PRESENZA GIOVANI
che, come quasi tutti i paesi. sotto una pa-
tina di civiltà e progresso, nasconde tabù
e pregiudizi ben radicati. E: stato dunque
per .-caso» che questa suora, a novembre
del 1980, decise di chiamare un manipolo
di ragazzi per formare un non meglio pre-
cisato Gruppo Giovanile. Cresciuti alla
scuola della indifferenza e privi di qual-
siasi tensione verso ideali culturali o so-
ciali o religiosi, questi giovani in verità ne
avevano abbastanza di bighellonare
quotidianamente per le noiose e sempre
uguali strade del paese, o di passare le
serate al bar. E poi un gruppo misto era
un'idea allettante. Furono quasi costretti
dalla situazione (il solito «caso•?) a ri-
spondere alla chiamata; e anche se all'i-
nizio si cominciò a lare qualcosa di cui
non si comprendeva a pieno il signillcato,
c'era netta la sensazione che era qual-
cosa di diverso. Da allora, e non è una
esagerazione di comodo, la loro vita mutò
radicalmente. Man mano il gruppo si co-
struiva, prendeva forma modellato da
mani abili e invisibili, diventava realtà
viva, chiesa in cammino. A piccoli passi e
nelle cose semplici, ma sempre in cam-
mino: i primi lavori teatrali, la schola can-
lorum, le feste con danze, la squadra di
pallavolo, anche il lavoro manuale per
l'oratorio.
E ricordo i primi esercizi spirituali a
Martinairanca. Nessuno ci voleva andare
perché d'estate ci sono altre cose da lare,
più divertenti (si dice). Infine si riusci a
mandarne quattro. Ma quando le «cavie •
tornarono si leggeva sulle loro lacce che
qualcosa l'aveva colpiti, qualcuno mi
confidò di aver pianto alla fine di quella
breve ma intensa esperienza. L'estate
successiva furono otto i giovani di Satria-
no agli esercizi di Castelbottaccio e tutto
il gruppo si era impegnato durante l'anno
per finanziare la spedizione.
Continuando nel suo cammino il grup-
po sì definiva meglio; la parola di Dio, il
regolamento CC., la vita di don Bosco
erano alla base delle nostre riunioni set-
timanali, l'oggetto delle nostre meditazio-
ni e di accanite discussioni.
Ovviamente, come tutte le lunghe mar-
ce, non tutti i partenti riuscivano a man-
tenere il passo; molti per vari motivi si
perdevano per strada. Per loro forse era
più difficile essere parte attiva della chie-
sa, un ruolo che richiede fede, speranza,
amore verso l'uomo, fiducia nella possi-
bilità di costruire una comunità che lavo-
rasse con e per i giovani. Certo i superstiti
non eravamo immuni dalle famose «crisi»
o da debolezze terrene. In certi momenti
la lede era fragile e insicura e la speran-
za moriva di fronte a certezze devastanti.
E l'Amore, quello perfetto della Croce,
sembrava un ideale irrangiungibile osta-
colato come era (e com'è) dalla violenza,
l'ingiustizia, l'indifferenza, il cinismo, i no-
stri errori. Inoltre la comprensione, il dia-
logo costruttivo, la capacità di sopporta-
re, l'accoglienza non sono qualità che si
possono acquistare facilmente al negozio
sotto casa. Ma, nei momenti più critici,
c'erano le solite mani invisibili che rida-
vano forza e vitalità al gruppo. E altri gio-
vani entravano a lame parte, accettali
con la loro realtà personale, le ansie, i
problemi, i sogni e le delusioni tipiche di
noi giovani; e cosa più importante, con il
loro desiderio di non aspettare ma di
agire.
E la Fede maturava, la Speranza rina-
sceva, l'Amore sembrava meno lontano.
E si procede fra scossoni e rinunce, in
un continuo cadere e rialzarsi; attingendo
e ricevendo continui doni dal!'alto ma an-
che dalle varie esperie112:e: gli incontri
con le altre comunità, il Convegno nazio-
nale dei CC, gli incontri regionali. A mar-
zo dell'83 per alcuni aniva il momento
della promessa e le responsabilità sono
maggiori. Adesso è necessaria la testi-
monianza pratica, si deve passare dalle
parole ai fatti.
