Bollettino_Salesiano_201812

Bollettino_Salesiano_201812



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IL
DICEMBRE
2018
Rivista fondata da
S. Giovanni Bosco
nel 1877
Le case
di don Bosco
Messina
A tu per tu
Don
Cristiani
Salesiani
nel mondo
Etiopia

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LE COSE DI DON BOSCO
JOSÉ J. GÓMEZ PALACIOS
La «fede»
del padre
Di me si può dire, senza paura di smenti-
ta, che ho il cuore d’oro. Anche i nomi
che mi danno sono belli: la maggio-
ranza mi chiama “fede matrimoniale”.
Sono un anello d’oro, simbolo e sigillo
di un amore vero, benedetto, gioioso.
Uscii dalla scatoletta del modesto gioielliere di
Castelnuovo il 6 giugno 1812. A Capriglio, un
villaggio vicino. Mi prese in mano Margherita
Occhiena che era senza dubbio la ragazza più
bella e ambita del paese. Mi mise all’anulare di
Francesco Bosco, un giovane robusto, ricciuto,
mani di contadino.
Mi ricordo che il papà aveva detto a Margherita:
«Andrai a vivere in una famiglia più povera della
nostra. Ma Francesco è un bravo cristiano e un
forte lavoratore. Non potrete fare molte feste,
perché in quella famiglia è già entrato il dolore.
Dovrai prenderti subito cura di un bambino
di pochi anni, così sarai sposa e madre fin dal
primo giorno».
Margherita aveva accettato.
Francesco non voleva passare tutta la vita a fare
il mezzadro. Dopo qualche tempo riuscì ad
(Traduzione di Deborah Contratto)
La storia
Nel 1884, don Bosco è sofferente, ma parte ugualmente
per cercare finanziamenti in Francia. Prima di partire dice
a don Cagliero: «Il testamento è fatto, e siamo a posto. Lo
consegno a te in questa scatola. Conservala e ti sia il mio
ultimo ricordo». La scatola conteneva l’anello d’oro, appar-
tenuto al padre del Santo (Memorie Biografiche XVII, 35).
acquistare a credito una casupola, e ne fece il de-
posito dei suoi arnesi da lavoro, e stalla e fienile
per i due buoi e la mucca che aveva «parcheggia-
to» da nonno Melchiorre.
I debiti non lo spaventavano. Li saldava poco a
poco con il suo lavoro.
Ero anch’io pieno di sogni, ma morirono tutti
l’11 maggio 1817. Francesco morì a 34 anni.
Piangendo, Margherita, che aveva 29 anni, mi
tolse dall’anulare del marito, mi baciò e mi mise
in una scatoletta di cartone. In lacrime, attac-
cato alla sua mano, c’era il bambino più piccolo,
Giovanni, di quasi due anni.
Lo rividi tanti anni dopo, Giovanni Bosco, il
giorno della sua Ordinazione sacerdotale. Mam-
ma Margherita mi mise nelle sue mani, che
ancora profumavano di Sacro Crisma. Avevo di
nuovo tanti sogni, invece tornai nella scatoletta.
Passarono di nuovo degli anni e mi ero rasse-
gnato al mio buio destino. Ma un mattino, don
Bosco mi prese in mano. Io solo vidi le lacrime
luccicare nei suoi occhi, mentre pensava alla
mano di quel papà che mi aveva portato e che
lui non aveva quasi conosciuto. Poi con un gesto
risoluto mi mise nelle mani di Giovanni Ca-
gliero, uno dei suoi figli più cari, che stava per
diventare vescovo in Argentina. Il primo vescovo
della Congregazione Salesiana, che conservava
gli occhi sereni e sbarazzini da monello felice
dell’oratorio di don Bosco.
Cominciai così la mia splendida avventura nelle
mani di monsignor Cagliero che stringevano
con vigore le briglie del cavallo e sapevano essere
amorevoli per benedire e consacrare. Così sono
stato una vera “fede” e posso proclamare anch’io:
Missione compiuta!
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Dicembre 2018

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IL
DICEMBRE 2018
ANNO CXLII
Numero 11
IL
Mensile di
informazione e
DICEMBRE
Rivista fondata da
2018
S. Giovanni Bosco
nel 1877
cultura religiosa
Le case
di don Bosco
Messina
A tu per tu
Don
Cristiani
Salesiani
nel mondo
Etiopia
edito dalla
Congregazione
Salesiana di San
Giovanni Bosco
In copertina: Avvento: il tempo dell’attesa
e della speranza (foto di Yuliya Evstratenko/
Shutterstock).
2 LE COSE DI DON BOSCO
4 IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
6 CHE COSA PENSANO I GIOVANI
8 SALESIANI NEL MONDO
Fame!
12 LE CASE DI DON BOSCO
Messina
16 FINO AI CONFINI DEL MONDO
18 A TU PER TU
Don Pasquale Cristiani
21 INIZIATIVE
Concerto di Natale
22 INVISIBILI
Apis laboriosa
24 FRONTIERE SALESIANE
Il dono della luce
28 FMA
Ungheria
30 MEMORIE
34 COME DON BOSCO
36 LA LINEA D’OMBRA
38 LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
40 I NOSTRI SANTI
41 IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
42 RELAX
43 LA BUONANOTTE
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18
24
Il BOLLETTINO SALESIANO
si stampa nel mondo in 57
edizioni, 29 lingue diverse e
raggiunge 131 Nazioni.
Direttore Responsabile:
Bruno Ferrero
Segreteria: Fabiana Di Bello
Redazione:
Il Bollettino Salesiano
Via Marsala, 42 - 00185 Roma
Tel./Fax 06.65612643
e-mail: biesse@sdb.org
web: http://biesseonline.sdb.org
Hanno collaborato a questo
numero: Giorgio Aldrighetti, Andy,
Federica Annibali, Agenzia Ans,
Pierluigi Cameroni, Giuseppe
Cassaro, Roberto Desiderati, Emilia
Di Massimo, Ángel Fernández
Artime, Claudia Gualtieri, Cesare Lo
Monaco, Alessandra Mastrodonato,
Francesco Motto, Pino Pellegrino,
Filippo Perin, Silvio Roggia,
Caterina Sorbara, Luigi Zonta,
Fabrizio Zubani.
Diffusione e Amministrazione:
Tullio Orler (Roma)
Fondazione
DON BOSCO NEL MONDO ONLUS
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- Torino
Stampa: Mediagraf s.p.a. - Padova
Registrazione: Tribunale di Torino
n. 403 del 16.2.1949
Associato alla Unione Stampa
Periodica Italiana

