Bollettino_Salesiano_201910

Bollettino_Salesiano_201910



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OTTOBRE
2019
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
I nostri eroi
Monsignor
Cagliero
Le case di
don Bosco
Castel
de’ Britti
Salesiani
nel mondo
Argentina

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La sedia
dell’agguato
Sono un povero
residuo scrostato
e spagliato,
ma ero una
bella sedia.
Anche
se vivevo in una
brutta e malfama-
ta bettola di periferia,
ai margini della città di Torino.
I miei proprietari campavano di imprese poco
pulite, furti ed estorsioni. Furono molto in-
quietati da un nuovo vicino di casa, don Bosco,
un giovane prete che aveva aperto una casa per
giovani poveri e abbandonati. Quel continuo
andirivieni li disturbava molto. Decisero di far
fuori la causa di tutto: il prete, don Bosco. Pre-
pararono una trappola.
Una domenica, a sera inoltrata, un uomo bussò
alla porta di don Bosco. «Venga subito, reve-
rendo, c’è una donna che sta morendo e vuole
confessarsi».
«Vengo subito. Mi faccio accompagnare da due
chierichetti».
«Lasci, lasci pure i suoi giovani a casa, non li
disturbi; l’accompagnerò io stesso».
Don Bosco si insospettì e chiamò quattro “chieri-
chetti”, tra cui un certo Giacinto Arnaud e Giaco-
mo Cerruti, così nerboruti e forti, che al bisogno
avrebbero squartato un bue. E poi due robusti
muratori, Ribaudi e Buzzetti Giuseppe, che lasciò
al fondo della scala. Gli altri due salirono con don
Bosco e si fermarono accanto all’uscio.
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
«Quando D. Bosco fu all’aria aperta raccomandò a’ suoi
giovani di non parlare di quel fatto e di non palesare il luo-
go e le persone compromesse; e soggiunse: “Perdoniamo
loro e preghiamo per essi, perché si ravvedano. Disgrazia-
ti: sono nemici della religione!”» (MB IV, 703-705)
Entrato, don Bosco scorse in un
letto una donna rantolante, che
pareva veramente sul punto di spi-
rare. Don Bosco si sedette accanto
e invitò gli astanti ad allontanarsi,
per parlar liberamente alla malata.
Con una vociaccia, poco femminile, la
donna sbraitò: «Prima di confessar-
mi, io voglio che quel briccone
là si ritratti tutte le calunnie
che ha detto su di me» e
indicava un brutto ceffo. «No»
rispose quello scagliandosi verso
il letto. «Ha ragione!» schiamazzò
un altro. «No!» «Sì» «Taci, infame, ti stroz-
zo». Si scagliarono uno addosso all’altro, chiuden-
do pericolosamente don Bosco in un cerchio di
pugni. Improvvisamente si spensero le luci e una
grandine di bastonate piovve verso don Bosco,
che però aveva capito tutto: afferrò proprio me,
mi usò come elmo protettivo e cercò di aprirsi la
strada a spallate. Colpi e bastonate finivano così
tutti su di me, povera sedia innocente!
Don Bosco giunse all’uscio e, trovatolo chiuso a
chiave, con quella forza muscolare straordinaria
di cui era fornito, con una mano ne contorse e
strappò la serratura, intanto che a quel rumore
i giovani appostati, irruppero dentro. Arnaud
prese don Bosco per un braccio, lo tirò fuori
mentre i malviventi davanti ai pugni dei giovani
pensarono bene di non reagire.
I feriti furono solo due: io e don Bosco. Il
giovane prete fu colpito al pollice della mano
sinistra, che in quel parapiglia teneva appoggiata
sullo schienale della sedia. Il colpo gli portò via
l’unghia e metà della falange, sicché dopo 30 e
più anni ne conservava la cicatrice.
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Ottobre 2019

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IL
OTTOBRE 2019
ANNO CXLIII
Numero 09
Mensile di
informazione e
OTTOBRE
2019
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
edito dalla
I nostri eroi
Monsignor
Cagliero
Le case di
don Bosco
Castel
de’ Britti
Salesiani
nel mondo
Argentina
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Quando la pioggia porta gioia
e benedizione dal cielo (Foto Riccardo Mayer,
Water for Africa Symbol, Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 SALESIANI NEL MONDO
Argentina
10 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
12 FMA
La Spezia
14 LE CASE DI DON BOSCO
Castel de’ Britti
18 L’INVITATO
Pakistan
22 UNO SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
Amazzonia
26 LA NOSTRA STORIA
Giù dai colli
28 I NOSTRI EROI
Monsignor Cagliero
32 TEMPO DELLO SPIRITO
Spiritualità Masai
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
6
18
28
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 66
edizioni, 31 lingue diverse e
raggiunge 132 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
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Hanno collaborato a questo
numero: Agenzia Ans, Pierluigi
Cameroni, Roberto Desiderati,
Emilia Di Massimo, Ángel
Fernández Artime, Claudia
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Cesare Lo Monaco, Alessandra
Mastrodonato, Francesco Motto,
Pino Pellegrino, Giampietro
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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
La danza dei rabgrazozni zdio
Il monumento a don Bosco davanti alla Basilica
di Maria Ausiliatrice a Valdocco è un simbolo
della missione dei salesiani nel mondo.
M iei cari amici lettori del Bollettino
Salesiano, vi saluto dalla bella India,
da Dimapur, Nagaland, al nordest,
alla frontiera con altre nazioni. Qui
dove la presenza salesiana ha messo
salde e bellissime radici e di grande
fedeltà a don Bosco.
Proprio vedendo le straordinarie scene di acco-
glienza che vivo in tutto il mondo, mi viene in
mente un simbolo dell’amore e della riconoscenza
che gli amici di don Bosco hanno voluto erigere
proprio davanti alla Basilica di Maria Ausiliatri-
ce. Il monumento a don Bosco.
Fra qualche mese avrà cento anni. Li porta bene e
come un fedele guardiano dà il benvenuto a tutti
quelli che entrano nella Casa Madre. Come succe-
de spesso, siamo così abituati a vederlo che lo de-
gniamo di un’occhiata frettolosa e tiriamo diritto.
E pensare che l’idea di un monumento in questa
piazza era venuta in mente addirittura a don Bosco.
Un giorno, quando era già incominciata la co-
struzione della Basilica dell’Ausiliatrice, attraver-
sando la piazza che era ancora in terra malamente
battuta, don Bosco si fermò a contemplare le linee
della facciata nascente e poi girò lo sguardo in-
torno, quello sguardo sognante e deciso che gli
era tipico, e disse al sacerdote che lo accompa-
gnava: «Qui in mezzo mi piacerebbe innalzare un
monumento che rappresentasse Mosè in atto di
percuotere la rupe, e da questa far zampillare una
vena d’acqua che venisse raccolta da una vasca».
Oggi, c’è un monumento in mezzo alla piazza.
Non è esattamente quello che immaginava don
Bosco, ma esprime qualcosa di più.
L’epopea dell’opera salesiana
Il 10 settembre 1911, l’idea di un monumento a
don Bosco per la ricorrenza del primo centenario
della sua nascita esplose al Congresso Internazio-
nale degli exallievi. Aderirono subito moltissimi
personaggi di tutto il mondo. Il municipio di To-
rino concesse lo spazio e un piccolo contributo. Fu
bandito un concorso a cui parteciparono artisti di
tutto il mondo. Venne scelto il progetto presentato
dallo scultore Gaetano Cellini di Ravenna.
Tutto era pronto, ma la tremenda Prima Guerra
Mondiale fece slittare l’inaugurazione, che av-
venne solo alle ore 11 del 23 maggio 1920, vigilia
della festa di Maria Ausiliatrice.
Quando cadde il velo che copriva il monumento,
le migliaia di persone presenti scoppiarono in un
convinto e commovente applauso.
Modellata nel bronzo e appoggiata a robusto gra-
nito c’è l’epopea dell’opera salesiana.
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In alto, la mite e sorridente figura di don Bosco è
circondata da una corona di ragazzi, che sembrano
danzare intorno a lui. Don Bosco fa un gesto mol-
to espressivo, sembra che voglia sollevare uno dei
ragazzi. È un magnifico simbolo della missione
sua e della Congregazione: la parola educare signi-
fica proprio “tirare su”, elevare, far crescere. Il tono
è gioioso, quello proprio della spiritualità salesiana
dove il clima di amicizia tra l’educatore e il giovane
è di grande aiuto per la crescita personale. Con la
tradizione di san Francesco di Sales crescere nella
fede, anche avendo una guida, non sarà possibile se
non c’è vera amicizia, comunicazione, influsso re-
ciproco; un’amicizia che arriva ad essere veramen-
te spirituale. Il rapporto tra formatore salesiano e
giovani deve essere improntato alla “più grande
cordialità”, perché la famigliarità porta amore, e
l’amore porta confidenza. I ragazzi guardano don
Bosco pieni di fiducia perché sono certi di essere
amati.
Lo specchio
In basso, un magnifico gruppo rappresenta l’u-
manità che si curva al bacio della Croce che
le viene presentata dalla Fede. «Questa
società nel suo principio era un semplice
catechismo» attestò don Bosco. Questo
riporta alle origini e alle radici della
Congregazione Salesiana. Da don Bosco
ha imparato la passione evangelizzatrice
per portare ogni ragazzo, ogni persona
all’incontro con Gesù.
Nei due altorilievi del fronte vi è, a destra,
una madre con un bimbo in braccio
che manda baci
a don Bosco; a sinistra, un povero lebbroso che
guarda riconoscente il suo benefattore.
Ai lati, due degli “amori bianchi” promossi da
don Bosco, l’Eucaristia e l’Ausiliatrice sono fusi
nell’idea della missione “ad gentes” e in quella
della famiglia.
Nel retro, tre bassorilievi ricordano quanto i sa-
lesiani hanno fatto e fanno per l’assistenza agli
emigrati. Quelli di ieri e quelli di oggi. Penso a
quante case salesiane, in tutto il mondo, hanno
le porte aperte per migranti di ogni età. Penso ai
campi profughi e alle Case Famiglia. Ai lati sono
raffigurate le Scuole Professionali e Agricole Sa-
lesiane. Ogni giorno, migliaia di giovani entrano
nelle nostre case per diventare “buoni cristiani e
onesti cittadini”.
Come in un gioco di specchi, proprio alle spalle
della figura di don Bosco, al centro della facciata
della Basilica, spicca nettissima la statua di Gesù
con i fanciulli. «Lasciate che i bambini vengano a
me: a chi è come loro infatti appartiene il regno di
Dio» (Mc 10,14). In tutto il mondo ho visto i figli
di don Bosco realizzare le parole di Gesù con im-
mutata passione. Per questo partono ancora di
qui i nuovi missionari e missionarie.
Ho visto soprattutto l’infinita ricono-
scenza di innumerevoli uomini e don-
ne per quello che hanno ricevuto nel
nome di don Bosco. E quando arrivo
in una casa salesiana, in una qualun-
que nazione del mondo, mi sembra
di rivedere intorno a me il girotondo
dei fanciulli del monumento. Con
quella gioia soddisfatta che
auguro a tutti voi.
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SALESIANI NEL MONDO
GIAMPIETRO PETTENON
Argentina Quiarrivaronoiprimimissionari
salesiani. Oggi sono molti a
operare in questa nazione che
è una delle più prospere e
sviluppate del continente, ma che
ha le “vene aperte” delle periferie
d’incredibile miseria.
Una via di Buenos
Aires con un
murale per don
Bosco.
Siamo arrivati a Buenos Aires, la capitale
dell’Argentina. Questo lungo viaggio in
aereo – 14 ore di volo – ha un sapore del
tutto particolare perché ha avuto come
città di partenza e di arrivo le stesse dei
primi missionari salesiani che nell’au-
tunno del 1875 ricevettero il crocifisso nella Ba-
silica di Maria Ausiliatrice a Valdocco e furono
inviati da don Bosco in Argentina.
Erano dieci i salesiani che ricevettero per primi
il crocifisso ed il mandato missionario da don
Bosco. Arrivati a Buenos Aires fu loro affidata
la cura di una chiesa appena costruita intitolata
alla Madonna “Madre della Misericordia”, che
divenne subito la chiesa degli italiani. È stata una
autentica emozione visitare questa bella chiesa in
stile neoclassico e sapere che per gli emigrati ita-
liani di fine Ottocento, questo era il loro punto
di riferimento in terra di Argentina e che i pri-
mi grandi missionari salesiani proprio da questa
“base mariana” hanno avviato la grande epopea
dell’evangelizzazione della Patagonia, riconosciu-
ta ed apprezzata spesso dal nostro attuale papa
Francesco, anch’egli figlio di emigrati astigiani,
nato a Buenos Aires e battezzato nella grande ba-
silica di Maria Ausiliatrice costruita e gestita dai
salesiani fin dai primi anni del Novecento.
I salesiani in Argentina si impegnarono contem-
poraneamente nell’opera evangelizzatrice delle
popolazioni indigene delle zone più lontane dai
porti di approdo dei migranti europei fino alla
Terra del Fuoco, ma anche consolidarono la pre-
senza nelle città, in particolare a Buenos Aires,
che fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del No-
vecento era una grande metropoli in espansio-
ne. Città molto bella, Buenos Aires, con palazzi
grandiosi in stile liberty che la fanno assomigliare
in alcuni scorci alla Parigi della Belle Epoque.
Attualmente l’area metropolitana della capitale
aggrega un terzo dell’intera popolazione dell’Ar-
gentina. Le statistiche parlano di un agglomerato
urbano di circa 15 milioni di abitanti... è davvero
enorme!
Il popolo dei “barrios
I figli di don Bosco hanno grandi parrocchie
ed enormi scuole in questo vasto territorio. Ma
quelle che colpiscono maggiormente sono ora le
opere a vantaggio dei ragazzi più poveri: i ragazzi
di strada, i disoccupati spesso schiavi della droga,
gli immigrati. Purtroppo queste situazioni di de-
grado sono il frutto di crisi economiche continue
che colpiscono l’Argentina, un paese ricchissimo
di risorse naturali e con un’economia diversifica-
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ta che la potrebbe rendere generosa verso i suoi
abitanti.
Effettivamente l’Argentina è uno dei paesi più
sviluppati dell’America Latina, in cui la scuola e
la sanità gratuite sono servizi di base accessibili a
tutti. Proprio per questo è meta di immigrazione
da parte dei popoli limitrofi più poveri: abitanti del
Paraguay, della Bolivia ed ultimamente anche del
Venezuela che povero non è, ma si trova in una
condizione politica ed economica a dir poco disa-
strosa. Questa povera gente che lascia la propria
terra per venire in Argentina, si stabilisce nei bar-
rios periferici della metropoli, vere e proprie bidon-
ville dove i servizi igienici, le strade e i trasporti
pubblici sono un miraggio... ciononostante gli
immigrati non sono trattati da clandestini dall’Ar-
gentina, che li riconosce immediatamente dando
loro una carta di soggiorno, non ponendo alcuna
barriera alle frontiere, e garantendo come meglio
può l’accesso ai servizi di base, come sono proprio
la scuola e la sanità pubbliche e gratuite per tutti.
tale argentina ed oggi al centro di enormi quar-
tieri che costituiscono la metropoli moderna di
Buenos Aires. E “opere di frontiera”, nate negli
anni recenti fra case e baracche che accolgono
centinaia di migliaia di poveri che dall’estero, e
anche dalla campagna, continuano a spostarsi
verso la grande città in cerca di fortuna.
Fra le tante case salesiane che abbiamo visitato
in questa città, alcune delle quali gestite comple-
tamente da laici ben preparati ed innamorati del
carisma salesiano, un’attività in particolare mi ha
colpito.
È la parrocchia «Don Bosco» in un quartiere
periferico a sud di Buenos Aires, che proprio
da don Bosco prende il nome. Una parte del
quartiere è costituita da case piccole e dignitose.
C’è poi una zona bassa, una cava da cui hanno
tratto il materiale per costruire l’autostrada
vicina, che progressivamente si è popolata di
gente senza nulla... ne è nato un secondo quartiere
popolato ora da circa 60 mila persone che vivono
in condizioni disumane in cui i bambini giocano
in mezzo a cani randagi, topi e maiali che
circolano liberamente su mucchi di spazzatura,
un acquitrino perenne sulla parte più bassa della
cava... attraversare questo quartiere è ricevere un
pugno allo stomaco che lascia senza fiato!
I tre salesiani della comunità che anima la par-
rocchia sono persone semplici e dirette. Vivono
Con i salesiani
l’allegria è sempre
assicurata, anche
nelle periferie più
disagiate.
La parrocchia “Don Bosco”
Nella città e nella provincia di Buenos Aires ci
sono collegi con migliaia di studenti dalla scuola
materna alla secondaria superiore, un tempo dis-
seminati nella campagna che circondava la capi-
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SALESIANI NEL MONDO
Insieme a grandi
e magnifiche
scuole di ogni
livello, i salesiani
hanno degli hogar
(focolari) e scuole
professionali nelle
zone povere.
in una casa poverissima dove è difficile trovare
qualcosa di superfluo. Sono poveri tra i poveri.
La delinquenza nel quartiere è alta a causa della
grande disoccupazione che affligge gli uomini e i
giovani. Per dare un lavoro a quanti più possibile,
i salesiani hanno messo in piedi una cooperativa
che raccoglie e differenzia la spazzatura: cartoni e
plastica vengono raccolti da uomini che spingono
carretti lungo le strade e venduti poi una volta che
sono ben impacchettati. Non si guadagna molto,
ma meglio che niente. Accanto all’oratorio han-
no avviato corsi di formazione professionale brevi
e semplici per tenere occupati i ragazzi ed inse-
gnare loro un mestiere: falegnameria, carpenteria
metallica, gastronomia.
Hanno poi una casa-famiglia, un “hogar” che let-
teralmente significa “focolare”, che attualmente
accoglie 25 ragazzi di strada o che vivono situa-
zioni di violenza e abuso familiare per cui è bene
che siano allontanati dal contesto familiare. Ge-
stiscono poi un centro di accoglienza diurno per
giovani che fanno uso di droghe, non le droghe
che conosciamo noi perché costerebbero trop-
po e non sono alla loro portata. Questi fumano
i residui tossici della lavorazione della cocaina,
aspirano i vapori del gasolio, si versano gocce di
alcol denaturato sugli occhi perché, mi hanno
spiegato i padri salesiani, essendo l’occhio ricco
di capillari, l’alcol viene assorbito subito dal san-
gue ed entra in circolo, provocando stordimento
quasi immediato. Situazioni così lasciano senza
parole... Dopo una giornata insieme a questi ra-
gazzi disgraziati, in cui hanno cercato di tenerli
impegnati con attività varie, prima di mandarli
a casa, se una casa ce l’hanno, danno loro una
sostanziosa cena.
I salesiani ci hanno spiegato che la pancia piena
è la miglior terapia contro l’uso di droghe. Perché
spessissimo questi poveri giovani si drogano solo
perché hanno fame e non hanno nulla da man-
giare e un po’ di veleno nel sangue li aiuta a di-
menticare la fame e la miseria in cui vivono.
Cordoba e Rosario
Cordoba e Rosario sono grandi città che sfiora-
no i due milioni di abitanti ciascuna. Hanno un
bel centro storico di impianto coloniale e poi uno
sviluppo continuo di quartieri – barrios – che dal
centro si dilatano a cerchi concentrici verso le pe-
riferie.
Nelle grandi città argentine sono evidenti tre ca-
tegorie di quartieri: quelli eleganti, di chiara im-
pronta europea, dove le case, i palazzi, le strade, i
giardini sono curati, puliti, signorili.
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Ci sono poi i quartieri popolari in cui i palazzi
sono grigi, squadrati e po’ scrostati. Si percepisce
di non essere più al centro, ma comunque la vita
dei suoi abitanti è pur sempre dignitosa anche se
povera.
Poi, voltato l’angolo, o superata una linea ferro-
viaria, oppure passato un ponte, si aprono scenari
apocalittici di baracche e case fatte con materiale
di recupero, dove intere famiglie vivono ammas-
sate in un’unica stanza. Dalle porte delle case esce
musica a tutto volume. E poi escono bambini,
tanti bambini.
A Cordoba e a Rosario i salesiani hanno grandi
scuole e belle chiese nel centro delle due città.
Man mano che le città sono cresciute abbiamo
costruito nuove e grandi opere nei barrios di pe-
riferia con scuola dell’infanzia, scuole primaria e
secondaria, parrocchia, oratorio festivo e centri di
formazione professionale. Così sono le opere di
sant’Antonio da Padova a Cordoba e san Dome-
nico Savio a Rosario.
In entrambe le città i salesiani si sono fatti carico
di una presenza anche fra i più poveri, avviando
pure qui esperienze di animazione giovanile, bre-
vi corsi di formazione professionale, mensa per i
poveri...
Nell’opera sant’Antonio da Padova a Cordoba
abbiamo conosciuto Juan Pablo, un giovane con
un sorriso timido – di 28 anni, che non dimostra
affatto – che coordina un lavoro straordinario.
È responsabile del centro di formazione profes-
sionale frequentato da 400 persone (giovani e
adulti disoccupati) che cercano di raggiungere
una professionalità in grado di inserirli nel mondo
del lavoro. I corsi sono del tutto gratuiti affinché
nessuno possa dire che non ha avuto almeno una
occasione per farcela.
Oltre alla formazione professionale, Juan Pablo
è anche il direttore dell’oratorio che durante la
settimana è aperto ai ragazzi del doposcuola e
nei fine settimana con le attività ricreative e dei
gruppi formativi.
Proprio con i ragazzi dei gruppi formativi va an-
che nel barrio-villa, fra i gitani e i più poveri per
fare animazione di strada, coinvolgendo i ragazzi
in quello che a loro piace: sport, clownerie, nu-
meri acrobatici da circo... Sono le occasioni per
un contatto, la conoscenza delle persone e la con-
fidenza, che porta ad aprire il cuore e venire a
conoscenza delle povertà personali, dei drammi
familiari.
Grazie Juan Pablo, perché come il nostro padre
don Bosco, sai trovare le modalità per fare il pri-
mo passo ed avvicinare gli ultimi, i più sfortunati,
e sai coinvolgere i ragazzi dei gruppi dell’oratorio
in questa bella opera di carità.
I giovani dei
gruppi formativi
sono coinvolti
come animatori
nelle attività di
quartiere.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Crescere:
paura o entusiasmo?
L’età adulta sembra abbia
da sempre spaventato
qualsiasi giovane.
Ma come vivono i ragazzi
di oggi questo inevitabile
passaggio?
Katia, 17 anni
Non bisogna aver paura
di crescere.
L’essere adulto, per definizione, è una
persona che raggiunge il pieno svi-
luppo sia fisico sia psichico. Diventa-
re adulti, per me, significa avere più
responsabilità. Nel momento in cui si
diventa autonomi, ognuno impara ad
avere il controllo della propria vita e
delle proprie azioni.
Si diventa adulti quando si comincia
ad avere una percezione del mondo
in cui si vive, quando si impara come
funziona la società e come essere par-
te integrante di essa. Si diventa adulti
quando si è capaci di comprendere il
mondo e assumere la responsabilità
delle proprie azioni.
Non ho mai visto “l’essere adulto” con
timore. Nonostante le conseguenze
che vengono con l’essere un’entità se-
parata che prende delle decisioni per
sé, io non vedo l’ora di poter raggiun-
gere quel punto. Sbagliando e impa-
rando da me stessa e da altre persone
in altri contesti e ambiti. Non bisogna
aver paura di crescere. Non c’è un mo-
mento preciso in cui si passa dall’essere
un ragazzo ad un adulto, è un processo
che va avanti da tempo prima.
Solitamente si ha paura di ciò che non
si conosce. La paura di diventare adulti
però è molto più di questo. Da fuori si
sente sempre la pressione di dover es-
sere in un determinato modo. Ognuno
ha le proprie passioni e le proprie aspi-
razioni e diventare adulti, forse, è anche
avere consapevolezza delle difficoltà
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che si dovranno affrontare, per rea-
lizzare i propri sogni e anche accettare
il fatto che forse non si realizzeranno.
Rosario, 15 anni
A volte vorresti vivere la tua
vita sempre al massimo.
Per me diventare adulti vuol dire
avere tante responsabilità. Si diventa
adulti quando si crea una famiglia,
perché con la famiglia devi lavorare
per mantenerla, crescere i figli, quindi
non puoi fare tante cose che i ragazzi
di oggi fanno.
Secondo me si ha paura di diventa-
re adulti e questo perché alcune volte
anche da adolescente ti viene voglia di
tornare bambino, perché capisci mol-
te cose che a volte non vorresti capire
e vorresti vivere la tua vita sempre al
massimo. Le cause di questa paura
sono la crescita e la voglia di tornare
indietro.
Vittoria, 19 anni
Credo che non ci sia un’età che
dica “ora sei adulto”.
Per me diventare adulti significa as-
sumersi delle responsabilità in modo
da riuscire a raggiungere degli obiet-
tivi che ognuno di noi ha. Il raggiun-
gimento di questi obiettivi ci permet-
te di realizzarci.
Credo che non ci sia un’età che dica
“ora sei adulto”, ma che siano, come
ho detto prima, una serie di cose che
ti permettono di raggiungere “l’esse-
re adulto”. Io non ho paura, è solo un
traguardo che spero di raggiungere e
se dovessi farlo sarò comunque fiera
di quello che ho fatto per averlo rag-
giunto!
Congresso Internazionale
di Maria Ausiliatrice
L a Famiglia Salesiana dell’Argentina si prepara
ad accogliere l’VIII Congresso Internazionale
di Maria Ausiliatrice, evento promosso dall’As-
sociazione di Maria Ausiliatrice, che quest’anno
celebra il 150° di fondazione. Il Congresso si svol-
gerà a Buenos Aires dal 7 al 10 novembre con la presenza del Rettor
Maggiore e di altri superiori e responsabili dei gruppi della Famiglia Salesiana.
Numerosi istituti, santuari, cappelle dell’Argentina portano il nome dell’Au-
siliatrice, come monumenti eretti in suo onore, dando testimonianza della
profonda devozione alla Madonna di Don Bosco in questo Paese, luogo dove
giunsero i primi missionari salesiani, nel 1875. Uno dei luoghi più emble-
matici è senza dubbio la Basilica di Maria Ausiliatrice situata nel quartiere
di Almagro. Parafrasando il primo articolo del Regolamento dell’ , si
può affermare che questo santuario, come quello di Torino, è per i salesia-
ni dell’Argentina punto di diffusione della loro missione, centro di coesione
delle opere e fonte di grazia. È, inoltre, luogo caro a papa Francesco, che qui
venne battezzato, nel Natale del 1936, e che vi trovò costantemente un’oasi
di preghiera personale e di affidamento all’Ausiliatrice anche da cardinale.
Ottobre 2019
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FMA
EMILIA DI MASSIMO
Una casa chiamata
speranza LeFigliediMariaAusiliatrice
della Spezia hanno aperto la loro casa
ai profughi in fuga dall’Africa e a tutti
coloro che affrontano il lungo viaggio
Progettare una nuova casa di
accoglienza richiede requisiti
strutturali e gestionali, mo-
dalità organizzative e obiet-
tivi ma l’ingrediente che non
può assolutamente mancare è
verso un’opportunità di vita diversa.
la collaborazione, soprattutto quando
si desidera rispondere all’emergenza
umanitaria dell’immigrazione che si
sta intensificando negli ultimi anni. La
capacità di collaborare ha dato vita ad
una nuova casa di accoglienza per rifu-
giati politici e richiedenti asilo. Ma chi
sono i soggetti di cui si sta parlando?
La Caritas diocesana della Spezia (Sar-
zana-Brugnato) e le Figlie di Maria
Ausiliatrice hanno unito le risorse e si
sono fattivamente impegnate nell’aiu- Gli operatori e le suore, ad una sola Un luogo di convivenza pacifica dove persone
to, nell’istruzione, nell’accoglienza voce, ci dicono che è a partire dalla di origine, fede e pensiero politico differente,
possono sentirsi capite e accolte, dove un sorriso
dell’altro, sostenendosi reciprocamente riflessione sul dramma dell’immigra- e uno sguardo non mancano mai.
per far sentire a casa coloro che hanno zione che hanno deciso di impegnarsi
lasciato la propria terra.
attivamente nell’accoglienza dei giova- parole chiave per affrontare il percorso
Il progetto, attuato dal 2016, è nato ni ragazzi che scontano sulla loro pel- insieme. Un percorso di speranza. Il
con lo scopo di accogliere ed aiutare, le il terribile destino che spetta a chi nostro scopo è sempre stato quello di
nel loro percorso di speranza, i profu- nasce dalla parte “sbagliata” del mon- creare un luogo di convivenza pacifica
ghi in fuga dall’Africa, dunque coloro do. Ogni giorno ci impegniamo per dove persone di origine, fede e pensie-
che affrontano il lungo viaggio verso garantire loro un pasto caldo, un letto ro politico differente, possano sentirsi
un’opportunità di vita diversa; ciò è in cui poter dormire e un tetto sotto capite e accolte, dove un sorriso e uno
possibile rendendoli particolarmente cui potersi sentire al sicuro. Il dialogo, sguardo non manchino mai. Tante
parte integrante della società.
l’ascolto e la consapevolezza, sono le volte ci dimentichiamo come i piccoli
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Ottobre 2019

