Bollettino_Salesiano_197605


Bollettino_Salesiano_197605



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BIllETTIN I SALESIAN I RIVISTA DELLA FAMIGLIA SALESIANA
A N N D 1 DD - N. S - 1 M A R Z D 1 9 7 6
Spediz. In abb. post. - Gruppo 2° (70) : 1• quindicina

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BOLLETTINO SALESIANO
Rivista della Famiglia Salesiana
fondata da sa11 Gi ovanni Bosco nel 1877
Ournd1crnale d'lnformaz. e cultura religrnsa
ANNO 100 • NUMERO 5
1• Marzo 1976
Direttore
DON ENZO BIANCO
Responsablle
Don Teresio Bosco
Direzione e Amministrazione
Via del la Pisana. 1111 • C.P. 9092
00100 Roma-Aurelio
Tel. (06) 64.70.241
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Direzione Generale Opere D. Bosco • Roma
Composizione e Impaginazione
Scuola Grafica Salesiana Pio Xl • Roma
Stampa
Officine Grafiche SEI • Torino
Aulorlzzazlone del
Tribunale di Torino n. 403 del 16.2.1949
LA
COPERTINA
f.oto di
Enzo Bianco
Bambina creola del l'isla del Rat6n,
con un variopinto pappagallo gua-
camaya •. l'lsla del Rat6n, dav-
vero a forma di topaccio galleg•
glante in mezzo a l gigantesco fiu-
me Orinoco (Venezuela). acco•
glie due internati missionari tenuti
da Salesiani e FMA, con duecento
piccoli figli della selva. Li I bam-
bini piaroa, guajibo. maquiritare,
baniva, imparano a vivere la fede e
si preparano a rendere meno dram•
matico l'inevitabile incontro delle
loro tribù con i bianchi.
Servizio a pagina 16-17.
I Vescovi italiani, organizzando per il prossimo autunno
il Convegno di studio « Evangelizzazione e promozione
umana.», hanno invitato i cattolici d'Italia <L una pro-
f onda revisione d ella loro vita di fede. E le sconcertanti
vicende religiose, sociali e politiche dell'llalia di questi
ultimi tempi sono li a dire quanto ciò sia necessario.
e il semplice uomo della strada
- tu e io - cbe va per la sua
strada con i suoi grattacapi d'ogni
giorno. E poi ci sono, ma in alro, al
di sopra della sua testa, gli uomini
che prendono le grandi decisioni, che
mandano avanti la « cosa pubblica».
Pochi, rari, inafferrabili, misteriosi. Ma
a volte essi interpellano l'uomo della
strada, entrano nella sua vita, arrivano
fino a chiedergli questo o quello, fino
a sconvolgere le sue consuetudini.
Anche il Papa, anche i Vescovi, tal-
volta.
Finché si tratta dei soli politici, l'uo-
mo della strada semplicemente volta
la pagina del giornale, cambia canale
tivù. Ma se sono i Vescovi, e si ri-
volgono ai cristiani di buona volontà?
e se chiedono - come appunto hanno
chiesto - una ,, revisione e un rinno-
vamento di mentalità»?
Ma è cosa difficile, è come raddriz•
zare le gambe ai cani; cambiare men•
rnlità significa rinunciar.e alle proprie
idee per idee nuove, alle proprie abi•
tudini per un diverso modo di vita...
Eppure la richiesta dei Vescovi ita-
liani è Il, in un denso documento del
settembre 1975 passato forse inosser-
vata ai più, ma esplicito fin dal tiralo:
« Traccia per la revisione e il rinno-
vamento di mentalità e di vita nelle
comunità ecclesiali >>.
Vediamo di che si tratta?
« Avve nimento eccezionale»
Negli anni '50 un prete francese di
nome Godin osò proclamare « la Fran-
cia, paese di missione »; e si gridò
allo scandalo. Ma alla fine si dovette
convenire che aveva ragione. Chi ose-
rebbe ciire altrettanto dell'Italia, che
è carrolica (almeno cosl asserisce l'An-
nuario Statistico della Chiesa per il
1973) al 98,0 per cento? Ebbene, que,
sto coraggio l'hanno avuto non i soliti
dissidenti estremisti di destra o di si-
nistra, ma ancora una volta i Vescovi
della Conferenza Episcopale Italiana.
« In riferimento alla situazione reli-
IN QUUTO NUMIIIO
la Famiglia salesiana
8 Don Ricceri: Cinque caratteristiche
delle Missioni salesiane
15 E su cortese invito,
il Presidente Leone
Nella Chiesa
2 Cl chiedono un cambio
di mentalità
Nel mondo dei giovani
23 Insegnategli a comunicare
Nell'azione
20 Italia. Libri che lasciano il segno
29 // comitato Don Bosco rimani
Era il decano dei salesiani
30 Cooperatori per la giustizia
nel mondo•
31 Nuovo tempio a Don Bosco
21 Olanda. Ecco come insegno
religione
30 Portogallo. Un pendolino d'argento
30 Spagna. Tre anni In giro, la mostra
29 Brasile. Apostolato anche con
le percosse
28 Nicaragua. La prima chiesa dopo
il terremoto
16 Venezuela. 96 musetti all'acqua e
sapone
5 Birmania. Nasce rischiosa
la Prefettura di Lashio
18 India. Per i ragazzi della strada
28 La Bibbia in lingua Khasi
Protagonisti
10 lo ho sposato il mondo
Missioni salesiane 1875-1975
24 Sulle piste dei Moros
Rubriche
31 Libri
32 Ringraziano i nostri santi
34 Preghiamo per i nostri morti
35 Crociata missionaria

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Un momento del Sinodo 1973, in cui I vescovi decisero Il convegno su E vangeliv:M lone e promou ooe umana ·
giosa del nostro poese, non si può non
rilevare come in molti si vada atte•
nuando, fin quasi a scomparire, la virn
di fede. Permane, è vero, una certa
tradizione che riconosce ancora alcuni
valori cristiaru, ma essa diviene sem-
pre più fragile e meno rilevante. Non
sembri perciò eccessivo dire che J'lta
Ha è un paese da evangelizzare... ».
Queste parole sono in un altro do
cumento dei Vescovi, pubblicato nel-
l'aprile 1975, col titolo « Evange.lizza
zione e promozione umana ». Due mesi
prima, gli stessi Vescovi avevano pre-
sentato al Sinodo ancora un loro do
cumento dal titolo « L'evangelizzazio-
ne nel mondo contemporaneo >>. E di
« Evangelizzazione e sacramenti >> non
fanno che parlare, con tanta insistenza,
da parecchi anni a questa pane...
Segno che l'evangelizzazione di un
paese che rischia di tornare (o forse
è già tornato) « terra di missione», è
dunque il grosso problema della Chie-
sa italiana d'oggi. Di qui studi, incon-
tri, convegni e dibattiti, a cui parte•
cipano Vescovi, sacerdoti e laici re,
sponsabili d'ogni genere.
E il convegno più importante, quel-
lo di cui vale la pena di parlare e
interessarsi, ritenuto da alcuni « un
avvenimento ecclesiale di portata eC•
cezionale >>, è appunto quello che por-
terà il titolo « Evangelizzazione e pro-
mozione umana ». I vescovi l'hanno de-
ciso neJ 1973, l'hanno studiato con
cura durante due anni, l'hanno propo-
sto amaverso i due documeni del 1975
sopra ricordati. E ora, nel periodo nu-
1unno 1975-primavera 1976, essi si at-
tendono che i cristiani (gli studiosi,
certo, ma anche i fedeli d'impegno apo-
stolico) si trovino a dibattere fra loro
i temi, e a mettere insieme le loro
conclusioni. A livello di parrocchio, di
comunità di fede, di diocesi. Il 1m1te-
riale elaborato sarà utilizzato per la
stesura delle « relazioni di sintesi », e
confluirà cosl nel Convegno, fissato
per il prossimo autunno (dal 30 otto•
bre al 4 novembre).
Un « avvenimento ecclesiale », dun-
que, che se ottenesse la partecipazione
e l'ìnteressamcnto di tutti, potrebbe ri-
sultare davvero « di porcata eccezio-
nale».
Paese da evangelizzare
Nel loro documento dell'aprile scor-
so i Vescovi hanno tentato una dia-
gnosi della situazione religiosa italiana,
rivestendo di parole precise le tante
impressioni e senzazioni cbe tutti av•
vertono anche se non tutti riescono a
tradurre in parole.
I Vescovi riconoscono i canti passi
in avanti compiuti dalla società icalia-
na, i nuovi valori emergenti, le istanze
sempre più sentite per la giustizia. Non
tutto risulta ai loro occbi positivo,
nelle << rapide trasformazioni degli ul•
timi decenni»: il tumultuoso sviluppo
economico, l'irregolare clifiusione del
benessere materiale, gli squilibri terri-
toriali e sociali, l'urbanizzazione cao•
tica e la conseguente degradazione eco-
nomica e sociale di altre aree, e infine
la crisi economica « che ha aggravato
gli squilibri esistenti e Ii ba resi più
intollerabili ». Per tutto questo, osser-
vano i Vescovi, « il paese vive un mo-
mento di tensione profonda, che può
essere la premessa di una nuova e più
ricca fase di progresso civile, o vice-
versa la premessa di una crisi involu-
tiva ».
Sul versante religioso, i Vescovi no•
tano che gli stessi valori positivi « ven-
gono spesso affermati all'insegna di
una visione dell'uomo, della storia e
della realtà, che è chiusa nei confronti
di Dio». Più ancora, « viene da chie-
dersi se non assistiamo al sorgere di
una nuova "religione" di tipo profa-
no, con i suoi riti, una sua liturgia, e
un suo progetto: la costruzione del
mondo da parte dell'uomo; un mondo
dal qu ale siano cancellate o assenti le
« vestigia di Dio))• e che porti invece
impressi i "segni delJ'uomo" ».
All'interno dell'ambito cattolico poi,
« non mancano coloro che guardano
con crescente spirito critico ai risultati
conseguiti, dopo un lungo periodo di
presenza nella vita pubblica in posi-
zione di primo piano, da forze e orga-
nizzazioni di matrice carrolica ». Non
pochi insoddisfatti cercano rischiosa-
mente nuove soluzioni, al punto che
i Vesco\\!i devono mettere in guardia 3

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contro « il diffondersi della cultura
marxista, e talvolta l'accoglimento di
essa, da parte di alcuni cristiani » che
in ciò si comportano «senza molto di-
scernimento critico».
Ma a questo eccesso i Vescovi con-
trappongono (e associano nella con-
danna) l'altro eccesso del conservato-
rismo a oltranza: « Altri crisriani ten•
dono a legare indissolubilmente il mes-
saggio evangelico a espressioni cultu-
rali e politiche del passato; essi ri-
schiano così di ridurre o negare ogni
spai-:io al progresso e all'invenzione del
nuovo, con la conseguenza di legare la
Chiesa a forme sLOriche caduche o di
isolarla radicalmente dalla realtà ».
Chiaro: occorre cambiare.
Le Indicazioni dottrinali
del Vescovi
Per un cambiamento di mentalirà,
i Vescovi propongono il Convegno di
quest'autunno. « E' necessaria - essi
dicono - una chiarificazione del con-
ce1to e dei contenuti di evangelizza-
zione, di promozione umana, e quel
che più preme, del nesso inscindibile
che esiste fra le due realtà ». Preve-
nendo l'obiezione di chi al solito ri-
tiene di possedere da sempre le solu-
zioni dì tutti i problemi, i Ve~covi ag-
j!iUnJ!ono· « Si tratta di un problema
11011 nuovo, ma che oggi si presenta in
Esistono problemi di emarginazione
sodale all'lnlemo della comunità?•· E '
uno del 112 punii interrogativi pro-
posti daJ Vescovi alla coscienza del
4 cristiani d'Italia.
modo urgente e in term1ru nuovi,
tanto da poter dire che le risposte date
in passato sono ora insufficienti e ina-
deguate».
I Vescovi poi, per preparare i fedeli
al « cambio di mentalità », forniscono
alcune « indic:tzioni dominali » da ap-
profond ire nel Convegno. Essi ricorda
no che la Chiesa, « istituita da Cristo.
si presenta al mondo come segno effi•
cace di salvezza»; che tutta la Chie-
sa - nessuno escluso, neppure l'uomo
della scrada - « è implicata, con di
verse funzioni, nell'opera evangelizza-
1rice ». Proseguono precisando che « la
salvezza nel Cristo si estende a tullo
l'uomo e a turri gli uomini», che essa
« implica la liberazione dal peccato,
dalla morte, dal male, dalle « potenze
di questo mondo ». Ma ,i la libertà che
essa apporla non è solo da intendersi
in senso negativo, come libertà da ser-
vitù interiori e condizionamenti ester-
ni »; essa va intesa « sopranutto come
libertà per essere di più, agire. ama-
re: la libertà per una vi1a nuova e
diversa, una vita in comunione con
Dio e con gli uomini fratelli >►.
Ora, scendendo al nocciolo de.I pro-
blema, i Vescovi precisano che « In
promozione umana è parre integrnnte
dell'evangelizzazione». Ed è qui dove,
probabilmente, c'è molto da cambiare.
112 punti interrogativi
Che significa evangelizzare? Le pri-
me immagini che vengono in mente
sono una suorn che insegna il catechi-
smo, un missionario che amministro i
sacramemi... Verissimo, ma - vengo-
no a dire i Vescovi - non è tutto.
Evangelizzazione è « annuncio del di-
segno di salvezza », e « in questo an-
nuncio è compreso anche ciò che in-
tendiamo con la parola "promozione".»
« Ciò implica che la Chiesa non solo
annuncia mie dise~no, ma anche coo•
pera alla sua realizzazione: sia per
quanto riguarda lo crescita dell'uomo
e della comunità umana, sia per quan-
to riguarda la trasformazione del mon-
do. Implica cioè che la Ghiesa si im-
merga nella storia (senza tuttavia la-
sciarsene imprigionare)».
Esiste dunque « un nesso intrinse-
co e metti:.simo frn evangelizzazione
e promozione: umano ». Occorre com-
prenderlo in 1coria, e realizzarlo in
pratica. E proprio su questo problema
« non nuovo mo che oggi si presenta
in modo urgente e in termini nuovi »,
i Vescovi chiamano i cristiani alla « re-
visione di mentalità». Il loro secondo
documento, del setrembre scorso, mi-
ra a questo. faso è una selva di do-
mande (si contano 112 punti interro•
gaùvi): quasi un interrogatorio di ter-
zo grado per la coscienza cristiana mo-
derna. Sembra di leggere fra le righe
un'accusa alle comunità cristiane: quel-
la di « rimanere troppo spesso e trop-
po facilmente al di fuori della vita, di
non incidere veramente sulla promo-
zione umana ».
In realtà la fede è sempre sotto-
posta a un duplice rischio: di risol-
versi in un ancggiamcn10 puramente
intimistico, ricco di buone intenzioni
e desideri, ma senza incidenza sul
mondo, o di esaurirsi e svuorarsi nel-
l'impegno terreno (ì: quel che qualcu-
no chiama verticalismo e orizzontali-
smo). A seconda dei tempi, le comu-
nità cristiane possono pendere più da
un loto o dall'ilftro; ma la fede ma-
tura è solo quella the riesce a trovare
quel giusto equilibrio che le consente
di « immergersi nella storia, senza tut·
rnvia lasciarsene imprigionare».
Non è il caso di voltare pagina
In questi mesi si susseguono in va-
rie parti d'I tafia gli incontri, le gior-
nate e settimane di s1udio sull'argo-
mento proposto dai Vescovi. L'hanno
già fatto l'Univcrsitn Sacro Cuore di
Milano, vari rami dell'Azione Cattoli-
ca, la Carit:as, eccetera La persuasione
di dover cambiare è tanto più stimo-
lante in quanto - avvertono i Ve-
scovi - altrimenti si corre « iJ rischio
di privare la nos1ra socie1à dell'auten-
tico fermento evangelico, e quindi del-
lo forza di promozione che viene dalla
fede, dalla speranza e dalla carità cri-
stiana ».
La Chiesa in vari documenti e in-
terventi ha additoto già tante volte
ai cristiani degli obiettivi concreti, che
dopo il Concilio risultano storicamen-
te maturi oltre che moralmente neces-
sari: la proprietà considerata come
mezzo e non come fine, il bene co-
mune sopra l'individualismo del pro-
fino, l'economio al servizio dell'uomo
e non delle proprie presunte leggi « na-
turali », la panecip.izione di tutti alle
scelte che de1erminano il destino di
1uni. Oggi l'annuncio del Vangelo pas-
sa anche per questi programmi. E se
per qualche adulto può tornare diffi-
cile riconoscerlo, i giovani invece
specie i migliori - soffrono per gli
indugi e i ri tardi.
Il cambiamen LO d i mentalità costa:
comporta lo scardinamenro di vecchie
e forse comode consuerudini. Ma l'ap•
pello dei Vescovi è sono gli occhi
di rmri. Se da qualche parte se ne
parla e se ne scrive (non 1rop_po. a
dire il vero), forse questa volta pro-
prio non è il caso - per l'uomo del-
la strada - di voltare pagina del gior•
nale o di cambiare canale tivù

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NASCE
<RISCHI
LAPRE
Nel gennaio scorso la Santa Sede ha creato una nuova
Pref etlura apostolica in Birmania, e l'ha affidata ai
figli di Don Bosco. Ecco la storia difficile e le speranze
per il f uturo dei tredici salesiani impegnali a testimo-
niare Cristo in quel lontano paese.
B isogna accettare il distretto mis-
sionario di Lashio, anche se ri-
schioso. La Chiesa lo desidera, i con-
fratelli sono dispostissimi, e dimostra-
no coraggio e buono spixito ». Queste
parole scriue dall'I spettore don Lo
Groi nel maggio 1974, e inoltrate a
Roma, hanno spinto i superiori a da-
re l'assenso: i Salesiani avrebbero ac-
cettato il « rischioso» territorio di
missione là in fondo alla Birmania,
lungo il confine con la Cina, anzi con
infiltrazioni di comunisti cinesi ormai
ben radicate nel suo interno. A solle-
citare i salesiani erano i Missionari
del Pime - ormai troppo pochi e
anziani - , erano i vescovi birmani.
Ora, una laconica notizia apparsa sul-
l'Osservatore Romano del gennaio
scorso ~ venuta a dire che tutto è
deciso: il territorio di Lashio non solo
è stato affidato dal Papa ai Salesiani,
ma anche eretto in Prefettura apo-
stolica.
Nella tormentata storia dei Salesia-
ni in Birmania si volta pagina. Si
riaccendono le speranze, si può rico-
minciare. Dopo le incertezze e gli
smarrimenti. Come se il lungo lavoro
svolto dal 1938 a oggi fosse solo una
oscura preparazione dei tempi nuovi.
I ragazzi preferirono il lager
Anno 1938. Era il periodo della
grande espansione per i missionari di
Don Bosco (negli anni 1935-39 parù•
rono dall'Europa in 1133). In Birma-
nia arrivarono in sei (quattro saccxdoti
e due laici), guidati da un giovane
prete segaligno, dal sorriso facile ma
tenace come fil di ferro: don Antonio
Alessi.
Si portarono nell'interno, a Manda-
lay (seconda città per importanza nel
paese), e rilevarono per invito del ve-
scovo una scuola traballante. L'aveva
fondata un anziano missionario delle
Missioni estere di Parigi, troppo solo
per tirare avanti. I salesiani misero il
suo nome sulla porta d'ingresso,
« Scuola Padre Lafon », e si rimboc-
carono le maniche. Tutto andò bene
fino al 1942, quando arrivò la guerra,
l'invasione giapponese.
Il primo bombardamento (in tutto
furono 150) bruciò completamente
Mandalay con le sue casette di legno,
e naturalmente incenerl anche la scuo-
la. Poi i salesiani finirono con altri
missionari nei campi di concentramen-
to: alcuni in India, altri in un )ebbro•
sario birmano: maltrattati, affamati,
in pericolo di vita. E con loro nel
lebbrosario una quarantina di ragazzi
orfani, che non sapendo dove sbattere
la testa preferirono condividere il la-
ger dei Joro educatori.
Finita la guerra, nel 1945 don Ales•
si con i suoi ricominciò: la scuola
Padre Lafon era stata l'ultima a chiu-
dere, era la prima a riaprire. Con i
quaranta ragazzi orfani i missionari
raccolsero in giro i rottami, buttarono
giù piante, e agli ordini del coadiutore
capo falegname ricostruirono la casa.
Ma c'erano tanti senza tetto che si ag-
giravano smarriti per la città distrutta,
e facevano pena. I missionari acqui-
starono un terreno e vi costruirono
casette per sessanta famiglie: fu la
« Colonia Don Bosco ».
Nel 1948 arrivarono in rinforzo due
missionari. Sbarcati a R angoon, per
giungere a Mandalay compirono il
viaggio più avventuroso della loro vi-
ta. Dovettero aspettare che i militari
mettessero insieme un convoglio fer-
roviario. Furono presi vecchi vagoni
(per passeggeri, merci o bestiame, Po'
co imporra) che continuavano ad ar-
rugginire sui binari morti. La loco-
motiva andava a carbone, ma il car-
bone non c'era. Quindi andrà a legna.
E la legna, bisogna procurarla camm.in
facendo.
Si passano i fiumi su ponti di legno
improvvisati. Nella zona di Toungoo
i cecchini sparano sul convoglio. Le
ultime venti miglia si fanno su ca-
mionette militari. (E dire che le fer-
rovie birmane, prima della guerra, 5

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erano le migliori dell'Oriente). Ma al-
la fjne del viaggio avvemuroso, ecco
il sorriso festoso di don Alessi !
Die tro la cortina di teak
Il 1948 vede l'indipendenza deUa
Birmania; i1 paese crede di poter fare
da sé, esce dal Commonwealth e si
chiude in un isolamento ché col tempo
diviene sempre maggiore. E' qud che
hanno chiamato - con riferimento al
prezioso albero che prospera nel pae-
se - la « cortina di teak ».
E cominciano le restrizioni anche
per i missionari stranieri: d'ora in-
nanzi, non ne entreranno più.
Ma dopo tre mesi, è la guerra cl-
vile. Prima si sollevano i comunisti,
che durante i1 conflitto mondiale ave-
vano occultato con cura ogni sorta di
armi e ora le tirano fuori decisi di
impossessarsi del paese. Poi sono i
Karen, il forte gruppo etnico che du-
rante il conflitto aveva formato l'os-
satura dell'esercito birmano, e ora
chiede l'indipendenza. (Una terza fase
di disordini sarà presto provocata dal-
le scorrerie dei soldari cino-nazional i-
sti, scampati dalla Cina di Mao...)
In un primo tempo i Karen dila-
gano nel paese, e le truppe governative
faticano a imbrigliarli. Il 17.3.1949,
uno dei due o tre aeroplani governa-
tivi, che intendeva attaccare alcuni au-
tocarri degli insorti, colpisce invece in
pieno con una grossa bomba la scuola
salesiana. La bomba sfonda tre piani
dell'edificio, poi esplode uccidendo un
giovane aspirante, mutilandone un al-
tro, e seppellendo don Alessi sotto un
cumulo di macerie. Ma non sarà una
bomba a fermare don Alessi!
I Karen giungono fino a occupare
,Mandalay, e i missionari devono eva-
cuare con rutti i ragazzi. Al ritorno,
bisognerà ricostruire di nuovo la casa.
Ma la fanno più grande: con tre la-
boratori, e con 118 orfani interni e
580 allievi esterni nel 1950.
Intanto il popolo birmano offre a
Don Bosco le sue prime vocazioni. E'
tempo, perché di missionari dall'ester-
no non ne giungeranno pìù. I primi
giovani chiedei birmani vanno a stu-
diare a Shillong e Sonada, in India.
Nel 1954 i salesiani aprono nella
capitale Rangoon una parrocchia e una
scuola, che presto raccogli~ 800 allievi.
Nel 1957 nuove disposizioni di legge
impediscono ai chierici birmani di re-
carsi in India. Che fare? Bisogna co-
struirsi una casa di formazione. Il po-
sto è trovato: a Anisakan, sopra una
stupenda collina non molto lontano
da Mandalay, dove i salesiani si erano
rifugiati al tempo dei Karen. Nel 1961
6 arrivano anche le Figlie di Maria Ausi-
LA BIRMANIA IN CIFRE
La Birmania è una repubblica federale. Capitale Rangoon. Superficie
678.000 Kmq (più di due volte l'Italia): abitanti 29.560.000 nel 1973. La
popolazione è costituita per i tre quarti da Birmani e per il resto da varie
minoranze (tra le più forti quella dei Kachin, per l quali lavoreranno I
salesiani).
La Birmania, dopo un secolo di dominazione coloniale britannica. nel
1948 è divenuta indipendente. Ha scelto di rimanere fuori del Common-
wealth e si è data una costituzione di tipo parlamentare. che è durata fino
al colpo di stato del 1962. Da allora c'è un partito unico al potere, di
tendenza socialista e neutralista.
L'80% della popolazione è dedita all'agricoltura (riso, e Il famoso legno
teak). Il reddito nazionale è molto basso.
Il Buddismo è praticato dall'82% della popolazione. SI contano mino-
ranze di mussulmanl. hindù, e animisti. I cristiani si aggirano sul milione
e mezzo (5%): ma solo 285.000, cioè l'uno per cento, sono cattolici nel 1973.
Il maggior numero di conversioni al cristianesimo è avvenuto fra le tribù
montane di religione animista.
i sacerdoti {anno 1973) nel paese sono 189, di cui 49 religiosi. I reli-
giosi laici sono 58, e le suore 582.
LA PREFETTURA APOSTOLICA DI LASHIO
La noUzìa della sua erezìone è apparsa su • L'Osservatore Romano
del 12-1-1976. Essa occupa il distretto di Lashio. in precedenza apparte-
nente alla diocesi di Keng Tung. La diocesi prima della spartizione aveva una
superficie di 81 .600 Kmq., e oltre due milioni di abitanti. di cui 36.100 cat-
tolici (dati del 1973). Non si conoscono i dati relativi alla sola Prefettura.
Essa è collocata sul confine con la Cina, nella parte nord dell'altipia-
no di Shan (1.000-2.000 metri), piuttosto arido e incolto Il terrìtorio è attra-
versato da nord a sud dal fiume Salween, che nasce in Cina ed è lun-
go 2.500 Km.
Da Lashìo parte la famosa • strada della Birmania~. lunga 1.168 Km.,
che raggiunge la Cina: era stata costruita dagli americani durante l'ultima
guerra mondiale, per rifornire i cinesi in guerra contro Il Giappone.
I SALESIANI IN BIRMANIA
I Salesiani sono in Birmania dal 1938. Sono 13: dieci sacerdoti. due
chierici e un coadiutore. Tutti, men.o un missionario italiano, sono birmani.
Hanno tre parrocchie nella nuova Prefettura: Namtu, Kutkal e Kiaukme.
Hanno una quarta casa, un aspirantato. ad Anisakan presso Mandalay.
Queste opere fanno capo all'lspettoria indiana di Calcutta, da cui dipen-
dono. Rappresenta l'Ispettore un suo Delegato, attualmente il birmano pa-
dre John Jocelyn Madden: li Papa ora lo ha nominato Prefetto Apostolico
di Lashio.
liatricc, dapprima tre, e aprono an-
ch'esse una scuola a Mandalay. Presto
le allieve sono più di cinquecento.
Tuno sembra procedere abbastanza
bene, ma...
Espulsioni e confische
Un colpo di stato nel 1962 porta al
potere il Generale Ne Win. Subito
sono nazionalizzate le banche, nel '64
sono aboliti i partiti politici, nel 1965
sono nazionalizzare anche le scuole.
Comprese quelle di missione, che ven-
gono confiscate senza il minimo in-
dennizzo.
I salesiani - salvo quelli di Ani-
sakan e quelli delle parrocchie - si
ritrovano sulla strada. La confisca è
faua così drasticamente che un sale-
siano assente, quando torna, trova i
sigilli alla porta della sua camera e
non può neppure prendersi ì suoi ef-
fctti personali. Ma ecco il buon cuore
della geme: in quell'occasione si vi-
dero offrire dai cristiani - ma anche
da buddisti - le cose di prima ne-
cessità e piccole somme io denaro.
Non era ancora finita. Nel 1966
un nuovo provvedimento decreta l'e-
spulsione dei missionari stranieri en-
trati in Birmania dopo il 1948, e di
quelli che hanno lasciato l' insegnamen-
tO, Il 22 marzo alla sede della Confe-
renza Episcopale birmana viene recapi-
tata una lunga lista di 232 missionari
(sacerdoti, laici, suore), con accanto a
ciascun nome la data entro cui devo-
n o lasciare il paese. Tra gli altri, il
nome di una suora entrata in Birma-
nia cinquant'anni prima, e che ha 93
anni. Uguale provvedimento è preso
anche per i missio nari protes tanti.
Le Figlie di Maria Ausiliatrice, che
in soli cinque anni avevano maturato
alla vira religiosa cinque vocazioni,

