Bollettino_Salesiano_199410cooperatori


Bollettino_Salesiano_199410cooperatori



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RIVISTA FONDATA
DA S. GIOVANNI BOSCO
NEL 1877
ANNO 118 - N. 15 • 2• QUINDICINA• 15 OTTOBRE 1994 SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE (50)
SUSSIDIO ANNUALE 1994-1995
2a parte
1° LA FAMIGLIA
AMBIENTE EDUCANTE
2° EDUCARE:
FAR CRESCERE LA PERSONA
3° EDUCARE:
UN PROCESSO UNITARIO
4° UN PROCESSO ATTENTO
ALLA PERSONA
E ALL'EVOLUZIONE
DEI SOGGETTI
5° CON I CRITERI
DEL SISTEMA PREVENTIVO
6° «ONESTI CITTADINI,
BUONI CRISTIANI»
PERSONE LIBERE
E RESPONSABILI
8° PERSONE CAPACI DI AMARE

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UN PROCESSO ATTENTO
ALLA PERSONA
E ALL'EVOLUZIONE
DEI SOGGETTI
PARTIAMO
DAI FATTI
«Io e mia moglie stiamo vivendo un momento alquanto difficile e di crisi,
quasi di fallimento . Siamo una coppia normale e, a parte qualche screzio,
andiamo d'accordo tra di noi e anche con i nostri tre figli: il maggiore ha 14
anni, il secondo 12 anni e il terzo 8 anni. Da alcuni mesi il terzo figlio ci sta
creando dei problemi. Oggi trova difficoltà a scuola non solo a livello di
studio, ma di comportamento e di impegno. Si muove continuamente e non
sta mai fermo, creando problemi disciplinari. .. Anche a casa è ormai una
lotta per tutto: dissubbidisce, si ribella, è in contrasto con gli altri due fratelli.
Cosa ha? Dal punto di vista medico-organico non appare nulla e i medici
dicono che è sano. Cosa possiamo fare: siamo distrutti e desolati. Abbiamo
sbagliato tutto? In verità Io abbiamo educato come gli altri due fratelli ...
Allora dove abbiamo sbagliato? Perché con gli altri due è andato bene e i
frutti si vedono, mentre con questo ... ?».
Una storia come tante altre.
Dove è l'errore? L'errore educativo, forse, sta nel fatto che i figli vengono
educati tutti allo stesso modo.
È possibile? È valido?
FAMIGLIA
IMPEGNO EDUCATIVO
DI PERSONE
I I rapporto educativo è sempre una
relazione tra persone.
Anche in famiglia la comunicazione
educatìva non può che essere tra per-
sone: i genitori che sono persone e i fi-
gli che sono anch'essi persone. I figli-
persone che sono «valore», che godo-
no di doveri e diritti ... con la loro di-
gnità ...
Il bambino, fin dal suo vivere, - e
si vive prima di nascere -, è una per-
sona che, se pur deriva dai genitori,
non appartiene più loro, non è più
loro possesso ... ; appartiene a se stesso
e gode di diritti soggettivi e inalienabi-
li. L'educazione, come processo di
sviluppo, deve ce1iarnente rispettare
la dignità di tale persona, quand'an-
che questa fosse piccola e indifesa, a
maggior ragione, e promuovere con-
temporaneamente tutte le dimensioni
del suo essere.
Secondo la psicologia umanistica, la
persona umana nel suo divenire è ric-
ca di 7 dimensioni che ne costituisco-
no l'organizzazione strutturale ed evo-
lutiva. Tali aree sono: la dimensione
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fisica , sessuale, intellettiva, affettiva,
sociale, etica e trascendente.
Se la persona, nella sua organizza-
zione evolutiva, è così orchestrata, e
se l'educazione è la promozione della
personalità umana, ne consegue che il
rapporto educativo non potrà che es-
sere rivolto a tutte queste dimensioni
allo scopo di farle evolvere con ade-
guatezza e armonia.
In questa considerazione di svilup-
po-maturazione della persona umana,
la psicologia richiama l'attenzione su
tre leggi, dette «leggi della crescita
educativa»:
prima legge educativa: legge della
contemporaneità.
E la legge che richiama l'attenzio-
ne, nella azione educativa, a far cre-
scere tutte e 7 le dimensioni di cui so-
pra, non solo fin dal primo istante di
vita della persona umana, ma anche
contemporaneamente, senza giustap-
posizioni o momenti successivi o tap-
pe differenziate;
seconda legge educativa: legge del-
la continuità.
Il processo educativo considera la
crescita e lo sviluppo umano come un
cammino che avviene per momenti di
vita saldati tra di loro, per cui ogni
fase di vita continua nell'altra, in-
fluenzandola e condizionandola.
Le fasi evolutive, quali la fase pre-
natale, l'infanzia, la fanciullezza, la
preadolescenza, l'adolescenza, la gio-
vinezza, l'età adulta, l'età della vec-
chiaia, sono così fatte che ciascuna è
fondamento della successiva fase, sic-
ché le esperienze - positive o meno
- di una fase si ritrovano nella suc-
cessiva. È certamente vero che ogni
momento di vita è vitale. Ugualmente,
ogni momento educativo è vissuto dal
soggetto - «quasi registrato» - e
quindi viene elaborato in modalità
adeguate o inadeguate;
terza legge educativa: legge della
gradualità.
La crescita è un cammino e una
evoluzione che deve avvenire per mo-
menti successivi e per gradi propor-
zionali. Tale legge, richiama a questa
esigenza, p01ia l'attenzione educativa
ad evitare sia le facili accelerazioni di
crescita che possono stressare i figli,
sia le deaccelerazioni che attardano i
soggetti in situazioni di stallo e di apa-
tia oltre che di crescita statica.
Tale gradualità richiama, quindi,
l'impegno alla giusta attenzione al

