Bollettino_Salesiano_197302


Bollettino_Salesiano_197302



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BOLLETTINO
Vogliamo portare i Cooperatori Salesiani
a diventare collaboratori coscienti,
integrali, a fianco di noi, non sotto di noi:
non solo, quindi, fedeli e docili esecutori,
ma capaci di responsabilità apostoliche,
pur sempre d 'accordo e In sintonia col Sacerdote.
DON LUIGI RICCERI
Specli2ione in abbonamento postale - Gruppo (70) - 2• quindicina
SALESIANO
EDIZIONE PER I DIRIGENTI DEI COOPERATORI
A. XCVII. N. 2-4 • GENNAIO-FEBBRAIO 1973 • DIREZIONE GENERALE 10100 TORINO • VIA M. AUSILIATRICE, 32 TEL. 48.29.24
NUMERO
SPECIALE
dedicato al
CONGRESSO NAZIONALE COOPERATORI
e al
III INCONTRO NAZIONALE GIOVANI
(Roma-Frattocchie, 7•10 dicembre 1972)
I Cooperatori agiranno giovanilmente, dinamicamente, in quanto sì risveglieranno con le opere, con
l'impegno, la generosità, l 'austerità, pagando di persona.
DON RICCERI
Desidero affermare che le porte delle nostre Case e i nostri cuori sono sempre cordialmente aperti a
lavorare in questo campo dei Cooperatori... Siamo desiderose di estendere questo lavoro.
MADRE ERSILIA CANTA. Superiora Generale delle F.M.A.

1.2 Page 2

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IMPEGNATI
NELLA
CHIESA
LOCALE
PERCHÉ CI SIAMO RIUNITI
GLI OBBIETTIVI:
Richiamarci all'impegno u-ri-
nunciabile di inserirci - per me-
glio operare - nella Chiesa lo-
cale (il tema di studio fu appunto
questo).
• Porre un gesto che esprimesse
questa idea: l'associazione è una
e io essa adulti e giovani si ri-
trovano impegnati neU'ideotica
missione (per questo la simulta-
neità dei due convegni, nella stessa
sede).
Sensibilizzare i consiglieri ispet-
toriafi neoeletti ai loro compiti.
Veder chiaro nella nascente real•
tà dei giovani cooperatori (più
che contarci, tastare il polso del
nostro essere salesiani).
SONO STATI RAGGIUNTI?
Non è facile rispondere. Sarà
il prossimo futuro a dirlo. Un
giudizio a prima vista potrebbe
essere questo: i primi due obbiet-
tivi sì, il terzo no (a causa forse
del ritardo nello svolgimento delle
elezioni); il quarto abbastanza
(si è notato un buon passo avanti
nell'impegno apostolico e nel gra-
do di formazione salesiana).
2

1.3 Page 3

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CRONACA RAPIDA
Protagonisti del Congresso furono i membri dei Con-
sigli ispcttoriali (Delegari e Delegate ispettoriali, quasi
al completo; consiglieri neoeletti in numero assai in-
feriore al previsto). In tutto sessanta persone circa
All'Incontro Giovani, invece, rappresentanti di quasi
tutte le regioni d'Italia in numero superiore alle pre-
notazioni: oltre c70. Di quasi curti si può dire che
avevano partecipato ai Convegni regionali preparatori,
studiando il tema in antecedenza, e che si sono auto-
finanziati .
l'impegno personale ruotò attorno a questi momenti:
la conferenza base di don Aubry sul tema « Impegnati
nella Chiesa locale», tenuta distintamente ai due gruppi;
i gruppi di studio sulla conferenza; una relazione sullo
stato del!' A.ssociaz-ione tenuta dal Segretario nazionale
Uno stile dz famiglia e di sobrietà, anche nella mensa
e nei rapporti interpersonali, ha caratterizzato il con-
vegno La (< serata salesiana» è stata eccezionalmente
gradita Proprio ci voleva, dato i.I ritmo pressante dei
lavori
/,a presenza del R ettor Maggiore e di Madre Ersilia
Canta (per la storia, è la prima volta che w1a Superiora
Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice presenzia
a incontri del g'enere) ha un valore del tutto partico-
lare, così come la parola di cui hanno fatto dono ai
convegnisti. Una testimonianza di solidarietà e colla-
borazione pa.rticolarmente apprezzata è stata offerta
anche dalla presenza di don Giovanni Raineri, diret-
tore generale dei CC., di don Luigi Fiora, degli lspcr-
tori di Ancona e Roma. don Morlupi e don Biavati,
Giannantonio al Congresso Le ro11cl11sio111 preparate
dal relatore. con la collaborazione di don Mario l\\'li-
dali. e i puntz fernu presentati ali'Assemblea plenaria,
sono stati il frutto più bello della tre-giorni. Ad essi
infatti ci si dovrà riferire nel prossimo futuro .
Una nota conrreta che diede carica a1 lavori furono
le testimonianze di due tipi : quelle di gente impegnata
nell'Apostolato giovanile e quelle di convegnisti operai.
(Prepararsi al matrimonio - Prevenire la delinquenza -
Sci,iola, un'occasione da non perdere - 'ell'oratorio).
Una conferenza di don Mario Picchi sul problema
della droga ha scosso letteralmente gli ascoltatori e li
ha inchiodati alle loTO responsabilità. La politica dello
struzzo. anche in questo caso non servirebbe a nulla,
anzi sarebbe ipocrisia bella e buona.
La Liturgia (se ne parla diffusamente più avanti)
animata da don Ambrogio Sala e da don Gesuina
Monnì. è stata un momento forte e catalizzatore dei
due gruppi. anche se poteva essere più curata nei vari
aspetti .
I membri del «Congresso» ascoltano la relazione del Segretarlo
Nazionale.
e del Delegato nazionale della Pastorale Giovanile,
don Elio Scotti.
Ariche se rimasti volutamente nell'anonimato, a nes-
suno è sfuggita la generosità di chi ha preparato e por-
talo avanti i convegni: Giunta esecutiva, Gruppo Cen-
trale GC . CC., addetti alla segreteria e ai servizi lo-
gistici .
In questo numero riportiamo.
La sintesi della Relazìone di don Aubry (il testo
ad altra occasione) - La re lazione sullo stato del-
l'Associazione - Le parole del Rettor Maggiore e
della Superiora Generale delle Figlie di Maria Au-
siliatrice - Le testimonianze - I l discorso di don
Picchi Le conclusioni fina li.
3

1.4 Page 4

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UN SOLO PANE
UN SOLO CORPO
Se mai in qualcuno vi era stato
un dubbio sulla necessità di liturgie
ben · preparate e ben partecipate, a
Frattocchie é stato dissipato. La
grande idea rilanciata dal Capitolo
speciale suIl'unica famiglia salesiana
appariva realizzata. Non ci distin-
gueva né l'età né la provenienza,
né l'appartenenza a gruppi diversi .
Attorno ai celebranti formavano un
solo corpo perché nutriti dell'iden-
tico Pane
L'& dicembre, solennità dell'lm-
macolata Concezione presiedette don
Giovanni Raineri, il 9 don Luigi
Fiora Domenica 10 fu la volta del
Rettor Maggiore. Tre Omelie, tre
doni all'Assemblea. Il canto dive-
niva preghiera; tutta la famiglia sa-
lesiana era ricordata all'altare.
La Messa presieduta dal Rettor
Maggiore ebbe un significato e un'in-
tenzione particolare; uno partico-
larm.eme: l'offerta in danaro da in-
viare a quella nazione martoriata.
La «busta della carità II che ognuno
depose sull'altare recava, tra l'altro,
questa scritta: ~ Per ricordare e va-
lorizzare il nostro incontro... questa
offerta frutto di rinuncie e risparmi
per una famiglia particolarmente
provata dalle ferite della guerra >).
Oltre il danaro ognuno era invitato
a scrivere un pensiero sulla pace.
Non meno significativa l'offerta
di dodici giovani convegnisti che
avevano atteso quel giorno per il
loro ingresso nella famiglia di Don
Bosco. Beatrice, Alberto, Piergior-
gio, Annamaria, Maria Pia, Roberto,
Luisa, Fulvia, Maria Grazia, Ennio,
Giusi, Alfredo presentarono al suc-
cessore di Don Bosco la loro do-
manda che fu deposta sulJ'altare.
Al termine della liturgia ricevettero
l'attestato di appartenenza. La co-
munità li riceveva tra i suoi membri
per sempre.
DODICI PENSIERI
SULLA PACE
Tra I tam, rhP atcvmpaguarorm l'offerta in danaro fatta
alla litur,:ia del /O dicembre.
Se vogliamo la pace, lavoriamo per la giustizia.
'Jon equilibrio della paura, ma equilibrio d'amore.
Possiamo concepire una pace anche nell'ingiustizia; ma
i:: impossibile una pace senza amore.
La pace significa capire e attuare l'importanza dell'a-
more e della fratellanza fra i popoli.
Perché regni la pace è necessario che ogni individuo
la realizzi fin dalle piccole cose ciascuno nel suo am-
biente.
Pace: una parola che sa di utopia ma che dà anche
serenità. Sarà vero e diverso questo Natale? Dio mio
quanto tempo è passato ... che desolazione... ma tanto
coraggio senza << paura » per ricominciare.
Che lo Spirito Santo ispiri gli uomini di buona volontà
per la pace e la fratellanza tra i fratelli tutti.
Ben venga la tanto sospirata pace non solo nel Viet-
nam ma in tutte le nazioni del mondo.
Per don Acquistapace missionario nel Vietnam: il nome
é di onimo significato: pregherò per te.
j,
La pace non é assenza di guerra ma è collaborazione,
è amore, è dialogo, è rispetto dell'altro.
Se siamo veramente Cristiani non potrà non esistere
la pace, perché Cristo disse Amatevi come Dio Padre
vi ama. Quindi non ci resta che attuare questo co-
mandamento.
..
\\"orrei che la pace scendesse anche in me.

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COME VA
LA NOSTRA
ASSOCIAZIONE
1. Conoscere Dou Bosco : l'uomo,
il santo, il fondatore, (a riprova del-
l'interesse con cui tu studiato il
tema stanno le ben 25.000 copie,
vendute e diffuse, della Vita di Do11
Bosco di don Auffray).
2 . Dori Bosco e il suo messaggio
educativo.
3. Studio della figura del coope-
ratore come « chiamato ». con impeg110
roncreto, nella C'hirsa.
Uno sguardo panoramico
Questa mia « breve esposizione»
non vuole assolutamente avere né il
tono celebrativo, proprio di ce1·te
manifestazioni vuote e inconcludenti,
né tanto meno quello trionfalistico,
che lascio volentieri a quelle celebra-
zioni che si svolgono all'insegna della
più trita e sterile retorica, ma vuole
invece assumere quel tono che si
addice al carattere di sano realismo,
che è proprio di una relazione sullo
stato di un'Associazione, che, co-
sciente e impegnata, si è riunita
qui, nei suoi rappresentanti, per fare
il punto sulla propria situazione.
Ecco quindi che questo nostro
incontro ha un ben preciso signifi-
cato: vuole essere una pausa di ri-
flessio11e, un sostare consapevole e re-
sponsabile, e quindi critico, carat-
terizzato da un duplice aspetto: il
primo è retrospettivo, e ci vedrà
rivolti al passato ed anche al presente,
l'altro invece ci proietta sul futuro
più o meno immediato. Questo Con-
gresso si colloca in quel clima di
ri1111ovame11to che si è instaurato da
alcuni anni nella nostra Associazione
(da quando l'attuale nostro Rettor
Maggiore, don Ricceri, era il diretto
responsabile dei Cooperatori). Rinno-
vamento avviato, che è tuttora in
atto e che non è assolutamente vi-
cino all'esaurirsi, perché se vuole
essere duraturo ed efficace, lo è in
ragione della sua profondità, e que-
sta non si ottiene con una momen-
tanea « spolveratina i>. La nostra As-
sociazione ha risentito e risente della
crisi che travaglia tutto l'Associazio-
11is1no cattolico; crisi che investe non
solo gli aspetti organizzativi e me-
todologici, ma scuote persino le strut-
ture e le stesse finalità caratteriz-
zanti.
lVIa ogni crisi, se veramente seria,
ha la forza della vitalità, ha insiti
tutti gli elementi che presiedono al
suo superamento. E l'Associazione
dei Cooperatori sta sperimentando in
proprio e confermando questa ve-
rità: il suo è un travaglio sofferto,
perché sentito e vissuto, e proprio Un altro discorso che si è portato
per questo valido e positivo, e, come avanti parallela mente a questo, in-
ogni travaglio naturale, non può che nestato pur esso sul tema del ca-
preludere a una nuova vita, più risma salesiano, e che è un pilastro
forte, perché rinnovata, più soli.da, portante della nuova figura del Coo-
perché ringiovanita, più efficace, per- peratore salesiano, è la corre!>ponsa-
ché ristrutturata.
bilità. Un grosso discorso, che ci
Tutte le iniziative prese io questi ha visti impegnati in questi anni, e
anni e ogni risultato ottenuto de- che non consideriamo chiuso ed
vono essere inquadrati, considerati e esaurito.
valutati in questa opera di rinnova- Le parole di don Ricceri, stam-
mento intrapresa.
pate sul frontespizio di ogni numero
Prima di rutto si è J)Ortato avanti
un discorso formativo. È sterile par-
lare di rinnovamento di un'Asso-
ciazione, se innanzitutto non se ne
riqualificano i membri; ecco quindi
che il punto più qualificante del
programma di questi anni è stata
la cura della formazione dei Coope-
ratori· e l'approfondimento dei con-
tenuti. Per evidenziare questa ne-
cessità è indispensabile ricollegarci
del Bollettino per i dirigenti, sotto
lo stemma dell'Associazione, ce lo
stanno a ricordare:
\\< Vogliamo portare i Cooperatori
Salesiani a diventare collaboratori
coscienti, integrali, a fianco di noi,
non sotto dì noi: non solo, quindi,
fedeli e docili esecutori, ma capaci
di responsabilità apostoliche, pur
sempre d'accordo e in sintonia col
Sacerdote ,>.
all'ultimo Convegno Nazionale dei Un altro aspetto dell'opera di rin-
Consiglieri lspettoriali, tenuto ad novamento sono le nuove strutture
Ariccia nell'anno 1970 (1-3 maggio). organizzative che l'Associazione si
In esso fu trattato il fondamentale sta dando:
e, diciamolo pure suggestivo, rema: L'Ufficio Nazionale, il Consiglio
il Carisma salesiano (illustrato egre- · Nazionale, l'Assemblea Nazionale, il
giamente da don Midali). Ad esso Congresso Nazionale.
si ricollegano, in una linea logica, Non sono organismi, in cui s1 an-
i temi studiati in questi ultimi tre nidano autoritarismo e burocrazia, ma
anni:
sono mezzi per rendere più funzionale 5