1.7 Page 7

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devono ritirarsi tutte. Lo stesso desti-
no tocca a molti salesiani.
Il contraccolpo è tremendo. I sei
salesiani del 1938, con l'apporto di
altri missionari e delle vocazioni na-
tive erano diventali 15 nel 1952, 22
nel 1962, 36 nel 1965 e 42 nel 1966.
Ma ora è rempo di rifare i conci da
capo. Le scuole erano, per i missio-
nari in quel difficjJe paese, il luogo
naturale dell'incontro con la gioven-
tù. Ai salesiaru senza gioventù sembra
ora che venga meno l'avvenire. Ma di-
venta pure il tempo della franchezza:
ai giovani chierici si offre lealmente
di scegliere: possono restare con Don
Bosco, possono entrare in seminario
(anzi, già lo frequentano per gli stu-
di), possono tornare in famiglla. Cosi,
tra missionari costretti a rimpatriare,
e giovani religiosi che scelgono altre
strade, il numero dei salesiani prende
a discendere: sono 33 nel 1967, 25
nel 1970, 19 nel 1972.
E' la fine di tu rto? La storia del
Vangelo in Birmania ha conosciuto
ben altre flessioni e paurosi sbanda-
menn...
La storia del Vangelo in Birmania
La scoperta del Capo di Buona Spe-
ranza (1497) aveva propiziato i primi
contatti fra il cristianesimo e i popoli
della Birmania: coraggiosi missionari
vi si recavano, isolati o quasi, e con
molto coraggio ma anche con poche
possibili d i successo. Nel 1722 i
Barnabiti, soprattutto italiani, presero
Maria Ausiliatrice come l'ha immagi-
nata un pittore birmano di religione
buddista.
a lavorare con ben altro metodo. An-
zituno erano presenti come ordine, e
non come singoli: ciò assicurava con-
tinuità di uomini e anche di mezzi.
Per più di un secolo essi percorsero
in lungo e in largo il paese, bene ac-
colti alla corte del re, e nei monasteri
buddisti. Si devono a loro le prime
carte geografiche del paese, le prime
traduzioni della Bibbia, la diffusione
dei primi libri cristiani. Ritirandosi
per mancanza di personale nel 1842, i
Barnabiti lasciarono ilietro a sé sva-
riate comunità cristiane. E diversi
martiri.
Intanto era scoppiata la guerra an-
glo-birmana (1825-86), che al solito
segnò l'agorua dell'attività missionaria.
Nel 1886 due sol i sacerdoti cattolici
si trovavano in tutto il paese. Erano
però subentrati nel lavoro apostolico i
Padri delle Missione Estere di Parigi
e ili Milano, e per il Vangelo si apre
una nuova fase positiva: le conversio-
ni aumentano. E ancora una crisi, du-
rante la seconda guerra mondiale, con
missionari espulsi o rinchiusi in cam-
pi di concentramento, con opere di-
strutte o abbandonate.
Nell'immediato dopoguerra si ha un
nuovo rilancio missionario, difficile ma
premiato da buoni risultati. Nel 1954
viene consacrato il primo vescovo bir-
mano, nel 1955 è introdotta la gerar-
chia ecclesiastica. Ma dopo i cambia-
menti dell'ultimo decennio, c'è c.hi par-
la di « ibernazione della Chiesa bir-
mana».
Ai missionari è quasi imposto dalle
circostanze un tempo di riflessione,
per trarre qualc:he insegnamento dalle
recenti vicende. Essi si interrogano sul-
le scuole e opere sociali nazionalizzate:
non assorbivano forse troppo l'attivi-
tà dei missionari? Le relazioni con i
monaci buddisti: non si sono create
gua e siruazionj di tensione? non
si è fatto troppo poco per compren-
dersi e collaborare? Il periodo del co-
lonialismo· non si è peccato di un
certo tr ionfalismo? La si tuazione so-
ciale di oggi: hanno tutti i torti i
governanti, quando consider.ano disper-
sive le istituzioni filantropiche che pro-
liferano senza coordinamento con i
programmi nazionaJj? non era e non
sarà possibile collaborare, pur mante•
nendo le debite disranze e distinzioni?
Sono domande che i missionari, an-
che quelli salesiani, si stanno ponendo
con tutta serietà.
La Prefettura « rischiosa »
Il fatto nuovo per i salesiani della
Birmania resta però la nuova Prefet-
tura di Lasbio, e la nomina, per uno
di loro, a Prefetto Apost0lico.
L'opera di Mandalay è risorta da lle
ceneri della guerra, e don Antonio
Alessi (a destra nella foto) accompagna
ne.Ila visita alla scuola li Primo Mlni-
stro di Birmania, Thakln N u, che non
nasconde la s ua ammirazione ( li go-
verno successivo confischerà la scuola).
Il territorio giustamente è stato de-
finito « rischioso ». Tre forze se lo
contendono: i nazional isti, gJj inclipen-
denristi e i comunisti. La popolazione
::he lo abita è costituita dalle tribù
montane del gruppo etnico Kachin, di
religione animista ma beo disposte
verso il cristianesimo. Ma non hanno
cerw rinunciato alle loro aspirazioni
indipendentiste.
E' opinione diffusa che nei territori
orientali della Birmarua, lungo i con-
fini con i paesi di regime comunista
(Cina e Laos} siano attivi una dozzina
di capi di gruppi armati. E operereb-
bero anche nel territorio di Lashio.
D i fatto le città sono controllate
dalle truppe governative, ma i villaggi
sembrano in mano di queste forze di
opposizione. Le truppe governative
controllano i paese di giorno, le altre
sembrano padrone della notte. Di al-
cuni di questi gruppi risulta che svol-
gono abitualmente traffico di confine,
con colonne di autocarri o a dorso di
animali. Nei viaggi di andata, traspor-
terebbero anche l'oppio (una fonte di
informazione parla di 400 tonnellate
esportate ogni anno), e al ritorno in-
trodurrebbero merce di contrabbando,
o armi.
E come se non bastasse, si parla
anche di diecimila guerriglieri comu-
n1st1 sovvenzionati da Pekino, ormai
infiltrati stabilmenre in territorio bir-
mano. Il fiume Salween, che attraver-
sa da nord a sud la Prefettura di
Lasbio, segnerebbe un tacito confine:
a oriente si troverebbe la zona di in-
fluenza comunista.
7

1.8 Page 8

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Definire rischiosa la nuova m1ss10-
ne non è dunque esagerato. Ma i sa-
lesiani della Birmania hanno accettato
di correre il rischio. Sono oggi in tre-
dici, da 42 che erano nel 1966, ma
molto «diversi» da allora. Uno solo
è missionario venuto dall'estero (l'Ita-
liano don Fortunato Giacomin, arriva-
to giovane chierico nel 1940); gli altri
sono tutti cittadini birmani. E quel
che più conta, sono coloro che hanno
scelto liberamente di rimanere con
Don Bosco e di lavorare nel distretto
di Lashio.
Pronti a correre il rischio
Questa nuova rubrica di « dialogo con i lettori » era stata sollecitata da
diverse parti e da parecchio tempo. Lettere con problemi e richieste di chiari-
menti giungono con frequenza al BS, e del resto non risulta difficile trovare
nella Famiglia Salesiana le persone competenti per una risposta chiara e sicura_
Per inaugurare come si conviene la rubrica, abbiamo voluto interessare il
Rettor Maggiore stesso, sopra un tema che in questi tempi egli ha fatto oggetto
di lunga riflessione e di frequenti conversazioni.
caratteristiche
Le prime proposte ai salesiani, per
quel territorio, erano state avanzate
già nel 1971, ma il progetto andava
maturato. Se ne riparlò in termini con-
creti nel 1974, e don Lo Groi ispet-
tore di Calcutta (da cui dipendono i
salesiani di Birmania) in maggio si
recò a consultarli. Parlò dapprima con
ciascuno singolarmente, poi a tutti in-
sieme. Si discusse. Si votò a scrutinio
segreto. Erano pronti a correre il ri-
schio.
Da allora sono state lasciate le due
parrocchie di Rangoon e Mandalay, e
si sono aperte tre parrocchie nel cuo-
re della Prefettura. Si pro~etta di ri-
dare nuovo impulso alla superstite ca-
sa di Anisakan, fuori del territorio
ma abbastanza vicina.
Dodici salesiani su 13 sono dunque
birmani, e quasi tutti giovanissimi. Tra
gli « anziani » c'è padre Giovanni Jo-
celyn Madden, 41 anni, il nuovo Pre-
fetto Aposrolico (nato a Rangoon, ave-
va compiuto gli studi ginnasiali a Man-
dalay. Per il noviziato e gli studi suc-
cessivi aveva potuto recarsi a Shillong
e a Sonada. E ' stato ordinato sacer-
dote a Mandalay nel 1967).
Per lui e i suoi compagni si tratta
davvero di «andare» in missione: si
trasferiscono infatti in una parte della
Birmania che non è la loro, che è
abitata da gruppi etnici diversi, par-
lanti lingue diverse. E poveri. Sono
13 salesiani a cui è affidato di annun-
ciare Cristo a gente che non lo cono-
sce. Nelle loro mani è posto per in-
tero il progetto apostolico di Don
Bosco verso la gioventù povera di
Birmania: tocca a loro svilupparlo e
i;ealizzarlo.
Dunque si volta pagina, dietro la
« cortina di teak » comincia una nuo-
va storia salesiana. La Santa Sede ha
offerto a quel pugno di evangelizza-
tori più che una responsabilità pasto-
rale: delle carte da giocare, un futuro
da inventare, un motivo di vita.
Nasce cosl la « rischiosa » Prefet-
8 tura apostolica di Lashio.
delle missioni
salesiane
Motivi di lavoro mi hanno portato più volte in Sudamerlca a contatto con
svariate opere sociali e centri missionari_ Ne ho ricavato ·/"impressione che le
opere missionarie di Don Bosco avessero - rispetto ad altre - qualcosa di
diverso, di specìfico, come proveniente da Don Bosco stesso. E cosi più volte
mi sono chiesto senza saper dare una risposta esauriente: che cosa, appunto,
le caratterizza?
Dott. F. C. di Roma, exal/ievo
Dice bene, amico exallievo: qualcosa
di proveniente da Don Bosco. E' pro-
prio dallo spirito missionario di Don
Bosco che dobbiamo prendere le mos•
se. se vogliamo cogliere le caratte-
ristiche fondamentali, l'identità spe-
cifica dell'azione missionaria salesiana.
Le Indicherò In breve cinque caratte-
ristiche, che mi sembrano più Impor-
tanti.
1. I giovani. Don Bosco, chiamato
da Dio a prendersi cura del giovani,
soprattutto dei più poveri. ha fatto
delle Missioni l'area privilegiata dove
esercitare la sua peculiare vocazione
di apostolo dei giovani; e ha ricavato
dalle missioni quella tonalità di spe-
ciale ardore apostolico con cui si av-
vicinò ai giovani stessi. Don Bosco
insomma ha considerato i giovani • la
mossa vincente della strategia mis-
sionaria salesiana •.
E' fin troppo facile vedere ora tutta
l'attualità - anche per noi oggi -
della sua scelta: essa costituisce an-
cora e sempre l'anima profonda del-
l'azione missionaria salesiana. Si pen-
si che i giovani oggi rigurgitano sulla
superficie del nostro pianeta. Il Terzo
Mondo è una marea montante di gio-
vani. Mentre i Paesi occidentali sono
assillati da una presenza sempre più
• ingombrante di anziani, li 43% della
popolazione dell"Asia e dell'America
Latina, e il 44% di quella dell'Africa,
è sotto i 15 anni. Quindici anni! E due
terzi della popolazione di questi con-
tinenti ha meno di 25 anni!
Ora è soprattutto nel Terzo Mondo.
e tra i più poveri, che il sistema edu-
cativo di Don Bosco si confronta con
una realtà giovanile che presenta bi-
sogni angoscianti di beni materiali,
morali, culturali, spirituali. Una gioven-
tù, inoltre, meravigliosamente dispo-
nibile, per freschezza e genuinità, alla
proposta cristiana di costruire un
mondo più giusto, più umano, più per-
meato di valori evangelici.
Per noi dunque le missioni sono il
luogo privilegiato in cui compiere la
nostra missione di salesiani educato-
ri ed evangelizzatori dei giovani.
2_ La promozione umana. Una se-
conda caratteristica dell'azione mis-
sionaria salesiana è l'impegno per la
promozione umana della gente.
Un secolo fa, quando la parola • co-
lonialismo • non faceva crisi o conte-
stazione, e le nazioni dell'Occidente
ritenevano legittimo lo sfruttamento
indiscriminato delle terre in cui ave-
vano issato la loro bandiera, Don Bosco
• sentl I grandi problemi sociali, eco-

1.9 Page 9

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Le vocazioni autoctone sono un'indub-
bia caratterisllca delle missioni sale-
s.lane (nella foto: un chierichetto in•
di.ano dl Bbavnagar, Ahmedalad).
nemici e politici insieme a quelli fon,
damentali dell'evangelizzazione. Egli
capì allora che il mondo si avviava
verso una totale evoluzione di valori
e un'altrettanta severa revisione dei
rispettivi diritti degli uomini e del
popoli.
A guardare bene, dopo un secolo di
esperienze, c'è da stupirsi per quanto
seppero fare i missionari di Don Bo-
sco, con mezzi spesso assai limitati:
dall'agricoltura agli allevamenti, dalle
cooperative indigene e rurali all'orga-
nin:azione del lavoro e dei lavoratori,
dall'alfabetizzazione alla qualificazione
dei tecnici nel settori più diversi, dalla
pubblicazione dei libri alle stazioni
radio... E così, Cristo fu annunciato
attraverso la testimonianza· concreta
dell'amore, attraverso il servizio al
più umili e ai più poveri.
3. L'incarnazione nell'ambiente. La
promozione umana e l'evangelizzazione,
per essere feconde e autenticamente
liberatrici, richiedono un'incarnazione
totale nell'ambiente socio-culturale in
cui si opera. Questa è appunto la
terza nota caratterizzante della mis-
sione salesiana.
Incarnazione nel contesto locale,
che assume i toni di intenso rispetto
e amore al patrimonio culturale e so-
ciale. Penso in questo momento a
don Cimatti, capo della nostra prima
spedizione missionaria In Giappone:
46 anni, tre lauree, diploma in compo-
sizione, preside del liceo Vafsalice di
Torino. • Darei tutte le mie lauree e
diplomi - diceva - per meritarmi la
grazia di essere missionario •. Fu ac-
contentato. Il suo inserimento cultu-
rale fu, nonostante l'età, celere e per-
fetto: • Vi assicuro che chi vi scrive
è ormai giapponese di mente e di
cuore •, annotava In una lettera del
1926.
Si fece giapponese perfino la sua
musica. Nel 1940 ricorreva il 26° cen•
tenario della fondazione dell'Impero
del Sol Levante, e la Radio Nazionale
affidò proprio a lui, uno straniero •,
!'incarico di comporre una sonata che
rievocasse l'evento. La compose, e fu
pieno successo. Del resto anche il
BS ha ricordato di recente queste sue
parole programmatiche: • Voglio diven-
tare terra giapponese ...
Don Cimatti non è un caso isolato.
In occasione di questo • Centenario
delle missioni salesiane , in molte
nazioni, con governi dalle più disparate
tendenze, riceviamo sinceri e ammi-
rati riconoscimenti del lavoro di sale-
siani • stranieri •, ma considerati
• gente della loro terra •.
In realtà è stata preoccupazione co-
stante dei missionari salesiani !'evi-
tare ogni manifestazione o connota-
zione, diretta o indiretta, di naziona-
lità o di cultura. Don Bosco non volle
affidare le singole missioni a singole
province religiose salesiane, o a na•
zloni determinate (come usano altri),
ma stabilì che ogni comunità missio-
naria dovesse esprimere al vivo -
anche con la varia provenienza dei
suoi membri - la presenza amorosa
e l'universalità della Chiesa. Allora
come oggi, le nostre comunità mis-
sionarie sono Internazionali.
Per noi il messaggio di salvezza
non s'identifica con nessuna civiltà
particolare, e i problemi · del lebbro-
sario di padre Schlooz, olandese, suc-
cessore di padre Mantovani, italiano,
sono di fatto sentiti e condivisi da
otto nazioni che hanno Inviato Il i
loro uomini migliori. Così è per il
centro giovanile di Tondo, nei sob-
borghi di Manila. Così in Ecuador,
dove Salesiani polacchi. cecoslovacchi,
spagnoli e filippini lavorano insieme
nella Stazione Radio e nella Federa-
zione indigena degli Shuar. E I loro
problemi sono sentiti e partecipati
in svariate comunità salesiane di di-
versi continenti.
4. Le vocazioni autoctone. Passo
alla quarta caratteristica: la promo-
zione e lo sviluppo delle vocazioni
autoctone. Questa è una necessità
strettamente connessa all'incarnazione
del missionario e della Chiesa nei sin•
goti paesi.
Dopo appena cinque mesi dall'arri-
vo dei suoi missionari in Patagonia,
Don Bos.co chiese al Papa Pio IX il
permesso di aprire case di formazione
per le vocazioni locali. Sembrava una
richiesta un po' frettolosa, ma era in-
dovinata. Zeffirino Namuncurà, il figlio
del cacico degli Araucani conquistato
a Cristo dal missionari, e desideroso
di farsi lui stesso missionario del suo
popolo, è oggi un modello ideale per
la gioventù argentina. Oggi le 38 Pro-
vince missionarie salesiane hanno,
nella quasi totalità, superiori, forma-
tori e direttori nativi. Del 528 novizi
che si preparano quest'anno a consa-
crarsi a Dio nella Congregazione sa-
lesiana, 335 (cioè Il 65%) apparten-
- gono al Terzo Mondo e al mondo mis,
sionario.
5. I laici. Altro elemento caratteri•
stico delle missioni salesiane è la
qualificata e massiccia presenza del
laici. il Vaticano Il ha riconosciuto e
riaffermato, dieci anni fa, il ruolo dei
laici nella Chiesa. Cento anni fa Don
Bosco, componendo la sua prima spe-
dizione missionaria, si preoccupò di
inserire ben quattro salesiani laici nel
gruppo dei primi dieci partenti. A essi,
e a quelli che seguirono, affidò i com-
piti promozionali e sociali che oggi
la Chiesa riconosce al laicato: essi fu-
rono tecnici, ingegneri, insegnanti,
direttori di aziende agricole, maestri
di musica, ecc.
La spedizione missionaria del 1975,
tra i cento partenti. annivera una ven-
tina di laici , giovani e qualificati. A
loro si aggiungono oltre cento volon-
tari, essi pure laici qualificati, che han-
no deciso di condividere per qualche
anno, con noi, il lavoro apostolico e
sociale.
Caro amico exallievo, e amici let-
tori del BS. Anche le missioni sale-
siane hanno i loro problemi e -
perchè nasconderlo? - qua e si
trovano in difficili situazioni sociali,
politiche, culturali. Ma il farsi • gente
del posto•, l'interessarsi al giovani e
al poveri, continua ad attirare ovun-
que sul nostri missionari simpatie
insperate e preziose benevolenze. al
di sopra dei rigidi nazionalismi e delle
intransigenti ideologie.
Don Luigi Ricceri
9

1.10 Page 10

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La Cooperatrice salesiana Maria Casella, donna di ser-
vizio semi-analfabeta, ha saputo incarnare un'avven-
tura spirituale di sconcertante moderniia teologica.
Ecco qualche brandello del suo diario, per cominciare
a conoscere questa f igura eccezionale - dono di Dio
alla Famiglia Salesiana - che è vissuta nascosta in
m ezzo a noi e l'ulli ha arricchito.
1 Al BAMBINI TUTTO E' PERMESSO
Scalza come Gesù. Sono nata a
Bantina: era mezzogiorno e in casa
non c'era un panno asciutto perché
la mamma era tornata allora dal ri-
sciacquo del bucato. Fui avvolta nel
grembiule di una donna venuta ad
assistere al parto.
11 papà faceva la comunione a Pa-
squa, la mamma invece non perdeva
mai la messa. In casa tutti santifica-
vano la festa e si recitava sempre
l'Angelus e sovente il rosario. Essen-
do analfabeta, la mamma non ci inse-
gnava altro. Andando a dormire so-
levo prendere la medaglia della Ma-
donna che portavo sempre con me.
e me la comprimevo sulla fronte nel
rimanere nel mondo perché ce n'è tan-
to bisogno». Penso sia stato Gesù,
perché quelle parole mi lasciarono una
pace e una gioia che mi. tolsero ogni
ansietà.
Ecco il mio fidanzato. Una mia
compagna, Francesca, mi invitò ad an-
dare da padre Manzella (ora servo di
Dio). Gli ho subito detto che volevo
essere sposa di Gesù con i voti per-
petui. Il padre mi disse: « Preparati
bene per la Pentecoste».
Ho farro i miei voti a fianco di
un'amica. Davanti a Gesù Sacramento
mi sentivo sciogliere come si può scio-
gliere il ghiaccio sotto il sole scot-
desiderio che vi rimanesse impressa.
Ho fatto la mia prima comunione
scalza. I miei genitori compravano
le scarpe solo ai fratelli che doveva-
no lavorare in campagna. L'anima mia
si riempì di gioia, perché ho pensato
che anche Gesù Bambino andava
scalzo.
Mi sposai, ma solo per tre mesi.
Fin dall'infanzia mi piaceva molto il
lavoro: aiutavo in tutto la mamma.
Verso gli undici anni andai a servire
presso un casello ferroviario. Ci tene-
vo molto a fare i segnali ai creni con
la mia bandiera verde in mano e la
tromba sotto il braccio.
Andai poi a servizio a Ozie-ri. A
diciassette anni, nel 1912, andai a
Sassari. Mi pare che fu proprio al-
lora che iniziai a trasformare il lavo-
ro, mettendovi tante inrenzioni.
In quel tempo, dopo una confes-
sione generale mi sposai con Gesù
ma solo per tre mesi; mi iscrissi fra
le Terziarie Francescane e sentii i]
desiderio della clausura. Un giorno mi
10 sentii rivolgere queste parole: « Devi
tante. Era la prima volta che mi
prendeva il raccoglimento nella pre-
ghiera.
Mi sentii proprio invasa da Gesù,
ne parlavo senza rispetti umani. Una
volca una mia compagna mi parlò del
suo fidanzato e me ne fece vedere
la fotografia; io corsi in casa a pren-
dere l'immagine del Cuore di Gesù,
e glielo mostrai dicendole: « Ecco il
mio».
Tutti insistevano che mi spo-
sassi. Una sera, il fratello di un'ami-
ca da cui andavo a ricamare mi disse
che sarebbe partito per l'America. Io
gli dissi che sarei andata volentieri
anch'io. E lui: « Se mi sposi, ti por-
to in America ». Gli ho risposto di sì.
Tutti insistevano che mi sposassi:
« Tanto più che, alla tua età, ti tro-
verai in tanti pericoli». Mi trovai
in una grande lotta perché avevo da-
to il mio cuore al Signore. « Come
potrò sposarmi se il mio sangue si
è già unito a quello di Gesù... se mi
sono data a lui? ». Non ci capivo
più niente...
Da Sassari scrissi allo zio materno
Giacomo, che abitava a Torino, di
trovarmi un posto di servizio. Egli mi
rispose che mi preparassi, perché ave-
va trovato lavoro per me nella cu-
cina dell'Ospedale di San Giovanni.
Partii con la nave per Genova; col
treno arrivai a Torino. Era il mese
di settembre 1925.
Gesù giocava a mosca cieca.
Presentatami al San Giovanni, la suo-
ra mi condusse a vedere la cucina.
Mi hanno fatto lavare un mucchio di
pentole. Suor Teresa, la cuoca, sic-
come c'erano ad aiutarla anche cin-
que uomini, incominciò a parlarmi
del sacrificio che avrei dovuto fare
nello srare sempre chiusa, e mi con•
sigliò di mettermi a servizio di una
famiglia. Fissandomi a lungo, aggiun•
se: << Tu non vai bene qui; sei trop-
po carina, e ridi troppo >>. In conclu-
sione me ne venni via e fui assunta