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soggetto, alla sua età e al suo processo vazioni autentiche alla maternità/ pa-
evolutivo con una modalità di stimola- ternità responsabile.
zione adeguata.
Infanzia (fino a 5 anni)
QUALE EDUCAZIONE
NELLE SINGOLE ETÀ
Il figlio è una persona, un soggetto
unico e irripetibile che vive momenti
di sviluppo suoi e specifici, legati sia
alla sua struttura psichica, sia alla sua
crescita evolutiva, sia alla sua relazio-
ne con i genitori.
In questo senso l'apporto educativo
è un intervento sempre nuovo, mira-
to , calibrato e personificato. Non è
possibile, e quindi non è valido e per-
ciò non educativo, un rapporto uni-
forme per tutte le età.. .
In una sintesi breve e mirata, vorrei
suggerire alcuni punti come elementi
indicativi e di percorso educativo.
Prenascita
«Si vive prima di nascere».
È la fase che il bambino vive nel
seno materno.
Le diverse teorie psicologiche,
come anche gli psicologici e i medici,
concordano nel!' attribuire al periodo
intrauterino un ricco significato edu-
cativo e un grande valore pedagogico.
In questa fase il feto vive un profon-
do senso di rapporto simbiotico con la
madre, con il padre e con tutto l'am-
biente che lo circonda. È cosa risapu-
ta che talune situazioni umorali e af-
fettive - intense - attraverso la ma-
dre vengono assimilate dal nascituro.
Anche, addirittura, la carica affettiva
e la modalità motivazionale al conce-
pimento, vissute dai due sposi nella
esperienza di amore, possono influire
- sostengono alcuni - nella elabora-
zione del bagaglio intrapsichico del fu-
turo bambino.
Talune esperienze postume induco-
no a pensare in questa direzione:
«Ma come possono accettarmi,
diceva un giovane, quando den-
tro mi sento che neppure i miei
genitori mi hanno accettato all'i-
nizio della mia vita?»
Cosa privilegiare?
Il momento educativo richiede un
senso profondo di accettazione del na-
scituro, inteso come vita che dai geni-
tori promana e non come esistenza
che incombe, o ingombra o che viene
a distrurbare/ rompere un equilibrio
raggiunto.
Sarà importante anche aiutare i ge-
nitori a vivere con profondità le moti-
È l'età della «satellizzazione».
Il bambino, pur vivendo con lana-
scita una vita organica e funzionale
autonoma, dipende in tutto e per tut-
to dai genitori (o purtroppo da altri
adulti...). Vive una fase in cui vuole
sentirsi al centro dell'attenzione dei
genitori in un rapporto di dipendenza
attiva e passiva, nel senso cioè che lui
dipende dai genitori e che questi siano
a sua completa disposizione.
Sarà importante in questa fase offri-
re momenti di «presenza» che diano
sicurezza e certezza, attraverso espe-
rienze specifiche e soprattutto attra-
verso una comunicazione assorbita
per «osmosi» affettiva, imitativa e sim-
bolica.
Cosa privilegiare?
Una presenza calda e ricca di mo-
menti quotidiani scanditi da rapporti
interpersonali semplici ma soffusi di
affettività e sostenuti da gesti concreti
di gratificazione per il bambino. Gesti,
questi , che sono l'espressione di una
comunicazione valoriale fondata su
quello che il bimbo «è» e non su quel-
lo che egli già riesce ad esprimere o
realizzare.
Fanciullezza (6-10 anni)
E l'età della «prima affermazione di
sè».
Il fanciullo elabora il suo «Io» ope-
rando una «desatellizzazione» dalle fi-
gure genitoriali per operare una «nuo-
va satellizzazione» attorno al gruppet-
to dei compagni e della scuola. In tal
senso, è di grande importanza favori-
re questo fenomeno come momento
di evoluzione e di sviluppo del prece-
dente rapporto genitori-figli e non
come allontanamento o rottura o op-
posizione. In questa fase i genitori do-
,rranno adottare un rapporto educati-
vo orientato ad una comunicazione
non di tipo egocentrico-centripeta ma
di tipo «circolare-centripeta». Una re-
lazione, cioè, che pone il figlio in una
modalità di circolazione paritaria di
idee e di manifestazioni aperte all'ex-
tra-famiglia.
Cosa privilegiare?
Una presenza che realizza, genitori-
figli assieme, momenti di vita religio-
sa, esperienze affettive e attività di
gioco, di studio, ecc., come fatti che
gli fanno cogliere il «valore di vita» e
la «relazione di esistenza» della sua
persona di figlio.
Preadolescenza (11-13 anni)
È l'età della «scoperta».
Scoperta del proprio corpo, di nuo-
ve sensazioni, di nuovi interessi, di
nuove aperture. È il momento della
identificazione con i propri genitori, e
segnatamente con il genitore dello
stesso sesso, come momento di matu-
razione e di crescita globale, e di avvio
al processo di identità.
Sarà necessario che i genitori viva-
no l'incontro educativo elaborando un
rapporto come stimolo per la costru-
zione del progetto di vita e come mo-
dello di vita, non certo da imitare, ma
come valore che vale la pena conside-
rare importante per la sua crescita di
ragazzo .
Cosa privilegiare?
Una presenza di dialogo che coin-
volga e valorizzi il soggetto in un rap-
porto critico e di responsabilità.
Semplice ma sintomatica l'esperien-
za di un ragazzo:
«Mio padre mi ha chiesto un gior-
no come gli stava quella cravatta
su quel vestito... Questo mi ha
fatto sentire che aveva stima di
me. È molto bello conoscere che
tuo padre tiene molto al tuo giu-
dizio».
Adolescenza (14-18 anni)
È l'età della «identità».
L'adolescenza è certamente una
fase di grandi cambiamenti. In verità
l'adolescente vive una grande esigen-
za di affermazione e di farsi valere an-
che assumendo atteggiamenti di op-
posizione e di originalità captativa.
Egli vive situazioni di sbalzi umorali e
di instabilità nello sforzo fisico, in
quello affettivo, etico, intellettivo; sco-
pre nuovi interessi orientati anche
verso il futuro e il progetto di vita.
In questa età il figlio-adolescente
avvia la cosiddetta «operazione zai-
no». Quella operazione, cioè, attra-
verso la quale l'adolescente cerca di
verificare, quasi tirandola fuori dal
«suo zaino», la sua vita prima di ri-
prendere il suo cammino verso l'età
successiva. È un momento di grande
significato, talvolta vissuto in modo
affrettato e spesso solo all'insegna del
proprio parere o di quello dei suoi
amici (che, come si sa, è molto tenuto
in conto.. .).
I genitori, in questo momento, as-
surgono al compito di far cogliere al
figlio il suo ruolo di protagonista, in
un rapporto critico e di confronto,
per evitare che egli, sotto la spinta di
facili entusiasmi o di improvvisate so-
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luzioni, «butti il buono e conservi il
caduco» .. .
Cosa privilegiare?
Una presenza discreta ma autorevo-
le, che propone e non che impone,
che domanda e non che comanda,
che offre e non che costringe; una
presenza che facilita nel figlio la presa
di coscienza del proprio progetto di
vita con fiducia e responsabilità.
Giovinezza (19-24 anni)
L'età della «eteroaffettività».
La giovinezza rappresenta l'età del
compimento dei grandi cambiamenti
evolutivi. Grande importanza ha la
«sistematizzazione» e la «scoperta»
dell'altra persona nel suo valore di
eteroaffettività personale. Il giovane
vive inoltre un processo di assimila-
zione e di «internalizzazione» dei di-
versi contenuti di vita in prospettiva
di amore, di progetto e di professio-
nalità.
Cosa privilegiare?
Una presenza che testimonia e valo-
rizza «l'amore» - inteso come condi-
visione, comunione, corresponsabili-
tà, impegno duraturo - come scelta
di vita, nella famiglia o nella vocazio-
ne consacrata, e che dischiude all'im-
pegno sociale e politico.
STRATEGIE
DI INTERVENTO
Sopra abbiamo detto di alcuni inter-
venti educativi che i genitori dovran-
no, ce1iamente in modo creativo e
personalizzato, tenere presenti nel
loro rapporto educativo con i loro figli
nelle diverse età.
Questo ci sembra vero e importan-
te.
Tuttavia è necessario in ogni rap-
porto educativo, e starei per dire, a
qualunque età, tenere presenti alcune
costanti quasi come «strategia» educa-
tiva di intervento e come modalità
fondamentale di educazione.
1) ACCOGLIENZA
È l'atteggiamento di base. Ogni rap-
po1io educativo passa attraverso que-
sto atteggiamento. Il genitore si pone
sempre nella disponibilità di «acco-
gliere», cioè di riconoscere che l'altro
esiste e che è persona con le sue cate-
gorie, con il suo vissuto, con le sue ca-
ratteristiche ...
- Da evitare: le attese preconcette
e le aspettative affettive ideali.
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(«Perché devo sempre fare quello
che gli altri pensano debba fare?»).
2) ATTENZIONE
Altra modalità fo ndamentale. L'a-
zione educativa, oltre che fondarsi sui
principi, è centrata sulla persona con-
creta e sulle reali situazioni. In questo
senso sarà necessario che i genitori vi-
vano il rapporto con «attenzione», in
modo da cogliere le situazioni , le va-
riazioni , i mutamenti, le sensazioni e
le coloriture emotive dei figli per un
adeguato e tempestivo intervento.
- Da evitare: distrazione e disinte-
resse.
(«Se mia madre mi avesse dato più
attenzione e avesse fatto caso a certe
mie reazioni, oggi a 19 anni, non sarei
arrivata, forse, alla droga»).
3) PROPOSITIVITÀ
Un terzo elemento educativo è cer-
tamente la «propositività».
Il genitore, ma anche ogni educato-
re, non può essere indifferente ai con-
tenuti educativi; non può assumere
un atteggiamento neutro o di puro e
semplice accompagnatore di un cam-
mnio. Egli deve essere anche un «indi-
catore»; uno cioè che, stando accanto
al soggetto-educando, con la forza
della sua autorevolezza, proponga va-
lori, indichi mete, susciti assensi, faci-
liti l'adesione: il tutto con una modali-
autentica di libertà e di responsabi-
lità.
- Da evitare: neutralità e indiffe-
renza.
(«Talvolta mi sento in aperto mare.
Mio padre mi dice che la vita è mia e
che io dovrò "sbattere la testa". Lo so;
ma ho bisogno di indicazioni e di illu-
minazioni ... »).
4) TESTIMONIANZA - ESEMPIO
Non si ripeterà abbastanza quanto
sia importante l' esempio vissuto dai
genitori nel rapporto educativo. So-
prattutto nelle prime fasi evolutive,
durante le quali il figlio vive un rapor-
to di comunicazione affettiva e simbo-
lica. Testimonianza-esem pio che non
significa esemplarità perfetta e ammi-
revole .. . ma esperienza valida di con-
cretizzazione e di possibilità reale di
vita.
- Da evitare: insegnamenti. .. pro-
clamati e non vissuti.
5) AMBIENTE-CLIMA
L'azione educativa sempre, partico-
larmente quella in famiglia, oltre ad
investire un rapporto tra due persone,
esige fortemente la realizzazione di un
clima-ambiente relazionale. Spesso
non è l'intervento in se stesso e nep-
pure la persona con il suo carisma che
raggiunge un significato formativo,
ma l' ambiente e il clima «vissuto»,
«quel non so che si respira», che di:
venta un fattore educativo. Certamen-
te si può affermare che con le persone
anche l'ambiente è fattore di educa-
zio n e ...
- Da evitare: situa zioni amorfe e
poco stimolanti.
Pensando al clima di gioia e di
simpatia che si viveva a scuola... oggi
divento più buono»).
UNA CONCLUSIONE
IMPORTANTE
In quasi tutte le ricerche italiane e
straniere di questi ultimi 20 anni, c'è
un diffuso apprezzamento da parte
dei figli nei confronti della famiglia di
origine, considerata «il più importante
valore della vita personale», quello
che «ispira la massima fiducia».
Questo apprezzamento - che in
certa misura potrebbe essere letto ne-
gativamente, forse, come espressione
della «paura di crescere», di «avventu-
rarsi nella vita ostile», o come ennesi-
ma manifestazione della tendenza al-
i'«egoismo del piccolo gruppo» -
esprime certamente il riconoscimento
del «valore-famiglia» che cavalca i
tempi e che supera le critiche spesso
superficiali e di moda. Critiche che
puntualmente, ad ogni scandalistico
fenomeno giornalistico, vengono sbat-
tute in faccia alla famiglia: questa «po-
vera» famiglia, che è sempre conside-
rata causa di crisi, mentre spesso è
travolta dalla crisi della società.
Altro impmiante dato che emerge,
sempre dalle stesse ricerche , è che i fi-
gli nella famiglia cercano «veri» geni-
tori . È tramontata una certa moda, in
verità di importazione americana, che
voleva vedere nel genitore «un ami-
co». Quella presenza, cioè, che si po-
neva accanto con un rapporto quasi
amorfo, non autorevole, privo di si-
gnificato, concedendo tutto per essere
più simpatico e più accettevole. No! I
dati esprimono, invece, la esigenza
dei figli di avere dei «veri genitori»,
non alterati o mimetizzati , consapevo-
li del loro ruolo e funzion e, della loro
responsabilità e autorevolezza, anche
se ricchi di tratto amicale.

