Bollettino_Salesiano_196608


Bollettino_Salesiano_196608



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Noi non ci fermiamo mai;
vi è sempre cosa che incalza cosa...
Dal momento che noi ci fermassimo,
la nostra Opera
comi ncerebbe a deperire
DON BOSC O
.
.
BOLLETTINO
SALESIANO
ORGANO DEI COOPERATORI SALESIANI
A . XC. N. 8 • 1 5 APRILE 1966. D IREZIONE GENERALE : TORINO 712. VIA MARIA AUSILIATRICE, 32. TELEF. 48. 29.24
Un punto fer1110 e lu111inoso
Il regolamento dei Cooperatori Salesjaru specifica
le opere che essi debbono svolgere nel loro aposto-
lato: sono le opere stesse che caratterizzano la Con-
gregazione Salesiana, e cioè quelle di interesse gio-
vanile e popolare.
Ma Don Bosco ai suoi Salesiani e ai Cooperatori
ha lasciato anche l'eredità del suo spirito, cioè un
modo particolare di vedere e di realizzare i propri
rapporti con Dio o con gli uomini, imo stile che
infon11a l'at teggiamento dell'animo e distingue l'at•
tività esteriore, un patrimonio di idee e di pratiche
che .~eano un costume, una mentalità, una sp iri-
tualua.
Non si può misconoscere che Don Bosco, pur nella
umiltà con cui si è presentato sul piano della Chiesa
e del mondo, ha dato origine a una spiritualità inti-
mamente legata a quella del Vangelo e della Chiesa,
ma alimentata d alle straordinarie risorse umane e
soprannaturali deJla sua personalità e adattata alle
particolari esigenze del nostro tempo.
Non importa che egli non ne abbia parlato espres-
samente e che non abbia vol uto codificarla in un
trattato, così co.mc quasi non ha fatto neppure per
il suo sistema d.i educazione.
Noi possiamo affermare che si può parlare di una
autentica spiritualità di Don Bosco e che noi pos-
~iamo coglierne tutti gli elementi attrave:rso la sua
abbondantissima biografia, attraverso i suoi scritti
e la tradizione, soprattutto attraverso il contatto
vivo con la Congregazione salesiana in cui si è in-
cru:nato spontaneamente lo spirito di Don Bosco.
I Cooperatori, p er svolgere le opere che Don Bosco
assegna al loro apostolato, debbono essere formati
alla sua spiritualità, allzi, pitt anco.ra, essi dehhono
fare cli questa spiritualità stessa un oggetto del loro
apostolato.
Non è azzardato affermare che gli uomini, oggi,
sono spesso smarriti nella impostazione della loro
vita :religiosa e nelle attività di apostolato a coi si
sentono impegnati come cristiani. Si presentano
t anti modelli e tante idee, ma non senlpre, nella loro
varietà e mol teplicità, riescono a destare una sim-
patia e a creare una adesione immediata degli animi.
Anzi sentiamo sempre parlare di confusione e di
disorientamento anche nel campo religioso per il di-
sordine che domina tra gli uomini del nostro tempo.
La figura di Don Bosco invece e la sua spiritualità,
per una certa freschezza e novità di lineamenti, per
la sna adattabilità allo spirito moderno, per un suo
armonioso equilibrio di elementi umani e religiosi,
per la wùversalità e solidità delle sue esperienze e,
certo anche, per un dono di Dio, è un punto
fermo e luminoso a cui può guardare con sicUiezza
la nostra età.
Penetraudo questa spiritualità di Don Bosco sarà
anche facile comprendere ]e esigenze della Chiesa
oggi e corrispondere agli inviti rinnovatori che il
Concilio rivolge a tutti i cristiani. Don Bosco infatti
con le sue opere e col suo spirito non è stato solo
vicino al suo tempo, ma ha anticipato il 11ostTo e vi
ba portato tutto il soffio vivo della sua san1ità e
della sua anima.
Paolo VI , parlando a] Capitolo Generale XIX, ha
detto che la Congregazione Salesiana « è grande cosa
nella vita cattolica mondiale» non solamente per le
consolanti5sime statistiche delle opere, m a anche
per lo spirito, il fervore, l'abnegarione, la fede,
la pietà, che le daimo forma e vigore ». Questa
predosa spiritiialità i Cooperatori debbono vivere
e portare come fermento di hene nella Chiesa e nel
mondo. C'è bisogno di questo non meno che delle
opcrn.
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L·apostolato dei Cooperatori
Breve confronto fra le idee fondamentali
del Vaticano Il sull'apostolato dei Laici
e l'apostolato dei Cooperatori Salesiani
PARTE l
L'apostolato dei Laici
con1e « pm·tecipazione
alla missione della Chiesa J>
1. JL PENSIBRO DEL CON'CILTO
Prima del Concilio Vaticano II si usava definire
l'apostolato dei laici come collaboradone all'aposto-
lato gerarchico. Questa definizione poteva lasciar in-
Lendere che l'apostolato, nella Chiesa di Dio, fosse
una prerogativa esclusiva della Gerarchia. I laici
potevano prestare, o non prestare ad essa, il loro
aiuto. Se non lo prestavano non cessavano per questo
ili essere buoni cristiani. Il Concilio ha introdotto
una grande novità - la pilt grande in fatto di apo·
stolato dei laici - definendo l'apostolato in genere,
sia della Gerarchia, sia dei laici, come « partecipa•
zione alla stessa missione di Cristo e della Sua
Chiesa » (Cfr. Cost. Dogmatica, Lumen Gentium,
can. IV e Decreto sull'Apostolato dei laici, cap. I).
