Bollettino_Salesiano_197301


Bollettino_Salesiano_197301



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BIllETTIN I SALESIAN I ORGANO DELLA FAMIGLIA SALESIANA
ANNO XCVII• N. 1 1° GENNAIO 1973
Spediz. in abbon. post. • Gruppo 2° (70) - 1• quindicina

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IN QUESTO NUMERO
2. Il Rettor Maggiore:
bilancio spirituale-apostolico
1972 e «Strenna 1973 »
5. Epistolario del Beato Don
Rua
7. Elenco completo delle rea-
lizzazioni 1972
8. Torino: 4 giornate per Don
Rua
12. Tra i «campesinos » della
Bolivia
16. Un bambino voleva morire
per Don Bosco
18. 500.000 Vangeli tra i gratta-
cieli di Tokio
22. Missionario a Parigi
26. Zefirino, ragazzo araucano
Rub riche
25. Educhiamo come Don Bosco:
«Aiutateli nell'adolescenza»
30. Nel mondo salesiano
31. Pubblicazioni Salesiane
32. Grazie per intercessione di
M. Ausiliatrice e dei nostri
Santi
34. Salesiani e Cooperatori de-
funti
35. Crociata Missionaria
In copertina
Il 1973 possa essere per tutti un
anno di pace: «Pace col Signore
(fa vera pace in terra I), pace col
prossimo, in cui vogliamo vedere,
con rocchio della fede, il nostro
fratello».
(Don Ricceri)
BOLLETTINO SALESIANO
Anno XCVII - N. 1 - Gennaio 1973
Direttore Responsabile
DON TERESIO BOSCO
Redazione
DON PIETRO AMBROSIO
DON CARLO DE AMBROGIO
Impaginazione
Luigi Zonta - Ufficio Tecnico SEI
Direzione e Amministrazione
Via Maria Ausiliatrice. 32
10100 Torino
Officine Grafiche SEI
ILRETTOR
GGIORE
Tre doni di grazia
Le pene e le prove
Il numero dei nuovi sacerdoti e dei novizi
Realizzazioni del 197:z,
• STRENNA 1973:
« La famiglia salesiana ritrova la vitalità delle
origllll impegnandosi a vivere un intenso
CLIMA MISSIONARIO»

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A tutti i membri della 1+,ami:g·Zia sw-1e.,,..;ana e a quant; ad essa sono a qualsiasi titolo vincolati
Carissimi,
Con la grazia di Dio eccoci al
nostro annuale appuntamento che ci
trova riuniti come ad un immenso
ideale incontro familiare.
Come sapete, questo incontro nel
quale colui che ha la più grande
r~sponsabilità della famiglia sale-
sta~ pres~~ta ad essa quasi un bi-
lanc.10 spmtuale-apostolico dell'at-
tività dell'annata, è una tradizione
creata da Don Bosco che si ripete
fedelmente ormai da un secolo.
Voi comprendete benissimo che
questa prassi è espressione e insieme
alimento di quello spirito che è una
delle componenti più caratteristiche
della nostra famiglia.
Che cosa vi dirò dunque a modo
di consuntivo del 1972?
Se è vero che questi nostri te,npi
non sembrano generosi di molte con-
solazioni, è pur vero che il buon Dio
non ci ha lasciato mancare motivi di
gioia e di conforto.
Tre autentici doni di grazia il Si-
gnor~ ci ha voluto elargire nell'anno
ormai tramontato; e di essi la nostra
famiglia tutta Gli è umilmente e sin-
ceramente grata.
Primo dono:
Capitolo Generale Speciale e
Rinnovamento
Ai primissi_mi ~ gennaio del r972,
esattamente 11 giorno 5, si conclu-
deva felicemente, qui a Roma il
nostro Capitolo Generale Speciale:
una lunga fatica cd uno sforzo straor-
di~rio -~ tutt~ la Congregazione,
re~zatt m ogru momento con l'oc-
~hio, ~a mente e più ancora il cuore
tntenti a Don Bosco e alla Chiesa
che ci aveva parlato attraverso il
Concilio. Il frutto di tanto appas-
sionato ed amoroso lavoro s1 sinte-
tizza in una parola, ma quanto mai
densa di vere ricchezze e di incisivi
impegni: Rinnovamento.
In sostanza esso vuol dire: la Con-
gregazione per essere fedele a Don
Bosco e alla Chiesa si vuole liberare
energicamente di tutto quanto ne
possa appesantire e svuotare la vi-
talità o spostare l'asse della mis-
sione che la Provvidenza le ha asse-
gnato.
Di più, con lo spirito di adatta-
im- mento ereditato da Don Bosco i
Salesiani, mentre con rinnovato
pegno si arricchiranno di quella au-
tentica, semplice, ma profonda ca-
rica _spirituale pr?pria dello spirito
sales1~no, con la dinamica e giovanile
audacta, con la creatività e dedi-
zione di Don Bosco si lanceranno
senza riserve e col cuore del Padre
al_ .servizio ~ot~le della gioventù oggi
prn che mal bisognosa di amore che
si dona e di quelle classi popolari
che furono sempre al centro degli
interessi pastorali di Don Bosco.
L'« Operazione Rinnovamento», co-
me ovvio, è di vitale importanza
~er 11 futuro della Congregazione, ma
si comprende pure quanto è com-
plessa e difficile nella totale attuazione
delle sue infinite implicanze.
Pe~ questo ogni nostra lspettoria
sta nprendendo le deliberazioni del
Capitolo Generale Speciale per stu-
diarne l'applicazione nella situazione
locale.
Tutta la famiglia salesiana è in-
teressata perché anche questa fase
dei lavori riesca positiva e feconda
di quei frutti che la Chiesa e la so-
cietà attendono dai figli di Don Bo-
sco. Aiutateci con la preghiera e
col consiglio; dateci fraternamente
la vostra mano in tutti i modi possi-
bili.
Secondo dono:
Centenario F.M.A.
Anche .la celebr~zione del primo
Centenano dell'lst1tuto delle Figlie
di Maria Ausiliatrice ci ha offerto
motivi di gioia e di riconoscenza a l
Signore.
Non solo, l'Istituto proiettandosi
nel nuovo secolo di vita che l'at-
tende, ha trovato stimolo di rinno-
y~t~ e~ efficace fervore per concrete
1ruz1at1ve, atte a rendere le Figlie
di Maria Ausiliatrice pronte e ade-
guate, sotto tanti aspetti, alle esi-
genze della loro consacrazione e del
loro peculiare apostolato per gli anni
settanta e per il domani che con
l'accelerazione della storia che vi-
viamo fa presto a battere alle porte.
Noi tutti, mentre abbiamo parteci-
pato con fraterno cuore alla gioia
dell'Istituto nelle celebrazioni cen-
tenarie, siamo lietamente ammirati
del fervore di iniziative che le hanno
contraddistinte, e formuliamo vivis-
simo l'augurio che il ritmo impresso
nell'anno Centenario serva a dare
rinnovato impulso e incisività alla
IVµssione dell'Istituto, quale frutto
di una consacrazione vissuta in con-
sapevole e generosa coerenza.
Terzo dono: Don Rua Beato
li terzo dono ci è venuto dalla
bontà del Signore nell'anno decorso
qua_si coronamento e sigillo degli
altn due: la Beatificazione di Don
Rua. Abbiamo ancora gli occhi e
più ancora il cuore pieni della gioia
luminosamente feconda vissuta nelle
giornate celebrative di Roma e di
Torino: giungono già notizie dai
vari continenti di celebrazioni a cui
partecipano con edificante fervore
tutte le componenti della famiglia 3

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salesiana che riscoprono in Don Rua
il secondo comune Padre.
Questo vivo interesse per la fi-
gura del primo successore cli Don
Bosco, che con la beatificazione è
venuto quasi a rivelarsi nella sua
forte e originale personalità e nella
ricchezza della sua santità tutta sa-
lesiana, è motivo di grande conforto
e di viva speranza per quel rinnova-
mento sostanzioso e costruttivo che
in questo momento storico è - e
deve essere - alla base delle preoc-
cupazioni e dei progetti della no-
stra Famiglia.
A tal fine sarà tanto utile appro-
fondire la conoscenza di Don Rua
(ha molto da insegnare alla nostra
generazione) e in pari tempo riflet-
tere sui preziosi ammonimenti par-
ticolarmente attuali e pertinenti che
Paolo VI con l'affetto di sempre ci
ha dato nell'omilia della beatifica-
zione. Mi sembra questo un modo
pratico perché la gioia della beatifica-
zione non si esaurisca in se stessa,
ma si prolunghi nel tempo.
Tre gravi perdite
Vi ho parlato dei doni che la
4 Provvidenza ci ha fatto nel 1972;
per essi noi tutti eleviamo la nostra
azione di grazie al Datore di ogni
bene. È anche vero che colle gioie
si sono frammiste le pene e le prove.
È la legge che accompagna il nostro
cammino. E noi l'accettiamo con
serenità e con fede, convinti che
anche la mano che ci prova è sempre
quella del Padre che ci ama.
Abbiamo pianto in pochi mesi la
perdita di tre Vescovi Salesiani: per-
sonalità diversamente espresse anche
per la missione assai diversa a cui
dalla Chiesa e dalla Provvidenza
ciascuno di loro fu chiamato.
Mons. Arduino, dopo molti anni
di lavoro missionario e dopo l'espul-
sione dalla Cina comunista, conti-
nuava umile ma attivissimo, malgrado
seri acciacchi di salute, la sua opera
sempre missionaria, prima a Torino
e poi nella Diocesi di Locri.
Mons. Cognata, dopo un periodo
di grande multiforme attività tutta
impregnata di senso e di ansia sa-
lesiana, aveva dovuto ritirarsi at-
tendendo per anni nel riserbo umile
e dignitoso, nel silenzio e nella sof-
ferenza, confortata di preghiera, l'ora
della verità, che venne negli ultimi
anni della sua vita, sotto ogni aspetto
sempre esemplare.
Mons. Marcelino Olaechea, per
«Anche la celebrazione dal primo Canta•
niorìo dell'Istituto dalle Figlie di Maria Ausl-
liatrlce ci ha offerto motivi di gioie e di ri•
conoscenza al Signore».
lunghi anni arcivescovo di Valencia
in Spagna, con la sua personalità si
era imposto ed aveva conquistato
non solo la sua grande diocesi, dove
fra l'altro realizzò, con ardite intui-
zioni alla Don Bosco, opere sociali
di avanguardia, ma tutta la Nazione
Spagnola dove godeva grande e lar-
ghissimo prestigio. Con Don Mar-
celino, come si usava chiamarlo af-
fettuosamente nel nostro ambiente,
la Congregazione perde un salesiano
di gran classe, un figlio che ha ser-
vito la Chiesa altamente onorando il
nome del Padre, a cui è stato sempre
attaccatissimo.
Non dubito che verso questi tre
degni presuli, nostri fratelli in Don
Bosco, vorremo essere generosi dd
cristiano, riconoscente ricordo.
Una grande pena:
la crisi delle vocazioni
Per la confidenza che dobbiamo
avere quanti ci sentiamo apparte-
nenti alla famiglia salesiana, desi-
dero mettervi a parte un'altra

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grande pena che mi affligge e che è
motivo di serie preoccupazioni: si
tratta della crisi delle vocazioni. Ne
avrete sentito parlare, forse, come di
un fenomeno che tocca la Chiesa
in genere e gli Istituti religiosi. È
vero. Ma debbo dirvi che anche
noi, sia Salesiani che Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice, ne siamo colpiti se
pure in misura diversa. Non viviamo
in una campana di vetro, e i feno-
meni mondiali non possono lasciarci
indenni.
Voi comprendete che se, da una
parte, coloro che sono nel periodo
di prova non reggono ad essa e
devono ritirarsi, e d'altra parte di-
nùnuiscono le nuove leve neces-
sarie per supplire chi cade sulla
breccia, chi si amJ]lala o chi co-
munque vien meno, le nostre Con-
gregazioni vengono a trovarsi in
uno stato che per tanti aspetti è
seriamente critico con le conseguenze
facilmente immaginabili.
Certo, io non sono per uno svi-
1uppo quantitativo di vocazioni ad
ogni costo, e sono più che mai con-
vinto che il vero e primo progresso
e sviluppo sta nella qualità delle
vocazioni, ma è ugualmente certo
che se non si possono riempire in
misura adeguata i vuoti che natu-
ralmente man mano si creano è
difficile un progresso nella qualità,
e non si vede come si possano man-
dare avanti tante opere.
Il problema è grave e complesso,
ed è evidente che non si può anaJizc..
zare in questa sede. Ma è assolu ta-
mente vitale: per questo bisognerà
ritornarci su di proposito: la fa-
miglia tutta vi è interessata. Per ora
mi contento di avervi messo a parte
della preoccupazione che le nostre
Congregazioni hanno; questo mi pare
che per ora possa bastare, perché
voi vi interessiate già al problema;
i modi e i mezzi di questo vostro
interessamento sono tanti. A comune
conforto però posso dirvi che se
ci sono zone del mondo, anche a
noi vicine, dove sentiamo assai forte
la crisi di vocazioni, in altre pos-
siamo parlare di una consolante fio-
ritura. Qualche cifra è più signifi-
cativa di ogni discorso.
Il numero dei nuovi sacerdoti
e dei novizi
I sacerdoti orrunati quest'anno in
Congregazione sono stati 251.
[I numero complessivo dei novizi
nell'anno è stato 539, certamente
- specie se si guarda alle difficoltà
del momento - un numero con-
solante, ma è notevolmente inferiore
a quello degli anni migliori e pur-
troppo inadeguato alle necessità della
Congregazione.
Farà piacere comunque conoscere
dati più particolari che hanno un
loro significato. In Polonia abbiamo
40 novizi: da notare che proven-
gono tutti dalle scuole statali (non
esistono scuole tenute da religiosi,
Oratori, piccoli seminari), tutti for-
niti del titolo di maturità. La loro
vocazione è coltivata e sviluppata
specialmente nelle attività parroc-
chiali. L 'Inrua conta 71 novizi, la
Spagna 115, mentre gli Stati Uniti
ne hanno 26 e la J ugoslavia 25; in
Messico si hanno 21 novizi, mentre
le Ispettorie ru Manaus e di S. PauJo
(Brasile) ne contano rispettivamente
15, e quella del Venezuela 12.
Come si vede, se non abbiamo
dappertutto l'afflusso delle nuove vo-
cazioni nelle proporzioni di prima,
è anche vero che il Signore in molti
Paesi ci dona ancora molte vocazioni.
Da notare che in questi Paesi esse,
in grande maggioranza provengono
dalle nostre opere giovanili (segno
avanti da tutti, non tanto con ste-
rili lamenti o con belle parole, quanto
con i fatti e specialmente con la vita
nostra coerente e attiva nella letizia
salesiana.
Opere del I972:
.una m essa a punto
Dovrei ora parlarvi delle nuove
opere nate nel 1972. In merito mi
sembra importante una messa a punto.
li Capitolo Generale Speciale ha
ordinato che in tutta la Congregazione
si proceda ad una coraggiosa e ap-
profondita verifica di tutte le opere
esistenti, e questo ai fini del rin-
novamento della Congregazione, co-
me è inteso nelle sue molte impli-
canze dallo stesso Capitolo, e per
assicurare la loro validità alla luce
non solo delle deliberazioni capi-
tolari, ma delle mutate situazioni
sociali. Tale verifica va sotto il nome
di «Ridimensionamento delle opere>>.
Si comprende facilmente che questa
vasta e complessa operazione im-
porta anzitutto una pausa in nuove
EPISTOLARIO DEL BEATO DON RUA
Come omaggio al nuovo Beato e come strumento valido ed
efficace per promuovere una maggior conoscenza dello spirito
salesiano si pensa di pubblicare una raccolta completa delle let-
tere di Don Rua. Il Rettor Maggiore chiede, a questo fine, la col-
laborazione di tutti i membri della famiglia salesiana, special -
mente degli Ispettori e Direttori, delle Ispettrici e Direttrici delle
Figlie dì Maria Ausiliatrice, dei Delegati e Decurioni dei Coope-
ratori, degli Exallievi.
Quanti abbiano lettere o documenti di Don Rua o siano a
conoscenza dell'esistenza dì tali documenti presso altre persone
o enti, son o vivamente pregati di inviare copia fotostatica o a
dame opportuna segnalazione al Rettor Maggiore, che ringrazia
sin d'ora quanti risponderanno a questo invito.
del buon lavoro che vi fanno le
comunità) e presentano una matu-
rità e una formazione che danno
fiducia ben fondata di perseveranza
e di riuscita qualitativa. L'augurio-
preghiera che tutti insieme dob-
biamo quotidianamente formulare è
che la situazione felice di tante ispet-
torie si possa, con la cooperazione
costruttiva e consapevole di tutti,
Salesiani e Figlie di Maria Ausilia-
trice in testa, estendere alle ispet-
torie oggi purtroppo carenti di vo-
cazioni. E necessario che il problema
delle vocazioni sia vissuto e portato
opere, rn attesa che sia definita la
funzione di molte di esse, anche in
relazione alla disponibilità di per-
sonale e alla sua necessaria qualifi-
cazione nei vari settori della nostra
missione. In questo momento tale
tqaunazliaficeadzieonqeuèi
della massima impor-
ndi di interesse prio-
ritario.
Debbo però aggiungere che mal-
grado quanto ho detto, qualche o-
pera nuova nella linea indicata dal
Capitolo Generale è sorta nel 1972,
mentre qua e nel mondo, proprio
come primo effetto del rirumensio- 5

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namento, varie opere sono pure
cessate.
Mi sembra giusto sottolineare come
queste nuo,•e attività vogliano rispon-
dere in linea di massima agli orien-
tamenti del Capitolo Generale a pro-
posito di priorità e preferenza nell'at-
tuare la nostra missione.
Alcune opei:-e esemplari
Qualche esempio.
A Roma, accanto alla nuova sede
della nostra direzione generale che
ha iniziato il suo funzionamento dal
giugno scorso, è sorto un CentTo
di Spiritualità e di Cultura: «Sale-
sianum t. Esso, fornito cU moderne
attrezzature e con possibilità di ospi-
tare 150 persone, offre ogni como-
dità per convegni, congressi, corsi
di studio, ritiri, non solo alla no-
stra famiglia, ma a quanti, nella
linea a cui si ispira l'opera di Don
Bosco, vogliono sviluppare inizia-
tive e attività spirituali o culturali.
Il Centro inaugurerà la sua vita verso
la fine di gennaio con un corso di
spiritualità salesiana dedicato a mem-
bri della grande famiglia di Don
Bosco.
La nostra Ispettoria di Madrid,
entrando per la prima volta nello
Stato della Guinea, ha dato inizio
in quel Paese ad una attività di as-
sistenza e di promozione destinata
ad allargarsi quale azione evangeliz-
zatrice: vi lavorano già sei salesiani.
In Brasile si è iniziata un'azione
a largo raggio, specialmente in zone
periferiche e depresse, con centri
di alfabetizzazione e di qualifica-
zione professionale (Brasilia, Belo
Horizonte, Jacigua, Campo Grande).
In India abbiamo aperto due
nuovi centri missionari nella Ispet-
toria di Madras (Polur, Tiruvanna-
malai).
Strenna 1973
Resta ora che vi annunci la Strenna
per il 1973.
È una tradizione lasciataci dal no-
stro Padre: essa non ha un semplice
e valore sentimentale, non un re-
torico slogan, ma viene a dare a
tutti i membri della nostra famiglia
un vero programma di azione e di vita
che attuato ci unisce negli stessi
La atrenna 1973 vuole prepararci aarlamente
■I primo Centenario delle Mlulonl Sale•
alane. « Ease deve far rlnasc:.ere quel cllma
di genero• •• austara gloloaa dedliione
che operb Il miracolo delle prime Mlaslonl
6 SalHlane 11.