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PAROLA
DI DIO
«Quanto a Demetrio, tutti gli rendono testimonianza, anche la stessa veri-
tà; anche noi ne diamo testimonianza e tu sai che la nostra testimonianza è
veritiera».
(Cv 1,12)
«E sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre.
Educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della
sapienza e della verità.. .
Ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso?
Tu che predichi di non rubare, rubi?
Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi?». (Rm 2,19)
PAROLA
«Vengono poi la pubertà e l'adolescenza, con tutto ciò che una tale età
DELLA CHIESA rappresenta di grandezza e di rischio. È un momento di scoperta di se stessi e
del proprio universo interiore, momento di progetti generosi, momento in cui
zampillano il sentimento dell'amore , gli impulsi biologici della sessualità e il desiderio di stare insieme,
momento di una gioia particolarmente intensa, connessa con la scoperta inebriante della vita. Spesso, pe-
rò, è anche l'età degli interrogativi più profondi, delle ricerche ansiose e perfino frustranti, di una certa
diffidenza verso gli altri con dannosi ripiegamenti su se stessi, l'età talvolta delle prime sconfitte e delle
prime amarezze.
Con la giovinezza giunge l'ora delle prime grandi decisioni. Sostenuto forse dai membri della sua fa-
miglia e dagli amici, e tuttavia lasciato a se stesso e alla propria coscienza morale, il giovane dovrà pren-
dere su di la responsabilità del suo destino in maniera sempre più frequente e più determinante. Bene e
male, grazia e peccato, vita e morte si scontreranno sempre di più dentro di lui, certamente come catego-
rie morali, ma anche e soprattutto come opzioni fondamentali, che egli dovrà accogliere o rigettare con
lucidità e con senso di responsabilità».
(Giovanni Paolo II - Catechesi Tradenda e, nn. 38, 39)
PAROLA
1. «Era sempre in mezzo ai giovani. Aggiravasi qua e là, si accostava ora
DI DON BOSCO all'uno ora all'altro e, senza che se ne avvedessero, li interrogava per cono-
scerne l'indole e i bisogni. Parlava in confidenza all 'orecchio a questo e a quel-
lo; fermavasi a consolare o a fare stare allegri con qualche lepidezza i malinconici. Egli poi era sempre
lieto e sorridente, ma nulla di quanto accadeva sfuggiva alla sua attenta osservazione» (MB 3,119).
2. «Abbi massima cura di secondare le inclinazioni di ciascuno affidando di preferenza le cose che si
conoscono di maggior gradimento» (da «Ricordi confidenziali ai direttori», pag. 289) .
3. «Vedete là un giardiniere quanta cura mette per tirar su una pianticella; si direbbe fatica gettata al
vento; ma esso sa che quella pianticella col tempo verrà a rendergli molto, e perciò non bada a fatiche, e
comincerà a lavorare e sudare per preparare il terreno, e qui scava, zappa, poi concima, poi sarchia,
poi pianta o mette il seme. Poi, come se questo fosse poco, quanta cura e attenzione nel badare che non si
calpesti il luogo dove fu seminato, perché non vadano uccelli e galline a mangiare la semente! ·
Quando la vede nascere, la guarda con compiacenza: - Oh! germoglia, ha già due foglie, tre .. . -
Poi pensa all'innesto , ed oh! con quanta cura lo cerca dalla miglior pianta del suo giardino e taglia il ra-
mo, lo fascia, lo copre, procura che il freddo o l'umidità non lo faccia morire. Quando poi la pianta cresce
e volta o si piega da una parte, subito cerca di mettervi un sostegno che la faccia crescere dritta...
Anche noi, miei cari, siamo giardinieri, coltivatori nella vigna del Signore. Se vogliamo che il no-
stro lavoro renda, bisogna che mettiamo molta cura attorno alle pianticelle che abbiamo da coltivare»
(MB 12,457).
LA PREGHIERA
O Maria, madre vergine e sollecita, madre silenziosa e vigilante: Ti preghiamo assisti noi genitori, noi
educatori, nel difficile compito di guidare i tuoi figli nella loro crescita.
Accogli nel tuo cuore di Madre le nostre ansie, la paura di avere sbagliato, la coscienza del nostro
egoismo e delle nostre incapacità, donaci la grazia necessaria per saper discernere quanto occorre a cia-
scuno di loro.
Benedici le nostre fatiche ed intervieni tu là dove noi non sappiamo e non possiamo educare come
dovremmo.
- - - - - - - - - - - - EO OHA LA PAROLA AL CENTRO/ - - - - - - - - - - - -
5/85

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COI CRITERI
DEL s1s,rEMA
PREVENTIVO
PARTIAMO
DAI FATTI
«Oggi mio figlio è tornato fuori orario, come al solito promette ma non
mantiene.
Al rientro, dopo due ore di attesa, non l'ho fatto parlare , ho perso la ragione
e l'ho riempito di botte».
«Dopo mi sono pentito di aver reagito così, mi sono venuti in mente tutti gli
insegnamenti di D. Bosco e ho chiesto ancora perdono».
Questo è un fatto della vita di un cristiano ritenuto da tutti calmo e paziente.
LA FAMIGLIA
COMUNITÀ
EDUCANTE
COI CRITERI
DEL SISTEMA
SALESIANO
Premessa
I I grande filosofo Martin Buber de-
scrive l'europeo attuale come «uomo
senza casa e senza neppure i quattro
picchetti per impiantare una tenda».
È evidente il riferimento alla grande
crisi di valori che attanaglia la società,
nonostante i molti proclami e il sogno
della casa comune.
Ma è pure quest'uomo senza fami-
glia? Oggi sembra solo archeologia
l'accanimento di un certo mondo del-
la cultura che dichiarava solennemen-
te la morte della famiglia (come del
resto più d'uno, nel secolo scorso,
aveva sentenziato la morte di Dio).
Resta vero, al di dei grandi fonda-
menti sociali e religiosi della famiglia,
che tutti conosciamo il profondo tra-
vaglio della realtà familiare e che sen-
za una valida scommessa sull'educa-
zione delle giovani generazioni, vera-
mente sia i singoli che le famiglie ap-
paiono come dei nomadi vaganti nel
deserto senza neanche la speranza di
una terra promessa.
Come figli di D. Bosco, ma prima
ancora della Chiesa, noi crediamo nel
valore primario e assoluto della scelta
educativa, in quanto «la famiglia, ali-
mentata dall 'amore, è la prima e inso-
stituibile comunità educativa» (Matri-
monio e famiglia oggi in Italia, 12).
E non si può non salutare con gioia
e speranza l'affermazione del recente
e prezioso DIRETTORIO PER LA PA-
STORALE FAMILIARE DELLA C.E.I.
che, pur nel contesto di una diffusa
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problematicità, sottolinea l'emergere
di aspetti positivi e tra questi «una ac-
cresciuta consapevolezza delle re-
sponsabilità proprie dei genitori nel
procreare e nell'educare i figli» (n. 5).
Nasce un interrogativo: può la
grande tradizione educativo-preven-
tiva di D. Bosco sostenere la famiglia
in questo compito di formare una co-
munità educativa?
1. Paura di educare
o educazione alla paura?
G. De Rita, interpretando varie ri-
cerche sui giovani , legge il fatto che
essi «sono in una quiete quasi assolu-
ta», o meglio «una quieta inquietudine
alla quotidianità e con una forte cadu-
ta delle tensioni innovative e conflit-
tuali». Si manifesta cioè, una assimila-
zione degli atteggiamenti dei giovani a
quelli delle loro famiglie e della gente
in genere... Ma, osserva De Rita, qual-
cosa si incrina, nel senso che vi è una
«progressiva sensazione dei giovani
che la famiglia toglie loro qualcosa: dà
tanto ma non permette di uscire dal
guscio, di maturare una propria per-
sonalità» .
In sostanza, se sembra ormai supera-
ta la paura di educare che ha caratteriz-
zato tante famiglie del recente e recen-
tissimo passato di fronte alla logica con-
flittuale che ha contrapposto adulti e
giovani, c'è da auspicare che non si ac-
cetti passivamente la «quieta inquietudi-
ne» giovanile e non si smorzi, per paura
di chi sa quali rischi educativi l'emer-
gente quadro di «virtù» cui i giovani si
orientano in un confortante intreccio di
recupero tra impegno e responsabilità
individuale e tensione per una riforma
della vita collettiva.
Quali sono le virtù e i comporta-
menti che vanno trovando consensi
nel mondo giovanile e che le famiglie
devono raccogliere con spazi preziosi
di intervento educativi? Sempre De
Rita riferisce dell'adesione a virtù
quali l'onestà (66,5%), la responsabili-
tà (53 ,5%), la solidarietà collettiva
(36 ,5%) la laboriosità (32,1 %), la razio-
nalità (15,1 %) e a comportamenti che
vedono crescere l'associazionismo
(65%), il volontariato, l'esperienza re-
ligiosa, specie attorno a gruppi e mo-
vimenti, e la voglia di trasformazione
della qualità della vita comune, della
politica, delle istituzioni.
Un educatore, e a maggior ragione
il genitore, non deve vivere a rimor-
chio ma deve incoraggiare positiva-
mente (prevenire nel senso genuino
del metodo di Don Bosco, che non è
semplice preservare dai pericoli), per
orientare questo grande ferme nto di
valori verso l'approdo di una persona-
lità progressivamente matura e libera,
capace di scegliere un progetto di vi-
ta. Mi pare di poter raccogliere in tre
grandi nuclei quelli che appaiono i
grandi compiti della comunità familia-
re - come di tutte le istituzioni - di
limpida matrice cristiana. Si tratta di
educare i figli (in termini attitudinali
'renderli capaci') a:
- vivere i fermenti culturali con
capacità critica, arricchendosene
senza essere travolti dai messaggi
multimediali che sono capaci di pro-
clamare vera una cosa e il suo contra-
rio, affossando la dignità della mente
che anela alla verità (ragione);
- formarsi a un quadro di valori
in cui il primato dell'uomo sia saldo e
operativo secondo quella visione e
quell'esperienza di accoglienza, rela-
zionalità, solidarietà, che sottraggono
la persona alle mille solitudini e intol-
leranze di oggi (amore);
- assumere la dimensione reli-
giosa dell'esistenza, non come eredi-
tà né rifugio, ma come risposta pro-
fonda al senso della vita e profezia di
un mondo migliore (fede).
È evidente il collegamento con la fa-
mosa trilogia del sistema preventivo:
(segue a pag. 8)