2.3 Page 13

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gesti siano in realtà grandi doni per il
cuore di chi vive in una condizione di
estrema vulnerabilità. Il nostro com-
pito oggi è quello di accompagnare i
giovani che ci vengono affidati in un
nuovo percorso di vita mediante pro-
getti di scolarizzazione, tutela sanita-
ria, legale, e favorendo l’integrazione
socio-culturale.
Una sola razza
Quanto viene svolto è incisivo in
base alla testimonianza attuale che
ha radici nel passato, in ciò che si è
seminato precedentemente: con tanta
forza e tenacia, nonostante qualche
ostacolo sul loro cammino, i nostri
ragazzi si stanno impegnando in pro-
fondità per integrarsi nel nostro tes-
suto sociale. Tentano di ricostruire le
loro vite, mattoncino su mattoncino.
Molti di loro stanno affrontando per-
corsi di studio per il conseguimento
della licenza media, presto avremo un
diplomando della scuola superiore e
altri che conseguiranno la qualifica
professionale di cuoco. Ognuno con
il suo progetto di vita, ma tutti con
la voglia di riscattarsi e costruirsi quel
futuro che nel loro Paese è stato loro
negato.
All’Istituto Maria Ausiliatrice i ra-
gazzi trovano quotidianamente un
luogo di pace, un ambiente estrema-
mente accogliente; le suore hanno
allestito uno spazio mensa dove poter
ritrovarsi e condividere insieme un
momento speciale e di vera convivia-
lità come è quello del pasto. I giova-
ni, fin dall’inizio, si sono dimostrati
grati dell’opportunità che veniva loro
offerta rispondendo con l’impegno
quotidiano di curare gli alloggi e gli
spazi adibiti per loro.
Nel corso di questi anni di collaborazio-
ne sono stati molti i momenti di frater-
nità e condivisone che abbiamo vissuto
insieme, ci dice un’operatrice. I ragazzi
hanno partecipato a diversi incontri,
sia con la pastorale giovanile sia con le
Figlie di Maria Ausiliatrice, portando
la loro testimonianza di vita: raccon-
ti toccanti, istantanee di vita trascorsa
ma ancora presente nei loro occhi, a tal
punto da raggiungere i numerosi cuori
che li hanno ascoltati ed accolti. Non
sono mancate anche le occasioni di gio-
co e di festa, che hanno lasciato in tutti
noi l’impronta di un’accoglienza positi-
va e stimolante, dimostrando così che
la distanza è solo una questione di spazi
e non di appartenenza.
Lo spirito di famiglia, peculiarità
della spiritualità salesiana, si respira
nei corridoi dell’Istituto e favorisce
una perfetta integrazione dei ragaz-
zi, evidentemente in grande misura
se, spontaneamente, i giovani si sono
offerti di aiutare le suore nei lavori di
manutenzione e di pulizia del luogo
che li ospita: un segno concreto per
ringraziare le sorelle che ogni gior-
no si impegnano perché il progetto
di condivisione rimanga nei cuori di
tutti noi come un dono speciale di in-
contro e conoscenza.
Ottobre 2019
13

2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
LA COMUNITÀ
Castel
de’ Britti
«Quando usciamo
nel nostro cortile
dalle officine e dai
laboratori vediamo
colline, boschi,
prati, contadini
che lavorano la
terra, cinghiali,
caprioli e lepri che
passeggiano».
L asciando il grande traffico della via Emi-
lia e percorrendo per qualche minuto la
strada che conduce al passo della Ratico-
sa, ci si immerge fra le colline dove si trova
Castel de’ Britti. Giunti in questo piccolo
paese che è una frazione di San Lazzaro di
Savena si nota subito una grande scritta all’inizio
di un caseggiato giallo: “Salesiani Don Bosco”.
Da un cancello si entra nel grande cortile della
struttura, in cui si trovano la comunità salesiana e
il centro di formazione professionale, dove ormai
da molti anni si insegna ai giovani un mestiere.
Oltre al meraviglioso ambiente che lo circonda e
che lo rende un po’ diverso da tutti gli altri centri
presenti in città, è il lavoro dei salesiani e degli
istruttori a rendere questo luogo un po’ magico:
una scuola che educa, una casa che accoglie, una
comunità in cui i ragazzi possono crescere e im-
parare, diventare autonomi per potersi costruire
un futuro con le loro mani.
La storia
La storia salesiana di Castel de’ Britti iniziò nel
1910 quando la nobildonna Teresa Spada, con
disposizione testamentaria lasciò in donazione ai
Salesiani la sua villa di Castel de’ Britti, situata in
località detta “Barca”. Era un’antica villa padro-
nale, con i terreni circostanti, che doveva essere
usata come casa di vacanza per gli alunni orfani
del Collegio di Bologna.
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Ottobre 2019

