Bollettino_Salesiano_201912

Bollettino_Salesiano_201912



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IL
DICEMBRE
2019
Buon Natale
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Salesiani
nel mondo
Palestina
Le case di
don Bosco
Milano

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
L’avvecnatumrapdaenllee di
Maria Ausiliatrice
Mi chiamo Carola Francesca e peso 875
chilogrammi. Non sono una cicciona,
anzi sono snella ed elegante, con una
magnifica voce. Ho quattro sorelle
straordinarie. La sorella che viene
dopo di me pesa 750 chilogrammi
e la più piccola, che si chiama Angela Giovanna,
250. Le nostre voci sono diverse, ma tutte sonore,
cristalline e squillanti, con varie tonalità.
Perché siamo una famiglia di campane.
Eravamo nate nell’antica fonderia G.B. Mazzola
e figli di Valduggia (Valsesia). Un bel giorno ci
avevano portate a Valdocco, un quartiere di To-
rino, dove c’erano tanti ragazzi arrivati dalla Val-
sesia, come noi. Siamo state accolte da centinaia
di ragazzi. Non dimenticheremo mai il sorriso
di soddisfazione di don Bosco, il sacerdote che
ci aveva fatte fare. Pensate che bello: facevamo
La storia
Il 21 maggio 1868, giorno dell’Ascensione, vennero so-
lennemente benedette le cinque campane da collocarsi
sul campanile, e furono immediatamente sollevate sul
campanile. Nel 1870 ne furono aggiunte altre tre. Nel
1922, furono sostituite dalle attuali di maggiori dimen-
sioni (MB IX, 202-204).
parte del suo sogno. Proprio come la bella chiesa
e il campanile a cui eravamo destinate: la chiesa
di Maria Ausiliatrice.
Il 21 maggio 1868, festa dell’Ascensione del Signo-
re, alle tre pomeridiane, cominciammo a renderci
conto di quanto fossimo importanti. Arrivò addi-
rittura un vescovo per benedirci solennemente.
Sul nostro elegante vestito di bronzo erano incisi
fregi ed immagini, con due iscrizioni, dettate
da don Bosco. La prima una invocazione, la
seconda il nome della persona che aveva donato
il denaro perché noi potessimo esistere.
Formavamo un concerto in mi bemolle. Era il
primo nella città di Torino.
Certi bei motivi non venivano molto bene per-
ché mancava qualche nota e allora nel maggio
del 1870, arrivarono altre tre campane nuove e
più piccole, dalla voce argentina.
Furono anni stupendi. Ogni colpo di batacchio
era come un battito di cuore che lasciava nell’aria
messaggi di vita, che poi fluttuavano sui tetti
della città. Cantavamo la poesia del Natale, il
dolore silenzioso della Vergine ai piedi della
croce, la gloria della Pasqua.
Piangemmo con funebri rintocchi la morte di
don Bosco e di don Rua, e di tanti salesiani di
Valdocco. Ma poi piangemmo su noi stesse,
perché dopo cinquant’anni ci misero in disparte,
come ferraglia inutile.
Nel 1922, fummo sostituite da altre campane
di maggiori dimensioni. Tre anni durò il nostro
esilio, ma nel 1925 ritrovammo un campanile e
una nuova chiesa e un quartiere popolare, di gente
schietta e generosa: la nuova chiesa salesiana di
Gesù Adolescente, nel Borgo San Paolo di Tori-
no. Siamo ancora là, voce di Dio e di Maria.
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Dicembre 2019

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IL
DICEMBRE 2019
ANNO CXLIII
Numero 11
Mensile di
IL
informazione e
DICEMBRE
2019
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
Salesiani
nel mondo
Congregazione
Palestina
Le case di
Salesiana di San
don Bosco
Milano Giovanni Bosco
Buon Natale
In copertina: Negli occhi dei giovani
scopriamo la tenera e gioiosa luce della
vita (Foto Max Bukovski, Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Palestina
10 TEMPO DELLO SPIRITO
Nove angeli per Natale
12 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
14 LE CASE DI DON BOSCO
Milano
18 L’INVITATO
Monsignor Lorenzelli
22 LA NOSTRA STORIA
Il bersagliere
24 SALESIANI
27 I NOSTRI CD
Hic est domus mea
28 I NOSTRI EROI
Andrea Beltrami
32 FMA
Brasile
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
6
18
28
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse
e raggiunge 132 Nazioni.
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Il Bollettino Salesiano
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Dio nasce ad Agartala
In India ho incontrato ragazzi fantastici
in un centro per “diversamente abili”.
Le loro mani che ricamavano l’aria nel
linguaggio dei segni mi hanno ricordato
le ali degli angeli di Betlemme.
Carissimi amici del Bollettino Salesiano e
del Carisma di don Bosco vi mando gli
auguri di Buon Natale dalla bellissima
India nord-orientale. Da poco sono ar-
rivato qui dal “tetto del mondo”, il Ne-
pal, e dalla provincia di Shillong, che
magnifici echi suscita nella storia delle Missioni
salesiane.
Lì ho incontrato i miei fratelli e laici salesiani, i
membri della Famiglia, le nostre sorelle Figlie di
Maria Ausiliatrice e le nostre Suore Missionarie
di Maria Ausiliatrice.
Le Suore Missionarie di Agartala donano la vita
in un centro per bambini, adolescenti e giovani
“diversamente abili”.
Hanno totalmente catturato la mia attenzione e mi
hanno profondamente emozionato, quando duran-
te l’Eucaristia di quel giorno, una cinquantina di
quei ragazzi e ragazze, sordi e muti, hanno ese-
guito tutti i canti con il linguaggio dei segni, “imi-
tando” la Suora che davanti a loro, sempre con il
linguaggio dei segni, “diceva” loro il testo del can-
to. Mi sono commosso nel vedere come cantavano
con i loro segni, la loro attenzione e concentrazio-
ne, le loro espressioni di felicità, i loro occhi che
brillavano come le luci della cappella.
E ho pregato con fede. Ho pregato con loro e per
loro.
E la mattina dopo sono andato a incontrarli nella
loro casa. Il nome ufficiale è “Centro di riabilita-
zione Ferrando” di Agartala, capitale del Tripura
(India). È una scuola all’avanguardia della tecnica
e dell’amore delle suore. Inizialmente si prendeva
cura di bambini e ragazzi audiolesi, oggi lavora
per includere le varie disabilità nell’educazio-
ne, per questo negli ultimi anni sono stati ac-
colti anche studenti con autismo, ipovedenti e
con paralisi cerebrale.
Le suore si occupano di 150 ragazzi e ragazze della
regione di Tripura. Di questi, 62 vivono nella casa
con le suore. Sono tutti di famiglie indigenti. Le
classi medie probabilmente hanno altre opzioni, ma
come ho ripetuto più volte, i poveri hanno solo noi.
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Durante la visita, i ragazzi e le ragazze ci han-
no offerto il tradizionale ballo Hojagiri. È stato
impressionante vederli tutti danzare in perfetto
equilibrio e ballare al ritmo di una musica che
non ‘sentono’ come noi, ma intuiscono molto
bene con una sensibilità tutta loro. Una giovane
acrobata ha sorpreso tutti con l’alto livello del-
la sua esibizione. Ma la cosa più bella è stata la
sua sensibilità, la sua gioia, il suo sorriso, le sue
espressioni di gratitudine con il linguaggio dei
segni e la sua preghiera per noi.
E ho pensato ai piccoli miracoli viventi che avevo
davanti. Sono istruiti. Sono felici. Si preparano
per la vita. Molti dei ragazzi, che li hanno pre-
ceduti anni prima, hanno terminato con succes-
so gli studi all’università. E in ogni momento ho
sentito in quella casa la presenza del Signore e la
maternità di Maria che nelle suore diventa dona-
zione e servizio.
Non posso dimenticare la gioia di quei bambini
e adolescenti grati al Signore e a ciò che ricevono
nella vita. E ho contemplato, osservato e ringra-
ziato nel profondo del mio cuore.
Perché, ancora una volta, ho potuto verificare,
come prima in Nepal, o a Siliguri, che Dio con-
tinua a scrivere belle storie di vita in cui si fa pre-
sente e continua a nascere in tanti cuori.
Ho imparato un po’ di “parole” nel linguaggio dei
segni in quelle ore. Quanto bastava per salutarli,
per dir loro che mi hanno incantato, per ringra-
ziarli. E mi sentivo veramente felice con loro.
E ho sentito il dovere di ringraziare il Signore
per il dono di don Bosco e di questa sua famiglia
salesiana, perché in essa tutti noi formiamo una
forza solida, anche se umile, ma tutta votata al
bene e per rendere felici i giovani “nel tempo e
nell’eternità”.
Con la lingua dei segni, ho promesso a quei bam-
bini che avrei pregato per loro e chiesto a tanti al-
tri di farlo. E mi ringraziavano, i loro occhi dice-
vano tutto e il loro sorriso arrivava in profondità.
E con questo mio ricordo voglio rendere visibili
anche a voi, cari amici, quei piccoli, seppur gran-
di, “miracoli” educativi di quella storia “della Sal-
vezza” che noi salesiani stiamo scrivendo.
Per questo, nell’imminenza di questo Natale, vi
garantisco ancora una volta che il Signore è pre-
sente tra noi (che ne siamo consapevoli o meno), e
diventa Vita soprattutto tra i più umili e semplici,
come i figli di Agartala.
Non dimenticherò mai le loro mani che ricama-
vano l’aria nel loro silenzioso linguaggio e sem-
bravano tante rondini in volo o meglio le ali di
tanti angeli, come quelli di Betlemme.
Le immagini natalizie degli angeli hanno il re-
spiro della leggerezza, della gioia, della voglia di
vita.
Gli angeli ci aprono il cielo. Eliminano il peso
della terra. Ci donano quella gioia infantile che
era la caratteristica dell’Oratorio di don Bosco.
È Natale, amici miei. Lasciamo che gli angeli del
Natale ci ricordino che la nostra vita in Dio di-
venta santa e piena di luce.
Insieme ai bambini diversamente abili di Agarta-
la, auguriamoci un Buon Natale, una felice nasci-
ta del bambino Dio, Amore per tutti noi.
Con affetto, Buon Natale.
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SALESIANI NEL MONDO
LA COMUNITÀ
Salesiani Da 130 anni i Figli e le Figlie di don Bosco
sono una presenza viva e forte nella
Terra di Gesù nonostante le guerre,
i muri, le incomprensioni.
in Terra Santa
L’ingresso della
casa salesiana di
Beit Gemal.
L’ispettoria salesiana del Medio Oriente
sta assumendo una centralità crescen-
te nelle strategie della congregazione,
tanto che le altre ispettorie sono attive
nell’aiutarla nella crescita e nel raffor-
zamento delle attività. Quattro giovani
missionari arriveranno a disposizione dell’ispet-
toria, per dare più vigore alle attività in program-
ma per Israele, Palestina, Siria, Egitto e Libano.
Tra le prime iniziative c’è stata quella di sposta-
re la sede dell’ispettoria da Betlemme a Cremi-
san, che consentirà di ampliare la capacità della
scuola locale: «A Betlemme – spiega l’ispettore
don Alejandro José Leòn Mendoza, 39 anni, di
origini venezuelane, in carica da settembre 2018
– potevamo ospitare soltanto 180 allievi, ma con
il nostro spostamento avremo lo spazio per offrire
formazione a 90 studenti in più».
Cremisan, situata nella linea di confine tra la Ci-
sgiordania e Gerusalemme, a pochi chilometri
da Betlemme, aveva ospitato fino al 2004 uno
studentato internazionale di studi teologici con
un accento sull’archeologia biblica e sul dialogo
interreligioso rivolto ogni anno a 40 allievi, con
dieci docenti. Attività poi trasferita a Gerusalem-
me, nel monastero di Ratisbonne.
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Per poter ridare slancio alla casa di Cremisan i
salesiani stanno già organizzando una serie di
attività volte a coinvolgere gli abitanti del luogo,
come i mini corsi di formazione legati alla col-
tivazione delle olive, all’orticoltura e alla realiz-
zazione di giardini pensili, nati in collaborazione
con il ministero dell’agricoltura del governo pale-
stinese per favorire l’attività delle donne e offrire
strumenti di agricoltura biologica e sostenibile.
Guardando i giovani negli occhi
A dirigere la scuola di Betlemme andrà nelle
prossime settimane don Lorenzo Saggiotto, sa-
lesiano che presta servizio in Medio Oriente dal
1968 e che finora è passato dalle case salesiane
del Libano, di Betlemme, di Cremisan, del Cai-
ro, e che negli ultimi anni è stato direttore della
casa salesiana di Nazaret, che spiega la realtà dei
giovani arabi israeliani che vivono nella cittadina
della Galilea: «L’ambiente giovanile di Nazaret è
molto difficile per i ragazzi arabo israeliani, che
risentono negativamente del contatto con il mon-
do ebraico. Qui sempre più spesso la religione è
solamente un’immagine esteriore. Stiamo assi-
stendo a una secolarizzazione forte anche nell’I-
slam. Il problema più grande è quello della crisi
d’identità: per capirlo basta considerare il fatto
che tra i nostri studenti musulmani, che sono
l’80% del totale, soltanto il 20% rispetta il Ra-
madan».
«Ma quello della crisi d’identità non è l’unico pro-
blema che negli ultimi anni sta insidiando i gio-
vani a Nazaret. L’altro, che si è sviluppato aggres-
sivamente a partire dagli anni ’90, è quello della
criminalità. Dal mondo occidentale sono arrivati
qui problemi come l’alcolismo, le tossicodipen-
denze, la prostituzione e la criminalità di stampo
mafioso. Ai vertici di queste organizzazioni ci
sono stranieri, ma i soldati sono gli arabi. Questo è
tragico, perché vuol dire che chiunque voglia fare
‘soldi facili’ sa perfettamente a chi rivolgersi». Ma
quale può essere il ruolo della scuola per aiutare i
ragazzi di Nazaret nel loro per-
corso di crescita? Prima che dal
versante più strettamente forma-
tivo don Lorenzo parte da quello
umano: «L’unico argine che può
venire dalla scuola è quello di co-
noscere personalmente i ragazzi
– spiega – Io mi metto sulle scale
ogni giorno e guardo i ragazzi
negli occhi salutandoli. Spesso vengono da situa-
zioni difficili o da conflitti familiari, ed è fonda-
mentale un contatto personale con loro per capire
chi è più in difficoltà e aprire il dialogo. Abbiamo
casi di ragazzi che hanno tentato il suicidio, o di
ragazze vittime di violenza, problemi che si risol-
vono soltanto con la vicinanza».
Quanto all’oratorio, è aperto soltanto ai cristiani,
senza distinzione di riti, e ospita circa 80 ragazzi
over 14 anni per le attività del venerdì pomeriggio
e circa 200 piccoli il sabato, animati dai più grandi.
Tra i giovani che lo frequentano c’è Abir Shajra-
wi, 24 anni, oggi studentessa di scienze mediche
a Gerusalemme, all’ultimo anno di università, che
ha nei suoi progetti di continuare nel percorso di
studi in medicina e specializzarsi all’estero.
«Sono un’animatrice dell’oratorio, soprattutto
con le ragazze, nel tempo che mi rimane libero
dallo studio. Questo centro è la mia seconda casa,
In alto: La casa di
Cremisan immersa
nel verde.
Sopra: Il giovane
superiore
dell’Ispettoria
Salesiana del
Medio Oriente,
don Alejandro
José Leòn.
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SALESIANI NEL MONDO
Yousef Noufi e
Abir Shajrawi
sono gli entusiasti
animatori
dell’oratorio di
Nazaret.
Sotto: La sala
giochi.
lo frequento da quando ero piccolissima. Oggi
quando lavoro con i bambini li vedo felici, e que-
sto mi rende a mia volta felice».
Simile il percorso di Yousef Noufi, 23 anni, che
frequenta il biennio di ingegneria meccanica e
aiuta lo zio nella sua attività di carpentiere: «Mi
occupo dell’attività dei più piccoli nello sport. Mi
impegno nell’oratorio perché quando ero piccolo
dagli animatori ho ricevuto amore, rispetto, di-
gnità. E oggi mi sento in dovere di fare lo stesso
per le nuove generazioni».
Il forno e la cantina
Tra le attività dei salesiani in Terra Santa che
hanno ricevuto più visibilità negli ultimi anni e
che hanno consentito ai salesiani di autososte-
nersi sono il forno di Betlemme e la cantina di
Cremisan.