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IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
Sussurrando Dio Il grande e dirompente messaggio del Natale,
destinato a cambiare la faccia della terra e la comunità oratoriana era rivivere o vivere per
riempirla di gioia, è all’apparenza insignificante: la prima volta. I ragazzi non venivano a cercare
un neonato adagiato in una mangiatoia.
un prete; venivano a cercare il padre, il fratello,
l’amico. Una presenza profondamente umana,
Anche noi, con tanti segni piccoli e delicati,
buona e generosa, dalla pazienza inesauribile, che
in tanti luoghi piccoli e dimenticati,
ogni giorno annunciamo Dio.
gli permetteva di mettersi al servizio dell’ultimo
venuto, in qualunque ora fosse arrivato.
Testimoniò don Felice Reviglio: «... permetteva
ad essi di stargli continuamente ai fianchi, co-
«Che cosa devo fare?» chiedeva don
Bosco al buon don Cafasso.
«Vieni con me e guarda!» gli ri-
spondeva l’amico e maestro.
Così don Bosco incontrò i gio-
vani in carcere. Quell’esperienza
sicché non ancora aveva terminato il suo frugale
pranzo o cena, che già i giovani penetravano nel
suo piccolo refettorio, e lo circondavano. Malgra-
do la molestia che gli dovevamo procurare, egli
tollerava con bontà gli sfoghi della nostra rico-
noscenza. Io poi, forse perché più bisognoso del
lo sconvolse: «Dicevo a me stesso: Questi ragazzi suo zelo, potei più volte, rannicchiandomi sotto
dovrebbero trovare fuori di qui un amico che si la tavola, posare la mia testa sulle sue ginocchia».
prenda cura di loro, che li assista, li istruisca, li E don Paolo Albera: «Don Bosco educava amando,
conduca in chiesa nei giorni festivi...». Portava attirando, conquistando e trasformando. Ci avvol-
piccoli doni, buone parole, cercava di farli riflet- geva tutti e interamente quasi in un’atmosfera di
tere; promettevano di farsi più buoni. Ma quando contentezza e di felicità, da cui erano bandite pene,
ritornava da loro, era tutto come prima. Una vol- tristezze, malinconie... Tutto in lui aveva per noi
ta, don Bosco scoppiò in pianto.
una potente attrazione: il suo sguardo penetrante e
«Perché piange quel prete?» chiese uno dei giova- talora più efficace d’una predica; il semplice muo-
ni detenuti.
ver del capo; il sorriso che gli fioriva perenne sulle
«Perché ci vuol bene. Anche mia madre piange- labbra, sempre nuovo e variatissimo, e pur sempre
rebbe se mi vedesse qua dentro».
calmo; la flessione della bocca, come quando si
Questo era il cuore di don Bosco.
vuol parlare senza pronunziar le parole; le parole
Per chi era senza famiglia, per chi si sentiva solo stesse cadenzate in un modo piuttosto che in un
al mondo, per chi aveva perso l’affetto di qual- altro; il portamento della persona e la sua anda-
cuno che gli voleva bene, per chi non aveva mai tura snella e spigliata: tutte queste cose operavano
conosciuto amore e si era sempre sentito rifiuta- sui nostri cuori giovanili a mo’ di una calamita a
to, incontrarsi nell’affetto paterno di don Bosco, cui non era possibile sottrarsi; e anche se l’avessi-
materno di mamma Margherita e fraterno del- mo potuto, non l’avremmo fatto per tutto l’oro del
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mondo, tanto si era felici di questo suo singolaris-
simo ascendente sopra di noi, che in lui era la cosa
più naturale, senza studio né sforzo alcuno».
Il libro della pedagogia di don Bosco è la sua vita.
Gli educatori non diventano “sorveglianti”: sono
padri, fratelli ed amici che insegnano a pensare,
riflettere, valutare. La chiave di tutto è la presen-
za in mezzo ai giovani. Nella mente di don Bosco
l’educazione si trasmette attraverso il contatto per-
sonale, quasi uno scambio di energia. Finché gli
fu possibile, don Bosco lasciava tutto il resto, per
essere presente nel cortile con i suoi ragazzi. Per lui
era semplicemente il modo di vivere l’Eucaristia:
«Fino all’ultimo mio respiro, tutto sarà per voi».
Nel Sinodo a cui ho partecipato, la voce dei gio-
vani ci ha risvegliato. Con garbo ci hanno chiesto
di avere più coraggio per testimoniare con la vita
ciò che proclamiamo e ciò che veramente credia-
mo. C’è bisogno di adulti testimoni anche oltre
gli uomini di Chiesa, perché nel mondo c’è una
grande mancanza di paternità e maternità. Dob-
biamo continuare a dare risposte, non solo nelle
parrocchie, nelle scuole, negli oratori, nei centri
giovanili, nelle case di accoglienza per ragazzi di
strada... La visione è più ampia: in questi spazi,
che mi sono familiari come salesiano, si può rea-
lizzare una vera e autentica, matura e sana, ma-
ternità e paternità. A volte un educatore è amico,
o deve essere un fratello per i ragazzi, ma essere
un vero padre o madre per i ragazzi è uno dei
grandi doni che si deve continuare a dare. È tra-
smettere la sapienza della vita.
Nella festa di Natale, celebriamo la meraviglio-
sa rivelazione della natura del Padre, con il quale
Gesù è una cosa sola. Gesù è Dio, e mostra che la
sua persona è come un bambino. Mai nella storia
è successa una cosa simile. Dio con il volto di un
bambino. Al centro della nostra fede non c’è un
ragionamento ma vera tenerezza verso i piccoli, i
semplici, i calpestati.
I nostri giovani dovrebbero sentirci dire che gli vo-
gliamo bene, e che vogliamo fare un percorso di
vita e di fede insieme a loro. I nostri giovani devo-
no sentire la nostra presenza affettiva ed efficace
in mezzo a loro. Devono sentire che non vogliamo
né dirigere le loro vite, né imporre come dovreb-
bero vivere, ma che vogliamo condividere con loro
il meglio che abbiamo: Gesù Cristo, il Signore.
Devono sentire che siamo qui per loro e, se ce lo
permettono, per condividere la loro felicità e le loro
speranze, le loro gioie, i loro dolori e le loro lacri-
me, la loro confusione o la loro ricerca di senso, la
loro vocazione, il loro presente e il futuro.
Come si dimostra l’esistenza di Dio?
Un bambino chiese alla mamma: «Secondo te,
Dio esiste?».
«Sì».
«Com’è?».
La donna attirò il figlio a sé. Lo abbracciò forte e
disse: «Dio è così».
«Ho capito» disse il bambino.
I giovani devono sentire che gli stiamo sussur-
rando Dio. Forse non raggiungeremo un’ortodos-
sia e una ortoprassi straordinarie, ma sentiran-
no, attraverso la nostra piccola intermediazione,
che Gesù li ama e li accoglie sempre.
Allora, come don Bosco in quelle ultime Messe
nella Basilica del Sacro Cuore, capiremo che ne
sarà valsa la pena.
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CHE COSA PENSANO I GIOVANI
CLAUDIA GUALTIERI
Violenza sulle donne
e femminicidio Checosapensanoinostrigiovani
di questi tragici fenomeni e del ruolo
della donna nella nostra società?
Fabiola, 21 anni
«Si parla di “femminicidio”
quando si fa riferimento ad una
specifica tipologia di omicidio
in cui la vittima è una donna».
È un fenomeno purtroppo sempre
più crescente negli ultimi anni (da
qui, la necessità di coniare un nuovo
termine), che riguarda non solo la
donna intesa come persona fisica, ma
anche e soprattutto i suoi diritti e la
sua identità, spesso calpestata dalla
società stessa. Sono convinta che gli
episodi di femminicidio siano dovuti
ad una perdita generale di valori nel-
la società, anche se la posizione della
donna è stata considerata subalterna a
quella dell’uomo fin dai tempi più an-
tichi. La donna è stata considerata nel
corso dei secoli “strega”, “seduttrice”,
“persona non degna di diritti/pote-
ri civili”, “simbolo del peccato”, fino
ad arrivare a concetti più recenti che,
incastonati in questa società, portano
ad un uomo sempre più padrone della
donna e quindi giustificato nel poter
approfittare della situazione. Purtrop-
po oggi, ancora non esiste la parità tra
uomo e donna nei vari ambiti della
vita. Per esempio, la donna non viene
considerata sempre uguale all’uomo
in ambito lavorativo e professionale,
perciò non viene neanche ben tutelata
nei momenti che più la caratterizzano
come Donna (momenti quali la gra-
vidanza e il parto, per non parlare del
periodo post-parto). Quello che pos-
siamo fare noi, in società come anche
nel nostro piccolo, è riflettere sui valori
che ci hanno trasmesso le generazioni
passate e quelli che trasmetteremo alle
generazioni future, farci un esame di
coscienza e chiederci se è giusta la dire-
zione nella quale stiamo andando, cosa
dovremmo rivedere e quindi che cosa
dobbiamo cambiare. Se ognuno di noi
non fosse indifferente all’argomento,
dal politico alla forza dell’ordine, allo
studente, forse qualcosa cambierebbe.
Giuseppe, 24 anni
«Don Bosco, nel corso della
sua esperienza formativa,
ha appreso molto di più da
figure femminili, quali Mamma
Margherita, che da figure
maschili».
Si parla di femminicidio perché, an-
cora oggi, purtroppo, è radicata nella
società la differenza tra uomo e don-
na. Sono del parere che l’alto tasso di
femminicidi in Italia, come anche nel
resto del mondo, è dovuto ad un altret-
tanto alto tasso di ignoranza e rabbia
nei confronti dei più deboli, in questo
caso relativa alla debolezza fisica delle
donne. Forse è possibile parlare a livel-
lo teorico di una parità socio-culturale
tra uomo e donna. Purtroppo però, so-
prattutto nel mondo aziendale, ci sono
ancora forti considerazioni che portano
a intendere alcuni posti di lavoro solo
riservati agli uomini o solo riservati alle
donne. Si dovrebbe invece, secondo
me, avere una considerazione diversa:
è, infatti, necessario comprendere che
l’uomo e la donna possono contribuire
ciascuno a loro modo in qualsiasi oc-
cupazione. L’unico modo per cambiare
questa visione di fondo in maniera con-
creta potrebbe essere avviare a livello
formativo diversi corsi che facciano ca-
pire, soprattutto ai più giovani, il con-
cetto di uguaglianza tra uomo e donna,
attraverso esperienze concrete che si
avvicinino ai loro bisogni e richieste.
Riflettendo su questo argomento non
posso fare a meno di pensare a don Bo-
sco che, nel corso della sua esperienza
formativa, ha appreso molto di più da
figure femminili, quali Mamma Mar-
gherita, che da figure maschili.
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Valentina, 31 anni
«Sia chiaro: noi donne siamo
Belle, ma belle davvero.
Nella testa e nel cuore».
Uccidere una persona è un atto or-
rendo a prescindere, per questo fo-
calizzarmi sui termini lascia il tempo
che trova. Ogni vita è sacra e un fem-
minicidio è prima di tutto un omici-
dio. Ma da donna non sottovaluto il
termine femminicidio: indica qual-
cosa di più, una sottile e silenziosa
cultura di fondo che vede ancora la
donna come il sesso debole, una pro-
prietà. Dice qualcosa di più terribile:
la prima colpa da pagare è quella di
essere donna. Probabilmente ci por-
tiamo sulle spalle un lungo retaggio
culturale che fa dell’uomo il “pater fa-
miliae”, relegando la donna ai lavori
di casa e alla cura dei figli. Le lunghe
lotte che le donne hanno dovuto por-
tare avanti, per l’emancipazione e per
l’affermazione dei propri diritti, te-
stimoniano il bisogno di autonomia e
indipendenza un tempo impensabili.
In generale, dove c’è
violenza ci sono
il mancato rispetto della vita propria
e altrui, un serio problema di dipen-
denza, smania di possesso, fragilità,
che si riversano su chi abbiamo accan-
to in maniera perversa e incontrollata.
Da educatrice dico banalmente, per-
ché la società cambi, è indispensabi-
le investire nell’educazione, con la E
maiuscola. Educarsi alla bellezza, al
rispetto reciproco, in famiglia innan-
zitutto. Ho visto mio padre trattare
mia madre sempre con grande rispet-
to e devozione. Le prime regole si
imparano in casa. Ma soprattutto ho
visto mia madre darsi da fare senza
mai dipendere da nessuno. Va da sé
che in tutti i luoghi di crescita umana
(scuole, parrocchie, associazioni, ora-
tori ecc.) debba esserci grande atten-
zione al discorso dell’alterità, a quel
principio di umanizzazione alla base
dell’educazione per il quale “tu sei
degno di rispetto in quanto altro da
me”, e nella relazione con te ri-scopro
anche me stesso.
Poi, a noi donne innanzitutto, direi
di avere rispetto per noi stesse:
non siamo in
vendita noi,
non sono in vendita i nostri senti-
menti, i nostri sogni. Smettiamola di
pensare che la nostra felicità dipenda
da un altro! Una relazione sana non
ci rende dipendenti ma libere. Chi
ci ama ci rispetta. Su questo non ci
sono compromessi o mezze misu-
re. E, se necessario, alziamo anche
la voce quando sentiamo, leggiamo,
vediamo atti che in maniera subdola
rivelano una profonda considerazione
della donna come mero oggetto ses-
suale. Arrabbiamoci quando in
la donna è sempre seminuda, ripresa
puntualmente sui seni, sul sedere: le
donne possono stare in anche in
giacca e pantalone, e avere da dire
qualcosa di intelligente. Finché noi
per prime accettiamo il binomio “bel-
la-oca”, cambiare una cultura che ci
crede solo bambole soprammobili di-
venta un processo lento e difficoltoso.
Sia chiaro: noi donne siamo Belle, ma
belle davvero. Nella testa e nel cuore.
Ma non possiamo aspettare che sia
qualcun altro a ricordarcelo!
Foto Shutterstock.com
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SALESIANI NEL MONDO
FILIPPO PERIN
Fame! Diario dalla fine del mondo,
dove si nasce e si muore
ancora di fame. E nessuno lo sa.
Etiopia, regione di Gambella al confine con
il Sud Sudan, missione salesiana di Pugnido, a
servizio della popolazione locale Anuak
e di tre grandi campi profughi soprattutto
di origine sud sudanese di etnia nuer.
L a nostra giornata inizia presto, quando
ancora è buio. Siamo vicini all’equatore,
l’alba arriva sempre verso le sei e mezza e
il sole tramonta sempre verso le sei e mez-
za di sera. Aspetto tre o quattro persone
che mi accompagnano, carichiamo alcuni
sacchi di farina e pasta in macchina, insieme a
olio, sale e altre verdure e andiamo a Pochalla, a
30 km da Pugnido.
Qui scarichiamo il materiale e lo carichiamo in
una piccola barca e insieme ai nostri catechisti
visitiamo a turno i villaggi anuak che sono lun-
go il fiume Gilo, un grande fiume che poi, arri-
vando in Sud Sudan, sfocia nel Nilo. Qui abbia-
mo molte comunità in cui cerchiamo di portare
non solo il Vangelo e il primo annuncio di Dio,
ma un considerevole aiuto al primo problema
per la loro sopravvivenza, il provvedere del cibo
ogni giorno per ciascun membro della famiglia
e dell’acqua potabile. Restiamo ancora impres-
sionati al giorno d’oggi come in questa zona
dell’Etiopia il problema principale per la soprav-
vivenza sia la possibilità o no di trovare del cibo.
Quando parlo con Ocianny, il nostro catechista
che vive a Two, mi racconta che nella stagione
delle piogge, da giugno a ottobre, prima un perio-
do di siccità ha rovinato le piantine di granoturco
che erano appena cresciute, poi nella risemina l’i-
nondazione del fiume ha coperto gran parte dei
terreni coltivabili, lasciando ben poco raccolto di-
sponibile alla gente del villaggio. Ogni anno la
situazione alimentare di questa gente peggiora.
Quel poco raccolto viene poi trasformato in fari-
na per fare la polenta, pestando i chicchi con un
bastone oppure tra due pietre.
Si rifanno un po’ in questi mesi cercando di pe-
scare nel fiume con reti e canne rudimentali, spe-
rando di non trovare coccodrilli.
Poi viene la stagione secca, direi arida, quando
il sole prosciuga tutto, e ammazza tutto, la gen-
te qui fa ancora un raccolto di sorgo, trova del
pesce fino a che il fiume si abbassa di circa 7-8
metri, e cerca nella savana radici e piante da
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mangiare. È il periodo più duro, in cui l’ , che
di solito sfama le persone dei campi profughi vi-
cino a Pugnido, fa varie distribuzioni anche in
questi villaggi Anuak.
Pure noi, come Vicariato di Gambella, con l’aiu-
to della Caritas Austriaca, da vari anni in questo
periodo distribuiamo ai più poveri delle nostre
15 parrocchie un sacco di granoturco. È un pic-
colo aiuto, ma sommato a quello di tutti viene
incontro a quelle persone che non solo sono
povere, ma che non hanno possibilità di uscire
da questa situazione. In ogni visita a questi vil-
laggi cerchiamo di portare qualche aiuto con la
nostra presenza, con del cibo, trasportando alla
clinica del villaggio di Pugnido chi è ammala-
to, costruendo anche dei pozzi per avere l’acqua
potabile.
Nel villaggio centrale di Pugnido, don Giorgio
Pontiggia e io, i due salesiani presenti, cerchiamo
in tutti i modi di aiutare chi ha bisogno di cibo
con il nostro asilo, che accoglie 150 bambini dai
3 ai 6 anni a cui ogni giorno diamo la colazione
e il pranzo, potremo chiamarla più mensa per i
bambini malnutriti che scuola materna, ma cer-
chiamo di intercettare quella fascia di bambini
più esposti al problema della scarsità di cibo.
È molto bello al mattino vedere la fila di tutti
i bambini arrivare e prima lavarsi le mani e la
faccia, poi andare in ordine a fare colazione, un
bicchiere di tè e del pane, infine dopo la scuola,
sempre in ordine, prendere il piatto preparato e
mangiare velocemente per poi appog-
giarlo in un grande catino per essere
lavato e dopo correre forte per andare
a casa.
Ogni famiglia è molto numerosa, nella
povertà estrema sono i figli che garan-
tiscono una speranza di futuro per i ge-
nitori, ma proprio perché la mamma deve
badare a molti figli, la fascia tra i 3 e i 6 anni
è molto esposta a malnutrizione, magrezza, sotto
peso, pancia gonfia, poca igiene e vestiti trasan-
dati. Con i catechisti e le maestre cerchiamo di
recuperare questi bambini, dando da mangiare e
insegnando loro alcune cose di vita basilari.
Nella famiglia anuak e nuer hanno perfino un
nome da dare al fratellino o sorellina che nasce
dopo che un bambino piccolo della loro famiglia
muore, Chuol, proprio per ricordarlo e per conti-
nuare a farlo vivere nel fratellino successivo.
Una pompa per
l’acqua potabile.
Anche l’acqua è un
grosso problema.
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SALESIANI NEL MONDO
Vita di
missionario: la
condivisione
dell’Eucaristia
in chiesa e delle
necessità pratiche
di ogni giorno.
Il pianto delle donne
Oltre alla scuola materna abbiamo attivato un
convitto per i giovani delle superiori che vengono
dai villaggi della foresta e che non avrebbero pos-
sibilità di frequentare la scuola perché nessuno li
potrebbe ospitare. Anche qui la nostra parte prin-
cipale è il vitto, la possibilità di fare la colazione
e mangiare a pranzo e a cena, un bel piatto o di
riso, o di pasta o di polenta, per poter andare a
scuola. Oltre a questo diamo l’alloggio, la possibi-
lità di una libreria alla sera, con tavoli, sedie, libri
scolastici e la luce elettrica, una rarità da queste
parti, perché abbiamo installato i pannelli solari,
con la possibilità di corsi di inglese, computer e
sartoria, soprattutto per le ragazze, in tutto ne
ospitiamo una sessantina.
Ogni mattina, molte donne vengono a chiedere
alla missione, non tanto dei soldi, ma del cibo,
sono donne che, non avendo sufficientemente da
mangiare, non hanno neppure il latte da dare ai
loro bambini appena nati e allora ci chiedono di
comprare del latte in polvere, per sfamare alme-
no per un po’ di tempo il bambino piccolo. Op-
pure altre donne, soprattutto anziane, vedove o
lasciate dal marito, che hanno bambini o ragazzi
da crescere, ci chiedono dei sacchi di grano per
sfamare la famiglia. O ancora altre che hanno
il grano ma non hanno nient’altro. Infine molti
che ci chiedono medicine oppure dei soldi per
poter andare all’ospedale. Abbiamo imparato
che anche se hai la medicina giusta ma non hai
cibo sufficiente per sostenerti, la medicina serve
a poco.
Clima e guerra
La regione di Gambella espone spesso i suoi abi-
tanti alla difficoltà di trovare cibo per ragioni
climatiche, dalle piogge intense a mesi di grande
siccità. Non mancano tensioni etniche tra anuak,
abitanti dell’altopiano etiope e profughi arrivati
dal Sud Sudan a causa della guerra civile che è in
corso. Una ragnatela tremenda intrappola tutto,
per la mancanza di energie vitali per affrontare
una giornata, per mancanza di una necessaria
istruzione agricola nel coltivare e trovare cibo,
per l’abbandono da parte del governo di queste
zone di frontiera, per la mancanza di lavoro, di
uno stipendio mensile… e ancora per tante altre
piccole cause.
Anche nei due campi profughi vicino al nostro
villaggio di Pugnido la situazione è difficile per
quanto riguarda il cibo. I profughi sud-sudanesi
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FAME ZERO È LONTANA
sono aumentati a dismisura in questi due o tre
anni e, visto che siamo la regione più vicina al
confine, tantissimi sono venuti in Etiopia. Sono
stati aperti otto nuovi campi profughi in diversi
luoghi in mezzo alla savana. Per ora si stima che
ci siano circa 500 mila profughi nella regione di
Gambella, quasi tutti di etnia nuer. La difficol-
tà è che non sempre il cibo che l’ fa arrivare
attraverso grossi camion da Addis Abeba è suf-
ficiente per tutti. È già stato dimezzato per far
fronte a tutti i profughi e la gente del campo cerca
di organizzarsi come può. Ogni domenica andia-
mo nei campi profughi, abbiamo sei chiese sparse
in tutto il territorio dei campi, non solo per le ne-
cessità religiose, ma anche per una presenza, un
incontro, un ascolto delle loro necessità. In altri
due campi vicino a Gambella è cominciata una
presenza salesiana attraverso un oratorio, un cen-
tro giovanile e dei corsi brevi per poter imparare
un mestiere.
La fame aumenta per il terzo anno e raggiunge 821 milioni di persone. Nella
battaglia combattuta dall’umanità contro la fame, gli esseri umani stanno per-
dendo. Nel 2017, 821 milioni di persone vanno a letto ogni giorno senza aver
mangiato le calorie minime per le loro attività quotidiane, sono 15 milioni in
più rispetto all’anno precedente.
I primi a essere colpiti, come sempre, sono i più piccoli: 151 milioni di bam-
bini sotto i cinque anni registrano una crescita irregolare, 50 milioni sono
denutriti. Le cifre indicano che la situazione più preoccupante è, come sempre,
nell’Africa subsahariana e nei paesi più poveri dell’Asia. Ma fra i dati sui minori
c’è anche un accenno ai 38 milioni di bambini sovrappeso.
È il segno di una diseguale, iniqua e disordinata distribuzione delle risorse. Le
leggi del mercato da sole, si legge fra le righe, non garantiscono un’alimenta-
zione corretta né a chi ha poco, né a chi ha qualcosa di più, ma non ha gli stru-
menti per gestirlo. E si rivolge a cibo di bassa qualità, economico e pieno di
grassi, con molte calorie e basso valore proteico. Anche l’obesità degli adulti
è in aumento, dice la Fao: sono in grave sovrappeso 672 milioni di persone,
cioè un adulto su otto. Altre forme di malnutrizione sono in aumento. Nel 2017,
almeno 1,5 miliardi di persone hanno sofferto di carenze che minano la loro
salute e la vita.
PERSONE SOTTOALIMENTATE PER REGIONI
Milioni di persone colpite e % sulla popolazione
Nordamerica ed Europa
America
Centrale
11
6,2%
Caribe
7
16,5%
Sudamerica
21
5%
28
2,5%
Asia
Africa occidentale
settentrionale 30
Africa
occidentale
20
8,5%
11,3%
Africa
56 centrale Africa
15,1%
43
26,1%
orientale
132
31,4%
Africa australe
5
8,4%
Asia
centrale
4
6,2%
Asia
orientale
140
-
Asia
meridionale
277
14,8%
Asia
sudorientale
64
9,8%
Oceania
3
7%
Alla fine del mondo a Pugnido, dove non sei re-
gistrato in nessuna anagrafe perché non esiste,
nasci e muori e nessuno lo sa, le mani che incon-
triamo davanti a noi ci chiedono prima di tutto
cibo, ci chiedono prima di tutto di avere qualche
cosa in pancia per ascoltare l’annuncio del Van-
gelo. Alle volte riusciamo a moltiplicare il pane
come Gesù per la gente anche se il più delle volte
non ci riusciamo, allora rimane solo la presenza,
la condivisione.
La vita di questa gente sembra non cambiare mai,
ma fa cambiare noi che siamo qui, per camminare
insieme, per far maturare qualche cosa insieme,
“certi che Qualcuno, Colui che tutti cerchiamo,
ci camminerà accanto”.
«Alle volte
riusciamo a
moltiplicare il pane
come Gesù per
la gente anche se
il più delle volte
non ci riusciamo,
allora rimane solo
la presenza, la
condivisione».
Dicembre 2018
11

2.2 Page 12

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LE CASE DI DON BOSCO
GIUSEPPE CASSARO
Una fucina di sarti
l’Istituto Teologico “San Tommaso d’Aquino” di Messina
«È da 50 anni la fucina di grandi “sarti”
che alla scuola di don Bosco si sono formati
per fare con la “stoffa” dei giovani, imbastita
dai fili della grazia, un bell’abito per il Signore».
L’Istituto Teologico
“San Tommaso
d’Aquino” (ITST)
di Messina. È nato
dal sogno di una
Chiesa testimone
di comunione:
unificare tutti i
centri di studio
teologico presenti
nella città.
«Studiare al San Tommaso è una
“bella storia d’amore”» dice
Alberto Anzalone, salesiano
«se per i latini il primo signi-
ficato di studium è “desidera-
re qualcosa che si ama” allora
posso dire che il San Tommaso sta alimentando
in me la passione per una conoscenza che si fa
vita e amore donato, perché sostenuta da una fede
celebrata. In questa prospettiva, studiare nel no-
stro Istituto è bello non solo per i contenuti che
propone ma soprattutto perché forma le menti e i
cuori di coloro che vogliono conformarsi a Cristo
nella logica della conversione continua».
Agata Alibrando, laica: «Ritengo che l’ sia
una risorsa educativa e formativa eccellente, che
offre a tutti noi studenti l’opportunità di ampliare
le nostre conoscenze, di acquisire gli strumenti
didattici per approfondirle e di perfezionare le
nostre competenze. L’azione educativa mira ad
“illuminare la mente per irrobustire il cuore” e
promuove un sapere fecondato dalla fede per far
maturare lo sviluppo integrale della persona, abi-
12
Dicembre 2018