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Il primo incaricato di organizzare l’opera fu don
Bianchi, un salesiano attivo ed intraprenden-
te; dal 1921 al 1926 la villa ospitò il Noviziato
dell’Ispettoria (tra i novizi presenti si ricorda in
particolare don Elia Comini, del quale è stata in-
trodotta la causa di beatificazione).
Nel 1933 ai Salesiani veniva affidato un nuovo
campo di lavoro: la parrocchia.
Nell’autunno del 1944, i bombardamenti aerei
distrussero molte abitazioni di Castel de’ Britti e
colpirono anche la villa. Per i danni subiti l’O-
pera sarebbe forse scomparsa, se la magnifica
intraprendenza del salesiano don Antonio Gavi-
nelli, parroco del Sacro Cuore di Bologna, non
avesse provveduto alla ricostruzione riparando
la villa e ampliando i locali per poter accogliervi
un centinaio di fanciulli orfani, che ritrovarono
una casa. Essi frequentarono la IV e V elementa-
re in preparazione alle scuole professionali, o agli
studi medi. Quest’opera a favore soprattutto dei
ragazzi orfani e particolarmente bisognosi, durò
dal 1949 al 1967, quando l’Istituto si trasformò in
scuola media. I bambini assistiti in questi 18 anni
furono circa 800; molti di loro, finite le scuole
elementari, proseguirono ulteriormente gli studi
a Bologna.
Nel 1990 la casa divenne sede del Centro «Don
Gavinelli». Da allora ha cominciato a dedicarsi
alla Formazione professionale preparando buoni
artigiani e ponendo attenzione particolare anche
per ragazzi in disagio sociale, inviati dagli Assi-
stenti Sociali del Comune di Bologna e dei co-
muni limitrofi.
La scuola di oggi
Nel 2006 viene nominato direttore per la seconda
volta, dopo una precedente esperienza negli anni
’90, don Giacinto Panfilo. Il ritorno di “don Cin-
to”, il grande lavoro svolto da don Antonio Gan-
dossini (decano di questa comunità), la collabo-
razione di istruttori competenti e preparati, oltre
all’aumento del numero di ragazzi stranieri o di
italiani provenienti da esperienze di abbandono
scolastico, determinano il definitivo rilancio della
struttura.
Quest’anno la nostra scuola è un mosaico di
tanti paesi diversi: Italia, Filippine, Romania,
Pakistan, Santo Domingo, Marocco, Moldavia,
Ucraina, Bangladesh, Macedonia, Nigeria, Alba-
nia, Angola, Tunisia, Colombia.
In questo momento il centro è al massimo della
ricettività, si occupa di educare e di accompagna-
re al mondo del lavoro anche giovani che escono
dai tradizionali canali dell’istruzione scolastica,
ragazzi che vivono situazioni di disagio sociale,
giovani immigrati da poco arrivati nel nostro
paese ai quali si offre anche la possibilità di risie-
dere all’interno della comunità.
Le strutture operative esistenti sono costitui-
te dal laboratorio di falegnameria e dall’officina
idraulica, perfettamente attrezzate con macchine
certificate e di massima sicurezza; dalle aule mul-
tifunzionali per l’insegnamento dell’informatica
e del disegno, della tecnologia, della lingua ita-
liana, della storia, della geografia, della lingua
inglese e della matematica.
Il centro si occupa
di educare e di
accompagnare
nel mondo del
lavoro giovani
che escono dai
tradizionali canali
dell’istruzione
scolastica, ragazzi
che vivono
situazioni di
disagio sociale,
giovani immigrati
arrivati da poco.
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2.6 Page 16

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LE CASE DI DON BOSCO
La casa di Castel de’ Britti potrebbe svilupparsi
come centro di una rete dei Salesiani per il sociale
nel territorio di Bologna e provincia, coinvolgen-
do tante forze di laici che hanno a cuore i giovani,
in particolare quelli che dalla vita hanno avuto di
meno.
I corsi hanno
durata biennale
e terminano
con un esame
che conclude
il percorso,
attestando
una Qualifica
Professionale
riconosciuta in
tutti i paesi della
Comunità Europea.
Per i ragazzi che non hanno ottenuto la licenza
media (stranieri per la maggior parte) è previsto
un corso biennale di preparazione all’esame di
stato, che si svolge prima dell’esame per l’otteni-
mento della qualifica professionale.
«I corsi attuali sono accreditati e sovvenzionati
dalla Regione Emilia Romagna mediante i fondi
regionali e il Fondo Sociale Europeo. I nostri corsi
hanno durata biennale e terminano con un esame
che conclude il percorso, attestando una Qualifi-
ca Professionale riconosciuta in tutti i paesi della
Comunità Europea. Un gruppo di istruttori e di
educatori altamente qualificati segue i ragazzi nei
due profili professionali di riferimento: “Installa-
tore e manutentore di impianti termoidraulici” e
“Operatore del legno e dell’arredamento”. I corsi
sono gestiti dall’Associazione Cnos-Fap Emilia
Romagna in stretta collaborazione con la sede di
Bologna, situata in Via Jacopo della Quercia n.
1, presso cui si trovano anche la segreteria e la
direzione generale».
Accanto alla Formazione Professionale si è aperta
una comunità di accoglienza per minori, “comu-
nità familiare Centro Gavinelli”. La famiglia è la
comunità salesiana con l’aiuto di educatori. Per
alcuni anni ha accolto quasi solo minori stranieri
non accompagnati che frequentavano i corsi pro-
fessionali e, in stretta collaborazione con i for-
matori, ora accoglie minori mandati dai Servizi
Sociali del Territorio.
Il cortile fa la differenza
Come ricorda don Bosco, “Il cortile è il luogo per
stare insieme in allegria”. Il cortile di Castel de’
Britti è un grande campo di gioco: il nostro gioco
è una cosa seria!
«Poche scuole non solo a Bologna» testimonia
uno dei giovani «ma forse in tutta Italia, hanno
la fortuna di avere uno spazio come quello che
abbiamo a Castel de’ Britti.
Quando usciamo nel nostro cortile dalle offici-
ne e dai laboratori vediamo colline, boschi, prati,
contadini che lavorano la terra, cinghiali, caprioli
e lepri che passeggiano.
È il luogo in cui giochiamo. Giochiamo a ping
pong, a basket, a biliardino, a frisbee, a pallavolo
e ovviamente a calcio!
Tutto il tempo in cui non siamo in aula per le
lezioni lo passiamo insieme nel cortile.
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Ottobre 2019

2.7 Page 17

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Ci incontriamo qui tutti i giorni: la mattina per
fare una pausa tra una lezione e l’altra, poco prima
di mangiare per andare tutti insieme a pranzo,
dopo mangiato per giocare, alla fine della gior-
nata, prima di andare a casa, mentre aspettiamo
insieme l’arrivo delle corriere. Interminabili par-
tite in cui ognuno di noi scopre i propri limiti e le
proprie possibilità, la propria personalità.
Quando giochiamo facciamo vedere chi siamo
veramente: nel gioco ci esaltiamo, ci arrabbiamo,
ci scontriamo, ci incontriamo, nel gioco facciamo
amicizia e ci conosciamo.
Chi gioca impara lo spirito di squadra, lo spirito
di sacrificio, il rispetto per gli avversari e il rispet-
to per le regole: chi gioca impara a farsi aiutare,
ad aiutare gli altri, a essere leale, generoso, a usare
la fantasia e l’immaginazione».
Il pranzo: a tavola insieme
Il Centro di Formazione Professionale di Castel
de’ Britti ha un orario di tempo pieno: i ragazzi
cominciano ad arrivare verso le 8 e, dopo il “buon
giorno” che è accoglienza e dà il tono alla gior-
nata, le lezioni, che finiscono dopo le 16, quasi
tutti i giorni.
Poi c’è la tavola alla quale siedono i Salesiani e
i ragazzi che vivono nella comunità familiare e,
ovviamente, gli istruttori e gli insegnanti. Don
Antonio, che serve il pranzo ai ragazzi, si occupa
dell’organizzazione e insegna ogni anno le regole
ai nuovi arrivati: stare insieme nel rispetto degli
altri, nel rispetto del cibo che abbiamo la fortu-
na di ricevere e nel rispetto delle strutture che ci
ospitano.
Il pranzo diventa così un momento fondamen-
tale della nostra vita comunitaria, un luogo e uno
spazio per la condivisione e per la socializzazione.
Il menù è sempre vario e abbondante. I ragazzi
apprezzano e sono ben felici di sedersi a tavola
(anche i musulmani, la cui dieta viene rispettata).
I piatti preparati dalle signore sono ormai noti
anche nei luoghi più lontani della regione, dai
quali c’è sempre qualcuno che viene a trovarci,
guarda caso, proprio all’ora di pranzo… Aggiun-
gi un posto a tavola!
Gli allievi
imparano prima
di tutto a stare
insieme nel
rispetto degli altri,
nel rispetto del
cibo che ricevono
e nel rispetto
delle strutture
che li ospitano.
Nell’amicizia con
salesiani
e insegnanti.
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2.8 Page 18

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L’INVITATO
O. PORI MECOI
Pakistan:
Incontro
con Gabriel
(Gabo) Cruz,
Don Bosco c’è! missionario
in Pakistan.
Qual è la tua storia?
Sono Gabriel Cruz, missionario in
Pakistan. Ho 22 anni di vita religio-
sa salesiana e 13 anni di sacerdozio.
Il mio primo incontro con i Salesia-
ni fu in una piccola chiesa, nei pressi
del Postnoviziato, a Città del Messi-
co (ora parrocchia dell’Immacolata
Concezione di Maria); i postnovizi
salesiani facevano apostolato là nei
fine settimana, specialmente la ca-
techesi ai bambini. Una delle mie zie
che frequentava la Messa lì, invitò i
miei genitori in modo che io e mio
fratello gemello potessimo partecipa-
re alle attività offerte dai Salesiani.
Avevo circa 10 anni quando ho in-
contrato per la prima volta i Salesiani.
Poco tempo dopo io e mio fratello ci
siamo trasferiti per studiare presso l’I-
stituto Don Bosco di Città del Messico.
Le attività sportive, artistiche, educa-
tive e religiose dell’Istituto sono state
per me un’esperienza nuova e molto
bella. Per la prima volta durante la
Pasqua 1989, ho avuto l’opportunità
di fare un’esperienza missionaria nelle
comunità indigene del sud del paese
dove lavorano i Salesiani.
Poi sono stato invitato a far parte del
gruppo vocazionale dell’Istituto ed è
così che ho deciso di entrare nel No-
viziato Salesiano. Ho fatto la mia pri-
ma professione nell’agosto 1997, e ho
immediatamente inviato la mia prima
richiesta di essere un missionario ad
Indubbiamente don Bosco ha un volto pakistano, e anche le mani,
i piedi e soprattutto il cuore. Anche se non c’è alcuna persecuzione
religiosa in sé, i cristiani sono considerati impuri
e quindi in molte regioni direttamente respinti o denigrati
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Ottobre 2019

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gentes; i miei superiori mi hanno so-
stenuto in questa decisione, ma mi
hanno chiesto di aspettare e conti-
nuare a discernere. Nel giugno 2006
sono stato ordinato Sacerdote e da al-
lora ho lavoravo in Case di Formazio-
ne (Aspirantato, Prenoviziato e Post-
noviziato) come insegnante, Vicario e
Rettore. Dieci anni dopo, nel 2016,
il Rettore Maggiore,
Ángel Fernández Ar-
time, mi informò che
la mia richiesta mis-
sionaria era stata defi-
nitivamente accettata
e che il mio destino
era il Pakistan. Ho
ricevuto la notizia con
grande gioia.
Mentre aspettavo la
conferma del visto per
entrare in Pakistan, il
Dicastero per le missioni mi offrì l’op-
portunità di continuare a prepararmi,
studiando la Licenza in Missionolo-
gia-Teologia delle Religioni, presso la
Qui i salesiani si
sforzano di offrire
un’istruzione di
qualità, soprattutto
nell’area tecnica.
Il Don Bosco
Technical & Youth
Centre di Lahore,
è l’unico istituto
non musulmano
classificato tra i
migliori sei del paese.
Pontificia Università Gregoriana ( )
e una specializzazione in islamistica,
presso l’Istituto di Studi Arabi ( ),
a Roma.
Perché proprio il Pakistan?
Ora sono a Lahore, una città adiacen-
te al confine indiano. Abbiamo un’al-
tra casa a Quetta, al confine con l’Af-
ghanistan. Anche se siamo una nuova
Congregazione nel Paese (appena 21
anni di fondazione) il lavoro dei Mis-
sionari Salesiani è riconosciuto sia ci-
vilmente sia ecclesiasticamente.
Nel maggio 1998, è formalmente
cominciata la missione salesiana a
Quetta, dopo che il Rettore Maggio-
re don Egidio Viganò aveva approvato
l’invito di monsignor Joseph Coutts,
che ora è cardinale e viene affettuo-
samente chiamato “white-bearded
archbishop” (L’arcivescovo dalla bar-
ba bianca). P. Pietro Zago, sdb mis-
sionario italiano nelle Filippine, è
stato uno dei pionieri, e ha fatto un
lavoro straordinario nella costruzione
di opere salesiane. Un anno dopo, P.
Hans Dopheide missionario olandese
sdb in Papua Nuova Guinea, iniziò il
progetto per la costruzione dell’Isti-
tuto Tecnico di Lahore. Sarà termi-
nato nell’anno 2000, quando P. Hans
sarà in grado di stabilirsi ufficialmen-
te in Pakistan.
Ottobre 2019
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2.10 Page 20

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L’INVITATO
Attualmente a Lahore siamo una co-
munità di tre Salesiani: P. Noble (pa-
kistano), Alex (coadiutore filippino) e
io. A Quetta ci sono altri tre confra-
telli: P. Joel (filippino), P. Sami (pa-
kistano) e Faraz che è tirocinante. Un
altro confratello coadiutore vietna-
mita, Francis, sta concludendo i suoi
studi nelle Filippine e appartiene alla
comunità di Quetta.
Nella Congregazione Salesiana ab-
biamo solo due sacerdoti pakistani (P.
Noble e P. Sami) e quattro giovani in
formazione iniziale: Bernard (Teolo-
gia), Faraz (Tirocinio), Noel (Postno-
viziato) e Sunil (Prenoviziato). Qui a
Lahore abbiamo il gruppo vocaziona-
le, quest’anno con sette candidati che
si preparano ad avviare l’Aspirantato.
Qual è la situazione
dei salesiani in Pakistan?
Il nostro lavoro in Pakistan è vario. A
Lahore abbiamo un Istituto Tecnico,
scuola elementare, ostello per bambi-
ni, laboratori per le ragazze ed orato-
rio il sabato. A Quetta abbiamo anche
una scuola elementare, un ostello per
ragazzi e un altro per le ragazze (ge-
stito dalle sorelle della Congregazio-
ne del Buon Pastore).
Nell’ostello di Lahore, attualmente
serviamo più di 130 bambini e gio-
vani. Offriamo casa, cibo, istruzione
e formazione religiosa. La maggior
parte di loro sono cattolici, ma abbia-
mo anche ragazzi di diverse confes-
sioni cristiane. Nella scuola e nell’I-
stituto Tecnico di Lahore accudiamo
più di 200 studenti tra cui alcuni mu-
sulmani. I ragazzi provengono da va-
rie regioni, villaggi e città del paese.
Offriamo anche laboratori di cucito,
taglio e sartoria, trucco e stilista per le
ragazze. Circa 50 di loro frequentano
i nostri workshop tra cattolici, cristia-
ni e musulmani. Tutti questi servizi
hanno avuto un impatto positivo sul
paese e sono rispettati non solo dalla
comunità cristiana, ma anche dai mu-
sulmani.
L’aiuto dei laici è indispensabile nelle
nostre opere. Abbiamo un team pro-
fessionale di insegnanti e assistenti:
permettono che il nostro lavoro e la
formazione che offriamo siano di qua-
lità e con un tipico spirito salesiano. A
Lahore circa 50 laici collaborano quo-
tidianamente con noi per raggiungere
i nostri obiettivi e servizi, la maggior
parte di loro sono exallievi salesiani.
Com’è il rapporto
con la Chiesa locale?
I Salesiani collaborano volentieri con
la diocesi. Io, per esempio, sono inse-
gnante di Filosofia e Spiritualità nel
Seminario Maggiore Interdiocesano;
partecipo anche agli incontri di dia-
logo interreligioso che la comunità
gesuita organizza mensilmente.
Non è facile essere cattolici in Paki-
stan in quanto è uno dei paesi musul-
mani più conservatori che esistono. I
cristiani (una minoranza, circa l’1,5%
della popolazione) sono considerati di
categoria inferiore e quindi con poche
opportunità all’interno della società.
Ecco perché l’offerta educativa e for-
mativa dei Salesiani è di vitale impor-
tanza.
20
Ottobre 2019