1.7 Page 7

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intenti e mentre è assai utile al
singolo riesce di non piccolo vantaggio
alla comunità che - comunque ar-
ticolata - si sente impegnata in uno
sforzo unitario verso una meta che
interessa la nostra comune vocazione.
Eccola nella sua concettosa brevità.
« La famiglia salesiana ri-
trova la vitalità delle origini
impegnandosi a vivere un
intenso CLIMA MISSIO-
NARIO»
L'attuale strenna è suggerita e sol-
lecitata anzitutto dal Capitolo Ge-
nerale Speciale che - a ragione -
ha indicato nella coscienza e nella
animazione missionaria la strada ob-
bligata per ogni vero rinnovamento
sia dei singoli che delle comunità
(noi diciamo: familiari, ecclesiali, re-
ligiose).
Ma la strenna ha pure la sua ra-
gione nel fatto che vuole prepararci
seriamente e fattivamente ad una
data che non solo ci ricorda un
evento esaltante, ma in certo senso
deve far rinascere e ricreare quel
clima di generosa, austera e gioiosa
dedizione che operò il miracolo delle
prime Missioni Salesiane.
Nel 1975 infatti si compirà il
primo Centenario delle Missio11i Sa-
lesiane. Mentre da noi si studiano
i modi più atti a celebrare utilmente
e adeguatamente la storica data, im-
pegniamoci tutti - in Congrega-
zione e nella fa.miglia tutta - a
cambiare in moneta spicciola la
strenna.
Spiegazioni, sviluppi ed applica-
zioni pratiche della strenna, adatte
per le singole componenti della no-
stra famiglia, verranno presto date
in modo che sia resa più facile la
attuazione concreta della strenna, che
sento di darvi col cuore missionario
del Beato Don Rua nel nome di
Don Bosco.
A tutti l'augurio vivo ed affet-
tuoso: l'anno che con la grazia di
Dio iniziamo ci sia portatore di
quella gioia che ha la sua fonte
nella pace col Signore (la vera pace
in terra!), di cui vogliamo essere
amici e figliuoli devoti e fedeli, nella
pace col prossimo, in cui, con l'oc-
chio della fede, vogliamo vedere il
nostro fratello.
L~R.o~·
'
RETTOR MAGGIORE
ILIIOO OOIPLITO DILLI Rl.lLIIZ.lZIOII 1972
Ecco l'elenco delle realizzazioni che colla vostra preziosa collabo-
razione abbiamo potuto attuare.
AMERICA
Argentina: Funes (Santa Fé): Scuola Media di orient. apostolico.
Brasile: Belo Horizonte: Parrocchia, Centro giovanile, Centro di
alfabetizzazione di adulti, scuole di arti e mestieri. - Brasilia: Par-
rocchia, Scuole elementari, Centrò di alfabetizzazione di adulti. -
Jacigua: Parrocchia, Centro di alfabetizzazione di adulti. - Campo
Grande: Parrocchia, Opere Sociali Paolo VI.
Venezuela: Caracas-Boleita: Parrocchia, Centro di past. giovanile.
Ecuador: Zumbagua: Parrocchia, opere per promozione umana e
cristiana di indigeni.
ASIA
India: Polur: Parrocchia, missione, oratorio. - Tiruvannamalai:
Parrocchia, miss10ne.
AFRICA
Guinea: Bata: Scuola elementare per interni ed esterni.
EUROPA
Belgio: Eeklo: Centro di assistenza giovanile.
Scozia: Glasgow: Pensionato per giovani.
Polonia: Parrocchia e Centro di catechesi e doposcuola a Trzeb-
nice, Milkowice, Grabowno Wielkie, Chocianowiec, Pakoslawsko.
Come accennavo sopra nella lettera, anche le Figlie di Maria Au-
siliatrice - specialmente come concreta celebrazione del loro Cente-
nario - hanno dato il via, un po' in tutti i continenti, a numerose opere
in zone particolarmente bisognose: alcune di esse sono del tutto nuove,
altre sono il frutto di uno sviluppo di opere preesistenti che si sono
aperte ad attività di assistenza e di promozione sociale.
Il «Bollettino Salesiano» troverà modo, durante quest'anno, di il-
lustrare le più importanti e caratteristiche.
EUROPA
Italia: Alessandria, nella Parrocchia periferica di S. Giuseppe Ope-
raio, Scuola materna, Centro giovanile quotidiano, Catechismi ed opere
parrocchiali per la popolazione formata da immigrati. - Belluno: Opere
sociali e di evangelizzazione in zona periferica. - Clivio (Varese): Corsi
di qualificazione professionale, attività del tempo libero.
Irlanda: Maynooth (Kildare): Pensionato per universitarie.
AMERICA
Brasile: Araras (S. Paulo): in un quartiere poverissimo, scuola ele-
mentare, alfabetizzazione per adulti, catechesi, visita alle famiglie e
piccolo ambulatorio. - Rio de Janeiro: Opere di promozione sociale,
catechismi parrocchiali.
Colombia: S. Juan de Arama, nella Prefettura Apostolica del-
1'Ariari: opere parrocchiali e catechesi.
Messico: Villaflores (Chiapas): Scuole parrocchiali ed attività di
evangelizzazione.
Stati Uniti: Philadelfia: Scuole elementari e attività varie, catechesi.
ASIA
Giappone: Oita: Scuola materna, catechismi, visita alle famiglie.
Corea: Pensionato per giovani operaie.
7

1.8 Page 8

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Di fronte all'urna gloriosa di D.on
Bosco, nella basilica di Maria Au-
siliatrice in Valdocco, splendeva una
seconda urna: più modesta, rac-
colta e quasi nascosta in una vela-
tura di drappi. L'urna del beato
Michele Rua.
Era la sera dell'8 novembre. Sta-
vano per iniziare i quattro giorni
di festività per il nuovo beato. Don
.Bosco e Don Rua si trovavano riu-
niti ancora una volta, a pochi metri
di distanza, sotto la grande cupola
che porta scritte in formato gigante
le parole della Madonna: «Questa
è la mia casa. Di qui la mia gloria».
Torino è la patria di Don Rua.
L'ha visto nascere, andare a scuola,
diventare salesiano e prete. Don Rua
condivise pienamente le vicende della
umile gente della sua città. Nel-
l'estate del 1854, appena diciasset-
tenne, si prodigò fino allo stremo
delle forze a curare i colerosi, du-
rante la spaventosa epidemia che
decimò la popolazione torinese. Cin-
quantadue anni dopo, nell'aspro clima
sociale che trasformava Torino nella
<; culla dolorosa del proletariato ita-
liano i), si prodigava ancora per gli
operai.
Tra questi due avvenimenti, l'at-
tività di Don Rua, prete torinese,
si è dispiegata instancabilmente per i
poveri, i piccoli, gli umili.
Era quindi giusto che Torino par-
tecipasse in pieno alla festa di questo
suo figlio elevato tra i santi.
li solenne triduo iniziò giovedl
<) novembre con la giornata per i
sacerdoti e le religiose. Alle 9,45
del mattino, nel teatro di Valdocco,
il salesiano don Giorgio Gozzelino
tenne una densa conferenza spiri-
tuale al Clero torinese. Ne diamo
a parte una sintesi. Alle u,45 il
card. Pellegrino concelebrò con 1
sacerdoti intervenuti.
Nella stessa giornata don Guido
Favini parlò alle religiose, e l'ono-
revole Bodrato guidò una tavola ro-
tonda di giovani sulle linee del-
l'impegno civico e sociale di Don Rua.
TORINO:
« Noi Salesiani vi saremo
sempre tra i piedi »
Il 10 novembre fu giornata de-
dicata alle Figlie di M. Ausiliatrice
e alle loro alunne. In serata, alle 18,
nel teatro di Valdocco ebbe luogo
la solenne Commemorazione civile.
Intervennero il Sindaco di Torino e
In alto: il prof. Lana tiene la rievocazione
di Don Rua nel teatro di Valdocco. In bas-
so: I piccoli cantori hanno dato alla festa
8 una nota di freschezza.

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le autorità del comune e della pro- sorride a tutti. E sembra ripetere
vincia.
quelle sue umili parole: «Guardate
Rievocò Don Rua, con parole gio- quanto questa gente vuol bene a
iose e freschissime, il prof. Italo Don Bosco! >>.
Lana, exallievo, docente di lettera-
tura latina all'Università di Torino.
La conferenza, che riusci ad incan-
...
CHI AMA E tare anche i ragazzetti che affolla-
vano una parte della tribuna, portava
come titolo una breve frase di Don
Rua: «Chi ama è sempre felice~-
SEMPRE FELICE
11 testo era scritto, secondo la clas- dalla Commemorazione Civica
sica povertà di Don Rua, sul retro del prof. Italo Lana
bianco di un mazzetto di bozze di
un arduo ~lume di filologia latina.
Diamo a pa.rte una sintesi della com-
memorazione.
Don Ricceri, che parlò in apertura,
ringraziò i giovani cantori degli Isti-
tuti salesiani del Colle e di Cu-
miana «che davano alla festa una
nota di freschezza e di purezza sa-
lesiana >►• Poi si rivolse ai Torinesi.
Quasi si scusò della necessaria emi-
grazione dei Superiori salesiani a
Già Agostino Richelmy, cardinale
arcivescovo di Torino, osservava:
«Nulla v'ha di più facile, e nulla
v'ha di più difficile dell'elogio di
Don Rua. I giorni di lui, tutti fu-
e rono l'un simile all'altro; dire di
uno dire di tutti I),
La nostra età, stordita dai troppi
che gridano, solo a fatica riesce a
Roma. Ma garantì a tutti che «noi sentire gli uomini semplici, coerenti,
salesiani vi saremo sempre tra i umili, pazienti e ubbidienti, che par-
piedi>►.
lano con tono di voce normale.
Alle 17 di sabato, II novembre, Don Rua chi era? e come era?
il Rettor Maggiore guidò nella con- Nei suoi ritratti lo sguardo in-
celebrazione un folto gruppo di sa- tento sotto l'alta fronte, le labbra
cerdoti salesiani. Fu l'omaggio uffi- sottili e serrate, la persona emaciata
ciale della Famiglia Salesiana al ci mettono in presenza di uno che vive
Beato.
un'idea. Nelle varie vicende della
Domenica 12 novembre. Il sole, vita quotidiana egli si mostra a noi
finalmente tornato a splendere sulla uomo preciso, concreto, saggiamente
città, permette un'affluenza gran- previùentc (fu anche autore di un
1orn diosa di popolo. Le celebrazioni sacre manuale di contabilità per ì Sale-
ma facesse, a quando a quando, una
visita alla sua soffitta (dove il figlio
aveva alloggio qui all'Oratorio) men-
tr'egli era assente, per vedere se
almeno aveva il necessario: la brava
donna ebbe più volte a rammaricarsi
che il figlio, per spiri.to di morti-
ficazione, non facesse uso del mate-
rasso, che metteva per terra ben
arrotolato in un angolo. Ella, ogni
volta, glielo riponeva ed accomodava
sul letto; ma tornando dopo ,qual-
che giorno ad osservare, lo ritro-
vava di nuovo in terra. Se ne la-
mentò ripetutamente con lui; non
volle ammettere le scuse che dormiva
bene anche senza materasso e, in
fine, poté indurlo a servirsene.
E quando Michele fu ordinato
sacerdote, sua madre gli regalò un
letto. Un vero letto di ferro. Era
quello il secondo letto che entrava
nell'Oratorio, dopo quello di Don
Bosco. A Don lvlichele il dono parve
troppo bello...
« Con sei giovani cosi,
fonderei un'università »
Raccontava il cardinal Cagliero
che Rua e lui, giovani chierici, si
alzavano alle quattro del mattino,
prima della sveglia generale, lui per
suonare la spinetta e Rua per stu-
diare l'ebraico, e precisava: (< Erano
studi accessori e individuali, e si
compivano in ore rubate al sonno•>.
si susseguono senza tregua nella ba-
silica.
In un angolo del presbiterio, in
ginocchio, con le braccia appoggiate
ad una sedia, c'è un vecchio prete
che prega. È monsignor Angrisani
per tanti anni vescovo di Casale.
Alle 16130 sale al microfono, e in-
canta tutti raccontando di quando,
ragazzetto spaurito, arrivò all'Ora-
torio, e si sentl avvolto dalla grande
e calda paternità di Don Rua.
Dal grande quadro che sovrasta
la sua urna, Don Rua guarda tutti,
siaoi !). Non solo: ma in lui, primo
successore di Don Bosco, scopriamo
un tipo umano molto diverso dal
Santo fondatore... In Don Bosco la
originalità, la genialità e l'ardimento
campeggiavano in tutte le sue crea-
zioni. Don Rua si attenne alle vie
comuni, pur mostrando in tutte le
sue imprese un intuito fine, una
comprensione mirabile ed un cri-
terio straordinario che fecero anche
di lui una figura eccezionale...
Si racconta che quando Michele
era chierico diciannovenne, la mam-
Se avesse seguito la sua inclinazio-
ne, Don Rua, com'ebbe a dichiarare
a un confratello 11el I 906, si sarebbe
dedicato tutto allo studio della Sacra
Bibbia. E Don Bosco, vista la sua
propensione per gli studi severi, lo
mandò a studiare ebraico e greco
presso l'abate Amedeo Peyron, stu-
dioso di altissima rinomanza. Il Pey-
ron fu udito più volte ripetere che,
se avesse avuto con sé altri sei gio-
vani come Rua, avrebbe fondato
un'università. Però Michele si era
messo nelle mani di Don Bosco, e 9

1.10 Page 10

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andava dove Don Bosco lo man-
dava... Svolgeva un'attività vasta, mol-
tepHce, indefessa, che avrebbe fiac-
cato clùunque: assistente generai~
nell.a sala di studio, in chiesa, in
cortile, in refettorio, incaricato della
scuola settimanale di catechismo, se-
gretario di Don Bosco...
Quest'uomo, questo prete, questo
figlio di Don Bosco che ci appare
tutto teso alla ricerca della mortifi-
cazione, del perfezionamento inte-
riore, della santità, potrebbe sem-
brare il meno adatto ad assumersi
i compiti propri dell'a!J'ire pratico.
Ma alla prova dei fani risultò chiaro
che Don Bosco non s'era sbagliato...
Quando Don Bosco mori, non fu-
rono pochi, a Torino e altrove e
anche a Roma, a temere per il futuro
dell'opera salesiana. Fu un momento
difficile.
Un vero capo
In quella circostanza Don Rua ri-
vela tempra di uomo d'azione, dalla
fode sicura, dallo sguardo acuto, dalla
volontà decisa e consapevole. Un vero
capo.
A questo proposito, la lettera che
1'8 febbraio 1888, a otto giorni di
distanza dalla morte del Fondatore,
indirizzò a tutti i Direttori salesiani,
è un documento da meditare: esso
dimostra come in lui la pietà più
soda, la devozione a Don Bosco, la
valutazione equilibrata delle esigenze
di ordine materiale e amministrativo
coesistessero in maniera armoniosa,
perché tutte orientate secondo la
direzione fondamentale fissata da
Don Bosco nel programma della
sua vita e della congregazione: la
ricerca della santificazione propria
e altrui, in primo luogo dei giovani.
Con la sua lettera il nuovo Rettor
.l\\laggiore accompagna il testamento
di Don Bosco; richiama l'attenzione
sui consigli pratici dati da Don Bo-
sco sul modo di far fronte ai de-
biti lasciatici e al diritto di succes-
sione•• e suggella questa parte della
lettera con le parole: «Tanto per
norma a tutti i Salesiani e senza
commenti».
In quel difficilissimo momento
della vita della Congregazione non
c'è posto per le incertezze, per di-
sparità di opinioni, per il dissenso:
t Tanto per norma a tutti j Salesiani
e senza commenti ».
Questa nostra commemorazione ci-
vile non può non porre in rilievo
alcuni aspetti dell'attività e della per-
sonalità evangelica di Don Rua.
Anzitutto la sua preoccupazione
costante per gli emigrati: a loro fa-
1O vore creava a Torino la Commissione
salesiana per l'assistenza agli emi-
grati e, per esempio, per gli emi-
grati italiani disponeva che in ogni
casa d'America vi fosse un sacer-
dote salesiano addetto a loro. Voleva
che ci si occupasse di tutte le loro
necessità, li raccomandava ad uno
ad uno ai suoi confratelli, scrivendo
lettere su lettere... Scrive il suo bio-
grafo don Ceria: «Alla sua morte
erano attivi in tutto il mondo 43
segretariati per emigrati: non solo
per $li Italiani, ma anche per Po-
lacchi, Tedeschi e Portoghesi i nel
1903 i Salesiani si prendevano cura
di 200.000 Italiani in Argentina e
di 300.000 in Brasile».
La sua azione sociale si estendeva
anche a favore di tutti gli operai.
Già nel VI Capitolo generale pre-
sieduto da D on Rua nel 1892 - rac-
cogliendo evidentemente un suggeri-
mento che proveniva dalla Rerum
NO'Varum di Ll.'One XIII dell'anno
precedente - fu deliberato che i
giovani alunni venissero istruiti sui
problemi del capitale e del lavoro,
sul diritto di proprietà e di sciopero,
sul salario, il riposo e il rispannio.
Don Rua disponeva che nelle
scuole artigiane e colonie a~ricole si
procurasse la miglior formazione tec-
nica e morale degli artigiani, capi
d'arte - scriveva nel 1898 - degni
della Congregazione e degni della
carica che dovranno un giorno co-
prire». Dei futuri operai che veni-
vano preparati dai Salesiani voleva
che si favorisse la maturazione della
coscienza civile e (oggi si direbbe)
Il Cardinale Pellegrino parla nella 8asillce
d i Maria Au•lll■tric.a traboc~ nte di fedeli .
sindacale: è noto che qui a Torino
Don Rua appoggiò caldamente la
Società di mutuo soccorso per le
giovani operaie cattoliche fondata da
Caterina Astesano, che organizzava
le sartine e altre lavoratrici, al fine
di ottenere per esse salari decorosi
e orari ragionevoli di lavoro, per
«impedire - così scriveva Don
Rua - il loro sfruttamento• e pro-
curare loro ogni assistenza...
La vigna di Don Rua
Si racconta che una volta negli
ultimi anni della sua vita Don Rua
andò in autunno .nella Casa salesiana
di I vrea a predicare un corso di
esercizi: terminato il quale con il
canto del 1'e Deurn, tutti i salesiani
e Don Rua con loro, allegramente si
sparpagliarono nella vigna, in cerca
del filare detto di Don Rua, che al
momento della vendemmia veniva
risparmiato perché ciascuno vi po-
tesse cogliere con le proprie mani
un g rappolo per sé.
11 filare di Don Rua esiste tuttora,
non solo a Ivrea, ma ovunque è
una casa salesiana, ovunque è un
salesiano: non potremmo, come ex-
allievi e padri di famiglia, formulare
oggi un au~urio migliore di questo:
che .noi e I nostri figli, che tutti i
giovani, continuino ad andare a ven-
demmiare nella vigna di Don Rua.

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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MICHELE RUA
SACERDOTE
dalla conferenza di
don Giorgio Gozzelino
Un primo fatto, forse il più evi-
dente, è che la beatificazione di
Don Rua aigiunge ufficialmente, con
l'autenticazione del riconoscimento
della Chiesa, un nuovo membro a
quel gruppo ~ sacerdoti ~iemontesi
che sono stati una autentica mera-
viglia della fine del secolo scorso e
dell'inizio del nostro: Don Cafasso,
Don Giuseppe Cottolengo, Don Bo-
sco, Don Murialdo, sugli altari; e
molti altri su questa via, o perlo-
meno tali da dover essere riconosciuti
come sacerdoti di una elevatezza ve-
ramente fuori del comune.
Proviamo a fare un quadro di
questo gruppo.
L'origine remota la si potrebbe
mettere nel beato Sebastiano Valfré.
Invece i capisaldi prossimi e con-
creti di questa santità sono il venera-
bile Pio Brunone Lanteri, il Cotto-
lcngo, il Cafasso.
Poi da essi diramano altri che di-
vengono a loro volta centri di irra-
diazione.
Don Bosco dipende dal Cafasso
e dal Lanteri.
Da Don Bosco dipendono diretta-
mente il beato Don Michele Rua,
Don Rinaldi e tutti gli altri servi
di Dio della Congregazione Sale-
siana. Don Orione fu allievo del-
l'Oratorio di Don Bosco.
Hanno poi subito in parte l'in-
flusso di Don Bosco S. Leonardo
:\\lurialdo, il ven. don Federico Al-
bert il servo di Dio Faà di Bruno,
mon's. Edoardo Rosaz, il can. Giovan-
ni Boccardo, padre Giuseppe Picco.
Parimenti dal contatto con Don
Bosco e dall'influsso dello spirito del
Cafasso viene fuori il ca.n. Allamano,
che a sua volta ebbe grande influenza
sul can. Luigi Boccardo.
Il loro segreto:
unità e amicizia sacerdotale
Di fronte a questo grappolo di
santi, potremmo avere la re~ior:e
di chi imbraccia la lira e corrunc1a
a cantare: Don Michele Rua, tori-
nese puro sangue, Pie~onte_ terra
di santi, Torino culla d1 eroi della
carità, e così via. Sarebbe_ soltanto
un po' di retorica: tutto 11 mondo
è terra di santi, ogni paese e con-
tinente ha i suoi eroi della carità, e
non è proprio detto che i piemontesi
abbiano attitudini più spiccate alla
santità di quelle possedute da altri.
Il punto sta piuttosto nel cercare
la logica del fatto, chi o che cosa
abbia determinato questa matura-
zione così robusta.
Orbene, per chi conosce, anche
solo superficialmente, la storia di
questo gruppo di sacerdoti, la ri-
sposta non dovrebbe essere tr?ppo
difficile. Il loro segreto è cons1st1to
semplicemente nella loro unità e
nella loro amicizia sacerdotale. E-
rano un gruppo, una vera u~tà,
quell'unità che_ ha creato 1:1n. clima
in cui tutto diventava poss1b1le.
Si pensi al peso decisivo della
santità di Don Cafasso, in tutto,
anche nei dettagli della _spiritualit_à
concreta vissuta da questi sacerdoti,
ivi compreso Don Bosco.
Si pensi all'importanza del Con-
vitto Ecclesiastico della Consolata
nella formazione di Don Bosco, e
quindi nella plasm~ion~ dcli? spi.-
rito che egli trasmise ru suoi figh,
e in prima linea appunto a Don
Rua. Si pensi all'amicizia profonda
e fattiva di molti sacerdoti della
diocesi di Torino con Don Bosco.
Chiunque legga le _Mem~rie B~gra:
fiche o i docum~n~1 sull Ora~ono s!
imbatte frequent1ss1mamente m n~m•
come i teologi Guala, Bore), Gior-
dano, Ferrero, ecc.
Ecco, direi cosi: questi sacerdoti,
forse non avrebbero saputo fare una
teolo~ia molto_ p~ofonda sul~a col-
legialità presb1tenale, ma d1_ fatto
la vivevano concretamente m un
modo e con una intensità estrema-
mente efficaci ... Questi sacerdoti han-
no sentito con una intensità rara
che l'essere sacerdoti significava vi-
vere in una famiglia storica di molti
reali con-fratelli, e vivendo così hanno
affondato le radici del loro sacerdo-
zio non nella loro sola buona volontà
(peraltro, ovviamente, sempre in-
dispensabile), fl;la nella ricchezza_ del:
l'intera comumtà sacerdotale di cui
facevano parte.
Questa prima conclusione si tra-
duce per noi in indicazioni c:he sono
anche domande molto precise: che
cosa sono, per ciascuno di noi sa-
cerdoti, gli altri sacerdoti ? li sen-
tiamo li accettiamo veramente come
confr~telli ? come prossimo tra i pros-
simi? comprendiamo l'esigenza di-
rettamente teologica di un incontro,
di una verifica reciproca, di un so-
stentamento e di una spinta alla ma-
turazione, realizzati, prima che con
qualunque altro, con questi 1:101?Ìni
che hanno la nostra stessa rruSSione
e che completano concretamente il
nostro sacerdozio personale? Quante
cris.i sarebbero superate da queste
amicizie solide ed autentiche I
Il suo modo concreto
di vivere da prete
Don Rua è diventato, come lo
definisce il Morand Wirth, • la co-
pia vivente di D on Bosco» non solo
grazie alla simpatia l?er_ Don Bosco!
ma grazie alla convmz1one che lui
stesso espresse la sera della ~ua. or-
dinazione sacerdotale: la convmz10ne
assoluta che in Don Bosco agisse
la Provvidenza, ossia che il suo se-
guire Don Bosco fosse la forma
concreta con cui Gesù lo chiamava
a seguire se stesso, e cosi a vivere
il suo sacerdozio.
E allora possiamo capire qual.e
senso abbia avuto per Don Rua il
vivere così: è stato il suo modo
concreto di vivere da prete. Il sa-
cerdote è costituzionalmente il segno
vivente del Cristo Risorto, il suo
prolungamento, il suo esserci qui ed
ora per gli uomini, l'espressione con-
creta del progetto del Padre su cia-
scuno, perché Gesù Risorto . ~ il
progetto del Padre sugli ~o_m,u~1, e
i sacerdoti sono la sua v1s1b1hzza-
zione.
La missione del sacerdote è anzi-
tutto e soprattutto quella di vivere
per Gesù, per essere il più pos.si-
bile segno della Su~ presenza v1~a
e salvifica nella Chiesa, fino a di-
venta.re massima trasparenza di lui.
Questo si avvera nella fedeltà:
nella fedeltà alle richieste concrete di
Gesù. Per Don Rua queste richieste
hanno avuto ben presto un nome
ed un cognome preciso e .chia!o:
Giovanni Bosco. Secondo 11 lin-
guaggio del tempo, in Don Bosco
c'era quel che gh chiedeva la Prov-
videnza. Noi diremmo ogçi: in Don
Bosco c'era quel che gli chiedeva
Gesù Signore. Dunque bisognava
vivere per Don Bosco, prolunga.re
Don Bosco, copiare Don Bosco, ri-
ferire tutto a lui, diminuire al mas-
simo al fine che egli crescesse al
massimo...
Noi siamo sacerdoti. È così che
viviamo il nostro sacerdozio ? Ci
rendiamo conto che quel che vera-
mente importa nella nostra vita non
è che si guardi a noi, che si promuova
noi che si esalti noi, ma che venga
con'osciuto, amato, accolto, ricono-
sciuto lui, colui di cui siamo segno
vivo, Gesù Signore? Viviamo per
questo ideale, reclini su di lui per
coglierne la parola?
E questa parola di Gesù Signore,
dove la cerchiamo ? Solo nella nostra
testa, o anche nei fratelli concreti
che ci stanno accanto ?
11