“Io lavoro qui da più di 20 anni – spiega Ibrahim,
che coordina l’attività del forno – Qui lavoriamo
in cinque, e produciamo 15 tipi di pane a rotazio-
ne durante la settimana. Vendiamo il pane sol-
tanto alla clientela locale, non lavoriamo per altri
negozi – sottolinea – e ci sono cento famiglie bi-
sognose che vengono e prendono pane per tutto il
mese senza pagare, grazie a un sistema di tessere
e bollini. In tutto distribuiamo circa 3mila pani
al giorno, utilizzando farina di alta qualità e per
prodotti tradizionali, alcuni dei quali vengono
prodotti in questa zona da più di 100 anni: utiliz-
ziamo soltanto farina, acqua, sale e lievito, senza
altri ingredienti aggiunti”. L’attività è stata fon-
data più di un secolo fa, inizialmente per servire
più di 100 orfani e religiosi che risiedevano nella
casa salesiana, e da allora si è aperta al territorio.
“Il nostro – conclude Ibrahim – è il primo forno
di Betlemme: durante il coprifuoco dell’Intifada
è stato l’unico aperto a Betlemme, e per garantire
il servizio il personale dormiva dentro al pani-
ficio. I nostri prezzi sono più bassi rispetto alla
media della zona: lo facciamo – conclude Ibrahim
– per aiutare tutte le famiglie”. Sempre a Betlem-
me sono attivi la scuola e un oratorio aperto ai
bambini della zona, con attività sia per i cristiani
sia per i musulmani.
Quanto alla cantina di Cremisan, a pochi chi-
lometri di distanza da Betlemme, risale al 1885,
quindi a prima dell’arrivo dei salesiani, che all’i-
nizio l’hanno rilevata per la produzione di vino
per la Messa. Fino al 2000 è stata una delle quat-
tro cantine presenti in tutto il territorio di Israe-
le. Da quel momento in poi è rimasta una delle
poche attività di questo tipo in Palestina, mentre
ne sono sorte 100 in Israele. «Dal 2000 al 2010
la cantina ha vissuto un momento critico – spiega
don Alejandro – a causa del fatto che il mercato
mondiale è cambiato, con l’aumento di produ-
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LE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
Il primo arrivo delle FMA in Medio Oriente è stato a Betlemme l’8 ottobre del
1891. Le suore hanno cominciato il loro lavoro aprendo un laboratorio di sar-
toria e ricamo per ragazze di qualsiasi nazionalità e religione, frequentato su-
bito da alcune musulmane e greche. Fu l’inizio non facile di un’opera che ebbe
in seguito grande sviluppo, estendendo la sua larga e benefica azione educati-
va su un piano veramente ecumenico. La seconda fondazione, effettuata quasi
contemporaneamente, fu quella di Damasco in Siria. Le suore sono arrivate il
4 novembre 1913 per farsi carico delle scuole e di un ambulatorio e ospedale.
zione di massa e bassi costi su scala internazio-
nale. Ma dal 2010 abbiamo investito sul rilancio
di questa attività, coinvolgendo anche enologi di
fama internazionale, nella coltivazione dell’u-
va, nella preparazione del vino e nel marketing.
Dopo costanti sperimentazioni, durate 10 anni,
oggi produciamo quattro tipi di vini ‘top’, due
bianchi e due rossi, e quattro di base. Oltre alla
crema di limoncello, al brandy e a una variante
dolce, il ‘Port’».
Santità e teologia
A circa 35 chilometri da Gerusalemme, scenden-
do verso il Mar Mediteraneo, è presente la terza
opera salesiana nel villaggio di Beit Gemal. An-
che in questo caso si tratta di una presenza storica
lasciataci da don Antonio Belloni, che all’origi-
ne era un orfanotrofio e ora è un centro di spiri-
tualità e di dialogo interreligioso, in particolare
con il mondo ebraico. A Beit Gemal i salesiani
sono i custodi della tomba di santo Stefano proto
martire. Scavi archeologici condotti nella metà
del secolo scorso infatti hanno appurato che pro-
prio dentro la nostra proprietà si trovano i resti
di quella che è stata la tomba del giovane santo
– Stefano – morto per testimoniare la sua fede in
Gesù Cristo e alla cui esecuzione, mediante lapi-
dazione, era presente anche Saulo che poi, con-
vertito sulla via di Damasco, chiameremo Paolo,
san Paolo!
La bellezza del luogo immerso nel verde, la stori-
cità del convento dei salesiani, l’architettura del-
la chiesa di Santo Stefano portano molti ebrei a
visitare la nostra opera di Beit Gemal. È questa
una bella occasione di incontro e di confronto fra
cristiani ed ebrei, nel rispetto di ciascuno, che in
Terra Santa ha un valore simbolico importante.
Nella chiesa di Santo Stefano sono poi custodite
le spoglie del venerabile Simaan Srugi, un sem-
plice salesiano coadiutore, vissuto umilmente e
attento ai più poveri, la cui vita era in odore di
santità ancora egli vivente. Particolarmente ama-
to dalla popolazione musulmana che lui predili-
geva nel suo sostegno ai più bisognosi.
Infine il seminario
teologico salesiano,
che dal 2004 ha
sede all’interno del
monastero di Rati-
sbonne, a Gerusa-
lemme. Lo Studium
theologicum salesia-
num è un campus
universitario della
facoltà di teologia
dell’Università pon-
tificia salesiana, che
ha la sua sede cen-
trale a Roma. Offre
un percorso di studi
superiore in teologia della durata di quattro anni,
aperto a studenti salesiani e di altre congrega-
zioni, seminaristi e studiosi. Il campus ospita 40
interni e un totale di 70 studenti provenienti da
tutto il mondo, mentre in estate viene sfruttato
come struttura di ospitalità per i pellegrini in
Terra Santa.
A sinistra: Ibrahim,
che coordina
l’attività del forno
di Betlemme.
Sotto: la lapide
all’ingresso
della cantina di
Cremisan.
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TEMPO DELLO SPIRITO
CARMEN LAVAL
Nove angeli per Natale
La Bibbia è piena di angeli. Gli angeli
sono creature di Dio che collegano
a Lui il nostro mondo interiore.
Sono così vicini a Dio che
talvolta si confondono con Lui.
Come dice il nostro Catechismo:
«Dall’infanzia fino all’ora della
morte la vita umana è circondata dalla
loro protezione e dalla loro intercessione».
La nascita di Gesù è accompagnata dagli angeli
che hanno un messaggio anche per noi.
1. L’angelo del silenzio
Zaccaria è un bravo sacerdote del Tempio. Lui e
sua moglie Elisabetta sono ormai anziani e non
hanno figli. L’angelo Gabriele gli porta una bella
notizia: «Avrete un figlio e lo chiamerete Gio-
vanni». Zaccaria vorrebbe più spiegazioni. L’an-
gelo gli insegna che il modo migliore di ascoltare
la sua voce è fare silenzio. Spesso abbiamo biso-
gno di questo angelo che ci aiuti a “tenere la boc-
ca chiusa” per imparare ad ascoltare veramente
la voce di Dio, che risuona dentro di noi,
e anche le parole di coloro che vivono
con noi.
2. L’angelo della tenerezza
L’angelo Gabriele annuncia a Ma-
ria che diventerà la mamma del
Figlio di Dio. Spiega che Dio ama
talmente gli uomini da diventare uno
di loro, perché lo sentano veramente
vicino, buono e misericordioso.
Chiediamo a Gabriele di en-
trare nella camera del nostro
cuore e illuminare anche la
nostra vita con il “lieto an-
nuncio” dell’amore concre-
to di Dio per tutti gli esseri
umani. E ci aiuti a rispondere
come Maria: «Eccomi!»
3. L’angelo del coraggio
Il buon Giuseppe pensa di ripudiare Maria per-
ché così vuole la legge. Ma l’angelo taglia corto.
Gli spiega che il Bambino di Maria è il Messia e
gli ordina sbrigativamente di prendere Maria con
sé. E amarla e proteggerla. Giuseppe è obbedien-
te. Ascolta la voce dell’angelo e la segue senza
badare a quello che possono dire gli altri. Chie-
diamo aiuto ad un angelo
così, che ci rinfranchi
e incoraggi quando
le decisioni che
dobbiamo pren-
dere sono diffi-
cili e ci manca-
no le forze.
4. L’angelo
della luce
Un angelo appare ai pa-
stori insonnoliti nella notte come una luce sfol-
gorante. È lo splendore stesso di Dio che riful-
ge nell’angelo e illumina la vita delle persone.
A volte ci sembra di camminare nel buio per le
tante difficoltà quotidiane. Invochiamo l’angelo
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della luce perché ci indichi
vie nuove e rischiari di luce
nuova ciò che ci circonda.
5. L’angelo della gioia
La prima parola pronuncia-
ta dall’angelo nel Vangelo è
“Kaire!” che significa “Trabocca di
gioia!”. Tutti coloro che incontrano l’an-
gelo sono pieni di gioia. Il mondo non è più nelle
mani di forze oscure.
Il Bambino di Betlemme è il Salvatore che gli uo-
mini attendono da sempre. Il futuro sarà diverso.
In Lui Dio guarisce, salva, libera e protegge. Gli
angeli danzano sulla stalla e Maria canta felice:
«Tutto questo è magnifico!»
6. L’angelo della pace
Il coro degli angeli danzanti canta una parola che
riscalda gli esseri umani: pace. Pace tra le persone
e soprattutto “dentro” le persone. Significa aver
cura, proteggere, amare in modo concreto. Solo
chi vive in pace con se stesso può portare la pace
dove vive. Ma da soli gli uomini non riescono a
costruire la pace. La pace è un dono che viene
“dall’alto”. Ricordiamoci spesso dell’angelo della
pace: può portare un po’ dell’armonia del Para-
diso nella nostra vita e aiutarci a far nascere uno
spazio di amore, libertà, solidarietà, comprensio-
ne e felicità nel nome di Gesù.
7. L’angelo che indica un’altra strada
A Betlemme, i Magi si prostrano davanti al
Bambino e lo adorano. Pieni di gioia si av-
viano per tornare a casa. La strada logica
per loro sarebbe passare per Gerusa-
lemme. Appare però a loro in sogno
un angelo, che ordina loro di pren-
dere un’altra strada e non ripassare
da Erode, che ha brutte intenzioni
nei confronti del Bambino Gesù. I
Magi ascoltano l’angelo.
Nella nostra vita quotidia-
na, abbiamo spesso bisogno
di un angelo che ci avverta
quando abbiamo imbocca-
to una strada pericolosa. In
qualche modo l’angelo può
guidarci sulla via che porta a
Dio e non lontano da Lui.
8. L’angelo che protegge
Erode è animato da una furia brutale. Il Bambino
è in pericolo. Un angelo appare in sogno a Giu-
seppe e gli ordina di fuggire in Egitto con Maria
e il Bambino. Giuseppe ubbidisce subito. Proteg-
gere è l’azione più bella degli angeli. Ciascuno di
noi, lo afferma Gesù, ha un angelo custode che
salva dai pericoli e fa della nostra vita uno spazio
protetto e benedetto.
9. L’angelo che porta a casa
In Egitto appare di nuovo in so-
gno a Giuseppe e gli ordina di
tornare nella terra d’Israele.
Gli indica anche la strada più
sicura. Per mezzo dell’angelo,
Dio continua a chiamarci. Ci
attende “a casa”: un posto in
cui possiamo crescere, maturare
ed essere felici. Magari è un luogo
piccolo e nascosto come Naza-
ret, ma è proprio lì che ci
attende la missione che
Dio ci ha affidato.
Le vetrate degli
angeli sono della
cupola minore
della Basilica di
Maria Ausiliatrice.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Messaggio
agli adulti
Mery, 18 anni
“Grazie a tutti gli adulti
che possiedono il coraggio
di saperci ascoltare
e aiutare”.
Ci sono molteplici cose che
avrei sempre voluto dire a
tutti gli adulti che hanno ri-
vestito un ruolo emblematico
all’interno della mia vita, ma
che per vergogna e riservatez-
za non ho mai detto. Vorrei
ringraziarli tanto perché mi
hanno trasmesso la voglia di
saper apprezzare ciò che mi
circonda, ma sopratutto mi
hanno insegnato a lottare per
raggiungere tutti i miei obiet-
tivi. Ringrazio tanto la mia
famiglia perché, soprattutto
durante i momenti di sconfor-
to, è riuscita a fare il possibile
per potermi far stare serena
e donarmi l’amore di cui
tutti abbiamo bisogno.
Ringrazio tanto tutte le
persone che fanno parte
dell’ambiente oratoriano
Che cosa vogliono dire
i giovani di oggi agli adulti?
Non lanciano rimproveri
o accuse. Al contrario,
scelgono semplicemente di
dire “grazie” a quegli adulti
che fanno parte della loro
vita. In fondo, dagli adulti,
noi giovani vogliamo
principalmente una cosa:
che percepiscano la vostra
affettuosa presenza,
nonostante tutto.
12
Dicembre 2019

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ritenuto da me “casa”; sono riusci-
te a trasmettermi tutti i sani valori
e principi di cui tutti gli adolescen-
ti dovrebbero essere a conoscenza.
L’oratorio è il mio luogo di serenità
e, anche se i miei impegni sportivi
non ne garantiscono la mia assidua
presenza, so che quel luogo sarà
uno dei miei principali punti di ri-
ferimento. Infine, grazie a tutti gli
adulti che possiedono il coraggio di
saperci ascoltare e aiutare. Spero tan-
to che tutti possano acquisire questa
capacità, così da tendere una mano
e strappare un sorriso al prossimo.
Tutti noi ne abbiamo bisogno.
Enrichetta, 20 anni
“Invito tutti i ragazzi
a non dare per scontati
i propri genitori”.
Io non ho vissuto una situazione
semplice all’interno della mia fami-
glia. I miei genitori si sono separati
quando io ero ancora molto piccola
da non poter capire il significato di
quell’allontanamento, ancora troppo
ingenua per riuscire a comprendere
il vero significato di questo gesto.
Ecco perché, vorrei dedicare que-
sto pensiero al mio papà e lo vorrei
fare in modo molto semplice, con la
parola “grazie”. Questa parola può
essere banale per tanti e sottovalu-
tata da molti, ma per me ha un si-
gnificato molto forte perché è sino-
nimo di gratitudine, perché io sono
molto grata di quello che ha fatto e
tuttora fa per me. Mi ha cresciuta,
mi ha incoraggiata quando più ne
avevo bisogno, e ancora adesso, che
ho 20 anni, è sempre accanto a me
e, anche se non fisicamente per ra-
gioni lavorative, lo è con il pensie-
ro con le mille chiamate che mi fa e
con tutto l’affetto che mi dimostra.
Credetemi, non c’è cosa più bella
per me. Un’altra persona che voglio
ringraziare è mia zia, perché lei mi
ha seguita in tutto il mio percor-
so di crescita, sempre al mio fianco
in qualsiasi situazione e in qualsiasi
scelta di vita, quindi si può dire che
è stata una seconda mamma. Invito
tutti i ragazzi a non dare per scontati
i propri genitori, o chi ne fa le veci,
perché sono loro che ci hanno dato la
vita e che ci sostengono quotidiana-
mente e ci supportano nelle difficol-
tà. Anche se noi pensiamo di essere
grandi a sufficienza per badare a noi
stessi da soli, non saremo mai troppo
grandi per ascoltare e seguire i loro
insegnamenti.
Annalisa, 26 anni
“Grazie di aver ascoltato
non solo con la testa
ma anche con il cuore”.
Vorrei indirizzare il messaggio ai miei
genitori, dicendo loro “grazie”. Grazie
di non avermi mai lasciata sola nei
momenti più brutti; grazie di avermi
perdonato quando sbagliavo qualcosa
o non riuscivo a capire che cosa loro
intendessero e mi impuntavo sulle
mie ragioni; grazie sempre di avermi
appoggiata e spronata a migliorarmi
ogni giorno; soprattutto, grazie di
aver ascoltato non solo con la testa,
ma anche con il cuore, le mie richie-
ste di aiuto in determinati momenti e
di aver compreso determinate scelte,
permettendomi di crescere e matu-
rare con esse. Poi, a tutti i genitori
vorrei dire di ascoltare davvero bene
i propri figli. Ascoltare e non senti-
re, perché sentire è differente: tutti
sentono ma spesso non comprendono.
Quando ci si ascolta, si capisce e com-
prende. Perché nel momento in cui c’è
la comprensione c’è anche un dialogo
diverso, che spesso porta alla risolu-
zione di incomprensioni che non sono
solo quotidiane, ma che possono an-
che coinvolgere scelte importanti.
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LE CASE DI DON BOSCO
O. PORI MECOI
Milano Via Copernico
Don Bosco era affascinato dall’opera degli
Oratori milanesi che vantava una storia
secolare e “in nessuna altra città desiderava
stabilire i suoi Salesiani più che a Milano”.
Oggi, i Salesiani sono una presenza preziosa di
grande impatto educativo, formativo e sociale.
E meritano la stima che li circonda.