1.6 Page 6

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ed efficace l'opera dell'Associazione,
convinti come siamo che una salda
organizzazione non costituisce un
peso ingombrante e ritardante. (Pron-
ti però a cambiare qualora ci si ac-
corga che nuoce all'efficienza).
La stessa consapevolezza ha av-
viato altre due importanti iniziative:
la verifica (formazione)
il -rin11ovo dei con.sigli a tutti i li-
ve1Ji (corresponsabilità).
A) la verifica non ha voluto essere
una selezione, o una discriminazione
oziosa tra i cooperacori, ma fu det-
tata da un'esigenza di chiarezza.
L'iniziativa fu presa all'insegna di
«Cooperatori coscienti ed impegnati•>;
il criterio che dettò fu quindi una
presa di coscienza dell'essere coo-
peratore. Dietro alle cifre c'è un
mutamento significativo; nell'Asso-
ciazione si è passati da un concetto
di quantità a quello di qualità.
Una lacuna: una buona metà dei
centri non ha fatto la verifica. Perché?
Due i motivi: difficoltà inerenti a
situazioni locali; non compresa suf-
ficientemente l' importanza dell'ini-
ziativa e le risultanze che ne possono
derivare.
Conseguenza di rutto questo la-
voro: un calo nelle iscrizioni (segno
di maggiore responsabilità?). In que-
st'ann.o le iscrizioni superano di poco
il migliaio ( 1023).
B) Il rinnovo dei co11s1/Jli, fatto
con il criterio delle elezioni. i:: un
fatto importantissimo! È l'espres-
sione del discorso sulla corresponsa-
bilità, che esige l'assunzione delle
responsabilità in piena coscienza; ha
anche un altro significato: il pas-
saggio da una investitura... <• cari-
smatica>>, alla partecipazione diretta
della base, dei singoli cooperatori,
che sono direttamente impegnati.
Questo rinnovo non tutti ancora
l'hanno fatto. Speriamo che al più
presto anche questa iniziativa ven~
pienamente compresa ed attuata. È
l'Associazione che l'esige! Sappiamo
che è difficile il passaggio a certi
nuovi sistemi, ma bisogna aver fi-
ducia e coraggio di cominciare.
In questo discorso di rinnova-
mento va inserito anche il problema
dèl <1 -ringiovanimento >> deJl'Associa-
zione, alla cui soluzione si lavora
ormai da vari anni. L'Associazione
fu vista per tanto tempo come una
(< Pia unione » di anziani, vecchietti
e vecchiette e come tale era condizio-
nata ed aveva un campo di attività
apostolica ad essa confacente. Era
necessario, pur salvando certi va-
lori, «svecchiarla~ se si voleva rin-
novare; la «verifica•> ci ha offerto
6 dei dati molto significativi a riguardo.
Il discorso del ringiovanimento coin-
volge direttamente il problema dei
giovani. 11 delicato ed impegnativo
lavoro che si è svolto e che si sta
ancora più intensamente svolgendo
ci sta offrendo significativi risultati:
tra i giovani c'è un promettente ri-
sveglio e un interessamento per l'As-
sociazione che lasciano bene a spe-
rare (la stessa presenza di quasi 200
giovani qui riuniti per il loro terzo
incontro nazionale ce lo dice chia-
ramente).
Le iniziative sono tante: incontri,
discussioni, tavole rotonde, setti-
mane di studi, campi di lavoro, che
tengono impegnata l'Associazione a
tutti i livelli. Certo, non sono tutte
rose! Si sta ancora alla ricerca di
una strada più precisa e più sicura;
ma l'essenziale è lavorare per pro-
gredire. U fatto poi che lo Statuto
del Consiglio Nazionale dei Coopera-
tori contempli, quali rappresentanti
di ogni consiglio ispettoriale, un
consigliere nazionale giovane e uno
adulto è una conquista particolar-
mente significativa. Devo però fare,
prima di chiudere questo argomento,
un rilievo: in quest'opera di ringio-
vanimento dell'Associazione c'è stato
un malinteso, in quanto si è inteso
per ringiovanimento soltanto l'im-
missione di giovani nelle file dell'As-
sociazione, trascurando di conse-
guenza l'età media, per cui si sta
creando un vuoto, che è bene non
accentuare, ma cercare, per quanto
è possibile, di colmare.
Un altro punto qualificante del-
l'Opera di rinnovamento è senza dub-
bio l'aver intensificato i -rapporti con
l'Istituto delle FMA, ha assunto di-
ciamo 'in proprio' la cura di molti
centri, allo stesso livello dei Sale-
siani, con una certa linea autonoma
di gestione. Non si poteva non sa-
lutare con gioia questa assunzione
di maggiore responsabilità nella con-
duzione di quelle che sono <• le cel-
lule vive•> dell'Associazione, da parte
del benemerito Istituto, che già tanto
ha lavorato per i Cooperatori con
sacrificio e dedizione. ·
E la presenza, nella giornata di
chiusura dei lavori di questo Con-
gresso, di madre Ersilia Canta, Su-
periora Generale delle FMA, non
può non avere questo ben preciso
significato.
Ed infine, a coronamento di tutto,
non posso non richiamare alla vostra
considerazione, in questo sguardo pa-
noramico sullo stato dell'Associa-
zione, per il significato particolare
che esso ha assunto, il messaggio in-
viato dal Capitolo Generale Speciale.
Preparato insieme ai Consigli na-
zionali di alcune altre nazioni, esso
faceva presente, con un appello ac-
corato, le istanze dell'Associazione,
avanzando precise richieste e do-
mandando chiare indicazioni. Indub-
biamente il documento, come del
resto fu poi riconosciuto, fece da
stimolo ai Capitolari, i quali, sensi-
bilizzati così ai problemi dei Coo-
peratori, li affrontarono con parti-
colare attenzione e cura, uscendo
dalle solite generiche, e talvolta fu-
mose, riaffermazioni di princìpi teo-
rici. E se consideriamo i due docu-
menti (uno indirizzato ai Cooperatori
e l'altro ai Salesiani), densi di pen-
siero, frutto sicuramente di appro-
fondito studio, non esageriamo se
affermiamo che l'avvenimento è di
« portata storica >l per la nostra As-
sociazione e per la Famiglia salesiana
tutta.
Sta a noi ora studiare, approfon-
dire, attuare le indicazioni del Ca-
pitolo Generale e far che esse
non rimangano soltanto affermazioni
di principio. Questo è l'impegno p rin-
cipale nel nostro lavoro del pros-
simo futuro; esso deve costituire una
«direttrice» di marcia e di azione,
convinti che ciò è indispensabile per
quello sviluppo dell'Associazione, che
è Ja meta fondamentale che ci siamo
proposti.
Lo sgu;rdo al passato, che ab-
biamo dato insieme in questa rela-
zione, non ha senso se non è anche
spinta per un futuro migliore, nella
consapevolezza di quelle che sono
state le manchevolezze del programma
attuato e di quello che il completa-
mento delle iniziative intraprese.
Mentre da una parte dobbiamo con-
tinuare il lavoro di rinnovamento,
dall'altra dobbiamo avviare quello di
consolidamento delle conquiste fatte.
Dico questo perché parlo a dei Con-
siglieri, cioè a dei responsabili di-
retti della vita e dell'andamento del-
l'Associazione, cioè a dei Coopera-
tori impegnati e coscienti. E il clima
in cui dobbiamo agire è quello del-
l'unità di intenti e di -realiz::razio11i,
tenacemente voluta, pur nella diver-
sità delle situazioni locali, le quali
tuttavia non ci devono isolare, fa-
cendoci perdere la visione del tutro:
è micidiale nella vasta e complessa
realtà del mondo conremporaneo rim-
picciolirsi nella propria problematica.
Il tema di studio di questo Congresso
offre un'ottima occasione di rifles-
sione su tali considerazioni; sfrut-
tiamola adeguatamente per giovare
alla nostra Associazione.
Buon lavoro I
G IUSEPPE G IANNANTONIO
Segretario Nazionale

1.7 Page 7

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Schema della
conferenza
sul tema:
IL COOPERATORE
IN MISSIONE
NELLA CHIESA
LOCALE
-
svolta da
don Giuseppe Aubry
Il Vaticano Il ha ridato alla Chiesa particolare
tutta l'importanza che le spetta (piccola teologia della
Chiesa locale).
1. « La Chiesa particolare è, prima di tutto, la dio-
cesi, incarnazione e attualizzazione di tutto il mistero
della Chiesa».
a) e< Nella Chiesa particolare è veramente presente
e attiva la Chiesa del Cristo>1 (C.D. 11).
b) La Chiesa particolare incarna dunque le diverse
ricchezze della Chiesa mistero.
e) La Chiesa particolare deve riunire in essa gli ele-
menti essenziali che la costituiscono e la fanno vivere.
d) Questa è difatti la dottrina del Concilio.
2. Al di là e al di qua della Chiesa particolare; la
« Chiesa locale» e la comunità locale parrocchiale.
a) La Chiesa locale: raggruppamento caratterizzato
di diocesi aventi legittimamente tradizione propria.
b) La comunità parrocchiale:<< cellula della diocesi >1
(AA 10c).
c) Tutti i laici sono chiamati a costruire la Chiesa
diocesana e la parrocchia.
Il Capitolo Generale Speciale ha preconizzato
una "Famiglia Salesiana» fermamente inserita nelle
Chiese /oca/1.
1. La missione salesiana non può in alcun modo
essere indipendente: essa è partecipazione alla mis-
sione stessa della Chiesa.
2. La missione salesiana si compie concretamente
al servizio della Chiesa locale, ed essa s'inserisce nella
sua pastorale di insieme.
3. Ma essa ha una portata universale: essa gode
dunque di una certa indipendenza riguardo a ogni
Chiesa locale per essere al servizio di tutte.
I Cooperatori sono salesianamente al servizio della
missione della Chiesa locale, però con ansia di uni-
versalità.
1. L'affermazione di base: i Cooperatori sono al
servizio della Chiesa.
2. Alla Chiesa locale, essi devono rendere un servizio
specificamente salesiano.
a) Primo tipo di servizio salesiano: un modo d'es-
sere permanente.
b) Secondo tipo di servizio salesiano: un'azione
orientata: 1) animazione cristiana del temporale, sa-
lesianamente orientata; 2) evangelizzazione, salesia-
namente orientata; 3) azione caritativa, salesiana-
mente orientata.
3. Questo servizio dei Cooperatori alla Chiesa lo-
cale è un servizio coordinato, inserito nella pastorale
d'insieme.
a) Caso dei Cooperatori 'isolati': azione apostolica
fuori di ogni struttura apostolica ufficiale.
b) Caso dei Cooperatori che conducono un'azione
apostolica nelle istituzioni salesiane.
c) Caso dei Cooperatori che fanno un'azione apo-
stolica in 'gruppo costituito' di Cooperatori, parroc-
chiale o interparrocchiale.
d) Caso dei Cooperatori che fanno un'azione apo-
stolica in seno a gruppi non salesiani, parrocchiali o
diocesani.
e) In futuro : SDB, FMA, CC, VDB impegnati in-
s ieme al servizio della Chiesa locale.
4. Questo servizio dei Cooperatori alla Chiesa locale
rimane particolarmente sensibile alla Chiesa univer-
sale.
7

1.8 Page 8

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Sono assai lieto cli trovarmi 1n
mezzo a voi che rappresentate tutte
le componenti della famiglia sale-
siana - Salesiani, Figlie di Maria
Ausiliatrice, Cooperatori e Coopera-
trici - in questa bella giornata di
sole, auspicio e segno di vita per la
famiglia una• nella pluralità delle
sue articolazioni.
Desidero dirvi molte cose. Non
so se ci riuscirò, anche perché sono
LA
PAROLA
A DON
RICCERI
combattuto da vari opposti senti-
menti: pensieri che urgono e d'altra
parte la preoccupazione di esprimere
io breve tante idee che mi sembrano
importanti.
Sono contento di vedere - come
dire? - questa ".arietà, in questa
vostra presenza. E la prima volta:
questa varietà che è stata senz'altro
indicata dalla partecipazione della
Madre Generale delle F.M.A.: il
che non è poco come significato,
direi come storia.
Noi abbiamo affermato nel Capi-
tolo Generale - e non per vana
retorica - che si doveva parlare di
famiglia salesiana. Evidentemente una
famiglia articolata, una famiglia i cui
membri mantengono quelli che sono
i propri compiti, la loro caratteri-
stica nella caratteristica generale, rea-
lizzando la missione particolare nella
missione comune: i Salesiani che
hanno la grande responsabilità di
essere il centro propulsore di tutta
la famiglia - dico responsabilità,
non diritto, non prerogativa - re-
sponsabilità grave, grossa; le Figlie
di Maria Ausiliatrice che accanto
ai Salesiani, naturalmente portata al
genere femminile, hanno la stessa
missione, lo stesso spirito, lo stesso
metodo, le stesse mete; e i Coo-
peratori Salesiani, laici che ,ivono
8 lo spirito e li1 missione salesiana se-
condo le norme tracciate da Don
Bosco nel loro regolamemo. Voi sa-
pete che il regolamento, è piuttosto
uno statuto, una costituzione, è qual-
cosa che - senza dirlo - vuol es-
sere l'equivalente delle costituzioni
che Don Bosco ha pensato per i
Salesiani e le F.M.A., adattato a
chi non emette la professione reli-
giosa e vive nel mondo come sale-
siano, quasi «comandato», inviato
fuori di quella che è la casa dove
vivono in comune altri fratelli, altre
sorelle. Famiglia, dunque, e nella
famiglia non ci sono settori, non
categorie separate di giovani e di
meno giovani, come ha detto delica-
tamente la Madre (non ha parlato
di anziani, non ha parlato di ,·ecchi;
poteva anche usare il termine, par-
lando... di noi evidentemente). È
importante questo. Voi sapete che
oggi si soffre il fenomeno che si
chiama polarizzazione - i poti delle
generazioni - che poi diventa ten-
sione e può trasformarsi anche in
opposizione. Questo fenomeno, qui,
non c'è e non ci deYe essere. Come
non ci devono essere categorie di
salesiani giovani e di salesiani meno
giovani, di F.M.A. giovani e meno
giovani, così non ci sono tra i coo-
peratori categorie di giovani e non
gio"ani: naturalmente ognuno e ogni
età ha le sue caratteristiche, la sua
dinamica, le sue possibilità e la sua
sensibilità, ma nmi insieme ci inte-
griamo ed abbiamo la volontà di in-
tegrarci.
Don Bosco ebbe una mentalità e
volontà realizzatrice. Nel piccolo Trat-
tato s-ul Sistema Preventivo lasciò
anche scritta questa norma che è un
principio fondamentale di quella che
potremo chiamare la sua filosofia:
«poche parole... molti fotti ». Questo
vale per l'educazione dei giovani,
per la nostra autoeducazione, per
l'apostolato.
Certo, ci occorrono idee per gui-
dare l::i nostra marcia e per compren-
dere il linguaggio del mondo in cui
viviamo - ove si incrociano e alle
volte si scontrano le idee che stanno
a fondamento di ogni vita ed atti-
vità. Bisogna distinguere però le idee
- che ci de"ono essere, chiare e di-
namiche - dalle girandole delle idee
che si esauriscono in se stesse senza
arrivare a... planare nel concreto e
nei fatti.
Il Vangelo nella sua sublimità di-
vina esige semplicità umana per es-
sere colto e assimilato: quelli che si
consideravano << ricchi di idee» non
riuscirono a capire Gesù, mentre
gli umili e gli illetterati non eb-
bero difficoltà a capire il messaggio
di vita che veniva loro dal cielo.