1.7 Page 7

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PAROLA
«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si
DI DIO vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si
adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si com-
piace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta».
(JCor 13,4)
PAROLA
Il termine «preventivo», che egli, Don Bosco, usa, va preso più che nella
DELLA CHIESA sua stretta accezione linguistica, nella ricchezza delle caratteristiche tipiche
dell 'arte educativa del Santo. Va innanzitutto ricordata la volontà di prevenire
il sorgere di esperienze negative, che potrebbero compromettere le energie del giovane oppure obbligarlo a
lunghi e penosi sforzi di ricupero. Ma nel termine ci sono anche, vissute con peculiare intensità, profonde
intuizioni, precise opzioni e crite1i metodologici, quali: l'arte di educare in positivo, proponendo il bene in
esperienze adeguate e coinvolgenti, capaci di attrarre per la loro nobiltà e bellezza; l'arte di far crescere i
giovani «dall'interno», facendo leva sulla libertà interiore, contrastando i condizionamenti e i formalismi
esteriori; l'arte di conquistare il cuore dei giovani per invogliarli con gioia e con soddisfazione verso il bene,
correggendo le deviazioni e preparandoli al domani attraverso una solida formazione del carattere.
Ovviamente, questo messaggio pedagogico suppone nell'educatore la convinzione che in ogni giova-
ne, per quanto emarginato o deviato, ci sono energie di bene che, opportunamente stimolate, possono de-
terminare la scelta della fede e dell'on està.
(G iovanni Paolo II - Juven um Patris, n. 8)
PAROLA
1. «Il sistema repressivo può impedire un disordine, ma difficilmente farà
DI DON BOSCO migliori i delinquenti» (da «Il sistema preventivo nella educazione della
gioventù») .
2. «Il sistema preventivo si appoggia tutto sopra la ragione, la religione e sopra l'amorevolezza»
(da «Il sistema preventivo nella educazione della gioventù»).
3. «Studia di farti amare prima di farti temere. La carità e la pazienza ti accompagnino costantemente»
(da «Ricordi confidenziali ai direttori»).
4. «I giovani non solo siano amati, ma che essi stessi conoscano di essere amati» (dalla «Lettera da
Roma»).
5. «Veda, la familiarità porta affetto e l' affetto porta confidenza. Ciò è che apre i cuori e i giovani pa-
lesano tutto e si prestano docili a tutto ciò che vuol comandare colui dal quale sono certi di essere amati.
...Amino ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai superiori» (dalla «Lettera da
Roma»).
6. «Non punite mai se non dopo aver esauriti tutti gli altri mezzi.
- È certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare il fanciullo che persuaderlo. Direi ancora
che è più comodo alle nostre impazienze e alla nostra superbia, castigare quelli che ci resistono, piuttosto
che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità.
- La correzione sia fatta in privato. In pubblico non si sgridi mai direttamente» (da «Dei castighi da
infliggersi nelle case salesiane») .
7. «Procurate di scegliere nelle correzioni il momento favorevole.
- Nulla è più pericoloso di un rim edio dato male a proposito o fuori tempo.
- E prima di tutto aspettate che siate padroni di voi m edesimi, non lasciate conoscere che voi ope-
rate per timore o per furia» (da «Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane»).
8. «Allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli. Non agitazione dell 'animo,
non disprezzo negli occhi, non ingiuria sul labbro» (da «Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane»).
9. «Io ritengo che senza religione nulla si possa fare di buono tra i giovani» (MB 13 ,557).
10. «Il giovane ama più che altri non creda che si entri a parlargli dei suoi interessi eterni e capisce
da ciò chi gli vuole e chi non gli vuole veramente bene. Fatevi dunque vedere interessati per la sua salute
eterna» (MB 6,386).
LA PREGHIERA
O Signore, Dio della vita, tu che hai vinto la morte e ogni paura, dona alle nostre famiglie la fiducia
uell'avvenire, nonostante i pericoli e le tentazioni del mondo di oggi.
che i genitori sappiano preveuire, con l'amore e la saggezza ispirata dal tuo Spirito, i mali in cui
possono incorrere i figli, senza creare in loro un'esagerata paura del mondo e della vita, ma insegnando
loro a servirsi delle armi cristiane per difendersi dagli attacchi del maligno.
Dai a tutti noi, o Signore, un amore «con gli occhi aperti» e la capacità di parlare ai nostri figli con
verità e coraggio.. .ma soprattutto difendili tu da ogni pericolo!
- - - - - - - - - - - - E.O ORA LA PAROLA AL C E N T R O / - - - - - - - - - - - -
7/87

1.8 Page 8

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ragione-amorevolezza-religione. Una
breve sottolineatura riguarda l'uso, in
D. Bosco, del termine «amorevolezza»
nell'accezione di un amore che sia
espresso, manifestato, percepibile,
perché il grande educatore ha ben ca-
pito che i giovani (e i figli) non hanno
solo bisogno di amore, ma soprattutto
hanno bisogno di accorgersi di essere
amati . E perché amorevolezza non di-
venti quel soffocante accaparramento
affettivo di cui purtroppo soffrono
molti figli a causa delle insicw·ezze
emotive parentali, ad esso si aggiunge
il quadro dei valori ruotanti attorno
alla verità (ragione) e alla trascenden-
za (religione).
Del resto il citato Direttorio dichia-
ra con forza che urge formare la per-
sona integrale (23), libera e soprattut-
to capace di amare (28) e di donarsi
(31) e che arrivi a maturare la consa-
pevolezza di una propria e specifica
vocazione (28,144) nella Chiesa e nella
società.
C'è ancora una intuizione preziosa
in D. Bosco: nel suo metodo, nessuno
è escluso dalla possibilità di crescere
in libertà e verità e sorretto da un 'cli-
ma di amorevolezza': questo perché
egli proclama, e lo sperimenta, che bi-
sogna in ogni caso, anche quello che
appare il più 'disgraziato', partire da
un profondo atteggiamento di fiducia
e dalla capacità di fare proposte e sug-
gerire valori, a cominciare dai germi
di bene che occhieggiano nel cuore
dei giovani: «Lasciare ai giovani piena
libertà di parlare di cose che loro
maggiormente gradiscono. Il punto
sta di scoprire in essi i germi delle loro
buone disposizioni e procurare di svi-
lupparli ».
2. Prevenzione come formazione
Don Bosco parlava di metodo pre-
ventivo più in rapporto ad una splen-
dida esperienza vissuta che a teorie
pedagogiche.
Cosa vuol dire prevenire per una fa-
miglia oggi, nel contesto culturale pri-
ma accennato?
Sintetizzo da Luciano Cian una sor-
ta di decalogo educativo:
1. Aiutare a crescere «dentro».
2. Creare un clima relazionale .
3. Offrire un ambiente di sicurezza e
libertà.
4. Far prendere coscienza del positivo
che è in sé.
5. Far cogliere la sofferenza come oc-
casione di crescita.
6. Far cogliere serenamente i limiti.
7. Pazienza, ascolto, tanto amore.
8. Ciò che educa e trasfmma è l'amore.
9. Non basta amare; occorre accor-
gersi di essere amati (da L. CIAN,
Educhiamo i giovani d'oggi come
D. Bosco, LDC).
A questo decalogo «metodologico»
vorrei aggiungere quei contenuti di
educazione ai valori già accennati e
quel contesto che giustificava tutto l'a-
gire di D. Bosco: la crescita in una visio-
ne della vita orientata a Dio e ai fratelli.
Una famiglia cristiana che sappia vivere
come comunità educante può divenire
vero luogo di crescita umana e cristiana
nello stile di D. Bosco.
«ONESTI CITTADINI,
BUONI CRISTIANI»
PARTIAMO
DAI FATTI
Un nonno racconta: «L'altro giorno i miei nipotini di 7 e 9 anni mi hanno
sconvolto. Appena arrivati a casa, hanno detto con fermezza: "Nonno, oggi
non ci comprare niente perché è Venerdì Santo e noi facciamo il digiuno. I
soldi che risparmi, li portiamo in parrocchia per i bambini poveri, perché
possano passare una bella Pasqua"».
Due eccezioni oppure semplicemente due bambini di una famiglia cristiana?
ONESTI CITTADINI
E BUONI CRISTIANI
Leducazione è un compito e una
sfida per tutte le famiglie. Lo è, in
modo particolare, in forza del sacra-
mento del matrimonio, per le famiglie
cristiane. La Chiesa, infatti, domanda
agli sposi cristiani: «Siete disposti ad ·
accogliere responsabilmente e con
amore i figli che Dio vorrà donarvi e a
educarli? ... ». E per le famiglie che
hanno accolto il carisma di Don Bo-
sco, per i Cooperatori Salesiani, l' edu-
cazione è «la via che porta alla santi-
tà», è il cuore della vocazione che li
spinge nella meravigliosa opera di pre-
parare «buoni cristiani alla Chiesa e
onesti cittadini alla società».
8/ 88
L'EDUCAZIONE
AL «BENE COMUNE»
«...dalla famiglia infatti nascono i
cittadini e nella famiglia essi trovano
la prima scuola di quelle virtù sociali,
che sono l'anima della vita e dello svi-
luppo della società stessa». La fami-
glia è dunque il luogo della prima e
fondamentale formazione sociale del
cittadino. L'educazione al bene comu-
ne della e nella società, l'educazione a
divenire «onesti cittadini», può rive-
larsi una realtà ricca di futuro solo se
nella famiglia viene vissuta e felice-
mente realizzata l'esperienza della
«comunità di persone», l' esperienza
che i beni sono «di tutti» e sono «per
tutti», che esiste il «bene comune»,
che «...quanto più è comune, tanto
più è anche proprio: mio-tuo-nostro».
Rendere partecipi i figli della situazio-
ne economica familiare, prendere in-
sieme a loro decisioni che comporta-
no anche rinunce o rinvii di legittime
aspettative di qualcuno in favore di un
bene più grande per la famiglia, affi-
dare a loro la responsabilità di alcuni
compiti di «servizio alla famiglia», si-
gnifica preparare alla società futuri
cittadini che siano in grado di «perce-
pire» e di «servire» il bene comune
che è presente nella più vasta comuni-
civile.
Introdurre i ragazzi nel vasto e
complesso mondo della politica, con
le discussioni e i commenti ai fatti po-
litici, sociali e istituzionali più rilevan-
ti, chiarire e analizzare insieme a loro
i valori a cui fanno riferimento le varie
aggregazioni sociali e politiche, testi-
moniare soprattutto una «forte coe-
renza» nelle scelte quotidiane piccole
e grandi, sociali e politiche, con le ra-