Ogni giorno
duemila ragazzi
e giovani entrano
nella casa
salesiana di via
Copernico a
Milano.
Da sempre don Bosco aveva guardato con
forte attrazione a Milano, interessato
all’opera degli Oratori milanesi, espe-
rienza educativa con alle spalle più di tre
secoli di storia e fucina di sempre nuove
sperimentazioni. Le cronache del tempo
ci dicono che “dopo Roma, in nessun’altra cit-
tà, desiderava stabilire i suoi Salesiani più che a
Milano”. Salito sulla diligenza Torino-Milano
(carrozza trainata da cavalli), approda in città la
prima volta nel 1850 soggiornando all’Oratorio
S. Luigi per ben 19 giorni. Abbiamo notizia di
altre visite; diverse volte raggiungerà il capoluogo
lombardo, sostandovi anche nel 1886 pochi mesi
prima della morte. Ma non don Bosco bensì il
suo successore, don Michele Rua, avrà il merito
di inviare i primi salesiani nella grande metropoli
milanese.
Solide radici
In Via Copernico, l’attuale sede, i Salesiani co-
minciano a costruire nel settembre del 1895, ma
leggendo le cronache della Casa si scopre che i
figli di don Bosco avevano messo piede a Milano
quasi un anno prima, alla vigilia dell’Immacolata
del ’94. La prima dimora è in una casetta di via
Commenda nella zona di Porta Romana.
L’inizio è semplice come lo era stato cinquant’an-
ni prima per don Bosco a Torino: un Oratorio
aperto a tutti, un campo da gioco e una modesta
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scuola per alcuni ragaz-
zi. Questa presenza, cara
al cuore e alla memoria, non
verrà però abbandonata e per
quasi 70 anni funzionerà anco-
ra come oratorio festivo. Ma in verità
questo luogo comincia ben presto a diven-
tare stretto per chi vuole sognare in grande!
A Milano, come in genere capita per tutte le
presenze salesiane, prima si cerca il terreno adat-
to e lì si butta il seme in attesa di un’abbondante
fioritura e frutti copiosi. Questi primi salesiani,
sognatori come il loro Padre don Bosco, sono
dotati di coraggio e tanta fede. Su quei campi
di ortaglie e prati incolti danno inizio alla nuova
costruzione, a pochi passi dal luogo dove, negli
anni ’30, sorgerà la nuova Stazione Centrale.
Piano piano i sogni, sotto la protezione di Maria
Ausiliatrice (che è la stessa Madonnina del ‘Dom
de Milan’!), cominciano a prendere forma e di-
ventare realtà.
È curioso constatare come di pari passo, accanto
alla nuova Stazione Centrale segno di entusiasmo
e fiducia nel futuro, cresca anche la casa salesia-
na. Infatti alle prime costruzioni se ne aggiun-
gono altre e in esse trovano collocazione le aule
e gli uffici per le Scuole Classiche e, dal 1936,
le Scuole Tecniche e Professionali. Una storia di
125 anni che rimane viva e si rinnova anche oggi.
Oggi, gli allievi sono quasi duemila. Si parte dal-
la Primaria (cinque classi per quasi 150 bambini)
e dalla Scuola Media (12 classi, quattro per se-
zione, per un totale di 360 ragazzi). E poi 1400
giovani distribuiti nel Liceo Classico e Scientifi-
co, Liceo delle Scienze applicate e Istituto tecnico
di Grafica e Meccanica, Istruzione e Formazione
Professionale / in campo grafico, mec-
canico ed elettrico. Inoltre, da alcuni anni è pre-
sente un Convitto che ospita una cinquantina di
universitari.
La scuola salesiana di Via Copernico in città è
stimata e riconosciuta da tutti. Nell’opera edu-
cativa non mancano la consulenza e il supporto
scientifico del Centro di psicologia clinica ed educa-
tiva COSPES che svolge il suo servizio anche per il
territorio.
La parrocchiale
di Sant’Agostino
in stile romanico,
pregevole sia
all’interno sia
all’esterno, è tra le
più belle chiese di
inizio Novecento.
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LE CASE DI DON BOSCO
Grazie ai Salesiani
presenti, a
docenti laici
preparati (sono
più di 160), al
personale tecnico-
amministrativo e
a educatori attivi
nei vari settori,
l’opera di Milano
fa una proposta
scolastica ed
educativa di alto
livello.
Il direttore precisa: «Ma non ci basta essere una
buona scuola (non mancano buone scuole in una
grande città come Milano!); ciò che ci è proprio
e ci identifica è l’essere scuola “salesiana”. Come
salesiani abbiamo un’attenzione particolare per le
cose dell’anima. Anche l’anima, come il corpo,
per vivere e star bene ha bisogno di nutrimento e
allenamento. Oltre al buon giorno del mattino, ci
sono le Confessioni, le S. Messe, i Ritiri ed Eser-
cizi Spirituali che ritmano i momenti liturgici più
importanti dell’anno. Insieme a questo aspetto in
una casa salesiana non deve mancare l’allegria.
L’aspetto ricreativo e sportivo quotidiano è d’ob-
bligo nell’animazione del cortile con tornei, gare,
giochi. L’estate al mare di Cesenatico (è la casa
estiva di Milano) e le vacanze di studio all’estero
sono momenti attesi da tutti. La Scuola promuove
varie iniziative e favorisce i gruppi extrascolastici
di formazione culturale, musicale e teatrale. Un’at-
tenzione speciale è riservata ai gruppi formativi».
Parrocchia e Oratorio
Il S. Ambrogio è un’opera salesiana a 360 gradi,
quindi casa che accoglie, cortile per incontrarsi
da amici, scuola che prepara alla vita e Parroc-
chia che evangelizza. Il Signore è presente e può
entrare in tutte le case della nostra zona attraver-
so la Parrocchia dedicata alla “Conversione di
S. Agostino”, sorta attorno alla chiesa chiamata
semplicemente “S. Agostino” e che, anche fisica-
mente, si situa al centro di tutta la costruzione sa-
lesiana. Non deve stupire la dedica ad Agostino,
retore africano che, giunto a Milano, si avvicina
alla fede ricevendo il battesimo nel 387 dal vesco-
vo della città sant’Ambrogio. Non è un titolo scel-
to a caso, ma emblema di ogni giovane inquieto
alla ricerca del senso della vita. Con un anacroni-
stico pizzico di fantasia “salesiana” – e con sorriso
pedagogico – potremmo definire Agostino come
un Michele Magone che la grazia trasformerà in
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IN CHIESA C’È UNA PRESENZA MOLTO CARA
La chiesa ospita il sepolcro con i resti mortali del venerabile Attilio Giordani, pellegrinaggio e meta ininterrotta di fa-
miglie ed exallievi. Rimane per tutti una figura luminosa ed esemplare che ha creduto nell’oratorio e nella parrocchia,
impegnandovi tutto il proprio tempo libero. Padre di tre figli, lavoratore alla Pirelli,
è ricordato come un formidabile catechista e animatore di Oratorio e come
un intraprendente delegato di Azione Cattolica. Arrivato alla pensione può
realizzare il suo sogno: quello di partire, in compagnia della moglie Noemi,
per il Brasile con l’Operazione Mato Grosso, seguendo da vicino i tre
figli e condividendone l’ideale missionario. Qui concluderà la
sua vita nel 1972 a 59 anni dicendo al figlio Pier: “Adesso
continua tu!”. Oggi continuano la sua opera tanti volontari
dell’Oratorio, catechisti, animatori liturgici e del canto.
L’Oratorio è aperto
tutti i giorni. Offre
ampie possibilità
di catechesi per
tutte le età, con
giornate di ritiro ed
esercizi spirituali.
un san Domenico Savio. La chiesa in stile ro-
manico, pregevole sia all’interno sia all’esterno, è
tra le più belle chiese di inizio Novecento. Agli
inizi, per una quindicina di anni circa, funzione-
rà solo come rettoria fino alla consacrazione ad
opera del beato cardinal Andrea Ferrari che nel
1914 la erigerà in parrocchia. Ricostruita dopo il
bombardamento del 1943, si presenta ora, dopo
lavori e restauri importanti, nel suo splendore e
nella sua sobria bellezza. Incontriamo il parro-
co, don Virginio Ferrari, intento a parlare con un
senzatetto sui gradini della chiesa che, per la sua
vicinanza alla Stazione Centrale, è
meta ricorrente di tanti poveri che
cercano una moneta o qualcosa da
mangiare.
«La Parrocchia ha poco più di 100
anni di vita e conta circa 12 000
abitanti. Nasce e cresce in simbiosi
con l’Istituto salesiano. Come zona
si è sviluppata attorno alla Stazione
Centrale, rubando ai prati gli spa-
zi per costruire nuove case e nuovi
palazzi (in parrocchia c’è anche la
Via Gluck resa famosa dalla can-
zone di Celentano!). L’Oratorio
è punto di riferimento e luogo di
accoglienza per tanti ragazzi e
giovani».
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L’INVITATO
MARINA LOMUNNO
Vescovo in una chiesa ferita
Monsignor Alberto Lorenzelli Salesiano
Lo scorso 22 giugno nella Basilica di San Pietro papa
Francesco ha ordinato vescovo ausiliare di Santiago del
Cile il salesiano don Alberto Ricardo Lorenzelli Rossi.
Il mandato a monsignor Lorenzelli giunge in un momento
di grave difficoltà della Chiesa cilena la cui Conferenza
episcopale, dopo la scoperta di abusi sui minori
ad opera di alcuni prelati, ha rassegnato le dimissioni
al Papa nel maggio 2018.
Monsignor Lorenzelli, prima
di partire per tornare in
missione, come tradizione
per i missionari salesiani,
ha voluto ripartire da Torino.
Lei è stato insegnante,
direttore, ispettore in Italia
e in Cile. Ora ritorna in Cile.
Che cosa l’aspetta?
Già 7 anni fa, prima di partire per
il Cile, sono venuto a Valdocco per
chiedere l’aiuto prima di tutto di Ma-
ria Ausiliatrice perché don Bosco ave-
va una fede illimitata nella Madonna:
durante la celebrazione in Basilica ho
chiesto che Lei «faccia là dove io non
potrò fare e non riuscirò a fare». E poi
ho invocato don Bosco perché è stato
un profeta che ha aperto da Valdocco
una finestra sul mondo mandando i
missionari prima di tutto in America
Latina. Non è stato semplice partire
perché ho dovuto lasciare la mia fami-
glia in Italia in un momento delicato.
Non conoscevo nessuno in Cile ma,
nonostante i miei timori e le grandi
difficoltà della Provincia salesiana
in quegli anni, è stata una bellissima
esperienza. La comunità religiosa, i
giovani, le famiglie e il popolo di Dio
sono stati molto accoglienti e mi sono
sentito immediatamente a casa, tanto
che mi sembrava di non essere mai
partito.
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Che cos’hanno
i salesiani in Cile?
I salesiani in Cile hanno una realtà
importante con 22 collegi, una rete
di istituti tecnici professionali punto
di riferimento per tutto il Paese, 16
parrocchie, alcuni santuari e attività
sociali significative come l’accoglien-
za dei bambini di strada in cui sono
impegnati tanti educatori per cercare
di recuperare tanti minori dai peri-
coli della strada dove si rifugiano per
motivi familiari, affettivi o perché i
genitori sono in carcere. Anche noi
come tutta la Chiesa cilena siamo sta-
ti toccati dalla piaga degli abusi, un
crimine tremendo.
Che cosa significa oggi
vivere la vocazione
religiosa?
Certamente la mia esperienza di otto
anni di presidenza della Conferenza
dei superiori religiosi d’Italia, la col-
laborazione con religiosi europei e i
sei anni in cui sono stato in Cile mi
hanno fatto riflettere molto: la vita
religiosa si presenta oggi con grandi
sfide perché i nostri fondatori hanno
saputo interpretare il momento stori-
co che stavano vivendo con realismo,
concretezza e tanta profezia… Io cre-
do che la vita religiosa oggi debba ri-
cuperare prima di tutto il carisma e la
spiritualità originaria dei nostri fon-
datori, dobbiamo tornare alle origini.
E come?
Dobbiamo recuperare l’incanto del
primo momento in cui abbiamo rispo-
sto alla nostra vocazione, dobbiamo
«incantarci di nuovo». La vita religiosa
«Realizzare il mandato del
Papa significa mettermi
accanto alle persone che
hanno più bisogno, ai più
poveri, a quelli che hanno
smarrito la strada, la fede.
E poi, proprio perché sono
un figlio di don Bosco,
i primi che avvicinerò
sono i giovani».
– che si occupi di educazione, di ma-
lati, di poveri – da sempre è nata e si
è sviluppata in queste frontiere, spes-
so prima che la Chiesa istituzionale
arrivasse. Allora mi auguro davvero
che i carismi e la spiritualità della vita
religiosa ritornino alle radici e non si
allontanino dallo spirito originario che
i nostri fondatori ci hanno donato.
Il Papa la invia in Cile dove
la Chiesa sta vivendo una
crisi profonda. Con che
spirito si accosta a partire
con un mandato di così
grande responsabilità?
La nomina a Vescovo ausiliare di
Santiago è stata una sorpresa e ho
manifestato subito a papa Francesco
il mio smarrimento e le mie perplessi-
tà. Il Papa mi ha confermato che cer-
tamente è un incarico delicato
e ho percepito l’atto di grande
fiducia verso la mia persona che
ritengo, e non per falsa umiltà,
eccessiva. Mi hanno molto com-
mosso le sue parole: «Guarda
che accettare questa nomina
è da incoscienti, l’aves-
sero proposto a me
non so se l’avrei
accettata: però
ti chiedo di fare
una scelta da in-
cosciente. E non
farlo come un
piacere a me ma
per il bene del-
la Chiesa». E mi
è sembrato che
più che il Papa
mi stesse parlan-
do mio padre. E così i suoi gesti, le
sue parole, hanno fatto cadere le mie
resistenze. E mi sono detto con spi-
rito di fede: ‘ciò che il Papa mi sta
chiedendo lo voglio leggere come
una richiesta del Signore’. E così mi
sono inginocchiato e gli ho chiesto
di benedirmi. Anche durante la ce-
lebrazione dell’ordinazione mi sono
sentito come un figlio che riceve un
mandato da suo padre. Quel giorno e
poi in altre occasioni mi ha detto: ‘Ti
ringrazio di avere accettato’.
Che cosa le chiede
papa Francesco?
Il Papa non mi ha dato indicazioni
particolari: mi ha invitato ad andare e
a mettermi a disposizione dell’ammi-
nistratore apostolico al servizio della
Chiesa cilena che in questo momento
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L’INVITATO
soffre, ha perso la fiducia del popo-
lo di Dio. E mi riferisco alla Chiesa
istituzionale mentre nella gente la re-
ligiosità e la fede sono ancora molto
vive. È di qui che bisogna ripartire.
Bisogna prima di tutto costruire co-
munione con il popolo di Dio: io non
vado a Santiago né con un’agenda, né
con un programma, nulla. Il mio pro-
gramma è l’omelia di papa Francesco,
molto impegnativa, pronunciata du-
rante la mia ordinazione: «Riflettia-
mo attentamente a quale alta respon-
sabilità viene promosso questo nostro
fratello. Il Signore nostro Gesù Cristo
mandò a sua volta nel mondo i dodici
apostoli, perché, pieni della potenza
dello Spirito Santo annunziassero il
Vangelo a tutti i popoli e riunendoli
sotto un unico pastore, li santificasse-
ro e li guidassero alla salvezza». Ecco
il mio mandato. Prima di tutto mi
impegnerò a vedere, in secondo luogo
ad ascoltare e infine a stare vicino ai
sacerdoti. Credo che in questo mo-
mento di smarrimento e di solitudine
del clero, come Vescovo devo offrire
ai preti la mia disponibilità. E poi il
dialogo e la vicinanza al popolo di
Dio, in modo che tutti riprendiamo il
nostro cammino di fede.
Quali risposte si aspettano
i credenti e la società
civile cilena per recuperare
fiducia nella Chiesa?
Realizzare il mandato del Papa si-
gnifica mettermi accanto alle persone
che hanno più bisogno, ai più poveri,
a quelli che hanno smarrito la strada,
la fede. E poi, proprio perché sono un
figlio di don Bosco, i primi che avvi-
cinerò sono i giovani perché sono co-
loro che si sono allontanati di più da
una Chiesa in cui non si sono sentiti
rispettati ma feriti. È naturale che i
giovani pensino, di fronte a fatti gra-
vi come gli abusi, che non ci sia più
nulla di credibile: spirito di fede, au-
tenticità, radicalità del Vangelo e sap-
piamo come i giovani cerchino questa
radicalità. E poi l’altro aspetto per me
molto importante è la vicinanza alle
vittime degli abusi che hanno lancia-
to un grido di dolore. Non dobbiamo
considerarli come nemici ma come
persone che davvero portano impres-
sa nella loro carne una ferita: mentre
si aprivano alla vita non si sono sentiti
rispettati, non si sono create le rela-
zioni giuste e sane che un sacerdote
e un vescovo devono instaurare con
chi gli è affidato. È fondamentale
aprire con loro un dialogo, far capire
che sono loro vicino e che riconosco
il loro dolore. Ma non solo: dirò loro
che «voglio impegnarmi a cercare di
sanare le ferite profonde che vi abbia-
mo creato». Cercherò di incontrarli e
guardarli con un occhio di attenzio-
ne, di misericordia, di affetto, rico-
noscendo gli errori. E, a nome della
Chiesa, chiederò veramente e since-
ramente perdono.