2.2 Page 12

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Fui chiamato da un
pe6n, perché andassi
ad assistere un suo
compagno di lavoro
moribondo.
Entrai in una capanna
senza finestre
e senza luce.
Dormivano, sul
pavimento di terra
umida per le piogge,
più di 15 operai, tra
cui, il moribondo, t i -
sico all'ultimo stadio,
che sputava sangue
sul pavimento.
Accanto, la grande
dimora del padrone.
TRAI
con le famiglie dei peones del campo
in condizioni di vita ad un livello
sub-umano: il problema che -ei si
presentava era di proporzioni che
superavano ogni nostra possibilità di
soluzione.
Questa posizione di totale insuf-
ficienza scoraggia chi desidera im-
pegnarsi nel lavoro di promozione
ed elevazione sociale e cristiana di
questo ambiente, e tenta molti a
concludere che l'unica soluzione pos-
sibile è la rivoluzione armata che
spazzi via di colpo le attuali strut-
ture di ingiustizia.
Noi invece abbiamo optato di
intervenire nella gigantesca impresa
nella forma più umana, più cristiana
e più salesiana, per mezzo dell'atti-
vità educatrice a differenti livelli, per-
suasi che il cambio vero e radicale
si opererà solo con uomini nuovi,
preparati e responsabili, conoscendo
per esperienza, dopo le numerosis-
sime rivoluzioni e guerriglie boli-
viane, che il metodo più facile del
fucile, più che risolvere, sposta soio
SI- DOS i termini del problema.
DELLA BOLIVIA
Nel 1960 i Salesiani vennero chia-
mati in Bolivia come << tecnici >l per
organizzare la scuola agraria modello
della Muyurina, adatta al clima tro-
picale della foresta amazzonica. Siamo
partiti dal principio salesiano che
non deve esistere evangelizzazione
senza promozione umana per non
cadere in uno sbagJjato spiritualismo.
l\\fa eravamo ugualmente convinti
che non si può accettare una pro-
mozione umana senza evangelizza-
zione, per non ridurre l'azione nostra
ad una pura attività filantropica
uguale a quella svolta da organiz-
zazioni pagane. Non abbiamo voluto
limitarci a rimanere dei semplici tec-
nici del tropico.
E così, realizzata la magnifica scuola
agraria de la Muyurina, che oggi
ospita 240 alunni interni e che fun-
ziona ottimamente, tanto da essere
considerata come uno dei migliori
collegi di tutta la Repubblica, e
12 ampliatala, con l'apertura di una
scuola per campesinos adultos nella
Muyurina stessa, pensammo a com-
pletare la nostra azione tecnica con
l'attività missionaria.
La . S ~one
della riv~ e arm ata
La nostra attività apostolica, so-
prattutto in un paese sottosvilup-
pato come la Bolivia, non poteva
rimanere rinchiusa nel circolo di un
gruppo di giovani privilegiati, che
potevano godere del vantaggio di
studiare in un collegio rinomato.
Abbiamo studiato i bisogni della
regione in cui svolgevamo la nostra
opera e non abbiamo ceduto alla
tentazione del comodismo che si
rinchiude dentro le mura del col-
legio, vivendo staccati dal contesto
sociale del luogo.
L'ambiente sociale che ci circon-
dava era in situazioni deplorevoli,
Sotto la spinta di questa nostra
convinzione e fiducia ci siamo lan-
ciati con generosità all'azione tra le
comunità campesine situate nel rag-
gio di 10 km all'intorno della nostra
scuola agraria.
Questa nostra linea di azione, ba-
sata totalmente sul sacrificio e sulla
volontà di servizio ai fratelli più
bisognosi, voleva anche dimostrare
che la contestazione a forme troppo
chiuse di alcune nostre opere, più
che a parole e con eterne discus-
sioni, si poteva fare in forma più
efficiente con il lavoro serio e sacri-
ficato, che da solo sblocca la tanto
incriminata situazione tradizionale.
La nostra attività esterna tra i
campesinos non fu segno di sfiducia
nell'azione educativa del collegio
stesso: eravamo e continuiamo ad
essere persuasi della efficacia pasto-
rale dei nostri collegi; dovremmo
essere ciechi per non vedere i risul-
tati nei nostri ex allievi che, fatti

2.3 Page 13

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uomini, ci dichiarano la loro grati-
tudine profonda e sincera, ricono-
scendo apertamente che è da noi
che impararono ad essere uomini,
cioè persone con senso di onestà,
lavoro e di responsabilità, valori
assai difficili da trovare in questi
paesi sottosviluppati, e la cui man-
canza è causa non ultima del sotto-
sviluppo stesso.
Quindi non fu per evadere da
una attività in cui non credessimo
più, o in cui non ci sentissimo più
realizzati come apostoli, che ci siamo
buttati coi campesinos: questa nostra
esperienza apostolico-sociale, è nata
unicamente dalla esigenza interiore
di ampliare il raggio della nostra
influenza nell'ambiente, e trasfor-
mare così il collegio in centro mo-
tore e propulsore di attività sociali
da esso emananti e sostenute.
Un uomo
nel fango
Cominciammo isitare le comu-
nità los peones, i braccianti della
campagna attorno a noi. Incon-
trammo queste comunità in uno
stato pietoso, disorganizzate, sfidu-
ciate per le promesse regolarmente
inadempiute dei politici, che unica-
mente li strumentalizzavano per le
loro finalità politiche da quando il
voto è stato reso universale e quindi
esteso anche a los peones e a Los
l11dios. Tutte queste comunità man-
cavano dei più elementari servizi
sociali: senza scuole, senza assistenza
medica, completamente indifese con-
tro lo sfruttamento di padroni privi
di scrupoli, senza acqua sana da
bere ed escluse da ogni assistenza
religiosa. L'unica forma di un mo-
mentaneo sollievo alla loro esaspe-
rante situazione era la sistematica
ubriachezza con la cliiclia o, peggio,
con l'alcool puro.
L'ambiente era più che mai pro-
pizio per una coscientizzazione sov-
versiva e la tentazione di farlo era
quanto mai forte.
Fui chiamato da un peon, arrivato
a piedi da oltre 6 km, perché an-
dassi ad assistere un suo compagno
di lavoro moribondo. Lo portai con
la nostra jeep ed entrai in una ca-
panna senza finestre e senza luce,
dove dormivano, sul pavimento d_i
terra umida per le piogge della sta-
gione, più di quindici operai, tra
cui il moribondo, tisico all'ultimo
stadio, che sputava sangue sul pa-
vimento tra un giaciglio e l'altro.
Per poter udire la sua debole
voce e confessarlo dovetti inginoc-
chiarmi e abbassare la testa appog-
giando le mani su quel ributtante
pavimento. Uscii con lo stomaco
rovesciato per l'odore e la spor-
cizia, col cuore angosciato e l'animo
in ribellione: sollevando lo sguardo
alla grande costruzione, dimora del
padrone, con fuori trattori, camions
e due automobili, a fatica trattenni
una maledizione.
Ma nonostante tutto, non mi parve
questa la forma migliore per aiutare
quei poveretti. Cominciammo a far
opera di penetrazione tra i diversj
gruppi di peo11es per far nascere in
loro il senso di unione e di comunità.
È stato un lavoro lungo e diffi-
cile superare il loro individualismo
Un villaggio di campesinos. Qui si vive in
estrema povertà.
13

2.4 Page 14

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indifferente e sfiduciato. Ogni nottl
visitavamo una comunità: ci incon-
travamo in una delle loro capanne,
alla penombra della fumosissima fiam-
ma di uno stoppino immerso in una
lattina di petrolio, seduti per terra
o su tronchi d'albero, tra i loro
cani e qualche maiale. E comin-
ciammo a farci conoscere, a dire
loro il nostro desiderio di poter
essere loro utili, domandando in
che cosa potevamo aiutarli, senza per
altro potere fare alcuna promessa
perché non volevamo poi mancare di
parola: e finivamo, rivolgendoci al
Signore con preghiere spontanee per-
ché ci aiutasse tutti, noi e loro.
Fu difficile superare la sfiducia
circa la nostra sincerità. :\\,la il Si-
gnore ci aiutb e riuscimmo a diven-
ta.re i loro consiglieri di fiducia in
tutti i loro problemi, anche familiari.
E perché questa nostra azione
servisse anche ai giovani del nostro
collegio, ne portavamo alcuni, vo-
lontari, perché vedessero lo stato di
quella povera gente.
Prim.o p
a: l'acqua
Questi giovano che assistevano
alle riunioni, e, quando queste si
prolungavano, si addormentavano per
terra o sui sacchi di riso, ritorna-
vano stanchi ma sempre entusiasti.
Tanto che si rese difficile la scelta
di quelli che dovevamo portare con
noi.
Il sistema che seguivamo era quello
di rendere coscienti questi poveri
peones, abituandoli a riflettere e pen-
sare, perché loro stessi analizzas-
sero la loro situazione. Dicevamo
loro che non basta lamentarsi: dob-
biamo vedere che cosa è che ci fa
più soffrire, e studiare insieme se
si può trovare qualche soluzione.
• Sono moltissime le cose che voi
dite che vi mancano e che vi fanno
soffrire: ma bisogna che vi rendiate
conto che sono cose che affliggono
non uno individualmente, ma tutti
voi, tutta la vostra comunità: percib
se sono problemi che vi toccano
tutti, bisogna che siate tutti uniti
nel risolverli •>.
In questo modo incominciarono a
capife che avevano problemi in co-
mune, per la cui soluzione bisognava
che fossero tutti uniti.
~on potevamo essere noi a fis-
sare quale dei problemi affrontare
per primo: l'avremmo fatto con la
nostra mentalità. Sarebbe stata una
imposizione, ed essi non sarebbero
intervenuti nello sforzo della ricerca
e nella decisione.
Così discutendo tra loro, arriva-
14 rono a decidere che il primo pro-
blema era quello dell'acqua da bere.
Rispettammo la loro decisione,
tanto più che si trattava di una 'lolera
tragedia: vivono al tropico con un
caldo che non dà mai tregua tutto
l'anno e non possono aver acqua
per lavarsi e per dissetarsi. Si de-
vono accontentare della poca acqua
che riesce a formarsi in buche di
uo metro e mezzo da loro scavate
nel terreno, in cui hanno diritto di
accesso e di precedenza moscerini,
zanzare, vermi, rospi e serpenti (di
qui provengono le infezioni genera-
lizzate dei bambini, dei quali an-
cora adesso muore il 75% !).
Fissato il problema da affrontare,
creammo un Comitato di tre per-
sone della comunità, elette da loro.
Sappiamo già in precedenza che loro
riusciranno a poco, ma li obbli-
ghiamo a muoversi perché devono
imparare. Alla fine interveniamo per
aiutarli: andiamo insieme negli uf-
fici, insistiamo con le autorità, cosi
quelli del comitato vedono come
facciamo.
In questo problema dell'acqua l' in-
traprendenza del nostro sig. Feletti
fece miracoli: si trasformò in rab-
domante, in tecnico di pozzi e in
idraulico, e riuscì a dare l'acqua a
tutte le comunità, facendo lavorare
la comunità interessata e ottenendo
le pompe a mano che dormi vano
nei depositi degli uffici statali.
Secondo pr
a: la scuola
Il problema e la scuola lo af-
frontarono prima del problema della
salute, perché capiscono che è l'anal-
fabetismo la causa che li espone a
tutte le astuzie dei commercianti,
dei cattivi padroni e dei politici.
Ciascuna comunità costruì la pro-
pria scuola, dapprima nella stessa
forma delle loro capanne di paglia
e fango; ora, poco a poco, si sono
trasformate in costruzioni semplici
ma di mattoni e con tetto di tegole.
A que.ste costruzioni, assieme ai
membri della comunità, partecipa-
rono anche i nostri ragazzi del col-
legio della Muyurina, sia con gior-
nate di mano d'opera, sia racco-
gliendo con differenti iniziative da-
naro per aiutare la comunità a pagare
il materiale di costruzione e i banchi
di scuola.
Il punto più difficile da superare
fu quello di ottenere la assegnazione
dei maestri pagati dallo Stato, per-
ché il Ministero accetta di fissare
un maestro pagato solo per quelle
scuole che già funzionano da due anni
per conto proprio, e presentano ~li
alunni per gli esami ad una commis-
sione del centro scolastico regionale.
Padre lnvernlul e Il coadiutore Falettl ed
une riunione di c.mpe•lnos.
Non potendo la comunità né
noi disporre del danaro necessario
per pagare i maestri per due anni
di inizio, avanzammo la proposta
di provare coi ragazzi maggiori della
Muyurina. Accettarono.
In casa nostra l'esperienza pro-
posta fu giudicata azzardata e molto
rischiosa per l'influenza negativa sul
profitto dei ragazzi, che dovevano
sacrificare il loro tempo di studio
per andare a far scuola, e soprat-
tutto per i pericoli morali di questi
giovanotti con le ragazze del campo,
facili a lasciarsi ingannare. Per for-
tuna l'incoraggiamento dell'allora no-
stro Ispettore, l'attuale mons. Got-
tardi dell'Uruguay, e la serietà con
cui si impegnarono i nostri ragazzi
ottennero il più stupendo risultato,
senza perdere quota nella loro posi-
zione scolastica in collegio.
E cosi, oggi, ogni scuola ha il
suo maestro pagato dallo Stato.
L'ambula
sacrestia
In tutta la zon non c'era un me-
dico, né una infermiera, né una
levatrice. Le Autorità non accettano
domande di infermiere se non c'è
un locale per l'ambulatorio.
Pensammo di utilizzare la sacre-
stia della nuova chiesa che nel frat-
tempo avevamo costruito. Furono im-
mediate le reazioni contrarie: un poco
nella gente e soprattutto nell'am-
biente ecclesiastico, a cui sembrava
irriverente mettere dietro all'altare del
SS.mo l'ambulatorio medico e la sala
parti.
Però alla fine ammisero che se il
tempio è la casa di Dio non era
sconveniente che in questa casa ci
fosse un posto anche per i figli di
Dio ammalati. E così oggi c'e una
infermiera, pagata dallo Stato, che
risiede suI posto, giorno e notte;
settimanalmente viene il medico a
visitare gli ammalati ehe vengono
portati all'ambulatorio.
Pensavamo che, avendo l'ambula-
torio con la infermiera-levatrice e
il medico, il problema sanitario
fosse fondamentalmente risolto: ma.
un'altra \\tolta costatammo come la
nostra mentalità di gri11gos (stra-
nieri), ci creava illusioni.
Infatti si presentò subito il tre-
mendo problema della ricetta: era
inutile avere il medico che stendesse
la ricetta, se poi non c'erano i soldi
per pagare le medicine: la cassa
malattia è ancora un sogno!
Destinammo per questo le offerte
domenicali che si raccoglievano in

2.5 Page 15

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chiesa; entrarono in azione di nuovo
i ragazzi di tutte le classi del nostro
collegio, che, con le più svariate
iniziative, cominciarono a raccogliere
fondi per pagare le medicine.
I giovani ~ufettano »
1J La presenza
ragazzi del col-
legio nelle nostre visite alle comunità
campesine oggettivamente non ci era
sempre di grande aiuto. Capivamo
benissimo che parecchi di loro ci
seguivano per evadere dal collegio
e per poter allungare un poco gli
occhi sulle ragazze e scambiare con
loro qualche complimento!... Ma il
nostro scopo era che vedessero cosa
e come facevamo noi per quella po-
vera gente socialmente emarginata;
si << infettassero >> della nostra ansia
di aiutarli, senza regali, ma educan-
doli a sollevarsi con le loro stesse
forze; e costatassero che la religione
vera non si limita a insegnare ora-
zioni e a predicare una rassegnazione
fatalistica, ma sprona all'azione p
generosa di promozione umana.
La tattica funzionò, e non solo
rimasero <ti nfetti » quei ragazzi che
portavamo con noi, ma questi «in-
fettarono» tutto l'ambiente del col-
legio, così che si creò una vera gara
tra le differenti classi per cercare
una attività specifica da sostenere e
per realizzare le più impensate ini-
ziative per raccogliere fondi.
Ed arrivarono a ciò che sembrava
utopia sperare: in Bolivia, come in
generale in tutta l'America latina,
sono tradizionalmente d'obbligo le
<< uniformi>> per le sfilate scolastiche
dei vari collegi pubblici e privati,
e la gita annuale della «promozione•>,
cioè dell'ultimo corso, che dura
quindici giorni.
Un collegio misura iI suo livello
di prestigio dalla fastosità di queste
due manifestazioni, che costano molti
milioni! Siccome sono molto pochi
gli alunni che possono disporre di
tanto danaro, tutte le iniziative del-
l'anno scolastico sono indirizzate per
raccogliere i fondi necessari per que-
ste infantili manifestazioni di vanità
collettiva. Scalfue questa mentalità
tradizionale, sostenuta dalle Auto-
rità e dai genitori degli allievi, era
illusorio e vi era anche il pericolo
di essere accusati di antinazionali-
smo. Ma ciò che nessuna p roibizione
sarebbe riuscita ad ottenere, è riu-
scito a farlo l'entusiasmo per l'aiuto
ai fratelli più bisognosi. Infatti i
nostri giovanotti della Muyurina, da
soli, affrontando i motteggi degli
altri collegi e l'incomprensione dei
familiari, rinunziarono alla gita della
promozione; ed oggi sono sponta-
neamente arrivati anche alla elimi-
nazione della inutile uniforme, sgar-
giante e costosa.
Il valor~ a nostra
es,pj~ eillza
Fu un colpo duro, che causò me-
raviglia nelle Autorità. Qualcuno pen-
sò che il nostro collegio disprezzasse
una tradizione nazionale. Ma gli
stessi alunni si presentarono alle Au-
torità per dare spiegazioni. Ed oggi
J'esempio sembra che cominci a far
pensare i giovani degli altri collegi
e le stesse Autorità, che parlano
già di spreco inutile per le uniformi
delle sfilate.
Ci sembra di aver raggiunto due
obiettivi: aiutare i bisognosi e sen-
sibilizzare i ragazzi del Collegio della
Muyurina. Il collegio, pur conti-
nuando il suo ritmo regolare di scuola
è diventato un centro propulsore di
iniziative, che hanno migliorato tutta
la regione circostante.
·
È una esperienza ancora in piena
realizzazione, che si sta estendendo
a una fascia di un centinaio di chi-
lometri nella foresta con circa 30.000
colonizzatori totalmente abbandonati
a se stessi, disorganizzati e privi di
tutte le più elementari comodità.
Pensiamo che 1a nostra, pur nella
sua semplicità, sia una esperienza
che ha dimostrato (senza perdersi
in sterili ed eterne discussioni circa
la validità o meno della nostra atti-
vità nei collegi) il grande apporto
che il collegio può dare ad opere
sociali e di evangelizzazione dell'am-
biente esterno per mezzo deJ perso-
nale, degli alunni e degli aiuti finan-
ziari, e la grande efficacia formativa
che può operare sui giovani se ci si
dedica con sacrificio personale, al-
l'attività evangelizzatrice e sociale.
Il
di una ra
o
smittente
L'entusiasmo dei campesinos nei
nostri confronti è grande. Però bi-
sognerebbe intensificare i contatti
con loro. Ma come fare quando sono
tanto lontani, le strade impossibili,
e manca il tempo ?
Il sogno è una radio trasmittente.
Il Governo concede molte facili-
tazioni a questo proposito, e sono
già parecchie le radio che, in un
raggio di 2-300 chilometri, diffon-
dono programmi culturali.
Ma la difficoltà più grossa è so-
stenere l'impresa una volta realiz-
zata: i programmi educativi non
rendono, e ci vorrà un migliaio di
dollari al mese.
Molte volte il campesino ha la
casa senza pareti, donne su una
stuoia, siede su un tronco, mangia
malissimo, ma non rinuncia aUa ra-
dio: è l'unico mezzo che gli per-
mette di stare in contatto con il
mondo e di sentirsi persona. Quale
investimento migliore che una sta-
zione trasmittente che raggiunga tutti,
anche i più lontani, con un mes-
saggio di luce e di speranza ?
DANTE INVERNIZZI
missionario salesiano 1 5