1.9 Page 9

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PAROLA
«Allora i vostri figli vi chiederanno: "Che significa questo atto di culto?".
DI DIO
Voi direte loro: il sacrificio della pasqua per il Signore, il quale è passa-
to oltre le case degli Israeliti in Egitto, quando colpì l'Egitto e salvò le nostre
case". Il popolo si inginocchiò e si prostrò».
(Es 12,26)
«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati».
(Ml 5,6)
«Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?».
Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del
tributo». Ed essi gli presentarono un denaro .
Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l'iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse
loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».
(Mt 22,17 ...)
PAROLA
«Mediante l'educazione dei figli, i genitori contribuiscono, così, al bene
DELLA CHIESA comune della società, vivono in modo evidente la loro responsabile partecipa-
zione alla vita sociale e fanno della famiglia "la prima scuola di virtù sociali, di
cui hanno bisogno tutte le società".
Ogni educazione, infatti, per sua natura, ha come primo scopo quello di far crescere nella libertà e
nella responsabilità, premesse indispensabili perché gli uomini possano assumere i loro compiti nella so-
cietà.
Educare, inoltre, significa comunicare alcuni valori fondamentali quali una giusta libertà di fronte ai
beni materiali, il rispetto dell'altro, il senso della giustizia, l'accoglienza cordiale, il dialogo, la disponibili-
tà disinteressata, il servizio generoso, la solidarietà profonda che soli possono concorrere a far crescere
uomini veri, giusti, generosi, forti e buoni, i quali costituiscono il tesoro più prezioso e la garanzia più au-
tentica di ogni società».
(C.E.!. , Direttorio di Pastorale Familiare, n. 174)
«La missione dell'educazione esige che i genitori cristiani propongano ai figli tutti quei contenuti che
sono necessari per la graduale maturazione della loro personalità da un punto di vista cristiano ed eccle-
siale. Riprenderanno allora le linee educative sopra ricordate, con la cura di mostrare ai figli a quale pro-
fondità di,significati la fede e la carità di Gesù Cristo sanno condurre. Inoltre la consapevolezza che il Si-
gnore affida loro la crescita di un figlio di Dio, di un fratello di Cristo, di un tempio dello Spirito Santo, di
un membro della Chiesa, sorreggerà i genitori cristiani nel loro compito di rafforzare nell'anima dei figli il
dono della grazia divina».
(Giovanni Paolo II - Familiaris Consortio, n. 39)
PAROLA
1. «L'opera dei Salesiani e dei loro Cooperatori tende a giovare al buon
DI DON BOSCO costume, diminuendo il numero dei discoli che abbandonati a se stessi corro-
no il rischio di andare a popolare le prigioni. Istruire costoro, avviarli al lavo-
ro, provvederne i mezzi e, dove sia necessario, anzi farne buoni cristiani ed onesti cittadini» (MB 13,618).
2 . «.. .fare del bene alla pericolante gioventù, preparare buoni cristiani alla Chiesa, onesti cittadini
alla civile società, e così tutti possono divenire un giorno fortunati abitatori del Cielo» (dal «Regolamento
dei Cooperatori Salesini»).
3. «Una volta poteva bastare l'unirsi insieme nella preghiera; ma oggidì che sono tanti i mezzi di per-
vertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, è mestieri (necessario) unirsi nel campo
dell'azione e operare» (MB 11,74).
4. «Mi ricordo che ella stessa (mamma Margherita) mi preparò alla prima confessione, mi accompa-
gnò in chiesa; cominciò a confessarsi ella stessa, mi raccomandò al confessore, dopo mi aiutò a fare il rin-
graziamento» (da «Memorie dell'Oratorio»).
LA PREGHIERA
Signore Gesù, che hai voluto iniziare la tua esperienza wnana nel seno di una famiglia e sei stato edu-
cato da una mamma e da un papà: grazie per la fiducia che ci hai dimostrato. Fà che l'esperienza di Naza-
reth possa rivivere nelle nostre famiglie, che i giovani possano trovare nei loro genitori i primi testimoni
della fede, le guide convinte e sensibili che li accompagnino all'incontro con te.
Fà che le nostre famiglie non si chiudano nell'interesse personale ed egoistico, non trasmettano ai
figli la logica del «pensare per sè», ma quella del servizio e della ricerca del bene comune.
Apri i nostri cuori e le nostre case perché possiamo accogliere e donare lo Spirito della solidarietà e
dell'amore. Amen.
- - - - - - - - - - - - E O ORA LA PAROLA AL CENTRO/ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _..,.
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gioni profonde della nostra vita, signi-
fica contribuire a formare nei nostri
figli una retta coscienza civile e politi-
ca che li proietta nella piena e consa-
pevole «cittadinanza sociale».
L'EDUCAZIONE
ALLA FEDE
L'educazione dei figli alla fede na-
sce e si sviluppa lungo il sentiero della
vita. La fede dei genitori cristiani av-
volge e quasi accarezza il figlio prima
ancora che nasca, poiché «fin dal
grembo materno» egli è un dono del
Signore e una benedizione. Nei figli
ancor piccoli i genitori «contemplano»
con stupore e gratitudine la presenza
gioiosa del Dio della vita e, cullandoli
nella preghiera, aprono la famiglia,
genitori e figli insieme, al «dono since-
ro di sè» al Creatore. L'itinerario della
fede trova nella natura, in tutte le sue
meravigliose espressioni, nei fiori, nel-
le stelle, nelle creature, nell 'uomo, il
primo e privilegiato luogo dove i geni-
tori possono «svelare» ai ragazzi la
presenza e la sapienza del «Creatore
del cielo e della terra». «E quando i
tuoi figli ti chiederanno ... tu gli ri-
sponderai ... » (Es. 12,26). È il momen-
to più forte e decisivo nel cammino
educativo della fede nella famiglia . Le
domande profonde, la domanda del
senso ultimo delle cose, le ragioni del-
la vita sono già implicitamente pre-
senti nei giovani, nei nostri figli. Ma
rivolgono a noi genitori queste do-
mande? Ci chiedono il significato dei
nostri gesti, delle nostre scelte, dei no-
stri comportamenti legati alla fede? Se
questa domanda non riusciamo a su-
scitarla, allora dobbiamo interrogarci
sulla autenticità e sulla coerenza della
nostra vita di fede e delle nostre scelte
quotidiane. In quanto genitori, un
compito straordinario ci attende come
educatori della fede: rendere presente
nella nostra famiglia il «memoriale
della Pasqua del Signore». Come le fa-
miglie Ebree, in chiave pedagogica e
misterica dobbiamo «raccontare» e
«tramandare» ai nostri figli ciò che
Dio ha fatto per noi. Dobbiamo «acco-
gliere» nelle nostre case la Parola di
Dio, collocando anche la Sacra Bibbia
in un luogo significativo e di incontro
immediato. Allora, quando i nostri fi-
gli ci chiederanno perché celebriamo
la Pasqua nella comunità ecclesiale,
noi risponderemo ... ; quando ci chie-
deranno perché preghiamo come ge-
nitori e come famiglia, noi rispondere-
mo ... ; quando ci chiederanno perché
«perdiamo il tempo» senza guadagna-
re soldi nel volontariato sociale, nel
catechismo, noi risponderemo ... ;
quando ci chiederanno perché aiutia-
mo i poveri o ci impegniamo in una
donazione a distanza di bambini nelle
missioni, noi risponderemo .. .
Quando la vita familiare in tutte le
sue espressioni e i suoi momenti di-
venta «preghiera» e quando la pre-
ghiera è attraversata dalle «vicende»
della vita familiare allora i nostri figli
già vivono insieme con noi una auten-
tica esperienza ili chiesa, di piccola
comunità di credenti e i genitori di-
ventano i sacerdoti di questa liturgia
familiare. La formazione religiosa di-
venterà poi robusta se sapremo favori-
re con sapienza salesiana nei nostri fi-
gli l'esperienza del «bene», del servi-
zio concreto, del dono sincero di
agli altri attraverso la partecipazione
alle associazioni giovanili, ecclesiali,
di volontariato e di impegno civile.
PERSONE LIBERE
E RESPONSABILI
PARTIAMO
DAI FATTI
Alcuni stralci di lettere scritte da adolescenti ai genitori:
«Quando sbaglio, non sgridarmi, sgridandomi mi togli la mia sicurezza e
divento nervosa; corregimi e lasciami riprovare».
«Incomincio a pensare che mi devo responsabilizzare e devo risolvermi da
solo i miei problemi».
«Abbi più fiducia in me, lasciami più libera, so decidere da sola!».
Come trovare l'equilibrio tra una eccessiva e Òpprimente preoccupazione per i
figli e la trascuratezza?
PERSONE LIBERE
E RESPONSABILI
Lafamiglia è la prima comunità al-
l'interno della quale si svolge la nostra
vita.
Per vivere al meglio la propria esi-
stenza, dentro e fuori la famiglia, è
però fondamentale svilupparsi come
persone libere e responsabili: soggetti
che facciano le proprie scelte con au-
tonomia, e nella consapevolezza delle
possibili conseguenze. E anche questo
un compito della comunità familiare.
10/90
UNA LIBERTÀ
EQUIVOCA
Nel 1764 il celebre filosofo francese
Voltaire definiva la libertà il «potere di
fare ciò che ci pare», cioè fare ciò che
si ha «volontà» di fare.
La libertà, nella cultura dei nostri
giorni è, sicuramente, il valore più
cercato, di cui si parla, a cui più si
tende, al raggiungimento del quale,
insomma, si può dedicare o sacrifica-
re molto, se non tutto.
In questa nostra società è felice
l'uomo che riesca ad essere veramen-
te «libero»: libero da vincoli di tipo af-
fettivo-familiari o da impegni solenni
e duraturi. Ma questa ricerca della li-
bertà, o meglio della felicità attraverso
la libertà, è, paradossalmente, il fr utto
di una volontà che libera, spesso non
è; essa, infatti, è assoggettata a mille
condizionamenti che derivano dai
comportamenti della maggioranza de-
gli individui, delle scelte fatte da altri,
dalle mode imposte.
È l'equivoco dei nostri giorni: gli ul-
timi anni hanno affermato, con forza,
il modello dell'individuo che si impo-
ne ili fronte agli altri individui; anzi
che quanto più riesce a soddisfare il
suo egoismo tanto più riesce a realiz-
zarsi, a vincere.
Il modello vincente è proprio quello