E una concezione rivoluzio.naria rispetto allo. pre-
cedente, perchè impegna tu_tti i cristiani senza di-
stinzione. Tutti hanno il dovere di fare dell'aposto-
lato nella condizione e nel posto dove Dio li ha col-
locati. La nuova stupcncla definizione non esclude
la precedente, ma la sviluppa e l'allarga. I laici pos-
sono dare i] loro aiuto diretto - sempre come
laici - alla Gerarchia. Se però non esercitano l'apo·
stolato in questo modo, dovranno esercitarlo in altra
forma; ma non possono esimersi dall'apostolato senza
cessare di essere cristiani.
È una definizione in piena armonia con il nuc,vo
concetto della Chiesa tracciato nella Costituzione
dogmatica che fa del laico, e non solo della Gerarchia,
una parte integrante, essenziale, della Chiesa stessa,
enucleando quanto già aveva detto Pio ' II, par•
lando dei laici: « Voi siete la Chiesa» (Discorso del
20 fohbraio 1946). Ogni membro del Corpo :Mi.stico
deve collaborare per il hene di tutto i1 Corpo. Solo
chi non appartiene alla Chiesa o .non vive la vita
della Chiesa, può disinteressarsi del suo apostolato.
Per esercitare il loro apostolato i la.ici non devono
abbandonaTe il loro posto nel mondo e le loro or-
dinarie occupazioni. Non sono nemmeno oLbligaLi
(sebbene ciò sia molto :raccomandabile) a iscriversi
a qualche organizzazione. Devono « cercare il regrw
di Dio trattando le cose temporali e orrfinandole se-
condo Dio. Vivono md secolo, cioè iniplicati in tutti
e singoli do,,eri e affari del morulo e nelle ordinarie
r.ondizioni della vita f11miliare e sociale. di cui la loro
esistenza è come i,ntessulc1. T11i so,w da Dio cfiiamati
a contribuire, quasi dall'interno, n gnisa di fermento,
alla. santifica.rione del mo1ulo mediante l'esercizio del
proprio ufficio e sollo la gu.ida dello spirito evangelico,
e in q_11esto modo, a ma,nifestare Cri.sto agli altri, pri.n-
cipalmente con la testimonianza rlella stessa loro vita,
e col fulgore della loro fede, della spera,nza e carità.
A loro qni11di particoformente spet111 tli illuminare e
ordinare tutte le cose temporali alle quali sono stret•
tam.ente legati, in mo1lo che siano sempre fatte secondo
Cristo, e crescano e siano di lode al Creatore e Reden·
tore » (Cost:it. Dogmal. n. 31 ). Con queste parole il
Concilio vuol esprimere ciò che caratterizza l'apo·
stolato dei laici: la loro condizione di "secolari",
cli persone che vivono in mezzo al mondo.
2. IL 'PENSmRO DI DON BOSCO
Chiunque conosca da vicino lo spirito cli Don Bosco
non faticherà a comprendere la grande affinità, per
non dire l'identità della definizione conciliare con
l'apostolato dei Coopcra1:ori secondo le idee di
Don Bosco. Egli ha pensato l'apostolato dei Coo-
perato·d proprio come oggi la Chiesa pensa l'aposto-
lato cli ogni buon cristiano. La stessa unione dei
Cooperatori Salesiani l'ha organizzata in modo estre-
man1ente agile, sicchè l'apostolato non ostacolasse
le ordinarie occupazioni, ne fosse anzi J'anima,nella
fanriglia, nella profcssion~, nelJ'officina. Dove vi è
un Cooperatore salesiano il suo st esso lavoro e le
sue ordinarie occupazioni devono irradiare l'aposto-
lato, il senso c1·istiano, l'amore a Gesù e alla sua
Chiesa. Più con la testimonianza che con la parola.
Per Don Bosco essere Cooperatore è precisamente
vivere la missione della Chiesa nella quale siamo stati
inseriti per mezzo del Latte.simo e degli altri Sacra•
men Li, in unione con il Papa e con i Vescovi. « 1/
loro scopo diretto - dice Don Bosco - non è quello di
coad:illvare i Salesiarii, ma di prestare aiuto alla
Chiesa, ai Vescovi, ai Parroci., sotto l'alta dire:ione
dei Salesiani. nelle opere <li beneficien.::a, come ca~-
chisti, ed1u:are i Janci1tlli poveri. e simili (l\\'Iem.
l3iogr. XVII, 25). Sono quasi alla lettera le parole
clel Decreto sull'apostolato dei Laici (cfr. special-
mente il 11. 10).
« L'opera dei Cooperatori... è fatta per scuotere dal
languore, nel qu(lle giaccio1t0 tanti cristiani. e <lilJ'o11•
dere l'energia della carità » (Mem. Biogr. XVIII,
160-161). « Dovranno forse i figli della luce essere
meno prnde11ti cho i figliuoli delle tenebre? No, certa•
mentP. Noi cristiani rlobl>iamo.,rnirci in questi ,l~fj-icili
tempi, per promuovere lo spirito di preghiera, di carità
co1i tulti i mezzi che la religione sommi11istm, e così
rimuovere o almeno mitigare q1iei mali che mettono n
repentaglio il bnon costmne della crescimte gioventù.
nelle cui ma11i stanno i rleslini della civile società»
(Regolamento, Introd.).
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alla
luce
del
Valicano
II
SPUNTI PER 1A
CONFERENZA ANNUALE
Se Don Bosco si fosse preQccupato di <lare una de-
finizione tecnica e teologica dell'apostolato dei Coo-
peratori l'avrebbe senza dubbio detta « partecipa-
none e collabon:n:ione alla mis.~ione di Gesù e della
Chiesa».