1.9 Page 9

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~on sarà il caso che med.itiamo su
questo evidente fatto cristiano, in
questo avvento, noi che desideriamo
lavorare per una sempre maggiore
incarnazione di Gesù nel mondo,
per un suo più largo e fecondo av-
vento?
Venendo al concreto, dobbiamo
quindi tenere il giusto equilibrio
nel promuovere convegni, congressi
e d.iscussioni: farne... quanto basta,
e con la preoccupazione che si rag-
giunga con essi un determinato
scopo. Don Bosco e Don Rua ce
ne sono maestri: menti aperte e per-
spicaci, ricchi di cultura cristiana e
umana, eppure nessuno sperpero di
parole e d.i teorie, tanto meno sfoggio
sterile d.i esse I Furono però di fatto
dei meravigliosi realizzatori nella loro
azione cristiana, educativa e sociale.
Questo è il nostro stile, a cui Don
Bosco ci invita ad essere fedeli:
operare, cooperare attivamente, con
attenzione al cammino delle idee.
In questo sta non poco del nostro
carisma e della nostra forza.
Ho detto «co-operare »: interessa
tutti questa parola; tutti siamo e
dobbiamo essere «cooperatori »I an-
che noi Salesian.i e le Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice. Finora siamo forse
stati un po' vittime di una menta-
lità ind.ividualista, insensibile a que-
sta dimensione di collaborazione nella
carità: la carità infatti non esige la
<<comunione>> solo a livello di sen-
timenti e di interiorità, ma anche
sul piano dell'azione. Dalla carenza
di questa sensibilità non sono ve-
nuti certamente vantaggi alla causa
del bene e delle anime.
Dobbiamo convertirci, cambiare
mentalità, cioè disposizioni e atteg-
giamenti.
Ma c'è un altro motivo per spin-
gerci a questa cooperazione. Anche
noi siamo figli della nostra epoca:
il mondo profano ed ecclesiale che
ci cìrconda è pervaso da un'ansia
profonda di comunione; d'altra parte
esso presenta lo spettacolo impres-
sionante di divisioni e incompren-
sioni spesso assai gravi. Purtroppo
vari tentativi pur ben intenzionati
hanno dato dei risultati fallimentari,
confondendo comunione e coopera-
zione con confusione e livellamento,
con effetti tutt'altro che positivi. No,
la cooperazione che noi auspichiamo
e dobbiamo promuovere dentro della
famiglia salesiana non vuole affatto
significare la riduzione di tutte le
sue varie componenti ad un deno-
minatore comune in cui sfumano
le caratteristiche e i. carismi parti-
colari che in fondo sono il segreto
della fecondità della stessa coope-
razione. Il Signore ci ha detto che
nella casa d.i suo Padre ci sono man-
siones multae, ossia c'è posto per
tutte le diversità che lo stesso Spi-
rito di Dio ha suscitato nella sua
Chiesa.
fl Capitolo Gen~rale Speciale che
abbiamo celebrato lo scorso anno
(anche se è un Capitolo dei Sale-
siani interessa ogni componente della
grande famiglia salesiana, in quanto
noi. salesiani abbiamo la responsa-
bilità di fare nella grande famiglia
da catalizzatori e animatori) ha dato
degli orientamenti e ha indicato
delle piste su cui noi ci sforzeremo
di camminare con fiducia, aderendo
alle direttive chiaramente espresse
dalla Chiesa e cercando i modi con-
creti e rispettosi di attuare gli orien-
tamenti generali.
Se ci impegniamo tutti, ognuno
secondo la sua fisionomia e capacità,
noi realizzeremo una forza formida-
bile di bene, derivante dalla concen-
trazione delle forze: d.iminuirà - per
così dire - lo sforzo, e aumenterà
la produzione, cioè i frutti apostolici,
con il vantaggio di accrescere il vo-
lume e (vogliamo crederlo) anche
l'intensità del nostro apostolato, di
diffondere l'entusiasmo cosl benefico
al rendimento, e di dare al mondo la
testimonianza più preziosa, quella di
una carità fattiva e convincente, at-
tuata in unione di menti e d.i cuori.
Un piccolo banco di prova potrà
essere l'attuazione della Strenna 1973.
La «strenna >> è una parola molto
umile, molto modesta, molto fa-
miliare... È una parola che ci è stata
trasmessa personalmente da Don Bo-
sco e che i1ùnrerrortameme come tra-
dizione i successori di Don Bosco
hanno, di. volta in volta, anno per
anno, continuato.
Quest'anno - in riferimento alla
lunga lettera (che ho vista citata
ampiamente dall'Agenzia FIDES) da
me indirizzata ai Salesiani sulle Mis-
sioni come via obbligata, necessaria,
esaltante di rinnovamento, nelJa stren-
na ho voluto riprendere questo con-
cetto, questa idea madre, questa idea
forza e darla a rutta la nostra fami-
glia appunto come strenna. Eccola:
<t La Famiglia Salesiana ritrova la
vitalità delle origini impegnandosi a
vivere un intenso clima missionario>>.
Come figli della Chiesa noi sen-
tiremo sempre, nella misura della
nostra figliolanza d.ivina ed eccle-
siale, il bisogno di comunicare ad
altri il bene della salvezza che pos-
sediamo: una fede cristiana non
aperta all'effusione verso i fratelli
sarebbe una fede meschina, rachitica
e votata all'esaurimento. Noi vo-
gliamo invece - ed ecco uno dei
significati attuali della strenna -
rinnovare la nostra vitalità cnsuana
attraverso un esercizio privilegiato
della fede e della carità. Dio dona
- la vita soprannaturale ha in Dio
la sua fome - ma a noi richiede la
corrispondenza e l'esercizio dei suoi
doni: quelli della fede, speranza e
carità.
La strenna ci invita a esercitare
il nostro dinamismo soprannaturale
nella forma più slanciata: conside-
rare, desiderare, realizzare la e'l)a?1-
gelizzazio11e di chi non ha fede, nei
mod.i che ci sono consentiti, tutti
vivificati da un appassionato amore
a Cristo nei fratelli, a cui sentiamo
di fare il più bel dono contribuendo
perché essi ricevano Gesù Cristo,
figlio di Dio che solo è portatore
cl.i salvezza. Noi sentiamo d.i non
praticare uno sport ponendoci il
problema missionario: ci sentiamo
impegnati nella rad.ice del nostro
essere-di-Cristo.
E se da una parte ahbiamo un'at-
trattiva ad evangelizzare nell'amore
di Dio che si fa amore dei fratelli ,
dall'altra abbiamo un richiamo e un
pungolo (la Chiesa ci insegna a chie-
dere a Dio insieme amore e timore)
a farlo nella considerazione che, se
lo trascuriamo, cond.izioniamo la cre-
scita della stessa nostra vita perso-
nale. Ce lo fa sentire la· limpida co-
scienza cristiana di Paolo: <<Guai a
me se non annunciassi il Vangelo )>
egli dice! (/ Cor. 9, 16). Queste
parole il Concilio le applica auto-
revolmente ad ogni cristiano (Cfr.
Decreto eone. sull'Apostolato det
laici: 6).
La strenna si pone specificamente
su questa linea: vede nel clima mis-
sionario della nostra ,·ita e delle no-
stre comunità, cons4crate o no, non
importa, il mezzo per eccellenza del
nostro rinnovamento.
Rinnovarsi, noi d.iciamo; risve-
gliamo il senso missionario appunto
per ringiovanire. Lasciamo stare il
gerovital..., ma un vero gerovital
noi lo possiamo trovare, lo troviamo
nel risveglio missionario di tutti: dei
Salesiani, delle F.M.A., dei Coope-
ratori giovani e meno giovani, degli
exallievi (a cui abbiamo parlato e
parliamo nella sede dovuta perché
hanno diritto, essendo anche loro
della famiglia, in una forma parti-
colare, diversa, ma sono della fa-
miglia).
Rinnovarsi, d.icevo, attraverso il
risveglio missionario: la terapia mis-
sionaria è fondamentale ed urgente
per noi salesiani, altrimenti invec-
chiamo. È necessario, è u1·gente per
le F.!Vl.A. per lo stesso motivo. I
Cooperatori Salesiani ringiovaniranno
quando occorra, agiranno giovaru]- 9

1.10 Page 10

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mente, dinamicamente in quanto si
risveglieranno fattivamente, non con
la retorica, non con belle parole, non
con convegni, ma con le opere, con
l'azione, con le attività, con l'impegno,
con l'austerità, con la generosità, pa-
gando di persona: questo appunto
sarà vivere il senso .missionario così
come ce lo presenta il Concilio nel
decreto A.d Gentes e il nostro Capi-
tolo Generale Speciale.
La favola ci narra del padre che
convoca i suoi figli incitandoli a sca-
vare nel campo perché vi si nasconde
un tesoro. I figli seguirono il con-
siglio paterno e si diedero a disso-
dare il terreno... e non vi trovarono
il tesoro che essi sognavano... ma
il tesoro non mancò, poiché il ter-
reno magnificamente lavorato diede
un frutto abbondantissimo, un vero
tesoro. Don Bosco per bocca del
suo successore ci invita a dissodare
il terreno per portare al mondo il
tesoro del Vangelo: per noi i tesori
sono due: il Vangelo comunicato
agli altri, e il Vangelo radicato più
profondamente in noi.
Lo slancio missionario ridona la
freschezza della primavera alla no-
stra personalità e alle nostre istitu-
zioni: un certo massimalismo (come
quello missionario) appare necessario
per un rinnovamento robusto, di-
namico, giovanile. Infatti, sembra
doversi dire che nel mondo dello
spirito si verifica un gioco di ~rze
che si assomiglia a quello fisico:
quanto maggiori sono i venti della
confusione ideologica e del como-
dismo pratico che compromettono la
nostra marcia, tanto più arditi e
protesi in avanti devono essere i
nostri ideali e decisi i nostri sforzi
per creare una spinta che abbia ra-
gione di tutti gli ostacoli.
Questo è anche il pensiero del
nostro Capitolo Generale: nel do-
cumento sulle missioni esso cosl
dice:
~ ... Le Missioni hanno bisogno
dei Salesiani, perché vi sono schiere
di giovani pagani che da loro atten-
dono l'annuncio gioioso del Vangelo;
a loro volta i Salesiani hanno bisogno
delle Missioni perché non è possibile
formare i giovani senza quella vibra-
zione particolare che offre l'esperienza
viva di ima Chiesa costituzionalmente
missionaria>> (Atti CGS, n. 236). E
questa istanza ha le radici in bon
Bosco. <• Don Bosco volle forte.mente
missionaria la sua Società Salesiana.
Nel 1875 fu lui a scegliere nel mazzo
dei primi Salesiani i dieci da inviare
in America. Prima di inorire aveva
già lanciato dieci spedizioni missio-
narie. Parallelamente partivano per
le Missioni anche le Figlie di Maria
Ausiliatrice, che da allora affianca-
rono sempre l'opera dei missionari
salesiani. Alla morte di Don Bosco,
nel r888, i Salesiani oltre mare erano
153, cioè quasi il 20% dei soci di
allora•>.
Don Ilosco fermentò l'Oratorio
con il fervore missionario. Sentite
quello che il 12 settembre 1876 Don
Bosco scrive a Don Cagliero che lui
ha mandato in AJnerica: <• ... Gran
Jennento per a11dare nelle Missioni:
avvocati, notai, parroci, professori
chiedono di farsi salesiano ad hoc>>
(Ep. IJI, 95).
Il 30 novembre 1876, ancora a
don Cagliero: ~ Ascolta la bella sto-
ria. Sei preti vanno in America;
sei altri preti entrano nella Congre-
gazione. Sette chierici partono con
quelli, e sette chierici dimandano di
entrare, e ci sono di fatto. Dodici
coadiutori devono andare in America,
ad Albano, a Trinità; dodici nuovi
coadiutori assai zelanti fecero do-
manda e furono accolti tra noi. Vedi
come Dio guida le cose nostre•> (Ep.
III, 121).
In altra lettera aggiunge: <• Se cogli
occhi tuoi vedessi quello che fa la
nostra Congregazione, diresti che
sono favole. Dio ci aiuti a corrispon-
dere,> (Ep. III, 102: 13 ottobre 1876).
Vi dico un particolare - per voi
Cooperatori - che è un monito,
un richiamo, il ritorno alla sorgente.
Quando Don Bosco accese questo
incendio missionario nell'Oratorio,
insieme con i Salesiani con i voti
partirono nel1e varie spedizioni anche
dei laici che lavorarono poi per anni
in quei paesi. Oggi c'è un bel movi-
mento di laici verso le Missioni;
Don Bosco con semplicità già allora
pensò all'aiuto validissimo che anche
nelle Missioni possono dare i laici.
Io vorrei dire che una delle cose
concrete che i Cooperatori e i gio-
vani Cooperatori specialmente do-
vranno fare sarà quella di studiare le
possibilità non di andare verso un'av-
ventUia e neppure di fare del turismo
di tre o sei mesi, ma di impegnarsi
seriamente per anni, se è il caso.
Si tratta di un impegno di vera
cooperazione missionaria, che vuol
dire cooperazione non solo di atti-
vità di lavoro ma anche di evangeliz-
zazione, perché non e'è missione e
non c'è cooperazione salesiana se
non c'è il senso della evangelizza-
zione: promozione, tanta promozione,
m.a sempre con l'evangelizzazione,
che si può fare in mille modi.
E concludiamo.
Don Ceria riferendosi all'effetto
prodotto dall'annuncio della prima
spedizione missionaria nell'Oratorio,
annota: (( ... Si videro allora molti-
plicarsi le vocazioru allo stato eccle-
siastico, crebbero anche sensibil-
mente le domande di ascriversi alla
Congregazione, e un ardor nuovo di
apostolato s'impadronì di molti che
vi erano ascritti» (M.B., XI, 148).
E negli Annali scrive: <• Cominciava
veramente per l'Oratorio e per la So-
cietà Salesiana una nuova storia>> (An-
nali, l, 249). Siamo stati chiamati
a vivere in questo momento in cui
il mondo e la Chiesa e la Famiglia
Salesiana sono impegnati a scrivere
una << nuova storia»: il vino vec-
chio ha bisogno di otri nuovi, il
fervore antico deve essere messo a
servizio di modi e strutture nuove.
A voi la entusiasmante iniziativa
di cercare e creare i canali che con-
sentono meglio all'eterna verità del
Vangelo di diffondersi fra coloro che
non conoscono il messaggio della sal-
vezza o l'hanno dimenticato ovvero
deformato.
Preghiamo e vigiliamo, radichia-
moci in Dio e apriamo gli occhi
sulla realtà del mondo: da questa
sintesi nasceranno idee, iniziative,
impegni, che faranno di ognuno di
noi un reale cooperatore del ministero
di Cristo Redentore.
10
(IO dicemhre I972)

