi, ricco
di forme e di attività conformi alla sensibilità della nostra
n ■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■■ I

4.3 Page 33

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Le meditazioni
età, sfruttando forze giovanili per tin apostolato tra i
giovani piuttosto che forze anziane per pratiche devo-
zionali;
2. promuovere, tra le altre, alcune simpatiche ed inci-
sive iniziative di avanguardia, non per esibizione o per
spirito di avventura pionieristica, ma per dare evidenza
a fatti esemplari che potessero destare ammirazione,
e quindi emulazione nei confratelli e nei laici.
3. Il Superiore proponeva ai Delegati locali, in con-
seguenza dei rilievi da loro presentati sull'assenza di
comprensione di taluni ambienti salesiani, di illuminare
essi stessi i confratelli sm Cooperalort Salesiani: questo,
notava, era il loro primo compito, da svolgersi con ca-
rità e prudenza e senza polemica. Chiedessero ai Di-
rettori di inserire nella programmazione annuale o
mensile della Casa anche le attività dei Cooperatori;
facessero alla comunità, nel modo più idoneo, un.a re-
lazione del nostro convegno; creassero a poco a poco
l'impressione esatta che l'Opera dei Cooperatori, se
è affidata in modo particolare al Delegato, in realtà è
però responsabilità di tutta la casa e di tutti i Confra-
telli; dessero un tale esempio di osservanza religiosa
e di zelo apostolico da far dissolvere l'idea, purtroppo
avanzata qua e là, che l'apostolato tra i Cooperatori
costituisca per i delegati un facile pretesto di evasione
dalla casa, di iniziative di gusto personale e di non
sempre edificante presenza in mezzo al mondo.
Un'ultima raccomandazione era quella di mantenersi
fedeli al Regolamento dei Cooperatori e alle norme
emanate dai Superiori, perché solo tale fedeltà garan-
tisce un ordinato lavoro, la sua continuità nella casa,
l'unità e la forza di tutta la nostra Associazione.
Don Fiora concludeva rifacendosi ad un'afferma-
zione di don Midali: (( Dio ha dato un carisma speciale
alla nostra Congregazione per svolgere la sua missione
nella Chiesa. ] Cooperatori rientrano in questo c.,risma:
ravviviamolo e assecondiamolo, portando il nostro apo-
stolato su un piano nettamente soprannaturale.
11 nostro apostolato preminente è quello dei giovani,
rna Don Bosco, attraverso i giovani, mirava a formare
dei cristiani adulti che animassero cristianamente la so-
cietà: i Cooperatori ci assistono e ci aiutano in questo
compito di preparazione e di inserimento di apostoli
laici nella Chiesa.
■■■■■■■■■■■--
A COMO le tre meditazioni del Convegno sono state
predicate da don Francesco Desramaut, professore di teo-
logia e storia ecclesiastica nello studentato teologico sale-
siano di Lione. Esse hanno presentato alcuni aspetti della
spiritualità di San Giovanni Bosco e precìsamente:
nel primo giorno: « Generalità sulla spiritualità di Don
Bosco» (1. la spiritualità in genere. - 2. Il senso della spiri-
tualità di Don Bosco definito per la sua antropologia e la
sua teologia).
Nel secondo: « L'ascesi nella spiritualità di Don Bosco»
(1. le ragioni date da Don Bosco all'ascesi cristiana. - 2. Le
forme dell"ascesi: ascesi di negazione e ascesi di accetta-
zione).
La terza meditazione trattò del «Servizio di Dio per la
azione santificatrice nella spiritualità di Don Bosco» (1. Il
servizio della maggior gloria di Dio. - 2. Il servizio di Dio
nell'azione. - 3. Il servizio di Dio nella vita del sacerdote)•
Gli sviluppi su questi argomenti si possono leggere nel-
l'ultimo libro del conferenziere: Francis Desramaut, Don
Bosco et la vie spiritue/le (coli. Bibliothèque de spiritualité, 6 -
Paris, Beauchesne, 1967, 1 voi. rii., 384 pagine, special-
mente nei capitoli Il, VI e VII).