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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del soggetto che non ha bisogno di
nessuno, che deve «essere» il primo. È
il modello che troviamo, spesso, pro-
tagonista nei mass-media, nella pub-
blicità, nei codici di comportamento
che necessariamente «condizionano»
la volontà di chi vuole essere corri-
spondente a quel modello.
È una cultura, questa che «dimenti-
ca» i temi della solidarietà sociale ed
umana, della convivenza possibile e
della tolleranza tra le diversità, che
predomina ed «impone», a chi vuole
sembrare libero, la necessità di «mo-
strare», con il possesso dei beni, di es-
;ere adeguato, di essere «giusto».
IL PERICOLO
DEL CONFORMISMO
Esiste, però, una grande contraddi-
zione in tutto ciò: quanto più la com-
petizione premia il primo ad ogni co-
sto, tanto più essa crea una massa di
eterni secondi, di perdenti. In questa
«battaglia» quotidiana, soltanto pochi
potranno soddisfare completamente
tutte le loro esigenze.
Esigenze che, però, appartengono a
tutti, soprattutto da quando questo
modello di vita, al quale conformare
la propria condotta, viene «pompato»
dai mass-media attraverso quella mar-
mellata di messaggi che ci sorbiamo
ogni giorno dagli schermi. Risultato: il
traguardo, in effetti riservato a pochi,
è offerto ai molti che vivono nel villag-
gio globale di massa.
E l'individuo perde quindi la sua
connotazione di soggetto originale ed
esclusivo, per rimanere solo, all'inter-
no della massa di coloro i quali ricevo-
no lo stesso messaggio ed ai quali, per
essere accettati dagli altri individui,
non rimane altro che assumere lo
stesso comportamento, il medesimo
gusto, lo stesso metro di giudizio sulle
cose che ci circondano; insomma,
conformarsi al modello corrente per
poter essere qualcuno, per non trovar-
si ai margini della società che conta!
In questo tipo di cultura, che pro-
mette a tutti ciò che non a tutti può
mantenere, l'unica soluzione per
non rimanere frustrati, per non ri-
manere delusi, è possedere le cose,
molte cose.
Esse rappresentano il parametro di
valutazione della propria «libertà», del
proprio successo.
Più cose si hanno, e delle più belle e
delle più costose, più si è importanti,
più ci si può illudere di sfuggire alla
mediocrità di una vita comune.
In un simile contesto diventa diffici-
le effettuare delle scelte che siano
realmente libere e responsabili. Libere
cioè da condizionamenti esterni e con
la necessaria consapevolezza delle
conseguenze che derivano da ogni
azione.
EDUCARE
LA CAPACITÀ
DI DISCERNIMENTO
Scrive il Card. Martini che «è più fa-
cile l'accumulo, la produzione che il
discernimento tra il buono, il meno
buono ed il dannoso». Il discerni-
mento è la capacità di valutare ciò che
è positivo e ciò che, invece, è negati-
vo, al fine di orientare correttamente
il proprio comportamento.
Maturare questa capacità di scelta è
frutto di una formazione graduale del-
la personalità di ogni soggetto. L'edu-
cazione ha proprio questo scopo: con-
sentire al ragazzo di acquistare questo
senso critico, questa capacità di legge-
re le cose secondo un proprio baga-
glio di esperienze e di valori, che gli
consentano di prendere con autono-
mia le proprie decisioni.
E se la scelta deve essere autonoma,
non bisogna dimenticare che essa
deve essere pure responsabile, deve
cioè farsi carico di tutte le conseguen-
ze delle proprie decisioni, e non solo
quelle immediate, sulla propria esi-
stenza, ma anche su quella degli uo-
mini che ci vivono accanto ed a cui
siamo legati da un rapporto di solida-
rietà e che, pertanto, direttamente o
indirettamente, sono toccati dalle no-
stre scelte.
Per rendere ciò possibile, è necessa-
rio curare la nascita e lo sviluppo in
ogni soggetto, specie nei più giovani,
di un senso critico che dirige qualsiasi
attività umana in maniera responsabi-
le. Questo è il nocciolo di ogni espe-
rienza educativa che ci vede come
protagonisti attivi di un rapporto di
sviluppo reciproco con i propri figli, o
con gli altri giovani che ci sono affida-
ti, e con i quali condividiamo l'entu-
siasmante realtà della crescita, come
uomini e come credenti.
È all'interno di tale esperienza che
si può comprendere appieno il gusto
della libertà, all'interno della respon-
sabilità del rapporto con Dio e con gli
altri fratelli, formando in ciascuno
una coscienza, un sistema cioè di va-
lori morali che permetta ad ogni indi-
viduo di valutare criticamente i propri
atti, di verificare e scegliere fra varie
proposte.
Solo un patrimonio di elementi cer-
ti di confronto, di valori da vivere pie-
namente, può aiutare il giovane a ca-
pire, a percepire le conseguenze di
ogni sua azione, ad esercitare la pro-
pria libertà di scelta, e verificare la va-
lidità di una azione o di un comporta-
mento alla luce di un progetto di vita
che si sviluppa assieme alla esistenza
del ragazzo .
ATTRAVERSO
LE ESPERIENZE
QUOTIDIANE
Il compito della formazione della
coscienza spetta, in primo luogo, alla
famiglia, anzi all'ambiente familiare,
poiché non solo ai soggetti della fami-
glia è legato il compito dell'educazio-
ne, ma anche al clima di dialogo, di
mutua accoglienza e condivisione che
si «respira» nella quotidiana esperien-
za di vita familiare.
Una famiglia è tale se ogni soggetto
si sente impegnato a verificare, quoti-
dianamente, le proprie scelte concrete
nel campo della fede o della politica,
del lavoro o dei rapporti con gli altri
uomini, nella solidarietà o nella tolle-
ranza.
Questo perché non vi è un tempo
specifico per l'educazione, o un altro
per la formazione della coscienza cri-
tica e per il discernimento etico, ma
perché tutto ciò vive secondo l'orolo-
gio della vita quotidiana, del «sempre»
e non del «qualche volta».
I genitori hanno, infatti, il compito
di educare attraverso la loro condotta,
quali testimoni fedeli di valori nei qua-
li credono, proponendo così un siste-
ma ordinato di cose per le quali vale la
pena vivere ed impegnarsi.
Quanto è detto è possibile favoren-
do nei figli quelle esperienze, e soltan-
to quelle, del cui senso e del cui valore
il giovane - aiutato dai genitori - è
in grado di far tesoro nella formazione
della propria identità di uomo; incen-
tivando la passione per la ricerca delle
risposte ai più profondi interrogativi
dell'esistenza umana e del rapporto
con l'Autore della vita; curando il rap-
porto interpersonale che sollecita una
risposta d'amore all'esigenza dell'al-
tro, all'accoglienza, alla condivisione
delle difficoltà.
In conclusione, educare alla forma-
zione di persone libere e responsabili
è arte difficile ma affascinante che
chiede una vita coerente con i valori
in cui si crede, testimoniando la spe-
ranza in una esperienza vitale che vale
la pena che venga vissuta.
11 /91