2.6 Page 16

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Si teneva il convegno degli exal-
lievi salesiani nella città di Potenza.
Era il 1969. Al tavolo della presi-
denza c'era monsignor Bertazzoni,
arcivescovo della città. Don Arca-
dio Vacalebre, con il microfono del
piccolo registratore in mano, lo
stuzzicò, lo mise alle strette, finché
l'anziano vescovo, tra un sorriso e
una punta di commozione, si lasciò
andare a raccontare la sua vita. Un
racconto che, a distanza di anni,
conserva la freschezza delle cose
vive.
«Dove sono nato ? E non lo sa?
Io ho visto la luce a Polesine, in
quel di Mantova. Era il 1876. Conti
lei gli anni, se vuol sapere quanti
ne ho.
Al mio paese c'erano solo le pri-
me tre elementari, e andai a Val-
docco, all'Oratorio di Don Bosco
a fare un anno di preparazione e
poi il ginnasio. Tre anni: dall'86
all'89.
Ero piccolo, s'immagini, dieci
anni. I primi giorni ero proprio
spaesato. Lontano da casa, dalla
mamma. Non mi ero mai staccato
da lei. Scrissi a casa più volte di-
sperato: "Venite a prendermi!".
Tanto che mia mamma, dopo due
o tre mesi, venne con mio nonno
per riportarmi a casa. Ma quando
arrivò mi era passata. Mi trovavo
cosi bene che dissi loro: "Tornate
pure a casa. Io resto qui".
Don Bosco seduto,
col berrettino in capo
Ero arrivato a luglio, e non avevo
ancora fatto la prima Comunione.
Allora non si usava farla tanto pre-
sto. E cosi mi comunicai la prima
volta nel mese di settembre, per la
festa della Madonna.
Doveva celebrare la messa Don
Bosco, invece non si sentiva bene,
e celebrò don Rua. Ma Don Bosco
volle vederci. Eravamo in tre. Era
il mio primo incontro con Don
Bosco. Salimmo nella sua camera,
e lo trovammo seduto, col berret-
tino in capo. Saprei ancora dire
dov'era la sua poltrona. Ci inginoc-
chiammo davanti a lui. Ci parlò
con tanta affabilità, ci diede i ri-
cordi della prima Comunione, ci
pose la mano sul capo e col suo
16 paterno sorriso ci benedisse.

2.7 Page 17

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Quando fui consacrato vescovo,
un mio compagno di allora, che
era diventato redattore del giornale
Il Momento di Torino, mi scrisse
che Don Bosco, mettendomi la
mano sul capo mi aveva detto:
"Che testina da mitria!". Ma io
non lo ricordo: ero un ragazzetto
di dieci anni.
La vita sotto il calice
Quando Don Bosco cominciò a
star male, nel 1887, noi andavamo
durante la ricreazione, in tre o quat-
tro, da don Berto. Mi portava da
lui don Orione, che era più grande
di me. Ricordo che don Berto, nel
suo ufficio, aveva una statuetta della
Madonna. E ci propose di offrire
1a nostra vita per Don Bosco. Noi
abbiamo subito accettato. E mi ri-
cordo che la mattina dopo don
Berto celebrò nella Basilica di Ma-
ria Ausiliatrice, nella cappella del
Sacro Cuore, e mise la nostra of-
ferta, che avevamo fatto per iscrit-
to, sotto il calice.
Non riuscii mai a confessarmi da
Don Bosco. Da don Rua sl, ma
da Don Bosco avevano la prece-
denza i grandicelli, e quindi noi
non riuscivamo mai.
Durante l'agonia di Don Bosco,
a turno, abbiamo pregato tutta la
notte nella chiesa di Maria Ausi-
liatrice. Alla mia camerata era toc-
cato l'ora dalle quattro del mattino
al suono dell'Ave Maria. Quando
siamo usciti, abbiamo alzato gli oc-
chi alla cameretta di Don Bosco, il-
luminata. E abbiamo veduto ve-
nirci incontro don Rua, che ci diede
la triste notizia della morte. C'in-
ginocchiammo per terra, e l'assi-
stente ci fece dire il De profimdù.
Pochi di noi riuscirono a rispon-
dere, perché piangevamo. Ma poi
abbiamo detto il Padre nostro, per-
ché eravamo persuasi che Don Bo-
sco era un santo.
Alla ricerca di un piccolo
bambino
Noi piccolini non ci hanno la-
sciato baciargli la mano, il giorno
dopo. Ma quando la salmafu espo-
sta nella chiesa di San Francesco,
siamo passati tutti a pregare. Io
avevo avuto l'incarico di distribuire
il Bollettino Salesiano davanti alla
porta della chiesa durante il fune-
rale. Ho guardato con molta atten-
zione le foto dei funerali, le ho
guardate con la lente di ingrandi-
mento per vedere se potevo distin-
guere un piccolo bambino che di-
stribuisce il Bollettino. Ma non
l'ho trovato l
Tra le massime che ci diceva
Don Bosco ne ricordo una in modo
particolare: Vivere da salesiani.
Vale per tutti, anche per me, ve-
scovo. Vivere da salesiani vuol dire
testimoniare con la nostra vita il
Cristo, come voleva Don "Bosco.
Don Bosco non voleva che fossimo
egoisti, cioè che pensassimo unica-
mente alla nostra formazione.
Ognuno deve essere apostolo: nel
suo ufficio, nella scuola, dovunque.
Per la trigesima della morte di
Don Bosco ero sull'organo come
piccolo cantore. Suonava il mae-
stro Dogliani, grande musicista.
E poi ricordo don Rua. Lo ri-
cordo molto bene. Un giorno, sic-
come eravamo in molti a dover so-
stenere un esame, c'erano diversi
esaminatori, quattro o cinque. Un
tavolo lungo... Quando io ho visto
che l'esaminando di don Rua aveva
finito ed era andato -via, mi sono
subito messo a sedere: volevo fare
gli esami da don Rua perché era
molto buono. Ho ancora davanti
la sua bella figura. Lo rivedo ingi-
nocchiato, con le sue belle mani
giunte, che non appoggiava mai.
Aveva male agli occhi, e quando
confessava teneva sempre il suo faz-
zoletto bianco sugli occhi. Non
dico che io fossi il suo beniamino,
ma quasi!
Ad accogliermi ci fu. Pio X
Dopo il ginnasio, siccome l'aria
di Torino non mi faceva bene, ho
dovuto ritornare a Mantova. Ma
solo per il motivo della salute,
nient'altro. Mi ero trovato benis-
simo con tutti. Appena lasciato
Valdocco sono entrato in seminario
a Mantova, e ad accogliermi ci fu
monsignor Giuseppe Sarto, il fu-
turo santo Pio X. Passavo da un
santo all'altro!
Ricordo che nel febbraio del
quarto anno di teologia il Vescovo
mi chiamò e mi disse: "Caro Au-
-gusto, ho bisogno di te. Il parroco
di Quistello (un paese con seimila
abitanti) è ammalato, e non ho nes-
suno da mandare a sostituirlo. Tra
otto giorni ti do l'ordinazione e ti
mando a fare il parroco. Ci stai ?".
E cosi, giovanissimo, mi trovai get-
tato a capofitto nella vita sacerdo-
tale e parrocchiale. Vi rimasi quat-
tro anni. Poi il vesco'Vo mi disse
che voleva mandarmi a San Bene-
detto Po. Non volevo accettare. In
quel paese c'era il socialismo più
"sbracato" della zona. Pensi: metà
entravano in chiesa, metà fuori.
Metà battesimi e metà funerali ci-
vili. Finii in quel marasma, in pri-
ma linea. Per 27 anni!
Poi nel 1930 mi fecero vescovo
e mi mandarono a Potenza. Ho
fatto quel che ho potuto. Posso mo-
rire contento perché sono riuscito
a far venire i Salesiani. Sono la for-
tuna della città >>.
Pellegrino instancabile
tra la povera gente
Monsignor Bertazzoni si è spen-
to il 30 agosto scorso, dopo essere
stato vescovo per 42 anni. L'Os-
servatore Romano, ricordando la
grande figura, ha scritto: <t Le com-
ponenti essenziali e vigorose di
tutti i suoi 73 anni di sacerdozio
furono la passione per gli adole-
scenti e i giovani imparata da Don
Bosco, la chiarezza e la costanza
nella catechesi attinta da Pio X.
La sua spiritualità si nutri di ora-
zione intensa e di sacrificio nasco-
sto. Fu pellegrino instancabile nei
viaggi missionari alla povera gente.
I giovani, studenti o non, avevano
entrata nella sua casa in qualunque
ora, sicché da questa convivenza
familiare di pace n'è venuto fuori
uno stuolo di testimoni tra i quali
l'on. Emilio Colombo».
A questi giovani egli ha lasciato
la sua eredità di apostolo: attingere
forza nel Vangelo per impegnarsi
nelle opere umane più urgenti: da-
re prosperità alle famiglie, dignità
111 lavoro, pace alle comunità.
Il ragazzetto che incontrò Don
Bosco all'alba della sua vita non
poté dare la vita per lui, ma la
spese bene, giorno per giorno., per
i suoi fratelli.
17

2.8 Page 18

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Intervista con il direttore della
D1>1
CO "
Si chiama don G iulio Manga-
nelli, ed è direttore della Don Bo-
sco Sha, cioè dell'Editrice sale-
siana di Tokio.
È tornato in Italia perché la
sua vecchia mamma ha bisogno
di cure e di assistenza. Nelle brevi
ore in cui è rimasto a Valdocco
gli ho domandato notizie sulla no-
stra attività editoriale nella im-
mensa capitale del Giappone. Ne
è nata un'intervista che credo in-
t~resserà tutta la famiglia sale-
siana.
Domanda. - Appena arrivati in
Giappone i Salesiani si sono dedi-
cati alla stampa. Perché?
Risposta. - I primi salesiani
erano guidati da don Cimatti, un
uomo intelligente, che sapeva leg-
gere i segni dei tempi. Egli capì
che il Giappone era una nazione
dove la cultura stava ai primi
posti della vita. E previde un
boom culturale senza precedenti.
D . - Ebbe ragione?
R. - Fino allo scoppio della se-
conda guerra mondiale parve aver
torto: il boom l'ebbe il patriottismo
militarista, che portò il Giappone
alla tragica avventura della guerra
nel Pacifico. Ma subito dopo ca-
pimmo che don Cimatti aveva vi-
sto giusto.
D. E cioè?
R. - Oggi in Giappone non esiste
un analfabeta. Il 70% dei ragazzi
va a scuola almeno fino ai 18 anni,
e s'impegna quasi con fanatismo
nello studio. Una giornata di va-
canza in una scuola giapponese
può essere accolta come una puni-
zione. Per fare un paragone illu-
minante, basta ricordare che in
Inghilterra, una delle nazioni più
civi Li e progredite, solo il 40 % dei
ragazzi va a scuola fino ai 18 anni.
Si calcola che fra qualche anno
un giovane giapponese su tre en-
trerà nel mondo del lavoro con
una laurea universitaria o un di-
ploma superiore.
D . - Ma la stampa?
R. - La sete di cultura e di m-
formazione dei giapponesi si n-
18 flette nella stampa. Non c'è fa-
TclioeckHi&odà«wIM.1.n.e.tr.W..I,..p.r.e.m.celcio-a-ll.oUle.m.w. 4ledl"ahlckl-
&ao. Coa le cletl ~lilae Jacoiate ael RO ..........
la•-,;..... ~ 45 aa. ~.I.s.9.
Giio. la .....
ffllUeoi
9itkllle
---
cli p11Hoae: come le ~
, - 1 • •. , . ,
Nle VIDMO SeJeelenf Gel'-
W 4J ...... il Jierito del Vq'lelG.
In alto: la Bibbia in giapponese pubblicata dai Salesiani.
In basso: la sede della Don eosco Sha.

2.9 Page 19

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VAN EU
TRA I GRAilACIEU DI fflKIO
miglia giapponese che non cominci
la giornata con la lettura di al-
meno due quotidiani. I giornali
giapponesi hanno le maggiori ti-
rature del mondo. L'Asahi Shim-
bun, con i suoi 9 milioni d1 copie
giornaliere è il più diffuso giornale
del mondo. E il secondo è il
Mainichi Shimbun, con 8 milioni
di copie. Solo al terzo posto viene
il giornale sovietico Izvestija (7 mi-
lioni e mezzo di copie). Basta fare
un paragone con i due più diffusi
giornali italiani, La Stampa e Il
Corriere della Sera, che oscillano
sulle 600.000 copie, per capire
l'importanza della stampa in Giap-
pone.
D. - E noi Salesiani, di fronte
a questo boom della cultura, che
abbiamo fatto? Abbiamo fondato un
quotidiano a,zche noi?
R - Magari! Don Cimatti, nella
città di Oita, incaricò don Mar-
giaria di pensare ad una piccola
tipografia. Nacque cosi, intorno al
1930, la Don Bosco Sha. La prima
pubblicazione fu un foglietto di
propaganda, una cosa modestis-
sima con cui ci presentavamo ai
Giapponesi. Fu il classico granel-
lino di senapa, anche se il suo
sviluppo non è ancora grandioso
come quello previsto dal Vangelo.
Poco per volta cominciammo a
pubblicare le Letture Cattoliche
mensili, che ebbero una buona
accoglienza tra la gente. Final-
mente, credo nel 1934, la Don
Bosco Sha fu trapiantata a Tokio.
TV con 12 canali, di cui
6 a colori
D. - Cosa significa il passaggio
da una cittadina del Sud alla ca-
pitale?
R - Bisogna conoscere Tokio
per capire cosa significò. Una di-
stesa sterminata di case, caotica,
tumultuosa. Una marea gialla di
edifici industriali che preme con-
tro le acque azzurre del Pacifico
fitte di navi. Oggi Tek.io conta
1 2 milioni di abitanti. Con le cit-
tadine periferiche che ha ingoiato
nel suo espandersi, oscilla tra i
18 e i 19 milioni. Qualcosa come
Roma, Milano, Napoli, Torino,
Genova, Palermo più altre qua-
ranta città italiane come Venezia
e Bari unite insieme, saldate in un
unico attivissimo formicaio umano.
La TV di Tokio dispone di
12 canali, di cui 6 a colori. Tra-
smette per 18 ore al giorno. Il
93 % delle famiglie giapponesi ha
un televisore, spesso due, qualche
volta tre. Persino i lustrascarpe
della Ginza, la più grande arteria
di Tokio, mentre manovrano svel-
tissirni spazzole e stracci, non stac-
cano l'occhio dal televisorino a
12 pollici che hanno piazzato ac-
canto al loro baracchino.
Entrare a Tokio vuol dire rice-
vere una sferzata. Qui un'orga-
nizzazione non può vivacchiare. O
dimostra di valere e si crea un
proprio spazio vitale, o sparisce.
D . - Che hanno fatto i Salesiani
della Don Bosco Sha ?
R - Nel 1946 uscimmo con una
dignitosa rivistina che fungeva da
Bollettino Salesiano giapponese. Ma
il vero salto di qualità lo abbiamo
fatto nel r952. Sotto la direzione
di don Federico Barbaro (un sa-
lesiano formidabile, che si era fatta
una cultura linguistica e sociolo-
gica giapponese davvero notevole)
uscì il primo numero di Kato-
rikku Seikatsu, mensile che in
breve diventò una delle tre prin-
cipali riviste cattoliche del Giap-
pone.
Si può definire una rivista di
<< pre-evangelizzazione ». Vengono
cioè trattati gli argomenti e af-
frontati i problemi che interessano
ogni giapponese. Ma la sensibilità
con cui vengono trattati è la sen-
sibilità cattolica.
D . - Quali sono i problemi che
oggi interessano maggiormente il
pubblico giapponese?
R. - Innanzitutto la pace. Il
Giappone uscì dalla tremenda av-
ventura della seconda guerra mon-
diale con il lampo delle due ato-
miche su Hiroshima e Nagasaki.
Si è ricostruito con trent'anni di
lavoro intelligente e disciplinato,
a denti stretti. Oggi non vuole
più assolutamente correre il ri- 19

2.10 Page 20

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schio di una guerra. Ricorda la
Esposizione internazionale di Osaka
del 1970 ? Il simbolo era un fiore
stilizzato di ciliegio, il fiore del
Giappone. Cinque petali, cioè i
cinque continenti, uniti fra loro
in pace e in armonia. Nessun giap-
ponese ha paura di ripetere: << La
guerra è stata uno sbaglio colos-
sale. Il futuro dev'essere fondato
su una pace duratura, basata sul
dialogo tra i popoli». Quando
Paolo VI parla di pace, in nessun
Paese le sue parole sono sottoli-
neate come in Giappone. Non tanto
perché egli è il Papa, ma perché
la pace interessa il Giappone, che
nell'antichità si chiamava Yamato,
cioè << Paese della pace >>.
La grande massa dei giovani
non scende in piazza
m& contesta
D . - Sui giornali italiani appa-
iono spesso fotografie di studenti
giapponesi che lottano contro la·po-
lizia : masse di giovani con casco
da motociclista, maschera di garza
antigas, bastone di bambù pesante
e lungo. Che cosa contestano i gio-
vani? Che cosa pensano del Giap-
pone attuale ?
R. - La gioventù giapponese è
contestataria esattamente come la
gioventù delle nazioni occidentali.
Una minoranza scende in piazza
contro la polizia, ed è più pitto-
resca delle minoranze occidentali
solo perché porta divise e caschi
che la fanno somigliare a una for-
mazione militare. Ma la grande
massa dei giovani non scende in
piazza, eppure contesta, cioè di-
scute criticamente la politica se-
guita fin qui dagli uomini politici.
Contesta il << miracolo econo-
mico >> giapponese perché i suoi
frutti non sono giunti a tutta la
società. Accanto alle splendide fab-
briche nuove con i loro impianti
automatizzati, si stendono a vista
d'occhio migliaia di casette grigie
di legno per gli operai, che a volte
mancano dei servizi essenziali. A
55 anni l'operaio giapponese va in
pensione, ma le pensioni sono
poco consistenti, e spesso la si-
tuazione dei" vecchi è tristissima.
D . - Si può di.re che in questa
contestazione ci sono delle istanze,
delle idee cristiane?
R. - Io credo di si. Uno stu-
dente universitario che non co-
nosce il Cristianesimo mi diceva:
<< Da noi c'è stato uno sviluppo
prodigioso, ma si è anche perso
qualcosa di importante. Si è perso
l'uomo, la tradizione spirituale,
il senso del valore dell'uomo per
dare troppo risalto ai valori eco-
nomici. Si è prodotto lo scon-
volgimento del sistema dei valori
umani e la decadenza morale. Il
fenomeno degli hippies, l'esplo-
sione della superstizione, la diffu-
sione della droga, dimostrano le
mancanze profonde della nostra
società del benessere >>. Mi pare
che un giudizio di questo genere
sia fondamentalmente un giudizio
cristiano. Paolo VI diceva ai gio-
vani contestatori: «Voi volete dare
un senso alla vita ». E Colui che
ci ha insegnato che la vita ha un
senso è Gesù Cristo.
D . - Questa contestazione, spe-
cialmente se violenta, non potrebbe
aprire la via a una rivoluzione co-
munista?
R. - Non credo. Innanzitutto,
le ripeto, la violenza è un feno-
meno molto limitato tra la gio-
ventù, anche se fa molto rumore.
In secondo luogo le forze socia-
liste, che sono molto potenti in
Giappone, desiderano una diversa
sistemazione sociale, ma sono lon-
tanissime dal volere un'esperienza
comunista.
Piuttosto, questa gioventù che
cerca di mettere in primo piano
i valori dell'uomo e non delle cose,
e che cerca di dare un senso alla
vita, mi pare una generazione pron-
ta ad accogliere il messaggio cri-
stiano. Le dirò di più: mi pare
una generazione che in un modo
o nell'altro ha già assorbito in
parte la maniera di pensare cri-
stiano. Per questo noi abbiamo il
compito urgente di divulgare in
forma sempre più massiccia, il
messaggio di Cristo. La nostra edi-
trice lavora ormai da vent'anni
in quest'ordine di idee.
D. - Che cosa state facendo di
concreto?
R. - La prima opera realizzata
da don Federico Barbaro è stata
una splendida traduzione del Nuovo
Testamento, con introduzione e
commenti che innestano il mes-
saggio cristiano nella mentalità
giapponese. In dieci anni se ne
sono vendute 500.000 copie. Se
pensa che i cattolici in Giappone
sono in tutto 350.000, il successo
è veramente notevole.
Subito dopo, don .Barbaro si
mise al lavoro, con l'aiuto della
professoressa cristiana Ogata, per
tradurre in giapponese tutta la
Bibbia, Nuovo e Vecchio Testa-
mento. Fu un lavoro colossale,
che per la stampa mise a dura
prova i mezzi limitati della nostra
tipografia. Ma fu un successo. Non
ho con me le statistiche precise,
ma le posso garantire che ne sono
state vendute almeno 40.000 copie.
Don Barbaro battezu una giovane u nlver-
20 sitaria di Tokio.