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Padre Gabo e alcuni dei suoi magnifici
chierichetti.
Come sono i giovani?
I giovani cristiani pakistani sono
straordinari, hanno occhi luminosi,
pieni di vita e di illusioni, sognano
grandi cose, vogliono studiare, la-
vorare, conoscere altri luoghi, sono
buoni sportivi soprattutto nel cricket.
Tutti provengono da famiglie povere,
dove il rispetto per Dio e per gli altri è
instillato con molta devozione.
Le opzioni di lavoro per i giovani in
Pakistan sono limitate, perché indi-
pendentemente dal fatto che siano
ben disposti a svolgere un lavoro, solo
i musulmani possono occupare i posti
importanti o più remunerativi. Ecco
perché i salesiani si sforzano di offrire
loro un’istruzione di qualità, soprat-
tutto nell’area tecnica. Infatti, il Don
Bosco Technical & Youth Centre di La-
hore è l’unico istituto non musulmano
classificato tra i migliori sei del paese.
Indubbiamente don Bosco ha un vol-
to pakistano, e anche le mani, i piedi
e soprattutto il cuore. Anche se non
c’è alcuna persecuzione religiosa in
sé, i cristiani sono considerati impuri
e quindi in molte regioni direttamen-
te respinti o denigrati.
È difficile credere
in Pakistan?
Tutte le Chiese cristiane e cattoliche
hanno martiri. Noi Salesiani siamo
onorati di avere uno dei nostri giovani
tra i ranghi. Akash Bashir è un exal-
lievo salesiano di 20 anni che nel 2015
è riuscito a fermare un kamikaze mu-
sulmano che intendeva immolare se
stesso durante una Messa domenicale
a cui hanno partecipato centinaia di
persone, proprio nella parrocchia del
quartiere a cui apparteniamo, a Youha-
nabad. L’assalitore si è fatto esplodere
mentre Akash Bashir lo abbracciava
per diminuire gli effetti dell’esplosio-
ne. L’offerta della sua giovane vita sal-
vò quella di molti. Ci sono tante storie
di cristiani respinti, accusati ingiusta-
mente di blasfemia o martirizzati; ma
anche tanti altri cristiani che giorno
dopo giorno portano coraggiosa testi-
monianza della loro fede.
Come vedi il futuro?
Il lavoro dei salesiani in Pakistan sta
crescendo e migliorando. Abbiamo
l’invito del Vescovo della Diocesi di
Hyderabad ad aprire un’altra casa in
una delle aree di rifugiati afghani.
Il futuro dei Salesiani in Pakistan è
promettente, c’è molto da offrire ai
giovani e ci sono anche molti di loro
che intendono entrare nel Seminario.
Uno dei problemi per vivere qui non
è tanto la situazione culturale e so-
ciale che deriva dalla vita in un paese
musulmano, né siamo in guerra come
molti pensano. Una difficoltà pratica
per i missionari stranieri è quella di
ottenere il visto, il processo è lungo.
D’altra parte, le nostre opere non
sono ancora autosufficienti, quindi
abbiamo bisogno dell’assistenza fi-
nanziaria di benefattori e associazioni
che ci permettano di sopravvivere e
continuare ad aiutare i giovani paki-
stani. Inoltre, la vita salesiana nella
comunità e tra i giovani, la grande
testimonianza della fede dei cristiani
pakistani e, naturalmente, il lavoro
educativo, sono un incentivo per ogni
salesiano in quanto rafforzano la fede
e la propria vocazione.
Un’altra grande sfida che abbiamo è
la formazione dei laici, grazie a loro
il carisma salesiano è possibile in Pa-
kistan. Avere un gruppo ben formato
di exallievi e Cooperatori salesiani è
indispensabile affinché lo spirito sa-
lesiano cresca soprattutto di qualità.
Un altro punto importante è quello di
continuare a rafforzare il lavoro con-
giunto con le comunità protestanti,
in modo che la testimonianza del-
la nostra fede in Gesù Cristo sia un
impulso di unità. Allo stesso modo,
il lavoro sui diritti umani (soprattutto
delle donne) e il dialogo interreligio-
so sono essenziali per dare ai nostri
giovani e alle comunità cristiane un
migliore tenore di vita.
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3.2 Page 22

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UNO SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
CARMEN LAVAL
Tamburi di guerra
sulla terra rossa
Papa Francesco alza
la voce. L’Amazzonia oggi
è una bellezza ferita
e deformata, un luogo
di dolore e di violenza.
Questo il grido del Sinodo
sull’Amazzonia che si
terrà dal 6 al 27 ottobre.
Un’accusa terribile:
«Tu, i bianchi,
non hai un’anima».
E ra un vecchio. La sua città, l’A-
rawetés. Aveva il corpo rosso
di urucú. I capelli in un taglio
rotondo. Ed era seduto dritto,
con le mani che stringeva-
no l’arco e le frecce davanti a
lui. Rimase così per circa 12 ore. Lui
non mangiò. Non si piegò. L’ho guar-
dato, ma non mi ha mai guardato negli
occhi. Davanti a lui, i leader indige-
ni dei vari popoli colpiti dalla diga di
Belo Monte si sono alternati al micro-
fono per far rispettare gli accordi della
Fondazione Nazionale per gli Indige-
ni. Lui, come gli altri, non capiva il
portoghese. Era lì, seduto su una sedia
di plastica rossa, nel centro congressi
di Altamira, nel Pará. Che cosa ho vi-
sto? Quarant’anni fa, lui e la sua gen-
te non sapevano nemmeno che c’era
qualcosa chiamato Brasile. Forse non
ha ancora senso, ma ora era lì, sotto le
lampade, seduto su una sedia di plasti-
ca rossa, in attesa che la sua destinazio-
ne fosse decisa in portoghese.
Che cosa rimane agli indiani che si
sforzano di esprimersi nel linguaggio di
chi li distrugge nello stesso momento
in cui la loro vita viene distrutta? Che
cosa rimane per il vecchio Araweté se-
duto lì per quasi 12 ore? Non ha scelta.
I capi delle varie popolazioni indige-
ne colpite da Belo Monte, coloro che
parlano portoghese, hanno denunciato
l’impossibilità di vita dopo che la forza
idroelettrica è stata imposta nello Xin-
gu. Hanno chiesto a Norte Energia di
adempiere ai propri obblighi legali per
ripristinare le attività produttive nei
villaggi e in modo da poter superare
la situazione di insicurezza alimenta-
re. Non se ne farà niente.
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Ottobre 2019

3.3 Page 23

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Padre Bolla: «Vengo
a camminare con voi,
perché l’assedio che vi
circonda è terribile e io
voglio accompagnarvi».
La situazione è disperata. Ci sono se-
gnalazioni di fame e aumento della
malattia in una parte dei villaggi. Gli
indigeni hanno smesso di coltivare i
campi per mangiare prodotti indu-
strializzati. La malnutrizione infanti-
le è salita alle stelle, così come i casi di
diarrea. Tanto che il procuratore della
Repubblica di Altamira, Thais Santi,
ha intentato una causa contro lo Stato
e Norte Energia per l’etnocidio delle
popolazioni indigene. Non se ne farà
niente.
«Per coloro che non ci conoscono sia-
mo affamati, ignoranti, corrotti, ma la
richiesta di etnocidio è lì, al tavolo del
tribunale» grida un cacico. «Ci sono
minatori e boscaioli che saccheggiano
la nostra terra e non fanno nulla», ne
segue un’altra. «Devi rispettarci, ri-
spettare i nostri anziani, rispettare la
nostra lingua. Il fiume è secco, il fiu-
me è sporco, stiamo soffrendo. Devi
ascoltare!»
Nessuno mai li ha ascoltati.
affamati e già malati dal
contatto con i bianchi. Nel
luglio di quell’anno, gli
esploratori decisero di
iniziare con loro una pas-
seggiata di circa 100 chi-
lometri fino a un posto
chiamato Funai. Nei 17
giorni in cui il viaggio è
durato, adulti e bambini inciampava-
no durante la marcia. Con gli occhi
chiusi da una congiuntivite infettiva,
gli Araweté non hanno nemmeno vi-
sto il sentiero. Si persero nella foresta
e morirono di fame. I bambini pic-
coli, improvvisamente orfani, furono
sacrificati da adulti disperati. Molte
persone, troppo deboli per continuare
a camminare, chiesero di poter mo-
rire in pace. Alla fine della giornata,
73 persone non esistevano più, vit-
time del contatto e della passeggia-
ta. Il primo censimento condotto dal
registrò 120 sopravvissuti. In
quel momento erano tutti gli Araweté
del pianeta.
Li chiamano Araweté, ma anche
il nome non ha alcun senso nella
loro lingua, che proviene dal tron-
co del Tupi-Guaraní. È stato dato
da un esploratore del Funai, ma
non ci sono riferimenti nella lingua
dell’Araweté, che non sanno perché
sono chiamati Araweté. Si chiama-
no bïde, che significa «noi», «esseri
umani». I bianchi sono kamarã. E
sono awi, «nemici», «stranieri». E c’è
il vecchio, seduto con il suo arco e le
sue frecce, e anche il nome con cui il
suo popolo è chiamato al microfono
non ha senso. È uno dei sopravvissuti
al contatto «ufficiale» con i bianchi,
40 anni fa. Viene in mente il titolo
di un prezioso libro dell’antropologo
«Il colore di questa
terra è rosso»
Nel 1976 il
, l’organismo del
governo per gli indigeni, trovò gli
Araweté accampati in modo precario
vicino ai campi dei contadini. Erano
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3.4 Page 24