Questo concetto fondamentale fa di Don Bosco
un vero precursore della dottrina conciliare s ull'apo-
stolato, un divinatore dei tempi, come disse Pio XII:
« Apostolo e suscitatore di apostoli, Don Bosco divinò.
or è un setolo, con l' intuizione del g1mio e della santità
q1iella che doveva essere più t<irdi la mol,i/itazione del
laicato contro l'arione del mondo nemico della Chiesa »
(Discorso ai Cooperatori Salesiani, 12 settem-
bre 1952). Il Concilio con la nuov a definizione del-
l'apostolato promuove davvero la m obilitazione ge-
nerale dei cattolici all'apostolato. Lo scopo è quello
di un generale "rinnovamento" n ella v ita cristiana,
ciò che D o n Bosco diceva con altre parole: « sciw-
lere dal lmiguore tanti cristi<ini per diffondere l'energia
della carità». Ed è impressionante pensare che il
Papa c be volle qurl "rimiovamento" generale me-
cliante il Concilio, Giovanni XXTTI, durante la sua
fanciullezza respirò nella famiglia, coi, la lettura del
Bollettino Salesiano, lo spirito nuovo che Don Bosco
s tava <lilfondenJo nel inondo cattolico.
PARTE n
L'universa.le chiamata
dei cristiani all'a1)ostolato
1. IL PENSIERO DEL CONCILIO
Tutti s a1mo che il Vaticano IJ, sempre nella Co-
stituzione dogmatica sulla Chiesa, ha proclaroalo
ufficialmente l'universale vocazione dei cris tiani alla
santità. Non tutti forse sanno che ha parimenti pro-
clamato l'universale vocazione all'apostolato. « Tutti
i cristiaiii sono chiamati a contribuire con tutte le loro
forze all'incremento della Chiesa e olla sua continua
ascesa nella sa,ntità » {Co.<rtit. Dogmat. s ulln Chiesa,
n. 33). A q1rnsto apostolato sono deslinati clal Si-
gnore per mfzzo rlel .Battesimo e clella Conferma-
zione (DJ.).
« La uowzione cristiana è per natura sna vocazione
all'apostolato» (Decreto sul.l'apostolato dei Laici,
n. 2 e 3). « A tutti i cristiani è imposto il nobile im-
pegno di la,uorare affinchè il divino messaggio della
safoezza sia conosciuto e accettato da
su lutta la terra, » (Decreto n. 3).
tutti
~({li
uomini
'
Quando il Concilio proclama l' univeri<alc YOca-
zio11e alla santità e all'apost.olato non fa altro che
approfondire il sigui6cato del noHro l,attesimo e del
nostro inserimento nel Corpo Mi~tico e ni~l Popolo
cli Dio, che è la Chlesa.
2. IL PENSLERO 01 DON BOSCO
Nel lontano 1859, quando stava appe na mat\\1-
rando l'idea dei Cooperatori salf'sian.i, intendeva che
l'unione fosse tale da impegnare « qualunque per-
sona, a,nc/,r vivendo nel secolo, nella propria. casa,
nella propria famiglia», nella persua:sione che O"ni
buon cristiano doveva essei:o apostolo.
"'
Che Don Bosco predicasse l'universale vocazione
dei cristiani alla santità e all'apostolato per tutti,
anche per i giovani e i ragazzi. hMta ricordare
quanto avveuiva al tempo di San D omenico Savio
e degli altri modelli di giovani di cui stese la bio-
grafia, apostoli dei propri compagni. Era proprio
questo spirito che suscitava le vocazioni sacerdotali
e missionarie in n.u.mero s lraorclinar:io, e che diedero
alla Clues a quei gi~anti della evangelizzazione del-
l'America del Sud che furono il card. Cagliero,
mons. Fagnano, mons. Lasagna e un numero incon-
tabile cl i altri della s teRsa tempra.
L'Arcivescovo di W eslmins te r, il card. H eenan, h1
uno dei suoi i11tervenLi conciliari portò come esempio
un pensiero di Dou Bosco per significare l' universale
vocazione ilei laici all'apostolato: « un giovane di
quattordici anni, se11za spirito apostolico, non lascia
presagire bene di s~ ».
Lo s pirito di Don Bosco è, per natura s ua, apo-
stolico. Lo dice an.zitutto la s ua pa-rola d'ordine:
" Da mihi animas, cetera lolle".
PARTE ID
1 jondamenti dell'apostolato
dei La'i.ci
1. IL PENSIERO DEL CONCCLJO
Il Valicano Il fonda l'apostolato dei laici su.i sa-
cramenti del 'Battesimo e della Cresi1na, e special.-
mente dell'E11c11tistia merli.ante la cruale « vie11e co-
municata e alimentata la carità, che è come l'anima di
tutto l'apostolato» (Decreto n. 3).
b) Un secondo fondamento dell'apostolato dej
laici, secondo il Concilio, è il precetto divino della
carità, essenza delJa vita cris tiana. « Tn forza del pre-
cet.to della carità. che è il più, gran.de comondo del Si-
gnore, og11i cristia,io è sollecitato a procurare la gloria
di Dio con l'avvento del suo regno e la vita eterna a
tutti gli uomini» (Decreto n. 3).
c) È fondamento e s timolo all'apostolato anche lo
Spirito Santo che elargisce ai fedeli carismi partico•
lari, « distribuendoli a ciascuno come vu.ole » , affinchè,
mettendo « ciascuno a servi:io degli altri il sno dono
al fine per cui l'ha ricevuto, contribuiscano (m ch'essi
come _buoni dispensatori delle diverse grazie ricevute
da Dio » alla eclifì.cazione di tutto il Corpo nella
Carità (lbid.).