2.2 Page 12

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PAROLA
DI DIO
«Ora, figli, vi comando: servite Dio nella verità e fate ciò che a lui piace.
Anche ai vostri figli insegnate l'obbligo di fare la giustizia e l'elemosina, di ricor-
darsi di Dio, di benedire il suo nome sempre, nella verità e con tutte le forze».
(Tobia 14,8)
Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete
davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
(Gv 8,31)
E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell 'abbondan-
za la sua vita non dipende da suoi beni».
(Le 12, 15)
PAROLA
«Pur in mezzo alle difficoltà dell'opera educativa, oggi spesso aggravate, i
DELLA CHIESA genitori devono con fiducia e coraggio formare i figli ai valori essenziali della
vita umana. I figli devono essere in una giusta libertà di fronte ai beni materia-
li, adottando uno stile di vita semplice ed austero, ben convinti che "l'uomo vale più per quello che è che
per quello che ha"».
(Giovanni Paolo Il - Familiaris Consortio, n. 37)
«Analogamente il Sacro Concilio dichiara che fanciulli e giovani hanno diritto di essere aiutati a valu-
tare con retta coscienza i valori morali e ad accettarli con adesione personale, come anche di essere
stimolati alla conoscenza approfondita ed all'amore di Dio».
(Concilio Vaticano II - Gravissimum Educationis, n. I)
«U na simile educazione esige oggi che i giovani siano forniti di una coscienza critica che sappia per-
cepire i valori autentici e smascherare le egemonie ideologiche che, servendosi dei mezzi della comunica-
zione sociale, catturano l'opinione pubblica e plagiano le menti ».
(Giovanni Paolo II - Juven um Patris, n. 16)
PAROLA 1. «I modi che usava Don Bosco nell' educare e correggere i giovanetti ten-
DI DON BOSCO devano a farli migliori per coscienza, e non per timore di un rimprovero o di
un castigo» (MB 3,370).
2. «Nel servizio educativo il Cooperatore... usa la persuasione e non l'imposizione, e fa appello sem-
pre alle risorse interiori della persona, rendendola progressivamente responsabile della propria crescita»
(Regolamento di Vita Apostolica, art. 15).
3. «Notiamo quanta differenza passi tra Margherita e tanti genitori, i quali, mentre non sanno alleva-
re i figli amanti dell'ordine e dell'economia, anzi mentre essi stessi danno loro esempio di trascuratezza e
di precipitazione, poi ad ogni minima disgrazia di vetro rotto, di abito sdrucito, di sedia caduta, vanno
sulle furie, apostrofano, percuotono i loro fanciulletti, come se avessero commesso una gravissima colpa!
E i figli tremano, piangono, si irritano, odiano e finiscono talora col ribellarsi all'autorità paterna o ma-
terna» (MB 1,75).
4. «Fare loro un'istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù» (D. Bosco).
LA PREGHIERA
O Signore, che ci hai creato liberi e ci hai donato la straordinaria vocazione a divenire figli nel Figlio:
il mondo non ti conosce, non comprende la bellezza della tua chiamata alla vita e la grandezza e dignità di
ogni persona umana. Per questo insegue beni che non sono il Bene e libertà che non sono tali. Fà che al-
meno noi, che ti abbiamo conosciuto, possiamo educare i nostri figli al vero amore e rispetto di sè e degli
altri, e formare in loro una coscienza limpida, con cui sappiano distinguere e scegliere i veri valori umani
e cristiani della vita. Amen.
- - - - - - - - - - - - ED ORA LA PAROLA AL CENTHO/ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ __.
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PERSONE
C) CAPACI
D
DI AMARE
PARTIAMO
DAI FATTI
«...Quando avevo 12-13 anni mio padre si ammalò gravemente e solo un
miracolo lo salvò. Da quel giorno non fui più lo stesso, cominciai ad isolarmi,
divenni scontroso, feci amicizia con dei tipi un po' sballati... A poco a poco
mi sbloccai, tornai in parrocchia e mi sono accorto che c'è tanta gente che mi
vuole bene. Me ne sono accorto grazie ad un ragazzo, Dario, che ho
conosciuto da poco e che è stato l'unico nell'arco dei miei 21 anni a dirmi:
"Ti voglio bene". Ho voluto e voglio tuttora bene a tante persone: i miei
genitori, i miei fratelli, gli amici della parrocchia... Ma mai ho detto a
qualcuno: "Ti voglio bene". Dite questa piccola frase a chi amate: vi assicuro
che aiuterà voi e chi vi sta attorno» (da: Dimensioni nuove, 1.94).
CORPO
DELLA LEZIONE
Sela famiglia è l'istituzione voluta
dal Creatore perché ogni uomo, na-
scendo e crescendo in essa, potesse
trovare il modo per realizzarsi piena-
mente secondo il progetto divino, che
è un progetto di amore, allora è chia-
ro che la famiglia deve educare la per-
sona umana ad essere un soggetto ca-
pace di amare.
La capacità di amare è, in definiti-
va, il fine ultimo della creatura uma-
na. Dio infatti ci ha creati a sua imma-
gine e somiglianza e, siccome «Dio è
amore», l'uomo, che per la sua limita-
tezza non può «essere» amore, deve
«avere» , a somiglianza di Dio, almeno
la capacità di amare .
L'amore è la molla ultima dell'uni-
verso, dell'essere, della vita. L'amore
è radicalmente inscritto nel nostro co-
dice genetico, di modo che nessw1a
creatura umana potrebbe vivere senza
di esso. Ma il suo esprimersi non è ov-
vio e pacifico, bensì problematico e
conflittuale, per via dei molti condi-
zionamenti interni ed esterni all'uo-
mo. Sebbene siamo fatti per amare,
ad amare - nel modo vero e giusto
- si impara. La famiglia, per l'appun-
to, è la prima e fondamentale agenzia
per l'educazione all'amore.
DAL VIVERE PER SÉ
AL DONO DI SÉ
È il primo passo da compiere nell'i-
tinerario che porta all'amore. E forse
è il più difficile perché tocca quanto di
più intimo e personale c'è nella crea-
tura um ana: il proprio io profondo, al
quale siamo legati da una totale iden-
tità e da una connaturale dedizione.
In Dio, che è infinito e in cui c'è tut-
to l'essere, il dono di sé fa parte della
sua stessa natura. Diremmo noi: in
Lui non fa problema. Egli sa che do-
nando tutto se stesso (per esempio il
Padre al Figlio), non perde nulla, non
si sminuisce in nessun modo, ma ri-
mane nella interezza totale della sua
infinità.
Non è così per l'uomo che non pos-
siede la totalità dell'essere, ma soltan-
to una piccola parte, che tiene stretta
a sé per la paura che perdendone una
qualche frazione , il proprio essere
possa essere esposto al pericolo della
distruzione.
È stato questo il peccato di Adamo
ed è anche oggi il peccato dell'uomo e
di ogni uomo: l'egoismo, il prendere
per sé, nella speranza di allontanare
sempre più il pericolo della propria
estinzione.
Il «vivere per sé» è - di fatto - il
punto di partenza obbligato di ogni
esperienza umana, la prassi «natura-
le» della creatura dopo il peccato ori-
ginale. Il «dono di sé» ne è invece il
punto di arrivo, la meta finale alla
quale tendere con tutte le forze per
realizzare la somiglianza a Dio, voluta
dal Creatore. Tra il «punto di parten-
za» e il «punto di arrivo» si snoda il
percorso tortuoso e irto di difficoltà
che costituisce il nostro segmento vi-
tale, gli anni della nostra vita.
Se durante questo percorso l'uomo
riesce - attraverso varie esperienze,
cadute, conquiste... - a trasformare
radicalmente gli atteggiamenti pro-
fondi del proprio spirito, assimilandoli
- almeno parzialmente - all'ideale
pensato da Dio, della donazione di sé,
dell'apertura all'altro, della comuni-
cazione, della relazionalità e, in defini-
tiva, dell'amore, allora la sua vita è
«guadagnata». In caso contrario -
come dice Gesù nel Vangelo - essa è
«perduta». L'esperienza terrena del-
l'uomo sarà allora un vero fallimento
e l'esito finale sarà la totale infelicità.
Si tratta - in definitiva - di passa-
re dalla considerazione dell'altro
come di un nemico, di un potenziale
pericolo, di uno che, vedendomi e in-
contrandomi, mi deruba e mi fagoci-
ta, attentando alla mia stessa esisten-
za («l'altro è un inferno nella misura
in cui mi espropria» dice Sartre), al-
l'alternativa opposta in cui l'altro è vi-
sto come un soggetto di dialogo, di
confronto, di arricchimento e - in
definitiva - di radicamento nell'esse-
re e di donazione feconda nell'amore.
Difficilmente l'uomo, specie se an-
cora immaturo e in formazione , potrà
percorrere da solo questo itinerario.
Gli occorrono alcune agenzie educati-
ve che propongano la verità e ne indi-
chino e facilitino le strategie per una
soddisfacente acquisizione. Tra queste
agenzie la prima, in ordine cronologi-
co ed anche assiologico, è la famiglia,
con le esperienze che essa offre - e
nelle quali il soggetto fin dall'inizio è
totalmente immerso - di socializza-
zione, di presenza dell'altro, di limiti
necessari imposti al proprio spazio vi-
tale, di coscienza di interdipendenza,
di esperienza di crescita favorita dal-
!'appoggiarsi all'altro che non viene
più considerato come un nemico, ma
come una necessaria, benefica fonte
di autorealizzazione e di autoposses-
so.
È nella famiglia anziutto che l'uo-
mo impara e comincia ad assaporare
la gioia feconda del «dono di sé».
13/93

2.4 Page 14

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L'EDUCAZIONE
ALL'AMORE DI SÉ,
DELLA VITA,
DEGLI ALTRI
L'educazione all'amore di sé
Parlare dell'amore di potrebbe
sembrare in contrasto con quanto det-
to sopra circa il pensiero di Cristo sul
vero «guadagno» da cercare nella vita.
In realtà l'amore di di cui vogliamo
parlare non equivale alla ricerca del
proprio bene indipendentemente, o a
volte in contrasto, col bene altrui; o
alla ricerca del proprio bene immedia-
to , percepibile , con conseguenze con-
statabili in una sfera sensibile e preva-
lentemente terrena . Non parliamo,
cioè, del nostro benessere derivante
dalla ricchezza, dal successo, dal pia-
cere e dall'appagamento di ogni no-
stro desiderio . Parliamo invece dell'a-
more di derivante dall 'obbligo che
ciascuno ha di prendersi cura della
propria vita, considerandola come un
dono di Dio, un talento da far fruttifi-
care, un bene da promuovere.
Gli antichi dicevano : «Charitas inci-
pit ab egone». L'amore-carità, cioè,
comincia dal voler bene a se stessi.
Parte dalla considerazione che la vita
è il più gran dono che Dio possa aver-
ci fatto e che, come ogni dono, de-
v'essere custodita con estrema atten-
zione, per rispetto al donante.
Purtroppo l'amore di e della pro-
pria vita, che oggi troviamo in com-
mercio , non coincide con il modo con
cui il Vangelo ci dice che dobbiamo
voler bene a noi stessi. Sul grande
mercato delle convenzioni sociali o
sulle molteplici bancarelle dei mass-
media contemporanei troviamo una
merce che ci viene millantata per buo-
na, ma che in realtà appaga soltanto
le brame superficiali dell 'uomo o -
peggio ancora - quelle più meschine
e perverse.
C'è - è vero - la scuola, col suo
compito educativo. Ma a volte, o an-
che spesso, essa si insterilisce in una
arida comunicazione di nozioni intel-
lettuali , acriticamente offerte alle te-
nere intelligenze dei giovani.
Ci sono i gruppi giovanili dell'asso-
ciazionismo ecclesiale, e svolgono un
compito importante per la crescita
nella fede e per un valido indirizzo vo-
cazionale. Ma il loro influsso e la loro
incisività raramente raggiungono le
profondità, da risultare una efficace
alternativa alla cultura imperante.
Sono i gen itori che, nel contatto
diuturno coi figli, conoscendone le
tendenze e le capacità, possono reali-
sticamente proporre il loro vero bene
14/ 94
e non quello che essi stessi si prefiggo-
no aprioristicamente, per il raggiungi-
mento di mete prestigiose sul piano
sociale ma troppo difficili o troppo de-
vianti dal bene globale della persona.
L'insegnamento , la testimonianza e
l'esempio dei genitori che, in tutte le
circostanze della vita, mirano all 'es-
senziale non lasciandosi trascinare dai
condizionamenti esterni, sarà il mezzo
più naturale ed effi cace per una vera
educazione all'amore di sé.
L'educazione all'amore della vita
Non sempre la società aiuta i giova-
ni ad un vero amore per la vita. Spes-
so anzi i modelli che presenta o sono
fal si (edonismo esasperato, piaceri e
successi facili, avulsi da qualsiasi nor-
ma morale.. .) o addirittura inducono
alla distruzione della vita (esaltazione
di suicidi famosi, proclamazioni di
aborto, eutanasia... ).
In questo contesto la famiglia può e
deve essere un 'agenzia solida e credi-
bile di educazione alla vita. A comin-
ciare dalla testimonianza che offre di
credere nella vita, per il fatto che l'ha
donata coscientemente ai figli e la so-
stiene sul piano fisico , spirituale, mo-
rale. Le conversazioni che si tengono
in famiglia, le valutazioni su fatti e
problemi di persone vicine, devono
sempre essere improntate all 'afferma-
zione della supremazia della vita, evi-
tando l'orizzonte edonistico ed utilita-
ristico generalmente imperante.
L'amore per la vita si manifesterà
anche nell'ottimismo tipicamente cri-
stiano e salesiano, nell'assaporare la
gioia di vivere, in casa e fuori, eviden-
ziando tutto il bene che esiste, apprez-
zando la natura e tutte le cose belle
che il Signore ci ha dato, usandole
con parsimonia ma con senso di grati-
tudine e di gioia .
I genitori accorti aiuteranno i figli
ad amare la vita, preparandoli ad essa
e alle sue immancabili difficoltà senza
protezioni eccessive e soffocanti, ma
seguendoli discretamente con l'occhio
di chi ama e vuole che il figlio «cre-
sca» veramente e interiormente.
L'educazione all'amore degli altri
Un vero amore di sfocia natural-
mente e necessariamente nell'amore
degli altri. Se l'amore di sé è tensione
verso il proprio vero bene, allora è
chiaro che questo bene non lo si potrà
mai raggiungere da soli o - peggio
ancora - nella chiusura all'altro, nel-
la negazione del dialogo, dell a relazio-
nalità, della com unione.
La società oggi offre messaggi con-
trastanti. Da un Iato viene esaltato l' e-
goismo del benessere da raggiungere
a qualsiasi c;osto .. . Dall 'altro il «villag-
gio globale» in cui ci troviamo ci met-
te in contatto con tante miserie nel
mondo, con le povertà materiali, spi-
rituali e morali e ci sollecita ad inter-
venire ...
La fam iglia può partecipare a que-
sto dialogo, inserendosi su due fron ti :
quello della formazione e quello della
sperimentazione e della prassi.
La formazione all'amore degli altri,
prescindendo da interventi e insegna-
menti espliciti che potrebbero rischia-
re di essere recepiti in chiave preva-
lentemente didascalica, potrà awaler-
si invece di comportamenti concreti e
di esperienze vitali nelle quali la fami-
glia tutta viene coinvolta. La rinuncia,
condivisa, ad un elettrodomestico, l'a-
dozione a distanza di un bambino po-
vero, l'aiuto fraterno ad un vicino in
difficoltà, l'assistenza , a turno, ad un
vecchio o ad un ammalato... sono
esperienze che «formano» in profon-
dità l'animo del fanciullo e valgono
più di mille parole e di tanti discorsi.
L'EDUCAZIONE
DELLA SESSUALITÀ
È forse l' aspetto più complesso del-
l'educazione all'amore, perché riguar-
da la persona umana nella sua interez-
za di corpo, psiche, anima e nella sua
molteplice relazionalità. Spesso infatti
si fa di questa educazione un interven-
to settoriale, delegato ad agenti extra-
familiari. I mass-media spingono ad
una interpretazione riduttiva (fisiolo-
gico-genitale), consumistica (tutto e
subito) ed edonistica (lo scopo è il pia-
cere) della sessualità , disancorandola
dalla sfera affettivo-spirituale e dal più
ampio contesto umano al di fuori del
quale la sessualità non si comprende e
si isterilisce.
Non possiamo qui dilun garci sul-
l'argomento , ma - riferendoci al
terna dell 'educazione all'amore affida-
ta alla famiglia - mentre riconoscia-
mo la grande difficoltà di muoversi se-
renamente in questo nostro contesto
sociale, diciamo però che i genitori
hanno la felice possibilità di fare un
discorso chiaro, avallato dai fatti e
dalla loro testimonianza. Ecco alcuni
spunti:
- stim a e cura del corpo , visto
come capolavoro della creazione e
tempio di Dio;
- significatività dei gesti di tene-
rezza e di affetto tra i genit01i e tra
questi e i figli: il nasconderli o il soffo-
carli non serve ad una serena acquisi-
zione del significato della sessualità;
(segue a pag. 16)