2.3 Page 13

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litando gli studenti ad affrontare le sfide del no-
stro tempo. Tutti ci sentiamo accolti e coinvolti
nelle attività didattiche che si svolgono. Infatti,
ognuno può sperimentare l’originalità che carat-
terizza l’itinerario accademico scandito da mo-
menti di alta formazione, di autentica fraternità,
di arricchimento culturale ed impreziosito da un
vivo e operoso dialogo fra tradizioni diverse».
Una testimonianza di comunione
È oggi una splendida realtà, l’Istituto Teologico
“San Tommaso d’Aquino” ( ) di Messina. È
nato dal sogno di una Chiesa testimone di comu-
nione.
Il 7 dicembre 1965 san Paolo VI chiude ufficial-
mente il Concilio Ecumenico Vaticano II. Nei
faticosi, ma fecondi anni dei lavori conciliari, i
Padri hanno prodotto una riflessione sulla realtà
della Chiesa, che si presenta al mondo con paro-
le nuove: «Questo santo Concilio adunato nello
Spirito Santo, annunciando il Vangelo ad ogni
creatura, desidera ardentemente illuminare tutti
gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul
volto della Chiesa».
Il cuore di monsignor Francesco Fasola, che
ha partecipato al Concilio prima come vescovo
di Caltagirone e poi in qualità di arcivescovo
di Messina, palpita di un amore profondo alla
Chiesa, il quale esige di essere tradotto in scelte
concrete che realizzino l’ecclesiologia di comu-
nione definita dal Concilio. Sull’onda di questi
sentimenti, già all’indomani della chiusura del
Concilio, monsignor Fasola accarezza l’idea di
unificare tutti i centri di studio teologico presenti
nella città di Messina: il Seminario Arcivescovile,
lo Studentato dei Gesuiti, lo Studentato dei Frati
Minori Cappuccini e lo Studentato dei Salesiani.
Nel 1967 cominciano i dialoghi ufficiosi con le
diverse parti per dare forma alla proposta di un
Istituto Teologico unificato. L’idea trova terreno
fertile nel clima di relazioni amichevoli che già da
diversi anni fa convergere i Seminaristi dell’Arci-
diocesi di Messina, e gli studenti dei Frati Minori
Cappuccini e dei Salesiani in iniziative culturali,
formative e fraterne condivise.
Durante l’estate del 1967 vengono discusse le
condizioni da inserire in una Convenzione uffi-
ciale per dare vita al nuovo Istituto Teologico.
Con il nuovo anno accademico 1967-1968 si ini-
zia una sperimentazione, che vede l’ingresso di
alcuni studenti del Seminario e dei Frati Cappuc-
cini al San Tommaso, che in questo momento è
ancora lo Studentato dei Salesiani.
Il 19 gennaio 1968, come segno di comunione, si
decide di unificare le ordinazioni delle varie case
di formazione, e nella Chiesa di San Francesco
all’Immacolata in Messina, monsignor France-
sco Fasola presiede il pontificale, durante il quale
vengono conferiti i ministeri minori e l’ordina-
zione suddiaconale e diaconale agli studenti del
Seminario Arcivescovile, dei Cappuccini e dei
Salesiani.
Il 7 marzo 1968, giorno in cui secondo l’antico
calendario liturgico si celebra la commemorazio-
ne di san Tommaso d’Aquino, gli studenti del
Seminario, dei Cappuccini, dei Salesiani, dei Ro-
gazionisti e dei Gesuiti si ritrovano tutti all’Igna-
tianum per la celebrazione eucaristica presieduta
dall’arcivescovo monsignor Fasola. Nel pome-
riggio ha inizio la “Settimana Teologica”, a cui
partecipano insieme tutti gli studenti di teologia.
L’esperienza
accademica
dell’ITST apre
i percorsi di
studio alla realtà
del mondo
contemporaneo e
alle sue istanze,
attraverso
un’offerta varia ed
ampia di eventi
accademici.
Dicembre 2018
13

2.4 Page 14

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LE CASE DI DON BOSCO
«Tutti ci sentiamo
accolti e coinvolti
nelle attività
didattiche che
si svolgono.
Infatti, ognuno
può sperimentare
l’originalità che
caratterizza
l’itinerario
accademico
scandito da
momenti di alta
formazione,
di autentica
fraternità, di
arricchimento
culturale ed
impreziosito da
un vivo e operoso
dialogo fra
tradizioni diverse».
Così il 30 settembre 1968 suona la campanella del
primo giorno di lezione del nuovo Istituto Teolo-
gico “San Tommaso d’Aquino” di Messina, che
vede insieme Docenti e Studenti dell’Arcidiocesi
di Messina, dei Cappuccini di Messina e dei Sa-
lesiani di Sicilia. Gli studenti sono in totale 135.
I tre cerchi
Oggi, l’Istituto Teologico “San Tommaso d’A-
quino” ( ) di Messina è un’Istituzione Uni-
versitaria definita come Istituto Superiore di Stu-
di Teologici, aggregato alla Facoltà di Teologia
dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, che
rilascia titoli di primo e secondo ciclo.
Al termine degli studi i laureati presso l’Istitu-
to sono pronti per inserirsi negli ambienti sociali
ed ecclesiali come ministri ordinati e consacrati
educatori-pastori, come operatori pastorali laici,
ma soprattutto sono preparati ad operare in ma-
niera significativa a tutti i livelli nella società e
nella cultura per la costruzione di un mondo più
solidale ed equo illuminato dai valori del vangelo.
La Comunità accademica è composta da Docenti
e Studenti provenienti dalle due diocesi in con-
venzione (Messina e Patti), dalla Congregazio-
ne Salesiana, dai Frati Minori, da numerosi altri
Istituti Religiosi e dal laicato impegnato delle
Chiese particolari di Sicilia e Calabria.
L’esperienza accademica dell’ si può definire
autenticamente ecclesiale ed internazionale, e si
struttura a cerchi concentrici: ad un primo livello
troviamo l’esperienza universitaria propriamente
detta, caratterizzata dal percorso di formazione
guidato dai Docenti nelle lezioni frontali e nel-
le esperienze di ricerca e studio personale; il se-
condo cerchio si allarga sull’esperienza culturale
che apre i percorsi di studio alla realtà del mon-
do contemporaneo e alle sue istanze, attraverso
un’offerta varia ed ampia di eventi accademici or-
ganizzati dall’ anche in collaborazione con
altre agenzie formative e culturali del territorio; il
terzo cerchio abbraccia l’intera esperienza umana
dell’ , caratterizzata da un clima di famiglia
cordiale e salesiano che connota tutte le relazioni,
e si sviluppa sia nell’ordinario quotidiano, sia in
appuntamenti annuali di fraternità e animazione.
Il San Tommaso nei suoi 50 anni di vita ha accol-
to più di 2100 studenti tra il primo e il secondo
ciclo di studi universitari, provenienti dalle Dio-
cesi di Sicilia e Calabria, in particolar modo da
14
Dicembre 2018

2.5 Page 15

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IL PARERE DI UNA STUDENTE
quelle di Messina e Patti, Salesiani di Don Bo-
sco, Frati Minori, Frati del Terz’Ordine Regola-
re, Frati Minori Cappuccini, altri ordini e istituti
religiosi, e numerosi laici.
L’alfabeto di una vita donata
«Il salesiano per vocazione è chiamato ad educa-
re ed evangelizzare secondo un progetto di pro-
mozione integrale dell’uomo, orientato a Cristo,
uomo perfetto. Sono fortemente convinto, tutta-
via, che se lui per primo non è formato nella sua
integrità di uomo, di cristiano e di salesiano non
potrà pretendere di educare i giovani.
Questi anni di formazione, plasmando la mente,
il cuore e lo spirito nella logica della carità pasto-
rale, mi stanno insegnando l’alfabeto di una vita
donata senza riserve.
Il San Tommaso, infatti, è da 50 anni la fucina di
grandi “sarti” che alla scuola di don Bosco si sono
formati per fare con la “stoffa” dei giovani, imbasti-
ta dai fili della grazia, un bell’abito per il Signore,
un vestito con il marchio di fabbrica: “buoni cri-
stiani, onesti cittadini e futuri abitanti del cielo”».
Ambienti, strutture e servizi
A servizio della ricerca e dello studio l’ è
dotato di una Biblioteca, che si trova all’interno
dell’edificio dell’Istituto. È a disposizione dei
Docenti e degli Studenti un patrimonio libra-
rio di più di 120 000 volumi e numerose riviste
specializzate. La sala di lettura della biblioteca è
dotata di terminali per la consultazione del cata-
logo informatico, che è consultabile on-line anche
tramite il sito dell’ .
Il Centro di Pedagogia Religiosa “G. Cravotta”
ha come finalità prioritaria quella di sviluppare
ricerche e promuovere attività di formazione nel
campo della catechesi e della cultura religiosa. La
Scuola Superiore di Specializzazione in Bioetica
e Sessuologia nasce dall’esperienza del Laborato-
rio di Bioetica (Centro Universitario di Studi e
Ricerche) sorto nel 1993 in seno all’ .
Come vivi la formazione teologica dal punto di vista femminile?
Spinta dalla ricerca della verità sono approdata nel porto sicuro della Sacra
Teologia. L’itinerario formativo percorso mi ha rivelato quali siano le certezze,
i valori, le virtù, le fragilità, la ricchezza, i desideri che albergano nel cuore
dell’uomo. Assetata di felicità ed animata dalla speranza che non delude, ho
scoperto che solo l’Amore e la consolazione di Dio spengono le paure che a
volte mi paralizzano. Ho imparato ad agire con prudenza, accettando la sfi-
da di mettere a nudo la mia debolezza per rialzarmi e incontrare la tenerezza
dell’abbraccio di Dio Padre che rinnova in me la dignità di figlia amata.
Come giudichi i tuoi compagni e i docenti del San Tommaso?
La loro testimonianza è coerente agli insegnamenti del Vangelo di Gesù Cri-
sto, fermento di crescita e seme di felicità; ognuno, quotidianamente, esprime
nella propria unicità e diversità la gioia e la bellezza dei doni ricevuti.
Da donna e da laica, come vedi la formazione dei tuoi compagni
che diventeranno sacerdoti?
Emerge l’impegno che educa alla responsabilità di saper rispondere pronta-
mente all’amore di Dio, dedicandosi con zelo e creatività alla missione che
viene loro affidata.
L’Istituto ha marchio editoriale, l’Editrice Coop.
S. Tom., che negli ultimi venticinque anni ha
pubblicato undici collane di testi, ed un numero
complessivo di circa 200 libri pubblicati, di cui
più del 90% pubblicati dai Docenti dell’Istituto
stesso.
Dal 1992 l’ pubblica la Rivista Multidisci-
plinare “Itinerarium”, che raccoglie il frutto della
ricerca e dello studio dei Docenti dell’ , non-
ché il meglio della produzione scientifica in cam-
po nazionale ed internazionale.
Il San Tommaso
nei suoi 50 anni di
vita ha accolto più
di 2100 studenti
tra il primo e il
secondo ciclo di
studi universitari.
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FINO AI CONFINI DEL MONDO
SILVIO ROGGIA
Nove giorni in
Vietnam
«Volentieri vi racconto qualche cosa dei nove giorni
che ho passato in Vietnam. Questo paese a forma di
‘S’, lungo oltre tremila chilometri e con una popolazione
di oltre 90 milioni di abitanti, è un caleidoscopio di
meraviglie. Rinuncio subito a farvi la presentazione
turistica e vado a quello che mi è capitato di vedere
e di vivere nelle comunità dove sono stato».
Comincio dal fondo: pranzo di
ferragosto. Eravamo in 700.
Tutti seduti a gruppi di 9 o
10 attorno a tavolini rotondi,
con un fornello portatile al
centro. Delle 8 portate 5 era-
no ‘a caldo’: al centro si susseguivano
i vassoi-pentola inox in cui era con-
tenuta la base del piatto – per lo più
marinara –, su cui venivano ‘tuffate’
le componenti di verdura fresca, fun-
ghi, noodles di ogni specie. Dopo non
più di 60 secondi di bollitura, avanti
con i bastoncini (io forse ero l’unico tra
i 700 a usare il cucchiaio)... Non sono
un esperto di gastronomia e non sono
un cliente di Eataly. Ma devo dire
che trovare una così grande varietà di
modi di preparare il cibo, senza quasi
nulla di fritto e di grassi, è stata per me
una novità sorprendente. Il vapore è la
loro energia numero uno per cucina-
re e riescono ad essere così versatili e
ricchi di sapori e forme, oltre che così
sani e leggeri.
Un’ora dopo il ricevimento quel gran-
de spazio era completamente libero e
pulito. Un’efficienza e organizzazione
che sfidano quelle del Giappone.
Andiamo indietro di tre ore: 9 del
mattino. Sopra quel grande porticato
e salone multifunzionale aperto da
tre lati c’è la chiesa, inaugurata pochi
anni fa: molto bella, capace di con-
tenere 1500 persone a sedere. Inve-
ce, sotto il salone multiuso, nel semi
interrato, c’è un grande garage per
parcheggiare gli scooter, il principale
mezzo di trasporto in Vietnam (tassa
del 300% sulle auto!): è incredibile il
numero di motorini che entrano ed
escono da quel garage a ogni messa:
a centinaia, no stop.
Tra sabato sera e domenica si celebra-
no 7 messe dove si devono occupare
anche i corridoi laterali perché i po-
sti dentro registrano sempre il tutto
esaurito.
Il 15 agosto alle 9 ancor più parteci-
panti del solito, perché nella messa 8
giovani vietnamiti hanno fatto voto di
dedicare per sempre la loro vita al Si-
gnore seguendo le orme di don Bosco,
6 come aspiranti sacerdoti e 2 come
salesiani coadiutori. Il giorno prima in
un’altra parrocchia salesiana di Saigon
20 novizi vietnamiti hanno fatto la
loro prima professione (tra loro 3 come
coadiutori salesiani – don Bosco ci ha
fondati così: salesiani laici, o coadiuto-
ri, se conserviamo la terminologia del-
le origini, e salesiani preti; solo insieme
siamo quello che lui voleva).
16
Dicembre 2018

2.7 Page 17

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Con gli universitari
Due giorni prima, ero a Dalat, sui
1400 metri di altezza. Un posto
splendido per la natura, anche se non
ha quasi mai smesso di piovere perché
siamo nel periodo dei monsoni. È lì
che vanno quei neo salesiani appena
sfornati per i tre anni di studio che
seguono (post-noviziato). Anche a
Dalat c’è del sorprendente, per il tur-
binio di attività che girano attorno a
quella comunità. Una parola su quella
che mi sembra più originale tra tutte:
l’accompagnamento di studenti uni-
versitari. Dalat – 150 000 abitanti –
ha diverse facoltà e molti giovani ven-
gono anche da lontano per gli studi. I
salesiani hanno cercato e trovato una
serie di case/alloggi in affitto, adat-
tando gli ambienti perché possano
ospitare mini comunità dai 15 ai 30
studenti. Si dà loro molta responsabi-
lità nel gestire tutta l’organizzazione:
fan le spese, cucinano, puliscono…
tutto autogestito. Si offre questo tipo
di accoglienza a circa 300 giovani, su
due percorsi: uno più di aiuto allo stu-
dio e alla crescita umana e spirituale,
per ragazzi e per ragazze, cristiani e
anche di altre fedi. Uno, più impe-
gnativo, di crescita cristiana e ricerca
vocazionale, per ragazzi cattolici che
sono interessati a questo cammino.
Il criterio animatore di questa sin-
golare forma di pastorale universi-
taria non è l’offerta di alloggio, ma
l’accompagnamento educativo e pa-
storale di questi giovani, a cui si fa
personalmente questa proposta con-
tattandoli già nelle scuole superiori,
un po’ su tutto il territorio nazionale
(parrocchie, movimenti giovanili…).
La vita comunitaria permette loro di
risparmiare molto rispetto al costo di
altri centri. Con l’equivalente di 50
dollari al mese riescono a coprire le
spese di vitto e alloggio, grazie an-
che alla totale autogestione, che ren-
de molto responsabili e disciplinati.
Così possono accedere all’università i
figli delle classi sociali meno abbien-
ti. Oltre all’impegno per lo studio c’è
una ricca varietà di proposte formati-
ve. Per il gruppo che ha scelto il per-
corso di ricerca vocazionale il primo
appuntamento del mattino è la Mes-
sa in una delle parrocchie della città
alle 4.30 o 5.00. La vita quotidiana
in Vietnam comincia prestissimo, per
tutti.
A Saigon (oltre 10 milioni di abitanti)
c’è una simile proposta, in scala an-
cora più grande. Da questa modalità
di animazione di giovani universitari
sono nate centinaia di vocazioni lai-
cali impegnate, che poco per volta
fanno lievitare le loro comunità di
origine, e decine o forse centinaia di
vocazioni alla vita consacrata e al sa-
cerdozio. Tra di esse anche tanti Sa-
lesiani di Don Bosco.
Il Vietnam ha ora più di 300 Salesiani;
la loro età media è 40 anni; oltre a
quelli che lavorano in Vietnam sono
partiti in questi anni da quella casa di
postnoviziato di Dalat più di 100 gio-
vani missionari salesiani, presenti in
tutti i continenti – uno è ora anche a
Sunyani in Ghana, al mio posto.
Grazie ai salesiani possono accedere
all’università anche i figli delle classi sociali meno
abbienti. Oltre all’impegno per lo studio c’è una
ricca varietà di proposte formative.
Andiamo indietro ancora un passo,
all’inizio della mia permanenza in
Vietnam. I primi quattro giorni ero
a K’Long (mezz’ora da Dalat) per
il congresso dei salesiani coadiutori
della regione Est Asia e Oceania.
Eravamo 188 da Vietnam, Myan-
mar, Tailandia, Laos, Cina, Hong
Kong, Korea, Giappone, Mongolia,
Filippine, Indonesia, Timor Est, Pa-
pua, Australia, più qualche invitato
‘occidentale’ come il sottoscritto; la
maggioranza ha tra i 25 e i 45 anni
di età, con una varietà di ‘missione’
giovanile che non provo neppure qui
a riassumere. Il denominatore comu-
ne però è lo stesso, ed è la vicinanza,
la ‘fratellanza’ con i ragazzi più po-
veri: essere veri fratelli al loro fianco,
arrivando più in là, più dentro, più
a fondo di quello che noi preti riu-
sciamo a fare, soprattutto in culture
dove il cristianesimo è piccola mino-
ranza o deve fare i conti con regimi
molto restrittivi.
Dicembre 2018
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2.8 Page 18

