molte donne hanno avuto con don
Bosco un contatto occasionale o ri-
masto superficiale, per ragioni di di-
stanza, di mancanza di tempo o di
mezzi, di interesse più globale per la
sua opera. Invece un certo numero,
soprattutto di Torino o del Piemonte
o delle città dove don Bosco andava
spesso, hanno tessuto con lui dei
rapporti di una straordinaria profon-
dità, donne di grande fede certamen-
te, ma anche, quasi sempre, donne
dell'aristocrazia o dell'alta borghesia,
di grande cultura, ricchissime, ma dal
cuore generosissimo. Sono state con-
quistate dalla personalità di don Bo-
sco, più ancora dalla sua santità e
dall'evidente grandezza e utilità della
sua opera. La loro ammirazione e
venerazione per lui è stata senza li-
miti. Si sono confidate con lui per le
cose dell'anima e tante volte per gli
affari di questo mondo. Andare a
fargli visita o, meglio, riceverlo nella
propria casa era sempre per loro una
festa, aiutarlo in qualunque modo
una gioia, saperlo interessato alle loro
cose una sicurezza. A questi senti-
menti e atteggiamenti don Bosco ba
risposto con una perfetta grandezza
di animo, dando loro non mai adula-
zioni, ma stima, affetto, aiuto morale
e spirituale, come lo rivela in parti-
colare la sua corrispondenza (a cui ho
già fatto cenno prima). Ci sarebbe UD
libro da scrivere su questi rapporti tra
il contadino dei Becchi divenuto
«capo dei birichini» e queste nobili
signore dell'Ottocento.
Difatti sono tutte nobili le quattro
Cooperatrici di cui vorrei dire una
parola: una marchesa e tre contesse;
ma don Bosco, per essere perfetta-
mente all'agio con loro, dava (almeno
alle tre contesse) l'appeJJativo di
«mamma", anche se erano più gio-
vani di lui di una decina di anni.
a. La marchesa Maria Passati - De
Mais/re, di Torino (1824-1905)
Questa signora, figlia del conte
Rodolfo de Maistre, primogenito del-
l'illustre scrittore Giuseppe, fu Coo-
peratrice durante quarant'anni, vi-
vente don Bosco (1847-1888). e ancora
sedici anni sotto don Rua. Tutta la
sua famiglia era devota a don Bosco,
in particolare una sua zia, Costanza, e
due fratelli, Eugenio e Francesco.
Dama di corte della regina Maria
Adelaide, sposò, a vent'anni, il mar-
chese Domenico Fassati, comandante
deJJe guardie del corpo di Vittorio
Emanuele Il. Dal 1847, furono Coo-
peratori zelantissimi: mentre lui ve-
niva a fare il catechismo agli artigia-
ni, lei veniva ad aiutare mamma
Margherita a rammendare la loro
biancheria. Furono poi generosi do-
natori: si assunsero la spesa della
cappella della Madonna nella chie-
setta di San Francesco di Sales (MB
IV 249), diverse spese per il santuario
di Maria Ausiliatrice... La sua figlia
Azelia divenne anche lei, col marito
barone Carlo Ricci des Ferres, una
generosissima Cooperatrice. Mori-
bonda nel 1884, disse a don Bosco
venuto a visitarla: «Sono disposta a
fare tutto quello che Maria Ausilia-
trice vorrà da me per sua maggior
gloria». Guarl e visse ancora vent'an-
ni. TI 24 nov. 1885, don Bosco le
mandava UD cestino di uva maturata
alle sue finestre, con questo biglietto:
« Frutti cresciuti sotto l'ombra e pro-
tezione di Maria Ausiliatrice. Così
cresca la sua santità e quella della sua
famiglia. Cosi sia... Preghi per questo
poverello che sarà sempre, in Gesù
Cristo, Obbl.mo servitore Sac. G.B."
(MB XVII 675).
Ci restano 25 lettere mandatele da
don Bosco.
b. La contessa Carlotta Callori, di
Casale Monferrato (1826-1911)
Mandate aJJa contessa Carlotta, in-
vece, ci restano 56 lettere di don Bo-
sco, perché abitava non a Torino, ma
a Casale Monferrato; quindi la cono-
sciamo meglio. Fu Cooperatrice 27
anni vivente don Bosco (dal 1861), e
ancora ventitré con don Rua (un bel
totale di SO anni). Aiutò don Bosco in
modo decisivo per la fondazione del
collegio di Mirabello (diocesi di Ca-
sale, 1863), trasportato poi a Borgo S.
Martino (1870), per l'edizione del
Cattolico Provveduto (1868), per le
chiese di Maria Ausiliatrice e di san
Giovanni, e per tanti altri bisogni.
Dice don Lemoyne: «Per don Bo-
sco fu sempre una vera madre. Egli
soleva chiederle consiglio in molte
cose» (MB VII 286). Donna saggia
dunque, zelante, ma debole di salute
e incline alla malinconia, anche
perché dovette accettare molte e dure
prove. Perciò don Bosco l'incorag-
giava, scherzava deliziosamente con
lei, le manifestava un affetto delica-
tissimo. Cominciava così le sue lette-
re: « Eccellenza? Chiarissima? Bene-
merita? Mamma carissima? Mi dirà
quale titolo gradisce... » (Epistolario,
8/ 36
II, 183), «Mia buona mamma»; e fir-
mava spesso: «Obligatissimo e affe-
zionatissimo servo figlio scialacqua-
tore, Sac. G.B.» (ibidem); «Affezio-
natissimo figlio cattivo» (Ep. II, 463).
Il 7 gennaio 1872, convalescente da
una malattia mortale, le scrisse un
biglietto « Mia buona mamma, ...con-
tinui a pregare per questo discolo af-
finché si faccia buono e sia sempre
verso di Lei». Dentro la busta c'era
una lettera del direttore di Varazze,
don Francesia, firmata: «Suo ricono-
scente nipote» (MB X, 280).
c. La contessa Girolama Uguccioni,
di Firenze
d. La contessa Gabriella Corsi,
di Torino
e. Alcuni altri nomi...
Tra le Cooperatrici non italiane,
conviene ricordare le due francesi, a
cui il voi. XV delle MB dedica due
capitoli: la contessa Maria Sofia Col-
le, sposa dell'avv. Colle di Tolone, e la
«damigella» Clara Louvet, che incon-
trarono don Bosco nel 1881 e furono
tutte e due per lui di straordinaria
generosità.
La prima è la mamma del giovane
Luigi, morto a diciassette anni, di-
ventato il misterioso confidente di
don Bosco e la sua guida in due fa-
mosi sogni-viaggi missionari in Aine-
rica e in Africa-Asia (MB XVI 385-394;
XVH 643-647).
La seconda che, dal nord della
Francia, venne più volte a Torino, è
una delle poche Cooperatrici su cui
abbiamo informazioni precise di di-
rezione spirituale da parte di don
Bosco. Ci restano 76 lettere di don
Bosco agli sposi Colle, e 57 alla si-
gnorina Clara.
lnfine, dalla Spagna, la grandissi-
ma Cooperatrice Dorotea Chopitea, la
Barolo di Barcellona, che provocò
don Bosco a mandare U i suoi figli,
che l'accolse con venerazione e gioia
nell'aprile 1886 e si sentì allora dire:
«Oh, signora Dorotea, ogni giorno io
pregavo Iddio che mi facesse la gra-
7ja di conoscere lei prima di morire!»
(MB XVIII, 69).
Anche lei ha avuto la fortuna di
essere chiamata «la nostra buona
mamma di Barcellona".