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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La giovanti) giapponese contesta Il « mira -
colo economico» perch6 i s uoi frutt.l non
sono giunti a tutta la società. Accento alle
s plendide fabbriche automatizzate s i sten-
dono e viate d'occhio c asette grigie di legno
per gll operai, che a volte mancano del ser-
vizi essenziali.
Sulla professoressa Ogata posso
riferire un particolare interessante.
Quando iniziò la collaborazione
con noi era pagana. Si converti
mentre lavorava alla traduzione
della Vita di Don Bosco scritta
dall'Auffray. << Una religione che
crea simili personalità - disse a
don Bar~aro - non può essere
che la religione vera >>.
Le teste battezzate
e le teste che ragionano
L man1er11 cristfana
D. - La Don Bosco Sha punta
unicamente alla diffusione della
Scrittura, o diffonde anche altre
opere?
R. - Come le dicevo prima, edi-
tiamo ogni mese Katorikku Sei-
katsu, uno dei migliori periodici
cattolici. Ma abbiamo anche dato
vita a quattro collane di libri: di
educazione, di liturgia, di cate-
chismo e di spiritualità. Ora ne
stiamo iniziando una quinta: di
sociologia. Iniziamo con il volume
Marxismo e Cristianesimo di don
Giulio Girardi, che abbiamo finito
di tradurre in questi giorni, e che
avrà certamente un'ottima acco-
glienza. Molti infatti ci doman-
dano qual è l'atteggiamento dei
cattolici davanti ai grandi interro-
gativi che il marxismo sta ponendo
agli uomini.
D . - L'edizione di molti volumi
esige mezzi finanziari notevoli. Co-
me ve la cavate?
R. - Questo è il settore più
dolente della nostra attività. Ab-
biamo dovuto accantonare splen-
dide iniziative proprio per man-
canza di fondi. Don Barbaro, la-
vorando di giorno e di notte,
portò a termine una splendida
traduzione della Vita di Cri.sto del
Ricciotti. Per la sua edizione oc-
correva impegnare 40 milioni di
I.ire. Non c'erano. Si fece avanti
l'editrice Kodansha, la più famosa
editrice di Tokio. Come se in
Italia si muovesse Rizzo/i o Mo-n-
dadari, insomma. II libro fu pub-
blicato, ebbe un enorme successo,
e don Barbaro fu premiato dal
Ministro dell'Istruzione per la mi-
gliore traduzione dell'anno. Sono
molto felice per don Barbaro, che
meritava questo riconoscimento na-
zionale. Ma sono meno felice per
la nostra editrice. Una splendida
occasione mancata.
D. - Il lavoro della Don Bosco
Sha è una piccola isola o avviene
in collegamento con le altre forze
cattoliche di Tokio?
R. - Potranno farci molte ac-
cuse, ma non quella di fare un
<< ghetto salesiano &. Almeno quat-
tro volte all'anno ci inèontriamo
con i vescovi e con i rappresen-
tanti delle altre editrici cattoliche.
Programmiamo insieme il lavoro
in discussioni franche e apertis-
sime.
D. - Ma il numero dei cattolici,
in Giappone, da vent'anni è sempre
fermo a 350.000. Come mai?
R. - È un'osservazione che mi
hanno fatto in tanti, anche a
Roma. Ed è un'osservazione, mi
scusi, che mi irrita e mi riempie
d'amarezza. L'azione di proseli-
tismo che si può misurare statisti-
camente con il numero dei bat-
tesimi, è certo una cosa impor-
tante. Ma io credo che abbia al-
trettanta importanza la diffusione
della ~ mentalità cristiana >►, delle
<< idee cristiane >>. Se la gioventù
giapponese, oggi, ragiona in ma-
niera più cristiana che la genera-
zione precedente, non è un grande
successo ? Oggi i rapporti con gli
altri si impostano sul rispetto e
sull'amore, non sulla violenza e la
guerra. Il benessere economico si
vuole distribuito in maniera giusta
fra tutti. Si cerca di mettere in
primo piano i valori dell'uomo, e
non quello del denaro. Tutto que-
sto non è un passo avanti verso
la costruzione di un mondo pro-
fondamente cristiano ?
Io credo che non si debbano
contare soltanto le teste battez-
zate, ma anche le teste che ragio-
nano cristianamente.
Se questo mio modo di vedere
è giusto, anche noi, che lavoriamo
dal mattino alla sera tra le li-
notype e le risme di carta, starno
degli autentici missionari.
21

3.2 Page 22

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Le canzonette di Maurice Che-
-valier hanno cantato per tanto
tempo, con parole colorate e leg-
germente nostalgiche, il quartiere
parigino di Ménilmontant, «uno
dei rari angoli della vecchia Pa-
rigi, segnato ancora dalla pitto-
resca vita popolare >>.
Chi ci vive dentro usa parole
molto meno romantiche. Ménil-
montant, oggi ribattezzato <( Ven-
tesimo Arrondissement >>, è uno dei
quartieri più poveri della capitale,
straboccante di stranieri in cerca
di lavoro.
Il quartiere « cantato da
Chevalier e maledetto dai
poveri>►
Su 175.000 abitanti, 25.000 sono
italiani, spagnoli, portoghesi, nord-
africani, jugoslavi, turchi. Sbar-
cati in Francia in cerca di uno
stipendio, sono preda facile di
speculatori senza scrupoli, gli scia-
calli umani che trattano la <<carne
fresca » dei Ìavoratori come qua-
lunque altra merce, senza molti
ostacoli, perché hanno da fare
con gente disposta a tutto, che
non parla francese, che ignora
le leggi e i diritti dei lavoratori.
Una linea articolata
in tre direzioni
Due anni fa, padre Daniel, coau-
tore del libro esplosivo Francia,
paese di missione?, fu incaricato di
organizzare l'azione pastorale nel
«Ventesimo Arrondissement 1>. La
sua prima azione fu quella di fare
un'inchiesta per conoscere la realtà
umana della zona.
Risultato pratico di questo la-
voro: la creazione di cinque com-
missioni (emigranti, mondo del
lavoro, persone anziane, ospedali,
mondo della scuola) che devono
rispondere alle necessità messe in
luce dall'inchiesta.
Don Keyzer, salesiano, insieme
a padre Martin, furono incaricati
di creare la commissione per gli
emigranti.
Cominciarono il lavoro metten-
dosi in contatto con tutti coloro
che lavorano per gli stranieri e
con gli stranieri.
Poi si trattò di prendere diretto
contatto con gli stranieri. Come
fare ? Don Keyzer e padre Martin
studiarono una linea di azione,
ma per non entrare in urto con i
22

3.3 Page 23

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Nel quartiere di M6nllmontant si ammas-
sano 25 mila emigrati Italiani, spagnoll, por-
toghesi, nordafricani, sbarcati In Francia
In cerca di uno stipendio, preda facile di
speculatori aenza scrupoli.
preti della zona, la sottoposero al-
l'approvazione dell'assemblea del
clero e dei religiosi del Vente-
simo Arrondisseroent.
Proponevano tre cose: che tutte
le iniziative per gli emigranti fa-
cessero capo a loro (per non pe-
starsi i piedi a vicenda, e per non
creare divisioni tra gli emigranti
stessi); lavorare come operai a
mezza giornata; abitare tra gli
emigranti.
I primi due punti furono appro-
vati da tutti. Il terzo fu accolto
con minor favore.
Si organizza il nucleo-base
Ora si trattava di formare un
<<nucleo-base» che agisse come il
lievito nella massa di farina, che
si mettesse al servizio degli emi-
granti, e favorisse i contatti tra
emigranti e francesi. Fu costituito
all'inizio solo dai due preti, da
alcuni religiosi del quartiere e da
alcuni emigranti più sensibili. A
loro si unirono in seguito alcuni
sindacalisti, dei militanti di Azione
Cattolica, degli specialisti di al-
fabetizzazione. La parrocchia pro-
testante di Bathania seppe dell'ini-
ziativa, e decise di appoggiarla,
in pieno spirito di ecumenismo.
Alla fine delle ferie di agosto
il nucleo-base si riunì, e fissò le
necessità più urgenti degli emi-
granti a cui si sarebbe cercato di
andare incontro. All'unanimità fu-
rono scelti questi obiettivi: creare
un ufficio per gli emigranti, dove
ognuno potesse rivolgersi per aiuti
immediati, ricerca di lavoro, ri-
cerca di casa, assistenza sindacale;
incrementare la conoscenza e l'a-
iuto vicendevole tra gli emigranti
stessi; creare punti di alfabetizza-
zione dove potessero rapidamente
apprendere il necessario della lin-
gua francese; destare tra gli emi-
granti la solidarietà verso i lavo-
ratori stranieri malati; indirizzare
un appello ai francesi per metterli
al corrente della situazione e in-
vitarli ad aprire la loro porta agli
stranieri.
Questo programma fu presen-
tato alla comunità cristiana del
quartiere attraverso il giornale par-
rocchiale L'amico del Ventesimo
.Airondissement.
Ménilmontant è il quartiere di Parigi cantato da Mau-
.rice Chevalier e maledetto dai poveri. Vi si affollano
25 mila emigranti. Il salesiano don Keyzer vi fa il
« missionario». Lavoratori italiani, spagnoli, porto-
ghesi, jugoslavi, algerini, abitano in catapecchie e sono
facile preda di speculatori senza scrupoli. La « com-
missione per gli emigranti» organizzata da don Keyzer
e da don Martin ha costituito un ufficio per gli emi-
granti, un centro di alfabetizzazione, e lavora per sen-
sibilizzare i francesi a questo grave problema umano
che si annida nella capitale della Francia.
Il problema fondamentale
Subito dopo si abbordò il pro-
blema più vasto e fondamentale:
come far prendere coscienza ai
Francesi e agli emigranti della ne-
cessità di non ignorarsi a vicenda,
ma di collaborare ? Il problema
dell'emigrazione non potrà risol-
versi :finché il nostro sistema si
baserà p~incipalmente sulla pro-
duzione, e non avrà come sua
prima norma il rispetto dell'uomo.
E impensabile che la Francia di
oggi, per motivi umanitari, si privi
tutto d'un colpo di una mano
d'opera abbondante e disponibile
a prezzi irrisori. Questo è il noc-
ciolo del problema: aiutare ogni
francese a prendere coscienza di
questa disumana situazione e a
trarne le conseguenze. Persuadere
ogni francese a diventare la «voce >>
di questa gente << senza Voce )), per
portare ad una profonda trasfor-
mazione della legislazione oggi in
vigore.
Da parte sua, l'emigrante dovrà
essere aiutato ad integrarsi nella
vita del paese, e in particolare, a
rinunciare ad una maniera di agire
esclusivamente individualista.
Per favorire questa << presa di
coscienza >>, si sono proposte delle 23

3.4 Page 24

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riunioni per nazionalità, con la
partecipazione di francesi. Que-
sta iniziativa presenta il doppio
vantaggio di suscitare uno spirito
di solidarietà tra emigranti di uno
stesso Paese, e di prendere con-
tatti <e alla pari » con francesi di
buona volontà.
Le riunioni si stanno svolgendo
ormai da più di tre mesi. Tenni-
nano con un lungo momento di si-
lenzio durante il quale ognuno dei
presenti è invitato a parlare con il
Signore alla sua maniera.
È un lavoro da preti questo?
Qualcuno forse si pone la do-
manda: << È un lavoro da preti
questo?». Dov'è l'annuncio del
messaggio di Gesù Cristo? Non
c'è una certa confusione tra evan-
gelizzazione e azione sociale ? >►•
Sono obiezioni che i sacerdoti
impegnati in questa attività si sen-
tono rivolgere ogni tanto. È quindi
importante precisare il senso cri-
stiano di questo lavoro, e di sotto-
lineare il suo profondo senso evan-
gelico.
Dice padre Keyzer: << La mis-
sione del sacerdote è quella stessa
di Cristo. Liberare i suoi fratelli
non solo dal peccato, ma dalla so-
litudine, dalla disperazione, dal
senso dell'inutilità della vita. Sve-
lare a tutti che siamo figli di Dio,
fratelli tra noi. Far capire la gioia
dello stare insieme, del servirci a
vicenda. Liberare gli uomini dalla
solitudine per stringerli in comu-
nità attorno all'Eucarestia. La no-
stra azione è quindi sulla linea
del Vangelo, è veramente sacerdo-
tale. Certo, questa è solo la prima
tappa di un lungo cammino cri-
stiano. Ma per arrivare in fondo,
le tappe bisogna percorrerle tutte,
anche la prima.
Noi vogliamo inquietare
la coscienza della comunità
<< Del resto, se i sacerdoti vives-
sero tappati nelle loro chiese, igno-
rando i loro fratelli disperati che
si lasciano sfruttare e non cono-
scono nemmeno le parole per pro-
testare, il Cristianesimo darebbe
l'idea di una facciata di una casa
che non esiste, di una vernice che
cerca di nascondere un grande
vuoto.
Devo aggiungere una cosa: a
tutti coloro che lo domandano, of-
friamo una catechesi esplicita e
soda. Una volta al mese diciamo
una Messa per i vari gruppi stra-
nìeri. Il gruppo dei portoghesi vi
assiste sempre in gran numero.
Ma insistiamo specialmente sul-
l'essenziale: una fede personale e
responsabile. Celebriamo anche la
Messa in due lingue contempora-
neamente, mentre assistono fran-
cesi e emigranti, in maniera che
nasca la coscienza di appartenere
ad uno stesso popolo.
Certo, tutto questo è lontano
dai mezzi pastorali tradizionali, ma
si tratta di vie nuove per la mis-
sione che Cristo ci ha affidato.
La commissione per gli emi-
granti fa molto assegnamento sulla
comunità cristiana del Ventesimo
Arrondissement. Noi preti infatti
non siamo né vogliamo diventare
specialisti sull'emigrazione. Sono
tutti i cristiani responsabili di que-
sto compito immenso. Noi vo-
gliamo inquietare la coscienza della
comunità, ricordare continuamente
ai cristiani l'esistenza di questi
emarginati. Vogliamo informare per
suscitare un'azione potente, che
arrivi fino ad una presa di posi-
zione sindacale e politica. Questo
può spaventare qualcuno, ma ci
pare coerente e logico. Il cristiano
deve fare le sue scelte sindacali e
politiche in base alle sue convin-
zionì, e alla situazione conci:eta
in cui si trovano i fratelli ».
« La missione del sacerdote li que lla di
Cristo: liberare I suoi fratelli non solo dal
24
peccato, ma dalla solitudine. dalle dispara-
zjona, dal san■o dall'lnutllltà della vita >t.

3.5 Page 25

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Un ragazzo di nome Delma era arrivato
da poco tempo all'Oratorio di Don Bosco
a Torino. Inquieto, vagabondava guar-
dingo; sospettava di essere spiato. In-
tuiva che Don Bosco gli leggeva nel-
l'anima. Una sera andò a trovare Don
Bosco che gli chiese:
Come ti chiami 7
Delma.
Come ti chiami?
Delma ...
Come ti chiami 7
Delma .. ,
lo chi sono?
Don Bosco.
lo chi sono?
Don Bosco.
Ripeti ancora una volta: io chi sono?
Lei è Don Bosco.
Sai perché ti faccio ripetere tre volte
queste parole? Perché tre sono le parole
che ti dice il Signore, e cioè: lascia, ra-
gazzo caro, il peccato; aggiusta gli im-
brogli della tua coscienza; dàtti a Dio
che è tempo. Arrivederci.
Il ragazzo se ne parti sconvolto, andò a
dormire e passò l'indomani a riflettere e
a ripensare sulle cose che gli aveva detto
Don Bosco. Alla sera Don Bosco se lo
vide giungere in camera sua tutto alte-
rato. Piangendo, il ragazzo gli disse:
- Don Bosco, io sono nelle sue mani;
voglio diventare come lei mi pensa; mi
aiuti a salvarmi l'anima.
l'adolescente è sensibilissimo;
ha bisogno del nostro aiuto. La sua
personalità sta attraversando stadi deli-
cati: dall'organizzazione (infanzia), attra-
verso la disorganizzazione (adolescenza),
alla riorganizzazione (età adulta). Ha un
compito enorme e il tempo è breve: troppe
cose gli accadono tutte insieme. Squi-
libri somatici, stimoli psichici, cadute e
franamenti morali, goffaggine nei rap-
porti sociali e una nuova, penosa co-
scienza di sé. È assalito da terrori che
crede di essere il solo a provare, senza
sapere ohe sono comuni a tutti, che i do-
lori suoi sono i dolori di tutta l'umanità.
Lenite la sua Inquietudine e la ,ua
scontentezza. L'adolescenza è spesso
un periodo di grande turbamento, un pe-
riodo d'incertezza e di dubbi. l'età del-
l'incoerenza e dell'ambivalenza. È Inutile
chiedere al ragazzo: «Ma si può sapere
che hai 7 Che cosa ti ha preso tutt"a un
tratto 7». Sono domande destinate a re-
stare senza risposta. Il ragazzo non può
dire: « Senti, mamma, sono posseduto
da impulsi ignoti». I genitori e gli educa-
tori possono aiutarlo soprattutto portan-
dolo a vivere in grazia di Dio.
Non fate previsioni nere. Molti ge-
nitori, esortando un figlio o una figlia a
diventare persone serie, prevedono per
loro il futuro più disastroso: «Non sarai
mai capace di conservare un impiego se
non impari ad alzarti di buon'ora». Que-
sto atteggiamento negativo provoca di
solito una reazione dispettosa e causa
cattivi rapporti fra genitori e figli. Il ra-
gazzo tende a uniformarsi all'opinione che
hanno di lui i genitori e gli educatori.
Perciò, invece di predire sventure, limi-
tatevi come Don Bosco a indicare quello
che va fatto in determinate situazioni.
Nell'atteggiamento verso i gio-
vani, distinguete bene fra sentimenti
e azioni. Occorre essere tolleranti quando
si tratta di sentimenti e di esuberanze gio-
vanili; severi quando ci si trova di fronte
a comportamenti e a una condotta mo-
rale inaccettabile. li nostro affetto silen-
zioso sarà il loro maggior sostegno. Di-
ceva una ragazza di 17 anni, esprimendo
la sua gratitudine a una persona che
l'aveva aiutata: «Tu, in apparenza, non
hai fatto altro che essere presente: come
un porto che se ne sta Il a braccia aperte,
sempre pronto ad accogliere il navigante
che torna a casa».
CARLO DE AMBROGIO 25