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A TU PER TU
CATERINA SORBARA
Salesiano e parroco
Incontro con don Pasquale Cristiani,
parroco della Parrocchia San Francesco da Paola di Gioia Tauro
«Don Bosco ha inaugurato
quella che oggi viene
chiamata “La Chiesa in
uscita”, e con i nostri
poveri piedi va a trovare
i giovani per le strade,
nelle periferie, nelle zone
più emarginate».
«Don Bosco, mi ha attratto
totalmente, rispondendo a tutti i miei
perché e ai miei bisogni».
Lei ha appena festeggiato
40 anni di sacerdozio.
Dov’è nata e cresciuta la
sua vocazione sacerdotale?
La mia fede e quindi la mia vocazione
sacerdotale sono cresciute nell’Orato-
rio e Parrocchia dei Salesiani di An-
dria, dove io sono nato.
Fin da piccolo mio padre mi portava
all’oratorio e tutta la catechesi di ini-
ziazione cristiana l’ho ricevuta in par-
rocchia, seguendo e partecipando con
impegno alle “gare catechistiche”. Io
ero orgoglioso delle mie conoscenze,
anche se la pratica avveniva in fami-
glia, a scuola e, naturalmente all’ora-
torio, attraverso le varie attività che
venivano proposte.
In terza media, sono partito per “l’a-
spirantato” (il Seminario minore) a
Venosa in provincia di Potenza e ho
proseguito il Ginnasio a Santeramo
in Colle in provincia di Bari. Ho pro-
seguito, in seguito, tutto l’iter di stu-
dio, consolidando il mio cammino di
fede Salesiana.
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Dicembre 2018

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C’è un Oratorio Centro
Giovanile, in particolare
che è rimasto nel suo
cuore?
Primo di tutti l’Oratorio di Andria,
dove sono nato e poi come Salesiano,
e poi l’Oratorio di Torre Annunzia-
ta in provincia di Napoli, dove già
da giovane confratello andavo a fare
apostolato da Castellammare di Sta-
bia. Successivamente sono diventato il
direttore di tutta l’opera.
L’ho amata infinitamente, perché era
un ambiente povero culturalmente ed
economicamente, pur essendo ricco
di risorse nei giovani che lo frequen-
tavano. Infatti si sono potute attivare
molte attività: teatro, danza, canto e
tanto altro, coinvolgendo i ragazzi e
le loro famiglie. Ricordo che erano
ragazzi molto dotati, avevano, come
la maggior parte dei Campani, l’arte
nel sangue. Abbiamo persino fondato
un gruppo folkloristico. Questi ra-
gazzi hanno contribuito alla rinascita
dell’ambiente in cui vivevano.
Se non avesse fatto
il sacerdote, che cosa
avrebbe fatto nella vita?
Tante volte mi sono posto questa do-
manda, ma non sono riuscito mai a
dare una risposta, perché dopo aver
conosciuto don Bosco, mi ha attratto
totalmente, rispondendo a tutti i miei
perché e ai miei bisogni. Ho capito
che il mio futuro era questo.
Che cosa significa essere
prete come don Bosco,
oggi?
Don Bosco all’inizio della sua missio-
ne ha rappresentato un cambio nell’i-
dentikit del sacerdote, perché nell’Ot-
tocento, il sacerdote era considerato un
uomo di casta superiore, da sacrestia.
Don Bosco facendo sempre riferi-
mento al sogno dei nove anni, dove
gli venivano affidati i giovani più po-
veri e bisognosi, rompe questi sche-
mi e realizza già da allora, quella che
oggi viene chiamata “La Chiesa in
uscita” e va a trovare i giovani, nelle
periferie, nelle zone più emarginate
della Torino di allora. In seguito, ha
iniziato a fare i primi contratti di la-
voro impegnandosi lui a dare un posto
dove dormire e un piatto caldo. Oggi,
don Bosco continua nel mondo l’e-
sperienza di educare buoni cristiani e
“onesti cittadini”, con la straordinaria
opera educativa che vede impegnati
comunità intere di laici e consacrati,
giovani e meno giovani, con la sfida
della prevenzione, pur capendo che in
certe povertà c’è da fare il recupero.
Potremmo dire che il focus del suo
intervento educativo è “Stare con i
giovani”, generando confidenza e
quindi come diceva Lui: “l’opportu-
nità di accompagnarli, orientarli nel
discernimento”. La famosa frase che
noi ripetiamo è: “L’educazione è cosa
di cuore”. Questo oggi, non solo non
si è perso, ma è diventato la chiave di
volta per poter educare.
Qual è la difficoltà
più grossa?
La difficoltà più grande è non poter
dedicare tutto il tempo ai giovani,
perché purtroppo siamo anche impe-
gnati nella gestione e nella burocra-
zia, a scapito della nostra presenza in
mezzo a loro.
La chiesa parrocchiale di San Francesco da Paola
dei Salesiani a Gioia Tauro. Una parrocchia con
un grande potenziale.
Dicembre 2018
19

2.10 Page 20

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A TU PER TU
Un altro elemento è che oggi i gio-
vani, hanno troppi interessi sbagliati,
tanto per citarne uno, l’uso sbagliato
dei social. Oggi sono attratti dalle fri-
volezze del mondo e inoltre molti di
loro vivono nell’apatia. È importante
trovare buoni educatori che sappiano
guidarli e indirizzarli.
La gente che cosa si
aspetta dal salesiano
sacerdote oggi?
Si aspetta persone, sia consacrate che
laiche coerenti, vicine a loro e capaci
di affiancarli, accompagnarli con una
carica umana grande, che esprime
questa passione educativa.
Per esempio, don Bosco diceva che
per salvare anche un solo giovane sa-
rebbe andato con la lingua per terra
da Torino a Superga. Quindi educa-
tori non rinunciatari, ma determinati
e pronti dove fosse necessario anche a
dare la propria vita in nome di Gesù
Cristo che è il Buon Pastore per tutti
e che non si dà mai per vinto.
giuridicamente da Locri, compiuto
nove mesi. Questa è una Parrocchia
con un grande potenziale ma con
una realtà di famiglie legate tra di
loro da gradi di parentela, di affini-
tà o comunanza di interessi, per cui
si rende difficile costruire una grande
comunità, che è l’insieme di famiglie,
valorizzando i carismi e le risorse di
tutti. Inoltre si evi-
denziano molto le
problematiche pre-
senti nella Piana del
Tauro, dove diven-
ta difficile essere se
stessi, senza la paura
di essere giudicati e a
volte isolati.
Il popolo calabrese è
per natura accoglien-
te, ma in queste zone
si creano delle dina-
miche che frenano la
rinascita.
Progetti per il futuro?
Innanzitutto siamo ancora in una
fase di conoscenza del territorio, so-
prattutto del mondo giovanile e delle
loro famiglie. Stiamo pensando per il
prossimo ottobre di attivare un son-
daggio sociologico mirato, per cono-
scere meglio la realtà e quindi giunge-
re ad un vero progetto, per poi poter
attivare percorsi che possano illumi-
nare il futuro del territorio.
I tempi si prevedono lunghi, perché
cambiare la mentalità significa pas-
saggio di generazione, ma questo è
il “Vero Sistema Educativo” di don
Bosco, accettando le nuove sfide che
ci chiedono di capire i giovani e le
loro famiglie, per promuovere una
nuova cultura di vita nella luce del
Signore.
Com’è la parrocchia
di Gioia Tauro?
Siamo neonati. Abbiamo appena,
come piccola comunità, dipendente
In alto: Una celebrazione
eucaristica.
A destra: La comunità
dei Salesiani.
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Dicembre 2018

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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INIZIATIVE
Concerto di Natale in Vaticano
Buon Natale, Palabek!
L a edizione del Concerto di Natale in
Vaticano si terrà il 15 dicembre prossimo
nell’Aula Paolo VI. L’evento vede coinvol-
te ancora una volta le missioni salesiane:
infatti, uno dei due progetti di solidarie-
tà legati al concerto è quello di “Missioni
Don Bosco” di Torino in favore dei rifugiati ac-
colti nel campo profughi di Palabek, in Uganda.
“L’educazione è un concetto trasversale che coin-
volge molti linguaggi – ha detto monsignor Zani
spiegando il ruolo della Congregazione per l’Edu-
cazione Cattolica nel Concerto –. In questo sen-
so la musica, l’arte, lo sport sono strumenti im-
portantissimi perché toccano anche la persona, i
sentimenti, la fantasia e così via... L’educazione e
i migranti sono il filo rosso dei progetti prescel-
ti per quest’anno: l’idea è “ricostruire il tessuto
dell’Iraq”, dopo il crollo del regime di Saddam
Hussein e la fine dell’ , e “dare speranza” ai
rifugiati dell’Uganda. “Due alternative alla mi-
grazione attraverso l’educazione. L’educazione è
un elemento di riscatto e di possibile soluzione
e, soprattutto, un’occasione per andare oltre la
gestione dell’emergenza, offrendo strumenti con-
creti per costruire un futuro”, ha aggiunto infatti
monsignor Zani.
Da parte sua il sig. Pettenon ha illustrato il pro-
getto dei salesiani in Uganda: “Abbiamo valutato
i bisogni che ci sono e, oltre all’assistenza spiri-
tuale, perché i profughi sono prevalentemente
cristiani, abbiamo individuato la formazione pro-
fessionale come strumento per poter rispondere
al bisogno dei giovani, in cinque settori. Il primo,
l’agricoltura perché ad ogni famiglia che arriva in
Educare attraverso un concerto vuol dire
raggiungere la persona nella mente,
nel cuore e anche nelle mani per dire:
«Che cosa posso fare?».
questo campo profughi, l’Uganda offre un picco-
lo appezzamento di terra da coltivare: insegnia-
mo a fare orticoltura. Il secondo e il terzo sono
le costruzioni e la falegnameria, prevalentemente
rivolti ai ragazzi, e invece per le ragazze la par-
rucchiera e la cuoca. Questo vorremmo fare per
dare una possibilità di micro-lavoro all’interno di
questo campo profughi”.
In onda la sera del 24 dicembre
Il Concerto, pur svolgendosi il 15 dicembre pros-
simo, verrà mandato in onda in tutto il mondo
attraverso la piattaforma di Canale 5 alla sera del
24 dicembre, in prima serata. In quell’occasione
verrà ricordata la possibilità di sostenere i due
progetti attraverso delle donazioni via sms ad un
numero verde attivo per diversi giorni durante le
feste natalizie.
Dicembre 2018
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3.2 Page 22

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INVISIBILI
FEDERICA ANNIBALI
Come una piccola che raccoglieva dalla strada bambini
e lebbrosi che nessuno (neppure i più
poveri) osava avvicinare. Fu lui a invi-
tarli a “venire e vedere” la sua India dal
Apis laboriosa puntodivistadellaperiferiapiùsporca
e misera della capitale del Tamil Nadu.
Con un semplice tam-tam
Fu un colpo di fulmine e credo anche
un colpo al cuore, incontrare persone
che giacevano in strada, forse morte
dri salesiani indiani nel Tamil Nadu, oppure solo stremate dalla fame. Così
«Si misero così in strada estremo lembo dell’India del sud. in loro nacque l’idea che pur nella
all’alba assieme ai padri Ricordare il nostro presidente Dome- fragilità fisica e morale di stranieri
salesiani, a consegnare ai
poveri in fila da ore il pane
che avevano comprato
per loro». Comincia così
l’avventura di un gruppo di
amici, tutti volontari, che
realizzano veri miracoli
nico Catarinella, salito in cielo il 12
maggio del 2014 e sua moglie Antoi-
nette Pasquer non significa ripercor-
rere gli eventi di una vita eroica ma
la semplicità di una missione portata
avanti nella quotidianità della vita or-
dinaria di una anziana coppia. Dome-
nico (1929) e sua moglie (1924), appe-
na raggiunta la pensione decisero, nel
1995, di regalarsi un viaggio in India.
occidentali, potevano, anzi avrebbero
potuto fare qualcosa. Si misero così in
strada all’alba assieme ai padri sale-
siani, a consegnare ai poveri in fila da
ore il pane che avevano comprato per
loro. Fu una gioia incontrare soprat-
tutto i lebbrosi, persone disabituate a
ricevere un gesto di umana pietà o un
cenno di saluto, per abbracciarli e farli
sentire fratelli in nome di un Dio che
con mercatini di piazza. E lo fecero seguendo il cuore, su invito non allontana nessuno da sé.
di un padre salesiano indiano cono-
“L a santità non consiste
nel fare cose straordi-
narie. Essa consiste
nell’accettare, con un
sorriso, quello che
Gesù ci manda. Essa
sciuto a Roma: padre Tarcisius, rettore
a Vyasarpadi (Chennai), la più gran-
de istituzione per poveri abbandonati,
La nuova e moderna scuola salesiana di
Nedungadu, destinata a ospitare 500 tra bambini
e ragazzi tra i 6 e i 16 anni.
consiste nell’accettare e seguire la vo-
lontà di Dio”. Mi piace cominciare
con una frase di Santa Teresa di Cal-
cutta, la Santa degli Ultimi, per poi
spiegare ciò che lei ha espresso con
tanta efficacia.
Sono Federica Annibali, la presiden-
te di una piccola associazione (Apis,
Associazione Pro India del Sud) che
da 20 anni, con continuità, aiuta i pa-
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Dicembre 2018