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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Una presenza significativa
Madre ERSILIA CANTA
Superiora generale delle F.M.A.
Ve::-amente, nonostante la promozione della don-
na, si è sempre un po' imbarazzate a parlare da-
vanti ad una assemblea cosi numerosa e qualificata,
soprattutto a sacerdoti reverendissimi e al Rettor
Maggiore, a cui chiedo scusa se oso dire una pa-
rola in sua presenza. Ringrazio del gentile invito
che ho accettato volentieri, tanto più che Madre
Letizia, la più interessata, si trova oggi a Città del
Messico e resterà nel Messico ancora per alcuni
mesi. Tutti sappiamo con quanto interesse ed
amore essa cura questo settore dei Cooperatori sa-
lesiani, ed oggi certamente è qui con il cuore e con
la preghiera.
Sono venuta volentieri, come ho detto, e ringrazio
per il gentile invito; e ringrazio anche i Coopera-
tori per l'aiuto che danno alle nostre sorelle, spe-
cialmente nei centri che abbiamo nelle nostre case;
con la loro comprensione, con il loro incoraggia-
mento e con l'aiuto nelle attività apostoliche, atti-
vità catechistiche, caritative, ed anche nelle attività
vocazionali. Validi Cooperatori e Cooperatrici ci
hanno aiutato per avere bellissune vocazioni. Ri-
cordo, in questo momento, un maestro del Friuli,
una maestra del Veronese, e una direttrice didattica
del:a Valtellina; operavano nella scuola con questo
zelo vocazionale, indirizzando quelle figliole che
avevano an germe di vocazione ed anche i ragazzi,
per interessarli alle due nostre congregazioni.
Ringrazio - e avrei dovuto farlo pdma - il
segretario nazionale per il saluto caloroso, che ha
dato ben due volte, e tutta l'assemblea per l'acco-
glienza cordiale che mi ha fatto. E, infine, un rin-
graziamento, un incita.mento agli insegnanti a la-
vorare sempre di più, con sempre maggiore con-
sapevolezza e zelo, come cooperatori salesiani.
Le nostre suore delegate forse avranno avuto oc-
casione, in questi giorni, di parlare del loro campo
di lavoro. Noi siamo desiderose, nel limite del pos-
sibile, di estendere questa collaborazione, questo
lavoro. È vero che la nostra attività si rivolge, direi,
soprattutto ai cooperatori, alle nostre allieve ora-
toriane, bambini della scuola materna, a quelli
cioè che si muovono attorno alle nostre case: e
questo facilita anche il contatto cordiale di calore
familiare che rende anche più facile trasmettere lo
spirito, il programma dei Cooperatori salesiani e,
con l'aiuto del sacerdote delegato anche, dare, con-
segnare, approfondire la spiritualità della nostra fa-
miglia. Desidero affermare, e lo dico proprio con
sentimento di riconoscenza al reverendissimo Rettor
Maggiore, che le nostre porte, le porte delle nostre
case e i nostri cuori sono sempre cordialmente
aperti a lavorare in questo campo dei Cooperatori,
giovani e meno giovani, affinché tutti insieme pos-
siamo corrispondere ai desideri, alle attese del
Santo Padre e della Chiesa.
10 dicembre 1972 11

2.2 Page 12

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1. Vocazione salesiana servizio
della Ch l11s11-mistero
Noi crediamo che essere Coope-
ratore vuol dire prima di tutto avere
una cc vocazione» in base alla quale
lo Spirito di Dio, che è Amore, ci
chiama a un servizio cc salesiano »
verso la Chiesa. In concreto la
Chiesa viene, per noi, attualizzata
nella comunità dei battezzati della
nostra dio ces i e della nostra par-
rocchia. In tale Chiesa locale, la no-
stra fede cristiana ci permette di
scoprire, al di là dei limiti e delle
debolez-ze dei suoi membri, il grande
u m ist e ro » (cfr. Vat., Il, L.G ., cap. I)
della cc Chie sa di Dio», in cui s i attua
in modo concreto e progressivo il
d isegno di Dio: fare degli uomini la
comunità di Alleanza con Lui nel-
l'amore filiale e fraterno.
2. Ambiente della nostra azione
per la Chiesa: quello Immediato e
quotidiana
La nostra s ituazione provviden-
ziale cl mette in contatto quotidiano
colla nos tra famiglia, con le divers e
comunità umane di lavoro e di tempo
libero, con gruppi e persone singole,
giovani e adulti. t tra esse che il
Signore ci manda per servire, se-
condo lo spirito e lo stile di Don
Bosco, la sua Chiesa, e per contri-
buire a costruire li una comunità
parrocchiale e diocesana veramente
credente e f raterna.
3. Primo modo di costruire la no-
stra Chiesa
Noi costruiamo la nos tra Chiesa
locale prima di tutto con il nostro
modo di esse re, attraverso la testi•
monianza del nostro comportamen-
to di ogni istante: coscienza profes-
s ionale , ottimismo, s ensibilità agli
altri, ecc. Noi possiamo e dobbiamo
espandere dovunque il profumo del
Cristo (cfr. 2 Cor. 2, 15) con la ti-
pica fragranza salesiana.
4. Secon do modo di costrulro la
nostra Chiesa
Noi costruiamo la nostra Chiesa
locale anche con i diversi tipi di pre-
senza e di attività di cui essa ha bi-
sogno per la sua vita complessa e
per la sua crescita (manifestando
sempre la nostra cc preferenza>> per
la gioventù povera):
Mediante le diverse forme di ca-
techesi, noi la costruiamo come co-
munità di fede, guidata dalla Parola
di Dio.
• Mediante le nostre attività 1/tur-
glche, noi la costruiamo come co-
munità di culto, soprattutto come
comunità eucaristica, che il Corpo
d i Cristo raduna, salva, e rende per-
f etta adoratrice del Padre.
• Mediante le nostre attività di ser•
vizio (promozione umana e cristiana,
amicizia gioiosa, impegno per i po-
veri), noi la costruiamo come co•
munità di amore, che vuole vivere
secondo l'unica Legge nuova di
Gesù.
• Mediante le nostre attività ,., te-
stimonianza in pieno mondo e di
impegno per i non-credenti lontani
e vicini, noi la costruiamo come CO•
munità missionaria, che aspira a far
giungere ovunque il Regno di Dio,
« Regno di gius tizia , di amore e di
pace 1> (liturgia).
, Da ultimo, mediante il nostro In-
serimento nel corpo della Chiesa lo-
cale fatto di membri diversi (cfr.
I Cor. 12), mediante il nostro ri-
sp etto dei diversi ministeri e doni o
carismi dello Spirito Santo, noi la
UN DONO PER TUT
LE CON(
Non si tratta di un documento da
le Idee-madri emerse dalla relazlon
studio. - Una speranza: che tutti
costruiamo come comunità orga-
nizzata e strutturata visibilmente,
la quale, sotto la responsabilità pri-
maria del vescovo e del sacerdote
e attraverso la nostra collaborazione
responsabile, programma e attua la
sua pastorale d'insieme.
5. Carattere salesiano della nostra
presenza e azione nella Chiesa locale
Compiamo quene attività cosi
diverse secondo la nostra vocazione
cristiana e salesiana, cioè secondo
lo spirito e il metodo di Don Bosco:
in primo luogo i giovani, e in modo
più ampio gli ambienti popolari. Ma
noi siamo ancora più particolar-
mente sensibili a quelli tra loro che
sono più poveri, di una miseria ma-
12

2.3 Page 13

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rI I COOPERATORI
LUSIONI
,rchivio. Le conclusioni riportano
. dalle discussioni e dai gruppi di
,;;entri le leggano e le discutano.
teriale e spirituale, che trovano dif-
ficile inserirsi nella società. In modo
del tutto particolare abbiamo preso
coscienza del nostro dovere di co-
noscere e di amare in modo efficace
i giovani lavoratori, quelli vittime
della droga e quelli che emigrano.
6. Il mantenimento dei valori sa-
lesiani: servizio che arricchisce la
Chiesa
Questa nostra attività suppone
in noi la preoccupazione di impre-
gnarci dei valori prnpriamente sale-
siani: la carità dinamica, l'accetta-
zione dello sforzo continuo, lo spi-
rito di famiglia, la gioia e l'ottimi-
smo, l'impegno permanente del-
l'unione, la preghiera semplice e
profonda, la ricerca della sola gloria
di Dio. Questi valori noi intendiamo
svilupparli non come una specie di
patrimonio di cui noi soli godiamo,
ma come un servizio e un dono fatto
alla Chiesa: con essi vogliamo con-
tribuire all'arricchimento e al bene
della nostra Chiesa locale.
7. Collaborazione in seno alla pa-
storale d'insieme
Riconosciamo pienamente i mo-
vimenti e i gruppi validi esistenti
nella Chiesa locale. Intendiamo col-
laborare lealmente e generosamente
con loro. Secondo le situazioni e le
opportunità, noi agiamo sia come
gruppo di Cooperatori costituito,
che mira alla coesione e al coordi-
namento secondo la pastorale d'in-
sieme, sia inserendoci direttamente
come singoli nei gruppi esistenti per
assicurare loro una presenza sale-
siana.
8. Rapporti con la gerarchia
In conformità con lo spirito sa-
lesiano, i nostri rapporti con la ge-
rarchia sono improntati a rispetto
affettuoso, a spirito di collabora-
zione pieno di iniziativa, ad elasti-
cità che sa adattarsi intelligente-
mente alle situazioni. Il vescovo e
il sacerdote della nostra parrocchia
trovano in noi diocesani e parroc-
chiani disponibili. In caso di con-
flitto, la nostra prima reazione è la
volontà di dialogo in vista di una
chiarificazione reciproca. Evitiamo
ogni forma puramente negativa di
critica e di contestazione. Con spi-
rito di fortezza, sappiamo pregare
e pazientare. E soprattutto cerchia-
mo di salvare insieme il nostro ser-
vizio salesiano, che riconosciamo
valido, e i valori dell'unione e della
carità senza i quali non si fa Chiesa.
In casi estremi rimane il ricorrere
al superiore competente.
9. Azione salesiana e Chiesa na-
zionale
L'associazione dei Cooperatori ci
apre alla prospettiva della Chiesa
italiana, quindi ad un orizzonte più
ampio della nostra Chiesa partico-
lare. Noi curiamo i rapporti tra i di-
versi centri a livello nazionale e gli
incontri. Vogliamo studiare quanto
possiamo fare a li,:ello nazionale per
essere utili ai giovani, e vogliamo
collaborare a questo riguardo con
altri organismi e con la Conferenza
episcopale.
10. Azione salesiana e Chiesa
universale
L'associazione dei Cooperatori ci
apre ancora alla prospettiva della
Chiesa universale, tanto per se stes-
sa (cì sono Cooperatori che lavo-
rano nei diversi continenti) quanto
come legata agli altri rami dell'unica
Famiglia salesiana (che opera in
tutto il mondo). Con tutti quanti
vogliamo avere dei rapporti di in-
formazione e di impegno per alcuni
obiettivi a raggio di Chiesa univer-
sale.
Nutriamo un affetto speciale per
il Papa in quanto è segno dell'unità
del Collegio episcopale e dell'unica
Chiesa universale.
Infine, in questo nostro vario
sforzo per costruire insieme la
Chiesa, ci è modello, guida e sprone
Colei che il Signore stesso diede a
Don Bosco come Maestra e Madre:
la santissima Vergine Maria, aiuto
di tutti i cristiani, Colei che Paolo VI
anche ha chiamato Madre della
Chiesa.
Roma-Frattocchle, 10 dicembre 1972
13

2.4 Page 14

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Punti fernli
SCELTE
IRRINUNCIABILI
E AFFERMAZIONI
DI FONDO
DELL'ASSOCIAZIONE
l'impegno che ha questo significato: il richiedente
dà la sua risposta alla vocazione che ha scoperto
e maturato (domanda per iscritto all'Associazione),
il Superiore e il centro lo accolgono nella famiglia
salesiana (consegna dell'attestato cli appartenenza).
L'età minima preferibile per essere Cooperatore
sembra sia, ordinariamente, quella dei 18 anni
compiuti.
A proposito cli gruppi giovanili è necessario
uscire dall' anonimato: si chiamano e sono Giovani
Cooperatori Salesiani soltanto coloro che sono for-
malmente tali, e quindi aderiscono alla linea apo-
stolica proposta dall'Associazione. Del gruppo pos-
sono far parte, temporaneamente, anche coloro che
aspirano e si preparano dichiaratamente a divenire
Cooperatori.
Sono state presentate ai _partecipanti ai due Convegni
dal Delegato nazionale don A. Buttare/li. - Costituiscono
il bi,nario su cui si muovono i Cooperatori.
Affermazioni di principio
L'Associazione Cooperatori è UNA. Il ramo gio-
vanile ne è parte integrante.
La missione giovanile e popolare è alla base del-
1'essere cooperatore e ne giustifica l'esistenza.
Il Regolamento cli Don Bosco è sempre il ter-
mine cli riferimento fondamentale, anche quando
si avrà il nuovo Regolamento.
Aspetti formativi nell'Associazione
Data per assolutamente necessaria una buona
formazione catechetica, che ogni centro deve cu-
rare, è ribadita la necessità di formare salesiana-
mente coloro che aspirano ad essere cooperatori e
coloro che già lo sono.
La conoscenza della vita cli Don Bosco, lo studio
del Sistema preventivo opportunamente esperi-
mentato, la lettura del « Bollettino Salesiano », lo
studio del tema annuale, sono traguardi essenziali
da tener sempre presenti.
Il Ritiro mensile è il momento forte nel quale
il centro sì rianima spiritualmente. Ogni Coopera-
tore deve tendere a esperimentare, almeno perio-
dicamente, gli Esercizi spirituali.
La Liturgia eucaristica ben preparata e la possi-
bilità di accostarsi ai Sacramenti della Comunione
e della Penitenza, sono i doni che ogni centro deve
offrire ai soci.
·Aspetti associativi
11 centro è la base dell'Associazione. Gli altri
organismi e strutture sono al suo servizio.
Nel centro i problemi e i traguardi sono di tutti.
La corresponsabilità, che si esprime anche nella
elezione dei Consiglieri locali e ispettoriali, di-
venta un aspetto dello spirito di famiglia che ci
caratterizza.
Un conveniente periodo cli preparazione e di
formazione precede l'ingresso nella famiglia sale-
14 siana. Questo è reso evidente dalla cerimonia del-
la consegna dell'attestato ai nuovi Cooperat.ori,