I salesiani sono gente
concreta. Che cosa
significa per lei essere
«concreto» ora che si
appresta a questo nuovo
incarico?
La concretezza fa parte del nostro
modo di lavorare, della nostra forma-
zione, significa avere i piedi per ter-
ra. Per questo non parto per il Cile
con un programma predisposto ma
cercherò di capire che cosa chiede il
popolo di Dio alla Chiesa cilena. Il
Papa apprezza i salesiani – per un pe-
riodo ha studiato nelle nostre scuole,
la stessa che ho frequentato anche io
– e ci invita a vivere a pieno il nostro
carisma, che è una spiritualità dell’al-
legria, della speranza. Per questo ho
scelto nel mio stemma episcopale un
passo di san Paolo ai Filippesi (4,4)
«Gioite nel Signore sempre»: non una
gioia disincarnata ma quella gioia che
parte dal cuore, dove ritroviamo i
motivi di speranza e della ricostruzio-
ne anche quando viviamo situazioni
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difficili e che qualche volta ci portano
alla disperazione. Essere concreti si-
gnifica che, con l’aiuto di Dio, si pos-
sono trovare sempre delle soluzioni.
Essere concreti in questo momento
per la Chiesa cilena significa non ri-
petere più i danni che abbiamo com-
messo. Il nostro slogan dovrebbe es-
sere «mai più», un impegno concreto
che si traduce in una formazione del
clero seria, un discernimento chiaro
della vocazione di coloro che chiedo-
no di entrare in seminario perché ab-
biamo bisogno di preti che veramente
rispondano a quello che il Signore ci
indica. Occorre dire no a situazioni
che creano confusione, disorientamen-
to, danni e addirittura atti criminali.
Essere concreti significa non insabbia-
re la verità, non possiamo più nascon-
derci dietro ad un dito. Le indagini
dicono che gli abusi sono realmente
avvenuti e non si possono più coprire.
Per recuperare credibilità dobbiamo
dialogare anche con le istituzioni, bi-
sogna rispondere anche alla giustizia
in risposta alla dignità delle vittime.
Da argentino di origini
italiane, anche per la sua
storia personale, è molto
vicino a Francesco. Come
giudica la situazione del
Sudamerica?
Io sono in completa sintonia con il
Papa anche perché come lui sono
nato a Buenos Aires, figlio di mi-
granti italiani partiti per l’Argentina
nel Dopoguerra: so che cosa signifi-
ca vivere lontano dal proprio Paese e
dalla famiglia. Io vissuto lo sforzo che
hanno dovuto fare i miei genitori, im-
parare una lingua nuova, introdursi
in una cultura diversa, dedicare tanto
tempo al lavoro, crescere ed educare
i figli. Ora l’Argentina è cosmopolita
ma allora era diverso: i miei genitori
sono partiti lasciando il loro paese di-
strutto dalla guerra, le famiglie di mia
mamma e mio papà erano numerose
e così con tanti sacrifici mettevano
da parte un po’ di soldi da manda-
re in Italia per aiutarle. Il problema
dell’emigrazione non è solo italiano o
europeo: non si sbarca solo a Lampe-
dusa, succede nell’Asia dell’Est, negli
Stati Uniti, in America latina. Il Cile
stesso è terra di emigrazione, soprat-
tutto dal Venezuela dove la situazione
è drammatica. Oggi stiamo vivendo
la stessa esperienza delle grandi emi-
grazioni del Primo Novecento e del
Dopoguerra. I popoli si muovono per
povertà, fame, guerra, conflitti tribali,
persecuzioni. E allora credo che oggi
alzare muri, chiudere dei porti o chiu-
dere porte sia antistorico. E gli attacchi
nei confronti del Papa sono ingiusti
perché spesso sono ideologici: France-
sco non fa ideologia ma risponde a ciò
che il Signore ci chiede nel Vangelo e
cioè di essere aperti e accoglienti come
lo è stato lui.
Anche papa Francesco deve
fare da “rompighiaccio”.
Certo, accogliere chi è considerato
scarto della società dove manca lavoro
o si patisce per la crisi economica non
è semplice e occorre che tutti i Paesi
facciano la propria parte, ma ritengo
che i credenti debbano essere fedeli al
magistero del Papa perché sta rispon-
dendo alle emergenze del momento.
Non possiamo chiuderci o pensare di
essere quelli che eravamo 30 anni fa,
quel mondo non esiste più e nemme-
no dobbiamo preoccuparci troppo per
un futuro che non conosciamo: oggi
dobbiamo rispondere a questo pre-
sente. Il Papa ci sta esortando a fare
di questo presente parte della nostra
vita. Per me, ora che sono Vescovo,
questo significa non un’adesione al
Papa così, solo perché è il Papa, ma
perché il suo magistero sta rispon-
dendo al Vangelo che il Signore ci
ha annunciato. Francesco come Papa
dice: «annuncia il Vangelo» e questo è
quello che sta facendo lui. Ed è quello
che chiede anche a me.
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LA NOSTRA STORIA
JEAN-FRANÇOIS MEURS
Brosio il Bersagliere
Giuseppe Brosio, soprannominato “il bersagliere”,
fu un amico fedele di don Bosco per quarantasei anni.
Collaborò con lui dalla prima ora dell’Oratorio,
lo aiutava con i giovani, fece da “uomo forte” in tante
circostanze e difese con forza i ragazzi più piccoli
e don Bosco stesso.
Da bambino, a Chieri, Giusep-
pe Brosio era rimasto così col-
pito dal modo in cui il giovane
“seminarista con i capelli ric-
ciuti” si avvicinava ai giovani
che aveva voluto conoscerlo
meglio. Non fu difficile, perché tutte
le volte in cui andava in seminario a
trovare il suo amico Luigi Comollo,
questi era in compagnia di Giovanni.
Nacque così una buona amicizia.
Quando andò a vivere a Torino per ra-
gioni legate al suo lavoro (era un com-
merciante), Giuseppe Brosio rimase in
contatto con don Bosco e diventò uno
dei suoi collaboratori fin dalla nascita
dell’oratorio, quando i ragazzi si riuni-
vano ancora al “Convitto” in cui don
Bosco, giovane sacerdote, continuava
il suo percorso di formazione.
Il Bersagliere con i giovani
Durante la prima guerra d’indipen-
denza, negli anni 1848-49, Giuseppe
Brosio fu arruolato nel corpo milita-
re dei bersaglieri, che era stato creato
poco tempo prima dal generale La
Marmora. I bersaglieri sono famo-
si in Italia per il loro copricapo con
penne di corvo e perché procedono
di corsa... anche i musicisti! Quando
tornò dalla guerra, Giuseppe Bro-
sio riprese a svolgere il suo ruolo di
catechista e animatore durante le ri-
creazioni. I giovani amavano vederlo
in uniforme e ascoltare i racconti di
battaglie accompagnati da movi-
menti esplicativi. I ragazzi chiedeva-
no a Brosio di insegnare loro a com-
piere gli esercizi. Lo faceva anche
don Cocchi, il sacerdote fondatore
dell’Oratorio dell’Angelo Custode.
Il soprannome “Bersagliere”, con
cui il coraggioso Brosio era comu-
nemente chiamato, nacque così. Un
giorno, nella foga del gioco, uno dei
“battaglioni” di bambini, incalzati
dagli avversari, si ritirò... nell’orto di
Mamma Margherita, che, vedendo i
suoi preziosi cavoli calpestati, quasi
voleva andarsene e tornare ai Becchi.
Quando don Carpano fu convocato
per assumere la direzione dell’orato-
rio dell’Angelo Custode nel quartie-
re Vanchiglia, don Bosco mandò in
suo aiuto Brosio perché insegnasse il
catechismo e animasse le ricreazio-
ni. Le manovre militari furono utili,
perché il quartiere era dominato da
una banda di pericolosi teppisti, la fa-
mosa “Cocca di Vanchiglia”; i giovani
dell’oratorio ebbero così la possibilità
di affrontare i teppisti e il loro capo.
«Una festa – racconta Brosio – com-
parvero quaranta barabba, armati di
pietre, bastoni e coltelli, per entrare
nell’interno dell’oratorio. Il direttore
si prese tanta paura che tremava come
una foglia. Io, vedendo che erano
risoluti di menare le mani, chiusi la
porta, radunai i giovani più grandi
e distribuii i fucili di legno. Divisi i
giovani in squadriglie, con l’ordine
che se attaccavano, a un mio segna-
le contrattaccassero da tutte le parti
contemporaneamente, e giù legnate
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Dicembre 2019

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senza misericordia. Radunati i più
piccoli, che piangevano di paura, li
nascosi in chiesa, e andai di guardia
alla porta d’entrata, che gli assalitori
tentavano di gettare in terra con ur-
toni poderosi. Qualcuno, frattanto,
era andato ad avvisare i soldati di ca-
valleria, che accorsero con le sciabole
sguainate».
Quella volta andò bene.
Durante la crisi degli anni 1850-51,
vari sacerdoti e coadiutori laici abban-
donarono e addirittura attaccarono
violentemente don Bosco. Il Bersa-
gliere sostenne incondizionatamente
il suo amico. Raccontò la storia più
tardi, alla fine del 1879 e all’inizio del
1881, in un “memoriale” di quaran-
tasei pagine contenente un resoconto
degli avvenimenti e altri ricordi de-
stinato a don Bonetti, che stava rac-
cogliendo materiale per la sua “Storia
dell’oratorio” da pubblicare a puntate
nel “Bollettino Salesiano”.
Il nome del sacerdote che diede origi-
ne a quella situazione non è mai men-
zionato; Brosio parla di una “cospira-
zione” finalizzata a screditare l’azione
e l’autorità di don Bosco e ad allon-
tanare coloro che lavoravano con lui.
I signori che presero parte a quell’in-
tento sceglievano i giorni di festa per
sviare i giovani animatori e catechisti
invitandoli a passeggiate fuori città,
offrendo loro pranzi e merende nelle
locande e divertimenti.
«Non lo abbandonerò mai!»
Dato che era un animatore con un
forte ascendente sui giovani, Brosio
era già stato avvicinato dai “prote-
stanti” valdesi, che gli avevano offer-
to un lavoro ben remunerato e sicuro
purché lasciasse l’oratorio portando
con sé alcuni giovani.
«Un giorno due signori veramente ben
vestiti, che avevano l’accento francese,
mi fermarono e dopo cordiale discorso,
mi offersero una grossa somma di
denaro, parmi fossero da cinquecento
a seicento lire, con promessa che mi
avrebbero impiegato in un posto da
signore, se però io avessi abbandonato
l’Oratorio e condotto via i compagni.
A questa offerta con quattro parole
risposi: “Don Bosco è mio padre, non
lo abbandonerò mai e non lo tradirò
per tutto l’oro del mondo”».
Anche un sacerdote lo invitò a tradi-
re don Bosco! Brosio fu invitato a una
gita in campagna, con la raccomanda-
zione di non dire nulla a don Bosco.
La prima cosa che invece Brosio compì
fu proprio parlargliene e don Bosco lo
invitò a stare al gioco. All’abbondante
e squisito pasto, con ottimi vini a vo-
lontà, seguirono giochi, canti e altro
vino di qualità e poi il caffè al ritorno.
Brosio fu invitato una seconda volta
e di nuovo furono offerti caffè, me-
renda, bevande fresche... e i presenti
furono invitati ad abbandonare l’Ora-
torio! Il sacerdote che aveva intavolato
il discorso era ironico, diceva che Dio
è presente ovunque e che ci si può fare
santi in qualunque luogo... Ma questa
volta mise fra le mani dell’amico Bro-
sio, pietrificato, sei scudi d’argento,
invitandolo a lasciare don Bosco. Il
nostro Bersagliere, imbarazzato, si af-
frettò a donarli a un padre di famiglia
bisognoso. Don Bosco non lo rimpro-
verò, ma gli consigliò di non accettare
l’invito successivo.
Alla fine del 1851 e all’inizio del 1852,
i “cospiratori” sferrarono un nuovo
attacco, accusando don Bosco di aver
offeso i suoi ragazzi e mancato di ri-
spetto ai suoi collaboratori in una let-
tera destinata a lanciare la sua lotteria.
Dissero che li aveva chiamati vaga-
bondi e ladri. È vero che don Bosco
aveva scritto che la lotteria era stata
organizzata “a favore di molti giovani
poveri riuniti nell’oratorio, che vagava-
no per le strade e le piazze della città”.
Ci fu un numero significativo di defe-
zioni: vari catechisti, sacerdoti e perso-
ne che ricoprivano ruoli di responsa-
bilità nell’organizzazione dell’oratorio
se ne andarono. Brosio però aggiunse:
«La burrasca a poco a poco passò...».
Don Bosco si impegnò subito per for-
mare nuovi catechisti, scegliendo tra i
giovani migliori dell’oratorio «... e sia-
mo andati avanti!».
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SALESIANI
SILVIO ROGGIA
L’essenziale è invisibile agli occhi
Matteo è un giovane
salesiano non vedente
che ha fatto la professione
perpetua tre mesi fa.
La sua testimonianza
è vera e commovente.
Domenica 15 settembre, ero al
Colle don Bosco. La basilica
superiore era piena di gio-
vani per la Messa in cui tre
giovani salesiani hanno fatto
la loro professione perpetua:
“In piena libertà mi offro totalmente
a Te, impegnandomi a donare tutte le
mie forze a quelli a cui mi manderai,
specialmente ai giovani più poveri…
Per questo, alla presenza dei miei fra-
telli, faccio voto per sempre di vivere
obbediente, povero e casto, secondo
la via evangelica tracciata nelle Costi-
tuzioni salesiane”. Vorrei raccontarvi
però qualcosa di Matteo, che ha detto
lo stesso Amen con Daniel e Michael.
Matteo l’ho incontrato qualche anno
fa a Valdocco. Era allora incaricato
dell’ospitalità. Pur essendo non veden-
te riusciva a preparare i letti, sistemare
le camere… fare proprio tutto. Molto
più sorprendente della sua abilità era
però la sua serenità: quel che ho visto
domenica mi ha regalato un altro ‘per
sempre’ che non dimenticherò mai più.
Alla fine, come è consuetudine, c’è
stato un pensiero di ringraziamento da
parte di uno dei neo professi perpetui.
Matteo con la mano destra sulla spalla
di Michael è salito all’ambone. Ecco la
sua magnifica testimonianza:
«Durante questi anni, guardando
nel buio e al di là del buio della mia
vista perduta, ho visto con i miei
occhi interiori che la Luce esiste
davvero e può vincere su ogni not-
te buia, contro ogni tipo di cecità.
Prima vedevo e voglio dire che la vista
è un dono meraviglioso e inestimabile.
Contemplare un tramonto, guardare
negli occhi una persona che ti vuole
bene… tutto questo è un grande dono.
Ma oggi so che posso vedere il mondo
se scelgo di fidarmi e affidarmi agli
altri, chiedendo un altro dono, che è
quello di lasciarmi guidare. Senza la
fiducia verso gli altri non potrei vivere e
sarei soltanto una persona cieca. Oggi,
il mio desiderio non è quello di vedere,
ma di essere visto, riconosciuto, ama-
to. Infatti, la preoccupazione più forte,
direi anche la paura più forte, che fa
male alla mia anima, è quella di esse-
re trasparente, dimenticato, abbando-
nato, lasciato solo, in una parola: non
essere visto! So che alcuni di quelli che
mi guardano in realtà non mi vedono.
Mi lanciano sguardi di curiosità o di
compassione e non vedono Matteo.
Vedono soltanto i miei occhi ciechi.
Ma ho visto anche che lo sguardo
dell’Amore di Dio esiste davvero e si
manifesta in varie forme: è lo sguardo
di una madre, che ti ama come sei, è
lo sguardo di un padre che vede in te
una bellezza nascosta. È lo sguardo dei
giovani che ogni giorno mi prendono
per mano e mi aiutano a superare le
difficoltà. È lo sguardo dei Salesiani,
che mi hanno aiutato a scoprire che
posso diventare un dono per gli altri.