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La struttura degli inizi con i volontari dell’Apis.
Il passo successivo fu quello di ritor-
nare in Italia alla loro vita – ai figli,
agli amici della parrocchia di San
Giuseppe al Casaletto a Roma – e
parlare dell’India e del suo straordi-
nario popolo mite e fiducioso. C’era
davvero tanto da fare per sostenere le
missioni salesiane in Tamil Nadu e
bisognava farlo subito.
Tra il 1996 e il 1998 attraverso un
semplice tam-tam tra amici e con
mercatini di prodotti acquistati in
India improvvisati in strada, furono
raccolti ben 30 737 000 milioni delle
vecchie lire, subito trasformati in un
dispensario per i lebbrosi, utilizzati
per l’acquisto di materiale sanitario
per le missioni più povere e di utensi-
li da falegnameria per i ragazzi degli
istituti professionali salesiani o mac-
chine da cucito per ragazze. Furono
realizzati anche dei pozzi per i conta-
dini più poveri.
Ma ciò che più colpisce è l’efficacia
delle iniziative di questo primo grup-
po di amici, semplici animatori par-
rocchiali; un’energia inesauribile di
cui padre Tarcisius si rese subito con-
to. Così nel dicembre del 1997, dopo
due anni di collaborazione febbrile, il
Padre indiano scrisse una lettera nel-
la quale chiedeva esplicitamente ad
Antoinette e Domenico di diventare
. . . , cioè “Associazione Pro India
del Sud” in sostegno alle attività mis-
sionarie in Tamil Nadu.
Il nome avrebbe ricordato le api, i
piccoli insetti operosi che bottinano
il miele; la presidente sarebbe stata
una donna, Antoinette Catarinella e
la sede la loro casa.
Toni Panantopu
L’associazione Apis sorta nel 1997,
ha ormai compiuto 20 anni, ma è
rimasta uguale a se stessa come era
nelle intenzioni dei fondatori, con
il medesimo spirito di volontariato
“integrale” che la anima da sempre.
I fondi raccolti da manifestazioni e
mercatini in piazza sono interamente
investiti nella costruzione di scuole,
realizzazione di laboratori tecnici e
sartorie, ambienti idonei per bambini
ammalati di , lebbrosi e dhobi, gli
Intoccabili cioè gli appartenenti alla
casta più bassa. Tante persone e so-
prattutto giovani hanno beneficiato
dei frutti di tanta alacre attività che
in un ventennio ha raccolto (e possia-
mo indicare solo i fondi ufficialmente
contabilizzati) ben oltre un milione di
euro.
In ricordo di Antoinette Pasquer e
per i lebbrosi di Attur, ai quali con
tanta determinazione aveva un gior-
no consegnato il pane nei sobborghi
più poveri di Chennai, sono state
costruite 42 casette e una cappellina
interconfessionale dedicata a Maria
Ausiliatrice aiuto dei Cristiani. Il vil-
laggio, ribattezzato dagli stessi abi-
tanti Toni Panantopu, cioè il “villag-
gio di Antoinette”, è stato terminato
pochi giorni prima della sua morte, il
24 di agosto del 2007.
Al nostro ultimo presidente sul finire
del 2017 abbiamo dedicato una nuo-
va e moderna scuola salesiana a Ne-
dungadu, destinata a ospitare 500 tra
bambini e ragazzi tra i 6 e i 16 anni; il
riconoscimento più bello per un uomo
che ha speso con allegria e pienezza
di senso gli anni più maturi della vita
in favore di tanti giovani.
Una storia semplice di due persone
che hanno camminato qui sulla terra
per indicarci una strada, forse un sen-
tiero stretto, che li ha resi testimoni di
un’Opera più grande. Perché ognuno
di noi oggi può dire “Sì” e trasformare
una Vita qualunque in una Vocazione
all’Altro, seguendo lo spirito lasciato-
ci da don Bosco.
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FRONTIERE SALESIANE
ANDY DAL THAI SALESIAN BULLETTIN
Traduzione di Marisa Patarino
Il dono della luce L’infinita creatività salesiana
I Salesiani di Don Bosco nel Centro di Perfezionamento
delle Competenze per non vedenti a Pakkred,
nella Provincia di Nonthaburi, in Thailandia.
L’inizio della presenza dei
Salesiani in questo Centro
è stato umile. Era il 1978
quando la Fondazione per
non vedenti della Thai-
landia e i Salesiani di Don
Bosco dello stesso Stato stipularono
un accordo. La Fondazione per non
vedenti in Thailandia è un’organiz-
zazione senza scopo di lucro fondata
quasi ottant’anni fa da una signorina
cattolica americana non vedente, Ge-
neviève Caulfield, ed è sotto il patro-
cinio di Sua Maestà la regina della
Thailandia. I Salesiani, nelle persone
di don Gustav Roosens, belga, e don
Charles Velardo, italiano, si assunsero
ufficialmente l’incarico della gestio-
ne del Centro di formazione profes-
sionale per non vedenti della città di
Nonthaburi il 31 maggio 1978. L’e-
vento non sarebbe stato straordinario,
a parte il fatto che quest’opera costi-
tuiva un nuovo campo inesplorato per
i Salesiani ed era una risposta genero-
sa a un appello urgente della Chiesa.
I primi non vedenti che chiesero aiuto
al Centro arrivavano da tutto il Paese
e avevano un’età compresa tra quindici
e trentacinque anni. Anche il loro de-
ficit visivo era di gravità molto varia. Il
risultato finale, trovare un’occupazione
all’interno della società, all’epoca era
però difficile da raggiungere. La pri-
ma iniziativa intrapresa dai Salesiani
fu creare l’“atmosfera familiare” tan-
to cara a don Bosco, in cui la fiducia
tra Salesiani, personale e giovani fosse
il terreno su cui seminare con la spe-
ranza di risultati futuri. Non fu facile
riuscirci, a causa dei pregiudizi e della
passata esperienza di uno stile diverso
di gestione che si era ormai consolida-
to. L’amore sincero e altruista, però,
infrange qualunque barriera e così,
dopo un po’ di tempo, i muri crolla-
rono e si formò l’atmosfera “salesiana”.
Una volta raggiunto questo obiettivo,
fu prestata attenzione specifica alla
formazione. Lo studio, il confronto,
tentativi ed errori richiesero un certo
tempo, prima che si intravedesse per
gli studenti un futuro migliore.
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Dicembre 2018

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«Gli allievi hanno assorbito a poco a poco le virtù
del bene, che sono diventate una luce nel loro
cuore. Possono essere non vedenti dagli occhi,
ma il loro cuore brilla grazie a ciò che apprendono
qui».
Dopo un periodo di adattamento, in
armonia con il nuovo volto che il Cen-
tro stava assumendo, il nome stesso
dell’Istituto fu cambiato da Centro di
Formazione Professionale a Centro di
Perfezionamento delle Competenze.
“Aiutare i non vedenti a perfeziona-
re le loro capacità” è la filosofia di
base del Centro: ogni persona con
problemi di vista dispone di capaci-
tà che, se adeguatamente sviluppate,
possono permettere una vita normale
e dignitosa. Il primo aspetto da con-
siderare è quindi incrementare l’au-
tostima e la fiducia in se stessi degli
allievi. La prima reazione che segue
immediatamente la perdita della vi-
sta, specialmente quando la causa è
un incidente, sarà di sgomento: chi
ne è stato colpito non riesce a capire
come possa continuare a vivere senza
vedere. Tutto ciò che rientrava nelle
capacità consuete viene improvvisa-
mente a mancare e il non vedente non
è in grado di compiere le attività della
vita quotidiana, con enormi difficoltà
nell’esecuzione anche di compiti sem-
plici. «Seguendo i principi cattolici e
l’amore che proviene da Gesù Cristo,
aiutiamo giovani con deficit visivi
a vivere bene in società, in modo
dignitoso e sostenibile», ha dichiarato
il Salesiano Suwan Jutasompakorn,
direttore del Centro.
Suwan spiega che ogni anno vi sono
ammessi circa trenta nuovi allievi non
vedenti provenienti da tutto il Paese,
di età compresa tra quindici e cin-
quant’anni. Al momento il Centro è
frequentato da ventisette allievi del
primo anno e ventotto del secondo
anno. La maggior parte degli allievi
sono buddisti, con l’eccezione di un
musulmano.
Il 60% degli allievi sono non vedenti
dalla nascita. Una delle ragioni della
loro problematica è l’ereditarietà: al-
cuni allievi provengono da famiglie
con la presenza di non vedenti e la
patologia è stata trasmessa di genera-
zione in generazione.
Il restante 40% degli allievi ha perso
la vista a causa di incidenti o malattie.
Questi allievi hanno bisogno di tem-
po per adattarsi a un nuovo modo di
vivere.
I non vedenti
non sono disabili
I non vedenti non sono disabili. I Sa-
lesiani, i docenti e il personale li aiu-
tano a vivere in modo dignitoso nella
società. Viene insegnato loro a guada-
gnarsi da vivere e a essere autonomi.
E anche a essere buoni cittadini che
Dicembre 2018
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L’INVITATO
cercano di sviluppare sempre meglio
le loro potenzialità.
La formula, che forse non si può
nemmeno definire tale, consiste
nell’offrire l’opportunità di raggiun-
gere qualunque livello di istruzione.
Ovviamente si fa un uso opportuno
dei computer con materiale audio.
Il Centro di Perfezionamento delle
Competenze svolge la duplice funzio-
ne di offrire un percorso di riabilita-
zione e al tempo stesso di formazione
professionale di base. L’ambito della
riabilitazione spazia dal recupero del-
le funzioni fisiche (con una riabilita-
zione medica soprattutto
nell’area oftalmologica,
grazie all’aiuto di medi-
ci qualificati) al sostegno
psicologico offerto da psi-
cologi abilitati che pro-
vengono da un’Università
vicina.
L’obiettivo principale con-
siste dunque nel dare avvio
a un nuovo futuro tramite
la formazione professiona-
le di base, tenendo conto
delle attuali disponibilità
del mercato del lavoro per
i non vedenti in Thailan-
dia. Dopo un periodo ca-
ratterizzato da tentativi ed
errori, tenendo presente
la situazione reale dei no-
stri allievi, abbiamo infi-
ne scelto tre corsi di base
Gli studenti del Centro sono
campioni di Goalball (gioco di
squadra che può essere praticato
da atleti affetti da disabilità
visive).
complementari tra loro: orticoltura,
artigianato e massaggio tradizionale
thailandese. Per ragioni legate a pre-
giudizi sociali, in questo momento
la maggior parte dei nostri allievi è
orientata verso il massaggio tradizio-
nale thailandese, la professione oggi
più ricercata dai non vedenti per le
buone prestazioni e l’alta qualità del
servizio offerto. Nei locali del no-
stro Centro abbiamo allestito tre sale
massaggi per il servizio al pubblico.
Queste sale servono anche per la se-
conda fase del percorso di formazio-
ne, costituita dal tirocinio svolto sotto
la nostra assistenza. Le competenze
mostrate dai nostri allievi non vedenti
hanno conquistato la fiducia del pub-
blico, tanto che abbiamo difficoltà a
far fronte a tutte le richieste di mas-
saggiatori non vedenti.
Con una buona formazione nell’am-
bito dell’Orientamento e della Mobi-
lità e dopo aver acquisito la capacità
di svolgere le attività della vita quoti-
diana, in aggiunta a una solida forma-
zione professionale di base, il futuro
non sembra più così tetro. La base su
cui si fonda tutto questo è lo “spiri-
to di famiglia” che regna al Centro.
I Salesiani incaricati della
sua gestione sono impe-
gnati nell’importante ma
meraviglioso compito di
creare un clima di reci-
proca stima e fiducia tra il
personale e gli allievi non
vedenti. Viene applicato il
“Sistema preventivo”. Le
persone che lavorano qui
sono come padri e fratelli
per gli allievi. Gli studen-
ti non sono solo residenti
temporanei del Centro, ma
ritengono che questa sia la
loro casa. Al di là dei suc-
cessi raggiunti, continuia-
mo a impegnarci per cer-
care nuove strade verso il
pieno riconoscimento delle
capacità dei non vedenti da
parte della società thailan-
dese.
Dopo aver conseguito il
diploma, gli allievi han-
no la concreta certezza di
trovare un lavoro. Già da
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Dicembre 2018

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alcuni anni i Salesiani incaricati del-
la gestione del Centro incoraggiano
i non vedenti che hanno acquisito
questo titolo di studio ad avviare una
loro sala per massaggi formando pic-
cole squadre nel contesto di una rete.
I risultati di questo programma sono
molto incoraggianti. Nel corso degli
anni l’immagine degli allievi non ve-
denti è cambiata: li si commiserava
per la loro sfortuna e ora sono consi-
derati persone ricche di dignità, auto-
nome e in grado di condurre una vita
normale in modo sostenibile.
Una luce nel buio
Suwan continua: «Molti nostri allievi
sono poveri, disperati e vivono nell’o-
scurità perché hanno perso la vista.
Dobbiamo ridare loro una speranza.
Questa è una vera opera salesiana,
una missione per i poveri e per chi
manca di opportunità. Sono felice di
vivere qui».
Prima di arrivare qui gli allievi non
avevano il desiderio di vivere. Non
avevano sogni per il futuro ed erano
privi di autostima. Dopo aver stu-
diato qui e aver compiuto
un percorso di tirocinio,
cominciano a provare
maggiore autostima e
fiducia in se stessi. Se si
insegna loro a conoscere
«Quando penso a
Suwan, il direttore
del Centro, mi
vengono in
mente le parole
incoraggiamento,
gentilezza ed
educatore».
l’amore di Gesù Cristo e della Beata
Vergine Maria, a poco a poco affi-
nano la loro mente e i loro pensieri.
Il confratello salesiano ha fatto loro
conoscere don Bosco e ha inserito il
Vangelo nel breve discorso mattuti-
no e in quello serale che rivolge agli
allievi, oltre che nell’incontro del sa-
bato pomeriggio. Gli allievi hanno
assorbito a poco a poco le virtù del
bene, che sono diventate una luce nel
loro cuore. Possono essere non veden-
ti dagli occhi, ma il loro cuore brilla
grazie a ciò che apprendono qui.
Un allievo dice: «La mia vita è cam-
biata ed è più felice. Apprezzo il
discorso del mattino e lo spun-
to di meditazione che ci offre
di sera. Suwan mi ha sempre
incoraggiato. Mia madre, mio
fratello, i miei parenti, il do-
cente e tutto il personale del
Centro sono stati come
una luce nell’oscu-
rità della mia vita.
Voglio dire a tut-
ti quelli che stan-
no affrontando la
mia stessa situa-
zione di non arrendersi e di non per-
dere mai la speranza».
Un altro: «Quando penso a Suwan,
il direttore del Centro, mi vengono
in mente le parole incoraggiamento,
gentilezza ed educatore».
Una insegnante, Sawien Ngamsaeng,
cattolica, di 53 anni, ipovedente, che
insegna massaggio thailandese ha
detto: «Sono stata allieva del Centro
nel 1982 e nel 1990 sono diventata
insegnante. Mi sono convertita alla
fede cattolica qui. La mia famiglia è
cattolica. Sono felice di insegnare qui.
Capisco lo stato d’animo degli allievi
più giovani. In passato avevo pensa-
to che non ci fosse un futuro per me.
Gli ipovedenti sono forti come tutti
gli altri, ma nel mondo del lavoro non
sono accettati come tutti. Grazie a
questo Centro ho avuto un’opportu-
nità e sono quindi voluta tornarvi per
offrire il mio contributo. Ringrazio
i Salesiani di questo Centro, la cui
missione è la stessa di don Bosco, che
si impegnò per aiutare i bambini po-
veri. Penso che sia una fortuna per le
persone ipovedenti della Thailandia
avere questa grande opportunità».
Dicembre 2018
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3.8 Page 28

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FMA
EMILIA DI MASSIMO
In Ungheria è
sempre primavera
Le Figlie di Maria Ausiliatrice, dopo un difficile passato,
ritornano a fiorire in mezzo ai giovani ungheresi.
La realtà giovanile dell’Unghe-
ria è analoga a svariati Paesi
europei: giovani accoglienti,
generosi, disponibili al ser-
vizio, aperti a grandi sogni e
ragazzi che vivono ai margini
della società. Immersi nella secola-
rizzazione, perlopiù privi di valori,
con un’identità frammentata, figli del
mondo virtuale. Fanno uso di dro-
ga, di alcool, di fumo; molti giovani
hanno paura di un legame duraturo,
pertanto escludono il matrimonio.
Cercano la libertà; hanno una perso-
nalità centrata sul fare, sulla riuscita
individuale, più che sull’essere e sulla
formazione personale. Vorrebbero ap-
partenere a qualche gruppo ma non
sempre trovano aggregazione, tutta-
via per loro le parrocchie organizzano
incontri, feste, convegni, attività che
li coinvolgono.
Ma l’Ungheria è stata privata per
molto tempo della libertà e dei valori:
solo nel 1989 il Paese ha aperto le sue
frontiere all’Occidente. Una brevissi-
ma nota storica che conferisce spes-
sore sia alla condizione dei giovani
sia alla presenza delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, entrambi simbolo di una
costante primavera.
Ci dice suor Carolina Costabile:
«Oggi sogniamo futuro, portiamo
dentro sempre una forte passione
apostolica che ci aiuta a rimanere
unite, valorizzando le ricchezze della
nostra diversità culturale; provenien-
ti da sette nazioni siamo insieme per
essere sempre al servizio dei giovani,
specialmente i più poveri e i meno tu-
telati, tessendo contemporaneamente
le relazioni con la Famiglia salesiana
e con altri laici che con noi possono
collaborare per la realizzazione di un
Carisma che sia vivo in questa terra;
portiamo nel cuore tanta speranza e
fiducia, la certezza che Dio conduce
la nostra storia e Maria Ausiliatrice è
Madre e Maestra».
Rischiarare il presente
Lo sguardo storico non è uno studio
approfondito ma semplicemente la
luce dal passato per illuminare i pas-
si nel futuro. La prima comunità in
Ungheria è stata fondata nel 1937 a
Olad; sarà chiusa nel ’42. Di seguito
sono state fondate altre due comu-
nità, a Mándok e a Tényő, che sono
restate aperte fino al 1948. Nel 1947 è
stata fondata a Óbuda la comunità di
Budapest. Nel 1950 il regime comu-
nista ha soppresso le congregazioni
religiose, ha cominciato a disperdere
le comunità, così alcune sono
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Dicembre 2018