2.5 Page 15

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DROGA PROBLEMA D'OGGI
PREVENIRE
PIU""' CHE
REPRIMERE
Do,1 Mario Picchi del Centro italiano
di solidarietà
<< •.. Spero in un dialogo molto
concreto, un dialogo che dovrebbe
consentire a tutti voi di sentirvi re-
sponsabilizzati in questo settore e
- ritornati alle vostre sedi - di
cominciare a vedere se potete fare
qualcosa e che cosa fare. Le cose più
importanti sono queste: è ora che
si finisca di "creare" la figura del
drogato. Qualche tempo fa a Roma
i giornalj saltarono fuori con questo
titolo: Delitto i11 via Nazionale: era
un drogato! Creiamo, e non mi pare
molto in sintonia col Vangelo, cre-
iamo delle figure prototipe che sono
poi quelle che ci consentono di emar-
ginare, con la coscienza a posto, un
sacco di persone: questo non mi
sembra cristiano. Se questo è cri-
stianesimo io lo rifiuto, e credo che
non lo sia perché un giorno leggendo
il Vangelo, incontrai una pagina
nella quale si diceva che un uomo
che andava sulla strada di Gerico fu
assalito, depredato, bastonato e la-
sciato per terra, e passò un sacer-
dote; andava a compiere una cosa
importantissima: a nome di tutto il
popolo andava a parlare con Dio,
andava a compiere il sacrificio nel
tempio... una cosa importantissima,
la più importante, perché Dio
che lo ha detto) viene prima Dio,
Signore di tutte le cose e poi vengono
le altre cose; quindi Dio che è crea-
tore; e questo sacerdote se non sj
è fermato, non è perché non ha vo-
luto fare un gesto pietoso verso
quella persona, ma perché ha fatto
un ragionamento logico; ha detto:
io devo compiere un'opera santa,
quella di offrire il sacrificio per il
popolo a Dio. È per questo motivo
che non si è fermato. E passò poi
un levita ed andava anche quello
per cose importanti; poteva essere
forse, al giorno d'oggi, un laureato
che andava a far scuola, un operaio
che andava a lavorare, un dirigente
d'industria che andava a guidare
l'industria: assegnamogli la fisionomia
che vogliamo.
E poi passò un samaritano: e ac-
cadde un fatto strano, che dal primo
momento in cui questo samaritano
si fermò, rinunciò a tutte le cose:
era comodo sulla sua cavalcatura e
dovette scendere; quell'altro era di-
steso per terra, dovette abbassarsi,
inginocchiarsi, forse sporcare il pro-
prio abito, forse anche in.;anguinarlo
con le prime cure, aprire la propria
borsa perché non si era fermato
nessun altro, c'era solo lui; quindi
aprì la propria borsa, non la borsa
di un altro, diede le prime cure,
poi mise quest'uomo sulla sua ca-
valcatura e lui andò a piedi; quindi
prima era comodo e dovette fare
delle cose scomode, e arrivando in
un albergo lo affidò all'al.bergatore.
E fece una cosa importantissima:
offrì la sua amicizia a quella per-
sona che era stata depredata, perché
garantì di tornare ancora. Non disse:
io ho fatto la mia buona azione,
me ne frego di tornare ancora, e
me ne posso andare. Disse: io tor-
nerò ancora. Lo dice il Vangelo:
garanti ancora di tornare a pagare
quello che c'era da pagare; ma so-
prattutto promise di tornare per po-
ter legare amicizia con questa per-
sona.
E il Vangelo ci chiama a questo.
Il Vangelo di Gesù dice che il Padre
che è nei cieli ci ha detto ad un
certo momento di amare Lui sopra
ogni cosa, ma poiché sarebbe stato
molto comodo amare Lui sopra ogni
cosa, cj ha dato il metro umano,
perché siamo non solo degli angeli
ma anche degli uomini, e ha dato il
metro per sapere se voi amate il
Padre che sta nei cieli: è la misura
d'amore che voi darete agli altri, e
i santi che noi prendiamo ad esempio,
sono proprio coloro che hanno sa-
puto amare moltissimo il prossimo,
senza fermarsi al prossimo, ma an-
dando a Dio attraverso il prossimo.
Ora io penso in questo momento
a tutti quei giovani che sono stati
assaliti sulla strada di Gerico da
questo fenomeno della droga che ha
dimensioni così vaste e che rischia
ad un certo momento di raggiungere
tutte le strutture. Lo dicevo al Card.
Dell'Acqua, il quale era sensi bilis-
simo a questo problema: che cosa
me ne importa di creare delle nuove
chiese, importantissime anche quelle,
quando quelli che domani saranno i
genitori di nuove famiglie, saranno
quelli che vivranno la società delle
larve, delle vittime di questa droga.
Questo è il vero sacrificio del tem-
pio per il Padre che sta nei cieli:
che ci fermiamo sulla strada di Ge-
rico accanto a questi nostri fratelli
che tendono una mano.
Allora, io penso che noi, come
cristiani, pur considerando che le
cause le motivazioni, sono •nolteplici,
pur ~cendendo anche a dibatterle
queste cause, a vedere come queste
cause possono essere studiate, indi-
viduate, rimosse (allora il problema
diventa politico), ecco, pur vedendo
queste cose dobbiamo sentirci chia-
mati proprio, anche, ad una grande
carità, ad un grande gesto di amore, 15

2.6 Page 16

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perché oggi nel 1972-73 vogliamo
essere moderni, e con la scusa di
essere moderni noi abbiamo cancel-
lato - ricordatevelo bene - ab-
biamo cancellato un po' quella pa-
rola: carità! per avere paura di im-
postare tutta la nostra fede sulla ca-
rità intesa come amore, la carità in-
tesa anche come gesto materiale. Oggi
noi parliamo di socializzazione, par-
liamo di società moderna, parliamo di
conquiste sociali: cerchiamo, invece,
di ricordarci che il povero lo avremo
sempre con noi, e chi è povero (non
c'è una chiesa dei poveri, ma una
chiesa per i poveri, una chiesa dove
i poveri possano trovare il loro spa-
zio e i giovani possano trovare il
loro spazio) deve i_ncc_:1trare ancora
il gesto di carità, il gesto di amore,
quando è necessario anche il gesto
di carità materiale. Troppe volte
se bussiamo alle porte dei nostri
cristiani, il gesto di carità non lo
incontriamo p1u, perché parliamo
tutti di giustizia, ma dimentichiamo
che la giustizia affonda le sue radici
proprio nella carità, nell'amore. Dob-
hiamo t0rnare un pochino a rive-
dere il nostro atteggiamento in que-
sto campo In un giorrdinc che io
vi lascerò, ahbiamo messo un;, f.-ase
che io ritengo molto importante:
"Un uomo quando non è amato
scappa l" Quando un uomo non è
amato fugge, e molti giovani sono
stati riconquistati alla società il giorno
in cui vivendo con altri giovani
hanno sentito ancora vivere questo
vincolo di carità e di amore. Per es-
sere pratici si può fare questo: co-
minciare a parlarne. e a parlarne
in forma intelligente, nella maniera
più esatta, più onesta, all'interno
delle scuole e collegando i genitori.
Oggi noi stiamo parlando un po' in
tutte le scuole d'Italia, corriamo a-
vanti e indietro, abbiamo creato delle
éq11ipes che operano in questo set-
tore; parlate nelle scuole ai genitori ,
[n scuole di 500 alunni convocando
i genitori, ne vengono solo 20-30-
+o-50, perché, ad un certo momento,
si lavora e non si ha tempo, si la-
vora e si è stanchi, a sera non si può
andare perché il giorno dopo bisogna
tornare a lavorare. Tutto questo la-
vorare a che serve quando il figlio
poi se ne va di casa, quando il figlio
poi si butta dalla finestra, quando
poi se al figlio gli offrite magari un
domani sicuro, ve lo rifiuta perché
non gli avete dato quello che cer-
cava, quello spazio nel quale avere
una propri;; presenza ? Dovrebbero
fare a pugni per venire a parlare, a
discutere di questo problema, e in-
vece non trovano il tempo, o ven-
16 gono molto in fretta ...
Allora com;nciamo a parlarne in
tutte le scuole, a parlarne ai gio-
vani, perché i giovani sono già in-
formati e molto più informati di
aItri (quindi non raccontargli delle
storielle) e farne parlare delle per-
sone qualificate. Quando vado a par-
lare nelle scuole mi porto un buon
medico qualificato in questo set-
tore, mi porto uno psicologo, mi
porto un giudi.ce del tribunale dei
minorenni, mi porto un sociologo.
Allora parliamo sotto tutti i punti
di vista. A proposito di libri sulla
droga che sono usciti, anche gli
ultimi, alcuni di professoroni ma-
gari mezzo profani .in questo pro-
blema: io li giudico dei trampolini
di lancio per della bella pubblicità
fatta sulla pelle dei nostri giovani;
delle speculazioni economiche, per-
ché ci vedo solo questo: gli autori
sono disonesti e purtroppo li co-
nosco quasi tutti, almeno quelli ita-
liani; ecco e in tutti vedo questa
grandissima disonestà, uno sfrutta-
mento di questa figura del drogato,
che poi è la fig1.1ra del giovane che
affronta un problema senza essere
aiutato da nessuno; e noi, come cri-
stiani, non possiamo rifiutare questo
aiuto, un aiuto responsabile. E dopo
averne parlato, cominciare a operare.
Noi abbiamo cominciato così a farci
un sacco di amici e poi a chiedere ai
medici: Sei disposto ad andare con-
tro la legge ? Allora mi dai tre cure
all'anno gratuite per questi ragazzi
senza denunce. Agli avvocati ho
chiesto: Mi dai tre difese all'anno
per ragazzi che sono implicati con
la legge? Agli psicologi ho detto:
Mi devi dare un aiuto e seguirmi
tre casi in un anno. Agli assistenti
sociali ho detto: Mi devi seguire
tre ragazzi in un anno. Discutere,
parlare, scrivere anche sui giornali
in maniera onesta, trattare a qualun-
que livello. Se gli uomini politici
vengono a romperci le scatole parlar
chiaro . Specialmente nei monasteri
di monache, appena prima delle vo-
tazioni vengono a parlare con la
superiora. Se ha bisognb di banchi
nuovi, vedrà che Li fare1m,; asfal-
teremo la strada, fuori dell'oratorio,
metteremo il disco che indica che
c'è l'oratorio, così le macchine
andranno più adagio, ecc. Insomma,
caro mio, che cosa hai fatto per i
giovani, come ti impegni per una
politica per i giovani, - perché
quello dei giovani è anche un pro-
blema politico - quali garanzie mi
dai? ed avere il coraggio onesto, il
coraggio di buttarli fuori dai piedi
questi uomini politici quando ven-
gono a chiedervi i voti. Buttarli
fuori dai piedi, perché devono es-
sere i nostri rappresentanti 1n Par-
lamento. Siamo ancora persone che
ragioniamo e che hanno il diritto
al voto, e questo diritto al voto non
buttiamolo via; facciamone vedere
chiaro il peso. Gli altri lo fanno
vedere chiaro il peso; facciamolo ve-
dere anche noi; affrontiamo il pro-
blema anche politicamente. Noi siamo
un'organizzazione: Centro Italiano di
Solidarietà. È w1'organizzazione apo-
litica, ho detto nel documento che
abbiamo mandato molto in alto; ma
pur essendo apolitici, aconfessionali,
non possiamo rifiutare la richiesta
di un'azione che è politica e confes-
sionale, perché fino a quando cia-
scuno di noi è una persona che
vive in una società, non può dire:
io non faccio politica. Anche non
facendo nulla, noi facciamo della
politica, la politica dello struzzo,
ma è una politica anche quella. Ri-
cordiamo: la storia ci insegna tante
cose, quindi nel campo della preven-
zione parlarne nelle scuole, farne
parlare con i giovani, trattarne sui
giornali locali in forma mtelligente;
nel campo della cura avere il co-
raggio di andare contro legge... E
poi gli insegnanti, madri e padri di
famiglia. Pure i genitori vengono a
dirmi: "Mario, aiutami a tirar fuori
i mtet figli". "Sl, ti aiuto, eccome!
Però sappi che da questo momento
ti ricatto, voglio la denuncia contro
gli spacciatori; io stesso rispondo
delle possibili conseguenze, non me
ne importa niente, ma faccio de-
nunce". E ai genitori che mi tele-
fonano quando vogliono, io mando
le denunce di tutta la polizia contro
gli spacciatori; sono severissimo;
tanto poi hanno i soldi per uscire
alla prima amnistia. E invece con-
tro i consumatori, contro gli assun-
tori, contro questi ragazzi che il più
delle volte hanno un tipo di espe-
rienza dalla quale vorrebbero uscire,
ecco, chiedo l'aiuto di tutti. Anche
proprio l'isp.!ttrice di polizia che è
venuta a parlare - mi pare - oggi
una delle collaboratrici più at-
tive) proprio questa mattina mi te-
lefonava e diceva: "Allora devo ri-
tirarla ?" "Sì, ritira 9uella denuncia,
perché purtroppo si e risolto il caso
in una forma molto tragica: ecco di
due sorelle, una s'è buttata dalla fi-
nestra stanotte, e quindi devi riti-
rare la denuncia perché quella fa-
miglia è già distrutta, cosa vogliamo
farne, buttarli nel Tevere?" Ecco.
Si sono mosse con altre persone per
poter interessare questa ragazza, per
poter riavvicinare la famiglia non da
poliziotti, non da pubblica sicurezza,
ma d.a mamme, molto umanamente.
Purtroppo vi devo dire non so, che