3.6 Page 26

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Il 16 aprile 1879 era martedi di
Pasqua. Le campane di Buenos
Aires suonarono a stormo. La gente
scese nelle strade. Ottomila sol-
dati, al comando del generale Julio
Roca, lasciavano la capitale della
giovane repubblica argentina e
puntavano verso sud.
Per gli indios araucani iniziava
la tragedia.
La sterminata pianura che si
estendeva a sud della provincia di
Buenos Aires, era stata fino allora
il regno incontrastato degli arau-
cani. Una razza :fiera, rozza, guer-
riera. Uomini massicci come tron-
chi d'albero, che cavalcavano i loro
cavalli a pelo nudo, manovrando
con destrezza una lunga lancia.
I coloni europei si erano spinti
lentamente ma inesorabilmente nel
loro regno. Avevano dissodato i
campi, recintato i pascoli migliori,
fondato fattorie. Dietro i coloni ar-
rivavano i militari, a costruire i
forti che dovevano difendere i nuo-
vi confini. Sovente ignoranti e cru-
deli, esercitavano ogni specie di so-
pruso nei confronti degli indios.
I colpi di mano da parte dei
bianchi, e le dure ritorsioni da par-
te degli araucani, erano frequenti.
C'erano state vere battaglie, centi-
naia di morti.
Nel r875, irritati dalle nuove
recinzioni fatte dall'uomo bianco,
gli indios avevano eletto un nuovo
grande cacico che li guidasse nella
guerra, Manuel Namuncura, e ave-
vano attaccato. I n scorrerie fulmi-
nee e feroci avevano bruciato i rac-
colti, ucciso agricoltori, derubato
mandrie di bestiame che erano an-
dati a rivendere ai cileni, oltre la
Cordigliera.
Zefirino Namuncura,
figlio dell'ultimo Gran-
de Cacico degli arau-
cani, è stato dichiarato
«venerabile». Ne trac-
ciamo un rapido pro-
filo. - La sanguinosa
guerriglia scatenata dal
padre contro i coloni
bianchi. - Dalla sel-
vaggia valle dell'Alu-
miné alla scuola dei
«civilizzati». - Il ra-
pido tramonto a Roma
e il pianto del vecchio
Cacico.
IIDNO
La guerri
Na
i Manuel
Fu allora che il generale Julio
Roca, ministro della guerra, decise
dì armare un forte esercito. Il suo
piano prevedeva un rastrellamento
metodico di tutto il vasto territorio
indiano. Prima di partire, Roca di-
chiarò: << Con gli indios è ora di
finirla. Per la repubblica argentina
non ci possono essere altre fron-
tiere, a sud e a ovest, che le onde
dell'oceano e le cime delle Ande>>.
La m!l.rcia delle quattro colonne
26 militari durò quattro mesi. Gli

3.7 Page 27

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Nella pagina accant o : Il volto sereno e no-
bila di Zefirino. In quaeta pagina: una ca•
panna di Indio• nalla pampa pawgonlca.
araucaru, praticamente disann.ati,
poterono opporre poca resistenza
alle carabine e agli squadroni. Al-
cuni furono imprigionati, altri mes-
si in campo di concentramento nel-
!'isola di Maryin Garcia. Ragazzi
e ragazze vennero venduti come
servitori domestici nelle fattorie e
nella città di Buenos Aires.
Manuel Namuncura, fuggendo
verso Ja Cordigliera, era sfuggito
alla cattura. Radunate attorno a
piccole unità di i71dios decisi a com-
battere fino alla fine, diede inizio
ad una sanguinosa guerriglia. Le
sue orde si abbattevano di notte
sulle fattorie e sugli accampamenti
militari, uccidevano e bruciavano
senza pietà.
Il generale Villegas, che presi-
diava la frontiera del Rio Negro
nel 1882, decise di farla finita con
la guerriglia. Con un'improvvisa e
vasta retata catturò duemila arau-
cani, uomini donne e bambini, che
s'erano rifugiati nelle alte valli an-
dine. Nella retata caddero prigio-
nieri anche la moglie e quattro
figli di Manuel Namuncura.
Fu il colpo decisivo. Il grande
cacico si persuase a trattare la resa.
Ma la sua diffidenza nei bianchi
non aveva limiti. Di uno solo si fi-
dava, don Milanesio. Questo ec-
cellente salesiano era un instanca-
bile missionario, amico e difensore
degli indios di cui aveva imparato
la lingua, pronto a superare im-
mense distanze per dare un batte-
simo o per difendere un araucano
maltrattato dai <1 civilizzati».
La slealtt · bianchi
I Salesiani erano arrivati in Ar-
gentina sette anni prima, capeg-
giati da don Giovanni Cagliero.
Spinti da Don Bosco, che aveva
<< sognato 1► i suoi salesiani tra gli
i11dios, avevano preso quasi imme-
diatamente contatto con gli arau-
cani.
Scelto come mediatore di pace,
don Milanesio persuase il grande
cacico a presentarsi di persona al
generale Villegas per fare atto di
sottomissione, garantendone l'im-
munità.
Il 5 maggio, Manuel Namun-
cura entrò nel forte Roca accompa-
gnato da altri 9 cacichi e da 130 uo-
mini di scorta. D iede la parola che
mai più avrebbe combattuto l'eser-
cito argentino. In cambio ebbe ti-
tolo, divisa e stipendio di colon-
nello dell'esercito. Alla sua tribù
fu assegnato un vasto territorio
fertile nella vallata del Rio Negro,
attorno a Chimpay.
Intanto, nella immensa pianura
che gli indios chiamavano pampa,
e che le ca.rte geografiche indica-
vano col nome di Patagonia, la tra-
gedia degli araucani continuava.
Dispersi dalla guerra, falcidiati
dalle malattie e dalla miseria, essi
cercavano di adattarsi alle forme
di vita dei bianchi.
1894. A Manuel Namuncura,
ormai vecchio e incanutito, viene
comunicato l'ordine di abbando-
nare le terre assegnategli dal go-
verno. In cambio, alla sua tribù,
vengono concesse otto leghe qua-
drate nell'alta valle dell'Aluminé,
tra i picchi nevosi delle Ande.
Senza poter nulla contro questa
flagrante slealtà, i superstiti arau-
cani partono per il lungo viaggio
verso l'esilio. Accanto al vecchio
cacico attorniato da silenziosi guer-
rieri, s~betta un bambino di
otto anni. È il sesto dei dodici figli
nati a Namuncura, ed è il più in-
telligente. Lo chiamano Morales.
Ma presto il padre gli cambierà
nome, chiamandolo Zefirino.
Fallimento d
uola Militare
Agosto 1897. I vecchio Namun-
cura ha discusso a lungo con gli
anziani della tribù. Annuncia a
Zefirino che faranno un lungo
viaggio: lo porterà a Buenos Aires,
alla scuola dei bianchi:
<1 Tu sei intelligente e ce la farai.
Sei l'ultima speranza della nostra
tribù. Da grande dovrai difendere
i diritti degli araucani, altrimenti
per la nostra razza sarà finita per
sempre».
Zefirino aveva solo undici anni,
ma non avrebbe più dimenticato
l'ultima sera sull'Ah.uniné. Da-
vanti alla capanna di suo padre si
era radunato il parlamento della
tribù, e un anziano gli disse:
27

3.8 Page 28

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<< Sii sempre fedele alla tua
razza>>.
A Buenos Aires, N amuncura
portò il figlio alla Scuola Militare.
Fu accolto con gli onori dovuti al
suo grado.
Ma quando, prima di iniziare il
viaggio di ritorno, il cacico tornò
a vederlo, lo trovò depresso e avvi-
lito. La disciplina ferrea, i feroci
scherzi dei compagni, in pochi
giorni l'avevano terrorizzato. Con
le lacrime agli occhi pregò il padre
di toglierlo di lì. In un primo mo-
mento, Namuncura pensò di ri-
portare Zefirino alle capanne del-
1'Aluminé. Ma poi decise di fare
ancora un tentativo. Si fece pre-
sentare all'ex presidente Saenz
Peiia, un galantuomo amico degli
indios. Dalla conversazione scaturì
una nuova proposta:
«Perché non lo portate al col-
legio dei Salesiani ? È una grande
famiglia, e anche vostro figlio si
troverà bene>>.
Nel collegio << Pio IX>>, in quei
giorni, si trovava monsignor Ca-
gliero, vicario apostolico della Pa-
tagonia. L'incontro fu cordiale. Si
pranzò insieme, e poi il vescovo
volle farsi fotografare tra N amun-
cura e Zefirino.
Il piccolo araucano che era stato
terrorizzato dalla Scuola Militare,
si trovò abbastanza bene dai sale-
siani. Dimostrò subito una tenace
volontà, ma anche un forte istinto
alla libertà totale e prepotente. Per
alcuni mesi rifiutò di mettersi in
fila con gli altri. Se ne sta-Va in di-
sparte, guardando in silenzio come
una cosa incomprensibile quello
spettacolo di ordine e di disciplina.
r resistere
A scuola dimostrò intelligenza e
vivacità. Imparò a leggere in po-
chissimo tempo, acquistò una cal-
ligrafia nitida e slanciata.
Un notevole «salto di qualità>>
Zefirino lo fece nel settembre del
1898. In quel mese si accostò alla
prima Comunione. Con la lealtà
caratteristica della sua razza, il do-
dicenne araucano considerò quel-
l'avvenimento un impegno per
tutta la vita. Accettando d'incon-
trarsi con il Signore, s'impegnava
a vivere come figlio di Dio. Alla
28 vigilia, facendosi violenza, andò
per primo a << fare la pace» con un
compagno che l'aveva gravemente
offeso.
800 chilo
più a sud
Nella crescita, si andavano mar-
cando sul volto i tratti caratteri-
stici della sua razza: labbra tumide,
zigomi sporgenti, pelle oscura. In
parallelo, si sviluppavano in lui le
tendenze degli araucani: un desi-
derio prepotente di vita libera, in-
dipendente, all'aria aperta. I ban-
chi della scuola erano per lui trap-
pole scomode e imprigionanti. Lo
capi un giorno il suo maestro, don
Bertagna, quando per averlo cam-
biato di posto lo vide confuso e
addolorato.
«Vede - gli spiegò Zefirino esi-
tante, - daJ posto precedente, at-
traverso la finestra, vedevo in chie-
sa la lampada del Santissimo.
Quando non ce la facevo più a
stare composto, e le ore mi sem-
bravano lunghe da morire, guar-
davo laggiù, e domandavo al Si-
gnore la forza di continuare. Dal
nuovo posto, la lampada non la
vedo più. Per me sarà più dura>).
ll collegio salesiano di Buenos
Aires era la (( casa madre >> delle
opere salesiane in Argentina. Vi.
passavano tutti i missionari che an-
davano e venivano dalla Patagonia.
Quello che più affascinava Zefirino
era don Milanesio. Gli indios ve-
neravano talmente questo salesiano,
che quando venivano maltrattati
dai« civili >> e non trovavano riparo,
invocavano il suo nome come quello
di un angelo che potesse venire a
salvarli. Quando Zefirino vedeva
spuntare dalla portineria la barba
brizzolata di don Milanesio, gli
volava letteralmente incontro.
Fu la figura di que~to missiona-
rio che gli fece nascere nella mente
un ideale concreto di vita. Suo pa-
dre sperava di farne un militare o
un politico, Zefirino cominciò in-
vece a sognare di tornare tra la sua
gente come sacerdote e missiona-
rio: per difendere la sua razza dai
<< civilizzati >>, ma anche per Libe-
rarla dalle superstizioni, dall'alcool
che la stava falcidiando, dalle abi-
tudini barbare che facevano consi-
derare sacra la vendetta e onore-
vole l'uccisione del nemico.
Ma proprio in quegli anni, al-
l'orizzonte della sua breve vita co-
minciò a profilarsi una grave mi-
naccia. Gli araucani, fortissimi nel
loro ambiente, a contatto con i
bianchi si rivelavano indifesi con-
tro i germi delle più comuni ma-
lattie. Raffreddori, bronchiti, si
trasformavano rapidamente in tu-
bercolosi, che mieteva vittime a
migliaia. Nel quarto anno della sua
permanenza a Buenos Aires, la sa-
lute di Zefirino cominciò a decli-
nare. Una tosse insistente e ribelle
a ogni cura gli affaticava i polmoni.
Monsignor Cagliero aveva la sua
residenza a Viedma, una città a
800 chilometri più a sud. Pensò di
portare Zefirino laggiù: vi avrebbe
trovato un clima più simile a quello
della nativa Chimpay.
Oggi il viaggio si compie con
due ore di aereo. In quel lontano
1901, invece, ci vollero otto giorni.
Arrivarono a bordo di una diligen-
za, dopo aver percorso la carova-
niera polverosa che rigava la pam-
pa selvaggia e sterminata.
Il quindicenne araucano risali
il corso del Rio Negro e andò a
riabbracciare il vecchio padre e i
fratelli. Per trenta giorni respirò
l'aria sottile delle Ande, strappò
coi denti la carne della selvaggina
abbrustolita sui fuochi del campo,
dormi nelle baracche ravvolto nella
calda pelle del guanaco. Si sentì
meglio, ma la tosse non scomparve.
Anzi, il freddo delle notti la ren-
deva più insistente e fastidiosa.
L'ultimo via
verso l'Italia
1903. Zefirino compie 17 anni,
e decide d'iniziare lo studio del la-
tino. Si era fatto un giovanotto
alto, massiccio. I piccolini delle
prime classi gradivano assai la sua
compagnia.
All'ombra dei portici, Zefirino
narrava ai suoi piccoli runici le sto-
rie della, sua razza. Gli occhi gli
si accendevano mentre descriveva
le cavalcate nella pampa, la caccia
al guanaco che forniva agli arau-
cani la carne gustosa e la morbida
pelliccia rossastra. Narrava le
drammatiche imprese del grande
cacico Calcufura, padre di suo pa-
dre, che si era installato a Salinas
Grandes come un re, e aveva trat-
tato da pari a pari con il governa-
tore di Buenos Aires. Quand'era

3.9 Page 29

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L'antica fotograf ia che ritrae il card. Ca-
gliero t ra il Caclco Namuncur6 a suo f iglio
Z e fi ri n o.
morto, dopo la disastrosa battaglia
di San Carlos, i cacichi suJJa tomba
avevano sacrificato il suo cavallo,
perché il suo spirito potesse ancora
cavalcare nelle grandi caece del
regno d'oltretomba.
Eccitati dalle narrazioni, i pic-
coli costruivano sotto la sua guida
archi e lance, e si scatenavano in
manovre e battaglie. Quand'erano
stanchi, Zefirino li guidava in chie-
sa e pregava con loro.
Sul finire del 1903, quasi all'im-
prowiso, la salute di Zefirino ebbe
un crollo. La tosse si fece violenta,
la faccia pallida e smagrita. La
TBC aveva intaccato irreparabil-
mente i polmoni. Dovette mettersi
a letto, e vi rimase a lungo. Quando
ridiscese in cortile, tutti capirono
guardandolo che non era guarito.
Avrebbe potuto durare ancora
qualche anno, forse, ma la sua
sorte era segnata. La medicina di
quegli anni era impotente contro
la tubercolosi.
Aprile I904. Monsignor Cagliero
è nominato arcivescovo ed è chia-
mato a Roma dal Papa. Zefirino,
che ha molta confidenza
chiede di portarlo con sé.
ninVleusic, ogvloi
esita. Tramite don Milanesio chie-
de il parere del padre. Soltanto con
il consenso del vecchio cacico ac-
consente. Probabilmente il vescovo
spera che il clima italiano, insieme
con la medicina che in Europa in
quel tempo è più progredita, pos-
sano allungare la vita di Zefirino.
Nel viaggio li accompagna don Gar-
rone, che a Viedma è stato ribat-
tezzato << il prete-medico >> per la
sua abilità nel curare i malati.
Agosto 1904. Il vescovo e Zefi-
rino sbarcano a Genova e salgono
a Torino. Li accoglie con affetto
paterno don Rua, successore di
Don Bosco. Con occhi sgranati il
giovane araucano va ad inginoc-
chiarsi ai piedi del grande quadro
di Maria Ausiliatrice, sale a Valsa-
lice presso la tomba di Don Bosco.
Addì
terra
Scrive al padre: << Non vi preoc-
cupate di me. Ho sempre al fianco
un dottore che ha cura della mia
salute. Sto continuamente in com-
pagnia di mons. Cagliero, vostro
amico)>.
In settembre, il vescovo scende a
Roma, e presenta Zefirino al papa.
Pio X ha un istante di commozio-
ne davanti al giovane araucano.
Tornano a Torino. Lo splendido
autunno di quell'anno sembra ri-
donare energia al figlio del cacico.
Insieme al coadiutore salesiano
Giuseppe Arrio percorre i viali al-
berati della città, s'arrampica sulle
colljne. Ma il suo accompagnatore
scrive: << Tutto ciò che vede-va gli
ricordava la patria lontana. Ne par-
lava con un affetto sconfinato.
Sembrava che la adorasse, la sua
terra argentina>>.
Ma giunge l'inverno. La nebbia
s'infittisce su Torino. Monsignor
Cagliero lo porta con sé a Roma,
nel collegio salesiano di Villa Sora,
tra gli ulivi e le vigne della cam-
pagna romana. Zefirino, che già
a Torino ha riaperto i libri, si
iscrive al ginnasio.
Sei mesi dura questo sforzo, e i
ragazzi romani, irrequieti, esube-
ranti, sentono per questo giova-
notto raccolto e silenzioso un ri-
spetto profondo. (( Non lo vidi mai
sorridere con le labbra - ricorda
uno di loro. - Era sempre serio,
quasi mesto. Ma il sorriso brillava
nei suoi occhi. Nella cappella, dove
sovente si ritirava a pregare, tutti
lo ricordano assorto come un an-
gelo>>.
I risultati scolastici, segnati sul
registro della scuola, sono splen-
didi. Nonostante la malattia, lavo-
lontà è sempre di granito.
Nella prima-vera del 1905 il
crollo. La tosse diventa di un'in-
tensità impressionante. La febbre
lo consuma. << Lo vedevo declinare
giorno per giorno - ricorda un suo
professore, - camminare sempre
più stentato >>. Mormorava: << Pre-
gate per me, che possa guarire,
essere sacerdote... se piace al Si-
gnore ». << Per ogni minima atten-
zione che gli usavo - ricorda l'in-
fermiere che l'assisteva - mi rin-
graziava, si dimostrava ricono-
scente>>.
28 aprile. Zefirino è trasportato
all'ospedale dell'isola tiberina. Egli
sa che sta per morire, e chiede di
ricevere l'Eucaristia.
Si spegne nel mattino dell'11
maggio.
Alcuni giorni dopo, il missio-
nario don Bonetti sali per 1a valle
dell'Aluminé. Raggiunse l'abita-
zione del grande cacico. Pochi mi-
nuti dopo Manuel Namuncura
usci, si sedette al limitare della sua
capanna e pianse. Il fiore migliore
del vecchio albero era appassito.
Ma un giorno del 1924, Zefirino
tornò alla sua Argentina. Lo accol-
sero cento ragazzi, che accompa-
gnarono la piccola bara fino alla
cappella di Fortin Mercedes, sul
Rio Colorado. Lì i suoi antenati
avevano combattuto contro i con-
quistatori bianchi ed erano stati
sconfitti. Ma la fiera tradizione
araucana non si era estinta. Il pri-
mo santo argentino sarebbe stato
un ragazzo araucano.
29

3.10 Page 30

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NEL MONDO SIESIANO
PADRE DI SEI SALESIANI
SI FA SALESIANO
A SUA VOLTA
Un padre di famiglia portoghese. non
contento d1 aver donato a Don Bosco
i suoi sei f1glì, ha voluto seguirli nella
vocazione facendosi salesiano come
loro. È il signor José Rodrigues Gomes.
oggi coadiutore (religioso laico) nella
casa di formazione di Po1ares da Régua.
Rimasto vedovo con sei figli ,n te-
nera età, li crebbe oasi bene nella fede
che uno dopo l'altro si aprirono spon-
taneamente al richiamo della vita reli-
giosa. Di essi i tre maschi sono il coa-
diutore Antonio e i sacerdoti José Ar-
mando e André; le tre sorelle, entrate
tutte nelle Figlie di M aria Ausiliatrice.
si chiamano suor Mana da Piedade.
suor Maria Cecilia e suor Maria de
Lurdes.
Di sentimenti profondamente cristiani.
il signor José fin da giovane aveva preso
parte attiva alla vita della sua parrocchia
a Sobral-Mortàgua. rendendosi utile rn
van modi. Lui e i suoi f1gh conoscevano
i salesiani e il loro lavoro attraverso la
stampa della congregazione. che leg-
gevano con simpatia. Un giorno fu in-
vitato nella parrocchia un salesiano, per
predicare ,n occasione delle « prime co-
munionil>. e il signor José lo osprtò rn
casa sua. Era padre Joaquim Gama.
bella figura di missionario nell'isola di
Timor. e i suoi figli ne rimasero soggio-
gati. Ne nacque una schietta amicizia.
che nei d1segn1 di Dio fu decisiva per
la straordinaria fioriture di vocaz1on1 che
segui. Dapprima il figlio Antonio chiese
di partire per 11 noviziato. poi José Ar-
mando. e via via tutti gh altri.
Rimasto solo nella vecchia casa. 11
signor José chiese di potersi rendere
utile lavorando in un'opera salesiana Di
11 passò poi al noviziato, e ora da due
anni è professo. Padre e figlr. unru più
che mai nella vasta famiglia di Don Bo-
sco. lavorano ora tutti in piena armonia
30 per il regno di Dio.
cc MESSE SENZA BOLLO »
ALL' ORATORIO
DI CITTA DEL MESSICO
« Novelo, mi presti un pallone 7 ». e il
muchacho si sfila la camicia e gliela
porge. Il signor Marcos Novelo ritira la
camicia e consegna al ragazzo il pallone.
Altri chiedono chi una palla, chi i birilli.
e gli lasciano la giacca. il maglione. il ca-
miciotto. insomma un indumento.
Poi. prima di tornare a casa. i mu-
chachos passano a restituire i trastulli, e
ricuperano gli indumenti dati in pegno.
«Quando non facevo cosl - spiega
con candore il signor Novelo - si per-
devano tanti palloni».
Alto, magro. energico. sulla quaran-
tina. autoritario e nello stesso tempo af-
fettuoso. il signor Novelo (un salesiano
laico) è l'anima dell'oratorio« Caòitas ».
con settecento e prù ragazzi.
« Caòrtas » non vuol dire niente. è il
nome della stradicciola che costeggia
l'oratorio. Un oratorio di periferia com'era
quello dr Valdocco. rn una delle tante
periferie dr metropoli del mondo. Questo
a Città del Messico. Nel rione le famiglie
sono numerose. le case sono piccole,
perciò i ragazzi abitano soprattutto nelle
strade. Per loro. il signor Novelo da otto
anni tiene l'oratorio.
È fl suo modo di fare il week-end.
Negli altri giorni della settimana lavora
capo del laboratorio di legatoria nella
scuola professionale salesiana). E ne,
giorni del week end. diventa il capo-
ciurma dr tuttr que, monelli.
Un capo generoso. i ragazzi lo sanno.
Li fa giocare. Il porta alla messa. distri-
buisce le caramelle.
L'altoparlante è rarma segreta del si-
gnor Novelo. Ha collocato 11 microfono
in un punto strategico dal quale domina
con lo sguardo tutto l'oratorio. e dal mat-
tino alla sera sgrana la sua litania d ì av-
visi. raccomandazioni. invettive pedago-
giche e rovesci di musica allegra. Ma
quattro o cinque volte al giorno il signor
Novelo interrompe la musica e manda in
onda il catechismo. Non che i ragazzi in-
terrompano i giochi e si mettano com-
punti. ma grecano e ascoltano insieme.
«Qualcosa imparano». assicura il signor
Novelo.
Non ha voluto introdurre la ç< messa
con bollo». Niente tesserine. niente tim-
bri o pinzature. Non vuole saperne dr
contrattare , giochi al « prezzo» della
messa. Anche se non sono stati a messa.
i ragazzi possono giocare. Del resto alla
«messa senza bollo» i ragazzi ci vanno
ugualmente.
Ormai è tempo di costrurre, e un amico
aiuta il signor Novelo ad allargare l'ora-
torio. Sta sorgendo una palestra, con i
serviz.i igienici. e perfino le docce. Per
fare un vero centro giovanile c'è già quel
che conta di più. cioè I ragazzi. Il resto.
con l'aiuto der buoni verrà.
I ragazzi poveri: ma il signor Nevaio
è preoccupato non meno per quelli ric-
chi. Dice:« I ragazzi sono tutti uguali.
i poveri pauscono una cosa. e , rrcch1
un'altra».