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andate a vivere presso i parenti. Suor
Erzsébet Tóth, suor Katalin Mócza
e suor Mária Horváth sono rimaste
insieme nella casa di Budapest; suor
Katalin ha potuto lavorare come mae-
stra nella scuola materna. Nella casa
di Tényő la comunità è rimasta unita,
formata da suor Anna Bognár, suor
Anna Komlós e suor Júlia Szikriszt.
Nel 1956 suor Bognár è fuggita in
Italia, è ritornata in seguito a Buda-
pest ed è attualmente una vera testi-
monianza di vita, vivacissima con i
suoi 96 anni di età!
Nel 1990, suor Etelka Roboz, con
tre giovani, ha iniziato l’esperienza
della vita fraterna a Budapest, in un
appartamento di sua proprietà; la pic-
cola comunità si è trasferita qualche
mese dopo nella casa di Budapest-Pe-
sthidegkút, dove si è aperta la scuola
materna.
Una seconda comunità è stata aperta a
Mogyoród, l’8 dicembre 1992, ma la
tradizione salesiana era già viva me-
diante l’attività del Salesiano József
Falka, il quale aveva portato avanti
l’oratorio anche sotto il regime comu-
nista. La terza comunità, nel 1997, ha
l’animazione del Collegio universitario
Maria Ausiliatrice, le universitarie sono
107, provenienti da tutta l’Ungheria.
Ogni comunità scommette sulla co-
munione, sulla condivisione, sulla
preghiera, ed è questo il segno visibile
dentro e al di là di ogni opera, raffor-
zato dalla collaborazione con i Sale-
siani, con i Salesiani cooperatori e con
i laici: ciò che rende testimoniante la
missione educativa.
Audaci per la missione
educativa
Le sono consapevoli delle sfide
che emergono dalla realtà, proprio per
tale motivo sono decise ad accoglierle,
consapevoli che la meta è il bene dei
giovani. Quali sono le opportunità da
cogliere?
Una Figlia di Maria Ausiliatrice con alcune
studentesse universitarie.
«La testimonianza vocazionale della
nostra vita intercomunitaria e la dif-
fusione di una cultura vocazionale
perché i giovani trovino il senso della
vita e siano felici.
Un equilibrio tra le nostre attività
pastorali e la nostra vita consacrata,
scoprendo di più le radici nelle sorelle
che ci hanno precedute. L’approfon-
dimento del Sistema Preventivo: in
ascolto di Dio e dei giovani.
La fiducia nella chiamata del Signore
che continua in ogni tempo».
Con tale intraprendenza la nostra
epoca, definita senza speranza, diven-
ta incentivo per generare nella società
una nuova cultura: sapore di futuro
e di apertura oltre i confini; presen-
za vicina alla gente, perché il mistero
della vita e della dignità di ogni esse-
re umano possa essere protetto. Noi
crediamo che in questa terra ci sarà
un avvenire: già si sente il profumo,
come potrebbe non sentirsi? In Un-
gheria è sempre primavera!
Dicembre 2018
29

3.10 Page 30

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MEMORIE
GIORGIO ALDRIGHETTI
Il bosco e le rose CometuttigliOrdinie
Congregazioni religiose,
anche i Salesiani hanno
Il nostro stemma un loro stemma che
sintetizza il “programma”
tipico dell’identità,
della missione, dei mezzi
L a Pia Società di San France-
sco di Sales venne fondata
da don Bosco il 18 dicembre
1859 – con decreto di lode il
23 luglio 1864 e approvazio-
ne apostolica nel 1874 – con
caratteristica, quale “insegna” di un
servizio a cui viene dedicata tutta la
vita personale e comune di quanti vi
si riconoscono.
Lo stemma salesiano, secondo le
non semplici regole blasoniche, così
e dei metodi prescelti dal
fondatore e sanciti dalla
Chiesa. È un messaggio
e un impegno.
lo scopo dell’istruzione e educazione si descrive: “D’azzurro all’ancora di
della gioventù nelle scuole letterarie, due uncini al naturale, cordata d’oro, con la spera dell’ultimo; dalla som-
professionali e agricole e nelle varie posta in palo, accompagnata a destra mità del capo dello scudo si diparte
istituzioni giovanili e missioni.
dal busto del vescovo san Francesco un fascio di raggi d’oro in sbarra che
Come tutti gli Ordini e Congrega- di Sales, nimbato dell’ultimo, con il raggiunge la nimbatura del santo ve-
zioni religiose, anche i Salesiani han- volto e le mani di carnagione e l’abito scovo di Sales. Accollati allo scudo
no un loro stemma che sintetizza il prelatizio di paonazzo, volto a sini- due rami di palma e di alloro al na-
“programma” tipico dell’identità, del- stra, nell’atto di scrivere, sopra uno turale, fogliati di verde, decussati alle
la missione, dei mezzi e dei metodi scrittoio marrone; accompagnata a estremità e nell’orlatura del capo due
prescelti dal fondatore e sanciti dalla sinistra da un cuore di rosso, fiam- ghirlande di rose fiorite e fogliate al
Chiesa.
meggiante d’oro, sormontato da una naturale. Sotto lo scudo, nella lista
Diviene così un “segno” utile a ricor- cometa a sei punte, con la coda onda- svolazzante d’argento, il motto in let-
dare e tradurre in azione la propria ta posta in banda, il tutto d’argento; tere maiuscole di nero: Da mihi animas
accompagnata in punta caetera tolle.
da un bosco desinente Voluto da don Bosco, lo stemma con-
in colline e montagne densa il messaggio da trasmettere ai
innevate, il tutto al na- suoi figli, precisamente come monito
turale. Lo scudo di for- per un’identità.
ma ovale, accartocciata, Di conseguenza, compare in questo
è cimato da una croce emblema il carisma di don Bosco
latina trifogliata d’oro, stesso, che lo suggerì, lo definì, lo sot-
tolineò con un motto, perché dall’in-
sieme trasparisse un progetto di vita
Stemma salesiano presente
nel soffitto a cassettoni
della Basilica del Sacro Cuore
a Roma.
religiosa.
Ma non ebbe fretta di proporlo. A
venticinque anni dalla fondazione,
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Dicembre 2018

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4.1 Page 31

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Stemma salesiano.
Miniatura di Enzo
Parrino, Monterotondo
(Roma).
te la stella massonica. Perciò la fece
togliere lasciando campeggiare la
croce trifogliata. In seguito la stella,
ma a sei raggi, fu caricata nello scudo,
sopra il cuore, in forma di cometa, a
completare il trittico simbolico delle
virtù teologali.
la congregazione salesiana non si era
ancora data l’insegna propria di tutte
le famiglie religiose.
Come sigillo si soleva imprimere la
figura di san Francesco di Sales, cir-
condata da una scritta latina che desi-
gnava la “Società Salesiana”.
Solo il 12 dicembre 1884 l’economo
generale don Sala presentò al Con-
siglio generale una miniatura dello
stemma disegnato dal torinese pro-
fessor Giuseppe Boidi, da collocarsi
nella nuova basilica del Sacro Cuore
in Roma. Con qualche lieve modifi-
ca, il disegno fu approvato.
Fin dall’originale, lo scudo appariva
caricato da una grande ancora posta in
palo, con il busto di san Francesco di
Sales alla destra araldica (sinistra per
chi osserva) e un cuore fiammeggiante
a sinistra (destra per chi osserva).
Al capo figurava una stella, con la
spera, ossia raggiante. In punta com-
pariva, invece, un boschetto, che ri-
chiamava il soprannome della fami-
glia Bosco, nella dimora ai Becchi,
desinente in colline, che ricordavano
i colli del Monferrato e le montagne
innevate.
Lo scudo ovato e accartocciato figu-
rava contornato da due rami, uno di
palma e l’altro d’alloro, intrecciati ai
gambi. Una ghirlanda di rose corona-
va la cima dello scudo, sormontata da
una croce latina trifogliata.
A don Bosco però non piacque la stel-
la a cinque punte che sormontava lo
scudo, perché richiamava palesemen-
La battaglia dei motti
Lo stemma definitivo apparve per la
prima volta in forma ufficiale in capo
a una circolare datata l’8 dicembre
1885. Da tale data rimase pressoché
invariato.
I simboli palesemente abbondano.
Per la Fede, la stella; per la Speranza,
l’ancora e per la Carità, il cuore in-
fiammato. Nella simbologia araldica,
inoltre, la stella rappresenta la mente
rivolta a Dio, l’ancora, la costanza e il
cuore, l’amore e la generosità.
La figura di san Francesco di Sales
esprime il patrono della congregazio-
ne, scelto da don Bosco ispirato dalla
sua carità apostolica e dalla dolcezza e
pazienza evangelica.
L’immagine si rifà a un dipinto stori-
co, ma l’aggiunta di uno scrittoio, di
un foglio e di una penna sta a indi-
care, verosimilmente, anche l’attività
giornalistica del santo del Chiablese e
l’attualità – oggi diremmo “mass-me-
diale” – che vi riconosceva don Bosco,
autore di libri e fondatore di tipogra-
fie, editrici, riviste, librerie.
Come già evidenziato, il bosco richia-
ma il cognome del fondatore. Le alte
montagne innevate raffigurano, inve-
ce, le vette di perfezione a cui devono
tendere i salesiani. L’alloro e la palma
sono emblemi del premio riservato a
una vita virtuosa e sacrificata; nella
Dicembre 2018
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4.2 Page 32

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MEMORIE
disciplina araldica, l’alloro è simbolo
di sapienza e di gloria, mentre la pal-
ma, di perseveranza e di martirio.
Le rose presenti alla sommità della
cornice dello scudo alludono, invece,
a un celebre sogno di don Bosco dove
egli vide se stesso e i suoi ragazzi cam-
minare festanti in mezzo a un pergo-
lato fiorito, mentre le spine pungenti
ne facevano sanguinare le carni.
La croce latina trifogliata simboleg-
gia, infine, la santa religione cattolica.
Il motto in uso sul sigillo prima del
1884 era “Discite a me quia mitis sum”.
Il Consiglio propose “Sinite parvulos
venire ad me”, ma fu obiettato che già
contrassegnava altre istituzioni reli-
giose. Don Barberis propose “Tempe-
ranza e lavoro” mentre don Durando
avrebbe preferito l’invocazione “Ma-
DA NOaNtalAe fEaiDunUaCcoAsaZdIOi cuNorEe!,
Dai un significato
diverso ai tuoi regali
di Natale perché:
“l’Educazione
è cosa di cuore”
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ria Auxilium Christianorum ora pro
nobis”. Don Bosco risolse il problema
con il riproporre il “Da mihi animas
caetera tolle” da lui adoperato fin dai
primi tempi dell’oratorio.
Lo stemma salesiano risulta quindi
un condensato di motivazioni fonda-
mentali per qualificare ogni vero fi-
glio di don Bosco.
Potrebbe sembrare assente l’impre-
scindibile presenza di Maria Ausilia-
trice da cui – diceva don Bosco – tut-
to ciò che è salesiano deriva.
Ma lo stesso fondatore, e tutti i primi
confratelli, identificarono sempre ne-
gli emblemi dell’ancora, della stella e
del cuore, anche il riferimento a Gesù
e a sua Madre; e questo è un altro
aspetto della densità significativa che
l’insegna racchiude.
Per lo stemma della Società salesiana
di San Giovanni Bosco, ricordiamo
che siamo in presenza di un’insegna
che, in araldica, si denomina “parlan-
te”, perché contiene una figura, nel
nostro caso il bosco, che richiama il
cognome del “fondatore” della con-
gregazione.
Sempre araldicamente, poi, ci risulta
a pieno titolo un emblema mariano,
essendo caricato – oltre che delle fi-
gure dell’ancora, della stella e del
cuore – in tutto il campo dello scu-
do, dallo smalto d’azzurro, colore
per eccellenza che richiama a Maria,
all’Ausiliatrice, all’Aiuto dei cristiani.
Infatti: “non è don Bosco che ha scelto
Maria; è Maria che, mandata dal suo
Figlio, ha preso l’iniziativa di sceglie-
re don Bosco e di fondare per mezzo
suo l’opera salesiana, che è opera sua,
‘affare suo’, per sempre”.
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4.3 Page 33

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INIZIATIVE
colonnino_Layout 1 27/09/2018 21:51 Pagina
Secondo weekend di
formazione per professionisti
A seguito della positiva esperienza del 2017, presso la casa salesiana di Arcinazzo
Romano si è tenuto nel fine settimana 15-16 settembre u.s. il secondo meeting di for-
mazione per professionisti. Attualissimo ed impegnativo il tema prescelto: La dignità
dell’uomo e i suoi diritti. Il relatore, prof. Paolo Carlotti, direttore dell’Istituto di dogma-
tica della Pontificia Università Salesiana, ha articolato il suo intervento in tre sessioni o
unità: I diritti fondamentali della persona umana; Per una vita degna della dignità dell’uo-
mo; Per una lettura teologica della dignità dell’uomo. Ad ogni presentazione del relatore
sono seguiti interventi liberi dei numerosi presenti (magistrati, giornalisti, operatori
sanitari di alto profilo, avvocati, ingegneri, direttori di aziende pubbliche e private…)
che hanno arricchito il dibattitto sotto il profilo delle loro specifiche competenze. Di
notevole interesse le provocazioni del noto scrittore e giornalista Roberto Gervaso.
Non è mancata a fine lavori una visita culturale al vicino monastero di S. Scolastica,
accolti dall’abate monsignor Mauro Meacci. L’iniziativa, promossa dall’ingegner Nico-
la Barone e dallo storico salesiano don Francesco Motto, ha riscosso il vivo apprezza-
mento dei partecipanti, che ne hanno auspicato un ulteriore sviluppo anche mediante i
moderni strumenti di comunicazione. Nelle foto momenti del meeting.
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COME DON BOSCO
PINO PELLEGRINO
IL SALVATAGGIO
La barca del mondo naviga in acque agitate come mai. Ha bisogno di sostegno
per evitare il naufragio. Ad offrire tale sostegno mira la nostra proposta mensile.
10 Salviamo la
scrittura a mano
Anche le ‘letterine di Natale’ sono un pezzo della nostra storia.
Proprio in questi giorni i giornali ci fanno sapere che i quadernetti
sui quali le nonne tenevano in ordine i conti del bilancio familiare
sono raccolti e portati nei musei.
Lo direste un problema di poco o
nessun conto, il realtà è una
questione di tutto rispetto.
Parliamo del pericolo che sta
correndo la scrittura manuale
così prepotentemente insidiata
dalla scrittura digitale.
Scopriamo subito da che parte ci col-
lochiamo: perdere la scrittura a mano
è smarrire un valido fattore di crescita
umana. Per questo vogliamo salvarla
a voce alta!
Non già per una battaglia di retroguar-
dia, ma per nostra legittima difesa.
Le ricerche scientifiche condotte
in America (proprio nella società
più pragmatica e tecnologicamente
avanzata) non lasciano dubbi: chi
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Dicembre 2018