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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dai Brossa in Corso Moncalieri, in
una villa a due piani.
Lavoravo di gusto. Non sentivo Ge-
sù prescnre, però sentivo che mi tra-
scinava come una pagliuzza in una
corrente di acqua. Quando prevedevo
che sarei uscita per la spesa stavo a
digiuno. Uscivo anche senza velo per•
ché la signorn non se ne accorgesse;
entravo in qualche chiesa e chiedevo
in prestito un velo a qualche per-
sona.
Incominciai ad andare a confessar-
mi un po' dappertuno, per avere una
parola sicura circa quello che mi bol-
liva nell'anima. Tutci mi dicevano di
sposarmi. Due sorelle sarde fecero di
lutto per accalappiarmi e farmi cono-
scere un loro cugino... Poco dopo una
mia cugina mi parlò di un altro gio-
vane ed insistette che lo sposassi...
Risposi che non sapevo ciò che
Gesù voleva da me. Gesù infaLti gio-
cava a mosca cieca. Ho sofferco tanto.
Domani entrerò nel monastero.
Andai a confessarmi al santuario della
Consolata e chiesi al padre che mi
spiegasse bene se è meglio sposarsi o
farsi suora. E insistetti: « Me lo spie-
a causa del mio confessore, che mi
faceva soffrire molto. Avevo sapulo
da alcune mie amiche che don Fran•
cesia dci Salesiani predicava nel san-
tuario di Maria Ausiliatrice. Diceva-
no che leggeva nelle anime. Sono an•
data parecchie volte per ascoltarlo,
ma non sono riuscita a vederlo. Ho
saputo che ll vicino vi era un Ora-
torio delle Figlie di Maria Ausilia-
trice; ne ho approfittato. Mi ha mol-
to divertita vedere le suore che gio-
cavano e ballavano con le ragazze. Mi
ha subito avvicinata suor Maria Men-
zio, che si prende cura delle persone
di servizio, e me la sono fatta ami-
ca. Andai anche n scuola ma soltanto
quattordici giorni. Ho letto rimo il
sillabario, visto che quello mi basta-
va per leggere la stampa; non volli
imparare a scrivere.
Cominciai a frequentare sempre più
il santuario dell'Ausiliatrice. Pregavo:
« Gesù buono, lasciati amare. Lo sai
che ho fame e sete del tuo amore...
Vieni a sciogliere la mia lingua: vo-
glio chiamare tutte le anime affinché
ti amino... Lascia che stringa a me
il tuo Cuore: Il è il mio monastero...
2. VOGLIO ESSERE
PER TE FANTASIA
Scrivere le cose che dico a Gesù.
Io mi sento la più misera di rutto
il mondo. Gesù, tu lo sai che questa
è un'obbedienza sanguinosa, e io non
sono capace a niente... Ieri sono an-
do tn a scuola di calligrafia con suor
Maddalena, ma non ho scritto nep-
pure una parola: abbiamo parlato di
Gesù. La mia maestra ha riso, per-
ché le ho detto che racconto le storie
a Gesù, e qualche volta pesto i piedi.
Gesù, che sei tamo buono con i
piccoli, benedici questi spropositi di
Maria, rottame dell'Oratorio.
La mansione più umiliante. So-
no una povera donna al servizio di
Gesù. Mercoledì mi sono venute in
mente quelle parole: « Vi sono molte
mansioni in paradiso», e ho pensato
che vi sono molte mansioni anche
nel mondo. Fu allora che ricordai an-
che le parole che padre Manzella mi
disse un giorno: « All'ultimo posto
sulla terra vi sono le persone di ser-
vizio; però in paradiso saranno le
prime>>. Ho riflettuto se c'è nel mon-
do un ufficio più umiliante, e mi par-
ve di sl: vi sono gli spazzini, e co-
loro che mantengono la pulizia nei
servizi igienici pubblici. Ho detto al-
lora a Gesù: « Mi offro vittima per
le peccatrici pubbliche, affinché diven-
tino delle buone Maddalene ».
ghi proprio bene». E lui: « Certo, è
meglio farsi suora ». Fu un'impressio-
ne di benessere, che mi diede un sen-
so di sollievo.
Una sera, dopo aver derto a Gesù
tante cose, gli dissi anche quesla:
« Domattina, quando entrerò nella
chiesa del Carmine, intenderò entra-
re nel monastero di sanra Teresina ».
(Ai bambini tutto è permesso).
La santa sarà la maestra delle no-
vizie. li monastero sarà tutta la Chie-
sa; il mondo sarà il giardino. lo sa-
rei andata a cercare ruue le creature
per portarle a Gesù. Mi addormentai
queUa sera dopo aver sLUdiato tutto
il piano del monastero.
Al mattino presto andai al Catmi-
ne quando la chiesa era ancora chiu-
sa... Mentre entravo mi voltai indie-
tro e dissi: « O mondo, non ti ab-
bandono, t.i sposo e ti porro con me ».
Se già prima mi interessava la sal-
vezza delle anime dei miei fratelli,
da questa mia « entrata » nel mono•
stero diventò per me l'unica missione.
La mia soffitta. Ogni tanto mi
venivano momenti di scoraggiamento
Sono la tua povera bambina senza
giudizio! ».
Al tempo dei bombardamenti per
la guerra, avevo già la mia soffitta
in via Ccrnaia, e sentivo di amarla:
la chiamavo « Casa del Cuore di Ge-
». Quando uscivo per il mio lavo-
ro, la raccomandavo a Gesù.
Mi ero messa a servizio a ore, un
po' qui un po' là. Ma ho fatto su-
bito un contratto: « Se mi volete,
dovete lasciarmi andare tutti i giorni
in chiesa ».
Il libro della meditazione. Il
mio padre spirituale mi domandò, do-
po avermi ascoltata, se facevo la me-
ditazione e quale libro usavo.
« Vorrei saperla fare - gli spie-
gai - ma non trovo libri che mi
soddisfino. Vi trovo troppe parole.
Vorrei un libro con poche parole ma
con molto sugo ». Qualche giorno do-
po il buon padre mi mandò un libro
« con poche parole »: era un bel Cro-
cifisso! « Padre, grazie del libro, mi
ha fatro canto bene. Mi piace tanto,
perché posso leggerlo al buio, men-
tre lavoro, e sempre ».
Sposa. Sono andata in Basilica a
fare la mia chiecchicrata. Ho detto a
Gesù: « Mi offro vittima insieme a te
in ogni Messa che si celebra. Offri
te, offri anche me. Voglio essere spo-
sa dell'Eterno Padre che mi ha crea-
ta ». E poi ho pensato a Gesù che
riempie il mio cuore. Allora mi sono
offerta vittima a Gesù, sposo mio,
salvatore mio. Ho pensato allo Spirho
Santo che è il mio Maestro. Lo sento
tame volte, anche camminando, spin-
germi di qui e di là; sempre mi fa
da guida. Quindi, oh sl, voglio essere
sua sposa.
« Faccio come i bambini incoscien-
ti, convinti che tutto è loro. Sulla
lerra rutto è mio. E' mio perché me
ne bai fatto dono. Sono tua sposa;
e quello che è dello sposo è anche
della sposa... lo per te ho portato un
corredo magnifico: le mie miserie, e
quelle del mondo ».
Gesù, ti voglio amare lanto fino a
riempire il ruo Cuore all'infinito. Vo-
glio rubare l'amore di tutto il mondo
per darlo a te.
« Da quando ci siamo conosciuti,
Gesù e io, ci siamo sempre voluti
bene e non ci siamo più lasciati>>. 11

2.2 Page 12

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Voglia di cantare. Ho passato un
periodo con tama voglia cantare.
Cantavo a Gesù: « Resta con me,
Gesù, perché 1i amo! ». Davo gloria
al Padre celeste, a Gesù e allo Spi•
rito Santo. Era un canto dell'anima,
che non si ode sulla terra; dell'ani•
ma col suo Creatore, col suo Gesù,
col suo Sposo. Po1essi avere quella
voce sempre. Io infani non so can-
tare. « Ma Gesù, 1u lo sai che 1i
amo. Lo vedi che in questo poco
tempo non sono capace di amare. Ho
solo le mani che lavorano: solo le
mie dieci dita. Te le offro come fos•
sero dieci cantori a cantare, in coro,
un inno dì amore ».
Il mio monastero. Un atto di
amore dà valore a qualsiasi azione,
anche la più piccola e umiliante: il
calzare le scarpe, allacciarsele, accen-
dere la luce, scopare, cucinare, ali-
mentare la stufa, parlare co.n una per•
sona, ecc. Ecco, io ho rutro quesro
a mia disposizione. Sono ruue cose a
mio servizio. Vi meno l'intenzione
per il mio monastero: il mondo. Mi
sento mamma sua, capace di nutrirlo.
Io comprendo qual è il mio mo•
Mstero. Vi sono già dentro: è il
mondo. Mi occupo dì tutte le cose.
e in modo speciale della pace fra le
nazioni, di tutte le nazioni. Che si
guardino come due fidanzati: una fa.
miglia sola, un canto solo, una vita
sola.
I peccati del mondo. O Gesù, tu
sei venuto sulla terra a cercare i pec-
caci. E io voglio andare come un la-
dro in tutte le anime: togliere tu11i
i peccati e darreli. Tu li vuoi e io
te li do.
Mi sento tanto stanca; mi sento
pesame a camminare: è il peso di
Gesù... E' il peso di tanti e tanti
peccati... Un peso che arriva al cuore!
Il paradiso. lo non ho freua di
venire in pnradiso. Vorrei stare nel
mondo non so per quanto. Vorrei
che godesse la tua ricchezza e felici-
tà. Il mondo cerca amore; ma ranu
sbagliano amore. Perciò, o Gesù, man-
da lo Spiriro Samo in modo veemen•
te, come lo hai mandato agli apostoli.
Il mondo lo hai creato tu. Lo voglio
vedere nelle luc mani.
Il paradiso non è su: è <.on noi,
è dentro di noi.
li paradiso non è difficile da rag-
giungere: è facile, perché sta in tuHe
le anime. Le anime che ti a.mano
godono pace. E questa pace è il tuo
paradiso...
CHI E' MARIA CASELLA
Nascita. Maria Casella è nata a Santina, nel comune di Pattada (Sassari) .
il 5-11-1895.
La famiglia. Il padre Antonio muore durante la prima guerra mondiale; la
madre Giovanna Deledda emigra a Marsiglia con vari figli, e muore
nel 1956. Maria ha tre sorelle e quattro fratelll.
Studi. Nessuno (dirà di sé: Sono un fiore selvaggio che non ha cono-
sciuto giardiniere •). Impara a leggere da adulta. In un secondo mo-
mento Impara i rudimenti della scrittura.
Professione. Donna di s ervizio per 52 anni (dai dodici anni fino al 1959).
Prima a Ozlerl, poi a Sassari (dal 1912). poi dal 1925 a Torino.
Vita consacrata. Nel 1918 i voti perpetui. Diventa Terziaria Francesca•
ne. Lo stess o anno è pure associata alle Figlie di Maria. Dal 1956 è
Cooperatrice Salesiana. Ma vive In modo singolarissimo la sua con•
sacrazione, al di sopra del movimenti e dei tesseramenti.
Il suo diario spirituale. Poche pagine scritte di s uo pugno. La più parte
sono dettate. anche al magnetofono. Per ordine del direttore spirituale,
e vincendo un'Indicibile ripugnanza l'obbedienza s anguinosa •• co-
me la chiama) .
Caratteri della sua vita spirituale. 1) E' singolare In Maria Casella l'attrazlo•
ne verso la Trinlta: nelle sue mani si sente bambina (• al bambini
tutto è permesso •l. e soprattutto si sente s posa •. E nell'ambito
della Trinità, nutre una tenerissima devozione a Maria (la Mammina)
2) Altrettanto singolare l'attrazione per la realtà terrena C• Ho spo-
sato il mondo •, • li mio monas tero è Il mondo •) .
3) Vive una • teologia del lavoro intuita più che teorluata, ma s pin•
ta fino alle estreme conseguenze.
4) La sua pietà è sobria e centrata sulle sole pratiche fondamentali :
messa e confessione. Assenza quasi assoluta di devozioni •.
5) li lavoro manuale è pe-r lel occasione di costante unione e conver-
sazione con Dio. Una conversazione a cui fa da supporto una fante•
sia amoros a capace di trasfigurare la realtà.
La dimensione salnlana. E' rilevablle già nella centralità - tutta boschla-
na - riconos ciuta alla mess a e alla confessio ne. Decis ivo l'incontro
(atteso per decenni) con un valido direttore s pirituale, salesiano. a
cui si affidò senza riserve. Persone e ambienti della Famiglia Sale-
siana torinese divennero man mano li mondo in cui si realizzava (si
definì: • Maria, rottame dell'Oratorio •l .
Morte. L'ha sorpresa In piedi, nella sua abitazione. li 9-6-1975.
Blbllografla. Una vita per Il mondo • (estratti del diario di Maria Casel•
la). Editrice LDC 1975. Pag. 128, Lire 900.
12
Quanti criminali nel mio mo-
nastero. Una ragazza madre ha uc-
ciso il figlio appena nato, lo ha get-
tato in acqua. O Gesù, quanci cri-
minali ci sono nel mio monastero!
Vorrei riparare per tuni. Ti offro Ja
bellezza dei fiori per riparare questo
peccato; il canto degli uccellini in
cambio delle creature uccise nel grem•
bo delle madri. Ti offro tulti i ru-
mori della terra, meri i movimenti,
come se fossero compiuti da queste
crearure uccise... O Signore, offro a
te quanto hai creato per la nostra
salvezza, come se te l'offrissero quelle
creature uccise nel seno della mam•
ma. Fa' che queste mamme tornino
a te come rnnte Maddalene ».
Io vogiio essere per te fantasia.
Un giorno sono andata a confessarmi
dal padre ed egli mi disse: « Quanta
fantasia questa benedetta animai ».
Non vi ho fatto caso. Ma ripensan•
doci, i l padre ha de tto la verità.
La fa ntasia! ... Ma io la fantasia la
penso come unu stoffa dai colori sva-
riati che mi rapiscono. Riflettendovi
su, un fuoco nuovo si accende nel
mio cuore. Quante volce ho detto
a Gesù: « Io vorrei essere per te
fantasia, perché ri voglio servire in
tutte le maniere. Ricorro allora alle
creature irragionevoli per dirti ciò che
voglio fare per te... ».
Chiamo a raccolta tutto. Chia-
mo a raccolta tutto ciò che mi circo□•
da: esseri animati e inanimati; anche
i marroni e le piastrelle della mia
abitazione, perché si animino e mi
aiutino a dare gloria a Gesù e salvare
anime.
Giacché, o Gesù, io non ti so ama-
re, comando a tutti i fiori: col vostro
profumo amate il mio Diletto; fate-

2.3 Page 13

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gli compagnia con la vostra bellezza.
Danzate dinanzi a lui. Parlategli. Di-
tegli che io lo amo; che non mi la-
sci più sola; che venga.
O Gesù, lo sai che mi piacciono
tanto i gigli, le rose, le viole. Quanti
sono i liori che esistono sulla terra,
io intendo mandarteli come se fosse-
ro usciti dal mio cuore. O fiori, vi
comando di dire a Gesù che lo amo.
Essere una campana. La campana
che suoni alle orecchie di tutte le
anime fino a stordirle e a renderle
sorde alla voce del peccato; ma che
sentano la tua voce Lhe chiama.
Ascoltami Gesù: tu sei il buon Pa-
store. I pastori hanno il loro cane
per governare il gregge affinché nes-
suna pecora si perda. Ebbene io vo-
glio essere tl tuo cane e venire sem-
pre con te per le tue pecore. Ma
voglio fare la guardia aIla tua vigna
affinché i ladri non rubino. Abbaia-
re, abbaiare per chiamare a te, o
Gesù.
Mi pare di avere parlato abbastan-
za della fnmasia: essa è espressione di
amore.
L'arrosto. L'altro ieri ero in cu-
cina e ho bruciam l'arrosto. Come
correggerlo? Ho preso un po' di zuc•
chcro, un po' di vino e aceto. Quan-
do l'ho presentato a tavola, Ja signo-
ra ha detto al figlio: << Franco, prova
questo arrosto, quanto è buono! ».
Allora ho raccontato a Gesù la mia
storiella:
« Senti, Gesù. Anche le cose mal
fatte, cioè fatte inavvertitamente, si
possono aggiustare... Tante anime che
peccano non capiscono che fanno pec•
Maria Casella In una
foto de.I 1926. O Gesù
- ha lasciato scritto -
concedJmJ di lavorare
con te nel mondo sino
alla fine del secoli •·
cato. Ebbene, io voglio condire di
amore rutri i peccati del mondo, e
rendere tutto gradevole, come ho fat-
to con l'arrosto. Tu lo sai che l'amo-
re che io ti do non è mio. Voglio
condire con esso ogni peccato; non
solo quelli di una città, ma del mon-
do intero... ,._
Gli abitini di Domenico Savio.
Mi sono alzata presto perché dovevo
incollare gli abitini di Domenico Sa•
vio. Vi inscrivo un frammento pic-
colo di reliquia e mi sovvenne il gra-
nellino di senapa che divenne un gran-
de albero. Ilo detto a Gesù: « lo
voglio la mia anima a pezzettini CO·
me fossero grani di senapa, e che di-
ventino milioni di alberi ~-
Da quanto tempo confeziono gli
abitini di Domenico Savio! Per le-
gare i mazzetti con la fettuccia, ho
sempre fatto due nodi. Ora ho pen-
sato di farne tre. Sono i nodi con
cui inrendo essere legata strettamente
alla Santissima Trinità: col Padre ce-
leste, Padre buono di amore, perché
è molto caro all'anima mia. Col se-
condo nodo, o Gesù, intendo legar-
mi a te. E tu trasmetti la tua vita
nella mia vita, perché io faccia tutto
quello che desideri. Col terzo nodo
intendo legarmi allo Spirito Santo af-
finché ml conduca dove vuole.
Vorrei... Sento la mia anima rina-
ta, e con una virtù maschile: senza
paura, nera, ardita. Io voglio amare
tanto Gesù. Non mi importa di sof-
frire. Voglio volare in alto, sfiorare
gli alberi, le montagne; buttarmi ne-
gli oceani e giunge.re dovunque non
sia giunto l'uomo, né bastimenti
sottomarini; sprofondarmi dove è il
punto giusto per legare tutte le na-
zioni ai piedi di Gesù, aflìnché le
nazioni si guardino con sguardi fra-
terni, e il Sangue di Gesù le lavi,
e faccia comprendere a tutti che sono
servi e lui solo il Re.
Nella chiesa c'è il sacerdote: vorrei
esserlo io. Vorrei essere !'ostia che
viene sacrificata. Vorrei essere il sa-
crestano che serve la Messa. Vorrei
essere tutti i fedeli che gremiscono
la chiesa. Poi c'è la campana che
suona. Ebbene io vorrei che fosse la
mia voce ad andare lontano a rutti
gli orecchi, per dire che Gesù è buo-
no, è bello...
Ho un'altra cosa da dirti. Sai qual
è? Vorrei l't111ità delle Chiese, l'unità
delle nazioni, l'unità di volontà. Ven-
ga sulla terra la tua volontà e formi
in noi il tuo paradiso. Oh, vo"ei
ta11te cose: raccoglie.re ogni gemito
della Chiesa del silenzio, di tutti i
martiri, di tutte le mamme che banno
la fortuna di essere mamme. Te lo
offro, o mio Gesù; dammi un amore
infinito, perché possa slringere al mio
cuore l'Infinito.
Vorrei che la Cbiesa non fosse di
mattoni, ma di cristalli, aflìnché la
gente veda quanto è bella! Parla in
rutti i modi. Se la gente la vede co-
m'è, se ne innamora.
Vorrei che la mia testa fosse come
una gira11dola, che andasse attorno al
mondo a dare luce che oscuri le vie
del peccato, e iUumini le vie che por-
tano a Gesù.
Moltiplica l'anima mia. Molti-
plica l'anima mia. Voglio attingere dal
tuo Cuore e distribuire alle anime.
Se ci fossero miliardi di Marie che
sollevano il mondo a te...
Voglio vive.re nel cuore di tutti...
Voglio vivere nel cuore dei capi di
governo, perché capiscano che la vera
pace nasce daJJa buona volontà. Vo-
glio vivere nel cuore delle famiglie,
dei coniugati e della gioventù; in tut-
te le anime. Per questo voglio farmi
santa. Mio dolcissimo Gesù, adombra-
mi con la rua santità, con la tua sa-
pienza.
Mi è venuto in mente Barnard.
Ho ascoltato la Santa Messa e mi è
venuto in mente Barnard, il medico
che trapianta i cuori. Ho detto qual-
che parola a Gesù, e ho sentito che
è entrato in me qualcosa di grande
che non so spiegare.
Ho detto a Gesò: « Quando mori-
ti prego, o Gesù, trapianta il mio
cuore ne.I cuore del mondo intero, per
trasformarlo. Gesù, tu vedi che il mon- 13

2.4 Page 14

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do è ammalato di v1z1. Il cuore di
tante anime non batte più. lo sono
disposta a dare il mio cuore per tra-
piantarlo nel mondo. Quando morirò
e tu verrai a prendermi, fa' questa
operazione ».
Ho capito. Gesù s1 e servito del
vino per mutarlo nel suo sangue; del-
l'acqua per farci membra della Chie-
sa; si è servito del pane per nascon-
dersi; del fango fatto con la saliva
per guarire i corpi... Da ciò ho ca-
pito che rune le cose create sono
pronte: per servirmi a dargli gloria,
per offrirgliele, e adoperarle per la
salvezza delle anime. Perciò dico al
Signore: « Vorrei dare a ogni cosa
un cuore che pulsa e uno scopo... In
tutte le cose vorrei esserci io, viva,
per farvi agire Gesù >).
Il lavoro è amore. La mia virn
di lavoro mi assorbe. Ma, Gesù, il
lavoro è amore; è azione in te, per-
ché va a finire a te. Ti dà amore il
mio lavoro: è amore, mio Gesù. Non
voglio darti altro.
Io vado a lavorare a ore, e danno
dell'obolo secondo il lavoro, ma non
è sufficientemente pagato. Però, met•
tendo le mie intenzioni, trasforman-
do il lavoro, diventa come un canale
di amore che va a Gesù.
11 lavoro è un libro che insegna
la bellezza di agire per Gesù... Jn.
segna ad amare.
Le intenzioni sante. Come il bat•
tesimo trasforma il bambino non an-
cora battezzato e lo rende granùc e
prezioso agli occhi di Dio, cosl le
intenzioni sanre che noi meuiamo nel-
le azioni nostre, le rendono grandi e
preziose agli occhi del Signore, per·
ché egli le compenetra e le fa sue.
Se ne compiace, e le fa diventare
pane dell'anima semplice.
La trasformazione del tavorn.
Cristoforo Colombo ha scoperto l'Ame•
rica. Anche la mia anima ha fotto
una scoperta. O meglio, Gesù vi ha
14
messo quello che vi ha messo: la san•
tificazione e trasformazione del lavoro.
Ho capito certe cosette. Cioè che
con la trasformazione del lavoro si
tesse un ricco mamo a Gesù. Oh
come sono ricche le nostre mani orien•
rate verso ìl cielo! Umanamente par•
lancio, non sanno di nulla, possono
essere sporche; ma sono creatrici di
una immensità di oro.
3. L'UCCELLINO
VOLA VOLA, POI CADE
Sono tanto stanca Sono sempre
la stessa: Gesù mi mantiene un po'
selvaggia. Sono qui nelle soffitte. Jn
questo tempo sono tanto stanca. Mi
si gonfiano le gambe; ho s~i:ipre un
po' di febbre. Non vado p1u a ser•
vizio nelle case. Confeziono gli abi-
tini di Domenico Savio e cosl mi gua•
dagno qualcosa. Non ho voglia di par-
lare. Ho voglia solo di dire tutte le
mie cose a Gesù. Ormai egli si è abi-
tuato con mc, in modo che io con-
tinuo a raccontargli le mie storie.
Cerco soltanto te. Mi pare che
quaggiù tutto sia svanito. Tutto mi
pare velato! Sono spirirualmente sola.
Mi pare di essere una selvaggia delle
montagne. Montagne tutte rocciose,
che io debbo scavalcare, passando da
una roccia all'altra. E tono nella più
grande soli tudine. Ma ru, Gesù, vedi
quello che soffro. Sai che non cerco
niente sulla terra. Sono un nulla, ma
non cerco nulla: cerco soltanto te, o
Gesù, che mi sei srato padre, fratello,
mamma e sorella.
Ho sposato il mondo. 11 padre
buono lascio l'eredità al figlio, perché
continui la sua vita sulla terra. Eb-
bene io vorrei continuare a vivere
per tutti: per quelli che sono già
nella santità; per quelli che non ne
hanno; per quelli che hanno perso la
resta... Io ho sposato il p'.10ndo.
n diploma d1 Coopc.
ratrlce salesiana, rila,
sclato a Maria Casella
Il 24-9-1956 dall'allora
Retlor Maggiore, 1on
Renato Zlgglotti.
Giochiamo con il mondo. Quan-
do prego, in questo tempo, dico: « Ge-
sù, tu lo sai che io ho sposalo ve-
ramente il mondo. Ma l'ho sposato
per portarlo ai tuoi piedi, per dartelo
perché è tuo_. Voglio pregare per il
mondo, voglio gettarlo ai tuoi piedi,
merrerlo davanti, deporlo nelle tue
mani... Immagina che sia un pallone;
giochiamo con questo pnllone... Lo vo-
gllo uasformare. Ricordati, Gesù, di
lanciare a me il mondo e io lo lancio
a te.
La mia sorella preferita. Anche
se si ha da soffrire, è Gesù che sof-
fre io noi, quindi non costa.
La sofferenza non mi fa più paura.
E' la mia sorella prcfcrirn, perché
insegna a guardare in alto.
Non ho paura. Una suora mi ha
detto di avere paura della morte e
del giudizio. Le ho risposto: « Io non
ho affatto paura. Non penso di andare
in purgatorio; penso che sono una
bambina piccolissima, incapace a ren-
dermi bella. Ma mi getto nelle braccia
di Mammina e me ne sto tranquilla ».
Penso che quando si muore non è
~or_ire: è lo sposalizio fra Gesù e
la01ma...
Il 9 giugno 1975. Ogni giorno si
trascmava a Messa. li giomo 9 giu•
g110 fu l'ulti111a volta. Verso le dieci
e meua: v1s1ta della dotl.ssa Lea Ba-
stianini, che si ferma fin dopo le un-
dici: « l,femrc Marza Casella si pre-
para ad aprire 1111 cassello, si ferma,
e con grande dnfreua dice: « Io ho
nmato soltanto Gesù. Do quando ero
bambina, ho sempre amato lui solo...
I lo avuco molte proposte di matri-
monio perché ero graziosa, ma ho sem-
pre rifiutato: la mia vita era donata
a Gesù».
Poco dopo, 1111'altra uisita. Doman-
da110 a Maria se è andata a Messa.
Risponde di sl, e si colorisce gioia:
« Padre Renato, francescano, mi ha
visto di lontano che faticavo a cam-
minare, e mi è venuto a prendere
sotto braccio; mi ha aiutato a salire i
gradini della chiesa, e mi ha accom-
pagnata al mio posto. Sapesse la gioia
che ho provato! Non me l'aspettavo.
Una volta i sacerdoti non si abbassa-
vano mica cos1 I ».
Nel pomeriggio altri vanno a tro-
uarla. La porta è chiusa. Devono to-
gliere un vetro dalla porta per far
scorrere il chiauistello e aprire. En-
trati, trovano la Casella distesa a terra.
Aveva detto: « Mi succederà ciò
che avviene all'uccellino, che vola vo-
1:t, e poi cade perché gli manca la
forza delle ali ».
ENZO BIANCO