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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PUBBLICAZIONI
SALESIANE
I SALESIANI SONO I N ASSAM
( INDIA) DA CINQUANT'ANNI
È stato celebra to Il Giubileo d'Oro del-
l'arrivo dei figli di S. Giovanni Bosco in
Assam. Vi erano giunti il 13 gennaio 1922.
Le origini del cattolicesimo in Assam
risa lgono alla f ine del 1828: alcuni sol-
dati cattolici provenienti dal Nord India
si erano stabiliti a Bondasil. e anche senza
sacerdoti continuavano a battezzare i loro
figli, a testimoniare alle nozze. a seppel-
lire cristianamente i loro morti.
Soltanto nel 1850 arrivarono i missio-
nari. Erano i Padri d elle Missioni Estere
di Parigi. Ma alcuni di essi furono truci -
dati. e gli altri dovettero ritirarsi. Dopo al-
cuni tentativi di missionari isolati. nel
1890 arrivarono quattro Padri Salvato-
riani. Compirono un lavoro coraggioso e
promettente. ma scoppiata la guerra nel
1915 furono chiusi in campo di concen-
tramento. perché tedeschi. Subentrarono
i Padri Gesuiti ; erano pochi. e tuttavia
consolidarono notevolmente li cattolice-
simo in Assam.
Al termine della prima guerra mon-
diale. la Santa Sede invitò i Salesiani ad
assumere la Prefettura Apostolica del-
1'Assam. Don Paolo Albera. allora Rettor
Maggiore. fece qualche difficoltà: la
guerra aveva aperto vuoti dolorosi tra le
fila dei Salesiani. Ma alle insistenze della
Santa Sede cedette. Il 24 dicembre 1921
partivano da M arsiglia undici missionari.
capeggiati da mons. Luigi Mathias. e il
6 gennaio 1822 sbarcavano a Bombay.
Due dì essi. il sac. E. Bars e il coad.
G. Cid. sono ancora vivi.
Mons. Mathias sembrava nato per or-
ganizzare e comandare. Sotto di lui il cat-
tolicesimo in Assam si diffonde a mac-
chia d'olio. Conquistano le colline dei
Khasi. poi quelle dei Gare. dei M1kir. dei
Mizo. il Manipur. il Nagaland. e recen-
temente il Bhutan.
I missionari imparano quei difficili dia-
letti. traducono il Vangelo e il catechismo.
erigono case di formazione. coltivano le
vocazioni native. Oggi in Assam i catto-
lici sono circa 250.000. Il clero e i reli-
giosi locali stanno rendendosi autosuffi-
cienti per continuare la diffusione del
Vangelo in quelle regioni.
A Bet lemme don Libero Biondi ha
festeggiato 70 anni di professione e 60
di sacerdozio. Ha diretto per molti anni
importanti Istituti in Egitto: li ha salvati
durante la guerra. come vice Ispettore. e
li ha potenziati poi. I salesiani. gli alunni
e gli exalunni lo hanno ringraziato anche
per l'esempio di vita profondamente reli-
giosa che continua a dare nella sua se-
rena vecchiaia.
Settantacinque anni fa a · Pisa arri-
varono tre salesiani per dare inizio a
un'opera per ragazzi. Don Rua aveva
dato loro 500 lire dicendo: « Per i bi-
sogni più urgenti. Dopo, pensateci voi.
perché la Casa Madre non potrà più aiu-
tarvi». Trovarono benefattori generosi. e
andarono avanti. Di recente hanno inau-
gurato il Cenrro Giovanile con chiesa e
teatro per la gioventù più povera e biso-
gnosa. Gli exallievi danno un valido aiuto
ai salesiani. le cui forze sono insufficienti
alle necessità. Il 75° è stato celebrato dal-
l'arcivescovo di Pisa. mons. M atteucci.
in felice coincidenza con la beatificazione
di don Rua.
NOVITA SEI
G. H. Baudry, Il credo di Teilhard.
Pag. 135. L. 1400
Al di là di ogni polemica, si cerca
di dare un'ampia sintesi di ciò in cui
credeva Teilhard de Chardin. L'au-
tore è uno dei massimi esperti sul
pensatore cristiano francese.
Lazagna- Gatto, T arzo mondo. Pa-
gine 160. L. 1500
A. Landi. La cristianità m edievale.
Pag. 176. L. 1500
Due nuovi titoli della collana IL LA-
VORO STORICO, che vuole offrire
alla scuola un'ampia scelta di docu-
menti sui principali problemi, per-
ché gli alunni «ricavino un giudizio
in proprio».
P. Zumthor, Il pozzo di Babele.
Pag. 264. L. 2500
L' autore riscrive I' Historia calamitatum
di Pietro Abelardo, fondendola con la
sua avventura di uomo d'oggi.
NOVITA LDC
Brunetti Caramia Cionchi, Un uomo,
una d onna, l'amore. Pag. 176.
L. 1200
Corso completo di preparazione al
matrimonio. Teologia, fisiologia, psi-
cologia, morale, liturgia del matri-
monio. Per fidanzati.
Emilio Alberich. Natura e compiti
di una catechesi moderna.
Pag. 176. L. 1200
Volume di sintesi. Raccoglie il meglio
delle discussioni odierne sulla cate-
chesi. Risponde alle domande: qual
è la natura, il compito, i requisiti fon-
damentali della catechesi 7
ALTRA NOVITA
J. Aubry, Una vocaz.ione concreta
nella Chiesa: il Sale siano Coope-
rat ore. Ed. Cooperatori. Viale dei Sa-
lesiani, 9 - Roma.
Presenta in forma originale e teologi-
camente sicura la figura del Coopera-
tore come f u concepita audacemente
da Don Bosco. Dalle pagine agili ma
sostanziose, balza la vera figura del
Cooperatore Salesiano. libera da tutto
ciò che con il tempo poteva averne
offuscato la fisionomia originale. Il
volumetto è indirizzato particolarmente
ai Cooperatori, ma tutti i Salesiani
vi scopriranno la ricchezza che Don
Bosco pose nella figura del Coo-
peratore Salesiano.
31

4.2 Page 32

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Ml DIEDE TANTA PACE
Da anni soffrivo per un fibroma che mi dava molto dolore
e da cui, a parere dei medici, dovevo essere liberata senza in-
dugio con intervento chirurgico. A questo io sono stata sem-
pre molto riluttante e, nonostante le continue insistenze dei
medici. ho persistito decisamente per anni a non sottopormi
all'operazione.
Il male aumentava, ma io non mi decidevo a liberarmene
con un intervento del cui esito positivo temevo molto. Intanto
col malessere, cresceva anche in me la trepidazione, finché
non mi rivol.si con totale fiducia, alla Madonna. Ne rimasi
trasformata.
La Madonna insieme. a tanta pace, mi aveva convinta a
sottopormi all'intervento chirurgico. senza più alcuna paura.
Ora ne vedevo chiaramente la necessità, anzi l'urgenza.
Esposi la mia decisione al medico e senza più indugiare.
mi recai all'ospedale nutrendo nel cuore la certezza che la
Madonna avrebbe guidato tutto bene. La mia fiducia non
è stata delusa, anzi molto corroborata, perché l'operazione
è andata bene, assai meglio di quanto si poteva sperare.
I medici nel constatare il male prima dell'intervento, si
meravigliarono notevolmente per come avessi potuto resi-
stere fino a quel punto e temevano qualche complicazione.
La Madonna però non ha permesso che vi fosse e tutto si
è svolto normalmente e semplicemente, tanto che dopo
pochi giorni dal difficile intervento, sono stata dimessa dal-
l'ospedale.
Riconoscentissima alla Madonna, desidero dirle il mio
grazie anche pubblicamente perché altri siano stimolati ad
accrescere la loro fiducia in cosi buona Madre. Chi confida
in Lei non rimarrà deluso.
Soverato (Catanzaro)
SUPPA FRANCESCA
UN LUNGO MOMENTO DIFFICILE
Attraversavo un momento difficile, per una complicazione
di problemi familiarì. Per più di otto anni pregai con fede e
confidenza Don Bosco, per ottenere la grazia desiderata.
E la grazia arrivò, senza che io sappia darne una spiega-
zione, perché umanamente era quasi impossibile. Le difficoltà
si sciolsero in modo provvidenziale, e per di più ottenni anche
la salute della mia carissima mamma, che era compromessa.
Mentre di tutto cuore ringrazio Don Bosco, gli chiedo an-
cora che mi ottenga da Maria Ausiliatrice una benedizione
speciale per il luogo del mio lavoro, e per la mia perseveranza.
Lima (Perù)
UNA FIGLIA DI MARIA AUSILIATRICE
UN SOGNO
Da molti anni soffrivo per una frattura al collo del femore
quando si aggiunsero forti dolori anche alla gamba sana.
Si trattava di artrosi, e dovetti stare due mesi e mezzo a letto.
Nessuna medicina riu~civa a guarirmi. Tuttavia, la mia fede
e quella dei miei in Maria Santissima non venne meno, e
continuammo a pregarla con grande fervore. Una notte mio
marito sognò Maria Ausiliatrice che gli disse di farmi al-
zare, e di farmi camminare da sola, perché mi aveva fatto
la grazia. Da allora cammino da sola e bene.
32 Soverato (Catanzaro)
NELLA ALECC!
ERA TANTO GRACILE
Mia nipotina Paola a tre mesi doveva essere operata di
ernia. Ma era tanto gracile che i medici consigliarono di
farle portare un cinto; poi, a un anno di età, avrebbero ten-
tato l'operazione.
lo, tanto preoccupata, la raccomandai a Maria Ausilia-
trice. E fui esaudita: a un anno la bambina era guarita senza
operazione.
RITA T/81 VILLAREGG!A
Un Coadiutore salesiano per meuo del suo direttore ringrazia vivamente
Maria Ausiliatrice e S. G. Bosco per le numerose gra?ie ottenute in questi
ultimi due anni.
Rosa Goretta (Asti) esprime la sua riconoscen:ta a Maria Ausiliatrice e
ai Santi salesiani per diverse grazie ottenute, specialmente per una recen1e.
R in• Gattone (Novi Ligure, Alessandria) dopo un anno ringra?ia Maria
Ausiliatrice e San G. Bosco per aver protetto il marito durante un difficile
intervento al cuore.
Giuseppina B■rr6 (Roma) degente in ospedale per un intervento che
si prospettava lungo e complicato si è rivolta con fiducia all'Ausiliatrice,
e tutto si è rìsolto felicemente in breve 1empo.
Pierina Guglie rminotti (Torino) si rivolse alla Madonna per un male
che minacciava l'Incolumità della sua vista, ed 11 guarita senza alcuna con•
seguen:ta.
Pina Turai (Cosen?a) ringrazia Maria Ausiliatrice per averla aiutata nel
lavoro.
DON RUA NON RIMASE INOPEROSO
Mio fratello Carmelo, di anni 45, sposato, con 6 figli,
era stato operato di appendicite. Col passare dei giorni le
sue condizioni peggioravano, a sentire lui, ma nessuno gli
dava credito. Alcuni giorni dopo la febbre saliva a 40°, i co-
nati di vomito lo straziavano, iI tasso azotemico toccb il 130.
Una visita del medico di famiglia mise in allarme tutto il per-
sonale della clinica. Mio fratello era gravissimo: peritonite!
Provvedo per l'anima sua. Mi aggrappo a D. Rua ; tutto
il Ranchibile prega. Don Rua deve ottenere la grazia I
Proprio l'anno scorso moriva il mio fratello maggiore
(56 anni) subito dopo una operazione, lasciando 6 figli:
il Signore ci aveva già provati, non doveva permettere che la
disgrazia si ripetesse.
Nonostante ìl grave stato generale, si tenta un secondo
intervento. Non descrivo i momenti della terribile attesa e
quello che avvenne in sala operatoria. Don Rua certamente
non rimase inoperoso I
Passati i terribili giorni della riserva sulla vita, altri ancora
per una certa ripresa di forze, mio fratello ora è a casa sua
con la moglie e i figli per il completo ritorno alla vita.
Don Rua ci ha ottenuto una grazia straordinaria I
Palermo, VIiia RRnchibi/o
SAC. FILIPPO TUZZOLINO Sale1lano
« MICHELINO, VEDI LA MIA NECESSITA»
Questa che sto per riferire non è un «miracolo» da pro-
cesso canonico. Eppure sono persuasissimo che Don Rua
almeno una «grazia» me la ottenne. Molti anni fa.
Ero commissario agli esami di abilitazione magistrale presso
un istituto diretto dalle Suore di Maria Ausiliatrice, e presi-
dente di Commissione presso il magistrale governativo di La

4.3 Page 33

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DEL
E DI SAI D. SAVIO
Spezia, quando ai primi di luglio cominciai ad avvertire un do-
lore sordo alla regione lombare. I medici furono incerti sulla
diagnosi, e le medicine non servirono a nulla. Mi consiglia-
rono le Grotte dì Monsummano. Finiti gli esami, intrapresi la
cura. Esito nullo.
Pensai subito d'avere per lo meno un tumore. Ipotesi con -
fermata, secondo me, dal mio stato di malessere generale e
di grave depressione. Ero nell'età tipica dei tumori, mi vedevo
già spacciato... Mi feci visitare da un famoso medico, mio
amico, ottimo diagnostico. Mi visitò accuratissimamente, mi
rassicurò... ma non indovinò il male, che intanto continuava.
A ottobre tornai al mio lavoro per la sessione autunnale.
La Direttrice dell'Istituto, tra le altre gentilezze, mi regalò
una vita di Don Rua. Non ne ricordo l'autore, non ho più
neanche il libro. Ma ricordo che lo lessi con passione. Non
voglio dire bugie, non intrapresi una regolare «novena» a
questo allora «venerabile». Ogni tanto però alzavo gli occhi
a lui come per dirgli: << Buon Michelino, col quale Don Bosco
faceva sempre a metà, vedi la mia necessità I».
Ebbene. proprio il giorno in cui finivo la lettura, mi venne
un'idea strana e inesplicabile: l'idea di rivolgermi a un pic-
colo ospedale. Strana e inesplicabile perché, dopo c1ver con-
sultato I luminari della medicina, ricorrere a quell'ospeda-
luccio era cosa da far ridere. E l'ospedaluccio fece la diagnosi
precisa: un principio di artrite lombare, facilmente debellabile
con le medicine comuni.
Guarii. Ma... avevo pregato Don Rua?
Be', una preghiera come quella di Renzo nel lazzaretto:
«una confusione d'esclamazioni, d'istante, di lamenti, di pro-
messe: uno di quei discorsi che non si fanno agli uomini,
perché non hanno abbastanza penetrazione per intenderli,
né pazienza per ascoltarli)); ma a Dio e ai suoi Santi, si. E
Don Rua aveva inteso e provveduto.
Milano
MARIO CASOTTI
cooperotore salesùmo
Alice P. (Treviso} ringrazia Don Rua per aver ottenuto l'assistenza me-
dica e la guarigione del marito.
A. C., studente salesiano, ringrazia pubblicamente Don Rua per averlo
aiu1ato a risolvere una difficoltà che rischiava di compromettere la tran•
quillltà negli studi.
Lina S antagiullana (Boscochiesanuova - Verona) rende grazie a Don
Rua Invocato per la guarigione della sorella.
IL PRESAGIO DI UNA MAMMA
Mio figlio di 16 anni, mentre si sporgeva dal balcone
del secondo piano per parlare col cugino che stava sotto,
cadde giù. La prima a gridare e a soccorrerlo fu la zia, che
l'aveva visto cadere. Era in una pozza di sangue, che usciva
dalle ferite della testa, e il corpo era immobile. Trasportato
subito al pronto soccorso, fu tenuto in osservazione per
24 ore.
Grazie a S. D. Sa vio, nulla di rotto, niente di grave. Ora
sta bene e ha ripreso la scuola.
Da notare che la notte precedente avevo sognato mio
figlio col volto contuso e pieno di sangue, e avevo gridato
piena di spavento: « Domenico Savio, per carità, salvalo I 1>.
Midd/stown (USA)
NELLA SPATOLA
UN FRATELLO TORNA A VIVERE
Mio fratello fu operato di calcoli al fegato, ma purtroppo
sopraggiunsero emorragie che i dottori non sapevano spie-
gare e che lo ridussero in fin di vita. Fu deciso un secondo
intervento: se proprio doveva morire, c1lmeno avessimo ten-
tato tutto. Intanto, intensificammo la preghiera. Come usci
dalla sala operatoria, fu portato nella sala di rianimazione.
perché sembrava che gli rimanesse poco da vivere. Il mat-
tino dopo il professore mi fece entrare in sala, e allora lo
pregai di mettere l'abitino di S . D. Savio sul corpo del caro
ammalato. Con grande meraviglia di tutti, dopo non molti
giorni poté ritornare a casa guarito, e ora gode ottima salute.
Boara Pisani (Padova)
LUISA MALAGUGINI
VENTI MESI DI SOFFERENZE
Una grave malattia di cuore mi rendeva inabile a qualsiasi
lavoro. Dopo venti mesi di sofferenze, ho sentito l'ispirazione
di rivolgermi al piccolo Santo, con la certezza che sarei gua-
rita. Al termine della terza novena infatti mi sentii guarita
come per miracolo. Da allora è trascorso più di un anno; ho
tralasciato ogni cura medica, e non accuso più alcun males-
sere, anzi, affronto serenamente ogni lavoro, anche faticoso.
Mistretta (Messina)
LUCIA LO CASCIO
UNA VIA CRUCIS PER TRE SANATORI
Da qualche tempo la mia salute era precaria. e il disagio
aumentava di anno in anno. Nel giugno del 1971 fui sotto-
posta a un controllo sanitario diretto, e i medici dichiara-
rono che si trattava di una lesione polmonare preceduta da
ulcera, e presenza di TBC.
Un male grave, lungo, e con poche speranze di guarigione.
È difficile immaginare il mio dolore, la mia costernazione.
Passai per tre sanatori diversi, ma intanto invocavo con fi-
ducia S . D. Savio. Con me pregavano i famìliari e i parenti,
in particolare un cognato salesiano e una cognata suora.
E la grazia è venuta, dopo soli otto mesi. Sono tornata
in famiglia completamente guarita, e ho ripreso a compiere
normalmente le faccende di casa. Piena di riconoscenza
Restena D'Arzignano (Vicenza)
ANGELA MOLON
Vita liacaniallo (Canada) è riconoscente a S. D . Savio per la grande
gra2ia ricevuta nel mettere ol mondo un tesoro di bambina.
Sara Graffeo (Taormina) ha pregato con fede S. D. Savio_ ed ha avuto
la gioia di una felice maternità nonostante le sue condizioni di salute.
Mariuccia Spalla Giordanettl (Torino) con suo marito ringrazia S. D.
Savio per la nascita della primogenita, arrivata dopo cinque anni di ma-
trimonio. In suo onore è stata chiamata Francesca Domenica Maria.
I coniugi Edvige e Piarorocco Man:rinali a Luis a a Giovanni Man-
zina ll sono riconoscenti a S. D. Savio perché le loro famiglie sono state
allietate ognuna dalla nascita di un caro bambino, dopo le ansie e ì timori
di una lunga attesa.
I c o niug i Villarboito (Desana • Vercelll) ringraziano S. D. Savio per la
felice nascita del piccolo Vittorio.
Gabrie le Prottl (Vercelli) scrive: «Caro S. D. Savio. ti ringrazio per
avermi guarito da broncopolmonite molto preoccupante, perché avevo solo
40 giorni. Proteggimi sempre insieme con il fratelllno. e fa' che ti somi-
gliamo».
Anto nietta Manzo (Salerno) ha invocalo S. D. Savio per la nipotina,
che, i11vestita da una macchine, versava In cattive condizioni, e si teme-
vano brutte conseguenze. Ora la bambina è guarita bene.
33