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TI Concilio non intende parlare in questo punto
solo di "doni straorclinari", ma anche di quei doni
ordinari che ognuno ha da Dio. Chi ha il dono dclla
parola, chi ha quello dell'organizzazione, chi ha
quello di una eccellente preparazione culturale ecc.
Sono ricchezze che i cristiani ricevono non per pro-
prio uso e consumo, ma per il bene della comuniLà
ecclesiale.
2. IL PENSmRO OJ :DON BOSCO
a) La base della santità e dell'apostolato per
San Giovanni Bosco sono i Sacramenti, particolar-
mente la Penitenza e l'Eucaristja. Non è necessario
spendere parole per ricordare Don Bosco come apo-
stolo della Confessione e della Comunione: i due
grandi mezzi con i quali egli fece santi e apostoli
tanti dei suoi giovani. Tutta la sua pedagogia è fon-
data su queste basi.
b) Egli inoltre animava alla carità con espressioni
delicate e convincenti: « Il bene appaga il cuore
me111re si fa e poi lascia una contentezza che dura
tutta la vitc, » (Mem. Biogr. VII, 674). Il "bene" è la
carità dell' apostolato verso il prossimo, che lascia
nel cuore una contentezza ch'è il segreto dell'allegria
salesiana.
Ad un giovane scriveva:« Avrei bisogno di farti cac•
datore d'anime, ma pel timore che t1t rimanga cac•
ciato, ti propongo soltanto di farti modello ai tuoi
compagni nel bene opera-re. Per altro sarà sempre per
te una fortuna grande qnando polrai prom11,overe
qualche bene, o impedire qualche male tra i tiioi com-
pagni » (Mcm. Biogr. IX, 176).
Ma ciò che vale per i giovani vale assai più per
gli adulti. Vale per tulti i Cooperatori.
PARTE IV
L<, spi,•ifu"lità clell•apostolato
<lei Laici
J.. TL PENSIERO DEL CONCILIO
a) Il Vaticano Il pone l'unione con Dio al centro
della spiritualità dell'apostolato laicale nella Chiesa.
<( Siccome la.fonte e l'origine di tutto l'apostolato della
Chiesa è Cri.sto, mandato dal Padre, è evidente che la
fecondità dell'apostolato dei laici dipende dalla loro
vitale unione con Cristo, secondo il detto del Signore:
"Chi rimarie in me ed io in lt,i, questi produce molto
frutto, perchè senza di me non potete far nulla"
(cmv. 15, 4-5).
I mezzi per ottenere l'inùma unione con Cristo
sono gli aiuti spiriLuali comuni ai fedeli, cioè i Sa-
cramenti e « la partecipazione attiva alla, sacra Li-
turgia».
Tale unione con Dio i cristiani debbono portarla
nel compimento dei propri doveri del mondo « nelle
ordi11arie condizioni di vita », « compiendo la propria
attività secondo il volere divino» (Decreto n. 4).
b) Il Decreto insinua pure un continuo gioioso
spirito di sacrificio che spinge a lutto fare e tutto sof-
&ire con serena letizia: « Su questa stradt~ occorre clie
i laici progrediscano, cori animo pronto e lieto, nella
santità, cercando di superare le difficoltà con prudenza
1> pazienza» (Ibid.). La carità che anima l'apos tolato
rende lieta la fatica e sereno il dolore secondo i prin-
cipi del Vangelo: « La carità, di Dio, "diffusa nel
nostro cuore per mezzo dello Spirito Sunto che ci è
stato dato", renclc capaci i laici di esprimere realmente
nella loro vita lo spirito delle Beatitiulùii » (Ibid.).
e) La pratica della vita cristiana suppone però il
fondamento delle vi:rtù umane: « T1,ui i laici f ac-
ciano pure gran co11to della competenza professionale,
del senso della famiglia e del senso cit•ico e di quelle
virtù che riguardano i rapporti sociali, cioè la probità,
lo spirito di giustizia, la sincerità,, la cortesia, la for-
te,zza d'animo: virtù se11za le quali non vi pnò essere
nea.,u:/111 vera vita cristiana » (Ibid.).
d) Infine un altro importante fondamento della
spiritualità dell'apostolato dei laici comune ai do-
cumenti conciliari e a Don Bosco: la devozione alla
Madonna. « 1\\1odello perfetto di tale vita, spirituale e
apostolica è la beata Vergine Marin, Regina dPgli Apo-
stoli, la quale, mentre viuei1a sulla terra ima vita co-
rmmc a tutti, piena di sollecitudini familiari e di la.-
voro, era. sempre intimamente unita al Figlio suo, e
cooperava in modo del tutto singolare all'opera del
Sal-vatore; ora poi assunta i1t cielo, cori la sua materna
carità si prende cura dei fratelli del Piglio suo ancora
peregrinanti e posti in mezzo ai pericoli e affanni
fino a che non siano condotti nella patria beata. La
onorino tutti devotissimamente e C1jfidino alla sua ma-
terna cura la propria vita e il proprio apostolato »
{Ibld.).