• Ad ARICCIA furono dettate da don Pietro Brocardo,
Direttore del Pontificio Ateneo Salesiano, e trattarono alcuni
aspetti del sacerdozio.
E precisamente:
Nel primo giorno: Il sacerdozio vissuto alla luce del Va-
ticano Il, e sull"esempio di Don Bosco (che fu sempre e an-
zitutto « prete») ma « calatoll nella realtà del nostro tempo.
La seconda medn.azione trattò delle funzioni specifica-
tamente sacerdotali, toccando in particolare i rapporti tra il
sacerdote in quanto uomo della Eucarestia (consacratore)
e il sacerdote nella sua missione di evangelizzatore e di
pastore.
Il ciclo si concluse con l'esposizione di un tema quanto
mai attuale in questo anno:
(1. Le dimensioni sacerdotali alla luce della Fede. -
2. Il sacerdote uomo di fede. - Il sacerdote l'uomo della
Fede).
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Delegati locali e Assistenti partecipanti al Convegno
COMO
Don Maffeis Raul, Varazze (Savona)
Don Strizoli Domingo, Alassio {Savona.)
Don Urbaitis Pietro, Castelnuovo Don Bosco (Asti)
Don Bosisio Enrico, Muzzano (Vercelli)
Don furno Arturo, Lugano
Don De Boni Amedeo, Torino-Leumann
Don Lazzarin Pietro, Albarè di Cost!lrmano (Verona)
Don Gilardi Nerec,, Verona
Don Vertemati Francesco, Castel de' Britti (Bologna)
Don Bassi Giuseppe, Bologna
Don Pedot Giuseppe, Tolmezzo (Udine)
Don Montrasio Fruttuoso, Bolognà
Don Paoli Pio, Legnago (Verona)
Don Martellossi Bruno, Castello di Godego (Treviso)
Don Stocco Armando, Schio (Vicenza)
Don Priarollo Rino, Cannaregio-Venezia
Don Trentin Umberto, Trieste
Don Albertin Pietro, S. Giorgio Maggiore-Venezia
Don Migliasso Giovanni, Canelli (Asti)
Don Temporini Paolo, Borgomanero (Novara)
Don Biglia Mauro, Belvedere (Vercelli)
Don Pivano Secondo, Novara
Don Betnardi Umberto, Mirabello {Alessandria)
Don Semprini Pietro, Ivrea (Torino)
Don Levrio Giuseppe, Zurigo
Don Marocco Giovanni, Torino
Don Lupano Luigi, Borgo S. Martino (Alessandria)
Don Parola Giuseppe, Avigliana (Torino)
Don De Amicis Antonio, Bra (Cuneo)
Don Farìna Pietro, Castelnuovo Don Bosco (Asti)
Don Pezzetta Edi, Ulzio (Torino)
Don Fantozzi Aldo, Torino
Don Morgando Giacomo, Fogliz.zo (Torino)
Don Ferrarino Francesco, Cuorgnè (Torino)
Don Caprioli Carlo, Torino
Don Venzon Severino, Cuneo
Don Valle Fior4ntino, Fossano (Cuneo}
Don De Filippi Ernesto, Lanzo (Torino)
Don Bonvlcino Ignazio, S. Benigno Canavese (Torino)
Don Pellerino Prosdocimo, Lombriasco (Torino)
Don Pocchlc;,la Luca, Torino
Don Sitia Carlo, Torino
Don Penna Giuseppe, Torino
Don Zannoni Vittorio, Torino
Don Coppo Leo, Saluzzo (Cuneo)
Don Furlan Adelino, Pordenone (Udine)
Don Finocchi Elio, Mogliano Veneto (Tteviso)
Don Ferrari Ivo, S. Donà di Pia 1e (Venezia)
Don Ceschia Michelangelo, Udine
Don Carraro Allegro, Gorizia
Don Cariolato Ottavio, S. Donà di Piave (Venezia)
Don Foglio Michele, Bologna
Don Annoni Paolo, Codigoro (Ferrara)
Don Maglstrelli G. Battista, Modena
Don Nordera Luciano, Monteortone (Padova)
Don Macchi Gian Carlo, Parma