2.7 Page 17

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abbiamo u;,.a lettera del Vicario Del-
1'Acqu.a (quando era in vita) indiriz-
zata a tutti i parroci di Roma, e i
Parroci di Roma hanno risposto
l' 1 r¾ (di parlamentari hanno rispo-
sto il ; pensate: su 100 parla-
mentari hanno risposto cinque; ora,
fate il calcolo: abbiamo 960 fra par-
lamento e senato, mi pare...).
Alcuni parroci mi hanno messo
alla porta e mi hanno detto: "No,
tichità, per pregare sulle tombe dei
Papi, soltanto che poi non pagate
le tasse allo Stato. e anziché fare le
monache fate le serve, tutto bene...
Vi chiedo una cosa: salvate lo spi-
rito, datemi una camera: avete ma-
gari ottanta ca.mere sulla via Aurelia,
(se non lo sapete, per chi non è di
Roma, dal Vaticano all'Aurelia metà
case di quelle che vedete costruite a
destra e a sinistra, sono tutte di
vi chiedo una camera, una camera
delle ottanta che voi avete, vi chiedo
una suora per salvare lo spirito del
vostro Ordine!. ..
La sera quando faccio il giro sotto
i ponti del Tevere, o nelle grotte
del Pincio o nelle borgate, mi trovo
decine e decine di questi ragazzi che
mi dicono: Ciao, Mario, e si fer-
mano a fumare una sigaretta e
poi mi tocca dire: Ragazzo mio.
di questo problema nella mia · par-
rocchia non ne parli". All'Ateneo
Salesiano, grazie a Dio, dopo che
ne abbiamo parlato, i giovani si sono
mossi, hanno fatto qualcosa, non
molto, potreste fare molto di più...
E agli Istituti Religiosi che ho
impegnati a Roma ho detto: "Siete,
non so, dieci suore, avete un bel-
l'albergo, che voi chiamate pensione,
per ricevere i pellegrini che vengono
a Roma per vedere i Musei, le an-
ordini religiosi). Ho fatto il pelle-
grino, ho bussato a tutte le porte,
ho suonato tutti i campanelli: "Suora,
per piacere, superiora..." (quando
roi hanno ricevuto, perché non sem-
pre possono ricevere un prete che
magari non si presenta molto bene).
"Ma noi non possiamo, perché le
suore sono già affaticate, perché fanno
le serve, lavano i piatti, devono ri-
fare i letti a quella gente che viene
a pagare 3500 lire per notte". Ma
cerca di sopravvivere anche stanotte,
perché non ho un posto dove man-
darti a dormire, non ho mille lire
per portarti in una pensione e non
posso dire: Va' in quell'Istituto,
che c'è qualcuno che ti riceve...
Ma come sarebbe bello vedere il
samaritano in quel momento, come
sarebbe bello!... Avere il coraggio
di abbracciare gli altri quando ma-
gari forse non hanno lo stesso pro-
fumo che usiamo noi, magari non 17

2.8 Page 18

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si sono pettinati; non l'han fatt0
perché non hanno una casa, perché
per me è facile essere buono. Perché
la sera anche se torno a casa alle
due, anche se dormo quattro ore
su ventiquattro, io a qualunque ora
torno c'è sempre una suora che mi
aspetta, magari non scende, mi pre-
para una cena prima, non scende
però quando arrivo, accende una luce
perché capisca che c'è ancora una
persona sveglia, e se non tomo, te-
lefona a destra a sinistra a cercarmi,
çosa è successo, cosa non è successo...
E facile per me essere buono, per-
ché, anche se sono stanco, faccio una
bella doccia, dormo in un letto ma-
gari caldo, insomma mi trovo bene.
È facile essere buono, mi è facile
dire la Messa, è facile dire "questo
è il mio Corpo, questo il mio San-
gue", e dire: "Signore, quanto sei
buono, quanto sei grande". Perché
quando vado in giro c'è sempre
gente che mi vuol bene, che magari
ha anche piacere di stare con me.
Ma perché non stare una settimana
senza poterci lavare la faccia, senza
poterci cambiare la biancheria?...
Noi preghiamo perché Lui ci ha
detto: "Quando dovete pregare pre-
gate così: Padre che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome, tu sia
lodato sopra tutte le cose e dacci
un pezzo di pane quotidiano a tutti".
Noi abbiamo subito aggiustato le
cose e abbiamo detto: Un pezzo di
pane a tutti e "quod superest date
pauperibus": quello che avete in più
datelo ai poveri. È tutto sbagliato,
l'abbiamo aggiustato noi così. Quod
super est: ciò che è sopra il tavolo
per te; deve servire anche per gli
altri, ciò che serve a te. Se tu metti
una camicia pulita tutti i giorni,
devi considerare gli altri al tuo stesso
livello. L'amore che tu desideri che
altri diano a te, la stima che devono
a te, devi fare sì che gli altri la diano
anche a tutti gli altri, cioè questa
fratellanza, questo chiamare Padre
che sei nei cieli, mi dice io non sono
di più dell'altro, che siamo tutti
uguali. Noi ti vogliamo, Signore,
perché sei grande, per i doni che fai,
perché questo pane che invochiamo
sia per tutti e il pane non è solo
equelJo materiale, un pezzo di pane:
un sorriso, una stretta di mano,
è un dare calore, un amore, un voler
bene. Allora così si sente anche Dio,
se no siamo degli atei; siamo degli
atei perché continuiamo a dire che
crediamo in Dio e Dio non lo ve-
diamo mai. Continuiamo a dire che
crediamo in Dio e Dio non lo sen-
tiamo mai, e con Dio non ci par-
liamo mai e diciamo che Dio esiste
18 e non lo incontriamo mai. Ma dov'è
questo Dio se non riusciamo nem-
meno a vederlo e a sentirlo ? È questo
un gesto d'amore non fisico, questo
amore che deve traboccare dal no-
stro cuore e uscire da quel calice
e da quella Ostia che ogni giorno
abbiamo fra le mani o vediamo spez-
zare sugli altari. Allora ecco che il
problema non è più solamente il
problema della droga da affrontare
socialmente, politicamente ma di-
venta un problema personale. O-
gnuno deve affrontare l'incontro con
i fratelli a rischio di rivedere le bucce
del suo cristianesimo, perché stiamo
credendo solo a quelle cose che ci
fanno comodo.
M'interessa parlarvi di Maurizio.
Nel mio ufficio arrivano un sacco
di lettere, proprio tante tutti i giorni,
e un giorno c'era B anche Maurizio
che tra le altre cose mi faceva di-
sperare. E mi dice: "Ti aiuto". "No,
lasciami in pace" gli ho detto. Ha
preso una lettera e si è messo su un
tavolo vicino e ha scritto lui alla
persona che chiedeva qualcosa. Era
una ragazza che, come tante altre
ragazze, mi scrive: "Don Mario,
dimmi cosa posso fare". Maurizio
ha visto questo "cosa posso fare",
e ha risposto (ne leggo la risposta):
"Cara amica, è importante per me
e i miei compagni che tu faccia sa-
pere a tutti che nella nostra soffe-
renza (Maurizio oggi è maggiorenne,
è diventato maggiorenne all'hotel
'Regina Coeli': Regina Coeli è il car-
cere di Roma) cerchiamo un'appa-
rente felicità nella 'roba' che pren-
diamo. Ora ti domandi se la feli-
cità la si possa avere anche senza
droga. Può essere vero però in una
famiglia che ti ami veramente. (Mau-
rizio è uno di quegli 800 di cui ho
detto prima, che sono in stato di
abbandono, semiabbandono. Non sia-
mo riusciti né quando era minorenne,
né oggi, a farlo accettare dal pro-
prio padre. La madre non c'è). Ma
ciò non accade per tutti; infatti, ad
esempio, ti porto il mio paragone.
Non sono certo di esistere per un
atto d'amore dei miei genitori, ma
probabilmente sono stato indeside-
rato. Ora sai tu dirmi se io posso
essere felice ? Sono un essere umano
'perduto', perché quello che ho sof-
ferto nella mia vita, non lo dimen-
ticherò mai più. Un giorno ero su
un autobus e vidi una mamma che
faceva felice il proprio figlio. Mi
sono chiesto perché a me non è
stato dato l'affetto a cui avevo di-
ritto. Poi sono sceso dall'autobus e
mi sono messo a piangere come non
avevo mai pianto in vita mia. Quello
è stato il primo passo verso la droga.
Ora se vuoi veramente aiutarci, parla
col tuo gruppo di amici e fate che
ci sia più amore verso quelli che
non lo hanno ricevuto. È un diritto
di tutti essere amati. Poi, se lo
credi, diffondi i volantini e aiuta-
teci a costruire questa casa che sarà
la nostra casa dove avremo qualcuno
che possa aspettarci la sera. E rac-
conta a tutti che per essere vera-
mente felici bisogna sapere amare.
Grazie. Ciao. Maurizio":'
E pens3te che dalla lettera di Mau-
rizio è nato un gruppo che proprio
a Modena ha creato un centro per
questi ragazzi. E poi c1è un'altra
lettera: "Caro don Mario, per lei
questa sarà una delle tante lettere
che riceverà giornalmente; ma per
me il fatto che io le abbia scritto
ha ben altro significato. Ho dicias-
sette anni, sono bionda, carina; il
mio ragazzo ne aveva diciannove ed
era meraviglioso. Poi la droga me
lo portò via; quando i suoi seppero
che si drogava lo cacciarono di casa;
lui prima si rivolse a me, poi si
gettò sotto un treno. Ho voglia di
morire, forse anch'io finirò la .mia
vita sotto un treno se nessuno mi
aiuterà. I miei genitori non sanno
nulla, solo ieri mia madre mi chiese
perché il mio ragazzo non si fa-
ceva più vivo; risposi di non sa-
perlo. Don Mario, li aiuti questi
ragazzi, li salvi, anche per le loro
famiglie e le loro amicizie I Ero la
migliore della classe: non riesco più
a studiare; forse non terminerò
l'anno, forse cambierò scuola, forse
mi ucciderò. Mi scusi. Soledad".
Un'altra brevissima e chiudiamo:
"Sono una mamma provata dal do-
lore di un figlio drogato e sull'orlo
della pazzia. Invio questo mio pic-
colo contributo perché il Centro Ita-
liano di Solidarietà possa costruire
il 'Centro Giovane'. Vorrei che altre
mamme non provassero la mia sof-
ferenza. Dio vi benedica per quanto
state facendo per i nostri figli. Una
mamma". Io vorrei che questa mam-
ma potesse benedire tutti voi. Dio
vi benedica per quello che state
facendo. Voi siete Cooperatori Sale-
siani: voi potete avvicinare tanti gio-
vani, stringere una mano, donare un
sorriso e forse aiutare in un momento
di nebbia, illuminare la strada ad
un mgazzo che non sa che strada
prendere, forse anche con la testi-
monianza vostra personale, creando
là dove sia necessario, proprio una
barriera. Che la vostra sia una te-
stimonianza cristiana e che veda
un'azione coerente e intelligente per
arginare questo male che ormai ha
invaso tutti e ci ha coinvolti tutti.
E con questo ora vi saluto ».
(8 dicembre I972)

2.9 Page 19

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TESTIMONIANZE
IMPEGNATI
TRA I
GIOVANI
Un campo di lavoro che ci è connaturale:
l'Oratorio
Salvatore Mobilia (27 anni - professore - Catania)
<< ... Son quasi ventitré anni che sto in un oratorio:
la prima parte fino a tredici-quattordici anni quasi
esclusivamente "assorbendo"; dai quattordici-quindici
anni in poi cercando di dare quanto più possibile per-
ché credevo e credo tuttora nell'importanza dell'Ora-
torio soprattutto oggi. Il nostro oratorio è molto pic-
colo: un cortile di 30 metri per 15, un ambiente molto
scarso con pochi locali a disposizione, un teatrino di-
screto, deUe sale - quattro o cinque - e un sacco
di ragazzi. La posizione dell'oratorio: è situato nel cuore
della vecchia Catania, e quincli i ragazzi del popolo,
e vicino a questi, i ragazzi più grandi, e, vicino a questi
ancora, dei professionisti, professori di università, in-
segnanti di liceo, ecc. Tutti quanti in questo ambiente,
tutti quanti una famiglia. L'oratorio lo volevano chiu-
dere quando la scuola (faccio questa premessa perché
mi sembra importante) quando l'istituto salesiano fu
trasferito in locali più moderni, in locali situati in una
wna di Catania nella quale potevano affluire ragazzi in
maggiore quantità. Noi ci siamo battuti perché l'ora-
torio restasse: l'abbiamo ottenuto; l'ispettore don Ver-
decchia ci comprese e capl l'importanza di quell'ora-
torio situato in quella zona, e è rimasto. Un solo
salesiano che fa il salesiano (riunioni, confessioni, messe,
comunioni, bada alla parte spirituale) e un gruppo di
giovani che bada a tutte le altre attività. Possiamo dire
che l'oratorio per quanto riguarda le attività viene
portato avanti dai giovani Cooperatori.
Noi ci rivolgiamo verso i giovani, verso le famiglie,
verso l'ambiente, verso la nostra città, dando la nostra
piena disponibilità. Qui non voglio vantarmi: voglio
soltanto dire e precisare come stanno le cose lì. Siamo
dell'opinione che oggi i giovani hanno bisogno di atti-
vità ben organizzate per restare in un ambiente. I gio-
vani non credono più al campionato anche perché
Catania è la seconda città dopo Roma, mi pare, ad
avere il maggior numero di squadre giovanili di calcio,
pallavolo, pallacanestro: circa 18o squadre allievi e ju-
niores, una novantina di squadre di categoria, ecc.
l1Il1llaginatevi il gran numero di ragazzi... Queste atti-
vità, debbono avere un significato, e lo diciamo ai ra-
gazzi perché finito l'anno di attività non vadano· via,
ma restino; perché questi ragazzi debbono capire, (e
noi lo diciamo continuamente e tutto l'ambiente lo
dice) che queste attività sono semplici attività ma dietro
l'attività c'è un profondo significato, il significato del-
l'oratorio. Diciamo ai ragazzi che noi vogliamo offrire
una proposta, una proposta di vita umana, uomo nel
vero senso della parola, cioè una persona che ha fatto
delle scelte e le segue, e una proposta di vita cristiana,
cioè di un uomo che ha conosciuto il cristianesimo,
lo sceglie e lo vive.
Come attività offriamo, oltre alle normali attività
sportive, di categoria lega giovanile, fatte a un certo
livello, con una certa serietà e impegno, da persone che
hanno anche frequentato dei corsi, diamo altre atti- 19