2. Il, PENSIEBO :01 :DON BOSCO
a) Don Bosco è il Santo dell'azione. « Siamo in
tempi in cui bisogna operare. Il mondo è diveniti-O
materiale, perciò bisogna lavorare e far conoscere il
be11e che si fa. Se uno fa anche miracoli pregando
giorno e notte e stando nella sua cella, il mondo non.
ci bada e non ci crede più. Il mondo ha bisogno di
vedere e di toccare» (Mcm. Biogr. XIII, 126). Ma
egli voleva che il lavoro fosse animato dalla retta
intenzione, dall'adesione continua alla volontà di
Dio e da un continuo spirito di preghiera, e ne diede
così luminoso esempio cla essere definito "l'unione
continua con Dio".
b) Insieme allo spirito di preghiera egli voleva che
si lavorasse con gioia serena. San Domenico Savio.
alla scuola di Don Bosco, potè dire: « Noi qui fac-
ciamo consi~tere la santità 11e/l'c,llegria ». Ecco lo spi-
rito delle .Beatitudini che nel p ensiero di Don Bosco
deve pervadere la vita spirituale e l'apostolato.
c) È conosciuto il profondo senso umano di
Don Bosco. PJ:ima di essere huoni cristiani è neccs•
sario essere uomini onesti. Chi pratica le virtù umane
della probità, della rettitudine, della cortesia, del
coraggio ecc, potrà esercitare un efficace apostolaLo.
d) E infine la devozione alla Madonna. « Con
IJ.ueste due oli, cioè co,i quest,i due devozio,ii, Maria e
Gesù Sacramentato, siate certi che 110n tarderete a sol-
levarvi verso il cielo» (Mcm. Biogr. VIII, 333-334).
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PENSIERI PER LA CONFERENZA MENSILE
Profeti con Gesù
Prem esse
Per essere completa, la conversazione del mese
scorso sull'unione a Gesù doveva contenere ancora
un pensiero. Avremmo dovuto aggiungere: unione
somma, e pensare al sacrificio di Gesù e nostro. Non
intendiamo farlo ora solo per un motivo pratico:
mentre continuiamo a studiare l'insegnamento del
Concilio sui laici, vogliamo prendere in mano subito
anche il Decreto sull'Apostolato dei Laici, per co-
minciare a scoprirne il prezioso contenuto.
Chi suggerisce di fare questo è proprio il capitolo
sui laici della Costituzione sulla Chiesa. Finora noi
abbiamo cercato di comprendere ciò che si diceva
nei numeri 30, 311 32 (LG = Lumen Gentium, cioè
Costituzione Dogmatica sulla Chiesa). Noi ci siamo
sempre riferiti ad essi col pensiero nelle quattro con-
versazioni precedenti. Ora nel numero seguente, il
n. 33, proprio all'inizio si legge: << I laici... costituiti
nell',mico corpo di Cristo (noi dicevamo: uniti a
Gesù)... sono chiamati come membri vivi, a contribuire
con ttttte le lol'o forze... all'incremento della Chiesa...
L'Apostolato dei laici... ecc. i>.
È chiaro che questo riferimento all'apostolato dei
laici in questo punto è un inv ito ad aver presente
d'ora innanzi il decreto che ne tratta di proposito,
mentre parleremo della partecipazione dei laici al
"sacerdozio", alla "funzione profetica", al "servizio
regale" di Gesù (LG 34, 35, 36).
Questi sono tre modi di essere ttniti a Gesiì nel-
1'agire, conseguenza dell'unione della nostra persona
a Lui, sacerdote, profeta, re. Sono lre caratteristiche
di ogni azione cristiana inseparabili tra loro e che si
richiamano a vicenda. (Il Concilio parlando dell'una
passa facilmente a parlare dell'altra). Però nelle singole
azioni una caratteristica è più visibile dell'altra, come
può capitare per i colori che compongono una tinta.
Questa volta la nostra conversazione sarà sulla
"funzione profetica", cosi strettamente legata con
l'apostolato (LG 35; AA (= Apostolicam Actuosi-
tatem, il Decreto sull'apostolato dei laici) 3).
II Ohi è il Profeta
Se dovessimo rispondere cosi sui due piedi a questa
domanda, forse ce la caveremmo dicendo: chi fa
profezie. Questa risposta non dice tutto, ma solo ciò
che può fare piu impressione; è come uno degli
acini più vistosi in un bel grappolo; ma un acino
non è tutto il grappolo.
Per sapere veramente chi sia un profeta bisogne-
rebbe leggere attentamente le pagine della Bibbia
dove si parla di loro. Ecco in breve che cosa si po-
trebbe ricavare da quella lettura.
Il profeta è una persona su cui è disceso lo Spirito
del Signore, che, per affidargli qualche incarico im-
portante, lo ha come afferrato, fatto suo strumento
e ne ha preso possesso in modo profondissimo. Per
usare un'immagine, pensiamo ad un tessuto su cui
PARTE V
I giovani nell'apostolato
dei J.,aici
1. IL PENSIERO DEL CONCILIO
Scl1hen e .il Decreto conciliare s ull'apostolato dei
laici si diriga a tutti i cristiani. tuttavia è indirizzato
anzitutto ai giovani. « In modo speciale i più gio11ani
srntano questo appello come rivolto a se stessi, e l'ac-
colganlJ con alacrità e magnanimità» (dall'Esortazione
finale, n. 33). È chiaro che quanto si dice nel proemio
i> nell'esortazione finale vale per tutto il Decreto.
Perciò l'intero Decreto ha una particolare destina-
zione ai giovani, speranza della Chiesa.
I motivi, oggi più ancora che ai tempi di Don Bo-
sco, sono evidenti: « I giova,ii esercitano 1m irifl11sso
di somma importanza nella società odierna ». « Essi
debbono divenire i primi e im,mediati apostoli rlei gio•
vani, esercitando da loro stessi l'apostolato fra di loro,
tenendo conto dell'ambiente sociale i,, cui vivono».