È lo sguardo di Dio stesso, che mi ha
dato il dono di diventare salesiano.
Ho visto con i miei occhi e non vor-
rei scambiarli, non perché sono belli,
ma perché senza questi occhi non sa-
rei semplicemente me stesso, non sarei
Matteo!
Grazie a questi occhi, Dio mi fa sco-
prire ciò che conta davvero. Attra-
verso questi occhi, Dio mi fa anche
scoprire che possiamo avere fiducia
negli altri e, sempre grazie ai miei
occhi, Dio mi aiuta a scoprire l’unica
vera gioia: essere visto dal suo sguar-
do d’Amore».
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Vescovo, 81 anni,
parte missionario
per il Perù
Monsignor Marcelo
Melani, salesiano:
“Credo che il
Signore continui
a dirmi: ‘Non
aver paura...
Sono al tuo
fianco’”.
Il vescovo emerito di Neuquén,
monsignor Marcelo Angiolo Me-
lani, , a 81 anni, sta intra-
prendendo un nuovo viaggio: par-
tirà per il Perù come missionario
ad vitam, nell’ambito della 150a
Spedizione Missionaria Salesiana, e
sarà inviato in Amazzonia, alla vigilia
del Sinodo Straordinario convocato
da papa Francesco. Parlando delle sue
aspettative e del significato di questa
sua nuova fase della sua vita, ha affer-
mato: “Credo che il Signore continui
a dirmi: ‘Non aver paura… Sono al
tuo fianco’”.
Seguendo il suo motto episcopale,
“Non per essere servito, ma per servi-
re”, monsignor Melani assume questa
nuova missione “meravigliato” al pen-
sare che Dio abbia un nuovo progetto
per lui in questo momento della sua
vita.
Anche se la sua partenza è stata il 12
settembre, arriverà in Perù a dicem-
bre, poiché prima di allora parteci-
perà ad un corso di “Missiologia” a
Roma.
Intervistato sulle sue aspettative in
questa nuova destinazione, ha detto:
“L’unica aspettativa che ho è di poter
servire gli uomini e Dio”. Per questo
motivo, ha spiegato: “Non sono preoc-
cupato di sapere quale attività avrò.
Sarò certamente in grado di confessare,
ascoltare e consigliare” ha anticipato.
“Da 48 anni sono missionario in Pa-
tagonia. Ora sento che questo appel-
lo si è rinnovato in me: ‘Lascia la tua
terra’, perché la Patagonia è la mia
terra”, ha detto il prelato, nato a Fi-
renze nel 1938.
Per quanto riguarda l’appello, ha ri-
conosciuto: “Mi ha stupito sentire di
nuovo in me con forza quella chia-
mata e mi ha stupito pensare che Dio
ha un nuovo progetto per un vecchio
di 81 anni”. “Il carisma dei Salesiani
– ha proseguito – è di per sé missio-
nario. Don Bosco cercò i missionari
dove si trovavano, non aspettò che
venissero. Quando la Congregazio-
ne aveva pochi membri, egli mandò i
migliori in America”.
Monsignor Melani ha poi aggiun-
to che “non si può essere missionari
se non si è totalmente innamorati di
Cristo”. Oggi Cristo lo chiama ancora
una volta, a 81 anni, con un messag-
gio chiaro, a lasciare tutto per seguir-
Lo. “Credo che il Signore continui a
dirmi: ‘Non aver paura… Sono al tuo
fianco’. San Paolo diceva: ‘Corro ver-
so il Signore’ ed Egli corre con me”.
Infine, il vescovo emerito invia un
messaggio alla comunità dei fedeli:
“La vita cristiana è una vita missiona-
ria, non abbiamo paura di attraversar-
la. Con Gesù tutto è possibile”.
Con alle spalle una lunga testimo-
nianza di vita donata a Cristo, e sotto
la protezione di san Giovanni Bo-
sco, del beato Ceferino Namuncurá,
del santo “Cura Brochero” e di molti
salesiani “che hanno dato la loro vita
per annunciare l’amore del Signore”,
monsignor Melani ha lasciato la Pa-
tagonia e ha intrapreso una nuova av-
ventura missionaria.
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SALESIANI
MIKE MENDL
Don John Thompson,
missionario in Africa per 40 anni
Dal suo arrivo in Liberia, 40
anni fa, don John Thompson
ha sempre prestato servizio in
Africa, è sopravvissuto a due
feroci guerre civili e in lui è
cresciuto sempre di più l’a-
more per le persone che serve, in qua-
lità di Figlio Spirituale di don Bosco.
Ogni due anni, però, torna negli Stati
Uniti, per parlare del lavoro missio-
nario salesiano e per raccogliere fondi
necessari per portare avanti le attivi-
tà. Lo scorso 11 settembre è arrivato a
New Rochelle e ha parlato con i con-
fratelli delle sue esperienze, vissute in
oltre 50 anni di vita salesiana.
L’origine di una
vocazione missionaria
Don John, fin da quando era novizio,
desiderava partire come missiona-
rio, ma le sue ripetute domande non
venivano accettate. Poi incontrò don
Bernard Tohill, che all’epoca era Con-
sigliere Generale per le Missioni e che
gli permise di trascorrere l’estate del
1978 in Guatemala. Qui, lavorò con le
popolazioni indigene delle montagne e
questa esperienza rafforzò la sua idea
di voler essere un missionario.
La missione in Liberia
e la guerra civile
Successivamente inviato in Liberia,
don John ha prestato servizio sia a
Monrovia sia a Tappita. Poco
dopo il suo arrivo in Liberia,
nel Paese scoppiò la guer-
ra civile, durante la quale
Don John ha donato la vita
all’Africa, è sopravvissuto
a due feroci guerre
civili e continua con
passione
a Maputso e
nel Lesotho.
morirono centinaia di persone. Don
John non esitò a negoziare con i ribel-
li, soprattutto per chiedere il rilascio
dei prigionieri. Mise a repentaglio la
sua stessa vita, pur di salvare chi era
in pericolo. Dopo la guerra civile i
Salesiani dovettero lasciare Tappita e
vi tornarono solo alla fine degli anni
’90. Successivamente hanno dovuto
ritirarsi di nuovo e la missione è stata
riaperta soltanto nel 2018.
Il servizio
in Sierra Leone
Nel 1998, mentre in Liberia conti-
nuava la guerra civile, don John fu
trasferito in Sierra Leone. Ha tra-
scorso un anno a Lungi, per poi tra-
sferirsi a Freetown, dove ha iniziato
un progetto in favore dei bambini di
strada. Anche in Sierra Leone, tut-
tavia, c’era stata una guerra civile e
don John contribuì alla riabilitazione
dei bambini soldato e di altre giova-
ni vittime della guerra. È rimasto in
Sierra Leone fino al 2008, prima di
essere trasferito in Sudafrica. Negli
anni passati in Sierra Leone, don
John è rimasto sempre a fianco di chi
aveva vissuto i traumi della guerra.
Da quella missione in Sierra Leone, si
è sviluppato il grande lavoro dell’ope-
ra salesiana “Don Bosco Fambul”.
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I NOSTRI CD
Hic est domus mea
Sarà a giorni disponibile, qui a Valdocco,
un di canti sacri dedicati alla Ma-
donna Ausiliatrice, a cura della casa di
produzione discografica Pentagramma
di Torino. Il titolo della raccolta (Hic est
domus mea – antifone e canti mariani) è
altamente evocativo, perché richiama la frase che
la Madonna stessa rivolse in sogno a don Bosco,
nel 1844, predicendo la futura gloria che si sarebbe
espansa a partire dalle sacre mura della chiesa a
Lei dedicata: Hic est Domus mea, inde gloria mea.
I brani sono classificabili in due gruppi: antiche
antifone (cioè brevi preghiere devozionali messe
in musica) mariane (aventi quindi come sogget-
to di riferimento la Madre di Gesù: Ave Maria,
Alma Redemptoris Mater, Ave Regina Angelorum,
Salve Regina, Sotto la tua protezione, Virgo Parens).
L’altro gruppo riguarda invece brani il cui testo è
poeticamente più libero (innanzitutto l’inno della
Basilica, scritto in occasione del 150° anniversa-
rio della consacrazione della Basilica, nel 2018:
Hic est Domus mea; Immacolata Madre, una ballata
strofica in stile rinascimentale, dal carattere fre-
sco e poetico; Kekaritomene, brano dalle infles-
sioni orientali, ispirato al testo greco dell’Annun-
ciazione; Madre di Dio salvaci, inno liturgico che
sintetizza nelle poche righe delle strofe i princi-
pali titoli litanici di Maria).
L’autore dei brani (testi, musica e arrangiamen-
ti) è don Maurizio Palazzo, salesiano sacerdote
e maestro di cappella della Basilica dal 2016; il
è stato prodotto da Giorgio Quaglia e dal fi-
glio Stefano (casa discografica Pentagramma di
Torino), presso lo studio di Alessandro Gianotti
di Trana. Grazie alle splendide voci di Francesca
Incardona, Concetta Battiato, Francesca Rosa e
Claudio Poggi, con l’ausilio di un complesso ca-
Antifone e canti mariani di Maurizio Palazzo,
maestro di cappella della Basilica
di Maria Ausiliatrice
meristico totalmente acustico (Gabriele Leoni,
Diana Imbrea, Claudia Bellamino, Gianluigi
Guasco, Riccardo Chiarle, Mattia Gallo, Rober-
to Foglia, Gioele Barbero, Maurizio Palazzo) è
stato possibile concretizzare un progetto musicale
caldeggiato dal Rettor Maggiore don Angel Ar-
time e dal suo vicario don Francesco Cereda, i
quali auspicano la composizione di nuova musica
sacra, che rinnovi il repertorio salesiano.
Non è casuale la produzione di canti mariani a par-
tire da Valdocco: il luogo dove Maria ha chiesto a
don Bosco di accompagnare i giovani, per renderli
degni della gioia che non ha fine, in Paradiso.
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I NOSTRI EROI
Il venerabile
Un vero mistico salesiano,
morto a 27 anni, tre mesi
dopo santa Teresina
Andrea Beltrami diLisieuxallaquale
per molti aspetti
assomiglia per il suo
itinerario spirituale.
La storia di don Andrea Bel-
trami potrebbe incominciare
come racconta un’antica favola:
«In un magnifico giardino cresce-
va un bambù dal nobile aspetto.
Il Signore del giardino lo amava
più di tutti gli altri alberi. Anno dopo
anno, il bambù cresceva e si faceva robu-
sto e bello. Perché il bambù sapeva bene
che il Signore lo amava e ne era felice».
Era un giovane in gamba, intelligente e
sportivo, con uno splendido futuro. Lo
ricorda lui stesso: «Ottenni la licenza
ginnasiale al Liceo Gioberti in Torino,
e il mio esame fu un vero trionfo: dei
33 candidati di scuole private, tre ap-
pena furono promossi. Di questi tre io
fui il primo, avendo ottenuto 10 in ita-
liano orale e 9 in componimento. Ebbi
perciò la prima medaglia del collegio
di Lanzo. Così splendidi successi mi
aprivano una bella carriera nel mondo».
Andrea era nato a Omegna (Novara),
sulle rive del lago d’Orta, il 24 giu-
gno 1870. Suo padre Antonio era un
conciatore di pelli, sua madre Cateri-
na gestiva un negozio di alimentari.
Erano buoni cristiani (come ricordava
Andrea) e crescevano nell’amore del
Signore i cinque figli e le cinque figlie
che Dio aveva loro mandato.
Andrea, il primogenito, era amico
delle acque del lago, dove nuotava e
remava insieme ai fratelli. Era anche
amico delle montagne che si elevava-
no poco lontano dal lago. Durante i
mesi delle vacanze scolastiche vi si ar-
rampicherà sempre con passione.
Andrea rivelò presto carattere arden-
te e vivace, con un fondo di tenacia
che era proprio della stirpe. Appar-
vero sin dai primi anni anche il suo
eletto ingegno e la sua passione per
libri e quaderni. Dichiara il fratello
Giuseppe: “Andrea manifestò sempre
inclinazioni allo studio, e nei collegi
Zanoia e Conti riportò sempre i pri-
mi premi”. La mamma aggiunge che
aveva “dieci in condotta, nei collegi
che frequentò ad Omegna”.
Ricordano tutti il suo carattere dolce,
la sua obbedienza, il rispetto verso i
superiori, l’animo caritatevole e gen-
tile verso i poveri.
Non che gli mancassero i difetti
dell’età e del temperamento impul-
sivo e in qualche misura dominatore
e ribelle: ma nell’infanzia e nel corso
elementare, a chi lo osservava atten-
tamente, parvero splendere in lui più
le belle qualità di natura e di grazia,
che non le immancabili ombre, da cui
prende rilievo ogni figura umana.
Nulla, è vero, di eccezionale che la-
sciasse fin d’allora intravedere il san-
to: ma neppure atteggiamenti o fatti
in contrasto con il dovere scolastico,
familiare, con una vita ordinata e
semplice che poteva essere preludio di
più alte virtù.
Purtroppo al Collegio Zanoia, men-
tre frequentava la terza e quarta ele-
mentare in qualità di semiconvittore,
venne a trovarsi tra un mondo gio-
vanile reso malsano dalla presenza
di compagni guasti dal male, e ne fu
scossa la sua sensibilità.
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Ad aiutarlo e sostenerlo, in momenti
per lui d’incertezza e d’angoscia, e qui
si ammira la sua prontezza e fermezza
di volontà, fu la frequenza ai sacra-
menti.
Don Bosco
Nell’ottobre 1883 approdò al col-
legio salesiano di Lanzo Torinese.
Non sappiamo perché dalla scuola di
Omegna passò a quella salesiana di
Lanzo. Probabilmente perché in casa
sua arrivava il Bollettino Salesiano. A
Lanzo, nel 1884, Andrea fu letteral-
mente ipnotizzato da monsignor Gio-
vanni Cagliero, il vescovo missionario
salesiano che parlò ai giovani delle
terre lontane della Patagonia e degli
indios che lo aspettavano. Fu con ogni
probabilità da quel momento che co-
minciò a sentire – come racconta nella
lettera drammatica – l’invito potente
di Dio: tu sarai salesiano.
Fu accompagnato al noviziato salesia-
no dalla mamma. Affidandolo a don
Barberis, la signora Caterina disse:
«Lo metto nelle sue mani. Ne faccia
un santo». Il 2 ottobre 1887, nella casa
salesiana di Valsalice, Andrea Beltra-
mi si inginocchiò davanti al vecchio e
malato don Bosco, e nella freschezza
dei suoi 17 anni giurò a Dio di vive-
re per sempre casto, povero e obbe-
diente nella Congregazione salesiana.
Don Bosco era ormai al termine della
sua vita terrena. Quattro mesi dopo,
il 31 gennaio 1888, si spegneva nella
pace di Dio. Il giorno prima, Andrea
e tutti i giovani salesiani di Valsali-
ce erano andati a salutarlo un’ultima
volta. Lo narrò in una lettera a papà e
mamma: «Siamo entrati a uno a uno
nella sua camera, ci siamo fermati a
contemplarlo un istante e gli abbia-
mo baciato la mano. Se aveste veduto
che pace spirava in quella camera! che
tranquillità!».
In aiuto al principe
polacco
A Valsalice e poi a Foglizzo (1887-
1891), Andrea Beltrami si impegnò
negli studi superiori: liceo e poi Uni-
versità di lettere e di filosofia fre-
quentata come pendolare tra Foglizzo
e Torino. A Valsalice, nell’autunno
del 1887, Andrea divenne amico di
Augusto Czartoryski, giovane princi-
pe polacco. Egli aveva voluto diven-
tare salesiano. Don Bosco esitava, ma
papa Leone XIII in persona aveva ap-
poggiato la sua domanda. La madre
di Augusto, la dolcissima principessa
Maria Amparo, era figlia della regina
di Spagna, ed era morta di tisi quan-
do Augusto aveva sei anni, lascian-
dogli un’eredità regale, ma anche una
salute fragile e incrinata dalla tisi, la
malattia che in quel tempo spopolava
inesorabilmente le case dei poveri e
quelle dei re.
A 16 anni, Augusto aveva avuto come
precettore un ex-prigioniero dei russi
in Siberia, oggi venerato come santo:
Giuseppe Kalinowski. Sua madre e
il santo istitutore avevano alimentato
in Augusto un atteggiamento raro: il
distacco dalle cose terrene. Il principe
le guardava come se vi vedesse dentro
l’incapacità di farlo felice. Andrea e
Augusto si scoprirono «gemelli nella
fede».
A Valsalice, poi a Lanzo e ad Alassio,
Andrea per ordine dei superiori segue
il principe Augusto in cerca di salute
(la tisi lo sta aggredendo). Andrea ha
La casa salesiana di Valsalice.