2.5 Page 15

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Il Card. Baggio ha tenuto in dicem bre a R oma la com-
m em orazione uff ieiale del « Centenario delle m issioni
salesian e>>. Ospite d'onore era il Presidente della R e-
pubblica Leone, ch e con un discorso improvvisalo
contribui al ton o fam iliare della m anifestazione.
U n'esplosione di applausi e di flash
accoglieva, la sera dell' ll dicem•
bre scorso, l'ingresso del Presidente
della Repubblica. L'aula magna del-
l'Universilà Salesiana era, naturalmen-
te, stipata come un uovo. Sul palco
le bandiere dei paesi che avevano in-
viato la rappresentanza diplomatica (12
ambasciatori erano presenti). E poi fra
gli invirari sette cardinali e J7 fra
arcivescovi e vescovi. E molte perso-
nalità del mondo politico (Andreotti,
Scalfaro, Spataro, Bosco...), del mondo
della culLura, e il sindaco di Roma
Darida.
Don Ricceri apriva 1a manifcstazio•
ne dandole subito il tono cordiale del-
le feste di famiglia. Ringraziò il Pre-
sidente Leone, rappresentante di quel-
la nazione appunto che nei cent'anni
trascorsi ha dato alle missioni sale-
siane tanti suoi figli, resisi capaci di
portare in altre terre un messaggio
religioso e culturale, e cli far amare
la patria di Don Bosco.
Oratore ufficiale era il card. Seba-
stiano Baggio (Prefetto della Sacra
Congregazione per i Vescovi). Egli pu-
re parlò con il tono familiare di chi
avendo girato il mondo in lungo e in
largo, e avendo inconrrato tante volte
i salesiani anche negli angoli più lon-
tani, con loro si sente ormai di casa.
Indicò alcuni aspetti, a suo dire tipici,
dell'attività missionaria salesiana.
La gioia, per esempio: « la gioia
magnanima di chi parte perché si sa
chiamato di Dio. La gioia impaziente,
quasi infantile, cli chi si affaccia al•
l'avvenrura con l'animo traboccante di
speranza e di poesia. E una gioia con
accompagnamento di musica, elemento
inseparabile dalle istituzioni salesia•
ne... ».
Ma anche lo spirito di famiglia, che
« verrà amorosamente coltivato e si
manifesterà soprauutto nella fiducia
reciproca tra superiori e inferiori, nel
rispetto e nella valorizzazione dei ta•
lenti di ciascuno, nell'eguaglianza dei
membri, siano essi sacerdoi.i o coadiu-
tori ».
Ancora: la sceha di classe operata
da Don Boco e dai salesiani: « una
scelta costante, coerente, indeclinabile:
quella che si muove sulle due linee
parallele dei poveri e dei giovani».
E infine la /iducia accordata ai gio•
vani: « ecco un altro sigillo della sa-
lesianità missionaria: la giovinezza de-
gli inviati. E' tipico, mi pare, del si-
stema missionario salesiano l'invio pre-
coce dei candidati sul posto di lavoro,
per familiarizzarsi con la lingua e assi-
milare gli usi locali... ».
Il card. Baggio accenna poi all'atti-
vità missionaria delle Figlie di Maria
Ausiliatrice: «una piena valorizzazione
dei meravigliosi talenti della donna».
E accanto a questi religiosi, vede i
Cooperatori Salesiani: « una vasta fa.
miglia di uomini e donne, spesso exal-
lievi, legati alla Società Salesian~ d_a
un profondo vincolo di amore, di sti-
ma e talvolta di gratitudine, che silen-
ziosamente e generosamente fanno pro-
prio l'apostolato salesiano ».
Un discorso cosparso di aneddoti e
testimoniarne personali, e accolto con
tenti applausi.
E alla fine, un cenno del Rettor
Maggiore verso la prima fila degli ospi-
ti: un cortese invito. « Sl, Sl, è pro•
prio a me che allude! », esclama il
Presidente Leone balzando sul palco
a improvvisare il suo discorso.
E passa in rassegna le « tre diret-
trici dell'opera salesiana >} che più lo
hanno impressionato: « il lavoro al ser-
vizio della cui tura e della religione,
portato avanti da tanti missionari sa•
lesiani »; « il lavoro a favore dei gio-
vani nelle scuole professionali»; e in-
6ne « l'interessamento per i giovani
che si sentono disorientati da falsi pro-
feti, che distruggono la loro vita de-
molendo i valori che la rendono degrut
di essere vissuta ».
Infine, quasi a scusarsi per la sua
presenza in quell'occasione: « Qua-
lunque Presidente di Repubblica, a
qualsiasi religione appartenga, senti-
rebbe il dovere di essere qui presente
per ringraziare l'opera missionaria
svolta dai salesiani a favore degli emi-
granti, dei giovani, degli indigeni, dei
lebbrosi nel corpo e nello spirito... ».
J ESUS MÉLIDA 15

2.6 Page 16

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L'Isla del Ralòn sul fiume Orinoco ha la forma di un
,grosso Lopaccio. Nell'internato che le Figlie di Maria
Ausiliatrice vi hanno aperto, i 96 musetti all'acqua e
sapone delle indiette sono una speranza per le tribù
della zona: i piaroas, i guajibos, i maquirifares, i ba-
nivas... E una speranza per quella giovane Chiesa.
Tanto lavoro, ma i risultati non
erano convincenti. I salesiani del-
l'Isla del Ratòn, che dal 1952 edu-
cavano nella loro singolare missione
i ragazzi provenienti daJle svariate tri-
bù della zona, notavano che essi una
volta rnrnati nella selva - cioè in
ambiente assai diverso per religione
e moralità - e una volta messa su
famiglia, riprendevano le abitudini tra-
dizionali accantonando gran parte di
quel che avevano imparato alla mis-
sione. Ci fossero state le suore, si
dissero, tutto sarebbe andato diversa-
mente. Esse avrebbero formato cri-
stianamente le giovani, e i nuovi fo.
colari sarebbero divenuti una speran-
za per l'avvenixe di quelle tribù.
Perciò i missionari chiesero che le
suore venissero, insistettero per aver-
le, e finalmente le ottennero. Il 27
dicembre 1969 Lre Figlie di Maria
Ausiliatrice arrivarono, accolte da gran-
de festa, e dalla curiosità inconteni-
bile dei piccoli indietti. Le suore non
erano per loro, ma per le loro so-
relline, e andava bene lo SLesso. Ora
le due missioni lavorano affiancate, di
qui i 118 maschietti irrequieti, for-
midabili giocatori di birille colorate,
e di là i 96 musetti all'acqua e sa-
pone delle femminucce.
Un internato « diverso »
Isla del Ratòn è un'isola tutta ver-
de sull'immenso fiume Orinoco, nel
cuore della foresta venezuelana. Il fiu-
me la aggredisce da ogni parte, ma
neanche con le piene riesce a som-
mergerla. Lunga venti chilometri e
larga sei, pare davvero un topaccio
galleggiante. E senza coda. Oltre alle
due missioni ha qualche villaggio con
cinquecento fra indios guajibos e creo-
li (di sangue misto), gli uni e gli
altri appena infarinati di civiltà.
Primo ad arrivare era stato un an-
ziano missionario, don Luigi Algeri,
rotto alle dure fatiche missionarie dei
tempi eroici. Tagliato fuClri dal mondo
civile, doveva dedicare il più del suo
tempo ai lavori manuali indispensabili
per la sopravvivenza: costruirsi una
casa, disboscare la selva per inventa-
re i campi, strappare alla terra di
16 che nutrire sé e gli indios. Nel 1961
lo sostituiva don Feddema, salesiano
olandese, con due suoi compatrioti
(«olandesi ma cattolici», dicono am-
miccando i salesiani del Venezuela).
Dovevano occuparsi di una sessantina
di gruppi indigeni, lontani dalla mis-
sione e lontani fra loro: li avrebbero
potmi incontrare, girando notle e gior-
no, sì e no una volta all'anno. Un
buon internato invece avrebbe consen-
tito loro di educare i piccoli (il punto
di partenza secondo il metodo di Don
Bosco), e di incontrare i loro genitori
(punto di arrivo del metodo di Don
Bosco).
Ma un internato diverso dai tanti
sorti in quegli anni, che miravano a
strappare l' indio dalla selva per farne
un semi-civilizzato incapace di vivere
nella civiltà e incapace di tornare alla
selva. Un indio che finiva sovente per
andar a gonfiare le miserande perife-
rie dei centri urbani. Ll vicino una
missione protestante sfornava indios
che dicevano: << Io non sono più un
piaroa, non sono più un indio, sono
un cristiano ».
Piccoli Guaicas vestiti di... orchidee.
Foto nella pagina accanto: bambine
deU'lsla del Ratòn, fiere del loro va-
riopinl i pappagalU.
musetti
all'CICQUCI
esa~0ne
Uno sradicamento molto pericolo•
so. Padre Feddema impostò l'interna-
to in modo che i suoi ragazzetti -
anche da battezzaci - rimanessero io-
dios della loro tribù. Niente lettini
all'europea, ma cbincborros {amache)
come a casa loro. A scuola impara-
vano a scrivere la loro lingua, a leg-
gere il Vangelo con le parole che
avrebbero ripetuto - divenuti un
giorno catechisti - alla gente della
loro tribù. E durante le vacanze, a
casa con mamma e papà. Tutto que-
sto si è dimostrato molto utile per
preparare gli indios all'inevitabile urto
con la cosiddetta civiltà che avanzava
inesorabile.
Si capisce, i missionari erano an-
cora insoddisfatti. Per ottenere risul-
tati pienamente positivi, ci volevano
le suore.
Oggetti misteriosi come le sedie
L'internato delle Figlie di Maria
Ausiliatrice può ospitare un centinaio
cli bambine ed è sempre al completo.
La maggior parre delle bimbe pro-
vengono dai villaggi sparsi lungo il
fiume, alcune poche dall'isola. Appar-
tengono alle più svariate rribù: pia-
rm1s1 guajibos, maquiritares, banibas,
yuivas, curripacas... Tutte con la pel-
le scura e gli occhi a mandorla come

2.7 Page 17

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i cinesi. Arrivano allo stadio primi-
tivo, parlano lingue differenti e si in-
tendono solo tra compagne della stes-
sa tribù (per i ragazzi è peggio: essi
si portano dietro anche le rivalità tri-
bali inculcate dai loro padri). Per i
primi mesi comunicano a gesti. Ma
poi le barriere cadono, l'amicizia è
fana, scoprono di essere tutte sorelle,
si scambiano i loro piccoli tesori, i
fiori della selva e le piume dei pap-
pagalli.
E poi la missione è piena di me-
raviglie da scoprire. Ci sono tanti og-
getti misteriosi di cui capire il fun-
zionamento, come le sedie, i cucchiai,
il sapone. Che fa tutte quelle bolli-
cine fragili e poi lascia il musetto pu-
lito. E il sale, e... più ancora lo zuc-
chero.
E poi i bei vestiti che le suore
mettono loro addosso. Imparano a te•
nerli in ordine, a portarli con gusto.
Anche per i maschietti ci sono i bei
vestici, ma pe.r loro è impossibile te•
nerli a lungo puliti: è tanto bello
rotolarsi per terra... Le femminucce in-
vece nel giro di pochi mesi acqui-
stano una proprietà di comportamen-
to che incanta. E coi loro vestitini
variopinti gareggiano con i colori dei
pappagalli. Il loro cortile, un vasto
quadrato circondato dalle casette del-
la missione, è pieno di pappagalli che
razzolano docili e giocherelloni, al•
cuni grossi come galline, altri piccoli
come pulcini. Si lasciano prendere in
braccio e sono fantastici compagni di
gioco.
Le bambine imparano a leggere e
scrivere, imparano i lavori domestici,
come si cucina e si cuce, come si
tagliano i vestiti. Hanno frerta di im-
parare. Hanno una volontà inesauri-
bile e si applicano senza stancarsi. A
volte bisogna costringerle a lasciare
studio e lavoro, e a fare un po' di
ricreazione. Se manca qualcuna dal
gruppo, di sicuro si è ritirata a leg-
gere o cucire.
Le suore (ora sono in quattro) alla
domenica fanno l'oratorio per una no•
vantina di bambini e bambine del-
l'isola; durante le vacanze scolastiche
fanno l'orat0rio tutti i giorni. Appe-
na possono vanno a visitare le fami
glie. E come se non bastasse, fanno
cucina e bucato per i 118 maschietti
dell'altra missione.
Un salvadanaio per loro laggiù
Arrivano a fare tutto anche perché
c'è chi dall'alto le sostiene. E' suor
Augustina, una delle tre fondatrici
della missione, che il Signore ha già
chiamato al premio. E' morta a 36
anni appena, stroncara da un male
tremendo.
Suor Augustina Alonso era narn in
Spagna nel 1939, in un villaggio vi-
cino a Valencia. Nella famiglia cri•
stiana era cresciuta all'ideale purissi-
mo del dono di sé. Ottenne di diven-
tare missionaria, ma la mandarono
prima a Roma, per un anno, a pre-
pararsi. Un'attesa troppo lunga per
un'esistenza da bruciare in fretta.
« Guardi, Madre - diceva alla Ma-
dre Generale -, non sono più una
novizia. Non mi tenga qui a scopare
e spolverare mentre ci sono tanti po-
veri che hanno bisogno delle mie cu-
re ,., Arrivata nel 1969 fra le indier-
te dell'lsla del Ratòn, diventò su-
bilo in rutto la loro amica e com-
pagna. Le guidava nelle tante cose da
imparare, e intanto parlava loro di
Dio, Padre di rutti, in cui si deve
porre tutta la fiducia.
E intanto a poco a poco il terri-
bile male che la minava prese a ma-
nifestarsi. Tosse continua, e un gran-
de dolore dentro. Tumore. Lavorò fin
che poté, finché le altre suore non
intervennero allarmate. Nel gennaio
1975 la riportarono in Spagna, nella
speranza che potesse riprendersi. In-
vece i medici la costrinsero subito a
letto, e non si alzò più. « Tanto va-
leva che rimanessi a morire ua le
mie indiette », commentò.
Le sue indiette certo non la di-
menticavano. Un giorno le arrivò un
plico con rotte le loro lettere. E i
disegni, per spiegarsi meglio. E una
frase che diceva: « Quando alla sera
mi ricordo di te, mi metto a pian-
gere e non posso più dormire ».
Anche lei non dimenticava le sue
indiette. Si era fatta regalare un sal-
vadanaio, e lo aveva facto menere
ben in vista nella camera dell'ospc·
dale. Tutù quelli che andavano a tro-
varla, facevano in modo che a poco
a poco si riempisse. Per loro laggiù.
Sapeva che la Madonna sarebbe ve-
nuta a prenderla in una sua festa. Fu
puntuale il 5 agosto 1975, festa della
Madonna della Neve, anniversario del-
la sua professione religiosa e del suo
battesimo.
Su questa base di fede e di do-
nazione poggia l'avvenire di quei 96
musetti all'acqua e sapone, speranze
delle tribù:
- dei piaroas seminomadi, timidi
e pacifici;
- dei guajibos, figli della savana
e grandi cacciatori;
- dei maquiritares, abili commer-
cianti, navigatori e ottimi cosmmori
di canoe;
- dei banivas, industriosi fabbri-
canti di chiochorros dai colori vivaci...
MARIA Er.IA FERRANTE FMA 17

2.8 Page 18

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A Sneha Bhavan, una locali-
tà indiana presso Cochin (Ma-
dras) , tre salesiani si prendono
cura dei ragazzi della strada: i
ragazzi più sfortunati, di fami-
glie dissestate. o giunti preco-
cemente a tu per tu con la µo-
Arrivano dalla strada: mortificati,
affamati, irritati.
Trovano un posto a tavola (le
posate le fornisce la natura: o non
bastano dieci dita?).
O Trovano un lettino pulito (un po'
duro, ma si usa cosi).
E trovano la banda. Altrimenti,
che casa salesiana sarebbe? Pochi
strumenti, molto economici, ma quanto
basta per soffiarci dentro e cavarci
qualche suono.
O E quando si è imparato, si osa
sfilare per le strade. I grandi sanno
che la musica dei ragazzi - come
diceva Don Bosco - si ascolta con
il cuore.
O E tornano a sorridere...
o
""
\\
j ' I , ~
'
y . _✓ Y1 - 18
. - 1~ NEHA 8HAVAN ,- ~ /

2.9 Page 19

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lizia. Ragazzi passati attraverso
le esperienze più brucianti, mor-
tificati, affamati, irritati.
Nel centro di rieducazione sa-
lesiano essi trovano una casa .
un posto a tavola, un letto, un
banco di scuola, un laboratorio
dove imparare un mestiere.
Padre Giorgio Menacherry, pa·
dre Sebastiano Ottaplakal, in-
diani , e il francese padre Fran-
cesco Guézou, sono i tre sale-
siani che fanno rivivere a Sneha
Bhavan i gesti compiuti da Don
Bosco nella periferia di Torino
un secolo fa.
Nasce un sospetto: se in tut-
ti gli angoli della terra ci fos-
se qualcuno a occuparsi sul se-
rio dei ragazzi della strada, il
mondo non sarebbe migliore?
o
o
o
19

2.10 Page 20

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lilJriclle
lasciano
llBEliND
In Italia - dicono le statistiche -
escono 330 libri nuovi ogni set-
timana, ma evidentemente non tutti
« lasciano il segno ». Due libri che
invece lasciano il segno sono usciti
nel 1975, editi dalla Sei di Torino.
E il segno lo lasciano nel posto giu-
sto: nella scuola, cosl sensibile e ri-
bolleme in questi tempi. I titoli so-
no quanto di più prosaico: << Storia
del pensiero losofico » e « Corso cli
storia »; le copertine non sono nep-
pure illustrate; e non si darebbe loro
importanza se non fosse che - sem-
pre sraristiche alla mano - uno stu-
dente di liceo su quattro studia Fi-
losofia, e uno su quattro studia Sto-
ria, in Italia, proprio su questi vo-
lumi.
Si prolunga anche in tal modo una
consuetudine (in realtà mai interrot-
ta) degli studenti italiani, che nel
loro curricolo scolastico finiscono sem-
pre per imbattersi, una volta o l'al-
tra, nei testi dell'editrice salesiana.
Dire il perché del successo edico-
riale - o meglio pedagogico - dei
due volumi in questione, non è dif-
ficile. A chi segue dappresso la vira
di questa editrice, e della scuola in
generale, un fatto balza agli occhi:
le vicende clamorose del 1968. Quan-
do i ragazzi scossero le vecchie isti-
tuzioni, e reclamarono rabbiosamente
un cambiamento. Ci furono allora in-
segnanti che sotto le sferzate di quel
clamoroso dissenso abbandonarono sco-
raggiati la scuola. Altri si convinsero
che era davvero tempo di cambiare.
Per conto suo la SEI proprio in que-
gli anni decise una coraggiosa « cor-
rezione di rotta ». E proprio in que-
gli anni nacque la prima idea dei due
libri usciti poi nel 1975. (Sette anni
di preparazione, possono parere tan-
ti. In reaJ tà sono appena sufficienti,
se si intende operare davvero una
correzione di rotta...). Un « Convegno
di storici italiani » nel 1968 a Tori-
no, ha di fatto ispirato il « Corso di
Uno studente su quattro. Esattamente Il 26% degli studenti di liceo clas-
sico e scientifico oggi usa Il testo di Filosofia edito dalla Sei: il 23%
usa quello di Storia (che in più è adottato anche in qualche université) .
Ecco i dati essenziali delle due opere:
Ugo e Annamaria Perrone, Giovanni Ferretti, Claudio Ciancio
Storia del pensier,o filosofico
Sei, 1975. Voi. I, pagg. 400, Lire 3.700; voi. Il, pagg. 242, Lire 3.700: voi. lii.
pagg. 556, Lire 3.900.
Giorgio Cracco. Alfonso Prandi, Francesco Traniello
Corso di Storia
Sei. 1975. Voi. I, Il Medioevo, pagg. 475, Lire 4.300: voi. Il, L'età moderna,
20 pagg. 532, Lire 4.300; voi. lii, L'età contemporanea, pagg. 542. Lire 4.300.
Storia»; quanto alla « Storia del pen-
siero filosofico)>, essa ha trovato il
suo spunto iniziale negli ambienti del-
l'Università di Torino proprio in que-
gli anni.
I sei volumi complessivi (tre per
ciascun corso) sono firmati da sette
autori in tutto. Dunque opere pro-
dotte in équipe: sette gli autori, e
molti di più i collaboratori e i con-
sulenti. Un autore preparava un grup-
po di capitoli o anche un volume,
perché il relativo argomento rientra-
va nella sua specializzazione; ma i
testi venivano poi sottoposti alla re-
visione del gruppo, e sotto le ango-
lazioni più diverse: delle alrre disci-
pline, della didattica, ecc. Quanto al
corso di Storia, prima di arrivare alle
bozze è passato per le mani (a volte
impietose) degli studenti, che si sono
cimentati con le fotocopie del testo
originale.
Un'analisi a fondo delle due opere
porterebbe lontano. Basti dire che non
sono i soliti testi scolastici da « but-
tare » appena finiti gli esami, ma al
contrario da conservare nella biblio-
teca di casa per ogni evenienza, e
per ogni persona.
Sl perché il linguaggio usato è sem-
plificato aJ massimo (anche nel testo
di Filosofia), nei limiti del possibile
senza giungere alla « banalizzazione ».
I pensatori dei vari secoli sono pre-
sentati non - come succedeva in te-
sti anche del recente passato - co-
me entità astratte e avulse dalla sto-
ria, come alambicchi distillanti pen-
siero allo stato puro, ma come per-
sonaggi reali di una ben determinata
epoca, e coinvolti dai problemi e da-
gli avvenimenti dei loro contempora-
nei. Si ha anche il modo di « sen-
tirli parlare», perché l'opera - pur
senza scendere alla forma antologi-
ca - ne cita di continuo il pensiero
diretto.
Anche il « Corso di storia 1>, che
non è la solita « histoire-bataille » di
guerre, trattati, re e condottieri, fa
frequente richiamo ai documenti del
passato: l'unico modo di fare vera
storia, del resto. Ambedue le opere
poi, per favorire ricerche e approfon-
dimenti personali e di gruppo, pre-
sentano una biblìografia ricca e ta-
gliata su misura dello studente.
Non è un mistero che gli autori so-
no cattolici e di orientamento dichia-
rato. Ma senza chiudersi nel « ghet-
to», come a volte succede. E lo ri-
conoscono soddisfarti gli insegnanti di
orientamento diverso, che pure adot-
tano questi libri destinati a lasciare
un segno nelle scuole italiane: « Avete
fatto un testo che finalmente non è
di patte>>.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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« Dopo molti passi falsi, capitomboli e riprese, ora cre-
do di avere trovalo la mia strada come insegnante di
religione ». Don Uberto van Vliet, salesiano olandese di
Rijswijk, offre in un rapido racconto la sua singolare
esperienza di undici anni d'insegnamento della reli-
gione in una scuola m edia olandese.
Quando dico alla gente che inse-
gno religione nella scuola pub•
blica, mi guardano con una certa sor-
presa. E lasciano cadere l'argomento.
Oppure mi chiedono prudentemente
se questa scuola abbia ancora senso
al giorno d'oggi. Praticamente l'espres-
sione « Io insegno religione » non CO·
stituisce mai per me un buon avvio
di conversazione con la gente...
Attorno a questa << materia » cli si-
curo c'è un certo disagio. E ci sono
- non lo nego - anche delle buone
ragioni. Molta gente è al corrente di
esperimenti fallimentari in questo
campo. Le difficoltà d'ordine ideolo-
gico e religioso, che già ci invesrono
nella vita quoticliana, si ingigantisco-
no quando si tratta dell'educazione
dei giovani. Fede e Chiesa non sono
più realtà ranro ovvie nella società
attuale; molti non sanno più dove
situarle con precisione. Insomma gli
insegnanti di religione non riscuotono
più. molto favore.
Ma per esperienza personale ho im-
parato che praticamente non è mai
possibile formulare giudizi generali
sull'insegnamento religioso nella scuo-
la media: troppe cose dipendono dal-
l 'atmosfera che regna in ciascuna scuo-
la, dal tale o tal altro insegnante,
dal materiale didattico a disposizio-
ne, dal « retroterra» fol'temente di•
versificato di ciascun allievo. Forse è
proprio questo l'aspetto tipico dell'at-
ruale situazione: la sensazione di non
avere più una visione d'insieme, la
necessità di doversi accontentare cli
soluzioni parziali.
Intendo perciò raccontare ora in
che modo, attraverso undici anni di
tentativi e fallimenri, sono riuscito a
combinare qualcosa.
La salvezza viene dal giornale
Già negli anni 1965-66 i manuali
di religione esistenti, pur essendo di
buona qualità, non sembravano più
capaci di interessare gli allievi. Gra-
dualmente la situazione nelle mie clas-
si diventava insostenibile. E nessuno
sapeva darrni un buon consiglio. Tut-
t'al più mi si incoraggiava osservan-
do che anche gli altri insegnanti si
trovavano press'a poco nella mia stes-
sa precaria situazione. Una magra con-
solazione!
Se ricordo bene, la salvezza degli
insegnanti di religione allma la si
aspettava dall'attualità. Le migliori in-
dicazioni venivano dall'ambiente pro-
testante; essi caratterizzavano il loro
metodo così: mettere il Vangelo su]
giornale. L'insegnante di religione la
sera doveva leggere alcuni giornali, se-
guire attentamente una serie di pro-
grammi televisivi, e poi il mattino se-
guente presentare - ancora ben cal-
de - le notizie già accuratamente
ciclostilate; doveva illustrarle; farle di-
scutere e analizzare nella classe. Per
sociale. Certo, per alcuni momenti il
metodo interessava gli allievi. Ma la
realtà dei giornali risultava apparte-
nere assai meno alla loro sfora di in-
teressi, di quanto i sostenitori stessi
del metodo non ritenessero. Fu una
fortuna per me, comunque, che in
quegli anni c'erano molte notizie gros-
se, che mi permisero per un certo p('-
riodo di rimanere a galla.
La tecnica della discussione
Poi sembrò che la salvezza venisse
dagli Stati Uniti. Un metodo total-
mente nuovo, e quindi molto buono.
Questo rimedio miracoloso si chiama-
va: « tecnica della discussione». Se-
guendo la tecnica appropriata, tutto
sarebbe filato liscio; le difficoltà si sa-
rebbero sciolte nella discussione. E
sarebbe risultato che in fondo gli al-
lievi portano già in sé una soluzione
per ciascun problema, magari a loro
forza dovevano interessare, si diceva, insaputa. Mediante una discussione
perché erano prese dalla vita. E così ben guidata, la soluzione necessaria-
anche la religione doveva interessa- mente sarebbe emersa. Cosi si sareb-
re, perché la realtà di ogni giorno ve- bero risolti tutti i problemi. Con la
niva illuminata con la luce del Van- cliscussione si risolve tutto... Che cosa
gelo.
può desiderare di più, un insegnante
Ma questo metodo non lo si po- cli religione?
teva applicare a lungo. Nessun inse- Dopo aver seguito per cinque in-
gnante è in grado di seguire costan- , tense giornate un corso cli addestra-
temente l'anualirà. E io stesso non mento a tale tecnica, trasformai la
ero in grado di fare commenti intel- mia classe in un ambiente di discus-
1igenti su rutta l'attualità religiosa e sione, dove gruppi di quattro-sei al, 21