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UNO SGUARDO SALESIANO SUL MONDO
Jorge Pozzobon: «Tu, i bianchi, non
hai un’anima».
Mato Grosso do Sul, comunità Gua-
rani Kaiowá. Seduto in una sedia vec-
chia scuola di fronte a una baracca di
legno vecchio, Ava Arandu, 58 anni,
un residente della comunità, afferra
dal pavimento una manciata di terra,
la lascia scorrere, serio: «Guarda bene
questo colore. Il colore di questa terra
è rosso, come noi. Non è bianco. L’in-
vasore qui è il proprietario terrie-
ro. Venne, piantò il bastone, liberò il
bestiame, distrusse la nostra vegeta-
zione. Ma noi siamo quelli che hanno
diritto a quella terra», dice indignato,
con il suo pennacchio di piume bian-
che sul capo, camicia bianca, jeans e
uno sguardo esausto.
Una civiltà di “scarti”?
Papa Francesco ha molto a cuore
l’Amazzonia, e vorrebbe che tutti i
cristiani fossero partecipi di questo
sentimento.
Secondo don Juan Bottasso, missiona-
rio salesiano italiano docente dell’Uni-
versità Politecnica Salesiana di Quito,
attivo in Ecuador da 60 anni, il Papa
«ha affermato chiaramente che la con-
servazione dell’Amazzonia e la difesa
delle popolazioni indigene dovrebbero
costituire una delle grandi preoccupa-
zioni dei Cristiani e, allo stesso tempo,
ha gridato perché la Chiesa, che per
secoli è stata in pellegrinaggio in que-
sta immensa regione, abbia sempre più
un volto amazzonico. Il volto amazzo-
nico non significa solo una liturgia con
danze tradizionali…».
La Chiesa amazzonica può contare
su un clero ridottissimo, cosa che,
secondo don Bottasso, non presenta
segni di miglioramento. Non reputa
una soluzione valida le visite spora-
diche con celebrazioni frettolose, le
quali, invece, favoriscono «l’inarre-
stabile avanzata degli evangelici, che
pongono un pastore stabile in ogni
comunità».
Don Bottasso riflette sul progressi-
vo radicamento degli Evangelici in
Amazzonia, anche nelle grandi città,
«il radicamento di uno stile pastorale
che prevede la presenza permanen-
te di un responsabile in mezzo alla
gente». E in tema di laici, il salesiano
difende l’idea che essi possano «di-
ventare veramente responsabili dell’a-
nimazione delle comunità».
Solo il 7% dei 30 milioni di abitanti
dell’Amazzonia sono indigeni. «La
presenza delle popolazioni indigene
ha cominciato ad essere vista come
un ostacolo all’avanzamento del pro-
gresso», secondo i salesiani, perché «il
criterio di efficienza della mentalità
attuale le ha trasformate in presenze,
non solo inutili, ma anche fastidiose,
di persone superate».
Il missionario ricorda che «papa Fran-
cesco insiste sul fatto che la preoccu-
pazione della Chiesa deve essere ri-
volta in primo luogo a coloro che sono
considerati “scarti”, perché altrimenti
costruiremmo un mondo disumano
che lascia da parte i più fragili: gli an-
ziani, i malati, i migranti, le persone
improduttive».
Ogni giorno, in questo cuore verde della Terra,
infuria una feroce guerra per il possesso, lo
sfruttamento, la conservazione e la vita. I più
poveri, i più inermi sono le vittime innocenti.
Per una Chiesa
“che rimane”
Monsignor Flavio Giovenale, sale-
siano, vescovo di Cruzeiro do Sul,
nello stato di Acre in Brasile, spiega:
«Si tratta di una realtà particolare,
enormemente differente, per esem-
pio, da quella dell’Italia. Se dovessi-
mo prendere le proporzioni amazzo-
niche e applicarle in Italia avremmo
solo due diocesi in tutto il territorio
con circa sessanta preti. Avremmo
un sacerdote per ogni provincia e
mezza».
«I Padri Sinodali dell’Amazzonia
sono invitati a discutere sui nuovi
cammini per la Chiesa nella regio-
ne e si scrive che è necessario passa-
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8 MILIONI DI KM2
re da una “Chiesa che visita” ad una
“Chiesa che rimane” anche attraver-
so dei ministri che emergano dagli
stessi abitanti locali. Il nostro pro-
blema è che qui in diocesi abbiamo
un sacerdote ogni cinquemila chilo-
metri quadrati. Con un’aggravante:
qui non ci sono ferrovie e ci sono
solo duecento chilometri di strade
asfaltate e trecentocinquanta di stra-
de sterrate, in tutta la mia diocesi. Il
resto sono solo fiumi, fiumiciattoli o
strade percorribili a piedi. La conse-
guenza è che la maggior parte delle
trecento comunità, frazioni, villaggi
abitati anche da centinaia di perso-
ne, possono partecipare alla Santa
Messa una volta all’anno, quando
il prete può visitarli. Delle trecento
comunità solo una ventina possono
celebrare Messa tutte le domeniche
e una cinquantina una volta al mese.
È chiaramente una situazione che ri-
chiede cambiamenti straordinari. Se
infatti l’Eucaristia è il centro della
vita della Chiesa, allora noi non sia-
mo cattolici!»
La vita e il sangue
Don Juan Bottasso ha presentato una
proposta ai Figli spirituali di don Bo-
sco: «I salesiani possono presentare al
Sinodo due grandi icone, due grandi
simboli, due paradigmi di quella che
può essere l’azione tra gli indigeni:
don Rodolfo Lunkenbein, martire
salesiano in Brasile, che cosciente-
mente, sotto minaccia, sapendo a che
Il territorio dell’Amazzonia comprende
parte di Brasile, Bolivia, Perù, Ecuador,
Colombia, Venezuela, Guyana, Suriname e
Guyana francese in un’area di 7,8 milioni di
km2, nel cuore del Sud America.
Le foreste amazzoniche coprono circa 5,3
milioni di km2, che rappresentano il 40%
della superficie globale delle foreste tro-
picali.
La prima parte del Documento, “La Voce
dell’Amazzonia”, presenta la realtà del ter-
ritorio e dei suoi popoli. E inizia dalla vita
e dalla sua relazione con l’acqua e i grandi
fiumi che scorrono come vene della flora
e della fauna del territorio, come sorgente
dei suoi popoli, delle sue culture e delle
sue espressioni spirituali nutrendo anche
la natura, la vita e le culture di migliaia
di comunità indigene, contadini, afro-
discendenti, popolazioni che vivono sulle
rive dei fiumi e delle città.
cosa si esponeva, è andato, pieno di
vita e di gioventù, incontro alla mor-
te per difendere il territorio, insieme
al catechista indigeno Simão Bororo;
e don Luis Bolla, padre “Yánkuam”
come veniva chiamato dagli indigeni
che serviva, gli Achuar, in Ecuador e
Perù».
Don Bolla ha rappresentato un vero
modello di accompagnamento sa-
lesiano: «Non è andato là dicendo
“poveri selvaggi, mi sacrifico per in-
segnarvi qualcosa”. Piuttosto dicendo:
“voi avete tanto da insegnarmi. Però
neanche la vostra cultura è perfetta.
Vengo a camminare in mezzo a voi,
con voi, perché l’assedio che vi cir-
conda è terribile e io voglio accom-
pagnarvi”. Lo chiese come un favore.
Non è il missionario che va come un
padrone, che va a dettare legge, che
va cambiare i costumi. È il missiona-
rio che va ad imparare, a scoprire il
perché di certe forme culturali, con
amore, con allegria».
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LA NOSTRA STORIA
B. F.
Così nacque
“Giù dai colli”
C’erano una volta due chie-
rici salesiani vivacissimi,
dinamici e quindi simpa-
tici a tutti. Un ragazzino
di allora (anno 1900) li
ricordava così: «Il primo
episodio primaverile che mi viene in-
contro, fu la gita di tutto il collegio,
circa duecento ragazzi, a Coneglia-
no. Nella prima fermata a Spresiano,
riempimmo la vasta chiesa parrocchia-
le per ascoltarvi la Messa, in mezzo
alla folla del paesotto agricolo, accor-
sa in massa. A un certo punto quella
folla si irrigidì in un silenzio estatico.
Dall’orchestra scendeva, tra un severo
commento di organo, la lauda “Me-
morare, o dulcissima Virgo Maria”,
modulata a due voci alternate dal coro
di voci bianche. I due solisti erano un
ragazzo, dalla voce intonatissima, e un
tenore in piena forma artistica. Il te-
nore era don Rastello, l’organista don
Gregorio. Ricordo l’entusiasmo che
quel canto produsse sul popolo, che si
assiepò, delirante di applausi, attorno
ai tavolati, allestiti in piazza per la no-
stra colazione. Il resto lo fece la banda,
che benché tutta di giovani, se la cavò
bene perfino a Conegliano, che già
allora aveva delle esigenze cittadine».
Il tempo e la Grande Guerra divise-
ro i due chierici che divennero preti e
continuarono vita e apostolato in Pie-
monte dove erano nati: don Secondo
Rastello era vercellese, don Michele
Gregorio era cresciuto a Valdocco
dove aveva incontrato il primo suc-
cessore di don Bosco. Stava giocan-
do, quando don Rua gli lanciò una
domanda, in cortile come faceva il
santo: “Come ti chiami?”. II ragaz-
zo rispose prontamente: “Michele!”.
“Che combinazione, ribatté subito
don Rua, anch’io mi chiamo Miche-
le. Vuoi diventare salesiano? Così sa-
remo due colonne per tenere in piedi
l’opera di don Bosco”.
Don Gregorio, che faceva il «cattivo»
solo a scuola di musica, ma fuori di
lì era un agnello. Ebbene, un giorno
volle farsi leone. Avvisò che avrebbe
richiesto a tutti quella norma di ri-
spetto che fa parte della civiltà di un
popolo e, per abituare chi l’avesse tra-
sgredita a migliorare la sua condotta,
ogni mattino egli avrebbe passato in
rivista i giovani quando, uscendo di
chiesa, si avviavano al refettorio per
far colazione, e quelli che avessero
Novanta anni fa, nel 1929,
nasceva l’inno a don Bosco
più famoso e cantato
in tutti i continenti, grazie
a due amici incomparabili.
dimenticato di lucidarsi le scarpe,
sarebbero stati esclusi dal refettorio.
Difatti egli si pose, arcigno come non
mai, al suo posto di controllo, e inco-
minciò davvero a far uscire dai ranghi
i colpevoli, che non erano pochi. Ma
quando vide i giovani che, passando-
gli davanti, abbassavano gli occhi per
osservare le “sue” scarpe, egli, che non
aveva mai tempo a spazzolarsele, capì
il muto linguaggio e sorridendo pro-
clamò l’amnistia generale.
Don Gregorio nel 1929 si era già di-
plomato organista a Bologna. Don
Rastello, dal canto suo, era un fine
letterato.
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Il biglietto
della signora Adele
Un mese prima della Beatificazione
di don Bosco (che avvenne il 2 giu-
gno 1929) una dinamica cooperatrice,
Adele Pugno, portò a don Gregorio,
che era direttore dell’Oratorio di Ca-
sale Monferrato, un biglietto di don
Rastello dove c’era scritto: «Si avvici-
na la festa di don Bosco e non abbia-
mo ancora un inno da cantare il gior-
no della Beatificazione. Io ho buttato
giù i versi che ti allego, se ti sembrano
buoni cerca di scrivere la musica».
Don Gregorio non ebbe un attimo di
esitazione. Chi lo conobbe, ricorda don
Gregorio come uno che avesse sempre
il fuoco sotto i piedi. Il sonno era per
lui una forma di pigrizia, il riposo un
lusso che un figlio di don Bosco non si
poteva né si doveva permettere.
Si recò immediatamente in una sala
dell’Oratorio per scrivere la musica.
Leggere i versi e veder fluire la musi-
ca nel turbinoso cervello di don Gre-
gorio fu una cosa elementare.
Le note rimbalzavano improvvise e
sicure dalla mente al pianoforte e da
questo come di rimbalzo sulla carta
pentagrammata. In circa mezz’ora
l’inno fu scritto. È proprio il caso di
dire che fu scritto «di getto».
Composto l’inno, lo richiuse in una
busta e lo spedì al confratello. Questi,
lo gradì, moltissimo, non solo perché
era bello, ma soprattutto per la rapidità
con la quale era stato composto. Ep-
pure, a malincuore scrisse che avrebbe
preferito un inno più marziale.
Don Gregorio non se lo fece ripetere!
Leggere la risposta e mettersi di nuo-
vo al pianoforte, che per molti anni è
stato conservato a Casale Monferrato,
fu tutt’uno.
E fece la seconda «gettata». Appena
finita rispedì anche questa seconda
partitura a don Rastello. Passarono
alcuni giorni e finalmente il silenzio
venne rotto da una telefonata di don
Rastello che invitava don Gregorio a
recarsi a Torino.
Alla presenza di don Ricaldone fu-
rono suonati entrambi gli inni; poi il
futuro Rettor Maggiore con fare bo-
nario, ma deciso, escluse quello più
marziale ed approvò il primo, dicendo
che era molto più adatto ed ordinò a
don Gregorio di scrivere subito la
partitura per banda.
In poco tempo anche questa fatica
fu superata e la banda di Casale fu la
prima ad aver l’onore di suonare l’in-
no di don Bosco.
Se il loro inno fosse stato coperto dai
diritti d’autore, i due amici sarebbe-
ro diventati ricchi. Non c’è angolo di
mondo in cui non continui ad essere
suonato, quasi come Stille Nacht!
Nel 1934, in occasione della Cano-
nizzazione di san Giovanni Bosco
a Roma, don Pagella, altro cervel-
lo musicale di fama internazionale,
vedendo don Gregorio arrampicato
ad una colonna, perché non riusciva
a trovare un posto più comodo nella
pur vasta Piazza S. Pietro, gli disse
con tono imperativo: «Don Gregorio,
o Giù dai colli o giù di lì!»
Non ci fu bisogno di un secondo in-
vito. Seppur in quella posizione sco-
moda, don Gregorio attaccò l’inno, e
tutto il folto gruppo che gli era vicino
lo imitò, finché la piazza fu un solo
inno.
L’inno “Giù dai colli” accompagna
con il suo tocco di brio popolare tutti
i pellegrinaggi ai luoghi salesiani.
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I NOSTRI EROI
B. F.
Il bulldozer di don Bosco
Giovanni
1°novembre 1851.
Don Bosco arrivò al suo
paese, Castelnuovo d’Asti,
per la solenne predicazione.
Tra i chierichetti c’era un
ragazzino che rimase a
guardarlo incantato per tutto il tem-
po della predica. Tornati in sacrestia,
don Bosco vide che il chierichetto
continuava a guardarlo in silenzio. Lo
chiamò: «Vuoi dirmi qualcosa?»
«Sissignore. Io voglio venire a Torino
con lei per studiare e farmi prete».
«Bene. Allora di’ a tua mamma di ve-
nire dopo cena nella casa del parroco».
Quel ragazzo si chiamava Giovanni
Cagliero, ed era orfano di padre. La
mamma arrivò con Giovanni dopo
cena: «Dunque – scherzò don Bosco
– è vero, Teresa, che volete vendermi
vostro figlio?»
«Ah no!» rispose ridendo la donna.
«Qui da noi si vendono i vitellini. I
ragazzi si regalano».
«Meglio ancora. Preparategli un po’
di biancheria, e domani me lo porto
con me».
Il giorno dopo, all’alba, Giovanni Ca-
gliero servì Messa a don Bosco, fece
colazione con lui, baciò la mamma,
e con il suo fagottino sotto il braccio
disse impaziente: «Allora, don Bosco,
andiamo?»
Cagliero
«A dormire nel canestro
dei grissini»
Fecero il lungo cammino a piedi.
Giovanni lo fece in pratica due vol-
te, perché mentre parlava con don
Bosco correva avanti, inseguiva i pas-
seri nei prati, saltava i fossi. Ricorde-
rà: «Don Bosco durante quel viaggio
mi fece mille domande, e io gli diedi
mille risposte. Da quel momento
non ebbi mai più nessun segreto
con lui. Sentendo le mie marachelle,
scherzando mi diceva che adesso
Prese da don Bosco
il “fuoco dentro” e
il coraggio di osare
l’impensabile. Guidò
la prima spedizione
missionaria in Argentina
e fu il primo vescovo e
cardinale salesiano.
avrei dovuto diventare più buono.
Finalmente giungemmo a Torino.
Era la sera del 2 novembre, ed erava-
mo stanchi. Don Bosco mi presentò a
mamma Margherita dicendo: «Mam-
ma, ti ho portato un ragazzetto di
Castelnuovo. Margherita rispose:
«Oh sì, tu non fai altro che cercare ra-
gazzi, e io non so più dove metterli».
«Questo qui è così piccolo che lo
metteremo a dormire nel canestro dei
grissini. Con una corda lo tireremo
su, sotto la trave, come una gabbia di
canarini».
Mamma Margherita si mise a ridere e
mi cercò un posto. Non c’era davvero
un angolo libero, e per quella sera
dovetti dormire ai piedi del letto di
un mio compagno.
Il giorno dopo vidi quanta povertà
c’era in quella casa. I nostri dormitori,
a pian terreno, erano stretti, e avevano
per pavimento un selciato di pietre
da strada. In cucina c’erano poche
scodelle di stagno con i rispettivi
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cucchiai. Forchette, coltelli, tovaglioli
li vedemmo molti anni dopo. Il refet-
torio era una tettoia. Don Bosco ci
serviva a pranzo, ci aiutava a tenere in
ordine il dormitorio, puliva e rappez-
zava i nostri abiti, e faceva tutti i più
umili servizi.
Facevamo vita comune in tutto. Più
che in un collegio, ci sentivamo in
una famiglia, sotto la direzione di
un padre che ci voleva bene, e che si
preoccupava solo del nostro bene spi-
rituale e materiale».
Giovanni Cagliero dimostrò fin dai
primi giorni ingegno vivace e umore
allegro. Aveva una voglia di giocare
che straripava. Michele Rua conti-
nuava a vivere con sua mamma, ma
al mattino si metteva a capo del pic-
colo gruppo di studenti, e insieme
andavano a scuola. Per incarico di
don Bosco, Rua doveva funzionare
da «assistente», badare che
nessuno marinasse la scuola.
Raramente Michele riuscì a
«mettere le briglie» a Cagliero.
Appena fuori dell’oratorio,
Giovanni cambiava strada, di
corsa raggiungeva Porta Pa-
lazzo e si fermava incantato
davanti ai ciarlatani, ai barac-
coni. Poi via, sempre di corsa,
alla scuola. Quando gli altri
arrivavano era già alla porta,
sudato ma felice.
«Ci chiameremo
salesiani»
26 gennaio 1854. Don Bosco
fece un discorso strano a quat-
tro dei suoi giovani: «Voi ve-
dete che don Bosco fa quello
che può, ma è da solo. Se voi mi dare-
te una mano, invece, insieme faremo
miracoli di bene. Migliaia di fanciulli
poveri ci aspettano. Vi prometto che
la Madonna ci manderà oratori vasti
e spaziosi, chiese, case, scuole, labo-
ratori, e tanti preti pronti a darci una
mano. E questo in Italia, in Europa e
anche in America. Io tra voi già vedo
una mitria vescovile...».
I quattro giovanotti si guardarono in
faccia sbalorditi. Eppure don Bosco
non scherzava, era serio e sembrava
leggere nel futuro: «La Madonna vuo-
le che noi iniziamo una società. Ho
pensato a lungo che nome darle. Ho
deciso che ci chiameremo Salesiani».
Tra quei quattro giovanotti c’erano le
pietre fondamentali della Congrega-
zione Salesiana.
In luglio, un’epidemia di colera in-
cominciò a mietere vittime a Torino.
Don Bosco corse a soccorrere i conta-
giati e portò con sé i ragazzi più grandi.
Giovanni Cagliero era uno di questi.
I giganti color rame
Giovanni Cagliero, 16 anni, una
sera sul finire di agosto, tornando a
casa dal lazzaretto si sentì male. Due
medici, chiamati per un consulto,
dichiararono che il caso era disperato.
Un colpo durissimo per don Bosco.
Ma quando arrivò per dargli l’ulti-
ma Comunione, don Bosco si arrestò
come vedesse qualcosa che gli al-
tri non potevano vedere. Poi avanzò
verso il letto del malato, ma era alle-
gro e sorrideva. Giovanni mormorò:
«È la mia ultima confessione? Devo
proprio morire?» Don Bosco rispose
con voce sicura: «Macché. Lassù non ti
vogliono ancora. Devi fare molte altre
cose: guarirai, diventerai sacerdote... e
poi... e poi con il tuo breviario
sotto il braccio andrai lontano,
lontano». Il giorno dopo, Ca-
gliero era guarito.
Tutti volevano sapere che
cosa avesse «visto» don Bosco
entrando nella stanza. La
risposta la diede don Bosco
stesso, più tardi: «Mi parve
che le pareti della stanza si
aprissero e sconfinassero in
orizzonti lontani e misteriosi.
Intorno al letto apparve una
Percorse a cavallo la sua immensa
diocesi, sfidando fiumi in piena,
inondazioni e rischiosi precipizi andini
per essere presente anche nei villaggi
più proibitivi e impervi.
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3.10 Page 30

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I NOSTRI EROI
moltitudine di selvaggi di
statura gigantesca. Due di
quei giganti dal volto fiero
e triste si curvarono sopra
l’infermo, e trepidanti si
misero a bisbigliare: «Se lui
muore, chi verrà in nostro
soccorso?»
Il momento decisivo fu la
sera del 9 dicembre. Don
Bosco radunò i suoi giova-
nissimi “salesiani” e chiese
loro se volevano costituire
una Congregazione reli-
giosa vera e propria, con
tanto di voti di povertà,
castità e obbedienza. Ser-
peggiò un borbottio: don
Bosco ci vuole fare frati!
Cagliero misurava a gran-
di passi il cortile in preda
a sentimenti contraddittori. Poi det-
te un gran pugno al muro dicendo:
«Frate o non frate, io rimango con
don Bosco».
Don Cagliero pronunciò i voti trien-
nali il 14 maggio 1862, i perpetui, già
sacerdote, il 15 novembre 1865.
Era l’idolo dei giovani. Temperamen-
to esuberante, tutto impulsi, sentiva e
comunicava agli altri la gioia di vivere
con don Bosco: lavorare, correre, do-
narsi. Spesso, i ragazzi, dopo la buona
notte a don Bosco, si avvicinavano
a don Cagliero e lo salutavano con
spontaneo affetto.
Intanto Giovanni Cagliero perfezio-
nava le sue doti musicali. Funzioni di
chiesa, accademie, banda, lo resero
precoce e geniale compositore. Due
sue opere, Il figlio dell’esule e Lo Spaz-
zacamino, furono elogiate da Giusep-
pe Verdi per la musica bella e com-
movente. Arrivarono anche a Corte
e furono cantate dalla futura Regina
Margherita. La “Messa da requiem a
tre voci fu giudicata “gioiello di fede e
di armonia”. Il suo maestro Cerutti la
fece eseguire nella Casa Reale al fu-
nerale per Carlo Alberto.
Era vulcanico anche in questo: il 9
giugno 1868, la Messa per la consa-
crazione della chiesa di Maria Ausi-
liatrice fu cantata da tre cori: uno a
due voci di ragazzi disposti sul corni-
cione della cupola, due cori a tre voci
virili sotto la cupola e nella cantoria.
A capo della prima
spedizione missionaria
Il nome di don Bosco aveva varcato
l’oceano e cominciava ad essere ab-
bastanza noto nell’Argentina, dove
Il “fuoristrada” dei primi missionari.
erano molti gli emigrati
italiani.
Nel mese di marzo 1875,
don Bosco, un giorno,
dopo una pausa di soprap-
pensiero e di silenzio, disse
a Giovanni Cagliero, che
gli stava accanto: «Vorrei
mandare qualcuno dei no-
stri primi preti ad accom-
pagnare i Missionari in
America e che si fermasse
con loro un tre mesi, fin-
ché non siano ben ambien-
tati. Abbandonarli subito
soli, senza un appoggio, un
consigliere con il quale ab-
biano confidenza, mi sem-
bra cosa un po’ dura. Non mi regge il
cuore a pensarci».
Giovanni Cagliero lo conosceva trop-
po bene per non capire il significato
nascosto di quelle parole e disse: «Se
don Bosco non trovasse nessun altro
e mi credesse capace di farlo, io sono
pronto».
«Va bene» concluse il Santo.
Alcuni mesi dopo, all’improvviso,
con accento paterno e diplomatico,
don Bosco chiese a don Cagliero: «In
quanto all’andare in America, sei sem-
pre dello stesso pensiero? L’hai detto,
forse, per burla che saresti andato?»
«Lei sa bene che con don Bosco non
burlo mai». «Va bene. Preparati. È
tempo».
L’undici novembre don Bosco accom-
pagnò i missionari fino a Genova.
Era profondamente commosso.
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Ottobre 2019

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Lieto e dinamico, capo della prossi-
ma spedizione dei 10 Salesiani diretti
all’Argentina don Cagliero con atti-
vità, allegria, bonarietà non si limitò
ad “accompagnare” i partenti. Intelli-
gente, autorevole e di feconde inizia-
tive, guadagnò in fretta la stima e la
benevolenza di tutti.
Allargò subito il piano di azione, ini-
ziando nella capitale una scuola profes-
sionale e un’opera nel rione malfama-
to “La Boca” ed ideando un collegio
a Montevideo. Suo compito doveva
essere la sistemazione dei confratelli
fermandosi a Buenos Aires tre mesi o
poco più, ma fu costretto a rimandare
per due anni la partenza.
Cantici di gloria
sull’Oratorio
di don Bosco a Torino
Sette dicembre 1884. Il bel tempio di
Maria Ausiliatrice risuona di canti li-
turgici.
Con il sacro e solenne rito il cardinale
arcivescovo Gaetano Alimonda con-
sacra vescovo Titolare di Magida don
Giovanni Cagliero.
Due particolari. Al termine dell’im-
ponente funzione, il giovane vescovo
si staccò dal corteo e si diresse verso
sua madre. La vecchietta (80 anni) gli
venne incontro sorretta da un figlio
e da un nipote. Monsignor Cagliero
strinse sul petto la testa bianca, e tra
la commozione dei presenti la riac-
compagnò con delicatezza perché si
sedesse. Verso la sacrestia, mescolato
tra la folla, l’aspettava don Bosco con
la berretta in mano. Il vescovo corse
e lo strinse in un abbraccio vigoroso.
Aveva tenuto nascosta la mano con
l’anello vescovile tra le pieghe dell’a-
bito. Il primo bacio toccava di diritto
al «suo» don Bosco.
Monsignor Cagliero il 22 dicembre
fu ricevuto in udienza particolare dal
Papa, il quale gli disse: «Andate e fa-
temi cristiana la Patagonia; piantate le
tende in quelle lontane Repubbliche
dell’America del Sud». Per l’energico
e appassionato vescovo salesiano era
un ordine. Percorse a cavallo e su tra-
ballanti carrette la sua immensa dio-
cesi, sfidando fiumi in piena, inonda-
zioni e rischiosi precipizi andini per
essere presente anche nei villaggi più
proibitivi e impervi.
Ritornò in Italia nel 1904, fece parte
con grandi successi della diplomazia
pontificia e il 21 luglio 1915, papa
Benedetto XV lo nominò cardinale.
C’era una sede vescovile a cui nessu-
no ambiva, Frascati. Il cardinal Ca-
gliero si offrì subito: «Sono vecchio,
(aveva quasi 83 anni) ma se si tratta
di lavorare per la Chiesa, non mi ri-
fiuto».
La diocesi, pur essendo piccola, era
disastrata. Un giorno avendo invitato
nel suo appartamento un Cardina-
le straniero, gli porse da bere un po’
di vino di Frascati. Quel Cardinale
lo trovò molto buono e ne riprese un
secondo bicchiere, dicendo: «Buono!
Buono!» Il Cardinale con il suo umo-
rismo concluse: «È il mio miglior dio-
cesano!» Con il suo feroce dinamismo
rimise in ordine quasi tutto.
Nel 1925 si celebrò il primo cin-
quantenario della Prima Spedizione
missionaria. Il cardinale Cagliero era
l’ultimo superstite di quel coraggioso
manipolo di pionieri. A Torino bene-
disse i Crocifissi a 172 Salesiani e 52
Figlie di Maria Ausiliatrice che par-
tivano per le missioni.
L’anno dopo, il 28 febbraio, chiudeva
serenamente la sua lunga, benefica,
laboriosa giornata.
Le suggestive sfingi bianche del ghiacciaio
El Cagliero formano una delle zone più belle
di El Chalten, in Patagonia. Il giusto ricordo
di un missionario ispirato e audace.
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4.2 Page 32