« Gli adulti stimolino i giovani all'apostolato anzi-
tu.tto con l'e;;empio e, all'occasione, con il prudente
consiglio e con il valido oiuto ».
2. IL PENSIERO Dl DON BOSCO
Prevenendo i tempi il nostro Fondatore ha dedi-
cato tutto il suo apostolato pr evalent emente aj gio-
vani. La stf.ssa Unione dei Cooperatori Salesiani ha
come primo dei suoi scopi rli occuparsi dell'istruzione
cd educazione dei giovani in famiglia, anzitutto, e
in ogni altro modo possibile.
Oggi il problema dei giovani è vivo come non
mai. Essi hanno assunto u.na posizione di prima
importanza tra gli interessi della società. I pericoli
più gr:tvi sono per i giovani. Dou Bosco cbhe il me-
rito di vedere cento anni fa il problema dei giovani,
di valutarne l'importanza fondamentale e di porta:i:vi
una sol uzione illtegrale. Dio lo suscitò per ques ta
missione e lo man.ì dei miracoli e un c,1mulo di altri
doni carismatici che sono come le c.rc<lenziali che
servono a documentaJ·e q uesta s ua missione dinanzi
al mondo.
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fu versato dell'olio: lo impregna fino in fondo; basta
costatare la difficoltà che si incontra a smacchiarlo.
Per la form:izione del profeta la discesa dello Spirito
è la cosa principale, dalla quale dipende tutto il resto,
come dal gambo il grappolo, per tornare al paragone
già usato.
Quando lo Spirito del Signore è disceso sul pro-
feta, allora, talvolta solo guidandolo nelle sue rifles-
sioni, ma spesso con vere rivelazioni, cioè manifesta-
zioni di cose che non sapeva, lo aiuta a 'Cedere negli
avvenimenti passati, presenti e anche in quelli fu-
turi (che necessariamente ili deve far conoscere) la
volontà di Dio e l'opera d1 Dio sul mondo, il "mi-
stero di Dio", come diceva San Paolo. Si tratta
sempre di una visione tanto fuori del consueto che
non <leve far meraviglia se il profeta non riesce a
esprimere, se non con immagini che gli sono fa-
miliari e in forma sovente oscura, il piano di Dio che
"lui ha veduto". Per questo il profeta viene chiamato
anche "veggente". Questa "visione di Dio all'opera"
viene anche chiamata "conoscenza di Dio", perchè
tutti sappiamo che è coll'osservare cosa fa, che si
viene a conoscere profondamente chi è una persona.
Dallo Spirito il profeta riceve una conoscenza pro-
fonda di Dio stesso, come un figlio di suo padre che
vede sempre all'opera pe1· il suo bene.
Gli altri si meraviglieranno specialmente per il
"vedere nel futuro" . !\\Ila anche questo rientra nella
volontà di misericordia di Dio: g]j uomini saranno
più disposti ad accettare il modo di veder le cose
suggerito dal "veg~ente", dal profeta; e così potranno
arrendersi più facilmente all'amore di Dio per loro.
Dopo che lo Spirito ha aiutato il profeta a vedere,
lo induce ed aiuta a manifestare ciò che ha veduto,
affinchè il disegno divino si compia.
Quando noi diciamo "manifestare", pensiamo su-
bito a chi parla o scrive, o compie azioni o gesti sim-
bolici per dire agli altri quanto sa; nel nostro caso
per dire ciò che il profeta, con l'aiuto dello Spirito,
ha potuto sapere. Di fatto vediamo che i profeti del
Vecchio Testamento, come dei maestri di religione,
dicono, ripetono, insistono perchè sia capito bene e
ricordato ciò che manifestano in nome di Dio (so-
vente è un invito alla conversione sincera).
Ma il profeta ha un altro modo di manifestare ciò
che ha veduto. Davanti alle cose viste egli non può
rimanere indifferente. Si tratta sempre, più o meno
direttamente, del "mistero cli Dio" - Pamore di
Dio all'opera per salvare gli uomini -; in esso ogni
uomo, e quindi anche lui, "deve" fare la sua parte.
Ecco allora che il profeta, docile allo spirito, parla
con fa sua stessa vita messa a disposizione di Dio.
Proprio facendo in modo che si compia in lui e, per
quanto sta da lui, anche negli altri il disegno di Dio,
la sua vita lo rende conoscibile da tutti: lo manifesta.
È profeta perchè "parla con la sua vita" e con la sua
opera. Tanti personag~i del Vccchio Testamento, il-
luminati, forse a loro insaputa, dallo Spirito, guida-
vano politicamente e religiosamente il popolo verso
il Messia. Manifestavano il disegno di Dio realiz-
zandolo; la loro vita testificava ciò clie lo Spirito
aveva loro mostrato.
Questa donazione alla causa di Dio sovente incontra
ostacoli da parte del maligno e dei maligni, che pas-
sano all'assalto, disposti a giungere fino all'uccisione
del profeta. In queste difficoltà è la speranza che lo
sorregge, anche quando le apparenti sconfitte e ab-
bandoni di Dio gettano il suo animo in una profonda
angoscia. (Ricordiamo Mosè: Num. II, n-15; Elia:
111 Re 19, 4; Geremia: Ger. 15, 10-n. 15-18; 20,
14-18). La sua vocazione di profeta esige che continui
a manifestare e attestare - "testimoniare" - ciò che
lo Spirito gli ha fatto vedere. E !\\e giungeranno a sof-
focare la sua voce con la soppressione della sua vita,
la sua stessa morte diventerà testimonianza (nella
lingua greca la "testimonianza" viene chiamata
"martirio") di ciò che lo Spirito lo aveva incaricato
di manifestare agli uomini. La missione di profeta
può sempre essere illuminata dalla luce del martirio:
il vero profeta è un martire in potenza.