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I NOSTRI EROI
ogni attenzione per l’amico. Lo cura
come un fratello. In quei giorni, spes-
so resi lunghi dall’inattività forzata,
Andrea riceve dal principe Augusto
silenziose lezioni di santità. Scrive:
«So di avere in cura un santo, un an-
gelo». E don Celestino Durando, uno
dei superiori maggiori dei salesiani,
testimonierà: «Mai infermo fu più
bisognoso di cure materne, e mai vi
fu un infermiere più vigilante e de-
licato». Alla fine del 1890, mentre il
principe rimaneva ad Alassio (si sa-
rebbe spento l’8 aprile 1893), Andrea
Beltrami tornò a Foglizzo, assistente
insegnante, iscritto all’Università di
Torino.
Il sigillo del sangue
Qui incomincia la seconda parte della
favola:
Un giorno, il Signore si avvicinò al suo
amato albero e gli disse: «Caro bambù,
ho bisogno di te».
Il magnifico albero sentì che era venuto il
momento per cui era stato creato e disse,
con grande gioia: «Signore, sono pronto.
Fa’ di me l’uso che vuoi».
La voce del Signore era grave: «Per
usarti devo abbatterti!».
Il bambù si spaventò: «Abbattermi, Si-
gnore? Io, il più bello degli alberi del tuo
giardino? No, per favore, no! Usami per
la tua gioia, Signore, ma per favore, non
abbattermi».
«Mio caro, bambù», continuò il Signore,
«se non posso abbatterti, non posso usarti».
Il giardino piombò in un profondo silen-
zio. Anche il vento smise di soffiare. Len-
tamente il bambù chinò la sua magnifica
chioma e sussurrò: «Signore, se non puoi
usarmi senza abbattermi, abbattimi».
«Mio caro bambù», disse ancora il Signo-
re, «non solo devo abbatterti, ma anche
tagliarti i rami e le foglie».
«Mio Signore, abbi pietà. Distruggi la
mia bellezza, ma lasciami i rami e le fo-
glie!».
«Se non posso tagliarli, non posso usarti».
Il sole nascose il suo volto, una farfalla
inorridita volò via. Tremando, il bambù
disse fiocamente: «Signore, tagliali».
«Mio caro bambù, devo farti ancora di
più. Devo spaccarti in due e strapparti il
cuore. Se non posso fare questo, non posso
usarti».
Il bambù si chinò fino a terra e mormorò:
«Signore, spacca e strappa».
Mentre tornava dall’Università di
Torino in una giornata siberiana (era
il 20 febbraio 1891), Andrea ebbe un
profondo colpo di tosse, e si trovò
la bocca piena di sangue. Era una
grave emottisi: rivelava che anche i
suoi polmoni erano intaccati dalla
tubercolosi. Non aveva ancora 21
anni. I medici, subito chiamati a vi-
sitarlo, dissero ai superiori che non
si facessero illusioni: la malattia era
mortale. Andrea non seppe nulla, e
docilmente interruppe l’università e
iniziò le cure per ricuperare la salute.
Scrisse dopo alcuni mesi: «Vado sem-
pre migliorando. Faccio qualche pas-
seggiata adagio adagio... Da qualche
tempo però la mia tosse si fa più forte
e improvvisa, soprattutto di notte». Il
suo più grande desiderio era diventare
sacerdote, celebrare la s. Messa. Se-
condo le leggi della Chiesa, in quel
tempo l’ordinazione sacerdotale non
si poteva ricevere prima dei 24 anni.
Nelle pause che la malattia gli con-
cedeva (sempre fiducioso di guari-
re) Andrea cominciò ad aprire i libri
di teologia, per prepararsi al grande
giorno. Scriveva a don Barberis: «Io
sto abbastanza bene... Ho studiato un
po’ di teologia...».
Scorrendo le sue lettere, si osserva che
poco per volta nella sua vita si opera
un cambiamento profondo. Pregando
e pensando si abbandona sempre più
alla volontà di Dio. Non desidera più
guarire, ma unicamente fare ciò che a
Dio piace. Il 2 luglio 1892 scrive: «II
Signore continua ad aiutarmi, e io non
ho che da ringraziarlo di questa malat-
tia come di un favore specialissimo».
Alcuni mesi dopo, all’amico Amilcare
Bertolucci scrive: «Alla Congregazio-
ne sono necessari molti che soffrano, e
che sappiano soffrire bene».
Sacerdote e vittima
I superiori vollero manifestare la loro
riconoscenza a quel «meraviglioso
sofferente» ottenendogli la dispensa
di 18 mesi per l’ordinazione sacer-
dotale. L’8 gennaio 1893 monsignor
Giovanni Cagliero, il vescovo missio-
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4.1 Page 31

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nario che l’aveva entusiasmato da ra-
gazzo, lo ordinò sacerdote a Valdocco,
nelle camerette dov’era vissuto don
Bosco. Alla sua prima Messa assistet-
te la carissima mamma. La cameretta
dove viveva a Valsalice gli permetteva
di vedere l’altare della cappella e il ta-
bernacolo. Ogni giorno passava ore in
adorazione fissando Gesù Eucaristia.
Don Paolo Albera, secondo succes-
sore di don Bosco, tracciando la fi-
gura di Andrea quando si pensò di
iniziarne la Causa di Beatificazione,
scrisse: «Col permesso del suo di-
rettore scrisse, e sottoscrisse col suo
sangue, una preghiera che portò sem-
pre appesa al collo in un borsellino:
“Converti, o Gesù, tutti i peccato-
ri, consola con la tua grazia tutti gli
agonizzanti, libera tutte le
anime sante del purgatorio.
Io mi offro pronto a soffrire
tutte le agonie dei moribon-
di, tutti i tormenti di tutti i
martiri, e ciò fino al giorno
del giudizio universale. Mi
offro vittima. Questa vitti-
ma venga offerta continua-
mente a te”».
Così il Signore del giardino
abbatté il bambù, tagliò i rami
e le foglie, lo spaccò in due e gli
estirpò il cuore. Poi lo portò
dove sgorgava una fonte di ac-
qua fresca, vicino ai suoi cam-
pi che soffrivano per la siccità.
Delicatamente collegò alla sor-
gente una estremità dell’amato
bambù e diresse l’altra verso i
campi inariditi.
La chiara, fresca, dolce acqua
prese a scorrere nel corpo del
bambù e raggiunse i campi. Fu piantato
il riso e il raccolto fu ottimo.
Così il bambù divenne una grande be-
nedizione, anche se era stato abbattuto e
distrutto.
Quando era un albero stupendo, viveva
solo per se stesso e si specchiava nella pro-
pria bellezza. Stroncato, ferito e sfigura-
to era diventato un canale, che il Signore
usava per rendere fecondo il suo regno.
E dopo sei anni di tante sofferenze
scriveva a don Rua: «È il sesto anno
della mia malattia, e io ne faccio an-
niversario come di giorno festivo, pie-
no di letizia».
Nonostante fosse in pericolo di morire
da un giorno all’altro – continua don
Albera – pensò di rendersi utile alla
Congregazione scrivendo libri, dopo
averne chiesto il permesso. Uscirono
dalla sua penna una ventina di ope-
re che, pubblicate quasi tutte dopo la
sua morte, ebbero larghissima diffu-
sione, dalla Vita di S. Francesco d‘Assisi
e Il peccato veniale. Scrisse tutte queste
opere tra gravi dolori, prendendo for-
za nel guardare il tabernacolo di Gesù
Eucaristia.
Al mattino del 30 dicembre 1897,
dopo una notte di violenta crisi car-
diaca, rinnovò l’offerta di sé. Poi,
quale sposo che si vede arrivato al
giorno delle nozze, fece la pulizia alla
sua persona, si cambiò da sé la bian-
cheria e non pensò più ad altro che a
comparire avanti a Dio.
Morì durante la Messa celebrata dal
suo direttore. Aveva 27 anni.
Tre mesi prima, il 30 settem-
bre si era spenta nel Carmelo
di Lisieux, all’età di 24 anni,
santa Teresina del Bambi-
no Gesù, contemplando il
Crocifisso e dicendo: “Oh...
l’amo!... Dio mio... Vi amo!”.
Una singolare sintonia spiri-
tuale tra due anime giovani
che avevano offerto la loro
vita per la salvezza delle ani-
me nella fedeltà alle rispetti-
ve vocazioni.
La tomba del venerabile Andrea
Beltrami nella Collegiata di
Sant’Ambrogio ad Omegna.
La biografia: Bruno Ferrero,
Venerabile Andrea Beltrami,
Il miracolo di Omegna,
Elledici-Velar.
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Quando la vita grida
Il grido delle vittime della tratta di esseri umani ha
raggiunto il cuore della vita religiosa, le forze si sono
unite per avvicinarsi alle persone trafficate, violate
nella loro dignità e considerate oggetti, mera merce.
Nella società del rumore, un
rischio è quello di non ascol-
tare i suoni delle voci vere e
le loro chiamate, mentre è
dall’ascolto che nasce l’azio-
ne, come insegna il gruppo
intercongregazionale, Un Grido per la
Vita, nato in Brasile nel 2006: una ri-
sposta all’ascolto di storie di tratta. Un
ascolto che è diventato un grido profe-
tico in difesa della vita, come ci spiega
suor Cecilia Castro, la quale collabora
con i Salesiani del Brasile, con suor
Fatima Cunha e suor Maria de Nazaré
Gomes. «La concentrazione di avere e
potere nelle mani di pochi cresce ogni
giorno e gli alti livelli di povertà e
miseria continuano a sfidare le nostre
coscienze. I poveri sono considerati
superflui e senza valore umano. La
natura, le persone, i rapporti umani,
familiari e sociali vengono trasformati
in merci, venduti, acquistati e sfrutta-
ti dalle reti commerciali, dei media e
della droga, delle armi e dei trafficanti
di esseri umani».
Il traffico di esseri umani priva tan-
ti fratelli e sorelle della possibilità di
sognare e vivere con dignità, ma solo
nel 2000 questa “ferita dell’umanità”
è stata riconosciuta come una questio-
ne globale e transnazionale significa-
tiva, in occasione della Convenzione
di Palermo, che ha definito il termine
“tratta di persone” come il recluta-
mento, trasporto, trasferimento, l’o-
spitare o accogliere persone, tramite
la minaccia o l’uso della forza o di al-
tre forme di coercizione, di rapimen-
to, frode, inganno, abuso di potere
o di una posizione di vulnerabilità o
tramite il dare o ricevere somme di
denaro o vantaggi per ottenere il con-
senso di una persona che ha autorità
su un’altra a scopo di sfruttamento.
Questo comprende, come minimo,
lo sfruttamento della prostituzione
altrui o altre forme di sfruttamento
sessuale, il lavoro o i servizi forzati, la
schiavitù o pratiche analoghe, l’asser-
vimento o il prelievo di organi.
Il grido delle vittime della tratta di es-
seri umani ha raggiunto il cuore della
vita religiosa, le forze si sono unite
per avvicinarsi alle persone trafficate,
violate nella loro dignità e considera-
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Il gioco educativo della rete viene usato nelle
scuole e nei progetti sociali per sensibilizzare
le persone a superare le barriere e costruire reti
di solidarietà a favore della vita.
te oggetti, mera merce. “Coloro che
si avvicinano alle vittime della trat-
ta diventano vicini al volto di Cristo,
sfigurati nei corpi delle nostre sorelle
e fratelli” (Castalone in A Cry for Life,
2013, p. 37). La rete Un grido per la
vita, con creatività e audacia, lotta per
la fine della tratta di esseri umani.
Il suo grido mi ha fatto sentire sto-
rie inimmaginabili e mi ha aiutato a
capire la gravità e l’ampiezza del pro-
blema della tratta di esseri umani. Ha
affascinato il mio cuore e mi ha spinto
a fare la mia parte nell’affrontare que-
sto male che provoca così tanto male
ai nostri fratelli e sorelle.
Un gioco per capire
Suor Cecilia condivide l’esperienza
che ha vissuto partecipando alla rea-
lizzazione di un progetto: il Gioco
Educativo, ideato per bambini dagli
11 anni in poi, presenta i seguenti ar-
gomenti: Diritti umani; Statuto del
bambino e dell’adolescente; Modalità
di tratta di persone, forme di con-
fronto e denunce; Protagonismo.
Mediante il progetto la rete mira a
contribuire alla prevenzione della
tratta di persone chiamando i bam-
bini e gli adolescenti a conoscere e
a svolgere un ruolo per affrontare la
realtà criminale che distrugge i so-
gni e la vita di così tante persone.
Attualmente il gioco viene utilizzato
nei momenti di allenamento promossi
dalla rete, nelle scuole e nei progetti
sociali.
Suor Maria de Nazaré Gomes evi-
denzia che siamo sfidate dalla realtà
della tratta e provocate dal carisma dei
nostri Fondatori, in linea con quanto
dice papa Francesco: La tratta costitui-
sce una ingiustificabile violazione della
libertà e della dignità delle vittime, di-
mensioni costitutive dell’essere umano
voluto e creato da Dio. Per questo essa
è da ritenersi un crimine contro l’uma-
nità.
Come Famiglia Salesiana, ci dice suor
Fatima ci viene richiesto di preveni-
re, il modo migliore per liberare le
persone dalla rete della tratta. Nella
fretta quotidiana, in mezzo ai rumori
che ci circondano, corriamo il rischio
di diventare sordi alle grida, a volte
silenziose, dei bambini, degli ado-
lescenti e dei giovani che sono nelle
nostre case; è necessario essere attenti
per custodire la vita che ci è stata af-
fidata! Superare le barriere e costruire
reti di solidarietà a favore della vita è
un segno profetico della vita religiosa
nella società di oggi, ci suggeriscono
le suore.
Visita il sito Talithakum.info e scopri
cosa viene fatto nel tuo paese, unisciti alla
rete. C’è sempre una voce che chiama!
BLOG https://jogoredepelavida.wixsite.com/traficodepessoas
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
Natale è una Festa
straripante. Ci lancia
mille messaggi, mille input.
I cinque doni Approfondirli tutti è
impossibile. Il più:
la nascita di Cristo
vuole ricordarci di
del Natale nonsmarrire
mai il concetto
In prima battuta tale invito può
sembrare senza mordente. In
realtà è un invito di valenza an-
tropologica fondamentale! A ben
pensare, infatti, è proprio per na-
scere che siamo nati! Lo sottoli-
memorizzare, di volere,
di adorare? Insomma,
per tagliar corto, quando
si parla dell’uomo è da
disonesti piangere mise-
ria. Una cosa è cer-
di “nascita”.
nea il noto psichiatra austriaco Erich ta: nessuno riuscirà
Fromm, per il quale non ci sono dub- mai a realizzare
bi: «Il primo compito della vita è dar tutte le potenzialità
alla luce se stessi».
di cui è dotato.
Ebbene, ogni anno il Natale ci ricor- natalizi che impiantano l’Uomo con
Dare alla luce se stessi da questo e ci dà la sveglia!
la lettera maiuscola: il valore dell’es-
Un’impresa che non onoreremo mai Ci dice di rispondere al Natale di senzialità, il valore del silenzio, il va-
del tutto. Comunque, restiamo tutti Cristo con il nostro massimo “natale” lore della pace, il valore della gioia, il
sottosviluppati. Non è un’offesa, ma possibile.
valore della tenerezza. Basta entrare
una verità oggettiva, l’uomo è una ri- A questo punto diventa chiaro che nella grotta di Betlemme e vederli in
serva di possibilità pressoché infinite! Natale è Festa dolce, ma anche im- diretta: sono valori da vivere.
Pensiamo, ad esempio, al cervello. Il
cervello è un micro cielo.
È costituito da 100 miliardi di cellule
(i neuroni) quante sono le stelle della
nostra galassia, la Via Lattea. I neuro-
ni hanno un groviglio di connessioni
(centomila miliardi!). Ogni connessio-
ne un’idea. Gli studiosi sono convinti
pegnativa come nessun’altra Festa del
calendario cristiano. Accettare dav-
vero il Natale significa respingere una
vita minima, formato tascabile, per
abbracciare una vita massima.
La strategia
dei cinque valori
1. L’essenzialità. In quella grotta
tutto è ridotto all’osso. Tutto è sobrio.
Essenziale. Ormai è sotto gli occhi di
tutti che troppo benessere più che una
meta, è una trappola: troppo benessere
uccide l’anima.
2. Il silenzio. Tutto intorno tace.
che il nostro cervello possa cogliere una Il bello è che proprio il primo Natale Gesù nasce. È sempre così. Solo nel
quantità di informazioni pari a cento (non quelli taroccati di oggi) ci in- silenzio nasce qualcosa. Il rumore è
trilioni. Questo per il solo cervello. dica anche la strategia per arrivare a un killer invisibile che ci prosciuga
E che dire della capacità di amare, di tanto. È la strategia dei cinque valori l’anima.