3.2 Page 22

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lievi dibattevano su tutto, metteva-
no insieme i risultati e subito dopo
intraprendevano un secondo giro di
discussione sulle conclusioni provviso-
rie, eccetera. Be', rurro questo ha fun-
zionato, almeno... all'inizio. Ma non
poteva durare.
Non voglio clire con ciò che mettere
il Vangelo sul giornale e usare le tec-
niche della discussione siano cose che
non servono a nulla. Al contrario. Im-
parare ad ascoltare, cercare di metter-
si nella posizione dell'altro, portare
avanti una buona discussione, abituar-
si a osservare ciò che capita nel mon-
do, analizzare criticamente le cosid-
dette notizie... sono tutte cose che fi.
gurano ancora sulla mia lista delle
abilità da sviluppare. Regolarmente
durante le mie Je-.lioni anche adesso
faccio ,spazio a esctèitazioni di questo
genere. Ma non mi -aspetto la salvezza
da tali tecniche, che non potranno
mai figurare come ricetta miracolosa e
unica per le lezioni di religione.
Il libretto rosso
Attorno agli anni '70 tutte le scuo-
le medie erano ,in fermento. Era ap-
pena uscito il « Libretto rosso per gli
studenti>>: lo si vendeva molto, e
lo si leggeva avidamente. A pagina
quattro era scritto: « Con questo, puoi
iniziare la lotta nella scuola... ». Noi
insegnanti ne abbiamo fatto la ma-
linconica esperienza. Furono infinite
le discussioni e le lotte ingaggiate per
democratizzare la scuola e per con-
sentire una partecipazione degli stu•
denti alla sua gestione. Gli allievi si
presentavano di fatto con richieste
molto esigenti. Volevano nientemeno
che si tenesse conro di loro! (Era poi
tanto stupido o irragionevole? Una
scuola esiste forse unicamente in vi-
sta dei programmi e dei regolamenti
per gli esami?).
Ma per noi insegnanti di religione
la conseguenza fu che si andava fati-
cosamente alla ricerca di argomenti
per i quali gli allievi avessero un in-
teresse duraturo, che fossero rispon-
denti alle esigenze della loro età. Non
si prendeva più l'avvio dalla dottrina
o dalla storia della Chiesa, ma dai
bisogni degli allievi. Per procedere
in modo responsabile non bastava più
fidarsi dell'esperienza personale, occor-
reva anche studiare a fondo i libri di
pedagogia e di psicologia dell'età evo-
lutiva.
Ma in questo modo avevo fotto un
ulteriore passo avanti verso il rinno-
vamento del mio insegnamento. Il mio
primo principio-guida era diventato
questo: prender l'avvio dalle neces-
22 sità dei ragazzi e delle ragazze. Il se-
condo era: come posso rispondere a
queste loro esigenze?
Qui si manifestò subito l'utilità
delle sperimentazioni. Io e i miei col-
leghi ci eravamo convinti che il modo
di rispondere non è meno importante
che il contenuto della risposta.
La ricerca del « modo »
Ho imparato molto da insegnanti
giovani ed entusiasti, che erano più
avanti rispetto a noi nella ricerca e
nel reperimento di nuovi modi di tra-
smissione. Cercavo come si può aiuta-
re gli allievi a scoprire da soli le so-
luzioni, come utilizzare fotografie, pen-
narelli, registrazioni su cassetta, ecc.
Abbiamo scoperto progressivamente
rutto un arsenale di mezzi di trasmis-
sione che sostituivano la voce dell'in-
segnante e la lavagna tradizionale. Le
lezioni erano piene di variami e di
sorprese per gli allievi, e anche per
gli insegnanti. Con la conseguenza che
ci si impegnava bene a capire la re-
ligione, e si studiava volentieri. La
materia proposta interessava perché ri-
guardava chiaramente i problemi de-
gli allievi, e il metodo invitava a oc-
cuparsi intensamente. Studiare l'Ami-
co Testamenro diventava _un viaggio
d'esplorazione, un fare conoscenza per-
sonale di eroici condottieri come Mosé
e Davide, e trovare in essi un po' di
saggezza per la vita...
E' bello vedere ora come questi
ragazzi durame la lezione cercano per-
sonalmente nella Bibbia, quanta com-
prensione manifestano di fronte ai
messaggi biblici, come riproducono le
scoperte personali per mezzo di dise-
gni, collages, titoli e didascalie, pic-
coli componimenti, e anche poesie.
L'aula scolastica è piena dì attività.
Ragazzi e ragazze vanno dall'uno e
dall'altro a chiedere luce e a prende-
re in prestito materiali e idee. E ven-
gono da me per chiedere consigli quan-
do non riescono più a procedere da
soli. I cinquanta minuti della lezione
passano in un batter d'occhio...
Il mio ruolo durante la lezione è
cambiato profondamente rispetto al-
l'insegnante tradizionale che prende il
libro, spiega, e .fa prendere appunti.
Gli allievi ora lavorano personalmen-
te. lo divido i compiti fra loro, ten-
go d'occhio tutto, e faccio delle va-
lutazioni; soprattutto discuto in modo
approfondito gli elaborati dei ragazzi.
IJ mio lavoro è diventato più inte-
ressante e sign.ificativo. E' bastata la
scoperta di buoni metodi di lavoro,
e prendere l'avvio dall'allievo.
Nella miseria
s'impara la collaborazione
Questo profondo cambiamento non
l'ho realizzato da solo, c'erano con
me molti miei colleghi d'insegnamen-
ro. NelJa miseria non s'impara soltanto
la preghiera, ma anche... la collabora-
zione.
Confesso che siamo stati veramen-
te nella miseria. In quel periodo, sa-
cerdoti anche di grande esperienza ab-
bandonavano l'insegnamento della re-
ligione. Gli allievi manifestavano ine-
quivocabilmente che nelle loro lezioni
non trovavano più un messaggio va-
lido. Per noi dunque non c'era altra
via d'uscita, se non cercare strade
nuove.
Così ho partecipato intensamente al
lavoro di gruppo degli insegnanti di
religione, per assimilare con loro le
nuove vedute, per preparare nuovo
materiale didattico. Non più libri di•
dartici, ma « schede di lavoro». Que-
sto da solo iodica quanto sia cam-
biato il metodo. Non devo però lodare
soltanto i miei colleghi, ma anche gli
allievi, in qualità di creatori del nuo-
vo metodo. Anche questo era nuovo,
ma nella logica del principio: pren-
dere l'avvio dall'allievo, mettere al
centro l'allievo.
Ogni fascicolo di schede, ogni qua-
derno di lavoro, è stato sperimentato
e valutato dagli allievi che hanno col-
laborato. Ho ricevuto molte indica-
zioni preziose da parte dei giovani.
Spesso i collaboratori del gruppo re-
dazionale, e io stesso, abbiamo dovuto
riconoscere che i nostri a!Jievi avevano
individuato con assoluta esattezza i
punti deboli nel materiale che aveva-
mo offerto loro.
In questo modo ho trovato - dopo
molti passi falsi, capitomboli e ripre-
se - la mia strada come insegnante
di religione.
UBERTO VAN VLlET
(Riduzione da « Don Bosco Nu »)

3.3 Page 23

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3•11I3:11J0t•X-1•J .~I=I •I•)~ I =I•1i-1• _ ,
Era l'anno 1877. Don Bosco fece
uno strano sogno. Gli pareva di tro-
varsi in una zona ben diversa da To-
rino. Ed ecco dinanzi ai suoi occhi vi-
de una casa rustica, con una picco-
la aia. Le stanze sono arredate di at-
trezzi agricoli. Tutto è avvolto di si-
lenzio quando all'improvviso squilla la
voce di un ragazzo. Don Bosco dalla
finestra si sporge a guardare sull'ala:
è un ragazzetto di dieci o dodici an-
ni, vestito da apprendista operaio. Vi-
cino a lui sta una Donna soave. ben
educata, con abiti di contadina. Il ra-
gazzo canta in francese: Amico ve-
nerato, sii per noi padre diletto •. Don
Bosco si smarrisce e non riesce a ca-
pire. Il ragazzo continua a cantare: I
miei compagni ti diranno ciò che vo•
g/iamo •· All'improvviso irrompono sul-
l'aia una vera fiumana di giovani che
ritmano un coro: O nostra guida,
menaci al giardino della bontiJ •· • Ma
chi sono questi ragazzi? domanda
Imbarazzato Don Bosco. Gli rispondo-
no In canto: La nostra patria è il
paese dì Maria •.
Allora si avanza la gentilissima Don-
na; prende per mano li ragazzetto can-
tore, accenna agli altri ragazzi di se-
guirla e si sposta verso un'altra ala
più grande, non molto lontana. prospi-
ciente un grosso fabbricato. La Don-
na dall'aspetto misterioso e celestiale
si volge a Don Bosco e gli dice:
Questi giovani sono tutti tuoi •.
Miei? - risponde turbato Don Bo-
sco -. Ma con quale autorità lei me
Il affida? •· « Con quale autorità? -
La Donna ha un leggero sbalzo di vo-
ce e un filo di sorriso - . Sono miei fi-
gli e li affido a te •. • Ma come farò
con tanti giovani così chiassosi e Ir-
requieti? •· Osserva •, gli ingiunge la
Donna.
Don Bosco si volge e vede una gran•
de schiera di ragazzi che avanzano.
la Madonna getta su di loro un suo
li;ngo velo azzurrino; poi lo ritira. E
di colpo, come al tocco di una bac-
chetta magica quei ragazzi diventano
adulti: preti e chierici. E questi pre-
ti e chierici sono miei?• chiede Don
Bosco. N Saranno tuoi se saprai for-
marteli •, conclude la Donna e scom-
pare con un sorriso.
« Se saprai formarteli! »... Per for-
mare i suoi giovani Don Bosco usava
ripetere uno slogan formulato così:
« Il Signore ci ha messo in questo
mondo per gli altri ». Li voleva in tal
modo educare all'interessamento, alla
comunicativa con gli altri. Noi purtrop-
po viviamo attualmente In un'era gla-
ciale di incomunicabilità.
Racconta una mamma: • Mio figlio
di cinque anni e io sedevamo in un
rapido. Era la prima volta che il mio
INSEGNATEGLI
A COMUNICARE
fanciullo percorreva un lungo tratto in
treno. Seduto accanto al finestrino
non si interessava punto del paesag-
gio. La sua curiosità si rivolgeva alle
quattro persone che sedevano con
noi nello scompartimento. Uno dei si-
gnori dovette accorgersene perché gli
fece un leggero saluto col capo. A un
tratto mio figlio mi chiese: • Perché.
mamma, non ti metti a parlare con
quel signore all'angolo? Se gli dici
qualcosa, si mette a parlare con noi
di sicuro •. Dissuasi mio figlio. Oggi
capisco di avere sbagliato: disabituai
il fanciullo dal rivolgere la parola agli
altri, e di comunicare con loro•.
• Il segreto per comunicare e andare
d'accordo con gli altri è di capire i
loro sentimenti e di far loro conosce-
Occorre abituare i giovani a condi-
videre aiuti e contatti. In una citta
della Jugoslavia - confidò un'educa-
trice - la mia amica Kata. vedova
con un fig lio. lavora alla televisione
e abita in un condominio di periferia.
L'Ingresso è In comune a dodici fami-
glie. Tutte si conoscono. e tre o quat-
tro famiglie si conoscono anzi benis•
simo. A volte quando la mia amica
siede a colazione con il figllo, si sen-
te bussare alla porta: Posso entra-
re? • E' la vicina che chiede: • Sta·
mattina sono sola; posso fare cola,
zione con voi? • Poi va a prendere la
sua colazione e si siede per un quar•
to d'ora insieme. Un giorno che do-
vemmo uscire con la mia amica e il
figlio. notai che la mia amica Kata
aveva dimenticato di chiudere la por•
re che noi li si capisce. Quando qual•
cuno è sgarbato e litigioso, spesso è
come se dicesse: • Bada a non ferire
I miei sentimenti •. Quando noi di-
ciamo di qualcuno: • Quello mi capi-
sce •, in realtà vogliamo dire: Lui
sa che cosa sento •. Nelle situazioni
difficili, la cosa giusta da fare è di
aprire il cuore ai sentimenti altrui e
comunicare con gli altri.
Un parroco doveva comunicare un
giorno una tragica notizia a due po-
veri genitori: il loro ragazzo di 12 an-
ni era annegato durante una gita sco-
lastica. Lo fece con una carità squi-
sita. Raccontarono i genitori: • Il par•
roco non ci tenne una predica e non
ci esortò a essere forti. Scoppiò in
lagrime e pianse con noi. Gliene sa-
remo sempre riconoscenti •.
ta. • No, - interloquì Kata - non l'ho
dimenticato, noi non chiudiamo mai •.
Alla sera tornammo stanchi a casa.
Mi meravigliai di trovare la cucina
tutta in ordine. Eppure l'avevamo ab•
bandonata in disordine, lasciando le
posate e le stoviglie ancora sporche
nel lavandino. Kata non si meravigliò:
E' stata certo una delle vicine. San-
no che ho ospiti in casa. Così quando
io sono fuori, guardano dentro per
rimettere In ordine e rigovernare, in
modo che io possa dedicarmi senza
pensieri ai miei ospiti •.
Don Bosco era solito dire: « Che
bel paradiso sarebbe la nostra casa
se tutti ci mettessimo d'impegno ad
aiutarci e a perdonare». Solo così si
formano i veri giovani.
Carlo De Ambrogio
23

3.4 Page 24

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IILLE
PIITE
DEI
■1111
N el 1939 un'altra terribile bufer,
all'orizzonte: la seconda guerra
mondiale. Quando i carri am1ati di
Hitler presero a dilagare nelle pianu-
re polacche, e le prime notizie delle
terribili carneficine arrivarono in Pa-
raguay, si capl che al paragone la guer-
ra del Chaco era stata uno scherzo.
Le notizie dalle Missioni parnguaya-
ne si fanno rade, frammentarie. Una
sola, del 1940, riesce a scuotere l'Ita-
lia ormai travolta anch'essa dall'im-
mane ciclone: muore don Farina, che
gli indi amavano come un fratello e
avevano ribattezz~to « Figlio del So-
le •· Poco tempo prima, qualcuno che
aveva interesse ad allontanare gli in-
dios dai dintorni cli Puerto Casado ap-
piccò li fuoco alla loro tolderia (vil-
laggio). Don Farina strappò gli indios
dalle fiamme a rischio della vita . Tra-
sportò a spalle i feriti, uno a uno,
fin nella foresta. Li curò con amore
finché tutti furono guariti. Quando si
sedette sul ciglio della strada, sfinito
di febbre e foùca, non ci fu nessuno
a curare lui. Se ne andò in silenzio.
Due lettere varcano l'oceano
Ncl febbraio 1947, mentre l'Italia
viveva il suo difficile dopoguerra, cur-
va sulle sue ferite e sulle sue macerie,
dal Chaco arrivò la lettera di una Fi-
glia di Maria Ausiliatrice: « Siamo in
quattro a Puerto Casado, un piccolo
paese composto di operoi che lavorano
nella fabbrica del tannino. Parte sono
24 indigeni e parte civilizzati, ma questi
Due lell ere urrrcano l'oceano - Si sfogano ubriacandosi
- Cinquanta casette linde e belle - Sono cannibali, se-
11.or! - Se vengo con le n on ti m angeranno - Dove
nessun bianco aveva m ai m esso piede - Perdetti la cro-
ce, il rosario e il fucile - I Moros erano lii - L'incontro
de/initivo - Prendono Gesù con le loro m ani.
vivono purtroppo immemori dei loro
doveri morali e religiosi, cosl che dif,
feriscono ben poco dagli altri... E per
questa messe di anime non c'è che un
onico e solo sacerdote, senza nessun
altro in aiuto »...
Nel febbraio 1948 un'altra lettera,
di don Cassane.Ilo: « Sono passati ven-
ticinque anni da quando abbiamo OS·
sunto questa missione, e siamo solo
più quattro sacerdoti e un coadiutore
per un territorio cli 1200 Km lungo
il Rio Paraguay e 700 Km nell'inter,
no. Si fa quel che si può..: ».
Ma in quello stesso 1948 le cose
canlbiarono, radicalmente. L a Santa Se-
de spezzò la missione del Chaco in
due parti: il Sud, attorno al fiume
Pilcomayo, fu affidato agli Oblati di
Maria e dichiarato Prefettura Aposto•
lica; il Nord e l'Ovest, dichiarato Vi-
cariato Apostolico e affidato ai Sale-
siani con a capo don Angelo Muzzolon
che diventa vescovo.
« Col nuovo contingente di missio-
nari giunti da Torino - scrisse poco
dopo il nuovo vescovo - moltipliche,
remo le attività apostoliche, ridotte at•
tualmente per mancanza di missionari».
Si sfogano ubriacandosi
« Attorno alla popolazione civile nei
porti di Pinasca, Casado e Sastre -
continuava il vescovo - vivono nei
loro mldos le famiglie indigene, in
uno stato di completo abbandono in-
tellettuale e morale. Quelli che sono
capaci di farlo, hanno l'incarico cli tra-
sportare le borse di tannio a bordo
delle navi, e per questo lavoro rice-
vono una paga che si affrettano a con-
vertire in litri di acquavite che subito
bevono avidamente, con le conseguenti
ubriacature e disordini cli ogni genere,
senza preoccuparsi né delle donne né
dei bambini, che restano privi di cibo
e di vestito ».
<< Persino le donne e le bambine si
ubriacano - scrive un allro missiona-
rio da Puerto Casado. - La fame e
la tubercolosi mietono vittime senza
numero. Nei primi cinque mesi che
ho passato a Casado ne ho seppelliti
40, senza contare i piccini. Gli indi
costruiscono la loro capanna con qual-
che lamiera vecchia o con pezzi di sac-
co, dormono in terra con decine di
cani magri, coperti di piaghe infette,

3.5 Page 25

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con gatti, galline, tartarughe, scimmie.
I bianchi sfruttano i poveri indi, so-
prattutto i militari e i marinai che
passano di Il, e i commercianti, gli
avventurieri. Povera geme: fra di lo-
ro regna l'odio, la vendetta. Quando
non possono far altro si sfogano ubria-
candosi per rre, quattro giorni conse-
cutivi >>.
Cinquanta casette linde e belle
Ma le cose cambiarono, e con una
certa rapidità questa volta. Per « poter
lavorare con più libertà, per la gloria
di Dio », il vescovo trasferl la sua
sede a Fuerte Olimpo: 11 poteva « ac-
quistare terreno, edificare, progettare
senza il permesso della Compagnia del
tannino». In ogni residenza i sale-
siani puntarono a far funzionare una
parrocchia moderna, e nello stesso tem-
po a realizzare per gli indios dei « vil-
laggi cristiani » che copiavano in for-
ma nuova le antiche « riduzioni >> dei
Gesuiti.
I risultati furono subito evidenti.
Nel dicembre del 1952 mons. Muzzo-
lon scriveva: « Nelle sei parrocchie si
lavora alacremente e iJ Signore ci be-
nedice. L'assistenza alla Messa è aumen-
tata, le Comunioni sono numerose, le
associazioni religiose sono in piena at-
tività, i circoli degli uomini cattolici
portano mol to frutto. Si fa scuola di
catechismo ai ragazzi mattino e sera.
Si vede negli indigeni cristiani un pro-
gressivo avvicinarsi a Dio, e negli in-
digeni ancora pagani un desiderio cre-
scente di battesimo. A Puerto Casado
si è già formato un villaggio di indi-
geni tutti cristiani e perseveranti.
Quattro sacerdoti sono occupati quasi
esclusivamente a istruire e curare gli
indi, aiutati da due suore ».
Nel 1954 don Bellido, catechista ge-
nerale dei Salesiani, visitò il « villag-
gio di indigeni tutti cristiani » di Puer-
to Casado, dove alcuni anni prima «per-
sino le donne e le bambine si ubria-
cavano».
« Cinquanta casette linde e belle -
scrive nella sua relazione -. Ognuna
ha il suo giardino, con fiori. Non mo]-
MISSIONI SALESIANE
1175©
to lontano, ancora dei toldos: famiglie
che non si sentono di rinunciare alla
cafia, l'acquavite di canna da zucchero
condizione indispensabile per avere
una casa nel villaggio). Non sono irri-
tate per questo: mandano i figli alla
scuola della missione. Quasi tutti gli
uomini lavorano alla fabbrica di tan-
nino. Le mamme accompagnano le ra-
gazze dalle suore, dove passano l'inte-
ra giornata... Alla sera suor Eugenia
riaccompagna le ragazze alle case,
scambiando una parola con ogni mam-
ma. Dopo cena, davanti all'altare del-
la Madonna, la recita del Rosario e
una buona parola del Missionario. Al
mattino, molte donne erano in chies"l!
per la Messa... Ho visitato tante mis-
sioni, mai però una missione cosl bel-
la ».
Villaggi così sono sorti pure a Puer-
to Pinasco e a Puerto Sastre. Qui si
è potuto assegnare una buona fetta di
terra a ogni famiglia, con La speranza
di staccare progressivamente gli adulti
dalla fabbrica e di farli tornare alla
loro vita originale.
A questo punto, ai Salesiani rima-
neva ancora una « porta da sfondare»:
l'avvicinamento delle tribù selvagge e
introvabili dei Moros, che vagavano
nel centro del Chaco.
« Sono cannibali, seftor! »
« Los Moros? Sefior, quelli non
sono uomini, sono bestie feroci. Vi-
vono nel monte (nella foresta), e non
si lasciano avvicinare da nessuno. So-
no cannibali, e uccidono senza pietà
chiunque trovano sul loro cammino>>.
Questo più o meno era ciò che la
gente comune del Paraguay pensava
dei Mores intorno al 1956. Gli Indi
semi-civilizzati del nord e i soldati del-
la guerra del Chaco affermavano di
averli inconrrati, ma finivano per ca-
dere in contraddizioni. In questo però
erano d'accordo: « Sono belve feroci .
Cattivi. Sono cannibali, se.nor » .
In quegli anni mons. Muzzolon con
altri salesiani tentò tre spedizioni per
agganciare gli indios « invisìbili ». Per
tre volte trovarono resti di cibo fre-
sco, paletti piantati per terra, spezzati
e piegati, braci di fuoco recente. I
Moros scomparsi, dileguati come neb-
bia. « Ci veniva il sospetto che ci stes-
sero spiando, che il verso del gufo e
dello sciacallo fossero loro richiami »,
scriveva il vescovo.
Nel 1956 un cacciatore, per caso,
gettò il lazo, catturò un piccolo Moro
e lo portò ad Asunciòn. Come abbia-
mo già raccontato, il ragazzo deperl
fino a che un salesiano lo chiese ai
cacciatori, e poté portarlo con sé alla
missione.
Don Livio Farina nel 1932. Gli indios
lo amavano come un fratello e lo ave-
vano ribattezzato « Figlio del Sole
Mori nel 1940, sfinito dl febbre e di
fatica.
<< Il piccolo Moro giunse tra noi
spaurito - raccontava nel 1958 il ve-
scovo. - Lo circondammo di affetto
e di cure. Quasi subito si aprl; gli oc-
chi abbandonarono ogni espressione di
diffidenza e di sospetto. Incominciò a
sorridere. Ormai è con noi da due an-
ni, e ci si è affezionato; si dimostra
docile e ubbidiente. Gli abbiamo po-
sto nome ]osè. Ha imparate a parlare
spagnolo e maneggia anche bene la
lingua guaranl. Mangia educatamente,
e vuol rendersi utile.
« Se vengo con te
non ti mangeranno »
<< Noi stiamo preparando la quarta
spedizione. Il carro a quattro ruote e
le tende di campagna sono pronte; i
cavalli per il traino ce li donarono i
militari. Josè, 12 anni, mi viene spesso
vicino e mi dice: « Portami con te,
Padre, quando andrai tra i miei fra-
telli Moros. Se io vengo con te non
ti ammazzeranno e non ti mangeran-
no». Gli ho promesso di acconten-
tarlo».
Verso la fine del 1958 partono don
Bruno Stella, il coadiutore Giuseppe
Squarcina, e Josè. Un carro trainato
da due muli e un cavallo. Sul cavallo
viaggia un soldato assegnato alla spe-
dizione dal governo paraguayano, e un
giornalista dell'Uruguay che dopo set-
te giorni fu vinto dalla paura e li ab-
bandonò. Il racconto dei missionari è
una pagina splendida.
25