4.5 Page 35

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LA FESTA DELLE PENNE
UNA RICADUTA OPERATIVA
Ogni anno, il 23 Gennaio, negli Stati Uni-
ti si celebra la “Giornata nazionale della
scrittura a mano”, detta anche “Giornata
della Festa della penne”, per valorizzare lo
stile unico di ogni persona nello scrivere
con una penna o una matita.
Iniziativa intelligente, prima ancora che
curiosa!
scrive a mano, elabora pensieri più
profondi, e li memorizza con mag-
gior sicurezza.
Prendere gli appunti a mano (sono
sempre le ricerche che lo provano) si-
gnifica imparare meglio rispetto allo
scrivere sulla tastiera del computer.
Insomma, la scrittura a mano fa bene
al cervello.
Non basta.
La scrittura manuale, grazie a quel
minimo di originalità che è tipica
di ognuno, ci salva dalla monotonia
dei caratteri grafici dei vari cellulari,
smartphone e tablet che, rigorosa-
mente tutti precisi e piatti, sono come
la pastasciutta in bianco: ha lo stesso
sapore dappertutto.
solo la capacità espressiva, ma soprat-
tutto la geografia interiore dell’infan-
zia di ieri. Perderle, sarebbe un pesante
danno umanitario.
Anche le ‘letterine di Natale’ sono un
pezzo della nostra storia. Proprio in
questi giorni i giornali ci fanno sapere
che i quadernetti sui quali le nonne
tenevano in ordine i conti del bilancio
familiare sono raccolti e portati nei
musei. Come reperti da proteggere.
Mai come oggi, abbiamo bisogno
delle “lettere di Natale”.
Ci sono indispensabili perché la terra
Possiamo trovare una ricaduta concreta
dopo tante parole sul valore della scrittura
a mano?
Sì, la possiamo trovare e senza nessuna
difficoltà.
Ecco: inviare, di tanto in tanto, ad un amico
uno scritto tutto targato di propria mano.
No, non per far sapere alla postina che
esistono ancora i precolombiani, ma per
ricordare che ancora vi sono uomini che
desiderano proteggere la propria umanità
con ogni mezzo, anche con la scrittura
prodotta dalla loro mano e non dalle varie
tastiere.
non diventi un’Alaska planetaria, un
pianeta in cui vi sono più orsi che uo-
mini.
Il linguaggio dell’anima
Un’ultima ragione a difesa della scrit-
tura manuale: la scrittura fatta a mano
dà sfogo alle emozioni e le fa parlare.
È il linguaggio dell’anima.
Una prova lampante sono le letterine
di Natale che il lettore può gustare in
queste pagine.
Ogni letterina è una carezza.
Un piccolo fuoco acceso che anche
oggi, a distanza di decine di anni,
continua a riscaldarci.
Sì, senza letterine di Natale, la terra
avrebbe freddo.
Le poche lettere che pubblichiamo
dimostrano quanto fosse più ricca non
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LA LINEA D’OMBRA
ALESSANDRA MASTRODONATO
La mia strada
Se c’è una cosa che la strada insegna
a chiunque si metta in cammino è che non ci
sono tragitti obbligati o itinerari già tracciati.
Spetta a ciascuno di noi disegnare il proprio
percorso esistenziale e decidere verso quale
meta indirizzare i propri passi.
Q uella della strada è spesso un’esperienza
ambivalente. Se da un lato evoca perico-
lo, smarrimenti, deviazioni, dall’altro è
il simbolo della libertà, dello spirito di
avventura, della ricerca di un orizzonte
più ampio verso cui puntare lo sguardo.
Se per un verso implica la necessità di confrontar-
si con ostacoli e imprevisti di ogni tipo, per l’altro
rappresenta lo spazio dell’incontro e della socia-
lizzazione, il terreno privilegiato di un apprendi-
stato alla vita che si nutre del contatto diretto con
il mondo. Sulla strada ci si perde, si vagabonda, ci
si ritrova; si sperimenta la curiosità vivificante del
partire e il sapore polveroso della fatica; si impara
a fare i conti con la solitudine, ma anche con la
gioia e la difficoltà di camminare insieme con gli
altri.
Sensazioni diverse e contrastanti, ma tutte acco-
munate da un elemento: comunque la si viva, la
strada è sempre metafora di un percorso esisten-
Io sono la strada,
su di me hai camminato,
ma alla fine dove andare hai scelto tu.
Quante scarpe consumate,
quanto tempo che è passato,
ma di punti fermi ancora non ne hai.
Prova a chiedere conto alla vita
di quello che ancora ti deve,
ma non chiederlo a me…
Anche quei dolori che sembravano infiniti
poi scompaiono e non li senti più.
Prova a chiedere conto alla vita
di quello che ancora ti deve,
ma non chiederlo a me...
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ziale, di un itinerario di crescita individuale che
comporta la disponibilità a mettersi in cammino
e il dinamismo dell’andare. Che sia ripida e in
salita o dolcemente adagiata in una pianura ver-
deggiante, la strada è l’esatta negazione della sta-
si. È movimento, fiato corto, scarpe consumate e
sangue che pulsa nelle vene. È la tenacia di chi,
passo dopo passo, punta dritto alla meta, ma an-
che l’incertezza di chi si smarrisce tra bivi e rota-
torie e la lentezza di chi si attarda ad ammirare il
paesaggio ed il mutare delle stagioni lungo la via.
Lo sanno bene i giovani adulti, che con la stra-
da ormai hanno acquisito una certa familiarità.
Viandanti infaticabili, audaci esploratori, viag-
giatori intraprendenti, hanno fatto della strada
una compagna fedele, imparando gradualmente
ad orientarsi nel confuso accavallarsi di itinerari
possibili e sentieri secondari. Al prezzo di vaga-
Io non sono né tuo padre né tua madre,
sono un foglio bianco
da riempire a tuo piacimento.
Io non sono né la meta né il destino,
tocca a te ora scriverlo.
Sei tu padrone del tuo tempo!
Io sono soltanto un’occasione
che ti è stata accanto,
ma sei tu lo spirito del mondo,
lo spirito del mondo...
(Mario Venuti, Spirito del mondo, 2017)
bondaggi inconcludenti e qualche ca-
duta di cui ancora portano con sé le
cicatrici, hanno sperimentato a loro
spese che non sempre la via che sem-
bra più semplice è quella giusta per
giungere alla meta e che le scorciatoie
quasi sempre riservano brutte sor-
prese. Hanno provato l’ebbrezza
di poter decidere liberamente qua-
le percorso seguire e la rabbia e la
delusione di ritrovarsi di fronte ad un vicolo cieco.
Ma, soprattutto, custodiscono la consapevolezza
di avere ancora tanta strada da percorrere...
Se c’è, infatti, una cosa che la strada insegna a
chiunque si metta in cammino è che non ci sono
tragitti obbligati o itinerari già tracciati. Spetta a
ciascuno di noi disegnare il proprio percorso esi-
stenziale, decidere verso quale meta indirizzare i
propri passi, individuare dei punti di riferimen-
to che ci aiutino a non smarrire la via maestra e
dotarci di tutti gli strumenti e l’equipaggiamento
necessari per raggiungere il traguardo.
Potrà essere più o meno faticosa e impegnativa,
gratificante o irta di difficoltà, ma quello che
conta è imparare ad amare la propria strada, per-
correrla con la curiosità e l’entusiasmo di chi ha
appena cominciato a camminare e dare il giusto
valore ad ogni passo, poiché essa copre esatta-
mente la distanza che separa la giovinezza dalla
maturità.
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LA STORIA SCONOSCIUTA DI DON BOSCO
FRANCESCO MOTTO
San Paolo VI PapaMontiniha
conosciuto da vicino
i salesiani, li ha apprezzati,
li ha sempre incoraggiati
Il papa più salesiano esostenutinellaloro
missione educativa.
Altri papi prima di lui,
L a canonizzazione di papa
Montini non può che susci-
tare una profonda gioia nella
Congregazione salesiana per-
ché è il Papa che lungo l’inte-
ra sua esistenza ha conosciuto
Pia Unione dei Cooperatori salesia-
ni, l’Associazione dei devoti di Maria
Ausiliatrice. Si autonominò protetto-
re della Società.
Gli successe papa Leone XIII che a
sua volta accettò di essere il primo
e dopo di lui, hanno dato
grandi segni di affetto
alla Società salesiana.
Ne ricordiamo alcuni.
più da vicino i salesiani, li ha apprez- Cooperatore salesiano, trattò don Salesiana. Nel 1907 firmò il decreto
zati, li ha incoraggiati e sostenuti Bosco con insolita cordialità e gli d’introduzione del processo aposto-
nella loro missione educativa. Ovvia- concesse i privilegi che erano ormai lico di don Bosco e nel 1914 quello
mente anche gli altri Papi prima di indispensabili per il rapido e prodi- per san Domenico Savio. Nel 1908
lui, e dopo di lui, hanno dato grandi gioso sviluppo della Congregazione. nominò monsignor Cagliero delegato
segni di affetto alla Società salesiana. Eresse il primo Vicariato Apostolico apostolico nel Centro America. È il
I due Papi all’origine
affidato ai Salesiani, nominando il primo cooperatore salesiano elevato
primo vescovo nella persona di mon- all’onore degli altari.
e allo sviluppo
dell’opera salesiana
signor Giovanni Cagliero nel 1883. Pure Pio XI, da giovane sacerdote
Nella prima udienza a don Rua dopo nel 1883 andò a far visita a don Bo-
la morte di don Bosco, gli fu largo di sco all’Oratorio, fermandosi colà due
Due sono stati i Papi con cui don consigli per il consolidamento della giorni. Sedette alla mensa di don Bo-
Bosco ebbe direttamente a che fare. Società salesiana.
sco e se ne partì pieno di profondi e
Anzitutto il beato Pio IX, il Papa che
egli sostenne in momenti tragici per I due (futuri) Papi
soavi ricordi. Non risparmiò mezzo
per promuovere rapidamente il pro-
la Chiesa, di cui difese l’autorità, i di- che sedettero alla
ritti, il prestigio, tanto da essere qua-
lificato dagli avversari come “il Gari-
mensa di don Bosco
cesso apostolico di don Bosco, per
la cui canonizzazione volle stabilire
nientemeno che il giorno di Pasqua
baldi del Vaticano”. Ne fu ricambiato San Pio X da semplice canonico s’in- del 1934, chiusura dell’Anno Santo.
con numerose ed affettuose udienze contrò con don Bosco a Torino nel Grazie a lui la causa di Domenico
private, molte concessioni ed indulti. 1875, sedette alla sua mensa e si fece Savio superò difficoltà, che parevano
Lo sostenne pure economicamente. iscrivere fra i Cooperatori salesiani. insuperabili: nel 1933 ne firmò il de-
Durante il suo pontificato furono Se ne partì altamente edificato. Da creto dell’eroicità delle virtù; nel 1936
approvate la Società salesiana, le sue vescovo e patriarca di Venezia diede proclamò l’eroicità delle virtù di santa
costituzioni, l’Istituto delle , la prove di benevolenza verso la Società Maria Mazzarello, che beatificò il 20
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novembre 1938. Altri segni di predi-
lezione per la Società Salesiana furo-
no la concessione dell’Indulgenza del
lavoro santificato (1922) e l’elevazio-
ne alla porpora del cardinale polacco
Augusto Hlond (1927).
Il papa più salesiano
Se Pio XI fu giustamente chiamato il
“Papa di don Bosco”, forse altrettan-
to giustamente il “Papa più salesiano”
per la conoscenza, stima ed affetto
dimostrati alla società salesiana –
senza voler con ciò sottovalutare altri
Disegno di Stefano Pachì.
Papi precedenti e successivi – è stato
papa san Paolo VI. Il padre Giorgio,
giornalista, era grande ammiratore
di don Bosco (non ancora beato), di
cui conservava nello studio un quadro
con scritta autografa, sovente ammi-
rato dal piccolo Giovanni Battista.
Durante i suoi studi a Torino il giova-
ne Montini aveva ondeggiato fra sce-
gliere la vita benedettina conosciuta a
San Bernardino di Chiari (diventata
poi casa salesiana, lo è tuttora), e la
vita salesiana. Pochi giorni dopo la
sua ordinazione sacerdotale (Brescia
29 maggio 1920), chiese al vesco-
vo, prima ancora di ricevere la
destinazione pastorale, se
poteva sceglierla lui. In
tal caso avrebbe vo-
luto andare con don
Bosco. Il vescovo
decise invece per
gli studi a Roma.
Ma ad un Montini
“salesiano manca-
to” ne venne un al-
tro. Pochi anni dopo
quel colloquio, il
cugino Luigi (1906-
1963) gli espresse il
desiderio di diventare
pure lui sacerdote. Il
futuro Papa, che lo cono-
sceva bene, gli disse che per
un temperamento dinamico e
tumultuoso andava bene la vita
salesiana e dunque si con-
sigliasse con il famoso salesiano don
Cojazzi. Il parere fu positivo e alla
notizia don Giovanni fu così contento
che il cugino prendesse il suo posto
tanto da accompagnarlo lui stesso
nell’aspirandato missionario salesia-
no di Ivrea. Sarà poi missionario per
17 anni in Cina e successivamente in
Brasile fino alla morte. A completare
la salesianità della famiglia Montini
ci fu la presenza, per una decina di
anni, nella casa salesiana del Colle
Don Bosco di un fratello di Enrico,
Luigi (1905-1973).
Non è necessario dire poi quanto
monsignor Montini sia stato vicino
ai salesiani nelle varie responsabilità
assunte: ad esempio come Sostituto
alla Segreteria di Stato o nel primis-
simo dopoguerra a Roma per l’inci-
piente opera del Borgo don Bosco
per gli sciuscià, come arcivescovo di
Milano a fine anni ’50 per la presa
in consegna dell’opera dei barabitt di
Arese, come Papa nel sostegno a tutta
la Congregazione e la Famiglia sale-
siana, erigendo fra l’altro l’Università
Pontificia Salesiana e la Pontificia
Facoltà di Scienze dell’Educazione
Auxilium delle . Della sua im-
mensa stima per l’opera salesiana,
missionaria in particolare, ha parlato
più volte in udienze private al Ret-
tor Maggiore don Luigi Ricceri ed
in udienze pubbliche. Famosa quella
confidenzialissima concessa ai Capi-
tolari del Capitolo Generale 20 il 20
dicembre 1971. Ovviamente in molti
discorsi tenuti ai salesiani, di Milano
in particolare, ha dimostrato una pro-
fonda conoscenza del carisma salesia-
no e delle sue potenzialità.
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I NOSTRI SANTI
CAECSUARRAE DBISPSIEORLLIUIGI CAMERONI postulatore generale - postulazione@sdb.org
PREGHIERA Coloro che ricevessero grazie o favori per
intercessione dei nostri beati, venerabili e servi di Dio,
sono pregati di segnalarlo a postulazione@sdb.org
Dio onnipotente ed eterno,
pieno di misericordia verso i tuoi figli,
IL SANTO DEL MESE
tu che hai guidato il tuo servo fedele Ignazio
affinché, con l’amore e l’umiltà, la preghiera e il fervore,
aiutasse soprattutto i giovani a trovare la strada
Nel mese di dicembre preghiamo per la canonizzazione
verso la Chiesa di Cristo,
del servo di Dio Ignazio Stuchlý (1869-1953)
concedi a lui l’onore e la gloria degli altari
Il servo di Dio don Ignazio Stuchlý nasce a Bolesław, nell’ex Slesia
prussiana, il 14 dicembre 1869, in una numerosa famiglia di con-
tadini. Giovane uomo tenace nell’impegno e fermo nella speranza,
viene accettato tra i Salesiani nel 1894. Arriva a Torino l’8 settem-
bre, e vive le tappe di formazione a Valsalice e Ivrea: si forma a con-
tatto con i grandi Salesiani della prima generazione. Inizialmente
destinato alle missioni, per ordine di don Rua il servo di Dio resta
in Italia, e si prepara a supportare la crescita delle opere salesiane
e dona a noi la grazia di imitarlo
nella preghiera e nell’operosità,
contribuendo al rinnovamento morale e spirituale
di ciascuna persona che incontriamo
e delle nuove generazioni.
Per intercessione del tuo servo Ignazio
esaudisci la preghiera con la quale ci rivolgiamo a te.
Per Cristo nostro Signore. Amen.
nelle aree slave. È allora a Gorizia (1897-1910); quindi in Slovenia,
CRONACA DELLA POSTULAZIONE tra Ljubljana e Verzej, fino al 1924; poi, dal 1925 al 1927, è a Perosa
Argentina, dove forma le nuove leve per innestare la Congregazione
salesiana “al Nord”. Nel 1927 ritorna in patria, a Fryšták, e anche lì
ricopre incarichi di governo, compreso l’ispettorato, dal 1935. Dopo Il 20 luglio 2018 è stata consegnata presso la Congregazione delle
le conseguenze a più ampio raggio della Guerra Balcanica e la Pri- Cause dei Santi la Positio super Vita, Virtutibus et Fama Sanctitatis
ma Guerra Mondiale, affronta sia la Seconda Guerra Mondiale sia del Servo di Dio Ignazio Stuchlý, Sacerdote Professo della Società
il dilagare del totalitarismo comunista: in entrambi i casi, le opere di San Francesco di Sales.
salesiane vengono requisite, i confratelli arruolati o dispersi ed egli
vede d’un tratto distrutta l’opera cui aveva consacrato la vita. Qua-
ranta giorni prima della fatidica “Notte dei barbari”, nel marzo 1950,
è colpito da apoplessia: la vivissima stima che egli sempre aveva
suscitato nei superiori, e la sua grande capacità di amare e farsi
amare, fioriscono allora più che mai in fama di santità. Si spegne
serenamente nella sera del 17 gennaio 1953. Economo, prefetto,
vice-direttore, direttore, ispettore, il servo di Dio aveva ricoperto,
per ampia parte della vita, ruoli di responsabilità. Un po’ come il
beato don Rua, da lui preso ad esempio, era considerato “regola
vivente”, testimone efficace dello spirito di don Bosco e capace di
trasmetterlo alle generazioni successive.
Uomo che ha vissuto in molte e diverse realtà geografiche, lingui-
stiche e culturali (come le odierne Moravia, Boemia, Slovacchia,
Polonia, Slovenia, Italia), anche
Ringraziano
Domenica 15 luglio 2018 siamo
venuti con i nostri bambini del
campo estivo a pregare davanti
alle Reliquie di san Giovanni
Bosco e di san Domenico Sa-
vio. Ritornando abbiamo avuto un
bruttissimo incidente in autostra-
da: il pulmino è completamente
distrutto ma né io né i 7 bambini
abbiamo riportato ferite. Tutti ab-
biamo immediatamente ringrazia-
to don Bosco per averci protetto.
Don Mirko Perucchini,
Acceglio (CN)
Desidero esprimere la mia in-
commensurabile e perenne grati-
tudine a Voi, Maria Ausiliatri-
ce, san Giovanni Bosco e san
Domenico Savio, per la grazia
della nascita di una splendida
nipotina che, per Vostra interces-
sione, ho ricevuto.
in terre di confine, il servo di Dio
Cettina
si propone oggi come uomo di
pace, unità e riconciliazione tra
i popoli.
Ringrazio, con tutto il cuore, la
Madonna Ausiliatrice, mam-
ma Margherita, don Bosco,
Per la pubblicazione non
san Domenico Savio e san
Gabriele dell’Addolorata per
si tiene conto delle lettere
non firmate e senza
la guarigione del mio nipotino
Antonio. All’inizio i dottori, molto
preoccupati, decisero di interveni-
recapito. Su richiesta
si potrà omettere
l’indicazione del nome.
Dal 3 al 5 giugno 2018 si è svolto a Velehrad, presso la basilica mariana
centro spirituale della Moravia, un convegno sul fondatore dell’opera
salesiana nella Repubblica Ceca, don Ignazio Stuchlý.
re chirurgicamente d’urgenza, ma
una volta in sala operatoria si sono
accorti che non era nulla di grave.
T.B., Troja (FG)
40
Dicembre 2018