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AUGURI AGLI AMICI
3. La pace. Per un momento tutto il
mondo è in pace. Persino l’impero ro-
mano è in pace. È il momento adatto
per nascere. Sì, perché là ove vi è ten-
sione è impossibile l’educazione. Lo
avvertono anche i bambini. Le inda-
gini ci fanno sapere che il regalo più
atteso per Natale da tutti i figli è che
“papà e mamma non bisticcino più!”.
4. La gioia. Tutto il Natale è sotto il
segno di “una grande gioia” come can-
tano gli angeli. La gioia è educativa
per natura sua. Ci migliora sempre,
mentre la tristezza ci peggiora sem-
pre. È questa verità che ci fa collocare
la gioia tra i primi posti nella scala dei
valori natalizi.
5. La tenerezza. In quella grotta
tutto è tenero, persino gli animali che
riscaldano il bambino. Saggio mes-
saggio da memorizzare: non le urla
ma gli abbracci salvano l’uomo.
Per concludere:
Il Natale parla forte quando ci lancia
il messaggio: “Rispondi alla nascita di
Cristo con il massimo della tua nascita!”.
Il Natale parla limpido quando ci in-
Ai lettori della nostra rubrica l’augurio:
di uscire tutte le mattine dal letto come
la musica dalla sveglia.
di non abituarsi mai allo sbadiglio.
di regolare la vita sulle stelle e non sui
fari delle auto.
di vedere nero solo quando è buio.
di non metter mai il ‘non’ davanti al
posso ’!
dica le strategie per realizzare tanta
impresa. Per questo il tentativo in atto
di oscurare il Natale può configurarsi
come un vero e proprio reato pedago-
gico.
Foto Shutterstock.com
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
Nostalgia
di Te Il rapporto con il sacro,
in casi più frequenti di
quanto si creda, porta
P il peso di un lungo
silenzio che rimbomba
assordante nel vuoto
percepito di un’assenza.
er molti giovani
adulti il confronto
con la dimensione
religiosa risulta tra-
vagliato e doloro-
samente segnato da
dubbi e perplessità. Il rapporto con il sacro ap-
pare spesso compromesso dai cortocircuiti di una
comunicazione interrotta o mai iniziata, troncata
Non ci siamo mai dedicati,
dedicati le canzoni giuste,
forse perché di noi
non ne parla mai nessuno.
Non ci siamo mai detti le parole,
non ci siamo mai detti le parole giuste,
neanche per sbaglio,
neanche per sbaglio, in silenzio.
La città è piena di fontane,
ma non sparisce mai la sete;
sarà la distrazione,
sarà, sarà, sarà
che ho sempre il Sahara in bocca.
La città è piena di negozi,
ma poi chiudono sempre
e rimango solo io
a dare il resto al mondo...
Non ci siamo mai visti per davvero e
non ci siamo mai presi per davvero in giro,
neanche per sbaglio,
neanche per sbaglio, in silenzio...
in modo brusco, con tutti gli strascichi di delu-
sione e amarezza che tale distacco porta sempre
con sé. Oppure, in casi più frequenti di quanto
si creda, esso porta il peso di un lungo silenzio
che rimbomba assordante nel vuoto percepito di
un’assenza.
Quasi mai, tuttavia, il tema della trascendenza è
oggetto di una completa e radicale indifferenza.
Anche i più refrattari, persino quanti sembrano
irrimediabilmente distanti da ogni discorso o ri-
flessione che rimandino a una qualche ricerca di
natura religiosa, condividono con la loro genera-
zione (e, in verità, con ogni uomo ed ogni donna)
il bisogno inestinguibile di interrogarsi sul senso
ultimo della propria esistenza, che è poi la stessa
fondamentale, basilare, inderogabile domanda che
anima ogni credente nel suo cammino di fede.
Molto spesso, anzi, proprio chi rivendica con
forza il proprio inappellabile rifiuto di ogni cre-
denza o dogma religioso appare più bisognoso
di rintracciare ideali autentici verso cui orienta-
re la propria vita, di soddisfare la propria sete di
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certezze con valori che irrorino di nuova linfa il
proprio deserto interiore, di porsi alla ricerca di
verità più esigenti di quelle cui può accedere l’in-
telligenza umana.
C’è poi chi, nella ricerca del grande Assente,
non può fare a meno di provare stupore davanti
al suo mistero, che sembra avvolgere e permea-
re ogni cosa; e c’è chi, pur mostrandosi scettico
verso una religiosità che si nutre di riti e pratiche
preconfezionate, nell’intimità del suo cuore lascia
comunque una porta socchiusa all’incontro con il
“Dio possibile”. Tante sfumature diverse di una
medesima “nostalgia” che, assumendo ora i toni
duri e ostili di un sofferto rifiuto, ora quelli tor-
mentati della lotta interiore, è pur sempre segnata
da una profonda sofferenza, da quel “dolore del
ritorno” – come l’ha definito qualcuno – che na-
sce dal percepire la propria lontananza da casa e
cela dietro di sé un’inconfessata invocazione.
Del resto, anche per chi ha maturato una religio-
sità sincera e consapevole e sperimenta quotidia-
namente la bellezza del dialogo con Dio, l’espe-
rienza della fede non appare mai come un dato
scontato e immune dalle tempeste della vita. Essa
assomiglia piuttosto ad un cammino tortuoso e
accidentato, in cui ciascuno è chiamato ad inter-
rogarsi incessantemente sulla propria direzione di
marcia.
Si tratta di una scommessa impegnativa in cui ad
essere in gioco non è solo il rapporto con il sacro,
ma anche la costruzione della propria identità.
Ma, soprattut-
to, ciò comporta
uno sguardo nuovo
su se stessi e sul mondo,
che non può nascere unica-
mente da un assenso
intellettuale, ma è
prima di tutto un
“dono” da acco-
gliere e far ger-
mogliare.
La città incontra il tuo deserto,
che io innaffio da sempre;
sarà la mia omissione,
sarà, sarà, sarà
che ora ho un fiore nella bocca.
Se in mezzo alle strade
o nella confusione
piovesse il tuo nome,
io una lettera per volta vorrei bere.
In mezzo a mille persone,
stazione dopo stazione,
se non scendo a quella giusta è colpa mia...
Ma senza te chi sono io?
Un mucchio di spese impilate,
un libro in francese, che poi non lo so
neanche, neanche bene io.
Se devi andare pago io,
scusa se penso a voce alta,
scusa se penso a voce alta...
(Elisa, Se piovesse il tuo nome, 2018)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Don Bosco e la raccolta
differenziata dei rifiuti
porta a porta
Chi l’avrebbe mai detto? Don Bosco ecologista
anzitempo? Don Bosco pioniere della raccolta
differenziata dei rifiuti a domicilio 140 anni fa?
Si direbbe di sì, stando almeno
ad una delle lettere che ab-
biamo recuperato negli anni
scorsi e che confluirà nel IX
volume dell’epistolario in
preparazione. Si tratta di una
circolare a stampa del 1885 che nel suo
piccolo – la città di Torino dell’epoca
– anticipa e, ovviamente a suo modo,
“risolve” i grandi problemi che affronta
la nostra società, quella cosiddetta dei
“consumi” e dell’“usa e getta”.
Il destinatario
Trattandosi di una lettera circolare il
destinatario è generico, una persona
conosciuta o meno. Don Bosco con
furbizia ne “cattura” subito l’attenzione
definendola “benemerita e caritativa”.
Fatta tale premessa, don Bosco indica
al suo corrispondente un dato di fatto
sotto gli occhi di tutti: “La S. V. sa-
prà che le ossa, avanzate dalla mensa e
generalmente dalle famiglie gettate nella
spazzatura come oggetto d’ingombro,
riunite in grande quantità
riescono in quella vece utili
alla umana industria, e sono
perciò ricercate dagli uomini
dell’arte [= industria] pa-
gate alcuni soldi per mi-
riagramma. Una società di
Torino, colla quale mi sono messo in rap-
porto, ne acquisterebbe in qualsivoglia
quantità”. Dunque ciò che darebbe
fastidio, tanto in casa che fuori casa,
magari per le strade della città, viene
saggiamente utilizzato con vantaggio
di tanti.
Un’alta finalità
A questo punto don Bosco lancia la
sua proposta: “In vista di ciò e in con-
formità di quanto si va già praticando in
alcuni paesi a favore di altri Istituti di
beneficenza, io sono venuto nel pensie-
ro di ricorrere alle benestanti e benevole
famiglie di questa illustre città, e pregar-
le, che invece di lasciare che vada a male
e torni disutile questo rifiuto della loro
tavola, lo vogliano cedere
gratuitamente a benefizio dei poveri
orfanelli raccolti ne’ miei Istituti, e spe-
cialmente a vantaggio delle Missioni di
Patagonia, dove i Salesiani con ingen-
ti spese e con pericolo della propria vita
stanno ammaestrando ed incivilendo le
tribù selvagge, per far loro godere i frutti
della Redenzione e del verace progresso.
Simile ricorso e siffatta preghiera io fo
pertanto alla S. V. benemerita, convinto
che vorrà prenderli in benigna conside-
razione ed esaudirli.
Il progetto sembrava appetibile da più
parti: le famiglie si liberavano di parte
dei rifiuti da tavola, la ditta era inte-
ressata a raccoglierli per riutilizzarli
diversamente (prodotti alimentari per
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4.9 Page 39

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animali, concimi per la campagna
ecc.); don Bosco ne ricavava denaro
per le missioni… e la città rimaneva
più pulita.
Una perfetta
organizzazione
La situazione era chiara, l’obiettivo era
alto, i vantaggi erano di tutti, ma non
potevano bastare. Occorreva procedere
alla raccolta di ossa “porta a porta” in
tutta la città. Don Bosco non si scom-
pone. Settantenne, ha ormai dalla sua
profonde intuizioni, lunga esperienza
ma anche grande capacità manageria-
li. Ecco allora organizzare tale “im-
presa” facendo attenzione ad evitare i
sempre possibili abusi nelle varie fasi
dell’operazione-raccolta: “A quelle fa-
miglie, che avranno la bontà di aderire a
questa umile mia domanda, sarà conse-
gnato un apposito sacchetto, ove riporre le
ossa mentovate, le quali verrebbero spesso
ritirate e pesate da persona a ciò incarica-
ta dalla società acquisitrice, rilasciandone
un buono di ricevuta, il quale per caso di
controllo colla società medesima sarebbe di
quando in quando ritirato a nome mio.
Così alla S. V. non resterà altro da fare che
impartire gli ordini opportuni, affinché
questi inutili avanzi della sua mensa, che
andrebbero dispersi, siano riposti nel sac-
chetto medesimo, per essere consegnati al
raccoglitore e quindi venduti ed usufruiti
dalla carità. Il sacchetto porterà le lettere
iniziali O. S. (Oratorio Salesiano), e la
persona che passerà a vuotarlo presenterà
pure un qualche segno, per farsi conoscere
dalla S. V. o dai suoi famigli[ari].
Che dire? Se non che il progetto sem-
bra valido in tutte le sue parti, addi-
rittura migliore di qualche analogo
progetto delle nostre città di terzo
millennio!
Gli incentivi
Ovviamente la proposta andava so-
stenuta con qualche incentivo, non
certo di tipo economico o promozio-
nale, bensì morale e spirituale. Quale?
Eccolo: “la S. V. si renderà benemerita
delle opere sopraccennate, avrà la grati-
tudine di migliaia di poveri giovinetti, e
quello che maggiormente importa ne ri-
ceverà la ricompensa da Dio promessa a
tutti coloro, che si adoperano al benessere
morale e materiale del loro simile”.
Una modulistica precisa
Da uomo concreto escogita un mezzo,
che diremmo modernissimo, per riu-
scire nella sua impresa: chiede ai suoi
destinatari di rimandargli indietro il
tagliando, messo in calce alla lettera,
che porta il suo indirizzo: “La preghe-
rei ancora di volermene assicurare per
mia norma e pel compimento delle prati-
che a farsi, col distaccare e rimandarmi la
parte di questo stampato, la quale porta
il mio indirizzo. Appena avuta la sua
adesione darò ordine che le sia consegnato
il mentovato sacchetto”.
Don Bosco chiude la sua lettera con la
consueta formula di ringraziamento e
di augurio, che tanto tornava gradito
ai suoi corrispondenti.
Sarà riuscito don Bosco nel suo in-
tento? Non lo sappiamo, ma resta il
fatto che oltre che essere un grande
educatore, un lungimirante fondato-
re, un uomo di Dio, don Bosco è stato
anche un genio della carità cristiana.
E ne daremo un ulteriore saggio nel
prossimo numero del BS.
TERZO WEEK END CULTURALE DI ARCINAZZO
Si è tenuto il 21-22 settembre 2019 nella casa salesiana di Arcinazzo (Roma) il terzo week
end culturale, promosso dall’ingegner Nicola Barone e dallo studioso salesiano don Fran-
cesco Motto. Al meeting hanno partecipato numerose personalità impegnate nell’ambito
della sanità, dell’imprenditoria, della cultura… Sull’attualissima tematica generale “La vita
umana fra bioetica e biodiritto” hanno preso la parola i professori don Carlo Carlotti, docente
ordinario di teologia morale presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma e vicerettore
della stessa università; Francesco Romeo, primario della divisione di cardiologia del Po-
liclinico Universitario di Tor Vergata e presidente della Società Italiana di cardiologia ed il
magistrato Saverio Mannino, già presidente della Terza Sezione Penale della Corte Suprema
di Cassazione. Diritti della persona, mor-
te celebrale, accanimento terapeutico,
eutanasia, suicidio assistito ecc. sono
stati gli spinosi “problemi” affrontati dal
triplice punto di vista: medico-biologico,
giuridico e teologico-morale. Molto viva-
ce è stata la partecipazione dei presenti al
dibattitto in sala, come pure interessanti
le risonanze degli stessi alla proiezione
serale del film GATTACA, perfettamente
inserito nella logica della tematica in di-
scussione nella due giorni di fine estate.
Dicembre 2019
39

4.10 Page 40

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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per intercessione dei nostri beati,
venerabili e servi di Dio, sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di dicembre preghiamo per la Causa di Beatificazione del Servo di Dio
Ignazio Stuchlý, di cui quest’anno ricorre il 150° della nascita.
Il Servo di Dio don Ignazio Stuchlý nasce a Bolesław,
nell’ex Slesia prussiana, il 14 dicembre 1869, in una
numerosa famiglia di contadini. Giovane uomo te-
nace nell’impegno e fermo nella speranza, viene
accettato tra i Salesiani nel 1894. Arriva a Torino l’8
settembre, e vive le tappe di formazione a Valsalice
e Ivrea: si forma a contatto con i grandi Salesiani
della prima generazione. Inizialmente destinato alle
missioni, per ordine di don Rua il Servo di Dio resta
in Italia, e si prepara a supportare la crescita delle
opere salesiane nelle aree slave. È allora a Gorizia
(1897-1910); quindi in Slovenia, tra Ljubljana e Ver-
zej, fino al 1924; poi, dal 1925 al 1927, è a Perosa
Argentina, dove forma le nuove leve per innestare la
Congregazione salesiana “al Nord”. Nel 1927 ritor-
na in patria, a Fryšták, e anche lì ricopre incarichi
di governo, compreso l’ispettorato, dal 1935. Dopo
le conseguenze a più ampio raggio della Guerra
Balcanica e la Prima Guerra Mondiale, affronta sia
la Seconda Guerra Mondiale sia il dilagare del to-
talitarismo comunista: in entrambi i casi, le opere
salesiane vengono requisite, i confratelli arruolati o
dispersi, ed egli vede d’un tratto distrutta l’opera cui
aveva consacrato la vita. Quaranta giorni prima della
fatidica “Notte dei barbari”, nel marzo 1950, è colpi-
to da apoplessia: la vivissima stima che egli sempre
aveva suscitato nei superiori, e la sua grande ca-
pacità di amare e farsi amare, fioriscono allora più
che mai in fama di santità. Si spegne serenamente
nella sera del 17 gennaio 1953. Economo, prefetto,
vice-direttore, direttore, ispettore, il Servo di Dio
aveva ricoperto, per ampia parte della vita, ruoli di
responsabilità. Un po’ come il beato don Rua, da lui
preso ad esempio, era considerato “regola vivente”,
testimone efficace dello spirito di don Bosco e capa-
ce di trasmetterlo alle generazioni successive.
Uomo che ha vissuto in molte e diverse realtà geo-
grafiche, linguistiche e culturali (come le odierne
Moravia, Boemia, Slovacchia, Polonia, Slovenia,
Italia), anche in terre di confine, il Servo di Dio si
propone oggi come uomo di pace, unità e riconci-
liazione tra i popoli.