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TEMPO DELLO SPIRITO
CARMEL LAVAL
Tutti hanno qualcosa da insegnarci
I cinque pilastri della
spiritualità Masai
Foto Shutterstock.com
Di loro, conosciamo solo la lunga e fiera figura
drappeggiata di rosso. I Masai, un popolo di pastori
e guerrieri, comparse fotogeniche nei film e nei
documentari sul Kenya. Quello che pochi sanno è che essi
si trasmettono di generazione in generazione una ricca
spiritualità, vissuta quotidianamente, di portata universale
e che concepisce l’uomo come co-creatore dell’universo.
1. ILMAO: accettare la dualità
I Masai pensano che tutte le cose sono collegate
tra loro per formare coppie di elementi comple-
mentari. La dualità regna nella natura, come il
giorno e la notte, la pioggia e la siccità; e dentro
le persone, dove si scontrano impulsi altruistici
e desideri egoistici, paura e coraggio, generosità
e avidità, ecc. Non pensarci significa soffrire ed
essere in conflitto con gli altri. Da qui la necessità
di accettare la dualità del mondo e delle persone
con pazienza e gentilezza.
In pratica. Identifica le “qualità gemelle” che
sono in te. Elenca le tue caratteristiche e correla
ognuna di esse con qualche difetto o comporta-
mento che possono averti portato a fallimenti o
conflitti. Cerca la coerenza e l’equilibrio, guarda
te stesso e gli altri con uno sguardo sfumato e in-
dulgente.
2. ENCIPAÏ: essere nella gioia
“Tutta la mia famiglia sta bene. La siccità persi-
ste e non abbiamo nulla da mangiare. Domani
andrò al fianco della Montagna Rossa e troverò
dell’acqua”. E possono anche aggiungere: “Non
ho sentito nessuna brutta notizia”. Quando i Ma-
sai devono annunciare cattive notizie, la circon-
dano con due notizie positive. Per loro, la gioia
non è un obiettivo, ma un punto di partenza.
È la manifestazione del legame vivo che li uni-
sce alla Divinità suprema, fonte di tutta la vita.
La gratitudine alimenta la gioia, che a sua volta
rafforza il sentimento di gratitudine. Gratitudi-
ne per essere vivi, per poter mangiare, per poter
condividere prove e celebrazioni… Condividere e
gioire insieme, evidenziare ciò che sta andando
bene, mostrare umorismo sono tutte pratiche che
mantengono la gioia di vivere ogni giorno. Essere
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Ottobre 2019

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XAVIER PÉRON
in gioia è anche una forma di cortesia che dob-
biamo agli altri, genera un conforto relazionale di
cui tutti beneficiano.
In pratica. Coltivare la gratitudine su base quo-
tidiana, a partire dalla consapevolezza dei doni,
per quanto piccoli, che si ricevono. Regala tempo,
complimenti, consigli, tutte quelle piccole cose
che ammorbidiscono e abbelliscono i giorni di chi
ti circonda. Sii sempre positivo “racchiudendo”
un pensiero o un fatto negativo tra due pensieri o
fatti positivi, come fanno i Masai.
Ricollegati all’energia della natura. Sentiti par-
te della grande catena della vita. Non c’è niente
come appoggiarsi a un albero e perdere lo sguar-
do nel fogliame fino a sentirsi uno con esso per
ritrovare la serenità e la forza interiore. Due ele-
menti che compongono la felicità dell’essere.
3. OSINA KISHON:
la sofferenza è un’opportunità
Senza sofferenza, non c’è risveglio. Questa è la
profonda convinzione dei Masai, che vedono nel
dolore l’opportunità di crescere. Lo testimonia
uno dei loro sacri proverbi: “La carne che non è
dolorosa non sente nulla”. In questa prospettiva,
ringraziano la dea madre per aver messo la prova
e l’opportunità sul loro cammino.
In pratica. Procedere come i Masai, che visua-
lizzano le loro emozioni (paura, tristezza, rabbia,
scoraggiamento, desiderio di vendetta...), le tra-
sformano in nodi di una corda che poi bruciano.
4. EUNOTO: diventa un seminatore
All’atteggiamento del costruttore, i Masai pre-
feriscono l’atteggiamento del seminatore. Men-
tre il primo si concentra esclusivamente sul
raggiungimento dell’obiettivo che si è prefissa-
to, il secondo pianta il suo albero, se ne pren-
de cura, accetta tutti i rischi. Concretamente,
essere piantatore significa mettersi al passo con
il momento presente, adattandosi e mantenen-
dosi in uno stato tra vigilanza e fiducia, volontà
Xavier Péron, antropologo, vive con i Masai da più di trent’anni. Secondo lui,
la loro spiritualità può essere tradotta in queste linee di forza: superare le
paure, rimanere connessi, non creare divisioni dentro e intorno a se stessi,
approfittare delle prove, vivere la realtà presente.
«Per gli uomini separati, dispersi e agitati che siamo diventati, mi sembra
importante diffondere il loro messaggio di chiamata all’unità interiore, all’a-
pertura della coscienza, due fermenti essenziali di una vita più giusta e più
umana insieme».
e umiltà. Questa flessibilità è un fattore di se-
renità, pazienza e protegge dalla rabbia e dalla
delusione.
In pratica. Pianta un albero, prenditi cura di una
pianta. Questo ti incoraggerà a mettere momen-
taneamente in disparte il “voglio” e ti aiuterà ad
affrontare semplicemente ciò che avviene.
5. AINGORU ENKITOO:
cerca il giusto ordine
Essere nel giusto, nelle parole e nelle azioni, signi-
fica per i Masai essere collegati alla Divinità supre-
ma. Problemi, scontri, conflitti, agitazione sono
segni che ci siamo allontanati dalla nostra “missio-
ne”. Per i Masai, essere alla ricerca
dell’ordine è anche cercare
ciò che si è venuto a fare
sulla Terra.
In pratica. Ascolta
i messaggi del tuo
corpo quando hai
fatto una scelta,
preso una deci-
sione. Se hanno
ragione, sotto
emozioni super-
ficiali (apprensio-
ne, eccitazione), si
deve sentire un’onda
di calma, un senso
di pace interiore,
che può essere
tradotto in pa-
role come “non
è facile, ma è
giusto”.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
RAGIONIAMO
Il picchio deve la sua salvezza al fatto di usare la testa. Vale anche per l’uomo. I goal
della vita si fanno, utilizzando il cervello. Ragioniamo! È pericoloso lasciar vincere i folli!
9 I figli li amiamo
o li demoliamo?
Noi siamo, tutti quanti, il prodotto di coloro
che ci hanno amati o che si sono rifiutati di amarci
L a domanda è forte, ma su certi
temi non si può essere morbidi.
Quando si parla d’Amore non
si può scherzare. Con l’amore
non si gioca: con l’amore si vive!
Ecco perché quando si parla
d’amore il discorso va preso di petto.
Dunque, che cosa significa amare i figli?
L’istinto non basta: “I figli non si ama-
no perché sono i nostri. Si amano per-
ché si impara ad amarli!” ci avverte il
nostro autorevole pedia-
tra Marcello Bernardi.
Amare è sempre un’arte
da imparare! Tanto più lo
è l’amore pedagogico, cioè
l’amore dei genitori che si impegna-
no a far fiorire il figlio in tutte le sue
potenzialità.
Tale amore ha connotati diversi
dall’amore coniugale, come da quelli
dell’amore sociale.
Ebbene, chi va a scuola dall’arte dell’a-
more pedagogico, impara che vi sono
amori educanti e amori devastanti.
Amori devastanti
Ci limitiamo ai tre più insi-
diosi.
· Amare non è strafare.
Ha tutte le ragioni il proverbio:
“La mamma troppo valente,
fa la figlia buona a nien-
te!”. La madre che
continua a sbucciare l’arancia al figlio
che ha, ormai, otto anni, non lo ama,
ma gli ruba un’esperienza.
· Amare non è eleggere il figlio
a capofamiglia.
Mettere il bambino al centro (“Che
cosa vuoi per cena?”. “Dove vuoi che
facciamo le vacanze quest’anno?”)
è preparare un futuro despota, un
candidato al bullismo.
· Amare non è piacere sempre.
Arrendersi al figlio, sta all’amore
come la sabbia sta alla farina. Il vero
amore sovente è severo, fermo, deciso.
L’amore vero non abolisce i ‘no’, non
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LA FRASE
LE MAGNIFICHE LEGGI DELL’AMORE
«Se ciascuno avesse anche solo una per-
sona che nella sua vita gli dicesse: “Ti
amerò, indipendentemente da tutto! Ti
amerò anche se sei stupido, anche se sci-
voli e batti il naso, se sbagli, se commetti
errori, se ti comporti come un essere uma-
no…, ti amerò ugualmente” allora la gente
non finirebbe negli ospedali psichiatrici»
(Leo Buscaglia).
1. L’amore è come la luna: se non cresce...
2. L’amore non invecchia: matura.
3. L’amore non si divide: si moltiplica.
4. L’amore non si compra, non si vende:
si dona.
5. L’amore prima di dire: “Ti dò un bacio”,
dice: “Ti dò una mano!”.
6. L’amore o è umile o non è.
7. L’amore che fa economia d’amore,
non è vero amore.
8. Amare è ricondurre dolcemente
una persona a se stessa.
9. Amare è costruire la felicità di qualcuno.
10. Amare è andare oltre il necessario.
annulla le ‘regole’, anzi, le esige.
Passiamo agli amori che sono fattori
di crescita.
Amori educanti
· Amare è accettare il figlio.
Anche se non corrisponde ai nostri
desideri, ai nostri sogni. A proposito,
Immagini Shutterstock.com
il famoso psichiatra austriaco Bruno
Bettelheim ci ha lasciato questo am-
monimento: «Non puntate ad avere il
figlio che piacerebbe a voi. Abbiate
rispetto per quello che il bambino è!».
· Amare è rinunciare al pos-
sesso del figlio.
È tagliare, al più presto, il cordone
ombelicale; difendersi dalla maledet-
ta ‘ figliolite’ che non smette di conta-
giare le mamme, in particolare quelle
italiane (lo notano tutti gli studiosi).
· Amare è renderci amabili.
È pulire il proprio carattere forse tor-
tuoso, diffidente, umorale, urticante,
variabile, per darsi un carattere fe-
stivo, colloquiale, vibratile e tenero,
attento e generoso, un carattere sola-
re, perché proprio dal Sole impara: il
Sole dà, la Luna prende.
Un simile carattere è
educativo per natura
sua: una persona tutta
amabile irradia fatto-
ri di crescita. Non fa
ombre.
I figli che hanno la
fortuna di avere geni-
tori amabili, ringrazia-
no d’esser nati.
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4.6 Page 36

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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La difficile arte di può assumere sfumature differenti per ciascuno
di noi e che spesso nelle diverse fasi della vita
si riempie di valori e significati diversi. Un po’
perché man mano che progrediamo nel cammi-
affidarsi nodell’adultitàaumentainnoilaconsapevolezza
che, per quanto possiamo sperimentare momenti
di autentica pienezza e armonia interiore, non si
tratta mai di una condizione duratura conquistata
una volta per tutte, bensì – appunto – di momenti
“di grazia” che faticosamente riusciamo a rita-
gliarci tra i tanti temporali che agitano e scon-
«Ed accorgersi in un momento / di essere
parte dell’immenso / di un disegno molto più
quassano la nostra quotidianità.
Malgrado ciò, la ricerca della felicità – qualun-
que nome decidiamo di darle – resta per i giovani
grande / della realtà... / Lo chiederemo agli
alberi, / lo chiederemo agli alberi...»
adulti (come per ogni essere umano su questa Ter-
ra) un obiettivo primario e ciascuno a suo modo
si industria a mettere in campo tutte le strategie
A nche se talvolta ci
farebbe davvero
comodo, non esi-
ste alcun manua-
le che ci insegni
come vivere felici.
Un po’ perché la felicità è
un concetto soggettivo che
Lo chiederemo agli alberi
come restare immobili
fra temporali e fulmini,
invincibili...
Risponderanno gli alberi
che le radici sono qui
e i loro rami danzano
all’unisono verso il cielo blu.
Se d’autunno le foglie cadono
e d’inverno i germogli gelano,
come sempre la primavera arriverà.
Se un dolore ti sembra inutile
e non riesci a fermar le lacrime,
già domani un bacio di sole le asciugherà...
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4.7 Page 37