Abbiamo visto chi è il profeta: la persona cui Dio
per mezzo del suo Spirito ha fatto conoscere i suoi
segreti perchè li manife.fti co11 la parola e con la vita.
I11 Gesù, Il grande Profeta
Nei documenti del Concilio (LG 12 e ~$) si dice
che Gesù "ha ufficio profetico", che è '11 grande
profeta". Mentre, bambino, era portato al tempio,
Simeone disse: «Tu, bambino, sarai chiamato pro-
feta di Dio» Le., T, 76); e di fatto, durante la sua
vita, era giudicato profeta (Gv., 3, 19; Le., 7, 16;
lVlT., 21, n), anzi, proprio "il grande profeta" che
Israele attendeva da secoli (Gv., 6, 14). Anche per-
sonalmente, indirettamente però, ha confermato di
essere profeta (Mr., 13, 57; Le., 13, 33).
Ma si può veramente dire che Gesù fosse profeta
nel senso che abbiamo detto?
Certo che all'inizio della sua missione pubblica
anche su di Lu.i è disceso lo Spiriw visibilmente. Tutti
e quattro gli evangelisti riferiscono questo fatto, che
perciò nella prima predicazione cristiana doveva es-
sere giudicato molto importante (MT., 3, 16 e par.).
Gli evangelisti ci fanno comprendere che lo Spirito
di Dio è sceso su Gesù nel modo più pieno e defini-
tivo, così che dipende ormai da Gesù la sua dona-
zione (Gv., 1s, 26; 7, 39; ll.tti, 2, 33). Se ci saranno
ancora profeti, questo sarà solo perchè essi riceve-
ranno lo Spirito di Gesù.
Bisogna ricordare che Gesù, come Figlio di Dio,
ha sempi-e veduto il disegno di amore del Padre, il
grande "mistero".
La sua missione, come e più di quanto fecero i
profeti, è stata di dire (predicare) agli uomini i.n modo
oi-mai chiaro e una volta per sempre il progetto in-
credibile che il Padre aveva fatto su d1 loro: farli
suoi figli. I Vangeli sinottici, che sono come riassunti
della "scuola di religione" fatta dal Maestro, cioè le
cose che più sono state ricordate e richiamate della
.sua predicazione, sono a loro volta riassumibili con
una preghiera tanto profonda: "Padre Nostro...", o
con una frase più breve di una risposta di catechismo:
"Dio è nostro Padre".
Anche tutta la vita di Gesù è stata spesa per ma-
nifestare q_uesta volontà del Padre; è stata un2 vita
di testimonian:::a, testimonianza non di ciò che "aveva
visto", come gli antichi profeti, ma di ciò "che ve-
deva" come Figlio. Se si è incarnato è stato perchè
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noi potessimo avere un'immagine filiale. Ha vissuto
una vita in tutto simile alla nostra (Ebr., 2 1 17)
perchè ogni avvenimento della nostra vita, gioioso o
triste, portasse il suo contrassegno. Ha impegnato
la sua vita fino in fondo perchè la volontà di salvezza
del Padre fosse manifestata (Gv., 17, 4); infatti alla
fine di essa ha potuto dire: <i Padre, ho manifestato
il tuo nome agli uomini» (Gv., 17, 6). Frase pro-
fonda, ma che possiamo intendere anche in forma
semplice, per noi: il nome di "Padre", un nome che
dice tutto il "mistero di Dio", per il quale Gesù ha
dato anche la prova, la testimonianza suprema, quella
del martirio.
I111 Profeti con Gesù
Certo, mentre dicevamo queste cose ci veniva spon-
taneo riferire a noi quanto era esposto. Conviene però
farlo in modo diretto.
·
Si legge nella Costituzione sulla Chiesa: (( li popolo
santo di Dio partecipa pure all'ufficio profetico di Cristo
col diffondere ovunque la viva "testimo11ianza" di lui
soprattutto per mezzo di una "vita di fede e di ca-
rità" » (12). E nel capitolo sui laici: <1 Oristo... adempie
al suo ufficio profetico... anche per mezzo dei laici, che
perciò costituisce suoi ''testimoni" e forma nel se11so
della "fede" e della "parola" )> (3 5).
a) Il dono dello Spirito è la sorgente di tutto.
"Ogni cristiano", l'abbiamo visto nell'altra conversa-
zione, ha ricevuto lo Spirito di Gesù (vedete che tutta
la vita cristiana si ricollega ai sacramenti!), perciò
anch'egli, come i profeti, è diventato profeta. Nei
primi tempi del cristianesimo questa donazione dello
Spirito di Gesù era accompagnata da avvenimenti
sorprendenti (Atti, 2, r-21; 1 Cor., 12, r-r2). Questo
non avviene più in forma così vistosa. Ma rimane
sempre vero che coloro che sono di Cristo hanno
ricevuto il suo Spirito.
b) L'effetto primo deUa donazione dello Spirito è
"far vedere". Sappiamo già che quando una persona
vede le cose come le vede Dio ha la fede, e quando
giudica tutte le cose dal punto di vista di Dio, si
dice che ha il "senso della fede''. Sentiamo cosa dice
il Concilio: «Per quel senso della fede che è suscitato
e sorretto dallo Spirito di verità... il Popolo di Dio
accoglie la parola di Dio, aderisce indefettibilmente tiflo
fede e con retto gi,udizìo penetra in essa più a f 011do... •>
(LG 12).