Preghiera
Dio onnipotente ed eterno,
pieno di misericordia verso i tuoi figli,
tu che hai guidato il tuo servo fedele Ignazio
affinché, con l’amore e l’umiltà, la preghiera e il fervore,
aiutasse soprattutto i giovani a trovare la strada
verso la Chiesa di Cristo,
concedi a lui l’onore e la gloria degli altari
e dona a noi la grazia di imitarlo
nella preghiera e nell’operosità,
contribuendo al rinnovamento morale e spirituale
di ciascuna persona che incontriamo
e delle nuove generazioni.
Per intercessione del tuo servo Ignazio
esaudisci la preghiera con la quale ci rivolgiamo a te.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Ringraziano
Ci siamo rivolti con fiducia alla
protezione di san Domenico
Savio quando mia nuora era in
attesa della nascita della nostra
nipotina Sofia, gravidanza arri-
vata dopo un triste aborto. San
Domenico Savio ha esaudito le
nostre preghiere ed ora ci ap-
prestiamo a festeggiare il primo
compleanno. Preghiamo don
Bosco, Domenico Savio e Maria
Ausiliatrice che continuino a ve-
gliare sulla nostra famiglia.
Livia e Marino Barzaghi,
salesiani cooperatori
Mia mamma, di nome Margheri-
ta, quest’estate ha avuto problemi
di salute. Dai primi esami i me-
dici ci prospettarono il peggio:
tumore alle vie biliari, operabile,
ma sicuramente il post intervento
sarebbe stato duro dato dall’età
della mamma, 76 anni. Comuni-
candolo ai miei fratelli e sorelle
decisi di affidarla all’interces-
sione di mamma Margherita.
Scrivo perché la affidai a mio
papà mancato qualche anno fa
e alla Madonna. L’ultimo esame
che mia mamma fece, che doveva
essere chiarificativo di tutto, ri-
sultò essere una infiammazione.
Ilaria Balagna
Per la pubblicazione non
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Il 24 settembre 2019 nella Sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi membri della Congre-
gazione delle Cause dei Santi, è stato dato parere pienamente positivo, in merito all’esercizio eroico
delle virtù, alla fama di santità e di segni del Servo di Dio Augusto Bertazzoni Arcivescovo di
Potenza, nato a Pegognana (Mantova) il 10 gennaio 1876 e morto a Potenza il 30 agosto 1972.
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Dicembre 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Johannes Karl Maria Oerder
(questo era il suo nome comple-
to) nacque il 31 ottobre 1928 a
Scheurenhof bei Linde, nel comu-
ne di Lindlar, vicino a Colonia. Era
figlio dei coniugi Viktor e Maria
Oerder e crebbe insieme a quattro
fratelli. Frequentò la scuola ele-
mentare a Linde e la scuola secon-
daria a Rösrath, dove la famiglia
visse dal 1938, quando il padre,
ferroviere, fu trasferito là. Dopo la
scuola secondaria, Karl proseguì
i suoi studi per diventare tecnico
di laboratorio chimico e conseguì
il diploma nel 1946. Trovò lavoro
nel settore, ma non ne era sod-
disfatto. Voleva invece diventare
sacerdote salesiano e quindi dal
1947 frequentò il liceo presso i
Salesiani di don Bosco, prima a
Buxheim bei Memmingen, poi a
Marienhausen bei Rüdesheim e a
Essen-Borbeck.
Il 15 agosto 1952 Karl Oerder co-
minciò il percorso del noviziato
con i Salesiani di Don Bosco a
Ensdorf, nell’Alto Palatinato, e il
15 agosto 1953 pronunciò la pri-
ma professione religiosa. Tre anni
dopo, il 15 agosto 1956, emise la
professione perpetua. Nel corso
di questi anni frequentò il liceo
di Essen, compì nel collegio di
Essen-Borbeck il suo tirocinio
Don
Karl
Oerder
morto
a Köln-Kalk
il 16 agosto
2019,
a 90 anni.
pratico e contemporaneamente
studiò pedagogia. Si laureò e
superò l’esame di stato con cui
gli fu conferita l’abilitazione all’e-
sercizio della professione di Di-
rettore didattico.
A ottobre del 1956, Karl Oerder
cominciò i suoi studi di teologia a
Bollengo, vicino a Torino. Per mo-
tivi di salute, nel 1957 si trasferì a
Messina, dove frequentò l’Istituto
Teologico Salesiano. Il 29 giugno
1961 fu ordinato sacerdote a Be-
nediktbeuern, il Centro Studi dei
Salesiani in Germania. Trascorse
poi un altro anno a Messina.
Nel mese di luglio del 1962 don
Oerder fu chiamato a lavorare
come docente nella Casa salesia-
na di Velbert. Nel 1964 si trasferì
a Essen-Borbeck per lavorare in
qualità di Direttore della Casa
salesiana di formazione. Gli fu
anche affidato l’incarico dell’ac-
compagnamento vocazionale
nell’Ispettoria della Germania
settentrionale. Nel 1966 Karl
Oerder fu inviato al Consiglio
provinciale di Colonia-Mülheim
con l’incarico di lavorare nell’am-
bito delle pubbliche relazioni
dell’Ispettoria.
Due anni dopo, nel 1968, fu no-
minato Vicario Ispettoriale e l’11
agosto 1970 il Rettor Maggiore
don Luigi Ricceri gli affidò l’in-
carico della guida dell’Ispettoria
della Germania settentrionale.
Don Karl Oerder adempì il suo
incarico di Ispettore dal 1970 al
1978 con grande impegno perso-
nale e, in quel periodo di tensioni
sociali e di conflitti all’interno
della Chiesa, apportò importanti
rinnovamenti nell’Ispettoria. Tra
il 1974 e il 1978, in aggiunta alla
sua mansione di Ispettore fu an-
che Presidente dell’Associazione
dei Superiori (VDO) e membro
del Consiglio delle Missioni Cat-
toliche Tedesche. Dopo la sca-
denza del suo mandato di Ispet-
tore, che era stato prorogato di
due anni, il 15 agosto 1978 gli fu
affidata la direzione della Procura
Missionaria Salesiana di Bonn
dal Rettor Maggiore don Egidio
Viganò. Nello stesso tempo fu
nominato parroco della parroc-
chia di St. Winfried.
Nei successivi venticinque anni,
fino al 2003, don Karl Oerder la-
vorò instancabilmente al Campus
Don Bosco di Bonn: qui radu-
nò tante persone intorno a lui e
stabilì nuovi contatti in ambienti
diversi per sostenere la missione
salesiana; trovò molti amici di-
sponibili a impegnarsi al servizio
dei giovani nello spirito di don
Bosco; suscitò in tanti giovani la
consapevolezza dell’importanza
del servizio disinteressato; formò
laici impegnati; riuscì a edificare
la Procura Missionaria con per-
sonale dedicato; ricevette molte
visite da tutto il mondo, anche
da parte di persone di alto livel-
lo, viaggiò in tutto il mondo e al
suo ritorno coordinava progetti e
informava il numero in continua
crescita di amici e sostenitori.
Grazie a lui la piccola parrocchia
di St. Winfried, che si trovava nel
cuore dell’allora capitale della
Repubblica Federale Tedesca,
diventò un importante luogo di
incontro politico e religioso. Per
ventitré anni don Karl Oerder as-
sociò la pastorale parrocchiale al
suo lavoro nell’ambito della Pro-
cura Missionaria. Per sostenere
l’opera mondiale dei Salesiani, in
particolare negli ambiti dell’istru-
zione e della formazione, fondò
insieme a volontari l’associazio-
ne “Jugend Dritte Welt”, chiama-
ta oggi “Don Bosco Mondo”, in
stretta collaborazione con la Pro-
cura Missionaria che continuò a
guidare.
Dopo venticinque anni di lavoro
instancabile, nel 2003 don Oer-
der rinunciò a dirigere la procu-
ra missionaria, ma dalla casa di
Bonn-Ramersdorf, in cui si tra-
sferì, si impegnò come cappella-
no nella casa di riposo del Sacro
Cuore di Gesù e al servizio delle
suore che lavoravano là e fino al
2010 fu incaricato dell’animazio-
ne missionaria dell’Ispettoria.
A causa del declino della salute,
il 1° dicembre 2012 fu trasferi-
to nella comunità di Jünkerath /
Eifel. Dopo alcune difficoltà ini-
ziali, si ambientò. Quando la sua
malattia degenerativa cominciò a
richiedere un supporto professio-
nale continuo, nel maggio 2018
fu trasferito nella casa di riposo
St. Marien a Colonia, dove fu as-
sistito in modo adeguato fino alla
morte. Don Karl Oerder fu molto
attivo e generoso per tutta la vita.
Ha lasciato una traccia importan-
te e duratura in tante persone,
in tanti luoghi e in molte opere.
Molti hanno ricevuto da lui inse-
gnamenti che hanno orientato la
loro vita e lo ricordano con grati-
tudine. Molti gli sono grati per la
sua compagnia, per la gentilezza
e il senso dell’umorismo che ha
sempre manifestato. Chi lo in-
contrava comprendeva che era
animato da fede autentica e pro-
fonda carità. Vedeva la sua mis-
sione come un impegno vissuto
secondo l’esempio di don Bosco,
affinché soprattutto i bambini e
gli adolescenti poveri e bisogno-
si sperimentassero l’amore di Dio
nella bontà generosa dei missio-
nari salesiani.
Dicembre 2019
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5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
IL PRETE CHE SAPEVA FISCHIARE
Era il 1841, l’anno in cui si realizzò il grande sogno di don Bosco di
costruire un oratorio per ragazzi. Era precisamente il giorno dell’Im-
macolata concezione di Maria, l’8 dicembre. Nella sacrestia, Giu-
seppe Comotti, il chierico, assisteva don Bosco che si apprestava a
celebrare la Santa Messa e stava indossando i paramenti sacri. In
quel mentre, si accorsero che un ragazzetto era in un angolo della
stanza e li osservava. Il chierico gli si avvicinò e, approfittando della
sua presenza, gli chiese di andare ad aiutare a servir Messa. Il ragazzetto, però, mortificato, abbassò gli
occhi e rispose di non saperlo fare. Comotti insisté ma il giovane ripeté di nuovo, forse anche per timi-
dezza, la sua incapacità. “Bestione!” lo apostrofò e lo scacciò con la scopa impugnata a mo’ di randello.
Intervenne il Santo: “Perché lo avete trattato in quel modo?”. “Perché se non sa servir Messa allora è
inutile che se ne stia in sacrestia” fu la frettolosa risposta. “Avete fatto male a scacciarlo, richiamatelo
che è un amico”. Il ragazzetto tornò, i capelli rasati, la giacca sporca di calce e le scarpe impolverate, sul
viso gli si leggeva la tristezza. Probabilmente gli era stato detto di andare alla funzione dell’Immacolata,
ma non se l’era sentita di entrare in chiesa tra la gente ben vestita. Don Bosco gli propose di ascoltare
la Messa e poi di fare una chiacchierata con lui. Così fu. Il
ragazzo si chiamava Bartolomeo Garelli, orfano di entrambi
i genitori, era un XXX. “Hai fatto la Prima Comunione? Sai
leggere? Sai scrivere? Sai cantare?” lo interrogò amorevol-
mente don Bosco e “No” fu la risposta a tutte le domande.
Allora gli chiese “Sai fischiare?” e accennò un motivetto. Il
ragazzo lo guardò stupito e per la prima volta (e chissà da
quanto) sorrise. Diventarono amici, gli fece il catechismo, fu
il suo primo ambasciatore tra i giovani del quartiere e non
scordò mai l’incontro con il prete “che sapeva fischiare”.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. XXX - 15. Un
Laurence tra le più grandi star del Cine-
ma - 16. Dà aroma alla sambuca - 17.
L’Hans pittore tra i fondatori del Dadai-
smo - 19. Avere validità - 20. Quelle
radio viaggiano nell’etere - 21. Quel
che rimane di qualcosa - 23. Nome
maschile - 24. L’elettore vi infila la sua
scheda - 25. C’è quella d’emergen-
za - 26. Il gol nel rugby - 27. Grave
affronto - 28. Osso della gamba - 29.
Beta futuristico amico di Topolino -
30. Attraversa Firenze - 31. La fine di
Landrù - 32. 99 romani - 33. Il Totti
calciatore (iniz.) - 34. Un rifiuto - 35.
La Jai che si gioca negli sferisteri - 36.
Chiude la bottiglia - 38. Collera, rabbia
- 39. La partita è finita quando il game
è … - 40. Stando così le cose - 41.
La nazione con gli Hayatollah - 42. Il
locale dove si svolgono lavori di costru-
zione e riparazione di pezzi metallici.
VERTICALI. 1. Spostamento di
persone od oggetti - 2. Terreno colti-
vato a olivi - 3. Incisa, solcata - 4. Un
cereale simile al grano - 5. C’è quello
al piattello - 6. Sono pari nel dovere
- 7. Iniziali di Redford - 8. Il sonno
dei piccini - 9. Si infrange sugli scogli
- 10. Si rinvia sine se non si fissa
una scadenza precisa - 11. Il Calvino
scrittore (iniz.) - 12. Organismo che
ha bisogno di respirare ossigeno - 13.
Imposta, tributo - 14. Ispidi - 18. Lo
“stelo” che sorregge alcune lampade -
20. Piccolo campo coltivato - 22. Il
nome del chitarrista Clapton - 24. Li
guidava Attila - 25. A noi - 27. Si
consultano quelli dei treni - 28. ...
Amaru l’ultimo re Inca - 30. Uno dei
fratelli Baldwin del Cinema - 31. Me-
tallo conduttore - 33. Abito maschile
con le code - 35. Antenati - 36. Sono
dispari a Teramo - 37. Se è seguito dal
nic si fa colazione all’aperto - 38. Isti-
tuto di Ricostruzione Industriale (sigla)
- 39. Il “di” inglese - 40. Le vocali di
moda - 41. Dentro.
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Dicembre 2019

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Gli auguri
Disegno di Fabrizio Zubani
Il piccolo Carlo era un bambino
timido e tranquillo. Un giorno
arrivò a casa e disse a sua madre
che avrebbe voluto preparare un
biglietto di auguri per Natale per
tutti i suoi compagni di classe.
La madre istintivamente esclamò:
«Ma no! Non è il caso!».
Ogni giorno osservava i bambini
quando tornavano a casa a piedi da
scuola. Il suo Carlo arrancava sempre
per ultimo. Gli altri ridevano e for-
mavano un’allegra e rumorosa com-
briccola. Ma Carlo non faceva mai
parte del gruppo. La madre decise di
aiutare il figlio e acquistò cartoncini
e pennarelli. Per tre settimane, sera
dopo sera, Carlo illustrò meticolosa-
mente ventinove cartoline di Buon
Natale.
Giunse l’ultimo giorno prima delle
vacanze natalizie e Carlo era fuori
di sé per l’emozione.
Accatastò con cura i suoi biglietti,
li mise nello zainetto e corse fuori.
La madre decise di cucinargli il suo
dolce preferito e farglielo trovare
con una tazza di cioccolata calda per
quando sarebbe tornato a casa da
scuola. Sapeva che sarebbe rimasto
deluso e forse in questo modo gli
avrebbe alleviato il dolore.
Avrebbe dato un biglietto di auguri a
tutti, ma lui non ne avrebbe ricevuto
nemmeno uno.
Quel pomeriggio preparò la torta e la
cioccolata. Quando udì il solito vo-
ciare dei bambini, guardò fuori della
finestra. Stavano arrivando, ridendo
e chiacchierando come al solito. E
come sempre l’ultimo era Carlo. Da
solo. Ma aveva le spalle più dritte.
Entrò in casa quasi di corsa e buttò
lo zainetto su una sedia. Non aveva
niente in mano e la madre si aspetta-
va che scoppiasse in lacrime.
«La mamma ti ha preparato la torta
e la cioccolata» disse, con un nodo
in gola.
Ma lui quasi non sentì le sue parole.
Passò oltre, il volto acceso, dicendo
forte: «Neanche uno. Neanche uno!».
La madre lo guardò incerta.
Il bambino la fissò in volto e aggiun-
se: «Non ne ho dimenticato neanche
uno, neanche uno».
Come Gesù: «Questa è la
volontà del Padre che mi ha
mandato: che io non perda
nessuno di quelli che mi ha
dato» (Giovanni 6,39).
Neanche uno.
Dicembre 2019
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Salesiani nel mondo
Perù
Come una famiglia
Tempo delle Spirito
Sette consigli
di San Francesco
di Sales
La santità domestica
Le case di don Bosco
Chieri
Memorie di un portentoso
adolescente
L’invitato
Simba
Il primo sacerdote
salesiano dello Zimbabwe
Missione Salesiani
Isole Salomone
La speranza
nella discarica
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.