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di cui è capace per cercare un modus vivendi che
si avvicini quanto più è possibile alla propria idea
di felicità. E in questa continua tensione verso
il raggiungimento di un “imperturbabile equili-
brio”, capace di metterci al riparo dalle sofferenze
e dalle inevitabili delusioni dell’esistenza, ci ado-
periamo senza sosta per mantenere fermamente il
controllo sulla nostra vita, per prevenire e aggira-
re tempestivamente ogni possibile difficoltà, per
pianificare nel dettaglio la strada da percorrere,
evitando accuratamente tutto ciò che possa essere
causa di tristezza e di dolore.
Ma, per quanto accorti possiamo essere nel cerca-
re di prevedere l’imprevedibile, ci saranno sempre
eventi e variabili che sfuggono al nostro control-
lo, ostacoli che non si piegano alla nostra volontà
e che stravolgono i nostri progetti, mettendo a
dura prova la nostra fede.
Dobbiamo, allora, allenarci a fare i conti con l’in-
certezza e la precarietà dell’esistenza, irrobustire
le nostre radici e imparare, come gli alberi tenaci,
a “danzare nella tempesta”, cogliendo il buono di
ogni situazione e facendo tesoro anche delle pro-
ve e delle sofferenze che quotidianamente la vita
ci mette davanti. Soprattutto dobbiamo paziente-
mente coltivare la difficile arte dell’affidarsi, che
non piega la nostra libertà di scelta ad una resa
senza condizioni, bensì si nutre della convinzione
che tutto quello che ci accade fa parte di un pro-
getto più grande, di un disegno imperscrutabile
di cui la nostra storia personale, con le sue pover-
tà e le sue cadute, rappresenta solo una minuscola
parte e di cui non sempre riusciamo a scorgere la
trama nascosta ed intricata.
Imparare ad affidarsi significa, infatti, nutrire la
serena fiducia che non siamo soli ad affrontare le
difficoltà della vita, che anche nei momenti più
bui possiamo sempre contare sulla presenza di-
screta di Qualcuno che ci ama e si prende cura di
noi. Significa abbracciare l’incrollabile speranza
che anche l’inverno più freddo e desolante reca in
sé i semi di una nuova, radiosa primavera.
Lo chiederò alle allodole
come restare umile,
se la ricchezza è vivere
con due briciole, forse poco più...
Rispondono le allodole:
“Noi siamo nate libere,
cantando in pace ed armonia
questa melodia.
Per gioire di questo incanto,
senza desiderare tanto,
solo quello, quello che abbiamo
ci basterà”.
Ed accorgersi in un momento
di essere parte dell’immenso,
di un disegno molto più grande
della realtà...
Lo chiederemo agli alberi,
lo chiederemo agli alberi...
(Simone Cristicchi, Lo chiederemo agli alberi, 2019)
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
Quattro onomastici Echeonomastici!
Don Bosco non
dimenticava mai il giorno
in dieci giorni... onomasticodelleautorità
religiose e dei benefattori,
ma non si trattava delle
Don Bosco non dimenticava il
giorno onomastico soprattut-
to delle autorità religiose e dei
suoi grandi benefattori per in-
viare loro i più sentiti auguri.
Ma non si trattava delle tradi-
tradizionali e generiche
espressioni formali.
mentre noi tutti salesiani, cooperatori
e allievi dispersi in vari paesi d’Italia,
di Francia, di Spagna e di America ci
zionali e generiche espressioni formali,
prostriamo umilmente ed invochiamo
magari redatte su un elegante bigliet-
la sua Santa benedizione. A nome di
tino. C’era ben altro in quelle letteri-
tutti l’umile suo servitore… Sac. Gio-
ne! Vediamone alcune, quelle di dieci
anni Bosco”. Firmata la lettera si ren-
giorni del solo mese di agosto 1884.
de conto che con la sua pessima grafia
7 agosto: san Gaetano
– aveva gravi problemi di vista – forse
ha mancato di riguardo nei confron-
Don Bosco è ospite da alcuni giorni
ti del suo illustre corrispondente, per
del vescovo di Pinerolo. La calura di
cui aggiunge un commovente post
Torino gli è insopportabile, affatica-
scriptum: “Compatisca la mia povera
tissimo ed anziano (69 anni!) com’è. al più benevolo dei padri”. Dopo ul- scrittura”. Che cosa avrà pensato Sua
Eccolo comunque prendere carta, teriori espressioni augurali e promesse Eminenza? Molto probabilmente si
penna e calamaio e scrivere al suo di preghiere, don Bosco prosegue con sarà commosso.
arcivescovo, cardinale Gaetano Ali- una confidenza che certamente non
monda: “Eminenza Rev.ma e a tutti aveva potuto coltivare con l’arcive- 10 agosto: san Lorenzo
i salesiani car.mo, oggi S. Gaetano, scovo precedente, monsignor Gastal- Pochi giorni dopo è la volta del
onomastico della E.V. avrei voluto di: “In particolare poi domandiamo cardinale Lorenzo Nina, protettore
non andare ma volare presso di Lei unanimi e supplichiamo che voglia della Congregazione salesiana, con cui
per esprimere i figliali affetti di questo servirsi di noi in qualunque lavoro, in don Bosco da anni intratteneva relazio-
mio povero cuore, ma io debbo limi- qualunque servizio spirituale o tem- ni epistolari: “Eminenza Reverendissi-
tarmi ad inviarle due messaggeri a fare porale in cui ci giudicasse capace. Non ma, in ogni tempo, ma specialmente
le mie veci. Essi non possono portar- è vero che lo farà?”. Acquistata così la nel giorno Onomastico dell’E.V. deb-
le tesori materiali perché Ella non li benevolenza del Cardinale, conclude bono i Salesiani unirsi in un cuor solo
desidera, e la nostra condizione ce ne a nome dell’intera famiglia salesia- ed in un’anima sola per presentare alla
rende incapaci. Le diranno invece che na sparsa nel mondo: “Le grazie del sua augusta persona i sentimenti del-
i Salesiani portano all’E.V. tutta l’af- Cielo discendano copiose sopra di Lei la comune gratitudine loro, per tanti
fezione che i figliuoli possono portare e sopra tutta la venerata sua famiglia, benefizi che in questo anno si degnò
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largirci. Il maggior favore fu certamen-
te la comunicazione dei privilegi dei
Redentoristi. Questa concessione ha
collocata l’umile nostra Congregazio-
ne in uno stato normale, e pose il mio
cuore nella tranquillità da poter cantar
il Nunc dimittis… La prego di gradire
un Album in cui sono descritte le case
della Congregazione tanto in Europa
quanto in America. Copia identica sarà
presentata al S. Padre pel giorno suo
Onomastico”. Anche questa volta agli
auguri don Bosco associa i sinceri rin-
graziamenti per quanto il cardinale ha
fatto in favore dei salesiani e soprattut-
to gli esiti estremamente positivi della
loro azione, grazie alla sua protezione.
12 agosto: santa Chiara
È il giorno onomastico di una bene-
fattrice francese, la ricca signorina
Clara Louvet, da don Bosco incon-
trata a Lilla e a Torino e da lui diretta
spiritualmente attraverso decine di
lettere. Due giorni prima – eviden-
temente la posta Italia-Francia viag-
giava rapida – le scrive: “Mademoi-
selle Clara, Je suis ici a Pignerol pour
soigner un peu ma paresse. L’Evêque
pour moi est un digne père… Le
12 de ce mois tous les enfants et les
prêtres prieront à votre intention.
Que Dieu vous bénisse, que la Sainte
Vierge protège vous, Mr l’abbé En-
grand, vos parents, vos amis. Ain-
si soit-il. Veuillez bien prier pour ce
pauvre prêtre”. Poche parole, ma in-
tense queste di don Bosco: ammalato,
accolto benevolmente da un generoso
vescovo per un periodo di riposo, uni-
to ai suoi giovani prega per la giovane
francese e per tutti i suoi cari, che lui
stesso ha conosciuto l’anno preceden-
te a Lille. Gli amici, anche se lontani,
non li dimentica.
17 agosto: san Gioacchino
È l’onomastico di Gioacchino Pecci,
papa Leone XIII. Don Bosco gli por-
ge i suoi affettuosissimi auguri: ”Bea-
tissimo Padre, In questo giorno fau-
stissimo, B.P., consacrato alle glorie
di quel Santo che ricorda il venerabile
vostro nome, i Salesiani affezionatis-
simi ed obbligatissimi vostri figliuoli
sentono il grave dovere di esternare in
quest’anno la profonda loro gratitudi-
ne e la inalterabile loro riconoscenza
verso di V.S. loro insigne benefattore.
Voi ben lo sapete, o Beatissimo Padre,
come l’umile nostra Congregazio-
ne mancasse di un segnalato favore,
mancasse cioè di un forte vincolo che
inalterabilmente la stringesse colla
Santa Sede, e questo atto per noi tan-
to glorioso vi degnaste di compiere nel
9 maggio ultimo scorso”. Al dovere
della riconoscenza don Bosco fa se-
guire ancora una volta un’impegnativa
promessa: “Ora non resta altro che noi
vostri Salesiani tutti ci uniamo in un
cuor solo, in un’anima sola a lavorare
pel bene di Santa Chiesa. È vero che
nei difficili tempi che traversiamo e
nella grande messe che a noi si presen-
ta, appena possiamo chiamarci pusillus
grex, tuttavia di tutto buon grado noi
metteremo le nostre sostanze, le no-
stre forze, la nostra vita nelle mani di
V.S. affinché come di cosa tutta sua,
si degni servirsene in tutto quello che
giudicherà tornare a maggior gloria di
Dio nell’Europa nell’America e so-
prattutto nella Patagonia”.
Papa Leone XIII lo prese in parola.
Varie volte non avrebbe mancato di
“forzare la mano” ai salesiani, e al
nuovo rettor maggiore don Rua in
particolare, perché accettassero opere
richieste dai governi in “terre di mis-
sione”. Anche se avevano mille ragio-
ni per soprassedere, fecero ogni sfor-
zo per accogliere gli inviti papali. Del
resto, quante volte don Bosco aveva
loro ripetuto: “ogni desiderio del papa
per noi è un ordine”?
Le letterine di auguri di don Bosco
sono un atto di squisita cortesia nei
confronti del destinatario. Il corri-
spondente rimaneva emozionato all’i-
dea che don Bosco lo aveva pensato,
si era premurato di esprimergli i suoi
sentimenti, pregustando il momento
in cui il foglio di carta gli sarebbe ar-
rivato nelle mani ed immaginandone
le reazioni.
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I NOSTRI SANTI
A CURA DI PIERLUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
IL SANTO DEL MESE
In questo mese di ottobre preghiamo
per la Causa di Canonizzazione della
Maddalena Caterina Morano, Figlia
di Maria Ausiliatrice, di cui quest’an-
no ricorre il 25° di beatificazione.
Maddalena Morano nata a Chieri (Torino)
il 15 novembre 1847, inizia fin da giova-
ne un tirocinio pedagogico di cui sarà
improntata tutta la sua vita, specialmen-
te dopo il conseguimento del diploma di
insegnante. Ricca di esperienza didattica
e catechistica, nel 1879 è Figlia di Maria Ausiliatrice e chiede al
Signore la grazia «di rimanere in vita finché non abbia completato
la misura della santità». Nel 1881 è inviata in Sicilia, dove inizia una
feconda opera educativa tra i ceti popolari. Volgendo costantemen-
te «uno sguardo alla terra e dieci al Cielo», apre scuole, oratori,
convitti, laboratori in ogni parte dell’isola. Il suo molteplice aposto-
lato è apprezzato e incoraggiato dai Vescovi, che affidano alla sua
evangelica intraprendenza l’intera Opera dei catechismi. Spende le
sue migliori forze, lavorando per 25 anni in Sicilia, considerata allo-
ra terra di missione, come direttrice, maestra di novizie, visitatrice
e infine prima superiora provinciale. Il 26 marzo 1908 suor Morano
chiude a Catania una vita di piena coerenza, avendo ben compreso
che il “sistema preventivo” non è soltanto un metodo pedagogico,
ma una spiritualità che sviluppa e orienta ogni energia di bene a
servizio del Signore e dei fratelli. Alla sua morte in Sicilia ci sono
18 case, 142 suore, 20 novizie e 9 postulanti. Nella stessa città di
Catania Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata il 5 novembre 1994.
Preghiera
Padre, che hai arricchito la Beata Maddalena Morano
di una spiccata sapienza educativa,
concedici, per sua intercessione,
le grazie che ti domandiamo.
Fa’ che anche noi con gioia e instancabile amore
sappiamo donarci nell’annuncio del Vangelo
con le parole e con la vita.
Rendici forti nella speranza
perché possiamo glorificarti ed essere, dinanzi ai fratelli,
profeti credibili di Cristo Gesù.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
Per la pubblicazione non si tiene conto delle
lettere non firmate e senza recapito. Su richiesta
si potrà omettere l’indicazione del nome.
CRONACA DELLA POSTULAZIONE
Il 28 giugno 2019, solennità del S. Cuore di Gesù, è stato ufficial-
mente presentato al cardinale Vicario di Roma Angelo De Donatis,
il Supplex libellus, cioè l’istanza ufficiale con la quale l’Istituto
delle Figlie di Maria Ausiliatrice chiede l’apertura dell’Inchiesta dio-
cesana sulle virtù, la fama di santità e di segni di madre Rosetta
Marchese (1922-184), suora Professa dell’Istituto delle
Figlie di Maria Ausiliatrice.
Il 16 luglio 2019, è stato ufficialmente presentato all’Arcivescovo
di Lima (Perù), il Supplex libellus, cioè l’istanza ufficiale con la
quale la Congregazione Salesiana chiede l’apertura dell’Inchiesta
diocesana sulle virtù, la fama di santità e di segni di padre Luigi
Bolla (1932-2013), sacerdote Professo della Società di
san Francesco di Sales, missionario tra gli Shuar e gli Achuar
dell’Ecuador e del Perù.
Il 19 luglio 2019 è stata consegnata la Positio super Vita, Virtuti-
bus et Fama Sanctitatis del Servo di Dio Felice Canelli (1880-
1977), sacerdote della Diocesi di San Severo (Foggia-Italia), Sa-
lesiano Cooperatore, la cui Causa di Beatificazione è seguita dalla
Postulazione salesiana.
Ringraziano
Ringrazio Maria Ausiliatrice
e san Domenico Savio per la
nascita dei miei nipotini Anna ed
Alessandro.
Donatella Galli
Desideriamo ringraziare di cuore
san Domenico Savio per la
nascita del nostro piccolo Matteo,
avvenuta il 6 luglio 2019 a seguito
di una gravidanza attesa da anni.
Per tanto tempo abbiamo recitato
con assiduità la novena e la “pre-
ghiera nel desiderio della materni-
tà”. Inoltre, per tutta la gravidanza
la futura mamma ha indossato
l’abitino di san Domenico Savio e
recitato la “preghiera della mam-
ma in attesa”. Nei momenti di dif-
ficoltà e di timore che le cose non
andassero bene abbiamo invocato
il Santo e tutto è andato per il me-
glio. Ora abbiamo appeso l’abitino
alla culla affinché san Domenico
Savio continui a proteggere il no-
stro angioletto Matteo.
Marco e Cristina - Padova
Testimonio un miracolo ricevuto
per intercessione di san Dome-
nico Savio. Stavo viaggiando in
autostrada ed ho avuto un brutto
incidente con l’automobile. Ne
sono uscita illesa, meravigliando
il soccorso stradale. Non si spie-
gano come ne sono uscita viva.
Portavo con me l’abitino di san
Domenico Savio e prima di uscire
di casa mi sono raccomandata a
lui e a Maria Ausiliatrice. Ne sono
certa, c’è stato il suo intervento!
Sara Condemi di R.C.
40
Ottobre 2019

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
Don Luigi Cei
Morto a Roma il 20 giugno
2019, a 74 anni.
Archivista e direttore
dell’Archivio Salesiano
Centrale di Roma
Nato a Torino il 13 ottobre 1944,
appena fanciullo don Luigi (don
Luigino per gli amici) frequentò la
scuola salesiana di Torino-Borgo
S. Paolo dalla quinta elementa-
re alla terza media; adolescente
entrò nell’aspirantato di Chieri
(1959-1961) per gli studi ginna-
siali. Seguirono gli anni del no-
viziato a Pinerolo (1962-1963).
Ordinato sacerdote il 19 giugno
1973, trascorse cinque anni nella
casa di Chieri (1973-1978) come
catechista, insegnante di materie
letterarie e cappellano delle suore
Benedettine.
In tutto il quindicennio formativo
don Luigi ha costantemente ma-
nifestato un’incredibile delicatez-
za di animo e gentilezza di tratto.
In lui erano innate la dolcezza, la
tenerezza, la cortesia dei modi,
l’accoglienza amorevole di qua-
lunque persona lo avvicinasse.
Con una dose di presunzione, lo
si potrebbe forse definire un uni-
cum in Congregazione, tanto sono
concordi i vari giudizi di ammis-
sione alle professioni e agli ordini.
Per il periodo di tirocinio testimo-
nia un compagno di studi: “Era
felice quando poteva rendere un
favore al prossimo. Se gli veniva
chiesto qualcosa non si dava pace
finché non riusciva a soddisfare la
richiesta ricevuta. Si può dire, con
sincerità, che da don Cei nessuno
si è mai sentito dire un “no”. Nel
quinquennio sacerdotale a Chieri
come insegnante di scuola me-
dia sottolinea lo stesso compa-
gno: “Ciò che forse più lo ha fatto
soffrire […] è stata la difficoltà di
tenere la disciplina. Mai ha alzato
la voce, tantomeno le mani, per
farsi obbedire da un allievo. Ha
sempre cercato di convincerlo,
di persuaderlo con le buone, di
conquistarlo con la bontà, con la
gentilezza. Ecco, la bontà era la
sua virtù fondamentale: in questo
era insuperabile!”.
Dal 1978 don Luigi fu chiamato
ad operare in un diverso campo
di lavoro: a tavolino. Per 15 anni
gli fu affidato il compito di segre-
tario ispettoriale a Torino-Val-
docco e poi per 26 anni quello di
archivista nell’Archivio Salesiano
Centrale di Roma.
Alla casa madre di Torino-Val-
docco ebbe modo di farsi ap-
prezzare dai confratelli dell’ispet-
toria e dai membri della Famiglia
Salesiana. Per tre anni don Luigi
è stato pure assistente del Grup-
po Torino 1 delle “Volontarie di
Don Bosco” che lo accostavano
alla figura di san Luigi, non solo
per la somiglianza del nome, ma
soprattutto per la sua figura spi-
rituale e morale.
Trasferito a Roma nel 1993 come
collaboratore e successivamente
direttore dell’Archivio Salesiano
Centrale di Roma (ASC) – ubicato
nella Casa generalizia di via della
Pisana fino al 2017 e successi-
vamente presso l’UPS di Piazza
dell’Ateneo Salesiano –, don Lui-
gi vi lavorò fino alla fine. Quello
di archivista-direttore dell’ASC è
un impegno molto serio: si tratta
di decifrare, capire, sintetizzare,
schedare, collocare migliaia di
carte, oltre che di gestire il gover-
no ordinario del grande archivio
salesiano, di organizzare il lavoro
del personale, di dare facoltà agli
studiosi di accedere ai documenti
per le loro ricerche, studi e tesi.
Come custode delle “memorie
salesiane” don Luigi dovette af-
frontare le conseguenze di due
ricollocazioni impegnative: negli
anni ’90 il trasferimento nell’am-
pio e rinnovato spazio destinato
alla nuova sede dell’archivio, ma
con la conseguente e complessa
opera di informatizzazione di tutto
il patrimonio documentario; poi
nel 2017 il nuovo trasloco dell’in-
tero archivio nel campus dell’UPS.
La rapidissima messa in atto di
tale ultimo processo è stato un
vero calvario fisico e morale per
chi, come lui, sentiva fortissima la
responsabilità di far sì che nessun
documento andasse smarrito o
collocato fuori posto. Non ebbe
tempo per riprendersi dalla fatica
che nel giugno 2018 dovette tra-
sferirsi nell’infermeria dell’UPS
assistito amorevolmente fino alla
morte dalle suore “Figlie dei Sacri
Cuori di Gesù e Maria”.
Al di là del lavoro umile ed inde-
fesso, don Luigi è stato l’uomo del
servizio anche nell’ambito comu-
nitario: il suo “sì” ad ogni richie-
sta era totale e sincero; prima an-
cora che qualcuno gli potesse dire
grazie, era lui stesso a ringraziare
per avergli chiesto un favore. Era
morigeratissimo nell’esprimersi,
delicato e controllato nei giudizi,
insofferente di un linguaggio men
che pudico. Non è mancato qual-
che compagno che lo ha definito
“un novello Domenico Savio”. La
sua fede si manifestava partico-
larmente nella vita di preghiera,
nell’estrema discrezione, nella de-
liberata rinuncia alle dissipazioni
mondane facilmente indotte dalla
stampa, dalla TV e dai moderni
mezzi di comunicazione di mas-
sa, di cui si serviva molto spora-
dicamente. Non volle mai avere a
disposizione un cellulare. La sua
assidua partecipazione alla pre-
ghiera era convinta. Amava pre-
gare e concelebrare quasi in di-
sparte, in seconda fila. Quanto gli
è costato il dover essere al centro
o davanti a tutti come maestro di
canto nelle domeniche e nelle ce-
lebrazioni speciali.
Per oltre un ventennio si è poi as-
sunto l’impegno quasi quotidiano
di cappellano presso le suore
“Apostole della Sacra Famiglia”
al quartiere EUR di Roma.
Ora non ci resta che far nostro
l’invito che lui stesso ci ha lascia-
to sulle pagine del BS del dicem-
bre 2014: “quello di avere sempre
vivo il senso della gratitudine a
Dio per la vocazione che Egli ha
dato a ciascuno di noi e ritenen-
do la nostra persona come docile
strumento nelle Sue mani per fare
della nostra vita un vero dono”.
Ottobre 2019
41