Don Raimondi Giuseppe, Vallecrosia (Imperia)
Don Bandiera Alfredo, Varese
Don Cc,nzadori Luigi, Treviglio (Bergamo)
Dc,n Nassetti Fernando, Nave (Brescia)
Don Bettinzoli Pietro, Sesto S. Giovanni
Don Schiassi Pietro, Chiari (Brescia)
Don Melllno F i9renzo, Piossasco (Torino)
Don Borghi Luigi, Sondrio
Don Paganelli Osvaldo, Brescia
Don Capuzzi Domenico, Fiesco (Cremona)
Don Della Torre Francesco, Milano
Don Fornasari Alberto, Treviglio (Bergamo)
Don Vignato Rodolfo, Como
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ARICCIA
Don Angelinl Pasquale, Roma - Sacro Cuore
Don Fasolato Aldo, Roma - Sacro Cuore Fides
Don Pace Luigi, Roma - Cinecittà
Don Fanesi Antonio, Porto Recanati (Macerata)
Don Pertile Bartolomeo, Canaletto (La Spezia)
Don Di Rienzo Nicola, Vietri Sul Mare (Salerno)
Don Pennelli Felice, Caserta
Don Coin Ruggero, Salerno
Don Pollice Emilio, Isernia (Campobasso)
Don Fioretti Angelo, Roma - Testaccio
Don Romani Ulderico, Frascati - Capocroce
Don Jodice Gennaro, Buonalbergo (Benevento)
Don Piacentino Nicola, Napoli Tarsia
Don Dori Dario, Colle Val d'Elsa (Siena)
Don Sauchelll Luigi, Carigliano d'Otranto (Lecce}
Don Marino Francesco, Catania
Don Pilato Cataldo, Catania
Don Marucci Matteo, Cisternino (Brindisi)
Don Vidonl Giovanni, Cerignola (Foggia)
Don Bassano Angelo, Genova-Samp1erdarena
Don Colucci Luigi, L'Aquila
Don Paci GiuHppe, Forll
Don Rossi Paolo, Faenza (Ravenna)
Don Farina Pietro, Agrigento
Don Falzone Giuseppe, Alcamo (Trapani)
Don Follese Giovanni, Santulussurgiu
Don Pennisi Concetto, Caltanissetta
Don Germano Orazio, Civitanova Marche (Macerata)
Don Glannone Francesco, AU Terme (Messina)
Don Cofano Gaetano, Brindisi
Don Gozzo Santi, Catania
Don Camarda Vito Antonio, Piedimonte d'Alife (Caserta}
Don Pasa Luigi, Napoli
Don Fabozzi Pompeo, Vomero • Napoli
Don Giudice Luigi, Marsala (Trapani)
Don Plerl Giorgio, Perugia
Don Damianl Gino, Macerata
Don Pasquariello Pietro, Manduria (Taranto)
Don Chlarlo Guido, Livorno
Don Ciurclola Tarcisio, Gualdo Tadino (Perugia)
Don Silva Remo, Genova-Quarto
Don Tesclone Gioacchino, Venosa (Potenza)
Don Mondlo Sebastiano, Randazzo (Catania)
Don Giarratano Giuseppe, Palermo
Don Bonaventura Ventura, Palerm.>
Don Sinlsl Vincenzo, Palermo
Don La Rocca Antonio, Palermo
Don Rubuano Luigi, Barcellona (Massin:1)
Don Barcellona Nunzio, Giostra-Messina
Don Tripoli Raffaele, Modica Alta (Ragusa)
Don DI Malra Vincenzo, Mazzarino (Caltanissetta)
Don Luca Carmelo, Messina
Don DI Domenico Pasquale, Vibo Valentia (Catanzaro)
Don Manca Antonio, Temi
Don Cammarata Edoardo, Taormina (Messina)
Don Castaldi Giorgio, Soverato (Catanzaro)
Don De Pasquale Michele, S. Cataldo (Caltanissotta)
Don Liberatore Pasquale, Santeramo in Colle (Bari)
Don Kralcovlc Stefano, Ravenna
Don Ferrari Giuseppe, Ravenn:1
Don Cozzi Stefano, Rimini
Don Pravisano Giovanni, Ortona
Don De Renzls Alfredo, Taranto
Don Coloslo Giovanni, Catania
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