3.6 Page 26

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Dove nessun bianco aveva
mai messo piede
<< Viaggiammo per più di un mese,
facendo più di 1200 chilometri e arri-
vando dove nessun bianco aveva mes-
so piede. Di giorno si cercava di ripo-
sare un po'; si viaggiava di notte al
chiaro di luna. Esplorammo prima i
luoghi secchi e asciutti. Per tre giorni
si restò senza una goccia d'acqua. Al
quarto giorno trovammo un pozzo di
fango e ci gettammo sopra mezzi mor-
ti di sete, con un caldo soffocante
che ci toglieva le forze. Al succhiare
quel fango soffrimmo atroci dolori al
ventre. Anche José gridava di dolore.
Vedemmo puma, tigri, mandrie di cin-
ghiali, struzzi, scimmie, gazzelle; una
mattina ci fermarono un centinaio di
volpi affamate. Perdemmo uno dei
muli. Giorni e giorni si camminava e
si finiva sempre nello stesso luogo:
pare\\73 un labirinto.
« Dopo mesi di siccità cominciò a
piovere, piovve dirottamente, la fore-
sta cominciò ad allagarsi; riprendem-
mo la marcia della morte, sempre con
l'acqua alle ginocchia. « Il giornalista
che ci aveva abbandonato, arrivato al-
la Missione di Puerto Casado, dette
l'annuncio che eravamo già morci. A
Monrevideo, nel giornale più laico del-
l'Uruguay El Dia, uscirono arricoli elo-
giativi della nostra esplorazione e di
rimpianto per la nostra morte.
« Vedemmo i caldi dei Moros. Il
nosrro indietto annusava l'aria come
fanno i cani, e diceva che i Moros ci
stavano vicini. Alcune volte sentimmo
il ]oro odore nauseabondo, perché si
mettono sopra la nuda pelle un grasso
speciale per difendersi dalle zanzare.
Oh, le zanzare, quanto ci fecero sof-
frire! Mai ne ho viste tante e di tante
specie. Nuvole e nuvole ci assaltavano
di giorno e di notte. I muli tormen-
tati, ogni tanto si gettavano dentro
l'acqua. Non si poteva mangiare, non
si poteva dormire. Neppure la zanza-
riera ci ~alvava. Sopra le mani e sopra
la faccia avevamo una grossa crosta di
sangue e di zanzare morte. Ogni tanto
a fior d'acqua si vedevano nuotare
grossi serpenti.
« Perdetti la croce, il rosario,
il fucile»
« Tutto per cercare anime. Erava-
mo ormai al limite della sopportazio-
ne. Le forze venivano meno: c'erano
dei momenti terribili nei quali ci as-
saliva la disperazione. In una zona di
60 chilometri, irra di spine, perdetti
la mia croce di missionario, il rosario,
il fucile; pareva che il demonio si
26 prendesse gioco di noi. Le spine la-
La « nave ammiraglia di mons. Muzzoloo che fu Vicario Apostolico in Chaco
fino al 1969. Su questo batteUo mons. Muzzolon era capitano, pilota, meccanico,
cuoco, e qualche volta... vescovo.
sciarono il loro ricordo per vari giorni
sul nostro corpo. Avevamo i vestiti
stracciati e le zanzariere rovinate.
« Per consolarci cantavamo le dolci
canzoni di Natale. I Moros probabil-
mente avranno assistito da lontano al-
la Messa dì mezzanotte di quel Natale,
consumato nella foresta. Ti ricordi,
mio caro José, di quel grosso serpen-
te a sonagli? Ti ricordi quando i muli
ci gettavano a terra e non volevano
più andare avanti? Ricordi quando
passammo con la carretta il fiume Za-
muco e c'era quel giaguaro stupendo
che stava bagnandosi? E il piccolo
altarino portatile sopra la carretta, uni-
co puntello alla nostra debole fede?
E quelle notti passate cercando di ri-
posare sull'acqua stagnante? E quan-
do abbiamo chiesto perdono a Dio
perché qualche volta non avevamo sa-
puto soffrire, e ci eravamo lamentati,
e abbiamo riconosciuto davanti a Lui
che non eravamo degni di convertire
ì selvaggi del Chaco? >>
Mille e duecento chilometri, e nes-
sun Moro avvistato...
I Moros erano li!
Una nuova spedizione fu organizza-
ta nel 1960. Ebbe una conclusione
quasi tragica. Vi prendevano parte don
Dotto e il coadiutore Roggero.
Tre giorni di sentiero accidentato.
La polvere rossa soffocante danzava
sul parabrezza ed entrava dai finestri-
ni, filtrando da ogni parte come un
talco finissimo, che ricopriva il volto
e dava un fastidioso prurito. Ogni tan-
to un cervo ·saettava fuori della bosca-
glia, o un rettile finiva sotto le ruote.
Finito il sentiero accidentata, il ca-
mion puntò nel fitto della foresta:
procedeva tra rovi, piccoli cactus, car-
di, e dannate piante spinose che stri-
sciavano sulle fiancate con un sibilo,
come fossero di metallo. Una gimca-
na che mise a dura prova autista e
passeggeri. Trecento chilometri cosl.
Poi una radura, e lì, come ad atten-
derli, erano i Moros. Fissavano il ca-
mion in silenzio, spuntando tra le er-
be neri e spinosi come cactus viventi.
I due salesiani provarono la scossa: i
Moros erano ll!
11 camion si fermò, don Dotto scese
e avanzò verso di loro, seguito a po-
chi passi da Roggero. I Moros non
fuggirono. « La distanza era poca, e
presto arrivammo a pochi metri da
loro)). Facce fiere, selvatiche e inge-
nue insieme. La plica mongolica de-
gli occhi sottili, le labbra grandi e
compatte, le narici dilatate, le strisce
rosse orizzontali tracciate sulla faccia,
i cerchi neri dipinti sul mento, sulla
fronre, sulle spalle, li facevano asso-
migliare a guerrieri di tempi lontani,
misteriosamente riapparsi sulla terra
per un incantesimo. Portavano collari
di penne verdi, gialle, rosse e blu.
Padre Dotto cercò di parlare, ma
si vide che non lo capivano. Sorrise
e porse alcuni regali, per far capire
che le loro intenzioni erano pacifiche.
Anche qualche Moro sorrise.
« Cominciò allora una conversazione
a segni. Ci scambiammo Iegali. Io
consegnai la mia camicia - raccontò
il coadiutore Roggero - , e ricevetti
un pennacchio di piume. Gli Indi ci
accarezzavano, ci pitturavano la faccia
di nero e di rosso. Noi lasciavamo fa-
re ». Ma ci fu un leggero rumore e
tutta cambiò in un lampo: « Salta
fuori dal bosco un gruppo che impu-
gna archi e frecce. Mi vidi a tre passi
una faccia orribile che brandisce una
lancia e la punta verso di me. Veniva

3.7 Page 27

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dritta al cuore. Invocai Maria Ausilia-
trice, alzai il braccio per difendermi,
e la lancia mi trapassò il braccio da
parte a parte. Pieno di paura mi get-
tai tra i cespugli, mentre i Moros
circondarono padre Dotto. Ma l'auti-
sta aveva visto tutto, estrasse la pi-
n stola e sparò in aria. Le detonazioni
misero in fuga gli indi. padre era
miracolosamente illeso. Mi condusse
al camion, disinfettò la ferita e mi
fasciò. Un male terribile. Due giorni
dopo eravano nuovamente a Puerto
Casado. Ma ritorneremo! ».
Incontro definitivo a
« Teniente Martinez »
Nel luglio del 1962 una notizia rim-
balzò dalla radio ai giornali e la tele-
visione: « Scienziati e· missionari sono
riusciti ad avvicinare pacificamente i
Moros del Chaco ».
Nel luglio, alcune famiglie di Moros
erano state avvicinate presso la sta•
zione milicare « Teniente Martinez ».
Una spedizione organizzata dal Dipar-
timento Indigenista del Paraguay era
sLata organizzata ad Asunciòn. li ve-
scovo aveva inviato laggiù don Stella
e il giovane indio Josè perché. vi pren-
dessero parte.
Giunti a « Teniente Martinez », co-
m'era p revedibile, non avevano trova-
to dei Moros che qualche traccia re-
cente. La spedizione aveva puntato
verso la foresta, a nord. Josè era sul
primo camion, e scrutava attentamen-
te ogni particolare. Ad un traLL0 ave-
va scorto tra i rami un Moro, e si
era slanciato immediatamente dal ca-
mion gridando « a!Ja loro maniera >}.
Una decina di Moros erano sbucati
dalla foresta e avevano circondato Jo·
sè, che mise tutta la sua buona volon-
tà nel far capire le intenzioni pacifi-
che dei bianchi.
Dopo lungo confabulare, 27 Moros
avevano accettato di seguirli a « Te-
niente Martinez )>. Ebbero vestiti e vi-
veri in abbondanza. Don Ste!Ja, perché
l'aggancio risultasse definitivo, aveva
permesso a Josè di rimanere con loro,
prendendo l'appuntamento per un nuo-
vo incontro alla stazione « Teniente
Martinez ». Radio e TV divulgavano
immediatamente la notizia.
Appena mons. Muzzolon l'apprese
vo!Je guidare in persona la nuova spe-
cfuione, che avrebbe organizzato im-
mediatamente una « residenza stabile >>
per i missionari e per gli indi Moros.
Partirono da Asunciòn con tre camion.
Il vescovo era al volante del primo.
616 chilometri. La sera del 23 erano
a « Teniente Martinez >>, e 20 Moros
erano ad at tenderli.
« Il giorno seguente - racconta il
vescovo - accompagnati dagli indios
continuammo il nostro viaggio verso
il nord in cerca di un luogo adatto
per stabilirci. Ad una quarantina di
chilometri scoprimmo la traccia di una
strada militare resa invisibile da!Ja
vegetazione. Vi entrammo, e dopo 20
minuti rrova=o, nascosta in una fit-
ta boscaglia, una bella laguna di acqua
potabile. Quel luogo, antico fortino
militare, si chiamava Madre;oncito. Ci
parve il luogo che cercavamo ».
Disboscarono uno spazio sufficien-
te, e con lamiere scanalate che aveva-
no portato con sé tirarono su le pri-
me << case » per gli indios e quella per
i missionari.
Ma prima che i Moros avessero una
sede stabile, dovevano ancora fare una
lunga peregrinazione. A Madrejoncito
il terreno risultò sterile, e si passò a
Fortin Batista. Qui si erano già ra-
dunati dai dintorni 200 indi quando
scoppiò una grave epidemia che se-
minò la paura, e fece fuggire molti
nel.la foresta.
Giunsero medici e medicine da Asun-
ciòn, e l'epidemia poté essere fer-
mata quando più di cinquanta indi
erano già stati uccisi dal contagio.
Bisognò ricominciare da capo, in una
zona diversa che non eccitasse la pau-
ra incontrollabile dei Moros. Nuove
tappe del pellegrinaggio ne!Ja selva
furono Fortin Montania, Fonin Mari-
nez e Cauce Indio.
A!Ja fine, dopo tanto ostinato pro-
vare, bisognò tornare ad una convin-
zione antica: all'interno del Chaco una
residenza stabile non era possibile.
Bisognava ancora una volta scendere
in riva al Paraguay. Con l'aiuto con-
Una giovanissima discendente del Mo-
ros: dopo l'incontro con I misslon.arl,
è cominciata per i Moros una nuova
vita in Cristo.
creto della Santa Sede il vescovo com-
prò una fiorente e vasta terra: 18 chi-
lometri per 5, a nord di Puerto Ca-
sado e a sud di Puerto Olimpo. La
località fu battezzata « Puerto Maria
Auxiliadora >>. Qui si costruirono case
per le famiglie indie, una chiesetta,
una residenza centrale per i Salesiani
e le Figlie di M . Ausiliatrice. Il pri-
mo gruppo di Moros arrivò risalendo
il fiume.
Prendevano Gesù con le loro mani
Ora il villaggio dei Moros si esten-
de tutto intorno alla missione. Gli
uomini sono forti, robusti, agilissimi,
non si ubriacano mai. Col tivano i cam-
pi. Sentono molto i vincoli del san•
gue: ogni famiglia vive collegata con
le altre.
E hanno una vivace intelligenza.
Una ragazza di questa tribù, a!Jevata
ed educata dalle suore, studia oggi
medicina a!J'università di Padova.
Le suore sono l'anima della missio-
ne. La loro casa è una capanna fatta
di pali, con foglie di palma per tetto.
Ma questo non impedisce un lavoro
serio: scuola, catechismo, orto, pueri-
cultura. Scrive una Figlia di M. Ausi-
liatrice: « Le ragazzine hanno scoper-
to con enorme meraviglia che se met•
tono nel terreno un seme, possono ve-
der spuntare e crescere una « loro »
pianta. Abituate a strappare dal ter•
reno ciò che cresce spontaneamente;
non avevano mai immaginato di poter
far crescere ortaggi utili. Stanno a
contemplare le <i loro » piantine come
si guarda un miracolo.
Prima che arrivassero i missionari,
in questa tribù molte donne soppri-
mevano i neonati che avrebbero reso
impossibili i lunghi viaggi nella fo.
resta. Alle parole costernate del mis-
sionario avevano risposto: « Quando
ci porterete in un luogo dove si può
vivere stando fermi, non li uccidere-
mo più ». Oggi questo è avvenuto. La
scuola ha 98 alunni. La scuola mater-
na è tutto un cinguettio di bimbetti
simpatici e intelligenti ».
Ogni sabato, molci Moros entrano
ne!Ja chiesetta, si accostano al sacer-
dote e fanno seriamente la loro con-
fessione. Alla domenica si avvicinano
all'altare a ricevere l'Eucaristia. Una
domenica del 1971 il sacerdote era as-
sente. Molti desideravano la Comu-
nione. Allora il fratello laico collocò
la pisside sull'altare. Ad uno ad uno
i Moros si accostarono. Prendevano
Gesù Sacramentato con le loro mani.
Quelle stesse mani che avevano irnpu•
gnato la lancia nei terribili assalti della
fo resta .
TERESIO Bosco 27

3.8 Page 28

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NELMDNDO
SALESIANO
LA BIBBIA IN LINGUA KHASI
Da Shillong giunge notizia che è sta-
ta condotta a termine - dopo cinque
anni di lavoro - la traduzione dell'in-
tera Bibbia nella locale lingua Khasl,
e che entro l'anno l'opera sarà stam-
pata e messa in distribuzione. L'ini-
ziativa è stata condotta dai salesiani
di Shillong, che si sono giovati anche
di altri collaboratori.
Una precedente traduzione della Bib-
bia era stata compiuta attorno al 1890,
per opera di missionari della Chiesa
Presbiteriana; questa pertanto è la
prima Bibbia Cattolica (cioè compren-
dente anche i libri detti deutero-cano-
nicl) nella lingua Khasi. E diversamen-
te dalla prima versione dovuta a euro-
pei, questa è una • traduzione nativa •,
realizzata cioè da gente Khasi.
I motivi che hanno spinto i salesia-
ni all'impegnativa impresa sono nu-
merosi. La prima versione - senza i
libri deutero-canonici - risultava per
i cattolici incompleta; inoltre era sta-
ta realizzata con criteri di traduzione
strettamente letterale, quindi con l'in-
conveniente dì presentare un testo di
difficile comprensione. A ciò è da ag-
giungere che durante I quasi novan-
t'anni trascorsi da quella prima tradu-
zione, anche la lingua Khasi si è evo-
luta, uscendo per così dire dalla sua
Infanzia, e che oggi si prestava a una
traduzione nettamente migliore.
La nuova versione è perciò piena-
mente rispondente alle esigenze delle
numerose comunité Khasl di fede cat-
tolica: è completa, e in lingua viva.
La stampa dell'opera è ora affidata
alla • Don Bosco Press di Shillong.
Si prevedono per la prima edizione
10.000 copie dell'intera Bibbia, e al-
tre 5.000 copie del solo Nuovo Testa-
mento.
allora studente nella scuola salesiana
del Testaccio a Roma. Gli piaceva
"giocare al teatro", e lo faceva con
i suol amici in Trastevere. invece di
giocare a guardie e ladri. La povertà
della famiglia non gli consentì di pro-
seguire gli studi: a tredici anni do-
vette cercarsi un lavoro. Poi il servi-
zio militare (la prima guerra mon-
diale), poi l'incontro fortunato con Pe-
trollni (di cui fu brillante spalla per
dieci anni), poi una compagnia tea-
trale tutta sua, e il successo.
E' stato l 'ultimo grande del teatro
romanesco, un teatro che seppe tene-
re vivo anche in questi tempi di de-
cadenza del dialetto. Non cercava il
facile successo ricorrendo alla volga-
rità: per imporsi gli bastava il pro-
prio talento. • Oggi in teatro dicono
impunemente cose che un tempo
avrebbero condotto all'arresto su due
piedi - era solito dire - . Ma io ho
sempre inteso il teatro come un sano
divertimento per il mio pubblico. e
come una scuola di elevazione .
Si è spento a 83 anni. • Con lui -
ha scritto . il presidente Leone nel
messaggio di cordoglio alla famiglia
- il teatro perde un autentico prota-
gonista che ha dedicato all'arte, con
rarissimo impegno culturale e mora-
le, una vita feconda e operosa •. Una
vita d'artista cominciata con quell'In-
nocente papera pronunciata sulle assi
sconnesse del teatrino Salesiano.
QUELL'INNOCENTE PAPERA, CHECCO
• Alla fine dell'anno scolastico dem-
mo un saggio: un dran1ma intitolato
"I tre martiri di Cesarea"', nel quale
io avevo un ruolo del tutto seconda-
rio: facevo un pretoriano romano. Do-
vevo attraversare la scena, fermarmi
In un angolo, e dire: "Slam giunti;
deponiamo il nostro fardello e ripo-
siamo le nostre ossa". Invece, man-
co a dirlo, declamai: "Riposiamo il
nostro fardello e deponiamo le nostre
ossa". Eppure erano mesi che mi pre-
paravo per quella sola battuta... •.
Il popolare Checco Durante, dece-
duto a Roma il 5 gennaio scorso, così
aveva raccontato in un'intervista l'lni-
28 zio della sua carriera di attore. Era
LA PRIMA CHIESA DOPO IL TERREMOTO
A Managua il 31 gennaio 1976, festa di Don Bosco, si è avuta la con-
sacrazione di un nuovo tempio dedicato al Santo dei giovani. La capitale
del Nicaragua aveva visto tutte le sue chiese crollare. Insieme con le
tante abitazioni civili, durante lo spaventoso terremoto del 23 dicembre 1972.
Allo sforzo di ricostruzione, le comunità salesiane del Nicaragua avevano
dato il loro pieno contributo di uomini e mezzi; e subito dopo il Centro
Salesiano di Managua - rispondendo a un chiaro dovere clvile - aveva
moltiplicato la sua attività come scuola industriale per abilitare a una pro-
fessione il maggior numero possibile di maestranze.
Il nuovo templo viene a coronare nel nome di Don Bosco questo sfor-
zo di ricostruzione. Esso è modernissimo: a pianta circolare, con campanile
a obelisco e tetto a forma conica tronca. E può ac.cogliere nei suoi banchi
600 persone. E' il primo tempio nuovo realizzato in Managua dopo il ter-
remoto. E' sorto grazie al contributo del mondo salesiano, di vari enti, e
in primo luogo dei fedeli (compresi i ragazzini scalzi dell'oratorio, che
hanno attinto dai loro pochi spiccioli).

3.9 Page 29

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Il COMITATO" DON BOSCO RIMANI"
Verso la fine dell'estate scorsa. i
superiori salesiani sembravano deci-
si a chiudere il grande portone del-
l'Oratorio di Gaeta, che ogni giorno
accoglie tanti ragazzi. Ma in quaran-
t'anni di attività l'Oratorio aveva for-
mato alla vita cristiana cosi tanti exal-
lievi, che essi non potevano permet-
tere che li loro oratorio venisse liqui•
dato. Perciò formarono li comitato
Don Bosco rimani •, che tanto disse
e tanto fece da convincere I superio-
ri salesiani.
L'Ispettore don De Bonis ha infatti
assegnat o all'Oratorio di Gaeta altri
due salesiani, e il 12 ottobre scorso
ha presenziato all'apertura del nuovo
anno oratoriano, assistendo fra l'altro
In serata a un trattenimento teatrale
dall'eloquente titolo: • Ragaz.zi, si ri•
comincia•.
RACCONTANO 01 MONS MARCHINO
Mons. Marcelino Olaechea. il sale-
siano che fu arcivescovo di Valencia
(Spagna) dal 1946 al 1966, aveva po-
tuto realizzare a vantaggio dei poveri
tantissime opere sociali, perché pos-
sedeva l'arte di saper ottenere il de-
naro necessario per quelle opere.
Un'arte cosi notoria, da rendere cre-
dibile questa storiella.
Un giorno un bambino di Valencia
Ingoiò una monetina da un soldo; la
mamma, vedendolo strabuzzare gli oc-
chi, lo prese e lo portò di corsa dal
medico più vicino. Saputo di che si
trattava, il medico sbottò: • A me
porta Il bambino, signora? Ma lo porti
da mons. Marcelino! •.
APOSTOLATO ANCHE CON
LE PERCOSSE "
Nel sogno dei nove anni•, a Gio-
vannino Bosco era stato intimato di
lavorare tra I ragazzi non con le
percosse •. I chierici salesiani di Lo-
rena (Brasile) invece si preparano
all'apostolato anche con le percos-
se •. Lo spiegano In una relazione
pubblicata di recente, nella quale rac-
contano delle loro più svariate attivi-
tà. Una di esse è Infatti il Judo con
i suoi colpi più o meno proibiti: han-
no fondato nel loro Istituto un'• Acca-
demia di Judo•. fra l'altro • per ac-
quistare più agilita. salute e fiducia in
se stessi • ...
L'Istituto salesiano di Pedagogia e
Filosofia di Lorena conta 98 chierici
di svariata provenienza: salesiani (ol-
tre trenta), redentoristi. lazzaristi,
oblati, e altri di sette diocesi. Non
solo studiano, ma anche sperimenta-
no quello che Imparano. Fanno cate-
chismo In cinque oratori e preparano
alla prima comunione I bambini di
una parrocchia; un sussidio catechi-
stico per la scuola media, da loro
preparat o e ciclostilato, viene distri-
buito In tutta la diocesi.
Alcuni di loro lavorano tra gli scouts,
ERA IL DECANO DEI SALESIANI D'ITALIA
Don Giovanni Nobile, decano del Salesiani d'Italia, è deceduto a Vibo
Valentia li 13-1-1976, all'invidiabile età di 102 anni compiuti. Era nato il
25-11-1873 a Montescaglioso (Matera). da semplice famiglia di contadini.
Durante il servizio militare all'epoca di Adua e delle guerre coloniali si
era meritato non solo il grado di caporale maggiore (di cui andò sempre
fiero). ma dal Signore anche li dono della vocazione sacerdotale. Fu a
Ivrea come vocazione adulta, e ricevette la talare da don Rua. Nel 1927
l'obbedienza lo inviò a Vibo, e di li non si mosse più.
Per molti anni è stato t'amico del carcerati nel penitenziario locale.
Apprezzata era la sua opera di confessore. silenzioso e instancabile, nella
casa salesiana, nell'oratorio, nella cittadina. Era, come qualcuno ha detto,
la mano di Dio che perdona •.
A 99 anni prese parte con entusiasmo ai festeggiamenti per la beati-
ficazione di don Aua, a cui era legato da tenerissimo affetto: la foto lo
mostra all'udienza concessa dal Papa in quella circostanza.
Il 25-11-1973, nella ricorrenza del suo Primo Centenario• (come lo
chiamava sorridendo), presiedette una festosa concelebrazione, e ai tanti
amici che da vicino e da lontano erano accorsi raccomandò come al solito
la bontà: • Senza la quale non giova avere ricchi palazzi •· mentre invece
• basta un pezzo di pane con un bicchiere d'acqua. quando la bonté c'è •·
In quell'occasione, gli avevano offerto una torta con una sola cande•
Una, come si usa con i neonati: ma egli seriamente chiese una preghiera
per • poter fare una santa. morte •. Si è spento come un patriarca.
e nessuno più si meraviglia di vederli
In calzoncini corti fra lupetti, scolte e
pionieri durante corsi. campeggi, ritiri
e manifestazioni in piazza.
Due chierici con un sacerdote la-
vorano ogni domenica nel carcere gio•
vanile di Guaratinguetà, ove sono rin-
chiusi 70 giovani.
In queste attività sempre I chierici
lavorano sotto la guida dei salesiani
loro formatori, due dei quali sono
membri eletti del consiglio presbite-
rale diocesano. Si rendono utili anche
in iniziative di pastorale specializzata
affidata a sacerdoti o laici preparati.
Un'Iniziativa (Alcoòlatras Anònlmos)
tenta il ricupero degli alcoolizzati, con
riunioni due volte alla settimana, e al-
tre riunioni pedagogiche per i fa.
miliari di questi infelici. Altra inizia-
tiva e l'Ovisa, che si occupa della for-
mazione e vita sacramentale degli
sposi attraverso incontri di vario ge-
nere.
Soprattutto, i chierici si impegnano
nella pastorale delle vocazioni. Hanno
aperto in un oratorio un • club voca-
zionale • che ha già fruttato candidati
per l'aspirantato. Collaborano a un al-
tro club (Serra Clube) in cui del laici
impegnati realizzano test vocazionali
in tutti i collegi della diocesi. Collabo- 29