2.10 Page 20

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vitJi. che possono, oltre che essere gratuite, essere for-
mative. Oltre ai normali giochi dj sala, facciamo del
teatro, (da otto anni abbiamo un teatrino di 200 posti),
del cineforum fatto in una certa maniera, con persone
qualificate, che vengono a fare delle discussioni sui
film; facciamo delle serate per le famiglie, (diamo
una grande importanza alla famiglia nel nostro ora-
torio, non possiamo noi dare una cosa nel nostro am-
biente e poi questi giovani ne ricevono un'altra nel
loro ambiente, l'ambiente della scuola, della famiglia).
È difficile arrivare all'ambiente della scuola, nella sua
globalità, anche perché i ragazzi provengono da mol-
tissimi istituti ; possiamo però arrivare alle famiglie,
proponendo delle serate esclusivamente per loro. Le
occasioni sono la festa della mamma e la festa della
famiglia, che celebriamo ogni anno. In queste occa-
sioni cerchiamo di dare uno spettacolo teatrale, soprat-
tutto di rivista, in cui vengono impegnati quanti più
giovani possibile, ragazzi anche; facendo cosi vengono
le famiglie, per vedere i ragazzi in teatro; facciamo
precedere il tutto da una conferenza, da un dibattito.
a seconda d.:i casi, tenuti da persona qualificata. (Pro-
prio oggi si terrà a Catania un'operetta) fatto in una
certa maniera, perché altrimenti le famiglie poi non
vengono più; insomma un qualcosa di veramente ben
fatto. Le famiglie vengono volentieri; e prima di questo
si cerca il contatto personale con le famiglie, e si cerca
di dire una cer1a parola da qualcuno preparato. Cer-
tamente dobbiamo essere disponibili. La nostra dispo-
nibilità è di tutti i tipi: facciamo di tutto, dal pittu-
rare le pareti, aJl'impi~nto di luce, allo scopare la sala,
al pulire il cortile, nei preparare il teatro, non so, in
tutto quello cl.te può servire. Non abbiamo delle per-
sone che facciano pulizie; in quell'ambiente dobbiamo
fare tutto noi praticamente, anche in un piccolo bar a
prezzi molto molto modesti ecc. Una disponibilità
piena, totale per quell'ambiente, perché crediamo nel-
l'oratorio; una disponibilità durante il periodo quaresi-
male, per il catechismo, con notevoli sacrifici, una di-
sponibilità soprattutto di presenza, di contatto con i
giovani... ».
una lettura biblica. Questo mi sembra già una cosa
buona tanto per partire, diciamo cosl, per avere questi
ragazzi: ma prima di arrivare n questo ho cercato di
sensibilizzare i colleglù, specialmente i giovani ... e ,i
assicuro che questo ha servito moltissimo per quello
che in modo particolare è avvicinare i giovani exallievi,
cioè tener vicini, creare una piccola "unione" anche se
non è un'unione, diciamo cosi, con il carisma che h:.1
la normale "unione" degli exallievi, che sono stati
nelle scuole di Don Bosco... Riesco tutti gli anni a
passare nei vari paesi, ,·ado sempre e cerco proprio di
farlo per unirli. Li unisco sempre una volta l'anno
perlomeno, caso mai in occasione della sagra, per par-
lare loro ancora, per tenerli uniti, diciamo così, per
parlare loro dello spirito cristiano, di quello che avevo
insegnato, per richiamarli agli insegnamenti che hanno
ricevuto, e poi per invitarli in modo particolare alla
festa degli exallievi dove cerco sempre di accompagnarli.
Come faccio a tenere uniti anche quelli che ormai
sono da cinque o sei anni exallievi ? Con lo scrivere
loro: per esempio quando ricorre la festa onomastica
mi ricordo di tutti, perché ho l'elenco... Se è il caso
di incontrarci cerco di invitare altri, per fare una pic-
cola festa, così senza tante cose, ma intanto ci si unisce,
ci si avvicina e ho sempre modo di poter parlare loro,
di tenermeli vicini, di conoscere tante cose e mi ,en-
gono ancora a trovare... •·
Cooperatori in.segnanti nelle scuole statali
Curate i vostri exallievi
Odd1110 Denti ( Insegnante in pron ncia di Reggio Emilia)
«Sono stato invitato già in altre occasioni e in modo
particolare questa volta, a parlare del mondo della scuola.
Sono insegnante nelle scuole governative e vorrei dirvi
di una esperienza che mi è sembrata abbastanza valida,
fatta da me appwlto nella scuola, e questo lo vorrei
dire ai giovani colleghi che domani saranno nel campo
della scuola. L'esperienza nella scuola ch'io riferisco
riguarda in modo particolare gli ex.allievi, i miei ex-
allievi, sia quelli che ho indirizzato ad istituti salesiani
(ne ho una quarantina coi quali ho continuamentè
relazione di amicizia epistolare, siamo vicini, ci tro-
viamo insieme una, due, anche tre volte all'anno), sia
gli altri miei exallievi, cioè quei ragazzi che non hanno
conosciuto istituti salesiani, che conoscono solamente
la scuola governativa. Tenerli vicini e lavorare con
loro, per poterli avvicinare e far loro del bene... Guar-
date: proprio dall'anno scorso ci riuniamo nella chiesa
di Correggio. Io sono di Reggio Emilia; Correggio è
una cittadina che conta 22.000 abitanti; comunque
vi è ogni ordine di scuola, un centro abbastanza po-
poloso, e poi nel campo dell'industria molto sviluppato.
20 Tutte le manine ci raduniamo per leggere i salmi e
Eugenio Di Moio (sedici anni, Rom.a).
Per confermare ciò che ha detto stamattina il
prof. Denti devo dire che qui a Roma è stato costi-
tuico un gruppo dalla insegnante Paolinelli, la quale,
comprendendo le difficoltà della gioventù d'oggi, ha
richiamato a i suoi antichi alunni per poterli riu-
nire sotto il teno, diciamo, che si forma nel nome
di Don Bosco. Questo gruppo, è nato dall'unione di
questi ragazzi e di queste insegnanti; si è poi trasfor:
mato in un legame più ampio che coinvolge ora motu
ragazzi che noi avviciniamo ogni mese per mez1,o di
un incontro nel quale trattiamo problemi di spiritua-
lità, frapponendoli al momento ricreativo e sportivo.
Un'occasione che noi abbiamo in più ogni anno per
avvicinare questi ragazzi è quello dell'"Oscar Don
Bosco", una gara di quiz sulla vita di Don Bosco. Per
mezzo di questa manifestazione che organizziamo ogni
anno portiamo avanti questo discorso. Il mio è solumo

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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un appello a quelli che sono gli insegnanti qui pre-
senti, a provare anche loro a formare dei gruppi simili
a questo... perché si possa portare avanti il discorso
educativo salesiano».
Preparare il matrimonio
,\\lassimo Di Giorgi (coniugato, trentacinque anni, Roma)
« ... Avere coscienza che nel cristianesimo, per chi
è chiamato al matrimonio, si cammina mano nella
mano, in due persone. Questa è una prospettiva che
penso che il giovane cooperatore deve assolutamente
avere, anche se il problema può non riguardarlo diret-
tamente. Accennavo ail'équipe Notre Dame. Noi sposi
ci riuniamo nelle case insieme ad un sacerdote; met-
tiamo in comune i nostri problemi, tentiamo di risol-
verli - perché in più persone le cose si vedono meglio
che in due - e anche nell:!. vit:: pratica cerchiamo di
crescere cristianamente. Questa può essere anche una
proposta valida a livello di giovani più o meno fidan-
zati, più o meno direttamente interessati in questo
problema. Io penso che potersi vedere, formare delle
piccole comunità, affrontare dei problemi anche se
sembrano distanti nel tempo (anche se poi sono meno
lontani di quanto sembrano) impostati nello spirito
di Don Bosco essenzialmente, vedere il problema dei
giovani - giovani che si preparano al matrimonio -
che possiamo essere noi, che pos:iono essere persone
che stanno accanto alla nostra parrocchia, nella chiesa
locale, in particolare domani, ecco, cosl preparati, po-
tranno dare una mano ai sacerdoti della parrocchia,
nel campo della chiesa locale perché no, preparati
anche al matrimonio, così come vi siete preparati voi,
e collaborare coi corsi prematrimoniali, perché anche
il corso deve essere qualcosa di efficace, di efficiente.
Se trovate delle remore di alcuni che sono un po' esi-
tanti (possono esserci anche dei parroci, perché no,
che non vedono queste cose) fatele egualmente a ri-
schio vostro, per conto vostro: riunitevi, fate perlo-
meno qualche cosa, che il problema non passi inos-
servato; ponetevi dei problemi che rientrano nello
spirito di Don Bosco, per tornare al tema dei Coopera-
tori, ad esempio l'educazione da dare ai bambini che
verranno, l'impostazione pedagogica su cui marito e
moglie debbono essere d'accordo, come impostare il
matrimonio, incontrandoli su delle idee base e non
affidare determinati problemi poi all'improvvisazione.
Io penso che una preparazione al matrimonio sia ve-
ramente qualcosa di coscienza. TI matrimonio riesce
prima più che dopo. Penso che nel vostro ambiente
potete veramente far qualcosa quindi. come la sensi-
bilizzazione. Accennavo prima: ci possono essere delle
persone che non condividono l'idea di affrontare de-
terminati problemi. A voi sta il compito di sollevare
questi problemi quando non sono sentiti, problema di
cooperazione, cioè cbre anche una mano, nei vostri
limiti, a organizzare determinate cose, a fare sì che
riescano, che siano curate. Perché, guardate, che una
preparazione fatta male è peggio di una preparazione
non fatta, perché le cose non vanno improvvisate.
Darsi da fare per trovare delle persone che possono,
intervenendo in questi incontri, dire la loro in maniera
attuale, moderna, costruttiva.
Un domani, quando sarete sposi, non dovete buttare
a mare tutto questo lavoro che avete fatto, non do-
vete accantonare la vostra vita cristiana; è proprio
che comincia a vedersi se quanto prima era essenzial-
mente una carica ideale, aveva anche un qualcosa, un
substrato che vi aiutava. Personalmente, nei primi
tempi della vita matrimoniale, ho cominciato allora a
capire cosa significava essere cristiano, in questo caso
essere anche un cooperatore, che si pone determinati
problemi, aiutare anche il sacerdote: io e mia moglie
oggi siamo impegnati nella chiesa locale, stiamo pre-
parando le cresime, tutti e due, con due bambine pic-
coline. Una cosa un po' assurda, però non ci siamo
sentiti di tirarci indietro. Nella Chiesa locale abbiamo
altre iniziative, altri compiti. Stiamo studiando il modo
di come preparare il matrimonio nella parrocchia, i bat-
tesimi, le comunioni. Il laico oggi ha una parte essen-
ziale in ciò. Questo che vorrei dirvi è che la vostra
attività di cooperatori in aiuto alla chiesa locale non è
opera da singoli, avverrà in coppia, con la vostra fu-
tura metà, anche se magari non vi siete conosciuti in
ambiente salesiano.
Il mio è, ripeto, un ringraziamento a Don Bosco per
avermi fatto respirare il suo spirito, e poi un invito
a voi di farvi promotori di qualsiasi iniziativa che possa
veramente portare voi ed altri, domani, ad un matri-
monio riuscito •>.
Anch'io all'oratorio con altri giovani cooperatori
Gùwrlaudio Galaioli (univers1tano, ventidue anni, Roma)
«La mia esperienza è nata nel seno di un oratorio
salesiano quello del S. Cuore in Roma, vicino alla
Stazione Termini. Quindi si fa presente subito ai vo-
stri occhi la situazione un po' critica di quella zona,
perché appunto alla Stazione Termini provengono da
tutte le parti d'Italia e soprattutto dal Sud, immi-
grati, ecc.; in essa vi sono alberghi e pensioni in quan-
tità; vicino poi c'è anche l'università. Vi dico tutte
queste cose per farvi capire che la gioventù in quella
zona è molto folta, è gioventù un po' diversa, sia per
tradizioni, sia per abitudini, ecc. Nel nostro oratorio
quindi si vengono a riversare moltissimi ragazzi di
tutte le età dai più grandi ai più piccoli. L'esperienza
dei Cooperatori in quest'ambiente risale a quattro
anni fa allorché vi fu il cambio del direttore di ora-
torio. li nuovo direttore si trovò in quel periodo in
u.na situazione molto critica, perché in quell'oratori~
erano rimasti soltanto ragazzi dai sei agli undici anni:
tutti gli altri spariti, non si sa proprio dove. Ovvia-
mente c'era stata la crisi dell'adolescenza e l'oratorio
non attirava più i giovani; e questo sacerdote era pra-
ticamente solo in quell'ambiente, benché in quella
zona vi sia un istituto e anche la parrocchia tutta sale-
siana, però diciamo, l'incarico all'oratorio era stato
dato soltanto ad un sacerdote, quindi potete immagi-
nare la difficoltà di una sola persona. l pochi grandi
che c'erano si radunavano insieme a questo sacerdote
e co•minciavano a discutere, un po' a fare l'esame di
coscienza, a chiedersi per quali motivi non c'erano
questi giovani alla parrocchia, e, ovviamente, i mo-
tivi più validi che sono usciti fuori erano questi: la so-
cietà cambiava, si evolveva in modo tremendo, andava
avanti velocemente, e purtroppo l'ambiente oratoriano
era rimasto indietro; quindi i giovani fuggivano questo
ambiente. Allora ci siamo messi al lavoro nel senso che
prima di metterci allo sbaraglio a cercare di attirare
i giovani nell'oratorio, abbiamo fatto una specie di pre-
parazione, ma non di preparazione tecnica, attenzione,
ma di preparazione spirituale, ossia noi stessi ci siamo
messi di nuovo a studiare il Vangelo. Quando. ad un
certo momento ci siamo sentiti un po' preparati e ab-
biamo capito veramente il messaggio evangelico, ab-
biamo fatto questa scelta: diventare Cooperatori sale- 21