5.2 Page 42

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
PELLICOLE E SANTITÀ
Quali furono i rapporti intercorsi tra XXX? A questa domanda è
molto facile rispondere: nessuno, in quanto l’invenzione del Cine-
ma è posteriore alla morte del Santo. Le produzioni di livello ci-
nematografico, distribuite nel circuito nazionale sono quindi suc-
cessive ed egli, da grande comunicatore qual era, non poté mai
supervisionarle o semplicemente visionarle. Il primo lungometrag-
gio sulla sua vita intitolato “Don Bosco” era il racconto sulle opere
del santo fondatore dell’ordine dei Salesiani. Venne diretto da Goffredo Alessandrini, e girato nel 1935
negli Studi Fert di Torino (ora chiusi). Tra gli interpreti: Gian Paolo Rosmino, il protagonista, e attori
non professionisti tra cui parecchi sacerdoti salesiani. Dopo molti anni, nel 1988, il regista Leandro
Castellani dirige un secondo film su don Bosco, titolato anche questo con il suo nome, interpretato
dal bravo Ben Gazzara, con una recitazione schietta e sincera, e, tra i nomi noti, anche dalla stella del
pop Patsy Kensit nel ruolo di una povera contadina. Il film procede a ritroso partendo dalla fine della
vita del Santo, il quale, già sulla sedia a rotelle, ripercorre con il ricordo, commosso, le tappe salienti
della sua vita a cominciare da quando, ragazzino, si cimentava con le prove di abilità. Ultimo lavoro
su don Bosco, in ordine di tempo, è la miniserie televisiva in
due puntate da 100 minuti ciascuna, trasmessa su Rai 1 nel
2004. Interpretata da Flavio Insinna nelle vesti di don Bosco
e narrata in flashback, è il racconto di una vocazione vissuta
nel segno della gioia e dell’ottimismo, nonostante le difficoltà
che disseminano il cammino del protagonista. Il film è stato
girato in lingua inglese, e successivamente gli attori si sono
doppiati in italiano. La rete della Rai ha proposto anche una
versione ridotta della fiction, nel formato di film per la televi-
sione dalla durata di 114 minuti.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. Un organo
collegiale scolastico istituito con i co-
siddetti decreti delegati del ’76 - 15.
Lavorano in botteghe e officine - 16.
Napoli (sigla) - 17. Un po’ di avventu-
ra - 18. A voi - 19. La sigla del tritolo
- 20. Celebri pittori bolognesi del Cin-
quecento - 23. Patemi d’animo - 25.
Ripida salita - 27. Delfino dei fiumi
del Sud America - 28. XXX - 32. Il
nostro voilà - 33. Iniziali di Mandela -
34. I confini dell’Etiopia - 35. Nobile a
metà! - 36. Un rifiuto - 37. Mettersi in
mezzo - 42. Il nichel (simbolo) - 43.
Quelle di marzo furono fatali a Cesare
- 45. Il segnale stradale ottagonale -
46. Breve filmato pubblicitario - 48.
Si fanno per strada imbattendosi in
qualcuno - 49. Un poema omerico.
VERTICALI. 1. Così era definito
in modo sprezzante il dentista - 2. Per
portata viene subito dopo il Rio delle
Amazzoni - 3. Nuovo Testamento - 4.
Sta morendo dal desiderio di bere - 5.
Che ha il calore del fuoco - 6. Sono
metà gitani! - 7. Viene dopo il sol - 8.
Storditi, frastornati - 9. Le hanno porti
e golfi - 10. Era un importante istituto
assicurativo - 11. Prendere su di sé
un grosso peso - 12. Il nome dell’at-
tore Delon - 13. Sacerdote in breve -
14. Che si può eludere o farne a meno
- 20. Il club che riunisce amanti della
montagna (sigla) - 21. Le hanno pari
i grandi - 22. Cittadina della Norman-
dia - 24. Società in Nome Collettivo
(sigla) - 25. L’indimenticato Calindri
(iniz.) - 26. Quando c’è il sole è bello
- 29. Al centro delle classifiche! - 30.
Il brillante Gullotta - 31. Mio a Parigi -
38. Sono dispari nel rostro - 39. L’ex
Partito Popolare Italiano - 40. Socie-
tà per Azioni (sigla) - 41. Una lettera
ebraica - 43. Novantanove romani
- 44. Una preposizione - 47. Gli in-
glesi lo gustano alle 5 del pomeriggio.
42
Ottobre 2019

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
L’amicizia
Disegno di Fabrizio Zubani
L’ordine della signora sindaco
era stato perentorio. Alcuni
dipendenti del comune di
Parigi avevano avuto l’in-
grato compito di catturare
quanti più piccioni potesse-
ro per trasferirli altrove o eliminarli.
In alcune zone della città, i volatili
non solo sporcavano i monumenti,
ma disturbavano in modo poco poe-
tico i turisti.
I bravi lavoratori aveva fatto alcune
retate su due piazze e stavano per si-
stemare le reti piene di volatili dentro
un grosso furgone quando un’auto-
mobile antiquata, ma di gran lusso, si
fermò accanto a loro.
Dall’auto scese un’anziana furibonda
che brandiva l’ombrello come una
spada. La donna partì all’attacco dei
poveri operai menando fendenti a
destra e a manca. Si fece strada tra
gli uomini e con l’ombrello giustizie-
re squarciò le reti che imprigionava-
no i piccioni, i quali presero il volo in
un turbinio di piume.
Poi la signora puntò l’ombrello contro
gli operai e ricominciò a menare colpi
all’impazzata. Gli operai si proteg-
gevano dalle ombrellate riparandosi
come potevano con le braccia e bal-
bettando proteste che la donna nean-
che sentiva: «Piano, signora... un po’
di rispetto... per favore... stiamo lavo-
rando, sono ordini superiori... signora,
signora perché non va a ombrellare la
sindaca... si calmi, signora! Ma che
accidenti di insetto l’ha morsicata?»
Quando finalmente la donna, stanca,
si tranquillizzò e si appoggiò al muro
per riprendere fiato, gli operai le
chiesero una spiegazione.
Dopo un lungo silenzio, la signora
disse: «Mio figlio è morto».
Gli operai mormorarono qualche
scusa, che erano molto dispiaciuti,
ma non era certo colpa loro. Oltre-
tutto avevano avuto una mattinata
piena, c’era ancora molto da fare. Lo
capiva?
«Mio figlio è morto» ripeteva la
donna.
E gli operai: sì, sì, sì, sì, sì, ma loro
si guadagnavano il pane, c’erano
milioni di piccioni in tutta Parigi, i
maledetti piccioni erano la rovina di
questa città.
«Miserabili!» Li fulminò la signora.
E, come trasognata, lontana dagli
operai, lontana da tutto, disse: «Mio
figlio è morto ed è diventato una
colomba».
Gli operai ammutolirono. Dopo un
po’, uno di loro, indicando i piccioni
che svolazzavano in cielo e si posava-
no sui tetti e sui marciapiedi, sbottò:
«Perché non prende suo figlio e ci
lascia lavorare in pace?»
La donna, si raddrizzò il cappellino in
testa e disse: «Oh, no! No di certo!»
Guardò attraverso gli operai, come se
fossero di vetro, e molto serenamente
aggiunse: «Non so quale dei piccioni
è mio figlio. E se lo sapessi, non lo
prenderei. Che diritto ho di separarlo
dai suoi amici?».
Ottobre 2019
43

5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
Speciale
Un anno con don Bosco
e la Strenna 2020
CalSeanldeasriiaono
Il tempo
è la risorsa
più preziosa
che hai.
E non è
rinnovabile.
Calendario
Salesiano
Gennaio 2020
1 Mer Maternità di Maria
2 Gio ss. Basilio
e Gregorio Nazianzeno
3 Ven SS. Nome di Gesù
s. Genoveffa
4 Sab s. Elisabetta Selon
s. Ermete
5 Dom s. Amelia
s. Edoardo
6 Lun Epifania del Signore
s. Guerrino di Sion
7 Mar s. Raimondo de Peñafort
s. Luciano
8 Mer b. Titus Zeman
s. Severino - s. Massimo di Pavia
9 Gio s. Giuliano
s. Adriano di Canterbury
10 Ven s. Aldo
s. Pietro Orseolo
11 Sab s. Igino papa
s. Salvio
12 Dom s. Modesto
s. Antonio M. Pucci
13 Lun Battesimo di Gesù - s. Ilario
b. Veronica da Binasco
14 Mar s. Felice da Nola
s. Bianca
15 Mer b. Luigi Variara
ss. Mauro e Placido
16 Gio s. Marcello I
s. Tiziano
17 Ven s. Antonio abate
18 Sab s. Liberata
s. Margherita d’Ungheria
19 Dom s. Mario
s. Pia
20 Lun 2a del tempo ordinario
s. Sebastiano - s. Fabiano
Le preghiere
sono come
tanti fili per
tirare a noi
le grazie
del Signore.
(Don Bosco)
30 Gio
31 Ven
b. Bronislao Markiewicz
s. Martina - b. Sebastiano V.
s. Giovanni Bosco
s. Ciro
la
Strenna
Marzo Ndupdasimuouenvisllcialsnghsaniaeieaoaprmclvioaochaotoeroncmàmrgise,tentassaoicisagipudsptlmeeoaieern,nedsrtidteoelrtonosceltaahrceienehdedoediiaigm.illvnE’epepaicsvtrlcnsiàoaocetganierpeegapelteadetrrloecvigozhnacrgzédnhaanegennzireiodievollneiinmStzzeazziogaaclntetooorrcriae
ha su di essa.
2020
1 Dom s.
s.
Albino
David
-
s.
Silvio
s. Quinto
23 LMunar s8s.a.PdMroealsrptienemroop-os.oCrudinneagroiond-aCaimrnpeevraalterice
4 Mer s. Casimiro
s. Lucio I
5 Ricordatevi,
o
cari
figliuGiooli,ss..
Adriano
Cirano
617890 cnagiconohrcrasesiptazeolrisraea,cbpuVcaoheenntrreoiugmistdinotnaienoe,nsoqphotuenriaeilpemlgnceleeeorenssslstaisatreoVorSDerLiaMneouib,mnarLses.ssCCss..I.oes.GPQFl.nGeeirDeourtraretvpainioagaercneotn-eiusrngssiiacmoii.admGedaiRiiF.oDoeN-rmild.osica.ainStnaoiamplicio
11 parenti, amici. Per darceleMer
s. Costantino re
s. Benedetto
aspetta solamente
1123 che le domandiamo.
Gio
Ven
s. Massimiliano
b. Girolamo da
Recanati
s.
s.
Eufrasia
Cristina
V.
m.
-
s.
Patrizia
14 Sab (Don Bosco)
s. Matilde reg.
s. Paolina
15 s. Luisa
Dom s. Longino
16 Lun s. Eriberto
s. Damiano
17 Mar II Quaresima
s. Patrizio - s.
Geltrude
18 Mer
19 Gio
s. Cirillo
s. Cristiano
-
s.
Salvatore
ss.sG. Qiuusienptpoeescpoomsopadgi nMi. V.
20 Ven s.
s.
Claudia
Alessandra
m.
21 s. Benedetto
Sab s. Elia
s. Lea
s. Benvenuto
22 Dom s. Turibio di Mongrovia
s. Vittoriano
23 Lun III
24 Mer s.
Quaresima
Caterina di
- s. Romolo
Svezia
Annunciazione
25 Gio s. Umberto - s.
del Signore
Isacco
26 Ven s. Emanuele
s. Teodoro
27 Sab s. Augusta
s. Alessandro
28 Dom s. Sisto
s. Gontrano re
29 Lun s. Secondo
30 Mar s. Amedeo
s. Quirino m.
31 Mer IV
s.
Quaresima
Beniamino
-
s.
Amos
Strlaenna LsapadatndCarDilvdeeeahtuieiglestoimlmdaitruaaanecmeaanorcrintnteeoaamaàsanriggmdeeonslflenaiierePevaenpaalaettletlmdsretteveaprrrr.oseoiitinIrnst,l(cniiaeedtdoterzàruimomeezr,ao,iaoecvcgglcedohidolnfsinoernidisaaoeuieèdgtlssttttaecllsàuaraileeilv,tareirtcri.reelavaoadteDmgrfzeliri’zii,avgeoeoacezln,ilfoicaeorpcdomanurementeeellvoetsleauoltspeletPnrniasrsaagètstataetdeiermorslriisrrscecoaeiooasnllniiDeipggoaieinsonorci.znfeaierce)a
Maggio 2020
1 Ven s. Giuseppe artigiano
s. Riccardo Pampuri
2 Sab s. Atanasio
s. Felice di S. - s. Cesare
3 Dom ss. Filippo e Giacomo
s. Giovenale
4 Lun s. Floriano
s. Antonina
5 Mar III Pasqua in Albis
s. Pellegrino - s. Irene - s. Leo
6 Mer s. Domenico Savio
s. Lucio - s. Giuditta
7 Gio s. Fulvio - s. Rosa Venerini
s. Flavia Domitilla
8 Ven Madonna di Pompei
s. Vittore - s. Desiderato
9 Sab s. Duilio
s. Gregorio v.
10 Dom s. Antonino
s. Cataldo
11 Lun s. Fabio m.
s. Ignazio da Làconi
12 Mar
13 Mer
14 Gio
IV Pasqua - Gesù Buon Pastore
ss. Nereo e Achilleo - s. Pancrazio - s. Rossana
N.S. di Fatima
s. M. Mazzarello - s. Emma
s. Mattia
s. Massimo m.
15 Ven
16 Sab
s. Torquato
s. Isidoro agricoltore - s. Achille
s. Luigi Orione
s. Ubaldo
17 Dom s. Pasquale Baylon
b. Antonia Mesina
18 Lun s. Leonardo Murialdo
s. Giovanni I
19 Mar V Pasqua
s. Celestino V - s. Ivo
20 Mer s. Bernardino da Siena
b. Colomba da Rieti
21 Gio
22 Ven
23 Sab
24 Dom
25 Lun
26 Mar
27 Mer
28 Gio s. Germano - s. Ercole
29 Ven b. Giuseppe Kowalski
s. Massimo da Verona
30 Sab s. Giovanna d’Arco
s. Ferdinando
31 Dom Visitazione B.V.M.
s. Silvino da Tolosa
la
Strenna
1 Giugno ccnSpidCholoaeo’emgènlrveisauuoessornnvanirclairiramcvàcenalalseoepzicm.diaoèeoCodsarnodesdeenidibni,sgiliseviraalneleiamlvfrtanleseruiedarcfvseeeidnsezdioliaorzaaeaniir,uomtseacntrpcoe’aneèiinprcpldivtrh’teeeoieuedrcrSasuaoalaplac;viniataruecàmitFnrntoersudiaarcsaaoeicnlazlieecueitmsaea.ni,siaccgoniozusaisdiadiiaa,,
2 2020 Lun s.Giustino
s. Annibale di Francia
Mar FAesscteandseiollnaeR-espsu. bMbalirccaellino e Pietro
43 2221 GMioer ss.s.sQ.F.CurGalioirnoitnvcileaodsnecno-iCsXsaX.rIaCIIaccprilaooploLawanga e compagni
5 23 Ven s. Bonifacio
s. Valeria
6 24 Sab s. Norberto
s. Paolina
7 25 Dom s. Antonio
s. Roberto
M.
Gianelli
8 26 Lun b. Stefano
s. Medardo
Sándor
- s. Sira
109 2287 Mar ss.P.DeAniantnnecaaomstaeri-asT..E-frse.mPrimo
Mer s. Getulio - s. Marcella
11 29 Gio s. Barnaba
s. Paola Frassinetti
12 30 Ven sb..GFuraidnoce-ssc.oOKneofryioe compagni
13 s. Antonio
Sab s. Massimo
14 s. Eliseo
di Padova
venerato a
Cravagliana
Dom ss. Valerio e Rufino
15 Lun s. Vito
s. Germana Cousin
16 la Mar ss. Trinità -
s. M. Teresa
s. Aureliano
Scherer
17 Strenna Mer s. Adolfo -
s. Gregorio
s. Ranieri
Barbarigo
18 Gio s. Marina
s. Erasmo
19 Ven
20 Sab
s. Romualdo
ss. Gervasio e Protasio
s. Ettore
Madonna della Consolata di Torino
Dom ss..RLauoiguilG-osn. zRaogdaolfo
Lun ss. Giovanni
s. Paolino
Fisher
e
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Dammi
una
mano!
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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