3.10 Page 30

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rano a incontri di orientamento gio-
vanile ...
Questa di Lorena è una comunità
che vuole essere aperta, e ben inse-
rita nella chiesa locale. • Noi sale-
siani giovani - concludono i chierici
nella loro relazione - abbiamo rac-
contato tutto questo non per vantar-
cene, ma come segno di gratitudine
verso coloro che contribuiscono con
generosità a mantenerci allo studio •..
IL TEMPO HA DETTO
Luglio 1876. Dalla lettera di un sa-
cerdote di Buenos Aires, scritta al suo
superiore in Roma pochi mesi dopo
l'arrivo in Argentina della prima spe-
dizione missionaria salesiana.
• Sono arrivati qui dodici Padri sale-
siani, congregazione fondata da un tale
Padre Bosco, e penso che ne arrive-
ranno altri trenta e più. E' stata molto
commentata la facilità con cui si in-
troducono dappertutto, e la loro sem-
plicità nell'accettare qualsiasi situazio-
ne. E cioè: occuparsi della scuola, ac-
contentandosi del vitto e dell'alloggio•·
• Ce ne sono di cose che non si ca-
piscono, e questa è una. Si pensa qui
che in Italia non gli sia andata bene,
per cui abbandonano il paese per ve-
nire a Buenos Aires. Il tempo dirà .
UN PENDOLINO D'ARGENTO
PER PADRE MORAIS
Alla bella eta di quasi 91 anni si è
spento a Lisbona il veterano dei Sale-
siani portoghesi, don Pedro Vicente
da Silva Morais, Nella sua biografia
risultano tanti aspetti caratteristici. Fu
tra I primissimi allievi della prima ope-
ra salesiana in Portogallo. Fu di estre-
ma versatilità: insegnante, maestro di
canto e di orchestra, professore di gin-
nastica, regista teatrale, costruttore
di strumenti musicali, fotografo, cal-
zolaio, cultore di scienze naturali e
radioestesista. Le vicende politiche del
suo paese lo costrinsero due volte al-
l'esilio (fu in Italia dove venne inca-
ricato del Bollettino Salesiano porto-
ghese, e poi In Spagna). Fu delegato
nazionale degli Exallievi. Fu soprattut-
to sacerdote (negli ultimi anni passa-
va lunghissime ore al confessionale:
un confessionale cercato dai peni-
tenti).
Sempre a disposizione di tutti, ave-
va messo anche le non comuni doti
di radloestesista a serv1z10 di tutti:
riusciva a scoprire metalli e correnti
d'acqua nel sottosuolo, a ritrovare per-
sone e oggetti smarriti. Al termine
della guerra civile di Spagna, I Sale-
siani vollero raccogliere pietosamente
i resti dei loro caduti (erano 97 fra
sacerdoti, Chierici, Coadiutori, fMA.
aspiranti alla vita salesiana. Coopera-
tori, tutti uccisi in odio alla fede). ma
risultava molto difficile fare il ricono-
scimento delle salme: molte di esse
erano state sepolte nella fossa comu-
ne e si presentavano irriconoscibili.
Chiamarono padre Morais. Egli solo
con qualche foto, ma con il suo Inse-
parabile pendolino, riuscì a identifica-
re parecchie salme.
Al compimento del 90° anno gli Exal-
lievi gli offrirono un dono originale:
un pendolino d' argento. • Questo pen-
dolino - gli dissero consegnandoglie-
lo - le servirà per rintracciare i cuori
dei suoi tantissimi exallievi che si tro•
vano sparsi in tutto il mondo •.
22 VIE O PIAZZE .. SALESIANE»
Nella metropoli brasiliana di Silo
Paulo - città e dintorni - esistono
22 vie o pla;zze • salesiane •. Cinque
portano il nome di Don Bosco, due
sono intitolate a Maria Ausiliatrice, al-
tre due a Domenico Savio, e una a
COOPERATORI "PER LA GIUSTIZIA
NEL MONDO~
• Per la giustizia nel mondo • è il
tema di studio proposto alla riflessio-
ne dei Cooperatori Salesiani per l'an-
no 1976, ed è pure il titolo di un vo-
lumetto uscito in gennaio (lire 1200;
richieste: Ufficio Centrale, Viale dei
Salesiani, 9 - 00175 Roma).
Un volumetto • non è destinato a
fare letteratura •, ma - come sugge-
risce il • Nuovo Regolamento del-
l'Associazione - a • aiutare il Coo-
peratore a formarsi una coscienza ret-
ta sul proprio impegno per la giu-
stizia•.
Un testo perciò che è pienamente
allineato con i documenti del Concilio
e della Congregazione. Forse • non tut-
ti concorderanno con tutte le sue af-
fermazioni •. si legge nella presenta•
zione - ma • tutti vi troveranno un
grande desiderio di fedeltà: a Cristo,
alla Chiesa e a Don Bosco •.
Nei quindici capitoletti si affronta-
no i temi della giustizia nella Bibbia,
nella Chiesa, in Don Bosco, nella Fa-
miglia Salesiana. E si propongono al-
cune linee operative: un impegno edu-
cativo, uno stile di vita, una partico-
lare presenza nella famiglia, nel la-
voro e nella società.
Ai Cooperatori non resta che legge-
30 re, discutere, agire.
DA TRE ANNI IN GIRO PER LA SPAGNA
E' la Mostra missionaria itinerante • • organizzata dalla Procura Mis-
sionaria di Madrid. Ha fatto sosta in quasi tutte le case salesiane e delle
FMA di Spagna, e in tantissime altre opere giovanili e parrocchiali. Un
missionario (nella foto: padre E. Gonzalo Gallego) spiega a ragazzi, gio-
vani e adulti il lavoro delle missioni, illustra. documenta. Tiene conferenze,
messe missionarie •, proiezioni cinematografiche. I ragazzi imparano che
cosa sia missione, offrono la loro collaborazione, qualcuno (la Spagna è
stata sempre generosa di apostoli) matura il suo personale progetto mis-
sionario nelle file dei figli di Don Bosco.

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Madre Mazzarello: le rimanenti por-
tano il nome di salesiani benemeriti.
• Almeno ventidue •, dicono i com-
pilatori dell'elenco, persuasi che esso
non è completo.
HA VISTO DON BOSCO
Ha 93 anni e vive a Miraflores (Su-
cre, Perù) l'exallievo Domenico Rusca,
che nel 1888 vide Don Bosco. Era
bambino di 5 anni quando lo portaro-
no a vedere Don Bosco morto, e quel
ricordo gli è rimasto impresso nella
memoria per sempre.
Per tanti versi è legato a Don Bo-
sco. Anzitutto è nipote dell 'evangellz-
zatore della Patagonia don Domenico
Milanesio figlio di una sorella di
quel coraggioso missionario salesia-
no). E dopo l'indimenticabile incontro
con Don Bosco, ebbe la fortuna di
tornare a Valdocco per compiervi gli
studi. Nel 1905 migrava in Perù, dove
ha esercitato la professione di fab-
bro, si è sposato, e naturalmente ha
mandato i figli a scuola dai Salesiani.
Ora ha 93 anni, mangia beve e fu-
ma, e cammina da solo. E i Salesiani
del Perù, specie in quest'anno cente-
nario delle missioni di Don Bosco,
guardano a lui con la più grande sim-
patia. come alla testimonianza vivente
di quei tempi lontani.
Quanti saranno ancora oggi, coloro
che possono raccontare di aver cono-
sciuto Don Bosco?
E' SALESIANO IL SEGRETARIO
DELLA C:IOAE
Nel dicembre scorso il Consiglio
Nazionale della Fidae ha eletto il sa•
lesiano don Alfredo Frontini alla ca-
rica di Segretario Generale. La Fldae
(Federazione degli istituti di attività
educativa) è l'organismo che rappre-
senta gli istituti educativi e le scuo-
le cattoliche italiane presso le auto-
rità ecclesiastiche e civili. Suo com-
pito è di tutelarne gli interessi mo-
rali, promuoverne l'incremento, la qua-
lificazione e il coordinamento.
Don Frontini, eletto per il periodo
di tre anni, succede nella carica a un
altro salesiano, don Ettore Mariotto.
NUOVO TEMPIO DEDICATO
A DON BOSCO
Nella parrocchia di Bova Marina
(Reggio Calabria). affidata ai Salesia-
ni, nel dicembre scorso è stata con-
sacrata una nuova chiesa, che viene
incontro ai bisogni del fedeli lontani
dal centro. Il tempio è un dono al-
l'arcivescovo di Reggio Calabria,
mons. Ferro. fatto in occasione di una
sua triplice ricorrenza: il 75" complean-
no, il 50° di sacerdozio e il 25" di epi-
scopato. La Famiglia Salesiana era rap-
presentata in ogni suo settore; ha
avuto modo di congratularsi con il suo
pastore e di ringraziarlo. E ha colto
l'occasione per commemorare Il cente-
nario delle Missioni di Don Bosco. al
cui nome Il nuovo templo è dedicato.
HA LA LEBBRA, MA GUARIRA'
Questo piccolo thailandese di 4
anni _guarirà. Lo assicura il missio-
nario padre Luigi Fogliati, che se
ne intende (si interessa ai mala-
ti di lebbra dal 1930). Al suo di-
spensario medico di Tha Va sono
già passati migliaia di malati. E
molti di più - che non osavano
dichiarare pubblicamente il loro ma-
le - ne è andati a trovare a casa
loro, con una bicicletta • che ha
fatto più chilometri che il giro di
Francia •· La lebbra, se scoperta in
tempo come nel caso di questo pic-
colo, oggi non fa paura.
FIN DAL PRIMO NUMERO
Non ci è arrivato il BS sul cente-
nario delle missioni: ci avrebbe fatto
tanto piacere. Pensate che questo bel
giornaletto entra in casa nostra da
quando è stato fondato, fin dal pri-
mo numero. Era abbonato prima un
nostro prozio, poi la nostra mamma,
e adesso noi.
Il nostro prozio abitava a Torino
presso fa Consolata, e da ragazzino
era oratoriano di Don Bosco (proprio
di Don Bosco, non dei suoi successo-
ri). Conserviamo come una reliquia
Il suo Giovane proweduto •, il libro
di preghiere scritto da Don Bosco, e
consegnatogli proprio da lui.
Potete immaginare con quanto pia-
cere riceviamo il vostro caro giorna-
letto: ci interessa tutto quanto è dei
salesiani. Mandateci, vi prego. il nu-
mero sul Centenario. Sorelle Ersilia e
Giovanna Vedani •.
Certo, mandiamo: in casa Vedani il
BS non può mancare.
LIBRI
Luigi Deambrogio, Le passeggiate au•
tunnali di Don Bosco. 1st. Salesiano
Bernardi Semeria, Castelnuovo Don Bo-
sco, Asti. Pagg. 540. Lire 6.500.
L'autore. E' un sacerdote diocesano
che dice: • Ml hanno mandato in se•
minarlo e sono diventato sacerdote in
seminario. Ma il mio cuore era ed è
con Don Bosco. Per questo mi sono...
vendicato scrivendo su di lui •.
L'argomento. Per quindici anni (dal
1850 al 1864) don Bosco accompagnò
i suoi ragazzi dell'Oratorio in lunghe
e memorabili • passeggiate autunna-
li • fra le colline del Monferrato. Il
volume, documentatissimo e scritto
con vero spirito salesiano. ripercorre
quella storia singolare, sottolineando-
ne gli aspetti caratteristici: la fanta-
sia e la creatività di Don Bosco edu•
catore: il suo legame profondo con la
forte e generosa terra del Monferra-
to: gli esordi e li progressivo svilup-
parsi della realtà salesiana.
Il volume si presenta In veste tipo-
grafica accuratissima, corredato da
120 illustrazioni quasi tutte originali
(alcune a colori), da cartine, e da sva•
riati documenti inediti, tra cui otto
lettere di Don Bosco. Se l'autore in-
tendeva... vendicarsi di Don Bosco,
c'•è riuscito a meraviglia.
Luigi Cocco, Parima, dove la terra non
accoglie i morti. Libreria Ateneo Sa-
lesiano, 1975. Pagg. 560, 64 tavole
fuori testo a colori, Lire 15.000.
Attesa traduzione in lingua italiana del
volume pubblicato in Venezuela nei
1972, in cui il noto missionario don
Cocco ha condensato quindici anni di
convivenza con gli Yanomami: gli
indios che • vivono per mangiare e
muoiono per essere mangiati •.
Un libro che • prende posto fra i clas-
sici dell'etnografia sudamericana •.
Questo giudizio è assai più di un elo-
gio, perché oltrettutto porta la firma
di quel censore severo (specie... ver-
so i missionari) ma indiscutibilmente
competente, che è l'etnologo di fama
mondiale Claude Lévi-Strauss. E a que-
sto giudizio poco resta da aggiungere.
Se non che una volta preso in mano
diventa difficile staccar!';i da questo
stupendo volume.
Autori vari, Dono dello Spirito è la
conversione, LDC 1975. Pagg. 126, Li-
re 1.100.
Un libro per e sugli esercizi spiri tua-
li, incentrato su due idee più che suf-
ficienti per giustificarlo. Prima·: la
conversione richiesta dal Vangelo com-
porta si un cambiamento di natura
morale, ma più ancora una nuova vi-
sione della vita nella sua globalità:
una visione dominata da maggior ge-
nerosità nell'impegno con Cristo. E
seconda idea: gli esercizi spirituali so-
110 il momento ideale per operare tale
conversione.
31

4.2 Page 32

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PERDUTA OGNI SPERANZA
NEI MEZZI UMANI
Da alcuni anni
mio marito soffre
di asma con enfl•
sema polmonare.
Ai primi di gennaio
del 1975 venne col•
to in casa da un
attacco Improvviso
e tanto violento da
metterlo In perico-
lo di vita. Mentre il medico da parte
sua faceva tutto il possibile, lo. per•
duta ogni speranza nei mezzi umani,
mi rivolgevo alla Madonna, l'unica che
potesse comprendere la mia angoscia
e aiutarmi. Ero disposta ad accettare
li volere di Dio, ma ero pure ferma•
mente fiduciosa di essere esaudita.
Appena possibile, mio marito fu tra-
sportato In apposita casa di cura. VI
giunse In condizioni gravissime. Il Pri-
mate tentò il tutto per tutto, ma le
probabilità di salvarlo erano poche.
Sono trascorsi alcuni mesi. Ora mio
marito è tornato a casa e sta bene. La
malattia non è guarita, ma è stata su-
perata una crisi mortale. li Primario
mi ha detto: • Signora. suo marito è
stato miracolato •.
A questa grazia se ne è aggiunta
un'altra. Anch'io sono stata colpita da
uri grave disturbo al reni. e ho dovuto
sottopormi a un'operazione. Ml rivolsi
ancora a Maria Ausiliatrice. e ottenni
la grazia di uscirne guarita in pochi
giorni.
Casnolnovo (Pavia) ALDO e MARIA UBEZIO
ECCOMI QUI A RINGRAZIARE
LA MADONNA
Mentre andavo in bici, un'auto ml
fece rotolare sull'asfalto. Soffrii la mia
parte. ma soprattutto ml rammaricavo:
• Stavo cosi bene e intero! Cosa sono
andato a cercare? Adesso resterò un
povero storpio sciancato •. Mi racco-
mandai alla Madonna, e dopo 40 gior-
ni stavo meglio di prima.
Poi ml venne In testa di liberarmi
da un malanno con la quarta opera-
zione della mia vita. Un primo ospe-
dale a cui ml rivolsi, dopo dieci gior-
ni di osservazioni mi licenzia: • A 73
anni vuol farsi operare senza grave
necessità? Stia buono e... paghi le
tasse •. Ma Il secondo ospedale mi
opera feliclmente, e ora eccomi qui a
ringraziare la Madonna.
Roma
LUIGI MUNZI
LA FEDE DI UNA DONNA
Nel marzo 1975 la bambina Serena
di 22 mesi veniva ricoverata in con-
dizioni gravissime all'Ospedale per un
Intervento chirurgico. La nonna. ango-
sciata, ma carica di fede. si rivolse
all'Ausiliatrice invocando aiuto e pro-
tezione. Dopo giorni di ansia, di In-
tense sofferenze e di perseveranti
preghiere, la nonna ebbe Il conforto
di vedere la nipotina riprendersi gra•
datamente. fino a guarite in modo me-
raviglioso. Attualmente essa gode ot•
tima salute, e la nonna, vivamente rl•
conoscente, mette lei e il frate llino
Alessandro sotto la protezione del•
l'Ausiliatrice.
Novara
BIAGINA TACCHINI
L'INFERMIERE Ml VENNE
INCONTRO SORRIDENTE
In un campeggio
di scouts mio fl.
glia. giovane sale-
siano, riportò gra•
vlssime ustioni In
tutto il corpo. ad
eccezione del collo
e del volto. Imme-
diatamente traspor•
tato in ospedale col
timore che morisse durante il viaggio,
in 40 giorni poté riprendersi. grazie
alfe cure che gll furono prodigate. Ma
una notte una telefonata dall'ospedale
ci avvertiva che era sopraggiunta una
peritonite, e cl si chiedeva Il con•
senso per una Immediata operazione.
Partimmo subito. Invocando con tante
fede Maria Ausiliatrice e san Giovan-
ni Bosco. Giunsi all'ospedale col cuc,.
re angosciato: come avrei trovato mio
figlio? Ma ecco, ci viene subito in-
contro l'Infermiere: Signora, mi disse
sorridente, stia tranquilla: la perito•
nite per Incanto è sparita. Cosi ha
detto il professore! Aveva già rice-
vuto l'Unzione degli Infermi. ma la
Madonna e Don Bosco avevano esau-
dito la mia supplica.
Neoneli (Cagliari)
PEPPINA 188A
E' STATO UN DONO DELLA MADONNA
Mia sorella soffriva da anni per una
seria disfunzione tiroidea. per cui si
rese necessario un intervento chirur-
gico. Ricoverata all'ospedale. per due
volte i medici, con loro· disappunto,
furono Impediti di operare per impre-
vedibili e gravi complicazloni. Intanto
lo Intensificavo la mia preghiera, e co-
minciavo una Novena a Maria Ausi-
liatrice e al beato Don Rua. A me si
univa la sorella FMA, con tutta la sua
Comunità. Nel giorno stesso In cui
terminavo la novena, mia sorella pote-
va finalmente essere operata·. e l'In-
tervento, che si era Intravisto eccezic,.
nalmente difficile e rischioso, riusciva
perfettamente. Dopo soli nove giorni
mia sorella veniva dimessa completa-
mente guarita. E' stato un vero dono
della Madonna che • non cessa mal
di esercitare la sua funzione materna
accanto ai suoi figli ancora peregri-
nanti nel dolore •, e del beato Don
Rua. Con rinnovata riconoscenza. adem-
pio la promessa di pubblicare la gra-
zia.
Soverato
FRANCESCA SUPPA
UNA BAMBINA CHE SOMIGLIA
A DOMENICO SAVIO
Scrive il Vescovo salesiano mons.
Michele D'Aversa:
Sono andato a
casa a rivedere la
mamma 89enne, e
ml hanno racconta-
to un episodio che
merita di essere
conosciuto. La mia
nipote Vittoria D'A·
versa. sposata da
due anni, già due
volte aveva perso lf bambino che at-
tendeva. Ricoverata all'ospedale per la
terza volta, era In pericolo di perdere
anche il terzo. E si può immaginare
la sua pena.
L'altra mia nipote Maria, sua so-
rella, una notte fece uno strano so-
gno: una donna, che non aveva mal
visto o conosciuto, le disse: • Se sua
sorella non vuole perdere Il suo bam-
bino, deve mettere sul petto l'imma-
gine di san Dome nico Savio, come ho
fatto io che ho questo bambino •. E
cosi dicendo le Indicò un bimbo In
una culla lì vicino a sé. Il mattino
seguente, assai per tempo, Maria an-
dò dalla nonna a cercare un'immagine
di san Domenico Savio; e siccome
non la trovava. ne ritagliò una dal
Bollettino Salesiano. dalle pagine del-
le grazie ottenute per intercessione
del nostri santi. Poi la portò all'ospe-
dale. e la mise sul petto della sorella
Vittoria.
Verso sera Il medico disse a Vitto•
ria che era fuori pericolo. e che po•
teva tornare tranqulfla a casa. Sette
mesi e mezzo più tardi le nacque una
bambina che negli occhi e nei capelli
somìglia tutta a san Domenico Savio...
In paese nessuno sapeva che san
Domenico Savio è patrono delle mam-
me. Ora tutti ringraziano l'angelico
Domenico per la grazia ottenuta, e per
la tranquillità che ha ridonato alla fa-
miglia.
MONS. MICHELE D'AVERSA
Vescovo missionario di Humalté [Braslle)
N. Lo Presti (Jersey City, N.Y.) rin-
grazia San Domenico Savio per la gua-
rigione della bambina gravemente am-
malata, e continua a metterla sotto la
sua protezione.
32

4.3 Page 33

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Sr. Maria Rosa Bocchlo (Oropa, Ver-
celli) scrive: • Ho dato !'abitino del
caro Santo e la preghiera a due sposi,
e il loro desiderio è stato esaudito in
modo che ha del miracolo: una cara
bambina è venuta ad allletare la loro
casa•.
GETTAI LA ROSA IN FONDO AL POZZO
Grazie al Servo
di Dio Rodolfo Ko-
morek, oggi abbia-
mo In casa nostra
l'acqua t anto pre-
ziosa. Dopo il ma-
trimonio, mio ma-
rito e lo eravamo
andati ad abitare
in un luogo cosi
tagliato fuori da tutto che non c'era
neppure possibilité di attingere acqua.
Ero costretta a percorrere più di un
chilometro per trovare questo prezio-
so elemento. E mi toccava anche at-
traversare posti molto pericolosi.
Mio marito aveva cominciato a sca•
vare un pozzo. Lavorò per ben due
anni, senza ottenere risultato alcuno.
Vedendo che il suo lavoro era inutl·
le. smise di lavorare. e Il pozzo rimase
abbandonato per otto anni. asciutto.
Due anni fa sentii parlare di padre
Rodolfo Komorek, santo miracoloso.
Cominc1al a invocarlo e a visitare la
sua tomba. Un giorno raccolsi una
rosa dalla sua sepoltura e. tornata a
casa, gettai la rosa in fondo al pozzo
e lo pregai chiedendogli che ci fa.
cesse arrivare la tanto sospirata ac-
qua. Al terminare della mia preghiera
l'acqua cominciò a sgorgare, e il gior-
no seguente il pozzo era pieno. Sono
ormai due anni che ottenni questo
miracolo, e il pozzo continua a rima-
nere pieno di acqua, togliendo la set e
anche di tutt i I miei vicini.
Jacarel (Slo Paulo . Brulle)
FRANCESCA OE SOUZA
u E' UN MIRACOLO CHE
L'OPERAZIONE SIA RIUSCITA
Dopo essere sta-
to ricoverato in un
ospedale per l'ope-
razione agli occhi,
fui dimesso. per•
ché l'Intervento era
o r m a i giudicato
troppo tardivo. e
non c'era più nul-
la da fare. Nei me-
si di dicembre 1974 e gennaio 1975
fui ricoverato In altro ospedale, e mi
raccomandai all'intercessione del Ser-
vo di Dio Simone Srugi. A lui rivol-
sero preghiere. per me e con me, al-
tri Salesiani e Cooperatori.
A operazioni di cateratta e glauco-
ma awenute, il medico curante mi
disse: • Non volevo operarla all'oc-
chio sinistro. E' un miracolo che l'ope-
razione sia riuscita bene: era Infatti
già cieco all'occhio destro, e se non
fosse riuscita, sarebbe presto divenu-
to cieco anche all'occhio sinistro •.
La guarigione è da attribuire ai San-
ti salesiani, e in particolare a Simone
Srugl.
Legnono (Milano)
AOUILINO GIANAZZA
HO STRffiO LA SUA
IMMAGINE E HO GRIDATO
In seguito a un awelenamento pro-
dotto da cibi guasti, sono entrato In
coma, e vi sono rimasto per più di
dodici ore. Ogni tentativo di alzarmi
mi faceva cadere privo di sensi. FI,
nalmente con uno sforzo sono riusci-
to a sostenermi e a fare qualche pas-
so che mi ha permesso, misteriosa-
mente, di prendere li Bofettlno Sale-
siano di aprile, ove è riprodotta la fo.
tografia del Servo di Dio Simone Srugl.
Ho st retto la sua Immagine al mio
corpo e ho gridato: Simone Srugl,
sono alla fine: o mi guarite, o mi fa-
te mori re; scegliete!
Dopo un solo minuto ho sentito co-
me se qualcuno mi rovesciasse lo st o-
maco, e ml sono liberato di tutto il
veleno che lo bloccava. La guarigione
è stata immediata.
OTTORINO BONAROTTI
Gelsa Flgsia (Carrara) ringrazia pure
Don Andrea Beltrami perché li figlio,
dopo tant i anni di inutili pratiche. ha
finalmente trovato una conveniente si-
stemazione per il suo lavoro; e per
essere stata guarita da una lunga e
fastidiosa sindrome depressiva ribelle
a ogni cura.
Don Pietro Berruti, già mio diret-
tore e Ispettore, mi ha ottenuto la
grazia di guarire completamente da
flebite e ulcera varicosa che non solo
Impedivano il mio lavoro, ma ml cau-
savano atroci dolori. Durante la de-
genza a letto. ho pregato con tanto
fervore per la beatificazione di quel
superiore che qui tutti riteniamo un
santo.
Santiago (Cile)
LUIS RIOUELME CERDA
Margherita Fornaciari (Reggio Emi-
lia) attribuisce alrlntercesslone di
Don Pietro Berruti la guarigione della
figlia gravemente ammalata.
Mio marito era già sofferente per
un blocco renale, quando un'emorragia
cl costrinse a ricoverarlo d'urgenza al-
l'ospedale. Per una settimana le cure
furono vane, quando ci capitò di leg-
gere sul Bo/lettino un profilo di Suor
Maria Troncattl. Allora cl rivolgemmo
con fiducia a lei. La sera stessa mio
marito avverti in sé qualcosa di straor-
dinario. Gli esami successivi ebbero
tutti un risultato negativo. Cosi fu
dimesso dall'ospedale senza più ac-
cusare nessun disturbo.
Caltagirone (CTJ GIUSEPPINA o NICO BUSA'
Cl HANNO PURI SIGNALATO GRAZII
Ains.. Oiovanna • Ambrosina Candid• • Ansaldi
Maria • ,\\ronica Pio . Avlln>ol!ni Cuterlno • Ava-
!llno Esterino • B•dino Rooalbo Balbiani AJ.
foMa Daldan L•vinia - Baldo Ester • Balesticri
Bona • Butocchini Paolina • Deatrici Eugenio •
:&tizi Giuseppina - Dethn Sidonia Bellini Elsa
- llenon t\\monio - BiJU1chino Mana • .Discald1
Luigina • Dodonc Lucia • Boldrithi Luisa - llol-
drini Giuliana - Bomboni Frane...,. • Bordin
Carmcla • Sorlenghi Maria Bomcngo Beatrice
- Bonctti Ca.pare - Bon.si,inorio Paoli - Bovo
G=ltiero • Burdizzo Marta • 1:luJ"i Emilio • But-
tafuoco Benedetto - Caffa Silvio • Caimi Rosn
- Calabnsc Antonio Calalato Moria • Calta-
girone Maria Calvo Adchna V. Mom, • Cam-
brià Adde • Camona Mana • Campneno Vìn-
cenzo • Cal1!11i Rou Catalano Vita • Cerqui
Rita • Chicu Amabile · Chiodo Mora Ninetta
- Ciarlo Fnnca • Ciulla Caterina • Cobetto Ro-
selt. • Coccolo Carmen • Compa!Jno Luigia
Conri J). Franceoco - Contino Ucrutci• - Cor-
gnau Viuorio • Co8111 Giovanni • O'Angelo An-
gelo • Oorbctio Giulia • De l"oliee Eugenia •
Dc Fnandi Famigli.a - Dcmichdi1 Antonio e An-
1ecla . Oemmi Maria • Di Marco· Addolorata
Oivlzia M. Luis• • F•nino Suora Fenaria Se•
condina • Finco M1rili1;1 Fiachen. Carmela •
Foniraro Irene Fomlt1l Pacifica • From.. lJm-
beno • Fusari Saun • G•Hioli An11dina • G•·
alione Carlo e Mario • Oaia lndc - Ganoli Ma•
tù • Gmtilc Auunta • Gìpntc lna Gloni
Elvin - Giordtn0 Giuupp,, - Gnolfo An11do •
Gnunola Mari• • Gnuso Gina • Gunch,no Car-
mela • Ouazzotri Lidia • Gucrini Giovann• -
lmpe.ntore Anna ... lngribclli Euienio ~ Oomr•
nico • lnvemizzi Piero Lineui Nanda e Beppe
].Qbascio An11da Locatclli Rachele • Lom-
bordi Anna • Lombardo Eu11enio • Longaiti Lino
- l,0 Presti Giuseppe Luuo Rùu Maculan
Maria • Malfatto Anna • M11chese Canndo •
Ma tchHè Vittorina ... Marchetti Mariuccis • Ma..
roccolo Camino - ~ore Bartolomeo • Muon
Gc,mma • Mclip Filippn • Miulì Anna Maria
Montalto Teresa in Urbano • Moreochi Pierina
Morioni Maria - Mo1che1ta Maria T. Motto
Gl•como • Musso M arino • Nacarato R osina •
Nordelli Maria - Negri Walt:cr - Nini Antbnia
Palli Paolina • Pancheri Graziella Pandolfo
Elisabetta P•rolo Lana Silvino • Pardini San•
tina • Parodi Lorenzo • Paru&sa Maria Pclliz-
xeri Mario Pia • Pffl'<> Maddòl~• • Pia Mario -
Picco Teresina - Piotti Antonietta • Piuni Ri-
lJ)oli Maria . Pi,•eni Rdirua • Polem Ines • Polli
Argia • Porccll110 Ccurc - PrcvQlti Onorina •
Rava Enric:he1ta • Rcstelli !\\'lari• • Riccobcoc
Llru • R,pamonti Elda . Riva L,n1 • Riuo Ca-
terina - Ronco Laura • Roncolato Rita Roni
Bianca - Ro111ini D, Oomenioo - Rou11to ~tarla -
Saccheri Caterina • Sanmarlino Adolfo • Scac-
cialupi Carolina • Sc:hirato Sante • Schiavi Olim-
pia • Scibona Antonino • Sicoll Eh-in, • Sira-
CUH Antonina • Si•ù Caterina • Spodolini Re-
n•to • Stanahini Maria . Stefa.ni ~leshna • Ta-
1eo Fnn<<:Ka • Testa Maria • Tomedi M. El-
vira Tonon Maria • Ton Oiuseppina • TMi
Ester - Tn,·o Auallia - Tro\\.--ato Fnnct"Sa -·. Vai
Giulio e Lia • Vonnoni Domenica Vavali Bruno
• Veiardita O. Giu•cppe Venturino loltnd• •
Viganò Frotclll Villa Enrico • Vinini Antonieno
• Vologni Mllril Zanoli Famiglia • Zanotti Ca-
milla
33