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL LORO RICORDO È BENEDIZIONE
STEFANO ASPETTATI
Don Josè De Grandis
Morto a Firenze, il 19 settembre 2018, a 72 anni
Josè nasce a Castelfranco Vene-
to (TV) il 2 giugno 1946, da papà
Rino e mamma Elisa, quarto di 5
figli. Nasce in una data significa-
tiva: è infatti la data dello stori-
co Referendum che sancisce il
passaggio dalla Monarchia alla
Repubblica; per la prima volta
anche le donne possono votare,
quindi mamma Elisa fa il suo do-
vere, prima vota e poi partorisce.
La famiglia De Grandis, famiglia
contadina di fede solida e sem-
plice “regala” 4 dei 5 figli alla
vita religiosa: Riccardo (diven-
tato salesiano sacerdote), Gilda
(Figlia della Chiesa), Giovanna
(Cottolenghina, che prende il
nome della mamma Elisa), Josè;
resta poi l’ultima Anna Maria (l’u-
nica non religiosa). Josè prende
il nome da Giosafat, il nonno. Ma
qualcosa nella registrazione va
storta, perché tutti – lui compre-
so – credono che si chiami Josè,
invece si chiama Iose senza “J” e
senza accento. Ricordo però che
a Firenze avevamo risolto il pro-
blema perché per noi era sempli-
cemente “Dongio”.
Racconta don Gianni D’Alessan-
dro, compagno di Riccardo, che
alla loro vestizione venne anche
“il piccolo Josè che aveva solo 9
anni e quando vide il fratello ve-
stito di nero cominciò a piangere
e si nascose dietro mamma Elisa.
Non lo dimenticherò mai”. Ciò
non impedisce a Josè due anni
dopo di seguire il fratello ed en-
trare a sua volta in aspirantato e
poi prenoviziato nel 1957 a Novi
e poi a Pietrasanta. Nel 1962 co-
mincia il noviziato a Pinerolo e
nel 1963 fa la sua prima profes-
sione religiosa come salesiano.
Poi la filosofia a Nave e quindi
il tirocinio prima a Firenze poi a
Pietrasanta e infine a Vallecrosia.
L’11/11/1978 riceve l’ordinazione
sacerdotale a Genova Sampier-
darena. Poi due anni a studiare a
Roma e nel 1987 diventa direttore
e parroco a Rosignano M.mo fino
al 1993. Durante quegli anni, nel
1991, Josè perde l’amato fratello
don Riccardo a soli 52 anni. Poi
il trasferimento a La Spezia sem-
pre come direttore e parroco. Nel
1999 diventa parroco a Genova
Sampierdarena, proprio la par-
rocchia dove aveva speso le ul-
time energie suo fratello Riccardo
e quella della sua ordinazione.
Nel 2006 viene chiamato a Li-
vorno, ma per aprire una nuova
presenza salesiana a Grosseto,
ricomincia da Vallecrosia come
direttore e parroco fino al 2016,
anno in cui torna a Firenze stavol-
ta come parroco. Due anni molto
intensi, anche perché la fatica
degli anni comincia a farsi sen-
tire. Josè continua a spendersi
fino alla scoperta, poco più di un
mese fa del male che lo consu-
merà in brevissimo tempo.
Josè aveva in camera una foto
che è diventata molto famosa in
questi giorni di malattia: lui e suo
fratello Riccardo, in montagna,
con su scritto “le due rocce”. Da
domattina le loro spoglie saranno
accanto nel cimitero di Genova,
ma soprattutto li pensiamo ades-
so già insieme in cielo e insieme
a don Bosco. Ma Josè era una
roccia non solo per battuta, lo
era davvero. Non solo per la sua
forza fisica e per la sua passio-
ne per la montagna, ma proprio
per la sua fede. Incrollabile. Le
tante (tantissime!) testimonianze
ricevute in queste ore ricordano il
suo approccio spontaneo e il suo
sorriso, con tutti: piccoli, giovani,
gente matura, anziani, tutti hanno
avvertito in lui l’amico vicino, su
cui puoi contare. E questo anche
le persone che lo hanno cono-
sciuto per poco. Semplice, non
ha mai messo soggezione a nes-
suno, perché amava tutti e amava
la vita, la natura, le montagne
della Val d’Aosta, come il miele di
Rosignano, e le colline di Firenze.
Gli piacevano la battuta, la com-
pagnia, una cenetta tra amici...
I suoi ex-ragazzi ricordano Josè
come uno che ascoltava tan-
to; ma la cosa che amava di più
ascoltare era la Parola di Dio e
la faceva ascoltare anche a loro.
Cito ancora: “sapeva entrare nel-
la Parola di Dio in modo fresco e
profondo. Dall’altare o nelle cate-
chesi di gruppo sapeva sviscera-
re le ricchezze anche nascoste,
con serietà e parole contagiose”.
Sapeva valorizzare le persone
che lavoravano con lui, credeva
nella collaborazione dei laici e li
lanciava fin da giovani in servizi
di responsabilità, restando dietro
a vigilare e a infondere fiducia.
Personalmente non riesco a ri-
cordare un momento in cui l’ho
visto davvero arrabbiato; era
capace di stemperare tutto. Lavo-
rava sempre per la comunione. A
Genova, come riporta il giornali-
no parrocchiale del 2003, accettò
di festeggiare il suo 25esimo di
Messa a patto che – parole sue
– non fosse una festa per lui, ma
un’occasione per “rinsaldare i
vincoli di fraternità della comu-
nità”. Non l’ho mai sentito parlar
male di qualche confratello, an-
che se non gli sono mancate le
difficoltà. Per lui la comunità è
sempre stata un valore assoluto,
fino alla fine, quando lo scorso 1°
settembre ha voluto essere pre-
sente all’insediamento del nuovo
direttore e in quell’occasione ri-
cevere il sacramento dell’Unzione
degli Infermi.
E poi quando ci siamo trovati
a pregare in camera con tutto il
consiglio ispettoriale: “le offro
per tutta l’ispettoria”. Cari con-
fratelli davvero in lui e grazie a
lui avete e abbiamo sperimentato
che cosa sia la fraternità e il vo-
lersi bene, dentro una comunità
religiosa.
Dicembre 2018
41

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IL CRUCIVERBA
ROBERTO DESIDERATI
Scoprendo don Bosco
Scopriamo i luoghi
e gli avvenimenti
legati alla vita
del grande Santo.
La soluzione nel prossimo numero.
L’ULTIMA, MINIMA, MA SANTA DIMORA
Dal 1929, anno della canonizzazione di don Bosco, è possibi-
le visitare quei piccoli ambienti in cui visse, lavorò, pregò e si
spense il Santo. Si trovano a Valdocco, Torino, e sono luoghi
dall’aspetto modesto, semplici, per questo chiamati XXX, ep-
pure pervasi dal ricordo di un grand’uomo. Dando una sola oc-
chiata alla camera-studio, costruita nel 1853, viene in mente che
lì si radunarono alcuni giovani preti, Rua, Cagliero, Rocchietti,
Artiglia, ai quali un altrettanto giovane don Bosco disse: “Vi invi-
to a formare con me una Società. Ci chiameremo Salesiani”. Lì fu accolto san Domenico Savio, lì il cartello
con il famoso motto “Da mihi animas coetera tolle” (“Dammi le anime, prenditi tutto il resto”) dichiara
l’amore smisurato verso Dio e il prossimo. Poco oltre, c’è un altare presso il quale il Santo celebrava la
messa durante gli ultimi anni di vita e dove celebrò anche l’ultima, l’11 dicembre 1887. Nel 1861, l’edificio
fu ampliato e si resero necessari alcuni spostamenti: la stanza di don Bosco fu trasferita a est e la seconda
rimase come ufficio del suo segretario e adibita a saletta di ricevimento. Un corridoio, con grandi vetrate,
permetteva a don Bosco di vedere il cortile dove giocavano i ragazzi e la Basilica di Maria Ausiliatrice. In
una bacheca si possono ancora vedere gli abiti da “passeg-
gio”, visto che fu un instancabile camminatore e viaggiatore,
e in un’altra i paramenti e altri oggetti usati nelle liturgie. La
camera da letto di don Bosco accoglie il suo letto, ovviamente,
dove trascorse gli ultimi giorni e in un’altra camera c’è la scri-
vania su cui vennero scritte più di 20000 lettere e molti libri.
Dopo la sua morte, per 22 anni, fu l’ufficio e la camera da letto
di don Michele Rua, suo primo successore. Un’altra dimora di
don Bosco è meta di pellegrini a Roma, dove soggiornò alcuni
mesi in occasione del suo ultimo viaggio.
Definizioni
ORIZZONTALI. 1. L’immorta-
le opera del sommo Alighieri - 15.
Città dell’Abruzzo - 16. L’impiego
razionale del denaro nell’amministra-
zione - 17. Fare - 19. La radice detta
anche barbaforte o rafano - 20. Era
cortese se scaturito da un cuore no-
bile - 22. “Se Atene piange, Sparta
non ...” - 23. Sua Maestà - 24. Ora
in breve - 25. Assai poco comune -
26. Tu... a Paris - 27. XXX - 30.
La settima nota - 31. Ancona - 32.
Il copricapo che protegge i soldati -
33. Lavoro a maglia, come direbbe...
madame! - 36. Atto che viola la leg-
ge - 38. Ufficiali, come lo sono certe
procedure - 39. Il Far che attraeva i
pionieri - 42. Ne ha due la bici! - 43.
Un “bisonte” della strada - 44. Film
del ’54, vincitore di otto premi Oscar,
con Marlon Brando.
VERTICALI. 1. È straniera quella
francese - 2. Privi d’acqua - 3. Il con-
trario di prendere - 4. Poste in pro-
fondità - 5. Vostro Onore - 6. La fine
della fine! - 7. Attento, avveduto - 8.
Complice - 9. Uno a New York - 10.
Trasportava gli appestati, vivi o morti
- 11. Duemila per i romani - 12. Si
trasformò in Rai - 13. Lo è un tessuto
lavorato in modo da dare particolari
effetti di luce - 14. Tenebroso, fosco
- 15. La minaccia attesa dal deser-
to, in un celebre romanzo di Buzzati
- 18. Accettate, riconosciute idonee
- 21. Orologi... d’altri tempi - 23. Lo
“zio” che simboleggia gli Stati Uniti -
27. Pagliaccio - 28. Congiunzione
latina - 29. Andar senza meta - 32.
Il piccolo alieno di Spielberg - 34.
Marescotti attore (iniz.) - 35. C’è
quello al piattello - 37. Il bag chiuso
nel volante - 38. Federazione Italiana
Pallacanestro (sigla) - 40. Fine del
carnet - 41. Turbo Diesel - 42. Arti-
colo determinativo.
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Dicembre 2018

5.3 Page 43

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LA BUONANOTTE
B.F.
Serenella
Disegno di Fabrizio Zubani
Serenella era una campana.
La campana dell’Ave Maria
del campanile della chiesa di
San Giovanni di un pitto-
resco villaggio ai piedi del
Monte Rosa, che si chiama
Gressoney Saint Jean.
Con la neve, la pioggia e il sole
Serenella non dimenticava mai di
cantare all’alba, a mezzogiorno e al
tramonto e la sua voce giungeva fino
ai grandi poderosi ghiacciai del Rosa.
Rimbalzava e faceva fremere i timidi
caprioli, fischiettare le marmotte,
ululare i lupi e grugnire i cinghiali.
Era l’amica di tutti. In particolare di
uno scoiattolo dalla coda rossa che
viveva su un pino cembro di duecen-
to anni e spesso “balzellon balzello-
ni” arrivava sul campanile.
Aveva anche un altro caro amico,
Matteo il panettiere. Il primo che
all’alba spalancava la finestra e la
salutava quando trillava il suo
“buongiorno”.
Un giorno d’autunno, la voce di
Serenella si trasformò in un quieto
singhiozzare. Pioveva e nel piccolo
cimitero ai piedi del campanile, c’era
un pugno di gente che guardava una
bara che veniva calata nella terra.
Lo scoiattolo dalla coda rossa arrivò
subito e chiese: «Perché piangi,
Serenella?»
«È morto il mio Matteo, Scoiattolino».
Lo scoiattolo si sedette vicino a Sere-
nella e l’aiutò a piangere.
Nei giorni
seguenti, la vita
sembrò tornare
quella di prima.
Un mattino, però,
quando Serenella
cominciò a suonare
l’Ave Maria, si ac-
corse che c’era qual-
cuno seduto vicino
a lei, sul davanzale
del campanile. Era una per-
sona viva e vera, ma stranamente
luminosa, lieve, profumata.
«Ma sei Matteo!» esclamò Serenella.
«Sono proprio io» disse la luce.
«Ti credevo in Paradiso» continuò la
campana.
«Infatti, sono in Paradiso».
«Ma non mi sembri del tutto felice».
«Sono felicissimo, ma mi manca una
cosa, piccola, ma mi manca».
Serenella era sbalordita: «Come può
mancarti qualcosa in Paradiso?»
«Vedi, campanella mia, anche là,
non vogliamo essere dimenticati.
Abbiamo bisogno che qualcuno si
ricordi di noi. E il ricordo più bello
è quello che avviene in chiesa, dove
ci siamo salutati l’ultima volta. Ogni
giorno, gli angeli volano sulla terra a
raccogliere le preghiere che i cristiani
rivolgono a Dio per le persone
amate. Gi angeli le portano in
Paradiso e le distribuiscono ai beati.
Ma per me, non c’è mai niente».
Matteo era felice e triste insieme:
una cosa proprio curiosa.
«Ci penso io!» trillò Serenella.
Da quel giorno, quando i figli e i
nipotini di Matteo passavano nella
piazza, la campana suonava a distesa,
facendo un gran fracasso, e gridava:
«Ricordati di Matteo! Ricordati di
Matteo!»
La gente si affacciava sconcertata
sulla porta di casa e chiedeva: «Che
cosa succede?»
Il sindaco ordinò alle guardie di far
tacere quella campana molesta fuori
orario. Ma Serenella non smise di
suonare finché i parenti di Matteo e
tanta altra gente non si ritrovarono in
chiesa a pregare per il buon panet-
tiere.
Quella sera, l’angelo di Gressoney
portò in Paradiso un mucchio enorme
di “preghiere per Matteo”. E Serenella
suonò un Alleluia che fece tremare i
ghiacciai del Monte Rosa.
Dicembre 2018
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5.4 Page 44

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TAXE PERÇUE
tassa riscossa
PADOVA c.m.p.
In caso di mancato
recapito restituire a:
ufficio di PADOVA
cmp – Il mittente si
impegna a corrispon-
dere la prevista tariffa.
Nel prossimo numero
Il messaggio
del Rettor Maggiore
L’invitato
Il cardinale Óscar
Rodríguez Maradiaga
Solo il Vangelo
è rivoluzionario
Salesiani nel mondo
Bolivia
Dove manca il respiro
A tu per tu
Padre André
Van Der Sloot
Don Bosco in Belgio
e Francia
Le case di Don Bosco
Bra
Tra le colline
del buon vivere
Speciale
“Maria Ausiliatrice”
Valdocco
Raccontata ai bambini
Senza di voi
non possiamo
fare nulla!
PER SOSTENERE LE OPERE SALESIANE
Notifichiamo che l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino, avente persona-
lità giuridica per Regio Decreto 13-01-1924 n. 22, e la Fondazione Don Bosco nel mondo
(per il sostegno in particolare delle missioni salesiane), con sede in Roma, riconosciuta con
D.M. del 06-08-2002, possono ricevere Legati ed Eredità.
Queste le formule
Se si tratta di un Legato
a)
Di beni mobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma) a titolo di legato la somma di ……………..,
o titoli, ecc., per i fini istituzionali dell’Ente”.
b)
Di beni immobili
“… Lascio all’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o alla Fondazione
Don Bosco nel mondo con sede in Roma), a titolo di legato, l’immobile sito in… per i fini
istituzionali dell’Ente”.
Se si tratta invece di nominare erede di ogni sostanza l’uno o l’altro dei due enti
sopraindicati
“… Annullo ogni mia precedente disposizione testamentaria. Nomino mio erede universale
l’Istituto Salesiano per le Missioni con sede in Torino (o la Fondazione Don Bosco
nel mondo con sede in Roma) lasciando a esso/a quanto mi appartiene a qualsiasi titolo,
per i fini istituzionali dell’Ente”.
(Luogo e data)
(firma per esteso e leggibile)
N.B. Il testamento deve essere scritto per intero di mano propria dal testatore.
INDIRIZZI
Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
Tel. 011.5224247-8
e-mail: istitutomissioni@salesiani-icp.net
Fondazione Don Bosco nel mondo
Via Marsala, 42
00185 Roma
Tel. 06.656121 - 06.65612663
e-mail: donbosconelmondo@sdb.org
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un’offerta.