2.5 Page 15

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PAROLA
DI DIO
«Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».
(Gv 15 ,17)
«Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità».
(J Gv3,18)
«Carissimi, amiamoci gli uru gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio eco-
nosce Dio.
Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.
In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: .Dio ha mandato il suo urugenito Figlio nel mondo,
perché noi avessimo la vita per lui.
In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il
suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.
Nessuno mai ha visto Dio: se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto
in noi».
(J Gv 4,7)
«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge? ».
Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua aruma e con tutta la tua
mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il pros-
simo tuo come te stesso».
(Mt 22,36)
PAROLA
«Con fiducia e con coraggio, con la parola e con l'esempio, nella ferialità
DELLA CHIESA quotidiana come nelle occasioru straordinarie, formino i figli ai valori essenzia-
li della vita, ad una solidarietà vissuta concretamente e al bene della pace:
insegnino loro che alcuni valori non hanno prezzo; che bisogna sentire come proprio il dramma della po-
vertà e dell 'ingiustizia vissuta da tanta parte dell'umanità; che occorre saper rinunciare a qualcosa di pro-
prio per aiutare chi è nel bisogno».
(C.E. J. , Direttorio di Pastorale Familiare, n. 177)
«L'educazione all'amore come dono di costituisce anche la premessa indispensabile per i gerutori
chiamati ad offrire ai figli una chiara e delicata educa zione sessuale. Di fronte ad una cultura che "bana-
lizza" in larga parte la sessualità umana, perché la interpreta e la vive in modo riduttivo e impoverito, col-
legandola unicamente al corpo e al piacere egoistico, il servizio educativo dei genitori deve puntare fer-
mamente su di una cultura sessuale che sia veramente e pienamente personale: la sessualità, infatti, è una
ricchezza di tutta la persona - corpo, sentimento e anima - e manifesta il suo intimo significato nel por-
tare la persona al dono di nell'amore».
(Giovanni Paolo li - Familiaris Consortio, n. 37)
(Familiaris Consortio, 11 ,18,63,64 - Lettera alle Famiglie 11)
PAROLA
1. «Scopo fondamentale dei Cooperatori Salesiani è di far del bene a se
DI DON BOSCO stessi mercé un tenor di vita, per quanto si può, simile a quella che si tiene nel-
la vita comune ... Facendosi Cooperatori Salesiani, possono continuare, in
mezzo alle loro ordinarie occupazioni, in seno alle proprie famiglie, e vivere come se di fatto fossero in
Congregazione. Laonde dal Sommo Pontefice quest'Associazione è considerata come un Terz'Ordine de-
gli antichi, colla differenza che in quelli si proponeva la perfezione cristiana nell'esercizio della pietà; qui
si ha per fin e principale la vita attiva nell'esercizio della carità verso il prossimo e specialmente verso la
gioventù perciolante» (J 2 luglio 1876).
2. «Dopo la grazia di Dio, la sanità è il primo tesoro . È questo un prezioso dono del Cielo, abbiatene
cura» (MB 14 ,382).
3. «Il Cooperatore Salesiano collabora con loro (i giovani) perché scoprano sotto quale forma sono
personalmente chiamati a partecipare alla missione della Chiesa e al rinnovamento della società» (dal «Re-
golamento di Vita Apostolica», art. 14/ 3).
LA PREGHIERA
O Signore, tu sei l'Amore. Tu ci hai creato per amore e per amore sei morto per noi. Tu ci hai inse-
gnato che non c'è amore più grande di questo: dare la vita per gli amici.
E davvero non c'è altra felicità per l'uomo al di fuori dell'amore donato e condiviso. Ma spesso noi
non sappiamo amare perché non crediamo abbastanza in te, perché ci lasciamo sedurre da altri falsi amo-
ri, perché abbiamo paura di soffrire.
che nelle 110stre famiglie possiamo imparare di nuovo il valore dimenticato del sacrificio e della ri-
nuncia per incontrare nella Croce l'unico Amore che salva. Amen.
- - - - - - - - - - - - ED ORA LA PAROLA A L CENTRO! _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ ___.
15/95

2.6 Page 16

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- dialogo schietto, attento e gra-
duale: l'informazione da sola non ba-
sta, ma essa è pur necessaria;
- amicizie , seguite con discrezio-
ne e attenzione, dei figli con coetanei
dell'altro sesso: servirà ad inculcare il
rispetto e la stima per la differenza
sessuale finalizzata alla piena realizza-
zione della persona;
- sperimentazione graduale, se-
condo le circostanze, della capacità di
rinuncia e di sacrificio in un contesto
globale di dono gratuito all'altro.
IL CUORE
DEL PROBLEMA
Un discorso sull'amore oggi è quan-
to mai necessario. Per tutti i motivi
che abbiamo visti. Ne va del futuro
dei giovani e dell'Umanità e da esso
dipende - in definitiva - il nuovo
auspicato ordine internazionale e la
pace tra i popoli. La «civiltà dell'amo-
re» , di cui tanto ci parla il Papa, si co-
struisce anzitutto nell'intimità delle
famiglie e nel profondo del cuore di
ogni uomo. Non sarà la paura a indur-
re la pace, bensì le motivazioni pro-
fonde e condivise di ciascuno di noi,
aperto all'altro , alla vita, al vero bene
personale e sociale. È dal cuore del-
l'uomo che provengono le azioni mal-
vage, così come è da esso che deriva-
no gli slanci di solidarietà e di amore.
La famiglia, in questo compito, ha
un ruolo insostituibile, difficile ed
esaltante insieme. È una sfida che
deve vincere se vuole salvare se stessa
e l'intera società.
ASSOCIAZIONE COOPERATORI SALESIANI
IITI-RELl&IDIE
ENUOVE RELl&IDSITA
(Giou<1ni Asset<1ti di Sper<1nz<1)
157 CONGRESSO NAZIONALE GIOVANI COOPERATORI
5·8CiENNAI095'•i~SSONE.
e
Quindici nale di informaz ione
e cu ltura religiosa ed ito
dalla Congregazio ne Sa lesiana
di San Giovanni Bosco
A nn o 118 - N. 15 - 2• Quind icina
15 OTTOBRE 1994
SOMMARIO
2 LEZIONE n° 4
UN PROCESSO ATTE NTO
A LL A PE RSONA
E ALL'EVOLUZIO NE
DEI SOGG ETTI
6 LEZIONE n° 5
CON I CRI TERI
DEL S ISTEMA PREVE NTIVO
8 LEZIONE n° 6
«ON EST I C ITTA DI NI,
B UONI CR ISTI A NI »
10 LEZIONE n° 7
PERSONE LIBERE
E RES PON SA B ILI
13 LEZIONE n° 8
PER SON E
CA PAC I DI AMAR E
16/96
Direzione e Amministrazione:
Via de ll a Pisana, 111 1 - C.P. 9092
00 163 ROMA Aure li o
te l. 06/65.92.915 - Fax 06/ 65.92.929
Conto Corrente Posta le 46 20 02
Direttore Responsabile:
UMBERTO DE VANNA
L'Edizione di metà mese ,
destinata ai Cooperatori Salesiani,
è curata dal l'Ufficio Nazionale ACS
Via Marsala , 42 - 00185 ROMA
tel. 06/44.60.945 - Fax 06/44.63.614
Conto Corrente Postale 452 56 005
Per ricever la rivo lgersi al proprio Centro
ACS, che, tramite l'Ufficio lspettoria le,
invierà la richiesta al l'Ufficio Nazionale.
Registrazione:
Tribunale di Torino n. 403 del 16.2.1949
Offi cine Grafic he Subalpi ne To rino