4.4 Page 34

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PREGHIAMO PER I NOSTRI MORTI ,
SALESIANI DEFUNTI
Don GIAN LUIGI ZURETTI t a To-
rino a 9z anni.
Quando Don Rua incontrò il novizio Zu-
rett:i, disse di lui: È un angelo •. Tale .cimase
per tutta la sua lunghissima vita salesiana.
Per 60 anni insegnò nelle scuole inferiori e
superiori, come un autentico apostolo della
cattedra. Ebbe insigni Ticonoscimenti: la
sua «Grammatica Francese fu adottata
dalla facoltà di lingue dell'Università di
Torino, i suoi manuali ebbero una straordi-
naria diffusione. Contemporaneamente cliresse
per molti anni la rivista Gy,,masium, che lo
mise in prima fila tra glì esperti della scuola.
Ma le gioie più concrete del suo insegna-
mento sono stati gli ex-allievi: legioni di
giovani e uomini maturi che lo considerarono
sempre il modello e la guida impareggiabile.
Nomi illustri si sedettero tra i suoi banchi:
Sclarandi, Vallauri, e specialmente Zefirino
Namuncurà, che oggi è venerabile. Lo ri-
cordava con com.mozione: Ci volevamo
tanto bene! E mi chiàmnva maestro, e anche
padre!•·
Il lavoro riempi sempre la sua gio.r:nata
fino a farla 1:raboccare. Di normn faceva
12 ore di lavoro intelletruale al giorno. Unico
suo svago le scalate alpine: fu per molti
anni la guida spiriruale entusiura dell'as-
sociazione t Giovane Montagna •·
La lunga vecchiaia a poco a poco lo sigillò
nel silenzio, che vivificò con una preghiera
senza fine. Diceva: • Com'è brutto essere
vecchi e non poter lavorare. Don Bosco
dicèva: Ci riposeremo in Paradiso. Datemi
lavoro: non voglio riposare sulla terra i .
Se ne andò senza clisrurbare nessuno, au-
tentico eroe salesiano che diede rutto senza
pretendere mai niente,
Coad. Giuseppe Blanconclni t a Torino a
86 anni.
Dopo aver dato gli anni più belli della sua
vita alte missioni in Ecuador, svolse con gene-
rosità infaticabile tanti umili lavori prima a
Roma-Poliglotta, poi a Torino-Valdocco. Qui
lo ricorderemo soprattutto come il custode pre-
muroso dell'altare e dell'urna di Don Bosco.
nella Basilica di Maria Ausiliatrice. Era un
uomo semplice, oidmista, d.a.ll'inesa.uribilc
buon umore. Mol)s. l\\![ontini, oggi Paolo VI.
sì recava talvolta alla PoHglotta ed era felice
di ascoltare le sue amenità. La SUJI familiarità
con Don Dosco e la preghiera continua che
riempi le sue giornate gli fecero di.re èhe ac-
coglieva la morte. senza. paura..
Sac. Anacleto Gallo t a Lugano a 79 anni.
Qua ndo le campane della chiesa parrocchiale
di Maroggia, di cui era .stato pe.r tanti anni
parroco, annunciarono la aua morte., tutto il
paese, che lo venerava, fu in lutto. Era stato
por ventidue anni n\\aestro elementare nelle
scuole del Comune, cducatOTe di uomini che
non lo dimenticheranno pì\\l. Catte.dra e CQr-
tile, pulpito e confesrionalc, opere sociali e
pacificazione furono i suoi impegni quoti-
diani. Portò la dignit:JI dei sacerdo:eio come un
abito reeale, ma nel servizio dei giovani e del
popolo portò l'obito dimesso dell'operaio che
!!ii dona a tutti senza da.r e sogge%.ione a ·nes-
suno.
C:Oad. Giovanni Zanovdlo t a Treviglio
(Bergamo) a 76 anni.
Destinato a Tre.viglio nel 1917, non se ne
andò più: un'autentica istituzione. Dire mae-
8tro Zanovello voleva dire il maestro di
quinta elementare (cinquant'anni Ja stessa
classe!), l'amico dei ragazzi, il burlone per
temperamento, jJ fllodrammatico ent1,1&ias-ta.
Insegnava con amore, aggiornandosi con cura
e con animo sempre nuovo, vibrante di con-
vinzione cristiana e di gioia pec tutte le cose
bellè. Cavaliere della Repubblica, due volte
Mcd-aglia d'Oro, chiese che ai suoi funerali
non si di.sturba.s.se nes.suno. Ma ci fu...-ono
turti, ne.I dolore di un vuoto incolmabile e di
una g-ratitudìne senza limiti.
Sac. Giuseppe TrlsogUo t a Lima (Perù)
a 59 anni.
Intelligente e generoso, sapeva conquistarsi
la sim.patia di tutti con il su.o traL1:o rispettoso
e paterno. Come sacerdote-• (u efficace sem.i-
natore della parola di Dio, che preparava con
scrupolo; come salesiano, donò tu.tto se stesso
durante trentacinque anni di insegnamento in
un lavoro inuancabìle e sacrificato.
t Sac. Manuel Angel Pisano a Buenos
Aires (Argentina) a 72 anni.
La euu aspirazione più costante fu il sacro
ministero, al quale consacrò tutte le sue doti
ed ener~ie. Come mis~iont:rio, fu sollecito del
progres~o spirituale e della promo:eione sociale
della popolaziooe.
Sac. GuCUelmo WueJ t a Sannerz (Ger-
mania) a 88 anni.
Studiò in Italia, ove fu ordinato sacerdote.,
poi andò nella Pampa argentina, e si dedicò
agli immigrati tedeschi. Spese gli uhim.i annj
in patria in un lavoro instancabile, fino alla
morté.
Sac. John Henry Neale t a Melbourne
(Au•tralia) a 56 anni.
C:Oad. Alessio Nelllshery t a Cocrun (in-
dia) a 30 anni.
Sac. Francesco Mate t a Madrid (Spagna)
a 76 anni.
Sac. Andrea Gop t a Tslriba (Venezuela) a
57 anni.
COOPERATORI DEFUNTI
Giuseppina PateNllti Ansalone t • Via-
grande (Catania) a r01 anni.
,t\\vcva desiderato consacrarsi al Signore,
ma a sédici anni accettò il matrimonio. Educò
cristianamente otto figli: fu lietiHima che due
sue bambine enc-rasse.ro tra le Figlie di Maria
Ausiliatrice, e non cessava di esortarle alla
coerenza con lo. scelta fatt.a. Dal canto suo
fu esempio costante dj vita cristiana, dalla
messa quotidiana (a cos-to di alzarsi di notte
per sbrigare il lavoro) alla preghiera e al sa-
crifido. A 94 anni Ottenne di essere accolta
nella Casa religiosa accanto alla figlia suora.
realizz.ondo in qualche modo il sogno della
giovìnezza. IJ rosario era lo • strumento di
lavoro con c;.ui chiuse operosamente la iu.a
lunga giornata.
~
Modesta GaUenca t a Torino a 66 annj,
Fu insegnante elementare pe.r circa 40 anni
1
attiva, sensibile ai problemi dei raç-azzi e
delle loro famiglie. Sapeva dimenticare se
stessa per gli altri; donò aUe missioni più di
quello che consumò per si, sostenuta da una
fede profonda e d-a: continua preghiera.
Dr. Luigi Marro t a Terracina (Latina) a
66 anni.
Devotissimo di Maria Ausiliatrice e di D<m
Bosco, era or~og.lioso di ave.re due fratelli
.salesiSJ;.li. La sua testimonianza cristiana si
concretò nel culto della bontà e dell'amicizia,
neJl'aiuto ai poveri e ai bisognosi, e nell 'affer-
ma.zione coraggiosa della fe.de anche in cir-
costanze difficili.
Anita dt Costanso t a Napoli a 37 anni.
Anima profondamente salesiana, cooperatrice
e consigliera dall'età di diciotto a.nni, su di
lei poggiava in buona_ parte il Centro Coo-
peratori di piazza Bellini. La messa quoti-
diana continuava neUR carità operosa verso
il prossimo. li Signore la colse subito dopo
la cclebrazione euca.ristica, in cui si e ra ci-
bata di Lui.
Enrica Bertinottl ved. Rossi t a Varallo
Pombia (Novara).
Cooperatrice esemplare, considerava la par-
rocchia come la aua sèconda famiglia. Si pro-
digava nella cura dello chiesa, nell'Azione
Cattolica e nell ' apostolato della buona stampa,
delle vocazioni e delle missioni. Attingeva
ogni giorno dalla S. Messa fervoye di pietà
e dj carità generosa versa i poveri e i soffe-
n~nti1 nello spirito di Don Bosco e nell'amore
liHale alla Madonna.
Sebastiano Asosto t a Moncalieri (Torino)
a 83 anni.
Padre del sale$Ìano Don Ca.rio, missionario
in Argentina, si è spento accanto -ai suoi figli
pochi giorni dopo essere sun-o insignito della
Croce dj guerra di Vi.ttorio Vcnc'to.
Ernesta Mandelli ved. casati t o Vaprio
d'Adda (Milano) a 79 anni.
Vedova di auerra a ventitré anni. $pese runa
la su~ vita nel lavoro e nella preghiera, ani...
mala da fede profonda. Fu lieta di donare il
ì uo unico figlio, don Giovannì, a Don Bosco
nella Congregazione salesiana, della q uJ1lc
essa fu sempre attiva cooperatrice.
Carolina Vlttadello veci. Bracacnolo t a
Campodancgo (Padova) a 77 anni.
Rimasta vedova giovanissima con quattro
bimbi. cui il maggiore contava appena
sci anni, nffrontò là vita con coraggio e con
fiducia nella Provvidenza. Frutto deJla suo.
fede sono le vocazioni rcligjose sorte nella
famiglia. tra cui una figlia, Imelda, tra le Suore
di Murfa Ausiliatrice. Accettò la aoffcre-nza
e la morte con lo stesso amore con cui an-
dava ogni giorno alla Messa, in tilenzio e in
preghiera.
Giovan Battista Cllrrieri t a Martina Franca
(Taranto) a 66 anni.
Trafficò acnza risparmio lt. sue doti di mente
e di cuore_ specialmente a favore dei più
poveri. che ricorrevJno a lui con fiducie i n
clifficolt,1 di ogni genere. Quanti !'banno co-
oosciuto, non potranno dimenticare questo
servo buono e fedele, set'npre evangelica-
mente dlaponibile.
Tobia cav. Capodlecl t a Brindisi a 7s anni.
Cooperatore salesiano da molti anni, si pro--
digò in modo speciale nc,lla diffusione della
buona stampa e nell'attività ea.ritadva della
San Vincenzo ,. Era molto affezionato a Don
Bosço. sempre buono, brioso, e si rendeva
amabile a c-u.tti.
L'ISTITUTO SALES IAN O PER LE MISSIONI con sede in TORINO. erano in Ente Morate con Oecreto 12 gennaio 1924. n. 22, può legalmente ricevere
Legati ed Erediti/. Ad evitare possibili contestazioni si consigliano le seguenti formule:
Se trattasi d'un legato:« ... lascio all"lstltuto Salesiano per le Missioni con sede In Torino a titolo di legato la somma di Lire... (oppure) l'immobile sito in... ».
Se trattasi. Invece, di nominare erede di ogni sostanza l'Istituto. la formula potrebbe essere questa:
«... Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale l'Istituto Salesiano per le Missioni con sede In Torino, lasciando
ad esso quanto mi appartiene a qualsiasi titolo».
34 (luogo e data)
(firma per esteso).

4.5 Page 35

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BORSE COMPLETE
m•- Borsa: Cabria Rosa Gina, in
mon"a e suffragio, a curn delle Coope-
riurid Salesiane del Santuario di Maria
SS. Au•ili'1trice di Novara, L. 50.000.
= Borsa: San Giovanni Bosco e
Beato Don Michele Rua, a
di un srruppo devoci di San Giovanni
Bosco e di Don Ruu (Colfosco - Tre-
viso), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, S.
Giovanni Bosco e S. Domenico
Savio, ÙI rin,gra.zian~nto id implorana
d-0ne sempre la proteziom si, di noi
e wll,, famiglia di nostro figlio, cura
di Romolo Gandolfo, Ovada (Ale...),
L. 50.000.
Bona: 1n onore di Papn Giovanni
XXITl ed in suffragio dell'ex allievo
Giubergia geom. Glov:a.nni1 a curn
del Convitto Civico Salesiano, Cuneo,
Lire 50.000.
Borsa: Idem.
Borsa: Idem.
Borsa: S. Maria Domenlca Maz-
zarello, a cura di Nicolò Ma1.zare1lo,
Mornese (Alessandria), L. 50.000.
Bol'S8: Don Bosco proteggi sempre
il mio Giacinto e tutti i mie.i cari,
R cu.ra di N.N.1 Piacenza, L . 50. 000.
Borsa: S. Luigi, in onore d,l R4tJ.mO
Ret.tor Maggiore in occa.sione del Suo
onomtUtico, a cura della Federazione
N•z. Ital. Ex Allievi di Don Bosco,
Roma, L. 50.000.
Borsa: S. Domenico Savio, a cura
della M.a Morgberita Acuto, Mira-
bcllo Monferrato (Aless.), L. 50.000.
Borsa: S. Giovannl. Bosco, a cura
cli N. Noria, Trento, L. 50. 000.
Borsa: Gesù Crocefisso, Maria SS.
Auslliatdce, Santi Salesianj e
S. Antonio da Padova, n"ngrana,uio
~d implorando a,m'lio, proiezione e
co,itinua elargizione di grazi~ per la
solrtt,: di una personn carissima, a
cura di Anna Maria Marinoni,
Chioggia (Venezia), L . 50.000.
Borsa: Mater Mea, fiducia mea, per
il 50• di Sacerdozio deU'Arciprete
Don Giovanni Palombello, a <ru.ra
del Clero di Acquaviva delle Fonti
(Bari), L. 50.000.
Borsa: S. Domenico Savio, p,r
implor_are ,:.razie e b~tu:dizùmi tu
tuui i mùi can". a cura di Ma.rg-herit.a
Castcllino, Frnz. S. Grato di Villanova
Mondovì (Cuneo), L. 50.000.
BorSa: Gesù. Sacramentato., Maria
SS, Ausiliatrice e Don Rua, a
cura di Teresa Gobbi, Run Muro 66,
Modena, L. 50.000.
Borsa: Famiglia Martino, v1v1 e
defu.nù..1 a cura di Cru:mela Martino
Urso, Messina, L. 50.000.
Borsa: Per un Salesiano _povero av-
viato al S11cerdozio, :. cu.ra di Ma.ria
Ausilia' Trudu, Nuragus (Nuoro),
L. 50.000.
Borsa: Dou. Mariano Dedè, a cu.ra
di Giannina Gal.mozzi ved. D~dè,
Lodi (MI), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausillat.rice, in
suffragio dei miei geniton·, a cura di
Giulia Medde, Norbello (Cagliari),
L. 50.000.
Bor"3: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, ;,, suffragio di
Paolo Radi(o, a cun. di Gins R•dice
Porro, Desio (Milano), L. 50.000.
Borsa: Don Filippo IUnaldi, in
ringraziamnuo e chi~dendo grazi~. a
cura di Dolorcs Signorelli, Varese,
L. 50.000.
Bona: Maria SS. AusJliatrice e
S. Giovanni Bosco, in ruffragi.o de,'
miti defunti id imxx;ando protezionè
sui miei t)ari, a cura di M. T. L .•
Roccabianca (Parma), I,. 50.000.
Bor113: Don Michele Rua, in rin-
grazi.amento per il f-el~e ~Jito di una
opn-azr.òne a mio padra e puch.é
continui' a proteggere le nosire Jann'glU!,
a cura di Concetta Lomacchia,
Trieste, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, ai]inchl proug-
gano e a.siistano mki Cari~ a cura di
Dora D'Erme, Latina, L. 50.000.
Borsa: 1n suffragio d.i DomenioO
Mazza, a çura di Giuseppe Cubctn,
Me.ssina, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, S.
Cuore dl1 Gesù, aiutattnn· e datemi
la saluti!, a cura di Luiiia Zonato,
Momeforte O'Alpone (Verona), Lire
60.000.
Borsa: Ma.ria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanoi Bosc:o, in ringrQZl·amento
tJ w.pplic.ando proti:ziont, a cura di
Anna Colonnello Broell, Milano,
L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, S.
Giovanni Bosco e Santi Salesiani,
p,r l'elmazùme agli Altari di Don
Michele Rua in ri,lgraziamento dei
favori ricwuti, in tuffragUJ dn· miei
cari defunti ed ;mx,cando continua
protezione p~r mt e per ; miei 11i"poti,
a cura di Mercedes Argcnteri Mi-
gnolli, Jlunoleno (Torino}, L. 50.000.
Borsa: Don Rua e Don Filippo
IUoaldi, in ringraziamento pu tante
grazie ricevute ed in attesa di tante
altr~ importantùn·m~, a cura PlilS-
aede Canvaggi, S. Damiano al Colle
(Pavia), L. 50.000.
CROCIATA MISSIONARIA
TOTALE MINIMO PER BORSA L 60.000 , Avvertiamo che la pub-
bllcazlone di una Borsa Incompleta si effettua qusndo il versamento
iniziale raggiunge la somma dl L. 25.000, ovvero quando tale somma
viene raggiunta con offerte successive. Non potendo fondare una Borsa,
si può contribuire con qualsiasi somma a completare Borse già fondate
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, S.
Giovanni Bosco e S. Domenlco
Savio, chUdendo protui<m.e. su tutta
la mia fmniglia ed in modo specia/4
per t11io figlia 11raggWre, a cura di
Erminia Façc;,hin, Vicenza, L. 55.000.
Borsa: San Domenico Savio e
Papa Pio Xli, secondo le int"'17.ioni
cli N. N., Scicli (Ragusa), L. 50.000.
Bona: In suffragio e memoria del
Cav. Uff. Francesco Milani, a cura
della Cooperativa , La Popola.re ,,
Lecco (Como}, L. 300.000.
Borsa: S. Gaetano e S. Domenlco
Savio, • cu.ra di Cesare Curio,
Genova-Cornigliano, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, per implorare
grazi.e... Esmidi.t~ l8 mif preg/Jie.re,
a cura cli S. D., Costiglioled'Asti (AT),
L. 50.000.
Bona: Don Michele Rua, in me-
moria e suffragio di Borio Virgilio,
cura dJ M. F., Torino, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e S.
Giovanni Bosco, in mflragio di
A11tonio Gnrina.ti, rùwra:dandb ,d
invocando altre gra.zi~, a cura di
lda Gcnina1 i, Torino, L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
S. Giovan:n.J Bosco, in ri11gra.ziu-
mcnto ~ ,·nvocondo protezioni!. pu
la famiglia. cura di Lidia Mondo
Duretto, Montegrosso d'Asti (AT),
Lire 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, per
ringraZWmento e puchd protegga
sempre Angela-a cw:n cli N.N., Mortara
(PV), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, S.
Giovanni Bosco e Don Rua, in
suffragio dei miei cari ienitori e fra-
telli e p,:.r la fame. nel mando, a <:ura
di Rosina Maizza, Monopoli (BA),
L. 50.000.
Borsa: Dlvlrul P.rovvidenza, o cura
di Francc•co Boglione, Torino, Lire
50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice, S.
G.iovanni Bosco e S. Rita, per
grazia ric..,uto chiedendo sompre pre-
g/iù,ro per la salute ckUa nipote Giu-
1tppina e di tulli i ruoi cori e 11,ffragi
M.r i s-uoi d~funti, a cura di MR.,
Broni (Pavia), L. 50.000.
Borsa: Maria SS. Ausiliatrice e
Don 13òsco, a cura dj N. N., Trino
Vcrccllose (Vercelli), L. 50.000,
Borsa: Prof. Allievo Missionario po-
vero, in suffragio del'Anima di Papà
Enrico, deceduto il 27-Q-72, • cura di
Emma Arici, Telgate (Bergomo), Lire
50.000.
Borsa: ln suffragio dei nostri defunti
ed in ringraziamento per grazia
ricevuta e per la continua p.roté2ione
su.JJa Famiglia e Parenti, a cura della
famialia Bruscghìni, Sondrio, Lire
60.000.
Borsa: Ma.ria SS. Ausiliatrice e
S. Giovanni Bosco, in mffragio d,I
mio caro marito Francesco, ìnvocmulq
ancht ,,, di me la loro protuùme
TassLgnazione, a cura di N. N ., CJu..
sone (Bergamo), L. 100.000.
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I misteri del Rosario. gaudiosi. dolorosi, gloriosi contengono
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donano forza contro il male, gaudio delle cose buone,
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Enrico Medi ha raccolto una serie di riflessioni
quali spunti brevi che, basandosi sui misteri del Rosario,
avviano l'anima alla meditazione.
Umili pagine per favorire il raccoglimento affinché,
come dice l'autore, « A Te sia resa gloria,
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2a Edizione
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