3.2 Page 22

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siani, e con l'esempio e con la nostra attività siamo
riuscfri ad avvicinare quasi tutti i giovani della par-
rocchia, in modo tale che all'oratorio, poco a poco,
negli anni che seguirono fino ad oggi, sono ritornati
i mediani e i grandi. Infatti adesso abbiamo associa-
zioni di ragazzi di tutte le età dai più piccoli ai più
grandi, agli universitari. Ho fatto queste premesse per
far vedere che se in un certo momento ci sentiamo di
portare avanti un discorso ri--...is:::amo ad avere delle
buone soddisfazioni.
Noi giovani cooperatori siamo in dodici; eravamo
partiti in ventidue e siamo rimasti in dodici. Non per
questo dobbiamo dire che è un insuccesso, anzi è un
buon successo, perché siamo rimasti in dodici che
veramente si sentono di andare avanti; gli altri sono
rimasti nell'oratorio; ma lo hanno detto chiaramente:
fare questa scelta, diventare cooperatori salesiani, non
ce la sentiamo; perché non siamo portati a questo. E
così questi dodici giovani, ognuno rimanendo nella
propria esperienza personale (per esempio fra questi
ci sono ragazzi che amavano molto lo sport), ragaz;r,i
che si sentivano portati alla liturgia, ragazzi che sen-
tivano il bisogno di fare un corso catechistico, ebbene
questi ragazzi pur rimanendo in questo loro ideale
hanno aggiunto quello di cooperatore salesiano, ossia
rimanendo allenatori di pallacanestro non sono più al-
lenatori che badano solamente 21 risultato della par-
tita, bensì a preparare degli atleti ma degli atleti
uomini, non degli atleti che sanno far canestro e basta,
ma degli atleti che durante la partita si sanno com-
portare cristianamente, e se prima nelle partite si sen-
tivano molto spesso bestemmie, ecc., adesso con riu-
nioni formative e tecniche c'è una educazione, una te-
stimonianza che permette che quest'atleta ad un certo
momento, durante le partita stessa, sappia comportarsi
da uomo e da atleta e anche da cristiano.
L'oratorio è gestito pal'ticolarmente da noi giovani.
Il direttore serve da coordinatore e soprattutto da sa-
cerdote, ossia da ministro di Dio: celebrazione della
santa Messa, confessare, tutto quello che i laici pra-
ticam~nte non possono fare, ossia noi facciamo tutta
la parte che possiamo fare, e che non è indispensabile
o necessario che la faccia il sacerdote: dall'amministra-
zione economica all'amministrazione, diciamo, delle
Associazioni. Dirigenti delle associazioni, più o meno:
fare il catechismo, fare il doposcuola... Un universi-
tario cooperatore si occupa del doposcuola, per i ra-
gazzi più disadattati della parrocchia: tutti i pomeriggi
due ore. L'oratorio fa parte di noi stessi, però ci impe-
gniamo a dare una mano anche alla parrocchia... ,1.
D elinquenza mincrile. Bisogna fare qualcos a
per loro
Dott.ssa 1\\,/aria Falabella, 1spettnct dt polizia alla Que-
stura <li Rom.i.
<i . •. Sono un'ispenrice di polizia femminile con do-
dici anni di servizio. Ho svolto sette anni alla questura
di Bologna. Un'esperienza molto bella, perché mi sono
formata a contatto di rnnta gente bisognosa del mio
aiuto, e cosi ho potuto capire che al servizio di questa
gente che ci veniva a trovare in questura, c'era bisogno
di tanto amore e pazienza. Ognuno, finito il suo la-
voro, la sranchezza la mette da parte ed ha finito; per
noi non c'è mai orario, ovvero è stabilito un orario di
entrata e di uscita, poi quando all'ultimo momento si
presenta un minore o una donna con un caso urgente,
22 ci si toglie il cappotto e si dice: il buon Dio vuole che
io mi occupi di questo anziché dei miei familiari. Ai
miei familiari Dio ci penserà. E cosl ci siamo visti
impegnati moltissimo in questo lavoro, anche perché
in Italia non c'erano precedenti e non sapevamo fran-
camente come muovere i primi passi. Però io ho ca-
pito subito, dal primo ~omento, che la repressione
era sl necessaria, importante, però a reprimere siamo
tutti bravi, il difficile era prevenire: è la prevenzione
che costa veramente tanto sacrificio, pazienza, amore;
non ci sono limiti di orario, devi essere ad aspettare
e posso dire di aver avuto dei buoni risultati. Oggi
posso guardare un po' a quelli avuti a Bologna, perché
allora mi ero prefissato appunto questo programma:
non attaccarmi al risultato. Facevo tutta la mia parte,
sapevo che io avevo ricevuto e dovevo dare; dovevo
dare perché da piccina ero cresciuta orfana di padre,
e mia madre era iscritta all'azione cattolica, quindi
avevo sentito tante cose che i giovani, che passavano
in questura non avevano sentito: l'amore di Dio, l'a-
more del prossimo, l'amore dei genitori, l'amore degli
insegnanti. Tante cose belle, ed infatti vedevo che
c'era tanta carenza affettiva sotto molti punti di vista,
ed allora presi a dare quello che mi era stato dato,
perché se l'avessi tenuta dentro di me la fiammella
si sarebbe spenta facilmente, e così mi sono dedicata
ampiamente alla prevenzione.
I ragazzi, pur essendo reticenti all'inizio, però riu-
scirono ad aprirsi, e potevo risalire alle cause delle
loro crisi, di quella loro fuga. Allora chiamavo i ge-
nitori e vedevo se si potevano tamponare quelle falle .
Se c'era una questione morale li richiamavo al senso
del dovere, della responsabilità. Se c'era mancanza di
lavoro, mancanza di quattrini, mi davo da fare...
... Noi non possiamo entrare in nessuna casa senza un
mandato, ma l'assistente sociale o il cooperatore sale-
siano può entrare, può avvicinare. ... Allora mi resi
conto, e qui la difficoltà, che da sola, nonostante quei
bei principi, avevo bisogno di gettare le reti. E via
allora a parlare alle assistenti sociali, alle assistenti sa-
nitarie, perché tutte potessero sapere che cosa si pre-
figgeva la polizia femminile, per poter fare veramente
del lavoro sensato, opportuno, efficiente, e così si sono
fatte parecchie cose...
Quella che più fa pena è la famiglia, perché laddove
si è abituati a veder la concordia fra i genitori, difficil-
mente la si può trovare, almeno in quei casi che ca-
pitano a me; magari in questura mi potessero capitare
famiglie belle e buone, che si amano, oh che vita glo-
riosa sarebbe! E invece dalla mattina alla sera sono
casi pietosi. .. Dopo dodici anni dovrei, come minimo,
essere in crisi anch'io; non lo sono perché spero, spero
sempre che il buon Dio ci deve per forza venire in-
contro... Non sempre la polizia femminile riesce a sa-
pere· tante cose, ecco perché si ha bisogno di tanti
Cooperatori e collaboratori. fo che mi sono messa
in testa di agire, non dico esclusivamente ma princi-
palmente, per la prevenzione, molto spesso arrivo a
vedere delle situazioni dove non è più possibile agire
per la prevenzione, ma bisogna appunto agire per
la repressione: il che è molto penoso. Perché se fossimo
arrivati prima, in tempo, avremmo salvato molte si-
tuazioni. Poi non parliamo della faccenda della droga,
che li ha resi addirittura inebetiti. Mi rifaccio appunto
a quel ragionamento che facevo prima: dodici anni
fa il colloquio con i minori era difficile, ma non tanto.
oggi è difficilissimo...
Ma tra tutti questi ragazzi che fuggono d: casa.
molti ce ne sono anche di generosi. Ne abbiamo di
cattivi, ma hanno bisogno di essere amati veramente... n.

3.3 Page 23

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LA VOCE
DI GIOVANI
COOPERATORI
OPERAI
Roberto (Yenticinquc anni, meccanico, provincia di
Isernia).
<< •.. Non aspettatevi un discorso, perché non ne sono
all'altezza. Io vi porterò la mia esperienza di giovane
operaio, anche se da poco tempo lavoro alla Fiat di To-
rino: tre mesi soltanto. Per la prima volta mi trovo
nel mondo del lavoro: vi si trova una grande di,,fficoltà.
Io vengo dal Sud, dal Molise. Sono andato a lavorare
a Torino, con molti amici molisani, una cinquantina,
però ci siamo trovati soli lì, senza nessun appoggio
morale che ci avrebbe sollevato un po'. Ecco, andare
in un paese per sentirsi male... noi meridionali - penso
che sia un po' il problema di tutti - ci troviamo un
po' in difficoltà, la mentalità è diversa. Se ci fosse stato
qualcuno che ci avesse aiutato, ci si sarebbe trovati
molto meglio. Poi nel mondo della fabbrica, nel vero
mondo del lavoro: è tutta un'altra situazione che ci
mette in crisi veramente. È come una macchina, una
macchina granciissima, e gli uomini non si riconoscono,
proprio non s1 distinguono dalle macchine che lavo-
rano.
Non c'è chi ti aiuta, ti senti solo, non so, ti trovi
davanti a queste difficoltà, non puoi nemmeno esple-
tare il tuo modo di essere, di fare: cioè essere Giovane
Cooperatore è molto più difficile; prima si è par-
lato del Giovi:ne Cooperatore che si trova a lavorare
solo nella parrocchia; Il altro che Parrocchia! là non
c'è proprio la Parrocchia, se ne sentono di tutti i
colori, la decenza sembra che non ce l'abbia nes-
suno... ».
Gianni (ventisei anni, operaio meccanico, Car,l:ari)
«... Voglio riallacciarmi ad una frase che ha detto
Roberto: "Non c'è nessuno che ti aiuta". Mi sono
trovato a Porto Torres, in Sardegna. A Porto Torres
c'è un grosso stabilimento che è sorto circa dicci-do-
dici anni fa; mi sono trovato a contatto con dei ra-
gazzi e ho parlato loro dello sfruttamento che si ha.
Ci si è trovati poi a scoprire di avere dei punti in co-
mune. Pensate un po'. Uno di questi faceva parte di
una comunità. Cioè questo conoscerci, farci conoscere
con il nostro modo di essere, con il nostro modo di
fare, di co,mportarci, così semplicemente e avendo a
fianco i colleghi, fa nascere il discorso e poi ci si scopre
effettivamente ciò che è l'uno e ciò che è l'altro. Vorrei
chiedere a voi amici che - essendo studenti oggi -
forse sarete domani a dirigere: come diceva Roberto,
farebbe piacere incontrare un dirigente che vedendoti
af:aticato, stanco, ti dicesse: "Ehi, amico! ciao, che fai?"
Lo si capisce subito che questo è uno spaesato, è uno
fuori dal mondo da dove era venuto, e piano piano
cerchi di introdurlo, così... Volevo poi dire anche
questo: qaanto sarebbe utile per molti giovani se ci
fosse un collegamento tra Cooperatori del nord o di
qualsiasi altra parte (dato che c'è il MEC), e questi
paesi che sono un po' sottosviluppati, queste regioni,
dove l'emigrazione è maggiore. Ci sono questi nostri
cari amici che vanno a lavorare fuori: se si facesse co-
noscere a quelli che sono nel nord, presentarli, ecc.,
in modo che quando arrivano trovino chi li accolga,
chi li inserisca in quel nuovo mondo, perché è vera-
mente un nuovo mondo•>.
Pasquale (ventidue anni, manoYale, Reggio Calahria)
<< Sono <lella Calabria. Entrando nel mondo del la-
voro ho incontrato difficoltà che sono dovute a motivi
che senz'altro voi tutti conoscete ed è quindi inutile
che stia qui a ricordarli. Comunque voglio ricordarvi
che l'operaio è anche una persona umana e quindi
degna di rispetto... lo mi rivolgo a voi, miei amici, che
siete le nuove leve; mi rivolgo agli studenti, ai lau-
reandi, ai laureati che occuperanno e stanno occupando
dei posti di importanza: cercate di aiutare questi lavo-
ratori, questi operai: sono anche 101·0 delle creature;
pen.,;ate che hanno avuto la sfortuna di nascere da fa-
miglie che sono in disagiate condizioni; insomma non
guardateli come se fossero all'ultimo gradino, non
guardateli dall'alto; e::· chiamo di instaurare con gli
operai un clima di serenità applicando lo spirito sale-
siano•>.
Tarcisia (trent'anni, operaia a lla Fiat, Tori no)
1< ... Questo l'ho provato personalmente io. Piano
piano, da persona molto semplice quale ero, per la
fiducia delle persone che lavoravano in reparto, sono
arrivata ad essere rappresentante sindacale; però ad
un certo momento, per una crisi di coscienza, ho dato
le dimissioni dal sindacato, perché mi costringevano
a dover dire delle cose che non erano vere; siccome,
prima di tutto, sono un'operaia, mi rifiutavo di usare
un certo linguaggio, cioè di convincere della gente di
quello di cui non ero com·inta io. lo non lo faccio, di-
cevo, perché allora non parlo col cuore, ma parlo sol-
tanto a parole, e di parole ne sentiamo già troppe...
... Però se quando voi siete sedute in un conteni-
tore, che contiene magari 1500 pe.zzi di marmitte e
aspettate che vi vengano a dare il cambio, e state fu-
mando Lllla sigaretta, qualcuno viene vicino e dice:
"Senti, ho sentito quell'assemblea, ecc. Cosa ne pensi
tu?" Allora hai la possibilità di dire il tuo parere,
non hai bisogno di parlare di Gesù Cristo; però se tu
hai una cena educazione e parlerai in una certa maniera,
sì che loro riescono a capire che sei diversa dagli altri...
Non è che io abbia aiutato gli ?Itri, sapete: sono
loro che hanno aiutato me a superare una crisi tremenda,
perché mi sentivo sola e inutile: mi !>anno fatta sen-
tire utile e quello che dovete fare è mettervi in posi-
zione di servizio, non dire, beh, io faccio qualcosa
agli altri; va bene, io faccio qualcosa agli altri, perché
loro fanno indirettamente qualcosa per me, perché se
voi andate da un operaio e gli dite: "Guarda che io sono
venuta ad insegnarti questo o altro", lui dice "Ma
senti, caro, va' un po' a lavorare come faccio io, poi
vedi cosa vieni ad i!lsegnarmi".
Se voi avete, non so, dei gruppi, questi ragazzi po-
tranno portarvi i loro amici: sapete, i compagni di
lavoro è difficile che voi potete avvicinarli, è tutto un
ambiente diverso, un discorso diverso... Senza volerlo,
quando usate un certo linguaggio, specie gli studenti,
con certe metafore che noi non comprendiamo, voi
li tagliate già fuori, magari LO buona fede ... ».
23

3.4 Page 24

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Spedlz. in abbon. postale - Gruppo 2° (70) - 2• quindicina
BOLLETTINO SALESIANO
Si pubblica li 1dsl mese per /a Famlgl/a Sa/ssiana; Il 15
del mese per I Dirigenti dei Cooperatori
S'invia gratuitamente ai Cooperatori, Bene-
meriti e amici delle Opere di Don Bosco
Direzione e amministrazione: via Maria Au-
siliatrice, 32 - 10100 Torino - Tel. 48.29.24
Direttore responsabile: Teresio Bosco
Redazione: Armando Buttarelli
Autorizz. del Trib. di Torino n. 403 del 16 febbraio 1949
Per Inviare offerte servirsi del C. c. Postala n. 2-1355
intestato a: Direz. Generale Opere Don Bosco Torino
Per cambio d'indirizzo inviare anche l'indirizzo precedente
IN TERRA SANTA
PER LA PROSSIMA
PASQUA
(aereo dal 17 a 23 aprile)
Itinerario
Roma - Nazareth - Tabor • Cana -
Lago di Tiberiade - Cafarnao - Monte
delle Beatitudini - Emmaus - Nablusa
- Gerusalemme - Betania - Gerico -
Mar Morto - Atene - Roma.
Momenti forti di vita spirituale
Ritiro spirituale al Monte Tabor
(pomeriggio del mercoledì).
Giovedl Santo: Solenne celebra-
zione eucaristica.
Venerdl di Passione: Via Crucis
predicata per la Via dolorosa. Ore 15:
sul Calvario.
Sabato Santo: Solenne Veglia
della Resurrezione.
Giorno di Pasqua: Funzione al
Santo Sepolcr o.
Condizioni
Quota, comprensiva di ogni spesa:
L. 166.000.
Documenti: Passaporto indivi-
duale - Certificato internazionale di
vaccinazione antivaiolosa.
Sono particolarmente invitati
Consiglieri ispettoriali.
Informazioni, programma, e iscri-
zioni presso il proprio Delegato
ispettoriale.
Ogni visita a santuari celebri pro-
duce emozioni profonde; ma visi-
tare i luoghi ove "Il Verbo si il fatto
carne>>, nei giorni in cui tutto il
mondo cristiano celebra le solenni
liturgie pasquali, vuol dire entrare
in più diretto contatto con il mes-
saggio evangelico e viverlo con par-
ticolare intensità.
Il nostro vuole essere un vero pellegrinaggio, ed essendo effettuato nel periodo pasquale,
diventa un elemento di autentica formazione spirituale. Il contatto diretto con i luoghi santi,
mentre arricchirà la nostra cultura, ci aiuterà a capire meglio la Bibbia e particolarmente il
Vangelo. Per questo viene curata la preparazione remota al pellegrinaggio attraverso opportune
letture storiche e bibliche.
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