L'estate scorsa gli esercizi. spirituali
sono stati organizzali, in proprio questa
volta, a Riace. Molti erano di Satriano, al-
tri di Petrizzi, un paese vicino dove pare
sia arrivata, per «caso• (!), una direttrice
testarda.
I problemi non sono finiti, anzi proprio
adesso il gruppo sta attraversando un pe-
riodo abbastanza dillicile, ma c'è fiducia
perché stiamo scoprendo che il «Caso»
non esiste. E che si possono anche pas-
sare le serate al bar, ma con uno spirito
diverso e con più att.enzione verso gli
altri.
Mimmo Calabretta
NO, All'EMARGINAZIONE!
Il problema degli handicappati, no-
nostante l'anno dedicatogli, non è stato
risolto. È rimasta la netta divisione tra
«noi» e «loro», la barriera che li fa con-
siderare «diversi», quasi che la limita-
zione cha hanno sia un torto fattogli dal
Creatore.
Questo è il muro da abbattere, il
muro della nostra mentalità che non ci
permette dì guardare al di là e di ve-
dere nell'altro un mio fratello bisognoso
sopratutto di amore e di affetto prima di
ogni altra cosa.
Solamente considerandoli una realtà
della vita, persone da accogliere, ma
non nel senso pietistico o morale, diven-
teranno una ricchezza per noi.
L 'ingiustizia e l'indifferenza sono gli
ostacoli da abbattere; incontro, amici-
zia, condivisione le parole chiave.
Credo che tutto questo in una società
come la nostra, sempre più sperzonaliz-
zata, dove l'indifferenza e l'egoismo do-
minano, il recupero del volontariato,
contribuisca a riscopire la «vocazione
cristiana» dell'aiuto ai fratelli che sof-
frono o che sono nel bisogno. Deve però
essere un servizio sentito e vissuto come
risposta personale, perché, nonostante
abbiano molta importanza l'idoneità
delle strutture sociali e dei relativi stru-
menti specifici per una appropriata a.s-
sistenza, chi soffre ha una particolare
sensibilit6: e avverte l'esigenza di un af.
!etto reale e disinteressato e la delicata
disponibilità di chi si offre.
Cosi il volontariato inteso in questo
senso riesce a ridare fiducia e speran-
za a chi l'aveva persa.
L'efficacia consiste proprio in questa
testimonianza che cerca di attuare il
mandato evangelico.
Inoltre un elemento interessante è
quello di creare un clima di famiglia e
sopratutto di rendere consapevoli gli
assistiti delle proprie possibilità e il de-
siderio di rendersi essi stessi utili nei
confronti dei più impediti, dei più gravi.
Si attua così uno scambio continuo,
un dare e ricevere che riesce a far su-
perare l'inevitabile scoglio dell'umilia-
zione di non poter essere utili e di dover
sempre dipendere dagli altri.
Tutti questi scopi sono alla base del-
l'OAMI (opera assistenza malati impe-
diti) creata nel 1962 da Don Enrico Nar-
di della diocesi di Fiesole.
L'associazione ha due direttive fon-
damentali:
I) assistenza e domicilio diurna e not-
turna agli impediti e agli anziani attra-
verso gruppi di volontari;
2) creazione di Case-la.miglia, per
impediti fisici gravi, irrecuperabili, soli
e privi di assistenza e di affetto familia-
re. Solamente in questo modo gli han-
dicapp diventano una presenza che
rompe gli schemi del nostro egoismo e
ci permette di scoprire nuovi modi per
essere insieme, e si superano le divisio-
ni «malato» «sano» valorizzando l'uni-
cità della persona.
È questo un modo per superare il ri-
schio della nostra società; quello «del-
l'isolamento e dell'emarginazione» del-
la cosi detta popolazione «non attiva»
quasi che il valore della persona si
debba misurare solamente in base alla
prestazione fisica!!!
Daniele
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