Qui si dicono chiaramente due cose. Prima: l'opera
che continuamente compie lo Spirito per portare il
popolo di Dio verso una sempre più esatta e profonda
comprensione della parola rivelata, come aveva già
promesso Gesù (Gv., 16, 13). Quest'opera è compiuta
dallo Spirito "in ogni cristiano": Lui è il maestro
· (1 Cor., 12, 13; Gv., 6, 45; 1 Gv., 2, 20) anche se
nella famiglia di Dio dev'essere esaminata ogni cosa
dai fratelli che ne hanno ricevuto l'incarico e la ca-
pacità proprio dallo Spirito, affinchè sia ritenuto solo
ciò che è buono ( 1 Tess., 5, 19 s.). Seconda: si esige
dal profeta cioè da ogni cristiano, la meditazione deUa
parola di Dio (Educazione e formazione biblica!), che
lo Spirito renderà sempre più luminosa. Ogni cristiano
non può mai dir basta nella sua istruzio11e religiosa,
non può mai dire di aver "visto" fino in fondo, di
essere perfetto in questa sua prima funzione profetica.
r) Poi il profeta manifesta ciò che ha veduto. Lo
può fare in due modi: con la parola e con la vita,
con l'apostolato dcll'evang_elizzazione e con l'aposto-
lato della testimonianza. Qui ci colleghiamo diretta-
mente al Decreto sull'Apostolato dei Laici.
1. Apostolato di evang elizzazione (AA 6). Essi
prolungano la predicazione di Gesù. Molto possono
fare con "la parola", e anche, se ne hanno avuto il
dono, "con gli scritti" per manifestare il piano di Dio
sul mondo, cioè per parlare e scrivere di questa vo-
lontà di amore di Dio e del modo con cui l'uomo
(di tutti i tempi) risponde (le vette luminose della
bontà e gli ab1ssi insondabili del peccato). Quante
opere dell'arte e del pensiero si inseriscono qui I E
quanto possono fare i laici in questo campo! Si tratta
di aiutare altri a vedere in profondità, altri che non
sanno più ascoltare se non colgono determinati timbri.
Questo apostolato non è inferiore a quello pur dove-
roso o raccomandabile dell'insegnamento del cate-
chismo in famiglia (AA u) o nelle parrocchie i11
aiuto alla gerarchia.
z. Apostolato di testimonianza (AA 6). Sap-
piamo già che la vita <lei profeta dice c()i tatti ciò
che ha veduto. Questo potrà far pensare subito a
una vita "coerente". Certo! Quanti dicono (posto
che sia vero!): <• ••• sono peggiori defli 11ltri ! •>.
Ma ancora più profondamente la ' testimonianza"
deve proclamare, manifestare il piano di amore ili
Dio "rendendolo attuale". Ora nrssuna cosa mani-
festa l'amore se non l'amore fattivo, cioè manifestato.
Per questo Gesù disse:<< Da questo conosceran110 che
siete miei discepoli se vi vorrete bene scambievol-
mente>> (GV., 13, :w-35). A questo punto dev'essere
letto attentamente il numero 8 di AA: L'azifJ11e ca-
ritativa. Ricordiamo Giovanni XXIII. Volle ini,..iare
i.I suo pontificato ricordando e dando l'esempio del-
l'esercizio delle opere di misericordia. Quale testi-
monianza!
Bisogna riconoscere che la testimonianza della vita
viene sovente ostacolata. Capitò a Gesù, capitò :-ii
pr0feti. Per questo il Concilio ricorda la virtù della
speranza (LG 35: proprio dove si parla dell'ufficio
profetico dei laici). Speranza è non tentennare nel
mantenersi totalmente a disposizione di Dio quando
costatiamo che la sua volontà di salvare gli uomini
è ostacolata; speranza è "continuare a far credito a
Dio", anche quando sembra che... minacci un falli-
mento, cioè quando ne va di mezzo la vita. (< Chi
perde la su.a vita per me, la ritroverà•> (MT., co, 39);
poichè la morte, in questo caso, è testimonianza
(= martirio) che sarà ricambiata dalla testimoniam,a
di Gesù presso il Padre (MT., 10, 32).
Conclusione
L'ufficio profetico del laico, sull'esempio di quello
degli antichi profeti, e in unione a Gesù profeta,
dice unione, protratta nella vita, allo Spirito di Gesù
(unione i11iziata col Battesimo-Cresima) nell'appro-
fondimento del senso della fede, per irradiarlo coll'apo-
stolato di wa11gelizzazione e di testimonianza.
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Il fenomeno de ll'ateismo ne l mondo è più vario e complesso
di quanto si creda, e a nessun vero cristiano è leclto sot-
tovalutarlo o rimandarlo alla competenza dei dottrinari e del
teologi. Se è vero che "l' ateismo rivoluzionario del mate•
rialismo dialettico" sembra la più significativa forma con-
temporanea dell'atelsmo, un avvenimento ,;torico senza
precedenti, perché è insieme assoluto, in quanto nega real-
mente Dio, e positivo, In quanto è lotta attiva contro Dio,
come osserva Jacques Maritain, è però altrettanto vero che
oggi quello che spaventa di più sono le varie forme, nega-
tive e pratiche, di ateis mo quasi all ' in"terno stesso del
mondo cristiano, che si risolvono tutte In una assoluta
ass enza del Dio vivo, sia pur camuffata da una vaporosa
credenza o da una superstizios a divinità.
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