4.4 Page 34

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Borsa: In n,ffraaio del loro de/.,.gur,,
Don .F'iorent.ino Valle, i Cooperatori
d i Fossano, S. Albano, Ccriolo, Tn-
n.ità, Savigliano e Benevagienna, L.
2 5 0 . 0 00 .
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vannl Bosco, a cura di Scrpiço Al•
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vanni Bosco, in memoria e suffragio
di mio marfto e invoeando prnttzi'one
per la mia fomz'glia, a cura di Aimino
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vanni Bosco, invocando protezione .t
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di D'Enne Doro, Latina, L. 100.000.
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dioso. in m.ffragio dei genitori e della
sorella, a cura di Z<>rzoli Francesca,
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Bosco, a cura di Perfetti Arturo.
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zie ri.cevrJte e in m t mària di mio padrt
Giovanni, a cura di Arneodo Quin-
tina, San Oamhmo Macra (CN),
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Borsa: r't ttntena.rio dtll~ lvtìssionì
Salesian1J, invocando ancora da Maria
A r,.sili.atric, tt do S. Giovanni Bosco
eontìnua protezi'one, a cura di Penna
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Salesiani e Papa Giovanni, i11 rin-
graziamento p er grazi~ rk~ utt t im-
plorandone altre, a cura d i Avataneo
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50.000.
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vanni Bosco e Don Filippo Rl-
naldi, per grazia ricev11ta, o cura
di N.N., L. 50.000.
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Giovanni, pt.r gra:fia ricevuta, a cura
di N.N., L. S0.000.
Borsa: Maria Ausiliatrice, p,r gra-
zia ricevuta t invocando altra grarulti
grazia, a cura di Bettarini Maria,
Piombino (LI), L. S0.000.
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me.nico Savio. a cura di Zambiasi
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n'ngra1:1'amenro /)tr gra.zit rictti·uu t
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N.N. S, Benigno Canav. (TO), L.
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gliere, a cura dell'Unione Uomini
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presidente, a cura dell'Unione Uo..
mini del Michele Rua d i Torino,
L. S0.000.
Borsa: Bartolomeo "Pelissero, ex
presidenteJ a cura dell'Unione Uo-
mini del Michele Rua d i Torino,
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Bosco, in ringra.::fomtntr, pu la ftW-
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cum di N.N., L. 50.000.
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vanni Bosco, fo 11umwria t tu/frngù,
de.i gtnitoti, del / rol~/1,, t1 dtlle sorelle
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Salesiani, aiutateci, n cura di N.N. ,
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liatrice, Santi Salesiani, a cura dclla
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stri d,funti, çura di F.A., L. 50.000.
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sco e S. Domenico Savio, :1 cura
della Fomigli• Ferréro, Rivoli (TO),
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vanni Bosco, i11 mffragia dei f>rtJp ri
de/rmr,·, n cun, di Btrtctto Cristina,
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SalesianJ, :1 cura di Varnldl Emma,
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Vnlsuganu (TN), L. 50.0tl().
Borsa: Santo Bambino di Praga,
M a ria Ausiliatrice, per grn~it, rice-
t111tt,, a cur.l di JunmlcO CarJa, Com-
p1obbi ( l'I ), L. ,u.ono.
Bo rsa : Maria Ausilia trice e Santi
Salesiani, :a c ura d i l)iemoz Muriu,
Ch,1mb:"e (AO). L . 50.000.
Borsa : Maria Ausiliatrice e Don
Bosco, a cura di Br.1ndone Marisa
e Tll.ncrcdi, Pcz:.r,olo Valle U2ione
(C:S:). L. 50.000.
Borsa: Maria Ausiliatrice e Don
Bosco, a c.urn di Brandone. !vtarisa
e 'rancrt!di, Pczzolo Valle Uzzone
(CN), L. 50.000.
Borsa: Linda Toffaloni Rossi, a
cu ra di Zanoo Rossi Margherita,
Piove Rocchette (VI ). L. 50.000.
Borsa: Maria Ausil!atrlc.e, Don Bo-
sco e P. Pio, pt!.r in-1acart una gra-
::.ifl importontt, a cura di Par.Inni
Giorglnn, Bolognr,, L. 50.000.
Borsa: Beato M. Rua, p,r graziu ri-
cevuta, a cura di Macchi .Esterina,
Carenno \\ '"resino (VA). L. ;o.000.
Borsa: Ma.ria Ausiliatrice e Don
Bosco. in n,Jfragio df'i p ropri dt/unt,',
a cura di AnlOlini Francesco, Bor-
ROtaro (PR), L. 5-0.000.
Borsa: In mem(ìrÌtJ tld m ariro rl<f./mit<J,
:i cura dj Mnggioni A. 1 ~lonticello
(CO), L. 50.000.
Borsa: Lumllchi rimiHn e Maria.
S. $asciano Pesa (FI). L. 50.000.
Borsa : A mffTagÌo dello zia Ra/an-
dino iVataliua, a cur:1 di Rolandino
Brnncu, Genova, L. 50.0UO.
Borsa: S ec(mt/() speci(l/i ìr,ten::.itms, a
cum d, Resio Carlo, L. 50.000.
Borsa: In suffragio lii Nt!irutti JV. !a..
tilde, a cura di Resio Curio, L. 50.000.
Borsa; ]ti .oiffrt1gfo di Re~Ìt> Gtnva,mi,
a cuni do Resoo C., L. 50.000.
Borsa: ln mffragÌtJ (/j Raiu Claudio,
a cura di Res io Carlo, L. 5 0.000.
Borsa: 111 $Ujfragm tfi Frmu:one Tt-
resa. cura di Rcs,o Carlo, L. 50.000.
Borsa: In s:uffr,,gln dt Cnt1cin Edt'1'gt,
a curn di Res,o Carlo, L. 50.000.
Borsa: Maria Ausiliatrice, Don Bo•
sco e S. Domenico Savio, i'n ri-
rur1osc~1ca e :mf/rogù, dtlfo mamma,
:1 curJ. di .'\\;.:-.=., L . 50.000.
Borsa: Maria Ausiliatrice e Santi
Salesiani , a çurj, d1 Ca\\ af(lii\\ Olim-
ph1. S:mt,na ('L'O) , L. 50.000.
Borsa: Gesù, Giuseppe e Mada,
protettori délla buona morte, in
miJrllgÌo dt.l popci, u çura di Colom-
h;1no Lorenzo, \\ 'ignLlle Mon(. (.\\L) ,
L. 50.000.
Borsa: Don Rua, ,n w.ffragio di
l\\1llrr'a Cittt'rih fltd. f?.igomnlli, u cura
di Rigamonu Prot. Augusto, _Rapnl-
lo (GI~). L. 50.000.
Borsa: Maria Ausìliatrice e s. Gioa
vanni Bosco, in ringra::inm euro t ;.,,.
, •1>er1,1dQ ancoro prou:-ziu11e ptr la Ja-
,,,,_NJia, n curn. ,.h Mensnieri Giorgio
e I vnn•. Milano, L . 50.000.
Borsa: In m<'muria dtl /rattllo Don
(,'iu1ipp~. ~\\'alaiano, a cur:1 di ·rnf-
fun Lupmacci Giovanni, Vi lnr Pc-
rosa (TO), L. 50.000.
Borsa: Maria Ausiliatrice.. 3 cura
d i Alcssandn~ Mnrfa, S. M aria-La
Morra (CN), L. 50.000.
Bo rsa: S. Domenico Savio, perchi
prott!gga i miei nipoti, n cura di Gi-
lnrdoni Clotilde, Bellogio (CO), L.
50.000.
Borsa: Dalmaso Pierantonio e Cro..
iina, a curn d i C~tto Uon Lui.gi,
l'ergine (TN), L. 50.000.
Borsa: Maria AusHia.trice e S. Do-
menico Savio, pe.r grazia ricevuta,
n cura di Bordone LuciaJ A.ati, L.
50.000.
Borsa: Maria Ausiliatrice, in suf-
ftaglo tie-1/a moglie Giovanna, a curn
d i Pelliccioni Dr. Cio\\•anni, Porcari
(LU), L. 50.000.
Borsa: Anlme Sante del Purgato-
rio, a s,iffragla dei d--ef,mti delle /a mi-
glit of/r.rent1, a cura di Ferrero Tc-
res•, Moretto (CN), L . 50.000.
Borsa: Maria Ausiliatrice e Santl
Salesiani, invocando proteziont pçr
lu famiglia, a cura di Pi:rucca :Via-
rio, Trinità (CN), L. S0.000.

4.5 Page 35

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PER I NOSTRI MORTI
SA ESIA I DEFUNTI
Coad. Angelo Perolto t a Chiari (Bre&eì•) a
91 Dnni
Enrrò in Congregazione già adulto, e fu un rell-
111oso di profonda pietà e costante laboriosità.
Lo dininauc\\'CI una fiduciou devo1.ione verso la
M•donna e un fereno abbandono allo \\'Olonti
cli Dio. Quando eh anni e gli acciacchi 1111 impe-
dirono dt 11,·or».tt, di,~cnne • preghiera vh•tnie •:
il Rosario fu il suo confono e lo 1trumcn10 per
conunuare a \\."ÌVtte • per la salvezza dcUc anime •·
Coad. Cha.eppe Pons t a San Ambrooio (Cor-
dob>, Ar11cntina) a 78 anni
Era nato a Pinerolo, presso To(ino. Fattoti ••·
lctàano, tro,·b nella pre.ghie.ra assidua la fons ne•
cessn.ria per hworure costantemente, con auaten
fedeltà ullc regole e alle tradizioni ulc•iune. La
sempllclu\\ della ■ua vi1a, lo spirito di socrifkio,
e in modo particol1r-e la povertà, gli mcrila.rono
l'affetto e l'amnuruione dei c,onfr.ltelli.
Sac. Pletro Cosentino tal Cairo (Eaiuo) a 57 anni
La eonosunu delle lingue, e ooprauuuo le ,i-
,•oci dou di intelli11cru.a e cli cuore lo re■ero edu-
catore abile e amato. Dal 1955 si dedicb alla
pn>m<l1ione umana e sociale dCIIII 1tahan1 rimuti
dJ.SOCcupau quando le forze •.nm1tc brhann1chc
luclorono la aona del Canale. Seppe 11Jtemare
mialwa dì p<>none non con Il di•t11ceo del bu-
rocrote, ma con I• bontà del fratello, del ••c•r•
dote. Superò con coragg.io e fon•n• non poche
difficoh.4, d•ndo chiara testimonfanta di lncaou-
ribilc c.arità cristiana.
Sa aac.,
A1101tlno
anni
Plecbura t
a
Przcmy1I (Polonio)
Durante il noviziato fu guarito dalla ti1i con la
benedir.ione di Don Rua. Spese la 1ua ,it• oa-
c.e.rdota1e a va.ntaaaio dei gio"·ani come an.se,nante
ed educatore prima, e poi come dire:norc e par•
roco. La sua fonez:za e la sua caMtl eme.nero
aopranuno nellll penccurione sofferta durante la
RUtrra. La sua fcdelti a Don Bosco e alle tra-
dizioni plai.anc., pe.r cw pottl:'I cs,crc dc.finito
l:11 rc,ola \\'Ì\\'e:n1e ,, gli me-ritarono la tcimm lll-
fettuMa dm confrotelli e del popolo.
Sac. Giuseppe Plnter t a Es2lcrgom (Unahl'ria)
a 71 anni
Si dcdlcli per ohrc un quarantennio al Sontuorio
della S. Croce, anneoso alla primm C-.sa ule■i•n•
in Un11hcria. come direttore di 1pinto, profa-
-lOl'C d1 hcu~a.. rcuorc e parroco. l numtroai
pellCllrini che accorrevano do località anche molto
lontane, tro,·avano in lui la più cordiale ac-co-
glienu. Non badna alle sue t,0/ferenu nuche
per portllre il conforto della fede e della grui2
di D10 a. tutti. anche per sentieri 1mpnaticabili,
1empre attaccatilSÌmo a Don Bo•co e alla vo-
cazione.
Coad. Mas,lmillano Rasp t • Wurzbur11 (Ger-
mania) • 78 unni
A 32 nnni 1udb la cas.a paterna dov1crn cresciuto
tra ,ettc {mclii e sorelle In uno apirito profon-
damen\\c crh1ti,no. La sua abilità nei la\\'ori ma-
nwih lo rese.ro :spprczza:to e ricercato 1n varie
n01:1re e.ate=, finché una gnivc malauia lo re-se ma-
bile al l1,-oro. Viue allora nel 1Jlcnxio e nella
preghiera. in fiducioso abbandono alla \\'Olonti
di Dio.
Coad. Urbano Revllla t a Baretllona (Spaana)
80 ann,
Fu un 1utod1<bUA, e seppe rendcni ab,liuimo
in leaotor1a, d.ctll'Omeccanica e fotoa:r.1tì.a. In J'IJ.r•
ùmlan! cohivl, il trad~ionale teatrino salesiano
come preiioso mczw di apos·tol:no. L:i aua Cm•
rica di gene.rositl ~• fondava -tu una profonda
pietà, che caJi f.liccva d'avtt imp.arato soprnructo
dQ Don Rinaldi. Unn personalità coii ricca di
doti umane e rcli,:iou,, un c-.araucre cosl 11llearo
e generoso, lo f~nno proporre a modello di chi
sl dedica •Ila formllÌono della 11ioventù.
Sac. Guglielmo B61u6rlue t a GUJtdalupe (Co-
lombia) • 81 anni
La,-orò per ben 28 anni ad Al(UJI de Dios e a Con-
ll'alacion tra gli •mnulati dc, luzatttti. Spicca,·•
in lui un vivo ■cnso di Dio, una bon1i t.nboc-
cante, una dechz1one usoluta ai pov~ri e. soffe...
re:nri. Il Padre lo chiamo al premio mentre eser-
c:&bl\\.ia il minì•tc..ro in un piccolo pae.sc dsl nome
più caro al me11ican1: Cu:.1d&lupe.
Coad. Lulcl Schmld t a Scbwandorf (Germ••
nia) a 82 anni
Figlio di fnmi11li• numerosa, soltanto 33 •nni
poté entrare tra i fi11li di Don Bosco, dopo un
lungo periodo di priJionia ,offerto durunto la
prima 11\\lC.Tt'll mondi.al<. Svolse per tutta I• aua
vi~ salesiana gh umH, e preziosi la\\·ori di cam•
p.agna, fincM le fone 11li•lo permisero, in co-
stante adesione alla volanti cli Dio.
Sac. Robci:-to Hoomurt t a Leu•·en (Bela,o)
a 69 anni
Fu per dicci inni miuion.rio ndlo Zaire. Tornato
in p:atria, ru incaricato de.Ua t-erza funi.al.i• di
Don Bosco. 1 Cooperatori. Innumerevoli anime
ricorrevano a lul, pcrchl v, trova-.·,mo l'uomo d,
Dio, il nce.rdotc che viveva di preehie:ra, e il
sa.le.siano eh~ si donavri con semplicità e bontà
di cuore • tuui, ma 1pecfa.lmente ai mì1eri e ai
1offecren1i nell'anima e nel corpo.
conps:: TOP• ['ECUNTI
Glan Marla Sartorl t a Torino
N"clb nostna •cuoia dì San Benigno Canavese n-
~vette l'N!ucu1one criati.ana che orientò c~rt.n•
temmte tutta la •ua vita. P<.r 40 anni lavorò alla
Sei, ma espllcb Il auo Impegno •postolico aopna1-
tutto •l Oratorio d1 Valdocco, dove fu se~re-
tario infAticabilc prima, e pOÌ presidente, del.
l'Unione ExntHcvt Buon.o, ottimista, sempre pron-
to a servire qJi altri, ispLrOto 1d alti ideali reli-
giosi, ha lasc,ato alla Parroccbi,, di Maria Au11-
liatrice un'esemplare testimonianza di autentica
c:ollabon-z.i.one u.lesiana.
Francesca Castelli t a Aleuandria a 87 anni
Una lunga ,,iia nella quale non oono mancate
amarezze e aoffc:n:.n.1c; ma non le venne mai
meno l'equilibrio 1pirinule e la lttmit!, fondati
su una fed~ tnconcusn., una fe:rvida 1peranu e
un ardente tmorc di 010. DediCO la sua vita
alla fami111ia1 e la seppe oostcncre specie nelle
ore buie, e.on soprannaturale saggezza e invidict•
bile forza d'•nlmo.
Umbeno Mabrlto t • Vidracco (Torino) a 82 onnl
Consacrò I• su• viu, allo fomiglia e alla Chicu
nel lavoro t ne.Wimpegno sociale, 10Stcnu1:o da
fede granitica e da bontà longanime. Amb tanto
Don Bosco e la aua opèl"I, e fu felice dj donare
tre figli al Siirnore: una Figlia di Moria Au•ilia-
triu, una Suora dcll'JmmacolatA di Jvra, e uno
sacerdote. L• ccc1tl e le lunahe soffcraiu lo pre-
pararono • un 1crc:no incontro co.n Dio.
Cecilia Sche-r=i t • Molr.tta (Bari) 82 anni
Fu donna di pietà e di ncrificio. Lavori, 1er1tna-
mente nell'ambiente domestico, beneficando qllll1lti
ai nvolgevano a lei. Fu coope._nrrice a.tòva ed
cnrw1a.sta. OfJer■c a Don Bosco il figlio Don
Leonardo.
Giovanni Fe-rasl11 t • Thicne (Vicenza) a 87 anni
Uomo meraviglioso per In aun profonda povertà
di apirito secondo lo beotltudlne evangelica, e
per I■ straorwnarla capacnl di portare pace e
ottimismo sempn,. I l a donato un 6gLio. Don Eai-
dio, alla Famiglia Salesiana.
P,,.sqwalin2 Sante:ro vcd. Mondino t a Torino
Cooperatrice zelante e ce-ncrosa. amava t-anto le
Missioni. Partecipava al nootro Laboratorio Mis-
1ionario, e godeva nel confezionare abitt per bam•
bmi da irwiare alle miuioni. Lucia un esempio
cli 11rande bontà e di amore a Don Bosco.
Santina Plana ved. Tlm.oul t I Campo Ligure
(Cenova)
Fu una cooperatrice molto zelante: non Poten-
dosi dedicare all'apastolato diretto, oollaborava
eon intenso spirìto di prc11hicra. La solidità della
aua fede la rcnde,·a forte ncJJc difficoltl e pene-
venuuc nelle opere di bcnt.
Cloacchlno Torrese t a Lanciano (Chieti) a
93 anni
Una vita lunga, laboriosa e sacrificata, sostenuti
do uno fede ardcnie che ai (ace,,. sempre più
convinta nell'esercizio dtlla sua professione. di
•acrestano. Cominc.iò • conoece:rc e c.otusiasman-i
d1 Don Bosco quando con 1nndt generosità of-
ferte il figlio Mariano alla Congrcguìoae Sale-
1i•n~. Leggeva do cimo a fondo il Boll,ttino Sa-
les1'ano e Il 1,mp,'o d; Don Bos,o, e ne raccon-
1ava i f.lui salienti. QLL&ndo I■ \\'CC::c.hi,aìa lo co...
1tnnsc a leno. offenc • tutU la 1un. parola di sa-
pienza e di
n.e.1 cuore
fede, e la
ripcte.vL
1.,u1aropreagchmiperrae.
Vi ho
da,1Jmti
tutti
agli
occhi Don Bosco e 11 auo 111ovane scolaro, Do-
meni.ao Savio •.
Massimiliano Paronzlnl t a Ririen (Varese)
a 97 anni
Quando il primo&cni10 all' età di 29 anni lo n-
lutò ~r raggiungere l'upirantato di Ivrea, ali
dine: S2ppi cbe 1uo padre ha lungamente Il•
tcto què.lto giorno. Va\\ e clhc Dio ti benedica•·
L'anno seguente pnrtiv1 I" figlia 1ccondogcnìt11,
oggi niiuion11rin in Ecuador, Curava personal-
mente e con amorosa dedizione h1 piccola chi,.
a.in, della sua fnu::iont, ~ tra riuscito ad :suj-
curue un sacerdote per la mc11a festiva, la pr,e-.
senn c,o,tante del SS. Sacramc,nto, e la recita
quoodians e pubblica del S. Rosario. D giorno
prima di monre cantb le Litanie della Madonna
o affidi> la sua anima a D10.
Dmoom(eNniocva=B)
arbier
• 85
i ved.
anni
Femandez t
a
Druo•
Sposo felice, rimuta solo acppe dare ai fi11li i
doni preziosi che nutriva nel cuore: Cortcn:t di
apirito, fede J"nuina o profonda, bontà gioioso
veno i bisognosi. Cu.iod1V1 a-e:1osamcntc un qua..
drctlO donato a O. Carlo Mitria Baratta, suo cu-
gino, d1lllo stesso Don Bosco, eon l'immagine
dell'Ausiliatrice n•II• aloria dei Santi. E nello
spirito di Don Bo1co •-ollo educare tutti i suoi
fiRli. Fino au·wtimo con■er\\'b frcschezzt di mente
e dj pan,b., con cw c:o·mun1ca"'"II la vera upien.u
amnta dalla ftde.
Ferrarlo Maria
Pelrlnelto Rosa
Vanoni Lina
Per quontl ci hanno chiesto informazioni, annunciamo che LA DIREZIO NE GENERALE OPERE DON BOSCO con sede In ROMA. riconosciuta g iuridica-
mente co11 O. P. del 2-9-1971 n. 969 e L.ISTITUTO SALESIANO PER LE MISSIONI con sede in TORINO, avente porsonolilà glurldlca per Decreto
13-1-1924 n. 22, possono legolmente ricevere bg•tl ed Eredlù. Formule legelmente valide sono:
se trauesl d·un legalo: ... lascio alla Direzione Gener11J11 Opere Don Bosco con sede in Rom• (oppure all"lstituto S11/es/11no per le missioni con sade
in Torino) a titolo di legato la somma di hre •.••••••. (oppure) l',mmobtle sito in •.•• ·•·
se tranesl, invece, di nominare erede di ogni aos1anza l'uno o l"ultro dei due Enti su indicati:
... annullo ogni mia precedente dlaposlzione testamentaria. Nomino mio erede univergale la Direzione GanBta!e Opere Don Bosco con sede in Rom,
(oppure l'Istituto Sal1u/ano per le Ml1slonl con sede in Torino) lasciando ad esso quanto mi appanlene a qualsiasi titolo •·
34 (luogo e dita)
(firma per distato)

4.6 Page 36

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..ii:i
VI
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..~
Cl
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~
Spediz. in abbon. postale Gruppo (70) 1• quindicina
ATTENZIONE I
In caso di MANCATO RECAPITO
inviare all'ufficio d,:
TORINO - VIA NIZZA 8
per la restituzione al mittente
che s'impegna a corrispondere
il diritto fisso di lire 50.
........................·- ·············-····-·--···············-······..····c-------- - - - - - - - - - - - - - - -- - -- - -
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S! n.__ copie di:
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o
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